I Guardiani del Tempo - La nascita di una leggenda

di Pandora86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come tutto ebbe inizio ***
Capitolo 2: *** Le Tappe ***
Capitolo 3: *** La strega, il principe e il Mago ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. La Grande Epurazione - La nascita di Mordred ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. Seconda Tappa: L'arrivo di Merlino a Camelot ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. Lancillotto ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. La Terza Tappa ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. Intervento ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. L'ultima Tappa - Prima Parte ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. L'ultima Tappa - Seconda Parte ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. Kyle ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. Addio a Camelot ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. Svolta ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. Il caos ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. Dove sei? ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16. Nuovi arrivati e vecchi quesiti ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17. Passato e Presente ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18. Sospetti ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19. Strategia vincente o... scontata? ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20. Braccio e Mente ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21. Controversie ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22. Attrazione e Repulsione ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 - Misteri svelati - Prima Parte ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24. Misteri svelati - Seconda Parte ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25. Alleanza ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26. Incontro ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27. La (s)comparsa del Diamante Bianco ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28. Cavaliere e Guardiano - Prima Parte ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29. Cavaliere e Guardiano - Seconda Parte ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30. L'altra faccia dell'Immortalità ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31. Attesa ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32. Luce e Tenebra ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33. Guardiani nella mente ma Umani nel cuore ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34. Louis e Phoenix ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35. Louis D'Alambert ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36. Klause Badelt ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37. Cavaliere e Guardiano - Terza Parte ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38. Risvolti inaspettati ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39. Faccia a faccia ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40. Presa di coscienza ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41. Bene e Male ***
Capitolo 42: *** Capitolo 42. L'altra faccia della Conoscenza ***
Capitolo 43: *** Capitolo 43. Uomo e Destino ***
Capitolo 44: *** Capitolo 44. Decisioni e Strategie ***
Capitolo 45: *** Capitolo 45. Giochi pericolosi ***
Capitolo 46: *** Capitolo 46. Punto di non ritorno ***
Capitolo 47: *** Capitolo 47. La tua Magia ***
Capitolo 48: *** Capitolo 48. Excalibur ***
Capitolo 49: *** Capitolo 49. Scudo ***
Capitolo 50: *** Capitolo 50. Contatti ***
Capitolo 51: *** Capitolo 51. Re e Mago ***
Capitolo 52: *** Capitolo 52. Cavaliere e Creatura - Prima Parte ***
Capitolo 53: *** Capitolo 53. Amore ***
Capitolo 54: *** Capitolo 54. Possibilità ***
Capitolo 55: *** Capitolo 55. Energia ***
Capitolo 56: *** Capitolo 56. Immortale ***
Capitolo 57: *** Capitolo 57. Insieme... Fino alla fine dei tempi ***
Capitolo 58: *** Capitolo 58. Paura ***
Capitolo 59: *** Capitolo 59. Il Male ***
Capitolo 60: *** Capitolo 60. Imprevisto, Libero Arbitrio oppure... Fato? ***
Capitolo 61: *** Capitolo 61. Il Bene ***
Capitolo 62: *** Capitolo 62. Quello che dice il cuore ***
Capitolo 63: *** Capitolo 63. Quello che dice la mente ***
Capitolo 64: *** Capitolo 64. Sconcerto ***
Capitolo 65: *** Capitolo 65. Confronto ***
Capitolo 66: *** Capitolo 66. Cavaliere e Creatura - Seconda Parte ***
Capitolo 67: *** Capitolo 67. Infinito ***
Capitolo 68: *** Capitolo 68. Fiducia ***
Capitolo 69: *** Capitolo 69. Energie a confronto ***
Capitolo 70: *** Capitolo 70. Avalon - Prima Parte - Cavaliere e Guardiano ***
Capitolo 71: *** Capitolo 71. Lealtà ***
Capitolo 72: *** Capitolo 72. Rivelazioni - Prima Parte ***
Capitolo 73: *** Capitolo 73. Avalon - Seconda Parte - Cavaliere e Guardiano ***
Capitolo 74: *** Capitolo 74. Uguaglianza ***
Capitolo 75: *** Capitolo 75. Scelta ***
Capitolo 76: *** Capitolo 76. Oltre i limiti più estremi ***



Capitolo 1
*** Come tutto ebbe inizio ***


Eccomi con la mia prima long in questo fandom.
L’idea mi frullava in testa da un po’ e l’immagine finale dell’ultima puntata del telefilm mi ha dato lo spunto giusto.
Che altro dire… per adesso vi lascio alla lettura!
Ci vediamo a fine capitolo per le note!
 
 
         
              I Guardiani del Tempo: la nascita di una leggenda



Capitolo 1. Come tutto ebbe inizio

In una stanza, una donna anziana sedeva quieta davanti al camino. Indossava un sontuoso vestito in velluto rosso. I capelli, bianco candido, erano raccolti in un elegante chignon. Il volto, che un tempo doveva essere stato di una rara bellezza, era illuminato dalle fiamme che sprigionava il camino e recava i tratti di un’infinita saggezza. Le mani, senza tempo, erano adornate con molti anelli luccicanti, ognuna con una pietra di colore diverso.

Sedeva, in una posizione regale, con le mani appoggiate ai braccioli della poltrona, immobile e in silenzio. I suoi occhi, di un blu mare molto intenso, non fissavano nessun punto in particolare e sembrava in attesa di qualcosa. Non si mosse neanche quando la porta si aprì e qualcuno entrò nella stanza.

La ragazza si guardò intorno alla ricerca della figura familiare. La vide seduta vicino al fuoco e andò ad accomodarsi nella poltrona accanto.

Indossava dei pantaloni neri stretti e un paio di stivali che le fasciavano le gambe perfette. Una camicia bianca completava il suo semplice abbigliamento. Era una tenuta abbastanza casual e non aveva ornamenti, fatta eccezione per un anello che portava al dito, con una grossa pietra verde, uno smeraldo purissimo. Era uguale a uno di quelli che portava la donna anziana, con la differenza che il colore della pietra era di un azzurro cielo molto chiaro.

Aveva dei lunghi capelli ricci di un biondo cenere molto intenso, più chiaro sulle punte, e degli occhi di un particolare colore oro.

Nell’attesa che la donna anziana parlasse, osservò la stanza. Non che non la conoscesse, anzi. Tuttavia, rimaneva sempre affascinata dalla quantità di oggetti senza tempo che la ingombravano. Era arredata con ogni tipo di arredamento esistente, nel senso letterale della frase. Ogni oggetto, un’epoca diversa.

Guardò i modellini di aerei che erano appesi sotto sul soffitto e si soffermò sull’illuminazione della stanza, che era dovuta esclusivamente a candelabri di chissà quale epoca o tempo. La scrivania era ingombra di una discreta quantità di cianfrusaglie, dove facevano capolino dei fogli di papiro, un calamaio con tanto di piuma e addirittura una penna a inchiostro, che però era adagiata su fogli di carta fatti con cellulosa.

“Ti stavo aspettando!” disse la donna anziana con voce inflessibile, senza alzare lo sguardo dalle fiamme.

“Dov’è tuo fratello?” domandò, questa volta voltandosi a osservare la ragazza con sguardo preoccupato.

“È nella biblioteca del palazzo. Il nonno già gli ha comunicato la notizia e non vuole perdere tempo” rispose sicura la ragazza tradendo però una certa preoccupazione nel tono di voce.

“Sai perché sei qui, vero?” domandò ancora la donna anziana.

“Ho compiuto vent’anni, nonna. La destinazione è stata scelta”.

“Camelot!” sussurrò la vecchia signora e, questa volta, sul suo volto traspariva tutta la preoccupazione che quella sola e unica parola portava.

“Già!” disse solamente la ragazza, con una scrollata di spalle.

“Tua madre e tuo padre sono deceduti nell’impresa” e stavolta la ragazza dovette avvicinarsi per capire quello che l’anziana donna, seduta di fronte, a lei stesse dicendo.

Merlìha sospirò ancora, alzandosi e ponendosi in ginocchio accanto alla donna.

“Non sono deceduti nell’impresa, nonna!” la corresse. “Hanno solo fallito e, di conseguenza, sono stati mandati nel mondo mortale. Lì, hanno avuto una vita lunga e felice, finché non sono morti, com’era giusto che fosse!” concluse, stringendole con affetto la mano.

La donna si voltò verso sua nipote.

Era cresciuta la sua bambina, si era fatta una donna.

La fissò a lungo, quasi per imprimersi nella memoria i suoi bellissimi lineamenti.

Quasi come se non avesse più potuto vederla.

La ragazza dovette cogliere il turbamento dell’anziana signora dato che andò a rafforzare la presa delle sue mani.

“Non fallirò! Non falliremo” e, dopo averle baciato con affetto la fronte, si avviò verso l’uscita.

Camelot la stava aspettando.
 

***
 

Merlìha sbuffò sonoramente chiudendo il tomo.

“Hai alzato mezzo quintale di polvere!” sibilò il ragazzo seduto di fronte a lei con gli occhi assottigliati a due fessure.

“Come sei pesante, Gabriel” gli fece la linguaccia.

“E tu come sei lavativa, sorella!” rispose prontamente il ragazzo con tono saccente.

“Nel caso non te ne fossi accorto, siamo da sei ore su questi libri. Se consideri poi che dobbiamo ancora finire tutta la documentazione e che, ci tengo a specificarlo, i documenti vengono da tutte le epoche, allora convieni con me nell’essere seccata” insistette Merlìha con sguardo beffardo.

Chiunque sarebbe scappato di fronte allo sguardo di ghiaccio del fratello, non per niente aveva terrorizzato tutto il palazzo e anche tutti quelli che abitavano nelle zone confinanti.

Tutti meno che lei, ovviamente!

Il fratello poteva essere paragonato a un grosso cane fastidioso.

Abbaiava tanto ma non mordeva mai, o quasi mai almeno.

Fatto sta, che quando decideva di mordere, era letale nella maggior parte dei casi.

Dettagli, comunque.

Se lo immaginò con delle zanne al posto dei denti, incominciando a ridacchiare da sola.

Gabriel alzò lo sguardo dal tomo che aveva dinanzi guardandola scettico.

“Siamo di buon umore!” esclamò una terza voce che aveva appena fatto capolino nella stanza.

“Colpa di Gabriel, Lenn. Me lo sono figurato in versione cane!” rispose la ragazza con un sorriso a trentadue denti.

“Tzè” fu il mugugno del diretto interessato che, ritenendo la sua voce troppo preziosa per sprecarla in simili baggianate, aveva pensato bene di ritornare alla lettura ignorando anche il risolino divertito dell’altro idiota.

Lenn prese posto accanto a Merlìha aprendo uno dei tanti libri sparsi sul tavolo, per nulla intimorito dall’atteggiamento scostante di chi gli sedeva di fronte.

Erano anni che conosceva i due fratelli ed era abituato alle continue prese in giro di Merlìha e ai mugugni di Gabriel.

Li guardò per un istante.

A prima vista, nessuno li avrebbe neanche lontanamente immaginati come parenti, figurarsi fratelli.

Totalmente diversi, questo erano; sia nel carattere che nell’aspetto.

Avevano poche cose in comune come, ad esempio, il pallore del viso e il fisico slanciato.

Per il resto, erano l’uno l’opposto dell’altro.

Lei bionda, lui dai capelli nerissimi.

Lei, con gli occhi ambrati, lui dagli occhi più neri della pece.

Eppure, entrambi incredibilmente belli da sembrare scolpiti.

Talmente affascinanti da sembrare disegnati.

Lei, con un carattere gaio e solare. Lui, silenzioso e cupo come la notte.

Eppure, entrambi carismatici. Entrambi sicuri di sé.

Anche le pietre magiche che portavano erano l’una l’opposto dell’altra.

Lei indossava lo smeraldo verde brillante, simbolo della continua voglia di conoscenza.

Lui portava il rubino rosso sangue, simbolo della passione sfrenata che metteva nell’esercizio delle sue arti.

“Quando hai finito il tuo esame, dicci se hai trovato qualcosa di utile!”.

La voce, pungente, di Gabriel lo riscosse dai suoi pensieri.

“Se poi vuoi continuare a fissarmi, fa pure!” concluse, più velenoso di un serpente.

Ecco, appunto! Prese nota mentalmente Lenn.

Cosa stava pensando riguardo all’amabilità di Gabriel?

Totalmente inesistente! Si rispose poi.

Bellissimo quanto detestabile.

Affascinante quanto una scultura di ottima fattura che, a conti fatti, risultava anche più simpatica di lui visto che non parlava.

“Niente di nuovo, anche se ho notato dei fili conduttori!” rispose Lenn sicuro di sé.

“E magari, vuoi anche illuminarci a tale riguardo?” lo invitò Gabriel sorridendo sarcastico, mentre con la mano gli mimava di parlare come se stesse avendo a che fare con un bambino particolarmente stupido e cocciuto.

Lenn, saggiamente, gli sorrise gentile facendo finta di niente e mettendosi comodo.

L’infinita pazienza era la qualità che meglio lo caratterizzava.

Del resto, per avere a che fare con quei due, ce ne voleva tanta.

Ma, per stare con loro a stretto contatto così come faceva lui, allora la pazienza doveva essere illimitata.

“Ho notato che tutti i guardiani del tempo che si sono occupati di Camelot, hanno dato per scontato che Merlino dovesse essere vecchio nel momento in cui conosce Artù”.

“E allora?” domandò Merlìha.

“Anche mamma e papà hanno agito in questo modo!” aggiunse, prendendo fra le dita uno dei suoi riccioli e giocandoci un po’.

“E hanno fallito, infatti! Come tutti gli altri!”.

“Che cosa vuoi dire, Lenn?” si spazientì Gabriel a quel punto.

Era vero, i suoi genitori avevano fallito ed erano stati confinati nel mondo mortale.

Ma che aveva a che fare il loro fallimento con la vecchiaia del mago?

“Voglio dire, che noi dobbiamo creare il tempo per la venuta al mondo di un essere immortale.

O meglio, più che creare il tempo, dobbiamo creargli le condizioni temporali adatte per fare in modo che assolva il suo compito, un compito troppo grande per una persona sola”.

“Spiegati!” intervenne Merlìha impaziente.

“Perché, nel futuro, non si hanno dati storici sull’esistenza di Camelot? Perché, sempre nel futuro, esistono centinaia di versioni contrastanti sulla stessa leggenda?”.

“Noi lo sappiamo il perché!” sbottò, a quel punto, Gabriel alzandosi in piedi e fissando l’altro con rabbia.

“Lo so che lo sai, ma è analizzando quello che sappiamo che troveremo una soluzione!” lo fronteggiò, senza paura, l’altro.

“Continua!” ordinò secco mettendosi a sedere e accavallando le gambe con eleganza.

“Dicevo” continuò Lenn, riprendendo da dove si era interrotto.

“Perché esistono centinaia di versioni su una stessa leggenda?”.

“Perché sono centinaia i guardiani che si sono occupati di Camelot e che hanno fallito. Dato che ognuno di loro ha creato condizioni temporali diverse, si è finito con il fare una gran confusione” rispose pronta Merlìha.

“Nh” mugugnò suo fratello come cenno d’assenso.

“Bene, ma perché hanno fallito tutti, nessuno escluso, anche quando pensavano di avercela fatta?”.

“Perché Artù muore” rispose ancora Merlìha.

“Merlino rimane solo ad affrontare l’immortalità che gli sta davanti portando il peso del suo fallimento e non curandosi del perché è stato messo al mondo” concluse incrociando le braccia.

“Ma perché viene messo al mondo?” domandò ancora Lenn.

Gabriel lo guardò con interesse. Stava cominciando a capire dove l’altro volesse arrivare e, stavolta, fu lui a rispondere.

“È l’incarnazione della magia stessa. Viene scelto dalla magia per incarnarla e per riportare ordine in tutti i tempi e in tutti i luoghi facendo sì che la magia sopravviva!”.

“Appunto… non vi sembra una cosa pazzesca per un uomo solo? Ci credo che sbrocca, prima o poi, portando catastrofiche conseguenze per il tempo in cui vive e creando il caos nelle varie dimensioni”.

“Ho letto in un libro, che esistono leggende su di lui che lo dipingono come un cattivo!” s’intromise Merlìha seguendo il ragionamento.

“La domanda è: cosa c’entra il fatto che sia vecchio?” ritornò al punto di partenza Gabriel.

“È normale che debba essere vecchio. Altrimenti come potrebbe istruire Artù?” domandò Merlìha.

“Non avete notato il legame che li lega?” incalzò ancora Lenn.

“Qualunque documento, qualunque trattato, riporta solo una cosa comune agli altri: il legame che ha con Artù”.

“Ma è normale. Sono le due parti di una stessa anima: una magica e l’altra no” s’incaponì Merlìha.

“Artù è colui che guiderà il regno guidato da Merlino. L’unico essere nato con il cuore puro, sotto la guida del mago più potente di tutti i tempi”.

“Appunto Merlìha. Proprio perché hanno un legame che neanche il fato può spezzare, mi spieghi perché hanno sempre almeno settant’anni di differenza?”.

“Comincio a capire…” sussurrò Gabriel lentamente.

“Io invece, no!” sbuffò sua sorella.

“Vuoi farli crescere insieme” continuò Gabriel rivolgendosi a Lenn. “Fare in modo che uno sia il banco di prova dell’altro”.

“Due facce della stessa medaglia” rispose Lenn, guardandolo fisso negli occhi.

“Il problema però, è come!” continuò.

“Non potrebbero mai legarsi troppo ai tempi di Camelot” s’intromise Merlìha che cominciava a capire dove volesse andare a parare il discorso.

“Appunto!” le diede man forte Lenn.

Era convinto della sua teoria. Credeva di avere assolutamente ragione sul fatto che, in ogni tempo e in ogni luogo, Merlino avesse amato Artù e che il re avesse fatto lo stesso verso il suo mentore.

Nonostante gli anni, l’affetto del mago verso il suo figlioccio era palese.

Era per questo che, ogni volta che moriva, Merlino si trovava ad arrancare nel futuro fino a che, vecchio e stanco, conscio di non poter morire, si addormentava fino a lasciare la sua essenza magica libera nel mondo che continuava a girare a ruota libera senza che la magia avesse qualcuno che la controllasse.

Inoltre, anche la venerazione che aveva Artù per lo stregone era palese in ogni tempo e in ogni documento che si erano procurati.

Era per questo che ne usciva fuori un idiota senza cervello che faceva tutto quello che il mago diceva senza neanche provare a contraddirlo.

Puro di cuore ma completamente soggiogato dal fascino che il potere di Merlino aveva su di lui.

Di conseguenza, ogni volta moriva lasciando Camelot senza una guida e senza eredi.

Inoltre, in tutte le leggende sposava Ginevra, una donna che, quasi sempre, Merlino aveva scelto per lui.

E, tutte le volte, i risultati erano stati disastrosi.

Ma, se avessero avuto la stessa età, allora forse il loro legame sarebbe potuto essere diverso.

Ma come fare per adattare il tutto ai tempi che li avrebbero circondati?

“Quei due si amano, ne sono certo!” proruppe Lenn, con la mente satura di domande.

“Ma come facciamo a farli stare insieme non sconvolgendo la moralità del tempo in cui andranno a vivere e soprattutto, come aggiriamo Ginevra? Noi possiamo decidere, a grandi linee, le condizioni ma non possiamo ignorare i tasselli fondamentali e Ginevra, è uno di questi” domandò Merlìha infervorandosi.

“Infatti” le diede ragione Lenn. “Artù è un uomo di nobili principi e non potrebbe mai tradire la sua regina. Se invece amasse il mago, Ginevra non sarebbe mai la sua sposa.

Eppure, io sono convinto che quei due debbano stare insieme per portare avanti il loro compito. Il problema è, per l’appunto, come!” concluse, incrociando le braccia.

“E chi dice che debbano stare insieme in quel tempo?” domandò allora Gabriel con un sorriso furbo.

“Che vuoi dire?” domandarono in coro Lenn e Merlìha.

“Lo vedrai!” rispose alzandosi e dirigendosi verso la porta.

“Fra tre ore nelle mie stanze!” intimò ai due prima di uscire definitivamente.
 

***
 

“Tu sei pazzo, Gabriel, lo sai questo?”.

Merlhìa guardava suo fratello sconcertata. Come poteva aver steso le linee guida del tempo in quel modo?

Anche Lenn aveva letto il documento preparato da Gabriel e, seppur non avesse espresso le sue preoccupazioni ad alta voce come Merlìha, la pensava all’incirca allo stesso modo.

“Non si è mai vista una cosa del genere, Gabriel!” cercò di farlo ragionare.

“Siamo guardiani del tempo, Lenn, non fattucchieri da circo. Quello che ho scritto non contravviene a nessuna regola”.

“Non sto dicendo che non è regolare!” gli diede ragione Lenn su quel punto.

“Ma stai condannando un ragazzo ad avere un’esistenza terribile”concluse, esprimendo le sue reali perplessità.

“È necessario!” rispose secco l’altro, per nulla turbato da ciò che lui stesso aveva scritto.

“Quindi, secondo te, Artù deve morire in ogni caso!” riassunse Merlìha sfogliando il documento.

“È  una cosa che nessun guardiano è riuscito a impedire. Probabilmente, perché è una cosa che deve avvenire”.

“Quindi” s’intromise Lenn, “secondo te, la sua morte è un altro tassello fondamentale.
Per questo nessuno è riuscito a impedirlo”.

“Non è un caso che Merlino, in ogni tempo, non riesce ad arrivare nel ventesimo secolo” spiegò le sue ragioni Gabriel.

“Al re, viene predetto che tornerà nei tempi di massima crisi per Albion.

Ma, se Albion fosse nel ventesimo secolo?” domandò, sicuro di aver catturato tutto l’interesse su di se.

“Stai dicendo che non è un caso che, il potere dei guardiani del tempo non riesce ad andare oltre il ventesimo secolo?” domandò Lenn corrugando la fronte.

“Nel ventesimo secolo, la magia non è creduta una cosa reale. Del resto, lo sappiamo fin troppo bene visto che ci siamo stati per un bel po’!”.

“Nel ventesimo secolo, sorella” la corresse prontamente Gabriel, “la magia si estingue definitivamente”.

“Ma che dici?” domandò la ragazza piccata.

“Ho fatto delle ricerche” Gabriel porse loro dei fogli.

“Muore anche l’ultimo mago dopo il duemila, senza neanche sapere di esserlo”.

“Sei sicuro di quello che dici?” domandò Merlìha sconcertata, guadagnandosi un’occhiataccia da parte del fratello.

“Secondo te, perché il potere dei guardiani non riesce ad andare oltre il ventesimo secolo? Tutti noi possiamo andare lì e vivere come dei comuni mortali ma non possiamo fare altro. Noi stessi, abbiamo passato anni in quell’epoca senza poter usare i nostri poteri. Ti sei mai chiesta il perché?” domandò piccato.

“Ha senso quello che dice, Merlhìa. L’anno duemila è l’unico anno che scorre senza che la storia sia guidata da un guardiano” si trovò a dargli ragione Lenn.

“Se la magia si estingue, noi, esseri che formano la storia facendo sì che l’equilibrio di tutti gli elementi, magici e non, si mantengano intatti, veniamo automaticamente esclusi
da quel tempo” ragionò, più con se stesso che con gli altri.

“E se non c’è più magia, noi non possiamo più entrare nel varco e guidare i personaggi che formeranno la storia” continuò per lui la ragazza.

“E se non riusciamo a entrare, il tempo subisce distorsioni visto che viene a mancare un elemento fondamentale per l’esistenza del mondo” concluse Gabriel.

“Quindi, stai dicendo, che in realtà il periodo di massima crisi per Albion non è a Camelot ma, all’incirca, millecinquecento anni dopo, in altre parole, quando i maghi si estinguono definitivamente!” riassunse Lenn.

“Come sei arrivato a stilare un documento del genere?” domandò poi.

“Le tue parole” spiegò pratico, “mi hanno illuminato. Nessuno può essere sempre solo, soprattutto se ha un’eternità da vivere!

Il re dovrà morire, per poi reincarnarsi, o rinascere, e stare affianco al suo mago quando avrà bisogno di lui. Allora, e solo allora, le loro anime potranno riunirsi.

O, per usare la tua metafora, la medaglia potrà finalmente ricongiungersi!”.

“Capisco!” borbottò Lenn continuando a sfogliare le carte fino a che, un particolare non lo colpì.

“Ginevra, la figlia di un fabbro?” domandò sconcertato.

A quel punto Gabriel sorrise ironico.

“Per carità, fratello, non provare a ridere. Sembra che ti stia per venire una paresi!” lo prese in giro Merlhìa.

“Se nasce popolana, riuscirà a essere una buona regina dai nobili principi!” spiegò Gabriel, ignorandola come al solito.

“Che bello, un po’ come Cenerentola!” sorrise Merlhìa.

Il fratello, stavolta, le rivolse un’occhiata che avrebbe intimorito chiunque.

“Vuoi che Morgana e Artù crescano insieme?” domandò ancora Lenn continuando a leggere.

“Così, quando la strega si voterà al male, Artù saprà contro chi combatte!” spiegò pratico Gabriel con tono seccato.

“E il tradimento, come lo mettiamo? Quello è un tassello che non possiamo ignorare.
Anche Ginevra e Lancillotto sono due anime destinate a stare insieme” intervenne Merlhìa.

“Non è detto che non debba avvenire. Se ho afferrato bene i loro caratteri e quelli di tutti gli altri, allora creeremo una leggenda che, non solo rispetterà tutte le regole, ma che darà vita a una nuova storia”.

“Mordred un druido?” domandò ancora Lenn.

“Hai intenzione di farmi una domanda per ogni riga che leggi?” s’inalberò allora il guardiano.

“Secondo quanto ho scritto” si rassegnò, a quel punto, a spiegare, “Mordred nascerà all’incirca dieci anni dopo.

Il re e il mago nasceranno, invece, nello stesso periodo. Giorni diversi ma alla stessa ora”.

“Merlino dovrà affrontare prove terribili!” sussurrò Merlhìa.

“Chi ci assicura che non darà di matto, e che le prove che affronterà non gli induriranno il cuore?” domandò ancora a bassa voce.

“Merlino è un essere umano buono, ma potrebbe comunque incattivirsi” le diede man forte Lenn.

“Ovviamente, ho pensato anche a questo. Se vi degnaste di leggere, non mi fareste queste domande”.

“Sì, ma se tu riassumi, facciamo prima” rispose pronta la sorella.

Con un sonoro sbuffo allora Gabriel si allontanò ritornando, poco dopo, con un anello.

Un diamante nero di notevoli dimensioni e di pregiata fattura era la pietra che contraddistingueva il gioiello.

“Secondo le leggende, ci sono due Merlino: Merlino Wiilt (Il selvaggio) e Merlino Emrys (Il saggio).

In linea di massima, però, sono infinitesimali le volte in cui Merlino ha ceduto alle arti oscure. Centinaia di guardiani se ne sono occupati e Merlino, nella maggioranza dei casi, si è sempre dimostrato la luce che si contrapponeva alle tenebre”.

“Sì, ma chi ci assicura che anche per noi sarà così? Soprattutto con tutto quello che dovrà affrontare” domandò Lenn scettico.

Non era sicuro di volere la risposta ma, a quel punto, era inutile rimandare oltre girando attorno agli argomenti.

“L’animo di Merlino è fondamentalmente buono. Come noi sappiamo, ogni essere umano ha una percentuale di bene e di male. Nel caso di Merlino e Artù, la loro percentuale è infinitesima” spiegò con calma Gabriel.

“Tuttavia, possiamo fare in modo che, questa parte infinitesima, venga estirpata del tutto nel caso del mago!” concluse, facendo calare il silenzio nella stanza.

Dopo un po’ fu Lenn a spezzare quel silenzio.

“Vuoi racchiudere il male presente nell’animo di Merlino in quell’anello?”domandò, conoscendo già la risposta.

“Il suo carattere non cambierà granché, lo sapete. Ma noi ci assicuriamo che il nome con cui sarà conosciuto in tutti i tempi e in tutti i luoghi, sarà Emrys, il Saggio e puro di cuore.
In questo modo, anche quando Artù morirà, il suo interesse sarà pensare sempre prima agli altri e poi a se stesso.

Man mano, verrà a conoscenza dell’enormità dei suoi poteri e adempirà al suo scopo, fino a quando il suo re non tornerà per portare pace al suo animo e completare la medaglia”.

 “Rischierà di essere schiacciato dalla sua stessa bontà e soffrirà terribilmente” sussurrò Merlìha.

“Passerà millecinquecento anni d’inferno, se il re è destinato a tornare nel ventesimo secolo” tirò le somme Lenn con un sospiro.

“Mille” lo corresse Gabriel.

“Che vuoi dire? Tutte le leggende, e Camelot stessa, partono all’incirca nell’anno seicento. La nascita di Merlino stesso è stimata, nella maggior part dei casi, intorno al quinto secolo” domandò a quel punto Lenn.

“Dimentichi che, però, niente è storia nel caso di Camelot!” gli ricordò Gabriel.

“Quindi possiamo spostare il tutto nell’anno mille!” ragionò Merlhìa.

“Esattamente!” concluse Gabriel.

“Capirai”e stavolta fu Lenn a parlare. “Sappiamo benissimo che cinquecento anni sono un battito di ciglia”.

“Ma per un essere umano sono molti, e lo sai!” si alterò Gabriel.

“Di più non possiamo fare e non ho intenzione di fallire!” concluse facendo capire agli altri che, oramai, il discorso era agli sgoccioli.

“E sia!” si alzò Lenn.

“Anche per me va bene!” confermò Merlhìa alzandosi a sua volta.

“Bene allora!” si avvicinò loro Gabriel tendendo le mani.

Gli altri lo imitarono formando un cerchio.

“Che le linee guida prendano forma” parlò Lenn e, al suono della sua voce, infinite strisce argentee fecero la loro comparsa nella stanza.

“Che la storia si formi” ordinò Merlhìa e, subito dopo, le strisce si unirono tra loro per formare un’unica entità definita.

“Che la storia Camelot cominci” concluse Gabriel e, l’unità immateriale formatasi, si dissolse.

La leggenda aveva avuto inizio.
 

Continua…

Note:

Come avrete notato, la storia si basa fondamentalmente sulle divergenze che ci sono tra le leggende arturiane e il telefilm.

Anche se in questo capitolo parto dagli albori della leggenda, la fic sarà ambientata nel futuro tuttavia, credo che ci addentreremo nel ventesimo secolo fra qualche capitolo.

Credo che sarà una fic abbastanza lunga con una trama piuttosto complessa e spero che questo primo capitolo, in cui abbiamo conosciuto i nuovi personaggi, non vi abbia annoiato troppo.

Grazie, in ogni caso, a chi è arrivato fin qui.

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate!

Pandora86

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Capitolo 2
*** Le Tappe ***


Ecco il secondo capitolo della storia.
Grazie mille per le bellissime recensioni, mi hanno spronato a scrivere più in fretta!
Grazie anche a chi ha messo la storia tra le preferite e le seguite e, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso… buona lettura!
 
 

Capitolo 2. Le Tappe

 

Merlìha entrò nella stanza spalancando rabbiosa la porta e cercando, con lo sguardo, suo fratello.

Eccolo lì, in compagnia di Lenn, che leggeva tranquillamente uno dei tanti libri sparsi sul tavolo.

Si diresse verso di lui a passo di marcia e con un’espressione che non prometteva nulla di buono.

Si avvicinò, sbattendo le mani sul tavolo con l’intento di richiamare la sua attenzione.

Lenn seguì i suoi movimenti con un’espressione perplessa ma preferì tacere.

Quando Merlìha era di quell’umore, era meglio lasciare tutto nelle mani del fratello.

“Non ti hanno insegnato a bussare?” la riprese Gabriel, senza alzare gli occhi dal tomo.

“È tutto quello che hai da dire, fratello?” lo riprese lei.

“A cosa ti riferisci?” domandò incurante.

“La nonna vuole salutarti, Gabriel. Non ti fai vedere da quando la destinazione è stata scelta!” s’infervorò ancora di più la sorella sbattendo, per la seconda volta, la mano sul tavolo.

“Oh…” rispose questi senza scomporsi. “Da tre giorni, allora!”.

“Non capisci che è preoccupata del fatto che potrebbe non vedere mai più i suoi nipoti?” lo riprese ancora Merlìha.

“E tu non capisci che è proprio per evitare che questo accada, che sono concentrato sul compito?” le rigirò la domanda il fratello.

Merlìha si sedette con uno sbuffo, non sapendo cosa replicare.

In una gara di dialettica, nessuno avrebbe battuto suo fratello.

Continuò, però, a rivolgergli occhiate malevole, borbottando come una pentola a pressione.

“Dai Merlìha…” cercò di calmarla Lenn.

Trovava piuttosto difficile, infatti, concentrarsi se in sottofondo avevi la ragazza che mormorava cose come ‘fratellaccio insensibile’ o ‘uomo senza cuore’.

“Vedi di piantarla, sorella!” la riprese Gabriel severo, alzando, solo allora, gli occhi dal suo libro.

“Sai che non ho intenzione di fallire, per questo non voglio lasciare l’ultimo saluto alla nonna!” e ritornò a leggere.

“Ma potrebbe accadere!” lo riprese, lasciando trasparire tutta la sua preoccupazione.

Gabriel alzò nuovamente gli occhi, e anche Lenn si accorse del tono ansioso di Merlìha.

“Non succederà!” la consolò gentile. “Siamo i migliori, lo sai!”.

“E se non ci dici perché sei così isterica, non possiamo risponderti!” s’intromise Gabriel.

Lenn lo guardò storto. Perché doveva sempre andare dritto al punto con così poco tatto?

Gabriel non si curò minimamente di Lenn rivolgendosi esclusivamente a Merlìha.

“Allora? O ci dici che vuoi o stai zitta!”.

Lenn alzò gli occhi sospirando. Gabriel voleva un mondo di bene alla sorella e se le fosse successo qualcosa, probabilmente, la sua ira sarebbe stata ricordata a lungo nella memoria dei guardiani e di tutti quelli che abitavano a palazzo.

Tuttavia, anche se si trattava della sorella, non sprecava parole in più cercando di essere gentile.

Anzi, il fatto stesso che le avesse domandato (a modo suo) cosa non andasse, dimostrava che Merlìha era un’eccezione alla regola, dato che di solito il Guardiano reagiva agli stati d’animo altrui con  indifferenza.

In fondo, era il suo modo di essere gentile e Merlìha lo sapeva visto che non si era curata minimamente del tono del fratello, incominciando a esternargli le sue preoccupazioni.

“Siamo stati mandati a Camelot proprio per fallire!” sbottò la ragazza.

“Che scoperta epocale! E dimmi, l’hai saputo soltanto adesso o ci sei arrivata da sola?”.

“Gabriel!” lo riprese stavolta Lenn.

“È giusto che lo sappia, visto che non è più una bambina” continuò Gabriel imperterrito.

“Anzi, lo avrebbe dovuto capire nel momento in cui la destinazione è stata scelta” concluse con noncuranza.

“Come lo hai scoperto, Merlìha?” domandò Lenn.

“Stamattina, ho sentito due degli otto Saggi che parlavano tra loro.

Erano certi che avremmo fallito. La nonna mi ha confermato che quando si è tenuto il consiglio, anche se nessuno al Tavolo dei Saggi lo ha detto apertamente, l’intento era proprio quello”.

“Questo non fa altro che confermare quello che pensavo!” affermò Gabriel, sicuro di sé.

“Lo sapevi?!” s’inalberò sua sorella.

“Lo sospettavo, Merlìha, è diverso. Ma non me ne curo, perché non falliremo!”.

“Anche io avevo i miei sospetti!” confermò Lenn.

“Del resto è abbastanza strano, no? Voglio dire, è vero che siamo i Guardiani più promettenti ma non si è mai vista una cosa del genere”.

“È, a conti fatti, la nostra prima missione sul campo dopo anni di nozioni teoriche” confermò Gabriel.

“Ed è la prima volta che dei Guardiani così giovani si occupano di una faccenda così delicata” aggiunse Lenn.

“Si aspettano che falliamo molto prima rispetto agli altri Guardiani, in modo da poterci confinare nel mondo mortale!”parlò ancora Gabriel.

“Quasi sicuramente” aggiunse, “altri guardiani saranno già stati scelti in attesa del nostro fallimento!” concluse poi, con lo stesso tono indifferente di chi parla del tempo.

Tutta quella faccenda, per lui, non aveva nessuna importanza.

“Ma perché?” domandò Merlìha.

“Sveglia, sorella!” la riprese, piuttosto severamente, il fratello.

“Siamo gli ultimi discendenti della famiglia di Guardiani più antica e potente. Il nonno e la nonna siedono al Tavolo dei Saggi e il loro voto vale il doppio.

Se anche noi, fra qualche secolo, dovessimo averne accesso, allora le decisioni del nostro mondo sarebbero in mano solo ed esclusivamente alla nostra famiglia” le spiegò pratico.

“La mia famiglia, inoltre” s’intromise Lenn, “si è sempre schierata con la vostra! Ci mandano a Camelot per eliminare alla radice il problema.

Ma rimarranno di stucco, quando non falliremo!”.

“Come fai a esserne sicuro, Lenn?” domandò Merlìha.

“Perché, fino ad ora, i guardiani che si sono occupati di Camelot erano dei vecchi bacucchi ultra centenari.

Ognuno di loro non ha fatto altro che apportare lievi modifiche al lavoro del guardiano precedente.

Noi siamo giovani e abbiamo completamente stravolto le cose. Siamo i più promettenti e lo sanno tutti. Pensano che la nostra poca esperienza ci farà fallire, ma non sarà così” concluse sicuro.

“Anche mamma e papà erano molto giovani, avendo da poco passato i duecento anni. Non come noi, certo, ma comunque ancora troppo per occuparsi di un tempo così difficile. Questo già avrebbe dovuto far sospettare il complotto!” chiarì Gabriel.

“Quindi, sono stati mandati lì per fallire!” tirò le somme Merlìha.

“Esattamente! Mamma e papà si sono distinti per la loro bravura, tanto da poter avere accesso al Tavolo dei Saggi dopo quell’ultima missione che, guarda caso, è fallita.

Sarebbero stati i Saggi più giovani, considerato che l’età minima è sempre stata dopo i cinquecento anni!”.

“Eccezione fatta per vostra nonna che ha avuto accesso al Tavolo a quattrocentotrentasei anni, dopo essersi occupata brillantemente della storia di Alessandro Magno” intervenne ancora Lenn.

“Ed è stato per questo che i vostri nonni, quando si è tenuto l’ultimo consiglio, non hanno potuto fare nulla.

Se il Tavolo dei Saggi lusinga la vostra famiglia, facendo passare una missione suicida per un’opportunità promettente, allora anche il loro voto, seppur negativo, perde valore.

Una volta conclusa la missione a Camelot, infatti, i Saggi hanno assicurato che saremo automaticamente ammessi a quel tavolo preoccupandosi, ovviamente, di rendere la cosa nota a tutti”.

“Una cosa assolutamente mai vista!” gli diede man forte Gabriel.

“D’altro canto” aggiunse, “per il nonno e la nonna è stato impossibile rifiutare una tale proposta dopo queste condizioni” concluse.

“Infatti!” confermò Lenn. “I Saggi hanno fatto credere a tutti che ci affidano la missione perché credono fermamente nelle nostre capacità. Un rifiuto dei vostri nonni, avrebbe stroncato a priori la nostra futura opera, facendoci passare per incapaci”.

“Infatti, nel caso tu non lo sappia sorella, si ha accesso al consiglio dopo una missione difficile. Per questo i Guardiani fanno esperienza cominciando dapprima con cose banali fino a cose di rilevanza storica importantissima.

D’altro canto, sono tutti tranquilli, perché pensano che falliremo!”.

“Ma questo è un imbroglio bello è buono!” sbottò Merlìha stringendo i pugni.

“Sono dei dannati bastardi”urlò con ancora più foga, alzandosi in piedi.

“Non urlare Merlìha. Non puoi insultare chi, agli occhi degli altri, ci offre un’occasione d’oro per accedere al Tavolo dopo solo una missione” cercò di calmarla Lenn.

“Ciò non toglie che siamo vittime di un complotto” rispose la ragazza riportando però il tono di voce a frequenze più basse.

“E che i Saggi sono dei bastardi!” ribadì il suo concetto con un sussurro.

“No, Merlìha, sono dei manipolatori, come tutti i guardiani!” si stufò, a quel punto, il fratello.

“Sì, ma noi manipoliamo i personaggi della storia, non i nostri simili!” ribattete pronta la sorella.

“La sostanza non cambia. Per accedere a quel Tavolo è necessaria una scaltrezza senza limiti!” le fece notare Gabriel.

“Quindi” si alzò in piedi sua sorella puntandogli il dito contro, “non ti importa niente il fatto che siamo stati imbrogliati e che ci hanno nascosto informazioni per farci fallire”.

“Non particolarmente, se posso dimostrare il mio valore!” rispose con noncuranza, per nulla intimorito.

“La tua ambizione ha dei limiti, Gabriel?” s’infervorò, ancora di più, la ragazza.

“Ancora devo trovarli, Merlìha” le rispose sarcastico, con un sorriso beffardo.

“Va bene!” s’intromise Lenn fra i due. “Cerchiamo di calmarci, e vediamo di lavorare insieme!”.

“Sempre se qualcuno non ci interrompe!” sibilò velenoso Gabriel.

“Per piacere!” lo pregò Lenn ma questi non aveva intenzione di accantonare il discorso, soprattutto dopo una particolare frase della sorella.

“Che intendevi con: ci hanno nascosto informazioni?” domandò con interesse.

“Beh, intendo la scomparsa della magia nel ventesimo secolo!” rispose pronta sua sorella.

Gabriel sbuffò, alzando gli occhi al cielo.

“Non erano tenuti a dircelo, Merlìha!” le chiarì Lenn.

“E perché no?” domandò sconcertata la ragazza.

“È Merlino che incarna la magia e, se questa scompare, allora dipende da lui. Guarda caso poi, noi andiamo proprio a occuparci della storia del mago” difese la sua tesi la ragazza.

Gabriel sbuffò nuovamente e Lenn lo pregò, con gli occhi, di stare zitto.

“Vedi Merlìha, la magia si estingue molti secoli dopo la scomparsa di Merlino. Siamo noi che abbiamo dedotto il ritorno del Re in quel secolo”.

“Vuoi dire che nessun guardiano ha collegato i fatti?” domandò la ragazza corrugando la fronte.

“No, Merlìha, perché non ne avevano motivo. Gabriel è venuto a conoscenza dell’estinzione della magia perché ha fatto ricerche nel ventesimo secolo, ma noi siamo i primi che avanzano un’ipotesi del genere.

I guardiani lavorano individualmente sul proprio secolo. Quando un periodo storico finisce, subentra l’altro guardiano e così via. L’estinzione della magia è un argomento discusso al Tavolo dei Saggi, ma nessuno di loro ha mai pensato che il tutto potesse dipendere da Camelot”concluse Lenn.

“In pratica, stai dicendo che nessuno crede neanche al ritorno del Re!” affermò la ragazza dubbiosa.

“Per questo tutti i guardiani hanno cercato di impedirne la morte”.

“Esattamente!” confermò Gabriel.

“La profezia del suo ritorno, in realtà, è nata dopo gli errori dei primi guardiani. Artù moriva sempre e Merlino, prima o poi, falliva!” valutò serio guardando la sorella.

“Quindi, stai dicendo che i Guardiani successivi non hanno fatto altro che rifilare questa fandonia al Mago per farlo andare avanti!” s’indignò Merlìha stringendo i pugni.

“Artù è un essere umano senza alcun potere magico!” le chiarì il fratello con tono annoiato.

“Tuttavia, ritengo sia l’unico che possa affiancare il Mago! Non dimentichiamo che i loro destini sono intrecciati e le loro anime congiunte alla nascita, anche se queste avvengono con parecchi anni di differenza, e questo non è stato deciso da nessun guardiano. È stata l’essenza della magia stessa a decidere di queste due nascite così strettamente collegate per cui, ritengo improbabile che passino così pochi anni insieme quando al Mago viene concessa l’immortalità” concluse pratico.

“Ma se hai detto che non tornerà!” s’incaponì sua sorella.

“Io ho detto che i Guardiani credono che non tornerà visto che fino a ora non l’ha mai fatto, non che questo non possa avvenire!” le chiarì Gabriel.

“Ritengo, infatti, che il periodo di massima crisi per Albion sia il ventesimo secolo. L’errore dei guardiani, uno dei principali, è stato non fare in modo che il re tornasse, basandosi solo sul potere di Merlino che, seppur potente, non può riportare una vita dal regno dei morti né bloccare l’anima di Artù per farla rinascere” concluse beffardo.

“E questo spiegherebbe anche perché il re non è mai tornato!” s’intromise Lenn.

“Sì, ma perché siete convinti che tornerà nel ventesimo secolo?” domandò ancora Merlìha.

“Perché non è un caso che la magia si estingua. Merlino è l’essere che la incarna. Se lui muore, lasciando la sua essenza magica al mondo, allora questa è fuori controllo.

Specifico, infatti, che non è Merlino a essere immortale, quanto la sua essenza magica!”.

“Questo spiegherebbe anche perché in tutte le leggende è vecchio!” aggiunse Lenn.

“Stop, fermi tutti! Non ho capito niente!” lì fermò, a quel punto, Merlìha.

“Allora” riprese Lenn gentile.

“Merlino è un essere immortale. Ma ti sei mai chiesta perché può invecchiare?”.

“In effetti, no!” rispose Merlìha.

“La nostra teoria è: nascita di Merlino e successiva iniziazione alla magia.

Merlino cresce e invecchia, non sapendo di avere il potere dell’immortalità. Lo scopre quando il suo re muore, perché gli viene detto che risorgerà.

Merlino, allora, arranca negli anni scoprendo che è immortale o meglio, che è la sua magia che lo rende tale”.

 “Quindi, stai dicendo che invecchia perché non sa di essere immortale?” domandò ancora Merlìha.

“Esattamente” le rispose Gabriel.

“Tuttavia” continuò, “non è il suo corpo a essere immortale, quanto la sua magia. Il corpo non è altro che un contenitore. Un contenitore che si adatta ogni qual volta il mago fa un passo in più verso la conoscenza di se stesso.

Merlino racchiude tutta la magia, di conseguenza viene logico pensare che non debba imparare nulla.

Deve tuttavia imparare a usarla. Usare, non imparare ed è questo che fa la differenza. Se non sa di avere il potere dell’immortalità è normale che il suo corpo, che è un contenitore, invecchia.

Infatti, Merlino può ferirsi o addirittura morire se la sua magia non fa in tempo a guarire il suo corpo, cosa estremamente improbabile tra l’altro" terminò con noncuranza.

“In pratica, se le cose stanno così, Merlino muore perché vecchio e stanco. La sua magia lo può guarire rendendolo immune alle piaghe, anche non magiche, che invadono il mondo. Ma, se lui è allo stremo della sopportazione e angosciato nell’attesa del re che non arriva, allora la sua magia ne risente fino a farlo addormentare per sempre” riassunse Merlìha.

“Tra l’altro, con le nostre linee guida rimarrà per sempre nel corpo di un ventenne” aggiunse Lenn.

“E andrà sempre avanti perché non avrà il male nell’animo. Sarà triste, deluso e anche arrabbiato con il passare dei secoli, ma non si tirerà mai indietro fino a che il re non tornerà” concluse per lui Gabriel.

“Quindi, vuoi dire che dovremo essere noi a creare le condizioni adatte in modo che Artù possa tornare quando Albion sarà in crisi!” tirò le somme Merlìha.

“Esattamente!” le confermò Lenn.

“Sappiamo che è proprietà esclusiva dei maghi reincarnarsi. Noi creeremo le condizioni temporali per fare in modo che l’anima di Artù non vada persa!” concluse con un sorriso.

“Ma come?” domandò Merlìha, ora più curiosa che mai.

“Avalon, ti dice qualcosa?” domandò Lenn con un ghigno.

“L’isola leggendaria che contiene il fulcro della Magia. Attualmente, la sua posizione attuale, nel ventesimo secolo, è fonte di divergenze visto che nessuno sa per certo come identificarla. Inoltre” aggiunse con tono accademico, “è l’isola dove, sempre secondo le leggende, riposa il re in attesa di tornare nel mondo”.

“Appunto! Ma come potrebbe ritornare se l’anima non riesce a rimanere attaccata alle acque di Avalon? Le leggende parlano tutte chiaro, Avalon è il luogo in cui Merlino dovrà seppellire il suo Re. Ma come farà questi a tornare se si tratta di una semplice isola?” le domandò il fratello.

“Tra l’altro, in alcune leggende è la strega a portarlo ad Avalon” s’intromise Lenn.

“Appunto!” si alterò Gabriel. “Avalon è una tappa fondamentale, ma perché nessun guardiano ha pensato a come renderla, per fare in modo che il Re possa realmente tornare?”

“Vuoi creare un portale?” domandò Merlìha.

“Esattamente, sorella” le confermò questi.

“Avalon sarà conosciuta come la Terra degli Immortali. È il luogo adatto per tale scopo dato che si tratta di un luogo mistico popolato da creature magiche. Noi non dovremo fare altro che creare un portale che faccia da collegamento tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Le creature che abitano quel luogo, e gli stessi uomini, non si accorgeranno mai di un simile cambiamento né potranno usarne il potere, dato che quello che avverrà sarà fatto da noi, esseri adimensionali!”.

“Non puoi lasciare un simile potere senza custodia!” si alterò Merlìha.

“Chi dice che non debba essere custodito?” le domandò il fratello piccato.

“La Dama del Lago?” domandò dubbiosa.

“Esattamente, sorella, la Dama del Lago! Dovrà esserci anche lei nella storia quindi, perché non fare in modo che si renda utile?” le domandò ancora sfidandola, con lo sguardo, a contraddirlo.

“Una persona dovrà morire se vuoi fare in modo che risieda ad Avalon!” gli specificò sua sorella.

“È necessario o il mondo verrà contaminato dal caos!” fu l'indifferente risposta del fratello.

“Ha ragione lui, Merlìha” intervenne Lenn pacatamente.

“E va bene!” s’imbronciò la ragazza.

“Ora” parlò ancora Gabriel, “se qualcuno non continua a interromperci, possiamo riprendere da dove eravamo rimasti!”.

“Senti…” incominciò Merlìha alzandosi.

“Va bene, va bene!” intervenne Lenn cercando di riportare la calma tra i due.

“Io e Gabriel eravamo alle prese con un problema non da poco” continuò cercando di riportare il discorso all’origine, prima della venuta di Merlìha.

“Ti ascolto!” si sedette la ragazza, incrociando le gambe.

“Allora” incominciò Lenn, con la sicurezza che la calma regnava nuovamente nella stanza.

“Tre giorni fa, abbiamo steso le linee guida della storia di Camelot decidendo di far partire tutto dall’anno mille. Ora, dobbiamo decidere le Tappe fondamentali e, prima che tu arrivassi Merlìha, tuo fratello mi stava facendo vedere le sue idee!” disse porgendole un foglio.

Merlìha incominciò a leggere rischiando, poco dopo, di strozzarsi con la sua stessa saliva.

“Sterile?” domandò sconcertata. “Vuoi rendere Igraine sterile?” ripeté la domanda, cercando di farla risultare meno assurda.

“Questa è l’idea, sorella!” le confermò il fratello.

“Oh bene!” sbottò allora la ragazza. “Così, Artù non nascerà proprio e noi falliremo in tempo record” gli urlò contro.

“Tra l’altro, non nascerà neanche Morgana” continuò camminando per la stanza e gesticolando vistosamente, “visto che lei e Artù sono fratellastri da parte di madre!”.

“Siediti!” le ordinò il fratello seccato. “Mi infastidisci!” aggiunse, non preoccupandosi però di spiegarle il perché delle sue decisioni.

Seppur con uno sguardo omicida, Merlìha si sedette incrociando le braccia.

“Ascolta, Merlìha” intervenne Lenn, una volta capito che Gabriel non avrebbe sprecato altre parole.

“Secondo l’idea di Gabriel, Artù e Morgana, saranno fratellastri da parte di padre”.

“Certo, ma Artù?” domandò la ragazza.

“Uther” si alzò allora Gabriel, “è il personaggio più semplice da manipolare e il perché è presto detto: è arido e ambizioso. Secondo i miei calcoli, se ho afferrato bene il suo carattere, farà di tutto per dare a Camelot un erede. Se la prima Tappa della storia di Camelot prevederà una regina sterile, allora arriveremo alle altre Tappe senza difficoltà” concluse sicuro.

“Oppure, falliremo all’istante!” aggiunse Merlìha che, però, stava incominciando a capire dove il fratello volesse arrivare.

“In un tempo come Camelot, dove fin troppi hanno fallito, bisogna intervenire con cambiamenti radicali che porteranno o all’immediato fallimento, o alla vittoria schiacciante. Non possono esserci mezze misure!” continuò Gabriel.

“Non possiamo limitarci a copiare i nostri predecessori” s’intromise Lenn.

“Un cambiamento radicale di tutta la storia ci darà una percentuale di vittoria più alta” ragionò con gli altri.

“Sarebbe più semplice se potessimo decidere tutto noi” sbuffò Merlìha.

“Certo, e invece di infiniti mondi popolati da uomini, avremmo infiniti mondi popolati da scimmie ammaestrate!” la riprese, pungente, il fratello.

“Ammetti che però sarebbe più semplice!” insistette cocciuta.

“Merlìha” intervenne ancora Lenn, prima che Gabriel sbottasse definitivamente. “Non possiamo negare il libero arbitrio agli uomini.

Il compito di tutti i Guardiani è quello di decidere le condizioni temporali e le Tappe del cammino della vita. Ma, fra una Tappa e l’altra, l’uomo dovrà poter scegliere cosa fare”concluse sorridendole.

“Già! Peccato però che i guardiani, lasciando il libero arbitrio dopo aver deciso una tappa, non hanno nessuna garanzia che l’uomo arrivi alla successiva, rischiando così di far cadere nel vuoto tutto il lavoro del Guardiano!”.

“Forse, e dico forse” la riprese suo fratello sarcastico, “il fatto che un uomo percorra ogni Tappa decisa, sta nella bravura del Guardiano che, dopo aver analizzato il carattere della persona in questione, sa esattamente come agirà fra una Tappa e la successiva, assicurandosi così che porti a compimento la sua storia” concluse, guardandola storto.

“Dovrebbero chiamarci i manipolatori del Tempo, non i guardiani!” ridacchiò Merlìha continuando a leggere i fogli che Lenn le aveva dato.

“Mh… sembra interessante. Ovviamente, stravolgiamo il tutto” commentò pensierosa.

“Già, era questa l’idea!” le spiegò meglio Lenn.

“Manca solo di decidere dove nascerà Merlino!”.

“Non a Camelot?” chiese Merlìha.

“Sorella, ti pare che, con le condizioni che creeremo, Camelot possa essere un posto sicuro per lui?”.

“Non è detto che Uther agisca in questo modo!” ci tenne a precisare Merlìha.

“Meglio non rischiare. E poi, detto fra noi, Uther è un personaggio abbastanza prevedibile. La sua sete di potere lo acceca e, ben presto, quando sua moglie morirà, il suo cuore s’indurirà definitivamente!”.

È certo quindi, che la magia prenderà sua moglie se deciderà di usare un incantesimo per la nascita del principe?” chiese Lenn.

“Beh, non è certo quanto logico” gli spiegò Gabriel.

“La magia dovrà rispettare l’equilibrio prendendosi la vita di una persona. Ovviamente, la magia stessa, trovandosi dinanzi una donna sfinita dal parto, deciderà di prendersi proprio quella vita”.

Lenn annuì dandogli ragione. Del resto, era vero; la magia degli esseri umani funzionava in quel modo. Inoltre, Gabriel era quello che aveva più esperienza tra loro per cui, non poteva fare altro che assecondare le sue idee.

“Resta solo da decidere da chi nascerà Merlino!” aggiunse poi.

“Anche da chi?” domandò Merlìha.

“Si!” le rispose Lenn.

“A differenza di Morgana, di cui conosciamo i genitori e abbiamo potuto decidere con quale dei due avrà un legame di sangue con Artù, e di Artù, che ha sempre gli stessi genitori, su Merlino invece, non abbiamo nessun dato uguale all’altro”.

“Vuoi dire che ogni guardiano ha previsto una nascita da persone diverse?” domandò Merlìha sconcertata.

“Esattamente” intervenne Gabriel.

“Se nel caso di Artù e Morgana i genitori sono sempre gli stessi, su Merlino non si ha nessun dato che sia uguale a un altro!”.

“I guardiani precedenti hanno sprecato un’opportunità d’oro, considerato che rientra nei nostri poteri cambiare le nascite” aggiunse Lenn.

“Si sono, infatti, limitati a cambiare solo la nascita di Merlino, rimanendo intatte le altre” spiegò Gabriel.

“I genitori di Artù e Morgana sono sempre gli stessi. Persino le nascite di personaggi marginali come Ginevra e Lancillotto sono sempre state mantenute intatte, anche se qui abbiamo qualche eccezione” continuò pratico.

“Noi, invece, abbiamo deciso di mantenere intatta solo quella di Artù che è il personaggio cardine. Del resto, una delle condizioni temporali è quella che Artù e Morgana siano fratellastri. Nessuno però ci impedisce di decidere da parte di quale genitore!” concluse per lui Lenn.

“Agli altri Guardiani non piacerà tutto questo!” costatò Merlìha.

“La cosa non ha importanza” controbatté pronto Gabriel.

“Una delle leggi del nostro mondo è che nessuno può interferire con il lavoro di un Guardiano una volta che la destinazione è stata scelta e le linee guida imposte!” concluse con indifferenza.

“Secondo voi, tutto deve partire da Igraine sterile!” riassunse il tutto Merlìha.

“Questo porterà una reazione a catena, facendo sì che il nostro intervento sia inutile!” le spiegò Lenn.

“In pratica, i personaggi di Camelot si muoveranno da soli! Non avremo bisogno nemmeno di intervenire fra una Tappa e un’altra!”concluse con un sorriso.

“Quanti interventi possiamo fare?” s’informò Merlìha.
“A parte osservare intendo!”.

“Non c’è un numero prestabilito, ma nel caso di Camelot il meno possibile considerato che ci occupiamo del mago più potente della storia. Dobbiamo lasciare alle persone più autonomia possibile e di certo non possiamo intervenire in ogni Tappa” le rispose Lenn.

“Il nostro primo, e spero unico, intervento sarà quando Merlino inizierà a muoversi nel grembo materno per togliere il male dal suo animo.

Per il resto, mi auguro che ci limiteremo solo ed esclusivamente a osservare” chiarì Gabriel.

“Troppi interventi dei Guardiani, infatti, creano una discrepanza tra la nostra dimensione e quella in cui andremo ad agire. Il mondo in questione potrebbe entrare nel caos se interferiamo una volta di più” specificò per lui Lenn.

“Resta solo da decidere della nascita di Merlino” aggiunse pensieroso Gabriel congiungendo le mani.

“Io un’idea l’avrei!” sorrise Lenn raccogliendo in un codino i lunghi capelli neri che gli arrivavano alle spalle.

Gabriel lo osservò curioso.

Non l’avrebbe mai ammesso, ma Lenn era un Guardiano molto promettente e, anche se aveva un’indole gentile ed era sempre pronto al sorriso, aveva un carattere molto deciso.

A palazzo era molto ben voluto per il suo carattere amabile e per il suo aspetto piacevole.

Più alto di lui, arrivava all’incirca al metro e novanta.

Muscoloso e dalla carnagione ambrata.

I capelli neri, portati lunghi fino alle spalle, incorniciavano un volto dai lineamenti molto marcati, anche se piacevoli alla vista.

Inoltre, aveva una perspicacia molto sviluppata motivo per cui, si mise comodo in attesa che l’altro parlasse.

Le sue idee, infatti, non erano per nulla campate in aria e Gabriel aveva il sospetto che avrebbe risolto anche il problema della nascita di Merlino.

“Che ne dite di un signore dei Draghi?” domandò sorridendo.

Gabriel lo guardò a lungo. Era certo che Lenn lo avrebbe sorpreso e, infatti, così era stato.

“Non credi che il ragazzo abbia già troppo potere in sé per aggiungerne altro?” domandò scettica Merlìha.

“Sì, ma se le cose vanno come abbiamo previsto, allora i draghi potrebbero rimanere senza un Signore che li comandi!” spiegò Lenn furbo.

“Mh… ottima idea!” approvò Gabriel.

“Ottima idea un corno!” si alterò Merlìha.

“Perché Uther dovrebbe prendersela anche con i Signori dei Draghi?
Non si è mai visto che Merlino ne comandasse uno!” s’incaponì cocciuta.

“Questo perché nasce sempre cinquecento anni prima.

Non dimentichiamo che abbiamo spostato il tutto all’anno mille, e Merlino avrà a che fare con una magia medievale che si sta appena sviluppando e con creature mitologiche che rischiano l’estinzione!” la riprese Gabriel severo.

“Non in tutti i mondi, i draghi si estinguono nel medioevo.
In alcuni, iniziano proprio dal medioevo la loro ascesa” ci tenne a ribadire Merlìha.

“Peccato però che noi rischiamo di accelerare la loro estinzione, sorella”.

“Inoltre” aggiunse Lenn furbo, “solo perché sarà solo ad affrontare il suo destino, non vuol dire che non possa essere aiutato” aggiunse vago con un sorriso misterioso.

“Vuoi che un drago lo guidi con le profezie che dovrà affrontare!” capì al volo Gabriel.

“Esattamente!” confermò Lenn.

“Gli esseri umani non possono vederci né parlare con noi. Ma, le creature della magia, essenza quindi del mondo che andremo a guidare, sono un altro discorso!” concluse.

“Ottima idea!” approvò Gabriel.

“Mh… non male” si trovò d’accordo Merlìha.

“Bene allora, direi che siamo tutti d’accordo!” chiese Lenn, alzandosi in piedi.

“Andiamo!” s’incamminò Gabriel, alzandosi anche lui.

“Andiamo!” confermò Merlìha con un sorriso raggiante, avvicinandosi ai due.

La prima Tappa era stata decisa.

I destini del Re e del Mago erano stati tracciati.
 


Continua…

Note:

In questo capitolo viene gettato uno sguardo sul mondo dei guardiani e su come esso funzioni.

Si vede anche il loro tipo di potere e come loro lo mettono in pratica, anche se molte cose verranno spiegate più nel dettaglio nei capitoli successivi.

Nel prossimo, li vedremo in azione a Camelot.

Spero di non avervi annoiato.

Come sempre, sono graditi i vostri pareri.

Grazie a chi è arrivato fin qui.

Pandora86

 

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Capitolo 3
*** La strega, il principe e il Mago ***


Ecco il terzo capitolo della storia.
Grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi ha inserito la storia tra le preferite, le seguite e le ricordate.
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura!
 
 
 
 
Capitolo 3. La strega, il principe e il Mago
 

Camelot anno 1000


Un uomo e una donna dormivano in un pregiato letto ricoperto da tende di velluto rosso.

A un certo punto, l’uomo si alzò per andarsene, regalando un ultimo bacio a colei che era stata la sua amante per una notte.

“Non dovrà più succedere!” sussurrò l’uomo, accarezzando i capelli della donna e rivestendosi velocemente.

Un ultimo sguardo alla figura addormentata, prima di uscire definitivamente da quella stanza per non farvi più rientro.

Nessuno avrebbe mai dovuto sapere di quella notte.

Nessuno avrebbe mai dovuto sapere cosa fosse successo tra lui e quella donna.

Un attimo di debolezza, solo quello era stato, e come tale doveva essere considerato.

Senza più ripensamenti, l’uomo chiuse la porta dietro di sé credendo di essere stato l’unico a essere presente in quella stanza oltre la donna addormentata.

Non poteva sapere che, infatti, tre figure avevano osservato attentamente i suoi movimenti.

“La strega è stata concepita!” parlò una delle tre figure avvicinandosi alla donna dormiente.

“Posso sentire il suo cuore malvagio sin da ora che si è appena formata nel grembo materno!” parlò una figura dalla voce femminile.

“Avverto il suo potere, anche se è abbastanza infinitesimo rispetto a quanto mi aspettassi!” parlò pensieroso la terza figura.

“Non ha importanza!” li richiamò all’ordine quello che aveva parlato per primo.

“La strega è stata concepita. Il nostro ruolo di osservatori, per ora, è finito. Andiamo!” e si avviò, seguito poi dalle altre due figure, una molto alta e una dalle fattezze di donna.
 

Palazzo dei Guardiani del Tempo
 

I tre Guardiani camminavano veloci nel palazzo.

Al loro passaggio, molti distoglievano lo sguardo, altri guardavano ammirati.

Indossavano dei pregiati mantelli riccamente adornati con scaglie d’oro, due neri e uno bianco.

I loro abiti erano di stile medievale, segno che avevano iniziato a muoversi nel tempo scelto.

Gli esseri mortali non potevano vederli, ma la buona regola di ogni guardiano era quella di rendersi simile nell’abbigliamento all’epoca in cui si andava ad agire, nel caso fosse richiesto un intervento.

I due uomini entrarono velocemente in una stanza, lasciando la porta aperta affinché li raggiungesse anche la ragazza.

“Alla buon’ora!” la prese in giro Lenn, una volta che Merlìha fu entrata chiudendosi la porta alle spalle.

“Vorrei vedere te con questi vestiti!” sbottò la ragazza afferrando, con le mani, la lunga gonna e sollevandola.

Indossava un elegante abito in velluto bianco con un mantello abbinato.

“Guarda che ti dona, e anche molto!” costatò Lenn osservando i suoi capelli risaltare a confronto con le decorazioni in oro dell’abito.

“A me non dispiace indossare abiti medievali!” aggiunse poi osservandosi con un sorriso.

Lui e Gabriel si erano tenuti su un abbigliamento semplice ma comunque molto pregiato.

Del resto, visti i tempi in cui andavano a muoversi, se avessero dovuto rendersi visibili agli occhi umani, era meglio che fossero scambiati per nobili di alto rango.

Gabriel aveva preferito vestirsi interamente di nero, e Lenn approvò la sua scelta.

Quel colore gli donava sia in abiti moderni sia antichi.

Lui, invece, aveva scelto lo stesso stile, cambiando solo il colore della maglia che era di un rosso opaco.

La voce di Merlìha lo interruppe dalle sue riflessioni.

“Questo perché tu non sei costretto a indossare una tenda!” sbottò la ragazza.

“Non capisco perché non posso indossare dei pantaloni!” continuò a borbottare.

“Merlìha, ne abbiamo già parlato! Sai che se dobbiamo renderci visibili, non possiamo suscitare curiosità sul nostro abbigliamento” le rispose paziente Lenn.

“Non c’è scritto da nessuna parte!” s’incaponì la ragazza.

“Infatti, è una regola dettata dal buonsenso, Merlìha!” la riprese, severamente, il fratello.

“E adesso basta parlare di cose inutili come i vestiti medievali. Abbiamo altro a cui pensare!” si accomodò, congiungendo le mani con aria pensierosa.

Merlìha, in tutta risposta, si limitò a fargli una smorfia, senza però aggiungere altro sul suo abbigliamento.

“Sapete” cambiò argomento Lenn, “mi sentivo leggermente osservato mentre camminavamo per i corridoi del palazzo!”.

“A chi lo dici!” gli diede ragione Merlìha, sedendosi a gambe incrociate sul divano di fronte a lui.

“Sono sorpresi perché, nonostante la diversa paternità, la strega è stata comunque concepita” ipotizzò Gabriel.

“Scommetto che non se lo aspettavano!” ghignò Lenn.

“Un punto a nostro favore!” si esaltò Merlìha, alzandosi in piedi sul divano e agitando il pugno in segno di vittoria.

“Già!” confermò Gabriel.

“Ci guardavano a metà tra il sorpreso, per aver portato a compimento la prima nascita, e l’ammirato per il modo in cui è avvenuta!” terminò incrociando le lunghe dita affusolate tra loro.

“Si aspettavano che Uther non potesse mai tradire la sua regina!” aggiunse Lenn.

“Beh, non avevano tutti i torti” gli spiegò Gabriel.

“Sappiamo che il re ha un unico amore e, infatti, non ha mai tradito né vacillato in altri tempi e in altre leggende. In alcuni casi, è stato il Mago stesso a farli giacere insieme sotto incantesimo.

Tuttavia, nessuno si è mai soffermato sul cuore del re, preoccupandosi di analizzarlo come abbiamo fatto noi.

Anzi, nessuno si è mai soffermato sui diversi caratteri dei personaggi che vanno a far parte della storia di Camelot. Si sono sempre limitati a cambiare le condizioni per il Mago, non curandosi di chi gli stava intorno!” concluse pensieroso.

“Il che è abbastanza assurdo se ci riflettiamo!” gli diede man forte Lenn.

“Se vogliamo che una persona compia il proprio destino, non è detto che dobbiamo per forza agire su quella persona. A volte, affinché la storia si compia, è necessario cambiare degli avvenimenti che in apparenza non c’entrano nulla o che siano diametralmente opposti!”.

“In questo modo, si creano degli eventi a catena, affinché l’uomo si muova da solo!” s’intromise Merlìha.

“Anche se è comunque un azzardo agire in questo modo!” aggiunse pensierosa. “Già è difficile fare in modo che l’uomo porti a compimento il suo destino spianandogli la strada. Figurati poi se si va ad agire su tutt’altro!”.

“È questa la vera bravura del Guardiano, Merlìha, e noi abbiamo portato a compimento la prima nascita senza difficoltà!” sorrise Lenn.

“Conquistare il cielo per attaccare la terra!” esclamò Gabriel con decisione.

“E questa da dove viene?” domandò Lenn.

“Un libro del ventesimo secolo” gli specificò l’altro.

“E che significa?” domandò Merlìha incuriosita.

“Significa che per condurre un attacco vincente sulla terra, è necessario invadere il cielo!” le chiarì il fratello.

“In questo modo, cogli di sorpresa l’avversario che non si aspetta un attacco a sorpresa nella direzione opposta a quella in cui credeva!”.

“Tradotto nel nostro caso”, s’intromise Lenn, “significa che per far compiere al Mago la sua storia, non è necessario agire sulla sua vita, quanto su eventi che, all’apparenza con lui non c'entrano nulla!”.

“Sappiamo bene, infatti, come il cambiamento di una semplice inezia, possa portare a mille futuri diversi!” aggiunse Gabriel.

“E, infatti” continuò, “una volta cambiata la storia base e le parentele, sarà proprio sulle inezie che andremo ad agire” concluse.
 

Camelot anno mille
 

Camelot, un regno formatosi da pochi anni e che, fra qualche ventennio, avrebbe raggiunto il suo periodo di massimo splendore.

Un palazzo, dallo sfarzo fuori dal comune, troneggiava sul regno.

In una stanza di questo palazzo vi erano sei figure.

Un uomo giovane con in capo una corona, una donna dagli abiti sontuosi, e un uomo, non più giovanissimo, con indosso una tunica.

Altre tre figure erano però presenti a quello che sembrava un consiglio segreto e privatissimo.

Coperti da tre mantelli, erano una donna e due uomini.

O meglio, avevano queste fattezze perché, in realtà, non erano uomini.

Il loro aspetto era regale, la loro bellezza fuori dal comune.

Nessuno dei presenti in quella stanza sembrava essersi accorto della loro presenza.

“Neanche la strega ci avverte, nonostante sia discretamente potente!” parlò una delle tre figure dall’aspetto gentile.

“Sai che non può! La nostra energia non è percepibile dall’essere umano. Sarebbe come avvertire un tavolo o un qualunque altro pezzo del mobilio” lo riprese saccente l’altra figura.

“Era per dire!” rispose l’altro con pazienza.

“Certo che però la magia degli uomini, in questo tempo, è proprio primitiva!” costatò la figura con le fattezze di una ragazza.

“È normale, Merlìha” la riprese quello che era suo fratello. “Il Mago non è nato cinquecento anni fa. Di conseguenza, la magia non si è evoluta granché”.

La ragazza annuì, tornando a guardare quelli che erano gli altri tre occupanti della stanza.

“Ma quando si decideranno a parlare?” sbottò a un certo punto.

“Pazienza, sorella. Ci vuole pazienza!”

“Eccoli che cominciano!” li richiamò all’ordine l’altra figura.

La ragazza si avvicinò, istintivamente, al fratello in cerca di conforto.

Si aggrappò al suo braccio sentendo l’attesa diventare insopportabile.

Erano a un momento cruciale.

Un momento che avrebbe deciso, nell’immediato, il continuo della loro opera, o il loro definitivo fallimento.

L’uomo, capendo i sentimenti della sorella, andò ad accarezzare la mano aggrappata al suo braccio.

La ragazza, per risposta, l’afferrò iniziando a tormentare le dita, usandole come anti-stress.

Il ragazzo la lasciò fare senza opporsi e Lenn, seppur fossero a un momento cruciale, non potette fare a meno di sorridere a quella scena.

Gabriel, che non amava essere toccato, faceva un’eccezione per la sorella che sembrava trovare conforto solo continuando a tormentare le mani dell’uomo.

Sentendo che il momento stava per avvicinarsi riportò il suo sguardo in direzione degli altri occupanti della stanza.

“Sterile?” domandò il re, ancora una volta.

“Si, Sire!” rispose l’uomo con la tunica. “Non esiste possibilità che vostra moglie possa dare alla luce un erede!”.

“Bene!” affermò il re. “Allora, la soluzione può essere solo una” concluse, guardando la strega.

“Sire” parlò nuovamente l’uomo con la tunica. “Vi sconsiglio di ricorrere a tali metodi!”.

“Camelot ha bisogno di un erede!” ribattete il re. “Senza, apparirei debole agli occhi del popolo.

E se tu, Gaius, confermi la tua diagnosi, allora non mi resta altra scelta.

Confermi la sterilità della regina?” domandò, guardandolo fisso negli occhi.

“La confermo, Sire!” annunciò l’uomo.

“Bene!” proruppe il re, rivolgendosi poi alla strega. “Procedi!” le ordinò con tono secco.

“Dovrai pagare un prezzo, Uther Pendragon. Affinché l’equilibrio del mondo sia rispettato, è necessario dare una vita per generarne un'altra” gli ricordò la strega con tono neutro.

“Non ha importanza. È necessario un sacrificio per il bene di Camelot” non esitò il re.

“Procedi!” ordinò ancora e la strega annuì, uscendo poi dalla stanza.

Passò accanto ai tre Guardiani che la osservarono dirigersi svelta nella stanza della regina.

“Andiamo!” parlò Gabriel avviandosi a sua volta.

Merlìha tirò un sospiro di sollievo avviandosi al suo fianco e Lenn li seguì poco dopo, dando un’ultima occhiata al re e all’uomo più anziano.

Era proprio vero che l’uomo poteva essere la rovina di se stesso.

Loro, i Guardiani, potevano decidere le condizioni temporali, le parentele e persino gli avvenimenti.

Ma era sempre l’uomo che decideva per se stesso e come gestire gli eventi che lo riguardavano.

E, ancora una volta, l’uomo aveva deciso per la propria rovina.

Con un sospiro, abbandonò definitivamente la stanza.

Era un peccato che l’animo umano fosse sempre attirato dalle cose che potevano generare il male.

La magia non doveva essere usata per scopi privati o per risolvere i problemi personali degli uomini.

La magia era un’essenza di una parte del mondo e come tale doveva essere usata.

Ma questo l’uomo, nel corso dei secoli, sembrava non averlo mai capito.

Ancora una volta, Gabriel aveva avuto ragione prevedendo tutto.

Ma le cose potevano cambiare. Il Mago poteva farle cambiare, ristabilendo definitivamente l’ordine fra esseri magici e non magici.

Portando l’equilibrio non solo nel suo mondo ma anche in tutte le altre dimensioni e creando, finalmente, la vera e definitiva storia di Camelot.

Sì, Merlino poteva farlo. Loro lo avrebbero guidato affinché lo facesse.

Era per questo che la Magia lo aveva scelto ed era sempre per questo che aveva legato la sua anima a un altro uomo senza alcun potere magico.

Bene e male, pace e guerra, magia e non magia.

Il mondo degli esseri umani era fondato su binomi che erano essenziali per l’esistenza del mondo stesso.

Senza l’uno, non esisteva l’altro.

Merlino e Artù erano gli esseri nati per incarnare un binomio essenziale per l’esistenza del mondo.

Insieme e uniti per il loro grande destino.

Perso in queste riflessioni, raggiunse gli altri che lo aspettavano in fondo al corridoio, per lasciare Camelot e tornare a Palazzo.

Lì, per il momento, avevano concluso.

Il destino del futuro Re era appena cominciato.
 

Camelot  - 9 mesi dopo
 

Il fuoco scoppiettava nella stanza poco illuminata, senza tuttavia riuscire a scacciare il gelo che vi regnava.

Due figure, dall’aspetto regale, si guardavano con odio.

Un tempo, erano stati amici. Un tempo, un sentimento di affetto li aveva legati.

Ma quanto sono forti i sentimenti, se vengono schiacciati e dimenticati in poche ore?

Un re, una strega.

Un binomio che, negli anni a venire, sarebbe risultato inconcepibile.

Due soggetti che, di lì a breve, sarebbe risultato assurdo mettere in una stessa frase.

“Mi hai ingannato!” spezzò il silenzio il re.

La sua voce era corrosa dall’odio. Il suo volto, una maschera di rabbia.

“Ti avevo avvertito che ci sarebbe stato un prezzo” rispose, con calma, la donna.

Il tono basso, tuttavia, appariva minaccioso.

Non sembrava, infatti, avere nessuna paura di chi le stava di fronte.

“L’hai uccisa!” un’altra accusa dalla bocca del sovrano.

“La tua magia l’ha uccisa!” continuò ancora.

La donna assottigliò gli occhi.

“Che tu sia maledetta, tu e la tua razza. Da questo momento, io dichiaro guerra a te e a quelli come te!” furono le parole del re.

“Sono le tue ultime parole?” domandò la strega assottigliando gli occhi.

Il volto pieno d’odio del sovrano fu una risposta eloquente.

“Sentirai ancora parlare di me, Uther Pendragon” e, con questa minaccia, scomparve.

Tre figure avevano assistito a quello scambio di battute.

“Tutto è andato come avevamo previsto!” parlò una di esse.

“Come tu avevi previsto, fratello!” specificò la ragazza guardando con disprezzo l’uomo nella stanza che non poteva ne vederli ne sentirli.

“Io speravo che Uther non reagisse in questo modo!” continuò la ragazza triste.

“Purtroppo il suo cuore, ora, è solo invaso dall’odio” intervenne Lenn.

“La guerra alla magia è iniziata!” terminò.

“Che il mondo ci perdoni per tutte le vittime che ci saranno” esclamò triste la ragazza.

“Purtroppo era necessario Merlìha” la consolò Lenn.

“Non c’è pace senza guerra e, ancora una volta, l’uomo ha scelto la guerra!” concluse amareggiato.

“Non siamo stati noi, infatti, a causare la morte della regina” intervenne Gabriel serio.

“L’uomo non ha perso il suo libero arbitrio. Uther, avrebbe potuto scegliere di governare senza eredi.

La strega avrebbe potuto scegliere di usare più saggiamente il suo potere” concluse.

“L’uomo anziano aveva, infatti, sconsigliato il sovrano di ricorrere a tali metodi!” ricordò Lenn alla ragazza che era sull’orlo delle lacrime.

“Andiamo” parlò Gabriel.

“Abbiamo ancora qualcosa da vedere prima di tornare a palazzo” disse, rivolgendosi specialmente a sua sorella.

Quello, era solo il primo peso che avrebbero portato.

Non erano esseri umani, ma i sentimenti non erano una peculiarità esclusivamente umana.

Molti dei grandi Guardiani avevano, con il loro intervento, messo a scelta l’uomo che aveva poi causato grandi guerre.

Era il loro compito far rispettare tutti gli equilibri, anche quello del bene e del male.

E, se quello del bene allietava l’animo, il male, invece, poteva portare solo dolore e sofferenza.

Sofferenza con cui avrebbero dovuto convivere.

Sapeva che per sua sorella sarebbe stato poi particolarmente difficile, essendo molto sensibile.

Eppure, era il loro destino.

Un destino a cui non potevano sottrarsi.

Un destino di cui avrebbero dovuto portare il peso per tutti gli istanti della loro lunghissima vita.
 

Camelot poche ore dopo.
 

In una stradina del Regno appena nascente, due uomini parlavano in gran segreto, cercando di attirare meno attenzione possibile.

“Devi scappare, Balinor!” esordì deciso l’uomo più anziano.

“Uther non mi ha minacciato, Gaius. Mi ha convocato per un’udienza” rispose l’altro.

“Temo sia una trappola” continuò l’uomo più anziano.

“Non possiamo saperlo. E poi, che c’entrano i signori dei Draghi con la magia?” domandò l’uomo.

Il volto recava i tratti di una grande bellezza, nel fiore degli anni.

“In ogni caso, tieniti pronto a scappare. Io ti aiuterò!” affermò deciso l’uomo.

“Per recarmi dove?” domandò l’altro.

“Eldor. È in un altro regno e Uther lì non ti verrà a cercare. Lì troverai una donna di nome Hunnit che ti accoglierà volentieri”.

L’altro si limitò ad annuire per recarsi poi a udienza dal re.
 
“Bene!” pronunciò una delle tre figure che aveva assistito a quello scambio di battute.

“Dobbiamo fare visita alla creatura magica poi, potremo tornare a palazzo!” e, insieme con gli altri, scomparve senza lasciare traccia.
 

Eldor – due mesi dopo.
 

L’uomo guardava la donna addormentata al suo fianco.

Il suo volto era dolce, i suoi occhi esprimevano solo bontà.

Il suo cuore era puro.

La amava.

Non avrebbe mai creduto di poter provare un sentimento così totale verso una persona, ma era successo e non si pentiva di quello che era accaduto.

Eppure, doveva lasciarla.

Gaius, mesi addietro, aveva avuto ragione.

Uther l’aveva ingannato.

Il suo intervento era servito solo per far imprigionare un drago, e lui era dovuto scappare.

E ora, doveva lasciare quello che aveva creduto un posto sicuro.

Uther non si era limitato ai confini del suo regno.

Aveva dichiarato una guerra spietata alla magia guidando i suoi cavalieri anche oltre i confini.

Balinor lo sapeva che, prima o poi, sarebbe arrivato anche lì.

Doveva andarsene per mettere in salvo la sua vita, ma soprattutto per non far correre pericoli alla donna che amava.

Non l’avrebbe portata con sé.

Che futuro avrebbe potuto offrirle?

Nessuno.

Facendosi forza, si alzò avvicinandosi alla porta.

Non l’avrebbe più rivista.

Un ultimo sguardo a colei che gli aveva rubato il cuore, prima di uscire definitivamente dalla porta di quella casa.

Una casa in cui non avrebbe più fatto ritorno.

Balinor lasciava molto più di quanto credesse, ma l’avrebbe scoperto solo parecchi anni dopo.

Le tre figure, che avevano assistito alla fuga dell’uomo, stettero un attimo in silenzio prima di agire.

La ragazza piangeva, aggrappandosi al braccio del fratello.

Lui, con espressione seria, le regalò una carezza sul capo prima di avvicinarsi alla donna dormiente.

“Il tempo è stato interrotto. Puoi agire!” gli diede conferma Lenn.

La stanza divenne opaca. I colori che contraddistinguevano il mobilio sembravano spenti.

Persino la donna addormentata sembrava aver perso vitalità.

Tutto in quella stanza e nel resto del mondo, si era fermato.

Gli uccelli avevano interrotto il loro volo.

Le piante avevano cessato di muoversi con il vento.

Le nuvole e le correnti d’aria si erano fermate.

Il sole era divenuto opaco.

Ogni uomo, donna o bambino era immobile, interrotto in qualunque attività fosse occupato.

“il Mago è stato concepito. Posso sentire la sua potenza persino da ora!” pronunciò Lenn deciso.

“Nel suo cuore vi è una traccia inesistente di malvagità” parlò la ragazza asciugandosi le lacrime.

“È davvero necessario?” domandò speranzosa guardando ora il fratello, ora Lenn.

“Sai che è così!” rispose deciso Gabriel, facendo materializzare l’anello che lui stesso aveva creato un anno prima.

I suoi occhi s’illuminarono, diventando d’oro.

Quella sarebbe stata una caratteristica dei maghi del tempo che avrebbero guidato.

Loro stessi, in qualità di Guardiani, avevano deciso così.

Avevano deciso di lasciare una traccia del loro operato nelle generazioni che sarebbero venute: gli occhi d’oro che, se prima erano una caratteristica esclusiva dei Guardiani del Tempo, ora sarebbero stati una caratteristica di tutti coloro che avrebbero posseduto la magia.

Non era stato difficile inserire questa piccola modifica anche nei maghi che avevano preceduto Merlino. La magia era molto elementare e gli stregoni poco potenti.

Quando avevano deciso di spostare la storia del Mago all’anno mille, era questa la caratteristica che avevano imposto.

Gabriel avvicinò la pietra al grembo materno.

Non pronunciò nessun incantesimo; quella era una particolarità degli esseri umani.

Il loro potere non funzionava tramite complicate parole.

Era stato necessario fermare il tempo.

Quando i Guardiani decidevano di operare in una dimensione, la loro potenza poteva essere avvertita persino dagli esseri umani non dotati di magia.

Tutte le creature viventi, persino quelle monocellulari, li avrebbero avvertiti.

La pietra sull’anello era un cristallo grezzo.

Durò un solo istante e l’anello s’illuminò.

Il cristallo aveva cambiato la sua forma scegliendo di mutare la sua natura in un reticolo cristallino di atomi di carbonio disposti secondo una struttura ottaedrica.

In poche parole, era divenuto un diamante a tutti gli effetti.

Un diamante nerissimo dalla purezza inaudita.

Il simbolo del potere dei Guardiani era un anello che rispecchiava il loro carattere.

Veniva dato loro alla nascita senza che avesse una forma particolare.

Con il passare del tempo poi, ogni anello prendeva una forma e un colore a seconda di chi lo indossasse.

Ovviamente, ogni anello aveva un potere spaventoso e rispondeva solamente a chi lo indossava.

Per un essere umano sarebbe stato impossibile anche solo toccarlo senza farsi del male.

Loro non avevano bisogno dell’anello per utilizzare il loro potere, un potere dato loro dalla nascita.

Tuttavia, era una tradizione del loro mondo e Gabriel si era ispirato a questo quando aveva creato quell’anello.

Aveva voluto che la pietra scegliesse la forma che più avrebbe rispecchiato l’energia di chi lo avrebbe indossato.

Un diamante, la pietra più preziosa per il Mago più potente di tutti i tempi.

Il suo colore: nero, che rispecchiava l’energia malvagia che aveva incamerato.

Non si era sbagliato neanche su quello.

Quando, infatti, aveva creato l’anello aveva dato alla pietra questa natura decidendo di riportarlo a una forma grezza nel momento in cui avrebbe compiuto il trasferimento di energia.

Solo allora la pietra avrebbe scelto la sua forma definitiva che, come aveva previsto, era quella di un diamante nero.

Senza esitazioni, Gabriel lo indossò.

Nei secoli a venire, quell’anello sarebbe spettato a Merlino.

Solo lui avrebbe potuto indossarlo, essendone il legittimo proprietario.

Nel corso dei secoli, avrebbe anche imparato a usarlo, visto che, dopo il trasferimento di energia, era diventato un oggetto magico dalla potenza estrema, capace persino di radere al suolo un intero continente oppure di gettare un mondo nel caos.

Per il momento, l’avrebbe indossato e custodito lui.

Si avvicinò agli altri.

Il tempo riprese a scorrere.

I colori che contraddistinguevano gli oggetti ripresero vita.

Le foglie, le piante, e tutti gli organismi viventi ripresero il loro corso da dove si erano interrotti.

Il loro primo intervento, nella storia di Camelot, era stato portato a termine.

Il Mago era stato concepito.
 


Continua…
 

Note:
 

Ecco i Guardiani che operano a Camelot.

Ho ripreso gli avvenimenti prima dell’inizio del telefilm, ricostruendo eventi che nel telefilm stesso vengono solo raccontati.

Nel prossimo capitolo, vedremo finalmente Merlino che arriva a Camelot.

Ovviamente, non ripercorrerò tutte le puntate ma solo alcuni avvenimenti (molto pochi) che vedranno l’intervento dei Guardiani.

Saranno comunque dei veloci accenni, e saranno usati con lo scopo di diventare le Tappe decise dai Guardiani.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate!

Grazie a chi è arrivato fin qui.

Pandora86

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. La Grande Epurazione - La nascita di Mordred ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Grazie per le bellissime recensioni dello scorso capitolo.
Grazie anche a chi ha aggiunto la storia tra le preferite, le seguite e le ricordate.
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura!
 
Capitolo 4. La Grande Epurazione – La nascita di Mordred
 

Dal diario di Gabriel
 

Il Mago è finalmente nato.

Come avevamo deciso, è nato alla stessa ora di Artù.

Certo, questa è una cosa che l’uomo del Medioevo non ha potuto notare.

Non avrebbe potuto notarla neanche se il Mago e il principe fossero nati nello stesso luogo.

Questo perché nel Medioevo non esistono strumenti che regolano l’ora.

La loro divisione dello scorrimento temporale è assolutamente grezza.

Più avanti, nei secoli che verranno dopo Camelot, l’uomo regolarizzerà lo scorrere del tempo con degli strumenti più evoluti.

Tuttavia, non riuscirà mai ad avere una suddivisione esatta; questa è una nostra peculiarità.

L’uomo avrà solamente una misurazione del tempo misurata in maniera locale.

Noi, invece, possediamo una misurazione del tempo in valore assoluto, esattamente uguale in ogni luogo del nostro mondo.

L’uomo non avrà mai una misura più precisa del secondo.

Orologio lo chiameranno in futuro, nei tempi che verranno molto dopo Camelot.

Tuttavia, ogni orologio avrà un secondo diverso dall’altro e questo perché l’uomo non riuscirà mai a creare uno strumento che calcolerà quello che nel secondo è contenuto.

Anche se ipoteticamente potesse farlo, sarà comunque inesatto, a causa delle diverse ore che regoleranno i vari luoghi.

È uno dei motivi per cui esistiamo; manipolando la storia, noi regoliamo anche il tempo guidando l’uomo con il suo scorrimento.

Questo, in ogni caso, non è importante ai fini del mio discorso.

Dicevo, il Mago è nato.

Ora: 9 ore – 3 minuti – 4 secondi

Questa è un’approssimazione umana di orario, anche abbastanza inesatta.

Volendo definire un orario più preciso avremo:

32400 secondi – 32400000 millisecondi – 32400000000 microsecondi – 3,24 moltiplicato per 10 elevato a 13 nanosecondi. Questo per quanto riguarda l’ora.

Per i minuti avremo:

180 secondi – 180000 millisecondi – 180000000 microsecondi – 180000000000000 nanosecondi.
Per i secondi avremo:

4 secondi – 4ooo millisecondi – 4000000 microsecondi – 4ooooooooo nanosecondi.
 
Questo non è altro che un diverso modo di esprimere le ore, i minuti e i secondi.

Nel ventesimo secolo l’uomo riuscirà anche a fare questo tipo di calcolo; tuttavia, non avrà mai un nanosecondo esatto.

Mi soffermo su questo, dato che è importante per quello che verrà.

Nel mondo umano, infatti, sono poche le cose che avvengono istantaneamente.

Possono avvenire allo stesso secondo, ma cambierà il millisecondo.

Possono avvenire allo stesso millisecondo, ma cambierà il microsecondo, e così via.

È buona cosa segnare l’ora della nascita del Mago, sia con un’approssimazione umana, sia con le misurazioni dei Guardiani.

Il Mago, un domani, dovrà sapere che la sua nascita e quella di Artù sono avvenute esattamente alla stessa ora, sia per il tempo umano, sia per quello, estremamente più preciso, dei Guardiani.

Per usare un’espressione del ventesimo secolo, si direbbe che queste due nascite hanno spaccato il secondo.

Solo noi Guardiani sappiamo tuttavia che non è solo il secondo a essere uguale, ma anche tutte le unità contenute in esso.

Le due anime sono finalmente venute al mondo.

Gli occhi del Mago, al momento della sua nascita, si sono immediatamente tinti d’oro.

Contrariamente a tutte le leggende, Merlino è il più piccolo dei tre personaggi cardine della storia di Camelot.

La sua potenza è inaudita sin dalla sua nascita.

È bastato che nascesse, affinché la magia aumentasse la sua percentuale nel mondo.

Dopo la nascita di Artù, Uther ha condotto i suoi cavalieri ovunque, iniziando nel modo più spietato la sua guerra contro la magia.

I Maghi non sono riusciti a difendersi, non essendo abbastanza potenti e ora, dopo un anno e qualche mese dalla nascita di Artù, il loro numero è notevolmente diminuito.

La loro magia è elementare e i loro modi di applicarla sono inefficaci.

È la prima volta che a Camelot viene condotta una simile guerra e gli esseri magici non hanno la preparazione per fronteggiarla.

Se il Mago fosse nato cinquecento anni fa, allora anche la magia si sarebbe evoluta ma, ora come ora, gli esseri magici sono destinati a soccombere, nonostante il fatto che nel passato molti di loro avessero studiato la magia.

Rimpiangono i tempi che loro chiamano antica religione.

In quei tempi, prima della nascita del mago, si riunivano in piccole comunità portando avanti lo studio della magia.

Non sapranno mai però quanto il loro studio sia stato in realtà inutile e inefficace.

La magia può evolversi solo con la nascita del Mago; sarà lui a portare splendore al mondo, molto più rispetto a quando l’antica religione era diffusa.

Ma questo, purtroppo, molti non lo sapranno mai.

Uther non si fermerà.

È incredibile quanto si sia convinto di quello che crede.

Il suo cuore si è lasciato dominare dall’odio con una facilità incredibile.

E pensare che, in altri tempi e in altri mondi, è lo stesso Uther a richiedere l’assistenza di Merlino per portare avanti il suo regno; ma questo, ora, non avverrà mai.

La sua guerra è spietata e lo sarà ancora per molti anni.

Gli stregoni sono stati decimati.

In quest’anno, l’elemento magico del mondo è notevolmente diminuito rispetto a quello non magico.

Tuttavia, è bastata la nascita del mago, affinché questo elemento crescesse, superando, in percentuale, il suo opposto.

Molti sono ancora destinati a morire.

Molti moriranno in modi crudeli.

Voglio però precisare che gli stregoni, nonostante la loro miserrima potenza, non sono stati a guardare.

La guerra è iniziata con Uther, è vero; però anche loro hanno scelto la via più facile: combattere l’odio con altro odio.

Hanno provato molte volte a entrare a Camelot.

I loro attacchi sono stati inefficaci e inutili; il rogo è stato il loro destino.

Quando il principe diverrà adulto, molti proveranno a porre fine alla sua vita usando la magia.

Già adesso ci hanno provato.

Si sono messi allo stesso livello di colui che ha iniziato questa sanguinosa guerra.

Hanno provato a vendicarsi su un bambino innocente.

Molti volevano giustizia per i loro figli. Non sono però arrivati a comprendere che così facendo non hanno fatto altro che alimentare la guerra macchiandosi di sangue innocente.

Per arrivare a Uther, hanno ucciso guardie e chiunque si parasse dinanzi, intralciando loro la via.

Si sono macchiati degli stessi crimini, convincendosi di portare avanti una guerra giusta.

L’uomo, anche nel futuro, non capirà mai che nessuna guerra è giusta.

È solo guerra. Solo sangue versato e nient’altro.

Con il passare degli anni, l’odio degli stregoni, così come quello di Uther, non si affievolirà.

Merlino dovrà proteggere Artù dalla sua stessa razza.

Questo servirà anche a Merlino per capire il vero significato della Magia, e come usare il grande dono che gli è stato concesso.

Vedrà la sua razza usare la Magia per la vendetta personale e si distinguerà tra loro.

Sarà una luce per coloro che hanno scelto e sceglieranno di scappare e nascondersi, in attesa di tempi migliori.

Tirando le somme, sono ottimista.

Una grande guerra è sinonimo, nel mondo umano, di una grande pace successiva.

Il principe crescerà, diventando un reggente molto migliore di suo padre; Merlino farà in modo che questo si avveri e noi saremo le ombre che veglieranno sul Mago, affinché porti a termine il proprio destino.

 

Dal diario di Lenn
 

Sono passati dieci anni dalla nascita del Mago.

Dieci anni calcolati, ovviamente, nel modo umano.

Nella nostra dimensione, dieci anni corrispondono, infatti, a circa dieci giorni; ora più, ora meno.

In realtà, non è possibile quantificare in modo esatto il nostro scorrere del tempo rispetto a quello degli uomini.

Infatti, questa è un’approssimazione abbastanza buona per il mondo in cui stiamo agendo.

Molti sono i mondi, ancora di più le misurazioni del tempo.

Ogni mondo ha un suo scorrere secondo un tempo che gli appartiene.

Noi, invece, abbiamo lo scorrere del tempo assoluto.

Siamo esseri adimensionali, quindi non siamo legati da tutte le dimensioni su cui si basa ogni mondo umano.

Ogni mondo umano è, infatti, governato dalle tre dimensioni reali, cioè quelle percepite dall’uomo.

Il nostro mondo invece è totalmente diverso.

All’apparenza, abbiamo forma umana diventando corporei quando ci muoviamo nel mondo umano.

Nel nostro mondo, invece, non abbiamo forma o meglio, non abbiamo una forma palpabile per l’essere umano.

I nostri oggetti non sono percepibili e, nel momento in cui decidiamo di portare un oggetto dal mondo umano al nostro mondo, esso perde consistenza acquistandone una nuova e diventando un tutt’uno con l’energia propria del nostro mondo.

In realtà, la forma apparente che mantiene è la stessa.

Cambia solo la consistenza atomica e molecolare.

Così come in nostri corpi.

All’apparenza sono uguali a quelli umani ma la nostra energia interna è completamente diversa.

Le nostre percezioni sono diverse; il nostro tatto, il nostro udito.

Almeno, lo sono nel nostro mondo.

Quando, infatti, scegliamo di agire nel mondo degli uomini, allora in nostri corpi assumono le percezioni umane.

In realtà si potrebbe dire che la nostra energia interna è completamente opposta rispetto all’essere umano.

Questo è dovuto, ovviamente, al fatto che la nostra dimensione è una soltanto.

Quella discussa da molti matematici e filosofi del passato e del futuro; il tempo.

Noi non abbiamo bisogno di un volume, un’altezza e una profondità, in pratica delle tre dimensioni spaziali.

Possiamo muoverci, diventando immateriali e impalpabili.

Nonostante la matematica e la fisica abbiano fatto passi da gigante nel ventesimo secolo, alcune cose resteranno sempre precluse alla conoscenza dell’essere umano.

L’uomo ha delineato delle leggi fisiche spiegandosi molte cose, ma non riuscirà mai a comprendere realmente la nostra natura.

E questa in realtà, è una cosa voluta.

Molti di noi hanno guidato matematici e fisici verso la conoscenza.

La conoscenza però del mondo che li circonda.

Il nostro mondo è, ovviamente, precluso all’essere umano.

Le leggi fisiche che delimitano ogni mondo, sono diametralmente opposte alle nostre.

Come potrebbe quindi, un semplice essere umano portare avanti la scienza con una scoperta se sapesse che ne esiste una opposta che sfalsa completamente la tesi iniziale?

Tuttavia, non voglio addentrarmi in discorsi fisici spiegando le differenze tra il nostro mondo e quello umano.

La sintesi è soltanto una.

Gli uomini hanno tre dimensioni che li governano; noi ne abbiamo una soltanto che, per loro, sarebbe la quarta: il tempo.

Certo, anche loro hanno il tempo che scorre ma, a differenza di noi, non lo governano.

Loro possono agire sulle tre dimensioni che percepiscono, mutando la forma degli oggetti.

Ma non possono afferrare materialmente il tempo, ne fare qualsiasi cosa su esso.

Lo subiscono passivamente, a differenza nostra che, invece, lo governiamo.

È per questo che esistiamo.

Controlliamo la dimensione che l’uomo non può guidare.

Loro hanno il loro volume, la loro altezza e il loro spessore che mutano a piacimento.

Noi possediamo il tempo esatto e guidiamo il suo diverso scorrimento negli infiniti mondi che esistono.

Senza il tempo, nulla esisterebbe.

Quando un mondo si crea è, in realtà, immobile.

Noi diamo vita al mondo in questione, inserendo il tempo con un suo scorrere.

Gli elementi, infatti, prendono vita nel momento in cui il tempo viene inserito in essi, dando vita al ciclo infinito della nascita, della crescita e della morte.

Per questo, non c’è una vera approssimazione che avvicini il nostro tempo a quello umano.

I nostri giorni, mesi e anni, sono diversi in ogni mondo in cui ci muoviamo.

Comunque, trovo che un anno – un giorno sia un’approssimazione abbastanza esatta per esprimere il nostro scorrimento temporale rispetto al loro.

Molti Guardiani, infatti, anche in altri mondi, hanno scelto quest’approssimazione.

Certo, in alcuni casi si è reso necessaria un’accelerazione o un rallentamento del tempo, ma non è questo il caso.

Dicevo… dieci anni umani sono passati dalla nascita del Mago.

Uther non si è fermato.

Continua a decimare gli stregoni senza pietà e con una crudeltà inaudita.

Donne, bambini, anziani… tutti massacrati senza un regolare processo.

Diffonde le sue idee tra il popolo e Camelot è un luogo di paura e di morte.

Prospera dal punto di vista economico e si rinsalda dal punto di vista militare ma, accanto alla sua prosperità, parallelamente, cresce inesorabile la sua rovina.

Nessuna traccia di magia c’è a Camelot.

Nel regno manca l’elemento fondamentale che porterà alla pace nelle generazioni future.

Artù viene cresciuto con la convinzione che la magia è male, non sapendo che lui stesso è un essere della magia.

Un essere unico nel suo genere; nato dalla magia senza però avere nessun potere magico.

Noi stessi abbiamo voluto così.

Quando abbiamo steso le linee temporali della storia di Camelot e poi, tre giorni dopo calcolati con il tempo dei Guardiani, abbiamo steso le tappe, la nostra intenzione era proprio questa.

Rendere Igraine sterile avrebbe potuto portare a due sole conseguenze fra il milione di scelte possibili: l’esistenza o la non esistenza di Merlino e Artù.

Ci siamo accorti che, se non fossero nati, in realtà, non avremmo fallito.

Avremmo semplicemente creato un mondo dove Merlino e Artù non sarebbero mai esistiti.

La magia e la non magia avrebbero continuato il loro corso inesorabile.

Perché, se nessun Guardiano è mai riuscito a impedire la morte di Artù, è anche vero che nessun
Guardiano è mai riuscito a impedire la nascita di Merlino, o meglio, nessuno ha mai testato questa eventualità; il che è assurdo se si considera che Camelot non è mai diventata storia certa nel futuro.

Noi abbiamo messo il mondo a scelta; continuare o meno senza il Mago.

E il mondo, tramite l’uomo, ha scelto ancora una volta per la nascita di Merlino.

Inoltre, la nascita di Artù è assolutamente unica nel suo genere.

Questo mi fa ben sperare perché, se Merlino è un essere unico, anche Artù ha la sua unicità.

In altri tempi e in altri luoghi è un semplice essere umano.

Il suo cuore è puro, certo, ma rimane comunque un essere umano.

Ora invece ha un qualcosa in più. La sua nascita è un avvenimento fuori dal comune e questo mi fa credere che sarà un degno compagno del Mago nei secoli a venire, in pratica quando tornerà.

La prossima Tappa prevede l’arrivo di Merlino a Camelot.

Probabilmente, in tempi umani, dovrà passare ancora qualche anno.

Tuttavia, sono fiducioso.

La magia si è evoluta con la nascita stessa del mago.

Il bambino la padroneggia senza formule; riesce a spostare gli oggetti con la sola forza del pensiero.

È una cosa del tutto nuova anche per noi.

Devo ammettere che non aspettavamo di trovarci di fronte a una simile potenza.

In realtà, chi nasce con il dono della Magia, lo scopre perché è soggetto a quella che i Maghi chiamano magia involontaria.

Un incubo, una paura, un’emozione, provocano una magia.

Tuttavia, ogni Mago ha poi bisogno di uno studio.

La Magia può, infatti, essere padroneggiata e controllata tramite la voce o i gesti.

Tuttavia, usarla con i gesti richiede una conoscenza di se stessi e della Magia abbastanza lunga.

Gli stregoni di questo tempo, ad esempio, riescono a spostare gli oggetti con fatica senza formule.

Il bambino invece riesce a muovere gli oggetti a suo piacimento e non solo.

D’altro canto, dovevamo aspettarci una cosa del genere.

Lui possiede la Magia. Lui incarna il potere degli elementi.

Era normale, in fondo, che si distinguesse, dai suoi simili.

Che poi, tanto simili non lo sono.

Gli altri sono semplicemente degli stregoni.

Lui invece è l’incarnazione della parte magica del mondo.

Persino la strega, che sarà una sua degna avversaria nei tempi che verranno, non ha un tale potere.

Probabilmente, inizierà ad accorgersi della sua magia dopo l’arrivo di Merlino a Camelot.

Tra l’altro, anche questo è andato come noi stessi avevamo previsto.

La strega è rimasta orfana di madre al momento della nascita, anche se questo è un evento del tutto irrilevante per la storia.

Suo padre è morto pochi anni fa, in battaglia.

Uther l’ha accolta, e lei e Artù stanno crescendo insieme consolidando il loro legame.

Un legame che nel tempo andrà spezzandosi.

Una cosa interessante è che soffre di incubi.

In realtà, sono solo previsioni di tanti possibili futuri.

A quanto pare, anche il potere della preveggenza in lei è molto sviluppato, così come nel mago è sviluppato il potere degli incantesimi cioè il potere di controllare gli elementi, per dare una definizione più esatta.

Sono due forme di magia molto diversa. È una cosa che sanno anche gli stregoni del tempo che stiamo guidando, nonostante la loro conoscenza sia elementare.

La preveggenza è un dono assai raro e a Merlino è precluso.

La cosa è abbastanza normale.

Non potrà realizzare mai il suo futuro, avendo previsioni su esso.

La strega invece ha questo dono rarissimo, sviluppato sin dalla tenera età.

Il suo potere sugli elementi è scarso.

È per questo che, in futuro, sarà destinata a soccombere.

Nessuno potrà mai sconfiggere Merlino nel suo campo.

È un peccato che la strega, nel futuro, sia destinata ad abbandonare quasi del tutto la preveggenza per sfruttare un'altra branca della magia, facendo crescere il suo potere solo per votarsi contro Merlino.

Ha una sorella, Morgouse, allontanata da Camelot poco dopo la sua nascita.

Uther crede che sia morta ma in futuro, probabilmente, si rincontreranno.

Comunque, per adesso la storia procede.

Uther continua il suo massacro e gli stregoni continuano a usare il loro potere per scopi personali.

A breve, dovrebbe nascere anche Mordred e i personaggi di Camelot saranno finalmente al completo.

Non ci resta che aspettare l’evolversi degli eventi.

 
 
Dal diario di Merlìha
 

Grande Epurazione.

È così che la chiamano.

Trovo assurdo come l’uomo senta la necessità di dare nomi diversi a quella che è sempre la stessa cosa: la guerra.

La storia, nel passato è nel futuro è costellata di grandi Guerre; la Prima guerra mondiale, la Seconda, la Guerra Fredda.

Questo solo per citarne alcune.

Eppure, io trovo che sia sempre la stessa cosa: un massacro spietato dell’uomo verso il suo simile.

A quanto pare, se la storia di Camelot andrà avanti e noi porteremo con successo a termine la missione, la Grande Epurazione sarà ricordata come la guerra dell’uomo verso la magia.

Proprio come tutte le guerre, anche questa è nata dalla stupidità umana.

È stato un singolo uomo a decidere il massacro di tante persone.

Oggi, è nato Mordred.

Ha dieci anni di differenza con Artù.

Fa parte di una popolazione pacifica, i druidi, che lo istruiranno sulle arti magiche.

Proprio quando è nato, nello stesso momento ma a molte leghe di distanza, i cavalieri di Uther stavano conducendo un attacco verso un ennesimo accampamento di Maghi.

Non né è uscito vivo nessuno.

Ammazzati senza pietà, a prescindere dal sesso e dall’età.

Il sangue versato era innocente eppure, macchiava la terra confondendosi con il colore del terreno.

Una distesa rosso sangue dominava quel luogo dopo il passaggio dei cavalieri di Uther.

Non è un caso che la nascita di Mordred si avvenuta mentre altra gente moriva.

Il Male, che prima dormiva, si è risvegliato nel mondo con la strega e, con la venuta del piccolo druido, ha raggiunto il suo apice.

Sarà lui a dover porre fine alla vita di Artù in questo tempo.

Perché Artù dovrà morire in questo tempo per essere custodito dalle acque di Avalon.

In realtà, la sua anima sarà istruita per il suo ritorno.

Non a caso, abbiamo fatto in modo che Avalon diventasse un portale.

Gli uomini non lo sanno, ma l’unico modo per impedire un’anima di lasciare il mondo è quello di creare un portale; un varco.

Un varco per le dimensioni.

Un varco che permette l’accesso al nostro mondo.

Varchi di questo genere, noi ne usiamo continuamente.

Come potremmo, altrimenti, guidare l’uomo ed entrare nel mondo umano?

Artù comunque, la sua anima più precisamente, non raggiungerà la nostra dimensione.

Riposerà in pace, decidendo di tornare quando lo riterrà opportuno.

Noi, infatti, non lo forzeremo in alcun modo.

Sarà la sua anima a decidersi quando ricongiungersi alla sua metà.

Comunque, questo discorso è prematuro.

Artù dovrà vivere fino a morire per mano di Mordred.

Tuttavia, il compito di Merlino sarà proteggere e guidare il suo re fino a allora.

Per il momento, non possiamo fare altro che lasciare scorrere gli eventi.

Il massacro continuerà ancora per molto e noi non potremo fare altro che assistere, impotenti, di fronte all’impareggiabile crudeltà umana.

 
 

Continua…
 
Note:

Non ho molto da dire… lo so, in questo capitolo doveva comparire Merlino che fa il suo ingresso a Camelot…

Tuttavia, mi sono resa conto che essendo trenta pagine di word, il capitolo poteva risultare un po’ pesante, per cui ho optato per questa divisione.

Questo capitolo, oltre che a vedere come il tempo passa serve anche a dare qualche informazione sul mondo dei Guardiani.

Spero di non avervi annoiato!

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate!

Alla prossima

Pandora86

 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. Seconda Tappa: L'arrivo di Merlino a Camelot ***


Ecco a voi il nuovo capitolo.
Grazie per le bellissime recensioni e a chi continua a inserire la storia tra le preferite, le seguite e le ricordate.
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura!
 

Capitolo 5. Seconda Tappa: L’arrivo di Merlino a Camelot
 

I tre Guardiani camminavano veloci per i corridoi del Palazzo.

I loro mantelli svolazzavano, dando loro un’aria imponente e regale.

Tutti, al loro passaggio, si scansavano.

In quei giorni, i sentimenti verso i tre Guardiani erano mutati.

Coloro che si aspettavano il loro fallimento, li osservavano basiti.

I Saggi erano stati presi in contropiede; chi mai poteva prevedere che tre ragazzini, del tutto inesperti, avrebbero avuto il coraggio di mutare in modo simile gli eventi?

Come se ciò non bastasse, le loro decisioni, oltre a essere piuttosto originali, si erano anche rivelate, fino a quel momento, esatte.

Le loro analisi sui personaggi di Camelot si erano rivelate giuste; i tre ragazzini avevano mosso le fila della storia di Camelot facendo sì che l’uomo innescasse una reazione a catena, rendendo quindi inutile il loro intervento.

La Prima Tappa aveva suscitato lo sconcerto generale; chi mai avrebbe potuto pensare di rendere Igraine sterile?

Eppure, non solo tutti i personaggi erano nati, ma adesso stavano per arrivare alla Seconda Tappa senza alcuna difficoltà.

Il pensiero dei Saggi era solo uno; possibile che nonostante la loro età millenaria e la loro esperienza, avessero sbagliato i loro calcoli su quei tre?

L’ombra del sospetto serpeggiava tra loro, che però avevano ancora una consolazione; la storia era ancora lunga.

Quanto quei tre sarebbero durati con le loro stramberie?

Invece, la grande maggioranza dei Guardiani che non faceva parte del complotto, li guardava ammirati.

I Saggi avevano riposto la fiducia nelle persone giuste, questo era il loro pensiero.

Certo, la guerra che avevano innescato faceva pensare ma tutti i Guardiani sapevano che non c’è una storia senza guerra.

I tre entrarono velocemente in una stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

“Non ne posso più di sentirmi così osservato!” esordì Lenn sedendosi su una poltrona.

Le stanze di Gabriel erano diventate il loro rifugio, nonché base di tutti i loro piani machiavellici.

Inoltre, oltre a essere gli appartamenti più grandi erano anche i più forniti considerando la quantità di scartoffie riposta in ogni angolo della stanza.

Il Guardiano, dal canto suo, sembrava aver preso bene l’invasione degli altri due nei suoi appartamenti privati.

Di solito, non amava chiunque entrasse in quelle stanze; tutti a palazzo sapevano quanto fosse riservato.

Eccetto la sorella, che faceva come le pareva, gli altri se ne tenevano alla larga.

Forse ci considera pezzi del mobilio, pensò Lenn con un sorriso.

“Abbiamo preso tutti in contropiede. Anche se molti di loro, comunque, ci guardano ammirati” rifletté Merlìha.

“Ciò non ha importanza!” li interruppe Gabriel. “Ora dobbiamo prepararci per la seconda Tappa” esclamò, facendo svolazzare teatralmente il suo mantello.

“Per quando è previsto l’arrivo del ragazzo a Camelot?” domandò Lenn.

“Giorni fa sua madre ha scritto la lettera a Gaius. Essendosi messo in viaggio poco dopo, conto che arrivi tra qualche ora!” rispose Gabriel sicuro.

“Parli in tempi umani?” domandò Lenn.

“Parlo anche in tempi dei Guardiani, Lenn” gli chiarì l’altro.

“Quando un uomo si avvicina a una Tappa, o in altri casi particolari, è necessario rendere il nostro scorrimento temporale uguale. Così, riusciamo a essere più precisi nelle nostre osservazioni”.

“Per questo molti Guardiani scelgono di vivere gran parte del tempo nel secolo che guidano” gli diede ragione Merlìha.

“Nel nostro caso, invece, non è opportuno. Abbiamo bisogno di continue consultazioni dei nostri testi. E poi, sarebbe stato inutile passare vent’anni a Camelot!”concluse Gabriel.

“Anche se non l’escudo per il futuro!” aggiunse poi, dopo essere stato qualche istante sovrappensiero.

“Il Mago, essendo così giovane, sarà la nostra variabile impazzita” gli diede corda Lenn.

“Sono sicuro che ci sorprenderà in molte occasioni” aggiunse pensieroso.

“Dobbiamo stare sempre all’erta” convenne Gabriel. “Siamo ancora all’inizio e oserei dire che qui comincia il difficile” terminò riflessivo.

“Comunque, dobbiamo andare a parlare con la creatura magica, se il Mago sta per arrivare” intervenne Merlìha.

“Ci andremo solo dopo il suo arrivo, sorella” la corresse Gabriel.

“Allora possiamo riposarci per qualche ora!” esultò Merlìha stendendosi sul divano, con le braccia incrociate dietro la testa.

“Nessun riposo, sorella!” la riprese Gabriel. “Dobbiamo studiare cosa dire esattamente alla creatura e non possiamo sbagliare” terminò severo.

“Uffa! Sei uno schiavista!” lo riprese guardandolo storto.

Il Guardiano non rispose, riservandole però la sua occhiata truce migliore.

“Ha ragione, Merlìha” intervenne Lenn. “Quello che la creatura dirà sarà la profezia del futuro e deciderà del cammino del giovane Mago”.

“Non dimentichiamoci, infatti, che sarà il Drago a guidarlo con le profezie. A lui abbiamo concesso la conoscenza dei tanti futuri possibili. O, se preferite, delle tante storie che già sono avvenute e che dobbiamo evitare che si ripetano”aggiunse Gabriel.

“Proprio per questo è rimasto nelle segrete del castello” aggiunse Lenn. “Aspetta il Mago da vent’anni. Lui sarà il punto cardine nella storia che stiamo guidando” concluse sorridendo.

Gabriel annuì dandogli ragione; non dimenticava che era stata sua l’idea del Drago.

Un’idea che poteva rivelarsi vincente se avessero giocato bene le loro carte.

Molti uomini percorrevano la propria strada senza sapere cosa sarebbe avvenuto nel corso della vita e i Guardiani, per fare sì che portassero a termine il proprio cammino, dovevano intervenire in molti modi.

Loro invece avevano scelto di usare una creatura magica come intermediario per il loro mondo.

Avevano dato, vent’anni prima in tempi umani, a questa creatura la conoscenza.

Una conoscenza che andava oltre le profezie.

Avevano illustrato a essa tutti i passati falliti. L’avevano istruita su cosa fare e la creatura aveva accettato di buon grado.

Per coloro che andavano a guidare tempi con esseri mitologici, questo era sempre un vantaggio.

Le creature magiche erano molto simili a loro per l’essenza, essendo parte di uno degli elementi fondamentali del mondo.

Percepivano subito la loro potenza, capendo immediatamente chi si trovava loro dinanzi e sentendosi onorate per essere state scelte.

I Draghi poi, con la loro saggezza millenaria, sapevano perfettamente chi fossero i Guardiani.

Se all’uomo doveva essere preclusa la loro conoscenza, per i Draghi era tutto un altro discorso.

Erano saggi e la loro intelligenza, nonché conoscenza, superava quella umana.

Kilgharrah aveva accettato di buon grado di portare a termine il suo compito.

Lui, come tutti quelli della sua specie, aveva un’ampia visione del mondo, molto più ampia rispetto a quella così ristretta dell’uomo.

Sapeva che c’era in ballo molto di più di una semplice morte o di una piccola guerra.

Piccola, se paragonata al caos che il Mago, fuori controllo, avrebbe potuto creare.

L’equilibrio del mondo, era questo che c’era in ballo.

Il Drago lo aveva capito immediatamente accettando di fare tutto quanto fosse in suo potere per evitare ciò.
Avrebbe istruito lui il Mago, facendo sì che portasse a compimento la sua storia insieme a quella del futuro re.
 

***
 

Un ragazzo dall’aria semplice camminava sereno.

Il suo bagaglio era tutto sulle sue spalle.

Umile d’origine ma con una perspicacia molto sviluppata.

Troppo sviluppata per il piccolo villaggio in cui era nato.

Proprio per questo sua madre aveva deciso di mandarlo a Camelot.

Per questo, e anche per il suo dono fuori dal comune.

Perché il ragazzo era un mago.

Un grande mago, anche se questo ancora non lo sapeva.

A Camelot, sua madre gli aveva detto che avrebbe trovato un uomo, di nome Gaius, che si sarebbe preso cura di lui.

Era strano che sua madre lo mandasse proprio nel posto più pericoloso per uno con i suoi poteri.

Tuttavia, sembrava aver molta fiducia nell’uomo che lo avrebbe accolto, per cui non si era fatto domande.

Il suo villaggio gli era sempre sembrato troppo stretto e aveva accolto di buon grado il cambiamento.

Eccola, Camelot; riusciva a vederla in lontananza.

Il ragazzo si fermò ad ammirare con un sorriso quella che sarebbe stata la sua nuova casa.

Sì, Camelot era magnifica anche vista da lontano.

Si sarebbe trovato bene.

Questo pensava accelerando il passo.

Passò accanto a tre figure senza notarle.

Non avrebbe potuto farlo, in realtà.

“Finalmente è arrivato” parlò la più alta delle tre in tono solenne.

“Comincia l’avventura!” sorrise quella che aveva le fattezze di una ragazza.

“Buona fortuna giovane Mago!” aggiunse l’ultima con sguardo serio.

La storia stava per prendere forma.
 

***
 

La folla si era radunata di fronte al palazzo del re.

L’ilarità e l’allegria regnavano tra la gente.

Il motivo di tanto buon umore era semplice; gran parte della gente di Camelot, che fossero uomini, donne o bambini, erano impegnati nel loro divertimento preferito: il lancio della frutta e degli ortaggi.

Solo un ragazzo sembrava non condividere l’allegria comune e il perché era presto detto; si trattava del povero malcapitato bloccato alla gogna.

Tre figure erano mescolate tra la gente e osservavano la scena basiti.

O meglio, due di loro osservavano mentre la terza era piegata in due dalle risate.

Non potevano essere visti e una di loro in particolare avrebbe anche preferito non vedere.

Gabriel, Merlìha e Lenn assistevano sbalorditi allo spettacolo.

Il Mago più potente di tutti i tempi e di tutte le dimensioni impegnato alla… gogna!

“Che il cielo ci aiuti” disse Lenn con un sospiro osservando ora Merlìha che non riusciva a smettere di ridere, ora Gabriel che guardava il tutto con un cipiglio scuro.

Se possibile, era ancora più bianco del solito. Gli occhi erano ridotti a due fessure e le labbra avevano assunto una linea dura.

Lenn temette che fosse troppo scioccato per parlare.

“Per l’amor del cielo, sorella, controllati!” sbottò severo.

“Non posso farci niente” riuscì a dire Merlìha tra le risate. “È troppo divertente!”.

“Diventeremo gli zimbelli del Palazzo” parlò Gabriel duro.

“Dai” cercò di consolarlo Lenn. “Mica potevamo prevedere che finisse così. Non siamo stati noi a
mandarlo alla gogna” disse non potendo però trattenere un sorriso.

“Il suo incontro con Artù passerà alla storia!” intervenne Merlìha ancora piegata in due dalle risate.

Il fratello le riservò un’occhiataccia.

“Come ha potuto essere così idiota?” domandò severo.

"È qui da un giorno ed è già diventato il buffone del Regno” parlò ancora sdegnato.

“Cerca di vedere il lato positivo” gli disse Lenn.

“E sarebbe?” domandò l’altro guardiano alzando un sopracciglio con sguardo scettico.

“Beh, innanzitutto ha dimostrato di avere un caratterino niente male. Anche dopo che ha saputo che Artù è il figlio del re non ha esitato a tenergli testa” valutò.

“Se Merlino a vent’anni è così, ci divertiremo un mondo. Il suo carattere non ha risentito minimamente dell’estirpazione del male. Ha dimostrato molto coraggio nel tenere testa al principe” parlò Merlìha cessando, solo per un attimo, di ridere.

“Ha dimostrato solo di essere molto stupido” rispose Gabriel saccente.

“In fondo è divertente!” s’intromise Lenn non facendo caso al successivo sguardo di Gabriel.

“Oh si!” intervenne Merlìha alzandosi in piedi.

“Così lo sarà ancora di più” continuò, adocchiando un pomodoro nella cesta che le stava di fianco.

I suoi occhi divennero d’oro e, dopo qualche istante, il pomodoro volò dritto in faccia al malcapitato.

A quello spettacolo, anche Lenn incominciò a ridere seppur in maniera meno plateale rispetto alla ragazza.

“Merlìha!” la riprese il fratello guardando anche l’altro che, invece di rimanere serio, aveva iniziato a ridere.

“E dai, fratello!” si giustificò la ragazza.

“Nessuno può vederci e di sicuro nessuno ha notato proprio il mio pomodoro fra tutti gli ortaggi volanti”.

“Questo non è un buon motivo!” sbottò duro.

“Non essere così serio, ti verranno le rughe” gli fece il verso la ragazza e Lenn mal celò la risata che gli provocarono quelle parole.

Gabriel lì osservò duro incamminandosi.

“Andiamo!” ordinò in un tono che non ammetteva repliche.

Gli altri due lo seguirono, non potendo però fare a meno di scambiarsi un’occhiata divertita.
 

***
 

Merlìha rideva, non riuscendo a fermarsi.

“Non puoi fare altro, vero sorella?” la riprese Gabriel severo.

Anche Lenn ridacchiava sotto voce.

“Dai fratello, ammetterai che questi due sono una sagoma” si giustificò Merlìha.

“E poi, stavolta, è stato Artù a provocarlo” intervenne Lenn.

“La scena del mercato è stata fortissima” parlò ancora Merlìha.

La gente camminava fra le bancarelle senza curarsi di loro.

Anche volendo, nessuno avrebbe potuto percepirli.

“È il loro secondo incontro, e va di male in peggio!” parlò nuovamente Gabriel.

“Abbiamo a che fare con due adolescenti fuori controllo!” sbottò non riuscendo a credere a quello che era avvenuto.

“Beh, ammetterai che Merlino a vent’anni è uno spasso. Sapevamo della sua cultura e della sua potenza, ma in nessun trattato letto è riportata la sua lingua biforcuta!” rispose Lenn ripensando a come avesse chiamato Artù babbeo.

“Non sapevo vi avessero anche addestrato a essere un babbeo, mio signore” parlò Merlìha, ripetendo le frasi del Mago e non potendo fare a meno di ridere.

“Cavoli, non sapevo che ci saremmo divertiti tanto!” parlò tra le risa.

“Tutto ciò è sconveniente!” rispose Gabriel.

“Dai, ci penserà il medico di corte a fargli una bella lavata di capo!” lo consolò Lenn.

“E poi” aggiunse, “il principe è rimasto colpito dal suo comportamento. Questa è buona cosa!” concluse con un sorriso.

“Andiamo!” si avviò quest’ultimo.

“Dove?” domandò la sorella, alzandosi e seguendolo.

“Nella casa del guaritore. Voglio essere certo che sia saggio abbastanza da guidare il Mago!”le rispose il fratello.

“Merlino non potrà sempre rivolgersi al Drago” s’intromise Lenn.

“Tra l’altro, ancora non ha fatto la sua conoscenza” intervenne Merlìha.

“Appunto” concluse Gabriel, camminando sicuro tra le bancarelle e facendo svolazzare il suo mantello.

Avrebbero potuto teletrasportarsi direttamente nella casa ma preferiva camminare.

Dovevano guidare il più grande Mago della storia e, con lui, Camelot.

Camminare nel regno, anche se invisibile agli occhi altrui, gli dava un senso di familiarità maggiore con il tempo che stava guidando.

E poi, non voleva osservare Merlino per tutto il tempo.

Proprio perché era il Mago fra i maghi, voleva dargli più libertà possibile.

Gli altri due lo seguirono in silenzio.

Gabriel, in quei giorni era più taciturno del solito.

Non si aspettava dei risvolti così strani dopo l’arrivo di Merlino a Camelot.

E non si parlava solo della magia così istintiva di Merlino, quanto della sua lingua tagliente e biforcuta.

Era una cosa inaspettata, anche se non era detto che fosse necessariamente un male.

Il Guardiano, infatti, non era tanto innervosito quanto pensieroso sull’intera faccenda.

Motivo per cui, quando era di quell’umore, considerato che era il più scaltro dei tre, Merlìha e Lenn preferivano lasciarlo riflettere in silenzio.

 
***
 

“Come hai potuto essere così sciocco?” disse con voce grossa il guaritore una volta entrato nella sua casa.

“Aveva bisogno di una lezione!” rispose sicuro il ragazzo non pentendosi minimamente di ciò che aveva fatto.

“La magia va studiata, padroneggiata e usata per il bene, non per scherzi idioti” parlò ancora l’anziano cerusico con voce severa.
 

Anche i Guardiani erano presenti in quella stanza e osservavano la scena con interesse.

“Bene!” approvò Gabriel sentendo le parole dell’anziano guaritore. “Finalmente qualcuno che ha un po’ di sale in zucca” disse con sdegno, assumendo un cipiglio severo.
 

“Se non posso usare la magia, cosa mi resta?” domandò il ragazzo esasperato.

“Sono una nullità e lo sarò sempre. Se non posso usare la magia, posso anche morire!” concluse ritirandosi nella sua stanza.
 

“Ahia!” parlò Merlìha. “Adesso il discorso si va serio”.

“Seguiamolo” disse Gabriel, scomparendo per poi riapparire nella stanza del giovane Mago.

Gli altri due lo imitarono.
 

“Voi non sapete perché sono nato così?” domandò il ragazzo mentre il guaritore gli curava la spalla ferita.

“No!” rispose semplicemente l’anziano.

“Non sono un mostro vero?” domandò titubante il ragazzo.


A quelle parole, i tre Guardiani si scambiarono un’occhiata significativa.

“Inizia a farsi domande” costatò Lenn pensieroso.

Gabriel annuì, continuando ad ascoltare.
 

“Questo non devi pensarlo neanche” rispose il medico con una nota sicura nella voce.

“Allora perché sono così? Vi prego, ho bisogno di sapere perché!” domandò ancora il ragazzo.

“Può saperlo” iniziò titubante l’anziano, “qualcuno che ha più conoscenze di me”.
 

“In pratica noi” intervenne Merlìha con un ghigno.

“Stai zitta, sorella!” la riprese Gabriel severo.

“È la verità” s’incaponì la ragazza.

“Certo!” sbottò il fratello. “Sai quindi che facciamo?” domandò alterandosi.

“Ci materializziamo nella stanza rendendoci visibili e, dopo aver fatto venire un infarto al vecchio medico di corte, stringiamo la mano al mago e gli diciamo: Ciao! Siamo i tuoi Guardiani e abbiamo creato noi il tempo in cui vivi. Il tuo compito è proteggere Artù fino alla sua morte a Camlann e poi aspettarlo nei secoli visto che sei immortale!” concluse con un tono che non prometteva niente di buono.

“Va bene, calmiamoci!” intervenne Lenn.

Merlìha sbuffò e Lenn pregò Gabriel, con gli occhi, di stare zitto.

“Merlìha” continuò Lenn gentile, “abbiamo messo a disposizione del Mago un drago proprio per questo motivo”.

La ragazza annuì con espressione imbronciata, continuando la sua osservazione.

“I tempi sono giunti!” parlò ancora Lenn.

Gabriel annuì.

“Stanotte il mago dovrà fare la conoscenza del Grande Drago” dichiarò uscendo dalla stanza.

Lì, per il momento, non avevano più nulla da fare.
 

***
 

È giunto il momento” parlò Gabriel, rivolto alla creatura.

Erano in una grotta buia, sotto le profondità del castello di Camelot.

I tre Guardiani, sospesi in aria, guardavano con interesse l’ingresso della grotta.

Il Mago sarebbe giunto da un momento all’altro.

Solo il Grande Drago poteva vederli, avendo loro stessi deciso di rendersi visibili alla creatura che avevano scelto.

Il drago, da parte sua, annuì con un cenno del capo aspettando il giovane stregone.

La storia stava per iniziare.
 

“Quanto sei piccolo, per un destino tanto grande!” parlò il Drago.

“Perché? Cosa intendi? Quale destino?” domandò il ragazzo.

“Il tuo dono Merlino, ti è stato dato per una ragione” parlò con voce calma il Drago.

“Quindi, una ragione c’è!”.

Il drago rise a quelle parole.

“Artù è l’unico e futuro Re che riuscirà a unire la Terra di Albion. Ma dovrà guardarsi dai pericoli; dagli amici così come dai nemici!”.

“Non vedo cos’abbia a che fare con me!” rispose il ragazzo.
 

“Che lingua lunga che ha” non riuscì a trattenersi Lenn.

“Prima che finisca la storia, potrei decidere di farlo diventare muto” assottigliò lo sguardo Gabriel.

Il Drago, anche se li aveva sentiti parlare, continuò come se nulla fosse.
 

“Senza di te, Artù non potrà mai avere alcun futuro. Senza di te, non esisterà mai alcuna Albion”.

“No, ti sbagli di sicuro” rispose con veemenza il ragazzo.

“Non c’è giusto o sbagliato; solo quello che è e che non è!” rispose il drago tranquillo.

“Parlo sul serio, se qualcuno vuole ucciderlo si accomodi pure, potrei anche dargli una mano!”.
 

A quelle parole Gabriel si coprì gli occhi con una mano.

“Perché è così idiota?” ringhiò.

Merlìha invece scoppio a ridere, accompagnata da Lenn e anche il Drago non poté trattenere una risata.

“Questo ragazzo è proprio forte!” disse asciugandosi gli occhi.


“Nessuno di noi può conoscere il proprio destino Merlino, e a nessuno di noi è concesso sfuggirgli” parlò ancora il Drago.

“No! Non ci credo! Deve pur esserci un altro Artù, perché quello che c’è, è un idiota!”.

“Probabilmente, il tuo destino, è aiutare quello che c’è!” non si scompose il Drago e, detto questo, si sollevò in aria, allontanandosi.

 
Per il momento, aveva detto abbastanza.

Il ragazzo, dopo averlo richiamato, fu costretto a rassegnarsi e andare via.

I tre Guardiani lo osservarono mentre usciva dalla grotta e, sollevandosi in aria, raggiunsero il Drago.

“Hai compiuto un grande gesto oggi. I Guardiani ti sono riconoscenti” parlò Gabriel con tono solenne.

Il drago annuì, abbassando il capo con rispetto.

“Il destino che compierai, ti ripagherà dei vent’anni di prigionia” parlò Lenn, sorridendo alla creatura.

“La prigionia è poca cosa, rispetto all’onore ricevuto nell’essere guida del giovane stregone” parlò il drago.

Era un essere millenario dalla grande saggezza e, nonostante fosse a conoscenza del mondo dei
Guardiani, come tutti quelli della sua specie, mai avrebbe pensato do poter vedere un giorno qualcuno di loro.

Si erano presentati a lui come giovani ragazzi, ma Kilgharrah aveva subito percepito la diversa energia che emanavano.

Sapeva che erano esseri eterni con un’età non calcolabile in base al loro aspetto.

Sapeva anche che trovavano la morte solo in caso di fallimento, essendo, in base alle loro leggi, relegati nel mondo mortale.

Gli avevano chiesto di guidare la storia come loro intermediario, facendogli conoscere tutti i passati avvenuti e tutti i possibili futuri.

E lui aveva accettato di buon grado, onorato da un simile compito.

“Ti aspetta un compito molto grande e faticoso, vista la giovane età del Mago” parlò ancora Gabriel e Kilgharrah annuì con il capo.

“Tra l’altro, Merlino non mi sembrava molto d’accordo!” intervenne Merlìha.

“Dovrà proteggere Artù, che lo voglia oppure no!” dichiarò Gabriel.

Il drago li ascoltava, non intervenendo però in nessun modo.

Era un grande onore sentir parlare i guardiani, e ancor di più sentirli scambiarsi opinioni in sua presenza.

Lo stavano mettendo al loro stesso livello, motivo per cui ascoltava attento, sapendo che il compito affidatogli era di importanza fondamentale nello svolgersi dell’intera storia.

“Il problema è come” domandò dubbioso Lenn.

Gabriel assunse un’aria saccente.

“Avete notato dell’arrivo della strega a Camelot?” domandò.

“Intendi quella camuffata da cantante?” domandò Merlìha perplessa.

“Proprio lei” confermò il fratello.

“E con ciò?” intervenne Lenn.

“Gli esseri umani sono facilmente prevedibili” spiegò Gabriel.

“Soprattutto quelli accecati dall’odio. La strega, per arrivare ad Artù, ha già ucciso degli innocenti.

Lo farà ancora, fino a che non arriverà al principe. Merlino, nonostante, l’antipatia dichiarata verso il futuro re, non potrà fare a meno di intervenire. Vedrà la sua razza macchiarsi di crimini orrendi e interverrà sempre per salvare Artù, non solo perché rifletterà sulle parole del Grande Drago” e, a quelle parole, si voltò verso la creatura facendo un cenno del capo, “ma perché lo riterrà giusto. In questo modo, si avvicineranno senza il nostro intervento” concluse.

“Gli stregoni sono fuori controllo” ragionò Lenn. “Usano la magia solo per la vendetta, eccezione fatta per i druidi che si sono ritirati a vita pacifica”.

“Merlino è nato appunto per riportare ordine” concluse Merlìha.

“Bene! Andiamo” ordinò Gabriel e, facendo un cenno di saluto al Drago, scomparve.

Anche gli altri due, dopo essersi inchinati davanti alla creatura come segno di ringraziamento, lo imitarono.
 

***
 

“Che incantesimo banale” parlò Gabriel sdegnato, osservando le persone dormire sui tavoli.

“È così accecata dall’odio che non si è nemmeno accorta che qualcuno respinge il suo incantesimo grazie al suo sangue magico, non cadendo così addormentato” parlò Lenn, riferendosi alle parole del
Guardiano nel loro precedente discorso.

“Tra l’altro, questo fa molto pensare sulla sua magia” parlò Merlìha ragionando sulle differenze fra il Mago e l’anziano medico che, come tutti, era caduto addormentato.

“Anche la strega, nonostante il suo sangue magico e il suo dono di Veggente, non è riuscita a rimanere sveglia!” parlò ancora Lenn.

“Bene! Questo vuol dire che la magia del Mago deve solo essere modellata. È tutta lì, dentro il suo corpo.

E ora, voglio proprio vedere come interverrà” concluse Gabriel, riportando l’attenzione sulla sala.
 

***
 

“Meriti una grande ricompensa” parlò Uther rivolgendosi a Merlino.

“Avrai il titolo di valletto reale; sarai il servitore del principe Artù” dichiarò allontanandosi fra l’applauso generale della sala.

“Ma, Padre” protestò il principe, guardando con antipatia il suo nuovo servitore.

Antipatia apertamente ricambiata, visto lo sguardo che il Mago riservò al principe.
 

“Che vi avevo detto?” parlò Gabriel, guardando soddisfatto la scena.

“L’uomo si è mosso da solo. Merlino è intervenuto e poi ha fatto tutto Uther, senza il nostro intervento” approvò Lenn.

“Valletto reale, eh?” disse Merlìha.

“Ora sì che saranno realmente a stretto contatto” concluse con un sorriso.

“Bene, adesso possiamo ritirarci” dichiarò Gabriel, non potendo però fare a meno di rivolgere un impercettibile sorriso ai due che continuavano a guardarsi, non facendo nulla per nascondere la
reciproca antipatia.

Le due parti della stessa anima, le due facce della medaglia, si erano finalmente incontrate.

La storia si stava delineando.
 


Continua…
 

Note:
 

Ecco l’arrivo di Merlino a Camelot.

Le parti in corsivo sono pezzi e discorsi presi dal telefilm.

Trattandosi di una Tappa decisa dai Guardiani, in questo capitolo ho ripercorso gran parte della prima puntata.

Nei successivi capitoli andrò molto più veloce soffermandomi solo sulle altre Tappe e sugli interventi dei guardiani.

Per la scena della gogna ringrazio Erol89 che mi ha dato l’idea nella sua ultima recensione; grazie!

A questo proposito, vorrei dirvi che se avete parti del telefilm che vi piacciono particolarmente e che vorreste leggere in questa storia, fatemelo sapere; guardiani e trama della storia permettendo, cercherò di fare del mio meglio!

Come il solito, attendo i vostri pareri sul capitolo, sperando che vi sia piaciuto.

Alla prossima.

Pandora86

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. Lancillotto ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Mi scuso per averci messo più giorni del solito, ma il tempo è stato tiranno.
I prossimi aggiornamenti credo che saranno molto più veloci!
Nel frattempo, ringrazio chi segue la storia e le bellissime recensioni!
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura!
 

Capitolo 6. Lancillotto
 

Nella camera da letto di Gabriel aleggiava il silenzio.

Merlìha guardava il fratello speranzosa, Lenn osservava Gabriel come se fosse in procinto di scoppiare e Gabriel, a sua volta, sembrava anche troppo interdetto per parlare.

“Allora?” domandò Merlìha, cercando approvazione.

Gabriel la fissò a lungo.

Si era allontanato qualche ora, giusto il tempo che ci voleva per fare un salto in diversi secoli allo scopo di procurarsi dei testi che gli occorrevano.

Non pensava che al suo ritorno avrebbe trovato una cosa simile nella sua camera.

“Non credi che io abbia avuto un’idea geniale?” domandò ancora Merlìha, sorridendo a trentadue denti.

Lenn sospirò pesantemente.

In casi come quelli era meglio fare una cosa: stare zitto.

Gabriel osservò il nuovo oggetto nella stanza con gli occhi ridotti a due fessure.

“Cosa sarebbe questo?” domandò con voce minacciosa.

Merlìha sembrò non cogliere il tono.

Anche se l’avesse colto, in realtà, non sarebbe cambiato nulla.

Le minacce del fratello non sortivano alcun effetto in lei.

“Vedi, fratellino” incominciò a spiegargli gentile, come se parlasse a un bambino un po’ cocciuto e irritabile, “nel ventesimo secolo, la chiamano televisione” continuò, indicando con un dito l’oggetto.

“In realtà, è una delle più moderne sul mercato; viene chiamata a schermo piatto e…”.

“So cos’è!” la interruppe Gabriel, osservando l’enorme televisione a plasma.

“Quello che non capisco” continuò con voce tagliente, “è cosa ci fa nella mia stanza!” sbottò definitivamente.

Come si permettevano quei due di portare cambiamenti nelle sue stanze?

Nella camera da letto poi…

“Come non capisci?” domandò Merlìha sorpresa, aggrottando le sopracciglia.

“Credo che tu sia troppo stressato” aggiunse con tono gentile, pensando che effettivamente lo stress stesse influendo negativamente sulle capacità intellettive del fratello.

Lenn, intanto, continuava a osservare cercando di rimanere impassibile.

Sarebbe stato poco opportuno ridere d'altronde.

Gabriel guardò la sorella con espressione scioccata.

Sentì le sue guance prendere colore e s’impose di calmarsi.

Come diamine si permettevano di dubitare delle sue capacità?

“Spiegati!” ordinò duro.

“Vedi fratellino” continuò Merlìha parlando lentamente, “ questo è un portale, in realtà. Ho provveduto a metterne uno sia nella mia stanza che in quella di Lenn” aggiunse raggiante.

Gabriel la guardò interrogativo.

“Un portale?” domandò ancora.

“Sì, un portale!” gli diede conferma la sorella.

“Che senso ha trasformare un oggetto in un portale se possiamo crearne uno con la mente?” domandò ancora il guardiano.

Fu Merlìha stavolta ad assumere un’espressione scioccata, facendo una perfetta o con la bocca.

“Ma come?” domandò avvicinandosi all’oggetto.

“Ha anche il telecomando!” sbottò accendendo la televisione.

Le immagini di Merlino e Artù cominciarono a scorrere sullo schermo.

“Così non è meglio?” domandò, indicando la televisione.

“Piuttosto che così, invece!”.

A quelle parole, i suoi occhi divennero d’oro.

Un fascio di luce comparve nella stanza.

Il fascio divenne circolare fino a che non si allargò diventando di notevoli dimensioni.

All’interno del cerchio creatosi dal fascio, c’erano Merlino e Artù che, incuranti, proseguivano la loro vita.

“Così sembra di averli nella stanza” sbottò Merlìha indicando il portale e facendolo scomparire subito.

“In questo modo, invece, è più comodo!” sorrise, indicando lo schermo della televisione.

“E anche più moderno, aggiungerei!”.

“Se dobbiamo tenerli sempre d’occhio, perché non farlo in modo comodo e originale?” domandò ancora.

Gabriel la guardò scegliendo, una volta tanto, di rimanere zitto.

Sua sorella adorava il ventesimo secolo.

Era, infatti, quella più aggiornata su come funzionasse il mondo in quel tempo.

Se le sue conoscenze peccavano nei secoli indietro, era invece un vero pozzo di scienza se si parlava di un anno del millenovecento in poi.

D’altronde, non aveva tutti i torti.

Se la televisione e il portale avevano lo stesso scopo, la televisione era più discreta.

“Comunque sia, non la voglio in camera da letto. Spostatela nel mio studio!” concluse, uscendo definitivamente dalla stanza.

Non gli importava granché della sua collocazione, ma di certo non poteva andarsene senza aver detto l’ultima parola o, comunque, accettando senza obiezioni le decisioni di sua sorella.

Farla spostare gli sembrò un buon compromesso.

Merlìha guardò Lenn raggiante, alzando il pollice in segno di vittoria.

Lenn sorrise, pensando che non importava il secolo di cui si occupavano.

Se c’erano i due fratelli, si sarebbe occupato volentieri anche di un qualunque uomo preistorico.

Con loro, il divertimento era sempre assicurato.
 

***
 

“Certo che avere a che fare con Merlino ventenne è tutt’altro che facile!” esordì Merlìha osservando con attenzione le immagini che erano proiettate sullo schermo.

Erano nelle stanze di Lenn.

Si erano organizzati con dei turni per tenere d’occhio Camelot. Sarebbe stato improponibile, vista la complessità del secolo, rimanere troppo a Camelot.

Ora, per l’appunto, era il turno della guardiana che, vista la momentanea assenza del fratello, si era autoinvitata nelle stanze dell’altro guardiano esclamando a gran voce che era terribilmente noioso guardare un programma televisivo in solitudine senza avere nessuno con cui commentare.

Lenn l’aveva lasciata fare sorridendo paziente ed evitando di puntualizzare che non era propriamente una telenovela quella che guardavano.

“Hai notato poi come Ginevra sembra ammaliata da lui?”domandò ancora la guardiana.

“È il suo fascino!” rispose Lenn.

“Beh, sarebbe un problema se si innamorasse del Mago! Però, che brutto colore il viola!” sbottò Merlìha osservando il fiore che decorava il collo del Mago.

“Non si innamorerà” parlò con sicurezza Lenn.

“Sono popolani e il Mago ha un bel carattere! Per questo hanno fraternizzato con facilità!” spiegò ancora il guardiano.

“Già!” convenne Merlìha.

“Un’epidemia…” commentò poi pensierosa.

“Mi domando come affronteranno la creatura acquatica. Sempre se ci arriveranno a quella conclusione” s’interrogò perplessa.

“Il Mago credo di no, vista la sua giovane età. Ma il vecchio medico senza dubbio sì, e solo usando la scienza, per di più” le rispose Lenn.

“Hai un coraggio a chiamare scienza quelle strumentazioni e quei metodi così antichi” ironizzò Merlìha.

“Fatto sta che il cerusico troverà una soluzione senza la magia. Non potevamo scegliere guida migliore per il Mago”.

“È vero. Sa perfettamente quando e come è necessaria la magia. In questo, il grande drago avrà un valido supporto” approvò la ragazza.

“Non dici che dovremmo intervenire?” domandò Merlìha a un certo punto, non nascondendo la preoccupazione nella sua voce.

Lenn si avvicinò allo schermo con sguardo crucciato.

L’arresto di Ginevra poteva essere un problema.

Per quanto Morgana avesse difeso la sua serva, ciò non era bastato a convincere Uther.

Il Mago, stavolta, l’aveva combinata grossa.

Inoltre, il rapporto tra Artù e Ginevra era ancora quello di serva e principe.

Per quanto il futuro re avesse parlato in sua difesa, non l’aveva fatto con l’ardore che ci avrebbe messo tra qualche anno.

“Come ha potuto Merlino essere così stupido?” sbottò Lenn.

Merlìha lo guardò perplessa.

Era raro che lui perdesse la calma.

Però stavolta il Mago l’aveva fatta grossa.

Come aveva potuto pensare che una singola guarigione, in un mare di morti, potesse portare il bene?

“Temo che stia per fare qualcosa di ancora più stupido” si alzò in piedi Merlìha osservando il Mago correre verso la stanza del consiglio.

“Andiamo da Gabriel” esclamò a gran voce, uscendo dalla stanza.

“È tornato?” domandò Lenn raggiungendola.

“Credo di sì. Se non c’è, interverremo da soli” parlò decisa, irrompendo nelle stanze del fratello.

“Gabriel” esclamò a gran voce osservando, con sollievo, la presenza del fratello nella stanza.

“Non si usa più bussare?” domandò il guardiano irritato.

Era appena tornato; che doveva fare per avere qualche istante di pace?

“Non c’è tempo per le buone maniere!” rispose la sorella, afferrando il telecomando e accendendo la televisione.

“Temo che stavolta il Mago la stia per combinare grossa!” intervenne Lenn preoccupato.

Gabriel osservò con attenzione lo schermo.
 

“Sono stato io!” esclamò il ragazzo a gran voce irrompendo nella sala del consiglio.
 

“Oh mio Dio!” sospirò Lenn portandosi una mano sugli occhi.

“Santo cielo, c’è un limite alla stupidità?” urlò Merlìha a gran voce.
 

“Ho usato la magia per guarire il padre di Gwen! Sono stato io”.
 

“A quanto pare no, sorella” parlò Gabriel a denti stretti.

Era vero che era giovane; ma perché doveva comportarsi in maniera così dannatamente insensata?
 

“Allora arrestatelo” dichiarò Uther senza scomporsi.
 

“Dobbiamo intervenire!” esclamò Merlìha.

I suoi occhi si erano già tinti d’oro per prepararsi ad andare a Camelot, quando senti qualcuno che la tratteneva per un braccio.

“Non credo che sia necessario sorella” la fermò Gabriel.

“Ma…” provò a protestare la ragazza.

“Stai a guardare!” parlò ancora il guardiano, indicando con un cenno del capo lo schermo.
 

“Mi ha salvato la vita, rammendi?” era Artù stavolta a parlare.

“Perché inventerebbe una simile storia?”.

“Perché, come ha detto Gaius, lui ha un grave disturbo mentale”.
 

“Osservate come Artù lo difende!” lì invitò Gabriel.

“Ci mette più impegno rispetto a quanto ne abbia usato per Ginevra” rifletté Lenn osservando i due battibeccare.

“In ogni caso, stavolta Artù è stato fondamentale” tirò un sospiro di sollievo Merlìha, guardando
come il Mago fosse riuscito a scamparla.

“Sono due parti di una stessa essenza. A quanto pare, se Merlino salva la vita di Artù, Artù da parte sua, salva il mago dalla sua stessa stupidità!” parlò Gabriel.

“Che idiota!” non riuscì poi a trattenersi, osservando ancora lo schermo.

“Stavolta una bella lavata di capo non gliela toglie nessuno!” ghignò Merlìha soddisfatta, osservando l’anziano medico di corte fare la ramanzina al giovane ragazzo.

“Bene, adesso fuori di qui!” parlò Gabriel.

“Ho bisogno di riposare!” concluse, sedendosi stancamente su una poltrona.

Gli altri lo guardarono senza parlare e Merlìha, una volta tanto, uscì dalla stanza senza nemmeno parlare.

Gabriel li sentì uscire, sospirando pesantemente.

Se Merlino continuava con le sue assurde idee, avrebbe dovuto fare le carte per uno dei manicomi del ventesimo secolo.

A quanto pareva, non solo il Mago era indispensabile per il principe, ma anche Artù era fondamentale per la vita di Merlino.

Insieme quei due erano veramente in grado di superare ogni cosa, anche se erano giovani e stupidi.

Di questo passo però gli avrebbero fatto venire l’esaurimento nervoso.
 

***
 

Un ragazzo correva a perdifiato tra gli alberi.

Umili erano le sue origini e anche i suoi abiti denotavano un ceto sociale piuttosto basso.

Tuttavia, quello che più saltava all’occhio in quel momento era l’espressione di puro terrore che aveva in viso mentre correva.
 

“Che noia!” non riuscì a trattenersi Lenn, accompagnando la frase con uno sbadiglio.

Erano nelle stanze di Gabriel.

Il proprietario delle stanze era seduto allo scrittoio sepolto da innumerevoli scartoffie.

Lenn era invece stravaccato sul divano dello studio, dove alla fine era stata spostata la televisione che fungeva da portale.

“Ma come? Potrebbe essere in pericolo!” s’indignò Merlìha, guardando lo schermo e indicandolo con una mano.

“Ma dai, il mago più potente di tutti i tempi!” rispose Lenn a sua volta con tono annoiato.

Quella dei portali era stata una buona idea, tuttavia era terribilmente noioso osservare sempre le stesse cose.

Soprattutto se queste cose si muovevano a rilento.

Del resto era normale, doveva essere così.

Il tempo dei Guardiani scorreva sempre più veloce rispetto al tempo di cui si andavano a occupare.

Questo permetteva loro di poter intervenire in tutta tranquillità, anche se le cose nel secolo in questione stavano andando a rotoli.

Era però terribilmente noioso stare davanti ad una televisione e osservare le immagini muoversi a rilento.

Era il suo turno di tenere d’occhio Camelot e, prevedendo che nella sua stanza si sarebbe addormentato, era andato da Gabriel in cerca di compagnia.

Il guardiano lo aveva fatto entrare senza neanche guardarlo e Lenn, prendendo il gesto come un assenso, si era messo comodo.

Poi era arrivata Merlìha portando loro uno spuntino pomeridiano (che ovviamente Gabriel non aveva nemmeno toccato) e di conseguenza, Lenn sentiva le sue palpebre sempre più pesanti.

E ora eccolo lì, a cercare di tenere gli occhi aperti su una scena che Merlìha riteneva importantissima.

“Come puoi dormire, mentre il poverino è minacciato da quella bestia?” s’inalberò Merlìha scrollandolo per una spalla.

“Oh andiamo, non possiamo sprecare un intervento così!” rispose Lenn decidendo di chiudere definitivamente gli occhi.

“Non possiamo neanche rischiare che muoia, altrimenti addio Terza Tappa” s’impuntò la ragazza.

“È il mago più potente della storia Merlìha” le rispose paziente l’altro passandosi il pollice e l’indice sulle palpebre.

“Ma non mi sembra intenzionato a usare la magia!” continuò la guardiana.

“Fate silenzio, tutti e due” intervenne Gabriel.

“Ma fratello, Merlino è in pericolo” rispose Merlìha per nulla intimorita.

“Userà la magia per difendersi!” difese la sua tesi Lenn.

“Non è in pericolo e non userà la magia” rispose a entrambi Gabriel alzandosi e avvicinandosi al televisore.

“Osservate” disse con un cenno del capo.

Gli altri due si misero sull’attenti, osservando con attenzione lo schermo.

“Ma chi è quello?” domandò Merlìha.

“Un altro tassello della storia, sorella!” rispose il guardiano.

“Andiamo! L’entrata in scena di costui necessita un’osservazione più accurata!” esclamò, indossando il suo mantello e uscendo dalla stanza.

Lenn si alzò dal divano scacciando un ultimo sbadiglio e sorridendo divertito.

L’entrata in scena di Lancillotto gli aveva fatto passare completamente il sonno.
 

***
 

“La ferita è superficiale. La febbre passerà ed entro domattina starà meglio” parlò l’anziano medico, rassicurando il giovane ragazzo seduto accanto a lui e tamponando con una pezza bagnata la fronte dell’uomo steso sul letto.
 

“Avrebbe potuto aiutare il futuro cavaliere utilizzando la magia!” parlò una delle tre figure nella stanza.

“È una fortuna che sia intervenuto Lancillotto” parlò quella con le fattezze di donna.

“Non è stata una fortuna sorella, e non sarebbe potuto intervenire con la sua magia” rispose la terza figura.

“Che vuoi dire Gabriel?” domandò allora l’altro.

“L’entrata in scena di Lancillotto non sarebbe potuta avvenire in modo casuale. Si tratta del cavaliere più nobile, a cui il mago sarà più legato. Era necessario che instaurassero da subito un legame di fiducia” si spiegò.

“Vuoi dire che hai mandato appositamente una bestia magica ad attaccare il ragazzo?” domandò Merlìha sgranando gli occhi.

“Quella bestia ronzava in giro già da un po’!” si spiegò il guardiano.

“L’ho solo indirizzata verso il Mago proprio quando Lancillotto era nei paraggi” concluse indifferente.

“Così il cavaliere ha dimostrato immediatamente al Mago la sua nobiltà d’animo” intervenne Lenn.

“Ma perché non sarebbe potuto intervenire con la magia?” domandò ancora.

“Perché quella bestia necessita di un incantesimo particolare, che il Mago ancora non conosce. Anche se avesse utilizzato la poca magia che conosce, non avrebbe sortito alcun effetto sulla creatura” spiegò noncurante.

“Hai rinforzato il corpo di quella bestia, Gabriel!” esclamò Merlìha indignata.

“Era necessario, sorella!” si alterò il Guardiano.

“La magia di Merlino è primitiva ed è ancora agli albori. Il nostro compito non è solo quello di curare la sua storia, ma anche farlo crescere fino a farlo diventare il Mago più potente di tutti i tempi e le dimensioni” concluse incrociando le braccia.

“Inoltre, in questo modo si è subito fidato istintivamente di Lancillotto che, da parte sua, subirà inconsciamente l’influenza buona del Mago e si fiderà a sua volta” considerò Lenn osservando ora il cavaliere, ora il mago.


“Appunto! Lancillotto è il più nobile di tutti i cavalieri che lo circonderanno e noi dobbiamo fare in modo che non macchi la sua dignità come è avvenuto nelle altre storie” chiarì Gabriel.

“Il tradimento avverrà, lo sai fratello!” s’intromise Merlìha.

“Tutto a suo tempo, sorella!” concluse criptico.

“Andiamo!” aggiunse poi.

Lì, per il momento, non avevano più nulla da fare.
 

***
 

“E così, Lancillotto ha scoperto che Merlino è un mago” esclamò pensieroso Lenn, portando le mani sotto il mento e osservando lo schermo con interesse.

“A che serve, se sta andando via?” domandò Merlìha, osservando il cavaliere lasciare Camelot.

“Tornerà sorella” parlò Gabriel accavallando le gambe.

“È il suo destino stare al servizio del più grande mago di tutti i tempi. Un destino a cui non può scappare.

Quando tornerà e diventerà cavaliere, perché lo diventerà, servirà Artù; ma così facendo, non farà altro che servire Merlino” concluse.

“Tra l’altro, anche Artù è rimasto favorevolmente impressionato da Lancillotto!” disse Merlìha.

“Beh, questo era scontato!” aggiunse Lenn con un sorriso.

“Che vuoi dire?” domandò Merlìha.

“Voglio dire che il legame tra Merlino è Artù si è già formato, anche se loro non lo sanno. Ogni persona emette una sua energia che non può ovviamente essere avvertita dagli altri in maniera palese. Tuttavia, gli esseri umani hanno comunque delle sensazioni, quello che loro chiamano istinto, che li porta a fidarsi o meno di una determinata persona” spiegò paziente Lenn.

“Sono due parti di una stessa anima, sorella” intervenne Gabriel.

“È normale che se Merlino si è istintivamente fidato di Lancillotto, allora anche Artù, che è inconsciamente attratto da Merlino, si è fidato a sua volta del cavaliere” concluse.

“Che intendi con attratto? Non mi sembra che il loro atteggiamento vada oltre l’amicizia. E poi, che c’entra l’energia che emanano le persone?” domandò Merlìha con un cipiglio perplesso.

“C’entra sorella, se parliamo del più grande mago di tutti i tempi. Ti sei mai chiesta perché, in ogni tempo e in ogni luogo, ogni persona è stata soggiogata dal fascino di Merlino?”.

“Perché è un mago potente?” domandò Merlìha a sua volta.

“Anche, ma non solo!” intervenne Lenn.

“Come ho detto prima, ogni persona emana un tipo di energia. Nel caso di Merlino, che racchiude in se tutta la magia, allora quest’energia viene istintivamente avvertita da tutti. Nel tempo che noi guidiamo poi, il male è completamente assente dal suo animo. E ovvio che quindi, tutti quelli che lo circondano, si fidino inconsciamente di lui”.

“Se poi parliamo di Artù, allora il discorso è particolarmente calzante” intervenne Gabriel.

“L’anima del futuro Re sente il richiamo della sua metà e lo cerca inconsciamente, anche se è destinata a ricongiungersi alla sua parte mancante non nel secolo in cui vive attualmente”.

“Sarà per questo che Artù sposerà Ginevra!” aggiunse Lenn.

“Non mi sembra che la ragazza sia particolarmente ben intenzionata nei confronti di Artù!” esclamò Merlìha.

“Certo che no, neanche il principe la considera attualmente!” le rispose Lenn.

“E allora?” domandò Merlìha.

“E allora, sorella” si spazientì Gabriel, “Merlino è un buon amico di Ginevra. Quando, più in là la loro amicizia si fortificherà, anche Artù, che subisce le vibrazioni di Merlino, non potrà fare a meno di vederla come qualcosa di più di una serva. Se poi Merlino lo incoraggerà, allora il Principe non avrà scelta”.

“Tra l’altro, voglio sottolineare che anche la strega sembra subire l’influenza di Merlino. Credo che il suo passaggio al male sia notevolmente ritardato” aggiunse Lenn.

“Sì, ma perché Merlino insiste nel far diventare Ginevra regina? In fondo, è del suo Principe che parliamo!” intervenne Merlìha che non aveva nessuna intenzione di cambiare argomento.

“Vedi Merlìha, Merlino rappresenta il bene” spiegò Lenn.

“Non ti seguo!” s’impuntò la ragazza.

“Se rappresenta il bene, ama universalmente tutti sorella” sbottò Gabriel.

“È normale che non si renda conto di essere innamorato del suo Re. Per lui conta solo il grande scopo, cioè Albion”.

“Sarà, infatti, compito nostro fargli capire dove volge il suo animo quando arriverà nel ventesimo secolo” chiarì Lenn.

“Il problema per Artù, invece, non si pone. Nel momento in cui tornerà, cercherà solo la sua metà.
Non essendo poi a stretto contatto con il Mago, non da subito almeno, riuscirà a vedere finalmente il suo amore per Ginevra per quello che realmente è: solo un grande affetto”.

“Tra l’altro, qui si pone un altro problema!” aggiunse Lenn.

“Cioè?” domandò Gabriel.

“La Terza Tappa, ragazzi” chiarì Lenn.

“Beh, abbiamo tempo” disse noncurante Merlìha.

“Una volta tanto, sono d’accordo con te sorella” parlò Gabriel.

“Dovremo scegliere bene la persona che risiederà ad Avalon” aggiunse Lenn pensieroso.

“Fossi in te, non mi preoccuperei. L’uomo si sta muovendo da solo e sono certo che non avremo problemi quando ci troveremo a dover affidare il potere di Avalon alla Dama”.

“Che però, non sappiamo ancora chi è, visto che dobbiamo sceglierla noi” intervenne Merlìha.

“Ripeto, è ancora troppo presto. Il Mago deve superare ancora altre prove prima di potersi avvicinare a colei che risiederà ad Avalon. Prove che supererà con l’aiuto del grande Drago”.

“Fammi indovinare: il Grifone è stato solo l’inizio” sorrise Lenn.

“Esattamente” concluse Gabriel, senza però aggiungere altro.

Osservò gli occhi azzurri del ragazzo che comparivano nello schermo.

Molte erano le prove che avrebbero dovuto affrontare quegli occhi che, presto o tardi, si sarebbero velati di lacrime.

La strada verso Albion era più lunga di quanto tutti, compreso il Mago, potessero anche solo immaginare.
 

Continua…
 

Note:

Questo capitolo, mi è servito più che altro come preparazione per quelli che saranno ambientati nel futuro.

Ho dato una mia spiegazione del rapporto Merlino – Ginevra – Artù che vediamo nel telefilm.

Inoltre, faccio anche capire perché, secondo la mia storia, nel futuro Artù non penserà minimamente alla sua regina, ma cercherà solo ed esclusivamente il Mago.

E poi, ho provato a spiegare perché, a Camelot Merlino vede solo Ginevra come regina non accorgendosi minimamente del legame che lo lega ad Artù.

Spero di aver fatto un buon lavoro e di non avervi annoiato.

Nel prossimo capitolo, andremo direttamente ad Avalon!

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate!

Alla prossima.

Pandora86

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. La Terza Tappa ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Mi scuso per l’immenso ritardo...
Ringrazio tutti per le bellissime recensioni e chi continua a inserire la storia tra le preferite, seguite e ricordate.
Grazie mille!
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 

Capitolo 7. La Terza Tappa

 

“Oramai è un anno, in tempi umani, che Merlino è a Camelot, giusto?” domandò Lenn all’altro guardiano.

Non era mai stato una cima nel calcolo temporale che differenziava il loro tempo e quello degli esseri umani.

Gabriel era sicuramente più portato, per carattere, a simili calcoli di precisione.

“All’incirca sì, mese più, mese meno” rispose il diretto interessato.

Erano tutti e tre seduti nelle stanze di Lenn.

La Terza Tappa era imminente e occorreva fare un punto della situazione.

“Dunque, vediamo un po’ di fare un sunto! Quali sono i punti che ci interessano, e i cambiamenti avvenuti in questo lasso di tempo?” domandò ancora Lenn agli altri due.

“Sicuramente, c’è stato un cambiamento fra Artù e Ginevra!” disse Merlìha sfogliando il suo diario.

Aveva avuto un’idea eccellente.

Prendendo spunto dai diari degli adolescenti del ventesimo secolo, si era premurata personalmente di scrivere la storia di Artù e Merlino sotto forma di diario, dando un titolo per ogni avvenimento importante.

Gabriel aveva approvato senza commentare dato che, se la loro missione fosse andata a buon fine, quel diario sarebbe diventato storia a tutti gli effetti.

“Il cambiamento c’è stato però grazie a Merlino, proprio come tu avevi previsto, fratello!” continuò la ragazza sfogliando le pagine.

“Che razza di titolo è?” domandò Lenn gettando un’occhiata veloce sul diario della guardiana e non riuscendo a trattenersi.

“Perché? Cosa ha che non va?” domandò innocentemente la ragazza.

“La regina del passato e del futuro?” domandò ancora Lenn.

“Loro nel futuro non staranno insieme!” non poté fare a meno di dire.

“Sì, ma questo è un futuro che ancora si deve realizzare. Nelle leggende del ventesimo secolo Ginevra è ancora regina. E poi, questo titolo era più romantico!” difese la sua tesi la ragazza.

“Non eri tu che tifavi per Merlino e Artù?” la pungolò ancora Lenn.

“Infatti!” sbottò Merlìha.

“Tuttavia, questo è il primo titolo che mi è venuto in mente” rispose piccata.

“Mah…” sbuffò Lenn restituendole il diario.

“Dicevamo, finalmente Artù inizia a vedere Ginevra sotto una luce diversa!” continuò.

“Però la ragazza pensa ancora a Lancillotto! Il loro ultimo incontro l’ha messa in crisi!” continuò Merlìha continuando a girare le pagine e soffermandosi sul capitolo da lei intitolato ‘Lancillotto&Ginevra’”.

“Ma il cavaliere, dimostrando nobiltà, si è fatto da parte!” costatò Lenn.

“Lei d’altronde” intervenne Gabriel per la prima volta, “sentendo le vibrazioni positive di Merlino verso il principe, presto o tardi, finirà per dimenticare il cavaliere”.

“In pratica, l’energia di Merlino è talmente potente da riuscire a separare anche due anime destinate a stare insieme” rifletté Lenn.

“Questo spiegherebbe perché, in ogni tempo, Ginevra sale al trono” concluse pensieroso.

Il potere del ragazzo e la sua influenza sulle altre persone apparivano sconcertanti per certi versi.

“Beh, non lo fa volutamente” ci tenne a specificare Gabriel.

“Che vuoi dire?” domandò Merlìha.

“Voglio dire che lui non sa di condizionare le persone quando vuole qualcosa o quando si rivolge a qualcuno. È questo il suo vero potere. D’altro canto, se lo sapesse non sarebbe così efficace” le rispose il fratello.

“Quindi, dell’ascesa di Ginevra al trono non dobbiamo preoccuparci” riassunse Lenn.

“In un modo o in un altro, sarà il Mago a occuparsene”.

“Esattamente!” approvò Gabriel.

"È triste però che Ginevra e Lancillotto debbano essere separati” costatò Merlìha.

“In fondo, anche loro sono due facce di una stessa medaglia” concluse giocando con i suoi riccioli.

“Non è detto che non debbano stare insieme!” rispose Gabriel.

“Parli del tradimento?” domandò la sorella.

“Parlo del futuro!” rispose deciso il guardiano.

A quelle parole Lenn alzò lo sguardo.


“Prevedi un loro ritorno?” domandò curioso.

“Non vedo perché no! Il Mago, in futuro, potrebbe aver bisogno di aiuto, e Lancillotto è la persona ideale. D’altro canto, la Dama del Lago potrà occuparsi anche di loro” spiegò senza nessuna inflessione particolare nella voce.

“In pratica stai dicendo che, visto che creeremo un portale, tanto vale utilizzarlo anche per gli altri piuttosto che esclusivamente per Artù” riassunse in maniera spicciola Lenn.

“In pratica, sì!” rispose sicuro il guardiano.

“Comunque, ci sono altri punti sui quali vorrei riportare la vostra attenzione” si rivolse agli altri due.

“Ok, spara!” esclamò Merlìha.

Gabriel la osservò per qualche istante, prima di scegliere di non commentare sulle espressioni della sorella.

Adorava parlare come un’adolescente del ventesimo secolo e, finché erano nel loro mondo, poteva farlo quanto voleva.

Il problema si sarebbe presentato nel caso in cui fossero dovuti intervenire nel secolo di cui si occupavano, interagendo quindi con gli abitanti dell’epoca.

Fortunatamente, fino a quel momento, non erano mai intervenuti e questo era uno dei tanti punti a loro favore.

“Innanzitutto, dell’influenza oramai palese che ha Merlino sul principe. Parlo del capitolo da te intitolato ‘Le colpe del padre’”.

“È vero” convenne Lenn. “Il principe da più ascolto a Merlino che a chiunque altro”.

“Dobbiamo convenire che il Mago, nonostante la sua lingua biforcuta e la sua stupidità, sta iniziando ad agire saggiamente” approvò Gabriel.

“Questo significa che la sua saggezza decantata nei secoli, sta iniziando a prendere forma!” parlò Merlìha.

"È stata un’ottima idea quella di farli crescere insieme” approvò la ragazza con un sorriso.

“E poi” continuò Gabriel, “su come il principe sia disposto ad andare contro il padre per salvare Merino”.
“Intendi nel capitolo che ho intitolato ‘La bella&La bestia’” esclamò Merlìha.

“Esattamente!” le confermò il fratello.

“Sei proprio fissata per le favole del ventesimo secolo, eh?” sorrise Lenn e Merlìha, di rimando, gli fece una linguaccia.

“Soffermiamoci sul fatto che Artù era pronto a far scappare Merlino accusato di furto, andando contro il volere del padre, non sapendo neanche se Merlino fosse innocente o colpevole” ci tenne a precisare Lenn.

“È proprio questo quello che intendevo. Se quindi teniamo conto di questi fatti, allora direi che i tempi sono giunti. Merlino è pronto per entrare in contatto con Avalon e con la Dama che risiederà nel lago” concluse Gabriel.

“Non ne sono sicura!” intervenne Merlìha.

“L’atteggiamento di Artù è ancora scostante verso la magia”.

“E lo sarà per tutta la sua vita a Camelot, sorella!” esclamò Gabriel.

“Che vuoi dire?”

“Voglio dire che, probabilmente, solo in punto di morte Artù conoscerà veramente Merlino per quello che è. A Camelot, non è pronto spiritualmente per affiancare il mago.
Nel futuro invece, dopo che la sua anima sarà stata istruita e custodita dalla Dama, non avrà nessuna opinione malvagia sulla magia” concluse accavallando le gambe.

“È quindi destino che in questa vita la magia crei un divario tra loro” afferrò il concetto sua sorella.

“Non è solo destino, ma è necessario. Altrimenti Ginevra non salirà mai al trono!” le specificò il
fratello.

“Scommetto, infatti, buona parte del mio potere che quando Artù, in punto di morte, conoscerà la vera essenza del mago, nessun pensiero andrà alla sua regina” concluse con un sorriso furbo.

“Giusto!” gli diede ragione Lenn.

“Il principe riesce a stare apparentemente lontano da Merlino perché non è a conoscenza della sua vera natura, almeno per come abbiamo orchestrato il tutto. È una cosa necessaria dato che non ci sono anni di differenza a dividerli. Avendo la stessa età, per l’anima del principe sarebbe impossibile resistere al richiamo della sua metà, se fosse a conoscenza della sua vera natura!”.

“E se le loro anime si ricongiungessero in questo secolo, sarebbe un vero sfacelo” afferrò il concetto Merlìha.

“D’altro canto, gli altri guardiani non hanno mai avuto di questi problemi” continuò la ragazza giocando con uno dei suoi riccioli.

“Non si sono certo dovuti preoccupare di tenere separati due ragazzi. Merlino e Artù avevano sempre troppi anni a dividerli. Inoltre, non hanno mai fatto nascere una vera amicizia basata sul rispetto reciproco, come invece abbiamo fatto noi” terminò pensierosa.

“Perché non hanno mai afferrato veramente il nocciolo della questione, cioè il legame tra Artù e Merlino” le chiarì il fratello.

“Noi invece abbiamo centrato il punto, dando alle loro anime la possibilità di ricongiungersi. Certo, non subito, ma almeno sappiamo che tutto finirà bene, prima o poi!” concluse Lenn.

“Direi quindi che possiamo procedere con la Terza Tappa” arrivò al dunque Gabriel.

“Sarà quindi lei, la ragazza druido che è stata maledetta?” domandò Lenn.

“Al momento, non vedo persona più adatta per adempiere il ruolo” gli diede conferma Gabriel.

“È perfetta sotto ogni punto di vista e soddisfa tutti i requisiti. Ha un profondo legame con il Mago, anche se instaurato da poche ore. Il Mago si è legato molto a lei, confondendo tra l’altro i sentimenti di protezione che prova per la ragazza con quelli di un affetto più profondo, e inoltre dovrà necessariamente sparire dalla storia visto che il ragazzo è talmente confuso da rischiare di lasciare Camelot per proteggerla a vita!” concluse spiccio il guardiano.

“La tua mancanza di tatto, Gabriel, è veramente qualcosa di sconcertante!” fece una smorfia la sorella.

“La mia è solo un’analisi oggettiva, Merlìha” la riprese il fratello piccato. “Non possiamo sempre abbellire il discorso con inutili frasi sdolcinate” concluse velenoso.

“Va bene, ragazzi” intervenne Lenn. “direi che è ora di andare!”.
 

***
 

Un ragazzo osservava una barca allontanarsi.

I suoi occhi divennero dorati per un attimo e la barca prese fuoco.

Un altro pezzo che andava via.

Un’altra mancanza a cui il ragazzo aveva dovuto assistere.

Da quando era a Camelot, aveva visto molte persone morire ma mai dolore era stato grande come in quel momento.

Un ultimo saluto, un ultimo sguardo e poi l’addio finale.

Un addio che avrebbe dovuto celare, così come il dolore che esso comportava.

Tutto doveva essere celato a Camelot, tutto doveva essere nascosto.

Per molti anni sarebbe stato ancora così.

Erano questi i pensieri con i quali il ragazzo si allontanò.

Le tre figure che gli erano accanto, lo guardarono allontanarsi in religioso silenzio.

Era venuto il momento di agire.

Avrebbero potuto agire anche prima in realtà, ma per loro i minuti erano poco importanti e avevano preferito che il ragazzo di cui stavano avendo cura si allontanasse.

Era una perdita, un momento di lutto che andava rispettato.

Tuttavia, ora la storia doveva procedere.

“È giunto il momento” parlò la più alta delle tre.

I suoi occhi divennero d’oro e il tempo, come era avvenuto anni prima in tempi umani, si fermò.

Le tre figure si levarono in aria avvicinandosi alla barca, che aveva interrotto il suo cammino sulle acque verso l’orizzonte.

Le fiamme che la circondavano erano immobili.

Il corpo all’interno era quasi del tutto bruciato.

“Come intendi procedere fratello?” domandò la ragazza.

Erano, infatti, molti i modi in cui agire.

Per i tre guardiani non era un problema ridare una vita o toglierla.

Non era un problema ridare la stessa composizione chimica a un corpo bruciato.

Nel momento in cui una persona moriva, il tempo smetteva di scorrere in essa.

Per loro, che controllavano il tempo assoluto, la vita e la morte erano dettagli.

“Lo vedrai, sorella” rispose sicuro il guardiano.

Estrasse una boccetta dal suo mantello e, dopo un attimo, il corpo si dissolse in polvere.

Non c’era vento eppure la polvere si sollevò in aria ruotando e ondeggiando fino a entrare nella boccetta.

“Ora possiamo andare” disse ancora il guardiano e il tempo riprese a scorrere.
Le fiamme che consumavano la barca ripresero la loro danza ondeggiante.

Nulla era cambiato in apparenza per gli occhi degli esseri umani.

Solo una differenza: la barca adesso era completamente vuota.
 

***
 

“Quando avevi detto che qualcuno sarebbe dovuto morire per essere la Dama del Lago, non avevo
capito intendessi questo, Gabriel” esclamò Merlìha con un sorriso, guardando la ragazza addormentata sul divano.

Un tempo il suo nome era Freya; un tempo era stata un essere umano, una druida.

Ora era invece rinata a nuova vita con una nuova essenza.

“Non avevo in mente questo fin dall’inizio” ci tenne a precisare il diretto interessato.

“Ma visto che la sua vita era inutile e miserabile, ho pensato che almeno potesse rendersi utile” continuò con tono neutro.

“Chiamatemi quando si sveglia!” concluse prima di uscire dalla stanza.

Merlìha e Lenn lo seguirono con un sorriso stampato in volto.

Non contava quanto fossero acide le sue parole e bruschi i suoi modi.

Gabriel aveva un grande cuore, per quanto lui stesso ci tenesse a nasconderlo.

La sua freddezza era in parte generata dalla sua grande sensibilità ed empatia verso tutti, non solo verso il genere umano.

La prova era la ragazza addormentata sul divano.

Una ragazza che aveva avuto una vita spoglia e miserabile.

Una ragazza maledetta, destinata, prima o poi, a morire.

La sua morte era avvenuta dopo essere entrata, seppur per poche ore, nella storia del più grande Mago di tutti i tempi.

Era bastato questo a far decidere i Guardiani che lei sarebbe stata la prescelta.

Eppure, colui che l’aveva scelta non si era limitato solo a questo.

Gabriel avrebbe, infatti, potuto farla vivere sotto forma di essenza.

Avrebbe potuto farla essere solo un’anima legata alla vita terrena tramite il suo potere, del tutto priva di emozioni e sentimenti.

Invece no; aveva riscattato la sua intera vita ricomponendo il suo corpo e donando a esso un nuovo potere.

Sarebbe tornata in vita come regina del portale di Avalon e avrebbe avuto un regno.

Avrebbe vissuto in eterno fino alla fine dei tempi e sarebbe passata alla storia per la sua saggezza e per la sua bontà.

Avrebbe avuto accesso al regno dei Guardiani come loro intermediaria, aiutandoli a guidare la più grande storia che un uomo avesse mai visto.

Avrebbe potuto mescolarsi ai mortali vivendo a suo piacimento la nuova vita, non dimenticando però il grande compito che avrebbe assolto.

Il suo corpo sarebbe stato il portale.

Il suo regno sarebbe stato l’infinito.

Il suo compito sarebbe stato quello di avere cura dell’anima di Artù assieme alle altre anime predestinate al ritorno e guidare le creature magiche di Avalon.

Merlìha accarezzò la fronte della ragazza con dolcezza.

Una nuova vita le si parava dinanzi.

Nessuna traccia della maledizione che l’aveva colpita era in lei.

Suo fratello aveva un cuore d’oro.
 

***
 

La ragazza aprì gli occhi chiudendoli immediatamente dopo a causa della luce che filtrava dalla finestra.

Li riaprì guardando il soffitto.

Dov’era?

L’ultima cosa che ricordava era un lago e due occhi azzurro cielo.

Merlino.

Il giovane mago che l’aveva aiutata.

Ma lei perché era in quel posto?

Ricordava di stare per morire.

Che il giovane mago fosse riuscito a salvarla?


No!

Ricordava il suo volto triste.

Come ricordava con certezza di essere morta.

Ma allora, dov’era?

E perché si sentiva così bene?

Si guardò intorno notando, solo in quel momento, la presenza di tre figure nella stanza.

Immobili e silenziose, la guardavano attentamente.

Non sapeva chi fossero, eppure sentiva istintivamente di non doverli temere.

Gli anni vissuti nel corpo di una bestia orrenda avevano acuito i suoi sensi, così come la percezione dei pericoli.

La maledizione… perché non la sentiva più dentro il suo corpo?

Guardò nuovamente le figure.

Due ragazzi e una ragazza con degli strani abiti addosso.

Tutti e tre dai lineamenti bellissimi.

Avrebbe voluto parlare ma non sapeva cosa dire.

Chi siete?

Dove sono?

Cosa è successo?

Troppe erano le domande che le ronzavano in testa.

La ragazza sembrò capire il suo sforzo perché le si avvicinò sedendosi accanto a lei.

“Non devi sforzarti. Hai bisogno di riposare” parlò con voce dolce.

“Tutto ti sarà chiaro più avanti. Sappi solo che sei a casa!”.

Freya vide i suoi occhi tingersi d’oro e sentì le sue palpebre divenire pesanti.

Era a casa.

Sapeva che quella era la verità.

Un sorriso sereno accompagnò il suo sonno.

Era a casa.

Questo fu il pensiero che generò il sorriso sul suo volto, prima che cadesse nuovamente addormentata.

Merlìha la guardò con dolcezza.

“Dovrà essere ben riposata prima di conoscere tutta la storia”.

“Storia che, ovviamente, narrerai tu, sorella” ci tenne a puntualizzare Gabriel con tono scocciato.

“Sì, non c’è problema” annuì Merlìha.

“Solo una domanda; quello che abbiamo fatto viene contato come intervento?”.

“No” le rispose sicuro il fratello.

“Questo perché la scelta della Dama del Lago coincide con la Terza Tappa”.

“Capisco” rifletté Merlìha.

“Quindi questi significa che siamo arrivati alla Terza Tappa con un solo intervento, in altre parole quando abbiamo agito sull’animo del Mago” intervenne Lenn con un sorriso.

“Proprio così!” confermò Gabriel con un accenno di sorriso.

La missione procedeva spedita e tutto stava andando bene.

“Un altro punto a nostro favore” esultò Merlìha. “Alla faccia di quei vecchi bacucchi dei Saggi” sogghignò.

“Nessuno è mai riuscito a gestire una storia così importante con così pochi interventi” parlò ancora Lenn.

“Questo vuol dire che non solo il Mago, ma anche noi siamo destinati a diventare leggenda” concluse.

“Dobbiamo ancora finire la storia” lì smontò Gabriel.

“Comunque, come ho già detto, non ho intenzione di fallire”.

“Ci rimane solo un’altra tappa a questo punto” esclamò Lenn pensieroso.

“Due, se consideri la salita di Ginevra al trono” ci tenne a precisare Gabriel.

“Beh, quello non mi preoccupa” rispose l’altro guardiano.

“Ma l’ultima tappa sì, invece!” concluse.

“Sarà dura affrontarla” intervenne Merlìha.

“Beh, è inutile preoccuparcene ora. Tutto a suo tempo!” mise fine al discorso Gabriel.

L’ultima tappa preoccupava anche lui, ma era inutile fasciarsi la testa prima di rompersela.

Quel giorno, avevano portato a termine un importante traguardo con la nascita della Dama del Lago.

Era inutile pensare in maniera funesta quando potevano festeggiare quella grande vittoria.

Tuttavia, nonostante le sue parole e il suo pensare in maniera razionale, non poté impedire alla preoccupazione di prendere il sopravvento se pensava che oramai la storia era agli sgoccioli.
 

Continua…
 


Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Come vedete, la storia a Camelot è quasi finita.

Spero che vi sia piaciuto il nuovo ruolo che ho dato a Freya.

La sua posizione è stata volutamente accennata. Nei capitoli più avanti sarà chiarito meglio il suo ruolo e la sua nuova vita.

Nel prossimo capitolo succederà qualcosa che i Guardiani non si aspettano e li vedremo intervenire per fronteggiare un imprevisto.

Mi scuso ancora per tutto il tempo passato tra un capitolo e un altro; non temete il prossimo arriverà a breve dato che è già scritto in buona parte.

Come sempre, attendo i vostri pareri.

Alla prossima.

Pandora86

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. Intervento ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come il solito, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 

Capitolo 8. Intervento
 

“Quindi, Morgana è definitivamente passata al male?”.

“Sapevamo che sarebbe avvenuto, Merlìha” rispose Lenn con uno sbadiglio.

“Beh, allora l’influenza del Mago non è stata granché” s’imbronciò la ragazza incrociando le braccia.

Lenn la guardò con un sospiro.

In ogni storia c’erano un buono e un cattivo.

La storia che loro stavano guidando non faceva eccezione alcuna.

Eppure, Merlìha, da inguaribile romantica, sperava sempre che gli uomini scegliessero il bene.

In particolare, aveva sperato che l’amicizia della strega con il mago avrebbe evitato il passaggio della stessa al male.

Tuttavia, questo era impossibile e Merlìha lo sapeva bene.

Come sapeva che era la prima volta che avveniva un passaggio al male da parte di Morgana così lento.

Benché l’energia positiva di Merlino avesse ritardato questo momento, loro, più degli altri, sapevano che prima o poi il cuore della strega avrebbe scelto il male visto e considerato che, circa vent’anni prima in tempi umani, avevano sentito quanto il suo cuore fosse malvagio nonostante fosse ancora nel grembo materno.

Era bastato un anno di lontananza dal mago e Morgana era divenuta quella che era destinata a essere: la più grande avversaria di Merlino ai tempi di Camelot.

Tutto stava andando come doveva andare e la fine, di quella parte di storia, si avvicinava inesorabile.

Storia che loro avrebbero guidato non solo fino alla caduta di Camelot, ma fino alla fine dei tempi.

L’insistente bussare alla porta lo distolse dai suoi pensieri.

Di sicuro era Gabriel e di sicuro presto quelle ore tediose si sarebbero riempite con qualcosa di interessante da fare, dato che era il turno del taciturno Guardiano tenere d’occhio Camelot, e se veniva a bussare nelle stanze della sorella durante l’ora dell’osservazione allora qualcosa di interessante lo aveva smosso.

“Suvvia Gabriel, come sei formale” lo riprese Merlìha con ironia aprendogli la porta. “Non c’è bisogno di bussare così tanto”.

“Si chiama buona educazione, sorella!” la riprese, pungente, il guardiano.

Lenn lo osservò vestito di tutto punto con un sorriso.

Finalmente il pomeriggio si movimentava.

“Suppongo che dobbiamo andare a Camelot” disse, afferrando il suo mantello.

“Supponi bene” gli diede ragione Gabriel.

“A quanto pare, Merlino e Artù sono in missione nei pressi della caverna di cristallo”.

“Quindi è giunto il momento, per il mago, di entrare in contatto con i cristalli” affermò Lenn.

“È inevitabile, visto e considerato che è da lì che proviene l’anello che indosserà in futuro” disse Gabriel osservando, di sfuggita, l’anello che indossava alla mano destra.

“Che cosa sappiamo di quella caverna?” domandò Merlìha allacciando il suo mantello.

“Per gli esseri umani di quel tempo, è la fonte della nascita della magia” incominciò Lenn.

“Noi invece sappiamo che non è propriamente così” s’intromise Gabriel.

“Infatti” continuò Lenn.

“La magia, essendo uno degli elementi fondamentali di un mondo, nasce con esso. I cristalli, per la loro composizione atomica, non sono altro che dei conduttori. La magia, che è un tipo di energia tanto quanto la luce, quando entra in contatto con un cristallo di quel tipo, reagisce istintivamente.

Di conseguenza, essendo contenuta nel corpo di un mago, questo ha delle visioni, almeno ai tempi di Camelot”concluse.

“Noi invece sappiamo che le proprietà dei cristalli non si fermano a delle semplici visioni. Tuttavia, la magia del tempo di cui ci stiamo occupando è ancora troppo acerba perché sfrutti il potere di una pietra” aggiunse Gabriel.

“In futuro, i maghi e Merlino stesso dovranno lavorare molto sui diversi modi di utilizzare le pietre” aggiunse Lenn pensieroso.

“Per noi invece è diverso” intervenne Merlìha.

“Questo perché il nostro potere è incalcolabile sorella, rispetto a quello degli esseri umani. Le pietre ci vengono date alla nascita come tradizione del nostro mondo e non abbiamo bisogno di imparare a usarle”.

“Merlino però è già entrato in contatto con un cristallo” parlò ancora Merlìha.

“Già, e ha visto il futuro che lui stesso realizzerà dopo le visioni” chiarì Gabriel.

“Che vuoi dire?” domandò scettica la ragazza.

“Voglio dire che le visioni che ha avuto si realizzeranno proprio perché le ha viste”.

“Messa in questo modo, capisco ancora meno!” s’imbronciò la ragazza.

“Vedi Merlìha” cominciò Lenn, “nonostante Merlino contenga tutta la magia dentro di se, ha ancora pochissima esperienza nel padroneggiare il suo potere. Se si trova dinanzi a dei conduttori eccezionali come i cristalli, le pietre stesse avvertono questa incertezza dando a colui che vede delle visioni incerte”.

“Il mago, a questo punto, credendo di vedere un futuro certo, non riuscirà a cancellarle dalla mente e, facendo di tutto per impedire che quello che ha visto si avveri, non farà altro che provocare la cosa opposta” aggiunse Gabriel.

“Dando così vita alla situazione che lui stesso ha cercato di impedire” concluse per lui Lenn.

“L’uomo saggio, infatti, non usa i cristalli per le visioni che riguardano il futuro, per quello ci sono i Veggenti” rifletté Gabriel.
“Se le cose stanno così allora non è prudente far entrare ancora a contatto Merlino e i cristalli” ragionò Merlìha.

“Non è neanche prudente aspettare visto che prima impara a usarli meglio è, considerato che la fine di Artù è vicina” controbatté Gabriel.

“Mica tanto” ci tenne a precisare Merlìha.

“Solo perché nella storia è entrato anche Galvano, non vuol dire che presto Artù debba morire. Ci vuole ancora molto tempo e Ginevra deve ancora salire al trono. Merlino poi deve ancora entrare in contatto con l’acqua di Avalon che, secondo il modo in cui abbiamo orchestrato il tutto, sarà un’ottima risorsa negli attacchi di Morgana”.

“Infatti, il tempo è poco per noi, sorella. Oramai siamo nella parte finale e dobbiamo giocare bene le nostre carte. Per l’acqua di Avalon poi, ho già in mente come fare.  A questo punto della storia, Merlino avrà bisogno di tutto l’aiuto possibile e la Dama del lago sarà ben lieta di aiutarlo”.

“Fammi indovinare; vuoi sfruttare la prova che Artù dovrà affrontare per dimostrare il suo valore al popolo?” domandò Lenn con un sorriso.

“Esattamente!” gli diede conferma Gabriel.

“Indirizzeremo noi le decisioni del principe verso quella che sarà, a tutti gli effetti, una prova per il Mago”.

“E come?” domandò Merlìha aggrottando le sopracciglia.

“Ti dice niente il Re pescatore?” le chiese Gabriel con un mezzo sorriso.

“Che cosa? Ma che c’entra adesso il Re Pescatore? Non entra nella storia quando Artù è già Re?” espresse le sue perplessità la ragazza.

“Stiamo parlando del leggendario re menomato che, a causa delle sue infermità, ha mandato in rovina il regno, chiamato appunto terra desolata. Molti cavalieri, quando Artù diventerà re, partiranno alla ricerca di questo Re per guarirlo ma solo il prescelto potrà farlo” snocciolò tutto di un fiato la ragazza con tono accademico.

“Nelle leggende più comuni” continuò, “si tratta di Parsifal che, tra le altre cose, non è ancora presente nella storia che stiamo guidando” concluse incrociando le braccia.

“Questo è quello che hanno deciso gli altri guardiani. Ma, dato che abbiamo cambiato tutta la storia, compresa la Dama del Lago, perché proprio per il Re Pescatore dovremmo attenerci alla leggenda?” le chiese il fratello iniziando a irritarsi.

“Gabriel ha ragione, Merlìha!” intervenne con calma l’altro guardiano.

“Non ha senso rispettare la leggenda del re pescatore quando possiamo sfruttarla per agevolare la storia di Camelot” cercò di convincerla Lenn.

“Inoltre, come ricompensa per il lavoro svolto, possiamo dargli la morte che tanto desidera” concluse Gabriel.

“E come intendi fare?” s’inalberò la ragazza.

“Un modo lo troveremo!” le rispose il fratello.

“Quindi, secondo il tuo piano, dobbiamo fare visita al Re pescatore presentandoci per quello che siamo?” domandò ancora la guardiana.

“Non vedo altre alternative” sibilò Gabriel.

“E questo non ci costerà come un intervento?” domandò con ironia pungente Merlìha.

“Ovvio che ci costerà come intervento sorella” rispose Gabriel con un tono che annunciava tempesta.

“Ma alcuni interventi sono necessari o speri di poter portare avanti la storia senza nessun intervento?” le domandò perdendo definitivamente le staffe.

“Non dico questo. Dico solo di non sprecarlo in questo modo” rispose ancora più pungente Merlìha.

“Va bene, direi che non è il momento di parlare di questo” intervenne Lenn che aveva seguito quel botta e risposta e decidendo di porvi fine.

“La cosa non mi convince” s’incaponì la ragazza.

“La cosa non mi interessa” le rispose a tono il fratello.

“E adesso, se vogliamo muoverci, direi che è tempo di andare” terminò uscendo dalla stanza.

“Dai Merlìha” provò a consolarla l’altro guardiano. È cambiando i dettagli che, fino a ora, stiamo avendo successo. E, per l’appunto, il re pescatore, è un dettaglio” concluse gentile.

“Sarà” affermò poco convinta decidendo però di raggiungere il fratello.
 

***
 

Due ragazzi correvano per la foresta.

Un principe e il suo servitore per l’appunto che, essendo caduti vittime di un’imboscata, scappavano
per sfuggire ai numerosi banditi che li avevano assaliti.
 

“Andiamo, di qua!” disse il principe afferrando il suo servitore.

“Ma dove stiamo andando?” domandò il ragazzo.

“Fidati!” rispose il principe continuando a correre.
 

I tre guardiani osservavano la scena con occhi attenti.

C’erano molti atteggiamenti interessanti per chi sapeva cosa osservare.

“Avete notato come Artù cerca sempre di mettere in salvo Merlino?” domandò Lenn agli altri due.

“Questo è abbastanza normale!” chiarì Gabriel.

“Il loro legame è sempre più stretto, anche se nessuno dei due se ne rende conto veramente”.

“Si stanno avviando verso la valle dei Re Caduti” ragionò Merlìha.

“Buon per noi, sorella. Non dovremo fare altro che indirizzare Merlino nella caverna dei cristalli con la nostra energia” concluse osservando i due correre.

“Ma Artù non è necessario che entri. Anzi, direi che non è proprio il caso” continuò la ragazza.

“Infatti” le diede ragione il fratello.

“Appena si presenterà l’occasione propizia, faremo in modo che si dividano nella fuga attirando così il mago verso la caverna”.
 

A un certo punto, il servitore si fermò.

“Artù!” chiamò a gran voce.

Osservava con sospetto le due statue enormi che gli stavano dinanzi.

“Che stai facendo?” domandò il principe tornando dietro e afferrandolo.

“Coraggio!” disse poi, continuando a correre.
 

“Ma che gli prende?” domandò Merlìha.

“Non ne ho idea” le rispose Lenn, anch’egli incuriosito dallo strano comportamento del mago.

Quella valle non aveva nulla di sospetto.

Solo Gabriel era rimasto zitto, preferendo non fare nessun commento.
 

Il ragazzo continuò a osservare le statue per qualche istante, decidendo infine di raggiungere il suo principe.
 

“Capisco che non siano il massimo esteticamente, ma perché sembra temerle fino a questo punto?” domandò ancora Merlìha.

“Non teme le statue, ma l’energia che magica che avverte!” le chiarì Gabriel.

“Ma questo posto non ha nulla di magico” precisò la ragazza.

“Merlìha ha ragione. Questa valle, nonostante le leggende che circolano su di essa, non ha proprio niente di sospetto. Che energia potrebbe avvertire?” intervenne Lenn.

“Dalla valle nessuna, infatti” rispose Gabriel.

“L’energia che sente è la nostra” spiegò con sguardo attento.

“Che cosa?” domandò Lenn allibito.

“Ma questo è impossibile” s’incaponì la ragazza.

“Nessun essere umano può sentirci durante le nostre osservazioni.  Merlino non si è mai accorto della nostra presenza, neanche l’ultima volta quando abbiamo dato vita alla Dama del lago”.

“Molte cose sono cambiate da allora, sorella, e, a quanto pare, il Mago comincia a essere più sensibile verso i vari tipi di energia che lo circondano, anche se non sa ancora capire da dove provengano” concluse Gabriel.

“Questo è un dato sorprendente” s’intromise Lenn.

“Se le cose stanno così, da ora in poi dobbiamo stare attenti a come e quando ci muoviamo nel tempo di Camelot” ragionò pensieroso.

“Fossi in te, non mi preoccuperei di questo” rispose Gabriel.

“Perché?” domandò curioso l’altro guardiano.

“Ora Merlino è in una situazione di pericolo, dove i suoi sensi sono all’erta. Dubito che in condizioni normali riesca ad avvertirci”.

“Rimane il fatto che comunque è sorprendente”.

“Sì, lo è” gli confermò l’altro guardiano.

“Andiamo, temo che il principe sia stato colpito!”.
 

***
 

“Non ti sbagliavi, Gabriel. Artù è stato colpito da una freccia” disse Lenn osservando la scena.

“Non ti sbagliavi neanche su quello che hai detto prima. Ora, nonostante siamo a pochi metri da lui, il mago non ci avverte” ragionò Lenn.

“Questo perché adesso è solo preoccupato per la ferità di Artù” precisò Gabriel.

“Beh, possiamo sfruttare la situazione a nostro vantaggio. Una volta che l’avrà guarito, il principe rimarrà incosciente. Noi possiamo farlo entrare in contatto con la caverna in questo lasso di tempo”
sorrise Lenn osservando Merlino preparare un impacco.

“Sì, faremo così” assentì l’altro guardiano.

Tuttavia, le cose non andarono come i Guardiani avevano previsto. 

“Un momento, che succede?” quasi urlò Merlìha, non riuscendo a nascondere una traccia di panico nella voce.

“Dannazione, non riesce a guarirlo!” imprecò Lenn, perdendo la sua proverbiale calma.

“La situazione sta precipitando. Il principe rischia seriamente di morire” urlò stavolta Merlìha.

“Aspetta, forse stavolta ci riesce” disse Lenn osservando Merlino provare, per la seconda volta a guarire il principe.

“Dannazione, concentrati!” imprecò Merlìha.

“Hai tutta la magia dentro di te, non ti serve studiare la guarigione” concluse agitando il pugno verso il mago quasi come se potesse sentirla.

“È troppo sconvolto. Ha perso lucidità” ragionò Lenn vedendo fallire il secondo tentativo.

“Che facciamo, fratello?” domandò Merlìha aggrappandosi al mantello dell’altro.

Gabriel osservava la scena senza sapere che fare. Aveva dato per scontato che la magia di Merlino fosse sufficiente a guarire la ferita del principe, o meglio, che Merlino fosse abbastanza concentrato da guarire quella che, a tutti gli effetti, era una ferita banale.

 Così invece non era e ora Artù rischiava seriamente di morire.

Il mago era troppo sensibile e aveva perso la concentrazione necessaria per quel tipo di incantesimo.

Questo non l’aveva considerato.

Che fare ora per rimediare alla situazione?

“Ho un’idea!” parlò Lenn a un certo punto.

S’incamminò verso il Mago fino a che non fu afferrato per un braccio dalla mano di Gabriel.

Il guardiano si voltò, guardando l’altro negli occhi.

“Ascolta, non abbiamo altro che pochi istanti a meno che non decidiamo di fermare il tempo.
Lasciami fare e fidati!” disse calmo, guardandolo fisso negli occhi.

Gabriel, pochi secondi dopo, lo lasciò andare annuendo con il capo.

Doveva fidarsi; non aveva altra scelta.

Lenn gli sorrise di rimando, prima che i suoi occhi divenissero d’oro.

Il suo aspetto cominciò a mutare.

Divenne più basso e i suoi capelli iniziarono a ingrigire.

Una volta barba andò a coprirgli il viso che aveva completamente cambiato i suoi tratti e riportava i segni di un uomo sulla sessantina.

I suoi abiti mutarono nel colore e nello stile trasformandosi in una lunga tunica.

Gli altri due seguirono la sua metamorfosi capendo che si era reso visibile ai mortali acquistando una consistenza corporea materiale per gli esseri umani.

“Ma che diamine fai?” urlò ancora Merlìha. “Hai completamente perso il senno?”.

Lenn la guardò di sfuggita rivolgendole un sorriso ma non rispondendola.

Con quella consistenza corporea, la sua voce era udibile dagli esseri umani.

Merlìha rivolse uno sguardo interrogativo al fratello che però gli fece cenno di rimanere zitta.

Rivolse un sorriso furbo a Lenn facendogli capire di avere inteso il suo piano.

Lenn allargò il suo sorriso iniziando così a incamminarsi verso il mago.

Gli altri due, non visibili a differenza dell’altro, lo seguirono senza fiatare.
 

Melino era vicino a un ruscello e cercava di lavarsi le mani dal sangue di Artù.

Lenn si avvicinò a lui senza fare rumore.

Ora, doveva concentrarsi al massimo sulle parole da usare e sull’atteggiamento da assumere. Una parola in più, un discorso poco appropriato, avrebbero mandato tutto a rotoli.

“Perché sei triste?” domandò con volto serio al ragazzo che piangeva senza curarsi di nascondere le sue lacrime.

“Il mio amico sta morendo; non posso aiutarlo” parlò Merlino con voce incerta.

“Non sprecare le lacrime, perché ti assicuro che il suo tempo di morire non è ancora arrivato” parlò Lenn con voce rassicurante.

Merlino lo guardò a lungo prima di decidere di condurlo nel luogo in cui riposava Artù.

“Non avere paura” lo rassicurò Lenn sentendo gli occhi pieni di sospetto del ragazzo trapassargli la schiena.

“Il mio nome è Taliesin” sentì in dovere di presentarsi. Gli esseri umani, quando sapevano come chiamare una persona o un oggetto sembrava ne provassero meno timore.

“Non male come idea!” sorrise Merlìha sentendo quel nome.

“Ha sfruttato un personaggio leggendario che si dice risieda nella caverna dei cristalli. Noi sappiamo che non è così, ma quando il mago ne parlerà al suo mentore sarà proprio questa la spiegazione che riceverà” concluse con un sorriso.

Gabriel mugugnò in assenso.

Lenn poteva vederli e sentirli, a differenza del Mago, ma non diede nessun segno di aver colto le parole della ragazza.

Il ragazzo era già spaventato e sospettoso in questo modo, figuriamoci se l’avesse sentito rispondere a qualcuno che lui non poteva vedere.

Inoltre, non era venuto ancora il momento che Merlino li conoscesse per quello che erano, motivo per cui era meglio così.

“Io sono…” cominciò il ragazzo.

“So chi sei” lo interruppe Lenn.

Era opportuno fargli credere che il loro incontro fosse dovuto al destino.

Fu per questo che parlò ancora, avvalorando la sua tesi.

“Il nostro incontro è stato scritto molti anni fa” concluse inginocchiandosi vicino ad Artù.

A quelle parole, sentì il sospetto del Mago scemare e capì di aver fatto bene a fare quella scelta.

Ora doveva solo continuare su quella strada.

“Tu sei Emrys” concluse rassicurandolo del tutto e chiamandolo con il suo nome magico.

In questo modo, Merlino avrebbe capito che chi gli stava di fronte era un essere che faceva parte del suo mondo.

Lenn voltò Artù osservando per un istante la ferita sulla sua spalla.

Era piuttosto banale come guarigione per un mago della potenza di Merlino ma il ragazzo era ancora troppo inesperto per gestire un tale potere.

Poggiò la mano sulla ferità di Artù.

Pronunciò poche parole in una lingua che il mago avrebbe trovato familiare e, dopo che i suoi occhi divennero d’oro, la ferita sparì.

 
“Perché diamine ha fatto tutta questa scena?” sbuffò Merlìha. “Avrebbe potuto guarirlo con un battito di ciglia e senza neanche avvicinarsi”.

“È buona cosa adattarsi al tempo in cui si agisce, sorella” la riprese piuttosto severamente Gabriel.

Merlino era già sospettoso di suo. Figuriamoci se avesse assistito a una guarigione lampo.

Meglio guarire il principe con parole e modi che a lui erano familiari.

Così sarebbe stato più ben intenzionato a quello che sarebbe venuto dopo dato che Gabriel aveva capito che Lenn voleva sfruttare questo personaggio per un doppio scopo.

Primo fra tutti, guarire Artù senza svelare chi fosse.

Poi condurre il mago nel posto deciso, portando così a termine lo scopo che spiegava la loro presenza lì.

Merlìha s’imbronciò senza però rispondere, continuando a osservare.
 

“Ti mostro qualcosa Merlino” continuò Lenn dopo aver rassicurato il mago sulle condizioni del principe.

“Dove stiamo andando?” domandò il mago.

“Aspetta e vedrai” rispose Lenn con un sorriso.

A quel punto e per come stavano andando le cose, la soluzione migliore, per far entrare in contatto il mago e i cristalli, era quella di condurlo lì di persona.

“Perché mi avete portato qui?” domandò dubbioso il ragazzo.

“A tempo debito, saprai tutto” rispose il guardiano accompagnando la sua frase con una risata benevola e invitandolo a entrare.

“Che posto è questo?” domandò il ragazzo, osservando lo scenario che si trovava dinanzi.

Milioni di cristalli scintillanti spuntavano dalle rocce emanando un potere incalcolabile.

I cristalli avvertivano i due grandi poteri con cui erano entrati in contatto emanando bagliori e reagendo di conseguenza.

Lenn, tuttavia, scelse di annullare la sua energia per dare modo al mago di confrontarsi da solo con i cristalli.

Se le pietre avessero avvertito il suo potere, si sarebbero fatte influenzare funzionando così nel modo giusto e Merlino di conseguenza non sarebbe riuscito a rapportarsi a esse.

“Qui è dove è nata la magia: la caverna di cristallo” spiegò Lenn, attenendosi alla versione di quell’epoca.

Era da lì che veniva l’anello che Merlino avrebbe usato in futuro, ed era da cristalli di quel tipo che venivano le pietre che indossavano tutti i guardiani.

Quella versione dei fatti, se vista da quest’ottica, non era propriamente errata.

“Che cosa hai visto?” domandò curioso Lenn osservando il ragazzo voltarsi di scatto verso di lui.

Gabriel e Merlìha osservavano la scena con gli occhi vigili e attenti.

“Immagini, lampi. Ho già visto qualcosa del genere nel cristallo di Neathid” dichiarò Merlino.

“Questo perché il cristallo di Neathid è stato estratto da questa grotta” spiegò Lenn.

“Guarda i cristalli” lo invitò il guardiano “e avrai delle rivelazioni”.

“No!” rispose il ragazzo con fervore. “Portatemi via di qui. Come faccio a tornare da Artù?”

“Il futuro è un mistero, salvo per pochi. Tu sei uno di quei pochi” parlò ancora Lenn sapendo che le pietre gli avrebbero mostrato quello che lui stesso avrebbe provocato dopo la visione.

Era doloroso eppure necessario.

Per imparare a usare i cristalli Merlino doveva iniziare a conoscere la loro natura.

Per dominarli con saggezza questo era un passo necessario.

“No” si rifiutò ancora il ragazzo.

“Io ho già vissuto tutto questo!”.

“Forse c’è un motivo per cui sei stato portato qui in questo momento” gli spiegò Lenn.
 

“Teme i cristalli e la loro energia” rifletté Merlìha osservando il tutto.

“Questo perché i cristalli non sono oggetti magici forgiati dall’uomo sorella, ma eccezionali conduttori formatisi naturalmente dalla terra stessa” spiegò Gabriel continuando a osservare.
 

“E quale sarebbe?” domandò ancora il ragazzo.

“I cristalli lo sanno. Contengono eventi futuri che riveleranno a te soltanto. Usa ciò che vedrai per il bene!” lo ammonì Lenn invitandolo ancora a guardare.

E Merlino osservò.

Osservò per lunghi istanti.

I cristalli erano dappertutto e non c’era modo di impedire che quelle visioni gli si parassero dinanzi.

Morgana, dolore, rabbia, guerra, era questo quello che vedeva.

Fu a quel punto che Lenn decise di scomparire.

Oramai Merlino era entrato in contatto con le pietre.

Il resto sarebbe venuto da se.

“Ma cos’era? Che cos’era?” urlò il ragazzo a un certo punto prostrato dalle visioni dei cristalli a quella che oramai era una caverna vuota.

 
Lenn ritornò al suo aspetto invisibile agli occhi dell’uomo.

“Missione compiuta” affermò rivolto agli altri due.

“Ora possiamo andare” parlò Gabriel rivolgendo un ultimo sguardo al ragazzo inginocchiato.

Loro ora non avevano più nulla da fare in quel posto.

Non restava che attendere e osservare come si sarebbero svolti gli eventi.
 

Continua…
 

Note:

Come avrete notato, ho interrotto il capitolo dopo l’intervento dei guardiani, quindi più o meno a metà puntata.

Questo perché, dato che sappiamo tutti come andrà a finire, ho pensato di incentrare tutta l’attenzione sull’intervento dei guardiani e sui cristalli che sono una parte fondamentale della storia che si svolgerà nel futuro.

Ho anche parlato delle mosse future dei guardiani riguardo al re pescatore facendo capire come intendono muoversi.

Questo perché ho pensato fosse bello inserirli nella prova di Artù senza però dedicare all’avvenimento un intero capitolo in modo da procedere più spediti verso la parte di storia ambientata nel futuro.

Spero che vi sia piaciuto come ho gestito il tutto.

Mi raccomando, fatemi sapere.

Alla prossima.

Pandora86

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. L'ultima Tappa - Prima Parte ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente, chi inserisce la storia tra le preferite, seguite e ricordate.
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
Capitolo 9. L’ultima Tappa – Prima parte.
 

“È tempo!” esclamò Gabriel più serio che mai.

La storia aveva percorso la sua strada.

Artù, in un modo o in un altro, era finalmente salito al trono.

Il Mago e il Re avevano rafforzato il loro legame, e il Mago aveva portato Ginevra al trono senza alcun rimpianto ma anzi, ritenendola la migliore regina per Camelot.

Il legame che aveva verso il suo Re lo avrebbe compreso solo con il passare dei secoli.

Secoli bui che lo avrebbero visto soffrire.

La mancanza lo avrebbe portato a capire fino a che punto il Re fosse una parte mancante della sua anima.

Questi secoli si stavano avvicinando.

La battaglia incombeva.

E Merlino doveva stare al fianco del suo Re, per un’ultima volta in quel tempo.

“Siamo quindi arrivati all’ultima Tappa” parlò Lenn serio.
Gabriel annuì in silenzio.

“D’altro canto, Mordred si è riunito a Morgana” continuò Lenn.

“Sapevamo che nel momento in cui questo sarebbe successo, allora l’ultima Tappa si sarebbe fatta sempre più vicina”.

“Oramai, a Camelot, non deve succedere più nulla di quello che è stato scritto e predetto” parlò Merlìha riferendosi soprattutto al tradimento, avvenuto in maniera così insolita anche per una storia come quella che non rispettava nessun canone.

Il successivo perdono era stato poi opera del Mago che, con la sua influenza positiva, era riuscito a plasmare il cuore del re.

“Oramai Mordred ha rivelato a Morgana la vera identità di Emrys” parlò ancora Lenn.

“Possiamo aspettarci un suo attacco da un momento all’altro” concluse, congiungendo le mani sotto il mento.

“Non credo che di questo dobbiamo preoccuparci” chiarì Gabriel.

“Per quanto Morgana possa aver perfezionato la sua magia, sappiamo che non è nulla in confronto a quella del Mago”.

“Beh, Morgana è comunque una grande avversaria” s’intromise Merlìha.

“Sì, una grande avversaria in questo tempo. Non dimentichiamoci che mentre la strega è arrivata al massimo della sua potenza, grazie alla sorellastra, l’apprendistato del Mago è invece ancora all’inizio” ci tenne a precisare Gabriel.

“Inoltre, per quanto possa attaccare, dubito che riesca a mettere in serio pericolo la vita del Mago” aggiunse pensieroso.

“Ti riferisci a quando ha squarciato il velo fra i due mondi?” chiese Lenn.

“Proprio a quello” gli diede conferma l’altro guardiano.

“Quando Merlino si è letteralmente gettato fra le braccia degli spettri, al contrario dei normali esseri umani, non è morto”.

“La sua magia ha protetto il suo corpo”rifletté Lenn.

“Questo dimostra quindi che, per quanto il suo involucro sia mortale, la sua magia gli assicura una resistenza fuori dal comune sia per gli attacchi magici che non” s’intromise Merlìha.

“Esattamente!” confermò Gabriel.

“D’altro canto, noi dobbiamo comunque recarci di persona a Camelot. Siamo arrivati alla fine e non possiamo rischiare di fallire” aggiunse, più serio che mai.

“Il Re dovrà morire, ma questo non deciderà la fine della storia avendo stabilito la sua morte come Tappa finale” intervenne Lenn.

“Ma non dovrà morire a Camlann o nella battaglia. È questa la condizione essenziale che abbiamo imposto affinché la storia non finisca in questo modo” parlò ancora Gabriel.

“Dovrà morire ad Avalon, affinché la sua anima raggiunga la Dama senza problemi!” confermò Lenn.

“Dopo la sua morte, potremo rivelarci al Mago per quello che siamo?” domandò Merlìha.

“Vedremo poi cosa fare” le rispose Gabriel.

“E ora” aggiunse, “il momento di andare è arrivato”.
 

***
 

“Il Gean Canach è una temibile creatura” parlò Gaius dopo aver trovato quello che cercava in uno dei suoi tanti libri.

 
Nella stanza la tensione era palpabile.

Il giovane Mago non faceva altro che camminare su e giù.

L’anziano medico invece consultava con sguardo cupo il suo volume.

L’ultimo attacco di Morgana era andato a buon fine.
 

I tre guardiani, presenti nella stanza, osservavano la scena con una preoccupazione tangibile.
 

“Questa non ci voleva!” parlò Lenn.

“Morgana è stata furba, ma il suo attacco si è rivelato inutile” ci tenne a chiarire Gabriel.

“Peccato che il ragazzo non se ne sia accorto” intervenne Merlìha.

“È convinto che la sua magia lo abbia abbandonato” aggiunse crucciata.

“Come se questo potesse accadere” le rispose Gabriel con tono annoiato.

“Non concepisce ancora tutta la sua potenza ma è impossibile che la magia lo abbandoni visto che è nato da essa. È destinato a dominare gli elementi di cui è composto il mondo e il suo stesso corpo. È letteralmente impossibile che la magia smetta di scorrere nel suo sangue” concluse con tono impersonale.

“Ma allora come spieghi il fatto che non sia riuscito a lanciare un incantesimo così banale?

Io riesco ad avvertire la sua energia magica eppure lui non riesce più a usarla” domandò Lenn.

“Dimentichi che il Mago è ancora all’inizio del suo apprendistato. La conoscenza dei suoi poteri è infinitesima. Inoltre, nonostante si sia sempre distinto per la sua magia così istintiva, rimane dominato dalla sua mente che rappresenta il suo unico limite, ora come in futuro” chiarì il guardiano.

“In pratica, non potrà fare quello che non vuole fare o quello che si convince di non poter fare” riassunse, in maniera spiccia, Merlìha guadagnandosi un’occhiataccia da parte del fratello.

“Stando così le cose, quando verrà a conoscenza del tipo di creatura che lo ha attaccato, le speranze che riesca a lanciare un incantesimo diventeranno piccolissime” ragionò Lenn.

“E allora? Come risolviamo la faccenda?” domandò pratica Merlìha.

“Confido nelle abilità e nelle conoscenze dell’anziano cerusico” rispose serio Gabriel, volgendo il suo sguardo verso gli altri occupanti della stanza.
 

“Si tratta di una creatura forgiata dalle lacrime della Madre Terra Nemaine” stava intanto continuando l’anziano medico.

“Divora la magia dalle altre creature, prosciugando il loro potere” concluse la sua spiegazione.
 
 

“Ascoltate” disse Gabriel a un certo punto, distogliendo l’attenzione dalle parole di Gaius.

“Morgana e Mordred!” esclamò Lenn.

“Morgana e Mordred che lanciano un incantesimo congiunto” completò per lui Merlìha.

“Che facciamo adesso?” domandò la ragazza, non riuscendo a controllare la rabbia.

“Dobbiamo intervenire!” si rispose da sola, qualche istante dopo.

“E invece no!” la riprese il fratello.

“Sei uscito di senno?” domandò Merlìha sarcastica.

“No, e questa non è la battaglia finale!” rispose Gabriel riservandole il suo tono più acido.

“Gabriel ha ragione, Merlìha!” intervenne Lenn, cercando di sedare gli animi.

“Morgana sta per attaccare ma questo è solo il primo degli attacchi verso Camelot” le spiegò paziente.

“Il regno, per il momento, è in grado di difendersi da solo” concluse con un sorriso.

“Con il Mago in queste condizioni?” domandò scettica la ragazza inarcando un sopracciglio.

“Esattamente, sorella! Il Regno è ben protetto e Merlino ci serve in piena forma per la battaglia finale, non per questo primo attacco. Solo se non riuscirà a recuperare la sua magia per allora, dovremo preoccuparci” concluse, non intenzionato a parlare oltre.

“Vediamo come se la cava Camelot con questo attacco e poi decidiamo cosa fare. Che ne pensi?” parlò Lenn conciliante.

“Mh…” mugugnò la ragazza, assomigliando molto al fratello in quel momento.

“Va bene” acconsentì incrociando le braccia, non rinunciano, però, a lasciare la sua espressione imbronciata.
 

***
 

“Tzè! Tutta questa scena per lanciare semplici palle infuocate” esclamò Gabriel con un’espressione di disgusto, riferendosi alle complicate parole che avevano usato Morgana e Mordred per attaccare una delle cittadine del Regno.

“La prima vera battaglia della Guerra Finale è cominciata!” esclamò Lenn.

“La guarnigione di Stawell è stata attaccata!” parlò Merlìha.

Il punto di osservazione dei Guardiani si era spostato.

Si erano librati nel cielo, a metà fra Morgana e l’intero Regno di Camelot.

In quel modo, avrebbero avuto una visione totale e completa del susseguirsi degli avvenimenti.

Nonostante avessero centinaia di metri a dividerli da suolo, potevano vedere chiaramente ogni singola persona e ogni azione.

Nulla sfuggiva ai loro occhi attenti.

L’intero Regno di Camelot, comprese le cittadine limitrofe che ne facevano parte, era sotto la loro osservazione.

I loro occhi erano d’oro.

I loro mantelli volteggiavano nell’aria.

Le loro espressioni erano serie e concentrate.

La guerra era cominciata.

Ogni tempo ne prevedeva una e quello guidato da loro non faceva eccezione.

Non potevano intervenire, né lo volevano.

Non erano nati per portare la pace ma solo per far rispettare tutti gli equilibri del mondo, e fra questi c’era anche la guerra, essenziale per far esistere la pace.

Il loro compito era quello di assistere, alle cose belle così come a quelle brutte.

Era giunto il momento delle atrocità.

Molti innocenti avrebbero perso la vita.

Molto sangue sarebbe stato versato.

E loro avrebbero guardato.

Guardato e guidato, per quanto possibile, l’uomo affinché l’orrore fosse ridotto al minimo.

Nessuna traccia di ironia nel volto di Merlìha.

Nessuna traccia di pacatezza nel volto di Lenn.

Nessun cipiglio scuro sul volto di Gabriel.

Nessuna traccia delle espressioni, che distinguevano tanto le facce degli esseri umani, poteva essere scorta sui loro volti.

Statue.

Questo sarebbero potuti sembrare.

Statue bellissime, dagli occhi dorati.

In quel momento così importante, nessuno, se li avesse scorti per un fortuito caso, avrebbe potuto anche solo lontanamente scambiarli per esseri umani.

Troppo perfetti erano i loro lineamenti.

Troppo inespressivi i loro volti.

La loro potenza era massima, così come la loro concentrazione.

Non si limitavano più a osservare un singolo uomo, ma l’intero Regno.

In quel momento, così cruciale della storia che stavano guidando, non erano più Gabriel, Lenn e Merlìha.

Erano i Guardiani.
 

***
 

“Un’unità di Sassoni, Sire. Hanno superato il confine settentrionale ieri notte e attaccato la guarnigione di Stawell”.

La tavola rotonda si era riunita.

Era Sir Leon a parlare e i tre guardiani, invisibili agli occhi degli altri, ascoltavano attenti.

“Marciano sotto il comando di Morgana?” fu l’ovvia domanda del re.

“Non c’è alcun dubbio a riguardo, Maestà” rispose il cavaliere.

“Non abbiamo affrontato solo uomini” intervenne Sir Galvano, “Ma anche stregonerie”.
 

“Sarà interessante vedere il Re che decisione prenderà” parlò Lenn.

“Qualunque decisione prenda, sono sicuro che le cose si muoveranno a nostro favore” rispose serio Gabriel.
 

“Non abbandonerò mai i miei sudditi, mentre noi ci barrichiamo qui dentro!” decretò Artù serio.
 

“Cosa vi dicevo?” costatò Gabriel, lasciando che sul suo volto aleggiasse l’ombra di un sorriso.

“Il re del passato e del futuro. Colui dal cuore puro” aggiunse Lenn.
 

“La guerra è cominciata” concluse intanto il suo discorso il Re.
 

“I tempi sono finalmente giunti!” parlò Gabriel con voce seria.

“In questo momento” continuò, “e sono certo che lo avvertiate anche voi, Morgana sta forgiando la spada che porterà Artù alla morte” terminò, con un cipiglio scuro.

“Già!” sospirò Merlìha.

“E dire che noi, tempo addietro, ci domandavamo come la sua morte potesse avvenire visto che Kilgharr affermava di essere l’ultimo drago”.

“Buffo poi che Aithusa sia nata grazie a Merlino” costatò perplessa.

“E invece era tutto già stabilito, sorella” la riprese Gabriel.

“Che vuoi dire?” domandò curiosa, osservando gli uomini lasciare la sala.

“Non siamo noi a decidere il destino dell’uomo?”.

“Noi lo guidiamo, sorella” la corresse il fratello, con un tono più gentile del solito.

“E la bravura di ognuno di noi sta proprio nel far sì che gli avvenimenti si creino da soli. Alcune cose sono scritte, in ogni tempo e in ogni luogo. Devono necessariamente avvenire e noi non dobbiamo fare altro che assecondare quello che per l’uomo è già scritto” terminò serio, osservando la sala oramai vuota.

“Parli del tradimento?” domandò ancora la ragazza.

“Del tradimento ma anche della nascita del Drago bianco.  Il suo nome e la sua nascita sono segno di buona novella per Albion e, infatti, non è stato un caso che sia stata proprio Aithusa a forgiare la spada che ferirà mortalmente Artù” le spiegò il fratello.

“Nel frattempo però lo porterà a morte” sbuffò Merlìha.

“Non dimenticarti però” intervenne Lenn, “che la morte di Artù è una Tappa da noi decisa. Ciò significa che tutto si sta muovendo per il meglio, anche se l’uomo ancora non lo sa”.

“È dalle cose brutte che nascono quelle belle. Non può esserci tempesta senza il sereno, non c‘è buio senza luce. Così come non si può rinascere a nuova vita se prima non si affronta la morte” decretò Gabriel serio.

“Inoltre” aggiunse, ”la spada non lo porterà a morte, sarà solo lo strumento che deciderà la sua fine in quest’epoca” concluse.

 “Ora resta solo da vedere come il Mago intende muoversi” rifletté Lenn.

“Non che abbia molte alternative. In un modo o in altro, dovrà pur recuperare la sua magia che, ci tengo a specificare, non se n’è mai andata” intervenne Merlìha.

“È proprio questo il problema, sorella!” rispose Gabriel più accigliato che mai.

“Andiamo” disse poi agli altri due prima di scomparire.
 

***
 

“Allora, sarà a Camlann che opporremo resistenza”.
 

 I cavalieri erano riuniti nelle stanze del Re.

La strategia finale era finalmente stata pronunciata.

“Finalmente, la battaglia finale è cominciata!” disse Lenn.

“Come volevasi dimostrare, è stato l’uomo a decidere per se stesso” rispose Gabriel.

“Era inevitabile che fosse Camlann la scelta. Sono secoli che i Guardiani tentano di impedire che Artù si avvicini a quel luogo. Fallendo miseramente tra l’altro” intervenne Merlìha.

“Nessuno di loro ha mai capito invece che è proprio il destino del Re essere ferito a morte in quel posto.

Tutto si sta muovendo come noi avevamo deciso.

L’ultima Tappa prevede la ferita mortale che sarà inferta ad Artù e la sua conseguente morte” le rispose il fratello.

“Alla fine non abbiamo cambiato che un dettaglio” rifletté Merlìha.

“Mentre tutti i Guardiani non hanno fatto altro che impedire l’avvicinarsi di Artù a Camlann per non farlo morire, noi abbiamo stabilito la sua morte come Tappa Finale, fondamentale per il passaggio della sua anima attraverso i secoli” concluse.

“Dobbiamo comunque stare all’erta, ora più che mai. Non possiamo permettere che Artù muoia a Camlann” ribatté Gabriel severo.

“Già” asserì Lenn.

“Deve essere ferito, non morire. È questa la differenza fondamentale” terminò pensieroso.

“La sua morte deve avvenire nei pressi di Avalon. Se questo non avviene, la nostra intera missione fallisce” parlò ancora Merlìha non riuscendo a trattenere l’ansia.

“Per questo è fondamentale che il Mago gli stia accanto nella battaglia. Solo lui può contrastare quella spada” aggiunse Lenn.

“Anche Artù però né ha una simile” lo contraddisse Merlìha.

“Peccato che non sappia di possederla, sorella!” rispose Gabriel piccato.

Merlìha sbuffò di rimando senza però rispondere.

“Venite” parlò ancora Gabriel.

“Spostiamoci nelle stanze del Mago”.
 

***
 

“Speravo do non dover più sentire quel nome” stava intanto dicendo Merlino al suo mentore.

“Non può andare, Merlino. Devi dissuaderlo” disse questi di rimando.

“Conosco Artù meglio di quanto conosca me stesso. Non mi ascolterà” rispose rassegnato il mago.

“Se Artù si recherà a Camlann la profezia, si avvererà e morirà” parlò ancora Gaius.

“Crede che questa battaglia sia l’unico modo per salvarci tutti. E, anche se dovesse perdere la vita, ci andrebbe ugualmente”.

“Allora cosa facciamo?”.

“Se non posso impedirgli di andare, allora devo proteggerlo meglio che posso” rispose il Mago con una nuova luce negli occhi.
 
Che abbia capito che può ugualmente usare la magia?” domandò Merlìha perplessa.

“Non credo!” rispose Lenn.

“Eppure, deve avere qualcosa in mente!” s’incaponì la ragazza.

“Deve fare qualcosa. Per il suo bene e per il nostro!” esclamò piccata.

“Zitti!” li ammonì Gabriel. “Continuiamo ad ascoltare”.
 
 
“Ma non puoi proteggerlo senza magia” fu intanto l’ovvia risposta di Gaius al suo interlocutore.

“Allora devo recuperare i miei poteri” rispose sicuro il giovane Mago.

“Non posso restituirteli. Va oltre le mie capacità” sospirò Gaius dispiaciuto.

“Lo so” lo consolò Merlino, “credo che vada oltre le capacità di chiunque. Se esiste una soluzione, allora devo cercarla altrove”.

“Dove?” domandò Gaius perplesso.

“Nel posto in cui è nata la magia stessa. La caverna dei cristalli”.
 

“Non male come idea!” sorrise Lenn.

“Oh, certo!” gli fece il verso Merlìha.

“Soprattutto considerando che non né ha bisogno” continuò sarcastica.

“Possibile che tu non capisca, sorella?” si alterò Gabriel.

“Cosa dovrei capire?” s’infervorò a sua volta la ragazza.

“Che va ha recuperare dei poteri che già possiede?” urlò, portandosi le mani ai fianchi.

“Non capisci che il suo avvicinamento ai cristalli sarà di fondamentale importanza per la battaglia?” domandò ancora il fratello, assottigliando gli occhi.

“Ah, si? Beh, sempre che ci arrivi vivo, considerando che non sa difendersi” rispose sarcastica.

“Ascolta, Merlìha” intervenne finalmente Lenn.

“Non sappiamo ancora come, ma di sicuro se Merlino riesce a recuperare i suoi poteri lì dentro, allora avrà compiuto un altro passo fondamentale verso la conoscenza di se stesso” le spiegò paziente.

“Intendi dire che imparerà a usare i cristalli?” domandò la ragazza.

“Non totalmente, ma di certo né uscirà più potente rispetto a quando vi entrerà!” le rispose Lenn con un sorriso.

“Non può essere un caso che abbia scelto di recarsi proprio lì. I cristalli, con cui è entrato in contatto in passato, stanno cominciando a esercitare la loro influenza sul Mago riconoscendo in lui una fonte di magia superiore alla media” concluse paziente.

“Quindi, è per questo che la trovate un’idea brillante!” rifletté la guardiana.

“Esattamente!” le rispose truce il fratello.

“Ma se non arriverà in tempo per la battaglia?” domandò ancora Merlìha, esternando così la sua reale preoccupazione.

“Questo, infatti, è compito nostro!” rispose Gabriel con voce cupa, prima di far svolazzare il suo mantello e scomparire.

“Non rinuncia mai alle uscite teatrali” lo prese in giro la sorella seguendolo e facendo l’occhiolino a Lenn che li seguì con un sospiro.
 

***
 

“Com’era prevedibile, Morgana gli ha teso una trappola” annunciò Lenn, guardando Merlino svenuto.

“Sembra che tutto si stia incastrando alla perfezione. Il problema, per l’appunto, rimane il Mago” costatò Merlìha.

“Guardate, sta rinvenendo” disse poi, osservando il Mago riprendere conoscenza di se.

“Non resta altro che aspettare che recuperi i suoi poteri” disse Lenn.

“Anche se dubito che in questo stato possa riuscirci” concluse, osservando la disperazione del ragazzo.

“A questo punto, si rende necessario il nostro intervento!” disse Gabriel parlando per la prima volta da quando erano in osservazione nella caverna dei cristalli.

“Cos’hai in mente?” domandò curiosa Merlìha.

“Lo vedrai” disse solamente il guardiano.

Lasciò che il suo corpo emanasse una luce bianca.

Il loro punto di osservazione era il centro della caverna dei cristalli.

Gabriel lasciò che il suo potere entrasse in contatto con le pietre che, a loro volta, sentendo un potere tanto grande, iniziarono a brillare di luce propria.

Fu la loro luce a catturare l'attenzione del giovane mago che, attirato dalla loro energia, iniziò a risalire faticosamente dalla trappola in cui era caduto.

Gabriel lo osservò con occhi attenti, mentre cadeva nuovamente svenuto al suolo, dopo lo sforzo fatto per arrivare fino alle pietre.

“È di nuovo svenuto!” esclamò Lenn a bassa voce, mentre osservava il corpo del Mago.

“Si riprenderà fra poco” decretò Gabriel.

Il guardiano si avvicinò al corpo esanime, lasciando che il suo aspetto mutasse ad ogni passo.

La sua statura diminuì, i suoi capelli si allungarono.

Gli altri due guardiani assistevano alla trasformazione in religioso silenzio.

Il volto di Gabriel si trasfigurò, fino ad assumere le sembianze di qualcuno che il giovane Mago avrebbe riconosciuto all’istante.

Il suo corpo divenne luminoso, riflettendo la luce emessa dai cristalli che, a contatto con un tale potere, sembravano aver assunto vita propria.
 
“Merlino” chiamò con voce bassa.

Il Mago non ebbe bisogno di aprire gli occhi per sapere a chi appartenesse quella voce.

“Padre” disse stancamente, aprendo gli occhi dopo qualche istante.

“Figlio mio” rispose il guardiano, confermando così la sua identità.

Non sarebbe voluto ricorrere a uno stratagemma del genere ma Camelot e il suo Re avevano bisogno di lui e dei suoi poteri.

D’altro canto, sapeva dentro di se di non aver mentito.

Ogni guardiano guidava una o più persone, per un tempo molto lungo.

Le vedeva crescere, maturare e anche sbagliare.

Quelle persone divenivano, pian piano, le loro creature, e si imparava ad affezionarsi a esse.

In questo caso poi, guidando dei ragazzi così giovani, si faceva loro da guida meglio di un padre stesso.

“Siete qui? Siete reale?” fu l’ovvia domanda del Mago.

Gabriel sorrise istintivamente a quelle parole.

“Morto o vivo, reale o immaginario, passato o presente… queste cose sono insignificanti. Ciò che conta è che faccia attenzione alle parole di tuo padre, che ti vuole bene” disse in tono pacato.

Anche questa volta, sapeva di non aver mentito.

Perché era così che si sentiva verso quel ragazzo. Non era il padre biologico, ma l’aveva guidato affrontando molti ostacoli.

Era il padre del secolo che lo ospitava; o meglio, era stato lui, insieme con gli altri, a creare le condizioni storiche in cui lui avrebbe poi vissuto.

L’aveva visto nascere, preparando il tempo per la sua venuta.

L’affetto che provava per quel mago pasticcione era diventato tangibile, per lui come per gli altri due.

Tuttavia, sapeva anche che non l’avrebbe mai ammesso apertamente se avesse parlato con il suo vero volto.

Paradossalmente, gli esseri umani si sentivano più liberi di essere se stessi quando indossavano delle maschere.

Quando invece affrontavano la vita essendo se stessi, ecco che subentravano le regole, da loro stessi imposte, che li portavano a vivere meglio fra i loro simili ma anche a metà, non potendo dare sfogo pienamente alle loro emozioni.

Regole di buon comportamento, regole di status sociale, ma anche regole dovute al loro personale carattere.

Artù ne era un classico esempio.

Troppo orgoglioso per ringraziare, celava continuamente il suo buon cuore dietro il suo status e il suo caratteraccio.

Eppure, quel cuore c’era.

Il Mago lo aveva scorto ed era per questo che aveva continuato a stargli accanto con il passare degli anni.

I Guardiani, nonostante fossero molto diversi dagli esseri umani, sembravano non fare eccezione in questo.

Anche loro avevano i loro caratteri, il loro orgoglio e i loro sentimenti.

E Gabriel sapeva che, per l’appunto, non avrebbe mai ammesso con il suo volto l’affetto che provava verso il mago.

“Non cedere, Merlino” continuò, interrompendo le sue riflessioni.
Non arrenderti” concluse serio.

“Non ho motivo di lottare. La battaglia è già finita; Morgana ha vinto” rispose il Mago stremato.

“Solo se accetti la sconfitta. Ma se combatterai, se lascerai che il tuo cuore si nutra di speranza, Morgana non potrà vincere” rispose Gabriel accennando un sorriso.

Era questo il segreto per ritrovare i suoi poteri; non perdere la speranza, non farsi sopraffare dalla paura di non avere più la magia.

“Che speranza c’è senza i miei poteri magici?” domandò il Mago con rassegnazione.

Fu in quel momento che Gabriel s’inginocchiò accanto al corpo disteso.

Il punto cruciale del discorso stava per essere affrontato.

Era ora che il Mago cominciasse a capire cos’era in realtà la sua magia e da dove veniva.

Ma soprattutto, cosa era destinato a fare.

“Merlino” disse con voce seria, “sei più che figlio di tuo padre. Sei il figlio della terra, dell’acqua, dell’aria e del fuoco. La magia è la materia con cui è fatto questo mondo e tu sei nato da quella magia.

Tu sei la magia in persona. Non puoi perdere ciò che sei” concluse sicuro.

“Ma come faccio a ritrovare me stesso, di nuovo?” domandò ancora il Mago.
Gabriel sorrise.

“Devi credere Merlino. Devi credere in quello che il tuo cuore sa essere vero. In ciò che sei sempre stato e sempre sarai”.

“Sempre sarò” ripeté Merlino inebetito dalle parole appena sentite.

“Ora riposa, figlio mio. E presto, ti risveglierai nella luce” terminò Gabriel facendo sì che il Mago cadesse addormentato.
 
Il Guardiano si alzò e, con un impercettibile movimento della mano curò le ferite del giovane steso a terra.

Qualche ora, forse meno, e si sarebbe svegliato nuovamente.

Tutto dipendeva, in quel momento, dalle condizioni del suo risveglio.

Molto poco potevano fare i guardiani in quel momento.

Ora, dovevano solo attendere.
 
Continua…
 
Note:
 
Siamo finalmente giunti all’ultima tappa e quindi alla conclusione della parte ambientata a Camelot.
Un altro capitolo, visto che questo è la prima parte, e poi ci proietteremo nel futuro.
Come avrete notato, i discorsi in corsivo sono quelli presi dal telefilm.
Riguardo al padre di Merlino impersonato da Gabriel, spero che vi sia piaciuta come idea.
In realtà, guardando quella puntata, mi sono sempre chiesta cosa ci facesse il padre lì, se fosse stato richiamato dalla magia della caverna o fosse semplicemente apparso perché il mago era in un momento di bisogno.
Dato che poi il telefilm non da spiegazioni a riguardo, ho sviluppato questa parte con la presenza dei guardiani.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Come sempre, attendo le vostre opinioni.
Nel frattempo, grazie a chi è giunto sin qui.
Pandora86

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. L'ultima Tappa - Seconda Parte ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come il solito, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 10. L’ultima Tappa – Seconda Parte
 

Merlino si svegliò, aprendo lentamente gli occhi.

Gli sembrava di aver dormito per giorni interi eppure non poteva essere passato così tanto tempo.

Si osservò le mani, guardandosi intorno intontito: era guarito.

Le ferite che aveva recato a causa del crollo nella grotta erano svanite.

Si sentiva bene. Si sentiva se stesso.

Chiuse le mani sussurrando un incantesimo: una splendida farfalla prese il volo.

I cristalli continuavano a brillare, come se avessero sentito la nuova ondata di magia che aveva attraversato la grotta.

Merlino sorrise nell’osservare il volo della farfalla; si sentiva a casa!

Si alzò in piedi velocemente guardando con attenzione i cristalli che lo circondavano: lo stavano chiamando!

Non sapeva come una cosa del genere fosse possibile eppure sentiva che era così.

La sua magia sembrava scorrere veloce verso i cristalli che lo invitavano a guardare dentro di essi.

Ora i cristalli non gli facevano più paura: sembravano, infatti, piegati al suo volere.

Sembrava che quelle strane pietre fossero ansiose di mettersi al suo servizio.

Merlino decise: una mano si tese verso uno dei cristalli.

Fiamme!

Uomini morenti!

Merlino si ritrasse istintivamente senza tuttavia provare l’orrore che lo aveva attraversato la prima volta che era venuto in contatto con una di quelle pietre.

Non sapeva come, ma sentiva che quello era il futuro.

Quasi come se le pietre lo avessero suggerito.

Si avvicinò nuovamente.

Mordred.

Sassoni che marciavano in uno schieramento ordinato.

Sassoni che prendevano una strana via secondaria, nascosta tra i monti.

Altre immagini si accavallarono a quelle che aveva visto, tuttavia Merlino sapeva perfettamente quali tenere in considerazione.

Presente!

Quello era il presente.

I cristalli sembravano obbedirgli rispondendo alle sue domande senza parole, senza immagini, solo con la loro misteriosa energia magica che sembrava essere piegata completamente alla magia che si trovavano dinanzi.

Artù, dove siete?

Domandò Merlino nella sua mente e le pietre lo risposero immediatamente.

Ora Merlino sapeva cosa fare.

Ora Merlino sapeva come sfruttare realmente una delle tante proprietà dei cristalli.

“Artù!” esclamò chiamando la figura addormentata che le pietre gli mostravano.

Sapeva che quella era la verità.

Sapeva quello non era solo il presente, ma il preciso istante.

I cristalli potevano permettergli di comunicare con il suo Re, se lui avesse continuato ad assecondarli.

Non pensò molto a cosa dire.

Fu il suo istinto a guidarlo, ancora una volta.

“Artù, mi dispiace avervi abbandonato! Non volevo farlo! Spero che un giorno capirete il perché” s’interruppe qualche istante per poi riprendere.

“Il vostro è un buon piano. Potete ancora salvare il vostro regno, ma dovete stare attento”.

Merlino sapeva che Artù lo ascoltava.

I cristalli gli stavano obbedendo riportando le immagini in tempo reale e Merlino poteva vedere la fronte del suo Re corrugarsi alle sue parole segno che, anche se dormiente, lo ascoltava attento.

Segno che i cristalli gli avevano aperto un varco direttamente nella mente di Artù.

“Il fianco del vostro esercito è vulnerabile. C’è un vecchio sentiero sul crinale di Camlann. Morgana lo conosce. Lei vuole intrappolarvi, Artù. Trovate il sentiero o la battaglia sarà finita prima ancora che cominci.

Trovate il sentiero!” terminò in tono sollecito.

Seppe di aver fatto centro quando vide Artù aprire immediatamente gli occhi.

Nel suo sguardo c’era la consapevolezza che quello non era stato un sogno.

Vide il re uscire fuori dalla tenda e preparare un contrattacco.

Pochi minuti ed era già schierato a capo dei suoi uomini in prima linea: proprio come un grande Re.

Merlino ascoltò il suo discorso con attenzione.

“Stanotte combatteremo” stava dicendo Artù con serietà.

“Stanotte, porremo fine a questa guerra! Porremo fine a una guerra antica come questa terra.

Una guerra contro la tirannia, l’avidità e la malvagità.

Non tutti saluteranno l’alba: alcuni vivranno, alcuni moriranno.

Ma ognuno di voi combatterà con onore e con orgoglio.

Perché non combattiamo soltanto per le nostre vite, ma per il futuro.

Il futuro di Camelot.

Il futuro di Albion.

Il futuro dei Regni uniti.

Per amore di Camelot” concluse il Re sollevando la spada.

Il grido della battaglia era stato levato.

La guerra finale era cominciata.

Merlino osservò il volto del suo Re sorridere con orgoglio.

Si allontanò dai cristalli sapendo che adesso la battaglia sarebbe cominciata in parità.

Vide la figura di suo padre avvicinarsi; concentrato com’era non aveva più fatto caso a quello che credeva il genitore defunto.

“Grazie” gli disse riconoscente.

“Per il vostro aiuto, per la vostra guida” continuò avvicinandosi.

“Ho solo dato una mano!” rispose Gabriel incurvando appena le labbra in un sorriso.

Ora doveva fargli un ultimo importante discorso ma prima sentiva di doversi complimentare con lui, proprio come un padre avrebbe fatto con il suo figlio prediletto.

“Ti reggi ben saldo sulle gambe, Merlino” gli disse con semplicità.

“Proprio come voi” rispose il Mago.

“Ho seguito le vostre orme” aggiunse con un sorriso.

“Il tuo viaggio è appena cominciato” riprese Gabriel con tono grave.

“Tu possiedi un potere che ancora non riesci a concepire” parlò ancora sotto lo sguardo attento del ragazzo.

“Solo nella caverna dei cristalli” riprese volgendo lo sguardo verso le pietre, “il tuo vero io sarà svelato.

Vai verso la luce. Il tuo destino ti attende” terminò guardando il ragazzo.

“Non avere paura” parlò ancora.

“Credi in ciò che sei. Credi in ciò che sarai”.

Merlino fece qualche passo verso la luce che indicava la via d’uscita prima di voltarsi nuovamente.

“Addio padre” disse rivolto a colui che credeva di non rivedere mai più una volta uscito dalla grotta.

“Non dire addio, Emrys” rispose Gabriel chiamandolo con il nome della sua vera essenza.

“Perché io” si decise a rivelargli Gabriel, “Esisterò per sempre.  E anche tu esisterai per sempre”.

Gabriel vide il ragazzo sorridere prima di voltarsi per andare via.

Sapeva che il Mago non aveva compreso le sue parole ma non aveva importanza.

Presto, fin troppo presto le cose sarebbero state chiare.

Erano questi i suoi pensieri mentre riprendeva le sue vere sembianze volgendo lo sguardo verso gli altri due guardiani.

“Quello che entra è totalmente diverso da quello che esce” disse solo Lenn con un sorriso.

“Andiamo” parlò ancora Gabriel.

“Il luogo della battaglia ci attende!” disse prima di scomparire seguito poi dagli altri due.
 

***
 

Merlino galoppava veloce.

Unico obiettivo: raggiungere il luogo della battaglia.

Nelle vene sentiva fluire tutta la sua magia che scorreva in lui più potente che mai.

Nel momento in cui era entrato in contatto con i cristalli, si era sentito diverso, nuovo.

Tuttavia, in quel momento non pensava al radicale cambiamento avvenuto in lui.

Non sarebbe riuscito a spiegarsi la portata di quello che era avvenuto nella grotta.

Nella sua mente echeggiavano le parole di suo padre.

Continuava a galoppare, sempre più veloce.

Doveva arrivare in tempo.

Doveva salvare il suo re.
 
***
 

“Finalmente, il mago è riuscito a entrare in contatto con i cristalli nel modo giusto!” disse
Lenn pensieroso osservando la battaglia che incombeva sotto i suoi occhi.

Il loro punto di osservazione si trovava sopra i monti di Camlann.

Tuttavia, anche se così distanti, potevano facilmente vedere il nemico come l’amico.

Potevano facilmente vedere all’interno delle tende situate nei campi di battaglia e quello che avveniva all’esterno.

“Ha solo familiarizzato con essi. Non è ancora lontanamente in grado di usare le pietre” lo riprese Gabriel con aria saccente.

“Le pietre hanno obbedito soprattutto perché influenzate dalla mia energia magica” concluse assottigliando lo sguardo.

“Ammetterai, però, che è un grosso passo avanti, fratello” intervenne Merlìha.

“Le tue parole hanno aperto la sua mente, anche se non le ha comprese” aggiunse con un sorriso.

Quello che ottenne in risposta fu solo un mugugno contrariato.

Merlìha non si aspettava nulla di diverso d’altronde; quando si trattava di esternare i sentimenti che provava, suo fratello era peggio di un asociale incallito.

“Inoltre” continuò, infatti, Gabriel come se la sorella non avesse detto nulla, “dubito che abbia compreso il cambiamento che è avvenuto in lui dopo il contatto con i cristalli” bofonchiò contrariato.

“Per questo credo che sia un po’ presto” ragionò Lenn. “In fondo, dentro di sé ha tutta la magia” concluse pacato.

“Beh, infatti, quella che è aumentata è la sua conoscenza!” intervenne Merlìha.

“Non è questo il momento di pensare alla sua conoscenza comunque” le rispose Lenn.

“La magia che conosce è più che sufficiente, sia per la battaglia imminente, sia per portare la strega a morte” terminò.

“Spiegatemi, ancora una volta, perché dovrà essere necessariamente lui a infliggere la morte a Morgana!” parlò Merlìha guadagnandosi un’occhiata truce da parte del fratello.

“Dov’eri quando analizzavamo i vari tipi di reincarnazione?” le chiese, infatti, con un tono che avrebbe intimorito chiunque.

Chiunque ma non Merlìha che fece spallucce con indifferenza giocando con uno dei suoi riccioli.

Il fratello, in risposta a quell’atteggiamento, assottigliò lo sguardo.

“Se non ascolti quando parliamo, non è un nostro problema” rispose severamente.

“Che ti costa rispiegarmi tutto?” sbottò Merlìha.

“Ascolta” intervenne Lenn rivolto alla ragazza.

“Ci sono diversi tipi di reincarnazione”incominciò paziente.

“Questo lo so anch’io” rispose la guardiana incrociando le braccia.

“Ma, prima ancora di parlare di reincarnazione, occorre, distinguere la stessa dalla rinascita”.

“Mh…” mugugnò la guardiana. “È lo stesso punto in cui anche l’altra volta mi sono persa!” annunciò con allegria guadagnandosi una nuova occhiata truce da parte di Gabriel.

“Dov’eri quando la Dama del Lago è rinata a nuova vita?” le domandò il fratello inalberandosi.

“Definisci reincarnazione, Merlìha” la invitò l’altro guardiano in maniera gentile, pregando, con lo sguardo, Gabriel, di stare zitto.

“Avviene il processo di reincarnazione quando un’essenza, perlopiù magica, non svanisce alla morte dell’individuo ma si dissolve nell’aria aspettando un nuovo corpo contenitore che la accoglierà” disse tutto di un fiato la ragazza con tono accademico.

“E quali sono le proprietà della reincarnazione?” domandò ancora Lenn, con un sorriso incoraggiante.

“Colui che si reincarna deve essere un Mago” rispose spicciola la ragazza.

Gabriel sbuffò saccente.

“Che hai da sbuffare, fratello?” si inalberò la ragazza.

“Le tue definizioni sono incomplete e inesatte. Un guardiano di cinque anni si sarebbe espresso in maniera migliore” rispose acido.

“Stai dicendo che sono ignorante?” s’inalberò la ragazza.

“Sto dicendo che le tue mancanze su questi argomenti sono abissali!” le rispose ancora non curandosi delle reazioni dell’altra.

“Non vedo dov’è il problema!” insistette cocciuta imbronciandosi.

“Il problema è che noi ci occupiamo di un tempo popolato da maghi” intervenne Lenn cercando di riportare la calma.

“Oh, beh, ci siete voi che sapete tutto!” rispose con noncuranza.

“Diciamo che dovrai recuperare i vuoti, Merlìha” la riprese bonario Lenn.

“Ma non è questo il momento” intervenne Gabriel truce.

“Il Mago è giunto!” esclamò con espressione attenta e severa.

 “Sono curioso di sapere come intende intervenire!” sorrise Lenn.

Non dovette attendere molto.

Un fulmine, pochi istanti dopo, squarciò l’aria.

“Interessante!” approvò Gabriel.

“Cosa?” domandò la sorella.

“Utilizza l’elettricità con parecchi secoli d’anticipo” le rispose serio il fratello continuando a osservare.

Oramai, la battaglia era vinta.

Merlino non aveva rivali; nulla poteva ostacolarlo, né le migliaia di persone che combattevano, né il drago che aveva fatto la sua comparsa.

“Ottima idea quella di farlo nascere da un signore dei draghi!” approvò Merlìha con un ghigno.

Lenn la guardò dubbioso… non era lei che si era opposta a quella nascita?

Scrollò le spalle con un sorriso pacato decidendo di soprassedere; il momento più importante sarebbe giunto fra pochi istanti.

La vera storia di Camelot stava per compiersi.

Artù, presto, sarebbe stato ferito a morte.

Alcuni istanti che sembrarono eterni e la battaglia era stata vinta.

Nulla avevano potuto i sassoni, nulla aveva potuto Aithusa, nulla aveva potuto Morgana.

Attimi eterni e poi il nulla.

Il momento cruciale era sempre più vicino.

Le grida della battaglia e tutti i rumori circostanti si erano dissolti, quasi come per comune accordo.

Solo un mare di corpi senza vita, solo un silenzio tombale mentre la Terza Tappa si avvicinava.

Era la Tappa più importante e gli agenti atmosferici, la natura circostante e tutti gli esseri viventi sembravano averne compreso l’importanza.

Furono pochi millesimi di secondo in cui tutto coincise nello stesso punto.

Pochi millesimi di secondo in cui tutto collimò nel sincronismo più perfetto.

Furono pochi millesimi di secondi, dove solo il silenzio e l’immobilità regnavano.

Una voce si levò in quel silenzio.

Una voce ultraterrena, non appartenente a un essere umano.

Una voce che annunciò l’importanza fondamentale di quei pochi millesimi di secondo.

Era sempre così: ogni grande epoca segnava il suo avvento con pochi secondi.

Se erano i giorni che passavano pigri, allora gli anni successivi si sarebbero succeduti lentamente, vedendo poche cose e poco importanti.

Invece, come per una grande contraddizione vivente, quando un’epoca cambiava, quando un segno storico faceva il suo ingresso, quando qualcosa di fondamentale per l’intero universo avveniva, ecco che tutto si svolgeva in pochi millesimi di secondo.

E il perché era presto detto: solo in quella millesima frazione di secondo il tempo umano e il tempo dei guardiani si fondevano scorrendo insieme per lunghi e interminabili millisecondi.

“La storia si è compiuta” parlò Gabriel con voce grave.

Il re era stato colpito.
 

***
 

Merlìha assisteva alla scena non provando neanche a trattenere le lacrime, che scorrevano copiose sul mantello del fratello.

“Devi gioire, Merlìha” la consolò Lenn con un sorriso.

“Il momento cruciale è arrivato; finalmente, le loro anime potranno riunirsi”.

“Posso vedere la loro energia che si fonde” aggiunse Gabriel circondando, con un braccio, l’esile vita della sorella.

“Lo so” rispose Merlìha tirando con il naso. “Posso vederle anch’io” piagnucolò ancora.

“Ma non posso fare a meno di piangere” concluse, asciugandosi gli occhi con il mantello del fratello.

Lenn sorrise accarezzando i suoi riccioli.

“Continuiamo ad ascoltare” disse pacato.
 

“Credevo di aver sconfitto la profezia!” disse il ragazzo tra le lacrime, stringendo la mano del Re ferito come se fosse l’unico appiglio sicuro.
 

“Non avrebbe mai potuto sconfiggerla. Non se la profezia stessa si è avverata per nostro volere” rifletté Lenn.

“Beh, questo lo capirà solo più avanti!” rispose Gabriel atono.
 

“Sono un Mago! Ho poteri magici”.
 

Il ragazzo non poteva vederlo. Il Re non poteva scorgerlo.

Ma, attorno a loro, l’energia vorticava più furiosa che mai.

I tre guardiani osservarono la scena con un sorriso compiaciuto.

La maschera era crollata, la vera identità svelata.

Ora, le due anime, non avevano più barriere.

E poco importava se il re aveva reagito con disappunto.

Era la sua mente, governata dalla razionalità umana, a reagire in quel modo.

Il suo cuore invece aveva trovato la sua metà.

E presto, anche la mente si sarebbe piegata al volere del cuore.

Presto, tutta l’influenza che Merlino aveva avuto sul re in passato si sarebbe dissolta.

Ginevra, che Artù lo volesse oppure no, sarebbe diventata solo un nome.

Era stata una grande regina, ma soprattutto una grande consigliera per un re che era stato tradito fin troppe volte perché si era fidato ciecamente delle persone sbagliate.

Era stata questa la sua utilità in quella grande e immensa storia e Ginevra, con il suo cuore nobile aveva adempito il compito in maniera impeccabile amando il suo re in maniera incondizionata ma soprattutto consigliandolo sempre e solo per il suo bene.

Merlino l’aveva scelta in ogni tempo e in ogni luogo influenzando, il più delle volte volontariamente, il suo fato e staccandola da quella che era la sua metà.

Perché, Ginevra e Lancillotto erano una costante in qualunque modo si evolvesse la storia.

Tuttavia, questa volta sembrava che finalmente tutto fosse andato a incasellarsi nel posto giusto.

Questa volta i guardiani non avevano fallito.

E ora, il tempo di Ginevra era giunto al termine.

La rivelazione era avvenuta.

La medaglia si era finalmente riunita.

Le due anime, separate alla nascita per volere del fato, avevano finalmente trovato il loro posto.

Secoli bui attendevano entrambi.

Secoli oscuri incombevano su di loro.

Perché così come il Mago sarebbe stato logorato dall’attesa, anche l’anima di Artù avrebbe sofferto per la separazione imminente che li aspettava, soprattutto dopo essersi ricongiunto alla sua metà.

Ma poco importava perché la storia era finalmente compiuta.

La vera storia di Camelot stava per finire sotto gli occhi attenti dei tre guardiani.

Avevano vinto.

Erano riusciti dove tutti avevano fallito.

L’anima del Re e del Mago avevano trovato il loro posto, l’una accanto all’altra.

Il tempo di Camelot stava volgendo al termine.
 

***
 

“La punta della spada viaggia inesorabile verso il suo cuore. Devi portarlo ad Avalon; solo lì ha qualche speranza di salvarsi”.
 

“L’anziano medico si è rivelato una risorsa inestimabile” parlò Lenn.

“Finalmente, l’ultimo viaggio del Re sta per cominciare” concluse con un sorriso.

“Non credo che arriverà vivo sulle acque di Avalon” esclamò Merlìha asciugandosi le lacrime.

“Poco importa” le rispose il fratello.

“La condizione essenziale era che non morisse sul campo di battaglia” spiegò con tono neutro.

“L’importante è che si avvicini ad Avalon quel tanto che basta affinché il potere della Dama lo raggiunga” concluse osservando i cavalli, che portavano in groppa il Mago e il Re, allontanarsi.

Merlìha annuì seguendo con lo sguardo le due figure.

“Sei forte giovane Mago!” sussurrò prima di incamminarsi seguita dagli altri due.

L’ultimo viaggio dei Guardiani nel tempo di Camelot era cominciato.
 

***
 

Freya sedeva tranquilla nella sua poltrona di velluto rosso.

Nessuno avrebbe potuto scambiarla per la piccola druida impaurita di qualche tempo fa.

I lineamenti erano gli stessi eppure la consapevolezza di cosa era diventata aveva dato ai suoi occhi nuova luce.

Le profondità del lago erano divenute la sua casa.

Un passaggio: era questo, quello che c’era al confine del lago.

Un passaggio per le dimensioni.

E Freya abitava lì, nel suo nuovo palazzo.

Sedeva quieta in attesa del grande momento.

Non era sola nella stanza: un’anima le faceva compagnia, seduta pacatamente sul divano alla sua destra.

Un’altra invece era giunta da poco e giaceva addormentata su uno dei divani della stanza.

Lei aveva il compito di selezionare i prescelti, oltre che custodire il Re.

Due erano già presenti al suo cospetto da un po’ di tempo; il terzo era appena arrivato e Freya non aveva ritenuto opportuno destarlo dal suo sonno.

Il grande momento stava per arrivare e doveva averlo avvertito anche la seconda anima che risiedeva con lei nel palazzo dato che entrò nella stanza sedendosi nella poltrona di fronte alla sua.

Erano tutti e tre silenziosi, consci che presto qualcuno li avrebbe raggiunti.

E loro attendevano, sapendo che il momento cruciale stava per arrivare.
 

***
 

“Grazie”.
 

Un ringraziamento.

Fu questa l’ultima parola del Re, mentre moriva sereno fra le braccia del suo Mago.

Il tempo si fermò.

Il vento smise di soffiare.

Gli alberi interruppero il loro ondeggiare sinuoso.

Tutte le creature, persino quelle monocellulari, interruppero il corso della loro vita.

Pochi millesimi di secondo, dove le uniche energie che non avevano interrotto il loro scorrere ma che anzi, si univano in un unico vortice luminoso, in cui quello che regnava era solo il nulla.

L’aura magica del Mago richiamava incessantemente quella del suo Re, per farlo tornare alle sue vere origini.

Un’anima nata dalla Magia che trovava finalmente il suo posto, all’interno di colui che governava e possedeva tutta la Magia del mondo.

I tre Guardiani assistettero in religioso silenzio al momento.

Poco importava che il Mago stesse richiamando il grande drago, intenzionato a non arrendersi alla morte del suo re.

Poco importava che non avvertisse quello che lo circondava.

Ci sarebbe stato un tempo in cui il suo potere sarebbe maturato; un tempo dove
avrebbe visto quello che in quel momento non riusciva a cogliere.

Ci sarebbe stato tutto il tempo necessario e molto di più, perché la Storia di Camelot si era finalmente conclusa.

I Guardiani avevano vinto.
 

***

“Hai adempiuto un grande compito!” parlò solenne Gabriel.

Il drago annuì, inchinando la testa con rispetto.

“E sarai ricompensato” continuò serio il Guardiano alzandosi in volo e avvicinando la sua mano all’ala della creatura.

“Tu sarai colui che guiderà la tua nobile stirpe. Stirpe che tornerà alla vita. Stirpe che non si estinguerà” disse mentre i suoi occhi divenivano d’oro e l’ala del drago si rigenerava.

“Albion rinascerà e tu sarai colui che ci sarà, fino alla fine dei tempi” terminò.

“Un nuovo potere ti è stato concesso” parlò Lenn gentile.

“Dominerai la tua stirpe e sarai invisibile agli umani quando la tua specie, nel corso dei secoli, diverrà oggetto delle fantasie popolari” continuò.

“La tua conoscenza sarà infinita, la tua vita millenaria” parlò Merlìha.

“Vola libero” disse Gabriel.

“Vola libero e domina il cielo che ti spetta dalla nascita”.

Un ultimo inchino, prima di stendere le grandi ali e volare in alto.

Nessuna parola da parte del Drago avrebbe avuto significato in quel momento.

Un’ultima occhiata significativa ai tre Guardiani, prima di assaporare la sua nuova vita.

Un ultimo sguardo, prima di sentire la nuova energia fluire dentro di sé.

Una parte di storia era finita.

Una nuova parte era appena incominciata.

E lui, il Grande Drago, ne avrebbe fatto parte.

Avrebbe guidato il Mago nei secoli a venire, fino alla fine dei tempi.
 

 ***
 
Il ragazzo rimase per lunghi istanti a fissare il lago davanti a sé.

Ho fallito!

Questo era il suo pensiero costante.

I tre Guardiani si dissolsero nell’aria.

Nulla potevano ora fare per il Mago.

Il dolore faceva parte del suo lato umano e loro non potevano e non volevano intromettersi nel suo lutto privato.

Ci sarebbe stato tempo per consolarlo e spiegargli come stavano le cose.

Ci sarebbe stato tempo per parlare.

In quel momento però, il Mago doveva solo piangere; e loro, in qualità di suoi guardiani, dovevano rispettare il suo dolore.

Fu per questo che non profferendo parola tra loro, si dissolsero.

Avevano vinto e non avrebbe avuto senso palesare immediatamente la loro presenza.

Il Mago aveva diritto a quei giorni di dolore e loro glieli avrebbero concessi volentieri.

Avevano vinto!

Tutti loro avevano bisogno di fare il punto della situazione per capire come muoversi nei secoli a venire.

Fu per questo che si dissolsero decidendo di lasciare, dopo innumerevoli anni, il Mago da solo.

Nessuna osservazione, né dal Palazzo né da vicino.

Il Mago si meritava di vivere quelle ore in solitudine.

E loro gliele avrebbero concesse.

Tuttavia, quello che Gabriel, Lenn e Merlìha non potevano sapere era che Merlino non era solo.

Una quarta figura, sempre celata agli occhi umani, sorrise beffarda quando i tre guardiani si dissolsero nell’aria.

Un ragazzo biondo, dagli occhi verdissimi, guardava la scena con interesse, con un sorriso furbo in volto.

Finalmente, quei tre si erano tolti dalle scatole.

Sembrava essere questo il suo pensiero mentre si avvicinava al ragazzo inginocchiato facendo ondeggiare il suo pregiato mantello rosso.

Anche il drago era volato via e la Dama del Lago si era ritirata nelle profondità degli abissi, troppo presa ad accudire il nuovo arrivato.

Erano questi i suoi pensieri mentre si inginocchiava accanto al ragazzo poggiandogli una mano sulle spalle e facendolo sobbalzare per lo spavento.

“Non hai fallito!” gli disse con un sorriso incoraggiante mentre Merlino lo guardava con gli occhi pieni di stupore.

“Non hai fallito” ripeté allargando il sorriso.

Finalmente, era arrivato il suo momento.

La storia di Camelot era finita.

Ora poteva cominciare la sua.
 

Continua…
 

Note:
 

Ecco l’ultimo capitolo ambientato a Camelot.

Come avrete notato, esclusa la prima parte, ho scelto una struttura narrativa differente per questo capitolo.

Ho riportato, infatti, solo alcune frasi indispensabili del telefilm concentrandomi maggiormente su quello che avviene dopo e che include la presenza dei guardiani.

Questo per dare più risalto alla morte di Artù e all’ultima puntata dove i due protagonisti si confrontano per quello che sono.

Ho inoltre fatto ricomparire anche Freya, che più avanti avrà un ruolo fondamentale, e introdotto un nuovo personaggio.

Ho scelto anche di dare maggiore importanza al drago, visto che mi è sempre piaciuto come figura.

Spero di aver fatto un buon lavoro e che il capitolo vi sia piaciuto.

Come il solito, attendo i vostri pareri.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Pandora86

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Capitolo 11
*** Capitolo 11. Kyle ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come il solito, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 11. Kyle
 

I tre guardiani camminavano veloci nei corridoi del Palazzo, apparentemente incuranti delle occhiate di tutti quelli che incontravano all’interno delle mura.

Gabriel aprì veloce la porta e, dopo aver aspettato che anche gli altri due entrassero, la chiuse velocemente alle sue spalle con un sospiro pesante.

“Tra un po’ qui succederà il putiferio” disse Lenn massaggiandosi gli occhi con il pollice e l’indice.

“Di sicuro, dovremo andare a nasconderci da qualche parte!” intervenne Merlìha guardandosi allo specchio con aria critica.

I suoi occhi si tinsero d’oro e gli abiti medievali che indossava si trasformarono all’istante in comodi abiti moderni, adatti a una ragazza del ventesimo secolo.

“Anche se dubito che oseranno venire a bussare nelle stanze di Gabriel” concluse, osservando compiaciuta il suo nuovo look e andando a stravaccarsi nella poltrona di fronte a Lenn.

“Nh” mugugnò in segno d’assenso Gabriel, andando anche lui a sedersi.

“Non ne potevi proprio più, eh?” Lenn prese in giro la guardiana.

“Vorrei vedere te, con quel tappeto che si ostinano a chiamare gonna!” rispose noncurante, giocando con uno dei suoi riccioli.

Nel frattempo però, la guardiana guardava suo fratello perplessa.

Nessun rimprovero era uscito dalla sua bocca per aver utilizzato il suo potere per una cosa banale come il cambio d’abiti.

Segno che era più irritabile del normale.

E soprattutto, molto preoccupato.

“Comunque” parlò ancora Lenn intercettando lo sguardo della guardiana e capendo al volo i suoi pensieri, “abbiamo tempo. Per ora, dobbiamo solo aspettare che i Saggi finiscano la riunione” concluse con tono paziente guardando Gabriel.

“Nh” mugugnò ancora questi, senza spiccicare parola.

Merlìha e Lenn si guardarono, abituati al mutismo dell’altro, e continuarono a conversare come se nulla fosse, decidendo di soprassedere.

Quando Gabriel era di quell’umore era meglio lasciare correre, considerato che, dato il suo orgoglio, li avrebbe mandati al diavolo, buttandoli fuori dalle sue stanze, se solo avessero provato a rassicurarlo.

“A che punto sono, piuttosto?” domandò Merlìha.

“Dovrebbero aver incominciato la riunione al Tavolo nel momento esatto in cui siamo rientrati” rispose Lenn.

“Però, non mi sembrava fossero già riuniti” parlò ancora la ragazza.

“Quando ci sono riunioni di tale portata” continuò ancora, “di solito, tutti quelli del palazzo sono fuori dalla porta della Grande Sala in attesa del verdetto” rifletté, aggrottando le sopracciglia.

“In pratica, stai dicendo che avremmo dovuto trovare i corridoi del palazzo deserti” le rispose Lenn.

“Beh” continuò la ragazza, difendendo la sua tesi.

“È sempre così, per le riunioni minori. Figuriamoci per questa in particolare” ragionò Merlìha.

“Chi non aspetta fuori dalla porta, si ritira nella sua stanza. Quando i Saggi si riuniscono si evita di fare troppa baldoria a Palazzo” aggiunse, a favore della sua tesi.

“Tutto questo, però, è strano” rifletté Lenn con sguardo crucciato.

L’ombra del sospetto iniziava a prendere forma anche nella sua mente.

Gabriel, a quelle parole, si alzò premendo un tasto su un apparecchio situato sulla sua scrivania.

Quello era un meccanismo presente nelle stanze di tutti i guardiani nobili, e consentiva di richiamare uno dei tanti servitori del Palazzo.

Merlìha e Lenn si guardarono con un sorriso curioso chiedendosi chi, tra i tanti servitori del Palazzo, sarebbe stato così coraggioso da rispondere a quel richiamo ed entrare nelle stanze dell’orso per eccellenza.

Non si stupirono quando un ragazzo bassino dai folti riccioli fece il suo ingresso nella stanza con un sorriso smagliante.

Era l’unico servitore che faceva di tutto per incontrare Gabriel, avendo per lui un’ammirazione che rasentava la venerazione.

Non che gli altri non lo ammirassero; diciamo che preferivano farlo a debita distanza dal guardiano, considerati il suo carattere scostante e la sua poca tolleranza verso chiunque entrasse nei suoi appartamenti privati.

“Mi avete chiamato?” domandò questi avvicinandosi, come Merlìha e Lenn avevano previsto, molto più del necessario al guardiano.

Il suo sguardo, inoltre, era tutto per Gabriel.

Anche se doveva sicuramente aver notato la presenza di altre persone nella stanza, l’unico a cui si rivolgeva era lo scostante guardiano.

“Da quanto tempo i Saggi sono riuniti?” chiese Gabriel, andando dritto al punto.

“La riunione non è ancora cominciata” disse questi con efficienza.
Gabriel lo guardò dubbioso.

“E perché mai?” domandò Lenn ricevendo, solo allora, l’attenzione del servitore.

“Il Sommo Kyle non è ancora rientrato” rispose ancora il ragazzo riportando il suo sguardo a Gabriel che, in tutta risposta, emise uno sbuffo contrariato evitando però di sbottare davanti al servitore.

“Puoi andare!” lo liquidò senza mezzi termini.

“Grazie!” aggiunse automaticamente con la mente già altrove.

Merlìha guardò il fratello pensando che se la buona educazione e la classe fossero state oggetti, allora sarebbero state le prime cose che Gabriel avrebbe portato in valigia in previsione di un viaggio.

I modi regali non lo abbandonavano mai, anche se Merlìha li definiva teatrali.

Con l’abbigliamento medievale che avevano indossato negli ultimi tempi poi, la cosa era ancora più accentuata, visto come il fratello facesse continuamente svolazzare il suo mantello.

Il ragazzo s’inchinò con rispetto.

“Posso?” domandò, prima di andare via.

Gabriel gli fece un cenno con il capo invitandolo a continuare.

“Volevo farvi i complimenti per il primo, e aggiungerei brillante, successo della missione!” esclamò con reverenza e adorazione pura.

“I Saggi non si sono ancora pronunciati in proposito!” liquidò la faccenda Gabriel.

“Ma sappiamo tutti che la riunione, questa volta, sarà solo una formalità” non si arrese il ragazzo.

“Con premesso!” salutò un’ultima volta.

“Chiamatemi quando lo desiderate!” aggiunse con un luccichio negli occhi, prima di uscire definitivamente dalla stanza.

“Dici che ci ha notato?” domandò Lenn con un sorriso, rivolto a Merlìha.

“Il fascino di Gabriel colpisce ancora!”rise di gusto la ragazza.

“Già lo vedo, il fedele servitore, lanciare petali di rose al passaggio del Sommo Gabriel” incominciò Merlìha con tono sognante.

“Non è il momento per parlare di queste sciocchezze” interruppe i suoi vaneggiamenti il
fratello.

“Quindi” cominciò Lenn, “aspettano tutti Kyle!” disse con tranquillità.

“Perché sei così contrariato, fratello?” domandò Merlìha.

“E me lo chiedi anche?” disse questi guardandola storto.

“Kyle è uno di quelli che ha votato favorevolmente per la nostra partenza a Camelot” spiegò paziente Lenn.

“E allora?” domandò ancora Merlìha, non afferrando il punto.

“Ti ricordo che noi siamo stati mandati a Camelot per fallire, sorella” intervenne accigliato l’altro guardiano.

“Ma abbiamo concluso la missione, no?” rispose la ragazza con ovvietà.

“Sì” assentì Lenn. “Ma non ti sembra strano che Kyle sia assente proprio quando i Saggi devono riunirsi per valutare il nostro operato?” domandò perplesso.

“Stiamo parlando di un Saggio minore, però!” parlò ancora Merlìha.

“È un Saggio minore solo perché ha appena centocinquanta anni” le ricordò Gabriel.

“Stiamo anche parlando di uno dei Guardiani più potenti, sia per nascita sia per poteri!” aggiunse Lenn.

“Tra l’altro, voglio aggiungere che non è un Saggio a tutti gli effetti perché ha rifiutato, qualche anno fa, la proposta di essere ammesso al Tavolo” parlò ancora Gabriel.

“Ma, in pratica, anche se si tratta di un Saggio minore sulla carta, nella realtà stiamo parlando di un Saggio a tutti gli effetti” concluse per lui Lenn.

“E il suo volere ha molto peso al Tavolo!” rifletté Gabriel.

“Sì, ma perché sospettate della sua assenza?” domandò Merlìha.

“Perché, in pratica, anche se dobbiamo aspettare il verdetto dei Saggi, noi abbiamo concluso la missione con successo” le spiegò Lenn.

“Temete che voglia sabotarci?” domandò Merlìha preoccupata.

“Ma come potrebbe fare?” chiese, sempre più allarmata.

“Se lo sapessimo, non staremmo qui a fare ipotesi!” le rispose il fratello con ovvietà.

“E noi, stiamo qui ad aspettare?” continuò la ragazza.

“Non possiamo fare altrimenti, Merlìha” le rispose Lenn con tono stanco.

“Solo sperare che, qualunque sia il suo piano, fallisca nei suoi intenti” concluse non aggiungendo altro.

Merlìha si avvicinò al fratello sedendosi ai suoi piedi.

Gabriel le posò una mano in testa, per rassicurarla.

Ora, potevano solamente aspettare.
 

***
 

Merlino sedeva di fronte al fuoco acceso dall’altro.

La radura era silenziosa e il mago non era dello stato d’animo adatto per spezzare quel silenzio.

Tuttavia, accanto al dolore che provava per la perdita appena subita, era nata la curiosità verso chi gli sedeva di fronte.

Troppe domande gli balenavano in testa; prima fra tutte, la frase dello sconosciuto.

Non hai fallito!

Questo gli aveva detto.

Lo aveva ripetuto due volte, prima di farlo alzare e invitare a seguirlo.

Non aveva più parlato; si era limitato ad accendere un fuoco e a guardarlo sorridente.

Merlino però non era certo di aver capito il significato della frase; possibile che fosse la risposta ai suoi pensieri?

Ma questo era assurdo!

Forse, non si era accorto di aver espresso quel pensiero ad alta voce e quel ragazzo, vedendolo così disperato, si era impietosito.

Sì, doveva essere andata sicuramente così!

Però, c’era qualcosa che non tornava.

O forse, era il suo dolore a fargli vedere cose che in realtà non c’erano?

Merlino non lo sapeva; quello che però voleva, in quel momento, era rimanere così, in silenzio, accanto a quel fuoco così rassicurante, di fronte al sorriso incoraggiante dello sconosciuto.
 

***
 

“Non è normale che non sia ancora rientrato!” esclamò Lenn, alzandosi in piedi e camminando per la stanza.

“Ti pareva che l’idiota non ci dovesse creare problemi!” esclamò Gabriel con profondo disgusto nella voce.

“Ho sempre detestato quell’imbecille” parlò ancora, non facendo nulla per nascondere il disprezzo che provava.

“Ma perché i Saggi non fanno nulla se non aspettare?” domandò Merlìha angosciata.

“Stiamo parlando del loro preferito, Merlìha” le rispose il fratello con uno sdegno sempre crescente.

Le ore passavano e i Saggi ancora non si riunivano.

Inoltre, Merlìha aveva provato a parlare con i suoi nonni ma si era rivelato impossibile.

I nonni, in qualità di saggi, erano inavvicinabili sia per i parenti che per gli altri guardiani visto che, non si sapeva quando, si sarebbero dovuti riunire nel più grande consiglio che il loro mondo avesse mai visto.

Il perché era presto detto: se l’esito fosse stato positivo, sarebbe stata la prima volta in assoluto che avrebbe visto dei guardiani uscire vincitori dal tempo di Camelot.

Questo non aveva fatto altro che gettare la ragazza in un’angoscia sempre più grande.

Il suo unico appiglio erano le mani del fratello, che non poteva fare a meno di stritolare e stringere nervosamente.

“Ora sono certo che ci sta sabotando!” parlò Gabriel.

“Perché?”domandò Merlìha sull’orlo delle lacrime.

“Rifletti” la incitò il fratello.

“Non sarebbe mai potuto intervenire quando noi operavamo a Camelot. L’epoca era nostra e nessun guardiano può operare nel tempo che gestisce un altro” le spiegò con calma.

“Comincio a capire” intervenne Lenn che aveva ripreso posto sulla poltrona.

“Io invece no!” sbottò la ragazza.

“Guarda un po’, Merlìha” continuò Lenn, afferrando il telecomando e accendendo la televisione.

“Schermo nero” costatò la ragazza con ovvietà.

“Appunto!” le disse il fratello.

“Ma è normale che non possiamo vedere Camelot in questo momento. Nessun guardiano può vedere il suo tempo dopo una missione, o quando i Saggi si riuniscono. Riacquistiamo questo potere una volta che il consiglio si è sciolto” disse con ovvietà la ragazza non afferrando il concetto.

“Più precisamente, il portale che viene momentaneamente interrotto durante la seduta, viene poi riaperto!” la corresse bonariamente Lenn.

“Aggiungici il fatto che Kyle non è mai potuto intervenire a Camelot. Cosa ne deduci?” le domandò poi, invitandola alla riflessione.

La ragazza scosse la testa, non afferrando il concetto.

“Kyle è un essere infimo fino al midollo” parlò Gabriel.

“È potente e vuole continue acclamazioni. Inoltre, ha sempre bramato Camelot. La potenza del mago è sempre stata una calamita, per lui che è nato così potente” parlò con disprezzo.

“Tuttavia, è sempre stato scaltro tanto da non occuparsi mai di quel tempo direttamente” concluse con una linea di disgusto che increspava le labbra.

“E qual è l’unico momento in cui può accedere in quel tempo senza che nessuno lo sappia e senza essere intralciato?” domandò Lenn con un sospiro.

“State dicendo che si trova a Camelot?” disse Merlìha, capendo appieno la gravità della situazione.

“Esattamente, sorella!” le rispose Gabriel con tono sepolcrale.

“Ma dobbiamo fare qualcosa!” urlò la ragazza.

“Non possiamo fare nulla!” esclamò Lenn con rassegnazione.

“Quel tempo è a noi precluso!” concluse.

“Allora andiamo dai Saggi!” disse ancora la ragazza.

“E che prove abbiamo per affermare che Kyle si trova a Camelot?” le domandò il fratello.

La ragazza scosse la testa in segno d’impotenza.

“Ma cosa vuole fare a Camelot” domandò, sull’orlo delle lacrime.

“Porre fine alla vita del Mago, nella peggiore delle ipotesi, per portare al Tavolo il nostro fallimento” parlò Gabriel con tono neutro.

“E nella migliore?” domandò la ragazza con un sussurro.

“Fare del Mago un giocattolino nelle sue mani” rispose ancora Gabriel atono.

“Ma non può” disse ancora Merlìha, incominciando a piangere copiosamente.

“Come la mettiamo con i secoli a venire e con i nuovi guardiani che entreranno nel tempo dopo Camelot?” domandò ancora, sempre più sconsolata.

“Dimentichi che il Mago è immortale, sorella” le spiegò Gabriel con una strana gentilezza nella voce.

“Essendo immortale” continuò Lenn, “quando il suo tempo finisce, allora rimane una costante nella storia senza entrare in essa. Un po’ come una retta parallela che percorre la linea temporale, senza mai incontrarla veramente” concluse con pacatezza.

“In pratica, Merlino dovrà arrivare fino alla fine dei tempi, ma senza più entrare nella storia perché, la sua di storia, è già stata scritta. Quindi, i guardiani che verranno, procederanno tenendo conto del nostro operato ma senza più interferire nella vita del Mago” spiegò Gabriel.

“Sicuramente si occuperanno di Ginevra, che viene immediatamente dopo la storia di Camelot, essendo la regina ancora in vita”intervenne Lenn.

“Tra l’altro, dovrebbe essere proprio questo uno degli argomenti di cui si discuterà al Tavolo” parlò ancora Gabriel.

“Non dimentichiamoci che, in caso di successo, noi saremo i Guardiani che controlleranno quelli successivi.

Inoltre, se questi fallissero, i nuovi che prenderebbero il posto, andrebbero a occuparsi dalla morte di Artù in poi” concluse per lui Lenn.

“Non escludo, a questo punto, che Kyle si possa proporre come il guardiano successivo a noi” valutò Gabriel pensieroso.

“Sempre se non pone fine alla vita del Mago, per portare al tavolo il nostro fallimento” aggiunse Lenn.

“Ovviamente” assentì Gabriel.

“Come giustificherà la sua morte se noi, con l’estirpazione del male, l’abbiamo evitata?” domandò Merlìha con tono speranzoso.

“Dimentichi di chi stiamo parlando!” disse Lenn.

“Colui che indossa la pietra di Granato” aggiunse pensieroso, guardando la sua mano che recava uno Zaffiro blu.

Una pietra diversa, una per ogni guardiano.

Gli anelli venivano consegnati loro alla nascita in una forma grezza, fino a che le pietre non assumevano la loro forma definitiva una volta che il carattere del guardiano si fosse delineato.

I guardiani non le indossavano tanto per il loro potere magico quanto per la relazione che ognuno di loro aveva con la sua pietra.

La pietra, infatti, era principalmente un simbolo, un marchio che delineava la caratteristica dominante nel complesso carattere del guardiano.

Solo in seconda analisi veniva poi considerato il potere che le pietre potessero avere e, anche in quel caso, la pietra era potente solo se lo era il guardiano in questione e mai il contrario.

Lui, infatti, indossava uno Zaffiro blu segno di pace, gentilezza e di calma interiore, oltre che segno di un carattere riflessivo e pronto alla comunicazione.

“La pietra di Granato indica la devozione assoluta”.

La voce di Merlìha lo riscosse dai suoi pensieri.

“Già!” le diede ragione Lenn.

“Devozione assoluta verso gli amici, la famiglia e tutti coloro che rientrano nei propri interessi.

Ma soprattutto” e qui fece una pausa significativa, “devozione assoluta verso se stessi e i propri obiettivi!” concluse con un sospiro.

“Una delle pietre più ambigue” aggiunse Gabriel. “Non dimentichiamoci, inoltre, che si è formata quando Kyle aveva appena dieci anni. Cosa mai avvenuta prima d’ora” terminò riflessivo.

“Che significa?” domandò Merlìha.

“Che non si farà scrupoli nell’ottenere uno scopo” le rispose Lenn.

“Per colui che indossa quella pietra è, infatti, importante il fine, non il mezzo” aggiunse Gabriel.

“Vuoi dire che potrebbe contraffare ciò che reca i nostri interventi?” chiese ancora la ragazza.

“Sicuramente non si farebbe problemi, se questo potesse facilitare il suo obiettivo!” le rispose Gabriel.

“Se lo facesse, al Tavolo non avrebbero esitazioni a dargli credito. Sicuramente, la giustificazione sarà la nostra giovane età!” aggiunse Lenn.

“Non avrà problemi a dire che il nostro incantesimo, seppur giusto nell’intento, sia stato eseguito male a causa della nostra inesperienza” terminò per lui Gabriel.

“E allora?” si disperò la ragazza.

“E allora, abbiamo contro di noi un avversario potente, oltre che tremendamente scaltro!” rifletté Gabriel.

“Ma non vincerà, vero fratello?” chiese speranzosa la ragazza.

“Non posso dirlo” le rispose il fratello con un sospiro.

Merlìha lo guardò, sentendo le lacrime rigare le sue guancie.

Se anche Gabriel la pensava in quel modo, allora non avevano scampo.

D’altro canto, non dubitava delle parole del fratello; era il più oggettivo di tutti e quando parlava, esprimendo una sua opinione, lo faceva sempre con precisione e neutralità.

E se la sua risposta, che Merlìha sapeva veritiera, era stata quella, allora le loro possibilità di averla vinta sulle macchinazioni di Kyle erano ridotte all’osso.

“Possiamo solo aspettare, Merlìha!” la consolò Lenn.

“Ora, è tutto nelle mani del giovane Mago. Sia la storia, che la nostra stessa vita!” disse Gabriel, non profferendo più parola.

Non rimaneva altro da fare che aspettare come si fossero svolti gli eventi e sperare in Merlino.

A quel punto, era l’unico che poteva salvare tutti.

Tuttavia, le possibilità che la spuntasse contro uno dei guardiani più potenti, erano veramente effimere.
 

***
 

Parsifal vide il sole che andava sempre più scomparendo.

 Molti interrogativi attraversavano la sua mente.

Non si spiegava, infatti, perché, seguendo dettagliatamente le tracce, non era ancora arrivato al luogo dove avrebbe dovuto trovarsi il suo Re.

Eppure, lungo la strada, aveva incontrato il cadavere di Morgana.

Da lì in poi, aveva visto due paia d’orme allontanarsi, segno che il Re doveva essere ancora vivo e che con lui c’era Merlino.

Queste orme però l’avevano riportato esattamente al punto di partenza, quasi come se fossero tornati indietro.

Ma che senso aveva tutto quello, se non li aveva incontrati lungo la strada?

Si sedette, appoggiando la schiena a un albero e decidendo di proseguire appena fosse spuntata l’alba.

Con quella luce così scarsa non sarebbe riuscito a vedere più nulla.

Volse lo sguardo sul corpo della strega che giaceva a parecchi metri da lui, con l’ombra di un sospetto.

Se le tracce fossero state confuse appositamente?

Eppure, Morgana era morta.

Gli indizi dicevano chiaramente che il Re e Merlino si erano allontanati dopo la sua morte.

Come aveva potuto quindi confondere le tracce?

Chiuse gli occhi, decidendo che l’indomani avrebbe seguito il percorso stando all’erta.

A quell’ora, purtroppo, non poteva fare più nulla.

Non si accorse di un uomo accanto a lui che lo guardava sorridendo.

In realtà, non avrebbe potuto mai percepirlo.

Quello era un uomo solo in apparenza.

In realtà era uno degli esseri adimensionali più potenti e scaltri che la storia avesse mai visto.

Non la storia comune degli esseri umani, certo, quanto piuttosto la storia dei suoi simili.

In realtà, nel suo mondo era un uomo o meglio essere umano, cioè ogni creatura vivente appartenente a una determinata specie che risponde a determinate caratteristiche.

In quel mondo, invece, era solo l’immagine speculare di un uomo.

Uguale nelle fattezze e nei sensi, ma completamente opposto per natura fisica.

Era fermo e osservava il cavaliere con interesse.

Si avvicinò, facendo ondeggiare il suo mantello rosso.

Si inginocchiò accanto a lui con un ghigno.

“Scusami tanto!” disse sapendo che, in ogni caso, non avrebbe potuto sentirlo.

“Ma sai com’è! Mi saresti stato tra i piedi” disse prima di scomparire, facendo ondeggiare il suo lungo mantello rosso.

“Ciao, ciao” lo salutò, agitando la mano in segno di scherno e scompartendo definitivamente.

Qualcuno si stava svegliando e lui non poteva mancare.
 
 
***
 

Merlino aprì gli occhi guardandosi attorno e costatando che, oramai, era sera.

Un profumo gli stuzzicò le narici e, guardando di fronte a lui, vide lo sconosciuto che armeggiava con una pentola.

Faceva abbastanza freddo eppure Merlino non tremava.

Presto, si spiegò anche il perché; vide, infatti, che era ricoperto con un mantello rosso.

Toccò quella stoffa riconoscendola come una delle più pregiate e assaporandone il tocco morbido sulle sue dita.

Si mise a sedere, lasciando che il mantello che l’aveva ricoperto scivolasse via dalle sue spalle e rinunciando a malincuore a quel tepore.

“Puoi tenerlo se vuoi”.

La voce gentile dello sconosciuto lo riscosse dai suoi pensieri.

Era la prima volta che parlava dopo la sua prima frase e Merlino pensò che avesse un tono di voce piacevole, oltre ai suoi modi gentili che inspiravano fiducia.

Si ritrovò ad annuire con il capo stringendosi addosso il mantello con gratitudine.

Davanti agli occhi, ancora l’immagine di Artù morente.

Il dolore ancora lacerante dentro di lui.

Sentì le lacrime rigargli le guance ma fu lesto ad asciugarle.

Lo sconosciuto, se lo notò, non lo diede a vedere.

“Vuoi?” disse invece con un sorriso porgendogli una ciotola che sembrava contenere una zuppa dall’odore molto invitante.

“Non me la cavo molto” disse ancora sempre con un sorriso che Merlino avrebbe potuto definire affettuoso.

“Dovrai accontentarti” concluse scrollando le spalle.

Merlino prese la ciotola ringraziando con il capo e non chiedendosi il perché di tutte quelle gentilezze.

Il viso dello sconosciuto sembrava un’oasi momentanea, lontana dal dolore ancora troppo bruciante.

Doveva essere un nobile di alto rango, considerò il Mago osservando i suoi abiti ricercati.

“Come vi chiamate?” si decise poi a domandargli, costatando il fatto che l’altro non si fosse ancora presentato.

“Io sono Merlino” disse ancora, aspettando che anche chi gli stava di fronte gli rivelasse il nome.

Questi si voltò con un sorriso disarmante, guardandolo con i suoi occhi verdissimi.

“Kyle!” disse inclinando la testa di lato e allargando il sorriso.

“Mi chiamo Kyle”.
 
 
Continua…
 

Note:

Questo è un capitolo di passaggio che ha avuto lo scopo di introdurre un nuovo personaggio.

Nel prossimo capitolo, andremo direttamente nel futuro non abbandonando però totalmente il passato; i capitoli saranno, infatti, divisi in due parti, una ambientata nei tempi che sono succeduti a Camelot e un’altra ambientata direttamente nell’anno attuale.

Userò questa struttura per narrare i fatti che sono succeduti a Camelot fino a che questi non si incontreranno con il futuro.

Per questi fatti mi terrò comunque sul vago, concentrandomi soprattutto sui guardiani e sulle loro successive mosse.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Come sempre, attendo i vostri pareri.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Pandora86

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Capitolo 12
*** Capitolo 12. Addio a Camelot ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come il solito, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
 
Piccola nota iniziale per comprendere il capitolo:

secondo i miei calcoli, Artù muore nell’anno 1026 (anno calcolato in base ai fini della mia storia, ma nei capitoli più avanti spiegherò meglio questa decisione).

Quindi, in base a questo, su ogni paragrafo ci sarà l’anno in cui si svolge quel determinato avvenimento.

Una cosa importante è che quando specificherò l’anno scrivendo affianco Palazzo dei Guardiani, intendo l’anno che si riferisce alla storia che i nostri guardiani hanno guidato e non l’anno riferito al tempo dei guardiani che, come ho detto nei capitoli precedenti, è calcolabile solo con un anno umano a confronto, dato che il loro scorrimento temporale è assoluto e non relativo come quello del mondo umano.

Detto questo (sperando di non aver confuso le idee) vi lascio al capitolo augurandovi buona lettura.
 

Capitolo 12. Addio a Camelot
 

Anno 1026 - Palazzo dei Guardiani
 

Merlìha aprì la porta delle stanze di suo fratello facendola sbattere violentemente.

I due guardiani all’interno la guardarono carichi d’attesa.

La ragazza aveva i capelli scompigliati a causa della corsa frettolosa fra la Grande Sala e le stanze di Gabriel.

Si inginocchiò tenendosi il fianco e cercando di riprendere fiato.

“I Saggi si sono espressi” disse Lenn e la ragazza annuì con il capo.

Ancora senza fiato, si limitò a un unico gesto; Gabriel e Lenn la videro alzare il pollice.

“Abbiamo vinto!” disse poi riacquistando la voce e fiondandosi, letteralmente, fra le braccia del fratello.

Questi, pur non essendosi ancora mosso, fu lesto ad alzarsi e prenderla al volo.

“Siamo grandi, ragazzi!” si avvicinò anche Lenn, abbracciando Merlìha e Gabriel contemporaneamente.

La guardiana scese dalle braccia di suo fratello per improvvisare un balletto di vittoria con l’altro.

Gabriel si sedette pensieroso.

“Mi domando perché ci abbia fatto vincere!” disse seriamente, congiungendo pensieroso le mani.
I due interruppero la loro danza a quelle parole.

“Che importa!” disse la guardiana.

“Abbiamo vinto!” rimarcò ancora il concetto con un sorriso smagliante.

“Piuttosto, chi è il guardiano che ci succederà?” domandò Lenn.

“Ehm…” balbettò Merlìha, “questa credo di essermela persa!”.

“Merlìha” la riprese bonariamente Lenn con un sorriso.

“Che ci importa! Chiunque sarà, non cambia che noi, da oggi, siamo ammessi ufficialmente al Tavolo” sorrise ancora.

Lenn, a quelle parole, sospirò andando a sedersi nella poltrona accanto a quella di Gabriel.

“Mi spiegate che avete?” domandò la ragazza.

“A te, non lo domando proprio” continuò ancora indicando il fratello, “visto che, nonostante il verdetto, continui a vedere complotti ovunque”.

“Quello che mi sorprende però sei tu” aggiunse, guardando Lenn.

Questi, in risposta, sospirò ancora non sapendo, in realtà, da dove cominciare a esporre le sue perplessità.

“È difficile, Merlìha” rispose con tono basso.

“Voi non vi sentite strani?” domandò poi rivolto agli altri due.

“Io sono ancora troppo esaltata per la vittoria” disse Merlìha con semplicità.

“Tu sei sempre esaltata, sorella” la riprese Gabriel.

“Oh, insomma!” sbottò la ragazza.

“Tutto il palazzo è esagitato per i festeggiamenti che si terranno stasera in nostro onore e tu mi vieni a dire che ti senti strano?” domandò rivolta a Lenn.

Come risposta, il guardiano sospirò ancora.

“Guarda” disse poi rivolto alla guardiana mentre si alzava per accendere la televisione che fungeva da portale.

“Camelot” rispose la ragazza guardando le immagini sullo schermo.

“Merlino!” disse ancora quando l’immagine si concentrò su un ragazzo che vagabondava nella foresta a capo chino.

“Non sembra intenzionato a fare ritorno a casa molto presto” disse ancora la ragazza, guardando lo schermo con affetto.

Lenn lo notò e tornò alla carica.

“Adesso, Merlìha” disse, “non ti senti strana?” domandò con espressione rammaricata.

“Beh…” incominciò la ragazza.

“Un po’ mi mancherà” disse soltanto.

“Però, possiamo sempre continuare a osservarlo. Prima o poi, il mago dovrà conoscere la verità e il nostro mondo!” parlò ancora con praticità.

“Non possiamo, invece” la corresse il fratello intervenendo, per la prima volta, nel discorso.

“Che significa?” domandò la ragazza aggrottando le sopracciglia.

“Significa che noi adesso siamo Saggi, Merlìha” le rispose Lenn.

“Sarà compito di altri guardiani, magari quelli che si occuperanno dei secoli a venire, spiegare al Mago la sua vera storia” concluse decidendo di spegnere la televisione.

“E saranno sempre loro, fra qualche secolo, a consegnargli la pietra che gli spetta” aggiunse Gabriel.

“Noi, per lui, saremo solo dei nomi. Coloro che hanno formato e guidato la sua storia. Nulla di più” aggiunse Lenn con tono triste.

“Beh, ma è normale” rispose la ragazza parlando lentamente.

“I Saggi non si occupano di queste cose!” aggiunse con un tono sempre più basso, come se stesse solo
in quel momento capendo appieno cosa significava la loro vittoria.

“Dopo tutto quello che abbiamo fatto!” parlò con rammarico Lenn.

“Dopo averlo fatto nascere e crescere” continuò ancora.

“Penso sia normale affezionarsi alle proprie creature” disse ancora Merlìha.

“In fondo, anche se siamo stati bravi, questa è pur sempre la nostra prima missione. Per gli altri guardiani, che finito un tempo poi se ne occupano di un altro, queste cose diventano abitudine” rifletté la ragazza.

Gabriel, a quelle parole, si alzò in piedi avvicinandosi alla finestra e guardando il cortile.

“Quando mamma e papà tornavano da una missione” incominciò con tono basso.

“Ogni volta, vedevo sui loro volti un’espressione che non comprendevo” continuò.

Gli altri due ascoltavano attenti in silenzio, senza neanche muovere un muscolo.

Gabriel non parlava mai dei genitori; era Merlìha quella che ne parlava sempre.

Era un evento più unico che raro, quindi gli altri due continuarono ad ascoltarlo senza interromperlo.

“Sembravano tristi, ed io non ne capivo il perché!” disse ancora.

Dava le spalle agli altri due ma, anche se non poteva scorgere i loro volti, sapeva che lo stavano ascoltando attentamente.

“Avevo tredici anni, quando mi decisi a chiedere spiegazioni” parlò ancora Gabriel.

“Mia madre mi accarezzò gentilmente il capo, dicendomi che un giorno avrei capito la tristezza che si provava a separarsi dagli esseri umani” chiuse gli occhi, andando con la mente lontano.

“Io le risposi che non mi sarei mai affezionato a degli oggetti. Le dissi che erano solo un pretesto per dimostrare la nostra bravura. D’altronde, è questo, quello che ci hanno sempre spiegato.

Nei corsi che abbiamo seguito, ci hanno sempre raccomandato di provocare le sole e uniche guerre indispensabili ma non per il benessere degli esseri umani quanto per il nostro. Un mondo decimato, d’altro canto, non è utile a nessuno” fece una pausa, con un sospiro pesante.

“Ed io, sono cresciuto con questa convinzione. Non ho mai visto nessun guardiano soffrire il distacco dall’epoca guidata. Per questo non andavo d’accordo con loro” ritornò a sedersi guardando soprattutto Merlìha.

La ragazza annuì con il capo con un’espressione triste in volto.

Lei sapeva più degli altri quanto fossero stati complicati i rapporti fra i genitori e il fratello maggiore.

“E quando sono stati relegati nel mondo mortale, li ho odiati” parlò ancora Gabriel.

“Perché, anche se avevano fallito, sembravano felici.

Sembravano felici di non doversi più distaccare dai loro figli umani, così chiamavano coloro che guidavano. Intanto però, preferivano abbandonare i loro figli biologici. Eppure, adesso comprendo.

Comprendo come duecento anni passati a fare ciò possa essere logorante.

Il nostro è un mondo non adatto a coloro che si lasciano influenzare dai sentimenti.

In fondo, la nostra vita è eterna se non falliamo. E questo significa che dobbiamo convivere con i morti che le nostre guerre causano. Eppure, sembra che i sentimenti non siano peculiarità esclusiva degli esseri umani” concluse chiudendo gli occhi e congiungendo le lunghe e affusolate dita sotto il mento.

Passarono alcuni minuti di silenzio, dove neanche Merlìha, ora, aveva più voglia di parlare.

Fu Lenn a spezzarlo dopo un po’.

“Eppure, io non voglio abbandonare il Mago” disse con un sospiro.

“Non è più compito nostro proteggerlo. Ora, secondo le decisioni dei Saggi, deve andare avanti da solo” disse Merlìha triste.

Anche lei provava tristezza al pensiero di non dover più seguire il Mago.

“Che noi rifiutiamo o accettiamo la carica di Saggi, comunque non possiamo più stare a contatto con lui”
parlò ancora Lenn.

“La nostra vittoria significa solo una cosa” parlò nuovamente Gabriel.

“Questo è un addio a Camelot” disse soltanto.

In fondo, non c’era più nulla da aggiungere.
 

Anno 1026 - Camelot – Un mese dopo la morte di Artù
 

Era passato poco più di un mese da quando Merlino aveva fatto ritorno a Camelot.

Non sarebbe voluto tornare; era questa la sua intenzione quando aveva incontrato Parsifal nella foresta adiacente alle acque del lago di Avalon.

Poi però aveva cambiato idea.

Hai ancora delle cose da fare a Camelot!

Queste parole avevano acceso in lui la voglia di tornare.

Le parole dello sconosciuto ragazzo lo avevano spinto a tornare indietro.

Quando Artù era morto, era rimasto due giorni in compagnia del misterioso Kyle.

Non avevano parlato molto.

A un certo punto però, lo sconosciuto si era alzato in piedi fissandolo serio.

 

“Adesso devo proprio andare!” aveva esordito.

“La tua vita ha ancora uno scopo, anche se adesso ti sembra difficile scorgerlo. Fossi in te però, farei ritorno nel luogo che ti appartiene” aveva continuato.

“Hai ancora delle cose da fare a Camelot” aveva poi aggiunto con un sorriso, porgendogli la mano.

Merlino l’aveva afferrata guardandolo sbigottito.

Kyle aveva riso allegramente.

“Ci rivedremo ancora, Merlino” era stato il suo saluto prima di incamminarsi.
 


E lui era tornato.

A fare cosa poi, non lo sapeva.

La magia non l’aveva usata più.

Non aveva fatto più nulla in realtà, se non delle piccole commissioni per il suo mentore.

La regina era andata a fargli visita e Merlino aveva letto nei suoi occhi la consapevolezza di chi sapeva.

Come e quando fosse arrivata a quel tipo di conoscenza Merlino lo ignorava e, a dirla tutta, non gli interessava.

Che facesse quello che voleva: metterlo al rogo, esiliarlo… non aveva alcuna importanza per lui.
Invece, Gwen non aveva fatto nulla di tutto questo.

L’aveva abbracciato, facendogli sentire tutto il suo dolore.

L’aveva abbracciato per ricevere consolazione ma anche per darne.

Poi, non l’aveva più vista se non di sfuggita.

E ora, si trovava ancora a Camelot.

Le parole di Kyle l’avevano spinto a tornare, ma lui, adesso, non sapeva cosa fare.

Erano questi i suoi pensieri, mentre rientrava da un’ennesima commissione per Gaius.

Aprì la porta sconsolato, pregando che il mentore avesse ancora dei compiti per lui tenendolo, in questo modo, occupato.

Fu con sbigottimento che realizzò il fatto di non essere solo nella stanza.

Sobbalzò per lo spavento, portandosi una mano al cuore, prima di riconoscere la figura che sedeva a gambe accavallate e lo guardava sorridente.

“Voi qui?” domandò con un filo di voce, non del tutto ancora ripresosi dallo spavento.

“Ti avevo detto che ci saremmo rivisti” rispose Kyle.

 “Come facevate a sapere che ero qui?” domandò Merlino.

“Ti ho consigliato io stesso di fare ritorno a Camelot!” rispose con ovvietà l’altro.

Merlino annuì con il capo.

Giusto.

L’aveva detto lui.

D’altro canto, su come sapesse che lui abitava a Camelot, Merlino si era dato molte spiegazioni a riguardo.

Aveva, infatti, ipotizzato che dovesse essere stato a corte magari, e lui non l’aveva notato.

Un po’ strano ma plausibile.

“Come siete entrato?” domandò ancora, cercando di capirci qualcosa.

“Dettagli!” rispose ancora Kyle con un sorriso sghembo.

“Ehm…” fu tutto quello che riuscì a dire il Mago.

Kyle non parlava, continuando a guardarlo sorridente.

“Come mai siete qui?” domandò ancora il mago avvicinandosi all’altro.

“Eh” rispose questi con un sorriso benevolo.

“Per rimproverarti!” disse allegramente.

Merlino lo fissò accigliato.

“Oh, ma non è colpa tua” continuò Kyle agitando una mano.

“Quei tre ti hanno condannato a provare il doppio del dolore togliendoti il male” rifletté allegramente.

“Cosa?” domandò Merlino che non seguiva assolutamente il discorso dell’altro.

“Ma non starmi a sentire!” si alzò in piedi il guardiano.

“Non è tempo per queste cose. Dicevo, sono qui per rimproverarti” e allargò il sorriso.

“Ma abbiamo tempo” continuò ritornando a sedersi.

“Gaius sarà qui a momenti!” disse Merlino, cercando di capirci qualcosa.

“Chi?” domandò Kyle guardandolo interrogativo.

“Ah, sì! Il vecchio” si rispose poi da solo.

“Non mi ricordo mai il suo nome” continuò, parlando da solo e non preoccupandosi dello sbigottimento e della confusione sul volto dell’altro.

“Lo conoscete?” domandò ancora Merlino.

“Non personalmente!” rispose Kyle.

“Comunque è uscito poco prima che tu rientrassi. Non credo ci disturberà!” sorrise incoraggiante, poggiando i piedi sul tavolo.

Merlino lo guardò interdetto.

Ma non era un nobile?

Sicuramente sì, a giudicare dagli abiti.

E allora, perché aveva quegli atteggiamenti strani?

Non aveva mai visto un nobile sedersi a quella maniera.

Eppure, nonostante la posa sconveniente, Kyle non perdeva regalità.

Decise di soprassedere, continuando la conversazione.

“Perché siete qui?” domandò ancora.

“Ti ho risposto” disse ancora Kyle.

Merlino deglutì cercando di impostare una conversazione coerente.

“Rimproverarmi per cosa?” chiese ancora.

“Siediti” lo invitò Kyle con un cenno della mano.

Non era un ordine quanto un invito.

Eppure, il tono non perdeva autorità.

Merlino fece quanto gli era stato chiesto sedendo di fronte all’altro.

Kyle levò i piedi dal tavolo e lo guardò attento congiungendo le mani sotto il mento con i gomiti poggiati sulla superficie di legno.

“Il dolore è grande, ragazzo” parlò.

Merlino provò a rispondere ma questi lo interruppe con un cenno della mano.

“Il dolore è lacerante e sembra inghiottirti.

Ma adesso, è venuto il momento di andare avanti” parlò ancora, guardandolo serio.

Merlino avrebbe voluto domandargli come sapesse tutto quello, ma si ritrovò solo a deglutire di fronte a quello sguardo.

“Un mago depresso, che rinnega la sua magia, non è utile a nessuno” parlo ancora Kyle addolcendo il tono.

Meno che mai a me! Pensò, senza tuttavia dar voce ai suoi pensieri.

Merlino, a quelle parole si alzò di scatto, mandando in frantumi, a causa del gesto brusco, le boccette sul tavolo che finirono in piccoli pezzi sul pavimento.

“Siete uno stregone?” domandò, allarmato e sospettoso.

“Oh, ti prego! Non mi insultare” rispose Kyle con noncuranza.

“La magia non è malvagia!” rispose allora Merlino, indurendo pericolosamente il tono.

Ne aveva fin sopra i capelli delle persone che combattevano la magia.

“È ovvio che la magia non sia malvagia, ragazzo” rispose allora Kyle con tono di rimprovero mentre si alzava e lo fronteggiava.

“La magia non è né buona né cattiva, visto che è solo un elemento” continuò ancora, addolcendo il tono e decidendo di fare un giro per la stanza.

“Che cure rudimentali!” esclamò allegramente, osservando il contenuto di alcune boccette.

Merlino, rimasto sbigottito dall’atteggiamento dell’altro, nel sentire quell’affermazione, ritrovò la voce.

“Gaius è il miglior medico dei cinque Regni” disse brusco, difendendo il mentore.

“Senza dubbio!” rispose Kyle allegramente.

“Di quest’epoca, però!” continuò con noncuranza, camminando per la stanza e facendo ondeggiare il suo mantello.

“Cosa?” domandò interdetto il mago.

“Non farci caso!” liquidò la faccenda l’altro con un cenno della mano.

“Ok, ritorniamo a bomba!” disse poi sempre più allegro avvicinandosi.

“Eh?” chiese il Mago sbigottito.

Che lingua era quella?

Occhei… che significava quello che aveva detto?

“Oh, scusami tanto!” disse Kyle sbattendosi una mano sulla fronte.

Merlino lo vide assumere un’espressione pensierosa.

“È difficile parlare in quest’epoca” lo sentì borbottare il mago, anche se non era sicuro di aver capito bene.

In fondo… cosa poteva significare quello che aveva detto?

“Dicevo…” lo vide riacquistare la sua allegria dopo un po’.

“Va tutto bene, ritorniamo all’argomento principale!”.

Merlino annuì con il capo.

“Perché vi avrei insultato?” domandò, cercando di capirci qualcosa.

“Perché” rispose tranquillamente Kyle sedendosi e accavallando le gambe, “hai abbassato il mio rango!” disse semplicemente.

“Abbassato il vostro rango?” ripeté pensieroso.

“Esattamente” rispose questi con un sorriso, facendo ondeggiare la gamba che aveva accavallato.

“Io sono estremamente più potente di uno stregone” concluse fissandolo attento, non rinunciando però a un sorriso sghembo.

Merlino lo guardò, allargando gli occhi per lo stupore.

Lì allargò ancora di più quando vide gli occhi dell’altro tingersi d’oro e le boccette ricomporsi sul tavolo, ognuna con il proprio liquido dentro.

Arretrò, chiedendosi cosa fosse successo.

Kyle non si era mosso né aveva parlato.

Anche i suoi occhi avevano luccicato appena per qualche istante e non si erano tinti completamente.

Solo un leggero bagliore, nulla di più.

In effetti, non era neanche sicuro che avessero cambiato colore a quel punto.

“Non ti aspetterai che diventino completamente d’oro, e per parecchi istanti, per una cosa così banale?” gli domandò con semplicità l’altro.

“Comunque”continuò Kyle alzandosi, “sono venuto a farti un regalo” disse estraendo dal suo mantello un oggetto piccolo quanto una mano.

Un oggetto nero, un po’ più chiaro sulla superficie.

Merlino si avvicinò incuriosito cercando di osservarlo meglio, ma l’altro ritrasse la mano.

“Oh, scusami ancora!”disse Kyle sempre più allegro, guardando l’oggetto e toccandolo con un dito.

Appena il guardiano lo toccò l’oggetto emanò una strana luce.

“Oh, ho ricevuto un messaggio!” lo sentì dire il mago, mentre questi armeggiava freneticamente con il dito sullo strano oggetto.

Merlino lo vide riporlo poi nel mantello mentre nella sua testa mille domande prendevano forma.

Una missiva?

Su quel… quel… coso?!

“Il tuo regalo è un altro” disse ancora Kyle estraendo, questa volta, un libro che porse gentilmente al
mago.

Merlino lo guardò interdetto.

Da dove era uscito quel libro?

Va bene! Si rispose poi mentalmente da solo.

Senza dubbio, era uscito dal mantello dell’altro.

La domanda, infatti, era un’altra: perché sembrava non esserci niente sotto il mantello e invece poi usciva fuori un libro di quelle dimensioni?

Decise di soprassedere notando che era rimasto alcuni istanti in silenzio mentre l’altro continuava a porgergli il libro con un sorriso incoraggiante.

Lo afferrò incuriosito, iniziando poi a sfogliarlo con mani tremanti: era un libro di magia!

Rivolse un sorriso timido all’altro, che ricambiò allegramente.

“Spero di non aver sbagliato ancora” disse Kyle. “Riesci a capire la scrittura? Sai, a volte, sono un po’ distratto!” concluse, facendogli l’occhiolino.

Merlino lo guardò truce.

“So leggere, anche se sono solo un servo!” rispose piccato.

“E, infatti, io non ti ho chiesto se sai leggere, ragazzo!” rispose Kyle tranquillamente.

“Ora devo proprio andare!” disse ancora.

“Però, devo chiederti un’ultima cosa”.

“Cosa?” chiese Merlino, distogliendo lo sguardo dal libro.

“Lo mostrerai al tuo mentore?” chiese Kyle.

Merlino guardò il libro pensieroso.

A Gaius non aveva raccontato di aver incontrato Kyle tempo addietro; non ne aveva vista la necessità.

Si trattava solo di uno sconosciuto di passaggio, in fondo.

“Gli parlerai di me?” domandò ancora Kyle, avvicinandosi e poggiandogli le mani sulle spalle.

Merlino non poteva vedere il suo viso dato che Kyle era dietro di lui.

“Beh, Gaius è il mio mentore” rispose Merlino incerto.

“Capisco!” disse Kyle semplicemente.

Merlino non poteva scorgere il suo viso ma se l’avesse potuto fare avrebbe visto gli occhi dell’altro, a quella risposta, cambiare colore.

Non si trattò di un bagliore di pochi istanti, questa volta.

Gli occhi si tinsero completamente, rimanendo dorati per più di qualche secondo mentre un sorriso furbo si dipingeva sul volto dell’altro.

Dopo un po’, i suoi occhi ritornarono del solito verde brillante e Kyle si allontanò assumendo un’espressione rassicurante.

“Confidati, se lo ritieni opportuno!” disse dolcemente avviandosi alla porta.

Anche se non credo proprio che lo farai! Pensò con un sorriso supponente, non dando però voce ai suoi pensieri.

“A presto!” salutò allegramente.

“Nascondi bene quel libro!” gli raccomandò indicandolo con la mano, prima di uscire definitivamente dalle stanze del medico e chiudersi la porta alle spalle.

Merlino sorrise per parecchio tempo dopo che Kyle fu uscito.

Strinse a sé il suo nuovo tesoro.

La magia; come aveva potuto rinnegarla così?

Era soltanto colpa sua se Artù era morto, non della magia.

“A presto” sussurrò alla stanza oramai vuota.

Le braccia si strinsero intorno al libro.

Sul volto, ancora presente un sorriso.

Da quanto tempo non sorrideva realmente?

“A presto” disse ancora, portando il suo sguardo alla copertina.

Non sapeva perché, ma quel libro gli dava la forza di andare avanti.
 

Anno 2013 – Londra – Settembre
 

Un uomo anziano, dall’aria stanca, camminava lentamente lungo la strada appoggiandosi a un bastone.

I capelli erano incolti, la barba lunga e gli occhi, di uno spiccato azzurro cielo, recavano le tracce di una saggezza secolare.

Un grosso camion blu, che veniva dalla direzione opposta alla sua, gli sfrecciò accanto producendo un
rumore assordante.

L’uomo non sembrò curarsene mentre interrompeva, per qualche minuto, il suo cammino.

Volse lo sguardo, soffermandosi qualche istante sul lago che si estendeva alla sua sinistra riprendendo poi il suo cammino.

Uscì dalla strada principale imboccando una stradina isolata che recava a un’abitazione privata.

Al suo passaggio, l’immenso cancello automatico si aprì.

L’uomo entrò alzando lo sguardo e trovando la conferma alle sue supposizioni: qualcuno lo stava aspettando e l’aveva scorto da una delle finestre del secondo piano.

Entrò nell’immensa villa camminando sicuro.

Ad ogni passo, il suo aspetto mutava.

I capelli si scurivano, la barba scompariva, le rughe si stendevano fino a rivelare un volto lisco e giovane; il volto di un ventenne.

Anche i suoi abiti mutarono, mentre saliva l’imponente scalinata.

I logori abiti divenivano più moderni lasciando il posto a dei pantaloni di pelle neri abbinati a una casacca, sempre nera.

Un lungo mantello nero, di velluto pregiato, completava il look.

Un look strano per quell’anno.

Un look usuale in quella casa dove abitavano esseri senza tempo, i cui corpi avevano infranto tutte le leggi fisiche possibili.

Sulla sua mano divenne visibile un anello dalla pregiata fattura, con sopra un diamante nero dalla purezza incredibile e dal valore incalcolabile.

Entrò nello studio trovando la persona che lo aveva scorto dalla finestra, aprendogli quindi il cancello.
Un ragazzo biondo, dagli occhi verdissimi, lo accolse con un sorriso smagliante.

Il suo abbigliamento era semplice e poco ricercato anche se comunque si trattava di abiti dalle firme più costose.

Anche lui indossava un mantello rosso, in netto contrasto con l’abbigliamento moderno; segno che anche lui doveva essere rientrato da poco.

Non portava nessun ornamento ad eccezione fatta per un anello alla mano destra, con una pietra di Granato incastonata nel metallo prezioso.

“Ricordami perché vai in giro come un vecchio barbuto” gli disse, con tono scherzoso.

L’uomo si sedette rivolgendogli un sorriso complice e comprensivo.

“Ti ricordo che io sono il nipote del vecchio proprietario di questa enorme villa” rispose sorridendo e mostrando una fila di denti bianchissimi.

“Beh, considerata l’età, il vecchio potrebbe anche decidere di tirare le cuoia nominando te come suo unico erede” continuò il ragazzo biondo.

L’uomo ridacchiò alzandosi dalla sua poltrona e afferrando il violino posato accanto a lui: uno stradivari dalla fattura pregiatissima e dal legno antichissimo.

Lo impugnò controllando l’accordatura e leggendo lo spartito posato sul leggio.

Tirò appena qualche arcata* quando sentì bussare alla sua porta.

Un altro uomo dal volto serio e pallidissimo entrò senza esitazioni.

Colui che aveva inforcato il violino lo guardò interrogativo, soffermandosi sul suo ottimo gusto in fatto di abiti.

I pantaloni di pelle nera gli donavano e la camicia, sempre nera, gli cadeva a pennello.

Il mantello nero in stile medievale creava un contrasto a dir poco regale con gli abiti moderni.

Anche se, considerò, pure indossando una tunica, non avrebbe perso la sua classe ed eleganza, oltre all’indiscutibile bellezza di quella carnagione pallida e di quei capelli nerissimi.

Anche lui portava un anello: la pietra era un rubino dal colore rosso sangue.

“Credo sia necessaria la nostra presenza!” disse soltanto il nuovo arrivato.

Gli altri due annuirono, pronti ad ascoltare le novità.
 
Continua…
 
*arcata : termine che viene utilizzato quando un violinista (o qualsiasi altro musicista che suoni uno strumento ad arco) produce il suono tramite l’archetto. Tirare un’arcata, dare un’arcata, fare un’arcata, sono tutti modi di dire che intendono la stessa cosa.
 
Note:
 
Alcune precisazioni sulla parte ambientata a Camelot:

La prima apparizione certa dell'acronimo, nella forma "o.k.", risale al 23 marzo 1839 nel "Boston Morning Post".
A dispetto della sua diffusione universale, non vi è la benché minima concordanza sulla possibile origine della locuzione.
Ci sono comunque molte ipotesi riguardo la sua origine e tutte partono dal 1800 in poi.
Il termine OK si è diffuso in Italia a partire dal 1943, anno nel quale le truppe statunitensi sbarcarono in Sicilia ed iniziarono la campagna militare che, nel corso dei due anni seguenti, li avrebbe portati a risalire l'intera Italia.
In ogni caso, la modernità del termine non permette a Merlino di capire quello che Kyle vuole dire.
Per quanto riguarda la frase: torniamo a bomba, anche qui si tratta di un modo di dire moderno.

Alcune precisazioni sulla parte ambientata nel 2013:

quella parte, come avrete intuito, riparte esattamente dall’ultima scena dell’ultima puntata del telefilm.
Ho ripreso quella scena, continuandola nella mia storia, decidendo di far partire il futuro proprio dalla fine del telefilm.
 
 
Che altro dire… spero che questo capitolo vi sia piaciuto!
Attendo, come sempre, i vostri commenti.
Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.
Pandora86

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Capitolo 13
*** Capitolo 13. Svolta ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come il solito, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
 
Piccola nota iniziale per comprendere il capitolo:
secondo i miei calcoli, Artù muore nell’anno 1026 (anno calcolato in base ai fini della mia storia, ma nei capitoli più avanti spiegherò meglio questa decisione).
Quindi, in base a questo, su ogni paragrafo ci sarà l’anno in cui si svolge quel determinato avvenimento.
Una cosa importante è che quando specificherò l’anno scrivendo affianco Palazzo dei Guardiani, intendo l’anno che si riferisce alla storia che i nostri guardiani hanno guidato e non l’anno riferito al tempo dei guardiani che, come ho detto nei capitoli precedenti, è calcolabile solo con un anno umano a confronto, dato che il loro scorrimento temporale è assoluto e non relativo come quello del mondo umano.

Detto questo (sperando di non aver confuso le idee) vi lascio al capitolo augurandovi buona lettura.
 
 
 
 
Capitolo 13. Svolta
 

Anno 1026 – Palazzo dei Guardiani
 

Merlìha accese la televisione che fungeva da portale decidendo di spegnerla qualche istante dopo.

Che senso aveva avere vinto, se non potevano più guidare il Mago?

Gabriel e Lenn la sentirono sospirare pesantemente ma non dissero nulla.

Anche loro condividevano quello stato d’animo.

Il futuro, per loro che erano i Guardiani, non poteva essere più incerto.

“Oh, oh… ecco i novellini gongolanti dopo la loro prima missione” esordì una voce alle loro spalle, entrando nella stanza senza neanche bussare la porta.

 “Non si usa più bussare?” lo richiamò Gabriel con un cipiglio scuro.

“Salve Kyle” salutò educatamente Lenn.

“Suvvia, al diavolo le formalità” disse questi allegro.

“In fondo, centocinquanta anni non sono poi molti. E poi, se permettete, sono portati benissimo!” concluse con un’espressione idiota.

Gabriel lo squadrò, indeciso se fulminarlo all’istante oppure prenderlo letteralmente a calci e risolvere la questione alla maniera umana.

“È vero” convenne Merlìha sorridendo.

Gabriel sbuffò osservando il guardiano.

Tra gli umani avrebbe dimostrato al massimo ventisette - ventotto anni.

Biondissimo, con i capelli che gli cadevano scomposti lungo il visto, separati da un’ordinata fila centrale.

Ciuffi ribelli gli cadevano sulla fronte mentre le altre ciocche incorniciavano la mascella regolare.

Occhi verdissimi, che apparivano sempre giocosi e pronti alla burla.

Occhi che potevano terrorizzare anche il più navigato degli anziani se però lo volevano.

Kyle: uno dei guardiani più potenti del Regno, assecondato anche dai Saggi.

E, proprio perché potente, anche il più idiota.

Le persone, più erano potenti meno sentivano il bisogno di rimarcare la propria autorità.

Coloro che invece erano delle mediocrità terrorizzavano gli altri o imponevano il loro volere sui loro sottoposti come per ricordare a se stessi di avere un minimo di autorità.

“Non dargli corda” la riprese severo il fratello.

“O suvvia, il bel tenebroso non è mai di buonumore?” lo prese in giro Kyle.

“Reincarnazione?” domandò poi a Merlìha leggendo il titolo del libro che aveva in mano.

“Non ti sei occupata di un tempo popolato da Maghi?” domandò perplesso.

“L’ignoranza di mia sorella non ti riguarda!” sbottò Gabriel fronteggiandolo.

“Che vuoi?” domandò truce.

“Farvi i complimenti?” rispose questi con tono ironico.

“Ritenta” disse Gabriel, scandendo lentamente la parola.

“Oh… non ti si può nascondere nulla!” si finse preoccupato l’altro.

“Sapere che intenzioni avete adesso!” disse ritornando serio e cambiando immediatamente tono.

Merlìha, a quel punto, alzò lo sguardo interessata.

“La cosa non ti riguarda!” sibilò velenoso Gabriel.

“Invece” allargò il sorriso Kyle, “mi riguarda eccome!”.

“Simpatico il maghetto” aggiunse poi gettando l’amo. “Affascinante a quell’età!” disse con scherno.

“Sei stato a Camelot!” affermò Gabriel pungente.

Il guardiano biondo, in tutta risposta, gli fece l’occhiolino come ammissione non dicendo però nulla ad alta voce.

Gabriel lo squadrò attento, sapendo che Kyle era troppo furbo per ammettere una cosa del genere con quella facilità.

Decise di cambiare tattica.

“Suppongo che dobbiamo ringraziare te per la nostra vittoria!” disse allora con un sorriso gelido che avrebbe fatto sciogliere i ghiacciai dell’Antartide.

“Oh, dovete piuttosto ringraziare voi stessi” non si scompose Kyle.

“Il mago non sarebbe servito a nulla da morto!” parlò ancora, avvicinandosi all’altro.

“E anche voi, siete più utili qui che relegati nel Mondo mortale” concluse, accompagnando la frase con una risata.

“Cosa vuoi?” gli chiese Gabriel fronteggiandolo, con gli occhi ridotti a due fessure.

“Entrare nella storia” disse questi, con un luccichio ambizioso negli occhi.

“Ma noi siamo Guardiani!” intervenne Lenn con tono pacato ma fermo.

Merlìha seguiva invece quello scambio di battute con sguardo ansioso.

“Vi annoierete molto, dopo la vostra vittoria” disse allora Kyle.

“Che spreco” continuò.

“Così giovani e promettenti” e calcò sulle parole, “e già relegati al tavolo dei Saggi a occuparsi di scartoffie!”.

“Saggi sulla carta, ma non per il potere!” continuò poi.

“Che spreco” sospirò ancora teatralmente.

Che- cosa- vuoi?” ripeté ancora Gabriel scandendo lentamente le parole.

“Che accettiate l’offerta dei Saggi e che vi sediate a quel tavolo” dichiarò senza mezzi termini Kyle.

“E perché mai?” domandò ancora l’altro facendosi attento.

“Vedi, Gabrielino-ino-ino” cantilenò Kyle.

“Siete molto più utili, se avete l’autorità dei Saggi!” gli spiegò.

“Avete gettato un occhio sui vostri successori?” domandò ancora.

“Oh, sì che l’avete fatto. Tra l’altro, ho proposto io di mandare quei due inutili guardianucoli per occuparsi di Ginevra e del secolo a venire”.

“E perché mai?” domandò Lenn.

“Non hai notato niente, cara? Quando hai guardato nel portale, intendo” domandò Kyle rivolto a Merlìha.

“Beh, ti rispondo io” continuò nel suo monologo.

“Ho consigliato ai nuovi guardiani di rallentare lo scorrimento temporale. Sapete, se qui è passata una settimana dalla vostra vittoria, a Camelot è passato poco più di un mese!” spiegò con noncuranza.

“Hai scelto dei guardiani che prendono per oro colato quello che dici!” tirò le somme Gabriel.

“Esattamente!” gli confermò Kyle con tono annoiato.

I suoi occhi divennero d’oro e un portale comparve nella stanza.

Merlino, seduto sul suo letto a gambe incrociate, sfogliava un libro con il sorriso sulle labbra.

Dopo pochi istanti, il portale si richiuse.

“Dove ha preso quel libro?” domandò Lenn aggrottando le sopracciglia.

“Forse è uno di quelli scampato alla grande epurazione!” rispose sarcastico Kyle.

“O forse glielo hai dato tu!” sibilò velenoso Gabriel.

“Non intendo fargli alcun male. D’altro canto, il ragazzo sta passando dei momenti terribili grazie a voi”.

“Oh, ma come sei altruista” lo riprese sarcastico Gabriel.

“Preferirei dire pragmatico. Un mago che soffre non è utile a nessuno, e a me meno che mai!”.

“L’incantesimo era necessario per la storia” intervenne paziente Lenn.

“Lo so!” gli diede ragione Gabriel.

“D’altro canto, sono stato io a proporre di mandarvi a Camelot” sorrise.

“E come mai siamo ancora vivi e nel nostro mondo?” domandò Gabriel sarcastico.

“Perché sapevo che avreste vinto!” rispose sicuro Kyle.

“Sin dalla vostra nascita, vi siete sempre distinti. Vi ho tenuto d’occhio, pensando che foste le persone giuste per uscire vincitori dal tempo di Camelot” e, a quelle parole, iniziò a girovagare per la stanza.

“D’altro canto, è stato facile convincere i Saggi. Hanno preso al volo la proposta che consentiva loro di liberarsi di voi” spiegò con noncuranza.

“Hai manipolato tutti” parlò ancora Gabriel.

“Ovvio!” gli rispose sicuro Kyle.

“Ma perché?” chiese Merlìha intervenendo, per la prima volta, nel discorso.

“Perché siete promettenti e, con il tempo, diventerete anche potenti” le sorrise incoraggiante Kyle.

“Vi siete mai chiesti perché i Saggi siedono al Tavolo dopo i cinquecento anni?” chiese loro.

“Ve lo dico io: l’età è solo una scusa. Più passano i secoli, più la nostra potenza aumenta.

I Saggi, per la loro anzianità, hanno il potere di entrare nel tempo gestito da altri guardiani senza essere percepiti dagli stessi. È una cosa necessaria se il guardiano combina un pasticcio.

Tuttavia, in base alle nostre leggi, non sfruttano questo potere, limitandosi ad accumulare scartoffie su scartoffie.

E, un potere non coltivato, viene perso” spiegò lasciando che afferrassero il concetto.

“Io, invece, ho coltivato da sempre questo potere, insieme ad altre cose, diventando quello che sono. A proposito” disse rivolto a Gabriel.

“I capelli lunghi ti stanno malissimo” aggiunse con scherno.

“Sei intervenuto a Camelot?” chiese Lenn, cercando di non perdere la calma.

Kyle stava praticamente ammettendo di aver infranto le loro leggi.

“Mi sono limitato a osservarvi. Vi ho già detto che la vittoria è tutta vostra” lo riprese Kyle per nulla intimorito.

“Ora, dovete diventare Saggi. In pratica, diventare potenti almeno per il vostro centesimo compleanno” spiegò noncurante.

“Perché?” chiese Merlìha.

“Questo mondo mi sta stretto!” le rivelò Kyle allargando il sorriso.

“A che serve essere il più potente di tutti? Io voglio entrare nella storia!” disse ancora.

“E questo, fra un centinaio d’anni sarà possibile, con la vostra autorità unita alla mia” concluse.

“Perché dovremmo aiutarti?” chiese Gabriel.

“Perché neanche voi volete lasciare da solo il mago ad affrontare l’eternità” disse solamente.

Non aveva bisogno di aggiungere altro; lì aveva già convinti.
 


Anno 1027 – Camelot – Un anno dopo la morte di Artù
 

“Concentrati, ragazzo!” lo riportò all’ordine la voce di Kyle.

“È quello che sto facendo!” rispose piccato Merlino.

“Non è abbastanza, allora” parlò ancora Kyle.

“Devi riuscire a richiamare il fuoco, Merlino” parlò ancora il guardiano.

“Senza pronunciare nemmeno una parola. Senza pensare a nessun incantesimo” gli spiegò, ancora una volta, Kyle.

“Non devi limitarti ad accendere un fuoco, ma richiamare l’essenza dell’elemento. Devi dare vita a un fuoco che non possa bruciarti” aggiunse il guardiano.

“È difficile” costatò Merlino.

“Devi capire l’essenza del fuoco” gli chiarì ancora Kyle.

“Devi pensare alla sua essenza, al suo carattere, alla sua vita!” gli spiegò ancora dolcemente.

“Non riesco a pensare al fuoco come una creatura” gli espose i suoi dubbi Merlino.

“E invece dovresti!” si sedette accanto a lui Kyle.

“Ogni cosa ha vita, ogni cosa ha energia!” gli spiegò con un sorriso.

“Ene-che?” provò a ripetere il mago.

“Oh, significa vita. Più o meno” venne in suo soccorso Kyle.

Merlino annuì con il capo, senza però fare altre domande.

Oramai era un anno che lo conosceva e spesso l’aveva sentito usare parole a lui sconosciute.

Dopo un po’, aveva smesso di fare domande.

“Allora, ripetiamo quello che ti ho detto l’altro giorno” riprese Kyle battendogli una mano sulla spalla come segno d’incoraggiamento.

“Tutto può essere percepito, tutto ha vita” disse il Mago attento.

“Tutto fa parte dei quattro elementi fondamentali” ripeté ancora.

“Ogni cosa appartiene a una natura” concluse.

In realtà, non ci aveva capito molto, anche se ricordava le parole.

Kyle dovette capirlo visto che gli sorrise incoraggiante.

“Allora, vediamo di dimostrare a fatti queste parole” disse alzandosi in piedi.

“Come?” domandò il mago.

“Osserva attentamente” disse Kyle prendendo un sasso.

“Cos’è questo?” gli domandò, inginocchiandosi di fronte a lui.

“Un sasso!” disse Merlino incerto.

“Bene!” annuì Kyle.

Portò l’altra mano sulla pietra e i suoi occhi divennero d’oro.

Merlino lo guardava affascinato.

Non gli aveva mai spiegato chi fosse in realtà; sapeva solo che era potente, molto potente.

E che era un suo amico.

Uno dei pochi rimasti oltre Gaius.

Un amico diverso però.

Kyle gli insegnava trattandolo con grande riguardo. Non come un allievo, ma come un suo pari.

Lo capiva come nessuno mai aveva fatto.

E, quando manifestava il suo grande potere, era una cosa che Merlino accoglieva con gioia.

Le manifestazioni della potenza di Kyle erano, infatti, rare.

Tempo addietro, Kyle gli aveva detto che era meglio non dare segnali della sua presenza
e Merlino, capendo che l’altro non avrebbe aggiunto nulla, non aveva fatto domande a riguardo perché non voleva rinunciare al suo nuovo amico.

Kyle, a quanto aveva capito, se utilizzava troppo la sua magia, rischiava di essere scoperto.

Da chi, ancora non lo sapeva, tuttavia, Merlino non voleva che accadesse.

“Cos’è questo adesso?” domandò Kyle mostrando la pietra nella sua mano e distogliendolo dai suoi pensieri.

Aveva cambiato forma diventando un coniglio scolpito.

“Un coniglio?” domandò incerto Merlino.

Kyle sorrise.

“Sì!” asserì. “Ma qual è la sua natura?” domandò incoraggiante.

“La pietra” disse Merlino, sentendo di iniziare ad afferrare qualcosa.

Kyle prese un altro sasso.

“Questo cos’è?”

“Una pietra” rispose sicuro Merlino.

“Forme diverse” spiegò Kyle. “Forme diverse ma natura uguale” gli chiarì il concetto.

Poi, prese una foglia.

“Questa cos’è?” domandò ancora.

“Foglia” rispose sicuro Merlino.

“Quindi, una pianta” parlò ancora Kyle.

I suoi occhi divennero nuovamente d’oro e la foglia diventò una pietra.

“Tocca” disse Kyle.

Merlino lo fece incerto trovandola meno dura di quanto si aspettasse.

“È pur sempre una foglia, anche se all’apparenza sembra un sasso” gli spiegò Kyle.

“Forme diverse per la stessa natura” disse ancora indicando i due sassi, uno dei quali recava ancora la forma del coniglio.

“E forme uguali per natura diversa” continuò indicando il sasso e la foglia, momentaneamente divenuta pietra.

“L’apparenza delle cose non ti deve ingannare. Se percepirai la loro natura, allora riuscirai a essere il padrone degli elementi”.

“Da dove vengono la pietra e la foglia?” domandò ancora Kyle.

“Dalla terra” rispose sicuro Merlino.

“Ogni cosa rientra in almeno uno dei quattro elementi” ripeté il Mago, capendo finalmente le parole del guardiano che sorrise di rimando.

“E tu” aggiunse Kyle, “in qualità di essere umano, li accogli tutti nel tuo stesso corpo. Di conseguenza, se li hai dentro di te, li controlli divenendo il loro padrone” gli spiegò gentile.

Merlino lo guardò incerto; anche suo padre, tempo addietro, gli aveva detto una cosa
riguardante i quattro elementi solo che allora non aveva capito.

Neanche adesso in realtà… come poteva avere dentro di lui tutti gli elementi?

Lo domandò a Kyle che sorrise benevolo.

“Nel tuo corpo è presente l’acqua e nel tuo cervello c’è l’aria” incominciò gentile cercando di utilizzare parole che lui potesse capire.

“La tua pelle è fatta da elementi che provengono dalla terra” continuò.

“La mia pelle?” domandò incerto Merlino.

“Anche le tue ossa, in effetti” gli spiegò Kyle evitando però di dirgli che le ossa degli esseri umani erano formate da calcio, un elemento chimico proveniente dalla terra.

Il mago annuì incerto.

“E il fuoco?” domandò. “È il mio cuore?” chiese ancora.

“Intendi la passione del fuoco?” domandò gentile Kyle.

L’altro annuì ancora.

Kyle ridacchiò allegro.

“No, Merlino. Anche se è un paragone molto romantico, quando parlo di elementi non intendo sentimenti!” gli spiegò gentile.

“E allora dov’è?” domandò incerto il Mago.

“Ehm…” provò a spiegargli l’altro. “In effetti, è un po’ difficile!” si giustificò, grattandosi il capo.

Come faceva a spiegargli, in termini che avrebbe potuto comprendere, che il fuoco, nel suo corpo, si traduceva in calore?

Gli organi, il cuore stesso, producevano onde elettromagnetiche che viaggiavano attraverso il corpo a una velocità tale da produrre calore.

Il cervello inviava impulsi al resto del corpo. Impulsi che si traducevano in scariche elettriche che ovviamente avevano calore.

Il suo corpo bruciava calorie producendo, ovviamente, calore.

In questi modi e in molti altri il fuoco era presente nel corpo umano.

Tuttavia, era un po’ troppo indietro nei secoli per esprimersi in quei termini.

D’altro canto, se il Mago non avesse compreso la natura del fuoco, non sarebbe riuscito a controllarlo.

Lo fissò pensieroso, fino a che il volto si illuminò in un sorriso allegro.

“Conosco qualcuno che potrebbe spiegarti meglio la natura del fuoco!” disse raggiante.

“Ci sono altri come voi?” domandò Merlino.

“Oh, sì!” gli confermò Kyle.

“Ci sono tre persone che dovresti conoscere. Credo sia giunto il momento!” disse Kyle non aggiungendo altro.

In fondo, quello che non mancava, era proprio il tempo.
 

Anno 2013 – Londra - Settembre
 

I tre uomini scesero l’imponente scalinata dell’immensa villa, accomodandosi nella sala principale.

Lì erano attesi da altre due persone, un uomo e una donna.

Anche loro si stavano liberando dei loro mantelli, segno che dovevano essere rientrati da poco.

I tre uomini si accomodarono al tavolo seguiti dagli altri.

Colui che indossava il diamante nero sedeva a capotavola.

Alla sua destra, c’era colui che indossava il rubino rosso seguito da chi aveva la pietra di granato.

Alla sua sinistra compariva la ragazza con uno smeraldo verde seguita dall’uomo con uno zaffiro azzurro.

A quel tavolo erano seduti gli esseri più potenti che la storia aveva mai visto.

Quattro di loro non erano previsti in quel futuro.

Quattro di loro avevano sfidato il loro mondo e cambiato la loro natura fisica per accompagnare nell’eternità il più grande mago di tutti i tempi.

Quattro di loro, un tempo, erano stati Guardiani.

Molti secoli prima avevano scelto di diventare esseri umani.

Stregoni, questo erano diventati.

Stregoni potenti che padroneggiavano gli elementi.

Stregoni con un potere tale da poter accompagnare colui che incarnava la magia.

Tutti stregoni, tutti immortali.

Tuttavia, per i Guardiani era un’immortalità diversa rispetto a quella che possedevano, per nascita, nel loro mondo.

Perché, se colui che incarnava la magia aveva un’essenza immortale e un corpo mortale che poteva essere ferito, loro, in qualità di guardiani avevano anche un corpo immortale, immune a tutte le piaghe degli esseri umani.

Eppure, avevano rinunciato a questo privilegio, solo per seguire e accompagnare quella che un tempo era stata la loro creatura, per tre di loro.

Per il quarto, invece, all’inizio era stato solo un mezzo per entrare nella storia ed essere acclamato.

Con il tempo, invece, il suo cuore era mutato imparando a provare sincero affetto per i suoi compagni.

Tutti, nessuno escluso.

In fondo… era entrato nella storia, proprio come aveva predetto secoli prima.

Inoltre, non era più solo come quando era un Guardiano.

Lì, in quel mondo, tutti lo temevano e lo osannavano, Saggi compresi, eppure non aveva nemmeno un amico sincero.

Invece, adesso aveva tutta la storia da percorrere, in compagnia di quattro compagni che, andasse come andasse, non lo avrebbero mai lasciato.

Nessuno, infatti, avrebbe sciolto quel gruppo così solido.

I maghi moderni avevano ricamato molte storie su di loro.

Parlavano di Merlino, e del suo discendente che adesso li guidava.

Parlavano di quattro compagni potentissimi che avevano seguito Merlino e dei loro discendenti che seguivano le orme dei loro predecessori.

Pochi, in realtà, credevano all’immortalità ma, in fondo, non aveva molta importanza.

L’importante era che fossero tutti arrivati nel ventesimo secolo, superandolo addirittura.

L’importante era che fossero tutti lì, insieme.

“Quali sono le novità?” parlò l’uomo con il diamante nero, congiungendo le mani.

Questa voce riscosse Kyle dai suoi pensieri.

“Tutto bene?” gli domandò colui che sedeva a capotavola.

“Pensavo” rispose Kyle con un sorriso.

“E da quando?” intervenne sarcastico l’uomo con il rubino rosso.

“Passano i secoli, ma il tuo umore non migliora mai, Gabrielino-ino-ino!” cantilenò Kyle.
Merlìha ridacchiò.

“Cosa ti turba?” domandò ancora l’uomo con il diamante nero.

“Nulla in particolare” rispose Kyle scrollando le spalle.

“Pensavo solo a quante ne abbiamo passate e al fatto che siamo tutti nel terzo millennio!” rispose con noncuranza.

“Come dimenticare lo sciocco ragazzino che non sapeva evocare il fuoco” disse con finta ironia.

“Come dimenticare colui che mi fece vedere un cellulare nel Medioevo” rispose a tono l’uomo accompagnando la frase con un sorriso affettuoso sulle labbra.

A quelle parole, Kyle iniziò a ridere di gusto.

“È vero” disse fra le risa.

“L’avevo dimenticato!” concluse, asciugandosi gli occhi.

“Dì la verità, fosti contento quando ti presentai Gabriel!” disse ancora Kyle.

“Beh” rispose l’uomo.

“Avevo finalmente qualcuno che parlava usando parole che io potessi capire!” sorrise al ricordo.

“Guarda che non lo facevo apposta!” si difese Kyle. “Avevo serie difficoltà a parlare nel Medioevo!”.

“Eppure, non sembravi molto contento quando ci conoscesti!” intervenne Merlìha.

L’uomo a capotavola la guardò interdetto.

“Non so se ricordi come ci siamo presentati, Merlìha” intervenne Lenn, sorridendo incerto.

“Beh, siamo usciti da un portale” rispose la ragazza.

“E tu sei inciampata nel mantello di Lenn, mentre correvi incontro al Mago” aggiunse Kyle.

“Oh, beh, dettagli” sbuffò la ragazza.

“Voglio anche aggiungere che poi lo hai quasi stritolato nel tuo abbraccio, quando sei riuscita ad alzarti” disse ancora Kyle.

“E allora?” domandò piccata la ragazza.

“E allora non erano costumi dell’epoca, sorella!” intervenne Gabriel sbuffando.

Kyle incominciò a ridere e anche Lenn incurvò le labbra in un sorriso.

“Incredibile, a distanza di circa mille anni, hai detto le stesse parole di allora, Gabrielino” disse Kyle fra le risate.

L’uomo a capotavola li guardò sorridendo, mentre con la mente andava a quei ricordi.

Kyle lo stava addestrando da circa un anno, quando gli aveva rivelato che presto gli avrebbe presentato altri come lui.
 

“È giunto il tempo, ragazzo!” aveva detto Kyle.

“Per fare cosa?” aveva domandato Merlino.

“Devi conoscere coloro che hanno dato vita alla storia di Camelot!”.
 

E così era stato, anche se allora non aveva capito il significato di quelle parole.

Come dimenticare la prima volta che aveva visto Gabriel, Lenn e Merlìha.

Lo aveva colpito soprattutto la loro straordinaria bellezza.

Come dimenticare, infatti, la prima volta che aveva conosciuto il volto serio di Gabriel, il sorriso conciliante di Lenn e la risata allegra di Merlìha.

La seconda cosa che aveva notato erano state poi le pietre che indossavano.

Anche la pietra di Kyle era divenuta visibile ai suoi occhi.

Aveva guardato Gabriel incuriosito, notando che ne indossava due.
 

“Questa spetta a te, giovane Mago, quando sarai pronto a controllarla!” gli aveva spiegato Gabriel guardandolo attentamente.
 

Si guardò pensieroso la mano: così era stato anche per la pietra.

Anche gli ex – guardiani avevano conservato le loro, quando erano diventati esseri umani.

Cosa normale del resto.

Chi mai avrebbe potuto controllare quegli oggetti magici così potenti?

Le pietre rispondevano a loro e a loro soltanto, che fossero esseri umani, guardiani o troll.

Alle pietre non importava cosa fossero perché, anche se il corpo mutava la natura fisica, l’energia magica cui rispondevano rimaneva la stessa.

E le pietre seguivano quell’energia.

Energia che aveva permesso loro di diventare gli stregoni più potenti che la storia avesse mai visto.

“Ci sei?”

La voce di Kyle lo riscosse dai suoi pensieri.

“Oggi sembra la giornata dei ricordi!” rispose Merlino sorridendo.

“Abbiamo un problema, a quanto pare” intervenne Merlìha.

“Solo uno dei tanti, sorella!” rispose Gabriel annoiato.

Merlino annuì, pronto ad ascoltare le novità.
 
Continua…
 
Note:
 
Ecco svelato chi sono i personaggi che compaiono nel futuro.

In quella parte c’è anche un accenno ai maghi moderni e a come sia arrivata la magia nel secolo corrente; comunque, altre spiegazioni saranno date più avanti.

Si comincia a capire anche qual è il vero scopo di Kyle anche se ulteriori spiegazioni saranno date nei capitoli più avanti.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Dal prossimo, la storia sarà ambientata solo nel futuro e le parti del passato saranno scritte sotto forma di ricordi.

Ci sarà, infatti, solo un’altra parte ambientata a Camelot, dopo la morte del Re, nel Palazzo dei Guardiani ma non ho ancora deciso come e quando la inserirò.

Tutte le altre parti ambientate nel Palazzo dei Guardiani riguarderanno, infatti, il futuro.

Presto, comparirà anche Artù (forse nel capitolo prossimo, dipende da quanto è lungo!).

Come sempre, attendo i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Pandora86
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14. Il caos ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come il solito, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 14. Il caos
 
 
Anno 2013 – Londra – Settembre
 

“Le ultime notizie riportate dalla Dama sono le medesime di un anno fa” incominciò Gabriel con tono pratico.

Una risata mascherata da uno sbuffo interruppe il suo discorso.

“Hai qualcosa da dire, Kyle?” domandò con voce tagliente chiamando l’altro con il nome con lo stesso tono di chi pronuncia un insulto.

“Sul serio, Gabriel, medesime?” domandò l’altro perplesso.

“Hai mai pensato di modernizzare il tuo linguaggio?” chiese divertito.

“Cos’ha che non va?” si accigliò il diretto interessato.

Gli altri tre seguivano la conversazione per nulla stupiti dall’interruzione.

I battibecchi fra Kyle e Gabriel erano all’ordine del giorno.

Lenn manteneva la sua aria paziente, Merlìha ghignava e Merlino seguiva entrambi con un sorriso divertito e al contempo affettuoso.

“Ha che non si usa quasi più!” rispose Kyle sbuffando.

“Nei libri di grammatica non è riportato nulla di ciò!” difese la sua tesi Gabriel assottigliando lo sguardo.

“Ti esprimi con un nobile di altri tempi!” continuò la sua arringa Kyle trattenendo le risate.

“Io sono un nobile” indurì il tono Gabriel. “E sono d’altri tempi!” concluse incrociando le braccia.

“A differenza di qualcuno” aggiunse guardandosi le unghie e assumendo un’espressione sdegnata.

“Che gioca a fare il ragazzino e si esprime come un bifolco sgrammaticato!”.

“O che preferisce contornare il suo linguaggio con una serie di insulti del tutto inutili e molto discutibili”concluse con la sua migliore espressione disgustata.

“Ehm” intervenne Lenn. “Stavi dicendo Gabriel?” cercò di riportare l’argomento sulla via principale.

“Dunque, la situazione non è cambiata rispetto a un anno fa” continuò Gabriel con tono pratico.

“E la situazione di un anno fa era uguale a quella dell’anno precedente e così via” aggiunse, guardando Merlino con occhi attenti.

“Sono circa tre secoli che la situazione è così, giusto?” domandò questi pensieroso.

“Anno più, anno meno!” confermò Gabriel.

“In pratica, da quando tu indossi la pietra!” aggiunse Lenn.

“Sì, ma anche prima era allarmante” intervenne Kyle congiungendo le mani.

“È da quando noi abbiamo fatto la nostra comparsa che la situazione è sul filo del rasoio” tirò le somme, pratico come sempre.

“Cosa che, tra l’altro, avevo previsto” ci tenne a precisare.

“Sì, ma quali sono le novità?” intervenne Merlino.

“Di certo, non ci siamo riuniti solo per la situazione magica del pianeta. Quella la teniamo d’occhio anno per anno!” chiese accigliandosi.

“Le novità sono strettamente collegate a essa, Merlino” gli spiegò Lenn.

“Io e Merlìha siamo stati sul posto”.

“E?” lo invitò a continuare il mago seduto a capotavola.

“Ed è proprio come pensavamo. Si tratta di un’energia magica antica”.

“Un oggetto magico, quindi!” afferrò al volo Merlino corrugando la fronte.

“Un oggetto magico che tu conosci molto bene!” aggiunse Gabriel.

Merlino lo guardò interrogativo.

“La Coppa della Vita!” gli spiegò Gabriel.

“Non può essere un caso” parlò Kyle.

“Dobbiamo intervenire!” disse Gabriel.

“Come?” domandò Merlino.

“Nell’unico modo possibile” gli spiegò Gabriel.

“Dobbiamo avvicinarci alla fonte di energia e capire chi la sta usando” concluse incrociando le braccia.

Merlino congiunse le mani pensieroso.

Sapeva che le cose sarebbero andate così.

Tuttavia, fino all’ultimo, aveva sperato che non si ricorresse a quella soluzione.

“Che intendi per avvicinarci?” chiese, massaggiandosi gli occhi.

“Innanzitutto, parlo di noi quattro!” rispose prontamente Gabriel guardando gli altri che annuirono con il capo.

Merlino lo guardò perplesso.

“E perché mai?” domandò.

“Non sappiamo come potrebbe reagire la tua energia magica” gli spiegò Lenn con diplomazia.

In realtà, c’era dell’altro.

Molto altro.

Alcuni dati erano certezza.

Altri, invece, erano solo ipotesi.

Ipotesi dettate dall’atteggiamento di Merlino negli ultimi trent’anni.

Ipotesi che forse presto avrebbero avuto conferma.

Tuttavia, non era quello il momento di affrontare l’argomento.

“Quanto a come avvicinarci, intendo nell’unico modo possibile” parlò ancora Gabriel.

“Come normali esseri umani” tirò le somme Merlino.

“Esattamente!” gli confermò Gabriel.

“Dobbiamo tenerli d’occhio!” azzardò Lenn, sapendo che Merlino avrebbe capito al volo i soggetti.

“Io pensavo dovessimo tenere d’occhio la coppa!” ribatté pronto Merlino.

“Non può essere un caso che l’energia della coppa si stia muovendo intorno a loro” intervenne Kyle.

“Se qualcuno la sta usando, cosa che credo oramai certa, allora il suo fine non è buono” gli spiegò calmo.

“Dici che le loro vite potrebbero essere in pericolo?” s’informò Merlino.

“Senza mezzi termini?” gli domandò Kyle.

“Senza mezzi termini” rispose Merlino sicuro.

“Sì” disse allora l’altro.

“Io credo che qualcuno li voglia fare fuori utilizzando la coppa” affermò senza preamboli.

“E per qualcuno” continuò, “intendo i cosiddetti maghi moderni!” concluse con praticità, senza alcuna inflessione particolare nella voce.

Lui, a differenza degli altri quattro, non era così legato alle persone in questione.

Lui, a differenza di Merlino, non era così coinvolto, anche se Merlino stesso continuasse ostinatamente a negare l’evidenza.

In sostanza, poco gli interessava chi viveva o moriva.

Quello che gli interessava era che invece dei maghi moderni stessero progettando di agire alle loro spalle pensando, fra l’altro, che loro non se ne sarebbero accorti.

“Sia ben chiaro!” disse Merlino a quel punto.

“Non dovranno mai sapere né chi siete, né che siete in contatto con me. In questa vita, nessuno di loro sarà coinvolto in situazioni magiche” disse accorato.

“Cercheremo, ovviamente, di essere discreti” provò a spiegargli Lenn pacatamente.

“Ma sai benissimo che prima o poi dovranno sapere dove sei” concluse senza mezzi termini Gabriel.

Merlino annuì, guardandosi la mano che recava una pietra.

Anche lui, come Gabriel tempo addietro, custodiva qualcosa.

“Non deve riceverla per forza” sussurrò, guardando il diamante bianco.

“E invece sì” lo corresse Gabriel senza il minimo tatto.

“È un secolo che ne discutiamo e tu non puoi portare una pietra non tua” si accigliò.

“Va bene, direi che non c’è fretta” intervenne Kyle.

“Pensiamo a infiltrarci, poi vediamo che ne esce”.

“Dobbiamo essere pronti tra una settimana” parlò Gabriel.

“Lenn pensa ai nostri documenti. Kyle, tu invece dovrai cambiare le date sulle nostre lauree, Merlìha pensa a un possibile copione” si organizzò immediatamente.

“Copione, tipo le nostre età, il nostro stato sociale e queste cose qui?” domandò la ragazza.

“Esattamente, sorella” confermò l’altro.

“Per le parentele, non cambierei nulla” continuò la ragazza e gli altri annuirono.

D’altronde, era sempre lei che si occupava di queste cose.

“Non credi però che possa sembrare strano il fatto che ci conosciamo tutti e quattro?” le chiese Kyle con tono annoiato.

“Tutti e tre” precisò la ragazza con un sorriso furbo, ghignando verso il fratello.

“Che intendi per tre?” chiese Gabriel accigliandosi.

“Tu non hai una laurea in economia, fratello!” gli fece notare Merlìha.

“E allora?” la fulminò con lo sguardo il diretto interessato.

“E allora” riprese Merlìha non scomponendosi minimamente, “io, Lenn e Kyle ci presenteremo come amici d’infanzia, tu sarai occupato altrove” concluse con un sorriso sghembo.

“In fondo, non è strano che persone laureate alla stessa università facciano domanda in quell’azienda” s’intromise Lenn rispondendo alla domanda di Kyle.

Gabriel si accigliò decidendo di soprassedere.

“Quando è tutto pronto, ci aggiorniamo” e, con quelle parole, mise fine alla questione.
 

Una settimana dopo.
 

Merlino pizzicava pigramente le corde del suo violino.

Gabriel, alle sue spalle, lo guardava silenzioso.

“È tutto pronto?” domandò il mago continuando a fissare un punto indefinito della parete.

“Sai che è così!” gli confermò questi.

“Sai come la penso” parlò ancora Merlino.

“Li proteggerò anche in questa vita se necessario, ma non voglio che siano coinvolti” disse con un sospiro.

“Dovresti chiedere a loro se lo vogliono oppure no” gli appuntò Gabriel con ovvietà.

“Non è necessario il loro parere” s’impuntò Merlino.

“Come non era necessaria la loro presenza in questo secolo” diede voce ai suoi reali pensieri.

“Ho sempre agito alle loro spalle, per il loro stesso bene” sussurrò.

“A quel tempo, non avevi scelta” gli fece notare Gabriel.

“Sono tornati per un motivo” costatò, lasciando trasparire tenerezza.

“Sono tornati perché tu hai deciso che tornassero, mille anni fa. Tu hai predisposto tutto per un loro ritorno” continuò Merlino voltandosi a guardare l’altro.

“Vero! Ma devono comunque avere uno scopo!” rispose pratico Gabriel.

“Non hanno più nessuno scopo, dato che io sono arrivato nel ventesimo secolo e, tra l’altro, non sono impazzito. Inoltre, conto di mantenere il mio stato mentale per almeno altri mille anni” s’infervorò Merlino.

“Sai benissimo che noi non eravamo previsti nella storia” gli fece notare l’ex-guardiano.

“Sì, ma ci siete comunque” si calmò l’altro.

“Io non sono solo” disse con un sussurro.

“Li ho sempre protetti” continuò con tono stanco.

“Voglio continuare a farlo”aggiunse poggiando il capo alla poltrona.

“Ma non voglio coinvolgerli in questioni magiche!” concluse chiudendo gli occhi.

“E, in questo modo, proteggi loro o te stesso?” domandò Gabriel, andando dritto al punto.

“E da cosa dovrei proteggermi?” domandò l’altro guardandolo perplesso.

“Da quello che provi” disse serio l’ex- guardiano alzandosi e uscendo dalla stanza.

Sapeva che questo argomento, prima o poi, sarebbe stato toccato.

Lo sapeva mille anni prima, quando aveva gettato le basi per la storia di Camelot.

Non sapeva però che sarebbe stato così difficile.

Ritornò con la mente a mille anni prima, decennio più, decennio meno.

Artù era morto da poco e loro avevano deciso di sedersi al Tavolo dei Saggi.
 

***

Anno 1026 – Palazzo dei Guardiani
 

“Oh, vedo che i novellini hanno accettato la mia proposta!” esordì Kyle entrando, come sempre, senza bussare.

Gabriel lo guardò storto.

“Bene, bene” approvò Kyle sedendosi e continuando a parlare da solo.

“Lasciate che vi dica, adesso, quali sono i miei intenti” aggiunse criptico, sapendo di aver catturato l’interesse su di sé.

“Oh, e come mai tale onore?” lo sbeffeggiò Gabriel con lo stesso tono che aveva usato il guardiano biondo pochi istanti prima.

“Te l’ho detto, Gabrielino” non si scompose l’altro.

“Mi servite, per cui è necessario che sappiate” ammise senza mezzi termini.

“Ho intenzione di addestrare il Mago!” rivelò con un sorriso furbo.

“E come?” domandò Lenn.

“Andando a Camelot, ovviamente!” rispose con praticità Kyle.

“Ma è pericoloso!” intervenne Merlìha.

Gabriel, invece, ascoltava attento cominciando a capire quale fosse il vero scopo del guardiano.

“Corro qualche rischio solo se uso il mio potere, cara!” le rispose Kyle con tono annoiato.

“Se mi limito a entrare in contatto con il Mago senza usare il mio potere, dubito che i due inutili guardiani riescano a percepirmi” spiegò con lo stesso tono di chi parla del tempo.

“E, anche in quel caso, dubito che mi scoprano!” ghignò.

“Del resto, avete visto voi stessi quanto sia misero il loro potere. Non a caso, ho proposto di mandare loro a occuparsi di Ginevra!” concluse.

“Addestrarlo per fare cosa?” indagò Gabriel.

“Per affiancarlo!” rivelò finalmente Kyle.

“È impossibile” intervenne Lenn.

“E invece no!” lo corresse Kyle.

“Il Mago, prima o poi, dovrà conoscere l’enormità dei suoi poteri e il motivo per il quale è stato messo al mondo. Io velocizzo solo un po’ le cose” concluse con un ghigno poco rassicurante.

“Un guardiano non può accompagnare un essere umano” ci tenne a precisare Lenn.

“Ma lui non vuole accompagnare il Mago come un guardiano” intervenne allora Gabriel anticipando la risposta di Kyle.

“Cosa?” domandò Merlìha.

“Vuole diventare un essere umano” parlò ancora Gabriel fissando Kyle attento.

“Perspicace, Gabrielino” approvò Kyle con un sorriso cattivo.

“Sai com’è” rispose l’altro guardiano con sdegno.

“Mi sono occupato di Camelot” concluse, scrutandolo attento.

“Ma è impossibile” intervenne Lenn guardando, istintivamente, la porta.

Se qualcuno li avesse sentiti complottare in quel modo, non sarebbero rimasti nel loro mondo un giorno di più.

“Credi davvero che qualcuno possa sentirci?” gli domandò Kyle seguendo il suo sguardo.

“Non ho intenzione di diventare un essere umano qualunque” chiarì ulteriormente i suoi intenti.

“Ma uno stregone. Uno stregone dalla potenza estrema” rivelò finalmente.

“E noi cosa abbiamo a che fare con tutto questo?” domandò Lenn.

“Non ha sufficiente autorità, né potenza, per gestire una tale trasformazione fisica” intervenne Gabriel.

“Vero, Kyle?” domandò pronunciando il suo nome come il peggiore degli insulti.

“Se noi siamo Saggi, possiamo coprire le sue scappatelle a Camelot” concluse, guardandolo con sdegno.

“Non solo, Gabrielino-ino-ino” cantilenò Kyle.

“Se diventate potenti, entro un centinaio d’anni, unendo il vostro potere al mio, potete rendere possibile una trasformazione fisica dei nostri corpi in tempi istantanei”.

“Nostra?” domandò Lenn allibito.

“Non capisco!” intervenne Merlìha.

“Semplice sorella” le rispose Gabriel.

“Quando un Guardiano diventa un essere umano senza alcun potere, è necessaria almeno qualche ora per completare lo stato molecolare del suo corpo” incominciò pratico.

“Se questo Guardiano, invece, vuole avere un corpo umano ma conservare la sua energia magica, e quindi la sua immortalità, allora credo ci voglia almeno un giorno”.

“Venti ore esatte, Gabrielino” intervenne Kyle.

“In pratica, un tempo sufficiente affinchè i Saggi intervengano e fermino il Guardiano in questione!” concluse Gabriel.

“Se invece uniamo i nostri poteri, non solo possiamo ridurre i tempi della trasformazione ma anche farla avvenire nel mondo umano e non in quello guardiano” spiegò Kyle.

“E il Mago si occuperà di chiudere il portale. Per questo lo stai addestrando!” concluse per lui Gabriel.

“Anche se avverrà tutto in pochi istanti, i Saggi ci verranno a prendere” intervenne Merlìha.

Kyle ridacchiò.

“E invece no, sorella” parlò ancora Gabriel dimostrando di aver compreso il piano di Kyle nella sua totalità.

“Se diventiamo stregoni, alzeremo in maniera spropositata la percentuale magica del mondo rispetto a quella non magica. Se un solo guardiano, dal potere minimo, decidesse di accedere nel mondo umano, allora questo stesso mondo andrebbe immediatamente nel caos” spiegò Gabriel pensieroso.

“E chi ci dice che non entrerà nel caos dopo la nostra trasformazione?” domandò Lenn.

“Ci affideremo agli elementi” gli rispose con tono ovvio Kyle.

“Merlino li controllerà tutti e noi ne sceglieremo uno a testa diventando così parte della magia del mago. Li potremo ovviamente controllare tutti, anche se in pratica non lo faremo mai” concluse con un sorriso sghembo.

“Diventando dei Maghi degli elementi, diventeremo parte del mondo che ci ospiterà. Di conseguenza, il mondo ci accoglierà, anche se gli equilibri cambieranno leggermente” aggiunse con fare pratico.

“Leggermente?” gli domandò Lenn allibito.

 “Dettagli!” sbuffò Kyle.

“E i Guardiani come faranno a entrare per occuparsi del Tempo?” domandò Merlìha scettica.

“Avremo un mondo senza Guardiani, infatti” le rispose Kyle con ovvietà.

“E la storia?” domandò ancora la ragazza.

“Ce ne occuperemo noi insieme al Mago, guidando l’umanità. Anche se perdiamo la consistenza molecolare dei Guardiani, non vuol dire che perdiamo anche la capacità di guidare l’uomo. La nostra mente rimane intatta, così come le nostre conoscenze” le spiegò Kyle.

“Inoltre, gli esseri umani sono inutili e per guidarli basta manipolarli a parole, senza necessariamente utilizzare la magia” aggiunse alzandosi.

“Direi che in questo, non mi batte nessuno” continuò con tono cattivo avvicinandosi alla porta.

“Pensate bene a quello che volete fare!” terminò, prima di uscire definitivamente dalla stanza.

“Cosa facciamo, fratello?” chiese Merlìha a bassa voce, una volta che Kyle fu uscito.

“Sembra che abbia pensato a tutto!” costatò Lenn.

“Non sembra, ha pensato a tutto!” lo corresse Gabriel.

“Un mondo senza guardiani” continuò Lenn pensieroso.

“Anche il ventesimo secolo va avanti senza guardiani” gli appuntò Gabriel con tono neutro.

“Cosa facciamo?” chiese ancora Merlìha.
 

***
 

Beh, valutò Gabriel tornando, con la mente, al presente e scendendo l’imponente scalinata della villa.

Come erano andate le cose, lo sapeva già.
 

Anno 2013 – Palazzo dei Guardiani
 

Freya entrò titubante nella stanza rimanendo sulla soglia della porta.

“Accomodati pure, cara” una voce gentile la invitò a entrare.

Freya fece quanto detto, andando ad accomodarsi nella poltrona di fronte alla donna anziana e sedendosi composta.

Questa le rivolse un sorriso affettuoso andando, con la mente, a quando, innumerevoli ere prima, sua nipote sedeva su quella stessa poltrona.

Freya sorrise, aspettando in silenzio.

Aveva imparato ad amare quella donna anziana, che l’aveva accolta in un mondo dove tutti la guardavano con curiosità.

Una donna che Freya aveva iniziato a chiamare zia, ma che considerava al pari di una madre.

Una donna che la considerava come qualcosa di prezioso, essendo lei l’ultimo tassello che la legava ai suoi adorati nipoti.

Osservò il portale che l’anziana donna aveva aperto, guardando le figure che si muovevano al suo interno, non consapevoli di essere osservate.

Una delle figure era suo padre; non suo padre biologico ma suo padre magico.

Colui che l’aveva fatta rinascere a nuova vita, dandole una nuova composizione atomica.

Il creatore di quello che era.

“L’equilibrio di quel mondo è in estremo pericolo, mia cara!”parlò la donna richiudendo il portale e sospirando.

“Dubito che gli equilibri, così compromessi da molti secoli oramai, riescano a tenere per altri mille anni!”continuò.

Freya annuì in silenzio.

Sapeva di cosa la donna parlava.

Era aggiornata sulla questione di quel mondo così splendente, eppure così prossimo alla rovina.

Per secoli, si era occupata delle anime che, ritornando, avrebbero dovuto riportare gli equilibri al posto giusto.

Anime che lei stessa aveva istruito, preparandole per il grande scopo che avrebbero avuto.

Eppure, quando le anime erano ritornate, tramite un delicato processo di ricomposizione, unico nel suo genere ed estremamente pericoloso, il mondo non aveva sortito nessun effetto.

A quel punto, non era rimasto altro da fare se non aspettare che le anime, ritornate nei loro corpi originari, crescessero.

Eppure, il mondo continuava a essere in bilico, pronto a entrare nel caos da un momento all’altro.

Gli Antichi, come si facevano chiamare le figure nel portale, oramai non usavano quasi più il loro potere, limitandosi a conservarlo dentro di sé.

Un potere troppo grande per un mondo che rischiava di non poterlo sopportare.

“Ma c’è soluzione, vero?” chiese speranzosa.

“C’è sempre una soluzione” le sorrise la donna.

“I miei cari nipoti” sospirò con nostalgia.

Freya abbassò il capo.

“Non hai colpe, mia cara” la rassicurò la donna.

“Forse sarebbero dovuti tornare prima” incominciò Freya titubante.

Ci pensava da qualche tempo.

Forse avrebbe dovuto far tornare le anime prima.

Ma lei aveva avuto bisogno di secoli per padroneggiare l’incanto che avrebbe permesso di ritornare alle anime nel particolare modo in cui erano tornate.

Perché non si erano semplicemente reincarnate.

Molti maghi si reincarnavano, ma non era il loro caso.

Non erano rinati.

Erano tornati.

La differenza non era evidente eppure sostanziale.

Rinati e contemporaneamente ritornati.

Lei, che custodiva il passaggio tra la vita e la morte, aveva sempre saputo cosa fare.
Il problema era che forse ci aveva impiegato troppo tempo.

“Non è un caso che i cavalieri siano tornati assieme al Re proprio in quegli anni, bambina mia” continuò la donna strappandola ai suoi pensieri.

“Tu non hai commesso nessun errore nel processo di ritorno, ma anzi, hai realizzato l’impossibile” la rassicurò.

“Neanche noi possiamo governare il fato. E forse, il fato aveva previsto la comparsa di quattro figure nella storia, ponendovi anticipatamente rimedio con i cavalieri”terminò con un sorriso.

“Ma come?” domandò Freya.

“Metà magiche e metà non magiche, unite dal cuore” le spiegò l’anziana donna.

“Temo che per uno dei miei nipoti sarà una dura prova, così come per gli altri due!”.

“Intendente Merlino e Kyle, zia?”

“Proprio loro, mia cara!”

“Spero solo che lo capiscano in tempo!”concluse chiudendo gli occhi.

Freya annuì non aggiungendo nulla.

D’altro canto, il potere dei guardiani era escluso da quel mondo da molti secoli.

Lei, semplice intermediaria sotto alcuni punti di vista, poteva solo attendere e sperare.
 

Continua…


Note:

In questo capitolo si capisce il piano di Kyle e viene gettato un occhio sulla situazione del mondo moderno.

Vediamo anche un po’ la posizione di Merlino, anche se ci saranno degli ulteriori chiarimenti nei capitoli più avanti.

Forse, questo Merlino vi sembrerà un po’ strano ma penso che dopo mille anni sia normale che sia cambiato un po’, considerando che ha visto il mondo cambiare secolo dopo secolo.

Spero che vi sia piaciuto!!

Vi faccio notare (sempre se non l’abbiate già notato) che la parte in cui Gabriel ricorda usa forme verbali diverse rispetto al classico trapassato prossimo che si predilige appunto nei ricordi.

Uso, infatti, sempre il passato remoto che si predilige nelle storie in terza persona.

La cosa è voluta dato che, anche se si tratta di un ricordo, si tratta comunque di un evento importante del passato, riportato fedelmente da colui che lo ricorda.

In pratica, utilizzo il ricordo per introdurre il pezzo che però non viene narrato sotto forma di ricordo, come indicano le date introduttive.

Sempre per questo, utilizzo gli asterischi per concludere il pezzo non utilizzando la data per gli ultimi due righi, quando ritorno a narrare il presente.

Inoltre, compare una nuova pietra… ma non vi anticipo nulla e aspetto le vostre ipotesi!!!

Che altro dire… spero che il capitolo vi sia piaciuto.

Nel prossimo, ci sarà finalmente Artù. Anche lui sarà leggermente diverso, anche se somiglierà molto all’Artù consapevole che abbiamo visto nell’ultima puntata.

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate.

Alla prossima.

Pandora86
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15. Dove sei? ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come il solito, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.

Piccola nota per comprendere il capitolo:

da adesso in poi, compariranno Artù e i cavalieri.

Come sapete, io ho sempre scelto di usare i loro nomi in italiano nel passato.

Nel futuro, alcuni nomi saranno leggermente diversi; questo perché mi sembrava un po’ strano che nel 2013 si usassero ancora nomi medievali. Vi riporto di seguito i nomi dei personaggi.

Artù: si chiamerà nello stesso modo. È il nome del Re è non è molto in disuso, per cui ho scelto di tenerlo uguale.

Lancillotto: si chiamerà Lance. Mi sembrava un’abbreviazione carina.

Galvano: ho scelto di usare il suo nome in inglese; si chiamerà Gwaine.

Parsifal: si chiamerà Perce. (Nella parte ambientata nel passato ho sempre scritto Parsifal, il modo in cui si pronuncia, e non Percival. Anche questa è stata una cosa voluta, avendo scelto di usare i nomi in italiano.)

Leon: avrà lo stesso nome visto che non mi sembrava molto antiquato.

Elyan: anche lui avrà lo stesso nome, cambierà solo il modo di scriverlo, Elian.

Ginevra: anche lei avrà lo stesso nome visto che è molto in uso.

Spero che queste scelte vi piacciano. Anche se in alcuni casi ho mantenuto lo stesso nome cambiandone la pronuncia (da italiano a inglese) la cosa è voluta; credo, infatti, che dia uno stacco temporale tra passato e futuro anche se il nome rimane lo stesso.

Adesso, vi lascio al capitolo.

Buona lettura!
 
 

Capitolo 15. Dove sei?
 


Londra 2013 - Settembre
 

“Cos’è questo, sorella?” chiese Gabriel, scandendo lentamente le parole e cercando di non perdere le staffe.

Aveva appena finito di leggere il foglio che sua sorella gli aveva porto e non credeva possibile che, in poche righe, fossero raccolte tutte le sciocchezze di questo mondo messe assieme.

Merlino pizzicava pigramente le corde del suo violino preferendo rimanere zitto.

Lenn guardava Gabriel, temendo che fosse in procinto di esplodere e Kyle faceva di tutto per non ridere.

L’unica incurante era, per l’appunto, Merlìha, che continuava a fare una cosa di vitale importanza: trovare fra tutti i capi di abbigliamento sparsi per la stanza (una cinquantina!) qualcosa di adatto per l’avvenimento oramai imminente.

“Grigio o nero?” chiese a Merlino mostrandogli due giacche.

“Beh…”provò a rispondere questi.

“Nessuno dei due, sorella!” le rispose Gabriel avvicinandosi a lei a grandi falcate e strappandole le giacche di mano.

“Mi stanno tanto male?” chiese innocentemente la ragazza.

“Ti – ho – chiesto – cos’è – questo – orrore!” scandì ancora più lentamente Gabriel, mostrandole il foglio.

“I nostri copioni, fratello” rispose incurante Merlìha.

“I nostri copioni!” ripeté Gabriel assottigliando il tono.

“Già, i nostri copioni!” ripeté la ragazza, continuando a rovistare fra i vestiti.

Quel giorno, aveva deciso di fare shopping (A cosa ti servono altri vestiti, Merlìha? Le aveva domandato Lenn paziente).

L’avvenimento era importante e loro dovevano essere perfetti quindi, nella sua magnanimità, aveva fatto acquisti per tutti (Stai dicendo che non ho gusto nel vestire? Aveva ribattuto Kyle ).

Però, non trovava nulla di adatto, anche se era convinta di aver comprato cose a sufficienza (Dobbiamo aprire un negozio di abbigliamento? Le aveva domandato innocentemente Merlino).

Inoltre, non appena Gabriel aveva letto il copione da lei scritto, si era piantonato al centro della stanza continuando a distrarla (Spiegami perché hai trasformato il salone in un accampamento, sorella).

“Senti” si rivolse a Gabriel.

“Avevamo già detto che noi tre saremmo stati assunti in quell’azienda e che il tuo punto di osservazione sarebbe stato altrove!” sbottò, aprendo un ennesimo pacco contenente… vestiti!

“Non ha tutti i torti!” mormorò Lenn con un sorriso.

Gabriel lo guardò storto.

“E vedi di farti assumere in quel posto, fratello!” lo minacciò la ragazza, puntandogli l’indice contro.

Gabriel assottigliò lo sguardo non trovando nulla da ribattere.

Kyle iniziò a ridere rumorosamente.

“Posso venire a trovarti sul posto di lavoro?” domandò fra le risa.

“Provaci e ti ammazzo!” sibilò Gabriel velenoso, accartocciando il foglio con le mani.

“La piantate e decidete di darmi una mano?” urlò Merlìha.

“Sapete che dobbiamo presentarci al meglio!”.

“Né la nera, né la grigia, sorella. Entrambe ti stanno malissimo considerato il colore dei tuoi capelli e il tuo pallore!” si espresse allora Gabriel.

“E allora?” gli chiese Merlìha.

“Questa!” le indicò il fratello.

Merlìha afferrò il completo beige, approvando con la testa.

“Bene, adesso passiamo a voi!” continuò la ragazza.

“Lenn, a te punterei sul nero, ti sta d’incanto!”.

Lenn le sorrise paziente.

“Non sai come ti invidio!” mormorò sotto voce rivolto a Merlino.

Questi gli sorrise incoraggiante.

“Dove vai fratello? Dobbiamo pensare anche a te!” urlò Merlìha minacciosa, puntando l’indice contro suo fratello che stava per uscire dalla stanza.

Gabriel si fermò sul posto, guardandola attentamente.

“Come?” chiese, certo di non aver capito bene.

“Non puoi presentarti in quel posto con un completo di Armani!” ribatté con tono ovvio la ragazza.

Per Kyle fu impossibile, stavolta, trattenere le risa.

Gabriel lo guardò storto ma continuò a rivolgersi alla sorella.

“Non ho intenzione di vestirmi come uno straccione!”.

“Devi abbassare i tuoi standard” difese la sua tesi Merlìha, “e amalgamarti con la gente del luogo!” concluse con tono noncurante.

“Scordatelo!”.

“E devi mettere un po’ di colore nel tuo abbigliamento!” continuò la ragazza, incurante delle proteste dell’altro, prendendo un maglione rosso di qualità molto dubbia.

“Dove hai pescato quel coso, Merlìha?” le chiese Kyle, asciugandosi gli occhi.

“Ho fatto compere anche al mercato!” rispose con semplicità la ragazza, pescando un jeans azzurro un po’ consunto e delle scarpe da ginnastica che avevano visto tempi migliori.

“Non mi concerò come un dannato pagliaccio!” rispose Gabriel assottigliando ancora di più gli occhi.

“Dite che troviamo un accordo in serata?” chiese Kyle ridacchiando.

“Nella!” lo guardò storto Gabriel.

“Cosa?” gli domandò l’altro.

“Nella serata, non in serata” lo corresse Gabriel.

“O, se preferisci, entro la serata” aggiunse guardandolo come un idiota.

“Tu sei fuori di testa, Gabrielino!” ridacchiò Kyle.

“E tu non sai ancora parlare dopo mille anni!” non si scompose Gabriel cercando di guardare il meno possibile il maglione che Merlìha gli porgeva.

“Oh, cielo!” si massaggiò gli occhi Lenn seduto di fianco a Merlino.

“Quando Gabriel diventa così puntiglioso, le cose si mettono male” disse sottovoce rivolto all’altro.

“Sono curioso di vedere l’accordo che troveranno” gli sussurrò questi.

“Spero che lo trovino al più presto, visto che dopodomani abbiamo i colloqui!” sospirò Lenn.

“Sarà una lunga battaglia!” ironizzò l’altro mentre Merlìha, Gabriel e Kyle continuavano a discutere.

“Abbasserò i miei standard, ma non indosserò quel coso di dubbia provenienza!” stava intanto protestando Gabriel.

“La tua pelle rischia di irritarsi” non riuscì a trattenersi Kyle.

Merlino li guardò con un sorriso affettuoso.

Non avrebbe scambiato la loro compagnia per null’altro al mondo.

Si guardò la mano.

Forse, a breve le cose sarebbero cambiate.

Forse, nuove persone avrebbero fatto la loro comparsa nella vita di tutti loro.

Ma era realmente un bene ciò?

Guardò i tre che ancora discutevano e Lenn che osservava tutto con un sospiro rassegnato.

La sua famiglia, i suoi amici, il suo tutto.

Persone come lui.

E Merlino era disposto a cambiare quello stato di cose?

No, certo che no.

Eppure, le cose già stavano cambiando.

Presto, sarebbero stati separati.

Presto, gli ex-guardiani sarebbero entrati in contatto con loro.

Ma cosa potevano c’entrare loro in questioni magiche di cui non capivano assolutamente nulla?

A Camelot, Merlino non aveva potuto fare altro che vedere le persone della sua stessa razza morire, perché logorate dall’odio.

Inoltre, quando le perdite lo riguardavano in prima persona, aveva dovuto fingere che la cosa non lo toccasse, versando lacrime amare solo nel suo animo.

Lacrime che, con il passare dei secoli, lo avevano logorato, sempre più.

Forse Gabriel aveva ragione dicendo che, dopo mille anni e passa, la sua ottica era leggermente distorta da tutte le sensazioni negative provate allora.

Il dolore aveva cancellato i bei ricordi.

Forse era così, Merlino lo ammetteva.

Però, ora aveva una famiglia.

Non era solo, non lo era più da molto tempo.

Cosa sarebbe cambiato?

Perché lui aveva paura dei cambiamenti.

Per gli esseri umani con un ciclo di vita normale, i cambiamenti erano all’ordine del giorno.

Ma lui, che doveva vivere in eterno, nonostante sapesse che i cambiamenti fossero necessari, aveva posto dei pilastri nella sua vita che lo sorreggevano in quel ciclo infinito di rinnovo che era, appunto, il mondo.

I suoi pilastri, immutabili nei cambiamenti, erano appunto le quattro figure che erano con lui.

Ma adesso, sarebbe cambiato qualcosa proprio in quei pilastri?

No!

Non voleva pensarci.

Sentì la mano di Lenn stringersi sulla sua.

Si voltò e vide che l’altro, avendo sicuramente intuito i suoi pensieri, gli sorrideva incoraggiante.

“Andrà tutto bene!” disse e Merlino annuì con il capo, stringendo la mano.

Sì, sarebbe andato tutto bene.

Doveva andare tutto bene.
 

Londra 2013 - Novembre
 

“Posso?” chiese Lance aprendo la porta e affacciandosi nell’ufficio.

“Nh” fu tutto quello che rispose colui che sedeva dietro la scrivania.

“Ti ho portato il caffè” disse ancora Lance guardando le occhiaie che albergavano sul volto del suo capo e sedendosi nella sedia di fronte a lui.

“Ancora con quel libro?” domandò poi, osservando le letture del suo giovane capo.

“Vedi qualche altra alternativa?” sbottò il ragazzo, gettando il libro sulla scrivania.

Lance seguì quel movimento senza però prendersela per la scortesia della risposta.

“Scusami!” parlò ancora il giovane, prendendo il caffè e avvicinandosi alla finestra.

Il suo ufficio, dotato di una vetrata enorme, godeva di una vista eccezionale, che dava sulla strada e sembrava dominarla dall’alto del suo quinto piano.

Le macchine e le persone correvano frenetiche in strada.

Tutto faceva il suo corso, ognuno andava avanti, tutti troppo concentrati sui propri problemi senza pensare che potesse esserci altro.

Che potesse esistere altro.

Il giovane però sapeva.

Sapeva che c’era altro, sapeva che esisteva qualcos’altro oltre al loro mondo popolato da tecnologie.

Tecnologie che nascondevano quello che realmente c’era.

Tecnologie che coprivano la realtà con uno spesso velo, facendo credere a coloro che
vivevano che non ci fosse nient’altro.

Il giovane, però, sapeva.

E questa consapevolezza lo faceva sentire frustrato da quasi di vent’anni.

Questa consapevolezza stava rischiando di schiacciarlo.

Troppo comodo andare avanti nella sua vita.

Troppo comodo aggrapparsi allo strato superficiale della realtà quando lui sapeva esserci uno strato più profondo, più vero.

 “È che questa storia mi sta facendo impazzire” parlò ancora, con tono stanco.

“Lo so!” rispose comprensivo l’altro.

“Ma non credo che leggere Harry Potter continuamente possa risolvere il problema” disse calmo, osservando il libro sulla scrivania.

“Vedi altre soluzioni?” domandò il giovane, volgendo all’altro uno sguardo penetrante.

“Ho letto anch’io quei libri! Li abbiamo letti tutti!” rispose Lance con un tono di voce rassicurante.

“Credi sul serio che vivano in quel modo?” domandò, pensando alle buffe usanze dei maghi descritte nella saga più popolare del Regno Unito.

“E se, a maggior ragione vivessero in quel modo” domandò ancora, “credi che per noi, comuni babbani” fece un po’ d’ironia per spezzare la tensione, “sia facile trovarli?” concluse, con un sorriso bonario.

Il giovane ritornò a sedersi alla scrivania.

“Lo nominano spesso!” disse triste.

“Nominano le sue mutande, più che altro” rispose Lance, riuscendo a strappare un sorriso all’altro.

“Noi sappiamo che esistono” disse serio il ragazzo.

“Noi sappiamo che esiste” ripeté parlando, questa volta, al singolare.

“Io devo trovarlo!” concluse deciso.

“Magari sarà lui a trovare noi” rispose l’altro capendo il soggetto della questione e non nominando il suo nome.

Un nome divenuto impronunciabile tra di loro.

Un nome che, per tacito accordo, pronunciava solo il ragazzo che sedeva al di là della scrivania.

Un nome che pronunciava solo il Re.

“Mi hai detto la stessa cosa anche quando avevamo diciotto anni” parlò ancora l’altro.

“Veramente, credo di avertela detta da quando ne avevamo quindici!” lo corresse Lance scherzoso.

Tutti loro sapevano.

Tutti loro ricordavano.

Perché non erano mai andati via.

La loro anima, quella vissuta innumerevoli ere prima, era sempre rimasta attaccata al mondo.

E poi, si erano riuniti con il loro corpo d’origine.

Un corpo che era mutato esteriormente, assumendo prima fattezze infantili, poi tratti sempre più maturi.

Fino ad assumere il loro aspetto originario e, per molti di loro, superare ampiamente l’età che il corpo aveva vissuto in epoche passate.

Un processo unico al mondo nel suo genere era avvenuto per loro.

Rinati, avrebbe detto qualcuno.

Ma non erano rinati, nonostante tutti loro fossero stati messi al mondo.

Reincarnati, avrebbe detto qualcun altro.

Ma questa definizione era ancora più sbagliata.

Colui che si reincarnava accoglieva l’anima della sua vita precedente in un corpo nuovo, molto simile a quello precedente.

Simile appunto, ma non uguale.

E non esteriormente parlando.

Qualcuno aveva spiegato loro qualcosa sulla natura molecolare dei corpi e come essa cambiava nel processo di rinascita o reincarnazione.

Per l’appunto, non era il loro caso.

Inoltre, colui che si reincarnava poteva avere ricordi della sua vita precedente ma non era necessariamente la stessa persona.

Il carattere era differente, anche se simile a grandi linee.

E, per l’appunto, non era il loro caso.

Perché l’anima si era riunita al corpo originario.

E il corpo originario era rinato in un’altra epoca.

Tutti lì, nuovamente insieme.

Tutti felici di conoscere quello che al mondo era nascosto.

Però, perché nelle cose troppo belle c’è sempre un però, mancava qualcosa.

Lui, per l’appunto.

La voce del suo giovane capo lo riscosse dai suoi pensieri.

“Mi dicevi che, magari, lui stava aspettando che noi crescessimo” parlò ancora, più a se stesso che all’altro questa volta.

“Ed io ho aspettato. Ho aspettato di compiere vent’anni, con la speranza che prima o poi avrebbe palesato la sua presenza” continuò ancora.

“Poi ho aspettato di compiere ventuno anni, e così via” e, stavolta, la stanchezza e la frustrazione nella voce erano evidenti.

“Ma, adesso, ne ho ventotto!” concluse, chiudendo gli occhi.

L’altro si alzò, poggiandogli una mano sulla spalla.

“Prima o poi ci verrà a prendere!” disse sicuro.

“Come fai a esserne certo?” domandò l’altro, facendo trasparire tutte le incertezze di quegli anni nella voce.

“Perché noi siamo tornati!” rispose semplicemente Lance con un sorriso.

“A volte” rispose l’altro lentamente, “temo che questo momento non avverrà mai” mormorò, chiudendo gli occhi.

“Perché dici così?”.

“E se non avesse più bisogno di noi?” rispose, facendo trasparire quale fosse la sua reale paura.

“È inutile preoccuparci di questo!” provò a rassicurarlo Lance.

Un insistente bussare alla porta interruppe il loro discorso.

“La riunione è tra pochi minuti” disse la segretaria entrando nell’ufficio.

“Grazie!” rispose il giovane.

“Vado immediatamente” disse, prendendo i documenti che la ragazza gli porgeva e avviandosi fuori dallo studio.

La giovane gettò un’occhiata al libro sulla scrivania e guardò preoccupata l’uomo che le stava di fronte.

“Ancora con quel libro?” chiese ansiosa.

“È dura per lui stare ad aspettare, Ginevra” disse Lance, regalandole un’affettuosa carezza sui riccioli scuri e dirigendosi verso la porta.

“Puoi chiamare gli altri?” chiese alla donna, prima di uscire.

“Per stasera?” domandò la ragazza capendo al volo cosa l’altro intendesse.

Lance annuì, prima di uscire definitivamente.
 

Continua…
 

Note:
 
Una cosa importante, che ci tengo a specificare, è che la fic non è una cross-over con Harry Potter.

Essendo ambientata a Londra, Harry Potter è quello che è per noi: una delle saghe più popolari del Regno Unito.

Il giovane, che è Artù, avendo conosciuto Merlino e sapendo dell’esistenza della magia, la legge sperando che possa dargli delle risposte.

Detto questo… spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto!

Come ho già accennato in precedenza, nella mia fic troveremo un Artù un po’ diverso ma anche uguale.

Infatti, ho scelto di tenere il personaggio in linea con quello che il telefilm ci ha presentato nell’ultima puntata: un Artù consapevole che finalmente riconosce il valore di Merlino e la sua importanza.

Anche Merlino sarà un po’ più tormentato, come già abbiamo iniziato a vedere in questo capitolo; trovo, infatti, abbastanza verosimile che il suo carattere sia cambiato leggermente, nonostante il suo animo sia rimasto puro, dopo mille anni!

Come sempre, attendo i vostri commenti!

Mi raccomando, fatemi sapere se vi piace come sto gestendo la situazione nel futuro.

Al prossimo capitolo.

Pandora86


 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16. Nuovi arrivati e vecchi quesiti ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 16. Nuovi arrivati e vecchi quesiti
 
Londra 2013 – Novembre
 

“Mi spieghi perché ci riuniamo sempre nel solito locale, Perce?” domandò Gwaine sedendosi al tavolo.

“Forse perché è il più vicino agli uffici?” rispose a tono l’altro.

“O forse perché ci lavora l’ombroso cameriere!” lo sfotté Gwaine con un ghigno.

“Piantala di dire cazzate!” rispose l’altro, arrossendo però leggermente.

“Non farci caso, Perce!” intervenne Elian.

“Stasera aveva in programma una bevuta con il novellino dell’ufficio” concluse con un ghigno.

“Il ragazzino ha fatto colpo!” intervenne Leon.

“Sarà il fascino dei biondi!” disse Perce.

“Tra l’altro, mi sembrava che ti avesse detto di no!” continuò Elian.

“Quindi, ha rifiutato un invito del grande Gwaine” s’informò Leon interessato.

“Piantatela” sbottò Gwaine.

“Mi ha solo detto che è astemio” spiegò scocciato.

“Già, e tu ci credi!” lo sfotté Elian.

“Cosa vi porto?”.

La voce alle loro spalle li fece sobbalzare tutti.

“Birre per tutti?” pigolò Gwaine, portandosi una mano al petto e guardando gli altri, che annuirono in silenzio.

“Birre per tutti” confermò Perce al cameriere con un sorriso.

Questi annuì con un cenno del capo e si ritirò.

“Dannazione” imprecò Gwaine, “ e dire che dovremmo esserci abituati. Che diamine ci trovi in quello?” domandò, sinceramente interessato, rivolgendosi a Perce.

Questi lo fulminò con lo sguardo senza però rispondere.

“Beh, se si parla di bellezza, direi che non lo batte nessuno!” intervenne Ginevra per la prima volta nel discorso, guadagnandosi l’occhiata dubbiosa di Lance.

“È solo un’osservazione” rispose tranquilla la ragazza con un’alzata di spalle.

“È pallido come un morto” rispose Gwaine con uno sbuffo.

“Ma è proprio questo che lo rende così bello” rispose Leon con oggettività.

“Ha la gamma di espressioni di un pezzo del mobilio” parlò ancora Gwaine, difendendo la sua tesi.

“Questo lo rende ancora più affascinante” lo contraddisse Ginevra.

“Il fascino del mistero” fece poi rivolta a Perce con un sorriso rassicurante che, in tutta risposta, seguiva quel dialogo spostando la testa da un interlocutore all’altro e non profferendo parola.

“Se gli fa una foto e la appende al muro, la non relazione con quel tipo sarà più soddisfacente” disse ancora Gwaine difendendo la sua tesi.

“Perché devi sempre remare contro?” domandò Ginevra piccata.

“Perché è una situazione senza speranza” rispose Gwaine sicuro.

“Lo sai questo, amico?” domandò poi rivolto a Perce che si era trincerato dietro uno dei menù sul tavolo.

“E piantala di fingere di leggere!” disse ancora Gwaine, togliendogli il cartoncino dalle mani.

Lui e Perce erano cresciuti insieme.

Amici per la pelle, questo erano stati fin dalla prima volta che si erano conosciuti.

Gwaine aveva sempre ammirato il suo buon cuore.

Questa era una dote che lo distingueva anche in un lontano passato, ma questa era un'altra storia.

Nella vita attuale, lo aveva sempre visto struggersi in storie sbagliate.

Con quel cameriere poi, con il quale non aveva neanche mai parlato, la cosa sembrava più grave del solito.

E Gwaine, anche se sapeva di fare la parte del cattivo, non poteva fare a meno di riportarlo con i piedi per terra.

Era vero, il cameriere era affascinante.

Era vero, la sua bellezza rientrava gli standard comuni, superandoli ampiamente.

Ma perché Perce doveva sempre impelagarsi in quegli amori a senso unico?

“Perché non pensi al tuo rifiuto?” gli appuntò Ginevra, sapendo di colpire nel segno e mettere quindi a tacere l’altro.

“Ha detto che è astemio” sbottò allora Gwaine che non aveva ben digerito la cosa.

Che razza di scusa… un ragazzo nel pieno della sua giovinezza che è astemio? Ma quando mai!

In pratica, il novellino in ufficio l’aveva elegantemente mandato al diavolo.

E dire che pensava di essergli simpatico.

L’aveva colpito subito, sin dalla prima volta che l’aveva visto, poche settimane prima.

Il ragazzo aveva fatto domanda per entrare nell’azienda, presentando un curriculum più che eccellente.

Immediatamente, era stato assegnato al suo ufficio.

Gwaine, la prima cosa che aveva notato in lui era stato il suo aspetto.

Bello oltre ogni dire.

Biondo, occhi verdi e una faccia sfrontata di chi sa esattamente cosa vuole e che sa benissimo che la otterrà senza sforzi.

Con il ragazzo si parlava senza problemi.

Sempre pronto alla battuta e cordiale con tutti però, allo stesso tempo, sfuggente.

Gwaine, infatti, aveva notato come il ragazzo omettesse ogni domanda che riguardava la sua vita privata.

La cosa strana era che rigirasse le domande in un modo così abile che neanche chi gli aveva rivolto il quesito si ricordava della domanda di origine.

Gwaine però se ne era accorto, e aveva rimediato invitandolo a una bevuta tra colleghi.

Ma il tipo gli aveva risposto, con un sorriso disarmante prima e con un’espressione beffarda poi, che era astemio!

“La colpa è vostra” disse Gwaine, rivolto a Elian e Leon.

“Non fate altro che fargli fare fotocopie per tutto il tempo e farvi portare il caffè” continuò, accusandoli con lo sguardo e incrociando le braccia.

“Ma questa è la sorte di tutti i novellini!” si difese Elian con noncuranza.

“Le vostre ordinazioni” comparve nuovamente il cameriere facendoli, ancora una volta, sobbalzare tutti.

Gwaine osservò Perce guardare i movimenti dell’altro con un sorriso e si ritrovò a riflettere su come il tipo sembrasse troppo altolocato per lavorare lì.

Non aveva mai visto servire una birra con tanta eleganza e tanta classe.

“Come ti chiami, ragazzo?” chiese allora, sicuro di dare almeno un nome alle fantasie del suo amico.

Il cameriere lo guardò per un lungo istante, interrompendo i suoi movimenti.

Gwaine si ritrovò a deglutire sotto quello sguardo senza saperne il perché.

“Vuole fare un richiamo al proprietario del locale?” domandò il ragazzo, senza alcuna inflessione nella voce.

“No, cero che no!” intervenne Perce, fulminando Gwaine con lo sguardo.

Il ragazzo guardò sia l’uno che l’altro, riducendo le labbra a una fessura sottile.

“Allora non vedo perché debba sapere il mio nome!” rispose gelido allontanandosi.

Gwaine sbarrò gli occhi a quella risposta guardandolo allontanarsi.

“Cioè” disse, rivolgendosi agli altri commensali.

“Vi sembra normale un tipo del genere?” domandò allibito.

“Definisci normalità” rispose allora Perce che non aveva gradito come si fosse rivolto al cameriere.

“E piantala di guardarmi male” si difese Gwaine. “Volevo solo fare conversazione”.

“E poi, perché guarda tutto e tutti come se fosse circondato da insetti fastidiosi?” chiese ancora agli altri.

“Che diamine ci fa un tipo del genere a servire birre, se ha tutte le rotelle a posto?” domandò, non riuscendo a trattenersi.

“Che ne dite di riportare la conversazione su argomenti più importanti?” decise di intervenire Lance.

“Perché?” domandò Gwaine. “Ci sono novità?” chiese interessato.

Lance scosse la testa in segno di diniego.

“Beh, solita storia allora. Senza via d’uscita aggiungerei” disse, e stavolta il tono era serio.

“Eppure” continuò Gwaine, andando con la mente lontano, “da qualche parte dovrà pure essere” concluse, senza bisogno di specificare il soggetto.

“La domanda è se sa dove siamo noi!” intervenne Ginevra.

“Hai qualche dubbio?” domandò Lance.

“Sentite” disse poi rivolto agli altri.

“Lo conosco meglio di voi!” e Gwaine, a quelle parole, sbuffò contrariato.

“Conosco meglio quel suo lato” specificò, rispondendo così allo sbuffo di Gwaine.

“E so per certo che ha sempre tutto sotto controllo. Così è stato in passato” disse calcando le parole, “e così deve essere anche adesso” concluse sicuro.

“Quindi, escludi che non sappia dove siamo!” riassunse Perce.

“Di questo ne sono sicuro!” rispose con tono fermo l’altro.

“Ma allora dov’è? Perché non l’abbiamo mai visto?” domandò Gwaine con tono riflessivo.

Perce lo guardò comprensivo.

Lui e Lance erano quelli più legati a lui e la sua mancanza si faceva sentire particolarmente per loro.

“Artù crede che non abbia più bisogno di noi!” disse Lance con voce incolore.

“Bisogno?” si alterò a quel punto Gwaine.

“Quindi, è questo che siamo stati?” domandò Gwaine perdendo le staffe.

“Che stupido!” continuò la sua arringa.

“Io credevo che fossimo suoi amici” calcò l’ultima parola facendo una lunga sorsata.

“Infatti, lo siamo” rispose sicuro Lance.

“Ma non credi che forse, e dico forse, ha altro a cui pensare?” domandò, rivolgendosi agli altri commensali.

“Ha sempre gestito cose che ci erano precluse” intervenne Ginevra andando a ricordi lontani, con un sorriso sulle labbra.

“Magari è così anche adesso!” concluse con tono affettuoso verso il soggetto della situazione.

“E invece no!” insistette Gwaine.

“Allora” riprese abbassando il tono, “le cose ci erano precluse per ovvi motivi” disse sarcastico.

“Non possiamo essere tornati per caso!” disse ancora, osservando il boccale che aveva dinanzi.

“Questo è ovvio!” rispose Leon.

“Tuttavia, proprio come allora, possiamo fare poco senza di lui” disse, riflettendo sul passato.

Lui era quello che aveva con il soggetto in questione un rapporto più largo rispetto agli altri.

Eppure, alla luce di tutte le informazioni che avevano recuperato anni addietro, sapeva che quell’affermazione corrispondeva alla verità.

“Quindi, stai dicendo che siamo inutili” lo riprese Gwaine.

“Sto dicendo che dovremmo avere pazienza” rispose Leon, senza scomporsi.

“Io non sono un tipo paziente” lo rimbeccò ancora Gwaine.

“E allora cosa vuoi fare?” intervenne Elian.

“Mettere un annuncio per le persone scomparse? Magari anche dicendo la vera età che dovrebbe avere” disse sarcastico.

“Di sicuro ti crederebbero!” concluse irritato.

“Non sappiamo neanche che aspetto possa avere attualmente!” disse sospirando.

“Noi non abbiamo cambiato aspetto!” costatò Perce.

“Ma noi siamo anche…” e fece una pausa guardandosi intorno, “tornati” concluse Elian con un sussurro.

“Lui, da quello che sappiamo, non è mai andato via!” disse ancora, rivolto agli altri.

“E se ci avesse dimenticato?” diede allora voce alle sue paure Gwaine.

“Se avesse dato di matto dopo tutto questo tempo?” continuò ancora.

“Se fosse… morto?” domandò in un sussurro abbassando la testa.

 “Io credo che la desidererei” continuò a bassa voce. “La morte intendo… dopo tutto questo tempo” concluse con tono tetro ed espressione seria.

“La Dama ci ha assicurato che non è mai andato via!” rispose calmo Lance.

“La Dama ci ha anche assicurato che avremmo avuto uno scopo!” sbottò ancora Gwaine.

“Dobbiamo solo aspettare” rispose per l’ennesima volta Lance.

“Quanto a una sua probabile pazzia, lo escludo!” esclamò con sicurezza.

“In passato avrebbe avuto molte occasioni per uscire di senno, eppure è sempre andato avanti! Il suo senso di giustizia” continuò, con voce affettuosa, “il suo altruismo, supera di gran lunga quello delle persone comuni” concluse pacato.

“Ma allora perché non si è ancora fatto vivo?” domandò Perce.

“Forse perché” rispose l’altro lentamente, “è tornata anche lei!” disse esprimendo a voce i dubbi che lo attanagliavano da tempo.

Nessuno domandò a chi si potesse riferire.

Tutti avevano ben chiaro chi fosse Lei.

“Quindi, l’unico che sta perdendo il senno, in sostanza, è Artù!” sospirò Leon.

“La chiamerei più impazienza logorante” lo corresse Lance.

“Hai parlato ad Artù della sua possibile ricomparsa?” chiese Gwaine indurendo lo sguardo.

“Forse Lui è in pericolo, o forse Lei gli impedisce di avvicinarsi a noi!” disse ancora.

“Forse l’apocalisse arriverà domani” intervenne Elian.

“Sappiamo bene di chi stiamo parlando. Non credi che le tue ipotesi siano piuttosto fantasiose?” domandò con ovvietà.

“Perché le escludi a priori?” chiese Gwaine piccato.

 “Credi davvero che sia l’unico? Non pensi che ci siano persone come lui che lo aiutino?” gli rispose pratico Elian invitando l’altro, con lo sguardo, a mantenere la calma.

“E allora perché noi ne siamo tagliati fuori?” si alterò a sua volta Gwaine.

“Va bene, calmiamoci!” intervenne Lance.

“Per rispondere alla tua domanda” riprese, guardando Gwaine, “ti dico solo che anche Artù ha considerato un suo possibile ritorno”.

“Non cavandoci però un ragno dal buco” completò per lui Gwaine.

“Già!” annuì l’altro.

“Dobbiamo solo aspettare” disse ancora Lance.

“E fidarci di lui!” sorrise, guardando gli altri commensali che annuirono in silenzio.
 

***
 

Una figura, in un vicolo fuori dal locale, osservava pensierosa la sua mano.

Nessun passante avrebbe potuto notarla; aveva scelto apposta quel punto per le sue osservazioni.

L’uomo osservava pensieroso il rubino rosso fiammante sul suo anello, dove all’interno si muovevano delle persone che, incuranti, continuavano come se nulla fosse, non sapendo di essere osservate.

Un’altra figura si avvicinò all’uomo, con un sorriso sghembo in volto e un’aria furba.

Questi, pur avendo notato l’altro, continuò come se nulla fosse.

“Persone interessanti i cavalieri, vero Gabrielino?” parlò il nuovo arrivato.

“Nh” mugugnò pensieroso l’altro, soprassedendo sul vezzeggiativo riguardo al suo nome.

“Non mi hanno creduto sul fatto che sono astemio” piagnucolò Kyle fintamente addolorato, addossandosi al muro.

“Lo cercano” parlò allora Gabriel, più rivolto a se stesso che all’altro, continuando a osservare le figure nell’anello.

“Sì, in effetti, il Re non sa più dove sbattere la testa” ghignò Kyle.

“E la cosa ti diverte?” chiese Gabriel assottigliando gli occhi.

“Sì, molto in realtà. In fondo, dopo tutto quello che Merlino ha fatto per lui, mi sembra il minimo un po’ di sana consapevolezza” allargò il sorriso.

“Dobbiamo riferirgli le novità” parlò ancora Gabriel accendendosi una sigaretta.

Erano una decina d’anni che apprezzava il tabacco; lo trovava rilassante, anche se comunque fumava molto raramente.

“Non me ne offri una?” gli chiese l’altro e Gabriel fu veloce a passargli il pacchetto.

Kyle si accese la sigaretta con noncuranza, guardando Gabriel con sguardo serio.

“Quindi vuoi riferirgli che si stanno struggendo per lui?” domandò, con tono sarcastico.

In effetti, trovava quella situazione divertente, inutile negarlo.

D’altro canto, quando si viveva per secoli, era difficile trovare cose divertenti e Kyle era intenzionato a godersi appieno quelle novità.

In fondo, era lui quello opportunista del gruppo; la pietra di Granato che indossava, e che gli era rimasta fedele per tutti quei secoli, ne era la prova assoluta.

Lui assecondava solo ciò che lo faceva stare bene, senza morale alcuna. D’altro canto, in un gruppo dove tutti erano ligi al dovere, qualcuno che spezzasse la monotonia era quello che ci voleva.

E lui non sarebbe cambiato per nulla al mondo.

“Come se non avesse abbastanza problemi!” parlò ancora, stavolta ritornando serio.

“Vedi altre alternative?” domandò pungente l’altro.

“Sì!” non si perse d’animo Kyle.

“Aspettare almeno di essere al completo. Lenn e Merlìha ci raggiungeranno a breve. Poi, vediamo come va!” disse, prima di fare un altro tiro cercando, invano, di fare dei cerchi con il fumo.

“Nh!” annuì Gabriel.

 “Tua sorella ha cominciato stamattina e Lenn, domani, farà direttamente il colloquio con il grande capo” parlò ancora Kyle.

“Aspettiamo loro prima di riferire tutto!” esclamò con sicurezza e Gabriel annuì ancora.

In fondo, potevano aspettare ancora qualche settimana e poi regolarsi di conseguenza.
 

Continua…
 

Note:

Questo capitolo è tutto sui cavalieri.

Mi sembrava doveroso, infatti, dedicare loro un capitolo intero, dove si capiscono i loro rapporti nell’era moderna, e come ognuno di loro affronta la situazione del loro ritorno.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Mi raccomando, attendo come sempre i vostri commenti!

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Pandora86
 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17. Passato e Presente ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 17. Passato e Presente
 

Palazzo dei Guardiani
 

L’anziana donna osservava le due figure che, all’interno del portale, continuavano la loro vita non sapendo di essere osservate.

Sorrise a quella strana situazione.

Coloro che osservavano erano, a loro volta, osservati.

Freya, seduta nella poltrona di fronte, spostava lo sguardo dal portale a sua zia, non interrompendo le riflessioni della donna.

“Sono entrati in contatto con i cavalieri!” esclamò l’anziana signora.
Freya annuì.

“Il mio caro nipote” sospirò ancora la donna.

“Non si rende nemmeno conto dell’effetto che fa ai comuni mortali” aggiunse con un sorriso.

“Intendete l’interesse del cavaliere, zia?” domandò Freya.

“Già!” confermò la donna con sguardo penetrante.

“Proprio quello!” e sospirò.

“Anche il Sommo Kyle ha attirato l’interesse di qualcuno” si espresse la Dama.

“E questo non ti dice nulla, bambina mia?” domandò con affetto la donna.

Freya la guardò sorridendo.

Adorava quei momenti di intimità tra di loro.

Adorava la sua nuova vita.

Adorava l’affetto che traspariva nei loro dialoghi e la voce rassicurante della donna che aveva di fronte.

Tuttavia, scosse il capo.

Non sapeva, infatti, cosa mai potesse significare tutto quello.

“Avete qualche idea a riguardo?” chiese.

“Beh” ridacchiò la donna e in quel momento il suo volto parve ringiovanire, assomigliando molto a quello della nipote.

“Ho più esperienza” le disse, non abbandonando il sorriso.

“Tuttavia, credo possa arrivarci anche tu, se cogli le similitudini”.

Freya scosse il capo.

“Capirai, bambina mia. Capirai” disse ancora la donna, continuando a osservare il portale.

E Freya annuì.

Potevano soltanto aspettare e vedere come gli eventi si sarebbero mossi.
 

Londra 2013 – Novembre
 

Merlino scese l’imponente scalinata dell’immensa villa deciso a recarsi in cucina; aveva bisogno di un caffè a tutti i costi.

Quella mattina, anche Lenn era andato via; poco dopo l’alba era passato a salutarlo.

E ora, si ritrovava solo in quell’immensa casa per la prima volta dopo secoli.

Notò, con un sorriso, che Lenn gli aveva preparato la colazione, già perfettamente predisposta sul tavolo. Tuttavia, non gioì completamente per quel gesto affettuoso.

Troppi dubbi attanagliavano la sua mente. Un pensiero, in particolare, non gli lasciava tregua: il Re era tornato.

Artù era comparso, proprio quando lui si aspettava che oramai non tornasse più.

All’incirca trent’anni prima, la Dama era comparsa al loro cospetto, oramai unico legame con il mondo dei Guardiani, per avvertirli che le anime si erano ricomposte ai loro corpi originari e che il processo era avvenuto nel grembo materno di donne comuni e non dotate di magia.

Uno shock!

Questo era stato!

Uno shock allo stato puro.

La Dama li aveva avvertiti che tutti erano tornati, rispettando, in linea di massima, le differenze di età che avevano avuto nella vita precedente.

Ma, nel loro caso, non si sarebbe trattato di vita precedente, quanto ricordi di un passato proprio.

Questa parte Merlino aveva proprio faticato ad accettarla; non tornavano le loro reincarnazioni, a questo era pronto (o comunque avrebbe gestito meglio la cosa).

In fondo, se di reincarnazioni si fosse trattato, allora lui non avrebbe avuto niente a che vedere con loro; molti maghi si reincarnavano non conservando i ricordi della vita precedente e, in alcuni casi, non conservando nemmeno il carattere della persona che erano stati in passato.

Ma non era il caso del Re e dei suoi cavalieri: loro erano tornati, grazie a un processo magico unico nel suo genere, aveva specificato la Dama.

E Merlino si era sentito perso.

Loro… i suoi amici… il suo Re.

Sarebbero stati esattamente quelli di un tempo… sarebbero stati loro.

E ora, eccoli qui, tutti adulti, che entravano nuovamente in contatto con la magia.

E lui, come doveva regolarsi dopo mille anni?

Camelot non gli era mai sembrata così vicina come in quel momento.

D’altro canto, se loro erano semplicemente tornati, conservando tutti i loro ricordi, per Merlino non era così semplice.

Non poteva, infatti, cancellare con un colpo di spugna tutti quei secoli; perché lui, quei mille anni, li aveva vissuti.

Uno dopo l’altro, anno dopo anno, cercando di tener fede al suo compito e rischiando, in alcuni casi, la pazzia.

Ma che legame poteva costruirsi su queste basi?

Loro lo ricordavano come un servo idiota e talvolta anche ridicolo. Merlino invece, quel servo idiota, non sapeva neanche più dove fosse.

Ma allora, come doveva presentarsi a loro?

Nel mondo non magico, era un violinista affermato, un bambino prodigio.

Merlino aveva trovato, nella musica, il suo essere.

Perché non suonava con la magia, ma solo grazie alle sue conoscenze.

In fondo, aveva appreso queste stesse conoscenze dai Grandi Maestri dei secoli passati in persona.

Ma neanche questa ipotesi andava bene, perché loro sapevano della sua magia.

Ecco che quindi la domanda ritornava: come doveva presentarsi a loro?

Come Sommo Emrys, colui che vegliava su tutte le creature magiche, essere più potente di tutte le dimensioni?

E loro avrebbero accettato questo cambiamento?

Non era disposto ad accettare i loro sguardi dubbiosi ma neanche indossare i suoi panni medievali e presentarsi a loro con amichevoli pacche sulle spalle.

No! Questo non l’avrebbe fatto.

Lui, quel Merlino, non sapeva più neppure dove fosse.

Il suo corpo aveva mille anni e lui non era più disposto a fingere che non ci fosse nessun problema.

Perché i problemi c’erano eccome, ma questa era un’altra storia.

Perché allora non lasciare che tutti loro vivessero la propria vita, senza più essere immischiati in questioni che, in fondo, non li riguardavano più?

Se a Camelot conoscere l’esistenza della magia era cosa normale, nel secolo attuale era solo un dato secondario.

Perché quindi non lasciare che loro continuassero come se nulla fosse?

Lui era ben propenso a un’ipotesi del genere, ma neanche quest’alternativa sembrava andare bene.

Perché, secondo Gabriel, loro dovevano sapere.

Lo aveva sempre sostenuto, fin dal momento della loro nascita.

Lo aveva sempre sostenuto, anche nei secoli passati.

Tuttavia, se nei secoli passati il problema non si poneva, ora era più concreto che mai.

A nulla era servito aspettare che crescessero; Gabriel continuava a essere convinto della sua tesi e Merlino sapeva che, di solito, non sbagliava mai.

E ora, ecco che i quattro maghi più potenti dopo lui entravano in contatto con loro.

E Merlino, dopo secoli, era di nuovo solo.

Come lo era stato a Camelot.

Come lo era adesso.

Sbuffò, decidendo di mettere fine a questi pensieri.

I Guardiani sapevano quello che facevano, non poteva essere altrimenti.

E lui, d’altra parte, doveva solo aspettare e vedere come le cose si sarebbero mosse.
 

***
 

Artù entrò a passo lesto nell’imponente edificio della compagnia che gestiva.

Salutò con un sorriso tutti quelli che incontrava, fino ad arrivare nel suo ufficio.

Ginevra, la sua impeccabile segretaria, era già al suo posto dietro la scrivania e lo accolse con un sorriso raggiante.

“Quali sono i programmi per oggi?” chiese Artù avvicinandosi.

“Giornata tranquilla, a parte un colloquio con un nuovo ragazzo” rispose di buon umore.

“Capisco!” disse soltanto.

“Vado nel mio ufficio!” concluse, prima di venire investito da una non precisata quantità di fogli.

Successe tutto in un attimo.

Mentre si stava voltando per andare nel suo ufficio, si era sentito afferrare per la giacca.

Rischiando di perdere l’equilibrio, si era poggiato alla scrivania di Ginevra che, non avendo avuto i riflessi pronti per intervenire, ora guardava la scena con un’espressione di divertimento che cercava di nascondere educatamente.

E ora Artù si trovava seduto a terra, con una mano poggiata alla scrivania, circondato da fogli sparsi qua e là.

“Sono mortificata!” una voce femminile, alle sue spalle, lo fece voltare.

La ragazza che aveva parlato, si stava alzando e lo guardava indecisa se recuperare prima i fogli o aiutare lui.

“Sono inciampata, mi dispiace!” disse con sguardo mortificato, affannandosi a recuperare tutti i fogli.

“Non importa” disse Artù aiutandola.

“Vi do una mano” disse Ginevra alzandosi e recuperando i documenti sparsi sul pavimento.

“Artù, lei è la mia nuova assistente!” spiegò, una volta recuperato tutti i fogli.

“Incantato!” rispose Artù con cavalleria, osservando la nuova arrivata con un sorriso.

Povera Gwen, pensò tra sé.

Di sicuro la ragazza, per essere stata assunta, doveva aver presentato un curriculum eccellente.
A conti fatti però sembrava un vero impiastro.

“Chiedo ancora scusa!” chinò il capo la ragazza facendo ondeggiare i suoi lunghi riccioli biondi.

“Non importa” rispose Artù guardando i suoi occhi.

Erano di un dorato molto particolare.

Quasi come… i suoi!

Scosse il capo, scacciando questo pensiero, e si avviò nell’ufficio sotto lo sguardo attento di
Ginevra che, una volta date le istruzioni alla sua assistente, lo seguì preoccupata.

“Stai bene, Artù?” domandò una volta che fu entrata ed ebbe chiuso la porta alle sue spalle.

“Ieri si è sentita la tua mancanza!” disse, sedendosi di fronte a lui.

“Non sono dell’umore adatto per bere in compagnia” sbuffò l’Antico Re.

“Così, hai una nuova assistente!” disse per cambiare argomento.

“Come mai non ho fatto io il colloquio?” chiese, più per curiosità che per altro.

Di solito Ginevra, anche se molto efficiente, non assumeva gente al posto suo a meno che lui non la delegasse.

Non che gli importasse più di tanto, in realtà.

“Beh, vedi…” incominciò titubante la ragazza.

Artù assottigliò lo sguardo.

Lui aveva chiesto informazioni a riguardo per sviare domande inopportune su di lui. Ma perché Ginevra sembrava nascondergli qualcosa?

“Oh, insomma!” si decise a parlare la ragazza.

“Tanto lo saprai comunque, prima o poi!” disse scrollando le spalle.

“Sapere cosa?” domandò Artù assottigliando lo sguardo.

“Il nome della ragazza!” rispose Ginevra.

“Perché, come si chiama?” domandò ancora Artù.

“Merlìha!” disse soltanto Ginevra, aspettando la reazione dell’altro.

“Merlìha” ripeté lentamente Artù.

“Capisco!” affermò ancora con un sorriso.

“In effetti, è un impiastro, proprio come Lui!” e fece una pausa.

“I suoi occhi gli assomigliano” parlò ancora. “Anche se io non li ho potuti vedere che pochissime volte” sospirò.

“Va tutto bene, Gwen!” disse poi rivolto alla sua segretaria.

“Non c’è bisogno di essere così protettivi” mimò le virgolette con le dita.

“È solo una ragazza con un nome strano. O forse, pensavi che mi sarei messo ad assillarla di domande, credendola il suo alter ego femminile?” sbuffò annoiato, guardando Gwen che lo osservava lasciando trasparire tutta la sua ansia.

“Mi preoccupo per te, Artù! Sono tua amica!” disse semplicemente la ragazza.

“E so che stai soffrendo più degli altri, portando sensi di colpa che non ti spettano” continuò ancora con praticità.

“Tu lo hai sempre trattato bene, Ginevra!” le rispose Artù con ovvietà.

“Anche quando il tuo rango si è alzato” concluse, marcando le parole.

“E tu hai sempre messo a repentaglio la tua vita per proteggerlo. Il tuo cuore è sempre stato nobile” non si perse d’animo la ragazza.

“Può darsi” disse soltanto Artù.

“Quando ho scoperto chi era però, l’ho allontanato” continuò, andando con la mente a ricordi lontani.

“Nonostante ci avesse appena salvato tutti” affermò ancora.

“Lo hai anche ringraziato” gli disse la ragazza con sguardo triste.

“Sì, certo! In punto di morte” le rispose con sguardo pensieroso, incrociando le mani sotto il mento.

Ripensò a quei momenti, quelli che, fra tutti, mai avrebbe potuto cancellare dalla sua mente.

“Abbracciami”

Questa era stata la sua ultima richiesta.

“Abbracciami soltanto” lo aveva pregato in fin di vita.

Perché, finalmente, aveva capito.

Perché, finalmente, era riuscito a dare un nome a quello che aveva sempre sentito verso l’altro.

Non che sapesse molto, in realtà.

In verità, non sapeva nulla; le cose importanti, i dati essenziali, li avrebbe appresi solo dopo la sua morte.

Tuttavia, finalmente sapeva quello che c’era nel suo cuore.

Serenità e pace.

Amore.

Questo sentiva mentre la vita lo abbandonava.

Quasi come se l’anima avesse trovato il suo padrone.

A quei tempi, non sapeva ancora quale fosse la natura del loro vero legame.

Eppure, il non saperlo non gli aveva comunque impedito di sentirlo.

Di provarlo.

Perché lui andava via sereno.

“Abbracciami” lo aveva implorato.

E Lui lo aveva accontentato.

Mai Artù avrebbe potuto dimenticare quelle sensazioni; mai avrebbe voluto farlo.

Finalmente, le braccia del Mago lo stringevano.

E Artù andava via sereno, guidato dal calore che solo quelle braccia sapevano dargli.

Calore che ricordava.

Calore che non avrebbe mai potuto cancellare dalla sua mente.

Calore che, nel secolo attuale, cercava insistentemente.

Calore che, purtroppo, prendeva vita solo nei suoi ricordi, perché mancava l’unica persona in grado di fornirglielo.

“Se non volesse più vedermi, lo capirei” disse ancora con un sussurro, perso in quei pensieri.

“In fondo, sono sempre stato un intralcio, mentre lui era occupato a salvare il Regno. Doveva dibattersi tra i suoi doveri, i pericoli e, contemporaneamente, cercare anche di nascondersi per salvare la sua vita!” terminò poi con oggettività, ritornando, con la mente, al presente.

“E non dire che non è così, visto che sai anche tu come stanno le cose” guardò seriamente la ragazza.

“È passato tanto tempo” rispose con praticità l’altra, scrollando le spalle.

“Appunto!” rifletté Artù alzandosi in piedi e avvicinandosi alla finestra.

Perché dovrebbe volermi di nuovo intorno, ora che è libero? Pensò, senza tuttavia dar voce al suo pensiero.

“La persona da esaminare è arrivata?” domandò invece, cambiando argomento.

“Attende nell’anticamera” rispose Ginevra capendo che l’argomento era chiuso.

“Falla accomodare” disse soltanto Artù, osservando la strada.

Sentì appena la porta richiudersi mentre con la mente era già andato a ricordi lontani.

Lontani eppure più vicini che mai.

Due occhi azzurri.

Due orecchie improponibili.

Non sapeva dove fosse.

Anche in passato, non aveva mai saputo cosa facesse in realtà quando non si occupava di lui.

Chissà se si era mai perso d’animo oppure non aveva mai vacillato nei suoi intenti.

Artù, come principe ereditario prima e come re dopo, spesso aveva avuto dubbi.

Lui invece sembrava sempre così sicuro di tutto.

Certo che lo era; non poteva mai vacillare in sua presenza.

Doveva portare avanti il Regno e, se l’occasione lo richiedeva, anche incoraggiare colui che lo governava.

Chissà se si era mai sentito solo…

Ricordò quando parlarono del destino.
 

“Il destino non ci rende la vita facile.
Una trappola. Come se tutta la vostra vita fosse già pianificata e voi non aveste il controllo su niente.
E non sapete neanche se ciò che il destino ha deciso sia la cosa migliore”.
 

Lui lo aveva guardato stupito, sorpreso da come sembrasse aver capito dettagliatamente quello che provava.

Poi, non aveva dato più peso alla cosa.

Solo ora comprendeva: stava parlando di se stesso.

“È permesso?”.

Una voce lo distolse dai suoi pensieri.

Si girò, stampandosi in faccia un sorriso accogliente e guardando il nuovo arrivato.

Osservò un attimo incerto la sua figura, rimanendo sorpreso dalla sua altezza.

Sembrava persino più alto di Perce.

“Si accomodi” disse, indicando la sedia con la mano e andando a sedersi a sua volta.

Questi fece quanto richiesto, sorridendo gentile.

Portava i capelli lunghi fino alle spalle acconciati però in una coda.

Era molto muscoloso con dei lineamenti facciali molto marcati eppure la sua espressione era gentile e pacata.

Artù afferrò il curriculum che gli porgeva non stupendosi quando vide che era più che eccellente.

Laureato con il massimo dei voti, super qualificato, eccetera, eccetera.

Era un ottimo elemento ma questo non lo sorprese.

Per arrivare a fare un colloquio con lui, doveva per forza essere molto qualificato.

Nella prima fase dei colloqui doveva aver sbaragliato tutti con facilità, costatò quando vide che aveva appena ventotto anni.

“Complimenti! È un ottimo curriculum” disse con professionalità.

Il nuovo arrivato chinò il capo educatamente con un sorriso gentile.

“Direi che il colloquio con me è solo una formalità” continuò ancora Artù.

“Vedo che è specializzato nei contatti esteri” parlò ancora Artù, prendendo un altro modulo dal cassetto della sua scrivania.

“Poche settimane, fa abbiamo assunto un’altra persona, proprio in quel settore” continuò leggendo il modulo.

“Vedo che vi siete laureati alla stessa facoltà e nello stesso anno. Vi conoscete, per caso?” domandò ancora.

“Siamo amici d’infanzia e abbiamo fatto domanda insieme” rispose pacatamente il soggetto in esame.

“Capisco!” disse Artù.

“Bene, allora non avrà problemi ad adattarsi. Quella con i contatti esteri è una squadra molto
affiatata!” disse ancora Artù.

“Bene, Lenn” continuò, leggendo di sfuggita il nome sul curriculum.

“Direi che può cominciare domani!” concluse, alzandosi e porgendo la mano.

Questi sorrise di rimando alzandosi a sua volta e stringendo la mano.

“Va tutto bene?” domandò poi osservandolo attento.

“Scusi?” Domandò Artù inarcando un sopracciglio.

“Mi sembra pensieroso!” continuò con un sorriso incoraggiante.

Artù guardò attentamente il nuovo arrivato.

Solitamente, avrebbe liquidato la faccenda con una scrollata di spalle, invitando l’interlocutore a farsi gli affari propri.

Eppure, in quel volto c’era qualcosa che lo bloccava.

La domanda non era stata impudente né ossequiosa.

Il ragazzo non voleva fare colpo sul capo o impicciarsi degli affari degli altri.

Aveva semplicemente domandato, lasciando trasparire un pizzico di preoccupazione.

Se uno sconosciuto lo nota, allora deve essere evidente! Pensò Artù ragionando fra sé.

Eppure, lo sguardo dello sconosciuto invitava alla comunicazione.

Sarà un ottimo elemento per la compagnia, pensò distrattamente Artù.

“Con una compagnia come questa, è normale essere pensierosi” disse gentilmente, scegliendo la via diplomatica.

Lenn annuì gentilmente con il capo, quando l’occhio cadde su un libro sepolto da una non precisata quantità di fascicoli.

Nonostante fosse visibile solo il dorso, il titolo era perfettamente leggibile.

Ritornò nuovamente a guardare Artù con un sorriso pacato.

“Le situazioni hanno sempre una via d’uscita. Talvolta, quando non si può fare nulla, anche aspettare è una via” disse gentilmente chinando il capo e avviandosi alla porta.

Artù rimase basito, mentre l’altro usciva dal suo ufficio.

Anche aspettare è una via.

Anche aspettare è una via.

Guardò il curriculum del nuovo arrivato.

Laureato a venticinque anni.

La sua carriera universitaria era stata brillante, così come i master seguiti in seguito.

Guardò il curriculum del ragazzo assunto due settimane prima; ovviamente, stessa storia.

Per entrare in quella compagnia, quelle credenziali erano il minimo e Artù non si stupiva di questo.

Eppure… quella frase…

Anche il nuovo assunto, al momento del colloquio con lui, lo aveva colpito.

Artù non avrebbe saputo dire cosa avessero i nuovi arrivati, eppure il suo istinto lo metteva in allerta.

Possibile che qualcosa si stesse muovendo?

Non lo sapeva. Poteva solo aspettare.

Eppure, in quel momento, aspettare non gli sembrava poi così brutto come qualche istante prima.
 

Continua…
 

Note:

In questo capitolo, incominciamo a leggere l’introspezione di Merlino, capendo quali sono le sue idee e i suoi pensieri.

Introspezione che sarà comunque ripresa visto che le motivazioni del comportamento di Merlino non sono ancora del tutto spiegate.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Mi raccomando, attendo come sempre i vostri commenti!

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Pandora86

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Capitolo 18
*** Capitolo 18. Sospetti ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ieri, i Guardiani hanno compiuto un anno!
Ebbene sì, è passato un anno da quando ho pubblicato il primo capitolo.
Ringrazio tutti quelli che, in questo anno, hanno seguito la storia, chi silenziosamente chi commentando. Grazie Mille.
E, ovviamente, ringrazio anche tutti quelli che hanno recensito il capitolo precedente e inserito la storia tra le preferite, seguite e ricordate.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 18. Sospetti


Londra 2013 – Novembre 


 

“Persone interessanti, i nuovi arrivati” disse Lance seduto all’altro lato della scrivania del suo capo, mentre gli porgeva un fascicolo.

“Sì, l’ho pensato anch’io” rispose questi con professionalità, afferrando il plico di fogli.

“Sembra che ci sia del tenero tra la nuova assistente di Gwen e il nuovo assunto!” si sentì in dovere di aggiungere.

“Quindi, si conoscono tutti e tre!” valutò Artù pensieroso, congiungendo le mani.

“Non è strano che dei ragazzi facciano dei colloqui insieme” rifletté Lance.

“È il sogno di molti, entrare in quest’azienda” concluse poi.

“Hanno dei nomi un po’ strani, non credi?” aggiunse però dopo un po’, buttando la frase casualmente.

L’ombra del dubbio iniziava a serpeggiare nei suoi occhi.

“Perché non dici che lei ha un nome strano?” lo corresse Artù, capendo perfettamente dove l’altro volesse andare a parare.

“Perché intendo loro, tutti e tre!” non si scompose quest’ultimo.

“Lenn è un nome che non ho mai sentito!” disse ancora.

“Ognuno può avere il nome che vuole, purché lavori bene!” liquidò la faccenda Artù.

“Oh, ti assicuro che lavorano più che bene” gli confermò Lance.

“La ragazza poi, è sempre così entusiasta di tutto” disse ancora, ricordando come avesse gioito nel momento in cui era andata a prendere il caffè per tutti alla macchinetta automatica.

Peccato che poi, nel troppo entusiasmo, l’avesse mandata in tilt.

Distratta fino all’inverosimile, eppure più che competente nel suo lavoro.

Veloce ed efficiente, con un’esperienza che sembrava decennale.

Eppure, aveva appena ventisei anni secondo il suo curriculum.

“Questo è l’importante”.

La voce di Artù lo riscosse dai suoi pensieri.

“Non ti sembrano troppo competenti?” chiese ancora Lance.

“Che vuoi dire?” domandò a sua volta Artù.

Anche lui aveva notato qualcosa di strano nei tre arrivati, ma aveva lasciato correre la cosa.

Ma se anche Lance aveva qualche sospetto, allora i dubbi divenivano certezze.

“Beh…” cercò di trovare le parole adatte Lance.

“Ginevra adora la sua nuova segretaria, le ho sentite mentre progettavano di andare a fare shopping insieme” iniziò pensieroso.

“Kyle poi, ha già attirato le simpatie di tutti, lavorando qui da sole due settimane!” disse ancora.

“E Lenn, nonostante sia al suo secondo giorno, sembra già perfettamente a suo agio con tutti noi!” concluse, non riuscendo a trovare un capo nei pensieri che affollavano la mente.

“E questo, dove ci porta?” chiese Artù facendosi attento.

“Non lo so, ma ti posso dire che la loro esperienza lavorativa non è quella di semplici ventottenni” incrociò le braccia Lance.

“Sembrano un gruppo molto affiatato” rifletté Artù.

“Lo sono!” gli confermò Lance.

“E si sono perfettamente inseriti nel nostro, di gruppo” gli rivelò, con aria seria.

Sapeva, infatti, che Artù avrebbe compreso perfettamente.

Il loro gruppo, quello originario: i cavalieri e il Re.

Artù gli rivelò allora la strana frase di Lenn, il giorno prima.

“Adesso, ho la certezza che non sono chi dicono di essere!” decretò Lance.

Artù annuì.

“La domanda è: sono i buoni o i cattivi?” chiese ancora Lance perplesso.

“Aspettiamo di avere qualche dato in più prima di avvisare gli altri” disse poi e Lance approvò, annuendo con il capo.

“Se non abbiamo dati, non possiamo fare nulla” commentò ancora, assottigliando gli occhi.

Nella testa il sospetto prendeva sempre più forma.

E se non solo fossero i buoni, ma fossero addirittura Loro?

Certo, il numero non quadrava, ma Artù non aveva la più pallida idea di come fossero organizzati; forse si muovevano tutti insieme, forse no.

In ogni caso, non restava altro da fare che vedere come le cose si sarebbero messe e tenere d’occhio i nuovi arrivati.
 
 

***
 

“Ancora a inciampare qua e là, Merlìha?” la prese in giro Kyle, porgendole dei documenti da parte di Leon.

“Ah – ah – ah” finse di ridere la ragazza, prendendo il fascicolo dalle mani di Kyle.

Gwen, seduta dietro la sua scrivania, alzò il capo sorridendo.

Le piacevano i nuovi arrivati e li trovava simpatici.

Inoltre, erano tutti e tre amici e sembravano molto affiatati.

I teatrini tra loro, con l’arrivo di Merlìha e poi quello di Lenn non erano mancati.

Questo, per l’appunto era uno di quei casi.

“Perché non vai a lavorare?” ghignò Merlìha in risposta, dividendo velocemente i fogli per poi passarli a Ginevra.

“È quello che sto facendo!” le rispose fintamente offeso Kyle, sgranando gli occhi e portandosi le mani al cuore.

“Perché non vai a infastidire qualcun altro, allora?” riformulò la domanda la ragazza.

“Oh beh” sospirò affranto il biondo.

“Senza il bel tenebroso è una grande noia. Lenn poi, così serio e sorridente” alzò gli occhi al cielo Kyle.

“Non c’è gusto prendere in giro qualcuno, se questi non reagisce alle provocazioni” sospirò ancora con occhi fintamente tristi.

“Parla di mio fratello” spiegò Merlìha a Ginevra.

“È lui il suo bersaglio preferito” concluse scrollando le spalle.

“Oh, anche lui ha fatto domanda qui?” chiese interessata Gwen.

In fondo, quelli erano tre amici che avevano tentato la sorte insieme, provando a lavorare tutti nella stessa azienda.

“Oh no!” rispose Merlìha con un sorriso.

“Lui lavora altrove. Non ha una laurea adatta per fare domanda nella compagnia” spiegò semplicemente.

“Mi dispiace!” la confortò Gwen.

“Figurati!” sorrise ancora Merlìha.

“In fondo, abitiamo tutti insieme” la informò.

“Già!” asserì Kyle.

“E il bel tenebroso è sempre di cattivo umore, quando torna a casa!” disse con scherno.

“Non gli piace il suo lavoro” aggiunse con finto rammarico, guardando Merlìha di sottecchi.

“Beh, se tu evitassi di ricordarglielo e di sottolineare continuamente il lavoro che fai tu, forse il suo umore sarebbe migliore” lo riprese Merlìha, portandosi le mani ai fianchi.

“Non è colpa mia, se il grembiulino gli dona” ghignò Kyle uscendo dall’ufficio con fare teatrale.

Merlìha sbuffò, ritornando al suo posto.

“Sempre il solito” borbottò fra sé.

Ginevra intanto aveva assistito a quelle battute con un sorriso.

“Bel tenebroso?” domandò, cercando di ricordare dove avesse già sentito quella definizione.

“Kyle lo chiama così!” rispose Merlìha sorridente.

“Ti assomiglia?” s’informò Ginevra.

“Per nulla!” rispose la ragazza.

“È l’opposto di me, sia nel carattere che nell’aspetto”.

“Ma gli vuoi molto bene” costatò Ginevra, notando il tono affettuoso dell’altra.

“È il mio fratellone” le sorrise raggiante Merlìha e Ginevra annuì di rimando.

Sì, quella ragazza le piaceva proprio.

E lei aveva bisogno di un’amica.

Un’amica normale.

Un’amica di quel secolo.

Peccato non potesse sapere quanto le sue supposizioni fossero sbagliate.

Nel frattempo, qualcuno aveva ascoltato tutta la conversazione dietro la sua porta.

Qualcuno che aveva trovato quella conversazione molto più che interessante.

Forse sarà meglio parlarne in privato con Lance, pensò Artù ritornando dietro la sua scrivania.

Fratello.

Bel tenebroso.

Il grembiulino gli dona!

Un ascoltatore esterno non avrebbe trovato nessun legame tra questi elementi, e forse stava proprio in questo la bravura dei tre.

Però, per colui che sapeva cogliere i segnali, allora il dubbio veniva.

In fondo, indagare non contravveniva alla parola aspettare.

E stavolta, le possibilità di fare centro erano altissime.
 

Sera – Casa di Artù
 

 “Fammi capire” chiese conferma Lance, “mi hai fatto venire qui per parlare di un cameriere?”

“Non di un cameriere” lo corresse prontamente Artù, “ma del cameriere!”.

“Non cambia poi molto” sbuffò l’altro.

“E invece cambia tutto” si infervorò l’Antico Re.

“Rifletti Lance!”.

Lance scosse la testa pensieroso.

Non si stupiva della chiamata di Artù.

Erano anni che il Re lo chiamava agli orari più improbabili per condividere questa o quell’idea su una particolare persona.

La risposta era anche semplice, in effetti: Lance era quello che, nella loro vita passata, era stato più a contatto con lui dividendo, per qualche tempo, i suoi segreti.

Artù si era fatto raccontare innumerevoli volte di come lo avesse aiutato a contrastare gli uomini immortali.

Si era fatto raccontare molte volte gli aneddoti che a lui erano stati preclusi.

Solo una volta il Re gli aveva domandato perché non lo avesse mai denunciato, nonostante avesse giurato fedeltà.

Non c’era rimprovero nella sua voce, solo tanta tristezza, ma non per la mancata denuncia del cavaliere.

C’era tristezza perché aveva dovuto ammettere che un cavaliere di umili natali era stato più nobile di lui nel riconoscere un vero alleato.

“Non ho mai saputo quanto fosse grande in realtà, in quella vita!” aveva risposto Lance a quella domanda.

“Tuttavia, sentivo che proteggerlo avrebbe protetto Camelot. Nell’anno che abbiamo passato insieme al castello, mi sono sentito onorato per aver condiviso con lui il grande peso che ha portato sulle spalle per tutta la sua vita” aveva risposto semplicemente Lance.

Artù aveva annuito triste.

“Servendo me, non hai fatto altro che servire lui in realtà” aveva ammesso finalmente con la voce di chi comprende.

Con lo sguardo di chi sa.

Perché era sempre stato Merlino a portare avanti il regno.

Era sempre stato Merlino che per fare la cosa più giusta, avendo accettato di fargli da servitore.

Quando, nei secoli addietro avevano combattuto la stregoneria, Artù aveva sempre cercato di capire quale fosse la cosa più giusta.

Nei suoi anni da principe, aveva osservato il padre cercando di imparare il più possibile in quella lotta che, lui lo aveva sempre saputo, li vedeva in svantaggio.

Certo, molte volte aveva dissentito le decisioni del suo passato padre però, lo aveva anche amato e cercato di renderlo orgoglioso, aiutandolo quanto più poteva in quella lotta dove il padre sembrava sapere di più.

Poi, nei suoi anni da Re, Artù si era ritrovato a combattere con Morgana e, in ogni battaglia, aveva sempre dato il meglio di se.

Tuttavia, nell’intimo dei suoi pensieri, sapeva che a loro mancava un elemento che li rendeva in netto svantaggio contro la strega: la magia.

Invece, la magia era sempre stata a Camelot, sotto le mentite spoglie di un servo un po’ idiota e talvolta anche ridicolo.

Avevano sempre avuto la magia dalla loro parte e Lancillotto questo lo aveva sempre saputo.

Per questo, lo sguardo di Artù era stato triste quando gli aveva rivolto quella domanda.

Per questo ora si trovava lì, interpellato prima degli altri.

Per questo, Artù ascoltava la sua voce fra tutte nelle questioni magiche.

Lo ascoltava persino più di Ginevra che, dopo la sua morte, era vissuta lunghi anni a Camelot conoscendo la vera identità di Merlino.

Ma anche di questo, Lance non si sorprendeva.

Con la morte di Artù, anche Morgana aveva cessato di vivere.

Non c’erano più stati intrighi e complotti ma solo un lungo scorrere di anni.

Merlino e Ginevra non avevano mai condiviso la complicità che invece il mago aveva avuto con il cavaliere; non c’era, infatti, stata nessuna battaglia da sventare.

Per questo era lui che Artù interpellava.

“C’è qualcosa che non quadra!”.

La voce di Artù lo riscosse dai suoi pensieri.

“Beh, ammetto che è un po’ strano!” costatò l’altro.

“Non è strano! È regale” sottolineò la parola Artù.

Non esisteva nessun’altra parola adatta per definire quel cameriere.

L’aveva visto, per la prima volta, circa un mese prima.

Lo sguardo che gli aveva rivolto aveva fatto accapponare la pelle ad Artù.

Non l’aveva guardato, l’aveva scrutato.

Poi, ecco che compariva Kyle poco dopo.

E, secondo un ordine prestabilito, si presentavano a lui Lenn e Merlìha.

Lenn che gli diceva quella frase, poi; non poteva essere un caso!

“Non pensi che potrebbero essere Loro?” sussurrò Artù e Lance scosse il capo.

Spesso, in passato, avevano cercato delle persone; senza risultati, ovviamente.

E ora, ecco che comparivano quei quattro.

Tuttavia, considerando che nel passato tutti i loro tentativi erano stati dei buchi nell’acqua,
Lance preferiva andarci piano.

“Sappiamo che sono in quattro” ragionò Artù.

“Ma non sappiamo che faccia possano avere e nemmeno i loro nomi” lo riportò alla ragione Lance.

“La Dama ha sempre descritto la loro potenza e la loro opera nella storia, ma nulla di più” concluse pensieroso.

“Hai detto tu stesso che si sono inseriti con facilità nel nostro gruppo” gli appuntò Artù.

“Sarebbe da sciocchi non tentare” s’infervorò e Lance lo guardò pensieroso.

Quella era stata la frase più ricorrente in quegli anni da parte del suo attuale capo.

Sarebbe da schiocchi non tentare.

Da un lato, Lance comprendeva la difficile situazione dell’Antico Re.

Sapere com’erano andate veramente le cose aveva apportato un radicale cambiamento nella sua persona.

O forse, non era cambiato per nulla.

Sempre di animo nobile, sempre uomo d’onore, sempre votato alla causa.

E, ora che sapeva tutto, si sentiva ancora più responsabile.

Tuttavia, Artù era logorato al pensiero di apparire come uno sciocco, ora che sapeva.

Ora che comprendeva.

E preferiva essere scrupoloso fino allo sfinimento piuttosto che dimostrare a Lui quanto fosse incapace anche in questo secolo.

A nulla era servito rassicurarlo sul fatto che Merlino l’avesse accompagnato per il suo cuore puro, per la sua nobiltà.

Per il suo valore, per il suo coraggio.

Per tanto altro.

L’Antico Re era logorato dall’attesa.

L’attesa della sua metà.

Inoltre, non aveva tutti i torti nel sospettare dei nuovi arrivati; Lance stesso aveva avuto dei sospetti.

Quindi, in definitiva, c’era la possibilità che quello non fosse l’ennesimo buco nell’acqua.

“In effetti, ho detto io stesso che sono un po’ strani” ammise perplesso.

“Ma non è detto che conoscano il cameriere!” scosse la testa.

“Ma se lo conoscessero?” domandò Artù.

“Beh… potremmo essere vicini a qualcosa” ammise ancora l’altro.

“Ma come fare per verificare ciò?” domandò poi.

Artù sogghignò.

“Io un’idea l’avrei”.

Lance lo osservò attento.

“Se è davvero uno di loro, sarà lui stesso a venire da noi” affermò con sicurezza.

“Che vuoi dire?” domandò Lance perplesso.

“Che non perderà l’occasione d’oro per entrare di persona nel palazzo che ospita l’azienda”.

“Non capisco” ammise l’altro.

“Capirai fra qualche giorno” lo rassicurò l’Antico Re.

“Forse, addirittura domani!”.
 

Continua…
 

Note:
 

Bene, in questo capitolo scopriamo che Artù e i cavalieri conoscono i Guardiani.

Non di persona, ma comunque conoscono cosa rappresentano.

Nei capitoli passati, ho spiegato che la Dama avesse istruito le loro anime prima di farli ritornare.

La conoscenza dei Guardiani, oltre alla potenza di Merlino, rientrava appunto in questa istruzione.

D’altro canto, Artù sospetta subito di loro visto che ha passato buona parte della sua vita a sospettare di chiunque.

Non sa che faccia hanno ma sa che sono in quattro, e che due sono fratelli; per questo collega tutto ascoltando le parole di Merlìha.

Che dire… spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Come sempre, attendo i vostri commenti adesso più che mai visto che la storia sta entrando nel vivo (dopo venti capitoli è anche ora, potreste dire) e quindi sono curiosa di conoscere le vostre opinioni e i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Alla prossima.

Pandora86

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Capitolo 19
*** Capitolo 19. Strategia vincente o... scontata? ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 19. Strategia vincente o… scontata?
 
 
“Gwaine, ordina caffè per tutti. Il mio, fallo portare direttamente nel mio ufficio!” disse Artù quella mattina, con volto più serio che mai.

“Sicuro di aver dormito, stanotte?” chiese Leon preoccupato.

Le occhiaie che albergavano sul volto del giovane capo erano evidenti.

“Niente di che!” minimizzò Artù ritornando nel suo ufficio.

Lance scosse la testa, facendo segno agli altri di non indagare oltre.

“Qualcosa bolle in pentola, vero?" chiese Gwaine circospetto.

Lance sospirò.

“Beh, vorremmo saperlo anche noi” si alterò Gwaine.

“Non è la sede adatta!” sussurrò Lance, vedendo Lenn arrivare e sedersi alla sua postazione.

Gwaine sbuffò ma non protestò.

Da quando c’erano i nuovi arrivati, i loro dialoghi in ufficio si erano ridotti drasticamente.

Oramai, parlare con il grande capo in persona era divenuta un’impresa, visto come rifiutasse continuamente le uscite con loro, e preferendo di gran lunga stare a casa sua a fare chissà cosa.

Probabilmente nulla, ipotizzò poi Gwaine, se non continuare a tormentarsi inutilmente.

Lance, nel frattempo, seguì Artù, entrando nell’ufficio dopo di lui.

“Quindi, è questa l’idea?” chiese interessato.

“Beh, abbiamo il distributore in tilt, grazie alla nuova assistente” scrollò le spalle Artù.

“Solo su questo piano!” ci tenne a precisare Lance.

“Non è la prima volta che ordiniamo un caffè al bar di fronte” lo scrutò Artù.

“Se, guarda caso, fosse di turno e lo portasse proprio lui?” domandò ancora.

“Se fosse solo un caso?” provò a smontarlo Lance.

Non gli piaceva avere quel ruolo ma un buon amico è anche questo. E poi, ogni buona strategia necessitava di qualcuno che facesse la controparte mettendo in luce le eventuali pecche.

“E se invece si conoscessero?” domandò ancora Artù.

“E se si conoscessero, come dici tu, ma facessero finta di niente? Credi sia così facile scoprirli?” chiese ancora l’altro.

“Questo l’ho considerato!” lo stupì Artù.

“Eh?” lo invitò a continuare Lance.

“Beh, a volte bastano le occhiate e gli sguardi che le persone possono scambiarsi tra di loro, per capire. E poi, noi sappiamo chi cerchiamo!” concluse, sedendosi dietro la scrivania.

“È questo che mi preoccupa!” sospirò Lance.

“Che vuoi dire?” chiese il giovane capo.

“Voglio dire che noi cerchiamo persone che, in teoria, hanno più di mille anni. Non credi abbiano un tantino di esperienza nel passare inosservati?” gli appuntò con ovvietà.

“E se invece ci stessero studiando?” chiese ancora Artù.

“Non ti seguo!” ammise Lance con sincerità.

“Se volessero vedere quanto siamo validi, in questo tempo? Se tu dovessi combattere contro qualcosa o qualcuno, non vorresti prima essere certo della validità delle persone che ti circondano, prima di convocarle?” gli spiegò il suo ragionamento.

“Certo!” confermò nuovamente Lance.

“Ma non ci sono troppi ‘se’ in questa frase?” domandò ancora.

“Non posso credere che vada tutto bene. Non posso credere che non ci siano più lotte che Lui deve affrontare. Pensa ai libri di storia” si infervorò l’Antico Re.

“Pensa alle guerre e alle cose che noi abbiamo studiato a scuola” continuò, alzandosi in piedi e fissando l’altro.

“Beh, lui le ha vissute!” concluse con rabbia.

“Una dopo l’altra, per tutti questi secoli” scandì lentamente guardando l’altro e poggiando le mani, strette a pugno per la rabbia, sulla scrivania.

“Lo so!” sospirò Lance abbassando il capo.

Provava una forte angoscia di fronte alla verità di quelle affermazioni.

Provava una grande tristezza a pensare a quella realtà terribile cui era stato condannato quello che, un tempo, era un suo grande amico.

In cuor suo, nonostante l’immensa fiducia che riponeva in lui, sperò che stesse bene, ovunque fosse, e che avesse conservato il sorriso, nonostante la terribile realtà che portava sulle spalle.

“Io ci penso continuamente!” ammise Artù con voce bassa, sedendosi nuovamente.

“Le informazioni che il mondo ha di noi” continuò a ragionare, “sono quasi tutte sbagliate” e sospirò, massaggiandosi gli occhi con le mani.

“Tuttavia, tutte le leggende concordano sul fatto che io riposi ad Avalon e che lui attenda il mio risveglio per venirmi a prendere” e si portò una mano al mento.

“Beh, non credi che sia tutta una grande idiozia?” chiese poi.

“In che senso?” domandò Lance.

E Artù rise. Ma non era una risata allegra, quanto più sarcastica e molto, molto triste.

“Andiamo” sospirò.

“Con tutto quello di cui, sicuramente, si è dovuto occupare, credi che non abbia altro cui pensare, che il mio ritorno?” chiese, con tono stanco.

“Ha vissuto di tutto, e sicuramente è il punto di riferimento di molti, dato che non credo non esistano più stregoni” ragionò congiungendo le mani.

“Credi sul serio che non abbia niente di meglio da fare?” chiese ancora chiudendo gli occhi e massaggiandoseli con il pollice e l’indice.

“Sicuramente, è impegnato in molte cose” si ritrovò ad ammettere Lance.

“Chissà chi è, nel mondo normale” chiese poi con un sorriso l’Antico cavaliere.

“Mi piacerebbe vederlo in abiti moderni” affermò ancora con espressione curiosa.

“A Camelot, gli interessava la medicina” ragionò Artù con un sorriso.

“Forse, è un grande medico” disse ancora, mentre i suoi occhi si riempivano di tenerezza.

“Beh, forse ci stupirà anche in questo!” affermò Lance, rimanendo poi in silenzio.

La mente di Artù era andata a ricordi lontani, e lui preferì non interrompere il corso dei pensieri del suo capo, mentre sperava con tutto se stesso che il suo piano andasse a buon fine.
 

***
 

Kyle entrò nell’ufficio a passo sicuro.

“Ecco le fotocopie che mi avevi chiesto” disse sorridente, porgendo i fogli a Elian.

“Kyle, ho ordinato caffè per tutti! A te va bene?” domandò a squarciagola Gwaine, nonostante fossero a pochi metri di distanza.

Perce lo guardò sbuffando. Perché doveva sempre cercare di attirare l’attenzione di Kyle in modo così rumoroso?

“Certamente” rispose questi, con un sorriso disarmante.

Perce lo guardò a lungo, considerando che quel sorriso avrebbe attirato chiunque.

Anche Gwaine si stava impelagando in una storia senza via d’uscita, visto e considerato quanto poco il novellino lo calcolasse.

Lui, d’altro canto, anche trovandolo simpatico, non lo considerava sotto quel punto di vista.

La sua mente andò a uno sguardo di ghiaccio e un volto pallido.

A due occhi neri e a una voce sensuale.

Così, perso nei suoi pensieri, non si accorse di qualcuno che aveva bussato alla porta dell’ufficio.

“Sono arrivati i caffè” disse allegro Gwaine, saltando come un grillo.

Lui rimase di spalle alla porta perso nei suoi pensieri.

Se fosse stato più attento, però, si sarebbe accorto del cambio repentino avvenuto nel tono di voce di Gwaine.

“Ehm….” parlò questi incerto, di fronte al nuovo venuto. “Puoi posarli sulla scrivania”.

Fu allora che Perce vide chi era arrivato.

Il cameriere del locale aveva effettuato la consegna.

Rimase a fissarlo incerto, mentre questi posava con noncuranza il vassoio sul tavolo.

Assunse un’aria sbigottita quando vide quello che accadde dopo.

Kyle si avvicinò alla scrivania, osservando i caffè.

“Io lo prendo macchiato” disse sorridendo, rivolto al cameriere.

“Le ordinazioni non dicevano nulla del genere” sibilò questi, guardandolo storto.

E Perce, ascoltando quel tono, pensò che non ci fosse nulla di più tagliente.

“Oh” gli si avvicinò Kyle con noncuranza, poggiandogli un braccio intorno alle spalle.

Perce, insieme con gli altri, osservò quei gesti con sbigottimento.

Anche Gwaine si era avvicinato, osservando con interesse la scena.

“Non dirmi che non sai più come prendo il caffè, Gabrielino – ino – ino” cantilenò Kyle, allargando il sorriso.

“Levati di dosso, imbecille!” rispose questi con uno sguardo e un tono che avrebbero intimorito chiunque.

“Sempre di cattivo umore, eh?” lo schernì ancora Kyle, sedendosi sulla scrivania.

“Vi conoscete?” domandò allora Perce, guardando prima l’uno, poi l’altro con gli occhi sgranati.

“Siamo amici d’infanzia, vero Gabrieliiiino?” cantilenò ancora l’altro.

A quelle parole, Gabriel fece uno sbuffo contrariato.

“Oh, va bene!” si corresse Kyle. “Nemici d’infanzia”.

“Kyle”.

Una voce severa li fece voltare tutti.

“Oh, Lenn! Eccoti al tuo secondo giorno di lavoro. Hai visto chi ci ha portato il caffè?” domandò, con scherno.

“Kyle” ripeté Lenn entrando e andando a sedersi alla sua postazione, mentre fissava severamente l’altro.

Kyle sbuffò, facendo ondeggiare i ciuffi che gli cadevano sulla fronte.

“Va bene, ho capito! Vado a fare le fotocopie che mi competono” disse allegramente, prendendo un nuovo plico e uscendo.

“Come siete noiosi!” disse, facendo capolino nuovamente nell’ufficio.

“Io lo faccio per rallegrarvi!” esclamò ancora.

“Kyle, il caffè!” parlò Gwaine, cercando di intervenire nel discorso.

“Lo bevo dopo, grazie!” rispose Kyle.

“Se qualcuno continua a guardarmi in quel modo, rischia di andarmi di traverso” disse, prima di uscire definitivamente dopo uno sguardo penetrante rivolto a Gabriel.

Lenn sospirò pesantemente e Gabriel, con un’espressione di disappunto, si avviò verso la porta, portando con sé l’ultima ordinazione.

Nessuno si accorse, tutti troppo presi dalla scena appena avvenuta, come Gabriel non si fosse informato su dove fosse l’ufficio del capo, né aveva chiesto per chi fosse quel caffè.

Nessuno si chiese come il cameriere sapesse con certezza dove portare l’ultima ordinazione.

Solo Lenn sorrise, notando quel dettaglio ma non dicendo nulla.

D’altro canto, nessuno ci avrebbe più pensato, non in quelle ore almeno, visto che, dopo alcuni istanti, entrò Merlìha a spezzare quell’alone di silenzio che si era venuto a creare e che nessuno riusciva a rompere.

“Ginevra mi ha chiesto di portarvi questi!” disse, porgendo dei fogli a Gwaine e Perce.

Rimase alcuni istanti a fissare Lenn, indecisa se parlare o meno.

“Lenn!” si decise a dire poi, avvicinandosi perplessa.

“Sbaglio, o era Gabriel quello che è appena uscito?” domandò, con aria interrogativa.

“Non sbagli, Merlìha” sospirò pesantemente Lenn.

“Lo conosci?” domandò Perce, con aria perplessa.

Gabriel.

Finalmente, sapeva il suo nome!

“Certo che lo conosco!” disse con semplicità la ragazza.

“È mio fratello” concluse, lasciando gli altri di stucco.

Rivolse un sorriso smagliante a tutti prima di rivolgendosi a Lenn.

“Perché mi sembrava più nero del solito?” domandò perplessa.

“Diciamo che ha avuto uno scambio di vedute con Kyle” spiegò con semplicità Lenn, sorridendo.

“Qualcuno mi ha chiamato?” disse Kyle entrando, e guardandosi intorno con aria teatrale.

“Oh, il bel tenebroso se n’è andato” disse, con finto sollievo.

“Sono salvo!” continuò allegramente porgendo le fotocopie a Gwaine, che non poté fare a meno di ridacchiare osservando il ragazzo.

Perce lì fulminò entrambi con lo sguardo.

“Quindi, vi conoscete tutti!” disse, rivolto a Lenn.

“Beh, che io e Kyle avessimo studiato insieme, lo sapevate già” spiegò pacatamente.

“E che Merlìha e Kyle si conoscessero l’avevate già appurato” concluse con ovvietà.

Perce annuì sorridendo.

Come dimenticare Merlìha quando si era presentata, circa una settimana prima, come nuova assistente di Ginevra.

Molto brillante ma distratta fino all’inverosimile, considerando che, cercando di azionare la macchinetta automatica, non aveva fatto altro che mandarla in tilt.

“Non fateci caso!” era allora intervenuto Kyle.

“È sempre stata così. Il trucco è ignorarla” aveva detto, prendendola in giro.

La ragazza aveva poi risposto con una linguaccia.

Tra l’altro tutti, vedendo gli atteggiamenti affettuosi che aveva Lenn verso Merlìha, avevano sospettato che fra i due ci fosse del tenero.

Tuttavia, essendo Lenn al suo secondo giorno di lavoro, avevano ritenuto poco educato tartassarlo di domande sulla sua vita privata.

“Kyle, devi smetterla” la voce di Merlìha riscosse Perce dai suoi pensieri.

“Oh, perché?” domandò questi con noncuranza, prendendo il caffè e sorseggiandolo piano.

“Mi inciampi addosso?” domandò con scherno.

“Kyle!” intervenne Lenn pacato ma molto, molto severo.

“Siete noiosi!” si difese Kyle.

“Quanto al bel tenebroso… lo sapete che è il nostro modo di amarci” continuò noncurante, mentre Perce e Gwaine seguivano interessati quello scambio di battute.

“Ne parliamo a casa!” disse Merlìha minacciosa, uscendo dall’ufficio a passo di marcia.

“Io vado da Artù” disse Kyle facendo l’occhiolino a Lenn.

Ancora una volta, nessuno si accorse del ghigno particolarmente divertito che aveva assunto Kyle prima di uscire.

Nessuno notò il fatto che Kyle non avesse con sé nessun documento da consegnare al grande capo.

Solo Lenn se ne accorse, mentre lo guardava uscire e sospirava pesantemente.

D’altro canto, gli esseri umani erano così: quando assistevano a qualcosa di nuovo, molti di loro si dimenticavano di cogliere i dettagli.

Dettagli che potevano rivelarsi fatali.

Dettagli che però qualcuno, appostato fuori il corridoio, sembrava aver colto.

Qualcuno che non vedeva l’ora che loro tre, o quattro in questo caso, facessero un minimo errore che avrebbe rivelato la loro esistenza.

D’altro canto, era sempre stato l’uomo a decidere e la perspicacia non era necessariamente un male.

In quel momento entrò Leon, che distolse Lenn dai suoi pensieri.

“Vuoi sapere l’ultima, Leon?” disse Gwaine, con tono allegro.

“Indovina chi è il fratello della nuova aiutante di Ginevra?” continuò, con tono fintamente misterioso.

“Se non me lo dici, non posso saperlo” rispose semplicemente Leon, prendendo il suo caffè.

“Udite, udite” cominciò Gwaine allargando le braccia.

“Nientemeno che il tenebroso cameriere del locale dove andiamo di solito”.

“Gwaine” lo riprese Perce alzando gli occhi e guardando Lenn con aria di scuse.

Questi gli fece un cenno con la mano sorridendo sereno, come a voler dire di lasciar perdere.

“Ah, si?” domandò Leon interessato.

“Sì!” annuì Gwaine agitando la testa.

“Gabrielino, per gli amici!”

“Gwaine!” si alterò stavolta Perce.

Lenn ridacchiò.

“Gabrielino?!” ripeté perplesso Leon.

“Si chiama Gabriel!” sbottò Perce.

Lenn assistette pensieroso a quello scambio di battute.

Non solo Kyle aveva fatto colpo, a quanto pareva.

Gli era bastato uno sguardo per capire l’interesse di Gwaine il giorno prima.

Gli esseri umani, per lui che era stato un guardiano, erano facilmente comprensibili sotto quel punto di vista.

Come anche lo sguardo di Artù, due giorni prima, era stato eloquente.

Quelli, in effetti, erano risvolti inaspettati.

Solo il tempo avrebbe dato la conferma se fossero anche dannosi.

Fece un sorriso benevolo ma, quando parlò, la sua voce arrivò decisa.

“Vi consiglierei di non mettere nessun vezzeggiativo al suo nome” parlò, soprattutto rivolto a Gwaine.

“Per il vostro bene, intendo!” concluse con un sorriso.

“In effetti, non mi sembra molto amichevole” disse Elian intervenendo, per la prima volta, nel discorso.

A lui, quelle cose, poco interessavano.

Il novellino gli stava simpatico, così come la nuova aiutante di sua sorella e anche Lenn.

Tuttavia, preferiva osservare piuttosto che parlare.

“Per alcuni è solo apparenza!” rispose Lenn gentile.

“Per altri, no!” concluse sorridendo.

“Kyle lo chiama così” intervenne Gwaine.

“Kyle è l’unico che può chiamarlo così” lo corresse gentile Lenn.

A quelle parole, Perce alzò lo sguardo.

“Gabriel tollera poche persone nella sua quotidianità. Kyle e Merlìha fanno parte di queste persone” disse ancora Lenn, stavolta fissando Perce.

“Oltre te, ovviamente!” parlò ancora Gwaine, divenendo improvvisamente serio.

“Ovviamente” gli confermò, con un sorriso.

“Scommetto che ti ci vuole un bel daffare per tenerli tutti a bada!” parlò ancora Elian.

Lenn ridacchiò.

“In effetti” confermò.

“Anche se non rinuncerei alla loro compagnia per nulla al mondo” disse, con un sorriso affettuoso.

“Vi conoscete da molto?” chiese Perce con curiosità.

“Frequento i due fratelli da quando sono bambino” rispose Lenn, senza mentire.

“E Kyle?” indagò Gwaine.

“Anche con Kyle ci conosciamo da quando ero piccolo” spiegò Lenn.

“Tuttavia, abbiamo iniziato a frequentarci assiduamente dopo qualche anno!” continuò Lenn,
trovando inutile specificare a quanto in realtà corrispondesse la parola anno.

“Sembrate molto uniti!” parlò Leon, andando con la mente a ricordi lontani.

Lenn, ancora una volta, non faticò a intuirne i pensieri.

“Lo siamo!” disse.

“Proprio come voi” continuò, scrutandolo attentamente.

Leon lo osservò qualche istante prima di rispondere.

“Già” disse con un sospiro.

“Anche se noi non siamo al completo” rispose con un sussurro, non riuscendo a trattenersi.

C’era qualcosa in Lenn che lo spingeva a parlare.

La sua aria tranquilla, forse.

“Non è necessaria la presenza in molti casi” disse Lenn con voce profonda.

“A volte, l’importante sono i ricordi per far rivivere una persona” concluse, scrollando le spalle.

A quelle parole, anche gli altri lo osservarono attenti.

“Non è il nostro caso!” intervenne Elian.

Non avevano mai parlato ad alcuno di Lui.

Non ne avrebbero parlato neanche adesso, considerò, visto il modo in cui era subentrato il discorso.

Eppure, anche se non potevano parlare di molti particolari, per ovvie ragioni, era la prima volta che facevano un discorso del genere con uno sconosciuto.

Eppure, nessuno sembrava preoccuparsene.

C’era qualcosa in Lenn che inspirava al dialogo.

“Sono così brutti i vostri ricordi verso questa persona?” indago Lenn, con tono gentile.

Gli altri lo guardarono senza rispondere.

Lenn non aveva il tono di un impiccione; stava semplicemente conversando amabilmente.

Fu per questo che Perce lo rispose con altrettanta tranquillità.

“Non sono i nostri a essere brutti” disse con un sospiro.

“Sono i suoi che potrebbero essere brutti. Quelli legati a noi, intendo” concluse, guadagnandosi l’approvazione degli altri che annuirono con il capo.

“Soprattutto quelli legati al nostro capo” aggiunse Leon, che era quello che più conosceva Artù.

“La verità è che non siamo al completo” parlò ancora Leon, “ma questa persona non lo sa” concluse, con un sospiro.

“O forse, voi pensate che non lo sappia!” rispose Lenn con un sorriso.

“Non abbiamo mai fatto nulla per renderlo parte del gruppo” intervenne Elian.

“Forse, la sua mancanza vi fa vedere le cose con più pessimismo” disse con praticità Lenn.

“Può darsi” rispose Elian.

“Fatto sta che non sappiamo come dirglielo” completò per lui Gwaine.

Lenn si alzò, guardandoli attenti.

“Se questa persona è così importante per voi, allora forse dovreste solo aver fiducia!” disse, non aggiungendo altro.

“E ora scusatemi, ma devo portare alcuni documenti ad Artù” concluse, uscendo dall’ufficio.

“In fondo, non ha tutti i torti!” disse Perce una volta che Lenn fu uscito.

“Dobbiamo aspettare” esclamò con ottimismo.

“Non mi sembra che possiamo fare altro” rispose burbero Gwaine, chiudendo l’argomento.
 

Continua…
 

Note:

Bene! Eccoci a un capitolo di svolta.

Come avrete notato, infatti, i Guardiani sono tutti diretti verso l’ufficio di Artù che, nel prossimo capitolo, li conoscerà per quello che realmente sono.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Come sempre, attendo i vostri commenti. Mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate!

Nel frattempo, grazie a chi è giunto fin qui.

Al prossimo capitolo.

Pandora86

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Capitolo 20
*** Capitolo 20. Braccio e Mente ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 20. Braccio e Mente.
 

Londra 2013 – Novembre - Mercoledì
 

Lance osservò il cameriere uscire dall’ufficio togliendosi, appena in tempo, dalla visuale di quest’ultimo.

Lo sguardo era serissimo, perché finalmente Artù sembrava aver fatto centro.

Gabriel, se questo era il suo vero nome, non si era informato su chi fosse il destinatario dell’ultimo caffè, dirigendosi con sicurezza verso l’ufficio del grande capo.

Ufficio che Lance sapeva essere vuoto, dato che Artù aspettava le sue informazioni.

Possibile che nessuno lo ha notato? Sì domandò sbuffando.

Non si stupiva di Gwaine, lui era sempre così impetuoso. Ma da Perce non se lo aspettava.

Però, a quanto pareva, l’interesse di Perce aveva oscurato le sue capacità di giudizio, visto che, troppo preso dal cameriere, non si era accorto di questo dettaglio.

O forse, è normale! Valutò poi.

In fondo, lui si era appostato per origliare proprio per cogliere i particolari.

Particolari che però, se non si cercavano, non erano notati.

Dopo alcuni minuti, vide che anche Kyle uscì dall’ufficio per dirigersi verso quello di Artù.

Non ha nessun documento in mano! Notò ancora Lance, sentendo il suo cuore battere come un treno impazzito.

E, ancora una volta, nessuno, all’interno della stanza, si era domandato cosa andasse a fare Kyle da Artù.

Lance impose a se stesso di rimanere calmo.

Doveva pensare lucidamente cosa fare e, soprattutto, cosa riferire.

Artù era in un altro piano della compagnia e aspettava sue notizie.

Cosa riferirgli esattamente, questa era la domanda che Lance si faceva in quel momento.

Fu proprio perché preso in questi pensieri, che non si accorse di una figura che, sorridente, lo osservava e che lo aveva affiancato.

“Forse, è il caso di non riferirgli nulla!” parlò la figura, conservando il sorriso.

Lance, a quelle parole, si girò di scatto portandosi una mano al cuore.

“Lenn!” esclamò sorpreso.

Non l’aveva visto uscire.

Eppure, era certo, al cento per cento, della sua presenza nella stanza.

E poi, cosa diamine significava quella frase?

Possibile che lui, preso dai suoi pensieri, avesse parlato ad alta voce?

“No!” gli rispose Lenn sorridente.

“Non hai detto nulla ad alta voce” confermò ancora e Lance, a quella frase, sgranò gli occhi.

“Quindi, tu e gli altri siete-” incominciò, ma Lenn gli fece cenno di tacere portandosi l’indice alle labbra.

“Non è il caso di parlarne qui, né adesso, né nei giorni a venire” parlò, questa volta divenendo serio.

“Puoi riferire al tuo capo di rientrare nel suo ufficio. Digli che è atteso” consigliò con tono di voce gentile, senza però perdere autorità.

Fu questo che pensò Lance, mentre estraeva il cellulare dalla tasca.

Lenn aveva usato il tono di chi da un buon consiglio mascherando quello che, a tutti gli effetti, era un ordine.
 

A: Artù
Da: Lance
H 11.30.
Rientra. Sei atteso nel tuo ufficio.
 

Finì di scrivere il messaggio e guardò Lenn estrarre a sua volta un cellulare.

“Credo sia opportuno che anche Merlìha e Ginevra si prendano una pausa” disse sorridente, scrivendo a sua volta.

“E credo sia meglio che io, invece, torni al mio lavoro” continuò, rimettendo il telefono nel taschino nella giacca.

“Solo una cosa: non fare domande. Ti contatterà Artù e ti spiegherà lui cosa fare. Quindi, prima di allora, niente pressioni” disse.

“Avete fatto fin troppo, direi” aggiunse sorridendo.

“Ora, è meglio che lasciate decidere a noi i tempi” e si allontanò.

Lance si ritrovò a seguirlo con lo sguardo notando, solo in quel momento, come il corridoio dove avevano parlato fosse vuoto.

Deglutì, richiamando a sé l’antico coraggio che, in tempi andati, lo contraddistingueva, pronto a fare quanto Lenn aveva detto, senza obiettare.

Avrebbe aspettato che Artù lo delucidasse su quanto era venuto a sapere, senza cercare di avere informazioni.

Finalmente, qualcosa si era mosso.

Gli esseri millenari e potentissimi che loro cercavano si erano palesati.

Perché di questo Lance era sicuro: non erano stati loro a coglierli nel sacco.

I Guardiani li avevano assecondati, decidendo di porre fine alla ricerca di Artù.

Sì, le cose erano andate così. Bastava pensare a come il corridoio si fosse improvvisamente svuotato per permettere a Lenn di parlare.

Corridoio che adesso, invece, si era riempito nuovamente di persone che correvano qua e là, mentre sbrigavano i propri compiti.

Sì, avrebbe fatto quanto Lenn aveva detto.

Perché lui non era più Lance ma Sir Lancillotto.
 
 
***
 

Artù lesse nuovamente il messaggio, sentendo il cuore galoppare veloce nel petto.

Sei atteso nel tuo ufficio.

Che cosa mai poteva significare?

L’accordo prevedeva che Lance si sarebbe messo in ascolto, nel caso fosse proprio quel cameriere a effettuare la consegna, e poi riferirgli gli eventuali particolari notati.

Se i risvolti fossero stati positivi allora, lui avrebbe incontrato il cameriere nel suo ufficio, non per metterlo alle strette (cosa utopica se considerava di chi stesse parlando, questo, Artù lo sapeva fin troppo bene), ma semplicemente per osservarlo meglio, lasciandogli intendere, magari dallo sguardo o da qualche piccolo gesto, che lui aveva capito e poteva essere degno di fiducia.

Dopo questo, Artù sperava che riferissero queste cose a Lui.

Invece, quel messaggio era tutto fuorché questo.

Cosa mai poteva significare: Sei atteso nel tuo ufficio?

La domanda poi, a quel punto, era: da chi?

E Artù, a quel pensiero, sentì il cuore esplodere quasi.

Possibile che lo attendesse… Lui?

Perché altrimenti Lance sarebbe stato così sollecito?

Non voleva illudersi, ma non poté impedire al suo corpo, dopo questi pensieri, di scattare immediatamente, cercando di trattenersi dal correre verso il suo ufficio.

Più ci pensava, più trovava logica la sua risposta.

Lance poteva essere così diretto solo per un motivo.

D’altro canto, cercò comunque di darsi un contegno. Sarebbe, infatti, sembrato un po’ strano per gli impiegati vedere il loro capo correre come un forsennato per i corridoi.

Inoltre, avrebbe attirato troppo l’attenzione, mettendo in luce solo la sua stupidità.

Cercò quindi di accelerare il passo, provando però ad avere un atteggiamento distaccato, anche se dubitava di riuscirci.

Entrò nell’anticamera che precedeva il suo ufficio, trovandola completamente vuota.

A quanto pareva, Ginevra e Merlìha si erano prese una pausa momentanea, stando a quello che c’era scritto sul biglietto della scrivania di Merlìha.

Quindi, non c’era più nulla a separarlo dal suo ufficio, e quella era l’ennesima prova che lì dentro poteva esserci solo Lui.

In fondo, anche a Camelot, cercava sempre di passare inosservato e sicuramente voleva, anche in questo secolo, evitare di attirare l’attenzione.

Sì, Artù era oramai sicuro. D’altro canto, era stata una mossa strategica evitare Ginevra e andare direttamente da lui, considerato come la ragazza non l’avrebbe lasciato andare tanto presto, nel caso lo avesse rivisto.

Fu con il cuore in gola che poggiò la mano sulla maniglia della porta.

Respirò profondamente, sistemandosi istintivamente la giacca, e provando ad assumere un’espressione sicura.

Non poteva permettersi di balbettare in sua presenza.

No! Decisamente, non poteva.

Perché lui era Artù, Re di Camelot.

Aprì lentamente, sgranando impercettibilmente gli occhi di fronte allo spettacolo che gli si parò dinanzi.

Kyle, seduto sulla sua scrivania con le gambe accavallate, sorseggiava il caffè, destinato a lui, con espressione beffarda.

Accanto a lui, seduto su una sedia, c’era un uomo dalla capigliatura nerissima, che gli dava le spalle.

Certo! Pensò Artù.

È normale che non si muova da solo!

Fece un altro passo, chiudendo la porta alle sue spalle e guardandosi intorno nell’ufficio.

“Sembrate un po’ deluso, Sire!” parlò Kyle ghignando, e pronunciando il titolo che Artù aveva avuto in tempi antichi come il peggiore degli insulti.

“Kyle” lo riprese severamente l’uomo al suo fianco, decidendo finalmente di girarsi.

Il cameriere del bar.

“Sarebbe più comodo se vi accomodaste, Sire!” parlò ancora Kyle, dandogli del voi ma contrapponendo il suo tono, molto sprezzante, a quella forma di rispetto.

Artù fece quanto richiesto, continuando a rimanere in silenzio.

Non era il momento per iniziare a parlare di cose senza senso o fare domande inopportune.

D’altro canto, se quelli che aveva davanti erano i Guardiani, come oramai aveva appurato, sapeva che sarebbe stato inutile cercare informazioni non richieste.

“Spero non vi dispiaccia che io abbia consumato il vostro caffè” parlò ancora Kyle, scendendo dalla scrivania e accomodandosi accanto all’altro uomo.

“Sono un caffè – dipendente, in questo secolo” disse ancora sbuffando, e facendo svolazzare i suoi lunghi ciuffi.

“Proprio come qualcun altro”.

E Artù deglutì leggermente di fronte a quella frase.

Non tanto per il suo contenuto, quanto per il tono usato da Kyle.

Il biondo aveva avvicinato il volto nel dire quella frase e mai Artù aveva visto un’espressione così beffarda e sprezzante.

Sì, valutò.

Poteva essere soltanto lui, Kyle, quello che la Dama aveva descritto loro.

L’essere potentissimo e opportunista che aveva manipolato persino quelli del proprio mondo pur di ottenere i propri scopi.

Quello che aveva infranto tutte le leggi possibili, fisiche e non, per realizzare i suoi obiettivi.

“Kyle!” lo riprese ancora l’altro uomo, guardandolo con un cipiglio scuro in volto.

“Va bene, la smetto” sbuffò Kyle sedendosi e facendo cenno all’altro di incominciare.

“Bene!” esclamò l’altro uomo fissandolo severamente.

“Credo sia opportuno presentarci” incominciò, rivolgendosi ora ad Artù.

“Il mio nome è Gabriel e, per ora, è necessario sapere solo questo” disse in maniera spiccia e
Artù annuì in silenzio.

D’altro canto, dai modi di fare di quest’ultimo, Artù dubitava che gli piacesse essere interrotto mentre parlava.

E poi, interromperlo per dire cosa?

Fare domande stupide?

Perché parlare inutilmente, quando finalmente le cose stavano cambiando?

“Il nome dell’essere accanto a me, lo conosce già” e alzò il labbro in segno di disprezzo.

Kyle rise e anche Artù si lasciò andare a un sorriso, valutando che quello doveva essere l’uomo che aveva dato il via alla storia di Camelot, colui che la Dama definiva Padre.

Lei aveva, infatti, raccontato loro di come due, fra i quattro, non facessero altro che provocarsi a vicenda e di come non si sopportassero in tempi passati.

Artù notò inoltre che sembrava più amichevole rispetto a Kyle che gli dava del voi palesando però il suo disprezzo.

L’altro, quello presentatosi come Gabriel, gli aveva rivolto la parola nella semplice forma di cortesia moderna.

“Sono i nostri veri nomi” parlò ancora Gabriel, “e credo che lei abbia capito chi siamo, visto lo stratagemma, alquanto bizzarro, per attirarmi qui” e si interruppe, volgendo lo sguardo verso Kyle che ridacchiava.

“Hai qualcosa da dire?” lo fissò sprezzante.

Alquanto bizzarro” lo imitò Kyle, ripetendo le sue parole.

Gabriel assottigliò gli occhi ma non lo rispose, preferendo continuare a rivolgersi al Re.

“Inoltre, vorrei scusarmi per la maniera spiccia che userò, ma questo discorso, e quest’incontro” e fece una pausa marcando l’ultima parola, “non erano previsti”.

Artù annuì facendosi attento.

“Mi ascolti bene, perché non mi ripeterò!” disse ancora Gabriel e Artù incrociò le braccia mettendosi in ascolto.

“Se siamo qui, tutti e quattro, è perché stiamo cercando qualcosa che potrebbe crearci problemi” spiegò Gabriel.

“Qualcosa o qualcuno?” domandò Artù sporgendosi in avanti, non riuscendo a trattenersi.

Gabriel sorrise leggermente.

“Qualcosa e qualcuno” disse scrutando l’altro attentamente e Artù annuì.

“Problemi” gli fece eco Kyle sbuffando.

Gabriel lo guardò storto.

“Andiamo, ne bastava uno di noi, per indagare e mettere fine alla vita di quegli esseri inutili” disse con noncuranza, accavallando le gambe.

Gabriel sbuffò preferendo non rispondere.

“Intende i maghi moderni” specificò ad Artù che annuì.

Nel frattempo però, Artù non poteva fare a meno di pensare a come Kyle si fosse espresso e con quanta noncuranza avesse parlato di porre, o meno, fine alla vita di altre persone.

Segno della sua potenza e anche del suo carattere.

D’altro canto, anche se erano in tempi moderni, Artù non aveva dimenticato come funzionassero le cose a Camelot, né come lui stesso avesse ucciso delle persone per proteggere se stesso e il suo regno.

Forse le cose erano cambiate per il resto del mondo, ma non per gli stregoni, valutò pensieroso.

“Qualcuno si sta muovendo intorno a voi, giocando con un oggetto magico dalla potenza estrema” gli spiegò Gabriel in maniera succinta, strappando Artù dai suoi pensieri.

“Per questo, la nostra presenza qui deve essere omessa” chiarì.

“Sarà divertente prenderli di sorpresa” intervenne Kyle sorridendo, e Artù poté giurare di non aver mai visto, su un volto umano, un sorriso così cattivo.

Gabriel fece ancora finta di niente, continuando a rivolgersi al Re.

“Sempre per questo, proporrei di informare solo il cavaliere che origliava fuori dalla stanza” affermò e Artù annuì ancora, capendo immediatamente come, quella richiesta, fosse un ordine.

“Se tutto va come previsto” disse alzandosi e recuperando il vassoio, “per la fine della settimana dovremmo aver concluso, e anche gli altri verranno a conoscenza di tutto ciò” parlò, avvicinandosi alla porta.

“È la cosa migliore da fare, considerando la vostra pessima abitudine di parlare tra voi di argomenti inopportuni.

“E ora, se vuole scusarmi” e fece un cenno con il capo, “la mia presenza è richiesta altrove” e uscì.

Kyle non poté trattenersi dal ridere ancora.

“È così, Sire” e marcò ancora la parola, “ci avete scoperti” e rise.

“Cercate di fare quello che Gabriel dice” dichiarò alzandosi.

“E, ovviamente, cercate di comportarvi come sempre, nei nostri riguardi” aggiunse.

“Sarebbe inopportuno creare problemi anche in questo tempo” continuò, ben sapendo che quel colpo basso sarebbe andato a segno.

E, infatti, Artù deglutì di rimando alzandosi però a sua volta.

Se aveva incassato il colpo, valutò Kyle nella sua testa – e lui sapeva che era così – allora lo aveva fatto piuttosto bene.

Un punto a favore del Re! Ghignò dentro di sé, decidendo di uscire definitivamente.

D’altro canto, considerato che il Re, come punteggio dal suo punto di vista, partiva da sotto zero, quello non significava quasi nulla.

“Aspetta”.

La voce dell’Antico Re lo richiamò, facendolo voltare.

Kyle si girò con espressione beffarda.

“Sìììì?” cantilenò.

“Farò quanto mi è stato richiesto” disse Artù con espressione seria, fronteggiando l’altro.

“Bene!” sorrise soddisfatto Kyle.

“No!” disse ancora Kyle, precedendo le eventuali richieste dell’altro.

“Non vi dirò nulla che riguarda lui” affermò, avvicinandosi e sussurrando appena la frase.

“Dopo una vita passata a fare cose stupide, un po’ di sana consapevolezza è quello che ci vuole.
Questo è il mio motto” disse ancora.

“E, ovviamente”, parlò ancora, preparandosi a sganciare la bomba finale.

“Lui non sarà aggiornato su questo incontro” sorrise, sedendosi nuovamente sulla scrivania e avvicinando il suo volto a quello dell’altro.

“Questo lo avevo capito!” disse Artù sorprendendolo e sorridendo a sua volta.

“Incontro non previsto” ripeté le parole di Gabriel l’Antico Re.

“Siete diventato più perspicace, Sire” sorrise Kyle.

“Io non ti piaccio, vero?” chiese Artù.

“Sinceramente?” gli fece il verso Kyle con espressione supponente guardandosi le unghie.

“Beh, direi proprio di no!” rispose, non aspettando la risposta dell’altro.

“Andiamo, non fingete di non capire” disse, con finta espressione rassegnata.

“Io sono potente, Artù” continuò facendosi serio e chiamando, per la prima volta in quella circostanza, l’altro con il nome proprio.

Artù lo notò, segno che ogni traccia di scherzo era scomparsa dai suoi modi.

“Molto potente” rimarcò il concetto.

“Lo sono stato fin dalla nascita, nel mio mondo d’origine” parlò ancora, fissandolo seriamente.

“E lo sono tuttora”.

“Questo lo so!” rispose Artù, non capendo però come la potenza dell’altro potesse essere
legata all’antipatia che manifestava nei suoi confronti.

“Io sono sempre stato acclamato e ho sempre manipolato” gli chiarì Kyle.

“Io non sono mai stato nell’ombra” disse ancora Kyle e Artù cominciò a capire.

“Ci sono molte profezie su di voi, Sire” parlò ancora Kyle decidendo di accendersi una sigaretta.

“Molte profezie che hanno preceduto la vostra prima nascita, quella a Camelot, intendo.

“Una fra queste, dice che voi siete il braccio e qualcun altro la mente” e si interruppe.

“Beh, io non posso avere in simpatia un braccio che non ha fatto altro che ostacolare la mente” e sorrise, sapendo che il concetto sarebbe arrivato forte e chiaro.

Artù deglutì, capendo che l’altro stava confermando, con quelle parole, i suoi peggiori timori.

“Un braccio che ha rifiutato la mente, quando questa si è rivelata” disse ancora Kyle,
spegnendo la sigaretta nel bicchiere che conteneva il caffè rimasto e alzandosi.

“Pensate bene alle mie parole, Artù” disse, avvicinandosi alla porta.

“Pensate bene a quello che volete realmente” e Artù non vide nessuna traccia di scherno in quelle frasi.

“So cosa voglio” rispose Artù sicuro.

So chi voglio!” rimarcò il concetto con decisione l’Antico Re.

“Lo cercate” parlò ancora Kyle.

“Sì, lo so che voi e gli altri non avete fatto altro!” annuì alla muta domanda dell’altro fingendo di riflettere.

“Come se poi fosse stato possibile trovarci facilmente” ammise con una reale traccia di sincerità nella voce e senza pavoneggiarsi come aveva fatto in precedenza.

“Ma, a volte, quello che si cerca non è realmente quello che si vuole” parlò con voce penetrante.

“Hai una bella vita, un bel lavoro, una bella casa!” continuò passando al tu.

Artù se ne accorse e si mise sull’attenti.

Sembrava che finalmente Kyle avesse deciso di rivelargli qualcosa d’importante.

Finalmente, la sua aria da sbruffone se ne era andata lasciando il posto alla sua vera essenza: quella del Guardiano.

“Ma Lui” e fece una pausa ben sapendo che Artù avrebbe capito il soggetto, “ha troppo problemi per accudire un braccio che non sa quello che vuole” disse.

“Puoi scegliere, Artù” continuò aprendo la porta.

“Tutto dipende da quello che vuoi realmente” e uscì chiudendo la porta alle sue spalle.

Gli esseri umani continuavano a essere molto stupidi, nonostante i secoli passati tra loro.

E lui, uno degli ex-guardiani più potenti, continuava a ottenere quello che voleva con fin troppa facilità.
 

Continua…
 

Note:
 

Ehm… non odiate Kyle! In fondo, è dalla parte dei buoni e ha i suoi motivi per comportarsi in questo modo.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Mi interesserebbe davvero tanto conoscere i vostri pareri e le vostre opinioni, ora che la storia è ambientata nel futuro.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Ci vediamo al prossimo capitolo.

Pandora86.
 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21. Controversie ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 21. Controversie
 
“Non avrai esagerato?” chiese Lenn vedendo l’altro entrare.

“E tu hai deciso di farmi un agguato in bagno?” rispose Kyle avvicinandosi al lavandino, dopo essersi tolto la giacca e averla lanciata all’altro con noncuranza.

Lenn sorrise benevolo vedendo l’altro aprire l’acqua e rilassare il volto mentre si rinfrescava le mani.

“Ho fatto il mio dovere, come tutti voi!” esclamò dopo un po’ Kyle, chiudendo gli occhi e lasciando a lungo le mani sotto l’acqua corrente.

L’acqua era l’elemento che aveva scelto per poter diventare un essere umano.

Ed era sempre l’acqua, in qualsiasi forma, a dargli sollievo e farlo rilassare dopo un avvenimento importante.

“D’altro canto, sai che sono quello più adatto a ricoprire un ruolo del genere” parlò ancora, aprendo gli occhi.

“Lo so” costatò Lenn.

“Oh, andiamo Lennuccio” lo sfotté l’altro.

“Non mi dire che ti dispiace che sia io a fare il cattivo!” esclamò, ben capendo i pensieri dell’altro.

“Sì” ammise Lenn senza problemi.

“Mi dispiace molto, in verità!” aggiunse, con un sorriso.

“A me, invece, neanche un po’” lo contraddisse Kyle.

“Artù mi sta realmente antipatico, sin dai tempi di Camelot. Non per niente, ho scelto di affiancare il Mago e non il Re” confessò.

“Non ho mai sopportato i tipi tutti muscoli e niente cervello, avendo io una mente fuori dal comune per intelletto” ragionò, lasciando le sue mani gocciolare per un po’ prima di asciugarle.

“È vero!” confermò Lenn.

“Comunque, avremo stasera la conferma se le mie parole hanno sortito il loro effetto” ragionò Kyle asciugandosi le mani.

“Anche se non ho dubbi a riguardo” e ghignò.

“Lo sospettavo!” gli diede ragione Lenn porgendogli la giacca.

“Che Gabrielino assuma il ruolo del capo fra noi, glielo lascio volentieri” parlò ancora Kyle.

“Ma non mi batte nessuno nelle manipolazioni” e rise.

“Inoltre” e ritornò serio, “sai bene che se il Re, ai tempi di Camelot, poteva permettersi di fare l’idiota, facendo portare avanti il Regno a qualcun altro” e fece una pausa, “ora non può più farlo”.

Lenn confermò con il capo.

“È vero” parlò.

“Questo è uno dei motivi per cui non li abbiamo mai contattati, in passato” aggiunse serio.

“Un passo falso, se il Re è indeciso, e Merlino viene distrutto” costatò Kyle in maniera pratica, indossando la giacca e osservando il suo aspetto allo specchio.

“Ma io non permetterò che accada” e ghignò cattivo.

“Il Re avrà un valido avversario” sorrise Lenn, ben coscio dei propositi dell’altro.

“Lasciamoglielo credere” rispose Kyle mentre si aggiustava i capelli.

“Quando una cosa è combattuta, la posta in gioco ci sembra infinitamente più grande” concluse furbo e uscì.

Lenn sorrise mentre costatava che, nonostante tutto, le cose sembravano finalmente volgere al meglio.
 


Casa di Artù – Sera
 


“Quindi, Merlìha e Gabriel sono i fratelli” ragionò Lance nella cucina dell’Antico Re.

“E Kyle è quello che porta la pietra di Granato” aggiunse Artù.

“L’hai vista?” chiese Lance interessato.

“No” rispose l’altro.

“Ma dai suoi modi è stato facile intuirlo!” costatò con ovvietà.

“Che pezzo di -” incominciò Lance, venendo però fu interrotto da un cenno di mano dell’altro.

“Per piacere!” lo pregò Artù, massaggiandosi gli occhi.

La giornata era stata estenuante, dopo aver incontrato i Guardiani.

Certo, tutto si era svolto nella normale routine lavorativa ma era il cuore di Artù a essere pesante.

Aveva solo mandato un semplice messaggio a Lance, chiedendogli di non fare domande e di raggiungerlo, verso sera, a casa sua.

Poi, aveva cercato di fare finta di niente e, almeno questo, credeva di averlo fatto bene.

Con la coda dell’occhio, aveva osservato Gwaine mentre parlava con Kyle o forse, era meglio dire che Gwaine non faceva altro che domandare qualcosa a Kyle, mentre questi si limitava a sorridergli paziente.

Aveva sbuffato, a quella scena, senza però dire nulla.

Non provava antipatia per Kyle. Come avrebbe potuto, d’altronde?

Era stato lui ad accompagnare nella storia colui che Artù cercava nel secolo attuale.

Lui non aveva mai provato antipatia per Kyle, né ora che conosceva il suo nome, né in precedenza, quando aveva ascoltato le sue gesta.

Perché mai avrebbe dovuto, visto che Kyle difendeva i suoi interessi?

D’altro canto, Artù preferiva le persone che manifestavano in maniera diretta i propri pensieri, piuttosto di coloro che usavano innumerevoli frasi senza concludere nulla.

O, peggio ancora, quelli che adulavano in maniera svenevole, nascondendo così quello che provavano.

No, Artù non aveva mai sopportato l’ipocrisia, né a Camelot, dove era il Re, né nel secolo attuale dove dirigeva una multinazionale.

E poi, Artù si rendeva perfettamente conto di non essere più un ragazzino e che, di conseguenza, doveva provare a vedere le cose con oggettività, senza lasciarsi influenzare dalle sensazioni.

In fondo, non aveva mai avuto la certezza di essere accolto a braccia aperte.

Poi, perché mai i Guardiani avrebbero dovuto averlo in simpatia?

Lui, nel secolo attuale, non era altro che un semplice uomo e solo perché Merlino, a Camelot, gli aveva fatto da servitore, non voleva dire che tutti dovessero inchinarsi al suo passaggio.

Se a questo, ci aggiungeva che i Guardiani erano attualmente le persone più potenti del pianeta (questo e altri) beh, allora, perché avrebbe dovuto pretendere qualcosa di cui non aveva diritto?

Già, l’antipatia di Kyle era motivata. Evidentemente, considerando che, a detta della Dama, la potenza del Mago era sempre stata una calamita per lui, uno dei Guardiani più promettenti e potenti, evidentemente non aveva mai mandato giù il ruolo che Merlino aveva avuto a Camelot.

Le motivazioni di Kyle erano semplici: non capiva perché un essere così potente stesse all’ombra di qualcuno meno potente di lui.

Chissà come dovevano apparirgli ridicoli gli esseri umani, nei loro problemi quotidiani, aveva valutato Artù osservando Gwaine parlare con Kyle.

Per questo aveva sbuffato vedendo quella scena.

Tutto l’ufficio si era accorto di come Gwaine cercasse sempre di fare lo splendido con Kyle.

D’altro canto, erano tutti abituati alle continue conquiste di Gwaine e ai suoi continui corteggiamenti a persone che fossero sufficientemente carine.

Non per niente, Artù aveva scelto di avere Ginevra come segretaria. Già gli bastavano gli occhi dolci di Gwaine alle centraliniste, figuriamoci se lo avesse avuto davanti ogni giorno, mentre corteggiava la propria segretaria.

Quello che però Gwaine non sapeva, era che ci stava provando con la persona sbagliata.

E sinceramente, ad Artù bastava l’opinione che Kyle aveva di lui senza doverci aggiungere anche l’idiozia di qualcun altro.

Poi, dopo questi pensieri, aveva osservato Lenn seduto, serio e concentrato, alla sua postazione.

Ecco perché gli aveva detto quelle frasi.

Ecco perché Artù aveva trovato facile con lui parlare; quello che indossava lo Zaffiro, segno di calma e di comunicazione.

Poi, il suo sguardo si era spostato su Ginevra che scherzava con Merlìha.

La sorella di Gabriel.

Ecco perché Ginevra la trovava così simpatica e perché la ragazza fosse così entusiasta di lavorare con loro.

A detta della Dama, Merlìha adorava il ventesimo secolo, visto che lei lo conosceva sin dai tempi di Camelot.

Cosa pazzesca a pesarci eppure, i fatti erano questi.

Ecco perché era così disponibile e allegra: doveva trovare molto divertente poter vivere nel suo secolo preferito come una normale umana o, comunque, fingere di farlo.

Ecco… finalmente Artù conosceva i loro volti.

Finalmente, nonostante l’antipatia di Kyle, i Guardiani si erano manifestati a lui.

Ora stava ad Artù dimostrare loro il suo valore e lui, Antico Re di Camelot, non vedeva l’ora di mettersi in gioco.

Perché, sia in questa, sia nell’altra vita non aveva mai voluto regalato nulla.

Di conseguenza, l’antipatia di Kyle non era altro che un ulteriore sprono per poter dimostrare il suo valore.

Perché, guadagnare la stima di qualcuno che ci considera meno di niente, è infinitamente più soddisfacente di guadagnare il rispetto di una persona che ci ammira solo per il titolo che si porta.

Lo pensava quando era un Re.

Lo pensava ora, che era un semplice essere umano con un mucchio di soldi.

Perché, anche se non aveva poteri magici, aveva conservato il suo intelletto e i suoi ricordi
sviluppando, di conseguenza, una saggezza e una conoscenza fuori dal comune.

Cos’era per lui una semplice trattativa economica con un affarista, considerato che, in passato, progettava strategie ben più complesse per difendere il suo Regno?

“Sarà anche un Guardiano, ma nessuno lo autorizza a trattarti come una pezza da piedi” lo distolse Lance dai suoi pensieri, mentre continuava la sua arringa verso Kyle.

“Protegge i suoi interessi, Lance” rispose a tono l’altro.

“Non mi sembra che tu sia un nemico!” non si arrese l’ex - cavaliere.

“E allora?” provò a farlo ragionare Artù.

“Solo perché siamo dalla stessa parte, non vuol dire che debba stargli per forza simpatico” rispose con oggettività.

“Sì, ma –”.

“Ascoltami” lo interruppe Artù. “Quando eri a Camelot, e combattevi per il Regno, non c’è mai stato un cavaliere che ti stesse antipatico?” gli domandò, con tono ovvio.

“Certo” rispose Lance. “Ma che c’entra?”.

“C’entra che, una cosa è essere nemici e un’altra, sono i gusti personali” provò a farlo ragionare Artù.

“Le simpatie e le antipatie sono soggettive” continuò ancora.

“Ed io non posso pretendere di piacere a tutti. E poi, se fossi stato un nemico, dubito che sarei ancora tra i vivi, quindi, non perdiamo tempo a parlare di cose senza senso” lo implorò con tono stanco.

“Come siete saggio, Sire!” lo sfotté Lance, capendo il suo punto di vista.

In fondo, Artù aveva ragione.

E anche il suo atteggiamento era quello giusto.

Nonostante si fosse guadagnato l’antipatia di uno dei guardiani più scaltri, faceva finta di nulla per quello che riteneva il bene comune.

Perché, se erano tornati, e i guardiani avevano deciso di palesarsi, allora forse avrebbero anche conosciuto il loro vero scopo.

E, come ogni stratega sa, di fronte a un male comune, le opinioni personali vengono messe da parte.

“Avrei voluto esserlo in altri tempi” rispose Artù dopo qualche istante, interrompendo il corso dei suoi pensieri.

“E poi” aggiunse lentamente.

“Cosa?” lo invitò a continuare Lance.

“Io credo volesse mettermi alla prova” rifletté Artù.

“Quasi come se volesse assicurarsi la mia lealtà” aggiunse lentamente.

“Credo che questo punto sia fuori discussione” lo contraddisse Lance.

“Sei sempre stato dalla parte dei buoni” aggiunse, a favore della sua tesi.

“Non quel tipo di lealtà” lo corresse Artù.

“Che vuoi dire?” domandò allora Lance, non seguendo il ragionamento dell’altro.

“È difficile da spiegare” scosse la testa Artù.

“Provaci!” lo incitò l’altro.

“Vedi…” incominciò, interrompendosi subito dopo per raccogliere le idee.

Lui” e marcò la parola, sapendo che non c’era bisogno di specificare il soggetto, per interrompersi ancora subito dopo.

Come spiegare a Lance quello che aveva colto nel dialogo con Kyle?

Come spiegargli quello che realmente Kyle sembrava volergli fare capire?

Lui ha dei validi alleati con sé. Alleati che lo hanno allevato e istruito”.

“I Guardiani” costatò Lance annuendo.

“Già” confermò Artù.

“Gabriel, Lenn e Merlìha hanno preparato il tempo per la sua nascita” ragionò Artù. “Mentre Kyle lo ha addestrato, facendogli capire la sua vera potenza” parlò ancora.

“Sì, questo lo abbiamo sempre saputo” confermò ancora Lance.

“Certo, ora sappiamo i nomi e i volti, ma abbiamo sempre saputo come le cose fossero andate” aggiunse.

“Ti ricordi quando la Dama istruiva le nostre anime?” chiese Artù improvvisamente.

Lance annuì con il capo, sapendo che Artù aveva in mente qualcosa in particolare.

“Noi siamo stati preparati. Non ti sei mai domandato realmente perché?” chiese ancora Artù.

“Io sì!” rispose poi, non dando all’altro il tempo di ribattere.

“Perché è stata necessaria una preparazione?” domandò ancora il Re, infervorandosi.

“Per conoscere chi realmente avremmo avuto di fronte” rispose Lance, in tono ovvio.

“Conoscere, certo” approvò Artù.

“Ma soprattutto, per non ostacolarlo” sussurrò appena.

“Come avremmo potuto ostacolarlo?” chiese Lance dubbioso.

“Non parlo sul piano della magia” scosse la testa Artù.

“Ma della nostra stupidità. Avremmo potuto ostacolarlo con la nostra poca conoscenza su determinati argomenti. E non mi riferisco alle battaglie, quanto piuttosto alle nostre eventuali domande inopportune” concluse il Re.

“Comincio a capire” parlò Lance, seguendo il ragionamento dell’altro.

“Ora è circondato da persone che, quando parla, non obiettano. O comunque, se lo fanno, è per dare il loro parere, non perché non si fidano di lui” aggiunse Artù, spiegando i suoi pensieri.

“Anche noi, però, ci fidiamo” obiettò Lance.

“Ma loro conoscono la sua vera potenza. Noi no” provò a fargli capire il Re.

“E Lui non deve stare lì a spiegare cose stupide” parlò ancora.

“Parlano tutti la stessa lingua” riassunse il cavaliere, capendo il ragionamento dell’altro. “Ma questo, cosa c’entra?” chiese poi dubbioso.

“Ti ricordi quando la Dama ci parlava di Kyle?” chiese ancora Artù.

“Certo!” annuì Lance.

“Il Guardiano più potente e più scaltro. Colui che ha scelto il Mago più potente di tutti i tempi per entrare nella storia” riassunse brevemente l’ex – cavaliere.

“Appunto! Che ha scelto!” s’infervorò il Re.

“Lo ha scelto lui, Lance. Ragiona su questo! Fra tutte le epoche, e tutti i personaggi storici, ha scelto lui!”.

“Quindi… “ incominciò Lance.

“Dici che è per questo, che ti ha detto quelle cose?” domandò.

“Vuole che io riconosca chi è realmente. Vuole che io capisca chi sto cercando. Vuole che prenda atto della sua vera potenza” parlò ancora Artù.

“Pensa, Lui che ha attirato l’attenzione di uno dei guardiani più potenti” concluse, incrociando le braccia e scuotendo la testa.

“Se gli altri hanno guidato il suo tempo perché era stato assegnato loro e hanno scelto di accompagnarlo perché gli si sono affezionati, Kyle lo ha fatto di sua iniziativa, immischiandosi in una storia già conclusa” capì finalmente Lance.

“Lo ha scelto perché lo considera suo pari. Lo ha scelto perché nutre interesse nei suoi confronti” parlò ancora l’Antico Re, sospirando di fronte alla nuova realtà che gli era stata posta dinanzi.

“Ma c’è una profezia che vi lega” obiettò Lance.

“Siete due facce di una stessa medaglia” terminò, scrollando le spalle.

“E credi che a Kyle importi qualcosa?” domandò Artù sarcastico.

“La Dama ci ha sempre parlato di loro. Se i tre guardiani che hanno curato il suo tempo, hanno fatto di tutto per assecondare questa profezia –”.

“A Kyle, invece, non importa!” concluse per lui Lance.

“La Dama ci ha sempre sottolineato questo suo carattere così particolare” ragionò ancora L’antico Re.

“A Kyle non interessa nulla, a meno che non sia qualcosa che lo aggrada. Ed è dalla parte del bene, perché Lui è il bene” sottolineò Artù.

“Quindi, non gli importa neanche di tutte le profezie che vi riguardano, se è interessato a Lui” aggiunse Lance con rammarico.

“Mi ha invitato a farmi da parte, Lance. Ma non come Antico Re quanto, piuttosto, come uomo” disse Artù.

“Perché è interessato a Lui. E ha avuto mille anni per stargli accanto!” concluse, incrociando le braccia.

“Adesso si spiegano le parole che ti ha rivolto e l’antipatia nei tuoi confronti!” disse Lance.

“Ti ha sfidato su un piano personale, invitandoti a lasciar perdere una persona cui lui tiene” concluse.

“Già” non poté fare altro che confermare Artù.

“È stato Gabriel a illustrarmi la loro posizione, e a darmi istruzioni che riguardano la cosa contro cui stanno combattendo. Kyle mi ha parlato di questioni personali. Questioni che riguardano lui, nella sua sfera privata, e non il bene o il male” concluse, massaggiandosi gli occhi.

“Per questo ti ha parlato quando Gabriel era già andato via” costatò Lance.

“Se le cose stanno così, allora, cosa hai intenzione di fare?” domandò poi.

“Non lo so!” ammise l’antico Re.

“O meglio”, si corresse, “so che adempirò il mio scopo, quando sapremo il motivo per cui siamo tornati”.

“Come faremo tutti, del resto” aggiunse Lance.

“E come farà anche Kyle, dando sicuramente il meglio di se e lasciando da parte l’antipatia che ha nei miei confronti” ci tenne a puntualizzare Artù.

“Ovvio che darà il meglio di se” approvò Lance.

“Essendo Lui dalla parte del bene, vorrà pavoneggiarsi ai suoi occhi, primeggiando sempre e comunque” aggiunse, storcendo la bocca.

“Ma, tralasciando questo, sulla quale non avevo dubbi, cosa hai intenzione di fare con
Lui?”domandò Lance, ben sapendo quali fossero i sentimenti dell’ Antico Re verso il Mago.

Artù sorrise prima di rispondere.

Lo voglio” rispose con decisione.

“E non intendo farmelo portare via, quando finalmente riuscirò a incontrarlo. Dovesse volerci
l’intera vita per conquistarlo” e strinse i pugni.

“Non mi farò battere da nessuno, Lance” affermò ancora.

“Anche se devo combattere contro un guardiano, per la conquista del suo cuore” e incrociò le braccia.

Lance sorrise ma non disse nulla.

Negli occhi di Artù era tornata l’antica luce: quella del Re.
 

***
 

“Come volevasi dimostrare!” esclamò allegro Kyle, guardando all’interno della sua pietra.

“Non avevo dubbi a riguardo” esclamò Lenn sorridente, al suo fianco.

Quella sera, per l’osservazione, si erano appostati appena fuori casa di Artù.

Con il potere che covavano dentro i loro corpi, avrebbero potuto osservarli anche in un continente diverso. Tuttavia, il precario equilibrio magico del pianeta non lo consentiva e loro limitavano, oramai da secoli, il loro immenso potere.

“Perché non c’è Gabrielino – ino – ino?” piagnucolò Kyle.

“È andato alla villa, a controllare che fosse tutto apposto” rispose Lenn scuro in volto, certo che l’altro avrebbe capito la gravità di quell’affermazione.

“Scommetto che la sua energia magica è ancora più squilibrata, da quando siamo andati via” affermò Kyle interrompendo le sue osservazioni e poggiandosi con le spalle al muro.

“Non sbagli, purtroppo” rispose Lenn sconsolato.

“Se avesse contatti con il Re in questo momento, il suo corpo correrebbe seri pericoli” disse ancora Kyle.

“Per questo, dobbiamo assicurarci che il cuore del Re sia integro nei suoi sentimenti” completò per lui la frase Lenn.

“Dì la verità, quando Gabriel diede inizio al tempo di Camelot, non pensavi fosse così difficile realizzare la profezia” ghignò Kyle.

“No!” ammise Lenn.

“Ho avuto io l’idea che i loro cuori fossero complementari” parlò ancora, tornando con la mente a ricordi lontanissimi.

“Eppure, non pensavo fosse così difficile fare ricongiungere le due metà!” terminò pensieroso.

“Molto ingenuo” lo rimproverò bonariamente Kyle.

“Era da prevedere che una delle due metà non sarebbe stata pronta, visto la pietra che indossa” parlò ancora con realismo.

D’altro canto, non aveva dimenticato come si faceva a essere un Guardiano.

E non aveva neanche dimenticato che era il migliore quando colui, che ora gli stava accanto, era solo un ragazzino alla sua prima missione.

“Tu, invece, lo avevi previsto” affermò Lenn con un sorriso.

“Avevo già centocinquanta anni” costatò Kyle con ovvietà.

“E voi avete pensato solo alle anime che, effettivamente, si sono riconosciute e ricongiunte, anche se per poco, alla morte del Re” spiegò.

“Peccato che siano i corpi, governati dalla mente, a creare problemi” parlò ancora con serietà.

“Gli esseri umani sono in continuo contrasto con se stessi, opponendo mente e cuore. Ed era prevedibile che una metà non sarebbe stata pronta. Avete affrontato solo il problema del Re, preoccupandovi di istruire la sua anima affinché potesse affiancare quella del Mago” e ridacchiò bonario.

“Ma non avevate considerato che l’altra metà, quella di Merlino, dopo mille anni e dopo essere diventato il portatore legittimo del suo anello, avrebbe avuto problemi ad accettare il Re” concluse, incrociando le braccia.

“In effetti, non pensavamo che Merlino risentisse fino a questo punto della nascita del Re” ammise Lenn.

“Ma mille anni sono duri per un corpo umano” concluse poi.

“Ed è per questo che il Re non deve avere tentennamenti” riprese Kyle.

“Deve capire che non si troverà davanti la persona di mille anni prima” aggiunse con un sorriso.

“Beh, mi sembra che, a questo, ci abbia pensato tu” sorrise Lenn.

D’altro canto, avere Kyle dalla loro parte era una fortuna perché, nonostante fossero oramai potenti in egual misura, Kyle aveva comunque molta più esperienza di loro, essendo nato molto prima.

Non a caso, era uno dei più scaltri, temuto anche dai Saggi in persona e, se il suo corpo aveva subito cambiamenti, prendendo la consistenza umana, la mente era rimasta intatta.

Solo lui avrebbe potuto assolvere un compito così delicato, come quello di massimizzare i sentimenti già esistenti nel cuore di Artù, facendogli tornare l’Antica luce negli occhi.

Compito assolto alla perfezione.

Il tutto, senza fare nessun incantesimo.

Perché Kyle aveva sempre avuto ben chiaro quale fosse il carattere del Re; per ottenere il meglio dall’Antico Sovrano, bastava semplicemente sfidarlo.

E, nonostante fossero tutti sicuri dell’amore che il Re provava, ora, dopo la chiacchierata con
Kyle, erano altrettanto sicuri che il Re non avrebbe avuto più tentennamenti su cosa volesse realmente.

A quel punto, non rimaneva altro da fare che guidare l’altra metà nella direzione giusta.
 

Continua…
 

Note:

Nell’ultima parte, il dialogo tra Lenn e Kyle, ci sono dei riferimenti al capitolo uno, dove Lenn ha l’idea che Merlino e Artù debbano stare insieme e quindi avere un’età simile.

Gabriel poi sviluppa la storia, dando vita alla profezia che li vedrà ricongiunti mille anni dopo essere venuti al mondo.

Kyle, che già li teneva d’occhio, in qusto dialogo fa semplicemente notare a Lenn le difficoltà che i tre guardiani non avevano previsto.

Come sempre, attendo ansiosa i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Alla prossima.

Pandora86
 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22. Attrazione e Repulsione ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 22. Attrazione e repulsione
 

Londra 2013 – Novembre – Giovedì
 

Gabriel servì con noncuranza l’ennesima bevanda da quando era cominciato il suo turno.

Senza fare caso alle occhiate adoranti che gli rivolgevano in continuazione le ragazzine così come le signore (e anche molti di sesso maschile) focalizzò la sua mente su quanto avvenuto la sera precedente.

Una mente pragmatica come la sua aveva previsto tutto ciò, ma doveva ammettere che, affrontarlo, era un’altra cosa.

Rivisse le parole di Merlino, dure come la roccia, pronunciate la sera prima.
 
 

“Devono starne fuori!” era sbottato il Sommo Emrys.

Da tutto!” aveva ripetuto duramente.
 
 


Gabriel aveva reagito a quello scatto d’ira (l’ennesimo in quei tempi) non muovendo un muscolo ma continuando a rimanere seduto, con le gambe accavallate e la testa poggiata pigramente su una mano.

Era rimasto in silenzio, osservando come il diamante nero emettesse meno luce: segno che la pietra, perdendo lucentezza esterna, influenzasse, in questo modo, colui che la indossava.

Non la sua energia magica, che rimaneva intatta, quanto piuttosto la sua mente.

Non che ne fosse plagiato; semplicemente, essendo la pietra legata intimamente al suo padrone, viveva un momento difficile proprio perché colui che la indossava viveva un momento difficile.

Se però a questo si aggiungeva che anche l’energia magica della persona in questione era squilibrata, a causa della percentuale magica altissima contenuta nel corpo di Merlino, allora ecco che gli scatti d’ira erano il minimo.

Rimaneva sorprendente come Merlino avesse conservato lucidità e fosse accresciuto in saggezza, nonostante l’enorme peso dell’anello che indossava.

Ma anche questo era un punto ovvio: era l’unico, infatti, a poter controllare quella pietra.

Pietra che non avrebbe accettato nessun altro, distruggendo all’istante chi avesse anche solo pensato di indossarla, nel corpo e nella mente.

D’altro canto, per loro che erano stati guardiani, era normale nascere con un’energia magica adatta a controllare gli anelli, rendendoli semplici oggetti ai loro comandi.

Certo, si trattava di oggetti potentissimi e con vita propria che però, finché erano indossati dai Guardiani, che nascevano già predisposti per un tipo di potere del genere, rimanevano, per l’appunto, solo semplici oggetti.

Anche quando loro quattro avevano mutato il loro corpo a livello molecolare, divenendo esseri umani, l’energia magica che contraddistingueva la loro stirpe non ne aveva risentito.

Per un essere umano dalla nascita, invece, era tutt’altra storia.

Ma, in fondo, Gabriel sapeva anche questo, quando, appena tre secoli prima aveva consegnato la pietra al Mago.

E ora, bisognava solo regolarsi di conseguenza.

Merlino aveva bisogno di tempo, molto tempo in termini umani, per completare il suo adattamento verso la pietra.

Tuttavia, aveva anche bisogno di un corpo forte, che sorreggesse quella enorme energia magica.

Peccato che però il corpo stesse cedendo passo dopo passo.

Tuttavia, anche questo era previsto.

Merlino viveva una condizione di vecchiaia millenaria in un corpo di un giovane ventenne.

Corpo che poteva rinforzare solo il Re, grazie all’anello completamente opposto che avrebbe indossato.

Peccato che però come tutte le cose opposte, queste metà stessero iniziando a cozzare tra loro prima di incastrarsi alla perfezione.

In particolare, la metà di Merlino, la sua parte di anima, risentendo dell’anello, provava un ovvio rifiuto verso l’altra.

Tutte le cose che si attraggono, si respingono anche, e lo fanno per molte volte prima di incastrarsi.

Attrazione e repulsione, la fisica moderna era basata su ciò.

E Merlino e Artù non ne facevano eccezione.

Ai tempi di Camelot, c’era l’anima del Re che, essendo agli albori della sua venuta al mondo, non riconosceva l’altra metà, proprio perché oscurata da questa.

Non a caso il Re era riuscito, senza problemi, ad amare e sposare Ginevra.

Merlino lo influenzava inconsciamente e l’anima del Re non riconosceva in Merlino la sua metà.

Quando il Re era morto, la sua anima aveva finalmente riconosciuto come parte complementare quella del Mago.

Tuttavia, si erano dovute staccare nuovamente: entrambe avrebbero dovuto affrontare un lungo viaggio verso la conoscenza, chi in un corpo umano, chi in pura essenza di energia.

E ora, ecco che le cose si ripetevano in maniera opposta.

In fondo, era fin troppo scontato!

La storia, il mondo, erano solo un cerchio; un continuo ripetersi e susseguirsi di eventi.

In sostanza, la situazione era preoccupante ma non grave.

C’era da considerare anche come, grazie a Kyle, l’anima del Re fosse stata notevolmente fortificata.

Gabriel, a quel punto, dubitava che l’anima di Merlino, e di conseguenza la sua mente, continuasse a respingere la sua metà ancora per molto.

Però, il problema era il suo corpo millenario.

Ma, anche per questo, le cose si sarebbero sistemate grazie al Re.

Comunque, il problema imminente ora era un altro.

Per l’appunto, due uomini che erano entrati in quel momento nel locale.

Finalmente, erano usciti allo scoperto e, come Gabriel aveva previsto, le cose si sarebbero sistemate per la fine della settimana.

Non tutto, ma almeno quello che riguardava la loro presenza lì.
Perché non poteva essere un caso che un’energia magica antica si muovesse proprio nelle vicinanze del Re e dei cavalieri.

No!

Qualcuno la stava usando.

Qualcuno che sarebbe stato fermato molto presto.

Con noncuranza estrasse un cellulare, inviando un semplice messaggio.

Il destinatario, avrebbe saputo cosa fare.
 

***
 

Lenn sorrise, leggendo quanto Gabriel gli scriveva.
 

Da: Gabriel
H 11.40
Sono due e sono qui. Concludiamo tutto per sabato sera.
 

Rivolse un sorriso a Kyle che, per risposta, ghignò beffardo.

E così, i due uomini erano entrati nel locale, non avvertendo minimamente chi avessero di fronte.

Tipico dei maghi moderni, non riuscire a cogliere un’energia magica.

D’altro canto, la magia si era modernizzata, ma anche affievolita e, se secoli prima era facile avvertire uno stregone, ora l’uomo che aveva poteri magici, sembrava aver perso questa
caratteristica.

Ovviamente, c’erano le eccezioni e, sempre ovviamente, non era il caso dei due uomini.

“Ho proprio voglia di fare qualcosa, questo fine settimana, Lenn” la voce di Kyle interruppe i suoi pensieri.

Ovviamente, nonostante si fosse rivolto a lui, sedendosi sulla sua scrivania, la voce era più alta del normale.

“Da quando lavoriamo qui, non siamo mai usciti a bere qualcosa insieme!” sbuffò, facendo svolazzare i suoi ciuffi.

“Potremmo fare un’uscita fra colleghi!” intervenne Gwaine avvicinandosi.

“Sì” sorrise Kyle.

“Tu che ne pensi?” chiese, rivolto a Lenn.

“Credo che non ci siano problemi, ma non voglio allontanarmi troppo” aggiunse con un sorriso.

“Possiamo andare nel locale di fronte, serve dell’ottima birra!” intervenne nuovamente Gwaine, felice come una Pasqua.

“Beh, se le cose stanno così, non vedo perché no!” acconsentì Lenn.

“Bene!” rispose Gwaine allegro. “Mi metto d’accordo con gli altri!”.

“D’accordo per fare cosa?” intervenne una voce alle sue spalle.

Gwaine si girò di scatto, portandosi una mano al petto.

“Oh, Artù, che ci fai qui?” domandò, con un sorriso smagliante.

“Vedi Gwaine” sibilò Artù. “Io ci lavoro!”.

“Colpa mia, Artù” intervenne Kyle sorridendo.

“Organizzavamo un’uscita, tutti insieme, per sabato” aggiunse.

“Sei dei nostri?” domandò, senza alcuna inflessione particolare nella voce.

“Ci farebbe molto piacere, potremmo conoscerci meglio!” intervenne Lenn sorridente.
Artù annuì con il capo.

“Va bene” disse, con sguardo imperscrutabile ma con la mente altrove.

Quell’invito non poteva essere casuale quindi, non restava altro da fare che accettare e vedere come si sarebbero svolte le cose.

“Perce, contatta questo amministratore, i conti non quadrano” aggiunse poi con tono professionale, prima di uscire.

“Ok, capo!” annuì Perce sorridente.

“Questa sì che è una novità” intervenne Gwaine pensieroso.

“Sono secoli che proviamo a convincerlo a uscire con noi” aggiunse rivolto a Kyle, che sorrise di rimando.

“Secoli, eh?” non riuscì a trattenersi il biondo, prima di tornare al suo lavoro.

Artù, nel frattempo, era rientrato nel suo ufficio, seguito da Lance, dopo un cenno di mano.

“Tieniti libero per sabato sera” annunciò senza preamboli, andando a sedersi dietro la sua scrivania.

“Avevo in programma una cena con Ginevra” rispose quest’ultimo.

“Annullala” disse secco.

“Sabato sera, si esce con i nuovi dell’ufficio” affermò l’Antico Re, spiegando così la sua richiesta.

“Gabriel aveva detto che per la fine della settimana si sarebbe risolto tutto” capì al volo Lance e Artù annuì.

“Sarà bene comunque evitare di parlarne” disse Artù aprendo un cassetto e Lance capì, dal tono, che il discorso era chiuso.
 

***
 

“Gwaine non sta più nella pelle” sbuffò seccato Lance, grato del fatto che fossero in pausa pranzo.

“In effetti, non la smette più di fare battute idiote!” esclamò sorridente Leon al suo fianco, decidendo di aprire il suo pranzo.

Entrambi si godevano quell’ora di quiete in ufficio, avendo deciso di consumare un veloce pranzo portato da casa, mentre gli altri andavano a mangiare altrove.

In realtà, Leon, quel giorno, aveva un motivo in più per fare compagnia a Lance.

“Artù mi sembra più sereno, se ha deciso di uscire con noi sabato” buttò lì casualmente.

“Già!” esclamò lapidario Lance.

“Peccato che tu e Ginevra non ci sarete” insistette ancora Leon.

“E invece sì!” lo corresse Lance.

“Non dovevate festeggiare il vostro anniversario?” chiese Leon, con sguardo indagatore.

“Ho annullato la cena!” esclamò Lance, ben sapendo dove volesse andare a parare l’altro.

“E tutto per una bevuta con i novellini dell’ufficio” parlò ancora Leon, non facendosi ingannare dall’atteggiamento composto dell’altro.

“C’è qualcosa in particolare che vuoi sapere, Leon?” domandò allora Lance.

“Sì” rispose senza mezzi termini.

“Cosa sta succedendo!” esclamò, con tono serio.

“Non posso dirtelo” rispose semplicemente Lance.

“E da quando ci teniamo nascoste le cose?” indagò ancora Leon.

“Da quando ho fatto una promessa!” sorrise l’altro.

“Promessa che intendo mantenere” sottolineò, serio come non mai.

“C’entrano i nuovi assunti, vero?” domandò Leon, sapendo di aver centrato il punto.

“Se anche fosse, non potrei parlarne” si alzò Lance.

“E ti consiglio di fare altrettanto” aggiunse prima di uscire, conscio che l’altro avrebbe capito.

Leon annuì con il capo, osservando Lance uscire e sapendo che non avrebbe ottenuto altro.

Comunque, adesso aveva la certezza che i nuovi assunti non fossero chi dicevano di essere.

Troppo competenti, per essere semplici ventottenni.

Troppo esperti, per essere dei semplici ragazzi.

Le acque si stavano muovendo e, finalmente, quel sabato, tutti loro avrebbero avuto le risposte che cercavano.
 

Londra 2013 – Novembre – Venerdì
 

Merlino sbuffò, decidendo di concedersi una pausa con un caffè.

Scendendo la scalinata della villa, annusò l’aria sentendo l’aroma familiare della sua bevanda preferita.

Entrò in cucina, trovandovi Louis che, efficiente come sempre, gli aveva versato il caffè non appena l’aveva sentito scendere.

“Vi concedete una pausa, Sommo Emrys?” domandò sorridente.

“Quante volte ti ho detto, a te e Phoenix, di darmi del tu?” rispose Merlino sedendosi.

“E quante volte vi abbiamo risposto che, essendo creature magiche, troviamo naturale rivolgerci a voi in questo modo?” rispose Phoenix entrando in quel momento.

“Ho sentito la vostra esecuzione. Ottima direi” aggiunse, sedendosi accanto a lui mentre Louis si occupava della cena.

“Mah” sbuffò Merlino.

“Tutte quelle terzine* mi stanno facendo impazzire” si massaggiò gli occhi.

“Sarete pronto per il concerto!” affermò fiducioso Louis.

Merlino sorrise di rimando.

“Sono felice che siate tornati a casa” li accolse con un sorriso sincero.

“Ne siamo molto felici anche noi, vero cagnaccio?” disse Phoenix rivolgendosi a Louis che sorrise di rimando.

“Puoi dirlo forte, faccia d’angelo” rispose Louis ghignando e Merlino ridacchiò, troppo abituato alle continue prese in giro tra loro.

Era davvero contento che avessero concluso i loro compiti e fossero tornati a casa.

La solitudine, più dell’attesa, poteva logorare l’uomo.

E questo, Merlino, lo sapeva fin troppo bene.
 
 

Londra 2013 – Novembre – Sabato
 

“Finalmente, anche il grande capo ci onora della sua presenza” disse Gwaine rivolto ad Artù.

“Era ora che smettessi di snobbare le uscite con i tuoi amici” parò ancora, mettendo un braccio sulle spalle dell’interessato.

“D’altro canto, non potevi mancare nell’uscita di gruppo con i nuovi assunti!” continuò, rivolgendo un sorriso a trentadue denti a Kyle.

Perce, seduto di fronte a Gwaine, osservò quella scena con uno sbuffo, decidendo di soprassedere.

Gwaine si era fatto più gongolante del solito, da quando Kyle aveva accettato di uscire con loro e, di conseguenza, era anche più irritante.

“Cosa vi porto?” comparve Gabriel alle loro spalle.

“Birre per tutti!” disse come al solito Gwaine.

“Per me un succo di frutta!” intervenne Lenn con un sorriso.

“Anche per me!” approvò Merlìha.

Gabriel segnò velocemente guardando Kyle con occhi attenti.

Anche Lenn e Merlìha lo guardarono interrogativi.

“Io prendo una birra!” disse questi, sentendosi osservato.

I tre lo guardarono perplessi.

“Kyle…” incominciò Lenn.

“Il solito idiota!” finì per lui Gabriel.

“Oh, andiamo!” sbottò Kyle, guadagnandosi l’attenzione di tutti i commensali.

“Voglio una birra” incrociò le braccia impuntandosi.

Gabriel sospirò pesantemente, assottigliando pericolosamente lo sguardo.

Lenn, a quel punto, decise di intervenire.

“Un succo di frutta anche per lui” disse con un sorriso conciliante.

Gli altri commensali, nel frattempo, osservavano perplessi quel teatrino.

“Voglio una birra” s’impuntò Kyle, alzandosi in piedi e guardando Lenn.

Gabriel si avvicinò, posando il blocchetto sul tavolo.

Perce lo osservò per un attimo, rimanendo affascinato dalla grafia.

Piena di svolazzi e molto elegante.

Quasi di altri tempi, pensò di sfuggita, ma non si soffermò sul pensiero, troppo occupato a seguire i movimenti del cameriere.

“Finiscila!” ordinò Gabriel, rivolto a Kyle, con tono imperativo.

Tono che fece, involontariamente, rabbrividire tutti gli altri.

“Oh, andiamo! Portagli una birra, Gabrielino!” intervenne Gwaine.

Lenn, a quelle parole, si portò una mano alla fronte, sospirando pesantemente.

Artù, a capotavola, osservava interessato la scena maledicendo, dentro di sé, l’idiozia di Gwaine e chiedendosi da dove fosse uscito quel vezzeggiativo.

“Oh cielo!” sentì borbottare Merlìha.

Gabriel, nel frattempo, volse la testa verso Gwaine invitandolo, con lo sguardo, a ripetere quanto aveva detto.

“Scusati Gwaine!” disse Artù serio, incrociando lo sguardo del cameriere.

 “Che ho detto?” si giustificò Gwaine.

“Scusati immediatamente” sibilò Perce.

“E non ti intromettere” concluse Artù.

Sapeva che qualcosa stava per accadere, così come lo sapeva anche Lance, seduto poco distante da lui.

Di conseguenza, non riteneva opportuno far nascere liti inutili quando la serata si preannunciava fondamentale per le vite di tutti loro.

D’altro canto, anche prima che sapesse chi fossero i Guardiani, quei ragazzi lo avevano affascinato fin dal primo momento.

Le stesse sensazioni le aveva provate in un’altra vita, quando molte cose gli erano precluse.

Quando era a contatto con lui… la costante sensazione che gli sfuggisse qualcosa.

Ora, finalmente, sapeva.

E di certo, non aveva nessuna intenzione di fare irritare uno di loro.

“Scusati immediatamente” ordinò imperativo l’Antico Re, osservando come Gabriel fosse
rimasto in attesa, con uno sguardo che avrebbe fatto rabbrividire chiunque.

“Scusa!” disse allora Gwaine controvoglia.

Gabriel lo guardò per un lungo istante, quasi come se stesse soppesando le sue parole, prima di annuire con il capo e ritornare a guardare Kyle.

“Solo io posso chiamarlo così” disse Kyle a Gwaine con un sorriso smagliante, prima di tornare a rivolgersi all’altro.

“Voglio una birra!” insistette cocciuto.

Gabriel lo afferrò per la collottola.

Lenn e Merlìha si alzarono velocemente.

“Sei un po’ cresciutello per fare il bamboccio” sibilò velenoso Gabriel.

“Calmiamoci” intervenne Lenn, separando i due.

Merlìha si portò velocemente accanto al fratello afferrandogli un braccio e guardando storto Kyle.

“La vuoi piantare?” sbottò esasperata, stringendo il braccio del fratello.

“Kyle” disse Lenn con il tono di chi stava per perdere la pazienza.

“Va bene, va bene! Portami un banalissimo succo di frutta” rispose questi sedendosi.

“Però voglio l’ombrellino!” aggiunse, con tono di scherno.

Un’espressione di puro disgusto comparve sul volto di Gabriel che si allontanò regalando una carezza sul capo di Merlìha.

Perce osservò quel gesto con un sorriso.

Doveva tenerci molto alla sorella.

“Scusateci” disse Lenn ritornando a sedersi accompagnato da Merlìha.

“Siamo tutti astemi” si giustificò non mentendo.

Artù chinò il capo annuendo senza però parlare.

Il suo corpo era in tensione, pronto per qualsiasi evenienza, proprio come quando a Camelot si preparava per una battaglia.

Questo perché sapeva che, a breve, molte cose sarebbero state rivelate.
 

Continua…
 

*terzine: gruppi di note irregolari, la cui difficoltà di esecuzione può variare a seconda del brano.
 

Note:

In questo capitolo, tramite i pensieri di Gabriel, inizio a spiegare la situazione di Merlino.

Ovviamente, le spiegazioni diventeranno sempre più dettagliate con il passare dei capitoli.

Inoltre, compaiono gli ultimi due personaggi, fondamentali per il seguito della storia.

Notate, infatti, come i due gruppi, quello di Merlino e quello di Artù, abbiano lo stesso numero di componenti, ma non aggiungo altro.

Inoltre, lo scorrimento dei giorni all’interno dei capitoli non è casuale; infatti, il primo incontro tra Artù e Merlino avverrà il sabato notte.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Pandora86
 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 - Misteri svelati - Prima Parte ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Un grazie speciale a hikaru83 che, da ottima osservatrice, mi ha dato dei preziosi consigli su come impostare un periodo.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
 
Capitolo 23. Misteri svelati – Prima Parte
 

Londra – Novembre - Sabato
 

“Ma quanto ci mette?” disse dopo un po’ Gwaine, affacciandosi sul resto del locale.

Per le loro uscite di gruppo, il proprietario, conoscendoli da molto tempo, riservava loro sempre la stessa saletta privata.

Tutti gli ex-cavalieri avevano sempre apprezzato quel locale proprio per questo: avere una saletta più appartata, consentiva loro di parlare di svariati argomenti, molti dei quali troppo spinosi per essere uditi da altri.

Di sicuro, le carte del manicomio sarebbero state pronte nell’immediato, se qualcuno avesse udito una piccolissima parte dei loro discorsi.

Motivo per cui, in quel locale, univano l’utile al dilettevole: si divertivano, senza però dimenticare chi in realtà fossero.

“Bah” esclamò perplesso Gwaine, ritornando a sedersi.

“Hai così tanta voglia di ubriacarti?” domandò Elian, seduto al suo fianco.

“No, ma non vorrei aspettare una vita per la mia ordinazione!” s’imbronciò Gwaine.

“Dai, che non dovrai aspettare ancora molto!” lo sfotté Leon, addentando uno stuzzichino.

E, infatti, dopo un po’ Gabriel fece la sua comparsa nella saletta.

Artù fu il primo a notare che qualcosa non andava, dato che sedeva a capotavola.

Quello che lo mise in allerta fu la postura del cameriere.

Nonostante il volto fosse impassibile, come al solito, portava le mani alzate mostrando i palmi.

Con lui c’erano altri due uomini, uno dei quali sembrava puntare qualcosa alla schiena di Gabriel.

Seguendo lo sguardo di Artù, anche gli altri commensali guardarono verso la porta, sgranando gli occhi.

Perce si alzò immediatamente in piedi.

“Non fare un passo, ragazzo” disse uno dei due uomini alla destra di Gabriel.

“Mi dispiace interrompere la festicciola. Ditemi solo chi è Artù” continuò.

“Sono io!” si alzò senza paura l’altro.

“Bene!” intervenne l’altro uomo.

“Dacci quello che vogliamo e vi lasceremo in pace!” concluse per lui l’altro.

Artù osservò i due uomini valutando una strategia.

Non credeva che Gabriel corresse seri pericoli, tuttavia, se si mostrava così remissivo, una ragione doveva esserci.

Decise quindi di stare al gioco dell’uomo, cercando, passo dopo passo, di capire come muoversi.

Forse Gabriel non aveva nessuna intenzione di difendersi o forse, stava semplicemente mettendolo alla prova.

Artù, infatti, non aveva dimenticato le sue parole e non poteva essere un caso che due uomini interrompessero la loro uscita tenendo Gabriel in ostaggio.

Quello che Artù era intenzionato a fare, per il momento, era considerare Gabriel come un normale essere umano.

Artù non aveva intenzione di dimenticare a chi i quattro Guardiani rispondessero e forse non era ancora venuto per loro il momento di svelarsi.

Forse, proteggere la loro copertura avrebbe significato proteggere anche Lui.

Quindi, impose a se stesso di considerare colui che aveva di fronte come un normale cameriere, ed elaborare una strategia alla velocità della luce, soprattutto quando vide entrare un terzo uomo.

Terzo uomo che chiuse la porta e affiancò gli altri due, con un ghigno poco rassicurante stampato in faccia.

Devo stare calmo, ragionò Artù osservando i tre, più attento che mai.

Se riusciva a portare fuori tiro Gabriel, gli altri due sembravano disarmati.

Il più anziano dei tre però intercettò il suo sguardo.

“Fossi in te, non penserei a niente” disse.

“Siamo armati con armi che non puoi combattere!” rivelò poi, estraendo un sottile bastoncino di legno.

Artù capì immediatamente cosa fosse e anche gli altri dovettero intuirlo, visto che si alzarono prontamente in piedi.

Lance si parò davanti a Ginevra con fare protettivo.

“Dateci quello che vogliamo, Sire” disse con scherno uno degli uomini, “e non succederà nulla di spiacevole”.

Sire?” ripeté Kyle ghignando.

“Va bene!” disse Artù.

“Ma lascia andare queste quattro persone” continuò, ragionando velocemente e indicando Gabriel, Merlìha, Lenn e Kyle.

I quattro Guardiani non sembravano ancora intenzionati a intervenire, motivo per cui Artù decise che ci avrebbe pensato lui a parlare con gli uomini, fino a che non avesse ricevuto un segnale.

“Per farli andare a chiamare aiuto?”rispose intanto l’uomo.

“Loro non sanno di cosa parli!” cercò di ragionare Artù, avvicinandosi e continuando la sua farsa.

“Vorrà dire che moriranno!” disse l’altro uomo, estraendo a sua volta lo stesso bastoncino.
A quel gesto, Kyle si alzò in piedi.

“Quanti ne sono Gabriel?” parlò poi Lenn, che era rimasto seduto.

“Solo questi tre” confermò questi, abbassando le mani e avvicinandosi.

“Ehi” urlò l’uomo che gli aveva puntato la bacchetta alla schiena.

“Ovviamente, nei loro pensieri, credono di aver beffato tutti!” spiegò Gabriel a Lenn che annuì.

Nel frattempo, gli altri commensali, dopo essersi alzati in piedi, si erano schierati a semicerchio accanto ad Artù, attendendo che l’Antico Re desse loro delle indicazioni su come agire.

Avevano notato tutti che Artù aveva lo sguardo di chi ha in mente qualcosa. Dopo aver combattuto al suo fianco in un’altra vita, non avevano faticato, infatti, a riconoscere quella luce battagliera negli occhi.

“Chi ti ha detto di parlare?” urlò intanto l’uomo, sempre rivolto a Gabriel che lo osservò con un cipiglio scuro.

“Sai questa cos’è, idiota?”domandò ancora l’uomo, troppo cieco per notare come gli occhi di Gabriel si fossero pericolosamente assottigliati dopo l’insulto.

“Ti posso polverizzare all’istante con un incantesimo!” disse ancora, forse stufo del silenzio dell’altro e schiumante di rabbia.

Artù cercò di intervenire.

“Ti ho detto che loro sono fuori da queste cose!” provò a farlo ragionare.

“Come mi hai chiamato?” si decise a parlare Gabriel, fronteggiando l’uomo e osservando il bastoncino con un ghigno.

Perce gli si avvicinò, parandosi davanti.

“Cerca di scappare!” gli disse, facendogli scudo con il suo corpo.

“Non è necessario” rispose Gabriel, sfiorandogli la spalla e mettendosi accanto a lui.

“Grazie, comunque!” ringraziò poi, addolcendo il tono e incurvando appena le labbra.

Perce lo guardò, sorridendo di rimando.

Era un sorriso quello?

Era calore, la sensazione comparsa, dove le sue dita lo avevano sfiorato?

La voce di Kyle lo distolse dai suoi pensieri.

“Cioè, fatemi capire!” esclamò con teatralità, sedendosi nuovamente e accavallando le gambe.

“Siamo qui, tutti e quattro”, ci tenne a sottolineare, “per queste tre nullità?” chiese perplesso.

Lenn provò a rispondergli ma l’uomo armato di bacchetta lo precedette.

“Chi è la nullità, ragazzino?” domandò, puntandogli la bacchetta alla gola.

“Kyle, ti prego, ci sono cose che non capisci!” intervenne allora Gwaine cercando, in questo modo, di far calmare l’uomo.

Artù, nel frattempo, stava analizzando velocemente la situazione.

A quanto pareva, dei maghi erano arrivati a lui, conoscendo la sua identità.

Volevano qualcosa.

E lui, da bravo stratega, avrebbe finto di dargliela.

Nel frattempo, però, doveva prima capire che intenzioni avessero i Guardiani.

Non voleva, infatti, ostacolarli.

Forse, anzi, sicuramente, stavano prendendo tempo per qualche motivo.

Tempo che lui gli avrebbe dato, provando ancora a ragionare con l’uomo.

 “Ascolta!” esclamò deciso.

“Se fai allontanare queste quattro persone, ti assicuro che non chiameranno aiuto. Anche io voglio parlare con voi tre” disse determinato.

L’uomo tentennò perplesso ma Lenn decise di intervenire.

“Non è saggio ragionare con loro, Sire!” disse con un sorriso.

Artù, a quelle parole, sgranò leggermente gli occhi.

Lenn si era espresso in quel modo solo per un motivo: finalmente, si giocava a carte scoperte.

Sorrise e annuì di rimando.

 “Comunque” e stavolta parlò rivolto a Kyle, “sai bene che non siamo qui solo per loro” disse indicando gli uomini.

Kyle annuì con uno sbadiglio.

“Com’è la situazione?” domandò poi il biondo rivolto a Gabriel, con tono annoiato.

“Non ci eravamo sbagliati! Stanno giocando con quell’oggetto, non capendone la pericolosità!” parlò con evidente disgusto.

“E non sai dov’è?” domandò Lenn.

“Perché faticare a cercare, quando possono dircelo loro, vero Gabrielino-ino-ino?” cantilenò Kyle.

“Ehi, ragazzino” provò a dire l’uomo puntando la bacchetta alla gola di Kyle che, per risposta, scoppiò in una risata.

Neanche Merlìha riuscì a trattenere le risate, incurante dello sguardo severo del fratello.

“E dai” disse in risposta alle occhiatacce, “ammetterai che è divertente”.

Anche Artù non riuscì a non piegare le labbra in un sorriso, sotto lo sguardo attento dei commensali.

“In effetti, non è proprio una definizione corretta” sussurrò Lance, non riuscendo a trattenersi.

Leon, al suo fianco, lo guardò sorridendo.

Non aveva sbagliato allora, quando aveva sospettato dei quattro.

Ecco a chi Lance aveva fatto promessa di segretezza.

Osservò poi il volto di Artù, che sorrideva impercettibilmente.

Lui sa!

Questo pensò il cavaliere.

In qualche modo, Artù era già a conoscenza dell’identità dei nuovi assunti e, per qualche motivo, non poteva rivelarlo anche a loro.

Per questo, ha accettato di uscire con noi! Pensò ancora.

Sapeva che stava per succedere qualcosa.

Lo sguardo del cavaliere si spostò poi sui nuovi assunti, più il cameriere.

Lenn era seduto sorridente, accanto a Merlìha che guardava la scena con entusiasmo. Forse troppo, a giudicare dalla situazione.

Kyle continuava a ridere, non riuscendo a fermarsi a quanto pareva, guardando gli uomini e poi ricominciando, quasi come se quei tre avessero qualcosa di talmente comico che, non appena
Kyle li guardava, ricominciava a ridere divertito.

Eccolo, per l’appunto, asciugarsi le lacrime e ridacchiare ancora.

Gabriel, il cameriere, invece guardava tutto con espressione annoiata.

Inoltre, non aveva battuto ciglio quando era entrato minacciato da uno dei due uomini.

E Leon, in quel momento, aveva pensato che non fosse matematicamente possibile avere un tale sangue freddo.

Come si poteva essere indifferenti, o probabilmente addirittura annoiati, mentre ti puntavano un’arma alla schiena?

Inoltre, come dimenticare l’espressione che aveva assunto quando era stato chiamato: idiota?

Il suo sguardo avrebbe fatto accapponare la pelle a chiunque; era, infatti, evidente che stesse cercando di trattenersi.

Peccato che l’uomo che lo aveva minacciato non sembrasse averlo notato.

In sostanza, per farla breve, Gabriel, Lenn, Merlìha e Kyle non sembravano essere minimamente preoccupati e le ragioni potevano essere due: o non si rendevano conto del pericolo, oppure lo conoscevano fin troppo bene, motivo per cui non si preoccupavano.

Potevano sembrare molto incoscienti; proprio come qualcuno che, innumerevoli anni prima, seguiva il suo Re, incurante di ogni pericolo.

Solo dopo, Leon avrebbe saputo che la presenza di quella persona era la garanzia di vittoria per ogni battaglia.

Lui, così come tutti gli altri.

Osservò gli altri commensali.

Anche loro attendevano qualcosa, anche loro avevano capito che qualcosa stava per avvenire.

Tutta l’attenzione degli antichi cavalieri era focalizzata sui tre nuovi assunti e il cameriere che, anche non presentandosi verbalmente, con i loro atteggiamenti, avevano fatto capire chiaramente chi fossero.

Inoltre, Lenn non poteva aver parlato a caso.

Aveva detto delle parole precise; parole che tutti, a quel tavolo, avevano sentito.

Osservò Gwaine, che aveva assunto una faccia perplessa, forse con la testa piena di domande, mentre Kyle rideva.

Osservò Perce, che guardava attento il cameriere con fare protettivo ma anche lui con l’espressione di chi, finalmente, sta cominciando a capire.

Osservò Elian, che sorrideva sotto i baffi.

In effetti, aveva quel sorriso da quando Lenn aveva pronunciato quella frase.

D’altro canto, anche in altri tempi, era stato quello più pratico, che non si perdeva in mille perché.

Osservava, rifletteva e poi agiva.

Questo non significava che fosse il più prudente, anzi.

Però, sicuramente era il più pratico di loro e, quando si trovava in una nuova situazione,
pensava subito ad agire piuttosto che a domandarsi cose inutili.

Infatti, aveva capito immediatamente il significato di quella frase, accettandone all’istante il significato.

Osservò poi Lance, che aveva negli occhi l’antica luce: quella del cavaliere.

Poi, il suo sguardo andò a Ginevra che, fiduciosa e sorridente, si stringeva a Lance.

In ultimo, il suo sguardo si posò nuovamente su Artù, con un atteggiamento che non aveva
mai visto in quella vita: quello del Re.

Lì osservò tutti, capendo finalmente una cosa fondamentale: l’antico gruppo si era ricomposto.

Certo, erano cresciuti tutti insieme ma, fino a quel momento, mai si erano dovuti schierare per affrontare una battaglia.

Battaglia che aveva fatto riaffiorare loro l’antica luce negli occhi: i cavalieri di Camelot erano tornati.

Dopo qualche istante, le risa di Kyle cessarono, lasciando il posto a un ghigno.

Un ghigno denigratorio.

Lo vide accavallare le gambe con noncuranza, fino a che non parlò.

Ragazzino?” disse Kyle con scherno, mentre faceva ondeggiare la gamba e poggiava una mano sotto il mento.

“Sai” disse con fare teatrale, alzandosi e addentando uno stuzzichino sul tavolo.

“Rimarresti impressionato dalla mia età” esclamò poi, lasciando comparire sul suo volto un sorriso cattivo.

Quelle parole gli fecero guadagnare l’attenzione di tutti i commensali, nonostante non ce ne fosse bisogno.

Quelle parole, fecero capire a tutti che il tempo dei giochi era finito.

Quelle parole fecero capire a tutti che si stava rivelando.

Perché, da quello che sapevano, Kyle aveva ventotto anni.

Leon vide Lance rivolgere un sorriso ad Artù che, serio come non mai, annuì di rimando.

Ginevra, perplessa, fece un passo avanti verso Merlìha che le rivolse un sorriso incoraggiante.

Elian sorrideva apertamente, avendo lui già capito la situazione.

Gwaine e Perce, invece, osservavano rispettivamente Kyle e Gabriel.

Erano evidenti i loro pensieri.

Possibile che fossero le persone che cercavano?

Possibile che anche loro fossero come Lui?

La risposta, a quel punto, poteva essere solo sì.

Fu allora che Kyle si avvicinò a Gabriel, con un sorriso cattivo in volto.

Tutto, nella sua postura faceva pensare alla determinazione.

Tutto, nei suoi atteggiamenti, faceva pensare al potere.

Era come se, attorno a lui, ci fosse un’aura di sicurezza che lo circondava.

Kyle si stava mostrando per quello che era stato o, a essere più precisi, per quello che era
ancora.

Perché, anche da essere umano, non aveva perso il suo carisma.

Anche da essere umano, non aveva perso il suo potere.

Il potere dei Guardiani.

Fu allora che parlò, con gli occhi di tutti incollati addosso.

 “Che ne dici di giocare a carte scoperte, Gabrielino – ino –ino?”.
 

Continua…
 

Note:
 

In questo capitolo, compaiono anche i cattivi.

Tuttavia, più che dei nemici veri e propri, li utilizzo come tramite per le rivelazioni dei Guardiani e per far capire come loro siano inseriti nel contesto magico del secolo.

Infatti, in questa storia non ci saranno grandi nemici (né Morgana, né Mordred).

Sarà tutta incentrata sui rapporti tra i Guardiani e i Cavalieri (e ovviamente, Merlino e Artù) e sul compito che hanno i Guardiani nel ventesimo secolo (legato alla ricomparsa dei Cavalieri).

Compito che sarà spiegato dettagliatamente nei capitoli più avanti.

Inoltre, nell’ultima parte, uso il punto di vista di Leon per descrivere l’ambiente circostante e le reazioni degli altri cavalieri.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Come sempre, attendo i vostri pareri. Mi farebbe davvero piacere conoscere i vostri pensieri ora che la storia è ambientata nel futuro.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Pandora86.
 
 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24. Misteri svelati - Seconda Parte ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 24. Misteri svelati – Seconda Parte
 

“Che ne dici di giocare a carte scoperte, Gabrielino – ino –ino?”.

Gwaine seguì interessato quel cambio di espressione.

Aveva visto Kyle scherzare, sorridere conciliante e parlare cordialmente. Ma mai, sul suo volto, era comparsa un’espressione così cattiva.

Eppure, se ne sentiva sempre più attratto.

Perce, a quelle parole, portò istintivamente il suo sguardo a Gabriel.

Possibile che le parole di Kyle riguardassero anche lui?

Oppure erano parole dette a caso?

No!

Perce sapeva che non era così.

Tutta l’eleganza di Gabriel, il suo volto sempre serio, i suoi occhi così sicuri e freddi.

Artù, nel frattempo, preferì rimanere zitto e osservare come si sarebbero svolti i fatti.

Per cui, fece cenno agli altri di restare in silenzio.

Solo una domanda, con cui si giocava tutto.

 “Potete occuparvene voi?” disse attento, rivolgendosi a Lenn e al resto del gruppo.

Con quella domanda si giocava tutto.

Anche perché, tutti, a quel tavolo, sembravano aver capito chi fossero i nuovi assunti e il cameriere.

Con quella domanda, anche Artù giocava a carte scoperte, facendo capire, in questo modo, come fosse a conoscenza dell’identità di quelle quattro persone.

A quel punto, nessuno avrebbe avuto più dubbi, dato che avrebbe ottenuto un’ammissione importante.

Inoltre, sperava, in questo modo, di poter entrare a far parte, anche in questa vita, nel mondo che era precluso alla maggior parte delle persone.

Avrebbe dimostrato, in questa vita, di essere degno di fiducia e di poter assistere a cose che, in un’altra vita, gli erano state precluse per ovvi motivi.

Ovviamente, come Artù aveva previsto, gli altri ascoltarono quella strana domanda capendone immediatamente il significato.

Ora, tutti guardavano Lenn, in attesa di una risposta.

Questi fece un sorriso conciliante a tutti, prima di rivolgersi a Gabriel.

“Possiamo occuparcene noi?” domandò pacato.

“È quello che stiamo facendo!” rispose freddo Gabriel, rivolto a tutti loro, come se avesse appena dovuto ammettere una banalità.

Artù annuì con il capo, mentre sul volto si dipingeva un sorriso.

Finalmente, le cose stavano cambiando.

Finalmente, la sua attesa era finita.

Il mago barbuto, che nel frattempo non aveva capito nulla di quello strano dialogo, non si arrese.

Puntò la bacchetta, pronunciando strane parole, e uno dei menù sul tavolo prese fuoco.

Tutti i presenti si allontanarono, osservando il menù in fiamme.

“È scortese distruggere il mobilio del locale!” disse Lenn, l’unico che non si era allontanato insieme a Merlìha, mentre avvicinava la mano alle fiamme.

Rivolse uno sguardo incoraggiante agli altri commensali e, mentre i suoi occhi si tingevano d’oro, le fiamme svanirono.

Artù e gli altri cavalieri capirono il perché di quel gesto.

Lenn li aveva guardati.

Lenn aveva mostrato i suoi occhi.

Lenn si stava fidando di loro.

Gwaine puntò uno sguardo interdetto su Kyle, che sorrise con scherno.

L’unico a non vedere gli occhi di Lenn era stato Perce che, accanto a Gabriel, era di spalle.

Tuttavia, pur non avendo visto i suoi occhi, non aveva potuto non notare le fiamme che erano scomparse.

Rivolse un sorriso incerto a Gabriel che annuì silenzioso con un cenno del capo.

Tuttavia, non raggiunse gli altri all’altro lato della tavola.

Preferiva rimanere accanto a Gabriel, anche se aveva capito che non correva alcun pericolo.

Kyle guardò il mago ghignando.

“Non solo sei una nullità!” disse avvicinandosi.

L’uomo indietreggiò senza volerlo.

“Anche la tua mira è pessima!” disse, allargando il sorriso.

Merlìha, a quelle parole, ridacchiò.

“Tutta questa scena per evocare il fuoco” disse la ragazza con fare teatrale.

Ginevra, accanto a lei, si ritrovò a sorridere.

“Tu!” urlò il mago rivoltò a Lenn.

“Dov’e hai nascosto la tua bacchetta? Ti ho visto in un incantesimo non verbale!” disse, parlando a raffica.

“Incantesimo non verbale?” domandò Merlìha perplessa, guardando Lenn.

“Nella magia moderna, sorella, sono incantesimi che non hanno bisogno di essere pronunciati ad alta voce ma solo nella propria mente!” le spiegò Gabriel.

“Ah, capisco!” annuì la ragazza scrollando le spalle.

“E le bacchette?” domandò ancora Merlìha, veramente interessata.

“Sorella!” la riprese stavolta Gabriel.

Perce al suo fianco, lo guardava con un sorriso, rimanendo sempre più incantato dalla sua voce e dalle sue movenze.

Mai aveva sperato di poter essere così a contatto con lui, in quella che sembrava una battaglia comune.

“Che vuoi?” rispose piccata Merlìha.

Kyle non riuscendo a trattenersi, scoppiò in una risata allegra.

“Dove diamine eri Merlìha, quando la magia si modernizzava preferendo l’uso di bacchette?” chiese fra le risa.

“Va bene, ma credevo che qualcuno ne facesse ancora a meno. Oltre a noi intendo!” si difese la ragazza.

Gabriel la fulminò con lo sguardo.

“E tu saresti sempre quella che si è occupata di un tempo di Maghi!” non riuscì a trattenersi Kyle.

“Hai almeno colmato i tuoi vuoti sulla reincarnazione e rinascita?” le chiese ancora, ridendo.

“Sai com’è, qui abbiamo degli esempi palesi” disse, indicando i cavalieri e il re con il pollice.

“Sarebbe una figuraccia se tu non conoscessi queste cose!” continuò, ridacchiando ancora.

Merlìha, in tutta risposta, gli fece una linguaccia.

Gabriel li fulminò con lo sguardo e Lenn lo pregò di tacere con la mano.

Se avessero cominciato a litigare fra loro, ci sarebbe voluto un secolo per sistemare la questione.

“Direi che è il momento di agire” parlò allora Gabriel intercettando lo sguardo di Lenn, e gli altri tre annuirono con il capo.

“Tu!” urlò uno dei tre.

“Non hai ancora capito cosa posso fare?” si avvicinò minaccioso.

“Prima regola” disse Gabriel velenoso.

“Quando parlo io, nessuno mi interrompe” concluse, assottigliando gli occhi.

“Fratello” intervenne Merlìha.

“Posso vederne una da vicino?” chiese implorante.

“Ti prego!” continuò, congiungendo le mani.

Gabriel annuì con il capo, sedendosi.

“Evviva!” disse allegra la ragazza, avvicinandosi all’uomo e osservando da vicino il bastoncino.

“Stai attenta!” non riuscì a trattenersi Artù.

In fondo, era sempre una ragazza e, anche se potente in termini di magia, dubitava che Merlìha fosse in grado di difendersi su un piano fisico.

Gli uomini potevano sempre perdere la calma e, trovandosi di fronte una ragazza, potevano decidere di lasciare le bacchette da parte e ricorrere ad altri mezzi, da esseri ignobili quali erano.

Inoltre, Merlìha sembrava incurante del pericolo (ovviamente, da ex- guardiana qual era!) ed era sempre così fiduciosa verso tutti.

Aveva già fatto un passo avanti, quando sentì Lenn trattenerlo per un braccio.

“Non c’è pericolo” disse, con un sorriso rassicurante.

“Quindi, è con questa che fanno le loro magie?” domandò realmente incuriosita Merlìha al fratello, indicando la bacchetta con un dito.

“Se si possono chiamare magie!” rispose Gabriel massaggiandosi gli occhi.

Senza esitazioni, Merlìha strappò la bacchetta dalle mani dell’uomo.

Gli altri due furono lesti a puntare le loro contro la ragazza.

“È leggera” esclamò Merlìha, guardandola incuriosita e soppesandola con le mani.

“Sei morta, ragazza” disse uno dei due avvicinandosi.

Quello che successe, avvenne tutto in pochi istanti.

I commensali videro un leggero bagliore negli occhi di Gabriel e un piccolo movimento con la mano.

Poco dopo, l’uomo giaceva a terra svenuto.

“Seconda regola” parlò Gabriel con noncuranza.

“Mai minacciare mia sorella” concluse.

Merlìha, nel frattempo, continuava a giocherellare con la bacchetta.

“Siete anche voi stregoni!” urlò uno degli uomini.

“Oh, ti prego” lo implorò Kyle con disgusto.

“Non ci insultare, paragonandoci a te” aggiunse beffardo.

“Cosa sta succedendo realmente?” chiese Lance, non potendo fare a meno di intervenire.

“Perché i suoi occhi non sono diventati d’oro durante l’incantesimo?” chiese ancora il cavaliere, indicando l’uomo che aveva dato fuoco al menù.

“Inoltre -” continuò Lance, realmente incuriosito, prima di venire zittito da un cenno di mano di Artù.

“Lance!” lo riprese severamente il Re.

“Scusa, ma non pensavo che le bacchette esistessero realmente!” si giustificò il cavaliere, andando con la mente a ricordi lontani.

D’altro canto, lui, così come gli altri, era abituato a ben altre forme di magia.

A quelle parole, i due uomini rimasti iniziarono a ridere sguaiatamente.

“Che idiota!” disse uno dei due.

“Solo nel Medioevo, gli occhi dei Maghi cambiavano colore. Anzi, forse è solo una leggenda” parlò con scherno.

“Interessante” disse ironico Gabriel congiungendo le mani con eleganza.

Perce, che aveva visto i suoi occhi divenire dorati, sorrise.

“È una leggenda legata al Grande Mago e ai suoi potenti aiutanti” parlò ancora l’altro uomo.

“In effetti, non è che ha tutti i torti” intervenne Lenn, guardando gli altri conciliante e osservando soprattutto Artù che, di rimando, allargò il sorriso che albergava da un po’ sul suo volto.

“Comunque” parlò Kyle rivolgendosi a Lance, “succede che le nullità non dovrebbero giocare con cose che non conoscono!” rispose beffardo.

“Adesso mi hai stancato, ragazzino!” urlò uno dei due uomini rimasti.

Si avvicinò a Kyle che, con un gesto noncurante, lo mandò a sbattere contro la parte.

Guardò l’altro ghignando e, dopo pochi istanti, anche l’ultimo uomo raggiunse il suo compare svenuto.

“Molto bravo!” approvò Gabriel con ironia.

“Adesso, come fanno a dirci dove l’hanno nascosta?” domandò pungente.

Kyle sbuffò con noncuranza.

“Siete stregoni!” parlò Leon.

Gli altri lo guardarono perplessi, cavalieri compresi. Non era evidente?

“No, voglio dire…” si corresse Leon, cercando le parole adatte.

“Siete diversi da loro!” disse, indicando i tre uomini svenuti.

“Anche questo era evidente, Leon” parlò Artù, con ovvietà.

“Forse, anche lui si riferiva alle differenze tra la nostra magia e quella dei maghi moderni” intervenne Lenn conciliante rivolto al cavaliere, che annuì di rimando.

 “Avete molte domande” disse ancora Lenn, rivolto soprattutto ad Artù.

“Ma non è questo il momento!” parlò ancora.

“Tuttavia, avete già iniziato a notare le differenze che ci sono tra la magia medievale e quella moderna” iniziò a spiegare agli altri che, nel frattempo, lo ascoltavano attenti.

“Le bacchette, essendo di legno, sono degli ottimi conduttori di energia” parlò allora Gabriel.

“O meglio” ci tenne a precisare, ” il legno, conosciuto da tutti come pessimo conduttore a differenza del metallo, si è rivelato invece il miglior conduttore per un’energia che la maggioranza degli uomini non conosce. L’energia magica, per l’appunto” e si interruppe, come per raccogliere le idee.

Era evidente che stesse cercando di spiegarsi in modo che tutti capissero, in maniera più succinta possibile.

“In sostanza, non hanno nulla di magico, in se” spiegò ancora.

“Fungono solo da catalizzatori” aggiunse.

“Ma perché gli occhi non cambiano più colore?” domandò allora Lance.

“Per evitare che ci siano scoppi di magia involontaria” rispose Lenn sorridendo.

“In pratica” intervenne Kyle, “nel medioevo, gli occhi cambiavano colore perché era tramite la vista che i maghi compivano magie. In termini di fisica moderna, l’energia, che si accumulava nel corpo durante un incantesimo, veniva trasmessa agli occhi che, avvertendo il cambiamento, divenivano dorati” concluse.

“Si trattava di magia che per essere controllata, però, richiedeva molta fatica da parte dello stregone” intervenne Gabriel.

“Nel corso dei secoli, invece, si è preferito l’uso di conduttori che, al posto degli occhi, catalizzano l’energia magica con molta meno fatica. Di conseguenza, con il passare dei secoli, gli occhi hanno smesso di cambiare colore” concluse Lenn.

“Aggiungo che è stato il Sommo Emrys a decidere così!” aggiunse Kyle sapendo che, quella frase a effetto, avrebbe colto nel segno.

“Che facciamo adesso, fratello?” parlò Merlìha, continuando a giocare con la bacchetta.

“Raccogli gli inutili bastoncini degli altri due!” parlò Gabriel rivolto a Lenn.

“Tu, invece, fai rinvenire uno dei due e fallo sedere” disse ancora, stavolta rivolto a Kyle.

“Sorella, sposta il tavolo. Tutti gli altri, spostate le sedie e disponetele accanto a me!” concluse.

In pochi minuti, tutti fecero come richiesto.

Ginevra si avvicinò a Merlìha, aiutandola a spostare il tavolo e addossarlo contro la parete.

Kyle aspettò che tutti si fossero seduti prima di far rinvenire l’uomo e mettersi in piedi accanto a Gabriel.

Con un bagliore fece comparire delle corde che legarono l’uomo impedendogli di muoversi.

Gabriel accavallò le gambe, aspettando che l’uomo tornasse in sé.

Provò a muoversi senza riuscirci.

“Allora!” cominciò Gabriel.

“Dicci cosa vuoi esattamente da Artù, antico Re di Camelot!”.

Tutti quelli che un tempo erano stati cavalieri lo guardarono incuriositi, senza però interromperlo.

“Non costringermi a farti parlare” disse ancora Gabriel.

“Dov’è la tua bacchetta?” chiese l’uomo.

Gabriel si alzò, afferrandone una dalle mani di Lenn, e tornò a fissare l’uomo.

“Io non ho bisogno di questo inutile bastoncino!” rispose, spezzando in due l’oggetto.

A quel gesto, del fumo uscì dal legno.

“Oh” intervenne Merlìha. “Quindi, è questa l’essenza magica della bacchetta” disse, puntando il dito verso il fumo e facendolo disperdere nell’aria.

“Non è essenza magica, sorella ma energia vaporizzata” la corresse severo Gabriel.

“È la stessa cosa!” affermò Merlìha con noncuranza.

“E, invece, no” parlò ancora Gabriel.

Kyle ridacchiò.

“Vedi Merlìha” intervenne Lenn conciliante, “ha un’essenza magica, un oggetto che nasce, per volere dello stregone che lo crea, con un potere proprio come, ad esempio, quello che stiamo cercando”.

“O come i nostri anelli” aggiunse Kyle.

“O come i nostri anelli!” sorrise Lenn.

“Le bacchette, invece, sono dei semplici accumulatori, che prendono energia dal mago che le impugna. Ma, prese da sole, non hanno nessun potere. Quella che Gabriel ha spezzato aveva ancora, al suo interno, dell’energia, dato che il mago si stava apprestando a fare un incantesimo. Venendo spezzata, l’ha rilasciata” concluse la sua spiegazione.

“Allora, amico, dobbiamo ripeterti la domanda?” disse a quel punto Kyle, che cominciava a stancarsi.

“Una volta tanto che potevo fare un’uscita tranquilla” si lamentò.

“Dì piuttosto che volevi ubriacarti!” lo sfotté Merlìha con un ghigno.

“Che c’è di male, ogni tanto? Tanto Lenn mi avrebbe portato in spalla” aggiunse, facendo l’occhiolino.

“Non reggi l’alcol?” domandò Gwaine.

“È uno degli svantaggi!” disse con un sospiro Gabriel.

“Svantaggi di cosa?” domandò Lance.

“Di essere un Antico!” rispose Lenn con un sorriso.

Artù seguì quel dialogo con interesse.

 “Allora, dobbiamo ripeterti la domanda?” disse Kyle, avvicinandosi minaccioso all’uomo e poggiandogli le mani sulle spalle.

“Se sapessi chi sono, non sfideresti la mia pazienza” parlò, facendo diventare i suoi occhi d’oro.

Le corde si strinsero ulteriormente, facendo gemere di dolore il malcapitato.

“Voglio sapere dov’è l’essenza di Merlino!” si decise a rivelare con fatica.

A quelle parole, le corde si fermarono.

Tutti i cavalieri trattennero il respiro. Il nome che nessuno pronunciava era stato detto.

“Spiegati meglio” parlò Lenn conciliante.

“Si narra che il Grande Mago sia pietrificato e che, all’interno della statua, vi sia tutta l’essenza magica del mondo” parlò ancora l’uomo.

“E perché la cerchi qui?” domandò ancora Lenn, mentre Gabriel ascoltava attento.

“Hanno supposto che quello che credono il discendente di Artù la custodisca” rispose Gabriel al posto dell’uomo, che annuì con il capo.

“Ed è per questo, che hai usato la Coppa della Vita?” domandò Merlìha dubbiosa.

“Coppa della vita?” domandò perplesso l’uomo.

“Oh, perfetto!” sbottò Kyle.

“Usa un oggetto magico senza neanche sapere il suo nome!” disse, guardando l’uomo con disprezzo.

“Continua” disse Gabriel rivolto all’uomo.

“Si narra che Merlino abbia avuto quattro compagni potentissimi” continuò l’uomo.

“Che giacciono pietrificati accanto a lui”.

“E quindi, speravi di poterti impossessare della loro magia?” domandò Lenn con un sorriso.

L’uomo annuì ancora.

“Come se tu potessi controllarla” parlò Gabriel con sdegno, alzandosi in piedi.

“Chi siete?” domandò l’uomo.

“Siamo gli Antichi” disse Kyle con un sorriso.

“Che significa?”.

“Significa che, purtroppo per te, non ci siamo pietrificati” parlò Kyle con teatralità.

“Anche se, il pallore di Gabriel, in effetti, può trarre in inganno!” continuò, ragionando da solo.

“C-cosa? È impossibile!” tuonò l’uomo.

“Avete fatto un incantesimo per i vostri occhi. A nessun mago moderno diventano d’oro” urlò ancora, non credendo a ciò che era stato rivelato.

“Oh, ma sta un po’ zitto!” rispose Kyle.

“Sei fastidioso” disse, facendolo svenire nuovamente.

“Kyle” sospirò Lenn.

“Andiamo, perché perdere tempo con le chiacchiere? Possiamo leggere nella loro mente dov’è la coppa!” disse con ovvietà.

“Voi siete i Guardiani!” affermò Leon con un sorriso, felice di poter parlare chiaramente.

 “Ebbene sì!” rispose Kyle. “Noi, un tempo, eravamo guardiani. Io, in particolare, era uno dei più potenti!” aggiunse con noncuranza, guardandosi le unghie.

“Anche il più idiota!” ci tenne a precisare Gabriel.

Kyle non gli badò.

“Loro, invece, sono quelli che hanno dato vita alla storia di Camelot, permettendovi di tornare!” disse ancora Kyle, indicando Gabriel, Merlìha e Lenn.

“È pietrificato?” domandò allora Elian, andando dritto al punto ed esprimendo la domanda che vorticava nella testa di tutti loro da quando il mago aveva parlato.

“Se non lo siamo noi, direi proprio di no!” rispose Kyle con ovvietà.

“Ma allora perché l’uomo non vi ha riconosciuto?” domandò Leon.

“La magia è cambiata molto nel corso della storia e sono nate molte leggende su colui che la incarna” spiegò Lenn conciliante.

“C’è chi dice che, colui che è vivo attualmente, sia un suo successore. Chi ci crede i discendenti dei grandi Maghi e così via. Pochi credono all’immortalità e, a noi, sta bene così” concluse.

“Perché?” domandò Lance.

“È molto più semplice questo, che dimostrare a ognuno chi siamo. Il nostro compito è portare avanti tutti gli equilibri del mondo e tenere a bada i maghi, affinché non usino il loro potere per scopi futili” gli spiegò Lenn.

“Per il resto, che i maghi moderni credano a ciò che vogliono!” aggiunse, scrollando le spalle con semplicità.

“Voi dovreste essere delle divinità per loro” parlò Leon.

“E, infatti, lo siamo” confermò Lenn.

“Ma, come hai potuto costatare, pochi ci riconoscono quando ci vedono” spiegò, sorridendo gentile.

“Per il resto, anche se immortali, viviamo come comuni esseri umani” concluse.

“E ora, scusate, ma dobbiamo recuperare prima la coppa!” disse.

“Tanto per cambiare, dobbiamo porre rimedio alla stupidità dei maghi moderni” sbuffò Kyle.

“Perché tutti vogliono il potere, non accontentandosi di vivere in pace?” domandò Merlìha.

“Perché senza il male, non esiste il bene, sorella” le spiegò conciliante Gabriel.

“Bene!” esclamò allegro Kyle.

“Mettiamoci a lavoro!”.
 
Continua…
 
Note:

Bene! Finalmente si ha un confronto con i cattivi.

Inoltre, in questo capitolo approfondisco come la magia sia cambiata e qual è la posizione dei Guardiani nel mondo moderno.

Nomino la coppa della vita, ma altri chiarimenti saranno dati in seguito perché quest’oggetto è uno dei perni della storia.

Ho dato però un piccolo indizio sulla sua importanza quando Lenn parla degli oggetti magici dividendoli in due categorie: quelli che hanno una propria essenza e quelli che sono semplici oggetti.

Più avanti, spiegherò meglio anche perché non reggono l’alcol.
 
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Come sempre, attendo i vostri commenti.

Alla prossima.

Pandora86

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Capitolo 25
*** Capitolo 25. Alleanza ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 

Capitolo 25. Alleanza
 

“Facciamo il punto della situazione” disse Merlìha, rivolta a Lenn.

“Dunque” si alzò in piedi.

“Fino a due mesi fa, tutto era tranquillo!” incominciò Lenn, cercando di riassumere tutto quello che era avvenuto.

“Poi, avvertiamo un potere antico emettere energia intorno al Re e ai suoi cavalieri” continuò, indicando Artù e gli altri.

“Adesso, sappiamo con certezza che si trattava di questo omuncolo che spiava il Re, cercando di capire se fosse la persona giusta!” intervenne Kyle.

“Non proprio lui, ma lui che portava con sé la coppa” lo corresse Lenn.

“Vediamo di capirci qualcosa” disse Merlìha.

“L’uomo trova la coppa, ma non ne capisce la potenza” incominciò, alzandosi in piedi e gesticolando vistosamente.

“Avverte solo un grande potere e la tiene legata a se, giusto?” domandò la ragazza agli altri che annuirono per risposta.

“Nel frattempo, cerca di tendere una trappola ad Artù” parlò ancora Lenn.

“Cercando di capire dove si trova quella che lui ritiene sia la fonte della magia” concluse pacato.

Gli altri, nel frattempo, ascoltavano attenti ciò che veniva rivelato loro, non perdendosi nemmeno una sillaba.

“Ma allora, perché non rivolgersi al Sommo Emrys in persona?” domandò con ovvietà Merlìha.

“Se credeva davvero che fosse pietrificato, perché non rivolgersi al suo discendente, per sapere dove fosse la statua?” chiese ancora.

“Tutti i maghi moderni sanno della sua esistenza, anche se ricamano continue storie su di lui.
Ogni mago moderno può entrare in contatto con lui” concluse la ragazza.

“Perché i suoi intenti erano malvagi, sorella” le chiarì Gabriel.

“Scusa, ma non ti seguo” disse ancora la ragazza scuotendo il capo e facendo ondeggiare i suoi lunghi riccioli.

Gabriel sospirò, rassegnandosi a spiegare l’ovvio.

“Tutti i maghi, le creature e persino gli oggetti fanno capo agli Antichi, cioè il Sommo Emrys, più comunemente conosciuto come Merlino”.

“E noi” ci tenne ad aggiungere Kyle.

“E noi” confermò Gabriel, guardando gli altri e spiegando loro come realmente stavano le cose.

“La magia, attualmente, non è creduta una cosa reale, per volere di Merlino stesso” continuò.

“Questo, permette a ogni mago di vivere in tranquillità. Tuttavia, ogni mago ha delle regole da rispettare.

Una di queste, è non usare la magia contro esseri non magici né utilizzarla per scopi futili.

La magia è una cosa troppo importante per essere usata per copiare un compito in classe e così via. Ogni mago sa che ci sono queste cinque figure che vigilano su queste cose” disse, interrompendosi e lasciando modo agli altri di assimilare le sue parole.

“Tuttavia, in ogni tempo e in ogni luogo, ci sono dei maghi che si credono superiori. Dei maghi che vogliono predominare. Tre di questi li avete appena conosciuti” e indicò i tre uomini svenuti.

“Sì, ma perché non rivolgersi a Merlino stesso?” insistette la ragazza.

“Ragiona, Merlìha!” intervenne Kyle.

“Molti si sono convinti che il capo di tutti loro sia uno dei discendenti del grande Mago” parlò con ovvietà.

“Specifico che, tra l’altro, è Merlino stesso che glielo lascia credere” aggiunse Lenn.

“Anche se un discendente, si tratta comunque di un Mago potente. Un Mago che sanno di non poter ingannare” concluse Gabriel.

“Di sicuro, hanno pensato che il Sommo Emrys non rivelasse loro tanto facilmente l’ubicazione della statua” aggiunse Lenn.

“Quindi, si sono messi alla ricerca del Re, o di quello che credono un discendente del Re, per aggirare il problema” riassunse la ragazza.

“Che stupidi!” parlò ancora.

“Non hanno pensato che Merlino li tiene d’occhio, e sarebbe intervenuto per proteggerli?” domandò poi, con ovvietà.

“Non a caso, ci siamo noi!” concluse, scrollando le spalle.

“Ha sempre saputo dove eravamo” parlò allora Artù a bassa voce.

Gli occhi gli si velarono improvvisamente di tristezza, di fronte a una verità che, in fondo, lui aveva sempre conosciuto.

 “Vi abbiamo visto nascere” rispose pratico Gabriel.

“Perché, allora?” domandò in un sussurro l’Antico Re, rivolto più a se stesso che agli altri.

“Non è il momento per parlare di queste cose!” intervenne Lenn conciliante.

“Se lo volete, tutti voi, sarà lui a darvi spiegazioni a riguardo!” disse.

“Dobbiamo recuperare la coppa!” esclamò Gabriel alzandosi.

Pochi istanti dopo le sue parole, però, squillò un cellulare.

“È il mio!” disse Kyle estraendo il suo telefono dalla giacca.

Vide chi lo stava chiamando e un sorriso comparve sul suo volto.

 “Ciao, Grande Capo!” esclamò allegro guadagnandosi, in questo modo, l’attenzione di tutti i presenti.

Artù lo fissava attento, sentendo il cuore palpitare veloce nel petto.

Intercettando il suo sguardo, Kyle mise il vivavoce facendo però cenno a tutti loro di rimanere zitti.

Artù si ritrovò, a quel punto, a fremere d’impazienza.

Poteva, infatti, esserci solo una persona all’altro capo del telefono.

“Sì, tutto ok” disse Kyle, rispondendo a una domanda precedente.

“Avevi dei dubbi?” chiese sorridendo.

“Stanno tutti bene?” domandò la voce all’altro capo del telefono.

Artù si ritrovò a sorridere come un idiota.

La sua voce!

“Ovvio che stanno tutti bene! Abbiamo combattuto contro tre maghi, ma siamo tutti illesi!” rispose.

“Cosa? C’è stata battaglia?” si preoccupò la voce.

Gabriel, a quelle parole, afferrò il telefono infastidito, strappandolo letteralmente dalle mani dell’altro.

“Non c’è stata nessuna battaglia” specificò, guardando storto Kyle.

“Solo tre nullità che ci hanno minacciato con delle bacchette!” aggiunse, chiarendo come fossero realmente andate le cose.

“La coppa?”domandò ancora la voce.

“Stiamo andando a recuperarla” rispose sicuro Gabriel.

“Come avevamo ipotizzato, anche loro volevano il potere” spiegò pratico.

“Per questo spiavano il Re e i cavalieri!” aggiunse Lenn, avvicinandosi al telefono.

“Capisco!” sospirò la voce.

“Stanno tutti bene, vero?” domandò ancora.

“Non farmi ripetere!” mugugnò Gabriel.

“Non farci caso, capo! Indossa il grembiulino dei camerieri ed è di cattivo umore!” urlò Kyle, sogghignando e portando il suo sguardo al suddetto grembiule.

Gabriel lo fulminò con lo sguardo.

La voce, invece, rise allegramente.

Artù sorrise di rimando, ascoltando il suono della risata dell’altro.

Sentì il suo cuore galoppare veloce nel petto, mentre il corpo veniva invaso da un confortante calore.

Nel suo animo sentì l’alternarsi di tanti sentimenti: amore, affetto, stima, e molti altri, tutti contemporaneamente.

In quel momento, avrebbe dato tutto quello che possedeva, pur di sentirlo ancora ridere.

“Noi andiamo a recuperare la coppa” disse Gabriel, distogliendolo dai suoi pensieri.

Nel sentire quella frase, Artù non potette fare a meno di intristirsi.

Presto, a momenti sicuramente, quella telefonata sarebbe stata conclusa, e lui, invece, ne voleva ancora.

“Tu riposa” sentì dire al Guardiano con tono stranamente apprensivo, e il suo sguardo si fece attento.

“A proposito, cosa ne facciamo delle nullità?” domandò Kyle.

“Kyle!” lo riprese la voce.

“Oh, va bene” non si arrese il biondo.

“Cosa ne facciamo dei tre potentissimi maghi, cui siamo scampati per miracolo?” riformulò la domanda.

La voce rise ancora.

“Non sono feriti, vero?” domandò poi.

 “Certo che no, solo svenuti!” ci tenne a specificare Lenn.

“Lasciateli dormire e portateli con voi! Quando si risveglieranno, farete due chiacchiere con loro, specificando chi siete. In questo modo, passerà loro la voglia di giocare a minacciare le persone” disse con serietà.

“In pratica, dobbiamo spaventarli” rispose Kyle ghignando.

“Preferisco dire che dovete metterli a conoscenza della realtà dei fatti. Non è necessario incutere loro paura o minacciarli, quando possiamo ottenere lo stesso risultato dialogando in modo pacato”.

“Oh, Sommo Emrys, mi inchino di fronte alla vostra saggezza” lo sfotté Kyle.

Merlino rise ancora.

“Piuttosto, non sento Merlìha” disse dopo alcuni istanti.

“È troppo occupata a giocare con una delle due bacchette. La terza, Gabriel l’ha spezzata” intervenne Lenn.

“Capisco. Prima di lasciarli andare, ricomponila e restituiscila” disse ancora.

“Perché mai?” intervenne Kyle.

“Non è giusto privarlo del suo strumento magico. Sono sicuro che, da oggi in poi, utilizzerà la
sua magia con più criterio”
rispose.

“Va bene, noi andiamo” intervenne Gabriel.

“Tu riposati, ti teniamo aggiornato” e attaccò.
 
“Avrei un’idea!” disse Kyle a quel punto, mentre Gabriel gli restituiva il cellulare.

“Facciamo rinvenire gli uomini adesso e poi andiamo a recuperare la coppa!” esclamò, incrociando le braccia.

“Ha ragione!” confermò Lenn guardando Gabriel.

“Possiamo sfruttare la saletta privata. È un problema per voi?” domandò poi, rivolto ai cavalieri.

“Nessun problema” affermò serio Artù.

In realtà, voleva rimanere a contatto con loro il più a lungo possibile.

Inoltre, dentro di se, moriva dalla voglia di conoscere le reazioni dei tre maghi quando avrebbero finalmente capito chi avevano di fronte.

Non gli erano piaciuti i loro intenti, così come i loro atteggiamenti.

Anche loro volevano il potere… il Suo potere!

E su questo, Artù, non poteva proprio passarci sopra.

Erano solo tre inutili babbei che, spiando lui, avevano fatto le carte per la loro rovina.

Però, doveva ammettere come, quello che un tempo era stato il suo servitore, fosse accresciuto in saggezza.

Lui, in qualità di Re, non avrebbe perdonato un torto simile. Certo, non li avrebbe messi a morte, in fondo, credeva di essere sempre stato un reggente magnanimo.

Però, di certo non avrebbe adoperato la premura che Lui aveva manifestato.

Non si sarebbe preoccupato di non spaventare gli uomini.

Non si sarebbe preoccupato di restituire a uno di essi il suo strumento magico, così come Lui l’aveva chiamato.

No! Non avrebbe fatto niente di tutto ciò e, in quel momento, si sentì piccolo, riuscendo a capire ancora di più le parole che Kyle gli aveva rivolto a inizio settimana.

Perché lui, Artù, era piccolo di fronte alla potenza e alla saggezza dell’uomo che cercava.

Tuttavia, non aveva intenzione di tirarsi indietro.

Aveva sempre appreso velocemente e sapeva, anche questa volta, di poter imparare a prendersi cura di Lui con il tempo. Soprattutto, avrebbe imparato a rispettarlo.

Non solo come uomo, ma come quello che rappresentava.

Perché lo amava. E non si sarebbe tirato indietro. Mai!

 “Anzi, vi ringrazio, a nome di tutti, per averci salvato”si sentì in dovere di aggiungere, dopo alcuni istanti di riflessione, curioso di vedere le prossime mosse dei Guardiani.

Gabriel annuì con il capo e liquidò la faccenda con un cenno della mano, come a dire che erano cose di secondaria importanza.

“Va bene, indossiamo i nostri abiti!” confermò Lenn.

Poco istanti dopo, tutti videro dei mantelli comparire.

Due neri, uno rosso e uno bianco.

Inoltre, sulle mani di ognuno di loro comparve una pietra.

“Da oggi in poi” spiegò Lenn indicandosi la mano, “questa pietra sarà visibile anche per voi!” esclamò con semplicità e Artù aveva annuì di rimando.

“Possiamo fare qualcosa per aiutarvi?”si sentì in dovere di dire.

“Nulla!” rispose Lenn. “Anche osservare e ascoltare, talvolta, può essere utile!”.

Artù, a quelle parole, sorrise; sapeva che Lenn avrebbe risposto così.

Si accomodò su una sedia, pronto a gustarsi appieno le novità.

“Facciamo risvegliare gli uomini ma teniamoli legati. Non ho voglia di rincorrerli per tutto il locale!” disse Kyle con tono annoiato.

Gwaine lo osservò e, per la prima volta in vita sua, probabilmente, non sapeva cosa dire né come rapportarsi con qualcuno.

Troppe erano le cose nuove, grande era stato lo shock provato nel sapere che il ragazzo che gli piaceva, tanto ragazzo non era.

Eppure, nonostante provasse uno strano senso di smarrimento, i sentimenti che provava per
Kyle, l’attrazione che sentiva verso di lui, sembravano aumentati a dismisura.

Di una cosa, infatti, era certo: quando non sapeva chi l’altro fosse, se ne sentiva attratto.

Ora, che conosceva la sua identità, quest’attrazione era diventata più grande, crescendo a dismisura in pochi istanti.

Trovava, infatti, impossibile staccare il suo sguardo da lui.

Voleva conoscerlo sempre più e assaporare tutte le nuove espressioni che aveva visto comparire sul volto di Kyle.

Ne voleva di più, sempre di più.

“I mantelli sono un po’ i nostri abiti tradizionali”.

La voce di Lenn lo distolse dai suoi pensieri.

“Servono a ricordarci chi siamo. Molti maghi moderni approvano questa tradizione, anche se questa è soprattutto una caratteristica di chi ha vissuto nel Medioevo!”.

“Ci sono altri Antichi, quindi?” domandò Artù.
Lenn sorrise.

“Domanda molto pertinente!” approvò.

“E anche arguta” e fece l’occhiolino.

“Alcuni, sì” rispose poi.

“Anche se nessuno, attualmente, è come noi” chiarì, sapendo di non aver bisogno di specificare quali fossero le persone che facevano parte del ‘noi’.

Le risate dei tre uomini li fecero voltare.

“È carnevale?” domandò uno di loro, continuando a ridere.

La sua risata però cesso, quando Gabriel gli mostrò, con un ghigno, i resti della sua bacchetta.

I suoi occhi poi divennero d’oro e, immediatamente, questa si ricompose.

“N-non è possibile” balbettò l’uomo.

“Le bacchette non si spezzano e ricompongono così facilmente!”disse quello alla sua destra.

“Chi siete realmente?”domandò quello a sinistra.

“Il più giovane di noi” rispose Lenn conciliante, “quello che voi comunemente chiamate Merlino, ha mille anni”.

“Mille e tredici per l’esattezza, essendo nato nell’anno mille”specificò Gabriel.

Gli uomini sgranarono gli occhi.

“Voi, invece, quanti anni avete?” non riuscì a trattenersi Gwaine.

Kyle lo guardò con un sorriso bonario.

“Non abbiamo una sola età, considerato il cambiamento dei nostri corpi e quello che eravamo” rispose, stranamente amichevole nei confronti del cavaliere.

“Tuttavia, suppongo dovremmo dichiarare la nostra effettiva età come esseri umani” intervenne Lenn.

“Quindi, quanti anni abbiamo per l’esattezza?” domandò Kyle, guardando i cavalieri.

“Odio non festeggiare il mio compleanno!”si imbronciò.

“Ma se lo festeggi ogni anno!” intervenne Merlìha.

“Sì, ma non so quanti anni ho! Perché non fai i calcoli, Gabrielino?” le rispose Kyle.

Gwaine capì il perché di quel piccolo teatrino, così come lo capirono anche gli altri.

Dubitavano, infatti, che Kyle non sapesse quanti anni aveva.

Però, forse, era il suo modo per tendere loro una mano, facendo spiegare tutto a Gabriel, in modo che loro potessero capire.

Capire chi fossero e accettarli di conseguenza.

In effetti, da quando era cominciata la serata e Kyle aveva deciso di essere se stesso, quello era il primo gesto amichevole nei loro confronti.

Non che li avesse insultati, anzi.

Semplicemente, i cavalieri e il Re, fino a quel momento, non avevano fatto altro che conoscere la sua arroganza e il suo disprezzo verso la stupidità, dovendo Kyle trattare con dei maghi moderni.

Anche durante le varie spiegazioni che c’erano state quella sera, da parte degli altri tre, non aveva fatto eccezione.

Era stato arrogante, ironico, aggressivo e, talvolta, anche spaventoso.

Ma mai amichevole.

Gwaine stava finalmente cominciando a capire cosa significassero realmente le parole della Dama, quando parlava loro di carattere ambiguo e complesso.

 “In effetti, sono curioso anch’io!”.

La voce di Lenn lo distolse dalle sue riflessioni.

Gabriel sospirò pesantemente, massaggiandosi gli occhi.

“Quando Merlino è nato, Merlìha aveva vent’anni, io venticinque e Lenn ventisei” rispose pratico.

“Ed io centocinquanta” aggiunse Kyle ghignando.

“E tu centocinquanta” ripeté Gabriel, con lo stesso tono di chi si appresta a esalare l’ultimo respiro.

“Ma un anno dei Guardiani non corrisponde a un anno umano” intervenne Merlìha cominciando a perdersi.

“È l’unico modo per calcolare gli anni” sbottò Gabriel, non amando essere contraddetto.

“Perché mai?” domandò di rimando la sorella.

“Vedi, Merlìha” intervenne Lenn, “credo che Gabriel voglia dire che non esiste un’approssimazione esatta, dato che ogni tempo ha uno scorrimento diverso.

Persino Camelot ha rallentato o accelerato diverse volte il suo tempo rispetto a quello dei Guardiani, in base alle esigenze del momento!” spiegò.

“Quindi, dobbiamo calcolare i nostri anni nel tempo dei guardiani e poi aggiungere quelli come esseri umani” tirò le somme Kyle.

“Ma così sono vecchissimo!” urlò dopo qualche istante, rendendosi conto della cifra che aveva ricavato dal calcolo.

“Avevo centocinquanta anni quando Merlino è nato!” iniziò a fare il calcolo.

“Quando ne aveva ventisette, io ne avevo ancora centocinquanta avendo adottato Camelot l’approssimazione temporale anno - giorno” continuò a ragionare.

“Però voi, essendo rimasti a Camelot qualche anno ed essendovi adattati al tempo in questione, avevate rispettivamente ventidue, ventisette e ventotto anni. Io, invece, essendo rimasto nel mio tempo, ne avevo sempre centocinquanta” e incrociò le mani sotto il mento.

“State quindi dicendo che ho 1179 anni?” domandò allucinato.

“Ed io 1056” aggiunse Gabriel annoiato.

“Mentre Merlìha e Lenn, rispettivamente, 1051 e 1057” concluse.

“Però, li portiamo con classe” sogghignò Kyle, facendo ondeggiare i suoi ciuffi ed esibendo il suo migliore sorriso.

I tre uomini, intanto, ascoltavano basiti, rendendosi finalmente conto di chi fossero le persone che gli stavano davanti.

“Noi siamo gli Antichi! Non siamo pietrificati, né lo è Merlino” riprese a parlare Gabriel con serietà, stavolta rivolto ai tre maghi.

“Siamo immortali e interveniamo laddove ci sia un abuso da parte dei maghi” concluse, fissandoli con un cipiglio scuro.

“Un abuso grave!” specificò Lenn serio.

“Molti, infatti, usano la magia per piccole cose quotidiane, soprattutto i più giovani, ma noi
lasciamo perdere” spiegò.

“In questo caso, siete rei di una colpa più grande, avendo minacciato il Re di Camelot in persona” sogghignò Kyle.

“Tuttavia, nella nostra magnanimità, vi lasciamo andare” concluse beffardo, liberando gli uomini.

I tre non se lo fecero ripetere e scapparono via.

“Che esseri inutili” li sbeffeggiò Kyle osservando la loro fuga.

“Non sarà un problema per voi, aver detto loro chi siete?” domandò curioso Elian.

“Assolutamente no! Noi non nascondiamo quello che siamo solo, talvolta lo, omettiamo”rispose Lenn pacato.

“Tanto, come tutte le volte, nessuno crederà a quello che diranno i tre uomini. Sicuramente, si convinceranno di aver incontrato i discendenti degli antichi, ma non gli Antichi in persona!” sbuffò Kyle.

“Bene” esclamò, facendo ondeggiare il mantello.

“Direi che possiamo togliere le tende” aggiunse, guardando la sala.

Un battito di ciglia, e tutto nella saletta ritornò al proprio posto.

“Continuate la vostra serata come se nulla fosse. Il resto del locale non si è accorto di nulla” li salutò Kyle facendo l’occhiolino.

“Aspettate!” disse allora Artù.

“Potete riferirgli un messaggio?” chiese, con sguardo implorante.

Gabriel annuì con il capo.

“Grazie!” disse solamente l’antico Re.

“Grazie per aver vigilato su di noi, ancora una volta!” aggiunse, accorato.

 “Vi vedremo ancora, vero?” domandò Perce speranzoso, non riuscendo a trattenersi, mentre il suo sguardo era rivolto a Gabriel.

“Se lo volete, ci vedrete ancora!” esclamò Lenn con un sorriso.

“Vi aspetto in ufficio, allora” rispose Artù, tendendo la mano.

“Ci vediamo in ufficio” confermò Lenn, stringendola.

Nessuno dei presenti poteva saperlo ma un’alleanza, antica come il mondo, era appena stata sigillata.
 

Continua…
 

Note:
 

Come avrete capito, in questo capitolo specifico come i Guardiani calcolano gli anni. Più avanti, spiegherò meglio il loro concetto di tempo.

Ho comunque già specificato che il loro scorrimento temporale è diverso dal nostro e per calcolarlo deve esistere un’approssimazione.

Di sotto, è riportato uno schema per farvi capire come ho determinato le loro età.

Nei capitoli scorsi, ho approssimato tutto all’anno mille. In realtà, nascendo Merlino esattamente in quell’anno, Morgana e Artù, che sono più grandi, nascono prima.

Nascita di Merlino: anno 1000
Nascita di Artù: anno 999
Nascita di Morgana: anno 998
Nascita di Mordred: anno 1010
Grande Epurazione: anno 999
 
Approssimazione Tempo Guardiani – Tempo Camelot: Un giorno – Un anno
 
Anno Mille:

Nascita di Merlino
Età di Gabriel: 25 anni
Età di Lenn: 26 anni
Età di Merlìha: 20 anni
Età di Kyle: 150 anni
 
 
Anno 1010:

Nascita di Mordred
Età di Merlino: 10 anni
Età di Gabriel: 25 anni
Età di Lenn: 26 anni
Età di Merlìha: 20 anni
Età di Kyle: 150 anni
 
 
Anno 1020:

Arrivo di Merlino a Camelot
Età di Gabriel: 25 anni.
Età di Lenn:26 anni
Età di Merlìha: 20 anni
Età di Kyle: 150 anni
Età di Merlino: 20 anni
Età di Artù: 21 anni.
Età di Morgana: 22 anni
Età di Mordred: 10 anni
 
Anno 1026 – Morte di Artù( 27 anni).

Età di Merlino: 26 anni
Età di Ginevra: 27 anni (Per Ginevra ho scelto la stessa età di Artù).
Età di Gabriel: 27 anni
Età di Lenn: 28 anni
Età di Merlìha: 22 anni

(I Guardiani sono rimasti un totale di due anni a Camelot, fra interventi e osservazioni. Due anni non consecutivi, però)

Età di Kyle: 150 anni (Kyle è sempre rimasto a palazzo, o comunque non rimane in un tempo abbastanza a lungo da cambiare la sua età. Quindi, quando i tre Guardiani finiscono la loro missione hanno due anni in meno di differenza rispetto a Kyle ).
 

Anno 1026: Kyle sceglie i nuovi Guardiani dopo la morte di Artù e, per favorire i suoi piani, cambia l’approssimazione temporale.

Approssimazione Tempo Guardiani – Tempo Camelot:  1 anno – 4 anni (o, se preferite, una settimana/un mese)

Passano 40 anni nel tempo di Camelot, mentre per i Guardiani passano 10 anni.

Anno 1066 – Morte di Ginevra.

Ginevra: 67 anni.
Merlino: 66 anni.
Kyle: 160 anni.
Gabriel: 37 anni.
Lenn: 38 anni.
Merlìha: 32 anni.
 
In un capitolo, spiego i piani di Kyle, dove dice che i tre Guardiani devono diventare potenti almeno per il loro centesimo compleanno.

Con la morte di Ginevra, occorrono nuovi Guardiani e Kyle ne manda altri, consigliando una nuova approssimazione temporale.

Nuova approssimazione dall’anno 1066: Tempo Guardiani 4 anni – Tempo Camelot 1 anno.

Arriviamo all’anno 1090 dove nel tempo umano sono passati 24 anni mentre nel tempo dei guardiani 96.

Merlino: 90 anni.
Kyle: 256 anni.
Gabriel: 133 anni.
Lenn: 134 anni.
Merlìha: 128 anni.

I Guardiani sono diventati sufficientemente grandi: possono diventare umani.

Anno 1090 – anno in cui i Guardiani diventano umani.

Di conseguenza, ora basta calcolare gli anni con un unico scorrimento: quello umano!

Passano 923 anni e arriviamo nel 2013.

Merlino: 1113 anni.
Kyle: 1179 anni.
Gabriel: 1056 anni.
Lenn: 1057 anni.
Merlìha: 1051 anni.
 
Questo è il calcolo che ho fatto per arrivare alle loro età.
Forse, mi sono dilungata troppo, ma ho pensato fosse carino condividerlo con voi!
Adesso, vi saluto, aspettando, come sempre, i vostri pareri.
Grazie a chi è giunto fin qui.
Pandora86

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Capitolo 26
*** Capitolo 26. Incontro ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 26. Incontro
 
Dopo la stretta di mano con Artù, i Guardiani andarono via.

I cavalieri e il Re si guardarono per un lungo istante, prima di sedersi nuovamente e riprendere la serata da dove era stata interrotta.

Un po’ per non attirare l’attenzione (se qualche cameriere fosse, infatti, entrato, avrebbe trovato un po’ strano vederli tutti in piedi, con delle facce quasi sicuramente allucinate), un po’ per fare il punto della situazione.

Dopo alcuni istanti, arrivarono anche le ordinazioni (e tutti notarono come mancassero quelle di Kyle, Merlìha e Lenn), anche se il cameriere era un altro.

“Incredibile!” sbuffò Gwaine, non appena il nuovo cameriere si fu allontanato.

“Ancora una volta, è un passo avanti a noi!”esclamò, incrociando le braccia.

“Io ve l’avevo detto!” fu la risposta di Lance.

“Ehi, ci sei?” domandò Gwaine a Perce, passandogli una mano davanti agli occhi.

“Il cameriere, alias Antico, è andato via da un po’” lo prese in giro.

Perce arrossì leggermente ma non rispose.

Artù ascoltò le chiacchiere di tutti loro, sorridendo sereno.

“E così, grande capo, tu sapevi chi erano” lo accusò Gwaine.

“L’ho saputo soltanto mercoledì” confermò Artù.

“E Gabriel mi ha consigliato” e marcò la parola, “di non dire nulla” concluse.

“Infatti, ci avevano accennato che per questo sabato si sarebbero svelati” aggiunse Lance.

Gwaine sbuffò ma non disse nulla.

“Quindi, Lui ha sempre saputo dove eravamo” intervenne Elian.

“Lo dimostra il fatto che ha fatto assumere gli Antichi nella compagnia per…” e si interruppe, cercando le parole adatte.

“Per proteggerci tutti” andò in suo soccorso Ginevra.

“Sì” confermò il fratello, “ma non era questo che volevo dire. Com’è che hanno detto? Fonte di energia magica?” domandò rivolto a Lance, che annuì di rimando.

“Hanno anche nominato la Coppa della Vita” intervenne Leon. “Dite che dobbiamo preoccuparci?” domandò pensieroso.

“Direi proprio di no!” parlò Artù, intervenendo solo allora nel discorso, sorridendo e sentendosi, per la prima volta dopo anni, in pace con il mondo e senza pensieri.

Qualcuno aveva pensato a tutto.

Qualcuno era intervenuto, ancora una volta, al momento giusto.

“A questo punto, presto sapremo anche perché siamo tornati!” disse ancora Leon e Artù annuì con il capo.

“Non ho mica capito poi, perché sono astemi! Tu ne sai qualcosa?” domandò Gwaine a Lance.
Questi scrollò le spalle.

“Ne so quanto te. A Camelot, Lui beveva tranquillamente cose alcoliche”.

Artù allargò il sorriso, al pensiero di tutte le volte che lo aveva creduto alla taverna.

Chissà, invece, quante volte aveva rischiato la vita.

A quel punto, si alzò con sguardo serio prendendo la sua birra.

Gli altri lo guardarono incuriositi.

“A Merlino” disse Artù sollevando il bicchiere e pronunciando, per la prima volta in quella vita, il suo nome.

“A Merlino” dissero gli altri alzandosi e imitando il Re, pronunciando anche loro il suo nome per la prima volta.

Perché, in quella vita, per tacito accordo di tutti, quello era un nome che poteva pronunciare soltanto il Re.

Assoluto rispetto della persona che si sarebbero trovati davanti in quel secolo, questo stava a significare quella particolare richiesta del Re.

E i Cavalieri avevano acconsentito senza fiatare.

“Al Sommo Emrys!” aggiunse poi Artù, chiamando finalmente l’altro con il titolo che gli spettava, anche se con mille anni di ritardo.

“Al Sommo Emrys” ripeterono gli altri.

Poi, la serata si concluse e ognuno si era avviò in silenzio verso la propria casa, sentendo il bisogno di analizzare, in privato, tutte le novità che c’erano state e, in questo modo, assimilare quanto fosse successo.

Perché, quella sera, le vite di tutti loro erano cambiate.

Finalmente, erano ritornati, tutti quanti.

E ora, alle due di notte passate, Artù continuava a rigirarsi nel letto.

Il sonno sembrava proprio non voler arrivare.

Ma forse, era Artù a essere troppo eccitato per dormire.

Continuava a far vagare lo sguardo da un punto all’altro della stanza, con il cuore in subbuglio e il corpo in agitazione per le novità che c’erano state.

Frenetici erano i suoi pensieri e dubitava di riuscire a tenere fermo il suo corpo anche solo per cinque minuti.

Quella sera, era entrato in contatto con i suoi compagni.

Quella sera, aveva sentito la sua voce.

Il cuore palpitava, mentre andava con la mente alle ore precedenti e ricordava il suono della sua risata, udito appena poche ore prima.

Cristallina e pura.

Un suono unico nel suo genere.

La sua voce… tranquilla e pacata, ma anche ferma e decisa.

“Al Sommo Emrys” ripeté Artù sottovoce, nell’oscurità della sua stanza, ripensando al brindisi che avevano fatto in suo onore.

Chissà se era cambiato, pensò con un sorriso.

Anzi, si corresse poi, chissà quanto era cambiato.

Presto, l’avrebbe rivisto.

A quel pensiero, un sorriso (l’ennesimo, in quella sera) comparve sul volto.

Due occhi azzurri.

Capelli corvini e carnagione pallida.

Due orecchie improbabili e un viso esile e delicato.

Questo fu il volto che accompagnò Artù nel sonno.

Un sonno sereno e carico d’attesa.
 

***
 

Perce si alzò di scatto, guardando l’ora: la sveglia digitale, sul comodino, segnava le due e trenta.

Si avviò in cucina, conscio del fatto che, quella notte, non sarebbe riuscito a chiudere occhio.

Merlino…

Avevano sentito tutti la sua voce, quella sera.

Tutti l’avevano sentita e aveva avuto lo stesso effetto di una doccia gelata.

Perché l’avevano cercato per innumerevoli anni e all’improvviso, con un avvenimento del tutto casuale, ecco che ascoltavano la sua voce.

Spesso, negli anni, si era domandato dove fosse.

Spesso, negli anni, si era domandato cosa facesse, sperando che stesse bene.

E ora, eccolo che compariva all’improvviso, scuotendoli tutti, senza preavviso.

E, quella sera, dopo tanto tempo, si sentiva bene, perché sapeva che finalmente, tutto si stava incastrando alla perfezione.

Dopo tanto tempo, Perce aveva visto Artù ridere e scherzare con loro.

Dopo tanto tempo, l’aveva visto in pace con se stesso.

E lui, invece?

Gabriel.

Ecco quel nome comparire nella sua mente.

Ecco il suo volto prendere forma nei suoi ricordi.

Si guardò istintivamente la spalla dove lui l’aveva sfiorato; se si concentrava, poteva ancora sentire quel calore comparire.

In fondo, aveva sempre saputo dentro di sé che fosse speciale.

Solo… non credeva così speciale.

Un mago potentissimo... un Guardiano… un Antico!

Ma d’altro canto, quello che un tempo chiamavano Merlino, non poteva che avere accanto persone eccezionali almeno quanto lui.

Persone carismatiche, persone influenti. Persone potenti.

Ed ecco che compariva, nella sua testa, la domanda di pochi istanti prima: e lui, invece?

La Dama del Lago aveva parlato loro del Mondo dei Guardiani, preparandoli a quello che sarebbe avvenuto una volta che il loro ritorno fosse giunto a compimento.

Aveva parlato loro del Guardiano che era diventato suo padre, colui che le aveva ridato la vita.

Aveva parlato loro di come i Guardiani avessero sfidato il loro mondo, per accompagnare Merlino nell’eternità.

Aveva anche parlato loro di anime e facce della medaglia: anime magiche con delle metà non magiche.

Anime che si sarebbero riunite per portare nuovamente l’equilibrio nel mondo.

Su quel discorso, in realtà, era sempre stata molto vaga però, tutti loro, avevano sempre saputo che, una volta tornati, avrebbero avuto uno scopo.

Uno scopo importante.

Uno scopo fondamentale.

Perce non sapeva ancora quale fosse ma non gli importava. Ora, tutte le carte erano scoperte.

Ora, ognuno era se stesso.

E Perce avrebbe seguito il suo scopo, mettendosi a servizio di coloro che portavano avanti il mondo.

Anche Artù avrebbe fatto lo stesso, Perce e tutti gli altri glielo avevano letto in viso.

Sapevano che Artù avrebbe seguito Merlino ovunque, costasse quello che costasse.

E lui avrebbe fatto lo stesso.

Anche lui avrebbe seguito quello che un tempo conosceva come Merlino.

Colui che adesso recava il nome di Sommo Emrys.

Un nome che significava tante cose, racchiuse in una sola persona: libertà, giustizia, pace, uguaglianza.

Sì, anche lui si sarebbe messo a servizio di questa persona eccezionale.

Inoltre, anche se non avesse conosciuto Merlino nell’altra vita, sapeva che non avrebbe potuto fare a meno di seguire lui: il Guardiano.

Gabriel.

Sorrise.

Finalmente, aveva l’occasione di stare a contatto con lui e, contemporaneamente, servire colui che rappresentava il Bene.

Perché non era più Perce: era Sir Parsifal.
 

***

Gwaine decise di concedersi uno spuntino notturno.

Tutte quelle novità non avevano fatto altro che aumentare il suo appetito.

Non sapendo come impiegare il tempo, visto che il sonno non arrivava, aveva deciso di riversarsi nel frigorifero.

Kyle.

E così, il novellino era un Antico.

Un Guardiano.

Il Guardiano potente che voleva entrare nella storia.

La Dama del Lago non aveva mai fatto i loro nomi, ma li aveva sempre descritti con cura.

Una volta saputo chi fossero, non era stato difficile abbinare il nome a un volto.

Kyle era stato quello che aveva avuto l’idea di entrare nel mondo mortale, diventando un essere umano.

Era stato facile riconoscerli, quando loro avevano mostrato le pietre che indossavano.

La Dama del Lago, infatti, aveva parlato delle loro pietre come simbolo di riconoscimento.

Merlino, se non andava errato, avrebbe dovuto indossare un diamante nero.

Ora tutto tornava.

Kyle.

Aveva sempre saputo che era una persona eccezionale, solo… non credeva fino a quel punto.

E lui, invece, che ruolo aveva?

Poche erano le speranze di rientrare negli interessi di Kyle, considerando chi fosse e cosa rappresentasse.

Eppure… una flebile speranza non accennava a spegnarsi dentro di lui.

Inoltre, finalmente era venuto il momento di conoscere lo scopo del suo ritorno.

Suo e quello di tutto gli altri.

Un tempo era stato Sir Galvano.

Ora era Gwaine.

Quella sera, sentiva di essere nuovamente il cavaliere della sua vita precedente.

Avrebbe tenuto fede al giuramento fatto mille anni prima.

Perché lui era stato Sir Galvano.

Inoltre, prima di essere cavaliere, era diventato amico del buffo servitore di Artù.

Poi, quel buffo servitore era diventato il suo migliore amico: il suo primo amico!

Ed era per questo che poi aveva deciso di diventare cavaliere; perché Gwaine sapeva che, in quella vita, ogni volta che Merlino lo aveva chiamato, non era riuscito a fare a meno di aiutarlo.

Di conseguenza, si era poi messo al servizio di colui che Merlino serviva e che sembrava stimare più di ogni altro.

Sì, le cose erano andate così.

Era stato Merlino a volere che lui diventasse cavaliere, e lui aveva acconsentito perché non era riuscito a resistere al suo richiamo.

Certo, la prima volta che si erano incontrati, poi era andato via.

Però, quando Merlino gli aveva fatto recapitare un messaggio, in cui gli chiedeva il suo aiuto, non si era tirato indietro.

E ora avrebbe fatto lo stesso.

Perché lui era stato sir Galvano.

Perché lui era Sir Galvano.
 

***
 

Artù sentì uno strano calore infondersi lungo il suo corpo.

Qualcuno stava sfiorando la sua guancia.

Sorrise e, ancora a occhi chiusi, avvicinò il volto a quella mano, desiderando che non fossero solo le dita a sfiorarlo.

Aprì lentamente gli occhi sotto il tocco di quella mano.

Sbatté più volte le palpebre, notando con disappunto che quella mano non lo stava più
toccando.

La cercò con lo sguardo, e vide che era rimasta a mezz’aria.

Esile e delicata.

Dita eleganti e affusolate.

Carnagione bianchissima.

Si poggiò sui gomiti cercando, con la guancia, di avvicinarsi a quella mano che, nel frattempo, si era allontanata dopo i suoi movimenti, mantenendo così le distanze.

Lentamente, sentì il sonno svanire, mentre gli occhi perdevano ogni traccia di sonnolenza.

Continuò a osservare quella mano, scorgendo pian piano la figura cui apparteneva.

Polso esile, coperto a metà braccio da una camicia nera, arrotolata fino al gomito.

Continuò a seguire, con lo sguardo, quella traccia, arrivando fino alla spalla.

Collo lungo, lasciato scoperto.

Il suo sguardo continuò a salire, sempre più lentamente.

Lineamenti delicati e bocca carnosa.

Due occhi azzurri come il cielo.

Capelli di un nero corvino, portati più lunghi, che coprivano quelle che lui sapeva essere due improbabili orecchie.

Sgranò gli occhi.

“Tu!” sussurrò sotto voce, temendo che fosse l’ennesimo sogno.

Eppure, qualcosa gli diceva che non era così.

Mai, nei suoi sogni, il protagonista indossava un mantello di velluto nero.

Mai, nei suoi sogni, aveva un aspetto così regale e, al contempo, così sbarazzino.

Di solito, lo sognava in abiti medievali anche se, qualche volta, il protagonista dei suoi sogni
aveva indossato svariati look moderni, quasi come se la sua mente avesse giocato a fare la
stilista durante il sonno, non sapendo come sarebbe apparso realmente ai suoi occhi.

“Tu!” ripeté, certo che quello non fosse un sogno.

Vide la mano ritrarsi e lui fu lesto ad afferrarla.

Non fece in tempo.

La mano era stata portata al petto, quasi come se il suo possessore avesse temuto di scottarsi.

Quel calore… perché glielo negava?

Perché Lui si era ritratto?

“Shh” sussurrò la persona di fronte a lui, portandosi l’indice alle labbra.

Artù deglutì di rimando, osservandolo meglio.

Quando era stata accesa la luce nella stanza?

Poi guardò il lampadario, notando che era tutto spento.

Era Lui che faceva luce.

Lo osservò non sapendo che dire, mentre sentiva il suo cuore battere all’impazzata.

Quanto era cambiato in tutti quegli anni?

Artù aveva sempre saputo che non sarebbe stato più lo stesso.

Dopo quella sera, aveva avuto conferma che finalmente era riconosciuto con il ruolo che gli spettava.

Eppure, qualcosa del suo vecchio io c’era ancora.

Tuttavia, Artù poteva leggere un’infinita saggezza in quegli occhi.

Poteva leggere la storia di un uomo che, finalmente, sa chi è.

Lo vide sorridere, e sorrise di rimando.

Vide che estraeva qualcosa dalla tasca: un anello, con quella che sembrava una pietra bianca incastonata.

Lui lo poggiò sul comodino lentamente, non smettendo mai di guardarlo.

Continuò a fissarlo, non interrompendo mai il contatto visivo.

Artù osservò la mano che prima si era ritratta.

La voleva.

Voleva quel calore.

Fu con i riflessi del cavaliere che era in lui che agì, andando ad afferrare quelle dita e stringendole a sé.

Gelida.

Quella mano era gelida.

Ma non gelida come la mano di una persona che ha le mani fredde.

Ghiaccio.

Quella mano sembrava fatta di ghiaccio.

Anche il volto di colui che, in fondo, aveva sempre amato, sembrava più pallido rispetto alle sue memorie.

Eppure, nonostante la temperatura, riecco che compariva il calore.

Artù continuò a stringere quella mano, osservando gli occhi dell’altro sgranarsi.

Perché?

Perché non sembrava contento di quel contatto?

Strinse ancora di più, quando sentì che la mano cercava di ritrarsi.

Non l’avrebbe lasciata perché aveva il sospetto che se lo avesse fatto, sarebbe andato via anche lui.

E Artù non voleva.

Con un gesto secco, lui ritrasse la mano.

“Custodiscilo bene!” disse con voce profonda, facendo scomparire entrambe le mani sotto il mantello.

“Non andare via!” ritrovò finalmente la voce Artù.

“Dormi!” rispose Merlino sorridendo.

“No!” si ostinò Artù.

“Dormi!” disse con voce dolce, e Artù vide i suoi occhi tingersi d’oro.

“Non andare via!” lo implorò, sentendo le palpebre farsi pesanti.

“Non andare via!” ripete ancora, prima di cadere in un sonno profondo.

L’uomo lo guardò per un istante, prima di volgere le spalle e andarsene.

Era giusto così.

Eppure… era calore quello che aveva riscaldato le sue antiche membra?

Era calore quello che aveva provato la sua mano millenaria?

Forse sì… o forse no!

In ogni caso, era giusto che le cose andassero così.

Aveva fatto il suo dovere e consegnato l’anello.

Oramai, il tempo del Re era finito.

Questo era il suo pensiero.

Non poteva sapere però, quanto quel pensiero fosse lontano da quella che era la realtà.
 

***
 

Artù si svegliò di soprassalto, scalciando via le coperte.

Lo sguardo vagò ansioso per la stanza, alla ricerca di qualcuno.

Si precipitò fuori dalla camera da letto e percorse tutte le stanze del suo appartamento.

Nessuno!

Non c’era nessuno!

Sfogò la frustrazione con un pugno sul muro, pentendosi immediatamente dopo del suo gesto.

Doveva stare calmo e pensare!

Pensare.

Siete anche in grado di farlo, Sire?

La voce dei ricordi, nella sua mente, lo fece sorridere.

Rientrò nella stanza, guardando il comodino.

La sveglia segnava le 7.40.

Accanto a essa, c’era l’anello che Lui gli aveva lasciato.

Custodiscilo bene!

Erano state queste le sue parole.

Si avvicinò, sedendosi sul letto.

C’era qualcosa che non andava.

Non era così che si era immaginato il loro primo incontro in quella vita.

C’era qualcosa che non andava.

Perché Merlino aveva reagito in quel modo?

Non aveva neanche trovato il coraggio di chiamarlo per nome.

Merlino gli aveva dato il tu (visto il secolo, era anche ovvio!) eppure, c’era più distacco in quella
forma colloquiale, che quando in tempi lontani gli dava del voi.

Artù invece sapeva che, in parte, il suo silenzio era lecito.

Come avrebbe dovuto chiamarlo adesso?

Merlino? Sommo Emrys? Oppure, aveva un altro nome, che più si adattava in quegli anni?

Come comportarsi con Lui, ora che sembrava avere un ruolo fondamentale per il resto del mondo e sembrava avere dei compagni potenti, molto più adatti a stargli accanto?

Poteva realmente approcciarsi a Lui, come facevano ai tempi di Camelot?

Artù non lo sapeva.

Però, non si era mai preoccupato di questo.

L’importante, in quella vita, era ritrovarlo; il resto sarebbe venuto da se.

Aveva pensato milioni di volte al loro incontro, e mai una volta era stata uguale all’altra.

A volte, ipotizzava che si sarebbero salutati come due amici di vecchia data, con delle amichevoli pacche sulle spalle.

In altre, invece, i saluti erano più commossi e affettuosi.

In altre ancora (quando era particolarmente di cattivo umore) c’era Merlino che gli diceva che non aveva più bisogno di lui.

Ma mai, neppure nelle sue peggiori ipotesi, era così distaccato.

Perché?

 E poi… la sua mano… perché era così fredda?

Forse era per questo che non voleva essere toccato?

C’era qualcosa che non andava.

Il suo istinto lo suggeriva, e Artù sapeva di non sbagliarsi.

Prese il cellulare sul comodino non curandosi dell’orario.

Doveva vedere una persona e doveva farlo subito.
 

Continua…
 

Note:

Eccoci al primo incontro! Come vi avevo detto, è avvenuto il sabato notte.

Spero di avervi sorprese e che vi sia piaciuto!

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate, ci tengo particolarmente a questo capitolo!

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Al prossimo aggiornamento.

Pandora86

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Capitolo 27
*** Capitolo 27. La (s)comparsa del Diamante Bianco ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
 
Capitolo 27. La (s)comparsa del Diamante Bianco
 

Domenica mattina – Casa di Artù
 

Lance guardò allibito ciò che Artù gli mostrava.

Tutta la sonnolenza provata pochi istanti prima era svanita.

Artù, quella mattina, l’aveva chiamato a un orario improbabile, chiedendogli di raggiungerlo immediatamente.

Appena aveva visto la chiamata e controllato l’ora (assurda per una domenica mattina) aveva subito risposto.

Anche Ginevra si era svegliata e, preoccupata, aveva deciso di seguirlo.

E ora, erano tutti e tre nella cucina di Artù, che fissavano pensierosi l’oggetto che troneggiava sul tavolo.

Tutti e tre intimoriti da quel piccolo oggetto.

Tutti e tre ansiosi di avere delle risposte.

“Allora, cosa ne pensi?” domandò Artù fissandolo attento.

Lance scosse la testa pensieroso.

Che diamine stava succedendo?

Non riusciva a spiegarsi il comportamento di Merlino, visto e considerato che i Guardiani avevano assicurato loro che si sarebbero rivisti in ufficio, anche se, nella sua mente, un’idea prendeva forma, mentre osservava l’anello.

Inoltre, nessuno di loro sapeva nulla riguardo all’esistenza di quell’anello e i Guardiani non avevano accennato niente in proposito.

D’altro canto, anche Artù doveva essere confuso, sicuramente più di lui, visto l’incontro che quella notte aveva fatto.

Per questo, ancora una volta, non aveva esitato a chiamarlo.

“Cosa ne pensi?”.

La voce di Artù lo riscosse dai suoi pensieri.

Guardò il suo antico Re, e il suo attuale capo, osservarlo a braccia incrociate, poggiato al ripiano della cucina.

“Credo che sia un oggetto magico!” si espresse Lance, soppesando le parole.

Artù assottigliò gli occhi, ascoltandolo attento.

Con un cenno del capo, lo invitò a continuare; aveva capito, infatti, dal tono titubante dell’altro, che le ipotesi su quell’anello non si fermavano a quella semplice frase.

Lance si mordicchiò le labbra perplesso, non sapendo da dove cominciare.

“Hai una teoria!” affermò Artù sicuro.

Lance annuì con il capo, provando a riordinare le idee.

“Avete notato come gli anelli, di quelli che poi abbiamo scoperto essere gli Antichi, sono diventati visibili ai nostri occhi” iniziò Lance e sia Artù che Ginevra annuirono.

“Un anello per ognuno di loro” continuò Lance, alzandosi in piedi e passeggiando per la cucina.

“La Dama ci ha detto che sono i loro simboli di riconoscimento, ma ci ha anche detto che sono oggetti magici potentissimi che rispondono a colui che li indossa e a lui soltanto” aggiunse cauto.

“In pratica, è come se gli anelli fossero la loro energia magica; una parte di loro. Per questo, è impossibile che qualcun altro li usi o li indossi” disse ancora.

Artù si umettò le labbra annuendo.

Quello era un discorso che avevano affrontato anche in passato.

Stupidamente, infatti, avevano creduto di poter riconoscere gli esseri di cui parlava la Dama in base agli anelli.

Artù, in particolare, aveva creduto di poter riconoscere Lui, qualora il suo aspetto fosse cambiato o si fosse camuffato, in base all’anello che sapeva avrebbe dovuto indossare.

“Raccontami meglio come sono andate le cose” disse Lance a quel punto.

Aveva una teoria, ma non era sicuro.

Artù storse la bocca infastidito; aveva raccontato tutti i minimi dettagli e la cosa era costata, con suo sommo disappunto, pochi minuti.

In pratica, non era successo quasi nulla da raccontare.

“Lo so che mi hai già detto come sono andate le cose, ma voglio dei chiarimenti su alcuni punti!” rispose Lance, ben interpretando i pensieri dell’altro.

Ginevra, nel frattempo, li osservava attenta non profferendo parola.

Sapeva che, quando Artù era di quell’umore, solo Lance poteva fare qualcosa per rasserenarlo.

“Tipo?” chiese Artù scettico.

“Ad esempio” incominciò Lance portando le mani sul tavolo.

“Ti sei svegliato, o ti ha svegliato?” domandò serio.

Artù lo fissò perplesso aggrottando le sopracciglia e non sapendo cosa rispondere.

“Credo di essermi svegliato!” rispose incerto, guardando attentamente l’altro.

“Riflettici bene!” insistette Lance.

“Che importanza può avere?” chiese Artù, scuotendo la testa e allargando le braccia.

Il tono però non era di quelli che mettono in dubbio, quanto più di quelli dove si cerca di capire.

“Sono i dettagli irrilevanti che portano alle soluzioni!” affermò sicuro Lance.

“Credo di essermi svegliato” ripeté Artù dubbioso, richiamando alla mente i particolari di quella notte.

“Questo non quadra!” esclamò Lance sedendosi e fissando pensieroso l’anello.

“Perché mai?” fu l’ovvia domanda dell’altro.

“Hai detto che dopo ti ha fatto dormire” continuò l’antico cavaliere.

“Sì” confermò Artù. “Di questo, ne sono sicuro!” rimarcò il concetto, ricordando il bagliore dorato dei suoi occhi.

“Ma questo, a cosa ci porta?” domandò.

“Ti ha anche detto di dormire, ma tu ti sei rifiutato, giusto?” domandò Lance e l’altro annuì in risposta.

“Quindi poi è ricorso alla magia” continuò nel suo sunto.

“Cosa ne deduciamo?” domandò poi agli altri.

“Che non voleva che Artù fosse sveglio!” rispose Ginevra con voce incerta, intervenendo per la prima volta nel discorso.

“E non lo trovi strano, Gwen?” domandò Lance, cercando di far capire loro la sua teoria.

“Se non voleva che Artù fosse sveglio, lo avrebbe fatto dormire prima. Avrebbe potuto non farlo svegliare affatto” costatò con ovvietà.

“Forse, non prevedeva che Artù si sarebbe svegliato” rispose Ginevra scrollando le spalle.

“Ma allora perché lo avrebbe toccato?” domandò ancora Lance.

Artù, nel frattempo, seguiva quella conversazione spostando il capo da un interlocutore all’altro, attentissimo a non perdersi nessuna parola.

Come prevedeva, aveva fatto bene a chiamare Lance.

“Forse perché non vede Artù vivo da secoli e voleva salutarlo” rispose Gwen, facendo trasparire dolcezza dal suo tono.

“Sì, forse!” rispose Lance.

“Peccato che il suo comportamento successivo smentisca questa tesi!” le appuntò con ovvietà.

“E poi” aggiunse, “sappiamo che ci ha visto nascere e credo che ci abbia sempre tenuto d’occhio. Forse non sempre Lui, ma di sicuro i Guardiani che sono accanto a lui. Quindi, non è la prima volta che vede il Re in questo tempo” rimarcò il concetto.

“Magari si è fatto prendere dalla nostalgia” disse ancora Ginevra.

“Forse, ma appena Artù avesse dato segni di stare per svegliarsi, lo avrebbe fatto dormire immediatamente” la corresse nuovamente Lance.

“Io credo che fosse un gesto affettuoso!” insistette Gwen assottigliando gli occhi.

“Stiamo parlando del suo Re” rimarcò le sue convinzioni, incrociando le braccia.

“E allora perché dopo non si è voluto fare assolutamente toccare?” domandò Lance guardando Artù che confermò con la testa, mentre negli occhi comparivano tracce di tristezza al pensiero dell’allontanamento di Merlino nei suoi confronti.

“Però Artù è riuscito ad afferrargli la mano!” costatò Ginevra.

“Solo perché l’ha preso alla sprovvista” ribadì Lance.

“Non si è scostato subito!” disse nuovamente Ginevra fissando Lance con disappunto.

Va bene che Lance lo conosceva più di tutti sotto quel punto di vista.

Ma perché doveva essere sospettoso su un semplice gesto d’affetto e negare la natura di quel comportamento?

“Artù lo ha stretto con forza per impedirgli di andare via” le fece notare Lance paziente.

“Se non voleva essere toccato, avrebbe usato la magia!” esclamò allora Gwen.

“E magari, mandarlo a sbattere contro la parete!” le rispose Lance con un sospiro, alzando gli occhi al soffitto.

“Ha ragione lui, Gwen!” intervenne Artù.

“Ho usato tutta la forza della mia mano per impedirgli di allontanarsi e, solo dopo qualche strattone, lui è riuscito a farmi lasciare la presa” confermò, rivivendo i momenti di quella notte.

“Ma che senso ha un comportamento del genere?” domandò allora Gwen.

“Ha molto senso, invece!” le rispose sicuro Lance.

“Dimmi la tua teoria!” lo invitò Artù.

“Ti ha svegliato di proposito!” disse sicuro Lance.

“Affinché tu lo ascoltassi!” concluse.

“Custodiscilo bene!” ripeté le sue parole Artù.

“Ma perché non lasciare un messaggio?” domandò, con tono ovvio.

“Se non voleva…” e si interruppe, non riuscendo a continuare la frase mentre con la mano andò a massaggiarsi gli occhi.

Se non voleva vedermi, questo avrebbe voluto dire, ma non ci era riuscito.

Quella frase non detta portava con sé una realtà più pesante di un macigno.

Gli altri due capirono i pensieri dell’Antico Re, ma fecero finta di nulla.

Artù non era dell’umore adatto per essere consolato.

“Perché non voleva farti un regalo” rispose sicuro Lance, continuando come se nulla fosse e ignorando il tono, appena incrinato, dell’altro.

“Voleva che tu ascoltassi le sue parole, non che le leggessi. Segno che quest’oggetto” e indicò l’anello, “è un oggetto magico, non un semplice anello” continuò determinato.

“Ma perché darlo a me?” domandò a quel punto Artù.

“Non credo che te lo abbia dato. Io credo che te lo abbia consegnato” gli chiarì Lance, guardandolo attento.

Artù soppesò le parole dell’altro annuendo lentamente.

“Si tratta di un oggetto che mi spetta” disse incerto, afferrando la verità.

“Già” annuì Lance.

“Proprio come Gabriel ha custodito per secoli l’anello che lui indossa” concluse sedendosi.

“Non avrebbe potuto liquidare una cosa così importante con un biglietto. Non l’avrebbe mai fatto. Come non poteva delegare qualcuno, se era lui a custodirlo!” aggiunse, incrociando le mani sotto il mento.

Artù annuì ancora.

“Come ti è venuta quest’idea?” domandò dopo un po’.

“La pietra” rispose Lance scrollando le spalle.

“Non me ne intendo ma credo che sia un diamante. Un diamante dalla purezza e dal valore incalcolabile” aggiunse pensieroso.

“Ne sei sicuro?” domandò Artù con impazienza, afferrando il significato delle sue parole.

Non aveva pensato che la pietra potesse essere un diamante.

Brillava certo, ma poteva anche essere un banalissimo zircone.

“Credo che Gwen potrebbe essere più sicura di me su questo punto” rispose Lance, con un sorriso rivolto alla donna.

“E di certo non possiamo farlo stimare da un orafo!” aggiunse.

“Tuttavia, credo proprio che si tratti di un diamante. Un diamante bianco!” concluse serio, fissando attentamente gli altri.

Artù si sedette al tavolo osservando meglio l’anello.

“Lui indossa un diamante nero” sussurrò incerto, con gli occhi rivolti alla pietra.

“Due anelli gemelli” disse Lance e Artù, a quelle parole, alzò lo sguardo.

“Due anelli gemelli per due facce della stessa medaglia” aggiunse, rimarcando il concetto.

“Due parti di una stessa anima” gli fece da eco Ginevra pensierosa.

“Hai provato a indossarlo?” domandò ancora Lance e Artù scosse la testa in segno di diniego.

“Perché?” domandò Ginevra.

“Mi ha detto di custodirlo, non di usarlo” si giustificò il re.

“Se poi, come supponiamo, si tratta di un oggetto magico, credo che indossarlo sia fuori discussione” concluse Artù con una scrollata di spalle.

“Non ti darebbe mai qualcosa di pericoloso!” intervenne Gwen.

“Lo so” le diede ragione il re. “Ma se si tratta di un oggetto potente, è fuori discussione che io lo indossi. Se devo custodirlo, devo anche mantenerlo segreto. Dubito che al mio dito rimanga tale!” le rispose con ovvietà.

“Credo che dovremmo avvertire anche gli altri di questa novità!” disse Lance.

Artù annuì con il capo.

“La sua mano” disse lentamente dopo qualche istante, “sembrava fatta di ghiaccio” concluse, volgendo il suo sguardo a Lance.

“Hai qualche idea a riguardo?” domandò poi, ma l’altro scosse la testa in segno di diniego.

“Gabriel, a telefono, gli ha detto di riposare!” continuò Artù.

“Cosa significa?” domandò ancora.

“Non lo so!” ammise Lance.

“Però il suo corpo ha mille anni” rifletté ad alta voce.

“La Dama ci ha sempre detto che è la sua magia a essere immortale!” intervenne Ginevra.

“Non mi sembrava avesse il colorito di una persona sana” aggiunse Artù, rievocando nella sua mente quel volto.

“Eppure” rifletté, “non mi sembrava neanche una persona malata, nonostante fosse così pallido!” costatò.

“Forse era stanco” venne il suo soccorso Lance.

“Magari, era impegnato altrove e Gabriel gli ha detto di riposare. In fondo, sono esseri umani come noi, magia a parte” costatò con ovvietà.

“Sembra che finalmente abbia dei compagni che si prendono cura di lui” sussurrò Artù a bassa voce andando con la mente a epoche lontane.

“E forse anche tu sei tornato per questo” aggiunse Lance, seguendo il filo dei pensieri dell’altro.

“E cosa potrei fare?” allargò le braccia Artù.

“A Camelot, potevo almeno usare la spada e vantarmi di essere un guerriero. Ora, invece, cosa
posso fare
?” domandò con occhi angosciati e la voce carica di disperazione.

“Sei la parte mancante della sua anima” gli sorrise Ginevra.

“Già!” affermò Artù poco convinto.

“Ma Lui non sembrava pensarla così”.

“Dobbiamo renderci conto che per Lui sono passati mille anni” rispose pacato Lance.

“Non possiamo pretendere che sia la stessa persona di allora” affermò con ovvietà.

“E non parlo del suo carattere, ma del suo modo di agire” chiarì. “Non voglio credere che la sua conoscenza sia la stessa di allora. Tutti i trattati parlano della sua saggezza” concluse con praticità.

“Mille anni dove si è occupato di chissà quante cose!” sospirò triste Artù.

“Non ho mai preteso che ritornasse a farmi da servitore, Lance! Non sono così stupido!” disse poi, rivolto all’altro.

“Non ho mai detto questo!” rispose sicuro l’ex cavaliere.

“Ho sempre saputo che non sarebbe stato lo stesso. Ero pronto a un suo cambiamento, anzi” disse Artù infervorandosi, “non vedevo l’ora di conoscerlo per quello che veramente è” ribadì il concetto.

“Non vedevo l’ora di poter ricambiare tutto quello che lui ha fatto per me” continuò, camminando per la stanza.

“Sappiamo come sono andate le cose a Camelot” disse poi, rivolto agli altri.

“Come sappiamo perché tu sei salita al trono!” parlò ancora, questa volta rivolto a Ginevra che annuì con il capo.

“Adesso sappiamo tutti, cosa mi legava a lui” mormorò sottovoce, quasi rivolto a se stesso.

“Ma credevo che il legame fosse ricambiato!” ammise poi con tono stanco, massaggiandosi gli occhi con il pollice e l’indice.

“Lo è!” gli confermò sicuro Lance.

“Io non credo proprio” lo contraddisse Artù scuotendo il capo.

“Comunque, custodirò l’anello se è questo che vuole”ragionò.

“ Posso fare poco se nessuno mi spiega” aggiunse, imbronciandosi un poco.

“Se chiamassimo Lenn?” propose Ginevra.

“Questo è fuori discussione” rispose pronto Artù.

“Potrebbe darci dei chiarimenti. Potrebbe darli a te!” insistette la ragazza.

“No!” esclamò convinto Artù con il tono di chi non ammetteva repliche.

La donna lo fulminò con lo sguardo.

“Non voglio passare per un’idiota, Ginevra” sbottò piccato il Re.

“Mi ha detto di custodirlo. Non credo che ci siano tanti significati sulla parola” aggiunse con sarcasmo.

“Ci manca solo che venga a sapere che ho consultato un Antico, per chiedere spiegazioni a riguardo” concluse con uno sbuffo.

“E invece potrebbe essere una buona cosa!” gli appuntò Ginevra non perdendosi d’animo.

“Sarebbe bello che tu chiedessi informazioni a un mago per una quest-”.

“A un Antico, Ginevra” la corresse Artù con pignoleria.

“Sarebbe bello” ricominciò la ragazza con fare battagliero, “che tu ti dimostrassi pronto a ragionare con un Antico” e rimarcò la parola, “su questioni di cui noi sappiamo così poco” riformulò la frase.

“Non sappiamo come funzionano le cose tra loro, né la loro gerarchia” ribatté pronto Artù.

“Kyle è il più vecchio”costatò con ovvietà Ginevra.

“Ma mi sembra che sia Gabriel a prendere le decisioni” intervenne questa volta Lance.

“Inoltre, se per Lenn dobbiamo aspettare domani o chiamarlo con il rischio che sia in compagnia di Merl-” e si interruppe, guardando Artù.

“Che sia in sua compagnia, per Gabriel è diverso” concluse la frase.

“Quindi, sei d’accordo!” lo scrutò attento il Re.

“Non c’è nulla di male” scrollo le spalle con semplicità l’altro.

“Perché per Gabriel sarebbe diverso?” domandò Ginevra.

“Perché è l’unico che non lavora in ufficio con noi” rispose Artù. “Credo che Lance intenda che possiamo trovarlo al locale” disse scettico guardando l’altro, che annuì.

“Secondo te, non ha niente di meglio da fare che servire ai tavoli” sbuffò Artù per l’ennesima volta.

“Tentare non costa nulla” rispose Lance non perdendosi d’animo di fronte alla cocciutaggine del suo Re.

“È fuori discussione che io esca e lasci l’anello incustodito” s’incaponì Artù.

“Allora puoi portarlo con te!” esclamò la ragazza con praticità.

“Certo, e magari esporlo a chissà quali pericoli. Chissà quanti maghi ci sono che lo cercano” rispose Artù, assomigliando più a un bambino cocciuto che a un quasi trentenne.

“Magari, sono tutti appostati fuori di qui!” gli fece il verso Ginevra, assottigliando pericolosamente lo sguardo.

Lance scosse la testa esasperato.

“È fuori discussione che l’anello esca, Gwen. Ed io con lui” concluse Artù, incrociando le braccia.

“Lunedì, dovrai andare a lavorare” gli fece notare Ginevra, guardandolo con esasperazione.

“Lunedì, raggiungerò l’ufficio dove lavorano degli antichi” sibilò Artù, con lo stesso sorriso tirato di finta pazienza che avrebbe riservato a un bambino un po’ lento.

“Va bene” decise di intervenire Lance e porre, in questo modo, fine al dibattito.

“Ho la soluzione per tutti” disse pratico.

Artù lo guardò scettico.

“Credo che possiamo usare un tramite” affermò Lance sorridendo.

“È una questione delicata” ribatté il Re.

“Ho l’uomo che fa al caso nostro” rispose sicuro, con un sorriso furbo.

A qualcuno avrebbe fatto molto piacere, infatti, occuparsi di quella questione.
 

Domenica mattina – Villa di Merlino
 

“Posso?” chiese Louis sul ciglio della porta.

“Certamente!” rispose Merlino sorridente, ritornando a guardare ciò che aveva dinanzi.

Louis seguì il suo sguardo e sorrise.

“È splendente come allora” disse a bassa voce, avvicinandosi e guardando la lucente armatura.

Erano da molti anni che il Sommo Emrys non entrava in quella stanza: trenta all’incirca.

Una stanza dove il tempo sembrava essersi fermato, a causa dell’arredamento bizzarro.

Cinque armature lucenti, complete di spade e scudi, erano tutte in piedi, in mostra al centro della stanza.

Pochi avrebbero affermato, vedendo lo stato di quelle armature, che avessero più di mille anni.

Louis portò il suo sguardo all’armatura che stava un po’ più avanti rispetto alle altre, giusto al centro.

Vide che il Sommo Emrys fissava insistentemente il punto in cui avrebbe dovuto esserci una spada. L’unica armatura cui mancava la spada: l’armatura del Re.

Inoltre, Louis notò come, sul dito del Sommo Emrys, mancasse l’anello.

Ricollegò l’uscita notturna del suo signore, capendo perché fosse entrato in quella stanza dopo trenta lunghi anni.

“Come state?” chiese, avvicinandosi.

“Non ti sfugge nulla!” sorrise Merlino, sapendo che Louis aveva notato come l’anello mancasse dal suo dito.

Louis sorrise.

“Ho consegnato stanotte l’anello” sospirò Merlino.

“E?” lo invitò a continuare con gentilezza il fido servitore.

“Non è cambiato nulla” confermò Merlino.

“Credevate che, consegnando l’anello, gli equilibri sarebbero andati al posto giusto?” chiese conferma Louis, e Merlino annuì con il capo.

“Magari, è solo questione di tempo” lo consolò il servitore.

“Già!” gli fece eco Merlino.

“Ma voi come state?” s’informò ancora Louis.

“Ti riferisci alla mia energia magica, suppongo!” esclamò Merlino e l’altro annuì.

Il Mago si prese un istante prima di riflettere.

“Credevo peggio!” ammise, con sincerità.

“Credevo che la mia energia, nelle vicinanze di colui che ha segnato la mia giovinezza, reagisse molto peggio. C’è da dire che sono anche stato molto poco a contatto con lui” ragionò ancora Merlino.

“Era vostro amico!” gli fece notare Louis.

“Appunto! Era, non è!” affermò il Mago.

“Era amico del buffone. Era amico dell’idiota. Non è mai stato amico di Emrys” ringhiò Merlino, sentendo l’ira crescere.

Louis notò come il diamante nero emettesse energia negativa, ma fece finta di nulla.

“Dovete cercare anche di ricordare le cose belle, senza farvi influenzare dal male che portate addosso e che sentite, giorno dopo giorno” consigliò gentile.

“Certo!” gli diede ragione.

“Vediamo: la prima cosa bella che ho visto a Camelot, è stata un rogo. Come dimenticare, infatti, l’esecuzione che mi accolse al mio arrivo” parlò con foga.

“Poi, ancora… ah, sì! Come dimenticare la morte di mio padre. E come dimenticare le lacrime che ho dovuto nascondere in quell’occasione, facendo finta di nulla” parlò ancora, diventando sempre più rabbioso.

Louis portò il suo sguardo ai vetri di una delle finestre della stanza, notando come stessero iniziando a crepare, ma continuò a fare finta di nulla.

Quella notte, nessuno si aspettava che il Sommo Emrys si sarebbe recato, di sua iniziativa, dal Re.

E ora, toccava pagarne le conseguenze.

Ma quello che più lo rammaricava, era che le conseguenze più gravi le avrebbe recate il Sommo Emrys stesso.

E lui, nonostante avesse dato tutto quello che possedeva pur di aiutarlo anche di poco, sapeva di essere impotente in quella situazione.

Poteva solo stargli accanto e farlo sfogare, sperando che lo scatto d’ira passasse presto e che il sommo Emrys stesse poi un pochino meglio dopo.

“E poi, come dimenticare l’idiozia di Artù quando Uther ha sposato un troll?” stava intanto dicendo Merlino.

“Per non parlare della Dama del Lago” disse ancora il Mago.

“È stato lui, il Re, a infliggerle la ferita che l’ha portata a morte” esclamò, con un tono più cupo della notte.

Louis osservò il suo sguardo, notando i lineamenti indurirsi sempre più.

Il Sommo Emrys era una creatura del tutto unica nel suo genere.

Il suo animo buono gli impediva di provare odio.

Tuttavia, le lacrime che aveva accumulato nella sua giovinezza, e il rifiuto immediato del Re alla rivelazione di chi fosse, lo avevano segnato.

Nonostante tutto, aveva sempre perdonato e aiutato gli altri.

Però, indossando il diamante nero, tutte le paure, tutta la rabbia verso un destino troppo grande, erano venute fuori, portando un unico risultato: apparente odio verso Camelot.

Solo apparente, perché quella, in fondo, era rabbia.

Rabbia che il Sommo Emrys aveva provato anche da giovane.

Come dimenticare quando era sbottato con l’anziano cerusico.

Come dimenticare la tristezza quando aveva rivelato chi fosse, al mago che si era infiltrato in uno dei tanti tornei per uccidere Uther.

Queste, e molte altre volte, il Sommo Emrys, nella sua giovinezza, aveva manifestato la sua rabbia.

Si trattava però di rabbia passeggera, dovuta all’occasione e al momento.

Perché, nonostante tutto, era felice di salvare il Regno e fare tutto quello che fosse in suo potere per salvare il Re, colui che considerava amico.

Invece, la rabbia che covava adesso era diversa, a causa del diamante.

Era rabbia cieca, mescolata a paura e disperazione.

Paura verso colui che era tornato.

Disperazione verso un destino troppo grande.

Ora, la rabbia del Sommo Emrys, aveva un unico capro espiatorio: il Re.

“Vogliamo parlare di Agravaine?”.

La voce del Mago lo riscosse dai suoi pensieri.

“Come fu facile allora, accusare Gaius, piuttosto che credere alle parole di un servo” sputò con veleno l’ultima parola.

“Beh, io un servo non lo sono mai stato” disse con odio.

“E mi auguro che, il caro Re, questa notte, lo abbia capito” e sorrise cattivo avviandosi verso l’uscita.

“Che il Re se ne stia buono” disse sul ciglio della porta.

“Non tollererò la sua stupidità anche in questo secolo” e uscì.

Louis lo osservò uscire, sospirando affranto.

Sperò, con tutto se stesso, che i Guardiani sapessero cosa fare o il baratro su cui camminavano in punta di piedi li avrebbe inghiottiti definitivamente.
 

Continua…
 

Note:
 

Ovviamente, il comportamento di Merlino sarà spiegato nei dettagli. Tuttavia, già ho dato un piccolo indizio, quando parlo del diamante nero.
 
Con il titolo del capitolo, mi sono divertita a fare un piccolo gioco di parole che riguardasse entrambe le parti del capitolo:

La scomparsa del diamante dal dito di Merlino e la sua comparsa a casa di Artù.
 
Come sempre, aspetto ansiosa i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Pandora86

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Capitolo 28
*** Capitolo 28. Cavaliere e Guardiano - Prima Parte ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 28. Cavaliere e Guardiano – Prima Parte
 
 
Londra 2013 – Inizio dicembre
 

Perce si sfregò le mani, rimpiangendo di non aver indossato i guanti.

Era una gelida serata di inizio dicembre e la temperatura non perdonava chi doveva rimanere fermo in un posto ad aspettare.

Erano quasi le otto, e presto l’aria si sarebbe fatta ancora più gelida.

D’altro canto, Perce sapeva che niente e nessuno lo avrebbe mosso di lì.

Era in quella zona dalle sei e il locale aveva già aperto da un po’.

Di mattina, nei giorni feriali, prestava il servizio bar mentre, dalle cinque in poi, venivano serviti gli aperitivi e anche la cena per chi lo desiderasse.

Appena arrivato, era entrato e aveva ordinato una birra, notando subito come Gabriel non ci fosse.

Poi, era uscito, scegliendo di rimanere nei dintorni, deciso a non muoversi di lì fino a che il locale non avesse chiuso.

Il cellulare in tasca squillò per l’ennesima volta.

Perce sbuffò.

Gwaine lo stava letteralmente tartassando di telefonate e messaggi.

Non aveva mandato giù la decisione di Lance.
 
 

“Posso sempre contattare Kyle” aveva, infatti, espresso la sua idea quel pomeriggio afferrando il telefono.

Lance l’aveva fermato appena in tempo.

“Come hai il suo numero?” aveva domandato Elian con sguardo indagatore.

“È scritto nel curriculum” aveva risposto innocentemente Gwaine, con la sua migliore faccia da schiaffi.

“E tu lo hai memorizzato, anche se è contro la privacy” si era sorpreso Leon.

“Beh, ho pensato che ci potesse essere utile, visto che sappiamo chi sono” si era difeso Gwaine.

“Qualcosa mi dice che, però, tu lo abbia memorizzato prima” era intervenuto Artù assottigliando lo sguardo e fissando l’altro severamente.

Mal tollerava il poco rispetto delle regole da parte di Gwaine e, quel pomeriggio, la sua tolleranza era ridotta ai minimi storici.

“Non credo che ci beccheremo una denuncia” aveva scrollato le spalle Gwaine.

“Fatto sta, che non devi mettere il naso nei curriculum degli altri per questioni private” lo aveva rimproverato duramente Artù.

“E comunque non lo chiamerai” ci aveva tenuto a sottolineare, “ visto e considerato, che Kyle non ha il tuo numero” e l’aveva guardato a braccia incrociate, sfidando l’altro a contraddirlo.

“Posso presentarmi!” aveva trovato una scappatoia Gwaine, incurante dello sguardo del suo capo.

“E noi, che figura ci facciamo? Quella degli stalker?” aveva definitivamente perso le staffe Artù.

“Puoi dire che me lo hai dato tu” non si era arreso Gwaine.

“Così passo per l’idiota!” aveva assottigliato le labbra l’altro.

“Va bene, ragazzi! Abbiamo deciso che andrà Perce e così sarà!” era intervenuto Lance.

“Veramente, lo hai deciso tu!” si era incaponito Gwaine.

“Ti entra in testa che dobbiamo almeno provare a rispettare le loro gerarchie?” era sbottato nuovamente Artù.

“Kyle è il più grande” gli aveva allora fatto notare il cavaliere.

“Ma non è quello che decide” era intervenuto Elian. “Hai visto anche tu Lenn chiedere a Gabriel, quando dovevano decidere cosa fare”.

“Sono d’accordo anch’io!” era intervenuto Leon.

A quel punto, a Gwaine non era restato altro da fare che arrendersi, borbottando come una pentola a pressione.

“Non ti fila neanche di striscio, Gwaine! Perché non esci con una delle centraliniste che sbava per te, e con cui fai sempre lo splendido?” lo aveva provocato Elian.

“Non è vero che non mi fila” era stata la risposta di Gwaine mentre si imbronciava e incrociava le braccia.

“Faresti comunque bene a lasciar perdere” aveva decretato Artù, quasi sibilando le ultime parole.

“Vediamo di non complicare la faccenda infastidendo le persone con attenzioni non gradite” aveva concluso, fissando l’altro attento.

“Ti ricordo che anche Perce ha un interesse per il cameriere” aveva allora ribattuto Gwaine, credendo di portare una buona opzione a favore della sua causa.

“Ma è più discreto di te” aveva sbuffato Elian.

“Che vuoi dire?” era stata la domanda dell’altro.

“Che magari evita di provarci palesemente, e di certo si atterrà solo allo scopo per cui lo consulta” gli aveva specificato Leon con calma.

“Beh, che male ci sarebbe stato a finire la serata in un altro modo, dopo aver parlato della questione?” aveva ammiccato Gwaine.

“Gwaine!” era allora intervenuto Perce.

“Quindi, erano questi i tuoi scopi!” aveva detto Elian, scuotendo la testa.

“Cosa c’è di male?” gli aveva fatto notare Gwaine.

“C’è di male, che è un Antico!” era sbottato Artù, guardandolo serio.

“C’è di male, che abbiamo una missione, anche se non sappiamo qual è!” aveva continuato.

“C’è di male, che vuoi portarti a letto proprio la persona che è a contatto con Lui in modo molto stretto e che, sicuramente, ti avrebbe riso in faccia” aveva aggiunto.

“C’è di male, che vorrei evitare di rendermi ridicolo. Ti va bene, o preferisci che continui?” aveva domandato con uno sguardo che avrebbe intimorito chiunque.

Gwaine, a quel punto, aveva incrociato le braccia sbuffando ma non obiettando.

“Sai cosa fare” aveva poi detto Artù rivolto a Perce, che aveva annuito e si era preparato a uscire.
 

E ora era lì, con il telefono che squillava per l’ennesima volta.

“Che vuoi?” si decise a rispondere.

“Scusa Perce, siamo riusciti ora a togliergli il telefono di mano!” rispose Leon.

“Bene! Vi tengo aggiornati” e attaccò.

Valutò se entrare o no in macchina, considerando che, anche da lì, avrebbe avuto una buona visuale sull’entrata del locale.

Magari tra un po’!

 Non dovette aspettare molto dato che vide, in lontananza, avvicinarsi l’oggetto dei suoi pensieri.

Deglutì, alzandosi in piedi, quando Gabriel gli arrivò davanti, squadrandolo attento.

Quando l’aveva visto indossare il lungo mantello nero aveva pensato che nulla potesse donargli di più.

E invece si sbagliava!

Il cappotto nero che indossava, chiuso con dei bottoni e lungo fino alle ginocchia, insieme alla sciarpa bianca annodata al collo lo rendevano sensuale all’ennesima potenza.

Teneva le mani in tasca e non sembrava sorpreso della sua presenza lì.

“Deduco che stasera non ci sarà nessuna riunione nel locale!” disse Gabriel serio spezzando il silenzio.

“Sono solo” gli confermò Perce.

“E deduco anche che la mia presenza nel locale sia inutile, a questo punto!” disse ancora l’altro.

“Se devi lavorare, posso aspettare che il tuo turno finisca” propose Perce conciliante ma Gabriel scosse la testa in segno di diniego.

“Se non ci siete voi, è inutile che ci sia anch’io” gli chiarì e Perce annuì con il capo.

“Devi avvertire?” domandò ancora Perce, riferendosi al proprietario del locale.

“Non credo sia necessario” rispose l’altro e Perce annuì ancora.

Ovvio che non era necessario. Guardò il suo volto, aspettandosi un bagliore dorato comparire da un momento all’altro.

Di sicuro, avrebbe fatto un incantesimo per far notare che non c’era quand’era di turno.

Continuò a guardarlo per un minuto buono, facendo una faccia perplessa quando il colore degli occhi dell’altro non cambiò colore.

Vide che l’altro alzò un sopracciglio con aria interrogativa e provò a spiegarsi.

“Ecco, insomma” incominciò titubante.

“Credevo dovessi avvertire” disse indicando il locale con il capo.

“Stasera non sono di turno!” rispose l’altro serio, scrutandolo attento.

“Spesso, ho lavorato quando il mio nome non compariva nei turni. E comunque, sarebbe bastata una semplice telefonata” gli spiegò, con un tono più freddo del ghiaccio.

“Credi che non sappia rapportami agli altri, senza utilizzare la magia?” domandò, mentre i suoi occhi si assottigliavano in una linea severa.

“Sono un po’ vecchio, per non saper trattare con le persone” terminò, con tono di rimprovero.

Perce chinò il capo annuendo.

Perfetto! Ecco la prima figuraccia della serata!

“Vuoi continuare a parlare qui?” parlò ancora Gabriel.

“Non so tu, ma io mi sto ibernando” disse, cercando di addolcire il tono e facendo comparire sulle sue labbra l’ombra di un sorriso.

Perce lo guardò, sorridendo a sua volta.

“Vogliamo entrare a prendere qualcosa?” propose.

In realtà, lui avrebbe voluto essere in un altro posto.

Casa sua era a dieci minuti di macchina, e lì avrebbero potuto parlare in tranquillità.

Avrebbe potuto osservare Gabriel quanto gli pareva.

Solo osservare e ascoltare la sua voce, nulla di più.

Aveva una missione da portare a termine, non lo aveva dimenticato.

Ma non sapeva l’altro come potesse interpretare la sua richiesta.

“Preferirei un luogo più riservato. Non ho voglia di insonorizzare il resto del locale” rispose semplicemente Gabriel.

“Beh…” incominciò Perce.

Altri locali ne conosceva, ma sarebbe stata comunque la stessa cosa.

“Non abiti qui vicino?” venne in suo soccorso Gabriel e Perce annuì di rimando.

Cosa? A casa sua?

Dovette fare una faccia perplessa, visto che l’altro lo guardò dubbioso.

“È un problema?” indagò Gabriel scrutandolo attento.

“Assolutamente NO!” rispose Perce con foga capendo, dallo sguardo dell’altro, di aver esagerato.

Perfetto! Seconda figuraccia nel giro di pochi minuti! Si complimentò Perce mentalmente.

“Ho la macchina di fronte” disse incamminandosi, e l’altro lo seguì.

“Ottimo punto d’osservazione” approvò Gabriel, capendo perché la macchina fosse parcheggiata di fronte al locale, e Perce sorrise.

“Se possiamo, evitiamo di usare la magia per cose così banali” gli spiegò Gabriel una volta dentro, riferendosi al mancato bagliore dei suoi occhi che l’altro sembrava aspettare.

“Non ne abbiamo bisogno. Noi non siamo solo magia. Quando i secoli passano, si imparano molte cose!” gli chiarì ulteriormente l’altro.

“I curriculum degli altri sono veri, quindi!” chiese Perce mettendo in moto.

Ovvio che sono veri” rispose secco l’altro.

“Rimarresti impressionato, dalla quantità di lauree che abbiamo accumulato!” gli chiarì il concetto.

Perce guidò con calma, gustandosi appieno ogni secondo.

La vicinanza dell’altro lo rendeva sereno ma al contempo ansioso.

Dentro di sé, sperò che quella serata potesse non finire mai.

Il tragitto in macchina fu silenzioso e lo fu anche quando Perce parcheggiò l’auto e si accinsero a salire le scale che conducevano al suo appartamento.

“Accomodati pure!” disse Perce togliendosi il giubbotto, una volta entrati dentro.

Gabriel annuì con il capo e si sedette su una delle poltrone di fronte al camino.

Perce guardò i suoi movimenti con un sospiro triste.

Non si era neanche tolto il cappotto, segno che voleva liquidare la faccenda il più in fretta possibile.

“Ho semplicemente freddo!” gli chiarì il concetto Gabriel con voce annoiata, ben interpretando i suoi pensieri.

“Ma come…?” domandò perplesso l’altro.

Se leggeva i suoi pensieri, erano cavoli amari!

Gabriel si alzò in piedi, assottigliando le labbra.

“Le tue espressioni sono eloquenti” gli chiarì il concetto fissandolo attento con espressione di disappunto.

“E casa tua è gelata!” affermò, ritornando a sedersi.

Perce ridacchiò, andando ad azionare i riscaldamenti.

“Anche gli altri me lo dicono spesso” disse, avvicinandosi al camino e trafficando con la legna.

“Non credo che riscaldare adeguatamente la casa, possa mandarti in bolletta!” rispose l’altro increspando le labbra.

Perce ridacchiò.

“Anche Artù dice che con lo stipendio che mi dà, potrei evitare di essere così tirchio!” rise, prima di imprecare con l’accendino.

Dannazione!

Gli piacevano le case con un camino ma non l’aveva mai acceso da quando abitava lì.

Vide che Gabriel gli si avvicinava, inginocchiandosi vicino a lui.

Lo vide puntare la mano, coperta da eleganti guanti di pelle nera, verso la legna e guardarlo fisso.

“Visto che ci tenevi tanto” lo sentì dire, prima di vedere i suoi occhi tingersi d’oro.

Sorrise, notando il fuoco scoppiettante che l’altro aveva acceso.

Lo vide togliersi i guanti e avvicinare le mani alle fiamme, alla ricerca di calore.

Dita affusolate ed eleganti dove spiccava, su una di esse, un rubino rosso.

Mani che gli sarebbe piaciuto scaldare con le sue.

Vide l’altro guardarlo con un cipiglio divertito, chiedendosene il motivo.

“Tra un po’ ti sembrerà di essere ai tropici” disse Gabriel con le labbra piegate all’insù in un
sorriso divertito.

“Come dimenticare, d’altronde, le spedizioni con il tuo Re” continuò l’altro.

“Quelle dove la neve cadeva copiosa e tu eri a giromanica” gli chiarì il concetto Gabriel.

Perce ridacchiò divertito.

Vero!

Una delle sue caratteristiche era sempre stata la resistenza al freddo.

Era una di quelle persone, infatti, che aveva sempre caldo, ovunque andasse.

Al massimo, gli si freddavano leggermente le mani ma nulla di più.

“Ho sempre sentito freddo solo guardandoti” continuò l’altro con voce profonda e, al contempo,
divertita e Perce sorrise ancora.

Solo in quel momento, sembrò ricordare un particolare: Gabriel era un Antico.

Non che lo avesse dimenticato, solo che non aveva badato alla cosa.

Come doveva rivolgersi a lui?

Non aveva idea del titolo che avesse fra gli stregoni.

O meglio, sapeva che era una delle cariche massime ma, non aveva idea della loro etichetta.

“Come devo…” incominciò titubante.

L’altro lo guardò interrogativo.

“Come devo chiamarti?” chiese Perce esponendo i suoi dubbi.

Lo sguardo dell’altro divenne prima scettico per poi lasciare il posto alla perplessità.

“Credevo sapessi il mio nome” gli rispose dubbioso.

“No, cioè sì” rispose l’altro, maledicendosi per il suo continuo incespicare con le parole.

“Voglio dire…” provò a spiegarsi.

“Non so come si rivolgono a te gli altri. Cioè, la vostra etichetta” cercò di rendere chiari i suoi pensieri.

L’altro sembrò capire e annuì di rimando.

“Di solito, gli esseri magici mi chiamano Sommo Gabriel” gli spiegò. “E si usa dare del voi, a quelli come noi!” gli chiarì ulteriormente.

Perce chinò il capo annuendo.

“Per te va benissimo Gabriel” lo sentì dire e alzò gli occhi, sorpreso e felice al contempo.

“Evita di aggiungere inutili vezzeggiativi” gli chiarì ulteriormente il concetto e Perce sorrise
divertito.

“Sei a disagio” parlò ancora Gabriel osservando le fiamme.

“Ma non credo sia la mia magia. In fondo, hai conosciuto Merlino, anche se sotto mentite spoglie” disse ancora.

“Forse, preferivi parlare con Lenn” rifletté pensieroso, guardando il cavaliere attentamente.

“Lui è quello che si presta meglio a queste cose” valutò, portando una mano sotto il mento.

“No!” lo contraddisse Perce che non poteva fare a meno di notare come apparisse più bello, illuminato dalle fiamme che scoppiettavano nel camino.

“Va bene così” e sorrise.

“Bene, veniamo al motivo del nostro incontro” disse Gabriel alzandosi e sedendosi in poltrona.

Perce lo imitò, occupando la poltrona di fronte alla sua.

“So che Artù ha ricevuto l’anello” parlò ancora Gabriel.

“Spiegami come sono andate le cose” lo invitò a raccontare accavallando le gambe.

Perce annuì incominciando a raccontare.

Vide che Gabriel lo ascoltava attento e cercò di non tralasciare nessun particolare nonostante, come aveva specificato Artù, le cose si fossero svolte in pochi minuti.

Gli raccontò poi della loro riunione del pomeriggio e delle ipotesi di Lance.

“Artù è piuttosto confuso. Lo siamo tutti, in effetti!” concluse Perce con un sospiro.

Gabriel annuì di rimando, congiungendo le mani sotto il mento.

“L’uomo ha bisogno di tempo per assimilare le cose” incominciò con tono neutro.

“Quando poi, queste cose, riguardano i sentimenti, allora la strada verso la comprensione è ancora più lunga”.

Perce lo ascoltò annuendo.

“E non parlo solo di voi” ci tenne a specificare Gabriel.

“Ammetto che il comportamento di Merlino è stato molto ambiguo. Ma d’altronde, anche lui è un
essere umano” si massaggiò gli occhi.

“Sarà una lunga serata!” aggiunse, togliendosi la sciarpa con un movimento fluido e
sbottonandosi il cappotto.

Perce osservò il suo collo lungo e bianchissimo, deglutendo istintivamente.

“Anche voi!” affermò in risposta all’altro.

Gabriel alzò un sopracciglio in segno di domanda.

“Anche voi siete esseri umani” gli chiarì Perce.

“Non posso darti torto. Ma la conoscenza dei guardiani ci ha sempre dato qualcosa di più” gli spiegò.

“È stato…” provò a domandare Perce interrompendosi subito dopo.

Gabriel lo invitò a continuare con un cenno del capo.

“È stato doloroso? Diventare un essere umano, intendo!” completò la frase Perce.

Vide Gabriel fissarlo pensieroso, come se stesse ponderando bene la risposta in modo che lui potesse capirla.

“È stato doloroso dopo” gli chiarì l’ex-guardiano ma Perce non riuscì ad afferrare il significato delle sue parole.

Gabriel dovette intuirlo, visto che riprese a spiegare.

“Per capire completamente, dovresti perdere le tue percezioni, tattili, visive, sonore e olfattive, e poi riacquistarle” continuò.

Perce rifletté su quelle parole, non capendo appieno il concetto.

“Il mio corpo si è ricomposto in tempo istantaneo, per cui la trasformazione non avrebbe potuto essere dolorosa” cercò di spiegarsi Gabriel.

Non erano lì per parlare di questo, eppure, qualcosa nel cavaliere lo spingeva a spiegarsi.

Forse, lo sguardo sinceramente interessato dell’altro, o forse era il fatto che nessuno gli avesse chiesto mai una cosa del genere.

Chi mai avrebbe potuto chiederglielo, in ogni caso?

Perce valutò quelle parole, comprendendo cosa l’altro volesse dirgli.

Se era durato tutto un istante, allora non poteva essere stato doloroso.

Ma perché, dopo?

“I guardiani sono impalpabili per voi esseri umani!” gli spiegò Gabriel.

“Hanno una consistenza materiale sono nel loro mondo” continuò e Perce annuì.

“Quando i guardiani intervengono in un tempo, rendendosi visibili, non cambiano la loro consistenza, in realtà. Quello che cambia è la percezione dell’essere umano, che può quindi sentirci, vederci e, talvolta, anche toccarci” e fece una pausa aspettando che l’altro afferrasse il concetto.

“Riesci a comprendere la differenza?” gli chiese Gabriel e Perce si prese un istante.

“Noi vi possiamo vedere, ma non sono i vostri sensi a cambiare quanto, piuttosto, i nostri” provò a riassumere Perce.

“Ovviamente, noi non ci accorgiamo di niente e per voi nulla cambia” disse ancora, sperando di essersi espresso bene.

“È un po’ come venirsi incontro a metà strada” approvò Gabriel.

“Le nostre percezioni cambiano leggermente, tanto che noi non lo avvertiamo nemmeno. E lo stesso vale per l’essere umano” gli chiarì il concetto.

“Ma tu non sei più così” sussurrò Perce guardandolo attento.

Gabriel si prese un istante prima di rispondere.

“No!” ammise.

“Non sono più così!” ripeté pensieroso.

“I Guardiani sono, dalla nascita, creature immortali” riprese ancora a spiegare.

“Che trovano la morte solo in caso di fallimento di una missione, venendo relegati nel mondo mortale. Ma, la nostra, è un’immortalità diversa da quella di Merlino” e fece una pausa, dando modo all’altro di assimilare il concetto.

“Voi siete immortali anche nel corpo” intervenne Perce e Gabriel annuì.

“Ovviamente invecchiamo, ma, essendo la nostra vita immensamente più lunga, il processo di invecchiamento comincia all’incirca dopo i quattrocento anni” disse ancora.

“Kyle, ad esempio, ha conservato il suo aspetto di giovane duecento cinquantenne” parlò ancora, sperando, dentro di sé, che l’altro lo capisse.

E Perce, infatti, capì.

“Anche la vostra immortalità è cambiata!” esclamò, infatti, Perce dopo qualche istante.

“Voi non potete più invecchiare, ma potete ammalarvi o venire feriti” disse, capendo finalmente quello che Gabriel voleva dirgli.

“Per questo è stato doloroso dopo” aggiunse in un sussurro.

“La prima volta che Kyle ha preso un raffreddore è stato insopportabile per due settimane” approvò Gabriel con un mezzo sorriso.

“E tu?” domandò Perce sottovoce, guardandolo intensamente.

Vide Gabriel massaggiarsi il mento con aria riflessiva, prima di rispondere.

“Ammetto che non è stato piacevole ammalarmi per la prima volta” affermò.

“Il mondo dei Guardiani è retto da un’unica dimensione: il Tempo” aggiunse.

“Per questo la vostra vita è infinita” disse Perce e Gabriel approvò con il capo.

“Ma le altre dimensioni?” chiese interessato.

Gabriel lo guardò a lungo.

Il cavaliere sembrava realmente interessato a quello che lui era stato prima.

Ancora una volta, pensò che non si trovava lì per parlare di quello.

Non era lì per parlare di sé.

Però, per la prima volta in quei secoli, c’era qualcuno che si era mostrato interessato al suo corpo.

Ma non inteso come aspetto fisico. Quelli erano stati fin troppi, nel corso dei secoli.

Il cavaliere era interessato al cambiamento che era avvenuto in lui e al dolore che aveva provato.

Gabriel aveva notato distintamente il rammarico comparire sul suo volto, quando aveva capito cosa, in realtà, fosse cambiato in lui.

Perciò, per la prima volta da quando era nato, decise di parlare di se stesso.

Sarebbe stata una lunga serata.

Ma loro avevano molto tempo dinanzi.
 

Continua…
 

Note:
 

Iniziano i capitoli delle spiegazioni!

Spero che questo capitolo non vi abbia annoiato, a me questi due insieme piacciono molto e spero siano piaciuti anche a voi.

Come sempre, attendo i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Pandora86

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Capitolo 29
*** Capitolo 29. Cavaliere e Guardiano - Seconda Parte ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 29. Cavaliere e Guardiano - Seconda Parte
 
“Le vostre dimensioni – il volume, il peso, e l’altezza – sono assolute e non dipendono dal tempo” incominciò a spiegare Gabriel.

“Non capisco” ammise Perce, arrossendo leggermente.

“È normale! Sei sempre stato un essere umano” lo consolò Gabriel con un mezzo sorriso.

“Per facilitarti il tutto, prendiamo in esame solo una dimensione; l’altezza, ad esempio” propose e Perce annuì.

“L’altezza di un bicchiere non cambia, se porti quest’oggetto in un altro continente” gli chiarì.

“Quindi, per questo l’altezza è assoluta” intervenne Perce provando, con tutte le sue forze, a stare dietro a quei discorsi e maledicendo le sue pecche in fisica.

In effetti, al college, era sempre stato Artù ad aiutarlo nelle materie scientifiche.

Gabriel approvò.

“Ovviamente, per il momento, lasciamo da parte gli esseri viventi. Le dimensioni, in un mondo, vengono determinate in base agli oggetti materiali” aggiunse e Perce annuì.

“Il tuo bicchiere, con il passare del tempo, non cambia, né in peso, né in altezza, né in volume, quindi, non dipende dal tempo” spiegò ancora.

“Ma può rompersi” intervenne Perce.

“Questo può succedere per eventi esterni, come l’usura che dipende dall’aria da cui è circondato. Non dal Tempo” gli chiarì.

“Quindi” provò a riassumere Perce, “ gli oggetti di questo mondo non dipendono dal tempo” disse, incominciando a capire qualcosa.

“Voi, il tempo, lo subite passivamente, non lo controllate, a differenza di noi” disse ancora Gabriel e Perce, finalmente, capì.

“Gli anni” esclamò, infatti.

Gabriel lo invitò a continuare con un cenno del capo.

“Gli anni di differenza tra voi tre e Kyle sono cambiati, quando avete terminato la storia di Camelot!” disse il cavaliere capendo, solo in quel momento, cosa significasse controllare il Tempo.

“Vedo che hai centrato il punto” approvò Gabriel.

“A differenza degli esseri umani, voi potete cambiare le vostre età, a seconda del tempo in cui state” disse ancora il cavaliere.

“Esattamente!” gli confermò Gabriel.

“Anche se aggiungo che è solo in epoche estremamente difficili che i Guardiani cambiano la loro età. Questo perché si trovano a dover vivere in quel tempo” gli chiarì ancora facendo qualche minuto di pausa.

“Al contrario” riprese a parlare, “voi, esseri umani, dominate le vostre dimensioni. Ad esempio, è la fabbrica a decidere l’altezza del nostro bicchiere e la fabbrica, a sua volta, è controllata dall’uomo” e si interruppe per poi riprendere qualche istante dopo.

Perce capì gli sforzi che stava facendo il guardiano per permettergli di comprendere quei difficili concetti, motivo per cui attese in silenzio, concentrandosi al massimo.

“Se un oggetto, da un qualsiasi mondo, viene portato nel mondo dei Guardiani, perde la sua consistenza materiale e si ricompone con una nuova struttura molecolare” parlò ancora Gabriel.

“E un essere umano, invece?” domandò Perce a quel punto, quasi temendo la risposta.

“Nessun essere umano potrebbe sopravvivere in quel mondo” rispose secco l’altro.

“Noi, nel vostro mondo, possiamo cambiare aspetto e forma, proprio perché nasciamo in maniera diversa da voi. Un essere umano, invece, soggetto a un determinato peso, altezza e volume, non riuscirebbe a sopravvivere, e il suo corpo si scomporrebbe all’istante” gli chiarì ancora.

“Aggiungo, che è per questo che noi possiamo facilmente osservare gli esseri umani, rendendoci visibili solo quando lo desideriamo!”.

“Per questo non vi ammalate” sussurrò Perce.

“Noi, nel mondo dei Guardiani, non abbiamo malattie” confermò Gabriel.

“Perché?” domandò allora Perce con lo sguardo triste.

“Perché cosa?” domandò Gabriel, non riuscendo a spiegare l’improvvisa tristezza dell’altro.

“Per i Guardiani, gli esseri umani sono solo oggetti, no?” gli domandò Perce, sorridendo triste.

“Non ti offendere, ma sì. Sono solo oggetti” rispose semplicemente Gabriel, cui non era mai piaciuto fare giri di parole inutili.

“È un po’ come quando tu hai dovuto arredare casa tua” si sentì in dovere di chiarire.

“Hai dovuto disporre le cose logicamente, affinché potessi vivere comodamente in questo posto il più a lungo possibile. Non hai chiesto il parere del tavolo o della sedia.

Allo stesso modo, i Guardiani si occupano dei mondi e della loro prosperità, manipolando gli esseri umani al fine di ottenere queste cose” terminò.

“Ma allora, perché?” insisté Perce.

“Perché cosa esattamente?” gli fece eco Gabriel.

“Perché hai rinunciato a tutto questo?” domandò l’altro in un sussurro appena udibile, mentre chinava il capo.

Gabriel si prese un istante prima di rispondere, colpito maggiormente dalla profondità della domanda.

Fu per questo che, quando parò, cercò di essere esauriente e chiaro.

“Considerare gli esseri umani al pari degli oggetti, non è tanto una forma di perfidia, quanto una difesa per ogni Guardiano” incominciò.

“Immagina di avere duecento anni e di esserti già occupato di cinquanta storie” aggiunse.

“Quante persone avrai visto morire? Di quante, sarai stato tu stesso a causarne la morte, come variabile indispensabile per la storia?” domandò.

“Se la vita è eterna, e ti affezioni a ognuno di esso, non manterresti a lungo il tuo stato mentale” e fece un sospiro.

“Ed io” si sentì in dovere di chiarire, “da questo punto di vista, ho fallito” ammise, sapendo che l’altro avrebbe capito.

Perce alzò il capo, guardandolo intensamente.

“Ti sei affezionato a Lui” disse con un sorriso e Gabriel annuì.

Perce lo osservò, rimanendo affascinato sempre di più da colui che gli sedeva di fronte.

Quanta alterigia nella sua postura, quanta classe nei suoi modi.

Quanta chiarezza nelle spiegazioni che dava.

Lo amava.

Perce si rese conto, in quel momento, che i sentimenti che provava verso quello che credeva un cameriere non erano classificabili come cotta passeggera.

Perce lo amava.

Come non aveva mai amato nessuno.

Con una profondità e un bisogno tale, da desiderare che quella sera non finisse mai, pur di
poter stare con l’altro e ascoltare le sue parole.

“D’altro canto” riprese Gabriel, “a parte il cambiamento molecolare del mio corpo, non sono entrato a far parte di un mondo così diverso dal mio”.

Perce lo guardò con aria interrogativa.

Gabriel intercettò quello sguardo e riprese a spiegare.

“Anche i Guardiani hanno una struttura di mondo simile a quello degli esseri umani. Ci sono le classi sociali, ci sono le varie specializzazioni agli studi, ci sono le gerarchie, c’è la moneta” elencò.

“Che intendi per specializzazioni agli studi?” chiese Perce al culmine della curiosità.

“Non crederai che ogni Guardiano fa la stessa cosa, vero?” domandò Gabriel con un cipiglio perplesso.

“Beh…” incominciò Perce, non sapendo cosa dire.

Gabriel sospirò e riprese a spiegare.

“Innanzitutto, ci sono i Guardiani operativi e non” specificò.

“Dove, per operativi, intendo quelli che vanno ad agire nel tempo”.

“Come te, ad esempio!” esclamò Perce.

“Esattamente!” approvò l’altro.

“Cosa fa un Guardiano non operativo?” domandò ancora Perce.

“Molte cose. Una di queste, la più importante aggiungerei, è rifornire la biblioteca di Palazzo, con
documenti e trattati provenienti da tutti i tempi e tutte le epoche. Quelli, sono i Guardiani Eruditi” chiarì ancora.

“Rimarresti impressionato dal numero di Guardiani che ci vuole per portare avanti quella biblioteca. Fatto sta, che ogni Guardiano operativo deve avere la sicurezza di trovare un determinato argomento, o comunque l’indicazione sull’epoca in cui esso si trova” disse ancora, sorridendo leggermente di fronte allo stupore dell’altro.

“Kyle, ad esempio, non è mai stato operativo” esclamò dopo un po’.

“Davvero?” chiese Perce interessato.

“Non si è mai occupato di un’epoca, che io sappia” confermò Gabriel.

“E cosa faceva?” fu l’ovvia domanda dell’altro.

“I perni del nostro mondo sono due: la biblioteca di palazzo e i Guardiani che si occupano di essa.

Kyle si occupava di una delle cose più difficili del nostro mondo, dopo quella di guidare un’epoca: era un Guardiano Stratega. In pratica, aveva il pieno controllo di tutti i documenti esistenti in quella biblioteca e selezionava i Guardiani Eruditi, scegliendo quelli più adatti a un’epoca, piuttosto che a un’altra, analizzando la psicologia di ogni Guardiano. Non è facile, infatti, fare in modo che in quella biblioteca non manchi nulla. Però, spesso è necessario andare in un mondo per analizzare e selezionare documenti, il tutto senza provocare catastrofi o mancanze nel mondo stesso. Kyle selezionava ogni guardiano, scegliendo la strategia più veloce per avere i documenti necessari. Lui e altri, ovviamente. Inoltre, aveva anche la carica di Saggio minore, e considera che il nostro mondo è governato dai Saggi. Un po’ come i vostri politici” terminò.

“Incredibile!” non poté fare a meno di esclamare Perce.

Gabriel sorrise leggermente, di fonte alla genuinità del cavaliere.

“E poi ci sono anche i Guardiani Storici, in pratica quelli che si occupano di scrivere la storia del nostro mondo” parlò ancora.

“I Guardiani che non scelgono di continuare gli studi, invece, possono intraprendere molte carriere nel nostro mondo. Anche noi abbiamo i nostri camerieri, le nostre case, i nostri intrattenimenti. Alcuni di noi scelgono di far prosperare il nostro mondo, piuttosto che andare a operare in un’epoca” riassunse brevemente.

“Ci sono musicisti, artisti e così via” terminò.

“Tu abitavi a Palazzo, giusto?” domandò Perce.

“Io ero un nobile, nel mio mondo” chiarì l’altro, senza inflessione particolare nella voce.

“Anzi, la mia famiglia era una delle più nobili, essendo la mia stirpe molto antica” aggiunse per spiegarsi meglio.

 “Tutto questo, per farti capire come ogni mondo, in realtà, sia plasmato come il mondo dei Guardiani” terminò.

“Voi, sicuramente, sarete entrati nella storia del vostro mondo” intervenne Perce con un sorriso.

“Oh sì!” confermò Gabriel.

“Per alto tradimento!” concluse con noncuranza.

Perce lo guardò perplesso.

Sapeva che avevano infranto molte regole, ma addirittura alto tradimento.

“Noi ci siamo macchiati di una delle colpe più grandi, infrangendo la nostra prima legge: decidere di vivere con un essere umano conservando il nostro potere” gli spiegò Gabriel intercettando il suo sguardo.

“In effetti, è un bene che nessun Guardiano possa entrare in questo mondo, o non saremmo più vivi già da un po’” aggiunse Gabriel.

“Ma, d’altro canto, Kyle aveva previsto anche questo! Inoltre, questo ci porta al motivo del nostro incontro” disse ancora incrociando le mani sotto il mento.

“In che senso?” chiese Perce interessato.

“Perché tutto è cominciato da lì!” rispose Gabriel.

“Ascoltami attentamente, perché non ho intenzione di ripetermi” ci tenne a sottolineare il Guardiano e Perce annuì.

Finalmente, il momento della verità era arrivato.

“Il destino di Merlino è sempre stato grande. Tuttavia, proprio perché grande, ha sempre rappresentato la variabile impazzita della storia. Ti sei mai chiesto perché, nel ventesimo secolo, ci sono molte leggende discordanti su Camelot e perché nulla sia storia certa?” chiese scrutando l’altro attentamente.

“La Dama ci ha spiegato che è a causa degli innumerevoli Guardiani che si sono occupati di Camelot” rispose Perce.

“Vero!” approvò Gabriel.

“Questa verità, però, fa parte di altri tempi. I mondi sono infiniti; di conseguenza, anche ogni secolo si ripete, assumendo la storia del mondo cui appartiene” cercò di essere chiaro Gabriel.

“Questa verità fa parte di un mondo dove Merlino non è riuscito ad arrivare in questo secolo!” disse ancora aspettando che l’altro afferrasse il concetto.

“Ma adesso lui c’è” si stupì Perce.

“Quindi, perché continuano a esserci leggende discordanti?” chiese interessato.

Gabriel sorrise leggermente.

Il cavaliere si stava dimostrando molto perspicace e, nonostante detestasse parlare e intrattenersi con le persone, quella conversazione la trovava piacevole.

“Le leggende discordanti ci sono solo per voi, esseri non dotati di magia” gli rivelò Gabriel.

Perce sgranò gli occhi.

“Ecco perché il mago sapeva dell’esistenza di Artù. È come se ci fossero due storie” continuò, capendo cosa l’altro volesse dirgli, “una magica e un’altra no!”.

“Esattamente!” confermò Gabriel.

“Noi, per permettere ai maghi di vivere in tranquillità, abbiamo creato una spaccatura fra la magia e la non magia”.

“Per questo la magia non è creduta cosa reale” disse ancora Perce e Gabriel annuì.

“Il nostro compito, in questo mondo, è far sì che esso arrivi fino alla fine dei tempi, governando tutti gli equilibri” disse ancora Gabriel.

“Il bene e il male, la magia e la non magia, la povertà e la ricchezza, e così via. Tutto deve esistere e ogni cosa deve essere equilibrata, affinché non prenda il sopravvento sull’altra.

Questo fanno i Guardiani quando si occupano di un mondo. Dato che però questo mondo non consente l’accesso ai Guardiani da molti secoli, allora ce ne occupiamo noi” gli spiegò ancora.

“Se esiste una cosa, allora deve esistere anche il suo opposto, altrimenti questa cosa scomparirà nel nulla, non essendo mai esistita. Riesci a capire questo concetto?” gli chiese.

“Non proprio” ammise Perce.

Gabriel annuì e si alzò, camminando per la stanza.

Raggiunse il camino, poggiandovi le spalle e mettendo una mano in tasca mentre con l’altra iniziò a massaggiarsi gli occhi.

Perce, nonostante l’importanza dell’argomento, non poté fare a meno di rimanere affascinato dalle sue movenze.

Era inoltre evidente che stesse pensando a come esprimersi affinché lui riuscisse a comprendere.

“Prendiamo in considerazione gli elementi” disse Gabriel a un certo punto. “Quanto sai di essi?” domandò.

“So che ci sono i quattro elementi fondamentali” incominciò Perce cercando di esprimersi in maniera esauriente e, al contempo, non dimenticare nulla.

“Tutti gli altri elementi discendono da essi e il mondo dipende dall’equilibrio di questi quattro.

Lui, li incarna tutti, dominandoli. Voi, invece, ne governate uno a testa” terminò guardando l’altro con un certo timore, nella speranza di non aver detto sciocchezze.

“Ottima sintesi!” approvò Gabriel.

“Ma, ovviamente, c’è molto di più ed è tutto legato alla nostra comparsa nel mondo”.

“Voi non eravate previsti nella storia” sussurrò Perce, trovando sgradevole anche solo il pensiero di un mondo dove colui che gli stava di fronte non ci fosse.

“Infatti” confermò Gabriel, “ e questo ha creato non pochi scompensi al mondo che ci ha accolto”.

“Ma il mondo ha continuato ad andare avanti” gli appuntò Perce. Non sopportava il pensiero che Gabriel non fosse previsto nella storia.

Oramai c’era, e da molti secoli anche, e tutto andava bene.

Perché parlare dello scompenso che avevano causato, se oramai era tutto risolto?

“Non va tutto bene!” gli rivelò invece il Guardiano, intuendo i suoi pensieri.

Perce si fece attento.

“Il mondo è compromesso da molti secoli e, più passano gli anni, più questo scompenso aumenta”.

“Che significa?” domandò il cavaliere.

“Come ti ho detto prima, il mondo è retto da binomi opposti; uno di questi, è la magia contrapposta alla non magia” incominciò a spiegare Gabriel.

“Quando noi siamo comparsi nel mondo, la percentuale di magia è aumenta in maniera esponenziale rispetto al suo opposto. È per questo, che nessun Guardiano riuscirebbe a entrare in questo mondo, senza causare la distruzione dello stesso all’istante. Ed è sempre per questo, che noi abbiamo scelto di governare un elemento a testa. Io, nel mondo magico, rappresento il fuoco. Esso mi obbedisce ed io consento la sua esistenza. In questo modo, abbiamo limitato il nostro immenso potere affinché il mondo non cessasse di esistere nell’esatto momento della nostra comparsa”.

“E dov’è il problema?” chiese allora Perce.

“Il problema è che, nonostante questo, la percentuale magica continua a essere alta. Troppo alta, affinché il mondo resista per altri due secoli” gli rivelò Gabriel.

“Persino gli oggetti magici antichi, che rispondono al Sommo Emrys, stanno cominciando a risentire di questi squilibri. Squilibrio cui noi non sappiamo come porre rimedio” ammise il Guardiano.

“Oggetti magici?” domandò Perce.

“Già! Oggetti che hanno un’essenza propria e che, nell’ultimo secolo, sembrano impazziti. Il Sommo Emrys li custodisce tutti ma, già da un po’, questi oggetti scelgono di materializzarsi altrove”.

“Per questo, gli uomini avevano la Coppa della Vita” capì Perce.

“Esattamente. Ma non sono stati loro a trovarla, quanto più il contrario” gli spiegò ancora l’altro.

“Inoltre, se a questo ci aggiungiamo che Merlino, con la nostra comparsa, si trova a dover governare una percentuale di magia altissima, contrapposta a un opposto quasi inesistente, allora cominci a capire perché la situazione sia così preoccupante”.

Solo allora Perce cominciò a capire l’entità e la gravità della questione.

“Come può, un essere umano, sopportare tutto questo e continuare a vivere in eterno?” chiese allora con un sussurro.

“Vedo che cominci a capire il problema” approvò Gabriel.

“L’immortalità non è una cosa così semplice” riprese a parlare.

“I Guardiani hanno una mente predisposta a essa. Gli esseri umani, invece, no”.

“Che intendi per mente?”.

“La mente è solo un contenitore elastico. Più si assimilano informazioni, più essa si espande.

Tuttavia, prima o poi, queste informazioni cesseranno con la fine della persona in questione.

Immagina, invece, di non poter morire mai. Come arriverebbe la tua mente, dopo le informazioni ricevute in più di mille anni? Riusciresti a tenere a mente tutto? O ti sveglieresti, in alcuni casi, dimenticandoti in che anno sei?” domandò.

“Per questo…” in cominciò Perce, non sapendo come continuare.

Gabriel lo incitò con un cenno della testa.

“Per questo, in altre storie, Lui è impazzito?” chiese a bassa voce, richiamando alla mente le parole della Dama.

Gabriel annuì.

“E, dopo essere impazzito, ha smesso di esistere, non riuscendo ad arrivare nel ventesimo secolo” gli chiarì.

“Ma adesso c’è!” esclamò Perce, provando una tristezza infinita verso quello che, un tempo, era stato un suo amico.

“Il problema, per l’appunto, è proprio questo!”.

“Non capisco!” esclamò ancora Perce.

“Il problema è come sia arrivato in questo secolo” disse ancora Gabriel.

“Vedi, con il passare dei secoli, ci siamo accorti che Merlino, per governare gli equilibri del mondo, li incarna tutti. Ma non parlo solo di elementi. Riesci a comprendere?” chiese il Guardiano.

“Beh, incarna ogni elemento…” provò a riassumere Perce.

“E il suo esatto opposto” gli chiarì Gabriel.

“Persino il suo corpo è il chiaro segno della dualità. Noi, da Guardiani, lo avevamo sospettato, sin dall’inizio”.

“Dualità?” gli fece eco Perce.

“Rifletti!” lo incitò il Guardiano.

Sapeva per esperienza, infatti, che le cose assimilate tramite riflessione rimanevano più impresse, rispetto a quelle assimilate tramite spiegazioni esterne.

E considerando che il compito del cavaliere era quello di riportare al Re tutto quello che avrebbe sentito, allora era essenziale che non avesse dubbi.

“È essenziale che tu capisca” disse Gabriel dando voce ai suoi pensieri.

Decise quindi di catturare la sua completa attenzione, rivelandogli l’importanza dell’argomento.

“È essenziale che tu capisca!” ripeté con voce profonda. “Perché è per questo che siete tornati”.
 

Continua…
 

Note:
 

In questo capitolo non si hanno ancora informazioni su Merlino. Tuttavia, le cose sapute saranno essenziali per il capitolo successivo, dove Gabriel parlerà delle condizioni fisiche del mago.

Ringrazio hikaru83 che mi ha aiutato a delineare il mondo dei Guardiani e la ringraziano anche i Guardiani Eruditi che, senza il suo suggerimento, avrebbero continuato a chiamarsi Guardiani nonsocosa!
Grazie!

Spero di non avervi annoiato e che il capitolo vi sia piaciuto.

Come sempre, attendo i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Pandora86

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Capitolo 30
*** Capitolo 30. L'altra faccia dell'Immortalità ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 30. L’altra faccia dell’Immortalità.
 
Perché è per questo che siete tornati.

Quelle parole rimbombarono nella mente di Perce producendo un rumore assordante nonostante nella stanza, dopo l’affermazione di Gabriel, fosse calato il più assoluto silenzio.

Fissò Gabriel attento, nell’attesa che parlasse ancora.

Finalmente, il momento della verità era giunto.

Finalmente, avrebbe conosciuto il motivo della sua esistenza.

Però, prima voleva capire quello che Gabriel stava cercando di spiegargli.

Ma cosa domandare, fra quel mare di interrogativi?

Quale domanda porre per prima?

Il Guardiano sembrò intuire il suo stato d’animo, visto che ricominciò a parlare.

“Artù non ha notato niente, quando ha afferrato la mano di Merlino?” domandò con voce profonda.

Perce annuì, ricordando come Artù avesse sottolineato una parola: ghiaccio.

“La sua mano…” incominciò, non sapendo come continuare.

“Non era della temperatura di un normale essere umano” venne in suo soccorso Gabriel e il cavaliere annuì.

“Capisci adesso il concetto di dualità?” domandò ancora il Guardiano e il cavaliere scosse il capo perplesso.

Gabriel sorrise leggermente e ritornò a sedersi, accavallando con eleganza le gambe.

“Merlino domina ogni elemento e li tiene in equilibrio con la sua sola esistenza” incominciò a parlare.

“Tuttavia, per dominarli tutti, è necessario che li comprenda. Ti dice nulla la pietra che indossa?” domandò ancora, rivolto al cavaliere.

Perce lo guardò, ricordando le parole della Dama: la pietra del male.

“Quella pietra rappresenta il male” disse in un sussurro e Gabriel annuì.

“Più precisamente, direi che quella pietra è stata predisposta per accogliere il male” lo corresse.

“Quando Merlino nacque, io compì l’incanto che estirpò il male dal suo animo – infinitesimo rispetto a quello degli altri esseri umani – e lo condusse in una pietra” incominciò a spiegare andando, con la mente, a ricordi lontanissimi.

Perce lo ascoltava respirando appena e non osando interromperlo.

“Sapevamo che Merlino avrebbe rappresentando il bene, dominando il male. Ma non ti sei mai chiesto come può, un essere umano che non conosce il male, dominare lo stesso?” chiese ancora, intuendo, dall’espressione del cavaliere, che stava cominciando a comprendere.

“Tramite la pietra!” esclamò, infatti, Perce.

“Esattamente!” approvò il Guardiano.

“ Con il passare dei secoli, quella pietra è divenuta la rappresentazione del male, elemento necessario per l’esistenza del bene. Quindi, Merlino tiene in equilibrio i due elementi, incarnandoli nel suo stesso corpo: il male, con l’anello, e il bene, con il suo cuore puro e libero da ogni traccia di malvagità” spiegò Gabriel.

“Era questo che intendevi con dualità?” domandò Perce.

“Sì!” confermò Gabriel.

“Merlino domina ogni elemento e il suo esatto opposto, incarnandoli nel suo stesso corpo”.

“Ma che c’entra la sua mano?” fu l’ovvia domanda del cavaliere.

Gabriel sorrise con tristezza.

“Merlino rappresenta la forza e la potenza” incominciò nuovamente a parlare.

Perce capì, anticipando l’altro.

“E, di conseguenza, anche la fragilità e la debolezza!” esclamò.

Il Guardiano sorrise, confermando con il capo.

“Sì! Merlino è stato messo al mondo per volere degli elementi, proprio per reggere tutti gli equilibri. E gli elementi stessi gli hanno dato un corpo e un’anima con caratteristiche uguali e contrarie” disse ancora.

“Ma come potrebbe rappresentare la fragilità e la debolezza?” chiese Perce.

Un essere così potente, infatti, come poteva essere debole?

“Vedo che cominci a capire” parlò ancora Gabriel.

“Merlino ha una mente prodigiosa” e fece una pausa, “contrapposta a un corpo debole” gli chiarì.

“Corpo?” domandò Perce sgranando gli occhi.

Cosa gli stava rivelando Gabriel?

Perché aveva il sospetto che, quanto l’altro stesse per dirgli, fosse spaventoso?

“La potenza e la forza sono rappresentate dalla sua magia” disse ancora il Guardiano.

“La debolezza è rappresentata dalla fragilità del suo corpo” terminò, facendo una pausa.

“Con il passare dei secoli, ci siamo accorti cosa significasse realmente il fatto che solo la sua magia fosse immortale. Tu sai perché non invecchia, vero?” domandò e Perce annuì.

“Merlino è un vecchio millenario, intrappolato nel corpo di un trentenne” disse ancora Gabriel, lasciano modo all’altro di assimilare i concetti.

“La sua magia non gli consente di invecchiare. Tuttavia, i suoi organi e le sue ossa hanno mille anni”.

“Quindi…” lo interruppe il cavaliere non sapendo come esprimersi.

“Quindi risente della sua vecchiaia” venne in suo soccorso Gabriel.

Perce si prese un istante per riflettere, analizzando le informazioni ricevute.

Pensò agli ottantenni, e ai dolori che lamentavano legati alla loro età.

Ma se il corpo di un ottantenne risentiva della vecchiaia, allora in che condizioni era Merlino,
che era andato ben oltre il concetto di anzianità?

Espresse i suoi quesiti a Gabriel che approvò con un cenno della testa.

“Vedo che cominci a capire il problema!” disse con un sospiro.

“Ma perché la sua magia non fa nulla?” domandò Perce.

“In fondo, gli garantisce un aspetto giovane. Perché allora non cura tutti i suoi mali?” chiese ancora.

“Ma la sua magia lo fa” lo contraddisse Gabriel e Perce lo guardò interrogativo.

“La sua magia non gli permette di morire, curando il suo involucro esterno, il corpo per l’appunto. Lo protegge, inoltre, da tutte le piaghe, magiche e non, dandogli una resistenza fuori dal comune. Non ti sei mai chiesto perché, contro gli spettri, nella lontana Camelot, non è morto, a differenza delle altre persone?” domandò Gabriel.

Perce lo guardò attento, ricordando quell’episodio.

Era stato lui a portare Merlino tra le braccia, ma non ci aveva mai fatto caso.

Perché non era morto, a differenza di altri?

“La sua magia lo protegge” parlò ancora Gabriel, “curando il suo corpo. Tuttavia, l’immortalità non è una cosa con cui scherzare. Merlino deve dominare gli elementi e, per farlo, deve lasciare scorrere il tempo su di sé, perché è un essere umano. Capisci questo concetto?” chiese ancora Gabriel.

“Lui non è un Guardiano” disse allora Perce.

“I Guardiani dominano il tempo” continuò il cavaliere comprendendo la verità. “Gli esseri umani lo subiscono passivamente, e Lui è un essere umano” esclamò, guardando l’altro con gli occhi sgranati.

Gabriel annuì con il capo.

“È questa la differenza molecolare che è avvenuta in noi” parlò ancora il Guardiano.

“Non possiamo invecchiare, perché il nostro potere, altissimo, non lo consente. Tuttavia, avvertiamo il tempo scorrere sui nostri organi e sulle nostre ossa. Per questo ci ammaliamo. Tuttavia, il nostro corpo si è dimostrato più resistente rispetto a quello di Merlino. E qui veniamo al concetto di opposto”.

“Lui deve incarnare la potenza, rappresentata dalla sua magia” lo interruppe il cavaliere afferrando la verità.

“Ma anche la debolezza, rappresentata dal suo corpo” terminò lasciando che gli occhi si velassero di lacrime.

“La magia è sinonimo di protezione” parlò ancora Gabriel.

“Merlino, nei secoli addietro, ha persino contratto la peste, uscendone, ovviamente, illeso!”.

“Ma ha sofferto comunque” gli fece eco il cavaliere, chinando il capo e prendendolo tra le mani.

“Ha sofferto più degli altri, se per questo” gli chiarì Gabriel.

Il cavaliere alzò la testa, guardandolo interrogativo.

“Riflettici! In fondo, è ovvio” parlò ancora il Guardiano.

“Se hai un corpo che contiene un’energia magica che ti cura da sola, non hai bisogno di prendere medicine” disse ancora Gabriel.

“Tuttavia, la tua magia non può farti guarire tutta in una volta, perché altrimenti il corpo subirebbe danni. È come quando hai la febbre: Deve scendere lentamente perché, se la temperatura si abbassasse immediatamente, potresti avere un collasso” cercò di spiegarsi.

“La sua magia funge da medicina” parlò il cavaliere.

“A livello immunitario, sì” confermò il Guardiano.

“Ma è leggermente più lenta delle medicine” parlò ancora.

“È da secoli che noi studiamo il suo corpo, prendendocene cura. Avevamo già questi sospetti a Camelot, quando Merlino veniva ferito”.

Perce alzò il capo, richiamando alla mente un particolare.

“È vero!” esclamò.

“Lui poteva perdere sangue e venire ferito” disse perplesso.

“Già!” confermò Gabriel.

“Ed è ancora così!” aggiunse.

“Capisci perché è solo la sua magia a essere immortale?” chiese.

Perce annuì.

“Tiene il suo corpo in uno stato di apparente giovinezza” disse il cavaliere.

“La Dama ci ha spiegato perché in altre storie era vecchio” aggiunse con un sospiro.

“È stata la natura a volere che il suo corpo fosse così” parlò Gabriel.

“Mente eccellente contrapposta a un corpo debole. Non ti dice nulla la Lamia?” domandò ancora il Guardiano.

Perce arrossì a quel ricordo e chinò il capo.

Non ci aveva fatto una bella figura, e se ne vergognava profondamente!

Gabriel se ne accorse ma fece finta di nulla.

“La Lamia non lo contaminò non perché aveva poteri magici. Uno stregone è sempre un uomo mortale in fondo, e se la sua energia magica fosse stata bassa, la Lamia non avrebbe avuto problemi ad aggirare la sua mente. Merlino non fu contaminato per la sua mente superiore alla norma, e per il suo animo, libero da ogni traccia di malvagità” spiegò Gabriel.

“Mente eccellente contrapposta a corpo debole!” gli fece eco il cavaliere pensieroso.

“Merlino, per volere della natura stessa, deve incarnare ogni caratteristica e il suo esatto opposto. Deve viverli su se stesso” chiarì ancora Gabriel.

“Merlino è un essere da coraggio eccezionale” aggiunse.

“Ma, nel corso dei secoli, ha provato la paura. Ha provato il terrore e la disperazione di chi non ha scampo, a causa dell’anello che porta e che solo lui può portare” terminò.

“Per dominare il male deve sentirlo su di sé tramite l’anello!” esclamò Perce in un sussurro.

“Esattamente” confermò Gabriel.

“D’altro canto, sono appena tre secoli che lo indossa. L’anello è un peso inimmaginabile che solo lui, con il suo animo, può indossare senza esserne contaminato” disse ancora.

“Inoltre” aggiunse dopo alcuni istanti di silenzio, “anche se in qualità di Guardiani avevamo previsto molte cose, non vuol dire che sappiamo come porre rimedio. Merlino continua a essere la nostra incognita e non abbiamo le soluzioni a tutto. Ad esempio, non sappiamo perché la sua temperatura corporea è così bassa. Il suo corpo ha iniziato a perdere gradi da qualche secolo, e non sappiamo se questo è legato all’anello o alla sua vecchiaia” concluse pensieroso.

“L’immortalità non è cosa con cui scherzare” ripeté dopo un po’.

“Basti pensare alle figure immortali che sono state create dalla vostra fantasia, nel corso dei secoli!”.

“Ti riferisci ai vampiri?” chiese Perce perplesso.

Gabriel annuì.

“Le creature immaginarie sono lo specchio di quello che gli esseri umani desiderano. I vampiri, così come le altre figure, incarnano alla perfezione la brama che ha l’uomo verso la vita eterna.
Chi non vorrebbe, d’altro canto, vivere per sempre?” domandò retorico e Perce annuì con il capo.

“Tuttavia, i vampiri hanno anche un corpo perfetto che non può essere ferito, una bellezza fuori dal comune, riflessi e velocità fuori dal normale”rifletté Gabriel.

“Il vampiro incarna tutti i desideri impossibili dell’uomo: ricchezza, vita eterna, forza. Ma l’immortalità, quella vera, è molto diversa dalle leggende popolari” terminò.

“La vera immortalità, quella esistente nel corpo di Merlino, non prevede il dominio del tempo, come invece succede alle figure della fantasia” aggiunse sapendo che l’altro avrebbe capito.

“I vampiri fermano il loro corpo al momento esatto della trasformazione e non più sono esseri umani” intervenne Perce, “e quindi, fermano anche il tempo, lasciando che non scorra più nel loro corpo” aggiunse guardando Gabriel, che annuì con il capo.

“Lui, invece, no!” esclamò poi il cavaliere.

“Merlino è un essere umano, e tale è rimasto per tutti questi secoli. Se ha mantenuto l’aspetto di un trentenne, è perché ha scoperto la sua immortalità molto prima rispetto alle altre storie, avvenute in altri tempi. Ma Merlino deve rimanere un essere umano per governare anche l’uomo, sia magico che non magico. Deve rimanere un essere umano, per comprendere l’uomo e guidarlo affinché non causi disastri” chiarì Gabriel.

“In sostanza, l’uomo, per rimanere tale, deve subire il tempo, altrimenti sarebbe un guardiano. Per questo mi hai parlato delle dimensioni!” chiese conferma Perce.

“Ottima sintesi” approvò Gabriel.

“E la medicina moderna, non può aiutarlo?” chiese ancora il cavaliere.

“Certo che sì” confermò Gabriel.

“Io stesso sono divenuto un medico appositamente” chiarì.

“Sei laureato in medicina?” chiese Perce interessato.

“Sono il medico dei miracoli, per i miei colleghi umani” spiegò con un mezzo sorriso.

“Ovviamente, la mia bravura deriva dai miei studi e non dalla magia, che non viene assolutamente usata per questi scopi”.

“Perché?” chiese il cavaliere.

“Affinché gli equilibri del mondo siano rispettati” spiegò il Guardiano.

“Piaghe magiche curate con la magia, e piaghe non magiche curate con la scienza. È essenziale non mescolare le due cose oppure i due elementi andrebbero in contrasto. Un po’ come la preda e il predatore: è stato studiato che, per l’esistenza della preda, è necessario il predatore”.

“Se non ci fossero più malattie, il mondo sarebbe squilibrato!” capì Perce.

“Quindi, la medicina lo aiuta?” chiese ancora.

“Ci sono pomate che leniscono i dolori. Se ha un raffreddore, non aspettiamo che sia la sua magia a guarirlo, più lenta rispetto alle medicine. Tuttavia, i farmaci lo aiutano ma non lo guariscono. È impensabile una cosa del genere. Sarebbe possibile, solo riportando le sue ossa e i suoi organi allo stadio in cui erano quando il corpo era trentenne” rispose coinciso.

“Ma una cosa del genere è impossibile” rifletté Perce.

“Appunto!” gli fece eco Gabriel.

“Inoltre, come ti ho detto, molte cose sono nuove anche per noi. Le affrontiamo man mano che si presentano, ma non abbiamo la certezza di porvi rimedio” terminò, guardando l’ora.

Perce seguì il suo sguardo, notando che erano le due di notte passate.

“So che abbiamo molte cose da dirci, ma proporrei di rimandare” disse il Guardiano alzandosi.

Perce lo imitò.

“Riporta quanto ti ho detto e riflettete bene su queste cose. Perché è la comprensione di queste cose, che vi aiuterà a capire quanto ci diremo in futuro”.

Perce annuì, capendo cosa volesse dire l’altro.

Era vero, non avevano parlato dell’anello.

Fatto stava, che gli argomenti toccati erano molto più importanti ed era evidente che l’anello fosse collegato a essi.

Se non avessero capito bene cosa significava quello che stava vivendo Merlino, e chi realmente fosse, allora non sarebbe servito a niente conoscere il seguito.

“Cosa deve fare Artù con l’anello?” domandò, in ogni caso.

Gabriel si prese un istante prima di rispondere.

“Può indossarlo – se preferisce – o lasciarlo a casa, oppure ancora portarlo al collo. Non sarà visibile per altri esseri umani” rispose annodando la sciarpa.

“Ti rivedrò ancora?” chiese Perce, osservando l’altro indossare i guanti.

“È improbabile che tu non mi riveda, considerando cosa rappresenti e come tu sia in contatto con Artù” gli fece notare Gabriel con tono ovvio.

“Sì, cioè, no! Voglio dire…” provò a spiegarsi.

Gabriel lo invitò a continuare con un cenno del capo.

“Ci rivedremo ancora… così?” chiese, indicando la stanza con il braccio.

“Suppongo tu voglia dire se sarò sempre io a darti spiegazioni in privato che poi riferirai, oppure le cose cambieranno” capì allora Gabriel e Perce confermò.

“Vedremo” rispose dubbioso il Guardiano.

“Non è in mio potere prevedere il futuro” disse ancora, e il cavaliere sentì l’angoscia invadergli l’animo.

Quindi, non l’avrebbe più rivisto.

Non in maniera così privata e intima.

“Tuttavia, proporrei di continuare a procedere in questo modo. È più semplice parlare a una persona, rispetto che a un gruppo. Più pratico e più veloce!” disse Gabriel sorprendendolo.

Perce alzò il capo, sorridendo.

“Adesso devo proprio andare. Tu devi dormire qualche ora, prima di andare in ufficio. Non precipitarti a riferire tutto ad Artù” gli consigliò Gabriel.

“Perché mai?” chiese Perce.

“Non ti sto dicendo di non dirgli nulla, anzi!” chiarì il Guardiano.

“Solo, non metterti al telefono immediatamente. Riposa un po’ e riferisci tutto domani nella serata. So, per esperienza, che le cose vengono riportate meglio e con più chiarezza, dopo una notte di sonno” spiegò, aprendo la porta.

“Alla prossima!” salutò tendendo la mano.

“Alla prossima” rispose Perce afferrando la mano dell’altro con reverenza e stringendola piano.

Avrebbe seguito il suo consiglio.

D’altro canto, anche lui aveva bisogno di tempo per riflettere su tutto quello che aveva saputo.

Fu questo il suo pensiero mentre, affacciato alla finestra, osservava il guardiano allontanarsi e camminare con eleganza, incurante dell’aria gelata che lo circondava.

Sì, avrebbe fatto così.

Era necessario che Artù sapesse nel migliore modo possibile.

E lui aveva bisogno di riordinare bene le idee, prima di parlare con il suo attuale capo.
 

***
 

La donna osservò il guardiano allontanarsi, mentre la malinconia prendeva il sopravvento.

“Padre” sussurrò, prima di volgere definitivamente le spalle e andarsene.

Il tempo era quasi scaduto e lei doveva assolutamente tornare ad Avalon.
 

Continua…
 

Note:

In questo capitolo inizio a spiegare la situazione di Merlino, approfondendo la sua immortalità e facendo un paragone con i Guardiani.

La differenza sostanziale tra un Guardiano e un essere umano è appunto il Tempo e Merlino deve rimanere un umano per guidare l’uomo.

Ecco perché il capitolo precedente è stato tutto dedicato alle dimensioni.

La situazione di Merlino comunque è ancora complessa e Gabriel si è limitato a spiegare una piccola parte.

Spero che sia stato tutto chiaro e che questo capitolo vi sia piaciuto.

Come sempre, attendo i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Pandora86
 

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Capitolo 31
*** Capitolo 31. Attesa ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 31. Attesa
 
Palazzo dei Guardiani – Domenica notte
 

“Zia” salutò affettuosa Freya, entrando nella stanza dell’anziana donna e accomodandosi in poltrona.

“Dalla tua espressione, deduco che sia andato tutto bene, bambina mia!” esclamò la donna sorridendo.

“Sì, zia!” confermò la ragazza.

“I guardiani sono entrati in contatto con i cavalieri, finalmente, e il Sommo Emrys ha consegnato l’anello” terminò, sistemandosi meglio sulla poltrona.

“Bene!” approvò l’anziana donna.

“Tutto, grazie alla Coppa della Vita” parlò riflessiva. “E grazie a te” aggiunse, sorridendo verso la ragazza.

“Non ho fatto nulla di speciale” arrossì Freya.

“Invece, hai fatto molto” la corresse l’anziana donna.

“I Guardiani di quel tempo pensano che gli oggetti magici siano impazziti, continuando a materializzarsi in posti impensabili, e non sospettano minimamente che ci sia tu dietro tutto questo”.

Freya annuì con il capo, silenziosa.

“Tu, in qualità di ex essere umana, e grazie al nuovo potere concessoti da mio nipote, puoi entrare in un mondo da umana, senza il rischio di farti percepire. Nel caso di questo mondo in particolare, puoi entrare senza provocare il caos, dato che puoi annullare la tua energia magica. Gli oggetti, tuttavia, riescono a percepirti e rispondono al tuo volere” spiegò l’anziana donna.

“Per questo mi avete chiesto di far materializzare la coppa nei pressi di quei tre maghi” costatò Freya.

“Era necessario” confermò la donna.

“Merlino avrebbe ancora rimandato l’incontro. Facendo muovere un’energia magica nelle vicinanze del Re, i Guardiani sono dovuti necessariamente entrare in contatto con loro” terminò.

“I cavalieri e il Re non si sono minimamente accorti che i loro corpi non sono come tutti quelli degli altri esseri umani” aggiunse Freya.

“Non avrebbero potuto. Tuttavia, essendo stati ad Avalon, qualcosa dentro di loro di speciale è rimasto. Hanno compiuto un viaggio che pochi possono immaginare” rispose la donna.

“Neanche Merlino e i Guardiani se ne sono accorti, però!” costatò Freya.

“Questo è abbastanza normale, considerato che i cavalieri e il Re sono molto giovani. Noi, facendoli entrare in contatto, abbiamo scampato l’irreparabile” sorrise la donna.

“Dite che basterà?” chiese Freya preoccupata.

“Ne sono certa, mia cara. Oramai, il meccanismo è stato avviato e nessuno, neanche il giovane Mago, può opporsi agli ingranaggi di quel mondo” confermò.

“Gli equilibri presto saranno rispettati, quindi” costato Freya.

“Non solo” la corresse bonaria la donna.

“Quel mondo, oramai lasciato a se stesso e dimenticato dal mondo dei Guardiani, può creare la storia perfetta” sospirò.

“Solo tu ed io, bambina mia, continuiamo a preoccuparci di quel mondo” aggiunse osservando, tramite il portale, suo nipote che dormiva.

“La Coppa della Vita sarà fondamentale per questo, vero?” chiese Freya.

“Sì, mia cara!” confermò la donna.

“Hai notato le simmetrie che ci sono all’interno dei due gruppi?” chiese.
Freya annuì con il capo.

“Quando i due gruppi si uniranno, le anime mancanti troveranno il loro posto” spiegò la donna.

“I Guardiani non erano previsti nella storia, però” si crucciò Freya.

“Eppure, il mondo ha provveduto lo stesso. Neanche noi possiamo opporci al Fato. Non è stato un caso che siano stati i miei adorati nipoti a guidare Camelot. Non è stato un caso che il sommo Kyle, fra i tanti Merlino, abbia scelto proprio questo. Non è stato un caso che Merlino sia accompagnato da due creature magiche, anch’esse immortali” spiegò ancora la donna.

“Gli uomini non trovano quasi mai la loro parte mancante di anima” continuò a parlare.

“Eppure, riescono a essere felici lo stesso, nonostante si sentano incompleti. A volte, capita che questa parte mancante di anima ancora debba nascere, come nel caso di due cavalieri. Oppure, come nel caso degli altri due, questa parte mancante appartenga a un altro mondo” terminò.

“Non è stato un caso che i Guardiani abbiano deciso di infrangere le leggi” disse Freya e la donna confermò con il capo.

“Qualcosa, in quel mondo, ha esercitato una forte attrattiva per loro. Attrattiva che hanno giustificato dicendo a loro stessi di essersi affezionati al giovane Mago. Tuttavia, solo perché si nasce in un mondo, non vuol dire che si fa parte di esso. E i miei nipoti hanno capito da soli quale fosse il vero mondo a cui erano destinati”.

“Adesso, dobbiamo solo aspettare che le anime di tutti loro si uniscano” affermò Freya.

“Non sarà facile” scosse la testa l’anziana donna.

“Le menti sono le peggiori nemiche dei cuori e non sarà facile per loro accettare le proprie metà” sospirò.

“Farà male, quando avverrà?” chiese Freya preoccupata.

“Non ti so rispondere, bambina mia, perché io non sono un essere umano. Tuttavia, posso dire con certezza che saranno persone nuove”.

“Sapete come avverrà il processo?” chiese ancora Freya.

“Non ti so dire neanche questo” ridacchiò la donna.

“Non so come possano unirsi due anime di esseri viventi, dato che è la prima volta, nella nostra storia, che un mondo prende una simile piega” le ricordò benevola.

“Posso solo dirti che è il loro cuore la chiave di tutto” e si interruppe, chiudendo gli occhi.

Freya sorrise, guardandola con affetto.

Merlino…

Finalmente, aveva la possibilità di ricambiare tutto quello che il mago aveva fatto per lei.

Avrebbe ripagato il suo padre magico, della nuova vita concessale.

Avrebbe ripagato tutti loro.

Perché quel mondo poteva ancora salvarsi.
 

Casa dei Guardiani – Lunedì mattina
 

“Dannazione!” imprecò sottovoce Gabriel con disappunto.

Non gli capitava quasi mai di imprecare ma d’altronde, in alcuni casi, la situazione lo richiedeva.

Erano le sette del mattino e aveva dormito pochissimo.

Dopo essere uscito dalla casa del cavaliere, era passato alla villa, costatando quello che già sapeva: le condizioni di Merlino, dopo la consegna dell’anello, erano, se possibile, peggiorate ancora.

Quando era arrivato, Merlino dormiva e, considerato quanto fosse agitato il suo sonno, di certo la sua mente era popolata da incubi.

D’altro canto, erano molti secoli che non dormiva più come si doveva e questo, insieme a molte altre cose, lo stava logorando.

Le creature magiche, che loro avevano scelto molti secoli addietro, tenevano compagnia al loro padrone, vegliando sul suo sonno e cercando di prevenire un’ulteriore peggioramento delle sue condizioni.

Gabriel gli aveva tastato la fronte, considerando che la febbre era altissima.

Aveva prescritto un antipiretico e poi era andato via.

Non aveva nemmeno preso in considerazione di fare un incantesimo: con l’energia magica di
Merlino così squilibrata, avrebbe solo ottenuto l’effetto contrario.

Guardò allo specchio il taglio che si era fatto mentre si radeva e che aveva causato l’imprecazione, considerando come la sua mano tremasse leggermente.

Appoggiò le mani al lavandino, osservandosi con aria critica: era indiscutibilmente bello, questo lo sapeva.

Aveva un quoziente intellettivo sopra la media e sapeva anche questo.

Aveva le attenzioni, molto spesso indesiderate, di molte persone ma ci aveva fatto l’abitudine.

O meglio, credeva di averci fatto l’abitudine.

E allora, perché?

Perché aveva acconsentito a vedere ancora il cavaliere?

Perché è la soluzione più pratica! Si disse mentalmente.

Certo, questa era la scusa razionale.

Ma perché, la risposta affermativa era scattata ancor prima di considerare l’ipotesi logica?

Gabriel, d’altronde, non si era mai nascosto dietro un dito, né da guardiano, né da essere umano.

Cercava di essere oggettivo sempre e comunque, sia sulle cose che riguardavano gli altri, sia su quelle che riguardavano se stesso.

Aveva scelto di guidare Camelot perché sapeva di poterne uscire vincitore, così come aveva tradito il suo mondo perché non faticava ad ammettere – nell’intimo dei suoi pensieri – di essersi affezionato al mago.

Sapeva che il cavaliere aveva un interesse per lui, così come Kyle sapeva dell’interesse di Gwaine.

Ma la cosa, semplicemente, non lo toccava.

Non lo aveva toccato fino a quel momento, almeno.

Lui che parlava così tanto.

Lui che cercava di essere gentile perché gli dispiaceva che il suo carattere potesse offendere l’altro.

Che cosa ridicola!

Quando mai si era preoccupato di quello che pensavano gli altri?

Lui era se stesso, sempre e comunque. E, se agli altri non stava bene, potevano tranquillamente andare al diavolo.

E poi, perché il cavaliere aveva sempre sorriso, in risposta alle sue espressioni fredde e ai suoi rimproveri?

Come se lo avesse già accettato per quello che era.

Però… loro non erano amici di vecchia data.

Possibile che l’interesse del cavaliere fosse talmente grande, da voler conoscere tutto di lui, anche il suo caratteraccio e i suoi modi di fare glaciali?

Possibile che lo volesse esattamente com’era?

Forse! Considerò.

Ma lui, come doveva regolarsi a quel punto?

C’era da dire che non poteva neanche mandare direttamente l’altro al diavolo, considerando quanto fosse stato discreto.

Non ci aveva provato, né aveva fatto qualcosa per entrare nelle sue grazie.

Semplicemente, lo aveva ascoltato, cercando di capire al meglio, non perdendosi nessuna parola uscita dalle sue labbra.

Il cavaliere si era sinceramente dispiaciuto quando aveva capito il cambiamento avvenuto nel suo corpo.

Allo stesso modo, Gabriel aveva colto il disappunto – molto ben nascosto, questo doveva ammetterlo – comparso sul suo volto quando gli aveva fatto presente come lui non fosse previsto dalla storia.

Osservò il taglio che si era procurato alla guancia.

Sì, questo era uno degli scotti da pagare: avere un corpo materiale e con forma unica, non più adatto ad attraversare il tempo.

“Dovresti disinfettarlo, Gabrielino”.

Gabriel alzò gli occhi al soffitto.

“Non dovresti andare al lavoro, invece che infastidire me?” lo riprese freddamente.

“Infatti! Sei tu che stai occupando il bagno” rispose noncurante Kyle, togliendosi la maglia e avvicinandosi al lavandino.

Gabriel notò come indossasse lo stesso abbigliamento della sera precedente: segno che era appena rientrato.

Evidentemente, aveva passato tutta la notte accanto a Merlino dopo la sua visita, decidendo di tornare solo per andare in ufficio.

Sotto gli occhi, erano evidenti le occhiaie ma quello che più si notava, erano le rughe di preoccupazione che gli increspavano la fronte. Segno che la febbre di Merlino non si era ancora abbassata quando Kyle era andato via.

“Mi sembra di ricordare come questa casa sia dotata di doppi accessori” sibilò Gabriel, facendo comunque finta di nulla.

D’altro canto, erano tutti preoccupati e l’improvvisa decisione di Merlino li aveva spiazzati non poco.

Non era ancora il momento per un contatto così ravvicinato con il Re, e ora il mago ne stava pagando le conseguenze.

“Mi sembra di ricordare” gli fece il verso l’altro, “che il secondo bagno è proprietà esclusiva di Merlìha, visto quanto tempo ci mette a prepararsi” e lo scostò dal lavandino con una leggera spallata.

Senza rispondere, Gabriel prese del disinfettante da uno dei mobiletti del bagno e lo versò su un po’ di ovatta.

Lo osservò truce, valutando il perché Kyle avesse deciso di recarsi comunque in ufficio.

Dire che fosse nero era riduttivo e prendersela con i cavalieri e il Re, che oramai conoscevano la sua identità, doveva essergli sembrato molto allettante, visto e considerato quanto potesse
fare poco per le condizioni di Merlino.

La mano di Gabriel tremò leggermente, mentre avvicinava il batuffolo alla sua guancia e socchiudeva gli occhi per il momentaneo bruciore.

Tremore che non sfuggì agli occhi attenti di Kyle che non mancò di lanciare una delle sue frecciatine.

“Sei nervosetto!” lo sfotté, infatti, il biondo.

Gabriel lo fulminò con lo sguardo.

“Vedi di non farti coinvolgere” lo riprese Kyle, stavolta serio.

Gabriel lo fissò, come se avesse davanti un idiota.

“Scusa?” domandò, invitando l’altro a ripetere.

“Non – farti – coinvolgere!” sibilò lentamente Kyle, sapendo che l’altro avrebbe capito a cosa alludesse.

“Non so di cosa parli” fece finta di nulla Gabriel avviandosi verso la porta.

“Le persone sono inutili, Gabrielino, dalla prima all’ultima. Sono oggetti” rimarcò le sue convinzioni Kyle, guardandolo dallo specchio.

Gabriel lo ignorò e uscì dal bagno senza parlare, chiudendo la porta con più forza del necessario.

“Inutili” ripeté Kyle alla stanza, mentre si guardava allo specchio.

“Oggetti” disse ancora, rimarcando ciò che gli era stato insegnato nella sua giovinezza.

“Farsi coinvolgere è sempre uno sbaglio” rifletté ancora, decidendo di fare una doccia gelata, mentre un volto prendeva forma nella sua mente.

“Che essere inutile” sibilò con rabbia, decidendo di porre fine a quei pensieri.
 
Ufficio – Lunedì mattina
 

“Cosa significa: ne parliamo stasera?” sibilò Artù, assottigliando gli occhi.

Quella notte, dopo le due, Perce gli aveva mandato un messaggio.
 

Da: Perce
H 02:30
Ci vediamo domani, in ufficio.
 

Artù aveva letto con disappunto.

Anello o non anello, avrebbe raggiunto la casa di Perce in quel momento esatto.

Aveva già infilato una scarpa, di fronte allo sguardo allibito degli altri che, come lui, aspettavano notizie, quando era arrivato un secondo messaggio, sempre dalla stessa persona.
 

Da: Perce
H 02:31
Fidati di me! Per piacere.
 

Quasi come se lo avesse letto nel pensiero, Perce aveva voluto comunque tranquillizzarlo.

Aveva fissato la scarpa che aveva in mano, decidendo di posarla a terra.

“Ci dici che cazzo succede, Artù?” era sbottato Gwaine, che aveva seguito con interesse i movimenti del suo capo, notando come sembrasse ansioso di uscire.

Artù, senza parlare, gli aveva mostrato i messaggi e anche gli altri si erano avvicinati per leggere.

Poco dopo, ne era arrivato un altro.
 

Da: Perce
H 02:35
Gabriel ha detto che puoi portare con te l’anello. Non sarà visibile per gli altri.
 
 
Gwaine aveva letto quel messaggio imprecando.

Non solo, erano le due e mezzo di notte. Non solo, l’indomani avrebbero dovuto alzarsi tutti presto per andare a lavoro. Come se non bastasse, si trovavano in mano un pugno di mosche, considerando quanto quell’attesa fosse stata inutile.

Uno dopo l’altro, erano andati via.

Lance aveva rivolto uno sguardo dubbioso ad Artù ma poi aveva capito il desiderio dell’altro di rimanere solo e Artù aveva apprezzato il gesto.

Quando erano andati via, aveva preso l’anello – toccandolo non più del necessario – ed era andato in camera sua. L’aveva poggiato sul comodino, stendendosi sul letto e poggiandosi su un gomito, osservando quel piccolo oggetto come se potesse dargli delle risposte.

Aveva chiuso gli occhi, sfiorandolo appena e aprendoli di scatto l’istante successivo.

Cos’era stata quella sensazione?

Una piccola scossa elettrica aveva attraversato la sua mano e Artù aveva guardato a lungo le sue dita, sentendole leggermente intorpidite. Eppure, non era stata una sensazione spiacevole.

Nonostante tutto, Artù si era stupito della calma con cui stava affrontando la situazione.

Sapeva di non essere più il principe impulsivo, che agiva prima di pensare, però sapeva anche che non era normale una simile calma dentro il suo animo.

Non era un atteggiamento che apparteneva al suo modo di fare.

Quella mattina, aveva resistito all’impulso di sfasciare la sua casa e l’anello era stato l’ultimo dei suoi pensieri.

Lo aveva rivisto finalmente.

Invece, adesso, si sentiva tranquillo.

Aveva sfiorato nuovamente l’anello, non resistendo al pensiero che Lui lo avesse indossato per tanto tempo.

Se si concentrava, forse, poteva sentire il suo tocco.

Era vero, Lui era andato via.

Ma adesso, sul suo comodino, c’era un oggetto che era appartenuto a Lui, e questo pensiero gli dava speranza.

La superficie metallica, sotto le sue dita, sembrava trasmettergli calma.

E poi, cos’era quel senso di familiarità verso quell’oggetto?

Forse aveva ragione Lance, l’anello gli spettava.

Però, lui era sicuro di non averlo mai visto prima. Come poteva, quindi, trovarlo familiare?

Forse perché era appartenuto a Lui.

Inoltre, con il passare dei minuti, il sonno si era impossessato di lui e Artù aveva dormito profondamente, come non succedeva da tempo.

L’aveva sognato, attingendo ai ricordi della notte precedente.

Aveva sognato il suo volto, come sapeva essere in questo secolo.

La mattina, si era poi svegliato con l’anello sul cuscino, accanto a lui.

Artù ricordava chiaramente di averlo solo toccato, non di averlo mosso.

Eppure, eccolo lì, sul suo cuscino. L’aveva afferrato, accarezzandolo piano e sentendosi riposato come non mai. Aveva sorriso, senza saperne il motivo e l’anello, in quel momento, aveva brillato di luce propria.

Artù non l’aveva visto dato che era a occhi chiusi, ma aveva avvertito il calore che sembrava emettere la pietra.

Quando aveva aperto gli occhi, il calore era scomparso, ma la calma era rimasta.

Si era rivestito, per andare in ufficio e aveva deciso di portare l’anello con sé, nella tasca della giacca.

Da quello che aveva capito, avrebbe sia potuto appenderlo al collo, sia metterlo al dito: nessuno l’avrebbe notato. Tuttavia, Artù non si sentiva ancora pronto per una cosa del genere e metterlo in tasca gli era sembrato un buon compromesso.

Ora, che si trovava in ufficio però, sentì tutta la calma che l’aveva accompagnato durante la notte svanire.

E il motivo era semplice: come poteva, infatti, Perce pensare di liquidarlo con quella frase?

“È meglio così!” rispose Perce tranquillo, non perdendo la sua pacatezza di fronte all’ira crescente del proprio capo.

Gwaine stava per ribattere qualcosa ma l’arrivo di Lenn interruppe le proteste sul nascere.

“Buongiorno” salutò questi con un sorriso tirato e sedendosi al suo posto.

Tutti notarono le occhiaie evidenti sul volto di Lenn valutando che se loro avevano dormito poco, Lenn sembrava non aver dormito affatto.

Perce lo guardò più a lungo degli altri, forse intuendo perché Lenn apparisse così stanco.

Lui adesso conosceva le condizioni di Merlino.

E se fosse successo qualcosa, quella notte?

“Stai bene?” chiese, non curandosi di nascondere la sua preoccupazione.

Lenn gli sorrise stanco.

Tutti notarono la pietra che portava al dito mentre si massaggiava gli occhi.

“Ho dormito poco” rispose.  “Come tutti, del resto” aggiunse, riferendosi chiaramente a tutti i presenti nella stanza.

“Almeno tu hai dormito”.

La voce irritata di Kyle, che era appena entrato nella stanza, li fece voltare tutti.

Senza degnare nessuno di uno sguardo, si sedette alla sua postazione.

“Kyle” provò a parlare Lenn ma l’altro interruppe qualsiasi cosa volesse dire sul nascere.

“Fammi un piacere Lenn: stai zitto!” parlò assottigliando gli occhi.

“O giuro, su quello che sono, che faccio saltare in aria questo misero edificio” sbottò, non nascondendo la sua ira.

Tutti si voltarono a osservarlo.

Tutti notarono come Kyle non avesse usato nessun vezzeggiativo sul nome di Lenn: segno che era veramente arrabbiato, come forse mai lo avevano visto.

“Sai che non potevamo prevedere che avrebbe fatto una cosa del genere” provò a farlo calmare Lenn.

“Io so solo quello che vedo” rispose Kyle.

“E so che dovevamo evitare quest’incontro” sbuffò irritato.

“Che significa?” intervenne Artù, capendo a quale incontro l’altro si riferisse.

“Significa che non era ancora giunto il tempo” gli spiegò paziente Lenn visto che Kyle ignorò totalmente sia Artù sia la sua domanda.

“Ma stasera Perce vi spiegherà meglio. O, comunque, vi comincerà a spiegare qualcosa. È inutile, per voi, sapere quello che sta succedendo, se vi mancano i dati essenziali” e ritornò a lavoro.

Poco dopo, tutti ripresero le loro postazioni in ufficio.

Avevano capito, infatti, che Lenn non avrebbe detto più nulla a riguardo.

Anche Ginevra, quando andò a sedersi alla sua scrivania, notò come Merlìha sembrasse più stanca, ma fece finta di nulla.

Gwaine non provò neanche a rivolgere la parola a Kyle, visto l’atteggiamento freddo di quest’ultimo.

Dentro di sé, fremeva mentre un’idea prendeva forma nella sua testa.

Tuttavia, ci avrebbe pensato meglio quella sera, dopo aver ascoltato quanto Perce avesse da dire.

Poi, a seconda di quello che avrebbe saputo, avrebbe agito.

Perché lui era sir Galvano e pochi potevano sperare di fermarlo, quando aveva in mente qualcosa.
 

Continua…

Note:
 
In questo capitolo si comincia a capire qual è lo scopo del ritorno dei cavalieri e si scopre perché gli oggetti magici sembrino impazziti.

Ulteriori spiegazioni saranno comunque date nei capitoli futuri.

Riguardo le pubblicazioni, vi informo che aggiornerò sempre di lunedì. Forse qualche lunedì salterà ma l’aggiornamento avverrà sempre questo giorno.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.

Come sempre, attendo i vostri pareri.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Pandora86
 

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Capitolo 32
*** Capitolo 32. Luce e Tenebra ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 32. Luce e Tenebra.
 

Lunedì sera – casa di Artù
 

“Quindi, fatemi capire! Non sappiamo ancora niente dell’anello?” chiese Gwaine interdetto.

“Abbiamo saputo cose molto più importanti” lo riprese Lance congiungendo le mani.

Erano tutti accomodati nel salotto di Artù.

Il Re, che non aveva profferto parola da quando Perce aveva cominciato a raccontare, sedeva impassibile in poltrona.

Dal suo sguardo, sarebbe stato impossibile capire cosa stesse pensando.

“Tipo? Non mi sembra che le notizie siano state buone” replicò Gwaine.

“Cosa ti aspettavi, allora?” intervenne Elian.

“Che la situazione fossa tutte rose e fiori?” domandò ancora.

“Proviamo a fare una sintesi!” propose Leon e gli altri annuirono.

“Il vero problema è l’equilibrio del mondo” disse ancora rivolto a Perce che annuì di rimando.

“La situazione è entrata in crisi quando i Guardiani hanno fatto la comparsa in un mondo dove non erano previsti” si espresse Lance.

“In pratica” continuò, “se ho capito bene, i casi erano due: o lasciarlo andare avanti da solo, oppure accompagnarlo nella storia!”.

“Infatti!” confermò Perce.

“Proviamo ad analizzare i due casi!” propose ancora Lance e gli altri annuirono.

“A cosa ci serve?” protestò Gwaine che poco amava quelle riunioni, dove l’unica cosa che potevano fare era parlare.

Lui era un uomo d’azione, sempre e comunque.

“Se non capiamo i fatti, non credo avremo molta utilità” lo riprese Lance.

Gwaine sbuffò ma non protestò.

“Dicevamo” continuò l’altro, “ i casi erano due. Analizziamo il primo: cosa sarebbe successo se i Guardiani non lo avessero accompagnato?” domandò.

“Avrebbe affrontato tutto da solo!” esclamò Ginevra in un sussurro.

“Sì, ma non solo!” la corresse Lance.

“Che vuoi dire?” domandò Leon.

“Che i Guardiani hanno scelto il male minore” rispose pratico.

“Spiegati” protestò Gwaine.

“È evidente!” intervene Elian.

“Evidente cosa?” gli fece eco Gwaine.

“Che lo hanno accompagnato nella storia per avere una probabilità più alta di farlo arrivare nel ventesimo secolo” rispose Elian, pratico come sempre.

“Le scelte erano due: o lasciarlo da solo, senza il male nel suo animo, ad affrontare tutto, oppure accompagnarlo, mettendo in pericolo il mondo intero e alzando la percentuale di magia che Lui deve controllare” intervenne Lance.

“Pensateci” continuò ancora.

“Quante probabilità avrebbe avuto di arrivare nel ventesimo secolo da solo, con tutti i problemi che si porta dietro?” domandò guardando gli altri.

“Molti dei problemi, però, glieli hanno causati i Guardiani con la loro comparsa” ragionò Leon.

“Solo quelli legati alla sua magia” lo corresse Lance. “Non quelli legati al suo corpo e alla sua immortalità. Credo sia per questo che, alla fine, abbiamo scelto di accompagnarlo”.

“In sostanza, è stato un bene che abbiano fatto questa scelta, anche se hanno messo in pericolo gli equilibri del mondo” riassunse Elian.

“Equilibrio. Non vi dice niente questa parola?” domandò Lance che puntava a quello sin dall’inizio.

“La Dama ci parlava di equilibri in pericolo” intervenne Perce.

“Equilibri cui avremmo dovuto porre rimedio!” gli fece eco Lance.

“Metà magiche unite a metà non magiche” ricordò allora Perce.

“Per questo Gabriel ti ha parlato di Lui e della situazione che vive. Se non capiamo bene gli equilibri e gli opposti che vivono nel suo corpo, allora la nostra ricomparsa è inutile!” ragionò Lance.

“Mi spieghi che cazzo dici?” sbottò Gwaine esasperato.

“Possibile che non capisci?” gli fece eco Lance.

“Capire cosa?” gli fece il verso l’altro.

“Non siamo dei filosofi!” lo riprese Gwaine.

“Vuol dire che non ti interessa nulla di quello che ha passato?” chiese Elian.

“Sai che non è così!” si alterò Gwaine indurendo lo sguardo.

“Ma a che ci serve parlare di queste cose?” domandò.

“Se dobbiamo aiutarlo, a cosa ci serve fare ipotesi su ipotesi?” chiese ancora, mettendo in evidenza il suo reale pensiero.

Quando Perce aveva parlato, spiegando loro quello che Lui viveva, aveva faticato a non prendere a pugni qualcosa.

Il suo amico.

Il suo primo amico.

E loro che facevano, se non continuare a parlare?

Perché non chiedere a Lenn dove fosse?

Perché non provare ad agire?

“Perché la comprensione ci aiuterà!” rispose Lance calmo, avendo capito la natura del comportamento dell’altro.

“Sarà proprio conoscere queste cose che lo aiuterà” disse ancora, cambiando il soggetto.

“E come?” chiese Gwaine.

“In realtà, lo sospettavo da un po’!” ragionò ancora.

“Sospettare cosa?” domandò Gwaine con urgenza.

“Andiamo… avete visto il secolo in cui viviamo?” chiese l’altro.

“Credevate davvero che, per aiutarlo, avremmo dovuto impugnare le spade?” domandò con ovvietà.

“In effetti, è una cosa che mi sono sempre domandato anch’io!” intervenne Elian.

“E in che altro modo potremmo fare?” allargò le braccia Gwaine. “Noi non siamo stregoni!”.

“E, infatti, non credo che a Lui serva altra magia” ribatté sarcastico Elian.

“E allora?” domandò Gwaine.

“E allora, il nostro ritorno è collegato al fatto che non siamo stregoni ma semplici esseri umani” chiarì Lance.

“Dobbiamo aiutarli a ricucire gli equilibri proprio grazie a questa caratteristica” ragionò Leon.

“Quella di essere uomini non dotati di magia” concluse per lui Elian.

“Ma come?” chiese Ginevra.

“Questo, ancora non lo so! E sospetto che, forse, non lo sappiano bene neanche loro” si espresse Lance.

“Come fai a dirlo?” chiese Perce.

Gabriel gli aveva detto, infatti, che a molte cose non sapevano come porre rimedio.

Ma tutte queste cose riguardavano Lui, che rappresentava l’eterna incognita della storia.

Era stato chiaro invece sul fatto che loro fossero tornati per un motivo ben preciso, dicendogli con chiarezza come esso fosse collegato agli equilibri del mondo.

Come poteva Lance dire una cosa del genere?

“È una sensazione!” rispose Lance alla sua domanda scrollando le spalle.

“E riguardo all’anello, invece, che facciamo?” chiese Gwaine dopo qualche istante di silenzio.

“Di sicuro è la chiave di tutto!” esclamò Lance.

“Il problema è capire come usarlo” disse ancora.

“Usarlo?” gli fece eco Gwaine allibito.

“Come potrebbe usarlo Artù, se non ha nessun potere magico?” chiese ancora.

“Non hai pensato che forse è proprio questo che lo aiuterà?” intervenne Elian.

“Gli ha detto di custodirlo” lo contraddisse Gwaine.

“Gabriel ha detto che Artù potrà portarlo con sé, se vuole. Non sarà visibile agli occhi degli altri” parlò allora Perce.

“Non ti ha detto se è un oggetto magico, però” lo rimbeccò Gwaine.

“Non credo che, a questo punto, ci siano molti dubbi” rispose Leon.

“Non è su questo che ho dei dubbi” gli rivelò allora Gwaine abbassando di molto la voce.

“Il vero problema è quanto possa essere potente” disse allora.

“Stai pensando agli anelli che portano loro?” gli chiese Elian e Gwaine annuì.

“Forse, è proprio per questo che dobbiamo capire” parlò allora Lance.

“Se non sappiamo nulla degli equilibri, come può Artù utilizzare nel modo migliore l’anello?” chiese Perce, capendo cosa l’altro volesse dire.

“Infatti!” scosse la testa Lance.

“D’altro canto, abbiamo capito tutti che è un oggetto che gli spetta” disse Leon.

“Però, forse, non era ancora il momento” parlò Ginevra.

“Ti riferisci al comportamento di Kyle di questa mattina?” le chiese il fratello.

“Mi riferisco al comportamento di tutti loro” gli spiegò la donna.

“Non sembravano riposati e Kyle, più che arrabbiato, mi è sembrato preoccupato” specificò la donna.

“Credi che possa stare male?” le chiese Lance.

“Beh, adesso sappiamo le reali condizioni del suo corpo” scosse il capo la donna.

“E se Kyle ha detto che non era ancora il momento…” continuò per lei Elian.

“Allora, forse non se la sta passando benissimo” concluse per lui Leon.

“Forse è per questo che non ci ha mai avvicinati” continuò ancora il cavaliere.

“Forse, per qualche motivo, non può stare a contatto con noi!” sussurrò Lance.

“Siamo suoi amici!” si alterò Gwaine.

“E credi che alla pietra che indossa, importi qualcosa?” chiese Elian sbuffando.

“Che c’entra la pietra?” domandò Gwaine allibito.

“Non lo so!” ammise Elian.

“Ma non credo sia una passeggiata portare un simbolo del male addosso” ragionò ancora.

“Gabriel mi ha detto che deve sentirlo su di sé” aggiunse Perce triste.

“Appunto” disse Elian.

“Pace”.

Una voce li fece voltare tutti.

La voce del Re, per l’esattezza, che pronunciava una parola per la prima volta.

“Pace” ripeté ancora il Re, pensieroso.

“Questo ho sentito, quando ho sfiorato l’anello” disse ancora, ricordando la quiete che aveva provato il suo animo e il sonno sereno che lo aveva accompagnato.

Gli altri lo ascoltarono in religioso silenzio, attenti a non perdersi le parole sussurrate di Artù.

“Ma se io ho sentito questo…” e si interruppe, non osservando nessuno in particolare.

“Cosa sente, Lui che porta il male?” chiese retorico chiudendo gli occhi e riaprendoli un istante dopo.

Nello sguardo si leggevano tracce di comprensione.

Negli occhi si notavano i segni della verità.

Una verità agghiacciante che, per un momento, fece regnare il silenzio nella stanza, mentre una nuova realtà prendeva forma davanti ai loro occhi.

“Un diamante nero e un diamante bianco” sussurrò Lance.

“Che rappresentano il Bene e il Male” concluse per lui Artù.

“Mio Dio!” esclamò Ginevra sull’orlo delle lacrime.

Perché accadeva tutto quello?

Perché solo uno doveva portare il peso di tutto quello che il mondo recava?

Come poteva, il destino, essersi accanito così tanto su una sola persona?

Sentì una lacrima rigarle il viso, non riuscendo a trattenere un singhiozzo.

Perché?

Non era bastato che Merlino avesse sconfitto Morgana?

Non era bastato tutto quello che aveva fatto a Camelot?

Perché doveva continuare a pagare?

Perché la sua sofferenza sembrava non avere fine?

“Ecco cosa intendeva Gabriel, quando mi ha detto che avremmo dovuto ragionare sulle cose” si massaggiò gli occhi Perce, rompendo il  silenzio e capendo finalmente il significato delle parole dell’altro.

“Lasciatemi solo” esclamò perentorio Artù alzandosi in piedi.

“Per il momento, lasciamo tutto come sta” disse poi.

“Che cosa?” sbottò Gwaine.

“Ho detto: lasciamo tutto come sta!” ringhiò Artù e Gwaine poté giurare di non averlo mai visto così arrabbiato.

“Facciamo passare qualche giorno, poi prova a metterti di nuovo in contatto con Gabriel” ordinò ancora, rivolto a Perce, prima di ignorare tutti e dirigersi nella sua stanza.

Gli altri lo guardarono ma non obiettarono. Sapevano che Artù aveva bisogno di tempo per elaborare quella nuova, sconvolgente, realtà.

Tutti loro ne avevano bisogno. Fu per questo che, parlando meno del necessario, ognuno si diresse verso la propria casa.

Ginevra si strinse a Lance, con gli occhi ancora velati di lacrime, incapace anche solo di parlare e questi l’abbracciò.

Elian regalò una carezza alla sorella, prima di congedarsi con un bacio in fronte e un abbraccio più lungo del solito. Un abbraccio per consolarla ma anche per essere consolato.

Leon guardò il cielo, osservando le poche stelle non oscurate dalla luce dei lampioni e sorrise.

Quel cielo stellato era proprio come Lui: bellissimo ma angosciante.

Perché, nonostante si facesse vagare lontano lo sguardo, non si riusciva ad arrivare ai confini del cielo e lui aveva sempre provato un po’ di angoscia nell’osservare quella distesa infinita, buia ma luminosa, cupa ma splendente.

Perce si avviò verso casa, più silenzioso del solito. Aveva salutato gli altri con un cenno del capo e, in quel momento, desiderò ardentemente che una figura, dalla carnagione pallida e con gli occhi più cupi della notte, potesse camminare accanto a lui.

Desiderò ardentemente poter rivedere Gabriel per potergli strare accanto, aiutandolo in quella che sembrava una missione impossibile.

Gwaine si avvicinò alla sua macchina, mentre l’idea della mattina prendeva sempre più forma nella sua testa.

La rabbia alimentava il suo animo. La furia oscurava i suoi pensieri. Di una cosa era certo: non sarebbe rimasto lì a guardare ancora a lungo, al diavolo gli ordini di Artù. Quando mai lui aveva rispettato le regole?

A Camelot si era messo al servizio di Artù perché aveva imparato a rispettarlo, per sua scelta, non perché qualcuno aveva deciso al posto suo. E, anche stavolta, avrebbe seguito il suo istinto, costasse quello che costasse.

Artù nel frattempo, aveva sentito, dalla sua camera, gli altri andare via e si era seduto sul letto con le mani giunte sotto il mento.

Osservava l’anello, come se potesse dargli delle risposte.

Adesso, finalmente, capiva.

Sorrise, pensando come i guardiani, nonostante nel corpo fossero esseri umani, avessero conservato il loro intelletto.

Per questo si facevano chiamare ancora ‘i Guardiani’; la nuova struttura molecolare del loro corpo non c’entrava nulla. Potevano essere divenuti umani ma, conservando il loro intelletto, rimanevano guardiani sempre e comunque.

Capiva adesso cosa intendevano i guardiani quando manipolavano l’uomo e portavano avanti il mondo. Lo facevano grazie al loro potere, che gli consentiva di mescolarsi agli esseri umani e intervenire, ma soprattutto lo facevano grazie al loro intelletto superiore.

Quando guidavano un tempo, stabilivano le Tappe, assicurandosi che l’uomo vi arrivasse e portavano avanti il mondo, sedendosi a tavolino e discutendo delle possibilità.

E, anche se quel mondo in particolare viveva senza guardiani, Artù capì che era solo un modo di dire perché i guardiani continuavano a esserci, anche con un nuovo corpo, e continuavano a guidare l’uomo, occupandosi delle crisi dei vari secoli.

 Gabriel aveva fatto proprio quello: aveva dato loro dei dati facendo in modo che arrivassero da soli alle risposte.

Perché il guardiano aveva sempre saputo, probabilmente, che un conto era dire delle cose, un’altra era far arrivare alla verità.

E loro, alla verità, ci erano arrivati.

Ed è qui che sta la differenza! Valutò Artù pensieroso.

Perché, quella verità, giunta tramite riflessione, aveva avuto lo stesso effetto di una doccia gelida.

Se una verità appresa per terzi, poteva essere dimenticata, non si poteva dire lo stesso di una verità appresa perché provata.

E Artù aveva provato su di sé gli effetti dell’anello consegnatogli, anche se lievi. Di sicuro, Gabriel aveva previsto anche questo.

Lo afferrò, lasciando che i suoi occhi si velassero di lacrime. In fondo, perché negarsi quella reazione?

Perché non piangere, quando sentiva esattamente la voglia di farlo? Perché considerare quel gesto poco dignitoso, quando lui, la dignità l’aveva persa molti secoli prima, proprio grazie alle sue lacrime mancate?

Perché questo era avvenuto, secoli addietro.

Artù aveva sempre saputo di non avere un carattere facile.

Sapeva di essere arrogante, sapeva di essere poco propenso alla manifestazione dei suoi sentimenti. Sapeva che, spesso, aveva nascosto la sua gratitudine dietro immensi giri di parole e ordini. Tutto, per mantenere la sua facciata di uomo, la sua facciata di guerriero.

Ma adesso, cos’aveva da perdere?

Perché continuare a negare quello che sentiva?

Era da solo, nessuno poteva vedere la sua debolezza e Artù decise di lasciarsi andare.

Calde lacrime solcarono le sue guancie mentre stringeva con forza l’anello.

L’ogoglio… a cosa serviva adesso?

A cosa era servito in passato?

Ripensò al guardiano degli unicorni.

Avete dimostrato che sareste pronto a uccidere per orgoglio!

Quant’era stata vera la sua affermazione.

Ma lui, Artù, aveva diritto ad avere orgoglio anche in quel secolo, quando Lui, nella lontana Camelot, aveva calpestato la propria dignità, pur di stargli accanto?

Gli aveva fatto da servitore, gli era stato accanto, guidandolo con saggezza e poi… era stato rifiutato.

Sì, era stato rifiutato.

Si era dovuto sopportare le sue domande e la sua diffidenza, mentre cercava di salvargli la vita.

Perché non me l’hai detto?

Questa era stata la domanda di Artù in quella lontana epoca.

Ma non era ovvio, in fondo?

Lui aveva il compito di proteggerlo. Avrebbe potuto continuare a farlo, se la reazione del Re era stata quella?

Come avrebbe potuto rivelargli ciò che era, quando Artù non era pronto ad ascoltare?

Era stato cieco, e l’aveva allontanato, nonostante lo avesse visto, su quella roccia, mentre dava il contributo decisivo per la battaglia.

Adesso Artù sapeva perché il calore lo aveva avvolto alla sua morte: finalmente, la sua anima aveva ritrovato la parte mancante.

Poi, aveva affrontato un viaggio, ben oltre la comprensione umana, ed era ritornato.

Ed era forse questo che accomunava tutti loro, cavalieri e guardiani.

Tutti loro avevano una mente fuori dal comune, chi dalla nascita, chi per acquisizione successiva.

Perché lui e tutti i cavalieri erano stati ad Avalon, sotto forma di pura energia, e poi erano ritornati. Questo, aveva dato loro un’esperienza e una conoscenza non comune e non riscontrabile tra gli altri esseri umani.

Certo, non avevano la magia, ma probabilmente non era questo l’essenziale. Il dato essenziale erano le loro menti, cambiate ed evolute, pronte a comprendere le vere realtà del mondo.

Perché Gabriel aveva accettato di buon grado di spiegare a Perce, sorbendosi le domande dell’altro.

Ma sarebbe stato disposto a farlo con un comune essere umano? La risposta, ovviamente, era no.

D’altro canto, un essere umano, anche dotato di magia, avrebbe accettato quella realtà?

Anche in questo caso, la risposta era no! Non solo non avrebbe accettato, non avrebbe capito.

Bastava pensare ai maghi che li avevano attaccati. Quanto ci avevano messo, per rendersi conto di avere davanti delle creature immortali?

Inoltre, Artù aveva notato come li avessero chiamati ‘i potenti aiutanti del Grande Mago’, non i Guardiani.

Fu in quel momento che Artù comprese: i maghi moderni non sospettavano minimamente dell’esistenza di un altro mondo, quello dei Guardiani. In questo, nonostante Gabriel e gli altri avessero tradito, avevano comunque rispettato una delle loro leggi, la più importante forse: nessun essere umano deve conoscere il mondo dei Guardiani.

Certo, Lui lo conosceva; ma Lui era anche uscito dalla storia.

L’umanità, per andare avanti, non doveva assolutamente conoscere l’esistenza di un mondo superiore ed era anche abbastanza ovvio il perché: come sarebbe approdato l’uomo alle scoperte, se fosse stato consapevole dell’esistenza di un mondo che recava teorie completamente opposte?

Era per questo che tutti loro erano diversi: era stata data loro la conoscenza, una conoscenza proibita.

Avalon aveva dato loro questa garanzia.

Perché Artù era tornato, cambiato, eppure uguale.

Perché lui era Artù, Re di Camelot.

Ma lo era in questo secolo, perché finalmente sentiva di essere diventato il Re.

Il Re che finalmente comprendeva le molteplici sfaccettature della vita.

Il Re che Lui aveva desiderato di vedere nella lontana Camelot.

Artù era morto prima di diventare il Re che Lui avrebbe voluto.

Ma adesso le cose erano diverse; la vita, il fato, gli avevano dato una seconda possibilità.

Perché adesso non c’era più un regno da portare avanti. In compenso, però, c’erano gli equilibri del mondo da ricucire.

E Artù avrebbe portato a termine il suo scopo mettendosi al servizio di colui che, finalmente, riconosceva per quello che era.

“Perdonami” sussurrò, chiudendo gli occhi e stringendo l’anello.

Nonostante tutto, era sempre Lui a pagare il prezzo più alto.

Perché?

Perché?

“PERCHÈ ?” urlò il Re con rabbia.

Guardò l’anello con occhi disperati.

“Ti prego” sussurrò.

“Non farlo soffrire ancora” implorò.

Perché lui sapeva cosa aveva sentito quella mattina.

Ricordava distintamente la pace che aveva invaso il suo animo.

Di conseguenza, adesso, aveva anche ben chiaro cosa provasse Lui.

E Artù sapeva che doveva essere atroce.

Come poteva sopportare un simile peso?

Era stato male dopo avergli consegnato l’anello.

Ma Lui soffriva il doppio, perché non poteva morire, adesso Artù lo capiva.

Quando gli esseri umani si spegnevano, dopo una lunga malattia o semplicemente per vecchiaia, finalmente il loro corpo smetteva di soffrire.

Ma Lui andava oltre, proprio perché non poteva chiudere gli occhi per sempre.

Andava oltre il dolore conosciuto dall’essere umano, adesso capiva cosa Gabriel volesse dire e perché fosse stato chiaro sul fatto che soffrisse più degli altri.

Lui, il dolore, lo viveva tutto, senza possibilità di scampo.

Lui non moriva, perché il corpo resisteva. Lui non cedeva, come i normali esseri umani. Perché, se un corpo umano, alla fine, cede e si spegne, Lui no. Lui andava oltre, lui toccava il picco
massimo della sofferenza, e poi guariva.

Nel frattempo però, il suo corpo e la sua mente non cancellavano le tracce di quello che aveva passato.

E andava avanti così: in un circolo infinito di dolore.

Lui sentiva il male.

Lui doveva sentire il male.

E Artù pianse.

Pianse come non aveva mai fatto in quella vita.

Pianse, come non aveva mai fatto nella vita precedente.

Pianse, implorando chiunque che a Lui fosse risparmiato quel supplizio.

Pianse, chiedendo all’anello cosa mai poteva fare lui per alleviare il dolore dell’altro.

Perché lui non voleva provare pace, quando la sua metà era inghiottita dalle tenebre.

Pianse, fino a che non si addormentò.

Pianse, con la promessa che avrebbe dato la sua stessa vita, se fosse stato necessario, per portare pace a una creatura così meravigliosa eppure così segnata dal dolore.

E fu nel dormiveglia che capì.

Fu nel dormiveglia che realizzò i significati dei due anelli.

Lui portava l’anello del Bene, nonostante avesse il male nel suo animo.

Anzi, portava quest’anello proprio per il male presente nel suo animo. Perché era un essere umano: un normale essere umano, nonostante il suo cuore fosse puro.

Ecco perché sentiva l’anello familiare, ecco perché gli spettava.

Lui, invece, portava il male, perché non c’era traccia di malvagità nel suo cuore.

E finalmente, nel cuore del Re, e nella sua mente in dormiveglia, il binomio portante del mondo andò a posto.

Finalmente, la verità degli equilibri, uguali e contrari, gli apparve chiara.

Una creatura di luce che portava la tenebra.

Una creatura di tenebra che portava la luce.

A chilometri di distanza, intanto, la temperatura di qualcuno si abbassò, ritornando a livelli accettabili.

A chilometri di distanza, qualcuno, sotto lo sguardo allibito dei suoi servitori, iniziò a dormire sereno e, dopo molti anni, nessun incubo, quella notte, tormentò il suo sonno.
 

Continua…
 

Note:
 

Non ho molto da dire. Artù sta cominciando a capire la situazione, così come i cavalieri.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Come sempre, attendo i vostri pareri.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Pandora86

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Capitolo 33
*** Capitolo 33. Guardiani nella mente ma Umani nel cuore ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 33. Guardiani nella mente ma Umani nel cuore
 

Martedì mattina – Villa di Merlino
 


“La febbre è scesa!” costatò Gabriel, tastando la fronte del mago che riposava sereno.

“Ha iniziato a scendere ieri sera, e ha dormito tranquillamente tutta la notte” confermò Louis.

“Sembra che il Re, finalmente, abbia deciso di fare qualcosa” rifletté Gabriel.

“Credete che dipenda dall’anello, quindi?” chiese conferma Phoenix.

“È ancora troppo presto per dirlo” non si sbilanciò Gabriel.

“Comunque, credo che siamo sulla buona strada” s’intromise Louis.

“Ieri, il diamante nero è stato sopraffatto da un’ondata di energia positiva, lo abbiamo sentito chiaramente” parlò ancora.

“Energia che, di certo, proveniva dal diamante bianco” aggiunse Phoenix.

“Il diamante bianco, che non ha mai riconosciuto Merlino come padrone, potrebbe aver cominciato a funzionare nelle vicinanze del Re” si espresse Gabriel.

“Ma è comunque troppo presto perché il Re capisca la vera potenza dell’anello. Di certo, la sua anima è entrata in risonanza nel dormiveglia, collegandosi direttamente all’anello gemello portato al dito di Merlino” parlò ancora.

“È comunque un buon risultato. Gli anelli sono finalmente entrati in contatto, anche se per poco” si espresse Phoenix.

“Credo che dovrò incontrare il cavaliere al più resto” parlò Gabriel, con tono più riflessivo del solito.

“Se il Sommo Emrys, quando si sveglia, ci chiede di allontanarci, cosa facciamo?” chiese Louis, pragmatico come sempre.

“Passerò io nella serata, quindi potete allontanarvi. Sicuramente, vi chiederà di andare a controllare il Re” rispose Gabriel.

“Dobbiamo entrare in contatto con il Re?” chiese Phoenix.

“Merlino vi dirà sicuramente di agire all’ombra. Io, invece, credo non ci possa essere nulla di sbagliato in un contatto ravvicinato” si espresse Gabriel.

“È bene che il Re cominci a vedere il mondo della sua metà. Altrimenti, non potrà adempiere il compito che gli spetta” terminò.

“Intendete gli equilibri?” chiese Phoenix.

“Anche, ma non solo” confermò Gabriel.

“Se il Re e il Mago sono destinati a vivere fino alla fine dei tempi, così come noi, ritengo improbabile che non si presentino più battaglie. Gli equilibri sono la priorità in questo secolo, come io avevo predetto molto tempo fa”.

“Quindi, è questo il periodo di massima crisi per Albion” rifletté Louis.

“Suppongo di sì” confermò Gabriel.

“Ho sempre saputo che il diamante nero avrebbe causato non pochi problemi. Molti secoli fa, a Camelot, noi come Guardiani utilizzammo la creatura della conoscenza per far arrivare un messaggio fondamentale a Merlino. Questa creatura disse chiaramente che la fine del Re era rappresentata dal Re stesso. Merlino, all’epoca, non capì cosa volesse dire”.

“Si riferiva alla magia, ovviamente” s’intromise Phoenix.

“Finché il Mago non avesse svelato al Re la sua identità, allora le loro anime non avrebbero potuto ricongiungersi” aggiunse Louis.

“Esattamente!” confermò Gabriel.

“D’altro canto, sono stato io stesso, insieme a Lenn e Merlìha, a orchestrare le cose in questo modo”.

“Ora, invece, siamo nel periodo di massima crisi a causa del diamante nero che, emettendo energia negativa, allontana la mente del Sommo Emrys dalla sua metà” costatò Louis.

“Infatti!” confermò Gabriel.

“Il diamante nero rappresenta il Male. E, per rappresentare il male, deve esercitarlo. Tuttavia, quando l’altro diamante inizierà a fare il suo lavoro, allora il bene e il male saranno equilibrati e Merlino riuscirà a portare questo peso senza più subirne l’influsso nel corpo e nella mente”.

“Dite che anche il suo corpo guarirà?” chiese Phoenix.

“Questo non posso dirlo” si rammaricò Gabriel.

“Tuttavia, togliere il peso dell’anello rappresenterebbe già molto” rifletté ancora il Guardiano.

“Come avverrà il processo?” chiese Louis.

“Purtroppo, posso solo fare ipotesi” scosse la testa Gabriel.

“Ma noi sappiamo che, di solito, le vostre ipotesi corrispondono a verità” s’intromise Phoenix e
Gabriel sorrise leggermente.

“Credo che siano le loro anime spaccate, la chiave di tutto” incominciò Gabriel.

“E non credo che il loro ricongiungimento avverrà tramite incantesimi o formule complicate.
Credo sarà un processo istintivo” parlò ancora.

“Quindi, il Re diventerà immortale?” chiese Louis.

“Anche questo non posso dirlo con certezza. Tuttavia, io credo che il corpo del Re abbia già una traccia dell’immortalità dentro di sé”.

“Com’è possibile, se è entrato in contatto con il diamante bianco per così poco tempo?” fu allora l’ovvia domanda di Louis.

“Credo che la sua mente abbia fatto tutto da sola” sorrise Gabriel.

“Che volete dire?” si accigliò Phoenix.

“Che gli unici limiti dell’uomo, così come quelli di Merlino stesso, sono rappresentati dalla propria mente.

Merlino lo ha già capito, comprendendo la sua immortalità molto prima rispetto alle altre storie e quindi rimanendo nell’aspetto di un giovane trentenne” e si interruppe.

“Il Re, in questo secolo, non ha fatto altro che cercare Merlino, in maniera ossessiva e asfissiante per tutti coloro che gli stavano intorno. Si è già predisposto, mentalmente, per accompagnare un essere immortale. Kyle, quando lo ha provocato, ha innescato in lui una combattività oltre ogni comprensione”.

“Quindi, il Re farà di tutto per non farsi escludere dal sommo Emrys in questo secolo” rifletté Louis.

“Già!” confermò Gabriel.

“Per questo non li abbiamo mai contattati in passato. Il Re doveva fortificarsi, visto che dovrà combattere per accompagnare Merlino, e dovrà lottare contro Merlino stesso. O, se preferite, contro il diamante nero”.

“E i cavalieri, invece?” chiese Louis interessato.

“Non so” scosse la testa Gabriel.

“Avete notato però come i due gruppi siano simmetrici, Sommo Gabriel?” chiese Phoenix.

“Cosa vuoi dire?” domandò interessato il guardiano.

“Beh, innanzitutto, hanno lo stesso numero di componenti. Poi, c’è un’unica donna in entrambi i gruppi, una con poteri e un’altra no” incominciò Phoenix.

“Entrambe le donne sono le compagne di un componente del loro gruppo di appartenenza” rifletté ancora pensieroso.

“E questo, cosa vuol dire?” incrociò le braccia Gabriel.

“Non lo so, è solo una sensazione” scosse la testa Phoenix, facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli.

“Allora, dimmi la sensazione” lo invitò Gabriel che aveva molto in considerazione le opinioni delle due creature.

Non a caso, le aveva scelte lui, per accompagnare il Mago.

“Credo che il Re e il Sommo Emrys siano a capo di una piramide” incominciò pensieroso Phoenix.

“Uno guida la magia e un altro la non magia” continuò ancora.

“E poi, a mano a mano che si scende in questa piramide, ci sono i rispettivi componenti dei gruppi” terminò, non sapendo come continuare.

“Di certo, non può essere un caso che siano tornati anche i cavalieri” s’intromise Louis.

“La Dama ha istruito le loro anime, ma non era detto che tornassero tutti. Invece, il processo è avvenuto senza problemi per tutti loro, regina compresa” concluse.

“Questo è vero!” confermò Gabriel.

“Io ho dato loro la possibilità di tornare, ma hanno scelto loro di farlo” rifletté pensieroso.

“E questo si collega ai limiti dell’uomo riguardo la propria mente” intervenne Phoenix. “Voi avete dato loro le possibilità, ma sono stati loro a scegliere”.

“Hanno scelto loro il momento in cui tornare, avvertendo il periodo di massima crisi. Però non riesco a capire come la mente del Re possa aver innescato nel suo corpo l’immortalità” rifletté Louis.

“Voglio dire: l’uomo è limitato dalla mente, ma non solo. Come può la mente influenzare il corpo, rendendolo immortale?” chiese.

“Tu prendi in esame i comuni esseri umani” incominciò a spiegare Gabriel.

“Quando dico che l’unico limite dell’uomo è la mente, non parlo solo di Merlino, ma dell’umanità stessa.

Basti pensare al processo evolutivo: puoi dire che la mente umana dell’uomo moderno è uguale alla mente dell’uomo preistorico?” domandò.

“L’uomo si è evoluto” riprese a parlare, “iniziando a utilizzare una percentuale più alta di cervello e ampliando le sue conoscenze. Chi può dire cosa potrà fare l’uomo tra diecimila anni?” domandò ancora.

“Il Re però è un uomo moderno” parlò Phoenix. “E la mente umana, in questo secolo, ha ancora molti limiti”.

“Dimentichi che è stato ad Avalon” gli ricordò Gabriel.

“Il Re e i cavalieri sono tornati con una mente molto più evoluta rispetto al normale. Una mente che può controllare il diamante bianco, in questo caso”.

“In questo senso, hanno una mente molto più somigliante a quella dei Guardiani” rifletté Louis.

“Ed è per questo che sono a conoscenza di quel mondo” concluse, incrociando le braccia.

“In questo caso, aumentano le simmetrie” parlò Phoenix, ritornando all’argomento principale.

“È come se i due gruppi dovessero fondersi per portare gli equilibri al posto giusto. Non solo le anime del Sommo Emrys e del Re, ma anche le anime di tutti noi” concluse Phoenix.

“Ora devo andare!” si congedò Gabriel pensieroso.

“Tenetemi aggiornato!” disse, facendo un cenno del capo e uscendo dalla camera.

Dalla sua espressione fredda non trapelava nulla ma la sua mente era in subbuglio.

Il cavaliere.

Perché gli era comparso quel volto nella mente, quando Phoenix aveva parlato delle anime di tutti loro?

“Che sciocchezze!” borbottò, avviandosi verso il cancello.

Nel frattempo, però, il volto del cavaliere, e le parole di Phoenix, gli si insinuarono nella mente, non lasciandolo in pace per tutte le ore successive.
 

***
 

Gwaine bevve l’ennesima birra da quando era entrato in quel locale.

Erano le sei del pomeriggio e il suo umore era pessimo.

Dalla sera precedente, le parole di Perce non lo avevano lasciato in pace ed era per questo che aveva deciso di agire, e al diavolo i loro discorsi e le loro riunioni dove non facevano altro che parlare, parlare e ancora parlare.

Così, quella mattina, avvertendo Artù con solo mezz’ora d’anticipo (fortuna che era valido nel suo lavoro o sarebbe stato licenziato in tronco) aveva deciso di incontrare il cameriere, alias antico, alias Gabrielino per Kyle.

Peccato che del cameriere manco l’ombra.

Non aveva chiesto agli altri camerieri per non attirare l’attenzione.

Fatto stava, però, che ora erano le sei del pomeriggio passate e lui aveva passato la giornata a bere birre e imprecare in sottofondo.

“Se continui così, dovrai farti portare in spalla”.

Una voce lo fece voltare.

“Kyle” esclamò stupido.

Vide l’altro sogghignare e sedersi di fronte a lui, dopo essersi tolto il cappotto e aver poggiato la borsa da lavoro nella sedia accanto.

Lo vide ridacchiare e chiese il motivo di tanta ilarità.

“Sei tu che mi fai ridere!” disse l’altro sfrontato.

“Volevi fare un agguato a Gabrielino?” domandò, ridacchiando ancora.

“Andiamo” disse poi, in risposta alla faccia stupita del cavaliere.

“Ho capito subito le tue intenzioni, quando non ti sei presentato in ufficio” e ordinò una birra.

Gwaine lo guardò attento senza parlare. Era la prima volta che si trovavano a contatto dopo aver scoperto la vera identità dell’altro.

E Kyle si comportava di conseguenza: sfrontato, irritante e maleducato.

Come poi riuscisse a fare tutte queste cose in poche parole, rimaneva un mistero. Quello che invece non rappresentava un mistero, era il suo disprezzo per gli esseri umani, visibile anche
solo dalle sue espressioni facciali.

Fu per questo che decise di provocarlo.

“Tu, invece, approfitti dell’assenza di Gabriel per ordinare una birra?” chiese con un ghigno.

“Cosa farà il papino se lo viene a sapere?” domandò ancora, alzando il suo boccale in direzione dell’altro e poi bevendo un lungo sorso con espressione di sfida.

Kyle assottigliò gli occhi.

Come osava, quell’inutile essere umano, anche solo pensare di prenderlo in giro?

Fu per questo che rispose alla provocazione.

“E tu, invece, hai rinunciato a starmi dietro come un cagnolino scodinzolante?” e ghignò.

“O credevi che non me ne fossi accorto?” e bevve dal suo bicchiere.

“Sai, non eri molto discreto. Ti mancava solo la coda!” terminò, pensando di averla avuta vinta.

Quando mai, lui avrebbe potuto perdere uno scontro verbale?

“Hai ragione” lo spiazzò invece il cavaliere.

“La prossima volta mi attrezzerò meglio!” e rise.

A Kyle si congelò il ghigno che aveva in viso.

“Quindi, lo ammetti?” chiese, realmente spiazzato.

“Guarda che se ne era accorto tutto l’ufficio” ghignò Gwaine.

“Sai” continuò abbassando la voce e avvicinando il volto come se stesse rivelando un gran segreto.

“Non sono molto discreto, quando voglio portarmi a letto qualcuno” e si allontanò ridendo.

“Avessi saputo chi eri, non avrei perso tutto questo tempo” concluse.

Non lo pensava.

Non era quello il suo reale pensiero ma l’atteggiamento dell’altro lo irritava. Chi diamine si credeva di essere?

O meglio, Gwaine sapeva chi fosse, e sapeva anche che tutta la presunzione dell’altro era motivata, in parte.

Però… non era riuscito a fare a meno di rispondere alla provocazione.

Lui non aveva iniziato a ronzare attorno a Kyle solo per portarselo a letto.

L’altro gli era sempre piaciuto e aveva sempre desiderato conoscerlo meglio, sin dalla prima volta che il suo sguardo si era posato su di lui.

E quando aveva scoperto chi fosse, si era accorto di amarlo.

Però, questo non significava che sarebbe rimasto inerme a farsi insultare dall’altro.

No! Questo non l’avrebbe mai fatto.

Kyle, nel frattempo, incassò la stoccata del cavaliere, mentre lo scrutava attentamente.

“Vuoi dire che preferisci un inutile impiegato, rispetto a una delle persone più potenti mai esistite?” gli domandò, guardandolo come se fosse un idiota.

“Voglio dire” rispose Gwaine con sicurezza, “che preferisco un normale essere umano, rispetto a un surrogato” e bevve ancora.

“Io sono un essere umano, adesso” gli chiarì Kyle, appoggiandosi allo schienale e incrociandosi alle braccia.

“Quindi, fai parte della categoria che disprezzi tanto?” chiese allora Gwaine.

“Ma io parlavo a livello molecolare” gli spiegò Kyle sorridendo beffardo.

“Già” confermò Gwaine.

“Io invece parlavo a livello mentale” gli chiarì, guardandolo attento.

“Oh, certo” fece una faccia fintamente sorpresa Kyle.

“Condanniamo l’intelligenza e circondiamoci di idioti. Scusa tanto se la mia mente è al di sopra della norma” e sbuffò, facendo ondeggiare i suoi ciuffi.

“Io non parlo di intelligenza” sorrise Gwaine guardandolo con un pizzico di tristezza.

“Ma di considerazione” e bevve ancora.

“Scusami, dovrai illuminarmi, perché proprio non capisco” lo sbeffeggiò nuovamente Kyle.

“Io preferisco stare con qualcuno che non disprezza quello che sono” gli disse allora Gwaine.

“Preferisco qualcuno che non mi considera un oggetto” terminò, alzandosi.

“E adesso scusami, ma devo andare. Quella” e indicò la birra dell’altro, “la offro io” concluse,
decidendo di andarsene definitivamente.

Non sarebbe riuscito a sopportare oltre la presenza dell’altro.

Perché?

Questo si domandava, mentre entrava in macchina.

Perché aveva perso la testa per qualcuno che non l’avrebbe mai considerato?

Oramai, gli restava solo il suo orgoglio di essere umano, quando si trovava a contatto con l’altro.

D’altro canto, Kyle poteva aver preso possesso del suo cuore.

Ma l’orgoglio… il suo orgoglio di uomo, beh, quello non glielo avrebbe mai ceduto.

Perché lui era un cavaliere e come tale si sarebbe comportato.

Kyle, nel frattempo, sedeva pensieroso all’interno del locale.

Il cavaliere si era avvicinato alla cassa e aveva pagato anche la sua ordinazione, il tutto con un
ghigno denigratorio in volto.

Come osava?

Questo era il suo pensiero mentre osservava il suo bicchiere.

Come aveva osato insultarlo?

Ma non era questo, quello che lo rodeva di più.

Come poteva, il cavaliere, preferire un normale impiegato, a uno come lui?

Aveva dato per scontato l’interesse del cavaliere, trovandolo divertente.

Perché lui era Kyle e nessuno poteva realmente restare indifferente di fronte a lui.

Non che tutti lo amassero, anzi.

Però, era indiscutibile che tutti lo notassero.

Come poteva il cavaliere, invece, rispondere con indifferenza?

Lo aveva conquistato come impiegato e lo aveva perso da Guardiano.

Non ch gli importasse più di tanto, anzi. Fatto stava, che non accettava il suo atteggiamento.

Come osava?

Ritornò con la mente a ricordi lontani quando, molte epoche addietro, si era immischiato in una storia già conclusa.

Lui aveva sempre puntato Camelot, sin da quando Gabriel, Lenn e Merlìha, avevano steso le linee guida del tempo.

Quando aveva visto un Merlino ventenne e capito le intenzioni dei tre, aveva deciso che quella
Camelot sarebbe stata il suo passaggio nella storia.

Quindi, aveva visitato spesso quel tempo, senza mai farsi scoprire.

Aveva osservato il mago e poi il re, il re e poi il mago, ma mai aveva prestato attenzione ai cavalieri.

Sin da allora, per lui, erano solo degli inutili accessori, che servivano a fare numero ma nulla di più.

Eppure, conosceva il legame che Merlino aveva avuto con alcuni di loro: Lancillotto e Galvano, per l’appunto.

Lance e Gwaine nell’epoca attuale.

Scavò a fondo nei suoi ricordi, cercando Galvano tra i flash della sua mente.

Galvano che considerava Merlino il suo unico amico.

Galvano, che rappresentava la forza.

Non la forza fisica, quanto piuttosto la forza mentale e spirituale.

Perché il cavaliere era forte.

Forte nel suo orgoglio, forte nelle sue decisioni, forte nel suo modo di porsi.

Era sfrontato e irriverente, ma era anche un buon amico, leale solo con chi decideva di essere leale e non per leggi imposte.

Gwaine era diventato leale con il principe di Camelot, all’epoca, perché era stato lui stesso a deciderlo.

Galvano era stato così.

Gwaine era così.

Prestava attenzione ai suoi interessi, giurando fedeltà solo a quelli di cui gli importava realmente e non per obbligo.

Perseguiva i suoi scopi, infischiandosene di tutti gli ostacoli che si paravano dinanzi. Anzi, più le cose erano complicate, più si buttava a capofitto.

Da questo punto di vista, Kyle lo trovava molto somigliante a lui.

Perché anche lui, Kyle, era fedele solo con chi decideva di esserlo e perseguiva i suoi scopi senza scrupoli o morale.

La pietra di Granato era la pietra che rappresentava l’assoluta lealtà verso se stessi e tutti quelli che rientravano negli interessi di chi la portava.

Era una pietra complessa per natura.

Perché Kyle non aveva un carattere orgoglioso che gli impediva di provare, o comunque esternare, i suoi sentimenti come Gabriel.

Kyle ammetteva di amare Merlino, così come amava Gabriel, Merlìha e Lenn.

E sapeva di avere molta stima verso Louis e Phoenix.

Sì, Kyle sapeva di amare la sua famiglia al completo e sapeva anche che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per proteggere tutti i componenti che ne facevano parte.

Certo, potevano avere un rapporto ambiguo fra loro, ma tutti e sette sapevano che, comunque fossero andate le cose, sarebbero rimasti insieme, unico perno in un mondo di cambiamenti.

Inoltre, non aveva neanche nessun problema a esternare i suoi sentimenti.

Se li provava, che male c’era?

Perché la sua pietra era anche questo: fare tutto ciò che lo faceva stare bene.

E se l’affetto che li legava era una buona cosa, perché negarselo?

D’altro canto, il discorso non si poneva verso tutto il resto del mondo.

Perché nessuno, a parte la sua famiglia, rientrava nei suoi interessi.

E il cavaliere, da questo punto di vista, era come lui.

Non lo rispettava solo perché era il Guardiano, non lo temeva solo perché era potente.

Quella similitudine lo colpì.

Sentì l’alcol iniziare a fare effetto e decise di alzarsi e andarsene, nonostante non avesse bevuto più di metà boccale.

Uno degli svantaggi della sua nuova struttura molecolare, era la pessima resistenza che avevano con l’assunzione di alcool.

A quanto pareva, la loro energia magica entrava in contrasto con la sostanza, non si sapeva se per un processo chimico o fisico.

Gabriel, nonostante avesse studiato il sangue di ognuno di loro, non aveva ancora trovato le risposte.

Nel frattempo, però, le parole del cavaliere continuavano a risuonargli nella mente mentre un ghigno cattivo compariva sul suo volto.

Poteva essere coraggioso quanto voleva, sir Galvano, ma cosa avrebbe fatto quando avesse visto di cosa fosse realmente capace di fare il Guardiano che aveva appena insultato?

Non gli avrebbe fatto nulla fisicamente, questo no!

Lo avrebbe solo distrutto mentalmente, pezzo dopo pezzo, facendogli pentire amaramente di averlo ignorato.

Preferiva l’impiegato al Guardiano? Bene!

Kyle lo avrebbe manipolato talmente tanto, da far ritornare l’interesse che aveva per lui e poi, nel momento più adatto, lo avrebbe gettato con disprezzo.

Perché lui era Kyle, colui che difendeva solo i suoi interessi.

E, per l’appunto, Sir Galvano non rientrava nei suoi interessi.
 

***
 

L’anziana donna osservava con interesse Kyle uscire dal locale.

Non era stato difficile, per lei, intuire i processi mentali del guardiano.

Il portale permetteva di osservare e, nel suo caso, permetteva anche di ascoltare i pensieri più marcati e contrastanti, quelli visibili nella superficie della mente, quelli più forti rispetto ad altri.

Sir Galvano non rientrava nei suoi interessi.

Questo pensiero era stato facilmente percepibile, sia da lei, sia da Freya che sedeva di fronte a lei.

A quanto pareva, il Sommo Kyle non si era reso conto di un piccolo particolare: Sir Galvano rientrava nei suoi interessi più di quanto pensasse.

Anzi, era il suo interesse principale, dopo il colloquio avuto con il cavaliere.

Quella riflessione la colpì: era così che si formava l’amore nell’animo umano e nella mente degli uomini?

Forse!

Ma che tipo di rapporto poteva nascere dal disprezzo?

E se non fosse stato realmente disprezzo, quello che provava il Sommo Kyle, creatura complessa per natura, anche per il mondo da cui proveniva?

Di certo, il cavaliere, anche se inconsapevolmente, aveva imboccato la strada giusta per rientrare negli interessi del Guardiano: lo aveva trattato con indifferenza.

E il Sommo Kyle non si era accorto di provare un interesse morboso verso quello che lui considerava un semplice essere umano dall’intelletto mediocre.

Tuttavia, la strada per la comprensione e l’accettazione era ancora lunga.

In quel secolo, sarebbero stati i cavalieri i perni del mondo perché, grazie alla loro mente meno complessa rispetto a quella dei guardiani, avrebbero potuto risolvere il problema degli equilibri.

Quando i Guardiani erano diventati esseri umani, conservando il loro potere, non avevano preso in considerazione un piccolo importante particolare: l’immortalità che avevano deciso di conservare.

Il Sommo Kyle, in particolare, non aveva minimamente considerato il problema, proprio a causa della sua potenza.

Eppure, nessuno poteva essere immortale, scegliendo di rimanere sempre solo.

I Guardiani erano creature complete e individuali, gli esseri umani no.

Anche loro avevano i sentimenti, certo, come tutte le creature viventi, di tutti i mondi.

Eppure, l’amore complicato e passionale, sembrava essere una peculiarità umana.

L’amore vero, quello doloroso e paradisiaco, dovuto solamente al fatto di avere un’altra persona accanto a sé, il sentimento che racchiudeva la chiave di tutto, apparteneva soltanto agli esseri umani.

I Guardiani, così come tutte le altre creature, sapevano provare affetto e fedeltà, ma non comprendevano veramente l’amore che rendeva incompleti, proprio perché erano creature individuali e indipendenti, forse al pari delle creature animali e vegetali.

Vivevano in branco, proprio come le creature animali, magiche e non. Si affezionavano, proprio come le creature animali, ma erano fondamentalmente completi, al pari quasi dei vegetali.

Forse era per questo che le leggi del mondo dei Guardiani impedivano la conoscenza degli stessi agli esseri umani. Guarda caso, però, questa conoscenza non era negata alle creature, sia magiche che non.

Infatti, i suoi cari nipoti, tempo addietro, non avevano avuto problemi a rivelarsi al Grande Drago.

Ovviamente, anche i Guardiani sapevano amare, ma non si trattava dell’amore dell’essere umano che cerca incessantemente la propria metà.

Eppure, cosa avveniva quando un Guardiano aveva una mente da guardiano e un corpo e un’anima da essere umano?

Poteva realmente resistere fino alla fine dei tempi? La risposta, ovviamente, era no!

Cosa succedeva quando l’energia, tipica della stirpe dei Guardiani, serpeggiava per secoli in un corpo umano?

Per questo i cavalieri erano tornati. Tutti loro avevano avvertito il richiamo delle loro metà in crisi.

Perché non era solo il Sommo Emrys ad avere problemi. Anche Gabriel e Kyle iniziavano a risentire dell’immortalità, nonostante non avvertissero i sintomi nel corpo.

E adesso, la nuova domanda era un'altra: cosa avveniva quando il cuore di un Guardiano iniziava a battere per un amore umano?

Sua nipote, la sua bambina, invece non aveva avuto questo problema: lei si era affidata a un altro guardiano, Lenn, e lui aveva fatto lo stesso.

Quando la mente cedeva, quando si avvertiva la stanchezza dei secoli, erano uno il sostegno per l’altro.

D’altro canto, nessuno dei due aveva avuto problemi a legarsi l’uno all’altro: avrebbero fatto sicuramente lo stesso rimanendo nel mondo dei Guardiani.

Eppure, anche rimanendo nel loro mondo d’origine, il loro legame sarebbe stato molto più simile a quello umano. Era per questo che avevano tradito i Guardiani: il vero mondo a cui apparteneva la loro anima li aveva richiamati. Perché loro erano sempre stati diversi, così come Gabriel e Kyle.

Ogni specie aveva la propria eccezione e ogni specie aveva colui che, pur appartenendo al gruppo per nascita, non ne fa parte perché reca caratteristiche diverse, proprio come la sua cara figlia, la madre di Merlìha e Gabriel.

Amava il suo compagno e i suoi figli, ma aveva accolto con gioia il fallimento, perché avrebbe potuto essere felice in un mondo umano.

Troppo sentimentale e sensibile per un mondo che non ammetteva, e soprattutto non conosceva, sentimenti profondi.

E i suoi figli erano uguali.

Tuttavia, nonostante ciò, il problema per due dei quattro guardiani di quel mondo dimenticato si poneva ugualmente.

Perché, Gabriel e Kyle, si ostinavano ad andare avanti da soli, individualmente, non rinunciando a farsi chiamare ‘i Guardiani’ e non rinnegando la propria stirpe.

Eppure, guidare il mondo per così tanti secoli, stava logorando la loro mente, sempre più stanca, sempre più umana.

Però, troppo presi dal Sommo Emrys, non si erano accorti del pericolo. Eppure, il confine tra follia e lucidità era molto labile. Troppo labile e loro camminavano su un filo teso, che avrebbe potuto spezzarsi da un momento all’altro.

Erano i cavalieri, con il loro animo puro, e la loro mente meno complessa rispetto alla loro, che avrebbero potuto rinforzare questo filo.

Come e quando, però, rimaneva un mistero.
 

Continua…
 

Note:

In questo capitolo compaiono nuovamente Louis e Phoenix, tuttavia non accenno nulla di loro, né sul loro aspetto fisico, né sulla loro origine.

La cosa è voluta, dato che nei capitoli più avanti avranno un ruolo fondamentale.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Come sempre, attendo i vostri commenti.

Nel frattempo, grazie a chi è giunto fin qui.

Pandora86

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Capitolo 34
*** Capitolo 34. Louis e Phoenix ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 34. Louis e Phoenix
 
Martedì sera – Casa di Artù
 

“Non starai prendendo troppo caffè?” domandò Leon ad Artù che, nel giro di due ore, si era versato quella bevanda cinque volte.

Erano le otto di sera passate e, vedendo la quantità di fogli sparsi sul tavolo, si intuiva che i due avessero ancora molto da lavorare.

“Non è colpa mia se Gwaine si è preso proprio oggi un giorno libero, dandomi mezz’ora di avviso” rispose il Re controllando un preventivo.

“Considerando poi che il cliente era il suo” sbottò Artù.

“Per fortuna, la riunione è andata bene. E poi, era troppo arrabbiato per lavorare, dopo le notizie ricevute da Perce. Avrebbe spaventato il cliente” lo giustificò Leon.

“Già, peccato però che noi abbiamo ancora un mucchio di lavoro da fare” si massaggiò gli occhi Artù.

“Abbiamo tutto il tempo. Non sarebbe la prima volta che lavoriamo per tutta la sera” rispose Leon.

“Infatti” asserì Artù.

“Puoi chiamare Perce e mandargli una mail di questo contratto?” chiese poi, passando un foglio all’altro.

“Subito, capo!” scherzò Leon.

“Perché intanto non ordini qualcosa per cena? Dopo mangiato, lavoreremo meglio” propose.

“O forse, ci addormenteremo per la digestione” ironizzò Artù alzandosi comunque.

“Cinese o pizza?” chiese, avviandosi verso il telefono.

“Stasera mi sento rude, tanto da mangiare sul divano e con le mani” scherzò Leon.

“Pizza!” capì al volo Artù.

Si avvicinò al telefono, poggiato su un mobile all’ingresso della stanza.

Fece meccanicamente il numero e poi guardò fuori la finestra.

Era una buia serata e tirava un vento gelido ma, per fortuna, non pioveva.

Fu allora che notò, con la coda dell’occhio, una cosa muoversi.

Una cosa strana.

Una… una… una coda, per la precisione!

Sgranò gli occhi e se li massaggiò, pensando che i lampioni sulla strada gli avessero dato una falsa immagine di qualche foglia o qualche ramo.

Assottigliò gli occhi, guardando meglio i cespugli del suo giardino, notando come si muovessero.

C’è vento!

Si giustificò Artù.

Certo, c’era vento.

Ma perché, se il vento soffiava da sinistra, portando le piante a muoversi verso destra, quel cespuglio si era mosso verso sinistra?

Si massaggiò gli occhi, notando come il cespuglio avesse smesso di muoversi.

“Pronto, c’è qualcuno?”.

La voce, all’altro capo del telefono, lo riportò alla realtà.

“Sì, mi scusi, la linea era disturbata!” rispose subito Artù con prontezza e lucidità, non staccando gli occhi dal cespuglio.

“Vorrei ordinare delle pizze” parlò ancora.

Il cespuglio continuava a rimanere immobile.

Peccato che stavolta fosse troppo immobile, visto e considerato il vento che c’era e come tutte le altre piante si muovessero.

“Mi dica” rispose gentile l’addetto all’altro capo del telefono.

Artù ordinò meccanicamente e, sempre meccanicamente, diede l’indirizzo.

Attaccò con un solo pensiero in testa: scoprire cosa diamine stava succedendo nel suo giardino.

“Allora, hai ordinato?” ritornò Leon che era andato nell’altra stanza.

Aveva ancora il telefono in mano, segno che aveva da poco attaccato con Perce.

Gli bastò un attimo per capire, dallo sguardo di Artù, che c’era qualcosa che non andava.

“Cosa succede?” chiese preoccupato.

“Non lo so ancora” rispose Artù, allontanandosi dalla finestra ma continuando a dare le spalle all’altro.

“Ma ho intenzione di scoprirlo molto presto” disse ancora, mentre i suoi occhi assumevano un’espressione dura.

Le labbra si erano assottigliate in un’espressione seria.

Sul suo volto non c’era traccia dello scherzo e, quando parlò, l’ordine arrivò perentorio alle orecchie di Leon.

“Chiama immediatamente gli altri e dì loro dì raggiungerci” parlò fissando l’altro che, nel frattempo, si era fatto più serio che mai.

“Dì anche di non entrare ma di rimanere nei pressi del mio giardino e di nascondersi.
Raccomanda loro di essere silenziosi. Temo che la cosa, qui fuori, abbia un buon udito” concluse, prima di uscire dalla stanza e dirigersi in una particolare camera del suo appartamento.

Leon annuì, digitando veloce sul telefono.

Aveva combattuto una vita intera al fianco di Artù per discutere i suoi ordini.

La cosa qui fuori.

Così si era espresso il suo capo e Leon non aveva dubitato nemmeno un istante della sua sanità mentale.

Loro sapevano che, oltre lo strato superficiale del mondo, c’era molto altro, ignoto ai più.

Inoltre, solo perché avevano avuto una vita tranquilla fino a quel momento, non significava che non si sarebbero presentate più battaglie, e forse era giunto il momento di scendere in campo.

Questo pensava, mentre riassumeva brevemente la situazione a Lance, non dimenticandosi i dettagli fondamentali.

Vide Artù comparire nuovamente e, quando intercettò il suo sguardo, il Re gli lanciò qualcosa.

Leon fu lesto ad afferrare l’oggetto, sentendo nuovo vigore scorrere nelle sue vene.

Quanto gli era mancata, considerò, osservando meglio l’oggetto.

Certo, non era proprio la sua, ma comunque ci assomigliava molto.

Erano nel ventesimo secolo ma, quella fra tutte, era l’arma che tutti sapevano utilizzare meglio: la spada.

Erano costate una fortuna, ma ad Artù non era importato né il loro prezzo, né l’occhiata dubbiosa dell’artigiano che le aveva fabbricate.

Vide Artù allacciarsi la pistola, dopo aver controllato la lama della spada e rimpianse di non aver portato la sua.

Ma, d’altro canto, avevano un regolare porto d’armi che non permetteva alle armi da fuoco di uscire da casa e, non essendo dei poliziotti, non era consentito loro di portarle con sé.

Nonostante questo, frequentavano tutti regolarmente il poligono ed erano tutti ottimi tiratori.

Ovviamente, erano tutti armati nelle loro case, giustificando l’uso di quelle armi come uso sportivo.

“Spero che questa sia del calibro adatto a te” parlò Artù, passandogli una seconda arma.

“Andrà bene!” valutò Leon.

“Spero che gli altri vengano armati. Non è consentito, per i tiratori non professionisti, averne più di due in casa” valutò Artù.

“In ogni caso, cerchiamo, per quanto possibile, di usare le spade, visto che dovremo giustificare ogni proiettile che spareremo” valutò Leon.

“Le armi da fuoco sono sempre l’ultima scelta per noi, lo sai” rispose Artù.

“Usciamo?” chiese poi rivolto a Leon.

“Usciamo!” acconsentì quest’ultimo con i nervi a fior di pelle.

Si avvicinarono lentamente alla porta d’ingresso, aprendola piano.

“L’anello?” bisbigliò Leon mentre scrutava fuori.

“È al sicuro” lo rassicurò Artù ma non rivelò altro. Non sapeva che genere di udito potesse avere la cosa lì fuori.

“Sono venuti per quello?” domandò ancora Leon, mentre cercava di scrutare l’oscurità.

“Non vedo per cos’altro, altrimenti” rispose il Re.

“Controlliamo il perimetro della casa, ma rimaniamo con le spalle al muro” ordinò poi, uscendo di soppiatto.

Leon vide il classico gesto che, nell’altra vita, gli indicava di andare nella direzione opposta a quella del Re e approvò con il capo.

Dividendosi in quel modo, avrebbero potuto controllare tutto il perimetro e tenere gli occhi aperti su tutto il giardino, non rischiando che la cosa – e Leon pregò che ne fosse solo una – si muovesse dalla parte opposta alla loro.

La caccia era cominciata.
 

***
 

“Vengo anch’io” affermò decisa Ginevra, parandosi davanti a Lance.

“No” rispose deciso l’uomo.

“Non me lo impedirai. Questa storia riguarda anche me. Sono tornata anch’io per un motivo” terminò, sfidando l’uomo a contraddirla con lo sguardo.

Lance sospirò.

“Rimarrai in macchina e avrai il telefono in mano. Se la situazione precipita, chiamerai Lenn” si espresse in quello che gli sembrava un buon compromesso.

La donna annuì dirigendosi in cucina e tornando, pochi minuti dopo, con dei coltelli.

Lance aggrottò le sopracciglia.

“Porti i coltelli che usiamo per il pane?” chiese dubbioso.

La donna sorrise furba.

“Non hai mai notato quanto siano affilati, caro?” domandò con un sorriso sghembo e Lance sapeva che non le avrebbe fatto cambiare idea.

“Ho sposato Lara Croft” le disse, baciandola leggermente.

“No” lo corresse lei, rispondendo al bacio del marito.

“Hai sposato la figlia di un fabbro” e si avviò verso la porta.

“E la regina di Camelot” aggiunse la donna, voltandosi nuovamente prima di uscire.

Lance riconobbe quello sguardo; la sua Gwen, timida ma coraggiosa. Impacciata ma sincera.

Colei che aveva saputo guidare un regno dopo la morte di Artù.

Colei che aveva abbracciato Merlino, quando questi aveva fatto ritorno a Camelot.

Hai un cuore nobile, Gwen.

Queste erano state le parole di Merlino verso Ginevra.

Colei che il Grande Mago aveva scelto per accompagnare il Re.

Colei dal cuore puro e incorruttibile.

La regina del popolo.

La seguì mentre i suoi sensi erano all’erta.

Finalmente, sembrava che la battaglia stesse cominciando.
 

***
 

“Orme!” esclamò sorpreso Leon, mentre era inginocchiato accanto ad Artù.

Avevano percorso il perimetro della casa, ispezionando ogni angolo.

E ora si trovavano sotto la finestra, dove Artù aveva visto una coda.

A conti fatti, Artù non aveva sbagliato a definire cosa, la creatura che sembrava spiarli.

Artù osservò nuovamente quelle orme pensieroso.

“Che razza di animale è?” chiese Leon sorpreso.

“Non credo sia un animale normale” rispose Artù scrutando nell’oscurità.

“Quest’orma va ben oltre il normale” esclamò Leon poggiandovi leggermente la mano sopra.

Quell’orma era lunga almeno due volte la sua mano e larga all’incirca quattro volte tanto.

Osservò poi i punti scavati nel terreno, proprio davanti all’orma.

Se si fosse trattato di un animale normale, in quel posto avrebbe dovuto esserci il leggero solco delle unghie.

Peccato che quel solco fosse profondo almeno cinque centimetri.

“Hai visto che unghie?” chiese ancora Leon e Artù annuì.

Seguirono con lo sguardo quelle orme: ne erano soltanto quattro, due delle quali molto confuse.

“Com’è possibile? Sembra che si sia alzato in volo” rifletté Leon.

“Probabilmente l’ha fatto” decretò Artù spostando lo sguardo su qualcos’altro.

“Guarda qui!” chiamò il Re, dopo essersi inginocchiato e aver spostato le foglie.

Leon si inginocchiò sgranando gli occhi.

“Ne sono due, di cose” affermò, notando le differenze fra le due orme.

“Sembra la zampa di un rapace” disse ancora, osservandola meglio.

“Solo che è molto più grande” costatò Artù misurandola con il suo piede.

“All’incirca grande quanto un uomo” valutò, osservando come l’orma fosse più lunga rispetto alla sua scarpa.

Portarono entrambi lo sguardo all’albero dinanzi a loro.

“Non credo sia ancora lì” affermò Leon.

Il cellulare di Leon vibrò e questi fece un cenno silenzioso con il capo rivolto ad Artù.

Gli altri erano arrivati ed erano appostati nei dintorni del suo giardino.

Fu allora che videro nuovamente i cespugli muoversi.

Leon e Artù furono veloci a portarsi con le spalle al muro della casa.

“Come ha fatto ad arrivare al cespuglio senza lasciare altre orme? Sono almeno quattro metri!” chiese Leon sorpreso.

“Le orme sono confuse. In ogni caso, è chiaro che si sia girato e che abbia saltato, a giudicare dal terreno” rispose Artù a bassa voce sguainando la spada.

“Coprimi le spalle con l’altro” disse, facendo qualche passo avanti.

La spada puntata, il comportamento risoluto: l’antico guerriero era tornato.

Arrivò a un metro da cespuglio e con la spada sguainata toccò le foglie che, a loro volta, si mossero.

Ora Artù vedeva chiaramente del pelo nero spuntare tra le foglie.

“Vieni fuori” ordinò perentorio.

“Se non combatti, non ti farò alcun male” disse ancora, avvicinando la spada di qualche centimetro ma tenendosi pronto con il corpo a saltare all’indietro.

“Riesci a capire quello che dico?” domandò poi.

Trovava improbabile che non fosse così, visto che la creatura non li aveva ancora attaccati.

Aveva lasciato che loro esaminassero le impronte e sicuramente li aveva sentiti parlare.

Non attaccava alla cieca, quindi, doveva essere un essere pensante e intelligente.

Ovvio che lo capisco!

La voce li fece sobbalzare.

Artù guardò Leon per poi ritornare a guardare davanti a sé.

Quella creatura era davanti a lui.

Perché allora la voce non aveva quella direzione?

Anzi, sembrava non avere nessuna direzione. Sembrava… dispersa nell’aria.

“Vieni fuori!” ordinò nuovamente Artù.

“Non ti farò del male, se non me ne darai motivo” disse ancora.

In effetti, so che siete un temibile guerriero con la spada.

E sia ad Artù sia a Leon sembrò di sentire… ridacchiare!

Fu allora che la videro: l’enorme zampa nera spuntare dal cespuglio.

Artù indietreggiò, deglutendo istintivamente, quando anche l’altra zampa fece capolino, e impugnò più saldamente la spada.

Al di sopra del cespuglio, videro comparire una testa.

Un’enorme testa di quello che sembrava un lupo, o una pantera.

I lineamenti di questa creatura ricordavano i felini ma comunque non erano classificabili in nessun animale conosciuto fino a quel momento.

Videro la creatura chinarsi in avanti e Leon affiancò Artù, che era indietreggiato fino al muro della casa.

La videro aprire la bocca mostrando delle lunghe zanne che, comunque, erano già visibili, dato che sporgevano dalla bocca chiusa.

Si tennero pronti a colpirla, visto che la creatura era in posizione di salto.

Aspettarono entrambi il ringhio cavernoso che sarebbe fuoriuscito dalla sua gola e che avrebbe annunciato il suo attacco.

Rimasero perciò entrambi sorpresi quando videro che la creatura stava… sbadigliando!

Era uno sbadiglio, quello?!

La videro stiracchiarsi, e uscire completamente dinanzi a loro.

La creatura si sedette, facendo ondeggiare la sua lunga coda, mentre si grattava un orecchio e si toglieva le foglie impigliate nel pelo.

Leon e Artù si guardarono sorpresi e la guardarono nuovamente.

Aveva il pelo nerissimo e folto, più lucente della notte.

La creatura sbadigliò ancora e i due considerarono che sarebbe potuta sembrare uno di quegli animali coccolosi… se solo non fosse stata alta almeno un metro e mezzo e lunga, all’incirca, due!

“Ecco come ha fatto ad arrivare dietro al cespuglio con un salto!” valutò Artù considerando che, se era lunga due metri, non aveva dovuto faticare tanto per nascondersi dietro le piante.

Videro che la creatura si era seduta e li fissava con uno sguardo… perplesso.

Perplesso?!

Lei, lui, o cosa diamine fosse, aveva uno sguardo perplesso?

Eppure sembrava così, a giudicare da come avesse inclinato la testa di lato e li guardasse in attesa.

“Dobbiamo lanciare una palla?” provò a ironizzare Leon.

Potreste incominciare ad abbassare le spade!

La voce arrivò chiara alle loro menti.

Sì, sono io che vi parlo. È linguaggio telepatico, che solo una creatura del mio calibro ha la
facoltà di adoperare!


“Bene” disse incerto Leon abbassando leggermente la spada.

Artù, invece, preferì non abbassare la guardia.

Non temete, Sire. È il Sommo Emrys che mi manda al vostro cospetto.

Artù sgranò gli occhi ma, prima che potesse rispondere, una seconda voce –  questa volta proveniente distintamente dall’albero –  lo interruppe.

“Veramente, ci manda, cagnaccio!”.

E, proprio in quel momento, comparve la seconda creatura, appesa a testa in giù da un ramo.

“Allora, era veramente grande quanto un uomo!” sussurrò Leon, osservando le fattezze meno animali dell’altra creatura.

Si stava dondolando sul ramo appesa per le ginocchia – e questa cosa sembrava farla divertire molto – e si vedevano chiaramente i lineamenti semi umani, se non fosse stato per quegli occhi gialli con la pupilla sottile come quella dei gatti di notte.

Aveva dei lunghi capelli ramati e lisci e gli avambracci ricoperti di penne.

Le mani sembravano gli artigli di un rapace, con delle unghie che non avrebbero perdonato il povero malcapitato che si fosse trovato stretto in quella morsa.

Splendide ali color sabbia, e lunghe almeno un metro, completavano quel quadro.

Quelle creature erano bellissime nel loro genere.

La creatura alata aveva la pelle – la parte non coperta da penne, almeno – liscia e bianchissima.

I lineamenti sembravano gentili ed erano esili e delicati.

Le orecchie erano leggermente più a punta e i piedi – o forse, era meglio dire le zampe posteriori in quel caso – erano come le mani: zampe pronte ad artigliare e a non lasciare scampo.

Quando parlò, la voce uscì melodiosa e fresca.

“Non temete, Sire. Noi siamo i servitori e custodi del Sommo Emrys” esclamò sorridendo e, con un’elegante piroetta, scese dal ramo e volò accanto all’altra creatura.

“Direi che gli altri cavalieri e la Regina possano uscire allo scoperto” disse, non rinunciando al sorriso e volgendo lo sguardo intorno a sé.

Artù fece un cenno con la mano, certo che tutti gli altri si fossero appostati in un punto dove lui fosse visibile e, dopo qualche istante, i cavalieri uscirono uno a uno.

Anche Gwen arrivò dopo qualche minuto.

“Così possiamo presentarci a tutti” continuò a parlare la creatura alata, gesticolando con grazia ed eleganza.

Il mio nome è Louis.

La voce arrivò chiara a tutti loro.

“Io sono Phoenix” parlò l’altra creatura, inchinandosi leggermente.

Artù abbassò la spada, rimanendo comunque all’erta.

Istintivamente, sentiva di potersi fidare di quelle creature, a giudicare dal tono rispettoso che avevano usato per parlare del loro padrone.

Tuttavia, non voleva lasciarsi ingannare come un pivello, motivo per cui, quelle creature avrebbero dovuto dare qualche garanzia sulla propria identità.

“Siamo venuti per l’anello” provò a rassicurarlo la creatura alata, leggendo il linguaggio del corpo del Re.

I loro sensi erano molto più sviluppati rispetto a quelli degli esseri umani, e anche più degli animali. Riuscivano entrambi a percepire il sospetto di Artù e notarono come il suo corpo fosse pronto a scattare.

Inoltre, quella frase, sembrava aver fatto nascere ancora più sospetti nel Re, piuttosto che rassicurarlo.

Gli altri cavalieri, inoltre, vedendo come Artù fosse pronto alla battaglia, avevano lentamente accerchiato i due.

Ovviamente, le due creature se ne erano accorte ma fecero finta di nulla.

Così non rendi la nostra posizione meno sospetta, faccia d’angelo.

La voce di rimprovero di Louis arrivò chiara alle orecchie di tutti.

“Ti ricordo che è colpa tua, cagnaccio, se siamo stati scoperti” si risentì l’altro, incrociando le braccia in un broncio simile a quello dei bambini.

“Se non ti fossi addormentato sotto la finestra del Re per poi saltare dietro i cespugli, non avrebbe mai visto la tua dannata codaccia” protestò ancora.

L’altro, in risposta, si stese su un fianco – pulendosi la zampa con la lingua – e sbadigliò ancora.

Fatto sta, che tu parli sempre a sproposito.

L’altro, a quelle parole, si inalberò, stringendo i pugni (o gli artigli!).

“Come osi?” urlò.

“Siamo venuti qui per l’anello!” gli ricordò.

Ma se non ti spieghi, il Re potrebbe pensare che vogliamo portarglielo via.

“Guarda che non avevo ancora finito di parlare” si arrabbiò ancora di più l’altro.

“E – emh” provò a intervenire Leon tossicchiando.

Le due creature sembravano essersi completamente dimenticate di loro, mentre litigavano. O meglio, quella alata protestava, mentre l’altra sonnecchiava.

“Dicevo” si ricompose Phoenix, “il Sommo Emrys ci manda a controllare che tutto vada bene.

Non abbiamo nessuna intenzione di portare via l’anello” e sorrise.

Ancora una volta, hai detto la cosa sbagliata!

“Perché non parli tu, allora?” urlò l’altro.

Se volete una verifica della nostra identità, potete chiamare uno degli Antichi che lavora in ufficio con voi.

Questo dovevi dire, faccia d’angelo!

“Dannato cagnaccio!” lo insultò Phoenix.

L’altro sbadigliò, poggiando la testa su una zampa.

“Sapete degli Antichi?” chiese allora Leon.

Ovvio! Noi siamo creature immortali che vivono al cospetto del Sommo Emrys, insieme ai quattro Guardiani.

“Perché non sappiamo nulla di voi?” chiese Elian sospettoso.

Ci sono molte cose che non sapete, cavalieri.
La Dama doveva prepararvi alla grandezza del Sommo Emrys, non elencare tutti coloro che vivono con Lui.
Ripeto: potete verificare facilmente le nostre identità.

“È quello che faremo” rispose allora Artù serio, facendo un cenno del capo a Leon.

Questi estrasse un cellulare, rimanendo comunque in allerta e fu veloce a digitare un messaggio a Lenn.
 

Da: Leon
A: Lenn
H 21:10
Due creature, una alata e un’altra simile a una pantera, si sono appostate nel giardino di Artù.
 

La risposta arrivò neanche un minuto dopo.
 

Da: Lenn
A: Leon
H 21:11
Sono Phoenix e Louis. Evidentemente, Merlino deve averle mandate per controllare che vada tutto bene.
 

“Dicono la verità” esclamò Leon dopo aver letto il messaggio e solo allora Artù abbassò la spada, imitato dagli altri.

“Non è che potremmo accomodarci dentro? Qui fa un po’ freddino!” esclamò Phoenix sorridendo.

In effetti, considerando che aveva le braccia scoperte (lo strato non ricoperto di piume, almeno!) non doveva essere il massimo stare appostato su un albero con quella temperatura.

Io sto benissimo!

“Perché sei un dannato cagnaccio!” protestò l’altro chiudendo le ali intorno al suo corpo.

Sei troppo delicato, faccia d’angelo!

“Non ci sono problemi!” intervenne Artù, rispondendo alla domanda originaria di Phoenix.

Anche se, a quel punto, era lecito domandarsi come sarebbero entrati. O meglio, come Louis sarebbe entrato.

Sia la porta che la finestra erano troppo strette per permettere il suo passaggio. Inoltre, nonostante Artù avesse una casa piuttosto grande, dubitava che sarebbero riusciti a stare comodamente tutti in una stanza, considerato le ali enormi dell’uno e l’altezza dell’altro.

Guardò perplesso la porta e la finestra, valutando una strategia, quando Phoenix, intercettando il suo sguardo, lo rassicurò.

“Non temete, Sire! Non avremo problemi di spazio”.

E fu allora che accadde.

Lentamente, videro le ali ritirarsi e le penne scomparire, lasciando il posto a una pelle bianchissima che sembrava fatta di porcellana.

Le orecchie si accorciarono, diventando orecchie umane, e gli occhi si ritirarono, cambiando colore.

Le zampe lasciarono il posto alle mani e così fu per i piedi, che però comparvero fasciati da comodi stivali.

Fu allora che, davanti ai loro occhi, comparve un bellissimo uomo, con gli occhi ambrati e i
capelli ramati, portati lunghi ben oltre le spalle.

Un uomo dai lineamenti gentili ed esili, con un fisico asciutto e scolpito.

Le gambe erano fasciate da pantaloni bianchi e le spalle erano nude.

Allo stesso modo, anche l’altra creatura incominciò a cambiare aspetto.

Lentamente, il pelo si ritirò, lasciando il posto a una carnagione abbronzata.

Le zanne sparirono e comparirono dei denti bianchissimi. I lineamenti facciali si modificarono, lasciando il posto a un volto umano, dai lineamenti marcati ma molto piacevoli.

Carnagione abbronzata e capelli castano scuro, che ricordavano molto il colore della terra, sistemati in un’ordinata fila centrale ma portati lunghi oltre il viso.

Alto e muscoloso fu l’uomo che comparve dinanzi a loro, vestito con una camicia a giromanica, che sembrava aver visto tempi migliori, e un pantalone di lino leggero.

Seppur molto diverso dall’altro, anche Louis si era trasformato in un uomo che di sicuro faceva voltare molta gente quando camminava per strada.

Quando parlò, la sua voce arrivò profonda e decisa.

“Suppongo che adesso non ci siano più problemi di spazio!”.
 

Continua…
 

Note:
 

Ecco che compaiono Louis e Phoenix. Spero che la loro entrata in scena vi sia piaciuta.

Piccola precisazione: nella parte sulle armi da fuoco, mi sono regolata con le leggi vigenti in Italia.
In Italia, infatti, è possibile tenere un’arma in casa per uso sportivo (massimo due, di calibro diverso). L’arma non può assolutamente uscire di casa, a meno che il tiratore non si rechi al poligono. Inoltre, i proiettili vengono forniti in numero limitato e viene tenuto il conto di quelli sparati.
Spero che in Gran Bretagna le regole siano simili. Se così non fosse, mi scuso per le eventuali
discordanze.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Come sempre, attendo i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Pandora86
 

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Capitolo 35
*** Capitolo 35. Louis D'Alambert ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 35. Louis D’Alambert
 
“Mi dispiace che ci abbiate scoperto in questo modo” sorrise Louis, accomodato su una delle sedie del salotto di Artù.

“Veramente, ti hanno scoperto” non mancò di correggerlo l’altro, accomodato accanto a lui ma seduto a terra a gambe incrociate.

Aveva indossato la camicia che portava legata alla vita ma doveva sentire molto freddo, considerato quanto si fosse seduto vicino alle fiamme del camino che Artù aveva acceso dietro sua richiesta.

Louis alzò gli occhi al soffitto, non dicendo nulla e facendosi vento con una mano. A differenza dell’altro, doveva sentire molto caldo.

“Quindi, perché siete qui?” chiese Leon, osservando il volto di Louis e cercando di ricordare dove lo avesse visto.

“Per nessun motivo in particolare” rispose Louis. “Ci stavamo solamente accertando, per volere del Sommo Emrys, che tutto andasse alla grande”.

Vide che il cavaliere stava per domandargli qualcos’altro e anticipò la domanda.

“Avrete di certo capito come l’anello sia un oggetto magico dalla potenza estrema” incominciò.

“È compito del Sommo Emrys custodire tutti gli oggetti magici e quindi, in questo caso, anche tenere d’occhio quelli che non sono più sotto il suo diretto controllo.

Inoltre, siete sicuramente arrivati alla conclusione che l’anello spettava di diritto al Re” e gli altri annuirono.

“Quello che non sapete, è il perché” e sorrise ancora.

“Infatti!” intervenne Elian.

Osservava con interesse Phoenix. Perché era sicurissimo di averlo già visto da qualche altra parte?

“Suppongo non ci sia nulla di male, se a questo punto vi do qualche spiegazione” rispose Louis.

“L’anello, non è altro che l’Antica spada del Re” rivelò con noncuranza, facendo rimanere tutti di stucco.

“Mentre, l’anello che indossa il Sommo Emrys, è la spada che ha ferito a morte il Re” aggiunse Phoenix con tranquillità, incurante degli sguardi sbigottiti che aveva suscitato quell’esclamazione.

“Che cosa?” non riuscì a trattenersi Lance.

“Quando la strega, nella lontana Camelot, è stata portata a morte per mano del Sommo Emrys, poco dopo, insieme alle spoglie del Re, anche la spada ha raggiunto le acque di Avalon” incominciò a spiegare allora Louis.

“Poi, il Sommo Emrys, ha iniziato a essere istruito da Sommo Kyle, fino a che non è diventato sufficientemente potente da permettere ai Guardiani di diventare esseri umani” parlò Phoenix.

“È stato allora che il Sommo Gabriel, che già indossava l’anello destinato al Sommo Emrys, si è messo alla ricerca della spada appartenuta a Mordred” e stavolta a parlare fu Louis.

“Quando la trovò, notò come essa emettesse energia negativa. Era un oggetto magico troppo potente, destinato senza dubbio al male. Fu per questo che decise di assorbirla nell’anello destinato al Sommo Emrys” e terminò.

“Perché era una spada destinata al male? Non dipende da chi la impugna?” domandò allora Artù che, per anni, aveva portato una spada senza capirne realmente la pericolosità e la potenza.

Ovviamente, in mano sua non era mai stata oggetto di distruzione e il perché era presto detto: Merlino lo guidava e vegliava su di lui.

Inoltre, era stato Lui stesso a consegnargliela.

“Non proprio” lo corresse Louis.

“Le spade forgiate dal soffio di un drago sono potenti, ma prendono la loro personalità anche in base a chi le impugna al momento della loro creazione” spiegò e Artù capì.

La sua spada era stata forgiata per il bene e tenuta in mano da Merlino. L’altra, invece, creata per il male, e impugnata da Morgana.

Quindi, aveva visto giusto: gli anelli rappresentavano veramente il Bene e il Male.
Ma come poteva essere diventata anello la sua spada?

Fu questo che domandò.

Louis sorrise, prima di rispondere.

“Prima di rispondere alla domanda, vorrei rivelarvi una cosa. Il Sommo Emrys non vi ha mai dimenticato, conservando tutte le vostre armature, per tutti questi secoli, con le rispettive spade. Attualmente, le tiene tutte in una stanza della sua villa” e si interruppe, notando come gli altri si guardassero stupiti tra loro, mentre un sorriso compariva sui loro volti.

“Quando il Sommo Gabriel ha consegnato l’anello al rispettivo proprietario, aveva previsto che la strada per il controllo di quella pietra sarebbe stata lunga. Fu per questo che decise di crearne uno identico tramite la spada. Affinché il bene e il male fossero perfettamente equilibrati, il Sommo Gabriel prese un cristallo e ordinò alla spada di assorbirne il potere. Fu allora che l’insieme si trasformò in un diamante bianco” concluse.

“Quindi, è stata la spada a decidere la forma e la pietra dell’anello” costatò Lance.

“Infatti!” confermò Louis.

“Quell’anello ha deciso da solo la forma da assumere. A quel punto, fu evidente che l’anello sarebbe spettato al Re” concluse.

“Ma perché Gabriel ha deciso una cosa del genere quando ha consegnato l’anello? Non poteva continuare a tenerlo lui?” domandò Gwaine interessato.

“Nessuno può portare un anello non proprio per sempre. Prima o poi, sarà il legittimo proprietario a doverlo indossare” rispose alla seconda domanda Louis.

“Per capire il funzionamento degli anelli, pensate agli interruttori” si spiegò poi, rispondendo alla prima domanda.

“Gli anelli entrano in funzione solo quando appartengono al legittimo proprietario. Aggiungo però che per portare un anello non proprio, senza farsi distruggere dallo stesso, ci vuole una potenza fuori dal comune”.

“In pratica, l’anello del male è entrato in funzione da tre secoli circa. Esisteva, ma non funzionava” s’intromise Phoenix.

“Tuttavia, se l’anello entra in funzione, alzando la percentuale di male, capite che ci vuole un oggetto magico opposto che lo equilibri, affinché il mondo non entri nel caos” aggiunse Louis.

“Quindi, l’anello del bene è già funzionante?” chiese Elian.

A risponderlo fu Artù.

“È sempre stato funzionante, perché proviene dalla spada forgiata per sua mano”.

 “Infatti!” confermò Louis.

“Perché io, allora?” chiese Artù.

“Perché quella spada è stata forgiata per voi e l’anello non può essere utilizzato al meglio, se non dal proprietario per cui è stato creato”cercò di essere esauriente Louis.

“Quindi, l’anello funzionava ma in minima parte perché non è mai stato al dito del suo legittimo padrone” provo a riassumere Elian e le due creature confermarono con il capo.

“Inoltre, il bene è il male, non possono essere uguali negli animi delle persone, altrimenti la persona in questione non avrebbe potere decisionale nel corso della vita” disse Phoenix.

“Allo stesso modo, il Sommo Emrys non può portare due cose opposte ma con lo stesso potere, altrimenti andrebbe contro gli equilibri” terminò.

“Non capisco!” ammise Gwaine. “Non deve incarnare gli opposti, per volere della natura stessa?” chiese, riportando le parole di Perce della sera precedente.

“Infatti, ma nessuno ha detto che questi opposti debbano essere perfettamente uguali. Gli anelli, invece, hanno la stessa potenza” gli chiarì Louis.

“Continuo a non capire” s’imbronciò Gwaine e, stavolta, a rispondere fu Artù.

 “Lui è il bene, Gwaine” spiegò, massaggiandosi gli occhi.

“Ma è anche un essere umano e, per guidare l’uomo, deve essere uguale a lui. Il male che non ha nell’animo, è compensato dall’anello, che è il male che aveva nel suo cuore all’origine” parlò ancora il Re, capendo appieno quei concetti solo in quel momento.

“Poi, l’anello è diventato la rappresentazione del male esistente nel mondo, credo grazie alla spada di Mordred” e chiese conferma a Louis che annuì.

“Tuttavia, nonostante la percentuale di male che porta al dito sia altissima, è sempre inferiore al bene che ha dentro di lui” concluse.

“E lo stesso vale anche per voi, Sire” s’intromise Phoenix sorridente.

“Voi portate l’anello del bene. Nel vostro caso, è la percentuale di Bene a essere superiore, considerando che l’anello rappresenta il Bene assoluto”.

“Perché ho il male nell’animo, come ogni uomo” sospirò Artù.

“Sì” confermò Phoenix.

“Ma non vi rammaricate” aggiunse, “perché il male presente nel vostro animo, è uguale a quello presente all’origine nel cuore del sommo Emrys: infinitesimo”.

“Ed è per questo che solo voi avete potuto impugnare la spada a Camelot, così come l’anello nel secolo attuale” aggiunse Louis.

“Questi due anelli sono i perni del mondo, in pratica!” costatò Elian.

“In sostanza, sì!” confermò Louis.

“Quindi, è per questo che sono tornato” esclamò Artù.

“Dovete imparare a controllare l’anello, sire!” confermò Phoenix.

“Voi siete uno dei due pilastri non solo del mondo, ma dello stesso universo” aggiunse Louis.

“Come posso fare?” domandò Artù.

“Solo il tempo ce lo dirà” rispose Louis.

“E noi siamo tornati per aiutare il Re in questa missione” s’intromise Lance.

“Forse non solo quello” lo corresse Louis.

Tutti lo guardarono interrogativo.

“È innegabile che voi siate i cavalieri che più sono stati vicini al Re e al Sommo Emrys” rispose Phoenix e tutti annuirono.

“Ognuno di voi, ha rappresentato qualcosa nella vita di entrambi. In ognuno di voi, spicca una virtù” aggiunse Louis.

“Voi siete i veri cavalieri della tavola rotonda” parlò ancora Phoenix e cominciò a elencare.

“Sir Lancillotto che rappresenta la nobiltà.

Sir Galvano che è la forza.

Sir Leon, invece, è la lealtà.

Sir Parsifal è la bontà.

E, infine, sir Elyan che rappresenta l’uguaglianza. Poi, c’è la Regina” e indicò Ginevra con il cenno del capo, “che rappresenta la saggezza e la compassione. Tutti voi rappresentate una virtù, mentre il Re è nato per incarnarle tutte” terminò.

“E cosa dobbiamo fare?” chiese Lance.

“Ancora una volta, posso dirti che solo il tempo ci darà le risposte. Tuttavia, è necessario che i due gruppi, quello del Sommo Emrys e quello del Re, si fondano per assolvere il compito per cui sono stati creati: divenire una cosa sola” e sospirò pensieroso.

“Non è un caso, né la nostra esistenza, né la comparsa dei Guardiani nella storia” s’intromise Phoenix.

“Tuttavia, molte cose sono oscure anche per noi” e sospirò.

“Però, è innegabile che questo sia il periodo di massima crisi per Albion” rifletté Louis.

“Se le vostre anime sono tornate, un motivo deve esserci. Un motivo che solo voi conoscete” aggiunse Phoenix.

“Come sarebbe a dire che solo noi conosciamo? Non dovrebbe esserci qualcuno a istruirci?” chiese Gwaine allibito.

“No” fu la lapidaria risposta di Louis che fissò severamente il cavaliere.

“Perché siete stati voi a scegliere di tornare” fece notare.

“È stato Gabriel a creare il portale” insisté cocciuto Gwaine.

“Ma nessuno ci ha mai detto quando saremmo dovuti tornare” s’intromise Lance, capendo appieno quel concetto solo in quel momento.

“Rifletteteci” invitò gli altri con solerzia. “La Dama ci ha mai detto quando tornare, o siamo stati noi a dirle che lo avremmo fatto?” domandò, guardando gli altri.

Tutti i cavalieri si osservarono tra di loro, cercando tra i loro ricordi una conoscenza che smentisse le parole di Lance.

Passarono parecchi istanti fino a che tutti loro scossero il capo. Era vero, Lance aveva ragione.

La Dama li aveva istruiti ma erano stati loro, richiamati da chissà cosa, a decidere il momento.

Il richiamo che avevano udito, il pericolo che avevano avvertito… non era stata la Dama a dire loro di tornare.

“Dovete scavare dentro voi stessi, ritornando con la mente al luogo da dove provenite” li invitò Louis con voce profonda.

“E dovete farlo alla svelta, perché temo che non sia solo il Sommo Emrys a correre dei pericoli” aggiunse Phoenix.

“Come potrebbero i Guardiani correre dei pericoli?” domandò Perce con aria preoccupata.
Nonostante non avesse fatto riferimenti, si capiva chiaramente quale fosse il guardiano a cui si riferiva.

“Sbagliate a pensare ai Guardiani come esseri invincibili!” lo corresse Louis con aria triste.

“Perché? Non lo sono?” domandò sarcastico Gwaine, pensando a Kyle e alla sua arroganza.

“No!” rispose chiaramente Louis, fingendo di non cogliere il sarcasmo. “Non lo sono, perché non hanno più un corpo da Guardiani”.

“E questo a dove ci porta? Sono guardiani o no?” chiese Elian.

“Sono Guardiani solo nella mente e nel potere, ma vi invito alla riflessione: se i Guardiani vivono in un mondo inaccessibile agli esseri umani, e sono fatti di un’energia e di un potere adatti ad attraversare il Tempo, come può un corpo umano sopportare un tale potere?” chiese Phoenix.

“Quindi, hanno il suo stesso problema, anche se in termini opposti” rifletté Lance senza necessità di specificare il soggetto e, infatti, tutti capirono a chi si riferiva.

“Il Sommo Emrys si è ritrovato a dover controllare un anello che possiede un’energia uguale a quella degli anelli dei Guardiani. I Guardiani invece hanno scelto di conservare il loro potere originario, nonostante siano diventati anche stregoni controllando un elemento a testa” chiarì Phoenix.

“E questo che danni porta?” chiese Artù assottigliando gli occhi.

“I loro corpi si sono rivelati resistenti, più di quelli del Sommo Emrys almeno. Ma la mente? Potrà resistere per altri mille anni?” domandò retorico Louis.

“Quindi, anche loro corrono dei pericoli” rifletté Lance.

“Ovvio” rispose Phoenix.

“Non si gioca con l’immortalità. Questo vale anche per i Guardiani” rifletté Louis.

“Inoltre, questo è uno dei motivi per cui non siete mai stati contattati in passato” disse dopo un po’ e precedendo le domande, riprese a spiegare.

“Sono i problemi legati all’immortalità del Sommo Emrys che gli hanno impedito di avvicinarsi a voi. L’immortalità ha logorato il suo corpo e il diamante nero esercita il male, allontanandolo dal bene. Almeno a livello mentale” spiegò.

“E noi cosa c’entriamo?” disse Gwaine. “Siamo suoi amici!”.

“Ma siete anche coloro che hanno vissuto con Lui nel suo periodo più buio, il periodo dove la conoscenza dei suoi poteri era ancora agli albori e la magia era considerata proibita” intervenne Phoenix.

“Il Sommo Emrys ha passato gran parte della sua vita, della sua giovinezza, cercando di capire se fosse un mostro, a causa della sua magia. Quando il Re è morto, le cose sono cambiate e il Sommo Emrys ha iniziato ad avere contatti con i Guardiani, sentendosi accettato” spiegò Louis.

“La vostra nascita lo ha riportato indietro di mille anni, facendo sprofondare la sua mente in un baratro, anche a causa dell’influenza del diamante nero. Il Sommo Emrys non riesce più a ricordare le cose belle che ci sono state a Camelot e vi teme più di ogni altra cosa” rivelò Phoenix.

“Come può temerci?” chiese Lance in un sussurro, mentre gli altri si guardavano con aria perplessa.

“Voi siete quelli che conoscete la sua giovinezza. Nel secolo attuale, il Sommo Emrys è rispettato in entrambi i mondi, sia quello magico che in quello non magico, e nessuno conosce il suo passato. Almeno, non tutti gli aneddoti che lo riguardano” continuò a spiegare Louis.

“Badate bene, non vi sto dicendo che sia un comportamento logico o una paura razionale, dettata da un vero pericolo. Il Sommo Emrys ha semplicemente paura, e la prova da molto tempo, a causa dell’influenza del diamante nero. Capite che, sotto una tale influenza, sia facile che i ricordi vengano cancellati e come sia difficile mantenere lucidità” terminò.

“Aggiungo però che non ha mai ceduto alla follia e che ha sempre conservato saggezza e intelletto” ci tenne a specificare Phoenix.

“Tuttavia, teme Camelot, ricordandola come il suo periodo più buio, e teme il Re, scegliendolo come capro espiatorio” rivelò Louis fissando Artù intensamente che incassò il colpo senza battere ciglio.

“I guardiani, e anche noi, lo stanno preparando poco a poco, visto che non sappiamo come potrebbero reagire il suo corpo e la sua mente alla presenza del Re” terminò Phoenix lasciando cadere il silenzio nella stanza.

Tutti riflettevano pensierosi sulle nuove informazioni ricevute.

In particolare Artù, che finalmente conosceva il motivo di tanta attesa e riusciva a spiegarsi il comportamento di Kyle.

Lui non voleva vederlo. Non poteva vederlo.

La voce di Louis lo riscosse dalle sue riflessioni.

“Adesso dobbiamo proprio salutarci” parlò la creatura alzandosi, imitato da Phoenix.

“Suppongo che ci rivedremo ancora” salutò cordiale Phoenix avviandosi verso la porta.

“Non vi scomodate” aggiunse Louis. “Al diavolo le formalità” e fece l’occhiolino.

Leon lo osservò uscire non dicendo nulla, ma scavando a fondo nella sua memoria.

Era sicurissimo di averlo già visto da qualche altra parte.

Sentì distrattamente gli altri che parlavano tra loro e non si accorse di Artù che lo fissava attento.

Non udì le imprecazioni di Gwaine, le parole preoccupate di Perce o la proposta di Lance di consultarsi con Lenn.

Non udì Ginevra nominare Merlìha, mentre proponeva al marito di consultarli entrambi.

Scavò a fondo nei suoi ricordi, chiudendo gli occhi e concentrandosi.

Sapeva di avere una mente fotografica e provò a cercare tra il mare di immagini che gli scorrevano davanti.

Non vide gli altri che si avvicinavano a lui preoccupati, e che lo chiamavano, essendosi accorti del suo silenzio.

Non udì Artù che diceva agli altri di non intromettersi, che qualcosa stava avvenendo.

Continuò a scavare nei suoi ricordi, isolandosi dagli altri e provando a essere un’unica cosa con la sua mente. Le immagini erano milioni, ma lui sapeva che l’informazione era lì, da qualche parte.

Sapeva che era fondamentale richiamarla, sapeva che non poteva essere un caso.

Fino a che, l’informazione che cercava arrivò.

Aprì gli occhi, certo di non sbagliarsi e sentendosi spossato ma soddisfatto.

Guardò tutti loro sorridendo; l’informazione era arrivata e recava due parole con sé, due parole fondamentali: Louis D’Alambert.
 

Continua…
 

Note:
 
Ecco spiegata la nascita dell’anello di Artù. Spero che le mie idee vi siano piaciute e che il capitolo non vi abbia annoiato.

Sarà uno degli ultimi con spiegazioni così lunghe e dal prossimo le cose si movimenteranno parecchio.

Come sempre, attendo i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Pandora86

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Capitolo 36
*** Capitolo 36. Klause Badelt ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 

Capitolo 36. Klause Badelt
 

“Ecco perché mi sembrava di conoscerlo” spiegò Leon agli altri, mostrando loro lo schermo di un computer.

Dopo aver aperto gli occhi e aver sorriso incoraggiante, si era precipitato al computer – come se avesse qualcuno alle calcagna – quasi per paura di dimenticare quello che aveva ricordato, senza dire nulla agli altri.

Aveva digitato frenetico, cercando di rimanere lucido e sperando di aver scritto bene il cognome. E ora, avendo ottenuto risultati positivi, mostrava lo schermo agli altri, invitandoli a leggere.

“Louis D’alambert, noto ballerino di danza moderna e insegnate nella più famosa scuola di musica della Bretagna” lesse Artù, dopo essersi avvicinato.

Guardò la foto sopra il profilo e apprese, con stupore, che si trattava dello stesso Louis seduto nella sua poltrona meno di un’ora prima.

“Come lo conoscevi?” domandò Artù.

“Qualche mese fa, era su un volantino!” spiegò Leon. “Un volantino che pubblicizzava un saggio di danza” terminò.

“Phoenix Pierrot, noto ballerino di danza classica” esclamò Elian, spostando con mala grazia il Re dal computer e continuando a leggere.

“Eravamo insieme quando vedemmo quel volantino” disse, scorrendo la schermata con il mouse.

“Ecco cosa fanno nella vita reale” sospirò.

“Già” confermò Leon avvicinandosi.

In quel momento, sembravano fare a gara per essere tutti davanti allo schermo.

“Continua a cercare, potremmo trovare qualcosa” urlò Gwaine, guadagnando una posizione davanti al computer dopo aver spinto Perce che, in risposta, si massaggiò lo stomaco per la gomitata ricevuta.

“Non c’è bisogno” alzò gli occhi al soffitto Elian.

“E perché mai?” protestò l’altro.

“Perché insegnano nella scuola più famosa a livello europeo” gli spiegò Lance con calma, collegando tutto.

“Una scuola che appartiene da generazioni a una famiglia che tutti noi abbiamo sentito, anche se siamo profani in materia” continuò.

“La scuola della famiglia dei più grandi violinisti a livello mondiale, passata da padre a figlio. Attualmente, gestita da Klause Badelt” terminò Leon.

“Ho già sentito questo nome” si grattò il mento Gwaine perplesso.

“Ovvio che l’hai già sentito” lo riprese Elian, “visto che si tratta dell’imprenditore più ricco di Londra”.

“Un uomo che non si è mai servito dei nostri servizi pubblicitari, anche se la nostra agenzia è una delle più famose di Londra, richiesta anche sul mercato estero” ragionò Perce corrugando la fronte.

“Uno dei pochi imprenditori con cui non abbiamo mai avuto contatti, anche se dei rapporti d’affari avrebbero giovato a entrambe le imprese” intervenne Artù arrivando alla verità.

“Soprattutto nei mercati esteri gli avremmo fatto comodo, considerando tutte le aperture delle numerose scuole avvenute nei vari paesi d’Europa” aggiunse Leon.

“È sempre stato un cliente di spicco che non siamo mai riusciti ad accaparrarci” intervenne Perce.

“Circondato da un amministratore delegato che ci ha sempre snobbato” aggiunse Lance.

“Allora, questo tipo già mi sta antipatico” decretò Gwaine. “Vediamo una foto di questo Badelt” insisté.

“Non credo ci sia una sua foto” sospirò Lance, avendo capito di chi si trattava.

Anche gli altri lo avevano capito e annuirono silenziosi.

“E perché no?” domandò cocciuto Gwaine che ancora non aveva collegato i fatti.

“E comunque ti sbagli” aggiunse dopo un po’, guardando gli altri con scherno.

“Voglio proprio vedere la faccia di questo snob” ridacchiò ancora, mentre si girava lentamente verso il computer.

Eccolo, Klause Badelt inquadrato a figura intera.

La faccia non era molto visibile, non essendo un primo piano, eppure, si vedevano benissimo i lineamenti.

Gwaine si alzò di scatto dalla sedia, che cadde all’indietro, e arretrò di qualche passo quasi temendo che la figura potesse uscire dallo schermo.

Eccolo, Klause Badelt, che in quella foto sedeva sorridente con il suo violino.

“L’abbiamo trovato!” sussurrò Gwaine, sgranando gli occhi.

Klause Badelt era Lui.

Il silenzio aleggiò per qualche minuto nella stanza. Nessuno riusciva a parlare, nessuno riusciva a staccare gli occhi dalla foto sullo schermo.

Artù, in particolare, la osservava provando sensazioni contrastanti dentro di sé.

Malinconia, tristezza, felicità, entusiasmo… forse era impossibile catalogarle tutte.

Lo osservava, riconoscendo quei lineamenti così familiari eppure, mai come in quel momento, così distanti.

Non si era sbagliato la notte del loro incontro, portava i capelli più lunghi, molto più lunghi, almeno rispetto alle sue memorie.

Ora che aveva possibilità di osservarlo bene, notava che quelli dietro la nuca dovevano coprirgli completamente il collo, arrivando quasi alle spalle, mentre i ciuffi davanti erano disposti in ordine crescente lungo il viso, incorniciandolo e rendendolo estremamente bello.

Più pallido rispetto al passato ma ancora più affascinante. Solo gli occhi erano perfettamente uguali, un azzurro brillante che non avrebbe trovato in nessun altro.

Vestiva con eleganza e sedeva con grazia, con il violino poggiato sulle ginocchia.

Artù provò malinconia e sentì un groppo salirgli alla gola: quella foto recava le tracce di un uomo bellissimo.

Un uomo ricco ed elegante, sicuro di sé.

Un uomo che sembrava non avere bisogno di nessuno, perché aveva già tutto: ricchezza, classe, sicurezza, talento.

Un uomo che non ha bisogno di me!

Questo fu il pensiero che spuntò in un angolino della sua mente.

Nonostante nella foto sorridesse, Artù non riuscì a scovare le tracce della sua ironia e del suo sorriso sincero.

Quello era un sorriso di scherno, un sorriso incantatore.

“Un violinista! Chi l’avrebbe mai detto”.

L’affermazione di Lance lo strappò dai suoi pensieri.

“È sempre stato sotto il nostro naso” ragionò Perce.

“Eppure, non abbiamo mai pensato che potesse essere Lui” intervenne Ginevra guardando con affetto la foto.

“Questo è abbastanza normale. Sono persone famose nei teatri e conosciute dagli intenditori. Per noi, era solo il nome di un ricco imprenditore che snobbava le nostre proposte” rifletté Leon.

“Il proprietario della scuola poi, Klause Badelt, compare in pubblico il meno possibile” intervenne Lance.

“Guardate, questo è Kyle” urlò Gwaine, indicando un’altra foto che fu immediatamente ingrandita.

“Si firma con un altro cognome, però” ragionò Lance avvicinandosi.

“Il nome è più comune del cognome” ragionò Elian. “Leggi la biografia, Gwaine” lo invitò poi.

“Qui dice che Kyle ha 34 anni, amico d’infanzia di Klause Badelt, 32 anni. Proveniente da una famiglia di pianisti da generazioni” lesse Gwaine.

“Ma quali generazioni, se sono sempre loro?” imprecò dopo un po’.

“Gabriel, invece, secondo la biografia, discende da una famiglia di medici tedesca. Nobili, tra l’altro. Violoncellista di successo, che Badelt stesso ha scelto per farsi affiancare come solista” fece un sunto Gwaine.

“Non ci sono Merlìha e Lenn, però” intervenne Ginevra.

“Beh, su Lenn non avrei dubbi: si stratta, sicuramente, del loro amministratore delegato, Leonard Wilson, americano di nascita” rispose Gwaine continuando a leggere.

“Merlìha, invece, insegna canto” intervenne Perce, mentre leggeva insieme a Gwaine, alle sue spalle.

“Hanno tutti cognomi diversi” ragionò Ginevra. “Solo Lenn ha cambiato anche il suo nome” aggiunse pensierosa.

“È normale” intervenne Artù.

“Lui è l’amministratore, e il suo nome è quello più conosciuto. Lenn è quello che più sta a contatto con altri imprenditori, essendo l’amministratore delegato delle imprese Badelt. Persino noi lo conoscevamo” aggiunse, con tono ovvio.

“Sono irriconoscibili nelle foto, rispetto a come si sono presentati a noi” disse ancora la donna.

“Eppure, non hanno cambiato aspetto. Una foto è molto ingannevole, soprattutto se li ritrae in pose strategiche” rispose Artù.

“È vero!” confermò Lance.

“Sono famosi, ma lo sono di più i loro nomi che i loro volti. Non sono persone da cinema o televisione. Il teatro è molto più ristretto”ragionò ancora.

“Inoltre, qui dice che, a parte Klause Badelt e, ovviamente, l’amministratore delegato, hanno tutti nomi d’arte” intervenne Gwaine.

“E come si chiamerebbero, in realtà?” domandò interessato Leon.

“Non lo dice” rispose Gwaine. “E, sapendo di chi si tratta in realtà, credo che quella dei nomi d’arte sia solo una stronzata” e imprecò.

“Stronzata che però permette loro di muoversi agevolmente senza essere notati” ragionò Elian.

“Di certo, considerando che gestistono quella scuola da generazioni, un cognome d’origine deve esserci stato” corrugò la fronte Perce.

“Badelt” rispose Artù con tono ovvio.

“È questo il cognome vero, secondo i dati. Il fatto che Kyle discenda da una famiglia di pianisti, non significa niente” ragionò l’antico re.

“Non è detto che i genitori o i nonni siano stati bravi e famosi quanto lui. Inoltre, anni fa non c’erano i mezzi pubblicitari di adesso. Sicuramente, è questo il ragionamento che hanno fatto” concluse con tono pratico.

“Non c’è bisogno che qualcuno sappia il loro vero cognome – ammesso che ne abbiano uno – anche se io credo non lo abbiamo. A nessuno interessa!” gli diede ragione Lance.

“Gabriel però, come medico, dovrà firmarsi in qualche modo. Mi ha detto che esercita la professione” intervenne Perce.

“E allora?” domandò Artù scrollando le spalle.

“Credi che qualcuno riesca a collegarlo al violoncellista di successo?” chiese ancora.

“Un violoncellista che si esibisce nei teatri in giro per l’Europa e che, quando compare sul palcoscenico, lo fa truccato e con le luci, oltre che con una platea di centinaia di persone di cui solo quelli seduti in prima fila riescono a vederlo discretamente” snocciolò con fare pratico.

“Si esibiscono per l’élite” ragionò Lance. “E non credo che diano lezioni molto spesso. Si occupano delle scuole ma credo selezionino gli insegnanti, più che formare gli allievi”.

“Inoltre, suonano sempre come solisti. Anche se hanno un’orchestra che li accompagna, sono i geni del palcoscenico. Quanto credi li vedano gli altri orchestrali?” intervenne Elian che stava continuando a leggere.

“Nella nostra azienda, nessuno li ha riconosciuti, infatti!” gli diede ragione Lance.

“Nessuno avrebbe potuto, visto che pochi li conoscono intimamente. E poi, anche se qualcuno notasse una somiglianza, sarebbe, per l’appunto, un caso. Di sicuro, sarebbe questa la loro risposta” sospirò Artù.

“Gioca molto anche il fattore sorpresa. Chi mai si aspetterebbe di trovare un pianista famoso che fa domanda per un’impresa totalmente opposta al suo settore?” chiese retorico Lance.

“Neppure un suo fan, ammesso che nella nostra compagnia ce ne sia uno, l’avrebbe riconosciuto, proprio perché avrebbe ritenuto impossibile trovarlo lì” aggiunse Artù con tono pratico. “ E poi, anche perché l’età non coincide” concluse.

“Stanno bene attenti a separare i vari settori in cui lavorano, con piccoli stratagemmi, banali, ma vincenti. Sicuramente, anche Gabriel ha fatto lo stesso nel settore in cui lavora” concluse Lance, rispondendo all’originaria domanda di Perce.

“Nessuno si aspetterebbe di trovare un violoncellista di fama mondiale a fare il turno di notte” esclamò, infatti, Perce.

“In pratica” riassunse Gwaine, “nessuno si aspetterebbe di trovare una rock star famosa a servire i tavoli di un bar o a lavare i piatti. Si penserebbe a una somiglianza, ma nulla di più. Se la persona in questione, poi, dicesse di essere realmente l’artista a cui assomiglia, chiamerebbero la neuro” concluse.

“Esempio spiccio ma calzante” approvò Leon. “E considera poi, che hai applicato lo stesso ragionamento a una star che sarebbe nota a milioni di persone. Figurati, invece, chi compare solo in teatro e per un pubblico ristretto” terminò.

“E poi, se realmente una rock star famosa facesse una cosa del genere” continuò Elian usando la stessa metafora, “sicuramente sarebbe per cause umanitarie o per altro, e quindi sarebbe accompagnata da fotografi e giornalisti. Di certo, non ci sarebbe l’anonimato” concluse.

“Da qualsiasi punto la si vede, la loro strategia è eccellente. Sono in una botte di ferro!” approvò Lance.

“Non mi aspettavo altro”rispose Artù lapidario, “considerando chi sono i soggetti in questione”.

“Ma tu come facevi a ricordarti di Louis?” domandò Artù a Leon con occhi indagatori.

“Non mi pare ti interessino i saggi di danza!” esclamò poi.

“Beh…” incominciò questi, distogliendo lo sbaglio imbarazzato e guardando Elian di sfuggita.

“Ricordi quella trattativa, di qualche mese fa, in una zona appena fuori Londra?” iniziò a raccontare prendendola alla larga.

“Io e Leon, durante una pausa in un locale, ci siamo messi a fare qualche commento sui due ballerini di un manifesto che un tipo stava affiggendo” riportò spiccio Elian.

“Vi siete messi a fare apprezzamenti sui due ballerini, vorrai dire” li prese in giro Gwaine.

“Possibile che tu vedi doppi sensi ovunque?” domandò Leon punto nel vivo.

“Se proprio lo vuoi sapere, avevano il trucco di scena e commentavamo quello” si difese incrociando le braccia.

“Sì, come no!” finse di crederci Gwaine. “E vi siete ricordati di loro, nonostante il trucco. Però che memoria” li pungolò ancora.

“È stato Leon a ricordarsene” gli appuntò Elian, distogliendo però lo sguardo.

Artù li scrutò attendo ma preferì non indagare. Incredibile come le strade di tutti loro sembrassero incrociarsi.

“Resta da decidere cosa fare con queste nuove informazioni” intervenne Lance, pratico come sempre.

“Dormiamoci su, e poi domani decidiamo” decretò Artù.

“Ci vediamo domani in ufficio” si congedò, portando il computer portatile con sé.

Lo schermo, ancora aperto sulla sua foto.
 

***
 

Leon tossicchiò a disagio.

Lui ed Elian, dopo essere usciti da casa di Artù, avevano deciso di fermarsi in un locale a prendere una birra.

“Incredibile!” si massaggiò gli occhi Elian.

“Chi avrebbe mai detto che li avremmo trovati così!” esclamò poi, vedendo che l’altro ancora non si decideva a parlare.

“Non starai esagerando?” esclamò dopo un po’.

“In fondo, erano solo commenti innocenti” e scrollò le spalle.

“Commenti innocenti rivolti alle persone sbagliate” parlò allora Leon.

“Beh, non lo sapranno mai” provò a ragionare Elian.

“Non lo sapranno mai, se Gwaine tiene chiusa la sua boccaccia” lo corresse Leon preoccupato.

“Ci manca solo che Lui venga a sapere che abbiamo fatto apprezzamenti sul fisico di due dei suoi compagni” e sospirò.

“Mi dici come hai fatto a ricordarti di Louis?” cambiò argomento Elian con tono casuale.

Leon distolse lo sguardo, imbarazzato ed Elian annuì con il capo.

“Hai conservato anche tu quel volantino, vero?” domandò poi.

Ad Artù, avevano detto che li avevano visti su un manifesto che un operaio stava affiggendo, ed era vero, in parte. Peccato che avessero notato quel manifesto solo dopo aver ricevuto i volantini da un cameriere del locale che si occupava della distribuzione ai clienti, occasionali e abituali.

“Anche tu?” chiese sorpreso Leon ed Elian annuì ancora.

“C’era qualcosa, nel loro sguardo, che sembrava magnetico” si giustificò poi Elian.

“Anche io pensai la stessa cosa, quella sera” confermò Leon.

“Poi, me ne sono dimenticato completamente” continuò a parlare.

“Ma quel volantino è ancora da qualche parte, a casa mia” concluse, bevendo dal suo bicchiere.

“E se andassimo a curiosare nella loro scuola di danza?” propose Elian.

“Senza avvertire Artù?” chiese Leon.

“Dico solo di andare a fare un giro di perlustrazione innocente” sussurrò l’altro.

“In fondo, sono stati quelli più loquaci e, se abbiamo un compito da portare a termine, non c’è nulla di male a instaurare un rapporto d’amicizia” e scrollò le spalle.

Leon annuì, rimanendo in silenzio per qualche minuto.

“Sono uomini, secondo te?” chiese dopo un po’.

“Che importa quello che sono?” gli domandò pratico Elian.

“I Guardiani sono uomini, ma guarda come si comportano. O comunque, prendi Kyle. Hai visto anche tu come ci ha trattato in ufficio” concluse e Leon annuì, ricordando l’arroganza e il disprezzo di Kyle verso tutti loro.

“Sarà anche un uomo, ma di certo non brilla in diplomazia. Louis e Phoenix, invece, sanno rapportarsi di più con gli altri, anche se possono trasformarsi in animali” difese la sua tesi Elian e Leon annuì ancora.

“Sappiamo troppe cose, persino più cose dei maghi moderni, per lasciarci influenzare dai dettagli ininfluenti, come la razza di appartenenza” sussurrò ancora, guardando l’altro con occhi attenti.

“Hai ragione” disse Leon.

“Domani, dopo il lavoro?” domandò poi, alzando il bicchiere in direzione dell’altro.

“Domani, dopo il lavoro!” confermò Elian, scontrando il suo bicchiere con quello dell’altro in un brindisi.

Il giorno successivo avrebbero agito.
 

***
 

Gwaine accostò la macchina, deciso a fermarsi nel primo locale che avrebbe trovato aperto.

Nei pressi della sua abitazione c’erano diversi pub e, lungo la strada, non aveva altro che l’imbarazzo della scelta.

Quella giornata era stata snervante e l’incontro pomeridiano con Kyle aveva contribuito a peggiorare il suo malumore.

La serata poi era stata ancora più incredibile. Che diamine significava: guardare dentro di sé?

Come avrebbe fatto a trovare le risposte?

Fu proprio mentre era perso in questi pensieri che delle voci, provenienti da un vicolo piuttosto buio, attirarono la sua attenzione.

I soliti teppisti! Considerò, mentre continuava a camminare.

“Non sarai ancora così sbruffone, dopo averle prese da tutti e tre, imbecille!”.

Gwaine si fermò all’istante. Andava bene che dei teppisti facessero confusione tra loro. Andava molto male, invece, il fatto che decidessero di prendersela con qualcuno in tre contro uno.

Fu per questo che indietreggiò fino al vicolo, pronto come non mai a menare le mani che gli prudevano già.

Tirare qualche pugno era il modo migliore per scaricarsi.

Fu per questo che si avvicinò ai tre, silenzioso come non mai, costatando che non aveva avuto torto: se la stavano realmente prendendo contro una singola persona.

“Ehi” li richiamò, pronto già a scattare.

Uno dei teppisti, dietro il suo richiamo, si era voltato, allentando la presa sul malcapitato.

Gli altri due, invece, lo tenevano immobile per le braccia.

Fu allora che vide qualcosa che attirò la sua attenzione. Qualcuno, per l’esattezza.

Distinse chiaramente una testa bionda chinata in avanti. Un’inconfondibile testa bionda che poteva appartenere soltanto a lui.

Lo sguardo di Gwaine si spostò poi sulla camicia, macchiata di sangue.

“Di che t’impicci, amico?” rise il teppista che si era voltato.

“Lasciatelo andare” ordinò perentorio Gwaine che, nel frattempo, strinse i pugni.

“Perché, lo conosci?” chiese uno di quelli che lo teneva per le spalle.

“Ha cominciato lui, dentro il locale. Noi lo abbiamo solo aspettato fuori” rise sguaiatamente l’altro.

“Comunque, lo lasciamo andare dopo avergli tolto quella ridicola lentina” disse quello che si era voltato.

“Se poi gli caviamo l’occhio, pazienza” e rise.

“Quale lentina?” domandò Gwaine iniziando a sudare freddo.

“Questa!” risposte il tipo, afferrando il malcapitato per i capelli e alzandogli il viso.

Fu allora che Gwaine lo vide: un unico occhio, divenuto completamente dorato.

L’altro, invece, si era gonfiato assomigliando molto a una pallina da ping pong. Doveva essere diventato d’oro ma, non potendo aprirlo per il gonfiore, i teppisti non lo avevano visto.

Gwaine continuò la sua ispezione lungo il viso. Dal naso colava una gran quantità di sangue. Ecco spiegato perché la camicia si era sporcata.

Fu allora che Gwaine non ci vide più.

Il volto che amava, un volto dalla bellezza incalcolabile, ridotto in quello stato.

Un volto amato sporcato di sangue.

Agì senza pensare, sentendo il suo braccio scattare. Avvenne tutto in pochi istanti e il teppista che aveva afferrato la testa a Kyle si ritrovò stretto in una morsa micidiale.

Un braccio bloccato dietro la schiena, che Gwaine avrebbe spezzato volentieri, e il corpo immobile in una stretta che non lasciava scampo.

Gli altri due lasciarono Kyle, pronti a soccorrere il loro amico quando Gwaine, spostando lo sguardo su di loro, con il braccio libero puntò loro la pistola che aveva nei pantaloni.

Non a caso, tornava da casa di Artù, dove si era recato armato. Poco importava che la sua arma non potesse uscire di casa: quando mai lui aveva rispettato le regole?

I tipi impallidirono e il terzo iniziò a piagnucolare.

Fu allora che Gwaine lo lasciò andare, non prima di avergli rifilato una sonora botta con il calcio della pistola.

Finì tutto come era cominciato, in pochi istanti. I tre furono veloci ad allontanarsi e Gwaine rinfoderò la pistola.

Si inginocchiò accanto al corpo, steso malamente a terra in uno stato di semi coscienza e fu allora che sentì l’odore di alcol pizzicargli le narici.

Kyle, a quanto pareva, doveva averci dato dentro alla grande.

Sollevò delicatamente l’altro, cercando di fargli meno male possibile, mentre lo sentiva blaterare qualcosa di indistinto. Gwaine pregò con tutto se stesso che non si trattasse di una formula magica o roba del genere.

Adesso però Gwaine doveva pensare cosa fare o avrebbe rischiato di attirare l’attenzione di altre persone.

Portarlo in ospedale, con gli occhi di quel colore, era fuori discussione.

Una persona saggia avrebbe contattato Lenn, senza ombra di dubbio.

Ma Gwaine non era saggio e fu per questo che assecondò il suo istinto.

Casa sua era a pochi isolati di distanza: lo avrebbe portato lì.
 

Continua…
 

Note:

Eccoci a un capitolo di svolta: finalmente Artù scopre chi è Merlino nel secolo attuale.

Il nome di Merlino è inventato però se vi sembra di averlo già sentito è perché mi sono ispirata alnome del mio compositore preferito, Klaus Badelt.

Ero molto indecisa sul nome, perché non volevo che fosse nessun nome conosciuto, di nessuna persona vivente.

Però, adorando le composizioni di Klaus Badelt e abbinando il fatto che Merlino, nel ventesimo secolo, si muove nel campo musicale ecco che non ho saputo resistere, aggiungendo però la e finale al nome Klaus, in modo da creare un nome unico nel suo genere e non appartenente a nessun personaggio esistente, così come i cognomi di Louis e Phoenix, che sono inventati di sana pianta, creati solo per la musicalità che avevano insieme al nome.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto.

Come sempre, attendo i vostri pareri.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Pandora86

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Capitolo 37
*** Capitolo 37. Cavaliere e Guardiano - Terza Parte ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 37. Cavaliere e Guardiano  - Terza parte
 

Martedì sera
 

Perce, dopo essere uscito da casa di Artù, si era fermato in un parco vicino alla zona dove abitava. Quel posto, a quell’ora, lo rilassava molto. Il silenzio che regnava nel parco in quel momento della giornata, unito all’odore dell’erba e al rilassante ondeggiare delle foglie mosse dal vento, lo aiutava a pensare. E ora, seduto su una panchina a contemplare il verde, rifletteva sulla gran quantità di informazioni ricevute. Ma non era solo questo ad assillarlo.

Pensieri intimi, che forse non avrebbe mai rivelato, gli vorticavano in testa facendolo sentire in colpa.

Si alzò, deciso a tornare a casa e non riuscendo a scacciare la delusione.

Era un grande egoista, questo pensava, mentre si dirigeva a passo sicuro verso la sua abitazione.

Solo un grande egoista, questo pensava di se stesso.

Quella sera, avevano ricevuto molte informazioni, eppure Perce non riusciva a gioire di quei nuovi e inaspettati risultati, ed era per questo che si sentiva in colpa.

Avrebbe dovuto essere contento per Artù, che finalmente aveva scoperto l’identità che aveva assunto Merlino nel secolo attuale, dopo anni di ricerca e di disperazione.

Avrebbe dovuto essere contento di aver ricevuto informazioni sull’anello.

Eppure, si sentiva molto deluso, perché, in fondo, quando Gabriel gli aveva detto che si sarebbero rivisti, lui si era aggrappato a quelle parole, vivendo in attesa del loro incontro.

Ma adesso, non si sarebbero visti più e non riusciva a scacciare il vuoto che gli creava quel pensiero.

Era quasi un male fisico quello che provava all’altezza dello stomaco, al pensiero che non si sarebbero incontrati.

Arrivò al palazzo della sua abitazione, cercando le chiavi nel suo giubbotto e desiderando solo mettersi al letto, sotto le coperte, e dormire.

Trovò le chiavi e le infilò nella serratura, quando un tossicchiare di qualcuno accanto a lui attirò
la sua attenzione.

Perso nei suoi pensieri, non aveva fatto caso alla persona che era immobile accanto al portone del suo palazzo.

Si voltò, pronto a scacciare un eventuale ambulante, quando le parole gli morirono in gola.

Sgranò gli occhi, riconoscendo la figura familiare.

I suoi occhi percorsero ogni centimetro di quella figura conosciuta, mentre il suo cuore accelerava i battiti.

Il lungo cappotto nero, la sciarpa bianca annodata con eleganza al collo, che Perce sapeva essere bianchissimo e sensuale.

Occhi severi che lo fissavano e che adesso avevano assunto una linea perplessa.

Era Gabriel e lo stava aspettando sotto casa sua.

“Stai bene?” chiese il guardiano, guardandolo pensieroso.

Perce si accorse di essere rimasto lì a fissarlo come un imbecille, tanto era stato lo stupore di trovarselo davanti.

Si ricompose (o comunque, ci provò!) e annuì con il capo.

“So che avete incontrato Louis e Phoenix” parlò ancora Gabriel, fissandolo attento, e Perce annuì ancora con il capo.

“Ho pensato fosse una cosa buona dare eventuali chiarimenti o rispondere alle domande che sicuramente saranno sorte a tutti voi” affermò sicuro Gabriel.

“Ma forse preferisci rimandare” aggiunse poi, vedendo che Perce non rispondeva.

“No!” rispose con foga il cavaliere.

“Sali?” domandò poi, con un sorriso.

Gabriel inarcò le sopracciglia.

“A meno che tu non preferisca parlare al freddo” disse con tono ironico ma Perce riuscì a intravedere l’ombra del sorriso increspargli le labbra.

Sorrise a sua volta, annuendo con il capo e invitando l’altro a salire.
 

***
 

Gwaine tornò nella sua camera da letto, dopo aver messo in un secchio pieno d’acqua la camicia di Kyle.

Era stata una delle prime cose che aveva fatto, quando era arrivato nel suo appartamento.

Lo aveva portato in spalla fino alla sua automobile e se lo era nuovamente caricato addosso per salire le scale che avrebbero portato alla sua abitazione.

Poi, il primo pensiero era stato togliere le tracce di sangue da quel volto e dagli abiti.

Tutto questo, mentre Kyle rimaneva semi incosciente oppure si lamentava per il dolore.

Lo aveva adagiato nel suo letto e ora, mentre lo copriva, valutava che dovesse avere anche un paio di costole rotte, a giudicare dai lividi sul torace.

La spalla destra, inoltre, era molto gonfia e Gwaine pregò che non fosse anche rotta.

Con delicatezza, passò un panno umido sull’occhio gonfio, osservando da vicino quel volto.

“Sei proprio un idiota, lo sai?” sussurrò, continuando a inumidirgli l’occhio e valutando che avrebbe dovuto applicare qualche pomata per il gonfiore.

Kyle, nel frattempo, sembrava essersi definitivamente addormentato. Forse, aveva avvertito il materasso sotto di sé e, percependone la comodità, aveva ceduto al sonno. O forse, era definitivamente svenuto, riuscendo comunque a riposare sereno.

Si sedette sul letto, attento a non fare movimenti non necessari, e smise di inumidirgli l’occhio, mentre lo osservava meglio.

Com’era possibile che un essere così potente fosse ridotto in quello stato?

Fu allora che gli tornarono in mente le parole di Louis e Phoenix.

Sbagliate a pensare che i Guardiani siano esseri invincibili.

Quanto gli sembravano vere, ora, quelle parole?

Certo, erano gli esseri più potenti sul piano della magia, bastava pensare a come avevano liquidato i maghi moderni.

Però, forse, nelle questioni puramente umane, erano come tutti gli altri.

Osservò le nocche di Kyle, riflettendo che, quanto meno, qualche pugno doveva averlo tirato e fu allora che capì.

Capì cosa significavano le parole di Gabriel, quando aveva detto a Perce che non usavano assolutamente la magia per questioni che non fossero puramente magiche. E, anche in quel caso, si ritrovavano costretti ad abbassare il loro immenso potere, a causa degli equilibri incrinati.

Guardò nuovamente Kyle, capendo che no, i guardiani erano tutto, fuorché invincibili.

Kyle, in particolare, era forse quello più debole, perché non sapeva trattare con gli esseri umani.

Si rifiutava di capirli ed evitava i contatti con le persone, a meno che non fossero strettamente necessari.

Per secoli, probabilmente, si era crogiolato nella sua autostima e nella sua potenza, rifiutandosi di cercare un contatto con quelli che riteneva esseri inferiori.

Sicuramente, quella sera, doveva aver lanciato qualche insulto di troppo, e quelli erano i risultati.

Troppo potente, troppo arrogante ma anche troppo debole, perché incastrato nella sua potenza.

Ora Gwaine lo capiva.

Kyle era il più potente, ma anche il più debole proprio perché non poteva esternare la sua potenza, non con tutti almeno.

Non poteva misurarsi con degli esseri umani privi di magia usando la magia, questa era la regola fondamentale che si erano imposti tutti loro per rispettare gli equilibri.

Sapeva di essere potente ma, per le loro regole, non poteva usare la sua potenza.

Però, era troppo arrogante per rinunciarvi. Era troppo presuntuoso per non rimarcare la sua superiorità, anche davanti a persone che forse non lo avrebbero mai saputo, come i tre che lo avevano conciato in quel modo.

E, non potendo usare la sua magia, ecco che si trovava in quella situazione.

I tre non avrebbero mai saputo che avevano pestato uno degli esseri più potenti del pianeta.

Probabilmente, non avrebbero mai saputo neanche dell’esistenza della magia, non essendo loro dei maghi.

E Kyle era uscito sconfitto da una questione puramente umana.

Gwaine provò un’immensa tristezza per colui che ora sembrava dormire sereno.

Non era pena, quanto più malinconia, verso il destino che si era auto imposto Kyle.

Perché il guardiano sceglieva di andare avanti da solo, sempre e comunque, eccetto che per i pochi che tollerava.

O forse era meglio dire: eccetto che per i pochi che riteneva al suo livello.

Perché Kyle non era come Gabriel che, probabilmente anche nel suo mondo d’origine, doveva essere stato un tipo solitario e silenzioso, poco incline ai rapporti sociali.

Kyle, invece, accettava di buon grado il contatto con gli altri, ma solo per deriderli. Solo per rimarcare la sua superiorità.

Eppure, con la bellezza e l’intelligenza che si ritrovava, quanto ci avrebbe messo a farsi benvolere da tutti?

Quanto ci avrebbe messo a imparare a trattare con le persone?

Ma il punto era proprio questo: Kyle non aveva nessuna intenzione di imparare.

E Gwaine provò un’immensa malinconia, costatando che l’altro poteva sapere molte cose, ma era stata proprio questa conoscenza che lo aveva isolato dagli altri, creando una bolla di solitudine e tristezza.

Probabilmente, era stato sempre così per Kyle, anche nel suo mondo d’origine.
Eppure, Gwaine era felice, perché aveva conosciuto qualcosa dell’altro. Qualcosa di profondo e intimo. Aveva conosciuto l’altra faccia dei guardiani, quella nascosta, quella privata. Quella che loro non mostravano mai perché, dovendo portare avanti il mondo, non potevano apparire deboli.

Perso in quelle riflessioni, sobbalzò quando sentì un cellulare squillare.

Non era il suo, quindi doveva essere quello di Kyle, valutò, mentre si avvicinava al cappotto dell’altro che aveva poggiato su una sedia della sua camera.

Prese il telefono, riflettendo sul fatto che dovesse essere molto costoso, e si rasserenò quando vide il nome di Lenn comparire sullo schermo.

Si era irrigidito istintivamente, quando aveva sentito il cellulare squillare; lui non sapeva niente della vita di Kyle al di fuori dell’ufficio e, avendo scoperto quella sera le altre attività in cui era occupato, si era impensierito un po’.

Chissà con quanti altri intratteneva rapporti e chissà quanti di questi, proprio come Gwaine, erano interessati a lui.

Inoltre, poteva anche essere Lui e, in quel caso, Gwaine non avrebbe proprio saputo come regolarsi.

Per fortuna, però, era solo Lenn e Gwaine rispose, deciso a raccontargli delle condizioni dell’altro.

 
***
 

“Quindi, è per questo che non ci avete mai contattati in passato” disse Perce pensieroso, osservando Gabriel che si era seduto nella poltrona di fronte a lui.

Quasi seguendo uno schema prestabilito, quando erano entrati, Perce si era diretto al camino (riuscendo, questa volta, ad accenderlo senza l’intervento dell’altro) e Gabriel si era messo comodo nella stessa poltrona della volta precedente, togliendosi il cappotto e la sciarpa.

Perce, seguendo i suoi movimenti, aveva sorriso, gustandosi la familiarità venutasi a creare con quei piccoli gesti.

Per qualche minuto, era rimasto in silenzio a osservare le fiamme del camino mentre, con la mente, si perdeva in strani pensieri, domandandosi come sarebbe stato se quella familiarità fosse divenuta routine.

Doveva aver sorriso come un ebete per un po’, dato che Gabriel lo aveva richiamato, osservandolo perplesso.

Perce si era ricomposto, distogliendo però lo sguardo e non riuscendo a non arrossire, dato che i suoi pensieri avevano preso una piega molto poco casta che prevedeva idee tipo ‘abitare insieme’ o ‘dormire insieme’.

E ora erano lì, mentre Perce riassumeva gli eventi della serata.

“Sì, questo è il motivo principale” confermò Gabriel, rispondendo all’affermazione del cavaliere.

Perce annuì pensieroso, mentre cercava di mettere ordine fra le innumerevoli domande che aveva in testa.

Preso in questi pensieri, non sentì la domanda dell’altro, confondendola con qualcos’altro.

“Come?” chiese, certissimo di non aver capito bene.

Gabriel sospirò.

“Ti ho domandato se hai cenato” ripeté, scandendo bene le parole.

Perce sgranò gli occhi; allora aveva capito bene solo che aveva rifiutato a priori l’idea perché, in quei discorsi pieni zeppi di magia, immortalità ed equilibri, era una domanda fuori luogo.

Una domanda troppo normale, se considerava la persona che gli stava di fronte.

Gabriel interpretò bene lo stupore del cavaliere e decise di spiegarsi meglio.

“Mi rendo conto di essermi autoinvitato a casa tua per la seconda volta, dimenticandomi le buone maniere e monopolizzando il tuo tempo” si giustificò, leggermente a disagio.

“Per cui mi domandavo se avessi già cenato” concluse serio.

Perce sorrise, ammirando la classe dell’altro.

“In realtà, no” rispose sincero. “Quando Artù mi ha chiamato, stavo lavorando. Poi, al ritorno, c’eri tu ad aspettarmi”.

“Mi dispiace” si scusò Gabriel.

“Non è un problema” scrollò le spalle Perce.

Cosa diamine gliene importava della cena, quando aveva davanti il suo sogno proibito?

Questo, tuttavia, non poteva di certo ammetterlo. Però, felice dell’interesse dell’altro – anche se dettato dalle buone maniere – decise di azzardare con una piccola e innocua domanda.

“Tu, invece?” domandò con il suo migliore tono noncurante.

“Nemmeno io” rispose sincero Gabriel.

“Non sapevo a che ora saresti uscito da casa di Artù, e sono venuto qui non appena Lenn ha ricevuto il messaggio da parte di Leon” si spiegò. “Mi aspettavo, infatti, che ci sarebbero state nuove domande” concluse.

“Sei rimasto tutto il tempo ad aspettarmi in macchina?” chiese Perce, riflettendo che era stato almeno un’ora da Artù.

“Sono venuto a piedi” gli spiegò l’altro e Perce fece una faccia perplessa.

So guidare, prima che tu me lo chieda” anticipò la domanda Gabriel con un cipiglio severo. “E avrai capito che posso anche permettermi un’automobile dal punto di vista economico” concluse, aggrottando le sopracciglia.

“Non lo metto in dubbio” rispose Perce con un sorriso sincero, intuendo come l’altro avesse male interpretato il suo sguardo e costatando una cosa che aveva già percepito nei loro primi incontri: Gabriel era molto permaloso, soprattutto quando si mettevano in dubbio le sue capacità.

“Mi piace camminare la notte” gli rivelò allora Gabriel con tono più conciliante di fronte al sorriso disarmante del cavaliere, poi volse lo sguardo al camino e parlò con un sussurro appena percettibile, quasi come se si stesse rivolgendo più a se stesso che all’altro.

“Quando i secoli passano, si tende a vivere più lentamente, capendo che è inutile affrettarsi, dato che il tempo a disposizione non finirà mai”.

Perce non interruppe quella confidenza, sorridendo e trattenendo le parole che avrebbe desiderato pronunciare.

L’eternità non era un gioco, questo oramai era chiaro a tutti, ma Perce avrebbe voluto dire all’altro che ci sarebbe stato lui ad accompagnarlo, che avrebbe volentieri condiviso quel peso.

Però, purtroppo, il rapporto che aveva con Gabriel gli impediva di prendersi simili libertà, motivo per cui, non disse nulla riguardante ciò.


Però, non riuscì a trattenersi sulla proposta che già gli ronzava in mente da qualche minuto.

“Perché non mi fai compagnia, con la cena?” propose, con tono noncurante e disinvolto.

Era una proposta buttata lì per caso e poco importava quanto Perce fosse teso o quanto sarebbe rimasto ferito da un rifiuto, che però avrebbe dovuto accettare con una scrollata di spalle.

Era la proposta che si fa a un amico e Perce, se non poteva essere niente per Gabriel, almeno era intenzionato a stabilire un rapporto d’amicizia e di fiducia.

Poco importavano i modi freddi e educati dell’altro; il cavaliere aveva capito che non era un atteggiamento assunto per mantenere le distanze. Gabriel era proprio così, freddo ed elegante, sontuoso e educato, e Perce sospettava che anche nella sua vita privata, e nei rapporti con i suoi compagni, fosse così. Forse, addirittura con la sorella; bastava pensare alla leggera carezza che aveva regalato a Merlìha quando si erano svelati, appena sabato scorso.

Affettuoso ma distaccato, anche nei gesti intimi.

Sì, Gabriel era proprio così e a Perce non andava bene… andava più che bene!

Perso in queste riflessioni, non fece caso alla mancata risposta di Gabriel alla sua proposta.

Cavolo, devo averlo proprio scioccato! Rifletté Perce dentro di sé, con una nota di divertimento,
quando vide Gabriel fissarlo con sguardo perplesso.

Il guardiano sembrava a disagio e fu per questo che Perce decise di comportarsi come avrebbe fatto con Gwaine o con chiunque dei suoi amici: sarebbe stato se stesso (anche se magari avrebbe usato un linguaggio meno scurrile!).

Sì alzò, avviandosi verso la cucina mentre rivolgeva nuovamente la domanda all’altro.

“Allora, mi fai compagnia? In fondo, possiamo unire le due cose, e mangiare da solo sarebbe seccante!” esclamò non aspettando risposta e aprendo il frigo (fortuna che aveva fatto la spesa!).

Sentì dei passi raggiungerlo ma non si voltò, continuando la sua ispezione.

Quando fu certo di avere l’altro alle spalle, si girò verso di lui, appoggiando un gomito sulla porta del frigo ancora aperto.

“Allora?” chiese con un sorriso disarmante.

Gabriel inarcò un sopracciglio, incrociando le braccia.

“Sai cucinare?” chiese sospettoso.

Perce rise allegramente.

“Rimarresti sorpreso da quanto sono bravo ai fornelli”.

Gabriel sorrise leggermente.

Sorprendimi, allora” esclamò con tono di sfida.

A quella frase, il cuore di Perce accelerò i battiti: come poteva l’altro dire cose simili, con una sensualità non quantificabile?

Deglutì istintivamente cercando di darsi un contegno e accorgendosi che Gabriel aveva accettato, di buon grado, la sua proposta.

Esultando dentro di sé, decise di mettersi all’opera. D’altro canto, era vero quello che aveva detto sulle sue doti culinarie; ora non rimaneva che lasciare di stucco l’altro.

Sentì il cellulare di Gabriel squillare ma non se ne preoccupò, iniziando ad aprire le varie ante della sua cucina e tirando fuori il necessario.

“Che cosa?”.

La voce alterata di Gabriel, però, lo fece voltare, interrompendo quello che stava facendo.

Si affacciò nel salotto, rimanendo però sulla porta e quello che vide gli fece corrugare la fronte:
Gabriel sembrava arrabbiatissimo, tanto che lo vide estrarre un pacchetto di sigarette dalla tasca e accenderne immediatamente una, dopo aver litigato un po’ con l’accendino.

Perce non sapeva nulla delle abitudini dell’altro, né che fumasse. Fu facile dedurre, però, che dovesse farlo solo quando era estremamente nervoso, dato che lo vide aspirare e poi massaggiarsi gli occhi, provando a mantenere la calma.

“Sei certo di quello che dici, Lenn?” chiese, assottigliando gli occhi.

“No” disse ancora, rispondendo a chissà quale domanda. “Non avevo idea di dove fosse andato.
Non ci siamo mai controllati passo per passo e non cominceremo a farlo ora” rispose risoluto.

“Va bene” disse dopo un po’. “Arrivo immediatamente, sono nelle vicinanze. Porta la mia borsa” e attaccò.

Perce lo vide sedersi nuovamente in poltrona e chiudere gli occhi, mentre aspirava ancora dalla sigaretta.

Si avvicinò, con l’intenzione di chiedergli cosa fosse successo ma Gabriel lo anticipò.

“Mi dispiace, so che non fumi” si scusò ma Perce scosse il capo con noncuranza e, per confermare i suoi gesti, gli porse un posacenere preso da una credenza.

“Non sei il mio primo ospite fumatore” disse sicuro, quando Gabriel l’afferrò e se la posò elegantemente sulle ginocchia accavallate.

“Piuttosto, che cosa è successo?” chiese, andando dritto al nocciolo della questione.

Vide Gabriel massaggiarsi gli occhi lentamente e attese paziente; non lo conosceva bene ma
sapeva per certo che era inutile insistere, dato che l’altro aveva capito benissimo la domanda.

Di sicuro, lo avrebbe fatto irritare ancora di più.

“Temo che dovremo rimandare la nostra cena” incominciò Gabriel e Perce annuì.

Sì, questo lo aveva capito. Quello che voleva sapere era il perché.

Gabriel spense la sigaretta e afferrò la sua sciarpa, annodandosela con eleganza.

“Devo recarmi a casa di Gwaine” sibilò fra i denti e Perce sgranò gli occhi.

Cosa diamine aveva combinato quell’emerito IMBECILLE?

Capì di averlo anche detto ad alta voce quando sentì l’altro ridacchiare piano.

”Stavolta credo non abbia fatto nulla, se non aiutare un altro imbecille come lui” rispose Gabriel con lo stesso tono mentre ghignava leggermente e Perce ridacchiò, visibilmente più rilassato.

Se Gabriel rispondeva in quel modo, nonostante la cosa sembrasse grave, sicuramente sapeva già come porvi rimedio. Altrimenti, non lo avrebbe mai assecondato con leggero divertimento.

Inoltre, il cavaliere scoprì che, quando voleva, Gabriel sapeva anche essere pronto alla battuta!

Ma d’altro canto, per Perce rappresentava la perfezione e sospettava che, anche se gli fosse spuntato un braccio in più, gli sarebbe piaciuto lo stesso.

“Sembra che abbia soccorso Kyle mentre era nei guai, ma di più non so” spiegò poi Gabriel con tono serio.

“E perché devi andare prima da Gwaine?” chiese Perce interessato, mentre afferrava il suo giubbotto.

Gabriel lo notò, osservando il gesto perplesso ma non ne chiese il motivo decidendo, invece, di rispondere alla domanda.

“Perché, a quanto pare, anche Kyle si trova lì!” esclamò serio.

“Che cosa?” chiese Perce stupito. “E perché?”.

“È quello che intendo scoprire” rispose con noncuranza Gabriel e tese la mano in segno di saluto.

Perce annuì, non prendendo la mano dell’altro, ma infilandosi il giubbotto sportivo.

“Bene!” esclamò con decisione. “Andiamo allora” e aprì la porta.

Gabriel lo osservò perplesso.

“Vieni con me?” chiese osservandolo attento.

“Sono curioso di sapere in che guaio si è cacciato Gwaine, stavolta” rispose con semplicità il cavaliere.

“E poi, se andiamo in auto, faremo prima” continuò, ostentando una sicurezza che in realtà non provava.

Gabriel avrebbe benissimo potuto dirgli che si trattava di una faccenda privata e di non volerlo con sé. Nominare Gwaine era stata una buona scusa, usata per mascherare la voglia di andare con il guardiano – anche se avesse dovuto recarsi in capo al mondo – ma non sapeva quanto effettivamente potesse funzionare.

“Non posso?” chiese dopo un po’ con un sussurro, dato che l’altro continuava a scrutarlo in silenzio.

In realtà, il guardiano era perso in complicate analisi che avevano come soggetto proprio colui che gli stava di fronte. Il cavaliere continuava a sorprenderlo e non era cosa da poco riuscire a stupire uno come lui.

Quella domanda appena sussurrata però, lo riportò con la mente al presente.

Con una noncuranza che, in quel momento, sentiva di non possedere, si avviò deciso alla porta.

“Certo che puoi” disse, prima di avviarsi lungo le scale e sentendo, dopo pochi istanti, i passi dell’altro dietro di sé.

Sarebbe stata una lunga serata.
 

Continua…

Note:
 
Non ho molto da dire. I due gruppi, stanno cominciando a interagire sempre più tra loro.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Come sempre, attendo i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Pandora86

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Capitolo 38
*** Capitolo 38. Risvolti inaspettati ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 38. Risvolti inaspettati
 

“Sarà difficile spostarlo!” esclamò Gabriel dopo aver terminato la visita a Kyle.

Lenn lo aveva aspettato sotto l’abitazione di Gwaine portando la sua borsa da medico, come lo stesso Gabriel aveva richiesto.

Poi, tutti e tre, erano saliti e Gabriel, senza cerimonie, si era fatto portare da Kyle.

“È impossibile portarlo a casa?” chiese Lenn, avvicinandosi dopo l’affermazione di Gabriel.

“Impossibile no, complicato sì” rispose pratico l’altro.

“Ha quattro costole incrinate, e la spalla si è lussata. Io l’ho rimessa apposto, ma deve stare immobile per almeno tre settimane” dichiarò Gabriel pensieroso.

“Inoltre, consideriamo anche l’effetto dell’alcool” sospirò Lenn.

“Che effetto?” chiese Perce interessato.

“L’alcol agisce sul nostro sistema nervoso più velocemente rispetto agli altri, rallentando di parecchio i nostri riflessi e le nostre reazioni. In tempi normali, Kyle non avrebbe avuto nessun problema a difendersi dai tre. Senza magia, ovviamente” riassunse Gabriel, spiccio come sempre.

“Può rimanere qui” parlò allora Gwaine.

Gabriel lo fissò perplesso, portandosi l’indice e il pollice al mento.

“Non sarebbe male come idea!” sussurrò Lenn pensieroso.

“Posso mettermi in malattia” parlò ancora Gwaine, incoraggiato dalla risposta di Lenn.

“Sarebbe la soluzione migliore. A casa, nessuno potrebbe occuparsi di lui. Se invece chiedessimo a Louis o a Phoenix, Merlino sospetterebbe qualcosa, e non mi sembra il caso” dichiarò convinto Lenn.

“Meriterebbe di essere lasciato a se stesso, dopo aver fatto una cosa così stupida” decretò Gabriel con serietà.

“Da quando, poi, si comporta in maniera così insensata?” domandò ancora perplesso.

“In effetti, non è da Kyle” asserì Lenn. “Ma adesso, dobbiamo pensare a come curarlo nel modo migliore”.

“Ripeto: dovrebbe cavarsela da solo, così impara!” difese la sua tesi Gabriel.

“Può capitare di fare cose stupide” cercò di farlo ragionare Lenn.
Gabriel sorrise sarcastico.

“No, Lenn! Noi non possiamo permetterci di fare cose stupide” parlò con severità.

“Ma se non ci prendiamo cura di lui, Merlino lo verrà a sapere e si preoccuperà tantissimo” provò a cambiare tattica Lenn.

“Non hai tutti i torti” gli diede ragione Gabriel.

“Ma si insospettirà comunque, quando Kyle non passerà alla villa per più di due settimane” rifletté ancora.

“Vero anche questo” confermò Lenn.

“Ma una cosa è farglielo sapere subito, chiamando Louis o Phoenix quando noi non siamo in casa, mentre un’altra è che lo venga a sapere da Kyle stesso fra qualche giorno” disse ancora Lenn.

“Se lo viene a sapere da Kyle, a telefono, potrebbe precipitarsi qui e le sue condizioni glielo impediscono” si espresse Gabriel.

“Conto sul fatto che Kyle riesca a tranquillizzarlo. Sicuramente, conoscendolo, sminuirà il tutto e finirà con una grossa risata da parte di entrambi” rispose Lenn, sicuro delle sue argomentazioni.

Gabriel si prese un istante per riflettere.

“Puoi spiegare a Gwaine come prendersi cura di lui, e tu puoi passare a visitarlo anche tutti i giorni. Non abitiamo lontano da qui” continuò Lenn.

Gabriel sorrise sarcastico, alzandosi e fronteggiando l’altro.

“Certo” parlò ironico.

“Ma la villa dove abita Merlino è estremamente lontana da qui ed io lì devo essere quasi sempre presente, vista la situazione molto più grave. Tu mi proponi di andare e venire dalla villa nell’arco dello stesso giorno, e in più anche passare da voi, dato che Merlìha va in paranoia se non mi vede per più di tre ore” e si interruppe, guardando l’altro in cagnesco. “Mi è concesso il tempo per dormire e mangiare, a questo punto?”.

“Se la situazione fisica di Kyle non è così grave, non dovrai necessariamente passare tutti i giorni. E alla villa ci sono Louis e Phoenix” si espresse Lenn.

“Vero, ma non sono presenti tutto il giorno. Inoltre, non sono le condizioni fisiche di Kyle a preoccuparmi, quanto più quelle mentali”.

“Che vuoi dire?” s’insospettì Lenn e, anche Gwaine e Perce, che erano rimasti in silenzio tutto il tempo, non poterono fare a meno di avvicinarsi al guardiano, dopo quelle parole.

“Che non è normale il suo comportamento” valutò Gabriel. “Per questo voglio parlare con lui, quando riuscirà a svegliarsi e ad articolare un discorso coerente”.

“Forse, aveva solo voglia di divertirsi” scrollò le spalle Lenn.

“Facendosi conciare in questo modo?” e lo indicò con l’indice. “Certo, molto normale, visto e considerato quanto poco sopporti il dolore” e scosse la testa.

“Se è la situazione psicologica di Kyle a preoccuparti, allora posso occuparmene io. Ma non me la sento di portarlo a casa e lasciarlo solo mezza giornata in quelle condizioni” lo fissò Lenn.

“Credi che io mi diverta?” sbottò allora Gabriel. “Non posso occuparmi di tutto” aggiunse con tono più calmo.

“Lo so” lo consolò Lenn.

“Non si sveglierà prima di domani, comunque” continuò a parlare.

“Tu puoi passare qui nella mattinata e poi, dopo il lavoro me ne occupo io. Con il diamante in ufficio, non posso mettermi in malattia, ma posso venire alla chiusura e, se Kyle è sveglio, provare a parlare un po’ con lui. Nel frattempo, può passare Merlìha alla villa, in questi giorni. Merlino ha chiesto di lei e le sue condizioni stanno migliorando” terminò Lenn con voce persuasiva.

“Se poi non vuoi andare avanti e dietro, puoi sempre rimanere qui. Ti metto a disposizione il divano” esclamò Gwaine disinvolto.

“Sei impazzito?” intervenne allora Perce.

“Perché?” chiese Gwaine aggrottando lo sguardo. “Li hai sentiti” e indicò con la mano i due guardiani. “Se Gabriel vuole controllare Kyle non appena si sveglia, non è meglio che rimanga
direttamente qui?” chiese con fare pratico.

“Non è questo il punto!” si inalberò allora Perce, incrociando le braccia.

“E allora spiegati, perché proprio non capisco” si alterò Gwaine che non si spiegava il perché di tanta opposizione.

“Ti ricordo che sul tuo divano è impossibile anche sedersi” si spiegò allora Perce. “L’ultima volta che ci ho dormito, ho avuto mal di schiena per tre giorni” concluse.

“Allora, rimane il pavimento, dato che non ho una camera per gli ospiti. Io mi sistemo sulla poltrona in questa stanza” continuò Gwaine e Perce sentì l’insensata voglia di strozzarlo.

“L’avessi, se non fosse diventata un ripostiglio di cose inutili” sibilò pungente.

“Hanno detto che non si sveglierà prima di domani” provò poi a ragionare, controllandosi.

“Ma domani mattina, deve comunque passare a visitarlo” insisté cocciuto Gwaine.

“Non dormirà su quel divano” si avvicinò Perce minaccioso.

“Allora c’è il pavimento” lo fronteggiò a sua volta Gwaine.

“E – ehm” provò a intervenire Lenn e i due cavalieri si voltarono a osservarlo.

“C’è la possibilità che Kyle abbia dei problemi durante la notte?” chiese a Gabriel con fare pratico.

“Non credo, ma non posso dirlo con certezza” incrociò le braccia Gabriel con voce inespressiva.

“Sarebbe comunque meglio se non mi allontanassi troppo. Poi, quando si sveglia, cercheremo di capire il suo comportamento” e si massaggiò gli occhi.

Lenn sorrise; Gabriel poteva essere severo quanto voleva ma, probabilmente, era il più preoccupato di tutti per le condizioni di Kyle, non tanto quelle fisiche, quanto più quelle mentali. Per come lo conosceva, Lenn avrebbe potuto giurare che sarebbe andato a fondo della situazione, costasse quello che costasse.

“Allora potresti rimanere nelle vicinanze” si espresse Lenn.

“È quello che intendo fare” dichiarò Gabriel. “In moto, ci metto poco più di venti minuti a recarmi qui, se parto dalla villa. Partendo dalla nostra attuale abitazione, invece, si tratta di dieci minuti o poco più” rifletté, valutando le distanze e cercando la strategia migliore per essere presente in entrambi i luoghi in poco tempo.

“In moto?” chiese Perce sorpreso e il guardiano lo guardò perplesso, senza però rispondere.

Perce sorrise: Gabriel era una continua fonte di sorprese per lui e immaginarlo stile centauro, con giubbotto e pantaloni di pelle, aveva accesso la sua fantasia.

“O forse, poco meno di cinque minuti” lo corresse Lenn.

“Sì” confermò il guardiano. “Oltrepassando tutti i limiti di velocità” gli appuntò severo.

“Oppure, venendo da casa di Perce” esclamò con noncuranza Lenn, guardandosi le unghie.

“Cosa?” chiesero in coro Perce e Gabriel; il primo sorpreso, il secondo allibito.

“Abita a due isolati da qui” continuò Lenn con fare pratico. “Sinceramente, non capisco perché siete venuti in macchina”.

“Sei venuto da me con l’auto?” chiese Gwaine a Perce che distolse lo sguardo arrossendo.

L’automobile era stata solo una scusa. Una scusa stupida che però aveva funzionato, visto che
Gabriel aveva accettato di buon grado di farsi accompagnare.

“Sei impazzito per caso, Lenn?”.

La voce di Gabriel lo distolse dai suoi pensieri.

“Mi è sembrato di capire che Gwaine non può ospitarti e, conoscendoti, rimarresti tutta la notte nelle vicinanze, non venendo comunque a casa” parlò allora Lenn con tono serio.

D’altro canto, sapeva che Gabriel avrebbe reagito così: non avrebbe dormito, rimanendo tutta la notte a camminare nella zona come un’anima in pena, cercando di capire il perché del comportamento di Kyle.

Lenn lo conosceva fin troppo bene e sapeva che un comportamento così insensato, da parte di uno che tollerava il dolore peggio di un bambino, lo impensieriva non poco.

Gabriel incassò il colpo, punto nell’orgoglio, incrociando le braccia e preferendo non rispondere.

Lenn sorrise vittorioso; era o non era quello che riusciva a convincere Gabriel meglio di tutti? Il vantaggio di essere il suo unico amico d’infanzia.

“Sempre se per te non ci sono problemi”parlò poi rivolto a Perce. “Siamo in una situazione d’emergenza” si giustificò poi, facendogli però l’occhiolino, senza che gli altri due lo vedessero.

Perce sorrise incoraggiante, scuotendo la testa.

“Nessun problema. Farò quello che posso per rendermi utile” affermò poi sincero.

“Allora siamo d’accordo” sorrise Lenn a sua volta. “E ora vado, che Merlìha starà in pensiero. Ti lascio la moto, così puoi raggiungere più velocemente la villa, nel caso ce ne fosse bisogno” e Gabriel annuì, afferrando il casco che l’altro gli porgeva.

“Io chiamo Artù, dicendogli che domani non vado in ufficio” si espresse Gwaine. “Sapete dov’è la porta, per cui è inutile che vi accompagni” e uscì dalla stanza.

“Sempre educato” borbottò Perce assottigliando gli occhi e avviandosi.

Lenn ridacchiò leggermente e Gabriel non commentò.

Sarebbe stata una notte diversa dalle altre.

Questo era il pensiero comune, mentre si avviavano all’uscita.
 

***
 

“Mio fratello a casa di Perce?” chiese Merlìha perplessa.

“È la soluzione più pratica” rispose Lenn con pazienza.

“Mio fratello a casa di Perce!” esclamò ancora Merlìha con scetticismo evidente.

“Sì, Merlìha, Gabriel è rimasto a casa di Perce” disse Lenn con un sospiro.

“Hai visto come si è precipitato dal cavaliere dopo il messaggio di Leon” le fece notare con ovvietà.

“Beh, è normale. Eravamo rimasti d’accordo sul fatto che Perce sarebbe stato il portavoce del gruppo, visto e considerato che Gabriel non sopporta parlare a più persone” rispose Merlìha pensierosa.

“Eppure, sembra che invece ami parlare con una in particolare” sussurrò Lenn con un sorriso.

“Che vuoi dire?” chiese perplessa la donna.

“Che quella del portavoce è solo una scusa” le fece notare Lenn.

“Ammetti che è una soluzione pratica, considerando tutte le cose che ci sono da dire” insisté la donna.

“Infatti, io non ho detto che sia una cosa stupida. Ho solo detto che Gabriel, da bravo stratega, ha trovato una soluzione pratica che sembra piacergli particolarmente” ragionò il guardiano.

Merlìha scosse la testa, pensierosa.

“Sono preoccupata, Lenn” ammise.

“Mio fratello è molto più fragile di quello che sembra. Non voglio che rimanga ferito” e si avvicinò al guardiano in cerca di conforto.

“Sei certo di aver fatto la scelta giusta?” chiese poi, lasciando che Lenn le circondasse le spalle con un braccio.

“Gabriel e Kyle stanno vivendo qualcosa di nuovo, Merlìha. Ma ti posso assicurare che Gabriel non è autodistruttivo come Kyle” la rassicurò.

“Quindi, credi che sia questo il motivo per cui Kyle si è comportato in quel modo?” chiese Merlìha.

“Non lo so” ammise Lenn. “Ma di sicuro, c’entra il cavaliere” ragionò.

“Sono risvolti inaspettati, non credi?” domandò la donna.

“No, credo di no. In fondo, non può essere un caso che i destini di tutti noi siano intrecciati” e sorrise gentile.

Per quella sera, non ci fu più bisogno di parlare. Non restava altro da fare che affidarsi, per la prima volta dopo secoli, al caso.
 

***
 

“Non mentivi sulle tue doti culinarie” approvò Gabriel, incrociando le mani sotto il mento e fissando il cavaliere.

“Te l’avevo detto” sorrise Perce. “Anche se non mi sembra che tu abbia mangiato molto” considerò osservando il piatto, ancora quasi pieno, dell’altro.

“Ti assicuro che, per i miei standard, ho mangiato più del solito” valutò Gabriel serio.

“Suppongo che il merito vada al cuoco” aggiunse dopo alcuni istanti, incerto se fosse o no una cosa da dire.

Perce sorrise raggiante. Gabriel che gli faceva un complimento era un avvenimento da segnare
sul calendario!

Vide Gabriel distogliere lo sguardo, perso in chissà quali pensieri e azzardò una domanda.

“Che intendevi con condizioni psicologiche?” chiese, non trovando necessario spiegare altro.

Gabriel lo guardò attentamente, prima di rispondere.

“Kyle è la persona più equilibrata e oggettiva che io conosca” spiegò poi, cercando anche di raccogliere le idee.

“Ed è anche quello più intelligente, quello che governa tutte le sue azioni e i suoi pensieri con la fredda e rassicurante logica” concluse pensieroso.

Perce capì quello che voleva dire. D’altro canto, tutti conoscevano le gesta di Kyle passate.

Come avrebbe potuto, una persona dall’intelletto mediocre, manipolare gli esseri di due mondi e centrare i suoi piani con una tale precisione matematica?

Se Kyle si comportava da buffone, non voleva, infatti, dire che lo fosse; questo, era chiaro a tutti.

Anzi, Kyle si comportava da buffone proprio perché poteva permetterselo, come tutte le persone che, essendo sicure della propria posizione, non sentono il bisogno di rimarcare la propria superiorità.

Per questo Kyle, all’inizio della loro conoscenza in ufficio, era stato allegro e cordiale con tutti. Si era comportato come quello che molti definirebbero un buon amico, sempre pronto alla battuta e allo scherzo. D’altro canto, non aveva esitato a trattarli con disprezzo quando era ricomparso in ufficio dopo il famoso sabato in cui si erano svelati.

E, sempre per questo, Perce riusciva a capire le parole di Gabriel e la sua preoccupazione. Come poteva, infatti, una persona così pragmatica e sicura di sé, aver fatto una cosa così stupida?

“Non riesci a spiegarti il suo comportamento ed è per questo che saresti rimasto nelle vicinanze” affermò poi e Gabriel annuì.

“Non ho mai visto…” parlò Gabriel con un sussurro interrompendosi subito dopo.

Il cavaliere si mise in ascolto in religioso silenzio.

“Non ho mai visto Kyle comportarsi come un essere umano”.

Perce a quell’affermazione, sorrise.

“Se è questo il problema, allora non credo tu debba preoccuparti” affermò rassicurante.

Gabriel lo guardò con aria interrogativa.

“Non è detto che sia necessariamente un male, no?” domandò il cavaliere, guardando l’altro con una tenerezza che, in quel momento, sarebbe stata evidente a tutti.

“Solo il tempo ce lo dirà” rispose Gabriel con un sussurro e, per quella sera, non ci fu bisogno di dire altro.

 
***
 

“Sì, Lenn, grazie per avermi spiegato la situazione” lo ringraziò Lance a telefono.

“Domani, spiegherò tutto ad Artù, in ufficio. Farò in modo che non si precipiti a casa di Gwaine per licenziarlo in tronco” e, dopo aver salutato, attaccò.

“Sembra che questa giornata non debba finire mai” sospirò, appoggiando la testa sul cuscino.

Ginevra, accanto a lui, sorrise e si poggiò su un gomito.

“Però sei contento” affermò con un’espressione sghemba.

“Contento che Kyle sia stato pestato?” chiese Lance, sinceramente allibito.

“No” sbuffò la donna.

“Contento che qualcuno ti aiuti, qualcuno come te, a districarsi in tutte queste situazioni” concluse.

“Che vuoi dire?” le chiese il marito interessato.

“Che tu e Lenn siete molto simili, e fate più o meno la stessa cosa. Entrambi, vi prestate molto all’ascolto” valutò con un sorriso.

“Beh, ammetto che trovo molto rassicurante parlare con Lenn. Credo che sia un ottimo amico” affermò Lance, stupendosi poi delle sue parole.

Amico… un Guardiano!

Eppure, era questo che sentiva verso Lenn; un’anima affine, qualcuno che, come lui, si dibatteva fra i vari componenti del suo gruppo, cercando di tenerli tutti a bada.

Colui che aveva sempre la parola giusta al momento giusto, e che sapeva ascoltare più degli altri.

Sì, inutile negarlo; era contento del fatto che Lenn lo avesse chiamato, spiegandogli cosa fosse successo.

D’altro canto, se Lenn quella sera si era districato alla perfezione nella nuova e inaspettata situazione, lui, l’indomani, avrebbe dovuto fare del suo meglio per tenere a bada Artù.
 

Martedì sera – Villa di Merlino
 

“Andate a riposare, Sommo Emrys?” chiese Louis entrando nello studio.

Merlino alzò lo sguardo da una delle tante carte sparse sullo scrittoio per rivolgere un sorriso smagliante al suo fedele servitore e amico.

“Mi sento in gran forma e sono pieno di energie” affermò.

“Dovete comunque riposare. Avete preso una brutta febbre” lo rimproverò con gentilezza Louis.

“Sì, ma sappiamo che quanto più gravi sono le mie condizioni, tanto più la guarigione avviene rapidamente. Questa volta poi, mi sono rimesso molto più in fretta del solito, e non vedo l’ora di riprendere il mio lavoro” dichiarò deciso.

“Domani manderò io stesso un messaggio a Gabriel, informandolo sulle mie condizioni e invitandolo a restare dov’è. Con il diamante bianco lontano da me, preferisco che gli altri siano riuniti in un unico posto, piuttosto che al mio capezzale” e sospirò.

“E questo vi dispiace molto” sorrise Louis.

“Beh, sai che mi mancano. Così come mi mancate voi quando non ci siete” ammise il mago con un sorriso sincero.

Un sorriso molto diverso di quello apparso al Re, nella foto che ritraeva Klause Badelt.

Un sorriso che veniva dal cuore.

“Comunque” riprese a parlare, “domani riprendo a lavorare”.

“Non mi sembra che abbiate smesso, se non per pochi giorni. Quelli, appunto, dove siete stato male” precisò Louis.

“Vero” gli diede ragione Merlino. “Ma è da quando i Guardiani sono andati via che non riesco a lavorare decentemente, avvertendo un malessere generale. Ora, invece, mi sembra di essere tornato in forma” affermò.

“E poi” aggiunse, “sono sempre Klause Badelt” e sorrise.

“Buon lavoro, allora” salutò Louis e si congedò.

D’altro canto, anche lui aveva delle lezioni da preparare perché, prima di essere una creatura magica, era pur sempre Louis D’Alambert.
 

Continua…
 

Note:
 

In questo capitolo, i Guardiani e i Cavalieri cominciano a interagire tra loro.

Inoltre, l’atmosfera della storia comincia a cambiare leggermente.
Infatti, dopo numerosi capitoli dedicati alla magia, ecco i protagonisti, magici e non, alle prese con un problema puramente umano.

Vi anticipo, inoltre, che nel prossimo capitolo, Merlino e Artù si incontreranno.

Come sempre, attendo ansiosa i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Alla prossima.

Pandora86

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Capitolo 39
*** Capitolo 39. Faccia a faccia ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 39. Faccia a faccia
 
Mercoledì mattina
 

“Caffè?” chiese allegro Perce, vedendo Gabriel entrare in cucina.

Gabriel, in tutta risposta, annuì con il capo, sedendosi e incrociando le mani sotto il mento.

Perce lo osservò preoccupato. Le occhiaie sul volto dell’altro erano evidenti e sembrava più pallido del solito.

Non ci voleva molto a dedurre che Gabriel, quella notte, non aveva dormito affatto.

Perce, dopo la cena, gli aveva mostrato la camera e poi si era ritirato nella sua stanza, cercando così di disturbarlo il meno possibile.

Aveva capito, infatti, la situazione spinosa in cui si trovava Gabriel e non riteneva opportuno infastidirlo più del necessario.

“Gwaine dice che Kyle non si è ancora svegliato e che ha passato una notte abbastanza tranquilla” esclamò poi Perce, rompendo il silenzio che si era venuto a creare.

“Passerò comunque a casa del cavaliere, anche se credo che Kyle non si svegli prima del tardo pomeriggio. Devo comunque curare il suo corpo e cominciare una terapia” rispose pensieroso.

“Poi, passerai alla villa?” chiese Perce, sedendosi di fronte a lui dopo avergli versato il caffè.

Gabriel sospirò, con aria perplessa.

Il cavaliere notò l’indecisione dell’altro e aggrottò lo sguardo.

“Sta bene, vero?” chiese, dando voce alle sue preoccupazioni e non trovando necessario specificare il soggetto.

Gabriel notò la voce preoccupata e annuì con il capo.

“Sta più che bene, in effetti!” esclamò pensieroso.

Perce lo guardò con aria interrogativa e Gabriel si affrettò a spiegare.

“Pochi minuti fa, mi ha mandato un messaggio, chiedendomi di rimanere dove sono. Le sue condizioni, questa volta, sembrano essere migliorate alla velocità della luce. Di conseguenza, vuole che non ci allontaniamo troppo dal diamante bianco”.

Perce annuì, capendo cosa volesse dire l’altro. Solo la sera prima, infatti, avevano incontrato Louis e Phoenix, mandati da Lui, proprio per quel motivo.

Se uno dei suoi compiti era tenere d’occhio tutti gli oggetti magici, allora era normale che i guardiani non si allontanassero troppo da un oggetto dalla potenza così estrema che, per l’appunto, non era più al suo dito.

Però, non riusciva a spiegarsi la preoccupazione dell’altro e fu questo che domandò.

“Dopo l’incontro con il Re, ha contratto una febbre altissima” rispose il guardiano, parlando lentamente.

“Eppure, ieri sera, secondo anche quanto riportato da Louis e Phoenix, questa febbre era scomparsa completamente, non lasciando tracce” e si massaggiò gli occhi pensieroso.

Perce sorrise, alzandosi e porgendogli poi un posacenere.

Gabriel lo guardò interrogativo, chiedendosi come il cavaliere avesse incominciato a intuire i suoi bisogni.

“La faccia dei fumatori, a prima mattina, è sempre la stessa: quella dove non vedono l’ora di accendere la prima sigaretta della giornata” ridacchiò Perce allegro, ben interpretando lo sguardo scrutatore dell’altro.

Gabriel annuì preferendo non rispondere anche perché, per la prima volta dopo secoli, non avrebbe saputo cosa dire.

“Quindi, perché sei così preoccupato?” chiese poi Perce, ritornando, in questo modo, all’argomento principale.

“La guarigione è stata troppo rapida, anche per la potente magia di Merlino. D’altro canto, non so se la febbre è stata causata dall’incontro con il Re, oppure dallo scompenso momentaneo dovuto all’allontanamento del diamante bianco dal suo dito” spiegò in maniera succinta il guardiano, accendendo una sigaretta e osservando il fumo pensieroso.

“E dato che la guarigione è stata rapida, non sai come arrivare alle risposte, giusto?” chiese Perce, capendo il discorso dell’altro.

Gabriel annuì e Perce provò un’insensata voglia di abbracciarlo. Dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per rimanere seduto al suo posto e fare un gesto così avventato che, sicuramente, avrebbe scatenato l’ira di chi gli stava di fronte.

Eppure, nonostante ciò, non poteva fare a meno di provare malinconia per il peso immenso che portava l’altro, tutto sulle sue spalle.

Fu per questo che provò a rassicurarlo.

“Almeno, adesso devi occuparti solo di Kyle” sussurrò appena. Poi, preso da un’improvvisa ispirazione, si alzò recandosi in salotto e recuperando qualcosa da una credenza.

“Prendile!” disse poi al guardiano, porgendogli l’oggetto che aveva in mano.

Gabriel lo osservò perplesso, senza però muoversi.

“Sono le chiavi di riserva di casa mia!” spiegò allora il cavaliere.

“So quello che sono!” ritrovò la voce il guardiano. “Quello che non so, è perché tu le stia dando a me!”.

Il cavaliere non si perse d’animo di fronte al tono tagliente dell’altro.

“Perché anche tu devi dormire, ogni tanto” s’infervorò.

“E dato che Kyle è quello che al momento ti crea più preoccupazioni, ha senso che tu rimanga nelle vicinanze” lo fissò non abbassando, neanche per un istante, lo sguardo di fronte a quegli occhi di ghiaccio.

“Sai che rimanere qui è la soluzione più pratica, a questo punto” terminò, intenzionato a convincerlo a tutti i costi.

Voleva convincerlo non perché sentiva il desiderio di rimanere con Gabriel ancora per un po’.

Quello che lo animava, in quel momento, era la preoccupazione per colui che adesso lo fissava indeciso.

Perché Perce non poteva fare a meno di preoccuparsi per Gabriel, non dopo le parole di Louis e Phoenix riguardo al presunto pericolo che correvano, tutti loro, a causa della loro immortalità.

Parole che non lo avevano lasciato in pace.

Parole che animavano l’animo di Perce, infiammandolo e rendendolo deciso proprio come quando, in tempi lontani, impugnava una spada. Proprio come quando, in tempi lontani, si buttava a capofitto nei pericoli per salvare chi era in difficoltà.

Perce era dannatamente preoccupato, e non aveva intenzione di cedere. Se Gabriel era l’unico a potersi occupare di Kyle, che lo facesse quando era ben riposato, visto e considerato che tutto ci voleva, tranne che collassasse per la mancanza di sonno.

Perché anche Gabriel aveva un corpo da essere umano; un corpo di cui doveva prendersi cura, nonostante l’ottima resistenza che sicuramente il guardiano possedeva.

Fu per questo che, fissando negli occhi l’altro, poggiò le chiavi sul tavolo.

“Ora vado a lavoro” disse, con tono di voce rassicurante. “Mi aspetto di trovarti qui, al mio ritorno” e uscì dalla cucina.

D’altro canto, qualcosa gli diceva che Gabriel avrebbe accettato di buon grado la sua proposta.
 

***
 

Artù osservava Lance con occhi truci, sentendo svanire la sua già misera pazienza.

“Calmati” provò a farlo ragionare Lance.

Erano nell’ufficio di Artù.

Quella mattina, Lance aveva spiegato con calma gli avvenimenti della sera precedente evitando così il licenziamento di Gwaine in tronco, considerato che aveva liquidato la faccenda con un semplice ‘sono in malattia per due settimane’.

Lenn era uscito da poco da quell’ufficio, scusandosi e presentando il certificato medico di Kyle.

Artù aveva letto di sfuggita la firma, costatando quello che già sapeva: era Gabriel che si occupava delle questioni mediche tra loro.

Poi Lenn era uscito, non prima di aver fatto un occhiolino a Lance. Non doveva essergli sfuggito, infatti, l’umore del Re e, così facendo, augurava buona fortuna al cavaliere.

“Come faccio a calmarmi?” chiese Artù retorico, incrociando le mani sotto il mento.

Proprio ora che sapeva il suo nome. Proprio ora che aveva un piano d’azione tra le mani.

“Possiamo delegare qualcuno per il cliente che avevi affidato a Gwaine. In fondo, stavolta non è colpa sua” cercò di farlo ragionare Lance.

“Infatti, non è con Gwaine che sono arrabbiato” ci tenne a precisare Artù. “E che avevo fatto dei piani, per la giornata!” rivelò.

“Piani che coinvolgono un certo imprenditore” intuì Lance, “e che hai elaborato durante la notte, suppongo” e sospirò.

“Piani che non intendo cambiare” sottolineò deciso il Re.

“E posso sapere cosa prevedono, questi piani?” chiese Lance con occhi indagatori.

Artù si prese qualche istante, prima di rispondere.

“Devo andare da Lui, Lance, e non mi fermerai” esclamò poi, con tono deciso.

Lance sospirò; sapeva che Artù non sarebbe stato con le mani in mano. Non ora che conosceva l’identità di Merlino.

“Non lo vedrai” lo invitò comunque a riflettere.

“Nel secolo attuale, è un uomo che gestisce un impero. Non credi che sia abituato a tenere a bada i fan?” concluse, sperando così di riuscire a convincerlo.

“Devo comunque tentare” non si scoraggiò Artù.

“Non riuscirai a entrare in quella villa” gli appuntò l’altro con tono ovvio.

“Non importa, avrò tentato” non si perse d’animo il Re.

“Non pensi a quello che hanno detto Louis e Phoenix? Non è ancora pronto per vederti” provò a farlo ragionare Lance.

“Devo fare qualcosa!”.

“Appostarsi come uno stalker fuori casa sua, non è qualcosa”.

Artù sospirò, prendendosi la testa fra le mani.

“Devo tentare” sussurrò a voce bassissima.

“Capisci che devo almeno tentare?” chiese, coprendosi gli occhi con le mani.

“Sì” ammise Lance.

“Ma ti serve un buon piano” disse, guadagnandosi l’attenzione dell’altro.

“Che intendi?” chiese, infatti, Artù.

“Che devi eliminare ogni ostacolo che possa mettersi fra te e Lui” gli spiegò il cavaliere.

“Non sono d’accordo, ma ti aiuterò” aggiunse.

“Grazie” fu la riconoscente risposta del Re.

“Non lo faccio solo per te” gli specificò Lance, guardandolo seriamente.

Artù lo invitò a continuare con un cenno del capo. Quello che apprezzava di più in Lance, era proprio la sua lealtà verso la persona che cercavano nel secolo attuale.

“Lo faccio perché credo possa essere una buona cosa anche per Lui” sussurrò Lance.

“Ma dovrai pensare attentamente come porti” parlò poi deciso, rivolto al Re.

“Non pensare minimamente di corrergli intorno e abbracciarlo, o fare qualsiasi altra cosa impetuosa” disse ancora.

“Dovrò rivolgermi a Lui con cautela” approvò Artù.

“Non sono un’idiota” sbottò poi il Re.

No! Siete soltanto un asino. Uno di quelli reali!

La voce dei ricordi, nella sua mente, lo fece sorridere.

Presto lo avrebbe rivisto e non poteva sprecare una simile opportunità.

Non ora che sapeva chi fosse nel secolo attuale.
 
 
Mercoledì – primo pomeriggio
 

Gwaine cercava di mettere ordine nella sua stanza e, soprattutto, nel suo armadio.

Quella mattina, Gabriel era passato da lui come previsto, prescrivendo alcuni farmaci e ribadendo che Kyle non si sarebbe svegliato prima di sera. Gwaine aveva notato come il suo umore sembrasse più nero del solito ma non ci aveva badato, chiedendo quello che più gli premeva: i tempi di ripresa del corpo di Kyle.

Aveva, infatti, notato come i guardiani parlassero del loro corpo e della loro mente considerandole unità distinte e, in fondo, tenendo conto della trasformazione molecolare che avevano subito, era anche abbastanza normale.

Gabriel, dopo averlo fissato con un cipiglio severo, lo aveva rassicurato; il corpo di Kyle non correva pericoli.

Anzi, il potere che covava dentro di sé, gli avrebbe garantito una guarigione completa e anche più rapida rispetto agli altri esseri umani. Gli aveva anche spiegato che, un normale essere umano, avrebbe necessitato di un mese di riposo e anche di esami più approfonditi dopo una lussazione. Le ossa di Kyle, invece, si sarebbero riprese completamente e senza bisogno di radiografie successive al riposo, per valutare la situazione.

Gwaine aveva tirato quindi un sospiro di sollievo: se la situazione psicologica di Kyle lasciava perplessi, almeno il suo corpo non correva pericoli. A quel punto, si era precipitato a comprare i farmaci prescritti da Gabriel e aveva poi passato tutta la mattina smistando il lavoro arretrato.

E ora, a pomeriggio inoltrato, cercava comunque di tenersi occupato. Aveva iniziato a rovistare nel suo armadio, provando a fare un po’ d’ordine e, soprattutto, un po’ di spazio. Se Kyle fosse rimasto qualche tempo da lui, come avevano concordato, allora avrebbe dovuto organizzarsi.

Sentiva il respiro tranquillo di Kyle e questo lo rassicurava. Non poteva negare a se stesso che le parole di Gabriel, unite a quelle di Louis e Phoenix, lo avevano gettato nell’angoscia, mentre una domanda prendeva forma: e se Kyle avesse cominciato a subire i presunti danni portati dalla sua immortalità?

Lui, quando aveva parlato con Kyle, appena il giorno prima, non aveva notato nulla di strano. E se questi pericoli cogliessero all’improvviso, senza dare preavviso del loro arrivo?

E se il motivo del comportamento di Kyle fosse stato questo, cosa avrebbe trovato di lui, il potente guardiano manipolatore, quando si sarebbe svegliato?

Scosse la testa. Non voleva pensarci.

Con uno sbuffo, gettò sul pavimento una vecchia camicia e decise di andare a farsi un caffè! In fondo, Lenn sarebbe passato dopo il lavoro, proprio quando era previsto il risveglio di Kyle. Le risposte sarebbero giunte a breve, quindi!

Nonostante ciò, prima di uscire dalla stanza, non potette fare a meno di volgere uno sguardo al guardiano e, quello che vide, gli fece sgranare gli occhi.

Kyle era sveglio. E lo guardava!
 

***
 

“Per prima cosa, dobbiamo assicurarci che sia solo in casa!” esclamò Lance.

Con molta fortuna e una buona dose di fantasia, erano riusciti a uscire prima dall’ufficio, sbrigando anche il lavoro di Gwaine e ora erano nella cucina del Re, armati di computer e mappe stradali.

“E per solo, intendi i Guardiani e le creature” affermò sicuro il Re.

“Mi riferisco soprattutto a Louis e Phoenix. I loro sensi sono troppo sviluppati, per farti passare inosservato. Inoltre, visti gli ultimi risvolti, direi che di Kyle non dobbiamo preoccuparci” rispose Lance.

“Ora, secondo le informazioni del loro sito web, Louis e Phoenix tengono le lezioni nella loro scuola, quando sono a Londra” disse ancora il cavaliere leggendo la pagina web.

“Anche Lui, ogni tanto, si reca nella scuola” aggiunse Artù, leggendo alle spalle dell’altro.

“Però i suoi allievi lo raggiungono nella sua casa, la maggior parte delle volte!” aggiunse Lance.

“Quindi, dobbiamo evitare che Lui stia facendo lezione” completò per lui Artù.

“Non sappiamo come potrebbe reagire in tua presenza e non possiamo rischiare davanti a un suo allievo” confermò Lance.

“Dobbiamo andare in quella scuola e chiedere informazioni agli allievi, su quando Louis e Phoenix fanno lezione” disse Artù e Lance annuì.

“I Guardiani non credo siano un problema. Dalle ultime informazioni che abbiamo, sappiamo che per lavorare in ufficio da noi hanno momentaneamente cambiato casa” affermò ancora Lance guardando la cartina della città e vedendo la distanza dalla zona dove abitava Merlino, rispetto a quella dove risiedeva la compagnia di Artù.

“Quindi, per prima cosa, dobbiamo andare nella loro scuola di musica” concluse Artù allontanandosi dal tavolo.

“Potremmo andarci adesso” si alzò il cavaliere.

“Proprio quello che avevo in mente” sorrise furbo il Re avviandosi alla porta.

Lance lo seguì con un sorriso. Lenn, quella mattina, aveva capito che Artù sembrava avere in mente qualcosa ma non aveva obiettato.

Lance aveva ritenuto corretto riferirgli le loro scoperte e Lenn aveva scrollato le spalle, con un sorriso.

“Era cosa ovvia che prima o poi Artù scoprisse chi è” aveva detto.

“Tienilo a bada come meglio riesci” aveva poi concluso con un sorriso e una rassicurante pacca sulle spalle.

Dopo questo, non avevano più parlato e Lance si era sentito rincuorato. In fondo, doveva solo seguire quello che gli diceva il cuore e, il suo cuore per l’appunto, gli suggeriva che assecondare
Artù potesse essere una buona cosa anche per Lui.

E ora si trovavano lì, appostati in macchina, nel parcheggio dell’imponente scuola di musica che Lui gestiva in Bretagna.

“Spiegami perché abbiamo dovuto camuffarci” chiese ancora una volta Lance con un sospiro, maledicendo il ridicolo berretto che Artù lo aveva costretto a indossare, oltre a degli assurdi occhiali da sole.

“Meglio non attirare troppo l’attenzione” sussurrò Artù con gli occhi puntati sull’ingresso della scuola.

“Con un berretto da caccia in piena città?” ironizzò Lance, decidendo però di soprassedere.

“Che diamine ci fanno qui?” esclamò Artù dopo qualche istante.

Lance seguì immediatamente la direzione del suo sguardo sgranando gli occhi.

Leon ed Elian si apprestavano a entrare nella scuola.

“Vorrei proprio sapere chi è rimasto in ufficio, oggi” sbottò il Re uscendo dalla macchina e sbattendo la portiera con forza.

Lance lo seguì immediatamente cercando di pensare velocemente; una cosa era andare a dare un’occhiata nella scuola… un’altra invece, era un’invasione in piena regola.

“Ma mi sentiranno” minacciò Artù, lasciando da parte la diplomazia ed entrando come un uragano nell’edificio.

Lì adocchiò immediatamente, intenti a chiedere qualcosa alla reception, e decise di avvicinarli.

“Qual è il motivo della vostra visita?” stava intanto domandando la segretaria con aria
efficiente, rivolta a Leon ed Elian.

“È quello che vorremmo sapere anche noi”.

La voce, alle loro spalle, li fece voltare entrambi.

“Artù” sorrise Leon con diplomazia.

“Che coincidenza” e simulò sorpresa.

“Già” assottigliò le labbra Artù, guardandoli entrambi con occhi truci.

“Bel cappello” non riuscì a trattenersi Elian guardando Lance, che sospirò di rimando.

“Allora?” domandò Artù alzando pericolosamente la voce, incurante di tutte le persone che si erano fermate e che li guardavano incuriositi.

“Non temere” lo rassicurò Leon, “tutte le pratiche del giorno sono state archiviate e smistate” disse, con tono di voce professionale.

“Non è questo, quello che ti ho chiesto, Leon!” s’infervorò il Re, avvicinandosi pericolosamente.

“Signori, che succede? Qual è il motivo della vostra visita?” provò a intervenire la segretaria.

“È quello che vorrei sapere anch’io” urlò il Re, sentendo la rabbia crescere e incurante di tutte le persone che si erano voltate a osservarlo.

“Potremmo domandare la stessa cosa a voi” si difese Elian scrollando le spalle, e sia Leon sia
Lance lo fulminarono con lo sguardo.

Risposta sbagliata al momento sbagliato!

“Siamo venuti a chiedere informazioni” aggiunse, incurante dello sguardo degli altri due.

“Beh, adesso ve ne andate” sibilò il Re minaccioso.

“Devo chiamare la sicurezza?” intervenne la segretaria avvicinandosi.

“State disturbando le lezioni che si tengono su questo piano, e intralciando il passaggio” li sgridò con aria severa.

“Adesso andiamo via” intervenne Lance e Leon annuì.

“Non se ne parla proprio” rispose invece il Re minaccioso. “Sono venuto per avere informazioni e le avrò!”.

Lance, intanto, guardò la piccola folla che si era creata attorno a loro e diede un’occhiata all’ambiente.

Dal corridoio, adiacente al salone d’ingresso, c’erano parecchie porte dalle quali si sentivano diverse musiche.

Inoltre, molte di queste porte si erano aperte e alcuni ragazzi erano usciti incuriositi, chi con uno strumento in mano, chi con uno spartito.

“Secondo me, adesso si menano!” disse uno che aveva delle bacchette in mano, evidentemente divertito da tutta la situazione.

Sentendo quella frase, sia Leon che Lance capirono che dovevano andarsene, e alla svelta anche!

Peccato che Elian e Artù non fossero dello stesso avviso.

“Ti ho detto che siamo venuti anche noi per lo stesso motivo” insisté cocciuto Elian.

“Visto che siamo qui, possiamo agire insieme”e incrociò le braccia con aria pratica.

“Invece, adesso andiamo via” intervenne Leon. “Chiedo scusa per il disturbo” disse poi rivolto alla segretaria che aveva già il telefono in mano.

“Non se ne parla proprio. Io da qui non mi muovo” incrociò le braccia il Re, impuntandosi.

“Io sono d’accordo con Artù” intervenne Elian, e Leon sentì l’insensata voglia di prenderli entrambi a schiaffi.

“Secondo me, quello biondo lo stende” esclamò lo stesso ragazzo che aveva parlato poco prima.

“Dite che si menano prima, o che la sicurezza fa in tempo?” rispose un altro che lo aveva
affiancato, evidentemente divertito da tutta quella situazione.

“Ragazzi” li riprese severamente la segretaria. “Tornate immediatamente alle vostre lezioni!” urlò, cercando di farsi ascoltare.

“Non prima di vedere come va a finire” le rispose un ragazzo che non poteva avere più di quindici anni, con la sfrontatezza e la sfacciataggine tipiche di quell’età mentre gli altri ragazzi annuivano soddisfatti.

“Secondo me, il biondo li stende tutti” urlò allora il batterista.

“Io dico che invece le prende” rispose un altro.

In poco, tutti i ragazzi si lasciarono andare a fischi e urla, incuranti dei loro maestri che cercavano di riportarli all’ordine.

Lance e Leon si guardarono intorno impallidendo; se c’era una cosa che non si poteva fermare, era proprio una massa di adolescenti che, in gruppo, decidevano di scatenarsi e si spalleggiavano l’uno con l’altro.

“Avrete una nota di demerito” stava intanto urlando uno dei maestri.

“E chi se ne frega, con quello che pagano i nostri genitori” rispose uno dei ragazzi con aria
sfrontata, supportato da tutto il gruppo che applaudì come segno di approvazione.

“Si accettano scommesse” urlò un altro, scatenando le risa.

“Cinthia!” una voce severa, improvvisamente, li fece voltare tutti.

I ragazzi ammutolirono all’istante e i maestri sembrarono tirare un sospiro di sollievo.

I ragazzi che erano saliti sulle sedie, per vedere meglio, scesero immediatamente.

“Posso sapere che cosa sta succedendo?” chiese l’uomo, uscendo dalla porta di fronte alla reception.

Tutti distolsero lo sguardo, mentre l’uomo si avvicinava alla segretaria con passo lesto.

Leon e Lance, di spalle alla voce, incominciarono a sudare freddo.

Artù ed Elian impallidirono sentendo i passi dell’uomo avvicinarsi.

“Qual è il motivo di tutta questa confusione?” chiese ancora l’uomo.

“Coraggio, ritornate nelle vostre classi” disse agli allievi che eseguirono all’istante l’ordine, seguiti a ruota dai rispettivi maestri.

“Cinthia?” chiese poi l’uomo con una voce perplessa, una volta che la sala si fu svuotata e l’ordine ristabilito.

“Ecco, signor Badelt” incominciò titubante la segretaria, interrompendosi subito dopo.

Fu allora che Artù prese coraggio e decise di voltarsi.

Seguendo il suo esempio, anche gli altri tre fecero lo stesso.

Anche se avevano combinato un pasticcio, tanto valeva affrontare la situazione di petto.

Fu questo che pensò, mentre alzava lo sguardo, puntando gli occhi in quelli dell’altro che, nel frattempo, si erano sgranati leggermente.

Eccolo lì, finalmente, faccia a faccia con Klause Badelt.

Faccia a faccia con Lui.
 

Continua…
 

Note:

Ecco finalmente l’incontro tra Merlino e Artù.

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate e se vi è piaciuto come ho gestito il tutto.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Alla prossima.

Pandora86

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Capitolo 40
*** Capitolo 40. Presa di coscienza ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 40. Presa di coscienza
 

“Questa mail è di un altro cliente” disse Lenn gentile, leggendo il foglio che Perce gli aveva appena stampato.

Perce portò lo sguardo al foglio, notando l’errore e scusandosi.

Quel pomeriggio, in ufficio, erano rimasti solo lui e Lenn, insieme a Merlìha e Ginevra.

Artù era uscito in fretta e furia, liquidando il cliente di Gwaine con una prontezza e un’urgenza tale da far pensare che il mondo stesse per finire a breve. Poi, li aveva appena salutati, ed era uscito insieme a Lance, che aveva seguito il suo capo con un sospiro e un’aria sconsolata.

Leon ed Elian, invece, avevano chiesto un permesso di mezza giornata, sbrigando comunque il loro lavoro. E, anche loro, proprio come Artù, erano usciti in tutta fretta, con un’aria da cospiratori.

L’ufficio della sezione contatti esteri non era mai stato silenzioso come in quel momento.

“Sembri preoccupato” parlò Lenn, con tono di voce incoraggiante.

“È che non sono abituato a questo silenzio” scherzò Perce e Lenn ridacchiò.

“Non è detto che la situazione di Kyle sia così catastrofica come Gabriel sembra pensare” disse poi.

Perce scosse la testa.

“Non è solo questo che mi preoccupa” rivelò, non riuscendo a dire altro.

Come poteva, infatti, rivelare i suoi pensieri più intimi? Come poteva dire a Lenn che, quello che lo preoccupava, era Gabriel?

Quando era uscito, quella mattina, lasciando le chiavi all’altro, gli era sembrato di aver avuto un’idea geniale. Le ore però erano passate e Perce aveva sentito la sua sicurezza svanire, mentre un pensiero prendeva sempre più forma nella sua mente: come aveva potuto rivolgersi in quel modo a Gabriel?

Che ne sapeva lui, in fondo, di cosa intendesse fare il guardiano?

Solo che, quella mattina, notando il pallore dell’altro, non era riuscito a trattenersi. Le parole di Louis e Phoenix lo avevano messo in allerta più di quanto pensasse, non lasciandolo in pace neanche se avesse voluto.

“Sicuro di non volermi dire cosa ti preoccupa?”.

La voce di Lenn lo distolse dai suoi pensieri. Perce lo osservò, indeciso su cosa fare; poteva realmente confidarsi con Lenn, unico amico d’infanzia del soggetto in questione?

“Potrei aiutarti, più di quello che pensi” parlò ancora Lenn. “Ma la scelta sta a te” e sorrise.

Perce annuì con il capo decidendo che sì, poteva fidarsi. In fondo, non doveva per forza dirgli quello che provava per Gabriel, anche se comunque Lenn sembrava già averlo inteso, in qualche modo.

Poteva semplicemente chiedergli chiarimenti sulle questioni che più lo preoccupavano, e che riguardavano i presunti pericoli che sembravano correre i guardiani. In fondo, poteva sempre parlare al plurale.
 

***
 

“Signor Badelt?” chiamò la segretaria, con aria perplessa.

Era passato un lungo istante di silenzio, dove ognuno dei presenti nella stanza scrutava l’altro.

Merlino, in particolare, aveva assottigliato gli occhi, squadrando una dopo l’altra le persone che aveva dinanzi, con uno sguardo più freddo del ghiaccio.

Artù non aveva chinato il capo, nonostante quegli occhi sembrassero schiacciarlo. Occhi che, dopo il primo momentaneo smarrimento, avevano riacquistato il controllo. Lo smarrimento era durato per pochi istanti e Merlino aveva dimostrato un sangue freddo eccezionale e una prontezza fuori dal comune nel riassumere la sua aria impassibile. E ora era lì, che li fissava tutti, uno dopo l’altro, con le labbra assottigliate in una linea severa.

“Signor Badelt?” chiamò nuovamente la segretaria.

“Tutto bene, Cinthia” la rassicurò il mago. “Mi sono dimenticato di avvertirti dell’appuntamento”.

“Questi signori avevano un appuntamento?” chiese la segretaria scettica.

“Sì” non si scompose il mago.

“Raggiungetemi nel mio studio” esclamò poi, avviandosi.

Gli altri non potettero fare altro che seguirlo. Artù, nel frattempo, si era perso nell’osservarlo, costatando che era uguale a come gli era apparso nella foto; foto che aveva fissato per quasi tutta la notte.

Vestiva con eleganza e sobrietà e sia i pantaloni che la giacca, dal taglio classico ma non antiquato, sembravano disegnati apposta per Lui. Anzi, a giudicare dalla posizione economica dell’altro, sicuramente si trattava di abiti cuciti su misura.

Entrarono in quello che doveva essere il suo studio, notando come all’interno ci fosse un’altra persona seduta alla scrivania.

Persona si girò verso di loro, guardandoli con aria perplessa.

Artù e gli altri non poterono fare altro che rimanere in silenzio; una parola sbagliata e la situazione sarebbe potuta precipitare.

“Allora, Klause” parlò l’uomo nella stanza, “cos’era tutto quel trambusto?” domandò, accendendosi una sigaretta.

Artù, notando il tono confidenziale, non poté fare a meno di osservarlo con astio.

Era indiscutibilmente un bell’uomo e, sicuramente, a giudicare dagli spartiti sparsi sulla scrivania, doveva essere un collega.

“Nulla d’importante, Mike” rispose Merlino, accendendosi a sua volta una sigaretta e invitando, con un cenno della mano, Artù e gli altri a sedersi sul divano adiacente alla scrivania.

“Chi sono queste persone?” domandò l’uomo.

“Imprenditori” rispose Merlino togliendosi la giacca e andando ad accomodarsi di fronte a lui.

Artù deglutì istintivamente osservando quello che un tempo conosceva come Merlino.

Notò che portava alcuni anelli alle mani, ai pollici e agli anulari, e questo non faceva altro che risaltare le sue dita affusolate.

Vestiva con eleganza ma la camicia, con i primi due bottoni sbottonati, gli dava un’aria casual.

Artù osservò il fisico asciutto che traspariva dai vestiti costatando che, anche se leggermente ingrassato rispetto ai suoi ricordi, Merlino rimaneva slanciato.

Non era cambiato molto, considerando che a Camelot, la maggior parte delle persone aveva una magrezza dovuta alla povertà e alla semplicità dei loro pasti. Il fisico di Merlino, o di Klause Badelt a questo punto, anche se più muscoloso rispetto alle sue memorie, sembrava comunque atletico e armonioso.

Artù si perse un lungo momento a osservare il collo dell’altro, ora non più coperto da un pezzo di stoffa, quando la voce dell’uomo presente nella stanza lo riportò al presente.

“Imprenditori? Non dovrebbe occuparsene Leonard?” chiese l’uomo.

“Mike!” lo riprese Merlino, con un tono che invitava a non fare domande.

L’altro, quello che si chiamava Mike, sbuffò facendo poi un sorriso sghembo.

“A questo proposito” continuò Merlino incrociando le mani sotto il mento, “proporrei di rimandare la nostra riunione”.

Questa volta, l’espressione dell’altro fu di disappunto.

“Che cosa?” chiese, evidentemente scocciato. “Da quando poi, ti occupi tu degli imprenditori?”.

“Si tratta di imprenditori piuttosto famosi, che gestiscono la catena di agenzie pubblicitarie più note in Gran Bretagna” spiegò Merlino con calma. “Credo di poter fare un’eccezione per loro” e marcò pericolosamente la parola mentre volgeva loro lo sguardo.

“E poi” continuò, rivolgendosi all’altro, “sai che abbiamo tutto il tempo per gli arrangiamenti dei pezzi” terminò.

“Tanto so che è inutile discutere con te” si arrese l’altro facendogli l’occhiolino.

Artù capì che tra i due doveva esserci molta confidenza. Supposizione confermata qualche istante dopo, quando Mike, raccolti tutti i fogli dalla scrivania, si alzò avvicinandosi alla porta, seguito da Merlino.

“Cerca di non stancarti troppo, carissimo!” esclamò con un sorriso sghembo.

Merlino sorrise e Artù notò che si trattava dello stesso sorriso che aveva visto nella foto: un sorriso enigmatico, proveniente da un uomo sicuro di sé e della sua posizione. Un sorriso da conquistatore.

“Non preoccuparti, ho solo avuto una leggera influenza” lo rassicurò.

“Mandami un messaggio quando stacchi dal lavoro” disse ancora Mike, avvicinandosi ancora di più all’altro.

“Vuoi controllarmi?” ironizzò Merlino con un sorriso sghembo.

L’altro lo afferrò per la camicia, avvicinando pericolosamente il suo volto a quello del mago.

“Chissà” sussurrò, prima di lasciarlo andare. “Non sia mai che mi lasci scappare Klause Badelt” e rise.

“Sempre che tu ci riesca” rispose a tono Merlino, con le labbra leggermente inclinate all’insù, mentre apriva la porta in un chiaro invito.

Artù non potette fare a meno di stringere i pugni osservando quel teatrino mentre sentiva la gelosia attanagliare il suo stomaco.

Come osava, quel tipo?

Però, analizzando la situazione con un occhio esterno, si capiva che nonostante i due fossero in confidenza – confidenza anche piuttosto intima, a quanto sembrava – la relazione era ben chiara e non vincolante per nessuno dei due.

Non di certo per Klause Badelt almeno, e questo era chiarissimo dal loro scambio di battute.
Merlino aveva pienamente il controllo di quella relazione, non mescolandola al lavoro e non implicando nessun coinvolgimento sentimentale.

Era lui che dettava le regole, questo era chiaro. Ma evidentemente, a questo Mike stava bene così.

D’altro canto, pensò Artù assottigliando gli occhi, sembrava che questo Mike avesse l’onore di entrare nel letto di Klause Badelt.

Un onore che spettava all’élite, vista la posizione e il fascino dell’altro. Un fascino magnetico e incantatore, con quel sorriso sicuro e quelle movenze studiatamente lente ed eleganti.

Però, Artù non sentiva rabbia verso Merlino. Come avrebbe potuto, d’altronde?

Era la sua metà, una metà che aveva mille e passa anni, e che aveva sofferto le pene dell’inferno.

Perché non avrebbe dovuto intrattenere relazioni sociali?  Non poteva condannarlo, se cercava di andare avanti, spacciandosi per un trentenne. Chi mai l’avrebbe creduto, in ogni caso, visto e considerato che neanche i maghi moderni accettavano l’immortalità, anche quando si trovava davanti ai loro occhi?

No, quella che provava era solo gelosia, pura e semplice gelosia. Oltre un’insensata voglia di prendere questo Mike e sbatterlo con la testa contro il muro.

Giusto per rimarcare il concetto che Merlino, Klause Badelt, Il Sommo Emrys, o in qualunque altro modo volesse farsi chiamare, era suo e suo soltanto. L’altro poteva avere avuto Klause Badelt. Lui, invece, aveva intenzione di avere tutto.

Perché adesso era tornato per riprenderselo, e non si sarebbe fatto battere da nessuno: né da un guardiano, né da un musicista qualsiasi.

La porta dello studio, richiusa con forza, lo distolse dai suoi pensieri.

“Bene!” esclamò Merlino ritornando a sedersi e squadrandoli attentamente.

L’anello, prima non visibile ai loro occhi, brillava ora al dito dell’altro, minaccioso e cupo.

“Bene!” esclamò ancora Merlino mentre accavallava le gambe e congiungeva le dita.

Artù deglutì istintivamente, non interrompendo il contatto visivo con l’altro.

“Ditemi esattamente cosa ci fate qui!”.

La partita era cominciata.
 

***
 

Gwaine osservò Kyle per parecchi istanti, rimanendo in silenzio.

L’altro lo osservava con un cipiglio attento e scrutatore, in attesa che lui parlasse. Non aveva mai interrotto il contatto visivo, neanche per dare una veloce occhiata al resto della stanza.

Gwaine respirò profondamente, decidendo di avvicinarsi.

“Come ti senti?” chiese con voce sicura ed espressione impassibile.

“Come se mi fosse passata addosso una mandria di bufali impazziti” rispose l’altro, piegando le labbra all’insù in una smorfia di disappunto.

Gwaine sospirò, visibilmente sollevato. Almeno, dal tono di voce, sembrava che Kyle fosse sempre lo stesso. Di certo, sembrava aver conservato la sua caratteristica principale: esprimere, con poche parole, tutto il suo disappunto. Come facesse poi, rimaneva sempre un mistero e Gwaine si premurò di indagare. Forse, dipendeva dal tono e dalle sue espressioni facciali e Gwaine notò che, anche quelle, a giudicare dalla piega contrariata delle sue labbra, erano rimaste immutate.

“Comunque” continuò Kyle con il suo migliore tono dispregiativo, “cosa ci faccio esattamente qui, con te?”.

Ecco, considerò Gwaine dentro di sé. Come volevasi dimostrare.

Inoltre, Gwaine non avrebbe saputo dire se fosse più scocciato per il luogo in cui si trovava, o per la compagnia, a questo punto.

In ogni caso, la cosa migliore era cercare di comportarsi normalmente. Se non parlava, d’altronde, non avrebbe mai potuto capire le condizioni psicologiche di Kyle.

Probabilmente, una persona ragionevole e saggia, avrebbe cercato di assecondare il guardiano e testare così le sue reazioni, ma Gwaine non era nulla di tutto ciò. Inoltre, assecondare Kyle significava a priori ammettere che uno come lui potesse avere dei problemi e questo, Gwaine, non poteva proprio accettarlo.

Se questi problemi si fossero presentati con una certezza matematica, allora Gwaine ci sarebbe stato per l’altro, assistendolo sempre e comunque. Perché lui non amava Kyle per la sua potenza o la sua forza.

Lui amava Kyle, punto e basta!

Per questo, non voleva fasciarsi la testa prima di essersela rotta. E, sempre per questo, fu con la sua migliore espressione scocciata che si rivolse all’altro.

“Dovrei essere io a farti questa domanda. Sono io ad averti trovato, mezzo moribondo, sotto casa mia” gli appuntò, portandosi le mani ai fianchi e guardandolo storto.

Fu in quel momento che l’altro si guardò velocemente intorno per poi ritornare a posare lo sguardo sul cavaliere.

“Se puoi definire casa questa bettola” lo provocò con il tono e l’espressione sghemba che tanto lo contraddistingueva.

Gwaine gioì dentro di sé, senza però darlo a vedere.

Kyle si era svegliato, ed era proprio lui… sempre e solo lui!

“Intanto” rispose a tono il cavaliere, “il proprietario di questa bettola” e indicò la stanza con un dito, “ti ha salvato da un pestaggio”.

Kyle sbuffò con espressione indisponente.

“Se poi vuoi andare, nessuno ti trattiene” continuò Gwaine avvicinandosi alla porta e aprendola.

“Sempre che tu riesca ad alzarti” non poté fare a meno di provocarlo.

“Perché non mi passi il telefono e ti rendi utile, invece di parlare a vuoto?” disse a quel punto Kyle con tono noncurante, non rispondendo alla provocazione.

“Come vostra maestà ordina” lo sfotté ancora Gwaine mimando un inchino e poi avvicinandosi alla scrivania sulla quale aveva posato il cellulare dell’altro.

Prese il cellulare e lo porse all’altro.

Fu in quel momento che accadde, il momento in cui le loro dita si sfiorarono: una piccola scossa elettrica lo pervase.

Gwaine sussultò appena, sentendo la mano leggermente intorpidita.

Il calore che lo aveva invaso, nel momento in cui aveva sfiorato le dita di Kyle, si era diffuso in tutto il corpo, lasciandogli una sensazione rassicurante.

Durò un attimo e le loro dita si separarono. Gwaine non poté fare a meno di notare, con disappunto, come il calore fosse scomparso quando le loro dita si erano staccate.

Rimase un attimo perplesso e poi decise di lasciare Kyle alle prese con le sue telefonate. Il guardiano, troppo occupato a scorrere la rubrica, non lo aveva neanche guardato e Gwaine dubitava che anche lui avesse provato le stesse sensazioni.

Fu con un sospiro rassegnato, perciò, che si avviò in un'altra stanza senza degnare l’altro di uno sguardo.

Tuttavia, se avesse osservato Kyle, si sarebbe accorto della sua espressione dubbiosa.

Perché gli occhi di Kyle avevano seguito i suoi movimenti e ora apparivano perplessi, mentre guardavano la schiena di Gwaine uscire dalla camera.

 
***
 

“Ditemi esattamente cosa ci fate qui!” ripeté Merlino squadrandoli attenti.

“Dato che non credo vi interessi la musica o la danza” continuò poi, alzandosi e sedendosi leggermente sulla scrivania, mentre incrociava le braccia.

“Anche se, ammetto che sarebbe esilarante vedervi con il tutù, Sire” parlò ancora rivolgendosi, questa volta, solo ad Artù, mentre lo fissava con occhi di ghiaccio.

Trascorsero lunghi istanti di silenzio, dove tutti si guardarono perplessi.

Artù, in particolare, sentiva di non avere le parole adatte, considerando che, ancora una volta, i guardiani sembravano essere un passo avanti a lui.

Come rapportarsi, infatti, con questa nuova versione di Merlino?

Le parole di Louis e Phoenix iniziarono a rimbombargli nella testa producendo un rumore assordante, contrapposto all’assoluto silenzio nella stanza.

Teme Camelot, ricordandola come il suo periodo più buio, e teme il Re, scegliendolo come capro espiatorio.

Teme il Re scegliendolo come capro espiatorio.

Teme il Re!

Avevano ragione! Avevano ragione su tutto!

Però, Artù non aveva intenzione di tirarsi indietro. Non ora che aveva ritrovato l’altro, dopo lunghi anni di ricerche e fallimenti. Dopo lunghi anni di disperazione.

Sapeva che avrebbe dovuto combattere; la sua intera vita, anche quella passata, era stata un susseguirsi continuo di combattimenti.

Aveva combattuto contro sua sorella, contro suo zio e persino contro il suo stesso padre.

Erano state battaglie diverse dove, alcune erano state dettate dall’odio, altre da diversità di idee.

Non aveva mai esitato, infatti, a contraddire suo padre, quando lo aveva ritenuto opportuno.

Una persona che aveva amato e rispettato, ma con il quale aveva combattuto una vita intera, contro di lui e contro se stesso, per cercare di renderlo orgoglioso.

Lui aveva amato queste persone, tutte e tre. Ma l’amore non aveva impedito la nascita di scontri.

Allo stesso modo, aveva amato il suo popolo, per il quale aveva sempre cercato di combattere con onore.

Così come aveva amato Merlino. Così come amava Merlino.

Aveva sempre saputo che non sarebbe stato facile.

Sapeva di dover combattere anche in questa vita, di doverlo conquistare.

Sapeva di doversi rapportare a lui con la consapevolezza di cosa rappresentasse l’altro, come
sapeva anche che non gli sarebbe stato regalato nulla.

Sapeva di doversi dimostrare degno anche e soprattutto in questa vita.

Perché, se lui era tornato da Avalon con la verità chiara nella sua mente, l’altro non era andato mai via.

E Artù era consapevole del fatto che l’amore di Merlino verso gli altri fosse universale, perché lui amava tutti, incondizionatamente.

Lui era il bene.

Ma portava il male.

Nonostante tutto, in quel momento, si sentì vincente, perché finalmente sapeva contro cosa doveva combattere.

Aveva creduto di dover combattere contro un guardiano, il potente Kyle, per la conquista del suo cuore.

Ora, invece, finalmente capiva di dover combattere contro Merlino, per il suo stesso bene.

Doveva combattere contro Merlino per farsi accettare al suo fianco. Doveva combattere contro Merlino per poterlo amare e prendersi cura di Lui.

Gli equilibri dovevano essere riparati e Merlino non poteva continuare a essere logorato dal male.

Il diamante nero sembrava brillare minaccioso, mentre allontanava la mente e il cuore di Merlino dalla sua metà, ma Artù non aveva paura.

Perché finalmente capiva di essere la sola e unica metà dell’altro, di essere il solo a poterlo completare.

Era dovuto tornare da Avalon per avere questa verità chiara nella sua mente e ora avrebbe dovuto farlo capire anche a Merlino, che lo aveva sempre servito con lealtà, che gli aveva dato la sua più sincera e pura amicizia, senza chiedere nulla in cambio.

Finalmente, Artù capiva il complicato concetto di anime spaccate: quello che lui aveva provato in punto di morte e che poi aveva ricercato nella sua attuale vita, Merlino non lo aveva mai provato, perché non era mai andato via.

A Camelot, Merlino lo aveva considerato un amico; non a caso, aveva scelto Ginevra per accompagnare il Re. Un Re che, troppe volte, si era fidato delle persone sbagliate. Con accanto Ginevra, invece, Artù sarebbe stato accompagnato da qualcuno che non lo avrebbe mai tradito, che lo avrebbe sempre amato. Ecco che finalmente Artù comprendeva tutto, nella sua complessità.

Poi, Artù era morto e Merlino aveva visto i secoli scorrere davanti ai suoi occhi. E ora, con il diamante nero che esercitava il male, questa verità si allontanava ancora dalla sua mente.

Artù aveva capito quale fosse la natura del loro vero legame, Merlino no.

Merlino lo aveva lasciato come semplice amico. Merlino non aveva mai compreso la natura del loro vero legame.

Ma questa volta il Re non sarebbe stato fermo a guardare. Finalmente, sembrava che i ruoli fossero invertiti: ora, era il Re che comprendeva una verità nascosta agli occhi dell’altro. Ora, era il Re che avrebbe dovuto salvare l’altro.

E Artù non aveva paura.

Perché lui avrebbe vinto.
 

Continua…
 

Non ho molto da dire!

Incominciamo a leggere l’introspezione di Artù, che si rende conto della situazione che vive Merlino.

Come sempre, attendo ansiosa i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Alla prossima.

Pandora86
 

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Capitolo 41
*** Capitolo 41. Bene e Male ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 41. Bene e Male
 

“L’immortalità non è uno scherzo, ma a questo ci siete già arrivati” esclamò Lenn pensieroso congiungendo le mani.

Perce annuì con aria preoccupata.

Alla fine, gli aveva raccontato tutto: le loro scoperte della sera precedente, le sue preoccupazioni, il suo scambio di battute mattutino con Gabriel.

“Tuttavia, non conviene preoccuparsi di cose che ancora devono avverarsi” concluse con praticità.

“Sono stupito di come tu sia riuscito a tener testa a Gabriel” scherzò poi, sorridendo.
Perce scosse la testa.

“Soprassediamo” sussurrò poi, volgendo lo sguardo altrove.

“Guarda che il mio era un complimento” lo consolò Lenn.

Perce si prese la testa tra le mani.

“Come ho potuto rivolgermi a lui in quel modo?” chiese, più a se stesso che all’altro.

“Era quello che sentivi” lo consolò ancora Lenn.

“Lo ami, vero?” chiese poi dopo qualche istante con tono serio.

Perce alzò il capo, guardandolo sorpreso.

Cazzo!

Fu questa la prima parola che prese forma nella sua testa.

“Ecco” provò a rispondere senza sapere come continuare.

“È una domanda semplice” parlò ancora Lenn, guardandolo con occhi attenti, “che richiede una risposta ancora più semplice” ci tenne a precisare e Perce lo guardò stupito.

Nessuna traccia di sorriso sul volto di Lenn, nessuna espressione benevola che traspariva dai suoi occhi. Solo uno sguardo attento e scrutatore.

Uno sguardo da Guardiano.

E fu allora che Perce comprese il complicato concetto di ‘mente da guardiani’. Nessuno di loro aveva dimenticato come si faceva a essere un guardiano. Nessuno di loro aveva dimenticato come si faceva a guidare l’uomo.

Fu grazie allo sguardo di Lenn che Perce comprese la realtà dei fatti. Perché, nonostante Lenn fosse il più amichevole e gentile, non voleva dire che fosse quello più stupido o quello da poter ingannare.

Lenn rimaneva un guardiano nella mente, sempre e comunque.
E Perce doveva comprendere questo, se voleva stare accanto a Gabriel. Doveva capire chi aveva dinanzi.

In quel momento, Lenn gli aveva rivolto una domanda ben precisa, che richiedeva una risposta altrettanto precisa.

Una risposta che doveva essere sincera, perché Lenn non si sarebbe fatto ingannare da giri di parole o frasi sconnesse.

Fu per questo che Perce alzò il capo, guardando l’altro con occhi attenti.

“Sì” rispose senza mezzi termini. “Più della mia stessa vita”.

Fu allora che Lenn sorrise.

“Prenditi cura di lui” e non aggiunse altro.

Per quella mattina, non ci fu più bisogno di parole.
 

***
 

“Uscite fuori, per cortesia” disse Artù rivolgendosi a Leon, Lance ed Elian, mentre si alzava in piedi e fronteggiava l’altro, portando i loro occhi alla stessa altezza.

I tre lo guardarono stupito. Merlino, invece, a quelle parole, inarcò le sopracciglia mentre le labbra assumevano una linea sprezzante.

Era arrabbiato. Molto arrabbiato, non ci voleva un indovino per capirlo.

“Fate quello che vi ho detto!” tuonò il Re, con voce imperativa.

Lance fu il primo ad alzarsi e a invitare gli altri, con un cenno del capo, a fare lo stesso.

Si avviarono alla porta senza una parola o un cenno, cercando di fare meno rumore possibile.

Solo per un istante, gli occhi di Merlino e Lance si incontrarono.

Fu in quell’istante che Artù scorse negli occhi del mago una traccia di malinconia che, però, durò solo un attimo.

D’altro canto, Artù sapeva che Lance era stato il suo unico amico, quello più vero; quello che non lo aveva mai denunciato.

Sicuramente, Merlino non covava verso Lance quello che sembrava covare verso tutti gli altri: rabbia cieca.

Fu solo quando rimasero nuovamente soli che Merlino tornò a guardarlo negli occhi. Aveva osservato la schiena di Lance uscire dalla stanza, perso in chissà quali complicati pensieri.

E ora, rivolgeva nuovamente il suo sguardo a lui: negli occhi, era nuovamente comparsa la rabbia.

Artù deglutì ma non abbassò lo sguardo. Oramai, che l’altro fosse sul piede di guerra lo aveva capito. Doveva solo imporre a se stesso di mantenere la calma e cercare, se possibile, di non farlo irritare ulteriormente.

Artù era dalla sua parte e le sue intenzioni erano le migliori di questo mondo. Ora, doveva solo cercare di farlo capire all’altro.

Non voleva, infatti, litigare con Merlino, dopo anni che non si vedevano. O dopo secoli, nel caso del mago.

No! Non era questo, quello che voleva!

Fu per questo che, quando parlò, lo fece con il suo migliore tono rassicurante e con uno sguardo amichevole.

“Mi dispiace averti interrotto mentre lavoravi!” esclamò con un sorriso e con gli occhi che gli pizzicavano appena per la commozione.

In fondo, nonostante lo sguardo cupo del mago, Artù non poteva fare a meno di essere felice del fatto che Merlino fosse lì, davanti a lui.

Merlino lo guardò perplesso, mentre si umettava le labbra.

Artù notò quel gesto, gesto che apparteneva al modo di fare dell’altro anche in tempi remoti, e allargò istintivamente il sorriso.

“Avete battuto la testa da qualche parte, Sire?” domandò ghignando il mago.

Ancora quel tono. Ancora quell’appellativo pronunciato con sarcasmo. Ancora quella forma colloquiale antica, nonostante i tempi moderni.

Merlino lo faceva apposta a dargli del voi.

Merlino voleva fargli capire che non aveva dimenticato e che non lo avrebbe fatto mai.

In quel modo, voleva fargli capire che la cosa essenziale per lui era mantenere le distanze, perché Merlino lo considerava un nemico.

“Perché dici questo?” chiese Artù con cautela, mantenendo comunque il sorriso sulle sue labbra.

Era evidente che l’altro stesse cercando di provocarlo ma Artù non avrebbe ceduto. Gli avrebbe dimostrato che non era più il principe arrogante di secoli addietro. Gli avrebbe dimostrato di essere diventato un uomo calmo e ragionevole, pronto alla parola e allo scambio di idee.

“Venite qui” rispose Merlino portandosi la mano al mento, “disturbate le lezioni, interrompete il mio lavoro e poi vi scusate” e lo guardò con evidente ironia. “Cielo, il mondo deve stare per finire” concluse con sarcasmo.

“Anche se, ammetto che il vostro dizionario sembra più ampio rispetto a secoli addietro” continuò ghignando.

“Avete aggiunto la parola: scusa” e terminò con tono più freddo del ghiaccio mentre gli occhi si rivolgevano a lui rabbiosi come non lo erano mai stati in passato.

“Mi dispiace” disse ancora Artù.

Tutte le sue colpe passate sembravano schiacciarlo e mai, come in quel momento, gli erano sembrate più pesanti. Sapeva di essere sempre stato un intralcio per l’altro.

Perché Merlino, nonostante provasse per lui la più sincera e pura amicizia, aveva comunque passato la sua giovinezza a dibattersi tra mille cose, cercando anche di adempiere i suoi doveri senza farsi scoprire.

Però, se non poteva cambiare il passato, era comunque intenzionato a modificare il presente e, di conseguenza, anche il futuro che sarebbe venuto.

In quel momento, provò le stesse sensazioni che aveva sentito in punto di morte. La stessa consapevolezza di quanto l’altro avesse fatto per lui, senza mai chiedere nulla in cambio.
 

In tutti questi anni, Merlino, non hai mai cercato di veder riconosciuti i tuoi meriti, nemmeno una volta!

Non è per questo che lo faccio!
 

Queste erano state le battute di uno dei loro ultimi dialoghi.

La semplicità nello sguardo di Merlino, quando gli aveva dato quella risposta, era stata disarmante e Artù si era sentito piccolo rispetto a quello che credeva il suo servitore.

Perché Artù era piccolo di fronte all’uomo che aveva dinanzi.

Un uomo che non aveva mai cercato ringraziamenti. Un uomo che non aveva mai visto riconosciuti i suoi meriti, nemmeno una volta. Almeno, fino a quando Artù era rimasto in vita.

Un uomo che aveva lottato contro il male, cercando appiglio e forza solo in se stesso.

Un uomo che era logorato da tutto il male che aveva ricevuto.

Male che si era amplificato nel corso dei secoli.

Ora Artù capiva perché il diamante nero avesse amplificato determinate paure anziché altre.

Quelle paure non le aveva create il diamante, le aveva solo amplificate. Paure che Merlino, in fondo, doveva aver sempre provato.

La paura di non sentirsi accettato, la paura di essere considerato un mostro.

Solo che queste paure erano sempre state sconfitte dalla speranza: speranza che le cose, prima o poi, sarebbero cambiate. La speranza di vedere un mondo migliore, sotto la guida di un re giusto.

Ora invece, con il diamante nero che esercitava il male, queste paure non avevano uno sfogo se non, per l’appunto, la persona che Merlino aveva dinanzi. Persona verso la quale sembrava intenzionato a scaricare tutta la sua rabbia.

Fu in quel momento che Artù comprese un pizzico della complicata psicologia dell’altro.

Fu in quel momento che sentì del calore provenire dalla sua tasca dei pantaloni, dove aveva poggiato il diamante bianco.

Calore confortante che lo incoraggiava e che gli donava una calma e una lucidità che Artù non credeva di possedere.

Calore che, mentre guardava il ghigno cattivo di Merlino, si traduceva in amore.

La voce dell’altro lo riscosse dalle sue riflessioni.

“Vi dispiace per cosa, esattamente?” domandò duro.

E Artù non ebbe dubbi su quale fosse la risposta giusta da dare.

“Mi dispiace” ripeté ancora. “Per tutto”.

Fu in quel momento che gli occhi di Merlino vacillarono appena e lo osservarono con curiosità.

Anche se Artù non aveva la facoltà di leggere i pensieri dell’altro, era evidente che Merlino si stesse domandando chi aveva dinanzi, almeno a giudicare dall’espressione dubbiosa che ora gli stava rivolgendo.

Perché se Artù aveva davanti una versione inedita di Merlino, anche per il mago doveva essere lo stesso.

In ogni caso, giocavano ad armi pari. Nessuno dei due, infatti, era abituato al comportamento dell’altro, nonostante la loro conoscenza passata.

“Come avete fatto a trovarmi?” chiese a quel punto Merlino con un’espressione severa ma meno
dura.

Artù sorrise.

“Non è colpa mia se Klause Badelt ci ha sempre snobbato” rispose con fare amichevole.

“Sono andato a curiosare sul suo sito web” rivelò allora, riportando una parte della verità.

Merlino annuì pensieroso sospirando appena. D’altro canto, era vero quello che diceva il Re. Con il passare dei secoli, Merlino si era creato un cognome importante, gestendo un impero ancora
più importante.

Con il passare dei secoli, si era creato sempre più maschere, impersonando l’intera famiglia Badelt. E ora, nel secolo attuale, era Klause Badelt, un uomo molto diverso dal suo modo di essere. Un uomo sicuro e arrogante, ricco e presuntuoso. Un uomo che non provava nulla verso gli altri, un uomo che non soffriva per un rifiuto perché, Klause Badelt, rifiuti non ne riceveva.

L’uomo che avrebbe voluto essere.

Era fon troppo scontato che il Re, nell’attualità uno dei più noti imprenditori di Londra – definito dai giornali locali e nazionali come il genio della finanza – provasse a scoprire perché le imprese Badelt non cercassero mai punti d’incontro con le imprese Pendragon.

Nonostante il Re avesse un cognome diverso nel secolo attuale, questo era il nome che aveva scelto per le sue imprese quando le aveva rilevate, appena cinque anni prima, sull’orlo del fallimento.

Da lì in poi, era stata tutta una strada in ascesa, costellata di successi per il più talentuoso e giovane imprenditore della Bretagna.

“Scommetto che stava per venirvi una sincope, quando avete curiosato sul mio sito web” ironizzò Merlino scuotendo la testa.

“Avrei tanto voluto vedere la vostra faccia” e ridacchiò appena, ritornando serio qualche istante dopo.

Artù sorrise a sua volta. Per il momento, se la stava giocando abbastanza bene.

Nonostante l’altro fosse ancora sul piede di guerra, sembrava leggermente più ben disposto.

Nonostante tutto, Artù non aveva intenzione di abbassare la guardia.

Non aveva intenzione di dare l’altro per scontato. Quell’errore lo aveva già fatto nella sua vita precedente ed era intenzionato a non ripeterlo mai più. Anche perché Merlino, nonostante tutto, si ostinava a dargli del voi, segnando, in questo modo, un confine tra loro che non aveva intenzione di valicare e che Artù stesso non doveva oltrepassare.

Proprio come con quel Mike, con il quale Merlino, sotto le spoglie di Klause Badelt, aveva stabilito un confine ben preciso nel loro rapporto.

Anche con lui, Merlino aveva stabilito le basi della loro conversazione e il Re si sarebbe dovuto attenere a quelle e a null’altro.

Merlino si stava presentando a lui come Klause Badelt e non aveva intenzione di rinunciare ai privilegi che gli garantiva questo nome, nonostante Artù conoscesse la sua identità. Anzi, la personalità di Klause Badelt era sicuramente più marcata nei suoi confronti proprio perché Artù sapeva che c’era dell’altro – molto altro – e Merlino temeva la conoscenza che aveva il Re.

“Beh, ci sei andato vicino!” si ritrovò a dargli ragione.

“Quanto mi avete detestato come Klause Badelt?” indagò Merlino con occhi attenti e un sorriso sghembo.

Artù ascoltò il suono della sua voce, desiderando che parlasse ancora. Ascoltarlo parlare, con quell’accento fuori dal tempo ma comunque non antiquato, con quelle espressioni e quei toni bassi e profondi, ma comunque molto eleganti, era un toccasana per la mente e per il corpo.

Quanto aveva desiderato ascoltarlo nuovamente?

“Diciamo che ho sempre saputo quanto sarebbe stato difficile avvicinare il genio del palcoscenico” rispose Artù allargando il sorriso.

Merlino inarcò un sopracciglio.

“Ma che risposta diplomatica, Sire” non mancò di provocarlo mentre Artù incassò l’ennesima frecciatina senza battere ciglio ma continuando a mantenere un’espressione calma e sorridente.

“Io, comunque, stavo lavorando” riprese Merlino. “Sapete, qualcuno dovrà pur mandare avanti questo posto” e si mordicchiò le labbra.

Labbra che Artù avrebbe voluto mordere e vezzeggiare. Labbra sulle quali Artù sognava di tuffarsi, senza lasciarle andare più.

“A differenza di qualcuno” e marcò la parola, “che si adagia sul lavoro altrui” e assunse un’espressione sdegnata.

“Suppongo che tu abbia ragione” affermò Artù, senza però cogliere l’invito sottinteso dell’altro a togliere le tende.

“E allora, cosa ci fate ancora qui?” domandò Merlino perplesso.

“Devo mettere un cartellone, per rendervi chiaro il concetto: sono impegnato?” chiese ancora.

“No!” rispose sicuro Artù, decidendo di giocarsi quella possibilità fino in fondo. “Devi garantirmi che ci rivedremo stasera, quando avrai finito di lavorare” e fissò l’altro con occhi carichi
d’aspettativa.

“Per quale motivo?” indagò Merlino mentre gli occhi assumevano una linea sospettosa.

“Parlare di lavoro?” propose Artù cercando di dissipare, in questo modo, il sospetto dell’altro.

D’altro canto, era meno pericoloso cercare di rapportarsi da imprenditore a imprenditore,
anziché da Re a Mago.

“Ho dei piani d’azione che potrebbero interessarti e da cui, entrambe le imprese, potrebbero trarne beneficio” concluse con l’aria dell’affarista sicuro che tanto lo contraddistingueva.

“Non crede che dovrebbe almeno ascoltarmi, signor Badelt?” domandò con un sorriso sghembo.

“Suppongo di sì” rispose Merlino lentamente mentre lo fissava perplesso e Artù gioì dentro di sé.

Non aveva intenzione di scavalcare la posizione dell’altro o di metterlo in ombra. Voleva semplicemente rapportarsi a lui con semplicità e cognizione di causa.

Aver chiamato Merlino con il cognome che si era scelto sembrava, in un certo qual modo, aver rassicurato il mago.

Artù, in questo modo, gli faceva chiaramente capire che intendeva rapportarsi con Klause Badelt, una posizione che sembrava dare sicurezza all’altro. Una posizione che l’altro aveva costruito faticosamente e che Artù aveva tutta l’intenzione di rispettare.

Perché Merlino era Klause Badelt, un uomo che aveva classe, talento e sicurezza. Klause Badelt era un nome che usava per proteggere se stesso dalla sua troppa bontà ed empatia verso tutto ciò che lo circondava.

Un nome che era diventato una maschera per coprire tutto il dolore che aveva vissuto e che, sicuramente, viveva ancora.

“Posso raggiungerti a casa tua, all’orario che preferisci, Klause” disse ancora Artù, usando il nome che tanto rassicurava l’altro.

Perché mai una volta aveva pronunciato il suo vero nome, un nome diventato antiquato e ridicolo nel corso dei secoli, che mai nessuna persona avrebbe pensato di mettere al proprio figlio.

No, Artù, questo nome, non lo aveva mai pronunciato ad alta voce in quella conversazione, e mai lo avrebbe fatto, a meno che non fosse stato l’altro a dargli il permesso.

Permesso che avrebbe ottenuto, prima o poi. Permesso che era disposto ad aspettare, pur di non veder l’altro svanire proprio quando lo aveva ritrovato.

Perché Merlino, nonostante tutto, doveva essere aiutato, questo ad Artù era evidente.

Le contraddizioni nella sua testa, a causa del diamante che portava, dovevano essere milioni.

Nonostante si fosse rapportato a lui come Klause Badelt, continuava a dargli del voi chiamandolo ‘Sire’, segno che non voleva dimenticare cosa Artù rappresentasse.

D’altro canto, Artù capì in quel momento di aver compiuto un azzardo a incontrare l’altro senza cognizione di causa. Perché Merlino, ringraziando il cielo, aveva mantenuto il controllo, sia davanti a quel Mike che davanti alla segretaria. Tuttavia, faticava a rapportarsi con il Re mantenendo lucidità.

Perché Merlino portava il diamante nero che, mai come in quel momento da quando era cominciata la loro conversazione, era sembrato più minaccioso.

Il diamante nero era il male. Il diamante nero esercitava il male. Sempre. Costantemente.

Senza mai dare una pausa a colui che lo indossava.

Finalmente Artù capì che era l’altro ad aver bisogno di aiuto. Capì che il tempo degli scherzi era finito, perché l’altro correva seri rischi e non avrebbe potuto continuare così ancora per molto.

Percepì ancora il calore confortante provenire dal diamante bianco e si sentì rincuorato. Perché finalmente, sapeva cosa fare.

Notò che l’altro non aveva ancora risposto alla sua domanda e fu con il suo sorriso più sincero che si rivolse a lui.

“Quindi?” chiese con tranquillità.

 “A casa mia?” domandò Merlino scettico e Artù vide il dubbio serpeggiare nei suoi occhi.

Che fosse contrariato era palese. Tuttavia, non aveva rifiutato perché non poteva rischiare che le imprese, e tutti quelli che ci lavoravano, si lasciassero sfuggire un’ipotetica occasione d’oro.

No! Merlino, anche in questo, non era cambiato. Nonostante la maschera di Klause Badelt aleggiasse tra loro, Artù riuscì a scorgere le tracce del vero Merlino. Tracce che l’altro, cercava faticosamente di nascondere e soffocare.

Merlino non era cambiato e cercava di fare sempre la cosa giusta, che fosse per Camelot – parlando di tempi remoti, o che fosse per le imprese Badelt – parlando di tempi moderni.

Nonostante non vedesse l’ora di incenerirlo con lo sguardo – e Artù sapeva che ne sarebbe stato letteralmente capace – cercava di scendere a compromessi con se stesso, mettendo da parte le antipatie per il bene delle imprese che gestiva.

D’altro canto, Artù aveva proposto la casa dell’altro perché, sicuramente, nella sua immensa villa, si sarebbe sentito al sicuro dal pericolo che il Re rappresentava per lui, almeno nella sua testa.

Però, non sembrava disposto a farlo entrare nella sua casa, ritenendolo un confine da non oltrepassare.

“Scegli tu dove!” propose allora Artù con diplomazia.

“Vi contatto io” disse a quel punto Merlino.

“Quanto a voi, Sire, cercate di avere quei piani pronti per stasera, alle otto in punto!” ordinò perentorio.

“A Klause Badelt non piacciono le prese in giro” aggiunse squadrandolo con severità mentre le labbra assumevano una linea sdegnata.

“Non c’è problema!” affermò Artù sicuro, avviandosi alla porta.

Solo un cenno di saluto con il capo – che l’altro non ricambiò – prima di uscire.

 Non aveva teso la mano; dubitava, infatti, che l’altro l’avrebbe stretta volentieri. Così come non aveva dimenticato quando, durante il loro primo incontro, non avesse gradito il contatto che c’era stato fra loro.

Inoltre, sapeva di potersi fidare. Se l’altro aveva detto che lo avrebbe contattato, allora lo avrebbe fatto sicuramente.

Lui, d’altro canto, non aveva tempo da perdere. C’erano dei progetti da preparare; progetti che dovevano essere impeccabili e che avrebbero dovuti essere pronti a breve.

Non aveva importanza che quella fosse stata una balla; era o non era il genio della finanza?
 

Continua…
 

Note:
 

In questo capitolo, Artù capisce una cosa fondamentale: la differenza sostanziale tra Merlino e Klause Badelt.

Klause Badelt non è altro che la maschera di un uomo creata da Merlino per difendere se stesso dal passare dei secoli. Per questo, il re si approccia al mago nel suo ruolo di imprenditore; sa che l’altro non è ancora pronto a toccare tasti che riguardano Camelot. Non ha, infatti, dimenticato i rischi che corrono il corpo e la mente del mago in sua presenza.

Inoltre, arriva anche a un’altra verità fondamentale; e cioè che Merlino, a Camelot, non si è mai accorto di amarlo, proprio per la sua ingenuità e bontà. Lo ha lasciato come amico e, anche se non fosse sotto l’influenza del diamante nero, come tale lo considererebbe. Un amico importante, il più importante, ma comunque un amico. Questa cosa, tra l’altro, l’avevo anticipata anche nei primi capitoli quando i guardiani, stendendo le linee temporali, affermano che Merlino non avrà problemi a fare di Ginevra la sposa di Artù ma che, al contrario, ne sarà felice, proprio perché non è tempo che comprenda la natura del loro vero legame. I tempi, nel ventesimo secolo invece, sono giunti e tocca ad Artù combattere contro i fantasmi del Mago.

Comunque, l’introspezione di Merlino, fino ad ora, non è stata toccata di proposito, proprio per questi motivi.

A questo proposito, non credo di dover mettere l’avvertimento OOC, dato che Merlino, in questa storia, è sotto l’influenza del diamante nero e recita il ruolo di Klause Badelt. Inoltre, anche senza questa influenza negativa, credo sia verosimile che sia cambiato un poco in mille anni (basti pensare al cambiamento avvenuto in Morgana nella serie in poco più di un anno, anche se qualche accenno su quello che sarebbe diventata ci viene dato quasi da subito) e che abbia cercato di costruirsi delle realtà che vadano oltre la magia, visto e considerato che ci sono i guardiani che lo hanno accompagnato e istruito.

Inoltre, come ho accennato nei capitoli precedenti, Merlino non si aspettava un reale ritorno del Re dato che molte cose nella storia non sono andate come erano previste.

Per quanto riguarda Artù, invece, ho cercato di renderlo somigliante all’ultima puntata.

In ogni caso, dato il viaggio che hanno compiuto i due personaggi nella storia – chi in un corpo, chi sotto forma di energia – credo sia abbastanza verosimile qualche cambiamento caratteriale.

Comunque, se credete debba mettere l’avvertimento, fatemi sapere. Io non l’ho messo perché la serie televisiva non da effettive indicazioni di come sia Merlino nel futuro e questa fic è tutta ambientata nel futuro, a parte i capitoli necessari a inserire i guardiani. Inoltre, nella serie, Merlino e Artù si lasciano da amici (almeno ufficialmente). Merlino, come Artù ha capito nel capitolo precedente, qualora riuscisse a controllare il diamante nero, rimarrebbe comunque legato al ricordo di ‘amico’. Nella mia fic, infatti, sarà compito del Re, nel futuro, far capire al Mago la natura del loro vero legame.

In ogni caso, se ritenete ci voglia l’avvertimento OOC, lo metterò subito!

Come sempre, aspetto i vostri pareri.

Spero, in ogni caso, che vi stia piacendo come sto gestendo il tutto.

Nel frattempo, grazie a chi è arrivato fin qui.

Ne approfitto, inoltre, per fare a tutti gli auguri di Buon Natale, anche se un po’ in anticipo.

Al prossimo aggiornamento.

Pandora86
 

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Capitolo 42
*** Capitolo 42. L'altra faccia della Conoscenza ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 

Capitolo 42. L’altra faccia della Conoscenza
 

“Spiegami perché hai fatto una cosa del genere” ordinò autoritario Gabriel mentre fissava Kyle con occhi indagatori.

“Oh, vedo che il cavaliere non ha perso tempo e ha chiamato i rinforzi” ironizzò Kyle omettendo la domanda.

“Evidentemente, mi teme più di quanto sia disposto ad ammettere” e rise cattivo.

“Il povero cavaliere, senza macchia e senza paura, non vuole rimanere da solo con il cattivo e potente Kyle” continuò il suo monologo.

“Non hai risposto alla domanda” incrociò le braccia Gabriel, non facendosi fuorviare dalle abilità oratorie dell’altro.

“Nessun motivo in particolare” sbuffò Kyle. “Gli esseri umani sembrano essere attratti in maniera morbosa da questo genere di pratiche” concluse con indifferenza guardandosi le unghie del braccio sano.

“Tu piuttosto, perché sei qui?” domandò poi.

Gabriel lo fissò come se si trovasse davanti a un idiota.

“E poi” continuò Kyle squadrandolo attento, “mi sembra che tu ci abbia messo molto poco ad arrivare, considerando che il cavaliere deve averti chiamato non più di cinque minuti fa” e ghignò.

“Se mi arriverà una multa, sarai tu a pagarla” non si scompose Gabriel rimanendo impassibile.

“E da quando, fanno le multe ai pedoni?” domandò Kyle con un sorriso furbo.

“Ah, Gabrielino” cantilenò, “pensi davvero sia possibile nascondermi qualcosa?” domandò cattivo.

“Penso che tu sia un idiota” rispose Gabriel senza mezzi termini capendo perfettamente il gioco dell’altro.

Cambiare argomento per non parlare di sé. Strategia fin troppo scontata ma se Kyle pensava che lui se la sarebbe bevuta così facilmente, allora si sbagliava di grosso.

“E fare insinuazioni su di me” continuò, marcando pericolosamente le parole, “non servirà ad allontanarmi dall’argomento principale” e lo guardò severamente.

“Quale argomento, scusa?” chiese Kyle con il suo migliore tono innocente.

Gabriel guardò gli occhi, fintamente spaesati dell’altro, considerando che non lo batteva nessuno a ipocrisia.

“Sono convalescente” aggiunse Kyle con tono fintamente stanco.

Gabriel ghignò.

“Giusto!” affermò con un sorriso che avrebbe fatto accapponare la pelle a chiunque.

“Allora ti lascio alla tua convalescenza” e inarcò un sopracciglio mentre le labbra assumevano una piega sarcastica.

“In fondo” disse ancora Gabriel avvicinandosi alla porta, “sei in buona compagnia!” e uscì.

“Grazie tante” urlò Kyle per risposta, sapendo che l’altro l’avrebbe sentito.

“Questa me la paghi” urlò ancora sentendo la rabbia crescere.

Pessima idea quella di urlare, considerato la fitta che arrivò direttamente dalle costole. Fitta che non fece altro che accrescere la rabbia di Kyle che si sentiva, per la prima volta in tutta la sua lunghissima vita, impotente e in balia degli eventi.

“Gabriel, sei un pezzo di merda!” urlò nuovamente, portandosi il braccio sano alla pancia per il dolore.

“Non credo ti abbia sentito” rispose Gwaine che entrò nella stanza in quel momento. “È già andato via” spiegò, guardando Kyle con occhi attenti.

“E tu non hai perso tempo a chiamarlo” lo provocò Kyle. “Ti faccio così paura?” e sorrise cattivo, mostrando una fila di denti bianchissimi.

“L’ho chiamato perché ti serviva un medico” rispose Gwaine, perdendo leggermente la calma.

“Sai com’è, sarebbe stato difficile spiegare al medico di turno del pronto soccorso perché i tuoi occhi fossero d’oro” gli spiegò, sentendo la rabbia crescere.

“E poi” continuò, guardandolo con occhi carichi d’ira, “non sei così spaventoso come credi, caro il mio guardiano”.

“E adesso dimmi perché hai fatto una cosa del genere” ordinò, sentendo svanire la sua misera pazienza.

Tutta la preoccupazione, tutte le paure accumulate saltarono fuori.

Perché Kyle non aveva la minima idea di quanto si fosse preoccupato Gwaine, quando il guardiano dormiva.

Perché Kyle non aveva la minima idea del terrore che aveva provato Gwaine quando il guardiano aveva aperto gli occhi, domandandosi quali fossero le reali condizioni psicologiche dell’altro.

Lo spettro della sua presunta follia aveva aleggiato tra loro per tutto il tempo, senza lasciare Gwaine in pace un solo istante.

E Kyle, di questo, non aveva la minima idea.

No, Kyle non aveva la minima idea di niente, proprio di niente. E ora, se ne usciva con le sue provocazioni come se nulla fosse.

No! Gwaine sentiva di non poter sopportare oltre. L’altro voleva litigare? Bene! Avrebbe trovato pane per i suoi denti.

“Non mi hai risposto” parlò ancora Gwaine, indurendo il tono e avvicinandosi all’altro.

Era in piedi, di fronte al guardiano, e la sua posizione gli dava un certo vantaggio, considerata l’immobilità a cui Kyle era costretto.

Per la prima volta, era il cavaliere a guardare il guardiano dall’alto in basso. Per la prima volta, era il cavaliere a sentire l’insensata voglia di insultare l’altro per la sua stupidità.

“Mi hai appena dato un ordine?” chiese Kyle perplesso, che aveva seguito quell’improvviso scatto d’ira con occhi attenti e scrutatori.

“Ti ho fatto una domanda” non si arrese Gwaine, portandosi le mani ai fianchi e guardandolo come se fosse un’idiota.

Passò qualche istante, dove il silenzio regnò sovrano. Solo due sguardi attenti che si scrutavano l’un l’altro, cercando di carpire chissà quali segreti.

Solo due paia d’occhi che, mai prima di quel momento, si erano fissati in quel modo.

Perché Gwaine non aveva mai effettivamente notato quanto fossero verdi e brillanti gli occhi del guardiano.

Perché Kyle, allo stesso modo, non aveva mai notato quanto fossero carismatici ed espressivi gli occhi del cavaliere.

No! Quegli occhi non si erano mai veramente incontrati. Quei volti non si erano mai rispettivamente osservati.

“Perché ti sei fatto conciare in quel modo?” chiese Gwaine, dopo qualche minuto, con tono più calmo, andando a sedersi sul letto dove l’altro era steso.

“Come ho detto a Gabriel, gli esseri umani sembrano provare un’attrazione morbosa verso questo genere di abitudini” rispose Kyle con disinvoltura. “Volevo provare, tutto qui!” concluse con una scrollata di spalle.

Nel frattempo, però, non poteva fare a meno di riflettere sul tono che Gwaine aveva usato con lui.

Non poteva fare a meno di pensare a quegli occhi di fuoco che lo avevano fissato severi.

Occhi che gli avevano causato un lungo brivido lungo la schiena. Era durato un solo istante ma
Kyle lo aveva sentito chiaramente, il brivido che era serpeggiato lungo la colonna vertebrale.

Kyle aveva molte cose a cui pensare.

Non poteva fare a meno di riflettere sullo scatto d’ira del cavaliere. Che il cavaliere fosse una testa calda, il guardiano lo aveva appurato già da un po’.

Eppure, se si vedeva oltre lo scatto d’ira e i toni scocciati, Kyle riusciva a scorgere la preoccupazione, per nulla nascosta, che traspariva dai suoi occhi.

Il cavaliere non si era approfittato della sua posizione di superiorità, considerando l’immobilità cui Kyle era costretto. No, niente di tutto questo.

Era solo arrabbiato. Molto arrabbiato.

Rabbia! Questo, avevano trasmesso gli occhi del cavaliere. Occhi che, per appena qualche decimo di secondo, gli avevano fatto venire la pelle d’oca.

D’altro canto, Kyle sapeva che l’arrabbiatura dell’altro non era dovuta solo al fastidio di esserselo trovato in casa all’improvviso. O meglio, sotto casa, se si voleva essere precisi!

No! Kyle sapeva che non era questo il motivo. Aveva trascorso troppo tempo tra gli esseri umani, per pensare una cosa del genere.

E, anche prima di divenire parte integrante di un mondo mortale, li aveva studiati troppo bene nel suo mondo d’origine per farsi ingannare.

Il cavaliere era arrabbiato perché spaventato.

Da cosa, questo Kyle non lo aveva ancora capito. Forse, quando Gabriel lo aveva visitato, aveva prospettato una situazione più tragica di quella che in realtà si era presentata.

Eppure, Kyle sapeva anche che Gabriel era un ottimo medico, proprio per il suo sangue freddo e la sua oggettività.

Di certo, conoscendolo, non si era per nulla scomposto di fronte a un braccio rotto e qualche costola incrinata.

No! Gabriel non poteva aver mostrato preoccupazione per una situazione medica così banale, considerando soprattutto come la capacità di ripresa dei loro corpi fosse più veloce rispetto a quella degli esseri umani.

Ma allora, se Gabriel non aveva detto nulla che potesse far preoccupare, perché il cavaliere era così spaventato?

Perché, la sua, era la classica arrabbiatura nata in seguito a uno spavento forte.

Notò, con la coda dell’occhio, una coperta gettata alla rinfusa sulla poltrona accanto al suo letto.

Non ci volle molto per capire che Gwaine doveva aver passato la notte accanto a lui e questo era un altro dato che confermava la sua ipotesi.

Perché Gwaine aveva passato la notte accanto a lui, sapendo che non si sarebbe svegliato?

Perché sicuramente Gabriel aveva anche detto quanto fosse deleterio l’alcol per il loro sistema nervoso.

Era stato quello, in realtà, a farlo dormire tanto. Inoltre, Kyle escludeva che Gabriel avesse predetto un suo risveglio durante la nottata. Era un medico troppo competente, fin troppo se si considerava come avesse applicato i suoi studi alla nuova struttura dei loro corpi, per dire una sciocchezza del genere.

Quindi, rimaneva ancora la domanda principale: perché?

Inoltre, quando le loro dita si erano sfiorate… che cos’era quell’energia che aveva avvertito sui polpastrelli?

Era collegata all’alcol, che ancora serpeggiava nel suo sangue alterandogli leggermente i sensi, oppure era dovuta ad altro?

E se era dovuta ad altro, allora di cosa si trattava?

E Gwaine, invece? Aveva sentito lo stesso?

“Perché?” domandò a quel punto, con tono serio.

Nessuna traccia di scherzo sul suo volto, nessuna espressione di burla che traspariva dai suoi occhi.

Solo interesse… lo stesso interesse che aveva sempre provato per i comportamenti degli esseri umani.

Solo curiosità… la stessa curiosità che nasceva da una cosa che non si riesce a spiegare.

Perché Kyle era una mente oggettiva e pragmatica. E sapeva fin troppo bene che, per rispondere a un quesito, era necessario andare direttamente alla fonte delle informazioni.

Era questo il criterio con cui aveva sempre assolto il suo compito di Guardiano Stratega.

Era questo il criterio su cui aveva basato la sua intera vita.

Conoscere per manipolare.

Manipolare un documento, un essere umano o un mondo. Tutto, per arrivare alla conoscenza.

Conoscenza che andava a finire nell’immensa biblioteca di palazzo del suo mondo d’origine.

Perché tutti i Guardiani necessitavano di informazioni. E lui, queste informazioni, le serviva su un piatto d’argento, e le otteneva senza sforzi con strategie più che brillanti.

Lui, queste informazioni, le governava e le custodiva come i suoi tesori. Il tesoro della conoscenza.

“Perché cosa?” domandò Gwaine.

Kyle lo fissò per un istante, distogliendosi dalle sue riflessioni. Il cavaliere sembrava non capire.

Eppure, la domanda era stata semplice.

“Perché mi hai aiutato?”riformulò allora la domanda il guardiano.

Nella sua testa, le ipotesi erano poche. In genere, secondo le sue conoscenze, gli esseri umani raramente facevano qualcosa disinteressatamente.

A ogni azione, corrispondeva una reazione, sempre e comunque.

Cosa si aspettava, quindi, il cavaliere?

Le cose che poteva ricevere – o che si aspettava di ricevere, in quel caso – erano molte.

Ma quale sarebbe stata la sua richiesta?

Fu allora che Gwaine lo guardò con una faccia scioccata, mentre sgranava gli occhi.

“Cosa?” domandò allibito.

Kyle lo guardò con aria perplessa.

“Voglio sapere cosa ti aspetti in cambio dell’aiuto datomi” gli chiarì il suo pensiero il guardiano.

Il tono non era sprezzante, né sdegnato. Stava semplicemente ponendo una domanda. Una
domanda normale, per il modo di pensare di Kyle.

Una domanda che ebbe il potere di scatenare nuovamente l’ira di Gwaine, che sentì la rabbia crescere a dismisura.

“Si può sapere che cazzo dici?” imprecò contro l’altro.

“Voglio solo sapere perché mi hai aiutato!” esclamò nuovamente Kyle mentre negli occhi serpeggiava il dubbio.

Perché il cavaliere si comportava in quel modo?

Eppure, mai come questa volta, gli aveva semplicemente fatto una domanda. Perché reagiva così male? Non lo aveva offeso, una volta tanto! Perché, quindi?

Fu questo, quello che domandò.

Gwaine guardò Kyle non sapendo cosa fare. Scosse la testa, considerando quanto fosse inutile innervosirsi. Anche perché, in quel momento, Kyle sembrava veramente in difficoltà nel capire un concetto così semplice.

Fu questo pensiero che, probabilmente, fece sbollire la rabbia di Gwaine.

Sospirò, mentre scuoteva la testa, rassegnato a spiegare una cosa così ovvia.

Non riusciva a capire cosa pensasse Kyle. Non riusciva ad afferrare il bandolo dell’ingarbugliata matassa rappresentata dalla psicologia contorta dell’altro.

A quel punto, visto che avevano seri problemi di comprensione su una cosa così banale, non restava altro da fare che provare a parlare pacificamente.

“Cosa avrei dovuto fare, secondo te?” gli domandò, sinceramente interessato alla risposta.

“Lasciarmi dove mi trovavo” rispose con semplicità il guardiano con una scrollata di spalle, guardando l’altro come se fosse un bambino capriccioso che si ostinava a dire che due più due faceva sette.

“Se non ti interessava ricevere nulla in cambio, perché mai avresti dovuto aiutarmi?” domandò ancora il guardiano, chiarendo i suoi pensieri.

“Inoltre” aggiunse, “non credo di essere in cima alla tua lista di persone simpatiche” concluse, guardando l’altro, attentissimo a non perdersi nessuna sua reazione.

Gwaine scosse nuovamente la testa sconsolato. Come aveva ipotizzato, Kyle non conosceva gli esseri umani. Li aveva studiati, etichettati, catalogati e manipolati. Ma non li aveva mai realmente conosciuti. Fu per questo che, quando rispose, lo fece con tono calmo e paziente.

“Anche se non mi sei simpatico” gli chiarì, “non ti avrei comunque lasciato in balia di quei tre!”.

“Erano in tre, quindi” affermò il guardiano con tono riflessivo.

“Ma perché?” lo incalzò ancora.

“Perché non era uno scontro leale” gli spiegò Gwaine.

“Anche contro i nemici, bisogna sempre misurarsi alla pari. Quello, invece, era uno scontro da vili” concluse, sperando che Kyle afferrasse il concetto.

E Kyle sembrò capire. D’altro canto, chissà quanto tempo prima, doveva essere stato un bambino. Un bambino a cui era stata data un’istruzione. E Gwaine sospettava che nessun allievo o studente – o come diavolo si chiamasse una persona destinata all’apprendimento nel loro mondo d’origine – fosse stato promettente quanto Kyle.

“Proprio come un cavaliere d’altri tempi” lo sfotté bonario il guardiano con l’ombra di un sorriso sulle labbra.

“Ma io sono un cavaliere” gli appuntò Gwaine, “e sono d’altri tempi” e sorrise.

“Ora riposa” aggiunse alzandosi. “Vado a preparare qualcosa da mangiare” e uscì dalla stanza, lasciando Kyle da solo con i suoi pensieri che, nel frattempo, guardò perplesso il cavaliere uscire mentre rifletteva sulla sua ultima frase.

Sono un cavaliere! E sono d’altri tempi!

Anche Gabriel, una volta, si era espresso in termini simili.

Perché quella similitudine lo aveva colpito tanto? In fondo, era solo un modo di dire, dettato dalla situazione. Eppure, Kyle sapeva che il cavaliere veramente pensava quello che aveva detto.

Si sentiva ancora un cavaliere, nonostante l’era moderna. Il cavaliere.

Avrebbe potuto dire: sono stato un cavaliere. Invece, aveva preferito parlare al presente.

Forse, questo era dovuto al fatto che il ritorno non era avvenuto tramite reincarnazione.

Eppure, gli anni passati nell’era moderna erano molti. Addirittura, più di quelli che erano stati vissuti a Camelot.

Se Kyle non andava errato, infatti, Gwaine aveva un anno in più rispetto a Sir Galvano. Gwaine era vissuto un anno in più rispetto a Sir Galvano.

Kyle rivisse il momento della sua morte.

Mi dispiace.

Queste erano state le ultime, tormentate, parole di Sir Galvano.

Se Kyle non andava errato, il cavaliere aveva cercato di cogliere Morgana alla sprovvista, credendo di poterla battere. Le conseguenze, dovute a quell’errore di valutazione, erano state orripilanti.

Il cavaliere era morto tra indicibili sofferenze, con un senso di colpa pesante come un macigno.

All’epoca, Kyle non aveva badato più di tanto a questi dettagli; per lui, il cavaliere era stato solo uno stupido accessorio, talmente stupido da essersi attirato da solo il dolore che l’aveva portato a morte.

Eppure… Gwaine continuava a comportarsi come lo stesso cavaliere di allora.

La stessa determinazione, la stessa lealtà verso i suoi principi.

La sera precedente, lo aveva aiutato perché la lotta era impari e Sir Galvano non poteva tollerare queste situazioni. Quando aveva scoperto di chi si trattava poi, non aveva infierito. Il perché, era sempre lo stesso: il suo codice morale gli impediva di approfittarsi di qualcuno che non era in grado di difendersi. Nonostante, questo qualcuno, lo avesse insultato. Nonostante, questo qualcuno, non gli avrebbe riservato lo stesso trattamento.

E Sir Galvano, questo, lo sapeva. Sapeva che Kyle non si sarebbe fatto scrupoli a mettere in mostra la sua potenza. Sapeva che, il potente guardiano, non si sarebbe fatto nessuno scrupolo nel caso lui non si fosse rivelato più una pedina utile alla storia.

Eppure, lo aveva aiutato lo stesso.

Kyle si chiese quanto dolore effettivo avesse provato prima della sua morte, paragonandolo al suo attuale dolore.

E capì che Sir Galvano non avrebbe fatto tante storie per qualche costola incrinata.

Probabilmente, a Camelot, con qualche costola incrinata, lui aveva continuato a combattere.

Scosse la testa, scacciando questi pensieri. Tuttavia, il dato ovvio era uno: Gwaine era la forza.

Gwaine lo aveva battuto, almeno a livello fisico. Perché, in qualità di essere umano, aveva una resistenza al dolore che Kyle non possedeva. Perché lui, il potente guardiano, aveva paura del dolore. Aveva paura del dolore fisico, tipico degli esseri soggetti a una determinata forma, unica e indivisibile.

In quel momento, per la prima volta da quando il suo corpo era mutato, sentì la mancanza del suo vecchio corpo.

Sentì qualcosa di bagnato rigargli la guancia. Con il braccio sano, si toccò il volto, guardandosi le dita.

“Lacrime” costatò riflessivo con una certa curiosità.

Sentì un’altra lacrima scendergli lungo la guancia, fino al collo. Poi un’altra e ancora un’altra.

“Sto piangendo!” esclamò allibito, alzandosi e osservando il suo volto nello specchio appeso al muro di fronte.

Il dolore che gli costò questo movimento fu lancinante ma in quel momento non ci badò, troppo preso a osservare il suo volto con una curiosità e un interesse quasi morboso.

“Sto piangendo!” esclamò nuovamente, mentre si toccava il viso, con un’espressione di stupore.

Era suo quel volto? Indubbiamente si!

Un volto rigato di lacrime.

Quante volte aveva osservato quel fenomeno sugli esseri umani?

Inutile rispondere: il numero di volte non poteva essere quantificato, tanto era grande.

Inoltre, anche Merlìha piangeva spesso. La ragazza era sempre stata dalla lacrima facile, sia da Guardiana che da essere umano.

Eppure, lui non lo aveva mai fatto, neanche nel suo mondo d’origine.

Provò ad analizzare le sensazioni che avevano generato il fenomeno, senza però riuscirci.

Si sedette sul letto, chinando il capo e sentendo il vuoto dentro di sé.

Appoggiò la testa sulle ginocchia, incurante delle fitte lancinanti che gli procuravano le costole incrinate.

Perché il dolore fisico era niente, rispetto a quello che sentiva dentro di sé e che, probabilmente, aveva generato le lacrime.

Quella cosa, che Kyle non sapeva cosa fosse, non si fermava ma continuava a serpeggiare lenta, invadendo la sua mente e incupendo il suo animo.

Quella cosa, che forse gli esseri umani chiamavano tristezza. O forse, era commiserazione, Kyle non avrebbe saputo dirlo con certezza.

Sapeva soltanto che era orribile. Continuò a piangere, non riuscendo a fermarsi, non riuscendo ad arginare quel fenomeno così insolito e devastante. Non riuscendo a riprendere il controllo di se stesso.

Piangeva e basta.

Perché lui era Kyle, il grande e potente guardiano manipolatore.

Lui era Kyle… ed era vuoto.
 

Continua…
 

Note:
 

In questo capitolo, c’è solo Kyle.

D’altro canto, la storia è talmente complessa che credo procederò in questo modo per ogni personaggio, in modo da dare un’introspezione esauriente e chiara. Anche perché, da adesso in poi, le cose si complicheranno molto, soprattutto per i guardiani.

Già si comincia a vedere dalla reazione di Kyle che, per la prima volta, analizza a fondo se stesso.

Inoltre, dato che Kyle è quello dalla mente più complessa, la narrazione è stata composta da molte domande e molte risposte. Ho cercato, infatti, di adattarmi alla complessità del guardiano, come cercherò di fare per ogni personaggio.

Inoltre, lo scorrere dei giorni sarà molto lento. Siamo, infatti, ancora a mercoledì. Un mercoledì che durerà ancora per qualche capitolo, dato che succederanno molte cose, e che si concluderà con Merlino e Artù.

Spero di non aver deluso chi si aspettava di vedere nuovamente il re e il mago, ma preferisco procedere per gradi senza tralasciare nessun personaggio e avvenimento.

Come sempre, attendo i vostri pareri! Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate, ci tengo molto!

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Al prossimo aggiornamento e auguri anticipati di Buon Anno Nuovo!

Pandora86

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Capitolo 43
*** Capitolo 43. Uomo e Destino ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 43. Uomo e Destino
 

Gabriel salì le scale che conducevano all’appartamento del cavaliere con passo incerto. Frugò nella tasca del suo cappotto, ricercando l’oggetto che gli procurava tanti pensieri.

Fissò le chiavi, come se potessero dargli delle risposte. Le stesse chiavi che Perce, quella mattina, aveva poggiato sul tavolo intimandogli di prenderle.

Sussultò.

Perce.

Sì! Lo aveva chiamato proprio così, nei suoi pensieri. Non il cavaliere, come era solito fare, ma
Perce.

Aggrottò lo sguardo, fissando ancora le chiavi. Da quando aveva cominciato a chiamare il cavaliere per nome?

Perché poi, stava ritornando in quel posto?

Kyle, come aveva previsto, era stato un osso duro nel rivelare il perché del suo folle gesto.

Tuttavia, sembrava in ottime condizioni psicologiche. Quanto a quelle fisiche, si sarebbe ristabilito in poco tempo.

E allora, perché era ritornato?

Decise di entrare.

Rimanere sul pianerottolo, a fissare delle chiavi, era inutile e controproducente. Se qualche vicino avesse deciso di uscire, proprio in quel momento, non sarebbe stato l’ideale farsi trovare lì, a fissare delle chiavi come uno stupido.

Inoltre, si stava congelando.

Inserì con decisione le chiavi nella serratura ed entrò a passo lesto, trovando facilmente l’interruttore della luce.

Davanti alla poltrona su cui si era più volte seduto, c’era un borsone da viaggio con sopra poggiato un biglietto.

Si avvicinò prendendo il foglio di carta tra le mani e leggendo quanto vi fosse scritto sopra.
 

Pensavo avessi bisogno di un cambio.
                                                Lenn.


 

Gabriel sospirò. Tipico di Lenn comportarsi in quel modo.

Si sedette sulla poltrona, senza neanche togliersi il cappotto e i guanti, con la testa satura di domande.

Poggiò il capo sulla spalliera, chiudendo gli occhi e sentendosi improvvisamente stanco.

Perce.

Da quando aveva cominciato a chiamare il cavaliere per nome?

Sospirò, sentendo la mente satura e il corpo cedevole.

Il cavaliere.

Colui che rappresentava la Bontà.

Sir Parsifal.

Perce.

Visualizzò il suo volto nella mente e sentì il suo cuore accelerare i battiti.

Aprì gli occhi sorpreso, chiedendosi il perché di quella reazione corporea.

Il suo cuore, da quando aveva cambiato struttura molecolare, non aveva presentato nessuna anomalia cardiaca.

E allora, perché continuava a battere, sempre più veloce, se ripensava al cavaliere?

Gabriel, da medico e studioso, sapeva quanto fosse improbabile che il suo cuore presentasse anomalie all’improvviso e senza alcun preavviso.

O meglio, per amor di precisione, Gabriel sapeva che negli esseri umani dal cuore in salute era raro, molto raro, che un’anomalia cardiaca si presentasse senza alcun preavviso.

Di solito, un’anomalia veniva diagnosticata in anticipo e si manifestava con un soffio cardiaco o con un’aritmia, o con altri segnali ancora, che spingevano la persona in questione a richiedere esami accurati e visite più o meno frequenti, a seconda della gravità del sintomo.

Ma ovviamente, questo caso non era applicabile a lui. Quando era diventato un essere umano, i suoi organi si erano ricomposti con una struttura molecolare sana e forte, molto più resistente di quella degli esseri umani.

Gabriel chiuse gli occhi, continuando a leggere, nella sua mente, le informazioni mediche che aveva sul cuore.

Mente fotografica e analitica. Erano queste le qualità che lo avevano reso nel suo mondo un Guardiano promettente.

Erano queste le qualità che lo avevano reso quello che era attualmente, nel mondo che lo aveva accolto.

Continuò a sfogliare mentalmente uno dei molti libri che aveva studiato, sorvolando velocemente alcuni paragrafi. Non era il caso, infatti, soffermarsi sui paragrafi che parlavano degli infarti. Quelli, erano sintomi che coglievano improvvisamente, a prescindere dall’età e dalla resistenza fisica. Tuttavia, dubitava che il suo cuore potesse presentare una simile sintomatologia. Poteva, infatti, contrarre le malattie più comuni, quelle che si trasmettevano tramite contagio, ad esempio. Però, per fortuna, avrebbe avuto la garanzia di uscirne sempre illeso. Quindi, decise che non erano quelli i paragrafi di suo interesse.

Continuò a sfogliare mentalmente tutti i tomi che aveva letto e studiato, fino a che, una parola in particolare colpì la sua attenzione.

Ecco, finalmente, che gli si presentò davanti agli occhi la spiegazione della sua reazione fisiologica.

Adrenalina.

Sì! Finalmente aveva trovato quello che cercava. Ora, non rimaneva altro da fare che leggere le risposte.

Conoscere per accettare. Era sempre stato questo il suo motto. Conoscere i propri limiti, per poterli superare. Conoscere gli ostacoli, per poterli aggirare. Conoscere le situazioni, nella loro assoluta integrità, per poterle analizzare.
 

L'adrenalina o epinefrina: un mediatore chimico tipico della classe dei vertebrati.
 

Bene! Era il paragrafo che gli interessava. Aveva fatto centro!
 

Ormone e neurotrasmettitore principale del sistema nervoso simpatico.
 

Continuò a leggere, trovando finalmente le risposte. L’adrenalina, infatti, oltre ad essere un ormone appartenente ai mammiferi – e, di conseguenza, anche a lui, dopo la trasformazione – veniva rilasciata anche a livello di sinapsi nel sistema nervoso centrale, dove fungeva il suo ruolo di trasmettitore.

In parole povere, visualizzare il volto del cavaliere nella sua mente gli procurava scariche di adrenalina, producendo così un aumento della frequenza cardiaca.

Nell’essere umano, inoltre, era una situazione abbastanza frequente. Una forte paura, una grande emozione, potevano provocare scariche di adrenalina.

Oppure, un forte coinvolgimento mentale che, nel suo caso, si traduceva in eccitazione.

Aprì gli occhi, incrociando le dita sotto il mento e fissando un punto imprecisato della parete.

Finalmente, aveva avuto una risposta. Una risposta scientifica e razionale, una risposta che non poteva confutare.

Il cavaliere gli era entrato dentro, più di quanto avesse ipotizzato. Più di quanto fosse disposto ad ammettere. Tuttavia, una cosa era ammetterlo ad alta voce, un’altra era ammetterlo con se stesso.

Il cavaliere lo emozionava, la sua vicinanza lo eccitava, non a livello fisico, però. A quello, infatti, sarebbe stato più preparato.

L’eccitazione fisica era uno stato ricorrente negli esseri umani, di conseguenza, non si sarebbe preoccupato per una cosa così banale.

Il coinvolgimento, questa volta, era mentale.

Non era il corpo del cavaliere o il suo aspetto, quanto il suo essere a provocare quelle sensazioni.

I suoi modi di fare, i toni della sua voce.

Gabriel sentiva la sua frequenza cardiaca aumentare al pensiero del cavaliere perché era emozionato.

Per la prima volta, da quando era nato, era emozionato alla presenza di qualcun altro.

Chiuse nuovamente gli occhi, poggiando il capo sullo schienale.

Quella ricerca lo aveva spossato, più di quanto non lo fosse in precedenza. Aveva le informazioni. Come usarle però, rimaneva ancora un mistero.

Fu mentre era perso in quegli strani pensieri, che poco alla volta, si addormentò.

Inconsciamente, portò la mano destra al cuore, poggiandosela sopra, e sorrise impercettibilmente sentendo, anche attraverso i guanti, il suo cuore battere per l’emozione.

In fondo, per il momento, non era una cosa così disastrosa. Finché queste informazioni rimanevano nella sua mente, allora il problema non si poneva.

In fondo, poteva gustarsi quelle sensazioni per un po’, senza che nessuno lo sapesse.

Fu con questi pensieri, cullato dal ritmo del suo stesso battito, che si addormentò.

Fu così che lo trovò Perce, qualche ora dopo, quando rientrò.

Fu così che lo trovò Perce, che ora fissava la scena allibito, non credendo possibile che una cosa simile potesse essersi verificata.

Gabriel era tornato ed era lì. Con lui.

Si avvicinò lentamente, sentendolo respirare piano. Vide che indossava ancora il cappotto e i guanti, e la mano destra era sollevata, quasi all’altezza del cuore. 

Il capo era leggermente reclinato verso sinistra e Perce si prese lunghi istanti per ammirare quel profilo che sembrava disegnato, tanto era perfetto.

A giudicare dalla posizione, dedusse che Gabriel doveva essere crollato per la troppa stanchezza.

Vide il borsone adagiato accanto alla poltrona e, quando lesse il biglietto, non poté impedire alle sue labbra di sorridere.

Gabriel sarebbe rimasto lì, con lui.

Certo, la situazione era del tutto casuale e dettata da eventi puramente accidentali tuttavia, a Perce questo non importava.

Muovendosi piano, accese il camino e andò a recuperare una coperta dal suo armadio.

Coprì Gabriel, provando un timore quasi reverenziale per il sonno dell’altro. Avrebbe voluto spostarlo e adagiarlo sul letto, in modo tale da consentirgli di riposare più comodamente.

Tuttavia, aveva scartato l’ipotesi a priori.

Innanzitutto, non sapeva quanto il sonno del guardiano potesse essere leggero, e Perce sospettava che lo fosse, e molto anche.

Inoltre, non si sarebbe mai permesso di portarlo a letto togliendogli cappotto e guanti; sapeva che il guardiano non avrebbe gradito una tale invasione della sua privacy da parte di qualcuno.

Motivo per cui, lo coprì piano, cercando di riscaldare la stanza e dirigendosi poi in cucina a passo felpato.

Di certo, Gabriel avrebbe apprezzato la cena pronta e Perce era totalmente intenzionato a farlo ricredere ancora di più sulla sua bravura ai fornelli.

Perce sorrise ancora, chiedendosi quanti giorni sarebbe rimasto l’altro. Gli dispiaceva per Kyle, ovviamente, ma non poteva fare a meno di gustarsi quei momenti e fantasticare sui giorni successivi.

Avrebbe potuto scoprire i gusti culinari dell’altro, innanzitutto. Perce aveva, infatti, il sospetto che Gabriel fosse un palato fine.

Avrebbe potuto conquistarsi la sua fiducia, dimostrandogli finalmente di essere un cavaliere degno di stima.

Sì, avrebbero potuto fare molte cose insieme.

Perce era così intento a cucinare, e a fantasticare, che non si accorse di non essere più solo in cucina.

Si portò, infatti, una mano al cuore quando si voltò e vide l’altro che lo osservava con sguardo indecifrabile sulla soglia.

“Che passo felpato!” si complimentò sorridendo.

Gabriel sorrise leggermente.

“Io ho il vantaggio di aver avuto un apprendimento millenario” fece notare.

“E poi, considerando quanto tu fossi distratto, credo che anche un bisonte sarebbe riuscito a non farsi scorgere” gli appuntò, con quell’espressione sicura e quel sorrisetto indecifrabile che tanto lo contraddistingueva.

“Io distratto?” domandò Perce non perdendo il sorriso.

“Sì, molto in verità” rispose Gabriel. “Canticchiavi addirittura” aggiunse e Perce arrossì leggermente.

In effetti, quando era sovrappensiero, canticchiava a mezza bocca.

Inoltre, non poteva negare a se stesso di essersi completamente rilassato, dopo aver visto Gabriel dormire così tranquillamente, perdendosi quindi nelle sue fantasie.

Non poteva negare di aver provato un inspiegabile senso di pace alla visione del volto dell’altro completamente rilassato.

“Fattelo dire: sei leggermente stonato” lo sfotté bonario Gabriel, scostando una sedia e sedendosi con eleganza.

Perce rise allegramente.

“Detto da te, deve essere sicuramente così!” non riuscì a trattenersi.

Se ne pentì un istante dopo, quando vide il cipiglio dell’altro scrutarlo attento.

“Che vuoi dire?” chiese, infatti, incrociando le mani sotto il mento. Perce notò solo in quel momento che l’altro si era tolto guanti e cappotto.

“Beh” incominciò Perce titubante. Poi, considerando dentro di se che l’altro avrebbe comunque saputo delle loro scoperte, decise di essere sincero, raccontandogli quello che sapeva di lui e degli altri.

Gabriel lo ascoltò attento, senza interromperlo.

“Suppongo fosse solo questione di tempo, in fondo!” rispose, senza particolare inflessione nella voce, quando l’altro ebbe finito di raccontare.

Perce annuì con il capo. Dal tono, non sembrava arrabbiato. In realtà, non sembrava neanche minimamente toccato. In fondo, come aveva detto, era solo questione di tempo prima che le loro identità, nel mondo non magico, fossero scoperte.

“Sicuramente Lenn si è già accorto di ciò” parlò ancora Gabriel. “Ci penserà lui a tenere a bada il Re. In ogni caso” e fece una pausa significativa, “sembra che i tempi siano finalmente giunti”.

“I tempi per cosa?” chiese Perce sedendosi di fronte a lui.

“I destini del Re e del Mago sono scritti da tempo immemore. È tempo che il loro ricongiungimento abbia luogo” spiegò Gabriel.

“Noi abbiamo accompagnato Merlino nei secoli” parlò ancora. “Ma adesso, è tutto nelle mani del Re. Sarà lui a dover portare a compimento il proprio destino”.

“Sono sicuro che Artù ci riuscirà” esclamò Perce e Gabriel annuì.

“Sta tutto a lui” disse ancora il guardiano. “Se si dimostrerà forte, allora riuscirà nei suoi intenti. Non sempre i destini già scritti si compiono” gli fece notare il guardiano.

“Che vuoi dire?” chiese Perce interessato e l’altro sorrise leggermente.

“Si chiama libero arbitrio” spiegò allora. “Ricorda: è sempre l’uomo a decidere per se stesso.

Nonostante, molti mondi siano guidati dai guardiani. Nonostante, alcuni destini nascano per intrecciarsi. Ti dice nulla la storia di Lancillotto e Ginevra? Com’è andata realmente, nel tempo che tu hai vissuto?”.

“Ginevra ha amato Artù” rispose titubante Perce che stava cominciando a capire cosa l’altro volesse dirgli.

“Nonostante la sua anima fosse strettamente intrecciata a quella di Lancillotto” completò per lui Gabriel.

“Il Re e la Regina sono stati felici, amandosi vicendevolmente” gli fece notare.

“È vero” costatò Perce. Sapeva già quelle cose, eppure parlarne con Gabriel, analizzandole insieme, gli faceva vedere tutto sotto una luce diversa. La luce della comprensione.

Perché Perce sapeva, ma non aveva mai veramente analizzato tutti i reali motivi degli avvenimenti di una storia tanto lontana eppure tanto vicina.

“Morgana ha dovuto incantare Gwen con il bracciale, per farla ritornare al suo vero amore” disse ancora e Gabriel sorrise soddisfatto, annuendo con il capo.

“Merlino non ha fatto nessun incantesimo per farli innamorare” gli spiegò.

“Semplicemente, credeva fosse la cosa più giusta da fare per il suo Re e per l’intera Camelot.
Un Re che, troppe volte, era stato tradito. Un Re che, troppe volte, si era fidato delle persone sbagliate. Semplicemente, lo voleva. Con tutto se stesso” spiegò ancora.

“Non accorgendosi” riprese a parlare dopo qualche istante, “del vero legame esistente tra lui e il Re. Un legame di cui non è ancora a conoscenza” ci tenne a spiegare Gabriel.

Perce alzò gli occhi sorpreso.

“Quindi… Lui non…” e si interruppe.

“Non ha mai capito la vera natura della sua devozione verso il Re. Né a Camelot, né nei secoli successivi” terminò per lui Gabriel.

“Ed è per questo che hai detto che Artù dovrà essere forte” ragionò Perce.

“Prima dovrà combattere contro il diamante nero” confermò Gabriel.

“E poi, dovrà conquistarlo. In pratica, fargli capire che non intende essergli solo amico” completò per lui Perce e Gabriel annuì di nuovo.

“Per questo ti ho detto che, se il Re non saprà lottare, non riuscirà ad avere ciò che vuole, nonostante il loro destino sia scritto fin dall’inizio dei tempi”.

“Perché ogni uomo è artefice del proprio destino” parlò ancora Perce con tono stranamente riflessivo ripetendo le parole dell’altro.

“Ogni uomo deve essere abbastanza forte da prendersi ciò che vuole” disse ancora il cavaliere, alzando lo sguardo e guardando l’altro intensamente.

Gabriel intercettò quello sguardo, impossibile da fraintendere anche per una persona meno osservatrice di lui.

Qualcosa era scattato, nel cavaliere, dopo le sue parole.

Sostenne quello sguardo, non facendosi intimidire né provando disagio. Aveva analizzato la situazione fin troppo bene. Ora, non rimaneva altro da fare che vedere la prossima mossa del cavaliere.

Perce, nel frattempo, aveva capito.

Aveva capito tutto il senso di quei discorsi, afferrando la più completa verità che un essere umano potesse mai chiedere.

Libero arbitrio.

Ora, finalmente, capiva tutto.

Ora, comprendeva che nulla era dato o scritto. Era sempre l’uomo che doveva provare ad afferrare quello che realmente desiderava.

Nonostante la situazione sembrasse sfavorevole. Nonostante la situazione fosse così impari.

E questo valeva anche per lui.

Perce sapeva che Artù avrebbe lottato per ottenere ciò che voleva. In tutti quegli anni, mai aveva tentennato, mai aveva ceduto. Mai aveva abbandonato la sua ricerca folle e disperata,
nonostante sapesse che le possibilità di riuscire a trovare uno come Merlino – soprattutto quando lo stesso non voleva essere trovato – erano pari allo zero assoluto. E, infatti, era stato Merlino a trovare loro.

Artù aveva sempre saputo di dover combattere per riconquistare il suo vero posto nel mondo: quello accanto al Mago.

E per lui, Sir Parsifal, era lo stesso.

Nonostante, proprio come nel caso della ricerca del Re, le speranze di rientrare negli interessi di Gabriel fossero al di sotto dello zero assoluto, dopo la conversazione avuta con l’altro, Perce aveva deciso di provarci, fino in fondo.

Perché era l’uomo l’unico e vero artefice del proprio destino.
 

Continua…
 

Note:

In questo capitolo compare Gabriel.

Dato che ho sempre descritto il guardiano come uno studioso, circondato da innumerevoli scartoffie, ho pensato che entrare nella sua testa equivalesse a trovarsi in un’immensa biblioteca.

Gabriel, infatti, a differenza di Kyle che si appella a se stesso, cerca risposte nella scienza, così come faceva anche nel suo mondo.

Avendo una mente superiore alla norma e una memoria eccellente, sfoglia i suoi libri di medicina al fine di potersi spiegare perché vive una particolare emozione.

Ho scelto, infatti, di fargli affrontare tutto dal punto di vista medico.

A questo proposito, confermo che le informazioni generali mediche che do nel capitolo sono reali e prese da libri di medicina.

Tuttavia, non essendo il capitolo una trattazione, ho riportato solo alcune frasi, per rendere l’idea di sfogliare un libro mentale, riassumendo il resto in poche e semplici parole.

Le informazioni, infatti, sono generiche e vaghe, dato che più precise non sarebbero state utili ai fini della storia.

Detto questo, spero che le mie scelte vi siano piaciute.

Come sempre, attendo i vostri pareri. Sono curiosa di sapere cosa ne pensate del capitolo.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Ci vediamo al prossimo aggiornamento.

Pandora86

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Capitolo 44
*** Capitolo 44. Decisioni e Strategie ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 44. Decisioni e Strategie
 

“Avete visto che sguardo di ghiaccio?” chiese Elian rivolgendosi agli altri due.

Erano nel parcheggio della scuola; quando Artù aveva intimato loro di uscire fuori, non avevano ritenuto opportuno attirare ulteriormente l’attenzione e si erano diretti al parcheggio.

“Secondo voi, abbiamo fatto bene a uscire?” chiese Leon preoccupato.

“Credo di sì!” rispose Lance.

“Dite che Artù riuscirà a gestire la situazione?” domandò dubbioso Elian.

“Louis e Phoenix hanno detto che corre dei pericoli in nostra presenza!” gli diede ragione Leon.

“Credo che Artù riuscirà a trovare le parole adatte” li rassicurò Lance.

“Come fai a esserne sicuro? Non sappiamo neanche quali pericoli corre” diede voce alle sue reali preoccupazioni Leon.

“Almeno, la scuola sembra ancora in piedi” ragionò Elian.

In fondo, non avevano dimenticato di chi stavano parlando. Non era come secoli addietro quando, tutti all’oscuro delle verità principali, non facevano altro che buttarsi nelle battaglie con il massimo impegno, senza sapere a chi andasse realmente il merito delle vittorie.

Nonostante fossero stati cavalieri valorosi in un lontano passato, si rendevano perfettamente conto, nel secolo attuale, a chi spettassero gli elogi di battaglie che avevano sì combattuto tutti, ma di cui una sola persona era stata determinante.

Una sola persona che avevano sempre sottovalutato. Una sola persona, di cui solo ora si rendevano conto di chi fosse in realtà.

“Comunque, dobbiamo fare qualcosa” decretò Leon.

“Sta soffrendo e non credo possa continuare ancora così per molto. Ma che possiamo fare?” domandò Elian.

“Avalon” rispose deciso Leon e gli altri due lo guardarono incuriositi.

“Spiegati!” lo esortò Elian.

“Dobbiamo capire perché siamo tornati!” gli chiarì Leon. “E credo che potremmo farlo ad Avalon!”.

“Ma se non sappiamo neanche dov’è!” scrollò le spalle Elian, scuotendo il capo con aria dubbiosa.

Nell’epoca attuale, infatti, non erano mai riusciti a scoprire realmente dove fosse l’esatta ubicazione di quel luogo e il perché era presto detto. Essendo Avalon stato retrocesso da luogo reale a luogo immaginario, presente solamente nelle menti della fantasia popolare, non erano mai riusciti ad avere informazioni che potessero trasformarsi in certezze.

“Ma Louis e Phoenix, sì” parlò allora Lance. “Era questo, quello che volevi dire, vero Leon?” domandò e l’altro annuì.

“In fondo, siamo venuti qui per incontrarli” rispose Leon guardando Elian che si portò le mani al mento con aria dubbiosa.

“Siamo cavalieri” affermò ancora Leon. “Non possiamo stare con le mani in mano” concluse deciso.

“Tu, invece, potresti rimanere accanto ad Artù” continuò, rivolgendosi a Lance. “Non sappiamo cosa ne uscirà da quest’incontro”.

“Non è male come idea” annuì Elian. “Tu potresti aspettare Artù, mentre noi parliamo con Louis e Phoenix” e incrociò le braccia.

“In effetti, ha la sua logica se non fosse che per un piccolo particolare” espresse i suoi dubbi Lance. “Abbiamo già creato troppo scompiglio. Come farete ad avvicinare Louis e Phoenix?” domandò con tono ovvio. “Non sappiamo neanche se sono qui!” terminò pensieroso.

“Se c’è Lui, ci saranno anche loro” rifletté Elian.

“Ma staranno sicuramente lavorando” obiettò Lance. “Non credete dovremmo almeno provare a rispettare la loro posizione lavorativa?” chiese massaggiandosi gli occhi.

“Abbiamo già portato troppo scompiglio” concluse, appoggiandosi alla portiera della macchina.

“Beh, riguardo a dove sono, con credo ci siano problemi!” affermò Elian.

“Che vuoi dire?” chiese Lance.

“Che stanno uscendo dalla scuola in questo momento” rispose Elian. “E sembra proprio che stiano venendo verso di noi” concluse.
 

***
 

“Fammi capire” si espresse Lance, “devi preparare una bozza di strategia economica in meno” e guardò l’orologio, “di tre ore?” chiese dubbioso.

“Non una bozza” lo corresse il Re. “Ma un piano finito e operativo” concluse.

Lance sospirò scuotendo la testa. Quando Louis e Phoenix li avevano avvicinati, Leon aveva espresso il desiderio di parlare con loro riguardo Avalon. A quel punto, si erano divisi.

Phoenix aveva scelto di restare nella scuola, dato che non aveva intenzione di lasciar tornare Klause Badelt a casa da solo.

Louis allora si era allontanato con Leon ed Elian si era intrattenuto un altro po’ con loro. Poi, quando Artù era uscito in fretta e furia, non salutandoli nemmeno, Lance lo aveva seguito congedandosi dagli altri con un veloce cenno del capo.

E ora erano lì, nuovamente nella cucina del Re, impegnati in quella che sembrava una missione impossibile, anche per il genio della finanza.

“Suppongo che dovremo darci da fare” sospirò allora Lance.

Io dovrò darmi da fare, semmai” lo riprese nuovamente il suo capo. “Tu puoi anche andare, se vuoi” lo congedò con fretta, non alzando neanche gli occhi dallo schermo mentre digitava frenetico.

“Pensi di preparare un piano economico da solo?” chiese allibito Lance.

“Non solo lo penso, Lance. È esattamente quello che farò!” dichiarò il Re.

“Non conosci neanche nel dettaglio le imprese Badelt” obiettò l’altro.

“Conosco quanto basta di quelle imprese per presentare un piano impeccabile. Piano che farò da solo” ci tenne a specificare.

“Non posso giocarmi male questa possibilità, lo capisci questo?” chiese poi, sapendo che l’altro avrebbe capito.

E, infatti, Lance capì.

“È stato così disastroso questo incontro?” chiese serio.

“Non lo definirei disastroso” esclamò Artù staccandosi dal computer e congiungendo le mani sotto il mento.

“Non mi hai raccontato nulla” gli fece notare l’altro. “Esclusa la parte dove hai promesso dei piani inesistenti!” ci tenne a precisare.

“Cosa vuoi che ti dica?” chiese Artù che, a differenza del loro primo incontro dove c’era molto poco da raccontare, ora aveva la testa satura di informazioni e non avrebbe saputo neanche da dove cominciare.

“Quello che hai provato, ad esempio?” gli suggerì Lance che aveva ben inteso le difficoltà dell’altro.

“No!” scosse il capo con decisione Artù. “Non intendo dirti quello che ho provato io, perché devierei l’argomento su di me, e non voglio” specificò. “Non voglio che Lui passi in secondo piano” dichiarò deciso rafforzando il concetto.

“Questo lo so” gli diede ragione Lance.

“Ma, d’altro canto, non possiamo sapere quello che ha pensato Lui. O sbaglio?” domandò.

“In effetti, quali fossero i suoi reali pensieri non saprei proprio dirlo” si ritrovò ad ammettere il Re.

“È sempre stato un’incognita per me” aggiunse sorridendo appena mentre, con la mente, andava a ricordi lontanissimi.

“Tuttavia, è stato un azzardo avvicinarlo in quelle condizioni. Ora lo capisco” ammise. “È una fortuna che abbia mantenuto il controllo” costatò.

“Quali condizioni?” indagò Lance.

D’altro canto, sul corpo di Merlino, e in base all’agevolezza con cui si muoveva, non c’erano tracce che potessero rivelare la sua vera età e i problemi legati a essa.

“Non saprei dirlo con certezza” ammise ancora il Re.

“Ma ti posso garantire che faticava molto a mantenere lucidità in mia presenza” gli rivelò.

“Forse è per questo che non ci ha nemmeno guardato davanti a quel Mike” rifletté Lance.

“Già” gli diede ragione il Re. “Anche perché, non faceva altro che darmi del voi e chiamarmi Sire” precisò Artù. “Eppure” continuò, “Lui si ostinava a comportarsi come Klause Badelt” terminò.

“In effetti, è una bella contraddizione” gli diede ragione Lance.

“Klause Badelt è un imprenditore, oltre che un musicista dal talento immenso. Di conseguenza, avrebbe dovuto rapportarsi a te con le forme di cortesia moderna, trattandoti da imprenditore” rifletté ad alta voce.

“Ma io ti assicuro che, neanche una volta, mi ha considerato come tale. Sono stato io a portare il discorso su quella linea” confermò il Re.

“Però, lui si ostinava a vedermi come il Re. Eppure, non voleva assolutamente che io lo vedessi come…” e si interruppe, non riuscendo a pronunciare il suo nome.

Lance capì la frase sottintesa e annuì con la testa.

Non voleva assolutamente che io lo vedessi come Merlino.

D’altro canto, anche Lance aveva avuto questa sensazione. Tuttavia, sapeva anche che, senza le informazioni di Louis e Phoenix, non sarebbero mai riusciti ad arrivare a quell’ipotesi. Ipotesi che diventava concreta alla luce del comportamento di Merlino.

Teme Camelot.

Quanto appariva vera, ora, quest’affermazione?

Tuttavia, Merlino non temeva Camelot in sé, un Regno divenuto oggetto di fantasie popolari sempre più distorte e sbagliate. Non aveva, infatti, motivo di temere un Regno che, secondo molti, neanche era esistito. Le carte in tavola, invece, erano cambiate con il loro ritorno: il ritorno del Re e dei suoi cavalieri.

Un ritorno che poteva portare prove certe su un Regno inesistente. Un ritorno che poteva mettere in discussione tutto quello che il Mago, nel corso dei secoli, aveva faticosamente costruito.

O almeno, era questa l’ottica in cui la viveva Merlino, secondo le parole di Louis e Phoenix.
Parole che, loro quattro, con l’incursione nella sua scuola di musica, avevano testato personalmente.

“Riuscirai a gestire ancora la situazione?” chiese poi preoccupato.

“Da quello che sappiamo, anche il suo corpo ha dei problemi. E se, in tua presenza, si accentuassero?” gli fece notare.

“Ci ho pensato” rispose con un sospiro Artù, che non aveva dimenticato il calore inesistente della sua mano, nel loro primo incontro.

“Ma credo che il diamante mi guiderà” rispose deciso.

“Come fai a esserne sicuro?” indagò Lance.

“Perché io sono in completa sintonia con colui che indossa il diamante opposto al mio. Il mio cuore, adesso, non ha incertezze e questo diamante serve il Bene, Lance” rispose Artù con fermezza.

Lance capì il discorso dell’altro e non ebbe nulla da obiettare.

“Per stasera alle otto, giusto?” chiese, cambiando argomento e sentendosi rassicurato dalla decisione del suo capo.

Artù annuì con il capo.

“Allora ti lascio lavorare” decretò Lance alzandosi.

“Buona fortuna” augurò. “Perché, stavolta, ne servirà molta anche a te, genio della finanza!” e uscì.

Artù sorrise e ritornò a lavoro.

Aveva poco tempo e qualcuno non avrebbe gradito aspettare.

Aspettava da secoli, anche se non lo sapeva. Ora, doveva solamente far capire all’altro che la sua attesa era finalmente giunta al termine.
 

***
 

“Quindi, avete deciso di cercare le risposte ad Avalon” sorrise Louis sorseggiando piano la sua bibita.

Leon annuì in silenzio approfittando di quegli istanti per osservarlo meglio.

Avevano deciso di recarsi in uno dei bar vicini alla scuola e Leon, dopo gli istanti di tensione di qualche ora prima, si rilassò in sua presenza.

Notò il suo abbigliamento, molto diverso rispetto alla sera in cui l’aveva incontrato a casa di Artù, e ne rimase affascinato.

Louis vestiva con eleganza, pur indossando abiti sportivi.

Il jeans scuro gli donava, risaltando le sue gambe scolpite, e la camicia sembrava calzargli a pennello.

Il contrasto con la giacca poi creava un look moderno e affascinante.

Leon notò che i suoi capelli erano sciolti, proprio come la sera che lo aveva conosciuto.

“Finita l’ispezione?”.

La voce di Louis lo distolse dai suoi pensieri. Leon tossicchiò a disagio accorgendosi, solo in quel momento, di essere rimasto a fissarlo in silenzio come uno stupido per qualche minuto buono.

“Ammetto di destare curiosità ai tuoi occhi” ammise Louis ridacchiando appena. “Ma non ho intenzione di azzannarti la gola” e sorrise scuotendo la testa.

Leon capì di aver fatto veramente la figura dell’imbecille a quelle parole. Tuttavia, il fatto che l’altro avesse frainteso i suoi sguardi lo consolava.

“Non è questo!” si sentì comunque in dovere di precisare. Nonostante fosse sollevato dal fraintendimento, non gli sembrava educato far pensare all’altro che sedeva a tavolino con lui considerandolo un animale.

In quel momento, Leon – nonostante trovasse impossibile dimenticare la trasformazione di cui l’altro fosse capace – non si stava soffermando su quel particolare aspetto. Mai come quella volta, infatti, i suoi pensieri correvano in tutt’altra direzione.

Come non trovare affascinante l’uomo che gli sedeva dinanzi?

Era una cosa bizzarra, visto che lo conosceva appena e non era il tipo da farsi influenzare dall’aspetto fisico.

Come spiegare quello strano senso di familiarità che l’altro gli trasmetteva?

Come se lo avesse già incontrato da qualche parte. Eppure, Leon sapeva che era impossibile.

“Guarda che non devi giustificarti”.

La voce di Louis lo riscosse nuovamente dai suoi pensieri.

“So che ti riesce difficile non paragonarmi al tipo di bestie cui eri abituato a Camelot” sospirò con tranquillità.

“No!” ci tenne a contraddirlo Leon.

Andava bene che l’altro avesse frainteso i suoi sguardi. Andava male, invece, che li avesse scambiati per disgusto.

“Non ho mai fatto un paragone con… cose del genere” parlò allora, trovando difficile, in sua presenza, pronunciare la parola bestia.

Louis lo guardò interessato.

“Sbagli!” lo corresse. “Ma fai anche bene, da un certo punto di vista”.

Leon lo guardò perplesso e Louis riprese a spiegare.

“Io non sono una bestia non pensante che attacca alla cieca” precisò Louis con calma, con lo stesso tono di chi parlava del tempo.

“Tuttavia” riprese a spiegare, “sono comunque una creatura della magia, proprio come quelle che hai combattuto” terminò.

Leon pensò al grifone. Pensò alla Dama del Lago. Pensò al Grande Drago. Pensò a tutte le altre creature che avevano attaccato Camelot.

A parte la Dama del Lago – che Merlino era riuscito a domare, anche se loro lo avrebbero saputo solo molto tempo dopo – e il drago, che li aveva attaccati per ovvi motivi, Leon non riusciva a paragonare Louis a tutte le altre creature, quelle che si aggiravano fuggitive nei boschi – o nell’acqua, nel caso dell’Afanc – e facevano del male senza criterio.

Louis era diverso. Louis aveva qualcosa in più.

“Non posso fare un paragone” ammise, sperando di rendere chiari i suoi pensieri.

Pensieri che l’altro sembrò cogliere.

“Non devi farlo, infatti” concordò. “Allo stato attuale, sono una creatura unica nel mio genere. Tuttavia, non devi neanche dimenticare cosa sono” e marcò la parola fissandolo attento.

“I miei sensi” riprese a spiegare, “sono molto più sviluppati, anche in questa forma. Se mi sfidassi a braccio di ferro” e sorrise, “non avresti alcuna speranza di vincere. Rimango molto più forte di un comune essere umano, senza bisogno di mutare il mio corpo” terminò.

“Sei…” provò a domandare Leon, interrompendosi subito dopo.

Come porre la domanda, infatti, senza offenderlo?

Ancora una volta, Louis sembrò capire cosa intendesse.

“Ti domandi se sono un uomo” lo spiazzò e Leon annuì.

“Lo sono stato” ammise con un sorriso profondo, accogliente come la terra quando genera i suoi frutti e caldo come la sabbia d’estate. “Molto tempo fa”.

“Perché cerchi risposte ad Avalon?” domandò poi, cambiando argomento.

“Devo cercare risposte nel luogo da cui provengo” rispose Leon con sicurezza, riportando le sue stesse parole, quelle che aveva rivolto a lui, e a tutti gli altri, la sera precedente.

Louis sorrise, notando quel dettaglio.

“Non hai torto” si ritrovò a dargli nuovamente ragione. “Ma non ti servirà a nulla sapere il luogo esatto”.

Leon scosse il capo, non riuscendo ad afferrare il senso delle sue parole.

“Avalon non è un unico luogo, ma il Regno dell’infinito” iniziò a spiegare. “Avalon è un portale” chiarì.

“Un passaggio per le anime” intervenne Leon.

“Anche, nel tuo caso” sorrise Louis. “Ma non solo. Avalon, nel caso della Dama, è un luogo che permette alla stessa l’accesso al mondo dei Guardiani. O a questo mondo” specificò.

“Quindi?” domandò perplesso Leon.

“Quindi non ti servirà a nulla sapere dove si trova il lago, se non riesci a capire cosa rappresenta. Non avrai risposte da quelle acque, che appaiono comuni agli occhi di tutti gli esseri umani, magici e non” e fece qualche istante di pausa.

“Avalon è un luogo che va oltre lo spazio e il tempo. Diventa quindi una contraddizione di termini volerlo raggiungere considerandolo un luogo unico e materiale” terminò.

“E allora, come faccio a raggiungerlo?” chiese Leon e sul volto di Louis comparve un sorriso che il cavaliere avrebbe definito antico.

“Devi uscire fuori dai canoni” consigliò Louis con voce profonda.

“Se vuoi afferrare un oggetto, allunghi una mano. Se vuoi raggiungere un luogo immateriale, devi usare la mente” terminò.

Leon si prese un istante per riflettere, posando lo sguardo sull’altro e rimanendo affascinato dalla sua voce profonda.

Louis era una persona dal carattere mite e dai modi pacati. Nonostante, anche in forma umana avesse un aspetto che potesse incutere timore – se lo desiderava – le sue espressioni tranquille smentivano subito quelle ipotesi.

Tuttavia, Leon non aveva dubbi di trovarsi di fronte un abile guerriero. Non gli erano sfuggite, infatti, le movenze silenziose e i passi felpati.

Sì, Leon era certo che, anche in forma umana, Louis fosse un guerriero in grado di incutere terrore, qualora lo desiderasse.

“Ora devo andare” parlò ancora Louis, distogliendo il cavaliere dai suoi pensieri.

“Nel caso avessi bisogno di me” e porse un bigliettino con sopra scritto un numero di cellulare.

Leon lo prese osservando la schiena di Louis allontanarsi. In quel momento, uno strano senso di malinconia gli invase l’animo, iniziando a serpeggiare lento nel suo cuore. Leon avrebbe voluto, inconsciamente, allungare la mano per non farlo andare via di nuovo.

Sussultò, colto impreparato dai suoi stessi pensieri.

Non aveva pensato: per non farlo andare via.

Aveva pensato: per non farlo andare via di nuovo.

Giunse le mani pensieroso.

Era vero, non poteva fare a meno di trovarlo familiare. E se ci fosse stato altro, oltre a questo inspiegabile senso di familiarità?

Possibile che si fossero già incontrati?

A quel punto, però, la domanda era un’altra.

Dove?
 

***
 

Elian guardò lo schermo del suo cellulare con aria dubbiosa.

Appena poche ore prima, aveva rivisto Lui.

Appena poche ore prima, si era scontrato contro la più dura delle realtà e mai le parole di Louis e Phoenix gli erano sembrate più veritiere.

Phoenix.

Guardò nuovamente lo schermo del suo cellulare, ripensando al colpo di fortuna inaspettato.

Quando Leon si era allontanato con Louis, lui aveva preferito rimanere con Lance.

Quell’insensata voglia di rimanere però era scattata nel momento in cui aveva compreso che Phoenix non si sarebbe allontanato con loro.

Perché, in sua presenza si sentiva così strano?

Cos’era quel richiamo antico che avvertiva, alla presenza della creatura?

Phoenix vestiva, quel pomeriggio, in abiti eleganti e i suoi lunghi capelli erano raccolti in una coda.

Di innegabile fascino, non perdeva eleganza qualunque cosa facesse. Ma Elian sapeva che non era solo questo ad attirarlo.

No! C’era altro, molto altro. Il problema, per l’appunto, era cosa.

Perché avvertiva la sensazione di non volerlo lasciare, ora che l’aveva ritrovato? Ma come aveva fatto a ritrovarlo, se non si erano mai conosciuti prima?

Prima della sera precedente, almeno!

Elian scosse la testa. Nella sua mente, vorticavano troppe domande che non avevano risposta, per cui era inutile continuare a tormentarsi.

Lui era una persona pratica, che seguiva il suo cuore ovunque lo conducesse, senza perdersi in inutili interrogativi.

Fu per questo che decise di cogliere l’inaspettata fortuna che aveva avuto il pomeriggio.

Quando Artù era uscito dalla scuola a passo di marcia, Lance l’aveva seguito e lui e Phoenix erano rimasti insieme per qualche minuto.

Giusto il tempo di scambiarsi i numeri di cellulare, dietro richiesta di Elian.

Phoenix, dopo quella richiesta, non era sembrato molto sorpreso e, con un sorriso caldo e luminoso, gli aveva porto il suo biglietto da visita.

Poi si era congedato, rientrando nella scuola a passo lesto.

E ora, Elian aveva intenzione di sfruttare quel vantaggio, fino in fondo.
 

Continua…

Note:
 

In questo capitolo ci ricolleghiamo a quello che avviene immediatamente dopo l’incontro di Artù e Merlino, fuori la scuola di musica.

Lo utilizzo anche per iniziare ad approfondire il personaggio di Louis e compare un nuovo, piccolo, mistero!

Spero che non vi abbia annoiato e che vi sia piaciuto.

Come sempre, attendo i vostri pareri.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Al prossimo aggiornamento.

Pandora86

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Capitolo 45
*** Capitolo 45. Giochi pericolosi ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 45. Giochi pericolosi
 

Gwaine chiuse la porta alle sue spalle. Kyle dormiva. O meglio: fingeva di dormire!

Sospirò, dirigendosi in cucina e chiedendosi quale fosse la verità.

Gabriel, quella mattina, non era sembrato preoccupato sulle condizioni di Kyle e Gwaine, per condizioni, intendeva quelle psicologiche.

E allora, come si spiegava quello cui aveva assistito?

Si prese la testa fra le mani, mentre si sedeva. Non riusciva a scacciare quel suono che aveva udito, da dietro la porta.

Non riusciva a scacciare quell’immagine rubata dallo spiraglio offertogli dalla porta socchiusa.

Kyle si era alzato. E piangeva!

Gwaine, in un primo momento, aveva creduto di essersi sbagliato. Ma poi era comparso un suono, quell’inconfondibile suono, che ora non riusciva ad allontanare dai suoi ricordi.

Kyle singhiozzava.

Certo, era un singhiozzare flebile e poco rumoroso ma, forse proprio per questo, più terrificante.

Perché Gwaine aveva scorto la disperazione, dietro le lacrime.

Era rimasto impietrito, mentre ascoltava e guardava.

Tutto il suo corpo fremeva, in attesa di un movimento che – Gwaine lo sapeva – non sarebbe arrivato.

Perché, nonostante sentisse l’irresistibile voglia di spalancare con un calcio la porta e andare dall’altro, Gwaine sapeva di non poterlo fare.

Probabile follia o meno, il cavaliere sapeva per certo che Kyle non avrebbe gradito un simile gesto e, considerato quanto fossero tesi i loro rapporti, non aveva ritenuto opportuno complicarli ulteriormente.

Quindi, non era rimasto altro da fare che allontanarsi, cercando di fare il meno rumore possibile. La cosa non era servita granché, visto e considerato che, con la mente, Gwaine non era riuscito ad allontanarsi da quella stanza. Stanza dove Kyle stava piangendo.

Era ritornato qualche ora dopo, con il cuore in tumulto e la tensione alle stelle. Aveva cercato di fare il più rumore possibile, in modo tale da avvertire il guardiano del suo arrivo, qualora si fosse ritrovato in una situazione in cui non avesse gradito essere visto. Per fortuna, era stata una precauzione inutile: Kyle era di nuovo a letto e se Gwaine non avesse saputo con certezza che, appena qualche ora prima, si era alzato, avrebbe creduto che non si fosse mai spostato. Si era avvicinato al letto notando il respiro pesante dell’altro, quando, dopo qualche istante, un altro particolare lo aveva colpito: Kyle respirava in maniera troppo rumorosa, per uno che realmente stava dormendo.

Scuotendo la testa esasperato, si era allontanato per poi ritornare dopo neanche un’ora. Lo spettacolo era sempre lo stesso: Kyle aveva deciso, con un’ostinazione invidiabile, di portare avanti la sua recita.

E ora eccolo lì, mentre si domandava quando l’altro avesse deciso di piantarla, una buona volta,
con i suoi dannati giochetti.

Inutile sperare che, prima o poi, gli sarebbe venuta fame: Kyle avrebbe preferito morire di stenti, se solo lo avesse sfidato.

Esasperato, si diresse nuovamente in camera. Finzione o non finzione, lo avrebbe svegliato lui stavolta.

Kyle doveva comunque assumere delle medicine e mangiare. E Gwaine gliele avrebbe ficcate in gola con le sue stesse mani, se l’altro avesse anche solo osato protestare.

Non curandosi di essere silenzioso, aprì la porta avvicinandosi al letto.

“Ehi, bell’addormentato” lo richiamò a gran voce.

Nessuna risposta.

“Ti decidi a svegliarti” e marcò la parola, “razza di idiota?”. Di certo, per rispondere all’insulto, si sarebbe svegliato.

O forse no, considerò Gwaine guardando l’altro ancora immobile nella sua impeccabile recita.

A mali estremi, estremi rimedi!
Fu questo il pensiero di Gwaine mentre decise di ricorrere a bruschi metodi.

“Ehi” lo chiamò con decisione afferrando la spalla malandata e scuotendola leggermente.

Kyle non ci mise molto ad aprire gli occhi. La sua prima espressione fu una smorfia di dolore, unita al disgusto verso chi lo stava scuotendo.

“Sei impazzito, per caso?” sibilò a denti stretti.

“Non ti decidevi a svegliarti” scrollò le spalle Gwaine.

“Sei tutto, fuorché adatto ad assistere qualcuno” imprecò Kyle portandosi la mano sana sulla spalla malandata.

“Devi prendere le tue medicine e mangiare qualcosa prima” non si scompose Gwaine.

Fu in quel momento che Kyle cambiò completamente umore. Si mise a sedere, ignorando le fitte persistenti provenienti dalle costole e fissò l’altro con odio.

“Che fai?” provò a rimetterlo steso Gwaine, senza riuscirci tra l’altro, dato che Kyle lo allontanò bruscamente da lui, spingendolo via con il braccio sano.

“Ascoltami bene” lo invitò il guardiano, “trovati qualcun altro con cui giocare all’infermiere” e si alzò.

“Devi tornare a letto” lo riprese Gwaine.

“Sai che ti dico? Vai a farti fottere” sibilò lentamente, muovendosi, a passi incerti, verso la porta.

“Dove sono i miei vestiti?” domandò poi.

Gwaine lo fissò a braccia incrociate. Kyle cercava un modo per andare via da lì. Evidentemente, era ancora troppo scosso per quello che era avvenuto.

Cosa fosse accaduto, in realtà, Gwaine non lo aveva ancora capito. Chissà quale era stato il motivo che aveva scatenato quella reazione emotiva in Kyle, tanto da spingerlo a piangere.

“Tu non ti muovi di qui!” ordinò. “E ti inviterei a non contraddirmi”.

Kyle si voltò lentamente verso di lui.

“Mi stai sfidando?” chiese con disgusto.

“No, se tu non accetti la provocazione e te ne stai buono” non si scompose Gwaine.

“Pensi di potermi battere?” chiese allora interessato Kyle. Sul suo volto, era nuovamente comparso l’interesse verso quell’essere umano così imprevedibile.

“Non con la magia, ovvio!”.

“Sbagli a definire magia il mio immenso potere” gli ricordò Kyle.

“Sì, infatti! So che non ti piace essere paragonato agli stregoni”.

“Forse, perché non lo sono”.

“Sì certo, tu sei immensamente più potente”scrollò le spalle Gwaine.

“E allora, come pensi di riuscire a battermi?” fu l’ovvia domanda di Kyle, mentre piegava la testa di lato e attendeva curioso la risposta.

“Perché, potere a parte, sei un uomo come tutti gli altri. Per di più, anche abbastanza malconcio in questo momento”.

Kyle sogghignò.

“Tipico degli esseri tutti muscoli e niente cervello, sfidare gli altri con la forza bruta”.

Gwaine sentì l’ira crescere e si avvicinò all’altro a passo di marcia.

“Il corvo che dice nero alla cornacchia” imprecò. “Parla quello che non fa altro che ricordare il proprio potere a persone che non hanno neanche una briciola di magia in sé”.

Kyle sbuffò.

“Ma io non sono un cavaliere senza macchia e senza paura, tutto principi e morale” scosse la testa.

“E poi” continuò, “io non sono solo il mio potere. La mia mente è nettamente superiore, in tutto. Strategia, logica. In più, ho passato mille anni in un corpo umano per fare abbastanza pratica e uscire vincitore dagli eventuali scontri con gli esseri inutili come te”.

“Per questo non sei riuscito a difenderti da quei tre idioti” lo provocò Gwaine.

Il volto del guardiano fu trasfigurato dalla rabbia a quelle parole.

“E tu cosa ne sai di come sono realmente andate le cose?” urlò rabbioso.

“Cosa ne sai di me?” urlò ancora.

“Solo perché sei uno dei cavalieri di un regno scomparso, credi di sapere tutto” e gli si avvicinò.

“Tu non sai niente” sibilò a pochi centimetri dal volto dell’altro. “Niente di niente”.

“E adesso, dimmi dove sono le mie cose, dato che non ho intenzione di rimanere qui un minuto in più” terminò, pieno di rabbia.

“No!” strinse i pugni Gwaine.

“Anche a costo di usare la forza bruta, come dici tu, non ti farò uscire da qui in quello stato!”.

“Quale stato?” sibilò Kyle per risposta. “Io sto benissimo. O credi che non riesca a sopportare un misero dolore umano bene quanto te?” terminò, urlando e avvicinandosi al cavaliere.

“Ti credi superiore di me?” urlò ancora.

“Cosa ne sai tu della mia resistenza?” oramai, era un fiume in piena.

“Chi ti credi di essere, per considerarmi debole?” sibilò e Gwaine, istintivamente, fece un passo indietro.

L’ira sul volto dell’altro era evidente. Ira che, nel suo mondo d’origine, avrebbe potuto far tremare i Saggi – almeno stando alle informazioni che aveva di lui. Ira che Gwaine decise di fronteggiare.

“Io non credo niente” provò a calmarlo e, nello stesso tempo, a calmarsi. D’altro canto, era meglio cercare di riportare la discussione a toni più tranquilli o sarebbero arrivati alle mani.

“Io non so niente, come hai detto tu” parlò ancora, fronteggiando l’altro senza paura.

“Ma non posso fare a meno di preoccuparmi per te” ammise.

Kyle, a quelle parole, mutò nuovamente espressione lasciando da parte l’ira e assumendo un’espressione compiaciuta.

“Non eri tu, quello che preferiva un impiegato a uno come me?” ridacchiò, avvicinando pericolosamente il volto a quello dell’altro.

“A quanto pare, ti faccio ancora un certo effetto, nonostante tu abbia affermato il contrario” e sogghignò.

Gwaine deglutì istintivamente decidendo però di non abbassare lo sguardo.

“Mi sto semplicemente preoccupando per la tua salute” affermò serio, sentendo il respiro di Kyle sul suo volto.

Kyle si allontanò, portando il braccio sano alla vita e guardando l’altro con un sorriso sghembo.

“Sì, come no! Non temere, adesso torno a letto e faccio il bravo bambino”.

“Bene!” esclamò Gwaine guardandolo storto. “Tra un po’ ti porto qualcosa da mangiare” e uscì.

Kyle si sistemò sul letto con espressione di vittoria. Quanto erano stupidi gli esseri umani. Quanto erano inutili e prevedibili.

Appoggiò la testa sul cuscino, pienamente soddisfatto dell’esito della conversazione. Poco importava che avesse quasi perso il controllo, mentre sputava addosso al cavaliere tutta la sua rabbia per un dolore fisico che non riusciva a sopportare.

Il pianto di poche ore prima era completamente accantonato in un angolino della sua mente, essendo Kyle troppo gongolante per la nuova, importante, scoperta.

Gwaine, il cavaliere senza macchia e senza paura, provava qualcosa per lui. Qualcosa che non era riuscito a negare in quei frangenti e che Kyle non aveva faticato a cogliere. Ridacchiò, sentendosi improvvisamente di buon umore.

Ancora una volta, non aveva faticato a centrare i suoi propositi con precisione matematica: il cavaliere era nuovamente interessato al lui. Anzi, probabilmente, aveva solo finto di non essere più interessato a lui.

Sarebbe stato divertente gettarlo quando sarebbe venuto il momento opportuno.

In quel momento, Kyle era troppo gongolante, per pensare ad altro. Troppo gongolante per accorgersi come quella notizia lo avesse messo di buon umore. Il semplice fatto che Gwaine provasse interesse per lui, aveva influito suo stato d’animo, condizionandogli l’umore.

Troppo preso dai suoi complicati ragionamenti, non si accorse di Gwaine che era appena entrato nella stanza con un vassoio.

“Mangi da solo o devo imboccarti?” lo provocò il cavaliere e Kyle rispose con uno dei suoi sorrisi smaglianti.

Gwaine fu leggermente preso in contropiede: i continui sbalzi d’umore di Kyle lo destabilizzavano.

Tuttavia, decise di soprassedere, appoggiando il vassoio sul letto.

La successiva domanda di Kyle lo spiazzò nuovamente.

“Non mi fai compagnia?” chiese, con espressione cordiale e amichevole.

“Da quando gradisci la mia compagnia?” domandò Gwaine facendo trapelare il sospetto dai suoi occhi.

“Oh, andiamo. Se dobbiamo stare così a stretto contatto, tanto vale comportarsi civilmente” chiarì con la sua migliore espressione innocente.

Gwaine incrociò le braccia, guardandolo storto.

“Parla quello che, meno di cinque minuti fa, non sopportava nemmeno respirare la mia stessa aria”.

“Le persone intelligenti sanno quando è il momento di cambiare idea”.

Gwaine sospirò, ammirando la dialettica dell’altro. In fondo, Kyle non era certo il tipo di persona che potesse rimanere senza parole. Riusciva ad avere la risposta pronta, sempre e comunque.

Se così non fosse stato, non sarebbe stato Kyle. Fu per questo che decise di andare al punto della situazione.

“A che gioco stai giocando?” chiese, con espressione truce.

Kyle sgranò gli occhi, mostrando una leggera sorpresa. Né eccessiva, né teatrale. Solo una leggera sorpresa, manifestata da chi non si aspetta qualcosa e ne rimane un poco spiazzato.

Ma che attore consumato, considerò Gwaine dentro di sé.

“Scusa?” chiese, lasciando che dai suoi occhi trapelasse stupore.

“Riformulo la domanda allora” non si arrese Gwaine. D’altro canto, sapeva bene che era quasi impossibile avere delle informazioni da Kyle. Soprattutto, quando si trattava di informazioni reali che riguardassero i veri pensieri dell’altro.

“Non mi importa a che gioco tu stia giocando” riprese. “Sappi solo, che io non intendo farne parte”.

Kyle sorrise con espressione sghemba, ammirando la tempra dell’altro. Gwaine aveva un carattere niente male; si sarebbe divertito a giocare con lui.

Questo pensava mentre, con un sorriso smagliante, cominciava a mangiare il pasto portato dall’altro.

Non sapeva ancora che in quel gioco, presto o tardi, avrebbe dovuto mettere in discussione tutto se stesso.
 

***
 

A: Phoenix (17:30)
Come va?
 
Elian digitò frenetico e con decisione. Alla fine, un messaggio era poco impegnativo. Molto meno di una chiamata, sicuramente. Inoltre, un messaggio dava la possibilità al mittente di rispondere quando più preferisse. Quindi, sì – decretò con decisione. Aveva fatto bene!
Non dovette attendere molto per la risposta.
 

Da: Phoenix (17:31)
Bene.
 

Elian sghignazzò. Telegrafico il tipo. Non si perse d’animo.
 

A: Phoenix (17:31)
Ti disturbo?
 

Ancora una volta, la risposta non si fece attendere.
 

Da: Phoenix (17:32)
Se mi avessi disturbato, non ti avrei risposto. :)
 

Elian sorrise. Questa volta, non dovette digitare nulla per ricevere un nuovo messaggio.
 

Da: Phoenix (17:32)
Tu, piuttosto. Tutto bene?
 

A: Phoenix (17:33)
Certo. Perché me lo chiedi?
 

Da: Phoenix (17:34)
Pensavo mi contattassi per un motivo in particolare.
 

A: Phoenix (17:34)
Beh… in realtà un motivo c’è. Uno dei tanti, almeno!
 

Da: Phoenix (17:35)
Dimmi il più importante.
 

Elian sorrise ancora. Quello scambio di messaggi cominciava a piacergli.
 

A: Phoenix (17:36)
Come sta… Lui? Dopo la nostra visita, intendo!
 

Il messaggio di risposta, questa volta, si fece attendere qualche minuto.
 

Da: Phoenix (17:38)
Vedo che non avete dimenticato le nostre parole.

 
Elian si affrettò a rispondere.
 

A: Phoenix (17:38)
No! Come avremmo potuto, d’altronde?
 

Da: Phoenix (17:39)
Eppure, non vi siete fatti scrupoli nel venire nella scuola a cercarlo.
 

Stavolta, Elian non faticò a leggere il rimprovero, neanche tanto velato, tra le righe. Sospirò, decidendo di dire la verità.
 

A: Phoenix (17:40)
In realtà, è stata una coincidenza la presenza di Artù. Ci siamo incontrati per caso.
 

Da: Phoenix (17:40)
Che vuoi dire?
 

A: Phoenix (17:40)
Voglio dire che io e Leon eravamo lì per incontrare te e Louis.
 

Anche questa volta, il messaggio ci mise qualche minuto ad arrivare.
 

Da: Phoenix (17:43)
Capisco! In questo caso, siete perdonati per lo scompiglio creato.
 

Elian sorrise e si affrettò a rispondere.
 

A: Phoenix (17:43)
Non volevamo assolutamente provare a incontrarlo. Non dopo le parole di Louis di ieri sera. Volevamo solo dei chiarimenti su come affrontare la questione del nostro ritorno.
 

Ci pensò su, e poi decise di inviare un altro messaggio.
 

A: Phoenix (17:44)
In ogni caso, spero che Lui stia bene.
 

Da: Phoenix (17:44)
Se non fosse così, non starei perdendo tempo a scambiare messaggi con te!
 

Elian sospirò di sollievo.
 

Da: Phoenix (17:45)
La visita non lo ha lasciato indifferente. Tuttavia, poteva andare peggio. Ora riposa.
 

A: Phoenix (17:45)
Sono felice di questo. Non volevamo creare problemi. Solo… è difficile stare ad aspettare.
 

Da: Phoenix (17:46)
La pazienza è una virtù che non vi caratterizza. Non mi aspettavo niente di diverso dai cavalieri di Camelot.
 

A: Phoenix (17:46)
È un complimento o un’offesa?
 

Da: Phoenix (17:46)
Nessuno dei due. Una semplice costatazione, piuttosto.
 

Da: Phoenix (17:47)
Siete uomini d’azione, sempre e comunque.
 

A: Phoenix (17:47)
Già!
 

Da: Phoenix (17:48)
Bene! Adesso passiamo agli altri motivi per cui mi hai contattato!
 

Elian aggrottò le sopracciglia, osservando perplesso lo schermo del suo cellulare.
 

A: Phoenix (17:49)
Come?
 

Da: Phoenix (17:49)
Hai detto che mi hai contattato per molti motivi ed io ti ho invitato a dirmi il più importante. Ora che la salute del Sommo Emrys è stata accertata, passiamo agli altri.
 

A: Phoenix (17:49)
Ah! Giusto, avevo perso il filo.
 

Da: Phoenix (17:50)
Era evidente. :)
 

A: Phoenix (17:50)
Beh… avrai capito che io e Leon volevamo più informazioni su Avalon.
 

Da: Phoenix (17:51)
Sì. E la cosa è alquanto bizzarra, in effetti.
 

A: Phoenix (17:52)
È una richiesta strana?
 

Da: Phoenix (17:52)
Non è strana la richiesta, ma il modo di porla!
 

A: Phoenix (17:53)
Non ti seguo!
 

Da: Phoenix (17:54)
Beh… ammetterai che è strano parlare di cose di vitale importanza tramite sms, come gli adolescenti.
 

Elian sghignazzò, divertito da quella situazione così anomala eppure così normale, da un punto di vista esterno. In fondo, stava solo scambiando degli innocui messaggi con un noto ballerino. A essere anomalo, in effetti, era il contenuto.
 

A: Phoenix (17:55)
Uso le forme di comunicazione moderna. Preferisci un piccione viaggiatore?
 

Da: Phoenix (17:56)
No! Detesto tutti i volatili, all’infuori di me!
 

A: Phoenix (17:57)
Capisco! Allora… che ne dici dei segnali di fumo?
 

Da: Phoenix (17:57)
Troppo… fumosi! Mi farebbero tossire.
 

A: Phoenix (17:58)
Proponi tu allora, sono a corto di idee.
 

Da: Phoenix (17:59)
Se gli sms vanno bene a te, non vedo perché la cosa debba essere diversa per me. Ammetterai che la situazione, però, è bizzarra.
 

A: Phoenix (18:00)
Beh… non hai tutti i torti! Ma cosa c’è di normale in quello che stiamo vivendo?
 

Da: Phoenix (18:01)
È solo un’altra faccia della normalità. Come lo sono io, del resto.
 

A: Phoenix (18:02)
Che vuoi dire?
 

Da: Phoenix (18:02)
Non avrai certo dimenticato chi c’è all’altro capo del telefono con cui stai messaggiando.
 

A: Phoenix (18:03)
Un noto ballerino di danza classica.
 

Elian ci pensò un attimo e poi decise di rischiare. Era uno strano gioco, quello che aveva intrapreso con l’altro. Gioco che si stava rivelando estremamente piacevole.
 

A: Phoenix (18:04)
Che, all’occorrenza, sa farsi spuntare le ali.
 

Da: Phoenix (18:05)
Strano il modo in cui affronti la situazione!
 

A: Phoenix (18:05)
Ti ho offeso?
 

Da: Phoenix (18:06)
No! Perché mai, se si tratta della verità?
 

Da: Phoenix (18:06)
Con strano intendevo dire: simpatico, piacevole, divertente.
 

Da: Phoenix (18:07)
Hai una mente pratica che ti permette di affrontare le particolarità trasformandole in normalità.
 

A: Phoenix (18:08)
Bah… diciamo che non mi piace perdermi in giri di parole inutili. Preferisco prendere le situazioni di petto.
 

Da: Phoenix (18:08)
O buttarti a capofitto nei pericoli!
 

A: Phoenix (18:09)
Pericoli… come, ad esempio, scambiare messaggi con un rapace in incognito.
 

Da: Phoenix (18:10)
Anche!
 

A: Phoenix (18:10)
Non sembri così spaventoso.
 

Da: Phoenix (18:11)
Non lo diresti, se sapessi quello di cui sono capace. Suppongo che, in quel caso, preferiresti di gran lunga la normalità.
 

A: Phoenix (18:12)
Naaaa… le situazioni normali sono noiose. Non fanno per me!
 

Da: Phoenix (18:13)
Chissà perché, ma lo sospettavo!
 

A: Phoenix (18:14)
Un punto a mio favore, quindi?
 

Da: Phoenix (18:15)
Direi di sì!
 

Elian ci pensò su, poi decise di provare a dire quello che sentiva.
 

A: Phoenix (18:17)
Sai… mi sembra di conoscerti da una vita.
 
 
Da: Phoenix (18:17)
Faccio questo effetto a molte persone. Probabilmente, sarà la mia cordialità.
 
 
Elian scosse il capo. No! Decisamente, non era solo la cordialità dell’altro a farglielo sentire così familiare.
 

A: Phoenix (18:18)
Può darsi. Ma non credo sia solo questo.
 

Da: Phoenix (18:19)
E allora, secondo te, di cosa si tratta?
 

A: Phoenix (18:19)
Non lo so! Non ci siamo incontrati a Camelot, vero?
 

Da: Phoenix (18:19)
Se così fosse, non credo sarei arrivato in questo secolo. Tu combattevi le creature come me, all’epoca.
 

Elian storse il naso, infastidito da quella verità così lontana eppure così veritiera. Passò qualche istante e arrivò un nuovo messaggio.
 

Da: Phoenix (18:19)
Comunque no! Io sono nato qualche secolo dopo!
 

Elian stavolta sospirò. Di certo, lui era morto molto prima della nascita di Phoenix. Poi, notò un particolare nello scambio di messaggi avuto con l’altro.
 

A: Phoenix (18:20)
Eppure, non mi sei sembrato sorpreso dalle mie affermazioni. Non hai negato su tutta la linea, ma solo di non avermi incontrato a Camelot. Mi hai spinto a dirti cosa pensavo, invece di negare e basta.
 

Da: Phoenix (18:20)
E cosa ne deduci da questo?
 

A: Phoenix (18:20)
Non lo so! Non ci siamo incontrati in quest’epoca, vero?
 

Da: Phoenix (18:21)
Se così fosse, mi avresti ricordato.
 

Elian annuì. Sì, non lo avrebbe dimenticato così facilmente, se lo avesse conosciuto in era moderna.
 

A: Phoenix (18:22)
Non ne vengo a capo! Eppure… mi sembra di conoscerti da sempre!
 

Da: Phoenix (18:24)
Non ci pensare! Non troverai le risposte, se ti affanni così tanto!
 

Da: Phoenix (18:25)
Ora devo andare!
 

A: Phoenix (18:25)
Alla prossima!
 

Da: Phoenix (18:27)
Sì! Alla prossima.
 

***
 

Ti distruggerà.

No.

È tornato per distruggerti!

No.

Sei solo un servo.

NO!

Ti distruggerà!

Smettila! SMETTILA!

Non posso smettere. Sono stato creato per questo!

Chi sei? Fatti vedere?

Non lo sai chi sono, piccolo stupido? IO SONO TE STESSO!

Non è vero! Non può essere vero.

Guarda tu stesso. Apri gli occhi.

No!

Guardami!

Ti ho detto di no!

GUARDAMI!

E fu allora che la vide. Fu allora che aprì gli occhi contro il suo volere.

L’immagine riflessa apparteneva a lui.

Io non sono così! IO NON SONO PIÙ COSÌ.

Capelli corti. Abiti logori. Fisico magro e immancabile bandana al collo.

NO!

E si toccò i capelli.

Sono lunghi.

Si rassicurò.

Non è vero.

Sì, invece. Ti ordino di smetterla!

SMETTILA.

“SMETTILA!”.

E si svegliò.

Con il corpo pregno di sudore, mise a fuoco, lentamente, le pareti della sua stanza.

Guardò, uno dopo l'altro, tutti gli oggetti che riempivano la stanza, fino ad alzarsi di scatto e guardarsi allo specchio che ritraeva l’immagine di un uomo spossato ma indiscutibilmente bello.

Ansimante, si toccò i capelli.

Erano lunghi e i suoi abiti erano moderni.

Guardò il calendario: dicembre 2013.

Chiuse gli occhi, provando a calmare i battiti del suo cuore.

“Sono Klause Badelt” si rassicurò notando, solo in quel momento, la figura che vegliava al suo fianco.

“Che ore sono, Phoenix?” domandò, sentendo, con sollievo, la voce uscire sicura.

“Quasi le sette di sera!” rispose.

“Stai bene, Klause?” domandò Phoenix, preferendo rivolgersi al suo signore e amico con il nome che preferiva.

Sapeva bene, infatti, che quando si svegliava dopo un incubo di quella portata, questo era l’unico nome con il quale l’altro volesse essere chiamato.

“Bene!” rispose ghignando Merlino.

“A breve, incontrerò il Re” e ridacchiò.

“Sicuro di volerlo fare?” s’informò Phoenix.

“Oh sì!” confermò il mago. “Spero per lui che abbia dei piani eccellenti” continuò, mentre apriva il suo armadio.

“O farò in modo che, la sua misera impresa, diventi un edificio disabitato” e ghignò ponderando bene, tra la vasta scelta del suo armadio, quale sarebbe stato l’abito migliore da indossare.

“Il Re ancora non conosce quale sia l’influenza di Klause Badelt in questo secolo” e ridacchiò, afferrando il telefono.

“Meglio che senta Gabriel, prima” e uscì dalla stanza.

Phoenix sospirò.

Oramai, nessuno poteva fermare gli eventi che si erano innescati. Tutto stava nelle mani del Re.
 
 

***
 

Elian guardò l’ora: segnava le undici di sera passate.

Oramai, non aveva più nulla da fare se non fiondarsi nel letto. D’altro canto, nell’ultima settimana, le giornate erano volate ed erano state una più impegnativa dell’altra.

Fu prima di poggiare la testa sul cuscino che, con decisione, afferrò il cellulare, digitando veloce.

 
A: Phoenix (23:46)
Buonanotte.
 
 
La risposta non si fece attendere.
 
 
Da: Phoenix (23:47)
Buonanotte anche a te.
 
 

Continua…
 

Note:
 

Nella parte su Elian, spero vi piaccia come ho iniziato a far interagire lui e Phoenix. Nella serie, Elian ci viene descritto come un tipo che segue il suo cuore e le sue aspirazioni ovunque lo portino. Io ho approfondito questa introspezione, rendendolo una persona pratica, come lo descrive anche Phoenix in uno dei messaggi. Da questo, nasce l’idea di farli interagire in questo modo.

Inoltre, l’ultima parte è l’unica che, cronologicamente, avviene durante l’incontro tra Merlino e Artù. Si tratta di un’eccezione, dato che ho preferito concludere la giornata di Elian e Phoenix. Tutte le altre, così come gli altri capitoli, sono cronologiche. Infatti, Phoenix si congeda con Elian proprio durante l’incubo di Merlino.

Inoltre, i messaggi sono tutti descritti dal punto di vista di Elian. Per questo, nelle parti che specificano il mittente e il destinatario (A – Da) compare sempre il nome di Phoenix.

Spero che le mie scelte, e il capitolo, vi siano piaciuti.

Mi raccomando, fatemi sapere i vostri pareri.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Pandora86

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Capitolo 46
*** Capitolo 46. Punto di non ritorno ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 

Capitolo 46. Punto di non ritorno
 
“Capisco!” rispose Gabriel a chissà quale affermazione proveniente dalla persona all’altro capo del telefono.

“Quindi, tra meno di un’ora” disse, guardando il suo orologio da polso.

“Certo!” annuì ancora. “Sai bene che non sono io a essermi opposto a quest’incontro negli ultimi trent’anni!” ci tenne a sottolineare il guardiano, per amor di pignoleria.

“Tienimi aggiornato” e attaccò.

Perce lo guardava con il fiato sospeso.

“Era… Lui?” chiese titubante.

Gabriel annuì, poggiandosi con le spalle alla parete e incrociando le braccia con aria pensierosa.

“C’è qualche problema?” domandò Perce in un sussurro.

Gabriel fece un’espressione dubbiosa, sfiorandosi il mento con l’indice, prima di andare a sedersi nella poltrona di fronte al cavaliere.

“Sembra di no” si espresse poi, dopo aver accavallato le gambe.

“Sembra che il Re abbia deciso di entrare in azione” esclamò poi, congiungendo i polpastrelli.

“Cioè?” chiese Perce interessato.

“A quanto pare, oggi Klause Badelt ha ricevuto la visita di Artù, nella sua scuola di musica” spiegò l’altro e Perce sgranò gli occhi.

“E pare che abbia ricevuto anche una proposta lavorativa interessante, tanto da spingerlo a incontrare il Re alle otto in punto” riassunse Gabriel e Perce non riuscì a trattenersi.

“Tra un po’, quindi” affermò, notando che mancavano all’incirca quaranta minuti alle otto di sera.

“Quale proposta lavorativa?” chiese poi perplesso e Gabriel sorrise con l’aria di chi la sapeva lunga.

“Avevo intuito che quella era la parte inventata di sana pianta!” e ridacchiò piano.

Perce sospirò, rilassandosi al suono della risata dell’altro.

“Ecco perché Artù aveva così fretta di uscire, oggi!”.

Il suo volto assunse poi un’espressione preoccupata.

“Non ci saranno problemi per Lui?”.

Gabriel ponderò attentamente le parole prima di rispondere.

“I rischi sono altissimi” si espresse poi. “Ma anche i benefici non sono da meno. Dipende tutto da come si comporterà il Re”.

“Artù saprà cosa fare” si rasserenò un poco Perce.

“Nutri molta fiducia in lui, vero?” chiese Gabriel interessato.

“Sì” ammise senza problemi Perce. “E anche tu!”.

Gabriel alzò un sopracciglio in segno di domanda.

“Se pensassi che potrebbe fare del male a Lui, un male certo intendo, non credo che rimarresti qui, così rilassato” gli fece notare con tono ovvio.

“Vero!” annuì Gabriel.

“D’altro canto” si espresse poi, “il Re non è tornato per caso. E la sua preparazione supera di gran lunga quella che aveva a Camelot” concluse.

“E poi, se è uscito indenne dalla visita di oggi” e ridacchiò leggermente, “allora credo che qualche possibilità l’abbia”.

“Che vuoi dire?” domandò Perce curioso.

Gabriel sorrise, prima di cominciare a raccontare.

“Klause Badelt è molto diverso da Merlino. È un uomo arrogante e presuntuoso. Un uomo che ama solo il suo lavoro e che non esita a disprezzare la più piccola forma di stupidità. Quando Merlino veste i panni di Klause Badelt è estremamente irritante” concluse e Perce capì quello che intendeva.

“Avrei tanto voluto assistere” esclamò e Gabriel si fece serio.

“Non credo sarebbe stato piacevole”.

Perce corrugò la fronte con aria perplessa domandando all’altro il perché di quell’affermazione.

“Klause Badelt è un bambino prodigio, proveniente da una famiglia ricchissima e di alto livello sociale” incominciò a spiegare Gabriel.

“Nei panni di Klause Badelt, Merlino può utilizzare tutta la sua conoscenza – una conoscenza divenuta oramai millenaria – sentendosi libero di disporne come meglio crede. Le persone però che non hanno questo dettaglio, sanno solo di trovarsi di fronte uno sguardo scrutatore e intelligente. Sanno solo di avere a che fare con un uomo con un quoziente intellettivo nettamente superiore al loro” e fece una pausa, dando modo all’altro di assimilare i concetti.

“Se poi, si tratta di persone con le quali Merlino non ha interesse nell’intrattenersi” e lo guardò attentamente, “allora non credo che queste persone riescano a trarre piacere dall’incontro. Non avresti gradito, infatti, stare a contatto con una persona così diversa rispetto ai tuoi ricordi” specificò parlando, questa volta, al singolare.

“Soprattutto, se questa persona non fa altro che gettarti addosso uno sguardo carico d’odio e di disprezzo” concluse senza fare giri di parole.

“È il diamante, vero?” chiese Perce con gli occhi velati di tristezza.

“Anche” confermò Gabriel, “ma non solo” ci tenne a sottolineare.

“Il diamante non fa altro che amplificare paure già esistenti” spiegò, precedendo le domande.

“È intimamente legato al suo possessore, di conseguenza, amplifica le paure della persona che lo indossa. Riesci a capire questo concetto?” domandò e Perce scosse il capo in segno di diniego.

“Mettiamo caso che il diamante venga indossato da una persona che ha un leggero fastidio verso gli ambienti troppo bui. Cosa credi proverà, questa persona, quando indosserà il diamante?” domandò senza però attendere la risposta.

“Il diamante nero rappresenta il male. E per esercitarlo, e compiere quindi il suo lavoro, si appella ai sentimenti negativi presenti negli animi delle persone. Questa persona, una volta indossato il diamante, non avrà solo un leggero fastidio verso ambienti scuri; ne proverà terrore. Il leggero fastidio diventerà una vera e propria fobia. Capisci ora?”.

“Per questo, Artù ha provato un senso di pace, proveniente dall’altro diamante” rifletté Perce.

“Esattamente!” confermò Gabriel. “Gli anelli devono esistere, e devono essere funzionanti per l’equilibrio del mondo. Non esiste pace senza guerra. Non esiste felicità senza tristezza. Non esiste una cosa senza il suo esatto opposto” e fece una pausa.

“Capisci perché, nel caso di Merlino, amplifica proprio queste paure? Capisci il vero significato dell’esistenza di Klause Badelt?” domandò ancora ma Perce si ritrovò nuovamente a scuotere la testa.

“La famiglia Badelt nacque circa trecento anni fa” gli rivelò allora Gabriel sapendo che l’altro avrebbe colto la similitudine.

“Quando tu gli hai consegnato il diamante” sgranò gli occhi Perce.

“Decennio più, decennio meno” confermò il guardiano.

“Merlino, a Camelot, non veniva da un ceto sociale alto” riprese a spiegare. “Tuttavia, riusciva a conquistare la fiducia di tutti. I suoi migliori amici, infatti, rientravano tra le file dei cavalieri. E tra queste file, dopo l’ascesa al trono di Artù, c’erano persone che, anche se di umili origini, avevano conquistato una posizione sociale più alta della sua”.

Perce annuì con il capo. Merlino, d’altro canto, anche quando loro erano diventati cavalieri, era rimasto sempre un amico. Non era mai stato solo il servitore del Re.

“Tuttavia” riprese a parlare Gabriel, “dentro di sé, covava un potere immenso. Un potere che non sarebbe stato accettato” e Perce annuì ancora, abbassando gli occhi con tristezza.

Ricordava, infatti, l’odio che lui stesso aveva provato per la magia. Ricordava le sue battaglie contro Morgana e i principi ai quali si era appellato quando era diventato cavaliere. Ricordava il regno di Uther e la guerra che ne era generata, facendo nascere in tutte le persone quantomeno una certa diffidenza verso la magia. Perché, anche se non tutti la odiavano, era indiscutibile che nessuno sarebbe andato contro il re. Almeno, non a Camelot. I popolani, infatti, non avrebbero esitato a denunciare uno stregone. E, anche quando Artù era salito al trono, nonostante il nuovo regno promettesse pace e giustizia per tutti, gli stregoni avevano continuato a essere gli esclusi. Certo, veniva fornito loro un equo processo, nel caso finissero sotto accusa per qualche motivo. Ma nessuno praticava la magia liberamente nel regno. Un Regno che Merlino sognava. Un Regno che Artù non aveva fatto in tempo a costruire. Perché Perce, era sicuro che, se Artù avesse governato per altri vent’anni, gli stregoni avrebbero visto il regno che sognavano. Però, il tempo non c’era stato. E lui stesso, in qualità di cavaliere, non aveva mai abbandonato i pregiudizi contro quelli che praticavano la magia. La sua famiglia, all’epoca, era stata sterminata dall’esercito di Cenred. E Cenred non si era mai fatto scrupoli nel circondarsi da stregoni. In sostanza, Merlino, in fondo non aveva tutti i torti a ricordare Camelot come un periodo buio. Non alla luce di tutte quelle informazioni, almeno.

La voce di Gabriel lo riscosse dalle sue riflessioni.

“Merlino ha sempre avuto la paura, ben celata, di non essere accettato. Capisci ora, perché è nato Klause Badelt?” domandò e stavolta Perce capì.

“Klause Badelt è un uomo che, attualmente, occupa, nella scala sociale, una posizione più alta della nostra. Una posizione più alta persino di Artù” disse Perce lentamente, capendo solo ora quei concetti.

Gabriel approvò con il capo.

“Klause Badelt è un uomo che non può essere messo da parte, né ignorato, perché potente, ricco e influente” aggiunse.

“E Merlino non si staccherà facilmente da questa maschera. Merlino, che ha sempre temuto il vostro ritorno, non abbandonerà Klause Badelt; soprattutto con voi” terminò.

“Se a Camelot queste paure erano inconsce, ora, grazie al diamante, sono sotto gli occhi di tutti” esclamò Perce e Gabriel annuì.

“All’epoca” spiegò ancora il guardiano, “per lui non aveva importanza essere un servo, perché il suo cuore era libero dall’influenza del diamante. Non gli interessava agire nell’ombra e non essere mai ringraziato per i suoi meriti, perché troppo altruista e disinteressato”.

“Ora invece è diverso” rifletté ancora Perce. “Klause Badelt è un uomo che viene continuamente osannato e che ci tiene a specificare il suo stato sociale”.

“Merlino ha costruito da solo la sua conoscenza, sfruttando i secoli che ha avuto a disposizione” ci tenne a sottolineare Gabriel.

“Tutto quello che ha costruito e imparato, non lo ha fatto grazie alla magia”disse ancora. “Se può, preferisce dimenticare di avere la magia. Quando non è costretto a essere il Sommo Emrys, lui sceglie di essere Klause Badelt” raccontò Gabriel.

“Quando siamo presenti solo noi e lui parla della sua magia, la chiama ‘il mio piccolo problema’” aggiunse e Perce lo guardò incuriosito.

Gabriel riprese a spiegare.

“Quando tiene un concerto o mette in mostra la sua conoscenza, dice sempre: sono Klause Badelt, in fondo, e mi sono costruito da solo, piccolo problema a parte” e sorrise leggermente.

“Ci tiene a specificare che lui non è solo magia” capì Perce.

“Ha imparato molte cose. Si è impegnato a imparare molte cose” precisò Gabriel e, per qualche istante, regnò il silenzio nella stanza.

Perce assimilava le informazioni, trovando tutte le incongruenze e facendole andare al proprio posto.

Era così che funzionava il diamante nero. Era così che esercitava il suo potere. Ed era per questo che solo Merlino poteva indossarlo.

Perché il diamante nero non aveva trovato terreno fertile nel cuore di Merlino, libero da ogni traccia di malvagità. Tuttavia, aveva facilmente scovato le paure nascoste nel suo animo e agiva su quelle.

Se il diamante fosse stato indossato da una persona con un cuore malvagio, allora, ammesso che questa persona fosse riuscita a controllarlo, avrebbe causato solo distruzione.

Certo, era stato al dito di Gabriel ma non aveva mai funzionato, dato che il guardiano lo custodiva.

Ma se fosse stato predisposto per essere indossato da una persona dal cuore malvagio, invece?

Beh... inutile dire che gli effetti sarebbero stati devastanti.

Tuttavia, non era colpa del diamante, perché il male doveva esistere per l’esistenza del bene.

Il diamante doveva esercitare il male e, al dito di Merlino, non proiettava il suo potere verso gli altri.

Al dito di Merlino, il diamante proiettava il male verso il suo possessore.

Ed era per questo che i guardiani lo avevano accompagnato e istruito.

Ecco perché esisteva Klause Badelt. Perché Merlino, da qualche parte, doveva trovare un appiglio per non farsi schiacciare. Doveva trovare un appiglio per non impazzire.

Questo appiglio era appunto la maschera che indossava. Una maschera che sopperiva tutte le paure che provava, creando un personaggio completamente opposto.

Sicuramente, Gabriel era stato uno degli artefici della nascita della famiglia Badelt. Lui, essendo il creatore dell’anello, aveva ben presente quali sarebbero stati i suoi effetti.

“Ovviamente” riprese a parlare Gabriel, distogliendo Perce dalle sue riflessioni, “è un bene che finalmente il Re conosca i timori di Merlino. Due metà devono conoscersi alla perfezione prima di incastrarsi” concluse con voce profonda e Perce lo guardò.

“E tu?” domandò con un sussurro.

Gabriel aggrottò lo sguardo.

“Io cosa, esattamente?”.

Perce si prese un istante di pausa, come per raccogliere le idee.

“Una volta che queste metà si saranno incastrate, tu cosa farai?” domandò, con un tono di voce bassissimo.

Gabriel lo guardò perplesso.

“Probabilmente, continuerò a fare quello che ho sempre fatto” rispose, non capendo cosa volesse dire l’altro.

“Certo” annuì Perce. “Ci sono sempre gli altri, vero?” domandò infervorandosi.

“Sinceramente, non capisco!” ammise Gabriel visibilmente spiazzato.

“Ci sono gli equilibri, i diamanti” cominciò a elencare Perce, alzandosi e camminando per la stanza.

“C’è Lui, c’è Artù, c’è Kyle” continuò Perce. “Ci siamo noi, e tutto il resto!” e fece un istante di pausa, prima di inginocchiarsi di fronte al guardiano, che era rimasto seduto, portando, in questo modo, i loro occhi alla stessa altezza.

“Ma Gabriel, dov’è?” domandò poi con foce profonda.

Gabriel sostenne lo sguardo dell’altro avvertendo la stessa situazione di poche ore prima: battito cardiaco accelerato.

Non fece tuttavia trapelare nulla dal proprio volto.

“Continuo a non capire” affermò, stavolta mentendo spudoratamente con espressione impassibile.

Il discorso dell’altro cominciava a essere chiaro. Tuttavia, nonostante Gabriel fosse sceso a patti con se stesso – ammettendo quindi di provare qualcosa per il cavaliere – non aveva nessuna intenzione di rendere note queste ammissioni, né incoraggiare la sbandata dell’altro.

Perce era solo un essere umano, dalle emozioni volubili e dai sentimenti passeggeri.

Lui, invece, era un essere immortale e non aveva intenzione di assecondare una persona in situazioni non appropriate.

Il cavaliere sembrava aver preso coraggio – a giudicare dal modo in cui si era rivolto – ma lui, nonostante avesse ammesso di gradire la presenza dell’altro, non aveva intenzione di far prendere una tale piega agli eventi.

Ci avrebbe messo poco, considerò, a riportare la situazione alla normalità.

“Non fare finta di non aver capito!”.

La voce rammaricata di Perce lo distolse dalle sue riflessioni. Gabriel studiò a fondo la sua espressione.

Il cavaliere non lo stava rimproverando. L’esclamazione, nonostante avesse la sintassi di un rimprovero, era stata pronunciata con voce implorante e malinconica. Gli occhi di Perce, in quel momento, erano tristi.

Questo tuttavia non distolse il guardiano dai suoi propositi.

“Potresti ripetere?” lo sfidò il guardiano.

Fu questa la domanda di Gabriel e mai nessuna domanda pronunciata dalla sua voce fu più tagliente di quella.

L’espressione era dura, le labbra piegate in una linea severa. Gli occhi, più neri della pece, non erano mai stati più freddi.

La risposta di Perce lo spiazzò nuovamente.

“Quando penserai a te stesso?” chiese il cavaliere in un sussurro, con gli occhi velati di tristezza.

La domanda aveva assunto il tono di una preghiera.

Gabriel ghignò con espressione supponente.

“Mi costringi a ricordarti” sibilò, “che questi non sono affari tuoi”.

“Lo so!” lo spiazzò nuovamente il cavaliere.

Gabriel sgranò impercettibilmente gli occhi.

“E non conta quanto sarai scostante e freddo” aggiunse Perce. “Non conta quanto mi allontanerai o manterrai le distanze” continuò, parlando lentamente eppure senza incertezza.

“Non potrai mai impedirmi di preoccuparmi per te” affermò con voce profonda avvicinando, lentamente, la sua mano a quella dell’altro poggiata sul bracciolo della poltrona.

“Non potrai mai impedirmi di provare quello che sento” sussurrò, sfiorando con la punta del dito il dorso della mano dell’altro, facendo durare il contatto meno di un istante, e poi poggiandola a una distanza irrisoria da quella del guardiano.

Gabriel lo guardò.

Seguì la traiettoria della mano del cavaliere, notando come l’avesse posata vicino alla sua,
sfiorandola appena.

Guardò poi il suo volto.

Quanta purezza nel suo sguardo, quanta bontà che traspariva dai suoi occhi.

Perce era un puro di cuore, dall’animo nobile.

Non come lui, che aveva visto il mondo evolvere, guerra dopo guerra, massacro dopo massacro.

Non come lui che aveva rinchiuso il suo cuore nel freddo oblio, per vivere l’eternità da essere umano.

Perce era puro. E quello che provava era sbagliato.

Fu per questo che Gabriel decise di disilluderlo, nel modo più crudele, pezzo dopo pezzo.

Fu con il suo sguardo più freddo che si rivolse a lui. Fu con il suo tono più glaciale che parlò.

“E credi che a me, personalmente parlando intendo, importi qualcosa?” e lo guardò sorridendo appena, mentre le labbra assumevano una linea cattiva.

“So anche questo” esclamò invece Perce, contro i suoi propositi, continuando a sorridere.

Un sorriso molto diverso da quello appena accennato di Gabriel. Un sorriso buono.

“Credi davvero che io non mi renda conto di essermi impelagato in una cosa a senso unico?” chiese ancora il cavaliere con tono rammaricato.

Gabriel lo guardò con un sorriso sarcastico.

“Quindi” disse lentamente, “sai quanto siano stupidi i tuoi propositi” lo provocò.

“Questo non mi impedisce di tentare” gli fece eco Perce. “Ogni uomo deve essere in grado di prendersi ciò che vuole”.

Gabriel si irritò, ritraendo di scatto la mano che era vicina a quella del cavaliere.

“Non provare a usare le mie parole contro di me, piccolo uomo” sibilo a denti stretti, senza nessuna traccia di sorriso sul volto.

“Non giocare con il fuoco” lo avvertì, alzandosi di scatto. “Potrebbero non piacerti le conseguenze” lo minacciò.

Perce si alzò a sua volta. Nonostante fosse notevolmente più alto dell’altro, questo diveniva un dato irrilevante se di fronte ti trovavi Gabriel che ti puntava addosso quello sguardo adirato e oltraggiato.

Tuttavia, non si tirò indietro, provando invece a spiegare il perché delle sue parole.

“Non volevo farti innervosire” provò a ragionare non capendo perché l’altro, improvvisamente, fosse diventato una furia.

“Allora non provare a manipolarmi per ottenere i tuoi scopi” sibilò Gabriel muovendo appena le labbra e mostrandosi in tutta la sua alterigia. “Soprattutto, con parole mie” ci tenne a specificare.

Perce lo guardò, considerando che Gabriel, in quel momento, avrebbe intimorito chiunque, anche chi non fosse stato a conoscenza della sua magia.

Tuttavia, capì anche perché l’altro si fosse improvvisamente arrabbiato.

“Hai frainteso” ci tenne a specificare. “Non volevo raggirarti con parole tue” continuò a parlare con sicurezza. “Volevo soltanto farti sapere che ho intenzione di seguire una delle tante cose che ho imparato da te, nelle poche sere in cui ci siamo incontrati” e gli si avvicinò amichevole.

“Cambi la forma, ma non la sostanza” lo guardò truce il guardiano. “Non provare a raggirarmi” ripeté. “Mai” sibilò.

“Le tue parole mi hanno fatto capire che, anche io, posso provare a raggiungere ciò che voglio” rispose Perce soprassedendo all’ennesima minaccia.

“Anche io, posso provare, con tutto me stesso, a essere felice” disse ancora.

“Voglio provare a seguire il tuo consiglio, diventando l’artefice del mio destino” continuò, implorando dentro di sé che l’altro capisse.

“Anche se so che non ho speranze” e scosse il capo, sorridendo con tristezza.

“Anche se so che sono niente a confronto” aggiunse con tono più basso.

“Voglio provare a migliorarmi, per raggiungere questa persona, passo dopo passo” e si avvicinò ancora.

Gabriel indietreggiò istintivamente.

C’era troppa sincerità nelle parole del cavaliere. Gabriel aveva sempre saputo che un animo nobile come Perce non avrebbe mai provato a raggirarlo. Tuttavia, quello che lo aveva colpito maggiormente era l’intensità dei sentimenti che professava.

Perce non aveva preso una sbandata. Perce non provava una cotta passeggera. Il suo sentimento non era volubile e transitorio.

Perce lo amava. Con un’intensità e un bisogno tali da arrivare alla disperazione.

Perché il cavaliere era cosciente dell’immenso divario tra loro e questa conoscenza doveva fare male. Molto male.

Il cavaliere, nonostante tutto, non poteva impedirsi di amarlo. Era questo che aveva voluto dirgli. Era questo il messaggio che aveva voluto trasmettergli.

Fu per questo che Gabriel decise di porre fine a tutto quello.

Perce, così come il Re e gli altri cavalieri, era tornato per risanare gli equilibri del mondo.

Era su questo che il cavaliere doveva concentrarsi. Quelli erano risvolti inaspettati e indesiderati. Risvolti inopportuni. Risvolti cui Gabriel avrebbe messo la parola fine definitivamente.

Aveva sottovalutato i sentimenti del cavaliere, paragonandoli a un’infatuazione di breve durata.

Ora, avrebbe rimediato.

Il cavaliere lo amava, per chissà quale arcano motivo. Bene! A breve, lo avrebbe odiato.

Fu con la sua migliore faccia da poker che lo affrontò.

“Come sei divertente” e ridacchiò con scherno. “Anche abbastanza ridicolo, devo ammettere” e gli puntò contro uno sguardo denigratorio.

“Ti rendi conto di essere un piccolo uomo mortale?” gli ricordò.

“Ne sono consapevole” sussurrò Perce volgendo lo sguardo altrove.

Gabriel lo scrutò: aveva fatto centro! Il cavaliere doveva aver pensato a questo piccolo particolare e lui aveva rigirato il dito nella piaga.

Chissà quanto si era tormentato su quell’ostacolo insormontabile.

“O forse” lo provocò ancora Gabriel, “è l’immortalità ciò che vuoi?”.

Perce scosse la testa, con gli occhi velati di lacrime.

“Non me ne faccio nulla dell’immortalità, se non ci sei tu” ammise senza problemi, sentendosi sconfitto.

“Prova a dirmelo tra cento anni” gli fece notare il guardiano con tono dubbioso.

Tuttavia, nonostante avesse messo in dubbio la veridicità dell’affermazione dell’altro, sapeva bene che Perce aveva parlato con sincerità. Questo, tuttavia, non lo smosse dai suoi propositi.

“Oh, che sbadato” parlò ancora. “Tu, fra cento anni, non ci sarai” gli fece notare cattivo afferrando il cappotto dalla poltrona.

Eccolo, il cuore del cavaliere che si frantumava, Gabriel riuscì quasi a sentirlo, attraverso lo sguardo pieno di dolore di Perce. Eccoli, quei sentimenti che si spezzavano, definitivamente, davanti a una realtà tanto oggettiva quanto crudele. Eccolo, un dato di fatto che non si poteva in nessun modo cambiare: mortalità e immortalità a confronto.

Gabriel si avviò silenzioso verso la porta.

“Dove vai?” chiese Perce preoccupato.

“Non sono affari di tua competenza” rispose Gabriel senza guardarlo.

“Manderò qualcuno a prendere la roba recapitata da Lenn” aggiunse, annodandosi la sciarpa.

“Mi dispiace!” provò a fermarlo Perce.

Gabriel lo guardò perplesso.

“Non mi dire che sei già pronto a ritrattare tutto!”.

“No!” lo contraddisse Perce con veemenza.

“Non c’è bisogno che tu vada. Io non mi aspettavo nulla da te. Ho sempre saputo di non avere speranze” ammise con foga.

“Volevo solo che lo sapessi, tutto qui” concluse.

“Avresti dovuto pensarci prima!” lo riprese l’altro avviandosi alla porta con decisione.

“Concentrati sul tuo scopo” lo ammonì. “E non perdere più tempo in cose inutili” e uscì definitivamente.

Perce guardò la porta chiusa per diversi istanti, sentendo una lacrima rigargli il volto.

Perché?

Perché era finita in quel modo?

Si sedette, notando che l’altro aveva dimenticato i guanti.

Li afferrò, stringendoli forte.

Poteva ancora sentire l’odore di Gabriel su quella piccola stoffa, se si concentrava.

Si prese il capo tra le mani sentendosi disperato.

Perché aveva rovinato tutto?

Gabriel non era stato cattivo con lui. Gli aveva semplicemente fatto notare l’ovvio.

Come sarebbe stato facile non provare quel sentimento così intenso e devastante.

Eppure… eccolo ancora lì, l’amore verso il freddo guardiano.

Eccolo ancora lì, l’amore per quella creatura così potente eppure così sola.

Un’eternità condannato a vivere da solo. Questa era la realtà di Gabriel. Questa era la vita che aveva scelto. Tuttavia, Perce sapeva anche che si trattava dell’unica realtà che l’altro conoscesse.

Ma lui, cosa poteva mai fare?

Perché Avalon non aveva dato loro qualcosa in più?

Perché lui, un tempo Sir Parsifal, non era tornato con qualcosa in più?

Perce.

Si sentì chiamare.

Perce.

Sgranò gli occhi.

Chi era, quella voce nella sua testa?

Perce.

Aveva già sentito quella voce.

Sì! Perce la conosceva.

Fu in quel momento che accadde.

Accadde nel momento di massima disperazione. Nel momento in cui, senza volerlo, Perce malediceva la sua natura mortale.

Fu in quel momento che svenne. Nelle mani, stringeva ancora i guanti dell’altro.

A chilometri di distanza, intanto, una piccola crepa in un oggetto immune al tempo e allo spazio si risanava.

A chilometri di distanza, un oggetto antico più del mondo, divenuto oramai una ragnatela di crepe e di graffi, creava qualcosa al suo interno.

Un piccolo rubino a forma di cuore, più rosso del sangue.

Continua…
 

Note:

Non ho molto da dire. La storia si infittisce ma, al contempo, si dirada anche.

Come avrete notato, uso la coppia Perce-Gabriel per dare informazioni riguardanti Merlino. In questo caso, Gabriel chiarisce ulteriormente il funzionamento del diamante nero e spiega il perché della nascita della famiglia Badelt. Queste spiegazioni saranno fondamentali nel prossimo capitolo quando, finalmente, arriveremo a mercoledì sera e Merlino e Artù si incontreranno. Uso questo capitolo, anche per analizzare meglio l’introspezione di Merlino vista da un osservatore esterno. Introspezione fondamentale per i prossimi capitoli quando, finalmente, avremo il punto di vista del mago.

Inoltre, nella parte finale, compare un nuovo mistero. Stavolta però si tratta di un mistero risolutivo e decisivo per l’avviamento della storia verso la conclusione.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Attendo curiosissima i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Pandora86

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Capitolo 47
*** Capitolo 47. La tua Magia ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 47. La tua Magia
 

Artù guardò l’orologio: mancavano pochi minuti alle otto di sera.

Deglutendo, guardò istintivamente il tavolo, dove aveva poggiato i progetti: ce l’aveva fatta. Per un pelo, ma era riuscito a finire il lavoro in maniera eccellente.

Scosse la testa, scacciando il fugace pensiero di riguardare quei fogli; avrebbe fatto peggio, considerando come sentisse la tensione crescere.

Sapeva che quei piani erano più che buoni, così come sapeva che non era questo il motivo della sua tensione.

Guardò nuovamente l’orologio: mancavano due minuti alle otto.

Cosa doveva fare, adesso?

Vi contatto io.

Queste erano state le sue parole.

Ma come?

Per telefono? Via mail? Se ne sarebbe occupato Lenn?

Oppure, se ne sarebbe occupata una delle sue segretarie, non essendo Artù alla sua altezza?

Scosse la testa, costatando, con disappunto, di non avere la più pallida idea di come Merlino lo avrebbe contattato.

D’altro canto, erano bastate le parole dell’altro a rassicurarlo, quindi, non aveva ritenuto opportuno accertarsi del come sarebbe avvenuto l’incontro.

Perché sarebbe stato Lui a incontrarlo, giusto?

Sì! Gli aveva garantito la sua presenza, alle otto in punto, e Artù non doveva dubitare di questo.

Il problema rimaneva, per l’appunto, come?

Sarebbe venuto a casa sua?

Scosse la testa, trovando improbabile una simile ipotesi.

Si guardò allo specchio, aggiustandosi istintivamente la giacca.

Sicuramente, a breve sarebbe venuta una macchina a prelevarlo. Di sicuro, Lui sarebbe stato lì, senza che Artù potesse vederlo. Oppure, lo avrebbe contattato tramite videochiamata e avrebbero portato avanti la trattativa in questo modo.

Oppure – eccolo il fugace pensiero che prese forma – si sarebbe presentato da lui, alle otto in punto, comparendo in casa sua con la magia?

Artù corrugò la fronte. In fondo, visto il timore dell’altro nei suoi confronti, perché non presentarsi a lui come il potente stregone, mettendo in chiaro il concetto ‘io sono il grande – tu sei la mia pezza da piedi’?

Scosse nuovamente la testa.

No! Artù sapeva che non l’avrebbe fatto.

Nonostante Merlino si affannasse tanto a nascondere il suo vero io, Artù sapeva che non sarebbe arrivato a tanto.

Non si sarebbe mai rapportato a lui in quel modo, mai lo avrebbe volutamente spaventato con la sua magia.

Una magia che anche Merlino sembrava voler nascondere, come a sottolineare il fatto che lui non fosse solo il Sommo Emrys.

Inoltre, Artù aveva anche avuto modo di vedere come amministrasse il suo potere, quando i tre maghi lo avevano minacciato.

Merlino, in quel caso, si era dimostrato saggio e compassionevole. Di certo, erano questi i tratti caratteriali del Sommo Emrys.

Scosse la testa, esasperato. Quante personalità in una singola persona, quante sfaccettature in un’unica realtà.

Guardò l’orologio: le otto in punto.

Si alzò, passeggiando nervosamente per la stanza.

Erano le otto. Come lo avrebbe contattato?

Portò lo sguardo al telefono, fissando truce l’apparecchio per parecchi istanti, come se fosse colpa dell’oggetto il fatto che non si decidesse a squillare.

Con i nervi a fior di pelle, e troppo preso in questi pensieri, sobbalzò quando sentì un suono provenire dalla porta.

Portò lo sguardo verso la direzione del rumore, calmandosi istintivamente quando un secondo suono, dopo neanche un minuto, fece compagnia al primo.

Il campanello.

Qualcuno stava suonando il campanello.

Tirò un sospiro di sollievo, dandosi mentalmente dello stupido.

Ma certo! Era ovvio che qualcuno venisse a prelevarlo per conto delle imprese Badelt. E, sempre ovviamente, bussavano alla porta, come tutte le persone normali. Di certo, non sarebbero arrivati a lui passando per il camino!

Con spavalderia si avviò alla porta, domandandosi chi si occupasse di quelle faccende per conto di Klause Badelt.

Probabilmente, dato che lui era un imprenditore per il quale il grande Badelt faceva un’eccezione – come Merlino stesso aveva precisato a quell’odioso Mike – sicuramente si trattava di una persona particolare ed estremamente fidata.

Poi, se a questo si aggiungeva il fatto che il suddetto imprenditore fosse stato, in altri tempi, il Re di Camelot – informazione che Klause Badelt ci teneva a ricordare – allora doveva trattarsi di una persona ancora più qualificata e adatta per quei compiti.

Sicuramente, all’altro lato della porta c’erano Louis o Phoenix o entrambi.

Rimase perciò spiazzato quando aprì e fissò la persona che aveva dinanzi.

Rimase per lunghi istanti a bocca aperta, considerando come l’altro, ancora una volta, lo avesse preso in contropiede.

Klause Badelt aveva deciso di venire di persona, andando direttamente alla fonte dell’affare. O del fastidio, a giudicare dall’espressione supponente e annoiata.

Fu sempre Klause Badelt a spezzare quel silenzio.

“Dobbiamo parlare di affari fuori la porta?” chiese, con un sorriso sprezzante.

Artù ritrovò il suo sangue freddo.

“Accomodati” disse con cordialità, facendosi da parte per far passare l’altro e volgendo il suo sguardo oltre la porta, alla ricerca di altre persone.

“Sono venuto da solo!” ci tenne a precisare Merlino intercettando lo sguardo di Artù.

“O forse, state cercando di dirmi che, in vostra presenza, necessito della scorta?” chiese ironico mentre aggrottava lo sguardo.

“So che solitamente non sei tu a occuparti degli imprenditori” rispose Artù, scegliendo la risposta diplomatica.

Era vero, Artù non si aspettava che venisse da solo, ma non per il motivo che l’altro aveva inteso. Semplicemente, non pensava nemmeno che si presentasse lui di persona, considerando la banalità della trattativa.

Perché si trattava di un affare importante ma comunque ordinario, considerando di che imprese si trattasse.

Se poi, in questioni puramente imprenditoriali, interveniva Klause Badelt, allora la prassi richiedeva uno stuolo di avvocati al seguito e l’immancabile presenza dell’amministratore delegato delle imprese. O almeno, era questa la routine di tutte le riunioni medio – grandi.

Tuttavia, Merlino sembrava intenzionato a uscire fuori dagli schemi per quella volta. Segno che Artù doveva essere pronto a tutto.

Non si era presentato da solo per sminuire l’incontro, anzi, probabilmente era tutto il contrario. Scendeva in campo da solo, pronto a sfoderare le sue armi migliori. Perché, per un affare del genere, il grande capo si mostrava in tutta
la sua superiorità. Si era presentato da solo, perché aveva intenzione di sfidarlo.

Non aveva scherzato prima, riguardo alla scorta. O meglio, la frase era stata lanciata sotto forma di battuta, ma aveva espresso i reali pensieri del proprietario.

Klause Badelt era sceso in campo facendo un’eccezione per un particolare imprenditore. Segno che, se Artù non avesse gestito bene l’incontro, Klause Badelt lo avrebbe distrutto, pezzo dopo pezzo. Probabilmente, trasformando la sua impresa in un parco acquatico o in un circo.

Ovviamente, l’unico licenziamento sarebbe avvenuto per una singola persona: il capo, per l’appunto.

“Direi di passare subito al sodo” propose allora, facendo strada per il salotto.

Si avviò, con l’eco dei passi dell’altro che facevano da sottofondo, unico rumore in quell’improvviso silenzio. Silenzio che sarebbe stato il primo di molti altri, suppose Artù, visto come Merlino sembrasse disposto a parlare il minimo indispensabile. Nonostante tutto, però, Artù non poté non trarre soddisfazione dal sentire che l’altro, dietro di lui, si stava muovendo in casa sua.

Non era uno dei milioni di sogni che aveva fatto; Merlino era lì, reale, e Artù avrebbe fatto in modo che quell’incontro fosse il primo di una lunga serie. In fondo, sorrise tra sé, aveva creato un contratto in tempo record, proprio per questo!

 “Bevi qualcosa?” chiese cordiale.

“Quello che prendete voi” rispose Merlino, sorridendo un istante dopo. Chissà per quale motivo rideva adesso, si domandò Artù, vedendo l’altro accomodarsi in poltrona e osservarlo ironico. “Qualcosa di forte” ci tenne a precisare, sorridendo ancora.

“Di solito, io non bevo durante le trattative” rispose Artù, scrollando le spalle.

Notò, con la coda dell’occhio, che l’altro vestiva con più eleganza rispetto al pomeriggio.

Si era tolto il cappotto con nonchalance e adesso sedeva tranquillo, nel suo abito costosissimo e firmato.

Tuttavia, Artù non gioì di questo dettaglio. Era vero, l’altro si era agghindato al meglio. Proprio come quando si indossa il miglior completo per andare alla cerimonia più importante della propria vita. Oppure… a un funerale!

Ovviamente, il funerale sarebbe stato per la sua brillante carriera di imprenditore emergente. Un passo falso e Artù si sarebbe ritrovato a combattere una battaglia economica contro le imprese Badelt.

La voce di Merlino lo riscosse dalle sue riflessioni.

“Cos’era allora, una domanda trabocchetto?” chiese Merlino, spezzando quell’ennesimo silenzio che si era venuto a creare.

“Ti stavo semplicemente offrendo qualcosa da bere, specificandoti il fatto che io non lo farò perché non è mia abitudine” riformulò la frase Artù.

“Datemi quello che preferite, purché sia forte” decretò allora il mago mentre il sorriso si allargava.

Artù versò la bevanda, porgendogliela e capendo, dalla successiva frase, il perché di tanta ilarità.

“Tocca a voi servirmi, stavolta!” ironizzò il mago, evidentemente divertito dalla situazione.

Artù scrollò le spalle con semplicità sedendosi di fronte a lui.

“Volete?” chiese ancora Merlino estraendo un pacchetto di sigarette.

“Non fumo!” specificò Artù. “Ma non ho problemi, se lo fai in casa mia” sottolineò ironico, porgendogli un posacenere.

“Che onore” esclamò sarcastico Merlino, per poi ritornare serio.

“Fatemi capire” chiese poi, con sincera curiosità. “Non fumate, non bevete… da quando siete così moralista?”.

Artù non faticò a cogliere il reale interesse dell’altro verso la sua vita e decise di rispondere nel modo più esauriente possibile.

“Non ti ho detto che non bevo nulla. Solo, preferisco non farlo durante le trattative d’affari. Non disprezzo un buon vino durante un’ottima cena ma non ci tengo a sbronzarmi una sera sì e l’altra pure” ammise con un sorriso. “E comunque, è Gwaine quello che si ubriaca, non io” concluse e vide gli occhi del mago incupirsi.

“Gwaine…” lo sentì mormorare piano mentre, con la mente, andava a chissà quali ricordi.

Artù si mise sull’attenti; forse aveva pronunciato una parola di troppo. Tuttavia, l’attimo di tensione andò via quasi subito. Merlino lasciò che sulle sue labbra aleggiasse l’ombra di un sorriso sincero. Forse, il primo da quando lo aveva incontrato di nuovo in quella vita, almeno in sua presenza.

“Certe cose non cambiano mai” ironizzò, infatti, il mago, stavolta con un tono bonario, e Artù si ritrovò a sorridere con lui.

“Già!” ammise Artù. “Certe cose non cambiano mai” ripeté, guardando l’altro con sguardo attento.

Merlino intercettò quello sguardo e fece immediatamente scomparire il sorriso, appena accennato, che era comparso sulle sue labbra.

“E di voi, invece, che mi dite?” domandò con sguardo indagatore. “Non bevete, non fumate. Cos’è questo stile di vita così salutista?” e ghignò. “Eppure, l’era moderna offre non pochi divertimenti. Di certo, molti di più rispetto a quelli di un tempo dimenticato”.

Artù lo ascoltò attentamente, valutando bene le parole con cui esprimersi. Merlino stava volutamente accennando i tempi passati. Il discorso cominciava a muoversi su strade spinose e lui doveva essere cauto.

Tuttavia, gioì dell’interessamento al mago nei suoi confronti. Al contempo, però, si rese conto con tristezza che
Merlino, in quella vita, non si era mai realmente interessato a lui.

Sicuramente, sapeva quando era nato. Così come sapeva che studi avesse conseguito e che lavoro facesse. Inoltre, aveva avuto la dimostrazione che non aveva esitato a intervenire, quando aveva intuito un pericolo muoversi intorno a lui e alla sua azienda. Tuttavia, le sue conoscenze – e quindi anche il suo interesse – finivano lì, a quelle informazioni di routine che si raccolgono su una persona che si deve tenere d’occhio abbastanza ma, al contempo, il meno possibile.

Tuttavia, non aveva importanza. Era lì, con lui, e solo questo contava in quel momento. Era come conoscersi un'altra volta e Artù era intenzionato ad approfondire il più possibile quella conoscenza.

“Hai ragione” si ritrovò ad ammettere. “Anche se non credo di essere così salutista solo perché non bevo e non fumo”.

Merlino ridacchiò.

“Eppure” parlò il mago, “qualcosa mi fa pensare che voi siate uno di quelli fissati con l’alimentazione e la forma fisica. Tutto palestra e alimenti sani”.

A quelle parole, fu il turno di Artù di ridere.

“Non posso darti torto. Mi piace tenermi in forma” e vide l’altro scuotere il capo con disapprovazione.

“Al contrario di te” aggiunse Artù e Merlino gli rivolse uno sguardo ghignante.

“Vedo che avete preso informazioni su di me” asserì, senza alcuna inflessione particolare nella voce.

“Solo quelle che ha tutta Londra” lo pungolò Artù.

“Ah, sì” annuì con enfasi il mago. “Klause Badelt, il genio più controverso del secolo”.

“Già! Quello era il titolo di uno degli ultimi articoli usciti su di te” precisò Artù.

“Sì” confermò il mago. “Il mondo sembra leggermente spiazzato dalla mia filantropia verso la massa e, al contempo, dalla mia vita così sregolata nel privato. Solo perché mi hanno beccato ubriaco un paio di volte” e scosse il capo con
un’espressione fintamente interdetta.

“Un paio di volte, eh?” lo punzecchiò Artù. “E poi, non mi sembrava che fossi soltanto ubriaco. Almeno, stando a quanto affermava l’articolo di tre mesi fa”.

“La stampa esagera sempre. Dono cifre astronomiche per gli ospedali, sovvenziono la ricerca, ho appena fondato un orfanotrofio, e questo solo negli ultimi dieci anni. Non vedo cosa ci sia di male a divertirsi un po’ nel privato, visto che non faccio danno a nessuno se non a me stesso” ribadì il concetto.

“Non vorrete di certo farmi la morale” disse poi.

“O forse sì, visto che voi siete uno tutto casa e lavoro. Il tipo perfetto, insomma” e ghignò.

“Ma d’altro canto” e indurì pericolosamente il tono, “sono sempre stato un assiduo frequentatore di taverne”.

Artù sorrise.

“Già” affermò con voce profonda. “Ma, anche questa verità, proprio come quella di tempi dimenticati – come li hai definiti – è solo un’altra faccia della realtà” concluse, sapendo che l’altro avrebbe afferrato il concetto.

Perché, proprio come allora, Merlino dava un’apparenza del tutto fuorviante di se stesso.

Proprio come allora, nessuno sapeva chi fosse in realtà, eccetto i pochi fortunati. A quei tempi, era Gaius il suo confidente. Ora invece, c’erano i Guardiani. In ogni caso, che fosse Camelot – in tempi dimenticati – o che fosse tutta Londra – in tempi moderni – le informazioni che Merlino dava su se stesso e su come impiegasse il tempo libero erano sempre e inesorabilmente sbagliate.

Merlino lo guardò attentamente, rimanendo un istante perplesso.

“Beh” disse poi, “non vedo che importanza possa avere, oramai” decretò con decisione e Artù intuì, dal tono, che il discorso era chiuso.

Tuttavia, non si arrese.

“Ha molta importanza, per me” ci tenne a sottolineare.

Merlino sorrise sarcastico.

“Già” affermò. “Peccato che non ne abbia più per me. E adesso, mostratemi i progetti di cui mi avete parlato” chiuse definitivamente l’argomento.

Artù glieli porse con un sospiro, mentre l’altro li afferrava veloce.

Passarono diversi minuti dove da un lato, c’era Merlino non si perdeva una riga di quanto scritto – probabilmente alla ricerca affannosa del più piccolo errore – e dall’altro, c’era Artù che si perdeva nel contemplarlo, non avendone mai abbastanza.

Sentì Merlino sospirare pesantemente e lo vide umettarsi le labbra.

“Sembrano degli ottimi piani” concordò controvoglia mentre si portava l’indice al mento.

“Piani che diventeranno operativi, mi auguro” affermò con decisione Artù, con l’aria dell’affarista sicuro che tanto lo contraddistingueva in quel secolo.

“Ma quanta boria” sbottò Merlino. “Sicuro di potervelo permettere, Sire?” lo provocò.

“Sono sicuro che quei piani siano buoni” affermò Artù non cedendo alla provocazione e non lasciandosi intimorire dal tono dell’altro.

“Capirete comunque che non possono diventare operativi domani” appuntò Merlino con tono più calmo.

“Lo so benissimo!” gli diede ragione Artù. “Anche io gestisco un’impresa” ricordò bonario. “Anche se da molto meno tempo di te” aggiunse con un sussurro.

“Bisognerà sentire i rispettivi amministratori e decidere la data delle riunioni” ragionò Merlino.

“A occhio e croce, credo che tre o quattro riunioni basteranno, almeno parlando di quelle ufficiali con i rispettivi azionisti delle imprese” valutò ancora.

“Questo, se lavoriamo sodo con le riunioni ufficiose tra capi” sorrise Artù. “Se ci muoviamo in questo modo, i piani potrebbero diventare operativi in un mese” valutò, sentendosi motivato e carico.

“Suppongo abbiate ragione” confermò Merlino sovrappensiero. Era evidente che non si aspettasse quei risvolti dalla serata. Così come era evidente che non morisse dalla voglia di lavorare così a stretto contatto con lui. D’altro canto, però, il bene delle imprese, e il beneficio che ne sarebbe venuto da tutti coloro che vi lavoravano, veniva prima di tutto.

“Potremmo cominciare subito” propose Artù.

“Prima cominciamo meglio è” affermò Merlino sottovoce, sempre più combattuto.

“Prima di tutto, stabiliamo un piano d’azione per le riunioni, preparando una scaletta sui vari punti da affrontare” cominciò Artù andando a prendere carta e penna.

“Poi, contattiamo i nostri amministratori delegati. Mando subito un’e-mail a Lance” concluse, accendendo il portatile.

“Lance?” domandò Merlino con sguardo perplesso.

Artù avvertì il tono dubbioso dell’altro e volse il suo sguardo verso di lui.

“È il mio amministratore delegato” gli spiegò Artù. “Non lo sapevi?”.

“Se pensate che non abbia avuto niente di meglio da fare che sapere come funzionasse la vostra impresa, vi sbagliate di grosso” sbottò nuovamente Merlino.

“Probabilmente, Lenn ne è a conoscenza, non io” ci tenne a sottolineare.

Artù rimase spiazzato, non riuscendo a capire perché l’altro si fosse innervosito tanto nel momento in cui aveva pronunciato il nome di Lance.

“Credevo fosse Leon a occuparsi di queste cose” indagò Merlino.

“Sicuramente, Leon è degno di fiducia” affermò Artù. “Lo sono tutti ma è Lance l’unico che mi sopporta meglio” ironizzò. D’altro canto, come poteva spiegargli il legame che aveva con Lance nell’era moderna?

Come fargli capire che Lance era la voce che ascoltava più di tutti perché, in tempi dimenticati, era stato l’unico a conoscere il suo segreto?

Lance aveva una posizione così importante nella sua vita proprio perché era stato, in tempi passati, l’unico vero amico di colui che aveva dinanzi. L’unico a conoscere il suo segreto e del quale Merlino si era fidato ciecamente.

Come spiegargli che la sua fiducia verso Lance derivava soltanto da quella che lo stesso Merlino aveva avuto verso Sir Lancillotto in passato?

No! Artù sapeva di non poter affrontare la questioni in questi termini. Non ancora, almeno. Fu per questo che si limitò a riportare una versione molto superficiale delle cose.

“È il mio migliore amico e il mio consigliere ideale” terminò e, l’istante dopo, capì perché l’altro fosse improvvisamente sbottato.

“Già” ghignò Merlino cattivo. “È il vostro migliore amico” sottolineò con rabbia.

“È tutto vostro, vero, Artù?” domandò, alzandosi in piedi.

Artù non si mosse, intuendo che l’altro stava per scoppiare. Merlino parlava al passato e Artù non aveva faticato a intuire di quale passato si trattasse.

“È tutto vostro” ripeté il mago, rivolgendogli uno sguardo che Artù avrebbe definito antico.

Era troppo il dolore che traspariva da quegli occhi. Era troppo il rammarico che si avvertiva dal tono di voce. Era troppa la rabbia verso chissà cosa, così tanta da non riuscire a fare finta di niente. Così tanta da non poterla più controllare.

“Tutto vi appartiene” e stavolta lo sguardo era triste.

“Prendete tutto – l’onore, la gloria – senza sapere, in realtà, a chi appartenga. Senza sapere, in realtà, a chi vadano oggettivamente i meriti” e si sedette nuovamente, incrociando le mani e poggiandovi la fronte.

Artù assistette a quello sfogo in religioso silenzio. Merlino non voleva consolazione. Merlino voleva soltanto sfogarsi.

Perché mai avevano avuto il tempo di un confronto. Mai avevano avuto uno scambio di idee. Artù era morto e Merlino era andato avanti nei secoli. Senza mai poter parlare di queste cose con il diretto interessato. Senza mai potersi sfogare.

Poi, aveva indossato il diamante e solo il cielo sapeva quanto dolore, fisico e mentale, portasse con sé quell’anello.

Passarono diversi minuti di silenzio, dove Artù incassava la rabbia dell’altro in silenzio e rispettando, per la prima volta dopo mille anni, i suoi tempi. Aspettando, per la prima volta dopo mille anni, che fosse l’altro a decidere quando e come parlare. Non che Merlino avesse mai avuto bisogno del suo permesso per fare qualcosa – la sua irriverenza era cosa nota nel palazzo – tuttavia, mai aveva potuto realmente confrontarsi con lui. Mai aveva potuto realmente chiarire le cose. Per questo era rimasto indietro, non riuscendo ad andare avanti. Perché, quando le questioni vengono accantonate, crescono in maniera incontrollata. E lo stesso stava succedendo a Merlino. Quindi, se era il silenzio che voleva, mentre cercava di placare la sua rabbia, Artù glielo avrebbe dato.

Passarono diversi minuti, dove Artù osservava l’altro provare a controllare il dolore causato da quelle parole. Era evidente che stesse cercando di placare la sua rabbia. Lance, il suo primo amico, quello che conosceva il suo segreto, era diventato, nell’era moderna, amico e consigliere di colui che Merlino temeva.

Artù non aveva considerato le cose sotto quell’aspetto ma, a quel punto, era troppo tardi per ritrattare le sue parole. A quel punto, l’unica cosa da fare era dare all’altro il tempo di gestire quelle nuove informazioni.

Dopo un po’ Artù vide Merlino sospirare e massaggiarsi gli occhi mentre gli rivolgeva uno sguardo indecifrabile.

Tuttavia, Artù capì anche che Merlino aveva facilmente riacquistato il controllo delle sue emozioni. Infatti, quando parlò, sul suo volto era nuovamente comparsa un’espressione controllata e impassibile. Quando riprese a parlare, la voce non ebbe alcuna incertezza.

“Anche adesso” disse mentre sorrideva sarcastico, “volete usare la mia impresa, e quindi il mio nome, per farvi strada ed essere acclamato. Volete i meriti di questo piano” e sospirò. “D’altro canto, siete stato voi a prepararlo.
Tuttavia” ci tenne a precisare, “non pensate che io non me ne sia accorto. Non pensate di potermi nascondere qualcosa. Non pensate” e fece un istante di pausa per enfatizzare il concetto, “di potermi scavalcare”.

Artù si prese un istante prima di rispondere. Perché quelle frasi pronunciate con cattiveria nascondevano una verità tanto grande quanto agghiacciante.

Eccolo il vero Merlino. Ecco le sue vere paure uscire fuori.

La paura di essere messo da parte. La paura di essere nuovamente un’ombra. La paura di rimanere da solo.

“Non né ho intenzione e, sinceramente, non credo possa succedere” fu l’obiettiva costatazione di Artù.

“Quanta modestia” lo prese in giro Merlino.

 “Si tratta di realismo” precisò Artù. “Sai cosa diranno i giornali, quando la trattativa diventerà operativa?” domandò Artù. “Te lo dico io, allora” continuò, senza aspettare risposta. “Klause Badelt stringe affari con un noto imprenditore emergente, accaparrandosi un affare d’oro. Oppure” e fece un istante di pausa, “il noto amministratore delle imprese Badelt centra l’ennesimo affare da milioni di sterline. Ti bastano come esempi, o preferisci che continui?” terminò, guardandolo attentamente.

Merlino ghignò.

“Vedo che avete una chiara visione delle cose, adesso” disse, marcando pericolosamente l’ultima parola.

“So benissimo che la mia impresa non è niente in confronto alla tua. Così come conosco bene la tua influenza e la tua posizione sociale” rispose Artù.

“In ogni caso” riprese, “il merito di aver dato un’occasione d’oro a un imprenditore emergente – noto, ma comunque
giovane – andrà a te e alla tua impresa”.

“Oh, andiamo!” lo interruppe il mago. “Anche voi acquisterete visibilità”.

“Solo perché ci sei tu di mezzo” fece notare l’altro.

“Cominciamo a lavorare, adesso?” lo invitò poi, con tono sollecito. “Oppure, preferisci ancora parlare di quale nome andrà più volte sui giornali?”.

Merlino sospirò.

“Sapete” disse con tono stanco mentre si massaggiava gli occhi, “mi fa strano sentirvi parlare della mia posizione con questa chiarezza” e lo guardò.

“Non posso cambiare il passato” affermò allora Artù, intuendo il vero significato delle parole dell’altro.

D’altro canto, dal primo momento in cui era cominciato il loro incontro, i discorsi erano stati a metà fra un passato dimenticato e un presente dal quale Merlino cercava di sfuggire ma, nello stesso tempo, al quale rimaneva aggrappato con tutte le sue forze.

“Già” disse soltanto Merlino estraendo un cellulare.

“Mando un’e-mail a Lenn” disse, dopo aver fatto una foto ai fogli sparsi sul tavolino basso davanti a lui.

“Non mi perdonerai mai, vero?” non riuscì a trattenersi Artù.

Merlino alzò lo sguardo.

“Sapete” disse, fissando un punto imprecisato della parete mentre, con la mente, vagava lontano.

“È stata la stessa cosa che mi sono domandato io, molto tempo fa” ammise, volgendo il suo sguardo a lui.

Durò un attimo ma Artù la vide: la paura.

La stessa paura che Merlino aveva negli occhi quando lui stava morendo. La stessa angoscia, lo stesso dolore. Un dolore senza tempo.

“Non mi sono ancora dato una risposta” concluse il mago parlando lentamente e scuotendo leggermente la testa.

“Perché dici questo?” chiese Artù sentendo gli occhi pizzicare.

Era vero, il suo comportamento era stato sospettoso nelle prime ore della rivelazione. Poi, però, lo aveva ringraziato.

Poi, aveva capito.

Possibile che Merlino dubitasse della sincerità delle sue parole di allora? Oppure, ne aveva passate troppe, così tante da non ricordare le ultime parole del suo re morente?

C’entrava il diamante in tutto quello? Oppure, Merlino aveva fatto così tanto per Camelot da giudicare quel ringraziamento insufficiente?

Erano probabili entrambe le ipotesi! Ma Artù, all’epoca, non aveva avuto il tempo di fare altro. Se fosse sopravvissuto, allora avrebbe fatto molto di più. Ma lui stava morendo e quel ringraziamento, nonostante provenisse dal cuore, evidentemente non era bastato.

Artù, a quel punto, doveva sapere.

“Perché dici questo?” domandò di nuovo a voce più alta, mentre lasciava trasparire l’urgenza dalle sue parole.
Mentre lasciava trasparire il bisogno che avesse di quella risposta.

Sapeva che era un azzardo. Ma sapeva anche che era giunto il tempo in cui avrebbe dovuto confrontarsi con le paure di Merlino. Paure che il diamante nero amplificava ma che comunque erano già esistenti. Paure che andavano affrontate per essere spazzate via definitivamente e chiudere così un capitolo lungo mille anni.

Doveva portare il loro rapporto su un piano paritario. Quella era la prima mossa da fare per mettere in ombra la luce minacciosa del diamante nero. Al resto, ci avrebbe pensato poi.

“Perché dico questo?” gli fece eco Merlino, con voce sbigottita.

“Ti ho ringraziato” gli ricordò Artù che avvertì, a quelle parole, una scossa elettrica serpeggiare lungo la colonna vertebrale.

La avvertiva, finalmente, l’energia che vagava libera nella stanza. Anche se non aveva poteri magici, sentiva chiaramente il potere dell’altro sul suo corpo. Aveva la pelle d’oca ma decise di continuare.

Eccola, l’energia del diamante nero, tramite la rabbia del mago, uscire allo scoperto. Finalmente, Artù la sentiva.
Finalmente, Artù la vedeva chiaramente.

Eccolo, il diamante nero che finalmente scendeva in campo. Artù sorrise, nonostante avesse la pelle d’oca.

L’elettricità!  

Sì, erano scosse elettriche quelle che Artù sentiva sulla sua pelle e ne fu lieto.

Eccolo il potere di Merlino che usciva allo scoperto.

Perché Merlino, nonostante controllasse tutti gli elementi, era il potere elettrico quello che prediligeva. Lo aveva usato nella battaglia finale contro Morgana e continuava a usarlo adesso, a giudicare da come Artù riuscisse ad avvertirlo chiaramente lungo il suo stesso corpo.

Sorrise perché, dopo dieci secoli, si sentiva pronto ad affiancare Merlino. Conoscere che elemento prediligesse gli dava una soddisfazione non quantificabile. Perché Artù voleva conoscere tutto dell’altro, anche la sua magia. E finalmente si sentiva pronto per tali conoscenze.

I Guardiani controllavano un elemento ciascuno, un elemento che meglio rispecchiasse i loro caratteri. Merlino, invece, li controllava tutti. Tuttavia, sceglieva di usare il potere di uno degli elementi secondari. Lo aveva fatto molto tempo addietro e continuava a farlo adesso, e conoscere quel piccolo particolare dell’immensa magia dell’altro gli diede la forza di continuare.

 La Dama aveva detto loro delle preferenze del Mago e Artù, negli anni passati, aveva sempre scrutato il cielo, sussultando durante un temporale e pensando a lui a ogni fulmine. Aveva sempre desiderato poter incontrarlo nuovamente perché, con circa dieci secoli di ritardo, aveva fiducia nel potere del Mago.

Finalmente, con dieci secoli di ritardo, la verità era chiara nel suo cuore. Verità assoluta e indiscutibile. Verità che gli diede la forza di continuare.

La magia di Merlino non era pericolosa. La magia di Merlino non gli avrebbe mai fatto del male. Perché Merlino era il
Bene.

E Artù, finalmente, aveva fiducia della sua magia.
 

Continua…
 

Note:
 
Bene! In questo capitolo, Artù fa un altro passo verso Merlino, o verso la sua magia.
Inizia a sentirla su di sé, provocandola addirittura.

Per Merlino ho scelto l’elettricità come elemento, dato che mi è sempre piaciuto il suo ingresso in scena durante la battaglia finale, nel telefilm.

Lui, ovviamente, controlla tutti gli elementi ma sceglie di usarne uno secondario, non appartenente ai quattro fondamentali.

Questa cosa, la nota anche Gabriel nel capitolo dieci, quando afferma che il mago usa l’elettricità con molti secoli d’anticipo.

Ho scelto di fargli conservare questa caratteristica anche in tempi moderni.

Che altro dire… spero che il capitolo vi sia piaciuto.

Come sempre, sono molto curiosa di conoscere i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Pandora86
 
 

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Capitolo 48
*** Capitolo 48. Excalibur ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
Capitolo 48. Excalibur
 
“Ti ho ringraziato” ripeté Artù, fissando intensamente l’altro.

Era quella la frase che aveva liberato l’energia negativa che ora riusciva a sentire nell’aria.

Era quella la frase che aveva scatenato la reazione del diamante nero.

Sì, Artù ne era sicuro, oramai.

Sentì il diamante bianco nella sua tasca surriscaldarsi e capì di aver avuto l’intuizione giusta.

Sentimenti positivi; erano quelli che il diamante nero combatteva per esercitare il male.

Erano quelli che il diamante nero cancellava e modificava a suo piacimento fino a distruggerli.

Li individuava con precisione matematica nell’animo di colui che lo indossava e li rigirava a suo piacimento, sconvolgendo la mente del soggetto in questione. Perché il diamante nero proiettava il male verso il suo possessore. Ad Artù era sempre più chiara la verità nella sua mente e sentì il suo animo pronto a dare battaglia. Nulla da dire, il diamante nero sapeva fare il suo lavoro. Peccato che stavolta avesse un valido avversario che gli avrebbe tenuto testa.

Pensò fugacemente al fatto che solo un essere puro come Merlino potesse indossare quell’anello senza radere al suolo un continente. Allo stesso modo, lui avrebbe dovuto appellarsi al diamante bianco per riportare il Bene e il Male al posto giusto nel mondo.

Perché era quello l’equilibrio più importante da sanare, ora Artù lo sapeva. E sapeva anche come usare il diamante bianco: bastava pensare a lui come alla sua spada.  Perché il diamante bianco era la sua spada.

Una spada che aveva sempre impugnato istintivamente. Una spada che leggeva il linguaggio del suo corpo e che scattava ancor prima che la mente comprendesse quello che il braccio faceva. Perché lui era un guerriero, sempre e comunque. Un guerriero che ritrovava la sua vecchia arma e non si appellava più a essa tramite il suo corpo.

Oramai, i tempi in cui doveva affidarsi al suo corpo per proteggere le persone a lui care erano passati. E la sua spada, proprio come il mondo, si era evoluta. Ora Artù doveva appellarsi a essa tramite la sua mente.

Finalmente, riusciva a spiegarsi le sensazioni che gli aveva dato la sua spada mille anni prima quando la impugnava.

Più leggera delle altre ma più tagliente. Più veloce delle altre.

Ora capiva perché la spada, nella sua mano, era sempre stata un’arma di vittoria. La spada leggeva il suo cuore. Il Mago l’aveva forgiata sapendo che lui l’avrebbe impugnata per il Bene. E la spada aveva verificato questa realtà collegandosi direttamente al suo animo.

Ma se sin da allora, la spada riusciva a leggere le sensazioni del suo animo, obbedendo quindi ai suoi ordini senza che lui lo sapesse, perché non avrebbe dovuto farlo ora, quando finalmente il proprietario ne capiva il potere effettivo?

Se sin da allora la spada leggeva nel suo cuore, perché non avrebbe dovuto farlo adesso?
Sì, Artù sapeva di poter usare la sua spada tramite la voce del suo cuore.

Finalmente, riuscì a sentire l’energia che lo aveva accolto in punto di morte, la stessa energia che aveva avvertito quando la sua anima si era ricongiunta alla sua metà.

Durò solo per un istante ma Artù riuscì a coglierla, in quel mare di energia negativa.

Il potere di Merlino. Il potere della sua metà.

“E credete che questo, basti?”.

La voce di Merlino lo distolse dai suoi pensieri ma non lo deconcentrò.

“So che non basta!” ammise Artù.

Ora sapeva cosa fare. Ora sapeva cosa dire.

“Ma non ho avuto il tempo di fare altro. Stavo morendo” gli ricordò.

Perché Merlino non poteva aver cancellato tutto quello che era avvenuto. Il diamante nero non poteva aver cancellato tutto quello che c’era stato tra loro con un colpo di spugna. O meglio, era proprio questo che il diamante nero aveva fatto. Peccato che Artù non fosse più intenzionato a permetterlo, non ora che aveva i mezzi per porvi rimedio.

“Stavo morendo!” ripeté. “Non ho avuto il tempo di fare altro. Lo sai” e calcò pericolosamente le ultime parole.

Vide lo sguardo del mago indurirsi pericolosamente a quelle parole.

“E se foste sopravvissuto, invece?” chiese Merlino non nascondendo l’ira.

Artù vide, con la coda dell’occhio, i vetri della finestra iniziare a crepare ma questo non lo distolse dal suo intento.

“Sai bene che le cose sarebbero state diverse, poi” rispose Artù.  “Sai che le cose sarebbero cambiate” ripeté. “Io lo so che, dentro di te, conosci la risposta” concluse, non interrompendo il contatto con i suoi occhi.

“E invece no, non lo so” esclamò rabbioso Merlino. “Vai via” disse, ripetendo le prime parole che Artù, secoli addietro, gli aveva rivolto dopo la rivelazione.

Artù scosse la testa ma non smise di guardarlo.

“Ero spaventato! Ero ferito e stavo morendo”ricordò ancora, stavolta parlando lentamente.

Sapeva di assomigliare a un disco rotto, che si inceppa sempre sulla stessa frase. Beh, non aveva importanza perché era quella frase la chiave di tutto. Era quella frase la chiave per entrare nei ricordi distorti di Merlino e nel suo animo confuso. E lui avrebbe continuato a ripeterla finché fosse stato necessario.

“Certo!” urlò allora il mago. “Voi eravate spaventato. Voi stavate morendo. Voi, voi, voi, sempre e soltanto voi” e gli puntò il dito contro.

“Beh” continuò, “volete sapere una cosa? Lo ero anch’io, dannazione, lo ero anch’io” e respirò profondamente nel tentativo di calmarsi. “Probabilmente, io ero più spaventato di voi. Spaventato a morte” e fece un istante di pausa.

“Mi ero appena rivelato. Morgana era ancora viva e vi cercava. Ed io stavo cercando di salvarvi la vita con i vostri dannati occhi puntati addosso che mi fissavano come se fossi un mostro” urlò con tutta la voce che aveva in corpo.

Eccolo il vero Merlino che usciva fuori. Eccolo, il suo buono e ingenuo mago uscire allo scoperto.

Ecco le sue vere paure venire a galla. Ecco il suo dolore, antico quasi quanto il mondo, non più celato.

“Lo so” ammise Artù a voce bassissima.

Eccola, l’energia che vorticava incerta. Era vento, quello che gli sfiorava i capelli?

Artù non lo sapeva perché in quel momento c’erano solo lui e Merlino.

Il Re e il Mago.

Artù e Merlino.

Due uomini soltanto.

Due paia d’occhi che si fissavano.

Solo questo e null’altro.

La sentiva Artù la vera essenza dell’altro vorticargli attorno. Allo stesso modo, avvertiva anche la propria anima che scalpitava, quasi a voler uscire dal corpo per ricongiungersi alla sua parte mancante.

Ma Artù sapeva che non era questo, quello che doveva avvenire. Non solo quello almeno.

Perché le loro anime si erano già incontrate e riconosciute secoli addietro.

Ora, erano i loro cuori a doversi ritrovare.

Perché ora Artù e Merlino, le due facce di una stessa medaglia, avrebbero dovuto ritrovarsi rimanendo nel loro corpo. La natura aveva deciso di dare a due parti di una stessa anima un corpo umano e sarebbe stato così che avrebbero dovuto ritrovarsi. Era con la mente che avrebbero dovuto stabilire un contatto perché i loro cuori, liberi dalle maschere imposte dalla mente, si erano già riconosciuti sin dalla prima volta che si erano incontrati.

Nessuna essenza avrebbe vorticato alla ricerca dell’altra.

Nessuna energia sarebbe fuoriuscita libera.

Dovevano incontrarsi nuovamente. E dovevano farlo da uomini.

Ecco perché la natura aveva deciso di dare a Merlino un corpo mortale.

Merlino doveva guidare l’uomo. E, per farlo, doveva rimanere tale. Imparando a convivere con il suo corpo millenario.

Ora Artù lo capiva.

“Adesso lo so!” ripeté Artù.

Adesso, è tardi” gli fece eco il mago.

“Avete la minima idea di tutto quello che ho passato?” domandò.

“Avete la minima idea di tutto quello che sto passando?” e stavolta urlò mentre parlava al presente.

“Posso solo immaginare” rispose Artù.

“Beh, immaginare è diverso da provare” lo aggredì il mago.

“E allora spiegami” s’infervorò Artù.

Eccola, una nuova scossa che gli intorpidiva leggermente le braccia. Eccola, l’energia del diamante nero che opponeva resistenza.

Perché il diamante non voleva che il suo possessore si spiegasse. Il diamante non voleva che il suo possessore aprisse il suo cuore.

Fu per questo che Artù continuò.

“Dimmi cos’hai provato. Dimmi cosa provi ora”.

Vide Merlino vacillare.

“Sarebbe inutile” rispose titubante.

“Se ti fa stare così male, non credo che sia inutile” gli fece eco Artù.

Vide Merlino sedersi e prendersi la testa tra le mani in segno di stanchezza.

Anche lui, in effetti, si sentiva spossato.

Si sedette di fronte a lui.

L’energia negativa, invece, era improvvisamente sparita, quasi come se avesse deciso di battersi in ritirata.

Una ritirata strategica, visto che quella era solo la prima battaglia. Una battaglia che Artù sapeva di aver vinto.

“Siamo due imprenditori” disse poi il Re.

“Amici, almeno in questo secolo?” domandò e tese la mano.

Vide Merlino esitare e capì che l’altro non avrebbe stretto la sua mano tesa.

“Diciamo colleghi” propose Merlino alzandosi e afferrando il cappotto.

“Questo è il mio biglietto da visita. Per fissare la prossima riunione” specificò, poggiando il piccolo foglietto sul tavolino.

“Va bene. Ti contatto quando Lance avrà letto il fascicolo”.

“Bene!” disse Merino avviandosi alla porta.

“Non vi scomodate, conosco la strada” e uscì.

Artù osservò per un lungo istante la stanza vuota. Portò il suo sguardo ai vetri della finestra notando che le crepe erano scomparse.

Sospirò, sentendosi improvvisamente molto stanco. Non avrebbe saputo dire con esattezza cose fosse avvenuto ma sapeva per certo di aver vinto la battaglia.

Si sentiva spossato ma, al contempo, estremamente rincuorato. Aveva testato personalmente l’energia negativa che riusciva a emanare il diamante nero.

Ora, sapeva con certezza quali erano le battaglie che doveva combattere. Ora, riusciva a percepire l’energia del diamante bianco nella sua tasca che lo avvolgeva in un calore confortante.

Era stato come essere su un altro pianeta, staccato dalla terra e senza gravità. Nonostante fosse rimasto nel suo corpo, quando si era liberata l’energia negativa, e lui aveva deciso di non farsi schiacciare, si era sentito come se la stanza fosse scomparsa. Come se non ci fosse nient’altro che energia intorno a lui. Una massa di energia indistinta dove, ben nascosta, poteva scorgere quella del cuore originario di Merlino.

Perché quello era il male che gli era stato tolto dall’animo alla sua nascita. Male che poi si era amplificato e che era divenuto la rappresentazione del male nel mondo.

E lui, non aveva dovuto fare altro che cercare l’energia positiva in quel mare di negatività.

Come un naufrago che si affanna alla ricerca di una piccola luce che possa fargli strada nell’oscurità. Oppure, proprio come quando la luce bianca, proveniente da Merlino, lo aveva guidato fuori dalla grotta.

Perché loro due erano connessi. Lo erano stati fin da allora, dove la loro conoscenza era agli albori. Eppure, le loro anime si erano riconosciute fin da subito.

Perché loro due erano legati indissolubilmente da un filo che né il tempo, né lo spazio potevano spezzare.

E, finalmente, era giunto il tempo che questo filo si accorciasse, per permettere alle due metà di incastrarsi, così come era stato scritto fin dall’inizio dei tempi.
 

***
 
Merlino fermò l’auto sospirando e decidendo di prendere una boccata d’aria. Parcheggiò, prima di avviarsi verso un luogo preciso.

Avalon.

Le acque di Avalon scorrevano davanti a lui e riflettevano quiete la luce della luna.

Erano molti secoli che non camminava sulla riva di quelle acque. Acque che erano divenute un semplice lago, per i molti passanti che percorrevano quella strada. Acque a cui lui non si avvicinava da molto tempo, se non da lontano, e anche in quel caso si limitava a guardarle da lontano.

Si sedette sull’erba, lasciando che il suo sguardo vagasse indistinto.

Toccò l’erba sospirando pensieroso.

Lui, e pochi altri, sapevano cos’era realmente successo nel punto esatto in cui si era seduto dieci secoli prima.

Gli sembrava quasi di rivedere, tramite i ricordi, la barca che si allontanava.

Perché succedeva nuovamente tutto quello?

Merlino non lo sapeva! Eppure, quella sera l’incontro con il Re lo aveva spinto a tornare sulla riva di quelle acque.

Molti secoli addietro, il grande drago gli aveva detto che Artù sarebbe ritornato.

Ritornato quando Albion avrebbe avuto bisogno.

Eppure, lui adesso sapeva anche com’erano andate realmente le cose.

Erano stati i Guardiani a permettere ad Artù di ritornare. E Merlino si era crogiolato in questa convinzione per molti secoli, certo che il Re non sarebbe più tornato. Perché i Guardiani avevano fornito i mezzi per un ipotetico ritorno ma non avevano imposto all’anima del Re di ritornare.
Il problema era che il Re aveva scelto di farlo quando Merlino si era definitivamente convinto che non l’avrebbe più rivisto.

D’altro canto, chi poteva biasimarlo per una simile convinzione? Lui era vivo, in salute e lucido, inoltre, la magia era arrivata nel ventesimo secolo, quindi, perché il Re aveva scelto di tornare?

Possibile che questo fosse un momento di crisi?

No! Non lo era, Merlino era convinto di quello. Tutto andava bene, equilibri a parte. Ma gli equilibri erano sempre stati incrinati, sin da quando i Guardiani avevano fatto la loro comparsa in un mondo mortale.

Quindi, la domanda rimaneva sempre la stessa: perché?

Lui non aveva reagito bene alla nascita del Re, decidendo di ignorare il problema.
In fondo, si trattava di un uomo mortale. Quanto avrebbe dovuto aspettare, prima che morisse nuovamente? Beh, Merlino sapeva di potersi permettere settanta o ottanta anni di attesa.

In passato, aveva ipotizzato che il Re fosse tornato perché la sua anima non era riuscita a trovare pace, intrappolata nelle acque di Avalon. Quindi, era tornato per poi andare via definitivamente.

Certo, Merlino sapeva che nessuno obbligava il Re a essere un’anima in attesa. Le acque di Avalon non lo costringevano a rimanere lì. L’anima del Re, se lo avesse desiderato, avrebbe potuto definitivamente varcare il confine della morte.

Peccato che il confine varcato fosse stato quello opposto.

E Merlino, convinto di riuscire a ignorare il problema, aveva imposto a se stesso di lasciare vivere al Re la sua vita mortale, senza intromettersi.

In fondo, cosa avevano da spartire in quel secolo? Perché sarebbero dovuti stare nuovamente a contatto?

Erano queste le domande che si era posto e, non trovandovi risposta, aveva deciso di fare finta di nulla decretando che ognuno avrebbe dovuto continuare la propria vita senza più venire a contatto con l’altro.

Perché a Merlino faceva male pensare al suo ritorno. Faceva male pensare a un nuovo confronto con Artù.

Eppure, il fato aveva deciso diversamente e Merlino si era ritrovato il Re nella sua scuola di musica.

Era stata un’invasione in piena regola e rivedere quel volto era stato peggiore di uno schiaffo.

Perché lo tormentava ancora? Perché non lo lasciava definitivamente in pace?

Non era bastato avergli servito un regno prospero su un piatto d’argento e incassare il suo rifiuto in silenzio mentre, credendo di poter salvare la loro amicizia, aveva continuato a fargli da servo?

No! Evidentemente, al Re, questo non bastava. Inoltre, da quando lo aveva rivisto così da vicino, gli occhi del Re non lo avevano abbandonato un momento. Erano davanti a lui, senza sosta e senza che lui potesse fare niente per scacciarli.

Quegli occhi, che lo avevano osservato sospettosi mentre lui, il mago, cercava di salvargli la vita, non lo lasciavano in pace.

Perché il Re era ritornato?

La risposta poteva essere solo una, a quel punto: riprendersi il suo posto legittimo di sovrano.

Sovrano di cosa, poi? Questo Merlino non lo sapeva.

Sapeva soltanto che, nell’ascesa di Artù, non ci sarebbe stato posto per lui.

Perché Artù era carismatico, un condottiero nato. Una di quelle persone che si ascolta qualunque cosa dica, non per quello che dice ma per come lo dice.

Il popolo magico, così come le creature, era venuto a conoscenza del ritorno del Re, accogliendo questo avvenimento con gioia.

Le creature avevano avvertito il momento del ritorno senza che ci fosse stato bisogno di avvertirle.

Gli esseri umani, invece, erano felici che il discendente del solo e unico Re, fosse finalmente rinato.

Perché nessuno sapeva come le cose fossero andate. Nessuno sapeva come le cose realmente si fossero svolte.

Avevano ricamato talmente tante storie su quelle leggende che la verità era definitivamente scomparsa, sopravvivendo nella mente di pochi. E lui, Merlino, era uno di quei pochi.

Inoltre, era stato anche lui, durante i secoli, a lasciare che le cose arrivassero a quel punto. Non credendo in un reale ritorno del Re, aveva lasciato che tutti ne avessero l’immagine di un puro di cuore. Un cavaliere senza macchia e senza paura, pronto a sguainare la spada in difesa dei più deboli.

Aveva lasciato che si crogiolassero con la favola del suo ritorno, senza pensare che sarebbe potuto realmente avvenire. E ora ne pagava le conseguenze.

Perché Merlino sapeva quanto il Re riuscisse a conquistarsi la fiducia di tutti. E di lui, il Sommo Emrys, cosa ne sarebbe stato, a quel punto?

Lui, che aveva guidato creature e stregoni nel corso dei secoli, che ruolo avrebbe avuto?

Perché poi le cose sarebbero dovute andare in quel modo? Perché il Re avrebbe dovuto governare su un popolo che non gli apparteneva?

Scosse la testa, scacciando questi pensieri. Si alzò, sentendo le ossa dolergli e guardò di sfuggita il diamante nero.

Una nuova ondata di male stava per arrivare e lui, come sempre, era pronto ad accoglierla sul suo stesso corpo.

Perché il male non smetteva mai di esistere. Non smetteva mai di fluire nel mondo.

E lui, come ogni volta, lo accoglieva inerme.

Il suo sguardo si indurì. Non avrebbe permesso al Re di prendere ciò che era suo.

Non gli avrebbe permesso di metterlo in ombra.

Ripensò al diamante bianco, nella tasca della giacca del Re. Non aveva faticato ad avvertire la sua presenza. Eppure, perché quel diamante gli si era rivoltato contro?

Aveva protetto il corpo del Re, di questo ne era certo. Ma perché, un oggetto magico andava contro di lui?

Il Re, di sicuro, non aveva avvertito nulla ma a Merlino non era sfuggito quello che era avvenuto.

Il suo potere si era scosso, dopo le parole del Re. Il suo potere aveva reagito. Questo perché indossava il diamante nero da appena tre secoli.

La stanza, a un certo punto, si era riempita di energia, Merlino l’aveva vista chiaramente.

E sapeva bene che, se un qualunque essere umano fosse entrato per sbaglio in quella stanza, non ne sarebbero rimasti neanche i resti.

Per questo aveva cercato con tutto se stesso di riprendere il controllo. Perché, nonostante tutto, lui non voleva fare del male al Re. Lui non voleva fare del male a nessuno. Non ne aveva mai avuto intenzione.

Sentì le lacrime rigargli il viso mentre osservava ancora il lago e fu veloce ad asciugarle.

Non voleva fare del male a nessuno.  Eppure, sembrava che il Re non avesse bisogno di protezione.

Non con il Diamante Bianco che sembrava averlo preso in simpatia.

Perché Merlino era sicuro che il Re non avesse né sentito né provato nulla. Gli aveva semplicemente rivolto delle parole a caso e lui, per fortuna, era riuscito a riprendere il controllo prima che il Diamante Bianco cambiasse idea su cosa proteggere.

Perché gli oggetti magici erano così, come delle creature vive. Avevano simpatie e antipatie, avevano un proprio carattere con proprie caratteristiche. E lui era il padre di tutti gli oggetti che lo riconoscevano come padrone e protettore.

Evidentemente, essendo il Diamante Bianco risvegliatosi da poco, stava attraversando una fase di ribellione verso il suo padrone.

Meglio così, in fondo, oppure la polizia britannica si sarebbe dovuta spiegare come un intero quartiere fosse stato raso al suolo in meno di un istante.

Sì, era senza dubbio andata così e il Re non c’entrava nulla con quello che era avvenuto. Perché, di certo, non aveva mai parlato al Diamante Bianco. Di certo, non si era mai rivolto a lui né poteva aver avvertito il suo potere.

Decise di avviarsi in macchina consolandosi con la garanzia che tra cinquanta anni, massimo sessanta, questo Diamante sarebbe ritornato a lui.

Si avviò, consolandosi con la garanzia che, fra qualche decennio, il problema si sarebbe definitivamente risolto e lui sarebbe riuscito a chiudere un capitolo aperto da mille anni.
 

***
 

Freya si guardò intorno per un lungo istante, osservando le infinite bilance che regnavano nella stanza.

Una stanza oramai abbandonata dal mondo che la ospitava e di cui lei era parte integrante oramai.

Una stanza in cui nessun Guardiano si prendeva la briga di entrare.

La stanza di un mondo dimenticato e lasciato a se stesso. Quel mondo.

Bilance infinite erano l’unico arredamento di quella stanza. Ognuna di diverse dimensioni, ognuna di diverso colore.

Al centro, risiedeva la Bilancia D’Oro, quella che misurava l’opposto fondamentale di ogni mondo: il Bene e il Male.

Era così per ogni mondo che si creava, così come vi erano infinite stanze come quella nel Palazzo dei Guardiani.

Ogni stanza si creava nel momento in cui nasceva un mondo e, allo stesso modo, si dissolveva da sola quando un mondo cessava di esistere.

Quella stanza, in particolare, era oramai dimenticata da tutti e, se i primi anni i Guardiani si erano domandati come mai, dopo il tradimento, non si fosse ancora dissolta, ora, semplicemente, la ignoravano.

In fondo, perché entrare in una stanza inutile?

Perché entrare in una stanza dove le bilance erano tutte squilibrate? Così squilibrate da non ammettere neanche il più piccolo potere su di esse, pena: la distruzione istantanea della stanza e di conseguenza la fine di quel mondo.

Perché erano due i casi in cui i Guardiani non potevano entrare in un mondo: il primo, quando quelle bilance erano troppo squilibrate tra loro, il secondo quando erano perfettamente uguali.

Tuttavia, questa seconda ipotesi era utopia dato che nessun Guardiano era mai riuscito a portare tutti gli opposti allo stesso livello.

La bravura di un Guardiano, infatti, si misurava in base a quanto queste bilance si avvicinassero all’equilibrio perfetto.

Un quaranta per cento contro un sessanta per cento. Un trenta per cento contro un settanta per cento e così via.

Tuttavia, ogni Guardiano sapeva che nessuna bilancia avrebbe mai avuto un cinquanta per cento contro un cinquanta per cento.

D’altro canto, considerando come i numeri fossero infiniti, era anche abbastanza logico.

Si poteva avere un quarantanove virgola novantanove per cento. Ma, considerando come i numeri tra novantanove e cento fossero infiniti, allora un equilibrio perfetto era da considerarsi utopia.

Certo, esisteva una leggenda nel mondo dei Guardiani.

Quella leggenda affermava che se un unico mondo fosse stato in grado di portare le bilance allo stesso identico livello, allora quel mondo avrebbe segnato la Storia Perfetta.

Di conseguenza, anche l’infinito mondo dei Guardiani avrebbe avuto fine per ricominciare nuovamente tutto d’accapo.

Come un cerchio, dove l’inizio e la fine coincidono.

Tuttavia, era più una favola che si raccontava ai guardiani più piccoli che una vera e propria realtà.

Eppure, Freya sapeva quello che aveva visto.

Era durato un istante ma il Bene e il Male si erano eguagliati.

Non si erano solo sfiorati, come capita ai piatti di una qualsiasi bilancia quando un elemento predomina sul suo opposto.

Perché quelle bilance avevano un meccanismo totalmente diverso dal funzionamento di quelle umane, nonostante apparissero, esteticamente, con le stesse caratteristiche.

I piatti delle bilance degli uomini, infatti, tendevano a incontrarsi spesso, anche se per pochissimo e, per pochi millesimi di secondo, erano in grado di trovarsi allo stesso identico livello. Era piuttosto frequente, in effetti. Bastava semplicemente far pesare un piatto molto rispetto all’altro ed ecco che, nel meccanismo di salita per uno e di discesa per l’altro, i piatti si incontravano.

Tuttavia, quelle bilance erano totalmente diverse nel funzionamento. Capitava che un mondo, infatti, cambiasse con gli anni le percentuali di un piatto o dell’altro, superando di conseguenza il suo opposto.

Se ci fossero state una discesa e una salita, come per una normale bilancia, allora quei piatti si sarebbero incontrati e questo non poteva succedere. Il funzionamento di una bilancia influenzava le altre, a seconda della sua importanza. Era quindi impensabile che i piatti potessero anche solo trovarsi su una stessa identica retta immaginaria.

I piatti di quelle bilance comparivano e scomparivano, invece e, a un occhio esterno, potevano sembrare sospesi in aria. Lo erano, in effetti.

Tuttavia, in quella stanza, i piatti di quella bilancia si erano materializzati su una stessa retta immaginaria, anche se era durato tutto meno di un istante.

I piatti, in quel caso, si erano letteralmente incontrati, rimanendo sullo stesso piano per un lunghissimo millesimo di secondo.

Ora la bilancia era nuovamente squilibrata eppure, nonostante il Male fosse ancora altissimo, a Freya non sfuggì che il Bene aveva guadagnato qualche posizione.

Che qualcosa sarebbe avvenuto, ne aveva avuto già il sentore. Per questo, aveva richiamato il cavaliere appena pochi minuti prima, cercando un contatto con la sua mente.

Oppure, appena qualche ora prima, se contava il tempo in termini umani.

Eppure, quando il portale che affacciava su quel mondo si era improvvisamente chiuso, Freya aveva avvertito che qualcosa di fondamentale stava avvenendo in quel mondo.

Non la sua distruzione quanto, piuttosto, la sua rinascita.

Era successo quando il Re e il Mago avevano cominciato a parlare e le loro anime avevano liberato la loro energia.

Il contatto con il mondo dei Guardiani si era improvvisamente chiuso, come se l’energia del Mago, unita a quella del Re, avesse creato uno scudo.

Uno scudo potente. Uno scudo che poteva essere generato solo dal potere di Merlino unito alla sua parte mancante.

Perché il potere del Mago era infinito.

Per questo, innumerevoli Guardiani non avevano saputo guidarlo. Per questo, rappresentava l’eterna incognita della storia.

Perché il potere del Mago era tanto grande quanto quello dei Guardiani. Il potere del Mago poteva creare la Storia Perfetta.

Per questo motivo si era precipitata di corsa in quella stanza.

Con un sorriso, decise di uscire, pronta a riferire le novità alla sua cara zia.
 

Continua…
 

Note:
 

Ecco uno dei primi punti di vista di Merlino. Preciso però che il mago si trova ancora in uno stato confusionale e che le sue riflessioni sono il frutto degli incubi che il diamante gli fa avere.

Anche se, si intravede una piccola traccia del suo vero io e della sua bontà.

Come sempre, aspetto curiosa i vostri commenti. Mi raccomando, fatemi sapere quello che ne pensate dato che i protagonisti sono finalmente entrati in scena!

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Alla prossima.

Pandora86

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Capitolo 49
*** Capitolo 49. Scudo ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 49. Scudo
 
 
Dicembre 2013 – Mercoledì sera
 

“Passami il mio cellulare, cavaliere”.

Gwaine lo guardò per un istante sbigottito.

Quello era un ordine a tutti gli effetti. Un ordine di vitale importanza. Un ordine dato dal Guardiano al Cavaliere.

Fece come richiesto, chiedendosi cosa diamine fosse successo. Fino a meno di un minuto prima, stavano conversando amabilmente. O meglio, si stavano provocando amabilmente, e fin qui tutto era nella norma.

Era durato un istante ma, improvvisamente, il volto di Kyle era cambiato. Improvvisamente, la sua espressione era divenuta quella di una statua di marmo, fredda, impassibile e concentrata.
Un’espressione da Guardiano.

“Non mi dire che non te ne sei accorto, Gabriel”.

La voce dell’altro lo riscosse dalle sue riflessioni e, al contempo, confermò le ipotesi di Gwaine.

Nessun vezzeggiativo scherzoso sul nome dell’altro Guardiano: segno che, qualsiasi cosa fosse successa, neanche uno come Kyle poteva riderci sopra.

Segno che la cosa era veramente seria.

“Cosa? Non sei più a casa del cavaliere?”.

Gwaine si mise in ascolto.

“Va bene, va bene! Vado io e ti tengo aggiornato” e attaccò.

“Che succede?” chiese immediatamente Gwaine.

“Succede che dobbiamo andare a casa del Re. O, perlomeno, provare a entrare nel quartiere. Anche se dubito riusciremo a farlo!”.
 

***
 

“Che succede, Lenn?” chiese Merlìha agitata.

“Non lo so, Merlìha, ma credo si tratti di uno scudo. Uno scudo potente!” rispose Lenn afferrando il cellulare e digitando veloce un messaggio.

“Chi mai potrebbe aver creato uno scudo dalla potenza così estrema?” lo incalzò la donna.

“Sai che solo una pietra è in grado di fare questo” le rispose Lenn serissimo, non staccando gli occhi dal cellulare che, qualche istante dopo, vibrò.

“Infatti!” esclamò piccata la donna. “La domanda è: perché il pianeta esiste ancora?” chiese, non provando nemmeno a trattenere l’agitazione.

“Kyle è andato a verificare” la informò Lenn leggendo il messaggio.

“Dobbiamo andare anche noi?” chiese la donna.

“Direi di no! Non credo che, in quel quartiere, serva altra energia!” rispose Lenn sicuro.

“Quindi, proviene dal quartiere del Re” affermò Merlìha.

“Ma com’è possibile?” chiese poi.

“Credo che il Diamante Bianco stia tenendo in piedi lo scudo, trattenendo l’energia del Diamante Nero al suo interno, ma di più non so. Aspettiamo le novità di Kyle non appena si sarà avvicinato alla zona!” chiarì la situazione Lenn senza nessuna traccia del suo solito sorriso
sul volto.

“Fino a quando il Diamante Bianco reggerà?” chiese preoccupata Merlìha e Lenn non rispose, limitandosi a scuotere la testa.
 

***
 

“Che significa che non possiamo andare oltre?” chiese Gwaine allibito.

Dopo la telefonata, Kyle si era alzato dal letto preparandosi per uscire e Gwaine, capendo che non si trattava di una delle tante buffonate dell’altro, non aveva fiatato decidendo però di accompagnarlo in macchina.

Il Guardiano non aveva protestato ma anzi, aveva affermato che era ovvio il fatto che avrebbe dovuto fargli da autista. Segno che la situazione non era preoccupante: era molto preoccupante.

E ora si trovavano lì, a pochi metri dal quartiere residenziale di Artù, dove Kyle gli aveva praticamente ordinato di fermarsi.

“Significa che c’è uno scudo di energia potente! Molto potente!” chiarì Kyle serio e Gwaine, nonostante non vedesse nulla a occhio nudo, non pensò neanche lontanamente di dubitare della veridicità dell’affermazione.

“E non riesci a oltrepassarlo?” s’informò invece.

“Potrei, ma dovrei usare il mio potere” spiegò Kyle con noncuranza mentre continuava a scrutare con occhi attenti la strada attraverso il vetro dell’auto. “E non credo che il pianeta lo gradirebbe” affermò secco.

“Ma perché dovrebbe esserci una tale cosa nelle vicinanze della casa di Artù? Non può essere una coincidenza” protestò Gwaine stringendo il volante con rabbia.

“Ovvio che non si tratta di una coincidenza” gli chiarì Kyle. “Ti informo che, nella casa del Re, c’è anche Merlino!” spiegò.

“Che cosa?” sgranò gli occhi Gwaine.

“Già!” sospirò Kyle.

“Come si spiega una cosa del genere?” lo incalzò Gwaine e Kyle sbuffò, alzando gli occhi al cielo.

“A quanto pare” rispose con tono sarcastico, “oggi, Klause Badelt ha ricevuto una visita nella sua scuola di musica, da parte del caro Re. E non fare quella faccia” lo riprese poi, osservando l’espressione stupita dell’altro, “so benissimo che avete scoperto le nostre identità nel mondo non magico”.

“Non è per quello che sono sorpreso” lo corresse Gwaine, “ma dal gesto di Artù” concluse.

“Beh, il Re non ha mai brillato in intelligenza. D’altro canto, non è una dote che vi caratterizza altrimenti, avreste preso più in considerazione le parole di Louis e Phoenix” lo rimproverò.

“Guarda che io non ne sapevo nulla” si difese Gwaine.

“Il che è un bene” fu lesto a rispondere Kyle, “perché altrimenti saresti andato anche tu insieme altri quattro. O sbaglio?” e lo sfidò, con lo sguardo, a contraddirlo.

Gwaine sbuffò ma non rispose. Certe volte, e questa era una di quelle volte, era insostenibile avere a che fare con una persona che avesse sempre ragione.

D’altro canto, sapeva anche che Kyle aveva affermato la verità. Perché, se non fosse stato così preso dall’inatteso ospite a casa sua, probabilmente, sarebbe andato in quella scuola molto prima di Artù.

“Quindi, è per questo che non lo abbiamo mai incontrato in passato?” s’informò Gwaine.
Kyle sbuffò.

“Perspicace, cavaliere” lo riprese con tono ironico.

“Ma che cosa sta succedendo, in realtà?” lo incalzò ancora Gwaine e Kyle alzò gli occhi al cielo esasperato.

“Non riesci a stare zitto per due minuti di fila?” chiese irritato.

“E tu non puoi spiegarmi in termini che io riesca a capire senza spazientirti?” non si arrese Gwaine.

Kyle sospirò, rassegnandosi a spiegare.

“C’è uno scudo, uno scudo potente, che mi impedisce di entrare. Uno scudo creato dal Diamante Bianco” incominciò.

“Credevo che lo avesse creato il Diamante Nero” obiettò Gwaine con aria perplessa e Kyle sorrise sarcastico.

“Ti sei mai domandato perché il Re, insieme a tutti voi, abbia avuto bisogno di una preparazione, prima di poter avvicinare il Mago?” domandò Kyle e, non aspettando la risposta, riprese. “Te lo dico io, allora. Merlino indossa il Diamante Nero che gli fa sentire tutto il male del mondo” riassunse in maniera spiccia. “A contatto con il Re, e sotto l’influenza del Diamante Nero, rischia di perdere il controllo, facendo correre seri rischi sia al suo corpo sia alla sua mente. Senza contare tutto quello che lo circonda, che rischia di essere spazzato via in meno di un istante. Anzi, a giudicare dallo scudo che ha alzato il Diamante Bianco, credo che il Re lo abbia già fatto arrabbiare a sufficienza” concluse.

“Ma che c’entra il Diamante Bianco?” domandò ancora Gwaine.

“Sembra che il Re sia finalmente pronto a usare la potenza della sua spada” rispose Kyle. “A quanto pare, il Diamante Bianco ha alzato uno scudo per contenere l’energia negativa del Diamante Nero, proteggendo tutto quello che vi è al suo interno. Il problema, però, è fino a quando riuscirà a farlo” concluse.

“Quindi, è Artù che sta tenendo la situazione sotto controllo” riassunse Gwaine.

“Ma perché non possiamo entrare? E le persone che sono all’interno?” domandò ancora e Kyle sospirò come se stesse esalando l’ultimo respiro.

“La gente all’interno non credo si sia accorta di nulla e può sia entrare che uscire. Il problema è la mia energia che, a contatto con lo scudo, potrebbe creare qualche spaccatura di troppo” spiegò.

“Inoltre, tu sei uno dei cavalieri di Camelot e, se il Diamante Nero ha risvegliato le paure verso quell’epoca, viene logico pensare che se entrassi all’interno dello scudo creeresti una grossa interferenza” terminò.

Gwaine soppesò bene le parole che l’altro aveva detto.

“Quindi, perché siamo qui?” domandò poi.

“Perché devo tenermi pronto a intervenire nel caso il Diamante Bianco non sia abbastanza forte” rispose Kyle.

“Ma non stiamo parlando di un oggetto potente?” domandò ancora Gwaine.

“Possibile che tu non riesca a fare due più due?” si spazientì Kyle.

“Ovvio che l’oggetto sia potente. Peccato che il Re non abbia sufficiente esperienza nell’usarlo” disse secco.

“Quindi, devi tenerti pronto a contrastare il Diamante Nero?” s’informò Gwaine sgranando gli occhi.

“Vedo che finalmente hai afferrato il concetto” sbottò Kyle sarcastico.

“Merlino non si perdonerebbe mai di aver raso al suolo un quartiere” aggiunse poi, con tono stranamente riflessivo.

“La follia che siamo riusciti ad allontanare per tutti questi secoli, lo coglierebbe senza scampo” concluse con un tono e un’espressione che Gwaine avrebbe potuto definire tristi. O forse, malinconici! Sì, era quello, senza dubbio, l’aggettivo più adatto.

“Ma io non lo permetterò” aggiunse poi Kyle con tono duro mentre gli occhi si assottigliavano pericolosamente e Gwaine deglutì istintivamente. “Costi quello che costi”.

Stettero per qualche minuto in silenzio, fino a quando Gwaine, ripensando alle parole dell’altro, sentì una domanda nascere spontanea.

 “Chi erano gli altri tre?” domandò con interesse.

Kyle alzò un sopracciglio, guardandolo con aria interrogativa.

“I tre, che, oltre ad Artù, sono andati nella scuola di musica” chiarì Gwaine.

“Oh, vediamo” ci pensò su Kyle, “quello con i capelli ricci e quello dalla carnagione scura. Oltre a quello che conosceva il segreto di Merlino in tempi remoti” elencò velocemente.

“Leon, Elian e Lance” chiarì Gwaine. “Hai lavorato con noi, senza neanche memorizzare i nostri nomi?” chiese poi scettico.

“Ho memorizzato le vostre figure, in tempi remoti, ma non mi sono mai preoccupato dei vostri nomi” spiegò con semplicità agghiacciante Kyle, parlando di epoche dimenticate. “Quanto al presente, eravate solo i cavalieri che erano ritornati. Non ho ritenuto opportuno memorizzare altro” concluse, con una scrollata di spalle.

Gwaine annuì rimanendo in silenzio per diversi istanti mentre rifletteva su quello che Kyle aveva detto. Il Guardiano, questa volta, non stava insultando gli esseri umani o la loro stupidità. Gli aveva semplicemente detto che loro non erano abbastanza importanti da essere memorizzati e Gwaine, in fondo, sapeva che si trattava della verità.

Sapeva che, nella lontana Camelot, erano stati Merlino e Artù i cardini della storia. Tuttavia, queste cose potevano cambiare nell’era moderna. Avrebbe potuto fare in modo che Kyle non lo considerasse solo il cavaliere, come lo chiamava praticamente sempre, ma Gwaine.

Ora che ci faceva caso, mai una volta Kyle lo aveva chiamato per nome. Anche quando Gwaine non sapeva chi fosse e Kyle si fingeva un normalissimo impiegato.

Beh, ora che ci aveva fatto caso, aveva tutta l’intenzione di rimediare.

Sentì Kyle sospirare e guardò nuovamente davanti a sé, sperando forse di scorgere quello che ai suoi occhi era precluso. Non ci riuscì e tornò nuovamente a guardare l’altro.

“Perché stavi piangendo?”.

Non c’era premeditazione né calcolo in quella domanda. Come ogni cosa che proveniva da Gwaine, era stata istintiva e dettata dalle sensazioni che provava. In quel particolare momento, osservando lo sguardo del Guardiano e pensando alla situazione in cui si trovavano, non era riuscito a trattenersi.

Perché, quella a cui stava assistendo era ancora una delle mille facce di Kyle. In quel momento, non era lo sbruffone, il prepotente, il presuntuoso o l’idiota.

Era semplicemente Kyle che, di fronte a un male comune, metteva da parte le antipatie sopportando la sua presenza. Semplicemente Kyle che si teneva pronto a dare sfoggio di tutta la sua potenza nel caso ce ne fosse stato bisogno.

Fu questo pensiero che probabilmente aveva fatto scattare la domanda. Perché Gwaine non aveva mai visto Kyle comportarsi da Guardiano.

Un Guardiano mandato sul posto dagli altri tre perché la sua esperienza superava quella di tutti loro. Un Guardiano competente e intelligente. Il Guardiano.

“Perché piangevi?” domandò nuovamente sottovoce mentre volgeva lo sguardo di fronte a sé, fissando un punto imprecisato della strada che si trovava dinanzi.

Sentì Kyle sospirare e Gwaine attese in silenzio, non del tutto certo che l’altro rispondesse alla sua domanda.

Non era sembrato sorpreso del fatto che Gwaine se ne fosse accorto e, anche se lo fosse stato, non era da Kyle manifestare apertamente stupore per così poco.

“A volte, è dura vivere in un corpo umano, cavaliere!” rispose Kyle lentamente e Gwaine annuì senza guardarlo.

Non perché provasse imbarazzo ma perché sapeva che l’altro non avrebbe gradito.

Rimasero perciò in silenzio. Per quella sera, non c’era null’altro da dire. Rimasero in silenzio, mentre Gwaine accoglieva la prima confidenza che l’altro gli avesse fatto e rifletteva sul significato di quelle parole.

Probabilmente, si trattava delle prime parole sincere che Kyle gli rivolgeva e Gwaine decise di custodirle al sicuro dentro di sé, fino a quando non fosse riuscito a capire il reale significato di quella frase.

Sapeva, infatti, di non poter indagare oltre ma andava bene così. Andava bene, continuare a stare accanto all’altro in silenzio, ognuno perso nelle proprie riflessioni, ognuno perso nei propri dilemmi.

Passò un tempo interminabile, fino a che Gwaine non sentì Kyle sospirare di sollievo.

Rivolse lo sguardo verso di lui per chiedere spiegazioni ma non ci fu bisogno di domandare nulla.

“Sembra che la situazione sia rientrata” esclamò Kyle di buon umore, anticipando le domande dell’altro.

“Osserva” continuò, mentre invitava Gwaine a guardare dentro la pietra che indossava.

“Finalmente, posso di nuovo osservare il Re, quindi lo scudo è rientrato” spiegò, mentre l’altro osservava le figure muoversi all’interno dell’anello, rimanendo affascinato da un tale potere.
 

“Siamo due imprenditori! Amici, almeno in questo secolo?”.
 “Diciamo colleghi. Questo è il mio biglietto da visita. Per fissare la prossima riunione”.
“Va bene. Ti contatto quando Lance avrà letto il fascicolo”.
“Bene!Non vi scomodate, conosco la strada”.
 

“Bene” disse Kyle interrompendo i contatti. “Direi che possiamo togliere le tende, cavaliere” e Gwaine mise in moto ridacchiando.

Per fortuna, Artù era riuscito a tenere la situazione sotto controllo.

Inoltre, anche Kyle sembrava inaspettatamente di buon umore e Gwaine, non sapendo fino a quanto fosse durata, decise di gustarsi appieno quegli istanti con l’altro, mentre un forte senso di cameratismo verso Kyle, per quella che sembrava una prima missione andata a buon fine, lo invadeva facendolo fischiettare allegro.
 

***
 

“Già di ritorno?” domandò Gabriel vedendo Merlino entrare nel salone dell’immensa villa Badelt.

“Perché, a che ora mi aspettavi?” chiese Merlino sorridendo e accomodandosi nella poltrona di fronte a lui.

“Credevo saresti rimasto tutta la notte sulle acque di Avalon a riflettere sui mali del mondo” si espresse Gabriel incrociando le mani sotto il mento e osservando le fiamme scoppiettare nel camino.

“Ti sei avvicinato molto alla verità!” confermò il mago. “Tu, invece, come mai sei qui?” domandò.

“Forse, perché ci abito” gli fece notare Gabriel.

Merlino ridacchiò.

“Nostalgia di casa?” s’informò.

“Nostalgia del silenzio che regna in questa casa” lo corresse l’altro.

Merlino non faticò a cogliere il riferimento, neanche sottinteso, a Kyle.  Certo, da secoli, abitavano nella loro immensa villa. Immensa, per l’appunto! Tanto grande da poter stare per giorni senza incontrarsi.

Abitare, invece, in un appartamento di poco meno di cento metri quadri doveva essere diventato insostenibile per entrambi.

Merlino ridacchiò al pensiero degli improbabili turni di pulizie e di cucina che sicuramente Lenn aveva stabilito per tutti loro. Improbabili non perché non fossero logici ma perché non erano applicabili alle persone in questione. Si domandò se quella casa fosse ancora in piedi, e in che stato fosse ridotta.

Troppo preso in questi piacevoli pensieri, non sentì la domanda di Gabriel.

“Dove sei con la mente?” lo richiamò il guardiano.

“Al centro di Londra” ridacchiò Merlino bonario.

Gabriel inarcò un sopracciglio, in segno di domanda.

“Nella casa dove risiedete ora” spiegò Merlino. “Non ci sono mai stato, né sono venuto a trovarvi” appuntò con una nota di rammarico.

“Questo, perché non c’era nulla da vedere” costatò Gabriel con indifferenza.

“Beh, ammetti che sarebbe stato spassoso, però” rifletté Merlino e Gabriel evitò di rispondere lasciando che la sua espressione parlasse per lui.

Merlino rise.

“Dai, non può essere stato tanto male”.

“Infatti” rispose Gabriel, “è stato peggio!” appuntò mentre una linea di disgusto gli increspava le labbra.

“Che cosa mi avevi domandato?” s’informò poi Merlino.

“Com’è andata?” chiese nuovamente Gabriel che non ebbe problemi a ritornare all’argomento principale.

“È stato abbastanza disastroso” esordì Merlino e Gabriel lo invitò a continuare con un cenno del capo.

“Disastroso perché il Re sembra realmente essere il genio della finanza che i giornali decantano” concluse, prendendosi un istante di pausa per riflettere.

“Abbiamo sempre saputo quanto fosse bravo nel suo lavoro” precisò Gabriel.

“Beh, che faccia il suo lavoro lontano dalle mie imprese” sbottò Merlino.

“Deduco, dalla tua reazione, che il Re abbia presentato dei piani eccellenti” continuò a parlare Gabriel con un mezzo sorriso.

D’altro canto, lui sapeva come quei piani fossero stati preparati in fretta. Tuttavia, omise di dare questo particolare all’altro, ritenendo più opportuno, al momento, lasciarlo sfogare.

Inoltre, erano altri gli argomenti che andavano toccati. E Gabriel, da ottimo stratega, ci sarebbe arrivato con una precisione matematica.

“Già, ed è questo che non sopporto!” esclamò Merlino, incrociando le braccia e imbronciandosi.

“Quei piani hanno richiesto una pianificazione di mesi” continuò a brontolare.

“Al Re, non sono andati giù i rifiuti del nostro amministratore delegato e quindi ha pianificato un’operazione, decidendo di presentarmela direttamente nella scuola, senza neanche preoccuparsi di fissare un appuntamento, scavalcando tutti i nostri azionisti e saltando tutta la burocrazia per incontrarmi” concluse.

“Capisco!” esclamò Gabriel serio.

“Inoltre, quando ha visto il sito web e capito chi fosse Klause Badelt, si è sentito avvallato perché, nei suoi pensieri, trattandosi di me, non gli avrei rifiutato nulla” sbottò nuovamente Merlino.

“Un moderno Machiavelli, insomma” parlò ancora Gabriel con tono neutro.

D’altro canto, non era detto che si riferisse al Re a giudicare dalla sua espressione impassibile.

Era, infatti, abbastanza interessante stare ad ascoltare Merlino e il suo castello di carte. Castello che Gabriel non ci tenne a smontare perché, visti gli sviluppi di quella sera, ipotizzò che ci avrebbe pensato direttamente il Re.

“E la cosa che mi disturba, è che quei piani sono ottimi” concluse Merlino sbuffando.

“Capisco!” affermò Gabriel. “Che ne dici, invece, di parlare dello scudo?” chiese, andando dritto al punto, spiccio come sempre.

Merlino sospirò, ben sapendo che con Gabriel era inutile tergiversare.

“Cosa vuoi che ti dica” e respirò profondamente. “Non credevo che il Diamante Bianco avrebbe reagito così, ma ne sono felice” e sospirò ancora.

“Secondo te, perché il Diamante Bianco ha reagito in quel modo?” chiese Gabriel.

“Di certo non è stato il Re” decretò Merlino pensieroso. “Forse, il Diamante Bianco è ancora confuso” rifletté.

“Comunque, non vedo l’ora che torni al mio dito” concluse e Gabriel rimase in silenzio.

A nulla sarebbe servito puntualizzare sul fatto che era stato proprio il Re, precedentemente preparato ad Avalon e poi fomentato da Kyle, ad aver creato quello scudo.

A nulla sarebbe servito far notare all’altro che il cuore del Re non aveva incertezze né dubbi su chi affiancare nel futuro.

Non subito almeno, visto e considerato che Merlino avrebbe prima dovuto riscoprire la loro vecchia amicizia e intesa.

In ogni caso, le cose sembravano volgere al meglio e Gabriel era lieto di quelle novità, perché gli impedivano di pensare a quello che era avvenuto a casa del cavaliere, poche ore prima.

Gli impedivano di pensare a quel volto addolorato che, nei loro prossimi incontri, gli avrebbe riservato solo sguardi di odio e non più sguardi di ammirazione.

Perché Gabriel escludeva che non si sarebbero più incontrati visto e considerato i ruoli che avevano entrambi nei rispettivi gruppi.

In fondo, era quello che voleva.

Eppure, faceva troppo male pensarci.

D’altro canto, lui ora avrebbe dovuto vegliare su Merlino quindi, sperò che quella tristezza passasse presto.

Forse, nel giro di qualche giorno non ci avrebbe più pensato.

Non poteva sapere quanto si sbagliasse.

Anche Phoenix, quella sera, sembrava particolarmente pensieroso, mentre osservava il suo cellulare e li raggiungeva, accomodandosi in silenzio accanto a loro.

Stettero così per molto tempo, ognuno perso nelle proprie riflessioni e, nel frattempo, preoccupati l’uno dell’altro.

Phoenix non aveva faticato a intuire l’umore del Guardiano quando questi era rientrato ma non aveva indagato certo che l’altro si sarebbe confidato quando più lo avesse ritenuto opportuno.

Allo stesso modo, anche il Guardiano aveva notato lo strano silenzio dell’altro facendo finta di nulla.

E poi, era arrivato Merlino che, per fortuna, sembrava lucido e in buona salute, per quanto il suo corpo potesse permetterlo.

E ora erano lì, senza dire nulla, ognuno confortato dalla presenza silenziosa degli altri due e da quelle mura familiari che sapevano di casa.

Ognuno con la persistente sensazione che, nonostante finalmente ci fosse qualche ora di pace, mancasse comunque qualcosa.

Ognuno con la sensazione che quella pace sarebbe stata completa se ci fosse stato qualcun altro accanto a loro.
 

Continua…
 

Note:
 

Ecco che finalmente si conclude la giornata di mercoledì. In questo capitolo fornisco più dettagli ‘tecnici’ su quello che è avvenuto fra Merlino e Artù.

Come sempre, attendo curiossissima i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Alla prossima.

Pandora86

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Capitolo 50
*** Capitolo 50. Contatti ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 

Capitolo 50. Contatti
 

Londra – Dicembre 2013 – Giovedì mattina
 
 

A: Phoenix (11:30)
Cosa fai?
 

Da: Phoenix (11:31)
Lavoro! Quello che dovresti fare anche tu! :D
 

A: Phoenix (11:32)
Io sto lavorando.
 

A: Phoenix (11:32)
Il lavoro in ufficio, in alcuni momenti, offre molte pause. Il tuo, invece?
 

Da: Phoenix (11:33)
Il mio un po’ di meno. Se mi distraggo, gli allievi copiano!
 

A: Phoenix (11:34)
Periodo di esami, quindi?
 

Da: Phoenix (11:35)
Per gli allievi che, oltre i corsi pomeridiani, frequentano anche il liceo musicale in questa sede, sì!
 

A: Phoenix (11:35)
Capisco!  Che esame è?
 

Da: Phoenix (11:36)
In realtà è un compito di fine trimestre. Storia della musica, comunque!
 
 
A: Phoenix (11:36)
Noia!
 

Da: Phoenix (11:37)
Già!
 

A: Phoenix (11:38)
Allora puoi distrarti!
 

Da: Phoenix (11:39)
È quello che sto facendo, mi sembra! :)
 

A: Phoenix (11:40)
Ti distolgo dalla noia! Dovresti ringraziarmi :)
 

Da: Phoenix (11:41)
Vi sono immensamente grato, mio prode cavaliere!
 

A: Phoenix (11:41)
È un dovere salvare gli altri dai pericoli mortali. La noia, appunto.
 

Da: Phoenix (11:42)
A parte questo, volevi dirmi qualcosa in particolare?
 

A: Phoenix (11:43)
Volerti salutare non è un motivo sufficiente per te?
 

Da: Phoenix (11:44)
Dipende da come devo interpretare il saluto!
 

A: Phoenix (11:44)
Semplicemente come un saluto!
 

Da: Phoenix (11:45)
Capisco!
 

A: Phoenix (11:46)
E poi, come un invito a pranzo!
 

Da: Phoenix (11:47)
Ecco, sapevo che c’era dell’altro! :)
 

A: Phoenix (11:47)
Quindi, sei libero? Io ho un’ora di pausa. Se ci incontrassimo in un locale a metà strada?
 

Da: Phoenix (11:48)
Non credo che poi rientreresti in tempo. E lavoriamo in posti troppo lontani tra loro.
 
 
A: Phoenix (11:48)
Quindi, a parte questo, avresti accettato?
 

Da: Phoenix (11:49)
Sei persistente!
 
 
A: Phoenix (11:50)
Sì, lo so! Quindi? Avresti accettato o era un modo elegante per dirmi di no?
 

Da: Phoenix (11:51)
Vuoi ancora informazioni su Avalon?
 

A: Phoenix (11:52)
Voglio semplicemente pranzare con te!
 

A: Phoenix (11:52)
Non cambiare discorso!
 

Da: Phoenix (11:53)
Non sto cambiando discorso.
 

Da: Phoenix (11:54)
Semplicemente, non riesco a capire la tua voglia di pranzare insieme.
 

A: Phoenix (11:54)
Davvero? Oppure è un modo per farmi dire le cose per bene?
 

Da: Phoenix (11:55)
Perché? Se avessi voluto dirle per bene, come ti saresti espresso?
 

A: Phoenix (11:56)
Pensavo fossi più perspicace! Non hai diversi secoli di esperienza?
 

Da: Phoenix (11:57)
Proprio perché li ho, mi mantengo sul vago. Credevo che anche tu fossi più perspicace.
 

A: Phoenix (11:57)
Quindi, mi stai dicendo di no!
 

Da: Phoenix (11:58)
Dipende dalle intenzioni. Il no non sarebbe valido nel caso tu volessi approfondire gli argomenti per i quali ci siamo conosciuti.
 
A: Phoenix (11:59)
Ma è valido se voglio semplicemente invitarti a pranzo o a passare del tempo insieme, giusto?
 

Da: Phoenix (12:00)
Vedo che hai afferrato il concetto.
 

A: Phoenix (12:00)
Perché?
 

Da: Phoenix (12:01)
È necessario che lo dica?
 

A: Phoenix (12:02)
Beh, sì! Non mi conosci nemmeno. Un tentativo non ti toglierebbe tempo e potresti scoprire di divertirti in mia compagnia.
 

Da: Phoenix (12:03)
Vedo che non afferri ancora il concetto!
 

A: Phoenix (12:03)
E allora spiegami!
 

Da: Phoenix (12:04)
Non sei tu il problema!
 

A: Phoenix (12:04)
Cioè?
 

Da: Phoenix (12:05)
Devo ricordarti cosa sono, invece di chi sono?
 

A: Phoenix (12:06)
Se la cosa non mi importasse?
 

A: Phoenix (12:10)
È solo un pranzo!
 

A: Phoenix (12:15)
Dai…. :D
 

A: Phoenix (12: 20)
Io comunque faccio pausa tra meno di un’ora. Se ti va, sai dove trovarmi!
 
 

***
 

“Perce, hai portato il documento di un altro cliente” disse Lance con voce apprensiva entrando nell’ufficio.

“Scusami” distolse lo sguardo Perce.

Sguardo che era assente da quando si era presentato in ufficio quella mattina.

“Sicuro di stare bene?” chiese Lance preoccupato.

“Vado a prendere una boccata d’aria, Lance” tagliò corto Perce uscendo dall’ufficio e guardando di sfuggita Lenn.

“Lascia stare” intervenne Lenn, dato che Lance aveva tutta l’aria di chi vuole andare a fondo di una questione e si stava apprestando a seguire Perce.

“Credo voglia stare da solo” aggiunse con un sospiro.

“Sai cos’è successo?” s’informò Lance sedendosi sulla scrivania di Lenn.

Quella mattina, l’ufficio era molto silenzioso ma probabilmente era la mancanza di Gwaine, il casinista per eccellenza, a renderlo tale.

Elian stava incollato al suo cellulare e Leon era super concentrato sul suo lavoro, segno che voleva mascherare il fatto di essere con la testa altrove.

In sostanza, Lance decise che era il momento ideale per scambiare due chiacchiere.

“Non lo so, ma posso dedurlo” rispose Lenn massaggiandosi gli occhi.

“Ieri sera, Gabriel è tornato a casa. Nella casa vicino agli uffici, intendo, per poi andare direttamente alla villa” rispose.

“Credi che sia successo qualcosa?” si preoccupò Lance.

“Dipende da cosa intendi per qualcosa” sorrise bonario Lenn.

“Direi che potremmo definirle faccende prettamente umane. E normali, soprattutto” si espresse, sapendo che Lance avrebbe afferrato il concetto.

E, infatti, il cavaliere sospirò di sollievo. Con la parola ‘qualcosa’, aveva evocato nella sua mente gli scenari più terribili.

Gli equilibri che si spezzavano definitivamente, qualche oggetto magico potentissimo che non faceva il suo dovere, Lui che magari stava più male del solito.

Ancora… dei maghi, e stavolta non dei buffoni, che creavano problemi. Delle creature che si risvegliavano.

Insomma… tutto, tranne qualcosa di normale.

Tuttavia, non riusciva a spiegarsi il motivo di quella situazione.

“Credi che abbiano avuto problemi di convivenza?” indagò.

“Se possiamo dire così” ammise Lenn, “credo di sì”.

“Ma Perce è la persona più gentile che io conosca” rifletté Lance.

“Infatti, non credo che sia stato il buon Perce a cominciare” sospirò Lenn.

“Era questo che intendevo con faccende umane” gli spiegò. “Umane per noi!”

“Vivere così a stretto contatto con una persona che non conosce, gli ha creato problemi?” chiese Lance, non sentendo il bisogno di specificare il soggetto.

“Forse” rispose Lenn vago, incrociando le mani sotto il mento. “E tu, inoltre, hai l’aria di volermi domandare altro”.

“Infatti!” annuì Lance. “Artù, stamattina, mi ha parlato dell’incontro di ieri” cominciò Lance.

“Intimandoti di dare un’occhiata al nuovo progetto dell’impresa” completò per lui Lenn.

“Stamattina, mi è arrivata un’e-mail simile” concluse sorridendo.

Lance sorrise a sua volta.

“Mi fa strano parlare con l’amministratore delle imprese Badelt e, contemporaneamente, con un impiegato delle imprese Pendragon” ironizzò, scuotendo il capo.

“Ti ci abituerai” lo consolò Lenn. “Inoltre, imparerai a distinguere le due figure, considerandole come unità separate” concluse.

“Quindi, continuerai a procedere in questo modo?” chiese Lance lasciando trasparire un pizzico d’ansia dalla voce.

“Certamente”confermò Lenn. “Anche per me, è più comodo procedere in questo modo, visto come le due imprese stiano entrando sempre più a contatto”.

“Ammetto che per me è un sollievo” sorrise Lance. “Mi saresti mancato” ammise.

“La cosa è reciproca” confermò Lenn sorridendo.

“C’è un’altra cosa che volevo chiederti” parlò Lance dopo un po’.

“Dimmi pure” lo invitò Lenn gentile.

“Non è successo nient’altro, ieri sera?” indagò.

“Dipende cosa intendi per altro” specificò Lenn.

“Intendo…” e fece un istante di pausa, “qualcosa di magico” sussurrò appena la parola.

Vide Lenn osservarlo attento, in attesa che si spiegasse meglio.

“Artù mi ha accennato a una strana energia ma di più non so” e scrollò le spalle. “D’altro canto, dopo avermi dato i documenti, mi ha liquidato con una fretta tale da far pensare che il mondo stia per finire a breve” concluse.

“Capisco!” annuì Lenn.

“Ieri, si è venuto a creare quello che noi chiamiamo scudo” cominciò a spiegare e Lance aggrottò le sopracciglia.

“Ma adesso è troppo lungo da sintetizzare in così poche parole, considerando la mole di lavoro che abbiamo” e sorrise. “Il mio capo vuole dei particolari documenti entro la giornata” concluse.
Lance capì il discorso dell’altro intuendo di quali documenti parlasse e, soprattutto, a quale capo si riferisse.

“Anche il mio!” annuì. “Direi che, in questo, si assomigliano molto quei due” e si alzò dalla scrivania sulla quale si era seduto.

“Stasera, tu e Merlìha potreste venire a cena da noi. Ginevra ne sarebbe entusiasta” propose.
“Così potrai spiegarmi meglio”.

“Non vedo perché no” confermò Lenn.

“Buon lavoro, allora” si congedò Lance.

“Buon lavoro anche a te” lo salutò Lenn con un cenno della mano.

D’altro canto, Merlino era stato chiaro: quei documenti dovevano essere visionati entro la giornata!
 

***


A: Phoenix (13:10)
Per colpa tua, consumerò un misero e triste panino dal bar di fronte agli uffici, dato che non ho portato nulla da casa. In completa solitudine!
 

Elian inviò, non aspettandosi una risposta. Guardò il panino che aveva ordinato, sospirando pensieroso.

Se Phoenix pensava che si sarebbe arreso così facilmente, si sbagliava di grosso.

Troppo preso in questi pensieri, non si accorse della persona che si avvicinò al tuo tavolo.

“Scusi, è occupato!” sbottò irritato, quando vide, con la coda dell’occhio, una mano che afferrava la sedia libera al suo tavolo.

Rimase perciò sorpreso quando vide a chi apparteneva quella mano.

“Da come avevi scritto, sembrava che il locale fosse deserto” sorrise Phoenix accomodandosi.

“Beh, il mio tavolo era vuoto. Almeno, fino a un istante fa” ricambiò il sorriso Elian.

“Hai accettato il mio invito” gongolò.

“Diciamo che ho ritenuto opportuno verificare delle cose di persona” gli spiegò evasivo Phoenix.

“È inutile che cambi la frase” lo pungolò Elian. “Hai accettato il mio invito!” costatò con convinzione.

Phoenix sospirò incrociando le mani sotto il mento.

“Non ho accettato il tuo invito, dato che ho già pranzato” lo corresse.

“Mangime per volatili?” lo prese in giro Elian e vide Phoenix trattenere una risata.

“Sei strano, cavaliere!” disse ridacchiando mentre scuoteva la testa.

“Elian!” lo corresse l’alto.

“Come?” chiese interrogativo Phoenix.

“Mi chiamo Elian” specificò. “Tu e gli altri, ci chiamate sempre i cavalieri. Beh, il mio nome è Elian” si spiegò.

“Va bene, Elian” acconsentì Phoenix ed Elian avrebbe giurato che non esistesse nulla di più musicale del suo nome pronunciato dalla voce fresca e melodiosa dell’altro.

Sorrise soddisfatto mentre lo osservava attentamente.

Che fosse più elegante di Louis, come tipo, lo aveva intuito. Beh, quel giorno aveva avuto conferma delle sue ipotesi, visto il completo ricercato, dal taglio prettamente classico, che l’altro indossava.

Sorrise ancora, pensando come sembrasse troppo altolocato per quel genere di locale. Di certo, nessuno in quel posto indossava un completo cucito su misura.

“Quindi” riprese a parlare, “dato che non hai accettato il mio invito a pranzo, che ne dici di accettare quello per una cena?” chiese sfacciato.

“Sei irriverente” lo riprese Phoenix contrapponendo però alle sue parole un sorriso divertito.

“Preferisco dire persistente” scrollò le spalle Elian. “In fondo, non ti costa nulla!”.

“Smetterai poi di insistere, se ti accontento per questa volta?” chiese Phoenix con un sospiro.

“Certo!” promise Elian. “Parola di cavaliere!” e fece l’occhiolino.

“Per stasera alle otto va bene?” continuò, non dando modo all’altro di cambiare idea.

“Per stasera alle otto!” si arrese Phoenix non riuscendo a trattenere un sorriso di fronte all’espressione gongolante dell’altro.

“Dove preferisci cenare?” s’informò Elian facendo mente locale di tutti i ristoranti che conosceva e chiedendosi quale potesse andare bene.

“Preferirei un luogo riservato. Non credi che potremmo unire l’utile al dilettevole? Se i discorsi dovessero diventare particolari, e qualcuno ci udisse, non vorrei avere problemi!” rifletté l’altro pensieroso.

D’altro canto, per quanto potesse trovare piacevole l’idea di una cena, non aveva intenzione di dimenticare il suo compito di custode di una delle creature più potenti mai esistite.

I cavalieri erano stati preparati ad Avalon per affiancare questa persona. Ora, invece, spettava a lui, insieme a Louis e ai guardiani, completare questa preparazione.

“Penseresti male, quindi, se ti proponessi casa mia?” non si perse d’animo Elian.

“I miei pensieri sono irrilevanti, dato che, anche se avessi secondi fini, non credo riusciresti nei tuoi scopi” rispose pronto Phoenix ed Elian ridacchiò.

“A stasera alle otto, allora” si congedò Phoenix alzandosi.

“A stasera” rispose Elian sorridendo, mentre osservava la schiena dell’altro allontanarsi.

Le cose procedevano meglio di quanto si aspettasse. Ora non rimaneva altro da fare che giocarsi quella possibilità fino in fondo. D’altro canto, non aveva dubbi di riuscire a strappare altri inviti oltre a quello guadagnato. Era o non era, in fin dei conti, un cavaliere di Camelot?
 
 

***
 

“Non pensavo fossi così delicato, cavaliere!” esclamò Kyle ridacchiando allegro.

“Non muoverti!” ordinò perentorio Gwaine.

Già era difficile toccare Kyle tenendo a freno i suoi istinti. Inoltre, visto il gonfiore della spalla, doveva concentrarsi per fargli il meno male possibile.

Se a questo, ci aggiungeva il fatto che Kyle non riusciva a stare fermo – quasi come se lo facesse apposta – allora l’impresa diveniva titanica.

“Agli ordini!” lo sfotté Kyle non provando nemmeno a trattenere uno sbuffo ironico.

“Come mai sei così allegro?” indagò Gwaine.

“Pensavo che ieri non vedessi l’ora di metterti in mostra” lo provocò bonario.

D’altro canto, dalla sera prima, Kyle sembrava essersi leggermente ammorbidito e, dati i rapporti altalenanti che c’erano tra loro, Gwaine aveva tutta l’intenzione di approfittarne.

“Diciamo che non mi andava a genio spazzare via un intero quartiere, visto e considerato che c’era Merlino all’interno” esclamò con noncuranza Kyle.

“Già… oltre a tutti quelli che ci abitano” gli appuntò Gwaine con noncuranza.

Oramai, si era abituato all’indifferenza con cui Kyle parlava degli esseri umani. Se una persona qualunque, di fronte a quelle frasi, avrebbe mostrato sconcerto, Gwaine, da parte sua, manifestava noncuranza.

D’altro canto Kyle era fatto così, prendere o lasciare. E Gwaine non aveva nessuna intenzione di lasciare… ma di prendere il pacchetto completo.

“Come mai ci stai mettendo così tanto?”.

La voce di Kyle lo distolse dalle sue riflessioni.

“Sto cercando di farti meno male possibile” ammise Gwaine sincero.

Non aveva dimenticato la frase della sera precedente, anche se non ne aveva capito il reale significato.

“Com’era il tuo vecchio corpo?” sentì la sua stessa voce pronunciare la frase prima ancora di formulare la domanda nella sua mente.

Vide Kyle sospirare pesantemente e rimanere qualche istante in silenzio prima di rispondere.

“È difficile da spiegare, cavaliere!” esclamò Kyle con tono stranamente riflessivo.

“Provaci” lo incitò Gwaine mentre armeggiava con la fasciatura.

“Dovresti immaginare uno specchio; un’immagine speculare, per l’esattezza” spiegò.

“Uguale ma opposto?” domandò Gwaine interrompendo quello che stava facendo e sedendosi sul letto, di fronte a lui.

“Già!” annuì Kyle. “Uguale ma opposto. I Guardiani possono sembrare uguali agli esseri umani, esteticamente parlando, ma la loro consistenza è completamente diversa. Noi non siamo percepibili da un essere umano. Se tu vedessi un Guardiano, e allungassi la mano verso il suo corpo, toccheresti l’aria” provò a rendere semplice il concetto.

“Siete pura energia, nel vostro mondo!” esclamò Gwaine.

“Esattamente! Così come lo sono tutti gli oggetti che ci circondano. L’essere umano può talvolta toccarci, quando il Guardiano cambia leggermente la sua consistenza molecolare. Tuttavia, noi dobbiamo avere un corpo che possa essere in grado di attraversare il tempo e lo spazio, senza che le molecole che lo compongono vengano distrutte” concluse pensieroso e Gwaine si prese qualche istante per riflettere sulle parole dell’altro.

“Tu non sei più così” esclamò e Kyle sospirò.

“Che scoperta epocale, cavaliere!” sbuffò ironico.

“Per questo non sopporti il dolore fisico” continuò Gwaine come se l’altro non avesse detto nulla.

“Il tuo corpo, ora, può essere toccato da un essere umano” e dicendo questo allungò la mano verso il volto dell’altro sfiorandolo piano.

Kyle lo lasciò fare seguendo attentamente i movimenti dell’altro. Gwaine continuò a sfiorargli la guancia fino a scendere sulla spalla sana, per poi arrivare alla mano e stringere le dita con le sue.

“Dovevi essere un grande Guardiano nel tuo mondo!” sussurrò a bassa voce, parlando più a se stesso che all’altro.

“Ne è valsa la pena?” domandò, non staccando la mano da quella dell’altro.

“Ogni cosa ha i pro e i contro, cavaliere” rispose Kyle a bassa voce osservando la mano di Gwaine che stringeva la sua.

Sussultò impercettibilmente.

Gwaine.

Era la prima volta che si rivolgeva a lui nei suoi pensieri chiamandolo con il nome proprio.

Gwaine.

Dovette ammettere che era un suono molto musicale.

Dovette ammettere che era confortante il calore che avvertiva da quella mano. Fu per questo
che intrecciò le dita a quelle dell’altro.

Se avesse avuto un corpo da Guardiano, quel contatto sarebbe stato impossibile, fisicamente parlando.

Ma ogni cosa aveva i pro e i contro e Kyle considerò che, in fondo, quel corpo non era tanto male.

Era vero, poteva ammalarsi e provare dolore ma, continuando a osservare le loro mani intrecciate, considerò che, sì, ne era valsa la pena.
 

Continua…
 

Note:
 

Eccoci arrivati a giovedì. Un giovedì che durerà parecchi capitoli dato che, nella parte che tratterà il pomeriggio, Merlino e Artù si incontreranno di nuovo.

Inoltre, notate come nella serata sembrino tutti impegnati! Dico solo che, alla fine di questa giornata, ci sarà il primo incontro fra tutti loro!


Spero si noti, fra le altre cose, il modo diverso che hanno Gabriel e Kyle nel parlare di quello che sono stati e nel rapportarsi con le persone in generale.

Come sempre, attendo ansiosa i vostri commenti! Mi raccomando, fatemi sapere se la storia continua a piacervi.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Al prossimo aggiornamento.

Pandora86

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Capitolo 51
*** Capitolo 51. Re e Mago ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 51. Re e Mago
 

Dicembre 2013 – Giovedì pomeriggio
 

Artù si avviò a passo lesto verso il parcheggio della compagnia che gestiva. Lance, dietro sua richiesta, quella mattina, aveva letto il fascicolo da lui preparato il pomeriggio prima. Inutile dire che per Lance, occuparsi di quel fascicolo, era stato l’ordine tassativo del giorno.

Da ottimo amministratore delegato qual era, aveva preparato una scaletta sui vari punti di discussione. Punti che non aspettavano altro che essere sviluppati dai grandi capi in persona.

Lenn, dietro sua richiesta, aveva fatto lo stesso, dicendogli di aver già cominciato a lavorare la sera precedente, nel momento in cui aveva ricevuto l’e-mail da parte di Merlino.

Artù sorrise. Poteva apparire strano il fatto che l’amministratore delegato delle imprese Badelt lavorasse, con un altro nome (o con il suo vero nome, a voler essere precisi), nelle sue imprese come semplice impiegato. Tuttavia, a Lenn non sembrava dispiacere e Artù si ritrovò ad ammettere che la cosa poteva rivelarsi molto comoda, sia ora, sia in futuro.

Perché, se come lui sperava, le due imprese avessero trovato punti d’incontro, avere i due amministratori sotto lo stesso tetto poteva rivelarsi molto utile.

Ora, non rimaneva altro da fare che mandare un messaggio all’altro capo.

Troppo distratto da questi pensieri, non si accorse di una figura che lo osservava perplessa e che lo raggiunse alle spalle.

Artù, avvertendo una presenza dietro di sé, si girò immediatamente pronto a colpire l’eventuale assalitore.

Fu in una frazione di secondo che si accorse di chi si trattava e – ringraziando il cielo – fermò il suo braccio, già teso ad afferrare l’altro, a mezz’aria.

Merlino lo guardò perplesso, osservando la mano tesa – e pronta ad afferrarlo – e fece un passo indietro.

Artù ritirò il braccio decidendo di mettere la mano in tasca.

Cosa diamine ci faceva, Klause Badelt, nel parcheggio della sua compagnia?

Lo guardò perplesso per diversi istanti, mentre Merlino, di rimando, gli rivolgeva uno sguardo visibilmente spiazzato.

“Volevi aggredirmi alle spalle?” provò a ironizzare Artù, visto che l’altro non si decideva a parlare ma continuava a osservarlo con un cipiglio scuro.

“Non ci sarei riuscito a quanto pare” ritrovò la voce Merlino osservandolo con uno sguardo scettico, mentre si portava il pollice e l’indice al mento.

“E comunque” s’infervorò, “non è colpa mia, se scattate come una molla”.

“Sei tu che mi sei venuto alle spalle” puntualizzò Artù sorridendo appena.

“Siete voi che non mi avete visto” rispose immediatamente Merlino. “Stavo semplicemente avvicinandomi a voi, come tutte le persone normali” e incrociò le braccia guardandolo storto.

Artù ridacchiò. Merlino, in quel momento, lo guardava con un broncio simile a un bambino di cinque anni. Era uno sguardo molto diverso rispetto a quello dei loro primi incontri. Uno sguardo dove si intravedevano le tracce del vero Merlino. Il suo Merlino. Tuttavia, sapeva bene quanto ci fosse ancora da lavorare. Sapeva bene quanto ci fosse ancora da fare e Artù, questa voglia di fare, la sentiva partire da dentro, provenire direttamente dal suo cuore. Perché non si sarebbe mai stancato dell’altro. Non si sarebbe mai stancato di prendersi cura di Lui.

“Comunque, cosa ci fai qui?” domandò, ridacchiando ancora.

“Lenn mi ha mandato un messaggio, dicendomi di aver visionato i piani” rispose Merlino.

“Anche Lance ha fatto lo stesso! Contavo di chiamarti una volta arrivato a casa” annuì Artù.

“Beh, in questo modo abbiamo risparmiato tempo” rispose Merlino.

In quel caso, l’aveva guadagnato, considerò Artù dentro di sé, ma questo pensiero non poteva proprio condividerlo con l’altro.

Cosa stava pensando, prima, riguardo alla presenza di Lenn nella sua azienda? Un colpo di fortuna inaspettato!

“Non mi aspettavo usciste così preso, quindi sono venuto di persona” parlò ancora Merlino.

“O credete di poter essere l’unico a invadere le sedi di lavoro altrui?” chiese, inarcando un sopracciglio.

“Hai fatto bene” annuì Artù.

“I fascicoli sono a casa; qui con me ho solo la bozza di Lance. Se vuoi, vado a prenderli e torno in ufficio” continuò poi.

“Inutile perdere tempo” intervenne Merlino. “Vi seguo io con l’auto” e si avviò verso la macchina.

Artù sorrise. Quello, in effetti, era un altro colpo di fortuna inaspettato e lui ne avrebbe approfittato fino in fondo.
 

***
 

“Questa è la bozza preparata da Lenn” cominciò Merlino porgendo un fascicolo al Re.

“Stamattina, mi ha mandato un’e-mail” concluse.

Artù prese il fascicolo, cominciando a sfogliare il plico di fogli e osservando di sottecchi la persona che aveva dinanzi.

Notò, di sfuggita, che si era seduto nella stessa poltrona della sera precedente.

Non avevano parlato molto, una volta arrivati a casa, cominciando immediatamente a lavorare ma questo non era importante, in fondo.

Artù si era preso un lungo istante nell’osservare il volto dell’altro, costatando come sembrasse più pallido rispetto alla sera precedente.

Notando questo particolare, aveva aggrottato le sopracciglia ma non aveva commentato.

Tuttavia, la mancanza di sonno continuava a essere evidente dalle occhiaie, abilmente nascoste, dell’altro.

Anche in quel preciso istante, mentre accendeva il suo portatile dopo avergli porto il fascicolo, sembrava fare di tutto per reprimere uno sbadiglio.

Chissà quali erano i motivi della stanchezza dell’altro. Aveva passato la notte in bianco? Era colpa dell’anello che portava? O erano, semplicemente, i sintomi della sua vecchiaia?

Artù scosse la testa, sbuffando con disappunto. Sapeva bene di non poter domandare tutte quelle cose al diretto interessato e questo gli creava un malessere non indifferente.

Nel frattempo, lo sbuffo irritato del Re non era passato inosservato a Merlino che si prese un istante per osservarlo mentre l’altro non guardava.

La sera precedente non aveva avuto modo di farlo. O meglio, aveva avuto timore di farlo.

Cosa avrebbe trovato da un’analisi più accurata del Re?

Non si era posto la domanda.

Tuttavia, aveva intenzione di porsela in quel preciso istante mentre lo osservava meglio.

Incredibile come avesse conservato gli stessi tratti somatici. D’altro canto, Merlino sapeva bene che non era una reincarnazione quella con cui stava avendo a che fare.

No! Si trattava proprio del suo Re originario, sia nel corpo che nella mente. Corpo che si era ricomposto nella stessa identica struttura molecolare di mille anni prima, vivendo poi in un’era moderna.

Notò che i capelli erano leggermente più lunghi, anche se di poco, rispetto al passato.

Erano acconciati nello stesso modo di allora, solo un po’ più lunghi sulla nuca.

Notò che indossava un anello al pollice e scosse leggermente la testa. Il Re aveva sempre amato gli accessori, che fossero cinture, bracciali o anelli.

Era così uguale da fare impressione, considerò con disappunto, e fu per questo che distolse lo sguardo non riuscendo più a sopportare quella vista.

Si massaggiò gli occhi, provando a pensare ad altro. Eppure, non riusciva a tenere a freno gli occhi che vagavano incessantemente verso la direzione del Re. Perché era così dannatamente
uguale? Perché non poteva trattarsi di una banale reincarnazione di cui avrebbe potuto bellamente lavarsi le mani?

Sospirò, sapendo che non sarebbe riuscito a scacciare quei pensieri nell’immediato quindi, tanto valeva fare finta di nulla. Se poi la situazione si fosse fatta insostenibile, se ne sarebbe andato con una scusa qualsiasi. In fondo, era pur sempre Klause Badelt e poteva andare e venire quando meglio lo credeva.

“Stai bene?”.

La voce del Re lo riscosse dalle sue riflessioni.

“Come?” domandò, non del tutto certo di aver capito bene. In fondo, si era assentato per parecchi minuti.

“Stai bene?” domandò nuovamente Artù non provando nemmeno a nascondere la preoccupazione che trapelava dagli occhi e dalla voce.

Non gli erano sfuggiti, infatti, i sospiri dell’altro e, quando aveva alzato lo sguardo, aveva visto
Merlino massaggiarsi gli occhi in segno di stanchezza.

Poi, aveva visto il suo sguardo vagare verso un punto imprecisato della stanza mentre con la mente era perso in chissà quali complicati pensieri.

Artù era ben conscio della situazione che viveva l’altro ed era pronto a interrompere quell’incontro in qualsiasi istante.

Non voleva, infatti, imporgli la sua presenza a costo di farlo stare male. Per cui, se lo avesse ritenuto opportuno, avrebbe rimandato la riunione a tempi migliori.

La voglia di stringerlo a sé, per non farlo andare via mai più, era tanta ma, in quel momento, non poteva lasciarsi trasportare dai suoi bisogni. Oramai, lo aveva ritrovato quindi, il resto sarebbe venuto da sé.

Forse, a furia di frequentarlo, Merlino sarebbe stato sempre meglio riuscendo a contrastare con efficacia il diamante nero. In fondo, Artù aveva già notato delle differenze avvenute nel suo comportamento nei loro pochissimi incontri. Differenze impercettibili – che un occhio esterno non avrebbe neanche notato – ma che Artù non aveva faticato a cogliere. Perché qualche differenza cominciava a esserci, e questo era l’importante.

Notò che l’altro non lo aveva risposto e ripeté la domanda.

“Perché mi domandate una cosa del genere?” s’informò Merlino sospettoso.

“E tu perché ti ostini a vedere complotti a ogni mia frase?” rispose Artù piccato.

Non poteva l’altro – una volta soltanto, maledizione! – rispondere con un semplice sì o no?

Con un respiro profondo, provò a calmarsi. Aggredire verbalmente Merlino avrebbe provocato solo effetti indesiderati. E lui non era stato preparato per tanto tempo ad Avalon, e successivamente dai Guardiani e dalle creature, per perdere la calma così facilmente.

Nella sua testa, visualizzò l’immagine di Lance che sicuramente, avrebbe scosso la testa sconsolato, di fronte alla sua impulsività. D’altro canto, lui era la calma fatta persona; non lo aveva ammonito più volte di stare attento a come porsi nei confronti del mago?

Se non ti senti pronto, evita! Non sappiamo quali potrebbero essere gli effetti, quindi, se non sei sicuro al cento per cento, non lo incontrare.

Queste erano state le parole che Lance gli aveva rivolto quella mattina e Artù provò a ritrovare la calma. D’altro canto, Lance aveva una fedeltà assoluta verso chi gli sedeva di fronte e questo era uno dei motivi per cui lo aveva scelto come suo valido alleato e confidente.

Però… sapeva anche di essere scattato perché Merlino appariva realmente stanco, molto più rispetto ai loro precedenti incontri.

 Non aveva dimenticato la temperatura assurda del suo corpo, l’unica volta che era riuscito a toccarlo da quando si erano incontrati in tempi moderni. Non aveva dimenticato le parole di
Gabriel, riportate fedelmente da Perce, riguardo la fragilità del suo corpo.

Mente eccellente contrapposta a corpo debole.

Il problema che però Artù si poneva, era quanto effettivamente il corpo fosse debole.

Gabriel, d’altro canto non aveva detto altro – non era stata colpa del Guardiano, dato che il tempo era stato poco – ma Artù non aveva fatto altro che rimuginare su quella frase, sovrapponendo nella sua testa milioni di domande.

Di che tipo di fragilità si trattava? Era un problema osseo, oppure Merlino era solo molto più cagionevole rispetto agli altri?

Che cosa rischiava, realmente, Merlino al cospetto del suo Re?

Era un dolore mentale o solo fisico? Certo, Artù sapeva che non poteva morire… tuttavia, se i Guardiani avevano evitato l’incontro per tutti quegli anni, un motivo doveva esserci. Un motivo grave, un motivo pericoloso per l’altro. Molto pericoloso!

Sì, le domande erano miliardi e, nonostante Artù sapesse che domandare al diretto interessato non era stata una buona idea, non era riuscito a trattenersi. D’altro canto, oramai aveva capito di dover lottare per avere le informazioni che più gli stavano a cuore: quelle riguardanti la salute di Merlino.

Sentì Merlino ridacchiare piano e il suono della risata dell’altro lo distolse dalle sue riflessioni.

“Vedo che il vostro temperamento non è andato perduto” continuò a ridacchiare. “Avete sempre detestato ripetervi” concluse, con una scrollata di spalle.

Artù sospirò di sollievo di fronte alla reazione divertita dell’altro. D’altro canto, Merlino non era una semplice incognita ma l’incognita per eccellenza.

Ancora una volta, la reazione di Merlino era stata diversa da quella che lui si aspettava.

Non era mai riuscito a capirlo e spesso i suoi modi di fare lo avevano spiazzato. Con sollievo, considerò che sarebbe sempre stato così e, ritrovare un po’ del vecchio cameratismo che albergava tra loro – innumerevoli ere prima – gli scaldò il cuore dandogli rinnovata fiducia.

“Quindi, potresti semplicemente rispondermi” lo invitò Artù con lo stesso tono divertito.

“Vi risponderei se si trattasse di una semplice domanda!” esclamò Merlino sorridendo furbo.

“Ti ho solo chiesto come stavi” rispose Artù non capendo il perché dell’affermazione dell’altro.

“Ho semplicemente passato una notte in bianco, Artù” disse Merlino chiamandolo, per la prima volta in quel tempo, con il nome proprio. Artù se ne accorse ma fece finta di nulla mentre il suo cuore, nel sentire di nuovo il suono del suo nome dalla voce dell’altro, aveva iniziato a battere furiosamente.

“Ma non è questo, quello che volete sapere” continuò Merlino, che non sembrava essersi accorto di aver chiamato il suo Re con il nome proprio e, di conseguenza, appariva totalmente all’oscuro dei pensieri dell’altro.

“Io non sono un’idiota” esclamò ancora, con tono di voce calmo. Una volta tanto, non stava inveendo contro di lui ma stava semplicemente conversando con lui.

Le parole non avevano i toni duri della sera precedente. Quella frase non era un rimprovero o un’accusa ma una semplice costatazione.

“O almeno, non sono così idiota da non accorgermi del tono che ha accompagnato la domanda” terminò Merlino con uno sbuffo, mentre lo guardava divertito.

“Perché dici questo?” s’informò Artù, mantenendo lo stesso tono tranquillo dell’altro.

“Perché non giochiamo a carte scoperte, una volta per tutte?” propose invece Merlino. “Sono stanco, Artù” aggiunse in un sussurro. “Stanco nella mente. Stanco nel cuore. Perché non mettiamo le carte in tavola, una volta per tutte?”.

“Cosa vuoi sapere?” domandò allora Artù tenendosi pronto a rispondere a tutti i quesiti dell’altro. D’altro canto, era quello che più voleva: mettere finalmente tutte le carte in tavola!

In ogni caso, sapeva comunque di doverci andare piano e di dover riavvicinarsi a lui con cautela e, soprattutto, con molta diplomazia. Una dichiarazione di amore eterno, d’altronde, sarebbe stata fuori luogo considerando che Merlino faticava ancora ad accettare la loro passata amicizia.

“Quanto sapete di me? Oltre alla mia magia, intendo” domandò Merlino non aspettando però risposta.

“Dalla domanda che mi avete fatto, io credo che sappiate con precisione matematica in che stato riversa il mio corpo. Non so chi vi ha informato; forse, la Dama del Lago. Forse, i Guardiani o Louis e Phoenix ma non è questo il dato rilevante. Non so chi ma, di certo, qualcuno vi ha detto delle mie condizioni” concluse, incrociando le dita sotto il mento e guardandolo con attenzione.

Artù notò con disappunto l’indifferenza con cui parlava delle sue condizioni e del suo stesso corpo. Quasi come se non lo considerasse importante. Quasi come se lo considerasse un’appendice.

In questo, assomigliava molto ai Guardiani. D’altro canto, probabilmente il dolore era talmente tanto che quello era uno dei modi per affrontarlo. E poi, oltre all’indifferenza, Artù aveva scorto anche l’abitudine.

E lui non voleva assolutamente che Merlino parlasse di se stesso in questi termini. Non voleva che considerasse il suo corpo come un’appendice e la sua salute un dato irrilevante.

Non voleva che parlasse con indifferenza del suo dolore, considerandolo una routine.

Artù non poteva permettere che quel corpo fosse ancora danneggiato da tutto il male che il diamante gli faceva sentire. Perché Artù, quel corpo, lo bramava. Lo aveva desiderato anche ai tempi di Camelot, in fondo.

Non aveva mai capito con certezza cosa fosse quell’attrazione e la cosa era anche abbastanza ovvia; Merlino non faceva altro che dirottare i suoi interessi verso Ginevra oscurando il sentimento, ancora neonato, che nasceva nei suoi confronti nel cuore di Artù.

Tuttavia, non era mai riuscito a oscurarlo chiaramente, ora Artù lo sapeva.

Perché, la notte prima della battaglia, Artù non aveva dubitato delle parole di Merlino, nonostante gli fosse apparso in sogno?

All’epoca, non ci aveva fatto caso, troppo preso dai successivi eventi. Però, si era alzato da quel letto con un unico pensiero nella testa: non si tratta di un sogno.

Perché lui, anche a quei tempi, Merlino lo sognava e spesso anche. Poi, quei sogni scomparivano la mattina e giacevano dimenticati nel suo animo. Tuttavia, erano solo dimenticati non cancellati. Per questo, non aveva avuto esitazioni. Per questo, quella notte in particolare – mentre Ginevra provava a convincerlo che era solo un sogno – era scattato immediatamente, pronto a elaborare una strategia, assolutamente certo della veridicità del sogno.

Tuttavia, Artù sapeva che era ancora troppo presto, per l’altro, affrontare determinati argomenti. Però, avrebbe comunque parlato chiaro. Avrebbe comunque detto la verità, anche se in termini più leggeri. Ponderò bene le parole, prima di cominciare.

“Hai ragione” affermò Artù lentamente, “ma hai anche torto!” e, senza dare modo all’altro di rispondere, continuò.

“So che hai dei problemi, ma non so quali. Se così fosse stato, non ti avrei domandato nulla” ci pensò un attimo e poi decise di continuare. “E riguardo al mio tono, non so quale fosse, ma ho la certezza che tu non l’abbia capito realmente. Ma visto che ci tieni a conoscere la verità, allora sì, voglio sapere come stai, perché sono dannatamente preoccupato e questa continua incertezza rischia di farmi impazzire” ammise, non sapendo cos’altro aggiungere.

O meglio, le cose da aggiungere erano molte, solo che lui non sapeva catalogarle con ordine nella sua mente. Visto il modo casuale in cui era uscito il discorso, decise di continuare su quella strada.

Dall’altro lato, Merlino lo fissava attento non perdendosi nessuna parola uscita dalle sue labbra.

Finalmente, forse, lo avrebbe ascoltato.

“Perché la tua mano era così fredda, la notte del nostro primo incontro?” domandò. “Che cosa significa, realmente, avere mille anni?” lo incalzò.

“Preoccupato?” domandò a sua volta Merlino, ignorando la sequenza di domande dell’altro.

“Come?” chiese a sua volta Artù, assumendo un’espressione perplessa.

“Avete detto di essere preoccupato. O meglio, che il vostro tono esprimeva preoccupazione” chiarì allora Merlino.

“E allora?” domandò perplesso Artù, che non riusciva a seguire il filo del discorso dell’altro.

“Fra tutte le cose che ho detto, proprio sulla più ovvia ti soffermi?” chiese, con evidente incredulità e, vedendo che lo sguardo dell’altro appariva sorpreso dopo le sue parole, ci tenne a spiegarsi per bene.

“È ovvio che sia preoccupato per te. Lo sono sempre stato, anche in passato, quando eri la mia spina nel fianco” e accompagnò la frase con un sorriso gentile. “Venivi in battaglia senza né armi né scudo, incurante di ogni pericolo e, quando succedeva qualcosa, la mia prima preoccupazione era metterti in salvo”.

“Vi seguivo perché ero il vostro servitore e voi non sapevate neanche vestirvi senza il mio aiuto” appuntò Merlino cercando di non farsi confondere dalle parole del Re.

“Quando abbiamo combattuto il Drago, non avevi nessun obbligo nei miei confronti” fece notare Artù a cui non era sfuggito il tono tentennante dell’altro.

“Vi ricordo che io non avevo nessun bisogno di una spada” gli fece eco Merlino inclinando la testa di lato e rivolgendogli un’espressione supponente.

“Vero!” gli diede ragione il Re. “Tu eri la garanzia di vittoria nelle battaglie. Peccato, però, che io non lo sapessi” fece notare infervorandosi.

“Io non sapevo chi fossi” e si alzò in piedi, gironzolando per la stanza. “Per me, eri solo un amico da mettere in salvo” e si avvicinò, inginocchiandosi di fronte a lui.

“Eri solo una persona che, pur non sapendo nulla dell’arte del combattimento, mi seguiva ovunque, che io lo volessi oppure no” continuò, abbassando il tono e fissando intensamente il volto dell’altro. “Un amico, il mio unico amico. Colui che non si faceva scrupoli nel dirmi cosa pensasse, andando oltre la mia facciata di principe ereditario prima e di re in seguito. Questo eri per me, ed io, ogni volta, cercavo sempre di metterti in salvo” concluse Artù sapendo di non mentire.

Era vero quanto affermava. Tutte le volte che c’era stata battaglia, lui aveva sempre cercato di tenere Merlino vicino a sé, per proteggerlo, perché era la cosa più importante per lui.

L’amico più fidato, colui che, anche se non l’avrebbe mai ammesso, ascoltava più di tutti.

Ed era sempre Merlino a scuoterlo, sempre Merlino a spronarlo a fare la cosa giusta. Troppe erano state le volte in cui le parole di Merlino gli avevano rischiarato la via, così tante da non poterle elencare velocemente.

Allo stesso modo, erano così tante le volte in cui Artù aveva cercato di proteggere quello che credeva un semplice ragazzo – allontanandolo come meglio poteva dal campo di battaglia – da non poterle contare.

Sapeva solo che, in ogni battaglia, gli aveva intimato di stargli vicino o gli aveva ordinato di scappare per mettersi in salvo. Mai, in nessun caso, si era dimenticato di lui.

Così come non si era dimenticato di lui nell’era attuale. Così come si preoccupava per lui ogni singola ora del giorno e della notte, da quando sapeva in che stato vivesse il suo corpo e cosa significasse portare il Diamante Nero.

Merlino, nel frattempo, aveva distolto lo sguardo, trovando impossibile confrontarsi ancora con gli occhi del Re che lo fissavano con un’intensità talmente grande da non essere potuta catalogare in nessun sentimento conosciuto.

Anche volendo, non avrebbe saputo cosa dire. Da quando Artù era così diretto, nell’ammettere la loro passata amicizia?

Sussultò a quel pensiero.

Loro, un tempo, erano amici!

Certo che lo erano – considerò fra sé con rabbia – prima che lui si rivelasse per quello che era veramente.

In ogni caso, ricordava bene gli immensi giri di parole che faceva il Re anche semplicemente per dire grazie.

Da quando, invece, era così diretto?

Non lo sapeva. Di certo, ostinarsi a guardare in tutt’altra direzione, fuorché quella del Re, non era un comportamento molto maturo tuttavia, in quel momento, non sapeva cosa fare.

Artù sembrò intuire questo stato d’animo, visto che si alzò e si sedette nuovamente di fronte a lui.

“Riprendiamo a lavorare?” propose con tono conciliante mentre osservava di sottecchi lo sguardo del Mago rilassarsi visibilmente a quella domanda.

Era vero, non aveva ottenuto informazioni sulla salute di Merlino, visto il modo in cui era andato il discorso.

Tuttavia, in quelle ore, sapeva con certezza che un’altra barriera, l’ennesima creata dal Diamante Nero nel corso dei secoli, era stata abbattuta.

Sorrise con determinazione, sapendo che non si sarebbe fermato fino a quando anche l’ultimo muro venutosi a creare tra loro non fosse stato abbattuto definitivamente.
 

Continua…
 

Note:
 

In questo capitolo ho provato ad analizzare, tramite i pensieri del Re, l’amicizia tra Artù e Merlino ai tempi di Camelot.

Inoltre, do anche una mia versione dell’avvertimento che riceve Artù da Merlino prima della battaglia finale. Guardando quella parte, infatti, mi sono sempre domandata perché il Re sembrasse così sicuro del fatto che non fosse un sogno, nonostante Ginevra, molto più ragionevole, cerchi di dissuaderlo.

La risposta l’ho anticipata anche nei capitoli precedenti, quando ho cercato di spiegare, ai fini della mia storia, il rapporto Merlino – Artù – Ginevra.

Inoltre, vi anticipo che la serata di Artù e Merlino è appena all’inizio!

Che dire… spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto insieme alle mie scelte.

Come sempre, attendo i vostri pareri! Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate!

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Al prossimo aggiornamento.

Pandora86

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Capitolo 52
*** Capitolo 52. Cavaliere e Creatura - Prima Parte ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
 
Capitolo 52. Cavaliere e Creatura – Prima Parte
 
 

Dicembre 2013 – Giovedì, tardo pomeriggio
 

Leon parcheggiò la macchina sospirando pensieroso. Cosa sperava di ottenere poi, recandosi di nuovo in quella scuola, non lo sapeva. Di certo, non erano solo le presunte informazioni su Avalon che avrebbe potuto ottenere, ad averlo richiamato lì. O meglio, Avalon era la scusa razionale – nata per giustificare la sua presenza in quel posto – ma lui sapeva bene che, la scusa razionale, era saltata fuori solo quando si trovava, più o meno, a metà strada verso una scuola di musica dove lavorava un certo ballerino.

Non aveva saputo resistere all’irrefrenabile voglia di rivedere Louis, ecco qual era la verità. Così, nel momento in cui era uscito dall’ufficio, non ci aveva pensato neanche un istante prima di dirigersi verso la scuola di musica più famosa della Gran Bretagna.

Il problema, però, era che, a quel punto, non sapeva bene cosa fare. Forse, avrebbe dovuto contattare Louis in precedenza visto che non aveva neanche la certezza che il soggetto in questione si trovasse lì. In fondo, gli aveva dato il suo biglietto da visita quindi, in quel momento, si sentiva molto stupido nell’aver assecondato il suo istinto.

Sospirò ancora, cercando di decidere se fosse meglio scendere dall’auto e chiedere informazioni – sperando vivamente che la segretaria non si ricordasse di lui – oppure contattare Louis.

Nel caso avesse deciso di contattarlo, invece, era opportuno fargli sapere dove si trovava? Valutò che avrebbe deciso in base alle risposte di Louis. Se il ballerino in questione si fosse trovato già nella scuola, allora Leon gli avrebbe detto di essere lì altrimenti, in caso contrario, avrebbe fatto finta di nulla. Non ci teneva, infatti, a passare per uno stalker.

Un rumore proveniente dal finestrino lo distolse dalle sue riflessioni. Con stupore, vide che si trattava di Louis che picchettava il vetro con il dito, allo scopo di richiamare la sua attenzione.

“Credo che tu stia cercando qualcuno” esclamò sorridente Louis una volta che Leon fu sceso dall’auto.

“E deduco che ti sia facile immaginare chi” completò per lui Leon, ricambiando il sorriso.

“Hai impegni per la serata?” chiese poi, sperando di non apparire troppo sfacciato.

“Sai, mi piacerebbe approfondire alcuni argomenti” aggiunse poi, cercando, in quel modo, di giustificare l’invadenza di poc’anzi.

“Nessun impegno, a parte saltare il mio pisolino pomeridiano” rispose Louis con espressione divertita.

“Beh, quello, credo tu l’abbia già saltato visto che sono quasi le sette di sera” ridacchiò Leon.

“Allora, ho saltato quello serale” lo corresse Louis. “Ricorda: è sempre l’ora adatta per concedersi una bella dormita” esclamò poi, scuotendo il capo divertito.

“E poiché non credo tu abbia intenzione di farmi saltare anche la cena” continuò poi, “propongo di cominciare a organizzarci” e sorrise. “Che ne dici di invitarmi a casa tua?” chiese, lasciando di stucco l’altro e ridacchiando di fronte alla sua espressione sorpresa.

“Sai” disse ancora, “io sono un tipo molto pratico e dato che non credo tu voglia attirare l’attenzione di altri commensali con argomenti strani, allora casa tua è il posto più logico” e ridacchiò. “Visto e considerato che la mia, di casa, non è al momento disponibile” concluse poi, infilandosi le mani in tasca e guardando l’altro attentamente, non rinunciando però a un’espressione divertita.

Il cavaliere sembrava evidentemente spiazzato dalla piega che stavano prendendo gli eventi o, comunque, spiazzato davanti a tanta praticità e cordialità.

In fondo, stare in ufficio con i Guardiani, dopo la rivelazione di chi fossero realmente, non doveva essere tanto facile, visto il rispetto che tutti loro incutevano, chi volontariamente, chi involontariamente.

Di certo, il cavaliere non si aspettava tanta cordialità e amicizia ma lui era fatto così. E poi, non aveva mentito; non ci teneva, infatti, a saltare la cena quindi, perché non cenare in compagnia?

Leon, nel frattempo, non potette fare a meno di sorridere di fronte all’atteggiamento dell’altro.
Tutto si aspettava tranne un comportamento normale!

Louis, contrariamente alle sue aspettative, lo trattava come un amico di vecchia data e il suo atteggiamento era quello più amichevole di tutti gli altri. E la cosa pazzesca era che Louis, in teoria, avrebbe dovuto essere quello che, in fondo, di uomini, se ne intendeva di meno, vista la sua natura.

In quel momento, gli tornarono in mente le parole di Elian.

Che importa quello che sono?

 Sorrise e considerò che sì, non importava, in fondo, cosa fosse Louis, se in sua compagnia si stava così bene.

In un attimo, erano sparite tutte le ansie e tutti i ‘lo chiamo o non lo chiamo’ che gli erano ronzati in testa meno di un minuto prima, facendolo assomigliare molto a un sedicenne alle prese con la sua prima cotta, piuttosto che a un uomo di trentacinque anni suonati.

“Allora?”.

La voce di Louis lo distolse dalle sue riflessioni. Troppo contento per la piega che avevano preso gli eventi, si era assentato per parecchi minuti, dove il soggetto dei suoi pensieri era proprio la persona che aveva dinanzi.

“Direi che non ci sono problemi!” rispose allegro.

“Allora dovrai darmi anche un passaggio in auto! Phoenix mi ha lasciato a piedi” e fece il giro, per sedersi nel posto accanto al guidatore.

“Come mai?” s’informò Leon, salendo a sua volta nell’auto.

“Lui aveva lezione di mattina e non mi ha aspettato quando è andato via” spiegò semplicemente Louis e Leon annuì, mettendo in moto.

Quella serata si prospettava molto interessante.
 

***
 

“Non dovevi disturbarti in questo modo” esordì Phoenix, dopo essere entrato nell’appartamento di Elian e aver dato un’occhiata al menù che troneggiava sul tavolo del salotto.

I piatti avevano un aspetto invitante e sicuramente, a giudicare dalle composizioni, erano stati ordinati in uno dei ristoranti più costosi di Londra.

“Beh, dai l’idea di essere un palato fine” sorrise Elian che non aveva faticato a cogliere lo sguardo compiaciuto dell’altro.

“Lo sono, infatti” confermò Phoenix avvicinandosi al tavolo e porgendo all’altro una busta di cartone. “Suppongo, vista la cena, di aver indovinato la qualità del vino” e sorrise.

Elian estrasse le due bottiglie di vino dalla busta – notando che si trattava di bottiglie da almeno cento sterline l’una – e rivolse all’altro uno sguardo perplesso.

Phoenix non seppe interpretare il motivo di tanta perplessità e si accigliò.

“Non ti piace la marca di vino?” chiese perplesso ed Elian si affrettò a scuotere il capo in segno di diniego.

“Mi dispiace che tu abbia portato del vino così buono solo per me! “ esclamò stavolta fu Phoenix a guardarlo con aria interrogativa.

“Voglio dire, apprezzo il gesto” specificò Elian, “ma so che tutti voi siete astemi” concluse.
Phoenix capì il ragionamento dell’altro e cominciò a ridere. Elian rimase incantato dal suono della risata dell’altro.

“Capisco quello che vuoi dire” spiegò il motivo della sua risata, “ma la mia struttura molecolare è diversa da quella dei Guardiani. O, se preferisci, la composizione del mio corpo”.

“Che vuoi dire?” chiese Elian interessato.

“Non ho intenzione di farti un trattato di fisica” sorrise Phoenix avvicinandosi e prendendo una bottiglia dalla busta che Elian reggeva. “Sappi solo che io, a differenza dei Guardiani, reggo benissimo l’alcol” e, dopo aver tolto la carta che avvolgeva il tappo, stappò la bottiglia senza problemi, utilizzando solo le mani.

“Lo reggo fin troppo bene, direi” aggiunse, versando il vino in due bicchieri posti sul tavolo e porgendone uno all’altro.

“Facciamo un brindisi?” chiese, alzando il bicchiere a forma di calice.

“A noi due?” chiese Elian con un sorriso sghembo.

“Diciamo alla serata in generale” e sorrise.

“Alla nostra serata, allora” non mancò di correggerlo Elian e bevve.

“Alla nostra serata” sussurrò impercettibilmente Phoenix, prima di bere, con voce bassissima.

Tuttavia, nonostante non avesse pronunciato il commento con un tono di voce udibile dall’altro, non poté fare a meno di staccare i suoi occhi da quelli del cavaliere mentre beveva e, nel frattempo, sentiva il suo cuore accelerare i battiti sotto lo sguardo intenso e carico d’aspettativa che gli rivolgeva l’altro.
 

***
 

“Ma non mi dire” esclamò Leon guardando sorpreso l’altro.

“Te lo giuro, mi arrivava alla vita” rispose Louis sorridendo. “Più o meno, qui!” e si portò la mano alla pancia.

“Kyle lo chiamava nanerottolo” aggiunse, ridendo al ricordo.

Leon scosse il capo con allegria. Era divertente stare seduti a terra a consumare una pizza, con una lattina di birra in mano, e ascoltare tutti i pettegolezzi dei personaggi storici non riportati dai libri di storia.

“Non posso credere che Napoleone fosse così basso” disse, scoppiando a ridere con gusto.

“Se è per questo, era anche calvo” esclamò Louis e quest’affermazione scatenò nuovamente le risate di entrambi.

Leon si era presto abituato alla presenza di Louis in casa sua. Quando erano arrivati, Louis si era tolto la giacca con noncuranza, buttandola sul divano. Avevano poi deciso di ordinare una pizza e mangiarla sul tavolino basso del salotto, seduti a terra e con la schiena poggiata al divano alle loro spalle.

Si trovava bene in compagnia di Louis, era una persona cordiale e amichevole, con la quale era facile intrattenersi. Gli sembrava di conoscerlo da sempre e fu proprio questo pensiero a motivare la domanda successiva.

“Ci siamo già incontrati in passato, vero?”.

Era una domanda, posta tuttavia con il tono di una certezza. Perché Leon aveva la certezza di averlo già incontrato. Non sapeva dove, e di certo non in quella vita, altrimenti non avrebbe mai potuto dimenticarsi di lui.

“Sì, cavaliere, ci siamo già incontrati!” rispose Louis lentamente, guardandolo con occhi attenti.

“Ma non puoi dirmi dove, vero?” indagò ancora Leon, fissando l’altro con la stessa intensità.

“Hai ragione anche su questo!” sussurrò Louis sorridendo appena.

“Come faccio a ricordarmi di te?” chiese Leon, avvicinandosi lentamente all’altro. “Come faccio a recuperare tutti i ricordi che ti riguardano?” domandò ancora, ponendosi in ginocchio di fronte a lui.

Louis non sembrò infastidito da quell’improvvisa vicinanza e sorrise incoraggiante, come non aspettasse altro da tutta la sera.

Sorrise, come se avesse sempre saputo in che modo la serata sarebbe finita.

Sorrise, come se stesse aspettando tutto quello da tempo, molto tempo. Il tempo in cui si sarebbero finalmente ritrovati.

“Tu mi ricordi già” rispose Louis a bassa voce, “altrimenti, non saresti così certo di quello che dici” fece notare con tono ovvio mentre, sul volto, compariva il sorriso caldo e accogliente che tanto lo contraddistingueva.

Un sorriso che sapeva di casa.

“Perché non puoi dirmi nulla?” chiese Leon, non allontanandosi da lui nemmeno di un centimetro.

“Perché potrei compromettere la tua memoria” rispose Louis calmo. “Una memoria antica” sussurrò poi, non aggiungendo altro.

“Mi è stato fatto qualcosa per dimenticare?” chiese Leon sospettoso.

“No, assolutamente nulla” gli spiegò Louis. “Semplicemente, mi hai incontrato molto tempo fa, in un posto dove i ricordi sono più sfocati e meno nitidi di quelli che hai ora” e si interruppe facendogli capire, con lo sguardo, di avere già detto troppo. “Comunque, ricorderai da solo” terminò e Leon annuì.

“Sai che ti dico?” affermò Leon dopo qualche istante, sfiorando le punte dei capelli dell’altro.

Non si ricordava quando ma, a un certo punto, si era avvicinato, poggiando il gomito sul divano e portando la sua mano all’altezza delle spalle dell’altro.

I capelli di Louis erano lisci e setosi al tatto, proprio come doveva esserlo la sua pelle abbronzata.

“Cosa?” chiese Louis interessato, non fermando la mano dell’altro ma continuando a sorridere incoraggiante.

“Che non mi importa di non ricordare, perché so di averti ritrovato, finalmente” sussurrò Leon lentamente eppure con decisione.

“Perché ci siamo ritrovati, vero?” domandò, lasciando trasparire un pizzico di ansia dalla voce.

Louis allargò il sorriso.

“Ovvio che ci siamo ritrovati” confermò e Leon non poté fare a meno di allargare ancora di più il sorriso che albergava sul suo volto. “Te lo avevo promesso, tanto tempo fa, che ci saremmo incontrati di nuovo” terminò, lasciando che la mano di Leon si spostasse sulla sua guancia e chiudendo gli occhi al contatto con i polpastrelli dell’altro.

Leon lo sfiorava delicatamente e con devozione e Louis chiuse gli occhi, intenzionato a gustarsi fino in fondo le sensazioni che la mano di Leon riusciva a donargli. Sensazioni che aveva sempre e solo immaginato e che mai aveva potuto provare.

Perché Louis aveva memoria dei loro incontri passati e, da quando era ritornato con una nuova struttura molecolare, non aveva atteso altro che il ritorno dell’altro.

Perché si erano lasciati con una promessa; una promessa che, dopo tanto tempo, andava mantenuta.

Una promessa nata da un desiderio profondo che, finalmente, poteva essere realizzato.

“Sei molto caldo” sussurrò Leon, spostando la mano sul suo collo, mentre si avvicinava ancora di più.

Louis aprì gli occhi, fissandolo intensamente.

“È la mia struttura molecolare a darmi un calore superiore alla media” disse con un sorriso. “La mia temperatura è di 38 gradi centigradi circa, proprio come quella dei felini e dei cani” aggiunse a bassa voce.

“Vorrà dire che risparmierò sulla bolletta del gas” ironizzò Leon avvicinando sempre più le sue labbra a quelle dell’altro e rimanendo alla distanza irrisoria di qualche centimetro da esse.

“Non sei spaventato?” chiese Louis in un sussurro.

“Da cosa?” chiese Leon, fissando i suoi occhi e notando che erano del colore della sabbia del deserto e che trasmettevano lo stesso identico calore confortante.

“Da me e da quello che sono!” esclamò Louis sottovoce mentre lasciava trasparire un pizzico d’ansia dalla voce. “Dal male che potrei farti anche solo stringendoti troppo forte” terminò.

“Non mi interessa” esclamò Leon scuotendo il capo con decisione.

“Sicuro?” sorrise Louis e Leon annullò la distanza tra le loro labbra in segno di risposta, sfiorandole appena.

“Ti basta come risposta?” chiese poi, mentre gli circondava il volto con entrambe le mani.

“Direi di sì” e stavolta fu Louis a cercare le labbra dell’altro.

Fu in principio un lieve sfiorarsi di lingue, un bacio lento e dolce, ma ci volle poco prima che diventasse passionale e impetuoso.

Leon baciava Louis rendendosi conto, solo in quel momento, di aver desiderato quel contatto dalla prima volta che lo aveva conosciuto. Anzi, forse dalla prima volta che lo aveva visto su un volantino.

Assaporava quel momento, non pensando ad altro. Poco contavano, in quell’istante, le differenze tra loro.

Poco contava a chi rispondesse l’altro, mentre, trasportato dal bacio, spingeva Louis a terra, a contatto con il pavimento, e lo stringeva come se fosse la cosa più preziosa che avesse.

Non contava niente, se non le mani di Louis che lo stringevano a sua volta e di cui Leon avvertiva il calore anche attraverso la stoffa.

Sentì distrattamente un suono, fino a quando non capì che apparteneva al cellulare dell’altro.

Si staccarono lentamente mentre il cellulare continuava a squillare.

Solo in quel momento Leon realizzò cosa aveva fatto; non che ne fosse pentito solo, forse, aveva accelerato un po’ troppo le cose.

Era vero che, la seconda volta, era stato Louis a cercare le sue labbra però, solo in quel momento, fece caso alla posizione in cui erano finiti: Louis steso sul pavimento, con Leon sopra, adagiato a mo di coperta, che con una mano stringeva possessivamente la stoffa della maglia di
Louis mentre, con l’altra mano, gli accarezzava i capelli.

L’insistente suono del cellulare terminò, per poi ricominciare un istante dopo.

“Credo proprio di dover rispondere!” affermò Louis a bassa voce e Leon distolse lo sguardo imbarazzato.

Era stato facile come respirare baciarlo; il problema, però, era l’imbarazzo del dopo!

Si mosse lentamente, provando dispiacere nel doversi staccare da quel corpo caldo ma, d’altronde, non aveva nessuna intenzione di intromettersi nelle telefonate dell’altro.

Ma, ancora una volta, Louis lo sorprese. Mentre con un braccio si allungava sul divano, dove era posata la sua giacca, alla ricerca del cellulare, con l’altro braccio andò a stringergli la vita, per non farlo andare via.

Leon sorrise e, accettando l’invito inteso nei gesti espliciti dell’altro, adagiò la testa sul suo petto, cullato dai battiti, leggermente più lenti del normale, del cuore di Louis.

“Che vuoi?” esordì Louis poco gentilmente mentre rispondeva a telefono e, con la mano, accarezzava i riccioli di Leon.

Leon sorrise per il tono dell’altro, evidentemente scocciato dall’interruzione, e non faticò a riconoscere la voce, quasi isterica, della persona all’altro capo del telefono.

“Accorto di cosa?” chiese Louis con tono grave e Leon aggrottò le sopracciglia mettendosi in ascolto.

“Sì, in effetti, adesso la avverto anch’io” rispose Louis.

“Va bene, ci incontriamo a metà strada e andiamo insieme. Tu dove sei?” domandò poi.

“Ok, ti raggiungo!” e attaccò.

Solo allora Leon alzò la testa, guardando indeciso l’altro.

“Problemi?” chiese preoccupato.

“Già!” rispose Louis con un sospiro.

“Andiamo?” chiese poi con un sorriso e Leon ci mise meno di un istante a rispondere.

“Certo!”.

Anche se c’erano dei problemi, Leon era felice perché avrebbero potuto risolverli insieme.
 

***
 

“Vengo anch’io!” disse Elian a Phoenix quando lo vide posare il suo cellulare nella tasca.

“Ovvio che vieni anche tu” sorrise Phoenix abbandonando il tono isterico che aveva riservato a
Louis pochi istanti prima a telefono.

“Non può essere un caso che un’energia così potente venga dalla casa di uno di voi. Sir Parsifal, per l’esattezza” continuò ed Elian annuì.

“Credo che gli altri ci raggiungeranno” terminò poi, avviandosi alla porta.

“Quindi, ci saranno anche i Guardiani?” chiese Elian mentre lo seguiva fuori dal suo appartamento e camminavano, a passo lesto, verso l’automobile.

“Prima ci incontriamo con Louis sotto casa del cavaliere e poi vedremo cosa fare. Comunque sì, ci saranno anche i Guardiani” gli chiarì Phoenix con tono grave leggendo il messaggio che gli era appena arrivato da Louis.

“Anche lui è vicino, a quanto pare, dato che si trova a casa di Sir Leon” gli spiegò.

Elian non indagò su quella faccenda, troppo preso dalle novità che c’erano state.

“Non è una cosa buona, vero, quest’energia che avete avvertito?” chiese, mettendo in moto.

“Solo verificando di persona lo sapremo” rispose Phoenix serio e, in quel momento, non ci fu più bisogno di parlare.

In quel momento, l’unica cosa che contava era dirigersi a casa di Perce il più presto possibile.
 

Continua…

Note:

In questo capitolo, si ha una svolta decisiva tra Louis e Leon. Vorrei farvi notare i modi frettolosi in cui si sono svolti i fatti tra loro. La cosa è stata voluta perché Louis, a differenza di Leon, si ricorda dei loro trascorsi insieme e non ha nessuna intenzione di rinunciare al cavaliere nonostante la sua natura così poco umana.

Louis è una creatura pratica e amichevole, per questo non ha respinto Leon, ed è molto diverso da Phoenix che, nonostante anche lui si ricordi di Elian, si sente bloccato dalla sua nuova natura.

Leon, d’altro canto, se ne sente sempre più attratto e non avendo Louis nessuna remora nei suoi confronti non è riuscito a resistere.

Inoltre, do anche dei grossi indizi su dove si siano già incontrati!

Spero che vi piaccia come ho gestito il tutto e di avervi un po’ sorpreso! A me questo capitolo piace tanto, spero sia stato lo stesso anche per voi.

Come sempre, attendo ansiosa i vostri commenti!

Al prossimo aggiornamento!

Pandora86

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Capitolo 53
*** Capitolo 53. Amore ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 53. Amore
 

Dicembre 2013 – Giovedì, tardo pomeriggio
 
 

Gabriel fissava pensieroso le acque che fluivano quiete dinanzi a lui. Sinceramente, non sapeva spiegarsi perché si fosse recato proprio in quel posto; Avalon, per lui, non aveva un significato in particolare.

Quelle acque non avevano nessun ricordo legato strettamente a lui. Era Merlino quello che aveva visto il suo Re attraversare quelle acque. Era Merlino a essere legato a quel posto, non lui.

Per lui, quelle acque, erano solo un portale. Uno dei tanti portali esistenti negli infiniti mondi che si creavano.

Di certo, sapeva anche che recarsi in quel luogo non gli avrebbe dato le risposte che cercava.

Non faticava ad ammettere che i due cavalieri, Sir Elian e Sir Leon, avevano avuto una buona intuizione, riguardo le risposte che avrebbero potuto trovare ad Avalon. Però, sapeva anche che non era il luogo materiale in sé che avrebbe fornito quelle risposte.

Quelle acque erano solo un lago, per chi volesse accedervi con un corpo materiale e dotato di un’unica forma indivisibile; l’essere umano, per l’appunto!

La cosa era anche abbastanza logica, in effetti. Se il potere delle acque di Avalon fosse stato accessibile per tutti, ci sarebbero stati non pochi scompensi nel mondo che accoglieva il portale in questione.

La domanda, quindi, era sempre la stessa: perché si era recato lì?

Camminò per un centinaio di metri, allontanandosi dalle acque e avvicinandosi a un posto in particolare. Le automobili correvano veloci sulla strada, senza badare a lui. Il suo sguardo si posò su un particolare pezzo di strada: lì, mille anni prima, sorgeva un albero. In realtà, tutta la zona era ricoperta da un’immensa foresta. Incredibile quanto le strade si fossero accorciate, con il passare dei secoli. Se mille anni prima ci sarebbe voluta un’ora buona a cavallo per coprire quella distanza, ora, nell’epoca attuale, si impiegavano dieci minuti a piedi.

D’altro canto, la foresta e il paesaggio di mille anni prima, fornivano degli ostacoli non indifferenti per chi aveva necessità di muoversi velocemente. Tempi in cui i viaggi erano di settimane e non di ore.

Accantonando i pensieri sulle distanze, continuò a fissare quel piccolo metro quadro di strada. Lì, mille anni prima, sorgeva un albero, uno delle centinaia che popolavano la foresta.

Con la sua mente fotografica, non gli fu difficile richiamare con la mente il paesaggio di dieci secoli prima.

Spostò il suo sguardo alla destra del posto che tanto gli interessava: il posto dove la strega aveva trovato la morte.

Ritornò a guardare l’albero immaginario, sorridendo appena. Dieci secoli prima, Sir Parsifal non aveva faticato a seguire le tracce del suo Re, adagiandosi su quell’albero per riposare durante la notte.

Sir Parsifal, il cavaliere buono.

Il cavaliere che aveva preso possesso del suo cuore e, a quanto pareva, anche della sua mente.

Altrimenti, perché si sarebbe recato lì?

Lui non si era avvicinato ad Avalon per un motivo razionale. Si era recato in quel posto per un semplice ed egoistico capriccio. Era andato in quel posto animato da un desiderio puramente personale: rivedere, con gli occhi della mente, i luoghi in cui Sir Parsifal era stato tanto tempo addietro.

La cosa era anche abbastanza ridicola, valutò con se stesso, mentre decideva di allontanarsi per ritornare nella sua casa.

Perché mai avrebbe dovuto ripercorrere dei luoghi immaginari, quando poteva incontrare il cavaliere, qualora lo avesse ritenuto opportuno, in luoghi reali?

Eppure, non poteva negare a se stesso di nutrire una certa curiosità verso quello che era stato Sir Parsifal.

Non poteva negare di sentire un’attrazione quasi morbosa verso quell’epoca dimenticata, quando lui era un Guardiano anche nel corpo e il cavaliere non significava nulla per lui.

Se, mille anni prima, gli avessero detto come sarebbero andate le cose, non ci avrebbe mai creduto. Di certo, avrebbe sogghignato tra sé, dubitando della sanità mentale di colui che si fosse espresso in simili assurdità.

Eppure, eccolo lì, a dibattersi tra quelle che, qualche mese prima, avrebbe definito assurdità.

Eccolo lì, a dibattersi tra assurdità che erano divenute realtà.

Eccolo lì, a interrogarsi sui suoi atteggiamenti e pentendosi dei suoi comportamenti.

Aveva fatto bene a comportarsi in quel modo nei confronti del cavaliere?

Non lo sapeva più!

Forse, era proprio quello il motivo che lo aveva spinto a inoltrarsi in quei luoghi. La domanda che si poneva era: e se i loro destini fossero tutti intrecciati, proprio come quelli del Re e del Mago?

La cosa non aveva senso! Eppure… perché quel dubbio continuava a ronzargli in testa, peggio di un tarlo?

Ma la cosa non era fattibile! Lui, mille anni prima, non aveva provato nessun interesse verso il cavaliere.

Era anche vero che, da Guardiano, era stato troppo occupato a districarsi tra le varie sfaccettature dell’epoca difficilissima che gli era stata assegnata. Tuttavia, se non fosse stato così preso dal Re e dal Mago, Sir Parsifal avrebbe suscitato qualche interesse per lui?

Gabriel non lo sapeva e, al contempo, non riusciva a spiegarsi quell’attrazione morbosa che sentiva nei confronti del cavaliere. Possibile che stesse diventando un essere umano completo, anche nella mente?

Sarebbe stato facile giustificarsi con la scusa che i loro destini fossero intrecciati; ma la cosa non era fattibile dato che lui, in quel mondo, non era previsto.

Lui, in quel mondo, ci era entrato di prepotenza. Come poteva quindi, la sua ipotetica metà, appartenere a un mondo di cui lui non faceva parte?

Come poteva, la sua ipotetica metà, essere nata in un mondo completamente opposto al suo?

E poi… per quanto il destino potesse essere una scusa consolante, Gabriel sapeva bene che non
era solo il destino a giostrare gli eventi. Anzi, l’uomo sembrava avere l’innata capacità di sconvolgere il proprio destino, allontanandosi dalle cose che potevano renderlo felice.

Merlino e Artù ne erano un classico esempio.

Quindi, neanche la scusa del destino reggeva perché se, anche per utopia, il suo destino e quello del cavaliere fossero stati strettamente legati, era sempre l’uomo a decidere la strada da percorrere, giusta o sbagliata che fosse.

E poi, perché continuava a prendersi in giro? Perché cercava tutte le scappatoie possibili per un’attrazione che non riusciva a controllare?

Anche andare in quel posto, era stata una vera e propria idiozia. Si era convinto che, se avesse trovato una traccia del loro legame in un’epoca dimenticata, allora l’attrazione sarebbe stata giustificata.

Questo era stato il pensiero che lo aveva spinto in quel luogo.

Ma anche se fosse stato così, cosa sarebbe cambiato per lui?

Di certo, non sarebbe stato meglio. Di certo, non sarebbe andato dal cavaliere, ritrattando tutto quello che aveva detto.

No! Non avrebbe fatto nulla di ciò.

Ma allora, cosa avrebbe dovuto fare per liberarsi da quell’ossessione? Qual era la cura per il suo animo?

Possibile… possibile che si trattasse di… amore?

Sussultò a quella parola.

Amore?

Amore?

No!

Non era possibile.

Scosse la testa, sentendo il suo cuore battere all’impazzata.

Perché stava diventando così debole?

Sorrise con amarezza.

Lui, debole, lo era sempre stato. Lui non era mai stato adatto al mondo che lo aveva visto nascere.

Troppo empatico per guidare un mondo, troppo sensibile per sopportare i massacri necessari per permettere al mondo in questione di andare avanti.

Per questo, non aveva esitato quando Kyle aveva fornito loro l’occasione per scappare da quel mondo e non farci più ritorno.

Lui era un debole, lo era sempre stato.

Il problema era: cosa doveva fare, adesso?

Lui, proprio in quel momento in particolare, non poteva permettersi debolezze né cedimenti.

Artù e Merlino stavano cominciando ad avere dei contatti e lo scudo era stato solo il primo delle tante cose che avrebbero potuto generare i loro incontri.

Non aveva importanza quanto stesse male, non aveva importanza quanto dolore sentisse nel suo animo.

Il cavaliere era un uomo mortale e lui doveva occuparsi del mondo e dei suoi equilibri. In più, doveva anche essere uno scienziato, sempre freddo e razionale, per occuparsi dei problemi fisici di tutti loro.

E questi compiti non prevedevano una vita privata. Questi compiti non prevedevano cedimenti da parte sua. Quanto a cosa fare, la risposta era sempre la stessa: avrebbe continuato a fare finta di nulla. In fondo, era quello che gli riusciva meglio.

Si avviò a passo lesto verso la sua automobile, deciso a cancellare dalla sua mente sia la sua gita pomeridiana, sia i pensieri che erano generati da essa.

Fu proprio in quel momento che qualcosa lo bloccò sul posto.

Chiuse gli occhi, concentrandosi al massimo e sentendole sue iridi diventare dorate.

Energia.

Energia potente che si svegliava.

Sempre a occhi chiusi, focalizzò la sua mente sul quartiere dove risiedeva il Re e dove sapeva esserci anche Merlino.

No! Non veniva da lì.

Si rilassò e rilasciò la sua energia allo scopo di localizzare il posto esatto delle vibrazioni che sentiva.

Percorse tutte le zone di Londra fino a quando sbarrò gli occhi.

Il cavaliere.

Quell’energia proveniva da casa del cavaliere.

Perce.

Perce era in pericolo.

Fu questo il pensiero che lo fece scattare.

Iniziò a correre verso la sua automobile incurante delle occhiate perplesse dei passanti.

Perce era in pericolo e lui doveva raggiungerlo al più presto.
 

***
 

“Non pensavo che le tue doti culinarie fossero così scarse, cavaliere” esclamò Kyle con un sorriso sghembo.

Gwaine lo guardò perplesso, non sapendo se rispondere all’ennesimo sfottò dell’altro oppure mostrare noncuranza.

“Il tuo fegato starà chiedendo pietà, se mangi sempre in questo modo” disse ancora Kyle, addentando uno stuzzichino fritto sul tavolo.

“Perché non mangi e stai zitto?” lo riprese Gwaine addentando una fetta di pizza.

Era vero, le sue doti culinarie erano scarse. Anzi, era meglio dire che fossero completamente inesistenti.

Ma lui non aveva mai avuto la pazienza di imparare a cucinare.

Perché l’altro non mangiava in silenzio, invece di rigirare il coltello nella piaga?

Non era colpa sua, se si era dimenticato la pentola sul fuoco nel tentativo di preparare della pasta.

Allo stesso modo, non era colpa sua se non aveva sentito il timer, ricordandosi della suddetta pasta circa quaranta minuti dopo e trovando, al suo posto, una sottospecie di pappina dal colore incerto e dalla consistenza ancora più assurda.

Ovviamente, le risate di Kyle avevano raggiunto tutto il quartiere. I conseguenti sfottò erano durati per tutte le ore successive e, a quanto pareva, Kyle aveva tutta l’intenzione di farli durare per i prossimi dieci anni.

“Come sei permaloso!”.

La voce di Kyle lo riscosse dalle sue riflessioni.

“Anche se ammetto che il tuo broncio da bambino di cinque anni ha un certo fascino” e rise.

Gwaine lo fulminò con lo sguardo, preferendo continuare a masticare.

“Hai intenzione di non rivolgermi più la parola?” continuò a pungolarlo Kyle, ridacchiando ancora.

Gwaine, in risposta, mugugnò contrariato e Kyle rise di gusto.

Tutto avrebbe pensato, tranne che si sarebbe divertito in compagnia del cavaliere.

Quando le loro mani si erano intrecciate, erano rimasti in quella posizione per un tempo indefinito, entrambi persi nelle proprie riflessioni, eppure entrambi decisi a non sciogliere le loro
dita.

Kyle aveva trovato confortante la presenza del cavaliere e, per la prima volta nella sua lunghissima vita, la sua mente aveva trovato pace.

La sua mente, molto simile a un potente motore da corsa, aveva trovato un istante di quiete, un’oasi di pace, rappresentata dalla mano del cavaliere e dalla sua presenza. Non aveva ancora catalogato quella sensazione, troppo preso ad assecondarla. Perché lui era fatto così; opportunista fino al midollo, assecondava solo ciò che lo faceva stare bene.

E, in quel momento, la sua mano intrecciata a quella del cavaliere, lo faceva stare bene.

Non si era interrogato sull’origine di quelle sensazioni. Non potevano essere tanto sbagliate, in fondo, se erano in grado di portare serenità a una mente complessa e contorta come la sua.

E poi, anche se fossero state sbagliate, lui non era un modello di virtù e di morale. Per troppi secoli, aveva servito quel mondo, cercando divertimenti in piccole cose.

In quel momento, invece, si era sentito libero. Si era sentito se stesso, nell’assecondare una sensazione tanto personale quanto opportunista.

Perché sapeva di aver giocato sporco. Sapeva che il cavaliere aveva fatto quei gesti in seguito all’interesse che nutriva per lui. Interesse che Kyle sapeva di non poter ricambiare. Non tanto per cattiveria, quanto più perché troppo lontano dai suoi modi di essere.

Una creatura come lui era molto lontana da quello che gli esseri umani chiamavano amore.

Anche volendo, non sarebbe riuscito a provare una sensazione così totalizzante verso qualcun altro e il perché era anche abbastanza logico. Lui era un essere opportunista ed egoista; come poteva provare amore, se questo sentimento prevedeva altruismo verso la persona amata?

Tuttavia, ne aveva approfittato comunque e quel gesto lo aveva fatto sentire bene, dannatamente bene.

Fu all’improvviso che accadde, proprio mentre era perso in questi piacevoli pensieri.

“Porca puttana!”.

L’espressione scurrile, accompagnata da un tono di voce grave, non passò inosservata agli occhi di Gwaine che, oramai, stava imparando a conoscere i mille volti di Kyle e i suoi conseguenti atteggiamenti.

Oramai Gwaine lo conosceva troppo bene per non mettersi in allerta. Non aveva faticato a intuire, infatti, la gravità dell’avvenimento che aveva generato quell’affermazione.

Stava succedendo qualcosa di serio, molto serio.

Si mise sull’attenti, pronto a ricevere istruzioni su cosa fare e rimanendo in assoluto silenzio.

Il volto di Kyle esprimeva preoccupazione e concentrazione.

Gwaine vide i suoi occhi divenire d’oro e rimase in attesa finché questo bagliore non scomparve.

Lo amava a dismisura quando decideva di mettere da parte le buffonate e si calava nella sua vera essenza: quella del Guardiano.

“Interessante!” lo sentì dire dopo un po’ mentre i suoi occhi esprimevano perplessità.

Gwaine gli rivolse uno sguardo interrogativo ma non ebbe bisogno di domandare nulla perché fu Kyle stesso a dargli spiegazioni.

“Un’energia giovane si è risvegliata. Io sono riuscito a localizzarla. Dobbiamo andare sul posto” e si alzò con qualche incertezza, a causa del dolore che il suo corpo ancora provava.

Gwaine gli fu immediatamente vicino, troppo esaltato per quel ‘dobbiamo’ che Kyle aveva usato, volutamente oppure no.

“Da dove proviene?” domandò, mentre lo aiutava a infilarsi il giubbino.

“Da una persona a te molto vicina” esclamò Kyle serio.

“Più precisamente, dalla casa di Sir Parsifal”.
 

Continua…
 

Note:
 

In questo capitolo non succede granché, spero non vi abbia annoiato.

Si tratta tuttavia di un capitolo fondamentale, che tratta l’evoluzione dei Guardiani. Ancora una volta, siamo entrati nella mente di Gabriel e Kyle, mentre cercano, chi in un modo, chi nell’altro, di affrontare una situazione del tutto nuova per loro.

Spero si notino le differenze tra i loro modi di agire e la maniera diversa che hanno nel porsi determinati quesiti.

Nel prossimo capitolo, andremo da Lenn e Phoenix!

Come sempre, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne
pensate e se vi piace come sto facendo evolvere le varie coppie!

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Al prossimo aggiornamento.

Pandora86

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Capitolo 54
*** Capitolo 54. Possibilità ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 

Capitolo 54. Possibilità
 

“Quindi, è stato tutto merito di Artù” esclamò Lance, versandosi da bere.

Quella sera, Lenn e Merlìha avevano accettato il loro invito a cena, per somma gioia di Ginevra che, facendo sfoggio di tutte le sue abilità culinarie, aveva cucinato per un esercito.

Lance aveva passato le due ore successive alla chiusura degli uffici fra mestoli e padelle, avendo in sottofondo i rimbrotti di Ginevra che si affannava nel preparare una cena eccellente e si lamentava per il poco preavviso ricevuto.

L’uomo, scegliendo la carta della diplomazia, aveva soprasseduto alle occhiate intimidatorie della donna, sospirando con pazienza. Sapeva quanto fosse legata a Merlìha e aveva intuito come, da quella cena, sperava ne nascessero altre.

Lance era inoltre sicuro che neanche se avessero ricevuto la visita della regina in persona, Ginevra sarebbe stata così eccitata.

Era una situazione del tutto nuova per lei, dovendosi districare da anni in un gruppo prettamente maschile e non riuscendo a istaurare nessuna amicizia sincera con le persone del secolo in cui vivevano. Certo, tutti loro facevano vita sociale, così come la stessa Gwen aveva una folta cerchia di amiche. Quelle amicizie però finivano nell’orario lavorativo e, anche quando si prolungavano oltre, Gwen continuava a sentirsi esclusa a causa dei segreti che doveva portare.

In passato, gli aveva spesso confidato di capire Merlino meglio in questo secolo anziché in quello dove l’aveva conosciuto. Era dura fare finta di niente, sapendo, nel proprio cuore di essere stata la Regina di Camelot. Era dura fare finta di niente sapendo che quella vita nell’era moderna, quel ritorno, aveva uno scopo ben preciso. Questo bastava a non farla sentire uno dei tanti che nasceva e viveva nel ventesimo secolo e che, incurante di tutte le cose nascoste agli occhi dei più, continuava la propria vita con l’unico scopo di realizzare i propri interessi e formare il proprio benessere. Lei, così come gli altri, era sempre stata in attesa di qualcosa. Di qualcuno, in particolare. E quest’attesa non l’aveva mai fatta sentire a proprio agio.

La venuta di Merlìha, invece, aveva stravolto tutto. Gwen, finalmente, aveva un’amica.

Un’amica vera. Un’amica potente con la quale parlare di shopping ma anche di magia.

Quindi, alla luce di tutte quelle riflessioni, Lance aveva soprasseduto sugli atteggiamenti frenetici della moglie, assecondandola e condividendo con lei quel momento di felicità.

D’altro canto, anche Merlìha sembrava entusiasta dell’invito a cena. In fondo, per lei, e per tutti gli altri, doveva essere anche peggio, visto e considerato le loro vere età e tutte le persone diverse che avevano dovuto impersonare nel corso dei secoli.

E ora eccoli lì, alla seconda portata di una cena che ne prevedeva almeno venti, a parlare di scudi, magia, equilibri e, tra tutto questo, anche di pettegolezzi d’ufficio.

“Io l’avevo detto che Artù era pronto” esclamò Merlìha, strappando Lance dalle sue riflessioni.
Lenn sospirò.

“Ti ricordo” le disse paziente, “che eri tu quella più preoccupata, quando hai avvertito lo scudo” terminò.

“Dettagli” sbuffò la ragazza facendo l’occhiolino a Ginevra.

“Nessuno può separare il Re e il Mago, finalmente” esclamò incrociando le braccia.

“Sono d’accordo!” intervenne Ginevra. “Artù, in tutti questi anni, ha avuto un unico pensiero: ritrovare la sua metà” e sorrise.

“Finalmente hanno la possibilità di stare insieme, dopo tutto quello che hanno vissuto” aggiunse guardando Merlìha che le sorrise di rimando e pensando che anche lei, dopo la vita a Camelot, aveva finalmente avuto la possibilità di ricongiungersi al suo vero e unico amore.

“Mi dispiace aver mal giudicato Kyle” sospirò Lance, “ma credevo volesse mettersi in mezzo a una storia già scritta. Inoltre, viste le sue gesta passate, avevo il timore che ci sarebbe riuscito senza sforzo, nonostante la determinazione di Artù” terminò.

“Non impensierirti” lo consolò Lenn. “Era proprio questo che Kyle voleva che tu credessi. Tu e il Re, ovviamente”.

“È stato grazie a Kyle che Artù è riuscito a usare l’anello” costatò Lance.

“Già” confermò Lenn. “Kyle ha dato la giusta direzione a un cuore in subbuglio. Ma, d’altro canto, Kyle è il più esperto in queste cose. Senza di lui, avremmo avuto molte più difficoltà a guidare i personaggi storici che si sono succeduti in tutti questi secoli” terminò pensieroso.

“Il cuore umano è molto complesso” intervenne Merlìha. “Spesso, per spingerlo in una direzione, basta semplicemente proporgli quella opposta”.

“E in questo, credo che Kyle sia il migliore” costatò Ginevra.

“Sì, lo è” confermò Merlìha.

“Doveva essere un grande Guardiano nel vostro vecchio mondo” esclamò Lance e sia Lenn che Merlìha annuirono.

“Lo era, anche se noi ce ne tenevamo alla larga” aggiunse Merlìha con un sorriso allegro.

“Perché mai?” chiese interessata Ginevra che faticava a immaginare diviso quel gruppo così solido.

“Mio fratello non voleva immischiarsi con le sue manipolazioni. Kyle è sempre stato un personaggio ambiguo e Gabriel non voleva averci niente a che fare” spiegò con una scrollata di spalle.

“D’altro canto, Kyle si è sempre dimostrato indifferente sia nei nostri confronti, sia nei confronti delle nostre famiglie” aggiunse Lenn.

“Devi ammettere, però, che le nostre famiglie non avrebbero mai gradito una stretta amicizia con Kyle” gli ricordò Merlìha.

“Vero!” confermò Lenn. “In realtà, nessuno voleva averci molto a che fare, Saggi esclusi. Tuttavia, molti avevano anche troppa paura di lui per manifestare questi sentimenti apertamente” terminò Lenn.

“Gabriel poi, lo ha messo definitivamente nella sua lista nera quando ha proposto al Tavolo dei Saggi che fossero mamma e papà a occuparsi di Camelot” aggiunse Merlìha con un sospiro.

“Quindi, anche i vostri genitori si sono occupati di Camelot?” chiese Ginevra e Merlìha annuì.

“Ma non hanno avuto il vostro successo” rifletté Lance.

“Nessuno ha mai avuto successo, nel tempo di Camelot. E tutti, compresi i genitori di Gabriel e Merlìha, sono poi stati relegati nel mondo mortale” spiegò Lenn.

“Quindi, Kyle ha mandato a morte i vostri genitori” sussurrò Ginevra ma Merlìha scosse la testa in segno di diniego.

“Potrebbe sembrare così da un punto di vista umano ma sbaglieresti nel pensare questo. Io credo che Kyle fosse convinto che mamma e papà avrebbero buone possibilità. D’altro canto, nel nostro vecchio mondo, il vero nemico non era Kyle ma i Saggi stessi”.

“Non capisco” ammise Lance.

“Devi sapere che è stato Kyle a proporre al Tavolo la nostra missione” intervenne Lenn.

“Che cosa?” sgranò gli occhi Lance e Lenn ridacchiò.

“La famiglia di Gabriel e Merlìha era una delle famiglie nobili più potenti e antiche. I Saggi meditavano da tempo un modo per liberarsi di loro. Kyle ha fornito loro quest’occasione su un piatto d’argento. Tuttavia, se con i genitori di Gabriel e Merlìha aveva solo buone possibilità sul fatto che loro uscissero vincitori dal tempo di Camelot, con noi, invece, queste possibilità divenivano certezze” cercò di essere chiaro Lenn.

“E, a quanto pare, i suoi calcoli sono stati esatti” costatò Lance e gli altri annuirono.

“Inoltre, anche i rapporti fra Kyle e Gabriel si sono definitivamente aggiustati. Tra l’altro, a me è sempre stato simpatico, nonostante mio fratello non voleva assolutamente che lo frequentassi” terminò Merlìha.

“Ti vuole molto bene” costatò Ginevra sorridendo con tenerezza e Merlìha annuì con entusiasmo.

“Resta il fatto che non sia facile avere a che fare con lui” aggiunse Lance pensando all’ombroso Guardiano e a come mettesse soggezione anche solo servendo birre.

“Solo perché è un po’ chiuso?” domandò Ginevra. “Io credo che la sua sia più paura di legarsi che freddezza vera e propria” concluse con una scrollata di spalle.

“Non hai tutti i torti” convenne Lenn. “Tuttavia, non ci voleva una discussione tra lui e Perce” terminò riflessivo.

“Non è detto che abbiano litigato”esclamò Merlìha.

“Infatti” le diede ragione Lenn. “Io credo che sia stato Gabriel a fare tutto”.

“Non sai come sono andate le cose” gli appuntò Merlìha guardandolo male.

“Ma conosco tuo fratello” le spiegò paziente Lenn. “Inoltre, hai visto l’umore di Perce, stamattina in ufficio”.

“Io credo che si sia legato al cavaliere, molto più di quanto voglia ammettere” parlò ancora Merlìha in difesa di suo fratello.

“E, infatti, credo sia proprio questo legame ad aver generato la discussione” le fece notare Lenn.

“Fa fatica a manifestare i suoi sentimenti” costatò Lance.

“Gabriel, in alcuni casi, è solo apparenza. In realtà, è molto più sensibile di quanto sia disposto ad ammettere” gli spiegò Lenn.

“Io credo che Perce non si lascerà abbattere dalla sua freddezza. È l’uomo più buono che io conosca” intervenne Ginevra. “E poi, ne è molto innamorato. Lo era anche quando non sapeva chi fosse”.

“Come dimenticare gli sguardi adoranti che lanciava a quello che credevamo un cameriere” ironizzò Lance. “Avreste dovuto vederlo” e rise con allegria.

“Smettila di prenderlo in giro” gli diede un leggero pugno sul gomito sua moglie. “Io credo che sarebbero una bellissima coppia” concluse con affetto. “Perce è sempre stato alla ricerca del vero amore”.

Fu in quel momento, di ilarità e spensieratezza, che accadde.

Ginevra e Lance videro i volti di Merlìha e Lenn divenire serissimi.

“La senti?” chiese Merlìha a Lenn.

“Certo” annuì l’altro facendo divenire i suoi occhi d’oro.

“L’ho localizzata” disse dopo un po’.

“Anch’io” esclamò preoccupata Merlìha. “Ma non proviene da dove mi aspettavo. Credevo, infatti, che venisse dal quartiere di Artù”.

Ginevra e Lance si misero sull’attenti.

“Che cosa succede?” chiese Lance preoccupato.

“Un’energia giovane si è risvegliata” spiegò Merlìha. “Io e Lenn l’abbiamo localizzata: proviene dalla casa di Perce”.

“Com’è possibile?” chiese preoccupata Ginevra.

“Non lo so” ammise Lenn alzandosi in piedi e afferrando il suo cellulare. “Non ci resta che andare a verificare, tutti insieme” e si avviò mentre gli altri lo seguivano.

Non rimaneva altro da fare che recarsi da Perce, il più presto possibile.
 

***
 

“Voglio la rivincita” esclamò Elian incrociando le braccia.

Phoenix sospirò.

“È davvero necessario continuare a umiliarti in questo modo?” chiese, guardando l’altro e scuotendo la testa.

“Hai avuto fortuna!” s’imbronciò Elian incrociando le braccia.

“Per tre volte consecutive?” domandò sorridendo.

“Dettagli!” non si arrese di fronte all’evidenza Elian.

“Lo sai, vero, che non hai alcuna speranza di battermi a braccio di ferro?” domandò l’altro scuotendo nuovamente il capo e facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli, mentre sul volto, accanto al sorriso, compariva anche la malinconia dovuta alla consapevolezza di ciò che rappresentava quella frase.

“Non subito forse!” non demorse Elian che non aveva faticato a intuire la vera natura della domanda dell’altro.

“Che intendi con questo?” s’informò Phoenix.

“Che tu sei una buona palestra. A furia di allenarmi, prima o poi, ti batterò” sorrise, mostrando una fila di denti bianchissimi, a contrasto con la sua carnagione scura.

“O, quanto meno, riuscirò a muoverti di qualche centimetro” ammise, non perdendo il sorriso.

D’altro canto, non avrebbe mai potuto dimenticare quella sfida a braccio di ferro; era stato come cercare di spostare un palo della luce ben piantato in una grossa base di cemento armato.

Nonostante avesse impiegato tutte le sue forze, non era riuscito nemmeno a far aggrottare le sopracciglia all’altro per lo sforzo che, nel frattempo, rimaneva seduto con nonchalance a gambe incrociate e con il gomito poggiato sulle ginocchia mentre con l’altro braccio era appunto impegnato nella sfida.

“Mi stai paragonando a un attrezzo da palestra, per caso?” s’informò Phoenix strappando Elian dalle sue riflessioni.

“Già” ammise l’altro. “Solo che preferisco allenarmi con te, piuttosto che in una fredda e solitaria palestra”.

“Circondato da almeno una ventina di individui” precisò Phoenix.

“Ammetti che sarebbe vantaggioso per entrambi” insistette l’altro.

“E quale sarebbe il vantaggio per me? A parte divertirmi a vedere i tuoi inutili sforzi”.

“Non essere cattivo! Non si rigira il coltello nella piaga!” finse di piagnucolare Elian.

“Io non sono cattivo, sono oggettivo, il che è diverso” lo corresse con serietà l’altro. “E tu faresti bene a non dimenticarti cosa sono, invece di continuare a fare finta di niente” e incrociò le braccia, guardandolo oltraggiato.

Elian incassò il rimprovero dell’altro sentendo nascere un moto di rabbia dentro di sé.

Cosa sei?” inveì contro l’altro spazientendosi. “Guarda che è tutta la sera che non fai che ricordarmelo. Credi davvero che non abbia fatto caso a come hai stappato le bottiglie?” domandò, incominciando a irritarsi. “Oppure, che non abbia notato il tuo passo felpato o la tua presa d’acciaio quando mi hai stretto la mano? Credi davvero che non mi sia accorto che sei un guerriero? Uno di quelli micidiali?” concluse, guardandolo storto.

“Anzi” continuò, moderando il suo tono di voce, “se proprio vuoi saperlo, la sfida a braccio di ferro era solo una scusa!” esclamò, innervosito dal silenzio dell’altro.

“Una scusa per dimostrare cosa, esattamente?” chiese Phoenix inarcando un sopracciglio.

“Per dimostrarti che non mi importa” s’infervorò Elian. “Non mi importa cosa sei o quanto tu sia forte. Sapevo benissimo di non avere nessuna possibilità di batterti ma non aveva importanza perché per me era un gioco!” terminò, cercando di rendere chiaro quello che aveva nella testa.

“Lo so che non sei un uomo come gli altri” esclamò a voce bassissima, “ e anche che, probabilmente, potresti rompermi le ossa con un solo abbraccio. Ma non mi importa” continuò, guardando l’altro intensamente.

“Tu non hai fatto altro che ricordarmi la tua diversità ma non è necessario perché io, questa diversità, l’ho accettata dal primo momento in cui ti ho visto” terminò, non sapendo cos’altro aggiungere.

Phoenix sospirò, sedendosi di fronte a lui e prendendosi il capo tra le mani.

“Cosa dovrei fare, secondo te?” chiese, guardando l’altro con occhi smarriti.

Nonostante la sua evidente superiorità fisica, e sicuramente anche intellettuale visti i diversi secoli di apprendimento che aveva avuto, in quel momento a Elian sembrò un cucciolo ferito e smarrito.

Un cucciolo in cerca di conforto, in cerca di qualcuno che lo proteggesse.

Si avvicinò a lui con un sorriso, sedendosi sul bracciolo della poltrona sulla quale l’altro si era seduto.

“Che ne dici di darti una possibilità?” domandò, accarezzandogli lentamente il viso. “Di darla a entrambi!” sussurrò, continuando ad accarezzargli la guancia.

“E poi, ti ricordo che sarebbe un vantaggio per tutti e due cominciare a frequentarci” disse sogghignando.

“Lo hai detto anche prima ma continuo a non capire il perché di quest’affermazione” esclamò
Phoenix sorridendo appena.

“Se io mi allenassi con te, diventerei molto più forte della media e, un braccio in più in battaglia, fa sempre comodo” snocciolò Elian spiegando il suo ragionamento.

“Non siamo in battaglia e gli equilibri non possono essere ricuciti a colpi di spada” rispose Phoenix non riuscendo però a trattenere un sorriso.

“Adesso non ci sono battaglie, ma non è detto che non si presentino in futuro” non si perse d’animo Elian.

“Anche se stai cercando solo una scusa per rivedermi ancora, ammetto che il tuo ragionamento non fa una piega. Non c’è nulla di male nel voler fortificare il proprio corpo e credo che ti esalti l’idea di un combattimento con me” terminò la sua analisi Phoenix.

Elian rise.

Quella mano, ancora lì, poggiata sulla guancia dell’altro, mentre le dita si muovevano lente in una leggera carezza.

Quella mano, ancora lì, a stabilire un contatto che nessuno dei due sembrava intenzionato a interrompere.

“Non hai tutti i torti. Anche nella mia vita passata mi esaltavano le imprese difficili. Anche nella mia vita passata seguivo il mio cuore ovunque esso mi conducesse” terminò, ripensando alle parole di sua sorella.

“Allora” continuò dopo qualche istante di pausa, “mi darai una possibilità?” chiese, con occhi speranzosi e voce carica di aspettativa. “La darai a entrambi?”.

Fu proprio quando Phoenix stava per rispondere che accadde.

“Cosa succede?” chiese Elian preoccupato, essendosi accorto dell’improvviso irrigidimento dell’altro.

“Problemi, Elian” rispose semplicemente Phoenix alzandosi dalla poltrona e avvicinandosi alla sua giacca per estrarne il cellulare.

“Chiamo Louis, sperando che se ne sia già accorto!”.
 

***
 
 
“Non mi fido della vostra cucina” esclamò Merlino incrociando le braccia e guardando Artù con espressione supponente.

Artù alzò gli occhi al cielo e sospirò pesantemente. Quando l’altro si metteva, era peggio di un bambino capriccioso.

“Posso sempre ordinare qualcosa” esclamò con esasperazione.

Era da un quarto d’ora buono che discutevano su una cosa banale tipo ‘cosa mangiamo per cena?’.

Artù si era offerto di mettersi ai fornelli, credendo di fare una cosa gradita all’altro. Non l’avesse mai fatto!

Da quell’affermazione erano partite tutte le occhiate scettiche, i borbottii e le espressioni di disappunto di Klause Badelt che, parole sue, non aveva intenzione di farsi ricoverare per un’indigestione!

A quel punto, non restava altro da fare che ordinare qualcosa, lasciando all’altro la scelta del menù.

Artù, credendo di aver messo definitivamente fine alla questione, si stava già avviando al telefono.

Ma, perché c’era sempre un ma, neanche quell’opzione sembrava aggradare il genio indiscusso del palcoscenico e, Artù aggiunse nella sua testa, il Re dei Rompiballe!

“Non se ne parla proprio”.

Ecco! Come volevasi dimostrare!

“Non ho intenzione di mangiare un pasto d’asporto che, sicuramente, arriverà freddo” protestò ancora Merlino e Artù sospirò come se stesse esalando l’ultimo respiro.

“Quindi, hai intenzione di digiunare?” domandò, provando a mantenere la calma.

D’altro canto, sapeva anche perché era nata tutta quella discussione.

“Digiunerei volentieri, piuttosto che cenare in vostra compagnia” rispose Merlino andando alla radice del problema.

Artù sospirò ancora. In fondo, aveva intuito la vera ragione delle proteste assurde dell’altro.
Lavoravano insieme, e questo doveva essere già un grosso compromesso nella testa di Merlino.

Figuriamoci condividere un pasto!

Neanche poi l’avesse invitato a una cena a lume di candela.

Erano semplicemente le otto di sera passate e Artù non aveva nessuna voglia di digiunare.

D’altro canto, per sostenere una conversazione con l’altro, di energie ce ne volevano tante.
Figuriamoci poi, sostenere una conversazione decente, senza iniziare a farsi inveire contro; in quel caso, le energie dovevano essere illimitate!

“Mi dici allora, come intendi risolvere il problema della cena?” si spazientì leggermente Artù.

Se l’altro non voleva avere nulla a che fare con lui all’infuori del lavoro, allora potevano mangiare un panino in salotto continuando a lavorare. Tutto, pur di mettere a tacere il suo stomaco che brontolava.

“Oppure, intendi realmente digiunare?” chiese, allargando le braccia in segno d’impotenza.

Merlino si portò il pollice e l’indice al mento, con aria pensierosa.

Manco stesse decidendo delle sorti di un continente, considerò Artù, evitando però di condividere questo pensiero con l’altro.

Che poi, considerando chi aveva davanti, Artù rifletté che neanche quando Merlino si era effettivamente trovato a decidere le sorti di molte persone, ci aveva messo così tanto.

“Cucinerò io!”.

Artù, troppo preso dai suoi pensieri, si ritrovò a guardare l’altro con occhi sgranati, certissimo di aver capito male.

“Come?” domandò scettico. Ovvio che aveva capito male! Possibile che desiderasse così tanto instaurare una routine con Merlino che era arrivato al punto di immaginarsi le cose?

“Ho detto” ripeté Merlino parlando lentamente, come se si trovasse davanti a un’idiota,
“cucinerò io!” e incrociò le braccia sfidarlo a contraddirlo con lo sguardo.

Artù fu certo, in quel momento, di avere in viso un sorriso ebete. Allora, aveva capito bene!

Annuì con il capo, ridacchiando tra sé.

“Ti faccio strada” disse allegramente, dirigendosi verso la cucina.

“Sia ben chiaro”, ci tenne a precisare Merlino, “lo faccio perché non voglio assolutamente fare da cavia con i vostri esperimenti culinari” e s’imbronciò.

Artù ridacchiò non commentando.

Quell’iniziativa, prima di aver sorpreso lui, doveva aver sorpreso anche chi l’aveva proposta.

Merlino stava cominciando ad accettarlo. Nonostante provasse a opporsi, evidentemente, non riusciva più a mantenere l’atteggiamento freddo che si era autoimposto.

Finalmente, in quell’esatto momento, Artù ebbe la certezza di essere la sola e unica parte mancante dell’altro.

Perché neanche Merlino riusciva più a opporsi. Neanche Merlino riusciva più a fare finta di nulla.

Il loro legame, antico quasi quanto il mondo, non poteva più essere ignorato.

Il loro legame, per troppo tempo relegato nell’oblio creato dall’ignoranza dei loro giovani e immaturi cuori, ruggiva per uscire allo scoperto, per non essere più messo da parte.

Presto Artù si sarebbe ricongiunto all’altro. Finalmente, avrebbe avuto la possibilità di prendersi cura di Lui. Poco contava il resto… gli equilibri, i diamanti… tutto sarebbe venuto poi… e lo avrebbero affrontato insieme.

Continua…
 

Note:
 

In questo capitolo, compaiono anche Merlino e Artù. La cosa è stata decisa all’ultimo momento dato che il pezzo che riguarda loro mi sembrava più compatibile a questo capitolo che al successivo dove anche Merlino si accorge dell’energia che si sprigiona a casa di Perce.

Infatti, questo pezzo, è ambientato cronologicamente prima, per questo era stato inserito in un capitolo che avrebbe trattato solo del pomeriggio fra Merlino e Artù fino a quando il mago non si fosse accorto che c’è qualcosa che non va.

Inoltre, non volevo che i due protagonisti oscurassero gli altri personaggi.

All’ultimo minuto, ho optato per questa scelta. Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate.

Attendo ansiosa i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui!

Pandora86.

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Capitolo 55
*** Capitolo 55. Energia ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 55. Energia
 

“Questa cartina può andare bene?” chiese Artù con tono di voce grave, mostrando il foglio all’altro.

“Andrà benissimo” rispose Merlino con serietà, afferrando la cartina e aprendola sul tavolo mentre Artù faceva spazio spostando le stoviglie.

Era accaduto tutto in un attimo.

Un minuto prima, il suo palato stava gustando il piatto preparato dall’altro ammettendo con se stesso che, anche se ai fornelli non era poi così pessimo, Merlino lo aveva decisamente battuto.

Non aveva mentito quando aveva affermato di saper cucinare piuttosto bene e Artù si era ritrovato a dargli ragione. Poco contava che avesse messo a soqquadro la cucina giusto per fargli un dispetto.

Evidentemente, avvalendosi della clausola ‘io cucino, voi lavate i piatti’, si era sentito autorizzato a sporcare tutte le stoviglie disponibili. A un certo punto, Artù aveva temuto di dover chiedere in prestito delle pentole dai vicini. Per fortuna poi l’altro si era moderato, facendosi perdonare inconsciamente con la bontà della sua cucina.

Quei momenti erano stati fantastici, anche se non era avvenuto nulla di particolarmente eclatante.

Da un lato, infatti, c’era Merlino che, con un sorriso sadico, dettava ordini dandosi arie da grande chef mentre dall’altro c’era Artù che si era calato nella versione ‘sguattero tuttofare’.

Merlino era stato a dir poco ghignante nel dettare gli ordini più strampalati – tipo farsi passare un ingrediente per il solo gusto di leggere l’etichetta – e farlo correre da un lato all’altro della cucina alla ricerca di stoviglie inesistenti o di uso poco comune che Artù era sicurissimo non si trovassero neanche nelle attrezzatissime cucine dell’attuale palazzo reale.

Tuttavia, nonostante Merlino provasse a mantenere un atteggiamento composto, Artù non aveva potuto non notare una certa aria divertita e, di conseguenza, si era sentito felice anche lui: se poteva regalare dei momenti sereni e spensierati all’altro, semplicemente aiutandolo in cucina, perché mai avrebbe dovuto avere qualcosa in contrario? Perché mai avrebbe dovuto negare all’altro la possibilità di passare qualche ora spensierata?

L’atmosfera, dopo che Merlino si era offerto di preparare la cena per entrambi, si era alleggerita in un attimo ed era durata anche quando si erano messi a tavola.

Ad Artù, in quei momenti, era parso di sognare. Quante volte aveva desiderato che Merlino si muovesse a casa sua? Quante volte aveva fantasticato su di loro e sulla vita che, finalmente, avrebbero potuto vivere insieme?

I risvegli, i pranzi e le cene; tutti momenti banali e di routine per i comuni mortali. Tutti momenti che sarebbero divenuti speciali con la sola presenza di Merlino accanto a lui.

Tuttavia, qualcosa era andato storto. Qualcosa che, a quanto sembrava, era ancora da definire.

A un certo punto, Merlino si era fatto serio e concentrato, chiedendogli una cartina della città.
Artù si era immediatamente alzato per soddisfare la sua richiesta, dato che non aveva potuto fare a meno di notare il bagliore dorato degli occhi dell’altro.

Era durato un attimo ma gli occhi di Merlino avevano cambiato colore, nonostante Merlino stesso avesse cercato di nasconderlo.

Evidentemente, mostrare gli occhi a quello che considerava ancora il suo Re era troppo ma Artù non aveva perso tempo a protestare su questo – ci sarebbe stato tempo per discussioni del genere e per rivelargli quanto avrebbe desiderato poter ammirare i suoi occhi dorati – ed era invece subito corso a fare quanto gli era stato chiesto.

Artù non aveva intenzione di fare gli stessi errori della vita precedente. Anzi, visto che oramai sapeva, non aveva intenzione di fare neanche il più piccolo sbaglio.

Merlino era il mago più potente di tutti i tempi e le dimensioni, Artù lo riconosceva – l’accettazione era venuta da tempo, addirittura in un’altra vita – e non aveva intenzione di tirarsi indietro.

Non aveva intenzione di essere d’intralcio all’altro ma neanche di farsi estromettere.

Era venuto il momento. Il suo momento.

Perché Merlino gli aveva fatto quella richiesta in qualità di Sommo Emrys.

E Artù era pronto a lottare con lui e per lui.

“Cosa succede?” chiese, alla luce dei suoi pensieri mentre l’altro stendeva la cartina.

Merlino lo guardò perplesso, dubbioso se parlare o meno.

“Hai avvertito qualcosa?” lo incalzò Artù dimostrando, in questo modo, di essere pronto, finalmente, ad affrontare quei discorsi.

Quella risposta sembrò convincere Merlino che scosse la testa con aria dubbiosa.

“Energia” rispose lentamente, guardando la cartina con aria perplessa.

“E quindi?” lo incalzò nuovamente Artù.

“Conoscete questa zona?” chiese invece l’altro, indicando un punto della cartina.

Artù si sporse, leggendo il nome del quartiere.

“Certo” rispose, “è il quartiere dove abita Perce”.

Merlino annuì.

“Avevo supposto che fosse la casa di uno di voi” disse pensieroso, prima di stendere la mano in quel punto e chiudere gli occhi.

Artù trattenne una protesta a quel gesto ma non fiatò.

Non se ne intendeva molto ma sapeva con certezza che l’altro non aveva bisogno di concentrarsi a occhi chiusi per fare qualsiasi cosa stesse facendo e di cui lui non sapeva nulla. In ogni caso, nonostante Artù non avesse capito le intenzioni dell’altro, era chiaro che Merlino stava praticando la magia davanti ai suoi occhi. Lo aveva fissato dapprima con aria perplessa e poi con espressione di sfida. Poi, sembrava essersi deciso a fare quel gesto. Evidentemente, la situazione lo richiedeva altrimenti ne avrebbe fatto volentieri a meno. Tuttavia, aveva chiuso gli occhi per un semplice motivo: voleva nascondergli le sue iridi dorate.

Artù sbuffò ma non disse nulla. Di certo, quando avrebbero risolto quella situazione (avrebbero, sì, perché non si sarebbe fatto estromettere in nessun caso) allora Artù avrebbe affrontato l’argomento (provando a non fare irritare l’altro) e provando a fargli capire che non aveva nulla da temere nel praticare la magia davanti a lui. Davanti al suo Antico Re.

Sentì Merlino sospirare e lo vide aprire gli occhi.

“Suppongo di dovermi recare lì” esclamò, portandosi l’indice al mento, “dato che si tratta proprio di casa sua”.

“C’è qualche pericolo?” domandò Artù.

“Al momento no” rispose Merlino.

“Ma?” lo incalzò nuovamente l’altro, spazientendosi leggermente per il fatto di dover incalzare l’altro a ogni parola.

Merlino se ne accorse e decise di dargli spiegazioni.

Artù si perse un istante nell’ammirare il suo volto serio e concentrato, la sua voce sicura e profonda e, in quel momento, ebbe la certezza delle sue ipotesi. Non aveva avuto torto quando aveva ipotizzato che Merlino fosse una persona pacata e ragionevole quando si trattava di amministrare il suo potere e governare gli elementi.

In quel momento, Artù si sentì di nuovo Re. Il solo e unico Re. L’unico Re in possesso della verità.

Colui che era stato scelto per essere la parte mancante di chi aveva il potere di governare gli elementi: due facce della stessa medaglia.

“Ho avvertito una fonte di energia provenire dalla casa di Perce” stava intanto spiegando Merlino, del tutto all'oscuro del corso dei pensieri dell’altro.

“Prima di precipitarmi, ho interrogato quest’energia scoprendo che non è maligna ma devo comunque andare sul posto” rifletté pensieroso. “Credo che provenga da un oggetto” aggiunse, parlando tra sé.

“E perché devi comunque recarti lì?” chiese Artù dubbioso. Se si trattava di un oggetto allora, dato che Merlino li custodiva tutti essendone il padrone assoluto, di sicuro non era una situazione così preoccupante da richiedere addirittura la presenza del Sommo Emrys.

“Perché si tratta di un oggetto che mi è sconosciuto” rispose Merlino smontando, in quel modo, tutte le ipotesi di Artù.

“Credo che si tratti di un oggetto giovane, venuto alla vita da poco. Quello che devo scoprire, è perché si sia creato a casa di Perce”.

“Andiamo!” disse solamente Artù dirigendosi verso la porta d’ingresso.

“Andiamo!” confermò Merlino più serio che mai mentre si incamminava, dopo tanto tempo, verso una battaglia comune in compagnia all’altro.

Di nuovo insieme, spalla a spalla, l’uno accanto all’altro.
 

***
 

“Saliamo da Perce?” chiese Gwaine stringendo forte il volante.

L’abitazione di Perce era a due isolati tuttavia, le condizioni di Kyle, avevano richiesto l’uso dell’automobile.

Kyle sospirò pensieroso mentre leggeva un messaggio che gli era appena arrivato.

“Lenn è sulla strada e, insieme con lui ci sono Lance e Ginevra” lo informò.

“Come mai sono insieme?” s’informò Gwaine.

“Non ne ho idea. Inoltre, anche Louis e Phoenix sono in arrivo e credo anche Gabriel, nonostante non sia riuscito a contattarlo” parlò ancora Kyle con tono stranamente neutro.

“E Lui… ?” incominciò Gwaine non ritenendo opportuno completare la domanda. Sapeva, infatti, che Kyle avrebbe capito senza problemi a chi si riferisse.

E, per l’appunto, Kyle sorrise ironico.

“Credi davvero che Merlino non se ne sia accorto?” domandò sarcastico. “Tendi ancora a sottovalutarlo molto, cavaliere” e pronunciò quelle parole con tono più freddo del ghiaccio.

 Gwaine, sentendo l’appellativo con cui Kyle lo chiamava spesso, essere pronunciato con il tono di un insulto, si inalberò. Quelle parole erano state peggio di uno schiaffo.

“Intendevo, ci sarà anche Lui?” domandò, non provando nemmeno a nascondere la sua irritazione.

Kyle ridacchiò.

“Credo proprio di no! Siamo sufficienti noi e preferirei che non si muovesse da dove si trova. In ogni caso, dato che è l’imprevedibilità fatta persona, non posso dirlo con certezza” e addolcì il suo sguardo facendo trasparire tenerezza e affetto verso la persona in questione.

Gwaine lo vide portarsi il cellulare all’orecchio e, dopo un po’, sbuffare con disappunto.
“Gabriel continua a non rispondere ma ritengo impossibile che non se ne sia accorto” esclamò, facendo una smorfia contrariata.

“Quindi, che cosa facciamo?” lo incalzò Gwaine.
Vide il volto di Kyle farsi serio mentre digitava un messaggio.

“Salgo in avanscoperta!” dichiarò, aprendo il portellone della macchina.

Gwaine fu lesto a uscire e portarsi dal lato dell’altro per aiutarlo.

“Forse volevi dire: saliamo in avanscoperta” lo corresse burbero mentre, senza aspettare la risposta dell’altro, gli cinse delicatamente i fianchi per sorreggerlo.

Kyle ridacchiò, scuotendo la testa.

“Suppongo sia inutile dirti che la situazione potrebbe essere pericolosa” esclamò con un ghigno.

“Se lo supponi, perché lo hai detto comunque?” gli appuntò Gwaine serio mentre si avvicinavano al portone del palazzo.

“E poi, sbaglio o sono in compagnia del guardiano più potente?” lo sfotté ironico affermando comunque il vero.

A quelle parole, sentì la serratura del portone scattare e non ci mise molto a capire che era stato Kyle.

Quel gesto, inoltre, lo fece allertare: se Kyle decideva di non avvertire Perce suonando il citofono, potevano esserci pochi significati sul gesto. Il più probabile, era che Perce fosse realmente in pericolo.

“No, non sbagli!” annuì Kyle con un sorriso sghembo prima di entrare.

Salirono le scale lentamente mentre Gwaine sentiva l’adrenalina crescere; cosa mai avrebbero trovato a casa di Perce?

Si fermarono davanti alla porta della sua abitazione e Gwaine guardò Kyle in attesa di istruzioni. Il Guardiano avrebbe scelto di suonare il campanello oppure aprire la porta ed entrare, proprio come aveva fatto per il portone del palazzo?

Gwaine lo vide aggrottare le sopracciglia e capì che stava valutando quale fosse la strategia migliore. Istintivamente si strinse di più a Kyle. Lo aveva sorretto per tutte le scale e solo adesso notava quanto il corpo del Guardiano fosse rassicurante stretto al suo.  Rafforzò maggiormente la presa, preparandosi a quello che avrebbe potuto trovare a casa di Perce. Un osservatore esterno avrebbe potuto pensare che Gwaine cercasse di proteggersi, avendo tra le sue braccia il Guardiano più potente. Tuttavia quella presa era nata istintivamente per proteggere Kyle, nonostante Gwaine sapesse di correre più pericoli di lui.

Quella presa era nata dal desiderio profondo di essere un sostegno per Kyle. Gwaine, dentro di sé, giurò che, al massimo delle sue potenzialità, e anche oltre, lo avrebbe protetto. In quel momento, capì che avrebbe fatto tutto per Kyle. Sarebbe morto per lui, se necessario.

“Entriamo!”.

La voce di Kyle, seria e profonda, lo distolse dalle sue riflessioni.

Annuì, capendo che l’altro aveva deciso di entrare nello stesso identico modo in cui era entrato nel palazzo.

Sentì il familiare suono della serratura scattare ma, un istante dopo, capì che non era stato Kyle ad aprire la porta ma Perce stesso che ora si trovava davanti a loro e li osservava perplesso.

Gwaine tirò istintivamente un sospiro di sollievo, quando vide che era incolume dinanzi a loro. A giudicare dal sacchetto che aveva in mano, poteva dedurre che Perce aveva deciso di andare a gettare la spazzatura proprio mentre Kyle aveva deciso di entrare.

Inoltre, il suo sguardo pareva ignaro di quello che sembrava avvenire nella sua casa.

“Cosa ci fate qui?” chiese Perce, confermando le ipotesi di Gwaine e portando il suo sguardo a entrambi mentre le sopracciglia assumevano una linea perplessa.

“Dovresti dircelo tu!” sbottò Gwaine. A casa sua c’era una strana energia e Perce domandava anche il perché della loro presenza?

Assurdo!

“Io?” sgranò gli occhi il cavaliere, del tutto ignaro del corso dei pensieri dell’altro.

“Sì, tu!” si alterò Gwaine. “Piuttosto, stai bene?” chiese ansioso.

Perce scosse la testa e sospirò.

“Se siete ubriachi, andate a vaneggiare altrove” disse. “Non è serata, Gwaine!” concluse, guardando l’altro con occhi truci.

Gwaine sentì la rabbia crescere.

“Ubriaco? Credi che sia ubriaco?” urlò.

“Abbassa la voce o ti sentiranno i vicini” lo rimproverò Perce.

“Smettetela!”.

La voce seria di Kyle li fece voltare entrambi. Persi nelle loro discussioni, si erano dimenticati di lui. O meglio, Perce se ne era dimenticato mentre Gwaine si era facilmente abituato al contatto così ravvicinato con l’altro, un contatto così naturale tanto da fargli provare la sensazione che il corpo di Kyle fosse solo una continuazione del proprio.

“Facci entrare, cavaliere! Adesso, e senza storie” parlò Kyle con voce imperativa, dissipando ogni dubbio sulla sua sobrietà.

Perce deglutì di fronte a quegli occhi seri e concentrati. Kyle, in quel momento, emanava lo stesso alone di potere e la stessa autorità che aveva mostrato loro quando si era scontrato, insieme con gli altri, con i tre maghi moderni.

Nonostante il volto recasse ancora le tracce della rissa, e fosse piuttosto malconcio a giudicare da come si poggiava a Gwaine, niente in lui richiamava alla mente la parola debolezza.

Non era una delle solite prese in giro dell’altro; quello era un ordine a tutti gli effetti!

Fu per questo che si fece da parte invitandoli a entrare con un cenno del capo.

“Suppongo che i rifiuti potranno aspettare” ironizzò il Guardiano sorridendo appena e poi ritornando serio mentre scrutava attento il mobilio alla ricerca della fonte di energia.

I suoi occhi divennero d’oro e Gwaine, non lasciando il corpo dell’altro, capì che la partita era cominciata.

 
***
 

“Ecco Louis e Leon” esclamò Phoenix vedendo la macchina di Leon avvicinarsi a loro.

Alla fine, avevano deciso di incontrarsi a metà strada e recarsi sul posto tutti insieme.

“Come mai ci hai messo tanto, brutto idiota?” lo aggredì con voce isterica nell’attimo in cui Louis scese.

“Vuoi una camomilla, faccia d’angelo?” lo sfotté ironico Louis, non rinunciando al suo sorrisetto strafottente.

“E tu vuoi un calcio nel didietro, cagnaccio?” urlò l’altro stringendo i pugni e avvicinandosi a lui a passo di marcia.

Louis, in tutta risposta, sbadigliò.

“Come puoi pensare a dormire in un momento del genere?” lo rimproverò Phoenix.

“Sai com’è, la serata è stata piuttosto movimentata” ridacchiò malizioso Louis facendo l’occhiolino a Leon che arrossì leggermente.

“E si preannuncia ancora più movimentata” rispose isterico Phoenix che non aveva colto l’allusione né lo sguardo imbarazzato di Leon.

“Andiamo, faccia d’angelo, cosa vuoi che sia?” sbadigliò ancora.

“Sei troppo ansioso!” lo rimproverò. “O forse, sei così seccato perché anche tu hai interrotto qualcosa?” e ridacchiò.

“Cos’avrei dovuto interrompere?” domandò Phoenix.

“E – Ehm” tossicchiò Leon imbarazzato mentre Elian ridacchiava.

“Magari!” sospirò a bassa voce, continuando a ridacchiare.

“Si può sapere cosa dite?” intervenne Phoenix. “Tu, inoltre” e additò Louis con l’indice, “come
puoi essere così rilassato?”.

“Perché non è la prima battaglia che affrontiamo e non ha senso preoccuparsi di un pericolo che ancora non si conosce” snocciolò con fare pratico e poi sorrise.

“Ci avviamo?” disse poi.

“Andiamo con la mia automobile” propose Leon e gli altri tre annuirono.

In quel momento, squillarono in contemporanea i cellulari di Louis e Phoenix.

“Il Sommo Kyle è già sul posto e va in avanscoperta” comunicò Phoenix leggendo il messaggio.

“È normale che sia stato il primo ad arrivare, visto e considerato che Gwaine è quello che abita più vicino a Perce” ragionò Louis.

“Tu non leggi il messaggio?” lo rimproverò Phoenix.

“Non vedo perché dovrei, dato che il Sommo Kyle avrà mandato un messaggio uguale a tutti” rispose l’altro, con una logica inconfutabile.

“Come puoi essere così pigro?” scosse la testa Phoenix.

“Andiamo?” decise di intromettersi Leon. Per quanto fosse piacevole stare ad ascoltare i loro teatrini, non conveniva perdere ulteriore tempo.

Perché era certo che quei due sarebbero potuti andare avanti per ore, se non fossero stati interrotti.

Questo, oltre a farlo divertire molto, lo rassicurava anche. Chissà quante cose avevano affrontato nel corso dei secoli, uscendone vincitori. Il loro atteggiamento stava a significare che la situazione era preoccupante ma non terribile.

Erano due guerrieri micidiali, di questo Leon era sicuro, inoltre Kyle si trovava già sul posto e, sicuramente, presto ci sarebbero state altre novità. In ogni caso, se Kyle era già sul posto, non c’era da preoccuparsi. Avrebbe tenuto perfettamente la situazione sotto controllo fino al loro arrivo.

“Hai ragione!”.

La voce di Louis lo distolse dai suoi pensieri.

“Andiamo” disse ancora la creatura accomodandosi al posto accanto al guidatore.

Leon e gli altri due lo imitarono.

Non rimaneva altro da fare, d’altronde, che dirigersi a casa di Perce.
 

Continua…
 

Note:
 

In questo capitolo, anche Merlino si accorge della strana energia. Spero si noti la differenza tra lui e gli altri componenti del gruppo quando avviene la scoperta: Merlino non solo la individua ma la interroga anche scoprendo che non è malvagia.

Inoltre, non sa che si tratta di casa di Perce. Lui, così come gli altri, individua solo la zona però, a differenza degli altri che hanno preso informazioni sulle abitazioni dei cavalieri, lui è all’oscuro di queste informazioni.

Non si è mai interessato a loro personalmente, delegando sempre gli altri componenti.

Questa, tra l’altro, è una cosa che Artù noterà nel prossimo capitolo e che Merlino gli spiegherà.

In ogni caso, spero come sempre che il capitolo vi sia piaciuto.

Aspetto ansiosa i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.


Pandora86

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Capitolo 56
*** Capitolo 56. Immortale ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 

Capitolo 56. Immortale
 

“Guarda sotto quella poltrona, cavaliere” ordinò Kyle rivolto a Perce.

“Guarda soltanto e riferisci, senza toccare” aggiunse serio.

“Non capisco cosa succede” scrollò le spalle Perce.

“Fa quello che dice, poi ti spieghiamo” lo esortò Gwaine.

“Va bene” acconsentì Perce inginocchiandosi per guardare sotto la poltrona.

“Cosa vedi?” chiese Gwaine dopo meno di un istante.

“C’è qualcosa che luccica” rispose Perce pensieroso, allungando istintivamente la mano.

“Fermati immediatamente”.

La voce di Kyle rimbombò imperativa nell’appartamento e Perce ritrasse la mano come se si fosse scottato.

“Mi avvicino io, voi mettetemi dietro di me” ordinò poi ma Gwaine sbuffò in segno di protesta.

“Non è il caso che ti inginocchi” espresse il suo pensiero ma Kyle gli rivolse uno sguardo rabbioso.

“Non è il caso di soffermarci sulle condizioni del mio inutile corpo quando quello che conta, in questo momento, è solo il mio potere” sibilò a denti stretti.

Gwaine deglutì; che Kyle non amasse essere contraddetto lo aveva sospettato ma l’espressione che aveva assunto in quel momento non era solo disappunto: era rabbia allo stato puro.

Sapeva che l’altro non avrebbe corso pericoli tuttavia non poteva passare sopra alla frase ‘inutile corpo’.

Stava per ribattere quando il campanello suonò, interrompendo così la discussione sul nascere.

Gwaine grugnì riproponendosi, mentalmente, di ricacciare nuovamente l’argomento con l’altro in un momento più tranquillo. Non era intenzionato, infatti, a lasciar correre una cosa così importante.

“Vai ad aprire, no?” la voce di Kyle, rivolta a Perce, lo distolse dalle sue riflessioni.

Kyle vide Perce guardarlo con aria dubbiosa e sghignazzò di rimando.

“Coraggio! A quanto pare, sono arrivati i rinforzi”.

Perce si mosse lentamente verso la porta. Quella situazione era pazzesca: irrompevano in casa sua, davano ordini e non si degnavano neanche di spiegargli nulla.

Fu proprio perché perso in questi pensieri che non focalizzò subito la persona che si trovò
davanti.

“Tu?” sussurrò incerto, quasi non credendo ai suoi occhi.

Gabriel era lì, davanti ai suoi occhi!

Per un momento, Perce provò imbarazzo per il loro ultimo, disastroso, incontro. Tuttavia, non poteva impedire al suo cuore di battere furiosamente alla vista di Gabriel che lo fissava attento sulla soglia della sua abitazione. In quell’istante, non esisteva più nulla. Non c’era Gwaine che, insieme a Kyle, gli aveva invaso la casa. Non c’era la perplessità provata alla visita del
Guardiano biondo e la curiosità riguardo ai suoi ordini strampalati.

C’erano solo loro due e null’altro. Era quasi come una magia… un incantesimo che Perce non aveva nessuna voglia di spezzare.

Si guardarono negli occhi per un lungo istante. In particolare, Perce si sentiva schiacciare da quegli occhi che lo scrutavano… ansiosi.

Sì, ansiosi, era la parola giusta. Quello che non capiva, era il perché!

Provò ad articolare un saluto coerente ma l’altro lo precedette.

“Stai bene?” domandò Gabriel con voce calda e profonda.

“Certo” rispose Perce titubante e vide Gabriel sorridere impercettibilmente.

“Bene!” sussurrò l’ombroso Guardiano, non staccando gli occhi da quelli di Perce.

“Ecco che finalmente ci degni della tua presenza”.

La voce sprezzante di Kyle ruppe l’incantesimo che si era creato. Perce si era totalmente assentato, troppo preso da Gabriel e dai suoi occhi, dimenticando, in questo modo, il trambusto che si stava verificando in casa sua.

Tuttavia, si fece da parte per permettere al Guardiano di entrare. Nonostante la situazione non apparisse più chiara rispetto a pochi minuti prima, una cosa l’aveva capita: stava succedendo qualcosa e stava accadendo in casa sua.

La prova della sua ipotesi era la venuta di Gabriel dopo Kyle.

Altrimenti, perché mai Gabriel si sarebbe recato lì? Di certo, non per vedere lui, considerando anche il modo in cui si erano lasciati! Inoltre, la presenza di Kyle non poteva essere un caso; Kyle, evidentemente, doveva essere solo arrivato per primo.

Per primo verso cosa, era ancora tutto da stabilire, però!

Chiuse la porta, pronto ad ascoltare le novità e sperare, in questo modo, di capire qualcosa.

Gabriel aspettò che la porta fosse chiusa prima di parlare.

“Come mai sei qui?” domandò con espressione truce, rivolto a Kyle.

“Vediamo…” finse di pensarci il biondo. “Forse, perché qualcuno non rispondeva a telefono e ho dovuto decidere da solo” rispose con sarcasmo.

“Stavo guidando” incrociò le braccia Gabriel fissando l’altro severamente. “Inoltre, doveva esserti chiaro che anche io mi stessi recando qui!” concluse sprezzante.

“Esistono gli auricolari, Gabrielino –ino – ino!” cantilenò Kyle.

“O forse” riprese a parlare, con tono volutamente provocatorio, “devo pensare che tu, nella fretta di precipitarti qui, abbia perso lucidità?” e ghignò.

Gabriel lo fissò con sguardo omicida ma non rispose. Avrebbe dovuto aspettarsi che, essendo Kyle il più vicino al luogo in questione, sarebbe arrivato prima di tutti decidendo poi di fare di testa sua senza consultare nessuno.

“Com’è la situazione?” chiese poi, rivolto al biondo.

“Proviene da sotto la poltrona” rispose Kyle con sicurezza, indicando la poltrona con la testa.

Gabriel si concentrò, verificando di persona e annuendo con il capo un istante dopo.

“Non sembra energia malvagia” aggiunse Kyle e Gabriel scosse la testa in segno di disappunto.

“Non sembra energia malvagia ora” precisò, più severo che mai, “ma può sempre decidere di mutare la sua natura” e incrociò le braccia pensieroso.

“In ogni caso, dobbiamo entrare in contatto con l’oggetto e verificare di persona” rifletté Kyle ma Gabriel scosse ancora la testa, disapprovando il piano dell’altro.

“Voglio avere la certezza di quello che possa essere, prima di entrarci in contatto. Se si tratta di un oggetto, come ritengo probabile anch’io, allora non sappiamo quanto la sua natura possa essere mutevole. Un contatto ravvicinato con la nostra energia, e potrebbe decidere di scatenare il suo potere” concluse serio la sua analisi.

“E allora che diamine facciamo?” sbottò Kyle.

Gabriel si prese il mento tra il pollice e l’indice, sospirando pensieroso.

“Vorrei che i quattro elementi fossero tutti presenti, insieme ai nostri generali” parlò lentamente.

“Quindi, aspettiamo la presenza dell’aria e della terra, insieme ai generali di terra e di cielo per creare uno scudo” capì al volo Kyle approvando con un cenno del capo.

“Cioè?” chiese Gwaine, che si era perso gli ultimi passaggi.

Kyle sbuffò ma non rispose mentre Gabriel, guardando di sfuggita Perce, si accinse a spiegare.

“Il nostro gruppo rappresenta tutti gli elementi. Per tirare fuori l’oggetto, preferisco che ci siano gli altri due elementi, in pratica Lenn e Merlìha – aria e terra – e Louis e Phoenix che rappresentano, rispettivamente, la terra e il cielo e simboleggiano quindi l’essenza del pianeta Terra e dell’atmosfera che lo circonda. Sono i nostri generali e stanno a capo di tutte le creature magiche. Riuniti tutti insieme, nessuno correrà dei rischi, dato che saremo pronti a qualsiasi reazione da parte dell’oggetto” spiegò succintamente.

“È un po’ come una riproduzione in scala” aggiunse Kyle. “Riproduciamo, all’interno della stanza, il pianeta con i suoi elementi al fine di contenere, nel perimetro di questa casa, tutti i possibili effetti dell’oggetto”.

Proprio in quel momento, suonò nuovamente il campanello.

“Parli del diavolo…” ridacchiò Kyle.

Perce stavolta fu lesto ad aprire e Lenn e Merlìha, insieme a Lance e Gwen, fecero il loro ingresso nella stanza. Subito dopo, comparvero Louis e Phoenix seguiti da Leon e Lance.

“Tutti insieme?” li sfotté Kyle.

“Ci siamo incontrati giù con Louis e Phoenix” spiegò Lenn con calma, “e abbiamo deciso di salire tutti insieme”.

“E come mai, anche i cavalieri sono al completo?” indagò Gabriel sospettoso.

“Diciamo che sono state delle coincidenze. Erano tutti in nostra compagnia e hanno deciso di venire con noi” spiegò Lenn vago.

“Ma che bella comitiva! A quando la prossima scampagnata?” li sfotté Kyle, con un sorriso sarcastico di chi la sapeva lunga.

“Si organizzano senza di noi, Gabrielino!” finse di piagnucolare e poi sorrise cattivo.

“Non è il momento per parlare di queste cose” gli ricordò Lenn con calma e Merlìha ridacchiò.

“Anche se ti avessimo avvertito, dubito che saresti potuto venire conciato in quel modo!” rispose a tono la Guardiana, guardando l’altro con espressione supponente e portandosi le mani alla vita.

Touché!” esclamò Kyle ridendo.

“Com’è la situazione?” domandò Lenn, provando a riportare la conversazione sull’argomento principale.

“Riproduciamo il potere del pianeta per tirarlo fuori. È sotto la poltrona” spiegò Kyle in maniera spiccia e Lenn annuì.

“Qualche idea su come sia nato?” chiese Merlìha e sia Gabriel sia Kyle scossero la testa.

“Credo che potrebbe rivelarci molto una volta tirato fuori” si espresse Gabriel.

“Indenti dire che potremo interrogarlo, fratello?” chiese ancora Merlìha ma Gabriel scosse la testa pensieroso.

“Non so che tipo di reazione possa avere una volta spostato dal suo luogo di nascita” si espresse dubbioso.

“Sempre se il luogo di nascita è questo” intervenne Kyle serio e Gabriel lo guardò perplesso.

“Come potrebbe un oggetto venuto alla vita da poco teletrasportarsi in un altro luogo?” chiese scettico.

“Non sappiamo quanto sia potente!” gli fece notare Kyle. “E non credo sarà tanto propenso a farsi interrogare” si espresse ancora assottigliando gli occhi in un’espressione attenta.

“Cerchiamo comunque di svegliarlo con cautela. Credo che il suo potere sia ancora addormentato” si espresse Lenn e tutti gli altri annuirono.

Fu proprio in quel momento, che il campanello suonò nuovamente. Tutti i presenti nella stanza si osservarono perplessi.

“Aspetti qualcuno?” domandò Gabriel serio rivolto a Perce, e questi scosse il capo in segno di diniego.

“Allora, può esserci solo una persona dall’altra parte della porta” esclamò Kyle con disappunto, lasciando che le sue labbra assumessero una linea sprezzante mentre osservava tutti i presenti nella stanza.

“Dannazione!” imprecò poi sotto voce. “E adesso, dove li nascondiamo tutti i cavalieri?” domandò ironico.

“C’è anche il Re con Lui” intervenne Louis e Phoenix confermò con il capo.

“Che olfatto!” si complimentò Kyle.

“Io, invece, riesco a sentire l’energia del Diamante Bianco!” esclamò Merlìha. “Il Re deve averlo portato con sé” concluse.

“In effetti, non è l’energia del Diamante Bianco che mi preoccupa” si espresse Kyle, “ma quella del Diamante Nero che sento abbastanza irritato”.

“Lo avverto anch’io!” esclamò Gabriel pensieroso. “Evidentemente, il Re deve aver riconosciuto le varie automobili parcheggiate qui sotto” concluse.

“Quindi, sa già chi c’è in questa stanza” rifletté Lenn. “Per questo è così irritato”.

“Non possiamo farlo entrare in questo stato” sbottò Kyle.

“E come pensi di fermarlo, giunti a questo punto?” rispose Gabriel rabbioso.

Un secondo suono, proveniente dal campanello, li distolse tutti da quel dialogo.

“Non ci resta molta scelta” decise allora Gabriel avanzando verso la porta. “È meglio che sia io ad aprire” si rivolse poi a Perce, guardandolo di sfuggita.

“Prepariamoci ragazzi” fece ironia Kyle, “che la serata sta per finire col botto”.
 

***
 

“Gli oggetti magici sono proprio come le persone: volubili e con un proprio carattere” spiegò Merlino in risposta alle domande di Artù.

Per recarsi a casa di Perce, avevano preso l’automobile di Artù; quella di Merlino, infatti, era troppo vistosa e, dato che non sapevano quanto tempo sarebbero rimasti da Perce, era meglio provare non dare nell’occhio.

“Come mai hai detto che quest’oggetto in particolare è venuto alla vita da poco?” chiese ancora Artù.

“Perché ho avvertito un’anima infantile, proprio come quella di un neonato. Se vi capitasse di sentire un pianto, non avreste problemi a decidere se si tratta di un pianto di un neonato, di bambino più grande oppure di quello di una persona adulta” spiegò con calma, cercando di essere il più esauriente possibile.

Artù, sentendo quelle risposte, non riuscì a trattenere una domanda.

“E la Coppa della Vita?” chiese, al culmine della curiosità.

“Cosa intendete?” domandò Merlino perplesso.

“È un oggetto antico, no?” chiese ancora Artù.

“Direi proprio di sì!” rispose Merlino con ovvietà.

“Che carattere ha?” domandò allora Artù, andando con la memoria a ricordi appartenenti a un’altra vita.

Merlino ridacchiò, forse ripensando anche lui a quando, più di dieci secoli prima, i druidi l’avevano affidata a lui.

“È la madre di tutti gli oggetti” spiegò pacato. “Probabilmente, è venuta al mondo con il mondo stesso, tanto antica quanto saggia. Nessuno stregone l’ha forgiata, è venuta alla vita naturalmente, proprio come l’uomo e le altre forme di vita” concluse.

Artù annuì pensieroso assimilando tutte quelle informazioni, cercando di farne tesoro, e sperando che gli sarebbero potute tornare utili in un futuro prossimo, quando avrebbe imparato
a controllare l’anello.

Rivolgersi all’anello, creando un contatto mentale, era stato facile tanto quanto impugnare la sua spada. Ora che Merlino gli aveva dato quelle informazioni, sapeva inoltre di avere a che fare con un oggetto che aveva proprio carattere e che avrebbe dovuto imparare a conoscere, al fine di poterlo usare con saggezza.

Quello che lo intristì fu, però, il fatto che Merlino non gli avesse dato nessuna informazione su come controllare l’anello. Proprio come dieci secoli prima, lo aveva consegnato e basta.

Sicuramente, non lo riteneva in grado di poterlo controllare né, tantomeno, di poterlo interpellare.

Era molto bassa la considerazione che Merlino aveva di lui in questo secolo e le cose erano molto diverse rispetto a dieci secoli prima quando Artù sapeva che, comunque sarebbero andate le cose, avrebbe avuto la stima del suo fido servitore. Molto spesso, infatti, Merlino lo aveva incoraggiato, forse dandogli più meriti di quanti in realtà ne avesse. Adesso, invece? Cosa rimaneva di quell’amicizia pura e di quella fedeltà incondizionata? Possibile che tutto fosse disperso come cenere al vento?

Artù sapeva che le cose non erano più come allora e sapeva che non c’entrava solo l’anello che Merlino portava al dito.

Erano stati i secoli a fare la differenza. A Camelot, infatti, erano stati l’uno il banco di prova dell’altro, crescendo insieme e fortificandosi a ogni battaglia che si presentava, chi nello spirito, chi nel potere.

Adesso, invece, Merlino aveva più di dieci secoli di vita sulle spalle. Dieci secoli in cui aveva vissuto chissà quante cose e in cui aveva imparato ad amministrare con saggezza il suo potere.

Un potere che, Merlino stesso, aveva scoperto essere infinito.

Chissà come aveva reagito, quando aveva scoperto di essere immortale. Chissà come aveva reagito, quando aveva capito cosa effettivamente il suo potere potesse fare.

E il suo corpo, poi? Quando aveva iniziato a risentire della dualità con cui la natura lo aveva messo al mondo, come aveva reagito?

Artù non conosceva le risposte a tutti quei quesiti. Tuttavia, sapeva per certo che Merlino, alla scoperta di tutte queste cose, doveva aver avuto paura. Una paura tanto grande da sentirsi schiacciato. Doveva aver provato la disperazione di chi non ha scampo.

Nel secolo attuale, non erano più coetanei; nel secolo attuale, Merlino era un uomo fatto e finito che sapeva esattamente qual era il suo scopo nel mondo.

Era per questo, forse, che non aveva ritenuto opportuno spiegargli nulla. Probabilmente, pensava che l’anello, fra qualche decennio, sarebbe ritornato da lui.

Fu in quel momento che ad Artù apparve la verità chiara nella mente: Merlino lo riteneva un piccolo uomo mortale.

Fu in quel momento che Artù capì che Merlino non aveva idea di come il suo Re fosse tornato.

E la cosa pazzesca era che Merlino non poteva essere all’oscuro di una cosa così importante, una cosa di cui erano a conoscenza anche i suoi fidati amici, i suoi cavalieri.

Tutto faceva parte di un unico dialogo avuto con la Dama, quando lei, accingendosi a compiere l’incanto che lo avrebbe ricongiunto al suo corpo originario, gli aveva chiesto come avesse intenzione di tornare.

Artù sapeva che per gli altri cavalieri non era stato lo stesso. Ne avevano parlato spesso in passato fra loro e nessuno di loro aveva chiaro come sarebbe scattato il processo di immortalità una volta che il Re si fosse ricongiunto al suo corpo originario. Tuttavia, era chiaro a tutti che lui, Antico Re di Camelot, aveva potuto scegliere. E aveva scelto l’immortalità.

Sapevano tutti che il Re sarebbe tornato con uno scopo fondamentale: ricongiungersi alla sua parte mancante.

D’altro canto, le basi storiche che avevano posto i Guardiani stessi, quando si erano occupati di Camelot, servivano proprio a questo scopo. Tutte le profezie, tutte le scelte effettuate, servivano ad adempiere un’unica grande verità, servivano a un unico e solo scopo: fare in modo che le due facce della stessa medaglia si ricongiungessero per sempre.

Anche i cavalieri erano a conoscenza di questo particolare e, da veri e unici cavalieri di Camelot, avevano scelto di tornare per onorare il giuramento fatto in un’altra vita.

Solo in quel momento, Artù si rese conto che Merlino era all’oscuro di tutto questo. Inoltre, gli tornò alla mente un particolare di quando l’altro aveva localizzato l’oggetto tramite la cartina.

“Non sapevi dove abitava Perce, vero?” chiese Artù guardando con attenzione la strada ma scrutando di sottecchi la persona che gli era accanto.

“Non ne avevo idea” rispose Merlino con una semplicità agghiacciante. “I Guardiani si sono sempre occupati di voi, non io” concluse, ammettendo una verità più tagliente di una lama con la stessa leggerezza di chi parla del tempo.

Proprio come un fastidioso oggetto, allo stesso modo, Merlino aveva delegato la questione del loro ritorno ad altri, non avendo intenzione di averci nulla a che fare.

Artù sospirò pesantemente decidendo di rimanere in silenzio per valutare meglio la situazione.

Solo facendo un sunto, forse, avrebbe trovato una linea di condotta coerente da poter adottare.

D’altro canto, tutto si era aspettato al suo ritorno, tranne questo. Sapeva che avrebbe trovato un Merlino potente. Sapeva che avrebbe accompagnato un essere immortale, scegliendo a sua volta l’immortalità. Sapeva anche che, questa immortalità, gli era dovuta tanto quanto era dovuta all’altro, essendo loro due parti di una stessa anima. Per questo, per lui c’era stata un’eccezione. In fondo, era abbastanza logico che due parti di una stessa cosa dovessero essere uguali anche negli opposti. Due immagini speculari.

E se Merlino era immortale, come non poteva essere lo stesso anche per lui?

Come avrebbe potuto accompagnare un essere immortale se per lui non fosse stato lo stesso?

Inoltre, sapeva anche perché era stata necessaria una preparazione ad Avalon; come avrebbe potuto, infatti, comprendere questi difficili concetti quando era agli albori della sua prima vita?

Però, quello che non si aspettava era l’indifferenza di Merlino verso di lui. Si era aspettato odio, rabbia, ironia ma non indifferenza. Inoltre, non si era aspettato che Merlino fosse all’oscuro della sua situazione.

No! Quello era stato veramente inaspettato!

Però, non ne faceva una colpa dell’altro. Per Merlino, questi dieci secoli, dovevano essere stati insostenibili da vivere in un corpo mortale. Un corpo fragile!

Non come lui che, sotto forma di energia, si era preparato, soffrendo per la separazione dall’altro e vivendo nell’attesa di ricongiungersi alla sua metà.

Artù, inoltre, si rendeva conto di dover affrontare al più presto questi argomenti con Merlino stesso. E, fra le altre cose, anche fare i conti con l’anello che Merlino portava.

Era stata una scoperta sconcertante sapere che Merlino realmente credeva che lui sarebbe nuovamente morto. Cosa diamine era tornato a fare, allora, se la morte lo avrebbe nuovamente separato dall’altro?

Sbuffò, stringendo con più rabbia del dovuto il volante e provando a tenere a freno la lingua.

Passasse il fatto che Merlino, sotto l’influenza dell’anello, provasse odio nei suoi confronti.

Passasse il fatto che le condizioni in cui riversava il corpo dell’altro gli fossero ancora precluse, dato che nessuno si era ancora degnato di dirgli quali fossero i reali problemi di salute di Merlino.

Ma che l’altro fosse totalmente ignorante sull’incanto che era stato eseguito per il suo ritorno, beh, su questo, Artù non poteva passarci sopra.

Tuttavia, sapeva anche di doversi trattenere. Per il momento, dovevano risolvere la situazione a casa di Perce, qualunque essa fosse. Poi, Artù avrebbe agito.

Accostò, ringraziando mentalmente di essere arrivato.

“Siamo arrivati!” esclamò, con voce più dura di quanto volesse.

Merlino se ne accorse e lo guardò perplesso.

“Siete rimasto lunatico, a quanto vedo” lo sfotté scendendo dalla macchina.

“Bene, c’è anche Gabriel! Quella è la sua automobile”.

Artù annuì e osservò le altre macchine parcheggiate.

“Ci sono anche Gwaine, Leon e Lance. Quelle sono le loro automobili” esclamò.

“E cosa diamine ci fanno qui?” chiese sospettoso l’altro.

“Non ne ho idea!” scosse il capo Artù.

Merlino sogghignò, prima di sospirare.

“Ma che bella riunione di amici di vecchia data” sbottò duro e Artù notò quanto i lineamenti dell’altro si fossero induriti a quella frase.

Ringraziò mentalmente la presenza di Gabriel. Non aveva dimenticato, infatti, quanto Merlino faticasse a mantenere lucidità in sua presenza.

Non aveva dimenticato l’energia che il diamante nero aveva sprigionato, quando Merlino era stato provocato.

La prova era il repentino cambio d’umore che l’altro aveva avuto.

Si appellò al Diamante Bianco, nella tasca della sua giacca e seguì velocemente l’altro che, senza una parola, si era avviato per recarsi da Perce.

Solo il Diamante, infatti, avrebbe potuto aiutare Merlino a mantenere lucidità in presenza di tutti loro.

Salirono le scale in silenzio, il più velocemente possibile e Artù non faticò a notare il modo in cui l’altro aveva aperto il portone d’ingresso.

L’avrebbe notato anche un cieco dato che si era spalancato con forza, una volta che Merlino si era avviato verso l’abitazione di Perce.

Artù non poteva lasciare che la rabbia di Merlino prendesse il sopravvento. Fu per questo che lo affiancò, tenendosi pronto a qualsiasi evenienza.

Ora toccava a lui salvare l’altro e non si sarebbe tirato indietro. Per nessuna ragione al mondo.
 

Continua…
 

Note:
 

In questo capitolo, spiego meglio cosa rappresentano Louis e Phoenix anche se l’argomento sarà approfondito meglio nei capitoli più avanti.

Inoltre si scopre anche un’informazione fondamentale sul corpo di Artù e su come Artù abbia deciso di ritornare. Spero di avervi un po’ sorpreso con questo colpo di scena anche se comunque, anche questo argomento, sarà approfondito nei capitoli più avanti. L’immortalità del
Re, e quindi questa svolta nella storia, viene anche menzionata da Gabriel nel capitolo 33.

Come sempre, attendo ansiosa i vostri commenti. Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate.
 
Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Pandora86
 

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Capitolo 57
*** Capitolo 57. Insieme... Fino alla fine dei tempi ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 

Capitolo 57. Insieme… Fino alla fine dei tempi.
 

“Finalmente!” esclamò Merlino quando Gabriel gli aprì la porta. “Cominciavo a credere che volessi rimanermi fuori. Posso?” e fece un passo per entrare.

Gabriel fu lesto a sbarrargli la strada, ponendo il braccio sullo stipite della porta.

Merlino lo guardò perplesso ma aspettò che il Guardiano lo delucidasse di sua iniziativa sul suo comportamento.

“In effetti, sarebbe stato meglio che tu non fossi venuto affatto” gli spiegò Gabriel.

“Ci siamo noi e siamo al completo” aggiunse, sapendo che Merlino avrebbe capito.

“Siete venuti tutti con la tua automobile?” chiese perplesso il Mago.

“Diciamo che gli altri hanno usato dei passaggi!” spiegò evasivo Gabriel ben sapendo però che, in ogni caso, a Merlino queste informazioni vaghe non sarebbero bastate.

“Che cosa vuoi dire, esattamente?” chiese, infatti, Merlino sospettoso inarcando le sopracciglia.

“Voglio dire che dentro ci sono anche i cavalieri al completo, regina compresa” andò dritto al punto Gabriel cui non era mai piaciuto fare giri di parole inutili.

Lo sguardo di Merlino si incupì e Artù, che aveva preferito rimanere in silenzio durante quello scambio di battute, notò come si fosse irrigidito con il corpo, quasi come se stesse preparandosi a una battaglia.

Il cambio di umore di Merlino era stato repentino e Artù si rese conto non era pronto ad affrontare un oggetto magico sconosciuto e, al contempo, affrontare tutti loro tenendo a bada il Diamante Nero.

Camelot era ancora viva dentro di lui, bruciando di rabbia nel suo animo, e i tempi in cui si sarebbero potuti vedere tutti, conversando amabilmente, non erano ancora giunti.

Artù sentì un moto di rabbia crescergli dentro mentre osservava l’altro trattenere a stento la collera.

Perché una serata così tranquilla doveva finire in una catastrofe?

E che diamine ci facevano tutti riuniti a casa di Perce?

“Che diamine ci fanno tutti qui?” non riuscì a fare a meno d’intromettersi, dando voce ai suoi pensieri.

Sia Gabriel che Merlino lo guardarono, il primo con aria seria e calcolatrice, il secondo con sguardo perplesso.

“Come ho detto, gli incontri verificatisi in questa casa sono stati dettati da eventi del tutto casuali” spiegò con tono spiccio in Guardiano mentre lo osservava con occhi attenti.

Merlino, invece, ridacchiò piano.

“Non farci caso, Gabriel” disse, ridendo ancora. “Il Re non ha mai sopportato essere all’oscuro delle cose, anche di quelle più banali” e sorrise furbo.

Gabriel scrutò Merlino per un lungo istante decidendo poi di togliere la mano e, con un cenno della testa, lo invitò a entrare. Nel frattempo, con la sua mente pratica, analizzò velocemente la situazione.

Al Re non era sfuggito il nervosismo di Merlino. D’altro canto, la collera del Mago, che rischiava di esplodere da un momento all’altro, era stata immediatamente sedata dalle parole del Re.

Merlino aveva repentinamente cambiato umore, ritrovando lucidità e contrastando, con efficacia, l’influenza negativa del Diamante Nero.

Camelot e i suoi cavalieri non erano più una minaccia per le condizioni psicologiche del Mago.

Sì! Senza dubbio, con il Re al suo fianco, Merlino non correva nessun pericolo.

“Ti faccio strada!” esclamò poi, invitando l’altro a seguirlo.

Fu allora che Merlino mise piede nel salotto di casa di Perce. Fu allora che i cavalieri di Camelot comparvero, uno a uno, davanti ai suoi occhi nelle loro vesti moderne, non più nascosti dalla porta semi socchiusa.

Durò tutto un istante che però sembrò eterno. Artù, che era di spalle dell’altro, chiuse velocemente la porta non staccando gli occhi dalla schiena del Mago e pregando, con tutto se stesso, che riuscisse a gestire quella situazione serenamente e senza scatti d’ira.

Non sapeva quasi nulla sulle condizioni di salute di Merlino tuttavia, era evidente che quella situazione gli procurasse molta sofferenza, soprattutto a livello psicologico.

E Artù non voleva che Merlino si facesse ancora del male. Non voleva che Merlino sentisse ancora dolore.

Con tutte le sue forze, si appellò al Diamante Bianco nella sua tasca, pregando che all’altro fosse risparmiata quell’ennesima prova.

Fu naturale come respirare interagire con il Diamante Bianco e, allo stesso modo, la reazione della pietra non si fece attendere, quasi come se trovasse naturale rispondere agli appelli del suo padrone originario.

Artù sentì il familiare calore invadergli il corpo, un calore che avrebbe potuto toccare con mano tanto era reale e vivo, e si rasserenò.

Non gli interessava un accidente di quello che stava avvenendo a casa di Perce; il suo unico pensiero era aiutare la sua metà.

Vide Gabriel guardarlo con attenzione e capì che il Guardiano doveva aver intuito cosa stesse avvenendo.

Ne ebbe la conferma quando Gabriel gli fece un veloce cenno di assenso con la testa. Il Guardiano non doveva aver faticato ad avvertire l’energia del Diamante Bianco e fu lieto di questa notizia. Se i Guardiani avvertivano l’energia dell’anello, allora voleva dire che lo stava usando nel modo giusto.

Per il momento, comunque, Merlino, anche se era di spalle, sembrava più rilassato.

Artù riusciva a scorgere, anche attraverso la camicia, i muscoli delle spalle che sembravano meno rigidi e, nonostante fosse entrato in quella casa con il piede di guerra, ora sembrava nuovamente concentrato sul motivo della loro presenza lì.

“Che diamine ti è successo?”.

La voce di Merlino lo riscosse dalle sue riflessioni. Vide il Mago avvicinarsi a Kyle con aria preoccupata.

“Una piccola rissa” rispose Kyle con un sorriso sghembo.

“Piccola?” si accigliò Merlino.

“Non farne un dramma” scherzò Kyle.

Merlino sospirò pesantemente.

“Sappi che dovrai spiegarmi tutto” lo minacciò, puntando l’indice contro di lui.

“Agli ordini, capo” rispose l’altro allegramente, “sempre se avrai tempo, dopo” e fece l’occhiolino al Re senza che Merlino se ne accorgesse.

Artù scosse la testa, avendo la conferma che non era solo Gabriel a essersi accorto dell’energia del Diamante Bianco ma tutti i Guardiani al completo, creature comprese, e sorrise.

Quello che credeva un nemico, in realtà, era colui che lo aveva indirizzato sulla via giusta.

Quello che credeva un nemico, in realtà, era quello che gli aveva servito Merlino su un piatto d’argento.

In quel momento, si rese conto ancora di più di cosa significasse essere dei Guardiani. In quel momento, si rese conto dell’intelletto superiore dei quattro Guardiani che avevano accompagnato Merlino nella storia.

Kyle, comprendendo appieno il suo carattere, aveva massimizzato i suoi sentimenti. Sentimenti che poi avevano influito decisivamente sul rapporto che ora aveva con il Mago, aiutandolo a utilizzare il Diamante Bianco nel modo giusto.

Kyle doveva aver previsto che Merlino gli avrebbe consegnato la pietra senza spiegargli nulla e si era quindi regolato di conseguenza, fornendo lui stesso l’aiuto necessario senza che Artù stesso se ne rendesse conto.

Merlino, nel frattempo, aveva scosso la testa, soprassedendo alle battute di Kyle. Dal suo atteggiamento, si intuiva che doveva esserci abituato.

Artù si perse un attimo a osservare i presenti nella stanza, notando come tutti loro sembrassero calamitati da un unico componente: Merlino.

I cavalieri e Ginevra lo guardavano con il fiato sospeso, osservando quello che il Mago era diventato. Osservando Merlino nel pieno del suo potere e non riuscendo a staccare lo sguardo da lui.

I Guardiani e le creature, invece, riservavano a Merlino uno sguardo carico d’affetto e di stima.

Fu in quel momento che Artù si sentì parte di un unico essere, come se tutti loro fossero destinati a stare insieme, fino alla fine dei tempi.

Si sentì come se tutti facessero parte di un grande disegno che finalmente andava a compimento.

Gli equilibri che si risanavano, dopo secoli di crepe.

Durò un attimo ma Artù si sentì leggero e senza gravità. Un veloce capogiro lo colse, tanto rapido da sembrare frutto dell’immaginazione.

Tuttavia, qualcosa era avvenuto, dato che il Diamante Bianco ruggiva nella sua tasca, con un’energia potente e viva.

Anche Merlino dovette avvertire qualcosa poiché si voltò perplesso verso di lui.

Si fissarono negli occhi per un istante che sembrò eterno e poi Artù vide Merlino sospirare.
Tuttavia, sembrava finalmente essersi accorto di quello che il Re era in grado di fare.  in ogni caso, Artù sapeva anche che Merlino non avrebbe toccato l’argomento, almeno non in quel momento. E, infatti, la successiva frase di Merlino confermò la sua ipotesi.

“Bene!” esclamò il Mago. “Adesso, veniamo al motivo del nostro, non voluto, incontro”.

“Abbiamo già individuato l’oggetto” esclamò Gabriel.

“Sotto la poltrona” annuì Merlino con sicurezza e Gabriel confermò.

“Inoltre, non sembra malvagio” aggiunse il Guardiano e Merlino annuì ancora.

“Non ha neanche due giorni di vita” esclamò poi il Mago dopo un istante di riflessione e gli altri annuirono.

“Lo tiro fuori” concluse deciso. “Mettetevi a scudo davanti a tutti!” e indicò con il capo i componenti presenti nella stanza.

“Agli ordini, Grande Capo” sghignazzò Kyle alzandosi dal bracciolo del divano sul quale si era seduto. “Mettetevi tutti davanti alla porta con le spalle al muro, in una fila ordinata” ordinò con voce dura in Guardiano biondo. “Questo vale anche per te” esclamò rivolto a Gwaine che gli era andato incontro nel momento esatto in cui Kyle si era alzato, sorreggendolo con le sue braccia.
Gwaine provò a ribattere qualcosa ma non fece in tempo dato che Lenn si avvicinò a loro, aiutando Kyle a stare in piedi.

“Fa quello che dice” consigliò Lenn gentile e Gwaine lasciò andare Kyle per avvicinarsi al resto del gruppo, ma solo quando si fu assicurato che le braccia di Lenn avessero circondato Kyle con forza.

Merlino seguì quegli strani movimenti con uno sguardo perplesso e sospettoso ma non disse nulla e Artù, che aveva occhi soltanto per lui, non faticò a cogliere i suoi pensieri.

Merlino non solo non voleva avere contatti con loro e questo era chiaro a tutti. Dal suo sguardo, inoltre, si deduceva che non gradisse neanche dei contatti ravvicinati tra i membri del suo gruppo e quello del Re, quasi come se nella sua testa avesse creato delle fazioni opposte.

Fazioni nemiche.

Inoltre, sembrava anche molto perplesso sulla familiarità che Kyle e Gwaine avevano manifestato tra loro. Tuttavia, aveva soprassieduto per il bene comune. Tuttavia Artù sapeva anche che non avrebbe lasciato correre e che quello era uno dei tanti argomenti da affrontare.

Nel frattempo, mentre era perso in questi pensieri, Artù osservò il resto dei componenti fare quanto Kyle aveva detto e cercò, con lo sguardo, Gabriel. Era opportuno che anche lui si allontanasse dal Mago? Certo, si trattava di rimanere comunque nella stessa stanza ma, se si fosse allontanato troppo, il potere Diamante Bianco avrebbe perso efficacia?

Era vero che, da quel che aveva capito, si trattava di un oggetto dal potere immenso e, infatti, il problema non era il diamante ma lui stesso. Sarebbe riuscito a usarlo bene, se si fosse allontanato troppo dal Mago?

Cercò di far trapelare tutte queste domande dal suo sguardo sperando che Gabriel capisse e così fu.

Il potere del Diamante è grande e anche tu lo stai usando bene.

Artù sussultò appena e poi, osservando Gabriel, capì quello che stava avvenendo. Il Guardiano gli aveva mandato un messaggio telepatico facendo in modo che Merlino non se ne accorgesse.

Lo si deduceva dal fatto che aveva chiuso gli occhi, anche se aveva mascherato il gesto come segno di riflessione, portandosi il pollice e l’indice agli occhi mentre se li massaggiava.

Vai con il resto del gruppo ma rimani un passo avanti, mettendosi al centro tra tutti loro.

Un altro messaggio che evidentemente, anche gli altri Guardiani e le creature dovevano aver sentito, almeno a giudicare dal loro sguardo.

Probabilmente, Gabriel si stava concentrando affinché solo Merlino fosse isolato dal suo potere, non curandosi degli altri.

Fece quanto richiesto e si mise in attesa.

Merlino volse uno sguardo verso di loro scrutandoli attentamente.

“Ma che bella riproduzione della tavola rotonda” esclamò con voce sprezzante.

“Volete della legna?” domandò poi. “Caso mai vi venisse voglia di riprodurre un rogo” disse cattivo per poi girarsi e fare un cenno agli altri, invitandoli a mettersi in posizione.

Alle sue parole, Artù vide Gwaine fare un passo avanti per protestare e lo trattenne con un braccio.

“Non è il momento” sussurrò severo e Gwaine, controvoglia, ritornò al suo posto.

“Poi mi spieghi che cazzo gli succede” sussurrò, rivolto ad Artù.

“Sai una cosa, Gwaine?” non poté fare a meno di rispondere il Re. “Avresti già dovuto capirlo da un pezzo” e non aggiunse altro.

Nel frattempo, i Guardiani si erano mossi, mettendosi davanti a loro di qualche passo mentre le creature si erano posizionate ai due estremi della fila, a metà fra i cavalieri e i Guardiani.

Merlino, vedendo che tutti erano in posizione, avanzò lentamente verso la poltrona.

Si inginocchiò lentamente e con fatica. I movimenti erano stati più lenti rispetto a quelli di una persona normale e questo particolare non sfuggì all’occhio attento di Artù che non aspettava altro di scorgere, sul corpo del Mago, i reali sintomi della sua vecchiaia millenaria.

Perché se la cautela con cui si era mosso poteva essere giustificata – probabilmente, non voleva scatenare il potere dell’oggetto sconosciuto – la fatica che aveva impiegato nel fare quei movimenti non aveva scusanti.

Merlino sembrava aver provato dolore nell’inginocchiarsi e Artù iniziò a comprendere, seppur lentamente, cosa volesse significare vivere in corpo fragile. Aveva ancora troppi pochi elementi per stilare un’ipotesi degna di questo nome tuttavia, quel piccolo particolare in più, lo fece gioire. Che Merlino lo volesse oppure no, si stavano avvicinando sempre più. Il loro legame non poteva più essere ignorato e, in quel momento, Artù si sentì ottimista perché presto, molto presto, si sarebbe ricongiunto alla sua parte mancante di anima.

Merlino, nel frattempo, totalmente ignaro dei pensieri del Re, era rimasto alcuni minuti in silenzio, prima di tendere una mano verso la poltrona, portando il palmo verso l’alto.

“Non aver paura” disse con voce dolce, “e mostrati a me!” ordinò, mantenendo però lo stesso tono.

Accadde in un attimo e tutti videro una luce bianca, grande all’incirca quanto una pallina da golf, comparire nella mano del Mago.

Piccole scintille iniziarono a vorticare veloci intorno alla luce e, poco alla volta, la luce cambiò colore divenendo di un rosso intenso.

Poco alla volta, un oggetto prese forma solida materializzandosi nella mano di Merlino che lo scrutava attento: un rubino rosso a forma di cuore.

La luce sparì e l’oggetto smise di scintillare. Merlino lo osservò perplesso per un attimo e poi annuì, alzandosi e mostrando il palmo ai Guardiani.

“Non c’è nessun pericolo” disse pensieroso.

“È insolito, però!” esclamò Gabriel.

“Di fatto, avevo ragione io” s’intromise Kyle. “Non è questo il suo luogo di nascita”.

“Non è questo il luogo di nascita della sua forma solida. Della sua essenza magica sì, pero” lo corresse Merlino pensieroso.

“Come si spiega una cosa del genere?” domandò Merlìha.

“Qualcosa deve essere avvenuto in questa casa” esclamò allora Merlino.

“Che intendi?” chiese Lenn.

“Scusate” s’intromise Gwaine. “Possiamo sapere, anche noi, cosa diamine sta succedendo?” domandò burbero e Artù lo fulminò con lo sguardo.

Merlino ridacchiò.

“Come se tu potessi capire” rispose poi duro, cambiando repentinamente espressione.

“Beh, almeno provaci!” non si arrese il cavaliere.

Era il primo contatto visivo tra loro due in quel tempo e Gwaine poteva giurare di non aver mai visto un’espressione più dura.

Quello non era il Merlino che conosceva ma un estraneo che aveva le sue fattezze.

“Adesso basta, Gwaine!” s’intromise Artù, stringendo con forza il braccio di Gwaine. L’ira sul suo volto era evidente e Gwaine deglutì istintivamente di fronte agli occhi del suo Re fiammeggianti di rabbia.

Inoltre, anche la forza con cui gli stringeva il braccio non accennava a diminuire e Gwaine considerò che gli sarebbe rimasto il livido.

La risata di Merlino li distrasse entrambi ma il Re comunque non lo lasciò andare. Sembrava pronto a buttarlo fuori dalla stanza da un momento all’altro e senza mezzi termini, per giunta.

“Non c’è problema” disse il Mago sorridendo sereno e a nessuno nella stanza sfuggì il repentino cambio d’umore avvenuto in Merlino.

La sua espressione sembrava tornata solare come quella di un tempo e il tono con cui si era espresso era gioviale e amichevole.

Era finalmente chiaro a tutti l’effetto che il Re aveva su Merlino e, nel giro di pochi istanti, l’ansia che si era accumulata nei cuori di tutti loro, quando Gwaine aveva sfidato Merlino, si dissolse.

“Sappiate però che non intendo ripetermi più di una volta” disse nel frattempo Merlino, totalmente all’oscuro di tutte le sensazioni che aveva scatenato nei cuori delle persone che lo circondavano. “Quindi, ascoltate bene!” e si accomodò in poltrona invitando tutti i presenti nella stanza, con un cenno della mano, a mettersi comodi.

Gabriel affiancò il Mago, sedendosi sul bracciolo destro della poltrona, e Merlìha si accomodò a terra, accanto al fratello. Kyle, sostenuto da Lenn, si accomodò sull’altro bracciolo e Lenn rimase in piedi accanto a lui.

Louis e Phoenix si avvicinarono, andando a loro volta ad affiancare Merlìha sul pavimento.

Artù, osservando le loro disposizioni, con Merlino al centro seduto elegantemente, ebbe l’impressione di trovarsi dinanzi a un bellissimo ritratto.

Sentì Gwaine che si allontanava dalla sua presa e, prima di lasciarlo andare, si avvicinò al suo orecchio per sussurrargli un ultimo avvertimento.

“Bada bene a quello che fai, idiota!” disse sottovoce con un tono che avrebbe intimorito chiunque, “e sappi che, dopo, faremo i conti” e lo lasciò andare, avvicinandosi alla poltrona di fronte a quella dove era seduto Merlino; la stessa dalla quale il mago aveva estratto l’oggetto.

Lo guardò, chiedendo, senza parlare, il permesso di sedersi. Non sapeva, infatti, se quella poltrona dovesse rimanere vuota, visto l’oggetto che Merlino aveva estratto da sotto di essa.

Merlino annuì, invitandolo a sedersi senza farsi troppi problemi e Artù non se lo fece ripetere due volte.

Seguendo l’esempio del Re, anche i cavalieri e la regina si mossero, accomodandosi ordinatamente, chi sul divano, chi sul pavimento.

“Bene!” parlò Merlino una volta che tutti si misero comodi.

“Suppongo di dovervi spiegare molte cose” e incrociò le braccia.

Sarebbe stata una lunga serata, considerò dentro di sé il Mago, e ancora più lunghe sarebbero state le spiegazioni.

Tuttavia, quello che però più desiderava in quel momento, anche se non l’avrebbe mai ammesso, erano gli occhi del Re puntati su di lui che sembravano volergli trasmettere tutta la sua forza.

Gli occhi del Re che non lo abbandonavano e che rappresentavano la pace che Merlino cercava da secoli.

Quegli occhi che lo fissavano e dai quali avvertiva calma. Ci sarebbe stato tempo per analizzare e catalogare tutte quelle sensazioni. Per il momento, voleva che quegli occhi lo guardassero ancora.

Occhi che lo cercavano ansiosamente e che non lo avrebbero lasciato andare. Proprio come una mano che, dopo secoli, si tendeva per salvarlo dal baratro della pazzia.
 

Continua…
 

Note:
 

Finalmente, siamo giunti a giovedì sera, quando tutti si incontrano. Ovviamente, i pensieri di Merlino, di cui do un veloce accenno alla fine, saranno ripresi, insieme a quelli di tutti gli altri.

In questo capitolo, mi concentro sul Re, che riesce a intuire un dato fondamentale per la ricostruzione degli equilibri.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Come sempre, attendo ansiosa i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Al prossimo aggiornamento.

Pandora86

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Capitolo 58
*** Capitolo 58. Paura ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
 
Capitolo 58. Paura
 
Merlino attese che tutti fossero comodi prima di cominciare a parlare.

Accavallò le gambe, estraendo dalla tasca del pantalone un pacchetto di sigarette, e andò a massaggiarsi gli occhi.

Nessuno fece pressioni per spingerlo a parlare; era evidente, infatti, che stesse provando a raccogliere le idee per essere il più esauriente possibile.

“Come ho già detto” esordì lentamente, aspirando dalla sigaretta, “questa pietra ha pochi giorni di vita” e si interruppe, pensando a quale fosse il modo migliore per esprimersi.

“Quello che invece non vi ho detto, è che questa pietra ha una natura uguale a quella dei nostri anelli. In pratica, proviene da un cristallo” e li scrutò attentamente nell’attesa di eventuali domande.

Domande che però non ci furono. Nessuno, infatti, osava interromperlo, nessuno osava parlare, nonostante quella rivelazione avesse sconvolto tutti loro.

“Sinceramente, non so dove sia nata la sua forma solida. Fatto sta, che la sua essenza magica è
nata in questa casa, richiamando poi a sé la forma solida” continuò. “Ora, vorrei sapere esattamente cosa è avvenuto in questa casa” esclamò, fissando Gabriel alla sua destra.

“Perché credi sia avvenuto qualcosa di particolare?” chiese il Guardiano scuotendo la testa.

“Perché, in quell’angolo, c’è la tua borsa da viaggio, Gabriel” gli fece notare Merlino sereno. Il tono non era di rimprovero ma di rammarico. Rammarico verso gli avvenimenti che sembrava essersi perso negli ultimi giorni.

D’altro canto, quando i secoli passavano, si tendeva a vivere distanti ma anche in simbiosi.

Nessuno entrava nella privacy dell’altro ma tutti erano a conoscenza degli avvenimenti importanti.

Si muovevano insieme, senza indugi e rimanendo tutti sullo stesso piano. Nessuno superava un altro e nessuno veniva lasciato indietro. Erano come un unico essere, destinati a stare insieme fino alla fine dei tempi.

Gabriel portò lo sguardo a suddetta borsa sospirando pesantemente e Perce arrossì al ricordo del tempo trascorso con il Guardiano.

Guardò Gabriel e poi distolse lo sguardo sentendosi in colpa, anche se, in fondo, non aveva fatto nulla di male. Era evidente, però, che Merlino non fosse a conoscenza degli avvenimenti degli ultimi giorni e, se adesso interrogava Gabriel, chiedendo spiegazioni, la colpa era anche sua che non aveva avuto il coraggio di mettere da parte gli oggetti del Guardiano in attesa che qualcuno venisse a recuperarli, come aveva affermato Gabriel stesso.

Non aveva avuto il coraggio di mettere quella borsa in un angolo dimenticato della casa. Aveva preferito lasciarla accanto all’ingresso nella speranza che il Guardiano sarebbe tornato. Tuttavia, sapeva di non poter dire quelle cose. Raccontare quello che c’era stato, avrebbe implicato dire altro, molto altro, e Perce sapeva che non erano lì per parlare delle cose avvenute tra lui e Gabriel.

Inoltre, in quel particolare caso, anche se avesse voluto parlare sapeva, in realtà, di non poterlo fare; Merlino aveva chiaramente interpellato Gabriel e Perce, non essendo impulsivo come Gwaine, preferì stare zitto.

Tuttavia, sentì il rammarico crescere per quella situazione assurda; sapeva che Gabriel non lo avrebbe messo in alcun modo in imbarazzo rivelando la vera discussione che c’era stata tra loro e, infatti, non era questo a preoccuparlo.

Anzi, a dirla tutta, quel pensiero non lo aveva minimamente sfiorato. Gabriel era troppo superiore a quelle banalità per mettersi a fare pettegolezzi. Non avrebbe trasformato un incontro tra tutti loro in una telenovela di quart’ordine. Tuttavia, nonostante questa garanzia, il rammarico non scompariva ma aumentava al pensiero di aver messo il Guardiano in quella situazione. Era stato lui, Perce, a cominciare e a infastidirlo con le sue assurde pretese. Era stato lui, Perce, a rendere intollerabile la loro convivenza. In effetti, era stato un record quello di riuscire a infastidire così tanto Gabriel in appena poche ore.

Gabriel intanto, all’oscuro delle riflessioni di Perce, portò lo sguardo a suddetta borsa, rimproverandosi mentalmente; se ne era completamente dimenticato!

D’altro canto, il pensiero del cavaliere, e della discussione avvenuta tra loro, era così penetrante da non lasciarlo in pace per un solo istante.

Il pensiero di aver perso la calma, il pensiero di essersi fatto odiare, nonostante lo avesse ritenuto necessario, faceva male, troppo male.

Anche in quel momento, il cavaliere, prima di distogliere lo sguardo, lo aveva guardato con rammarico.

Rammarico per cosa, era evidente; probabilmente, il ricordo delle loro ultime ore era stato così disastroso da fargli provare un ovvio rifiuto verso il Guardiano e tutto quello che rappresentava.

Evidentemente, mal tollerava il fatto che Merlino avesse scoperto che ci fossero stati dei contatti ravvicinati tra loro. Evidentemente, Gabriel si era fatto odiare così tanto da rendere intollerabile la sua presenza per l’altro. Inoltre, con quello sguardo, lo rimproverava per la sua mancanza e per non aver fatto scomparire immediatamente da quella casa i suoi oggetti personali.

Stranamente, a salvarli da quella situazione d’imbarazzo fu l’ultima persona che ci si aspettava potesse intervenire.

“Colpa mia, capo” esclamò Kyle ridendo.

“Quando mi hanno pestato ero, casualmente, vicino alla casa di uno dei cavalieri: Gwaine, per l’esattezza. Dato che suddetto cavaliere non ha una casa adatta a ospitare qualcuno, Gabriel si è dovuto adattare a questa situazione di fortuna” spiegò succintamente non rinunciando al sorriso.

Merlino scosse la testa con disapprovazione.

“Se lo avessi saputo, avremmo potuto decidere diversamente” fece notare con tono polemico.

“Se lo avessi saputo” ribatté prontamente Kyle, “ti saresti preoccupato inutilmente e, sinceramente, non mi piace la tua versione mamma – chioccia”.

“Stai dicendo che sono asfissiante?” chiese Merlino aggrottando la fronte.

“Sto dicendo che sei ansioso” non si perse d’animo Kyle.

Merlino sospirò, ma non disse nulla.

“E comunque” aggiunse il Mago dopo alcuni istanti, “non è solo questo il problema. Anche non tenendo conto di quello che mi hai detto, credo comunque che qualcosa, in questa casa, debba essere avvenuto. Qualcosa legato a Gabriel, dato che questa pietra ha l’essenza del fuoco. La pietra, infatti, è un rubino purissimo. E noi sappiamo che non esiste una pietra uguale a un’altra per essenza” concluse, incrociando le mani sotto il mento.

“È come se fosse un’altra versione dell’anello di Gabriel” esclamò Merlìha pensierosa. “Quello che non capisco, è come possa essere successo. Non è mai capitato, infatti, che una pietra dividesse il suo potere in più oggetti”.

“La mia pietra non ha diviso il suo potere, sorella” la riprese severamente il fratello, “altrimenti, me ne sarei accorto”.

“Vero!” confermò Merlino. “Il potere del rubino è ancora lì, intatto nel tuo anello. Inoltre, una tale divisione sarebbe stata avvertita anche da noi. Quelle che invece abbiamo avvertito, è stato semplicemente il risveglio della pietra, non una spaccatura di potere da parte dell’anello di uno di noi”.

“Se fosse avvenuta una simile spaccatura” ci tenne a precisare Kyle, “dubito che il mondo ne sarebbe uscito senza catastrofi, visto e considerato che si tratta di uno degli elementi principali”.

“Il fuoco sicuramente avrebbe scatenato qualche calamità” costatò Phoenix scuotendo i suoi lunghi capelli.

“Ma allora perché hai parlato di divisione?” chiese Merlìha perplessa rivolgendosi a Merlino.

“Non ha parlato di divisione” intervenne Lenn, “ma di estensione, il che è totalmente diverso”.

“Il rubino di Gabriel ha generato un’altra pietra. È insolito, ma non improbabile” aggiunse Kyle rivolgendosi alla Guardiana. “Questo spiegherebbe anche la potenza dell’altro rubino, nonostante abbia appena pochi giorni di vita”.

“È quindi certo che i due rubini abbiano la stessa struttura molecolare?” chiese Phoenix.

“Sì, su questo non c’è alcun dubbio” confermò Merlino e poi si rivolse hai cavalieri. “Solo perché due pietre appartengono alla stessa categoria, non vuol dire che abbiano una stessa struttura interna” spiegò. “O meglio, i perni atomici della pietra non cambiano e questo avviene affinché possa essere catalogata. Tuttavia, cambiano i dettagli. Basti pensare ai diamanti e ai tagli che vengono effettuati su di essi. Ognuno di loro, ha una purezza, ognuno di loro ha un valore, definito comunemente in carati. Questa particolare pietra, invece” e porse il palmo, “ha la stessa identica struttura atomica o, se preferite, la stessa essenza magica” concluse pensieroso.

“Proprio come se si trattasse del rubino che indossa Gabriel” parlò Merlìha con aria pensierosa.

“La cosa è molto insolita” intervenne Louis. “Mi chiedo dove possa essere stata generata la forma solida della pietra, a questo punto”.

“Su questo non avrei molti dubbi” chiarì Merlino. “Solo la madre di tutti gli oggetti può richiamare un potere tanto grande” concluse.

“La Coppa della Vita” esclamò Artù sorprendendo tutti e perfino se stesso.

Tutti i presenti si voltarono a guardarlo e Artù distolse lo sguardo.

Non aveva potuto fare a meno di collegare i discorsi fatti con il Mago meno di un’ora prima tuttavia, vista la sua totale ignoranza su alcuni argomenti, non escludeva anche di aver affermato una grossa sciocchezza.

Merino ridacchiò.

“Vedo che, finalmente, avete imparato a cogliere i dettagli e ad ascoltare, Sire” disse bonario rivolgendo al Re un sorriso sincero.

Forse, il primo sorriso sincero che gli rivolgeva in quel tempo.

Un sorriso che rinfrancò il cuore di Artù, liberandolo da ogni timore provato. Mai nella vita – anche quella passata – si era sentito così bene come in quel momento e capì che l’unico motivo di quel benessere era Lui.

Merlino gli dava queste sensazioni. Merlino e tutto il mondo di conoscenza che si portava dietro.

Conoscenza nascosta ai più ma di cui lui, Antico Re di Camelot, finalmente non era più all’oscuro.

Tante volte, a Camelot, gli era sembrato di non sapere contro cosa combatteva in realtà.

Tante volte, a Camelot, si era sentito all’oscuro di quello che lo circondava.

Innumerevoli volte aveva cambiato idea sulla magia. Quando la luce bianca, proveniente da un
Merlino morente, lo aveva tirato fuori dalla grotta, aveva pensato che non tutta la magia potesse essere malvagia.

Però, era stato, per l’appunto, solo un pensiero. Lui, in realtà, di magia, non ne aveva mai saputo nulla. Né quando la combatteva né quando, nei fugaci pensieri, gli capitava di considerarla non malvagia.

Questo, perché non aveva mai avuto la vera conoscenza, quella che possedeva Merlino.

Quella stessa conoscenza che adesso possedeva anche lui.

“Anche io ritengo probabile una simile ipotesi”.

La voce di Lenn lo riscosse dalle sue riflessioni.

Fu in quel momento che Merlino si alzò, spegnendo la sigaretta nel posacenere poggiato sul tavolino basso.

“A questo punto” riprese a parlare, “la mia presenza qui è inutile” esclamò deciso. “L’oggetto non ha intenti malvagi, così come non lo è la sua natura. È semplicemente venuto al mondo, richiamato dal suo proprietario” e si adombrò.

Artù notò quel cambiamento d’umore ma non ebbe bisogno di domandare alcunché dato che le risposte arrivarono, pochi istanti dopo, dal Mago stesso.

“Beh, se il proprietario è Gabriel, non abbiamo nulla di cui preoccuparci” esclamò Merlìha sorridente e Merlino sospirò pesantemente.

“Non sono io il proprietario, sorella!” esclamò Gabriel duro e a nessuno sfuggì l’aria minacciosa che aveva accompagnato quella frase.

Anche Kyle, di solito sempre ironico, aveva lasciato il posto a un’espressione seria.

“Ma che dici?” chiese Merlìha stupefatta.

“Se fossi io il proprietario, la pietra non avrebbe sentito la necessità di generarne un’altra” sbottò duro il fratello alzandosi dal bracciolo della poltrona sul quale si era seduto.

“Ha ragione, Merlìha” intervenne Merlino, placando sul nascere le proteste della Guardiana.

“Se fosse lui il padrone di un simile oggetto, non avremmo avuto un’altra pietra” spiegò con sguardo cupo. “Questa pietra ha sentito l’esigenza di venire al mondo perché ha la stessa essenza dell’anello di Gabriel ma padrone diverso” concluse.

“Ma allora chi è il padrone del rubino appena nato?” chiese Merlìha sconcertata. “Chi mai avrebbe potuto richiamare un potere tanto grande?” e scosse la testa incredula.

“Non ci arrivi ancora, Merlìha?” intervenne Kyle con tono di rimprovero.

“Secondo te, perché ha detto che qualcosa è avvenuto in questa casa?” e indicò Merlino con il capo. “O credi che sia stata solo la borsa da viaggio di Gabriel a rivelare tutto questo?” chiese ironico non nascondendo però una buona dose di aggressività nelle sue parole.

Era evidente, infatti, che fossero tutti sconvolti dalle rivelazioni che la pietra, ancora nella mano del Mago, sembrava aver dato a Merlino.

“Rivelare cosa?” chiese ancora la Guardiana

“Il proprietario di questa pietra e l’unico che essa riconosce come padrone” parlò allora Merlino fissando un punto imprecisato della parete, “è colui che vive in questa casa: Sir Parsifal, Antico Cavaliere di Camelot”.

Quell’affermazione fece calare immediatamente il silenzio nella stanza. Nessuno, neppure Merlìha, aveva il coraggio di dire qualcosa.

Artù osservava Perce che, a quell’affermazione, aveva sgranato gli occhi.

Ora, riusciva a spiegarsi l’aria cupa del Mago. Tuttavia, come era stata possibile una simile cosa?

Leon osservava la pietra, ancora nelle mani di Merlino, e poi Perce, non sapendo dove volgere lo sguardo.

Lance, insieme a Ginevra, guardava Merlino sbigottito.

Elian aveva aggrottato le sopracciglia. Probabilmente, anche una mente pratica come la sua faticava ad accettare la situazione.

Nelle menti dei cavalieri la domanda persisteva: come era potuta accadere una cosa del genere?

Perce si sentì improvvisamente osservato e sotto pressione.

Non solo i Guardiani, ma anche i suoi amici erano tutti voltati verso di lui a guardarlo.

Le creature e i Guardiani lo fissavano attenti, con una luce seria e calcolatrice negli occhi.

Merlino lo fissava come se lo vedesse per la prima volta in quel tempo e forse, a giudicare dal suo comportamento, era proprio così.

Quello che però più lo metteva sotto pressione era il suo sguardo, quello del Guardiano serio e ombroso: lo sguardo di Gabriel, che lo scrutava con una luce indecifrabile negli occhi.

Come se si sentisse oltraggiato. Come se fosse deluso.

Ma lui non aveva fatto nulla per meritare quello sguardo. Non se la sentiva di mettere in dubbio le parole di Merlino ma lui non aveva fatto niente. Niente di niente.

Si era solo innamorato.

Si era solo disperato per quell’amore a senso unico.

Ma non aveva creato la pietra. Non l’aveva richiamata, come aveva detto Merlino. Come avrebbe mai potuto fare?

Si sentì disperato, come quando Gabriel aveva varcato la soglia della sua porta per non farci più ritorno.

Si sentì perso, sotto tutti quegli occhi che sembravano schiacciarlo. Sotto lo sguardo dei suoi amici che lo guardavano increduli.

Non fissatemi così, avrebbe voluto urlare.

Non ho fatto niente!

Ma nessun suono uscì dalle sue labbra.

Le parole sembravano morirgli in gola.

Cos’avrebbe mai potuto dire a sua discolpa, dopo le parole di Merlino?

Parole che esprimevano verità assoluta. Parole che nessuno, in quella stanza, aveva osato obiettare.

Si sentì solo e senza scampo: in trappola.

Una trappola simile a quella in cui aveva vissuto Merlino nei primi vent’anni della sua vita.

Una trappola dove la sua parola non contava niente, perché era un servo.

Una trappola dove la sua parola non aveva valenza contro quella di un Re che non ammetteva repliche.

Camelot, per Merlino, era stata solo una trappola.

Una trappola in cui aveva accettato di vivere per il bene del Regno stesso.

Perché, in quella stanza, nessuno avrebbe obiettato le parole del Mago, né ora, né in futuro.

Solo ora capiva appieno quei concetti. Solo ora capiva appieno il Mago e si sentì piccolo di fronte a un uomo del genere.

Come aveva potuto avere la presunzione di poter amare un Guardiano, uno di coloro che aveva accompagnato questo grande uomo nella storia?

Ebbe paura.

In quel momento, sentì la paura crescere.

Cosa ne sarebbe stato di lui, a quel punto?

Cos’avrebbe potuto dire a sua discolpa, se Merlino aveva già affermato il verdetto?

Molti pensieri affollarono la sua mente, uno più oscuro dell’altro.

Non riuscì a parlare. Solo lo sguardo era lo specchio di ciò che provava. Uno specchio che rifletteva il terrore.

“Io –“ balbettò con la gola riarsa per ammutolirsi un istante dopo.

“Io  –” provò ancora a parlare senza dire nulla mentre chinava il capo.

Io non ho fatto niente!

Il baratro della disperazione lo inghiottiva.

Nessuno parlava. Nessuno aveva nulla da dire.

Nessuno interveniva per salvarlo dall’oblio.

Chiuse gli occhi, con il capo ancora chinato. Non voleva vederli. Non voleva sentire i loro occhi puntati addosso.

Non voleva vedere il suo sguardo deluso.

Io non ho fatto niente!

Lo pensò ancora, sperando che qualcuno riuscisse a capirlo.

“Non hai fatto nulla”.

Una voce.

“Stai tranquillo, non avere paura”.

Ancora quella voce.

Aprì gli occhi e alzò il capo.

Merlino si era avvicinato.

Merlino lo fissava sereno e il cuore di Perce, nell’esatto momento in cui incontrò gli occhi del Mago, smise di avere paura.

“Non ho fatto niente” gracchiò con voce incerta.

“Hai fatto molto, invece” lo corresse il Mago sorridendo. “Ma non è nulla di cui tu debba avere paura”.

“Cosa sta succedendo?” chiese, guardandolo con occhi disperati.

Cos’era quel vuoto che sentiva?

Perché i suoi pensieri erano così oscuri?

Cos’era tutta quella disperazione provata e che Merlino sicuramente aveva avvertito?

“Dammi la mano” ordinò gentile il Mago e Perce porse titubante il palmo.

Tutti nella stanza trattennero il fiato. Tutti nella stanza sentirono il cuore galoppare veloce nel petto.

Artù si era inconsciamente alzato, preoccupato per la distanza irrisoria tra Perce e Merlino.

Si era avvicinato al Mago, mettendo una mano in tasca e stringendo forte il Diamante Bianco.

“Ti senti così perché lei si sta svegliando” disse Merlino sereno, “e vuole il suo padrone” e, lentamente, mise nel palmo aperto di Perce il rubino a forma di cuore.

Appena avvenne il contatto tra la pietra e la sua mano, Perce sentì uno strano calore invadergli il corpo.

Si ritrovò a sorridere senza sapere il perché, mentre il suo cuore ritrovava la serenità e la lucidità.

“Custodiscila bene” disse il Mago. “Sarà la pietra stessa a spiegarti molte cose” e si allontanò per rivolgersi a Gabriel.

“Ha bisogno di essere istruito sulla pietra” disse, rivolgendogli uno sguardo stranamente serio.

“Perché io?” si accigliò il Guardiano.

“Forse, perché quella pietra” parlò duramente il Mago indicando la mano di Perce, “ha la stessa essenza della tua!” e si avviò verso la porta.

“Scusami!” disse dopo alcuni istanti. “È il mio Diamante” e si indicò il dito, ben consapevole di aver ceduto all’ira.

Gabriel scosse il capo, come a dire che la cosa non aveva importanza.

“Non so come sia potuta avvenire una cosa del genere ma indagherò, puoi starne certo” sibilò con un tono che non ammetteva repliche. Un tono feroce.

“Non accanirti sul cavaliere” consigliò Merlino. “Le cose non avvengono mai a caso, e non si verificano mai a causa di una sola persona” e sospirò profondamente.

“Ora devo andare” disse con tono urgente.

Era chiaro a tutti che Merlino fosse al limite. Si era indicato il dito, segno che stava provando, con tutto se stesso, a controllare il Diamante Nero in loro presenza.

Fu per questo che nessuno provò a fermarlo. Fu per questo che nessuno fiatò quando il Mago aprì la porta per uscire velocemente dalla casa.

Artù, guardando Perce un’ultima volta, lo seguì svelto, senza salutare nessuno.

Sul suo volto era evidente la preoccupazione che provava.

Inoltre, Artù sapeva che, per il Mago, quella era stata una dura prova.

Inoltre, aveva il sospetto che quella serata non fosse ancora giunta al termine. La nascita di quella nuova pietra era stato un avvenimento inaspettato per tutti loro, e questo era stato fin
troppo chiaro nel corso della serata.

Un imprevisto, che nessuno aveva calcolato.

Un imprevisto che forse aveva scelto il momento peggiore per verificarsi.

Con il cuore gonfio di preoccupazione, seguì il Mago che camminava velocemente verso l’uscita.

Sperò, con tutto se stesso, che le conseguenze non fossero troppo dannose per Merlino.

Tuttavia, qualsiasi cosa fosse avvenuta, ci sarebbe stato lui, stavolta.

Stavolta e per tutte le volte a venire.

Continua…
 

Note:
 

Le spiegazioni di questo capitolo sono una svolta decisiva per la storia e per la sua conclusione.

Come avrete notato, scelgo di trattare il punto di vista di più personaggi.

Tuttavia, essendo tutti loro al completo, ed essendo molte le cose avvenute, ho scelto i principali: quello di Perce e quello di Gabriel, che fanno i conti con quello che è avvenuto tra loro, sbagliando ognuno sul pensiero dell’altro, e, ovviamente, c’è quello di Artù che, soprattutto nel pezzo finale, fa presagire cosa avverrà nel prossimo capitolo.

Spero inoltre che le spiegazioni siano state chiare anche se incomplete.

La natura della pietra e la sua nascita saranno, infatti, spiegate in dettaglio nei capitoli più avanti.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto.

Come sempre, attendo i vostri commenti! Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate.

Mi scuso inoltre per i lunedì che salto ma i capitoli richiedono correzioni attente e non sempre riesco a farcela! La storia è tutta in bozze e mettere insieme i vari pezzi a volte è un po’ complicato.

Non temete, comunque, perché cerco di fare del mio meglio e con l’estate dovrei riuscire a pubblicare tutte le settimane. Grazie a chi mi segue, in ogni caso!

Alla prossima.

Pandora86
 

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Capitolo 59
*** Capitolo 59. Il Male ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 

Capitolo 59. Il Male
 

Merlino scese velocemente le scale con un unico pensiero in testa: allontanarsi da quella casa il più presto possibile.

Non aveva importanza quanto gli facessero male le gambe a ogni passo, non aveva importanza quanto si stesse sforzando per velocizzare al massimo i suoi movimenti.

In un futuro non tanto lontano, Merlino sapeva bene avrebbe pagato caro quella sua agilità. I suoi anni, e il suo corpo malandato, non gli permettevano di muoversi come un normale trentenne.

Tuttavia, contava molto poco in quel momento.

Aveva bisogno d’aria.

Varcò il portone d’ingresso del palazzo e fece un grosso respiro portando il suo sguardo al cielo.

Aria.

Finalmente, l’aria entrava nei suoi polmoni ma non era abbastanza.

Doveva allontanarsi da lì.

Iniziò a correre verso una qualsiasi meta. Iniziò a correre, deciso a non fermarsi, sentendo il vento freddo della serata sul viso e avendo l’impressione di ricevere in pieno volto mille lame ghiacciate.

Poco importava che il suo corpo non avrebbe retto.

Poco importava quanto le gambe gli facessero male.

Continuò a correre fino a che le ginocchia non cedettero. Probabilmente, si era allontanato a sufficienza. Probabilmente, aveva percorso solo pochi metri. Non lo sapeva.

La schiena gli si stava spaccando in due. L’impatto delle due ginocchia sulla strada fu terribile.

Merlino poteva sentire il sonoro ‘crak’ delle sue ossa, quando queste avevano cozzato con il cemento della strada.

Aria.

Aveva bisogno d’aria.

Il male stava prendendo il sopravvento.

Il male stava infierendo sul suo stesso corpo.

Non aveva importanza.

Merlino sentiva dolore ma non aveva importanza.

Il dolore era l’unico modo che aveva per controllare il Diamante Nero.

Il dolore era la sua routine.

Chiuse gli occhi – o forse li aveva già chiusi da tempo – decidendo di abbandonarsi al dolore che sentiva.

Sentì la sua guancia toccare qualcosa di duro e freddo e capì che, probabilmente, si trattava del cemento della strada.

Chiuse gli occhi, non avendo bisogno di sapere che questi avevano cambiato colore.

Lo sapeva bene, infatti, qual era il colore che avevano quando sul suo corpo dominava il male.

Sapeva bene di che colore fossero i suoi occhi quando il male infieriva sul suo corpo martoriato: nero. Nero, più nero della pece e più oscuro della tempesta. Il nero del Male.

Tuttavia, quel dettaglio non aveva importanza per lui. Non in quel momento, almeno, dato che gli sembrò, anche se di poco, di riuscire a respirare meglio.

Sentì il dolore irradiarsi lungo le sue gambe e sorrise.

Se lui sentiva così male, se il suo corpo provava un tale dolore, allora questo stava a significare che la palazzina era ancora in piedi.

Se lui sentiva così male, voleva dire che, ancora una volta, il potere distruttivo del Diamante Nero non aveva fatto del male a nessuno.

Forse, con i secoli, avrebbe imparato a controllare completamente l’anello.

Un anello che gli era nemico, così come gli era amico.

Perché il Diamante lo obbediva ciecamente. Il Diamante obbediva senza discutere l’ordine assoluto del suo unico padrone: proiettare il suo potere verso il padrone stesso.

‘Crak’.

Eccolo il rumore familiare.

Ecco un altro osso, di chissà quale parte del corpo, che cedeva.

Andava bene. Andava più che bene.

D’altro canto, era l’unico modo che aveva per controllare l’anello.

Sorrise.

Questa volta, in fondo, gli era andata bene, valutò, sentendo le ossa sgretolarsi. Ossa che poi sarebbero ritornare al loro posto, come sempre.

Questa volta, considerò, era solo.

Non c’erano Louis e Phoenix che lo assistevano preoccupati.

Non c’era Merlìha che piangeva e Lenn che la consolava.

Non c’era l’espressione colpevole di Gabriel che lo guardava sentendosi in colpa.

Una colpa che, nei secoli, lo stava logorando.

Poco importava il fatto che Merlino non lo accusasse di nulla. Aveva fatto il suo dovere di Guardiano per il suo bene e quello del mondo intero.

Perché Merlino, da quando li aveva conosciuti, non rimpiangeva nulla.

Aveva una famiglia, aveva dei mentori.

Inoltre, con il passare dei secoli, riusciva a padroneggiare sempre meglio l’anello.

Non c’era neanche Kyle che, fra tutti, era quello che più capiva, in quei momenti, di cosa avesse realmente bisogno il Mago: ironia.

Merlino aveva bisogno di tanta ironia, di qualcuno che sdrammatizzasse l’orrore che viveva.

Perché Merlino non voleva essere inferiore ai suoi potenti compagni.

Portare l’anello era un suo dovere e Merlino ne andava orgoglioso.

Sì, l’anello era il suo orgoglio e Kyle lo aveva capito.

Kyle che scommetteva su quale osso si sarebbe rotto prima ma che poi, quando credeva che fosse svenuto e che non potesse più sentirlo, si sedeva accanto a lui, rimanendogli vicino e tenendogli la mano per ore.

Gabriel invece, perché sicuramente le mani fredde appartenevano a lui, si lasciava andare ai suoi rari gesti d’affetto, accarezzandogli la testa e asciugandogli il sudore dalla fronte.

Poi c’era Merlìha che si aggrappava alla sua camicia, quasi avesse paura di sfiorarlo, perché sicuramente poteva appartenere solo a lei la mano delicata che stringeva il lembo della sua maglia.

Poi c’era Lenn che gli sussurrava che tutto sarebbe andato bene, essendo probabilmente l’unico ad avere il sospetto che Merlino, in quei momenti, fosse cosciente nella sua incoscienza e che quindi potesse avvertire la presenza di tutti loro capendo perfettamente cosa avvenisse intorno a lui.

Louis e Phoenix, invece, si trasformavano sempre. Louis gli donava il tepore del suo corpo e del suo pelo mentre Phoenix lo avvolgeva con le sue ali rassicuranti.

E Merlino, in quei momenti, si sentiva amato. Si sentiva prezioso.

Però poi, a mente fredda, rifletteva e si chiedeva quando avrebbero smesso, tutti loro, di accudirlo.

Era il Sommo Emrys.

Lui era il potente Sommo Emrys e voleva controllare la sua pietra, una volta tanto, in pace e senza interferenze.

Quindi, in quel momento, sul freddo ciglio della strada, si sentì felice.

Erano solo lui e il Diamante Nero.

Erano solo lui e il male originario del suo cuore che, in quei momenti, tornava a casa, dal suo padrone, dopo un lungo viaggio.

Solo lui e il Diamante.

Solo lui che, finalmente, metteva alla prova se stesso senza nessuno intorno. Senza nessuno che cercasse di rendere le cose più facili.

Dopo secoli, provò le stesse sensazioni che sentiva a Camelot quando, agli albori della sua potenza, doveva dare sfoggio di tutte le sue capacità chiedendosi fin dove potesse arrivare e, stranamente, la cosa lo esaltava.

Lo sapeva di essere una contraddizione. D’altro canto, l’animo umano ne era pieno.

Però, negli ultimi tempi, desiderava davvero potersi confrontare da solo con il Diamante.

Sapeva di essere potente, così come sapeva che sarebbe riuscito a controllare il Diamante senza che il suo corpo si spezzasse definitivamente senza ricomporsi mai più.

Non sarebbe morto. Non avrebbe lasciato la sua energia fluire libera perché il corpo, troppo debole per sopportare quell’energia, avrebbe ceduto.

Sapeva di poterlo fare e, finalmente, aveva l’opportunità di essere davvero il Sommo Emrys, padrone del Male.

Unico e assoluto padrone del Male, legittimo portatore del suo anello. Unico essere umano in grado di portare il male senza farsi logorare da esso.

Era da solo e sapeva di dover richiamare a sé tutto il suo potere.

Non c’erano i suoi Guardiani, non c’erano i suoi custodi.

Perché lui sapeva quello che avveniva in quei momenti.

I Guardiani e le creature gli stavano accanto come esseri umani, dandogli conforto, ma soprattutto come elementi.

Ognuno di loro richiamava il nucleo originario del proprio elemento al fine di contenere gli effetti del Diamante e i danni irreversibili che avrebbe potuto portare al suo corpo.

Danni che, con il loro intervento, da irreversibili diventavano reversibili.

Danni che venivano attutiti dagli elementi che lo circondavano:

Gabriel, il fuoco;

Kyle, l’acqua;

Lenn, l’aria;

Merlìha, la terra;

Phoenix, il cielo;

Louis, il pianeta.

Gli infondevano, tutti loro, la loro energia ma Merlino sapeva che, dopo tre secoli, non era più necessario.

Concentrò la sua magia richiamando a sé gli elementi.

Il primo a rispondere alla sua chiamata fu il fuoco. Gli venne da sorridere se considerava che quello, fra tutti, era stato mille anni prima l’elemento più difficile da capire.

Eccolo il fuoco che scorreva nel suo corpo, più potente che mai, e che obbediva al suo padrone infondendo vita al suo corpo stanco e permettendo al cuore, e a tutti gli altri organi, di non cedere.

L’acqua arrivò qualche istante dopo, non resistendo alla sua chiamata. Eccola l’acqua che si mescolava al suo sangue non permettendo al corpo di disidratarsi fino alla morte.

La terra e l’aria vennero quasi in contemporanea. Le sue ossa si rinsaldavano e l’aria fluiva libera nel suo corpo.

Fu in quel momento che Merlino li interrogò, gli elementi, chiamandoli uno dopo l’altro al suo cospetto.

Perché lui era il Sommo Emrys, padrone di tutti gli elementi.

Fuoco.

Acqua.

Terra.

Aria.

Eccoli lì, a obbedire al loro padrone.

Il dolore si mescolava, nel suo corpo, alla vita, che fluiva più potente che mai.

Forse, con i secoli, questo processo sarebbe stato immediato e lui non avrebbe più sentito dolore.

I Guardiani erano ottimisti in proposito ma la cosa non gli interessava al momento.

Stava controllando il Diamante come mai era riuscito a fare.

Nessuna crepa negli equilibri incrinati si stava aggiungendo alle altre.

La sua magia era integra come non mai, all’interno del suo corpo che non permetteva si disperdesse.

Il suo corpo non si sarebbe disintegrato, lasciando il mondo nel baratro.

Il suo corpo era integro grazie agli elementi che fluivano veloci dentro di esso infondendo la vita.

Era lucido in quei momenti, era sempre così d’altronde.

Non era come quando il Diamante gli inviava gli incubi.

Quelli, in fondo, erano solo effetti collaterali.

In quei momenti, quelli in cui si confrontava con la vera faccia del Male, era lucido.

Sentì le sue ossa rinsaldarsi.

Una, due, tre, quattro.

Perse il conto.

In fondo, non sapeva nemmeno quante di esse fossero state danneggiate.

Sentì i suoi occhi surriscaldarsi e Merlino sapeva che avevano nuovamente cambiato colore: era d’oro, questa volta.

Il dolore diminuì, fino a diventare un sottofondo fastidioso, quasi come una radio rotta che, a tratti, emette frequenze alte e a tratti, invece, cessa.

Il suo corpo, eccolo che lo sentiva nuovamente.

Le gambe, anche se non riusciva a muoverle, le sentiva chiaramente.

Le mani, eccole, e forse, riusciva anche a muovere qualche dito.

Freddo.

Sentì qualcosa di freddo sulla sua guancia e capì che si trattava dell’asfalto.

Si era completamente dimenticato di essere in mezzo alla strada ma poco importava.

Forse, a breve, sarebbe riuscito ad alzarsi.

Forse, a breve, il suo corpo avrebbe ricominciato a muoversi.

Il dolore diminuì fino quasi a scomparire.

Il Diamante era stanco.

Lo era sempre, dopo essersi presentato al suo padrone con il suo vero volto.

Anche Merlino, in effetti, si sentiva spossato.

Al di là del dolore fisico, che era diventata una routine, si sentiva spossato nella mente.

Sperò di riuscire a muoversi presto così, sarebbe andato a casa a riposare.

O forse, prima, avrebbe fatto un bagno.

Era pur sempre steso in mezzo alla strada e di certo un bagno caldo gli avrebbe dato un aspetto più pulito.

Ridacchiò, nella sua mente, a quei pensieri così frivoli ma non poteva farci nulla: era felice.

Per la prima volta, aveva dominato il Diamante Nero da solo e questa consapevolezza lo esaltava.

Sicuramente i Guardiani lo avevano ritenuto pronto altrimenti, lo sapeva, anche andando in capo al mondo, li avrebbe trovati al suo cospetto, pronti ad attingere al loro potere.

Però, anche con questa consapevolezza, si sentiva comunque felice.

I suoi poteri avevano fatto il loro dovere.

La sua magia aveva obbedito.

Il mondo, presto, si sarebbe rinsaldato.

Non sapeva come, non sapeva quando, ma sapeva che controllare il Diamante era la strada giusta.

Chiuse gli occhi – era certo di averli aperti ma avrebbe potuto benissimo sbagliarsi – e si rilassò.

In fondo, stare lì qualche altra ora, non avrebbe danneggiato nessuno.

Forse, i Guardiani sarebbero venuti a recuperarlo.

Forse sarebbero stati i suoi custodi, i primi a trovarlo, avendo l’olfatto più sviluppato.

Non sentiva, proprio in quel momento, qualcuno che lo sollevava?

Lo avevano trovato!

Come sarebbe potuto essere diversamente d’altronde, considerando la potenza delle sei figure
che vigilavano su di lui?

Si chiese chi lo stesse sollevando, non riuscendo a darsi una risposta.

Cos’era quel calore rassicurante che avvertiva?

Louis aveva un corpo molto caldo, però il suo petto era più ampio.

E poi, quel calore non era solo dovuto alla temperatura corporea della persona che lo portava in braccio.

No! Era un’energia.

Sì, si trattava proprio di un’energia, non poteva sbagliarsi.

Un’energia calda e rassicurante che gli trasmetteva pensieri piacevoli.

D’altro canto, sapeva di non essere molto coerente.

In quei momenti, infatti, era molto lucido sul piano della magia.

Riusciva a interagire gli elementi usando il loro linguaggio e rapportandosi a loro da pari a pari.

Anzi, diveniva lui stesso un elemento. Il fulcro di tutti gli elementi.

Tuttavia, la sua parte umana, e quindi i suoi pensieri, erano confusi.

Sapeva di avere un corpo, sapeva chi era tuttavia, faticava a fare un pensiero logico, un pensiero da essere umano.

Si sentiva un elemento e gli elementi non avevano bisogno di logica né di parole.

Il fuoco, l’acqua, l’aria e la terra non avevano un linguaggio.

Esistevano e basta, nel bene e nel male.

In quei momenti, Merlino capiva perché, in altre storie e in altri tempi, avesse ceduto alla follia, lasciando che il suo corpo si dissolvesse per ricongiungersi definitivamente agli elementi e diventando parte integrante di essi.

Gli elementi non erano umani. Gli elementi non sentivano dolore.

Non avevano problemi da esseri umani né sentivano il bisogno di fare guerra tra loro.

Esistevano, in perfetto equilibrio.

L’acqua, ad esempio, non aveva la necessità di chiedere all’uomo di inondare una città: lo faceva e basta.

Allo stesso modo, dava la vita a tutte le creature.

Tuttavia, l’acqua non aveva bisogno di rimarcare la sua superiorità sugli altri elementi.

Sapeva di aver bisogno della terra e dell’aria per esistere.

Lo stesso discorso valeva per tutti loro.

Esistevano senza mai sovrastarsi.

In quei momenti, capiva il se stesso di altre storie: in fondo, doveva essere bello divenire un elemento e abbandonare completamente il suo corpo umano.

In quella particolare storia però – la sua storia – sapeva che non l’avrebbe mai fatto.

Il mondo aveva troppo bisogno di lui e lui, in qualità di Sommo Emrys, non si sarebbe mai sognato di cedere a una tale debolezza, anche se, in cuor suo, agognava questo finale.

Serviva, d’altronde, un buon motivo per farlo desistere da questi desideri.

Un motivo personale ed egoistico che lui non aveva ancora trovato. Un motivo che lo spingesse a desiderare di avere un corpo umano.

I Guardiani continuavano a dirgli che questo motivo sarebbe arrivato. Non che lui avesse espresso ad alta voce questi pensieri così personali tuttavia, sapeva bene che i Guardiani lo conoscevano troppo bene.

Erano tutti fiduciosi sul fatto che la sua eternità, prima o poi, sarebbe stata felice.

Perché lui non era felice. Mai.

Era sereno, quando era circondato dai componenti del suo gruppo.

Era rilassato quando teneva un concerto o quando si immergeva nei suoi studi.

Era tante cose ma mai felice. Troppo preso a occuparsi del mondo, troppo preso dai problemi degli altri, mai aveva pensato a se stesso. Mai aveva provato quella felicità così egoistica e travolgente che caratterizzava il singolo individuo.

Lui pensava alla massa. Voleva bene alla massa. Ma non sapeva cosa significasse provare amore per un singolo individuo.

Amore inteso come passione.

Voleva bene ai Guardiani e ai suoi custodi ma era lo stesso bene che aveva provato verso sua madre, verso Gaius.

Tuttavia, sapeva che questo non sarebbe mai potuto avvenire. Come avrebbe potuto, d’altronde, un essere immortale, avere qualcuno accanto?

Eppure, quel pensiero, in quel momento, non era angosciante come lo era stato altre volte.

Di solito, quando il Male invadeva il suo corpo, i pensieri che aveva successivamente non erano mai sereni ma cupi e angosciosi.

Era anche logico, in effetti; si trattava, infatti, degli strascichi del suo Diamante.

Non riusciva mai a dormire bene nelle ore successive e il suo malumore si protraeva anche nei giorni a venire.

In quel momento, invece, c’era quell’energia che lo rassicurava.

Provò a concentrarsi per avere un pensiero coerente e capì che qualcuno lo stava portando in braccio.

Di chi si trattava?

Gabriel, forse.

Però qualcosa non quadrava. Gabriel lo toccava in modo diverso. In modo più sicuro. D’altro canto, sapeva bene come sollevarlo per non fargli male. Era il medico che si occupava del suo corpo quindi, come avrebbe potuto essere diversamente?

Quelle braccia, invece lo tenevano con insicurezza. Lo capiva dal passo incerto con il quale la persona si muoveva.

Si sentì adagiato su qualcosa di morbido.

Quelle mani.

Ancora quelle mani calde che gli infondevano energia.

Non si ricordava dove avesse già sentito quest’energia eppure era certo di averla già provata una volta.

Non riuscì a capire di che energia si trattasse.

Non riuscì a capire di chi fossero quelle mani che, con gesti impacciati e insicuri, lo liberavano dai suoi indumenti.

Capì di essere in un letto.

Sicuramente, si trattava della sua camera da letto.

Ma perché la persona che si occupava di lui era così indecisa?

Poteva essere Merlìha…

Ma la Guardiana non sarebbe mai riuscita a sollevarlo e lui sapeva con certezza che quelle mani appartenevano alla stessa persona che lo aveva portato in braccio.

Aveva sonno.

La sua mente rilassata lottava per non cedere al sonno e Merlino, una volta tanto, scelse di essere egoista.

Che importanza aveva, in fondo, sapere l’identità della persona che si stava occupando di lui?

Lo avrebbe saputo comunque una volta sveglio.

Sì, non aveva nessuna importanza.

Gli capitava raramente di avere la mente così rilassata e Merlino decise di approfittarne per dormire.

Aveva la garanzia, infatti, che il suo sonno non sarebbe stato popolato dagli incubi.

Forse, c’entrava il fatto che fosse riuscito a controllare il Diamante Nero, nel pieno della sua potenza, da solo.

Forse sì! Forse no!

Non aveva importanza.

Voleva dormire.

Voleva solo dormire.

E così fece.

Dopo tanto tempo, decise di addormentarsi senza interrogarsi su nulla.

Al suo risveglio avrebbe saputo tutto.

Ora, avrebbe solo dormito.

Passò neanche un istante e il suo respiro si fece più pesante.

Dopo secoli, per la prima volta, dopo l’effetto devastante del Diamante Nero, Merlino dormiva serenamente.

A chilometri di distanza, in un oggetto più antico del mondo, un’altra crepa si rinsaldò.
 

Continua…
 

Note:
 

Dunque, questo capitolo è un po’ diverso dagli altri.

In primis, non c’è nessun dialogo ma solo introspezione. La cosa è voluta.

Ci troviamo, infatti, per un intero capitolo nella testa del Mago mentre si vede, per la prima volta, come agisce realmente il Diamante Nero, di cui, nei precedenti capitoli, avevo solo accennato gli effetti.

Inoltre, non è un capitolo molto lineare. Non ci sono, infatti, spiegazioni dettagliate e coerenti su quello che avviene ma solo quello che Merlino prova.

Anche questo è voluto. Ho pensato, infatti, di strutturarlo in questo modo dato che fare avere al Mago dei pensieri più lineari sarebbe risultato poco credibile. Sarebbe sembrata una trattazione e non un’introspezione, o almeno, questo è il ragionamento che ho fatto.

Inoltre, un altro particolare fondamentale: Merlino, in quei momenti, è lucidissimo sulla sua magia e sulla sua potenza ma non lo sono molto i suoi pensieri.

Ha il pieno controllo della sua magia e dei suoi poteri, pienamente consapevole di quello che può fare. Anche il Diamante è al pieno della sua potenza e Merlino è consapevole di questo.

Tuttavia, dovendosi concentrare su questo, i suoi pensieri umani sono un po’ incoerenti.

Per intenderci, sa chi è e come si chiama ma non riuscirebbe a ricordare neanche cosa ha mangiato a pranzo.
Infatti, non c’è nessun accenno ai cavalieri e al Re, nonostante sia appena uscito da casa di
Perce. Merlino, in quei momenti di massima potenza, è solo concentrato sul Diamante. Diventa, a tutti gli effetti un elemento pur rimanendo nel suo corpo solido.

Ovviamente, più dettagli e spiegazioni saranno date nei capitoli più avanti dalla voce di Merlino stesso dato che per questo capitolo ho scelto solo l’introspezione.

Ovviamente, ci sarà anche la spiegazione del perché non riesce a capire a chi appartiene l’energia che sente.

Questo è stato il capitolo più difficile da scrivere e spero di aver fatto un buon lavoro; a voi l’ardua sentenza!

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate! Ci tengo molto a conoscere le vostre opinioni.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Al prossimo aggiornamento.

Pandora86
 

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Capitolo 60
*** Capitolo 60. Imprevisto, Libero Arbitrio oppure... Fato? ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 60. Imprevisto, Libero Arbitrio oppure… Fato?
 

“Bene, direi che possiamo togliere le tende anche noi” esclamò Kyle, appoggiandosi a Lenn per alzarsi.

“Aspettiamo che Merlino si sia allontanato, prima di uscire” consigliò Lenn.

“Perché mai dovrebbe avere dei problemi anche verso di noi?” chiese Merlìha dubbiosa.

“Non hai notato che sguardo aveva?” la riprese Kyle. “Guarda che non è un’idiota!” disse severamente.

“Non ho mai detto questo, infatti!” s’inalberò la ragazza.

“Non dubito che, a breve, anche il potere del Diamante Nero si farà sentire, arrivati a questo punto!” sospirò Kyle pensieroso.

“Allora, perché siamo ancora qui?” domandò sconcertata Merlìha. “Ha bisogno di noi” e si avviò a passo di marcia verso la porta.

“Io credo, invece, che basti l’energia del Diamante Bianco questa volta” intervenne Louis mentre Lenn tratteneva Merlìha invitandola a rimanere dove si trovava.

“È vero!” confermò Phoenix. “Anche io ho sentito l’energia del Diamante Bianco risvegliarsi potente”.

“E poi” aggiunse Kyle, “credo che, alla luce dei fatti appena avvenuti, saremmo più di intralcio che altro. Non credo, infatti, che Merlino sia pronto a vederci quando non è completamente lucido”.

“Lo hai detto anche prima” s’infervorò Merlìha. “Ma io continuo a non capirne il perché”.

“Io credo” intervenne Lenn per placare la discussione sul nascere, “che Merlino abbia notato i nostri rapporti con i cavalieri. Lasciamogli il tempo di assimilare la situazione” concluse, pacato come sempre.

“Rapporti non programmati e, soprattutto, non desiderati. Almeno nel mio caso” ci tenne a precisare Kyle, volendo avere sempre l’ultima parola, mentre guardava Gabriel con espressione di scherno e poi Lenn con espressione disgustata.

“A differenza di qualcuno, che gioca a fare l’essere umano e si diverte a organizzare scampagnate, vero Gabrieliiino?” cantilenò con espressione feroce rivolgendosi al Guardiano con tono di scherno.

Lo stava provocando volutamente, questo era chiaro a tutti i presenti nella stanza. Nessuno aveva dubbi, infatti, che quel ‘qualcuno’ pronunciato da Kyle si riferisse proprio a Gabriel.

D’altro canto, Kyle non aveva mai avuto intenzione di nascondere il soggetto né di lanciare frasi di dubbia interpretazione. Questo era il pensiero di Gwaine mentre ascoltava i Guardiani discutere tra loro senza, tra l’altro, capire assolutamente nulla di quello che dicevano. Non poteva, in ogni caso, fare a meno di rimanere affascinato, ancora una volta, dalle indiscutibili doti di oratore di Kyle.

Kyle, colui che riusciva a far capire pienamente le sue opinioni senza sentire il bisogno di esporle dettagliatamente. In una gara di dialettica contro di lui, nessuno avrebbe avuto alcuna possibilità di uscirne vincitore e forse, era questa proprio particolarità una delle tante cose che lo rendevano perfetto ai suoi occhi.

Una delle tante cose che si andava a incastrare nelle mille sfaccettature che facevano parte del complesso carattere di Kyle.

Sembrava, inoltre, molto infastidito nei confronti di Gabriel. Il perché, era ancora tutto da chiarire, però.

A quel punto, restava da vedere come avrebbe risposto Gabriel, dopo tutte quelle provocazioni.

Si mise perciò in ascolto, aspettandosi una discussione tra i due Guardiani.

Rimase perciò sorpreso quando, a interrompere il silenzio, e quindi rispondere a Kyle, non fu il diretto interessato.

“Sapevamo che sarebbe successo, prima o poi, e Merlino ha bisogno solo di avere del tempo per fare i conti con la nuova realtà” lo riprese Lenn fissandolo severamente. Anche lui, come gli
altri, aveva capito a chi Kyle si stesse riferendo e aveva ritenuto opportuno intervenire.

“I cavalieri non sono tornati a caso, Kyle, e Merlino deve accettarli, un passo alla volta, nella sua vita” parlò ancora, incrociando le braccia.

“Guarda che, queste cose, le so anche io, Lenn” ci tenne a precisare il Guardiano biondo. “Fatto sta, che non era preparato né a un’invasione di massa, né a scoprire, improvvisamente, che i cavalieri di Camelot sono diventati i migliori amici dei suoi Guardiani” e scosse la testa con disapprovazione.

“Essere un Guardiano significa anche saper prevenire situazioni come queste” aggiunse severamente.

“Essere un Guardiano non significa essere onnipotenti” lo corresse Lenn. D’altro canto, alcune situazioni nascevano proprio per l’imprevedibilità dell’uomo e questo Kyle lo sapeva bene, proprio perché, fra tutti, era quello che aveva più esperienza. Lenn lo rispettava molto da questo punto di vista ma non esitava a tenergli testa quando la situazione lo richiedeva. Non negare il libero arbitrio agli uomini faceva parte dei loro innumerevoli compiti. E questo libero arbitrio aveva portato, quella sera, all’incontro tra tutti loro.

In fondo, se alcune cose succedevano in maniera così inaspettata, voleva dire che dovevano succedere e basta.

“Tu non dici niente, Gabrielino?” parlò nuovamente Kyle rivolgendosi, questa volta, direttamente a Gabriel che, in tutta quella discussione, era rimasto stranamente in silenzio.

“Non è da te stare in silenzio. Di solito, preferisci lanciare frasi al vetriolo con una perenne espressione di superiorità stampata in faccia” parlò ancora Kyle. “Ma devo ammettere che, con tutto lo scompiglio che hai creato, stare zitto è la cosa migliore che tu possa fare. Sai, io credo che quella pietra” e indicò Perce con la testa, “abbia rivelato a Merlino più di quanto, tu stesso, sia disposto ad ammettere” sibilò rabbioso.

Gabriel, nonostante le provocazioni, preferì rimanere zitto.

Perce considerò che sembrava perso in chissà quali complicati pensieri. Inoltre, era evidentemente confuso oltre che molto arrabbiato. Tuttavia, invece di misurarsi con Kyle alla pari, come sempre faceva nelle loro schermaglie verbali, aveva preferito il silenzio e questo non era da lui. Non era assolutamente da lui, infatti, incassare in silenzio le provocazioni, senza neanche fare caso a quello che gli veniva detto.

In quel momento, Perce ebbe l’insensata voglia di confortarlo da chissà quale angoscia. Guardò storto Kyle mentre rifletteva sull’ultima frase che aveva pronunciato.

Che cosa poteva aver mai rivelato la pietra a Merlino da spingere Gabriel ad avere un atteggiamento così remissivo?

Non lo sapeva! Sapeva soltanto che voleva confortarlo e abbracciarlo. Sapeva soltanto di volergli stare accanto. In quel momento, si era completamente dimenticato della pietra che aveva in mano e che Merlino stesso gli aveva consegnato. In quel momento, esisteva solo Gabriel.

“È ovvio che la pietra si sia confidata, essendo Merlino il padre di tutti gli oggetti” esclamò Merlìha riscuotendo Perce dalle sue riflessioni. “Ma che c’entra Gabriel?” e guardò Kyle con espressione irritata.

“Questo, dovrebbe dirtelo mammina” rispose Kyle con tono sarcastico indicando il Guardiano.

“O forse, tu sei il papino e l’altro la mammina della pietra” e indicò Perce con la testa. “Decidete un po’ voi i ruoli” e rise con scherno.

“Se anche fosse come dici?” urlò allora Merlìha, che aveva finalmente capito il significato delle frasi di Kyle. “Non ci vedo niente di male, in una simile cosa”.

“Sei sempre stata troppo sentimentale” costatò Kyle scuotendo la testa con divertimento.

“Contenti voi della situazione” aggiunse dopo un po’. “Io non riuscirei mai ad accettare una cosa simile” e rise.

“Adesso basta, Kyle” intervenne Lenn. “La situazione è già abbastanza complicata”.

“Invece, la situazione è molto semplice, Lenn!” esclamò Kyle abbandonando il tono della burla.

“Certe cose dovrebbero essere previste prima” disse serio per poi tornare a rivolgersi a Gabriel, “ma, evidentemente, qualcuno ha dimenticato cosa significa essere un Guardiano”.

“Nessuno poteva prevedere una simile situazione” intervenne Lenn.

“Ne sei proprio sicuro?” domandò Kyle con serietà e Lenn lo fissò attentamente. Kyle era quello che aveva più esperienza tra loro. Possibile che, fra le tante cose, avesse previsto anche quello?

Il silenzio aleggiò per qualche minuto nella stanza.

Kyle fissava attentamente Lenn, dandogli modo di sbrogliare la matassa che aveva creato con le sue parole.

I cavalieri preferirono, invece, non intervenire. Avevano capito tutti, infatti, che si trattava di una discussione di una certa portata. Discussione in cui nessuno di loro, almeno per il momento, aveva i mezzi per entrare a farne parte.

I Guardiani e le creature, invece, stavano lentamente assimilando le parole di Kyle. Gabriel, in particolare, incupì lo sguardo ma rimase ancora in silenzio mentre rifletteva sulle parole di Kyle e ripensava all’ordine di Merlino.

Il Mago aveva capito pienamente sia la natura della pietra sia come, la pietra stessa, si fosse creata.

Anche lui, non essendo un novellino alle prime armi, aveva capito la cocente verità. Cocente perché riguardava lui in prima persona. E, ovviamente, era impossibile, anche solo pensare o sperare, che a Kyle sfuggisse il significato delle parole di Merlino e la conseguente reazione.

Ovviamente, aveva compreso tutto nel momento in cui Merlino aveva chiarito la natura della pietra.

Rimaneva solo una domanda irrisolta: come diamine aveva fatto Kyle ad affermare di essere in grado di prevedere una simile situazione?

Abbassò lo sguardo, non volendo incrociare gli occhi di nessuno. Che Kyle avesse capito tutto, era una cosa. Che però fosse stato in grado anche di prevederlo, beh, quella era tutt’altra faccenda.

Gabriel sapeva che Kyle non scherzava. Conosceva il suo potere, conosceva la sua intelligenza.

Ma come diamine avrebbe fatto a prevenire una situazione del genere?

In ogni caso, non avrebbe domandato nulla. Tutto ci mancava, fuorché che si mettesse a supplicare Kyle di illuminarlo sulle sue macchinazioni. E poi, in fondo, credeva di avere già la risposta. In quel momento, alla luce di tutti gli avvenimenti, il comportamento di Kyle degli ultimi giorni, e il pestaggio subito da quest’ultimo, gli apparivano sotto una luce diversa: la luce della comprensione.

 Erano solo ipotesi. Ipotesi che, a breve, si sarebbero tramutate in realtà.

“Bene!” esclamò Kyle dopo un po’ mettendo fine a quell’ennesimo silenzio. “Lasciamo i novelli genitori con la loro neonata” e si avvicinò a Gabriel. “Sai” disse con espressione calcolatrice, guardando di sfuggita Lenn, “a volte, una sana bevuta, può salvarti da situazioni incresciose” e si avviò zoppicando verso la porta.

“Come puoi aver previsto una cosa del genere?” ritrovò la voce Gabriel guardandolo con occhi feroci e trovando conferma alle sue ipotesi.

“ Non dovresti stupirti del come, Gabriel” rispose Kyle con espressione seria, senza mettere vezzeggiativi al nome dell’altro Guardiano, “dato che, essere un Guardiano, significa soprattutto saper prevenire” e non ritenne opportuno aggiungere più nulla.

Gwaine, nonostante non avesse capito nulla di quella conversazione, fu lesto a portarsi al fianco di Kyle per sorreggerlo.

“I cavalieri hanno del potenziale, Gabriel, lo abbiamo sempre saputo” disse ancora il Guardiano biondo con il tono più freddo del ghiaccio, senza ritenere necessario voltarsi. “Hai ignorato questo dato fondamentale” e aprì la porta uscendo definitivamente, con Gwaine al seguito, intenzionato a non mollarlo neanche per un istante.

“E finalmente, sappiamo anche perché Kyle si è ubriacato” esclamò Lenn scuotendo la testa una volta che il Guardiano biondo fu uscito.

“Come ha potuto prevedere una simile cosa?” chiese Merlìha con espressione sorpresa mentre, con lo sguardo, esprimeva tutto il suo sgomento.

“È Kyle” rispose semplicemente Lenn scrollando le spalle. “Proprio noi, fra tutti, dovremmo sapere che una delle cose che gli riesce meglio, è calcolare tutti i rischi e i pericoli che possono generare determinate situazioni”.

“Non è colpa di nessuno” disse ancora, avvicinandosi a Gabriel che, per risposta, lo fulminò con lo sguardo.

“Non ho nessun bisogno di essere confortato, Lenn” lo riprese severo.

“Gabriel”provò a intervenire Merlìha ma Lenn le fece cenno di tacere con la mano.

“Direi che, anche per noi, sia il caso di ritirarci!” disse invece facendo un cenno a tutti i presenti.

“Beh” esclamò Louis, “alla prossima, cavaliere” e sorrise rassicurante a Perce, prima di avviarsi alla porta, seguito a ruota da Phoenix.

Leon ed Elian non se lo fecero ripetere due volte e li seguirono a loro volta dopo un veloce cenno di saluto agli altri.

Lenn rispose al saluto con un sorriso, mentre rifletteva sullo strano quartetto appena uscito. In fondo, lui, così come gli altri Guardiani e Merlino stesso, conosceva la storia dei due generali.

Era felice che avessero ritrovato entrambi quello che a lungo avevano aspettato. LA cosa poi era particolarmente propizia dato che, in quel particolare momento, sembravano avere tutti l’esigenza di ritirarsi per capire qualcosa dell’ultimo dialogo avvenuto nel salotto di Perce.

Questo particolare bisogno, Lenn lo leggeva chiaramente sul viso di Lance e Ginevra che, troppo discreti per fare domande mentre loro discutevano, aspettavano pazientemente il momento più opportuno per ritirarsi e chiedere spiegazioni. Sicuramente, anche Leon ed Elian avevano pensato lo stesso e Lenn si sentì rincuorato.

Lui era quello che, fra tutti, meglio si prestava alle spiegazioni e al dialogo. Tuttavia, in quel momento, nonostante fosse felice che la verità stesse per venire a galla, si sentiva troppo stanco per spiegare la natura delle loro parole a una platea.

Di sicuro, Louis e Phoenix avrebbero saputo essere esaurienti con i rispettivi cavalieri.

Allo stesso modo, anche Perce avrebbe trovato le sue spiegazioni nonostante il carattere di Gabriel.

Perché, finalmente, la verità degli equilibri, e il motivo della ricomparsa di tutti i cavalieri, era chiara a tutti i Guardiani, Sommo Emrys compreso.

Finalmente, una cosa che Lenn aveva sempre e solo sospettato, si poneva dinanzi a loro nella verità più assoluta.

La prova era lì, dinanzi a loro, venuta alla vita di prepotenza.

La prova era quel piccolo rubino a forma di cuore.

In quel momento, tutti loro, avevano solo bisogno di ritirarsi e raccogliere le idee.

Fu per questo che, avvicinandosi a Merlìha, le cinse le spalle e le fece cenno di andare via.

Anche Lance e Ginevra, seguendo l’invito implicito nei gesti di Lenn, seguirono la Guardiana che lanciò un ultimo sguardo preoccupato in direzione del fratello, prima di avviarsi verso la porta.

Lenn li osservò uscire ritornando poi a guardare Gabriel.

Non disse nulla; sapeva, infatti, che l’ombroso Guardiano non avrebbe apprezzato.

Preferì invece rivolgersi a Perce con un sorriso rassicurante.

“Adesso ti lasciamo tutti in pace, cavaliere” e tese la mano amichevole.

Perce rispose alla stretta annuendo con il capo. Guardò di sfuggita Gabriel, chiedendosi se le parole di Lenn riguardassero anche lui.

Anche Gabriel sarebbe andato via?

A quel pensiero sentì una morsa stringergli il cuore. Istintivamente, quando Merlino aveva intimato a Gabriel di occuparsi della faccenda, aveva provato disagio.

Disagio dovuto alla discussione nata tra loro. Però, poi, il disagio era stato spazzato via dall’emozione di poter godere ancora, nonostante tutto, della compagnia del Guardiano.

Ora, invece, le parole di Lenn lo avevano nuovamente gettato nell’angoscia.

Anche Gabriel sarebbe andato via con Lenn?

Provò a far trasparire questi pensieri dallo sguardo. Pensieri che Lenn, sicuramente, aveva già intuito da un po’.

“Non temere!” lo consolò Lenn. “Rimarrà Gabriel a darti le informazioni necessarie sulla pietra” e fece l’occhiolino.

Perce sorrise a trentadue denti. Lenn aveva capito i suoi reali pensieri e aveva abilmente rigirato il discorso, mascherando le sue reali preoccupazioni in preoccupazioni verso la pietra che aveva ancora nella mano.

Annuì con il capo, mentre lo osservava andare via.

Non aveva importanza quello che sarebbe successo.

Non aveva importanza quello che era successo.

Ora Gabriel era di nuovo lì, con lui. E lui era pronto a rimettersi in gioco.

Strinse istintivamente la pietra e sentì uno strano calore infondergli coraggio.

Sì! Le cose si potevano ancora aggiustare.

Non era tutto perduto. La prova era quel piccolo rubino a forma di cuore che stringeva saldamente nella mano.

La prova era la presenza di Gabriel lì, in casa sua, dovuta a un evento inatteso, un evento che nessuno sembrava aver calcolato e che aveva colto alla sprovvista persino il Sommo Emrys.

Il fato era dalla sua parte e lui, Antico Cavaliere di Camelot, avrebbe sfruttato fino in fondo le possibilità che esso gli offriva.
 

Continua…
 

Note:
 

Per un soffio, ma sono riuscita a non saltare questo lunedì.

Bene, questo capitolo è un capitolo di transizione dove si capiscono alcune cose e, inevitabilmente, nascono nuovi perché.

Quello che si capisce è lo sconcerto dei Guardiani di fronte alla nascita della pietra e, soprattutto, di fronte alle informazioni che la pietra sembra svelare a Merlino.

Informazioni che Kyle non solo coglie al volo ma che, soprattutto, secondo lui potevano essere previste e quindi evitate.

Kyle crede che si tratti di un imprevisto che poteva essere evitato, Lenn crede che sia il libero arbitrio dell’uomo, Perce, invece, crede che sia il fato a dargli una nuova possibilità.

Quale delle tre? E che informazioni scottanti ha dato la pietra a Merlino?

Aspetto ansiosa le vostre ipotesi e i vostri commenti!

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Al prossimo aggiornamento.

Pandora86
 

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Capitolo 61
*** Capitolo 61. Il Bene ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
 
Capitolo 61. Il Bene
 

Artù guardò il volto di Merlino che riposava.

Si prese la testa tra le mani, incredulo e sgomento. In quel momento, sentì calde lacrime di frustrazione rigargli il viso. Tutte le tensioni accumulate in quelle ore, tutte le paure provate, vennero a galla più prepotenti che mai.

Artù si asciugò le lacrime con gesto rabbioso, ritornando a guardare il volto di Merlino che, a giudicare dall’espressione, sembrava riposare sereno.

Non riusciva a credere a ciò che aveva visto. Non riusciva a credere a ciò che era avvenuto.

Se glielo avessero detto, non avrebbe mai creduto che la serata sarebbe finita in quel modo. La verità gli era piombata addosso nel modo peggiore, come una doccia gelida.

Aveva visto con i suoi occhi quello che mai aveva neanche immaginato. Aveva visto con i suoi occhi la potenza distruttiva del Diamante Nero.

Ripercorse, con la mente, gli avvenimenti delle ultime ore provando a fare ordine nella sua testa.

La serata era cominciata con presupposti abbastanza buoni; lui e Merlino erano riusciti a lavorare senza grossi intoppi e avevano addirittura cenato insieme.

Artù rivisse quelle ore spensierate, quelle dove il Mago gli aveva messo a soqquadro la cucina, sentendole lontanissime.

Erano trascorse poche ore da quei momenti, eppure, tutto quello sembrava appartenere a un altro secolo, tanto era orribile quello che Artù aveva visto, in seguito, con i suoi occhi.

Chiuse gli occhi richiamando con la mente le immagini di quella sera. Rivide Merlino uscire dall’appartamento di Perce a passo lesto e dirigersi verso il portone d’ingresso.

Lui, intuendo che qualcosa non andava, era stato veloce a seguirlo con l’intenzione di non perderlo di vista nemmeno per un istante.

Inoltre, anche se non avesse avuto il sentore che qualcosa di brutto stava per avvenire, Artù sapeva che lo avrebbe seguito comunque, anche in capo al mondo, ora che l’aveva ritrovato.

Continuò a ripercorrere con la mente gli avvenimenti della serata mentre una ruga di tensione gli increspava la fronte: il peggio stava per arrivare.

Sì, Artù si sentì in dovere di rivivere tutto quello, anche se faceva male, anche se sarebbe stato orribile. Perché solo rivivendo, avrebbe potuto analizzare e capire. Solo rivivendo, avrebbe potuto agire per il meglio.

Rivide Merlino che alzava gli occhi al cielo facendo un sospiro profondo, quasi come se fosse alla ricerca di aria. Poi, senza nessun motivo apparente, il Mago aveva cominciato a correre.

Artù, in un primo momento, aveva creduto che volesse scappare da lui. Quando Merlino aveva volto lo sguardo al cielo, lui lo aveva avvicinato per richiamare la sua attenzione e, proprio quando Artù era a un passo di distanza, il Mago aveva cominciato a correre.

Pur non riuscendo a darsi una spiegazione – se non quella che l’altro stesse scappando da lui – Artù lo aveva seguito comunque, intenzionato a non permettere all’altro di fuggire ancora da lui. Intenzionato a imporgli la sua presenza per non rischiare di perderlo ancora.

Solo ora, nella semi oscurità della sua stanza, Artù capiva che Merlino non stava scappando né da lui né tutti loro. Stava cercando di mettere più distanza possibile. Da cosa, Artù lo avrebbe visto con i suoi occhi.

Probabilmente, il Mago non si era neanche accorto della presenza del Re al suo fianco.

Probabilmente, era talmente concentrato su quello che stava vivendo da non ricordarsi nemmeno quello che stava facendo qualche istante prima.

Sì, adesso sembrava la spiegazione più plausibile e lui, ancora una volta, era stato arrogante.

Era stato arrogante a pensare che il Mago avesse come unico pensiero quello di scappare da lui.

Era stato arrogante a pensare che Artù fosse l’unico pensiero di Merlino.

Sì sentì frustrato nel provare quelle sensazioni. Proprio lui che, quando era ritornato, aveva garantito a se stesso di non fare più gli errori del passato. E invece, eccola, la sua antica arroganza. Proprio come a Camelot quando, sentendo il peso del Regno sulle spalle, non riusciva a scorgere colui che, proprio a un palmo dal suo naso, aveva pesi molto più gravosi. Era stato cieco, allora. Era stato stupido. Era stato giovane.

Giovane, proprio come lo era il Mago a quei tempi. Una giovinezza che lui ricordava più vivida che mai. Una giovinezza che non sarebbe più ritornata, portando con sé gli stessi errori. E, invece, eccoli lì i suoi errori del passato. Eccoli lì, gli sbagli che mai aveva creduto più di commettere e che invece ritornavano ancora, quasi come se avessero vita propria e si burlassero di lui.

Anche se faceva male, continuò ad analizzare gli avvenimenti di quella sera. Continuò ad analizzare se stesso per mettere fine, una volta per tutte, agli errori che continuava a ripetere.

Ritornò, con la mente, a quello che aveva pensato. Ritornò, con la mente, a quello che aveva provato.

Quando aveva visto l’altro correre, il suo unico pensiero era stato quello di fermarlo per non farlo allontanare da lui. Non voleva perderlo di nuovo e non avrebbe permesso all’altro di darsi alla fuga.

Questi erano stati i pensieri immediati mentre correva.

Ora, invece, si rendeva conto che Merlino, di lui, non se ne era neanche accorto e lui, il Re, era stato presuntuoso a pensare di essere motivo di fuga dell’altro. Era stato arrogante a credere di essere l’unico pensiero dell’altro.

Sì, ammettere i suoi sbagli e continuare a ripeterseli, gli avrebbe garantito di non sbagliare più.

Riflettendoci poi, ora capiva anche l’assurdità dei suoi pensieri. Perché mai Merlino sarebbe dovuto scappare quando, quella sera, si era presentato lui stesso a casa del Re?

Perché mai avrebbe sentito il bisogno di correre come un forsennato lontano da lui, quando gli sarebbe bastato schioccare le dita per andare all’altro capo del pianeta?

In ogni caso, ancora una volta, Artù aveva sbagliato. Eppure, si era sentito così felice quando, intervenendo nel discorso a casa di Perce, Merlino gli aveva sorriso approvando la sua intuizione.

Gli era sembrato di tornare a Camelot quando Merlino, mettendo da parte la sua ironia e i suoi sfottò, lo guardava con orgoglio.

Eppure, si rendeva conto che quei tempi erano andati per non tornare mai più. Anche se, in fondo, chi mai sarebbe voluto tornare a Camelot?

Artù no di certo! Perché avrebbe dovuto desiderare di ritornare a Camelot?

Cosa gli aveva offerto, a conti fatti, il tempo in cui era nato?

Lui aveva sempre sentito, dentro di sé, di essere fuori posto. Questa sensazione c’era stata in ogni momento della sua vita, anche se mutava a seconda delle diverse occasioni.

Però, quella sensazione di non appartenenza, era da sottofondo a tutte le emozioni che provava e ai momenti che viveva.

Ripercorse, con la mente, la sua vita a Camelot, consapevole di essere nel giusto.

Guardò di sfuggita l’anello che aveva poggiato sul comodino, sentendo il familiare calore invadergli il corpo e continuò il corso dei suoi pensieri.

Quando era stato un adolescente, aveva subito i continui rimproveri del padre, il re!

Un padre che sembrava non essere mai contento di lui, un padre che pretendeva la perfezione.

E lui, si era sentito fuori posto, come figlio e come principe. Negli anni, aveva sempre cercato di fare del suo meglio ma quella sensazione di estraneità era sempre rimasta in fondo al suo animo, sedata ma mai cancellata del tutto.

Ad Avalon, aveva rivissuto tutti i momenti della sua vita, la sua prima vita.

E se fosse riuscito a farlo anche ora, con l’aiuto dell’anello?

Non sapeva perché ma sentiva che analizzare a fondo se stesso gli avrebbe dato una conoscenza maggiore delle cose.

Merlino, in fondo, non aveva fatto lo stesso, per poter indossare l’anello che adesso portava al dito?

Merlino, questa analisi di se stesso, l’aveva già fatta, comprendendo l’enormità dei suoi poteri e divenendo finalmente quello che era.

Lui, in qualità di Antico Re, si rendeva conto di dover fare lo stesso.

Merlino aveva avuto l’aiuto dei Guardiani, nel corso dei secoli. Lui, invece, non ne aveva bisogno. Era stato preparato ad Avalon a lungo. Sentiva di potercela fare.

Lui avrebbe dovuto contrastare il Diamante Nero, indossando l’anello gemello.

Ora conosceva la potenza distruttiva del Diamante Nero. Quello che rimaneva da fare, era completare la conoscenza del Diamante Bianco.

Doveva farlo per Merlino e per il mondo stesso.

Chiuse gli occhi, chiedendo all’anello di aiutarlo.

Un battito di ciglia e si sentì leggero e senza gravità.

Artù non sapeva come fosse possibile, ma sapeva con certezza di essere nella sua mente.

Rivide, con le immagini dei suoi ricordi, suo padre. Rivide il se stesso di allora.

Si era sempre sentito fuori posto.

La domanda era: perché?

Si rivide Re, mentre sposava Ginevra, e il suo sguardo si spostò sugli occhi soddisfatti del Mago
che applaudiva nella stanza.

Merlino.

Merlino che aveva raggiunto il suo scopo.

E lui, invece? Quali erano le sensazioni che aveva provato, in quel momento?

Era felice. Era innamorato.

Ma di chi?

Da chi, in realtà, si sentiva attratto? Di chi, in realtà, non poteva fare a meno?

Lui sapeva che non era di certo la persona che aveva sposato in un’altra vita. E allora, perché, si sentiva così completo con Ginevra al suo fianco?

Ovvio! Merlino aveva fatto di tutto per rendere tale quell’unione. Merlino aveva fatto di tutto per plasmare il cuore del suo re verso la sua regina.

E Artù era felice perché si sentiva completo.

Provò ad analizzare a fondo quelle sensazioni.

Lui era già a conoscenza di queste cose ma sentiva che, analizzarle con l’aiuto del Diamante Bianco, gli avrebbe dato nuove risposte.

Rivide il volto sorridente di Merlino all’epoca e lo paragonò al sorriso che aveva visto sul volto del Mago appena poche ore prima.

Il sorriso che aveva avuto sul viso Merlino quando le sue ossa si spezzavano.

Li richiamò nella sua mente mettendoli a confronto.

Non aveva problemi ad analizzare la sua vita precedente e a rivivere i momenti di poche ore prima. La sua mente sembrava galoppare veloce, come un potente motore da corsa. Artù sentiva le informazioni scorrere veloci nella sua testa fino a incastrarsi al posto giusto.

Aveva visto Merlino correre. Aveva visto Merlino cadere improvvisamente sulle ginocchia e l’impatto con l’asfalto aveva provocato un suono agghiacciante.

Aveva provato ad avvicinarsi, sentendo la paura crescere, e poi si era fermato di colpo con la mano a mezz’aria non credendo a quello che vedeva.

Gli occhi di Merlino erano neri.

Le pupille si erano completamente fuse con l’iride diventando di un unico colore.

Era rimasto impressionato da quella vista, restando bloccato accanto all’altro senza sapere cosa fare.

Era rimasto bloccato in preda al panico più totale fino a che non si era accorto che Merlino sorrideva.

Era stato in quel momento che aveva riacquistato lucidità e si era inginocchiato accanto all’altro.

In quel sorriso aveva ritrovato la luce. In quel sorriso aveva ritrovato la via.

Perché, quella, era solo una delle tante facce di Merlino. Solo uno dei tanti volti della sua magia.

E il sorriso era quello che accomunava tutte quelle maschere, tutte quelle sfaccettature.

Il suo sorriso.

Guardando quel sorriso aveva ritrovato la calma. Guardando quel sorriso aveva ritrovato la via.

Era rimasto inginocchiato accanto all’altro non provando più a toccarlo.

Sapeva che qualcosa stava per avvenire e lui, in quel momento, doveva solo osservare.

Osservare per capire.

Perché, a breve, avrebbe avuto tutte le risposte.

A breve, avrebbe saputo tutto.

Aveva deglutito, mettendosi in attesa.

In quel momento, aveva deglutito, sentendo una strana energia che gli pizzicava la pelle.

Si era preparato, conscio del fatto che le cose, che avrebbe visto e saputo, non sarebbero state belle.

Perché il Diamante Nero stava per entrare in azione.

Non aveva avuto torto.

Eppure, nonostante si fosse preparato, non immaginava quanto sarebbe stato orribile.

Una bambola.

Merlino, in quei momenti, gli era sembrato una bambola.

Una bambola rotta.

Artù era rimasto sgomento, non credendo ai suoi occhi.

Le ossa di Merlino che si muovevano. Le ossa di Merlino che assumevano linee irregolari. Le ossa di Merlino che si spezzavano.

Poteva sentire il rumore che facevano. Poteva sentire il suono terrificante mentre si spaccavano.

Un suono che avrebbe conservato nella sua memoria fino alla fine dei tempi.

Avrebbe voluto urlare. Avrebbe voluto volgere lo sguardo e correre lontano.

Ma non lo aveva fatto.

Era Artù, Antico Re di Camelot, e non avrebbe voltato le spalle né distolto lo sguardo. Avrebbe continuato a guardare.  Questo era stato il suo pensiero. Pensiero cui aveva tenuto fede, fino in fondo. Fino alla fine di quel massacro.

Sentì le lacrime rigargli le guance ma continuò a rivivere, nella sua mente, quei momenti bui mentre cercava le risposte.

Mentre cercava il collegamento con la sua vita passata.

Collegamento che gli avrebbe consentito di impugnare la sua spada con consapevolezza e saggezza.

Collegamento che gli avrebbe consentito di sfruttare appieno il potere del diamante Bianco.

Cosa non andava? Qual era il tassello mancante?

Presto lo avrebbe trovato.

Continuò a ricordare, focalizzandosi sul sorriso di Merlino.

Perché sorrideva in quei momenti?

Perché sorrideva quando aveva sposato Ginevra?

E Artù capì.

Fu improvviso e immediato ma capì.

Lui, Re Artù, in quel tempo e in quel luogo, secondo il volere dei Guardiani, era nato grazie a un incantesimo.

Era nato grazie alla magia. Artù, antico Re di Camelot, era un essere della magia.

Merlino era l’incarnazione della magia. Merlino era la magia stessa. Merlino era il suo padrone.

Il padrone del suo cuore e della sua mente. Il padrone del suo amore.

Merlino, troppo giovane per comprendere appieno il loro legame, era felice di vedere accanto al suo Re una persona che mai lo avrebbe tradito. Una persona che Merlino stesso stimava e riteneva degna.

E Artù era felice a sua volta, perché Merlino era colui a cui apparteneva la parte mancante della sua anima.

Allo stesso modo, Artù era colui a cui apparteneva la parte mancante dell’anima del Mago.

Aveva sempre saputo queste cose da quando era ritornato, ma mai le aveva analizzate così a fondo, troppo impegnato a cercare Merlino. Mai le aveva sentite così vere.

Perché, quindi, Merlino aveva lo stesso sorriso, appena poche ore prima?

Artù non faticò a intuire anche quel dettaglio.

Merlino era felice perché, tramite il dolore, stava controllando il suo Diamante, proprio come cercava di fare Artù stesso con l’anello gemello che a breve avrebbe indossato.

Poi, gli occhi del Mago avevano cambiato colore.

Erano divenuti d’oro.

Artù aveva visto le sue ossa rinsaldarsi, una dopo l’altra, chiedendosi quanto fosse doloroso tutto quel processo.

Poi, il suo unico pensiero era stato portare Merlino a casa.

Lo aveva sollevato con delicatezza, timoroso di causargli altro dolore, e in un modo o in un altro era riuscito a portarlo a casa sua e adagiarlo a letto.

Gli aveva pulito delicatamente il volto, polveroso a causa dell’asfalto, ed era rimasto a guardarlo dormire.

Ed era ancora lì, seduto accanto all’altro su una sedia. Era ancora lì, sperando con tutto se stesso che il Mago riuscisse a riposare sereno.

Anche se aveva capito molte cose, sapeva che il tempo delle spiegazioni stava per arrivare.

Merlino non se la sarebbe cavato con una scrollata di spalle. Lo avrebbe torchiato, fino a fargli dire il più piccolo sintomo dovuto al Diamante e alla sua età millenaria.

Avrebbe parlato perché Artù poteva aiutarlo.

Lui era parte della sua magia e indossava il Diamante Bianco.

In un modo o in un altro, il Bene e il Male avrebbero dovuto riequilibrarsi tra loro.

Le anime si erano già ritrovate ma non bastava, ora Artù lo capiva appieno. Loro due, il Re e il Mago, non erano solo energia ma due esseri umani che racchiudevano, dentro il loro stesso corpo, i pilastri portanti del mondo.

Non bastava che le loro energie fossero affini: dovevano esserlo anche gli uomini.

Non c’era più tempo. Ora, avrebbero dovuto parlare. Ora, avrebbero dovuto confrontarsi, per chiudere un capitolo che durava da mille anni e per aprirne un altro, uno completamente nuovo: quello di loro due e basta.

Istintivamente, volse lo sguardo al comodino, dove c’era il Diamante Bianco.

Senza indugi lo afferrò portandoselo con decisione al dito.

Basta tentennamenti. Basta attese.

Portò la sua mano vicino a quella dell’altro, avvicinando i due anelli.

Con cautela, sfiorò il dorso della mano di Merlino con l’indice.

Non era una temperatura normale ma non era nemmeno freddo come la prima volta che lo aveva toccato.

Calore.

L’altro aveva bisogno di calore.

Sapeva di non poter fare quasi nulla ma, nonostante ciò, gli afferrò la mano stringendola piano.

Lo avrebbe riscaldato lui, anche se poco.

Avrebbe cominciato dalle piccole cose, come tenergli la mano.

Perché non era come aveva temuto nelle ore precedenti, quando si era preoccupato che Merlino, in sua compagnia, avrebbe potuto peggiorare. Merlino non rischiava in sua presenza. Non se lui avesse agito nel modo giusto.

Portò la fronte alle due mani intrecciate e chiuse gli occhi, sentendosi molto stanco.

Non sapeva cosa era avvenuto con precisione. Era riuscito ad analizzare se stesso come uno
spettatore esterno, proprio come quando la sua energia riposava ad Avalon.

Non pensava di avere una tale caratteristica anche in quella vita dove la sua energia, e quindi la sua anima, era racchiusa in un corpo solido. Un corpo da essere umano.

Non aveva importanza, comunque, sapere cos’era avvenuto perché sapeva di essere nel giusto.

Ci sarebbe stato tempo per la comprensione dettagliata di quello che era avvenuto. Ci sarebbe stato tempo per le parole.

Sicuramente, c’entrava l’anello. Sicuramente, tutto quello che lui aveva vissuto, era dovuto al potere del Diamante Bianco.  Un potere che lui stava testando, poco a poco, in maniera improvvisata e istintiva.

Un potere che avrebbe potuto cambiare le sorti del mondo. Un potere che poteva fronteggiare il Male.

Tuttavia, quel dettaglio non aveva importanza. Non in quel momento, almeno.

Tutto quello che voleva, in quell’assoluto istante, era che l’altro, la sua metà, riposasse sereno.

Finalmente, dopo anni di ricerca, Merlino era lì, con lui, e Artù sentiva la sua pelle a contatto con l’altro non stancandosi mai di quella sensazione.

Lentamente, si addormentò.

Le mani, anche nel sonno, rimasero intrecciate.

I due anelli, per la prima volta, esistevano senza cercare di valicare uno sull’altro.

A Camelot, il Diamante Bianco era esistito sotto forma di spada, funzionando all’uno per cento della sua potenza.

Successivamente, il suo padrone era morto e aveva riposato per lungo tempo, esistendo ma non funzionando realmente.

Poi, il suo Gemello si era svegliato e lui aveva continuato, per secoli, a esistere e basta.

A Camelot, il Diamante Nero era esistito nella sua forma primordiale, esistendo ma non funzionando.

Poi, era stato al dito del suo padrone, sfoderando la sua massima potenza, nell’attesa che il suo Gemello si svegliasse.

In quel momento, invece, si erano ritrovati conoscendosi nel pieno della loro potenza per la prima volta da quando erano nati.

In quel momento, esistevano e funzionavano, entrambi, allo stesso modo.

A chilometri di distanza, la crepa principale in un oggetto più antico del mondo, divenuta nel corso dei secoli la spaccatura madre da cui erano nate tutte le altre crepe, si surriscaldò, lasciando scorrere al suo interno un liquido incandescente che avrebbe garantito la fusione. Oro colato, più puro che mai, scorreva nell’oggetto, ridandogli nuova vita e preparandosi al processo che lo avrebbe riportato al suo antico splendore.

Presto, molto presto, quella crepa si sarebbe rinsaldata.
 

Continua…

Note:
 
Ho pubblicato con qualche giorno d’anticipo, poiché lunedì non avrò la connessione e non volevo saltare una settimana. Contente? Spero di sì!

Dunque, anche questo capitolo è tutta introspezione. La cosa è voluta. La mia storia è basata tutta sulle simmetrie e sugli opposti: personaggi speculari, caratteristiche speculari e… capitoli speculari!

Questa volta, siamo nella testa di Artù.

Alcune cose non sono né chiare né lineari. Anche questo è voluto.

Artù affronta i suoi pensieri, con molte ripetizioni, cercando di trovarne lui stesso un capo.
Parlo del suo rapporto con Ginevra, tassello fondamentale perché Artù comprenda il vero scopo sia del suo ritorno che della sua stessa esistenza.
Rapporto di cui ho spesso parlato, tramite diversi personaggi, in maniera abbastanza accademica ma che mai ho analizzato nei pensieri del re.

Artù analizza cose che già conosce ma su cui mai si era soffermato dato che non ha fatto altro che cercare Merlino senza pensare al resto.
Analizza anche la sua giovinezza arrivando a capire che lui è parte di Merlino.

Nella mia storia non mi limito a esprimere solo l’amore tra due persone ma il senso di appartenenza e la completezza che abbiamo sentito spesso nel telefilm dal drago quando afferma che Merlino e Artù sono due facce di una stessa medaglia e quindi di un’unica cosa.

Artù, anche se ha sempre saputo, nel suo ritorno, di essere nato nella sua prima vita grazie a un incantesimo mai ha realmente afferrato il concetto.
Mai ha afferrato il vero significato della cosa.

In questo capitolo, invece, grazie all’anello, compie un viaggio dentro se stesso, capendo che lui non solo ama il mago ma gli appartiene. Per questo afferma che Merlino, padre di tutto ciò che è magico, è il suo padrone. Allo stesso modo, anche Merlino appartiene al Re.

Inoltre, Artù affronta anche il tema dell’amore fra due persone. Lui capisce che devono stare insieme sia come uomini che come anime.

Ovviamente, questa introspezione sarà ripresa e approfondita, chiarendo il viaggio che Artù è riuscito a fare grazie all’anello.

È riuscito a ritornare alla sua giovinezza e a essere contemporaneamente nel presente. Spiegherò, più avanti, come è riuscito a farlo, quando chiarirò qual è l’effettivo potere dell’anello.

In questo capitolo, volevo semplicemente analizzare momento per momento e sensazione per sensazione, lasciando da parte le spiegazioni accademiche.

Nei capitoli addietro, inoltre, c’è stato un altro personaggio che ha affrontato un viaggio simile grazie a un potere, o una caratteristica se preferite, che chiarirò più avanti ma che ho già accennato in molti capitoli. Non dico nulla e aspetto le vostre ipotesi! Vi dico solo che anche Kyle né da giusto un accenno nel capitolo precedente.

Inoltre, avrete anche notato come in un capito parlo del rubino mentre nel successivo sembro dimenticarmene. Anche questo tipo di struttura è voluta. Nel prossimo capitolo, infatti, ci saranno Gabriel e Perce.

Spero che le mie scelte vi siano piaciute e che anche il capitolo non vi abbia annoiato.

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate. Questi capitoli sono stati ardui quindi mi piacerebbe sapere le vostre opinioni.

Nel frattempo, vi saluto, ringraziando come sempre chi è giunto fin qui.

Al prossimo aggiornamento.

Pandora86.

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Capitolo 62
*** Capitolo 62. Quello che dice il cuore ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 62. Quello che dice il cuore
 
 

Perce spostò lo sguardo verso Gabriel, indeciso sul da farsi. Lenn era appena andato via ma, nonostante si sentisse rassicurato dalle sue parole, non riusciva comunque a non provare un certo disagio alla presenza dell’ombroso Guardiano.

Anche volendo, in realtà, non avrebbe saputo cosa dire. Non che rimanere fermo, in mezzo al salotto, fosse molto intelligente ma realmente non sapeva come comportarsi, né come spezzare quel silenzio che si era venuto a creare. Silenzio che si contrapponeva al caos che c’era stato appena pochi istanti prima.

Nonostante tutto, però, non poteva fare a meno di essere felice di trovarsi in quella strana situazione. D’altro canto, gli incontri tra lui e Gabriel erano stati dettati tutti da situazioni bizzarre e anomale.

Situazioni casuali.

Situazioni inaspettate.

Situazioni dettate dal Fato.

Stranamente, fu proprio Gabriel a spezzare quei momenti imbarazzanti di silenzio.

“Mi dispiace!” esordì il Guardiano guardandolo attentamente negli occhi.

Da quando Merlino era andato via, non si era più riseduto e Perce si dispiacque di quell’atteggiamento così formale e scostante. D’altro canto, sapeva anche di non poter pretendere di più visto come i loro rapporti fossero precipitati in maniera così inaspettata.

Tuttavia, nonostante quei pensieri, la frase di esordio di Gabriel lo stupì. Per quale motivo si stava scusando?

Scosse la testa, non riuscendo a immaginare il motivo per il quale il Guardiano sentisse il bisogno di scusarsi.

Forse, per il caos che c’era stato a casa sua.

D’altro canto, Gabriel e le buone maniere erano una cosa quasi indissolubile e quindi, probabilmente, il Guardiano sentiva la necessità di scusarsi anche a nome degli altri.

“Non importa” disse accennando appena un sorriso. “Non è stata colpa di nessuno, se la mia casa è stata invasa all’improvviso” aggiunse con ironia, provando a spezzare quella tensione talmente palpabile da poter essere tagliata con un coltello.

Vide Gabriel accigliare lo sguardo e si adombrò. Va bene, forse non era il caso di fare ironia. Non in quel momento, almeno. Non con Gabriel che lo guardava con sguardo penetrante e scrutatore. Non con lui che aveva ancora la pietra stretta nel palmo della mano.

“Non è per questo, infatti, che mi stavo scusando” lo riprese Gabriel severo mentre il suo sguardo si incupì.

Perce non si era sbagliato quando aveva supposto il mal umore del Guardiano.

Mal umore che, evidentemente, non poteva essere scacciato così facilmente.

Gabriel era arrabbiato e Perce capì che era lui stesso il motivo del mal umore del Guardiano.

Evidentemente, sopportava la sua presenza perché era stato Merlino stesso a chiedergli di occuparsi della faccenda.

Faccenda di cui Perce, tra l’altro, non aveva ancora capito nulla.

Scrollò le spalle decidendo di sedersi. Stare in piedi in mezzo al salotto, in fondo, non avrebbe giovato a nessuno dei due.

Senza accorgersene, posò la pietra sul tavolino basso accanto alla poltrona e sospirò, prendendosi la testa tra le mani.

Gabriel aveva osservato i suoi movimenti ma non si era mosso e questo, tra le tante cose, fece rattristare Perce.

Il Guardiano non aveva nessuna intenzione di dimenticare quello che c’era stato tra loro, preferendo rimarcare le distanze e, in quel particolare caso, anche la sua superiorità, rimanendo in piedi e scrutandolo attento.

Non sopportava la sua presenza e, per Perce, questo pensiero fu quasi più angosciante di quelli che aveva avuto appena un’ora prima, quando si era sentito schiacciare da tutti quegli occhi puntati addosso.

Sinceramente, a quel punto, non sapeva più cosa fare.

Aveva sbagliato a rivolgersi a Gabriel in quel modo, questo lo ammetteva, ma non poteva tornare indietro.

E, anche se avesse voluto, non ci avrebbe minimamente pensato a cambiare le sue azioni.

Non aveva fatto nulla di male, in fondo. Si era solo innamorato e aveva avuto l’ardire di rendere nota questa cosa al soggetto del suo amore. O meglio, era più corretto dire che lo aveva lasciato intendere, perché una dichiarazione vera e propria non c’era mai stata.

Lui sapeva che Gabriel non avrebbe mai potuto ricambiarlo. Aveva solo voluto renderlo partecipe dei suoi sentimenti e della sua preoccupazione.

Perché, che fosse ricambiato o meno, gli faceva male vedere Gabriel ridursi allo stremo e dibattersi fra mille e più cose, senza mai avere un istante di pace.

Erano secoli che si occupava di Merlino. Erano secoli che faceva il Guardiano in un corpo umano guidando il mondo. E a Perce faceva male sapere tutto questo.

Perché lui amava Gabriel in maniera assoluta e totalizzante e, anche se desiderava prendersi cura di lui, sapeva anche che il suo desidero più profondo e altruistico era quello di stare accanto all’altro, anche come amico, per alleggerirgli i tanti compiti che gravavano sulle sue spalle.

Questo aveva cercato di fargli capire ma, evidentemente, per Gabriel era stato troppo.

Non aveva mai preteso di riuscire a infrangere lo spesso muro che sembrava circondare il cuore del Guardiano. Voleva solo stargli accanto, nulla di più.

Eppure, secondo Gabriel, il confine invalicabile tra loro era stato varcato.

Perce non aveva intenzione di rinnegare i suoi sentimenti ma non voleva neanche impelagarsi in una causa persa.

Perché c’era una cosa che, evidentemente, Gabriel non aveva compreso e Perce avrebbe fatto in modo di rimediare a tale mancanza.

Merlino aveva dato a Gabriel il compito di occuparsi della faccenda e questo significava che, non si sapeva ancora per quanto tempo, loro due sarebbero stati a stretto contatto.  Gabriel sembrava oltraggiato al pensiero di rimanere in sua compagnia e Perce, a quel punto, credeva di sapere anche il perché.

Era vero, gli aveva rivelato i suoi sentimenti. Era vero, non li avrebbe mai rinnegati.

Ma cosa credeva Gabriel? Che lui, il cavaliere come spesso lo chiamava, si sarebbe messo continuamente a professargli il suo amore diventando inopportuno? Credeva davvero che non avrebbero più potuto lavorare insieme?

Beh, si sbagliava e di grosso anche!

Gabriel non lo ricambiava ma lui questo lo aveva sempre saputo. Non aveva intenzione di infastidirlo e metterlo a disagio con continue dichiarazioni d’amore.

Glielo aveva detto ed era finita lì. Punto!

Forse, se ne sarebbe fatto una ragione. Forse, con il passare del tempo, stare in presenza
dell’altro avrebbe fatto meno male.

In ogni caso, era pronto a mettere da parte il suo dolore per il bene comune, dimostrandosi un valido alleato, degno di fiducia. Dimostrandosi un vero cavaliere di Camelot.

Non c’era bisogno che l’altro mantenesse le distanze. Temeva forse che, una volta fatta la dichiarazione, avrebbe avuto anche l’ardire di fare delle avances? Come se fosse possibile poi, fare una cosa del genere a Gabriel che ti scrutava con quel cipiglio scuro in volto e manteneva quell’atteggiamento formale e severo.

Sinceramente, non ci teneva a essere sbattuto contro la parete o a essere messo al tappeto senza magia.

In fondo, credeva che Gabriel sapesse difendersi e anche piuttosto bene.  Gli aveva detto lui stesso di aver avuto secoli d’apprendimento e dubitava che qualcuno, in quel gruppo, non sapesse combattere senza utilizzare la magia.

In ogni caso il punto era un altro: Perce non aveva nessuna intenzione di mettere in imbarazzo il Guardiano.

Dovevano lavorare insieme? Beh, allora avrebbero dovuto mettere da parte le loro questioni private.

Gabriel era sicuramente in grado di fare ciò. Rimaneva il fatto di rendere noto al Guardiano che anche Perce, nonostante non avesse l’età millenaria dell’altro, era abbastanza maturo da comportarsi in maniera adeguata e lavorare allo scopo comune.

“Sinceramente” ammise Perce con tono stanco, “non capisco perché tu ti stia scusando. E poi, potresti anche sederti” e scrollò le spalle con semplicità.

“Il fatto che tu non capisca, non mi sorprende” rispose Gabriel con tono acido mentre si andava ad accomodare nella poltrona di fronte a quella del cavaliere. “In ogni caso, ti stavo solamente facendo un’accortezza, cavaliere” concluse con un cipiglio severo accavallando le gambe.

Perce alzò un sopracciglio in segno di domanda e Gabriel sbuffò, non provando nemmeno a nascondere il suo malumore.

“A quanto sembra” tornò a parlare Gabriel, “pare che io debba sempre spiegare tutto in maniera esplicita”.

“Beh” si ritrovò a rispondergli Perce con una scrollata di spalle. “A quanto sembra, pare di sì, visto quanto io sia limitato” disse con lo stesso tono usato dall’altro.

Nel frattempo, sentiva il nervosismo crescere e si dispiacque di questo. L’aria, in quella stanza, era elettrica e la tensione era palpabile. Perce si ritrovò a pensare, con rammarico crescente, che mai i suoi rapporti con Gabriel, durante i loro precedenti incontri, erano stati così tesi. Mai aveva provato rabbia verso l’altro e mai l’altro aveva provato malessere in sua presenza.

Quando Gwaine, tramite qualche messaggio, gli aveva accennato dei suoi rapporti con Kyle, si era dispiaciuto per l’altro, sentendosi un privilegiato.

Lui e Gwaine si erano sempre spalleggiati a vicenda, in entrambe le vite. Quindi, anche in quell’occasione, si sostenevano e si confrontavano. Ognuno conosceva l’interesse dell’altro ed entrambi sapevano di non avere speranze di essere ricambiati, né ora, né in futuro.

Tuttavia, nonostante ciò, a Gwaine era andata peggio o, almeno, confrontando i loro rispettivi incontri con i due Guardiani, era questo, quello che Perce pensava appena qualche giorno prima.

Si era sentito fortunato, appena il giorno prima, del suo rapporto speciale con Gabriel.

Gwaine, invece, doveva sorbirsi i continui sbalzi d’umore di Kyle. Tuttavia, per un carattere come quello di Gwaine, era proprio quello che ci voleva.

Perché Gwaine gli sembrava felice anche quando lui e Kyle si insultavano. A modo loro, sembravano sulla buona strada per capirsi alla perfezione. Lo aveva pensato quella sera stessa quando, non solo Gwaine, ma anche Kyle stesso aveva ricercato l’altro nella stanza con lo sguardo.

Perché Perce aveva notato che non era solo Gwaine ad andare alla ricerca di Kyle ma anche il contrario.

In un certo senso, i loro rapporti erano cambiati rispetto a quando li aveva visti entrambi in ufficio.

Quella sera, aveva notato un’affinità che prima non c’era. Aveva notato uno scambio di sguardi che Perce avrebbe definito complice.

Lui, quando Gwaine parlava di Kyle, si era sempre sentito un privilegiato perché, nonostante un tipo come Gwaine era la persona adatta a gestire gli sbalzi d’umore di Kyle, non negava comunque che l’amico vivesse sempre al momento, minuto per minuto, non sapendo mai come sarebbe stato l’umore di Kyle l’ora successiva. Inoltre, non mancavano i momenti in cui, Guardiano e Cavaliere, si scontravano apertamente, con la tensione che cresceva alle stelle.

Lui invece, con Gabriel, avvertiva un senso di pace e serenità. Un senso di calma e familiarità. Un senso di casa.

Avvertiva qualcosa che non c’era più, non in quel momento almeno, e fu questo maggiormente a fargli aumentare il malessere.

Che Gabriel fosse un tipo complicato, lo aveva sempre sospettato. Anzi, lo aveva accettato, forse dal primo istante in cui l’aveva visto.

Non era questo ad avergli destato preoccupazioni, in passato.

Era questo, invece, a destargli preoccupazione adesso.

In passato, si era sempre sentito fiducioso sul modo di porsi verso il Guardiano e, in un modo o in un altro, era sempre riuscito a interagire con lui.

Ora, invece, cosa doveva fare? Come doveva porsi? Quel era il modo migliore per interagire con Gabriel, in quel preciso istante, senza scatenare ulteriori tensioni nel loro già precario rapporto?

Si prese un istante di riflessione, valutando le varie possibilità. Lui, nei loro incontri passati, aveva sempre seguito il suo cuore, aveva sempre seguito ciò che l’istinto e le sensazioni gli dicevano di fare.

E se l’avesse fatto anche adesso?

Il problema era, per l’appunto, proprio questo.

Perché lui, in quel momento, sentiva irritazione verso lo scostante Guardiano e il motivo era semplice: perché Gabriel lo considerava talmente stupito da voler mantenere le distanze in quel modo?

Quindi, cosa doveva fare?  Assecondare le sue sensazioni e quindi scontrarsi con Gabriel, scaricandogli addosso tutto il suo malessere e tutta la sua frustrazione? Non voleva arrivare alla lite ma non voleva neanche che Gabriel lo trattasse come un completo imbecille.

Quindi, la domanda si ripeteva: come diamine doveva comportarsi?

Non lo sapeva!

Fino a quel momento, assecondare il suo istinto lo aveva portato a risultati abbastanza positivi.

E se invece, stavolta, avesse portato alla definitiva rottura tra i due?

Però… rimaneva il fatto che il comportamento di Gabriel gli stava dando sui nervi e fu questo pensiero a farlo decidere. Lui voleva essere un buon amico del Guardiano, una spalla su cui l’altro avrebbe potuto appoggiarsi, qualora lo avesse desiderato.

Fino a quel momento, non aveva mai esitato a dirgli ciò che pensava. Non a caso, si trovava in quella situazione.

Non aveva potuto fare a meno di far arrivare allo scostante Guardiano i suoi sentimenti e questo aveva portato a una rottura dei loro rapporti. Non definitiva, forse, ma comunque una rottura c’era stata.

Una rottura che aveva fatto male, almeno per Perce. Una rottura che aveva portato la disperazione, almeno nelle prime ore della loro separazione.

Ma Perce, d’altro canto era sempre stato così, nel passato come nel presente: sincero e leale, con se stesso e con gli altri, costasse quello che costasse.

Fu per questo che decise di dire a Gabriel quello che pensava. Che rapporto avrebbe mai potuto esserci tra loro, se lui avesse sempre avuto paura di parlare? Che rapporto poteva costruirsi su queste basi?

Sì, ancora una volta, decise di seguire il suo cuore. Ancora una volta, decise di assecondare le sensazioni che provava.

“Sinceramente” esclamò guardandolo negli occhi, “penso che potresti anche farla finita con quest’atteggiamento!” disse, non abbassando lo sguardo. Il tono era fermo e deciso. Nessuna traccia d’incertezza trapelava, in quel momento, dalla sua voce.

“Scusa?” chiese Gabriel guardandolo attentamente con un cipiglio scuro.

“Sai” disse ancora Perce, “non ho intenzione di saltarti addosso o chissà cosa, quindi potresti anche evitare di mantenere le distanze in questo modo” sbottò.

Perché mi fa male comunque, avrebbe voluto aggiungere, ma non lo fece.

Gabriel provò a parlare ma Perce lo interruppe con un cenno della mano, continuando con il suo discorso. Fu evidente, in quel momento, lo stupore che comparve negli occhi di Gabriel a causa del gesto di Perce che lo invitava a tacere. Per uno come lui doveva essere una novità essere interrotti mentre si parlava. Anzi, a conti fatti, non era stato neanche interrotto dato che, qualcuno, lo aveva invitato a tacere prima ancora che lui parlasse. Era semplicemente stato invitato a tacere, in maniera neanche troppo gentile, tra l’altro. Sicuramente, una cosa del genere non gli era mai capitata, vista la soggezione che incuteva a chiunque posasse lo sguardo su di lui.

Tuttavia Perce, troppo preso dal suo discorso, non se ne accorse, continuando a parlare.

“Non sono uno stupido” disse Perce alzandosi e camminando nervosamente nella stanza.

Gabriel, dopo il primo attimo di stupore, aveva riacquistato la sua aria impassibile, andando a posare il mento sul dorso della mano, attentissimo a non perdersi nemmeno una delle parole, e delle espressioni, del cavaliere.

“So bene di non avere nessuna speranza con te” parlò ancora Perce gesticolando vistosamente, “ma non ho intenzione di farti una dichiarazione ogni due minuti o provarci” e lo guardò con occhi carichi di collera. “So bene che abbiamo un compito, anche se non ci ho capito granché, e penso che tu debba smetterla di considerarmi così idiota. Non ho problemi a mantenere al di fuori di tutto questo, quello che provo per te. Sono abbastanza maturo da lasciare da parte le nostre divergenze per lavorare allo scopo comune e penso che debba farlo anche tu” concluse accorgendosi, solo in quel momento, di aver parlato tutto d’un fiato.

Aveva detto tutto o, perlomeno, così credeva.

Gabriel, fra tutte quelle parole, lo aveva guardato attentamente, senza mai distogliere lo sguardo.

Impossibile dire cosa stesse pensando.

Passò un lungo istante, dove Perce si preparò al peggio. Lo scontro, quello vero, quello dove avrebbe potuto perdere Gabriel per sempre era appena cominciato. Ma lui avrebbe affrontato la tempesta che stava per arrivare a testa alta, come sempre.

Perché lui era un vero cavaliere. Sir Parsifal, Antico Cavaliere di Camelot.
 

Continua…
 

Note:
 

In questo capitolo siamo nella testa di Perce.

Nonostante sia un capitolo molto introspettivo, le riflessioni che ha il personaggio porteranno a una svolta definitiva il rapporto che ha con Gabriel.

Spero che non vi abbia annoiato!

Secondo voi, chi comparirà nel prossimo capitolo? Aspetto le vostre ipotesi e i vostri commenti.

Volevo inoltre chiedervi una cosa: preferite che, alla fine di ogni capitolo compaia un breve pezzo di quello successivo, oppure preferite le anticipazioni che do di tanto in tanto? Ancora… nel caso vi piacciano le anticipazioni che qualche volta do, vorreste che ci fossero alla fine di ogni capitolo oppure preferite come faccio ora, trovando qualche anticipazione a qualche capitolo in particolare? Fatemi sapere!

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui, attendendo ansiosa i vostri commenti.

Alla prossima.

Pandora86
 

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Capitolo 63
*** Capitolo 63. Quello che dice la mente ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 63. Quello che dice la mente
 

Il silenzio aleggiò per un minuto buono nell’appartamento di Perce.

Un silenzio assoluto e totale. Un silenzio che nessuno dei componenti nella stanza sembrava intenzionato a spezzare.

Perce, dopo aver dato voce ai suoi pensieri, si ritrovò a guardare Gabriel con occhi ansiosi e carichi d’attesa. Tutta l’adrenalina che l’aveva accompagnato durante il suo monologo – perché di un monologo si era trattato, dato che aveva messo a tacere Gabriel con modi fin troppo spicci – ora stava svanendo, lasciando il posto all’ansia.

Si ricordava perfettamente tutta la sequenza di frasi dette all’altro e non le rimangiava. I dubbi, però, cominciavano a sorgere. Dire che aveva aggredito verbalmente l’altro, era dire poco. Ricordava perfettamente, infatti, di aver alzato il tono di voce, a mano a mano che parlava, fino a gettare addosso all’altro uno sguardo carico di disappunto e pregno di ostilità.

Forse, avrebbe potuto pensare prima di parlare e organizzare il discorso con più coerenza e, soprattutto, con più calma.

Forse, aveva semplicemente frainteso tutto e si era proiettato nella sua testa l’intera saga di non si sapeva bene cosa. O forse lo sapeva; si trattava, infatti, dell’intera saga di ‘illudiamoci di essere il centro dei pensieri di Gabriel e urliamogli contro’. Oppure ancora ‘perfetto manuale di come fare figure di merda davanti all’uomo che si ama’.

Sì, in effetti, questa andava abbastanza bene. Accanto al titolo della saga, avrebbe potuto aggiungere anche parecchi sottotitoli del tipo ‘come dimenticarsi che l’uomo che si ama è anche una persona che ha più di mille anni e un quoziente intellettivo nettamente superiore a tutta la popolazione mondiale’.

In qualunque modo la si mettesse, Perce sentì tutta la sicurezza svanire.

Era vero, Gabriel quella sera era parecchio distante.

Era vero, Gabriel quella sera era di un malumore evidente.

Però… in fondo, poteva essere giustificato!

Merlino era appena stato in quella casa, contro le previsioni di tutti. In suddetta casa, tra l’altro, era nata una strana pietra che aveva richiamato tutti sull’attenti, creando dei veri e propri momenti di panico anche tra i potentissimi Guardiani.

Inoltre, Kyle aveva fatto di tutto, nemmeno un’ora prima, per discutere con Gabriel, provocandolo fino all’inverosimile e forse sperando in una forte reazione che avrebbe portato a una lite epica.

In effetti, Perce non sapeva come Gabriel avesse fatto a resistere alle provocazioni di Kyle accompagnate dai suoi sguardi di scherno. Nonostante non li conoscesse benissimo, Perce sapeva con certezza che qualcosa doveva aver trattenuto Gabriel dal rispondere l’atro in malo modo, facendo quindi degenerare la situazione. Qualcosa ancora da definire ma che aveva inciso in maniera rilevante, tanto da portare Gabriel a sopportare in silenzio la sequela di insulti e provocazioni. Perché Perce era sicuro del fatto che, se si fosse trattato di Lenn, allora tutto si sarebbe risolto con un’espressione paziente e un sorriso gentile. Il soggetto delle provocazioni, invece, era Gabriel e già il fatto che non avesse reagito in alcun modo era alquanto sospetto.

Di fatto, Perce non era più tanto sicuro di essere il soggetto del malumore del taciturno Guardiano.

Più pensava ai fatti avvenuti, più trovava logica quell’ipotesi.

Dire che chiunque, in quella somma di situazioni, avrebbe avuto i nervi a fior di pelle, era riduttivo.

Probabilmente, Gabriel nemmeno ci pensava più al modo in cui si era lasciati. Probabilmente, aveva tutti i suoi buoni motivi per comportarsi così. Motivi che non comprendevano un certo cavaliere e una certa discussione avvenuta tra loro.

Probabilmente, Gabriel era così concentrato su chissà cosa, da non accorgersi nemmeno della sua presenza.

Oddio, forse questa era inverosimile, dato che la casa era la sua!

Però, era pur vero che Gabriel non lo aveva nemmeno calcolato di striscio, ovviamente, troppo preso da Merlino e company.

E poi, non gli aveva domandato se stesse bene, appena era venuto?

Segno che aveva messo una pietra sopra a quello che si erano detti.

Perce però, quest’ipotesi, non l’aveva neanche calcolata, almeno fino a un minuto prima ovvero, quando aveva accusato l’altro di cose stupide e, sicuramente, inesistenti. Forse, perché faceva male, troppo male, capire di essere solo una routine per l’altro.

Però, Gabriel aveva mille e più anni. Gabriel aveva una concezione del mondo che lui neanche poteva immaginare.

Gabriel si era messo al suo livello, comportandosi come un normale trentenne, solo ed esclusivamente per metterlo a suo agio.

Ma Gabriel, un normale trentenne, non lo era. Non lo era mai stato, a conti fatti!

E Perce, forse, aveva calcato troppo la mano. Si era dimenticato questo dato fondamentale, credendo di essere l’unico pensiero dell’altro.

Chissà quanti, nel corso dei secoli, avevano mostrato interesse nei suoi confronti. Chissà quante volte Gabriel si era trovato a gestore situazioni analoghe. Tante, forse troppe, per essere anche solo prese in considerazione.

Probabilmente, nel momento in cui era uscito da quella porta, nemmeno ci aveva pensato più.

E Perce, da bravo idiota, aveva rigirato il coltello nella piaga comportandosi, a conti fatti, da emerito imbecille.

E pensare che, il suo sfogo, era nato proprio perché non voleva che l’altro lo considerasse stupido e invece, se fosse stato zitto, assecondando quindi gli eventi, avrebbe ottenuto quello che aveva, invano, cercato di prevenire.

Bravo, Perce! Molto bravo!

Il problema, adesso, era cosa fare!

Stare zitto!

Sì, questa era la cosa migliore, fosse dannata la sua linguaccia. Eppure, quello impulsivo del gruppo era Gwaine!

Sì immaginò l’amico che, se avesse assistito a tutto quello, sicuramente sarebbe scoppiato a ridere a crepapelle.

D’altronde però, c’era anche da dire che Gwaine non si sarebbe fatto tutti i problemi che si stava facendo lui in quel momento.

Gwaine parlava e basta, senza pensare alle conseguenze. O meglio, le conseguenze non gli interessavano perché le affrontava con una risata.

Gwaine diceva sempre quello che provava, in maniera diretta e, a volte, inopportuna, fregandosene di tutto e di tutti.

Perce, purtroppo, non era così.

Troppo timido e troppo riservato.

Sì, timido lo era sempre stato, anche in un’altra vita quando, il corteggiamento, era tutto da parte dell’uomo.

Nell’era moderna, invece, le cose erano cambiate. In molti casi, era la ragazza a fare il primo passo.

Peccato che Perce si ritrovava ad arrossire come un deficiente e a balbettare anche solo per dire ‘no’.

Gwaine mandava al diavolo chi voleva e corteggiava senza preoccuparsi di essere inopportuno.

Lui, invece, si faceva troppo problemi per rifiutare – preoccupandosi di essere il più gentile possibile per non ferire i sentimenti dell’altra persona – e sospirava da lontano, pensandoci almeno una settimana prima, anche solo per fare un accenno di passo avanti.

Tuttavia, non poteva cambiare il suo modo di essere.

Non l’aveva mai voluto in realtà, accettandosi perfettamente per quello che era.

E poi, se ci fossero stati due Gwaine nel gruppo, Artù li avrebbe strozzati senza mezzi termini o avrebbe intrapreso la ricerca di Merlino in un altro continente. In Alaska, forse, o in Australia!

Di certo, il più lontano possibile da loro.

Il problema dunque rimaneva: come comportarsi adesso?

A quel punto, aveva persino timore di alzare gli occhi verso Gabriel. Aveva paura persino di muoversi.

Dopo il suo sproloquio, si era girato momentaneamente, dando le spalle al Guardiano, e ora, manteneva quella posizione, troppo timoroso per voltarsi.

Si sentiva pietrificato sul posto.

C’era solo il silenzio. Un dannato silenzio che non sapeva come spezzare.

Fu per questo che rimase perplesso quando sentì un suono strano. La perplessità nasceva proprio dalla natura del suono: si trattava, infatti, di una risata.

Gabriel stava ridendo!

Certo, non era una risata fragorosa o rumorosa ma comunque di una risata si trattava!

Si girò lentamente, costatando con stupore di non essersi sbagliato: Gabriel stava proprio ridendo e di gusto anche!

Era una risata composta e formale ma comunque molto divertita!

Perce sorrise inconsciamente considerando, fra il mare di pensieri incoerenti che gli affollavano la testa tutti nello stesso istante, che non l’aveva mai sentito ridere.

Sentì il cuore più leggero, anche se, probabilmente, Gabriel stava ridendo di lui.

Forse lo considerava, arrivati a quel punto, solo un povero mentecatto con il quale non valeva neanche la pena arrabbiarsi e quindi la prendeva sul ridere.

Corrugò la fronte considerando che quell’ipotesi, forse, non era migliore rispetto a quelle avute in precedenza.

D’altro canto, quello che Gabriel pensava, così come le riflessioni che motivavano le sue azioni, rimaneva sempre e comunque un mistero.

Sospirò sconsolato, accorgendosi, solo in quel momento, che Gabriel aveva smesso di ridere e che lo osservava con un sorriso affettuoso.

No!

Fermi tutti!

Perce aveva davvero pensato la parola ‘affettuoso’ associata al sorriso di Gabriel?

O meglio… aveva davvero associato questa parola al sorriso che ora Gabriel rivolgeva a lui?

Eppure… se non si fosse trattato di Gabriel ma di una persona qualunque, sarebbe stato proprio quello, l’aggettivo con il quale avrebbe definito il sorriso.

Sospirò ancora, non sapendo cosa fare a quel punto.

O lui stava diventando matto oppure… non si sapeva bene cosa!

“Sento i tuoi neuroni fare a pugni nella tua testa!”.

La voce di Gabriel lo riscosse dalle sue riflessioni.

Il Guardiano lo osservava con sguardo – no, non avrebbe pensato ancora affettuoso, perché era Gabriel che aveva di fronte e Perce sapeva che era impossibile, quindi non voleva continuare a credere a cose inesistenti che vedeva solo lui.

Lo osservava, punto!

Sì, Gabriel lo osservava e basta, non c’era definizione migliore!

Quindi, ricapitolando, Gabriel lo osservava con le mani incrociate sotto il mento aspettandosi una risposta a quello che aveva detto.

Il problema era che, a quel punto, Perce era proprio a corto di idee.

Gli diceva che era preoccupato per lui, facendo intendere nelle sue frasi che sotto c’era anche un forte interesse, e Gabriel diventava una furia, decidendo di andarsene.

Lo metteva a tacere in malo modo, arrivando quasi a insultarlo, e Gabriel se la rideva!

Cielo, il mondo funzionava al contrario!

Quindi, no! Non sapeva più cosa dire.

Gabriel dovette capirlo – ovvio, capiva sempre tutto lui, Mister sono il Guardiano più intelligente e snob – dato che riprese a parlare.

“Tra un po’ la casa andrà a fuoco, se continui a pensare”.

Perce lo guardò oltraggiato.

La sua testa sembrava un’accozzaglia di pensieri – uno più inutile dell’altro – e Gabriel faceva ironia!

Sì, proprio così!

Mister non mi faccio una risata nemmeno se mi pregano in ginocchio’ stava facendo delle battute!

Cazzo!

Non sapeva nemmeno da dove gli usciva fuori tutta questa rabbia verso il Guardiano!

Solo che si sentiva impotente! Impotente e confuso!

Sentì Gabriel sospirare pesantemente e massaggiarsi gli occhi e poi lo vide posare il suo sguardo su di lui, osservandolo intensamente.

“Perché non ti siedi, cavaliere, e proviamo – insieme – a fare un po’ d’ordine?” propose il Guardiano conciliante.

Troppo conciliante per essere Gabriel!

Perce sbuffò, chiedendosi, a quel punto, chi gli fosse di fronte, dato che quello non poteva essere Gabriel.

Sì, sicuramente era un alieno con le fattezze del Guardiano che tanto amava.

Oppure, stava dormendo e stava sognando Gabriel. Un Gabriel con uno sguardo che lui tanto desiderava avere su di sé.

Uno sguardo che bramava.

Che razza di sogno, però! Perché poi, un sogno avrebbe dovuto essere così strano? Troppo strano anche per essere per un sogno!

Sbuffò ancora, chiedendosi da dove gli venissero tutti quei pensieri assurdi.

Perché erano troppe le idee balzane che gli venivano in mente!

“È il rubino!”

Perce alzò lo sguardo su Gabriel che, con la sua frase, aveva risposto a tutte le sue domande.

Perce rivolse all’altro uno sguardo carico di stupore. Possibile che…
“No!” rispose ancora il Guardiano. “Non ti sto leggendo la mente ma, come ti ho detto anche in passato, le tue espressioni facciali sono eloquenti”.

Perce annuì sospirando di sollievo.

“È normale, quindi?” domandò, ritrovando la voce. In effetti, ora che ci pensava, non parlava da parecchio tempo.

“Tutta questa confusione, intendo?” chiese ancora con sguardo perplesso, gesticolando con la mano.

“È normale, cavaliere” confermò Gabriel.

“Perce” sbottò Perce sentendo nuovamente la rabbia crescere. Non poteva l’altro – una volta soltanto, dannazione – considerarlo semplicemente come uomo?

Chiedeva troppo?

Non poteva semplicemente chiamarlo con il nome proprio?

Immediatamente dopo, però, si pentì del pensiero avuto e del tono usato.

Temeva, infatti, che la corda che stava tirando, rivolgendosi a Gabriel in quel modo, si sarebbe prima o poi spezzata definitivamente.

Sentì Gabriel ridacchiare ancora e scosse la testa esasperato. Per fortuna, il Guardiano, non sembrava fare caso al suo umore altalenante.

“Quando vi chiamo cavalieri” gli spiegò Gabriel, più conciliante del solito – chissà se anche quello era dovuto al rubino oppure no, si chiese Perce – “non lo faccio per insultarvi” precisò, accendendosi una sigaretta.

“Mi dispiace” si scusò Perce.

“Non occorre che tu ti scusi” lo riprese Gabriel, “ma è necessario che tu capisca” e lo guardò severamente.

Perce sorrise.

Eccolo il cipiglio severo dell’uomo che tanto amava. Ecco un po’ del vecchio Gabriel.

Il Gabriel agli albori della loro conoscenza. Lo stesso Gabriel che gli aveva fatto perdere la testa, con le sue espressioni fredde e i suoi modi altolocati.

“Per uno che ha visto il mondo evolvere” parlò ancora Gabriel e Perce fu attento a non perdersi nessuna parola, “è più facile dividere la massa in categorie, anziché considerare il singolo elemento. Lo stesso vale anche per un Guardiano che deve guidare un mondo. Si sceglie l’individuo che condurrà la massa e si innescano reazioni a catena. Capisci questo concetto?” chiese Gabriel interrompendosi.

“Non proprio” ammise Perce che, anche se di poco, gli sembrava di essere più lucido.

“Statisticamente, è più facile guidare e prevedere le azioni di una massa, anziché di un singolo individuo” riprese a spiegare Gabriel e Perce annuì, comprendendo quello che il Guardiano voleva dirgli.

“Ma come si fa a guidare questa massa?” chiese Gabriel retorico. “È molto semplice: basta scegliere l’individuo che la condurrà e il gioco è fatto. Tutte le statistiche vengono stilate sulle masse. Tutte le percentuali vengono calcolate sugli insiemi. Gli studi provenienti da una moltitudine danno dati più certi rispetto agli studi effettuati su un singolo individuo” concluse e Perce annuì.

“È la mia mente che funziona in questo modo” riprese a parlare dopo qualche istante. “Così come la mente di tutti i Guardiani” ci tenne a precisare. “Divido tutto in categorie e, quindi, tendo a chiamarti cavaliere. Mi rendo conto, però, che per un singolo individuo, di massa corporea definita e immutabile, abituato a considerarsi un elemento singolo, può risultare un’offesa” concluse.

“Capisco!” ammise Perce sentendo le sue guance prendere fuoco.

A quanto era arrivata la lista delle figure di merda? Meglio non tenerne il conto o si sarebbe buttato dalla finestra.

“Posso anche chiamarti Perce, comunque” aggiunse Gabriel dopo un po’ ridacchiando.

“Quindi, Perce, che ne dici di fare un po’ d’ordine?” chiese sorridendo.

“Come?” chiese Perce, sorridendo come un imbecille per il solo fatto che Gabriel si era rivolto a lui con il nome proprio.

“Posso aiutarti, se lo desideri” parlò ancora Gabriel.

“Ma devi fidarti di me!” esclamò dopo un po’.

“Ti fidi?” e a Perce sembrò di leggere una punta d’ansia nella voce del Guardiano mentre gli rivolgeva quella domanda.

Tuttavia, non ebbe bisogno nemmeno di un istante per dare la sua risposta.

“Mi fido!” disse solamente, alzando il suo sguardo in quello dell’altro e facendo incontrare i loro occhi in un lungo contatto visivo.

Gabriel annuì impercettibilmente.

“Ti aspetta un lungo viaggio. Un viaggio oltre lo spazio e il tempo. Un viaggio dentro te stesso. Se lo desideri, posso accompagnarti” parlò ancora il Guardiano. “Ma devi essere certo della tua scelta” parlò ancora.

“Sì” disse Perce non sentendo nemmeno il bisogno di pensarci. “Se ci sei tu, allora non ci sono problemi” e sorrise.

“È così alta la fiducia che hai in me?” chiese Gabriel, realmente incuriosito.
“Mi getterei nel fuoco per te, se solo me lo dicessi” rispose Perce fiero e Gabriel annuì.

“Cominciamo, allora!”.
 

Continua…
 

Anche in questo capitolo, come quello precedente, siamo nella testa di Perce.

È un capitolo che segna una svolta interiore per il cavaliere che analizza il complesso carattere di Gabriel e, pur rendendosi conto del divario immenso che c’è tra loro, non esita a tenergli testa.

Perce capisce finalmente quello che significa avere un’età millenaria e, non riuscendo a interpretare i pensieri di Gabriel, pensa di aver tratto delle conclusioni sbagliate, pentendosi quindi delle parole rivolte all’altro.

Tra Perce e Gabriel c’è un po’ una commedia degli equivoci in corso; questo perché il primo ha un timore reverenziale nei confronti dell’altro e il secondo, abituato ad analizzare le masse, rimane interdetto di fronte all’imprevedibilità di un singolo uomo.

Commedia che però sta per giungere al termine dato che i due si stanno avvicinando sempre più, soprattutto a livello intellettivo. Perce sta per raggiungere Gabriel e avere con lui un rapporto paritario.

Spero che questo capitolo non vi abbia annoiato dato che non ci sono il re e il mago. Dato che la storia ha molti personaggi, abbastanza rilevanti, continuerò a procedere in questo modo. Non temete, comunque, non mi sono dimenticata di Merlino e Artù!

Come sempre, attendo i vostri commenti!

Nel frattempo, grazie a chi è giunto fin qui.

Al prossimo aggiornamento.

Pandora86

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Capitolo 64
*** Capitolo 64. Sconcerto ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 64. Sconcerto
 

Gwaine aiutò Kyle a sedersi sul letto, sbottonandogli la camicia e approfittando di quei momenti di silenzio per osservarlo meglio.

Silenzio!

Sì, in effetti, era proprio quello che stonava!

Perché Kyle, da quando erano entrambi usciti dall’appartamento di Perce, non aveva detto una parola.

Non nel senso che aveva parlato poco; nel senso che non aveva parlato affatto!

Ma le cose strane non finivano a quei dati. No! Anzi, forse, il silenzio di Kyle era il minimo, fra tutte le cose strane successe.

Gwaine respirò profondamente, decidendo di fare un passo indietro e ripercorrere gli ultimi avvenimenti.

Solo così, forse, sarebbe riuscito a raccapezzarsi in quella situazione che, definire assurda, sarebbe stato riduttivo.

Si erano recati a casa di Perce richiamati da chissà cosa e, fin lì, era tutto sotto controllo.

O meglio, la situazione sembrava grave ma Kyle era sempre Kyle. Nessuna anomalia nel suo atteggiamento, nessuna stranezza nei suoi comportamenti.

Perché a Gwaine non importava una mazza di quello che era successo e di cui, tra l’altro, aveva capito molto poco.

Erano robe magiche da esseri magici, punto!

Lui era un uomo d’azione, un uomo pratico e impulsivo, che combatteva quello che vedeva e affrontava quello che conosceva, stop!

Che le energie e gli equilibri se li vedesse qualcun altro!

A lui, di tutta la situazione, interessava l’atteggiamento di Kyle che, da quando erano usciti da casa di Perce, era qualcosa di insolito e quindi, proprio per questo, molto preoccupante.

Quella non era una delle tante facce di Kyle, quella era semplicemente un’anomalia che Gwaine avrebbe fatto di tutto per capire.

Per questo, forse, ripercorrere gli avvenimenti lo avrebbe aiutato.

Erano arrivati da Perce, alla ricerca di chissà cosa, e fin lì tutto normale.

Gwaine era stato accanto al Guardiano, assistendolo come meglio poteva, e si era sentito, per tutto quel tempo, parte di un unico insieme.

Stare accanto a Kyle lo esaltava e lo spronava. Lui, che nella sua attuale vita da impiegato, spesso rimpiangeva le battaglie e l’adrenalina della sua vita passata, si sentiva tornato alla vita una terza volta, da quando dei semplici ventottenni avevano cominciato a lavorare nell’azienda di Artù.

Accompagnare Kyle verso un mistero, entrare nel suo mondo, lo faceva sentire vivo.

E lo stesso era stato anche quella sera.

Si era sentito felice di lottare al fianco di Kyle, che irradiava sicurezza e potere anche solo stando fermo.

Però, poi, era giunto quell’insensato mutismo da parte del Guardiano che impensieriva Gwaine fino all’inverosimile.

Il suo voler attaccare briga con Gabriel, poi! Non che questo fosse strano, dato che i due Guardiani si punzecchiavano continuamente. Gwaine però, quella sera, aveva visto rabbia nelle parole di Kyle.

La stessa rabbia di un maestro di fronte a un suo allievo che, per un errore stupido, ha fatto saltare in aria il laboratorio durante un esperimento.

Kyle aveva sempre preso in giro Gabriel ma mai lo aveva trattato come uno scolaretto irresponsabile. Erano tutti allo stesso livello, anche negli sfottò. Almeno, fino a quella sera.
Kyle si era assunto il ruolo del cattivo, come sempre del resto, e aveva rimproverato duramente
Gabriel che, in tutta quella situazione, aveva scelto il silenzio.

Era questo il dato che faceva credere a Gwaine che le sue supposizioni fossero vere: il silenzio di Gabriel.

L’ombroso Guardiano aveva incassato i rimproveri in silenzio, colpo su colpo, non dicendo una parola e barricandosi in un mutismo innaturale e in un’espressione impassibile.

Poi, Kyle aveva deciso di andarsene e Gwaine lo aveva seguito, intenzionato a non perderlo di vista un attimo.

Non sapeva come sarebbero andate le cose, a quel punto, dato che quella sera Merlino in persona si era mostrato a loro.

Quella era una parte sulla quale Gwaine non voleva soffermarsi. Era stato troppo lo sconcerto nello scoprire cosa era diventato uno degli uomini che aveva più stimato in assoluto.

Merlino era cambiato. Merlino era cresciuto in saggezza e potere. Merlino indossava il diamante nero ed era stato terribile vedere la devastazione sul volto dell’uomo che Gwaine considerava ancora il suo primo amico.

Quella sera, Artù lo aveva più volte trattenuto nel rapportarsi al Mago e, in fondo, Gwaine capiva anche il perché.

Era la prima volta che lo vedeva in quella vita e mai sconcerto più grande era stato specchiarsi nuovamente in quegli occhi. Occhi che un tempo erano limpidi e puri. Occhi che ora, invece, irradiavano solo rabbia e potere.

Sì, potere! Perché Gwaine aveva visto, negli occhi di Merlino, la storia di un uomo che sa chi è.
Accanto a quello, però, aveva visto anche la rabbia e la rassegnazione. Una rabbia devastante che aveva logorato il mago. Una rassegnazione terrificante che aveva distrutto un uomo.

Gwaine, quella sera, aveva capito cosa significava, effettivamente, portare il male.

E questa rivelazione lo aveva distrutto.

D’altro canto, però, Artù sembrava avere la situazione sotto controllo e lui si fidava ciecamente di Artù.

Perché si fidava di Artù? Beh, era ovvio!

Merlino aveva dato la sua intera vita al Re e Gwaine non avrebbe potuto confutare, né opporsi, a un simile dato di fatto.

Perché, anche se era vero che era stato Artù a morire, era innegabile che il Re, una vita, l’aveva avuta. Una vita l’aveva vissuta. Aveva avuto una moglie. Aveva avuto le sue battaglie e le sue glorie. Aveva avuto l’adrenalina e le emozioni, di tutti i generi.

Aveva avuto delle responsabilità e dei doveri ma anche dei piaceri e dei diritti.

Merlino, invece, tutto questo, non l’aveva mai avuto.

Non aveva mai avuto una compagna, non aveva mai potuto vivere un amore. Non aveva avuto mai alcun diritto, a quei tempi, dato che il suo status sociale non ne concedeva.

In compenso, però aveva avuto solo doveri. Gli stessi doveri del suo Re, a pensarci bene.

Solo che, a differenza del Re, che aveva il lusso di poter ostentare quanto i suoi doveri fossero degli oneri, a Merlino, questo, non era concesso.

Non gli era concesso nulla: né piangere né ridere, solo fingere. Solo fingere di essere un servo un po’ idiota. Solo fingere di non saper fare quasi nulla.

Merlino si era annullato per il suo Re che, seppur morto, almeno aveva vissuto.

Quindi, come avrebbe potuto Gwaine non stimare ciecamente colui che, a suo volta, era stimato ciecamente da Merlino?

Non si era mai posto il problema, in effetti, neanche nella sua precedente vita.

Aveva servito Artù perché gli andava, punto e basta!

Che servendo Artù, in realtà serviva Merlino, beh, questo lo avrebbe saputo soltanto qualche
tempo dopo, a conti fatti. Ma non era quello il dato importante, in fondo.

D’altro canto, sapeva che sarebbe stata dura accettare il cambiamento.

Perché, anche se Merlino non fosse stato dominato dal male, sarebbe comunque apparso a loro nelle vesti di Sommo Emrys. Le vesti del potere!

Quella sera, quando Merlino parlava loro, Gwaine aveva scorto la stessa sicurezza e lo stesso modo di fare dei Guardiani. Perché, tutti loro, ognuno a proprio modo, irradiavano potere.

Un potere immenso. Un potere illimitato.

E Gwaine, in fondo al suo cuore, aveva sempre temuto il confronto con Merlino nella vita attuale.

A Camelot erano amici. Nell’era moderna, ci sarebbe stato spazio per la loro amicizia?

D’altro canto, Merlino aveva ben altro a cui pensare. Quella sera, Gwaine stesso ne aveva avuto conferma.

Però, sapeva anche che i suoi timori occupavano una piccola parte nel suo cuore. Perché credeva in Merlino e nel legame che c’era stato tra loro.

Tuttavia, non poteva negare di aver provato sconcerto. Forse, per questo aveva provato a interagire con lui. Stupidamente, credeva che, proprio come nelle favole, sarebbe bastato un contatto visivo tra lui e il Mago, per liberare Merlino dalle pesanti catene che portava.

Sì, per questo aveva cercato di interagire con lui, ora lo capiva anche a livello razionale.

Razionalità!

Uno come lui, ne sapeva molto poco di razionalità.

Comunque, per il momento, Artù sembrava essere in grado di gestire la situazione.  Adesso toccava a lui, gestire la sua di situazione!

Già!

Kyle, per l’appunto!

Kyle e il suo insensato mutismo.

Che poi, la cosa assurda, e spaventosa al contempo, era che Kyle non si era barricato nel silenzio per fargli un dispetto.

No! Sembrava perso in chissà quali riflessioni, manco dovesse risolvere un problema di stato.

Che poi, considerando di chi si trattava, era anche probabile, in effetti!

Di certo, Gwaine era felice di trovarsi ancora in compagnia di Kyle. Quando Merlino era apparso, quella sera, manifestando il disappunto per la temporanea sistemazione del Guardiano biondo, Gwaine aveva temuto che la loro convivenza sarebbe finita lì, in quel preciso istante. Invece, Merlino era andato via da solo, seguito a ruota da Artù e Kyle, invece, non aveva protestato quando Gwaine, con gesti nemmeno troppo impliciti, gli aveva fatto capire dove si sarebbero diretti entrambi.

Anche quello era un dato strano, in effetti!

Kyle non aveva protestato, quasi come se per lui, la meta di arrivo fosse indifferente.

Probabilmente, era proprio così.

Si sedette sul letto, osservando Kyle che, a torso nudo, si era poggiato con la schiena alla spalliera del letto.

“Cosa succede?” si decise a domandare.

Kyle gli rivolse uno sguardo impassibile e indifferente.

“Cosa intendi?” domandò noncurante.

“Oh” continuò un istante dopo, non mutando espressione ne cambiando il tono piatto e asettico che aveva accompagnato la domanda. “Ti riferisci alla pietra!” esclamò con un sospiro.

“E, invece, no!” si alterò Gwaine. “Mi riferisco a te! Che cosa ti succede?”.

Kyle gli rivolse un’espressione interrogativa, in segno di muta domanda.

“Come mai sei così silenzioso?” continuò Gwaine.

Kyle ridacchiò piano.

“Pensavi preferissi il mio silenzio piuttosto che la mia ironia” e ridacchiò ancora.

“Infatti, lo preferisco” confermò Gwaine sorridendo. “Quando si tratta di un silenzio normale, però” e fece un istante di pausa. “E non sviare la domanda” ci tenne a precisare, puntandogli l’indice contro.

“Non stavo sviando la domanda” ridacchiò Kyle sollevando i palmi delle mani in segno di difesa.
“Era solo una costatazione” e sorrise.

“E comunque” continuò pochi istanti dopo, “cosa intendi, esattamente, per silenzio normale?” chiese, sinceramente interessato.

Gwaine sospirò.

“Intendo il silenzio strafottente del solito Kyle” specificò.

“Oppure, un silenzio calcolatore, dove sembra che tu stia valutando la mossa migliore per radere al suolo un continente” ironizzò, non allontanandosi comunque dalla verità.

“Insomma, uno dei tuoi silenzi” concluse. “Ti basta come risposta, o preferisci che continui l’elenco? Sai, potrei parlare per un’ora buona di questo”.

“Non ne dubito” sorrise Kyle, riflettendo però sulle parole di Gwaine.

Il cavaliere, come lo chiamava lui, non era minimamente interessato alla pietra o a quello che era successo nella casa del suo migliore amico e di cui, tra le altre cose, non aveva capito nulla.

No! Era interessato a lui e al suo anomalo silenzio e Kyle, dentro di sé, sentì di dovergli dare ragione.

Non era un suo comportamento solito, dato che la situazione che si era venuta a creare era dovuta a un errore, o forse solo a una fatalità. In ogni caso, poteva essere evitata. Non per sempre, questo Kyle lo sapeva. Però, i tempi non erano ancora giunti.

Proprio per questo motivo, Kyle doveva decidere all’istante cosa fare.

E, in queste decisioni, c’entrava lo stesso Gwaine, anche se il diretto interessato ancora non lo sapeva.

Inoltre, dovette ammettere con se stesso che le doti di osservazione del cavaliere non erano niente male.

A quanto pare, in quegli strani giorni trascorsi insieme, l’osservazione era stata bilaterale.

Si erano studiati, etichettati e catalogati e Kyle, dentro di sé, gioì di questo.

Merlino era stato circondato, in passato, da persone di valore. Persone che, anche in questo secolo, non si smentivano.

D’altro canto, i cavalieri, così come il Re, dovevano accompagnare Merlino fino alla fine dei tempi e Kyle poteva ritenersi soddisfatto delle sue osservazioni.

Lui aveva sempre saputo come sarebbero andate le cose. Lui, così come gli altri Guardiani, ovvio!

La pietra, nata appena pochi giorni prima, ne era la prova lampante.

Il problema, però, era che forse il tempo della sua nascita era stato prematuro.

Tuttavia, non si poteva tornare indietro. Ora, Kyle doveva decidere cosa fare.

In fondo, Gwaine aveva dimostrato uno spirito di osservazione niente male, quindi, valeva la pena rischiare.

Fu proprio mentre era perso in queste riflessioni che Gwaine lo sorprese di nuovo.

Anzi, lo colse letteralmente alla sprovvista.

Kyle lo guardò, con occhi interrogativi, certo di non aver capito bene la domanda che gli aveva rivolto.

“È così, vero?” chiese ancora Gwaine, incalzandolo, mentre lo guardava con occhi scrutatori.

Occhi che, per la loro espressione attenta, somigliavano molto a quelli dei Guardiani.

“Puoi ripetere, scusa?” chiese Kyle, certissimo di aver capito bene ma volendo, per la seconda volta, la conferma di ciò che le sue orecchie avevano udito.

“Non ti sei ubriacato per caso, vero?” ripeté Gwaine alzando il tono.

“Cosa intendi, esattamente?” indagò Kyle sorridendo a mezza bocca.

“Non so perché, ma non è stato un caso che ti sia fatto pestare nelle vicinanze della mia abitazione” e questa volta non era una domanda quella che Gwaine rivolgeva.

Kyle sorrise, annuendo in silenzio.

Era un sorriso diverso, però, da quelli che gli aveva rivolto in passato, considerò Gwaine.

Era un sorriso compiaciuto. Un sorriso orgoglioso.

Quasi come se Kyle stesse aspettando che lui stesso arrivasse da solo a quella conclusione.

Kyle, nel frattempo, decise.

“Suppongo sia venuto il momento di affrontare la questione del vostro ritorno” e si fece serio.

Gwaine si ritrovò a deglutire di fronte a quello sguardo. Uno sguardo di un maestro che si rivolge al suo allievo più promettente.

“La nascita della pietra è stato solo l’inizio” parlò ancora Kyle.

“L’inizio di cosa?” domandò Gwaine.

“L’inizio della fine” rispose Kyle serissimo e Gwaine si fece scuro in volto preparandosi al peggio.

Kyle si accorse di quello sguardo e ridacchiò.

“Devi ragionare a trecentosessanta gradi, cavaliere” lo riprese mentre ridacchiava.

Gwaine non poteva saperlo, ma Kyle aveva già usato quel tono in passato.

Era stato circa dieci secoli prima quando, in un’epoca dimenticata, spronava un certo Mago a dare il meglio di se, addestrandolo e istruendolo.

“In che senso?” s’informò Gwaine.

“Non devi ragionare come un uomo, ma come un Guardiano o, almeno, provarci” continuò Kyle.

“Per un uomo” riprese a parlare, “la parola fine è una parola che significa, per l’appunto, la fine di qualcosa. Per un Guardiano invece, la parola fine, coincide sempre con un nuovo inizio.
Abbiamo quindi due parole opposte che però, per un millesimo di secondo, hanno lo stesso significato. In pratica, nell’esatto momento in cui la fine e l’inizio coincidono esattamente. Riesci a capire questo concetto?” domandò Kyle fissando Gwaine con occhi attenti.

“Beh” scrollò le spalle questi, “è come un cerchio, no?” domandò con noncuranza.

“Sì” confermò Kyle. “La complessa mente del Guardiano, così come il nostro mondo, è proprio come un cerchio. Allo stesso modo, anche la vita di Merlino lo è diventata” esclamò, lasciando che l’altro arrivasse alle conclusioni da solo.

“Per la sua immortalità” capì al volo Gwaine. “La fine di un’epoca è sempre l’inizio di un’altra, per lui” concluse, trovando ovvi quei concetti a cui non aveva mai badato ma che, in fondo al suo cuore, aveva sempre sentito propri.

“Anche in questo caso, allora, è così” esclamò poi Gwaine, capendo il fine ultimo di quel discorso. “Quando hai detto che la nascita della pietra è l’inizio della fine” specificò e Kyle annuì soddisfatto.

“Finalmente, cominci a ragionare come si deve” si complimentò il biondo e Gwaine non potette fare a meno di sghignazzare.

“Quindi?” chiese poi. “Ora che si fa?”.

“Si fa un viaggio, cavaliere” rispose Kyle guardandolo attentamente. “Un viaggio che ti riguarda personalmente e in cui io ti farò da guida” esclamò sicuro.

“Bene!” annuì Gwaine. “Quando partiamo?” domandò poi con determinazione. Sapeva che qualcosa stava per avvenire, così come sapeva che il viaggio di cui parlava Kyle non era un viaggio come tutti gli altri.

Sentì l’adrenalina scorrere veloce nel suo corpo, con un solo pensiero in testa: quando si comincia?

“Per cominciare il viaggio, dobbiamo raggiungere un luogo preciso” gli spiegò Kyle.

“Che luogo?” s’informò sospettoso Gwaine.

Kyle sospirò.

“Dovrai passarmi di nuovo la camicia, cavaliere. Stasera, usciamo ancora!” e si mise a sedere sul letto.

Gwaine fu lesto ad aiutarlo.

“Dove andiamo? Sai, per regolarmi con il pieno della macchina!” ironizzò poi.

“Molto più vicino di quanto tu pensi” sorrise Kyle.

“Andiamo a Villa Badelt!”.
 

Continua…
 

Note:

In questo capitolo, siamo nella testa di Gwaine che analizza il suo incontro con Merlino e cerca di capire costa stia succedendo a Kyle.

Leggiamo anche un po’ i pensieri di Kyle, anche se i suoi veri intenti sono ancora da chiarire così come il motivo delle sue azioni. Qualche accenno viene però dato nella parte quando parlo del maestro e del tono che lo stesso Kyle usava con Merlino secoli addietro. Aspetto le vostre ipotesi!

Inoltre, spero si noti il modo diverso di Kyle di spiegare rispetto a Gabriel. Gabriel, infatti, è più tecnico e preciso, Kyle è più spiccio e molto più pratico, soprattutto nel linguaggio che usa!
 
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto!

Attendo ansiosa i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui!

Alla prossima.

Pandora86

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Capitolo 65
*** Capitolo 65. Confronto ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 65. Confronto
 

Merlino aprì lentamente gli occhi, provando una sensazione di confortante calore irradiarsi su tutto il corpo.

Guardò il soffitto, non riconoscendolo come quello della sua camera, e si sentì spaesato.

Corrugò la fronte, riflettendo sugli ultimi avvenimenti.

Il Diamante Nero aveva agito; questo lo ricordava bene. Quello che lo confondeva, però, era il luogo in cui si trovava.

Non riconosceva il soffitto della stanza in cui si trovava. Eppure, a giudicare dalla comodità che avvertiva sotto di sé, doveva essere adagiato in un letto.

Continuò nelle sue riflessioni, non muovendo un muscolo. Anche volendo, non sarebbe riuscito a muovere nient’altro che gli occhi. D’altronde, era sempre così: il suo corpo ci metteva un po’ a riacquistare la sensibilità, dopo essersi ricomposto. A volte, secoli addietro, ci volevano giorni; ora, invece, Merlino sapeva che era solo questione di ore.

A voler essere precisi, comunque, era la sua mente a riprendere, pian piano, il controllo di tutto il corpo.

Sottigliezze, in ogni caso! Cambiava la forma ma non il contenuto e, stranamente, questa cosa lo irritò.

Era sempre così, e lui, di solito, non era dispiaciuto di quella fase in particolare.

Era una fase di stasi, dove non provava nulla; era una fase dove non avvertiva nessun dolore, né derivante dal Diamante, né derivante dalla sua vecchiaia. Quindi, come poteva non preferirla al dolore?

Di solito, attendeva paziente che il suo corpo cominciasse, pian piano, a muoversi e lui si cimentava, poco alla volta, in piccoli gesti.

Di solito, si rilassava, concedendosi un riposo che, in altre occasioni, non gli era concesso.

In fondo, come poteva provare scomodità se non avvertiva nulla?

Tuttavia, in quella particolare occasione, quella forzata immobilità, lo irritò.

Dove diamine si trovava?

Inspirò profondamente, provando a calmarsi.

Non doveva temere nulla, in fondo. Non correva nessun pericolo.

Il suo corpo non rispondeva, era vero, ma la sua magia era sempre lì, potente e viva. La sua magia non lo abbandonava mai.

Quindi, ricapitolando, non gliene importava nulla di dove si trovava. Non era in pericolo!

No! Non lo era affatto!

E allora, perché aveva paura?

Provò a fare mente locale di tutte le stanze della sua villa.

Solo ragionando, avrebbe trovato una soluzione e, ragionare, in quel momento, era l’unica cosa che gli fosse concessa fare.

No!Quel soffitto non apparteneva a nessuna stanza di villa Badelt, ne era certo!

D’altro canto, perché i Guardiani avrebbero dovuto sistemarlo in una stanza diversa dalla sua camera da letto?

Oppure… sì, forse si trovava nell’appartamento che avevano acquistato in pieno centro.

Sì, quest’ipotesi sembrava quella più probabile. D’altro canto, dovevano averlo recuperato nelle vicinanze della casa di Sir Parsifal. Portarlo lì, doveva essere stata la scelta più pratica dato che la villa si trovava ad almeno quaranta minuti di macchina.

Fu in quel momento che ricordò gli avvenimenti delle ultime ore. Fu pensando al motivo della nuova casa dei Guardiani che riportò alla luce, nella sua memoria, gli avvenimenti che avevano preceduto il dominio del male.

Sir Parsifal!

Perce, nell’era attuale!

Lui, prima che il Diamante sprigionasse il suo potere, si trovava nella casa di Perce.

Artù!

Si era recato in quella casa con Artù!

Quella sera aveva rivisto i cavalieri di Camelot, uno dopo l’altro, nelle loro vesti moderne, regina compresa.

Il Rubino!

Sì, si era recato lì per la venuta al mondo del Rubino!

Il Rubino rosso sangue, nato appena pochi giorni prima.

Non voleva pensarci adesso!

Però, alla luce delle sue riflessioni, capì che non poteva trovarsi nella momentanea casa dei Guardiani.

I Guardiani, quella sera, non lo avevano seguito.

Lui stesso, in qualità di Sommo Emrys, aveva chiesto a Gabriel di occuparsi della pietra e di istruire il cavaliere.

Lo aveva deciso dopo che la pietra stessa gli aveva rivelato il motivo della sua nascita!

Cos’altro avrebbe potuto fare d’altronde, dopo aver sentito la storia del Rubino?

Una pietra venuta alla luce da poche ore ma che portava con sé molte più emozioni di pietre decennali.

No! Non voleva pensarci, in quel momento!

A quel punto, però, sentì la paura crescere.

Dove si trovava?

Forse un passante lo aveva trovato nel bel mezzo della strada e lo aveva soccorso.

Si sarebbe trovato in ospedale, però, a quel punto.

I Guardiani, per la prima volta, lo avevano ritenuto pronto per confrontarsi con la sua pietra e lui, invece, si risvegliava in una casa sconosciuta?

C’era qualcosa che non tornava!

Se un passante lo avesse raccolto, si sarebbe risvegliato in ospedale.

E se…

No! Era impossibile!

Però…

Chiuse gli occhi, provando a calmarsi e cercando di riacquistare il controllo del suo corpo. Solo così avrebbe ripreso in mano la situazione.

Si concentrò, provando a muovere le dita.

Riuscì a muovere l’indice della mano destra con successo.

Bene!

Provò con la sinistra, facendo però più fatica.

Cos’era quel peso che avvertiva sulla mano?

Possibile che fosse proprio come aveva ipotizzato?

Lui era pur sempre Klause Badelt.

Se qualche passante lo avesse riconosciuto, portandolo chissà dove?

Certo, era pur vero che si trattava di una possibilità su mille. Però, doveva pur tenere conto di questa eventualità, non dimenticando la sua indiscussa fama nel mondo non magico.

Decise di valutare le varie possibilità!

Il suo volto era sconosciuto ai più.

Solo una grande mente fotografica avrebbe potuto riconoscere il suo volto, nel momento in cui si trovava adagiato nel bel mezzo della strada, e identificarlo con quello del grande Badelt nel sito web.

D’altro canto, era pur sempre steso in mezzo alla strada come un vagabondo.

Un vagabondo con abiti costosissimi, però, puntualizzò poi una vocina nella sua testa.

Un vagabondo con un orologio da mille sterline.

Un vagabondo con accessori costosi e uno smartphone di ultima generazione.

Un vagabondo con il portafoglio pieno di carte di credito e, soprattutto, con all’interno la sua carta d’identità.

Dannazione!

Dubitava che un passante qualsiasi avesse potuto assistere alla rottura delle sue ossa e al successivo ricomponimento! Sì, questo era impossibile, dato che il Diamante alzava una barriera per circoscrivere il male solo ed esclusivamente sul suo corpo.

Non a caso, solo i Guardiani e i suoi custodi potevano interagire con quella barriera senza problemi. Un qualunque passante, in quei momenti, probabilmente gli sarebbe passato accanto senza vederlo.

Il problema, però, era il dopo.

Ricordava, infatti, di essersi volutamente addormentato in mezzo alla strada.

Se lo avessero avvicinato e, dopo aver letto il suo documento, lo avessero riconosciuto?

A quel punto, poteva essere andata solo in quel modo!

Una persona in cerca di soldi facili, forse!

Sì concentrò meglio sul tatto che stava ritornando e si accorse di essere senza camicia.

Avvertiva le lenzuola a contatto con la pelle nuda.

Non indossava più l’orologio!

Sì, non avvertiva acciaio sulla sua pelle!

Cazzo!

Forse si trattava di una persona che voleva una ricompensa.

Ma perché non avvertiva più neanche l’acciaio degli anelli che portava alle mani e delle varie cianfrusaglie che indossava sempre?

Il Diamante Nero c’era ma grazie tante! Quello era un anello invisibile alla massa, essendo più una seconda pelle che un accessorio.

In ogni caso, non doveva preoccuparsi!

Doveva fingere di continuare a dormire, fino a che il suo corpo non avesse risposto come si deve e poi, in un modo o in un altro, se ne sarebbe andato.

Lui aveva la magia dalla sua parte!

Non avrebbe fatto del male nessuno ma si sarebbe difeso, come aveva sempre fatto.

Inoltre, sapeva difendersi anche piuttosto bene!

Nessuno di loro usava la magia per scopi futili ma quel caso non rientrava in questa categoria.

Non si trattava di una rissa, o di una banale aggressione.

Spesso, infatti, lui e i Guardiani si erano trovati a menar le mani!

Alcune volte era stato per gioco; Kyle adorava prendere in giro le persone e, in qualche locale, a volte si arrivava alla rissa.

In quel caso, però era diverso. Lì, qualcuno lo aveva portato non si sapeva dove, per fare non si sapeva cosa!

Soldi!

Sì, erano quelli il motivo!

Erano sempre il motivo di tutti e tutto, d’altronde! Erano, quasi sempre, la causa che spingeva le persone a fare qualsiasi cosa.

Valutò che non era legato. Ovvio! Perché legare Klause Badelt?

Rapiamolo e chiediamo un riscatto! Oppure, derubiamolo!

In ogni caso, trattiamolo sempre con il minimo riguardo, anche se abbiamo scopi malevoli!

Si concentrò, non sentendo nulla.

In quella stanza, non c’era nessuno.

Nessuno, a parte la persona che gli teneva ferma la mano.

Persona che era sveglia, dato che la stretta era cambiata. Ora lo sfiorava delicatamente. Era un tocco strano, un tocco confortante. Un tocco gentile!

Sentiva uno strano calore irradiarsi lungo il corpo ma questo era normale. L’energia scorreva in lui donando nuova sensibilità al corpo che stava, poco alla volta, tornando alla vita. I suoi arti si stavano surriscaldando, segno che presto, molto presto, si sarebbe potuto alzare senza problemi.

Si concentrò nuovamente sul tocco della persona accanto a lui. A giudicare dalla grandezza della mano, sembrava un uomo.

Ottimo dettaglio! Così, si sarebbe regolato sulla forza da usare.

Il tocco si postò sull’avambraccio e percorse il posto dove lui sapeva esserci un tatuaggio. Una chiave di sol e una chiave di fa intrecciate tra loro.

In effetti, ne aveva anche uno sulla base della schiena, un disegno tribale.

Piccoli vezzi adottati per rendere credibile il suo personaggio ma che, pian piano, aveva imparato ad amare.

Comunque, tornò a concentrarsi sul tocco!

Percorreva delicatamente il suo braccio, in un sali scendi confortante.

Sì, era un tocco gentile e piacevole!

Peccato che lui detestasse a priori essere toccato.

Nessuno lo toccava, mai!

Non in quel modo, comunque, e non quando non era lui a deciderlo.

Il calore era arrivato fino alle braccia.

Ora, sapeva con certezza che si sarebbe potuto muovere.

Sogghignò tra sé, continuando a rimanere immobile.

Se l’uomo nella stanza lo stava accarezzando in quel modo, poteva esserci solo una ragione.

Evidentemente, non gli interessavano solo i suoi soldi, ma anche una nottata di fuoco approfittando della sua incoscienza.

Chissà, forse l’imbecille aveva anche provato a sedarlo, per questo continuava ad accarezzargli il braccio senza preoccuparsi che lui si svegliasse.

Gli venne da ridere al pensiero. Se qualcuno lo avesse sedato mentre la sua magia scorreva potente come non mai nel suo corpo – dopo una ricomposizione per l’appunto – sarebbe rimasto molto deluso dal risultato.

La magia non avrebbe accettato un qualsiasi medicinale in quelle fasi di spaccature e saldature sovrannaturali, sconfiggendone immediatamente l’effetto.

Bene, il tocco era ritornato sulla sua mano.

Ora sapeva come agire: lo avrebbe colto alla sprovvista!

Di solito, non avrebbe fatto tutti quegli sforzi dopo poche ore dall’azione del Diamante.

Perché, sicuramente, erano passate ore e non giorni.

In realtà, gli sarebbe costato qualche dolore in più ma la situazione lo richiedeva.

Doveva agire e doveva farlo subito.

Una volta tornato a casa, si sarebbe riposato a dovere. L’unica cosa che voleva, in quel momento, era spaccare la faccia al tizio che lo stava toccando in quel modo.

Non gli importava nulla se il tocco era piacevole. Non gli importava nulla del fatto che quel letto fosse comodo e sarebbe rimasto volentieri a riposare ancora un po’.

Si concentrò e successe tutto in un attimo.

Con una precisione matematica e una velocità fulminea mosse il braccio destro, andando ad afferrare il polso della mano che lo toccava.

Lo alzò, staccandolo dalla sua, e mettendosi in ginocchio sul letto, mentre, con la mano appena liberata, era pronto a sferrare un pugno.

“Che cazzo vuoi da me?” lo aggredì verbalmente, facendo capire all’altro quanto fosse sveglio e vigile.

Rimase perciò perplesso quando non sentì alcuna reazione.

Il polso che aveva afferrato non si dimenava, nonostante lui stesse stringendo forte.

Fu questa mancanza di reazione che lo spiazzò.

Era durato tutto un attimo e lui si era preparato a una lotta successiva.

Fu allora che focalizzò chi aveva davanti.

Troppo occupato a capire quanto fosse grossa di corporatura la persona che adesso era lui ad afferrare, si era soffermato sulle spalle e non sulla faccia.

In fondo, perché avrebbe dovuto perdere tempo a guardarlo in volto, se aveva intenzione di rompergli il naso?

“V-voi?” domandò perplesso.

Artù.

Artù che sorrideva compiaciuto e aspettava che gli lasciasse il polso.

Non si era scomposto. Non aveva reagito.

Immediatamente, lo lasciò andare, indietreggiando da lui e portandosi sul bordo opposto del letto.

“Sai, mi chiedevo quando ti saresti mosso, in realtà!” ridacchiò il Re benevolo, compiaciuto per chissà cosa.

Merlino lo guardò perplesso.

“Mi sono accorto quasi subito che eri sveglio” puntualizzò Artù massaggiandosi il polso dove spiccavano dei segni rossi.

“Bella presa!” si complimentò ridendo di gusto.

“Cosa?” gracchiò Merlino sentendo l’irritazione crescere.

“Hai aperto gli occhi e poi li hai richiusi immediatamente” cominciò a spiegare Artù non perdendo il sorriso.

“Tuttavia, il tuo respiro si è fatto più controllato e si vedeva che ti stavi concentrando su qualcosa” continuò a parlare il Re. “Hai mosso l’indice della mano destra; di pochissimo, ma l’hai mosso. Inoltre, quando ti ho toccato l’avambraccio, ti sei irrigidito. A quel punto, era chiaro che avessi in mente qualcosa” riassunse il Re ridacchiando piano.

Merlino perse totalmente le staffe a quel punto.

Le risate del Re, unite all’umiliazione per essere stato così prevedibile, lo fecero scoppiare.

Cosa significava quello che aveva detto il Re? Che una qualunque persona avrebbe potuto prenderlo nel sacco così facilmente?

Sentì il panico invadergli il cuore.

Se era così prevedibile e scontato, cosa aveva imparato in tutti questi secoli?
Possibile che lui, senza i Guardiani intorno, fosse destinato a essere, sempre e solo, una nullità?

Il Re poi, che aveva aspettato che lui entrasse in azione per deriderlo. Per umiliarlo.

Per fargli capire che lui era sempre il Re, forte e valoroso.

Colui che non si faceva ingannare da nessuno e che dettava ordini a destra e a manca.

Già, peccato che nella sua prima vita non avesse fatto altro che prendere fregature proprio sotto il naso.

No! Questo, il Re, non lo prendeva in considerazione. Lui, il Re, pensava sempre e solo a deridere gli altri.

Fu allora che scoppiò.

Senti calde lacrime di frustrazione rigargli le guancie ed esplose.

Non erano a Camelot e lui non era la pezza da piedi di nessuno!

I secoli erano passati e lui non voleva tornare a essere l’idiota. A cosa era servito diventare Klause Badelt?

A cosa era servito studiare e impegnarsi?

“Basta!” urlò mentre le lacrime scorrevano veloci.

Il Re, a quella vista, si fece improvvisamente serio.

“Basta” continuò a urlare Merlino. “Si può sapere che cazzo hai da ridere?” lo aggredì verbalmente passando al tu senza accorgersene.

“Possibile che tu debba sempre trovare un modo per deridere gli altri?” domandò ancora, non intenzionato a smettere. “Hai aspettato che io mi decidessi a muovermi, solo per umiliarmi?” ringhiò, sentendosi ferito e frustrato. E, più la frustrazione aumentava, più le lacrime scendevano.

Erano lacrime di rabbia. Erano lacrime di tensione.

Aveva avuto paura di poter essere aggredito. Aveva ritrovato da poco lucidità e credeva di essere a casa di uno sconosciuto.

Aveva avuto paura. E lui era stanco di avere paura.

Era cresciuto con la paura e continuava a vivere nel terrore.

Perché il destino continuava a prendersi gioco di lui?

“Calmati” provò a rassicurarlo il Re rendendosi conto dell’equivoco che c’era stato tra loro.

“Non darmi ordini” urlò in risposta il mago.

“Ascoltami, ti prego” lo implorò Artù con voce persuasiva e sguardo triste.

“Hai frainteso” provò a spiegargli.

Merlino alzò lo sguardo verso di lui, fissandolo con perplessità.

“Ammetto di essermi spiegato male” parlò ancora Artù.

“Sediamoci e parliamone con calma!” lo invitò poi.

“Parlare di cosa?” domandò sospettoso il Mago asciugandosi le lacrime con il dorso del braccio in un gesto frettoloso e rabbioso.

“Hai frainteso le mie parole” si andò a sedere Artù, sulla stessa sedia su cui lo aveva vegliato quasi tutta la notte, sapendo che l’altro non avrebbe fatto lo stesso, almeno per il momento.

“Non volevo deriderti o umiliarti e, se non fossi stato attento nel fissarti, mi avresti preso alla sprovvista e, probabilmente, avrei il naso o il braccio rotto, a seconda di cosa puntavi” cominciò
Artù, capendo il perché l’altro si fosse così arrabbiato.

Questa volta, era stato abbastanza facile capire una parte dei pensieri di Merlino e questo perché, a Camelot, prima di essere principe e poi Re, era stato un guerriero.

Merlino aveva pianificato una mossa di difesa e non c’era umiliazione più grande che sapere di essere prevedibili per il proprio nemico e poi, essere derisi di conseguenza. Il perché avesse pianificato quella mossa, non lo sapeva. Evidentemente, al risveglio si trovava ancora in uno stato confusionale.

Non l’aveva aggredito, infatti, perché si trattava proprio di lui, il suo Re. Questo dato, Artù aveva potuto dedurlo con certezza matematica.

Merlino, infatti, aveva manifestato sorpresa quando lo aveva riconosciuto.

Lo aveva aggredito, o aveva provato a farlo all’inizio, proprio perché non aveva riconosciuto subito chi aveva accanto.

Inoltre, era stato bravo. Era stato molto bravo e Artù si sentiva fiero di lui.

Una persona normale, che mancava del suo addestramento appartenente alla sua vita precedente – e che non aveva passato la notte a fissare preoccupato ogni piccolo cambiamento di respiro – non si sarebbe neanche accorta che Merlino aveva aperto gli occhi, dato che li aveva aperti per nemmeno dieci secondi.

Lui, dopo essersi svegliato, qualche ora dopo all’incirca, non aveva fatto altro che attendere il risveglio dell’altro, carico d’attesa e con il cuore in gola, e quando Merlino aveva aperto gli occhi, si era preparato a uno dei tanti possibili risvegli che aveva immaginato in quelle ore.

Non sapeva come sarebbe stato il dopo, quindi era pronto a tutto.

Si era aspettato qualsiasi cosa e, quando aveva capito che Merlino stava tramando qualcosa, si era preparato.

Lo aveva sfiorato, cercando di capire se sentisse ancora dolore e stesse bene e, quando si era sentito afferrare, non aveva reagito, rilassando i muscoli.

Merlino, a giudicare dalla forza con il quale l’aveva afferrato, avrebbe potuto slogargli il polso o, addirittura, rompergli una spalla se avesse fatto una torsione.

Sicuramente, nei secoli, aveva appreso l’arte del combattimento. Rompere una spalla con una torsione era una cosa banale se avevi un millennio per allenarti.

Quindi, si era rilassato, in modo da non facilitare il compito. Alcune torsioni, infatti, si basavano proprio sulla forza e sulla resistenza dell’avversario. Più la vittima si irrigidiva, più si creava una leva e, nelle ipotesi peggiori, l’osso della spalla si spezzava.

Non voleva combattere con Merlino ma neanche ritrovarsi qualche osso rotto e quindi aveva rilassato i muscoli, non reagendo.

“Mi dispiace che tu abbia frainteso” si scusò ancora. “Ma non sapevo quanto tu fossi lucido” ammise, lasciando intendere molte cose dalla sua frase. “Per questo non ti ho chiamato, aspettando e vedendo quello che avresti fatto”.

“Cosa intendete per lucido?” s’informò Merlino sentendosi più calmo.

Artù si accorse che Merlino era ritornato al voi, segno che stava, pian piano, riacquistando lucidità. Tuttavia, non rispose alla domanda, lasciando che il suo sguardo parlasse da solo.

Voleva, infatti, che Merlino capisse che lui aveva visto tutto. Voleva che, finalmente, il Mago decidesse di essere sincero con lui.

E Merlino, infatti, capì.

Il cuore aveva ripreso a battere con regolarità e lo spavento era passato quasi del tutto.

Capì, dallo sguardo di Artù, la sua, era stata una domanda inutile. Quella frase, la parola ‘lucido’ volutamente marcata, stava a significare una sola cosa: il Re aveva visto!

Aveva visto tutto!

Era stato lui, il Re, a portarlo in braccio.

Era stato lui, il Re, a donargli calore.

Ora, capiva anche perché non aveva riconosciuto quell’energia che lo avvolgeva.

Il Re non aveva risposto alla sua domanda ma lui non aveva più bisogno di una risposta.

Anche Artù, a giudicare dall’espressione di attesa che aveva assunto, doveva aver capito che non necessitava più di una risposta e ora lo fissava attentamente, in attesa che fosse lui, il Mago, a parlare.

Sospirò e si avvicinò al letto, sedendosi di fronte al Re.

Non poteva più tergiversare. Il tempo delle spiegazioni era giunto.
 

Continua…
 

Note:
 

Ecco che finalmente ricompaiono i nostri beniamini. Non ho molto da dire, se non che la reazione di Merlino è abbastanza normale, considerato che ha da poco riacquistato lucidità.
Si rende conto di dover tenere a mente anche la sua fama e da qui nascono tutte le sue ipotesi.

Che dire, spero che il faccia a faccia del re e del mago ci sia piaciuto.

Chi comparirà secondo voi nel prossimo capitolo?

Come sempre, attendo i vostri commenti!

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Alla prossima.

Pandora86

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Capitolo 66
*** Capitolo 66. Cavaliere e Creatura - Seconda Parte ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 66. Cavaliere e Creatura – Seconda Parte
 

“Tu non vieni con noi, cagnaccio?” domandò Phoenix rivolto a Louis che fece cenno negativo con la testa.

Una volta usciti dall’appartamento di Perce, si erano diretti al loro precedente punto d’incontro, permettendo a Elian di recuperare la sua automobile.

Phoenix, che a sua volta aveva lasciato la macchina parcheggiata sotto casa di Elian, sarebbe andato con lui.

E, ovviamente, anche Louis sarebbe andato con loro, ritornando poi a casa con Phoenix.

Fu questo la triste riflessione di Leon mentre si incupiva al solo pensiero di doversi separare dall’altro.

Fu per questo che la risposta di Louis lo sorprese.

“Non è un problema, per me, ritornare a casa a piedi” sorrise calmo Louis incrociando le braccia.

Phoenix lo guardò attentamente e sospirò.

“Hai intenzione di correre per mezza città?” chiese inarcando un sopracciglio, ben consapevole di come l’altro scaricasse lo stress.

“Beh, una corsetta dovrò farla comunque per ritornare a casa o non arriverò mai a passo d’uomo!” scherzò Louis e Phoenix non protestò.

“Ci vediamo a casa, allora!” lo salutò e, dopo un cenno di saluto a Leon, si avviò con Elian.

Leon li guardò allontanarsi valutando che, anche se Louis non si era incamminato con loro, si sarebbero comunque separati in quel preciso istante.

“È stata una serata intensa!” esclamò Leon dicendo la prima cosa che gli era venuta in mente con l’intenzione di rimandare, a tutti i costi, il momento dei saluti fra lui e Louis.

 “Non posso darti torto” gli diede ragione Louis mettendo le mani in tasca e non aggiungendo nient’altro.  In effetti, da quando erano usciti da casa di Perce, si era chiuso in uno strano silenzio, considerò Leon.

“Posso accompagnarti a casa” disse ancora Leon non accettando il fatto che si dovessero separare.

Sapeva di assomigliare più un bambino cocciuto che a un posato trentenne ma non gli interessava; non voleva lasciarlo andare, non dopo quello che c’era stato tra loro, almeno.

Ricordava bene la sensazione del corpo caldo di Louis sotto il suo. Ricordava bene il sapore delle sue labbra.

Gli eventi erano precipitati nelle ore successive quindi era stato relativamente semplice staccarsi da quei ricordi e da quelle sensazioni così recenti.

Ovvio, se ti ritrovavi davanti Merlino in persona, seguito a ruota da Artù, che ti fissava con quello sguardo freddo e calcolatore.

Nonostante lui fosse uno di quelli ad averlo già visto nell’era moderna, faticava comunque ad accettare il cambiamento avvenuto in un uomo che, nei suoi ricordi, era sempre sorridente e solare.

Più che accettazione, però, si trattava di malinconia e tristezza.

Malinconia perché lui non aveva mai realmente legato con Merlino. Lui, in epoche dimenticate, era uno dei fedeli cavalieri di Artù. L’unico, in effetti, a essere più vicino al Re che vicino al Mago, il più anziano e veterano, il più fidato.

L’unico a essere nobile di nascita e ad aver servito anche Uther, prima del grande Re Artù.

Gli altri, invece, anche se diventati cavalieri quando Uther era ancora vivo, avevano comunque servito sempre e solo Artù, dato che il padre del Re non era più in condizioni di regnare.

Inoltre, erano tutti stati amici di Merlino, prima di servire fedelmente il Re, imparando a stimarlo e a volergli bene. Solo dopo avevano giurato fedeltà e lealtà ad Artù e a Camelot; solo dopo aver conosciuto il Mago, per l’appunto!

Lancillotto, l’unico del gruppo a conoscere il suo segreto, quello più fedele al Mago.

Galvano, quello che definiva Merlino il suo primo amico.

Elyan, fratello di Ginevra e poi fabbro che, prima di diventare cavaliere, era vissuto a Camelot come popolano e non aveva fatto fatica a diventare un buon amico del servitore del Re.

Tutti loro erano prima stati popolani. Certo, Galvano era il figlio di un cavaliere ma, prima di conoscere Merlino, disprezzava i nobili e, prima di diventare cavaliere, aveva deciso di vivere come un vagabondo. Tutti loro avevano prima conosciuto Merlino, diventando suoi amici, e poi avevano servito fedelmente il Re, alzando di conseguenza il proprio rango.

Ginevra, inoltre, era stata una delle prime amiche del Mago. Addirittura, Leon pensava che tra i due, all’inizio della loro conoscenza, potesse nascere anche qualche interesse di tipo romantico.
Solo dopo avrebbe saputo quanto le sue ipotesi fossero sbagliate ma questa, in fondo, era un’altra storia, per nulla rilevante alle considerazioni che Leon stava facendo in quel momento.

Il punto principale era sempre e soltanto uno; lui, in qualsiasi modo la si mettesse, non aveva avuto lo stesso percorso di conoscenza che avevano avuto gli altri verso il Mago.

Lui, a differenza degli altri, non aveva avuto questa possibilità.

Non che si odiassero, anzi!

Merlino era amichevole con tutti e non esitava a dire quello che pensava però, Leon non poteva fare a meno di sentirsi, in qualche modo, diverso.

Lui era l’unico a essere stato prima amico di Artù e poi esserlo diventato anche di Merlino.

Certo, nell’era in cui tutti loro vivevano adesso, le cose si erano finalmente appianate. Tuttavia,
Leon doveva ammettere con se stesso che, in quegli anni, il pensiero di rivedere Merlino gli aveva creato qualche disagio.

Temeva la soggezione che avrebbe provato nei suoi confronti.

Questo era anche abbastanza normale; sapeva, infatti, che non si sarebbe trovato davanti il buffo ragazzetto di mille anni prima. Sapeva che l’avrebbe visto nelle sue vere e uniche vesti: quelle del potere.

Perché Merlino emanava fierezza e potere e Leon, quella sera, lo aveva costatato sulla sua stessa pelle.

Non sapeva che rapporto avrebbe avuto con lui in quell’epoca tuttavia, non si era mai posto realmente il problema.

“Ti vedo pensieroso”.

La voce di Louis lo riscosse dalle sue riflessioni scuotendolo dal torpore in cui quei pensieri l’avevano portato.

Scrollò le spalle, non sapendo cosa dire. In fondo, era il minimo essere silenzioso dopo tutto quello che era successo. Il problema, in quel caso, era da dove cominciare a pensare!

“Sono successe molte cose” parlò ancora Louis con sguardo rammaricato.

“Forse, è il caso che io ti lasci metabolizzare tutto” propose poi, tendendo la mano.

“Rimandiamo i nostri incontri a tempi migliori e chiamami per qualsiasi cosa” concluse. La mano ancora tesa, in attesa di essere stretta.

Leon strinse lentamente la mano dell’altro, assaporando sui polpastrelli il calore che trasmetteva la pelle di Louis anche con una semplice stretta e rivolse all’altro uno sguardo triste.

Lui non aveva bisogno di tempo per metabolizzare, lui voleva semplicemente che l’altro non andasse via!

“No” esclamò, non interrompendo il contatto tra le loro mani.

“Non ho bisogno di tempo per assimilare, ho bisogno di te” esclamò tutto d’un fiato.

Louis sorrise, trasformando la stretta di mano in una lenta e confortante carezza.

“Speravo lo dicessi” rispose e Leon sorrise di rimando.

“Andiamo a casa mia, allora” esclamò poi e Louis annuì.

Le mani ancora intrecciate, atte a simboleggiare un’unione che non si sarebbe mai più sciolta. Un’unione che il tempo non avrebbe più spezzato.

Fu silenzioso il tragitto verso casa. Tuttavia non si trattava di un silenzio imbarazzato o preoccupante. Era semplicemente un silenzio dove ognuno di loro era perso nei propri pensieri ma rassicurato dalla presenza dell’altro.

“È strano che tu non mi faccia nessuna domanda” esordì Louis una volta entrato nell’appartamento di Leon.

“Non so da dove cominciare” esclamò semplicemente l’altro scrollando le spalle.

“È proprio questo, quello a cui mi riferivo prima” spiegò Louis. “Ci sono troppe informazioni da organizzare nella tua testa” parlò ancora, “e, quando i dati sono troppi, è meglio fermarsi un istante a riflettere” concluse.

“Per questo volevi lasciarmi solo?” domandò allora Leon e Louis annuì.

“Non sarebbe servito a nessuno” protestò il cavaliere, capendo il ragionamento dell’altro ma non condividendolo. “Non sarebbe servito a me” ci tenne a specificare.

“È vero, ci sono tante cose da chiarire” parlò ancora Leon anticipando le proteste dell’altro, con la calma e la chiarezza che lo avevano caratterizzato anche in un’altra vita. “Ma non ha senso rimanere da soli a pensare” concluse, sedendosi sul divano e invitando, con uno sguardo complice e timido al contempo, l’altro a sedersi accanto a sé.

Invito che Louis colse all’istante.

“E cosa ha senso, allora?” domandò, dopo essersi seduto accanto all’altro.

“Ha senso che tu rimanga con me” esclamò allora Leon.

“Non dobbiamo parlare per forza di quello che è avvenuto” parlò ancora, cercando di rendere chiari i suoi pensieri. “Le domande e le spiegazioni verranno da sole. Ora, voglio solo godermi la tua presenza accanto a me” e abbassò il tono di voce, poggiando la fronte sulla spalla dell’altro.

“Non voglio che tu vada via” sussurrò poi, andando a intrecciare la sua mano a quella di Louis.

Louis sorrise e gli cinse la vita con un braccio, facendogli poggiare la testa sul suo petto. Le mani ancora strette in un nodo che nessuno dei due aveva intenzione di sciogliere.

“È quello che desidero anch’io” disse poi Louis a bassa voce, baciandogli leggermente la nuca e Leon sorrise, cullato dal piacevole suono prodotto dal battito del cuore dell’altro.

Leon si prese un lungo istante per annusare il particolare profumo emanato dalla pelle dell’altro; un profumo di terra e sabbia. Un profumo che sapeva di casa. Le sensazioni che provava nell’essere avvolto dalle braccia di Louis erano uniche e indescrivibili.

Portò il suo volto sul collo dell’altro, sentendo il suo cuore battere all’impazzata eppure provando, al contempo, una sensazione di calma mai provata prima di allora.

Unire le labbra in un bacio lento e struggente fu solo il passo successivo.

“Non ho mai provato con nessuno, quello che provo quando sono con te” sussurrò Leon lentamente sulle labbra dell’altro.

“Lo stesso vale per me” rispose Louis andandogli a baciare la fronte in un gesto rassicurante e paterno come la terra.

Perché era questo che rappresentava Louis e Leon si sentì fortunato e felice di essere colui che l’altro avvolgeva e, al contempo, proteggeva.

La sensazione era quella di quando si ritorna a casa dopo un tempo immemore.

Mura confortevoli e rassicuranti. Mura che proteggevano e consolavano.

Questo era Louis. Questo e molto di più.

“Lo so che è presto” sussurrò ancora il cavaliere, “ma sento di amarti” e abbassò lo sguardo provando un po’ d’imbarazzo.

Forse, stava correndo troppo. Non gli interessava comunque, perché era questo ciò che sentiva e voleva che l’altro lo sapesse.

Lui non provava solo una semplice attrazione per il corpo di Louis. Lui lo amava e voleva che l’altro lo sapesse. Voleva che i baci e le carezze avessero un significato chiaro anche per l’altro, non che fossero semplicemente motivate con una banale attrazione fisica o che fossero il frutto di una forte passione momentanea e dettata dagli eventi.

Non sapeva nulla dell’altro, in fondo, però sentiva di aver fatto bene a esporgli i suoi pensieri.

Anzi, in questo caso, a comunicargli i suoi sentimenti. Non sapeva se l’altro fosse impegnato o no ma voleva comunque stabilire le basi di quello che avrebbe potuto esserci tra loro.

Non era in cerca di una serata di divertimento. Voleva l’esclusiva delle mani dell’altro sul suo corpo. Voleva essere l’unico a poter baciare e accarezzare l‘altro e, allo stesso modo, anche lui voleva che fosse solo ed esclusivamente Louis a poterlo toccare.

Tuttavia, la risposta di Louis non lasciò nessun dubbio sulle sue intenzioni.

“Non è troppo presto” rispose Louis sollevandogli il volto con il pollice e l’indice e fissandolo attentamente, “perché io ti amo da sempre”.

Leon non poté fare a meno di andargli a baciare nuovamente le labbra in un bacio appassionato e sensuale.

Le mani vagavano sulle spalle muscolose, per stringerlo a sé e non farlo andare più via.

“Sono secoli che ti aspetto” sussurrò Louis staccandolo per un attimo da sé ma continuando ad abbracciarlo.

“Sapevo che avrei rimpianto la mia natura, nel momento in cui ti avrei incontrato di nuovo” e stavolta Leon non faticò a cogliere la tristezza in quelle poche parole.

Scosse la testa, in segno di muta domanda, e l’altro continuò a parlare.

“Vorrei essere ancora un uomo, un uomo vero, e vorrei esserlo per te” e sospirò con gli occhi velati da una profonda malinconia.

In quegli occhi Leon lesse dolore, un dolore antico come il mondo.

“Non mi importa quello che sei” esclamò Leon con decisione.

Però, a quel punto, voleva sapere.

Voleva sapere quello che Louis provava. Quello che sentiva nello stare con lui. Voleva conoscere le differenze fra i loro corpi e sapere quali fossero le eventuali difficoltà per una storia tra loro due.

Voleva conoscere tutte queste cose per abbatterle, una dopo l’altra.

“Quali sono le differenze tra me e te?” domandò allora, guardandolo con serietà e andando direttamente al nocciolo della questione.

Tra l’altro, nonostante stessero facendo un discorso importante, Leon non aveva intenzione di staccarsi dal corpo dell’altro. Non aveva intenzione di allontanarlo da sé, durante le rivelazioni riguardanti la sua vera natura.

Fu per questo che andò a sedersi cavalcioni sulle sue gambe sfidandolo, con un sorriso sghembo, a scostarlo.

Sapeva che Louis avrebbe potuto farlo senza difficoltà tuttavia, voleva fargli capire che lui c’era e ci sarebbe stato sempre. Aveva intenzione di rimanergli accanto in ogni momento e di condividere tutto, sia le cose belle sia le cose brutte. Quindi, no! Non aveva intenzione di allontanarsi dal corpo dell’altro, qualunque cosa Louis avesse da dirgli.

“Che cosa provi, quando sei con me?” chiese ancora Leon, questa volta riducendo la voce a un sussurro, mentre con la mano andava ad accarezzargli la guancia.

“Non è questione di cosa provo, cavaliere, ma di cosa posso fare se perdo il controllo” rispose Louis.

Leon provò a ribattere ma Louis lo interruppe, poggiandogli l’indice sulle labbra.

“So benissimo che non ti importa” e sorrise, “ma è importante che tu sappia” e divenne serio.

“Sono stato con pochi esseri umani, da quando ho cambiato struttura molecolare” cominciò a spiegare Louis e Leon non pensò minimamente di interromperlo.

Sentiva, dentro di sé, che c’era qualcosa di più nel racconto dell’altro. Sentiva che Louis gli stava per raccontare una parte di sé. Una parte importante, probabilmente la parte fondamentale della sua vita, che lo aveva spinto a diventare quello che era nel presente.

Si alzò, mettendosi seduto accanto all’altro.

Tutta l’eccitazione che aveva provato nel baciare e toccare Louis era completamente svanita, lasciando il posto alla curiosità verso quello che l’altro aveva da raccontare.

Andò ad accarezzargli i capelli e si mise comodo, adagiandosi comodamente sul suo petto. Tutta la sua attenzione era rivolta verso Louis e verso quello che aveva da dire. Anche Louis sembrò cogliere questo particolare dato che si mosse, decidendo di poggiare la sua testa sulle gambe di Leon.

Una posizione completamente rilassata in cui si abbandonava completamente all’altro nonostante la sua notevole superiorità fisica. Era un atto di fiducia, considerò Leon, capendo il vero significato della gestualità dell’altro.

Proprio come lui aveva cercato di comunicare con i gesti, non interrompendo il contatto fisico tra loro, anche Louis faceva lo stesso, mettendosi in una posizione rilassata. Una posizione che stava a significare la completa arrendevolezza di Louis, a dispetto della sua natura.

Louis si stava fidando di lui, cercando al contempo di metterlo a suo agio. Louis si stava fidando e contemporaneamente voleva che anche Leon si fidasse.

Beh, in quel momento, Leon non aveva dubbi su cosa fare! Era ovvio, infatti, che si fidasse completamente dell’altro, a dispetto di quello che era capace di fare. Per questo andò ad accarezzargli i capelli in attesa che Louis, la misteriosa creatura semi umana, si decidesse a parlare.

Quella notte, tra loro due, stava avvenendo qualcosa di molto più importante di un atto fisico.

Quella notte, per la prima volta, Louis si abbandonava completamente a un essere umano, decidendo di rivelare il suo oscuro e misterioso passato.

Solo così avrebbero potuto cominciare qualcosa e Leon, mentre rifletteva su questo dettaglio, si sentì felice perché aveva avuto la piena risposta a tutte le domande nate pochi istanti prima.

Louis chiuse gli occhi e si rilassò. Sentiva la mano del cavaliere che gli accarezzava i capelli e, cullato da quel tocco, decise di cominciare a narrare.
 

Continua…
 

In questo capitolo ci sono Leon e Louis.

Nella prima parte analizzo un po’ il rapporto di Leon con Merlino e spero di aver fatto un buon lavoro dato che nel canone non interagiscono quasi mai. Ho dovuto quindi lavorare molto sui pochi elementi già esistenti e cercare di costruire dei pensieri abbastanza verosimili. Fatemi sapere come me la sono cavata!

Nella seconda parte mi focalizzo sul rapporto tra il cavaliere e la creatura. Per loro, come avrete notato, ho scelto un rapporto fatto più da gesti che da parole. Un rapporto, insomma, che si adattasse al carattere calmo e, al contempo, spiccio di Louis. Anche Leon, nel canone, ci mostra un carattere calmo e ragionevole quindi ho pensato che per loro i gesti valessero molto di più delle parole. Louis, infatti, essendo simile agli animali per forza e sensi percepisce molto di più dagli odori e dalla gestualità ma queste sue differenze verranno spiegate meglio nei capitoli in cui parlerò della sua storia.

Per questi motivo ho scelto che fosse Leon ad affiancare una delle due creature anziché uno dei guardiani.

Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo e delle mie scelte!

Spero, comunque, che anche questo capitolo vi sia piaciuto. Secondo voi, chi comparirà nel prossimo?

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui!

Alla prossima.

Pandora86

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Capitolo 67
*** Capitolo 67. Infinito ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 67. Infinito
 
Merlino sospirò, provando a raccogliere le idee. In realtà, non sapeva nemmeno lui da dove cominciare. Cominciare a fare cosa poi? Raccontare, certo! Sì, ma cosa?

Era quello il vero problema: come si faceva a raccontare un’eternità?

Artù aveva assistito allo spettacolo pietoso e, al contempo, splendido della massima potenza del Diamante Nero.

Di sicuro, era quello il punto da chiarire, almeno nella testa del Re. Quello che però il Re non sapeva, era proprio il fatto che non si trattava di un semplice avvenimento che richiedeva una semplice spiegazione.

Il Diamante Nero era il male originario del suo cuore.

Male che poi aveva assorbito il potere della spada di Mordred, arrivando a rappresentare il male del mondo.

Mordred.

Sussultò a quel nome.

Il nome di colui che aveva trafitto il cuore del suo Re.

Sì, perché – a quei tempi – Artù era il suo Re. Il Re valoroso e nobile che avrebbe unito le terre di Albion.

Era questo, quello che credeva a quei tempi. Era questo, quello per cui combatteva.
Sospirò, trovando strani quei pensieri. In fondo, erano i suoi ricordi e forse era questo, quello che più lo sorprendeva.

Lui, dopo la morte del Re, aveva pianto. Lui voleva bene a quell’uomo. Un uomo che, in fondo, non gli aveva fatto proprio nulla, almeno analizzando il tutto in maniera oggettiva. Che colpa ne aveva Artù, se lui, il Mago, a quei tempi manipolava di nascosto e giostrava gli avvenimenti?

A fin di bene, certo, e per la salvezza dell’intero Regno. Tuttavia, cambiava il contenuto ma non la sostanza. Merlino aveva passato i primi vent’anni della sua vita a nascondere, manipolare e occultare.

Cosa gli aveva fatto, a conti fatti, Artù?

Gli fece strano porsi quelle domande. In fondo, era stato così facile odiare. Era stato così facile, in tutti quegli anni, avere qualcuno da accusare.

Lui, mille anni prima, avrebbe dato di tutto pur di rivedere nuovamente il Re, vivo, innanzi a lui.

Cosa stava succedendo?

Cosa mai si aspettava Artù da lui?

Perché era tornato? Non avrebbe potuto farlo mille anni prima?

Cosa si aspettava da quello che un tempo era il suo buffo servitore?

Era tornato nell’era moderna quando lui, il Mago, era oramai devastato. Devastato nella mente e nel cuore.

Devastato nell’anima e nel corpo.

Devastato come uomo ma potentissimo e splendente come Mago.

Che strano paradosso!

Cosa doveva fare adesso?

Era stato così facile appellarsi al rifiuto di mille anni prima. Un rifiuto che gli aveva lacerato il cuore, anche se non aveva potuto darlo a vedere.

Infatti, a quei tempi – gli oscuri tempi del rifiuto – era andato avanti. Aveva continuato a sorridere, cercando di infondere coraggio a un Re morente.

Al suo migliore amico.

A quei tempi, aveva perdonato.

Non gli era costato, a conti fatti. Il suo comportamento, in quel momento, era stato dettato dall’istinto, come quasi tutto quello che faceva a quei tempi.

Perché ora dovevano crollare le sue certezze?

Perché doveva ricordare proprio quelle cose?

Doveva cominciare a parlare ma non riusciva a trovare un nesso tra tutti quei pensieri sconnessi.

Non riusciva a trovare un appiglio a cui aggrapparsi.

Artù, nel frattempo, non aveva mai staccato gli occhi da lui e sembrò capire lo stato del Mago.

In fondo, bastava guardare lo sguardo smarrito di Merlino per capire cosa stesse pensando.

Anche lui, mentre osservava, si era preso un istante per riflettere a sua volta e, almeno in quella particolare occasione, non ebbe difficoltà a capire quello che l’altro stesse provando.

Evidentemente, Merlino si trovava in difficoltà a raccontare la sua vita e quello che provava.

D’altro canto, era sempre stato così, in fondo. Merlino, anche nella sua giovinezza, non aveva mai raccontato nulla in realtà.

Certo, si era confidato con il suo mentore, Gaius, ma si trattava comunque di una figura paterna che già conosceva la grande incognita che rappresentava la sua vita. Già conosceva il suo segreto e Merlino, di conseguenza, non aveva bisogno di un faccia a faccia sulla cosa più importante della sua esistenza. Gaius c’era per i buoni consigli e, in molte occasioni, per tramare alle spalle di Camelot insieme al Mago, per il bene del Regno stesso. In altri casi, però, nemmeno Gaius era a conoscenza dei piani di Merlino; il Mago, infatti, tendeva più a tenere tutto dentro che a confidare ogni piccola cosa all’unica persona con la quale potesse parlare. Essere nato in quell’epoca, dopo la grande epurazione e con un segreto sulle spalle pesante come un macigno, lo aveva reso schivo e riservato. Ma non riservato e chiuso come le persone che affermano di esserlo, in pratica, quelle taciturne e poco socievoli. Quella tipologia di persone veniva troppo notata e Merlino non aveva intenzione di attirare l’attenzione su di sé. Tutti, infatti, cercano di far integrare una persona solitaria. Tutti, o quasi, cercano di interagire con una persona cupa e scontrosa. Il più delle volte, avviene per curiosità; molti cercano, infatti, di sapere quali siano i grandi misteri della persona in questione, del perché si chiuda al mondo e cose di questo genere. Al Mago, invece, questo non succedeva. Merlino, infatti, aveva fatto molto più di questo: aveva imparato la sottile arte della recitazione.

Nessuno, al castello, pensava che Merlino avesse un qualche segreto. Nessuno, al castello, pensava che Merlino potesse avere problemi con il mondo. In effetti, non avrebbe potuto nascondersi in maniera migliore.

In sostanza, Merlino non aveva mai veramente dovuto raccontare di se stesso. I Guardiani sapevano tutto di lui e sicuramente conoscevano, ancora prima del proprietario, la sua illimitata magia e gli effetti del Diamante.

Quindi, nonostante la sua vita millenaria, Merlino, in quel momento, si trovava a dover fare qualcosa per la prima volta.

E questo pensiero, faceva male al cuore di Artù, un male lancinante.

Perché si rendeva conto, ancora una volta, del grande uomo che aveva dinanzi e di quanto, questo grande uomo, non avesse fatto altro che dare tutto agli altri, fino a devastare se stesso.

Fino a diventare una pallida imitazione di essere umano che andava avanti senza scampo e senza poter interrompere il ciclo infinito della sua vita.

“Cosa volete sapere, esattamente?”

La voce stanca e rassegnata di Merlino lo distolse dalle sue riflessioni. La domanda che il Mago gli poneva era legittima e di importanza fondamentale. La risposta lo era altrettanto, dato che avrebbe generato tutto il resto.

Tuttavia, Artù, non aveva bisogno di riflettere prima di parlare. Finalmente, infatti, aveva la possibilità di sfatare i suoi dubbi una volta per tutte e conoscere le informazioni che più gli stavano a cuore.

“Che cosa significa, realmente, avere mille anni?”.

Merlino alzò il capo guardandolo sorpreso.

“Mi avete già fatto questa domanda” disse lentamente e Artù annuì.

Era vero! Ricordava perfettamente di avergli rivolto quella stessa identica domanda, la sera del loro secondo incontro.

“Tuttavia” continuò a parlare Merlino, “anche stavolta non ne capisco il significato” vide che Artù provò a rispondere e lo interruppe con un cenno della mano.

“Quello che voglio dire” provò a spiegare, “è che le sfumature di questa domanda sono infinite.
Io ho mille anni di età; in questi mille anni di età, sono racchiusi mille anni di conoscenza e di apprendimento” e fece un istante di pausa. “Ancora… ho mille anni di vita, nei quali ho accumulato molte esperienze di vita quotidiana. Non ho mille anni solo nel corpo ma anche nella mente” ci tenne a specificare.

“So che a voi non è la mia mente che interessa” e sorrise leggermente. “Tuttavia, ci tenevo a specificare questo dettaglio, inutile per voi ma fondamentale per me, e quelli come me” aggiunse, calcando di proposito le parole.

“Ho vissuto in tutte le epoche conosciute, Artù” disse con voce severa.

“Questo lo so!” puntualizzò il Re.

“Sapere una cosa come un dato, non è la stessa cosa” lo riprese Merlino.

“Perché siete così interessato alla mia vita immortale?” chiese poi, accavallando le gambe e congiungendo le mani.

“Oh, che sbadato” e lo sguardo si fece attento e scrutatore, “forse, perché siete immortale anche voi” e sorrise. “Oppure, credevate davvero che non me ne fossi accorto?” terminò, attento a non perdersi nessuna reazione da parte del Re.

Improvvisamente, il silenzio calò nella stanza.

Artù non abbassò lo sguardo, provando l’insensata voglia di prendere l’altro a schiaffi.

Quindi sapeva!

Quando e come lo avesse capito, rimaneva un mistero dato che, fino a poche ore prima, Merlino sembrava all’oscuro di come il suo corpo si fosse ricomposto dopo la transizione ad Avalon.

E, tanto per cambiare, aveva frainteso!

Lui non era interessato all’immortalità di Merlino ma all’effetto che questi dieci secoli avevano avuto sul suo corpo e sulla sua mente.

Scosse la testa con esasperazione!

Un senso di frustrazione mai provato cominciò a serpeggiare nel suo animo.

Perché era sempre tutto così difficile?

A Camelot, lui e Merlino si capivano al volo.

Certo, Artù non conosceva la sua vera essenza ma sapeva con precisione quello che il Mago pensava in molte occasioni. Non faceva fatica a cogliere gli sguardi di disappunto, quando Artù commetteva un’azione sbagliata, né quelli orgogliosi, quando Artù esercitava il suo ruolo di principe o Re con magnanimità e giustizia.

Allo stesso modo, anche Merlino gli leggeva dentro con una facilità impressionante; sapeva perfettamente quando era triste, di malumore o scoraggiato.

Invece, nell’era in cui si trovavano adesso, nessuno dei due sapeva cosa pensasse l’altro ed entrambi si facevano idee sbagliate sui rispettivi pensieri che avevano uno per l’altro.

Erano due rette parallele che procedevano senza mai incontrarsi.

Artù, in quel momento, capì di dover porre rimedio a tutto quello.

“Sì, sono immortale” affermò, guardandolo dritto negli occhi e senza alcuna titubanza nella voce.

“Credevo, sinceramente, che lo sapessi sin dal primo momento in cui mi hai visto in questo tempo” concluse con un tono che non ammetteva repliche. Merlino gli aveva parlato rivolgendogli l’accusa velata di voler nascondere la sua immortalità.

Beh, con quella frase, Artù aveva pienamente smentito le ipotesi del Mago.
Merlino, infatti, sbuffò e preferì non commentare quella provocazione da parte del Re.

“Me ne sono accorto stasera, a casa di Perce” ammise. “O meglio, l’ho sospettato in quel momento e voi mi avete dato la conferma ora” ci tenne a precisare.

“Avete usato il Diamante Bianco” affermò poi pensieroso, come se, solo in quel momento, stesse collegando tutti i pezzi di quel puzzle infinito e complesso.

Quel pensiero, suscitò un ricordo nella mente di Artù.

Un ricordo che apparteneva a un altro tempo e a un’altra dimensione.
 
 

***
 

“L’immortalità è un fardello molto pesante da portare per un semplice corpo umano” spiegò la Dama, accomodata nella sua poltrona di velluto rosso.

“Non sarà come ora, che sei soltanto energia” concluse.

“Ne sono consapevole” rispose Artù, facendo vibrare la sua energia nervosamente, fino a occupare quasi tutta la stanza.

Freya sorrise.

L’energia di Artù era pura luce dorata, a tratti bianca, molto più scintillante delle altre, molto più intensa di tutti coloro che risiedevano ad Avalon.

“Eppure, non ti spaventa tutto questo” affermò con voce pacata.

“No”.

“E se ti dicessi che una cosa del genere non è possibile da realizzare?” domandò la Dama, inclinando leggermente la testa di lato.

L’energia di Artù vibrò fino a scuotere gli oggetti che lo circondavano.

Era questo Avalon: un mondo di pura energia, molto simile, per composizione, a quello dei Guardiani.

Un mondo immateriale e adimensionale, con oggetti immateriali e adimensionali. Un mondo che avrebbe potuto essere ovunque dato, che non era soggetto ai limiti dimensionali che caratterizzavano tutti gli altri mondi.

“Ti direi che stai mentendo!” rispose sicuro Artù. “L’immortalità mi spetta dalla nascita, e tu lo sai”.

Freya sorrise e annuì.

Era vero, l’immortalità spettava al Re tanto quanto spettava al Mago. Il problema era che al Mago veniva data alla nascita, al Re, invece, no. Era stato questo l’errore di tutti i Guardiani: non aver dato ad Artù i mezzi per ricongiungersi, definitivamente, alla sua anima spaccata.

Inoltre, anche Artù sembrava aver capito bene questo concetto, per questo lo aveva messo alla prova, provando a insinuare un dubbio sbagliato. Prova superata in maniera eccellente!

“Sai che le prove da affrontare saranno molte” disse ancora.

“Sono pronto!”.

“No!” lo riprese Freya. “Non dire una cosa del genere, se non sai cosa ti aspetta”.

“Il Diamante Nero?” chiese Artù.

“Anche, ma non solo” e, a quelle parole, l’energia di Artù vibrò impaziente.

Freya ridacchiò. Artù non aveva perso la sua impulsività anche sotto forma di energia.

“Dovrò controllare il Diamante Nero” affermò Artù, cercando di arrivare al dunque della questione, infastidito dai continui giri di parole della Dama.

No!”.

La voce di Freya risuonò severa nella stanza facendo vibrare gli oggetti contenuti in essa.

Artù si fece attento; la Dama non era mai così severa e non si arrabbiava mai. Di conseguenza, il motivo che giustificava un cambio d’umore così repentino doveva essere di importanza vitale.

“Non dire una cosa del genere, mai più” parlò ancora Freya, addolcendo leggermente il tono di voce. “Non pensarlo neanche. Il padrone di quell’anello è uno, e uno soltanto. Mai dovrai mai pensare di poterlo sostituire” e fece un istante di pausa.

“Quell’anello non è un nemico ma un amico, necessario al mondo quanto ognuno dei quattro elementi” concluse.

“E come riuscirò a contrastare il Diamante Nero?” domandò allora Artù.

“Non dovrai contrastarlo ma bilanciarlo” lo corresse Freya. “Inoltre, il Diamante Nero sarà l’ultimo dei tuoi pensieri, quando ti ricongiungerai al tuo corpo”.

“Non capisco” ammise Artù vibrando con impazienza.

“Molte cose ti saranno chiare una volta tornato. Tuttavia, anche se le comprenderai, sarà difficile per te controllare la tua energia, essendo bloccato in un corpo unico e indivisibile”.

“Quindi, in qualsiasi modo la si metta, devo improvvisare al momento?” sbottò Artù definitivamente, facendo cadere un vaso su uno dei tavoli nella stanza.

Freya rise di gusto e, con un cenno della mano, riporto il vaso al posto giusto.

“Posso darti, però, un consiglio”.

“Ti ascolto” rispose Artù con ironia.

“Dovrai pensare di avere a che fare con l’infinito”.

“Grazie tante” perse definitivamente la pazienza Artù. “Come faccio a conoscere una cosa che, per definizione, non finisce mai?” e Freya ridacchiò.

“Con dei limiti” suggerì.

“Scusa?” chiese perplesso Artù sentendo arrivare un feroce un mal di testa.

Va bene, era impossibile che lui, sotto forma di energia avesse mal di testa – o un dolore di qualsiasi altro genere – eppure, ogni volta che parlava con la Dama, la sensazione era proprio quella. Quindi sì, anche se era impossibile, Freya aveva il potere di fargli scoppiare la testa dopo ogni colloquio.

Inutile specificare che, in quella forma, Artù non aveva nessuna testa. Però, in passato aveva avuto un corpo, quindi anche questo era un dettaglio insignificante.

“Conosci la parola matematica, Artù?” chiese Freya con un sorriso.

Ovvio che la conosco” e Freya rise. Cosa diavolo avesse da ridere, poi, Artù non lo capiva proprio.

“Scusami” disse ancora la Dama, “ma faccio fatica a ricordare nel dettaglio le conoscenze del tuo tempo” si giustificò.

Artù la guardò senza parlare.

Era anche il tuo, di tempo!

Questo avrebbe voluto dirle ma si trattenne. Spesso non ci pensava quando era al suo cospetto – tutta la regalità che emanava, rendeva facile una cosa del genere – ma la Dama era la stessa persona che Merlino aveva amato.

Colei per la quale il Mago avrebbe lasciato Camelot – avrebbe lasciato lui – senza pensarci due volte.

Colei che lui, il Re, aveva ferito portandola poi alla morte.

“Cosa c’entra la matematica?” chiese, ad allontanare quei pensieri inutili.

In fondo, Freya non poteva più tornare nel mondo di Merlino. Non ne aveva nemmeno intenzione dato che Avalon era la sua casa.

Inoltre, nonostante fosse legata a Merlino, Artù non vedeva l’amore nei suoi occhi quando parlava del Mago.

“C’entra eccome!”

La voce di Freya lo riscosse dalle sue riflessioni.

“Nel tempo in cui andrai a vivere, ti troverai davanti al cosiddetto paradosso dei numeri” provò a spiegare con termini che lui potesse comprendere.

“In pratica, tutti sapranno, in quel tempo, che fra due e tre, ad esempio, ci saranno infiniti altri numeri. Eppure, nonostante siano infiniti, questi numeri, tu ne conoscerai sempre l’inizio e la fine: due e tre, in questo caso!”.

“Com’è possibile?” chiese Artù scettico. “Come possiamo conoscere l’inizio e la fine dell’infinito?”.

“Lo studierai nell’era che ti accoglierà” lo rassicurò Freya.

“Così come studierò che la Terra è tonda” le fece il verso Artù.

“Esattamente” non si scompose Freya, facendo finta di non cogliere l’ironia.

“Quale sarà l’anno che mi accoglierà?” chiese ancora Artù.

“Sai che posso dirti solo il secolo” lo riprese ancora Freya e Artù vibrò di nuovo emanando stizza. Molte volte ne avevano parlato e la Dama aveva sempre risposto che era impossibile definire con esattezza l’anno.

“Ricorda” disse ancora Freya, “ti troverai a dover controllare l’infinito. Per poterlo fare, senza perderti all’interno di esso, dovrai capire quali sono il punto d’inizio e quello di fine”.
 

***
 

Ora lo sapeva!

Sì, adesso comprendeva tutto.

Il puzzle che Artù doveva comporre era infinito ma poco importava.

I cardini principali di questo infinito mosaico erano sempre e soltanto due: il Bene e il Male.
 

Continua…
 

Note:

Innanzitutto, no, non sono sparita ma, come vi sarete accorti, i capitoli cominciano a essere più complessi e richiedono correzioni accurate. In ogni caso, cerco di fare del mio meglio e vi rassicuro sul fatto che la storia non rimarrà incompleta e non me ne sono dimenticata. Come tutte le storie che ho pubblicato, anche questa vedrà la parola fine.

Passiamo al capitolo:

Spero vi sia piaciuta la parte tra Artù e la Dama. I pezzi cominciano a incastrarsi e, da questo capitolo in poi, andremo molte volte ad Avalon, sia come ricordi che nel presente.

In questo capitolo affronto l’immortalità di Artù e faccio qualche approfondimento su come l’abbia ottenuta e perché gli spetti.

Anche Merlino comincia a fare due più due e, spero si noti nella sua introspezione, sta diventando sempre più lucido.

Il percorso di crescita dei personaggi però è complesso e quindi molto lungo. Spero di non avervi annoiato ma lo sapete: mi piace approfondire ogni cosa per essere il più credibile possibile.

A voi l’ardua sentenza!

Piccola precisazione: la matematica si è sviluppata, come scienza, molto prima del Medioevo.

Addirittura, i primi metodi di conteggio appaiono nella preistoria. La prima forma di geometria si trova in Egitto, molto prima dell’anno mille. Un prima sistema di numerazione in base dieci, invece, si sviluppò dopo il 1400.

In Europa, invece, la matematica, dopo l’Impero Romano non fece grandi progressi tuttavia e veniva studiata prettamente dagli intellettuali.

Ovviamente, la storia della matematica e delle sue origini è immensa, soprattutto se non si considera un singolo continente. Ho dato giusto qualche accenno, per giustificare il dialogo tra Artù e la Dama del Lago.
 
Come sempre, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che non vi abbia annoiato.

Mi raccomando, fatemi sapere i vostri pareri che ci tengo molto!

Alla prossima,

Pandora86

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Capitolo 68
*** Capitolo 68. Fiducia ***



Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 68. Fiducia
 

“Sarà una serata molto lunga e quello che ci apprestiamo a fare potrebbe sfinirti” esordì Gabriel. “Sicuro di non voler rimandare?” chiese mostrando un’anomala preoccupazione.

“Sicuro!” rispose Perce senza esitazioni.

“Non sto scherzando. Il tuo corpo, seppur molto forte, potrebbe non reggere” lo ammonì Gabriel. “Inoltre, la serata è stata ricca di emozioni e di avvenimenti. Probabilmente, dopo una notte di riposo, riuscirai ad avere maggiore lucidità”.

“So che non stai scherzando e non sto sottovalutando le tue parole” ci tenne a specificare Perce, “ma voglio andare in fondo a questa storia, qualunque esso sia” dichiarò deciso.

Gabriel sorrise e a Perce sembrò di scorgere un alone di tristezza in quel sorriso, senza riuscire però a spiegarsene il motivo.

“Sei così ansioso di liberarti di me, da voler affrontare qualcosa che potrebbe ridurre il tuo corpo allo stremo, anziché aspettare condizioni più favorevoli” disse allora Gabriel con tono duro e sguardo severo.

“Bene!” e si alzò in piedi togliendosi la sciarpa con gesto rabbioso. “Sappi però, che la scelta è tua e tua soltanto”.

Perce lo guardò sorpreso, riuscendo a cogliere, in mezzo a tutti quei giri di parole, una verità che, fino a quel momento, gli era sfuggita.

“Aspetta” disse alzandosi in piedi a sua volta, “era per questo che ti stavi scusando, prima?” chiese con un’urgenza tale nella voce da far credere di avere un bisogno vitale della risposta che ne sarebbe venuta.

E, a conti fatti, era proprio così.

“Ti stavi scusando perché dovevo sopportare la tua presenza o cazzate simili?” disse ancora alzando il tono della voce.

“Sorvolando sul tuo linguaggio del tutto fuori luogo” esordì Gabriel con tono più freddo del ghiaccio, “volevo semplicemente farti una cortesia e mostrare buona educazione per rendere la nostra collaborazione più sopportabile a entrambi” concluse.

Perce sbuffò sentendo, contemporaneamente, la voglia di ridere e piangere.

“Hai fatto un giro di parole immenso, semplicemente per dire sì?” domandò ridendo. “E comunque” continuò non dando modo all’altro di rispondere, “hai frainteso!” e sorrise.

“Non potrei mai non sopportare la tua presenza” aggiunse fissandolo intensamente, “o devo ripeterti quello che ti ho detto qualche minuto fa?” e sorrise ancora.

Gabriel lo guardò dubbioso.

L’argomento non era attinente a quello che si apprestavano a fare eppure sentiva, dentro di sé, di aver bisogno di un chiarimento.

Sentiva, dentro di sé, di dover capire fino in fondo quello che l’uomo dinanzi a sé affermava.
Non voleva equivoci, tra loro.

Per la prima volta, nella sua lunghissima vita, desiderò che non ci fossero muri tra lui e un altro essere vivente.

Quell’uomo, dalla mente così semplice rispetto alla sua, era la sua incognita.

Mi getterei nel fuoco, per te!

Queste erano state le parole di pochi attimi prima. Queste erano state le parole su cui Gabriel aveva preferito non soffermarsi ma che ora ritornavano prepotenti nella sua testa.

Sì, dovevano affrontare il problema del rubino ma, al momento, non gli interessava nulla della pietra.

Stava lentamente abbandonando la visione oggettiva delle cose, per preferire quella soggettiva.

Parlare del rubino era fondamentale per tutti loro. Parlare degli equivoci tra lui e Perce era fondamentale per lui. Tuttavia, voleva andare a fondo della faccenda. Una volta tanto, voleva essere come Kyle che assecondava solo quello che lo faceva stare bene. E, in quel momento, quello che lo faceva stare bene era lo sguardo di Perce posato su di lui. Uno sguardo non carico d’odio, come si era aspettato, ma carico di sentimento.

Gabriel si sentiva schiacciato da quello che sentiva ma, ancor di più, si sentiva schiacciato dal sentimento che il piccolo uomo dinanzi a lui provava.

Era un sentimento totalizzante e immenso. Era un sentimento devastante perché, se non ricambiato o assecondato, distruggeva senza scampo colui che lo provava.

Anche Gabriel si sentiva così. Si sentiva piccolo. Si sentiva uomo.

“Credevo...” parlò con voce incerta per poi interrompersi subito dopo.

Come organizzare un discorso non programmato? Come parlare di sentimenti?

Come poteva riuscirci lui, soprattutto? Lui che analizzava e schematizzava tutto. Lui, che veniva da un mondo dove l’essere era individuo completo e singolo. Un mondo dove i sentimenti erano freddi e logici.

Cos’erano, invece, i sentimenti per gli esseri umani?

Gabriel aveva sempre deriso questo stato umano, anche dopo la sua trasformazione molecolare.

Lui, che veniva da un mondo dove non c’era dolore fisico, derideva il dolore mentale delle persone.

Come si poteva provare dolore, quando non si era feriti fisicamente? Era sempre stata questa la sua domanda.

Lui, che aveva provato a porre rimedio alle piaghe fisiche dei loro corpi, divenendo un medico.

Lui, che si era preoccupato solo del dolore del corpo, non pensando a null’altro, e che ora si trovava a dover ad affrontare lo stesso dolore che aveva sempre deriso, perché lo trovava illogico e inconcepibile.

“Credevo che, visto il modo in cui è andato uno dei nostri ultimi dialoghi, tu provassi disprezzo nei miei confronti”.

Lo disse, così come lo pensava.

Lo affermò, usando le prime parole che gli venivano in mente, senza programmi o costruzioni.

Perché, forse, quello era l’unico modo per affrontare e capire i sentimenti umani.

Perce sorrise.

“Anche volendo, non riuscirei mai a odiarti” sussurrò, guardando il Guardiano con tenerezza.

Come gli sembrava fragile in quel momento, alle prese con problemi di normale routine per tutti gli esseri umani ma sconosciuti a lui.

Gabriel si sedette, poggiando la fronte sulle mani giunte.  Perce lo raggiunse, sedendosi a terra, accanto a lui.

“So che dobbiamo fare cose importanti, anche se non ci ho capito molto” scherzò, per spezzare la tensione.

“Però” continuò, “vorrei che tra noi non ci fossero incomprensioni”.

Gabriel lo guardò.

“Nemmeno io!” affermò a voce bassissima.

“Il problema è che non so come fare” ammise.

“Mi dispiace averti creato disagio” venne in suo soccorso Perce, “però, una cosa, forse, l’ho capita”.

“Quale?” chiese Gabriel guardandolo attentamente.

“Beh” scrollò le spalle Perce, “se sei così in difficoltà” e si interruppe cercando le parole adatte per non urtare la sottile suscettibilità del Guardiano, “allora le mie parole non ti hanno lasciato indifferente” concluse, non sapendo nemmeno lui da dove stesse prendendo il coraggio per parlare così apertamente con Gabriel.

Tuttavia, sentiva di aver ragione. Il Guardiano era in evidente difficoltà, la stessa difficoltà di
chi si trova a dover affrontare una cosa complicata per la prima volta.

Aveva più di mille anni, e una conoscenza quasi illimitata, ma era totalmente all’oscuro di cosa significava provare dei sentimenti e vivere delle emozioni.

Sentì Gabriel sospirare pesantemente e non aggiunse altro. Non gli sembrò un sospiro infastidito quanto piuttosto un sospiro riflessivo.

Sorrise, notando come stesse, poco a poco, e anche contro il volere del Guardiano stesso, imparando a conoscere gli umori di Gabriel dalle più piccole cose.

“Arrivati a questo punto” parlò Gabriel con alterigia, “suppongo che negare non serva a nulla”.

Perce, a quelle parole, sentì il cuore accelerare pericolosamente i battiti. Tuttavia, si ritrovò a costatare che, anche in occasioni come quelle, Gabriel non perdeva la sua eleganza e la sua fredda compostezza.

Inoltre, sentì il coraggio crescere. Ritornò indietro con la memoria, alla prima volta che lo aveva conosciuto, alla prima volta che aveva posato il suo sguardo su di lui.

Troppo intensa era stata la sensazione, quando aveva incontrato i suoi occhi per la prima volta.

Come se un fiume lo avesse investito in pieno, questo gli era sembrato di provare.

Lo aveva guardato di nascosto, andando al locale in cui lavorava più volte del necessario, sentendo un’attrazione inspiegabile e, a tratti, anche dolorosa.

Ricordava, in quel periodo, di aver provato, in alcune occasioni, un malessere quasi fisico nell’allontanarsi da Gabriel, anche se non conosceva nemmeno il suo nome. Il solo pensiero che riuscisse a farlo stare meglio, in quei momenti, era la prospettiva di ritornare al locale.

Era stato, ed era tuttora, tutto troppo intenso per essere unilaterale. Anche nel loro scontro verbale, anche nella pungente cattiveria di Gabriel, nella sua perfidia immotivata, c’era stata troppa intensità.

Gabriel non voleva semplicemente metterlo a tacere; Gabriel voleva scappare da lui. Voleva che Perce lo odiasse, non riuscendo a spiegarsi quello che sentiva. Per questo ora era così spiazzato; pensava che il suo piano fosse andato a buon fine. Gabriel lo aveva volutamente ferito per proteggere se stesso.

Gabriel si era accanito immotivatamente, cercando di soffocare così quello che provava.

Per questo, Perce era arrivato a quella conclusione. Conclusione che il Guardiano non riusciva a spiegarsi proprio perché non aveva mai vissuto come un essere umano.

Sì, ora Perce lo capiva: anche lui aveva molto da insegnare a Gabriel e stava a lui, adesso, prendere in mano le redini della situazione.

“Hai ragione” disse e Gabriel lo guardò interrogativo.

“Sono troppo stanco per fare qualsiasi cosa dovessimo fare” e Gabriel annuì piano.

“Voglio fare una cosa soltanto” affermò sicuro.

“Cosa?” chiese Gabriel con sospetto.

“Parlare di noi” dichiarò deciso, assecondando il suo istinto e andando a stringere la mano dell’altro in un gesto rassicurante e protettivo.

Gesto al quale Gabriel non si scansò.

“Vuoi una dichiarazione scritta, cavaliere?” sbottò Gabriel non scostando però la mano e Perce rise di gusto, di fronte al tono indignato dell’altro.

“Assolutamente no!” rispose fra le risate. “Voglio semplicemente che tu non fugga più” aggiunse, “da me” sussurrò fissandolo intensamente.

“Voglio che tu ti faccia guidare in un ambito dove io posso darti le risposte” continuò, “Voglio che tu ti fidi di me!”.

“Mi fido” disse semplicemente Gabriel e Perce sorrise.

“Rimani con me, stanotte” disse. “Rimani con me, per tutte le notti e i giorni a venire”.

Gabriel non rispose.

Cosa dire in una situazione così importante? Cosa affermare, dopo una richiesta così intensa?

Fu per questo che non parlò ma fece in modo che i gesti parlassero al suo posto.

Non poteva essere un caso quello che provava. Non poteva essere un caso nemmeno la nascita del rubino, di cui lui conosceva la natura ma della quale Perce ne era ancora totalmente ignaro.

Eppure, nonostante queste pecche, il cavaliere sembrava aver visto più lontano di lui, riuscendo a capire cosa provava, arrivando da solo alla soluzione che il sentimento nato nel suo cuore non potesse essere casuale ma, soprattutto, non potesse essere unilaterale.

A conti fatti, la sua natura di essere umano gli aveva permesso di vedere oltre, mettendo in luce le pecche di una mente sottoposta agli stretti limiti del mondo dei Guardiani.

Quindi, decise di assecondare quello che il fato aveva in serbo per lui. Decise di assecondare questo destino che aveva giocato con tutti, mettendoli dinanzi a risultati inaccettabili eppure indispensabili.

Perché Gabriel aveva compreso la vera natura del rubino. Tuttavia, decise che ci sarebbe stato tempo per le spiegazioni.

Lo stesso Perce aveva affermato di voler rimandare il loro viaggio.

Decise semplicemente di assecondare il suo istinto e intrecciò le sue dita con quelle del cavaliere.

Decise, per la prima volta, di lasciarsi guidare. Decise, per la prima volta, di comportarsi come un essere umano.

Perce allargò il sorriso e poggiò delicatamente le labbra sulla mano che stringeva.

Finalmente, tutto quello che aveva sempre sognato, stava avvenendo. Finalmente, Gabriel era lì, con lui, e non sarebbe più andato da nessuna parte. Fu per questo che decise di non affrettare le cose.

Tutta la disperazione che aveva provato durante la loro lite sembrava svanita. Tanta era stata la disperazione e tanta era la felicità che provava in quel momento. Ancora una volta, i due sentimenti si confrontavano nei loro massimi opposti. Perché, evidentemente, a loro non era concesso provare una cosa a metà. La si provava in tutta la sua intensità, bella o brutta che fosse.

“È stata una giornata stancante per entrambi” disse Perce lentamente. “Andiamo a dormire?” propose, con un sorriso puro e innocente.

Un sorriso che non nascondeva null’altro se non il desiderio di non volersi separare più dal Guardiano. Perché Perce aveva bisogno di Gabriel e della sua presenza; aveva bisogno di respirare la sua stessa aria e di condividere la sua stessa stanza per stare bene.

Aveva bisogno di Gabriel e di tutte le sfaccettature che risiedevano in questo stesso bisogno.

Anche Gabriel sorrise e Perce costatò che non che non esisteva niente di più bello delle labbra sorridenti del Guardiano incorniciate nel suo volto perfetto.

“Andiamo!” disse semplicemente e Perce annuì.

Il tragitto verso la camera da letto fu lento e silenzioso. Le mani ancora intrecciate, come a sigillare un’unione che non si sarebbe più sciolta. Una promessa che non sarebbe mai stata infranta.

Un’eternità che li avrebbe visti insieme, nonostante uno di loro ancora non lo sapesse.

Un’eternità che avrebbe visto unione anziché separazione.

Il rubino accantonato in un angolo della mente di entrambi eppure, al contempo, più vitale e forte che mai.

Una nuova essenza che si riuniva dopo secoli di attesa.

Perce non riuscì a fare a meno di contemplare Gabriel a torso nudo che, regale come non mai, si stendeva al suo fianco. Tuttavia, nonostante l’alterigia insita nei modi di fare del Guardiano, niente nello sguardo e nei gesti di Gabriel richiamava alla freddezza.

Lo sguardo del Guardiano era intenso e carico di passione per il momento di intimità che stava vivendo, così banale per gli altri ma così speciale per lui.

Perché Perce fu certo, in quel momento, che Gabriel non aveva mai permesso a nessuno di dormire accanto a lui.

Non aveva mai permesso a nessuno di accarezzare la sua schiena e di farsi contemplare in tutta la sua bellezza.

In quel momento, Perce capì uno dei tanti significati della pietra che Gabriel indossava: passione.

Passione sfrenata che il Guardiano metteva nei compiti in cui si impegnava. Passione sfrenata e ambizione cieca che gli faceva assaporare ogni momento che viveva.

Perché per Gabriel, questa, era una cosa nuova. E lo era anche per Perce, in effetti.

Quella sera, Perce non sentì il bisogno di spingersi oltre; quello che aveva, gli bastava, forse per una vita intera.

Vide Gabriel chiudere gli occhi, probabilmente rilassato dal tocco della sua mano sulla schiena e sorrise.

Si perse un lungo istante a contemplare quella pelle pallida, prima di posare un bacio leggero sulle scapole e poggiare la testa accanto a quella dell’altro.

Poteva sentire l’odore dello shampoo di Gabriel e questo profumo ebbe il potere di rilassarlo.

Cinse con possessività la vita dell’altro poggiando la mano sul suo fianco, dopo aver coperto entrambi.

Gabriel era molto freddoloso ma, per fortuna, ci avrebbe pensato lui a riscaldare entrambi.

Sentì il respiro di Gabriel farsi più pesante e gioì dentro di sé, avendo la certezza che Gabriel, dopo tanto tempo, riposava sereno.

Una delle menti più brillanti, uno dei Guardiani più potenti, riposava sereno fra le sue braccia e
Perce promise a se stesso che lo avrebbe protetto.

Forse, per questo era ritornato.

Forse, era per questo che era diventato un cavaliere.

Il suo compito era proteggere, sempre e comunque.

E lui avrebbe protetto Gabriel e tutto quello che rappresentava.

Ci sarebbe stato tempo per le domande. Ci sarebbe stato tempo per i perché.

Quello che contava, in quel momento, erano le anime che, per uno strano gioco del destino, non avevano mai potuto incontrarsi.

Le energie complementari che, per un crudele scherzo del fato, erano nate in mondi completamente opposti e paralleli fra loro.

Energie che avevano sfidato il tempo e anime che, alla fine, erano riuscite a ricongiungersi.

Dimenticato sul tavolino del salotto, il rubino rosso brillò di luce propria ritornando, finalmente, al suo nucleo originario.

Il rubino rosso a forma di cuore unì il suo potere a quello del suo padrone: il rubino rosso che risiedeva al dito di Gabriel.

A chilometri di distanza, in un oggetto più antico del mondo, un’altra crepa si rinsaldò.
 

Continua…
 
Note:

Non ho molto da dire; in questo capitolo il rapporto fra Perce e Gabriel ha una svolta decisiva.

Affronto i pensieri di Gabriel in maniera analitica mentre tratto quelli di Perce in maniera più grossolana, proprio per evidenziare la differenza di pensiero tra umani e guardiani.

Spero di aver fatto un buon lavoro e che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Nel prossimo, andremo a villa Badelt!

Come sempre, attendo ansiosa i vostri commenti!

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Alla prossima,

Pandora86.
 

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Capitolo 69
*** Capitolo 69. Energie a confronto ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 69. Energie a confronto
 
Gwaine seguì Kyle silenziosamente, troppo curioso e troppo eccitato per rovinare quei momenti con parole inutili o esclamazioni di sorpresa.

Ancora faticava a credere di stare varcando la soglia dell’immensa villa Badelt.

Klause Badelt, l’imprenditore che non erano mai riusciti ad avvicinare, per un motivo o per un altro, era l’imprenditore tra gli imprenditori, colui che aveva sempre rifiutato le proposte lavorative della loro agenzia.

Gli veniva da ridere se pensava che, mesi addietro, avrebbe considerato utopico entrare in quella villa per stringere un affare; sarebbe stato più semplice provare a raggiungere la luna, in effetti!

Ora, invece, si trovava a varcare quella soglia off-limits per motivi che tutto avevano, tranne le caratteristiche imprenditoriali.

Tuttavia, ora che sapeva chi realmente ci abitasse all’interno, Gwaine si stupì di tutta quella normalità.

Lussuosissima, certo, e arredata con molto gusto, con uno stile a metà fra il moderno e antico ma, comunque, troppo normale.

“Ti aspettavi dei tavoli sospesi in aria?” chiese Kyle interrompendo le sue riflessioni e voltandosi, prima di percorrere l’immensa scalinata, per osservarlo divertito.

Gwaine ridacchiò a sua volta, capendo di essere stato colto in flagrante.

“Da voi, mi aspetto di tutto!” scrollò le spalle con semplicità.

“È tuo, quello?” chiese poi con curiosità, indicando l’imponente pianoforte a coda posto alla destra della scalinata.

“Lo usiamo tutti, in realtà” spiegò Kyle che sembrava particolarmente incline al dialogo.

“Il pianoforte è fondamentale per la composizione e ogni musicista deve saperci mettere le mani” spiegò in maniera spiccia. “In questa stanza, la diffusione del suono è eccellente” concluse.

“Quindi, non è il tuo” tirò le somme Gwaine.

“Quello che uso personalmente è nella mia stanza” rispose Kyle.

“Mi farai ascoltare qualcosa, un giorno?” chiese Gwaine speranzoso aspettandosi tuttavia una risposta sarcastica o un no secco.

L’affermazione reale di Kyle, invece, lo stupì.

“Non vedo perché no” rispose, sorridendo ironico. “Anche un bifolco come te, potrebbe riuscire a imparare qualcosa” e ghignò.

Gwaine rise apertamente. Tipico di Kyle infilare un insulto in ogni frase. Soprattutto, quando la frase era gentile!

Perché aveva acconsentito alla sua richiesta, questo, a Gwaine, non era sfuggito. Segno che, qualsiasi cosa dovessero fare in quella villa, Kyle non lo considerava più un nemico o un oggetto da studio; erano, finalmente, sullo stesso piano.

“Vieni con me” disse Kyle interrompendo, per l’ennesima volta in quella serata, il filo dei pensieri di Gwaine e avviandosi, a passo deciso, lungo la scalinata.

Gwaine fece quanto richiesto senza cercare di aiutare l’altro. Nonostante Kyle avesse ancora difficoltà a muoversi, non se la sentì di aiutarlo nel suo territorio. Si apprestavano a fare qualcosa di troppo importante e Gwaine decise di lasciare all’altro completa libertà d’azione.

Seguì Kyle percorrendo la scalinata e rallentando il suo passo per non oltrepassare l’altro, fino a quando, dopo un po’ che camminavano, perse il conto dei corridoi che avevano svoltato.

Non poté fare a meno di notare però che, a mano a mano che camminavano, l’arredamento variava sempre più, assumendo stili sempre più antichi.

In quel corridoio in particolare poi, Gwaine ebbe il sospetto che mancasse addirittura la luce elettrica. L’unica illuminazione sembrava provenire dai candelabri appesi al muro, alimentati sicuramente a olio.

Chiedendosi stupidamente quanto venisse a costare un simile vezzo, non si accorse che Kyle si era fermato dinanzi a una porta.

“Siamo arrivati” disse semplicemente e Gwaine vide i suoi occhi tingersi d’oro mentre la mano si avvicinava al pomello della porta.

“Questa è la seconda stanza più protetta della villa” spiegò Kyle invitandolo a entrare dopo di lui.

“È qual è la prima?” chiese Gwaine con curiosità.

“Una cosa alla volta, cavaliere” rispose Kyle sorridendo e allargò il braccio, invitandolo a guardarsi intorno.

Gwaine provò a protestare per quell’ennesimo 'cavaliere' quando lo spettacolo che gli si parò dinanzi lo fece ammutolire.

Questa volta, Kyle aveva le sue ragioni per chiamarlo cavaliere.

Sei armature lucenti erano in piedi al centro della stanza.

Gwaine trattenne il fiato.

Non erano semplici armature: erano le loro armature!

Louis aveva accennato loro che Merlino le conservava ancora ma Gwaine faticava a credere che fossero ancora in perfetto stato.

Più in là, c’era la corona di Gwen, accanto a quella di Artù.

Tutto lucente, tutto perfettamente conservato.

“Osserva con attenzione, Sir Galvano” suggerì Kyle chiamandolo con il suo antico nome.
Osserva e rifletti!” suggerì e Gwaine lo fece.

Osservò l’armatura di Artù, situata più in avanti rispetto alle altre, cui mancava la spada.

Alla destra di quella di Artù c’era quella di Leon, seguita da quella di Elian.

Alla sinistra, invece, c’era quella di Lance e poi la sua seguita, infine, da quella di Perce.

Solo allora notò un particolare.

Guardò sorpreso Kyle che sorrise di rimando: era quello il particolare che Kyle voleva che lui notasse.

“Dov’é la spada di Perce?”chiese sorpreso.

Non poteva credere, infatti, che quella fosse l’unica spada a non essere tra le altre. Merlino non poteva averla persa e, infatti, Gwaine scartò a priori quell’ipotesi.

Se Kyle gli stava mostrando una cosa del genere, voleva dire che, prima, quella spada c’era stata.

Inoltre, riteneva potesse arrivarci da solo.

Osserva e rifletti.

Questo Kyle gli aveva detto ed era questo che Gwaine era intenzionato a fare al meglio delle sue possibilità.

Ci avrebbe impiegato tutte le sue forze ma sarebbe arrivato, da solo, alla conclusione.

Soprattutto se Kyle credeva che lui potesse farcela. Il Guardiano biondo lo riteneva, finalmente, un suo pari e Gwaine si sarebbe dimostrato all’altezza.

Gwaine si concentrò osservò nuovamente tutte le armature: guardò quella di Artù, di Leon, di Elian, di Lance e poi la sua. Ancora, quella di Artù e poi quella di Perce e, nel momento in cui il suo sguardo si posò su quell’armatura, la folgorazione lo colpì all’istante.

Fece un passo indietro, troppo sgomento dal suo stesso pensiero.

Guardò Kyle, sperando che parlasse e contraddicesse il pensiero che aveva avuto.

Era un pensiero troppo scioccante, che portava con sé troppe domande, per essere accettato.

Un pensiero troppo assurdo per essere anche solo preso in considerazione.

E se avesse preso una delle più colossali cantonate della storia?

Tuttavia Kyle non parlò, invitandolo, con lo sguardo a dire quello che pensava.

Lui, in questo, era molto diverso da Gabriel che, quando cominciava a spiegare qualcosa, sembrava imboccare l’interlocutore con il cucchiaino. Certo, a suon di sguardi freddi e risposte velenose ma, comunque, i suoi discorsi erano sempre pieni di particolari e molto dettagliati.
Perce, a questo proposito, ne sapeva qualcosa.

Lui, invece, no!

Secondo la personale ottica di Kyle, le persone dovevano arrivare da sole alle cose, scontrandosi con le loro stesse idee. Solo in quel caso le cose sarebbero state assimilate in maniera indelebile nella mente dell’individuo. Anche per Gabriel era così, solo che, in alcuni casi, dava degli indizi in più. Kyle, invece, preferiva che le idee si sviluppassero da sole, anche quelle sbagliate. Se poi il ragionamento era errato, si tornava indietro e si lavorava su un’altra idea.
Sì, Kyle ragionava così e Gwaine non si sorprese nemmeno di quanto oramai stesse imparando a conoscere così bene il Guardiano biondo. Loro erano legati, ora lo sentiva chiaramente. Da cosa, era ancora tutto da chiarire ma, quella sera, Gwaine stava per fare l’ennesimo passo verso quella che poi sarebbe stata la verità.

Anche Kyle, inoltre, sembrava pensare le stesse cose dato che lo scrutava attentamente facendogli capire, con lo sguardo, che non gli avrebbe spiegato nulla.

Il cavaliere era tornato per uno scopo importante e, anche se i tempi erano stati affrettati, doveva comunque cominciare a porsi delle domande e a darsi delle conseguenti risposte.

Perché, giuste o sbagliate, le ipotesi avrebbero cominciato a far si che la mente di Gwaine iniziasse a funzionare nel modo giusto e capisse le cose nel modo esatto. Il cavaliere avrebbe dovuto cominciare a muovere i primi passi in una realtà che un tempo, mille anni prima in tempi umani, aveva combattuto.

La stregoneria, come veniva chiamata allora, si era evoluta in energia. O forse, era la mente dell’uomo a essersi evoluta e a comprendere quello che realmente era la forza misteriosa che agiva nel corpo di pochissimi individui, permettendo loro cose che agli altri erano precluse.

Poi, l’uomo aveva cominciato a fare a meno della magia dimenticandosi di essa.
Tuttavia, la magia era ancora presente, anche se sconosciuta ai più, e ruggiva più viva che mai.
L’elemento che un tempo Gwaine aveva combattuto, ora si trovava dinanzi a lui, in forma moderna.

Era giusto quindi, che Gwaine cominciasse a ragionare nel modo giusto, muovendo i suoi primi passi in un mondo di cui, in fondo, aveva sempre fatto parte, anche nella sua prima vita.
Fu per questo che attese silenziosamente le parole dell’altro.

Attesa che però non durò a lungo.

“È assurdo” esclamò Gwaine scuotendo la testa.

“Che cosa significa tutto questo?” chiese.

“Prima dovresti dirmi cosa hai pensato, affinché io possa spiegartelo” fece notare Kyle con tono ovvio.

“Il Rubino” disse allora Gwaine e Kyle sorrise apertamente.

“Il Rubino” ripeté ancora Gwaine.

“Il rubino cosa, esattamente?” lo invitò a parlare Kyle con una strana indulgenza nel tono di voce.

È la spada di Perce?” sussurrò Gwaine trovando assurda quell’ipotesi.

Tuttavia, non aveva potuto fare a meno di fare un collegamento fra la mancanza della spada di Artù e quella di Perce.

La spada di Artù era divenuta, in forma moderna, un Diamante bianco dalla potenza inaudita.
O meglio – Gwaine riconsiderò le parole di Louis quando aveva dato loro quelle spiegazioni – il potere della spada di Artù era stato assorbito in un anello, che aveva successivamente preso la forma di un diamante bianco.

Ma quello che era successo a Perce, però, era tutt’altra cosa.

La nascita del Diamante Bianco era stata prevista e, soprattutto, voluta. Il Rubino, invece, aveva creato non poco scompiglio.  Nemmeno poche ore prima, a casa di Perce, si era venuta a creare la riunione del secolo. Nemmeno poche ore prima, davanti ai loro occhi, era apparso Merlino in tutta la sua potenza, per la prima volta in questo secolo.

Non era stato l’incontro che Gwaine aveva sperato con il Mago, tuttavia, di certo, non si poteva paragonare la nascita del Rubino all’esistenza del Diamante.

Eppure, le due cose sembravano essere collegate.

Non solo le due cose sembravano essere collegate ma Kyle, il Guardiano più scaltro, sembrava aver previsto tutto. O meglio, si corresse Gwaine, non sembrava stupito dell’imprevisto venutosi a creare.

“È la spada di Perce!” disse ancora Gwaine con tono più sicuro, ripetendo le stesse parole di poc’anzi ma mutando la forma da domanda ad affermazione.

Kyle ridacchiò compiaciuto.

“Osserva con attenzione la tua spada, cavaliere!” disse soltanto, invitandolo a fare quanto aveva detto con un cenno della testa.

Gwaine rivolse lo sguardo alle armature avvicinandosi titubante.

Che cosa c’entrava, ora, la sua antica spada?

Si avvicinò lentamente, sentendo il suo cuore battere a mille, fino a che non fu a pochissima distanza da quella che, secoli addietro, era stata la sua armatura.

Osservò l’elmo lucente per poi scendere, con lo sguardo, più in basso, fino alla spada.

Senza toccare nulla, osservò meglio l’impugnatura notando una strana crepa.

Com’era possibile che la sua spada fosse scheggiata?

Visto e considerato che tutto il resto era tenuto in ottime condizioni, poi!

Quindi, seguendo quella linea di pensiero, scartò l’ipotesi che la crepa fosse dovuta all’usura o a un urto.

No! Non era danneggiata!

Ma allora, cos’era quel segno?

Rivolse lo sguardo verso Kyle che annuì ancora con la testa, invitandolo a osservare ancora.

Sì, aveva fatto centro! Era quello il punto che doveva guardare.

Si inginocchiò respirando appena, fino a portare i suoi occhi a pochi centimetri dalla spaccatura.

No! Non era una crepa quanto più un incavo, come se qualcuno avesse voluto scolpirci qualcosa sopra.

Il problema era che il lavoro sembrava fatto a metà.

Osservò meglio e vide che la crepa sembrava rivestita di un materiale lucente. In effetti, all’interno della cosiddetta incavatura, c’erano tanti piccoli puntini luminosi, come se qualcuno avesse versato dei brillantini all’interno, dopo aver creato la crepa.

Prima non lo aveva notato!

Questo fu il pensiero che lo colpì.

Eppure, adesso, anche se si allontanava leggermente, vedeva chiaramente i puntini luminosi.

E se i suoi occhi si stessero abituando a vedere quello che agli altri era precluso?

Forse sì, forse no!

Non lo sapeva, ma continuò a guardare, cercando di registrare tutti i particolari e, soprattutto, provando a cogliere quelli più importanti.

Vide che la crepa aveva una forma geometrica precisa; era, infatti, un rettangolo.

Sì, i lati di questo rettangolo erano perfettamente dritti, dando quindi una forma precisa.
Non poteva essere un caso e analizzò quel particolare, cercando di ricavarne più informazioni possibili.

Perché poteva essere importante?

Beh, da quando era a contatto con i Guardiani, non aveva fatto altro che ascoltare discorsi su equilibri, simmetrie, energie e… geometrie!

Sì, geometrie!

Le simmetrie che c’erano fra loro, le forme geometriche degli anelli dei guardiani.

La sua mente correva veloce, analizzando tutti quei dettagli che sembravano prendere sempre più senso.

Il puzzle stava per divenire completo!

Persino il Rubino aveva una forma definita! Forse non proprio una forma geometrica, ma comunque una forma classificabile in qualcosa di definito.

Osservò meglio, notando che la crepa non era proprio un rettangolo ma un quadrato, con il perimetro un po’ più scuro, di un colore ambrato.

Certo, di sicuro non poteva prendere un righello e misurare i lati ma comunque quella spaccatura sembrava più un quadrato che un rettangolo.

Eppure, perché aveva la sensazione che il lavoro fosse lasciato a metà?

Perché aveva l’impressione che, qualsiasi cosa stesse avvenendo alla sua spada, fosse ancora in fase di lavorazione?

Dubitava fortemente che uno dei Guardiani si fosse messo a scolpire per hobby l’impugnatura della sua spada.

Però, se le cose stavano così, voleva dire che quel processo si era avviato da solo, proprio come la nascita del Rubino.

Ma allora, cosa stava succedendo?

“Le tue ipotesi sono tutte giuste”.

La voce di Kyle lo interruppe dalle sue riflessioni e sobbalzò quando se lo ritrovò inginocchiato accanto a lui con il volto a pochi centimetri dal suo.

Era talmente preso dai suoi pensieri che non si era accorto degli spostamenti di Kyle.

“No!” parlò ancora il Guardiano sorridendo, “non ti ho letto nella mente ma mi accorgo quando un essere umano comincia a pensare nel modo giusto” parlò ancora, deciso evidentemente a venire in suo soccorso.

“La crepa si è creata da sola, come era giusto che fosse” e sorrise, mettendo a tacere le domande con un gesto della mano.

“Si tratta di un processo lento che non deve essere accelerato in alcun modo. Un processo che ha bisogno dei suoi tempi!”.

“Un processo che tu avevi previsto” non poté fare a meno di intervenire Gwaine e Kyle ridacchiò.

“Non solo io, in verità. Tuttavia, fra le varie ipotesi che tutti noi abbiamo fatto nei secoli sul vostro ritorno, io sono quello che si è avvicinato di più riguardo alle considerazioni sulla vostra energia”.

Si alzò, invitando l’altro a seguirlo.

“Suppongo che, finalmente, sia giunto il momento che, tutti voi, sappiate la verità!”.
 

Continua…
 

Note:
 
Bene!

In questo capitolo ci sono molti indizi sulla conclusione della storia, sulla nascita del Rubino e sul reale motivo del ritorno dei cavalieri.

Aspetto le vostre ipotesi sperando che anche questo capitolo vi sia piaciuto!

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Al prossimo capitolo

Pandora86

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Capitolo 70
*** Capitolo 70. Avalon - Prima Parte - Cavaliere e Guardiano ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 70. Avalon - Prima Parte - Cavaliere e Guardiano
 

Perce respirò piano, senza aprire gli occhi. Annusò leggermente e riconobbe l’oramai familiare profumo dello shampoo di Gabriel. Sorrise, muovendo piano il pollice della mano poggiata sul fianco del guardiano.

Inutile dire che la pelle di Gabriel era morbidissima al tatto, oltre che liscia e senza imperfezioni.

La trasformazione molecolare, l’incantesimo, o come diavolo si chiamasse quello che era avvenuto ai loro corpi, aveva fatto bene il suo lavoro. Un lavoro egregio!

Gabriel poteva anche essere diventato un essere umano di carne, ossa e sangue ma una pelle come quella rasentava l’utopia, tanto era perfetta.

Anche il colore era quasi magico: bianco, molto bianco, quasi avorio, ma non per questo strano o brutto.

Anzi, Gabriel, di certo, veniva notato per il suo pallore che lo rendeva bello oltre ogni dire.

Ridacchiò di questi strani pensieri, continuando ad annusare e ringraziando l’incanto che li aveva resi umani.

Probabilmente, ragionò Perce, Gabriel era stato bellissimo anche nel suo vecchio mondo e nel suo precedente corpo, quindi, l’incanto, da quel punto di vista, non aveva modificato nulla.

Fatto stava che però, suddetto incanto, permetteva in quel tempo a Perce di toccare il Guardiano, cosa impensabile da poter fare nel vecchio corpo di Gabriel.

I Guardiani erano impalpabili per gli esseri umani e Perce, sfiorando quella pelle e stringendo quel corpo che riposava sereno accanto al suo, ringraziò Kyle e il piano che aveva architettato per fuggire dal loro vecchio mondo.

Perché, in fondo, quella che avevano messo in atto i Guardiani, in ere oramai dimenticate, era una fuga a tutti gli effetti.

Chi fuggiva per palesare il proprio potere e mettersi in mostra, riuscendo a mettere in ginocchio due mondi contemporaneamente, come Kyle, e chi fuggiva per rimanere accanto al più grande Mago di tutti i tempi e le dimensioni.
Perce non sapeva nulla del passato di Gabriel in quel mondo eppure, alla luce di tutti quegli avvenimenti, considerò che la fuga, per lui, doveva essere stata una liberazione.

Un mondo troppo schematico e freddo per un essere troppo sensibile e empatico. Talmente empatico da racchiudere tutto il dolore dietro una maschera di perfezione e freddezza.

Un mondo perfetto per un essere imperfetto. Un mondo sbagliato.

O forse, era semplicemente Gabriela essere sbagliato per quel mondo.

E se loro due fossero, in fondo, destinati a stare assieme, proprio come Merlino e Artù?

Era ridicolo, se considerava i loro mondi di appartenenza. Come potevano essere destinati se, in origine, non appartenevano nemmeno alla stessa razza?

Lui, un semplice umano, Gabriel un Guardiano.

Però… forse… non era un’idea tanto balzana.

Provò ad analizzare la sua intera esistenza, che comprendeva ben due vite vissute, in due ere completamente distanti l’una dall’altra.

Lui, a Camelot, nelle vesti di cavaliere, aveva solo pensato a difendere il Regno di Artù. Nell’era moderna, invece, non aveva fatto altro che provare a scoprire lo scopo del suo ritorno.

Aveva avuto qualche avventura di poco conto, aveva avuto degli interessi e delle storie, rivelatesi poi tutte sbagliate.

Aveva creduto di stare male a causa di altre persone che non lo ricambiavano fino in fondo.

Però, quanto ci aveva messo a dimenticarsi di quegli amori?

Pochissimo, in effetti.

Riflettendoci a mente fredda, alla luce di quello che provava per Gabriel, capiva, solo in quel momento, che non era mai stata la fine di una storia a farlo stare male ma l’aspettativa delusa che lui ricercava nella persona di turno.

Non che chiedesse chissà cosa o fosse di chissà quali pretese però… lui ricercava sempre un completamento di se stesso, non accontentandosi quando scopriva che il vuoto che sentiva non riusciva ad essere colmato.

Sapeva che, da qualche parte, esisteva qualcuno in grado di completarlo e, ora, finalmente, aveva la certezza delle sue ipotesi.

Non poteva essere un caso la venuta di Gabriel nel suo mondo. Non poteva essere un caso il loro ritorno in un’era dove tutto era stato stravolto.

Perché Merlino, secondo le basi storiche stese dai Guardiani, avrebbe dovuto raggiungere l’era moderna da solo.

Eppure, Kyle aveva stravolto tutto.

Ripensò a Gwaine e a Kyle, e alla strana situazione in cui si erano trovati.

Era un caso quello che provava Gwaine verso il Guardiano biondo?

Perce non sapeva se Kyle lo ricambiava o meno eppure, qualcosa, nel suo sguardo gli faceva pensare che fosse proprio così. Di certo, Kyle riservava a Gwaine sguardi preclusi a tutti loro. Forse non era un vero e proprio interesse ma le basi promettevano bene.

Kyle aveva accettato l’aiuto e il contatto fisico di Gwaine senza battere ciglio e Perce, osservandoli quella sera a casa sua, aveva avuto l’impressione di sguardi complici e affini tra loro.

Quindi… cosa stava avvenendo?

Poteva esistere un destino che nemmeno i Guardiani fossero in grado di controllare?

In fondo, Artù e Merlino ne erano il classico esempio. Non erano stati destinati, in fondo, a ricongiungersi dopo mille anni?

Certo, in quell’epoca, le cose erano andate così per volere dei Guardiani. Fatto stava che, nonostante i Guardiani, Merlino e Artù in altre ere non riuscivano mai a ricongiungersi. Cosa pazzesca se si pensava al fatto che le loro anime fossero, in realtà, un’unica anima spaccata.

In quel tempo, i Guardiani avevano solo avuto la giusta intuizione e lo scotto da pagare erano stati mille anni di attesa. Poca cosa, in fondo, se si considerava che in altri tempi e luoghi Merlino non riusciva nemmeno ad arrivare nell’era moderna.

Certo, tutto il resto era stato stravolto. I Guardiani non avrebbero dovuto fare la loro comparsa però… l’unica variabile rimasta immutata, programmata dagli stessi Guardiani, era andata a buon fine: Artù era ritornato.

E se non fosse un caso il ritorno del Re proprio in una dimensione dove erano stati Gabriel, Lenn e Merlìha a essere i tre Guardiani del tempo di Camelot?

E se non fosse stato un caso la decisione di Kyle che aveva stravolto i piani di tutti?

Se il destino non stesse aspettando altro che tutti i componenti apparissero sulla scena, chi sotto forma di Guardiano, chi sotto forma di essere umano?

Un destino beffardo che si divertiva a giocare con tutti loro, vista la situazione.

Oppure… un destino che si affannava a rimettere a posto tutte le cose sbagliate e interveniva sempre laddove veniva opposta resistenza.

Non si poteva sfuggire al destino, ora Perce lo sapeva.

Ripensò alle Tappe che i Guardiani imponevano alla storia e un’altra idea bizzarra gli venne in mente.

Tanto bizzarra da non riuscire nemmeno a renderla chiara nella sua mente eppure, provò lo stesso a fare ordine.

Da quello che sapeva, i Guardiani avevano delle Tappe da imporre al destino dell’uomo e delle condizioni fondamentali da rispettare.

Una volta rispettate queste condizioni, potevano giocare con gli eventi a loro piacimento.

E se…

A quel pensiero sentì il cuore accelerare i battiti.

E se il destino fosse il Guardiano di tutti loro?

Proprio come i Guardiani, lasciava alle sue pedine il libero arbitrio.

Però… allo stesso modo dei Guardiani, aveva delle condizioni assolute da rispettare.

Una di queste…

E se una di queste fosse stata il fatto che lui e Gabriel dovessero appartenere, in origine, a due mondi diversi?

In fondo, per Merlino e Artù non era previsto che si ricongiungessero a distanza di secoli dal loro primo incontro?

Ma… se lui e Gabriel erano destinati a stare insieme… allora…

Come avrebbe fatto ad accompagnare un essere immortale?

E se…

A quel pensiero, sentì una scarica di energia percorrergli tutto il corpo.

Non era doloroso, ma neppure piacevole.

Cosa stava avvenendo?

Come realmente era ritornato?

Lui, all’inizio, pensava di dover aiutare Artù e si era fatto poche domande sull’immortalità.

In fondo, perché impelagare i pensieri in domande che non avrebbero avuto risposta?

Quando avrebbero ritrovato Merlino, ci avrebbe pensato lui a dare loro le giuste spiegazioni.

Questo era stato il suo pensiero e non si era curato di altro.

Ora, invece, con la venuta di Gabriel, e la svolta improvvisa avvenuta nel loro rapporto, trovava più che lecito interrogarsi su questi pensieri.

Pensò al destino, al libero arbitrio, ai Guardiani e alle loro scelte.

I Guardiani che manipolavano, giostravano, decidevano e organizzavano. Eppure, non potevano mai essere sicuri del loro operato perché tutto, in fondo, dipendeva dall’uomo.

E se il Destino, Sommo Guardiano di tutti loro, agiva proprio come i Guardiani?

Questo poteva voler dire che la scelta, in fondo, stava a lui e lui soltanto. Solo a Perce e nessun altro.

E lui, potendo scegliere, cos’avrebbe fatto?

Fu in quel momento che avvenne.

Sentì la testa girare.

Un ronzio incessante prese a fare rumore nella sua mente.

Non capiva più nulla. Gli occhi gli bruciavano come se delle braci roventi fossero state rovesciate sul suo viso.

Agendo d’istinto, provò ad aggrapparsi a Gabriel.

Sapeva che il Guardiano era accanto a lui eppure, non riusciva a trovarlo e non capiva il perché.

Poi, gli fu tutto più chiaro: non aveva più tatto.

Non riusciva più ad avvertire il letto sotto di sé.

Non riusciva più ad avvertire la sensazione della pelle di Gabriel a contatto con la sua.

Avrebbe voluto urlare ma non ci riusciva. Dov’era la sua voce? Dove diamine era la sua dannatissima voce?

Non vedeva più nulla.

Non riusciva più a sentire le sue palpebre.

Attorno a lui, solo il vuoto.

Tutto offuscato, tutto nero.

Provò a ragionare a mente fredda. In fondo, la mente e i suoi pensieri erano l’unica cosa che gli era rimasta.

E se bastasse soltanto quello, in fondo?

Ora, che ragionava meglio, capiva di non provare più alcun dolore.

Sì, non sentiva più il suo corpo e, di conseguenza, neanche il dolore iniziale.

Cosa stava avvenendo?

Individua il luogo in cui ti trovi.

Una voce. Una voce amata. La sua voce.

Non perdere il controllo e individua il luogo in cui ti trovi.

Come faccio?

Provò a domandare.

Non vedeva nulla, non sentiva nulla.

Con il dolore, era sparito tutto.

Anche il ronzio iniziale.

Tutto.

Non aveva più nessun senso.

Il tatto, la vista, l’olfatto e l’udito. Tutto, non aveva più nulla di tutto questo.

Un momento… come aveva sentito allora la voce?

Non tramite l’udito.

Quella voce era proiettata nella sua mente.

Come faccio a capire dove sono?

Ragiona! Non perdere il controllo!

Sì! Lo avrebbe fatto.

Doveva capire dove si trovava.

Ma come faceva, se non poteva vedere?

Forse, allo stesso modo in cui aveva udito la voce.

Doveva utilizzare la sua mente, solo ed esclusivamente quella.

Doveva capire dove si trovava.

In quel momento, un’illuminazione lo colse.

Lui aveva già provato una sensazione simile.

Lui, aveva già vissuto in forma di essenza.

Ed era avvenuto in un unico luogo possibile: Avalon.

Sì, lui, ad Avalon non aveva avuto un corpo.

Eppure, non aveva mai avuto problemi in quel luogo.

Ora capiva.

Non sapeva come.

Non sapeva quando.

Tuttavia, una cosa sembrava certa: era ritornato a vivere sotto forma di essenza.

Non l’aveva capito subito perché, nella sua seconda vita, era ritornato in un corpo solido, unico ed indivisibile nella sua forma e, questo corpo, si era abituato a vivere tramite i sensi, com’era normale che fosse.

Aveva provato dolore perché, non sapeva come, la sua essenza si era distaccata dal suo corpo. Lui stava viaggiando come energia.

Lo sbalzo dall’allontanamento dei sensi gli aveva causato fastidio e dolore.

Gli aveva causato paura e smarrimento.

Ora, invece, aveva la situazione sotto controllo.

Probabilmente, era stato traumatico perché lui aveva raggiunto nuovamente Avalon quando il suo corpo era ancora in vita.

Si, ora capiva che le cose stavano così.

Quando a Camelot era morto, si era poi risvegliato ad Avalon direttamente sotto forma di essenza. Sotto forma di energia.

Ma non aveva avvertito alcun fastidio perché, tramite la morte del corpo, i suoi sensi lo avevano abbandonato gradualmente, permettendogli di abituarsi senza problemi alla sua nuova condizione.

Ora invece, aveva provato un distacco brusco perché il suo corpo era ancora vivo.

Si sentì sollevato a questo pensiero.

Ora, il problema, era capire cosa fare.

Nemmeno quell’avvenimento poteva essere una casualità.

Come faceva ad Avalon a orientarsi? Come funzionavano le cose, in quel luogo?

Non lo ricordava più, essendo tornato alla vita eppure, sapeva che scavare a fondo nella sua memoria tutti i particolari di quel tempo indefinito e immateriale, era di fondamentale importanza, in quel momento.

Lui, ricordava vagamente un palazzo e delle stanze. L’arredamento e i suppellettili di ogni stanza.

Non aveva occhi, non aveva vista, eppure lui vedeva.

Lui percepiva.

Ora, anche se non sapeva come, avrebbe dovuto fare lo stesso.

Non doveva fare affidamento sulle sue mani né sul suo corpo. Non doveva fare affidamento sulla vista o sull’udito.

Doveva semplicemente essere, così come era stato ad Avalon.

Come sapeva, ad esempio, di essere circondato da buio, se non poteva vedere?

Mai risposta fu più semplice: lui percepiva!

Non poteva rimanere lì. Se aveva raggiunto quella dimensione, allora un motivo doveva esserci.

Forse era questo il viaggio cui aveva parlato Gabriel. Viaggio che, non si sapeva come, ora stava compiendo da solo.

Capì di doversi muovere. Come, se non aveva corpo? Come, se non aveva due gambe su cui fare affidamento?

Semplice… doveva pensare di muoversi. Solo quello e basta. In quella dimensione, l’unica cosa che contava era la mente. Solo la mente e null’altro. Solo la mente che poteva governare l’energia di cui era adesso composto il suo essere.
Improvvisamente, il buio sembrò diradarsi e capì di essere riuscito a muoversi.

Come fare per capire dove andare?

Individua i limiti, cogli gli spazi!

Di nuovo quella voce amata!

Individua i limiti, certo!

Ora capiva.

Se era in un luogo, questo luogo doveva avere dei limiti!

Se si è in una stanza, questa deve per forza avere delle pareti che la delimitino e, allo stesso modo, lui doveva cogliere le delimitazioni e gli spazi che lo circondavano.

Ora vedeva più chiaro.

Il buio si era diradato.

Una poltrona rossa… un tavolo e un camino acceso.

Piano piano, aveva ricominciato a vedere.

Piano piano, aveva ricominciato a percepire.

Una figura seduta che, sorridente lo guardava.

L’aveva già vista…

La Dama del Lago!

“Ti stavamo aspettando, Sir Parsifal, Antico Cavaliere di Camelot!”.

Perce provò a rispondere senza però riuscirci.

Come faceva a parlare in quella dimensione?

Dannazione… dimenticarsi di avere un corpo non era una cosa immediata, soprattutto se fino a qualche minuto prima lo si aveva!

Provò a formulare la domanda nella sua mente e questa prese forma e suono, arrivando alle orecchie di chi ascoltava.

“Chi, oltre te, mi stava aspettando?”.

Perché era questa la domanda più importante. Perce era un cavaliere, un guerriero, un uomo con i sensi sempre all’erta nonostante tutto. Un uomo d’azione pronto a carpire i dettagli.

La Dama aveva parlato al plurale.

Chi mai lo stava aspettando?

La Dama sorrise indicando con il braccio la figura accanto a lei che Perce notò solo in quel momento.

Era difficile individuare tutti i particolari e ancora non riusciva a comandare la sua energia a dovere affinché vedesse, si muovesse, e parlasse come si doveva.

Fu in quel momento che lo notò e, nonostante non avesse più un cuore che potesse accelerare i battiti, provò un inspiegabile senso di sollievo.

Occhi neri e profondi che lo scrutavano. Un sorriso appena accennato di compiacimento rivolto a lui e a lui soltanto.

“Gabriel!”.
 

Continua…
 

Note:
 
Innanzitutto, mi scuso per l’immenso ritardo. Non mi sono dimenticata della fic ma è stato un periodo difficile oltre al fatto che ho avuto il computer in assistenza.

Anche questo aggiornamento non ci sarebbe stato se non fosse stato per la revisione dell’ultimo momento di hikaru83 che, pur di costringermi a pubblicare, mi ha corretto lei stessa il capitolo dagli errori che le bozze si portano. Grazie mille, per questo salvataggio dell’ultima ora!

Spero comunque di poter aggiornare con più regolarità ma non temete: non lascio mai storie incompiute!
 
Tornando al capitolo, siamo interamente nella testa di Perce ed è tutta introspezione.

Oramai, ci avviciniamo ai capitoli finali e tutti i misteri stanno per essere svelati.

Come sempre, a voi l’ardua sentenza. Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate. In questo periodo, le vostre recensioni mi sono di sostegno più che mai.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui!

Alla prossima.

Pandora86

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Capitolo 71
*** Capitolo 71. Lealtà ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
Capitolo 71. Lealtà
 
“Qualche giorno fa, nel nostro secondo incontro, ti ho rivelato di essere stato un uomo in origine” esordì Louis, parlando lentamente. “Adesso, te lo confermo: ebbene sì, io, tanto tempo fa, sono nato uomo, proprio come te”.

Leon lo ascoltava non provando minimamente a interromperlo.

Quello che voleva di più al mondo, era conoscere Louis in tutte le sue sfaccettature.

La creatura, infatti, era molto più i quello che dava a vedere. I suoi occhi recavano segni di sofferenza e dolore, oltre che una saggezza senza tempo.

Leon, da parte sua, lo avrebbe accompagnato in questo viaggio nei ricordi, qualsiasi essi fossero.

Per confermare questa tesi, e farlo capire all’altro, portò la sua mano a stringere quella di Louis.

Prima di cominciare a parlare, Louis aveva preferito mettersi seduto e lasciare il rifugio che aveva trovato poggiando la testa sulle gambe del cavaliere. Leon, credendo che fosse più a suo agio, lo aveva lasciato fare. Tuttavia, voleva comunque palesare la sua presenza accanto a lui e, per questo motivo, era andato a stringere la sua mano con quella della creatura, in una presa confortante e rassicurante.

Louis sorrise appena, osservando le loro dita intrecciate, e continuò.

“Per farti capire chi sono, e perché sono diventato così, è necessario che io ti accenni del mio periodo umano” e sospirò. “Anche se ricordo molto poco, in realtà. Avevo appena vent’anni, quando sono morto” e Leon sussultò appena a quella frase, senza tuttavia lasciargli la mano.

Louis se ne accorse e apprezzò il comportamento del cavaliere. Nonostante avesse il timore di quello che stava per ascoltare, era comunque intenzionato ad ascoltare fino in fondo, decidendo di rimanergli comunque accanto.

Lo apprezzò e fu questo che lo spinse a parlare ancora.

“Sì, la mia vita da essere umano è stata molto breve” ammise, “anche se, avevo smesso alcuni anni prima di essere una persona normale. Le tracce della bestia erano comparse in me anni prima che il mio corpo umano morisse definitivamente” e fece un istante di pausa, come per raccogliere le idee.

“Suppongo che tu ti stia domandando come fosse possibile, dato che io ti ho appena confermato di essere nato come un qualsiasi essere umano. Per farti capire ciò, devo raccontarti della mia famiglia e del periodo storico in cui sono nato. Devi sapere che il mio aspetto attuale, quello che assumo quando mi trasformo, non è una casualità” e si interruppe ancora.
Leon lo ascoltava senza battere ciglio e senza lasciargli la mano.

“Forse divagherò” disse ancora Louis. “In realtà, non ho mai raccontato a nessuno, tutto ciò. Come avrei potuto, d’altronde?” disse, più a sé stesso che all’altro. “Quindi, se sarò poco chiaro o vorrai farmi qualche domanda, ritieniti libero di farlo” e sorrise.

“Vorrei che questo fosse un dialogo, non un monologo” e ridacchiò. “Non ti sto rivelando dei segreti di stato o facendo una conferenza. Sono delle confidenze, che ti faccio. Confidenze di cui vorrei tu fossi partecipe” disse guardandolo negli occhi.

Leon annuì con il capo, sorridendo a sua volta.

Capì l’importanza delle parole di Louis e se ne sentì travolto oltre che onorato.

Quelle parole ebbero il potere di scuotere il suo animo, facendogli prendere atto della nuova realtà in cui si trovava. Non aveva avuto modo di rendersene conto, dato che era successo tutto molto in fretta tra lui e Louis. L’attrazione era esplosa e loro si erano lasciati andare. Poi, c’era stata l’emergenza a casa di Perce che non aveva dato loro modo di chiarirsi. Non ne avevano parlato ma Leon aveva chiaramente fatto capire all’altro di voler iniziare una relazione con lui. Per questo, ora, Louis gli stava raccontando la sua storia e, sempre per questo, Leon si sentì travolto ed emozionato per la vicinanza dell’altro.

Le confidenze di Louis, viste sotto quest’ottica, assumevano nuovo significato. Louis aveva accettato la loro relazione e poneva, come basi della stessa, la sua storia, affinché Leon potesse scegliere.

Sì, era proprio così e Leon si ritrovò a sorridere come un’idiota.

La creatura che aveva creduto inconquistabile e irraggiungibile, ora metteva lui a scelta.

Si erano detti, appena pochi istanti prima, di amarsi reciprocamente e Louis, per confermare questa tesi, lo stava mettendo al corrente del suo passato.

Tuttavia, Leon non aveva bisogno di questo per scegliere di rimanere accanto all’altro. Voleva sapere, certo, ma comunque il fatto che gli sarebbe rimasto accanto era fuori discussione.

Nel giro di poche ore, si trovava impelagato in una relazione con l’uomo dei suoi sogni e, ammettere questa cosa con sé stesso, lo faceva ridere senza un motivo apparente.

Era felice, finalmente, di aver qualcuno accanto. Era felice che Louis avesse scelto lui.

Anche Louis si accorse dell’espressione particolarmente gongolante dell’altro e, non capendone il motivo, gli rivolse uno sguardo perplesso.

“Scusami” esordì Leon. Sapeva, infatti, di apparire un po’ fuori luogo in quella particolare situazione però non riusciva a fare a meno di manifestare quello che provava.

“È che sono felice” disse con espressione disarmante. “Felice che tu abbia scelto di stare con me, nonostante le difficoltà che potrebbero esserci”.

Louis sorrise, ben capendo lo stato d’animo dell’altro, e Leon continuò.

“Sappi comunque che, queste fantomatiche difficoltà, le affronteremo insieme, una dopo l’altra.” disse puntandogli l’indice contro il petto. “Non ti libererai di me” lo avvertì assumendo un’aria minacciosa. “Non dopo quello che mi hai detto pochi minuti fa!” e lo guardò intensamente.

“È proprio quello che mi aspetto.” rispose Louis ridacchiando e Leon si sentì felice perché fu con un’atmosfera più leggera e sguardo più sereno che Louis riprese a narrare.

“Tanto tempo fa, ero il maggiore di quattro figli e la mia famiglia era molto in vista nella società del secolo, in particolare nell’ambito politico” continuò. “Purtroppo, sono anche il secondo sopravvissuto dei miei fratelli. L’altro, è quello che tu conosci come Phoenix” e lo guardò.

“Cosa?” non poté trattenersi Leon e Louis ridacchiò di fronte all’espressione sgomenta dell’altro.

“Io pensavo…” riprese a parlare Leon non sapendo come continuare. “Sì, insomma, all’inizio io credevo che voi foste una…” e si interruppe guardando l’altro in maniera eloquente.

“Una coppia, intendi?” chiese Louis e Leon lesse tracce di sincero stupore nel suo sguardo.

“Sì” ammise. “Vi punzecchiate come una coppia di bisbetici vecchietti.” e rise. A quella risata si unì anche Louis, scuotendo la testa.

“Quindi, anche lui, in origine era un uomo?” domandò poi Leon quando le risa cessarono.

“Sì” confermò Louis. “Lui era il secondogenito della mia famiglia, più piccolo di me di soli due anni” gli spiegò.

Leon si prese un istante di pausa per riflette dopo che le risa furono cessate. In fondo, non era da poco scoprire che Phoenix, l’altra creatura, era nientemeno che il fratello biologico di Louis. Non si erano conosciuti tramite Merlino o incontrati casualmente nel corso dei lunghi secoli che avevano vissuto.

No! Niente di tutto questo!

Erano nati, chissà quanto tempo prima, dalla stessa madre e dallo stesso padre e avevano praticamente passato tutta la vita insieme.

Tuttavia, nonostante Leon fosse felice di quel dato in più su Louis, capì che i misteri, a quel punto, si infittivano anziché diradarsi.

D’altro canto, era da quando avevano incontrato i Guardiani che, ogni volta avevano delle risposte, queste non facevano altro che portare nuove domande. Tutti i misteri che, un tempo, gli erano stati preclusi, ora invece erano davanti ai suoi occhi.

Louis ne era un chiaro esempio; Leon era infatti sicuro che, a Camelot, Louis non avrebbe avuto problemi a farsi passare per un comune uomo.

Lui non era come la Dama; era una creatura pensante che non attaccava alla cieca e, soprattutto, poteva cambiare aspetto quando più lo riteneva opportuno.

Però, a quel punto, voleva sapere perché era diventato così.

“Beh” spezzò il silenzio con una battuta, “non mi dispiacerà avere Phoenix come cognato” e ridacchiò.

Anche Louis si unì alla risata, prima di ricominciare a parlare.

“Suppongo che adesso tu abbia ancora più domande di prima” disse sorridendo e Leon annuì con il capo.

“Cosa ti preme più sapere?” domandò allora la creatura con tono mite. “Sai” continuò, sentendo di dover motivare quella domanda, “per me è complicato fare un sunto di tutto. Soprattutto, quando hai da raccontare troppi secoli” concluse e Leon capì il significato di quelle parole.

Louis lasciava a lui le domande proprio perché, quelle che si apprestava a fare, erano confidenze. Confidenze e non rivelazioni utili per gli equilibri.

Quindi, lasciava a Leon la scelta delle domande.

In fondo, era Leon che voleva sapere di più sull’altro e Louis sembrava volerlo accontentare nel modo più esauriente possibile, lasciando condurre a lui il gioco.

Inoltre, solo in quel momento si accorse di un piccolo particolare. Louis si stava confidando ma, in queste rivelazioni, tirava in ballo non solo sé stesso ma anche quello che Leon aveva scoperto essere suo fratello.

E Leon, alla luce di ciò, si sentì in dovere di esporre i suoi dubbi a riguardo.

“Non darà fastidio a Phoenix, il fatto che tu mi stia raccontando la vostra storia?” chiese, guardandolo con serietà.

Lui era un uomo d’onore e, la cosa più evidente, in quelle poche rivelazioni, era proprio il fatto che non era più solo la storia di Louis ad essere raccontata.

Se erano fratelli biologici, allora avevano vissuto le stesse cose e avuto la stessa famiglia. Almeno, questa era l’ipotesi più probabile.

E lui non voleva che i due andassero verso lo scontro a causa della sua curiosità. In fondo, avrebbe potuto aspettare che le cose, fra tutti loro, si stabilizzassero prima.

La risata di Louis lo distolse dalle sue riflessioni.

“Sir Leon, il cavaliere che rappresenta la Lealtà” disse la creatura, fissandolo intensamente. “Vedo che, questa virtù, non è andata persa, nel corso della tua vita in quest’epoca” costatò.

“Beh, considerando che siamo tutti tornati esattamente com’eravamo, è una cosa abbastanza ovvia” scrollò le spalle Leon con semplicità e anche con un pizzico d’imbarazzo.

Louis aveva un modo di fare diretto sia nei rimproveri che nei complimenti e questo poteva spiazzare un po’ l’interlocutore di turno.

Sentirsi poi elogiare con tanta sincerità nella voce era un pochino imbarazzante – considerò Leon, cavaliere dal carattere franco ma riservato – e la cosa che, forse, lo rendeva più nervoso erano quegli occhi caldi puntati addosso verso i quali – Leon lo sapeva – nulla poteva essere celato.

“Non hai propriamente ragione” lo corresse Louis scuotendo la testa e facendo ondeggiare i suoi capelli.

“Che vuoi dire?” chiese Leon con curiosità. In fondo, erano tornati uguali a come erano andati via. Come poteva sbagliare, affermando ciò?

“Hai ragione sui dati del tuo ritorno” confermò Louis. “Tuttavia” e si interruppe, come a cercare le parole adatte, “non era detto che, una volta tornati in era moderna, sareste rimasti uguali nelle virtù e nei modi di fare”.

“Non ti seguo” ammise Leon con sincerità. “Perché saremmo dovuti cambiare?”.

“Perché il tempo in cui vi siete ritrovati a vivere, quello in cui siete rinati per l’esattezza, è completamente diverso da quello a cui eravate abituati” fece notare Louis con ovvietà. “Inoltre, le vostre posizioni sociali sono diverse. A Camelot, era tuo dovere servire il regno. Ora, invece, non hai nessun giuramento che ti lega ad Artù” concluse.

“Beh, questo non c’entra nulla” lo contraddisse Leon. “Il giuramento è sempre valido, anche se fatto in un altro tempo. Il mondo sembra avere bisogno di noi, e io non ho intenzione di tirarmi indietro”.

“Questo perché sei un vero cavaliere, anche nell’animo” approvò Louis. “Ammetti però, che in questo tempo, avreste potuto scegliere di vivere diversamente la vostra vita”.

“Non sarebbe stato onorevole!” disse ancora Leon.

“Inoltre... “continuò Louis interrompendosi subito dopo.

“Inoltre?” lo incoraggiò Leon stringendo con più forza la mano dell’altro.

“Inoltre, avreste potuto scegliere di non tornare. Avreste potuto scegliere di attraversare Avalon, ma dalla parte opposta” specificò Louis guardandolo con intensità e Leon non faticò a capire le sue parole.

“Vero!” affermò. “Ma ciò non è avvenuto!” e sorrise.

“Ed io ne sono lieto” ricambiò il sorriso Louis e Leon, vedendo quello sguardo, non seppe trattenersi dall’avvicinare le sue labbra a quelle dell’altro.

In quella frase, Louis aveva espresso tutta la sua sofferenza per un suo possibile non ritorno e Leon si chiese quanto fosse realmente grande il suo dolore.

Fu per questo che sentì il bisogno di palesare la sua presenza accanto a lui, andando a sfiorare ancora quelle labbra mentre, con la mano libera, gli accarezzava la nuca.

Era indescrivibile la sensazione delle labbra calde di Louis a contatto con le sue. Un contatto in grado di fargli perdere la cognizione del tempo e di fargli dimenticare tutto, persino il suo nome.

Poca importanza aveva, in fondo, quello di cui parlavano poc’anzi. Di cos’era che parlavano, poi?

Leon non se lo ricordava più.

In quel momento, sentiva di volere solo di più.

Più cosa, poi, non lo sapeva.

Più calore, più contatto... più di tutto.

Approfondì il bacio e Louis non si fece certo pregare. Quando le loro lingue si incontrarono, fu come staccarsi dal pavimento e rimanere sospesi a mezz’aria.

L’attrazione esistente tra loro era esplosa e Leon non aveva nessuna intenzione di fermarla, stavolta.

D’altro canto, era stato Louis a voler rendergli noto quello che era stato un tempo, prima di un contatto approfondito tra loro.

Questo, solo per permettergli di scegliere. Perché Leon sapeva che Louis lo desiderava in egual misura.

Beh, la sua storia sarebbe venuta dopo.

Perché Leon accettava l’altro così com’era. Non voleva che Louis lo mettesse a scelta, dopo aver rievocato chissà quali ricordi.
Lui voleva Louis e basta!

Sì, sentiva che era giusto interrompere lì, le confidenze dell’altro. Confidenze che potevano riprendere benissimo dopo!

Fu con decisione che andò a sfiorare la pelle dell’altro sotto la maglia.

A quel punto, sentì la mano di Louis spingerlo via con delicatezza, allontanandolo quel tanto che bastava per parlare.

Era bellissimo, considerò Leon mentre osservava il volto dell’altro reprimere a stento la passione che provava.

“Mi sembrava che fossi curioso di conoscermi meglio” disse con voce roca e bassa.

Voce che fece, se possibile, eccitare di più Leon.

“Ti sembrava male” disse con decisione e Louis lo guardò perplesso. “Sono curioso ma non voglio sapere la tua storia per scegliere” disse con decisone, fissandolo con serietà. “Io, la mia scelta, già l’ho fatta”.

Louis scosse il capo, indeciso sul da farsi.

“Voglio che tu non ti penta di nulla” disse soltanto.

“E io vorrei che tu non mi interrompessi più mentre faccio la cosa che più voglio” rispose Leon avvicinandosi nuovamente e rimettendo la mano esattamente dove Louis l’aveva scostata sfidando l’altro, con lo sguardo, a contraddirlo.

“Non mi rendi le cose facili” disse Louis sottovoce, mentre Leon andava sfiorargli il collo con piccoli baci.

“Non ne ho intenzione” disse Leon tra un bacio e l’altro. “Anche prima mi hai interrotto e distratto con facilità” sussurrò direttamente sul suo collo. “Sappi che non intendo lasciartelo fare ancora” e, per zittire ogni pretesa, gli catturò le labbra in un bacio che di casto aveva molto poco.

In quel momento, infatti, contavano solo le labbra carnose di Louis che erano perfette da mordere e baciare e Leon, in quel momento, non aveva intenzione di fare null’altro che quello.

Una cosa, infatti, era essere curiosi sul misterioso passato della creatura; un’altra, invece, era che Louis si sottoponesse a un processo volontario – con lui come giudice supremo – per riguardi nei suoi confronti.

Sì, Louis lo stava facendo per lui e Leon, nonostante si sentisse toccato nel profondo dall’importanza estrema e eccessiva che Louis sembrava dare alla sua persona, sentì di dover ricambiare il gesto e la lealtà che Louis dimostrava con altrettanta lealtà.

Non gli importava nulla della storia dell’altro, se prima non poteva averlo e toccarlo. Non avrebbe cambiato idea in nessun caso e non voleva più respingere l’attrazione che c’era tra loro. Non voleva essere giudice di nessuno; tantomeno di colui che amava e che, finalmente, poteva toccare e baciare.

Louis capì l’antifona dell’altro e lo lasciò fare decidendo, finalmente, di abbandonarsi completamente alle sensazioni che provava e alle mani del cavaliere che erano arrivate a sfiorargli il torace sotto la maglia per risalire fino ai capezzoli.

Era vero, prima aveva interrotto volutamente il contatto tra loro perché sapeva che sarebbero andati oltre, proprio come stava avvenendo in quel momento.

La prima volta era stata la telefonata di Phoenix a interromperli e Louis si era preso, durante il tragitto in macchina, qualche minuto per riflettere sulla situazione.

Perché non disdegnava il contatto fisico con il cavaliere, anzi! Solo, voleva che l’altro fosse consapevole di quello che era. Non voleva che si pentisse successivamente.

Però, a quanto sembrava, a Leon non importava minimamente. Inoltre, si era anche accorto di essere stato sviato e Louis temeva che non si sarebbe fatto distrarre un’altra volta così facilmente.

Fu per questo che decise di lasciarsi andare.

Fu per questo che non oppose resistenza quando Leon, con decisione, gli sfilò la maglia, togliendosi la sua immediatamente dopo.

“Sei bellissimo” disse Leon sfiorandolo con riverenza, per poi andare a baciare i pettorali scolpiti dell’altro mentre gli accarezzava a sua volta la schiena.

“Sei bellissimo” ripeté Leon lasciando una scia umida di baci sul torace dell’altro, per risalire fino al collo.

“E lo sei in tutte le tue forme” sussurrò direttamente all’orecchio dell’altro. “Non penso di potermi fermare, a questo punto” disse poi, mentre baciava con dovizia la clavicola per passare nuovamente al collo scolpito di Louis.

“E allora...” rispose piano l’altro afferrandogli il volto e guardandolo intensamente, “...non farlo” affermò con decisione.

“Amami” disse sottovoce all’orecchio dell’altro, con una nota struggente e dolorosa nella voce che Leon non seppe classificare in nessuna sensazione da lui conosciuta.

Quello che stava avvenendo, tra loro, era troppo intenso.

Quello che stava avvenendo era troppo... troppo e basta!

Mai Leon aveva provato scariche di adrenalina e eccitazione così intense e prorompenti, a contatto con qualcun altro. Era come se la sua anima scalpitasse e il suo cuore volesse uscire dal petto.

Era come se la mente fosse annebbiata e il corpo provasse una tale frenesia da riuscire a placarsi solo a contatto con l’altro.

Troppo era il bisogno di toccarlo.

Talmente tanto che nemmeno una parola riuscì ad uscire dalle labbra di Leon in quel momento, troppo impegnato a baciare ogni porzione disponibile di pelle e a lasciare segni del suo passaggio.

Anche Louis si stava lasciando andare, Leon poteva sentirlo dai suoi gemiti mal trattenuti.

Perché l’altro continuava a trattenersi?

“Non farlo” riuscì a sussurrate, mentre le loro erezioni si sfioravano. Quanto erano ingombranti, i vestiti in quel momento? E
Perché Louis aveva ancora addosso i pantaloni? Si chiese Leon incoerentemente, in quel momento così astratto eppure così reale.

“Cosa?” domandò Louis a occhi chiusi con voce che mal tratteneva l’eccitazione che provava.

“Non trattenerti” disse allora Leon facendolo stendere sul divano mentre continuava a baciargli il collo e saliva sopra di lui affinché i loro membri si sfiorassero ancora.

“Potrei...” provò a parlare Louis senza riuscirci, troppo preso dall’estasi che provava. “Potrei inavvertitamente ringhiare,” sussurrò, mal trattenendo un gemito.

“E allora ringhia, dannazione!” affermò Leon, con rabbia. “Ma si te stesso!” e lo baciò ancora.

“Prendimi” disse allora Louis, sopraffatto dall’intensità del sentimento dell’altro.

Per la prima volta, qualcuno lo amava per quello che era, esattamente com’era.

No!

Non poteva essere un caso la venuta dei cavalieri in quel secolo!

“Sei sicuro?” affermò sottovoce Leon e Louis, di rimando, andò a baciagli le labbra.

Voleva essere amato. Voleva che qualcuno lo amasse e avesse cura di lui.

Fu per questo che si abbandonò totalmente alle sensazioni totalizzanti che l’altro riusciva a donargli.

Fu per questo che si lasciò andare.

Poco importavano, in quel momento, le domande e i perché.

In quel momento, contavano solo i loro corpi che fremevano e i loro cuori che scalpitavano.

No!

La venuta dei cavalieri non era un caso.

Non lo era nemmeno la sua nascita, qualche secolo dopo Camelot.

Non era stato un caso che il Sommo Emrys lo avesse trovato e accolto.

Niente era un caso e, finalmente, il destino stava prendendo il sopravvento su di loro, mettendo tutte le cose al posto giusto.

Nessuno dei due si accorse di quello che stava avvenendo.

Nessuno dei due si accorse di altro, entrambi troppo presi ad assecondare le sensazioni e l’estasi del momento.

Un piccolo segno che sulla spalla di Leon prendeva vita.

Una fusione che cominciava il suo corso in un oggetto molto distante da loro.

Un’altra crepa che si rinsaldava, in un oggetto più antico del mondo.
 

Continua…
 

Note:
 

Innanzitutto, grazie a tutti voi che continuate a seguire la storia!

Un grazie immenso va poi a hikaru83 che mi martella per farmi scrivere alla velocità della luce, ricordandomi che ci sono persone che aspettano, e che si sorbisce le bozze e i miei sproloqui agli improbabili orari in cui le invio tutto (tipo le cinque del mattino e orari del genere). Grazie!
 
Riguardo il capitolo, abbiamo una svolta definitiva fra Louis e Leon. Spero di aver trattato bene i loro pensieri e di aver descritto con cura le scene avvenute tra loro.
 
Come sempre, a voi l’ardua sentenza. Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui!

Alla prossima,

Pandora86

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Capitolo 72
*** Capitolo 72. Rivelazioni - Prima Parte ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
 
Capitolo 72. Rivelazioni – Prima Parte
 

“Bevi qualcosa?” chiese Kyle, stranamente cordiale, ma Gwaine, altrettanto stranamente, scosse la testa in segno di diniego.

Dopo essere usciti dalla stanza contenete le armature, si erano diretti verso quella che, Gwaine aveva appurato, era la camera da letto di Kyle.

Certo, più che camera da letto, sembrava una vera e propria casa in miniatura, considerò Gwaine osservando l’ambiente circostante con attenzione. In fondo, quando gli sarebbe capitato di entrare nuovamente negli appartamenti privati di Kyle?

Sicuramente, il Guardiano biondo non era riservato come Gabriel, ciò nonostante, Gwaine era sicuro che Kyle non gradisse volti estranei aggirarsi nei suoi appartamenti privati.

Si guardò intorno, costatando che l’intera stanza era sicuramente grande quanto casa sua, se non di più.

Sfruttando la grandezza dell’ambiente, Kyle aveva giocato molto bene sugli spazi, dividendo le diverse zone. La camera sembrava, infatti, un piccolo loft, dove l’unica stanza mancante era la cucina.

Sulla sinistra, c’era la zona notte, con un letto matrimoniale e un enorme armadio a parete. Sempre su quel lato, c’era poi un’attrezzatissima scrivania, munita di computer e telefono. Scrivania che Kyle sicuramente usava per lavorare, dato che alla destra vi era un leggio con svariati spartiti sopra. Sulla parete di fronte alla scrivania vi era invece un’enorme libreria, alta quasi fino al soffitto e lunga circa tre metri.

Sul lato destro della camera, vi era invece quella che, probabilmente Kyle usava come zona giorno. C’era un tavolino basso con diverse poltrone – sopra una delle quali era accomodato Gwaine, per l’appunto – e un divano a parete. Vicino all’enorme vetrata che affacciava sull’immenso giardino di villa Badelt, vi era il pezzo forte: un bellissimo pianoforte a coda, di colore avorio. Si trattava, sicuramente, di uno strumento dal valore enorme.

“Finita l’ispezione?”.

La voce di Kyle lo riscosse dai suoi pensieri e Gwaine scrollò le spalle con semplicità.

Quella giornata sembrava destinata a non finire mai e Gwaine provava uno strano senso di smarrimento, oltre che una difficoltà enorme nel catalogare nella sua testa tutti gli avvenimenti che si erano succeduti nel giro di pochissime ore.

“Se non mi dici cosa ti passa per la testa, non posso aiutarti” parlò ancora Kyle interrompendo nuovamente il filo dei pensieri dell’altro.

Gwaine, nonostante lo strano senso di disagio, sghignazzò di rimando.

“Non eri quello che riusciva a leggere tutto dalle espressioni?” scherzò ridacchiando e Kyle sorrise con lui.

“Riesco a individuare il filo dei pensieri ma non i pensieri nello specifico” rispose con molta calma. “Riesci a capire questo concetto?” chiese con tono stranamente benevolo.

Tono che non sfuggì a Gwaine che scosse la testa in segno di rimando.

Non si era sbagliato sui pensieri che aveva avuto su Kyle quando erano arrivati a villa Badelt: Kyle era cambiato nei suoi confronti. Un segno evidente era proprio il tono con cui gli dava spiegazioni, non lo stava mettendo più alla prova o studiando per qualche motivo. Kyle voleva che lui capisse, premurandosi di dare spiegazioni laddove ci fossero pezzi mancanti.

“Vediamo come posso spiegartelo in maniera semplice” parlò ancora Kyle, accomodandosi nella poltrona di fronte a Gwaine e confermando, con quella frase, i pensieri del cavaliere.

“Devi prendere in considerazioni le statistiche moderne” parlò ancora Kyle e Gwaine di fece attento.

“Per fare una statistica, viene presa in considerazione una massa, che sia di individui o di cose. Allo stesso modo, è più facile prevedere le azioni di una massa che di un singolo individuo” e si prese il mento fra le dita con aria cordiale.
Gwaine annuì, capendo quel concetto. Tutte le statistiche venivano infatti calcolate su una media di più cose. Come si poteva, invece, fare la media su una cosa o una persona singola?

Non si poteva, ovviamente. E questo, perché non c’era confronto. Una cosa presa e studiata singolarmente non aveva termini di paragone. Su cento persone o mille, invece, il problema non si poneva. Era così che si affrontavano gli studi in tutti i campi nell’era moderna e, probabilmente, anche nell’era passata.

Ma cosa c’entrava questo con i pensieri?

Fu questo che domandò, esponendo i suoi dubbi e Kyle ridacchiò bonario accavallando le gambe.

Il Guardiano sembrava trovare piacere da quella conversazione e anche Gwaine, nonostante non amasse i lunghi discorsi e i ragionamenti complicati, ci stava prendendo gusto.

Sembrava che Kyle volesse fargli capire il suo modo di ragionare e, di conseguenza, il modo di ragionare dei Guardiani.

Probabilmente, c’era uno scopo in tutto quello e Gwaine aveva il sospetto che lo avrebbe scoperto a breve.

Inoltre, più parlava con Kyle, più lo smarrimento che provava si diradava.

Nonostante fosse tardi si sentiva più carico e, soprattutto, più lucido.

“I pensieri di una persona sono proprio come una massa” spiegò Kyle.

“La mente umana è complessa e ci sono diversi strati di pensiero. Un po’ come una torta. Ci sono i pensieri coscienti, che sono lo strato superficiale, e tutto un sotto-strato di altri pensieri che l’uomo non può controllare. Inoltre, ci sono le immagini visive che la mente richiama, oltre i suoni che il cervello riproduce.

Quando ti capita di ricordare un dialogo, ad esempio, le voci si riproducono nella tua testa. E così funziona anche per le immagini. Se pensi poi che tutto questo avviene contemporaneamente, allora, riesci a capire, in minima parte, quanto sia infinitesimale il controllo che ha l’uomo sulla propria mente e quanto essa sia complessa” e si interruppe per dare modo all’altro di assimilare quei concetti.

“Allo stesso modo” riprese a parlare dopo un po’, “io posso individuare una massa di pensieri, tramite le deduzioni. Ad esempio, se guardi una cosa con particolare attenzione, io riesco a capire che tu stai pensando a un qualcosa legato ad essa ma non riesco a dedurre le parole che tu usi nello specifico nei tuoi pensieri” e fece un istante di pausa ridacchiando.

“A meno che tu non mi legga nella mente con il tuo potere” non poté fare a meno di fargli notare Gwaine e Kyle annuì con vigore.

“Era per questo che ridacchiavo” spiegò poi il Guardiano biondo. “Tuttavia, stiamo prendendo in esame le persone comuni e le masse, e non il mio potere nello specifico”.

Gwaine annuì capendo quei concetti, quando una verità gli si affacciò nella mente.

“È così che fanno i Guardiani, vero?” domandò, conoscendo però la risposta. “Guidano l’uomo in massa, ma non l’uomo nello specifico”.

“Esattamente” confermò Kyle. “Proprio per questo concetto, dovresti capire perché Merlino, nella storia, ha sempre rappresentato problemi” e Gwaine non poté fare a meno di annuire ancora.

Si sentiva eccitato per le verità a cui stava arrivando. Sembrava quasi che stesse ragionando come un Guardiano. Sembrava quasi che fosse diventato un Guardiano mentre, seduto a tavolino, discuteva di probabilità e statistiche. L’ipotesi che Kyle non stesse facendo quella conversazione per caso, oramai, divenne una certezza.

“Merlino è un singolo uomo” disse semplicemente.

“Un singolo uomo con troppo potere!” aggiunse Kyle.

“È così che fate, quindi?” chiese ancora Gwaine. “Vi sedete a tavolino e stilate statistiche su questo o su quel personaggio storico, analizzando la massa che lo circonda?”.

“Per dirla in maniera molto spiccia, sì, è esattamente questo, quello che facciamo” rispose con semplicità Kyle. “Quando Gabriel ha posto le basi storiche per Camelot, e quindi la venuta al mondo di Merlino, non ha fatto altro che stilare un documento, annotando tutte le Tappe. Ovviamente, ha fatto ciò dopo aver consultato molti tomi e discusso a lungo con Merlìha e Lenn” concluse, incrociando le dita e fissandolo attento.

“Questo, però, a cosa ci porta?” chiese ancora Gwaine, che non capiva ancora come il discorso potesse c’entrare qualcosa con quello che stava avvenendo.

“Deduco che tu non riesca ancora ad arrivarci” lo sfotté bonario Kyle e Gwaine sbuffò.

“Deduci bene” lo guardò storto e Kyle ridacchiò.

“Come ci hanno chiamato i potentissimi maghi che avete incontrato la sera che ci siamo rivelati?” domandò Kyle fissandolo intensamente e Gwaine, pur non capendo cosa c’entrasse quella domanda – tanto per cambiare, rimbeccò una vocina nella sua testa – si concentrò, richiamando alla mente quei ricordi.

Tuttavia, scosse la testa, non riuscendo a capire quale fosse la risposta. D’altro canto, lui quella sera era troppo occupato a guardare Kyle per cogliere altro.

Kyle sospirò, accendendosi una sigaretta.

“Allora” disse, riformulando la domando. “Cosa sono io, per te?” e, notando lo sguardo esterrefatto di Gwaine, si corresse, dopo essere scoppiato in un’allegra risata. “La mia stirpe di origine, intendo, non la causa dei tuoi pensieri sconci” disse, non riuscendo a sedare completamente le risa.

Gwaine arrossì leggermente, ammettendo con sé stesso di aver equivocato la domanda.

“Beh, potresti esprimerti meglio” lo rimbeccò e Kyle scoppiò a ridere.

“Credimi” gli disse ridacchiando, “qualcuno, secoli fa, si è trovato molto più in difficoltà rispetto a te, a causa del mio modo di parlare” e sorrise, pensando a Merlino e alle sue facce buffe quando, nel corso delle loro ore passate insieme a Camelot, gli scappava una parola incomprensibile per l’epoca nella quale si trovavano.

Gwaine gli rivolse un’occhiata interrogativa ma Kyle gli fece segno di soprassedere con la mano.

“Un giorno te lo racconterò” e sorrise. “Quindi” parlò ancora, ritornando all’argomento di partenza “qual è la mia stirpe di appartenenza?” e lo fissò in attesa dell’ovvia risposta che ne sarebbe venuta.

“Non è una domanda trabocchetto” disse ancora, quando vide che Gwaine non rispondeva. “la risposta è ovvia ma vorrei che tu rispondessi ugualmente ad alta voce. Questo ci aiuterà nella comprensione” gli spiegò. “Ti assicuro che so esattamente cosa faccio e cosa dico” aggiunse poi, con un sorriso sghembo.

“Tra l’altro” parlò ancora con un sorrisetto ironico, “credo che il Re sia già arrivato a una tale verità e si sia accorto della cosa che vorrei notassi anche tu, in questo momento. In effetti, il Re si sta dimostrando più perspicace in quest’era. Lo stesso non si può dire di te” e rise apertamente.

“Scusa tanto se sono tardo” lo rimbeccò Gwaine guardandolo storto ma trovando, in quell’insulto, un po’ del vecchio Kyle.

Non che ci fossero stati dei cambiamenti sostanziali nel loro rapporto però Gwaine non era abituato a tanta pazienza e cortesia.

Per un po’ si era sentito come Perce alle prese con Gabriel che spiegava punto per punto senza tralasciare nulla, con una
precisione nei dettagli tale da portare l’ascoltatore verso la noia mortale.

Invece, con Kyle, il problema non si poneva. Con Kyle non ci si annoiava mai. Anche il loro rapporto era un continuo alternarsi di finte cortesie e battibecchi continui, il tutto contornato da insulti che, stranamente, risultavano ancora più evidenti nelle frasi gentili.

Sì, era questo il suo rapporto con Kyle e Gwaine fu felice di sapere che, nonostante le imminenti scoperte a cui stava per approdare, e lo strano riguardo che Kyle utilizzava, nulla nel loro rapporto era cambiato.

Kyle poteva anche considerarlo allo stesso livello – o quasi! Specificò una vocina nella sua testa – ma comunque rimaneva sempre Kyle.

“Quindi” la voce del soggetto delle sue riflessioni lo strappò dai suoi pensieri, “qual è la mia stirpe di appartenenza?”.

“Quella dei Guardiani” rispose allora Gwaine. “La tua stirpe di appartenenza, è quella dei Guardiani”.

“Quindi, io sono un…” e non continuò facendo capire che desiderava che fosse Gwaine a completare la frase.

“Un Guardiano” rispose ancora Gwaine e Kyle annuì.

“Nonostante la mia consistenza fisica sia cambiata, la mia mente rimane quella di un Guardiano” specificò Kyle aspirando ancora dalla sigaretta. “Anche se con corpo diverso, ho guidato comunque l’uomo, insieme agli altri, per tutti questi secoli” e Gwaine annuì.

“Specifico, inoltre, che è la mente a rendere una cosa tale” chiarì ancora, come se quella frase fosse di vitale importanza.

“Quindi, io sono un Guardiano” disse ancora marcando la parola e Gwaine, in quel momento, capì.

“Antichi” disse Gwaine, improvvisamente. “Gli stregoni, vi hanno chiamato Antichi, non Guardiani” e lo guardò stupefatto.

Kyle gli sorrideva e Gwaine capì, in base alla sua espressione, di aver fatto centro. Era quello il punto che Kyle voleva notasse.

“Gli stregoni vi hanno chiamato Antichi” ripeté ancora esterrefatto.

Com’era possibile che gli fosse sfuggito un particolare così ovvio?

Perché non lo aveva notato subito?

“Ed anche voi” disse dopo alcuni istanti puntando l’indice verso Kyle, “vi siete presentati come tali”.

“E questo, a cosa ti porta?” chiese il Guardiano spegnendo la sigaretta nel posacenere posto sul tavolino basso posto dinanzi alle poltrone.

“Gli stregoni non sanno chi siete realmente” disse ancora Gwaine, afferrando la verità. “Vi hanno chiamati i discendenti dei potenti compagni del Grande Mago”.

“Questo, perché non credono nell’immortalità. Tuttavia, l’immortalità, non è una cosa che noi nascondiamo” gli fece notare. “Se non che, loro semplicemente, scelgono di non crederci” concluse con tono ovvio e Gwaine annuì.

“Eppure, avete parlato dei cambiamenti delle vostre età e cose del genere” disse ancora Gwaine e Kyle gli sorrise.

“Quella parte, era per voi” fece notare.

“Perché noi sappiamo, in realtà, chi siete” costatò Gwaine riflettendo su quei concetti.

“D’altro canto” intervenne Kyle, “i cosiddetti stregoni, non hanno colto assolutamente nulla di ciò. Voi avete compreso, perché sapevate, in maniera molto superficiale, di cosa parlavamo”.

“Loro, invece, non sapevano assolutamente nulla” concluse per lui Gwaine. “Per questo non hanno capito”.

“Erano anche troppo sorpresi e spaventati, per cogliere” aggiunse Kyle.

“Inoltre, voi non avete accennato nulla del vostro mondo. Non avete pronunciato la parola Guardiano” parlò ancora Gwaine e Kyle annuì.

“Il mondo dei Guardiani deve rimanere sconosciuto a quello degli esseri umani. Questo permette al Guardiano di guidare l’uomo, e consente all’uomo di approdare alle scoperte riguardanti il suo mondo, senza conoscere un mondo dove, quelle scoperte, sono completamente opposte” gli spiegò Kyle con voce profonda e Gwaine lo fissò intensamente.

“Con noi, però, questo discorso non vale” fece notare. “Noi siamo stati ad Avalon dove la Dama ci ha parlato del vostro mondo” disse, non sapendo dove lo avrebbe portato quella conoscenza.

“Questo” parlò Kyle con serietà, fissandolo altrettanto seriamente, “perché voi siete usciti fuori dalla linea temporale e storica, molto tempo fa” e lo scrutò.

“Quando siamo… morti” sussurrò Gwaine.

“Quando siete morti” confermò Kyle non battendo ciglio e in maniera spiccia.

“Eppure, siamo ritornati” scrollò le spalle Gwaine, non capendo cosa c’entrasse tutto quello.

“Merlino, invece, non se ne è mai andato” esclamò Kyle, come se gli sfuggisse un articolare ovvio.

“Eppure, la sua storia si è conclusa molto tempo fa” disse ancora. “All’incirca, con la morte del Re”.

“Anche lui è fuori da queste cose, allora” disse Gwaine e Kyle scoppiò in una risata sincera e divertita.

“Sorvolando sul tuo linguaggio spiccio, e anche inesatto tra l’altro, sì, anche lui è fuori dalla linea temporale e storica” lo corresse Kyle e Gwaine sbuffò come a dire che, in fondo, non avevano importanza le parole usate.

“Eppure” parlò ancora Kyle scuotendo la testa, “lui continua ad occuparsi di queste cose” chiarì, facendo intendere all’altro di aver colto i suoi pensieri.

“Come noi, d’altronde” aggiunse. “Noi che, nella storia, non eravamo nemmeno previsti. Eppure, ti assicuro che la storia, in tutti questi secoli, si è formata lo stesso” e fece un istante di pausa.

“Anche lui, quindi, è venuto a conoscenza di voi e del vostro mondo, quando la sua storia si è conclusa?” domandò allora Gwaine e Kyle annuì ancora.

“Non è sempre necessaria una morte nel corpo, affinché l’essere umano concluda la sua storia. Per il Re è stato necessario. Così come per voi, che avete scelto di tornare. Per Merlino, invece, data la sua caratteristica originaria, non vi era alcun bisogno di una morte fisica” e si interruppe.

“Lui, è fuori dalla linea temporale, perché è immortale. È fuori dalla linea storica, perché la sua storia, già si è conclusa” chiarì ancora fissandolo con serietà.

“Quindi” chiese qualche istante dopo, “a cosa ti porta tutto questo?” e incrociò le dita sotto il mento.

“Anche noi…” parlò lentamente Gwaine assimilando, ancora più lentamente quei concetti.

“Anche noi, in qualche modo, siamo come Lui” e vide Kyle annuire mentre lo invitava, con lo sguardo a continuare.

“Siamo fuori dalla linea storica perché la nostra storia, già si è conclusa, proprio come Lui” ripeté le parole di Kyle arrivando, poco a poco, alla verità.

“Esattamente!” confermò Kyle. “Tra l’altro, voi siete stati i tasselli fondamentali di quel pezzo di storia, dato che eravate i cavalieri più vicini al Re e al Mago. Poco importa che, nell’era attuale, quella storia sia divenuta oggetto distorto delle fantasie popolari e rechi particolari inesatti e, in molti casi fiabeschi, nei pochi libri dove viene citata. Quella storia è avvenuta e quindi si è formata, così come è avvenuto per tutte le epoche”.

Gwaine annuì sospirando lentamente e osservando il pavimento.

“Quindi” disse a bassa voce, “se siamo fuori dalla linea storica, lo siamo anche da quella temporale” e chiese conferma alzando lo sguardo verso il guardiano che però lo fissò senza dire nulla ma piegando leggermente le labbra all’insù.

“Però” parlò ancora Gwaine, “per essere fuori dalla linea temporale…” e non continuò cercando aiuto negli occhi dell’altro.

“Per essere fuori da quella linea” venne allora in suo soccorso Kyle, “Bisogna uscire dalla storia, in un modo o in un altro. In quel caso, è possibile venire a conoscenza del nostro mondo perché, l’essere umano che lo conosce non influenzerà più lo stesso nell’evoluzione” e fece un istante di pausa. “Merlino, ad esempio, esiste ma non influisce nelle scoperte. Salvaguarda il mondo con la sua stessa esistenza, ma perché è l’incarnazione di uno degli equilibri fondamentali. Noi invece, in qualità di Guardiani, guidiamo i personaggi che si succedono ma bada bene: non per influenzare il mondo ma affinché esso non si distrugga entrando nel caos. Guidare un mondo significa portare tutti gli elementi in una convivenza di equilibrio. Se questo equilibrio è troppo instabile, allora il mondo stesso entra nel caos. Al Guardiano però non importa quando e come l’uomo approdi a determinate scoperte perché, se il mondo continua ad esistere, allora l’uomo riuscirà a farlo progredire. Ma sarà l’uomo, in questo caso, a farlo progredire, e non il Guardiano”.

Gwaine annuì riuscendo ad assimilare quei concetti. In sostanza, i Guardiani permettevano che il mondo esistesse e l’uomo, grazie all’esistenza del mondo stesso, riusciva a viverci facendolo progredire.

Sì, non sembrava difficile.

Anche Merlino, adesso che ci pensava, era diventato un Guardiano di quel mondo. Lui, infatti, assicurava l’esistenza della magia, elemento fondamentale, che si contrapponeva alla non – magia, altro elemento fondamentale. Una domanda a quel punto però sorgeva spontanea.

“Quali sono i due casi in cui si è fuori da quella linea?” domandò allora Gwaine.

“Conosci già le risposte” fu la laconica risposta di Kyle.

“Morire” rispose allora l’altro e il Guardiano annuì.

“Prendi in esame i personaggi storici” spiegò allora il Guardiano. “Napoleone, Garibaldi, eccetera. Hanno formato epoche
importanti e, nonostante i loro nomi siano immortali e abbiano influenzato l’era venuta dopo la loro, sono fuori dalla linea temporale. Sono come delle rette parallele che percorrono il mondo; i loro nomi continuano ad esistere ma non influenzeranno il futuro perché le loro gesta si sono concluse”.

“L’altro modo, invece…” parlò ancora Gwaine non riuscendo però a completare la frase.

“Sì” confermò Kyle, deciso a dare un taglio a tutte le titubanze dell’altro. “L’altro modo è esattamente quello che hai intuito: essere immortali”.
 
 

Continua…
 

Note:

Ecco di nuovo Kyle, che comincia a dare delle rivelazioni importanti.
 
Spero che questo continuo cambio di personaggi in ogni capitolo non crei confusione… D’altro canto, la storia si avvia alla conclusione e, tale conclusione, avverrà per tutti i personaggi insieme!
 
Spero inoltre che questo capitolo, così discorsivo, non sia risultato troppo noioso!
 
Nel prossimo capitolo, ci saranno Perce e Gabriel!
 
Come sempre, attento i vostri pareri e, nel frattempo, ringrazio anche la mia oramai ufficiale beta – hikaru83 – che mi tormenta per scrivere con dei modi a cui non riesco proprio a dire di no, facendo leva sul mio senso di colpa! Grazie!

Inoltre, ringrazio sempre chi è giunto fin qui!

Alla prossima,

Pandora86

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Capitolo 73
*** Capitolo 73. Avalon - Seconda Parte - Cavaliere e Guardiano ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 73. Avalon – Seconda Parte – Cavaliere e Guardiano
 
 
“Gabriel” ripeté Perce, sicurissimo di essersi espresso in un sussurro appena udibile.

D’altro canto, era fin troppo difficile parlare in quella dimensione, valutò. Figuriamoci poi, provare a modulare la propria voce.

Cosa ci faceva Gabriel lì, con lui, invece di dormire sereno accanto a dove credeva fosse rimasto il suo corpo?

Tuttavia, Perce non doveva dimenticarsi chi fosse Gabriel e cosa rappresentasse. Evidentemente, il Guardiano aveva avvertito chissà cosa e lo aveva raggiunto.

Non era forse sua, la voce, che lo aveva guidato fino a quel momento?

Sì, sicuramente era andata così! Gabriel doveva aver intuito le sue difficoltà e lo aveva raggiunto!

A quel pensiero, un moto di gioia inspiegabile lo invase. Tuttavia, valutò anche che Gabriel non aveva avuto nessuna difficoltà a raggiungere il luogo dove si trovavano ora. A differenza di lui che, invece, ci era arrivato faticosamente e, soprattutto, involontariamente!

Inoltre, aveva la conferma dell’ipotesi di poc’anzi: quel viaggio che, fortuitamente e chissà come, aveva intrapreso da solo era proprio il viaggio di cui parlava Gabriel e che avrebbero dovuto affrontare insieme.

Poco importava, comunque! Anche se con qualche differenza iniziale, il viaggio era intrapreso e Gabriel era lì, con lui.

Concentrandosi, mise a fuoco i particolari della figura del Guardiano. Provò ad allargare la sua visuale e a cogliere i particolari.
Notò che Gabriel indossava un lungo mantello nero e alla sua mano spiccava, più brillante che mai, il rubino rosso.

Quel particolare tono di rosso incuteva timore, valutò Perce. Oppure, era in quella dimensione che i colori gli apparivano diversi.

Diversi eppure uguali.

Fatto stava che l’anello, in quella dimensione, sembrava emanare potere proprio e brillava cupo e minaccioso.

Si concentrò sulla mano di Gabriel, notando che era poggiata sulla spalliera della poltrona sulla quale la Dama era seduta. Quel particolare lo colpì; Gabriel non faticava a muoversi in quella dimensione e riusciva a toccare gli oggetti circostanti, proprio come se… proprio come se avesse un corpo.

No, questo era impossibile!

Il corpo di Gabriel dormiva accanto al suo. Forse non dormiva, visto e considerato che Gabriel lo aveva raggiunto lì, ma comunque era accanto a lui, nel suo letto.

Oppure… Gabriel aveva raggiunto quella dimensione con il corpo?

Lo guardò, sperando che riuscisse ad aiutarlo in quella situazione dove non trovava né capo né coda.

“Concentrati” parlò allora Gabriel e Perce, se ci fosse riuscito, avrebbe scosso la testa.

“Sei qui!” riuscì a dire per poi spostare il suo sguardo alla Dama che lo guardava sorridente in silenzio.

“Sì!” confermò Gabriel. “Sono qui con la tua stessa essenza!” gli spiegò e Perce si rasserenò.

Però… se anche Gabriel era un’essenza, come poteva allora toccare la poltrona?

Inoltre, Perce, questa volta, aveva visto chiaramente le sue labbra muoversi quando aveva parlato. Com’era possibile se il suo corpo si trovava altrove?

Fu Gabriel, ancora una volta, a trarlo d’impaccio.

“Guarda alla tua sinistra e tutto ti sarà più chiaro” disse solamente muovendo appena la mano per indicargli la direzione desiderata.

Perce si concentrò.

Fino a quel momento, da quando l’improvviso buio si era diradato, era riuscito solo a vedere ciò che aveva dinanzi.

Sapeva di essere in una stanza, così come sapeva che, suddetta stanza, aveva delle pareti che la delimitavano.

Tuttavia, già era stato abbastanza difficile osservare i dettagli delle prime cose che aveva visto.

Come avrebbe fatto a guardare a sinistra?

“Punto per punto, cavaliere” parlò ancora Gabriel e Perce ebbe il sospetto che, in quella dimensione, i pensieri della sua mente fossero udibili, dato che non sapeva con certezza quando parlava o quando si limitava semplicemente a pensare.

“Percorri la stanza punto per punto, fino ad arrivare alla destinazione desiderata” continuò Gabriel. “Lì, troverai le risposte che cerchi e che segneranno l’inizio di questo viaggio”.

Perce analizzò le a fondo le parole del Guardiano capendo che aveva pienamente ragione.

Non doveva fare altro che seguire il perimetro della stanza e poi continuare, fino ad arrivare a ciò che il guardiano voleva mostrargli.

Già! Come faceva, però?

Ancora una volta, Gabriel venne in suo soccorso.

“Scegli un punto, uno qualsiasi”.

Tuttavia, neanche questo sembrò bastare. Sentiva l’agitazione crescere e, piano piano, cominciò a diventare tutto sfocato.

Il viso di Gabriel, così nitido, iniziava ad avere dei contorni sfocati.

"Concentrati, e non perdere la calma”.

Ancora la voce del Guardiano. Perché, però la sentiva così lontana. Perché il volto di Gabriel divenne, improvvisamente sfocato?

Nessun particolare lo distingueva. Proprio come una foto che, scattata in movimento, assume contorni irregolari e quindi indistinguibili.

Si possono intuire le figure e i paesaggi, se già si conoscono, ma non i particolari. Se poi la persona non conoscesse nessun dettaglio della foto in questione, allora sarebbe impossibile risalire alle immagini conservate al suo interno.

“No” disse Perce al culmine dell’agitazione e non seppe se era riuscito a dirlo oppure lo aveva semplicemente pensato.

Non di nuovo il buio. Non dopo che aveva visto finalmente dove si trovava. Non dopo essere arrivato a quel risultato così faticosamente.

Eppure, il volto di Gabriel sparì poco a poco e, con esso, anche i particolari della stanza.

Una nebbia intensa iniziò ad offuscargli la vista e Perce di sentì senza speranza.

Cosa sarebbe successo, ora?

Dove sarebbe finito?

Provò a ritrovare la calma mentre la nebbia assumeva tonalità sempre più scure.

Gabriel lo avrebbe aiutato.

Gabriel gli aveva dato delle indicazioni e lui avrebbe dovuto seguirle alla lettera per trarsi d’impaccio.

Scegli un punto, così aveva detto.

Scegli un punto e percorri il perimetro della stanza.

Sì, ma come avrebbe fatto, adesso che il buio aveva preso il sopravvento?

Il concetto era semplice. Tuttavia, una cosa era capire il concetto, un’altra era metterlo in pratica.

Perché era tutto così dannatamente difficile in quella dimensione?

Perché si trovava così in difficoltà?

No, non doveva lasciarsi prendere dal panico! Doveva rimanere lucido e pensare. Si pensare e basta, visto che solo quello gli era concesso fare. Però, forse, era venuto finalmente il momento che lui cominciasse a pensare nel modo giusto. Nonostante fosse in una situazione di panico, non riuscì a non fare un paragone con i Guardiani e la loro mente superiore. Loro, non avevano solo
il controllo del tempo, ma anche della propria mente. I Guardiani che, con la loro eccezionale mente, potevano avere tutto a bada avendo il pieno controllo di ogni situazione.

Mente.

Sì, più che il corpo, era la mente a distinguere i Guardiani.

Perché loro, controllavano il loro corpo tramite il potere della mente. Non cambiavano struttura, per spostarsi nei tempi e nei luoghi? O meglio, la loro struttura era sempre la stessa che si scomponeva e si ricomponeva facilmente, proprio grazie al potere della loro mente. Un potere con il quale nascevano. Un potere che non avevano difficoltà a controllare, perché erano già predisposti a esso.

Lui, invece, come avrebbe fatto a fare una cosa del genere?

Eppure, si trovava in quel luogo per un motivo. Inoltre, nonostante ci fosse arrivato da solo, si trattava del luogo che Gabriel stesso aveva intenzione di raggiungere.

Provò a concentrarsi.

Una volta, parlando dell’immortalità, Gabriel gli aveva spiegato che la mente era come un contenitore elastico. Più si assimilavano informazioni, più essa si espandeva. Tuttavia, più si espandeva, più si aveva difficoltà a controllare tutte le informazioni incamerate.

Un’altra differenza tra Guardiani e Umani: i primi, avevano una mente predisposta all’immortalità; i secondi, invece, no!

Eppure, lui, Perce o Sir Parsifal in un lontano passato, non era un uomo come tanti.

No, non lo era affatto. Quindi, se si trovava lì – se Gabriel aveva avuto intenzione di portarlo lì, si corresse mentalmente – allora poteva avere la situazione sotto controllo.

Improvvisamente, gli vennero in mente le parole di Gabriel, in uno dei loro primi incontri. Anzi, a voler essere precisi nel loro primo incontro nei loro rispettivi ruoli.

“Per capire, dovresti perdere le tue percezioni visive, sonore, tattili e olfattive, e poi riacquistarle subito dopo”.

Così gli aveva spiegato Gabriel in risposta alla sua domanda.



 “È stato doloroso?”

“È stato doloroso dopo”.
 

Sì, Perce gli aveva chiesto se avesse provato dolore nella sua trasformazione e Gabriel era stato esauriente nelle sue spiegazioni.
 

“Per capire, dovresti perdere le tue percezioni visive, sonore, tattili e olfattive, e poi riacquistarle subito dopo”.
 

Esauriente ma non comprensibile dato che Perce, dopo quella frase, ci aveva capito ancor meno. Gabriel aveva scosso la testa, senza dare importanza alla cosa. Evidentemente, si aspettava il fatto che Perce non riuscisse a capire.
 

“Per capire, dovresti perdere le tue percezioni visive, sonore, tattili e olfattive, e poi riacquistarle subito dopo”.
 

Perché quella frase continuava a ronzargli in testa?

Cosa lo accomunava, quella particolare frase, a quello che viveva in quel momento?

Lui, non aveva cambiato struttura molecolare al suo corpo. O almeno, lo sperava! Lui si trovava ad Avalon mentre il suo corpo
era rimasto, vivo e in salute, nella sua casa.
 


“Per capire, dovresti perdere le tue percezioni visive, sonore, tattili e olfattive, e poi riacquistarle subito dopo”.
 
 

Ancora quella frase. Eppure, Perce era sicurissimo del fatto che Gabriel non avesse parlato. Non sapeva a cosa fosse dovuta una tale certezza, eppure, Perce sapeva che non era così.

Quando aveva udito il suono della voce di Gabriel, in quella dimensione, era stato diverso. Il suono sembrava disperso nell’aria.

Questo, invece, sembrava ingabbiato e rimbombava, come se rimbalzasse da una parte all’altra.

Non sapeva spiegarlo con esattezza ma sapeva che era così. Quel pensiero era ingabbiato nella sua testa e prodotto dalla voce dei suoi ricordi. Era un pensiero intimo e privato.

Era lui a pensare. Sì, quella frase, non era nessun messaggio telepatico e Perce sentì di aver fatto un piccolo passo avanti. Provò a fare mente locale, cercando di isolare i pensieri inutili dai ragionamenti che lo avrebbero portato verso la giusta direzione.

Perché, in quella dimensione, era tutto un groviglio di pensieri e di suoni e Perce faticava a seguire un filo coerente. Proprio come se fosse all’interno della sua mente.

Quel pensiero lo colpì.

Poteva essere questa, una delle risposte?

Forse, per governare la mente, bisognava trovarsi all’interno della mente stessa.

Sì, era questo il ragionamento al quale doveva appellarsi, escludendo tutti gli altri pensieri che divennero, poco alla volta un incessante ronzio che, non smetteva ma che comunque non dava più fastidio.

Provò a fare mente locale e a concentrarsi sulla frase che lo avrebbe tirato fuori di lì.

Dunque, escludendo che quelle parole venissero da Gabriel – come aveva appurato – allora non poteva avere altra provenienza che la sua stessa mente.

Sì, quella frase era un ricordo, questo lo sapeva. Eppure, quel ricordo sembrava aver preso vita propria, in una dimensione dove, quello che contava era solo la mente. Forse, i suoi ricordi provavano a venirgli in aiuto. Proprio come quando si memorizza un particolare di fondamentale importanza in maniera inconscia e non voluta.

Proprio come quando si assimila un dato fondamentale, senza conoscere l’importanza dello stesso. Questo dato non andrà perso ma rimarrà lì, a vagare nella mente e, forse, tornerà quando ce ne sarà bisogno, forse no.
 



“Per capire, dovresti perdere le tue percezioni visive, sonore, tattili e olfattive, e poi riacquistarle subito dopo”.
 



Doveva trovare il nesso.

Lui non era un Guardiano.

Non era morto.

Lui era soltanto un uomo. Un uomo che aveva compiuto un viaggio ad Avalon ed era ritornato.

Come, però? Era lecito domandarselo, arrivati a quel punto.

Lui non aveva cambiato struttura molecolare.

Eppure…

Sì!

Adesso aveva capito!

Non era un Guardiano, questo era vero. Eppure, per arrivare in quella dimensione – non si sapeva come – si era allontanato dal suo corpo.

Non sapeva se stesse viaggiando nella sua mente. Non sapeva se si fosse mosso sotto forma di energia.

Forse, Avalon era un luogo raggiungibile tramite la mente. Per questo, fino ad allora, lui e gli altri non erano mai riusciti a trovare il lago. Non in quella vita, almeno.

Sì, poco importava come, fatto stava che lui, in qualche modo era ritornato ad Avalon.

Avalon, una dimensione dove i sensi non avevano alcun significato.

Lui non aveva più tatto, né vista, né olfatto, né udito.

Eppure, riusciva a pensare.

Eppure, era riuscito a vedere, anche se di poco.

Improvvisamente, il buio cominciò a diradarsi e Perce, adesso, sapeva cosa fare.

Doveva utilizzare i suoi ricordi.

In quel luogo, dove tutto era uguale e contrario, non doveva fare altro che proiettare le immagini nella sua mente, tramite i suoi ricordi.

Beh, non aveva nessun dubbio su quale immagine visualizzare per prima.

Gabriel.

Due occhi neri e corti capelli, portati leggermente a spazzola.

Labbra sottili e carnagione bianchissima.

Si stupì di come riuscisse a richiamare i particolari del volto di Gabriel con tanta facilità. Segno che quello che provava per il Guardiano era molto di più del semplice e banale amore.

Era un legame, un legame profondo. Un legame cui forse, entrambi, erano destinati.

Continuò a scavare nei suoi ricordi fino a che, il buio si diradò improvvisamente.

Non era stata una cosa lenta, come la prima volta che aveva visto i particolari nella stanza.

Ora, invece, l’oscurità si era dileguata all’istante e Perce ebbe un tuffo al cuore quando il volto di Gabriel fu chiaro dinanzi ai suoi occhi.

Vide le labbra del Guardiano muoversi e Perce non riuscì a quantificare l’emozione che riusciva a trasmettergli la figura che, calma e rilassata, stava in piedi dinanzi a lui.

“Bentornato” disse il Guardiano e Perce poté giurare di aver visto un sorriso incurvare quelle labbra. Un sorriso tutto per lui. Un sorriso compiaciuto e orgoglioso.

Sì, Gabriel era orgoglioso del suo operato e Perce finalmente sapeva cosa fare.

Nella dimensione dove contava solo la mente e niente poteva essere toccato, la dimensione senza dimensioni spaziali – altezza, volume, profondità e peso – quello che contava erano le immagini che avrebbe proiettato nella sua mente.

La Dama.

Perce sapeva che era accomodata in poltrona, alla destra di Gabriel.

E, infatti, eccola, nel suo vestito sontuoso, che Perce sapeva essere bianco.

Sì, nonostante conoscesse i colori, in quella dimensione, tutto appariva diverso. Tutto si apprendeva per la prima volta.

Capì di essere riuscito a spostare il suo sguardo, anche se non sapeva ancora come. Infatti, considerò, rimaneva ancora il mistero di come fosse lui in realtà, in quella dimensione. Gabriel sembrava esserci arrivato con il suo corpo. Lui, invece?

Com’era? Come lo vedeva il Guardiano? Energia? Una nuvoletta sfocata?

Beh, non aveva importanza. Non in quel momento, almeno!

Quello che contava, era assolvere alla richiesta di Gabriel: guardare alla sua sinistra.

Fissa un punto.

Sì adesso sapeva come fare.

Gabriel era stato il suo primo punto. Alla sua sinistra, e alla destra del Guardiano, c’era a Dama. Sì, doveva continuare così.

Doveva continuare a muoversi verso sinistra.

Punto per punto, avrebbe ricostruito la stanza. A ogni punto, ne avrebbe aggiunto un altro, e così via, fino ad arrivare a quello
che Gabriel voleva mostrargli.

Vide una parete, di un colore giallo molto chiaro. Un mobiletto dalla fattura antica con un vaso di fiori poggiato sopra.

“È proprio quello che devi guardare” lo fermò Gabriel e Perce fece quanto richiesto.

Beh, era un bel mobiletto, pensò Perce. Aveva delle gambe intagliate in maniera eccellente e sembrava molto antico. Un unico cassetto faceva parte del mobile, segno si trattava di un mobile ornamentale data la sua quasi inutilità. Però… che c’entrava il mobile?

O forse, era quello che c’era sopra il mobile a dover catturare il suo interesse.

Un vaso con dei fiori bianchi.

No!

Un momento!

Cos’era quell’oggetto?

O meglio, sapeva benissimo cosa fosse.

Però… cosa significava tutto quello?

Fu con la paura nella voce che parlò, non riuscendo a trattenersi.

“Cosa sta succedendo?”.

Non poteva essere… non era possibile. Non era possibile, quello che vedeva. Non poteva essere reale.

No! No!

Questa era l’unica cosa che riusciva a pensare.

Fu un sussurro, quello che uscì dalle sue labbra. Un sussurro che assunse i toni disperati di un’implorazione.

I toni di una preghiera.

“Che cosa significa tutto questo?”.
 
 
Continua…
 
Note:
 
Non ho molto da dire!

Spero di essere riuscita ad esprimere lo sconcerto di Perce e le sue sensazioni e di non avervi annoiato.
 
Come sempre, a voi l’ardua sentenza!

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.
 
Alla prossima,

Pandora86
 

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Capitolo 74
*** Capitolo 74. Uguaglianza ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 74. Uguaglianza
 
 
“Sali?” chiese Elian speranzoso, guardando Phoenix mentre si accingeva ad aprire la portiera della sua auto.

Non voleva che se ne andasse!

Quella sera, lui e tutti gli altri, avevano rivisto Merlino in vesti moderne e non sapeva se la cosa gli facesse piacere oppure no.
La devastazione e il dolore di quegli occhi, antichi quasi quanto il mondo, sembravano avergli lacerato il cuore, dividendolo in due metà esatte.

Il vuoto, la solitudine, il dolore… tutti sentimenti riconducibili a un unico sguardo: uno sguardo senza tempo.

Sapeva che non sarebbe stato facile; tutti loro lo avevano sempre saputo. D’altro canto, ci doveva essere stato un ottimo motivo se, in tutti quegli anni, Merlino non li aveva mai contattati.

O almeno, questo era quello che si era sempre detto, relegando così la questione senza porsi domande inutili.

In fondo, vedere Artù che si struggeva in mille perché, anno dopo anno, bastava e avanzava senza che anche lui si mettesse in testa quesiti inutili e quasi sicuramente sbagliati perché dettati dallo sconforto, come succedeva ad Artù.

Sì, il motivo doveva essere valido e lui si era limitato ad aspettare riservandosi le sorprese e le risposte a quando sarebbero avvenute.

Beh, quella sera, il motivo si era palesato a tutti loro ed Elian, nonostante la sua mente pratica, non aveva nessuna voglia di rimanere da solo.

Quando lui e Phoenix si erano separati da Leon e Louis non avevano scambiato nessuna parola nel tragitto verso casa.

Elian aveva guidato silenzioso, troppo preso dalle sensazioni vissute, troppo occupato a dare un senso a quel dolore che aveva visto e che non riusciva ad accettare. Perché era questo il problema per una persona del suo carattere: a lui non importava della pietra, delle guerre, degli elementi e di altri fatti inspiegabili. Lui aveva fiducia in coloro che governavano queste cose e, anche se il suo ritorno stava a significare che – presto o tardi – quelle cose avrebbero riguardato anche lui, per il momento aveva semplicemente deciso che non se ne poneva il problema.

Quando l’ostacolo si sarebbe presentato, lui lo avrebbe affrontato, punto!

Questo non stava a significare che si buttava a capofitto nei pericoli – come Gwaine – o che se ne disinteressava perché menefreghista.

Lui, a differenza di Gwaine, non cercava il pericolo o l’avventura per provare il brivido delle situazioni senza speranza o per sentire l’adrenalina scorrere nelle sue vene e sentirsi vivo.

Lui si limitava ad assecondare quello che sentiva, per cercare l’appagamento che le sensazioni di una determinata situazione sapevano dargli.

Lui assecondava il suo cuore e, se la situazione era pericolosa, non si tirava indietro.

Per questo non gli interessava nulla della pietra e di quello che poteva essere avvenuto. La situazione sembrava rientrata e, presto o tardi, lui avrebbe avuto le sue spiegazioni.

Quello che lo faceva stare male era il dolore che aveva visto. Perché, anche se si era preparato a una situazione non piacevole, non era in nessun modo preparato alla devastazione.

Quella era l’unica parola che sembrava descrivere appieno lo sguardo del più grande Mago di tutti i tempi e le dimensioni.

Quindi, non voleva rimanere da solo ad affrontare i demoni che gli si erano presentati davanti quella sera.

Fu per questo che la domanda fu accompagnata da uno sguardo implorante e profondo.

Sguardo che Phoenix interpretò nel modo giusto dato che annuì con il capo allontanandosi dall’automobile e seguendo l’altro nella palazzina che avrebbe condotto al suo appartamento.

Anche lui, d’altronde, provava sollievo nel sapere di non dover rimanere da solo. Anche lui sentiva il bisogno di avere una spalla a cui appoggiarsi.

I motivi erano diversi da quelli di Elian. Oppure, semplicemente, erano complementari.

Sì, perché Phoenix non aveva faticato a cogliere la rabbia con cui il cavaliere aveva stretto il volante mentre guidava per tornare nel suo appartamento.

Rabbia che nasceva dal non poter fare nulla. Rabbia che nasceva dall’impotenza.

E anche Phoenix si sentiva così. Impotente, di fronte a uno spettacolo non nuovo ma a cui, nonostante tutti i secoli passati, non si era ancora abituato.

Il dolore del Sommo Emrys che, quella sera, si era manifestato di fronte agli occhi di tutti. Un dolore ancora più grande, di cui gli altri avevano avuto solo un accenno, e che lui conosceva bene. Il dolore del Male.

Il motivo, quindi, era lo stesso del cavaliere.

Nemmeno lui voleva rimanere da solo, pregando che il Sommo Emrys uscisse indenne dalla nuova ondata di male che presto avrebbe attraversato il suo corpo. Male che, sotto forma di energia negativa, implacabile e fiero nel suo immenso potere devastante, avrebbe attraversato ogni piccola parte del corpo, lasciando poi solo le ceneri di una mente che, presto o tardi, avrebbe ceduto e si sarebbe definitivamente spezzata.

I Guardiani avevano ritenuto opportuno lasciare andare via il Sommo Emrys da solo, accompagnato unicamente dal Re, e lui non aveva obiettato. D’altro canto, sapeva fin troppo bene che il Sommo Emrys fosse perfettamente in grado di controllare la pietra senza perdere la vita. Sapeva fin troppo bene che il Sommo Emrys non avrebbe perso il controllo, controllando la pietra senza lasciare che il suo corpo si sgretolasse in pezzi che non si sarebbero più ricomposti. In realtà, probabilmente, era in grado di farlo da parecchi anni. Però, questo non voleva dire che gli facesse piacere lasciarlo da solo. Da solo con il Re. Un Re che si sarebbe trovato impreparato di fronte a uno spettacolo del genere. D’altro canto, come si può prevedere l’inimmaginabile?

Sarebbe stato in grado di affrontare tutto? Probabilmente, sì!

Però, era angosciante pensare a quello cui il Re andava incontro senza preparazione e totalmente ignaro di tutto.

Poteva solo sperare che la situazione, in qualsiasi modo evolvesse, avrebbe dato risvolti positivi.

Sì, doveva aggrapparsi a questa speranza, confidando nel Re. Fidandosi ciecamente dell’uomo che il Re era ed era stato, proprio come il Sommo Emrys aveva fatto innumerevoli ere prima.

Eppure, era dura stare ad aspettare.

Era dura contare i minuti che passavano, sperando che la notte calasse presto su di loro e che portasse con sé l’alba di un nuovo giorno.

Sentì la mano del cavaliere intrecciarsi alla sua e, quello che vide in quello sguardo, fu un dolore simile al suo. Un dolore forse peggiore perché, se almeno lui poteva spiegarsi la devastazione di uno sguardo che un tempo, all’uomo di fronte a lui, doveva essere apparso limpido e sereno, l’altro invece non poteva fare altro che ipotizzare senza avere uno straccio di certezza.

In ogni caso, quello era un dolore comune e Phoenix fu riconoscente di questo.

Elian lo condusse al divano, senza sentire il bisogno di parlare, e Phoenix lo seguì, senza lasciare quella mano confortante ed amica.

Il cavaliere sembrava aver intuito il suo dolore perché, in un gesto materno, cominciò ad accarezzargli la testa, senza altro fine che non quello di consolarlo e Phoenix andò a poggiare il capo sulla sua spalla.

Fu allora che Elian senti le lacrime bagnargli il collo e lo strinse a sé più forte, continuando ad accarezzargli il capo e palesandogli, con i gesti, la sua presenza.

Anche Phoenix sembrava soffrire. D’altro canto, anche il suo sguardo recava le tracce di un dolore senza tempo. Non era solo una creatura ma La Creatura. Colei che era rimasta al fianco del Mago per chissà quanti secoli. Colei che recava un potere spaventoso e un passato oscuro.

Ed Elian era stanco di tutto quel dolore. Dolore negli occhi di Merlino. Dolore negli occhi di Phoenix.

Dolore, e solo dolore.

Ed Elian voleva dare un taglio a tutto quello.

Era ritornato per un motivo ben preciso. La pietra appena nata e le parole di Merlino su essa non potevano essere un caso.

Non era solo Artù a dover fare qualcosa in quell’era. Qualcosa di concreto. No!

E lui, uno dei cavalieri, non doveva solo accompagnare il Re e sostenerlo con la presenza. No, anche lui era tornato per uno scopo. Anche lui era tornato per compiere il suo destino.

La prima cosa che, in quel momento, sentiva di fare era cancellare il dolore. Cancellarlo e basta con un colpo di spugna. Cinse la vita di Phoenix con entrambe le braccia e poggiò a sua volta il capo sulla spalla dell’altro. Sentiva il respiro di Phoenix solleticargli la pelle e, al contempo, si beava del profumo della sua, sentendo il suo respiro sfiorare il collo dell’altro.

Basta dolore. Basta privazioni.

Phoenix gli apparteneva, proprio come Merlino apparteneva ad Artù e lui era stufo di temporeggiare. C’era troppo dolore per privarsi delle cose belle.

C’era troppo dolore per farsi bloccare da uno status o da un pregiudizio. Lui, dal canto suo, non aveva mai avuto dubbi, però, a questo punto, era intenzionato a farlo capire anche all’altro.

Phoenix temporeggiava, si manteneva sul vago e rimarcava le distanze. Beh, lui, queste distanze le avrebbe scavalcate, andando dritto al punto.

Perché, fra tutto questo temporeggiare, una cosa l’aveva capita: anche Phoenix provava qualcosa per lui.

Non aveva accettato di vederlo solo per istruirlo o per formalità. Phoenix si era divertito, con lui. Aveva scherzato e fatto battute. Gli aveva mostrato la sua forza – umiliandolo miseramente – e non era riuscito a mantenere le distanze in maniera netta, come probabilmente si era prefissato di fare all’inizio del loro incontro.

E questo, perché neanche lui, in fondo, voleva privarsi della sua compagnia.

Sì, loro due erano destinati ed Elian, quella sera, decise che aveva aspettato fin troppo. Entrambi avevano aspettato fin troppo.

Chi per privazione o per nobiltà – nel caso di Phoenix – chi per non apparire troppo sfacciato – nel suo caso, stavolta – fatto stava che, in qualsiasi modo la si mettesse, entrambi rinunciavano a qualcosa che, evidentemente, volevano. E, quello che ora Elian non capiva più, era il perché di tutto questo.

“Rimani qui, stanotte” sussurrò all’orecchio dell’altro.

“Dormire un po’ ci farà bene” aggiunse e sentì l’altro annuire impercettibilmente sulla sua spalla.

Poco importava che stesse sfruttando un momento di debolezza dell’altro. Perché Elian lo sapeva che, fino a poche ore prima, Phoenix sarebbe stato fermo nel rifiutare. Avrebbe acconsentito a rivederlo, di questo era sicuro, ma comunque non sarebbe stato così facile accorciare le distanze fra loro come stava avvenendo in quel momento.

Tuttavia, non si pentì quando, alzandosi entrambi dal divano, Elian scorse il volto dell’altro.

Un volto rigato da lacrime silenziose. Un volto che era stato bagnato da poche lacrime che tuttavia, per il dolore silenzioso che sembravano portare con sé, davano l’idea di aver scavato una voragine negli occhi dell’altro.

Phoenix, caratterialmente, doveva essere una persona sensibile. Proprio come chi è gentile ed affabile con tutti ed ha sempre una parola buona e di conforto ma che, allo stesso modo, porta dentro di sé l’inferno.

Un inferno che non viene lasciato mai scorgere dall’interlocutore di turno. Un inferno che prende vita quando colui che vi è dentro è solo.

Perché Phoenix avrebbe versato in solitudine quelle lacrime, di questo Elian era certo. Phoenix non avrebbe cercato consolazione negli altri membri del gruppo. Era una creatura e un guerriero. Non poteva farsi consolare da chi provava il suo stesso dolore.

Di certo, sarebbe stato questo il suo ragionamento. Di certo, Phoenix avrebbe scelto di non appoggiarsi a nessuno.

Beh, questo non sarebbe più avvenuto, fu questo che Elian promise a sé stesso quella sera.

Lo condusse silenziosamente in camera dal letto e, spogliandosi con gesti lenti e meccanici, si accomodò sul letto, invitando l’altro a seguirlo.

Elian ammirò il corpo di Phoenix che, illuminato solo dalla luna, appariva bianchissimo e senza imperfezioni. Accolse il capo dell’altro nel suo abbraccio, sentendo sulla pelle le sue guance bagnate e ammirando gli intrecci casuali dei capelli ramati che si spargevano sul suo gomito e sul cuscino.

Continuò ad accarezzarlo in gesti lenti e amorevoli. In gesti reverenziali e devoti, provando a trasmettergli, con il solo linguaggio del corpo, tutta la sua forza. Provando a trasmettergli la sua presenza.

Perché c’era troppo dolore per privarsi delle cose belle. C’era troppo dolore per poterlo reggere in solitudine.

Era questo il pensiero di Elian mentre sentiva il respiro dell’altro farsi pesante e la guancia asciugarsi pian piano dalle lacrime sul suo stesso petto.

“Grazie” sussurrò piano Phoenix ed Elian sentì le labbra muoversi sul suo petto.

“Anche tu stai soffrendo” disse ancora Phoenix ed Elian continuò ad accarezzarlo.

“Credo che la mia sofferenza non sia paragonabile alla tua” rispose poi dicendo ciò che realmente pensava.

Perché, in fondo, lui aveva visto soffrire un amico. L’amico più caro che aveva, colui che stimava in assoluto. Aveva scorto una sofferenza all’inizio e solo per poco tempo.

Cosa provava invece Phoenix che, quella sofferenza la conosceva bene? Considerando poi che non si trattava solo di un suo amico ma del Sommo Emrys, la persona cui sicuramente teneva più in assoluto e rispettava sopra le altre.

Quindi sì, Elian sapeva con precisione che la sua sofferenza era nulla rispetto a quella di Phoenix.

Sentì le labbra dell’altro distendersi in un sorriso e fu felice di ciò. Phoenix, Creatura e guerriero, si stava aprendo con lui, mostrando il suo lato fragile e umano.

Durante la serata, non aveva fatto altro che mostrargli la sua forza fisica e la sua superiorità intellettuale. Oltre che la sua innata eleganza e bellezza ma questo, suppose Elian, non l’aveva fatto apposta. Era lui che, troppo occupato ad ammirare l’altro, non aveva fatto altro che staccargli gli occhi di dosso per tutta la sera.

Ora invece, Phoenix gli stava mostrando una parte più privata e intima, una parte che, per il ruolo che occupava in un gruppo cardine per l’esistenza del mondo stesso, non poteva mostrare a nessuno.

Ed Elian, se possibile, lo amò ancora di più per questo.

Continuò a lasciare che le dita percorressero i lunghi capelli del altro, trovandoli morbidi e setosi al tatto, mentre con l’altra mano andò ad accarezzare il braccio di Phoenix poggiato sulla sua pancia percorrendolo con l’indice, e con una lentezza quasi ipnotica.

Cielo, non avrebbe mai immaginato che la pelle dell’altro sarebbe stata per lui una simile droga. Non credeva che ne sarebbe più riuscito a fare a meno.

Le loro pelli si toccavano ed Elian sentiva la pancia dell’altro sulla sua. Sentiva la sua mano percorrere i capelli di Phoenix mentre, tra una carezza e l’altra, si soffermava sulla sua schiena.

Provò a descrivere tutto quello che provava senza però riuscirci. Sapeva solo che l’unica cosa che contava era il contatto con la pelle dell’altro.

Una pelle fredda e morbida, talmente liscia da sembrare di una porcellana finemente lavorata.

Una pelle bianchissima che, a contatto con la sua – scura e ruvida – sembrava creare un incastro perfetto.

“Lo sai quello che provo per te, vero?” disse sottovoce, sapendo che l’altro, seppur in silenzio, non si era affatto addormentato.

“Non hai fatto nulla per nasconderlo, in realtà” ridacchiò Phoenix.

“Eppure, mi hai lasciato fare, continuando ad assecondarmi” parlò ancora Elian. “E non tirare fuori la cazzata del ‘Grande Scopo’ o delle ‘Grandi Spiegazioni’”.

“E cosa ne deduci da questo?” domandò allora Phoenix.

“Lo sai che cosa ci deduco da questo” gli fece il verso Elian. “Non mi interessa che tu lo ammetta apertamente, non ho problemi a far parlare i gesti più che la voce”.

“E allora cosa vuoi?” sussurrò la creatura sempre più a bassa voce.

“Penso che tu sappia anche questo ma lo dirò comunque” e fece un istante di pausa, “non voglio che tu continui a tirarti indietro”.

Phoenix sospirò in risposta senza dire nulla.

Non sapeva cosa fare. Non voleva assolutamente affrettare i tempi. Quando il cavaliere era ritornato in forma umana, lui aveva
provato un moto di gioia indescrivibile. Per anni, aveva seguito come un’ombra silenziosa la sua crescita e tutte le fasi della sua vita aspettando pazientemente il momento in cui avrebbe potuto palesarsi.

Poi, quel momento era arrivato e il cavaliere, avvertendo inconsciamente in lui una figura familiare, lo aveva cercato senza sosta palesandogli la sua presenza senza curarsi di apparire invadente e sfacciato.

Lui aveva continuato a tentennare… non sapeva ancora come il cavaliere fosse ritornato e con quali intenti.

Perché l’immortalità, nel loro caso, non era un processo ovvio. Il cavaliere avrebbe potuto scegliere di condurre la sua vita normale decidendo di non farsi coinvolgere in cose che, in fondo, non lo riguardavano più.

Lui, dal canto suo, non voleva assolutamente forzare questo processo, lasciando all’uomo che ora lo abbracciava libera scelta.

Non poteva legarlo a sé contro la sua volontà. Inoltre, non poteva neanche legarlo a sé tenendolo all’oscuro dei fatti. Il cavaliere doveva scegliere in libertà solo alla piena conoscenza dei fatti.

Eppure, quella sera, tutte quelle nobili motivazioni sembravano cadere.

E se Elian, in fondo, avesse già scelto? Alla fine, non aveva deciso, circa trent’anni prima, di varcare la sponda di Avalon che lo aveva ricondotto alla vita umana?

Perché Phoenix che aveva chiari ricordi di quel tempo e di quel luogo sapeva benissimo che Elian, nella forma che gli apparteneva in quella dimensione, era stato pienamente cosciente delle sue decisioni.

Che poi, nella sua forma umana, avesse dimenticato beh, questo era ovvio.

Non aveva dimenticato gli insegnamenti della Dama, questo era normale. Tuttavia, anche se avesse voluto, sarebbe stato difficile che riuscisse a ricordare Avalon nei dettagli, proprio per la caratteristica immateriale del luogo.

Questi, tuttavia, erano discorsi accademici, su cui, tutti loro si sarebbero soffermati.

Quello che lo assillava, in quel momento, era la domanda: e se Elian avesse ragione?

Se i tempi fossero finalmente giunti?

Se fosse venuto, per tutti loro, il momento di essere felici?

“Hai ragione” sussurrò.

Elian sentì il suo cuore accelerare i battiti a quella risposta e andò a stringere con forza la mano dell’altro.

Si sentì in colpa, in fondo Phoenix era in uno stato emotivamente fragile. Eppure, fu veloce a scacciare quella colpa.

Andò a baciargli la fronte, stringendoselo con più forza addosso. Anche se Phoenix quella sera appariva più arrendevole del solito, questo non voleva dire che avrebbe dovuto approfittarsene.

Voleva gustare ogni attimo con lui e quello che contava era sapere che Phoenix, la mattina successiva, non sarebbe andato via.

Ci sarebbe stato tempo per approfondire il loro legame.

Quello che contava, in quel momento, erano i loro corpi intrecciati e le mani che si accarezzavano a vicenda.

Quello che contava erano loro due che, sfidando il tempo e le dimensioni, si erano finalmente ritrovati.

Fu allora che, senza che nessuno dei due avesse modo di accorgersene, uno strano simbolo iniziò a prendere forma sulla spalla di Elian, il Cavaliere dell’Uguaglianza.

Nello stesso momento, a chilometri di distanza, in un oggetto più antico del mondo, un’altra crepa si rinsaldò.
 

Continua…
 

Note:

 
Ecco che compare anche Phoenix.

Come avrete notato, tutti i personaggi cominciano ad avere una svolta definitiva. Chi in un modo, chi in un altro, tutti si avviano al processo che poi condurrà alla fine della storia.

Inizio ad affrontare l’introspezione di ognuno di loro facendoli crescere verso quello che poi sarà il risultato finale.

È la prima volta inoltre che compare un’introspezione così intima di Phoenix e di Elian e spero di aver fatto un buon lavoro.

Inoltre, dico chiaramente dove si sono incontrati e per quanto riguarda il perché non ricordino darò spiegazioni nei capitoli più avanti, quando parlerò di Avalon e delle sue caratteristiche.

Questo è uno degli ultimi capitoli che tratta la singola coppia. Da quello successivo, cominceranno ad alternarsi e le spiegazioni verranno da tutti loro.

Ovviamente, l’eccezione avverrà per Merlino e Artù.

Che dire, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto. Attendo ansiosa le vostre opinioni.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Un grazie speciale a chi mi sostiene, capitolo dopo capitolo, manifestando la sua presenza e a hikaru83 che mi ricorda, puntualmente, che c’è qualcuno che legge la storia e che, in un periodo particolarmente difficile, riesce a farmi trottare senza far passare ere geologiche tra un aggiornamento e un altro. Grazie, come amica e come beta!

Alla prossima.

Pandora86
 

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Capitolo 75
*** Capitolo 75. Scelta ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
Capitolo 75. Scelta
 

“Immortali?”

La domanda di Lance riecheggiò nella stanza senza avere nessuna risposta.

Dopo essere usciti dall’appartamento di Perce, Lenn e Merlìha li avevano accompagnati a casa in un chiaro invito a introdurre un dialogo che sembrava pronto per essere affrontato.

Non avevano nominato Merlino, troppo cocente era stata la verità posta dinanzi ai loro occhi. Tuttavia, avevano parlato della pietra.

Il rubino rosso sangue nato a casa di Perce.

Cosa aveva rivelato a Merlino, padre di tutti gli oggetti, la pietra appena nata?

Cosa rappresentava in realtà, quella pietra? Perché apparteneva a Perce?

Lenn aveva scosso la testa sorridente dinanzi a questa domanda.

“Sì, Lance!” spezzò il silenzio Lenn. “Quella pietra è la rivelazione della vostra natura immortale” e sospirò.

“Non posso dire di esserne totalmente sorpreso…” cominciò Lance.

“Tuttavia, ti aspettavi che un simile destino riguardasse soltanto Artù.” completò per lui la frase Lenn.

“Ce lo aspettavamo tutti, in realtà. Almeno, questa era una delle ipotesi che abbiamo fatto in passato.” confermò il cavaliere.

“E l’altra, qual è?” domandò Lenn lasciando intuire di aver già compreso la risposta.

“Beh...” cominciò Lance titubante e Ginevra andò a stringere la mano del marito per dargli coraggio.

“Ipotizzavate forse che anche Merlino diventasse mortale, suppongo.” venne in suo soccorso Lenn e sia Lance che Ginevra annuirono con il capo.

“In realtà, pensavamo che l’immortalità di Merlino potesse essere collegata solo all’attesa del Re.” disse allora Ginevra.
“Tuttavia, sapevamo di allontanarci molto dalla verità” e sospirò.

“Vi piaceva credere a una cosa del genere perché volete molto bene alla persona in questione,” parlò allora Merlìha. “e pensare che il Re potesse sollevare il Mago dal fardello dell’immortalità vi dava conforto.”.

“Sapevamo anche di sbagliarci, però” si ritrovò ad ammettere Lance. “Visto e considerato che torniamo tutti da Avalon dove la Dama ci ha ben spiegato il perché della sua immortalità. Tuttavia, è difficile fare ipotesi su ipotesi senza una guida concreta.” concluse ripensando al dolore di Artù in tutti quegli anni di inutile ricerca.

“Adesso però il problema non si pone.” sorrise Lenn e Lance ridacchiò.

“Il problema adesso è che ci sono troppe cose da conoscere e non saprei nemmeno da dove cominciare se volessi fare un elenco. Inoltre,” e fece un istante di pausa per raccogliere le idee. “mi sembra di non avere le conoscenze adatte per affrontare determinati argomenti”.

“Beh,” lo consolò Lenn. “direi che siamo qui per questo! Da cosa volete cominciare?”.

“Forse, potrebbe essere più facile per voi parlare di Avalon e delle vostre ipotesi nel corso degli anni.” intervenne Merlìha sorridente andando a stringere la mano di Ginevra che annuì pensierosa.

“Non ricordiamo molto di Avalon, in realtà.” ammise la Regina. “Quello che ci è rimasto impresso sono gli insegnamenti.”.

“È abbastanza logico.” spiegò Lenn e, vedendo la perplessità sul volto dei due, riprese a spiegare.

“Vediamo come posso rendervelo più semplice...” e si prese un istante per riflettere mentre raccoglieva i suoi capelli in una coda.

“Io lo so.” intervenne Merlìha con aria vittoriosa, riuscendo a strappare un sorriso a tutti.

Lenn la guardò con dolcezza, ammirando la sua allegria e la sua spensieratezza che riusciva a scacciare anche la nube più minacciosa e il cielo più nero.

“Avalon è un luogo immateriale per gli esseri umani. Proprio come quello dei Guardiani” cominciò allora Merlìha in tono accademico. “E direi che, fin qui, ci siamo tutti.” e rivolse uno sguardo interrogativo agli altri che annuirono di rimando.

“Se io vi dicessi di ricordare un oggetto di Avalon, che so… il vestito della Dama. Riuscireste a farlo?” domandò ricevendo due paia d’occhiate perplesse.

“Coraggio!” li invitò con voce allegra. “Chiudete gli occhi e provate a ricordare uno dei vestiti della Dama.”.

Lance e Ginevra fecero quanto richiesto.

Passarono diversi minuti dove sia Lenn che Merlìha li videro concentrarsi, aggrottando sempre più la fronte.

Il primo a dare una risposta fu Lance.

“No, mi spiace!” ammise. “Non ci riesco.”.

“Nemmeno io.” gli fece eco Ginevra rivolgendo a Lenn e Merlìha uno sguardo preoccupato.

“Che significa?” chiese allora Lance aggrottando la fronte con aria pensierosa.

“Avalon è un luogo immateriale.” intervenne allora Lenn grato a Merlìha per aver fatto notare loro un particolare fondamentale con un esempio spiccio ed elementare.

“Voi ricordate la voce della Dama,” parlò allora Merlìha sorridente. “ma non riuscireste mai a ricordare un oggetto di quel mondo perché, quel mondo, ha una consistenza immateriale per l’essere umano”.

“E quindi la mente umana rifiuta a priori le immagini di quel luogo.” completò per lei Lenn.

“Voi, ad Avalon, eravate pura energia.” spiegò ancora Merlìha. “Se io ti dicessi di tracciare i contorni del fumo che esce da un comignolo, ci riuscireste?” chiese allora.

“Ovviamente no!” rispose allora Lance cominciando a capire la verità.

“E se vi chiedessi di tracciare dei contorni al fumo immaginandolo nella vostra mente, ci riuscireste in quel caso?” domandò allora Lenn e stavolta fu Ginevra a rispondere.

“Nemmeno in quel caso, suppongo ci riusciremmo. A meno che…” e si interruppe, indecisa su come continuare.

“A meno che il fumo non stia fermo!” intervenne allora Lance con foga completando il discorso di sua moglie.

“Ma è possibile una cosa del genere?” chiese allora Lenn. “Per il mondo umano, intendo”.

“Beh… no!” rispose Lance.

“Nella vostra mente, il fumo si muoverà sempre.” e stavolta a parlare fu Merlìha. “Questo avviene perché la mente cerca di richiamare in modo più particolareggiato possibile quello che gli occhi rivelano”.

“Tuttavia, la vista umana vede ma, molto spesso, non coglie e quindi risulta inesatta in molti casi.” concluse Lenn.

“Ed è questo che avviene ad Avalon.” costatò allora Lance.

“Beh, più precisamente, direi che Avalon, e lo stesso mondo dei Guardiani, ha una consistenza simile a questa. Una consistenza che, a differenza de fumo però, non riuscireste mai a vedere.” e vide nuovamente lo smarrimento negli occhi di Lance e Ginevra.

“Ora mi spiego meglio, non temete.” li rassicurò e si voltò perplesso verso Merlìha che aveva cominciato a sbuffare.

“Hai qualcosa da dire?” le chiese gentile e Merlìha, di rimando, gli fece una linguaccia.

“Non puoi tirare in ballo la fisica nucleare per spiegarglielo.” lo rimproverò. “E non dire che non stavi per tirare fuori qualche formula strana.” e gli puntò l’indice conto.

“Lo ammetto” rise Lenn. “Tuttavia, non si sarebbe trattato di fisica nucleare, non è di questo che si occupa quella materia ma di elettrom-"

“Sì, va bene, non interessa a nessuno in realtà!” interruppe il suo sproloquio Merlìha. “Loro non sono scienziati e non stai facendo una conferenza. Ora ci penso io” e batté le mani allegramente.

“Dunque, dicevamo… ho perso il filo!” e fece un istante di pausa. “Ah sì, perché non riuscireste a vedere Avalon. Eravamo rimasti al fumo… Forse è stato un esempio sbagliato” e si prese il mento fra le mani con aria pensierosa.

“No,” ci pensò su, “in realtà l’esempio è stato calzante perché vi fa capire quanto la mente sia soggetta a quello che vedono gli occhi e quindi, in base a ciò, poco particolareggiata. Ora,” e fece una pausa ad effetto “se io vi chiedessi di vedere il suono, ci riuscireste?” chiese, stavolta terminando i suoi borbottii e rivolgendosi a Lance e Ginevra che, troppo occupati a seguire il
ragionamento, rimasero perplessi.

“Coraggio, non è una domanda trabocchetto” li invitò a rispondere Merlìha. “Riuscite a vedere il suono?” e ricevette una risposta negativa con il capo da entrambi.

“Eppure, il suono è un’energia, proprio come la magia, o come la luce, se preferite” e sorrise.

“Fisicamente, per voi un’umani, ha un andamento a forma di onda” non riuscì a trattenersi Lenn. “Il suono viaggia velocemente con movimenti ondulatori in quella che potremmo definire aria e quindi-”

“E quindi credo che loro abbiano capito lo stesso!” lo interruppe nuovamente Merlìha scuotendo il capo con rassegnazione.

“Tra lui e Gabriel non so chi fa più a gara per fare lo scienziato” sospirò rassegnata.

“Quindi, cosa ne deducete da questo?” domandò poi rivolta a Lance e Gwen.

“Che i nostri occhi non riescono a vedere il suono” rispose Lance sicuro avendo capito dove conduceva il ragionamento. Il cenno d’assenso dei due lo spinse a continuare.

“Solo perché non lo vediamo, non vuol dire però che non ci sia!” continuò. “Sono i nostri occhi che non sono in grado di vederlo!”.

“Ad Avalon avevamo una consistenza che ci permetteva di vedere gli oggetti che ci circondavano” intervenne allora Ginevra.

“Una volta tornati umani, abbiamo perso questa capacità” e guardò Merlìha aspettando conferma delle sue ipotesi.

“Ad Avalon non avevate 'occhi' che vi permettevano di vedere” confermò allora Lenn. “Vivevate sotto forma di energia. Ma come potrebbe la vostra mente ricordare un qualcosa che i vostri occhi non hanno mai visto? Perché, in forma umana, è impossibile vedere il viaggio che compie la luce o il suono. O, se preferite, quello della magia”.

“Quindi, per questo ricordiamo solo i discorsi” comprese Lance.

“Gli insegnamenti sono stati impressi nella vostra mente sotto forma di suono, quindi, ricordate la voce della Dama e i discorsi tra voi. Tuttavia, riuscireste a ricordare l’aspetto di Artù o di qualcun altro, quando eravate in quel mondo?” e Lance e Ginevra scossero nuovamente il capo in segno di diniego.

“E se io vi dicessi che anche i Guardiani hanno più o meno la stessa consistenza?” chiese allora Lenn.

“Ho capito!” esclamò allora Lance.

“Voi, da Guardiani, apparivate esattamente così” e Lenn e Merlìha annuirono. “Tuttavia, eravate impalpabili per gli esseri umani. Essere sotto forma di energia, non significa non…”

“Non significa non avere la forma di un corpo distinto!” completò per lui la frase Lenn.

“Probabilmente, avevamo lo stesso corpo di ora. La forma almeno!” disse allora Lance.

“Beh, questo non è propriamente esatto, non per voi almeno” lo corresse Lenn.

“Voi, ad Avalon, nella vostra prima visita, avevate una forma di energia percepibile agli occhi da chi abitava quel mondo” cercò di essere più chiara Merlìha.

“Ma questo, perché era la vostra prima visita e la vostra mente non sufficientemente evoluta per ricreare la forma di un corpo”.

“Tuttavia, ci stai dicendo che, con una mente evoluta, sarebbe possibile fare una simile cosa, giusto?” chiese allora Lance e Lenn annuì.

“Merlino è in grado di fare ciò” spiegò allora. “I Guardiani hanno una consistenza corporea per fare ciò”.

“È questa la differenza quando parlate di menti, vero? Voi ricordate Avalon e gli oggetti di quel mondo indagò allora Lance”.

“Beh, non dimenticare che Avalon ha la stessa consistenza del nostro mondo d’origine” gli fece notare Lenn.

“Anzi, Avalon è un’estensione, infinitamente piccola del nostro mondo. È un portale, creato a immagine delle nostre leggi fisiche”.

“Quando siete diventati esseri umani, allora…” Parlò allora Ginevra.

“Non abbiamo perso i ricordi visivi del nostro mondo, né modificato la nostra mente. Per questo il processo è stato estremamente pericoloso sia per noi che per il mondo che ci ha ospitato” concluse per lei Merlìha.

“Ma a cosa ci porta sapere la nostra forma ad Avalon o quella che avremmo potuto assumere?” chiese allora Lance e Lenn si fece serio.

“Assumere una forma anziché un'altra sta a significare il controllo dell’individuo sulla propria mente. Per voi, avrebbe potuto essere estremamente facile assumere la forma del vostro corpo perché, più che altro, si sarebbe trattato della forma che la vostra mente ricordava”.

“Tuttavia, questo non è avvenuto e suppongo sia fondamentale sapere il perché” disse allora Lance.

“Voi eravate ad Avalon in una forma di stallo e in una fase di apprendimento” fece notare allora Lenn. “Aggiungo, inoltre, che è fondamentale che voi capiate questi concetti” disse serio.

“La pietra…” esclamò allora Lance. “La pietra nata a casa di Perce…”

“La pietra che ha un potere uguale al nostro” disse allora Lenn e fece un istante di pausa.

“Un potere che permette di tornare ad Avalon.” sussurrò allora Lance sentendo le sue ipotesi divenire certezza. Perché altrimenti parlare della forma da assumere in un mondo quando, in quel mondo, non si ha più necessità di fare ritorno?
Vide Lenn annuire lentamente e sospirare.

“Un potere che permette di tornare ad Avalon.” ripeté lentamente il Guardiano. “Oppure, che permette, allo stesso modo, di accedere al mondo dei Guardiani”.
 
 
***
 
 
“Immortali” sussurrò Gwaine non riuscendo a credere alla conclusione cui era arrivato.

Il silenzio aleggiò nella stanza per molti minuti.

Da un lato, c’era Kyle che, seduto in poltrona a mani giunte e gambe incrociate, fissava attento l’uomo che aveva di fronte, quasi come se si stesse concentrando al massimo per seguire tutti i ragionamenti che avvenivano nella sua mente, e dall’altro c’era Gwaine che non sapeva come approcciarsi a questa nuova scoperta.

In passato, lui e gli altri, avevano spesso parlato dell’immortalità. Artù, che finalmente conosceva la vera identità di Merlino, era il predestinato – almeno secondo la teoria spiccia di Gwaine – e l’unico che avrebbe avuto accanto al Mago il privilegio, ma anche il fardello, di una vita immortale.

Che accidenti era tornato a fare, d’altronde, se aveva a disposizione solo una misera manciata d’anni?
 
Il problema di Artù, in quest’era, era stato infatti solo quello di cercare il Mago e nient’altro. Artù, nell’intimo del suo cuore, si era già preparato ad una vita immortale.

Lui, invece? Beh, non si era mai posto il problema. Aveva sempre vissuto alla giornata, affrontando i problemi di petto, qualora si presentavano, e senza porsi inutili perché.

Beh, alla luce delle scoperte di quella sera, Gwaine rifletté che – almeno riguardo quell’argomento – qualche domanda avrebbe fatto bene a farsela.

Perché era impossibile, anche per una persona dalla mente elastica come la sua, accettare una cosa del genere – piovuta dal nulla e senza alcuna preparazione – facendosi una bella risata e scrollando le spalle con indifferenza.

Era difficile dire quello che provava; per il momento, stava ancora cercando di assimilare la cosa nella sua enormità.

Lui non era uno stregone! Lui non capiva nulla di queste cose!

Non che la notizia fosse stata brutta solo… non era una cosa da niente, quella, maledizione!

Anche Kyle, poi, che se ne usciva con quelle cose con la stessa leggerezza di chi parla del tempo.

Quasi come se lo stesse mettendo alla prova!

“Puoi scegliere!”.

All’improvviso, il silenzio fu interrotto dalla voce di Kyle che lo strappò dalle sue riflessioni.

“Come?” chiese Gwaine, certo di non aver capito bene.

“Ho detto che puoi scegliere!” ripeté Kyle fissandolo attentamente. “C’è sempre una scelta”.

“Scusa, ma proprio non capisco!” sbottò Gwaine battendo il pugno sul ginocchio. “Hai detto che siamo fuori dalla…” e cercò di ricordare le parole esatte, “linea temporale e storia” e lo guardò storto incrociando le braccia con disappunto.

“Vero” confermò Kyle facendo cenno con la mano all’altro di tacere, interrompendo così a priori le proteste. “Perché così come hai deciso di tornare, puoi anche andartene di nuovo!” e lo scrutò attento.

Gwaine lo guardò a bocca aperta, la mano alzata verso di lui, in un gesto interrotto a metà.

Gli occhi si assottigliarono, fino a che parlò nuovamente.

“Perce, quindi…” e guardò Kyle che sorrise beffardo prima di rispondere.

“Perce ha scelto di restare”.
 
 
Continua…
 
Note:
 
Dunque, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e che non vi abbia annoiato.
Da qui in poi, compariranno più personaggi alla volta – a parte i capitoli riguardanti Merlino e Artù – e ci saranno sempre più spiegazioni che verranno da vari personaggi e compariranno poco a poco.
Il puzzle si comporrà poco alla volta e spero che vi piaccia questo tipo di struttura. Specifico inoltre che le informazioni date da Lenn sono fondamentali per la comprensione dei capitoli futuri, soprattutto la parte riguardante Perce.
 
Come sempre, attendo i vostri pareri, mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate.
 
Un grazie speciale a chi mi manifesta, puntualmente, il suo appoggio alla storia e alla mia insostituibile beta, hikaru83, che riesce a tenermi in riga con la sua incrollabile pazienza.
Nel frattempo, ringrazio anche tutti i lettori silenziosi e chi è giunto fin qui.
 
Alla prossima,
 
Pandora86

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Capitolo 76
*** Capitolo 76. Oltre i limiti più estremi ***


Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
 
 
 
Capitolo 76. Oltre i limiti più estremi
 
 
“Non ti sei ubriacato per caso!”.

Nessuna domanda, nessun interrogativo.

Una costatazione secca e veritiera.

Un’affermazione assurda ma, al contempo, più realistica che mai.

Erano state queste le parole di Gwaine in risposta all’affermazione di Kyle.

Perce ha scelto di restare.

Perce ha scelto di restare.

Ora si spiegava la rabbia di Kyle verso Gabriel. Kyle si era arrabbiato per qualcosa in particolare… qualcosa di serio.

Qualcosa che si era verificato prima del tempo.

Perché, tutti loro erano potenzialmente immortali. Già potenzialmente. Ed era qui che stava la differenza. La differenza di tutto.

Perce aveva scelto. Come e quando ancora non si sapeva ma aveva scelto. Scelto di restare!

I Guardiani li avevano sempre tenuti d’occhio, d’altronde, questo Gwaine lo aveva capito da tempo.

Non Artù ma tutti loro. Il perché gli era stato accennato da Kyle, quella sera stessa, tramite il rimprovero che aveva fatto a Gabriel.
 

I cavalieri hanno del potenziale, Gabriel. Lo abbiamo sempre saputo.
 

E poi, ancora…
 

Hai ignorato questo dato fondamentale.
 

Queste erano state le parole di Kyle rivolte a Gabriel, quella stessa sera, appena poche ore prima. Sembrava passato molto più tempo ma, in realtà, quelle parole, ora, erano più nitide che mai nella mente di Gwaine.

Parole dure, pronunciate con rabbia.

Parole che esprimevano una sentenza.

Parole di rimprovero!

Parole di rimprovero rivolte a uno come Gabriel.

Quante erano le possibilità che un essere dell’intelligenza di Gabriel venisse rimproverato? Nessuna!

La domanda quindi era: da chi Gabriel poteva essere rimproverato? Solo da un essere che fosse più esperto e scaltro di lui, ovvio!

Kyle, per l’appunto.

 Era questo il dato che Gwaine non doveva ignorare.

I Guardiani dovevano aver fatto molte ipotesi su di loro, nel corso degli anni. Non a caso, si erano fatti assumere nell’azienda di Artù. Per proteggerli dai tre stregoni, certo, ma anche e soprattutto per studiarli.

Perché, per risolvere la faccenda della Coppa della Vita – come lo stesso Kyle aveva affermato la sera che si erano rivelati – ne sarebbe bastato uno soltanto di loro.

Invece no, avevano agito tutti insieme.

La loro strategia era stata perfetta e impeccabile. Ed era proprio alla luce di ciò che Gwaine non credeva più che Kyle si fosse ubriacato per caso.

Nei pressi di casa sua poi? No, le coincidenze erano troppe per non divenire certezza.

Uno stratega di quel calibro non poteva ridursi così senza un motivo valido.

Motivo che, a quel punto, Gwaine voleva conoscere.

Motivo che, Gwaine sospettava fortemente, avesse a che fare con l’improvvisa, ma al contempo prevista, nascita del rubino.

Perché quel rubino doveva nascere, di questo Gwaine ne era quasi certo. Però, probabilmente, era stato il momento ad essere sbagliato.

“Non ti sei ubriacato per caso” affermò allora Gwaine, ripetendo la frase con una luce decisa negli occhi mentre fissava il Guardiano senza abbassare lo sguardo. “Ed io, stasera, voglio sapere il perché”.

“Stanotte, non stasera se proprio vogliamo essere precisi” ridacchiò Kyle.

Gwaine lo guardò storto e il Guardiano si ricompose.

“Finalmente, hai posto le giuste domande e fatto le corrette osservazioni, cavaliere” disse, con un volto serio che Gwaine gli aveva visto poche volte.

O comunque, poche volte rivolto a lui!

“Sì, non mi sono ubriacato per caso” confermò il Guardiani, incrociando le mani sotto il mento. “Niente, di quella serata, è avvenuto per caso” e marcò le parole. “Certo, avrei evitato volentieri di farmi conciare in questo modo” e si indicò la faccia ridacchiando, “ma tendo ad essere particolarmente velenoso ed offensivo da ubriaco” e stavolta rise apertamente.

“Non faccio fatica a crederci” non riuscì a trattenere il commento Gwaine e Kyle rise allegro.

“Ma, a questo, ci eri già arrivato” riprese Kyle quando le risa cessarono. “Quello che non hai capito è il perché” e fece un istante di pausa. “Io credo che, finalmente, tu sia pronto a capire il motivo delle mie decisioni”.

“Tutta la verità, allora” lo incalzò Gwaine e Kyle annuì con il capo.

Tutta la verità, cavaliere”.
 

***
 

Che cosa significa ciò?

Erano questi i pensieri di Perce mentre osservava sgomento quello che Gabriel gli aveva indicato.

Com’era possibile?

Quello che stava osservando era uno… uno… specchio.

Già… solo e soltanto uno specchio.

Uno semplice specchio che, però, riproduceva perfettamente la sua immagine!

Che cosa significava tutto quello?

Questo continuava a chiedersi Perce, mentre un pensiero angosciante prendeva vita.

No… non era possibile… non poteva essere morto!

Eppure, non riusciva a staccare gli occhi dallo specchio che rifletteva il suo corpo.

Perché quello era il suo corpo.

Era suo il volto che, in quel momento, gli rivolgeva uno sguardo sgomento. Lo stesso sguardo che, evidentemente, doveva avere in quel preciso istante.

Ma com’era possibile una cosa del genere?

Lui era tornato ad Avalon, non si sapeva come.

Eppure, credeva di esserci tornato sotto forma di energia.

Altrimenti, perché aveva avuto tutte quelle difficoltà con le percezioni e i sensi?

Eppure… quello era proprio il suo corpo.

Ma… se lui era lì con il corpo… cos’era rimasto allora di lui, nella vecchia dimensione che aveva lasciato?

Era questo il motivo per il quale Gabriel aveva deciso di raggiungerlo?

Anche Gabriel aveva un corpo, in quella dimensione. Eppure, Perce credeva che, dato il suo potere, fosse una cosa normale.

Del resto, anche la Dama aveva un corpo.

Ma per lui, che non aveva il loro potere – nessun tipo di potere, a dirla tutta – non era così. Non doveva essere così!

Lui, nella sua prima visita ad Avalon, non aveva avuto un corpo solido, questo Perce lo sapeva bene.

Adesso, invece, sì!

Per questo Gabriel gli aveva chiesto di guardare nello specchio.

Ma… perché?

Era questa la domanda alla quale era fondamentale rispondere.

Gabriel aveva un corpo in quella dimensione, Perce lo aveva visto quando era riuscito ad usare la vista.

Ma Gabriel era un Guardiano, nel corpo di un essere umano, dal potere immenso, quindi Perce non si era preoccupato di ciò.

La Dama aveva sempre avuto un corpo da quando Perce la conosceva sin dalla sua prima visita ad Avalon, quindi era normale che continuasse ad averlo.

Inoltre, lei era morta per poter accedere a quel mondo con la sua nuova forma, senza lasciare nessun corpo nella dimensione che abbandonava definitivamente.

E lui?

Possibile che anche a lui fosse toccata la stessa sorte? Com’era potuto succedere?

Qual era l’ultimo ricordo che aveva da umano?

Facile: l’odore della pelle di Gabriel mentre lo abbracciava, prima di addormentarsi.

Poi… sì, ricordava chiaramente di essersi svegliato e di aver continuato ad assaporare quelle sensazioni che solo il corpo di Gabriel, a contatto con il suo, sapeva dargli.

Lui non era un Guardiano che aveva il potere di spostarsi da una dimensione all’altra senza subire danni.

E Perce sapeva benissimo che Gabriel e gli altri erano in grado di fare ciò, anche se la loro consistenza era cambiata.

Non avevano, infatti, sottolineato più volte come il loro potere fosse rimasto intatto?

D’altro canto, loro vivevano abbassando continuamente il loro potere, per permettere al pianeta di non subire ripercussioni.

Tuttavia, anche se non potevano farlo per non causare danni al pianeta, non voleva dire che non fossero più in grado di farlo.

Ovviamente, la situazione doveva essere estrema per giustificare un simile uso del loro potere.

Il dubbio gli si insinuò nella mente, sempre più forte e insistente.

E se…

E se quella era una situazione estrema, tanto che aveva convinto Gabriel a raggiungerlo?

E se questo non fosse il viaggio che aveva prospettato Gabriel?

Possibile che la situazione estrema fosse… la sua morte?
 
 

***
 

“Come avrai capito” esordì Kyle con calma, decidendo di accendersi un’altra sigaretta, “abbiamo cominciato le nostre osservazioni su di voi sin dalla vostra nuova nascita in quest’era” e fece un istante di pausa accavallando le gambe.

“Il nostro primo quesito, nei secoli scorsi, è stato: chi sarebbe tornato?” e lo fissò intensamente. “Perché, come vi è stato spiegato, e come voi avevate già intuito” non poté fare a meno di punzecchiare l’altro con una piccola frecciatina, “il ritorno di ognuno di voi è stata una decisione appartenuta unicamente a voi e a voi soltanto” e Gwaine annuì incitandolo, con lo sguardo, ad andare avanti.

“I quesiti, nel corso dei secoli, sono stati molti. D’altro canto, Gabriel aveva creato il portale, la Dama ha poi scelto chi avesse dovuto risiedere ad Avalon ma voi, invece, come avreste utilizzato quest’opportunità?” e aspirò dalla sigaretta mentre Gwaine non si perdeva una parola di quello che l’altro diceva.

Capiva perché Kyle stesse giostrando il discorso in quel modo: metterlo a conoscenza dei loro passati quesiti, avrebbe reso più chiari i comportamenti da loro stessi avuti nel presente.

“Sarebbe tornato solo Artù? Sareste tornati rispettando le vostre differenze d’età nella vita precedente oppure a distanza di decenni? Queste sono state solo alcune delle domande poste.
L’unico dato sicuro che avevamo era l’intervallo temporale in cui eravamo certi che il Re tornasse” e fece cenno all’altro con la mano di non interromperlo. “Come lo sapevamo? Era questo, quello che stavi per domandare, vero?” e Gwaine annuì. “Beh, questo risale agli studi fatti da Gabriel, Lenn e Merlìha riguardo la storia di Merlino. Loro sono stati i primi a ipotizzare che il periodo di massima crisi per Albion, e quindi il ritorno del Re, sarebbe stato proprio in questo secolo, tantissimo tempo fa” e fece una pausa per raccogliere le idee.

“Fu questa l’ipotesi che mi fece capire che erano i Guardiani giusti per mettere in atto il mio piano” e ridacchiò.
Gwaine lo scrutò capendo, solo in quell’istante, che Kyle non si stava limitando a raccontargli i fatti riguardanti il rubino o quelli del loro ritorno. Kyle era andato agli albori della storia, raccontandogli quelli che, un tempo, erano stati i suoi personali piani e progetti.

Gli stava raccontando il vero motivo del percorso storico che loro vivevano e dello scompenso che avevano creato.
Gli stava parlando di sé stesso.

Curioso come non mai, si raddrizzò istintivamente sulla schiena, sporgendosi verso di lui per incitarlo a parlare ancora.

“Come vedi, nonostante la storia sia completamente cambiata” e fece una pausa, “questa ipotesi è stata rispettata. Non ti chiedi come mai?” domandò non aspettandosi tuttavia la risposta dell’altro. “Devi sapere che Gabriel, Lenn e Merlìha, sono stati i primi a ipotizzare un possibile legame tra le anime di Merlino e Artù, fino a capire la verità” e fece una pausa, “e cioè che sono entrambi parti di una stessa anima. Cosa che io ho sempre saputo” e ridacchiò.

“Tutti i Guardiani che si sono occupati del tempo di Camelot, non hanno mai capito la verità, genitori di Gabriel e Merlìha compresi. Anche se io puntavo abbastanza su di loro, in realtà” e andò con la mente, per un istante, a ricordi lontanissimi.

“Quando ho capito che cosa avevano intenzione di fare Gabriel, Merlìha e Lenn, ho compreso che, finalmente, erano arrivati quelli giusti”.

“Quelli giusti per attuare il tuo piano” non riuscì a trattenersi Gwaine, chiedendosi a quali verità scottanti avrebbe portato quel discorso.

“Esattamente” confermò con naturalezza Kyle. “Fu Lenn, per amor di precisione, ad avere l’intuizione giusta” ci tenne a precisare. “Fu Gabriel, invece, a capire che il periodo di massima crisi per Albion sarebbe stato questo secolo”.

“Ma la storia non è andata come Gabriel aveva previsto” ci tenne a precisare Gwaine e Kyle ridacchiò.

“La storia, invece, è andata esattamente come Gabriel aveva previsto” lo corresse Kyle. “Fino alla morte del Re, almeno” specificò guardando l’altro con un sorriso bonario.

“Tipico degli esseri umani, non notare i particolari” e rise.

Gwaine si unì alla risata capendo che l’altro, per una volta, non lo stava prendendo in giro; in fondo, era vero!

“Poco contano i cambiamenti che sono avvenuti dopo” specificò ancora il Guardiano biondo.  “Quest’ipotesi, quella del ritorno del Re in questo secolo, nonostante tutti i cambiamenti avvenuti, si è rivelata corretta. Questo perché, proprio come la morte di Artù a Camelot, anche questa è una Tappa, la Tappa finale per il ritorno del Re” e fece una pausa per dare modo all’altro di assimilare le idee.

“Una Tappa che Gabriel e gli altri non avevano previsto avvenisse in questo modo e che, nonostante tutto, è avvenuta lo stesso. Una Tappa involontaria, diciamo così, che non fu mai stilata e che, eppure, si è verificata comunque. All’epoca, il periodo di massima crisi era dovuto alla scomparsa della magia. Ora, nel tempo che si è realizzato, è dovuto allo scompenso eccessivo del pianeta unito all’enormità di magia che Merlino si trova a controllare”.

“E quindi?” chiese Gwaine che stava incominciando a perdere il filo.

“E quindi, il Re è tornato perché richiamato dall’energia di Merlino in periodo di massima crisi che, guarda caso, è avvenuto in questo secolo. La vera intuizione, quella che ha portato a tutto, è stato cogliere la vera attrazione tra le loro energie. Quando si stendono i pilastri, non conta quello che c’è al loro interno o i cambiamenti che avverranno; i pilastri rimarranno immutati” e lo guardò intensamente.

 “Spiegati meglio” lo esortò Gwaine al limite della pazienza.

“Io ho sempre puntato Camelot” disse allora Kyle. “Non è un mistero, d’altronde. Quando ho visto l’incanto fatto a Melino da parte di Gabriel, e mi riferisco al Diamante Nero, ho capito che quella Camelot era l’epoca giusta per il mio piano. Quando ho capito quello che Gabriel aveva intenzione di fare riguardo Avalon, in pratica dare anche la possibilità materiale all’anima del Re di tornare, mi sono definitivamente convinto. Poco contavano i cambiamenti che avrei apportato alla storia e agli scompensi che ci sarebbero stati; il Re sarebbe ritornato esattamente quando era stata prevista la sua ricomparsa. Perché ci sono voluti molti secoli, affinché Merlino abbia potuto indossare il Diamante. E, una volta indossato, presto o tardi, avrebbe avuto bisogno di una controparte, per evitare di cedere definitivamente. Circa tre secoli, diciamo” e ridacchiò.

“Sono tre secoli che indossa l’anello” costatò Gwaine. “Avevi previsto tutto” e gli puntò l’indice contro.

“Ovvio che avevo previsto tutto” rise Kyle. “È stata più che altro una questione di numeri” specificò. “Con la differenza che questi numeri, tradotti per Merlino, sono stati secoli. Secoli in cui, a differenza di altre storie, non ha dovuto affrontare tutto da solo” specificò con un sorriso.

“Come vedi, questo, nonostante tutto, è il periodo di massima crisi per Albion. Periodo dove il Re, richiamato inconsciamente dal pericolo che correva la sua metà, è tornato alla vita” e aspirò nuovamente dalla sigaretta.

“Questo gli altri lo sanno?” chiese Gwaine sospettoso e Kyle rise fragorosamente.

“Ovvio che lo sanno” e scrollò le spalle. “Le mie macchinazioni sono note a tutti, oramai. Ne sono venuti a conoscenza quasi subito, in realtà, quando erano ancora Guardiani nel corpo. Si chiedevano, infatti, se il Re riuscisse a tornare con tutti gli scompensi che avremmo causato al mondo. Io li ho rassicurati al riguardo ed eccoci qui” e batté le mani allegramente.

“L’incognita, a quel punto, eravate voi” specificò Kyle. “Sareste tornati realmente? E per quale motivo poi?” cominciò a elencare.

“L’energia del Re, e il forte legame che Merlino aveva avuto con voi, sarebbero state motivazioni sufficienti a far varcare le vostre anime verso il confine dei vivi?” e si interruppe.

“Capisci che, una volta tornati, necessitavate di osservazioni più accurate da parte nostra” spiegò ancora. “Osservazioni che abbiamo sempre rimandato nel corso degli anni. La casuale venuta dei tre potentissimi stregoni ci ha fatto capire che il momento era giunto”.

“Per questo siete piombati tutti nel nostro ufficio” costatò Gwaine.

“Ovviò” rispose con noncuranza Kyle. “Osservare le vostre energie era fondamentale. Talmente fondamentale che, a un certo punto, le osservazioni sono diventate singole piuttosto che di gruppo” e guardò l’altro con il sorriso di chi la sapeva lunga.

Gwaine lo guardò perplesso non sapendo cosa dire. I tasselli, poco alla volta, cominciavano ad incastrarsi al posto giusto.

“Le vostre energie” continuò Kyle “erano sufficientemente potenti per farvi accedere all’immortalità. Come, però, il processo sarebbe avvenuto? Quale sarebbe stato il momento giusto? E per giusto, mi riferisco a Merlino” e sospirò. “Capirai anche tu, dopo averlo visto questa sera, che non era ancora preparato a sapere tutta la verità. Verità che gli ha rivelato il rubino. Perché è stata con la creazione del rubino che Perce ha scelto di restare. Una nascita del tutto inopportuna, considerato il momento, e che poteva essere rimandata. Una nascita avvenuta grazie a un forte contatto emotivo tra l’energia di Perce e quella di Gabriel” rivelò allora il Guardiano aspettando che l’altro assimilasse i concetti.

“Per questo, stasera, eri così arrabbiato” capì allora Gwaine e Kyle annuì.

“Gabriel ha fatto l’errore di sottovalutare l’energia di Perce che, nel suo animo, si è risvegliata grazie ai sentimenti che il cavaliere prova verso di lui” rivelò allora Kyle. “Ovviamente, è chiaro anche perché, a questo punto Perce sia tornato da Avalon: è stato richiamato dall’energia di Gabriel”.

“Quindi, anche loro…” parlò Gwaine non sapendo come concludere la frase.

“Pare che le loro energie vadano abbastanza d’accordo” la mise in termini spicci Kyle sorridendo. “Altrimenti, la pietra non sarebbe stata identica” chiarì con tono ovvio.

“Tutti voi avete le potenzialità” parlò ancora, “la prova è il processo che sì è avviato sulla tua spada. Un processo che si è messo in moto per tutti voi e che voi soltanto avete il potere di portare a compimento. In un modo o in un altro”.

“E tu, tutte queste cose, le avevi previste” scrollò le spalle Gwaine non sapendo cosa provare a riguardo.

“Diciamo che rientravano nelle ipotesi di tutti noi. Gabriel ha solo perso il controllo della sua emotività” chiarì Kyle.

“Io, d’altronde, sono stato molto più cauto” e ridacchiò. “Quando ho capito che avrei dovuto osservarti meglio, perché con il tuo carattere e la tua energia creavi scompensi nella mia mente rigorosa e ordinata, ho deciso di avvicinarmi a te più da vicino, prendendo le mie precauzioni e abbassando ai minimi storici la mia lucidità al fine di contenere il mio potere e rallentare le mie reazioni” rivelò.

“Quindi…” sgranò gli occhi Gwaine.

“Sì” confermò Kyle. “È esattamente questo, il motivo per il quale mi sono ubriacato”.
 
 

Continua…
 

Note:
 

Bene! Da qui in poi la matassa comincerà a sbrogliarsi.

Il Discorso di Lenn, avvenuto nel precedente capitolo, sarà fondamentale per comprendere la parte di Perce ambientata ad Avalon.
 
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto!
 
Come sempre, attendo ansiosa i vostri commenti, garantendovi anche degli aggiornamenti più regolari ora che l’estate è finita.
 
Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fi qui.
 
Alla prossima

Pandora86

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