Prologo
L’uomo con l’impermeabile nero si avvicinò al corpo esanime e lo
rivoltò con un piede, tanto per accertarsi del fatto che fosse veramente morto.
“Capo, non lo troviamo da nessuna parte!” disse con aria ansiosa
un altro uomo, vestito ugualmente di nero, più tarchiato e con la mascella
quadrata.
L’uomo con l’impermeabile scuro sorrise stringendo nelle labbra
una Philip Morris che andava spegnendosi.
“Non ti preoccupare, questo bastardo l’avrà nascosto da qualche
parte. Ma sappiamo benissimo chi può portarci da quello che vogliamo”
Il suo grosso compagno, quello che tutti chiamavano, Vodka,
cominciò a ridacchiare.
“È una vera fortuna, non trovi capo?”
L’uomo con l’impermeabile di pelle e dai lunghi capelli biondi
estrasse dalla tasca interna della sua giacca un libro.
La copertina in pelle bianca risplendeva contro il chiarore
metallico della luce elettrica accesa nella stanza. L’uomo che si faceva
chiamare Gin accarezzò con delicatezza il dorso della copertina, facendo
scorrere i polpastrelli lungo il perimetro insolitamente quadrato del volume.
Poi, lo aprì e scorse le pagine fin quando non giunse all’ultima, sulla quale
una stampa riportava una xilografia dall’aria antica. Una donna e un uomo
ricoperto da mantello e cappuccio si accingevano a giocare una partita a
scacchi. Una sola frase descriveva la strana scena, un incipit in latino:
IN PRINCIPIO ERAT VERBUM
Gin sorrise divertito.
“Alla fortuna, ogni tanto bisogna dare una mano” disse sputando il
mozzicone e spegnendolo con un tacco sul petto del vecchio che giaceva morto ai
suoi piedi “spero che sia tutto pronto”
“Si, dobbiamo solo pescare il momento buono” annuì Vodka
soddisfatto “tuttavia…”
“Che c’è?”
“Non credo che a lei farà molto piacere…”
L’uomo che si faceva chiamare Gin sorrise.
Con quel sorriso che sapeva gelare il sangue dei suoi nemici.
E dei suoi amici.
“Non me ne frega un cazzo” disse lasciando il suo compagno solo
nella stanza buia.
1.
Shinichi Kudo correva.
Sentiva il cuore battergli violentemente contro il pomo d’Adamo,
mentre un ronzio incessante e una voce minacciosa gli rombavano nelle orecchie.
Il ragazzo deglutì a fatica, tentando si allontanare la disperazione e
stringendo le palpebre nel disperato tentativo di capire che cosa ci fosse un
passo avanti al lui.
Era tutto troppo nero.
Era tutto troppo freddo.
E lui era solo.
Si spostò la pioggia gelida dal volto accorgendosi che, come
piccole lame, quelle gocce pesanti gli tagliavano la pelle del volto che aveva
cominciato a sanguinare.
Lentamente l’acqua e il sangue scorrevano lungo il suo corpo
lasciando macchie scarlatte sulla strada nera che si stava lasciando alle
spalle.
E non riusciva a vedere nulla avanti a se.
Si bloccò, ansante. Il cuore dal battito così accelerato da
premergli sul petto come se fosse un macigno, i polmoni solo due organi in
fiamme. Si toccò il volto. Osservò le sue mani sporche di sangue e con suo
orrore si accorse che quel sangue non era il suo. Nero e serpeggiante il
terrore si insinuò lungo le gambe, risalendo dalle cosce fino allo stomaco, attanagliandogli
il petto in una morsa asfissiante.
Non poteva essere vero.
Si sforzò di muovere un passo avanti e un altro ancora.
Una debole luce nell’oscurità gli mostrò un pavimento di pietra,
freddo e umido, dove grosse pozze s’acqua verdastra ristagnavano da secoli. La
pioggia era scomparsa e il ragazzo, ansante, si guardò intorno stupito.
Poi il suo piede batté contro qualcosa di duro.
All’improvviso, piccole luci si accesero dietro di lui, come fari
che illuminavano precise zone della strada che aveva percorso.
E c’erano dei cadaveri….tanti cadaveri…
Gli occhi azzurri di Shinichi Kudo si riempirono di orrore quando
riconobbero volti familiari fra tutti quei morti.
Il detective Takagi, l’ispettore Megure, Sato e il detective
Shiratori, Kogoro Mouri e sua moglie Eri Kisaki, il dottor Hiroshi Agasa, il
miglior amico di suo padre, i piccoli Genta, Mitsuhiko e la dolce Ayumi, la sua
compagna di classe Sonoko Suzuki, il suo intelligente rivale del Kansai, Heiji
Hattori e la sua Kazuha, più in là una macchia bianca e un cilindro tinto di
vermiglio testimoniavano la presenza del corpo dello scaltro Kaito Kid…
Il giovane sentì i tonfi assordanti del suo cuore battergli
insistentemente nelle orecchie e pulsare lungo tutte le sue vene. Lì, in mezzo
agli altri riconobbe anche un ciuffo di capelli castani, così disordinati e
simili ai suoi che spesso erano stati confusi. Sopra il petto dell’uomo, la
folta chioma bionda di una donna ancora giovane e bella si muoveva
delicatamente alla brezza che aveva cominciato a soffiare…
Il respiro del giovane era ormai diventato un terrificante raspare
alla ricerca di quell’aria che sembrava sempre di più mancargli in quel posto
così oscuro e freddo.
Che cosa aveva urtato poco fa…poco prima di vedere tutto quello?
Una pioggia rossa aveva ricominciato a cadere.
E le iridi azzurre di Shinichi Kudo si dilatarono di nuovo per il
terrore di una consapevolezza così chiara, così evidente che gli si era
affacciata alla mente.
I battiti raddoppiarono e il respiro si fece ancora più affannoso,
i polmoni trafitti da mille pugnali ardenti.
Era un piede quello che aveva urtato
Piccolo.
Come quello di una bambina.
Haibara?
Pensò senza avere la possibilità di esprimere alcun suono oltre al
rantolo che fuoriusciva dalle sue labbra.
In ginocchio Shinichi Kudo cominciò a tremare violentemente. Si
strinse le braccia al petto, come a voler impedire al suo corpo di esplodere
per il dolore.
Mancava una sola persona.
Fa che sia salva, pregò. Fa che sia
salva.
Un profumo di fiori di ciliegio invase le sue narici e per un
attimo il suo cuore rallentò i battiti.
Ran, pensò rassicurato mentre una lacrima
gli rigava la guancia sinistra. Ran…
Poi Shinichi Kudo alzò il volto sull’ultima luce che
all’improvviso, folgorante, gli si era accesa davanti.
RAN!!!!!!!
Fu solo il grido muto del suo cuore che esplodeva in mille pezzi.
“Conan…Conan…!!!!” chiamò una voce dolce dall’accento familiare.
Shinichi Kudo serrò le palpebre. Sentiva ancora il sangue
pulsargli talmente forte in tutto il corpo da fargli conoscere, dolorosamente,
la presenza di altre fibre muscolari di cui ignorava l’esistenza. Sentiva solo
il fuoco scorrergli nelle vene, come se fosse acido muriatico che aveva preso a
sciogliere il suo scheletro. Quella sensazione, fin troppo nota, durò un solo
istante, lasciando il posto al doloroso mal di testa che sempre segue incubi
del genere.
Il piccolo Conan Edogawa ebbe così il coraggio di aprire le
palpebre e fissare i profondi occhi blu che lo guardavano preoccupati.
Ran Mouri, in un delizioso pigiama lilla, gli stava accarezzando
la fronte sudata e calda, preoccupata e allo stesso tempo rassicurante.
“Ran…”disse solo il bambino, la voce arrochita, più maschile di
quanto un bimbo delle elementari potesse avere “Scusa…”
Shinichi Kudo non se ne accorse quando una lacrima gli rigò la
guancia da bambino.
“È stato solo un brutto sogno!” disse la ragazza intenerita dal
comportamento del piccolo e sorridendogli tranquilla “Devi aver preso solo
freddo. Con tutto quello che è successo... Probabilmente è solo un po’ di
febbre, non preoccuparti, vado a prenderti una borsa del ghiaccio…”
“NO!” gridò Shinichi Kudo nel corpo febbricitante del piccolo
Conan Edogawa afferrando saldamente la mano di Ran Mouri. Poi, stupito lui
stesso della sua reazione, lasciò andare la sua amica d’infanzia e le sorrise
tranquillo, come uno scolaretto.
Come aveva imparato a fare da tre anni, ormai.
La figlia del detective Kogoro Mouri fissò Conan Edogawa
perplessa. Restò un attimo in silenzio prima di sorridere nuovamente e
scompigliare il ciuffo ribelle del bambino.
“Sarò qui in men che non si dica!” disse uscendo piano dalla
stanza.
Shinichi Kudo si lasciò andare al caldo abbraccio delle coperte e
tentò di rallentare i battiti del cuore.
Era inutile preoccuparsi in quel modo. Era stato un sogno. Solo uno
stupido sogno! Non c’era mica il bisogno di piangere!
Sbuffò, le guance ancor più rosse di quanto già non fossero; il
bambino ficcò la testa sotto le coperte in imbarazzo. Se Ran avesse saputo chi
era in realtà (dopo averlo adeguatamente picchiato per averla vista nuda, per
aver dormito con lei e per non avergli mai rivelato la verità) l’avrebbe preso
in giro per il resto della vita, sapendo che si era messo a piangere perché
aveva sognato che erano tutti morti, anche lei.
Probabilmente quel sogno era stato il frutto delle ansie che lo
avevano assalito negli ultimi tempi. Certo che la storia che si era trovato ad
affrontare negli ultimi tre giorni era assurda…perché, oltretutto, suo padre
non gliene aveva mai parlato?
Scosse la testa e voltò lo sguardo verso la finestra. Oltre il
vetro, poté vedere i bianchi fiocchi che avevano cominciato a cadere dalla sera
prima facendogli sentire più vicino il Natale.
Il bambino si portò le braccia sotto la nuca, fissando il soffitto
senza neanche guardarlo.
Quello sarebbe stato il terzo Natale che passava nei panni di
Conan Edogawa.
Tossì. La febbre sembrava essersi stabilizzata dopo quel sogno
incredibile. Sorrise.
A quanto pare anche il giovane detective Shinichi Kudo poteva
stancarsi qualche volta.
Ran Mouri entrò sorridendo nella sua stanza illuminata solo dal
tenue bagliore dell’abat-jour accesa sul tatami, accanto al suo letto. Il
ragazzo la guardò, gentile e carina come al solito, testarda nel volergli
rifilare per forza un’aspirina datagli dal professor Agasa e un intruglio
bollente che aveva preso da un monaco di passaggio, ma soprattutto era viva.
Il piccolo Conan Edogawa sospirò sorridendo. L’aveva svegliata nel cuore della
notte e lei, senza lamentarsi si stava prendendo cura di lui. Come aveva sempre
fatto del resto. Anche quando era adulto.
“ Dov’è lo zio?” chiese il bambino, improvvisamente fulminato dal
fatto che non aveva ancora ricevuto nessuno schiaffone dal detective Kogoro
Mouri per averlo svegliato nel cuore della notte.
Ran socchiuse un attimo gli occhi infastidita mentre aiutava il
bambino ad infilarsi la manica di una maglietta pulita. Il pigiama di Conan,
infatti, era fradicio. Per sostituirlo Ran aveva trovato solo degli abiti che
Shinichi aveva lasciato a casa sua prima di scomparire. Conan Edogawa si sentì
strano ad indossare nuovamente i suoi vestiti veri.
“ Quello scemo di papà! Dopo aver risolto il caso di questa sera è
andato a bere, come al suo solito!” sbuffò la ragazza “ e poi si lamenta che
gli fa male lo stomaco!”
‘ Con tutto l’alcool che ingolla, mi stupirei del contrario!’
pensò il piccolo Conan Edogawa un sorrisetto sornione dietro il vapore che
proveniva dalla sua tazza.
“Adesso dorme sul divano dell’agenzia…uffa! Non ce la farò mai con
lui!” disse sconsolata la ragazza scrollando le spalle.
Conan Edogawa la fissò serio. Ran non lo diceva mai, ma la
separazione dei suoi genitori era sempre stato uno dei principali motivi dei
suoi momenti di tristezza.
L’altro, ovviamente, era lui.
Il bambino bevve velocemente quello che rimaneva dell’infuso
fumante provocandosi una leggera ustione lungo l’esofago e cominciando a
tossire ferocemente, sputacchiando tutt’intorno.
“ Conan – kun!” disse Ran rassegnata, battendogli una mano sulla
schiena “quante volte ti ho detto di non bere così in fretta le tisane
bollenti?”
Il piccolo Conan Edogawa avrebbe voluto rispondere se non fosse
stato sommerso da un altro accesso di tosse e da una nuova fitta incendiaria.
Strinse i denti e i lembi della coperta fino a farsi diventare le nocche
bianche. C’era qualcosa di insolito in quell’influenza….pensò Shinichi un
occhio socchiuso per il dolore.
“ Ora mettiti giù e dormi!” disse Ran con un sorriso spingendo il
bambino sotto le coperte.
“ Raneechan! “ chiamò il piccolo Conan Edogawa la voce ridotta ad
un sussurro.
“ Si? Che c’è?” chiese la ragazza dolce come al suo solito.
“ No! Niente…” Shinichi Kudo arrossì fino alla punta dei capelli.
Che diavolo aveva intenzione di fare? Lui non era un bambino…cioè non lo era
veramente!
“ Mhmm…sarà meglio che rimanga a dormire qui con te!” disse la
ragazza pensierosa.
Conan Edogawa sgranò gli occhioni azzurri deglutendo a fatica.
“ Fammi un po’ di spazio!” disse Ran Mouri con un sorriso,
infilandosi sotto le coperte.
Shinichi Kudo rimase immobile, impossibilitato a muovere qualsiasi
parte del suo corpo, cervello compreso, le fitte incendiare quasi dimenticate.
“Buonanotte, Conan – Kun!” disse la ragazza con un enorme
sbadiglio circondandogli la piccola vita con le mani.
“Ah…Buona…buonanotte!” disse il bambino, la voce di nuovo roca, il
cuore che gli martellava nel petto questa volta per l’emozione.
Poi non se ne rese neanche conto quando si addormentò con il
calore del corpo della ragazza che lo cullava dolcemente.
Un raggio di luce gli batté fastidiosamente sul viso
costringendolo a girarsi di lato per riuscire a continuare a dormire. Shinichi
Kudo sorrise nel sonno. Non voleva aprire gli occhi. Dopo quel sogno orribile
Ran si era addormentata vicino a lui perché pensava che fosse troppo
spaventato. Ogni tanto essere un bambino aveva i suoi vantaggi. Si strinse di
più al corpo della ragazza che sentiva vicino e caldo e pareva che la febbre
fosse passata. Un leggero brivido gli attraversò la schiena che sentiva non del
tutto coperta. Allungò una mano nel tentativo di far scivolare la coltre un po’
più dalla sua parte…Accidenti, non gli era sembrato mica che Ran fosse così
grossa da rubargliela tutta! Forse era un po’ ingrassata ultimamente… Starnutì
e fu costretto ad aprire gli occhi. Lanciò uno sguardo assonnato alla sveglia
che ticchettava allegra sulla piccola scrivania accanto ai libri di scuola.
Erano solo le sette ed era domenica. Poteva tranquillamente rimanere a letto a
dormire.
Fu attirato dal movimento leggero di Ran che mugugnò qualcosa nel
sonno. Shinichi Kudo abbassò il volto ad osservare i capelli profumati della
ragazza che continuava a dormire placidamente fra le sue braccia…
…le sue braccia…?
Sobbalzò mentre il mal di testa si riaffacciava molesto a
battergli contro le tempie. Si portò una mano alla fronte, appoggiando il resto
del corpo sul gomito sinistro e socchiudendo un occhio per il dolore pulsante
alla testa. Il suo sguardo finì distrattamente sulle sue gambe…
Le iridi azzurre dello studente detective si dilatarono mentre il
cuore prese a battergli velocemente, sempre più velocemente in sintonia alla
realizzazione di quanto la sua mente stava comprendendo.
Era impossibile… impossibile…
Si alzò di scatto precipitandosi a guardare il suo volto nello
specchio dell’armadio, ma l’immagine che vide fu solo quella di una maglietta
sgualcita.
Precipitandosi di nuovo accanto al letto prese senza curarsi
d’essere delicato la mano di Ran Mouri che dormiva accanto a lui e appoggiò il
palmo della ragazza sul suo.
Shinichi Kudo sorrise trionfante mentre stringeva con forza quella
piccola mano nella sua.
Il riflesso di un ragazzo di circa diciotto anni gli sorrise dal
basso specchio dell’armadio di Conan Edogawa.
“ Shinichi?” chiese assonnata la voce di Ran Mouri, svegliata dai
gesti rapidi del ragazzo.
“ SHINICHI?!!!!” disse poco dopo saltando a sedere sul letto
sorpresa di vedere accanto a lei il suo amico d’infanzia disperso chissà dove.
Shinichi Kudo non ci pensò due volte; premette solo leggero un
pulsante sull’orologio che aveva imparato a portare sempre al polso (e che
aveva cominciato a sentire maledettamente stretto negli ultimi dieci minuti!) e
uno degli aghi soporiferi colpì in pieno Ran Mouri lasciando che la ragazza
cadesse delicatamente, una volta ancora, tra le sue braccia.
“ Ecco…” si disse sorridendo e fissando la ragazza con un sospiro
“ questo sarà un po’ difficile da spiegare!”
“Ah, Shinichi, entra!” fece assonnato il dottor Agasa mostrando
uno sbadiglio spacca - mandibole al ragazzo infreddolito che saltellava da un
piede all’altro sulla soglia di casa sua.
“ SHINICHI!!??” strillò poi l’ometto fissando a bocca aperta il
figlio del suo migliore amico sorridergli con quell’aria spavalda che aveva
imparato a vedere solo sul volto di Conan Edogawa “ MA CHE DIAVOLO…..?”
“ Ehm….posso entrare dottore?” chiese Kudo rischiando
l’assideramento, i piedi infilati nel paio di scarpe che Kogoro Mouri aveva
lasciato per casa rientrando a tarda ora, e le braccia attorno ad una giacca
dal colore orrendo.
Il dottor Hiroshi Agasa non riuscì a dire niente. Si fece solo da
parte per far entrare il ragazzo in casa.
Un sottile rumore di passi risalì i gradini che conducevano
dall’atrio della casa multifunzionale dell’inventore al suo antro maledetto e
la piccola Ai Haibara entrò nella stanza, sorseggiando una tazza di caffè
fumante. Rivolse solo un debole sguardo al giovane infreddolito ancora sulla
porta di casa e al suo ospite dall’aria completamente ebete.
“ Così, ha funzionato” disse senza scomporre l’espressione
glaciale.
Shinichi Kudo chiuse la porta, si tolse quell’orrenda giacca presa
in prestito da Mouri e si avvolse in una coperta trovata sul divano. Quando la
smise di starnutire riuscì finalmente a fissare la bambina con gli occhi
azzurri ridotti a fessure.
“Ha funzionato….cosa?” chiese mentre il professor Agasa lanciava
sguardi allibiti ai due ragazzi.
La scienziata Shiho Miyano sorrise come al suo solito.
Quell’espressione indescrivibile che mai smuoveva i suoi occhi glaciali.
“L’Antidoto, ovviamente”
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