Mille realtà

di xhoranscolgate
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Questa sono io. ***
Capitolo 2: *** Memorie. ***
Capitolo 3: *** Il nostro mondo. ***
Capitolo 4: *** I'm a person, not an object. ***
Capitolo 5: *** Dear mum.. ***
Capitolo 6: *** Cambiare. ***
Capitolo 7: *** Drammi adolescenziali. ***
Capitolo 8: *** Il futuro. ***



Capitolo 1
*** Questa sono io. ***


Sorridi.
Mi dicevano.
Sorridi.
Dovevo farlo.
Ti insultano? Sorridi.
Devo averlo nel DNA. Forse sorrido dal momento del mio concepimento. Come se quel perfetto sorriso falso potesse guarire tutto. Come se quel perfetto sorriso falso fosse la mia unica medicina. Sorrido. Ma presto anche questo perfetto sorriso falso svanirà. Presto questo carnevale finirà. I coriandoli colorati scompariranno negli angoli più impensabili di piccole stradine grigie.  I colori voleranno via con un vento freddo e gelido. Si, questo carnevale finirà e dovrò togliermi questa maschera. Dovrò posarla su un tavolo e guardare per la prima volta in faccia la vita, senza tagli, senza lacrime e senza ferite. Dovrò guardare la vita, quel film in bianco e nero. Per me, senza quella speranza che ti fa voglia di continuare a guardarlo. Senza lieto fine. Se avessi avuto una vita perfetta, senza errori, senza piccole sfumature, se fossi una ragazza bella, simpatica, dolce, carina con tanti amici, una famiglia che mi vuole bene e un ragazzo che mi ama per quello che sono, probabilmente adesso non mi starei raccontando. Forse un giorno la mia stupida vita potrebbe essere una piccola dolce lezione per quelle persone che continuano a giudicare senza conoscere.

Questo è il mio film in bianco e nero.

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Capitolo 2
*** Memorie. ***


Allison.
Allison. 
Allison! Amo il mio nome.
‘’Come ti chiami?’’
‘’Allison Smith’’ e poi sorrido.  
Lo scelse la nonna. ‘’Vedrai, le piacerà’’ disse a mia mamma. Cara nonna, avevi ragion. Vorrei ricordare meglio i tuoi occhi, ma non ci riesco. Di sicuro erano stupendi:  hanno fatto innamorare il nonno. 
 
Non ricordo quasi niente della mia infanzia. Ho solo poche immagini, rumori confusi. Ora una ninna nanna poi il buio. La voce della nonna e poi niente. Del nonno ricordo solo il sorriso stanco e gli occhi.
Erano celesti e felici.
Come se lui tenesse con se il segreto della felicità. Un giorno gli chiesi
 –Perché sei sempre felice,nonno?-
 E lui mi ripose  –Guardo la nonna, te e tuo fratello, tua madre e tua zia. Vi guardo e penso che siate la parte più bella della mia vita. La nonna che mi ha fatto riscoprire la luce. I tuoi grandi occhi verdi che mi fanno ricordare cosa sia la tenerezza. Se la felicità esiste davvero, penso di averla trovata nei vostri sorrisi. La famiglia è la vera felicità, piccola.-
 
Poi niente. L’ultimo  ricordo è  la lacrima che bagnò il suo viso quando gli dissero che aveva il cancro. 
 
E poi ricordo la nonna. Dopo la morte del nonno la famiglia ha iniziato a frantumarsi in mille pezzi. Come se fossimo stati tutti legati solo grazie a lui.  La mamma ha iniziato a drogarsi, e non penso che adesso sia diverso. Non la vedo da almeno cinque anni. L’hanno portata via dalla misera casa in cui vivevamo un fredda mattina di gennaio, e noi siamo finiti in una casa famiglia. Solo tanti problemi. 
 
La nonna è morta due anni dopo la scomparsa del nonno. Si è suicidata. Mi vengono i brividi quando ricordo il suo corpo fragile, accasciato sulla sedia, con una corda attorno al collo. Qualche tempo prima mi aveva detto:
‘’Ti voglio bene. Ama tutti.’’
Lei non era riuscita ad amare se stessa, però.  Forse due o tre giorni dopo la zia si è suicidata. Anche lei:  l’orrore di vederla l’ho lasciato a mio fratello. Adesso, beh, adesso sono praticamente sola. Provate a dirlo in una stanza buia e vuota. State tranquilli, quella non è solitudine. Quante volte avrò pianto in una stanza piena di persone, in una stanza rumorosa e piena di luce e di colori. Colori sgargianti, e tu... tu vedi solo le tue lacrime e delle sagome giallastre, rosse, blu,  rosa. Poi torni a casa e ti vergogni delle tue lacrime, ti butti nel letto e cerchi di dormire. Però pensi ‘’Mi hanno vista piangere. Sono una bambina’’. Le loro risate rimbombano nella tua testa, fino a diventare insulti. Ti copri con la copertina e cerchi di dimenticare. ‘’Il tempo guarisce tutto’’. Continui a dirti che non è vero: il dolore passa ma le cicatrici rimangono e posso sanguinare di nuovo. Si, ogni volta che fai educazione fisica e sudi dopo dieci metri di corsa, ogni volta che non ti invitano. Ogni volta che rimani sola, assolta nei tuoi pensieri. 
 
Non sono mai stata depressa. Rido sempre, rido tantissimo.  Amo ridere.  Almeno copre il mio dolore.  Amo sorridere,  si con lei.  La mia migliore amica. L’unico raggio di luce che ho nella vita. Il suo sorriso che mi fa sentire bene. Insieme a lei sono veramente felice. Tutto questo che sto scrivendo, in questo diario, è solo per lei. La amo. 
Quando ripenso alle parole del nonno mi chiedo  –Perché non riesco a trovare la felicità nel sorriso della mamma? O di mio fratello?-. Poi trovo la risposta ‘’La felicità è nel suo sorriso’’. 
 
E la penso.
La penso e sorrido. Lei è la mia felicità. 

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Capitolo 3
*** Il nostro mondo. ***


Adesso mi dicono tutti che sono troppo piccola.
Troppo piccola per amare, per avere dei sogni.
Per pensare certe cose. In fondo, mi vergogno anche io di quello che penso. E forse sono troppo piccola per tutto. Sono poco o nulla per tutti.
Un fallimento. Qualunque cosa faccia è sbagliata. E, tutte le volte che mi dicono che sbagliando si impara, non ci credo.
I miei errori sono errori, e ho continuato a farli.  
Eppure ho solo quattordici anni, e tutte le mie coetanee continuano a divertirsi. E chissà quante volte hanno riso di me, pensato che sono solo una ragazza depressa. Mi faccio schifo, ogni giorno di più.

Non sopporto neanche una cellula del mio corpo.  
Ogni volta che mi prendono in giro mi sento bene. Hanno solo avuto il coraggio di dirmi la verità in faccia, di farmi capire cosa sono.
Hanno ragione ad odiarmi, perché io mi odio.  
Io odio me.
Alcune volte è difficile da spiegare quanto mi senta inutile.
Forse sto sbagliando di nuovo. Forse sbaglio ogni volta che piango davanti allo specchio. Forse sbaglio ogni volta che non esco o ogni volta che faccio finta di sorridere. Ogni volta che abbasso la testa.
 
È una mattina di maggio.
Sono le sette. Il sole è già alto nel cielo e la città è già sveglia da qualche ora.
Ormai vivo qui da cinque anni, e la vita non cambia mai, è monotona.
Ricordo.
Si, i ricordi sono l’unico modo per sfogarmi un po’ e l’unico modo in cui ricordo la felicità.
Ecco, ricordo che prima non sapevo neanche cos’era la città. Abitavamo in campagna, lontano da tutti. Ma era una vita stupenda.
Già, proprio in quella vecchia casa di campagna ho visto volare via la mia infanzia, come una foglia.
Non avevo ancora capito com’era il mondo, ed avrei preferito rimanere là, e non scoprirlo.
Perché il mondo non è un film, non è un libro, non è un fumetto.
Il mondo non lo decidi tu. Non decidi i personaggi, non decidi la trama.
Il mondo è una casualità, il mondo è diverso dal sogno di una bambina di sei anni.  
Il mondo è quello che non vorresti mai scoprire. Ci sono le rose, e ci sono anche le spine.
E molto spesso la gente prende la rosa in mano, e si sporca di sangue. A sei anni guardavo i cartoni, erano colorati. Dovremmo colorare i sorrisi di tutti. Quelli delle mamme stanche, dei muratori, degli impiegati e dei bambini. 
Ecco, lo sapevo.
Un altro ragionamento da bambina.
Un altro ragionamento stupido. Inutile.
Chi pensa ai sorrisi adesso? Gli uomini si nutrono di soldi e di ingiustizie. Gli uomini sono vittime della globalizzazione,  della voglia di essere migliori. Gli uomini vivono di sprechi. Chi pensa alla felicità se la felicità dai soldi non arriva? Me lo chiedo molto spesso. Ma non ho una risposta.
 
E continuo a chiedermelo. Si, sono passati otto anni da  quando guardavo i cartoni.
Da quando volevo dipingere i sorrisi. Adesso vorrei solo che qualcuno dipinga il mio. Vorrei cambiare, ma non vorrei allo stesso tempo. Voglio rimanere me stessa. Cambiare per gli altri è un buco nell’acqua. Eppure l’ho fatto tante volte e ho sbagliato. 
Sono le sette del mattino, guardo fuori dalla finestra. Il viale alberato è colmo di gente.
Si scontrano e non si chiedono scusa, continuano a camminare. La stessa cosa hanno fatto le persone con il mio dolore. Lo hanno incontrato e hanno continuato a camminare, come se non fosse successo niente.  
 
Vorrei incontrare qualcuno diverso. Qualcuno che rimanga. Sempre. Per sempre. Non ci credo, non accadrà mai. 
Decido di andare a fare colazione, in casa non c’è nessuno.
L’ultima volta che ho preparato le crepes ho bruciato la mano, la cucina e la pentola. Prendo il latte e lo bevo freddo. Poi mi vesto, jeans e felpa, e vado a scuola.

Continuo a sbattere contro tutti. Nessun ‘’ scusa, mi dispiace’’. Ci sono abituata.
Dopo mezz’ora arrivo davanti all’enorme cancello blu della scuola.

Resto immobile. 

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Capitolo 4
*** I'm a person, not an object. ***


‘’ E’ lui, è lui. Mi ha indicata. Sta ridendo, di me. Non piangere Ally, non piangere. Non piangere.’’
 
Sono immobile. 
 
Le lacrime, sento le lacrime. Non voglio piangere davanti a tutti. Resto ferma. Mi giro di scatto, inizio a correre.
Corro.
Sento le risate, rimbombano nella mia testa. Vorrei urlare, urlo in silenzio.  Come ho fatto in tutti questi anni. Il mio urlo silenzioso che ha attraversato il rumore. Le urla dei miei genitori, attraversate dal mio urlo silenzioso. Ogni parola una lacrima. Continuo a correre, non mi fermo. Voglio scappare da questo mondo. Ritirarmi, andare a piangere in un angolo.  Continuo a correre, i ricordi vanno più veloci di me. Ogni ricordo è uno schiaffo veloce e doloroso. 
Sento il sudore, senti i commenti. ‘’perché corri grassona? Il grasso serve per il letargo.’’ Faccio finta di non sentire, non mi volto. 
 
Sento Anne ‘’Ally, fermati. Ally, resta con me, sono qui per te’’. Piange, mi viene una fitta al cuore. Non ho un cuore. Anne continua a urlare. Continua, le fa male la gola. Anne è li, è li per me. Ma non voglio fermarmi. Non voglio girarmi, vedere le facce felici dei miei compagni.  Continuo a correre. Corro, e non mi fermo. Ho bisogno di stare sola.
 
I polpacci mi fanno male, i piedi anche. Mi è caduta la borsa. I libri sono per terra. Ridono, ridono tutti. Urla Allison! Urla! Dice la voce della mia testa. Trattengo le lacrime, mi fermo. Mi inchino e raccolgo tutto. Non ho il coraggio di alzare gli occhi. Il cuore batte forte, vorrei solo urlare. Buttare tutto fuori per sempre, non rimanere in silenzio. 
Eppure sono qui, raccolgo tutto in silenzio. Perché? 
 
Mi sento vuota. 
Ricomincio a correre, sono libera. Libera. Posso volare. Volare nei miei pensieri. 
Posso sorridere. Il vento è freddo. Gelido, mi fa sentire bene. 
Le risate continuano a rimbombare, sono di nuovo sola. Come lo sono sempre stata.  Ritorno nel mondo reale, il flashback finisce. Cado violentemente a terra. I miei occhi vedono di nuovo grigio, le strade vuote, senza felicità. Nel mentre sono arrivata a casa. Il ginocchio, mi fa tremendamente male il ginocchio. Alzo il jeans, la ferita brucia. Mi fa male anche il gomito. Non riesco a muovermi. A fatica mi rialzo, zoppicando arrivo dentro casa. 
 
Mi butto sul divano e scoppio in un pianto isterico. Voglio il nonno. Voglio la mamma. Voglio il papà. Sono sola e il ginocchio mi fa male, brucia tremendamente. Ripenso agli occhi verdi, al ragazzo che mi ha indicata e poi ha riso di me. 
 
Mi sento bene. Ha riso di me, come fanno tutti. Lo capisco, tutti possono ridere di me. 
 
‘’Ridere: |ri-de-re| v.intr.(pass. rem. rìsi, rideésti, ecc.; p. pass. riso; aus. avere)
A intr. 1. Manifestare un improvvisa reazione di ilarità, gioia, allegria ecc, modificando la mimica facciale ed emettendo suoni caratteristici.’’
 
‘’Modificare la mimica facciale’’. 
 
Quindi le persone per ridere devono cambiare. Devono modificare qualcosa di loro. Le persone quando ridono degli altri cambiano, per essere ‘’fighi’’ per essere come gli altri.  Le persone per piacere devono cambiare, perché il mondo non ti accetta così come sei. Il mondo ti accetta se ti vesti alla moda, se ascolti la musica che ascoltano tutti, se dici le cose che dicono tutti. Perché non possiamo distinguerci per una  volta? Perché dobbiamo far parte di quell’esercito di soldatini? 
Siamo sette miliardi di soldatini, che respirano la stessa aria, mangiano le stesse cose, ascoltano la stessa musica, si vestono allo stesso modo. 
Io ci ho provato. Ho provato a farmi accettare per quello che sono. Ma le persone sono attratte da quella che è la parte esteriore, la parte che non serve. Quella che devi ignorare. Se tutti potessero vedere il tuo cuore, il tuo carattere, forse non saresti diversa per gli altri. Se le persone arrivassero dentro la persona, se riuscissero ad amare i difetti di tutti. Se le persone non si sentissero più grandi, più forti, forse scopriremmo che le persone più deboli sono loro. Si, quelle che prendono in giro gli altri non sono forti. Affatto, loro nascondono le loro debolezze dietro a insulti ed offese.  E tutti quegli insulti non indeboliscono gli altri, anzi gli rendono più forti. Si, perché continuano a sorridere facendo finta che non sia successo niente. E se questo che sto scrivendo si falso?  
Fino a cinque minuti fa stavi correndo lontano da tutti, stavi piangendo. Volevi urlare. 
Perché non piaccio agli altri? Me lo sto chiedendo da anni. 
E continuo a ignorare tutti, continuo a piangere di notte, perché non posso essere come loro. 
 
È una giornata orribile. 
 
Suona il campanello. È Anne. La sento singhiozzare. Mi sento uno schifo, l’ho lasciata lì. La faccio entrare. Mi abbraccia subito, non faccio in tempo a salutarla. La stringo forte a me. 
Poi a fatica mi sussurra ‘’ Perché sei scappata? Lo sai che ti amo.''
Scoppio a piangere.

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Capitolo 5
*** Dear mum.. ***


‘’Cosa ami di te stessa?’’

Silenzio.
‘’Rispondi, Ally, rispondi’’

Mi asciugo le lacrime.
‘’Ho già risposto.’’ “No, non hai risposto, Ally!”.
Rimango in silenzio.
“Vedi, ho risposto di nuovo. Non amo niente di me, nulla.”
Adesso è in silenzio anche lei.

“Mai più, mai più. Scappando hai solo dato loro soddisfazioni. Dovevi rimanere, dimostrare che sei più forte di ogni insulto.” Poi mi ha preso la faccia e mi ha guardata negli occhi. Io ho sempre amato i suoi. Erano dei semplici occhi castani, ma io ci vedevo la purezza. In quegli occhi vedevo la voglia di aiutare sempre, la felicità. Amavo quegli occhi castani, perché dentro di essi era racchiuso il mio piccolo mondo. Non so dove sarei adesso senza lei, ci penso molto spesso. Forse non ci sarei. E quando dico “La amo” non è uno scherzo. Non è una convenienza, è la verità. Quegli occhi mi rendevano felici.
Lei mi ha sempre resa felice.
“Ally. Tu sei forte” evidenziando il “sei”.
Ma io non ci credevo, perché i “forti” non si sono mai comportati come me. I “forti”, vincono. Io ho sempre perso. Forse non ho mai iniziato a lottare, perché quando ti dicono ‘’Non ce la farai’’, tu ti blocchi. È difficile alzarsi dopo essere caduti milioni di volte. È difficile alzarsi senza qualcuno che ti prenda per mano. Qualcuno che ti dica ‘’Ehi, ci sono io. Non sono come gli altri. Io rimarrò per sempre.’’ E forse queste sono altre illusioni, pensieri che non dovrebbero passarmi nemmeno nell’anticamera del cervello. Eppure io spero tutti i giorni di trovare la persona giusta.   

E così sono passati gli anni, il mio cuore è diventato di ghiaccio. La paura di innamorarmi, dover ricevere sempre le stesse delusioni. Una corazza di cemento mi protegge dal mondo esterno, non voglio averne a che fare. Sono chiusa in me stessa e non voglio uscire. Meglio vivere cos’, non avere a che fare con tutte quella superficialità.
Poi è arrivata lei. Un giorno d’inverno, faceva freddo. Forse era dicembre e da quel giorno la mia vita è cambiata completamente. Forse ho iniziato a vivere. Non lo so, ma qualcosa era veramente cambiato. Il ghiaccio aveva iniziato a scongelarsi e il cemento si stava lentamente rompendo in mille pezzettini. Ricordo poco di quel giorno. Avevo sorriso, ecco cosa ricordo. Dopo anni.
Non dovevo più nascondere le mie ferite con un sorriso, quando avevo incontrato i suoi occhi avevo sorriso.
Lei è stata la prima parentesi felice della mia vita.
Vorrei non chiuderla mai più, scrivere la mia vita con lei. Continuare a incidere parole su parole su inutili pezzi di carta, che volano. E non importa. Perché i momenti più belli, quelli da ricordare sono nel mio cuore.
C’è sempre stata? Si, lei c’è sempre stata.
È stata la mia ancora di salvezza. E io con lei mi sento completa.
Solo con lei.
E poi ho la musica. Si, la musica è sempre stata con me. Quando nessuno voelva vedermi, lei mi ascoltava. Quando nessuno voleva consolarmi, lei mi asciugava le lacrime. Quando nessuno voleva abbracciarmi, lei mi baciava. È stata la mamma che ho perso cinque anni fa. Quella ‘’mamma’’ drogata che non avrebbe mai voluto ridursi così. Ma la droga è un circolo vizioso, non puoi smettere da un momento all’altro.

Cara mamma,
ti devo solo chiedere scusa. Perché non sono mai stata la figlia che volevi, la figlia perfetta. Vorrei essere diversa, vorrei  che tu fossi orgogliosa di me. Ma non ho saputo fare niente, sono un fallimento, lo so. Scusa. Non posso dire altro.
Ricordo il papà. Le tue urla quando ti metteva le mani addosso, e quando le metteva addosso a me. E le tu lacrime che avrei voluto asciugare. Scusami mamma, perché non ho avuto il coraggio di parlare. Non sono stata mai di aiuto. Ma lui beveva e sbagliava. So che vi siete ritrovati lassù. Lo so bene. So che avete ritrovato lentamente l’amore che avevate perso, pian piano. So che adesso vi state tendendo per mano, so che siete insieme.  
 E un giorno con voi ci sarò anche io. Si, recupereremo quei momenti persi. Mamma, rideremo di nuovo. Insieme. Ci rivedremo vero? Non ti ho persa per sempre.
A quel punto mi risveglio. Sono bagnata, sto piangendo. Anne è davanti a me, ha un panno con del ghiaccio in mano.
‘’Hai fatto un brutto sogno?”
“Un vero e proprio incubo.

Anne, c’era la mamma e io le stavo parlando. No, anzi le stavo scrivendo. Le stavo scrivendo tutti i miei errori. È orrendo, Anne.”
Poi mi ha abbracciata, per l’ennesima volta. Ma a me piacevano i suoi abbracci.
“Su, vestiti e lavati. Dobbiamo andare a scuola.”

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Capitolo 6
*** Cambiare. ***


Alcuni giorni mi sento come la spazzatura. Chi non butta la spazzatura?

La spazzatura puzza come le bugie. La spazzatura va buttata, no? Nessuno lascia della spazzatura in casa sua. La spazzatura è inutile. La spazzatura è un OGGETTO da buttare.

Si, mi sento un oggetto. Un’inutile oggetto, che puzza di falsità. Come i miei sorrisi.

Già, falsi. È così facile nascondere tanto dolore in piccoli sorrisi, nascondere tanto dolore dentro risate e risate. Nascondersi dentro la felicità, piangere di notte. È facile, per me è più facile ridere che piangere. Piangere fa male, piangere fa veramente troppo male. Così rido.

Rido, e se ogni sorriso fosse una lacrima?

No, non riesco a dimostrare i miei sentimenti. Così perdo le persone ,perché sembra che non tenga a loro. Eppure sarei pronta a dare la mia vita per la loro felicità. Si, la mia timidezza mi fa perdere tutto. Le grandi occasioni, l’amore, l’amicizia.

La timidezza mi fa chiudere in me stessa.  Le persone si scontrano contro di me e non riesco a fermarle. Le persone mi prendono in giro e io abbasso al testa.
Cammino per la strada come se fossi inferiore, a testa bassa. Si, non voglio farmi vedere dagli altri, non riesco a guardargli negli occhi. È difficile essere timidi.
E le persone mi guardano e forse non pensano che io sia timida. Si, rido, scherzo. Ma solo con le persone con cui voglio. Quando ho davanti qualcuno che non conosco, mi blocco. Non riesco a parlare e guardo i miei piedi, divento rossa. Non riesco ad essere ‘’estroversa’’.

Non riesco ad essere me stessa. Sono nascosta dentro strati di cambiamenti, perché dovevo cambiare. Agli altri non puoi piacere così come sei.
Alcune volte provo a guardarmi dentro, tolgo le mille maschere e mi guardo allo specchio.

Una ragazza insicura, con poca autostima.
Una di quelle ragazze che non può piacere agli altri, perché non si piace.
Alcune volte ho la sensazione di non riuscire ad aiutare le persone. Rimango immobile ad ascoltare i loro problemi e non riesco a parlare. Vorrei fare qualcosa per loro, ma non ci riesco. Rimango in silenzio.

Come sempre.
Vivo nel silenzio.
Nel mio silenzio.
Vivo nel silenzio ogni giornata.
Ascolto con pazienza ogni parola che mi rivolgono, e la ascolto. Sembra inutile, ma ascoltare è l’unico modo per capire il profondo di una persona. Se ascolti capisci veramente quello che sta succedendo in lei.
Così ascoltavo tutti i giorni la mia famiglia, in silenzio. Quella che è stata la mia famiglia. Ascoltavo il dolore e le lacrime, e le facevo diventare parte di me, per non lasciare gli altri feriti.
Prendersi carico dei problemi altrui. Soffrire per gli altri.
Si, gli altri possono pensare che sono pazza, una bambina che del mondo non ha ancora capito nulla.
Voglio essere una bambina che del mondo non ha capito nulla e pazza. Perché non riesco a vedere le altre persone tristi, non riesco a sopportare il dolore degli altri.

‘’Allyy, abbiamo perso un’ora di scuola. Sbrigatii!’’
Ero in bagno, e mi stavo lavando la faccia. Sapevo benissimo che forse Anne non sopportava dovermi sempre aspettare per andare a scuola. Mi guardo allo specchio. Chiudo gli occhi. Penso alle parole di un libro.

‘’Per tutta la vita Parwana aveva accuratamente evitato di trovarsi davanti a uno specchio al fianco di sua sorella. Vedere il proprio viso accanto a quello di Masuma le toglieva ogni speranza, vedere in modo così plateale quanto le era stato negato. Ma quanto si trovavano in mezzo agli altri, gli occhi di ogni estraneo diventavano uno specchio. Non c’era via d’uscita.’’ (-E l’eco rispose.)

Era un libro di Hosseini, e in  quelle parole mi rispecchiavo. Tutti i giorni con Anne succedeva così.
La sua era una bellezza che bruciava gli occhi. Era quella ragazza che sarei voluta essere. E non riuscivo a reggere il confronto con lei. Quando uscivo era così. Gli occhi di ogni estraneo diventavano uno specchio.

Anne era quella ragazza popolare, con tanti amici. Avrebbe potuto spendere il suo tempo con persone migliori, non con me. Potrebbe avere amiche migliori, belle. Presentabili. Non come me.
Ma Anne non era la solita ragazza montata. Anne era diversa dagli altri.
Lei non giudicava. Lei ti capiva, lei era la ragazza che ti guardava in silenzio. Si, guardava dentro di te, non si fermava a quello che c’era fuori. Amavo tutti di lei, la sua pazienza. La sua simpatia, la sua dolce bellezza. Era il ritratto delle perfezione.

‘’Ally!’’.
‘’Si, arrivo. Sono pronta!’’. Urlai, soffocando le mie parole con una risatina. In pochi secondo ero pronta, davanti ad Anne.
‘’Direi che sia arrivato il momento di andare, scema.’’

‘’Si si, certo.  Scusami ’’. Con un sorriso mi invitò a spegnere la luce. Appena aperta la porta di casa, un’aria fresca mi travolse.
Ero stranamente felice e pensavo. Forse ero pronta a cambiare la mia vita. Cambiare tutto, ero pronta a dimenticare quello che era successo stamattina. Si, pronta a cambiare tutto.
Ad essere la nuova Allison.
Feci cenno ad Anne di uscire. Chiusi la porta a chiave e le infilai velocemente nelle tasche dei jeans. C’era un po’ di vento, ma faceva piacere. Presi per mano Anne e ci incamminammo.
Tenevo la testa alta e sorridevo. Si, ero pronta ad entrare in quella classe e a dimostrare a tutti che potevo cambiare.
Cambiare per me stessa.
Si, ma avevo dimenticato troppo velocemente le illusioni del mondo. 

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Capitolo 7
*** Drammi adolescenziali. ***


⌠Sì, potresti essere il più grande 
Puoi essere il migliore 
Puoi essere un king kong che batte i pugni sul petto 
Potresti sconfiggere il mondo 
Potresti vincere la guerra 
Potresti parlare a Dio, va' a bussare alla sua porta 
Puoi gettare le mani al cielo 
Puoi essere un orologio 
Puoi muovere una montagna 
Puoi fare a pezzi le rocce 
Potresti abbattere ogni distanza 
Potresti correre per chilometri 
Potresti attraversare l’inferno con un sorriso 
Potresti essere l’eroe.⌡

[-Hall of fame]

–The scritp.



‘” Potresti attraversare l’inferno con un sorriso. “

Essere un eroe, vincere la guerra, muovere una montagna, fare a pezzi le rocce. Quel testo era tutta una falsa. Si, L’unica cosa che so abbattere è me stessa, e dopo riesco ad alzarmi. L’unica cosa a cui so sorridere è la mia morte.

Come faccio a pensare queste cose? Non lo so. Continuo a camminare, con le cuffiette nelle orecchie. Guardo tutti, sorrido. Sto ascoltando quella canzone. La musica è altissima e sorrido. Ad un certo punto Anne mi da un bacio. Le do un bacio anche io. Se non fossi con lei non mi starei comportando così.

Si, sorrido. Però sto pensando a cose orribili. E’ come vedere una bella mela, che al suo interno sta marcendo.
Ci sono io. C’è la musica. Il mio mondo. Continuo a pensare a quelle parole. No, vorrei essere così,  ma non lo sono. Continuo a pensarci, continuano a frullarmi per la testa. Non riesco a scacciarle, mi perseguitano.

‘’Ally, no! Non sei così e mai lo sarai. Non sei forte, Ally, non sei forte.’’

Mi dicevo.
Quelle parole mi facevano stare male, ma anche bene. ‘’Quella strofa un giorno dovrà rappresentarmi.’’

Un giorno sarò così. Pensavo, ma i pensieri non diventano mai parole, come i sogni non diventano fatti.  Già, i pensieri  rimangono pensieri e i sogni, sogni.
Verrà un giorno in cui aprirò quel cassetto e frugherò. Frugherò fino a trovare il mio primo sogno. E se davanti a quel cassetto piangerò, mi asciugherò le lacrime. Non so se il giorno in cui lo aprirò sarò diversa, non so se sarò diventata quello che vorrei. Si, vorrei tanto che sia così.

Vedete?  Un altro sogno.

Riempirò quella cassetto, perchè è l’unico posto in cui potrò mettere anche tutto quello che penso.
Tutto quello che la mia bocca non mi ha mai fatto dire. Già, tutto quello che la bocca ha risucchiato, con dei ‘’no!’’. Precisi.  Sicuri.
In quel cassetto metterò tutto quello che non ho il coraggio di dire. Tutta la mia vita sarà li. Accumulerò pian piano tutti i pianti della gente, nella speranza che diventino risate. Metterò ogni singola lacrime, perché diventi un sorriso. Vorrei tanto che le persone non siano tristi. Quindi acchiappo pian piano ogni momento triste della loro vita, e lo faccio diventare mio.
Inutile? Si, probabilmente. A nessuno interesserà mai della mia felicità, quindi.
Sono una ragazza non cresciuta. Preferisco le favole alla realtà e non apro mai gli occhi.  Continuo a tenerli chiusi , come se stessi giocando a moscacieca. Si, e continuo a sbattere negli spigoli del mondo. Quelli della società. Continuo a calpestare gli errori altrui, per farli diventare miei.

Stupidità, si appunto. Sono una stupida bambina che della vita, a quanto pare, non ha ancora capito niente.

L’aria iniziava a scaldarsi, iniziava a fare caldo. Eccoci arrivate.

Per me, la mia classe,  è sempre stata come una discoteca.
Il luogo dove non andrei mai e poi mai. Si, dove non sarò mai me stessa.
La classe, intesa come persone, come compagni di classe, è sempre stata come un inferno per me. Si, però non riuscivo ad attraversarlo con il sorriso.
La mia classe è sempre stata motivo principale dei miei incubi la notte e delle mie occhiaie la mattina. La classe è sempre stata l’ultimo luogo dove avrei voluto passare la mia vita.
E c’entrava sempre la solita paranoica storia del cambiare.
Quella  inutile classe era diventata il motivo per non alzarsi la mattina e la voglia di avere il ciclo (o la febbre) sette giorni alla settimana.
Mi sentivo distaccata da loro, come se una barriera di dividesse da tanto tempo. Come se io fossi di colore (odio doverlo dire, odio nominare una persona uguale a noi con questo termine) e loro i bianchi.

Le mie passioni sono sempre rimaste segrete a loro, la mia visione del mondo anche. Tutto quello che girava e gira tutt’ora nella mia testa è sempre stato segreto dai pettegolezzi della gente. Se dicessi agli altri come vedo questa adolescenza mi prenderebbero per scema. Se una persona ascoltasse i miei interessi senza conoscermi mi darebbe probabilmente della secchiona. O della moralista.

La mia adolescenza non si è mai basta e non si baserà mai sul bisogno di avere un ragazzo.  Sulla depressione del “non mi vuole nessuno” o sul “non ho mai baciato nessuno”. Non c’è niente di più triste del piangersi addosso perché si dice di essere brutte o inguardabili finchè non si capisce la logica umana, almeno quella maschile.

Abbastanza volgare.

Ogni donna in questo mondo è perfetta, e mentre molte ragazze piangono per un ragazzo senza sentimenti, che della vita non ha ancora capito nulla, altre ragazze soffrono per davvero. Ma non qui, nella società delle bambine con i tablet a dieci anni, ma li. Nel Terzo Mondo. Quello che noi vediamo con gli occhi chiusi, come se avessimo una benda.

Ora, con tutto questo, non voglio dire che l’amore mi sta antipatico, o che in questo non vedo la sola traccia di felicità, specialmente in questi tempi. Dove l’amore si vende e si compara, dove essere fidanzati diventa una convenzione, un modo per non essere diversi dagli altri. Con tutto questo voglio sottolineare la stupidità di tutte quelle ragazze che si sentono brutte.

Come me. Mi sto sottolineando.
Ogni ragazza, per me è molto difficile crederci, è bella in tutto. Anche in quel chilo in più e in quel sorriso con l’apparecchio. Ogni ragazza, per me, rimane perfetta. E se c’è qualcosa che ho imparato in tutto questo tempo, soprattutto dopo l’episodio di stamattina, quello con il ragazzo dagli occhi verdi, è che al cervello e ai ragionamenti dei maschi, non bisogna proprio badarci. Si, perché così ci possiamo solo indebolire per ogni loro risata.

Per questo ho deciso di camminare a testa alta, per non badare a loro. Perché non sono inferiore agli altri, come ogni altra ragazza.
L’amore, per chi lo vive, e da quanto mi è stato detto, è una cosa bella. Bella è brutta.
Spero sia così.

Un giorno troverò anche io la chiave della coerenza.

Anne suona il campanello e la bidella, pian piano, apre la porta e ci fa entrare. ‘’Buongiorno!’’ dico, con un sorriso a trentadue denti.
Mi guarda stupita.
Dopo qualche secondo di silenzio imbarazzato mi risponde. ‘’Buongiorno a lei, signorina Smith”.
Anne mi guarda, e con gli occhi è come se volesse dirmi ‘’Sono fiera di te.’’
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Il futuro. ***


“And I can’t change,
even if I tried,
even if I wanted to,
my love, my love, my love.”


Il precario equilibrio, formato con pazienza e con tanto tempo, della mia famiglia era tanto difficile da costruire quanto era facile da distruggere.

Si trattava di brevi periodi di calma assoluta. Una calma tesa. Trovavamo facilmente piccoli pretesi per litigare. L’acqua rimasta fuori dal frigo, il gas ancora acceso o la tovaglia da ripiegare. Bastavano piccole disattenzioni o risposte sbagliate per far scatenare l’inferno.
È andata avanti così per anni, anni passati in silenzio. Nascosti dal mondo, da quello che c’era fuori dalla casa. Non cenavo quasi mai. Mi limitavo ad andare in camera mia e ad ascoltare le urla, aspettando pazientemente che tutto tacesse. Alcune volte servivano ore e ore.
È quando ricordo questi momenti, quando rifletto su quelle lunghe notti passate rinchiusa in camera, che mi accorgo di quanto la musica abbia fatto per me. Quanto la musica che  può sembrare abbia il solo scopo di far divertire la gente, di intrattenerla, in realtà sia riuscita a farmi sorridere, a farmi sentire accettata.
La musica non sono solo delle note, la musica non è una melodia. La musica va oltre i pregiudizi, la musica c’è sempre, la musica forse non può salvarti, ma può farti sorridere. E cosa possiamo regalare al mondo più bello di un sorriso?
Rimprovero il fatto che cambio argomento spesso, e lascio alcuni pezzi in sospeso. Come se non dovessero finire.
Ma questi sono i miei pensieri, non seguono schemi o altro.
Devo davvero tanto alla musica. Fa parte di me, è dentro di me e senza lei sarei diversa. E ringraziarla può sembrare stupido e insignificante. Può sembrare stupido per chi non ha mai sofferto per davvero. Stupido per chi riesce ad andare avanti anche senza di lei. Eppure tutti i giorni metto le cuffiette alle orecchie e osservo il mondo. Ascoltando ogni singola nota,  con attenzione, come se fosse un regalo prezioso. Osservo il mondo come se fosse un film. Come se con un “stop, rigiriamo la scena” questo di fermasse per ripetere le stesse azioni.
Illusioni.

Continue e inutili illusioni.

Figuriamoci se il mondo riesce a fermarsi. In questi tempi, dove tutti vanno di fretta. Figuriamoci se qualcuno ha il coraggio di chiederti ‘’Ehi, ti va di fare quattro chicchere?”
Il mondo è più veloce di noi. Sembra che stia scappando da qualcosa. Da qualcosa, ma non si sa cosa. Sembra che il mondo abbia paura di essere superato, paura di essere cambiato.
Il cambiamento.
Cambiare, modificare le abitudini è difficile.
Cambiare è quasi impossibile al giorno d’oggi.
La continua paura di ciò che è diverso. La paura di essere peggiori di qualcosa che è migliore.
E’ come una gara infinita, una corsa senza fine, dove non vince nessuna.
Abbiamo paura di essere distrutti, paura di cadere, paura di rialzarsi. Paura di sbagliare.
Ma perché avere paura? Paura di cambiare? Paura di dover iniziare tutto, di nuovo. Facciamo tanto la figura dei coraggiosi, quelli che vanno sulla luna. Quelli che hanno scalato il Monte Everest, quelli dei record mondiali. E poi ci feriamo davanti a ogni ostacolo. E ogni volta che ci fermiamo davanti mostriamo le nostre debolezze. Nessuna corazza è indistruttibile, nessuno sorriso falso nasconde la vera tristezza. Nessun ‘’sono qui, con te ’’ ti farà sentire protetto. Così come niente ti farà sentire te stesso. Il mondo è così:o segui le mode e fai le cose che fanno gli altri, o non servi a niente. Veniamo etichettati per una marca di scarpe. Siamo pedine di una società basata sull’apparenza.  L’amore è diventato uno semplice scambio di ‘’mi piace’’. E l’amicizia si fonda su degli stati. ‘’Ti voglio bene” è una frase usata a caso. Adesso tutto è freddo e inutile. O forse solo io la penso così. La vita perde gli scopi per essere vissuta. Adesso è tutta apparenza. Privati dei valori fondamentali, giochiamo con i sentimenti di tutti, lottiamo per niente.

E pensare che il futuro è nelle mie mani.  Io, che urlo “Mondo cambia!” ma che per cambiarlo non faccio niente.
E pensare che il futuro è anche nelle mie mani.
Io che faccio la vittima, io che non ho mai trovato motivazioni per cambiarmi per davvero.

Pensare che il futuro appartiene ai giovani d’oggi.  Quelli delle relazioni a distanza, quelli che fumano a soli dodici anni, o meglio che usano la sigaretta elettronica a dodici anni per smettere di fumare. Quelli che fanno distinzioni di razza, come se la parola ‘’razza’’ si possa utilizzare per gli esseri umani. Il futuro è nelle mani dei ragazzi che classificano i propri compagni in ‘’sfigati’’ e “fighi’’. I ragazzi che prendono in giro chi ha dei sogni, chi crede ancora in qualcosa di migliore. I ragazzi che usano la frase ‘’Ti amo ’’  senza accorgersene, quelli che ti illudono con un ‘’per sempre’’ e che io giorno dopo ti lasciano con un messaggio “Non ero felice con te”.  Quelli che definiscono i ‘’gay’’ diversi, che usano la parola ‘’frocio’’ per insultare. Si, il futuro è nelle mani di molti di questi ragazzi. Quelli che si credono duri mentre stanno morendo dentro.  
Il futuro crederà nel ‘’i soldi fanno la felicità’’ mentre questi ti fanno ricco fuori e vuoto dentro.
E non andremo bene se saremo troppo grassi o troppo magri. I grassi sono falliti e i magri strani. In poche parole sono diversi.
Infine, questo maledetto futuro, è anche nostro. Noi possiamo cambiare, noi dobbiamo cambiare. Fin quando non cambiamo noi, niente cambia.
Basta smettere di apparire quello che non siamo.
Ma il mondo andrò sempre troppo veloce per soffermarsi su queste stupide parole, che rimarranno per sempre stupide parole su uno stupido foglio di carta.
Sperando che un giorno riusciremo a capire che il problema siamo noi, e non la società (anche perché la società siamo noi) cammino per i corridoi della scuola, dopo aver fieramente salutato la bidella con un ‘’Buongiorno!’’ allegro.
Ripenso all’equilibrio precario di quella che è stata la mia famiglia e penso che non tutte le parole diventano realtà. Che tutti i miei pensieri non diventano realtà.  Infatti la mia famiglia avrebbe potuto cambiare.
Ma è stato troppo difficile.
Eppure il passato rimane passato.

Adesso cammino, allegra. Felice del mio passato, che mi ha insegnato tutto della vita.  

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