Is called destiny

di Jawaader
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I would leave it there ***
Capitolo 3: *** Hi! I'm Alexander! ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Presi l’ultimo vestito dall’armadio, lo ripiegai e lo misi dentro l’ultima valigia, ormai anche essa piena. Mi sedetti sul letto, sfinita per tutto quel lavoro, e osservai, guardandomi intorno, quella stanza vuota. Ci avevo passato tredici anni, gli anni più infelici. A un certo punto il mio sguardo si sofferma sulla foto di famiglia che si trovava sulla mia scrivania. Mi allungo per prenderla molto cautamente e mi risiedo subito sul letto. La guardo come per chiedere ai miei genitori di tornare lì, da me, per poterli salutare e abbracciare un ultima volta. Sento che le lacrime cominciano a percorrere il mio volto, così mi alzo, le asciugo con l’estremità della felpa, metto la foto nella valigia e la chiudo.  Sento mia nonna che mi chiama con quella sua voce stridula, che però a me è sempre piaciuta e mi ha sempre incoraggiata fin da quando ero bambina.
“Hope, Hope! Dai su andiamo altrimenti perdi l’aereo! Hope!”
“Arrivo, arrivo.”
Scusatemi se non mi sono presentata, io sono Hope, ho 19 anni, vengo da un paesino che si trova vicino a Londra e vivo con i miei nonni dopo l’incidente dei miei genitori, i quali sono rimaste le vittime. Ho i capelli castani e gli occhi marroni, mio nonno dice sempre che sono quelli di mia madre, profondi come i suoi; sono una ragazza sensibile e molto timida, che nasconde molto bene le sue emozioni.
Prendo la valigia ed esco dalla stanza. La guardo un ultima volta e poi chiudo la porta. Mettiamo nell’auto l’ultimo bagaglio e saliamo in auto diretti all’aeroporto di Londra. Sto partendo per New York, vado a vivere da sola, nella vecchia casa di mia cugina, non volevo più a stare qui. Dovevo cambiare.

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Capitolo 2
*** I would leave it there ***


Arrivammo all’aeroporto. Scesi dall’auto e andai verso il retro della macchina. Mio nonno mi aiutò a prendere tutte le valigie e mia nonna mi passò la borsa che era rimasta sul sedile dietro. Mi fermai davanti a loro che mi fissavano con gli occhi rossi e gonfi per le lacrime che presto sarebbero scese. “ La nostra bambina sta crescendo” disse mia nonna prendendo un fazzolettino dalla sua borsa. Bambina. Sì bambina, loro mi chiamavano così, mi trattavano come una loro figlia, ma io non ho mai voluto che non lo facessero; gli ho sempre considerati i miei secondi genitori. “ No, nonna, ti prego non piangere, ti prego …” le dissi abbracciandola e stringendola forte come per dirle che andrà tutto bene. Poi feci avvicinare anche mio nonno e ci abbracciammo tutti e tre insieme. Era da tipo tre anni che non ci abbracciavamo tutti e tre insieme, da quando caddi in una specie di “depressione” a causa di molte cose che mi erano successe … Li volevo bene, non volevo lasciarli li da soli, volevo portarli con me, ma loro non sarebbero venuti. Mi staccai dolcemente dalle loro braccia protettive, presi i bagagli e la borsa e mi incamminai verso la porta d’entrata dell’aeroporto. Mi voltai per salutarli un ultima volta, mi baciai la mano e ci soffiai sopra; come facevano i bambini piccoli per buttare un bacino. Mia nonna lo prese, si portò la mano vicino al cuore e mi sorrise; lo stesso fece mio nonno. Non volevo far vedere le lacrime che mi stavano solcando il volto così mi giro di scatto e entro nell’aeroporto. Dopo aver fatto tutti i controlli e aver imbarcato le valigie, prendo la mia borsa, dove c’era lo stretto necessario per il viaggio, e vado a sedermi sul sedile del primo “bus” che mi avrebbe portato all’aereo. Appena sono salita vado a cercare il mio posto. Trovato, B20. Mi siedo tranquillamente, mi metto le cuffie e faccio partire la musica; una delle poche cose che, si può letteralmente dire, mi ha salvato la vita. Mi sveglio e guardo che ore sono. Sono le 5.30 del mattino e le hostess stavano arrivando per distribuire la colazione, che a parer mio faceva schifo. “Ho dormito per quasi tutto il viaggio?!” dico dentro di me. Le hostess arrivando anche da me e mi porgono una scatoletta dove, presumo, ci fosse la colazione; chiedo se posso avere del tè, almeno quello forse sarebbe stato decente. Mangio, si fa per dire, la colazione e bevo il tè, che era abbastanza buono. Sentiamo il capitano parlare dicendoci di allacciare le cinture perché stavamo per atterrare. Mi affaccio al finestrino e vedo, pian piano che scendevamo, quella città. Bella in tutto, a partire dall’oceano, finendo con un bar. Era magnifico e non volevo pensare quando l’avrei vista, in tutto il suo splendore, dal basso verso l’alto.

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Capitolo 3
*** Hi! I'm Alexander! ***


Scesi dall’aereo e andai a prendere le valigie. Appena uscii dall’aeroporto sentii quell’aria di una vera e propria megalopoli; quell’aria densa e così strana per il mio naso… Era tutto molto diverso da Londra. Chiamai un taxi e dopo aver caricato i bagagli dissi,all’autista, la destinazione. Sapevo che ci sarebbero voluti circa 10 minuti e quindi mi misi le cuffie e addio mondo. Nella testa incominciarono a frullarmi domande su domande. Mi chiedevo come fosse stata la casa, che vicini avrei potuto avere e come mi sarei approcciata con loro, visto che è difficile che io mi presenta a qualcuno con il carattere strano che ho,se avrei incontrato la persona della quale ero innamorata… Sì, proprio così, ero innamorata di una persona che si trovava oltre oceano e che non sapeva neanche della mia esistenza; il cosiddetto, amore platonico, ovvero quando ti innamori di una persona che non conosci e che magari si trova a migliaia di kilometri da te. Era quasi un anno che era uscito Hunger Games, libro più bello mai letto e film più bello mai visto, ed era quasi un anno che io ero innamorata di Alexander. Proprio lui, Alexander Ludwig,”il Cato” di Hunger Games. Il taxi si fermò ed io aprii gli occhi. Scesi dalla macchina e presi le valigie. L’auto ripartì immediatamente e mi lasciò davanti a quella bellissima casa. Era una casa a due piani, sicuramente, con giardino e piscina; era, a dir poco, bellissima. Entrai dentro e tutto, oltre ad avere una arredamento moderno, era strapulito. Prima di venire qui, avrei giurato che sarei dovuta stare a sgobbare per pulire questa cassa per due giorni, invece mi sbagliavo. Dopo aver visto tutte le stanze della casa, toccava al giardino, sicuramente, sarebbe stata la mia parte preferita. Infatti avevo ragione. Appena aprii la porta scorrevole che dava sul retro mi si presentò davanti il paradiso. C’era un giardino, che oltre ad essere grande era anche “pulito”; si poteva ancora sentire il profumo dell’erba appena tagliata, cosa che mi fa dedurre che mia cugina ha mandato qualcuno a pulire la casa. Poi, bhe, c’era la piscina, una piscina tutta per me… Sembra un sogno. Poi compresi che tutto era vero e un sorriso mi spuntò sul volto. Ero così scossa da quella magnifica sorpresa che dovetti andare a bere un bicchier d’acqua. Bevvi fino all’ultima goccia d’acqua e poi iniziai a mettere tutto al posto. Si era già fatto mezzogiorno, così decido di tornare in città, e magari di andare a mangiare qualcosa in qualche posto. Mi cambiai veloce e andai a prendere il taxi. Arrivai a destinazione, scesi andai a comprarmi da mangiare. E quale altro miglior posto, per un pranzo veloce, se non il Mc.Donald’s?! *sembra uno spot di una pubblicità, ma lasciamo perdere* Girai ininterrottamente per New York, per sei ore, e ancora non avevo visto nemmeno un quarto della città; ma decisi di tornare a casa perché stava già iniziando a farsi tardi. Ero appena scesa dall’auto quando vidi delle luci accese nella casa color rosa (così la chiamo io) accanto. Proprio in quel momento dalla porta uscii una ragazza carina dal viso dolce.
“Ehi ciao!” disse lei venendo verso di me “ Io sono Felicity e tu? Devi essere la nuova vicina,per caso sei la cugina di Rosy? Come ti chiami? Da dove vieni?” Okey, era scientificamente provato che quella ragazza mi stava ufficialmente mandando nel pallone.
“Ehi,ehi” dissi per fermare il suo continuo parlare “una domanda alla volta”
“Ahahah ah si scusa! Sai sono una persona molto estroversa che tende a parlare molto con le persone anche se non le conosce”
“Eh si vede” dissi io in tono ironico
“aahhahaahha sei simpatica” mi disse lei guardandomi con un sorriso dolce
“ Anche tu” fu l’unica cosa che seppi dire in quel momento. Ci sedemmo lì, sul bordo della strada a parlare un po’ della nostra vita. Era tutto molto strano, perchè io non ho mai conosciuto e iniziato a voler bene a una persona in così poco tempo. Si fece una certa ora e quindi rientrammo tutte e due in casa, salutandoci con un caloroso abbraccio. Quando entrai in casa avevo già capito che la mia serata sarebbe stata patatine e film. In meno di un minuto presi le patatine e il DVD, stranamente Hunger Games, e mi misi a guardarlo per la centesima volta. Ero sul punto più bello, quando Katniss fa cadere l’alveare addosso ai Favoriti, quando sento bussare alla porta. Per un certo momento rimango immobile per paura, non so di cosa, poi rifletto un po’ su e penso “sarà Felicity”. Così fermo il film e vado verso la porta, un po’ irritata perché mi aveva interrotto nel bel mezzo del film.
“Felicity, che c’è adesso?! Stavo guardando il film e tu mi hai interrot..” non finisco la frase, perché appena apro la porta chi mi ritrovo davanti non è Felicity, ma un ragazzo; un ragazzo bello, alto e abbastanza muscoloso, occhi azzurri e capelli biondi. Solo dopo qualche secondo riesco a capire chi avevo davanti e quasi non riuscivo a crederci, ma era cosi, ero faccia a faccia con Alexander Ludwig, la persona della quale ero follemente innamorata.
“Ehm, scusa, non volevo, bhe, disturbarti, volevo solo darti il benvenuto…” disse lui con quella sua voce, così diversa da quando la sento al computer.
“Ehm, no, scusami te…” dissi prima di diventare tutta rossa.
“Quindi benvenuta! Io sono il tuo vicino e mi chiamo Alexander Ludw…”
“Ludwig…” dissi finendo io la frase al posto suo “Allora mi conosci?” disse sorridendo per sdrammatizzare, per quanto ci provasse non ci riusciva.
“Eh, si, ti conosco molto bene” dissi io cercando di fare un piccolo sorrisetto ma senza riuscirci. “
“Ah okey… ahahaha è strano… Scusa se ti ho interrotto nel bel mezzo del film…”
“ No, non fa niente…” dissi io. Ancora non ci credevo. Alexander era li davanti a me e io ci stavo anche parlando! Mi sa che proprio non capivo niente altrimenti a quest’ora sarei già caduta in terra. “ Che film stavi guardando?”
“Eh…” mi volto verso la sala e poi di nuovo verso Alexander “ Bhe, non ci crederai mai ma… Sto guardando Hunger Games” “Davvero?” chiese lui con aria sconvolta e soddisfatta
“Si davvero…” risposi io. Ci furono cinque minuti di silenzio tombale, poi, cosa ancora più strana, fui io a rompere il ghiaccio.
“ Ti va di venire a guardarlo con me?” chiesi ingenuamente e senza sapere quello che stavo dicendo. Quando mi accorsi di quello che avevo detto cercai di rimediare. “Se non puoi non fa niente, scusa per la mia sfacciataggi..” non feci tempo a finire che Alex rispose.
“Certo che voglio!”   Così lo feci entrare e riprendemmo a guardare il film.

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Spero che questo capitolo vi piaccia!
Mi raccomando recensite! :)

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