Le Ragioni Del Cuore di Will Turner (/viewuser.php?uid=71077)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo + 1. Un Piacevole... Scontro ***
Capitolo 2: *** 2. Tra Sorprese Inaspettate E Pessime Figure ***
Capitolo 3: *** 3. Faith ***
Capitolo 4: *** 4. Come Una Cosa Sola ***
Capitolo 5: *** 5. Per Sempre ***
Capitolo 6: *** 6. Festa Di Capodanno ***
Capitolo 7: *** 7. Un Doloroso Ricordo ***
Capitolo 8: *** 8. Fiducia ***
Capitolo 9: *** 9. Neve Su Los Angeles ***
Capitolo 10: *** 10. Promessa ***
Capitolo 11: *** 11. Un'Amara Scoperta ***
Capitolo 12: *** 12. La Spiaggia Dei Desideri ***
Capitolo 13: *** 13. L'Ora Della Verità ***
Capitolo 14: *** 14. Una Vera Occasione ***
Capitolo 15: *** 15. Scelte Difficili ***
Capitolo 16: *** 16. Rivelazioni ***
Capitolo 17: *** 17. Sogno O Realtà ***
Capitolo 18: *** 18. Sensi Di Colpa ***
Capitolo 19: *** 19. Segreti E Bugie ***
Capitolo 20: *** 20. Una Vecchia Conoscenza ***
Capitolo 21: *** 21. L'Ultima Sera ***
Capitolo 22: *** 22. Aria Di Tempesta ***
Capitolo 23: *** 23. Addio Max ***
Capitolo 24: *** 24. La Fine Di Un Giorno Da Non Rivivere ***
Capitolo 25: *** 25. Dimenticare (Parte Prima) ***
Capitolo 26: *** 26. Dimenticare (Parte Seconda) ***
Capitolo 27: *** 27. L'Invito ***
Capitolo 28: *** 28. Andare Avanti ***
Capitolo 29: *** 29. Ricordi E Parole Sull'Oceano ***
Capitolo 30: *** 30. Il Messaggio ***
Capitolo 31: *** 31. Perdonare E Dimenticare ***
Capitolo 32: *** 32. Fantasmi ***
Capitolo 33: *** 33. Ritrovarsi ***
Capitolo 34: *** 34. La Decisione Di Zia Becky ***
Capitolo 35: *** 35. Pensare Con Il Cuore ***
Capitolo 36: *** 36. Un Giorno Migliore ***
Capitolo 37: *** 37. A New Day Has Come ***
Capitolo 38: *** 38. Un Regalo Speciale ***
Capitolo 39: *** 39. La Cosa più Bella ***
Capitolo 40: *** 40. Nuove Svolte ***
Capitolo 41: *** 41. Il Bacio ***
Capitolo 42: *** 42. Fotografie Di Momenti ***
Capitolo 43: *** 43. Come Una Foglia D'Autunno ***
Capitolo 44: *** 44. Memorie ***
Capitolo 45: *** 45. Tempo Di Scegliere - Parte Prima ***
Capitolo 46: *** 46. Tempo Di Scegliere - Parte Seconda ***
Capitolo 47: *** 47. Tempo Di Scegliere - Parte Terza ***
Capitolo 48: *** 48. Crescere ***
Capitolo 49: *** 49. Destino ***
Capitolo 50: *** 50. Miracolo Di Natale ***
Capitolo 51: *** 51. Un Anno Dopo ***
Capitolo 52: *** 52. Notte Infinita - Parte Prima ***
Capitolo 53: *** 53. Notte Infinita - Parte Seconda 54. Le Ragioni Del Cuore + Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo + 1. Un Piacevole... Scontro ***
P ROLOGO
Era là, davanti all’altare, accanto
all’uomo che stava per diventare suo marito, quando fu presa
dall’incertezza. Stava facendo la cosa giusta? La paura di
commettere un errore l’assalì improvvisamente.
Un dubbio comune a tutte le donne che stanno per sposarsi, ma,
diversamente dalle altre, che nonostante tutto, sanno per certo nel
più profondo del loro cuore che stanno per fare la cosa
giusta, Faith si rese conto che era completamente sbagliato.
La persona al suo fianco non era la stessa che avrebbe voluto sposare
tanto tempo prima. Come aveva potuto ingannare il suo cuore fino a quel
punto? Cose di quel genere accadevano solo nei film oppure nei libri,
pensò d'un tratto. Ma in quel momento c’era in
gioco la sua vita e la realtà che la rendeva tale.
Lui era un bravo ragazzo, certo, e, malgrado i suoi errori, lo aveva
perdonato. Gli voleva un gran bene, ma non lo amava più come
lo aveva amato un tempo.
Aveva la certezza che sarebbe riuscita a dire sì senza
lasciarsi travolgere dai sensi di colpa che l’attanagliavano
da alcuni giorni.
Il ragazzo al suo fianco la guardava con gli occhi pieni
d’amore ma, allo stesso tempo, carichi di una profonda
amarezza; le parve che anche lui avesse intuito i suoi pensieri e se ne
vergognò.
Quando il pastore chiese all’uomo se voleva prendere Faith
Harrington come sua sposa, lui strinse le mani della ragazza e con i
suoi occhi verdi la fissò per qualche istante.
- No. Non posso.-
Sotto le espressioni sbigottite dei presenti, Faith non
replicò, in quanto si riteneva priva di ogni diritto di
farlo.
- Io ti amo
più della mia stessa vita, Faith, ma non posso sposarti. Non
è giusto, mi dispiace.- Si scusò il ragazzo.
Poi le lasciò dolcemente le mani, attraversò a
testa china la navata centrale della chiesa, ornata di nastri di raso
bianco e gigli profumati, ed uscì.
Adesso lei era là, davanti all’altare, sola.
Ancora una volta nella sua vita.
1.
U N
PIACEVOLE… SCONTRO
New York, 18 dicembre 1997
Nonostante quell’anno l’inverno si fosse fatto
sentire con qualche giorno d’anticipo, il cielo grigio e
nuvoloso del primo pomeriggio che ricopriva la città si
ostinava a non lasciar cadere neppure un fiocco di neve.
La gente era indaffarata ad acquistare i consueti regali di Natale e la
frenesia e il disordine erano ormai diventati una caratteristica
abituale di New York, che si ripresentava puntuale nel mese di dicembre.
Le insegne luminose dei grandi magazzini si imponevano sulle strade,
mentre palazzi, grattacieli, bar e ristoranti erano stati addobbati
abbondantemente. Era praticamente impossibile non lasciarsi coinvolgere
dal quel clima di festa al quale tutti erano allegramente abituati.
Anche nel Rockfeller Center le migliaia di luci colorate che
avvolgevano il gigantesco abete suscitavano contemporaneamente gioia e
stupore soltanto a guardarle. Un folto gruppo di lavoratori vestiti di
arancione si stava impegnando nell'allestimento di un palco proprio ai
piedi dell'albero, in vista dell'annuale concerto di Natale tenuto dai
cantanti più in voga del momento.
Ovviamente lungo le numerose Avenues non mancavano interminabili code
di automobili e furgoncini, sempre pronti a suonare insistentemente il
clacson anche quando non ce n’era assolutamente motivo.
- Dove desidera essere
accompagnato, signore?- Chiese il tassista con una certa indifferenza
ed in modo automatico.
- Mi porti al
Roosevelt Hotel, grazie.- Rispose prontamente Max Warren dai sedili
posteriori dell’auto che lo aveva portato dall'aeroporto
Kennedy al centro della città.
Il Roosevelt era un hotel situato nella Midtown Manhattan, dalla quale
erano facilmente raggiungibili il Broadway District, Central Park e la
celebre 5th Avenue, la Quinta Strada, regno dello shopping a New York.
Giunti innanzi al maestoso ingresso, Max estrasse una banconota da
cinquanta dollari da una tasca del suo cappotto gessato e la porse
gentilmente al tassista.
- Li tenga tutti!-
Esclamò sorridendo e dandogli una leggera pacca sulla spalla
- È Natale anche per lei!-
- Che Dio la benedica,
signore! Buon Natale!- Esultò entusiasta il tassista.
Max afferrò la sua valigia e scese dal taxi. Rimase attonito
ammirando la facciata dell’hotel in cui avrebbe alloggiato
per qualche giorno per motivi di lavoro.
Un lungo tappeto rosso conduceva nell’elegante hall,
facilmente visibile attraverso le vetrate rallegrate da rametti di
pino, vischio e da decine di piccole luci bianche.
Gli tornarono in mente le feste natalizie della sua infanzia, trascorse
a scartare regali e a costruire bizzarri pupazzi di neve nel giardino
della sua casa a Lakewood, un piccolo paese dell’Ohio
affacciato sul lago Erie.
A tredici anni, dopo la scuola, Max imparò a lavorare
nell’officina meccanica del padre.
In quel periodo gli
affari andavano alla grande, finché il padre morì
e la madre, entrata in un profondo stato depressivo, si
trovò ben presto a dover prendere l’infelice
decisione di vendere l’attività del marito per
poter garantire a lei e al figlio un futuro economico dignitoso.
Dopo alcuni anni un amico di famiglia offrì a Max
un’occasione irripetibile: un lavoro per una nota
società di New Orleans. Il ragazzo accettò
l’offerta senza pensarci due volte, deciso a dare una
radicale svolta alla sua vita. Gli dispiacque molto lasciare sua madre,
ma si convinse che non avrebbe potuto continuare a vivere nel passato.
Così, terminata l’estate del 1990,
partì alla volta della Louisiana.
Non furono anni facili, ma la sua buona volontà e il
costante ricordo del padre e dei suoi consigli gli diedero la forza di
non arrendersi mai e di continuare a lottare contro ogni
avversità.
Ed ora, dopo sette anni, era davanti ad uno degli hotel più
rinomati della città: il suo capo lo aveva infatti
incaricato di concludere un’importante e delicato affare
proprio nella Grande Mela.
Mentre era completamente assorto nei suoi ricordi, il ragazzo venne
improvvisamente travolto da una vera montagna di regali vagante.
- Mi scusi! Oh mio
Dio! Che sbadata, accidenti! Perdoni la mia distrazione, signore,
ma…-
Il viso della giovane ragazza, che stava correndo lungo il marciapiede
con una dozzina di pacchetti di varie dimensioni e colori,
diventò di un simpatico rosso porpora per
l’imbarazzo causato dalla situazione.
- Non fa niente, si
figuri. Stia tranquilla.- La rassicurò Max che, rialzandosi
da terra, riuscì a guardare negli occhi la sua distratta
attentatrice.
I loro sguardi si incontrarono ed entrambi avvertirono un brivido
improvviso che li pervase, come un'energica scossa elettrica. Nessun
pensiero li sfiorò minimamente se non quello
dell'inaspettata sensazione di benessere nel trovarsi l’uno
di fronte all’altra.
Nel frattempo
un’anziana donna dall'aspetto piuttosto trasandato, che
camminava a passo spedito tra la gente, si ritrovò
intrappolata tra Max e la ragazza.
Concludendo che nessuno dei due si sarebbe scostato per lasciarla
passare, si portò le mani sui fianchi e,
dall’alto del suo metro e cinquanta, fece scorrere uno
sguardo curioso dapprima su Max, poi sulla ragazza, poi di nuovo su
Max.
- Avete intenzione di
restare qui impalati ancora per molto a guardarvi con quelle ridicole
facce?- Chiese la donna spazientita.
Inevitabilmente i due giovani si accorsero della sua presenza e si
allontanarono l’uno dall’altra, consentendole di
passare.
Ma un frettoloso passante urtò la ragazza spingendola
nuovamente tra le braccia di Max, e la vecchia si ritrovò,
suo malgrado, di nuovo in mezzo.
- Questa è
la seconda volta nell’arco di tre minuti che mi travolge,
signorina. So di essere particolarmente attraente, ma non crede sia
giunto il momento di dirmi almeno come si chiama?-
- Avanti!- Intervenne
l’anziana, scocciata - Dica il suo nome e facciamola finita
con questa assurda sceneggiata!-
- Perché
lei non si decide a chiudere quella pantofola e se ne va per la sua
strada?- Domandò calma e decisa la ragazza.
Max la guardò stupito e poi rivolse un sorriso di disappunto
alla vecchia.
- Ah sì?-
Rispose l'anziana - E dove dovrei andare, bambinetta presuntuosa?-
- Beh - Intervenne Max
- Io credo che lei dovrebbe andarsene cortesemente per i fatti suoi,
magari a ricamare un’orrenda sciarpa davanti al camino, come
dovrebbero fare tutte le arpie come lei… senza offesa.-
La donna, inorridita da quella risposta, contrasse le labbra e, mentre
i due giovani si guardavano negli occhi scoppiando a ridere,
ripartì spedita verso la sua meta.
- Farabutti!-
Continuava ad urlare, agitando per aria un ombrello e calcandosi in
testa il berretto blu dal quale faceva capolino una buffa penna di
pavone.
- Bella mossa.- Si
complimentò la ragazza.
- Altrettanto,
signorina. Ad ogni modo… io sono Max. Max Warren.-
- Il mio nome
è Faith.- Rispose porgendogli la mano - Scusa per il
disastro che ho combinato poco fa. Io…-
- Non ti preoccupare,
davvero. Ti aiuto a raccogliere la tua vagonata di pacchi!-
- Ehi! Non fare lo
spiritoso!- Lo minacciò Faith, puntandogli un dito e
tentando inutilmente di nascondere un sorriso.
- Altrimenti?- Le
chiese Max, fingendosi terrorizzato.
Faith rimase stregata dallo sguardo profondo del ragazzo che aveva
davanti. I suoi occhi, di un verde acqua così intenso, che
le sembrava di aver visto soltanto una volta, in un innocente sogno
fatto molto tempo prima, irradiavano una sincerità
così evidente che non era mai riuscita ad intravedere in
altre persone, o, almeno, non in uno sconosciuto.
Trovò che fosse anche di bell'aspetto, senza dubbio:
piuttosto alto, accuratamente abbigliato e con i capelli scuri
perfettamente in ordine, sembrava lo sponsor del marchio di un famoso
stilista.
- Altrimenti io
potrei… potrei…- Balbettò Faith,
perdendo l'uso della parola.
- Uccidermi?-
Azzardò Max.
- Sì!
Cioè… No. Che dici? No di certo. Ma potrei
farlo… Anche perché al momento non mi viene in
mente nessun’altra minaccia.- Si rassegnò la
ragazza. - Senti Max, io adesso devo proprio andare al
lavoro.- Mentì.
- Beh, io
alloggerò in questo hotel per qualche giorno,
perciò sai dove trovarmi, se ti va di scambiare qualche
chiacchiera o di bere qualcosa.- Replicò lui.
- Tanti auguri di buon
Natale, Max. Ciao!-
Dopo aver raccolto l’ultimo regalo, Faith gli diede un bacio
sulla guancia e se ne andò frettolosamente, scomparendo
inghiottita dalla folla.
“Che
stupida!” Pensava mentre correva via.
Max, con un’espressione attonita, guardò il cielo
ed esclamò: - Che stupido!-
La hall del Roosevelt si presentava come una grande sala dalla forma
circolare.
Dal soffitto eleganti lampadari di cristallo la illuminavano a giorno e
davano la sensazione del lusso più sfrenato. Al centro del
salone, tra due alte colonne di portoro, un marmo nero con le
caratteristiche venature giallo dorate, vi era collocata la reception,
mentre tutto il pavimento era coperto da una moquette di probabile
provenienza orientale, che dava particolarmente risalto al rosso e al
nero.
Max si avvicinò alla reception, dove fu accolto
calorosamente da un uomo massiccio con barba e baffi ben curati e una
giacca rossa con i bottoni dorati che, come la classica cravatta verde,
recavano l’emblema dell’albergo, la lettera R.
- Benvenuto al
Roosevelt Hotel, signore. In cosa posso esserle utile?- Chiese
garbatamente.
- Buonasera,
signor… Mc Kingley.- Rispose Max, leggendo il nome sulla
targhetta che l'uomo portava sull’uniforme. - Ho una stanza
prenotata al nome di Warren.-
- Controllo
immediatamente la lista delle prenotazioni.-
Il concierge sfogliò velocemente un’agenda e
verificò sul suo computer.
- MAX WARREN, eccolo
qui. Se non erro lei soggiornerà in hotel fino a
lunedì 22 dicembre.-
Max annuì.
- Perfetto!-
Esclamò l’uomo - Come intende effettuare il
pagamento?-
- Carta di credito.-
- Bene. Intanto ecco a
lei la chiave della sua stanza. La informo che al mattino la colazione
viene servita a partire dalle nove. Se lo desidera la informo che si
effettua anche il servizio in camera. La prego di rivolgersi a me per
eventuali lamentele o ulteriori necessità. Le auguro
un’ottima permanenza.-
- La ringrazio, Mc
Kingley.-
Max prese la chiave e la sua carta di credito e si avviò
verso l’ascensore. La 984 era situata in uno degli ultimi
piani dell’hotel.
La corsa dell’ascensore si fermò un paio di volte,
che videro comparire due tipi piuttosto bizzarri.
Il primo era un uomo calvo di mezz’età, che stava
litigando con qualcuno al cellulare, probabilmente la moglie,
ipotizzò Max. Ciò che rendeva ridicolo
quell’uomo non era tanto il fatto che stesse litigando, ma
che, sopra la giacca nera, indossava una camicia hawaiana: decisamente
un pugno in un occhio se si teneva conto dell’ambiente
circostante. Sembrava appena uscito da una di quelle simpatiche
festicciole d’ufficio. Erano da poco passate le due del
pomeriggio, ma era risaputo che quel genere di feste andavano di moda a
qualsiasi ora del giorno.
Max guardò incuriosito quell’uomo facendo
attenzione a non farsi notare, poi accennò un sorriso, ma
cercò di trattenersi, nonostante la vista di quel tipo, che
sbraitava e agitava velocemente braccia e gambe, fosse davvero una
comica originale.
Arrivati al terzo piano l’ascensore si bloccò di
nuovo.
Entrò una donna sui settant’anni, dai capelli
color platino, occhialoni da sole anni Sessanta abbinati ad un abitino
vintage dai colori sgargianti, che portava con sé un
Chihuahua all’interno della sua piccola borsa firmata. Allora
non era molto diffusa la moda del cane nella borsetta: si trattava di
un privilegio tipico delle persone facoltose e snob, che alla gente
comune suscitava soltanto una risata a fior di labbra.
Tuttavia Max riuscì a trattenere un sorriso guardando
altrove.
Giunto al nono piano il ragazzo scese dall’ascensore e, con
lui, anche la donna con il Chihuahua, che sparì voltando
velocemente l'angolo.
- 980…
982… Eccola qua: 984.-
Entrò nella stanza, si tolse il cappotto e si
sdraiò sul letto a due piazze, dove si appisolò,
stanco del viaggio in aereo.
Mentre si allontanava, Faith non faceva che ripensare al suo bellissimo
incidente, quando ad un tratto lo squillo del suo cellulare la
riportò con i piedi per terra. Eseguì mille
acrobazie nel tentativo di rispondere a quel dannato arnese che suonava
senza sosta, ma con tutti i regali che teneva tra le mani le veniva
impossibile.
Perciò decise di fermarsi e sistemarli sopra il tettuccio di
una macchina in sosta.
- Holly! Siamo in
vacanza da meno di quindici ore e tu già non riesci a
restare da sola in una camera d’albergo! Che hai combinato
stavolta?-
Holly era la migliore amica, nonché collega di lavoro, che
Faith aveva portato in vacanza a New York.
- FAITH!!!-
Urlò Holly disperata all’altro capo della linea. -
CORRI SUBITO IN ALBERGO! HO COMBINATO UN DISASTRO CON I CAPELLI!!!
TELETRASPORTATI QUI IMMEDIATAMENTE!-
Faith allontanò il cellulare perché Holly
continuava a gridare come una povera pazza, facendole fischiare
l'orecchio.
La lasciò disperare ancora per qualche minuto, poi
riattaccò e ripartì di gran carriera.
Arrivata in hotel, la trovò che circolava istericamente per
la stanza coperta soltanto da un asciugamano.
I suoi poveri capelli castani erano devastati da una vistosa chiazza
gialla che li rendeva tutti appiccicosi ed opachi.
- Holly!
Ma… Ma che hai fatto ai capelli?- Le domandò
stupita.
- Volevo farmi
completamente bionda, ma Dio solo sa cos’ho combinato con
queste maledette tinte fai-da-te!-
- Sembra che tu sia
andata a farti bionda sul sole!- Faith stava scoppiando dal ridere.
- Non fare battute
sceme, Faith! E adesso cosa faccio, Dio mio! Cosa faccio?- Holly
andò in escandescenza.
- Mi avevi detto che
avresti dormito un po’ e non che ti saresti tinta i capelli!
E poi, con tutte le tonalità di biondo esistenti, proprio
quella dovevi provare?-
Holly sbuffò - Brava! Ridi di me! Divertiti pure!-
Faith si sentiva male a furia di ridere ed era impossibile fermarla.
- Adesso tu ti metti
un cappello qualunque e vieni con me!- Le ordinò.
- Dove hai intenzione
di portarmi conciata così, Faith?- Le chiese Holly, timorosa.
- A Times Square.
Magari ci sarà qualche rete televisiva nazionale che si
occuperà del tuo caso.-
Holly sgranò gli occhi.
- Andiamo, combina
guai!- La tranquillizzò Faith - So io dove portarti.-
Le due ragazze si erano conosciute alle scuole elementari e quello era
il primo anno che riuscivano ad andare in vacanza insieme, dopo tanto
che lo desideravano.
Faith era già stata a New York per qualche mese, svolgendo
uno stage previsto dal suo lavoro. Entrambe lavoravano come stiliste in
una nota casa di moda di Santa Monica, a pochi passi da Los Angeles e,
avendo appena ottenuto una promozione, avevano deciso di festeggiare
insieme il Natale a Manhattan.
- A proposito!- Si
ricordò Holly - Non ho potuto fare a meno di notare che
alcuni regali che hai portato in camera poco fa sono leggermente
ammaccati. Cos’hai fatto? Non sarai caduta?-
- No… Me li
hanno incartati così.- Rispose Faith, cercando di essere il
più convincente possibile.
- Sicura Faith? Io ti
credo, ma non c’è bisogno di arrossire come stai
facendo adesso.-
- Ma cosa stai dicendo
Holly? Io non arrossisco! Dai continua a camminare o arriveremo tardi.-
Holly si bloccò di colpo e con una mano fermò
anche lei.
- FAITH!-
Esclamò allarmata - Devi chiamare subito la polizia!-
- Ma
perché? Quale polizia?- Domandò sconcertata
l’amica.
- È chiaro
che sei stata aggredita da un ladro, un assassino!-
Faith scoppiò in una risata.
- Holly, tu sei pazza,
lo sai vero? Stai scatenando inutilmente demoni più grandi
di te senza nemmeno rendertene conto!-
- Faith, i regali non
s’incartano in quel modo! Forse i Flintstones li incartavano
così nell’era preistorica!-
- Ok, Holly, stai
calma! Ti spiegherò tutto lì dentro.- La
rassicurò Faith, indicandole con un cenno il salone di un
parrucchiere.
- Hai ragione, si
discute meglio davanti ad un buon hamburger, magari con maionese,
funghetti, capperi, salsiccia. E poi ancora…-
- Holly!- La
interruppe Faith, alzando gli occhi al cielo - Questo non è
un fast-food, ma il rimedio per i tuoi capelli.-
Holly lesse con più attenzione l’insegna posta
sopra all’entrata e rise sonoramente.
- Cosa farei senza di
te, Faith?- Cantilenò.
- Di certo non la
parrucchiera!- Replicò Faith con ironia.
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Capitolo 2 *** 2. Tra Sorprese Inaspettate E Pessime Figure ***
R ISPOSTA ALLE RECENSIONI
Innanzitutto
intendo ringraziare pubblicamente quanti hanno recensito questo primo
capitolo
del romanzo che sto tutt'ora scrivendo. Ammetto che senza il vostro
aiuto, per
me come il carburante che fa funzionare il motore, non so nemmeno se
avrei
iniziato a pubblicare, perciò... GRAZIEEEEEEEEE! Spero che continuerete
a leggere, consigliarmi e sostenermi nei prossimi mesi e nei prossimi
capitoli!
In
secondo
luogo desidero rispondere ad ogni recensione, in quanto credo che possa
fare
piacere al lettore.
Comincerò
con
l'ultima recensione pubblicata.
Akane25!
Non sai quanto ho atteso una tua recensione. Mi è piaciuta
molto e riceverla da
te, che sei una scrittrice ormai affermata in questo sito, mi ha dato
immenso
piacere.
Ahimè,
però,
questo personaggio da me descritto nel romanzo sembra far colpo su
diverse
femmine, tra cui tu, Rox. La faida tra te ed un'altra recensitrice,
della quale
parlerò più sotto, sembra ufficialmente aperta.
Sappi che per conquistare Max
Warren dovrai fare molto.
Ma
attenzione!!
Non
è
ammesso in questa caccia al maschio sparlare delle concorrenti
raccontando
bugie o facendole apparire menomate mentali. Ma questo messaggio lo
specificherò anche alle concorrenti.
Mi
raccomando, Rox, esigo da te rispetto e perseveranza,
qualità che credo tu
possegga dalla nascita... VERO???
Allora...
alla prossima, Amica mia!
Mozzi84!!!
La mia Beta! Colei che mi supporta e mi sopporta, severa al punto
giusto e
puntuale: senza di lei ogni scrittore che si rispetti sarebbe perso. Ci
sarebbero pagine da scrivere, ma credo che sarebbe meglio dividere le
tante
cose da dire lungo il corso della storia.
La
tua
recensione è impeccabile, questo basta per descriverla e per
ringraziarti!
Ti
voglio
molto bene!
Layla
Elric! La
nuova scoperta, in quanto conosco le altre recensitrici, che mi
fa l'onore di recensire il romanzo... GRAZIE MILLE, confido in altre tue
recensioni così! Spero che la storia ti piaccia sempre di
più man mano che
procederò con la pubblicazione! La mia risposta è
breve, ma saprò fare di
meglio, vedrai!
A
presto!!
Ed infine,
per ultima ma non ultima, la mia PRIMA recensitrice ufficiale! Grande
Ola per
lei!!
Saty!!!
Che dire? Fa sempre una certa impressione la prima recensione! Abbiamo
avuto
modo di parlare in privato e abbiamo stabilito che la sua seconda
recensione mi
stupirà, molto più della prima, vero??
Ti
prego: non
piantarmi in asso così! Quando l'ho letta credevo ci fosse
dell'altro, ma è
tutto ok. Ormai mi hai già detto cosa ne pensi e il tuo
giudizio, ovviamente,
mi lusinga moltissimo. Il tuo appoggio, la tua costanza, la tua
puntualità sono
per me una piacevole abitudine!
Tuttavia
ti
consiglio di leggere, ma già lo avrai fatto, la parte in cui
dico di rispettare
le regole, nel “capitolo“ Akane25, per una faida
che si rispetti!
A
te e a lei,
quali adepte in corsa per ottenere il signor Warren, vi auguro
vivamente BUONA
FORTUNA e
che vinca la migliore!
A
presto,
baci!
COMUNICO
CHE LA PUBBLICAZIONE DEL CAPITOLO “3. FAITH”
AVVERRA' SABATO 2 GENNAIO 2010.
COLGO
L'OCCASIONE PER AUGURARE BUONE FESTE A TUTTI VOI E UNA BUONA LETTURA!!
A
PRESTO,
MARCO
2.
T
RA
SORPRESE INASPETTATE E PESSIME FIGURE
Erano le
quasi le cinque
quando il telefono della
camera di Max iniziò a squillare, svegliandolo.
Con gli occhi
ancora chiusi allungò una mano per afferrare
l’apparecchio appeso alla parete,
dietro ad una di quelle lampade in stile anni Cinquanta.
Dalla
reception lo avvisarono che una persona desiderava incontrarlo.
- La faccia salire, grazie.-
Acconsentì Max.
Qualche minuto
dopo si sentì bussare alla porta della sua stanza.
- POLIZIA DI STATO! LE ORDINO DI
APRIRE QUESTA PORTA O SAREMO COSTRETTI A SFONDARLA!-
Dichiarò un uomo dalla
voce possente, ma che a Max sembrava tanto familiare.
Il ragazzo si
alzò in piedi, sistemandosi velocemente la camicia, con un
sorriso stampato sul
viso: sapeva esattamente chi c'era dietro la porta.
Infatti, non
appena la aprì, si trovò davanti…
- Il tuo vecchio, caro cugino
Chris è passato a farti una visita!-
Max era
davvero felice di rivedere il suo compagno di giochi
d’infanzia: per lui
rappresentava una specie di fratello maggiore, anche se aveva soltanto
due anni
in più.
Insieme
avevano condiviso indimenticabili momenti, belli e brutti. Poi, in
seguito al
suo trasferimento a New York, i loro contatti erano diventati sempre
più rari,
quasi sino a scomparire.
Il padre di
Max era suo zio e, alla sua morte, le rispettive famiglie si erano
ritrovate in
contrasto riguardo la vendita dell’officina meccanica.
Così troncarono
completamente i rapporti fino a quando Chris non si era rifatto vivo a
Lakewood
per cercare di sistemare le cose.
In quel
periodo Max lavorava già a New Orleans e si sentivano di
tanto in tanto
telefonicamente.
- Sono contento di rivederti,
Max! - Esclamò Chris entrando in camera.
Era un
ragazzone piuttosto alto e robusto, e quel giorno indossava un maglione
nero
con un paio di jeans slavati e leggermente strappati sulle ginocchia.
Aveva gli
occhi verdi, non proprio come quelli del cugino, ma più
tendenti al castano, e
i capelli corti scuri.
- Dì un po’...- Max lo mise
in
guardia, frenando il suo entusiasmo e facendosi serio - Hai bisogno di
soldi?-
Chris
strabuzzò gli occhi, incredulo di aver udito quelle parole.
- Andiamo! - Gongolò Max - Sto
scherzando! Fatti abbracciare fratellone!-
Dopo tanti
anni il vecchio duo si era finalmente ritrovato.
Dall'alto di
Ellis Island l’imponente Statua della Libertà, con
il suo braccio destro
alzato, sembrava tingere il cielo di viola, mentre leggere volute di
nebbia
provenienti dall’oceano avvolgevano tutta Manhattan.
L’Empire
State
Building, le Torri Gemelle e tutti gli altri grattacieli della
città iniziarono
gradualmente a riempirsi di luci, quasi come a voler dare un degno
saluto ad
un’altra giornata che volgeva al termine.
Nella Grande
Mela, infatti, il tempo sembrava non bastare mai: l’atmosfera
che si respirava
durante le festività era davvero speciale e coinvolgente.
Quando Faith e
Holly uscirono dal salone del parrucchiere non si resero conto che
erano da
poco passate le cinque. Continuavano a discutere di Max, nonostante
Faith fosse
mentalmente esaurita.
- Non andrò a cercarlo Holly, se
è questo che stai cercando di dirmi. E poi nemmeno gli
piacerò. Perciò è
inutile continuare a fare inutili supposizioni.-
- Non gli piacerai?! Faith, ti
sei vista bene?- Obiettò Holly. - Guardati qui! - Le
indicò una vetrina a
specchio di un bar. - Alta, mora, uno sguardo intrigante e due belle
te...-
- HOLLY!- La bloccò Faith. La sua
amica non si era accorta di aver alzato parecchio il tono della voce,
attirando
l’attenzione di una poliziotta che si aggirava nelle
vicinanze.
- … due belle TENDE,
Faith
cara. Due belle tende. Che ne dici di queste?- Svicolò
Holly, indicandole le
tendine arancioni del bar.
- Holly - Sussurrò Faith sotto
l’occhio incuriosito della poliziotta - Lascia subito quelle
tende se non vuoi
finire in cella.-
Holly finse di
accorgersi in quel momento della presenza della poliziotta - Salve,
agente. Non
trova anche lei che queste tende siano un amore?! Vorrei portarle a
casa. Ho
una finestra del bagno dove ci starebbero da favola!-
L’agente
rimase impassibile, con le mani dietro la schiena.
- Non è una buona idea, eh?!
Faith, quest’agente non trova belle le tende. Che ne dici se
io e te tornassimo
in hotel a discuterne ALL’ISTANTE?-
- Ottima idea.- Approvò Faith
imbarazzata - Ma prima saluta la signora Hitler. -
Holly si
voltò
verso la poliziotta, esibendo un largo sorriso.
- Saluti!- Esclamò, prima di
incamminarsi velocemente in direzione dell’albergo.
Nel frattempo
Max e Chris avevano deciso di uscire per cenare insieme da Alfredo Of
Rome, un
rinomato ristorante della Rockfeller Plaza, a pochi passi dalla pista
di
pattinaggio sul ghiaccio del Center.
E fu proprio
lungo la strada che Faith li notò avvicinarsi.
- Dio mio! È lui!- Esclamò,
innestando la retromarcia.
- Dio? Faith, dove hai visto Dio?
Devo giusto chiedergli un favore...- Domandò eccitata Holly,
seguendo l’amica.
- Lui, Max. Adesso è dietro di
noi. Ha un cappotto gessato e una sciarpa bianca. Non voltarti!- Le ordinò
accelerando il passo. - Entriamo qui
Holly, svelta!-
Faith
l’afferrò per un braccio e la trascinò
all’interno di una libreria.
- Presto! Prenditi un libro
qualunque e fingi di leggere. Non farti vedere!-
- Ma Faith... non mi conosce
nemmeno.- Protestò Holly.
- Zitta e fa come ti dico:
LEGGI!-
Poi fece lo
stesso: afferrò il primo libro a portata di mano e attese
che Max transitasse
davanti al negozio. - Eccolo, eccolo...- Mormorò agitata -
È lui!-
Tentò
di
nascondersi dietro il libro aperto, ma il caso volle che Max lanciasse
casualmente un’occhiata furtiva nella libreria e si
accorgesse di quello
sguardo rimastogli ormai impresso nella memoria.
- Faith, ciao!- La salutò,
agitando la mano dall’altra parte del vetro.
Contrariamente
a ciò che le aveva ordinato Faith, Holly rispose al saluto
facendo la svenevole
come soltanto lei sapeva fare.
- T’ammazzerei, Holly.- Le
bisbigliò Faith, riducendo gli occhi a fessura.
Max
entrò
nella libreria e la ragazza finse un’espressione di stupore -
Max! Ma che bella
sorpresa. Dove sei diretto?-
- Io e mio cugino stiamo andando
a cena. Perché tu e la tua amica non vi unite a noi?- Le
invitò Max.
- Ma che splendida idea, Faith!-
Intervenne Holly, prima di beccarsi una gomitata dall’amica -
... Peccato -
Riprese - che io e Faith dobbiamo tornare in hotel... sai, siamo
esauste. Lo
shopping stanca, eh sì...-
- Ma come?- Fece Max perplesso -
Faith, non mi avevi detto di essere in ritardo per il lavoro oggi
pomeriggio?-
Attimi di
imbarazzante silenzio scesero sui tre.
Quando Chris
decise di entrare in libreria li trovò fermi immobili a
guardarsi in faccia e
decise di intervenire - Ehilà! È da molti anni
che il sonoro è stato introdotto
nel mondo del cinema. Pronto?!-
- Sì - Rinvenne Faith - Ecco...
io oggi mi sono presa un'ora di permesso e...-
- E così - Continuò Max -
Hai
deciso di passare in libreria, giusto?-
- Esatto! Proprio così. Adoro i
romanzi.-
- Beh, quello che stai
consultando deve essere un romanzo piuttosto interessante...-
Osservò,
accennando al volume che Faith teneva tra le mani.
La ragazza
sgranò gli occhi, fissando il vuoto, poi abbassò
lentamente lo sguardo sulla
copertina del libro dove campeggiava il titolo “Tutte
le nuove posizioni del
sesso”. Arrossì.
- Ehm... regalo... per un’amica.-
Balbettò Faith, scrollando le spalle.
Notando
l’evidente imbarazzo della ragazza, Max si
avvicinò e le sussurrò ad un
orecchio - Ottima scelta.-
Chris
intervenne spazientito - Max! Perché non mi presenti le tue
amiche?-
- Io sono Holly.- Si fece subito
avanti l’amica di Faith. Chris le strinse la mano e si
presentò a sua volta.
- Mentre lei è Faith.-
Replicò
Max, presentandola al cugino.
- Il piacere è tutto mio, Faith.-
Sorrise Chris da perfetto farfallone.
- Metti a posto quella zampa,
cugino...- Gli intimò gravemente Max, fingendo un sorriso
amichevole. Poi si
rivolse a Faith - Senti Faith, domani sera dovrei partecipare ad un
ricevimento
al Plaza, ma a dire il vero non mi va di andarci da solo.
Perciò mi chiedevo se
ti va di accompagnarmi, ma ti avverto: sarà una di quelle
noiosissime serate
orchestra e caviale.-
- Mi sta forse chiedendo un
appuntamento, signor Warren?- Gli chiese Faith con un pizzico di
malizia.
- Soltanto se risponde sì,
signorina.-
La ragazza
tentennò un poco, ma poi accettò di buon grado.
- D'accordo. A che ora?-
- Ti aspetterò alle otto davanti
all’ingresso del Plaza.- Rispose Max entusiasta.
Mentre tornava
in hotel, Faith cominciò a credere di essere stata troppo
precipitosa ad aver
accettato quell’invito e ne parlò con Holly che,
al contrario, aveva le idee
molto chiare a riguardo.
- Hai fatto la scelta giusta.
Perché sei sempre così negativa? Ormai
è più di un anno che hai mollato quel
cretino di Jason. È ora di voltare pagina o finirai per
diventare una vecchia
brutta e sola.-
- Ma che idee! Non dico che non
voglio più uscire con nessun ragazzo. Il fatto è
che non so se mi sento pronta,
ecco tutto.-
Tuttavia Holly
continuava a non essere d’accordo - Cogli l’attimo
Faith. Chissà se e quando il
destino ti manderà qualcun altro. E poi Max sembra davvero
un bravo ragazzo.
Però se tu sei abituata a frequentare solo alcolizzati
cronici...-
- Jason non era alcolizzato!-
Obiettò Faith.
- Forse quando dormiva.- Replicò
Holly - Ascolta, Faith: probabilmente il Signore ha mandato Max per
renderti
felice. Approfittane. Dopotutto chiunque nella vita merita una fetta di
felicità.-
- Bella frase.- Commentò Faith -
L’hai trovata nei cioccolatini o nei biscotti della fortuna?-
- Spiritosa!- Replicò sarcastica
Holly - A proposito, chi è quest’amica alla quale
vuoi regalare quel libro
riguardante tutte le nuove posizioni del sesso?-
Faith si
fermò
e la guardò, ridendo:- Non è per
un’amica. È per zia Becky.-
- Zia Becky?- Chiese sbalordita
Holly con gli occhi fuori dalle orbite.
-
Però... a quanto pare tua zia ha una vita
sessuale più attiva della mia.- Osservò,
meditando sul fatto.
Faith
continuò
a ridere, rassegnandosi - Non capirai mai eh, Holly? Dai, torniamo in
hotel.-
|
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Capitolo 3 *** 3. Faith ***
R
ISPOSTA ALLE RECENSIONI
Ciao a tutti! Eccomi
qui, puntuale come il mal di denti, per rispondere alle vostre
recensioni. Come il solito si comincia dall'ultima pubblicata.
AKANE25: Intendo
subito ringraziarti per il prestito della tua Beta, sempre attenta e
poi anche brava. Dovremo dividercela per un bel pezzo mi sa... :)
Detto questo sappi che
l'unica copia del libro da te richiesto è momentaneamente
occupato. Tra i milioni di libri che Monica possiede si camuffa infatti
questo manoscritto ricco di scene e di testi istruttivi. Nessuno lo
può notare sullo scaffale in mezzo ai manga e ai romanzi
rosa. Quindi non ti resta che chiederlo a lei, anche se ovviamente
negherà il tutto.
Per quanto riguarda
Max la sfida è appena iniziata. Non temo i tuoi Bazooka del
1915-18, ci vuole ben altro, bella mia! :) E non offendere Faith che
è la mia donna ideale!! Moscetta... PFUI!
Il prossimo capitolo
non è quello del ballo orchestra e caviale, ma spero ti
piacerà ugualmente.
A presto, mia fedele
lettrice! E tanti auguri di buon anno nuovo! Con affetto, Marco
MOZZI84: Dimmi
quando avrai intenzione di passeggiare per le vie di New York
perchè verrei volentieri anch'io, magari quando hai
un'oretta da perdere, invece che stare a casa, passeggiamo per le vie
della città.
Sempre ben apprezzato
il lavoro che fai come Beta, non smetterò di ribadirlo ad
ogni capitolo pubblicato. Questo “furto” a Rox si
è rivelato ben fatto e non mi fa sentire in colpa verso Dio
:)
Finora nascondi bene
la tua antipatia verso la protagonista principale (ti conosco bene!).
Il mio compito sarà farti cambiare idea su di lei.
Qualche volta, per
accontentarti, pubblicheremo anche i commenti che fai quando sei in
versione Beta... davvero divertenti!
Ti voglio bene! Auguri
di buon anno nuovo anche a te!
SATY: La mia
consigliera di fiducia. Devo essere molto contento di avere un clan
così attivo dalla mia parte, dando i giusti meriti anche a
Sabrina! Brava! Sei sulla strada giusta per ottenere l'oggetto da te
desiderato... il libro sul sesso, che cosa - o CHI - pensavi, ah??
Scherzi a parte,
continua ad essere così analitica nelle tue recensioni: mi
piace come scrivi! Sono contento che molte delle parole che scrivo ti
generino emozioni: questa è una cosa importante per me.
Credo che qualsiasi attività riguardante l'arte abbia come
principale obiettivo il suscitare emozioni vere e sapere che a volte
funziona è per me un grande onore e mi fa capire che
ciò che faccio vale qualcosa.
Non
smetterò di ringraziarti per il tuo appoggio e per tutto il
tuo giornaliero sopportarmi!
Ti voglio bene! Buon
anno nuovo!
IL PROSSIMO
CAPITOLO “4. COME UNA COSA SOLA” SARA' PUBBLICATO
IL 16 GENNAIO 2010.
BUONA
LETTURA!
3. F
AITH
La grande scultura dorata di Prometeo che sovrastava la pista di
pattinaggio, rifletteva le coloratissime luci dell’albero di
Natale alle sue spalle e, stando comodamente seduti ai tavoli di Alfredo Of Rome, ci si poteva rendere
conto di quanto New York fosse una città stravagante e piena
di vita. C’era sempre un gran andirivieni nel Rockfeller
Center: malgrado le rigide temperature dell’inverno ormai
alle porte, la gente non esitava a fare lunghe passeggiate per le
numerose strade della città e a pattinare sulla pista
ghiacciata.
Il ristorante, non molto grande ma dall'impeccabile eleganza, offriva
una scelta piuttosto ampia di pietanze, ed alcune di esse erano
originarie dell'Italia, come i ravioli di vitello ai funghi porcini e
le lasagne alle melanzane.
Quando, dopo una decina di minuti, un cameriere si avvicinò
al tavolo per prendere le ordinazioni, Chris optò per i
calamari fritti con pezzi freschi di aragosta in salsa di avocado,
mentre Max decise di assaggiare un'antica ricetta romana di carciofi
con salsa di radicchio.
- Allora cugino, cosa
ti porta a farmi visita?- Chiese Max, mangiucchiando distrattamente un
grissino.
- Ho chiamato tua
madre e mi ha detto che saresti stato a New York alcuni giorni.
Così ho pensato di farti una sorpresa. Abito in un
appartamentino non molto distante dal Central Park.-
- E come sta la tua
ragazza... Clarence, Claire... come si chiama? È passato
qualche mese da quando ci siamo sentiti al telefono l’ultima
volta.-
- Si chiamava Claire,
ma è roba vecchia.- Rispose annoiato Chris - Adesso sto con
Lauren da un paio di giorni. Niente di serio però.-
- Da quanto ho capito
il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Non sono mai riuscito a capire
come tu riesca a passare da una ragazza all’altra con la
stessa facilità usata per mangiare una mela.-
Osservò Max.
-
L’abitudine cugino, l’abitudine.- Si
giustificò Chris, versandosi un bicchiere di Chardonnay che
il cameriere aveva da poco portato in tavola - Piuttosto -
Prosegui dopo averlo sorseggiato - Cosa stai combinando con quella
Faith della libreria? Sei davvero fortunato: una così bella
ragazza come lei non la si trova tutti i giorni.-
- Già.-
Annuì Max - È proprio vero.-
- Io non me la
lascerei scappare se fossi in te.- Dichiarò il cugino - E
questi calamari sono... mmmh... davvero squisiti!- Esclamò a
bocca piena.
Dopo una serata trascorsa a raccontarsi storie e a parlare dei bei
ricordi, Max cominciò ad accusare una leggera stanchezza,
perciò pagarono il conto e s’incamminarono sulla
5th Avenue.
Il Roosevelt Hotel non era molto distante così i due cugini
si salutarono, promettendosi di uscire ancora insieme, prima del
ritorno di Max a New Orleans.
Entrando nella Hall, Max notò Mc Kingley lavorare al
computer.
- Turno di notte?- Gli
chiese.
- Uno dei custodi si
è preso una brutta influenza e dovrò sostituirlo
io fino a domattina.- Rispose amareggiato il concierge - Ecco la chiave
della sua stanza. Buonanotte signor Warren.-
- La ringrazio.- Disse
Max - Ne avrò bisogno. A domani.-
L’ascensore era già al pianoterra e si
aprì non appena il ragazzo premette il pulsante.
Quando arrivò al nono piano, voltando l’angolo,
vide una ragazza dai capelli scuri che sedeva sopra una poltroncina
imbottita vicino alla parete. Gli venne subito in mente Faith,
nonostante il suo volto fosse coperto dalle foglie di una palma nana.
Così le si avvicinò e, quando la ragazza si
accorse della sua presenza, lo salutò sorridendogli.
- Faith, che ci fai
qui?- Le domandò sorpreso.
- Io stavo facendo un
giro e ho pensato di passare a trovarti.- Gli spiegò Faith -
Ma se ti disturbo sparisco.-
- No!- Rispose,
prendendola delicatamente per un braccio - Rimani.-
Non appena Max la toccò, Faith sentì un brivido
partirle appena sotto la nuca ed attraversarle la schiena.
Lui la guardò negli occhi e avvertì una
fitta al cuore, smarrendosi per qualche istante in quegli
occhi così penetranti e teneri allo stesso tempo. Si
stupì di come ne fosse rimasto stregato.
- Il custode -
Proseguì Faith, distogliendo lo sguardo - Mi ha permesso di
salire per aspettarti. Così mi sono seduta in una di queste
scomodissime poltroncine rosse.-
Max studiò attentamente le sue labbra mentre parlava e non
capì più niente. Era completamente perso di lei.
“Coraggio, coraggio, invitala fuori, cosa aspetti stupido
ragazzino!”
- Sì, che
stupide poltroncine rosse!- Riuscì soltanto a dire.
Faith concordò, titubando - Già...-
“Lascia perdere le poltrone e invitala fuori! Ma che ti
prende?”
- Faith, ti va di fare
una passeggiata?- Le chiese tutto d'un fiato.
- Certo, volevo
chiedertelo io.- Assentì lei con un sorriso.
Per chi non lo conosceva, il Devil's Kitchen sarebbe stato piuttosto
difficile da trovare, in quanto situato in fondo ad uno stretto vicolo
laterale della Madison Avenue e segnalato soltanto da una lanterna
rossa che illuminava un’insegna intagliata su un pannello di
legno colorato.
La porta d'ingresso, con il catenaccio e i cardini arrugginiti,
assomigliava all'entrata segreta di un antico monastero e dava
l'impressione di essere piuttosto pesante.
Dall'interno giungeva il suono leggero di una musica, intervallato
dalle risate della clientela.
- In che razza di
posto mi ha portato, signor Warren?- Domandò Faith
perplessa, guardandosi intorno.
Un gatto nero se ne stava accucciato sugli scalini di una vecchia
abitazione, vicino ad alcuni sacchi della spazzatura, gustandosi gli
avanzi di un hot-dog. Nell'aria frizzante aleggiava un intenso odore di
patatine fritte.
- Non fidarti delle
apparenze. Entriamo e poi, se lo riterrai giusto, potrai insultarmi per
averti portato in un locale di cattivo gusto.- Propose Max, esibendo un
largo sorriso.
- Ci sto.-
Approvò Faith, dandogli un colpetto con la spalla - In caso
contrario ti offro da bere.-
In effetti, entrando, notò con stupore che era ben diverso
da ciò che si aspettava.
Le luci soffuse e l'arredamento interamente in legno caratterizzavano
un ambiente che univa sapientemente le particolarità di un
irish pub con quelle di un saloon.
Il bancone del bar correva lungo tutta la parete di fondo, mentre ai
lati vi erano stati sistemati alcuni tavolini visibilmente logori, che
contribuivano al fascino retrò del locale, e un paio di
tavoli da biliardo, entrambi occupati da accaniti fumatori.
In un angolo, a fianco di un vecchio frigorifero della Coca Cola, un
juke-box suonava “Crazy,
little thing called love” e alcune donne
ballavano e ridevano con il bicchiere in mano, al ritmo della musica.
Alle pareti erano appesi ritratti e caricature di personaggi famosi:
Frank Sinatra, Marilyn Monroe, James Dean, Jimi Hendrix, insieme ad
altre icone del cinema e della musica.
- Allora?- Disse Max,
voltandosi verso Faith - Il tuo sguardo mi fa venire voglia di bere
qualcosa di fresco.- La punzecchiò.
Faith sorrise, facendo l'arrendevole - Birra o Coca?-
Mentre si avvicinavano al bancone una cameriera bionda, con l'uniforme
a quadretti rossi e bianchi, fece l'occhiolino a Max per poi dirigersi
rapidamente a consegnare l'ordinazione.
Lui si irrigidì un attimo e, con la coda dell'occhio, scorse
Faith sorridere e fare finta di niente.
Si tolsero i cappotti e si sedettero sugli sgabelli, ordinando da bere.
- Insomma -
Esordì Max - Oggi è stata un'intensa giornata di
lavoro.-
Faith aprì la bocca per giustificarsi, ma lui la
fermò prima che proferisse parola.
- No, no. Non accetto
scuse. Abbandonarmi lungo un marciapiedi, dopo avermi seppellito di
pacchi natalizi. Si vergogni, signorina.-
- Lei ha pienamente
ragione, signor Warren.- Ammise Faith, sorseggiando la sua Coca Cola.
Colse nello sguardo di Max una complicità che le permise di
sentirsi libera di scherzare con lui senza problemi.
- Quella vecchia oggi
è stata davvero maleducata.- Tergiversò,
alzandosi le maniche del maglione.
- Nemmeno tu
però hai scherzato.- Ribatté Max con una risata.
- E tu non sei stato
da meno. Hai rischiato di ricevere un'ombrellata sulla testa dandole
dell'arpia.-
- Vero!-
Replicò il ragazzo.
Realizzò che lo stare vicino a quella ragazza lo metteva di
buon umore. La trovava spiritosa, divertente ed inoltre si
sentiva perfettamente a suo agio con lei.
- Come sapevi di
questo posto, Max?- Gli chiese, distogliendolo dai suoi pensieri.
Max posò la sua birra sul bancone e si asciugò la
mano con un tovagliolo di carta.
- Poco fa Chris mi ha
consigliato di venirci. Nemmeno io sapevo cosa aspettarmi, nonostante
mi avesse rassicurato. Devo ammettere che a volte mio cugino ha delle
buone idee.-
- È davvero
un bel locale. Appartato, intimo, non troppo affollato. Insomma, come
piace a me.-
- Sembri esperta in
fatto di locali.- Scherzò Max
Faith sorrise maliziosa - Tu piuttosto, cosa ci fai a New York? Cosa
sei, un agente immobiliare? Un avvocato incorruttibile?-
Max scosse la testa - Mi dispiace deluderti, ma non sono né
l’uno né l’altro. Diciamo che faccio
parte di una società che si occupa della compravendita di
azioni e obbligazioni. Sono qui perché il mio capo mi ha
affidato un incarico da portare a termine nei prossimi giorni. Poi me
ne tornerò a New Orleans, dove lavoro e dove ho un
appartamento nuovo di zecca.-
- Con la tua ragazza.-
Aggiunse Faith, alzando gli occhi verso di lui mentre beveva,
per poter esaminare meglio la sua espressione.
Max fece per replicare, ma si bloccò un istante - Credi
davvero che, se avessi avuto una ragazza, ti avrei invitato al
ricevimento di domani sera?-
- Non saprei.- Rispose
Faith, fingendosi disinteressata, mentre rigirava la cannuccia nel
bicchiere - Al giorno d’oggi per voi uomini sembra andare di
moda avere una ragazza in ogni “porto”, come fanno
i marinai.-
- Spero che tu stia
scherzando! Io non sono un uomo qualunque.- Protestò Max,
divertito.
Faith piegò la testa di lato e sorrise - Modesto il ragazzo.
Dai, ti sto prendendo in giro.-
- Sarà
meglio per te, se non vuoi pagare anche il secondo giro stasera.-
Ribatté lui, riprendendo a bere la birra.
Il juke-box iniziava a diffondere le prime note di “Always on my
mind” quando Faith si lasciò andare
sullo sgabello, sentendosi sciogliere improvvisamente - Adoro questa
canzone.- Sospirò - Non la
sento da un sacco di tempo.-
- Scommetto che ti
ricorda qualcosa.- Azzardò Max, scrutandola negli occhi.
Faith si
portò una ciocca di capelli dietro un orecchio e
sollevò un angolo della bocca, scrollando le spalle.
- Credo che nella vita
di ogni persona ci siano momenti legati ad una canzone in particolare.
Però questa non si riferisce a niente di ciò che
ho passato. Piuttosto, non ti capita mai di ascoltare una canzone,
magari quando sei sdraiato a letto la sera prima di addormentarti, e
immaginare come potrà essere il tuo futuro? So che posso
sembrarti una pazza, però a me succede.-
Max capì perfettamente a cosa si stava riferendo Faith,
tanto che gli sembrò di parlare con sé stesso.
Gli capitava spesso, eccome, anche con canzoni che non conosceva
affatto e apprezzò molto questo particolare di lei.
- Anche se
ogni volta immagino un futuro diverso, a seconda di come mi sento in
quel momento.- Proseguì Faith. D'un tratto l'espressione
sognatrice e contenta che aveva sul volto svanì
improvvisamente, lasciando il posto ad uno sguardo pieno di malinconia.
Max si accorse del rapido cambiamento, ma decise di non chiederle
nulla. Non in quel momento. Non quella sera.
- Adesso
sarà meglio che torni in albergo, prima che Holly si
preoccupi.- Decise Faith con un sorriso tirato, mentre si rimetteva il
cappotto - Probabilmente mi starà aspettando sveglia, mentre
piange davanti alla televisione perché alla fine Julia
Roberts è andata a sposarsi con Richard Gere o
chissà per quale altro arcano motivo.-
Max sorrise e si offrì di accompagnarla.
- Non devi Max,
chiamerò un taxi.- Lo tranquillizzò, uscendo dal
locale.
Percorsero in silenzio i pochi passi che li dividevano dalla Madison
Avenue. Max avrebbe tanto voluto confortarla con qualche parola
appropriata o, meglio ancora, con un abbraccio, ma giunse alla
conclusione che sarebbe stato inopportuno.
Dal canto suo, Faith apprezzò il silenzio del ragazzo.
Qualsiasi altra persona avrebbe fatto milioni di domande. Lui no. Ebbe
come l'impressione che avesse capito più di quanto credesse.
L'aria della sera si era rinfrescata parecchio e lei si alzò
il bavero del cappotto. Poi fece un cenno con la mano e un taxi
accostò.
- Sono stata bene,
Max. Davvero. A domani sera.- Disse, salendo sull’auto.
Max la salutò alzando un mano e guardò il taxi
scomparire in una strada laterale.
Anche se aveva intuito che nella mente di Faith erano riaffiorati
ricordi dolorosi della sua vita, si rese conto che da parecchio tempo
non si sentiva così contento.
Una sottile pioggia cominciò a scendere e le luci, iniziando
lentamente a riflettersi sul marciapiede lucido, conferivano alla
città un tocco di romanticismo che soltanto le persone
innamorate avrebbero potuto percepire fino in fondo.
E Max era sicuramente una di quelle persone.
|
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Capitolo 4 *** 4. Come Una Cosa Sola ***
R ISPOSTA
ALLE RECENSIONI
MOZZY84
Tu. Devi. Diventare.
Amica. Di. Faith. Se solo sentisse i malefici soprannomi che le affibbi
mentre la beti, ti caverebbe gli occhi. Non so per quanto resisterai
prima che io faccia la spia XD.
Continua
cosi che sei la meglio! TVB.
PS.
Non mi occorrono più libri del genere per apprendere la
materia, perciò te lo regalo con tutto il cuore
affinché tu possa approfondire... quello che vuoi! Ih ih ih!
AKANE25
Sei sempre magnifica nel
tuo lavoro di recensitrice! Come farei senza di te? A tal proposito ti
dico subito che il
seguente capitolo lo dedico a te! Sperando che ti piaccia,
ovviamente! Ti ringrazio per tutti i passati suggerimenti che mi hai
dato per renderlo al meglio, mi sono proprio stati utili, davvero!
Spero che tu me ne dia altri! Buona lettura!
Sono
pienamente d'accordo sull'uscita a 4 e proporrò la cosa a
Faith... XD
A
presto, un abbraccio!
PS.
Monica non intende mollare il libro...
SATY
Ma che bella recensione.
Mi piace molto. Nulla da dire.
Però
il mio principale intento stavolta è ringraziarti
pubblicamente per il valido aiuto che mi dai quando rimango in panne.
In questi ultimi giorni grazie a te sono finalmente riuscito a
sistemare ogni evento temporale di questa storia, un problema che mi
assillava da tempo nella stesura.
So
che ci sarai sempre, perciò non dubito di te.
Buona
lettura! Un abbraccio.
4.C
OME UNA COSA
SOLA
Dedicato a Rossella, con
profonda stima e affetto
L’indomani, quando Faith si svegliò a mattino
inoltrato, trovò Holly sprofondata in una poltrona davanti
al letto, che la fissava tenendo le braccia conserte.
- Buongiorno, Faith.
Ho sentito che sei rientrata tardi stanotte. O meglio stamattina.-
Puntualizzò sollevando un sopracciglio.
- Esagerata!-
L'apostrofò Faith, alzandosi e sbadigliando - Speravo di
trovarti sveglia al mio ritorno. Io e Max siamo stati al
Devil’s Kitchen e poi sono tornata in taxi.-
- E
com’è andata?-
Faith si avvicinò alla finestra e scostò
leggermente la tenda per guardare fuori. Era una magnifica giornata di
sole, con un cielo azzurro spruzzato qua e là di qualche
piccola nuvola bianca. Lungo la strada le auto scorrevano a passo
d'uomo e i marciapiedi erano affollati come sempre. Sul lato opposto un
venditore ambulante di hot-dog si era appostato vicino ad un negozio di
antiquariato con il suo carretto giallo e invitava la gente ad
assaggiare le sue opere
d'arte, come le definiva lui.
- Avevi ragione
Holly.- Sospirò, voltandosi verso l’amica - Max
è davvero una brava persona.-
Holly balzò in piedi, trionfante - Lo sapevo: te ne sei
innamorata. Ammettilo!-
Faith lasciò la tenda e tornò a sedersi sul letto.
- Ancora non lo so.
Insomma, non ci s’innamora in poco più di dodici
ore. Non so nemmeno qual'è il suo colore preferito.-
Osservò, scuotendo la testa.
- Ecco: inizi a
straparlare. Primo sintomo.-
- Io non straparlo!-
Protestò - Di che sintomi stai parlando?-
Holly assunse la posa tipica di una professoressa con le mani sui
fianchi.
- Primo sintomo.-
Ripeté, camminando avanti e indietro immersa nei suoi
pensieri.
Ti manca solo una pipa
in bocca, pensò Faith - Lo hai già
detto. Cosa significa?-
- Primo sintomo
dell'innamoramento: la vittima straparla.-
- Sei pazza.-
- ECCOLO!-
Sbraitò, con gli occhi fuori dalle orbite.
Faith sobbalzò sul letto, realizzando che l'amica era ormai
giunta allo stadio finale dello sviluppo di un virus sconosciuto
all'umanità.
- Secondo sintomo: negare l'evidenza.-
- Non c'è
nessuna evidenza, Holly. Ma che dici?-
- Terzo sintomo: negare l'evidenza dell'evidenza.
Quando si comincia a dire cose senza senso, come stai facendo tu, e poi
a negare il tutto, significa che si è già
innamorati persi. Che c'entra in questo momento qual'è il
suo colore preferito? Già il fatto che tu stia qui a
chiederti se lui ti piace è una chiara indicazione che stai
iniziando a provare qualcosa, non sei d'accordo?- Analizzò
Holly.
- Si, può
darsi.- Rispose Faith, mostrandosi perplessa - E togliti dalla faccia
quell'espressione da tuttologa! Holly Andrews, pensi di essere l'unica
persona sulla faccia della Terra ad avere sempre ragione, ma io non
credo a queste tue buffonate.-
Afferrò un cuscino e glielo lanciò con tutta la
forza che aveva, ma lei lo scansò con disinvoltura,
mandandolo a finire contro un orologio da tavolo in ceramica posato sul
cassettone di fianco alla porta.
Lo schianto a terra fu inevitabile e, con uno scoppio violento, mille
pezzi volarono per tutta la stanza, mentre entrambe le lancette
venivano scagliate sul letto, vicino a Faith.
- Ops...-
Mormorò, curvando verso il basso gli angoli della bocca.
- Questi… -
Dichiarò Holly indicando i cocci con un dito - …
sarà meglio farli sparire.-
Il Plaza Hotel era un elegante ed imponente edificio in stile neo
rinascimentale, ritenuto uno dei più esclusivi alberghi
della città. Era stato proclamato monumento nazionale, i cui
caminetti, cristalli e marmi impreziosivano più di novecento
stanze aventi quasi un secolo di vita.
Le luci lo illuminavano dal basso, donandogli una morbida sfumatura di
giallo dorato e dando risalto alla bandiera a stelle e strisce che
sventolava fiera sulla terrazza dell’hotel, mentre i piccoli
abeti, che contornavano il lussureggiante giardino, erano stati
decorati con nastri d’argento e minuscole luci bianche.
Mancavano pochi minuti alle otto quando alcuni degli invitati alla
conferenza, terminata nel tardo pomeriggio, diedero inizio alle danze.
Max aspettava impaziente la sua accompagnatrice davanti all'ingresso,
tenendo in mano un bocciolo di rosa bianca. Tremava per
l’emozione e pregò Dio che Faith non se ne
accorgesse.
Alle otto in punto un taxi entrò nel vialetto antistante
all’hotel, arricchito per l’occasione da un lungo
tappeto rosso.
Quando si fermò, Faith scese elegantemente salutando Max con
un sorriso.
Ancora una volta lui rimase stregato dalla sua incredibile bellezza.
La ragazza sfoggiava un abito di seta bianco che metteva in evidenza il
suo fisico perfetto e, sulle spalle, portava una
stola dal tessuto pesante. Quella sera aveva spruzzato un po' di lacca
sui capelli per fissare i boccoli, mentre il suo viso, dai lineamenti
morbidi e delicati, non aveva avuto bisogno di un trucco eccessivo: era
già bella per natura, e questo ovviamente non
passò inosservato a Max, che subito avvertì
dentro di sé un crescente turbinio di emozioni.
Si avvicinò e le porse la rosa, prima di prenderle la mano e
sfiorarla con le labbra.
- Sei stupenda.- Le
bisbigliò, alzando lo sguardo sul suo viso.
- Grazie.-
Mormorò Faith.
Notò con piacere che anche lui si era preparato con
particolare cura. In un raffinato completo nero di ottimo taglio, con
una camicia bianca, la cravatta, i gemelli ai polsi e un filo di barba,
sembrava più maturo rispetto alla sua età, ma non
per questo meno affascinante. Anzi, ogni volta che lo guardava, Faith
si chiedeva come fosse possibile che lui non avesse già una
ragazza. I capelli erano pettinati con diligenza e il suo profumo
fresco e dolce le risvegliò sensazioni a lungo dimenticate.
Ammirò i suoi occhi verdi trovandosi smarrita e in quei
brevi attimi le parve di sapere tutto di lui.
- Anche tu sei
stupendo.- Replicò.
Entrarono stringendosi per mano, un gesto che entrambi sentirono
naturale e spontaneo malgrado si conoscessero soltanto da poche ore.
Max consegnò gli inviti ad una sorridente ragazza del
personale dell'hotel per poter accedere al ricevimento, e si
trovò davanti ad un'ampia balconata che permetteva la
panoramica dell'intero salone. L’orchestra stava eseguendo
una sinfonia di Mozart, infondendo un’incantevole
atmosfera d’altri tempi.
Al centro l’ampia pista da ballo, impreziosita da statue in
marmo bianco e decori di stelle di Natale, si stava rapidamente
affollando di coppie che volteggiavano tranquille, con movimenti
precisi e coordinati, come rapite dal piacevole suono dei clarinetti
accompagnati dal pianoforte.
Alcuni tra gli illustri personaggi presenti sedevano nei tavoli ai
bordi della pista, alimentando un leggero brusio.
- Sembra di essere in
un sogno. - Mormorò Faith sottovoce.
- Lo è.-
Confermò Max.
Scesero le scale sottobraccio mentre lei lo guardava con gli occhi che
brillavano e, assorta in quel clima fiabesco, tornò ad
ascoltare l’orchestra.
Nel contempo si avvicinò a loro una coppia vestita
sontuosamente ed in perfetta sintonia con l'ambiente.
- Max
Warren?- Chiese l'uomo attirando l'attenzione del ragazzo.
Indossava un abito grigio scuro con una lunga sciarpa bianca e una rosa
dello stesso colore infilata nel taschino. Secondo Faith doveva avere
più o meno cinquant'anni.
Anche la moglie era molto elegante nel suo abito nero, i capelli
raccolti in uno chignon e una collana di perle.
- Signor Shields, che
piacere rivederla.- Lo salutò Max calorosamente.
Poi si voltò verso la moglie e le baciò la mano.
- E questa splendida
fanciulla?- Osservò l'uomo rivolgendosi a Faith.
La ragazza sorrise e gli porse la mano - Faith Harrington. Lieta di
conoscerla.-
- Il signor Shields -
Le spiegò Max - è uno dei nostri migliori
collaboratori. Ha dotato la nostra società di procedure e
meccanismi operativi in grado di rispondere positivamente e celermente
alle richieste della clientela.-
L'uomo sorrise e appoggiò una mano sulla spalla di Max.
- Warren mi sta
lusingando troppo. Piuttosto, penso che dovrebbero esserci
più persone altamente competenti come lei nella
società.-
- Adesso
però è lei a lusingarmi.- Replicò il
ragazzo, compiaciuto.
Le due donne fecero una piccola risata. Poi Max presentò a
Faith la signora Shields.
- La signora Lynda,
invece, si occupa di moda e, più precisamente, nell'ambito
degli abiti per gli sposi. Le sue collezioni sono conosciute e molto
apprezzate anche in Francia, in Inghilterra e in Italia.-
Faith strabuzzò gli occhi: Lynda Shields, una delle sue
stiliste preferite si trovava lì, esattamente davanti ai
suoi occhi, e lei non l'aveva neppure riconosciuta.
Effettivamente, la stilista era nota più per il nome che per
le sue rarissime apparizioni in pubblico.
- Lei, Faith, che
lavoro fa?- Le domandò Lynda, mostrandosi interessata.
La ragazza tentò di rispondere senza farsi prendere
dall'emozione, ma la paura di sfigurare le faceva tremare
impercettibilmente le mani. Dovette appellarsi a tutte le sue forze per
mantenere un minimo di decoro e non apparire come una di quelle
ragazzette che si strappano i capelli alla vista di una
celebrità. Perché era proprio questo che per lei
rappresentava Lynda Shields: un mito, una vera icona di moda, un
esempio da seguire, lo stesso esempio che l'aveva spinta fin da
giovanissima a desiderare di diventare come lei. Da anni raccoglieva e
collezionava copertine, foto, immagini dei suoi abiti che avevano
spopolato in mezzo mondo. Lynda, prima di occuparsi esclusivamente di
abiti da sposi, aveva vestito attori e attrici famosissimi e molti
registi e costumisti l'avevano spesso interpellata per i loro
lungometraggi. Gwyneth Paltrow, Jane Fonda e Michael Douglas erano solo
alcuni dei volti noti che avevano avuto l'onore di indossare le sue
creazioni.
E Faith si ispirava proprio alle sue opere per disegnare i suoi capi.
- Anch'io sono una
stilista.- Rispose, volgendo lo sguardo a Max, che improvvisamente
avvertì un impeto di orgoglio: per lui significò
una piacevole sorpresa.
- Certo, non ai suoi
livelli.- Proseguì la giovane - Lavoro in una casa di moda
di Los Angeles. Ho visto tutte le sue creazioni e mi permetta di dirle
che sono bellissime.-
- Oh, negli ultimi
anni sono un po' a corto di idee, ma diciamo che finora ho avuto
parecchia fortuna. A volte l'ispirazione sembra abbandonarmi.-
Dichiarò Lynda con un sorrisetto - E per quale casa di moda
lavora?- Le chiese.
- Per la Diamonds
Fashion House. Disegno abiti eleganti e casual e spesso organizzo
eventi a nome della società.-
- La conosco bene: una
colonna portante della moda di Los Angeles. Chissà, magari
un giorno ci ritroveremo a dover organizzare una sfilata insieme,
Faith.-
- Sarebbe molto
interessante, oltre che un grande onore, signora Shields.-
Replicò Faith emozionata.
Lynda sorrise ancora, notando l'evidente ammirazione che la ragazza
nutriva nei suoi confronti.
- Tesoro -
Salmodiò infine - Che ne dici di ballare un po' e lasciare
questi due giovanotti a godersi la serata? Non vorremo tormentarli
parlando ancora di lavoro.- Poi si rivolse a Faith,
sottovoce, ma con l'intento di farsi sentire - Dio solo sa quanto
è noioso quando parla di azioni, obbligazioni, bilanci e
compagnia bella. Riuscirebbe a scriverne un'intera enciclopedia
composta da ottanta volumi in meno di mezzora.-
Faith rise e Max sentì il cuore gonfiarsi al suono della sua
risata.
- Certo, cara.-
Replicò il marito con voce strascicata, come se l'avessero
interrotto da un lungo discorso di carattere finanziario. Lui e la
moglie rappresentavano pienamente la tipica coppia di coniugi che
litiga da anni, ma che non si separerebbe per niente al mondo.
- Auguro a lei e alla
sua fidanzata una piacevole serata, signor Warren.-
Sentendo il termine “fidanzata”,
Max si voltò a guardare Faith, che, inaspettatamente, lo
contraccambiò con un sorriso malizioso.
- Piacere di averla
conosciuta, signorina Harrington.- La salutò Shields,
baciandole di nuovo la mano.
- Piacere mio.-
- Spero di incontrarla
ancora, Faith.- Replicò Lynda - A presto, Max.-
Non appena si furono allontanati, Max si rivolse alla ragazza,
schiarendosi la voce.
- Non sapevo di avere
una stilista per fidanzata. Spero che lei mi trovi abbastanza elegante
questa sera.-
Faith lo squadrò da capo a piedi, fingendo di guardarlo per
la prima volta.
- Accettabile.-
Scherzò.
Max sfoderò il suo sorriso intrigante e malizioso - Ti va di
ballare, fidanzata?-
- Solo se non mi
pesterai i piedi, fidanzato!-
Precisò lei, dando maggior enfasi all'ultima parola.
- Prometto che non lo
farò.-
Iniziò un valzer e la giovane coppia salì sulla
pista. Max le si avvicinò di più, cingendola
delicatamente in vita con un braccio e Faith si sentì
protetta da quella presa così sicura.
- Vorrei tanto che
questa serata non finisse mai - Gli sussurrò in un orecchio.
Respirò il suo profumo e cercò di memorizzarlo,
trattenendolo per qualche secondo.
Max la fissò e capì che si sarebbe potuto
innamorare di lei ogni istante della sua vita. Mentre ballavano
formavano una cosa sola, talmente erano in sintonia. I cuori battevano
veloci, ma loro erano gli unici a saperlo.
Quando l’orchestra terminò la sinfonia, Max e
Faith rimasero a fissarsi negli occhi, quasi non si fossero accorti
degli ospiti che applaudivano i musicisti.
- Forse...-
Mormorò Faith.
- Si.- Sorrise Max,
destandosi da quel mondo che pareva creato soltanto per loro due, fatto
di puro rapimento.
- Forse è
meglio sedersi.-
Scelsero un tavolo poi Max scostò una sedia, facendo
accomodare la ragazza, quindi le si sedette di fronte.
Tutto era stato preparato in modo impeccabile. I bicchieri di cristallo
e le posate d’argento luccicavano sulla tovaglia in fiandra,
mentre il tenue bagliore delle sottili candele bianche rendeva tutto
più magico. Da un secchiello pieno di ghiaccio sbucava una
bottiglia di champagne che, prontamente, un cameriere versò
nei loro bicchieri, mentre un altro si faceva avanti servendo
l'antipasto.
- Bene -
Esordì Max - Raccontami un po’ di te. Ieri sera
abbiamo parlato soltanto del sottoscritto, ma stasera è il
tuo turno.-
La ragazza sorseggiò lo champagne fresco e si
asciugò le labbra con un angolo del tovagliolo.
- Io non faccio nulla
di straordinario, a dire il vero. Come avrai sentito poco fa, lavoro
come disegnatrice ed organizzatrice di eventi a Santa Monica, sulla
costa pacifica. È una professione che mi dà
parecchie soddisfazioni, ma che mi tiene anche molto impegnata.
Disegnare abiti, approvarli, modificarli, organizzare sfilate e tutto
ciò che sta dietro al mondo della moda.-
- Da come ne parli
sembra davvero impegnativo. Alcune persone lavorano così
tanto che alla fine il lavoro stesso, se soddisfacente, diventa parte
integrante del tempo libero.-
- Già,
proprio così. Ma purtroppo non si può avere tutto
dalla vita. Io non ho molto tempo libero, però credo che in
fondo sia quello che ho sempre desiderato. Voglio dire, il mio sogno
fin da bambina, era di diventare una stilista.- Faith
sollevò un angolo della bocca, scrollando le spalle -
Certe volte è strano: passi
un sacco di tempo a desiderare fortemente qualcosa e il giorno seguente
ti ritrovi a vivere il tuo sogno. Ed è capitato proprio a
me, che ho smesso di fantasticare ancora prima di rendermi realmente
conto di cosa significasse sognare.-
- Che cosa vuoi dire?-
Le chiese Max.
Lei si accigliò e fece un profondo respiro, come se stesse
per parlare riferendosi a qualcun altro, sentendo improvvisamente
l'impulso di aprirsi di più.
- Ecco, a otto anni il
matrimonio dei tuoi genitori va in mille pezzi e mentre guardi
impotente tua madre che esce dalla tua vita, chiudendosi per sempre la
porta di casa alle spalle, cerchi di trovare un po’ di
conforto tra le braccia di tuo padre. Ma non lo trovi. Anzi, lo vedi
affogare i suoi dispiaceri nell’alcol, finendo
inevitabilmente in un centro di disintossicazione e poi in un carcere
per chissà quale motivo. E, in gran finale, ecco Jason, il
mio ex ragazzo.-
Faith si fermò e scosse la testa - Se tutti vedevano la
nostra come una storia da favola, beh... quella storia è
finita dopo neanche un anno. Quindi come posso credere nei sogni che si
avverano?-
Si voltò disinteressatamente verso l’ingresso, per
non mostrare a Max il dispiacere che traspariva dai suoi occhi.
Il ragazzo allungò una mano sul tavolo per prendere la sua.
- Spesso - Le
confidò affettuosamente - Sognare ci aiuta ad evadere dalla
dura realtà di tutti i giorni. Non dovresti mai smettere di
farlo.-
- Probabilmente non so
nemmeno come si fa.- Dichiarò Faith con rassegnazione.
- Devi avere
più fiducia in te stessa. Il tuo desiderio di fare la
stilista, per esempio, si è avverato. Troverai di certo
qualcuno che ti insegnerà e ti farà capire che
non si può vivere senza sognare, perché sono
proprio i sogni che rendono il mondo migliore.-
Lei annuì con un sorriso mesto - Mi piacerebbe tanto che tu
avessi ragione, Max.-
- Impara ad ascoltare
di più il tuo cuore.-
- Spero di non aver
rovinato tutto.- Affermò asciugandosi una lacrima con un
fazzoletto e abbozzando un sorriso - Sto facendo la parte della
vittima. E questo non mi piace.-
Max sorrise e la tranquillizzò - Trovo che tu sia molto
dolce, invece.-
- Lo dici per farmi
stare meglio, ma in realtà non lo pensi affatto.-
- No - Scosse la testa
- Te l'ho detto che non sono un uomo qualunque.-
- E io te l'ho detto
che sei piuttosto modesto?- Scherzò lei.
- Mi sembra vagamente
di si.- Rispose aggrottando la fronte.
- Allora -
Continuò lei facendo scorrere leggermente un dito sul bordo
del bicchiere - Che tipo di uomo sei?-
Max la guardò e sorrise - Lo vuoi sapere?-
- Certo. Ha qualcosa
da nascondermi, mr. Warren?-
- Assolutamente no.
Potrei sembrarti noioso, però.- La avvertì.
Un uomo di colore vestito di un frac bianco salì sul palco
davanti all'orchestra afferrando il microfono e intonando “I'll be home for
Christmas”, un pezzo reinterpretato da svariati
artisti dello swing e più che adatto all'occasione.
Faith lo ascoltò attentamente. Posò i gomiti sul
tavolo incrociando le mani e valutò la risposta di Max.
- Da come sta andando
la serata non credo che tu possa essere noioso.- Disse rivolgendosi a
Max.
Lui bevve un sorso di
vino - Cosa vuoi sapere?-
- Per esempio,
qual'è il colore che preferisci?- Faith non poteva credere
di avergli posto quella domanda.
- Rosso, senza alcun
dubbio. Il colore della passione.-
- Numero preferito?-
- Il 2.-
La ragazza gli rivolse uno sguardo interrogativo.
- Ha una bella forma.-
Spiegò lui. Lei sorrise.
- Sei superstizioso?-
- Questa situazione
somiglia molto ad un interrogatorio. Comunque... no. Penso che le cose
succedano perché devono succedere e non perché un
gatto nero ti ha attraversato la strada. Ma non dovevamo parlare di te
stasera?-
- Si, ma mi sto
divertendo a torturarti.- Gli confessò lei, non riuscendo a
trattenere una risatina imbarazzata - Tu cos'altro vorresti sapere di
me?-
Max ci pensò un po', mentre assaggiava il salmone.
- Dunque... peggior
vizio e miglior qualità.-
La ragazza si scostò una ciocca di capelli dietro un
orecchio.
- Il difetto
è che sono poco flessibile e forse tendo ad analizzare
troppo persino la cosa più insignificante. Ah, sono anche
timida.- Aggiunse - Come qualità, invece, non saprei. Non
sono brava a descrivermi.-
- Gli amici cosa
dicono di positivo a riguardo?- La incalzò Max.
- Che sono
intraprendente sul lavoro, educata e pure molto bella.-
Sentenziò.
- Fortuna che non eri
brava ad descriverti.-
- Stavo scherzando!-
Si difese lei - Dicono che sono gentile e sempre disposta ad aiutare
chi si trova in difficoltà.-
- Queste sono belle
qualità.-
- Grazie.- Rispose
lei, increspando le labbra.
La serata stava procedendo meglio di quanto sperassero ed entrambi si
accorsero di sentirsi sempre più a loro agio, nonostante la
sensazione di nervosismo che li preoccupava dalla mattina.
L'interesse reciproco dei ragazzi accresceva con il passare del tempo,
ma non mancavano brevi attimi di imbarazzante silenzio.
Nel frattempo l’artista sul palco proseguiva ad incantare il
pubblico con la sua voce calda e coinvolgente. Brani celebri come "Unforgettable”
e “Have
yourself a merry, little Christmas” non
passarono inosservati e riportarono al presente gli anni Cinquanta,
quando Frank Sinatra e Nat King Cole rendevano tutto più
romantico e riuscivano perfettamente nel loro intento di tradurre in
realtà la magia delle cartoline natalizie dell'epoca.
A quel punto Max le porse la domanda che più gli premeva
negli ultimi minuti.
- C'è
qualcuno in questo momento nella tua vita, Faith?-
La ragazza rimase un po' in silenzio, arrossendo leggermente - Beh...-
- Capisco - Si
affrettò lui - non sono affari miei. Scusami, non avevo il
diritto di...-
- No.- Lo interruppe -
Non c'è nessuno.-
Max annuì. L'improvvisa fitta di disagio che lo aveva
investito qualche attimo prima svanì di colpo.
- E poi credi davvero
che se avessi avuto un ragazzo avrei accettato il tuo invito?- Lo
punzecchiò - Io non sono una donna qualunque.-
- Mai detto.- Si
difese lui con le mani alzate.
Alla fioca luce delle candele, Faith gli pareva ancora più
bella. Gli piaceva tutto di lei. Il modo con cui si scostava i capelli
dietro l'orecchio, il suo sorriso luminoso e spezza-cuori, la sua
risata cristallina, il suo modo di fare spirito senza mai essere
volgare. E i suoi occhi, color del miele, profondi e carichi di
espressività.
Più volte, durante la cena, si era obbligato a distogliere
lo sguardo perché non sarebbe riuscito a comporre una frase
sensata, ma allo stesso tempo, avvertiva l'urgenza di non staccarle gli
occhi di dosso. Lei era vera e lo faceva sentire vivo come non mai. Non
riusciva a spiegarselo, ma c'era una potente forza che lo attirava
impercettibilmente verso di lei.
Anche Faith lo osservava con ammirazione, completamente affascinata da
quel ragazzo che sembrava essere cresciuto in modo del tutto opposto da
quelli che aveva conosciuto fino ad allora. Lui era dolce, sensibile e,
più di ogni altra cosa, sapeva ascoltare senza dover sempre
interromperla per mettersi in mostra. Adorava come la guardava. I suoi
occhi verdi erano attenti e sinceri. Il suo sorriso perfetto e
rassicurante.
Parlarono ancora per un paio d’ore, e il dolce, una
millefoglie con gocce di cioccolata, era diventato ormai un lontano
ricordo.
Quando si accorsero che la gente iniziava ad andarsene e
l’orchestra smetteva di suonare, si rivestirono ed uscirono
dal Plaza.
Sebbene la notte precedente fossero rientrati tardi, non si sentivano
affatto stanchi. La serata era trascorsa in un batter
d’occhio e nessuno dei due voleva andare a dormire. Nessuno
dei due voleva che finisse.
Il vento, che aveva soffiato sulla città durante tutto il
pomeriggio, si era calmato, così si incamminarono e
passeggiarono tutta la notte in una New York meno caotica, avvolta in
una leggera foschia. Sembravano davvero le due persone più
felici del mondo.
Poi Max vide sopraggiungere un taxi e indicò
all’autista di fermarsi.
- Vieni con me.- Disse
a Faith, invitandola a salire sull'auto.
- Ma dove vuoi andare?
Sei pazzo. È quasi mattina e...-
- Ti porto in un posto
speciale, Faith. Ti prego, vieni con me.- La supplicò Max.
Una volta saliti sul taxi il ragazzo si tolse la sciarpa e
bendò gli occhi di una Faith incuriosita e divertita allo
stesso tempo.
La corsa durò poco meno di una decina di minuti. Privata
momentaneamente della vista, Faith apprezzò il fatto che Max
le tenesse la mano per farla stare tranquilla. Il calore che lui sapeva
trasmettere la elettrizzava come una bambina alla vigilia di Natale.
Si ritrovò stranamente a pensare ai sintomi
dell'innamoramento che Holly le aveva bizzarramente illustrato la
mattina precedente. Holly
Andrews, ripeté tra sé, pensi di essere l'unica persona
sulla faccia della Terra ad avere sempre ragione.
Ma questa volta iniziava a crederci per davvero.
- Dove mi sta
portando, mr. Warren?-
- Fidati di me.-
Rispose lui. Faith avvertì un sorriso nelle sue parole.
Dopo un breve viaggio in traghetto e un giro in ascensore,
ottenne finalmente il permesso di togliere la sciarpa.
La vista che le si presentò era straordinaria.
- Max, ma qui siamo
sulla...-
- … Statua
della Libertà.- Dichiarò Max, rubandole le parole
di bocca.
Il maestoso monumento si stagliava trionfante in cima ad Ellis Island,
dipinta dalle morbide sfumature dell'aurora.
Con il suo braccio destro teso verso l’alto a reggere
gloriosamente la fiaccola, la statua sembrava salutare
l’inizio di una nuova giornata, mentre,
dall’interno della corona, Max e Faith osservavano estasiati
quell’incantevole spettacolo.
La ragazza era rimasta senza fiato nell’ammirare la notte che
alzava il suo manto nero come il sipario di un teatro, e
l’alba che iniziava a rischiarare il cielo cosparso di tante
spumose nuvole rosa e arancio.
Restarono in silenzio per qualche minuto perché entrambi
erano consapevoli si trattasse di uno di quei momenti infiniti che non
valeva la pena guastare neanche con una sola parola.
Poi Faith sorrise e, senza distogliere lo sguardo dal cielo,
sussurrò:
- Sai, alcune persone
aspettano tutta la vita per un momento come questo ed io mi ritengo
più che fortunata a trovarmi a viverlo, ma soprattutto, a
condividerlo con te, Max.-
Faith si volse verso di lui.
- È
bellissimo quello che hai fatto per me, però sai una cosa?-
- Cosa?-
- A cena ti ho
mentito.- Gli rivelò con lo sguardo abbassato -
C'è qualcuno nella mia vita.-
Max increspò le labbra mentre un lampo di tristezza mista a
delusione balenò nei suoi occhi verdi.
- Credo di aver
trovato quella persona che mi insegnerà che non si
può vivere senza i sogni.- Continuò lei - I bei
sogni. Quelli che ti fanno piangere di gioia, quelli che ti fanno
sorridere alla vita, quelli che continuano anche dopo il risveglio alla
mattina.-
Faith chiuse gli occhi ed avvicinò lentamente le sue labbra
a quelle di Max, avvertendo il suo respiro umido sulla pelle.
- Quelli che ti
ritrovi a vivere in situazioni che nemmeno speravi ti potessero
accadere.-
- Sei tu il mio sogno
più vero, Faith...- Mormorò Max con un filo di
voce.
La ragazza si commosse. Non conosceva
nessuna parola che potesse esprimere in modo esauriente la sua
gratitudine.
Le loro labbra si toccarono delicatamente una, due, tre volte, per poi
baciarsi, con la passione e la purezza di un primo bacio, lasciandosi
travolgere da un sogno che non sarebbe mai finito, avvolti nella luce
pervinca del primo mattino.
Ancora una volta, come sulla pista da ballo, formavano una cosa sola.
|
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Capitolo 5 *** 5. Per Sempre ***
RISPOSTA
ALLE RECENSIONI
Eccomi
qui per un nuovo capitolo di questa pseudo storia. Come sempre i miei
immancabili ringraziamenti vanno alle mie fedeli recensitrici.
SATY
Grazie per il tuo sostegno e appoggio. È molto importante
per
me, lo sai bene. Ho voluto farti uno speciale omaggio citando proprio
il mitico Frank Sinatra.
E
come sei sempre molto educata nel desiderare Max... Forse la tua rivale
dovrebbe prendere esempio, ma è meglio che lei continui
così, come si dice, ognuno ha il suo stile per esprimersi e
a me
piace anche il suo. Anche tu però continua così.
La
strada per ottenere l'oggetto del vostro desiderio è ancora
lunga!
Ti
voglio bene!
AKANE25
Sarei molto contento di organizzarti la festa di laurea! Mi sa che
avvierò un'agenzia organizzatrice di eventi,
perciò...
basta con questa storia, che ne dici? Basta con Max, Faith e compagnia
bella! Pianto qui tutto! Only events! Che ne dici?
Comunque
grazie per le tue dettagliate recensioni. Piano con il protagonista
maschile... è ancora sotto copywrite e, in base al suo
contratto, per molti capitoli non potrà avere NESSUN GENERE
di
rapporti con persone che vivono al di fuori del romanzo. Spiacente,
Rox! Però io sono ben lieto di sostituirlo. Per qualsiasi
tua
necessità non esitare a chiamarmi, mi
raccomando... -_^
Buona
lettura! A presto, un abbraccio.
MOZZI84
E Tu invece vacci piano con la protagonista femminile. Anche lei
è protetta dal copy. Tutti i diritti riservati. Potrei farti
causa, ma il fatto è che sei fondamentale per la
continuazione
di questa storia, perciò potremmo giungere ad un compromesso
che
discuteremo poi in separata sede!
Ottimo
lavoro per questo capitolo così bello (modestamente!) ed
importante. Molto bene!
Faccio
a meno di augurarti buona lettura perché tanto sai
già di
cosa parla il nuovo capitolo (anche perché come sempre me li
smonti e rimonti come più ti piace!)...dai che ske! Stai
tra, mi
hai capi?
Ti
voglio bene!
Per
finire un ringraziamento anche a chi ha inserito questa storia tra le
preferite. GRAZIE! Sono fiducioso in prossime recensioni.
Buona
lettura a tutti!
5.
PER
SEMPRE
Max si
svegliò nel primo pomeriggio, cercando di capire se
ciò
che aveva vissuto fino a qualche ora prima era stato soltanto un sogno.
Era al settimo cielo e lo si poteva intuire dal suo sorriso.
Anche Faith si
risvegliò sorridendo. Il ballo, il bacio, il sole che
sorgeva… era tutto vero, ed entrambi lo sapevano. Non
aspettavano altro che baciarsi di nuovo.
Il Natale si
stava avvicinando rapidamente ed era strano come l’attesa di
quel
periodo dell’anno fosse molto più entusiasmante
della
giornata stessa.
Max concluse
brillantemente l’incarico che gli era stato affidato ed il
suo
breve soggiorno in città stava ormai per terminare.
- A che ora parte il
tuo aereo domattina?- Gli domandò Faith.
- Alle undici, ma non
preoccuparti.- La rassicurò lui - Ti raggiungerò
a Los Angeles prestissimo.-
Faith era molto triste.
- È un
classico della mia vita. Proprio ora che cominciavo a stare bene... te
ne vai.-
Max la strinse a sé - Tornerò.-
- Dove?- Gli chiese.
- Da te. Da noi.-
Passeggiarono
lungo la strada tenendosi per mano e fermandosi di tanto in tanto a
guardare le vetrine dei negozi addobbate a festa.
Due dalmata
tenuti al guinzaglio dal loro padrone iniziarono a giocare con loro e,
mentre Faith si chinava per accarezzarli, Max si fermò da un
fioraio e le comprò un mazzo di rose bianche.
- Come sapevi che
è il mio fiore preferito?- Domandò Faith stupita.
- Lo sapevo.- Le
rispose lui, nascondendo un sorriso.
- Lasciami indovinare:
Holly?- Azzardò Faith.
Max asserì con la testa.
Si stavano divertendo tanto quel pomeriggio e il tempo scivolava via
rapido e silenzioso.
- Guarda
là!- Esclamò Faith, indicando uno dei negozi
nella parte opposta della strada - Seguimi!-
La ragazza
afferrò Max per un braccio e, senza pensarci troppo, lo
trascinò in mezzo al traffico infernale.
- Faith, sei pazza?!-
Urlò.
Le auto
frenarono di colpo e qualche autista non si risparmiò dal
suonare il clacson o dal gridare commenti non proprio educati, mentre i
due innamorati zigzagavano nel caos.
Giunsero sul marciapiede, ansimando e ridendo come matti per
l’imprudenza appena compiuta.
Poi Faith si mise ad ammirare il negozio che aveva attirato la sua
attenzione.
- Tiffany... -
Sospirò con aria sognante. Max la guardò allibito.
- E io avrei rischiato
di farmi ammazzare da automobilisti rabbiosi soltanto per dei diamanti?-
La ragazza
passò lentamente il suo sguardo dalla vetrina al viso di
Max,
che aveva assunto un’espressione magnificamente sconvolta.
- Questi non sono dei
diamanti
qualsiasi. Qui siamo da Tiffany e questo è il negozio dove
niente di brutto può succederti. Ricordi il film con Audrey
Hepburn?-
- Come no. A te
mancano solo una
brioche in una mano e un cappuccino nell’altra e saresti
pronta
per girarne il seguito!- Scherzò lui.
Entrarono nella
gioielleria, mentre il sole che tramontava creava milioni di giochi di
luce diversi tra i tanti gioielli e diamanti di ogni tipo e dimensione.
Era come entrare in un gigantesco e luccicante palazzo di ghiaccio.
- Non senti che aria
tranquilla si
respira qui dentro?- Gli fece notare Faith, calandosi nel ruolo
dell’attrice. Max la osservò con aria
interrogativa,
chiedendosi se davvero la sua ragazza fosse stata posseduta dallo
spirito di Audrey.
Il proprietario
in persona mostrò loro alcuni pezzi ai quali Faith era
interessata. La ragazza optò per un bracciale e Max decise
di
regalarglielo in occasione del Natale, mettendoglielo subito al polso.
- Ti amo.-
Le sussurrò.
- Per sempre?- Gli
chiese lei.
Max storse un
po’ il naso - No, non per sempre. Che ne dici... Per tre o
quattro mesi può andare bene?-
- Non provarci
nemmeno.- Lo
minacciò Faith, afferrandolo per il bavero del cappotto con
un’espressione fintamente minacciosa.
La serata
trascorse tranquilla e all’insegna del divertimento. Alle
8.30
cenarono insieme ad Holly e Chris in una pizzeria sulla 44ma strada, e
infine arrivò il momento di accomiatarsi.
Chris chiamò un taxi per tornare a casa e Holly
salì in camera dopo aver salutato Max.
- Eccoci qui.-
Sospirò Faith, lasciando trasparire dalla voce una nota di
amarezza.
- Già...
eccoci qui.- Ripeté Max.
- Allora chiamami non
appena
arriverai a New Orleans.- Gli ricordò lei, mettendosi le
mani
infreddolite nelle tasche della giacca.
- Certo, lo
farò.-
Max vide una lacrima scendere lungo il viso di Faith in una scia
argentata.
- Ehi! Non fare
così,
altrimenti non riuscirò a partire. È
già difficile
lasciarti, non voglio che i tuoi occhi tristi siano l’ultimo
ricordo che ho di te. Io ti amo. Non dimenticarlo.-
Si baciarono a
lungo, come la prima volta. Poi Max la salutò e si
incamminò verso il suo albergo.
Ma si voltò quando, dopo pochi istanti, lei lo
chiamò:
- Per sempre?- Gli
chiese.
Max sorrise - Per sempre, amore mio.-
L’aria era
frizzante quella sera e una luna bianchissima rischiarava il cielo blu
intenso, costellato da una miriade di puntini luminosi che facevano da
cornice alla città.
Faith si scostò i capelli dalla fronte e, guardando la luna,
sussurrò - Per sempre.-
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Capitolo 6 *** 6. Festa Di Capodanno ***
RISPOSTE
ALLE RECENSIONI
MOZZI84
Non so se ci sarà il lieto fine, la Sabry può
farti una ventina di spoiler se glielo permetti… Come sempre
grazie per il lavoro che svolgi, sei S.U.P.E.R.! tivibì!
AKANE25
Un bracciale di Tiffany è in arrivo anche per te, tesoro!
Pieno pieno di diamanti… sono poco fantastico? E tu che mi
rifiuti sempre per Domenico. Mah, che mondo! Ma ti voglio bene lo
stesso, stai tra!!
SATY Grazie per i tuoi tanti complimenti! Apprezzo come
sottolinei le parti cinematografiche e i suoi riferimenti, fa piacere
che qualcuno le noti! Grazie mille! Ti voglio bene e continua
così!
In occasione
della pubblicazione del sesto capitolo “FESTA DI
CAPODANNO” ho realizzato una cover della fanfiction, sperando
ovviamente che vi piaccia. Accetto critiche, ma anche suggerimenti nel
caso dovessi in futuro realizzarne un’altra.
Buona
lettura!
6.
F
ESTA DI CAPODANNO
Il mattino seguente Max prese il suo aereo per New Orleans,
sistemò alcune cose lasciate in sospeso in ufficio, poi un
altro volo lo riportò a casa, a Lakewood, dove trascorse il
Natale con la madre ed alcuni amici.
Qualche giorno dopo anche Faith e Holly tornarono a Santa Monica.
L'ultimo giorno dell'anno era ormai alle porte e le due ragazze si
stavano impegnando nei preparativi per i festeggiamenti.
- Spero
tanto che Max riesca ad essere qui il più presto possibile.-
Disse Faith - Vorrei iniziare il nuovo anno con lui.-
- Sarà qui
in tempo non preoccuparti.- La tranquillizzò Holly mentre si
raccoglieva i capelli in una coda improvvisata - Nel frattempo diamoci
da fare per organizzare una bella festa.-
Quella giornata di fine dicembre era soleggiata e le due amiche ne
approfittarono per fare un po’ di jogging in riva
all’oceano.
- Secondo te
- Proseguì Faith, fermandosi qualche istante per prendere
fiato - Credi che dovrei andare a far visita a mio padre?-
Holly ci pensò un po’ - Non saprei. Insomma,
quando tu avevi bisogno, lui non c’era. Però in
fondo è sempre tuo padre e passare per il carcere non ti
costa niente. Max cosa ne pensa?-
- Devo ancora
parlargliene.-
- Qualsiasi cosa ti
dirà sono sicura che farai la cosa più giusta,
Faith.- La incoraggiò Holly, riprendendo a correre.
Quando tornò a casa, Faith trovò la zia Becky in
cucina intenta a sfornare una torta al cioccolato.
- Che profumo zia!-
Esclamò ingolosita.
- Ciao Faith. Ti va
una fetta di torta? E' bella calda. Dai, siediti.- La invitò
amorevolmente la zia - Raccontami di New York.
Com’è andata la vacanza con Holly? Ultimamente sei
così indaffarata che non mi hai ancora detto se vi siete
divertite.-
- Si, ci siamo
divertite tantissimo!- Rispose Faith - E poi... ho conosciuto
un ragazzo.- Sorrise, abbassando lo sguardo.
- Un ragazzo?-
S’incuriosì la zia - La torta è
abbastanza grande per accompagnare tutta la storia. Sono
tutt’orecchi, mia cara.-
Faith era orgogliosa del rapporto che la legava a sua zia. Dopotutto
era stata lei ad accoglierla in casa quando era ancora una bambina e le
voleva un gran bene.
Aveva saputo sostituire egregiamente sua madre e con lei poteva
discutere di qualsiasi argomento.
- Come dici? Ti ha
regalato un bracciale?- Le chiese la zia meravigliata.
Faith glielo mostrò - Penserai che magari stiamo correndo
troppo, però io sento di amarlo come non ho mai amato nessun
altro.-
- No invece.- La
contraddì la zia - Non lo penso affatto. Lascia che ti dica
una cosa, bambina mia. L’amore
non ha limiti di tempo. Quando c’è non puoi
negarlo e quando non c’è non puoi obbligarti a
sentirlo. Può arrivare presto o tardi, ma alla fine arriva
sempre. L’amore è il più grande
sentimento che lega due persone. Per sempre, se è quello
vero. Non è mai nuovo e non è mai vecchio. E
purtroppo la maggior parte della gente si rende conto di amare qualcuno
quando ormai è troppo tardi. Il consiglio che ti voglio dare
è questo: non trascurarlo, ma vivilo fino in fondo
perché soltanto così potrai scoprire qual
è il destino della tua storia.-
Faith rimase a guardare la zia, facendo tesoro del suo consiglio. Poi
si alzò da tavola e l’abbracciò forte
-Ti voglio bene.- Le sussurrò, dandole un bacio sulla
guancia.
La mattina del 31 dicembre Faith e Holly terminarono i preparativi per
la festa di capodanno.
- Max mi ha chiamato
un paio di ore fa. Non sa se riuscirà ad essere qui prima di
mezzanotte. Il maltempo ha causato dei ritardi ai voli di linea.-
Sospirò Faith, amareggiata.
- Vedrai che prima o
poi arriverà, stai tranquilla.- Le rispose l’amica.
- Lo spero.-
- Arriverà,
vedrai, e ci divertiremo un sacco stasera tutti insieme.-
Dopo pranzo Faith decise di andare da suo padre. Non era pienamente
convinta, ma voleva comunque provarci. Erano passati parecchi anni da
quando lo aveva visto l'ultima volta e temeva che qualcosa nel loro
rapporto già così complicato fosse cambiato.
Così prese la macchina e si recò in
città.
Lungo il tragitto pensò che forse avrebbe fatto meglio a
parlarne prima con Max, ma poi ci ripensò: si trattava di un
problema che riguardava soltanto lei e suo padre.
Parcheggiò l’auto lungo il viale alberato che
fiancheggiava il carcere e si diresse verso l’ingresso, ma,
non appena si avvicinò al cancello, fu pervasa da
mille perplessità e si pentì di esserci
andata.
“Cosa
mi dirai? Cosa penserai di me? E perché sei finito qui
dentro? Cos’hai fatto papà?”
Queste erano soltanto alcune delle domande che affollavano la sua mente
in quegli istanti, ma, più di ogni altra cosa,
ciò che la turbava era il timore delle risposte che avrebbe
sentito. Le stesse che attendeva da tanto tempo, ma che nessuno aveva
mai saputo o voluto darle.
Il solo fatto di essere arrivata fino all'entrata era stato sufficiente
per farle ricordare tutto il male interiore che aveva subito molto
tempo prima.
Fino ad allora non aveva mai avvertito il desiderio di rivedere suo
padre, perché la paura di rivivere tutti i ricordi
era tanta, ma da quando Max era entrato nella sua vita, si era resa
conto che presto o tardi avrebbe dovuto risolvere la situazione e per
farlo, era necessario buttarsi alle spalle il passato ed affrontare il
presente.
Consapevole di tutto questo, salì in auto e fece ritorno a
casa, promettendosi che sarebbe ritornata.
La festa di capodanno era stata allestita in una casa sulla spiaggia
che Holly e Faith avevano affittato per l’occasione.
Si trattava di un'abitazione piuttosto ampia che per tutta l'estate e
il periodo natalizio veniva data in locazione dall'agenzia dello Stato
a chiunque avesse voluto trascorrere una vacanza o anche solo
organizzare ricevimenti e compleanni.
Non era molto diversa dallo stereotipo di “casa
americana”: strutturata su due piani, era costruita in legno
e pietra, a pochi metri dall'oceano. Tutt'intorno, i cespugli selvatici
si erano spinti fin sotto al porticato, dipinto di bianco e azzurro e
illuminato da una lunga fila di lampadine colorate.
Alle otto di sera era già gremita di gente, ma per Faith la
casa era ancora vuota.
Mancava una parte di lei che le era stata strappata pochi giorni prima
di Natale, in una città che non era la sua, e il tempo ne
aveva amplificato la mancanza.
Cercò di non pensare all’assenza di Max, ma
nonostante gli amici la invitassero ripetutamente a ballare, se ne
stava seduta da sola aspettando una telefonata del suo ragazzo.
Soltanto Holly riusciva a tirarla su di morale con le sue simpatiche
battute. Consultava ripetutamente l’orologio, che pareva
andare più veloce ad ogni occhiata, quasi avesse voluto
farle un dispetto.
Mancava poco alla mezzanotte quando il suo cellulare
cominciò a suonare. Vista la confusione, fu costretta ad
uscire sotto il porticato per poter rispondere.
- Max dove
sei? È quasi mezzanotte.-
- Scusa Faith, ma
l’aereo ha dovuto fare scalo a Salt Lake City. Purtroppo non
sarò lì per tempo.-
Faith si
rattristò.
- Salt Lake City?
Arriverai domattina...-
- Si,
arriverò a Los Angeles intorno alle nove. Mi dispiace
tanto...-
Un'interferenza minacciava di far saltare i collegamenti.
- Ti amo, lo sai.-
- Anche io, Max.-
La linea saltò definitivamente e Faith fu costretta a
riattaccare.
Rimase qualche minuto sotto il porticato ad ascoltare il rumore
monotono dell'oceano, mentre il vento soffiava leggero, portandone
l'odore salmastro.
Quando decise di rientrare in casa la sua attenzione fu richiamata da
una voce proveniente dalla strada: qualcuno era appena sceso da un taxi
e la stava chiamando. La debole luce dei lampioni le permetteva di
vederne soltanto la sagoma, ma quando riuscì a definire il
suo volto, scoppiò dalla felicità.
- Max!-
Urlò, correndo verso di lui - Brutto imbroglione! Salt Lake
City, eh? Mi hai fatto star male! Temevo non saresti più
arrivato!-
Max le porse un grande mazzo di fiori che teneva nascosto dietro la
schiena.
- Spero ti bastino
queste rose per farmi perdonare, amore.-
- Oh, dovrai fare
molto di più.- Gli rispose Faith con un sorriso malizioso.
Improvvisamente, dalla casa sulla spiaggia, la gente iniziò
a gridare il conto alla rovescia e, a mezzanotte in punto, decine di
fuochi d’artificio illuminarono la baia di Santa Monica,
squarciando il cielo di colori vivi e luminosi.
- Non potrei
desiderare un inizio d’anno migliore.- Sospirò
Faith, sorridendo e guardando Max nei suoi occhi verdi.
- Felice anno nuovo,
piccola.-
|
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Capitolo 7 *** 7. Un Doloroso Ricordo ***
R
ISPOSTA ALLE RECENSIONI
Prima di ringraziare
le recensitrici mi preme fare gli auguri ad una persona importante. TANTISSIMISSIMI
AUGURI, SABRI!!!
Oggi è il tuo compleanno e non potevo certo dimenticarmi di
questo giorno così importante. Mi auguro che tu trascorra
una
bella giornata e spero di aver fatto buona cosa a farti gli
auguri pubblicamente! Ti voglio bene!
Intanto che ci sono ti
ringrazio
per tutto quello che fai e che scrivi! Hai una pazienza di Giove a
recensire così accuratamente ogni capitolo, e io ti ammiro
davvero tanto per il lavoro che fai! GRAZIE! Continua
così!
Un grazie particolare
anche a Rossella.
Sono contento che la prima cover ti piaccia e mi vergogno
perché
sei una mia fedele recensitrice, mentre io avrei voluto seguirti fin
dall'inizio nella tua NOTTE
ROSSA DI PLENILUNIO.
Purtroppo non seguo il genere, ma apprezzo il tuo modo di scrivere e ho
la certezza che ti meriti ognuno dei complimenti che ricevi ed io, al
tuo confronto, mi sento un “poppante”.
Non ti interesserà più di tanto sapere che,
mentre
l'altro giorno preparavo un Tiramisu, mi sei venuta in mente. Te ne
manderei volentieri un pezzo, ma con la velocità e
l'efficienza
delle Poste Italiane non so in che condizioni ti arriverebbe. E SE ti arriverebbe!
Comunque, scherzi a parte, grazie per il lavoro che fai. Sei Grande! Ti
voglio bene!
Infine, i miei
ringraziamenti vanno
alla Beta così tanto desiderata e amata, che riceve
dimostrazioni di affetto da ogni parte del mondo. Che dire? Sempre
perfetta e puntuale nello svolgere i suoi compiti e per il grande
spirito di sopportazione per miei ritardi e modifiche dell'ultima ora,
quando ormai lei ha già svolto la betatura! Le tue
recensioni
sono sempre molto divertenti! Grazie,
Monic. Ti voglio bene!
7.
U
N DOLOROSO RICORDO
L’anno nuovo iniziò con un’uggiosa e
malinconica giornata.
Dalla veranda
della sua casa, Faith osservava distrattamente il colore scuro
dell’oceano fondersi con il grigiore cupo del cielo. Le
grosse
nuvole ceree scivolavano lente e annoiate sopra la città,
punteggiando talvolta la sabbia di pioggia per poi scomparire oltre le
colline di Beverly Hills.
La ragazza se ne
stava seduta sopra un divanetto di vimini con una coperta sulle gambe,
e si godeva quegli attimi di pace. Regnava un gran silenzio,
intervallato soltanto dal sibilare del vento e
dall’infrangersi
delle onde contro gli scogli. Nell'aria si percepiva l'odore fresco
della pioggia e c'era l'alta probabilità che di
lì a poco
scoppiasse un vero e proprio temporale.
Pensava.
Pensava a suo
padre e al coraggio di vederlo che le era mancato il giorno prima.
Sentiva l’assoluto bisogno di parlarne con Max,
perciò
decise di aspettare che si svegliasse, dopo un’intera nottata
di
festeggiamenti.
Zia Becky era
uscita nel primo pomeriggio per far visita ad un’amica e le
aveva
lasciato dei biscotti alla crema nel forno.
Andò in
cucina, ne prese un paio e si versò una bella tazza di
caffè nero. Poi tornò ad accomodarsi sul
divanetto,
gustandosi i biscotti.
Ai suoni del
vento e delle onde si era aggiunto anche il ticchettio leggero ed
insistente della pioggia che cadeva sul tetto in legno del porticato.
Faith adorava quel rumore perché le conciliava il sonno.
Stava
appunto per appisolarsi quando Max apparve sulla porta
d’ingresso, facendola cigolare. Si sedette al suo fianco e
restò in silenzio.
- Si sta
così bene qui.- Sussurrò dopo aver ammirato il
paesaggio.
Faith lo salutò con un bacio.
- Questo posto mi
ricorda tanto
casa mia.- Proseguì Max - Con la differenza che qui si vede
l’oceano invece del lago.-
- È bello
vero?- Convenne
Faith - Tante volte mi piace sedermi qui. È rilassante e
allo
stesso tempo rassicurante. Mi da come la sensazione che niente e
nessuno possa farmi del male in questo angolo di paradiso. Chiunque si
sentirebbe a casa.-
- Hai ragione.-
Approvò Max.
Faith
approfittò dell’occasione per parlargli di suo
padre. Era
certa che lui avrebbe saputo ascoltarla e consigliarle come era meglio
comportarsi in una situazione così delicata.
- Mi sento
tanto in colpa.-
Concluse, infine - Non sapevo che cosa fare e così ho
pensato
che se ne avessi parlato con te…-
- Hai fatto bene.
Stiamo insieme adesso e dovremmo condividere i nostri problemi.- La
giustificò lui.
- È
difficile fare la scelta
giusta in questi casi. Qualcuno finisce sempre per starci male. Tu cosa
faresti al mio posto?-
- Se fossi in te... io
andrei.- Rispose deciso Max.
- Ma non ti importa
sapere che lui è in carcere perché ha infranto la
legge?-
- Tu non sai
perché c'è finito.-
- In effetti hai
ragione.- Ammise Faith, volgendo lo sguardo da un lato.
- Se devo essere
franco, ti
consiglio di andare da lui. Non hai idea di quante persone darebbero
qualsiasi cosa per poter andare a trovare i propri genitori e invece si
devono accontentare di guardare delle vecchie fotografie
perché
loro non ci sono più, e non perché sono partiti
per
sempre per chissà quale luogo del mondo.-
Max la fissò e lei capì che quella frase faceva
un preciso riferimento alla sua vita.
- Stai parlando di tuo
padre?-
Il ragazzo tentennò un po’ prima di rispondere,
stringendosi nelle spalle.
- Lui è
morto qualche giorno prima del mio sedicesimo compleanno.-
- Dio, mi dispiace
Max. Io…- Faith si portò una mano sul petto,
dispiaciuta.
- Dispiace anche a
me.- Mormorò il ragazzo.
-
Cos’è successo?-
- Una semplice
distrazione lo
portò fuori strada con l'auto. Era una domenica mattina
quando
il suono insistente del telefono mi buttò praticamente
giù dal letto. Entrando in cucina trovai mia madre
in
preda al panico. Mi disse che papà aveva avuto un incidente
in
macchina e che lei sarebbe dovuta correre immediatamente in ospedale.
Io rimasi in casa tutto il giorno e aspettai. Dentro di me sentivo che
era successo qualcosa di veramente grave e irreparabile. Quando quella
sera, mia madre tornò, io corsi alla porta per poter
riabbracciare mio padre, cercando di convincermi che ci fosse. Ma
purtroppo... non c’era.-
Max si
fermò di colpo. Non aveva mai raccontato a nessuno di quel
giorno, e si commosse. Si strinse le mani, incredulo di essere
finalmente riuscito a parlarne con qualcuno dopo tutto quel tempo.
Faith, che aveva
ascoltato incredula e silenziosa, lo abbracciò forte,
cercando
di trasmettergli tutto il suo affetto, finché lui riprese a
raccontare.
- Mio padre non
c’era. Mia
madre scese dall’auto, piangendo. Ricordo che mi venne
incontro,
mi abbracciò e io le chiesi ingenuamente
“Dov’è papà?” Lei
mi guardò con
gli occhi gonfi di lacrime e un sorriso che lasciava trasparire tutto
il dolore di questo mondo e mi rispose “Papà non
tornerà a casa. Lui... non ce l’ha fatta,
tesoro.”
Da quel momento tutto il mondo che conoscevo crollò come un
castello di carte. Ero stordito e allo stesso tempo arrabbiato. Non ci
potevo credere. Non ci volevo credere. Era come camminare in equilibrio
sospeso sul confine tra realtà ed irrealtà. Non
sentivo
né caldo né freddo e non riuscivo a capire cosa
stesse
succedendo. È stata la sensazione più brutta che
io abbia
mai provato. -
Faith rimase
senza parole. Aveva sentito tante storie simili a quella, ma non aveva
mai saputo ascoltarle con il cuore, e questo la intristì.
Questa
volta era successo a Max, una persona che stava iniziando ad amare per
davvero.
- Ti manca?- Gli
domandò.
Max rivolse il
suo sguardo verso l’orizzonte, quasi a voler cercare una
risposta
che già sapeva, dettata dal suo cuore.
- Ogni giorno di
più. Non
immagini quante volte ho immaginato di vederlo ritornare a casa. Mi
manca. Mi mancano le nostre chiacchierate sulla terrazza nelle sere
d’estate. Mi manca l’odore delle sigarette che
fumava
quando guardava la televisione prima di andare a dormire. Mi manca il
suo saluto quando tornava dal lavoro. Mi piacerebbe sapere che cosa
pensa di me adesso, dopo tanto tempo. Probabilmente sarebbe deluso.-
Faith richiamò la sua attenzione, poggiandogli entrambe le
mani sul viso.
- Ti sbagli invece, e
parecchio. Io
penso che da stare lassù lui ti osservi e ti giudichi
migliore
di quanto ritenesse quando era in vita.-
Max alzò lo sguardo. Una lacrima gli faceva brillare gli
occhi.
- Devi trovare il
coraggio di
andare da tuo padre, Faith. Forse non subito, ma non aspettare ancora
molto. Nonostante tutti gli sbagli che ha fatto in passato, credo si
meriti il tuo perdono. Non puoi portarti questo rancore per tutta la
vita. È pur sempre tuo padre. Tutti abbiamo bisogno di una
seconda possibilità e lui più di ogni altro.-
Lei sospirò, ravviandosi i capelli con una mano.
- Ci
proverò, Max. Grazie per avermi ascoltato. Ti voglio bene.-
- Ti voglio bene
anch'io.- Replicò lui, abbracciandola.
Quando, verso sera, zia Becky rientrò a casa, Max e Faith
erano ancora sotto il porticato a parlare.
- Finalmente conosco
questo Max!- Esclamò la zia, stringendo la mano del ragazzo
- Faith non fa che parlare di te.-
- Spero bene, almeno.-
Ribatté lui.
- Certamente.-
Confermò la
zia con una risata spensierata - Che ne dite - Suggerì dopo
- Se
preparassi un gustoso aperitivo prima di metterci a tavola? Restate
pure qui tranquilli: penserò a tutto io.-
- Perché
no. Mi sembra un’ottima idea.- Concesse Faith.
La zia tornò dopo pochi minuti con un vassoio ricco di
stuzzichini e bevande.
- Che sciocca! Ho
dimenticato i tovaglioli. Faith, ti dispiace andare a prenderli?-
- Assolutamente no.-
Faith andò in cucina e ritornò con in mano i
tovaglioli ed una vecchia fotografia sbiadita.
- Zia, ho
trovato questa mentre cercavo i tovaglioli. Chi sono questi bambini?-
Le chiese, piena di curiosità.
La zia si
strofinò le mani nel grembiule e prese la foto. Dopo aver
inforcato gli occhiali le diede un’occhiata.
- Ma questa
sei tu, mia
cara!- Esclamò - La foto è un po’
scolorita, ma ti
riconosco. Santo cielo, come ha fatto a finire in mezzo a questi
tovaglioli? Piuttosto - disse la zia, scrutando meglio l'immagine - Non
so chi sia questo bambino vicino a te. Con quel cappello calato sugli
occhi non riesco a riconoscerlo.-
Faith la riprese in mano e la guardò più
attentamente.
- Non sai
dove è stata scattata? Sul retro non
c’è scritto nulla.-
Zia Becky scosse la testa - È molto vecchia. Non ricordavo
nemmeno di averla.-
Max stava assistendo alla scena e desiderò dare
un’occhiata alla fotografia.
- Rimane il
fatto che tu sei bellissima in questa foto, Faith.- Affermò.
Lei arrossì.
- Vi dispiace se la
tengo?- Chiese loro Max - Mi piace...-
La zia guardò Faith, in attesa di una risposta.
- A patto che tu non
la faccia pubblicare su qualche rivista o, peggio, sul Los Angeles
Times!- Scherzò la ragazza.
Scoppiarono tutti a ridere mentre brindavano al nuovo anno.
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Capitolo 8 *** 8. Fiducia ***
RISPOSTA
ALLE RECENSIONI
Saty
Sono contento che tu
possa apprezzare le mie descrizioni. Mi fa piacere coinvolgere te e
tutti gli altri lettori così bene nella storia. E meno male
che fai apprezzamenti anche sui paesaggi, basta con questo Max!!! Mica
esiste solo lui! Sto scherzando, ovviamente! Ogni commento è
sempre ben accetto su qualsiasi parte del romanzo. Grazie ancora.
A
kane25
Hai sempre delle belle
parole da scrivermi. Grazie mille! Ho già contattato la
fabbrica che produce i Max e le zie Becky in serie e te ne
manderò una copia, poi potrai fare ciò che vuoi
con quei bambolotti! Naturalmente ne manderò anche a
Sabrina, per essere corretto, così per un po' vi
accontentate. E chissà che non sia io un giorno a chiederti
un autografo, visto il tuo folto pubblico! Sei bravissima!
M
ozzi84
Vedrai che
riuscirò a farti cambiare idea. So che non dovrei dirtelo,
ma Faith ti stupirà molto presto e, se così non
fosse, ti offrirò una coppa gelato dallo Zio. Non lo zio
Becky! Ora non posso fargli pubblicità, ma tu hai
già inteso tutto. Le tue betature sono sempre precise e i
tuoi suggerimenti corretti, senza che modifichino troppo la narrazione,
esattamente come io ESIGO da te! Beh, devo dire che mi sei piaciuta
molto... Si si. Sei stata molto brava. Molto bene! (Parla lo spirito
della zia Mara!)
Un ringraziamento
anche ad una nuova e fedele lettrice, Chiarascimmia
che, malgrado questo strano nickname, è una brava ragazza
alla quale voglio molto bene. Grazie anche a te.
8.
F
IDUCIA
Dopo aver fatto un bagno caldo, Max raggiunse Faith nel salotto, mentre
stava seduta comodamente sul divano, immersa nella lettura de “Le pagine della
nostra vita”, uno dei suoi libri preferiti.
Il caminetto diffondeva un gradevole tepore in tutta la stanza e il
legno di pino che ardeva al suo interno sprigionava un delicato profumo
balsamico.
Con il suo cono di luce, una piccola lampada dei primi anni ottanta
illuminava l’angolo del divano dove la ragazza leggeva il
libro, mentre sui vetri dell’ampia finestra le luci
dell’albero di Natale sembravano ammiccare ritmicamente.
- Disturbo?-
Domandò Max, spostando leggermente la porta a vetri
scorrevole per entrare nella stanza. Tra le mani stringeva una busta
bianca.
- Affatto.- Rispose
Faith, chiudendo il libro - Dalla tua espressione, sembra che tu debba
dirmi qualcosa di importante.- Realizzò, analizzando meglio
il suo sguardo.
Il ragazzo annuì, sedendosi al suo fianco. Esitò
qualche istante ed inspirò a fondo prima di parlare.
- Faith, mi rendo
conto che noi ci conosciamo da poco tempo, ma c’è
qualcosa di speciale che riesco ad avvertire quando ti sto vicino e che
mi suggerisce di fidarmi di te. Non so se questa sia una cosa positiva
o meno, perché è una sensazione che io non ho mai
provato, o che probabilmente ho provato tanto tempo fa e che ho
completamente rimosso dai miei ricordi. Però io voglio
farlo: voglio fidarmi di te. Senza limiti, senza condizioni.-
Lei ascoltava in silenzio e sorrideva, compiaciuta.
- Perciò -
Proseguì Max - mi chiedevo se tu potessi leggere questa per
me.- Disse, affidandole la busta.
- È di mio
padre. L’ha scritta qualche giorno prima che lui…
ecco, in occasione del mio sedicesimo compleanno. Non sono ancora
riuscito ad aprirla e leggerne il contenuto. Ogni volta che ci provo
tanti ricordi affollano la mia testa ed è grande la paura di
ritornare indietro, in quei giorni pieni di dolore. Temo che leggere
quelle righe rappresenti un saluto definitivo, una sorta di addio.
Però allo stesso tempo ho bisogno di sapere cosa
c’è scritto.-
- Sono davvero onorata
che tu lo abbia chiesto a me, ma... sei proprio sicuro di voler sapere
cosa c'è scritto?- Gli chiese la ragazza, assumendo
un’espressione preoccupata.
- Sono sicuro.-
Ripeté risoluto.
Lei aprì la busta, estrasse la lettera piegata a
metà e prese a leggerla lentamente, scandendo ogni singola
parola - “Max,
figliolo, non sono mai stato veramente bravo ad esprimermi a voce,
perciò spero che mi potrai perdonare se ho preferito
scrivere anziché parlartene direttamente. Credo sia il
momento, dopo quasi sedici anni, di dirti cosa penso realmente di te.
Vorrei
iniziare dicendoti GRAZIE.
Grazie,
perché solo nascendo mi hai reso la persona più
felice della terra.
Grazie,
perché mi hai involontariamente insegnato che nella vita
c’è sempre qualcosa di buono del quale essere
fieri, qualcosa di significativo nel quale credere.
Grazie,
perché mi hai dato il coraggio di riuscire a superare i
momenti difficili, quando pensavo che niente si potesse risolvere. Da
piccolo ti sedevi sulle mie ginocchia, mi guardavi e mi sorridevi.
Potevo sentire il mio cuore gonfiarsi nel petto e sarei stato in grado
di spaccare il mondo.
Mi
hai fatto comprendere che bisogna lottare per ciò che si
desidera perché niente si ottiene facilmente.
E
così dovrai fare anche tu. Senza calpestare i sentimenti
altrui, ma mettendo tra le tue priorità il rispetto verso le
persone, l’onestà, la solidarietà. Sono
certo che questo non ti sarà difficile, perché
sei un bravo ragazzo e ci tengo che tu sappia quanto sono orgoglioso di
te.
Infine
vorrei aggiungere una cosa: ovunque sarai e qualsiasi cosa farai, sii
sempre te stesso. Hai il dono straordinario di riuscire a far sognare
chiunque ti circondi. Non sprecarlo e abbi fede: un giorno incontrerai
una ragazza, una donna, che ti darà tanto e che
riuscirà a capirti fino in fondo, più di chiunque
altra. Sarà lei il tuo eterno premio.
Ti
voglio bene, Max.
Ricordati
che potrai sempre contare su di me e che sarò con te in ogni
momento della tua vita. Anche se saremo lontani... io ci
sarò.
Buon sedicesimo compleanno. Con
affetto, papà.”-
Faith strinse per un attimo il foglio tra le mani, immaginando
ciò che era successo qualche giorno dopo, o, peggio ancora,
poche ore dopo che il padre aveva scritto quella stessa lettera.
Avvertì un brivido al pensiero che lei era stata la prima
persona ad averla riaperta dopo dieci anni. Poi ripiegò il
foglio e osservò la reazione di Max, che stava immobile con
lo sguardo fisso verso il focolare.
- Come va?- Gli
domandò qualche attimo dopo, poggiandogli una mano sulla
schiena.
Lui si destò dal flusso dei pensieri che si susseguivano
nella sua mente ed emise un soffio, come se ciò fosse
servito a liberarsi di un fardello che da troppo tempo lo appesantiva.
Si meravigliò di essere riuscito a parlarne dopo tanto tempo.
Inizialmente il semplice ricordare un evento così doloroso
gli aveva provocato una morsa allo stomaco che lo fece aveva fatto
pentire di aver affidato la lettura della lettera a Faith. Ma poi
capì che, avendola coinvolta in una parte così
personale della sua vita, era riuscito ad alleviare la sua sofferenza.
Tuttavia non poté negare che l’aver diviso con lei
ciò che provava dentro lo faceva sentire strano, anche ai
suoi stessi occhi.
- Va tutto bene.-
Rispose con una certa esitazione e un sorriso mesto. Il fuoco del
focolare baluginava nei suoi occhi lucidi facendoli brillare.
Si lasciò andare sul divano con il viso rivolto verso
l'alto, poi tornò a guardare Faith.
- Tu hai mai scritto
la lettera a Babbo Natale quando eri piccola?-
Lei piegò la testa di lato, assottigliando gli occhi senza
capire quell'improvviso cambio di argomento.
- No. Non ho mai
scritto lettere. Purtroppo non c'era questa tradizione in casa mia.-
Max si ricompose e le si sedette di fronte, afferrandole le mani.
- Quando ero bambino,
tutti gli anni, qualche giorno prima di Natale, mio padre mi diceva di
scriverla. Mi parlava di lui come un essere magico che diventava reale
solamente nella notte in cui distribuiva i regali. Poi, da ragazzo,
durante una sera della vigilia, lo trovai seduto sui gradini davanti
all'ingresso di casa, a fissare il cielo. Gli chiesi cosa stava
guardando e lui mi rispose con un sorriso sulle labbra
“Aspetto Babbo Natale.” Io scoppiai a ridere
“Papà, non devi più raccontarmi questa
storia. Lo sanno tutti che Babbo Natale non esiste.” Lui mi
guardò, dandosi una finta aria di superiorità, e
mi disse “Nessuno sa che invece esiste davvero.”
“E dove sarebbe?” Gli chiesi io, scettico
“É qui, nel nostro cuore. Ecco perché
quando si diventa adulti non si crede più in lui. Ci si
dimentica di essere stati bambini e non ci si ricorda più
come ascoltare ciò che sentiamo dentro di noi.” Io
non sapevo cosa replicare, allora lui mi suggerì di chiudere
gli occhi e di esprimere un desiderio. Quando li riaprii vidi che anche
lui stava esprimendo un desiderio. “Cosa hai espresso,
papà?” Gli domandai. Sai cosa mi rispose?-
Faith scosse leggermente la testa, sollevando un angolo della bocca.
- Mi disse
“Gli ho chiesto di regalarti un sorriso sincero per ogni
giorno dell'anno.” Io alzai gli occhi al cielo e vidi con
stupore che il mio desiderio si era avverato: stava cominciando a
nevicare. Sorrisi d'istinto, e lui, guardandomi, mormorò
“Ecco il primo sorriso sincero.” Aveva ragione...
Babbo Natale esiste per davvero. L'importante è crederci.-
La ragazza annuì considerando il suo pensiero.
- Ho capito dove vuoi
arrivare.-
- Babbo Natale
è il simbolo di tutti i sogni. E' merito di mio padre se
oggi ci credo. Mi ha insegnato a non crescere mai nel
cuore.-
- Beh - Disse Faith -
Tuo padre ha pienamente ragione nella lettera.-
Max le rivolse uno
sguardo interrogativo.
- Riesci a far sognare
chiunque ti circondi, me in particolare.- Gli confidò,
baciandolo delicatamente sulle labbra con una mano sul suo viso.
Lui chiuse gli occhi ed interiorizzò la sua carezza,
assaporando il bacio.
- Adesso posso farti
io una domanda?-
- Certo.-
- Perché
oggi hai voluto che ti regalassi quella fotografia?-
- Perché
proprio in quell’immagine hai lo stesso sguardo che mi ha
fatto innamorare. Innocente e impacciato, ma allo stesso tempo dolce,
profondo e sincero. Lo sguardo è lo specchio
dell’anima e il tuo ne è la prova.- Poi Max
sorrise - Anche se sono molto geloso di quel bambino al tuo fianco.-
- Ah, sì...
forse è uno dei miei primi fidanzatini.- Lo
stuzzicò lei, dandogli un pizzicotto sul fianco -
Comunque grazie Max, hai sempre qualcosa
di carino da dirmi.-
- Grazie a te per aver
letto la lettera. Sapere ciò che mio padre pensava di me mi
ha reso felice e ha fugato ogni dubbio di averlo deluso. E' stato molto
importante.-
- Lo dicevo io che non
ti saresti dovuto preoccupare. Sai, credo che mi sarebbe piaciuto
conoscerlo.-
- Ed io posso
garantirti che anche a lui sarebbe piaciuto.- Replicò Max.
Faith lo abbracciò e rimasero stretti per alcuni minuti. Poi
lei gli si sdraiò vicino. I preparativi della festa di
Capodanno l’avevano sfinita e la stanchezza delle ore
precedenti si faceva sentire.
- Mi porteresti un
po’ un d’acqua, per favore?- Gli chiese.
Quando il ragazzo tornò in salotto, Faith si era
già addormentata. Posò silenziosamente il
bicchiere sul tavolino di vetro, le rimboccò una coperta di
lana dandole un bacio sulla fronte, e si accomodò sulla
poltrona vicino al caminetto. La osservò attentamente.
I ceppi ardevano vigorosamente e i giochi di luce creati dal fuoco le
illuminavano il viso, con colori morbidi e ombre irregolari.
Pensò che fosse bellissima anche mentre dormiva e si
sentì un ragazzo davvero fortunato per averla incontrata.
Gli bastò soltanto qualche istante per capire che
l’amava veramente.
- Spero sia tu il mio
eterno premio, Faith.- Sussurrò, prima di chiudere
gli occhi.
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Capitolo 9 *** 9. Neve Su Los Angeles ***
RISPOSTA
ALLE RECENSIONI
Saty, la mia
confidente e colei che mi consiglia nella stesura di questa storia,
grazie infinite ancora una volta per la pazienza e la costanza con la
quale recensisci la mia storia! E grazie anche degli auguri!
Nana_86,
benvenuta nel club de “LE RAGIONI DEL CUORE”, sono
molto onorato del tuo pensiero a riguardo. Mi auguro che continuerai a
recensire e, perchè no, anche consigliare. Ci conto!
Chiarascimmia,
grazie per aver recensito e anche per gli auguri di compleanno! Sei
fantastica! Ti aspetto a casa mia che “c'ho” una
torta per te...
Akane25,
favolosa Rossella che, nonostante tutti i suoi impegni (non
specifichiamo quali...) trova sempre qualche bella parolina anche per
questa fan fiction! Grazie mille!
Mozzi84, che
dirti? Semplicemente unica nel suo genere ed inimitabile,
più o meno come diceva Mary Poppins. Ok, non tirerai fuori
lampade e piante dalla tua borsa, ma tanta tanta tanta pazienza
sì, però! Ti ammiro molto!
AUGURO
A TUTTI UNA BUONA LETTURA!
9.
N
EVE SU LOS ANGELES
“La
memoria è il diario che ciascuno di noi
porta
sempre con sé.”
Oscar Wilde
La stanza di Faith fu invasa da un invitante profumo di frittelle e
plumcake, rendendo il suo risveglio più dolce del solito,
mentre dalla cucina voci e risate di più persone si
accavallavano rumorosamente, facendola incuriosire parecchio.
Uscì dal tepore che si era creato sotto le coperte e si
ricordò di essersi addormentata in salotto la sera
precedente. Max doveva averla portata a letto di peso e lei non se
n'era neppure accorta.
Max.
Ogni volta che pensava a lui sorrideva e, anche se non si guardava allo
specchio, era certa che avrebbe avuto un'espressione da stupida. Ma era
felice.
Qualcuno aveva alzato il volume della radio, attirando di nuovo la sua
attenzione, così scese dal letto, dandosi una veloce
sistemata ai capelli, e si infilò le pantofole.
Quando mise piede in cucina vide Max, zia Becky, Holly e Chris intenti
a preparare la colazione, ballando al suono di una canzone country. Il
tostapane fece improvvisamente saltar fuori le fette abbrustolite e
Holly le prese al volo, adagiandole su un piatto già quasi
colmo; zia Becky muoveva ritmicamente qualche passo, reggendo una
brocca di succo d'arancia, pronta da servire in tavola; Chris, con
indosso un grembiule raffigurante Pippo che diceva “Baciate il
Cuoco”, faceva volare per aria le frittelle come
un giocoliere, divertendosi come un pazzo, mentre Max spalmava burro e
marmellata sulle fette biscottate.
Faith si appoggiò allo stipite della porta con aria
divertita e si stropicciò gli occhi, chiedendosi quando
l'allegra banda si sarebbe accorta della sua presenza.
La cucina era inondata dalla luce di uno splendido sole e, se non fosse
stato per il calore del caminetto, pareva di essere in una giornata
d'estate, con gli uccellini che cinguettavano allegramente nel giardino.
- Buongiorno, Faith!-
La salutò Holly, mentre ricopriva le frittelle di zucchero a
velo.
- Ma che sta
succedendo qui? Vedo che vi state divertendo senza di me!-
Esclamò Faith, stiracchiandosi.
Max la osservò sistemarsi una spallina della canotta bianca.
In pantaloncini corti era davvero sexy, pensò.
Le si avvicinò e la baciò sulle labbra - Dormivi
così bene che non abbiamo voluto svegliarti.- Le disse,
sistemandole una ciocca ribelle di capelli - Buongiorno,
amore mio. A tavola.-
Lei lo baciò e poi salutò Chris con un abbraccio
- E tu che ci fai qui? Non ti aspettavo.-
- Ehi! Guarda che mi
rimetto il cappotto e me ne torno a New York!- Scherzò lui -
Ho attraversato il continente solo per farti assaggiare il mio famoso
plumcake e le mie rinomate frittelle, e tu mi accogli così?-
Alla vista del plumcake ancora fumante al centro della tavola, Faith
s'ingolosì e si accomodò, mettendosi il
tovagliolo sulle ginocchia.
- E tu da quando ti
occupi di cucina? Pensavo che di mestiere facessi il dongiovanni.- Lo
provocò in tono canzonatorio.
Chris afferrò un forchettone dal vaso degli utensili da
cucina e glielo puntò contro - Attenta a come parli,
ragazzina.-
Max, Holly e la zia scoppiarono a ridere e presero posto a tavola,
insieme a Faith.
Chris servì le ultime frittelle e si sedette, accingendosi a
tagliare un pezzo di plumcake.
- Le giornate
dovrebbero sempre iniziare così. Grazie per questa bella
sorpresa, ragazzi.- Disse Faith - Non me l'aspettavo. È
fantastico avervi qui tutti insieme in questi giorni di festa.-
- Beh, io a dire il
vero non avevo di meglio da fare.- Affermò Chris, fingendosi
annoiato.
- Sì, lo so
Chris.- Replicò Faith divertita, stando al suo
gioco - Zia Becky ed io provvederemo a farti avere la tua giusta
ricompensa per averci permesso di gustare queste prelibatezze.-
- Sono buone davvero
le frittelle.- Osservò zia Becky, assaggiandole -
Più delle mie. Mi dovrai svelare il tuo ingrediente
segreto.-
- Allora un applauso
per la cucina di Chris!- Esclamò Holly - Non sono in tanti a
superare la maestria di Zia Becky!-
- Grazie! Grazie!-
Fece Chris, alzandosi in piedi per potersi inchinare - Baciate il
cuoco, prego!-
I ragazzi si misero a ridere e continuarono a fare colazione,
polverizzando frittelle e plumcake.
La sera scese in fretta e uno strano silenzio avvolgeva la casa e il
giardino intorno. Nemmeno le civette gridavano. Sembrava che qualcuno
avesse premuto il tasto PAUSE su qualsiasi rumore prodotto dalla natura.
Come da prassi nelle corte e pigre giornate festive, i ragazzi avevano
trascorso il pomeriggio dividendosi tra giochi da tavolo, televisione e
relax sul divano, nella piacevole atmosfera natalizia creata nel
salotto.
Nei giorni precedenti Il meteo aveva parlato spesso di una probabile
nevicata nel sud della California, ma i più
esperti ovviamente lo escludevano.
E come dargli torto? Effettivamente la zona che comprendeva Los Angeles
era situata a latitudini troppo vicine all'Equatore perché
potesse verificarsi un evento simile. Ma le frequenti piogge
nell'ultimo periodo lasciavano ai romantici un minimo di speranza.
Dopotutto anche sulla città era nevicato qualche anno prima.
Certo, non era stata una tormenta, però qualche fiocco
sembrava essere sfuggito alla volontà divina e questo
bastò a riaccendere gli animi di chi desiderava capitasse di
nuovo.
- Non sarebbe Natale
se non nevicasse.- Affermò Chris mentre smuoveva la legna
all'interno del focolare con una paletta. Immediatamente il fuoco si
agitò, sprigionando nell'aria il profumo del legno di noce.
- Quando vivevo in
Canada con mio marito ogni Natale nevicava abbondantemente, giorno e
notte.- Raccontò zia Becky, entrando nel
salotto. Sistemò il parafuoco per evitare l'eccessivo calore
diretto, poi si accomodò sulla sedia a dondolo con una
coperta sulle gambe.
Faith spense il televisore e tornò a sprofondare nel divano
vicino a Max, piegando le ginocchia al petto e abbracciandole strette.
Le piaceva molto ascoltare i ricordi di sua zia.
- Io e lo zio di Faith
accendevamo il fuoco e stavamo per ore, sotto una coperta di lana, ad
ammirare in silenzio la neve che cadeva leggera e silenziosa,
ricoprendo tutto il paesaggio.- Zia Becky sorrise, malinconica, con lo
sguardo fisso nel caminetto. I ricordi sembravano scorrerle davanti
agli occhi - Questo è il ricordo di Natale più
bello che mi porto nel cuore.-
Le sue parole nostalgiche aleggiarono nell'aria per qualche minuto,
mescolandosi con lo scoppiettare vivace del fuoco.
- Le vacanze di Natale
- Iniziò Holly - le trascorrevo ad Aspen, con i miei
genitori. Lassù la neve non mancava di certo. Aver avuto
tutta la famiglia riunita nel giorno più importante
dell'anno è il mio ricordo d'infanzia preferito.-
Max sorrise e annuì - Anche il mio. Ricordi, Chris - Disse,
rivolgendosi al cugino - I pupazzi di neve che costruivamo in
giardino?-.
Chris fece una breve risata.
- Sì!
Eravamo forti. I nostri erano i migliori pupazzi di neve del paese.-
- Puoi ben dirlo.-
Ribadì Max - E ricordi il pranzo di Natale che seguiva? Era
bello avere tutti vicino. C'era questa grande tavola imbandita di ogni
cosa e vedere tutte le persone strette attorno ti faceva pensare che
giorni come quelli si sarebbero potuti ripetere all'infinito. Nessuno
voleva mai che finissero.-
- Ci siamo divertiti.-
Confermò Chris annuendo con la testa.
- Io ricordo di quando
mia madre cucinava il mio dolce preferito - Intervenne Faith con
un'espressione sognante dipinta sul viso - il plumcake. Stamattina,
quando mi sono svegliata, per un breve attimo mi è sembrato
di tornare bambina e sentire il profumo del dolce mi ha fatto ricordare
di lei.-
Max le accarezzò i capelli e lei lo guardò -
Allora eravamo davvero tutti uniti. Ma i tempi cambiano. Le persone si
evolvono. E improvvisamente ci ritroviamo cambiati anche noi,
nonostante abbiamo fatto di tutto per impedirlo.-
Max considerò le sue parole e realizzò che Faith
aveva ragione.
- Scusate.-
La ragazza si alzò e uscì in veranda,
visibilmente turbata.
Max non la seguì, consapevole che desiderava restare da sola
per un po'.
Quando Holly e Chris se ne furono andati, lui si fermò sotto
il porticato.
- Ehi - Le disse
piano, dondolandosi sui talloni - Come stai?-
Si sedette sul divanetto al suo fianco e Lei sollevò un
angolo della bocca alzando gli occhi - Credo che vada tutto bene.-
Rispose con voce incerta.
- Ti va di parlarne?-
- Io stavo solo
ripensando a mia madre. Tutto qui. Era da un po' che non lo facevo.-
- È normale
che tu ci pensi. Non c'è niente di male.- La
confortò, cingendole le spalle con un braccio.
Lei si voltò e lo abbracciò stretto - Dio, Max,
lei mi manca così tanto.- Sussurrò -
Però vuoi sapere una cosa?- Gli chiese, accarezzandolo in
viso - Sono convinta che, per ogni persona che perdiamo durante la
nostra breve esistenza, il destino ce ne regali un'altra.-
- Lo penso anch'io.-
Affermò lui.
La ragazza si asciugò un angolo dell'occhio con un dito -
C'è una cosa che ieri ho dimenticato di darti. Vado un
attimo in camera a prenderla.-
- Ti aspetto qui
fuori.-
Quando lei sparì oltre la porta, Max si alzò e
uscì a prendere una boccata d'aria.
Le temperature si erano abbassate parecchio e in alcuni punti il cielo
si mostrava in insoliti chiarori rosati.
La luna, nascosta dietro ad una nube violacea che ne rispecchiava la
luce argentea, si ostinava a non voler mostrare il suo volto
lattiginoso.
Si sedette lungo i gradini della veranda, poggiando la schiena contro
il parapetto, e ascoltò l'oceano muoversi lentamente. Gli
tornò in mente quella sera della vigilia, quando aveva
sorpreso suo padre guardare verso l'alto. Sorridendo, chiuse gli occhi
ed espresse un desiderio. Un leggero refolo di vento gli mosse il
bavero del cappotto e gli scompigliò delicatamente i capelli.
Poco dopo Faith uscì di casa, reggendo un regalo con un
fiocco dorato; sedette vicino a lui e glielo porse.
- Ecco, questo
è per te. Mi rendo conto che non sarà mai
abbastanza rispetto a quello che mi hai regalato tu, però...-
- Basta il pensiero,
no?-
- Solitamente lo
dicono tutti quando non sono contenti di ciò che hanno
ricevuto.-
Max sorrise, lanciandole una rapida occhiata mentre sfilava il nastro -
Sei molto perspicace, ma non è il mio caso.-
Tolse la carta colorata e, quando capì di cosa si trattava,
scoppiò in una risata - Non ci credo!-
- Credici, bello mio.-
- Sei tornata nel
negozio a comprarlo!- Esclamò lui spalancando gli occhi.
Prese a sfogliare il libro e poi lo richiuse, leggendo ad alta voce il
titolo sulla copertina e pensando che fosse uno scherzo - “Tutte le nuove
posizioni del sesso”.-
Faith ridacchiò.
- Non farti strane
idee. Te l'ho voluto regalare perché in un certo senso
è stato il libro che ci ha fatti incontrare. Ok, lasciando
perdere quell'incidente avvenuto davanti al tuo hotel, ma di certo non
potevo portarti quella povera vecchia.-
- No! No di certo!-
Ribadì Max.
- Comunque non
è finita qui.- Aggiunse lei.
- Cos'altro devo
aspettarmi?-
Faith estrasse dalla tasca una scatola più piccola,
anch'essa incartata elegantemente, ma dall'aspetto più
sobrio.
- Andiamo sul
pesante.- Commentò il ragazzo.
- Coraggio, aprilo.-
Lo esortò lei in preda all'eccitazione.
Aprì la scatola e un orologio finemente lavorato in acciaio,
con il quadrante nero lucido e i numeri romani, luccicò
sotto la luce del porticato.
Max restò di sasso. Lo estrasse e lo ammirò
più da vicino.
- Se guardi dietro
c'è un iscrizione.- Spiegò Faith, guardando
l'espressione stupita e felice del suo ragazzo.
- È molto
bello, Faith. Non dovevi.-
L'iscrizione incisa sul retro del quadrante diceva “All'Uomo dei Sogni.
Tua Per Sempre, Faith”.
Lui la guardò con gli occhi dolci.
- Volevo che anche tu
avessi qualcosa che ti facesse ricordare di me.- Spiegò lei
con il suo tenero sorriso.
- Tu sei sempre con
me, lo sai.-
Lei socchiuse gli occhi, scettica, ma sicura dei sentimenti che li
legavano - E come?- Lo mise alla prova.
Max le prese il viso con entrambe le mani e le diede un piccolo bacio
sulle labbra.
- Così.- Le
sussurrò.
Mentre si fissavano negli occhi, un minuscolo ma visibile cristallo si
posò sulla guancia di Faith per poi sciogliersi in una
frazione di secondo e subito dopo, un altro e un altro ancora.
I due ragazzi guardarono in alto e videro con stupore che milioni di
puntini luminosi turbinavano leggeri nel fascio di luce proveniente
dalla veranda e scendevano su di loro, avvolgendoli nel rassicurante
silenzio che aveva accompagnato tutto il pomeriggio.
- Hai espresso un
desiderio?- Gli chiese Faith, abbassando lo sguardo perplesso.
- Qualcosa del
genere.- Mormorò Max, tornando a guardare il cielo con un
sorriso - Qualcosa del genere.-
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Capitolo 10 *** 10. Promessa ***
RISPOSTE
ALLE RECENSIONI
Akane25 Questo
benedetto libro sembra molto richiesto e non riesco a soddisfare tutte
le ordinazioni,ma vedrai che prima o dopo ti arriverà dritto
a casina... Non preoccuparti del ritardo, anzi, ti ringrazio per aver
votato la mia storia per i migliori personaggi originali. Spero che
anche gli altri lettori ti seguano! A presto! Baci.
Nana_86 Come il
suddetto libro per Akane25, questo benedetto ragazzo sembra molto
richiesto e non riesco a soddisfare tutte le ordinazioni, ma vedrai che
prima o dopo ti arriverà dritto a casina... Spero che il
prossimo capitolo ti piaccia ancora di più! Grazie per aver
recensito! A presto!
Saty Grazie
anche a te per aver votato i miei personaggi come migliori originali.
Immaginavo che l'introduzione di Oscar Wilde sarebbe stata di tuo
gradimento. Così come la rievocazione del famoso libro...
Credo che mi daranno il premio Strega per “Tutte le nuove
posizioni del sesso”, ih ih ih! Grazie per il tuo regalino!
Un grosso bacio!
Mozzi84 Dulcis
in fundo, la beta! Oh, io non ho mai parole per te. Sei brava, svolgi
il tuo dovere con precisione e buona volontà, cosa si
può volere di più? (Per lo stipendio ci
sistemiamo in privato... So che sono in debito, ma intanto ti faccio un
pagherò...) Ti voglio bene! Grazie per aver votato i
personaggi della storia!
10. PROMESSA
Dopo le lunghe giornate d’inverno, la primavera
iniziò a far sbocciare i primi fiori di campo, profumando
l’aria delle più dolci fragranze.
L'amore che legava Max e Faith continuava a crescere. Ogni fine
settimana lui la raggiungeva a Santa Monica. Un venerdì in
particolare portò Faith al settimo cielo. Si trattava
dell'ultimo week-end di marzo.
Quel giorno la ragazza tornò a casa esausta dal lavoro ed il
suo unico desiderio era farsi un bel bagno. Così
avvertì zia Becky che si sarebbe rilassata
un’oretta prima di cena.
Zia Becky faticò a nascondere un sorriso nel risponderle:
Faith non sapeva cosa l’aspettava.
Sistemò la sua valigetta sopra una sedia del salotto e si
recò nella sua stanza.
Quando aprì la porta, decine di petali rossi, rosa e bianchi
danzarono leggeri verso il centro della camera, mossi dalla corrente
d'aria. Si accorse con sorpresa che anche il suo letto era cosparso di
tanti petali di rosa bianchi: sulle lenzuola di seta blu facevano un
gran bell'effetto.
Ma ciò che attirò la sua attenzione fin da subito
era un piccolo pacchetto regalo posto sul cuscino che la
lasciò stupita e alquanto perplessa. Non si aspettava di
certo una sorpresa del genere. Pensò subito a Max come
l’artefice di tutto, ma come poteva esserlo? Era certa che
sarebbe arrivato il giorno successivo, non nel pomeriggio del
venerdì.
Si guardò un po’ intorno, smarrita, quasi a voler
cercare una spiegazione, poi si avvicinò sospettosa a quella
scatola sigillata da un elegante fiocco argento e
l’aprì. Con suo grande dispiacere
scoprì che non conteneva niente. O meglio, niente di
così importante che potesse valere tutta quella scenografia
che si era trovata davanti entrando in camera.
- Ma che
diavolo…- Mormorò tra sé. Si sedette
sul letto rigirandosi tra le mani la scatola vuota e obbligandosi a
trovare una spiegazione.
Fu in quel momento che si accorse di un mazzo di rose bianche adagiate
sul cassettone sotto lo specchio. Ultimamente era così
abituata a vedere fiori in ogni angolo della casa che non aveva proprio
fatto caso alle rose legate insieme anch’esse da un nastro
argento.
Si portò una mano davanti alla bocca mentre sorrideva,
contenta di sapere che Max si trovava nei paraggi, e decise di stare al
gioco.
Conosceva troppo bene il suo ragazzo e realizzò che lui
voleva stupirla un’altra volta. Era una cosa che ammirava in
Max più di ogni altra. Non aveva mai conosciuto nessuno che
la sapesse sorprendere come faceva lui.
Si alzò in piedi e vide un biglietto che faceva capolino tra
le foglie verdi delle rose. Odorò i fiori e aprì
il biglietto scritto in bella grafia.
Ogni notte, prima
di addormentarmi,
un
Angelo sfiora il mio cuore
e
ne porta via un pezzo,
sussurrandomi
che lo darà alla persona che amo.
Ogni
mattina, prima di svegliarmi,
sento
il mio cuore battere forte:
è
il segno che l’Angelo
ha
compiuto la sua missione.
Il
mio cuore per te è così grande
che
non basteranno tutte le notti di questo mondo
né
tutti gli Angeli del Paradiso
per
portartelo…
Chiudi
gli occhi e ascolta gli Angeli
cantarti
il mio Amore.
Max
Faith sorrise e sentì una lacrima calda scivolarle lungo una
guancia. Chiuse gli occhi e dopo qualche secondo il battito del suo
cuore iniziò ad accelerare il ritmo. Avvertiva qualcosa
nello spazio, come una presenza, che aleggiava impercettibilmente
intorno a lei.
Si sentì sfiorare delicatamente il viso e un brivido
improvviso la fece trasalire. Sussultò.
Era una sensazione strana, ma rassicurante allo stesso tempo.
Un respiro tra i capelli. Un profumo diverso, quasi estraneo. Un tocco
vellutato e impalpabile.
- Max.-
Sussurrò.
- Shhh.- La
zittì lui.- Tieni gli occhi chiusi.-
Faith lottò contro sé stessa per restare il
più tranquilla possibile. Inspirò a fondo,
trattenne il fiato per qualche secondo ed espirò lentamente
sentendo sciogliersi i muscoli della schiena e delle spalle e cercando
di coordinare i suoi movimenti, mentre il tocco scendeva morbido e
sicuro sul collo, lungo le braccia, fino ad afferrarle le mani. Quando
le dita si intrecciarono lasciò uscire quella fitta di
agitazione che la faceva tremare, rallentando gradualmente i battiti
del suo cuore.
Sentirlo così vicino l'aveva sempre elettrizzata, ma, quella
volta, lo avvertiva in un modo del tutto nuovo, eccitante e piacevole,
tanto da indurla ad abbandonarsi completamente al suo tocco e al suo
corpo, divenendo parte dipendente di lui.
In piedi, immobile, davanti allo specchio e con gli occhi chiusi
soltanto da pochi minuti, si sentì improvvisamente
disorientata e lasciò cadere ogni sua inibizione.
Anche Max teneva gli occhi chiusi odorando il profumo di lei.
L'abbracciò standole dietro e il contatto con il suo corpo
caldo gli scatenò un fuoco nello stomaco. Udiva i battiti
del suo cuore e il tremolio delle mani che andava via via scemando. Le
sfiorò il collo con le labbra e lei gemette.
Provava una piacevole sensazione di libertà, qualcosa che
aveva conosciuto rare volte, e questo lo eccitò. Desiderava
fare l'amore con lei in quell'istante, ma non era il momento giusto
perchè era consapevole che la continua attesa alla fine gli
avrebbe regalato dolci attimi di emozioni fortissime. Non aveva alcuna
intenzione di rovinare tutto subito, gli pareva uno spreco, soprattutto
perchè quella ragazza era troppo importante per lui.
- Piaciuta la
sorpresa?- Mormorò sottovoce per tenere la realtà
al di fuori del loro spazio.
Faith esitò a lungo prima di rispondere perché
voleva interiorizzare il suono della sua voce profonda e rendere
più intima e significativa la situazione e le emozioni che
le provocava.
- Sono molto felice
che tu sia qui con me.-
Max la baciò sulla spalla.
- Vorrei stare
così per sempre Max. Riesco a vederti anche se ho gli occhi
chiusi. Riesco a sentire quello che provi, quello che pensi. -
Sussurrava piano dando più enfasi ad ogni singola parola.
- Allora riesci a
sentirli?- Le chiese.
- Sì.-
- E cosa ti stanno
dicendo?-
Faith si voltò con le mani nelle sue e si trovarono
l’uno di fronte all’altra. Si avvicinò
con il viso e lo baciò sulle labbra.
- Però-
Obiettò Max quando sentì che Faith lo stava
lasciando - non credo di aver capito bene, quindi ti dispiace
se…-
Faith sorrise e lo baciò di nuovo, più a lungo.
- Credi che adesso
potremmo aprire gli occhi?- Gli domandò Faith.
- Apriamoli insieme.-
Rispose.
- Ok. Allora
conterò fino a tre e poi potremo aprirli.- Propose lei
ridendo. Max sorrise.
Faith cominciò a contare e aprirono gli occhi lentamente.
Impiegarono un po’ ad abituarsi alla luce del sole che
filtrava tra le fessure delle persiane.
Max la guardò negli occhi.
- Cosa mi sono perso.
Sei ancora più bella che ad occhi chiusi.- Faith
arrossì leggermente. Max prese la sua mano sinistra e se la
portò alle labbra per baciarla. Lei rimase immobile e con
un’espressione piena d’incredulità.
- Max, ma
cosa…-
- Ti piace?- Le
chiese. La ragazza non si era ancora accorta che portava un anello al
dito.
- L’anello-
Le spiegò Max - non vuole significare una proposta immediata
di matrimonio, ma una sorta di garanzia per assicurarti che presto ti
chiederò di sposarmi. Non subito, perché forse
sarebbe un po’ affrettato, insomma, ci sono alcune cose da
sistemare e…-
Faith si rattristò e si sedette sul letto ammirando
l’anello. Pensò che fosse stupendo con tutti
quei piccoli diamanti incastonati, perfettamente allineati a
formare un cerchio.
Max le si inginocchiò di fronte e le accarezzò i
capelli.
- Qualcosa non va
Faith?-
Lei alzò lo sguardo al soffitto per qualche istante mentre
gli ultimi raggi del sole che tramontava le facevano brillare gli occhi.
- Sul serio vorresti
dividere il resto dei tuoi giorni con me? E se invece ti sbagliassi? Se
io non fossi la ragazza giusta per te?-
- Non esiste una
ragazza giusta o sbagliata, ma soltanto una ragazza. E per me sei tu,
Faith. Ho sentito di provare qualcosa per te fin da quel giorno a New
York. Quando ti ho guardata è stato come se ti avessi
già vista tanto tempo fa. Tu mi hai improvvisamente aperto
gli occhi e il cuore.-
Max le asciugò una lacrima con il dito.
- Io ti amo Faith e
non potrei immaginarmi senza di te al mio fianco.-
Faith sorrise.
- E io li sento
davvero, Max. I tuoi angeli sono i miei. Le tue notti sono le mie. Il
mio cuore... è tuo.-
Stando dietro la porta socchiusa, zia Becky guardava la sua bambina.
Anche lei si era un po’ commossa davanti a quei due ragazzi
abbracciati stretti l’uno all’altra.
“Sei davvero
cresciuta, mia piccola Faith.” Pensò
mentre tornava silenziosamente in cucina.
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Capitolo 11 *** 11. Un'Amara Scoperta ***
RISPOSTA
ALLE RECENSIONI
Stavolta
inizierò dalla mia beta. Fantastica, come sempre, Mozzi84! Sono
contento che ti sia piaciuto il biglietto di Max, significa che
stavolta “abbiamo” fatto centro! Mi auguro davvero
che tu lo trovi uno come lui, sei brava come il sole ;)
Nana_86, eccoti
un nuovo capitolo che sono sicuro ti piacerà davvero tanto.
Questa volta mi permetto di fare il modesto! Vai tranquilla sui
commenti riguardo Max, ormai ne ha collezionati a bizzeffe e non credo
che qualche complimento in più gli darà fastidio
:D
Saty, ben felice
che anche con questo capitolo ho saputo catturare il tuo parere super
positivo! Il gioco ad occhi chiusi lo trovo molto affascinante e sembra
che ti permetta di percepire meglio ogni sensazione. Non che io l'abbia
provato, però... Però... :D
Ringrazio
anche Akane25,
che probabilmente è stata rinchiusa dentro ad una botte e
lanciata in mare da un gruppetto di pirati, dato che questa volta non
mi ha neppure mandato una cartolina.... Sto scherzando, ovviamente!!
Anche
Chiarascimmia,
comunque, dev'essere stata rinchiusa da qualche parte... At voi tant
ben!
Visto
che ancora non l'ho fatto, voglio approfittarne per ringraziare tutte
le persone che hanno inserito la mia storia tra le loro preferite e
seguite. Grazie di cuore!
Nel
corso del capitolo “Un'amara scoperta” troverete
due canzoni che vi suggerisco di ascoltare durante la lettura. La prima
è “I
could not ask for more” di Edwin McCain; la
seconda è “Home”
di Michael Bublé. Spero siano di vostro gradimento!
11. U
N'AMARA SCOPERTA
Un sabato pomeriggio di aprile, Faith decise di tornare in carcere per
far visita a suo padre.
Ormai rimandare non aveva più senso. Era passato troppo
tempo e la curiosità di sapere perché fosse
finito in un posto simile era aumentata fino a diventare una vera e
propria ossessione.
Max si era offerto di accompagnarla, ma lei aveva preferito andare da
sola: voleva concentrarsi pienamente sulla situazione e con il suo
ragazzo intorno non sarebbe riuscita a farlo. Talmente ne era
innamorata, avrebbe rappresentato la sua più bella
distrazione.
Gli aveva soffiato un bacio con la mano mentre lui la osservava uscire
dal vialetto di casa a bordo della sua auto e il suo sguardo le aveva
trasmesso tutto il coraggio di cui avrebbe avuto bisogno.
Malgrado fosse una giornata di sole, il carcere manteneva il suo solito
aspetto austero, freddo e anonimo, tanto da indurla a chiedersi cosa la
costringesse ad entrarci.
Appena varcò la soglia le si avvicinò un
inserviente di mezz'età.
- Buon pomeriggio,
signorina. Con chi desidera parlare?-
- Brian Harrington,
per favore.-
- Allora si accomodi
pure nella sala a sinistra. Potrà parlare con lui tra pochi
minuti.-
Faith annuì e lo ringraziò, seguendo le sue
indicazioni.
La grande stanza appariva squallida ed appena illuminata dai coni di
luce che filtravano dalle piccole finestrelle quadrate dotate di sbarre
vicine al soffitto. Inoltre si respirava un insopportabile odore di
fumo che si amalgamava all'aroma del caffè preparato dalla
macchinetta automatica, sistemata in un angolo a fianco del
distributore di bibite in lattine.
C'erano diverse persone che parlavano a tavolino con i carcerati e un
leggero brusio rompeva un continuo e incombente silenzio.
Passarono un paio di minuti prima che Faith vedesse comparire suo padre
sulla soglia della porta della stanza.
- Faith!- La
salutò, sorpreso - Non mi aspettavo di vederti.-
La ragazza tentennò un poco prima di parlare.
- Io... non so nemmeno
perché sono qui.-
- Però ci
sei- La incalzò suo padre - ed io sono molto contento di
vederti.-
- Io invece no.-
Ribatté Faith - Nonostante sia qui non sono contenta di
esserci.-
Brian comprese cosa gli stava dicendo e, imbarazzato, fece correre lo
sguardo sulle persone intorno a loro.
- Ti sei comportato
male, papà. Nei miei confronti, specialmente. Questo
è giusto che tu lo sappia.-
- Tua madre mi
tradiva. Ha tradito tutti noi.-
- Smettila!- Faith si
alzò di scatto, ma tornò a sedersi quando si rese
conto di essersi attirata l'attenzione di tutti - Smetti di dare le
colpe alla mamma.- Sibilò - Proprio non vuoi prenderti le
tue responsabilità!-
- Faith, non
è così facile come puoi pensare.-
Faith sbuffò e si lasciò andare sulla sedia, con
le braccia conserte.
- E come la posso
pensare, papà? Spiegamelo, perché non riesco a
capirlo.-
- Il fatto che me ne
sia andato non significa che mi sia dimenticato di te.- Rispose Brian
allungando una mano sul tavolo per tentare di accarezzare Faith - Sei
la persona che occupa tutti i pensieri della mia mente quando non penso
a ciò che ho fatto in passato per finire qui dentro, Faith.
Darei tutto quel poco che ho per riconquistare il tuo rispetto e per
fare in modo che tu possa tornare ad essere orgogliosa di me.-
Una lacrima disegnò una sottile striscia argentata sul viso
di Faith.
- E allora
perché? Dimmi perché sei finito in galera.- Lo
supplicò afferrando entrambe le sue mani.
Brian
abbassò lo sguardo e le sue labbra si contrassero in un
sorriso stanco e pieno di amarezza.
- Quando tua madre
uscì dalla nostra vita cominciai a bere e finii per perdere
il lavoro. Diventavo sempre più pericoloso ogni giorno che
passava, finché la zia Becky riuscì a convincermi
ad entrare in un centro di disintossicazione. Dapprima non ne volevo
sapere, ma una mattina capii per quale motivo avrei dovuto iniziare la
cura. E quel motivo eri tu, Faith. Il tuo sguardo che non aveva bisogno
di essere spiegato, il tuo sorriso che iniziava a spegnersi quando
sapevi che ti stavo guardando. Compresi che ti stavo già
facendo del male. Se fossi rimasto avrei distrutto la tua vita
più di quanto non avessi già fatto.-
Faith lo ascoltava con attenzione e con gli occhi lucidi chiedendosi se
suo padre fosse davvero cambiato, ma si ricordò che, se si
trovava in carcere, doveva aver compiuto qualcosa di veramente grave.
Brian sospirò.
- Faith, ho ucciso una
persona tanto tempo fa.-
La ragazza sgranò gli occhi portandosi d'istinto una mano
davanti alla bocca.
- Ma ti assicuro che
è stato soltanto un terribile incidente.-
- Non è mai
un incidente, papà! Oh mio Dio, cos'hai fatto? COS'HAI
FATTO?!- Faith era sconvolta e si sforzava di convincersi di aver
frainteso tutto.
- Faith, ascoltami per
favore. Ascoltami.- La implorò lui.
La ragazza si alzò in piedi e fece per andarsene.
- Faith, tesoro! Ti
giuro che se potessi tornare indietro...-
- Non si torna
indietro, papà. Rassegnati. Questa è la vita.-
Disse con un'alzata di spalle fermandosi sulla soglia senza
voltarsi - E, in quanto a me - Continuò - ho fatto a meno
del tuo amore per molto tempo. Posso farlo ancora.-
- Faith...-
Sussurrò suo padre mentre la vedeva sparire oltre la porta.
Il cielo era diventato rosso e Faith si soffermò qualche
minuto ad osservare alcune nuvole blu rincorrersi fino ad unirsi a
formare il profilo di un castello.
Sorrise, triste.
Quello lassù doveva essere davvero un mondo fantastico,
pensò.
Un mondo che non aveva mai visitato. Una zona neutrale dove non
esisteva il bene perché non esisteva il male.
Un mondo dove le persone si amano e vivono di sentimenti che non hanno
bisogno di essere spiegati.
Un mondo lontano da lei milioni di anni luce.
- Perché
è una cosa orribile il solo credere di non amare
più mio padre.- Disse tra sé.
Edwin
McCain “I could not ask for more”
Faith tornò a casa poco prima delle sei ed entrando in
cucina chiese a zia Becky dove si trovasse il suo ragazzo.
- Mi ha detto che
avrebbe fatto una passeggiata sulla spiaggia.- Le rispose -
Com'è andata con tuo padre?-
La ragazza la guardò un istante negli occhi prima di
esprimersi.
- Mi credi se ti dico
che non lo so?-
Zia Becky poggiò una pila di piatti sulla tavola e si
asciugò le mani nel grembiule.
- Ti credo.-
Annuì - Max ti sta aspettando.-
- Vado.-
Sospirò piegando leggermente la testa di lato.
Il sole arancione stava tramontando per lasciare il posto ad una fresca
serata che stendeva pigramente un velo viola e bluastro punteggiato da
decine di stelle.
Vicino al bagnasciuga colorato d'oro alcune starne si posavano sulle
massicce travi di legno del pontile per poi volare via, spaventate
dall'infrangersi delle onde, mentre le foglie affusolate delle palme
vibravano leggere al soffio del vento che spirava da nord-est.
Max era seduto sulla sabbia accanto ad un piccolo falò,
intento ad ammirare l'oceano e la ricca varietà di colori
che rispecchiava.
- Ehi, straniero.- Lo
richiamò Faith - Ha per caso visto passare di qua un ragazzo
piuttosto attraente, dallo sguardo tipico di un attore e dalla voce
incredibilmente calda?-
Max si voltò a guardarla e, con un indice, le
indicò un punto non ben definito oltre gli scogli.
- Non che io sia
attratto da questi particolari quando incontro una persona di sesso
maschile, ma credo che chiunque lei stia cercando sia andato in quella
direzione.-
Faith lo fissò negli occhi e avvertì un brivido
partire da sotto la nuca.
- Pazienza.-
Sospirò accomodandosi al suo fianco - Vorrà dire
che lo aspetterò qui. Non le dispiace, vero?-
- Tantissimo, invece.-
Rispose lui serio chiudendo gli occhi ed avvicinandosi per baciarla. Il
vento tiepido soffiò i capelli di Faith sul suo viso.
Faith posò le mani sulle sue guance per impedirgli di
allontanarsi.
- Capito.- Disse
riprendendo a baciarlo - Forse è meglio che vada a
cercarlo.-
- Già, lo
penso anch'io.-
Bacio.
- Smetta di baciarmi,
allora.-
Bacio.
- E' lei, signorina,
che non mi lascia andare-
Bacio.
- Mi scusi, ma i suoi
baci hanno un buon sapore.-
Max scoppiò a ridere.
- Sei una brava
attrice, sai?-
- Grazie.- Fece lei
posando la testa sulla sua spalla.
- Sei riuscita a
parlare con tuo padre?- Le chiese.
- Si, ma... non mi va
di discuterne. Almeno per ora. Scusa.-
- Stai tranquilla.- La
confortò Max.
Le passò un braccio attorno alle spalle e restarono a lungo
a fissare in silenzio il fuoco che scoppiettava rilasciando nell'aria
innumerevoli faville arancioni.
- Il fuoco ha sempre
avuto quello strano potere di rendere tutto più... magico.-
Osservò Faith.
- Dobbiamo esserne
grati a Prometeo.- Affermò Max. Lei gli lanciò
uno sguardo interrogativo.
- Secondo la mitologia
greca - Iniziò a spiegare il ragazzo - il Dio Vulcano
offrì Pandora in sposa al gigante Prometeo.-
- Pandora non
è la ragazza del famoso vaso?- Lo interruppe Faith.
- Esatto. Ma Prometeo,
sapendo a cosa andava incontro, rifiutò l'offerta e il Dio
Vulcano la offrì quindi al fratello Epimeteo che, essendo
molto meno scaltro, accettò senza pensarci. Fu lui, infatti,
ad aprire il vaso, non Pandora, come tutti credono.-
- Ma questo cos'ha a
che fare con il fuoco?-
- Gli Dei dell'Olimpo
decisero di non punirlo per aver aperto il vaso. Anzi, gli affidarono
un incarico ben più gravoso: distribuire le
facoltà naturali a tutti gli esseri viventi con lo scopo di
assicurarne la sopravvivenza. Ma lui le sparse distrattamente per la
terra e, quando venne il turno dell'uomo, Epimeteo non aveva
più nulla da donargli. Così suo fratello Prometeo
tentò di riparare il danno rubando il fuoco agli Dei ed
offrendolo agli uomini, insieme al sapere tecnico, all'intelligenza ed
alla cultura. Naturalmente tutte queste virtù venivano
considerate cause e stimoli di ogni progresso, così, per il
suo gesto, il gigante fu incatenato ad una roccia sul
Càucaso, dove un'aquila divorava il suo fegato ogni giorno.
Divenne il simbolo dell'eterna sfida dell'uomo alle
divinità.-
Faith rimase sbigottita.
- Non mi sembra
giusto: ad Epimeteo è stata concessa una seconda
opportunità.-
- Epimeteo era uno
stupido che non si preoccupava delle conseguenze delle sue azioni.
Prometeo era più prevenuto e già lo diceva il suo
nome. Ma l'affetto che provava verso il fratello era più
potente di qualsiasi cosa, tanto da volerlo proteggere dall'ira degli
Dei. Venne punito proprio perché sapeva bene cosa avrebbe
scatenato rubando loro il fuoco.-
- E tu da quando ti
interessi di mitologia greca?- Gli domandò Faith divertita.
- Mia madre era
insegnante di letteratura e tra i suoi argomenti rientrava anche la
mitologia. Quando ero piccolo mi piaceva ascoltare questo genere di
storie. Avevano qualcosa di romantico e leggendario che mi ha sempre
affascinato.- Spiegò Max.
Lei gli passò le dita tra i capelli spettinandolo.
- Tua madre si
meriterebbe un premio.-
Max le lanciò un'occhiata torva.
- Perché?-
- Perché
sei un secchione.-
Lui rise sarcastico.
- E perché,
insieme a tuo padre, ha cresciuto un figlio perfetto.- Aggiunse la
ragazza.
- Non mi pare.- Si
schernì.
- Si, invece. Ed io ci
credo davvero.-
Max la baciò teneramente per qualche secondo e poi si
staccò improvvisamente da lei passandosi una mano sulle
labbra e guardando nella direzione opposta.
- Che c'è?-
Domandò Faith perplessa.
- Guarda alle tue
spalle. Sta arrivando il tuo ragazzo. Quello che cercavi poco fa.-
D'istinto, Faith si voltò un istante, ma comprese
immediatamente di essere caduta in pieno nel tranello di Max.
- Brutto imbroglione!-
Esclamò dandogli una leggera gomitata.
- AHI!- Gemette lui
fingendo di provare dolore.
- Dovresti rinnovare
l'abbonamento alla palestra perché non mi va di essere
fidanzata con un ragazzo di cristallo.- Scherzò lei.
- Che spirito! Se vuoi
ti presento un mio amico, un certo vampiro...-
- C'è il
rischio che diventi la sua cena.- Realizzò Faith,
più divertita che preoccupata.
- Però i
vampiri sono tutti bellissimi e fortissimi.-
- Beh, se poco fa non
ti ho fatto male, perché avere un vampiro quando posso avere
te? Bellissimo e fortissimo.-
Max ci pensò un po'.
- Sono d'accordo...
fammi sentire che sapore hai!- Esclamò baciandole l'incavo
del collo.
Il suono allegro delle loro risate saliva in cielo accompagnato dalle
ultime scintille del fuoco che si spegneva lentamente, mentre
l'orizzonte si tingeva di blu e nell'aria si respirava il profumo
salmastro dell'oceano Pacifico.
Erano da poco passate le due di notte quando Faith si
svegliò di soprassalto con la fronte imperlata di sudore.
Pioveva abbondantemente da un'ora e la sua stanza veniva ripetutamente
rischiarata dai lampi cinerei.
L'incontro del pomeriggio con suo padre l'aveva profondamente scossa,
più di quanto credesse, e tentava inutilmente di cacciare
dalla sua testa quelle inquietanti parole che gli aveva sentito dire
“HO UCCISO UNA PERSONA”.
Sapeva che Brian aveva deciso di farsi aiutare in un centro di
disintossicazione, ma era completamente all'oscuro del fatto che avesse
commesso un reato così grave da finire in carcere.
Cercò invano di distrarsi osservando le ombre degli alberi
del giardino danzare sulla parete, agitati dal vento, ma non
funzionò e decise di andare in cucina per prepararsi un the
caldo.
Max dormiva nella stanza a fianco alla sua e le avrebbe fatto piacere
se le avesse tenuto compagnia per un po', però ritenne
più corretto non svegliarlo. Lavorava intensamente tutta la
settimana e affrontava ore di aereo per poterla vedere anche solo per
un paio di giorni.
Da tempo Faith meditava di sistemare un letto a due piazze, ma le
dimensioni della sua stanza non glielo permettevano. Inoltre si
trattava della casa di sua zia e, nonostante vivesse con lei da molti
anni, non voleva imporsi più di tanto.
Un giorno, quando sarebbe andata a vivere per conto suo, avrebbe fatto
ciò che più desiderava.
Non che zia Becky fosse contraria, lei stessa aveva proposto a Faith di
acquistare un letto matrimoniale, ma si trattava del principio, e la
ragazza intendeva rispettarlo.
Si ricordava ancora bene della prima volta che parlò a Max
di questa cosa.
Michael Bublé
“Home”
La notte di Capodanno, di ritorno dalla festa sulla spiaggia, ancora
prima di entrare in casa, Max aveva iniziato a baciarla
appassionatamente davanti all'ingresso sotto il porticato.
- A cosa devo questo
bacio?- Gli chiese.
- Beh, sopra a questa
porta è appeso un rametto di vischio. E a me piace
rispettare le tradizioni.-
Spiegò lui.
- Allora preparati
perché dentro casa ci sarà un rametto appeso
sopra ad ogni porta. Spero che non ti dia fastidio, ma zia Becky lo ha
sistemato anche sopra l'ingresso della tua stanza.-
Max la guardò perplesso.
- La mia stanza?- Chiese.
- Sì, la tua stanza.-
Ripeté lei con maggior enfasi intuendo dove lui intendesse
arrivare - Ma se vuoi posso toglierlo immediatamente!-
Esclamò voltandosi per infilare la chiave nella serratura.
- Ma... la mia stanza non
è la tua?-
Sussurrò. Si avvicinò all'orecchio sinistro di
Faith per poi baciarla sul collo. Faith rise e si voltò
verso di lui.
- Purtroppo le stanze
da letto non sono molto grandi in questa casa.-
Max la baciò di nuovo sulle labbra, lentamente e con gli
occhi chiusi, per tentare di sedurla.
- Ti prometto che non
russerò, non darò calci e non canterò
nel sonno.-
La guardò
facendo gli occhi dolci.
- È
pressoché inutile che cerchi di incantarmi con quello
sguardo, Max.-
Il ragazzo assunse l'espressione imbronciata dei bambini.
- Anche se volessi non
ci sarebbe abbastanza spazio per tutti e due. I letti sono da una
piazza e inoltre - Spiegò scostandosi una ciocca di capelli
dietro un orecchio - Non voglio cambiare niente in casa di mia zia.
È una questione di principio.-
- D'accordo.- Concluse
Max ricomponendosi con le mani nelle tasche dei jeans.
- D'accordo?-
Ripeté lei analizzando la sua espressione.
- Sì. Se
questa è la tua decisione, io intendo rispettarla.-
- Tu non sei di questo
mondo.- Elaborò Faith scuotendo la testa.
- Che vuoi dire?-
- Sei
così... perfetto. Un romantico. Un gentiluomo che proviene
da un'altra epoca.-
- Non è
colpa mia.- Spiegò stringendosi nelle spalle - È
che mi disegnano così.-
Faith scoppiò in una risata portandosi successivamente una
mano davanti alla bocca.
- Sveglieremo zia
Becky se continuerai a fare lo stupido.- Lo rimproverò
bonariamente.
Girò la chiave nella toppa e, con un rumore metallico, la
porta si aprì.
- Potremmo stringerci
forte nel letto.- Suggerì ancora Max.
- OK, ma non farci
l'abitudine.- Lo stuzzicò.
Il fischio della teiera riportò Faith al presente. Stava
sorridendo.
Per qualche minuto non aveva pensato a suo padre.
Si versò un po' di the in una grande tazza da portarsi in
camera chiedendosi se zia Becky fosse a conoscenza del fatto che aveva
coinvolto Brian. In fondo si trattava di suo fratello e proprio per
questo avrebbe dovuto difenderlo a spada tratta nonostante avesse
cacciato sua madre da casa. Eppure, per
un qualche motivo, non l'aveva fatto.
Tuttavia si ricordò che lei non ne aveva più
voluto sapere da quando era andato a disintossicarsi. L'ultima
discussione che avevano avuto era finita con uno schiaffo da parte di
suo padre e ci mancò poco che zia Becky lo denunciasse. Non
lo fece perché capì che era sotto l'effetto
dell'alcol.
- Non ne
parlerò con nessuno, almeno finché non
saprò tutta la verità. - Affermò a
voce alta, quasi a volersi convincere meglio.
Ma non sapeva che, così facendo, avrebbe dato origine a seri
problemi.
Il temporale cessò, ma si poteva ancora udire il rombo
violento dei tuoni diminuire d'intensità man mano che si
allontanava.
Quando Faith terminò il suo the si alzò dal letto
e dalla libreria sfilò un volume con una spessa copertina
rosa: si trattava dell'album di fotografie che lei tanto amava
sfogliare quando non riusciva ad addormentarsi o quando voleva scappare
dalle decisioni difficili che le si presentavano. O ancora quando
provava semplicemente nostalgia delle persone che desiderava vicine, ma
che non poteva avere.
Ogni volta che lo sfogliava le tornavano alla mente milioni di ricordi.
I suoi compleanni passati, le feste di Natale e quelle di
Ringraziamento. Quelli erano momenti in cui si sentiva bene e la
spensieratezza dell'infanzia ignorava ogni tipo di problema.
La maggior parte delle fotografie la ritraevano con sua madre.
Si domandava spesso dove fosse e, soprattutto, perché non
fosse mai tornata a cercarla.
Le voleva bene nonostante se ne fosse andata? Pensava a lei qualche
volta?
Le risultava impossibile darsi delle risposte. E nel contempo le
sembrava impossibile che avesse cercato la compagnia di un uomo che non
era suo padre. Non c'era niente che la faceva sospettare di un suo
tradimento.
Ma di una cosa era certa. In quei primi anni della sua vita, Faith
aveva ricevuto tutte le attenzioni possibili che una madre potesse
offrire al proprio figlio, e di questo ne andava fiera.
Zia Becky le diceva sempre che non esistono al mondo sentimenti
più forti dell'amore che lega una madre ai propri figli.
Quello è un amore completo, puro ed eterno, che nessuno
può distruggere o sostituire.
La mamma è quella persona che ci conosce meglio di chiunque
altro. Quella persona che ci aiuta a rialzarci quando cadiamo e che ci
rimprovera all'occorrenza. È quella persona che ci asciuga
le lacrime quando siamo tristi e che ci consola quando la vita ci
dà le delusioni. È quella persona che ci ascolta
e ci consiglia, perché lei vorrebbe sempre il meglio per noi.
E, in cambio di tutto questo, non pretende soldi, fiori o regali.
Desidera soltanto il nostro affetto.
La zia le ripeteva queste parole come una filastrocca e, grazie a lei,
Faith poteva sentirsi un po' più vicina a sua madre.
|
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Capitolo 12 *** 12. La Spiaggia Dei Desideri ***
R
ISPOSTA ALLE RECENSIONI
Mozzi84
Grazie
per il lavoro che svolgi, potresti fare la correttrice di bozze per una
casa editrice come lavoro ;)
Vedo
che con questa romanza emerge il tuo lato sensibile, tu che ti mostri
sempre come una tipa dura e combattiva... :) Ti voglio bene!
Chiarascimmia
Verrò
di certo a casa tua, ma solo per mangiare la torta che mi preparerai.
La esigo molto elaborata, mi raccomando. Magari fanne due. Le voglio a
forma di gallina, però una con il ripieno di marmellata e
una carica di Nutella. Le pretendo, voglio che assomiglino proprio a
due belle galline!!
Scherzi
a parte, lo sai che ti voglio un mondo di bene e che mi fa un piacere
infinito sapere che apprezzi così tanto la mia storia. Spero
che anche il 12 sia di tuo gusto! A presto!
Nana_86
Grazie!
Sei sempre tanto carina nei tuoi giudizi su questa fan-fiction! Vedrai
che anche stavolta non ti avrò fatto attendere due settimane
invano! Non ho alcuna intenzione di farti morire, ma purtroppo queste
parole escono spontanee che quasi io stento a credere di averle
elaborate. Non tutte mi riescono come vorrei, però mi auguro
che colpiscano il tuo cuore come quello di chiunque le legga. Grazie
ancora!
Come
sempre, grazie a chi ha aggiunto questa storia tra le seguite e a chi
la legge in silenzio!
Per
ultimo, e non di certo perchè il meno importante, ho voluto
lasciare un ringraziamento speciale.
Questo
capitolo lo voglio dedicare alla mia amica Sabrina, con
infinito affetto e profonda stima, che mi suggerisce e mi dà
sempre ottimi consigli, non solo riguardanti “Le ragioni del
cuore”, ma anche per la vita di tutti i giorni, consigli che
apprezzo molto anche quando non sono pienamente d'accordo.
Spesso
le cose più difficili da dire sono quelle che contano
davvero (Ok, lo spirito di Max si è impossessato del mio
corpo!), ma tu non hai timore di dirle, e ciò ti fa onore.
Sei
una persona davvero davvero davvero speciale alla quale voglio tanto
bene!
Te
l'avevo promesso, perciò questo capitolo è
proprio per te!
Nel
corso di “La spiaggia dei desideri” troverete due
canzoni che suggerisco di ascoltare durante la lettura. La prima
è “Breakaway”
di Kelly Clarkson; la seconda “I'll
be” di Edwin McCain.
12. L A
SPIAGGIA DEI DESIDERI
(Per Sabrina)
La domenica mattina il sole tornò a splendere nei cieli
azzurri di Santa Monica. La stagione del surf era già
iniziata e l’oceano Pacifico stava offrendo le sue migliori
onde agli amanti di quell’intramontabile sport divenuto una
delle più spettacolari caratteristiche, ma anche un simbolo
della California e, più in particolare, delle spiagge di Los
Angeles.
I tenui raggi di luce penetravano nella stanza di Faith, attraverso le
sottili fessure delle persiane socchiuse, rendendola più
intima e ancora più accogliente.
La ragazza si svegliò non appena sentì bussare
alla porta, con l’album di fotografie ancora stretto tra le
mani.
- Chi è?-
Chiese con la voce impastata di sonno riponendo l’album in un
cassetto.
- Colazione in camera,
mademoiselle.- Annunciò Max facendo capolino da dietro la
porta e aprendola quel tanto che bastava per farci passare la testa -
Si può?-
Faith annuì battendo leggermente la mano sul letto in segno
di invito a sederle accanto.
Max fece un’entrata trionfale con un grande vassoio su una
mano.
- Che gentile. E
questa rosa?- Chiese Faith afferrando delicatamente il bocciolo e
odorandolo.
- Raccolto per lei
ancora fresco di rugiada. Inoltre qui abbiamo una bella tazza di
caffè, un po’ di latte, qualche biscotto al
cioccolato, rubato poco fa alla prestigiosa e rinomata pasticceria di
zia Becky e, per finire, una dissetante spremuta di arance della
California.- Spiegò Max con il perfetto accento tipico dei
cuochi francesi.
- Non
penserà di ottenere una mancia, maître?-
Ribatté Faith.
- Mi accontento di un
bacio, mademoiselle, alla francese.- Replicò lui avvicinando
le sue labbra a quelle di Faith, che obiettò - Meglio due.-
- Oggi è
proprio una splendida giornata.- Osservò Max - Che ne dici
se prendessimo la macchina e ce ne andassimo a fare un bel giro lontani
dalla quotidianità di questo affollato sobborgo di Los
Angeles? Potremmo dirigerci verso sud per trovare una spiaggetta
tranquilla e riservata, soltanto per noi due… io e te.-
- Sembra
un’idea davvero allettante, mio bel francese.-
- Lo è.- Le
sussurrò avvicinandosi ancora. Faith anelava ad un suo terzo
bacio.
- Ma non ti
bacerò più finché non sarai
completamente vestita, pettinata e nutrita di queste preziose cibarie.
Ti aspetto in salotto.- Le ordinò uscendo dalla stanza.
Lei rimase con le labbra protese in attesa di un bacio che non sarebbe
arrivato. Ancora una volta l'aveva ingannata.
Kelly Clarkson
“Breakaway”
Percorrendo la Pacific Coasthighway, l’autostrada che
costeggia il Pacifico dall’Oregon sino al confine con il
Messico, si potevano facilmente raggiungere piccole località
balneari e spiagge deserte non certo prive di fascino. Baie
incontaminate si celavano nella vasta vegetazione tipicamente tropicale.
L’oceano sembrava mostrarsi in decine di tonalità
diverse di verdi e di azzurri e il sole si rispecchiava con accecanti
bagliori. Le grandi rocce bianche e grigie, unite ai faraglioni che
emergevano maestosi dall’acqua, regalavano quella sensazione
paradisiaca di trovarsi su di una remota isola equatoriale.
- Ehi Max.- Lo
chiamò Faith. Viaggiavano con i finestrini abbassati e il
rumore dell’aria che sferzava l’automobile, una
vecchia Land Rover nera, copriva il suono dell’autoradio
accesa.
- Conosco un posto
molto carino. Accosta là in fondo, vicino a quei filari di
viti.-
Max fece un cenno di assenso e fermò l’auto nel
punto indicato.
- Ma dove siamo?-
Domandò perplesso sistemandosi i Ray Ban tra i capelli.
- Seguimi e vedrai.-
Ammiccò Faith scendendo dall’auto con uno sguardo
complice.
Quello che a Max sembrava un anonimo vigneto era in realtà
qualcosa di speciale. Tra i filari si nascondeva uno stretto sentiero
di pietruzze color mattone che avrebbe invogliato chiunque a
percorrerlo per scoprire dove portava.
Così Max prese lo zaino e seguì Faith.
- Dai sbrigati,
lumaca.- Lo esortò, prendendolo bonariamente in giro.
Il sentiero era ricco di curve e nettamente in discesa, fiancheggiato,
oltre che dalle viti, da cespugli verdissimi e piante di rose
selvatiche che liberavano nell’aria un profumo dolcissimo.
Dopo qualche minuto di camminata apparve uno scorcio meraviglioso: la
stradina sboccava in una spiaggia piccola e appartata, nascosta a nord
da un’altra scogliera a picco sul blu inteso
dell’oceano che la racchiudeva quasi a volerla proteggere da
occhi indiscreti.
- Una specie di
paradiso terrestre.- Commentò Max fermandosi per ammirare il
panorama. Faith sorrise.
- Oh! È,
molto di più. Questo sentiero porta dritto alla Cala di St.
Alexander, meglio conosciuta come “Spiaggia dei
Desideri”.-
- Perché
“dei Desideri”?-
- È una
vecchia leggenda che mi ha raccontato zia Becky.- Iniziò a
spiegare Faith riprendendo a scendere lungo il sentiero e voltandosi di
tanto in tanto verso Max, che la seguiva ascoltando la storia.
- Anche qui abbiamo le
nostre leggende. Vedi quei tre grandi scogli che spuntano
dall’acqua?- Gli chiese Faith indicando un punto oltre i
cespugli e le felci.
Max si fermò e vide tre scogli appuntiti disposti alla
stessa distanza l’uno dall’altro. Le onde ci si
infrangevano contro, coprendoli di un leggero velo di schiuma dai
riflessi argentati.
- È solo
una mia impressione oppure sono equamente distanti tra loro?-
- Non è una
tua impressione: è davvero così.-
Asserì Faith - Si dice che la disposizione di quei tre
scogli coincida perfettamente con quella delle prime tre stelle della
Costellazione dell’Ariete.-
- Ma questo
cos’ha a che fare con la spiaggia?- Domandò Max.
- Quando saremo
arrivati te lo spiegherò.-
Bastarono una decina di minuti e raggiunsero la spiaggia, mentre un
alito di vento li accoglieva con il profumo fresco e salmastro
dell’oceano.
La laguna trasparente era ombreggiata a tratti da gruppi di due o tre
palme che sbucavano dalla sabbia dorata per svilupparsi orizzontalmente
sull’acqua cristallina.
- Ma qui siamo alle
Hawaii!- Esclamò Max con un’espressione di stupore.
Faith si chinò per raccogliere qualcosa nella sabbia.
- Questa spiaggia -
Disse mostrandogli cosa teneva in mano - è cosparsa di tante
piccole pietruzze color mattone, le stesse del sentiero che abbiamo
percorso. Secondo la leggenda chiunque custodisca nel proprio cuore un
desiderio e voglia fare in modo che si avveri, dovrà
prendere una di queste pietre e nuotare fino allo scoglio centrale.-
Max raccolse una pietra.
- Sono leggerissime.
Ma a quale scopo?-
- Una volta arrivato
allo scoglio, egli dovrà scrivere il suo desiderio sulla
roccia. Ma se desidera che si avveri non potrà farlo quando
vuole: dovrà scriverlo nei tre giorni in cui nel cielo
compare la Costellazione dell’Ariete.-
Faith scrutava Max negli occhi mentre il vento le accarezzava i capelli.
- Ma è
certo che il desiderio si avveri?- Le chiese lui scettico.
- No.- Rispose - Se il
messaggio scritto sulla roccia resisterà all’alta
marea fino alla scomparsa della Costellazione dal cielo, allora il
desiderio si avvererà. Ma se le onde furiose
dell’oceano lo cancelleranno…- Faith scosse la
testa - Sarà stato soltanto uno sforzo inutile.-
- È
comunque uno sforzo arrivare fin là e riuscire a scrivere in
balia delle onde.- Osservò Max.
- Hai ragione.-
Convenne Faith - Ma se nella vita vuoi davvero ottenere qualcosa devi
faticare e lottare contro gli ostacoli: le onde lungo il tuo cammino.-
- Giusto.-
Si sdraiarono vicini sotto alcune palme, dove la sabbia, fine e
morbida, era ancora umida dopo il temporale della notte precedente. Di
tanto in tanto il grido dei gabbiani che volavano sulla cresta delle
onde rompeva il silenzio della laguna.
- Faith?-
- Sì?-
- Tu non hai mai
scritto un desiderio sulla roccia?-
Faith guardò Max mettendosi seduta sul telo da spiaggia.
- No, non ci ho mai
creduto. E poi…- La ragazza fece una piccola risata.
- Perché
ridi?-
- Scusa, ma
è una cosa imbarazzante che mi sono ripromessa di non dire a
nessuno.- Rivelò arrossendo - Io non sono mai stata brava a
nuotare. Ti sembrerà strano visto che abito qui da tanto
tempo e per di più amo il mare.-
- Tutto questo non
presuppone che tu sappia nuotare.- Affermò Max.
- E per finire,-
Riprese Faith - i giorni in cui si possono scrivere i desideri sono i
primi tre di primavera e l’acqua è decisamente
troppo fredda per me, che sono una freddolosa.-
Max scoppiò a ridere e Faith dopo di lui.
- Allora facciamo
così.- Decise il ragazzo - Inventiamo noi due la nostra
leggenda.-
- Cosa vuoi fare?-
Max prese una bottiglia di vetro dallo zaino, le offrì un
po’ d’acqua e poi bevve l’ultimo sorso
che restava.
- Usiamo questa.-
Faith lo fissò perplessa.
- Scriveremo i nostri
desideri su alcuni foglietti di carta che poi inseriremo qui dentro.
Ovviamente la nasconderemo in un posto che soltanto noi conosciamo. Poi
stabiliremo una data ed in quel giorno ci ritroveremo qui per leggerli
e vedremo se si saranno avverati.-
- Ci sto!-
Esclamò Faith rovistando in fondo allo zaino per cercare
carta e penna.
Fecero come detto, guardandosi negli occhi e sorridendo, mentre ognuno
scriveva i propri desideri, senza farli leggere all’altro, e
li infilarono nella bottiglia.
- Oggi,-
Annunciò Max chiudendo la bottiglia - è il 19
aprile 1998.-
Faith annuì con un sorriso.
- Il 19 aprile del
2008 ci ritroveremo qui, io e te, alle tre del pomeriggio. Ovunque
saremo, dovremo fare in modo di rispettare il nostro accordo.-
- Ok. Nessun impegno
per quel giorno.-
Faith prese la bottiglia e la nascose nella cavità di uno
scoglio abbastanza rialzato, dove le alte maree non l'avrebbero
raggiunta.
- Qui starà
al sicuro per i prossimi dieci anni.- Affermò.
Edwin
McCain “I'll be”
Mentre passeggiavano lungo il bagnasciuga tenendosi per mano, le onde
dell’oceano lambivano la riva, cancellando le loro impronte.
Di tanto in tanto Faith si chinava per raccogliere qualche piccola
conchiglia che aveva attirato la sua attenzione e la mostrava a Max
raccontandogli di quanto le era sempre piaciuto collezionarle da
bambina.
- Ultimamente mi
chiedo spesso che cosa ne sarà di noi.- Sospirò
Faith ammirando il sole rosso galleggiare poco più sopra
dell'orizzonte.
- Che vuoi dire?- Le
domandò Max.
- Insomma, tu vivi a
New Orleans e io a Los Angeles. Non puoi continuare ad attraversare gli
Stati Uniti in eterno. E non sai come mi si stringe il cuore quando ti
saluto all’aeroporto ogni domenica.-
Max si fermò le fece notare l’anello che portava
al dito.
- Ricordi cosa ti ho
promesso con questo? Beh, volevo farti una sorpresa, ma visto che siamo
in argomento…-
- Cosa stai cercando
di dirmi?- Gli chiese in apprensione.
- Ho ottenuto il
trasferimento a Los Angeles.- Fece lui con un sorriso sornione.
Faith scoppiò in un urlo di gioia e si aggrappò a
lui stringendolo forte.
- Faith, Faith, ok!
D’accordo!-
Lo stava strangolando.
- Mi porteranno qui in
posizione orizzontale se continui così!-
- Sono troppo
contenta, Max!-
- Mi fa piacere che tu
lo sia. Potrei abitare con te e zia Becky per un po’, almeno
finché non trovo una sistemazione definitiva. Sempre che tu
sia d’accordo. E sempre che ti decida a lasciare entrare un
po’ di ossigeno nei miei polmoni. Non troppo, giusto quello
che mi serve per sopravvivere.-
Faith lo lasciò e affondò i piedi nell'acqua
facendola schizzare dappertutto.
- È
meraviglioso e io ti amo!- Lo baciò alzandosi sulle punte
dei piedi.
- Ma prima
c’è un’altra cosa che devo fare.-
L’avvertì Max.
La ragazza lo guardò in silenzio, pronta al peggio.
Max l’afferrò velocemente passandole un braccio
dietro la schiena e uno a reggerle le gambe, e la trascinò
in acqua minacciandola di immergerla completamente.
- Devi promettermi che
non verrai più a spiarmi mentre faccio la doccia.-
- Non l’ho
mai fatto!- Negò indignata. Avvertiva l'acqua fresca
sfiorarle le gambe e rabbrividì - Ok! Ok! L’ho
fatto!- Si arrese - Ma solo una volta.-
Lui la immerse un po’ di più con il fondo schiena.
- È fredda!
Ok, forse sono state due!- Gli confessò urlando.
- Prometti.-
Ordinò Max
- Ok! Ok! Lo prometto.-
- E prometti di amarmi
e di essere sempre sincera con me?-
Lei lo guardò negli occhi, dove brillava la luce dell'amore.
Il tono della sua voce era diventato così dolce e risoluto
che Faith non resistette all'impulso di baciarlo.
- Ci
proverò.- Rispose in un sorriso.
Arrivò un’onda improvvisa che fece perdere a Max
l’equilibrio e si ritrovarono in acqua, uno sopra
l’altra.
- Credevo ti piacesse
essere spiato.- Gli confidò Faith.
Con i vestiti
completamente fradici, Max apprezzò quel corpo
così affascinante che lei esibiva.
- Soltanto se poi
entri anche tu a farmi compagnia sotto la doccia.- La
stuzzicò.
Ormai bagnati dalla testa ai piedi, giocarono e scherzarono come due
bambini. Senza problemi, senza pensieri. Senza passato e senza futuro.
Erano soltanto due bambini che vivevano l’attimo del presente
come non l’avevano mai vissuto.
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Capitolo 13 *** 13. L'Ora Della Verità ***
RISPOSTA
ALLE RECENSIONI
Ciao!
Questa
volta non vi trattengo troppo tempo e vi lascio subito alla storia!
Ma
prima intendo ringraziare, come sempre, nana_86 (con
tanto auguri di buon compleanno e un nuovo capitolo per regalo), Saty, Akane25, Mozzi84, Chiarascimmia e
tutti coloro che aggiungono la storia tra le loro preferite e seguite!
Di
nuovo grazie, e buona lettura!
13. L'ORA
DELLA VERITA'
La settimana che precedeva il trasferimento di Max vide Faith
completamente presa dai preparativi della festa di compleanno di Holly,
che si sarebbe tenuta il giorno immediatamente successivo all'arrivo
del ragazzo a Los Angeles.
La preoccupazione dell'amica era salita alle stelle e Faith era ormai
andata fuori di testa.
- Holly, sentimi
bene.- Le disse scandendo lentamente ogni parola - Ti stai comportando
da pazza!- Urlò isterica - Quanti altri compleanni hai
festeggiato prima di questo? Penso che almeno ventitré ci
possano stare, non credi? Ormai mancano meno di sette giorni.
Basterà organizzare una semplice festa in piscina a casa
tua.-
- Si, forse hai
ragione - Mormorò Holly abbandonandosi sul divanetto in
vimini del porticato di Faith - Allora niente cavalli e carrozze per
gli invitati, niente ristorante extra-lusso con le sculture di
ghiaccio, niente...-
- Non stai per
sposarti, Holly! Tieni per allora queste tue favolose idee.-
- Ma... i cavalli...-
Obiettò.
- No, Holly. Ascolta.
Prima di tutto è decisamente troppo tardi per prenotare
cavalli, carrozze e compagnia bella. Posso capire che questo
stravagante senso dell'abitudine di vivere a due passi da Hollywood ti
abbia completamente disintegrato ogni più piccola parte di
cervello, ma ti prego,- La scongiurò Faith - abbandona
l'idea di fare una ridicola entrata a bordo di un cavallo di legno
semovente e per di più con in testa un cappello di Babbo
Natale in piena primavera. Abbandonala subito.-
- E va bene, va bene.-
Si rassegnò Holly sbuffando - Niente cavalli. Ci limiteremo
ad una semplice festa in piscina.
La discussione venne improvvisamente interrotta dallo squillo di un
cellulare.
- Oh, scusa Faith.
È il mio!- Esclamò Holly iniziando a sogghignare
non appena ebbe risposto.
Faith la osservò, chiedendosi se l'amica avesse perso
qualche rotella, e decise di lasciarla in veranda a parlare
indisturbata, per entrare in cucina a bere un bicchiere d'acqua.
Non era la prima volta che Holly si comportava così.
Ultimamente Faith era talmente occupata che non aveva dato alcun peso a
tutte quelle telefonate misteriose alle quali Holly rispondeva.
Era già da un mese che Faith voleva saperne di
più, ma non era riuscita a cavare un ragno dal buco, anche
perché l'amica aveva il dono straordinario di tergiversare e
farle dimenticare qual'era stato l'argomento che aveva dato inizio alla
discussione. Ma era intenzionata ad andare fino in fondo alla faccenda
e quello le sembrò il momento giusto per approfittarne.
Vuotò il suo bicchiere, lo posò nel secchiaio e
si avvicinò all'ingresso mentre Holly stava ancora
chiacchierando.
Discorreva sottovoce continuando a guardarsi attorno, quasi come se
stesse progettando una rapina in banca con il suo interlocutore.
- Si, si, anch'io non
vedo l'ora di vederti, paperino mio. Si...- Sussurrò Holly
ridacchiando piano come una bambina con in mente un diabolico piano.
Faith sgranò gli occhi convincendosi di aver capito male.
Quando uscì, l'amica ripose il cellulare nella borsetta
scostandosi dalla fronte una ciocca di capelli.
- Mio padre.-
Spiegò con uno sbuffo - Mi chiama sempre quando non
dovrebbe!-
Faith la scrutò con attenzione.
- Ah. E da quando tuo
padre è diventato un fumetto? Cos'è, sei nata a
Cartoonia e per eliminarti devo procurarmi un barile di salamoia?
Perché ti avverto: quel tuo inquietante sorriso che hai
stampato in faccia inizia a farmi davvero paura.-
Holly scoppiò in una risata fragorosa.
- Faith, sei una
comica nata! Comunque, tornando a noi: stasera ti va di mangiare
messicano da Don Antonio's?-
- Va bene. Ci mettiamo
d'accordo più tardi in ufficio. Ma la tua telefonata...-
Insistette Faith.
- Perfetto! Ci vediamo
tra poco. Devo proprio scappare adesso, Faith! Saluti!-
Esclamò Holly agitando le dita della mano che reggeva la
borsetta. Salì rapida sulla sua Lamborghini rossa fiammante
e se ne andò ad una velocità folle.
- A tra poco.-
Sospirò Faith sconcertata.
Anche quella volta il suo piano era fallito, ma avrebbe avuto tutta la
serata per ritentare.
Sorrise tra
sé. Ormai era noto a tutti che Holly era un personaggio
particolare. Spiritosa e anche molto carina. Faith non si sarebbe
stupita se avesse finalmente trovato un ragazzo adatto a lei.
Holly era sempre stata
un po' sfortunata in amore. Fino a pochi mesi prima era uscita con un
dentista che riteneva la sua dentatura più interessante di
lei.
Poi aveva frequentato un universitario che pagava la sua retta
scolastica con i soldi guadagnati grazie alla vendita di stupefacenti.
Infine, sembrava aver trovato la sua anima gemella in un giovane
ambientalista, ma, in base a quanto le risultava, il ragazzo proibiva
ad Holly di cibarsi di pollo, maiale e carne di bovino. Ciò
voleva dire togliere l'acqua ad un pesce rosso. Lo lasciò
nel bel mezzo di una cena a lume di candela al Ralph's, uno dei
ristoranti più in voga della città.
Chiusa la storia con l'ambientalista, non aveva più voluto
saperne di innamorarsi.
Questo fino ad un mese prima, suppose Faith. Ad ogni modo lei aveva
altro a cui pensare.
Tornò di corsa in casa perché doveva ancora
finire di riempire la sua valigia. Non voleva ritrovarsi a mettere
dentro le cose più inutili che possedeva, nel cuore della
notte e con la pancia piena di pietanze messicane.
Non ci poteva ancora credere: il mattino seguente avrebbe preso un
aereo per Cleveland.
Max, infatti, le aveva telefonato due giorni prima dicendole che sua
madre era ansiosa di conoscerla. Lui sarebbe dovuto tornare a Lakewood
per recuperare alcune carte indispensabili per il suo trasferimento,
perciò avrebbe unito l'utile al dilettevole.
Così Faith decise di accettare riconoscendo comunque di
essersi trovata impreparata all'invito.
Dopotutto, pensò, si trattava di un paio di giorni e non
c'era motivo di preoccuparsi.
Piuttosto, c'era una cosa ben più importante degna di
meritarsi tutta la sua preoccupazione: nel pomeriggio, infatti, era
intenzionata a tornare in carcere. Si era ripromessa che non ci sarebbe
più andata, ma un presagio più forte di ogni sua
convinzione non la faceva stare bene con sé stessa.
Attribuiva la colpa a quel giorno in cui suo padre le aveva rivelato il
motivo per cui si trovava in carcere, però, in fondo,
intuiva che c'era dell'altro da sapere e che non poteva in alcun modo
essere ignorato, nonostante lei si sforzasse di negarlo. Ormai non
poteva più resistere all'idea di scoprire come suo padre
fosse implicato in un omicidio. Si sentiva stranamente preparata a
ciò che si sarebbe sentita dire, ma c'era sempre una piccola
parte che le impediva di restare tranquilla, quasi fosse certa che in
qualche modo le parole di suo padre avrebbero sconvolto totalmente e
per sempre la sua vita.
Tutto stava procedendo a gonfie vele da troppo tempo, perciò
si aspettava che prima o poi una minacciosa nuvola nera incombesse
all'orizzonte.
Era un altro splendido e soleggiato giorno di maggio. Le temperature
erano aumentate notevolmente, ma una leggera brezza primaverile rendeva
più sopportabile l'ondata di caldo che da qualche giorno
opprimeva la città.
Dalla finestra del suo ufficio, Faith osservava quel gran viavai di
persone che circolava a piedi, in bicicletta, in automobile e, alcuni,
in skateboard.
Poi allontanò lo sguardo oltre Los Angeles, dove si
scorgevano vaste e desolate distese ed immaginava come si potesse
vivere lontani dal caos di quella frenetica megalopoli. Certo, la sua
casa vicina all'oceano non aveva nulla da invidiare alle colline
californiane, ma qualcosa della vita di campagna l'aveva sempre
affascinata.
Si ricordò di quante volte, da bambina, sua madre la portava
a fare lunghe passeggiate tra i vigneti e i poderi del sud della
California, specialmente d'estate, quando l'aria era intrisa dei
profumi degli alberi e dell'erba, e i grilli intonavano armoniose
melodie.
Erano davvero belli quei momenti, purtroppo irripetibili.
Fu improvvisamente interrotta da Holly, che fece irruzione nel suo
ufficio, avvertendola della sua intenzione di andare a casa.
- Faith, allora alle
otto al Don Antonio's, ok?-
- Certo, Holly. A
stasera.- Confermò Faith.
Alle sei spense il computer ed uscì dall'ufficio. Percorse
in auto il tratto di strada che la separava dal carcere con addosso una
strana agitazione, ma concluse che si doveva trattare di una sensazione
del tutto normale. Accostò a pochi passi dal cancello, si
diede una veloce sistemata ai capelli e quindi si diresse verso
l'ingresso, dove ottenne il permesso di entrare. Realizzò
che quello della prigione era un mondo lontanissimo da lei e non
riusciva a concepire in quale modo un qualsiasi essere umano potesse
condurre una vita là dentro, segregato tra quattro mura,
sbarre e reti metalliche.
Rabbrividì al solo pensarci.
Si sedette, dopo aver chiesto di suo padre, e attese in silenzio
finché lo vide comparire sulla porta.
- Papà!-
- Faith! Credevo non
ti avrei più rivista dopo la nostra ultima spiacevole
conversazione.- Le confessò suo padre guardandola in viso.
Faith esitò.
- Proprio di questo vorrei parlarti, papà. Voglio sapere
com'è realmente andata quella situazione in cui ancora
stento a credere tu sia coinvolto.-
- Vuoi davvero sapere cos'è successo quel giorno?-
- Sono qui per capire che genere di persona tu sia.-
- Non voglio che tu mi debba giudicare in base agli sbagli che ho
commesso in passato.-
- Nemmeno io spero di doverlo fare.- Ribatté Faith.
Brian respirò a lungo prima
di iniziare il racconto del giorno che lui riteneva maledetto.
Guardò la figlia negli occhi:
aveva ancora la tenera espressione di quella bambina che
abbandonò quando aveva soltanto nove anni.
Cominciò a sentire il sudore
freddo sulla fronte e si mordicchiò nervosamente il labbro
inferiore.
La stanza era perennemente satura dello
stagnante e insopportabile odore di sigaretta e la luce del sole si
amalgamava con sottili anelli di fumo che aleggiavano lenti, creando le
forme più bizzarre.
- Quando mandai tua madre fuori di casa, mi sentii profondamente
ferito, oltre che arrabbiato. Avevo iniziato a bere, come puoi ben
ricordare, e, nel giro di qualche settimana, persi il lavoro. Tornavo
sempre a casa ubriaco fradicio. Tua zia Becky era stata molto gentile
ad ospitarci dopo lo sfratto, ma continuavo a litigarci e una volta non
esitai ad allungarle uno schiaffo. Mi convinse a curarmi in un centro
per alcolisti in Ohio, dove, insieme a tua madre, avevamo abitato per
qualche anno, prima di stabilirci qui a Los Angeles. Era il posto
più lontano possibile in cui potessi andare e...-
- Aspetta un attimo, papà - Lo interruppe Faith - Non mi
ricordavo di aver abitato in Ohio.-
- No, certo. Eri molto piccola. Dopo pochi mesi dalla tua nascita, tua
madre decise di andare a vivere là, insieme a tua nonna, ma
non funzionò. Io amavo il mio lavoro qui e non mi andava
più di tornare a casa una volta la settimana. Inoltre, tua
nonna morì, perciò, dopo quattro anni, tornammo a
vivere in California.-
Faith ci pensò su per qualche
istante, ma non si ricordava nulla di quel periodo.
- Comunque - Riprese suo padre - i medici mi dissero che l'avevo
scampata bella, perché l'alcol non mi aveva ancora creato
seri danni al fegato. Riuscii a guarire dalla mia dipendenza dopo tre
lunghi anni. Mi sentivo davvero una persona migliore, ma ero ancora
impreparato ad un mio ritorno a casa.
Incontrai un amico di vecchia data,
Larry Brice, che mi propose di trasferirmi da lui per un po' di tempo,
dicendomi che aveva bisogno di un aiuto con il suo lavoro di muratore.
Accettai subito, anche perché avevo bisogno di soldi. Si
trattava di un lavoro serio, che io portai avanti con grande impegno.
Una sera io e Larry ci ritrovammo in una
locanda a festeggiare l'ultimazione di una serie di costruzioni
portuali, e mi spiegò che tutte le storie sulla dipendenza
da alcol erano soltanto ipocrisie create dalla società.
Nessuno, secondo lui, poteva guarire completamente da quella
“malattia”. E, in effetti, mi resi conto che non
potevo più resistere. Da troppo tempo non toccavo
più una goccia di alcol, così buttai al vento tre
lunghi e faticosi anni di lavoro e ripresi a bere. Trascorremmo la
notte ad ingerire litri di birra e di ogni sorta di alcolici, fino al
mattino, quando mi misi al volante della mia auto - così mi
dissero - completamente stordito. Quello che accadde lo puoi
immaginare.-
Faith si strinse le mani in grembo e
guardò il cielo azzurro e bianco fuori dalla finestra. Si
sentiva la gola secca e, malgrado nella sua mente affiorassero mille
idee sul possibile seguito, tacque, piena di apprensione.
- E' successo tutto in un attimo, Faith. Non ricordo nemmeno bene come.
Oltrepassai un semaforo rosso a tutta velocità quando
un'auto mi attraversò la strada ed io andai a sbatterci
contro con una tale violenza da scaraventarla a parecchi metri da me.-
- Oh, mio Dio.- Sussurrò Faith in un gemito sommesso. Ebbe
una rapida intuizione e fece un lungo sospiro prima di volgere a suo
padre una domanda inquietante.
Mentre la formulava sperò di
avere dannatamente torto e che non avesse avuto nulla a che fare con
lui.
- Papà, ricordi il nome del conducente di quell'auto?-adre
guardandola in viso.
Faith esitò.
- Proprio di questo
vorrei parlarti, papà. Voglio sapere com'è
realmente andata quella situazione in cui ancora stento a credere tu
sia coinvolto.-
- Vuoi davvero sapere
cos'è successo quel giorno?-
- Sono qui per capire
che genere di persona tu sia.-
- Non voglio che tu mi
debba giudicare in base agli sbagli che ho commesso in passato.-
- Nemmeno io spero di
doverlo fare.- Ribatté Faith.
Brian respirò a lungo prima di iniziare il racconto del
giorno che lui riteneva maledetto.
Guardò la figlia negli occhi: aveva ancora la tenera
espressione di quella bambina che abbandonò quando aveva
soltanto nove anni.
Cominciò a sentire il sudore freddo sulla fronte e si
mordicchiò nervosamente il labbro inferiore.
La stanza era perennemente satura dello stagnante e insopportabile
odore di sigaretta e la luce del sole si amalgamava con sottili anelli
di fumo che aleggiavano lenti, creando le forme più bizzarre.
- Quando mandai tua
madre fuori di casa, mi sentii profondamente ferito, oltre che
arrabbiato. Avevo iniziato a bere, come puoi ben ricordare, e, nel giro
di qualche settimana, persi il lavoro. Tornavo sempre a casa ubriaco
fradicio. Tua zia Becky era stata molto gentile ad ospitarci dopo lo
sfratto, ma continuavo a litigarci e una volta non esitai ad allungarle
uno schiaffo. Mi convinse a curarmi in un centro per alcolisti in Ohio,
dove, insieme a tua madre, avevamo abitato per qualche anno, prima di
stabilirci qui a Los Angeles. Era il posto più lontano
possibile in cui potessi andare e...-
- Aspetta un attimo,
papà - Lo interruppe Faith - Non mi ricordavo di aver
abitato in Ohio.-
- No, certo. Eri molto
piccola. Dopo pochi mesi dalla tua nascita, tua madre decise di andare
a vivere là, insieme a tua nonna, ma non
funzionò. Io amavo il mio lavoro qui e non mi andava
più di tornare a casa una volta la settimana. Inoltre, tua
nonna morì, perciò, dopo quattro anni, tornammo a
vivere in California.-
Faith ci pensò su per qualche istante, ma non si ricordava
nulla di quel periodo.
- Comunque - Riprese
suo padre - i medici mi dissero che l'avevo scampata bella,
perché l'alcol non mi aveva ancora creato seri danni al
fegato. Riuscii a guarire dalla mia dipendenza dopo tre lunghi anni. Mi
sentivo davvero una persona migliore, ma ero ancora impreparato ad un
mio ritorno a casa.
Incontrai un amico di vecchia data, Larry Brice, che mi propose di
trasferirmi da lui per un po' di tempo, dicendomi che aveva bisogno di
un aiuto con il suo lavoro di muratore. Accettai subito, anche
perché avevo bisogno di soldi. Si trattava di un lavoro
serio, che io portai avanti con grande impegno.
Una sera io e Larry ci ritrovammo in una locanda a festeggiare
l'ultimazione di una serie di costruzioni portuali, e mi
spiegò che tutte le storie sulla dipendenza da alcol erano
soltanto ipocrisie create dalla società. Nessuno, secondo
lui, poteva guarire completamente da quella
“malattia”. E, in effetti, mi resi conto che non
potevo più resistere. Da troppo tempo non toccavo
più una goccia di alcol, così buttai al vento tre
lunghi e faticosi anni di lavoro e ripresi a bere. Trascorremmo la
notte ad ingerire litri di birra e di ogni sorta di alcolici, fino al
mattino, quando mi misi al volante della mia auto - così mi
dissero - completamente stordito. Quello che accadde lo puoi
immaginare.-
Faith si strinse le mani in grembo e guardò il cielo azzurro
e bianco fuori dalla finestra. Si sentiva la gola secca e, malgrado
nella sua mente affiorassero mille idee sul possibile seguito, tacque,
piena di apprensione.
- E' successo tutto in
un attimo, Faith. Non ricordo nemmeno bene come. Oltrepassai un
semaforo rosso a tutta velocità quando un'auto mi
attraversò la strada ed io andai a sbatterci contro con una
tale violenza da scaraventarla a parecchi metri da me.-
- Oh, mio Dio.-
Sussurrò Faith in un gemito sommesso. Ebbe una rapida
intuizione e fece un lungo sospiro prima di volgere a suo padre una
domanda inquietante.
Mentre la formulava sperò di avere dannatamente torto e che
non avesse avuto nulla a che fare con lui.
- Papà,
ricordi il nome del conducente di quell'auto?-
|
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Capitolo 14 *** 14. Una Vera Occasione ***
RISPOSTA
ALLE RECENSIONI
Ciao
a tutti!
Sono
tornato, puntuale con un nuovo capitolo, che spero vi
piacerà come credo vi siano piaciuti fino ad ora.
Ringrazio,
come sempre, Saty,
che con infinito affetto e ammirazione, recensisce attentamente e
dettagliatamente questa fan fiction, nonostante ne conosca ogni
risvolto e ogni più piccolo e continuo cambiamento. Grazie
infinite!
Poi
Nana_86,
spero che il romanzo ti possa entusiasmare sempre di più,
ora che siamo arrivati al primo punto importante di svolta della trama,
dove gli eventi molto presto avranno il sopravvento su ciascuno dei
personaggi. Come si dice “il bello deve ancora
arrivare...”
Ancora
grazie alla mia beta, Mozzi84,
che mi sopporta personalmente, perciò ha il diritto di non
recensire quando non ha il tempo o l'ispirazione (certo, serve
l'ispirazione per fare anche solo una semplice recensione, dovrebbero
premiare tutti coloro che lo fanno, perchè sono loro che
mantengono in vita le storie!)
Inoltre
grazie anche ad Akane25,
sempre presa dallo studio (la Secchiona ;D), a Chiarascimmia,
la mia compaesana pasticcera, e a tutti quanti inseriscono questa
storia tra le Preferite e Seguite!
Grazie
a tutti!
Ho
pensato che magari potrebbe far comodo un veloce riepilogo dei capitoli
precedenti.
Faith
e Max, due comuni ragazzi americani, si incontrano a New York nella
magica atmosfera natalizia; lei è in città per
una vacanza, lui per motivi di lavoro. Si innamorano e, da quel giorno
di metà dicembre, la loro storia si arricchisce di parole,
regali, confidenze, e il passato di entrambi viene rievocato attraverso
ricordi tristi, ma anche spensierati.
Il
padre di Max è morto in un incidente d'auto e il ragazzo
fatica a superarne il trauma; Faith è cresciuta a Santa
Monica, nell'assolata California, grazie alle cure di zia Becky, la
dolce e comprensiva sorella del padre, Brian, che si trova nel carcere
di Los Angeles per aver ucciso una persona molto tempo prima.
A
far da “contorno” ai due protagonisti, partecipano
la miglior amica di Faith, Holly, e il cugino di Max, Chris, che danno
vita a divertenti siparietti, acquistando, con lo svolgersi della
storia, sempre più importanza e mostrando il loro lato
più profondo e sensibile.
Dopo
che Max ha promesso a Faith di sposarla, ecco presentarsi un ostacolo
alla loro storia d'amore, il primo punto di svolta della fan fiction,
dove la ragazza si troverà davanti ad una scelta difficile.
Anche
Max avrà a che fare con un inconveniente, seppur di minor
gravità, che sembra volerlo tenere lontano dalla sua amata,
come sempre accade in ogni storia d'amore che si rispetti...
14.U
NA VERA OCCASIONE
Max stava esaminando attentamente alcune relazioni riguardanti il
mercato azionario statunitense quando fu interrotto dalla sua
segretaria.
- Signor Warren, il
direttore la desidera nel suo ufficio appena possibile.-
- Sarò da
lui tra pochi minuti, grazie Kirsten.-
Terminò il suo caffè, si sistemò
velocemente la cravatta e il colletto della camicia e, quando
arrivò dinnanzi all'ufficio del direttore, bussò
annunciandosi.
- Prego, Warren. Si
accomodi.- Lo invitò il principale.
Il suo studio, oltre ad essere perfettamente in ordine, era molto ampio
e ben illuminato. La parete di vetro alle spalle dell'elegante
scrivania in noce permetteva una vista singolare sul Mississippi e sul
verdeggiante parco limitrofo alla Jackson Square.
Una seconda scrivania occupava l'angolo sinistro dell'ufficio,
unitamente ad un rigoglioso ficus, che conferiva alla stanza un
immagine più professionale. Nell'angolo opposto stavano due
poltroncine foderate, anch'esse in legno di noce, mentre una raffinata
lampada a stelo in vetro lavorato le separava da una massiccia libreria
ricca di volumi di Economia e Commercio.
Le pareti, dipinte di un giallo tenue, facevano risaltare un paio di
quadri di nature morte, una fedele riproduzione de “I girasoli”
di Van Gogh , e numerosi attestati e riconoscimenti incorniciati
adeguatamente, in perfetta armonia con il resto dell'arredo.
Il direttore si alzò in piedi non appena Max
entrò nell'ufficio, togliendosi gli occhiali ed
avvicinandosi alla macchinetta del caffè. Indossava un
completo gessato e una cravatta grigia, intonata alla camicia nera. Con
gli anni le gambe gli avevano dato lievi problemi e quella sinistra lo
faceva appena zoppicare a causa di un passato incidente a cavallo. Ma,
nonostante questo, restava un uomo distinto e di gran classe e Max lo
ammirava molto: al di là del fatto che fosse il suo capo, il
direttore lo aveva sempre rispettato e trattato con i modi
più garbati, sin dal primo giorno in cui aveva messo piede
alla Foster & Marshall Company.
- Desidera acqua,
caffè, the?- Gli chiese.
- No, la ringrazio,
signor Cohen.- Rispose Max.
Notando nel ragazzo una leggera preoccupazione, il direttore gli
sorrise.
- Tranquillo,
tranquillo, Warren. Non è successo nulla di grave. Si sieda
pure.-
Si sedettero entrambi
e il principale sorseggiò la sua tazza di caffè
fumante.
- Sono ancora
d'accordo per il suo trasferimento a Los Angeles. Oggi è il
suo ultimo giorno qui da noi e vorrei congratularmi per l'eccellente
lavoro svolto in tutti questi anni. Sono molto fiero di lei, signor
Warren.-
Max sollevò un angolo della bocca.
- È stato
un grande piacere lavorare qui, signor Cohen, mi creda.-
- Ne sono pienamente
convinto. I risultati infatti lo dimostrano. Proprio per questo ci
sarebbe un ultimo affare del quale vorrei si occupasse.-
- Dica pure,
direttore.- Lo esortò Max.
Il signor Cohen si alzò e prese dalla scrivania un fascicolo
piuttosto voluminoso, sfogliandolo velocemente.
- Nella cara vecchia
Inghilterra, precisamente a Londra, i signori della Powell &
Scottsdale, una delle compagnie commerciali inglesi più
potenti, vorrebbero concludere un affare che risulterà molto
vantaggioso per la nostra società.-
Il direttore porse a Max il fascicolo che recava l'intestazione della
compagnia in questione.
- Lì dentro
troverà tutto ciò che le potrà
interessare a riguardo. Se riuscirà a portare positivamente
a termine l'incarico, come prevedo succederà, le nostre
società si uniranno a formare un'unica compagnia bancaria.
Lei e il signor Graham resterete in Inghilterra per alcuni mesi, in
modo da definire accordi e transazioni inerenti la fusione.-
Max alzò lo sguardo perplesso dal fascicolo.
- Alcuni mesi?-
- Il tempo utile per
svolgere tutte le pratiche è piuttosto lungo, come
potrà ben sapere. Naturalmente, se si occuperà di
questo incarico in maniera ottimale, lei otterrà un
avanzamento di carriera ed un notevole aumento di stipendio. Anche se
sarà a Los Angeles prossimamente non dimentichi che
lavorerà ancora per me. Spero non voglia gettare al vento
una simile occasione.- Affermò il signor Cohen, intento a
giocherellare con una stilografica.
- No, certo -
Tentennò Max - Quando dovremmo partire io e Graham?-
- Alla fine della
settimana prossima. Voli e soggiorni saranno interamente a carico della
società.-
- Bene.-
Annuì il ragazzo.
Il direttore gli si avvicinò e gli strinse la mano.
- Mi raccomando,
Warren. Ripongo in lei la mia più completa fiducia. Non
esiti a contattarmi per chiarimenti di ogni genere.-
- D'accordo. Grazie,
signor Cohen.- Disse Max, aprendo la porta - Di tutto.-
Il principale tornò a sedersi alla scrivania ed
inforcò gli occhiali.
- Signor Warren?- Lo
richiamò
- Si?-
- Aspetto un invito al
suo matrimonio.-
Max lo
guardò incuriosito per qualche istante, quasi non avesse
capito bene la sua richiesta.
- Presumo che lei si
trasferisca a Los Angeles per amore.- Gli spiegò il signor
Cohen.
Il ragazzo abbassò lo sguardo, sorridendo.
- Avrebbe ricevuto
l'invito anche se non me l'avesse chiesto, direttore.-
Affermò.
Max provava un misto di soddisfazione e di preoccupazione mentre
tornava nel suo ufficio. Lanciò un rapido sguardo al
fascicolo della Powell & Scottsdale e si sentì
davvero orgoglioso di sé stesso per l'importante incarico
che il direttore gli aveva affidato.
Ma, allo stesso tempo, era preoccupato perché non aveva
proprio idea di come lo avrebbe detto a Faith. Per qualche mese non
avrebbero potuto vedersi tanto spesso e ne era rammaricato
perché, proprio in quei giorni, era riuscito a mettersi in
contatto con un'agenzia immobiliare per l'acquisto di una casa a Los
Angeles.
In fondo, però, pensò che Faith avrebbe compreso
la situazione e lo avrebbe appoggiato senza mostrare rancore.
|
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Capitolo 15 *** 15. Scelte Difficili ***
R
ISPOSTA ALLE RECENSIONI
Eccomi
qui, con un nuovo capitolo ed una rivelazione che qualcuno
avrà già intuito...
Ringrazio
come sempre le mie puntuali e fedeli recensitrici, Saty (ti
proporrò come nuova segretaria di Max...), Nana_86 e
l'ultima arrivata, Chiara84.
Un ringraziamento anche alla mia beta, Mozzi84
perennemente presa tra mille cose da fare, ma che trova sempre un
attimo per betare la mia storia. Thank you so much!
Grazie
anche a chi aggiunge la fan fiction tra le Seguite e le Preferite.
Questa
volta vi consiglio di ascoltare una canzone che troverete durante la
lettura. Si tratta di Lisa Loeb con la sua malinconica
“How”
Buona
lettura e a presto!
15.
S CELTE
DIFFICILI
Nel penitenziario di un'assolata Los Angeles Faith stava vivendo quello
che per lei rappresentava il peggiore tra tutti gli incubi.
- Non posso crederci,
papà!- Tuonò - Credevi che andando il
più lontano possibile da qui avresti evitato di rovinarmi la
vita, ma ti sei sbagliato! Non esiste un posto in questa galassia dove
tu possa andare per farmi stare meglio, lo sai questo?-
- Faith, ti sto
chiedendo scusa! Io...- Il padre cercò di scusarsi
nuovamente, ma la ragazza non glielo permise.
- Papà!! Tu
hai ucciso il padre del mio ragazzo!- Esclamò Faith in preda
all'angoscia, enfatizzando ogni singola parola in tono grave - Come
posso perdonarti? COME?- Gli chiese guardandolo dritto negli occhi.
Si passò una mano tra i capelli mentre tentava con tutte le
sue forze di ricomporsi.
- Lo sapevo -
Bisbigliò a sé stessa - Avrei dovuto immaginarlo.
Le cose stavano andando bene da troppo tempo.-
Brian allungò una mano per accarezzarla, ma lei lo
scostò bruscamente, fulminandolo con uno sguardo pieno di
odio.
- Meriti di marcire
qui dentro!- Sibilò, avvicinandosi a lui.
Si alzò in piedi ed uscì senza dire
più nulla, mentre il padre la richiamava invano.
- MI dispiace tanto,
bambina mia...- Sussurrò sotto gli occhi incuriositi della
gente in silenzio.
Faith salì in macchina, accese l'autoradio al volume
massimo, si guardò nello specchietto retrovisore e
scoppiò a piangere, picchiando i pugni sul volante.
Si fermò all'improvviso a fissare l'anello che le aveva
regalato Max e lo sfiorò con un dito. Le piccole pietre
incastonate riflettevano la luce rosata del sole in tanti minuscoli
punti luminosi.
“E prometti di
amarmi e di essere sempre sincera con me?”
- Adesso che cosa devo
fare?- Mormorò, ripensando alle parole di Max.
Chiuse gli occhi e si coprì il viso umido con le mani.
Quando entrò in casa Zia Becky era seduta in veranda intenta
a leggere un libro e si fermò sulla porta, restando a
fissarla inespressiva, con gli occhi lucidi e arrossati.
Il lungo silenzio che seguì bastò a far capire a
sua zia che era appena stata in carcere e aveva scoperto qualcosa di
terribile.
La donna richiuse il libro, posandolo sul tavolino, ed
abbracciò la nipote, tenendola stretta a sé,
mentre si lasciava andare con le ginocchia sul pavimento singhiozzando
piano, quasi a non voler farsi sentire.
Ma chi l'avrebbe potuta sentire? Nemmeno il lontano e monotono
infrangersi delle onde pareva udire il suo dolore.
- Faith, entriamo in
cucina, coraggio. Raccontami, bambina mia, dimmi tutto.- La
pregò la zia.
Era la prima volta che vedeva sua nipote in quelle condizioni e non
sapeva come farla stare meglio.
Faith la guardò: era come se le parole di sua zia le fossero
giunte alle orecchie con qualche secondo di ritardo e si fossero fatte
sentire in un flebile sussurro per poi scomparire istantaneamente nel
vuoto.
- Forza, Faith,
entriamo.- Ripeté zia Becky.
La ragazza si rialzò lentamente in piedi con l'aiuto della
zia e si portò una mano sulla fronte, proteggendosi dalla
luce del sole che irritava i suoi occhi rimasti senza più
lacrime da versare.
Poi tornò a guardare di nuovo sua zia e annuì,
sforzandosi di sorridere.
- Entriamo.- Disse.
Occorse un po' di tempo perchè Faith si potesse riprendere e
riuscisse a raccontare a zia Becky tutto ciò che era
successo. Nemmeno ascoltando sé stessa fu in grado di
convincersi: le sembrava di inventarsi le cose, talmente giudicava
quella storia troppo assurda per essere vera. Non sapeva se sentirsi
arrabbiata, triste o preoccupata. Anche provando a soffermarsi per
cercare di esprimere ciò che avvertiva dentro non le era per
niente d'aiuto. Gli occhi le facevano male ed ogni volta che provava a
piangere un fuoco sembrava volerli bruciare.
Zia Becky camminava nervosamente avanti e indietro, altrettanto
incredula di ciò che aveva appena appreso dalla nipote.
Il sole era tramontato da qualche minuto e gli alberi del giardino si
andavano tingendo rapidamente di nero e ritiravano dal vialetto le loro
lunghe ed esili ombre, confondendosi con i colori scuri del crepuscolo.
- Faith. - La
richiamò la zia, accendendo la luce sopra il piano
cottura - So che farai la cosa giusta. Ne sono sicura.-
Faith alzò lo sguardo dal bicchiere di succo d'arancia e le
rivolse un sorriso pieno d'amarezza.
- Io non so
più cosa è giusto e cosa non lo è. E
sono contenta che tu abbia così tanta fiducia in me
perchè io non ne ho.-
Zia Becky le si sedette di fronte, delusa di aver udito quelle parole.
- Non dire queste
cose, Faith! Non puoi attribuirti la colpa di tutto! È un
errore che ha commesso tuo padre e del quale tu non c'entri
assolutamente niente.-
- Allora non capisci,
zia?- Replicò la ragazza, alzandosi di scatto - Non
è di mio padre che mi preoccupo! Dopo quello che ha fatto
non è degno di meritarsi anche uno solo dei miei pensieri.-
Si avvicinò alla finestra e non vide altro che la sua
immagine riflessa. Sentì il grido di un uccello notturno e
ne intravide il profilo mentre agitava le ali guizzando dalla chioma di
un albero.
- È di Max
che mi preoccupo. Non so se dovrei dirglielo oppure stare zitta. Ma lo
vedi questo?- Chiese a zia Becky, voltandosi per mostrarle l'anello che
portava al dito - Con questo io gli ho promesso che sarei sempre stata
sincera. E questa è una verità troppo grande e
troppo importante perchè io gliela nasconda.-
- È
esattamente quello che sto cercando di dirti, Faith.- Mise in chiaro
zia Becky, alzandosi da tavola e raggiungendola alla finestra - Anche
se non lo vuoi ammettere tu vuoi bene a tuo padre.
Non hai mai smesso di volergliene, e
questo è normale. Non devi vergognartene, ti sei solamente
allontanata da lui. E ami Max, incondizionatamente.-
- E allora
perchè sto così male?- Le chiese in un sussurro.
- Perchè ti
trovi in mezzo a due persone alle quali vuoi un bene infinito e per
accontentarne una devi sacrificare l'altra. Faith, tutti nella vita ci
troviamo a far fronte a scelte che spesso sconvolgono l'intero mondo al
quale siamo abituati: è così che si cresce. E
sono proprio le decisioni difficili che ci fanno diventare quelli che
siamo. Sta a noi cercare di capire qual'è la scelta
più giusta da fare. Ma che sia quella più giusta
per noi e per nessun altro. Ora ti trovi a dover decidere se rivelare
tutto a Max oppure tacere per sempre, con la consapevolezza di essere a
conoscenza di un segreto che lo riguarda e che lui non potrà
mai sapere.-
Faith annuì - Cosa posso fare, zia?-
- Mettiti nei suoi
panni, Faith. Lui ti ha aperto il suo cuore e si aspetta che anche tu
lo faccia. La sincerità sta alla base di ogni rapporto,
ricordalo. Come ti ho appena detto, però, sta a te fare la
scelta giusta. Io posso soltanto suggerirti che Max non merita di
essere tradito, specialmente dalla sua ragazza. Non è
facile, lo so, ma se lo ami credo che dovresti dirglielo.-
Realizzò zia Becky.
- Si. Io lo amo.-
Affermò Faith, certa dei suoi sentimenti - Lo amo con tutta
me stessa.-
Lo disse sorridendo, e lo sguardo che si scambiarono rivelava che erano
completamente d'accordo l'una con l'altra.
- Non posso crederci!-
Esclamò Holly mentre sedeva con Faith al Don Antonio's -
Cosa dirai a Max?-
Le due ragazze avevano appena ordinato un piatto di patatine fritte, un
po' di insalata verde e un petto di pollo, il tutto condito con alcune
tipiche piccanti salse messicane e contornato di gustosi tacos.
Malgrado fosse lunedì, il ristorante era pieno di gente, ma
Faith e Holly erano clienti abituali e per loro un posto c'era sempre.
Infatti Miguel, il cameriere che corteggiava Holly da anni, appena le
vedeva entrare nel locale, faceva misteriosamente comparire un tavolo
nonostante prima di loro ci fossero state parecchie persone ad
attendere di sedersi e che si facevano intere mezzore di fila.
Naturalmente fu proprio Miguel a servire la cena, ma quella sera Holly
e Faith non erano dell'umore giusto per scherzare insieme a lui.
- Zia Becky mi ha
consigliato di dirglielo. Penso che abbia ragione.- Disse Faith che,
con un cenno del viso, ringraziò Miguel per aver
portato in tavola le bevande.
- Credo anch'io che
sia la scelta migliore.- Sospirò Holly, sorseggiando la sua
coca - Devi parlargli al più presto. Non lasciare che il
tempo passi e che tu ti logori portandoti dentro un segreto che lo
riguarda strettamente. Però - Si fermò un istante
per analizzare meglio la situazione - Max non conosce chi ha ucciso suo
padre?-
- No, lui crede che
abbia avuto un semplice incidente uscendo di strada con l'auto.-
Spiegò Faith.
- Quindi stai dicendo
che sua madre gli ha mentito per tutto questo tempo?- Le
domandò Holly esterrefatta.
Faith annuì.
- Non vedo altra
spiegazione.-
L'amica si lasciò andare in un sospiro di sorpresa.
- Beh, è
davvero un bel guaio. Certo che è strano: con tutti i
ragazzi che ci sono al mondo il destino ti ha presentato proprio il
figlio dell'uomo ucciso da tuo padre.-
- Già -
Mormorò Faith, assaggiando il pollo - Senti, Holly - Disse,
tergiversando - Riuscirai a cavartela con il resto dei preparativi per
la tua festa?-
- Oh, non
preoccuparti, Faith. Tu pensa a risolvere questa faccenda con Max.-
- Non sarà
così semplice.- Replicò l'amica, guardando nel
piatto.
Holly distese un braccio e le prese la mano.
- Se lui ti ama
veramente come dice di amarti... ti capirà. Dopotutto tu che
colpe puoi avere?-
- Non lo so per certo,
ma credo che faccia uno strano effetto essere fidanzati con la figlia
di chi ti ha portato via il padre, non trovi?-
- È vero.
Io non so come reagirei, ma penso che lo accetterei se qualcuno mi
dicesse la verità.-
- Max è un
po' sensibile quando si parla di suo padre, ma chi non lo sarebbe?-
Convenne Faith.
- Parlagli domani.
Vedrai che ti sentirai meglio, credimi.- La pregò Holly.
Faith si volse verso la grande vetrata vicina al suo tavolo, dove una
scritta al neon lampeggiava con il nome del locale.
- Spero tanto di
riuscire a farlo.- Poi guardò l'amica negli occhi - Grazie
per il tuo appoggio.-
- Gli amici servono a
questo, Faith. Ricordati che potrai sempre contare su di me quando ne
avrai bisogno e che non sarai mai sola.-
- Ti voglio bene,
Holly.- Mormorò Faith con un sorriso.
La valigia era pronta e Faith si era sdraiata a letto da un pezzo, ma
continuava a rigirarsi, incapace di prendere sonno.
Decise di ascoltare un po' di musica, così scelse un cd di
Brian Adams nel cassetto del mobiletto vicino alla porta, e lo
inserì nel suo impianto HI-FI con il volume appena udibile.
Aprì la finestra e si appoggiò al davanzale. Il
piacevole canto dei grilli si disperdeva nella tiepida brezza notturna
che sembrava spingere le nuvole ad avvolgere il sottile spicchio di
luna che illuminava la baia.
Si poteva sentire il rumore dell'oceano, delle onde che si infrangevano
sugli scogli per poi ritirarsi, ad intervalli regolari.
Faith chiuse gli occhi. Immaginò di possedere due grandi ali
e di volare sulla laguna rasentando l'acqua fresca del Pacifico, come
un angelo che infrange le regole e si prende una pausa dal Paradiso per
scendere a divertirsi sulla Terra.
Ma quella volta Faith si sentiva un angelo incapace di volare.
Nonostante tutti i suoi sforzi c'era qualcosa di più forte
che la attirava verso il basso. Qualcosa che si poteva concretizzare
nella paura delle conseguenze della sua decisione.
Fu in quel momento che si sentì privata delle sue
ali e imprigionata nel punto più basso dell'Inferno.
Lisa Loeb
“How”
Si risvegliò dopo un paio d'ore, mentre la luce pallida e
argentea della luna scostava le tende leggere per illuminare la stanza
quasi per intero. Faith volse la testa verso il display dell'orologio
vicino al letto: era soltanto l'una e mezza perciò decise di
restare sdraiata ancora qualche minuto, elaborando mentalmente un
rapido programma della giornata che stava per cominciare.
Alle tre avrebbe preso un aereo che sarebbe atterrato a Cleveland a
mezzogiorno, per effetto dei tre fusi orari che la dividevano da Los
Angeles.
E avrebbe rivisto Max.
Per qualche istante l'atmosfera intima che si era creata nella sua
stanza le fece dimenticare tutti i suoi pensieri e le sue
preoccupazioni.
Ammirava il mazzo di rose di rose bianche che lui le aveva regalato il
giorno in cui le aveva donato l'anello, e che lei aveva meticolosamente
sistemato in un grande vaso di vetro, dopo averlo fatto essiccare.
Realizzò che erano già trascorsi più
di cinque mesi da quando lo aveva conosciuto a New York.
Cinque mesi pieni di amore, per una
storia che la faceva sentire una persona migliore.
Riteneva Max la sua anima gemella, colui che le aveva riaperto il cuore
e trasmesso la capacità di credere in sé stessa e
nelle piccole cose di ogni giorno; colui che era in grado di farla
sognare in ogni momento che trascorrevano insieme.
Sorrise.
“Si,"
Pensò “lui
si merita la mia completa sincerità.”
Raggiunse la cucina e, mentre attendeva che il caffè fosse
pronto, chiuse la valigia dopo aver inserito le ultime cose, lo
spazzolino e un maglioncino: si era dimenticata di chiedere a Max che
temperature ci fossero a Lakewood, così concluse che
portarsi qualcosa di pesante non avrebbe guastato.
Lanciò un'occhiata alla sua immagine riflessa nello specchio
accanto all'ingresso e stabilì che il suo make-up
abbisognava di qualche ritocco.
- Non hai bisogno di
farti bella, ragazza.- Commentò zia Becky facendo la sua
apparizione in camicia da notte.
- Zia, mi hai
spaventata.- Sobbalzò Faith - Scusa, forse ho fatto troppo
rumore.-
Zia Becky scosse la
testa.
- Quando si diventa
vecchi si perde il sonno e si acquisisce il rimbecillimento senile. Per
non parlare di questi mal di testa che vanno e vengono dall'inizio
dell'anno .-
- Non lo sapevo. Hai
provato a chiedere un consiglio al tuo medico?- Le chiese Faith
mostrandosi preoccupata.
Zia Becky si strinse nelle spalle dando poca importanza alla cosa.
- Secondo lui si
tratta solamente di stanchezza, quindi niente di grave. Mi ha
somministrato un farmaco. Io dico che è la vecchiaia. Al
diavolo questi dottori da quattro soldi.- Dichiarò in tono
risoluto.
- Bevi un
caffè con me?- Domandò Faith sorridendo per la
sua battuta.
- Mi
preparerò una camomilla. Il caffè mi rende troppo
nervosa.-
La ragazza se ne versò una bella tazza e si
appoggiò al bancone con una gamba piegata e il piede contro
l'armadietto sorseggiando la bevanda fumante.
Zia Becky mise un po' d'acqua a scaldare sul fornello e si sedette a
tavola a guardare la nipote, con le mani giunte sotto il mento.
- Sei meravigliosa.-
Mormorò dopo qualche istante.
Nel silenzio della cucina soltanto il ticchettio dell'orologio a muro e
il rumore dell'acqua che iniziava a bollire nel tegamino.
- Perchè?-
- Stai affrontando
questa situazione meglio di quanto tu creda. E' davvero ammirevole in
una ragazza della tua età.-
- In gran parte
è merito tuo.- Confessò Faith in un sorriso di
ammirazione e gratitudine - E' grazie a te se oggi sono quella che
sono.-
Finì di bere il caffè e ripose la tazza nella
lavastoviglie, poi si sciacquò velocemente le mani.
- Ho paura, zia.- Le
confidò in un sussurro mentre le dava le spalle. La debole
luce del piano cottura le illuminava soltanto la parte inferiore del
viso e, alzandosi, zia Becky si accorse che stava contraendo le labbra
per trattenere le sue emozioni. Allora le si avvicinò
accarezzandole i capelli.
- Devi averne, Faith.
Non hai coraggio se non hai paura. Significa che lui ti interessa e che
ci tieni tanto.-
Faith piegò la testa di lato.
- Sei meglio di una
madre.- Le disse.
Zia Becky sorrise e i suoi occhi si fecero lucidi.
- Mi fai commuovere,
così! Che stupida vecchia piagnucolosa che sono!-
Esclamò - Ora vai, bambina. Hai un aereo che ti aspetta. Hai
una storia da far continuare.-
La ragazza annuì sollevando un angolo della bocca. Quindi
afferrò la valigia ed aprì la porta, pronta per
uscire.
- Ah, dimenticavo di
dirti. Verso sera Holly passerà di qui per prendere alcune
bozze di abiti nuovi che ieri ho dimenticato di allungarle. Le ho
lasciate in salotto, perciò potresti dargliele, se non ti
dispiace?-
- Certo che no, ci
penso io. Parti tranquilla. Rilassati e divertiti!- Le
ordinò la donna.
- Ci vediamo presto,
zia.-
Uscì nella notte e fece un profondo respiro. Le stelle
baluginavano alte nel cielo terso e limpido, carezzate da un alito di
vento tiepido.
Faith alzò lo sguardo verso di esse chiedendosi se la
fortuna sarebbe stata dalla sua parte.
Perchè ci
sono dei momenti in cui la strada che stai seguendo giunge ad un
incrocio e tu non hai alcuna indicazione che possa suggerirti quale
direzione seguire.
E allora ti butti, inconsapevole dei rischi ai quali andrai incontro.
Ma è proprio questo il bello della vita: se non rischi non
saprai mai cosa puoi riuscire ad ottenere.
E non è detto che lungo la strada, qualsiasi percorso decida
di intraprendere, tu non incontra dei veri amici.
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Capitolo 16 *** 16. Rivelazioni ***
R
ISPOSTA ALLE RECENSIONI
Ciao
a tutti!
Eccoci
qui con un nuovo capitolo, il penultimo, prima della pausa estiva.
Non
posso dimenticarmi di ringraziare come sempre le mie fedeli e ormai
consolidate recensitrici, SATY
e NANA_86:
il vostro giudizio riguardo ad ogni singolo capitolo è per
me importantissimo e sono sempre più contento di dividere
con voi questa mia prima “opera”.
Naturalmente,
spero di allargare la schiera dei recensori, e ne approfitto per
ringraziare anche chi legge soltanto.
Infine,
un grazie va alla mia beta, MOZZY84,
sempre laboriosa dietro le quinte :)
Anche
questa volta ho inserito un paio di canzoni. La prima proprio
all'inizio del capitolo, di Evan & Jaron, “The
Distance”. La seconda è “Humble
Me” di Norah Jones.
Raccontatemi
cosa ne pensate delle canzoni che scelgo e, se volete, suggeritemene
qualcuna che secondo voi è adatta a questa fan fiction.
Sarò ben lieto di associarle alle scene più
adatte.
Grazie!!
16.
R
IVELAZIONI
Evan & Jaron
“The Distance”
Max aspettava impaziente da venti minuti davanti all'uscita del gate
quando l'aereo di Faith atterrò all'aeroporto Hopkins
International di Cleveland a mezzogiorno in punto.
- Faith, amore, sei
qui!- Esclamò pieno di felicità non appena la
vide farsi largo tra gli altri passeggeri. Era bella, come sempre, con
il suo giubbotto, blu corto e stretto ai fianchi e la zip aperta.
- Ciao, Max.-
Replicò lei abbozzando un sorriso.
- Che c'è?-
Le chiese subito Max studiando la sua espressione - È
successo qualcosa?-
Faith esitò un momento e, quando provò a parlare,
le parole le morirono in bocca. Max possedeva lo strano potere di
riuscire a leggerle negli occhi quando qualcosa la preoccupava. E
questo, naturalmente, era un punto a suo sfavore in certi casi.
- Sono solo un
pò stanca, tutto qui. Sarà colpa del volo.-
Riuscì a dire scostandosi una ciocca di capelli dietro
l'orecchio. Si sentì la donna più bugiarda del
mondo.
Max la baciò teneramente.
- Non aspettavo altro
dall'ultima volta che ci siamo visti.- Sussurrò spiegando il
suo gesto - Vieni. Ho la macchina proprio qui davanti.- Disse mentre la
aiutava con la valigia.
- Fa piuttosto
freddo!- Esclamò una volta usciti dall'aeroporto, e si
strinse nelle spalle.
- Purtroppo qui non
è come nella tua Los Angeles, ma... sopravviverai.-
Replicò lui aprendole la portiera dell'auto.
Lungo il tragitto verso casa, Faith si limitò a guardare
fuori dal finestrino.
Prima di partire si era rapidamente informata sul paese d'origine del
suo ragazzo, quel tanto che bastava per non apparire del tutto
impreparata.
Aveva letto, tra le altre cose, che Lakewood era una cittadina situata
lungo le sponde del lago Erie, a cinque miglia a ovest di Cleveland
Public Square. Oltre ad essere un centro molto importante perfetto per
concludere gli affari, era anche un luogo dotato di una straordinaria
bellezza fisica, arricchita specialmente dal Lakewood Park, uno dei
parchi verdi più importanti, e da un lungolago, costituito
da una splendida passerella di mattoni dove i visitatori potevano
godere di una suggestiva vista del lago, così come di uno
skyline del centro di Cleveland.
Dalla strada, infatti, era possibile ammirare il lago fare da cornice
ad una veduta incantevole, rispecchiando nel suo blu intenso l'intera
zona costiera, affollata di barche e ricca di costruzioni dalle
tonalità sgargianti.
Aveva appreso anche dell'esistenza di una casa molto antica, una delle
maggiori attrattive della zona, e pensò che le sarebbe
piaciuto poterla visitare in uno di quei giorni.
- Sono luoghi molto
belli.- Commentò apprezzando il paesaggio.
- Già. Con
l'arrivo della bella stagione i paesini qui intorno si riempiono di
turisti. Certo, non tutti sono schizzinosi come certi cittadini di Los
Angeles.- Scherzò Max prendendola bonariamente in giro.
In tutta risposta lei gli diede un pizzicotto sul braccio.
- Sei nervosa?- Le
domandò.
Faith scosse la testa.
- No.
Perchè dovrei?-
- Beh, il primo
incontro con la futura suocera preoccupa da sempre voi
ragazze.-
- Invece voi
maschietti siete da
sempre preoccupati di incontrare il padre della vostra
fidanzata.- Ribatté lei senza
pensarci. Ma si rese immediatamente conto di ciò che aveva
detto e sgranò gli occhi continuando a guardare fuori.
- Comunque stai
tranquillo,- disse rivolgendogli un sorriso per allontanare la
situazione di silenzio che li aveva avvolti - Non sono affatto
preoccupata.-
- Bene.- Concluse Max
titubante.
Faith si detestò per la sua affermazione. Quello scambio di
battute, inoltre, le aveva fatto sorgere il dubbio che la madre di Max
sapesse chi era la ragazza che stava frequentando suo figlio. C'era
qualcosa che non riusciva a comprendere in quell'invito improvviso che
le aveva fatto.
Tuttavia cercò di non pensarci.
Max si era inevitabilmente accorto del comportamento insolito della
ragazza, mentre lei si era resa conto di non essere molto brava a
nascondere i suoi stati d'animo.
- Come procedono i
preparativi della festa di Holly?- Chiese lui senza staccare gli occhi
dalla strada.
- Bene. Se la
caverà anche senza il mio aiuto in questi giorni. Il
più del lavoro ormai è stato fatto.-
Scese di nuovo un fastidioso silenzio. Max avrebbe voluto affrontare il
discorso del suo imminente soggiorno a Londra, ma non gli parve la
situazione adatta.
Giunsero a destinazione dopo un quarto d'ora e, superato un complesso
residenziale di ultima costruzione, Max svoltò nel vialetto
di casa.
- Eccoci qua.-
Affermò spegnendo la macchina.
Faith scese dall'auto e respirò a pieni polmoni l'aria che
odorava di resina. Avvertì anche una leggera e fugace nota
sgradevole proveniente dai pescherecci giù al lago.
La casa, non molto grande e con il tetto spiovente, era circondata da
un ampio giardino ben curato e cintato da una staccionata ormai usurata
dal tempo, ma che dava l'impressione di essere ancora piuttosto
robusta. Un porticato girava tutt'intorno all'abitazione, tinta di una
morbida tonalità panna, e uno stretto sentiero di ciottoli
conduceva dritto davanti all'ingresso, fiancheggiando un laghetto e un
prato verdissimo, dove vi era allestito un piccolo gazebo con un
dondolo e un caminetto da barbecue.
- Siete
arrivati, finalmente!- Esclamò tutta contenta una
signora sui quarantacinque anni comparsa sotto il porticato.
Era una donna molto affascinante, dai capelli scuri raccolti con un
fermaglio. Sopra al maglione e ai jeans indossava un grembiule giallo
con stampate delle grosse e simpatiche margherite.
- Si, mamma.-
Ribatté Max - Faith è riuscita ad arrivare fin
qui da sola.- Scherzò, mentre si accingeva a scaricare il
bagaglio della ragazza. Faith sorrise, imbarazzata, per poi lanciargli
un'occhiataccia e un rapido sorriso.
Salirono gli scricchiolanti gradini di legno che portavano in veranda e
le due donne si strinsero la mano.
- Piacere, signora
Warren. La ringrazio vivamente per avermi invitata a casa sua. Sono
molto contenta di essere qui.- Le disse Faith, come a recitare una
poesia a memoria tutta d'un fiato.
La madre ridacchiò, divertita.
- Stai tranquilla: non
sono la tipica suocera crudele e spietata. Sarai sempre la benvenuta,
Faith.-
- Lei è
troppo gentile, signora.-
- Chiamami pure
Addison, cara.- Le concesse abbracciandola. Poi la lasciò e
la osservò in silenzio con molta attenzione per pochi
attimi, durante i quali Faith rabbrividì.
- Cosa succede,
mamma?- Chiese Max con la voce preoccupata.
- Niente.- Rispose
semplicemente Addison distogliendo lo sguardo - È davvero
bella come mi dicevi.-
Faith sentì la tensione abbandonarla gradualmente ed
esibì un timido sorriso, mentre le guance le si arrossavano.
- Hai un figlio bello,
chi ti aspettavi di vedere?- Spiegò Max senza troppi giri di
parole entrando in casa con la valigia.
La madre prese Faith sottobraccio e le sussurrò - Ma come
hai fatto ad innamorarti di un vanitoso come lui?-
- Ti ho sentita,
mamma. Non sforzarti troppo di parlare a bassa voce!- Si
sentì rimproverare dall'interno.
Scoppiarono a ridere mentre varcavano la soglia e Faith
pensò di aver ottenuto la risposta che tanto desiderava:
Addison non era a conoscenza di quel dettaglio così
fastidioso.
O, almeno, non ancora.
L'interno della casa era molto ospitale e la stanza principale arredata
con buon gusto.
Il mobilio, di colore scuro, si presentava in ottimo stato ed ispirato
all'arte povera degli anni Cinquanta.
Nel salotto un piccolo camino ad angolo emanava un piacevole tepore e
Faith gli si avvicinò subito per riscaldarsi le mani
infreddolite.
- Che buon profumo di
arancia.- Salmodiò dopo averne avvertito l'aroma.
- Oh, cielo! Ho
dimenticato l'anitra nel forno!- Ululò Addison
ricordandosene.
Corse immediatamente in cucina e Faith si ritrovò sola nel
salotto, poiché anche Max sembrava scomparso con la sua
valigia.
Si guardò un po' intorno e notò con stupore che
la stanza non era poi tanto diversa dal suo soggiorno: tende bianche e
leggere alle finestre, una libreria colma di libri, riviste e souvenir,
un comodo divano con due poltrone ai lati ed un tavolino al centro,
coperto da una tovaglia ricamata e arricchito da un vaso di frutta
secca.
Una grande televisione troneggiava sopra un mobiletto, insieme ad una
composizione di fiori, composta per lo più da spighe
essiccate.
Sulla mensola del caminetto erano ordinatamente disposte alcune
fotografie di Max, e la ragazza ne scorse una che lo ritraeva con un
uomo più vecchio.
- A cosa pensi?- Le
domandò Max, irrompendo in salotto.
Faith si voltò e, con un dito, indicò la
fotografia.
- Quell'uomo
è tuo padre?-
Max annuì e Faith provò una fitta al cuore
osservandola più da vicino. Anche se faticava ad ammetterlo,
in un certo senso si sentiva una colpevole indiretta dell'incidente.
- Ti somiglia molto.-
Osservò dolcemente.
- Si.- Convenne lui
infilandosi le mani nelle tasche dei jeans - Me lo dicono tutti.-
Faith gli fece di rimando un sorriso carico di tristezza.
- Mia madre ha detto
che sarà pronto in tavola tra circa mezzora. Stiamo
aspettando qualche amico.- La informò lui tergiversando - Ti
mostro la tua stanza e il bagno, nel caso volessi darti una
rinfrescata.-
- Certo.-
Acconsentì la ragazza.
Quando uscì dal bagno, Addison la richiamò dalla
cucina.
- Dov'è
andato Max?- Le chiese Faith dopo averla raggiunta.
- Credo che sia uscito
a prendere un po' di legna da ardere. Sei brava in cucina? Ti spiace
aiutarmi con l'insalata?-
- Figurati. Sono una
frana, ma con le verdure divento imbattibile.-
Si sciacquò
le mani e cominciò a spezzettare la verdura.
- In quanti saremo a
pranzo?- Si informò per rompere il ghiaccio.
- Oltre a noi ci
saranno tre amici di Max.- Rispose Addison intenta a tagliare un
pomodoro - Quando lui torna a casa organizza sempre un pranzo o una
cena con loro. Sono molto uniti, fin dai tempi della scuola. Vedrai, ti
piaceranno. Sono dei tipi davvero simpatici.-
Faith sorrise e si stupì: Max non gliene aveva mai parlato.
Poco dopo si udirono delle voci e delle sonore risate provenire
dall'ingresso.
- Entrate, ragazzi.
Accomodatevi in cucina.- Li invitò Max - Sistemo questa
legna vicino al camino e sarò subito da voi.-
- Che profumino!-
Esclamò una ragazza.
Faith finì di condire l'insalata e si asciugò le
mani con uno strofinaccio appeso alla parete.
Il gruppetto fece il suo ingresso in cucina seguito da Max, che ne
presentò ogni componente alla sua ragazza.
- Io sono Alice.-
Disse la più bassa di loro facendosi avanti e tendendole la
mano.
Faith gliela strinse presentandosi a sua volta, poi conobbe gli altri
due, un ragazzo e una ragazza.
-Lui è
Nicholas, il fidanzato di Alice, mentre lei è Lexie.-
Aggiunse Max.
- Piacere.-
Annuì entusiasta Faith.
Avevano tutti la stessa età di Max, ventisei anni, tranne
Alice che, come Faith, ne aveva ventiquattro.
- E questa splendida
ragazza è Faith, la mia fidanzata!- Esclamò Max,
cingendole la vita con un braccio per baciarla.
- Il pranzo
è servito!- Annunciò improvvisamente Addison ad
alta voce facendosi largo tra gli ospiti con un'enorme plancia di
lasagne al forno, sotto gli occhi estasiati dei ragazzi.
- Adoro le lasagne di
mamma Addison!- Dichiarò Alice, che prese posto a tavola per
prima.
Faith rise guardandola perchè sembrava davvero una ragazza
divertente, oltre che carina.
Esibiva un taglio di capelli corto, dal look finto spettinato, e
portava un maglioncino rosa con lo scollo a V e un paio di jeans
sbiaditi, molto casual. Inoltre Faith trovò che avesse un
sorriso magnetico e ben curato e, da solo, le ispirava allegria e
determinazione.
Il suo ragazzo, Nicholas, era un tipo dalla battuta sempre pronta, per
questo pensava che stavano bene insieme. I suoi capelli erano corti e
colore del miele e si abbinavano perfettamente all'azzurro chiaro dei
suoi occhi. Quel giorno indossava una camicia blu ed un paio di
pantaloni chiari.
Durante il pranzo Faith aveva scoperto che erano entrambi studenti
universitari: lei era iscritta alla facoltà di medicina; lui
studiava per diventare architetto.
Un po' più silenziosa, ma non meno divertente, Lexie era una
ragazza alta e slanciata e pareva uscita da una copertina di Vogue. Ma,
malgrado questo, non si dava arie per la sua bellezza.
Si presentava come una persona semplice che si era accontentata di
lavorare nella pasticceria della madre in centro a Cleveland e, di
conseguenza, non aveva voluto intraprendere alcun corso di studi.
Lexie portava i capelli lunghi e lisci, portati indietro come le ali di
una farfalla, di un bel colore biondo castano, e sfoggiava un dolcevita
rosso sopra ad un paio di jeans bianchi. Aveva fatto il suo ingresso
con una grande scatola di pasticceria che Addison aveva prontamente
riposto in frigorifero.
Nel complesso la compagnia di Max appariva una combriccola ben formata
e molto affiatata e Faith si divertì ad ascoltare storie ed
aneddoti del loro passato. Talvolta fu persino invidiosa di non aver
fatto parte di quel gruppo, nonostante tutti facessero a gara per
strapparle una risata.
- Vi ricordate,-
Intervenne Alice - quando siamo andati al cinema a vedere Top Gun?-
Gli altri scoppiarono subito a ridere e Max sorrise abbassando lo
sguardo e passandosi una mano tra i capelli, evidentemente imbarazzato.
- Cosa successe?-
Chiese curiosa Faith.
- Ti prego, Alice, non
vorrai rendermi ridicolo davanti alla mia ragazza?- La
rimbeccò Max.
- Cosa mi nasconde,
signor Warren?- Insistette Faith pizzicandogli un fianco.
Alice prese subito a raccontare l'episodio sforzandosi di restare seria.
- Appena usciti dal
cinema Max si mise in testa che voleva ad ogni costo pilotare un F14 e
non c'era niente che potesse dissuaderlo. Cominciava a comportarsi
esattamente come Maverick e, il giorno seguente, non avendo un F14, si
presentò a scuola con un motorino mezzo distrutto che pareva
sistemato da uno psicopatico.-
Alice si bloccò dal ridere ricordando la scena e non
riusciva più a terminare una sola frase.
- Indossava un
giubbotto di pelle nera sopra una maglietta bianca e si era profumato
fino all'inverosimile! Ah, ah, ah!-
- Più che
Maverick, sembrava Fonzie, con quei capelli impomatati!-
Osservò Nicholas.
Faith rise e vide Max arrossire notevolmente.
- Così,-
Riprese Alice - entrò nel cortile della scuola e, con i suoi
occhiali da sole, fondamentali anche in un giorno di pioggia,
dispensava saluti e sorrisi idioti a tutte le ragazze presenti! Non vi
dico: un vero sciupa femmine! Ma non era una ragazza qualunque quella
su cui voleva fare colpo, bensì...-
- La giovane
professoressa di lingue.- Confessò indignata la madre di Max
- La quale - Continuò - mi riferì immediatamente
l'accaduto, irrimediabilmente sconvolta.-
Tutti scoppiarono di nuovo a ridere e a sghignazzare.
- Le si
presentò con il nome di Maverick e la invitò a
fare un giro con lui sul motorino.- Raccontò Nicholas.
- E alla fine mi
beccai una bella nota di demerito.- Soggiunse Max.
- Allora non sei
così perfetto come ti credevo, signor Warren.-
Affermò sorpresa Faith baciandolo sulla guancia.
- Mi
ricorderò di ucciderti un giorno o l'altro, Alice. Magari
verrò a farti visita di notte, mentre stai dormendo, e
infilerò un paio di topi nel tuo letto.- Scherzò
Max.
- Sempre a sua
disposizione, capo.- Replicò la ragazza mettendosi in posa
da soldato sull'attenti.
Norah
Jones “ Humble Me”
Il pranzo proseguì allegro e spensierato in una cucina
sempre più rumorosa.
Faith avvertì il bisogno di uscire a prendere una boccata
d'aria, così si infilò il giubbotto e percorse la
veranda fermandosi sul retro e appoggiandosi contro il parapetto.
Si godeva una veduta spettacolare e la ragazza respirò a
fondo l'aria fresca vagabondando con lo sguardo.
Il sole brillava sul lago e le coste verdeggianti sembravano
dissolversi man mano si avvicinavano all'orizzonte.
- Fanno un gran
chiasso là dentro, eh?- Domandò Lexie facendola
trasalire, mentre usciva dalla porta sul retro.
- Ciao, Lexie.- La
salutò - Si, hai ragione. Non sono molto abituata a
resistere a lungo in luoghi rumorosi. Vivo da tanto tempo vicino
all'oceano, quindi puoi ben immaginare.-
- Si. Ti capisco
benissimo.- Annuì con un sorriso.
Si appoggiò al parapetto accanto a Faith e rimase in
silenzio per qualche minuto.
- Sai, Faith,-
Esordì voltandosi a guardarla - sei davvero
fortunata ad avere un ragazzo come Max. Lui è...-
- Straordinario.-
Appurò Faith con un cenno del capo.
- Sì.
È straordinario.- Concordò in una nota di rancore
e di tristezza che a Faith non sfuggì.
Lexie era tornata a guardare il lago, ma in realtà non gli
interessava affatto. Sembrava piuttosto che stesse rivivendo un ricordo
lontanissimo, le cui immagini si susseguivano come i fotogrammi di un
film.
Uno stormo di uccelli si levò dal boschetto adiacente alla
casa e si librò nel cielo limpido e celeste.
- Perchè mi
dici questo?- Le chiese Faith.
Lexie esitò
prima di rispondere, quasi a voler trovare le parole giuste.
- Se non vuoi che
fugga via da te dovrai sempre rispettarlo: se lo merita.-
Le due ragazze si scambiarono uno sguardo. Nella mente di Faith
balenò l'idea che Lexie fosse a conoscenza della
verità sull'incidente, ma allontanò subito
quell'improbabile supposizione, ipotizzando che stesse alludendo a
tutt'altro.
Effettivamente, Lexie non aveva un ragazzo, era la più
silenziosa e riservata del gruppo e, durante il pranzo, Faith si era
accorta che osservava Max in modo strano.
- Sei ancora
innamorata di lui?- Domandò, andando dritta al punto.
Lexie sorrise, per darle l'impressione che avesse appena detto una
sciocchezza.
- Io e Max non siamo
mai stati insieme.-
- Però non
hai risposto alla mia domanda.- La incalzò Faith.
A quel punto i suoi occhi si fecero lucidi e fece un lungo respiro,
consapevole di essere stata scoperta.
- Eravamo migliori
amici, ma io nutrivo per lui sentimenti più grandi di una
semplice amicizia. Voglio dire, siamo ancora in buoni rapporti, ma
ormai non vive più qui e le nostre vite, di conseguenza,
hanno preso strade diverse, come è giusto che sia.-
Poi tacque per qualche attimo, studiando la reazione di Faith, che
apparve tranquilla e in attesa di un'ulteriore spiegazione.
- Un giorno -
Proseguì Lexie lentamente - provai a raccontargli tutta la
verità riguardo la morte di suo padre, ma lui me lo
impedì non appena accennai all'argomento. Non voleva saperlo
in nessun modo. Non voleva più sentir parlare di
quell'incidente.-
Faith impallidì. Si chiese che cosa sapesse Lexie che lei
non conosceva e si guardò bene dal modo in cui formularle le
domande.
- Perchè
gliene volevi parlare?-
- Mi sentivo
così in colpa. Ho insistito, ma non mi ha voluto ascoltare.
È uscito da casa mia senza voler sentire ragioni e, da
quella volta, ho capito che qualcosa tra di noi si era spezzato.-
- Ma tu che cosa sai
sull'incidente?- Azzardò Faith - Perchè ti sei
sentita in colpa?-
Lexie sospirò.
- Max crede che suo
padre sia uscito di strada per una distrazione. Ma in realtà
non è così.-
La ragazza si voltò verso Faith con gli occhi che sembravano
lanciarle un messaggio più che eloquente.
- Lo hanno travolto
vicino ala pasticceria di mia madre.-
Faith distolse lo sguardo: non era stata in grado di interpretare
l'espressione di Lexie mentre la fissava negli occhi e si fece prendere
dal panico. Sarebbe volentieri fuggita da quella situazione troppo
scomoda, ma cercò di mantenere la calma e di non esternare
più di tanto i suoi sentimenti e le sue paure.
Si accorse che i palmi delle sue mani erano diventati umidi.
- Era una domenica
mattina e io mi trovavo là con mia madre. La stavo aiutando
a sistemare il negozio: voleva lucidare i pavimenti prima di aprire la
pasticceria, così andò nel magazzino a prendere
l'occorrente. Io la aspettai vicino alla vetrina del negozio. Fu allora
che avvenne l'incidente. Ho visto tutto con i miei occhi. È
stato terribile.-
Faith taceva,
continuando ad aspettare l'inevitabile, ma, vedendo che non arrivava,
le rivolse la domanda più critica e difficile.
- Chi è
stato ad ucciderlo?-
Lexie non rispose e Faith tornò a ripeterle la domanda.
- Faith, promettimi
che non glielo dirai mai.- La supplicò lei, prendendole le
mani - Non lo sa nemmeno mia madre. Non ho mai avuto il coraggio di
dirglielo.-
D'un tratto Max fece irruzione sotto il porticato per avvertirle che il
dolce stava per essere servito.
- Grazie, Lexie, per
aver portato la torta. Ha un aspetto magnifico.-
Lexie si asciugò gli occhi con la manica del maglione senza
farsi notare e sfoderò un sorriso.
- Spero sia buona
quanto bella!- Esclamò.
- Lo scopriremo
subito.- Intervenne Faith, sentendosi più sollevata.
Nonostante quello, però, intuì che c'era qualcosa
di poco chiaro nel comportamento di Lexie.
Il modo in cui le aveva afferrato le mani pregandola di non dire niente
a Max, le insinuò il dubbio che la verità
sull'incidente che sapeva Lexie avesse dettagli diversi da quella che
conosceva lei.
Immaginò che suo padre non le avesse raccontato tutto, ma
ciò non spiegava l'inaspettato gesto della ragazza.
Tuttavia, non sapeva come né perchè,
sentì di avere una caratteristica in comune con lei. E non
era tanto la verità o l'amore per Max, quanto una paura
angosciante.
La paura di perderlo.
Le ore scivolarono via, inesorabili, ed erano quasi le sette quando
Alice e Nicholas si congedarono strofinandosi lo stomaco con una mano.
- Io non
mangerò per almeno una settimana!- Si lamentò
Alice ringraziando Addison.
- Sarà
meglio che vada a casa anch'io.- Annunciò Lexie -
È stato davvero un piacere conoscerti, Faith.- Disse
stringendo la mano alla ragazza.
- Figurati. Piacere
mio, Lexie.- Replicò Faith.
Si ritrovò nella mano un foglietto e, alzando lo sguardo,
notò che Lexie la stava fissando, pregandola con gli occhi
di non farlo vedere.
- Ciao, Max!- Disse
poi, abbracciando il ragazzo, che ricambiò.
Salutò Addison ed uscì nella semi
oscurità, dirigendosi verso la sua auto, mentre una grande
luna arancione faceva capolino dietro ad un frastagliato nembo di
nuvole viola.
- Entriamo?-
Sussurrò Max, cingendo le spalle di Faith con un braccio.
- Ti dispiace se
facciamo una passeggiata vicino al lago?- Suggerì lei.
- No, certo.
Però lascia che ti prenda un maglione. Più tardi
farà freddo.-
- Ti aspetto.-
Bisbigliò la ragazza con un sorriso.
Rimasta sola sotto il porticato, aprì il foglietto che le
aveva lasciato Lexie, piena di curiosità.
“Chiamami ogni
volta che ne sentirai il bisogno.” diceva il
biglietto, specificando il numero di telefono.
Lo richiuse non appena avvertì la porta socchiudersi con un
cigolio e lo infilò in una tasca dei jeans.
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Capitolo 17 *** 17. Sogno O Realtà ***
R
ISPOSTA ALLE RECENSIONI
Ultimo
capitolo, prima della pausa estiva da me anticipatavi due settimane fa!
Questo breve periodo mi sarà utile per finire (lo spero!) il
mio primo “romanzo”. Spero che finora chiunque lo
abbia letto ne sia rimasto piacevolmente colpito. I colpi di scena non
finiranno qui, naturalmente, non siamo ancora a metà della
storia.
Ne
approfitto per citare innanzitutto la mia beta, che, per questa volta,
chiamerò per nome, Monica,
ed alla quale ho dedicato gran parte dell'ambientazione di questa
storia, la spiaggia di Santa Monica, in California. A lei vanno i miei
ringraziamenti più profondi, non solo per la cura, la
pazienza e la puntualità con cui ha betato il mio scritto,
ma per il coraggio e la stima nei miei confronti grazie ai quali mi ha
convinto, lo scorso dicembre, a pubblicare “Le Ragioni Del
Cuore”, romanzo che io diffidavo dal voler far leggere ad
altri se non a me stesso! Perciò, Monica, grazie mille. Sei
davvero una grande amica, la migliore. E ti voglio tanto bene,
naturalmente, non dimenticarlo!
Sabrina, la
seconda che ringrazio con tutto il cuore, che mi sta sempre aiutando,
consigliando e mettendo in riga quando scrivo delle eresie, per essere
educati, che non stanno né in cielo né in terra.
La seconda persona che ha letto il romanzo e lo ha trovato eccezziunale
veramente, o almeno così m'è parso, poi se vuoi,
correggimi pure in una delle tue chilometriche e sempre divertenti
recensioni.
Voglio
tanto bene anche a te, davvero!
Poi
ci sono Rossella
e Chiara,
che ormai vivono alle Hawaii (?), ma che ricordo sempre con immenso
affetto. Vi aspetto a settembre con le vostre recensioni, e, se sarete
a corto di parole, vi suggerisco io cosa scrivere:
“MARCO
SEI FIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIGOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!”
Una
volta iniziata la vostra recensione in questo modo, avete
già conquistato la mia ammirazione!
Questo
ovviamente vale anche per Annarita
(Nana_86), che spero di ritrovare a settembre con tanta fiducia
e stima per ciò che finora hai pubblicato anche tu. Non
mancare, un bacio!
Ringrazio
anche tutti coloro che leggono in silenzio e che hanno inserito la mia
storia tra le Seguite e Preferite. Vi aspetto a settembre, ci conto.
Questo
è il capitolo più hot della storia, giusto per
lasciarvi un po' presi bene... Infatti sono curioso di sapere i vostri
commenti, positivi o negativi che siano.
Ho
anche inserito una canzone, di quell'idolo che sembra tanto andare di
moda in questi anni, mr. Robert Pattinson. Vedo già una
certa faccia rovescia che legge queste parole. Chi ha orecchie per
intendere, intenda...
Avrei
preferito inserire una canzone di Bella Swan, ma pare che lei non
sappia cantare.
Il
brano si intitola “Never
Think”, incluso nella colonna sonora di Twilight.
Per
ultimo, anche perchè ormai ho già scritto troppo,
vi informo che il
capitolo 18 “Sensi di Colpa” verrà
pubblicato martedì 7 settembre 2010.
Buone
vacanze, per chi dovesse ancora iniziarle, e buon proseguimento per
tutti gli altri!
17. S OGNO
E REALTA'
Dedicato a
tutte le persone che hanno recensito almeno una volta questa Fan Fiction
- Io ti avevo chiesto
di fare una semplice passeggiata sulla spiaggia, non una gita notturna
nel bosco!-
Si lamentò candidamente Faith. Dovette prestare parecchia
attenzione a dove metteva i piedi per non inciampare nelle grosse e
nodose radici delle querce che sbucavano dal terreno e si sviluppavano
per diversi metri come serpenti.
- Voglio farti vedere
una cosa.- Le spiegò Max, tenendola per mano -
Però dobbiamo sbrigarci. È quasi buio e non la
troveremo facilmente se ci fermiamo.-
- E perché
non hai portato una torcia elettrica o una vecchia lanterna?- Lo
rimproverò lei.
- Perché
effettivamente il mio progetto era di portarti sulla spiaggia, ma poi
ho cambiato idea.-
Faith si immobilizzò e lo guardò con gli occhi
sgranati.
- Non mi stai portando
in una radura per poi uccidermi, vero?-
Max scoppiò a ridere.
- No, stai tranquilla.
Ti ucciderò solo dopo che ti avrò sposata, come
faceva Barbablù.-
Faith sorrise e gli diede un colpetto con il gomito.
- Allora, cosa ne
pensi di mia madre?- Chiese lui dopo un po’.
- Mi piace.- Rispose
senza esitare.
Max si volse a guardarla, sorpreso da quella risposta immediata.
- Dico sul serio, Max.
Stamattina ti ho detto che non ero preoccupata, ma in realtà
un po' lo ero.- Confessò lei
- Però mi sono subito tranquillizzata. Voglio dire, Addison
è davvero simpatica. E poi ammiro molto come tiene curata e
in ordine la casa. La cucina, con quella tavola apparecchiata ed ogni
utensile al proprio posto, sembrava una sala d'esposizione. Anche i
tuoi amici sono molto simpatici.-
- Sono contento che la
pensi così. Sono persone importanti per me e mi fa piacere
che tu sia d'accordo su questo.-
- Però non
mi hai mai parlato di loro.- Replicò Faith.
- Il fatto
è che noi due ci vediamo così poco e quando
stiamo insieme voglio dedicarmi soltanto a te e a nessun altro. Puoi
biasimarmi?-
La ragazza scosse la testa, senza mostrare alcun rancore.
- Bene.- Concluse lui
- Eccoci!- Esclamò dopo pochi passi - Sapevo che non eravamo
lontani.- Affermò alzando lo sguardo verso la chioma di un
gigantesco albero.
La luce lattiginosa della luna disegnava il profilo di una casetta di
legno adagiata tra i rami della quercia.
Lungo il tronco massiccio e resinoso vi erano state inchiodate alcune
assicelle che fungevano da scalini e che si snodavano fin sotto alla
costruzione, seminascosta dalle fronde.
Nell'aria l'odore del lago si alternava al profumo del muschio bagnato
e pareva che anche tutto il bosco respirasse, facendo vibrare le foglie
con un rumore perpetuo ma rilassante.
Di tanto in tanto alcune civette emettevano il loro grido spettrale,
svolazzando rapide tra i rami degli alberi.
Faith scrutò attentamente la costruzione, aggirandosi con
circospezione attorno alla quercia.
- Sbaglio oppure
questa è la casetta di Dorothy Gale che il tornado ha fatto
arrivare fin qui dal Kansas? Se così fosse significa che
siamo nel magico mondo di Oz.-
- Scherza, scherza
pure.- Protestò Max sarcastico.
- È
bellissima.- Osservò lei.
- Ti va di salirci?-
Le chiese.
Faith lanciò un'ultima un'occhiata alla casa e
assentì.
L'interno della struttura, per quel poco che Faith riusciva a vedere
nel buio, appariva semivuoto e piuttosto in ordine. Le
sembrò di entrare in un vecchio film in bianco e nero, dove
gli oggetti assumevano sembianze diverse e la luce pallida della luna
conferiva all'insieme un aspetto retrò, creando un
inquietante gioco di ombre.
Max si mise a frugare dentro ad una cassetta di legno, sperando di
ritrovare una lanterna ed alcuni fiammiferi.
- Fantastico!-
Esclamò Faith estasiata, affacciandosi alla finestra.
Aprì le imposte per far uscire l'odore di chiuso, e subito
una folata di vento agitò alcuni fogli di giornale sparsi
sul pavimento.
- Da quassù
si vedono le luci dei paesini che costeggiano il lago.-
- Bello, vero?-
Concordò Max, sistemando la lanterna sopra un secchio di
latta ripulito delle ragnatele.
- Ed ora abbiamo anche
la luce.- Esultò soddisfatto mentre la fiamma rischiarava
gradualmente tutta la stanza.
Un tenue odore di petrolio si diffuse nell'ambiente, riportando alla
sua mente lontani ricordi e Faith gli si avvicinò per dargli
un bacio sulla guancia.
- L'hai costruita
tutta da solo?-
- No, Chris mi ha dato
una mano.- Le rispose.
Da un baule posto sotto alla finestra Max estrasse due ampie coperte di
lana, stendendone una sul pavimento e ponendo l'altra ai loro piedi.
- L'abbiamo costruita
con l'aiuto di mio padre.- Continuò, sedendocisi sopra.
- Avete fatto un gran
bel lavoro.- Mormorò Faith, che si accomodò
vicino a lui.
Il suo sguardo meravigliato si soffermò su un timone appeso
alla parete alle loro spalle con grosse funi, avvolto in una spessa
rete da pesca.
- Sì,
abbiamo lavorato come pazzi.- Disse Max sorridendo.
Guardò la finestra e ridacchiò.
- Perché
ridi?- Gli chiese Faith.
Lui si voltò verso la ragazza e poi tornò a
guardare ancora la finestra.
- Sai
perché c'è soltanto una finestra?-
Faith fece un leggero cenno di diniego con la testa.
- Io e mio padre
volevamo farne una per ogni parete, ma il mio scaltro cugino si oppose
fermamente. Diceva che questa casa, un giorno, gli sarebbe servita per
portarci le ragazze e non voleva essere visto dalla gente che
gironzolava per il bosco.-
- Ma qui siamo a
parecchi metri d'altezza. Chi avrebbe potuto vederlo?-
- Prova a capire la
sua mentalità contorta. Già fatico a farlo
adesso, immaginati allora.-
Faith scoppiò in una sonora risata spensierata, cercando di
figurarsi nella mente quella ridicola scena.
Poi si alzò in piedi per chiudere la finestra, l'aria si era
fatta decisamente più fredda e la ragazza provò
in brivido.
Si soffermò un istante ad ammirare il panorama al crepuscolo
attraverso i vetri, resi opachi da un sottile velo di polvere.
L'arancio vivo che separava il cielo dall'acqua stava lasciando il
posto ad un blu brillante macchiato di indaco, e le luci dei porti
lampeggiavano rispecchiandosi nel lago.
- E tu, Max?-
Mormorò, dandogli le spalle.
- Io cosa?-
Replicò lui.
Faith si coprì le mani allungando le maniche del maglione e
tornò a sedersi.
- Quante... Quante
ragazze hai portato quassù?-
Max la guardò a bocca aperta.
- Che ragazza
impertinente!- Esclamò.
Faith arrossì, facendo roteare gli occhi.
- Una.-
Affermò lui con decisione.
La ragazza sollevò un angolo della bocca senza staccare lo
sguardo da terra.
- Lexie, immagino.-
Poi lo guardò e lui la fissò negli occhi timorosi
di ricevere una conferma.
- No, cosa te lo fa
pensare?-
Lei valutò la sua risposta per poi scuotere il capo.
- Beh, ho visto come
ti guardava a pranzo.-
- E?-
- E non si trattava di
un semplice sguardo di amicizia.-
- E?-
- Insomma, sono una
donna e conosco quel tipo di sguardo.-
Max continuava a fissarla aspettandosi una motivazione valida.
- E non so
più cosa dire, Max!-
Lui la guardò di sottecchi.
- Ok.- Ammise Faith -
Mi ha raccontato che un tempo era innamorata di te.-
Il ragazzo piegò la testa all'indietro e portò le
braccia dietro alla schiena, poggiandosi sui palmi delle mani.
- Questo lo so.-
Confessò con un sorriso.
- E come lo sai?- Gli
domandò lei scettica.
- Sei gelosa per
caso?- La provocò Max, divertito dalla piega che stava
prendendo la conversazione.
- Non me ne avevi mai
parlato. A quanto pare ci sono un sacco di cose che non mi dici.-
- Perché io
non ho mai provato niente che non fosse amicizia nei suoi confronti.-
Spiegò lui - E poi, se dovessi parlarti di tutte le ragazze
che avevano e hanno tuttora un debole per me, bella mia, dovremmo
restare qui per un bel pezzo!-
Notò con immediato dispiacere che la sua battuta non l'aveva
fatta divertire, così le accarezzò il viso.
- L'unica ragazza che
ho portato qui sei tu.-
La sua voce si era fatta profonda, calda e coinvolgente, ma Faith non
si fece abbindolare ed esibì una smorfia.
- E che mi dici
dell'insegnante di lingue?-
- Questo è
un colpo basso, però!- Ribatté Max.
Poi si fece serio e abbassò lo sguardo sulla coperta,
tracciando con un dito dei segni immaginari.
- Non ti sei mai
innamorato, Max?- Gli chiese Faith con esitazione.
Lui considerò mentalmente quella domanda e poi scosse la
testa, senza guardarla.
La ragazza capì che la sua risposta andava ben oltre a
ciò che gli aveva domandato e gli passò
delicatamente una mano tra i capelli.
- Scusami, -
Sussurrò - Lexie è una ragazza molto carina e ho
pensato che forse potevi essertene innamorato. Inoltre anche tu sei un
bel ragazzo, hai vissuto lontano da qui, in una casa tua, hai
conosciuto gente nuova... Scusa: sono giunta a conclusioni stupide e
affrettate.-
- Ma no, tu non hai
niente di cui scusarti. Io credo che la bellezza fisica non sia il
requisito principale per innamorarsi. Se prima non c'è una
scintilla che ti accende il cuore e la mente, non può
esserci amore. Nemmeno con la persona più bella di questo
mondo.-
Faith lo ascoltava estasiata. Non aveva mai sentito nessun ragazzo
esprimersi in quel modo.
- Purtroppo non tutti
la pensano così.-
- Blaise Pascal diceva
“Il cuore ha
le sue ragioni che la ragione non può capire”.-
Lei si
portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e i loro
sguardi si incontrarono, indugiando un po' più a lungo.
- E credi che avesse
ragione?-
Max annuì mentre la fiamma della lanterna baluginava nelle
sue pupille, conferendo alle iridi un verde vivo ed ipnotizzante.
- Credo di
sì.-
- Lo credi o lo sai?-
Tenne a precisare Faith.
Il ragazzo le si avvicinò e le sfiorò le labbra
con la bocca.
- Non ho mai avvertito
quella cosa che ho provato quando ho visto te. Ho sentito che il mio
cuore aveva smesso improvvisamente di battere. C'eri soltanto tu.
È stato come morire e rinascere in pochi attimi. Non pensavo
potesse esistere una forza così potente da rivoluzionare
completamente il concetto di amore che ho sempre elaborato nella mia
testa. È tutto così... -
- …
strano.- Proseguì Faith con lo sguardo assorto.
Max le toccò di nuovo il viso e con il pollice le
accarezzò una guancia.
- E magico.- Aggiunse
sottovoce.
Robert Pattinson
“Never Think”
Le posò con dolcezza una mano sul seno, baciandola con
più passione e passandole le dita tra i capelli. Anche lei
gli accarezzò la nuca e il viso, mentre lui, con la sua
barba cortissima le solleticava le guance e l'incavo del collo.
Faith si tolse il maglione e lui prese a slacciarle la camicia,
fermandosi di tanto in tanto per guardarla negli occhi, dove vi leggeva
il desiderio, la volontà irrinunciabile ed irresistibile di
essere amata in quel preciso momento.
Non che avesse dimenticato il suo segreto, ma ora Faith desiderava Max
come non lo aveva mai desiderato. Voleva essere parte di lui, amarlo,
diventare sua.
Lo osservò mentre si sfilava la maglia con un movimento
fluido e ammirò il suo petto ampio e ben tornito, perfetto
alla luce della lanterna. Il suo sguardo profondo e bramoso la
eccitò e, quando lui si avvicinò ancora,
baciandole la bocca in un sussurro, Faith intrecciò le
braccia sulle sue spalle larghe e robuste, facendo scorrere le labbra
umide lungo il collo e apprezzando il calore e la morbidezza della sua
pelle.
Lui alzò il viso, provando piacere al tocco delicato ma
sicuro della sua compagna, e le slacciò il reggiseno,
stringendola forte a sé, mentre lei teneva gli occhi chiusi
ed emetteva un gemito soffocato.
Poi la lasciò qualche istante per togliersi i pantaloni e,
nel frattempo, anche lei si spogliò, tenendo indosso
ciò che restava del suo intimo.
Max la baciò ancora e si sedette, incrociando le gambe e
trascinando Faith sopra di lui. Voleva amarla subito. Non riusciva
più resistere.
- Voglio che tu sappia
che ti amo e ti desidero, amore mio.- Le bisbigliò in un
orecchio.
Lei lo fissò negli occhi: Max era emozionato e il suo
sguardo di ragazzo non fece che aumentare la voglia di fare l'amore con
lui, senza compromessi. Desiderava donarsi completamente, affidargli il
suo corpo, la sua anima, la sua fiducia, il suo cuore.
Gli diede un bacio sulla fronte, poi lui cominciò a
sfiorarle il seno con le labbra calde e lisce. Lo sentì
inturgidirsi mentre faceva scorrere la lingua in stretti movimenti
circolari, e si eccitò.
Una vampa infuocata pervase il suo corpo, ma si obbligò a
restare concentrato per non affrettare le cose e i movimenti. Malgrado
il suo cuore battesse velocissimo, si stupì di come
riuscisse a mantenere un certo autocontrollo.
Era perfettamente consapevole che il suo obiettivo principale fosse
soddisfare la sua ragazza. La amava troppo e lui ambiva ad essere la
sua roccia, il suo uomo.
- Ti desidero,
Max.- Sussurrò Faith con voce flebile.
Lui si sdraiò sulla schiena e la ragazza prese a baciargli
il petto. Avvertiva i muscoli dell'addome guizzare sotto la pelle
mentre si spostava verso lo stomaco.
Max espirò lentamente nel momento in cui gli
sfilò i boxer.
E, quando anche lei si mostrò in tutta la sua bellezza alla
luce gialla e arancio della lanterna, il ragazzo la ammirò
affascinato: era perfetta quanto una statua scolpita. Il suo seno sodo
sembrava disegnato da uno scultore; il suo ventre piatto e le sue gambe
tornite erano completi e privi di difetti.
Faith si adagiò sopra di lui, lenta e precisa, mentre Max si
rimetteva seduto per poterla guidare, ed emise un gemito.
Anche lui sussultò, una volta dentro di lei, facendola
fremere.
- Ti amo.- Le
mormorò dolcemente in un orecchio con la sua voce calda e
profonda.
Altre parole dolci si diffusero soffocate nell'aria mentre i due amanti
si muovevano lenti, traendo infinito piacere l'uno dall'altro.
Un sottile velo di sudore iniziava ad imperlare i loro corpi frementi.
Max la guardò in viso e, quando anche lei posò
gli occhi nei suoi, comprese che avrebbero potuto trascorrere cento,
mille vite insieme.
Si baciarono e lei riprese a muoversi più veloce, mentre lui
la attirava a sé in un crescente desiderio, stringendole le
cosce, incapace di lasciarla andare e di resisterle.
Avevano osato più in profondità e provavano
emozioni pronte ad esplodere al di fuori di loro.
Poi lei piegò la testa all'indietro, con i capelli che
ricadevano lisci e spettinati sulle spalle, ed inarcò la
schiena, irrigidendosi.
Tornò a posare gli occhi su Max, mentre ancora respirava
affannosamente, e vide che i suoi erano socchiusi. I muscoli del collo
tesi.
Fu allora che il ragazzo emise un gemito e poi un altro poco
più forte, ma sempre sommesso.
Infine alzò
il viso e la guardò, mentre lei gli accarezzava i capelli,
madidi di sudore.
Vide con soddisfazione che era appagata, e appoggiò la testa
sulla sua spalla, abbracciandola e respirando a fondo il profumo della
sua pelle.
Non avevano dubbi. Anime gemelle per cento, mille vite.
Si erano sdraiati stretti sotto l'altra coperta che Max aveva
procurato, avvolti nel loro forte ed ardente sentimento, quando il
cellulare di Faith cominciò a squillare spezzando il
silenzio.
- Forse dovresti
rispondere.- Mormorò lui senza smettere di baciarla.
- Non mi interessa.-
Mugugnò.
- Magari è
tua zia.-
Faith si bloccò, tenendo le labbra incollate alle sue.
- Ok, ora controllo.-
Cantilenò, estraendo di malavoglia il cellulare dalla tasca
dei jeans - È Holly.-
Constatò leggendone il nome - Può aspettare
domattina. Ora ho di meglio da fare.-
Lui sorrise e la accolse tra le braccia.
- Sono un bel
passatempo, lo so.- Fece Max mantenendosi serio.
La ragazza rispose con una risata spensierata e lo coccolò a
lungo, prima di fare ancora l'amore con lui.
Il chiarore caldo e rosato del primo mattino riempiva la stanza
mostrandola completamente diversa da come si era presentata la sera
precedente.
Non sembrava affatto una casetta sull'albero, ma la stanza di una di
quelle abitazioni in legno disperse nelle illimitate e deserte spianate
del Texas che si vedono nei film, dove si avverte soltanto il soffiare
insistente del vento attraverso gli spifferi.
Max si risvegliò per primo e, mentre apriva gli occhi, la
prima impressione era di essere tornato indietro negli anni, nelle
prime notti in cui aveva dormito in quella casa.
Ripensò inevitabilmente a suo padre ed osservò
Faith. Distesa su un fianco e rivolta verso di lui, la ragazza dormiva
tranquilla e ai suoi occhi appariva come una scultura greca. Una ciocca
di capelli le attraversava un viso dai lineamenti morbidi e rilassati,
e velato da un trucco leggero che la rendeva ancora più
sensuale. La coperta, stretta sopra il seno, delineava il profilo
perfetto del fianco e delle gambe.
Max le scostò la ciocca di capelli e le baciò la
spalla nuda, odorando il suo profumo di mughetto. Ancora non si
capacitava di aver conosciuto una ragazza così bella in
tutti i sensi.
Lei aprì lentamente gli occhi e lo fissò
silenziosamente per qualche istante.
- Cosa stai
guardando?- Gli chiese.
- Te.-
- E a cosa pensi?-
- Penso che sei
bellissima.- Le sussurrò semplicemente Max.
Lei esibì un sorriso dolcissimo.
- Anche tu.-
Replicò, accarezzandogli il viso con il tocco vellutato
delle dita.
- Non hai freddo?-
- Sono un forno a
legna!- Esclamò lui, battendosi un pugno sul petto - E poi
ti ricordo che sei tu quella che al momento non indossa niente. Io
almeno ho un paio di boxer.-
- Sono nuda?- Si
lamentò Faith sgranando gli occhi.
- Eh si.-
Confermò lui candidamente.
- Per caso mi ha fatto
assumere sostanze altamente alcoliche ieri sera, signor Warren?-
Domandò valutando i fatti.
- Così mi
offendi.-
La ragazza allora lo baciò a lungo.
- Mi sembra che
stanotte ti sia divertita parecchio.- Continuò Max, sornione.
Faith rise un attimo per poi tornare seria.
- Sei stato molto
dolce, Max. Dico davvero.-
- Vuoi sapere
qual'è stato il momento che ho preferito?- Le
domandò.
- Quello!-
Esclamò lei.
- È
così scontato?-
- Per voi uomini
sì.-
- Beh, a parte quel
momento, allora!-
Faith annuì, sorridendo, ansiosa di saperlo.
- Ad un certo punto ho
visto la luna riflessa nei tuoi occhi. Anche se non c'era molta luce ho
capito che mi stavi guardando.- Max sollevò un angolo della
bocca - Mi sono sentito un uomo. Per la prima volta in vita mia non ero
più un ragazzo. Mi hai collocato al centro del tuo mondo, e
ti sono grato per questo. Quando saremo davanti all'altare, al cospetto
di Dio, ti prometterò il mio amore e il mio rispetto per
tutti i giorni della mia vita. Non solo finché la morte ci
separerà: io ti amerò anche oltre, per
l'eternità.-
- Max,-
Mormorò Faith con gli occhi velati - da quando ti ho
conosciuto ho capito che in questo mondo pieno di cattiveria e
ipocrisia esistono persone che riescono veramente a sentire
ciò che vorresti dire. Persone che sanno quali sono i veri
valori. L'unico con il quale mi sento sempre in sintonia e che capisce
completamente tutto di me sei tu. Anch'io ti amo.-
Un sorriso fece risplendere i sottili occhi verdi del ragazzo.
- Vieni qui.- Le
sussurrò stringendola tra le braccia - Che ne dici di
riscaldarci un altro po' prima di tornare alla noiosa
realtà?-
- Mi stai forse
facendo capire che al di fuori di qua io sarei noiosa?-
Protestò Faith, allontanandosi da lui.
- No. Voglio dire che
tu non sei la realtà. Tu sei il mio sogno.-
Precisò Max.
Faith stava già per ribattere, ma lo squillo del suo
cellulare la interruppe, facendo svanire l'atmosfera intima che si era
creata.
- Ricordami di
lasciare a casa il maledetto arnese la prossima volta.-
Sbuffò - È ancora Holly. Ma cosa vorrà
a quest'ora?-
Si voltò verso Max, sperando che le ordinasse di non
rispondere.
- Rispondi. Poi torna
da me.- Le disse.
Faith sbuffò ancora, aprì il cellulare e rispose.
- Ciao Holly. Che
succede? Qualcosa non va?-
Dal tono di voce che Max riusciva a captare, Holly sembrava piuttosto
agitata.
- No, scusa. Ieri sera
ero fuori casa e... -
Poi Faith fece una pausa, guardando Max con aria allarmata.
- Ok, Holly, senti.
Prenderò il primo aereo per Los Angeles. Grazie per avermi
avvertita. Ci vediamo al mio arrivo. Ciao.-
Riattaccò e rimase a fissare il suo ragazzo, passandosi una
mano tra i capelli.
- Che succede, Faith?-
Le chiese preoccupato.
- Si tratta di zia
Becky. Ieri sera si è sentita male ed è stata
portata d'urgenza in ospedale. Devo tornare subito a casa.-
|
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Capitolo 18 *** 18. Sensi Di Colpa ***
R
ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Ciaooooooooooo!
Eccomi
qui, dopo più di un mese di pausa (e di ferie MERITATISSIME!)
a continuare la pubblicazione di questo mio primo scritto. Purtroppo
non ho fatto in tempo a finirlo, ma sono a buon punto e Dio solo sa
quanto non vedo l'ora di completarlo!
Dunque,
voglio assolutamente ringraziare i miei fedeli recensori, anzi, posso
dire in tutta tranquillità, le mie fedeli recensitrici, che
sono SATY,
NANA_85,
CHIARA84,
MOZZI84,
AKANE25,
e CHIARASCIMMIA
(continuo a chiedermi a cosa stesse pensando quest'ultima per darsi un
nickname del genere ;)).
Un
grazie di cuore a tutte voi. Spero di non perdervi durante la storia!
Per
questo capitolo inedito ho scelto una canzone molto bella: Sarah McLachlan “I
Will Remember You”.
Spero
che vi piaccia!
A
tra due settimane!
18. S ENSI
DI COLPA
- Non posso credere
che ieri mi stavo divertendo mentre dall'altra parte del continente mia
zia stava si sentiva male.- Protestò Faith agitando
nervosamente le mani per aria.
Camminava rapidamente attraverso il bosco, e i sottili ramoscelli che
ricoprivano il suolo come un tappeto si spezzavano con un rumore secco
sotto i suoi piedi.
- Non puoi fartene una
colpa, Faith.- La rimproverò Max, che faticava a tenerle il
passo.
Faith si fermò di scatto voltandosi a guardarlo con gli
occhi spalancati.
- Non ho risposto al
cellulare, Max! Mia zia sarebbe potuta anche morire ed io non sarei
stata al suo fianco perchè pensavo soltanto a divertirmi con
il mio ragazzo.-
- Nemmeno io ero al
fianco di mio padre quando morì.- Sbottò lui.
Quel segreto era
tornato inesorabilmente a farsi largo tra i pensieri di Faith.
- Non è la
stessa cosa.- Replicò in tono neutro.
Come se lo stato di salute di sua zia non la stesse preoccupando
abbastanza, ora si era dimenticata di quel particolare così
fastidioso del quale ancora faticava a credere. Aveva trascorso la
notte precedente in preda ai rimorsi, chiedendosi in continuazione se
fare l'amore con Max fosse stato corretto nei suoi confronti. Gli aveva
taciuto un fatto troppo importante, ma non era riuscita a frenare la
passione che li aveva coinvolti. Ed ora si sentiva come un'adolescente
stupida e incapace di gestire quel genere di situazioni.
Riprese a camminare, piena di nervosismo e frustrazione.
- È da
immaturi quello che ho fatto.-
- Rimpiangi di aver
fatto l'amore con me?- Chiese Max parandosi davanti e trattenendola per
le spalle - È questo che vuoi dire?-.
Faith colse una nota di tensione nel tono con cui le aveva rivolto la
domanda.
Lo guardò negli occhi pensando velocemente ad una risposta
che potesse essere significativa senza ferirlo, ma in quel momento la
sua mente non era predisposta ad affrontare un discorso così
impegnativo.
- Non è
questo che intendo.- Spiegò tornando sui suoi passi - Dico
solo che, di fronte alle cose gravi che succedono nella vita di una
persona, non esiste svago che possa reggerne il confronto.-
Max l'afferrò per un braccio facendola voltare verso di lui
e sforzandosi di mantenere la calma.
- Ma... ma che cosa
stai dicendo, Faith? Uno svago? Credi che quello che è
successo tra di noi ieri sera sia stato soltanto uno svago?-
Faith si liberò dalla sua presa. Non aveva né le
forze necessarie né la voglia di discutere con lui in
quell'istante e, spazientita, esplose in un impeto di rabbia.
- Santo cielo,
Max!Proprio non vuoi capire?-
Le sue parole
rimbombarono attorno a loro come uno sparo.
- Non sono in grado di
parlare di ieri sera! Sono in ansia perché mia zia
è su un letto d'ospedale! Lo capisci? Zia Becky sta male e
tu pensi soltanto al sesso?-
Max le rivolse uno sguardo pieno di incredulità.
- Non è al
sesso che sto pensando, e tu lo sai!- La contraddì urlando
più forte di lei.
Ascoltò il riverbero delle sue parole svanire come
risucchiate dal bosco.
Alcune ghiandaie schizzarono fuori dai rami sopra di loro, spaventate
dai rumori improvvisi. Poi il silenzio tornò di nuovo a fare
da padrone.
La ragazza rimase ammutolita. Per la prima volta aveva sentito il suo
ragazzo alzare la voce e ne fu un po' impressionata. Non l'aveva mai
visto così arrabbiato.
Si limitò a guardarsi attorno con le braccia conserte: il
fitto fogliame sopra le loro teste era perforato da innumerevoli
sottili lame di luce che coloravano il bosco di brillanti
tonalità e rendevano meno cupe le zone in ombra. I grandi
tronchi delle querce sbucavano dal terreno umido di rugiada come
giganti inanimati ed inquietanti, mentre una foschia verde scuro che si
levava dal terreno rendeva i loro profili sempre meno nitidi man mano
che ci si allontanava con lo sguardo.
Alcune farfalle bianche svolazzavano leggiadre ed instancabili tra i
rami più bassi.
Faith non aveva alcuna intenzione di offenderlo, ma un insano e
momentaneo gusto nel ferirlo, pur di fargli capire il suo attuale stato
d'animo, le fece uscire le parole di bocca prima ancora di decidere se
fosse giusto dirle.
- Avrei preferito
esserle stata vicino stanotte piuttosto che fare l'amore con te.-
Affermò in tono freddo e distaccato.
Max mosse appena le labbra, incredulo di averglielo sentito dire.
Avrebbe voluto replicare in un'infinità di modi diversi, ma
giunse all'ineluttabile conclusione che in quel momento non sarebbe
servito a niente.
- Vai, Faith.
Và da lei.- Mormorò soltanto, prima di voltarsi e
cambiare direzione.
Faith si tirò indietro i capelli e lo
osservò allontanarsi. Abbattuta, riprese a camminare verso
casa, decidendo che avrebbe chiarito quello spiacevole
malinteso in un momento più opportuno.
Sarah
McLachlan “I Will Remember You”
Max non riusciva a capire dove avesse sbagliato. Pochi minuti prima lui
e Faith andavano d'amore e d'accordo e, subito dopo, avevano affrontato
una discussione.
La prima da quando si conoscevano.
In cuor suo era certo di non provare alcun rancore nei suoi confronti.
Provava soltanto dispiacere perché quella notte, nonostante
per lui avesse significato un fatto di notevole importanza, per la sua
ragazza sembrava non aver avuto alcun significato o, perlomeno, un
briciolo del valore che lui le aveva attribuito.
Il cimitero era aperto da poco e il custode stava spazzando via
cartacce e petali di fiori dal marciapiedi davanti all'ingresso con una
vecchia scopa di saggina. Era un uomo anziano, con un cappello scuro e
liso calcato in testa, la barba incolta e una sigaretta in bocca.
- 'Giorno.- Disse a
Max, con un cenno della testa, senza alzare gli occhi dal marciapiedi.
Non dava l'aria di essere molto contento di stare lì.
Complice l'orario mattiniero, svolgeva il suo lavoro in maniera
annoiata, automatica ed indifferente.
Max rispose al saluto ed oltrepassò il maestoso cancello in
ferro battuto. Un leggero profumo di gigli lo avvolse per qualche
secondo, mentre percorreva il lungo e ampio porticato laterale che
costeggiava alcune lapidi risalenti ai primi anni del novecento.
Le colonne, ingrigite dal tempo e dagli agenti atmosferici, non avevano
perduto il loro antico fascino: le piante di glicine, con i fiori a
grappolo color violetto, vi si arrampicavano fino ai capitelli e alle
architravi, intrecciandosi con l'edera ed emanando un odore delicato e
gradevole.
I sentieri di ghiaia, delimitati perlopiù da bossi e alti
cipressi, circondavano aiuole verdi e ben tenute.
Max giunse ai piedi di una collinetta sovrastata da un salice piangente
i cui virgulti, ricadendo, sfioravano un piccolo laghetto ricco di
ninfee bianchissime.
Abbassò lo sguardo in direzione del blocco verticale di
marmo bianco e, osservando la fotografia che ormai conosceva come una
poesia a memoria, per un breve istante rivide sé stesso.
Fece un profondo respiro assaporando ogni singolo istante di quel
remoto silenzio che sembrava allontanarlo dalla realtà.
Quando ancora viveva a Lakewood, si recava spesso in quel luogo. Vi
trovava l'armonia e la pace che non riusciva a trovare al di fuori di
quelle mura, e ciò lo rendeva più sicuro di
sé, senza provare imbarazzo di fronte alle sue emozioni.
Si sedette sul prato incrociando le gambe e, con una mano,
passò le dita tra i fili d'erba.
Sotto alla fotografia era stato sistemato un mazzo di fiori campestri,
di quelli che durano più giorni senz'acqua e, accanto, un
piccolo vaso di margherite gialle.
- Ciao
papà.- Mormorò.
Si fermò ascoltando il suono della sua voce.
- È da un
po' che non vengo a trovarti. Mentirei se ti dicessi che non lo faccio
perché sono troppo preso dal lavoro, e tu lo sai. Mi conosci
più di quanto mi conosca io. Questo è sempre
stato l'unico posto in cui mi sia mai sentito in pace con me stesso,
dove ti ho sempre sentito più vicino a me. Ma mi rendevo
conto che non potevo fondare la mia vita sul passato e che un giorno me
ne sarei dovuto andare, nonostante mi sforzassi di pensarla
diversamente. Non si può continuare a vivere nei ricordi.
Oggi però ho cambiato il modo di vedere le cose. Oggi ho
tutto, papà, ed è un peccato che io non possa
condividere la mia felicità con te anche se penso che tu mi
ascolti in ogni momento della giornata. Non ne sono sicuro, ma mi piace
crederlo. Mi piace pensare che un giorno ti rivedrò. Mi
piace pensare che tutto il tempo che ci ha tenuti separati quel giorno
si dissolverà e diventerà un ricordo
lontanissimo. Mi piace pensare che, in fin dei conti, tu sei sempre qui
vicino a me e, malgrado io non possa vederti o sentirti, sono certo che
ogni gesto che faccio e ogni parola che dico siano suggeriti da te,
perché tu vivi dentro di me, nel mio cuore e nella mia
mente. Sono qui perché cercavo una risposta, e l'ho trovata
non appena ho incrociato il tuo sguardo nella fotografia. Sono io ad
aver sbagliato e dovrei farle le mie scuse perché
ho dimenticato che anche gli altri possono provare ciò che
ho provato io quando te ne sei andato. Sono stato un egoista, e tu me
l'hai fatto notare.-
Max si alzò in piedi ricacciando indietro una lacrima.
- Sappi che nel mio
tutto c'è un solo posto vuoto: il tuo.- Sussurrò
in un sorriso carico di tristezza.
Si alzò in piedi e posò delicatamente sulla
lastra di marmo la rosa rossa che aveva comprato poco prima nella
piccola fioreria davanti al cimitero.
- Ciao,
papà. Tornerò presto a trovarti.-
Stava per andarsene quando un inaspettato refolo di vento fece rotolare
il fiore vicino ai suoi piedi.
- D'accordo -
Annuì chinandosi a raccoglierla - La porterò a
lei.-
Addison stava seguendo attentamente il notiziario del mattino della CNN
alla televisione mentre sorseggiava una tazza di caffè,
quando Faith fece irruzione in casa senza accorgersi della sua presenza.
- Faith.- La
chiamò.
- Buongiorno Addison.-
- Va tutto bene?
Dov'è Max? Sembri scossa.- Osservò alzandosi in
piedi per avvicinarsi.
- In effetti... devo
tornare immediatamente a Los Angeles. Mia zia stanotte si è
sentita male ed è stata portata in ospedale.-
- Spero non sia nulla
di grave.- Le disse preoccupata, portandosi una mano sul petto.
- Lo spero anch'io.-
Replicò Faith stringendosi nervosamente le mani. Non sapeva
come parlarle del suo piccolo litigio con Max - Se non ti dispiace
vorrei fare una doccia veloce e chiamare un taxi che mi accompagni
all'aeroporto.-
- Un taxi?-
Domandò Addison perplessa.
- Sì. Poco
fa io e Max abbiamo avuto una discussione - Riuscì ad
ammettere Faith - Stanotte abbiamo dormito nella casa sull'albero e
stamattina abbiamo litigato. Ora non ho la minima idea di dove possa
essere.-
Addison annuì.
- Credo di saperlo.
Tornerà prima che tu vada via, vedrai. Così
sarà lui ad accompagnarti all'aeroporto.- La
rassicurò strofinandole un braccio per confortarla.
- Lo spero tanto.-
Convenne Faith sollevando un angolo della bocca - Beh, sarà
meglio che mi sbrighi. Ho l'aereo tra meno di due ore.-
Realizzò lanciando un rapido sguardo all'orologio appeso
sopra la porta della cucina.
- Faith.- La
richiamò Addison dopo qualche istante.
La ragazza si voltò, togliendosi la borsa a tracolla.
- Devi dirglielo.-
Faith s'irrigidì, con un braccio a mezz'aria, e il suo viso
si fece immediatamente pallido.
- Dire cosa... a chi?-
Addison le andò più vicino scrutandola titubante
negli occhi, con la fronte corrugata.
- La verità
che riguarda tuo padre.-
|
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Capitolo 19 *** 19. Segreti E Bugie ***
R ISPOSTE
ALLE RECENSIONI
Ciao!
Scusate
per il breve ritardo, ma ora eccomi qui con un nuovo capitolo tutto per
voi.
Voglio
ringraziare innanzitutto Saty,
che recensisce sempre con dettagliate descrizioni (che io amo, tra
l'altro!) e poi Mozzi84,
la mia “correttrice di bozze”! GRAZIE AD ENTRAMBE
INFINITAMENTE!
Poi
ringrazio anche chi aggiunge la storia alle Preferite e Seguite.
Attendo presto un vostro giudizio!
Auguro
a tutti una piacevole lettura!
19.
S EGRETI
E BUGIE
Le due donne rimasero a fissarsi, immobili come statue.
Com'è
possibile che lei conosca mio padre? Come sa che io sono la figlia
dell'assassino di suo marito?
La voce del giornalista alla TV cominciava a diventare insopportabile e
Faith avrebbe volentieri scaraventato a terra l'apparecchio.
Iniziò a tremare impercettibilmente agli occhi di Addison,
mentre nella sua testa escogitava tutti i modi possibili per risolvere
la situazione.
- Non capisco di cosa
stai parlando.-
Consapevole di non essere mai stata brava a mentire, era certa che di
lì a poco anche Addison l'avrebbe capito.
- Faith, non voglio
spaventarti. Non ce l'ho con te se è questo che ti
preoccupa.- Mise subito in chiaro la donna.
- Come lo sai?-
Domandò Faith andando dritta al nocciolo della questione.
La madre annuì intuendo che la ragazza non conosceva tutta
la storia.
- Vieni - Le disse
facendole segno di seguirla in cucina - sediamoci qualche minuto. Ti
prometto che non perderai il tuo aereo.-
Faith si sedette, ancora incredula di essere prossima ad intrattenere
quell'argomento che l'aveva sconvolta due giorni prima.
Addison aprì la lavastoviglie e le porse un bicchiere. Poi
prese una caraffa di vetro dal frigorifero e le versò un po'
di spremuta d'arancia. Aveva spento il televisore e si sentiva soltanto
il ticchettio anonimo e monotono dell'orologio.
- Ho conosciuto tuo
padre il giorno successivo all'incidente. È rimasto nel
carcere di Cleveland per una settimana prima del suo trasferimento a
Los Angeles.-
Si sedette di fronte a lei e riprese a bere il suo caffè
stringendo la tazza con entrambe le mani.
- Ti starai chiedendo
perché io lo abbia voluto conoscere. La risposta
è semplice: volevo vedere negli occhi chi aveva ucciso mio
marito. Ero arrabbiata e confusa il giorno in cui mi recai in prigione.
Avrei voluto prendere quell'uomo per il collo e strangolarlo
perché lui mi aveva portato via una delle persone che amavo
di più. Sapevo bene che quel gesto non avrebbe riportato in
vita mio marito, né mi avrebbe fatto stare meglio. Ma ero
libera di provare quella sensazione e quel desiderio di vendetta.
E fu ciò che provai finché non vidi tuo
padre. Era là, dietro alle sbarre, in una camera piccola e
vuota, seduto sul letto con la testa tra le mani. Mi guardò
negli occhi quando lo chiamarono e capii che anche lui stava male. Non
quanto me, certo, e non allo stesso modo in cui stavo male io. Il suo
sguardo era perso nel vuoto, completamente scollegato dalla sua mente.
Chiesi all'agente di guardia il permesso di farmi entrare e mi sedetti
sul bordo del letto davanti a lui, restando in silenzio per qualche
minuto con gli occhi fissi sul pavimento. Fu lui a parlare
per primo. Sai cosa
disse?-
Addison posò la tazza sul tavolo e si rivolse lo sguardo
alla ragazza, ancora inerte ma, allo stesso tempo, sulla difensiva.
- Ho perso
per sempre l'amore di mia figlia.-
Una lacrima
inaspettata rigò il viso tirato di Faith, malgrado si
sforzasse di restare composta.
- Mi
raccontò com'era avvenuto l'incidente, o quel poco che
poteva ricordare.- Riprese Addison - Mi parlò di te, Faith.
Portava sempre con sé una tua fotografia. Provai
così tanta pena per lui che un po' mi vergognai di provare
quella sensazione. Insomma, aveva pur sempre ucciso mio marito, ma mi
stupii di me stessa. Con il passare degli anni ho saputo perdonarlo. Se
non lo avessi conosciuto probabilmente non sarei riuscita a farlo.
Purtroppo però non ho pensato lo stesso per Max.-
Faith scosse la testa. Non
riesco a perdonarlo io per quello che ha fatto, come ci sei riuscita tu?
- Perché
non gli hai detto la verità? Perché gli hai
mentito? Perché non hai provato a dirglielo subito?- La
rimbeccò - Che razza di madre può nascondere
queste terribili verità a suo figlio?-
Addison abbassò lo sguardo, messa di fronte al suo sbaglio.
Dopo tanto tempo qualcuno aveva dato voce ai suoi pensieri
più oscuri e questo la tormentò.
- Non ero certa che
Max sarebbe riuscito a perdonarlo come ho fatto io. Avevo paura che
avrebbe fatto qualcosa di insensato verso sé stesso. Io ho
solo cercato di proteggerlo. Poi il tempo passava e lui diventava
sempre più taciturno. Non ne abbiamo mai parlato da quel
giorno e io non ho più trovato l'occasione adatta per farlo.
Alla fine ha deciso di partire per New Orleans di punto in bianco ed io
lo vedevo un paio di volte l'anno.-
Addison si voltò verso la finestra.
- Ormai non ha
più senso che sia io a dirgli la verità.-
- No, Addison! Non
puoi scaricare su di me questa responsabilità! Io l'ho
scoperto soltanto due giorni fa e credimi, non sai quanto sto male
all'idea di perderlo se glielo dicessi. Penso che sia abbastanza maturo
e forte da saper accettare tutto questo, ma ho paura. Ho tanta paura.-
Addison le strinse le mani.
- Lui ti ama
veramente. Sono certa che capirà.-
Faith la guardò con gli occhi stanchi e lucidi.
- Non è mai
troppo tardi per dire le cose più importanti.-
- Hai ragione, Faith.-
Approvò la donna - Ma adesso sei tu il suo presente. Io sono
soltanto una comparsa nella sua vita.-
- Non lo conosci
abbastanza se pensi questo.- Affermò Faith
sfilando le mani dalle sue.
- Lo
perderò in entrambi i casi, che sia io a dirglielo oppure
tu. Resterà con te, Faith. Sono sicura.-
Faith si alzò in piedi e, quando fu sulla porta, si
voltò.
- Ricordati che
è stato mio padre ad uccidere il suo.-
Faith non riusciva ancora a credere di aver avuto quella conversazione
con Addison. Si trovava lì da poche ore ed erano successe
così tante cose che le sembrò di avervi trascorso
molto più tempo.
Le stesse domande la tormentavano senza darle modo di trovare delle
risposte.
Troppe domande, nessuna
risposta.
Continuava a chiedersi come Addison fosse riuscita a perdonare suo
padre. Forse anche lei, con il passare del tempo, lo avrebbe fatto, ma
non in quel momento. Adesso le toccava il compito più
difficile.
Rivelare a Max tutta la verità dopo dieci anni comportava un
grosso rischio, ma era giusto che lui la sapesse. Era giusto essere
sincera nei suoi confronti perché aveva sempre ritenuto
corretto che in una relazione adulta la più completa e
rispettiva fiducia dovesse essere un requisito fondamentale.
E se lui non avesse saputo accettarla? Se l'avesse lasciata come aveva
fatto con Lexie anni prima?
In fondo lei aveva soltanto cercato di dirgli com'erano andate le cose.
Si ricordò del biglietto che la ragazza le aveva lasciato la
sera precedente e lo estrasse dai jeans che aveva posato sul letto
prima di andare a farsi la doccia.
Chiamami ogni volta che
ne sentirai il bisogno.
“Per quale
motivo dovrei chiamarla?” Pensò. “E di
quale verità voleva parlare a Max?”
Addison a parte, lei era l'unica a sapere come fosse realmente accaduto
l'incidente.
Non ci capiva più nulla e la confusione che le si era venuta
a creare in testa non le permetteva di ragionare con fermezza.
Realizzò che avrebbe dovuto contattarla perché
Lexie conosceva Max più di quanto lo conoscesse lei e magari
avrebbe saputo consigliarla su come comportarsi con lui.
- Ma che razza di
idee! Non è un elettrodomestico di cui non posseggo le
istruzioni!- Esclamò convinta.
Un leggero rumore di nocche sulla porta della sua stanza la distolse
dai suoi pensieri.
- Avanti.- Disse
ripiegando velocemente il foglietto.
- Ciao.- La
salutò Max entrando.
Faith gli sorrise, spostandosi una ciocca di capelli umidi dietro un
orecchio.
- Questa è
per te.- Mormorò offrendole la rosa - Da parte di una
persona speciale.-
Faith si avvicinò e la prese con una mano - È
bellissima.-
- Tu sei
bellissima.- Tenne a precisare.
L'abbracciò forte e odorò il profumo dei suoi
capelli.
- Ok, scuse
accettate.- Sospirò lei.
Max la lasciò e la guardò negli occhi perplesso
- Chi ha detto che tra
noi due sia io a doverti delle scuse?- Domandò con un'ombra
di sorriso sulle labbra.
- Beh, mi hai portato
una rosa, mi hai stretta tra le tue braccia...-
- Mi dispiace, Faith.-
La interruppe lui.
- No, anch'io devo
scusarmi con te.-
- Ma io di
più. Sono stato un egoista.- Ammise Max sedendosi sul letto
- Ho messo le mie emozioni e i miei sentimenti davanti a tutto,
compresa la tua preoccupazione per zia Becky.-
- Stai tranquillo,
Max.- Mormorò Faith accarezzandolo in viso - Ho richiamato
Holly e sembra che zia Becky sia fuori pericolo. Sono comunque
preoccupata, ma non ho il diritto di comportarmi così,
specialmente con te.-
Max alzò lo sguardo e lei provò tenerezza per
quel ragazzo così onesto e sincero.
- Non avrei dovuto
dirti quella cosa orribile. Anzi, sono molto contenta di aver fatto
l'amore con te e non cambierei la notte scorsa con niente al mondo.-
Max deglutì e sollevò un angolo della bocca.
- Parli sul serio?-
Nonostante lei provasse un lieve senso di colpa, doveva ammettere che
quello che avevano passato insieme era stato un momento
indimenticabile. Un grande passo nella loro relazione.
- Ma certo, stupido!-
Confermò sorridendo - E non vedo l'ora di farlo di nuovo.-
Lo baciò passandogli le mani tra i capelli - Ma non ora!-
Sottolineò staccandosi per tornare alla sua valigia - Ho un
aereo che mi aspetta e devo sbrigarmi.-
- La macchina
è pronta. Ti aspetto in salotto.- Replicò Max
mentre si avvicinava alla porta - Sicura che non vuoi che venga con te
a Los Angeles?- .
Faith scosse la testa.
- Tranquillo, ti
aspetterò alla fine della settimana.-
Max rimase immobile sulla porta. La guardò. Era
terribilmente sexy avvolta nella salvietta e, per qualche attimo,
pensò di non meritarsi così tanta
grazia e perfezione. Poteva innamorarsi di lei ogni volta che
incrociava i suoi occhi scuri e questo gli faceva sentire le farfalle
nello stomaco come la prima volta che l'aveva vista.
Una sensazione che si era stampata nel suo cuore e che non poteva,
né avrebbe mai voluto assolutamente dimenticare.
- Che c'è?-
Gli chiese Faith mentre ripiegava un maglione, divertita dal suo
sguardo ammirato.
- Ti amo.- Disse lui
con fermezza.
- Anch'io.-
Sussurrò la ragazza.
|
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Capitolo 20 *** 20. Una Vecchia Conoscenza ***
R
ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Ciao
a tutti!
Voglio
cominciare ringraziando subito i miei recensori.
Kyni, sono molto
contento che questa storia ti regali delle emozioni, significa che sto
riuscendo nel mio intento, che non è commuovere i lettori,
ma lasciare nei loro cuori cose che rimangano ad interrogarli sui loro
possibili significati. Credo che, dopo una giornata trascorsa in un
mondo dove ormai i veri sentimenti vengono spesso calpestati e
sottovalutati, sia bello lasciarsi andare in una piacevole lettura,
magari che trasmetta divertimento, passione, romanticismo. Mi auguro
che i prossimi capitoli siano per te altrettanto entusiasmanti! Ti
ringrazio per i complimenti e... Buona lettura!
Saty, cosa posso
dire oltre a ciò che ti ho già detto? Sono
perfettamente a conoscenza delle emozioni che ti trasmetto, e anche
stupito di come riesco a farlo in ogni capitolo. Sei davvero una
lettrice squisita, onesta e carina! E so per certo che continuerai a
seguirmi fino alla fine di questa storia! Un abbraccio!
Come
sempre, colgo l'occasione per salutare e ringraziare la mia beta Mozzi per
l'ottimo lavoro che svolge. Sei unica!
Grazie
ancora a chi aggiunge questa storia alle Seguite e Preferite! Aumentate
ogni capitolo sempre di più!
20. U
NA VECCHIA CONOSCENZA
Faceva decisamente più caldo a Los Angeles e Faith fu
costretta a togliersi una maglia non appena mise piede fuori
dall'aeroporto. Una leggera brezza calda sembrava voler richiamare
l'estate in anticipo e ciò prevedeva l'arrivo imminente di
almeno il triplo dei turisti che già affollavano le vie
della metropoli.
Ma a Faith non dispiaceva affatto. Ormai non faceva più caso
a tutta quelle gente.
S'infilò velocemente in uno dei taxi che sostava davanti
dell'aeroporto per farsi accompagnare al Presbyterian Medical Center.
Non aveva tempo di passare per casa: era troppo ansiosa di vedere zia
Becky.
Entrò in ospedale fermandosi allo sportello accettazioni per
chiedere in quale reparto l'avrebbe trovata e prese l'ascensore
seguendo le indicazioni ricevute.
L'aria odorava di disinfettante e le luci fredde dei neon disposte
lungo gli infiniti corridoi facevano sembrare più stanche e
ancora più preoccupate le espressioni delle persone che li
affollavano.
Faith non faticò a trovare la stanza 241. La porta era
aperta e un'infermiera stava uscendo spingendo un carrello carico di
medicinali e strumenti da lavoro.
- Lei è la
signorina Faith Harrington?- Chiese alla ragazza.
- Si, sono io. Come
sta mia zia?-
- Si è
appena svegliata. Mi raccomando: non si trattenga molto. È
ancora affaticata e ha bisogno di riposo.-
- Certo. Non
resterò a lungo. Saprebbe dirmi con chi posso parlare
riguardo a ciò che è successo?-
L'infermiera annuì.
- Le
manderò qui il dottor Fawcett. È lui che si
è occupato di sua zia.-
Faith la ringraziò e, quando l'infermiera scomparve dietro
la porta, si avvicinò al letto.
Zia Becky era sdraiata con una flebo infilata nel braccio, mentre un
apparecchio vicino a lei monitorava il suo battito cardiaco. Aveva il
volto pallido e gli occhi vitrei rivolti verso la finestra, in
un'espressione che sembrava celare una sofferenza trascinata dietro da
tempo, ma sorrise quando vide la nipote.
- Ciao, zia.-
Sussurrò la ragazza.
- Faith, bambina mia.
Ti aspettavo.-
- Sono qui adesso,
stai tranquilla.-
Zia Becky si nascose il viso tra le mani ed emise un lamento iniziando
a singhiozzare.
- Mi dispiace tanto,
Faith. Mi dispiace!-
Faith le si sedette vicino e le accarezzò i capelli.
- Ma no, zia, non devi
dispiacerti. Non è stata colpa tua. Adesso sono qui, non
preoccuparti.-
Le piangeva il cuore alla vista di sua zia in quel grande letto
d'ospedale ricordando come, fino a qualche ora prima, fosse agile e
svelta nonostante l’età.
- Vedrai che presto
tornerai a casa e sarai in forma come al solito.-
Ma dentro di sé era pienamente consapevole che stava
mentendo. Quante bugie era costretta a raccontare in quei giorni per
non far star male le persone che amava. Faith si rese conto che da quel
momento zia Becky si sarebbe dovuta sottoporre a visite mediche e
continui controlli, senza parlare degli innumerevoli farmaci che
avrebbe dovuto assumere.
- Sei venuta con Max?-
Le domandò la zia asciugandosi le lacrime con il dorso della
mano.
- No. Max
verrà qui nel fine settimana.-
- Gli hai parlato di
quella cosa?- Le domandò in tono perentorio.
- Non ne ho avuto
modo, ma lo farò appena mi sarà possibile.-
Rispose ripensando alla conversazione avuta con Addison quella mattina
stessa.
- È un
così caro ragazzo, Faith.-
- Si, lo
è.- Annuì la ragazza sistemando distrattamente un
tulipano all'interno di un vaso di fiori sul comodino - Sai, sua madre
sa tutto. Sa che a provocare l'incidente è stato Brian.-
- E come lo sa?- Fece
sorpresa zia Becky - Cioè, come fa a sapere che tu sei sua
figlia? Ci potrebbero essere mille Faith Harrington al mondo!-
Osservò.
- Beh, il giorno dopo
ha conosciuto mio padre. Fu lui a raccontarle di me. Max le ha detto
che si trovava in carcere, così lei ha capito chi sono ed
ora vorrebbe che fossi io a dire la verità a suo figlio.-
Zia Becky parve perplessa.
- Perchè
non è stata lei a farlo?-
- Perchè
voleva solo proteggerlo. Gli ha raccontato una bugia per paura che in
un modo o nell'altro si sarebbe vendicato di chi gli aveva portato via
il padre.- Spiegò Faith - Ma adesso è troppo
tardi.- Concluse volgendo la testa verso la porta.
L'infermiera era ritornata accompagnata dal medico. Faith si
alzò in piedi e lo salutò presentandosi.
Era un uomo sui trent'anni, dal volto affabile e rassicurante.
- Può
seguirmi nel mio ambulatorio, signorina?- Le chiese con un sorriso
professionale.
Faith guardò zia Becky, promettendole che sarebbe tornata a
salutarla, ed uscì seguendo il dottor Fawcett.
- Si accomodi, prego.-
La invitò il medico indicandole una poltroncina davanti ad
una scrivania carica di cartelle cliniche e documenti di vario genere.
- Cos'è
successo, dottor Fawcett?- Gli domandò.
L'uomo si sedette sistemandosi il camice e tirò un lungo
sospiro.
- Sua zia ha avuto un
attacco epilettico con una conseguente temporanea paralisi del braccio
sinistro. Malgrado l'età sembra stia riuscendo velocemente a
superarne gli effetti, ma non escludo che, nelle prossime ore, possa
avere una ricaduta.-
Faith lo fissò negli occhi facendosi più seria.
- Che cosa vuol dire?-
Il medico tentennò un poco prima di rispondere, ma lei lo
bloccò.
- La prego, vada
subito al sodo senza illudermi con inutili eufemismi.-
- Mi creda, non
è mia intenzione creare allarmismi. Sto solo dicendo che,
d'ora in poi, sua zia dovrà essere tenuta costantemente
sotto controllo. Nelle prossime settimane, se lei è
d'accordo, vorrei farla sottoporre ad una serie di esami per riuscire
ad individuare la causa che le ha procurato l'attacco. Le ripeto, non
intendo far preoccupare lei e i vostri famigliari più del
necessario, perciò non voglio sbilanciarmi prima di vedere i
risultati delle analisi.-
Faith annuì. Ancora non riusciva a rendersene conto e quella
preoccupazione la lasciava senza parole. Al momento non si conosceva
nulla di ciò che poteva aver fatto star male zia Becky, ma
venne assalita dal timore di poter perdere una delle persone
più importanti della sua vita.
- Quali potrebbero
essere le cause, dottore?-
- In realtà
ce ne sono molte. Alcune insignificanti, altre un po' meno.- Rispose
restando sul vago. Il viso di Faith
aveva già espresso preoccupazione e lui intuiva quale
sarebbe stata la sua prossima domanda.
- Ad esempio?-
Il medico indugiò un istante prima di rispondere. Era
abituato a dire cose ben peggiori di quella, ma in quel momento si
trovò in difficoltà. Non poteva mentirle, ma era
normale che la ragazza avesse bisogno di sentirsi dire che andava tutto
bene. Elencò alcune delle cause contandole sulle dita senza
conferire loro troppa importanza. In effetti la vera causa era ancora
da scoprire.
- Potrebbe essere una
semplice reazione allergica. O magari lo stress, che spesso
contribuisce a causare questi attacchi. Ma anche un tumore al cervello,
la stanchezza, la disidratazione o del cibo avariato non sono da
escludere. Capita a moltissime persone e tante volte sono
insignificanti, mi creda.-
Faith sembrò analizzare la risposta del dottore.
- Un tumore al
cervello?- Chiese piano. Istantaneamente si ricordò dei
frequenti mal di testa di cui le aveva accennato sua zia prima che lei
partisse per l'Ohio.
Fawcett sospirò.
- Si, potrebbe darsi,
ma non nel caso di sua zia. Sembra essersi ripresa piuttosto in fretta
e credo che il tumore sia da escludere.- Le assicurò
guardandola dritta negli occhi - Stia tranquilla, Faith. La
contatterò io stesso non appena avrò tra le mani
i risultati delle analisi.-
La ragazza annuì, si rimise la borsa a tracolla e si
alzò in piedi porgendo la mano al medico.
- Spero vivamente che
lei abbia ragione sul tumore e che riusciate a guarire mia zia al
più presto.-
Fawcett mantenne un'espressione austera e decisa, consapevole delle
richieste e delle preoccupazioni della ragazza.
- Non dipende del
tutto da noi, ma faremo del nostro meglio, signorina Harrington.-
- A presto.- Lo
salutò Faith.
Tornando in camera, Faith si chiese come fosse possibile tutto
ciò che le stava accadendo. A parte qualche piccolo ed
insignificante acciacco dovuto ai suoi settant'anni e a qualche leggero
mal di testa, zia Becky era sempre stata sana come un pesce.
Eppure adesso era in un letto d'ospedale con la probabilità
che potesse avere un tumore. Ripeté dentro di sé
quella parola e rabbrividì.
Allontanò dalla testa quella terribile
possibilità, ma sentì improvvisamente di non
riuscire più a gestire le redini della sua intera esistenza.
Il solo pensare che il destino si divertisse a toglierle tutte le
persone a lei più care rappresentava una cosa inaudita,
oltre che ingiusta. Sembrava volerla mettere in difficoltà
in ogni modo, a costo di strapparle tutto ciò che possedeva
di buono e significativo.
Immaginò
che anche Max l'avrebbe lasciata una volta messo a conoscenza della
verità. E così lo avrebbe perso, dopo sua madre,
suo padre e zia Becky.
Provo ancora un brivido.
In ogni caso non avrebbe detto nulla a zia Becky, almeno
finché il dottore non avesse scoperto la vera causa del
problema. Si sforzò di mantenere la calma. In fondo non
sapeva ancora niente e ritenne sensato, come le aveva suggerito
Fawcett, non allarmarsi più di tanto. La maggior parte delle
cause erano di scarso valore. Sicuramente da non sottovalutare, ma
comunque sempre meno gravi di un tumore al cervello.
Voltò l'angolo e, dopo qualche metro, entrò nella
stanza dov'era stata pochi minuti prima.
Si sorprese trovandovi Holly, che abbracciò, contenta di
rivederla
- Quando sono entrata
stava dormendo.- Le disse sottovoce indicando zia Becky con un'occhiata.
- Io ho parlato con
lei poco fa e adesso ho incontrato un medico.- Le spiegò
Faith.
- Sei qui da molto?
Dov'è Max?-
- Sono arrivata un'ora
fa. Max non c'è. Verrà sabato mattina. Senti, ti
va di andare a bere qualcosa al bar qui di fronte? -
Sussurrò Faith facendo un cenno verso zia Becky - Volevo
salutarla prima di tornare a casa, ma ora non voglio svegliarla.-
- Certo, andiamo.
Dov'è la tua valigia? La carichiamo subito sulla mia
macchina e torniamo più tardi.-
Faith si
picchiò leggermente la fronte con una mano.
- La mia valigia!-
Holly la guardò con aria interrogativa.
- L'ho lasciata in
aeroporto!- Bisbigliò allarmata.
- Bene. Il personale
maschile si divertirà un mondo con la tua biancheria
intima.- Scherzò l'amica, e subito
Faith le lanciò
un'occhiataccia.
- Ovviamente al
momento non possono occuparsi della mia valigia.- Si lamentò
Faith richiudendo il cellulare - Se è rimasta sull'aereo,
c'è l'alta probabilità che a quest'ora i miei
vestiti stiano facendo il giro del globo. Magari è finita a
Marrakech o su qualche sperduta isola della Polinesia orientale.-
- Stai calma, Faith.
È successo anche a me qualche anno fa. Vedrai che tra
qualche giorno ti recapiteranno il bagaglio a casa.- La
rassicurò Holly mentre valutava la scelta di un tavolino al
Foundry, un risto-bar poco lontano dall'ospedale - Qui fuori va bene?-
- Si. È una
bella giornata.- Convenne Faith scacciando il malumore per la valigia.
Si accomodarono vicino ad una piccola palma, sotto il tendone giallo
del bar che ombreggiava l'intero marciapiede.
Il locale non era ancora troppo affollato e nell'aria si respiravano
gli ultimi momenti di tranquillità che precedevano il
chiasso cittadino. Alcuni ragazzi armati di tavola da surf si stavano
recando alla spiaggia parlando e scherzando sommessamente tra di loro,
e Holly li salutò con la mano. Uno del gruppo le
strizzò un occhio mentre gli altri due le sorrisero senza
fermarsi.
- Ma chi sono?-
Domandò Faith voltandosi a guardarli.
- Non lo so.-
Ribatté Holly - Però, sono così
carini...- Sospirò abbassandosi gli occhiali sul naso per
ammirarli meglio.
- È proprio
vero. Con la primavera si risvegliano gli ancestrali istinti, ma tu sei
l'unico caso che li fa durare tutto l'anno.- Commentò Faith
scrollando il capo.
Dopo pochi istanti si avvicinò al tavolo una cameriera
bionda con un taccuino in mano e un sorriso smagliante.
- Cosa vi porto,
ragazze?-
- Per me un cappuccino
e una brioche al cioccolato.- Rispose Holly distogliendo lo sguardo dai
tre ragazzi.
Faith prese velocemente visione del menu, ma decise di optare per un
semplice caffè macchiato.
La cameriera prese nota, sorrise, si infilò la penna e il
taccuino in tasca per poi sparire rapidamente all'interno del locale.
- Come sta zia Becky?-
Domando Holly mostrandosi preoccupata.
- Il dottor Fawcett mi
ha detto che ha avuto un attacco epilettico, ma non si è
sbilanciato sulle cause. Aspettiamo di vedere i risultati delle
analisi. Ad ogni modo sembra che non sia nulla di grave. Probabilmente
si tratta soltanto di un po' di stanchezza.-
- Bene,- Fece Holly
adagiandosi sullo schienale della sedia - ora mi sento più
tranquilla. Non sai che spavento quando sono entrata in casa e l'ho
trovata stesa a terra.-
- Anch'io sono
più tranquilla. Spero che nei prossimi giorni vada tutto per
il meglio.- Si augurò Faith togliendosi gli occhiali da sole.
- Se vuoi dedicarti
completamente a lei possiamo rimandare la mia festa di compleanno. Non
è un problema.-
Faith scosse la testa.
- È la tua
festa, Holly, e so quanto la desideri. Avrò tempo per mia
zia e per aiutare te, non preoccuparti.- La rassicurò
allungando un braccio sul tavolo per prenderle la mano.
- Allora,- Disse Holly
cambiando argomento - com'è andata a Cleveland? Sei riuscita
a parlare con Max?-
- Beh, la faccenda
inizia a complicarsi.-
- In che senso?-
- Addison, la madre di
Max, sa chi sono. Ha conosciuto mio padre subito dopo l'incidente ed
ora vorrebbe che fossi io a dirgli tutta la
verità.-
- Questo è
davvero incredibile. E lo farai? Voglio dire, sei ancora intenzionata a
farlo?-
Una ciocca di capelli le era scivolata sul viso e Faith scosse
leggermente la testa per rimandarla indietro.
- È
più difficile di quanto immaginassi. Specialmente dopo
quello che è successo tra di noi.-
- Di cosa parli?-
- Ieri sera noi...-
Faith si mostrò in imbarazzo, ma poi sorrise ripensando alla
notte precedente - Ecco, noi abbiamo fatto l'amore.-
- Ora capisco
perchè non hai risposto al telefono quando ti ho chiamata.-
Concluse Holly gongolante.
- Si, ma stamattina al
risveglio, mi sembrava di averlo ingannato. E poi, se avessi saputo che
zia Becky si era sentita male...-
- Lascia stare.- La
tranquillizzò l'amica - Adesso sei qui e zia Becky sta bene.
Non preoccuparti troppo. Max arriverà tra qualche giorno
perciò fatti coraggio e parlagliene. Sono certa che questa
brutta situazione si sistemerà.-
Poco dopo la stessa cameriera che aveva preso l'ordinazione si
ripresentò con le bevande e un piatto di dolcetti.
- Piuttosto,
raccontami della tua notte di sesso sfrenato!- La pregò
Holly facendosi avanti con il viso per non farsi sentire dai passanti.
Il che, pensò Faith, era davvero insolito per una pazza che
urlava al mondo le cose private senza rendersene conto. Il suo sguardo
complice e il tono di voce facevano presumere che la ragazza anelava ad
essere informata riguardo ogni dettaglio della sua serata con Max.
- È
stato... bello.- Osservò semplicemente con un'alzata di
spalle.
- Tutto qui?- Fece
Holly stizzita spalancando gli occhi.
- Che cosa vuoi che ti
dica?- Ribatté Faith facendo la preziosa. In effetti non
voleva condividere niente. Avrebbe serbato nel suo cuore ogni
più piccolo particolare di quei momenti magici. Raccontare
ciò che era successo per lei significava non solo sentirsi
defraudata, ma anche togliere intimità e
complicità a qualcosa che la univa a Max fisicamente, ma
soprattutto psicologicamente. Intendeva custodirla dentro di
sé ed aprire la finestra su quel ricordo ogni volta che
sentiva la sua mancanza e desiderava sentirlo più vicino.
- Voglio sapere dove,
e come...-
La stuzzicò Holly.
- Oh, niente di
particolare.- Disse Faith sorseggiando disinteressatamente il suo
caffè - Lo abbiamo fatto dentro ad una vecchia barca piena
di muffa sulle rive del lago, in mezzo al tanfo di pesce.-
Holly la guardò scettica e leggermente delusa.
- Sappiamo bene
entrambe che non sei brava a raccontare bugie, Faith.-
L'amica si sentì un po' in colpa. In fondo le voleva molto
bene e per lei era come una sorella. Decise quindi che non sarebbe
stato poi così sbagliato condividere con lei qualche
particolare personale.
- D'accordo,
d'accordo.- Concesse sorridendo - È stato tutto
così incredibilmente romantico. Mi ha portato nella casetta
sull'albero che aveva costruito da piccolo con suo padre e abbiamo
cominciato a parlare. È stato
dolcissimo.-
- E?- La
incalzò Holly.
- E poi abbiamo fatto
l'amore.-
Holly restò a fissarla. I suoi occhi esprimevano da soli la
domanda che più le premeva.
- Non ti
dirò la posizione, Holly. Scordatelo!- Esclamò
Faith.
- Ma avrete pur
sfogliato quel famoso libro che dovevi regalare per Natale a zia
Becky.- Insistette Holly.
- Oh, certo. Ma quella
che abbiamo fatto ha un nome strano. Sai... tutti nomi indiani.-
Spiegò vagamente Faith attribuendo poca importanza alla
cosa.
- E Max
com'è?-
- Te l'ho detto.
È stato molto dolce.- Ripeté.
- No, intendevo, com'è.-
- Com'è cosa?-
- Beh,
com'è... com'è là...-
- Holly!-
Sbraitò la ragazza allibita.
- Dai, dai! Poi non ti
chiedo più niente. Giuro.- Promise Holly incrociando le dita
sulle labbra.
- Non posso credere
che ti sto parlando di queste cose.- Fece Faith stupita e divertita
portandosi le mani sulle tempie - È... notevole.-
- Notevole.-
Replicò Holly riflettendoci su.
Faith alzò un dito proprio mentre l'amica stava per
ribattere.
- ALT! Hai giurato che
non mi avresti più chiesto niente.-
- Va bene.-
Finì fingendo di chiudersi la bocca con una chiave.
- Ho conosciuto i suoi
amici.- Tergiversò Faith aggiungendo altro zucchero al
caffè.
- Sono simpatici?-
- Si, sono tutti molto
divertenti. Ho parlato con una di loro, Lexie. Mi ha lasciata un po'
sconcertata. Mi ha pure dato il suo numero di telefono.-
Holly la
guardò piena di curiosità e Faith le
raccontò del discorso intrapreso con la ragazza il
pomeriggio precedente.
- Non ne sono certa,-
Continuò - ma credo che mio padre non mi abbia detto tutto
quello che c'è da sapere sull'incidente.- Le
confidò Faith.
- Hai detto che Lexie
ti ha lasciato il suo numero. Perchè non le telefoni?-
Suggerì Holly.
- Non lo so. Sembrava
non voler dire niente nemmeno a me. E, anche se volessi, il suo
biglietto è rimasto nella valigia. Chissà quando
la rivedrò.-
Lo squillo del cellulare di Holly interruppe la loro conversazione, ma
la ragazza, una volta visto chi la stava chiamando, decise di non
rispondere.
Faith pensò subito si trattasse del suo nuovo misterioso
ragazzo e stava giusto per chiederle informazioni quando la sua
attenzione fu attirata da un uomo che usciva dal Foundry.
Una persona che conosceva molto bene e che non rivedeva da parecchio
tempo.
- Jason?-
Azzardò chiamandolo.
Il ragazzo si voltò verso di lei e rispose con un largo
sorriso.
- Faith!-
Esclamò avvicinandosi per abbracciarla - Che piacere
vederti.-
- Ti trovo bene,
Jason. Davvero.- Si complimentò lei.
- Si. Ho seguito il
tuo consiglio e ho deciso di smetterla con l'alcol.-
- Sono molto
orgogliosa di te.-
I loro sguardi indugiarono per qualche attimo l'uno nell'altro ed
Holly, che proprio non aveva mai trovato simpatico “quell'essere”,
com'era solita definirlo, decise di rispondere al telefono che non
smetteva di suonare.
- Sei bellissima.-
Mormorò Jason facendo arrossire Faith.
- Grazie. Sei sempre
carino.-
- Senti, ora sono di
fretta. Che ne dici di uscire insieme qualche volta?-
Faith si mostrò titubante.
- Oh, stai tranquilla.
Non è un appuntamento romantico. Sono fidanzato e tra non
molto mi sposerò.- Dichiarò Jason.
La ragazza tirò un sospiro di sollievo sentendosi libera
dall'improvvisa sensazione di disagio.
- Anch'io sono
fidanzata, ma credo che una pizza non farebbe male a nessuno. Magari
potremmo uscire tutti e quattro insieme.- Suggerì per non
provare sensi di colpa nei confronti di Max.
- Benissimo. Il mio
numero non è cambiato.- La informò Jason -
È stato un piacere rivederti, Faith. Ci vediamo.-
- Certo. Ci vediamo.-
Ripeté lei con un cenno della mano.
Jason la salutò con un sorriso e scomparve tra la gente.
Nel frattempo Holly aveva seguito disgustata la parte finale della
scena e fissava Faith con aria sconvolta.
- Non pensarci
nemmeno.- La ammonì immediatamente Faith alzando entrambe le
mani. Sapeva esattamente a cosa stesse pensando l'amica e sapeva
esattamente che stava per dire delle sciocchezze - Ho già
troppe cose di cui preoccuparmi.-
- Ho visto come ti
guardava.- La rimbeccò l'amica - Conoscendolo, ti sarebbe
letteralmente saltato addosso. “E'
stato un piacere rivederti, Faith. Ci vediamo”.-
Cinguettò imitando Jason.
Faith scosse la testa e riprese a bere il caffè.
- È
cambiato, Holly. E sta per sposarsi.-
- Frottole! Posso
affermare con assoluta certezza che vuole riconquistarti.- Sostenne
decisa.
Ignorando tutte quelle assurdità, Faith decise di
approfittare dell'occasione per ottenere dei chiarimenti riguardo alle
sue sempre più frequenti telefonate.
- Cielo!-
Esclamò Holly - Dimenticavo che, prima di tornare a casa,
dovrei fermarmi in pasticceria per prenotare la torta di compleanno.-
- Holly! Avresti
dovuto farlo ieri.- La rimproverò Faith - Forza, torniamo da
zia Becky e poi corriamo in pasticceria.- Le disse alzandosi in piedi e
rimettendo gli occhiali.
- No, no!- Si oppose
Holly - Ti porterò a casa. In pasticceria andrò
da sola. Tu hai bisogno di riposarti. E non dimenticare di chiamare
l'aeroporto. Probabilmente qualcuno si starà divertendo a
girovagare per i mercatini rionali di Marrakech con la tua biancheria
intima.-
Faith ignorò il suo spirito ed analizzò
l'espressione dell'amica, giungendo alla conclusione che stava senza
dubbio nascondendo qualcosa. Ma si rassegnò.
In effetti desiderava davvero buttarsi sul divano qualche ora. Il fuso
orario l'aveva innegabilmente scombussolata.
Concluse che, ancora una volta, Holly aveva avuto la meglio su di lei.
“Scoprirò
molto presto che cosa nascondi, amica mia.”
Pensò, mentre Holly sfoderava un sorriso a quaranta denti.
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Capitolo 21 *** 21. L'Ultima Sera ***
R
ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Ecco
a voi un altro bel capitolo, intenso e piacevole.
Ringrazio
Saty
per la sua sempre descrittiva e divertente recensione, e poi colgo
l'occasione per ringraziarla pubblicamente di avermi sopportato
personalmente per ben 55 ore (più o meno!)
GRAZIEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!
Non
dimentico di dire grazie anche a chi aggiunge questa fic tra le
Preferite e le Seguite. Un grazie di cuore!
In
questo capitolo ho voluto inserire la struggente e romantica “I
Will Always Love You” di Whitney Houston.
Buona
lettura! A presto!
21. L
'ULTIMA SERA
“L'amore e la magia
sono legati da un unico segreto.
Sta a noi
scoprirlo.”
Il sabato
seguente Max sarebbe arrivato a Los Angeles con l'aereo di mezzogiorno
e dieci, ma Faith si stava già arrovellando il cervello per
trovare un modo con cui parlargli della verità riguardo a
suo
padre. Se nei giorni precedenti era pienamente intenzionata a farlo,
quel mattino il coraggio sembrava abbandonarla man mano che le ore
passavano. Nutriva seri dubbi che sarebbe riuscita a farlo,
perciò si convinse del fatto che avrebbe saputo cosa dire
una
volta che gli si sarebbe trovata davanti. Riteneva pressoché
inutile l'uso di insensati giri di parole e di lunghe frasi preparate
d'anticipo.
Si odiò
profondamente per non aver coltivato dentro di sé maggior
sicurezza e soprattutto un maggior coraggio per affrontare questo
genere di situazioni. Trovò di assomigliare ad una di quelle
attricette prive di sangue freddo che spopolavano in televisione, e se
ne rammaricò. Avrebbe voluto essere più
combattiva visto
il suo tormentato passato.
Ma non era
così. Lei era esattamente come sua madre: una persona che
sopportava in silenzio e con grande stoicismo i propri dolori senza la
forza di reagire.
Faith era
rimasta parecchio stupita, oltre che addolorata, quando se n'era andata
di casa. Si chiedeva spesso come avesse fatto a non accorgersi che il
rapporto tra i suoi genitori si stava deteriorando, fino al punto in
cui sua madre era arrivata al tradimento. Non capiva perchè
non
gliene avesse mai parlato, in fondo per Faith rappresentava anche
un'amica. Aveva cercato tante volte di spiegarsi perchè se
ne
fosse andata senza portarla con lei, ma ogni volta non era riuscita a
rispondersi.
Se solo suo padre l'avesse ascoltata, se solo l'avesse perdonata.
Se solo...
Ne aveva parlato nuovamente con zia Becky che, dopo quell'improvviso
malore, sembrava essersi ripresa.
Nel corso della
settimana era migliorata parecchio. I risultati delle prime analisi non
mostravano nulla di preoccupante e il malessere non si era
più
manifestato, suscitandole un grande sollievo. Anche i mal di testa
erano spariti e ciò significava una preoccupazione in meno.
Tuttavia il
dottor Fawcett aveva consigliato a zia Becky di sottoporsi ad una
risonanza magnetica per poter elaborare analisi ancora più
dettagliate. Faith e la zia si trovarono d'accordo con lui ad
effettuare una TAC, ormai certe che non sarebbe risultato niente di
negativo.
L'aereo
atterrò puntuale dieci minuti dopo mezzogiorno. La sala
d'aspetto del Los Angeles International Airport era affollata e Faith
faticò non poco a localizzare Max.
La gente si
muoveva frettolosamente portandosi appresso borse e valige e
accalcandosi davanti gli sportelli per la vendita dei biglietti, mentre
una voce maschile risuonava squillante per tutto l'aeroporto
annunciando i voli in arrivo e quelli in partenza.
Alcuni uomini in
giacca e cravatta attendevano il loro turno in coda alla fila di uno
sportello ed ingannavano il tempo apprezzando la bellezza caraibica di
due ragazze bionde poco più avanti di loro.
In un angolo
sotto al tabellone degli orari sostava un gruppetto di suore
dominicane, che confabulavano educatamente e consultavano
attentamente la cartina topografica della città.
Faith
osservò un ragazzo abbracciare la sua fidanzata appena
arrivata
e porgerle un mazzo di fiori, baciandola come se quella fosse l'ultima
volta che l'avrebbe vista.
Avvertì
un groppo in gola. Lei era davvero impaziente di rivedere Max, ma allo
stesso tempo avrebbe voluto rimandare quel giorno. Provava dentro di
sé emozioni in netto contrasto tra di loro e ciò
la
faceva sentire a disagio. Quella scomoda verità la turbava
continuamente e le impediva di gustarsi quel momento come avrebbe
dovuto.
Lo vide poco
dopo avvicinarsi a fatica con due grosse valige. Indossava i jeans e
una maglietta nera e lei si sorprese a pensare di nuovo a quanto fosse
carino. Sorrise e gli andò incontro abbracciandolo e
baciandolo
dolcemente.
- Mi sei mancato.- Gli
confidò piano all'orecchio - Finalmente sei qui.-
- Si, e stavolta per
sempre.- Sottolineò lui.
Faith lo
guardò negli occhi. Era contento e lo si poteva percepire
dal
suo sguardo, lo stesso di quel giorno di dicembre, quando lo aveva
incontrato per la prima volta.
Suo malgrado si
rese conto che ben presto sarebbe stata lei a rovinare quella
felicità che lo faceva stare bene.
- Ti do una mano con i
bagagli.- Tergiversò afferrando una valigia e allontanando
quei brutti pensieri dalla testa.
Uscirono dall'aeroporto, caricarono tutto sull'auto e si avviarono
verso casa.
- Come sta la zia?- Le
domandò Max lungo la strada.
- Migliora di giorno
in giorno.
Oggi andrò a trovarla e pensavo che potresti venire anche
tu. Ha
detto di aver voglia di vederti. Non fa che nominarti.-
- Verrò
molto volentieri. Poi però ho in serbo una sorpresa per te.-
Annunciò Max con un sorriso malizioso.
- Cosa?- Fece lei
voltandosi a guardarlo.
- Questa settimana ho
contattato un
agente immobiliare di Los Angeles. Pare abbia trovato una casetta da
affittarmi a Beverly Hills.-
- Ma è
fantastico!- Esclamò lei entusiasta.
- Sì. Siamo
d'accordo di
incontrarci tra qualche ora e sarebbe bello che ci fossi anche tu.
Presto andremo a vivere insieme ed un tuo giudizio a riguardo
è
indispensabile per me.-
Faith annuì.
- Se lo ritieni
così importante, non mancherò di certo.-
- Per me è
importante, Faith.- Ribadì lui in tono dolce ma risoluto.
Le strinse la
mano mentre guidava e sorrise pensando che ogni tassello stava
finalmente prendendo posto nel grande e complesso quadro della sua vita.
Di ritorno dalla
visita a zia Becky, quel pomeriggio Max e Faith si trovarono a
percorrere in auto uno dei tanti lunghi viali alberati di Beverly
Hills.
Le abitazioni
che si affacciavano sulla strada erano tinteggiate di colori chiari e
morbidi e non ce n'era una che non avesse un bel giardino completo di
piscina.
Case eleganti,
lussuose e ben tenute donavano al quartiere più esclusivo di
Los
Angeles una piacevole sensazione di ordine e di benessere, di allegria
e di vivacità. Tutti i vialetti secondari erano costeggiati
da
altissime palme dai tronchi sottili che svettavano in un cielo azzurro
intenso macchiato qua e là di nuvole bianche.
- È un
sogno.- Commentò Faith indossando i suoi occhiali scuri per
ripararsi dall'accecante luce del sole.
- Dovremmo quasi
esserci. La casa
è la numero 1026.- Specificò Max rileggendo un
breve
appunto sopra un pezzo di carta.
- Eccola
lì.- Gli fece notare lei.
Accostarono al
marciapiede, dove una donna bionda vestita di un raffinato tailleur
bianco stava aspettando stringendo alcuni fogli tra le mani, e scesero
dall'auto.
- Piacere.- Disse la
donna andando
loro incontro e porgendo la mano con un caloroso sorriso - Rebecca
Stone. Lei è Max Warren, giusto?-
Max annuì e le presentò la sua ragazza.
- Venite.- Li
invitò l'agente - Vi mostro la casa.-
Faith rimase a
bocca aperta. I suoi occhi rimbalzavano tra il prato all'inglese e la
stupefacente facciata dell'abitazione.
- Una casetta, dicevi,
Max?- Commento sarcastica la ragazza.
Max le sorrise.
Varcato il
grande cancello in muratura e ferro battuto la casa appariva semplice
ma ben curata e rifinita nei minimi dettagli. Il suo colore giallo
pastello, tipico delle villette coloniche, rendeva il tutto
più
intimo.
Disposta su due
piani, la costruzione presentava un'ampia scala in marmo bianco tramite
la quale si poteva raggiungere la terrazza, che correva lungo tutta la
parte anteriore e che poggiava su archi e colonne in pietra. Ad
incorniciarla un rigoglioso giardino di palme, decine di piante verdi e
curiosi fiori colorati.
Ma, se l'esterno era strabiliante, l'interno non era da meno.
Lo spazioso atrio si affacciava su un salotto ammobiliato di modesti e
innovativi pezzi d'arredamento.
Il gioco di colori era
basato sul
bianco e sul nero: se si osservava il pavimento si poteva notare come
fosse precisamente suddiviso in larghi quadrati di marmo di uguali
dimensioni e nelle due tonalità. La sensazione era di
muoversi
su una gigantesca scacchiera.
Infatti
l'attenzione di Max fu subito attirata da una statua bianca di marmo
alta più o meno un metro, scolpita a rappresentare una
torre:
immediato il suo riferimento ad una delle figure degli scacchi.
Dopo qualche
istante si voltò per ammirare il caminetto e si
meravigliò: ai suoi lati troneggiavano altre due statue, il
Re e
la Regina, anch'esse in marmo bianco.
- Il proprietario di
questa villa
è un tantino eccentrico, come potrete notare.-
Affermò la
signorina Stone con un cenno della mano - Vive a Dublino e viene
raramente qui a Los Angeles. Perciò ha chiesto di affittarla
a
qualcuno che possa usufruirne più di lui, specificando che
potrebbe anche venderla.-
- Si, ero al corrente
di questo.-
Confermò Max - Stavo appunto pensando di affittarla per un
breve
periodo, giusto per accertarmi che risponda alle mie esigenze, e
acquistarla in seguito.-
Improvvisamente
squillò il cellulare dell'agente immobiliare costringendola
a
scusarsi con i suoi clienti per poter rispondere.
Faith approfittò del momento di distrazione della donna per
avvicinarsi a Max.
- Sei pazzo? Questa
casa ti costerà una fortuna.-
- Tranquilla. Non ci
sono problemi.- La rassicurò lui.
- Stavamo dicendo, -
Riprese
Rebecca Stone terminata la sua breve telefonata - una volta che lei
sarà sicuro di voler acquistare questa casa non le resta che
passare per la nostra agenzia. Venite, vi mostro il piano superiore.-
Visitarono
ciò che restava della casa, compreso il giardino sul retro
rigorosamente provvisto di piscina e una grande camera da letto con la
portafinestra, poi si accordarono sulle questioni burocratiche inerenti
all'affitto.
Infine Max
ottenne le tanto desiderate chiavi. Era così pieno di
entusiasmo
che, non appena l'agente immobiliare se ne fu andata,
abbracciò
Faith e la sollevò da terra facendo un giro su sé
stesso.
- Tu. Sei. Un. Pazzo.-
Tornò a ribadire la ragazza - Ma io ti amo per questo.-
- Io di
più, amore mio.-
Fu allora che
Max si inginocchiò, le prese la mano e alzò lo
sguardo
fino ad incontrare i suoi occhi.
- Faith, vorrei
gridare al mondo
intero il mio amore per te. Tu sei la mia migliore amica, la mia anima
gemella, la mia stessa vita. Perciò ti chiedo: vuoi
sposarmi?-
Faith rimase
sorpresa e ammutolita: quella proposta la colse del tutto impreparata,
ma lo sguardo dolce e languido di Max la intenerì,
suggerendo al
suo cuore un'unica risposta.
- Si, lo voglio.-
Rispose solennemente.
Lui si rialzò in piedi, le cinse la vita con un braccio e
chinò la testa.
- Per sempre?-
Faith storse un po' il naso.
- No. Che ne dici se
facessimo solo per tre o quattro mesi?-
Lui guardò il cielo, assottigliando gli occhi, e
valutò la sua offerta.
- Vieni qui.- Disse
lei con un sorriso.
Lo tirò dolcemente a sé ed insieme si sciolsero
in lungo e appassionato bacio.
Il programma che
Max aveva per la serata prevedeva una cenetta romantica sulla terrazza
della villa perciò, visti i tempi ristretti e la sua scarsa
destrezza in cucina, il ragazzo decise di fare due passi verso il
centro, all'Hollywood Star Restaurant, e prenotare alcune pietanze
particolari.
Al ristorante una ragazza del personale gli garantì una
puntuale consegna a domicilio alle 8.30.
Realizzò
che gli restava ancora un po' di tempo libero così ritenne
indispensabile una veloce sosta al centro commerciale. La sua nuova
casa abbisognava di alcune cose essenziali, un po' di generi alimentari
e qualche prodotto per il bagno. Il resto avrebbe potuto aspettare
tranquillamente, pensò Max entrando al Barney's.
Il centro
commerciale era affollato per lo più da bambini che
correvano in
ogni direzione col viso paonazzo tenendo in mano giocattoli, dolciumi
e, talvolta, inseguiti da genitori nervosi e stressati.
Max
localizzò subito l'insegna del market vicino ad una
profumeria e
ci si piombò a capofitto facendosi largo tra la folla di
bambini
impazziti. Non riusciva davvero a capire cosa stesse accadendo
finché, con la coda dell'occhio, notò alcune
persone
abilmente travestite da personaggi del cartoon Scooby-Doo aggirarsi tra
i negozi per distribuire palloncini e leccornie.
Una vera manna dal cielo per quei bambini, disse Max tra sé.
Il market si
presentava invece come una zona tranquilla. Un intenso profumo di
frutta fresca lo ingolosì e lo convinse a comprare un po'
d'uva,
qualche arancia e un piccolo ananas.
Pensò che
non avrebbero di certo guastato anche una bottiglia di buon vino, del
pane fresco e alcune candele per impreziosire la tavola e la terrazza.
Proprio a fianco
della scaffalatura con le candele profumate una coppia di giovani si
stava baciando appassionatamente senza curarsi di chi gli stava
intorno. A pochi passi da loro, Max iniziò a passare in
rassegna
le tipologie di candele lanciando loro un'occhiata di tanto in tanto e
sorridendo.
La ragazza aveva
tutti i capelli arruffati e il ragazzo, di spalle, era piuttosto
robusto e le infilava la mano sotto la maglietta.
Max non poté fare a meno di distogliere lo sguardo. Anzi,
pareva piuttosto divertito.
Ben presto, però, il sorriso stampato sulla sua faccia
lasciò il posto allo sgomento.
- HOLLY?-
Azzardò guardando meglio in viso la ragazza.
Lei si irrigidì di colpo scostandosi lentamente i capelli
dagli occhi.
- Ciao, Max. Che ci
fai qui?-
Chiese semplicemente. Dopo un breve imbarazzo la ragazza
cambiò
totalmente atteggiamento ed espressione, comportandosi come se niente
di ciò che aveva visto Max fosse realmente successo.
Lui scosse la testa, ancora sorpreso di averla scoperta in quella
situazione.
- Forse ci faccio la
spesa?- Rispose sarcastico.
- Ah, già!-
Esclamò Holly aggiungendo una risatina forzata - La spesa!-
Nel frattempo l'altro ragazzo continuava a dar loro le spalle, quasi
non si fosse accorto di nulla.
- Allora, non mi
presenti il tuo fidanzato?- Le domandò Max con un sorrisetto.
Holly parve di nuovo imbarazzata.
- Oh, fidanzato!
È una
parola grossa. Lui è... è... cioè, lui
non
è nemmeno americano.- Spiegò in un'alzata di
spalle -
È inutile che te lo presenti. Lui non conosce la nostra
lingua.
È spagnolo. Olé!- Fece Holly improvvisando un
balletto di
improbabili origini spagnole.
Max sorrise ascoltandola con attenzione e con molto interesse.
- Però, in
base a ciò
che ho notato poco fa, mi sembra che tu conosca molto bene la sua
lingua.- La incalzò Max.
Holly scoppiò in un'isterica risata asinina.
- Spiritoso, come
sempre!-
- Beh,- Fece lui
avvicinandosi al ragazzo - io sono Max. Piacere di conoscerti.-
Ancora una volta
lo sgomento si dipinse sul suo volto e la bottiglia di vino che teneva
tra le mani scivolò a terra schiantandosi.
- CHRIS?-
- Ciao, Max. Io sono
Chris. Piacere mio.- Replicò candidamente il cugino
stringendogli la mano.
Max era completamente allibito. Prima Holly e poi Chris. Holly e Chris
insieme. INSIEME?
- Ok,- Disse
lentamente - qualcuno
vuole spiegarmi cosa sta succedendo? Sono forse finito in un universo
alternativo senza essermene accorto?-
Chris mise subito le mani avanti e spiegò la situazione.
- Io e Holly stiamo
insieme adesso.- Disse risoluto.
- Questo non l'avevo
capito e ti
ringrazio per la delucidazione, cugino. Avresti potuto dirmelo. Non
c'è nulla di male.- Affermò Max.
- Quindi non sei
arrabbiato o deluso o disgustato?- Gli chiese Holly.
Lui ci pensò un istante per poi scuotere la testa divertito.
- No, certo che no. Ma
permettetemi
di essere sorpreso nel vedervi qui, così.. come dire..
allacciati? Si, “allacciati” mi sembra il termine
corretto.
Molto sorpreso.- Precisò con un sorriso.
Un commesso si
accorse della chiazza di vino rosso che si espandeva rapidamente sul
pavimento a piedi dei tre ragazzi e corse in magazzino a prendere una
pala per raccogliere i cocci di vetro e uno scopettone per pulire.
Holly si fece avanti visibilmente preoccupata.
- Ti prego, non dire
nulla a Faith. Almeno per oggi.-
Max parve non capire i motivi di tutta quella segretezza e decise che,
in ogni caso, erano affari loro.
- D'accordo.-
Approvò con
voce incerta - Come volete voi, ragazzi. Ma prima o dopo lo
scoprirà. Sai, Holly, Faith mi ha raccontato che trascorri
molto
tempo al telefono quando stai con lei. Non le dirò nulla,
tranquilla.- La rassicurò.
La ragazza tirò un sospiro di sollievo.
- Grazie, Max. Ti devo
un favore.- Disse baciandolo sulla guancia.
Poi fece per andarsene, ma si voltò e lo osservò
di nuovo con lo sguardo ammirato.
- Sai, non mi ero mai
accorta di quanto fossi così incredibilmente bello, Max.-
- Non c'è
bisogno di fare la leccapiedi, Holly.- Scherzò lui.
Lei scoppiò a ridere e si allontanò con Chris
sottobraccio, urlando.
- No, però
volevo solo assicurarmi il tuo silenzio. So che basta poco
perchè Faith ti faccia cantare!-
Mentre Max
sorrideva il commesso si stava dando da fare per raccogliere i cocci e
lui si scusò per il disastro causato accingendosi ad
aiutarlo.
- Con tutto il
permesso, signore.-
Mormorò il ragazzino con un cenno degli occhi - Se fossi in
lei
porterei immediatamente i pantaloni in lavanderia. Ce n'è
una
qui di fronte, appena fuori dal market.-
Max si irrigidì immaginando già cos'avrebbe
trovato una volta abbassato lo sguardo.
Faith gli aveva
detto che sarebbe arrivata un paio d'ore più tardi, quindi
Max
si sbrigò a disfare le valigie e sistemare gli abiti nel
grande
armadio della sua nuova camera da letto.
Aprì un
borsone e inaspettatamente spuntò il fascicolo della Powell
& Scottsdale che il direttore gli aveva lasciato in previsione
del
suo prossimo affare da concludersi a Londra.
- Cavoli!-
Esclamò picchiandosi leggermente la fronte con una mano - Me
n'ero scordato.-
Tutta l'euforia
del pomeriggio gli aveva fatto dimenticare quel piccolo particolare.
Non si trattava di qualcosa di impegnativo da dire, ma aveva comunque
la sua importanza ed era corretto far presente a Faith che avrebbe
trascorso un periodo in Inghilterra.
Concluse che la cena sarebbe stata l'occasione perfetta per farlo.
Così come, d'altro canto, lo sarebbe stata per Faith.
Il fatto che Max
le avesse chiesto di sposarlo conferiva al suo segreto maggior rilievo
e dovette ammettere con sé stessa che stava diventando una
situazione impossibile da gestire.
Non poteva più tacere, non doveva più rimandare.
Quella sera si
preparò con più cura del solito. Mentre si
sistemava i
capelli guardò la sua immagine riflessa allo specchio e si
fermò per qualche istante.
Che razza di
persona sarebbe stata se avesse continuato a tacere? E, allo stesso
tempo, come si sarebbe sentita una volta parlato con Max? come si
sarebbe sentito lui, piuttosto? Come avrebbe reagito?
Aveva tanta
paura. Continuava a lanciare rapide occhiate all'orologio appeso al
muro alle sue spalle e ogni volta si stupiva di come il tempo
trascorresse troppo velocemente.
Quella era una
di quelle situazioni in cui avrebbe tanto voluto possedere il potere di
fermare il tempo. Bloccare quelle lancette che proseguivano inesorabili
a segnare le ore.
Non riusciva
nemmeno ad esprimere tutta la felicità che ogni ragazza
solitamente manifesta nel momento in cui le viene chiesta la mano. E le
dispiaceva parecchio perchè voleva vivere quella sensazione
con
tutte le sue forze. Viverla fino in fondo, così da poter
sentire
il suo cuore battere all'impazzata senza tregua.
Voleva vivere il suo sogno.
Il suono
squillante del telefono in salotto richiamò la sua
attenzione e
lei si alzò immediatamente pensando si trattasse di zia
Becky.
Anche se ormai era quasi in forma, stava pur sempre in ospedale e non
sarebbe stata completamente tranquilla finché non fosse
tornata
a casa.
Tuttavia si sorprese di sentire Holly all'altro capo del telefono.
- Ciao Faith! Tutto
bene?- Domandò.
- Si.- Rispose la
ragazza.
- Hai parlato con
Max?-
Faith esitò un attimo riflettendo sul perchè
dell'immediatezza di quella domanda.
- Non ancora. Ha
appena trovato
casa a Beverly Hills e per stasera ha organizzato una cenetta
romantica. Sarà l'occasione
giusta per
parlargliene.-
- Bene.- Concluse
Holly.
- Ma tu devi chiedermi
qualcosa?-
- No.
Perchè lo pensi?-
- Non saprei. Sei
stata tu a chiamare.-
- Si. Volevo sapere
come stavi.- Replicò Holly rimasta ai ferri corti.
- Ma ci siamo viste
ieri.- Osservò Faith sconcertata.
- Non si sa mai cosa
può accadere in ventiquattro ore. D'accordo. A domani,
allora.-
Holly
riattaccò prima ancora che Faith potesse ribattere,
lasciandola
in piedi, inebetita vicino alla finestra. La sua amica appariva sempre
più strana nell'ultimo periodo.
Ma si trattava
di un fatto secondario. Ogni cosa a suo tempo, pensò. Adesso
doveva concentrarsi esclusivamente su Max.
La valigia le
era stata recapitata a casa dopo un paio di giorni dal reclamo e stava
ancora ai piedi del letto completamente svuotata.
Non vedeva l'ora
di mettere le mani sul biglietto di Lexie, ma lo aveva cercato invano
frugando in ogni tasca. Eppure era certa di averlo messo dentro poco
prima di partire per tornare a casa.
Desiderava
telefonarle per ottenere ulteriori chiarimenti prima di intraprendere
quel discorso con Max, ma poi, dopo un controllo più
approfondito, aveva notato con rammarico che mancavano anche alcuni
capi di abbigliamento e un profumo provvisorio che aveva deciso in
ultimo di portare con sé. Con molta probabilità
qualcuno
aveva aperto il bagaglio abbandonato in aeroporto per rubare
ciò
che attirava il suo interesse, facendo scivolare fuori il biglietto.
- Che razza di gente
circola al mondo!- Esclamò tra sé.
- Che ti ha detto
Faith? Il cugino ha già cantato?- Domandò Chris
rimettendosi i boxer.
Dopo la breve
sosta al centro commerciale Holly lo aveva portato a casa sua e avevano
fatto l'amore per la terza volta quel pomeriggio.
Chris era arrivato due giorni prima e né Faith né
Max erano stati avvertiti.
La loro storia era ancora un segreto. O meglio, adesso era un segreto
diviso per tre.
Da quando si
erano incontrati a New York si erano sentiti spesso al telefono e ben
presto si erano accorti che non potevano fare a meno l'uno dell'altra.
Tuttavia Holly
aveva pensato di telefonare all'amica augurandosi che Max avesse
taciuto come aveva promesso. E le sue richieste erano state esaudite.
- Ma domani glielo
diremo. Inizia a
sospettare qualcosa. Max ha detto la verità poco fa al
supermercato.- Rispose la ragazza,
più
rilassata.
Si sdraiò sul letto con indosso la camicia di lui e
sospirò.
- E noi glielo diremo.
Vedrai, ne
sarà entusiasta. Ancora non capisco perchè non
gliel'hai
voluto dire subito.- Fece Chris mostrandosi perplesso.
Holly si rialzò e gli si avvicinò con movenze
sensuali.
- Volevo prima essere
sicura dei nostri sentimenti, Chris.-
- Questa motivazione
mi aggrada.-
Mormorò lui baciandole l'incavo del collo - Però
non sono
ancora ben sicuro dei sentimenti che ci legano. Vorrei approfondirli.-
Holly fece un sorrisetto e gli diede un bacio sulla guancia.
- Stasera non ho
impegni, bambino.-
Quando
suonò il campanello, Max aveva da poco finito di farsi una
doccia e dovette legarsi un asciugamano in vita per poter andare ad
aprire la porta.
Dapprima si
affacciò alla finestra e, una volta accertatosi che si
trattasse
di Faith, azionò il cancello automatico.
La ragazza entrò nel cortile sorridendo.
- Ciao.- La
salutò Max restando a fissarla come se non l'avesse mai
vista.
Faith si
avvicinò all'ingresso guardandolo con i suoi grandi occhi
color
del miele. Per far risaltare lo sguardo e la carnagione ambrata aveva
puntato su un trucco leggero, dai toni del ruggine e del rame, e aveva
voluto cambiare il look dei suoi capelli sfoggiando un'acconciatura a
onde morbide e sensuali.
Mentre saliva i
due scalini che la separavano da Max un soffio di vento le
spostò una piccola ciocca sul viso e fu costretta a
risistemarla
con una mano.
Un'elegante
canottiera di seta nera, un paio di jeans al ginocchio e i sandali non
troppo alti completavano l'opera, mentre, tra le mani, portava una
torta di pasticceria accuratamente confezionata.
- Sei mozzafiato
stasera.- Salmodiò Max dandole un veloce bacio.
- Questa è
la tenuta con cui accogli tuoi ospiti?- Chiese lei divertita.
Lui sorrise e allargò le braccia.
- Scusa. Sai che sono
un po' lento a prepararmi.-
Lei lo
guardò da capo a piedi. I suoi occhi indugiarono sul petto
ancora umido e sull'asciugamano intriso d'acqua che gli pendeva basso
sulle anche in modo alquanto seducente.
Distolse lo sguardo prima che lui se ne accorgesse e vide che era
scalzo.
- Potresti mettere un
paio di ciabatte, almeno.- Scherzò.
Max scoppiò a ridere e la fece entrare.
- Non ti dispiace,
vero, mettere la torta in frigorifero? Dammi cinque minuti e sono da
te.-
- Vai pure a
prepararti. Ci penso io.- Lo tranquillizzò Faith vedendolo
volatilizzarsi.
Era la seconda
volta che entrava in quella casa e per la seconda volta ne era rimasta
completamente stregata.
Lame di luce
rosso dorato entravano attraverso le tende bianche e leggere e
tagliavano il pavimento creando un fitto reticolato luminoso. Le statue
di marmo sembravano fissarla e seguirla in ogni suo movimento, ma
questo non la spaventava assolutamente.
Si
soffermò invece ad ammirare un quadro di Monet appeso sopra
il
caminetto chiedendosi se fosse l'originale. Era evidente come il
proprietario non badasse a spese e difficilmente si sarebbe
accontentato di una copia.
Rendendosi
improvvisamente conto di avere ancora la torta in mano si diresse
immediatamente in quella che sembrava la cucina e, dopo averla
sistemata in frigorifero, si avvicinò alla portafinestra che
dava sulla terrazza restando senza fiato.
Il tramonto
limpido spruzzato di rosa concedeva una vista favolosa su Beverly Hills
e sulla costiera che si tuffava nell'oceano. Le palme sembravano
disegnate con una matita nera sul cielo rosso e indaco e il canto
delicato dei grilli si mescolava al rumore delle onde lontane.
Al centro della
terrazza troneggiava una tavola non troppo grande coperta da un panno
di velluto rosso e apparecchiata per due persone. Vicino al cesto del
pane e ad un vaso di orchidee si ergeva un candelabro d'argento a due
braccia che luccicava alla fiamma di candele bianche.
Altre candele
sparse un po' ovunque sul pavimento e mescolate ai petali di rosa
davano l'idea di tante stelle cadute dal cielo profumando
fugacemente l'aria di vaniglia.
Whitney
Houston “I Will Always Love You”
Faith stava per
prendere posto a tavola quando ad un tratto si udì una
musica
provenire dal salotto e Max comparve poco dopo sulla porta sfoggiando
una camicia nera con un paio di pantaloni chiari e leggeri.
- Spero sia di tuo
gradimento la
voce di Whitney Houston.- Mormorò conoscendo bene i gusti
musicali della ragazza, che annuì.
- La vista
è semplicemente fantastica, Max.- Realizzò Faith.
- Tu sei semplicemente
fantastica.-
La corresse lui mentre si sistemava i gemelli della camicia - Stasera
- Continuò - starai seduta comoda a tavola
perchè
penserò a tutto io.-
- Sono proprio
curiosa, infatti, di
assaggiare i piatti dell'Hollywood Star Restaurant.- Osservò
lei
con l'aria da finta ingenua.
Max intuì
che Faith doveva aver notato in cucina la presenza di varie
confezioni recanti l'intestazione del ristorante.
- Si, anch'io.-
Rispose semplicemente.
Poi le si avvicinò e le porse una mano invitandola a ballare.
Lei
accettò l'invito e si strinse a lui con gli occhi che
rilucevano
il sole. Cominciarono a muoversi lentamente intrecciando le loro dita e
avvertendo le continue scosse elettriche attraversare i loro corpi.
Nessuno dei due
voleva parlare. Era un altro dei magici incantesimi che li avvolgeva
stretti, legando i loro cuori con un nastro invisibile.
- Ricordi,-
sussurrò lei - la sera che mi hai chiesto di ballare con
te?-
- Come potrei
dimenticarla?-
Rispose lui con la sua voce profonda e penetrante - Ho capito che
ciò che provavo per te era qualcosa di grande e impossibile
da
spiegare con le parole. Ho capito quanto sei fantastica.-
Faith arrossì e abbassò il viso un attimo per poi
tornare a guardarlo.
- Dicono che quando
una persona
riceve dei complimenti non dovrebbe mai ringraziare. Io dovrei fare
così, non dovrei dirti grazie, ma lo faccio lo stesso. E non
perchè mi sento obbligata, ma perchè sento di
doverti
ringraziare. Non solo per quello che hai detto. Sei tu che mi fai
sentire così, Max. sei tu che riesci a tirare fuori da me
qualcosa che praticamente nessuno riesce a fare. E questo lo avverto
ogni volta che sono con te.-
Max annuì in silenzio e Faith gli accarezzò il
viso.
- Questo voleva essere
un discorso piuttosto lungo per dirti soltanto una cosa.-
Lo guardò
con attenzione negli occhi che brillavano di una luce verde
ricordandole due piccoli smeraldi e sussurrò - Ti amo, Max
Warren. E non potrei mai smettere di farlo.-
Lui sorrise. La
sua tenerezza gli stringeva il cuore e lo attirava a lei come una
calamita. La strinse forte tra le braccia e immediatamente
percepì l'inebriante profumo dei suoi capelli e della sua
pelle
morbida.
Un'improvvisa e
tiepida brezza marina fece tremare le esili fiamme delle candele
rubando, leggiadra, l'aroma della vaniglia.
I loro visi
erano vicini. I respiri caldi e umidi. Chiusero gli occhi ed
avvicinarono le labbra fondendosi in un bacio. Ma non un bacio
qualunque. Un bacio focoso e appassionato che, nel suo romantico
silenzio, gridava l'amore vero.
|
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Capitolo 22 *** 22. Aria Di Tempesta ***
R
ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Ciao
a tutti!
Inizio
subito dicendo che quest'oggi ricorre un evento importante che io
intendo rendere pubblico. La mia personal-beta compie gli anni!! Quindi
tantissimi cari auguri di buon compleanno, Monic, alias Mozzi84! Ti
voglio tanto tanto bene! (Mi fermo qui poiché ella
è un po' restia a queste pubbliche manifestazioni di
affetto...).
Ringrazio
tanto Saty
per la sua costanza nel recensire sempre con puntualità e
attenzione ai particolari di ogni mio capitolo e ringrazio anche chi
legge in silenzio.
Con
questo capitolo giungiamo ad una nuova svolta che spero vi incuriosisca
e vi piaccia.
A
presto!
Marco
22. A
RIA DI TEMPESTA
L'alba giunse tingendo il cielo e l'oceano Pacifico di un intenso
colore arancione macchiato d'azzurro mentre il sole emergeva
silenzioso dall'acqua dorando le creste dei marosi che arrivavano da
lontano, spinti dai venti dell'est.
Faith si risvegliò tra le braccia di Max, stretta al suo
corpo nudo e caldo. Scese dal letto guardandosi dal non fare troppo
rumore, si coprì con la sua camicia, che le cadeva larga sui
fianchi, ed uscì sulla terrazza.
Le candele si erano ormai consumate e una brezza calda spirava tra le
affusolate foglie delle palme alimentando un assonnato e monotono
fruscio.
Faith si sedette a terra con la testa appoggiata al muro e
fissò il cielo, coccolata dal profumo della camicia di Max.
Era sempre stata dell'opinione che ogni aurora ed ogni tramonto
assumessero un colore diverso, anche se a prima vista non si notava
alcuna differenza. L'unico modo per scoprirlo era osservare il cielo
attentamente e coglierne ogni sfumatura, ogni striatura, ogni
tonalità. A volte era tinto di un bell'arancio vivo, altre
volte assomigliava all'oro. Altre ancora risplendeva di un porpora
quasi unico, mescolato al viola, ricercato e imitato dai pittori di
ogni tempo.
Ma in quel momento Faith non avrebbe saputo definire in modo
dettagliato i suoi colori. Non era predisposta ad individuare le
differenze.
Aveva ammesso a sé stessa che non sarebbe riuscita a dire a
Max il suo assurdo segreto e questo le rodeva dentro stringendole lo
stomaco come una morsa. L'aver fatto di nuovo l'amore con lui
significava averlo ingannato e se glielo avesse detto lo avrebbe perso.
Non poteva accettarlo.
Una lacrima le segnò la guancia lasciando una scia brillante
e sottile mentre un nuovo giorno stava per cominciare.
Dalla cucina un delizioso profumo di torta e di caffè
obbligò Max a scendere dal letto non appena ebbe aperto gli
occhi.
Faith era intenta a preparare la colazione e stava giusto spremendo
qualche arancia quando lui le piombò alle spalle
spaventandola a morte.
- Buongiorno.- Le
sussurrò all'orecchio cingendole la vita con le braccia e
baciandola sul collo.
- Se continuerai
così non avrai altri “buongiorno”
da augurarmi.- Lo rimproverò lei fingendosi arrabbiata.
Lo baciò a lungo. Con i boxer e la canotta bianca che
evidenziava le sue spalle larghe le veniva impossibile lasciarlo andare.
- Oggi ci
sarà il compleanno di Holly ed io mi sono scordato di farle
un regalo.- Ammise dispiaciuto il ragazzo.
- Tranquillo.- Disse
Faith - Ho pensato a tutto io.-
Max prese una tazza dalla credenza e si versò un po' di
spremuta d'arancia sedendosi a tavola di fronte a lei.
- Sei davvero un
tesoro, ma non mi piace l'idea di presentarmi a mani vuote.-
Obiettò assaggiando una fetta di torta - Magari faccio un
salto dal fiorista più tardi.-
Faith stava in piedi appoggiata al bancone della cucina e reggeva la
sua tazza con entrambe le mani. Mentre Max cercava di elaborare qualche
idea per il regalo di Holly, lo fissava con lo sguardo, ma la mente
vagava altrove, combattendo contro la convinzione di dovergli dire
tutto in quel preciso istante.
Posò delicatamente la tazza sul piano del tavolo, si sedette
e afferrò le mani di Max interrompendo il suo discorso,
involontariamente tramutatosi in un monologo.
- Max.- Lo
richiamò gravemente.
Lui distolse lo sguardo dalla torta e la fissò smettendo di
masticare.
Faith iniziò a tentennare. La resa dei conti era arrivata e
stava lì davanti a lei, sogghignandole beffarda.
Bastava solo pronunciare poche parole.
Poche, ma difficili parole. Le più complicate che avesse mai
dovuto dire fino a quel momento.
Non sapeva da che parte cominciare e si trovò spiazzata
mentre lui continuava a guardarla con quei suoi occhi verdi mettendole
addosso un'ansia insopportabile.
- Io devo dirti una
cosa molto importante.-
- Ti ascolto.- La
incoraggiò Max mostrandosi preoccupato, proprio nello stesso
istante in cui squillò il cellulare di Faith, che
sospirò, grata di essere stata salvata da quella situazione.
Rispose sotto gli occhi curiosi di Max e riattaccò poco dopo.
- Era Holly.-
Spiegò tentennando - Ha urgente bisogno di me. Sai
com'è Holly. Guai lasciarla sola per troppo tempo.-
Tergiversò con un sorriso forzato.
- Ok, vai pure. Ma
quella cosa di cui mi parlavi...- Insistette lui.
- Ne parleremo stasera
con più calma. Non è nulla di così
urgente. Tornerò presto, vedrai.- Lo rassicurò
Faith baciandolo sulla guancia per poi fuggire in camera a vestirsi.
Richiuse la porta della stanza dietro di sé e le si
appoggiò contro con la testa inclinata all'indietro e gli
occhi chiusi facendo un profondo respiro.
- Non posso continuare
così.- Mormorò avvertendo di nuovo quella
dolorosa fitta allo stomaco.
Quella di Holly era una tipica festa hollywoodiana. La sua casa, o
meglio, la sua villa, era situata vicino ad un crepaccio a strapiombo
sul Pacifico e permetteva una vista a trecentosessanta gradi su tutta
Santa Monica e sulla spiaggia di Venice.
Holly viveva ancora con i genitori che, a causa del loro lavoro, erano
stati poco presenti nella sua vita, ma lei ci aveva ormai fatto
l'abitudine. Con un maggiordomo, una cameriera, un giardiniere, un
campo da golf e una piscina chiunque si sarebbe abituato facilmente.
Ma lei non era affatto una di quelle ragazzine viziate di
Malibù o della vicina Laguna Beach che si vantavano delle
ricchezze dei loro padri e che trascorrevano le giornate stese al sole
a fare gli occhi dolci all'istruttore di nuoto.
Holly era una ragazza normale, sensibile, intelligente e gentile.
D'accordo, ogni tanto aveva qualche idea bizzarra, ma si trattava
soltanto di un valore aggiunto che la rendeva ancora più
simpatica.
Purtroppo, a dispetto delle sue previsioni, la giornata non prometteva
sole con quaranta gradi all'ombra: oltre le colline, appena poco
più su dell'orizzonte, si stagliava un grosso cumulo di nubi
violacee che sembrava avvicinarsi sempre più rapidamente nel
cielo plumbeo. Ma, nonostante il tempo, nessuno degli invitati pareva
aver rifiutato il suo invito.
Il grande giardino era pieno zeppo di gente che si spostava dal
generoso banchetto, allestito sotto il gazebo, alla piscina, fino a
raggiungere l'ampia terrazza sospesa sul mare.
E gli invitati continuavano ad arrivare a frotte. Ad insaputa di Faith,
Holly sembrava aver invitato l'intera costa pacifica.
- Holly.- La
chiamò perplessa la ragazza facendo il suo ingresso al
fianco di Max - Ma cosa sta succedendo qui? Non saprei a cosa pensare
se non ad un rave party.-
- Faith! Max! Siete
arrivati!- Urlò Holly correndo loro incontro.
Max le porse un mazzo di svariati e coloratissimi fiori.
- Non dovevi, Max.
Grazie.- Gli disse baciandolo sulle guance.
- Ecco, io non sapevo
quali fossero i tuoi preferiti, perciò...-
- Questi sono
bellissimi. Li adoro!- Gli assicurò Holly.
Poi si rivolse a Faith, ancora in attesa di una risposta con le braccia
conserte.
- Si, ecco Faith. Ho
voluto invitare tre o quattro amici in più...-
- Solo tre o quattro? Non
mi stupirei di trovarci l'intero cast di Titanic! Spero
almeno che tu abbia aumentato le dimensioni della torta!- Si
augurò Faith.
Holly si portò rapidamente una mano alla bocca.
- LA TORTA!-
Faith la guardò sbigottita.
- Cosa vuol dire “la torta”?
Dov'è quella dannata torta, Holly?
- Ho dimenticato di
ritirarla...- Ammise dispiaciuta.
- Stai scherzando?- Le
domandò Faith tra il serio e il faceto - Ma dove hai la
testa in questi giorni?-
Udendo quelle parole, Max si lasciò sfuggire una risata
sotto i baffi e, per non darlo a vedere, tossicchiò fingendo
di guardarsi un po' attorno.
- Potresti andare tu a
ritirarla, Faith? Per favore!- La implorò Holly - Io non
posso muovermi di qui. Devo accogliere gli ospiti, servire le tartine,
versare lo spumante, spettegolare...-
Faith spalancò gli occhi e la bocca.
- Se vuoi ti
accompagno, amore.- Si offrì volontario Max.
- No, no!- Intervenne
prontamente Holly - Max, tu mi servi qui, adesso. Devi aiutarmi a
finire di sistemare le sedie vicino al gazebo.-
Il ragazzo non aggiunse altro, ammutolito, e si rimangiò
mentalmente la sua proposta.
- Faith, usa pure la
mia auto, che è spaziosa e la torta starà
più comoda. Pippo verrà con te e ti
darà una mano.- Pianificò celermente Holly.
Faith passò il suo sguardo sconcertato da Max a lei.
- Pippo?-
- Si.-
Confermò l'amica - È il mio nuovo cameriere.
Adesso te lo chiamo.-
Si infilò due dita in bocca e con un sibilante fischio
ammutolì l'intero giardino.
Pippo, un tipetto piuttosto inusuale di origini portoricane dalla bassa
statura e dalla carnagione scura, si fece rapidamente largo tra la
folla e ascoltò attentamente ciò che Holly aveva
da dirgli.
Impartitogli l'ordine, la ragazza prese Max sottobraccio e gli
spiegò dettagliatamente come desiderava che le sedie
venissero sistemate mentre Faith, ancora allibita, si avviò
verso il garage con Pippo che la seguiva silenziosamente.
Max terminò di sistemare le sedie mentre Holly si era
dileguata per l'ennesima volta dopo aver notato del fumo nero uscire da
una delle finestre della cucina, così pensò di
perlustrare la zona con lo scopo di sottrarsi agli sguardi interessati
di un paio di ragazze che lo stavano fissando ininterrottamente da
quando si era messo al lavoro nei pressi del gazebo.
Piuttosto imbarazzato, approfittò di un loro momento di
distrazione ed attraversò il giardino per raggiungere la
grande terrazza sull'oceano. Si appoggiò al parapetto di
freddo marmo rosato, intervallato da piccole palme in vaso dalle foglie
verdissime, che aggiungevano un tocco di eleganza sofisticata
all'immensità della villa.
Sopra di lui il cielo pareva spaccato a metà: da una parte
il sole sfolgorante gettava sull'acqua i suoi fasci di luce bianca;
dall'altra uno strato viola e minaccioso si imponeva prepotentemente
lottando contro il bel tempo per invadere gradualmente l'altra
metà del cielo.
Max fissò un puntino rosso in lontananza e
ipotizzò si trattasse di una boa.
- Sei qui, Max.- Lo
sorprese Holly avvicinandosi - In cucina è tutto sistemato.
Il pollo arrosto ha rischiato grosso.- Si lamentò
sarcasticamente.
Il ragazzo ridacchiò e poi riportò la sua
attenzione al puntino rosso che danzava nel grigio sconfinato.
- Cos'è
quello sguardo?- Gli chiese scorgendo in lui una certa preoccupazione -
Dovresti essere contento. Faith ieri mi ha raccontato della casa in cui
andrete a vivere insieme.-
- Si, è
fantastica.- Affermò lui senza mostrare rancori.
- Ma c'è
qualcosa che non va, giusto?-
Max annuì e si strinse nelle spalle accigliandosi.
- No, è
tutto ok. Ma prima io e Faith dovremmo parlare di una cosa.-
Alludeva al fatto di non aver ancora accennato alla sua ragazza che di
lì a pochi giorni sarebbe dovuto partire per l'Inghilterra.
Holly si rimandò una ciocca di capelli e posò le
braccia sul parapetto sospirando. Ammirò l'oceano e la sua
imponenza. I marosi spumeggianti stavano crescendo e si infrangevano
violentemente contro la scogliera con potenti spruzzi d'acqua.
- Max, non sentirti
tradito. Faith non ne ha colpa.-
Il ragazzo la osservò con lo sguardo perplesso.
- Insomma, si tratta
di una cosa successa tanto tempo fa, e tu lo sai meglio di me. Mi
dispiace per tuo padre e credimi, anche Faith ci sta malissimo. Non sai
quanto coraggio si sia dovuta fare per riuscire a dirtelo.-
Max si sforzò invano di capire a cosa stesse facendo
riferimento.
- Ma Holly... Di che
cosa stai parlando? Cosa avrebbe dovuto dirmi Faith?-
Holly assunse un'espressione di stupore e sorrise nervosamente.
- Come? Faith non ti
ha detto...- Cominciò a gesticolare e a scuotere la testa
rendendosi conto che Max non era a conoscenza di niente.
Si voltò appoggiandosi con la schiena alla balaustra e si
portò una mano sulla fronte consapevole di aver creato un
bel guaio.
- Faith mi ha detto
che te ne avrebbe parlato ieri sera a cena. Santo cielo... Non l'ha
fatto?-
Max continuava a guardarla sempre più preoccupato
immaginando in ogni angolo della sua mente le cose più
assurde. La tensione lo colpì al petto e improvvisamente si
sentì la gola secca. Deglutì.
- Che cosa, Holly?
Cosa deve dirmi Faith?-
Mortificata, Holly alzò lo sguardo verso di lui e si
sentì in trappola. Scrollò le spalle cercando di
apparire il meno drammatica possibile.
- Max, non
è niente di importante. Te ne parlerà lei di
persona appena ritorna.- Riuscì a balbettare avviandosi
verso il gazebo.
Lui esitò un attimo e la seguì parandosi davanti
e costringendola a parlare.
Holly tacque per qualche istante, in cui si maledì di non
aver tenuto la bocca chiusa. Ma ormai il danno era stato fatto.
Inspirò profondamente e lasciò che le parole
uscissero liberamente.
- È stato
Brian a causare l'incidente di tuo padre, Max.-
Il volto del ragazzo mutò totalmente espressione. In
principio sembrava non aver compreso il significato di quella frase ed
impiegò qualche istante a capirlo.
Quando Holly si portò entrambe le mani sulla bocca, lui le
fece un sorriso tirato che non aveva niente a che vedere con la
felicità, poi si voltò lentamente quasi a voler
cercare un altro senso. Ma la verità era che non esistevano
altri significati. Brian aveva ucciso suo padre. Questo rivoluzionava
il pensiero che aveva accompagnato la sua esistenza per dieci anni e
che rappresentava l'unica certezza in cui lui avesse mai creduto. Si
rifiutava categoricamente di credere a Holly, ma allo stesso tempo
tutto cominciava ad avere un senso logico.
Fu allora che il suo mondo si capovolse irrimediabilmente con la sua
spietata crudeltà e la verità lo colpì
in pieno viso come uno schiaffo.
Completamente frastornato e confuso si diresse verso l'uscita della
villa ignorando i continui e disperati richiami di Holly.
Il suo unico desiderio era quello di andare il più lontano
possibile da lì.
|
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Capitolo 23 *** 23. Addio Max ***
R
ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Ciao
a tutti!
Sto
per pubblicare un nuovo capitolo, un po' “brutto”
per il contenuto, ma spero che, per chi legge, sia bello.
Ho
inserito una canzone che mi sembrava adatta per il risvolto del
romanzo. È Jann Arden con “In Your
Keeping”.
Grazie
a Saty,
Mozzi84
e a chiunque legge in silenzio!
A
presto!
23.
A
DDIO, MAX
Alla guida della sua Land Rover Faith realizzò in un istante
che si trattava di certo del periodo più piovoso che lei
ricordasse dal giorno del suo arrivo in California. La costa
occidentale degli Stati Uniti era conosciuta per il bel tempo che
durava tutto l'anno.
Si sforzò di sorridere. “Altro
che bel tempo,” pensò “sembra di essere a
Londra.”
Per sua fortuna la strada principale era poco trafficata e questo le
permise di accelerare incurante dei limiti di velocità. Era
preoccupata e non le importava della sua incoscienza nella guida.
Voleva disperatamente raggiungere Max.
Lui adesso era a conoscenza di ogni cosa, ma il fatto che lo avesse
saputo da qualcuno che non era lei poteva soltanto aver peggiorato la
situazione.
Lungo la strada fu costretta a fermarsi al rosso di un semaforo.
Continuava a picchiettare nervosamente le dita sopra il volante e le
sembrò che il verde ci mettesse un'eternità ad
illuminarsi. Per qualche secondo desiderò che non si
accendesse mai. Ecco l'ennesimo momento della sua vita in cui avrebbe
tanto voluto possedere il potere di fermare il tempo. Non sapeva cosa
sarebbe successo una volta giunta a casa. Avrebbe trovato ancora Max
oppure se n'era andato senza dirle niente?
“No. Max non è quel tipo di persona che prende e
se ne va.”
Non lo aveva trovato alla villa, quindi stava di certo aspettandola a
casa sua. Ma cosa gli avrebbe detto? Sentiva dentro di sé
che ogni scusa sarebbe stata inutile: si trattava di un errore troppo
grande per ottenere il suo perdono, ma confidava nel suo buon senso e
nella sua infinita comprensione e bontà.
Gli balzò il cuore in gola e si rosicchiò
un'unghia, assalita dall'ansia.
Non appena scattò il verde ingranò la marcia e
partì con una potente sgommata. Oltrepassò un
cartello stradale che recava la scritta “St.
Alexander” con le miglia che mancavano per
raggiungerla, e la mente la riportò indietro a quel giorno
sulla spiaggia. Cercò di collocare temporalmente tutti i bei
momenti che aveva condiviso con Max. Erano davvero tanti. Il tempo
trascorso insieme a lui era volato ed ora le sembrava appeso ad un filo
pronto a spezzarsi per svanire nel vuoto.
Lo sguardo magnetico che l'aveva stregata quel pomeriggio di dicembre
era stato l'inizio di tutto. Pregò Dio di non dover dire che
ne sarebbe stato anche la fine.
Il cielo ormai era uno strato di nuvole impenetrabili che
preannunciavano un violento temporale e sul parabrezza cominciavano
già a cadere le prime gocce di pioggia, spazzate via per
l'elevata velocità dell'auto.
In lontananza iniziò a farsi vedere la spiaggia di Santa
Monica e, dopo pochi chilometri, anche la sua casa.
Faith la raggiunse in un batter d'occhio svoltando nel vialetto
d'ingresso. Scese dall'automobile e s'incamminò rapidamente
verso l'entrata, ma si bloccò di colpo non appena scorse Max
seduto in veranda con i gomiti sulle ginocchia e le mani giunte.
Lui la stava osservando con i muscoli del viso contratti e gli occhi
verdi spenti che trasmettevano rabbia e delusione.
La ragazza si ghiacciò mentre lo fissava attraverso i vetri
della veranda. Riprese a camminare facendosi coraggio ed
entrò chiudendosi la porta alle spalle. Notò
subito un borsone ai piedi della sedia su cui era seduto.
- Lì dentro
ci sono le ultime cose da portare nella nostra casa?-
Mormorò con un sorriso dispiaciuto indicandogli la valigia.
Max fece un profondo respiro. C'erano tante che cose che avrebbe voluto
dirle in quegli istanti ma il cervello gli si era svuotato e
provò un improvviso senso di fastidio a trovarsi di fronte a
lei.
- No. Ci sono le
ultime cose da portare via da qui.-
La guardò negli occhi aspettando spiegazioni. Faith
sentì il cuore gonfiarsi di dolore e abbassò lo
sguardo giocherellando con le dita tremanti. Sentì venirle
le lacrime agli occhi e si sforzò di cacciarle indietro.
Stava ancora in piedi vicino alla porta pervasa da un'imbarazzante
sensazione di vergogna e di rimorso.
- Allora, Faith?- La
richiamò lui in tono distaccato - Cosa aspettavi a dirmelo?-
- Max.-
Esordì facendo un passo avanti - Mi dispiace. io...-
- Tu mi hai mentito,
Faith.- La interruppe scandendo ogni singola parola. La sua voce era un
misto di tensione e di dispiacere - Mi hai mentito per tutto questo
tempo. Mentre io mi fidavo di te, tu mi nascondevi un segreto
così importante. Come hai potuto, Faith? Come?-
Si alzò in piedi stringendo i pugni e la sua espressione si
fece dura.
Lei non lo aveva mai visto così nervoso e si accorse che
l'atteggiamento del ragazzo nei suoi confronti era radicalmente
cambiato, come dal giorno alla notte.
- Max, non sapevo come
dirtelo. Lexie aveva già provato a dirti la
verità, ma tu non l'hai voluta ascoltare.-
- Ma con te
è diverso!- Esclamò voltandole le spalle.
- E che differenza fa?
Mio padre adesso è in carcere e sta pagando per quello che
ha fatto. Non puoi gettare su di me tutte le colpe.-
Max la scrutò di nuovo prima di afferrarle le spalle e
scuoterla.
- Avresti dovuto
dirmelo, Faith! Riguarda noi due! Lo capisci?- Sbraitò in
preda alla collera.
- Mi dispiace.-
Sussurrò lei con la voce rotta dal pianto e l'angoscia che
le annodava lo stomaco - Ma cerca di capire la mia posizione.-
- Capire? Capire la
tua posizione?- Ripeté lui incredulo sorridendo con sarcasmo
e inarcando un sopracciglio. La lasciò andare sforzandosi di
trovare un senso logico in quell'affermazione. Il suo cuore si fece di
pietra e innalzò dentro di lui ogni barriera di difesa.
- Perdonami se non
riesco proprio a capire la tua posizione. Aspettavi di sposarmi per
dirmelo?-
Faith abbassò nuovamente lo sguardo.
- Guardami in faccia!-
Le gridò Max.
Lei lo guardò scostandosi una ciocca di capelli dal viso.
Aveva gli occhi arrossati e le labbra increspate. Avvertiva i muscoli
rigidi rifiutarsi di reagire.
Nel pesante silenzio che li avvolgeva soltanto il picchiettare della
pioggia sul tetto in legno della veranda si faceva sentire.
Max fece vagare lentamente lo sguardo verso la spiaggia e
tornò a sedersi con il viso tra le mani. Era chiaro che
Faith non gliel'avrebbe mai detto. Questo suo comportamento lo stava
ferendo come una lama che sferra colpi su colpi, continuamente e senza
sosta.
Lei si sentì impotente. Avrebbe voluto fare qualcosa per
sistemare tutto, ma comprese che era troppo tardi. Si
avvicinò a Max tentando di essere più convincente
nelle scuse, ma lui la bloccò con un gesto della mano.
- Allora, ti
interessavano i miei soldi?- Le chiese freddo - Oppure sono stato
l'ennesimo ragazzo che ti sei portata a letto e ciò che
è successo tra di noi non ha alcun significato per te?-
Faith non credette alle sue orecchie.
- Come puoi dire una
cosa simile?-
Sentendosi ferita nel cuore e nell'orgoglio all'improvviso si
sentì ribollire di rabbia e d'istinto gli diede uno
schiaffo. Ma si portò subito una mano alla bocca, pentita di
quel suo gesto immaturo e volgare. Non aveva mai alzato un dito su
nessuno ed ora aveva schiaffeggiato la persona che più amava
al mondo.
Lui l'aveva incassato senza batter ciglio volgendo la testa verso
l'oceano, quasi non lo avesse neppure sentito. Gli era chiaro che,
vista la situazione, nessuno dei due era più in grado di
ragionare con fermezza.
Faith gli si sedette accanto esalando un lungo respiro, affranta per il
modo drammatico con cui si era evoluta la loro relazione. Giunse al
triste epilogo che niente sarebbe tornato come prima. Tutto stava
cambiando e lei doveva adeguarsi, che l'avesse voluto o meno.
- Max, per me conta
moltissimo il rapporto che abbiamo. Ti prego, dimmi se c'è
qualcosa che posso fare per farti stare meglio.-
Max la guardò e le disse - Sì, c'è
qualcosa che puoi fare.-
La ragazza sospirò sentendosi sorprendentemente
più sollevata.
- Vorrei che ti
togliessi quell'anello dal dito.- Dichiarò imperturbabile.
Jann
Arden “In Your Keeping”
- Come, scusa?-
- Hai capito bene,
Faith.- Affermò risoluto - Togli quell'anello. Non ho
nessuna intenzione di sposare una bugiarda.-
Faith rimase immobile riflettendo su quelle parole mentre lui si alzava
in piedi e afferrava il borsone mettendoselo a tracolla, pronto per
andarsene.
- Max.- Lo
richiamò Faith in lacrime.
Lui si fermò sull'uscio senza voltarsi.
- Non puoi farlo. Non
puoi andartene così.- Singhiozzò.
- Perchè?-
- Perchè
io... io...-
Max alzò una mano facendole intendere che non avrebbe dovuto
terminare la frase.
- Non dirlo, Faith.
Non dire ciò che non pensi veramente.-
Un taxi fece la sua apparizione nel vialetto e il ragazzo
uscì sotto una fitta cortina di pioggia senza nemmeno
cercare di ripararsi.
Dietro di lui la porta si richiuse con un tonfo, spinta dal vento, e
Faith rimase immobile e priva di forze finché non lo vide
aprire la portiera dell'auto, accingendosi a salire.
“No,”
pensò “non
può finire così.”
Corse fuori sbattendo la porta e lo raggiunse, avvertendo la pioggia ed
il vento sferzarle violentemente il viso.
- Max, io ti amo! Ti
amo più di ogni altra cosa al mondo!- Urlò
cercando di sovrastare il rombo dei tuoni.
Max si voltò e lei poté guardare in
profondità i suoi occhi. La fine di tutto.
Non capiva se le gocce che rigavano il suo viso fossero lacrime o la
semplice pioggia.
- E io invece ti
odio.- Affermò con una voce ferma che non lasciava trapelare
nulla.
Quelle parole colpirono Faith come il gancio di un pugile.
- Non dire
ciò che non pensi veramente.- Ribatté scrollando
la testa e usando le stesse parole che Max aveva pronunciato poco prima.
Il ragazzo non replicò e salì sul taxi. Sotto
un'argentea coltre di pioggia i loro sguardi indugiarono ancora per
poco l'uno nell'altro prima che l'auto partisse.
Faith rimase a fissare il taxi che si allontanava portando via il suo
cuore. Immobile sul vialetto di casa, con i capelli e gli abiti
inzuppati di pioggia, rigirò l'anello che ancora portava al
dito, e pianse.
- Addio, Max.-
Sussurrò.
ADDIO
Un'espressione di saluto nel lasciarsi. Abbandonare o essere
abbandonati da qualcuno per sempre.
Così spiega ogni dizionario.
Una parola, un concetto che Faith non poteva sopportare. Non riusciva
più ad accettare di essere continuamente
abbandonata.
Troppo dolore, troppe perdite avevano sconvolto la sua infanzia, e
l'aver perso Max la riportò indietro nel tempo rievocandole
tristi ricordi.
Rientrando in casa notò un pezzo di carta stropicciato sul
piano del tavolo della cucina. Lo prese e immediatamente il battito
cardiaco accelerò. Aveva riconosciuto quel biglietto che
aveva tanto cercato negli ultimi giorni. Capì che era caduto
nella stanza da letto a casa di Max e lui lo aveva ritrovato fingendo
che non avesse avuto alcun valore.
Tanto non aveva più senso chiamare Lexie. Lui se n'era
andato esattamente come aveva fatto con lei molti anni prima.
Si sedette ai piedi della porta abbracciandosi le ginocchia. Con gli
occhi arrossati e lo sguardo perso nel vuoto sentiva un freddo che
niente avrebbe potuto sconfiggere. Un misto di angoscia e di
incredulità la riempiva dentro e la faceva stare male.
Soltanto poche ore prima era tutto perfetto. La sua vita era
perfetta. Poi era arrivato qualcosa che si era portato via ogni cosa
prima ancora che lei riuscisse a rendersi conto di ciò che
stava realmente succedendo.
E improvvisamente il mondo intorno a lei sembrò muoversi al
rallentatore amplificando la sua sensazione di smarrimento.
Era piovuto per tutto il pomeriggio e soltanto poco prima del tramonto
faceva capolino un sole limpido e luminoso tra la linea dell'orizzonte
e una grossa nuvola blu striata di rosa. I suoi ultimi raggi
perforavano il cielo ed insistevano a donare ancora un po' di calore
alle spiagge di Los Angeles.
Malgrado tutti gli sforzi, però, non sarebbero riusciti a
riscaldare il cuore di Max, che guardava il mondo stando in piedi sulla
terrazza della villa. Un mondo che non era il suo ed al quale lui
sentiva di non appartenere più.
Che senso avrebbe avuto restare?
L'indomani sarebbe partito per Londra ed una volta tornato negli Stati
Uniti avrebbe richiesto il suo impiego a New Orleans.
Questo divenne il suo principale obiettivo. Non voleva mai
più tornare in California. Non voleva mai più
rivedere Faith.
Il fatto che lo avesse ferito profondamente era un motivo
più che sufficiente per andarsene.
Si sentiva diverso. Per tutta la vita aveva cercato di non pensare
all'incidente che uccise suo padre concentrandosi esclusivamente
sull'affetto che provava nei suoi confronti. Non era più
presente fisicamente, ma era rimasto sempre vivo nel suo cuore
nonostante la morte li avesse separati.
Quante notti aveva pianto convinto di aver perduto una parte di
sé stesso. Ciò che provava in quei momenti era un
dolore che in molti credono di conoscere, ma soltanto chi lo ha vissuto
riesce a percepirne il profondo e complesso significato.
Ma ora aveva saputo tutta la verità. E voleva soltanto
fuggire via.
Trascorse un'ora da quando se n'era andato.
Faith si era chiusa in casa, con gli occhi doloranti, incapace di
versare una sola lacrima. E questo la faceva stare ancora peggio
perchè non conosceva altro modo per potersi sfogare. Avrebbe
potuto distruggere qualcosa, ma capì che non sarebbe servito
a molto se non a placare la sua rabbia per aver agito in modo
sbagliato. Sapeva perfettamente che sarebbe andata a finire
così, ma non aveva fatto nulla per cercare di impedirlo.
Anzi, aveva soltanto peggiorato le cose.
La sua vita era stata tutto uno sbaglio e adesso si sentiva inutile
come non si era mai sentita.
Si stava faticosamente rialzando in piedi per potersi buttare sul
divano quando il telefono prese a squillare. Dapprima pensò
di non rispondere. Non era proprio dell'umore adatto. Poi il suo
pensiero andò a zia Becky ed afferrò la cornetta
senza esitare.
Era il dottor Fawcett e, dal tono della voce, Faith intuì
che stava accadendo qualcosa di grave. Pochi attimi dopo
crollò anche l'ultima cosa veramente bella che le restava
nella sua vita.
A Zia Becky era stato diagnosticato un tumore al cervello.
|
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Capitolo 24 *** 24. La Fine Di Un Giorno Da Non Rivivere ***
R
ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Ciao
a tutti!
Eccomi
con la pubblicazione dell'ultimo capitolo prima della pausa in
occasione delle festività!
Voglio
annunciare che la pubblicazione del capitolo 25 avverrà
VENERDI 21 GENNAIO 2011.
Ringrazio
tutti coloro che in questo primo anno di pubblicazione hanno recensito
la mia storia e mi auguro che con l'anno nuovo il numero dei lettori
aumenti!
Un
ringraziamento speciale va a Sabrina,
che non manca una sola recensione, e a Monica, la mia
beta!
Auguro
a tutti i lettori di trascorrere belle feste e di cominciare un anno
nuovo migliore di questo!
A
presto!
MM
Per
questo capitolo ho scelto una canzone leggera... S'intitola “You're Not
Sorry” di Taylor Swift.
Spero
che vi piaccia!
Ditemi
cosa ne pensate anche della nuova cover da me realizzata!
24.
L
A FINE DI UN GIORNO DA NON RIVIVERE
- Dev'esserci una
cura, dottor Fawcett. Farmaci, terapie, qualcosa deve pur esserci.-
Osservò Faith sforzandosi di restare composta mentre cercava
di convincere il medico in ogni modo.
Appena appresa la notizia la ragazza si era precipitata in ospedale.
Doveva avere un aspetto orribile, aveva pensato chiudendo la porta di
casa, ma non le importava. Niente ora era più importante di
zia Becky. Niente e nessuno.
Nello studio del medico le sembrava di impazzire. Un attimo prima si
sentiva le guance in fiamme e la fronte accaldata provando un
fastidioso senso di claustrofobia; quello dopo avvertiva un freddo
pungente penetrarle nelle ossa unito al bisogno di non uscire
dall'ufficio.
Erano successe così tante cose in poco tempo che il suo
corpo faticava ad obbedire a qualsiasi comando impartitogli dal
cervello, facendola sentire in trappola di sé stessa.
- So che la
radioterapia e la chemioterapia possono essere utili a...-
- Servirebbero
soltanto a rallentarne la diffusione.- Dichiarò Fawcett
interrompendo le sue ipotesi.
- Ma si potrebbe
operare.- Insistette lei.
Il medico aprì una cartella clinica e le mostrò
le lastre della risonanza magnetica dov'era ben visibile una massa
scura all'interno del cervello.
- Questo tipo di
cellula tumorale - Prese a spiegarle indicando la macchia con una penna
- si è propagata molto in profondità, in aree
preposte alle funzioni vitali. Se provassimo ad asportarlo, oltre al
fatto che potrebbe riformarsi in breve tempo, c'è il rischio
di indurre sua zia allo stato vegetativo. Inoltre sarebbe inutile
tentare di neutralizzarlo con farmaci o con la chemioterapia, come ha
suggerito lei poco fa, in quanto si tratta di un tumore a crescita
rapida che si diffonde a ragnatela.-
Faith si lasciò andare sulla sedia. In conclusione,
pensò, non restava nessun appiglio al quale potersi
aggrappare, nessuna speranza in cui credere. Si portò le
mani alla fronte e chiuse gli occhi desiderando con tutte le sue forze
di essere in un incubo.
- Com'è
possibile che mia zia abbia un tumore al cervello così
sviluppato? Avrebbe dovuto accorgersi da un po' che qualcosa non
andava.-
- Purtroppo - Disse il
medico facendo un profondo respiro - esistono tumori che si sviluppano
rapidamente senza dare sintomi particolarmente importanti. Sua zia mi
ha detto che ultimamente soffriva di mal di testa.-
- Un mal di testa non
è sufficiente per ritenere di avere un tumore.-
Ribatté Faith risoluta.
Il medico tacque per un po'. Era evidente e comprensibile che la
ragazza seduta di fronte a lui fosse sconvolta e faticasse ad accettare
la realtà.
Era quello il lato che più odiava del suo mestiere. Dare
cattive notizie non era mai bello, non lo era mai stato per nessun
medico. Con il tempo aveva cominciato ad abituarsi, senza tuttavia
sottovalutare i sentimenti di chi lo stava ad ascoltare. Si trattava
pur sempre di un compito difficile, ma era suo preciso dovere informare
il paziente di qualsiasi cosa si trattasse.
- No,-
Mormorò infine - non è sufficiente.-
La ragazza lo guardò negli occhi, inespressiva.
- Quanto le rimane?-
Fawcett esitò un istante picchiettando la penna sulla
scrivania. “Ecco la domanda cruciale.”
- Dipende. Se sua zia
vuole provare a sottoporsi alla chemioterapia...-
- Si,-
Dichiarò Faith senza voler sentire altro - si
sottoporrà a qualsiasi cura medica.-
- Tra novembre e la
fine di quest'anno.- Concluse il medico fermamente.
Per Faith quella risposta equivaleva ad un pugno allo stomaco. Vista la
gravità della situazione in un certo senso se l'era
aspettata, ma Fawcett aveva dato voce alle sue paure e lei si era
ritrovata la verità sbattuta in faccia.
Iniziava di nuovo a sentire freddo e ad un certo punto credette di
avere l'influenza.
In un giorno solo e per uno strano scherzo del destino aveva perso
tutto, ma non voleva più piangere. Adesso si rendeva conto
che bisognava lottare e lei ce l'avrebbe messa tutta per far guarire
sua zia.
In fondo al cuore voleva credere che ci sarebbe riuscita. Doveva
crederci.
Doveva farlo per zia Becky che, da quel giorno, avrebbe avuto tanto
bisogno di lei.
Zia Becky l'aveva accolta in casa sua e l'aveva aiutata in ogni
momento. Era giunta l'ora di ricambiare tutto ciò che aveva
fatto. Le sarebbe rimasta sempre vicino, incondizionatamente.
Fino all'ultimo.
Zia Becky si era da poco svegliata quando Faith le aveva spiegato la
causa del suo malessere.
L'orario di visita era terminato da almeno mezzora, ma la ragazza aveva
ottenuto il permesso del medico di trattenersi un po' di più.
Quando era entrata in camera la luce arancione del sole stava sfumando
lentamente. A lei piacevano quei colori caldi e decise di non accendere
la fredda luce dei neon.
Anche il viso di sua zia sembrava aver ripreso il suo abituale colorito
roseo. Osservando la sua espressione rilassata non sembrava affatto che
un male inguaribile presto se la sarebbe portata via.
Il solo pensiero le faceva venire le lacrime agli occhi e le creava una
voragine nello stomaco.
Comprendeva perfettamente che se avesse ceduto non avrebbe
più ritrovato il modo di rialzarsi. Inoltre riteneva di non
avere il diritto di piangere. Quella era diventata automaticamente
un'esclusiva della zia e lei non doveva far altro che mostrarsi
più forte o il suo sostegno non sarebbe servito a niente.
Si sentiva stanca e affranta e aveva deciso di sedersi vicino al letto
a guardarla dormire.
Era così piccola e sembrava più magra rispetto al
giorno in cui era entrata in ospedale. Il tumore stava risucchiando
tutta la sua vita senza farsi vedere come, d'altro canto, aveva fatto
fino ad ora.
Faith sorrideva, amareggiata, pensando a quegli stupidi mal di testa
che da qualche mese affliggevano sua zia.
Cosa sarebbe successo da quel giorno?, si era chiesta.
Sapeva per certo che avrebbe vissuto ogni attimo come se fosse stato
l'ultimo. Ogni mattina avrebbe aspettato di vedere zia Becky aprire gli
occhi e dirle che le voleva bene.
- Quando
potrò uscire di qui?- Chiese mostrandole una forza ed un
coraggio del tutto inaspettati che la lasciarono basita.
- Domani pomeriggio
potrai tornare a casa.- Le assicurò Faith baciandola sulla
guancia.
- Benissimo.-
Sbuffò - Sono stanca di queste minestrine da strapazzo. Non
sono ancora una vecchia senza denti.- Sostenne facendo un cenno al
piatto ancora pieno che stava sul comodino.
Faith sollevò un angolo della bocca e la sua espressione si
intenerì. Si aspettava di vederla scoppiare in lacrime da un
momento all'altro, ma la vide ostentare soltanto un sorriso carico di
amarezza, come se il male che si portava dentro fosse una normale
malattia guaribile in pochi giorni. Zia Becky era sempre stata
più forte di lei, per questo le piaceva così
tanto.
Ma il fatto che reprimesse i suoi veri sentimenti davanti ad una
gravità simile la preoccupò.
Tuttavia non insistette e accettò la possibilità
che magari le occorreva più tempo per assimilare la cosa.
- Verrò a
prenderti alle tre in punto, zia.- Le promise.
Afferrò la sua borsa, la saluto con una carezza ed
uscì dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle.
Non ne era sicura ma, mentre si allontanava, le parve di sentirla
piangere.
Taylor
Swift “You're Not Sorry”
La pioggia battente aveva lasciato dietro di sé un'aria
più pulita e più frizzante e il cielo della sera
si mostrava limpido ed infinito.
Il porto lì vicino era pieno di luci, ricco di lussuosi
yacht che ondeggiavano tranquilli tra i rumori della banchina in balia
dell'oceano che si muoveva lento e maestoso. Il Pacifico pareva
un'immensa macchia di inchiostro che, nonostante il suo aspetto
misterioso, infondeva sicurezza e tranquillità.
Lungo la spiaggia poco distante si intravedevano alcuni falò
innalzarsi in sottili fili che guizzavano verso le stelle e le risa dei
ragazzi intorno accrescevano e diminuivano ripetutamente a seconda
della direzione della brezza marina.
Faith aveva raggiunto l'estremità del molo e si era
accomodata su una fredda panchina di marmo alzandosi il bavero della
giacca e stringendosi nelle spalle per ripararsi dalla frescura della
sera. In lontananza sentì qualcuno suonare una nostalgica
melodia con la chitarra mentre il mondo proseguiva la sua corsa
incurante degli eventi che avevano sconvolto la sua giornata e la sua
vita.
Non aveva molta voglia di tornare a casa e allo stesso tempo non se la
sentiva affatto di gironzolare a vuoto per la città. Se
fosse rientrata si sarebbe buttata a letto perchè era
distrutta, ma non voleva sprecare il tempo a dormire. Un altro giorno
sarebbe giunto presto e un giorno in meno da vivere restava a zia Becky.
E non era giusto. Niente lo era in quel momento.
Udì i passi incerti di una persona che si avvicinava e si
voltò d'istinto.
- Sapevo che ti avrei
trovata qui.- Mormorò Holly.
- Già, sono
piuttosto prevedibile.- Ribatté Faith riportando lo sguardo
ad individuare la linea dell'orizzonte.
- Ti spiace se mi
siedo?-
- No.-
Con la coda dell'occhio Faith la vide tentennare un po’ per
poi sedersi vicino ad osservare il ripetitivo sciabordare delle onde
contro il molo. Le era chiaro che si sentiva in colpa per
ciò che era accaduto nel pomeriggio. Appariva talmente
imbarazzata da non rendersi conto del modo in cui si stava contorcendo
le dita.
Per la prima volta in vita sua Holly non sapeva come iniziare un
discorso di scuse, ma quel silenzio la uccideva a tal punto da indurla
a pronunciare poche semplici parole.
- Mi dispiace, Faith.
Davvero.-
Faith chinò la testa verso il basso senza guardarla. In
quell'istante non voleva perdonare il comportamento dell'amica,
però non intendeva né accusarla né
tanto meno litigare con lei.
- Non potevi saperlo,
Holly.-
Holly le sorrise tristemente con gli occhi velati. Avrebbe tanto voluto
chiarire il loro spiacevole incidente, ma comprese che non sarebbe
stato il momento opportuno per farlo. Si portò le mani in
grembo e sospirò.
- Come sta zia Becky?-
Faith si accigliò tornando a guardare i confini dell'oceano.
- Beh,-
Mormorò stringendosi nelle spalle - lei morirà.-
Disse piano con la voce incrinata. Era riuscita ad ammetterlo a
sé stessa e ciò non fece che aumentare l'angoscia
e la paura dentro di lei.
Holly si sentì salire le lacrime agli occhi.
- Che cosa
succederà adesso?-
- A parte il fatto che
un tumore al cervello presto se la porterà via per sempre,
non so cos'altro potrebbe succedere.-
- Faith.-
Sussurrò Holly poggiandole una mano sulla spalla - Che cosa
posso fare? Vuoi che ti faccia compagnia stasera?.-
- No.- Rispose Faith.
- Ma se vuoi posso
aiutarti con zia Becky e...- Insistette lei.
- No.-
Ripeté l'amica con una determinazione che non ammetteva
repliche - Holly,- Disse guardandola negli occhi - voglio stare sola.-
Holly annuì, interiorizzando il significato di quelle
parole, e contrasse le labbra per reprimere l'impulso di piangere.
- D'accordo. Chiamami
se avrai bisogno.-
La ragazza si alzò ed esitò un istante, come a
voler aggiungere altro, come a voler aggiungere che le voleva un bene
immenso, ma se ne andò senza dire nulla.
Faith la sentì allontanarsi e le venne l'istinto di voltarsi
per richiamarla, però qualcosa di indefinito nei suoi
ragionamenti la convinse a non farlo. Si odiava per come si era appena
comportata, ma allo stesso tempo confidava che sarebbe arrivato presto
anche il momento dei chiarimenti.
Alcuni uccelli notturni svolazzavano tra le piante del giardino
dell'ospedale ed un fugace soffio di vento trasportò il
profumo delle rose in fiore.
- Ti prego, Dio,-
Sussurrò Faith - se mi stai ascoltando, aiutami.-
|
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Capitolo 25 *** 25. Dimenticare (Parte Prima) ***
R
ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Ciao
a tutti!
Eccomi
qui con un nuovo capitolo per farvi i miei migliori auguri di un buon
anno nuovo!
Ringrazio
come sempre la mia fedele lettrice Saty e la mia
beta Mozzi84!
E, naturalmente, chiunque aggiunge la mia storia tra le Preferite e Seguite!
Per
questo capitolo vi suggerisco di ascoltare una canzone di Norah Jones, “The
Long Day Is Over”.
Buona
lettura!
25.
D
IMENTICARE
Parte
Prima
Al risveglio Faith impiegò qualche istante a capacitarsi di
tutto quello che era accaduto il giorno precedente, e immediatamente il
viso dolce di zia Becky affiorò tra i suoi pensieri.
Si stropicciò gli occhi voltandosi a guardare la sveglia
posta sul comodino che segnava le undici.
Aveva dormito fino a tardi e si alzò di scatto avvertendo la
calda luce del sole che riempiva la sua stanza.
Dopo essersi fatta una doccia fredda si
vestì e andò in cucina per prepararsi un paio di
toast che divorò in pochi minuti. La sera prima non aveva
mangiato niente poiché l'angoscia gliel'aveva impedito.
Con sua sorpresa si sentì più in forze rispetto
al giorno prima. C'era un nuovo capitolo da cominciare. Nonostante gli
avvenimenti precedenti, decise di impegnarsi a non pensarci e di
dedicare la sua più completa attenzione a Zia Becky.
Quanto altro tempo ancora le restava da vivere con lei? Poco,
pensò, troppo poco.
Uscì in giardino e si fece inondare dalla brezza primaverile
e dal profumo dell'oceano. Gli uccellini fischiettavano allegramente
tra i rami mentre due piccoli gatti giocherellavano con un tappo di
sughero lungo il vialetto.
Vicino alla riva alcune persone passeggiavano tranquille con il loro
cane fermandosi di tanto in tanto per lanciargli una pallina
o per accarezzarlo.
Faith guardò il cielo di quel giorno di maggio inspirando a
fondo. Il roseto che si inerpicava rigoglioso sul lato destro della
casa fino a toccare il tetto del porticato esibiva decine di boccioli
dai colori giallo rosati e infondeva nell'aria un aroma inconfondibile
che le immetteva nell'animo una forza inaspettata. Decise di
raccogliere un paio di rose da mettere in cucina e si
avvicinò al cespuglio facendo attenzione a non pungersi con
le spine. Con molta delicatezza ne staccò una e se la
portò al naso, odorandola ad occhi chiusi. Poi
staccò anche la seconda e le portò in casa, dove
gli tolse le spine ed eliminò le foglie guaste. Infine le
sistemò con cura all'interno di un vaso di vetro e, ad opera
finita, si allontanò dal tavolo su cui le aveva posizionate,
apprezzandone il risultato.
Realizzò che erano bellissime. Inevitabilmente gli tornarono
in mente le rose che ogni settimana rallegravano la casa, delle quali
non le restava che un solo mazzo essiccato nella sua camera da letto.
Si recò subito nel bagno perché il bucato ancora
da sbrigare la stava aspettando. Non aveva tempo di pensare al passato,
né poteva permetterselo. Finché si fosse tenuta
mentalmente occupata non avrebbe avuto nulla per cui stare male.
Giunse l'ora di recarsi in ospedale, dove zia Becky la stava aspettando
con l'ansia e l'irrequietezza di una ragazzina.
Il dottor Fawcett le aveva già fissato gli appuntamenti per
effettuare la chemioterapia e lei non vedeva l'ora di andarsene da quel
posto.
Faith chiuse il borsone e la accompagnò alla macchina
reggendola per un braccio. Il suo corpo era minuto e fragile e le si
strinse il cuore non appena il pensiero della malattia tornò
ad essere predominante.
Una volta a casa Zia Becky riprese in mano grembiule e utensili da
cucina sotto gli occhi sbigottiti della nipote.
- Che c'è?-
Le chiese la zia senza capire.
Faith scosse la testa, colta da una tenera malinconia.
- Bentornata a casa.-
Le mormorò abbracciandola - Mi sei mancata.-
Fino a quel momento la ragazza si era obbligata a non piangere davanti
a lei, ma tenendola tra le sue braccia non riuscì
più a resistere e scoppiò in lacrime,
singhiozzando convulsamente e stringendola sempre più forte,
come se compiere quel gesto sarebbe servito ad impedire al male di
portargliela via.
- Oh, zia. Ho tanta
paura.- Le confessò sommessamente.
- Stai tranquilla,
Faith. Andrà tutto bene. Sfogati, non trattenere tutto il
dolore.-
- Ma non posso. Dovrei
aiutarti e invece non faccio che rendermi ridicola e tu non hai bisogno
di avere vicino una persona come me.- Si lamentò Faith senza
lasciarla.
- Ma io ho bisogno di
te, e tu lo sai.- Ribatté la zia guardandola in viso - Tu
sei la ragione del mio essere. Non vorrei vicino nessun’altro
che te, bambina mia.-
Gli occhi di zia Becky si velarono e lei non fece nulla per
nasconderlo. Mentre abbracciava forte la nipote non poté
fare a meno di chiedersi quanti altri abbracci così avrebbe
potuto ancora donarle.
- Ti va di parlarne?-
Le chiese la zia qualche sera dopo, terminata la cena.
Erano passati alcuni giorni e lei aveva notato un certo cambiamento
negli atteggiamenti della nipote. Si teneva impegnata in ogni modo ed
era palese che lo faceva sforzandosi di dimenticare qualcosa. O
qualcuno.
Faith si infilò la matita tra le labbra ed
osservò l'abito che stava disegnando, con la testa piegata
di lato. Non andava più al
lavoro regolarmente ed aveva ottenuto il permesso dal capo di poter
sbrigare da casa tutto ciò che non richiedeva la sua
presenza in ufficio. In questo modo avrebbe continuato a lavorare per
l'azienda restando sempre vicina a sua zia, senza perderla mai d'occhio.
Zia Becky posò le tazze di the fumante sul tavolino del
salotto ed ammirò il disegno, lisciandosi il grembiule.
- È molto
bello.- Commentò.
- Non so.-
Obiettò incerta la nipote - Mi sembra che manchi qualcosa.-
Poi ripose la matita in un cassetto e chiuse il suo album decisa a
continuare l'indomani.
- Di cosa volevi
parlare?- Domandò.
- Cosa c'è
che non va? Da qualche giorno non ti sento parlare di Max. Non lo
chiami mai, non mi racconti più niente di lui.-
Faith annuì. Il solo sentire quel nome la fece sussultare
impercettibilmente, lacerandole il cuore che ancora sanguinava in
silenzio. Attendeva le lacrime, ma con sua sorpresa non arrivarono.
Era possibile che lei lo avesse già allontanato dai suoi
pensieri?
- È andato
via e credo che non tornerà più.- Rispose celando
la sua tristezza come meglio poteva.
Ma zia Becky non si lasciò sfuggire un dettaglio. La nipote
non aveva citato il nome del ragazzo e ciò evidenziava i
suoi rancori e il suo dispiacere ancora forti.
Faith lo aveva fatto di proposito. Che senso aveva stare male di nuovo?
Lui era entrato nella sua vita come un fulmine improvviso e ne era
uscito allo stesso modo, senza voler sentire ragioni. Con molta
probabilità non lo avrebbe rivisto mai più. Senza
dubbio si era trattato di una storia importante, ma adesso era finita e
lei non era la prima e non sarebbe stata di certo l'ultima ragazza
lasciata.
- Vorrei andare a
letto, zia. Non ti dispiace, vero? Sono un po' stanca.-
Mentì con uno sbadiglio.
La zia scosse la testa, affatto contrariata.
- Vai pure, bambina
mia. Buonanotte.- Le augurò in tono dolce.
La ragazza le diede un bacio sulla guancia e prese una tazza di the per
portarsela in camera.
Stando seduta sul letto di fronte al mazzo di rose bianche si
ritrovò inesorabilmente a pensare a lui. Anche se non aveva
la più pallida idea di dove fosse, lo immaginò
nel suo appartamento, magari disteso a letto con ancora indosso la
camicia e la cravatta col nodo allentato, a fissare il soffitto.
Era troppo pretendere che stesse pensando a lei?, si chiese. No, non lo
era.
Ma non poteva certo sapere che, in una stanza di un hotel londinese,
anche lui se lo stava chiedendo.
Arrivò la fine di maggio senza che Faith se ne accorgesse.
Ormai trascorreva tutto il giorno con zia Becky e quel
martedì avrebbe dovuto accompagnarla in ospedale per
cominciare il ciclo di chemioterapia.
In apparenza il tumore sembrava non dare segni evidenti, ma la ragazza
temeva il giorno in cui si sarebbe manifestato in tutta la sua
pericolosità.
Il dottor Fawcett si era preso l'incarico di occuparsene personalmente,
mantenendo come sempre la sua professionalità ed una certa
sensibilità nel gestire una situazione così
delicata. Aveva garantito a Faith la sua più completa
disponibilità ed intendeva mantenere la parola data.
Lasciata zia Becky temporaneamente tra le sue mani, la ragazza decise
di scendere al bar dell'ospedale per rinfrescarsi con una bevanda
dissetante.
Il sole si era imposto definitivamente su tutta la California e le
temperature erano aumentate considerevolmente, scacciando dallo stato
il cattivo tempo.
Mentre si recava al bar, lungo il corridoio si udì
improvvisamente un grido lamentoso e la ragazza fece appena tempo a
voltarsi di lato prima di sentirsi travolgere da una bambina che
strillava senza sosta, inseguita da un ragazzo alto e prestante.
- Oh, Cristo! Mi
perdoni signorina, io...- Si scusò l'uomo correndole
incontro.
- Fa niente, capita.-
Sdrammatizzò Faith risollevando la bambina da terra.
L'uomo si avvicinò preoccupato e si assicurò che
nessuna delle due si fosse fatta male.
- Faith!-
Esclamò con stupore dopo aver osservato la ragazza in viso.
Faith alzò lo sguardo e si trovò davanti Jason,
in blue jeans e maglietta bianca.
- Jason! Che sorpresa!
Ma che ci fai qui?- Gli chiese con un sorriso.
Il ragazzo indicò la bambina con un cenno e si
grattò la testa.
- La mia sorellina
poco fa è caduta giocando sull'altalena e si è
procurata un taglietto alla mano. Nulla di grave, ma sai come sono i
bambini.-
- Aspetta un attimo.-
Disse Faith osservando la bambina, sbalordita. Era passato
più di un anno e mezzo dall'ultima volta che l'aveva vista
ma, nonostante portasse la stessa chioma bionda e riccia, non l'aveva
riconosciuta. Non ricordava la sua età, forse sei, sette
anni, ipotizzò. Sul suo visino d'angelo spiccavano due occhi
di un colore verde azzurro, simili a quelli del fratello - Questa
è Sabrina? Caspita, com'è cresciuta in
così poco tempo.-
- Già.
Sembra che i bambini vogliano diventare grandi in fretta.-
Affermò Jason provando un leggero imbarazzo. Si
sentì le mani sudate e il semplice fatto di trovarsi di
fronte a Faith gli trasmetteva una maledetta e insensata agitazione.
Dal canto suo la ragazza si sentiva perfettamente a suo agio,
ostentando la gentilezza e la genuinità che la
contraddistinguevano.
Nel frattempo la bambina si era calmata e stava accarezzando
delicatamente i lunghi capelli di Faith, ancora china su di lei.
- Ciao, Sabrina.- La
salutò la ragazza dolcemente - Ti ricordi di me?-
La bambina scrollò la testa.
- In effetti,-
Rifletté Faith - mi avrai vista solo due o tre volte.-
- Che bei capelli che
hai. Assomigli ad una delle mie bambole.- Fece la bambina continuando a
lisciarle i capelli con la sua piccola manina.
Faith sorrise.
- Grazie! Davvero?-
- Sì.-
Confermò lei piena di convinzione - Ti va di
venire a vederle?-
Titubante, la ragazza alzò di nuovo lo sguardo su Jason, che
intervenne tempestivamente.
- Faith non ha tempo
adesso di venire a vedere le tue bambole, Sabrina.- Affermò
prendendole la mano.
La bambina ricominciò a piagnucolare e Jason si
chinò all'altezza del suo viso.
- Se adesso vieni con
me ti regalo subito un bel gelato.- Le propose.
- E io
verrò con te solo se Faith mi prometterà di
venire a vedere le mie bambole.- Ribatté la bambina
guardandolo dritto negli occhi.
Faith si lasciò scappare una risatina. Quella bambina era
davvero una furbetta, realizzò.
Jason spalancò gli occhi e rivolse lo sguardo a Faith del
tutto frastornato. La sua espressione implorava aiuto immediato e
soltanto lei avrebbe potuto dargli una mano.
- D'accordo,- Concesse
Faith - verrò a vedere le tue bambole, Sabrina.-
- Vieni domani?- Le
chiese la bambina tornando a sorridere, tutta eccitata.
- Beh, domani...-
Faith considerò un po' l'idea, ma lo sguardo più
che eloquente di Jason non le lasciava altra scelta. Aveva iniziato ad
asserire con la testa senza farsi vedere dalla sorella e sembrava
davvero disposto a tutto pur di compiacerla.
- Va bene, facciamo
domani, ok?- La accontentò.
La bambina prese a saltellare come un canguro piena di
felicità e Jason dovette faticare non poco per fermarla.
- Allora ti aspettiamo
domani pomeriggio, Faith. Mi raccomando, non dimenticarti.- La
pregò il ragazzo sentendosi trascinare via dalla sorella.
Anche Sabrina la salutò sbraitando lungo la corsia come
soltanto un bambino poteva permettersi di fare.
Faith li salutò con una mano ed entrò a passo
allegro nel bar dell'ospedale.
Quello era stato il primo momento in cui si era sentita veramente bene
dopo tanti giorni, ma il suo carattere e il suo contorto modo di
ragionare la indussero a sentirsi nuovamente in colpa.
“Smetti di pensare a
lui.” Si impose mentre sorseggiava un'aranciata.
Norah
Jones “The Long Day Is Over”
La sera stessa zia Becky sedeva in veranda con una coperta sulle gambe,
a scrutare il cielo e l'oceano. Si ritrovò a riflettere
sulla malattia che presto avrebbe preso il sopravvento su di lei. Come
la nipote, ancora non si capacitava di avere un tumore che stranamente
non dava segni particolarmente gravi, escludendo l'isolato episodio di
un paio di settimane prima.
Faith la raggiunse, interrompendo il flusso dei suoi pensieri, e si
sedette al suo fianco, in silenzio.
Ascoltarono i grilli cantare in coro mentre il sole calava pigramente
tingendo ogni cosa di rosso, e assimilarono quei tranquilli e
suggestivi momenti insieme. Il vento là fuori soffiava tra
le foglie e stormiva l'erba delimitante il vialetto di casa, facendola
frusciare.
Il tempo stava trascorrendo veloce. Faith si rese conto che
né lei né sua zia sapevano con certezza quanto
altro ne sarebbe passato, e decise di confidarsi.
- Sai che cosa non
posso biasimargli?- Domandò continuando a guardare l'oceano.
- Cosa?-
- Il fatto che lui sia
arrabbiato perchè mio padre ha ucciso il suo.-
Affermò in un sospiro - Lo sarei anch'io e credo che mi
sarei comportata allo stesso modo.-
Zia Becky tacque. Non che fosse del tutto in disaccordo con la nipote,
ma lei aveva la straordinaria capacità di riuscire sempre a
vedere l'altra faccia della medaglia, quella positiva.
- Tornerà.-
Realizzò in tono deciso.
Faith si voltò per guardarla. Alla luce rossa del sole
appariva così fragile e indifesa da suscitarle tenerezza e
l'istinto di abbracciarla in continuazione.
- Cosa te lo fa
pensare?- Le chiese scettica.
La zia si voltò a sua volta ed esitò pochi attimi
prima di rispondere.
- Lui ti guardava
nello stesso modo in cui tuo zio guardava me.- Rispose con gli occhi
velati.
Faith si sentì travolgere da un'ondata di ricordi che le
procurava troppo dolore, e respirò a fondo, come per
allontanare il passato che continuava a bussare alla porta del suo
cuore.
- Oggi pomeriggio in
ospedale ho incontrato Jason con la sua sorellina. Sta crescendo
così in fretta, zia. Dovresti vederla.-
Tergiversò la ragazza - Mi ha invitato a vedere le sue
bambole domani, ma non sono sicura di volerci andare.-
- E perchè
no?- Ribatté la zia - Ritengo che tu debba andarci,
così ti svaghi un po'. Sei sempre chiusa in casa. Io me la
caverò per due o tre ore.-
- Ricordi
cos'è successo l'ultima volta che ti ho lasciata sola in
casa, zia.- Osservò Faith accigliandosi.
- Si tratta di poco
tempo, Faith. Vai e divertiti.- La incitò zia Becky.
- Sicura?-
- Sicura.-
Ripeté l'anziana - E non sentirti in colpa. Tutto si
sistema. L'importante è crederci.-
La ragazza annuì. Quanto desiderava che lei avesse ragione,
ma era evidente che purtroppo non sarebbe mai andata così.
Insieme a sua zia tornò ad ammirare quella piccola palla
rossa che si immergeva nel Pacifico, spruzzando il cielo di rosa e di
viola e, per un attimo, due stupendi e profondi occhi verdi le si
figurarono nella mente.
|
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Capitolo 26 *** 26. Dimenticare (Parte Seconda) ***
R
ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Ciao
a tutti! Puntuale come spesso (non sempre, purtroppo!) ecco a voi il
capitolo 26! Mi auguro come al solito che vi piaccia!
Ringrazio
Saty: ti
giuro che non c'è alcun riferimento tra te e la sorellina di
Jason... :)
Grazie
anche a chi continua ad inserire la fan fiction tra le proprie Seguite
e Preferite! Ed un grazie anche alla beta, Mozzi84.
Buona
lettura! A presto!
26.
D
IMENTICARE
Parte
Seconda
- Coraggio, amico!
Divertiamoci!- Esclamò Tom Graham afferrando il grosso
boccale di birra che aveva davanti. Era il terzo che si stava scolando
da quando lui e Max avevano messo piede nel locale, ma pareva non
rendersene conto. Malgrado i suoi ventisette anni, però,
stava attento a non ubriacarsi, come era solita fare la stragrande
maggioranza dei ragazzi della sua età.
- Non sono dell'umore
giusto, Tom.- Ribatté Max a voce alta per sovrastare il
frastuono della musica suonata dagli Strongers, la band
della serata che stava eseguendo “Sweet
Child O Mine”.
Da più di due settimane l'amico aveva cercato in tutti i
modi di convincerlo ad uscire, e quella volta era riuscito nel suo
intento.
Lo aveva portato in uno dei locali più esclusivi della
capitale inglese, il Prospect
Of Whitby, lungo la Wappin
Wall, non molto distante dall'albergo in cui alloggiavano.
Costruito sulle rive del Tamigi nel 1520, si trattava del
più antico pub londinese che un tempo annoverava celebri
clienti come Samuel Pepys e Charles Dickens. Precedentemente veniva
denominato Taverna del
Diavolo, a causa della sua pessima reputazione, in quanto
era frequentato specialmente da briganti e assassini, e alcune leggende
locali raccontavano inoltre che proprio il conte Dracula si aggirasse
in quelle zone. Poi venne ricostruito in seguito all'incendio che lo
distrusse nel diciannovesimo secolo e assunse il nome attuale.
- È da
troppo tempo che non sei dell'umore giusto, Max.- Gli fece notare.
- Forse sarebbe stato
meglio se fossi rimasto in camera. Non sono molto di compagnia
ultimamente.-
- Secondo me tu hai
solo bisogno di svagarti un po'.- Suggerì Tom indicandogli
con un cenno due ragazze in tenuta decisamente sexy che sedevano al
bancone, bevendo cocktails dai colori fosforescenti con la cannuccia e
voltandosi ripetutamente nella loro direzione - Guarda come ci fissano
quelle due bamboline.-
Max girò la testa di lato giusto per accontentarlo e vide
due donne di indubbia bellezza ammiccargli maliziosamente. Poi
tornò a guardare la sua birra, mostrandosi annoiato.
- Non mi interessano.-
Affermò bevendone un sorso.
Attraverso le vetrate ammirò le acque scure del Tamigi
scorrere veloci, illuminate a tratti regolari da alcuni lampioncini che
riflettevano morbide luci gialle.
Tom si allungò sul tavolo avvicinandosi al viso di Max.
- Devo iniziare a
preoccuparmi, Max? Mi posso informare se nei dintorni c'è un
bar per soli ragazzi...- Lo prese bonariamente in giro, mantenendosi
serio.
Max ridacchiò.
- Ammettilo.-
Replicò seriamente - Ammetti che quest'idea attira
più te di me.-
Tom gli soffiò un bacio con la mano e Max scoppiò
a ridere.
- Se fai
così rischi di perderti una notte di sesso sfrenato con
quelle due.-
- Preferisco stare con
un buon amico.- Gli rivelò Tom levando alto il boccale.
Max lo scrutò, scettico, alzando un sopracciglio.
- Stai mentendo.-
Affermò risoluto.
- Stai sbagliando.-
Negò Tom.
- Io non sbaglio mai.-
Tom si fece una grassa risata e continuò a bere la birra. La
schiuma gli si fermò sul labbro superiore e Max
portò il suo sguardo altrove, tra il disgustato e il
divertito.
- Ma tu non sei
fidanzato?- Tergiversò - Non dovresti fare cattivi pensieri
su altre donne.-
- Perchè
avere una sola ragazza quando puoi averne di più?-
Obiettò Tom alzando le spalle, come se fosse implicita la
correttezza del suo ragionamento.
Max distolse un attimo l'attenzione per estrarre il cellulare che aveva
iniziato a vibrare nella tasca posteriore dei jeans e ne
guardò il display.
- Ecco, io gli
impartisco lezioni di vita e lui nemmeno mi ascolta.- Si
lamentò Tom alzando scherzosamente gli occhi al cielo. Ma si
fece serio quando notò il cambio di espressione dell'amico.
Max era rimasto per qualche istante a fissare il display che
lampeggiava, per poi richiudere il cellulare e riporlo nella tasca.
- Non rispondi?- Gli
domandò Tom con lo sguardo incerto.
- Non è
nessuno di importante.- Tagliò corto lui terminando la sua
birra. Alzò subito una mano per richiamare l'attenzione di
una cameriera e ne ordinò un'altra.
- Ma si,- Disse a Tom,
che nel frattempo lo stava analizzando, stupito - divertiamoci!-
- Sei un pessimo
ubriaco, Max, lasciatelo dire!- Affermò Tom sganasciandosi
dalle risate.
Max stava piegato in due sulla balaustra del marciapiede che
fiancheggiava la riva del Tamigi, completamente stordito e con un
fortissimo mal di testa, causato dalle sette birre che si era bevuto
senza nemmeno prendere fiato. Ad un certo punto era corso fuori dal
locale in preda ad un lancinante dolore allo stomaco, sotto
gli occhi perplessi di Tom, che lo aveva raggiunto preoccupato.
Non ricordava l'ultima volta che si era ubriacato, ma forse,
pensò, non aveva mai bevuto così tanto, e se ne
pentì amaramente, promettendosi che non l'avrebbe
più fatto.
- Se davvero vuoi
ubriacarti,- Gli consigliò Tom - fallo perchè ti
va di fare lo stupido o perchè quella sera ti va di bere.
Non vale la pena di stare male per una donna.-
- Sta' zitto, Tom.- Lo
apostrofò Max indispettito.
- Come vuoi.- Si
difese lui alzando entrambe le mani.
Percepiva il sibilare del vento gelido che faceva vibrare le lanterne
rosse sospese sopra l'ingresso del pub, e il freddo pungente lo
costrinse ad indossare il cappotto che Tom gli aveva cortesemente
portato fuori.
- Grazie.-
Borbottò senza guardarlo in faccia - Probabilmente ho
vomitato anche l'anima.-
Tom fece una piccola risata.
- Sono preoccupato per
te, Max.- Confessò accigliandosi.
Si poggiò con le mani giunte alla balaustra e
ammirò insieme a lui il suggestivo skyline di Londra, che
lasciava intravedere il Big Ben e la parte occidentale di Westminster
attraverso gli alberi frondosi.
- Non ne hai motivo.-
Replicò Max con gli occhi fissi sul Tamigi.
- No, non ne ho il
motivo, ma sei un mio amico. E quindi io mi preoccupo.-
Sbottò Tom - So bene di non poter comprendere il tuo stato
d'animo, ma permettimi di provarci.-
Max inspirò a fondo, affranto dall'aver ripetuto allo stremo
e poi esaurito tutti gli elementi per approfondire l'argomento.
- Suo padre ha ucciso
il mio, lei non me l'ha detto ed io l'ho lasciata. Fine della storia.
Non c'è nulla da comprendere.- Spiegò
schietto.
Tom preferì non aggiungere altro e rimase immobile, contro
la ringhiera. Si accese una sigaretta e gli anelli di fumo che uscivano
dalla bocca cominciarono a disperdersi rapidi nella notte.
Max si fregò le mani, unendole ad imbuto e soffiandoci
dentro per riscaldarle.
- Tom,-
Mormorò in tono compassionevole rivolgendogli lo sguardo -
apprezzo sinceramente il fatto che tu ti preoccupi per me, e sono
lusingato. Ma sono giunto ad un punto della mia vita in cui non so che
cosa devo fare. Soltanto il lavoro è l'unica cosa certa che
ho, e non mi va di elemosinare le attenzioni tue né di
nessun altro.-
Tom scrollò la testa.
- Ciò che
ti sto offrendo non si chiama elemosina, Max. Si chiama aiuto. Si
chiama amicizia. E non devi vergognarti di chiedere queste cose ad un
amico, perchè lui è qui per questo, o non si
chiamerebbe così se non lo fosse.-
- Non sono abituato a
chiedere aiuto. Ho imparato a fare sempre tutto da me.-
- Lo vedo. Guarda ora
dove sei arrivato. Non hai più alcuna certezza e non ti fidi
di nessuno.- Realizzò Tom - D'accordo, hai scoperto una cosa
terribile che riguarda tuo padre, tua madre e la tua ragazza ti hanno
mentito. Ma la vita non finisce qui, Max.- Si oppose guardandolo dritto
negli occhi - Si va avanti, si volta pagina. Ci sono milioni di ragazze
disposte a stare con te. E credo che dovresti parlare con tua madre
perchè di mamma ce n'è una soltanto e non la si
può rimpiazzare. Non fare come me, che ho lasciato morire i
miei genitori senza avergli mai detto quanto li amassi. E ora me ne
pento ogni giorno che passa.-
- E se io non volessi
andare avanti, Tom? Se volessi restare qui, in questa pagina bianca che
separa un capitolo da quello successivo?-
Tom tirò l'ultima boccata di fumo e gettò il
mozzicone nel fiume.
- Significa che non
sei pronto a dare un taglio netto col passato.- Dichiarò
pieno di convinzione - Sei ancora innamorato di quella ragazza?-
Max parve pensarci un po'. Se l'era chiesto mille volte da quando aveva
lasciato Faith lungo il vialetto della sua casa, con la pioggia che
infradiciava i suoi abiti e gli occhi pieni di lacrime, ma sentire
quella domanda provenire dalla bocca di qualcun altro gli
agitò il cuore, e frammenti di ricordi si susseguirono
rapidi nella sua testa.
- Credo... credo di
sì.- Mormorò piano, sorprendendo sé
stesso di averlo confessato - E mi odio per questo, perchè
non voglio più amarla.-
- Allora volta pagina,
Max.- Concluse Tom con decisione.
- La fai facile, tu.-
Replicò sarcastico il ragazzo.
- Basta volerlo.-
Disse l'amico poggiandogli una mano sulla spalla - Basta volerlo.-
Basta volerlo.
Con un po' di impegno probabilmente Max sarebbe riuscito a voltare
pagina senza vedere lo sguardo di Faith in qualunque cosa
intraprendesse.
Ma lei era presente in ogni momento della sua giornata e gli sembrava
impossibile dimenticarla. L'aveva amata con tutte le sue forze ed ora
era tutto finito, come un fiore tropicale che fiorisce ed appassisce in
pochi attimi.
Entrò nella sua stanza d'albergo, si allentò il
nodo della cravatta e si avvicinò alla finestra. Una
debole acquerugiola iniziò a cadere picchiettando
sui vetri e trasformandosi ben presto in un vero e proprio acquazzone.
Max scostò la tenda e poggiò una mano sul vetro,
percependone la freddezza. Oltre il suo riflesso riprodotto dalle mille
gocce che scivolavano verso il basso, osservò la
città coperta da una fitta cortina di pioggia, con le
persone che correvano al coperto, colte alla sprovvista dal temporale.
Aveva sempre considerato Londra una città fredda, ma c'era
qualcosa che lo attirava in quei luoghi immuni allo scorrere del tempo.
Una sorta di segreto pareva celarsi tra i lampioni lungo le strade, tra
i palazzi e le abitazioni intorno, tra le tante finestre che si
affacciavano sulle vie, tra i locali ed i negozi old fashion.
Tutto conservava lo stesso fascino misterioso dell'Ottocento.
Anche le persone si comportavano in maniera nettamente diversa da
quella degli americani, a cominciare dal loro inconfondibile accento
inglese, che ostentava una rigorosa eleganza ed una raffinatezza tipica
dei grandi scrittori e poeti più importanti della storia
culturale dell'Inghilterra.
Gli tornò in mente un aforisma di Oscar Wilde, probabilmente
letto tanti anni prima in un libro di scuola. L'aveva rimosso dai
ricordi, ma improvvisamente si fece largo tra i suoi pensieri, e diceva
esattamente: “Le
cose durano troppo o troppo poco”.
Proprio ciò che lui aveva provato sulla sua pelle.
Strano, pensò, come un poeta di quell'epoca potesse avere
una mente così geniale per analizzare il tempo in ogni sua
forma, esponendo anche le teorie più logiche , che tutti
danno per scontato.
E, in fondo, se ci si riflette con attenzione, quelli di Wilde sono tra
i pensieri più veri e sensati che si possano conoscere.
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Capitolo 27 *** 27. L'Invito ***
R
ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Ciao!!!
Eccovi
il capitolo 27. Spero che questa storia vi piaccia e ringrazio come
sempre la mia fedele lettrice Saty,
la mia beta Mozzi84
e tutti coloro che inseriscono la fan fic tra le Seguite e Preferite,
che sono davvero in tanti! Grazie!
27. L
' INVITO
All'ospedale, Faith si era scordata di chiedere a Jason e a Sabrina a
che ora li avrebbe dovuti raggiungere a casa e pensò che le
quattro del pomeriggio fosse un orario più che adeguato per
far loro visita.
Abitavano in una casetta abbastanza modesta ad Hermosa Beach, tra la
Manhattan e la Redondo Beach, spiagge sempre affollate di persone
stravaganti, ma molto divertenti e cordiali.
La ragazza parcheggiò l'auto di fianco alla cancellata
coperta da siepi e piante rampicanti, scese e suonò il
campanello. Aveva optato per un look casual, non le sembrava il caso di
abbigliarsi in maniera troppo formale. Pensandoci bene, davanti allo
specchio le suonava strano il fatto di aver accettato l'invito del suo
ex fidanzato, ma convinse sé stessa che, in fondo, lei lo
aveva fatto solo per accontentare Sabrina.
Quella bambina le ispirava simpatia e tenerezza e le sarebbe
dispiaciuto rifiutare la proposta di “vedere le sue
bambole”.
Lungo la strada aveva deciso di fermarsi in una gelateria vicino al
porto principale della città per acquistare una vaschetta di
gelato. Presentarsi a mani vuote non era mai un gesto educato e inoltre
la infastidiva parecchio.
Dopo qualche istante il cancello si aprì con un rumore
metallico e la porta sopra le scale si spalancò di colpo.
Sabrina, vestita con un abitino azzurro intonato ai suoi occhi,
guizzò fuori e corse incontro alla ragazza, che
l'abbracciò divertita e stupita di come fosse
così affabile e disinvolta per l'età che aveva.
- Ti ho portato il
gelato.- Le annunciò Faith esibendo la vaschetta - Spero che
ti piacciano i gusti che ho scelto.-
- A me piacciono
tutti.- Dichiarò la bambina.
Faith le diede un buffetto sulla testa e notò che Jason le
stava osservando in cima alle scale con le braccia conserte.
- Benvenuta.-
Esordì il ragazzo.
Lei tolse gli occhiali da sole e gli sorrise. Quindi prese Sabrina per
mano e lo raggiunse.
Guardandolo con più attenzione, le sembrò che per
lui il tempo non fosse passato per niente. Era rimasto lo stesso
identico ragazzone di quando lo aveva conosciuto, con i capelli corti
biondo scuro e il fisico atletico, frutto degli anni d'infanzia passati
a praticare il windsurf.
In passato i suoi genitori avevano avuto gravi problemi di salute e per
questo lui era entrato nel giro dell'alcol mentre stava insieme a
Faith. Poi la situazione era migliorata, ma lui continuava a bere. Ne
era uscito poco dopo, quando la fine della loro storia gli aveva fatto
capire che, se avesse continuato così, non ci sarebbe stato
alcuno scopo nella sua vita e non avrebbe incontrato nessuna donna
disposta a vivere con un alcolizzato.
- Sembra che tu sia
diventata la sua nuova migliore amica.- Commentò con un
sorriso.
- É
adorabile.- Affermò Faith entrando in casa.
Jason avvertì una leggera traccia di profumo al suo
passaggio. Trovò che fosse davvero una ragazza molto carina
e inoltre gli piaceva il modo in cui si comportava con sua sorella. In
genere le altre ragazze della sua età snobbavano i bambini,
prestando più attenzione a non rovinarsi l'acconciatura o le
unghie.
- Lascia pure il
gelato, Faith. Lo porterò in cucina e vi
aspetterò mentre guardate le bambole.- Si offrì
liberandole le mani. Sentì un brivido sfiorandole le dita e
si obbligò a pensare ad altro, recandosi in cucina senza
voltarsi. Gli era chiaro che lei aveva ancora una certa influenza su di
lui. Era tutto accaldato e le mani gli tremavano per l'emozione. Il
solo pensare che lei fosse in casa sua lo agitava come un ragazzino.
Quando Sabrina aprì la porta della sua stanza, Faith rimase
sbalordita.
Il sole inondava la cameretta con ampi fasci di luce e decine di
piccoli occhi parevano fissarla. Si aspettava di trovarsi davanti delle
semplici bambole di plastica, invece decine di bambole di porcellana
erano disposte ordinatamente su mobili e scaffali di legno.
Entrò lentamente in quella stanza dipinta di rosa, dove si
respirava aria di fiaba e dove ogni giocattolo aveva la sua
collocazione. Non le pareva vero che una bambina così
piccola potesse essere anche così ordinata.
- Vieni.- La
invitò Sabrina con un sorriso stampato sul viso angelico.
- Sono... bellissime.-
Mormorò Faith completamente rapita.
Le bambole, minuziosamente curate negli abiti e nei capelli, erano
degne di un vero collezionista. Alcune di esse sembravano antiche e, a
suo parere, avevano di certo un gran valore.
- Oh, mio Dio!-
Esclamò soffermandosi a guardare una bambola con un vestito
ricco di pizzi e merletti - Ma questa è una Honey Doll.-
Fece per toccarla con la punta di un dito, ma si bloccò per
rispetto, in quanto non era di sua proprietà.
- Puoi prenderla in
mano se vuoi.- Le concesse Sabrina piena di orgoglio.
Faith si voltò a guardarla per accertarsi di aver sentito
bene e la bambina le esibì il suo candido sorriso.
Incredula, riportò la sua
attenzione sulla bambola, la prese diligentemente tra le mani e si
sedette sul bordo del letto, seguita da Sabrina.
Le raccontò di aver posseduto una bambola molto simile da
piccola, e di averla perduta durante il corso degli anni. Probabilmente
stava ancora in soffitta da zia Becky, chiusa in un vecchio baule pieno
di cianfrusaglie, le disse.
Rivedere quella bambola le fece tornare in mente sua madre. Si
ricordava nei minimi particolari quando gliel'aveva regalata, per il
suo quinto compleanno. Quel giorno si era commossa parecchio
perchè l'aveva desiderata con tutto il cuore e non se
l'aspettava di certo. La sua famiglia non apparteneva al ceto
benestante e un giocattolo simile era decisamente al di fuori delle
possibilità economiche dei suoi genitori.
La porta della stanza si aprì e Jason infilò
dentro la testa.
- Il gelato
è servito, ragazze.- Le avvertì.
- Arriviamo subito.-
Replicò Faith destandosi dai ricordi d'infanzia.
Si alzò dal letto e fece per rimettere la bambola al suo
posto, ma Sabrina intervenne.
- Prendila, Faith.-
- Come dici?-
Domandò Faith confusa.
- Ho detto: prendila.
Te la regalo.- Replicò candidamente la bambina.
- Ma... non posso,
Sabrina. È tua, e non sai quanti soldi possa valere un pezzo
simile.- Spiegò Faith, commossa, ma allo stesso tempo
lusingata da una proposta così allettante.
- Ma tu sei una mia
amica adesso e io voglio regalartela.-
- Facciamo
così.- Propose Faith abbassandosi all'altezza della bambina
- Andrò in soffitta per controllare se la mia vecchia
bambola c'è ancora e se la troverò, te
la porterò, così potremmo scambiarle. Sei
d'accordo?-
Sabrina asserì con la testa e Faith le fece una carezza sul
viso.
- Andiamo. Tuo
fratello ci sta aspettando.- Le ricordò prendendola per
mano.
La veranda sul retro della casa era piacevolmente fresca ed ombreggiata
dai pini marittimi che incorniciavano l'abitazione insieme a molte
piante grasse e fiori straordinari. Da un lato l'oceano pareva essere
ricoperto da milioni di diamanti che brillavano al sole, dall'altro
villette variopinte e dimore storiche impreziosivano l'Hermosa Beach di
quella Los Angeles meno caotica e meglio accessibile.
Sabrina aveva già polverizzato due coppette di gelato e si
era dileguata, dopo che la bambina che le abitava vicino l'aveva
invitata a giocare a casa sua, lasciando Faith e Jason soli sotto il
porticato.
L'invito di Sabrina era diventato una sorta di appuntamento con il
fratello e soltanto in quel momento Faith si sentì
lievemente a disagio.
-
Allora,- Esordì posando la coppetta vuota sul tavolino -
quando mi presenti la tua ragazza?-
Jason esitò un istante in cui si lasciò sfuggire
una risatina nervosa.
- Beh, non so se sia
il caso, Faith.-
La ragazza alzò lo sguardo su di lui, incuriosita.
- Perchè
no?-
Jason si strinse nelle spalle.
- Perchè
no.- Ripeté stringendosi nelle spalle - Vuoi altro gelato?-
Faith scosse la testa.
Lui si alzò in piedi, afferrò le coppette
impilandole una sopra l'altra e le portò in casa.
- Non è una
risposta sensata la tua.- Osservò lei alzandosi a sua volta
per seguirlo.
Entrò in cucina e lo guardò risciacquare
velocemente i cucchiaini e le coppe nel lavello per poi riporre tutto
in un mobiletto accanto al forno a microonde.
- Non mi sembra il
caso che tu la conosca. Dove non vedi un senso?- Domandò
abbozzando un sorriso mentre si asciugava le mani.
Faith annuì. Effettivamente era stato molto chiaro, ma non
riusciva a comprendere il suo comportamento.
- D'accordo.- Disse
soltanto.
Tacquero entrambi per alcuni minuti. Lui aprì il frigorifero
ed estrasse due bottiglie di coca cola, posandole sul tavolo che lo
separava da Faith. Poi prese due bicchieri e glieli sistemò
a fianco.
Lei si guardò un po' intorno, fingendo di interessarsi ad
una composizione di fiori secchi vicino ad una finestra.
- E tu?- Riprese il
ragazzo.
- Io cosa?-
- Tu quando mi
presenti il tuo fidanzato?-
Faith avvertì un'istantanea fitta di disagio e un brivido le
percorse la spina dorsale.
- Non mi sembra il
caso.- Scosse la testa sollevando un angolo della bocca.
Jason sorrise e bevve un sorso di coca. Il suo sguardo si
soffermò un po' troppo a lungo su di lei, che parve
accorgersene, cogliendola in imbarazzo.
- Che c'è?-
Chiese turbata.
- Niente.- Si
affrettò a rispondere lui, spostando le sue attenzioni
altrove.
- Non mi pare che la
nostra sia una conversazione da adulti.- Realizzò Faith
sdrammatizzando quella situazione inverosimile.
- No, per niente.-
Concordò Jason, divertito.
Si era infilato le mani nelle tasche posteriori dei jeans, dondolandosi
sui talloni come un bambino in procinto di confessare una colpa. Con la
differenza che lui non aveva alcuna colpa da confessare, ma un misto di
imbarazzo e di felicità nel trovarsi di fronte a lei lo
stava completamente rincitrullendo. La stessa sensazione che si
ricordò di aver provato il giorno precedente all'ospedale.
“L'OSPEDALE!
Ma certo!” Pensò soddisfatto di aver
finalmente trovato un argomento da trattare.
Finché Sabrina si era trovata nei dintorni, lui aveva potuto
“utilizzarla”
come scudo, ma da quando l'aveva lasciato da solo con Faith, la sua
testa si era tramutata nel caos più assoluto.
- Ok.- Disse Faith,
buttando l'occhio sull'orologio che portava al polso - Si è
fatto tardi, Jason. Devo proprio rientrare.-
- Certo.- Si
rassegnò lui, destandosi da quel torpore fatto di timidezza
- Ti accompagno all'uscita.-
Le aprì la porta, indeciso se baciarla sulle guance o meno,
ma lei lo anticipò e gli porse una mano.
- Grazie per questo
pomeriggio.- Mormorò.
Lui gliela strinse e sorrise.
- Ringrazia Sabrina.-
Lei rispose al sorriso ed annuì.
- Dalle un bacio da
parte mia.-
- Lo farò.-
Faith s'incamminò verso il cancello e Jason si sorprese ad
ammirare il modo aggraziato con cui scendeva le scale.
- Faith.- La
richiamò.
Lei si voltò.
- Credi che potrei
passare a trovarti uno di questi giorni?- Era riuscito a dirle qualcosa
di sensato e sentì pervadersi da un impeto di orgoglio.
Faith rimase un po' stupita dalla richiesta, ma non vedeva
perchè non avrebbe dovuto approvarla.
- Ne sarei davvero
felice, Jason.-
- A presto, allora.-
Affermò, alzando una mano in segno di saluto.
Lei sorrise di nuovo ed uscì, richiudendo il cancelletto.
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Capitolo 28 *** 28. Andare Avanti ***
R
ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Buonasera
a tutti!
Questa
settimana ricorre una data importante. La mia carissima amica Saty compie gli
anni, ed è mia intenzione farle gli auguri durante la
pubblicazione di un nuovo capitolo, sperando che non se ne abbia a
male! Perciò...
Tanti
Auguroni di cuore, Sabrina!!!!
Mentre
a tutti i lettori che mi seguono auguro una buona lettura e ringrazio
tutti quanti inseriscano questa storia tra le Preferite e Seguite!
Grazie
anche a Mozzi84,
che questa settimana non perderà occasione di indossare una
mascherina rosa con tanto di piumaggio in tinta annesso e connesso per
partecipare al Gran Carnevale di Venezia! Chiunque vorrà la
potrà incontrare nella più celebre piazzetta
della laguna dove impazza la festa... XP
A
presto!
MM
28. A
NDARE AVANTI
Com'era prevedibile, il pomeriggio seguente, poco dopo le due, Jason
bussò alla sua porta e, quando se lo trovò
davanti, Faith non poté trattenersi da sorridergli.
- Non ti aspettavo
così presto.- Ironizzò, sistemandosi un
asciugamano giallo attorno collo. L'ondata di afa che in quei giorni
aveva investito la città stava raggiungendo temperature
decisamente alte per essere a metà maggio.
Tuttavia Jason, con un berretto da baseball, una canotta bianca e un
paio di pantaloncini cachi, pareva essere perfettamente a suo
agio, fresco e rilassato.
- Se ti ho disturbata,
torno a casa.- Fece grattandosi dietro la nuca.
- No, affatto.-
Diniegò lei scuotendo la testa - Entra. Lì fuori
fa parecchio caldo. Non che qui dentro si stia tanto meglio,
però...-
Faith si legò rapidamente i capelli in una coda improvvisata
e lo condusse in cucina.
- Ti va un po' di
spremuta d'arancia? L'ho appena fatta.-
- Sì.-
Rispose lui, mettendocela tutta per mantenersi tranquillo.
Faith aprì l'anta di un armadietto sopra il lavello per
prendere due bicchieri e un pezzetto di pelle si scoprì
appena sotto la maglietta corta.
Jason non poté fare a meno di notarlo e distolse subito lo
sguardo, togliendosi il cappello per passarsi l’avambraccio
sulla fronte, che aveva immediatamente iniziato a sudare.
La ragazza posò i bicchieri sul tavolo e lo
guardò dondolarsi sui talloni, esattamente come aveva fatto
il giorno prima, con le mani che stringevano convulsamente lo schienale
della sedia.
- Non ti siedi?-
- Sì.-
Rispose lui.
- Sai dire solo “sì”
oggi?- Gli chiese divertita.
- Sì.
Cioè, no.-
La ragazza ridacchiò e prese a versare la spremuta nei
bicchieri.
- Ascolta, Jason,
è normale l'evidente imbarazzo che entrambi proviamo quando
siamo l'una di fronte all'altro, ma penso che non ci sia alcun motivo
di sentirsi così. Siamo soltanto due vecchi amici. Mettiamo
da parte impedimenti e perplessità. Possiamo vederci quando
vogliamo. Sempre che tu sia d'accordo, naturalmente.-
- Sì.-
Replicò Jason, e Faith lo guardò un attimo per
poi ridere di nuovo. Anche lui rise, rendendosi conto che stava
rispondendo sempre allo stesso modo.
- Sì, sono
d'accordo. Che stupidi che siamo. Nessun imbarazzo.- Approvò
risoluto. Corrugò la fronte per un istante, poi si sedette e
bevve un sorso di spremuta.
- Hai qualche
programma per il resto della giornata?- Le domandò.
Lei si passò il dorso della mano sulla fronte accaldata.
- Se finire di fare le
pulizie in casa lo definisci “programma”,
allora sì.-
Jason parve riflettere
sulla risposta, quindi tornò all'attacco.
- E stasera sei
libera?-
- Ho promesso che
avrei aiutato mia zia a preparare la cena.-
- Allora dopo cena.-
Insistette lui.
Faith sorrise, maliziosa. Avrebbe voluto chiedergli della sua ragazza,
ma il giorno precedente l'argomento non aveva riscosso un grande
successo. Suo malgrado, però, dovette ammettere che non era
normale che lui preferisse la sua compagnia a quella della sua
fidanzata. Qualcosa non la convinceva, ma per quella volta decise di
lasciar correre.
- Ho programmato di
portare Sabrina al Neptune's Net a bere un frappè. Non puoi
mancare.- Spiegò Jason per cercare di convincerla - Anche
perchè non fa che chiedere di te.- Aggiunse facendo vagare
lo sguardo nella stanza, quasi a voler dimostrare invano un certo
disinteresse nei suoi confronti. Era palese che anche lui desiderasse
la sua compagnia.
- Il Neptune's?- Fece
lei richiamando meravigliata la sua attenzione.
- Sì. Che
c'è di strano?-
- Non è un
bar per motociclisti?-
- Sì. E
quindi?-
- Jason, non per
guastarti la festa, ma io non guido una moto. E nemmeno tu, se non
sbaglio.-
- Non importa.
Chiunque può entrarci. Fanno i frappè
più buoni della contea.- Affermò lui strizzandole
un occhio.
- Se la metti
così...- Si rassegnò lei - Mi unirò a
voi.-
- Fantastico!-
Esclamò il ragazzo, soddisfatto per aver raggiunto
l'obiettivo - Passeremo a prenderti alle nove.-
- D'accordo. Vi
aspetto.-
- Adesso - Disse lui
alzandosi in piedi ed indicando la porta con un cenno della testa - Ti
lascio alle tue faccende domestiche.-
- Wow! Non vedo
l'ora.- Fece lei sarcastica.
Uscirono sotto il porticato e l'aria calda e umida li
investì dopo pochi brevissimi istanti.
- A stasera, Faith.-
Le mormorò in un sorriso.
- A stasera.-
Ripeté lei.
Il ragazzo scese atleticamente i gradini con un balzo,
attraversò il giardino e salì sulla sua jeep blu
scuro. Una volta acceso il motore la
saluto con una mano.
Faith rispose al saluto stando appoggiata ad una colonna di legno del
porticato. Nonostante il ricordo di Max fosse ancora vivido nella sua
testa, avvertì qualcosa di diverso nel suo stato d'animo.
Forse la felicità nell'aver ritrovato un vecchio amico,
forse la certezza che, con tutta la sua buona volontà,
sarebbe riuscita a superare quel momento così duro per lei,
perchè anche se lo aveva perso, una piccola parte del suo
cuore si ostinava ad amarlo e a sperare che un giorno non troppo
lontano Max sarebbe tornato.
Le bandiere sul molo sventolavano irrequiete nella brezza del
crepuscolo mentre gli aloni ramati del sole all'orizzonte si diluivano
nell'immensa oscurità dell'oceano. Il grido degli uccelli
marini si mescolava allo scroscio ripetuto delle onde sugli scogli e
alla musica proveniente dall'interno del locale.
- Non ero mai stata
qui.- Dichiarò Faith guardandosi intorno.
Avevano deciso di sedersi all'aperto, sotto il porticato retrostante il
locale, dove si godeva di una veduta dell'intera zona costiera di Los
Angeles interamente punteggiata di migliaia di luci. Poco distante dal
loro tavolo un gruppetto di ragazzi assisteva divertito ad una partita
di ping pong, bevendo birra e ridendo rumorosamente.
- Hai fatto male.-
Osservò Jason sedendole a fianco - Ma hai recuperato in
tempo.-
Faith fece un'allegra risata.
Sabrina si sedette e poco dopo una cameriera con i jeans strappati e
una polo nera con stampato il suo nome si avvicinò al tavolo
per dar loro il benvenuto e lasciare i menu. Allontanandosi, si
fermò pochi istanti, incuriosita da come procedeva la
partita di ping pong alle loro spalle, e ridacchiò alla
battuta di un ragazzo biondo e tatuato.
- Giochiamo a ping
pong?- Domandò Sabrina con gli occhi che seguivano ogni
rimbalzo della pallina.
- Quando si
libererà il tavolo, giocheremo anche noi.- Le rispose Jason
aprendo il menu - Ora dimmi che frappè vuoi.-
- Fragola.-
Affermò senza guardare il fratello. Il gioco era molto
più interessante.
Faith sfogliò attentamente il carnet. C'erano un sacco di
frappè differenti e lei si trovò indecisa su tre
tipi.
- Non saprei davvero
quale scegliere.- Mormorò meravigliata per la grande
varietà che il Neptune's offriva. Fece scorrere un dito
lungo la pagina e poi guardò Jason.
- Mela verde.- Decise.
Lui storse il naso e mugugnò.
- Un po' aspro.-
- Mmm... Allora
ananas?- Suggerì lei.
- Troppo ordinario.-
Replicò il ragazzo scuotendo la testa. Continuava a leggere
le pagine e Faith non si accorse che stava sorridendo senza farsi
vedere.
Sbarrò gli occhi e poi li riabbassò sul menu.
- Cioccolato?- Disse
infine. Era l'ultima tra le sue scelte.
- Troppo dolce.-
- Allora sceglilo tu
per me!- Sbottò Faith fingendosi scocciata.
Jason richiuse il menù con un leggero tonfo e la
guardò in viso, dandosi un'aria da esperto.
- Peperoncino e
cipolla.-
- Non se ne parla!-
Lui sorrise. Si stava divertendo a prenderla in giro e lei gli diede un
colpetto sulla spalla.
- Ti consiglio il
cocco. Fresco ed estivo. E non eccessivamente dolce.-
Lei ci pensò un po' su.
- D'accordo. Vada per
il cocco.-
Quando Victoria, la stessa cameriera che aveva lasciato i
menù, tornò con il taccuino e la penna, Jason
ordinò per tutti. Sabrina era ancora immersa nella partita e
si capiva dall'espressione raggiante dipinta sul suo viso che si stava
divertendo.
- È bello
che ti occupi di tua sorella. Sembrate andare d'accordo.-
Osservò Faith voltandosi verso Jason.
Lui sbuffò, divertito, portandosi le mani alle tempie.
- A volte è
davvero instancabile e non mi dà retta quasi mai. Stasera
invece è piuttosto tranquilla. I miei genitori sono partiti
per festeggiare l'anniversario del loro matrimonio. Hanno deciso di
fare il giro del mondo. Quindi la sorellina tocca a me.- Concluse
sorridendo.
- È una
brava bambina.-
- Su questo non
discuto. Perlomeno non è capricciosa come le sue amiche.
Anzi, a volte mi stupisce quando esprime i suoi pensieri. Mi sembra di
parlare con un'adulta. Ma altre invece, non voglio pensarci! Testarda
come un mulo. Quando si mette in testa un'idea, dev'essere quella per
forza.-
Faith rise. Trovò che Jason fosse diventato davvero un bravo
ragazzo, oltre che un fratello presente. Lei era figlia unica e aveva
sempre desiderato un fratello più grande.
- Quando torneranno i
tuoi genitori?-
- Fra due settimane.
Sono giunti a metà del loro viaggio. Dicono che si stanno
divertendo a visitare i luoghi più sperduti del pianeta.
Perù, Isola di Pasqua, Australia. L'ultima volta che li ho
sentiti si trovavano in Cambogia.-
Faith spalancò la bocca.
- Caspita, devono
divertirsi un mondo. Anche a me piacerebbe fare un viaggio
così.-
Jason la
osservò per qualche istante e socchiuse le labbra,
intenzionato a dirle qualcosa, ma giudicò più
corretto tacere.
- Pure a me.-
Replicò soltanto, asserendo con la testa.
- Che fai adesso,
Jason?- Gli chiese Faith.
Lui credette di essere stato scoperto e provò un pizzico di
imbarazzo.
- Sto seduto qui, con
mia sorella ed una cara amica.- Rispose.
Faith sorrise, piegando la testa di lato.
- No, intendevo, di
cosa ti occupi durante il giorno.-
- Oh, io lavoro
giù allo Yacht Club da circa un anno.-
- Sembra interessante.
E ti piace?-
- Sì.-
Faith esaminò attentamente la sua espressione ed
intuì che non era tutto.
- Ma?-
- Nessun “ma”.-
Si affrettò a rispondere lui - Sorveglio quotidianamente gli
yacht, li tengo in ordine. Ma in questi giorni quasi tutti i soci sono
partiti per le Hawaii. Una specie di viaggio di gruppo. Quindi al
momento non ho molto lavoro da fare. A volte sostituisco un collega che
rifornisce di carburante tutte le barche del club. È...
rilassante, devo dire. E inoltre il titolare mi permette di portare
Sabrina con me.-
- Puoi anche guidare
una barca?- Domandò lei mostrandosi interessata.
- Certo. La mia
famiglia è socia del club e ne possiede una, giù
al molo. Devo ringraziare loro se ora ho la possibilità di
lavorare lì.-
- Se la staranno
godendo per il viaggio, immagino. Come li invidio.- Sospirò
Faith con lo sguardo sognante.
- No, hanno preferito
viaggiare in aereo. Così hanno meno pensieri. E anche noi
qui a casa. Mia madre non è un'avventuriera alla Indiana
Jones.- Scherzò lui.
Proseguì a parlare dell'itinerario del viaggio intorno al
mondo dei suoi genitori, in quanto Faith si dimostrava sinceramente
interessata, finché Victoria giunse al loro tavolo poggiando
un vassoio con tre bicchieroni colorati. Soltanto allora Sabrina
staccò gli occhi dal tavolo da ping pong per dedicarsi al
suo frappè.
La cameriera finì di distribuire i bicchieri e, quando Jason
estrasse il portafoglio per pagare il conto, Faith lo fermò,
aprendo la sua borsetta.
- No.-
Replicò il ragazzo con determinazione - Sei nostra ospite.
Lascia fare a me.-
Faith richiuse la borsa, lanciandogli un'occhiata di rimprovero. Lui
pagò Victoria e rimise il portafoglio nella tasca posteriore
dei jeans, facendo finta di niente.
- Questo
frappè ha un aspetto fantastico!- Esclamò
portando la sua attenzione sull'ombrellino variopinto che sbucava dal
bicchiere. Faith sorrise e scrollò il capo, divertita.
Le era sempre piaciuto quel lato teneramente infantile che ogni tanto
Jason ostentava. Certo, ammirava gli uomini forti e sicuri di
sé, ma le piaceva soprattutto che un ragazzo fosse dolce e
non avesse completamente rimosso dal suo carattere quella parte di
“eterno bambinone” che la inteneriva tanto.
Senza rendersene conto si era voltata verso l'oceano e osservava le
onde illuminate dai fari lambire la riva con la loro schiuma argentata.
Il Pacifico appariva come un liquido nero che rispecchiava lo spicchio
della luna comparso appena sopra la frastagliata costa, ricca di luci e
di vegetazione. Il cielo terso e privo di nuvole cominciava a riempirsi
di stelle, che ammiccavano ritmicamente, mentre una leggera caligine
cancellava la linea dell'orizzonte.
In quell'attimo, senza un preciso collegamento, si ricordo di quando,
un pomeriggio di marzo, lei e Max avevano aiutato zia Becky nella
preparazione di una torta.
Accortasi che mancavano
le fragole, la zia si era dovuta assentare per qualche minuto, dicendo
loro che sarebbe andata a comprarne un pò nel negozio vicino
a casa.
-
Sei piuttosto bravo a lavorare la pasta.- Commentò Faith con
un sorriso.
Con le mani sporche di farina, Max lavorava energicamente la pasta
della torta sotto gli occhi della ragazza, che sedeva comodamente sul
tavolo rivolta verso di lui con le gambe accavallate.
-
Questa è l'unica torta che mi riesce bene. Mia madre mi
insegnò a farla quando avevo sette anni.- Le
raccontò lui restando concentrato sull'impasto.
-
Non mi dire. Un vero bambino prodigio.- Lo prese bonariamente in giro.
-
Non serve molto per fare una crostata di fragole.-
Lei lo osservò con attenzione. La maglietta blu a maniche
corte era spolverata di farina e lasciava intravedere i muscoli delle
braccia che guizzavano sotto la pelle mentre impastava. Anche su una
guancia aveva un baffo di farina che arrivava appena sotto il mento.
-
Cosa guardi?- Chiese lui avvertendo addosso il suo sguardo.
-
La tua maglietta.- Rispose lei. Allungò una mano e
staccò un pezzetto di pasta, assaggiandolo. - È
sporca.-
Lui smise di lavorare l'impasto e abbassò la testa
sorridendo per guardarsi il petto, con le mani sui fianchi.
-
Si dà il caso che io stia lavorando, a differenza tua.- Si
giustificò.
Faith ridusse gli occhi a fessura e increspò le labbra,
continuando a masticare.
-
Credo che qui manchi qualcosa.-
-
Nella torta?-
Faith non rispose. Si voltò con la schiena e
afferrò il cesto delle uova, ponendoglielo davanti.
-
Uova?- Disse lui basito.
-
Sì.- Ribadì la ragazza allargando le braccia.
-
Nella torta?- Ripeté Max.
-
No, non nella torta.- Rispose lei scuotendo la testa.
-
E dove, allora?-
Faith prese delicatamente un uovo con la punta delle dita e, in tutta
tranquillità, lo spiaccicò sulla maglietta di
Max, che non si mosse di un centimetro. Anzi, rimase a fissare la
ragazza che continuava a premere l'uovo e a schiacciarne il contenuto,
mentre l'albume colava da ogni parte.
-
Credo di meritarmi un bacio, adesso.- Fece lui mettendo il broncio come
un bambino.
-
Certo, ora sei più sexy.- Acconsentì lei fingendo
pudore.
Si avvicinò a Max e gli mise le braccia intorno al collo.
Con uno strofinaccio il ragazzo si ripulì rapidamente la
maglietta e si spostò di lato. La attirò a
sé afferrandola per le cosce, poi la baciò
intensamente e le toccò il viso con le mani di farina,
mentre lei rideva sommessamente tenendo le labbra incollate alle sue.
Senza farsi vedere Max prese un uovo dal cesto che stava dietro di lei
e abbracciò la ragazza, infilandole le mani sotto la maglia.
-
Max, non qui. Zia Becky potrebbe entrare in qualsiasi momento...-
Mormorò mentre si sentiva baciare ripetutamente sul collo.
Con le mani lui risalì lungo la schiena fino al punto esatto
tra le scapole, poco sopra il laccetto del reggiseno, e
schiacciò l'uovo, facendo urlare la ragazza.
-
Beh, non esagerare adesso...- Fece lui divertito - Non ho ancora
cominciato.-
Lei schizzò giù dal tavolo e gli puntò
un dito di accusa.
-
Vuoi la guerra? E guerra sia!- Esclamò dopo essersi levata i
pezzi di guscio da sotto la maglia.
- Faith?- La
richiamò Sabrina - Cosa c'è? Perchè
sorridi?- Le chiese in un misto di premura e perplessità.
Lei scosse la testa, accorgendosi di non aver più parlato da
quando la cameriera se n'era andata.
- Niente. Pensavo .-
Rispose semplicemente. Subito un velo di tristezza rabbuiò
il suo sguardo.
- Hai una strana
espressione. Io capisco quando c'è qualcosa che non va.-
Dichiarò la bambina.
Faith arrossì lievemente e guardò Jason sollevare
entrambe le mani, segno che non sapeva di cosa stesse farneticando la
sorella.
- E come fai a
capirlo?- Le domandò incuriosita.
Sabrina continuò a mescolare il frappè con il
cucchiaio e disse - Lo so perchè Jason mi risponde sempre
così quando c'è qualcosa che non va. Ed ha la tua
stessa espressione.-
Jason spalancò gli occhi mentre Faith era voltata dall'altra
parte e quando lei si girò a guardarlo, riprese a bere
indisturbato il suo frappè.
Tuttavia Faith decise di approfondire l'argomento. Si sporse in avanti
e si poggiò sul tavolo.
- E cosa pensi che
nasconda il tuo fratellino?- La stuzzicò inarcando un
sopracciglio. Pareva seriamente intenzionata a fare squadra con la
bambina, e Jason lo intuì all'istante.
- Io lo so.-
Proclamò Sabrina con gli occhi chiusi e l'aria da saputella.
- Avete finito voi
due?- Intervenne Jason - Non è giusto: voi siete in
maggioranza.- Si lamentò.
- Ultimamente lo fa
spesso.- Continuò la sorella guardandolo con la coda
dell'occhio.
- Sabrina!- La
richiamò lui gravemente.
Sabrina parve non sentirlo e spiattellò tutto a Faith,
approfittando del candore e dell'innocenza della sua età.
- Da quando Kristin
l'ha mollato lui non fa che starsene solo con i suoi pensieri.-
L'espressione divertita di Faith mutò radicalmente, per
lasciare il posto allo stupore.
Provò un fitta di dispiacere nei confronti di Jason, che
teneva gli occhi fissi sul tavolo rigirandosi tra le dita l'ombrellino
colorato, chiaramente imbarazzato.
Ora capiva perchè stava dedicando a lei tutto il suo tempo.
La sua ragazza lo aveva lasciato per una qualche ragione ed ora lui
cercava continuamente la sua compagnia.
Rimase per qualche istante in silenzio, indecisa su come riprendere in
mano il controllo della discussione quando, oltre le spalle di Jason,
notò che il tavolino da ping pong si era liberato.
- Ehi, Jason.- Gli
toccò una mano per richiamare la sua attenzione - Ti va una
partita a ping pong?-
Lui la ringraziò con lo sguardo. Le fu grato per aver
salvato la situazione e per non averlo fatto apparire come un perfetto
idiota nei confronti della sorella.
- Certo. Ti va di
perdere?- Le chiese con l'ombra di un sorriso.
Faith socchiuse gli occhi.
- Io sono una maestra
di ping pong.- Affermò in tono di sfida.
Dopo aver perso rovinosamente tre partite su quattro, Faith si arrese e
Jason stabilì che fosse l'ora di rientrare, dato che Sabrina
il giorno seguente sarebbe dovuta andare a scuola.
Così la ragazza recuperò il maglioncino che aveva
lasciato sullo schienale della sedia e lo seguì farsi strada
tra la gente che affollava il porticato, tenendo sua sorella per mano.
D'un tratto si sentì osservata. Eppure, si disse certa di
non conoscere nessuno dei ragazzi lì intorno. Si
voltò un istante, ma si convinse di essersi sbagliata.
Tornò a guardare avanti e con la coda dell'occhio scorse
Holly. Si fermò, d'istinto, incerta su come comportarsi.
Non aveva più visto l'amica dal giorno in cui... Da quel
giorno. Era passata qualche settimana, ma le parvero trascorse solo
poche ore.
Nel frattempo Holly restava immobile accanto ad una finestra del
locale, aspettandosi un cenno, un saluto, qualsiasi segno che le
facesse capire che fosse tutto a posto.
Anche Faith lo aspettava. Ma quel segno non arrivò.
Abbassò lo sguardo sul pavimento e proseguì senza
voltarsi, allontanandosi dal Neptune's.
Holly increspò le labbra, sentendo montare la tristezza
dentro di lei, come una voragine che le squarciava lo stomaco.
- Che succede?- Le
domandò Chris poco dopo, comparendo con due drink nelle mani
e notando la sua espressione.
Lei scosse la testa, avvilita, e sorrise debolmente stringendosi nelle
spalle.
- Niente. Ho scambiato
un'altra persona per una mia amica.-
Più tardi quella sera, dopo aver messo a letto Sabrina,
Faith volle trattenersi un altro po' a casa di Jason.
Non era ancora mezzanotte e l'aria
frizzante persuase la ragazza a sedersi in veranda, con il rassicurante
canto dei grilli in sottofondo.
Lo scrosciare delle onde in lontananza infondeva
tranquillità e i due ragazzi rimasero ad ascoltarlo in
silenzio per alcuni lunghi minuti nella penombra.
Un cumulo di nubi violacee riverberavano la luce lattiginosa della
luna, gettando sul molo un fascio patinato e facendo brillare la cresta
delle onde con continui luccichii.
Jason aveva portato fuori una brocca di limonata fresca con due
bicchieri a calice e li aveva riempiti entrambi per metà,
porgendone uno a Faith.
- Bella serata, eh?-
Commentò la ragazza assaggiando la bevanda.
- Già.-
Concordò lui appoggiandosi allo schienale della sedia con il
bicchiere in grembo. Accavallò le gambe, portandosi una
caviglia sul ginocchio dell'arto opposto, e gettò la testa
indietro, incerto di come affrontare l'argomento “Kristin”,
ma lei lo sorprese.
- Sai, Jason- Esordì
- se può farti sentire meglio anch'io sono stata lasciata
dal mio ragazzo poche settimane fa.-
Lui la guardò. Il buio gli impediva di delineare
perfettamente il suo viso, ma intuì lo sguardo che poteva
avere in base al tono della voce.
Faith si sentì al sicuro protetta dalla
semioscurità della notte: non intendeva in alcun modo
mostrargli il suo dolore, perchè ogni volta che ne parlava
la sua espressione s'incupiva e lei si riteneva una sciocca. Dal giorno
in cui se n'era andato non aveva più versato una sola
lacrima per Max, e non voleva farlo proprio adesso in presenza di Jason.
- Mi spiace.-
Fece lui rattristandosi.
Lei annuì corrugando le labbra e rimase a riflettere sulle
cause che avevano fatto finire il suo rapporto.
- Forse siamo stati
troppo precipitosi. Ci abbiamo messo tutto il cuore e tutta l'anima, ma
credo sia stato uno sbaglio.-
- Quando sei
innamorato di qualcuno non è mai uno sbaglio.-
Affermò Jason - Lo sbaglio si commette quando non si
ammettono i propri sentimenti.-
- O quando si mente
per amore.- Eccepì lei.
Con un leggero cenno del capo si scostò una ciocca di
capelli ed alzò lo sguardo verso la luna. Ci fu un lungo
silenzio in cui anche i grilli smisero di cantare. Una lieve brezza
trasportò i rumori del molo e fece tintinnare il carillon a
vento appeso ad un arco di legno del porticato. La ragazza chiuse gli
occhi, come per assaporare meglio quegli attimi di quiete, e si
ritrovò improvvisamente a pensare al viso di Holly. I suoi
occhi tristi la indussero a chiedersi se non fosse arrivato il momento
di chiarirsi con quella che era sempre stata la sua migliore amica.
Indubbiamente le mancava, ma continuava ad attribuirle un minimo di
colpa per averle fatto perdere Max, anche se doveva ammettere che era
lei stessa ad avere torto. Dio solo sapeva quante volte si era
rimproverata per non avergli raccontato tutta la verità fin
dall'inizio.
Jason la osservò attentamente. Provava sincero dispiacere ed
era rincuorato soltanto dal fatto che anche lei avvertisse in
sé lo stesso dolore che stava patendo lui.
- Noi avevamo in
progetto di sposarci, ma...- Esitò un po' prima di
continuare la frase.
Lei lo ascoltò e rispettò quella pausa in
silenzio, comprendendo che si trattava di parole importanti e allo
stesso tempo difficili da esprimere.
Jason espirò, schiarendosi la voce, e ripose il bicchiere
vuoto sul tavolo.
- Ha scoperto di
provare ancora dei sentimenti verso il suo ex ragazzo. Così
mi ha lasciato.-
Faith asserì lievemente con la testa.
- Siamo una bella
coppia.- Disse per sdrammatizzare.
Vide le labbra di Jason curvarsi in un sorriso mesto.
- A te cosa
è successo, invece? Perchè ti ha lasciato?-
- È una
lunga storia. Incredibile, più che altro.-
Mormorò Faith. Bevve ancora della limonata e
sentì la sua gola rinfrescarsi gradevolmente.
- Incredibile persino
per me, credimi. In un momento hai tutto ciò che desideri
dalla vita, e l'attimo dopo non hai più niente.-
Continuò la ragazza
- Posso farti una
domanda, Faith?- Le chiese Jason.
- Certo.-
- Hai dei rimorsi?-
Lei tacque. L'unico grande rimorso era l'aver nascosto tutto a Max. Se
solo avesse potuto far tornare indietro il tempo e cambiare ogni cosa...
- Sì.-
Rispose - Sono sempre stata del parere che in un rapporto debba esserci
la più completa sincerità e fiducia. Eppure,
nonostante questo, sono andata contro ogni mia teoria.-
- É facile
parlare quando qualcosa non ci riguarda strettamente, ma coinvolge
altre persone. Ma una volta che accade a noi tutto cambia e ci risulta
difficile seguire i consigli che noi stessi abbiamo dato agli altri.
È normale.- Osservò Jason.
- Il cuore ha le sue
ragioni che la ragione non può capire.- Recitò
Faith ricordando a malincuore la sua prima notte d'amore con Max.
- Bella frase.- Fece
Jason.
Faith sollevò un angolo della bocca e avvertì un
groppo in gola.
- Blaise Pascal.-
Sussurrò - E tu, hai dei rimorsi?- Gli domandò
scrollandosi dalla mente quei dolci ricordi.
- Sì.-
Rispose lui dopo un po'. Non sapeva se fosse il caso di
confessarglielo, ma l'atmosfera di intimità e
complicità che si era creato lo convinse a parlare.
- Averti lasciata
andare via.- Disse piano, sentendosi quasi in colpa - Mi sono
comportato male e non ho fatto niente per migliorare. Quando hai deciso
di lasciarmi, ho capito che avevi ragione ad andartene e che
probabilmente avrei fatto così anch'io, fossi stato in te.-
- Guarda come siamo
adesso, Jason.- Replicò Faith facendosi avanti con i gomiti
sulle ginocchia. Tra le mani stringeva lo stelo del bicchiere, che
luccicava alla luce della luna - Se un giorno qualcuno mi avesse detto
che avrei trascorso una serata da sola con il mio ex ragazzo nella
veranda di casa sua, gli sarei scoppiata a ridere in faccia.-
- Cosa vuoi dire?-
Domandò lui accigliandosi.
Lei si scostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e
rispose con una voce dolce.
- Che siamo cambiati.
Non solo tu, ma anch'io. Siamo cresciuti, Jason.-
Jason non rispose, ma in cuor suo era d'accordo con Faith. Lui era
riuscito a disintossicarsi ed aveva iniziato una nuova relazione, poco
contava che fosse finita male. In un certo senso, ce l'aveva fatta. Era
diventato un uomo nuovo, buttandosi alle spalle quel brutto periodo che
lo aveva visto schiavo dell'alcol.
- A cosa pensi?-
Chiese Faith, destandolo dai suoi pensieri.
Lui sorrise e si schiarì la voce, facendole la proposta alla
quale aveva pensato mentre si trovavano al Neptune's.
- Ti andrebbe di fare
un giro in barca a vela con me domani?-
|
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Capitolo 29 *** 29. Ricordi E Parole Sull'Oceano ***
23/03/2011
Beta's
corner:
Chi
vi parla in questo piccolo angolino ritagliato all’insaputa
dell’autore è la beta di questa storia Mozzi84.
Rischio
l’ira di voi lettori avidi del nuovo capitolo (speriamo siate
in
tanti) e mi approprio di un minuto del vostro tempo per festeggiare il
compleanno di una grande persona alla quale voglio un mondo di bene.
Marco (Will Turner)
oggi compie 27 anni e spero vi unirete a me nell’augurargli
un bellissimo e felicissimo compleanno.
TANTI
AUGURIIIII! TVTB!
R
ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Ciao!
Allora,
che ve ne pare di questa storia? Sono curioso di sapere i vostri
pensieri e i vostri commenti! Oppure devo piantare tutto qui e darmi
all'ippica?
Attendo
fiducioso i vostri pareri!
Nel
frattempo non posso non ringraziare Saty
per la cura e la pazienza con le quali recensisce ogni singolo
capitolo. Ogni nota che faccio per te non è mai spazio
sprecato!
E
poi un grazie anche alla beta Mozzi84,
dalla quale sono ansioso di vedere lo spettacolino privato di
Burlesque... uuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuh aaaaaaaahh!! Sto scherzando,
ovviamente, se la beta sta leggendo non si prenda male e non mi pianti
la grugna, ih ih ih!
Ho
voluto inserire un paio di canzoni, una proprio all'inizio del
capitolo, “Breathless”
dei Corrs; la seconda è “Two
Beds And A Coffee Machine” dei Savage Garden.
Buona
lettura a tutti e buon week end!
Ciao
ciao!
29.
R
ICORDI E PAROLE SULL'OCEANO
The
Corrs “Breathless”
Le ombre
delle imbarcazioni si allungavano pigre lungo le assi di legno del
pontile, mentre il moto ondoso dell'oceano le faceva rollare dolcemente
in un movimento quasi ipnotico. Il sole ancora giallo del tramonto
riscaldava la brezza e dorava i contorni frastagliati delle nuvole
all'orizzonte.
Quando Faith
raggiunse a piedi il molo, dopo aver lasciato l'auto poco lontano,
Jason stava terminando di sistemare le scotte, inginocchiato sul ponte
di una barca.
- Pronto per portarmi
al largo,
marinaio?- Gli chiese la ragazza avvicinandosi con una mano sulla
fronte per schermarsi gli occhi dalla luce del sole.
Lui si voltò e subito un sorriso di sorpresa si dipinse sul
suo volto.
- La porto dove
desidera, signorina.-
Faith fece una
risatina e Jason provò una familiare fitta allo stomaco
osservandola. Indossava una camicetta rossa a maniche corte, scollata a
mettere in risalto a meraviglia le sue forme, e un paio di blu jeans
sbiaditi a vita bassa con sandali bianchi. In una mano teneva un
cestino da picnic che lasciava intravedere qualche mela, un cartoccio
di stagnola e due lattine di coca cola.
- Ho pensato di
portare qualcosa da
mangiare, nel caso ci venisse fame.- Spiegò notando che
Jason
aveva lanciato un'occhiata al cestino.
- Hai fatto
benissimo.-
Affermò il ragazzo ancora intontito dalla sua bellezza. Era
rimasto rapito dalla sua folta chioma. Il vento giocava con i suoi
lunghi capelli, che svolazzavano morbidamente lanciando fugaci riflessi
dorati.
Con la mano
libera, Faith si ravviò alcune ciocche che le ondeggiavano
sul
viso e squadrò la barca da cima a fondo. Lo scafo era
verniciato
di un nero lucido e a prua, come a poppa, campeggiava il nome “Breakaway”.
Non che lei se ne intendesse, ma considerò che
l'imbarcazione avesse l'aspetto tipico di ogni barca a vela.
Si sviluppava
perlopiù su due ponti: quello inferiore, del tutto scoperto,
e
quello superiore, di poco più alto, che si estendeva fino a
prua. Sotto vi era situata la cabina, caratterizzata da tre piccole
finestrelle, perfettamente pulite, che riflettevano il bagliore del
sole. A poppavia il grande albero maestro sosteneva una vela color
crema, che sembrava impaziente di essere spiegata.
- É questa
la tua nave?- Domandò armoniosamente.
- Si. Ti piace?-
- É molto
lussuosa.-
Commentò - Ho il permesso di salire a bordo?- Chiese alzando
il
mento per atteggiarsi a ricca signora.
Jason si allungò verso il pontile, si strofinò un
mano sui calzoni e gliela porse.
- Prego, signorina.-
Fece lui, ossequioso, mettendosi a sua completa disposizione.
Faith
afferrò la sua mano e il ragazzo la issò a bordo.
Tutto
si svolse così velocemente che non si resero conto di
trovarsi
in un attimo vicinissimi l'uno all'altro. I loro corpi si sfiorarono e
lei avvertì una traccia della sua acqua di colonia. Sempre
stringendogli la mano, lo guardò senza dire nulla. Sul suo
viso
abbronzato e rasato spiccavano due sottili occhi verdi che le
provocarono un dolore al centro del petto, quasi una sorta di rimorso
momentaneo per aver accettato quell'invito.
Jason
sentì palpitare forte il suo cuore, rimanendo in silenzio a
sua
volta, nel timore che tutto il controllo che era riuscito a mantenere
in sua presenza potesse sfuggirgli di mano.
Imbarazzata, lei abbassò immediatamente lo sguardo,
sollevando il cestino che teneva stretto.
- Dove... Dove posso
mettere questo?- Balbettò, colta dalla tensione.
- Puoi appoggiarlo sui
sedili.- Rispose lui schiarendosi la voce.
Si mise la mano
in tasca, quasi vergognandosi del calore che lei gli aveva trasmesso
con il suo tocco e che lui voleva custodire come una pietra preziosa.
Poi si avvicinò al timone e girò la chiavetta per
accendere il motore.
- É davvero
elegante la tua
barca.- Realizzò Faith per stemperare la tensione
che
ancora li avvolgeva. Si concentrò quindi sull'imbarcazione,
ammirandone meglio ogni particolare. I finimenti in legno chiaro le
donavano un aspetto maestoso e raffinato.
- Chi ha deciso il
nome?- Gli chiese voltandosi a guardarlo.
- Mio padre.- Rispose
lui con fermezza mentre mollava le cime di ormeggio ed issava
rapidamente la vela.
Faith udì
il lieve ronzio del motore crescere d'intensità, fino a
diventare un rombo assordante, e, dopo pochi secondi, la barca prese il
vento, allontanandosi dal molo. Si accomodò sul sedile lungo
il
parapetto, proprio dietro a Jason, che nel frattempo reggeva saldamente
il timone, flettendo le gambe all'inclinarsi della barca. Sopra di loro
il boma si spostò di lato, trascinato dalla vela che si
stendeva
al vento.
Jason sembrava molto concentrato sulle manovre e lei lo
osservò in silenzio per non distrarlo.
Doveva ammettere
che era indubbiamente un bel ragazzo e si ricordò dei
sentimenti
che in passato l'avevano legata a lui. Erano stati bene insieme, almeno
finchè Jason non aveva iniziato a bere. Ma si era trattato
di
cose avvenute tanto tempo prima, che lei aveva finito per dimenticare,
innamorandosi di Max.
Tuttavia,
guardandolo, Faith non pensò che ai momenti belli trascorsi
insieme, e questo le regalò un istantaneo senso di
benessere.
Considerò che, in questo periodo, ne aveva davvero bisogno.
Si sporse a
poppa, posando una mano sul parapetto, attirata dal gorgogliare
vorticoso della scia dietro la barca. Poi alzò lo sguardo,
in
direzione del porto, e lo contemplò.
Le abitazioni
affacciate sul Pacifico erano dipinte dalla morbida e fulva luce del
sole che tramontava, e lei scoprì Los Angeles da un punto di
vista che non aveva mai sperimentato. Sembrava... diversa.
Diversa da come
la conosceva. Diversa dalla città che amava tanto. E le
parve
ancora più suggestiva e affascinante.
Mentre le acque si tingevano di rosso e di blu, la Breakaway
beccheggiava sicura con le vele che schioccavano forte sotto la spinta
del vento.
Quando Jason
ritenne che la randa si trovasse nella posizione giusta,
fissò
le scotte. Lei lo osservò ammirata compiere quei movimenti
con
velocità e precisione. Uscirono dalla bocca del porto,
oltrepassando il faro e, dopo poche miglia, cambiarono direzione,
lasciandosi alle spalle lo strato di cumuli viola che annunciavano la
notte. La brezza gonfiava la randa e faceva sbatacchiare ripetutamente
le vele contro l'albero maestro.
Poi Jason impostò il pilota automatico e si volse verso
Faith, con un largo sorriso.
- Ora godiamoci il
viaggio.- Disse andando a sedersi al suo fianco.
Faith
passò rapidamente lo sguardo da lui al timone,
pressoché
immobile malgrado il dondolio leggero della Breakaway, e poi
guardò di nuovo Jason.
- Non sarà
pericoloso?- Mormorò con circospezione.
- Tranquilla.- Fece
lui - Stasera
non ci saranno forti raffiche di vento. Riusciremo a mantenere questa
rotta senza difficoltà.- La rassicurò, esaminando
l'orizzonte.
La Breakaway
cominciò a prendere velocità, solcando le onde,
fiera e imponente, e puntando dritta verso il tramonto infuocato.
- Grazie per avermi
invitata sulla
tua barca.- Disse Faith dopo qualche minuto, mentre gli ultimi raggi
del sole le illuminavano il viso - È bellissimo.-
Jason scrollò le spalle.
- Mi fa piacere che ti
piaccia. Spero che ci verrai ancora.-
- Assolutamente si.-
Sorrise lei.
Dopo aver spento
il motore Jason verificò che le vele fossero a posto, mentre
l'imbarcazione procedeva silenziosamente a parecchie miglia dalla
costa. Osservò distrattamente un'altra barca a vela poco
distante da loro provenire dalla direzione opposta. Anche Faith la
notò rendendosi immediatamente conto che stavano transitando
di
fronte ad un luogo a lei caro.
Visti da una
diversa prospettiva i tre scogli parevano ancora più
imponenti
di come li aveva sempre guardati stando seduta sulla spiaggia. Si
ergevano massicci con la loro austerità ed alcuni gabbiani
svolazzavano attorno alle sommità, avvolte in un'aura di
mistero
incantato.
- La Cala di St.
Alexander.- Annunciò Jason mentre scrutava la baia tenendosi
aggrappato alla cima con una mano.
Faith
annuì inespressiva, senza nemmeno guardarlo. Non riusciva
proprio a sopportare il peso di tutti i ricordi che riaffioravano
imperterriti nella sua mente. Si chiese se la bottiglia con i desideri
suoi e di Max fosse ancora là, nella cavità tra
gli
scogli vicini alla riva, oppure se l'alta marea l'aveva portata con
sé ed ora la stesse trascinando verso il Giappone o
chissà quale destinazione esotica. Per un istante
preferì
saperla al largo, dove nessuno, specialmente lei, avrebbe potuto
trovarla.
Rimase in
silenzio, apprezzando la quiete che caratterizzava l'oceano. Soltanto
lo sciabordare delle onde e lo schioccare delle vele al vento rendevano
unica quella straordinaria esperienza.
Faith non aveva
mai desiderato navigare su una barca a vela, ma riconobbe a
sé
stessa che non sapeva cosa si sarebbe persa se non l'avesse provata
almeno una volta nella vita. E quella volta stava succedendo proprio
con il suo ex ragazzo.
In quel momento
realizzò che, malgrado tutti i litigi passati e le loro
discrepanze, ora erano di nuovo amici. Faith si trovava bene in sua
compagnia, ed era certa che anche Jason si sentisse a suo agio con lei.
Non si trattava di una semplice amicizia fatta di lunghe dissertazioni,
ma il loro rapporto andava più in profondità.
Come se
l'essere stati fidanzati avesse in un certo modo contribuito a renderli
le persone che erano diventate. Riusciva a percepire un sottile filo
che li legava e che non si sarebbe spezzato tanto facilmente.
Probabilmente, pensò, da qualche parte nell'universo c'erano
un'altra Faith e un altro Jason che stavano ancora insieme, uniti da un
amore indistruttibile. Era un'idea che si era fatta spesso, ai tempi,
perchè le piaceva pensare che potesse essere vera.
- Che ne dici se ci
fermassimo qui per mangiare, Faith?- Le propose Jason avvicinandosi
all'ancora.
Faith
guardò di nuovo verso la spiaggia. La sottile striscia di
sabbia
rossa della Cala di St. Alexander era scomparsa dalla vista, nascosta
dai faraglioni e dalla vegetazione che arricchivano le varie insenature.
- Qui è
perfetto.- Approvò.
Jason
calò l'ancora, che scese in acqua con un rumore metallico,
per
scomparire rapidamente tra le profondità marine.
- Navigare mette
sempre appetito. Almeno a me.- Commentò allegramente.
- Bene.-
Replicò Faith
estraendo la stagnola dal cestino. Conteneva due panini al prosciutto
con una foglia di insalata e due toast al formaggio - Ho preparato uno
spuntino rapido prima di venire al molo.-
Lui diede un'occhiata alle cibarie e assunse un'espressione da
sufficienza.
- Sembra tutto
commestibile...- Scherzò, e lei gli diede un colpetto sulla
spalla.
Nella brezza
carezzevole, divorarono i panini e anche i toast, poi si sdraiarono sui
sedili contro il parapetto, Jason da una parte e Faith dal lato opposto
della barca, a scrutare il cielo che nel frattempo si era oscurato.
Savage
Garden “Two Beds And A Coffee Machine”
Orione e la
Stella Polare erano le più brillanti, ma la regina della
sera
pareva scomparsa dalla galassia. Nulla interrompeva quell'ancestrale
silenzio, cullato soltanto dal leggero gorgoglio delle onde del
Pacifico.
- Sei felice, Jason?-
Chiese Faith d'un tratto.
Lui si
stupì di quella domanda. Rifletté qualche
secondo, poi
piegò il capo e la guardò con grande
intensità,
smarrendosi brevemente lungo la strada dei ricordi.
Dio,
quant'è bella, realizzò nei suoi pensieri
più
intimi. Non riusciva a capire come Faith potesse ancora avere
quell'influsso su di lui. Forse perchè possedeva tutte le
doti e
le qualità che ogni ragazzo cerca in una donna, ossia
l'educazione, la bellezza, la simpatia, la dolcezza, il buonsenso.
Tutte le volte che la guardava, lei era in grado di catturare non solo
il suo sguardo, ma anche il suo cuore. Per quanto avesse amato Kristin,
giunse alla conclusione che non era lo stesso tipo di amore che aveva
provato per Faith.
- Credo che nessuno
sia felice dopo essere stato lasciato dalla persona che amava.-
Rispose, con la voce carica di smarrimento
- Amore a parte,
intendo. Sei felice della tua vita?- Specificò lei.
- Non saprei. Tu?-
- Beh,-
Sospirò,
giocherellando con una ciocca di capelli e con lo sguardo fisso nel
cielo - se me l'avessi chiesto qualche tempo fa ti avrei risposto
fermamente di no. Ho perso tutto, Jason.-
- Hai sempre zia
Becky.-
- Si, ma
chissà per quanto ancora.-
- Che vuoi dire?-
Domandò Jason accigliandosi - Mi sembra di ricordare che sia
ancora piuttosto giovane.-
Lei respirò
profondamente,
lottando contro il nodo allo stomaco che lievitava ogni volta che
ripensava alla situazione fisica di sua zia.
- Le è
stato diagnosticato un tumore al cervello.-
- Non lo sapevo.-
Mormorò
lui, sentendosi impacciato, preoccupato di pronunciare le parole
sbagliate - Mi dispiace.-
Ricordava bene
quanto sua zia fosse importante per lei. Avrebbe voluto avvicinarsi per
prenderla e stringerla forte tra le sue braccia, scacciare lontano ogni
dolore che l'affliggeva, sentendosi più sereno a sua volta.
Avvertì l'impulso incontrollato di agire, ma capì
che non
era la situazione adatta, e si limitò ad abbracciarsi le
gambe,
seduto con i piedi sul sedile.
Guardò le
stelle palpitare e squarciare il cielo con la loro aureola luminosa, e
rammentò le ore solitarie che erano seguite da quando lei lo
aveva lasciato. Avrebbe tanto voluto essere di nuovo al centro dei suoi
pensieri, ma comprese che in quel momento era impossibile. Riusciva
ancora a leggerle negli occhi l'amore per quel ragazzo che le aveva
rubato il cuore, forse per sempre, e questo era come un pugno allo
stomaco. L'ennesimo.
Fu lei ad
interrompere nuovamente il silenzio, facendo una considerazione della
sua vita, con la voce che era poco più di un sussurro.
- Non capisco
perchè nella
vita di una persona le cose belle e quelle brutte siano fortemente
sbilanciate. Credi che sia perchè la gente dà
peso
soltanto a quelle brutte, ignorando le belle?-
Jason
cercò mentalmente di fare ordine tra le sue idee per evitare
di
recitare frasi fatte e scontate, perchè sapeva che lei non
ne
aveva bisogno. Faith era una di quelle persone per le quali occorreva
qualcosa di ben più profondo.
- Io penso che sia
difficile
riuscire a bilanciare la considerazione che si dà ad
entrambe.
È una prerogativa che si impara piano piano. Siamo tutti
così, inizialmente.-
- Vorrei che tu avessi
ragione.- Sorrise debolmente.
Uno spicchio
cereo della luna spuntò oltre una nube nerissima e l'oceano
iniziò lentamente a velarsi di una patina argentata.
- Dipende da tante
cose, comunque.-
Proseguì Jason - Io non dico che sia facile soppesare i
momenti
felici con quelli tristi. Si fa presto a consigliare di concentrarsi
sulle cose belle.-
- Forse serve qualcuno
che te le faccia notare.-
- Anche se te le
facessero notare
è comunque difficile. Io sono convinto, però, che
si
debba fare uno sforzo, perchè ne va a discapito della
propria
serenità.-
Faith si
girò verso di lui, comprendendo che il loro rapporto si
stava
amplificando, e si chiamò contenta per aver ritrovato un
amico
come Jason.
- Hai qualche
consiglio da darmi?-
- Potresti cominciare
ad essere un
po' egoista e pensare di più a cosa o a chi ci fa stare
bene,
cercando di farci scivolare di dosso le brutture.-
- Non sarà
menefreghismo, però?-
- Anch'io pensavo
così.
Infatti non riesco ancora a fregarmene di tutte le cose di cui dovrei.
Ma una persona non può e non deve caricarsi di tutto,
soprattutto se non è colpa sua.-
Faith ci
pensò su per alcuni minuti, mentre la brezza tiepida le
carezzava le guance, poi guardò di nuovo il ragazzo che le
stava
vicino. E si rese conto che non era più un ragazzo. Era
diventato un uomo straordinario. Si mise a sedere con il viso rivolto
verso Jason, che distolse lo sguardo dal cielo, e si alzò
aggraziatamente, avvicinandosi con passo incerto e chiedendosi che cosa
avrebbe fatto una volta giunta da lui. Ormai era tardi per tornare
indietro. Jason la guardò, con gli occhi che brillavano alla
luce lunare, e deglutì, chiedendosi che cosa stesse
accadendo.
- Posso abbracciarti?-
Gli sussurrò debolmente, afferrandogli le mani con dolcezza.
Il ragazzo
avvertì un forte
calore crescergli nel cuore, sentendosi assalire da un turbinio di
sensazioni ed emozioni che gli impedivano di gestire la situazione.
Capì che era inutile resistere ancora. Spalancò
le
braccia, e lei si tuffò contro il suo petto. Jason aveva
saputo
dire le parole che si aspettava di sentire, e lo ringraziò
sottovoce.
Stretta tra le
sue forti braccia, avvertì sciogliersi la tensione che da
giorni
non la lasciava andare, ed improvvisamente tutto il tempo che aveva
passato lontano da lui si dissolse. In quel momento le parve che nulla
fosse cambiato da quando lo aveva lasciato. Si era persino dimenticata
del vizio che l'aveva costretta a troncare il rapporto.
Jason
alzò il viso e contemplò la luna che galleggiava
tra due
strati di nubi ceree. Odorò il profumo dei capelli di Faith
e si
accorse di essersi innamorato di lei per la seconda volta. Non del
ricordo di ciò che era stata. Quel momento magico lo stava
riscaldando dentro, ma la consapevolezza che lei non ricambiasse il suo
sentimento lo fece soffrire, e, con sua sorpresa,
sentì
salirgli una lacrima agli occhi.
Una lacrima che non riuscì a frenare, nonostante tutti i
suoi sforzi.
Mentre la Breakaway
faceva ritorno al molo, Faith si sentì strana. Provava
ancora un
senso di colpa per il suo gesto. Un po' perchè aveva
realizzato
di aver reso le cose difficili a Jason. Un po' perchè Max
non
era completamente uscito dalla sua vita, dal suo cuore. Le sembrava
tutto così affrettato, e avvertì un leggero
imbarazzo.
Appena mise
piede sul pontile, si limitò a salutarlo, ringraziandolo per
la
bella serata. Lui annuì e la seguì con gli occhi
per
qualche passo, mentre finiva di sistemare la barca.
- Ti
rivedrò, Faith?- Le chiese sommessamente, comprendendo la
difficoltà della prova che stava affrontando.
La ragazza si
fermò, chiudendo gli occhi per riflettere meglio sulla
risposta.
Prendere quella decisione si stava rivelando alquanto
difficile,
soprattutto dopo ciò che era successo al largo. Avrebbe
potuto
rispondere semplicemente si, ma non intendeva ferire ulteriormente i
sentimenti di quel ragazzo che si stava dimostrando così
gentile. Allo stesso tempo, però, le parole che aveva detto
le
risuonavano nella testa.
Concentrarsi
sulle cose e sulle persone che ci fanno stare bene. È
davvero
questa la ricetta della felicità?
Quando li
riaprì, si
voltò e vide Jason sotto un altro aspetto. Era chiaro che la
facesse stare bene, perchè privarsi di una cosa bella?
Perchè continuare a vivere nei ricordi e in un passato
doloroso?
Lo osservò con un timido sorriso sulle labbra e si
passò le dita tra i capelli.
- Quando lo vorrai,
Jason. Io ti aspetto.-
Gli sorrise, poi
si allontanò, sentendosi più leggera e ripetendo
tra
sé il bene che gli voleva.
|
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Capitolo 30 *** 30. Il Messaggio ***
R
ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Ciao
a tutti!
Cosa
vi è sembrato dell'ultimo capitolo? Che ne pensate di questo
riavvicinamento tra Faith e Jason? Sono molto curioso di leggere i
vostri pareri, perchè ogni settimana aumenta il numero di
chi inserisce questa storia tra le preferite! Siete davvero in tanti e
voglio ringraziarvi!
Come
ringrazio anche Mozzi84
per avermi fatto gli auguri senza avvisarmi della sua idea di
pubblicarli. È stato un bel pensiero, e naturalmente anche
io ti voglio tanto bene!
Grazie
alla fedele Saty!
L'ultima recensione è troppo divertente e suggerisco ai
lettori di leggere i commenti di questa donna! Magnifici!
Comunque
non voglio rubarvi altro tempo e vi lascio al nuovo capitolo.
A
presto!
Marco
30.
I
L MESSAGGIO
- Non dire o fare cose
delle quali poi potresti pentirti, Max.- Si era raccomandato Tom pochi
istanti prima al gate dell'aeroporto Heathrow di Londra.
Max lo aveva guardato nel modo scettico ma carico di speranza di chi
non è sicuro di sapere a cosa va incontro. Era deciso a
tornare a casa sua, a Lakewood, per cercare di far luce sul motivo per
cui Addison gli aveva mentito riguardo alla morte del padre.
Ma non si era convinto del tutto da solo a volerci tornare.
Una sera, rientrato in albergo, trovò un messaggio sulla
segreteria del cellulare. Non gli era occorso molto tempo per capire
chi lo aveva lasciato. Viste le frequenti telefonate ignorate, il
messaggio si era poi confermato essere di Chris.
Max aveva captato qualcosa nella sua voce, una sorta di
estraneità dai fatti che lo avevano coinvolto. Si era
chiesto spesso se effettivamente suo cugino non fosse a conoscenza
della verità, ma tutte le bugie che gli avevano raccontato
Faith e soprattutto sua madre, unite ad una comprensibile
incapacità di discernimento, lo avevano obbligato a
classificare Chris come un bugiardo.
Adesso, sprofondato in una poltrona di prima classe di un aereo della
British Airlines, Max attendeva da qualche minuto il decollo del
velivolo, osservando il sole scomparire dietro le torri di controllo,
in una nebbia ambrata, e riascoltò il messaggio di Chris. La
sua voce sembrava stanca, ma tentava di essere il più
convincente possibile.
“Max, ho
deciso di andare da tua madre per chiarire ogni cosa. Ti giuro che sono
sconvolto quanto te e non sai quanto avrei voluto dirtelo, ma tu non
vuoi rispondere alle mie telefonate. Perciò ascoltami, ti
prego: torna a casa. Vorrei che chiarissimo tutti e tre insieme quello
che io credo sia uno spiacevole malinteso. Verrò a prenderti
in aeroporto venerdì pomeriggio alle due. Spero di trovarti.
Ci conto.”
Da sopra il sedile, Max notò una hostess che, con frequenti
occhiate, lo intimava a spegnere il cellulare.
- Siete pregati di
allacciare le cinture di sicurezza. Stiamo per decollare.-
Recitò gentilmente avvicinandosi ai passeggeri vicini a lui.
Max allacciò le cinture e si appoggiò al
finestrino con il gomito, facendo scivolare il cellulare nelle tasca
del giubbotto.
Un televisore in fondo alla corsia, appeso sopra la porta,
iniziò in quel momento a dispensare istruzioni riguardanti
l'utilizzo delle mascherine per l'ossigeno, qualora ce ne fosse stato
il bisogno, e Max volse la testa di lato, sbuffando annoiato. Con tutti
i voli effettuati aveva finito per imparare a memoria ogni norma di
comportamento ed ogni consiglio pratico per ogni caso, dalla semplice
perturbazione al gravoso incidente in aria.
Tuttavia quel giorno il cielo si mostrava sereno e lui non si
preoccupò affatto del volo. Nella sua testa non facevano che
ripetersi milioni di domande, le stesse ormai da quando aveva lasciato
Los Angeles.
L'aereo decollò e atterrò senza imprevisti sette
ore dopo.
- Le due esatte.-
Mormorò Max dando un'occhiata all'orologio che portava al
polso.
Non era lo stesso che gli aveva regalato Faith. Quello lo aveva tolto
immediatamente non appena si era reso conto di aver ancora addosso
qualcosa che, in un certo senso, apparteneva a lei. Ma ciò
non gli era servito a dimenticarla perchè non solo se la
sentiva addosso, ma dentro di lui. Ed ogni volta che guardava
l'orologio acquistato per pochi dollari in sostituzione di quello di
Faith, non poteva non pensare che quello stesso orologio stava
prendendo il posto che apparteneva a qualcun altro.
Scosse la testa mentre l'aereo compiva le ultime manovre di atterraggio
e con lo sguardo passò in rassegna il paesaggio che tanto
conosceva.
Si era giunti a metà giugno e il sole del nord America
possedeva già tutte le prerogative e le buone intenzioni di
non andarsene almeno fino ad ottobre. Cleveland era luminosa, come
sempre, ma quello non rappresentava un tipico ritorno a casa. C'era un
tarlo che si insinuava nella piacevole sensazione; un puntino nero in
un oceano bianco; una nuvola scura in un cielo terso.
Max slacciò le cinture, indossò il suo giubbotto
grigio e, una volta sceso dall'aereo, afferrò il bagaglio
sul nastro trasportatore.
- Sei venuto.- Disse
una voce alle sue spalle.
Max si voltò e il viso di Chris gli si riflesse sui Ray Ban.
- Voglio riprendere in
mano la mia vita.- Affermò risoluto, togliendosi gli
occhiali.
|
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Capitolo 31 *** 31. Perdonare E Dimenticare ***
R
ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Ciao
a tutti!
Senza
ulteriori indugi vado a ringraziare la fedele Saty, che ogni
volta mi fa ridere con le sue recensioni. Devo ammettere che hai una
bella fantasia e descrivi sempre in modo conciso ed efficace ogni
parere che esprimi. Sono fiero e contento di avere una lettrice come te!
Poi
ringrazio Beta Mozzi,
che riesce a scovare erroracci celati tra i verbi. A quanto pare tutta
la grammatica che facessi alle medie non abbia avuto alcun effetto
(please, correggere verbi in corsivo! ;P). Come sempre, grazie per il
lavoro che svolgi!
Ed
infine ringrazio chi inserisce la storia tra le Preferite e Seguite!
Attendo presto i vostri pareri!
Prima
di augurarvi buona lettura, voglio consigliarvi di ascoltare “Colorblind”
dei Counting Crows durante il capitolo!
Ciao
ciao!
31. P
ERDONARE E DIMENTICARE
Con indosso un paio di guanti da giardinaggio, Addison stava
inginocchiata sul prato, intenta a sistemare del terriccio attorno ai
bossi che delimitavano il sentiero di ciottoli, e si stupì
quando vide Max e Chris aprire il cancelletto d'ingresso.
Si alzò in piedi, sorpresa e contenta di rivederli, e si
diresse verso di loro con un largo sorriso e con l'intento di
abbracciarli, ma qualcosa di insolito nello sguardo di Max le fece
comprendere che non si trattava di una semplice visita di piacere.
Addison capì immediatamente che cosa stava succedendo. Da
anni aspettava il giorno in cui suo figlio l'avrebbe guardata in un
modo diverso da come aveva sempre fatto. E adesso che quel giorno era
arrivato, desiderava soltanto essere compresa e perdonata per la
menzogna che aveva raccontato.
Con un'ombra di delusione, Max manteneva su di lei uno sguardo severo,
e tutti e tre restarono in silenzio per una manciata di secondi, sotto
la calda luce del sole, tra gli allegri cinguettii degli uccellini a
contrastare la drammaticità della situazione.
Era passato più di un mese da quando Max aveva scoperto la
verità, e la rabbia provata in quei giorni avrebbe dovuto
lasciare il posto all'indulgenza, come gli era sempre capitato. Ma
questa non era una di quelle volte in cui si fa presto a perdonare.
C'era in ballo una verità che aveva segnato quasi la
metà della sua esistenza. Ancora adesso faticava ad
accettare la scomparsa del padre, ma si era reso conto che, grazie a
Faith, stava riuscendo a compiere dei passi avanti. Gradualmente si
stava convincendo che la vita di ogni persona segue il suo corso, come
l'acqua che scorre lungo il letto di un fiume.
Con il suo amore Faith si era impegnata, spesso senza rendersene conto,
a fargli comprendere che anche la sua vita aveva un corso da seguire e
che non si fermava dove si era fermata quella del padre, ma proseguiva
ancora, e ancora, in attesa di scoprire cose nuove e di apprendere le
lezioni che solitamente accompagnano una persona per sempre.
Quando aveva scoperto la verità, però, Max si era
sentito regredire e improvvisamente ogni cosa era tornata ad essere
quella di sempre, dal giorno del funerale. Gli era già
difficile cercare di accettare una morte così insensata, e
scoprire cosa realmente fosse accaduto lo aveva fatto ripiombare nel
baratro della tristezza e della rabbia nei confronti di
coloro che gli avevano mentito.
Davanti a sua madre il ragazzo si sentì montare dentro una
collera che non aveva mai provato e realizzò la sua
incapacità di gestirla. Per qualche istante
dubitò persino dell'autenticità dell'affetto che
aveva sempre provato per lei, ma la sua mente in quel momento viaggiava
su frequenze diverse per essere in grado di ragionare sulla risposta.
Avvertì Chris posargli una mano sulla spalla e
interpretò quel gesto come uno sprono atto ad alimentare la
sua rabbia e la consapevolezza di essere nel pieno della ragione.
Lungo il tragitto verso casa Chris gli aveva esposto la propria
estraneità ai fatti , convincendolo del suo sbigottimento e
della sua incredulità. Entrambi non erano riusciti a capire
perchè Addison avesse raccontato una simile
falsità su qualcosa di così importante.
Addison si sfilò i guanti da giardinaggio e, con una mano,
si ravviò i capelli.
- Entriamo in casa,
ragazzi.- Disse piano socchiudendo gli occhi per il riverbero della
luce del sole.
Fece per avviarsi, ma, non appena si voltò, si rese conto
che nessuno dei due la stava seguendo.
- Ho solamente una
domanda da farti, Addison.- Esordì Max a voce alta.
La donna si fermò e il cuore prese a batterle più
veloce. Sentirsi appellare per nome dal figlio che l'aveva sempre
chiamata “mamma”
le insinuò nella mente che qualcosa stava cambiando, o che
forse era già cambiato.
- Cosa vuoi sapere?-
Chiese guardandolo negli occhi.
Lui non distolse lo sguardo nemmeno per un attimo, con la mascella
serrata e i pugni chiusi, in un tremore appena percettibile.
- Perchè mi
hai mentito?-
- Ho dovuto farlo.-
- Ero tuo figlio!-
Sbraitò Max.
“Ero.
Perchè al passato?" Pensò Addison.
Si portò una mano sulla fronte guardandosi attorno come per
cercare le parole adatte. Ma non ce n'erano.
Chris assisteva alla scena standosene in disparte, consapevole si
trattasse di una questione che riguardava principalmente Max e sua
madre.
- Ho sbagliato tutto,
Max, e mi dispiace.- Replicò soltanto.
Max scosse la testa grattandosi il mento e volgendosi verso il lago
Erie. Abbassò il capo e fece una risata carica di
nervosismo, quasi le parole della madre gli fossero suonate come una
ridicola barzelletta.
- Tutto qui?- Le
chiese. Sembrava in procinto di ridere di nuovo - Dopo dieci anni
è tutto qui ciò che hai da dirmi? Che ti
dispiace? Sono in tanti a dispiacersi in questo periodo.-
Compì mezzo giro su sé stesso assumendo i
comportamenti di un professore che spiega la lezione.
- Sai cos'è
buffo in tutto questo, Addison? La cosa che accomuna te e Faith
è che siete bugiarde. Persone importanti, certo, ma
bugiarde. Avete giocato con la mia vita, tu specialmente. Mi hai
orchestrato a tuo piacere, neanche fossi un burattino.-
Dichiarò con la voce carica di disprezzo.
- Non è
affatto così, tesoro, e tu lo sai bene.- Ribatté
Addison avvicinandosi a lui.
- Sta ferma
lì.- Le ordinò Max bruscamente indicandola con un
dito - Non voglio la tua compassione. Non voglio più niente
da te.-
Recitò queste frasi con una durezza ed una convinzione tale
da ferire Addison più di quanto lei si aspettasse.
- Max, sono
consapevole di aver sbagliato e so che è inutile spiegarti
motivi nei quali nemmeno io credo più. Vorrei solo che tu
provassi a metterti nei miei panni. Nei panni di una madre che ha
voluto a tutti i costi proteggere suo figlio.-
- Da cosa?-
Urlò Max - Proteggermi da cosa? Dal mondo? Dalla delusione?-
- Da quell'uomo che ha
ucciso tuo padre!- Addison alzò il tono di voce - Se te
l'avessi detto avresti commesso degli errori che ti avrebbero
perseguitato per tutta la vita. Ricordi bene anche tu quanto eravate
legati tu e tuo padre.-
- Ah, bella fiducia
hai avuto in me.- Commentò lui con sarcasmo e una nota di
presunzione.
- Perchè
non provi a perdonarmi, Max?- Addison si vergognò
profondamente perchè sentiva di non aver adempiuto ai suoi
compiti di brava madre come avrebbe dovuto fare.
- Certo,-
Mormorò Max - ti perdono.-
La donna gli andò vicino e fece per abbracciarlo.
- Ma voglio
dimenticarti. Per me sei già un'estranea.- Aggiunse il
ragazzo con voce ferma.
Addison si impietrì e Chris decise di intervenire.
- Max, non fare
così...- Gli disse prendendolo per un braccio, ma lui lo
scansò.
- Non toccarmi.- Lo
apostrofò sillabando le parole - Non ho bisogno di qualcuno
che mi dia consigli, Chris. Sono venuto qui, come mi hai chiesto, e
abbiamo chiarito. Ora ognuno andrà per la sua strada.-
Prese il cellulare dalla tasca del giubbotto e compose il numero per
farsi mandare un taxi.
- Non abbiamo chiarito
un bel niente, Max, non è così che si chiariscono
le cose.- Obiettò standogli dietro.
Lui lo fissò con gli occhi lucidi.
- Per me è
più che sufficiente.-
Parlò all'apparecchio, dove nel frattempo una donna gli
aveva risposto, e prenotò il taxi. Poi riattaccò
e si voltò verso il cugino e la madre.
La guardò in viso ed avvertì una fitta allo
stomaco. Non si era accorto delle lacrime che le rigavano le guance e
brillavano alla luce rossa che squarciava il cielo macchiato di blu.
Quelle terribili parole l'avevano colpita nel profondo e non era
più in grado di replicare. Parole pesanti, dolorosissime,
dette in un momento di rabbia ma che avevano sempre un fondo di
verità.
- Non puoi, Max! Non
puoi fare questo ad Addison. Lei è tua mamma!- Lo
rimproverò Chris allargando le braccia.
Max rimase con gli occhi fissi in quelli della madre e la voce del
cugino gli scivolò di dosso come olio.
- Dille che non la
riconosco più come mia madre e che non la voglio
più vedere.-
Addison sussultò prendendo a singhiozzare, con una mano
davanti alla bocca e una sullo stomaco, mentre Chris si volgeva verso
di lei per passarle un braccio attorno alle spalle e cercare di
confortarla come meglio poteva.
- Ha ragione, Chris!
Ha ragione!- Balbettò piano tra le lacrime.
Le gambe le cedettero e si ritrovò inginocchiata a terra con
Chris che l'abbracciava per sostenerla.
- Ha ragione lui! Sono
una pessima madre! Ha ragione!- Ripeté, la voce spezzata dal
pianto e il corpo in preda alle convulsioni.
- Dannazione, Max! Non
era questo che volevo!- Imprecò Chris alzando lo sguardo
verso di lui.
- Non lo volevo
neanch'io.- Replicò Max muovendo appena le labbra.
Uscì dal giardino perchè la vista di sua madre in
quelle condizioni lo faceva sentire un verme. Ma sapeva che non avrebbe
potuto fare altrimenti. Era furioso con lei, ma ancora di
più con sé stesso per come si era evoluta la
vicenda. Ancora non capiva quanto crudele fossero state quelle parole
però era consapevole di essere andato contro tutti i sani
principi in cui aveva sempre creduto.
“Colorblind”
Counting Crows
Inforcati gli occhiali, attendeva il taxi con impazienza, mentre Chris
accompagnava la madre in casa. Si sentiva superfluo e gli pareva che
ogni cosa intorno ce l'avesse con lui.
Il sole si nascondeva dietro ad una voluminosa nuvola scura, graffiando
il cielo con i suoi sottili fasci di luce.
Max si appoggiò alla colonnina dello steccato, sotto il
piccolo arco intricato di edera e rose gialle, e odorò
nell'aria un dolce profumo di fiori. Si voltò verso casa e
poco dopo vide Chris uscire in veranda. Aveva l'aria stanca e con una
mano si stropicciava gli occhi. Notò che Max lo stava
fissando e restò contro il parapetto a guardarlo a sua
volta, in silenzio. Sapeva che non sarebbe rientrato in cortile,
così scese lentamente i gradini ed attraversò il
giardino, avvicinandosi a lui.
Entrambi mantenevano lo sguardo sulla vallata ricca di boschi che
cominciava appena oltre la fila di case dalla parte opposta della
strada, Max con la schiena contro la staccionata e Chris vicino a lui,
all'interno del giardino, con le braccia sulle assicelle scrostate e
consunte.
- Se sei venuto per
darmi un'altra delle tue lezioni, puoi anche tornare dentro.-
Affermò Max, con una calma tale da infiammare l'animo del
cugino.
Ma Chris tacque, facendo un profondo respiro ed imponendosi di essere
razionale. La voglia di mollargli un pugno era davvero forte.
- Chi sono io per
dirti cosa devi o non devi fare?-
- Allora che cosa
vuoi?- Domandò Max senza degnarlo di uno sguardo.
- Voglio solo che tu
ti renda conto di quanto stai buttando via della tua vita.-
Max scrollò il capo.
- Tu non sai niente,
Chris. Non sai come mi sento, non sai che cosa sto provando. In
conclusione, non sai un bel niente di me.-
- Forse no, ma ti
conosco abbastanza per dirti che non sei così, e non lo sei
mai stato. Quello che hai detto ad Addison è davvero
terribile, ma lo è ancora di più il fatto che
sembra tu non te ne accorga.-
- Te lo ripeto, Chris:
tu non sai come mi sento.- Ribadì Max, sprezzante.
- Mi farebbe tanto
piacere che ti sentissi uno schifo.- Commentò Chris convinto
del suo pensiero e per nulla intimorito di scatenarsi contro le ire del
cugino.
Max espirò rumorosamente, lasciandosi andare contro la
colonna di legno intagliato.
- Dove sei, Max?-
Mormorò Chris rivolgendosi più alla brezza che al
cugino stesso.
- Vorrei saperlo
anch'io, credimi.-
- Comincia a
riprendere ciò che ti apparteneva e che hai buttato
all'aria. - Gli suggerì Chris.
- Forse è
tardi.-
- Non è mai
troppo tardi per perdonare qualcuno.-
Il taxi sbucò da dietro l'angolo tra un panificio e un
negozio ortofrutticolo, per immettersi sulla strada che conduceva a
casa di Max. Quando si fermò davanti a loro, lui non
desiderava più andare via.
- Come sta Faith?-
Chiese fingendo disinteresse.
- Non l'ho vista molto
da quando te ne sei andato. Ma Holly mi ha detto che zia Becky
è malata. Perchè non vai da lei? Credo che le
farebbe piacere la tua compagnia in un momento così
difficile.-
- Non posso. Devo
lavorare.- Si affrettò a rispondere Max.
- Ok.-
Ribatté semplicemente Chris. Aveva capito che il cugino si
stava nascondendo dietro alla scusa del lavoro, ma decise di non
infierire ulteriormente.
- Sarebbe insensato
chiederti un abbraccio prima di lasciarti andare?- Domandò
mentre Max apriva la portiera dell'auto accingendosi a salire.
Il ragazzo tornò sui suoi passi e con titubanza
abbracciò il cugino, stringendolo fraternamente.
- Voglio perdonare e
dimenticare, Chris.- Gli sussurrò mentre osservava la sua
casa con gli occhi velati.
- Pensaci bene,
cugino.- Replicò lui dandogli una pacca affettuosa sulla
schiena - Pensaci bene.-
Max lo guardò ancora per pochi istanti e, con un cenno della
testa, lo salutò, salendo in macchina. Chris
sollevò una mano e sorrise debolmente.
- A presto, Max.-
|
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Capitolo 32 *** 32. Fantasmi ***
R
ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Ciaoo!
Pubblico
ora un nuovo capitolo augurandomi che vi piaccia!
Ti
ringrazio come sempre, Saty,
sono contento di riuscire ad esprimere sentimenti ed emozioni come
descrivi nelle tue recensioni, e mi piace come segui attentamente la
storia!
Beta
Mozzi,
la manager che gestisce tutti i miei appuntamenti, incontri, eccetera
eccetera. Manca solo che mi stiri le camicie e poi sei assolutamente
perfetta! :P
Anche
questa volta vi suggerisco l'ascolto di una canzone: Hold On di Mary Beth Maziarz!
Buona
lettura!
32. F ANTASMI
“Hold On”
Mary Beth Maziarz
La settimana seguente, di ritorno dall’ospedale, Faith si
ritrovò a pensare alla situazione fisica di zia Becky. La
chemioterapia sembrava già riscontrare i suoi effetti, tanto
che persino il dottor Fawcett era rimasto sbalordito. Dall'espressione
che aveva usato, pareva che il tumore stesse scomparendo gradualmente.
I risultati delle analisi, dopo sole poche cure, erano buoni, al punto
da indurre Faith a credere che ci fossero ancora delle speranze di
salvare sua zia.
Fawcett non si sbilanciò quando gli espose quest'idea, ma
replicò soltanto che il miglioramento effettivamente c'era
stato: con sua sorpresa, il tumore si era ridotto di un quarto e, anche
se molto lontana, c'era la probabilità che le cellule
tumorali rimaste sarebbero state distrutte. Tuttavia avrebbe dovuto
continuare ad assumere i farmaci antiepilettici, per evitare ulteriori
attacchi.
Il medico però non escludeva del tutto la prognosi iniziale:
quel genere di tumore spesso era imprevedibile.
Fatto sta che l'umore di Faith era tornato quello di sempre, se non
quasi.
Le ultime uscite con Jason l'avevano aiutata molto a superare i suoi
momenti più difficili e il miglioramento delle condizioni di
salute della zia le avevano permesso di analizzare con oculatezza il
rapporto che la legava al ragazzo.
Com'era normale in quei casi, non giunse ad alcuna conclusione e,
siccome i tempi non erano ancora maturi, si impose di non pensarci
troppo. L'unica certezza che aveva era il fatto che in sua compagnia si
sentiva davvero sé stessa.
La loro gita in barca l'aveva fatta ricredere su di lui. Qualunque
ragazzo l'avrebbe baciata o approfittato del suo attimo di debolezza,
ma lui non l'aveva fatto. Si era limitato a stringerla forte tra le
braccia, proprio come sperava avrebbe fatto.
La cosa giusta al momento giusto, e niente più.
Con lo sguardo seguì zia Becky scendere dall'auto ed entrare
lentamente in casa, e sorrise. Afferrò la sua borsa ed
estrasse il cellulare con l'intenzione di telefonare a Jason per
proporgli un'uscita quella sera stessa, quando, riflessi nello
specchietto retrovisore ,vide i fari di un'auto fermarsi lungo il
vialetto di casa, dietro di lei.
Osservò meglio, ma il riverbero della luce del sole che
calava le impedì di capire di chi si trattasse. Si
slacciò la cintura e scese dalla macchina, infilandosi la
borsa a tracolla.
L'aria era calda e le nuvole alte nel cielo si gonfiavano e si
disfacevano, assumendo forme indefinite e fantastiche e striando di
grigio l'orizzonte.
La ragazza stava richiudendo la portiera quando vide che dall'auto si
materializzava una persona che conosceva bene.
- Ciao, Faith.-
- Chris?- Fece lei,
sorpresa di trovarselo lì, in quel momento. Aveva
un'espressione austera, il ché, realizzò tra
sé, non presagiva belle notizie in arrivo, specialmente
perché Chris rappresentava un sottile collegamento con il
passato.
Indossava una polo bianca e un paio di blue jeans. Con gli occhiali da
sole sarebbe potuto benissimo passare per lo sponsor di un prodotto di
bellezza.
- Posso parlarti?-
Chiese il ragazzo togliendo gli occhiali.
Faith assottigliò gli occhi per schermarsi dal sole e, quasi
conoscesse il motivo di quella visita inaspettata, si guardò
i piedi e poi di nuovo Chris.
- Facciamo una
camminata lungo la riva?-
Il ragazzo annuì e s'infilò le mani in tasca
mentre, accanto a lei, si avviava verso la battigia.
Uno stormo di uccelli marini si levò improvvisamente in volo
al loro avvicinarsi, e si librò veloce come l'esplosione di
una bomba che scaglia tanti piccoli frammenti nell'aria.
- È stata
Holly a convincerti di venire qui, vero?- Domandò lei
guardando in direzione dell'oceano.
Il vento proveniente da sudest iniziò a far svolazzare i
suoi capelli, che fino a poco prima le ricadevano morbidi lungo la
schiena.
Chris aspettò a rispondere. Non gli era mai piaciuto parlare
a vanvera e misurare le parole era sempre stata una sua prerogativa.
- Non proprio, a dire
il vero.- Disse piano.
Faith lo osservò. Doveva essere per forza successo qualcosa
di importante se Chris non accennava nemmeno un sorriso, com'era nel
suo carattere.
- Però tu e
lei state insieme.- Lo incalzò, certa di ciò che
diceva. Era stato Jason a riferirglielo qualche giorno prima. Le aveva
raccontato di averli visti insieme al Ralph's, il
ristorantino sulla Beverly Boulevard, a scambiarsi effusioni. Gli era
bastato descrivere pochi particolari del ragazzo e Faith, dopo averli
presi in considerazione insieme a tutte le telefonate misteriose di
Holly, aveva capito che si trattava di Chris.
Ed ora il fatto che lui si trovasse a Los Angeles ne era la conferma.
- Non è di
Holly che ti voglio parlare.- Mormorò lui, leggermente
piccato.
Faith allora lo guardò di nuovo negli occhi per poi scuotere
la testa. “Eccoci”, pensò,
“il passato
è tornato a prendermi.”
- Ha litigato
duramente con Addison, Faith.-
Istantaneamente, la ragazza avvertì un forte ed
insopportabile senso di nausea e riprese a camminare nervosamente verso
l'oceano.
- Non sarei qui se non
fosse importante.- Gridò Chris dietro di lei sollevando
piccole nuvole di sabbia.
Faith si voltò di scatto e tornò indietro a
grandi passi, sentendosi ribollire di rabbia.
- Cosa vuoi che
faccia,Chris? Vuoi che tiri fuori la mia bacchetta magica per rimettere
a posto la situazione?- Sbottò allargando le braccia. Ma la
rabbia che dimostrava veniva perlopiù alimentata da un
profondo dispiacere celato negli angoli più isolati del suo
cuore.
- Si tratta di Max!-
Esclamò il ragazzo.
Faith chiuse gli occhi e li strinse forte per reprimere i veri
sentimenti che rischiavano di riemergere da un momento all'altro. Poi
li riaprì e replicò lentamente, sforzandosi di
mantenere la calma.
- Lui non e
più affare mio. E se anche lo volessi non sarei io la
persona più indicata per aiutarlo.-
Ma risultò chiaro anche a lei che non era vero. Max era
ancora affar suo. Un ideale, una persona immaginaria contra la quale
combatteva giorno dopo giorno.
Si voltò, dandogli le spalle, con lo sguardo a mezz'aria.
Sarebbe stato un momento magnifico - il sole, l'oceano, il silenzio -
se non fosse stato per Chris, anche se in fondo, lui non aveva nessuna
colpa.
Ma vederlo lì era come vedere Max. Sembrava che il destino
provasse un malsano piacere nel vederla soffrire.
Chris rimase immobile, realizzando che, in effetti, aveva sbagliato a
presentarsi da lei, ma decise di giocare l'ultima carta. La
più rischiosa.
- Gli manchi.-
Recitò d'un fiato.
È strano come le persone siano sempre sicure di dire la cosa
giusta per poi ricredersi immediatamente dopo aver parlato.
Chris strinse i pugni maledicendosi non appena notò Faith
tremare a quelle parole. Standole dietro di pochi passi, la
osservò chinare il capo e rimandarsi una ciocca di capelli.
- Te l'ha detto lui?-
Chiese dopo un po' senza voltarsi, con la voce rotta per l'emozione. Il
buco che poco prima le si era formato nello stomaco, ora stava
diventando una voragine, i cui lembi venivano divorati da un'ondata di
lava irrefrenabile e corrosiva.
Chris fece scorrere lo sguardo sull'acqua che diveniva color oro, e
tossicchiò.
- L'ho capito.-
Mormorò.
- Che significa?- Fece
lei, tristemente malinconica.
- Significa che siete
destinati a stare insieme.-
- Da quando credi nel
destino?-
La ragazza si ostinava a non guardarlo in viso perché le
ricordava troppo Max. Erano due cugini talmente uniti che avvertiva la
presenza della persona che aveva amato anche nella vicinanza con Chris.
- Da quando vi ho
visti insieme. Dove sono finite le persone che eravate?-
Una lama argentata le trapassò il cuore riaprendole una
ferita dolorosissima. Si rivolse a lui mentre una ciocca di capelli le
attraversava il viso. Nei suoi sottili occhi color del miele il sole
riluceva in decine di piccoli bagliori e pareva che l'intero oceano
fosse stato racchiuso all'interno delle sue pupille.
- Siamo stati insieme
in un momento sbagliato delle nostre vite. Non credo ci sarà
mai un momento giusto per noi.- Dichiarò risoluta - E vuoi
sapere un'altra cosa?- Mormorò con le braccia conserte -
Anche lui mi manca, ma allo stesso modo in cui mi manca un amico.-
Lo guardò ancora per qualche istante negli occhi e comprese
di averlo messo a disagio.
- Sto ricominciando,
Chris. Non posso permettergli di entrare ed uscire dalla mia vita come
e quando gli pare. La situazione tra lui ed Addison ormai non mi
riguarda più.-
Chris non replicò, anzi, il ragionamento di Faith non faceva
una piega e non aveva più senso insistere.
- Mi dispiace tanto.-
Sussurrò la ragazza avvicinandosi a lui - Porta i miei
saluti ad Holly se non ti disturba troppo.-
Gli diede un delicato bacio sulla guancia e Chris chiuse gli occhi,
sentendola allontanarsi sulla sabbia. Li riaprì quando non
udì altro che il rumore dell'oceano che avanzava e si
allontanava davanti a lui, lasciando un'ombra luccicante lungo la
battigia mentre alcuni gabbiani si muovevano attorno ad un tronco secco
lambito dall'acqua.
E la luna, eterea come un fantasma nel cielo, cavalcava orgogliosa le
nuvole per riprendersi il suo posto nel firmamento.
Attraverso la finestra della cucina, Faith osservò Chris
risalire in macchina e andarsene, mentre stava seduta a tavola con il
viso tra le mani. Non aveva detto una singola parola da quando era
rientrata in casa e zia Becky aveva deciso di lasciarla sola con i suoi
pensieri. Anche lei si era accorta dell'arrivo di Chris e stava per
uscire a fargli un saluto quando aveva capito che non sarebbe stato il
momento opportuno.
Durante la cena fu soltanto il televisore a parlare.
|
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Capitolo 33 *** 33. Ritrovarsi ***
R
ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Ciao
a tutti!
Due
settimane sono passate ed un nuovo capitolo è pronto e
pubblicato!
Ringrazio
la beta Mozzi,
come di consueto, che corregge i miei abominevoli errori.
Poi
ringrazio Saty,
che non si perde una recensione e ciò mi fa tanto piacere.
Ormai mi sono abituato bene perciò dovrai continuare a
recensire ancora, e ancora, e ancora... :) Immagino, mentre scrivi i
tuoi commenti, le risate maligne che ti fai, mi ricordi tanto la
Littizzetto mentre prepara il suo monologo domenicale per
“Che Tempo Che Fa”...
Ed
infine ringrazio chi inserisce questa storia tra le preferite e seguite!
Buona
lettura!
33.
R
ITROVARSI
I due giorni successivi furono lo stesso. Faith avrebbe tanto
voluto confidarsi con sua zia, ma non sapeva da dove cominciare, se era
più giusto dare importanza al fatto che Max avesse litigato
con la madre oppure rimettere in discussione i sentimenti che
continuava a provare per lui.
E poi c'era Jason.
Dovette ammettere che lui le piaceva, e tanto anche, per il solo fatto
che era lì e non all'altro capo del mondo. Ma non poteva
esporsi troppo su una questione della quale nemmeno lei era pienamente
convinta. Non voleva che le sue sensazioni e le sue emozioni fossero
dettate dall'esigenza di sostituire Max con l'unico scopo di
dimenticarlo. Sfruttare le persone non faceva parte di lei, e non
intendeva illudere Jason fingendo di amarlo.
Stava pensando a lui quando, quella sera dopo cena, bussarono
all'ingresso e zia Becky andò ad aprire.
- Cercano te, Faith.-
Le sussurrò la zia poco dopo facendo capolino alla porta
della cucina.
La ragazza si alzò, spense il televisore e si
sistemò distrattamente i capelli, arrotolandosene una
piccola ciocca attorno ad un dito.
- Ciao, Faith.- La
salutò sorridendo Jason, con le mani in tasca.
Faith lo osservò. Emanava un buon profumo e indossava una
camicia bianca a maniche corte che metteva in risalto le sue spalle
larghe, con un paio di bermuda scuri e scarpe sportive.
Si trovò del tutto inadatta a trovarglisi di fronte
così conciata - portava una canotta sdrucita e
strappata con pantaloncini scoloriti - e ad un certo punto credette che
anche lui si fosse accorto della sua pessima cera.
- Come sei elegante.-
Si complimentò sollevando un angolo della bocca.
- Grazie. Anche tu sei
bellissima stasera.- Replicò Jason.
Faith rise per la prima volta da quando Chris se n'era andato. Era
Jason che le faceva quest'effetto.
Riusciva sempre a farla ridere e a trasmetterle il buonumore.
Abbassò lo sguardo e poi rialzò il viso, con una
mano dietro il collo.
Lui arrossì notando che lei lo squadrava senza dire nulla.
- Che c'è?-
Chiese imbarazzato.
Faith scosse la testa e realizzò che fosse molto carino.
- Niente. Vuoi
entrare?-
- Veramente sono
venuto per invitarti a fare una passeggiata fino alla fiera in centro.
I miei genitori sono tornati e quindi stasera non devo occuparmi di mia
sorella. Ma se non ti va...-
- No, no, va
benissimo. Se non ti dispiace però, prima vorrei fare una
doccia rapida.-
- Certo, fa pure.-
Acconsentì Jason.
-Perfetto!-
Ciò di cui Jason non era informato riguardo a Faith era la
sua inesistente propensione a rendere rapida una doccia. Quando
uscì dal bagno circa un'ora e mezza dopo, Jason stava in
dormiveglia sul tavolo della cucina, nonostante alla TV stessero
trasmettendo una replica di Will
& Grace.
- Come sto?-
Domandò Faith entrando nella stanza.
Di soprassalto, Jason si mise composto sulla sedia e osservò
la ragazza compiere eccitata un giro su sé stessa.
- Wow!-
Mormorò soltanto a fior di labbra, quasi avesse avuto una
celestiale visione. Realizzò in un attimo che era valsa la
pena aver atteso tutto quel tempo.
L'abito bianco a fiori che le arrivava sopra il ginocchio mostrava le
gambe slanciate e le lasciava le spalle scoperte, sulle quali aveva
deciso di lasciare ricadere i lunghi capelli mossi e umidi.
Notando l'espressione di apprezzamento di Jason, Faith si
sentì desiderata e l'evento dei giorni precedenti non le
diede che ulteriore forza per prendere la situazione di petto senza
lasciarsi travolgere dalla tristezza.
- Allora possiamo
andare.- Sorrise afferrando la borsetta.
Passeggiarono lungo la via principale del paese, ancora piena di gente
che ammirava estasiata le vetrine e le bancarelle, e si fermavano ad
uno spettacolo improvvisato di qualche chitarrista intento ad intonare
un brano di Bob Dylan, sotto lunghe file di lampadine colorate.
La serata era perfetta e, poiché la fiera era riparata dalle
costruzioni che si affacciavano lungo la via, non soffiava un alito di
vento. Per la prima volta Jason prese Faith per mano e lei strinse la
sua in modo molto naturale e soprattutto senza provare sensi di colpa.
- Ti va un panino?- Le
domandò con disinvoltura mentre transitavano davanti ad un
venditore ambulante di hot-dog.
- Certo, non ho
mangiato molto stasera.- Approvò Faith odorando nell'aria il
profumo di pop corn e patatine fritte.
Jason ordinò due panini ben farciti e, quando furono pronti,
gliene porse uno.
- È
enorme!- Esclamò spalancando gli occhi con un sorriso.
Jason diede un morso al suo e rispose - Aspetta di assaggiarlo e in men
che non si dica lo avrai polverizzato!-
La ragazza scoppiò a ridere quando si accorse che sul mento
di Jason si era fermata una grossa goccia di salsa ai funghi.
- Perché
ridi?- Le chiese ingenuamente con la bocca piena.
Lei afferrò velocemente un tovagliolo di carta per
togliergli la salsa, mentre lui rimaneva fermo e la guardava negli
occhi. Sentendo addosso il suo sguardo, la ragazza si
concentrò sul tovagliolo, ma non poté trattenersi
dal fissarlo a sua volta.
- Grazie.-
Mormorò Jason, con gli occhi fissi nei suoi.
Faith rimase per un po’ completamente spaesata, poi fece
spallucce - Dovrai offrirmi un sacco di zucchero filato, bellezza!-
Scherzò camuffando il suo imbarazzo.
S'incamminarono sotto le file di lampadine gialle e rosse che
illuminavano la fiera, tenendosi per mano e, dopo il panino, Jason le
comprò lo zucchero filato, che finì per mangiarne
metà.
Al ritorno decisero di imboccare la strada che fiancheggiava l'oceano.
Mano a mano che si allontanavano le risate e le voci della gente
scemavano, lasciando il posto al silenzio e al dolce scrosciare delle
onde nell'oscurità.
Il cielo era limpido e ricco di stelle e sia Faith che Jason
apprezzarono con maggior intimità il calore delle loro mani
strette l'una nell'altra.
In un attimo, senza ben capire perché, lei si
fermò e guardò il suo profilo illuminato dalla
luna. Pensò che fosse bellissimo. Avvertì
l'irrefrenabile impulso di aprirgli il suo cuore come non faceva da
tempo. Senza lasciargli la mano, si poggiò con la schiena
contro il muretto che li separava dalla spiaggia e fece un profondo
respiro.
- Sai, Jason,-
Esordì portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio -
qualche giorno fa è successa una cosa che mi ha un po'...-
Si fermò per trovare il termine che definisse al meglio il
suo stato d'animo - … turbata, ecco. E intristita.-
Jason le rimase di fronte, accigliandosi.
- Nulla di grave,
spero. Si tratta di zia Becky?-
Faith scosse la testa.
- No, non si tratta di
lei.-
Si bloccò di nuovo e riprese a camminare con lui al suo
fianco.
- Ti è mai
capitato di guardarti indietro e soffrire tremendamente?- Gli chiese
laconica.
- Credo sia successo a
chiunque. Anche a me.-
- E cosa fai per non
stare male di nuovo?-
Lui la fermò posando gli occhi nei suoi.
- Trascorrendo il mio
presente con le persone che mi vogliono bene. Perché
è questo che loro si aspettano da me: la mia presenza, il
mio affetto. Per quanto tutti noi siamo diversi, in fondo esiste un
legame invisibile che ci tiene uniti e ci fa somigliare più
di quanto crediamo.-
Faith lo osservò, profondamente ammirata.
- Stasera, trovandoti
alla mia porta, ho pensato a quanto sono fortunata ad averti vicino.
Non ricordo perché tra me e te non abbia funzionato.-
- Perché
non riuscivo a smettere di bere.- Rispose lui con una punta di
rammarico.
- No.-
Obiettò lei facendo correre lo sguardo lungo la linea
dell'orizzonte che riluceva di un intenso turchese - É
troppo scontata come risposta. Se ora rifletto meglio su come sono
andate le cose penso che la risposta corretta sia perché
avevo paura. Non sapevo come affrontare la cosa e questo mi ha
spaventata al punto da lasciarti.-
Si fermò e lo guardò portandosi le sue mani sul
cuore.
- Tu avevi bisogno di
me. Cercavi il mio aiuto, il mio appoggio, e io cos'ho fatto? Sono
fuggita e ti ho abbandonato. Sono una persona orribile.- Si
schernì abbassando lo sguardo e rendendosi improvvisamente
conto del suo comportamento.
Jason le sollevò delicatamente il viso con una mano.
- Ehi, tu non sei una
persona orribile. Sei la ragazza più bella che io conosca, e
non solo esteriormente. Sei così piena di bellezza e grazia,
eleganza e simpatia.-
Faith rise sommessamente e Jason capì che non aveva smesso
di amarla per un solo singolo minuto da quando si erano lasciati.
Si alzò un leggero vento tiepido che le fece ondeggiare i
capelli.
- Questi due giorni
sono stati orrendi, ma tu hai spazzato via tutto ed è stato
fantastico, per questo ti ringrazio, Jason.-
Lui rimase in silenzio con il sorriso sulle labbra. Voleva baciarla a
tutti i costi, ed era convinto che anche lei lo desiderasse.
Ma Faith si limitò a tenergli la mano fin davanti a casa.
- Grazie per la
serata. Mi sono divertita tantissimo.- Gli sussurrò con gli
occhi dolci.
Notò che le luci del salotto erano ancora accese nonostante
la tarda ora.
- Grazie a te, Faith.-
La ragazza sorrise, ma non voleva lasciarlo andare. Stava
così bene in sua compagnia che ogni volta che lo salutava
era come se una parte di lei morisse.
Jason fece per allontanarsi e tese il braccio più che poteva
senza lasciarle la mano. In pochi istanti lei lo tirò verso
di sé e gli diede un bacio sulle labbra, chiudendo gli
occhi. Lui la cinse con un braccio mentre con l'altra mano le
accarezzava i capelli, pensando che fosse soltanto un sogno. Da troppo
tempo non desiderava altro che stringerla di nuovo come stava facendo
in quel momento.
- Mi sei mancato.-
Mormorò lei guardandolo negli occhi.
- Mi sei mancata.-
Ripeté lui baciandola di nuovo - Credi che domani ci
potremmo vedere oppure questo bacio ha rovinato tutto in maniera
irreversibile?- Scherzò Jason.
- Non voglio che tu
vada via adesso.- Piagnucolò Faith.
- Ma domattina devo
alzarmi presto per andare a lavorare...- Spiegò lui
divertito, tra un bacio e l'altro.
- Ho dimenticato di
darti una cosa per Sabrina.- Fece lei ricordandosi improvvisamente
della bambola che aveva recuperato dalla soffitta.
- È una
trappola per attirarmi dentro casa?- Ironizzò il ragazzo.
- No, stupido!
Andiamo.-
Jason la seguì salendo i gradini della veranda e attese che
aprisse la porta.
- Zia Becky dovrebbe
essere sveglia se le luci sono ancora accese, perciò non
credo che la disturberemo. Entra.- Lo invitò posando la
borsetta sul tavolino accanto all'ingresso.
- Zia Becky?- La
chiamò a bassa voce - Sono io, sei ancora alzata?-
Spostando leggermente lo sguardo verso la porta che dava sul salotto
vide una tazza rovesciata sul pavimento, in una piccola pozza di acqua
scura. Si fece avanti cominciando a preoccuparsi seriamente e
trovò zia Becky distesa a terra con il braccio teso verso la
tazzina.
- Oh, mio Dio! Zia!-
Esclamò piena di agitazione.
Resosi immediatamente conto della gravità della situazione,
Jason si fiondò nel salotto, subito dietro a lei, che
reggeva la testa di zia Becky, inerte.
- Zia, svegliati! Che
succede? Che sta succedendo?- Urlò in preda al panico.
Divenne pallida mentre cercava di far riprendere sua zia, invano.
Jason corse nel corridoio per afferrare il telefono e chiamare il
pronto soccorso. Malgrado le mani gli tremassero, fu in grado di
digitare il numero correttamente, riuscendo a farsi mandare
un'ambulanza. Udiva Faith urlare e singhiozzare, e pregò Dio
che zia Becky si ridestasse, ma sembrava non dare segni di vita.
Riattaccò la cornetta, che sembrava esserglisi incollata in
mano per tutta la forza che aveva impiegato a stringerla dalla
preoccupazione, e tornò in salotto.
Faith, in ginocchio, teneva sua zia in grembo e continuava a chiamarla
senza ottenere risposta.
-Ti prego, zia, non
adesso! Non puoi farlo adesso! Non puoi!- Gridò con tutto il
fiato che aveva nei polmoni.
Jason le si avvicinò e prese il polso della donna per
verificare la presenza del battito cardiaco.
- È ancora
viva.- Mormorò sollevato, e Faith si sentì subito
più rassicurata, ma continuava a restare in ansia.
Soltanto pochi giorni prima i risultati delle analisi avevano
confermato il fatto che la zia stesse guarendo e non riusciva a
capacitarsi del perché avesse avuto un nuovo attacco
epilettico. Sempre che si trattasse di un attacco epilettico.
Distrattamente il suo sguardo cadde sulla scatola di farmaci
antiepilettici che stava sul tavolino di vetro accanto al divano. La
prese e notò che la confezione era ancora intatta. Chiuse
gli occhi, realizzando ciò che non si aspettava.
- Perché?-
Sussurrò guardando il viso rilassato ed immobile di sua zia.
|
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Capitolo 34 *** 34. La Decisione Di Zia Becky ***
R ISPOSTE
ALLE RECENSIONI
Ciaoooo!
Pubblico
un nuovo capitolo in attesa di commenti e pareri da parte dei lettori!
Ringrazio
Saty per
le sue recensioni, Beta Mozzi
e chiunque legga in silenzio questa fan fiction!
Buona
lettura e a presto!
34.
L
A DECISIONE DI ZIA BECKY
- Ti ho portato un po'
di caffè.- Sussurrò Jason entrando
silenziosamente nella stanza dov'era ricoverata zia Becky.
Faith si era appisolata sulla sedia a fianco del letto e si
ridestò non appena udì la sua voce. Si trovavano
in ospedale da circa tre ore e la zia non si era ancora risvegliata.
Il dottor Fawcett aveva richiesto d'urgenza una risonanza magnetica, ma
i risultati sarebbero stati resi noti soltanto dopo due giorni e Faith,
già preoccupata, era pronta al peggio. Il medico le aveva
spiegato che i farmaci antiepilettici giocavano un ruolo importante
nella lotta contro il tumore e la loro mancata assunzione non avrebbe
portato niente di buono.
- Grazie, Jason.-
Mormorò ravviandosi i capelli in un gesto stanco.
Il ragazzo si avvicinò, le porse gentilmente il
caffè e le diede un bacio sulla fronte.
- E' molto bello
quello che stai facendo, ma non devi restare, Jason.-
- Ma io voglio restare.-
Obiettò lui dolcemente.
Lei sorrise, commossa, e gli carezzò il volto avvertendo il
tepore della sua guancia sulla mano.
- Sei ghiacciata.-
Osservò il ragazzo accigliandosi.
- Sto bene.- Lo
rassicurò Faith - Sei una brava persona, lo sai?-
- Mmm... si, forse...-
Sdrammatizzò lui assumendo un'aria fintamente gratificata.
- Vai a casa, Jason.
Resterò io qui con lei stanotte.-
Lui valutò la sua intenzione con un'alzata di sopracciglia.
- Sicura di non aver
bisogno di me?-
Faith annuì, soffocando a schiaffetti uno sbadiglio.
- Sicura.-
Garantì - Ti chiamerò domattina non appena
sarò tornata a casa.-
Jason guardò per un attimo zia Becky, così
tranquilla nel suo letto, e provò una dolorosa fitta al
cuore.
-Ok.-
Abbracciò stretta Faith per qualche secondo e la
sentì piangere sommessamente. Il suo esile corpo tremava
contro di sé e gli parve di stringere un cucciolo
spaventato. Pensò che non fosse il momento adatto per
baciarla, e si limitò ad accarezzarle i capelli, che
emanavano un delicato profumo di vaniglia.
Le lacrime gli salirono agli occhi e, quando si staccò da
lei, non la guardò per non aumentare il suo dispiacere.
Aprì la porta asciugandosi la guancia con il dorso della
mano e si voltò verso Faith.
-Ti voglio bene.- Le
sussurrò, annuendo con la testa.
Quel mattino una cappa di nuvole grigie avvolgeva tutta la
città tingendo ogni cosa di colori opachi e anonimi.
Non avendo chiuso occhio da quando Jason era andato via, Faith aveva
trascorso il resto della notte sfogliando distrattamente alcune riviste
e sorseggiando il caffè, divenuto ormai freddo.
All'alba si alzò dalla sedia per avvicinarsi alla finestra
quando udì il rumore leggero e malinconico della pioggia, e
l'aprì un poco, respirando l'odore salmastro dell'oceano.
Indossava ancora l'abito leggero e provò un brivido quando
l'aria fresca del mattino spirò all'interno della stanza.
Richiuse la finestra e si fermò ad osservare annoiata il
gran viavai di gente che affollava le varie entrate dell'ospedale,
nonostante l'orologio avesse appena battuto le sei e mezzo, chiedendosi
perchè sua zia non avesse assunto i farmaci prescritti.
Si rimproverò per non averla tenuta d'occhio abbastanza, ma
si ripromise di seguirla maggiormente e stare attenta che assumesse gli
antiepilettici. Quell'ennesimo risvolto non prometteva niente di buono,
ma lei voleva che zia Becky restasse in vita il più a lungo
possibile.
- Faith.- Si
sentì chiamare d'un tratto. Era la voce flebile di sua zia.
Faith tornò a sedersi e le afferrò una mano,
portandosela sul viso. Zia Becky esaminò la sua espressione
e, intuendo che la nipote fosse a conoscenza di ciò che
aveva fatto, provò a dare una spiegazione plausibile al suo
gesto.
- So che sei
arrabbiata con me, Faith, e ne hai tutti i diritti. Ma io non voglio
che tu mi veda ridotta ad un vegetale tra pochi mesi. Non posso
accettare quest'idea.-
Una lacrima rigò il viso di Faith, che sorrise tendendo le
labbra.
- Ma non hai sentito
il medico qualche giorno fa? Stai guarendo, il tumore se ne sta andando
e ...-
- No,- Fece la zia
scuotendo il capo e cercando di farla ragionare - no, bambina mia.
Questi tumori non se ne vanno.-
- Ma io?-
Protestò la ragazza - Io non ho voce in capitolo nelle tue
decisioni?-
Zia Becky la guardò amorevolmente.
- Tu ormai non sei in
grado di ragionare con razionalità su questa situazione.
Siamo obiettivi, Faith: non mi resta ancora molto. Rassegnamoci.
È inutile sperare di sconfiggere la malattia.-
Spiegò con la voce carica di tristezza. Facevano male anche
a lei quelle parole e pronunciarle ad alta voce significava sentirsi
obbligata a crederci per davvero e abbandonare ogni barlume di speranza.
- Ma io voglio tenerti
con me, zia, non lo capisci?- Si lamentò Faith sforzandosi
in tutti i modi di esternare il suo pensiero. Ma più provava
a spiegarsi e più le parole faticavano a trovare un senso e
a delineare meglio la sua opinione, offuscate dall'emozione, dalla
rabbia, dalla delusione.
- Certo che lo
capisco. Probabilmente anch'io mi comporterei allo stesso modo, ma
questa è una decisione che spetta a me soltanto.-
La ragazza rimase in silenzio e chiuse gli occhi, stringendo forte la
mano ossuta di sua zia. Non era più in grado di replicare
davanti a quella scelta, ma c'era una domanda che intendeva farle e
sapeva perfettamente che la risposta non le sarebbe piaciuta.
- Allora, che cosa hai
deciso di fare?-
Zia Becky fece un profondo respiro.
- Voglio tornare a
casa e smettere il ciclo di chemioterapia. Il mio desiderio
è cercare di restare cosciente il più possibile,
senza farmi imbottire da tutti quei farmaci che mi intontiscono.-
Dichiarò restando ad osservare lo sguardo contrariato di
Faith - Puoi accettarlo?-
Faith aveva una disperata voglia di piangere, ma era consapevole che
non sarebbe stato giusto, oltre che prettamente egoistico. Aveva paura,
ma chi le assicurava che anche sua zia non ne avesse avuta malgrado
quella scelta?
- Posso accettarlo,-
Rispose Faith con la voce roca dopo un lungo attimo - ma non lo
condivido.-
Faith tornò a casa poco dopo mezzogiorno. Nel tragitto aveva
ripensato alle parole e alla decisione di zia Becky, rifiutandosi di
accettare il fatto che si fosse arresa così facilmente nella
lotta contro il male che la stava uccidendo.
Si sentiva esclusa dalla sua vita, non aveva potuto dire niente per
farle cambiare idea e ciò la faceva innervosire. Non le
sembrava possibile che lei, la donna che l'aveva sempre spronata a
continuare, ad andare avanti e lottare per ciò che voleva,
ora si stesse arrendendo. E soprattutto non capiva perchè
non gliene avesse parlato prima. Non era più una bambinetta
stupida ed era certa che avrebbe compreso le sue paure facendo di tutto
per aiutarla.
Ma ora? Ora il suo pensiero non contava più nulla per zia
Becky?
Lei aveva deciso e sembrava avere tutte le intenzioni di proseguire con
il suo progetto. Non le restava altro che accettare la sua scelta. In
fondo cosa c'era di tanto male nel volerla tenere in vita il
più a lungo possibile?
Giunse a pensare che fosse da egoisti. Probabilmente la zia aveva
ragione. La vita era la sua ed ogni persona aveva il diritto di farne
ciò che voleva. Ma lei l'amava così tanto che non
poteva concepire di perdere un'altra persona importante. Era questo che
stava alla base della riluttanza sulla sua scelta: l'amore che provava
nei suoi confronti. Forse l'avrebbe capita e accettata col tempo, ma
realizzò che sarebbe stato un percorso difficile e doloroso
da intraprendere.
Svoltando nel vialetto di casa le parve di intravedere un'ombra minuta
che sedeva in veranda e, avvicinandosi, realizzò che
qualcuno si era alzato non appena l'aveva vista arrivare.
La pioggia scendeva sottile ed impalpabile da un cielo violaceo, ma
ciò non intimoriva quelle persone che passeggiavano
serafiche lungo la spiaggia accompagnate dai loro cani che correvano
instancabili, inseguendo i gabbiani. Nell'aria si respirava una sorta
di insolita calma mentre il vento soffiava tra i cespugli facendoli
frusciare.
- Holly.-
Mormorò sorpresa Faith scendendo dall'auto. Era totalmente
sbalordita, ma trovarla lì le suscitò una gran
felicità nel cuore.
- Che bel vestito.-
Commentò sinceramente Holly indicandole l'abito con un dito.
Aveva aperto la porta ed era scesa aggraziatamente sul sentiero.
Faith abbassò gli occhi perchè gli eventi della
giornata le avevano fatto dimenticare quale vestito indossasse. Se lo
lisciò con una mano, improvvisamente in imbarazzo e senza
parole da dire all'amica.
Alzò quindi lo sguardo verso di lei e, come se riuscisse a
leggerle nella mente, capì che fondamentalmente nulla era
cambiato tra di loro. Il rapporto che le legava era divenuto
così forte con il trascorrere degli anni che niente ora
aveva più importanza.
Con gli occhi negli occhi per un lungo momento, rimasero immobili,
quasi si stessero scusando telepaticamente l'un l'altra, poi si
avvicinarono lentamente, fino ad incontrarsi, e si abbracciarono. Il
tempo che le aveva tenute separate venne colmato da milioni di momenti
trascorsi insieme.
- Mi dispiace! Mi
dispiace!- Continuavano a ripetersi senza lasciarsi andare, piangendo
insieme come due vecchie amiche che non si vedevano da tanto.
- Ti va di entrare e
di mangiare qualcosa con me? Zia Becky ha preparato le lasagne ieri
sera.- Disse Faith tirando su con il naso.
Holly era così felice che non se la sentì di
rifiutare.
- Certo, sono qui per
questo!- Rispose.
Faith piegò la testa di lato con l'ombra di un sorriso.
- Cioè, non
per le lasagne. Sono qui per te.- Puntualizzò posandole una
mano sulla spalla.
Lei sorrise, prendendola sottobraccio, ed entrarono in casa.
- Ero convinta che ci
fosse qualche possibilità per mia zia.- Spiegò
Faith mentre infornava le lasagne - Ma dopo ciò che
è successo la scorsa notte, non credo ce la
farà.- Ammise con la tristezza e la rassegnazione
che trasparivano chiaramente dai suoi occhi.
Prese due bicchieri dalla credenza, li posò sul tavolo poi
aprì il frigo e scelse una bottiglia di vino bianco. Ne versò ad Holly e un po'
per sé, ripercorrendo con la mente gli ultimi accadimenti.
- Non sai quanto mi
spiace, Faith, sul serio.-
Faith la fissò intensamente, fermandosi a mezz'aria con la
bottiglia lievemente inclinata.
- Ha deciso di non
voler più fare la chemioterapia. E tutto ciò
senza nemmeno sentire il mio parere.-
- Purtroppo ognuno di
noi arriva al punto in cui non accetta i consigli degli altri
semplicemente perchè... si basta da solo.-
- Ma io mi sento fuori
gioco così. Sembra persino che non le importi più
di avermi come nipote.- Ribatté Faith con decisione,
allargando le braccia, quasi in un gesto di esasperazione.
- Ed è
normale che tu ti senta così.- La rassicurò
l'amica - Ma pensa a zia Becky. Credo che in fondo lo faccia anche per
te. Lei vuole restare qui a casa con sua nipote e far sì che
tutto in questo ultimo atto della sua vita sia assolutamente normale.
Probabilmente è proprio la normalità di
un'esistenza, la routine quotidiana che potrebbe mantenerla in vita
più a lungo di quanto possano fare tre stupidi farmaci.-
Faith faceva oscillare il bicchiere osservando il vino al suo interno
riempirsi di piccole bollicine.
- Faith.-
Continuò Holly, socchiudendo gli occhi - Prova a pensarci.
Non essere arrabbiata con lei proprio adesso. Non lo merita. E non lo
meriti nemmeno tu. Sono convinta che faccia tutto questo
perchè per lei rappresenti la cosa più importante
ora.-
Faith abbozzò un sorriso.
- Sono una stupida.-
Considerò alzando gli occhi al soffitto - Ho sempre ritenuto
di essere abbastanza matura, ma, non appena si presenta l'occasione in
cui dovrei dimostrarlo, mi rendo conto di essere soltanto una povera
stupida.- Si coprì il viso con le mani, sentendosi
incredibilmente sciocca di fronte all'amica - Che cosa posso fare,
Holly?- Faith bevve un sorso di vino passandosi una mano tra i lunghi
capelli.
- Non farle pesare la
sua decisione ed aiutala a rendere questi ultimi mesi della sua vita il
più normale che puoi.-
Faith interiorizzò quelle parole così vere e si
ripromise di essere migliore, non solo con zia Becky, ma con chiunque
avesse avuto a che fare con lei.
- Meriti delle
confessioni, Holly.- Mormorò poco dopo - E anche le mie
scuse.-
Holly curvò le spalle.
- Per cosa?-
Faith si mostrò titubante nel voler discutere di
quell'argomento, ma ritenne corretto farlo nei confronti della sua
più cara amica.
- Riguardo a
ciò che è successo con Max.-
Holly esibì un timido sorriso ed iniziò a
giocherellare con la catenella che portava al collo.
- Eravamo tutti un
po'...- Fece una pausa, annuendo e cercando il termine adatto -
Sconvolti.-
Faith scosse la testa facendo scorrere distrattamente le dita lungo una
spallina del vestito.
- Ti ho trattata
malissimo.- Ammise guardandola negli occhi, e, mentre lo diceva, si
capacitava sempre più delle sue azioni e del suo
comportamento scorretto nei confronti di Holly.
- Un po' avevi
ragione. Avrei dovuto farmi gli affari miei.-
- Prima o dopo lo
avrebbe scoperto comunque. Ed è stato meglio
così. Se fosse passato più tempo credo che avrei
fatto molta più fatica a sopportare la sua lontananza.-
- Chris mi ha detto
che ha litigato con la madre.-
Faith annuì, ripensando a malincuore alla visita di Chris,
tre giorni prima.
- A quanto pare non la
vuole rivedere.- Aggiunse Holly - Mai più.-
L'amica guardò in basso, incapace di esprimere la sua
opinione. A quanto pare,
pensò riprendendo le parole di Holly, la situazione è
più tragica di quanto credessi.
- Max è
abbastanza maturo per capire che sta sbagliando a comportarsi
così.- Riconobbe sinceramente, impegnandosi a celare il suo
dispiacere e ad apparire il più distaccata possibile.
Si aspettava che Holly saltasse su a dirle che avrebbe dovuto aiutarlo
in qualche modo, ma non successe. Anzi, l'amica sembrava essere del suo
stesso parere.
- Lo penso anch'io,
Faith.- Ribadì terminando il vino in una sorsata.
Pranzarono tranquille mentre fuori il tempo non aveva alcuna intenzione
di cambiare. Il cielo era di un unico colore e l'oceano pareva una
patina di ferro fuso, pacato e per niente minaccioso.
Holly si era presa il pomeriggio libero e, man mano che il tempo
passava, avvertiva dentro di sé il calore di un'amicizia che
le era mancato. Quel brutto momento che aveva attraversato con Faith
sembrava allontanarsi da lei, i contorni sfocavano gradualmente e
niente pareva realmente accaduto.
Dopo pranzo avevano aperto un'altra bottiglia e si erano accomodate sul
divano del salotto a chiacchierare. Faith aveva indossato degli abiti
comodi e acceso un po' di musica di sottofondo.
- Allora finalmente si
è scoperto di chi erano tutte quelle telefonate misteriose
che ricevevi.- Esordì Faith ammiccando all'amica.
Holly sorrise con sguardo sognante.
- È un
ragazzo fantastico, Faith.- Sospirò unendo le mani in grembo.
- Ci credo.- Disse
Faith piegando la testa di lato - Perchè ha scelto te.-
L'amica guardò fuori dalla finestra. La linea dell'orizzonte
non esisteva più e le alte coste rocciose parevano
galleggiare in un mondo immaginario creato sulle nuvole.
- Non volevo dirtelo
perchè pensavo non avresti accettato la mia scelta.-
- Ma che dici, Holly?-
Fece Faith con sdegno - Siete entrambe brave persone. Formate una bella
coppia.-
Holly sorrise.
- E tu, con Jason?-
- Sto bene con lui.-
Ammise - So che non ti è mai piaciuto, ma è
cambiato.-
A quel punto Holly assunse un'espressione seria.
- Ne sei sicura,
Faith?-
Faith si intimorì a quella domanda. Gliel'aveva posta con
eccessiva serietà e ciò la preoccupò.
- Si.- Rispose
titubante - Perchè non dovrei?-
Holly la esaminò attentamente. Le era chiaro che Faith non
fosse a conoscenza di tutto ciò che Jason faceva
quando non stava con lei.
- Gente che conosco mi
ha riferito di averlo visto ubriaco qualche sera fa.-
Confessò in un sospiro.
Faith abbassò lo sguardo sul bicchiere annuendo, come se non
ne fosse per niente sorpresa. Ma Jason era davvero cambiato, ne era
convinta.
- Probabilmente la
gente ha visto qualcun altro quella sera.- Suppose, nonostante il
timore che Holly le avesse detto la verità si stava
diffondendo come un virus nella sua mente.
Holly però aveva sempre detestato quel ragazzo e magari,
pensò tra sé, stava dando vita ad un nuovo
giochetto per farli dividere.
- Tu sai bene che non
mi è mai stato simpatico e capisco se credi che io ti stia
mentendo soltanto perchè non voglio che tu lo frequenti.-
Disse quasi dando immediata voce ai pensieri di Faith, che scosse la
testa abbozzando un sorriso triste.
- Tu non vuoi che io
lo frequenti?-
- Io voglio solo che
tu sia felice.- Affermò Holly incrociandosi le mani sul
petto.
- Ma non credi che lui
possa rendermi felice, giusto?- Osservò lei scuotendo
leggermente la testa.
Holly balbettò brevemente ribadendo silenziosamente la sua
già nota contrarietà a quel rapporto.
- Senti, Faith,
perchè non provi a chiederglielo?- Le chiese istintivamente.
Faith sorrise voltando la testa di lato.
- Certo, Holly, potrei
andare da lui e dirgli “Oggi
fa davvero caldo, non trovi, Jason? A proposito, mi hanno detto di
averti visto ubriaco l'altra sera.”-
Holly non ribatté e Faith la osservò.
- Non è
così semplice.- Disse fissandola intensamente.
Come se non fosse già abbastanza preoccupata per Zia Becky,
ora ci si metteva pure Jason. Pensandoci bene, non sarebbe stata una
novità che avesse ripreso a bere. Quante persone erano
cadute di nuovo preda dell'alcool?
Eppure voleva fortemente credere che Jason non appartenesse a quel
gruppo di persone. Ma questo significava giudicare falsa la sua
migliore amica e, malgrado Holly non provasse simpatia nei confronti di
Jason, Faith aveva la sensazione che le avesse soltanto detto la
verità.
Dalla cucina giunse lo squillo del cellulare e Faith si alzò
dal divano ricordandosi improvvisamente di aver promesso a Jason che lo
avrebbe richiamato quella mattina, ma l'arrivo inaspettato di Holly
gliel'aveva fatto dimenticare.
- Ciao, Faith. Tutto
bene?- La salutò il ragazzo dall'altro capo del telefono.
- Scusa, Jason. Mi
sono dimenticata di chiamarti stamattina.-
- Non preoccuparti.
Stasera passo da te, ok?-
- Si, non ci sono
problemi. Tra poco faccio un salto da mia zia, ma tornerò
prima di cena.- Lo informò Faith.
- Ok.
Porterò la pizza. A più tardi. Ti voglio bene.-
La ragazza rabbrividì a quelle parole. Quel “ti voglio
bene” le suonava stranamente ipocrita, ma si
detestò immediatamente per averlo pensato.
- A più
tardi...- Rispose soltanto prima di chiudere la telefonata.
Quando tornò in salotto Holly aveva già indossato
la sua giacchetta elegante e la stava aspettando in piedi per avvisarla
che sarebbe dovuta andare.
- Te ne vai
già?- Le chiese Faith con un'espressione di ferita sorpresa.
Holly si strinse nelle spalle e si sistemò la borsetta.
- Si, devo passare per
il centro. Chris mi sta aspettando all'Elixir Cafè.-
Faith annuì visibilmente dispiaciuta e Holly le si
avvicinò.
- Se vuoi uno di
questi pomeriggi usciamo a fare un po' di shopping. Ti farebbe bene un
po' di svago.-
- Certo. Mi farebbe
bene.- Ripeté lei.
Holly si sentì tremendamente a disagio perchè il
discorso che riguardava Jason non era stato concluso. Dentro di lei
lottavano le due sensazioni contrastanti riguardo l'aver fatto bene o
meno la cosa giusta.
L'affetto che provava verso Faith era tanto da non volerla ferire
nuovamente come aveva fatto con Max ed era disposta a tutto per
proteggerla da ulteriori dolori, specialmente quando si trattava di
Jason.
- Parla con lui di
questa storia e poi chiamami, Faith.- La pregò carezzandole
un braccio.
Faith si mise le mani in tasca e sollevò un angolo della
bocca.
- Stasera
proverò a chiedergli spiegazioni.-
Accompagnò Holly alla porta e poi, una volta sulla veranda,
l'abbracciò affettuosamente.
- Grazie di tutto,
Holly.-
Holly sorrise, traducendo quel gesto e quelle parole come un'ulteriore
conferma che finalmente, dopo un tempo simile ad
un'eternità, la loro amicizia si era solamente rafforzata.
- Sei taciturna
stasera.- Osservò Jason mentre con lo sguardo seguiva Faith
sparecchiare la tavola con gesti rapidi e precisi.
Lei alzò il viso e si bloccò con i piatti in
mano, decidendo velocemente se quello fosse il momento giusto per
parlargli.
- Io devo chiederti
una cosa.-
- D'accordo. Se ti
riferisci a ciò che è successo ieri sera prima
che trovassimo zia Becky...-
- No.- Fece la ragazza
scuotendo la testa.
Jason si ammutolì di fronte a tanta serietà.
- Ok, ti ascolto.-
Faith prese fiato e andò dritta al punto.
- Hai... hai ripreso a
bere?-
Jason strabuzzò gli occhi, ma esitò a rispondere.
- Ti prego, Jason.- Lo
anticipò la ragazza portandosi le mani alle tempie, gli
occhi chiusi - È importante per me che tu sia sincero. Non
mentirmi.-
Scostò una sedia e si sedette davanti a lui, fissandolo
dritto negli occhi. il verde ipnotico delle sue iridi le
provocò un tuffo al cuore.
- Ti prego.-
Ripeté.
Jason cominciò a tormentarsi nervosamente le dita senza
scollare gli occhi da quelli di Faith.
- No.- Rispose piano.
La ragazza continuò a fissarlo chiedendosi se Holly le
avesse raccontato una bugia o se Jason stesse per aggiungere qualcosa a
quel no
pronunciato in un modo troppo incerto.
- Ma ci sono andato
vicino.- Proseguì il ragazzo - Qualche sera fa ho bevuto uno
o due bicchieri di troppo e...-
- Perchè?-
Lo interruppe lei dolcemente, ma con la collera che sentiva accrescere
improvvisamente dentro di sé.
Lui si strinse timidamente nelle spalle e posò uno sguardo
incredibilmente intenso nei suoi occhi. Uno sguardo che rispose
tacitamente alla domanda.
- Oh...- Fece lei
riprendendo in mano i piatti e alzandosi per portarli nel lavello -
È proprio colpa della mia vicinanza se tu non riesci a
resistere al richiamo dell'alcool.- Realizzò dandogli le
spalle.
Durante tutto il tempo che avevano trascorso insieme non aveva
considerato il fatto che lui potesse essere ancora innamorato di lei.
Sconfortato dalla reazione di Faith, Jason si alzò per
andarle vicino.
- Da quando lo sai?-
Gli chiese lei voltandosi di scatto e agitando le mani.
Con un timido sorriso lui si poggiò con le mani al mobile e
la ragazza si ritrovo bloccata nel cerchio delle sue braccia.
- Da sempre. Credevo
che questa sera sarebbe stata l'occasione giusta per parlarne.-
Faith frappose le mani tra di loro come a voler innalzare una barriera.
Sentiva l'istintivo bisogno di allontanarsi immediatamente da lui e
avvertiva una tale confusione in testa che le sembrava di muoversi in
un sogno. L'unica cosa chiara riguardava il fatto che Jason si era
ubriacato perchè innamorato di lei e che si rendeva
perfettamente conto che non sarebbero più tornati insieme. O
così sarebbe stato, finchè lei non l'aveva
baciato la sera prima.
In quell'istante un dubbio orribile si fece largo tra i suoi
ragionamenti.
- Mi hai usata, Jason?
Le belle serate, la gita in barca, le tue belle parole, tutto un piano
perchè io potessi di nuovo innamorarmi di te? La tua
amicizia è stata soltanto una recita?- Gli
domandò a raffica, incredula.
Jason ascoltò quelle frasi uscire dalla sua bocca e quasi
stentò a credere che lei la pensasse veramente in quel modo.
Un'espressione ferita si dipinse istantanea sul suo volto.
- Sei stata tu a
baciarmi, ieri!- Sottolineò lui sbigottito e furibondo.
Faith sussultò - Beh... Forse ero vulnerabile. E ancora
sconvolta dagli eventi.-
- Quali eventi?- Le
chiese lui spazientito. La afferrò per le braccia
scuotendola leggermente - Cosa sono tutti questi eventi che sembra ti
sconvolgano la vita, me lo vuoi dire? C'entra ancora il tuo ex ragazzo?-
Faith volse la testa di lato e una ciocca di capelli le ricadde sul
viso. Con gli occhi velati vide la terrina di fragole sul ripiano della
cucina e la mente tornò a malincuore a quel pomeriggio in
cui lei e Max cucinarono la torta.
Jason le alzò dolcemente il viso con un pollice per farla
voltare verso di sé.
- No.-
Sussurrò incerta. Ma neppure lei era convinta della sua
risposta e realizzò che anche Jason l'aveva capito.
Il ragazzo sospirò e rimase a guardarla ancora per pochi
istanti.
- C'era anche un'altra
cosa di cui ti avrei voluto parlare stasera, ma vedo che non ti importa
poi così tanto di me, perciò posso anche
andarmene.- Dichiarò risoluto.
- Jason?- Lo
richiamò Faith con la voce incrinata mentre si stava
avvicinando all'ingresso.
- Si?-
- Ciò che
è accaduto a mia zia ha rimesso in discussione i sentimenti
e le emozioni che ho provato ieri sera. Non costringermi a forzare le
cose perchè, ora come ora, non so come devo comportarmi.-
Jason annuì, passandosi una mano sotto il mento e, prima di
chiudersi la porta alle spalle, replicò: - Sai dove trovarmi
quando hai deciso cosa fare.-
|
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Capitolo 35 *** 35. Pensare Con Il Cuore ***
R
ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Ciao
a tutti!
Oggi
pubblicherò un capitolo che ho scritto più o meno
un anno fa mentre ero in vacanza. Mi auguro che vi piaccia e che
possiate seguire questa storia con maggiore interesse!
Intendo
ringraziare Saty,
che metterei volentieri in una stanza insieme a Faith per vedere cosa
accade ;) Mozzi84,
e chiunque inserisca la storia tra le Preferite e Seguite!
A
presto! MM
35.
P
ENSARE CON IL CUORE
Le massicce porte della chiesa
erano aperte quando Max vi giunse innanzi, ed un intenso odore di cera
e fiori recisi lo investì non appena varcò la
soglia dell'edificio in stile romanico. Nell'oscurità che
avvolgeva i banchi sedeva ordinatamente in preghiera una folta schiera
di persone vestita di colori scuri, ed alcune si voltarono a guardarlo
attraversare la navata centrale, bisbigliando in un malcelato interesse.
Il ragazzo aveva indosso il suo abito migliore, un completo grigio
perla impreziosito da sottili cuciture in rilievo e la camicia di una
tonalità leggermente più chiara. Si sentiva
stanco, le gambe dolenti gli parevano macigni di cemento, ma, senza
conoscere il motivo, dentro di sé avvertiva l'urgenza di
arrivare in fondo alla navata dove, ai piedi dell'altare, una bara
aperta per metà troneggiava tra due ricchi mazzi di rose
gialle.
Nel suo cervello imperava una forza sconosciuta che lo spingeva,
obbligandolo a raggiungere il feretro senza sapere chi si trovasse al
suo interno. Si era ritrovato misteriosamente a transitare davanti alla
chiesa, ma non si domandava nemmeno cosa ci facesse là, e
non capiva perchè la cerimonia si stesse svolgendo a notte
fonda.
Certo, era conscio si trattasse di un funerale, ma di chi? E
perchè la gente attorno continuava ad osservarlo mentre
procedeva piano e con un certo imbarazzo verso la bara?
Gli sguardi di quelle persone a lui sconosciute sembravano iniettati di
odio. In qualche modo, Max riusciva a percepire il disprezzo che
traspariva dalle loro espressioni, dalle mascelle serrate di alcuni
signori alle occhiate maligne delle signore, ed era certo che chiunque
là dentro ce l'avesse con lui.
Improvvisamente provò vergogna e tutti gli sguardi
accusatori parvero moltiplicarsi, come gli occhi luminosi di certi
animali selvatici che si accendono tra i cespugli di una foresta al
crepuscolo.
Una vecchia schiuse le labbra, ma Max non riuscì a capire
ciò che aveva da dire. Il suono maestoso e triste
dell'organo risuonò improvviso e potente nella chiesa,
facendo vibrare le colonne e i porticati laterali per poi scendere ad
allargarsi in cerchi concentrici sul pavimento di marmo decorato. Le
fiamme di decine di candele mezze consumate tremolarono vigorosamente
creando inquietanti giochi di luce sulla parete retrostante, in aloni
giallastri ed intensi.
Momentaneamente distratto dalla melodia, il ragazzo riportò
la sua attenzione al feretro, ormai l'aveva quasi raggiunto. Mancava
ancora qualche passo e la preoccupazione per ciò che avrebbe
scoperto iniziò a prenderlo alle tempie trasformandosi in un
mal di testa lancinante simile a due punte di trapano che gli foravano
il cranio.
Malgrado il fortissimo dolore, la forza dentro di lui lo costringeva a
proseguire. L'organo persisteva a suonare imperterrito una nenia
fastidiosa ed il pavimento sotto i suoi piedi vibrava quanto una lieve
scossa sismica che soltanto lui pareva avvertire, mentre la gente
intorno lo guardava nello stesso modo in cui avrebbe osservato un
povero pazzo in preda alle allucinazioni.
Avvolto da un penetrante odore di cera e incenso, Max tornò
a concentrarsi sul feretro. La bara, di un colore marrone chiaro,
presentava intarsi ben eseguiti, di forma circolare, sovrapposti l'un
l'altro a formare una sorta di catena che girava tutt'intorno.
Si avvicinò cauto, poggiando delicatamente le punte delle
dita sul bordo, ed allungò la testa prestando molta
attenzione, quasi temesse l'improvvisa ed inaspettata fuoriuscita di un
essere demoniaco. Quando finalmente riuscì a
vedere il viso della persona che riposava all'interno, un conato di
vomito lo assalì partendo dallo stomaco, ed istantaneamente
si portò una mano alla bocca.
Il viso angelico di sua madre sembrava giudicarlo attraverso gli occhi
serrati. La sua espressione beata e sinistramente felice
inorridì il ragazzo, che indietreggiò di colpo,
reprimendo un grido di terrore, incredulità e disperazione.
-
L'ha uccisa lui!- Lo accusò d'un tratto la stessa vecchia
che poco prima sussurrava parole indecifrabili.
La donna si era drizzata faticosamente in piedi con l'aiuto di un
bastone e puntava l'indice scarno nella sua direzione.
Colto da un brivido di nervosismo, Max provò ad urlare il
suo rifiuto di credere a quella tremenda ed inverosimile
verità, ma il grido gli morì in gola e
dalla sua bocca non uscì altro che aria. Si rese conto con
orrore di non essere più in grado di emettere alcun suono.
-
L'ha uccisa lui!- Ripeté la vecchia, il tono della sua voce
più carico di disgusto, più acido, e i suoi occhi
colmi di veleno furono attraversati da un lampo di rabbia.
Poi Max udì un'altra voce provenire alle sue spalle,
stavolta calda, morbida, setosa, che non aveva nulla a che vedere con
il mondo spietato ed assurdo nel quale si era ritrovato catapultato.
Si voltò e vide il profilo di una ragazza dai lunghi
capelli, vestita di bianco e circondata da un'aureola di magia. Il
bagliore che emetteva aumentava con il suo avvicinarsi e Max dovette
schermarsi gli occhi con una mano.
- Non sono stato io...
Non è colpa mia!- Esclamò assalito dal
panico di fronte a quella celestiale, ma alquanto temibile visione. Si
meravigliò di avere ottenuto di nuovo l'uso della voce, ma
la stessa meraviglia svanì poco dopo, quando
riaprì gli occhi e vide che il buio era sceso su di lui come
un'improvviso cambio di scena.
Nessuna traccia di feretri, chiese, fiori o ragazze vestite di bianco
aleggiava nell'ambiente circostante. Niente più sguardi
luminosi nell'oscurità. In pochi secondi comprese che si era
trattato di un sogno. Di un incubo, per la precisione.
Allungò a tentoni la mano verso il comodino ed accese la
luce stropicciandosi gli occhi. il silenzio era scandito
soltanto da un orologio che segnava annoiato le cinque del mattino, ed
un insolito color zaffiro tingeva le finestre, ammantando i tetti degli
edifici londinesi più lontani. Nel piccolo cono di luce che
rischiarava la stanza, Max si portò una mano sul cuore e lo
sentì battere veloce. La sua maglietta era madida di sudore
e la fastidiosa sensazione di appiccicaticcio sul petto e sulla schiena
lo costrinse a levarsela, gettandola ai piedi del letto in un gesto
stanco.
Quell'incubo, realizzò, era stato maledettamente realistico
e la semioscurità della camera ne amplificava gli effetti al
punto di sconvolgerlo.
Gli eventi dell'ultimo periodo si erano indiscutibilmente rielaborati
nella sua mente, nitidi e precisi, come ricordi recenti, tanto da
chiedersi se sua madre fosse realmente deceduta. Il messaggio che
voleva trasmettere quel sogno era chiaro.
Quanto dolore poteva aver provocato ad Addison ferendola come aveva
fatto? Sapeva perfettamente di non essere stato corretto trattandola in
quel modo ed averla vista distesa in una bara lo fece pentire,
fomentando i suoi già numerosi rimorsi. Quelle immagini si
ripetevano nella sua mente come il ritornello di una canzone e temette
di non riuscire più a liberarsene.
E poi c'era la ragazza. Avrebbe potuto benissimo essere Faith, ma la
luce che la circondava era talmente potente d'avergli
impedito di delinearne il viso.
Esausto e turbato, spense la luce e, con le mani incrociate dietro la
nuca, chiuse gli occhi cercando di non pensare ad altro se non a
riaddormentarsi, ma passò almeno una mezzora prima che
Morfeo si impadronisse nuovamente del suo sonno.
- Mio Dio, Max, oggi
hai un aspetto orribile.- Commentò Tom il mattino seguente
al tavolino del Cafè on the Square. I due amici
erano soliti fare colazione insieme durante il week-end, in modo da
trascorrere più tempo al di fuori del lavoro.
- Grazie tante.-
Ribatté sarcastico il ragazzo. In effetti Tom non aveva
tutti i torti: due occhiaie scure, la carnagione pallida e i capelli
spettinati lo facevano sembrare un'altra persona.
- Che hai fatto
stanotte? Sei rimasto sveglio davanti alla TV a guardare robaccia
decisamente poco adatta ad un ragazzo perbene come te?-
Continuò ad istigarlo Tom.
Max bevve un sorso del suo caffè, decidendo di ignorarlo con
assoluta convinzione. Si stava divertendo come un matto a provocarlo e
di certo si sarebbe divertito ancora di più se lui gli
avesse risposto con una sfuriata. Con molta calma ripose la tazza sul
piattino e lo guardò.
- Magari.-
Replicò con un fugace sorriso tirato. Poi si fece serio, e
parlò abbassando il tono di voce.
- Ho fatto un incubo
stanotte.-
Tom aggiunse altro zucchero al caffè e tacque, analizzando
la sua risposta. Stava per sparare un'altra delle sue battute, ma
considerò che non era la mattina adatta per ironizzare.
Ormai conosceva bene Max e sapeva quando era il caso di continuare un
discorso con un certo sussiego in base al modo in cui l'amico
rispondeva alle sue domande.
- Ti va di fare una
passeggiata nel parco?- Gli chiese Max spiazzandolo.
- Ok.-
Approvò Tom - Finisco il caffè.-
Pagarono il conto ed uscirono dal locale, dove, a fianco dell'entrata,
un uomo stava affiggendo un cartellone con gli orari del musical “Les
Miserables”. La luce bianca e azzurra di quel
primo sabato di luglio li investì come un'ondata di acqua
calda. Lungo il marciapiedi frotte di turisti si dilettavano a
fotografare i particolari tipici della città o ad alzare gli
sguardi al cielo per ammirare gli splendidi edifici che si affacciavano
sulla piazza, come la National Portrait Gallery, la Canada House e la
chiesa di St. Martin.
I due ragazzi si si immisero nella folla e si avviarono verso i
giardini.
- Allora.-
Esordì distrattamente Tom - Che hai sognato di
così sconvolgente?-
Max continuò a guardare avanti con gli occhi coperti dai Ray
Ban.
- Mia madre.- Disse
semplicemente. Tom esitò.
- E... che ti ha
detto?-
- Era morta.-
L'amico si sentì rimpicciolire. Max gli aveva raccontato
ogni dettaglio del suo breve viaggio a Lakewood, ma non erano
più tornati sull'argomento, un po' per discrezione di Tom,
un po' perchè quello era il primo week end che riuscivano a
trascorrere insieme dal suo ritorno a Londra.
Dopo aver lasciato sfrecciare un autobus rosso fuoco, attraversarono
Trafalgar Square, dove si stava svolgendo una marcia reale con le
guardie a cavallo.
Considerata da molti inglesi il centro della città, la
piazza pullulava di macchine fotografiche e stormi di piccioni che
zampettavano tra le due grandi fontane laterali. Al centro si ergeva
trionfante il suo storico simbolo, la colonna dedicata all'ammiraglio
Nelson, in onore della sua vittoria contro le truppe napoleoniche nella
battaglia navale del 1805 a Trafalgar.
Dopo pochi metri Max e Tom giunsero a Saint James, il parco cintato da
un elegante cancellata in ferro battuto che univa la piazza a
Buckingham Palace.
Una lieve brezza faceva frusciare le fronde degli alberi e pareva di
respirare un'aria migliore di quella del centro. I prati, i cespugli e
le foglie erano dipinti di un verde brillante e il sole mattutino li
rivestiva di una luce quasi paradisiaca.
La gente passeggiava tranquilla tra i sentieri ghiaiati che
serpeggiavano attraverso i giardini e si riposava sulle panchine di
legno distribuite ad intervalli regolari in tutto il parco. Qualcuno
leggeva il giornale, qualcun altro, con la testa reclinata
all'indietro, tentava di abbronzarsi un po'. Una ragazza che faceva
jogging con i capelli legati in una coda ordinata e le cuffiette alle
orecchie non passò inosservata a Tom, che si
voltò per guardarle il fondoschiena non appena lo ebbe
superato correndo nella direzione opposta.
Max lo notò con la coda dell'occhio e sorrise scuotendo
leggermente la testa senza dire nulla. Scovarono una panchina libera ai
piedi di una collinetta delimitata da un paio di statue ingrigite dal
tempo. Entrambe riproducevano due cherubini intenti a pizzicare le
corde di un'arpa, con le ali semichiuse. Alcuni uccellini adagiati
sulle teste cinguettavano allegramente quasi stessero discutendo tra di
loro.
I due ragazzi sedettero sulla panchina e Max si appoggiò
allo schienale allargando le braccia con il viso rivolto
verso il sole.
- Mi trovavo ad un
funerale senza sapere di chi fosse.- Riprese a raccontare.
Tom lo ascoltò senza intervenire.
- Mentre attraversavo
la navata centrale della chiesa la gente attorno mi osservava indignata
e, quando ho scoperto che nella bara c'era mia madre, una vecchia si
è alzata in piedi incolpandomi della sua morte. Poi
è apparsa una ragazza.- Max fece un gesto vago con la mano -
Una specie di angelo. Non sono stato in grado si riconoscerla. Ho
aperto gli occhi subito dopo.-
Tom mugugnò valutando il tutto come un interprete dei sogni,
poi elaboro la sua teoria.
- Inutile dire che
tutto ciò potrebbe essere una conseguenza di
quello che è successo in Ohio, questo credo che tu lo abbia
già capito, Max.-
Max annuì con la testa, sollevando un sopracciglio per
evidenziare ovvietà.
- Esatto, Freud.-
- Anch'io facevo sogni
simili al tuo dopo che i miei genitori morirono nell'incidente in auto.-
Max conosceva a grandi linee la sua storia, ma non era informato circa
i dettagli più riservati. Fu in quel frangente che l'amico
gli raccontò di com'era andata, forse spinto dal volerlo
aiutare dandogli qualche consiglio senza essere sottoposto ad un facile
giudizio.
- Avevo da poco
cominciato a studiare alla Berkeley, ma non ero soddisfatto. Complici i
sentimenti che mi legavano ad una ragazza che studiava all'altro capo
del paese, mi ostinai a voler cambiare università. Una sera
tornai a casa e dissi ai miei genitori di aver lasciato gli studi in
California perchè volevo iscrivermi alla Brown. A quel tempo
mio padre gestiva un ristorante lungo la costa, ma le entrate non erano
molto alte. Così mi rimproverò accusandomi di
aver buttato via il loro denaro. Non potevo permettermi di cambiare
università per un semplice capriccio. Ricordo che mi disse "Io e tua madre ti abbiamo
sempre sostenuto in ogni tua decisione, ma questo non me lo sarei mai
aspettato da te. Tu sei mio figlio ed io ti vorrò sempre
bene, però stasera mi hai deluso. Ciò che mi
importa più dei soldi è il tuo futuro e non posso
permettere che tu lo metta a rischio soltanto per amore di una ragazza.
Commetteresti un errore trasferendoti alla Brown." Poi
sospirò e disse guardandomi negli occhi "Mi fai stare male, Tom."
E, dopo aver detto questo, lui e mia madre uscirono per andare al
lavoro al ristorante. Fu l'ultima volta che parlai con loro.- Tom
incrociò le dita delle mani e abbassò lo sguardo,
smuovendo alcuni sassolini con un piede.
- Soltanto dopo
l'incidente mi resi conto che mio padre aveva ragione. Ero giovane e
tanto egoista. Ostinato e completamente preso dalla folle idea di
cambiare università. Porterò sempre dentro di me
le sue ultime parole, e non immagini quanto mi feriscano ogni volta che
mi tornano in mente. Non aver avuto la possibilità di
chiarirmi con lui mi fece sentire un verme per parecchio tempo. Avrei
tanto voluto chiedergli scusa, porre rimedio a quella discussione.
L'avevo deluso e lui se n'era andato con il rancore nei miei confronti.
Anche mia madre era del suo stesso parere, ma si era limitata ad
abbracciarmi, chiedendomi di ripensare bene alla mia decisione.-
Tom esibì un sorriso che non aveva niente a che vedere con
la felicità, e Max vide chiaramente che i suoi occhi erano
lucidi.
- Tutto questo per
dirti che tu sei ancora in tempo per porre rimedio al tuo sbaglio. Io
non lo sono più.- Realizzò con tanta amarezza
nella voce - Non capisco perchè certe cose si riconoscano
per quello che sono realmente solo dopo che la morte ci ha portato via
chi cercava di aiutarci.- Osservò stringendosi nelle spalle
- Non voglio che tu stia male come lo sono stato io. E, se posso
dirtelo, scommetto che tua madre non sta tanto meglio di te in questo
momento.-
Max parve rifletterci. Notò solo adesso un ragazzo che stava
dipingendo una tela adagiato comodamente sotto un grande albero, e si
destreggiava con abilità tra pennelli e colori. Si chiese
che cosa stesse dipingendo, se la realtà o la fantasia.
- Ma perchè
mi ha mentito così?- Chiese volgendosi di nuovo verso Tom,
che si grattò il mento.
- Sapeva che avresti
perso la testa e non voleva perdere anche te, dopo tuo padre.-
- Si, ma...-
- Non ci sono “ma”,
Max.- Tagliò corto Tom - Perchè non riesci a
capire che tutto ciò che le rimane sei tu?
Perchè non riesci a capire
che tu sei tutta la sua famiglia? Io non voglio giudicarti,
ma renditi conto che di mamma ce n'è una soltanto e quando
lei non ci sarà più, tu cosa ne farai della
rabbia e del risentimento che ti sei portato dentro per tanto tempo?-
Max lo guardò senza rispondere. Non sapeva cosa replicare.
Perchè il suo amico aveva così tremendamente
ragione?
- Esatto.-
Sbottò Tom esaminando la sua espressione - Non te ne farai
proprio niente.-
L'amico increspò le labbra. Forse era troppo presto per
cercare di sistemare tutto con sua madre, e non poteva essere sicuro
che lei lo avrebbe perdonato con tanta facilità.
Però ci fu una molla nella sua testa, uno scatto, che gli
fece improvvisamente elaborare da un altro punto di vista tutta la
situazione. Fino a quel momento non era riuscito a pensare con il cuore
perchè il livore e la disperazione celavano ciò
che agli occhi di tutti appariva come l'infinito amore di una madre
verso il figlio. Addison non era stata egoista a volergli nascondere la
verità, ma puramente e completamente il contrario, e lui
aveva calpestato i suoi sentimenti e le sue buone intenzioni. Adesso
subentrava la stessa vergogna che aveva provato nel suo incubo e sapeva
che l'unico modo per sentirsi meglio non era perdonare sua madre, ma
riuscire a farsi perdonare.
- Che mi dici della
ragazza?- Domandò Tom interrompendo il flusso dei suoi
pensieri.
- Quale ragazza?-
- Quella apparsa alla
fine del tuo incubo.-
Max sollevò un angolo della bocca, chiudendo brevemente gli
occhi e passandosi una mano tra i capelli.
- Non vorrei giurarci,
ma credo che rappresenti l'altra questione da risolvere.- Rispose
accorato.
|
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Capitolo 36 *** 36. Un Giorno Migliore ***
R
ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Ciao
a tutti!
Eccoci
qui, in una nuova estate! Quello che trovate qui in basso è
il penultimo capitolo che pubblico prima delle vacanze! Ci ritroveremo
il 15 settembre 2011, ma tornerò a ripeterlo tra due
settimane prima di salutarvi!
Come
sempre non dimentico di ringraziare Saty e Mozzi per il
loro lavoro! Siete le migliori amiche che si possano desiderare! Ma vi
ringrazierò con qualche altra bella parolina nell'ultima
pubblicazione!
E
poi un grazie va anche a chi inserisce questa storia tra le Preferite e
Seguite! Continuate a leggere!!
Buona
lettura!
MM
36.
U
N GIORNO MIGLIORE
Il pomeriggio del giorno seguente Faith ricevette la notizia che
più di ogni altra non avrebbe voluto ricevere: zia Becky
stava morendo lentamente e la diagnosi iniziale del dottor Fawcett non
lasciava più spazio ad alcuna possibilità di
guarigione.
A malincuore, aveva aiutato la zia a prendere le ultime cose ed insieme
avevano lasciato l'ospedale.
Zia Becky sembrava dimagrire a vista d'occhio e più i giorni
passavano, più le forze le venivano a mancare.
All'inizio di luglio Faith si accorse che nella maggior parte dei
discorsi che intraprendeva, la donna faticava a comprendere i dettagli
e spesso le ripeteva più volte i concetti
affinché mantenesse il cervello allenato il più
possibile. Una sera, al tramonto, la ragazza uscì in veranda
per avvertirla che la cena era pronta.
La donna si stava cullando lentamente sulla sedia a dondolo e guardava
ipnotizzata il sole tingere di arancio le creste dell'oceano. Non parve
accorgersi della sua presenza, così Faith la
osservò in silenzio.
In poche settimane era invecchiata parecchio. I capelli fini e bianchi
legati sulla nuca le conferivano più anni di quelli che
aveva, il perenne colorito roseo delle guance era sbiadito e profonde
rughe le contornavano le labbra. I suoi piccoli occhi iniziavano a
perdere valore infossati sotto le sopracciglia leggermente irregolari.
Malgrado ci fossero temperature piuttosto alte, tendeva sempre a
coprirsi, e tante volte Faith la sorprendeva a tremare.
- Ho preparato
qualcosa da mangiare, zia.- Sussurrò la ragazza.
Zia Becky si destò da quel sonno ad occhi aperti e la
guardò con un debole sorriso. Faith le posò una
mano sulla spalla avvertendo una fragilità tale da
suscitarle tenerezza e commozione.
- Sai una cosa,
Faith?- Fece la donna carezzandole la mano sulla spalla - Saperti qui
al mio fianco in un momento così delicato della mia vita mi
riempie il cuore di gioia.-
- Oh, zia...-
Mormorò Faith piegandosi sulle ginocchia.
Zia Becky guardò l'oceano mentre alcune barche spiegavano le
loro vele e cavalcavano maestose i marosi dorati. Un vento d'inizio
estate sospingeva verso l'orizzonte nubi grigie a macchiare l'azzurro
intenso del crepuscolo.
- Ricordo ancora bene
quando sei venuta ad abitare qui con me. Avevi soltanto nove anni, ma
dimostravi già una grinta ed un coraggio incredibile
nell'affrontare le cose.- La zia sorrise ricordando quei giorni del
passato, e gli occhi si fecero lucidi.
Faith sentì un groppo in gola. Avrebbe voluto continuare ad
ascoltarla a lungo, ma, allo stesso tempo, desiderava che smettesse di
ricordare.
Quelle parole in quel contesto assumevano un significato doloroso,
nonostante si trattasse di bei ricordi che, improvvisamente,
racchiudevano in sé il sapore delle cose dette da una
persona che l'avrebbe abbandonata da un momento all'altro, lasciandole
una ferita nel cuore costantemente aperta.
Quasi fosse l'ultima lacrima versata, l'ultima cosa divertente
raccontata. E tutto ciò la angosciava terribilmente.
- Da allora sono
passati sedici anni, Faith.- Continuò la zia - Ma io ti vedo
ancora come ti vedevo allora: fragile e forte, dolce e profonda.-
La donna la guardò posandole una mano sul viso e, con il
pollice, le asciugò una lacrima.
- Sei sempre tu, la
mia bambina, qui con me fino alla fine. E so che ci sarai anche dopo
che io...-
- No. Smetti di
parlare così, zia.- La zittì dolcemente Faith
scuotendo la testa.
- È
così, Faith.- Insistette zia Becky tornando ad ammirare
ciò che restava del sole nel cielo - Io morirò
presto. Solo ora comincio a capire che cosa significa, ma sono serena.
Non ho rimpianti, nella vita ho fatto tutto ciò che volevo,
ho ricevuto tutto l'amore che desideravo e ne ho dato altrettanto.
Quanti possono dire lo stesso?- Chiese rivolgendosi alla nipote, che
volse la testa di lato contraendo le labbra per trattenere le lacrime
come poteva - Tu puoi dire questo, Faith?-
La ragazza chiuse gli occhi e tra le folte ciglia brillò una
lacrima.
- No.-
Affermò semplicemente.
- Sembra ieri quando
sei arrivata qui. Il tempo è un attimo, Faith. Ha la durata
di un soffio, di un battere d'ali. Devi sfruttarlo al meglio o, in men
che non si dica, ti ritroverai con niente in mano.-
- Anche se sono
trascorsi tanti anni, credo di non sapere come si fa, zia.-
La zia piegò la testa di lato e sorrise.
- Si.-
Sussurrò - Si che lo sai. Devi solo volerlo.-
Faith le prese entrambe le mani e rimase a guardarla a lungo negli
occhi, come volesse scoprire e imparare i segreti di tutta una vita
scrutando quelle pupille che trasmettevano ancora la forza degli anni,
la volontà di volere.
- Vorrei solo che tu
non andassi via.- Le confidò con gli occhi lucidi sollevando
un angolo della bocca - Vorrei che restassi con me perchè io
ho ancora bisogno di te. Sei l'unica cosa importante della mia vita e,
quando tu non ci sarai più, io non saprò cosa
fare. È così poco il tempo che abbiamo trascorso
insieme...-
Zia Becky le prese il viso tra le mani e la tirò a
sé per abbracciarla.
- Non andrò
mai via da te, bambina mia.- Le sussurrò in un orecchio
prendendo ad accarezzarle i capelli - Io resto qui.-
La tenne stretta a lungo e pianse con lei finchè la luce del
sole svanì completamente e il giorno non divenne altro che
un ricordo.
Per Faith non era facile capire cosa volere. Aveva riflettuto parecchio
sul discorso di zia Becky. Si era impegnata, sforzata, ma sembrava non
trovare alcuna risposta. Tuttavia, le idee su come avrebbe dovuto
sfruttare il suo tempo c'erano, anche se lei non voleva ammetterlo a
sé stessa. A parte sua zia, i motivi per i quali continuare
a vivere erano due. Ciascuno di questi due motivi possedeva una
metà del suo cuore, ma era inconcepibile per lei amare allo
stesso tempo l'uno e l'altro.
In un certo modo Max continuava indirettamente ad influenzare la sua
vita mentre Jason rappresentava per lei la fuga dal passato.
Presa dall'impeto di voler prendere una decisione in quello stesso
istante, scese dal letto e afferrò il cellulare.
Digitò il numero ed esitò qualche attimo prima di
inoltrare la chiamata, non sapendo bene cosa dire. Con sua sorpresa
e sollievo si attivò la segreteria telefonica.
- Ciao.-
Esordì incerta. In quel frangente si prese la testa tra le
mani e pianse - Mi dispiace tanto per tutto quello che è
successo, ma ti prego, perdonami. Io ti amo e non riesco a stare senza
di te. Ci sto provando con tutte le mie forze ma non ce la faccio.
È troppo difficile.-
Riattaccò subito dopo, pentendosi di essere apparsa
così vulnerabile e ridicola, ma, in cuor suo,
pregò che lui comprendesse.
Si mise a sedere sul letto abbracciandosi le ginocchia, illuminata
dalla candida luna, sperando che il giorno seguente potesse essere
migliore.
|
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Capitolo 37 *** 37. A New Day Has Come ***
R
ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Ciao
a tutti i lettori!
Eccoci
giunti all'ultimo capitolo della stagione. A qualcuno
piacerà, a qualcun altro meno, ma spero che lo possiate
commentare.
Spero
anche che a settembre siate in tanti a leggere questa fan fiction!
Nel
frattempo ringrazio Saty
e Mozzi84
per la pazienza e la cura con le quali si occupano di questa storia:
siete fantastiche!
Come
ultima canzone da ascoltare vi consiglio “New Day”
di Tamar Kaprelian, e vi saluto aspettandovi il 16
settembre 2011!
Buone
vacanze a tutti e buona lettura!
MM
37.
A
NEW DAY HAS COME
Trascorsero cinque giorni da quella notte e Faith si sentiva sempre
più stupida man mano che le ore passavano. Ogni volta che il
telefono squillava o che qualcuno bussava alla porta il cuore iniziava
a batterle come un martello pneumatico. Ed ogni volta la delusione e la
tristezza si alimentavano irreversibilmente.
Non sapeva più a cosa pensare. Non capiva perché
Jason non avesse risposto al suo messaggio ed arrivò a
credere che se la fosse presa così tanto da sentirsi stanco
di essere preso in giro da lei, la ragazza che gli aveva rubato il
cuore, gettandolo a terra e calpestandolo come erba selvatica.
Finché, passato il quinto giorno, alle sei del pomeriggio
avvertì zia Becky che sarebbe uscita a cercarlo,
promettendole che sarebbe stata di ritorno prima di sera.
Era giunto il momento di smettere di aspettare, aveva già
perso troppo tempo. Prima che il buio fosse calato lei avrebbe ottenuto
tutto, oppure niente. Era un bel rischio, ma sentiva che era giusto
correrlo.
Salì in auto e partì alla volta di Hermosa Beach,
anche se non era certa che lo avrebbe trovato in casa a quell'ora.
Il cuore sembrava esploderle nel petto mentre il sole bollente
penetrava all'interno dell'auto attraverso i finestrini aperti e le
scaldava la pelle del viso e delle braccia.
Improvvisamente si rese conto che non avrebbe saputo cosa dire nel caso
se lo fosse trovato davanti, ma quel pensiero venne ben presto spazzato
via dalla frenesia di voler trovare la persona della quale si era
innamorata.
Accese la radio, spegnendola subito dopo aver capito che non c'era
altro all'infuori di Jason che potesse interessarle in quel momento.
Lui era diventato il centro del suo mondo e doveva ad ogni costo dirgli
di persona quello che provava nei suoi confronti. Avendo capito di
essersi comportata da immatura e da prepotente, sperava ardentemente
nel suo perdono.
La strada era trafficata, ma non impiegò molto tempo ad
arrivare a casa del ragazzo.
Accostò al marciapiede e, dimenticando la borsetta in auto,
si precipitò a suonare il campanello dell'abitazione.
Le venne ad aprire Kate, la madre di Jason, che si mostrò
subito preoccupata notando lo stato di agitazione della ragazza.
- Entra, Faith, e
spiegami cosa sta succedendo.- Le disse con la voce carica di ansia.
Faith varcò il cancello a grandi passi e si
avvicinò alle scale sforzandosi di sembrare il
più civile e adulta possibile.
- Salve, signora
Conrad, sto cercando Jason. É in casa?- Chiese fermandosi a
riprendere fiato.
Kate parve sconcertata da quella domanda.
- A dire il vero,
Faith, lui è partito.- Fece laconica.
La ragazza rimase un attimo in silenzio, confusa, ripetendosi
mentalmente la risposta.
- Partito? Per dove?-
Domandò sbalordita, senza nascondere un pizzico di delusione.
Kate scese le scale con una mano sul parapetto e l'altra a sistemarsi
il grembiule legato in vita.
- Si, non te l'ha
detto? Trascorrerà tre mesi in Polinesia lavorando a bordo
della barca di una coppia di soci dello Yacht Club.-
D'un tratto Faith comprese che doveva essere questo ciò che
Jason avrebbe voluto dirle quella sera, quando lei lo aveva accusato di
averle mentito riguardo ai sentimenti che provava. Che stupida!
- Io... Io ho lasciato
un messaggio sulla segreteria del suo cellulare, ma...-
Balbettò sconsolata la ragazza.
Kate scosse la testa
portandosi le mani sui fianchi.
- Quel distratto di
mio figlio ha perduto il cellulare poco meno di una settimana fa,
quindi non credo che lo abbia ascoltato.-
A Faith si illuminarono gli occhi: adesso era certa che lui non fosse
arrabbiato al punto di non volerne più sapere di lei. Ma
s'incupì immediatamente ricordandosi che ormai era tardi:
aveva lasciato Los Angeles.
- Però
credo che farai ancora in tempo a trovarlo se corri al porto.-
Continuò Kate, instillando nel suo animo una buona dose di
speranza - Mi ha detto che sarebbe salpato alle 6.30.-
Senza pensarci, Faith rivolse un immediato sguardo all'orologio che
portava al polso: 6.20.
- Grazie mille,
signora Conrad.-
La salutò velocemente, uscì dal cortile, si
fiondò in macchina e partì facendo stridere i
pneumatici sull'asfalto. Oh,
mio Dio, sembro una povera pazza!
Tamar
Kaprelian “New Day”
Il porto distava circa tre chilometri dalla casa di Jason, ma
l'abituale traffico li faceva sembrare il triplo.
Lungo la strada Faith lanciava insistentemente occhiate all'orologio,
attanagliata dal timore di non riuscire a raggiungere il ragazzo. I
particolari del paesaggio attorno sfrecciavano in una miriade di
strisce colorate, creando lo stesso effetto di un dito passato su un
dipinto appena terminato, mentre il sole, in uno squarcio dorato nel
cielo bluastro, pareva danzare beffardo sulla linea dell'orizzonte.
Alle 6.28 giunse al parcheggio dello Yacht Club e fermò la
macchina con una frenata degna di un film poliziesco. Si
osservò un breve istante allo specchietto retrovisore
dell'auto, ripensando a quella volta che Holly le disse “Occorre essere sempre
in ordine ogni volta che si esce di casa!”. Se
l'avesse vista ora avrebbe concluso che la parrucca di un clown sarebbe
stata più in ordine dei suoi capelli, ma poco le importava.
Non indossava neppure niente di eccezionale: un paio di jeans strappati
alle ginocchia e una canotta rossa. Le infradito ai piedi non erano il
massimo per fare una corsa, ma finse di non badarci. L'importante era
raggiungere il molo - e Jason - al più presto.
Attraversò il giardino, ricco di piante e fiori di ogni
tipo, e imboccò la scala che scendeva ripida al pontile in
un paio di rampe, sotto lo sguardo incuriosito di un giardiniere con in
mano un'enorme paio di cesoie, e di un trio di vecchietti che stava
giocando alle carte all'ombra di un gazebo.
Quel luogo, al tramonto, era spettacolare, realizzò
affascinata, notando le barche ormeggiate che si andavano lentamente
coprendo dei morbidi e suggestivi colori serali.
Si guardò intorno cercando di localizzare Jason quando,
grazie al rombo di un motore e un fugace bagliore riflesso nei vetri,
intravide uno yacht lasciare il porto sfilando tra le altre
imbarcazioni ancorate in un'intricata distesa di alberi e di vele che
ondeggiavano al dolce cullare del Pacifico.
L'odore salmastro le giungeva a tratti al naso, a seconda della
direzione del vento, mentre sulle travi di legno nerastro i gabbiani
arruffavano le penne, emettendo il loro grido vivace e nascondendo il
becco sotto un'ala.
Faith non perse tempo. Prese a correre lungo il pontile e, sotto i
piedi, le assi velate da un sottile strato di sabbia scricchiolavano,
rimandando il tonfo leggero dei suoi passi.
Lo yacht era ancora vicino. La ragazza oltrepassò un altro
paio di barche e riuscì a vedere Jason che si occupava delle
vele, esattamente come aveva fatto il giorno della loro gita al largo.
Si fermò e, unendo le mani ad imbuto, lo chiamò a
gran voce.
Jason parve non sentire a causa del rombo del motore, ma, al secondo
richiamo, si volse in direzione del pontile e la vide.
Lasciò perdere le vele per sporgersi dalla barca, ma la
lontananza dal molo era ancora troppa. Sentì il cuore
balzargli in gola e togliergli il respiro perché sapeva che
Faith era là per un motivo. Sapeva che era là per
lui.
- Jason, ti amo! Ti
amo!- Ripeté più volte la ragazza facendo un paio
di saltelli, come fosse servito a farsi sentire meglio.
Jason le sorrise e si portò una mano sulla fronte,
giudicando incredibile tutto quello che stava accadendo. Quella ragazza
era una sorpresa continua ed era riuscita a stupirlo ancora una volta,
facendogli dimenticare la stupida lite di qualche giorno prima.
Lo yacht si stava allontanando dal porto sempre più
rapidamente e Faith corse fino a raggiungere l'estremità del
pontile senza più fiato nei polmoni.
- Ti amo, Faith! Sei
tutto per me!- Urlò Jason di rimando.
Poi gridò parole a lei incomprensibili, poiché il
vento trasportò lontano dal molo ogni suono.
La ragazza lasciò allora che le braccia le scivolassero
lungo i fianchi e piegò la testa da un lato, rimandandosi
indietro i lunghi capelli in un sorriso. Gli soffiò un bacio
con la mano prima di salutarlo con il palmo immobile e aperto.
Una volta che lo yacht raggiunse il largo, Faith udì i suoi
motori spegnersi, e l'osservò prendere velocità,
con le vele che schioccavano al vento coprendosi gradualmente d'oro,
mentre l'oceano si striava di rosso, di rosa e di arancione.
- Sarò qui
ad aspettarti...- Mormorò la ragazza quando la barca divenne
poco più di un puntino luminoso sull'acqua.
Poi s'incamminò verso la sua auto, ammirando sulle colline
in lontananza il profilo della scritta metallica HOLLYWOOD
riflettere l'intensa luce del tramonto in un bagliore, tra il verde
scuro della vegetazione e il viola del crepuscolo. Si fermò
e voltò soltanto la testa, mentre la brezza marina le faceva
ondeggiare una ciocca di capelli sopra le labbra.
L'arancio del sole si dipinse nei suoi occhi facendoli brillare, e lei
sorrise, soddisfatta, pensando che prima dell'imbrunire era riuscita ad
ottenere tutto ciò che voleva.
|
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Capitolo 38 *** 38. Un Regalo Speciale ***
R
ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Ciao a tutti! Bentrovati e bentornati dalle vacanze estive, per chi
è andato in vacanza, s'intende (io non sono andato, tengo a
precisare!)
Io
e la mia personal beta Mozzi84
siamo qui pronti a pubblicare questo nuovo capitolo, che spero sia di
vostro gradimento. Lasciatemi tanti commenti, anche cattivi, anche per
insultare Faith (che dopo l'ultimo capitolo, pare vada proprio di moda
insultarla. Ma io la amo lo stesso, sempre e comunque, malgrado noti
benissimo le smorfie della Beta.), insomma, qualsiasi cosa! Io vi
risponderò!
Ringrazio
come sempre la mia amica Saty
che pare abbia inserito uno zoo nella sua ultima recensione, molto
divertente davvero! Mi piace come scrive questa lombarda pazzerellona!
Anche se non lo vuole ammettere, lei prova un odio profondo verso
Faith, e questo mi diverte!
Poi
ringrazio anche Chiarascimmia,
che recensisce privatamente il capitolo ("Bello il capitolo, anche se
mi sta antipatica quella baldracca - si può scrivere? non lo
so! - che prima va con Max, poi con Jason, e scommetto che
tornerà con Max, mettendogliela nel deretano - si
può scrivere? non lo so! - a Jason, che ci
rimarrà di BEEEEEP! - questa non si può scrivere!
- Povero illuso!") . Si noti la finezza di quest'altra lombarda, sempre
invidiabile... :)
La
Mozzi84,
invece, si limita a tacere, ma il suo silenzio è
pericoloso... vedremo in seguito se metterà per iscritto la
sua simpatia per Faith...
Detto
questo, vi lascio senza ulteriori indugi alla lettura del capitolo e vi
comunico che la pubblicazione avverrà una volta al mese, non
più una ogni due settimane. La prossima pubblicazione
cadrà di venerdi 14 ottobre!
A
presto!
MM
38. U N
REGALO SPECIALE
Nelle settimane che seguirono la partenza di Jason, Faith
notò dei peggioramenti dello stato di salute di zia Becky e,
sapendo bene che non mancava più tanto tempo, la tristezza
aveva ormai trovato una dimora fissa nel suo cuore.
Il tempo dei sonnellini pomeridiani della zia era aumentato
gradualmente con il passare dei giorni, e la mattina faticava ad
alzarsi. Aveva anche cominciato a zoppicare ed ogni volta che Faith la
osservava camminare insicura le pareva di sentire il cuore stringersi
in una morsa che tratteneva dentro le lacrime.
Naturalmente non aveva raccontato nulla di tutto questo a Jason, che
era riuscito a telefonarle soltanto un paio di volte da quando aveva
lasciato la città. Da come le aveva descritto le cose,
sembrava davvero entusiasta di quel viaggio, e non c'era da stupirsi.
Viaggiare era sempre stato il suo sogno e lei non intendeva certo
guastarglielo parlandogli dei problemi sempre più gravi di
sua zia. Ogni volta che le chiedeva come stava, la ragazza vagheggiava
senza soffermarsi troppo o sottolineare cose delle quali il solo
pronunciarle le faceva male. Avrebbe preferito che Jason fosse rimasto
a Santa Monica, ma poi aveva concluso che in fondo non c'entrava nulla
con zia Becky, anche se era certa che lui l'avrebbe aiutata
incondizionatamente in quel periodo difficile.
Faith non usciva di casa, se non per svolgere le commissioni
più urgenti, come passare al supermercato per fare un po' di
spesa oppure fermarsi in banca per pagare le bollette. Non aveva
rivisto nemmeno Holly, nonostante l'amica le avesse telefonato numerose
volte chiedendole di accompagnarla in un tal posto o di aiutarla a fare
un determinato lavoro in casa, perché teneva a passare
più tempo che poteva con la zia. Ormai aveva inteso
benissimo che Holly si inventava qualsiasi cosa pur di farla uscire
perché si distraesse un poco, ma lei continuava a declinare
gli inviti con garbo, senza inventarsi bugie, replicando che doveva
fare compagnia a zia Becky.
Agosto arrivò in un batter d'occhio e il suo compleanno era
alle porte. Con la situazione in cui si trovava, la ragazza non era
dell'umore adatto per festeggiare. Fu la zia il pomeriggio del giorno
precedente a convincerla di organizzare una semplice cena con Holly.
- Potreste prenotare
una pizza e un film in cassetta.- Aveva proposto, e Faith, non
sentendosi in diritto di provare egoismo, finì per
accettare l'idea, più per sua zia che per sé
stessa. Non voleva deluderla o negarle le semplici cose proprio ora. In
fondo non chiedeva un party faraonico alla Holly Andrews,
pensò, e la compagnia dei suoi amici le avrebbe sicuramente
giovato.
Anche Jason, che le aveva telefonato per farle gli auguri, era del suo
stesso parere.
Così chiamo l'amica e convinse pure Chris a partecipare alla
serata, per essere sicura che la loro amicizia non fosse finita quel
pomeriggio lungo la spiaggia, quando lui le aveva raccontato
dell'alterco di Max con sua madre.
Entrambi accettarono di buon grado, presentandosi puntuali alle otto
con la scatola di una pizza enorme tra le mani e un pacco avvolto in
una carta colorata e un nastro giallo pieno di riccioli.
- Holly, Chris... Non
dovevate....- Sorrise Faith piegando la testa.
- Vorrà
dire che lo terrò io.- Affermò Holly piena di
convinzione - Non sai quanto mi costa darlo a te. Sappi, signorina, che
ho fatto la corte a questo oggetto qui dentro per un bel po' di tempo.-
- Beh,
perché non l'hai tenuto tu, allora?- Scherzò
Faith.
- So che potrebbe
piacere di più a te.- Rispose con un vago gesto della mano,
fingendo che non le interessasse più.
I tre ragazzi risero allegramente sulla porta.
- Tanti auguri,
Faith.- Mentre Holly l'abbracciava teneramente, a Faith venne in mente
tutto quello che avevano passato nell'ultimo periodo e si commosse.
- Grazie.- Le disse
piano all'orecchio.
Anche Chris si fece avanti per abbracciarla e Faith, mostrandosi
inizialmente un po' titubante, decise di mettere da parte i ricordi e
si strinse nel suo petto per alcuni attimi cercando di immaginarsi in
quale modo il ragazzo la vedeva ora.
- Ti voglio bene.- Le
sussurrò.
Lei alzò la testa asciugandosi una lacrima con il dorso
della mano e lo guardò.
- Buon compleanno,
Faith.- Le augurò con il suo sorriso da mascalzone, e lei
sorrise a sua volta.
- Ho contribuito
anch'io al regalo di Holly. Spero davvero che ti piaccia,
perché mi ci è andato il mio primo stipendio da
ristoratore.-
-Chris!- Lo
richiamò gravemente Holly - Non mi sembra il caso di parlare
di soldi proprio adesso!-
Ma Faith non fece caso all'amica, trovando più interessante
il discorso di Chris.
- Lavori in un
ristorante?- Gli chiese sbalordita, ma contenta.
- Allo Spago, quel
ristorante sulla Canon Drive. Lo conosci, vero?-
Faith asserì.
- È un
posto di lusso. Complimenti, Chris!-
- Il mio bravo capo mi
ha permesso di essere qui stasera nonostante lavori lì da
poco. Ma sai, gli ho parlato così bene di te che non ha
potuto negarmi il permesso.-
Faith gli picchiò piano una mano sulla spalla.
- Sei furbo, tu.- Lo
apostrofò strizzandogli un occhio.
- Si fa quel che si
può.- Posò le braccia sulle spalle delle ragazze
come un corteggiatore vissuto - Coraggio, entriamo. Ho una fame!-
Ridacchiò.
Mangiarono la pizza con zia Becky poi si spostarono tutti sotto il
portico e Faith affettò la torta di pere e cioccolato che
aveva comprato nel pomeriggio in una pasticceria fuori città.
La serata era calda,
allietata dal gradevole canto dei grilli e dal frinire delle
cicale. Non c'era traccia della luna in cielo, ma le stelle
baluginavano ritmicamente come piccoli frammenti di diamante.
Zia Becky aveva chiesto a Faith di mettere il suo disco preferito sul
vecchio grammofono del salotto, e dalla finestra aperta giungeva la
calda voce di Cole Porter, che amalgamava tutto quanto c'era di buono
nella serata. L'atmosfera che si respirava era rilassante e i problemi
di quei giorni sembravano lontanissimi e privi di valore.
La lanterna di ferro battuto che pendeva dal centro della veranda
dondolava impercettibilmente al vento tiepido, nella sua delicata luce
ambrata. In cucina Holly si era procurata alcune piccole candele e,
dopo averle accese, le aveva poggiate sul parapetto per tenere lontane
le zanzare attirate dalla luce e dai profumi.
- È l'ora
di aprire il regalo.- Annunciò con entusiasmo smorzando con
un soffio il fiammifero che aveva utilizzato.
Faith si vide costretta a lasciare la sua fetta di dolce a
metà, in quanto l'amica era davvero su di giri e
più impaziente di lei. Afferrò la scatola che
aveva vicino e sospirò.
- Davvero... Non
dovevate.-
- Ancora una parola e
me lo porto via io!- Esclamò Holly sbuffando bonariamente.
- Ok, ok, lo apro.-
Replicò arrendevole Faith prendendo a scartare la scatola.
Non era leggera, ma neanche eccessivamente pesante. Di certo era
qualcosa da indossare, questo l'aveva intuito già dalla
foggia del rivestimento con cui era stato incartato. Tolse il coperchio
e ne estrasse un abito rosa reggendolo per le spalline di raso.
Lo guardò un attimo riconoscendolo all'istante e poi
sbarrò gli occhi in direzione di Holly e Chris.
- Ma questo
è un Ralph Lauren!- Tornò ad ammirare il vestito,
estasiata - È semplicemente... favoloso!- Si alzò
in piedi per ringraziare i ragazzi con un bacio.
- Non trovi che sia
favoloso, zia?- Ripeté voltandosi verso zia Becky, che si
stava cullando lentamente sulla sedia a dondolo e sorrideva, felice di
rivedere la nipote contenta come non la vedeva da tempo.
- È
fantastico, Faith! I tuoi amici hanno buon gusto.- Affermò
con persuasione.
- Grazie... Lo
desideravo tanto! Ora non posso dirvi le belle parole che ho pensato
stamattina perché pensereste che lo faccia soltanto
perché mi avete regalato questo splendido abito, ma...-
Sorrise, abbassando la testa e, quando la rialzò, gli occhi
le si erano fatti lucidi - Siete gli amici migliori che una persona
possa desiderare, e sono fortunata ad avervi. Malgrado non mi sia
comportata proprio bene con voi e continui tuttora a dispiacermi per
ciò che ho detto e fatto, sappiate che vi voglio bene e non
smetterò mai di volervene. E voglio anche aggiungere che ci
sarò sempre per voi, come voi state facendo con me in questo
momento. Questa serata ha per me un chiaro significato. L'amicizia,
quando è vera, non si perde tra i bivi delle strade della
vita, ma continua ad esistere e combatte contro la lontananza, i
diverbi. E si fa ogni volta più forte e più
inattaccabile. Non voglio più rinunciare ad una forma di
piacere così vera, intensa e d inimitabile per il
semplice fatto che mi sentirei persa. E so per certo che con voi non lo
sono.-
Holly si commosse e Chris tirò su con il naso.
- È una
lacrima quella?- Osservò Holly divertita indicando una
piccola goccia argentata che rigava la guancia del ragazzo.
- No!-
Esclamò subito lui asciugandosi velocemente.
Guardò fuori - È rugiada.-
Le ragazze scoppiarono a ridere insieme alla zia.
- Grazie.- Concluse
Faith con la voce carica di sincerità.
Più tardi, mentre Faith si apprestava ad andare a letto, zia
Becky bussò alla porta della sua stanza.
- Sono contenta di
trovarti ancora sveglia. Disturbo?- Disse entrando zoppicando nella
stanza.
- No, entra pure. Non
mi disturbi mai, lo sai.-
Notò poco dopo che la donna teneva tra le mani una scatola
simile a quella di un paio di scarpe, ma più piatta e
quadrata, con in cima un fiocco blu intrecciato a fiori secchi azzurri
e gialli.
- Volevo darti il mio
regalo.- Glielo porse con la mano tremante e le parve che la nipote non
volesse accettarlo - Per te.- Affermò annuendo con la testa.
Faith ripose la spazzola nel cassetto della specchiera e prese il
regalo, stupita e curiosa.
- Ma... Come hai fatto
a comprarlo?-
- Sarò pure
vecchia e malata, ma ammetti che riesco ancora a stupirti.-
Affermò la zia con un sorriso.
Faith assunse un'espressione austera perché la sua malattia
non era uno scherzo e le fece male al cuore vedere che la zia tentava
in tutti i modi di sottovalutarla.
Per distrarsi, si concentrò sul regalo chiedendosi come se
lo fosse procurato. Non era difficile che ci fosse stato lo zampino di
Holly.
Zia Becky si sedette sul letto al suo fianco e guardò la
ragazza aprire la scatola sfilando semplicemente il fiocco. Una leggera
velina bianca ricopriva qualcosa che sembrava fragile. Faith la sollevo
attentamente e con molta delicatezza, e si fermò ad
osservare il contenuto. C'era un biglietto di carta ruvida ed ondulata
scritto in grafia non troppo bella, ma comunque comprensibile. La
grafia di sua zia.
Lo lesse a mente e immediatamente capì il motivo per cui non
le aveva dato il regalo durante la cena. Zia Becky sapeva colpirla al
cuore, come aveva sempre saputo fare. Era in grado di pizzicare le
sottili corde della sua anima e tracciare con sicurezza le linee che
delimitavano i confini del suo cuore abbattendo ogni barriera ed ogni
forza creata per proteggere la sua vulnerabilità.
Si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e si
passò un dito sotto gli occhi, guardando sua zia attraverso
un velo lucido.
- Non... Non so che
dire, zia...- Mormorò piano, e nella sua voce
affiorò una punta di felicità mista a
disperazione. La disperazione per ciò che presto sarebbe
successo.
- Non c'è
bisogno di dire niente, bambina mia.- La rassicurò
carezzandole una guancia - La tua espressione ha già detto
tutto. Sono contenta che il regalo ti piaccia.-
La baciò sulla fronte e si alzò in piedi.
- Felice compleanno.-
Le sussurrò allegramente.
Faith curvò un angolo delle labbra.
- Grazie di cuore,
zia. Buonanotte.- La salutò mentre si richiudeva la porta
alle spalle lasciandola attonita sul letto, con il regalo tra le mani.
Lo guardò ancora per qualche attimo, piangendoci sopra,
mentre i ricordi le distruggevano il cuore in mille pezzi per poi
ricostruirlo e distruggerlo nuovamente, come il frantumarsi di tanti
bicchieri di cristallo, uno dopo l'altro.
Estrasse la cornice d'argento finemente lavorata e la pose sul comodino
vicino al suo letto. Conteneva una fotografia in bianco e nero di lei e
zia Becky ritratte abbracciate vicino all'albero di Natale che avevano
addobbato in salotto qualche anno prima.
Si distese sul letto continuando ad ammirare l'immagine, quasi a
studiare se nel momento dello scatto la zia manifestasse già
qualche sintomo della malattia. Non ne trovò. In quegli anni
non c'era alcun male che minacciasse di portarla via.
Rilesse il biglietto di auguri facendo scorrere un dito sull'inchiostro
e riflettendo su ciò che diceva.
“Buon 25° Compleanno, Faith. Mi auguro che il tuo
futuro possa essere pieno di ricordi come questo. Ti voglio
bene.”
|
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Capitolo 39 *** 39. La Cosa più Bella ***
R
ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Ciao
a tutti!
Bentrovati
per questo nuovo capitolo, il numero 39!
Come
sempre ringrazio chiunque abbia aggiunto la mia fan fiction tra le
Preferite o Seguite.
Poi
anche Saty:
mi piace come commenti ogni volta i miei personaggi. Ed io ogni volta
mi diverto a scrivere di loro pensando a cosa scriverai tu, chiara e
concisa, che commenti il capitolo secondo il tuo personale punto di
vista che, a mio parere, è sempre spiritoso! Mi piace!
Spero
che altri possano commentare come fai tu!
Un
bacio anche a Mozzi84
che, tra una corsa con la gonna corta e la borsetta sotto braccio, e
una spedizione alla ricerca di un buon cotechino, si dà
sempre da fare per rendere migliore questo romanzo!
Ma
lascio voi lettori al capitolo e vi avviso che il capitolo 40
verrà pubblicato il 18 Novembre!
A
presto!
39.
L
A COSA PIU' BELLA
Il sole era tramontato da poco quando Addison sentì bussare
alla porta. Si stava impegnando a farcire il pollo che l'indomani
avrebbe portato per il pranzo domenicale dell'orfanotrofio del paese,
insieme alla torta di mele che stava finendo di cuocere nel forno.
Negli ultimi anni aveva incentrato i suoi sforzi e i suoi interessi
verso i bambini bisognosi, scoprendo di provare piacere nel sentirsi
socialmente utile. Era riuscita a comprendere che il volontariato la
faceva stare bene con sé stessa, oltre che a tenerla
impegnata mentalmente quando non voleva pensare ad eventi che le davano
dispiacere e malinconia.
Tutto questo era derivato da fallimentari incontri con uomini
sbagliati. Da quando suo marito Will era morto, innamorarsi di qualcun
altro per lei rappresentava un tradimento. Era tuttora una donna molto
affascinante, di buon gusto, educata e raffinata, e i corteggiatori non
le erano di certo mancati. Con il passare degli anni, anche grazie
all'aiuto dei consigli delle amiche, la sensazione di dover tradire
Will sembrava sbiadire, ma restava fermamente convinta che non sarebbe
più stata in grado di provare un amore puro e profondo come
quello che aveva nutrito per il marito. Si poteva benissimo
accontentare di un uomo serio e onesto che le stesse vicino e che le
volesse bene.
Tuttavia i radi incontri che aveva avuto erano risultati più
che disastrosi. Le pareva che la maggior parte degli uomini pensasse
soltanto a portarsela a letto e che fosse priva di qualsiasi
sentimento. Tutto ciò le creava disgusto e la faceva
ripetutamente pensare a quanto fosse perfetto Will, così
completo e nobile d'animo, ricco di buon senso, gentile e premuroso.
Così aveva riversato tutta la sua attenzione verso le
persone più bisognose prendendo parte al gruppo di volontari
che si occupava dell'orfanotrofio di Cleveland. Stare in mezzo a tutti
quei bambini le regalava emozioni che non provava da tempo. Le riusciva
incredibile credere che, malgrado le situazioni difficili in cui erano
cresciuti, fossero più maturi di un adulto vero e proprio e
che inoltre fossero perfettamente in grado di capire quando c'era
qualcosa che non andava per il verso giusto. Aveva finito con il
pensare che forse erano state proprio quelle situazioni ad averli
plasmati fino a farli divenire ciò che erano adesso.
Aveva legato in modo particolare con una di loro, Josephine, che lei
amava chiamare con il diminutivo di Jo, una bambina davvero
intelligente per i suoi undici anni. Era stata abbandonata pochi giorni
dopo essere venuta al mondo, poi, adottata per qualche anno da una
famiglia di Pittsburgh, era stata di nuovo riportata all'orfanotrofio
in quanto “bambina poco socievole ed intrattabile”,
così definita dai genitori adottivi.
Ascoltando la sua storia, Addison comprese immediatamente con che razza
di persone la bambina aveva avuto a che fare, perché con lei
poteva parlare di qualsiasi cosa e riusciva a farsi comprendere in ogni
modo. Le ultime occasioni in cui le aveva fatto visita all'orfanotrofio
le aveva raccontato del diverbio con Max e la bambina si era seduta a
guardarla preparare la macedonia e ascoltandola con molta riflessione.
Al termine del racconto le aveva chiesto se portava con sé
una fotografia del figlio. Addison era rimasta un attimo a fissarla
sbigottita, chiedendosi se stesse facendo sul serio, poi aveva estratto
dalla borsa una foto recente di Max. Dopo averla esaminata
attentamente Jo le aveva detto:
- Tuo figlio ha gli
occhi sinceri. Nel cuore nasconde tanta bontà e tanti buoni
sentimenti. Sono sicura che tornerà un giorno o l'altro e
vedrai che sistemerete tutto quanto.-
Addison, con un nodo in gola che scendeva stringendole anche il petto,
aveva abbozzato un sorriso ritenendo inaspettato ciò che la
bambina aveva detto, e le accarezzò il viso.
Si riscosse dai pensieri quando udì il campanello suonare la
seconda volta. Afferrò lo strofinaccio sul tavolo pulendosi
rapidamente le mani e andò ad aprire la porta.
- Sto arrivando.-
Disse ripensando distrattamente a Jo.
Dinanzi all'uscio un ragazzo alto con indosso una giacca leggera ed una
borsa a tracolla si stagliava nel fascio di luce proveniente dal
salotto.
Il suo sguardo si posò timido e colpevole in quello di
Addison.
- Max... -
Mormorò incredula la donna sentendosi quasi il corpo
anestetizzato nel trovarsi il figlio davanti.
Il ragazzo non disse nulla. Pareva incerto su cosa dire, ogni parola
gli appariva scarsa d'effetto, inutile. Anche nei movimenti non sapeva
cosa fosse giusto fare. Stare di fronte a sua madre gli parve
immeritato e un misto di soggezione e rincrescimento lo prese allo
stomaco. Avrebbe voluto stringerla forte, pregarla di perdonarlo e
contemporaneamente non sfiorarla nemmeno di un centimetro. La vergogna
che avvertiva nei suoi confronti si era quadruplicata nel momento
stesso in cui la porta gli era stata aperta e Addison aveva pronunciato
il suo nome. Gli sembrava di averla disonorata e, pensò
fugacemente, forse era proprio ciò che aveva fatto.
Poi la tensione dentro di lui parve improvvisamente scomparire. Non
appena vide una lacrima scendere lungo una guancia di sua madre,
capì istantaneamente che lei non desiderava altro dalla vita
che riabbracciare suo figlio. Capì che anche lei aveva
sbagliato, ma che lo aveva fatto per il suo bene. Tom aveva avuto
ragione. Addison era stata da sempre una buona madre, ma la rabbia e i
rancori avevano offuscato gli occhi del suo cuore fino a quasi
annientare l'amore di ventisei anni, l'amore che lo aveva consolato la
prima volta che era caduto imparando ad andare in bicicletta o che lo
aveva accompagnato e rassicurato il primo giorno di scuola. L'amore che
lo aveva aiutato quando suo padre se n'era andato era lo stesso che in
quel momento lo osservava senza risentimenti, senza limitazioni.
Spinto dal timore di poterla perdere, mise da parte l'imbarazzo e
l'abbracciò forte, piangendo sommessamente nel sentirla
piangere a sua volta. Qualcosa nella sua vita stava cambiando in
meglio, lo poteva avvertire tra le braccia di sua madre.
Addison gli accarezzò la testa singhiozzando. Non era
possibile che l'odio esistesse tra lei e suo figlio. Di questo ne era
certa.
Dalla tasca del grembiule estrasse la fotografia che aveva tenuto
sempre vicino da quando Jo le aveva detto quelle parole e la
guardò nella luce fioca.
“Grazie,
Jo...” pensò stringendo gli occhi e
restando abbracciata al figlio in un momento interminabile della sua
vita.
Quello che aspettava.
- Posso entrare?-
Chiese il ragazzo quasi in un sussurro.
Addison lo guardò e si fece da parte, tendendo un braccio in
segno di invito.
Max entrò ostentando rispetto e titubanza, ed
oltrepassò la porta della cucina. Notò che non
era cambiato nulla dall'ultima volta che era stato lì e
quella specie di abituale monotonia lo rassicurò facendolo
sentire a casa per davvero, eliminando l'ultimo triste periodo.
Si avvicinò ai fornelli sentendosi addosso lo sguardo
contento di sua madre, un'altra cosa che lo faceva sentire amato.
- Cosa stai cucinando
di buono?-
Addison si stropicciò il grembiule, aprì un
mobiletto e tirò fuori un bicchiere di vetro.
- Il pollo per il
pranzo di domani all'orfanotrofio. Sai che ogni domenica si festeggia.-
- Ah, già.-
Annuì Max con un sorriso - Per un attimo ho dimenticato
quanto fossi brava con i bambini.-
- Lo credo bene! Ho
allevato un figlio birichino come te!- Scherzò.
Max rise brevemente.
- Non ero
così cattivo!- Si difese.
- No.- Fece Addison
scuotendo la testa - Non lo eri affatto.-
Lo guardò intensamente riflettendo su quanto le era mancato
di lui, più affettivamente che fisicamente. Ormai era abituata a vederlo poco vista
la professione che svolgeva, ma dopo il diverbio che avevano avuto
più di due mesi prima, lo aveva sentito lontano anni luce da
lei, e con tutta probabilità avrebbe provato questa
sensazione anche se Max fosse rimasto lì. L'odio che le
aveva gettato addosso non poteva di certo annullare l'amore che
avvertiva in sé nei suoi confronti, ma era comunque stato in
grado di allontanarlo contro il suo volere.
- Mi sei mancata, sai
mamma?- Mormorò Max facendosi più serio.
- Anche tu, Max.
Tanto.- Tenne a sottolineare Addison.
- Ti devo le mie scuse
più sincere. Ho mancato di rispetto a te, e di conseguenza,
a mio padre. Non avevo capito che volevi solo proteggermi,
perché avrei potuto fare una pazzia pur di vendicare la sua
morte.-
- Forse non avrei
dovuto aspettare così tanto per dirtelo.- Fece la donna
congiungendo le mani e sentendosi totalmente colpevole.
Max socchiuse gli occhi e piegò la testa di lato.
- Credo che non
avrebbe fatto alcuna differenza, mamma.-
Allontanò una sedia dal tavolo e ci si sedette poggiando i
gomiti sul piano e portandosi le mani alle tempie. Anche Addison fece
lo stesso dopo aver preso una bottiglia d'acqua dal frigorifero. Gli si
sedette di fronte e riempì il bicchiere a metà.
- Come... come va con
Faith?- Gli domandò accorata cambiando tonalità
della voce nel pronunciare il nome della ragazza, in una sorta di
timore nel nominarla.
Max increspò le labbra in un'espressione mesta e carica di
afflizione, tenendo lo sguardo abbassato sulla tovaglia a scacchi blu e
bianchi.
- L'ho lasciata.-
Rispose semplicemente.
Addison fece scorrere lo sguardo attorno a loro colta dal dispiacere,
cercando di immaginare a come potessero essere andate le cose tra suo
figlio e Faith. Si chiese dove la ragazza avesse trovato tutto il
coraggio per rivelare una verità cosi scomoda e
provò vergogna nell'averla quasi obbligata a svolgere un
compito che avrebbe dovuto essere principalmente di sua competenza. Era
vero che Faith rappresentava il futuro di Max, ma non era stato giusto
caricarla di una responsabilità così grande.
- Forse non
è troppo tardi per sistemare tutto anche con lei.-
Max scosse la testa. Si alzò e si avvicinò alla
finestra aperta. L'aria calda entrava smuovendo le tende e lui si
rimboccò le maniche ammirando il cielo farsi viola e le
finestrelle delle case vicine riempirsi di luci gialle. Nel giardino
quasi buio le rose si ergevano maestose oscillando leggermente insieme
all'erba corta che frusciava attorno.
- Non lo so. Non sono
ancora pronto per presentarmi a lei. Non sarà
così facile come lo poteva essere con te.-
A queste ultime parole si voltò verso la madre e la
guardò negli occhi.
- Tu mi vuoi bene. E
sono certo che non hai smesso di volermene anche quando...- Si
ritrovò improvvisamente senza l'ardire nel ricordare quel
giorno di metà giugno.
Addison gli si avvicinò di qualche passo.
- Non posso dirlo con
assoluta certezza, ma credo che quella ragazza sia ancora innamorata di
te.-
Max rise scettico.
- Perché lo
credi?-
- Beh, a volte l'amore
non si riesce a spiegare. Ma io ho visto quello che c'è tra
di voi. È qualcosa di vero e di talmente profondo che
raramente oggi si vede. L'ho capito da come vi guardavate quel giorno a
pranzo. Era come se una forza
sconosciuta vi stesse sospingendo l'uno verso l'altro.- La donna
cercò di spiegarsi e le parole le uscirono semplici e
sincere - È la stessa cosa che avvertivo con tuo padre,
Max.-
Max ricordò di aver sempre ammirato i suoi genitori. Tra di
loro esistevano gentilezze, accortezze, premure. Si completavano a
vicenda, l'uno non avrebbe potuto esistere senza l'altra. Dove sua
madre arrivava, suo padre continuava, e viceversa, in un connubio
perfetto di tenerezza e di consapevolezza.
Lui li prendeva bonariamente in giro quando li sorprendeva scambiarsi
effusioni in cucina o mentre stavano abbracciati sul divano guardando
la televisione, ma poi, pensandoci bene, non poteva che sorridere
entusiasta e soddisfatto di possedere una famiglia come quella. La sua
famiglia, dove l'amore e l'affetto erano le parole d'ordine.
- Ho capito.-
Affermò Max annuendo. Attraverso i suoi occhi comprese
quanto Will le mancasse. Le andò vicino e le posò
le mani sulle spalle.
Addison sorrise tristemente, la mente immersa nei ricordi
più dolci e felici.
- Non sai quanto mi
manca, Max. E la cosa peggiore è che me ne rendo conto ogni
giorno di più.-
- Non devi
vergognartene, mamma. Sarebbe un male se non fosse così.-
La strinse a sé, guardando oltre a lei la casa che ostentava
la mancanza di qualcosa di importante da ormai troppo tempo. Qualcosa
di insostituibile in una casa lo è di più nel
cuore di una persona, pensò. Un vuoto incolmabile che
nessuno può far scomparire e che rimane per sempre. Quel
momento lo riportò inevitabilmente a dieci anni prima,
riaprendogli la ferita più profonda della sua anima.
- Sarà
sempre così, mamma. Ma sii felice e fiera di quello che ti
ha lasciato. Ti ha regalato la cosa più bella che una
persona possa desiderare.-
Max intendeva un amore puro e vero, ma Addison sollevò lo
sguardo verso di lui con un sorriso compiaciuto.
- Hai ragione, Max. La
cosa più bella che potesse regalarmi è qui,
davanti a me.-
Il ragazzo la guardò con gli occhi velati.
- Non lasciarti
scappare quella ragazza, tesoro.- Sussurrò quasi in una
preghiera.
Max sorrise e, casualmente, lanciò uno sguardo verso il
forno.
- Mamma! La torta!-
Gridò, ed entrambi corsero ad estrarne ciò che
restava del dolce.
Una nuvola di fumo grigio si propagò rapida nella cucina e
madre e figlio si trovarono a guardarsi in faccia con gli strofinacci
in mano, scoppiando a ridere.
- Tu ridi, ma io
domani cosa porto all'orfanotrofio?- Domandò scacciando il
fumo fuori dalla finestra agitando le mani e un cucchiaio di legno.
- Hai gli ingredienti
per farne un'altra?-
- Si, ma ci ho messo
quasi tutto il pomeriggio per prepararla. E devo ancora cuocere il
pollo.-
- Vorrà
dire che ne cucineremo un'altra a costo di impiegarci tutta la notte e
tutta la mattina.-
- Mi daresti una mano
davvero?- Chiese sbalordita Addison - Non sei stanco del volo da
Londra?-
Max scosse la testa, divertito.
- Coraggio, mettiamoci
all'opera.-
- Benissimo. Ma domani
verrai con me al pranzo. Che ne dici?- Azzardò la madre.
Il ragazzo sollevò un angolo della bocca e annuì.
- Mi piacerebbe tanto.-
|
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Capitolo 40 *** 40. Nuove Svolte ***
R
ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Bentrovati
a tutti i miei fedeli lettori!
Oggi
non posso esimermi dal fare un sacco gigante di Auguri di Buon
Compleanno alla mia personal beta, che proprio il 18 Novembre compie
ben 27 anni!!!
Quindi
un bel Happy Birthday virtuale a Monic, alias Mozzi84, beta e miglior
amica!!
TANTI
AUGURONI, MONIC, E TANTI BACI!! :*
Finalmente
il 40mo capitolo è a disposizione di Voi tutti, spero
naturalmente che Vi piaccia, ma com'è che nessuno vuole
farmi sapere il proprio parere? Vedo che siete in tanti, e ne
approfitto per ringraziare chi inserisce la storia tra le Preferite e Seguite!
Grazie
a Saty,
ormai l'unica, ma valida lettrice, che giudica con una certa pratica
ogni capitolo e fa commenti costruttivi sui personaggi e le situazioni
che li circondano. THANKS! :*
Ma
basta parlare, e allora Buona lettura!
Vi aspetto il 16 Dicembre 2011
per un nuovo entusiasmante capitolo!
Ciao!
40.
N
UOVE SVOLTE
La domenica Max si risvegliò con la sensazione che ogni cosa
della sua vita avesse ripreso il proprio posto. Il sole che brillava ed
il tepore del primo mattino di quel giorno di metà d'agosto
contribuivano a farlo stare bene con sé stesso. Malgrado
avesse dormito soltanto quattro ore, della stanchezza non
c'era alcuna traccia, anzi. Tutto sembrava magicamente
tornato come prima.
Stando sdraiato a letto osservò con nostalgia e tenerezza la
sua stanza, teatro di tante scene d'infanzia e di adolescenza. I poster
dei film preferiti da ragazzo, come “Terminator”,
“Top
Gun” e “Stand
by me” campeggiavano ancora sulle pareti, quasi
dimenticati lì, appesi, dalla fretta di voler andare via ad
ogni costo.
Realizzò quanto fosse strano che ogni cosa fatta ed ogni
esperienza vissuta lontano da casa avessero finito per ricondurlo in
quel piccolo paesino dell'Ohio. Stava gradualmente accettando il fatto
che esistesse un sottile legame tra lui e Lakewood e si sorprese nel
ripensare a quanto si era impegnato a volerlo spezzare, dimenticando
che quegli stessi luoghi costituivano tuttora le fondamenta di
un'esistenza trascorsa a voler superare, quasi con inconcludente
ostinazione, un passato carico di rimorso e di collera inespressa.
Quella stanza ora gli appariva più piccola, più
stretta. O forse, pensò, era lui ad essere cresciuto senza
rendersene conto. Quanto tempo aveva sprecato intrappolato in un
ricordo e convincendosi di avere accettato la morte di suo padre? Quei
dannati poster cinematografici sembravano ripeterglielo tacitamente, e
i ricordi del ragazzo che era un tempo riaffiorarono nel suo cuore di
adulto.
Sospirò con le mani dietro la nuca e, voltandosi verso la
libreria carica di volumi, scorse quel piccolo libro che gli stava a
cuore tanti anni prima. Si trattava di una raccolta di aforismi e
poesie che Blanchard, il suo professore di lettere, gli aveva donato
alla vigilia del giorno del diploma e che lui aveva custodito
gelosamente in quanto suo sincero ammiratore. Ricordò con
rimpianto quel momento in cui, salutandolo, Blanchard lo aveva
trattenuto dicendogli parole che lo avevano fatto riflettere.
Era l'ultimo giorno di scuola e presto la sua vita, come quella di
molti coetanei, avrebbe intrapreso una strada diversa e sarebbe
inevitabilmente cambiata, anche se non sapeva ancora bene in quale
modo. Gli ultimi anni non erano stati affatto facili e, da quando suo
padre se n'era andato, Max aveva terminato gli studi senza l'entusiasmo
con il quale li aveva iniziati, lo stesso entusiasmo che non era
passato inosservato al professor Blanchard fin dai primi momenti.
Quel giorno, Blanchard, stando seduto dietro alla cattedra, aveva
salutato gli studenti con un'amichevole stretta di mano e, quando era
arrivato il turno di Max, l'ultimo a rifare lo zaino e ad uscire, lo
aveva invitato a fermarsi per qualche minuto.
Ricordò che il professore, dopo aver estratto dal borsone
quel libretto usurato, ma ancora in buono stato che ora teneva tra le
mani, gliel'aveva porto suggerendogli di aprirlo in una pagina con
l'angolo superiore piegato.
- Max, leggi ad alta
voce quelle poche righe sottolineate a matita.- Lo aveva pregato.
Incuriosito, Max, aveva guardato dapprima il libretto, poi il
professore che, con lo sguardo, lo esortava a leggere. Allora si era
schiarito la voce e, con una sorta di esitazione, aveva preso a leggere
lentamente.
-
È stupendo scoprire come dentro di noi vive un'anima che
possiede delle matite speciali, capaci di colorare anche le pagine
più nere della nostra vita e di trasformare in consapevole
saggezza le brucianti ferite del passato.-
Confuso, il ragazzo aveva alzato lo sguardo dal libro. In un certo
senso aveva inteso cosa Blanchard stesse cercando di dirgli, ma si
trattava di qualcosa a lui difficile da ammettere.
- Cosa vuol dire?-
- Vuol dire che sei
fortunato, anche se non te ne rendi conto.- Gli aveva risposto il
professore.
- Io non sono
fortunato. Questo aforisma è per le persone che hanno il
dono.-
- E tu ce l'hai, il dono, non io e
nemmeno tutti quelli come me, che si improvvisano maestri e professori
soltanto perchè hanno studiato libri su libri. Tu possiedi
le matite, ma ancora non lo sai. Sono le persone come te che possono
fare e dare tanto agli altri e a sé stessi.-
Max aveva esibito un sorriso triste fissando il libretto e scuotendo la
testa.
- Presto ti renderai
conto di essere una persona straordinaria e sarà in quel
momento che diventerai lo scrittore della tua stessa vita. Non come hai
fatto in questi ultimi anni. Io ho visto chi sei realmente. L'ho capito
guardandoti durante la prima lezione, come ho capito che poi ti sei
smarrito e hai lasciato che qualcun'altro scrivesse la tua vita per te.
Tu sei tra i pochi che si contraddistinguono dalla maggior
parte della gente e che possono cambiare tutto ciò che
vogliono in un modo assolutamente genuino e profondo. Possono fare
della propria vita ciò
che vogliono quando
vogliono.-
Provando imbarazzo e orgoglio, Max aveva indugiato per qualche attimo
nello sguardo del professore senza dire niente. Sapere che c'era
qualcuno al di fuori della sua famiglia che vedeva in lui
qualità così valide lo aveva riempito di
coraggio, ma anche di timore di non riuscire a scoprire quelle matite
speciali descritte nel libro, che vivevano dentro di lui. La paura di
deludere il suo professore, e specialmente sé stesso, con la
conseguente ed inevitabile disillusione dal possedere virtù
così rare ed ambite.
- Sono sicuro che
presto le scoprirai.- Aveva mormorato il professore prima di salutarlo,
quasi gli avesse letto nella mente.
Max aprì il libretto alla pagina con l'angolo piegato. Si
sdraiò di nuovo sul letto e rilesse mentalmente quelle poche
righe sottolineate a matita. Non l'aveva più fatto da
quell'ultimo giorno in classe perchè il solo pensiero gli
procurava una malinconia dolce, ma allo stesso tempo, tremenda.
Per qualche strano e bizzarro scherzo del destino quella stessa frase
ora gli suscitò un sorriso, apparendo ai suoi occhi in
maniera del tutto diversa da quando l'aveva letta davanti a Blanchard.
Non poteva essere sicuro di avere scoperto tutte le matite, ma era
consapevole di essere a buon punto. Avrebbe desiderato tornare a quel
giorno e dire al suo professore che aveva ragione, che la vita poteva
essere scritta come ciascuno desiderava e che lui in parte c'era
riuscito.
Facendo scorrere le pagine, lesse frasi che lo indussero a riflettere a
ciò che per lui aveva più importanza, che fosse
ancora nella sua vita e che ormai gli sembrava perduto.
“Esistono
molte cose nella vita che catturano lo sguardo, ma solo poche catturano
il tuo cuore... segui quelle.”.
Un'altra lo fece ripensare a Faith.
“Un
amore crollato, ricostruito, cresce forte, leggiadro, grande
più di prima.”
Richiuse il libro ed inspirò a fondo. Era ancora possibile
sistemare le cose con lei? Si poteva davvero creare lo stesso rapporto
basandosi sugli errori commessi, ma utilizzandone soltanto la saggezza
per farlo maturare?
Faith era l'unica persona che lui avesse mai amato così
profondamente, e non voleva più rinunciare a ciò
che donava un senso alla sua intera esistenza. Era arrivato il momento
di mettere da parte tutti i vecchi risentimenti e di smettere di celare
i propri sentimenti dietro alla superbia.
Adesso doveva riconquistare il grande e unico vero amore della sua
vita. Lei gli apparteneva, lo completava in tutto e per tutto,
continuava a vivere in lui, gli dava l'impulso nelle prove
più difficili. Nonostante la distanza li tenesse lontani,
Faith sussurrava, rideva, gridava nella sua testa, e per Max era come
sentirla vicina, sempre.
Se prima era convinto del contrario, ora voleva dirsi certo che una
minima possibilità poteva esistere e che le cose erano
difficili soltanto quando non ci si metteva alla prova.
Quella mattina stessa, dopo aver preparato la colazione a zia Becky,
Faith approfittò della bella giornata per dare una sistemata
alla sua stanza. Da troppo tempo ormai l'aveva trascurata per potersi
dedicare a tempo pieno all'anziana.
Dall'angolo vicino alla finestra partiva una sottile ma elaborata
ragnatela e il riflesso del sole la illuminava fino alla
punta dell'armadio; gli abiti giacevano accavallati agli schienali
delle poltrone; decine di scarpe spaiate erano sparse sotto il letto;
gli scaffali e i mobili, ricoperti da uno strato di polvere, avevano
perso la loro naturale lucentezza. Faith vi scarabocchiò
velocemente sopra con un dito, e storse il naso. Si guardò
meglio intorno, curvando gli angoli della bocca verso il basso,
disgustata. Non che la camera fosse come lo scantinato, ma ci andava
molto vicino, pensò tra sé.
Si procurò rapidamente alcuni strofinacci e prodotti per la
pulizia e, armandosi di buona volontà, cominciò a
spolverare e rassettare. Poco prima di mezzogiorno la stanza era
tornata lustra e pareva più luminosa del solito.
Si era bloccata spesso innanzi al mazzo di rose essiccate poste davanti
allo specchio. Più di una volta lo aveva afferrato con
decisione, ma quando sollevava il coperchio del secchio della
spazzatura, lo riguardava, dicendo a sé stessa che avrebbe
pensato a cosa farne. A mezzogiorno le rose stavano ancora al loro
posto, davanti allo specchio. Malgrado la profonda ferita che Max le
aveva procurato, ogni volta che riguardava quei fiori non poteva che
ripensare ai singoli attimi felici che avevano condiviso. Non aveva
senso gettarli via, perchè con loro avrebbe dovuto gettare
anche il suo cuore e i suoi pensieri.
Decisa a volersi fare di nuovo del male, sedette sul letto ed
aprì il cassetto del comodino. Un paio di fogli immacolati
sembravano essere stati messi lì apposta per nascondere
qualcosa. Li sollevò e, con una tormentata amarezza,
osservò il sottile anello che non aveva più
indossato dal giorno in cui il ragazzo se n'era andato.
“Vorrei che ti
togliessi quell'anello dal dito.” Le aveva detto.
Come poteva dimenticare quelle parole e quegli occhi carichi di assurda
disperazione e odio tagliente?
Prese l'anello e lo rigirò tra le dita, stringendolo,
annusandolo, sforzandosi di avvertire un profumo, ricordare anche un
solo piccolo ed insignificante particolare che potesse ricollegare a
Max. Ma non c'era. Quel piccolo cerchio di diamanti, il cui continuo
luccicare appariva privo di significato, era freddo ed inanimato.
Giunse le mani in grembo e, lanciando un'occhiata al cassetto, vide
spuntare il biglietto che Lexie le aveva lasciato quando era stata in
Ohio. Sembrava quasi ammiccarle, là in mezzo alle pagine di
un libro. Con decisione, aprì il volume e rilesse il
messaggio.
Quel giorno, nella veranda della casa di Max, Lexie le aveva spiegato
com'era accaduto l'incidente del padre del ragazzo, ma non era riuscita
a terminare il racconto.
Ripensandoci ora, la sua curiosità venne improvvisamente
riaccesa e, nonostante conoscesse a memoria i fatti, si
ricordò che alcuni dettagli dovevano esserle sfuggiti.
Particolari che suo padre, con molta probabilità, aveva
omesso.
Non ci trovò niente di male a voler chiamare Lexie per farsi
spiegare tutto, così, d'istinto, andò in
salotto, fece un profondo respiro, afferrò la
cornetta e digitò il numero.
La ragazza rispose dopo un paio di squilli e Faith, colta dal timore di
aver sbagliato di nuovo tutto quanto, riagganciò rapidamente.
“Era proprio la voce
di Lexie! Se non c'è niente di male a chiamarla,
perchè ho riattaccato? Cretina!”
Pensò sedendosi sul divano e massaggiandosi nervosamente la
fronte.
“Adesso la richiami,
da persona adulta.” Ordinò a
sé stessa.
Digitò il numero una seconda volta e attese.
- Pronto?- Rispose
cortesemente Lexie.
- Lexie? Sei tu?-
Domandò Faith, realizzando di nuovo che razza di stupida
fosse. “Certo che è lei! Che domande
fai?”.
- Si, sono io. Con chi
parlo?-
- Ciao, sono Faith. Ci
siamo conosciute...-
- Ciao, Faith! Che
piacere sentirti! Sinceramente non mi sarei mai aspettata una tua
telefonata.- Confessò Lexie
in tono stupito ma felice.
- In effetti...
nemmeno io, ma senti, ho assolutamente bisogno di sapere una cosa.- Le
disse Faith senza esitare.
- L'incidente di Will
Warren.- Azzardò Lexie, con la certezza che non vedeva altri
motivi per cui Faith l'avesse chiamata.
- Si. Più o
meno. Insomma, mi stavi raccontando di quel giorno, quando...
quando...- Citare ad alta voce il nome di Max le creava con sua
sorpresa ancora disagio - Quando Max è uscito di casa
interrompendo il discorso. Volevo sapere cosa avevi visto quel mattino.-
- Promettimi di non
dirgli nulla.- La pregò la ragazza.
Faith spalancò gli occhi. Le era chiaro che Lexie ancora non
era stata aggiornata circa la sua relazione con Max.
- Lexie... Lui ed io
non stiamo più insieme.-
Dall'altro capo non si avvertì più nulla per
qualche istante e Faith immaginò con facilità
l'espressione di Lexie.
- Oh, Faith. Mi
dispiace. Io non ne sapevo niente, lo giuro. Ma cos'è
successo?-
- Beh, ha scoperto che
mio padre ha causato quell'incidente. Perciò volevo sapere
da te...-
- Faith... Tuo padre
è Brian Harrington?- Domandò quasi ostentando
sorpresa.
- Si. Ma non lo
sapevi?-
- Non sapevo fosse tuo
padre. Senti, Faith, ti ringrazio per avermi chiamato e mi ha fatto
molto piacere sentirti, ma dimenticavo che proprio oggi devo
presenziare nell'orfanotrofio qui in paese. Magari ne riparliamo, ok?
Richiamami e giuro che ti spiegherò tutto quello che vuoi
sapere.-
- Ok, Lexie, nessun
problema. A presto...-
- Ciao, Faith!-
Lexie riattaccò lasciando Faith incuriosita e con il vago
sentore che le avesse mentito. L'aveva liquidata troppo in fretta, cosa
stava tentando di nascondere? Il tono della voce e la sua
disponibilità erano totalmente cambiate dal momento in cui
le aveva detto di Brian. Se Lexie aveva visto con i propri occhi la
scena dell'incidente, non avrebbe dovuto sorprendersi in quel modo. A
meno che non fosse stata a conoscenza di ulteriori particolari a quel
punto fondamentali, e il rivelarli l'avrebbe cacciata in guai seri.
Inoltre perchè continuava a chiederle di tenere Max
all'oscuro di tutto?
Per la prima volta da tanto numerosi sospetti prendevano forma.
Tuttavia Faith non riusciva a collegare razionalmente i fatti.
Ricordò soltanto in quell'istante di quando Brian le aveva
raccontato che non sapeva bene come era avvenuto l'incidente. Lui era
ubriaco fradicio e probabilmente, al risveglio, aveva perso la memoria.
Quindi tutto ciò che le aveva raccontato gli era stato raccontato
da qualcun'altro.
C'era la possibilità che qualcuno si fosse preso gioco di
lui e della sua memoria attribuendogli tutta la colpa? C'era la
possibilità che Brian le avesse descritto ciò che
non gli era realmente accaduto, ma ciò di cui lo avevano
convinto fosse successo?
Il flusso intricato dei suoi pensieri fu interrotto dal richiamo di zia
Becky, così ripose il foglietto vicino all'apparecchio
telefonico ripromettendosi che sarebbe andata a fondo della storia.
Un'idea le era già balzata in mente e non vedeva l'ora
arrivasse il momento per metterla in pratica.
Già a metà pomeriggio Max aveva ballato con tutte
le bambine e le ragazzine che gliel'avevano chiesto. Non si sentiva
più le estremità dei piedi, ma la soddisfazione
nell'averle fatte contente era sufficiente per ignorare il dolore che
provava. Aveva fatto salire le più piccole sui piedi e si
era divertito tanto a danzare con loro. Le più grandicelle,
invece, avevano cercato di prendere più seriamente
la cosa, ma, inesperte quali erano, avevano finito per pestarglieli
continuamente. Max, con infinita pazienza e rispetto aveva insegnato
loro i movimenti di base ripetendoli due, tre, quattro volte,
finché la ragazzina di turno non aveva dato segno di averli
appresi.
- Hai mai pensato di
aprire una scuola di ballo, Max?- Gli chiese Lexie avvicinandosi alla
panchina sulla quale si stava riposando.
Il ragazzo alzò lo sguardo sorpreso.
- Lexie! Che ci fai
qui?- Si rimise in piedi e l'abbracciò stretta.
- Beh, io ci vivo. Tu
piuttosto che ci fai qui?- Replicò lei con un sorriso
smagliante.
Max si grattò lievemente dietro la testa sorridendo a sua
volta e trovandosi inaspettatamente senza parole.
- Ho deciso di
trascorrere questo week end con mia madre. C'erano alcune cose che
volevo chiarire con lei, così... eccomi qua.- Concluse
allargando le braccia.
Lexie lo guardò per qualche istante e piegò la
testa di lato.
- Ti va di camminare
un po'? Potremmo prendere una bibita e...-
La ragazza fu distratta da una ragazzina che si era avvicinata a Max e
aveva iniziato a tirargli l'orlo della maglietta per attirare la sua
attenzione chiamandolo per nome.
- Max, possiamo
ballare ancora un po'?-
Max si chinò all'altezza del suo viso e le prese
amorevolmente la mano.
- Vieni qui, Jo. Ti
voglio presentare un'amica.- Le disse indicandole Lexie - Lei
è Lexie.-
La ragazza si fece avanti e strinse la mano di Jo.
- Io mi chiamo Jo. Sei
davvero carina, Lexie.- Osservò gentilmente Jo.
- Grazie. Anche tu lo
sei.- Replicò compiaciuta.
- Ti spiace se Max
balla ancora un po' con me?- Le chiese la ragazzina guardandola dal
basso.
- Adesso
farò quattro passi con Lexie e ti prometto che al mio
ritorno balleremo ancora. Sei d'accordo?- Le propose Max in tono quasi
paterno.
- Ma no,- Lo
interruppe Lexie - balla ancora un po' con lei. Io posso aspettare.-
- Sicura?- Fece Max
riducendo gli occhi a fessura.
- Vai.- Sorrise Lexie.
- A tra poco, allora.-
Affermò il ragazzo annuendo leggermente con la testa.
Lexie si sedette sulla panchina sistemandosi l'abito leggero e lo
osservò ballare con Jo. Aveva dimenticato quanto quel
ragazzo fosse fantastico. Ora che non stava più insieme a
Faith lei aveva campo libero per poterlo conquistare. Non avrebbe
più commesso gli errori del passato e presto Faith sarebbe
definitivamente uscita dai suoi pensieri, se ovviamente già
non l'aveva fatto. Non sapeva da quanto tempo si fossero lasciati,
perciò questo avrebbe potuto essere l'unico ostacolo ad un
suo eventuale congiungimento con Max. Conoscendolo, era consapevole di
quanto vivesse ogni relazione con eccessiva e drastica
serietà. Certo, all'inizio le avrebbe detto di non sentirsi
pronto per intraprendere un nuovo rapporto, ma con le giuste parole e
un po' di tempo, lo avrebbe convinto a cambiare idea. In fondo era
sempre stata del parere che sarebbero stati una coppia perfetta e non
c'era momento più adatto per dichiararsi a lui.
Come non c'era più necessità di raccontargli che
ad uccidere Will Warren non era stato Brian Harrington, ma il suo
stesso padre, Larry Brice.
- Allora, come va con
Faith?- Gli chiese distrattamente Lexie sorseggiando la sua bibita.
Max indugiò per alcuni secondi.
- Io e lei ci siamo
lasciati qualche mese fa.-
La ragazza si voltò verso di lui con una mano sul petto,
fingendo stupore.
- Mi dispiace, Max.
Io...-
Lui sollevò un angolo della bocca e le accarezzò
una spalla per tranquillizzarla.
- Non preoccuparti.
Sto bene. Davvero.-
- Sono stata una
sciocca ad intromettermi nei tuoi affari. Possiamo cambiare argomento,
se vuoi...-
- Non c'è
tanto da dire, in fondo.- Sospirò Max riprendendo a
camminare.
Osservò con malinconia il giardino intorno a loro,
così carico dei colori intensi del tramonto. L'arancio vivo
che rivestiva ogni cosa gli riempiva il cuore di svariati frammenti di
ricordi.
- Sei ancora
innamorato di lei?- Gli domandò Lexie.
Max la guardò a fondo abbozzando un sorriso, e
mentì perchè non era ancora pronto a rivelare
quella nuova svolta a qualcuno.
- No.- Rispose
voltandosi verso il sole. Quanto male gli faceva nascondere quel grande
amore per Faith! Eppure riteneva che fosse giusto farlo. Ricordava che
Lexie lo aveva amato quando erano ragazzini e con il passare degli anni
si era convinto che si fosse trattato soltanto di una cotta
adolescenziale, ma pensò che fosse terribilmente ingiusto e
meschino ostentare di fronte a lei l'amore che provava nei confronti di
qualcun'altro.
- Domani sera riparto,
Lexie.- Mormorò guardandola di nuovo.
- E... dove vai?- Gli
chiese la ragazza facendoglisi più vicina.
- Ho il mio lavoro a
Londra e non posso trattenermi qui a lungo.-
Lexie si passò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e
quel gesto lo colpì in pieno petto. Faith era solita farlo
quando si sentiva insicura o quando teneva a precisare qualcosa. Amava
quando lo faceva.
- Così non
ti rivedrò più per un paio d'anni?-
- Ci vedremo per il
giorno del Ringraziamento. Poi ci sarà il Natale.-
Ribatté lui con dolcezza.
Lexie sorrise amareggiata tentando invano di accettare quella distanza
temporale che presto li avrebbe separati.
- Natale sembra
così lontano.- Osservò con un filo di voce in una
punta di dispiacere.
Max allora le cinse le spalle con un braccio e lei posò la
testa sul suo petto mentre riprendevano a camminare adagio lungo il
sentiero ghiaiato.
- Sai, Max,-
Esordì lei dopo un lungo silenzio - da quando te ne sei
andato non faccio che incolpare me stessa per averti fatto in
un certo senso fuggire da qui.-
Istantaneamente avvertì Max respirare a fondo, quasi un modo
di prendere tempo per formulare una risposta che potesse essere sensata
senza cadere nello scontato.
- Non sono fuggito da
te, questo ci tengo che tu lo sappia.- Mormorò piano
osservando i fiori e i sottili fili d'erba vibrare nel vento leggero -
Allora ero arrabbiato con chiunque mi rivolgesse la parola, persino con
me stesso. Ma mi rendevo anche conto che nessuno aveva colpe per
ciò che era successo a mio padre. E questo mi faceva un male
terribile perchè avrei tanto voluto trovare qualcuno da
incolpare nonostante fosse completamente sbagliato. Andare via da qui,
lasciare mia madre, i miei amici, te e Lakewood mi è servito
per comprendere che non sempre nella vita è necessario
attribuire colpe soltanto per sentirsi meglio con sé stessi
e provare così meno dolore. Non è giusto per
nessuno. Arrivi ad un certo punto in cui devi capacitarti di
ciò che ti accade e imparare ad accettarlo
incondizionatamente, anche se non sempre è facile.-
I due ragazzi giunsero sul ponticello di legno che attraversava un
piccolo specchio d'acqua dove il sole ne stava tingendo d'ambra e rosso
la superficie increspata.
Lexie prese il braccio di Max liberandosi dalla sua presa e gli tenne
la mano poggiandosi al parapetto del ponte. Fece scorrere le dita sul
legno avvertendone la ruvidità e l'irregolarità,
mentre un refolo di vento caldo le soffiò tra i capelli.
- E tu sei sicuro di
esserci riuscito?- Gli domandò con una certa
perplessità guardandolo negli occhi.
Max increspò le labbra e chiuse gli occhi per qualche
secondo, poi li riaprì.
- Non lo so per certo
ma, ora come ora, so di aver sbagliato a comportarmi così
con chi mi ha sempre voluto bene. Imparando dai miei errori adesso so
cosa sarei disposto a fare, non come dieci anni fa, quando ero convinto
che ogni decisione sbagliata avrebbe potuto far crollare il mondo
intero. A sedici anni è praticamente impossibile sapere cosa
è giusto fare. Perciò mi spiace di averti
trattata male e di averti lasciato per tutti questi anni con la
convinzione di avere tutte le colpe.-
Lexie sorrise stringendosi nelle spalle. Poi gli accarezzò
una guancia e, chiudendo gli occhi, si avvicinò a lui e lo
baciò sulle labbra.
Il telefono in casa di Lexie squillò tre o quattro volte
prima che la madre alzasse il ricevitore.
- Salve, parlo con la
signora Brice?- Chiese gentilmente Faith senza ombra di esitazione.
- Si, sono io.-
Rispose la madre di Lexie - Posso esserle utile?-
- Si, vorrei parlare
con il signor Larry. È in casa?-
La donna tacque per qualche istante che parve un eternità.
- Mi dispiace,
signorina. Larry è morto circa dieci anni fa.-
Affermò con freddezza la donna.
Faith rimase in silenzio, completamente sconcertata.
- Signorina,
è ancora lì? - Ripeté la donna
più di una volta.
- Mi scusi, non lo
sapevo... Mi scusi tanto.-
Riattaccò, mentre la madre di Lexie continuava a parlare, e
rimase immobile vicino alla finestra. La complicata matassa di eventi
che si era formata nella sua testa andava via via sciogliendosi.
Ormai le era chiaro che a causare l'incidente di Will Warren era stato
il padre di Lexie. Non era nemmeno certa che fosse realmente morto come
le aveva raccontato la moglie. Probabilmente si trattava di una bugia e
lui era fuggito chissà dove per non finire la sua vita in
carcere.
Restava soltanto da chiarire l'esatta dinamica dei fatti e solo una
persona sapeva esattamente com'era andata.
|
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Capitolo 41 *** 41. Il Bacio ***
R
ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Eccoci
qui per il numero 41!
Spero
che i precedenti capitoli vi siano piaciuti... vedo pochissime
recensioni. Troppo poche!
Oltre
a ringraziare chi aggiunge la mia storia alle Preferite e Seguite,
ringrazio anche Saty,
mi auguro con te che questi due personaggi capiscano cos'hanno gettato
via. Spesse volte i protagonisti prendono le strade che vogliono e non
badano a ciò che io ho in serbo per loro. È come
se avessero vita propria!
Grazie
anche ad una nuova ragazza che recensisce, Clarita, magari
sei arrivata fino a questo punto della tua lettura o forse ti sei
fermata prima perchè annoiata o delusa... fammi sapere in
entrambi i casi le tue emozioni e sensazioni. Per chi scrive
è sempre un piacere, anche se i commenti non sono proprio
positivi!
E
poi tanti auguri di buon compleanno ad una recente lettrice, che qui
non si fa vedere con commenti sulla storia, ma che legge segretamente!
Fatti vedere, maschera!!
Per
questo nuovo capitolo vi suggerisco Chantal Kreviazuk
con “Green
Apples”.
E
ne approfitto per augurare a tutti Voi tante belle festività!
Ci
ritroviamo nell'anno nuovo, il 20 gennaio!
Buona
lettura!
MM
41.
I
L BACIO
Chantal
Kreviazuk “Green Apples”
Max rimase impietrito e, quando riaprì gli occhi
completamente frastornato, notò Lexie abbassare lo sguardo.
- Cos'era questo?- Le
chiese turbato dopo aver cercato invano di darsi da solo una risposta.
Non si sarebbe mai aspettato che Lexie lo baciasse, e ciò lo
lusingò, ma immediatamente affiorò in lui un
senso di colpa.
- Per te
cos'è stato?- Replicò la ragazza continuando a
guardare a terra, incerta se manifestare orgoglio per il suo gesto
oppure provare vergogna.
- Un terribile errore
commesso da una vecchia amica.- Rispose Max - Da quanto tempo
desideravi baciarmi?-
Lexie deglutì emettendo un lieve rumore ed i suoi occhi si
fecero lucidi. Sollevò il viso, carica di timore nel doverlo
riguardare negli occhi, e fu subito pervasa da un fastidioso imbarazzo.
- Da quando ti conosco
non ho mai smesso di desiderare di baciarti ed ogni volta che ti vedo
questo mio bisogno aumenta sempre di più. Mi rendo conto che
è da stupidi, ma...- Si fermò per asciugarsi una
lacrima con il dorso della mano mentre Max l'ascoltava smarrito
incolpandosi tacitamente per averla in qualche modo incoraggiata a
compiere quel gesto così infantile ma allo stesso tempo
maturo ed impavido -… non posso farne a meno, Max. Scusa,
sono una stupida egoista. Non era mia intenzione baciarti
perchè avrei preferito tenere questo segreto esclusivamente
per me e lasciare che tutto restasse soltanto una fantasia nella quale
rifugiarmi ogni volta che volevo ricordare.-
Lui scosse la testa senza riuscire a comprendere fino in fondo il
perchè di quel bacio. Si rese conto di provare compassione
nei confronti di Lexie, e dispiacere per non essere mai stato in grado
di percepire la profondità di quel sentimento che lei aveva
tenuto nascosto per tutti quegli anni, malgrado la lontananza.
- Come si
può ricordare qualcosa che non è mai accaduto?-
Lexie cercò di mantenere il controllo.
- Con l'illusione.-
Rispose - Finché vivi in un'illusione puoi desiderare che
tutto sia perfetto, esattamente come desideri che vada. Ed ogni volta
che vuoi ti lasci trasportare da un'aspettativa che non ti tradisce,
non ti delude mai per il semplice fatto che non è mai
avvenuto.-
- Ma ora è
successo.- Precisò Max lasciando affievolire la voce.
- Si.-
Affermò lei con un mezzo sussurro - E mi dispiace di una
cosa.-
Il ragazzo la fissò con lo sguardo fermo.
- Io non ti amo, Max
Warren.- Rispose semplicemente sollevando un angolo della bocca - E mi
ci è voluto tutto questo tempo ed un solo bacio per capirlo.
E adesso so di essere stata innamorata del ragazzo che eri, non
dell'uomo che sei diventato. Ho sentito che non eri con me mentre ti
baciavo. So che il tuo cuore appartiene ad un'altra persona con la
quale non potrei competere, ma non importa. Tu sei come un fratello per
me, e questo mi basta. Forse quel bacio era qualcosa che avrei dovuto
fare tanto tempo fa, così mi sarei risparmiata tutto il
dolore di questi anni.-
- Forse le cose
sarebbero andate diversamente se l'avessi fatto tanto tempo fa.-
Replicò Max lentamente.
- Hai ragione.-
Approvò lei sorridendo debolmente - Ma a 16 anni non avrei
voluto perdere un amico come te.-
Lexie gli prese dolcemente la mano e gliela strinse avvertendone un
tepore che le riscaldò il cuore. Si aspettava che lui la
lasciasse, invece la strinse più forte e piegò la
testa, poggiando la fronte sulla sua.
- Io ti voglio bene,
Lexie, e per te ci sarò in ogni momento, oggi più
di ieri.- Mormorò sorridendo con gli occhi chiusi.
- Ti voglio bene
anch'io, Max. Continua per la tua strada e presto ti renderai conto di
essere una persona che nessuno vuole dimenticare. Chiunque
sarà orgoglioso di di aver condiviso con te un pezzo della
propria vita.-
Lui sorrise triste e l'abbracciò forte mentre il sole alle
loro spalle spariva sotto l'orizzonte portando con sé il
ricordo dorato di quella giornata di metà agosto.
Rientrando a casa, Max si soffermò a pensare a Lexie. Da
troppo tempo aveva involontariamente chiuso in un cassetto la loro
profonda amicizia. Si era quasi scordato di quanto quella ragazza fosse
importante per lui, ma si sentì rinfrancato e soddisfatto
per averla ritrovata. In un certo senso avvertiva che il loro rapporto
era cambiato, maturato, perchè erano loro stessi ad essere
maturati. Era confuso ma felice in egual misura ed un bilanciamento di
tali emozioni così in contrasto tra di loro, ma allo stesso
tempo in perfetta sintonia, non faceva che donargli un senso di
appagamento.
Raggiunse le sedie sotto il gazebo del suo giardino e si sedette
voltando la testa verso casa. La luce accesa della finestra della
cucina gettava un fascio di luce sopra i cespugli di rose che
crescevano rigogliosi sotto il davanzale. I profumi della sera che
scendeva si mescolavano agli odori del lago Erie e la luna
già risplendeva algida nel cielo indaco mentre una vaporosa
nuvola si accingeva ad attraversarla.
La porta della veranda si aprì cigolando e, dopo qualche
istante, Addison uscì avvicinandosi al gazebo.
- Ti ho visto
arrivare. Che ci fai qui al buio?- Domandò accendendo la
lanterna che sporgeva dal pergolato con un fiammifero pescato da una
tasca del grembiule. Il vento estivo la fece dondolare non appena la
donna la richiuse, ed alcune farfalle notturne presero ad agitarsi
silenziose nella luce che aumentava gradualmente d'intensità.
- Pensavo.- Rispose
semplicemente Max.
- A cosa?-
- A tutto e a niente.-
Affermò mettendosi comodo sulla poltroncina.
Addison sospirò e si sedette avvicinando un'altra sedia a
quella del ragazzo.
- Max, non credi sia
arrivato il momento di smettere di pensare e di prendere in mano la
situazione?- Osservò in tono materno.
Max la guardò torvo. La sua voce era piatta.
- Quale situazione?-
- Sai bene di quale
situazione sto parlando. Non fare il finto tonto.- Lo
rimbeccò Addison.
Lui fece una smorfia e si sporse poggiando i gomiti sulle ginocchia ed
incrociando le dita.
- Mi manca quella
spinta, quell'impulso che mi dà il coraggio di ripresentarmi
davanti a lei dopo tutto ciò di cui l'ho accusata. Non posso
andare là e chiederle semplicemente scusa. Non posso e non
voglio.- Spiegò allargando le braccia e poi prendendosi il
viso tra le mani. Si sentiva palesemente sconfitto perchè
non c'era niente che avrebbe potuto fare per sistemare le cose con
Faith. Era la stessa situazione di chi percorre per tanto tempo una
strada pienamente convinto che sia quella giusta per poi trovarsi di
fronte ad muro altissimo ed invalicabile anche solo con il pensiero. Un
vicolo cieco. Addison lo osservò quasi volesse conoscere
tutto ciò che passava per la mente del figlio in quel
preciso istante.
- Potrebbe anche darsi
che non ci sia bisogno di chiedere scusa. Se vi amate per davvero
saranno i vostri occhi a parlare.- Replicò Addison - Faith
è una ragazza speciale e tu sei speciale. Voi due
rappresentate un amore così puro ed eternamente innocente
che qualunque persona oggi vorrebbe vivere. Non sprecare questa
ennesima occasione di essere davvero felice, Max. In tutti questi anni
ti sei privato di cose che avrebbero potuto darti tanto. Ne hai
lasciate scappare troppe.-
Addison gli posò una mano sul viso e piegò la
testa di lato.
- Siete fatti per
stare insieme. Anime gemelle.-
Max increspò le labbra e sorrise.
- Ho qui una cosa per
te.- Si ricordò all'improvviso la donna estraendo dalla
tasca un foglietto ripiegato.
Max lo prese e lo aprì esaminandolo con sguardo indagatore.
Era la fotografia che Faith gli aveva regalato il primo giorno
dell'anno dopo avergli fatto promettere che non l'avrebbe fatta
pubblicare su nessun giornale.
- Questa foto l'ho
lasciata nella mia stanza a Londra. Come fai ad averla tu?-
Domandò confuso.
Addison gli rivolse un'occhiata sbigottita scuotendo leggermente la
testa.
- È sempre
rimasta qui con me. L'ho ritrovata una settimana fa nel cassetto dei
documenti di tuo padre. Sono stata io stessa a scattarla, leggi sul
retro. C'è la mia scrittura.-
Max avvertì un brivido scorrergli lungo la schiena. Chiuse
gli occhi ed inspirò a fondo, quindi girò la
fotografia.
“Max e Faith,
Cleveland 1979”
Il ragazzo sentì gli occhi divenire umidi e fece una piccola
risata di incredulità, mentre il cuore nel petto parve
stringersi e la sua mente volare lontano trasportata dai ricordi
rimasti nascosti negli angoli più remoti della sua mente.
Come per magia, il muro che da tempo aveva avuto davanti agli occhi
sembrò svanire lentamente.
- Sono io... Il
bambino con il berretto abbassato sono
io.- Affermò ad alta voce per convincersi
meglio, perchè ancora faticava a crederlo.
Rimase in silenzio e durante quell'intervallo di tempo
realizzò che il destino aveva già deciso tutto
quanto per lui.
- Anime gemelle.-
Replicò a sua madre in un sussurro.
Il giorno seguente Max sarebbe ripartito per Londra e Lexie non era
stata in grado di rivelargli il segreto che da più di dieci
anni si portava dentro e del quale nessuno, a parte suo padre, era al
corrente.
A dire il vero, non ci aveva nemmeno provato. Sinceramente convinta di
essere innamorata di lui, era rimasta delusa dall'immediata conferma
del contrario non appena le loro labbra si erano incontrate. Che senso
aveva ora tenersi quel pesante fardello? Per lei Max era divenuto
più di un amico e non voleva più tradirlo.
Realizzò di essere stata una stupida perchè, se
anche si fosse messa insieme a lui, la relazione avrebbe significato un
doppio tradimento. Il suo cuore ormai apparteneva completamente a Faith
e a nessun'altra.
Si sedette su una panchina di legno lungo la strada e
ripensò all'incidente.
Larry Brice era salito a bordo del suo fuoristrada quel freddo mattino
di novembre e Brian Harrington lo aveva seguito fiondandosi
nell'abitacolo poco prima che partisse in seguito ad una rissa davanti
al Payton Bar. Completamente ubriaco, suo padre era partito ad una
velocità folle e, a pochi metri, lo schianto all'incrocio
della Sunset Road con Castle Street. Dopo qualche istante aveva visto
uscire Larry dal fuoristrada capovolto e, con una gamba zoppicante,
posizionare il corpo esanime di Brian al posto di guida.
Poi era fuggito stringendosi una spalla con la mano. Da quel giorno non
si era più fatto vivo in paese.
Lui e sua madre avevano divorziato quando lei aveva solo dieci anni.
Non sapeva se fosse morto o fuggito da qualche parte nel mondo per non
passare il resto della sua vita in carcere.
Il ricordo di quella mattina era tutto ciò che le era
rimasto di suo padre.
Come l'avrebbe presa Max? Anche se suo padre era sparito non era giusto
che Brian restasse in carcere per un omicidio del quale non aveva
alcuna colpa.
La ragazza si alzò decidendo di scrivere una lettera a Max
dove gli avrebbe spiegato ogni cosa e che sarebbe stata disposta a
testimoniare per la scarcerazione di Brian.
Era il minimo che avrebbe potuto fare.
Una volta a casa trascorse gran parte della notte a pensare a come
scrivere tutto ciò che avrebbe voluto dirgli sperando
ardentemente di non mettere a rischio la sua amicizia.
All'alba si svegliò di soprassalto realizzando di essersi
addormentata poco meno di un'ora prima.
Terminò la lettera, la chiuse in una busta restando qualche
minuto a fissarla, quasi fosse incerta se consegnargliela o meno, poi
uscì di casa, avvertendo sulla pelle il lieve tepore del
sole che iniziava a cavalcare massicce nubi rosa. Salì
sull'auto e raggiunse la casa di Max. Silenziosamente si
avvicinò alla cassetta della posta e vi infilò la
busta senza esitazioni. Quando sentì il tonfo leggero degli
angoli della lettera toccare il fondo, un senso di liberazione e di
paura la investì come un'ondata di mare in tempesta.
Tornò in auto voltandosi una volta soltanto per guardare la
casa di Max, e ripartì in direzione del paese.
Ciò che non immaginava era che, per uno strano scherzo del
destino, Max non avrebbe letto la sua lettera e sarebbe tornato a
Londra senza conoscere la verità.
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Capitolo 42 *** 42. Fotografie Di Momenti ***
R ISPOSTE
ALLE RECENSIONI
Ciao a tutti!
Eccomi qui con il
capitolo nuovo, numero 42!
Sarò breve!
Ringrazio subito Saty
per aver recensito il capitolo precedente (mi fa tanto piacere che mi
scrivi sempre qualcosa :)) ,chiunque legge in silenzio e chi inserisce
questa storia tra le Preferite
o Seguite!
Durante il capitolo ho inserito una struggente canzone da ascoltare: si
tratta di “Angel”
di Sarah McLachlan!
Buona lettura e
buon ascolto!
Vi aspetto il mese
prossimo con il capitolo 43!
(18
Febbraio 2012)
MM
42.
F OTOGRAFIE
DI MOMENTI
Agosto scivolò via in fretta, trascinando con sé
ciò che restava del caldo opprimente che aveva
caratterizzato l'estate. L'inizio di settembre rendeva le giornate
più corte ma meglio sopportabili rispetto alle precedenti, e
anche la città sembrava tornare gradualmente alla
normalità dopo il consueto afflusso di turisti.
Dall'ultima conversazione avuta con la madre di Lexie, Faith non aveva
più richiamato in Ohio, presa com'era dai problemi di salute
di zia Becky che continuavano a peggiorare col passare dei giorni.
L'anziana aveva sempre meno energie e la gamba ed il braccio sinistri
andavano lentamente paralizzandosi. Anche la parte sinistra
del viso stava perdendo mobilità, e ciò le faceva
spesso biascicare le parole. Inoltre i suoi sonnellini diventavano
sempre più lunghi e, facendosi assalire dal panico ogni
volta che la sorprendeva con gli occhi chiusi, Faith le si avvicinava,
chiamandola e carezzandole i capelli. Zia Becky li apriva con tutta la
calma del mondo e lei tirava un sospiro di sollievo, ma era tristemente
consapevole che presto non li avrebbe più riaperti.
Provava un tale senso di pietà e smarrimento quando in
silenzio la osservava mangiare, leggere un libro, o guardare il mare, e
desiderava conoscere tutti i suoi pensieri, le sue paure, i suoi
rimorsi, sempre ammesso che ne avesse avuti. Tante volte il suo sguardo
sembrava fissare tutto e niente: lei era lì con il corpo, ma
la sua mente pareva viaggiare per galassie lontane.
La ragazza allora avvertiva una voragine squarciarle il petto, mentre
il cuore e lo stomaco come pugnalati ripetutamente da un gravoso senso
di dolore e di inutilità.
- C'è
qualcosa che posso fare per te, zia?- Le chiedeva senza nascondere la
sua apprensione.
Ed ogni volta la zia rispondeva in tono paziente e materno, mai stanco:
- Resta qui con me, ti va?-
Potevano trascorrere ore intere a farsi compagnia senza pronunciare una
sola parola, semplicemente ascoltando il ritmo regolare dei loro
respiri.
Qualche volta Faith le raccontava di nuove e divertenti situazioni
accadute ad Holly, ma anche vicende del passato che le due amiche
avevano condiviso e che zia Becky non aveva mai sentito. Oppure le
parlava dell'ultima telefonata di Jason, di quanto sentisse la sua
mancanza e non avesse mai desiderato qualcuno vicino in vita sua come
in quel momento così infelicemente unico da quando era
venuta ad abitare a Santa Monica.
Non aveva trovato il coraggio di accennarle di Lexie e di
ciò che era stata in grado di scoprire, un po'
perchè non ne era certa del tutto, malgrado gli indizi lo
confermassero, e un po' perchè, in fondo, rispetto
a quello che stava accadendo, non lo riteneva poi
così importante. L'ultima cosa che Faith voleva era evitare
di dare ulteriori dispiaceri a sua zia parlandole del fratello, anche
se appariva innocente.
Aveva riflettuto spesso negli ultimi tempi a quanto la vita di zia
Becky e quella di suo padre fossero diverse in ogni loro aspetto, ma
entrambe non si potevano dire certo prive di difficoltà.
Stava di nuovo prendendo in considerazione l'idea di tornare in
carcere, almeno per mettere Brian al corrente della situazione fisica
della sorella.
- Zia,-
Esordì una sera a tavola mentre cenavano in veranda - pensi
che... ecco, pensi che papà dovrebbe sapere della tua
malattia?-
Zia Becky smise di mangiare e si asciugò gli angoli della
bocca con il tovagliolo. La luce del sole che tramontava metteva in
risalto i tratti spigolosi del suo viso nascondendo parzialmente le
profonde mezzelune scure che sottolineavano gli occhi. Pareva sempre
più magra: il tumore la stava rapidamente consumando.
Tacque ancora e Faith rimase a fissarla temendo di aver detto qualcosa
che potesse averla ferita. Sentì il rapido pulsare della
propria gola e si diede mentalmente della stupida per averne parlato.
Zia Becky esalò un sospiro di rassegnazione.
- Faith, nel corso
della mia vita ho imparato a capire cosa è giusto dire e
cosa non lo è. Preferisco che tuo padre non sappia niente.-
Rispose risoluta.
La ragazza annuì silenziosamente e riprese a mangiare, in un
sottofondo di grilli, mentre del sole non restava che un vivido
bagliore rossastro a macchiare la sconfinata tristezza dell'oceano.
Settembre fu per Faith un mese emotivamente spossante. Dormiva
pochissimo e le rare volte che riusciva ad addormentarsi gli incubi la
risvegliavano bruscamente rendendo vana ogni possibilità di
riprendere sonno.
Una notte, dopo l'ennesimo brutto sogno, scese dal letto con l'intento
di andare in cucina e rinfrescarsi la gola con un bicchiere
d'acqua. Lanciò distrattamente un'occhiata in giardino e
notò il riflesso di una sagoma bianca accovacciata tra le
radici della grande quercia. Inorridì realizzando che si
trattava di zia Becky. Senza pensarci gettò il bicchiere nel
lavandino e si precipitò fuori sbattendo la porta d'ingresso.
L'aria della notte era fresca e zia Becky indossava solo una vestaglia
leggera.
- Zia!- La
chiamò Faith a gran voce avvicinandosi con il cuore che le
batteva a mille - Che ci fai qui fuori? Sono le due di notte e...-
Sarah
McLachlan “Angel”
http://www.youtube.com/watch?v=Hx4RsCfL_fA
La
zia si voltò osservandola con lo sguardo vuoto, privo di
qualsiasi espressività, ma Faith intuì che dietro
a quegli occhi si celava una paura angosciante. La consapevolezza che
ogni cosa stesse ormai giungendo irrimediabilmente al termine.
Lentamente Faith le si
sedette vicino e le coprì le spalle con un braccio per
tranquillizzarla e riscaldarla. Lei posò la testa sulla sua
spalla e fece un profondo respiro.
- Sono qui, zia, sono
qui.- Le sussurrò con dolcezza.
Dovette faticare parecchio per non scoppiare in singhiozzi
perchè sapeva a malincuore che momenti come quello sarebbero
stati gli ultimi. Si sforzò di catturare ogni singolo ed
insignificante particolare affinché potesse restarle
impresso nella mente e mantenersi inattaccabile al deteriorante passare
del tempo. Le stelle immobili, la luna opaca, il mormorio delle foglie
appena sfiorate dal vento, il rumore uniforme dell'oceano. Ogni cosa
proseguiva nel suo naturale corso, ma per Faith niente era normale. Le
sembrava tutto così irreale e ciò che le restava
e si sentiva di fare era pregare perchè un miracolo
risparmiasse zia Becky dalla morte. Anche se poteva essere
assolutamente illogico credere in una guarigione, Faith non avrebbe
smesso di sperare per il semplice fatto che lei era sua zia e le voleva
un bene inesauribile, che andava oltre ogni immaginazione.
- È finita,
Faith?- Chiese la zia con un filo di voce, quasi ingenuamente.
Faith deglutì sentendo gli occhi inumidirsi.
- Perchè io
non sono ancora pronta per morire.- Continuò zia Becky in un
misto di rassegnazione e speranza di farcela.
Sollevò la testa per guardare la nipote, e Faith
provò un tuffo al cuore.
- No,- La ragazza
scosse la testa - non sei pronta, zia.-
La donna le si strinse al petto e scoppiò a piangere per la
prima volta da quando le venne diagnosticato il tumore.
La settimana seguente zia Becky perse completamente la
sensibilità a tutta la parte sinistra del corpo. Faith
l'aiutava a mangiare e la sorreggeva negli spostamenti
poiché non riusciva più a reggersi in piedi da
sola. Al pomeriggio erano solite sedersi in veranda ed ammirare inerti
l'autunno che assorbiva i caldi colori dell'estate insieme ad una vita
di ricordi che stava terminando.
Faith cercava ogni volta di imprimersi nella memoria il volto della
zia, i precisi lineamenti del suo viso, le labbra scure e tirate, il
naso sottile, gli occhi grigi. Temeva che gli anni ne avrebbero sfocato
il ricordo e si impose di fotografare mentalmente ogni
peculiarità che le apparteneva. Poi però la
malinconia dei giorni passati tornava a farsi sentire e lei si perdeva
tra centinaia di riflessioni.
Quasi inaspettatamente, si scoprì più di una
volta a pensare a Max. Fantasticava su dove si trovasse e cosa stesse
facendo in quel preciso momento, o se il sole che stava tramontando
davanti ai suoi occhi era lo stesso che aveva visto lui poche ore
prima, con gli stessi colori, le medesime forme. Si chiese che effetto
le avrebbe fatto se si fosse ripresentato, e se avrebbe volentieri
intrapreso un qualsiasi discorso con lui ignorando lo strascico
drammatico di tutto ciò che era accaduto tra di loro.
Quell'ultimo periodo aveva cambiato così tante cose della
sua vita che le risultava impossibile chiuderle in una scatola e
fingere che non fossero mai successe.
Come sempre, era Jason ad irrompere nella confusione di quei pensieri,
per mortificarla e farla sentire in colpa per un sentimento che non
riusciva - o non voleva - ammettere e cancellare dal suo cuore. Nella
sua testa tutto era in discordanza, tutto non trovava una soluzione.
Presto sarebbe giunto un momento critico e allora lei non avrebbe
più potuto fuggire. Si trattava di una soluzione che non
doveva essere lasciata in sospeso. Non poteva concedersi quel lusso.
Senza un comprensibile collegamento, tornava ad immaginare come
sarebbero stati gli anni a venire, ponendoli a confronto con quelli
passati, ed idealizzava la vita con la mancanza di zia Becky,
sentendo immediatamente montare la tristezza.
Con l'arrivo di ottobre la malattia si aggravò
ulteriormente. La zia non era più in grado di parlare e di
camminare. Ormai veniva alimentata soltanto di liquidi ed osservava
dalla finestra della sua stanza il mondo tingersi di arancio e di
marrone, mentre i suoi periodi di sonno si erano estesi a buona parte
della giornata.
Nonostante fosse stanca ed emotivamente provata, Faith aveva finito per
accettare la realtà. Si ritrovava a piangere nei momenti e
nelle situazioni più impensati, ma si obbligava a non
ostentare la sua afflizione davanti alla zia. Era giusto che lei
vivesse con assoluta tranquillità ed apparente
normalità ciò che restava del suo tempo.
Tenuti informati da Faith, Holly e Chris vennero a far visita
all'anziana in uno degli ultimi giorni. Desideravano poterla salutare,
ma alla fine solo Chris trovò il coraggio di entrare nella
stanza dove ormai la zia trascorreva tutto il tempo distesa a letto.
Per Holly fu più difficile. La conosceva da troppo tempo e
questo le impedì di avere la forza di dirle addio.
In procinto di aprire
la porta ed entrare, un tormentato ed indomabile dolore le strinse lo
stomaco. Si voltò per tornare in cucina e subito si
bloccò. Immobile con le braccia conserte, Faith stava in
piedi, appoggiata alla colonna, e la osservava. Senza dire nulla,
l'abbracciò stretta e Holly scoppiò in lacrime.
- Non posso,
Faith.- Disse piano tra i singhiozzi - Non ce la faccio.-
Dopo un lungo momento, Faith si staccò da lei e, con gli
occhi velati, le sorrise mestamente asciugandole una lacrima con il
pollice.
- Non preoccuparti,
Holly.-
- Non voglio
ricordarla così.- Mormorò l'amica quasi a volersi
giustificare.
- Vieni qui.- Le
sussurrò Faith stringendola di nuovo tra le braccia.
L'abbraccio così intimo e sincero di Faith fece liberare la
ragazza di tutte le emozioni che albergavano nella sua testa e nella
sua anima. Le due amiche piansero insieme, delineate nella sottile
striscia di luce, nel familiare e rassicurante silenzio della casa, nel
ticchettare monotono dell'orologio. Nella vita che proseguiva felice
soltanto nei ricordi.
Al termine di quella giornata, Faith ricevette una telefonata.
Ciò che Lexie aveva da dirle non la sorprese, anzi, non fece
che confermare i suoi sospetti: Larry Brice era l'unico colpevole
dell'incidente. Lexie le assicurò che avrebbe fatto
qualsiasi cosa perchè Brian venisse scarcerato.
Da tanto tempo la ragazza avrebbe voluto sentirsi dire quelle parole,
ma in quel momento non le regalarono alcuna soddisfazione, tanto meno
felicità. Erano in totale disaccordo con la sua
realtà.
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Capitolo 43 *** 43. Come Una Foglia D'Autunno ***
R ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Voglio cominciare ringraziando una persona che, a causa di mancanza di
tempo e inaccettabili situazioni da me create, ho assurdamente
allontanato. Ci tengo a dire che rimane per me molto importante e che
sono davvero dispiaciuto di come siano andate le cose. Non è
un caso che le rivolga queste parole proprio in occasione della
pubblicazione del capitolo.
In poco tempo ha saputo mettermi in discussione ed ha cercato in ogni
modo di farmi rendere conto delle mie capacità.
Quanti di voi sono stati così fortunati da conoscere
qualcuno che vi abbia incoraggiati, spronati, appoggiati in ogni
situazione, anche quando sapevate di essere in torto?
So di non aver perso questa persona, ma mi manca molto e ci tenevo a
farglielo sapere.
Vi invito a leggere questo capitolo attentamente e con occhio diverso.
Non leggetelo in fretta o con superficialità, ma fatelo con
il cuore:
è dedicato a tutti quelli che abbiamo amato - e che ci hanno
amato - e che oggi, per qualsivoglia motivo, non sono più
qui con noi.
Grazie a tutti. Di cuore.
Marco.
43.C
OME
UNA FOGLIA D'AUTUNNO
La morte è come un
bel tramonto. Ci lascia nel cuore la consapevolezza che non ne vedremo
mai un altro uguale, come non incontreremo mai una persona identica a
quella che ci ha appena lasciato.
È strano come in certe
situazioni si tenda a focalizzare la propria attenzione sui
più piccoli ed insignificanti particolari, quasi a volerli
imprimere nella mente per poi poterli rivivere dentro di sé.
Dal momento in cui Faith mise piede
nella stanza di zia Becky, avvertita di un ineluttabile peggioramento
delle sue condizioni, sapeva che sarebbe andata incontro
all’ennesima grande tragedia della sua vita. La perdita che
sentiva incombere su di lei stava riportando alla luce sensazioni
dolorose mai messe a tacere, e vedere la prova fisica di un
allontanamento così definitivo davanti ai suoi occhi la
lasciava sconcertata e sconvolta.
Inondata dalla luce dorata che penetrava
dalla finestra aperta su un malinconico e soleggiato pomeriggio
autunnale, osservò come le lenzuola bianche non fossero poi
così immacolate a guardarle bene: era come se
stessero riflettendo una patina grigia che poteva vedere chiaramente,
striata di venature forse messe lì dalla sua mente stanca.
Le vedeva diramarsi partendo da una mano, fragile e leggermente
sussultante, che non poteva pensare fosse proprio quella della zia, la
stessa che l'aveva guidata per tutta la vita, forte e saggia, e che ora
ritrovava del tutto inerme.
C’era qualcosa di
contraddittorio e di inaccettabile in tutto questo, che non riusciva, o
che forse non voleva, capire ed approvare completamente.
Afferrò la sedia della
scrivania e silenziosamente l'avvicinò al letto, scoprendosi
impreparata a sostenere ciò che stava accadendo, combattuta
tra il mostrare una certa maturità e sfogare la frustrazione
che serbava in corpo.
Si sorprese ansiosa di ricevere un segnale che avesse fatto percepire
alla donna il suo arrivo, ma allo stesso tempo desiderosa di lasciarle
tutta la pace possibile. Durante l'intera mattinata era stata indecisa
sul da farsi, e provava timore ad avvicinarsi a lei, la persona che
più amava al mondo e che desiderava come presenza costante
nella sua vita.
Nell'istante in cui la mano della zia si
mosse impercettibilmente, fu come guidata da una forza che la costrinse
a prenderla delicatamente tra le sue, rispettosa ed angosciata. Zia
Becky ebbe un leggero sussulto, e subito il senso di colpa si
impadronì dei pensieri della ragazza. Ma non appena le sue
palpebre fremettero per poi aprirsi leggermente, fu pervasa da un
egoistico sollievo: lei era ancora lì.
Quando gli occhi dell'anziana si
focalizzarono con fatica sul suo viso, Faith ebbe l'assoluta certezza
che sarebbe rimasta con lei fino alla fine. Nonostante non avesse la
forza di parlare, il suo sguardo, ancora sofferente, le suscitava
innumerevoli emozioni: paura e coraggio; amore e devozione; stanchezza
e rassegnazione.
Continuò a tenerle stretta la
mano, ed era come se quel gesto significasse tutto e niente. Quel
piccolo e delicato tocco rappresentava il forte legame che le univa, ed
il solo sapere che presto quel vincolo si sarebbe spezzato, le
tormentava il cuore.
Quasi assorta, la zia
continuò ad osservarla, mentre la ragazza si sforzava di
capire a cosa stesse pensando. Probabilmente a quanto fosse cresciuta,
oppure alle tante cose che avevano condiviso nel corso degli anni
passati insieme. Forse provava dispiacere a saperla presto sola, e
magari i suoi ultimi pensieri stavano prendendo la consueta piega di
preoccupazione per la nipotina. Sorrise tristemente a quest'ultima
supposizione e non osò sperare che invece stesse provando
orgoglio e meraviglia alla vista di ciò che era diventata.
Le concesse di provare gioia perché, malgrado gli ultimi
errori commessi, sapeva fosse certa di aver fatto un meraviglioso
lavoro con lei, fin da bambina.
Ricordò con un sorriso il
giorno in cui aveva aperto la porta ed era entrata in casa sua
sentendosi come un uragano pronto a sconvolgere la vita di una donna
che per tanto tempo aveva vissuto da sola, in una pace quotidiana. Con
sua sorpresa, l'aveva accolta calorosamente, ben lieta di iniziare un
nuovo capitolo della sua vita.
Improvvisamente fu assalita dal desiderio irrefrenabile di dirle
qualcosa. Il silenzio, ormai diventato insopportabile, venne spezzato
dal rumore di una foglia sbattuta dal vento che frusciava
insistentemente contro il vetro della finestra. Anche lei, come la zia,
stava lasciando la vita. Dopo due intere stagioni, era giunto il
momento di andare.
Da quando Faith aveva saputo che per zia
Becky non ci sarebbe stato più niente da fare,
pensieri, sentimenti e paure si erano alimentati dentro di
lei. Desiderava che la zia sapesse tante cose e, soprattutto, voleva
che quegli ultimi momenti insieme fossero speciali e diversi.
L'anziana parve capire la
difficoltà della nipote nell'esprimermi, e il suo sguardo
assunse un'espressione di serena attesa. Quella fiducia spinse Faith a
farsi coraggio e cominciare a parlare.
- Ciao zia.- Esordì semplicemente.
Il suono delle sue parole parve scuotere
tutto l’ambiente circostante e per un attimo si
fermò, ancora indecisa, ad ascoltare il mormorio incerto
della sua voce.
Il respiro di zia Becky si faceva
più lento mano a mano che i minuti passavano, e lei
intuì che di lì a poco sarebbe cominciato il suo
crollo personale.
- Non so cosa dire sinceramente. Ogni parola sembra scontata e inutile
adesso, vero? E poi un monologo mi sembra così strano. Di
solito sei sempre parte attiva in ogni discussione.-
Zia Becky sorrise leggermente e la
ragazza si sentì un mostro.
Eppure percepiva chiaramente che non sarebbe riuscita a frenare la
valanga di parole che lottavano nella sua mente. Avrebbe voluto
riversarle tutte in modo da creare un legame effimero ma sonoro, che
riempisse il vuoto che già sentiva.
Come si può stare in compito
silenzio di fronte alla vita più preziosa che se ne va?
Riusciva a stento a trattenersi dal manifestare con forza tutta la sua
contrarietà ad un evento assurdamente ingiusto. Vedere Zia
Becky così calma, con la rassegnazione negli occhi
martoriati da troppo dolore, era qualcosa che la privava del respiro,
come stare sott’acqua, nel momento in cui si risale senza
ossigeno, sperando di arrivare presto in superficie.
Ma lei non era certa che ci sarebbe mai
arrivata. Vedere le tragiche increspature di quel triste evento,
senz'aria e defraudato di qualsiasi emozione, la colmava della
consapevolezza che Zia Becky avrebbe portato via il suo respiro,
lasciandole i polmoni brucianti di smarrimento.
Nemmeno la sua mano riusciva
più ad ancorarla alla realtà e a tenerla presente
per lei. Avrebbe dovuto essere forte, invece si scoprì
fallire, cedere senza rispetto per colei che l'aveva cresciuta ed amata.
Tutto questo parve darle una terribile
scossa. Risalì dalla sua cieca e facile disperazione e
focalizzò lo sguardo su di lei. La stava ancora guardando,
ma i suoi occhi sembravano più spenti, già
estremi viaggiatori.
- Zia, non so davvero cosa dire. Come farò? Ho deluso te, ho
commesso un errore terribile ed ora mi ritrovo senza nessuno. Ok,
c'è sempre Jason, ma... Non sarà più
la stessa cosa senza di te.-
Si rese improvvisamente conto di
discorrere di un discorso privo di collegamenti logici, dove le parole
tentavano di formulare un’egoistica confessione di debolezza
a colei che tuttora era la sua roccia.
Zia Becky parve risvegliarsi dal torpore
che la ghermiva, quasi richiamata dalle sue parole, e le
sembrò persino di disturbarla troppo. Non poteva parlare, ma
le passò delicatamente il pollice sul dorso della mano. Fu
un movimento lento e faticoso, straziante nel suo voler essere un
ultimo conforto pieno di dolcezza e sofferenza.
Faith comprese che zia Becky non la
stava affatto condannando, né stava sopportando il suo
abbattimento, ma la stava amando, spronandola per l’ultima
volta.
Quello fu l’ultimo gesto.
Poi gli occhi le si chiusero, inesorabili. Faith ascoltò
quella mano liberarsi di ogni forza, come rannicchiata tra le sue, a
cercare rifugio davanti ad una prova troppo grande.
Il momento era arrivato. Con la gola
secca, la giovane increspò le labbra e deglutì.
Il tempo per parlare era terminato e lei ringraziò Dio per
averle concesso quei preziosi attimi.
Così, si alzò
lentamente dalla sedia, eliminando le distanze e le paure, e decise di
instaurare un ultimo contatto con zia Becky. Senza lasciarle la mano,
le accarezzò la fronte con l’altra ed
avvicinò le labbra al suo orecchio, distendendosi dolcemente
sul letto. Respirò a fondo il suo profumo di mamma e di
amore, e le sussurrò chissà quali parole, dando
vita a tutta la sua riconoscenza. Era decisa ad accompagnarla con forza
e discrezione, così si assunse il dovere di non lasciarla
sola.
Capì immediatamente quando la
sua mano perse vita, quando il capo rimase reclinato contro il suo,
più per sconfitta che per protezione. Allora la strinse
più forte a sé, avvertendo lancinanti lame di
dolore straziarle l'anima, mentre un legittimo sollievo per la fine
delle sue sofferenze, le si manifestava silenziosamente nella
coscienza.
Nello stesso istante in cui la foglia si
adagiò sul davanzale, zia Becky se ne andò, e
Faith poté udire il suo cuore smorzarsi lentamente.
Rimase quasi riverente accanto a lei,
grata ed orgogliosa di averla avuta nella sua esistenza e poi, mentre
calde gocce d’amore cadevano sempre più numerose,
la ringraziò sottovoce, cercando un tardivo nuovo contatto
mentre l’amarezza governava ineluttabile i suoi pensieri.
In qualche modo doveva rendersi
consapevole che lei se n'era andata per sempre, portando con
sé le pagine più belle della sua vita.
- Non ti dimenticherò mai, zia.- Mormorò.
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Capitolo 44 *** 44. Memorie ***
44. M EMORIE
Il suono acuto del campanello penetrò nel profondo sonno di
Faith rimbombando fastidiosamente nei suoi sogni. Dopo aver
nascosto la testa sotto la trapunta, la ragazza sperò di
averlo
soltanto immaginato, ma un nuovo trillo la riportò coi piedi
per
terra. Aprì faticosamente gli occhi e lanciò uno
sguardo
all'orologio a pendolo chiedendosi chi mai potesse essere alle otto del
mattino. Holly le aveva detto che sarebbe passata, ma non l'aspettava
così presto.
Si fermò di colpo rendendosi
conto che tutto
ciò che era successo la sera precedente purtroppo non era
stato
frutto di un sogno. Si sentiva male perché non sapeva cosa
avrebbe dovuto fare. Tutto era radicalmente cambiato e non c'era
più nessuna cosa della quale le importasse veramente. Nella
sua
testa si accavallavano immagini di zia Becky, frasi sconnesse del
medico venuto ad accertarne la morte, pensieri privi di un qualsiasi
collegamento, particolari inutili.
Innumerevoli emozioni e sensazioni
vorticavano nel
vuoto, ripetendosi centinaia, migliaia di volte. Non era possibile che
fosse davvero accaduto a sua zia, una donna straordinaria che si era
sempre fatta in quattro per aiutare gli altri.
Faith avrebbe tanto voluto riportare
indietro il
tempo, ma per salvare chi, si chiese? Lei stessa dal provare meno
dolore essendo preparata, o zia Becky da quel brutto male che se l'era
portata via? Non si è mai preparati abbastanza a queste cose
e
non avrebbe potuto fare niente per lei.
Il campanello suonò ancora
una volta,
costringendo la ragazza ad alzarsi pigramente dal divano, con la
trapunta blu a coprirle le spalle.
Aprì svogliatamente la porta con uno sbadiglio e si
immobilizzò di colpo, con una mano sulla bocca gli occhi
sbarrati.
- Ciao, Faith.-
Faith avvertì un brivido
attraversarle il
corpo per poi congelarglielo, ed iniziò a tremare, incredula.
- Max... sei qui...-
Non credeva ai suoi occhi. Si, Max era
tornato. Era
lì, davanti a lei, ai suoi occhi assonnati, al suo cuore che
batteva nel petto come al termine di una gara podistica. Non era solo
uno di quei sogni che faceva ultimamente. Venne improvvisamente
travolta da una certezza che le suggeriva di stare tranquilla
perché lui l'avrebbe aiutata a superare quel momento
difficile
che l'aveva trascinata nelle solitudine e nell'angoscia.
- Non sai quanto sono felice di vederti, Max.- Gli disse con la voce
spezzata e gli occhi luccicanti. Restò immobile lasciando
cadere
le braccia lungo i fianchi, con le spalle abbassate.
- Non preoccuparti, Faith. Ci sono io adesso.- Mormorò Max
contraendo le labbra.
Dopo un attimo di esitazione,
abbracciò forte
la ragazza, affondando il viso nei suoi capelli e riscoprendone il
profumo. Si accorse di quante cose di lei gli fossero mancate.
Troppe.
Si concessero un interminabile abbraccio
nel
grigiore del mattino, senza dire niente. Quello era un silenzio diverso
da tutti gli altri. Apparteneva a loro, e loro soltanto vivevano in
quel momento.
- Chris mi ha avvertito ieri pomeriggio,
così
ho preso il primo aereo e sono venuto. Mi dispiace tanto, Faith.- Le
raccontò Max riempiendosi la tazza di caffè.
Malgrado il suo impegno, non riusciva a sentirsi a proprio agio in
quella cucina. Si trovava inadatto a trovarsi lì, di fronte
a
Faith. Parlare di zia Becky serviva soltanto a rimandare il momento
delle scuse, dei rimorsi, dei rimpianti, delle inaspettate reazioni, ma
allo stesso tempo lo avviliva senza pietà.
Ai suoi occhi Faith appariva sempre
più
bella, ma c'era qualcosa di indecifrabile nel modo in cui lo guardava e
nel modo in cui si muoveva, che l'aveva profondamente cambiata.
- Lei era una persona così sicura di sé,
così
piena di emotività e di forza da sembrare...- Si
fermò,
per trovare un termine adatto - immortale.
Nessuno si aspetta che succedano certe cose finché... beh,
finché non accadono. È bastato un soffio di
vento. E lei
se n'è andata.-
La ragazza si guardò
brevemente intorno e
pianse. Realizzò che la mancanza di sua zia iniziava a farsi
sentire e ad insinuarsi prepotentemente nella quotidianità
della
casa.
- Non c'è più, Max. Zia Becky non c'è
più!- Singhiozzò coprendosi il viso con le mani.
Max non sapeva cosa dirle per farla
stare meglio.
Comprese che era inutile cercare di sforzarsi per trovare parole che la
potessero confortare. Quella era l'evidenza. Aveva appreso dalle
proprie esperienze che soltanto il tempo poteva guarire le ferite
provocate dalle difficili prove della vita. Nessuna parola
era
riuscita a farlo sentire meglio quando aveva perso suo padre. In quegli
istanti desiderava soltanto riaverlo perché lui ne aveva
ancora
bisogno. Era troppo giovane per sopportare un simile peso,
perciò sapeva bene come si sentisse Faith.
- Faith, voglio che tu sappia che non sei sola. Nessuno lo è
in
questi casi. Io, Holly e Chris siamo qui per aiutarti ogni volta che lo
chiederai.- Max prese la sua mano. Era gelida - Al di là di
tutto quello che c'è stato tra di noi, io ti
vorrò sempre
bene. Non sai quanta tristezza mi porto dentro sapendo come ti senti
adesso. Quindi non starò qui a dirti di non piangere, ma ti
consiglio di sfogarti e di lasciare passare il tempo.-
Faith scosse la testa, in un gesto di
rifiuto della situazione e di quel consiglio così scontato.
- Nella mia vita ho perso tante persone che per me contavano
moltissimo. Prima mia madre, poi mio padre. È arrivato il
tempo
di perdere anche te, Max. E per finire, mia zia. Ho soltanto 25 anni,
non oso immaginare quale destino sia già stato scritto per
me.
Ho tanta paura nel cuore e tanta confusione nella mia testa.-
Max si schiarì la voce e
deglutì di fronte a tutta quella disperazione.
- Tu non ricordi cosa ti ho detto la prima sera che siamo usciti
insieme. Eravamo a tavola in quel salone immenso, con la musica e le
candele. “Credi
nei sogni, perché rendono il mondo migliore e aiutano ad
evadere dalla dura realtà di tutti i giorni.”-
- Mi ricordo, Max. E ti ho ascoltato, ma il mio sogno è
durato
per poco tempo. Come lo spieghi?- Gli chiese Faith tirando su con il
naso.
- Probabilmente non ci hai creduto abbastanza.- Ipotizzò
Max, seppur incerto lui stesso di quelle parole.
A quella risposta Faith sospese
l'inarrestabile
flusso di pensieri e si fece più seria. Soltanto in
quell'istante poté comprendere cosa stava accadendo e si
sentì pervadere da una grande ed improvvisa rabbia. Quella
collera e quell'amarezza represse da mesi emersero in superficie come
una bolla d'aria, che esplose fulminea sospinta dall'orgoglio e dal
dolore.
- Non ci ho creduto abbastanza, mi dici? Chi se n'è andato
senza
voler sentire spiegazioni?- Sibilò alzandosi in piedi di
scatto
ed indicando l'esterno della casa con un dito. La sedia sulla quale
stava seduta cadde all'indietro per l'urto improvviso - Chi se
n'è andato lasciandomi qui come un'assassina imperdonabile?
Come
se non ti avessi mai amato, forse più di me stessa? Mi hai
abbandonata dopo avermi detto che mi avresti amata per sempre, ed ora,
come il diavolo che entra in una chiesa, ti ripresenti qui,
in casa di mia zia, infangandone la sua memoria, e mi propini pure le
tue belle frasi da maestrino saccente? Dio, ma non provi nemmeno un po'
di vergogna?- Gli gridò con un sorriso colmo di sarcasmo -
Sei
solo un bastardo!-.
Max impallidì. La sua
espressione mutò
completamente, apparendo vuota ed attonita. Come Alice nel Paese delle
Meraviglie, si sentì istantaneamente rimpicciolire sulla
seggiola, ma si sforzò di affrontare da uomo
quella
drammatica ed alquanto assurda situazione. Certo, tornando a Santa
Monica, non si aspettava né voleva che gli venissero stesi
tappeti rossi...
- Ho sbagliato, Faith, e mi dispiace, mi dispiace tanto, credimi. Ma
ora sono qui e sai bene quanto affetto provi nei tuoi
confronti.-
Tentò di scusarsi, calcando di rammarico le sue parole,
consapevole che quella risposta non sarebbe bastata nemmeno a lui se si
fosse trovato al posto di Faith. La ragazza, a maggior ragione, pareva
non voler più sentire scuse. Le guance avvampate, gli occhi
lucidi ed inspiegabilmente neri, le guance rigate dalle lacrime e i
capelli scompigliati dal sonno bastavano a trasmettere tutto il
malessere interiore coltivato nell'arco di quegli ultimi mesi.
- Sai una cosa, Max? Trovandoti alla mia porta stamattina mi sono
dimenticata del male che mi hai fatto. Dici di volermi bene, ma a
questo punto io non so più se provo affetto verso di te.
Anzi,
ti ho odiato per tanto di quel tempo che credo di odiarti anche adesso.-
Max accusò il colpo, ma non
replicò.
Sapeva di essere in torto, quindi si alzò lentamente da
tavola e
fissò per qualche istante la ragazza che si era voltata
dandogli
le spalle.
- Faith,- Azzardò nuovamente - ti prego, fermati e pensa:
vuoi
davvero che finisca così tra di noi? Perché per
una volta
non proviamo a comportarci da adulti e troviamo un punto d'incontro?
Sinceramente, a me sembra che non ci sarà mai un momento
giusto
per noi se non ci sforziamo di essere maturi.-
Rimandandosi i capelli con entrambe le
mani, la
ragazza si voltò di nuovo verso di lui in una maschera di
stupore e di offesa.
- Scusa, Max, ma tra di noi, sei tu quello immaturo. Dopo dieci anni
continui a vivere nei ricordi di tuo padre e non vuoi accettare la sua
morte, e per di più mi dai consigli nei quali neanche tu
credi.
Hai mollato tutto e tutti soltanto per il tuo stupido orgoglio, quasi
servisse a riportarlo indietro. Non venirmi a parlare di
maturità!-
Le tornò alla mente l'ultima
telefonata di
Lexie e ne avrebbe discusso volentieri, ma non era il momento
più opportuno per farlo. Si mise freneticamente a lavare
alcuni
bicchieri lasciati nel lavandino dalla sera precedente,
perché
era stanca e non aveva alcuna intenzione di proseguire il discorso.
Un pesante silenzio si
insinuò tra di loro.
- Hai finito?- Tentennò Max più risentito che
sconfitto, gli occhi che brillavano.
- Va' fuori di qua, Max.- Gli ordinò senza voltarsi,
scandendo
lentamente le parole con la testa piegata verso il basso. Non voleva
realmente che Max se ne andasse, era cosciente che si sarebbe potuto
risolvere tutto soltanto se lei l'avesse voluto. C'erano già
state fin troppe tragedie, pensò, perché
complicare di
più ogni cosa? Ma allo stesso tempo il solo vederlo la
faceva
morire dentro un po' alla volta.
Il ragazzo indugiò qualche
secondo, senza
parole, poi afferrò la sua giacca scura sistemata sullo
schienale della sedia ed uscì.
Erano le nove e un quarto della sera
quando Holly e
Chris videro Max fare il suo ingresso al Neptune's Bar, e lo invitarono
a sedersi con loro. Chris si alzò in piedi per fargli posto
e lo
abbracciò fraternamente.
- Quanto tempo, Max. Certo, non sei qui per una bella occasione, ma
sono contento che ci hai raggiunti.-
Anche Holly lo abbracciò.
- Ciao, Max. Come va? Resta un po' con noi.-
Si sedettero e dopo pochi minuti
ordinarono qualcosa da bere.
- Ad essere sinceri, Holly,- Riprese Max - non so molto bene come vada.-
- Lo so.- Lo interruppe lei ostentando un certo rincrescimento - Oggi
pomeriggio sono stata da Faith e mi ha raccontato della vostra lite.-
Max tornò con i pensieri
all'accesa
discussione della mattinata. Si chiese in che modo Faith l'avesse
raccontata all'amica, e si augurò che fosse stata comunque
contenta di rivederlo, malgrado le cattive parole che erano volate
nella cucina.
- Questa mattina quando sono sceso dall'aereo ho avuto la certezza che
ogni cosa sarebbe tornata come prima, seppur faticosamente, ma ci ho
creduto davvero. Però, non appena ho rivisto
Faith, mi
sono reso conto che era stata soltanto un'impressione.-
Sospirò
Max rassegnato - Questo mi spaventa perché ho sempre saputo
cosa
fare o cosa volere dalla vita. Ma adesso non ne ho più idea.
È una sensazione strana.-
- Tu le manchi, Max.- Osservò Chris, ed Holly
annuì con la testa, pienamente d'accordo.
- In queste ultime ore Faith è distrutta e forse oggi ha
esagerato un po'. Non prendertela più di tanto.-
La cameriera tornò con le
ordinazioni e lasciò il conto sul tavolino.
- Avreste dovuto sentire quello che mi ha detto. E quel che
è
peggio è che ha ragione. Mi sono comportato male lasciandola
in
quel modo, e mi dispiace.-
- Senti, Max.- Obiettò Holly giocherellando con
l'ombrellino di paglia che decorava il suo cocktail - Entrambi avete
validi motivi per non stare più insieme. Però...
non
odiatevi. La vita è troppo breve per portare eterno rancore
verso chi un tempo ci ha dato tanto. E odiare è
una parola grande e già usata in abbondanza.-
Max le sorrise annuendo con la testa.
- Hai ragione. L'odio non deve avere niente a che fare con noi due.-
- Prova a starle vicino. Questo è un momento molto delicato
per lei.- Suggerì Holly accigliandosi.
Restarono a chiacchierare per una buona
mezzora, poi Holly e Chris si congedarono.
- Buonanotte, ragazzi.- Li salutò Max - Io credo che
rimarrò ancora un po'.-
Il locale andava lentamente svuotandosi
e le lunghe
file di luci colorate che correvano attraversando il soffitto si erano
fatte più soffuse. Il juke-box sistemato nell'angolo vicino
al
tavolo da biliardo continuava a lampeggiare allegramente e a
trasmettere musica di vario genere, mentre alcuni ragazzi lì
intorno bevevano birra e scherzavano tra loro, inserendo di tanto in
tanto una monetina per richiedere una canzone.
Anche Max ne inserì una, ma il juke-box sembrava
terribilmente
indietro con le richieste e concluse che, se avesse voluto ascoltarla,
sarebbe dovuto restare lì tutta la notte.
Tornò quindi a sedersi e,
attraverso le ampie
vetrate del bar, scrutò l'esterno, dove il nero della notte
e il
riflesso argentato della luna sulla schiuma grigiastra delle onde
dell'oceano erano le uniche tonalità che riusciva ad
intravedere. Poi, deluso dalla scarsa visibilità del
panorama,
fissò lo sguardo sul tavolo, completamente assorto nei suoi
pensieri. Nemmeno le risate e le chiacchiere della gente riuscivano ad
attirare la sua attenzione. Si sentiva un egoista. Zia Becky non c'era
più e lui non faceva che pensare al suo rapporto - se
così si poteva definire - con Faith.
Alzò fugacemente la testa e
notò la
porta del locale aprirsi, facendo tintinnare la campanella posta sopra
l'ingresso.
Era
lei.
Anche Faith lo vide dopo un breve istante, e rallentò il
passo,
stringendosi nella giacca di jeans. Mentre altre persone si
frapponevano tra loro, Max la seguì con lo sguardo, come se
nel
locale non ci fosse stato nessun altro, finché lei si
avvicinò al suo tavolo.
- Posso?- Domandò accennando con la testa al posto vuoto
davanti a lui, senza celare l'incertezza di ricevere un rifiuto.
Il ragazzo acconsentì,
deglutendo.
- Max.- Iniziò passandosi una mano tra i capelli, con un
gesto
stanco - Vorrei scusarmi per come ho reagito questa mattina. Non avrei
dovuto dirti quelle cose terribili. Tu sei venuto per starmi vicino ed
io te ne dovrei essere grata. Adesso vorrei concentrarmi soltanto su
mia zia, perciò... mettiamo da parte tutto quello che
abbiamo
passato e smettiamo di gridarci in faccia parole che ci fanno solamente
del male. Ti va di provarci?- Gli chiese Faith con lo sguardo serio e
malinconico.
Gli occhi di Max indugiarono per un
lungo istante
nei suoi. Non erano più neri e carichi di collera, ma erano
luminosi, chiari. Sorrise sollevando un angolo della bocca.
- Certo.- Rispose annuendo e guardandola teneramente.
Il juke-box cominciò a
diffondere le note di Always
on my mind, ma Faith non parve farci caso.
- Ti va di ballare?- Propose d'istinto Max avvertendo l'improvviso
onere di farla distrarre un po’ - So che questa è
la tua
canzone preferita...-
Lei alzò lo sguardo di
scatto, sorpresa, poi
abbassò di nuovo il viso, con l'ombra di un sorriso colmo di
malinconia e di voglia di tornare indietro. Voglia di rimediare ai suoi
errori, voglia di avere una seconda opportunità.
- Te lo ricordi ancora...- Mormorò scuotendo leggermente la
testa e sentendo il cuore sciogliersi.
- Ricordo ogni cosa di te.- Affermò Max con lo stomaco
sottosopra - Allora, ti va?-
- Soltanto se non mi pesterà i piedi, mr. Warren!-
Squittì lei con una risata sommessa.
Era consapevole che non sarebbe stata
una buona idea
ballare con lui ma, malgrado la testa le suggerisse ciò che
poteva sembrare giusto, lei preferì ascoltare il suo cuore.
Voleva dimostrare a sé stessa che tutte le emozioni e tutti
i
sentimenti che un tempo aveva provato per Max erano svaniti.
Ma perché si sentiva
così impaurita e
travolta dai sensi di colpa non appena lo vide alzarsi e porgerle la
mano?
Gliela prese delicatamente, ed ogni terminazione nervosa
sembrò
caricarsi di elettricità, fremendo per il tempo di una
brevissima scossa. Non si azzardò nemmeno a guardarlo negli
occhi mentre gli si avvicinava, perché era certa ne avrebbe
letto parole proibite, ma si limitò a posare il viso sulla
sua
spalla mentre lui le cingeva la vita con un braccio. Lo
sentì
entrare in tensione per poi tranquillizzarsi lentamente.
Poteva
avvertire il suo profumo infonderle sicurezza e forza, dolcezza e
sensibilità.
Chiuse gli occhi e si
concentrò sulla canzone
e sul momento che stava vivendo, traducendolo in una pausa dalla triste
ed inevitabile vita che avrebbe trovato ad aspettarla il giorno
successivo.
Faith se ne stava seduta sulla piccola
panchina di
legno proprio in fondo al pontile, mentre alcuni gabbiani svolazzavano
malinconici sfiorando l'acqua dell'oceano, senza un'apparente
destinazione. Il cielo plumbeo aveva lasciato il posto ad uno
stupendo tramonto che sembrava quasi un affronto a ciò che
era
successo negli ultimi giorni.
La ragazza era invidiosa di quella vita
attorno a
lei che proseguiva come se nulla fosse accaduto. Avrebbe preferito che
tutto il mondo si fosse fermato a consolarla per farle sparire la
disperazione, l'angoscia e quella sensazione di vuoto che le aveva
stravolto la vita. Voleva piangere, urlare al vento la sua rabbia, le
sue tristi parole, ma non ci riusciva. Si limitò ad
osservare
l'ambiente che la circondava e che in quel momento non le trasmetteva
più nessuna emozione.
Volse
lo sguardo in direzione della sua casa e notò zia Becky
venirle incontro.
- Allora, Faith, ti sei
divertita alla tua festa oggi?-
- Si, zia!- Le rispose
Faith sorridendo.
- Proprio quello che
volevo sentirti dire.-
La zia sedette al suo
fianco e, dalla tasca del grembiule, estrasse un pacchetto.
- Questo è il
mio regalo di compleanno per te, bambina mia. Spero che ti piaccia!-
Faith rimase stupita.
- Non dovevi, zia. A me
basta che tu mi voglia bene.-
- Ma io te ne voglio.
Forza, aprilo!- La pregò impaziente la zia.
La ragazza
scartò curiosa il regalo. Una catenina d'oro con un piccolo
smeraldo intagliato a forma di stella luccicava all'interno della
scatolina.
- Zia, ma è
bellissimo! Chissà quanto ti sarà costato...-
- Non pensarci! Hai 18
anni e ormai sei una donna. Ci tenevo che tu avessi qualcosa per
ricordarti sempre di me.-
- Ma io non potrei mai
dimenticarmi
di te, zia, perché tu vivi qui, nel mio cuore. Per sempre. E
niente può cambiare tutto questo.-
Zia Becky si commosse e Faith le sorrise.
Il suono di una voce maschile che la
chiamava per
nome riportò Faith nella realtà. Si accorse che
nella
mano destra stava ancora stringendo convulsamente la stella di smeraldo.
Max le si avvicinò
scrutandola con cautela assicurandosi di non darle fastidio con la sua
presenza.
- Faith, stavi sorridendo... Va tutto bene?-
La ragazza tornò
improvvisamente triste in
volto: il ricordo di quel giorno era svanito. Un miraggio.
Scrutò l'orizzonte mentre un soffio di vento le
accarezzò
i lunghi capelli castani.
- La verità è che non c'è
più niente che vada bene.- Ammise, abbattuta.
Max fece un profondo respiro di
comprensione e di
affetto, si sedette sulla panchina e le avvolse accuratamente le spalle
con il suo maglione.
- L'aria si sta rinfrescando. Copriti.-
- Avevi ragione, Max.- Sbottò riluttante la ragazza - In
questi
casi non si sente freddo, e non si sente nemmeno il caldo. Non si sente
più nulla.-
- Faith, so che non ci sono parole che ti possano rallegrare. Se vuoi
me ne starò qui, anche in silenzio, sperando che la mia
presenza
sia sufficiente a farti stare meglio.- La consolò Max,
sentendosi inutile per la seconda volta nell'arco di due giorni.
Rimasero in silenzio per qualche minuto
finché la ragazza decise di interrompere quel momento di
quiete.
- È strano.- Mormorò con lo sguardo fisso in
avanti,
verso un punto invisibile, quasi stesse per recitare una poesia a
memoria - Sembra che, andandosene via, abbia portato con sé
un
pezzo della mia vita. È come se ad una canzone avessero
ingiustamente rubato le parole che accompagnano la musica. Ed
è
una sensazione bruttissima. Adesso non so più
quale sia il
significato della parola vivere.-
- Tutti credono di sapere cosa significhi vivere, ma nessuno
lo sa per certo. Nemmeno noi.-
- Allora perché siamo costretti a soffrire?
Perché
occorre per forza perdere le persone che amiamo per capire quanto
contano per noi?-
Max osservò davanti a lui la
distesa
illimitata d'acqua che ondeggiava, monotona, color del bronzo, contro i
piloni di legno sotto i suoi piedi. Di tanto in tanto, sulle rive
dell'oceano, alcuni fiori autunnali occhieggiavano nascosti tra alti
ciuffi d'erba gialla.
- Perché fa parte della vita, Faith. Passiamo una parte
talmente
grande della nostra esistenza a dedicarci alle persone alle quali
vogliamo bene da non riuscire a renderci conto che l'affetto che loro
provano per noi cresce ogni giorno di più. Quello
è un
sentimento che inconsciamente allontana le nostre paure e le nostre
insicurezze rendendoci più forti. E quando la morte o la
semplice lontananza ci separa da quelle persone ci accorgiamo di quanto
di veramente buono hanno fatto per noi. Tutte le paure sono scomparse e
noi scopriamo una forza interiore che è sempre stata nel
nostro
cuore, ma che non abbiamo mai immaginato di avere. Anche tu, Faith,
possiedi questa forza. Perciò non permettere che zia Becky
se ne
sia andata inutilmente. Lei non vorrebbe di certo vederti soffrire.-
- È difficile per me, Max.- Confessò Faith
scoraggiata.
Lui l'abbracciò forte e la ragazza iniziò a
piangere appoggiata alla sua spalla.
- Lo so, Faith, lo so. Ma vedrai che presto tutto questo
passerà e potrai sorridere pensando a lei.-
Mentre il sole tramontava dipingendo di
un rosso
intenso la sottile linea dell'orizzonte, il vento portò con
sé il suono delle campane di una chiesetta lontana. Un suono
che
rappresentava il ricordo del passato, la speranza nel futuro e, per il
presente, il significato della parola vita.
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Capitolo 45 *** 45. Tempo Di Scegliere - Parte Prima ***
45.
T
EMPO DI SCEGLIERE
Parte
Prima
Shawn
Colvin “Never Saw Blue Like That”
http://www.youtube.com/watch?v=Q2CkOEThLLw
Nel giorno dell'addio anche il cielo piangeva. Le sue lacrime sottili
ricordavano aghi argentati ed impalpabili che cadevano dal grigiore
delle nuvole per scivolare tra i petali dei boccioli di rose che i
presenti alla cerimonia tenevano tra le mani.
Dopo che il pastore ebbe terminato di recitare il salmo 23, nell'aria
fresca che profumava di autunno si liberarono le parole profonde e
affettuose di chi conosceva zia Becky, mentre un vento leggiadro le
portava con sé, oltre un oceano dipinto di un blu scuro ed
opaco.
Anche Faith desiderava esprimere qualche pensiero in memoria di sua
zia. Si alzò in piedi e, voltandosi, si
meravigliò di quanta gente si fosse stretta attorno a lei,
malgrado il tempo incerto di quel pomeriggio.
Visibilmente commossa, salì sulla piccola impalcatura in
legno e si avvicinò al microfono, reprimendo le salate
lacrime che le ghermivano gli occhi. Prima di parlare si
schiarì la voce e fece di nuovo correre lo sguardo tra la
gente, mentre espressioni tristi si nascondevano a stento sotto qualche
ombrello aperto.
C'erano tante persone che non conosceva, e realizzò che sua
zia vantava un sacco di amicizie, per la maggioranza mai raccontate.
La signora Josephine con il compagno Jackson Brookstone, compagni
fidati della zia dai tempi della scuola. Li conosceva da quando era
bambina. Sorrise loro tristemente.
Il sindaco, il personale dell'ospedale che aveva assistito zia Becky
negli ultimi giorni di malattia, il signor Crawfordless, il simpatico
vecchietto che gestiva la bottega di generi alimentari vicino a casa.
Faith si soffermò sulla sua espressione: non lo aveva mai
visto così triste. Era sempre di buon umore, con il sorriso
stampato sulla faccia, quello stesso sorriso che ora si era trasformato
in un anonimo e contratto paio di labbra scure, e un cappello grigio
fumo, intonato alla giacca, contribuiva a rabbuiare il suo sguardo
vuoto.
Holly e Chris, i suoi più cari amici, pensò.
Inviò loro un cenno di ringraziamento per esserle
continuamente vicino.
E poi c'era Max, sempre elegantissimo per ogni occasione. Immobile e
con la schiena dritta, come un ufficiale dell'esercito, pareva
studiarla con i suoi occhi verdi che la rapivano tutte le volte che li
incrociava.
Abbassò lo sguardo dopo pochi istanti: non era
più in grado di guardarlo troppo a lungo. Un profondo senso
di colpa la tormentava e non sapeva come liberarsene. L'aveva messo da
parte quando il pensiero della zia era diventato predominante nella sua
testa. Ma in quei momenti era riaffiorato, inesorabile, e si
scoprì incapace di combatterlo. Decise di allontanarlo
ancora: non era giusto pensarci. Non lo era nei confronti di zia Becky.
Jason le aveva telefonato dopo che lei gli aveva lasciato un messaggio
vocale, e si era scusato di non poter presenziare alla funzione. Ma non
era questo a farla stare male. O meglio, non solo questo.
Il
non vedere suo padre nella folla la rendeva in qualche modo incompleta.
Ora, dopo aver scoperto la verità, pensava a lui in maniera
del tutto diversa, carica della speranza che presto lo avrebbe riavuto
nella sua vita.
Guardò il cielo, mentre alcuni fasci di luce cercavano di
affiorare tra le nubi, e parlò.
-
Oggi è un giorno che difficilmente si dimentica. Uno di quei
giorni che nessuno di noi vorrebbe rivivere, talmente intensi da
restare impressi per sempre nella nostra memoria e nei nostri cuori.
Ogni volta che proviamo a ricordarli, il tempo torna indietro
così velocemente che ci sembra di riviverli, infinite volte.-
Una lacrima le rigò una guancia, ma lei si impose di non
crollare, la voce triste.
-
Una persona alla quale tengo davvero tanto, mi ha assicurato che
nessuno è solo quando accadono queste cose. Soltanto adesso
mi rendo conto che ha ragione. Per quanto drammatico e triste sia
questo momento,- Faith guardò Max e sorrise - sono certa che
chi mi circonda mi aiuterà a volare fuori dalla tempesta e a
capire che, dopo ogni giorno nero, c'è sempre un arcobaleno
che attraversa il cielo. Non dimenticherò mai zia Becky,
né tutto quello che ha fatto per me. Domani voglio pensare a
lei sorridendo, perché credo sia così che ci si
ricorda di chi non è più qui con noi: con un
semplice sorriso. Solo allora ci sentiremo più vicini.
Grazie a tutti per essere stati presenti.-
Mentre tornava a sedersi, complice la solennità del momento,
tra la gente si levò un applauso di cordoglio che, da tenue,
aumentò rapidamente d'intensità, mantenendosi
vivo per alcuni secondi. Un simbolo per rendere l'ultimo omaggio.
-
Stringi la mia mano, Faith.- Le sussurrò Max con dolcezza.
Faith si asciugò una lacrima ed intrecciò
delicatamente le sue dita con quelle del ragazzo senza guardarlo.
-
Grazie, Max.- disse infine alzando il viso verso di lui - Per essermi
vicino.-
-
Grazie a te che me lo permetti.- Rispose lui sinceramente rinfrancato.
Con l'aiuto di Holly, Faith aveva organizzato un piccolo rinfresco al
termine della funzione religiosa. Nel salotto un lungo tavolo imbandito
con biscotti e frutta secca aveva preso il posto del divano e del
tavolino di vetro, dislocati momentaneamente ai lati del caminetto. La
stanza era gremita di persone giunte per le ultime condoglianze. Alcune
di loro fumavano, discorrendo a bassa voce delle proprie professioni o
degli affari di famiglia; altri si riabbracciavano dopo tanto tempo;
altri ancora cercavano di dare il loro aiuto in casa.
Faith era in cucina a preparare un po' di caffè quando Max
entrò poggiando sul tavolo alcuni piatti vuoti. Nonostante
si sentisse tremendamente stanco, riusciva a mantenere un aspetto
fresco, dimostrandosi pieno di attenzioni, come aveva sempre fatto.
-
Ti serve aiuto?-
Faith si volse con un sorriso tirato e gli occhi velati, scuotendo la
testa.
-
Ehi.- La richiamò avvicinandosi - Tutto bene?-
Lei annuì con la testa, restando concentrata ad asciugare le
tazzine appena risciacquate.
Max si appoggiò al banco e la ammirò. Sembrava
così fragile, così indifesa. Così
bella. Da tanto tempo desiderava baciarla di nuovo, cancellare tutto
quello che era successo fra di loro negli ultimi mesi.
-
Max.- Lo richiamò lei con la voce rotta interrompendo il
flusso dei suoi pensieri.
Il ragazzo annuì per farle capire che la ascoltava.
-
Non sai quanto mi faccia piacere che tu sia qui in questi giorni
così duri per me. Te ne sono grata.- Lo ringraziò
con un cenno del capo - Non ho idea di quanto possa essere doloroso per
te dopo quello che c'è stato tra di noi, ma ci tengo a farti
sapere che per me lo è, e moltissimo anche.
Trovarti
alla mia porta l'altro giorno mi ha fatto felice, ma ha anche riaperto
la ferita al cuore che mi hai lasciato andandotene via. Non posso
ignorarlo, Max.-
-
Perché me lo stai dicendo?- Le chiese lui come aspettandosi
un amaro risvolto.
Lei sostenne il suo sguardo per qualche attimo, poi volse la testa di
lato, passandosi una mano tra i capelli e sentendosi del tutto incapace
di trattenere ancora ciò che avrebbe dovuto dirgli fin da
subito.
-
Max, io...-
-
Se è questo che temi,- La interruppe lui - sappi che anch'io
ho paura. So che non sarà facile riprendere tutto da dove
abbiamo lasciato e...-
Faith
si sentì una persona orribile.
-
No, Max, fermati, io volevo dirti che...-
-
Aspetta, Faith, fammi finire. Non so dove ci porterà questa
storia e capisco che non è il momento più adatto
per parlarne, ma io sento che non è giusto buttare questa
opportunità di rimetterci in gioco. Se solo riprovassimo
a...-
-
No, Max, no! Ti prego.- Lo bloccò Faith, esausta e con il
petto che le doleva.
-
Cosa c'è?- Sussurrò lui in un tono talmente
ingenuo e dolce da spezzarle il cuore.
Lei si asciugò le mani umide stringendo lo strofinaccio.
Quanto avrebbe voluto sentirlo parlare ancora, quanto desiderava
leggere sulle sue labbra quelle poche ma significative parole. Non
voleva ammettere a sé stessa che lui la faceva sentire viva
come nessuno era mai stato in grado di fare, ma era ingiusto nei suoi
confronti continuare ad illuderlo che presto tutto sarebbe tornato come
prima.
-
C'è Jason nella mia vita, ora. Noi due stiamo insieme.-
Lo disse tutto d'un fiato, sentendosi istantaneamente più
alleggerita di un grande peso.
Max indietreggiò di un passo e nella sua espressione Faith
lesse il desiderio di non aver voluto esporsi così tanto.
Lui si sforzò di non darlo a vedere, ma ormai era evidente
e, malgrado fosse seriamente dispiaciuta per aver deluso le sue
aspettative, la ragazza giustificò il suo comportamento.
Il rapporto che li univa li allontanava allo stesso tempo e Max non
riusciva a sopportare quella situazione. Si sentì quasi
soffocare e non fu più in grado di capire perché
in quel preciso istante avesse voluto trovarsi a chilometri di distanza
da lì e contemporaneamente non anelasse a stare in nessun
altro posto. Aveva giurato a sé stesso che non avrebbe
più fatto ritorno a Santa Monica, eppure era di nuovo
lì, a soffrire come un matto davanti a lei, ai suoi occhi
tristi, al suo incondizionato bisogno di non sentirsi sola. Avrebbe
potuto fare finta di niente, lasciarla nel suo dolore, dopo tanto che
lei gliene aveva procurato, ma lui non era mai stato quel genere di
persona, né lo era diventato.
La perdita di suo padre gli aveva rubato la giovinezza spensierata dei
sedici anni, ma in cambio gli aveva donato la
maturità di un adulto. La sua sensibilità d'animo
e la capacità di percepire i sentimenti altrui si erano
affinati, la prudenza nelle scelte della vita era accresciuta,
l'obbligo di dover sempre fare la cosa giusta era diventata una vera e
propria ossessione.
Ma qual'era ora la cosa giusta da fare?
Faith
continuava ad osservarlo smarrita e preoccupata, in attesa di una
qualunque reazione, quando improvvisamente Holly entrò in
cucina.
-
Faith, è pronto il caffè?-
-
Sì.- Rispose Faith prendendo subitamente a versarlo nelle
tazze.
Con Max che guardava fuori dalla finestra e Faith che si era mossa di
scatto per occuparsi del caffè, Holly comprese di aver
interrotto un discorso importante.
-
Andiamo.- La incitò Faith mettendole tra le mani il vassoio
con le tazzine.
Max sentì il bisogno di prendere un po' d'aria e si
tuffò nella luce dorata del sole autunnale. Era stata una
giornata intensa e particolare, e decise di sedersi sui gradini del
portico a guardare i bambini che correvano lontani lungo la spiaggia
mentre giocavano con alcuni cani.
Aveva le maniche della camicia arrotolate al gomito e si era allentato
il nodo della cravatta quel tanto che bastava per non apparire in
disordine, vista la moltitudine di gente che ancora affollava la casa.
Il ronzio di alcuni insetti accompagnava lo scroscio delicato delle
onde e un soffio di vento gli portò l'odore salmastro
dell'oceano. Chiuse gli occhi, assaporandolo e respirandolo a fondo, e
avvertì il tepore gradevole dei raggi del sole sulla pelle
mentre il ricordo di un giorno di marzo riaffiorava inaspettatamente
tra i suoi pensieri.
Voltò la testa verso
il porticato e si rivide seduto sul divanetto al fianco di zia Becky,
come se stesse ripercorrendo un pezzo della sua vita attraverso un film.
- È bellissimo, Max!-
Esclamò entusiasta la zia - Sono sicura che le
piacerà molto.-
Il simbolo del suo amore per Faith luccicava nella piccola scatola blu
che Max aveva aperto.
- Io la amo.- Spiegò
abbassando lo sguardo con un sorriso innocente e sincero.
- Lo so.- Affermò zia
Becky.
Lui alzò il viso e la donna comprese il significato delle
parole di cui le parlava sempre sua nipote: gli occhi di Max non
avevano bisogno di essere interpretati. Per lei racchiudevano tutto
quanto potesse esserci di bello al mondo: le domande di un bambino, le
risposte di un adulto ed il tempo che intercorre tra i due momenti,
accompagnato dalla saggezza e dall'intelligenza.
- Posso chiederti una cosa?- Le
domandò il ragazzo.
Lei annuì incrociando le dita delle mani.
- Cosa succede quando si ama
qualcuno così tanto? È un sentimento che non ho
mai provato per una persona al di fuori della mia famiglia, e un po' mi
spaventa. Ho paura che, com'è arrivato, un giorno se ne
possa andare lasciandomi il cuore completamente a pezzi.-
Zia Becky si lasciò andare in una piccola risata sommessa
piena d'affetto e comprensione.
- Ci si sente completi, liberi,
e soprattutto sé stessi. L'amore ha il pregio di tirare
fuori da noi i lati migliori del nostro essere che, allo stesso tempo
lo alimentano. È una sorta di circolo vizioso.-
La donna posò dolcemente una mano sul viso di Max.
- Non aver paura di amare, Max,
che si tratti di Faith o di un'altra persona. Non farti sopraffare
dall'orgoglio, ma continua a donarti. Anche il cuore ha bisogno di
vivere.-
Gli occhi di Max si assottigliarono lucidi, mentre le foglie ingiallite
danzavano sotto il porticato donando al vento ogni particolare di quel
ricordo evanescente.
Lo aveva completamente rimosso dalla sua mente, ed ora, riemergendo dal
passato, quelle parole lo mettevano in crisi. Anche se lo avesse
voluto, era sbagliato dire a Faith che l'amava ancora. Senza pensare
che lei era comprensibilmente sconvolta per la scomparsa di sua zia e
non era il momento adatto.
Stava con qualcun altro, probabilmente non ci sarebbe più
stato il momento adatto.
-
Ehi, cugino.- Lo salutò Chris uscendo sotto la veranda.
Scese le scale e studiò l'espressione di Max - Giornata
intensa, eh?-
Il ragazzo annuì.
-
Come stai, Max?- Domandò con una nota di apprensione.
Max si passò una mano tra i capelli.
-
Bene.- Rispose automaticamente.
Chris si abbassò all'altezza del suo viso e lo
scrutò,scettico.
-
Come stai, Max?- Ripeté conferendo più enfasi
alla domanda.
Il ragazzo sorrise, ma gli occhi lucidi lo tradirono.
-
Sto uno schifo!-
Chris gli posò una mano sulla spalla per infondergli
coraggio.
-
Vuoi sapere una cosa, Max?-
Eva
Cassidy “Fields Of Gold”
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-
Che tutto questo è un incubo e che mi sveglierò
tra poco su un'isola deserta?- Ironizzò Max per mascherare
la tristezza.
-
Sei il mio eroe.- Sentenziò il cugino mantenendosi serio -
Guardati. Dopo tutto quello che c'è stato... sei qui. Ho
sempre visto in te grandi qualità, e in questi giorni hai
dimostrato alla grande che ho ragione. Non come quando te ne sei andato
da Lakewood fuggendo dai tuoi problemi. Hai imparato che non si
può scappare per sempre. Ora i tuoi problemi sono qui. Tu
sei qui. Sii orgoglioso di te stesso.-
Una lacrima solcò il viso di Max.
-
I veri eroi non piangono, Chris.- Lo corresse con la voce rotta.
-
Ti sbagli, Max. sono i veri eroi quelli che non temono di commuoversi.-
Max si alzò in piedi e lo abbracciò forte.
-
Lei ha bisogno di te adesso.- Mormorò Chris.
-
No.- Disse il ragazzo scuotendo la testa - Non ha più
bisogno di me.-
Il cugino lo fissò negli occhi, confuso.
-
Ora sono io ad aver bisogno di me, Chris.-
-
Ci sono anch'io. Sai dove trovarmi. Sempre.- Sottolineò
Chris con un sorriso malinconico.
Si sedettero insieme sugli scalini, uno vicino all'altro, come facevano
quando erano ragazzini, e osservarono le nuvole blu e ambra tuffarsi
nell'oceano.
-
Sei il fratello che ho sempre desiderato.- Aggiunse dopo un po'.
Max si volse verso di lui, commosso.
-
Anche tu.-
Era stata una giornata intensa e particolare. La luce dorata e soffusa
stava svanendo e i bambini non correvano più lungo la
spiaggia. Ogni lacrima si era dissolta nell'aria. La casa si era
svuotata ed anche le automobili avevano lasciato libero il vialetto
retrostante.
Dal giardino Max notò la luce accesa nel salotto e si
avvicinò alla finestra. Vide Faith in piedi davanti al
caminetto osservare intensamente una fotografia. Teneva le braccia
conserte e lo sguardo fisso, dando l'impressione di avere la mente
immersa in chissà quale ricordo condiviso con sua zia, e
venne assalito nuovamente dalla voglia di stringerla tra le braccia, di
non lasciarla più andare via.
Entrò Holly nel salotto, e Faith le parlò un poco
prima di abbracciarla.
Non
occorreva riflettere troppo a ciò che potevano essersi
dette. Ormai non restavano più tante parole per descrivere
quella giornata o per chiedere perché.
Il destino non risponde alle domande quando ci strappa alle persone che
amiamo. Il destino agisce, e null'altro.
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Capitolo 46 *** 46. Tempo Di Scegliere - Parte Seconda ***
46. T
EMPO DI SCEGLIERE
Parte Seconda
- Grazie per essere rimasta ad aiutarmi
a rimettere tutto a posto, Holly.- Disse gentilmente Faith all'amica
accompagnandola alla porta.
- L'ho
fatto volentieri.-
Faith
le sorrise riconoscente. L'aria era frizzante e, scendendo in giardino,
le due ragazze si accorsero che c'era qualcuno seduto lungo il pontile.
Max.
Holly osservò Faith di sbieco aspettando che dicesse
qualcosa, ma vide che non proferiva parola e teneva lo
sguardo abbassato.
-
Sono sicura che avrete tante cose da dirvi.- Mormorò Holly
prendendole una mano.
Faith piegò la testa di lato e cambiò
espressione, fingendo di pensarci, poi la alzò e
guardò nuovamente in direzione del pontile. Non riusciva a
capire perché si sentisse così in colpa, in fondo
era stato Max a lasciarla. Eppure avvertiva nel petto una fastidiosa
spina che non era in grado di dominare.
-
Coraggio.- La incitò Holly - Va' da lui. Noi ci vediamo
presto.-
-
D'accordo.- Acconsentì annuendo - Buonanotte, Holly.-
Marc
Cohn “Healing Hands”
http://www.youtube.com/watch?v=dHGPeHfZv6U
L'amica l'abbracciò stretta e la salutò - A
presto.-
Faith la osservò allontanarsi poi si incamminò
verso la spiaggia. I lampioncini lungo il pontile erano accesi
dall'imbrunire e gettavano tenui fasci di luce gialla creando cerchi
dorati sulla superficie increspata dell'acqua.
Max si era accomodato sulle assi di legno con le gambe penzoloni e la
vide quando fu a pochi passi da lui.
-
Ciao.- Disse piano.
Il vento faceva ondeggiare i capelli della ragazza, che si strinse il
petto con le braccia avvertendo un brivido.
-
Posso parlarti?- Gli chiese cauta.
-
Certo.- Rispose Max tranquillamente.
Faith si piegò e si sedette vicino a lui, sulle assicelle
irregolari e ruvide, consumate dal vento e dalla sabbia. Rimase a lungo
in silenzio, come a voler cercare le parole adatte per commentare
quello che poteva essere stato il pomeriggio più triste
della sua vita.
-
A proposito di ciò che abbiamo detto oggi, Max, capisco come
ti senti e mi dispiace tantissimo, ma la situazione è
questa. Non posso lasciare Jason soltanto perché tu ti sei
ripresentato alla mia porta. Non puoi pretendere che io finga che non
sia successo niente di ciò che in realtà
è accaduto. Riesci a comprenderlo?-
Max annuì con lo sguardo puntato sull'acqua sotto di loro.
-
Non ti biasimo e non ho scusanti. Abbiamo avuto una
possibilità ed io l'ho sprecata.-
Volse la testa a guardarla e si strinse nelle spalle, con gli occhi
velati.
-
Voglio che tu sappia che non amerò mai nessun altra come ho
amato te, Faith.-
La ragazza interiorizzò quelle parole, e la spina che poco
prima sentiva nel petto le affondò nel cuore. Sorrise
debolmente e distolse lo sguardo, lo stomaco come stretto in una
dolorosa morsa.
-
Max, io so che non è vero quello che mi stai dicendo.-
-
Perché ne dubiti?- Le chiese, visibilmente ferito.
Faith lo guardò dritto negli occhi e aprì la
bocca, pronta a rispondere. Scosse la testa, arrossendo leggermente, e
si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
-
Non puoi dirmi di amarmi soltanto perché sai che non
è stato mio padre a causare l'incidente.-
Max la guardò, confuso, e lei sorrise per mascherare il suo
disappunto.
-
Si, lo so, Max. Lexie mi ha telefonato per confessarmelo qualche giorno
fa. So che è stato suo padre in realtà. Per
questo non credo alle tue parole e, sinceramente, pensavo fossi
ritornato solo per questo motivo.-
Max tornò ad osservare l'oceano nero. Da lontano giungevano
i rumori ritmati della banchina e delle barche giù al porto
mescolati all'abbaiare solitario di un cane. L'ennesima
verità gli era stata sbattuta in faccia e tutto gli parve
come un doloroso deja vù.
-
Chi è stato ad uccidere mio padre, Faith? Perché,
a questo punto, io non lo so più.- Strascicò le
parole guardando la ragazza con un'espressione sfinita e, allo stesso
tempo, incredula.
Com'era possibile che anche Lexie, la sua migliore amica Lexie, gli
avesse mentito? Come poteva essere stato suo padre il colpevole? Come
aveva potuto tacere nei momenti in cui erano stati insieme e come aveva
potuto baciarlo tenendosi dentro quel segreto?
Faith comprese che davvero Max non se sapeva nulla, dal momento che sul
suo viso si dipinsero lo smarrimento e la delusione, ed
abbassò le difese.
-
Lexie mi ha detto di averti scritto una lettera. Non te l'ha
consegnata?- Gli domandò
stringendosi le mani, stupita quanto lui.
Max si coprì la bocca con una mano, udendo appena la voce di
Faith.
-
Non ho ricevuto lettere mentre mi trovavo a Lakewood, e non ho guardato
nella cassetta della posta. Mia madre me l'avrebbe detto se l'avesse
trovata. Non ci posso credere...- Si prese il viso con entrambe le mani
- Ma come... cos'è accaduto quel giorno?-
Faith glielo spiegò nei particolari, quasi avesse assistito
di persona, esattamente come le aveva riferito Lexie, e si sorprese di
come Max restasse ad ascoltare, seppur commosso e addolorato. Si
sentì impotente ed altrettanto incredula che lui l'avesse
scoperto in quel modo.
-
Sei arrabbiato, adesso?-
Max espirò rumorosamente, scuotendo la testa. Era evidente
che Lexie aveva avuto le sue buone ragioni per essersi tenuta tutto
dentro nel corso degli anni. Ma, diversamente da come era andata con
Faith, decise che avrebbe parlato con lei e non avrebbe ripetuto lo
stesso errore per la seconda volta.
-
A che serve arrabbiarsi? Ho imparato a caro prezzo che non è
giusto prendersela con chi non ne ha colpa, perché potremmo
perdere chi amiamo per davvero.- Guardò Faith in volto - Io
ho perso te per questo.-
Faith sostenne il suo sguardo triste e sincero.
-
Hai ragione, Faith.- Continuò il ragazzo scrutando
l'orizzonte - Sono soltanto io l'immaturo. Dopo tutto questo tempo mi
rendo conto di quanto ancora sia difficile parlare di mio padre e, quel
che è peggio, è che non sono riuscito ad
accettare il fatto che lui non ci sia più.-
Faith scosse la testa posandogli una mano sulla spalla.
-
Quello che ho detto l'altro giorno era dettato più dalla
rabbia che dalla razionalità, Max. Non c'è nulla
di male a vivere nei ricordi, ma poi arrivi ad un punto in cui non puoi
più continuare a scappare e ti ritrovi a dover combattere
contro la realtà.-
-
Io mi sono sempre trovato bene a scappare. Non per vigliaccheria, ma
per rifiuto. Rifiuto della realtà, che mi sembra sempre
più ingiusta.- Ammise Max in una sorta di confessione.
-
La realtà è ingiusta.- Puntualizzò
Faith - Ma non avremmo alcuno scopo nella vita se tutto fosse facile, e
non saremmo preparati abbastanza se non ci capitassero degli ostacoli.
Penso che la nostra autentica personalità emerga proprio nei
momenti più difficili.-
Max la guardò di nuovo - Serve tutto a renderci
più forti.- Annuì con l'ombra di un sorriso.
-
Esatto.- Confermò lei.
-
È buffo che sia tu a darmi consigli quando è
palese che ora debba essere il contrario.-
Faith gli accarezzò il viso e avvertì la barba
cortissima pungerle delicatamente la mano.
-
Tu hai già fatto tanto per me, Max.-
Le pianse il cuore ricordando che lui l' amava ancora come pochi mesi
prima, se non di più.
Ma lei? Lei lo amava? Era questa la spina che le pungeva nel petto? Nel
suo cuore tratteneva un sentimento che bruciava imperterrito e che
cercava di reprimere con tutte le sue forze.
Tolse la mano dal suo viso come se scottasse, e la nascose sotto una
gamba.
-
Ho dimenticato di dirti una cosa.- Tergiversò Max dopo
qualche minuto - Ieri mi ha telefonato Lynda Shields chiedendomi se
fossi disposta a partecipare al ballo che terrà a New York
il prossimo Natale.-
Faith lo guardò credendo che scherzasse e gli diede un
colpetto sulla spalla.
-
Mi stai prendendo in giro?-
-
No, dico sul serio. Pensa che io e te stiamo ancora insieme e
così ha invitato entrambi. Dal tono con cui mi ha posto
l'invito credo abbia qualcosa di interessante da proporti, ma se non ti
va...-
Faith spalancò la bocca e sorrise, meravigliata.
-
È stupendo, Max!- Esclamò abbracciandolo
d'impulso. Lo strinse forte e, imbarazzato, Max fece lo stesso.
-
Domani la richiamerò per confermare, allora.-
Faith si staccò da lui e lo guardò reclinando la
testa di lato, con gli occhi lucidi e la punta del naso leggermente
arrossata dal freddo.
-
Grazie, Max.- Sussurrò dolce.
Max rimase a fissarla negli occhi per un istante infinito e
sentì le mani tremargli, il petto bruciargli ferocemente.
-
Penso... credo si sia fatto tardi. Meglio che io torni in albergo.-
Mormorò trattenendosi dal dire o fare qualcosa di sbagliato.
Faith annuì con la testa e si strinse le mani tra le gambe.
Il ragazzo le diede un fugace bacio sulla guancia fresca e si
alzò con cautela, strofinandosi i pantaloni per togliere i
granelli di sabbia.
-
Aspetta, Max.- Lo richiamò lei alzandosi a sua volta.
Sarah
McLachlan “Full Of Grace”
http://www.youtube.com/watch?v=L3sjSnhZJk0
Lui si fermò, fissandola come se sapesse cosa stava per dire.
-
Non mi va di stare da sola stasera.- Confessò dolcemente,
quasi impaurita, incrociando le braccia sul petto. Si
avvicinò a lui e gli prese una mano. Max osservò
la mano stringersi piano nella sua come cercasse un rifugio, e
provò un brivido.
-
Resta.- Lo supplicò, con un tono che lo colpì
dritto al petto - Ho bisogno di un amico. Ho bisogno di te.-
Il ragazzo avvertì il cuore frantumarsi in milioni di pezzi.
-
Credi sia giusto?- Le chiese semplicemente.
Lei tacque ed abbassò la testa.
-
Ora più che mai.- Mormorò.
-
Vieni qui.-
Lui le coprì le spalle con un braccio e la strinse a
sé.
Faith
si sentì al sicuro e provò un'inaspettata
serenità, mentre la convinzione di avere Max come amico,
piuttosto di non averlo affatto nella sua vita, si affermava pian piano
tra i suoi sentimenti.
Le braci che ardevano nel caminetto tingevano il salotto di una cupa
sfumatura rossastra ed il loro crepitio trasmetteva la voglia di
sedercisi davanti ad osservarle ipnoticamente.
Ed era esattamente ciò che Max aveva fatto. Dopo essersi
spogliato, aveva preparato il divano con una coperta e ci si era
accomodato sopra con i gomiti sulle ginocchia ed il viso appoggiato sui
palmi delle mani.
Ripensava a tutto ciò che lo aveva riportato lì e
a tutte le forze che aveva impiegato per non tornarci, ma capiva che,
in fondo, non era mai andato via. Fisicamente avrebbe potuto essere al
Polo Nord o in Francia, ma mentalmente non aveva mai lasciato Los
Angeles. Il suo cuore non si era mai mosso da quella casa, eppure c'era
qualcosa dentro di lui che lo spingeva a smettere di farsi del male in
quel modo.
Faith non gli apparteneva più, che gli piacesse o meno.
Si strofinò gli occhi e sbuffò lievemente, stanco
di non riuscire a fare un po' di ordine nella sua testa.
C'era inoltre da chiarire anche la questione di Lexie, e non era poco.
Gli sembrava che fosse la sua vita ad avere il controllo su di lui,
quando avrebbe dovuto essere il contrario.
Fu in quel momento che Faith fece irruzione in salotto con alcuni
indumenti tra le mani. Rendendosi conto che Max era a torso nudo, si
voltò di scatto rammaricandosi.
-
Scusa! Avrei dovuto bussare!-
Max si alzò.
-
No, entra pure. Niente che tu non abbia già visto, in fondo.-
Lei tornò a guardarlo e sorrise nervosamente,
notando che anche lui sorrideva.
Il tenue bagliore delle braci dipingeva il profilo del suo petto
esaltandone la muscolatura, e Faith faticò a celare un certo
imbarazzo.
-
Ho portato alcune cose che ti appartengono e che hai dimenticato qui.-
Tergiversò posando gli
indumenti sul dorso del divano.
-
Li hai tenuti.- Mormorò lui sorpreso.
-
Si. Li volevo buttare, ma poi ho cambiato idea.-
-
Grazie.- Fece lui nel silenzio della stanza.
Lei sollevò le spalle annuendo. Si infilò le mani
nelle tasche dei jeans e, per rompere la tensione che imperversava,
concentrò le sue attenzioni verso il caminetto.
-
Aggiungo un po' di legna, altrimenti morirai di freddo stanotte. Se ti
va puoi farti una doccia, io per ora non ho bisogno del bagno. Ti ho
lasciato un paio di asciugamani sulla lavatrice.-
Max sospirò.
-
Si, mi farebbe davvero bene un bel bagno. Sono esausto.-
-
Sono stati giorni difficili per tutti.- Convenne Faith sistemando
diligentemente un pezzo di legno nel focolare. Posò con cura
gli alari e posizionò il parafuoco, quindi si
pulì le mani in uno strofinaccio posto a lato del caminetto
- Sono contenta che tu abbia deciso di restare.-
Si avvicinò al ragazzo, lo osservò per un istante
e lo baciò sulla guancia.
-
Buonanotte.- Sussurrò prima di uscire dalla stanza.
Lui
respirò il suo profumo mantenendo gli occhi chiusi. Si
voltò prima che lei se ne fosse andata e le
afferrò un polso.
-
Si?- Fece lei, stranita, con i suoi grandi occhi da cerbiatta.
Mentre
il crepitio del focolare si occupava di riempire il silenzio della
stanza, i loro sguardi indugiarono l'uno nell'altro per una frazione di
secondo di troppo, che indusse la ragazza ad avvertire l'inevitabile. “Eccoci”,
pensò tra sé.
-
Buonanotte.- Ripeté Max, combattuto tra tutte le cose che
avrebbe voluto dirle.
Faith
sorrise, scoprendosi vagamente delusa e, quando lui lasciò
la presa, andò nella sua stanza, pervasa dalla tristezza.
“Non era ciò che avrei
voluto dirti.” Pensò Max scuotendo la
testa.
Come spinto dal desiderio, mosse alcuni passi silenziosi e
posò la mano sulla maniglia della porta della stanza di
Faith, deciso ad aprirla, ma si bloccò. Il desiderio era
svanito velocemente com'era comparso. Restò per qualche
minuto immobile, paralizzato, il capo abbassato. Voleva entrare,
stringerla, baciarla, parlarle, osservarla. Ma voleva anche non aprire
quella porta e tacere, andare via, piangere. Non poteva immaginare che
oltre la porta Faith teneva una mano sulla maniglia e immediatamente
dopo la toglieva, vinta dalle medesime emozioni ed incertezze.
Quando il mattino seguente Faith si
svegliò, avvertì la casa inaspettatamente vuota.
Attraversò il corridoio e scoprì che nel salotto
non vi era traccia di Max. Il ragazzo aveva ripiegato accuratamente le
coperte e sistemato i cuscini agli angoli del divano. Sul tavolino di
vetro faceva capolino un biglietto.
“Passerò da te nel
pomeriggio. Max”
Senza rendersene conto, Faith avvicinò il foglio al viso e
lo odorò ad occhi chiusi, sperando di sentire ancora la sua
presenza.
I
raggi obliqui del sole filtravano nella stanza attraverso le tende
illuminando i minuscoli granelli di polvere che aleggiavano
impalpabili. Nel caminetto non restavano
che pochi trucioli di legna bruciati, a conferire un velo di amarezza
su qualcosa che c'era stato, ma che ora non esisteva più.
La ragazza si scompigliò i capelli con una mano e si diresse
in cucina, dove trovò ad aspettarla una tavola apparecchiata
per metà con una bella colazione. Il caffè era
ancora piacevolmente caldo, e ciò significava che Max non se
n'era andato da molto, pensò.
Ne bevve un poco, poi alzò lo sguardo sull'orologio che
segnava le otto, e, dopo aver realizzato che non c'era nulla che
potesse pretendere la sua attenzione, decise di tornare a dormire.
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Capitolo 47 *** 47. Tempo Di Scegliere - Parte Terza ***
47
47. T
EMPO DI SCEGLIERE
Parte
Terza
Alle
otto e trenta del mattino il Neptune's era già affollato e
rumorosissimo. Con il bavero della giacca sollevato, Max aspettava
Chris seduto ad un tavolo all'aperto, godendosi l'inizio di una
magnifica giornata di sole.
I
gabbiani volavano maestosi nel cielo azzurro e, a parte una lieve bruma
che aleggiava sull'oceano rendendone sfocato l'orizzonte, le piante
intorno erano vestite di una luminosa e pittoresca mescolanza di
gialli, di rossi e di arancioni, che aveva completamente mutato il
paesaggio trasformandolo in un'esplosione di colori. L'aria fresca
odorava di pieno autunno, e a tratti giungeva il forte aroma di
caffè che sfuggiva dall'interno del locale tutte le volte
che la
porta d'ingresso si spalancava.
La
gente entrava ed usciva dal locale in continuazione, così il
ragazzo aveva pensato di ordinare un caffè e accomodarsi
sull'ampia terrazza in legno, standosene in disparte ad osservare le
persone e la spiaggia sottostante.
-
Strano che tu sia ancora
qui, cugino.- Esordì Chris distogliendolo dai suoi pensieri
- Ti
credevo già a Londra seduto comodo nella tua poltrona di Yak
davanti ad un PC super-mega-iper-tecnologico e a fissare il
fondoschiena della tua sexy segretaria.-
Max
sorrise e bevve una lunga sorsata di caffè. La bevanda calda
gli
riscaldò la gola, lasciandogli in bocca il suo gusto pieno e
morbido.
-
Il tuo spirito e la tua fantasia sono illimitati. Holly è
proprio fortunata.- Replicò sarcastico.
-
Holly non capisce una sola delle mie battute!- Confessò
sedendosi di fronte a Max.
Richiamò l'attenzione di una cameriera ed
ordinò un cappuccino.
-
Come sta Faith?- Gli domandò accigliandosi.
Una
leggera brezza gli scompigliava i capelli e il sole del primo mattino
rendeva i suoi occhi più luminosi del solito.
Max si grattò dietro alla nuca e si
allungò sul tavolo come per confessare un segreto.
-
Beh... stanotte ho dormito da lei.- Disse piano.
Chris annuì con la testa.
-
Interessante...-
-
Frena, frena!- Esclamò Max mettendo una mano avanti - Non
è successo niente. Ho dormito sul divano.-
-
Sul divano si possono fare tante cose.- Spiegò pazientemente
l'altro.
-
Ma non quelle che stai pensando tu. Sei sempre a senso unico?-
Chris
fece una risata sguaiata.
-
Cavoli, come diventi acido quando si parla di questi argomenti!-
-
Lo sai bene che non sono bravo a discorrere di quelle cose.-
-
Quelle cose si
chiamano sesso, Max! Forza, ripeti lentamente insieme a me: SEEESSOOO!-
Recitò Chris ad alta voce.
La
cameriera, giunta alle sue spalle, lasciò velocemente il
cappuccino sul tavolo guardando di sbieco il ragazzo, mentre Max
assisteva piuttosto imbarazzato.
-
Ehi! Ho soltanto detto SESSO!-
Sbraitò Chris seguendo con lo sguardo la cameriera, che
spariva all'interno del locale - La parola SESSO è
inclusa in tutti i dizionari!- Sbottò voltandosi sbalordito
e confuso verso Max per dargli spiegazioni.
-
D'accordo, d'accordo,
Chris!- Fece lui afferrandogli i polsi - Non siamo qui per parlare di
sesso. Questa non è una chat erotica.-
Chris cambiò improvvisamente espressione e socchiuse gli
occhi.
-
Quelle noto con piacere che le conosci, però.-
Max
si alzò di scatto dopo aver dedotto che non era possibile
intraprendere un discorso serio con suo cugino.
-
Ora me ne vado.-
-
No, no, no! Scherzavo! Ok, ok, non ne parlo più! Siediti e
raccontami. So dare ottimi consigli.-
Max sospirò e, rassegnato, tornò a sedersi seppur
con qualche esitazione.
-
Non so che fare con
Faith. Sono ancora innamorato di lei, ma non so se questo sia giusto.
Quando sono tornato qui ero sicuro che sarei stato in grado di
sistemare ogni cosa. Ma non ci sono riuscito.-
-
Max, non potevi
pretendere che lei ti accogliesse a braccia aperte e che tutto sarebbe
tornato come prima. Non dimenticare che hai preso una decisione
esecrabile e che l'hai lasciata qui senza permetterle di spiegarti.-
Max
notò una coppia di anziani camminare lungo la riva tenendosi
per
mano. Valutò il parere di Chris, incerto se dar voce al
pensiero
che più gli premeva dal momento in cui aveva rivisto Faith.
-
Lei è la mia luce, Chris.- Affermò serio.
Entrambi tacquero per alcuni istanti, un silenzio greve che
quadruplicò il valore di quelle poche parole.
-
E gliel'hai detto?-
-
Ci ho provato.-
-
Ho capito: non gliel'hai detto.- Dedusse il cugino.
-
Ma non è giusto. Non avrebbe più senso.-
-
Allora perchè sei rimasto a dormire da lei?-
-
Perchè me l'ha chiesto.-
-
E se te l'ha chiesto non vuol dire che anche lei ti ama?- Lo
incalzò Chris.
Max
esibì un sorriso triste. Nella sua mente si ripercorsero
velocemente tutti i fatti e tutte le parole dette negli ultimi due
giorni, e la tristezza e l'angoscia ripiombarono su di lui come
un'interminabile uragano.
-
Lei ama Jason. Me l'ha detto ieri pomeriggio.-
Chris si portò le mani alle tempie come a cercare
di fare ordine alle idee.
-
Max, spiegami
perchè ti avrebbe detto che ama Jason. Tu cosa le hai
chiesto?-
Chris pareva non accettare la realtà della situazione e
ciò non sfuggì a Max, che provò un
insolito
malessere nel vedere che la sua tormentata vita sentimentale veniva
vivisezionata ed analizzata come una cavia da laboratorio. E lui non
era proprio dell'umore giusto per soffermarsi su ogni singola parola ed
estrapolarne mille differenti significati.
Era
così difficile per Chris ammettere la realtà dei
fatti?
Nessuno, neppure lui avrebbe potuto ridargli Faith. Tuttavia intuiva
che ci doveva per forza essere una morale in tutta quella dissertazione.
-
Le ho detto che mi piacerebbe ricominciare da capo.- Rispose mantenendo
un tono pacato.
-
E lei?-
-
Lei ha risposto che ora sta con Jason.-
-
E quindi non ti ha detto che ama Jason.-
-
E che differenza c'è, scusa?-
-
Che ci sta insieme, ma non lo ama.-
Max scosse la testa alzando gli occhi al cielo.
-
Faith non è il tipo di ragazza che sta con un ragazzo senza
amarlo.-
Chris si fermò un istante a meditare corrugando la fronte.
-
Non hai pensato che magari lo fa per dimenticarti?-
-
Ma io sono qui ora e le ho proposto di riprovare. Non avrebbe
più motivo di dimenticarmi.-
Chris tirò le labbra e socchiuse gli occhi.
-
Vedi, Max, le donne hanno uno strano modo di ragionare.-
Max tacque, restando a fissarlo.
-
Signore e signori, ecco
a voi l'autore del nuovo romanzo “Tutto sulle
donne”: Chris Warren!-
-
Non dire sciocchezze. Le
donne sono molto più corrette di noi uomini. Mentre noi
siamo
pronti a cambiare una ragazza al mese senza pensare al passato,
escludendo il dio greco Max Warren, naturalmente, le donne ripensano al
passato, ma accettano in tutto e per tutto l'uomo che hanno accanto.
Cercano di vedere in lui i lati positivi e basano il loro amore su
ciò che hanno di buono. Non lo mollano anche se vorrebbero
tornare indietro. E sono orgogliose. Ah, quanto sono orgogliose. Ecco
perchè Faith non vuole tornare con te. Tu l'hai mollata e
questo
l'ha giustamente ferita. Tornare con te significherebbe calpestare i
suoi stessi sentimenti.-
Chris
cominciò a giocherellare con il cucchiaino nella tazza - E
poi c'è il discorso della fiducia.-
-
Cosa intendi?- Fece Max scoprendosi sempre più interessato.
-
Beh, l'hai lasciata una
volta, chi le garantisce che tu non lo possa fare di nuovo?
È
chiaro che la fiducia che lei aveva in te si è completamente
dissolta.-
Max
s'incupì. Come non aveva potuto capire una cosa talmente
ovvia?
Lui stesso si era sentito tradito quando aveva scoperto la storia
dell'omicidio di suo padre. Anche se nelle ultime ore l'autentica
verità era venuta a galla, si era comunque sentito tradito.
Da
Faith e da sua madre. Quindi sapeva benissimo come ci si potesse
sentire e cosa si provasse in circostanze come quella.
La
fiducia è da sempre la cosa più difficile da dare
ad una
persona e, quando viene a mancare improvvisamente, diventa complicato
ripartire da capo.
Il tempo, forse, era l'unica soluzione che avrebbe potuto aiutarlo.
-
Lasciale un po'
affinché possa capire ciò che le sta accadendo.
In questi
giorni è comprensibilmente provata. Troppe emozioni, troppo
stress. Una combinazione traumatica che le impedisce di ragionare
correttamente su una situazione così delicata.-
Finì
Chris.
Max si buttò sullo schienale e sulle sue labbra comparve
l'ombra di un sorriso.
-
Sei bravo a dare consigli, cugino, devo ammetterlo.-
-
Modestamente.-
Salmodiò il ragazzo gonfiando il petto. Si alzò e
si
drizzò la giacca - Ora scusa, Max. Devo andare al lavoro.
Non
vorrei fare tardi proprio oggi.-
-
Perchè, che giorno è oggi?- Chiese Max
incuriosendosi.
-
Giorno di paga. Money!-
Canticchiò improvvisando un ridicolo passo di danza.
Max si nascose il viso tra le mani.
-
Vattene da qui, pagliaccio!- Lo intimò scherzosamente.
-
Non stare via troppo tempo, signor Ce
L'ho Solo Io!- Urlò alzando una mano per
salutarlo mentre scendeva le scale che portavano al parcheggio sul
retro.
Max rise guardandosi intorno.
-
E intanto il conto lo pago io!-
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Capitolo 48 *** 48. Crescere ***
C iao
a tutti!
Nel pubblicare il nuovo
capitolo, ringrazio tutti voi lettori e vi informo che questo
sarà l'ultimo prima della pausa estiva!
Vi auguro inoltre buone
vacanze e vi aspetto a settembre!
A presto!
M arco
48. C RESCERE
Da
quando si era accorta dell'assenza di Max, quella mattina, Faith non
aveva più chiuso occhio. Anche se lui non era in casa,
sapeva che si trovava nei paraggi. Dopo tanto tempo trascorso a
chiedersi in quale parte del mondo vivesse, ora le riusciva impossibile
credere che fosse tornato a Los Angeles.
Si era
rannicchiata sotto le coperte, aspettando che il sonno si appropriasse
nuovamente di lei, ma il pensiero fisso su Max continuava a tenerla
sveglia. Da quando lo aveva trovato inaspettatamente davanti alla sua
porta, ogni cosa sembrava aver preso una piega diversa.
Certo,
zia Becky era morta, ma la sola presenza di Max le infondeva un tale
coraggio ed una tale protezione da sentirsi al sicuro come mai in vita
sua le era capitato. Neppure in compagnia di Jason avvertiva quella
sensazione che provava a pelle e che non era mai riuscita a spiegarsi.
D'altronde, la vita le aveva insegnato che non tutto poteva essere
esplicato, ma a volte occorreva limitarsi ad una personale
interpretazione.
Sdraiata sul dorso, fissava disinteressatamente il soffitto, quasi a
voler scoprire la soluzione dei suoi problemi tra le travi che
correvano da una parete all'altra. Le venne in mente la discussione che
aveva intrapreso con Max il pomeriggio precedente, mentre stava
preparando il caffè per gli ospiti, quando gli aveva
rivelato di essere la ragazza di Jason. Le si strinse di nuovo il cuore
al pensiero dell'espressione delusa, e allo stesso tempo confusa, che
si era dipinta istantaneamente sul volto del ragazzo. Sapere che lui
c'era ancora, che era lì per lei esattamente come un tempo,
l'aveva fatta sentire un'insensibile. Lui l'amava, ed un'inappropriata
esaltazione si era instillata dentro di lei. La stessa esaltazione che
la pervadeva ogni volta che il pensiero correva su Max. Avrebbe voluto
scacciare dalla sua testa quell'emozione assurda e ingiusta, ma una
vocina nella sua mente le impediva di smantellare quel castello fatto
di desideri inespressi che andavano ben oltre la sua
volontà. Non accettava - o non voleva accettare - il fatto
di non avere più alcun controllo sulla situazione. Lei stava
bene con Max, doveva ammetterlo, ma lui faceva parte del passato ed era
giunto il momento di staccarsi da esso. I ricordi dovevano restare tali
e non potevano avere un futuro. Il suo futuro era Jason.
Ma chi
cercava di convincere? Era come se il suo cervello fosse separato in
due parti, ognuna con il parere opposto all'altra. Bisognava
considerare che anche Jason aveva le sue buone qualità e non
le sembrava giusto comportarsi in modo scorretto con lui. Tuttavia non
riusciva a non sentirsi colpevole, seppur in minima parte. Il solo aver
stretto Max tra le sue braccia, il solo avergli parlato, il solo
contatto psicologico con lui, le trasmettevano un senso di tradimento.
Alla fine si trattava soltanto di semplici effusioni, nulla di
trascendentale, ma in cuor suo sapeva benissimo che c'era dell'altro.
Aveva provato naturali ed intense emozioni di benessere,
felicità e completezza, e ciò era sufficiente per
essersi comportata male nei confronti di Jason. Lui non lo sarebbe mai
venuto a sapere se lei non gliene avesse parlato, ma l'idea di essere
la sua ragazza e convivere con il rimpianto di un amore non vissuto la
uccideva al solo pensiero.
Seppur
in modi diversi, amava Jason e amava Max. Ma, forse, era davvero il
caso di dare un taglio al passato.
Quel
pomeriggio Faith cominciò a leggere il libro che zia Becky
aveva lasciato aperto sulla poltrona del salotto malgrado non si
sentisse ancora pronta ad intraprendere qualsiasi attività
che avrebbe potuto distoglierla dai pensieri degli ultimi giorni. Aveva
capito che sarebbe stato controproducente continuare a fissare
l'orologio in attesa di Max, così, per curiosità,
aveva sfogliato le prime pagine e, dopo aver letto qualche riga, ne era
rimasta talmente affascinata da decidere di mettersi comoda in veranda
e rilassare la mente per qualche ora.
Il
tempo era decisamente buono e il sole di metà pomeriggio
riscaldava l'aria e rendeva meno malinconica quella giornata d'ottobre.
La
ragazza non lesse che pochi capitoli quando un'auto venne ad accostarsi
al marciapiedi di fianco alla casa.
Max
spense il motore dopo un breve istante e scese dirigendosi verso
l'entrata.
- Ciao, Max.- Lo salutò
cordialmente, felice di rivederlo e aprendogli la porta.
- Non resterò a lungo. Sono
passato per salutarti.- Replicò lui incerto.
Lei
rimase per qualche istante sconcertata e nella sua mente si
materializzò l'ennesimo doloroso addio.
- Che vuol dire? Te ne vai?-
- Vieni.- La invitò ad
entrare il ragazzo posandole delicatamente una mano su un fianco.
- Credevo che ti saresti trattenuto un
po' di più...- Disse tradendo una nota di delusione.
- Non posso, Faith. Devo tornare in
Inghilterra. Hanno bisogno di me ed è già un
miracolo che mi abbiano concesso di restare qui un giorno in
più.-
- Si. È il tuo lavoro e hai
ragione. Probabilmente il bisogno che io ho di te non è
abbastanza forte, perciò...-
A
quelle parole, Faith si stupì di sé stessa. Era
come se il suo inconscio avesse preso inaspettatamente la parola,
rivelando a lei e a Max ciò che realmente pensava di tutta
quella situazione.
Tuttavia Max parve non accorgersi della sua espressione. Aveva voltato
la testa verso l'oceano perché guardarla negli occhi in
quegli istanti gli bucava il cuore.
- Faith, non travisare ogni
cosa.-
- E allora perché continui
a scappare, Max?- Gli domandò con la voce incrinata.
Il
ragazzo rimase in silenzio e Faith lo osservò con le mani
giunte in grembo. Sapeva a cosa stava pensando perché era lo
stesso a cui stava pensando lei: qualcosa tra di loro era cambiato
negli ultimi giorni.
- Che cosa stai leggendo?-
Tergiversò Max indicando il libro sul tavolino.
Faith si strinse nelle spalle.
- È un romanzo che ha
comprato zia Becky. Sono quasi certa che abbia un lieto fine.- Sorrise
dolcemente ricordando la zia, ma comprese immediatamente che quel
discorso superficiale serviva soltanto a rimandarne uno più
importante - Amava i romanzi a lieto fine. Si faceva consigliare dalle
amiche e poi li comprava soltanto se finivano come piaceva a lei.- Fece
un sospiro, e guardò Max - Come finiscono le fiabe: tutti
felici e contenti per sempre.-
- I lieto fine sono quelli che
preferisco anch'io.- Convenne il ragazzo.
- Io no. O meglio,- Si corresse Faith
- una volta li preferivo. Poi mi sono resa conto che nessuno
vivrà mai felice e contento per sempre.-
- Ti sbagli, invece.- La
contraddì lui - La gente ha un disperato bisogno di credere
in qualcosa di buono perché la vita è
già difficile di per sé. Non c'è
motivo di trascriverla nei momenti più dolorosi e
più tristi. Penso che chi legge un libro a lieto fine riesca
ad accorgersi anche delle piccole belle cose di ogni giorno, quelle che
ormai si danno per scontate, ma che fanno sempre parte di noi.-
Faith
scosse la testa.
- Sono le storie tristi che aiutano
l'anima a crescere perché sono le più vere. I
libri a lieto fine mettono in testa alle persone ideali, illusioni e
obiettivi che, nonostante tutti gli sforzi, non riusciranno mai a
raggiungere. Guarda noi, Max: il nostro non è stato un
finale da fiaba.-
Max la
guardò intensamente, quasi a volerle leggere nell'anima. I
suoi sottili occhi verdi riflettevano la luce del sole.
- Non sono io quello che fugge, Faith.
Non sono io tra di noi quello che si nega le emozioni,
perché è esattamente questo che stai facendo tu
adesso. E allora, che cosa vuoi da me? Vuoi che ti porga le mie scuse?
L'ho fatto. Non puoi farmi sentire in colpa tutta la vita per un errore
che ho commesso.- Osservò con un misto di
tristezza e comprensione nella voce.
- Non voglio le tue scuse, Max. Vorrei
solo capire cosa è giusto fare.- Indicò con la
mano lo stesso libro di cui avevano parlato poco prima - Vorrei aprire
un libro e trovare la risposta che mi serve.- Ribatté in un
sussurro.
- Faith, andiamo...-
Replicò il ragazzo, intenerito - Conosci già la
risposta. Però, ci ho pensato a lungo stamattina e credo sia
scorretto forzarti e lasciare a te la decisione. Sono piombato qui con
l'intento di rimettere egoisticamente a posto ogni cosa, ma non
è così che funziona.-
La
ragazza alzò lo sguardo, gli occhi umidi.
- Cosa... cosa vuoi dire?-
- Che non intendo rovinare il tuo
rapporto con Jason. Non voglio dirti di lasciarlo per me e non voglio
che tu mi segua. Ho capito che ti amo al punto che non posso
condizionare la tua vita. Non posso andare e tornare a mio piacere,
così come non posso obbligarti a rimettere continuamente in
discussione la tua vita. Sarebbe da egoisti. Perciò... sei
libera, Faith.-
Faith
strinse le labbra, sentendosi quasi mancare. Si rimandò una
ciocca di capelli, dispiaciuta e sfinita. Se c'era una cosa che non
voleva era di essere lasciata libera. Non in quel momento. Non da lui.
- Sono consapevole,-
Proseguì Max a bassa voce - abbiamo avuto il nostro momento,
ed io l'ho sprecato.-
La
ragazza non disse nulla, ma avrebbe voluto far uscire dal suo cuore
tante parole. Anche se Max sedeva ancora vicino a lei, provò
un increscioso senso di abbandono. Aveva chiaramente dimostrato la sua
incapacità di lasciarsi tutto alle spalle e di guardare
avanti.
Ron
Pope “A Drop In The Ocean”
http://www.youtube.com/watch?v=LVsrP9OJ6PA&feature=fvwrel
Dopo
qualche minuto di silenzio, Max diede un'occhiata all'orologio e
sospirò.
- Ora devo andare, Faith.-
Lei
annuì e tirò su con il naso tentando di tenere a
bada le lacrime che le pungevano gli occhi.
Il sole
stava iniziando a tramontare e i colori intorno mutavano gradualmente
di intensità. Un pettirosso volò sul prato
davanti alla casa saltellando con fare guardingo, alla ricerca di
qualche briciola di pane.
- Credi che un abbraccio sia
inappropriato?- Gli chiese Faith alzandosi insieme a lui, con le mani
nelle tasche dei jeans.
- No.- Mormorò Max con un
debole sorriso.
Si
avvicinarono con decisione, abbandonandosi l'uno contro il corpo
dell'altro e, riconoscendo l'esigenza di voler restare vicini ancora
per un poco, si concessero qualche minuto. Chiusero gli occhi e
respirarono insieme. Si strinsero più forte e, come se gli
avesse iniettato una dose d'amore e rassegnazione, Faith udì
Max singhiozzare in silenzio. Era palese che anche lui, come lei,
avrebbe voluto che le cose fossero state più semplici.
Avvertì una lacrima rigarle la guancia e sbatté
le palpebre imponendosi di non sprecare quel momento, e di godersi il
loro ultimo contatto.
Ascoltarono i loro cuori battere, desiderando di poter ricominciare
dall'inizio, ma, quando si resero conto che non era possibile, le
braccia si lasciarono andare quasi contemporaneamente, seppur contro la
loro volontà.
- Ci rivedremo a dicembre, al ballo di
Lynda, allora.- Le ricordò Max ridestandosi dal torpore e
asciugandosi gli occhi con una mano. Sapeva che lei non l'aveva
dimenticato.
- Certo. Ci rivedremo a dicembre.-
Ripeté Faith, come un automa, ancora confusa dalla
situazione.
Senza
pensarci Max si allungò verso di lei e la baciò
lievemente sulle labbra.
- Ciao.- Sussurrò.
Faith
alzò una mano piegando la testa di lato, in silenzio. Lo
guardò uscire dalla veranda e aprire la portiera della sua
auto dopo pochi passi, quindi lo salutò ancora, piangendo.
Il
ragazzo restò un breve istante con lo sguardo fisso su di
lei, reprimendo la voglia di tornare dentro e riprovare ogni cosa dal
principio. Desiderò tornare alla sera precedente e
spalancare la porta della stanza di Faith senza pensarci due volte.
Avvertì in sé qualcosa di altrettanto forte che
lo teneva sui suoi passi, l'orgoglio forse, o la consapevolezza che
ricominciare daccapo non sarebbe stato facile come si poteva credere.
Probabilmente non sarebbe bastato l'amore. Era necessario conoscersi
nuovamente, analizzarsi con occhi diversi, ricostruire un rapporto con
solide basi e ulteriori principi. Lui ce la poteva fare, lo aveva
capito fin da quando sua madre gli aveva raccontato della foto, ma non
si sentiva di obbligare Faith ad intraprendere un nuovo progetto. E,
contemporaneamente, non possedeva la forza per entrambi per poterlo
fare. O almeno non adesso, che la scomparsa di zia Becky si sarebbe
fatta sentire con il passare del tempo. Ma si augurava che un giorno le
cose sarebbero cambiate.
Salì sull'auto sforzandosi di distogliere lo sguardo da
quella ragazza che era rimasta immobile con le braccia conserte sotto
la veranda, e si allontanò lentamente immettendosi sulla
Ocean Avenue, nella rete di lunghe ombre nere che le palme gettavano
sull'asfalto.
Lungo
la strada, la foto nella tasca della giacca sembrava chiamarlo in un
disperato e silenzioso grido di supplica, e lui la strinse con una mano
quasi a volerla zittire, mentre gocce di malinconia inumidivano i suoi
occhi. Per la prima volta nella sua vita, si scoprì
ottimista e consapevole della speranza che un giorno entrambi sarebbero
stati abbastanza maturi da riconoscere ed accettare il legame che li
univa.
Faith
osservò inerme i deboli bagliori del sole riflesso sull'auto
che si allontanava, e non si mosse nemmeno quando fu sparita oltre la
curva. Restò in attesa, sperando di vederla tornare
indietro, nella foschia arancione che richiamava il crepuscolo, e
chiedendosi se quegli ultimi giorni non erano stati altro che un sogno.
Istintivamente, tornò in casa a cercare zia Becky: di certo
stava preparando qualcosa di buono per la cena. Ma fu un pensiero che
durò meno di un secondo quando, entrando, scoprì
la casa piombata nella penombra e la cucina infinitamente vuota. La
tavola nuda, il forno spento. Gli ultimi
raggi tingevano d'oro scuro ogni cosa. Facendo scorrere lentamente lo
sguardo da una parte all'altra della stanza, si rese tristemente conto
che non c'era nessuno ad aspettarla.
Andò sulla porta del salotto. Tutto era immobile, in attesa
di qualcosa o di qualcuno. Come per il giro turistico di un museo,
percorse il breve corridoio lasciando scivolare le dita su mobili e
pareti, toccando oggetti e quadri di una casa che improvvisamente e
dolorosamente non sentiva più come sua. Giunse davanti alla
camera dove aveva salutato la zia per l'ultima volta e
sospirò, con un groppo in gola.
Affranta, si appoggiò con una spalla allo stipite e
ammirò l'ordine freddo ed innaturale che regnava oltre la
soglia. Il letto perfetto, le tende perfette, i fiori perfetti. In
altre circostanze, Faith avrebbe apprezzato tutta quella perfezione, ma
in quel momento avrebbe distrutto ogni cosa dalla rabbia e dalla
frustrazione, soltanto per il gusto di dimostrare a sé
stessa che non era affatto la bella persona che tutti conoscevano, che sua zia conosceva.
Il
crudele gioco di Dio le aveva fatto perdere ogni cosa, non c'era
più nulla per cui valesse davvero la pena credere.
Entrò nella stanza, con gli occhi gonfi e arrossati e, presa
dalla collera, scagliò il vaso di giacinti sul pavimento,
afferrò le coperte e le strappò violentemente dal
letto, gettandole per aria. Poi avvicinò le mani al cuscino,
intenzionata a squarciarlo, ma si bloccò di colpo, come
rinsavita, con i capelli che le ricadevano sul viso umido di lacrime.
Il suo sguardo si era posato sul comodino, dove campeggiava la
fotografia della zia utilizzata in occasione della cerimonia funebre.
Prese
la cornice tra le dita tremanti, e subito una sensazione di
tranquillità e rilassamento le pervase il corpo partendo
dalla testa, come un anestetizzante, instillandole un'inspiegabile dose
di fede e di speranza. Qualcuno
le stava dicendo qualcosa.
Si
sedette a terra con le braccia sul materasso, singhiozzando e
stringendo convulsamente la fotografia.
- Grazie, zia.- Sospirò,
prima di lasciarsi andare ad un pianto liberatorio.
Da tre
chilometri di altezza, gli occhi di Max saltavano distrattamente da una
minuscola stella ad una più grande e luminosa, in cerca di
un'ispirazione, di una musica che l'aiutasse a resistere, a salutare
una parte del suo cuore che era rimasta a terra.
Con le
punte affusolate e la forma esile, la luna crescente attirò
la sua attenzione. Pareva vicinissima, e sovrastava con eleganza i
sottili e irregolari stracci di nuvole nere che macchiavano il cielo
come inchiostro trascinato maldestramente su un foglio.
Poi
lasciò che il suo sguardo precipitasse, e scorse la grande
ruota panoramica e le montagne russe illuminare Pacific Park sulla baia
di Santa Monica. Si chiese quanto presto l'avrebbe rivista, mentre
l'orizzonte dipinto da un giallo bruciato segnava il termine di un
viaggio e l'inizio di un altro.
Sotto
di lui migliaia di puntini luminosi ammiccavano ritmicamente
riflettendosi sulla superficie violacea dell'oceano: la
Città degli Angeli lo stava a suo modo
salutando.
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Capitolo 49 *** 49. Destino ***
Cap.49
49. D ESTINO
- Che ne dici di questo?- Domandò Holly esibendo tutta
eccitata
un mini abito di strass e nastri argentati.
Faith alzò gli occhi al cielo per la quinta volta,
esasperata.
Lei e Holly stavano trascorrendo il sabato mattina a setacciare
l'intera Los Angeles alla ricerca di un vestito da sera per l'occasione
del ballo di Lynda Shields.
Malgrado
Faith
ricercasse qualcosa di sobrio e assolutamente elegante, Holly
continuava a mostrarle pezzi d'abbigliamento che ricordavano
più
i minuscoli ritagli di una sarta.
-
Holly, lo sai bene
che non voglio passare per una spogliarellista.- Commentò
paziente lisciando il vestito che Holly teneva appeso alla sua gruccia
- Sinceramente, non vedo quale sia la differenza tra “l'indossare questo abito”
e “il non
indossare affatto un abito”.-
Holly parve rifletterci su. Lo studiò meglio, lo
toccò a
lungo valutandone le cuciture e creando nella sua testa
chissà
quale film fantascientifico.
-
Madonna lo indosserebbe senza problemi.- Concluse risoluta, scatenando
una risata di Faith.
-
Mi sembra anche
effimero che io stia qui ad elencarti le differenze tra me e Madonna!-
Celiò riponendo l'abito lungo l'asta metallica che contava
almeno una cinquantina di pezzi alla moda. Fin troppo alla moda, per i
suoi gusti.
Iniziava seriamente a preoccuparsi: il ballo sarebbe stato a meno di
due settimane, e il tempo che aveva a disposizione stava per terminare.
CiCi
LaCruise , la
titolare della casa di moda per cui lavorava, le aveva da poco proposto
una promozione affidandole l'intera organizzazione di una sfilata che
si sarebbe tenuta proprio il giorno precedente a quello del ballo di
Lynda Shields. Anche se metà del lavoro era già
stato
svolto, le restavano ancora parecchie cose di cui occuparsi.
Dopo la morte di zia Becky, Faith si era buttata a capofitto nel
lavoro, e le nuove idee di stile che aveva proposto erano piaciute
molto a CiCi, che da tempo attendeva l'occasione adatta per promuoverla
definitivamente a capo organizzatrice eventi. Fino ad allora si era
limitata alla gestione degli invitati e alla collaborazione nella
creazione di abiti, perciò il nuovo incarico la eccitava
parecchio, oltre che occupare gran parte del suo tempo libero. In poche
parole, era ad un passo dal diventare socia di CiCi.
Scosse la testa al pensiero mentre faceva scorrere distrattamente le
dita sugli abiti appesi lungo l'asta.
Tutto ciò sarebbe stato possibile se lei avesse accettato
quella
promozione. Aveva deciso di prendersi un po' di tempo per pensarci, e
CiCi si era trovata pienamente d'accordo.
-
Forse la nuova collezione di Armani
è un po' eccentrica...- Bisbigliò Holly
richiamando la sua attenzione.
-
Vedo che mi hai finalmente capita.- Replicò Faith con un
sorriso.
Uscirono dal negozio, mentre un commesso in giacca e cravatta teneva
loro aperta la porta in vetro, e la calma che c'era stata fino a poco
prima, svanì velocemente come un miraggio: la
città, con
l'avvicinarsi delle festività natalizie, piombava nel caos
più assoluto.
Il clima era decisamente mite per essere una giornata di inizio
dicembre e, a tratti, anche l'aria pareva tiepida: il tempo ideale per
fare quattro passi e scovare oggetti interessanti in curiosi e
caratteristici negozietti.
I
marciapiedi erano un continuo tacchettare di scarpe e un assordante
vociare di bambini, e la strada un fastidioso rombare di motori.
-
Perché non
ti porti il vestito che io e Chris ti abbiamo regalato per il
compleanno?- Chiese Holly cercando di stare al passo con Faith. Con il
cappotto chiaro, i jeans aderenti e gli stivali che le fasciavano
armonicamente piedi e polpacci, la sua amica sembrava davvero un pezzo
grosso della moda. Un pezzo grosso che camminava più veloce
di
lei.
Faith rallentò sgranando gli occhi.
-
Scherzi, Holly? Morirò di freddo con quel vestito!
È fuori discussione!-
Holly ansimò.
-
Bisogna soffrire per essere belle.-
-
Lo dici sempre.-
-
E tu non mi ascolti mai!-
Faith scoppiò in una risata e la prese sottobraccio. Si
fermarono sotto il semaforo rosso insieme a tutta la massa di gente che
voleva attraversare la strada, e, immediatamente, una rapida
successione di taxi e auto sfrecciò davanti a loro senza
risparmiarsi dal suonare il clacson o dallo sterzare bruscamente.
Un autobus rosso e bianco si materializzò davanti a loro
pubblicizzando la prémière nei cinema di
“Shakespeare
in love”, ed una biondissima Gwyneth Paltrow
faceva bella mostra di sé lungo la fiancata.
-
Non dimenticare
che abbiamo appuntamento da Pierre tra un'ora.- Le ricordò
Faith
attraversando rapidamente la strada a semaforo verde.
-
Ho proprio voglia
di dare un cambio al mio look!- Esclamò entusiasta Holly -
Ma
prima abbiamo ancora un po' di tempo per cercare un vestito!-
Cinque ore dopo, con un nuovo look e le mani piene di pacchetti e borse
griffate, Holly e Faith parevano uscite da Sex and the City.
Anche se il sole stava tramontando oltre i cespugli di palme che
disegnavano l'orizzonte, il gran andirivieni di persone sembrava non
aver fine.
Le due ragazze passeggiarono pigramente a Mid-City West e decisero di
fermarsi al Who's on
Third a bere qualcosa.
-
Secondo te
piacerò a Chris con questo nuovo taglio?- Fece Holly
prendendo
posto ad un tavolino un po' appartato in un angolo adorno di una
leggera tenda color ambra.
Il locale era più un lounge
bar
che un normale Cafè: luci basse, musica commerciale che
sarebbe
stata ben presto superata, arredamento squadrato e lineare dalle
tonalità scure, divanetti imbottiti e bassi tavolini
decorati
con piccole candele che galleggiavano in sottovasi pieni d'acqua.
La riservatezza dei tavoli era
accentuata da una
serie di piante grasse che componevano graziosi giardini in miniatura,
arricchiti da grosse pietre bianche ed esili fontane dal gorgoglio
rilassante.
Non
c'erano finestre e il soffitto era nascosto da larghi teli blu appesi a
drappi regolari che davano l'impressione di stare dentro ad una tenda
indiana.
-
Ovvio che gli piacerai!- Esclamò Faith sincera - Sembri una
perfetta parigina. Ti dona molto quel taglio corto.-
Holly si compiacque come un adolescente. Mentre lei aveva radicalmente
cambiato il suo look, Faith si era limitata a schiarire i suoi capelli
di qualche tono e a raccoglierli in morbidi boccoli che davano risalto
al suo viso.
Ciononostante alcuni ragazzi non toglievano loro gli occhi di dosso da
quando erano entrate nel locale. Ad essere corretti, ogni volta che
entravano al Who's on
Third facevano una strage di cuori.
-
Ciao, ragazze! Che vi porto? Il solito?- Le richiamò ad alta
voce Kelly sporgendosi dal bancone.
Le due amiche sorrisero e fecero segno OK con le dita.
-
Dunque, Faith,- Iniziò Holly - stai considerando la proposta
di CiCi?-
-
Credo che prima sentirò cosa avrà da offrirmi
Lynda Shields. Poi valuterò.-
-
Ma si tratta di Parigi, Faith!- Sottolineò afferrandole le
mani - PA-RI-GI!-
Faith abbassò gli angoli della bocca, incerta.
-
Lo so bene, Holly,
ma per il momento sto ancora bene a Los Angeles. E inoltre qui
c'è Jason. Non posso obbligarlo a lasciare tutto per
seguirmi.-
-
E allora piantalo qui!- Ribatté Holly senza pensarci. Faith
le rivolse uno sguardo di disappunto.
-
Cosa devo fare per convincerti che non è poi così
male come pensi?-
L'amica si strinse nelle spalle. Per quanto si fosse sforzata di
farselo amico da quando aveva fatto ritorno dall'Isola Che Non C'è,
come sosteneva sempre lei, non appena guardava Faith realizzava quanto
fossero diversi l'uno dall'altra.
-
Lo sai che ti meriti di meglio.- Le mormorò affettuosamente
piegando la testa di lato.
-
Ma io ho
il meglio.- Puntualizzò Faith scuotendo il capo e sorridendo
- Sii felice per me, Holly.-
Kelly, la barista che conoscevano ormai da settimane, si
avvicinò al tavolo con due cocktails rosa guarniti con una
ciliegia candita infilzata in uno stecchino sospeso sui bordi dei
calici.
-
Ragazze,-
Esordì elettrizzata distribuendo loro le bevande - siete uno
schianto così acconciate! Vi invidio un casino! Sappiate che
ho
il bancone letteralmente inondato della bava di quei tipi
laggiù!-
Entrambe con un'espressione disgustata, volsero in modo automatico gli
sguardi in direzione dell'angolo bar.
-
Sembrano carini...- Commentò pacata Holly.
Faith la osservò di sbieco e notò che
occhieggiava verso di loro.
-
Holly!- La richiamò sbalordita.
-
Eh, che
sarà mai! Guardare non ha mai fatto male a nessuno. Anzi,-
Proseguì la ragazza frugando nella borsetta ed estraendo
carta e
penna - Kelly, per favore, dai loro il mio numero di cellulare non
appena saremo uscite.-
Prese a scrivere velocemente, noncurante delle occhiatacce sempre
più esterrefatte di Faith.
-
Holly, sei pazza?- Sibilò.
Kelly scoppiò in una risata diabolica e Faith
alzò preoccupata lo sguardo su di lei.
-
Siete due comiche!- Si giustificò Kelly quasi piegata in
due, con una mano sulla pancia.
Prese il vassoio e s'infilò il biglietto in una tasca del
grembiule, poi, passandosi teatralmente un palmo della mano dalla
fronte al collo, con un'espressione austera tornò al bancone.
-
Chris ti ammazzerà.- La intimò Faith puntandole
contro un dito accusatorio.
Gongolando, Holly sorseggiò serafica il suo drink.
-
Non crederai che
abbia scritto il mio vero numero.- La sua risuonava più come
un'affermazione che una domanda, e la bocca di Faith si
spalancò.
-
Sei proprio incorreggibile.- Affermò scuotendo la testa.
Decisero di andarsene nel momento in cui il locale stava cominciando a
riempirsi di gente giunta sul posto per gustare un aperitivo. Kelly le
salutò velocemente ammiccando loro da dietro il bancone,
impegnata com'era a preparare drink e stappare bottiglie di vino, e le
due ragazze presero le borse con gli acquisti e si rituffarono nel caos
del tardo pomeriggio.
Le temperature erano diminuite ed una folata d'aria fresca le
colpì non appena misero piede fuori dal locale. Era
incredibile
come la confusione che c'era là dentro fosse la stessa
all'aperto.
Con una mano Faith abbottonò il cappotto e si
guardò un
po' intorno. Le vetrine illuminate a festa, le insegne luminose e i
piccoli abeti di Natale lungo le strade rischiaravano a giorno il
quartiere, mentre alti palazzi e lucidi grattacieli sembravano reggere
un sipario violaceo e sfolgorante.
Conosceva perfettamente Los Angeles, il posto dove trascende qualsiasi
moda, ma ogni volta la ammirava come fosse per lei una continua
sorpresa.
-
Hai chiamato Max?- Le domandò vagamente Holly.
-
Non ancora. Lo sentirò la prossima settimana.-
Tacque per qualche minuto riflettendo su come sarebbe stato tornare a
New York nel periodo natalizio, con Max. Doveva ammettere che si
trattava di una situazione alquanto strana: malgrado tutto
ciò
che era accaduto nell'ultimo anno, si verificavano continuamente una
serie di coincidenze che li faceva incontrare.
Da quando il ragazzo se n'era andato l'ultima volta, lei aveva
cominciato ad interpretare come una pausa dalla vita quei pochi mesi
che li avrebbero separati. La consapevolezza che di lì a
poco
tempo l'avrebbe rivisto bastava a darle un certo equilibrio mentale
anche se, sull'altro piatto della bilancia, albergava una sensazione di
disagio. Jason sapeva tutto ciò che doveva sapere, tuttavia
lei
aveva calcato sull'importanza di nuove ed importanti
possibilità
lavorative piuttosto che sulla descrizione del suo accompagnatore, e
proprio per questo lui aveva acconsentito a lasciarla andare da sola. Lui si fidava.
Il loro rapporto si stava approfondendo e, ormai, trascorrevano tutto
il tempo libero insieme.
-
Io ho sempre
pensato che le storie sul destino abbiano un fondo di
verità.-
Commentò distrattamente Holly, soffermandosi davanti alla
vetrina di una gioielleria.
Faith si fermò al suo fianco e si vide riflessa nel vetro.
-
Tu?- Le fece scettica - Non ti credevo così... fatalista.-
Holly volse uno sguardo sprezzante verso di lei.
-
Ma certo, per chi mi prendi? Per una superficialotta?-
Sbottò, teatrale.
-
No! No di certo!
Solo che non mi hai mai parlato di questa tua inclinazione al
succedersi degli eventi ritenuto come preordinato e necessario.-
-
Si, beh, in un certo senso è da un po' che ci penso.-
Confessò, riprendendo a camminare tra la gente.
Un suonatore di fisarmonica sistemò il berretto sul
marciapiede,
e Holly estrasse qualche monetina dalla borsetta e gliela diede,
ricevendo in cambio un augurio di buone feste.
-
Voglio dire, se tu
non fossi stata a New York l'anno scorso, non avresti incontrato Max. E
se io non fossi venuta con te, non avrei conosciuto Chris. Per farla
breve, il fulcro sta nel fatto che se io non ti conoscessi, non starei
insieme a Chris. Il destino ha agito perché tu ed io
diventassimo amiche, capisci?-
Effettivamente, il discorso di Holly non faceva una piega. Tuttavia,
era chiaro che ci doveva essere dell'altro a completare la sua
convinzione.
-
Se però
pensiamo al tuo caso, dobbiamo tornare molto più indietro
con
gli anni. Non trovi strano che tuo padre sia stato coinvolto
nell'incidente che ha ucciso il papà di Max? E non trovi
strano
che vi siate incontrati a New York? Voglio dire, ci sono più
di
sei miliardi di persone su questo pianeta, e un numero elevatissimo di
città e paesi. Perchè proprio voi due, e
perchè proprio New
York, e non, che ne so, Los Angeles, o Venezia, o
Città del Capo?-
Faith dovette tirare un attimo le fila del discorso, perchè
quando l'amica ci si metteva, nessuno riusciva più a
frenarla e
occorreva seguirla molto velocemente nei suoi discorsi.
-
Holly, non ti sta fumando la lingua, vero?- Scherzò,
titubando, quasi per prendere tempo.
L'altra ignorò la sua ironia, obbligandola a dare un
responso.
-
Ok, ammetto che hai ragione su tutto. Ad ogni modo non saprei darti una
risposta. Non so proprio come spiegarmelo...-
-
Io una risposta
l'avrei.- Affermò Holly convinta di ciò che stava
per
dire - Tu e Max siete destinati a stare insieme.-
-
Holly...-
cantilenò Faith, stanca di tornare sempre sullo stesso
argomento
- E non credi che il destino ci abbia fatto avvicinare soltanto per far
capire ad entrambi cose del tutto diverse da quelle che pensi tu?-
-
Ad esempio?-
Faith prese un lungo respiro per conferire più importanza
alle
sue riflessioni che dovevano confutare la tesi.
-
Beh, ad esempio
può darsi che sia servito a lui per scoprire come sono
andati
realmente i fatti il giorno dell'incidente, mentre a me ha fatto capire
che il ragazzo della mia vita è Jason.-
Holly scosse la testa.
-
Ma tu e Jason non
stavate insieme quando Max è apparso nella tua vita. Non ti
sei
trovata a dover scegliere con chi stare.-
-
No, ma se non mi avesse lasciata qui, io non avrei ritrovato Jason.-
-
E perchè Max sarebbe tornato e settembre?-
-
Per zia Becky.-
-
Solo per lei?- La incalzò Holly prendendola per un braccio.
Faith sfogliò velocemente le pagine della sua mente per
ribattere in tempo... ma non trovò alcuna risposta.
-
Io credo che la
morte di zia Becky sia stata in parte un espediente. Di certo
è
tornato anche per il funerale, ma forse più per dimostrarti
che
ha capito di aver sbagliato e che non può vivere senza di
te. Lo
avrò pur chiamato io, ma alla fine ha deciso da solo di
venire
da Londra fino a qui. È un chiaro segnale che a te ci tiene.-
Faith
rallentò il passo con Holly sottobraccio, e
annuì, come
se si fosse resa conto per la prima volta di com'erano andate le cose.
Vivendole in prima persona e trovandosi coinvolta emotivamente non si
era mai soffermata sul significato degli eventi.
Holly la fermò e le prese entrambe le braccia, certa di aver
colto nel segno e decisa a battere sul ferro caldo.
-
Siete destinati a
stare insieme, Faith.- Ripeté sempre più convinta
- E lo
sai anche tu. Sei solo preoccupata di mostrare quella parte di te che
ancora lo desidera e che è ancora interessata a lui.-
Faith volse la testa di lato per sfuggire a quell'inquisizione, i suoi
occhi d'un tratto si fecero umidi. Tornò a guardare Holly
con un
sorriso triste, rimandandosi con un movimento del viso una ciocca di
capelli.
-
Non è
sempre tutto semplice, Holly. Questo non è un film a lieto
fine
dove tutti sanno cosa succederà loro.-
Si strinse nelle spalle, scuotendo la testa e sorridendo nervosamente.
-
Questa è la vita reale, noi siamo reali, e niente
è così facile come si può pensare.-
-
Niente è
facile perchè la gente si diverte a complicare le cose!-
Obiettò Holly, lasciandola andare e riprendendo a camminare
da
sola lungo il marciapiedi.
Faith la osservò provando un inaspettato impeto di collera,
e la seguì spedita.
-
Credi forse che io
mi diverta a complicare le cose?- Le chiese cercando di mantenere la
calma. Sapeva che l'amica non intendeva infierire e lei non voleva di
certo fare una scenata in pubblico. Ma, ogni volta che si parlava di
Max, Holly partiva in quarta prendendo le sue difese.
-
In un certo senso, si. Hai le risposte davanti agli occhi e non vuoi
riconoscerle.-
Faith tacque riflettendo sulla risposta di Holly.
-
Si sta male da
morire, Holly,- Replicò dopo qualche passo, con la voce
incrinata - quando si viene piantati così all'improvviso per
colpe che alla fine non si hanno. Aspetti una vita intera di incontrare
quella persona che ti fa sentire viva in ogni momento che passi con
lei, e quando ti vedi scivolare via tutto in un attimo, provi rabbia e
tristezza. Tutti i giorni ti chiedi se davvero hai sbagliato, come ti
saresti dovuta comportare, e non trovi una risposta, non accetti la
realtà dei fatti. Finché non te ne fai una
ragione, ti
rassegni. E allora devi guardare avanti. Non dico di non provare
più niente per Max, però mi ha ferito, e non
riesco a
vederlo allo stesso modo di otto mesi fa. Non ci riesco, mi dispiace.-
Holly ascoltò attentamente i sentimenti dell'amica dandosi
mentalmente della stupida per non averli mai compresi per davvero.
-
So quanto ci sei
stata male, Faith, credimi. Io ti posso dare il mio parere osservando
la situazione dall’esterno, ma nella vita spesso occorre fare
delle scelte, perchè non si ha niente per niente. Magari non
tutte le svolte sono negative, anche se inizialmente prevedono un
passaggio difficile, impegnativo e demoralizzante. Non sono qui per
insultare Jason, perchè un motivo c'è se tu stai
con lui.
Quello che ti sto dicendo è che si vive una volta sola. Non
negarti emozioni e non portare rancore, perché è
la cosa
più brutta che si possa fare. Sii te stessa, senza riserve,
e
vedrai che ti sentirai bene per davvero. Non capita a tutti di
incontrare l'anima gemella, anzi, se proprio vuoi saperlo, qualcuno non
la troverà mai. Tu non sai quanto sei fortunata ad averla
incontrata. Devi solo accettarlo. Mi fa rabbia vederti sprecare
un'occasione così.-
Faith la guardò con gli occhi lucidi, e le sorrise
sollevando un angolo della bocca.
-
Forse non sono
ancora pronta ad accettarlo. O forse non lo sarò mai.-
Esalò un sospiro di
rassegnazione - Forse io e lui abbiamo tempistiche diverse, non lo so
… -
-
Sei tu ad avere il
potere sulla tua vita, Faith. Fai ciò che davvero ti senti
di
fare, ciò che il tuo cuore ti suggerisce. E sarai felice.-
Le
consigliò Holly stringendosi le mani al petto per dare
più enfasi alle sue parole.
Si fermarono nei pressi di un piccolo spiazzo lastricato, incuriosite
da un modesto gruppo di persone radunate disordinatamente ad ammirare
un grande abete come in attesa di un importante evento.
Decorato con stelle d'argento e palline blu che riflettevano le luci
dei negozi intorno, l'albero era il protagonista inaspettato
dell'intero quartiere, con la sua punta che svettava esile, pungendo il
cielo bluastro.
Dopo pochi attimi il pino si illuminò, e i bambini
sussultarono
felici, rapiti da quell'improvvisa esplosione di luci che avvolgeva
ogni cosa e instillava nel cuore una sensazione di allegria e di amore.
Anche le due ragazze lo osservarono lasciandosi prendere dal buonumore,
e, ripensando al discorso sul destino, Faith si commosse.
-
Qualcosa mi dice
che non ti rassegnerai tanto facilmente, vero?- Chiese ad Holly senza
distogliere lo sguardo dall'albero di Natale.
L'amica mugugnò.
-
No, credo di no.- Rispose allungandosi per darle un affettuoso bacio
sulla guancia.
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Capitolo 50 *** 50. Miracolo Di Natale ***
50. M IRACOLO DI
NATALE
La sera
della sfilata arrivò e passò in un batter
d’occhio e fu, con sua sorpresa, un gran successo per Faith.
Molta gente più o meno nota del jet-set della moda
andò a complimentarsi con lei al termine
dell’evento, e la stessa CiCi, che aveva assistito allo
spettacolo comodamente seduta in prima fila, le aveva ammiccato
standosene in disparte per permetterle di godersi appieno quei meritati
momenti di gloria.
Faith
si sentì orgogliosa e soddisfatta come non si sentiva da
tempo. Avrebbe voluto vivere attimi come quelli per tutta la vita, ed
ora che era perfettamente convinta della strada che avrebbe voluto
seguire, le stava per essere proposta un’offerta interessante
dall’altra parte del continente.
Lynda
Shields, il sogno inseguito da tutta una vita, le stava
inaspettatamente aprendo le porte.
Mentre
ammirava i coriandoli argentati che ancora fluttuavano nei potenti
fasci di luce emanati dai fari colorati, si chiese se anche quello non
fosse stato tutto scritto dal destino già molto tempo prima.
Avvertendo una strana malinconia prenderla allo stomaco,
rabbrividì nel suo lungo abito blu che la fasciava
perfettamente in vita lasciandole la schiena scoperta. Si
guardò intorno e in un istante ogni cosa le sembrava
già lontana, un piccolo mondo che non le apparteneva
più. Dietro di lei poteva ancora udire gli schiamazzi e le
risate spensierate delle modelle che, fino a mezzora prima, avevano
circolato isteriche per tutti i camerini alla ricerca di una spazzola o
di un rossetto, per quanto Faith si fosse impegnata ad organizzare ogni
minimo dettaglio. Non era difficile rendersi conto di come fosse
impossibile gestire più di settanta modelle urlanti, stipate
in cento metri quadrati. Fortunatamente lo spazio era stato
insonorizzato e reso indipendente dalla passerella.
Ad aver
contribuito a dare maggior successo alla serata era stata
un’idea vincente che le era balzata in mente sfogliando una
rivista di moda. Attraverso una rubrica per le lettrici aveva appreso
quanto fosse elevato l’interesse verso il mondo delle
passerelle di ragazze comuni che professionalmente non avevano nulla a
che vedere con quella realtà.
Così aveva colto l’occasione di riservare
un’area del padiglione a tutte le persone che ne nutrivano un
certo interesse, permettendo loro di accedere alla sfilata senza
bisogno di dover presentare l’invito che solitamente era
riservato ad un pubblico di una certa levatura e importanza.
Il
risultato era stata un’invasione di donne di ogni
età che avevano assistito a bocca aperta e con gli occhi
colmi di meraviglia allo sfilare di capi d’alta moda.
- Avresti dovuto sfilare anche tu,
Faith.- Commentò una voce alle spalle della ragazza.
Faith
sobbalzò sovrappensiero. Si volse, reggendo in mano alcune
orchidee e ringraziando la donna molto elegante che le veniva incontro
lentamente, con passo incerto.
- Si figuri, io non sarei in grado di
fare cinque passi di fila su quei trampoli e…- Si
bloccò non appena ebbe riconosciuto quel viso
così curato e composto.
- Addison…-
Mormorò con il cuore che prendeva a martellarle nel petto
per un inspiegabile motivo - Che ci fai qui?-
Addison, vestita di un sobrio tailleur grigio ghiaccio, non somigliava
affatto alla donna che Faith aveva conosciuto in Ohio qualche mese
prima. I capelli, in parte raccolti e in parte liberi di caderle sulle
spalle, erano lisci e di qualche tono più chiari, e le
conferivano un aspetto più giovanile. Nel suo viso la
ragazza riconobbe alcuni tratti che le ricordavano Max in maniera
impressionante: il taglio sottile degli occhi, lo stesso modo di
curvare le labbra verso l’alto, tutti particolari che si
erano impressi nella sua mente e che non si erano mai cancellati.
- Ci tenevo a scusarmi personalmente
con te, Faith. Ti ho spinta a dover confessare tutto a Max contro la
tua volontà, e poi ho scoperto che tuo padre non ha alcuna
colpa.-
Faith
rimase immobile, come impietrita.
- So perfettamente che tra te e Max
ora non c’è più niente, ma ho fatto
troppi sbagli nel corso della mia vita e vorrei poter rimediare, per
quanto mi è possibile.-
Addison
si stringeva le mani evidentemente rammaricata, e Faith
provò tenerezza. Malgrado tutti i suoi errori, era
certamente una persona buona e dotata di grande acume, che la vita
aveva deciso di punire ingiustamente portandole via il marito e, per
poco, anche il figlio. Erano così uguali lei e Max, sempre
pronti a voler rimediare a tutto, sempre pronti a saper riconoscere le
loro colpe.
Faith
non la lasciò terminare e, senza pensarci,
l’abbracciò come fosse stata sua madre. Quello era
uno di quei momenti in cui il silenzio valeva più di mille
scuse e mille dispiaceri. Restarono strette nel fascio di luce
finché alcuni uomini entrarono dagli ingressi laterali,
pronti a smontare tende e palcoscenico.
- Grazie per essere venuta fin qui
soltanto per dirmi questo, Addison. Lo apprezzo molto, davvero.-
Sussurrò Faith avvertendo un grande calore nel cuore. Si
staccò da lei e la guardò sorridente, donandole
un’orchidea e baciandola sulla guancia.
- Non devi spiegarmi niente. Ho capito
tutto.- La rassicurò, ed Addison le ricambiò il
sorriso - Sei una donna meravigliosa, e Max è fortunato ad
averti come madre.-
Indugiò qualche istante,
abbassando gli occhi brillanti sui fiori - Vorrei che fossi anche la
mia.-
Addison
si portò le mani al petto, rinfrancata da quelle belle
parole, e le fece una carezza.
- Non è possibile portare
rancore in eterno. Io non sono fatta così, e penso sia
sempre meglio chiarire ogni cosa prima di chiudere definitivamente una
porta.- Spiegò Faith - Chiunque ha il diritto di chiedere
scusa, in fondo. O, almeno, a me piacerebbe che venisse offerta la
possibilità di spiegare i motivi che mi hanno spinto a
comportarmi in un determinato modo.-
In
quell'istante ripensò a suo padre. Dopo tutto ciò
che gli aveva rimproverato e tutte le cattiverie proferite, provava
vergogna per sé stessa a doverlo incontrare. Avrebbe voluto
parlargli, chiedergli perdono per aver dubitato della sua
onestà, ma lui? Lui era pronto ad offrirle la
possibilità di chiedere scusa?
E lei era pronta ad
intraprendere un normale rapporto con suo padre?
- Tua madre sarebbe fiera di te, ne
sono sicura.- Mormorò Addison - E anche tuo padre.- Aggiunse
come leggendole nella mente.
Rimasero a parlare pochi minuti nei quali Faith le raccontò
del ballo di Lynda al quale avrebbe partecipato il giorno successivo,
quindi la ragazza si congedò.
Una
volta in taxi, un sorriso le spuntò inaspettato sul volto
mentre, attraverso il vetro umido, osservava la città
luminosa scivolare al suo passaggio, sotto una notte senza stelle.
Era tempo di lasciarsi indietro paure
e incertezze. Era tempo di agire.
Il taxi
si fermò proprio davanti all'ingresso del carcere. Faith
pagò la corsa, chiese all'autista di aspettarla qualche
minuto, e scese dall'auto stringendosi la cintura del lungo cappotto
nero. Sapeva di essere ben oltre il limite dell'orario di visita, ma
sperò nel buon cuore del poliziotto che sedeva al centralino
all'ingresso.
Non
appena la vide avvicinarsi, l'uomo si alzò in piedi
incuriosito, posando la tazza di caffè sulla scrivania.
- L'orario per le visite è
finito da un pò, signorina, mi spiace.- La
informò indicando l'orologio alle sue spalle.
- Oh,- Fece Faith scostandosi una
ciocca di capelli dietro un orecchio - mi dispiace tanto, ma... non
potrebbe fare un'eccezione? È davvero importante, vorrei
vedere mio padre, Brian Harrington, perchè domattina
partirò presto per New York e ...-
- Sono spiacente, signorina.-
Ripeté impassibile il poliziotto.
- Per favore... le chiedo cinque
minuti soltanto...- Continuò Faith tentennando, con la voce
calma e dolce.
- Non posso farla entrare. Se lei
entra, io vengo buttato fuori.-
Faith
abbassò gli angoli della bocca, rammaricata della sua
richiesta.
- D'accordo. Le auguro buone feste,
allora.- Disse rassegnata, con gli occhi tristi.
Il
poliziotto la osservò incamminarsi verso il taxi con le mani
in tasca, e avvertì un istantaneo dispiacere al cuore.
L'espressione di quella ragazza lo aveva intenerito, così la
richiamò proprio mentre si si stava apprestando a risalire
in macchina.
Faith
si voltò stupita, si avvicinò titubante al vetro
che la separava dall'uomo, e ascoltò cos'aveva da dirle.
- Vada sul retro, senza farsi notare,
e raggiunga il reticolato vicino al campo da basket. Mi
inventerò una scusa e le manderò suo padre, ma mi
raccomando: cinque minuti soltanto. Intesi? O domattina
dovrà portarmi con lei a New York per trovarmi un nuovo
lavoro.-
Faith
gli sorrise.
- Grazie. È molto gentile.-
- Si figuri. Ora vada e si ricordi le
mie istruzioni. CINQUE minuti.-
- Va bene.- Annuì
strizzandogli un occhio.
Deborah
Lurie “Final Letter”
http://www.youtube.com/watch?v=M3QL0Jn7SQc
- Faith, santo cielo, che ci fai qui?
È notte fonda, e fa freddo...- Disse Brian allarmato non
appena la vide delinearsi nel cono di luce del faro sovrastante.
- Ciao, papà.- Lo saluto
semplicemente lei.
- Va tutto bene?- Le chiese in tono
apprensivo. Aveva gli occhi assonnati e i capelli spettinati, ma si
dimostrava gentile, ed inoltre era contento di vedere sua figlia, anche
in quell'inusuale circostanza.
- Si, si, certo, va tutto bene.- Lo
guardò con gli occhi lucidi. Era consapevole che Brian
avesse intuito che stava per dirgli qualcosa di importante, ma era
incapace di emettere una sola parola. Non voleva cadere nel ridicolo,
esprimersi in frasi prive di senso o cose già dette.
- Cosa c'è, Faith? Non
capisco se non mi parli.- La pregò preoccupato il padre,
poggiando le mani sul reticolato, come a voler abbracciare la figlia e
rassicurarla.
Faith
scosse la testa, il naso arrossato per il freddo.
- Mi... mi dispiace, papà.-
Sussurrò stringendosi nelle spalle - Non so cosa mi sia
preso quel giorno, ero arrabbiata, delusa, osservavo impotente la mia
vita andare a rotoli, e me la sono presa ingiustamente con te.-
- Faith, non devi scusarti. Non
occorre.-
- Zia Becky è morta, lo
sai?- Gli domandò imbarazzata, cambiando argomento.
Gli
occhi di Brian si fecero comprensibilmente languidi.
- Lo so. Ma avrei preferito che fossi
stata tu a dirmelo.-
- Domattina partirò per New
York, ma ho voluto venire qui per sapere una cosa che per me
è importante.-
Suo
padre rimase in ascolto, stringendo le labbra.
- Mi vuoi ancora bene?- Gli chiese
Faith dopo qualche istante, evitando di guardarlo negli occhi.
- Non ho mai smesso di volertene.-
Lei
allora posò lo sguardo nel suo e una lacrima le scivolo
lungo una guancia. Con una mano toccò le dita del padre
attraverso la rete, e lui la strinse.
- Io ci sono sempre per te, Faith, non
devi dimenticarlo. Non mi importa di ciò che è
stato detto e fatto. La cosa che non potrà mai cambiare
è che tu sei sempre mia figlia. La mia bellissima figlia.-
Precisò Brian - Tra non molto sarò fuori di qui e
potrò prendermi cura di te. Voglio recuperare tutto il tempo
perso. Me lo permetterai?-
Faith
sorrise strofinandosi il naso con l'altra mano. Scoppiò in
un sospiro di liberazione e sollievo, grata a suo padre per averla
perdonata.
- Non desidero altro,
papà.- Rispose piegando la testa di lato - Ti voglio bene.-
Qualche
attimo dopo si udì un uomo tossicchiare dietro di loro,
nell'ombra, e Brian si voltò.
- Oh, certo,- Fece Faith asciugandosi
il viso con un fazzoletto - Purtroppo il nostro tempo è
scaduto.-
- Divertiti, Faith. Passa un buon
Natale.- Le augurò il padre.
Lei
fece per andarsene e, dopo alcuni passi, si girò.
- Ti aspetto a casa, papà.-
Gli ricordò, sollevando una mano per salutarlo.
Lungo
il marciapiede si sentì cogliere da un senso di leggerezza.
Trovava stupendo come la sua vita stesse prendendo una piega diversa,
dopo il dolore patito per la perdita di zia Becky. Pensava ancora molto
a lei, ed era consapevole che nessuno avrebbe potuto sostituirla,
nemmeno suo padre. Però sapeva anche che le occorreva
riempire i suoi giorni a venire con nuove persone, nuovi obiettivi,
nuove speranze, e che non tutto il male era avvenuto per nuocere, ma
aveva contribuito a suo modo a prepararla alla sua esistenza futura.
Non era mai tardi per ottenere nuovi spazi e nuove
possibilità.
Notò una lattina schiacciata sul ciglio del marciapiede, e
la evitò con noncuranza. Poi le balenò in testa
un'idea e tornò sui suoi passi. Puntò un bidone
dell'immondizia dall'altra parte della strada, si guardò un
attimo intorno prendendo la mira, e diede un calcio secco alla lattina,
che andò a finire dritta tra i sacchi neri e lucidi
ammucchiati all'interno.
Alzò le braccia entusiasta in segno di vittoria, soddisfatta
del suo tiro, ma soprattutto contenta di come stavano andando le cose.
Non era
una leggenda, pensò: il miracolo di Natale esisteva per
davvero.
R
isposte alle Recensioni
C
iao a tutti i lettori!
Stavolta ho deciso di rispondere alle recensioni
alla fine del capitolo, per non farvi perdere ulteriore tempo!
Non
posso che darti la mia piena ragione, Clarita. Oggi
l'amore fa paura. Ci si lascia condizionare fortemente dal parere
dell'altra gente, e chi è facilmente influenzabile, spesse
volte preferisce rinunciare ad essere felice, pur di far contenti gli
altri, che egoisticamente non si rendono conto di essersi imposti su di
noi con i loro pareri apparentemente giusti, forse per volerci
proteggere, ma senza pensare alla nostra autentica serenità.
Per questo motivo il coraggio viene a mancare. Viviamo in una
società impostata su canoni che non ci consentono di potersi
realizzare, ma che ci cresce e modella secondo le sue regole.
Occorre
solo rendersi conto che non si ha niente per niente se non ci si
impegna e non si prova a comprendere il vero significato di
“felicità”. Ci saranno sempre degli
ostacoli, è così che si diventa
“grandi” e si capisce cosa è giusto per
noi, e quando lo si capisce, è necessario farlo presente a
chi ci vuole bene. Io credo sempre che sia il cuore a parlare, e non la
mente. Lasciamo entrare nel nostro cuore la persona che riesce ad
aprire le ali e a volare stando al nostro passo, mai dietro o davanti a
noi, ma l'uno in fianco all'altro, altrimenti non potrà mai
funzionare. Solo così scopriremo di essere felici per
davvero.
Ti
mando un saluto, Clarita. E grazie per i tuoi bellissimi complimenti. :)
MM
|
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Capitolo 51 *** 51. Un Anno Dopo ***
51.
U N ANNO DOPO
Dopo un tranquillo volo di quasi cinque
ore, l'aereo di Faith atterrò a New York City nel bel mezzo
di una tempesta di neve. Le previsioni meteorologiche, una volta tanto,
ci avevano azzeccato, ma fortunatamente la bufera si era scatenata
soltanto negli ultimi dieci minuti, proprio durante la fase finale
delle manovre d'atterraggio.
Una volta scesa dall'aereo, la ragazza
afferrò il suo bagaglio, uscì dall'aeroporto e si
fece accompagnare da un taxi all'hotel in cui aveva prenotato, il Casablanca, situato
proprio nei pressi di Times Square. Non era affatto stanca, ma non
poteva uscire anche solo per fare una passeggiata e godersi l'atmosfera
natalizia, poiché l'abbondante nevicata sembrava non dare
tregua alla città.
Si accontentò di socchiudere
la finestra per alcuni istanti e osservare incantata quel cumulo di
ferro, acciaio e vetro che si ergeva davanti a lei in migliaia di
abitazioni, palazzi societari e grattacieli infiniti, ricoprirsi in
modo uniforme di un candido velo bianco. Era sempre una magia
sorprendersi davanti a New York sotto la neve di dicembre. I fiocchi si
materializzavano dal grigiore del cielo per poi posarsi
disordinatamente su qualsiasi superficie piatta, mentre lunghe catene
di luci colorate ammiccavano riflettendosi nelle vetrine e nelle
pozzanghere lungo la strada. Ogni rumore risultava ovattato, e ci si
sentiva al caldo e al sicuro nell'ammirare quello spettacolo stando
dietro una finestra.
“Ecco un buon motivo per tornare a New York”,
realizzò Faith.
Dopo aver telefonato a Jason per dirgli che tutto
era filato liscio, accese la televisione e si sdraiò sul
letto. L'ora di punta si stava avvicinando, e il brontolio allo stomaco
le ricordò che non aveva mangiato nulla prima di partire,
quindi decise di farsi portare qualcosa in camera.
Il menù del giorno, accuratamente scritto su un foglio
adagiato sul comodino, prevedeva pollo in insalata, patate al forno e
macedonia di frutta tropicale con mandorle. Al solo pensiero,
l'appetito di Faith aumentò considerevolmente.
Afferrò la cornetta e
ordinò il pranzo con l'aggiunta di una bottiglia di succo di
mirtillo e un po' di the caldo. Il cameriere le garantì la
consegna entro un quarto d'ora, e Faith sentì salirle
l'acquolina in bocca.
Per distrarsi durante l'attesa,
provò a concentrarsi sul dibattito politico trasmesso dalla
NBC Channel, incentrato per l'ennesima volta sullo scandalo del sexgate
che aveva coinvolto Bill Clinton.
Da quando nell'estate precedente la
rivelazione di una sua relazione con la stagista aveva provocato un
vero e proprio scandalo, il Presidente si era rifiutato costantemente
di ammettere la verità, e il suo comportamento era stato
utilizzato dai suoi avversari politici per ottenere la procedura di impeachment, con le
accuse di falsa dichiarazione giurata e di intralcio alla giustizia.
Riuscito ad evitare le dimissioni grazie al giudizio del Senato,
Clinton aveva proseguito nella sua amministrazione, e le maggiori
testate giornalistiche del momento avevano annunciato che gli Stati
Uniti erano pronti per un nuovo e massiccio intervento militare in Iraq.
Non che Faith fosse molto interessata alla politica, ma aveva idee ben
precise su argomenti come la guerra in Iraq, appunto, l'imminente
riforma sanitaria proposta dalla first
lady, o la promozione di leggi concernenti l'adozione e
l'immigrazione.
Fortunatamente, le Nazioni Unite si
stavano impegnando a far desistere il Presidente dall'inviare ulteriori
truppe in quella che pareva essere una guerra non solo senza fine, ma
priva ormai di ogni senso logico, che aveva come scopo un continuo ed
inutile spargimento di sangue. Il mondo non poteva e non doveva
più accettare la perdita di ragazzi così giovani
che andavano incontro alla morte soltanto per tenere alto l'onore
dell'America.
La diretta televisiva mandò
uno stacco pubblicitario e la ragazza passò in rassegna
diversi canali prima di capitare su una replica di FRIENDS, dove si
soffermò distrattamente per qualche minuto.
Senza alcun collegamento, il pensiero
corse a qualche sera prima, quando Jason le aveva regalato l'anello di
fidanzamento.
Il ragazzo l'aveva invitata fuori a cena con
l'espediente dell'imminente promozione professionale di Faith, e aveva
organizzato una serata davvero speciale e carica di romanticismo.
Al momento del dolce, le aveva fatto la
proposta, e per poco lei non era svenuta per lo stupore. Non aveva
raccontato nulla di quella serata nemmeno a Holly per timore di una sua
reazione esageratamente negativa, e si era tenuta dentro tutte le sue
emozioni. Nell'arco di pochi mesi quella era la seconda volta che un
uomo la chiedeva in sposa.
Inevitabilmente il pensiero si
spostò su Max. Si volse verso l'orologio appeso alle sue
spalle e constatò che ormai mancavano poche ore al suo
arrivo da Londra. Un'inaspettata frenesia e il senso di vuoto allo
stomaco che ormai conosceva bene la misero in agitazione, e rimase
seduta sul letto per qualche minuto chiedendosi che cosa stesse facendo
in una stanza d'albergo, a New York pochi giorni prima di Natale, e
completamente sola. Sola e con tutti i pensieri concentrati sull'unica
persona al mondo a cui non avrebbe dovuto pensare.
Perchè non riusciva a
toglierselo dalla testa? Perchè Holly e i suoi discorsi
continuavano a tormentarla? Più si sforzava di non pensarci,
e più i suoi mostri si facevano sentire urlando e sbattendo
contro le porte del suo inconscio, disposti a tutto pur di uscire. Ci
aveva riflettuto con maggiore frequenza man mano che il giorno del
ballo si era avvicinato, ma senza riuscire a darsi pace. Questo
conflitto interiore la demoralizzava, aumentando il senso di
inadeguatezza nelle relazioni interpersonali, e lei aveva osservato i
suoi problemi come se non fossero affatto stati di sua competenza.
Ciò aveva funzionato nei primi tempi in cui, completamente
presa dagli impegni di lavoro, continuava a rimandare il momento del
confronto con la questione. Le perplessità intanto
ristagnavano, bollendo in un calderone che pareva non avere fondo e
pronto ad esplodere non appena lei avesse abbassato la guardia. I
mostri stavano lì, e lei non solo non sapeva come farli
uscire, ma non ci rifletteva nemmeno.
L'aiuto di Holly poteva servire, ma fino
ad un certo punto: il parere dell'amica era troppo soggettivo e di
parte. Le occorreva qualcuno di imparziale che l'aiutasse a risolvere i
suoi dubbi e le esplicasse tutto quel tormento interiore che persisteva
a procrastinare.
O forse sapeva già da cosa
aveva origine e cosa avrebbe dovuto fare, ma ancora non se ne rendeva
conto. L'unica cosa certa era che Max le aveva sconvolto la vita
più di quanto avesse mai immaginato.
Approfittando di qualche fievole raggio
di sole, dopo pranzo uscì per fare due passi. Faceva freddo,
ma l'atmosfera della metropoli rapiva, affascinava, atterriva al punto
da dimenticarsi delle temperature.
Provò ad immaginare a come
poteva essere la città in primavera, con i prati verdi di
Central Park e i suoi alberi frondosi carichi di uccellini e di
farfalle. Era chiaro e risaputo che New York cambiasse continuamente
aspetto. Questo suo periodico rinnovarsi la rendeva un luogo unico ed
inimitabile. La sua gente, i suoi palazzi, i suoi odori appartenevano
esclusivamente a lei, in un'inspiegabile e bizzarra coesione di colori
e tradizioni.
Anche se c'era stata soltanto due volte,
Faith notò immediatamente le differenze di stile, e si
scoprì nuovamente più piccola.
Los Angeles era una città
molto meno caotica sotto certi aspetti, e non mostrava né
possedeva quella vistosa sorta di incombenza e prepotenza che vestiva
New York di orgoglio e di fascino.
Le bandiere adorne di stelle esposte in
ogni angolo riempivano l'aria di un insuperabile senso di patriottismo
e di appartenenza ad una grande famiglia, sottolineando un punto saldo
e intramontabile della politica americana.
Lungo la strada decine di uomini
abbigliati da Babbo Natale suonavano i campanacci per
attirare le persone all'interno di negozi, grandi magazzini o
semplicemente per chiedere un'offerta in favore dei bambini bisognosi.
La città semi-paralizzata
dalla neve era un groviglio disordinato di persone che si affrettavano
senza guardarsi in faccia, ognuna persa nei propri pensieri, nei propri
progetti. Ognuna ansiosa di arrivare il più presto possibile
alla meta predestinata.
Faith si sentiva sollevata: non aveva alcuna
fretta, i regali di Natale erano già incartati, i biglietti
di auguri già spediti. Stava entrando in un locale
pregustando con la mente una bella tazza di cioccolata fumante quando
udì il suono che l'avvisava dell'arrivo di un SMS sul suo
cellulare: Max la informava che era atterrato da poco e la aggiornava
circa l'orario in cui avrebbero dovuto incontrarsi all'Astor Palace.
Faith avvertì di nuovo montare
l'agitazione e si obbligò a rimanere calma. Le restavano
più o meno cinque ore prima della cena, così,
dopo aver ordinato la cioccolata, programmò velocemente i
suoi prossimi movimenti. Non che avesse avuto tanto da fare, ma teneva
particolarmente ad organizzare ogni cosa nel minimo dettaglio. Le
infondeva una sensazione di ordine e di sicurezza, oltre che farla
sentire a proprio agio e non completamente in preda agli eventi.
Snow
Patrol “New York”
http://www.youtube.com/watch?v=Ytlz0rWantI
Uscendo dal Kennedy, Max fu investito da
una valanga interminabile di ricordi che si stampò con
violenza davanti ai suoi occhi e che non riuscì a togliersi
di dosso in alcun modo. C'era qualcosa di arcano in quella
città coperta di bianco che gli riaprì
all'improvviso una porta spazio-temporale sul passato senza dargli modo
di fuggire lontano da un flusso di memorie che avrebbe tanto preferito
evitare. Camminando perplesso lungo il marciapiede, si fermò
davanti ad una vetrata resa umida dal freddo, e impiegò
parecchi istanti a riconoscersi nell'uomo riflesso.
Era passato un anno dall'ultima volta
che era stato a New York, e si ritrovò inconsciamente a fare
un bilancio degli ultimi dodici mesi. Il tempo pareva gli fosse
scivolato di mano, talmente tanti e strani erano stati gli avvenimenti
che avevano stravolto la sua intera esistenza. Ciò che
credeva vero si era rivelato non esserlo, e faticava tuttora a
comprendere gli eventi incredibili che avevano caratterizzato
quell'anno. Desiderò tornare indietro nel tempo, rifare ogni
cosa, forse meglio, rimediare ai suoi errori, recuperare i giorni persi
con quella che avrebbe dovuto essere la sua anima gemella. Era buffo
pensare a come occorresse il Natale per far riflettere le persone su
ciò che avevano perduto, o su ciò che si erano
obbligati a lasciarsi alle spalle, convinti ciecamente che sarebbe
stato tutto uno sbaglio seguire i propri sentimenti. Perchè
sono i sentimenti l'unica forza in grado di cambiare il mondo, ma in
pochi ci credono, o peggio ancora, in pochi lo sanno.
Ogni fine anno, quasi per ripulire il
mondo dalla cattiveria, dall'egoismo e dalla sfiducia, l'idea
dell'arrivo di un periodo di quiete rendeva tutti più
propensi a fare un esame di coscienza, a ripensare a ciò che
si era sbagliato nei mesi precedenti, a tentare di porvi rimedio, in un
modo o nell'altro. A chiedere scusa per i torti e i dolori causati, e a
possedere la forza di perdonare. Chi riusciva nell'indulgenza,
nonostante le ferite del cuore, ne usciva vincitore e poteva affermare
di sentirsi più sollevato e in pace con la propria anima.
Era però necessario che fosse un dovere bilaterale, o non
avrebbe avuto alcun senso.
Nessuno doveva essere infelice a Natale,
eppure Max aveva un profondo buco nel cuore che desiderava soltanto
essere riempito di affetto dalla persona che amava, e che lui aveva
scioccamente lasciato andare, accecato dalla rabbia e dall'orgoglio.
Soltanto alcuni mesi dopo era riuscito a realizzare quanto aveva perso.
Erano rare le volte in cui, durante la vita, capitava la fortuna di
incontrare persone davvero straordinarie, autentiche e in grado di
valorizzare i difetti trasformandoli in virtù. Persone
capaci di riempire le giornate degli altri con un semplice gesto, una
parola gentile, un'emozione vera, in sorriso o una lacrima di affetto,
e che entravano nel cuore in punta di piedi. E lui se l'era lasciata
scappare.
Quante probabilità aveva di
trovare un'altra ragazza come lei con i tempi che correvano?
L'uomo che stava osservando riflesso non era altro
che una versione afflitta di se, quasi un affronto alle allegre luci
che decoravano l'ambiente circostante. Dagli occhi che perforavano quel
vetro traspariva la tristezza per gli errori commessi, lasciati troppo
a lungo in un angolo e senza rimedio; il viso aveva perso la sua
naturale freschezza; la fronte corrugata e l'impronta di un sorriso che
ora faticava a ricomparire gli conferivano un aspetto malinconico.
Quasi per caso, si accorse di due
giovani innamorati che si stavano abbracciando forte sotto la neve,
vicino all'entrata dell'aeroporto. Lei in punta di piedi, lui con il
viso affondato nella sua sciarpa di lana, sembravano le uniche persone
in tutta la città. Rimasero così per un tempo che
agli occhi dell'altra gente doveva sembrare infinito. C'era una magica
sintonia in quell'abbraccio e, quando si separarono, Max vide che il
ragazzo piangeva in silenzio, segno che la lontananza dalla sua
fidanzata non sarebbe stata a breve termine, e una burrasca di emozioni
gli si riversò nel petto.
Una folata di aria gelida lo
riattivò bruscamente provocandogli un brivido, e con
rammarico realizzò di aver dimenticato la sciarpa
sull'aereo. Il male minore.
La ragazza aveva preso il suo aereo, il
ragazzo, diventato una sagoma indistinta tra la folla, stava
scomparendo, ma l'immagine dell'uomo nel vetro era mutata. Un debole,
dolce sorriso iniziava a fare capolino sul suo viso.
Era la consapevolezza che non tutto era
perduto e che chiunque è autore del proprio destino.
Attraverso la grande finestra decorata con il
vischio e alcune palline in vetro soffiato, Faith guardava la gente
passare con i regali sottobraccio. La cioccolata e le musiche di Natale
in sottofondo erano riuscita a metterla di buon umore e calmarla,
così si rivestì e si ributtò tra la
gente con lo spirito rinnovato.
Passando a Times Square notò
che gli operai si stavano dando da fare per rendere memorabile ancora
una volta il Capodanno newyorchese, con la discesa della grande sfera
luminosa dalla Times Tower, a mezzanotte del 31 dicembre, e
l'esplosione di centinaia di fuochi artificiali.
Migliaia di bigliettini con scritti i desideri e le
preghiere dei cittadini americani sarebbero fluttuate nell'aria della
notte come una pioggia di coriandoli colorati.
Quelle di Bruce Springsteen, Celine Dion e Brian
Adams erano solo alcune delle voci in programma per la serata
più magica dell'anno, che avrebbe celebrato l'amore, la
speranza, il perdono, e spalancato le porte al 1999.
|
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Capitolo 52 *** 52. Notte Infinita - Parte Prima ***
R
ISPOSTA
ALLE RECENSIONI
Ciao Clarita! Sono d'accordo con te in
ciascun passaggio della tua recensione, ma, sebbene mi sia chiesto il “perchè”
degli eventi che ci
accadono, molte volte non riesco a trovare una risposta. Forse solo il
tempo aiuta ad arrivarci, chissà...
Il destino spesso ci gioca strani scherzi, e concordo che è
bello ogni tanto lasciarsi andare, magari perchè siamo
attirati dall' ”effetto
sorpresa”,
e dal lasciare che le cose scorrano coprendoci di
spontaneità.
Per fare un'esame di coscienza, invece, io non aspetto l'ultimo giorno
dell'anno, ma più o meno lo faccio ogni ventiquattrore!
Ormai resta ben poco del mio cervello che sempre macina e macina! Sono
fatto così, purtroppo, ma è sempre meglio
pensarci che non pensarci affatto. La maggior parte della gente non lo
fa, non si fa alcun genere di domanda, e sta bene al mondo, ma non so
dove arrivi quanto a intelletto! Perchè chi se le pone
almeno cerca di risolverle, no?
Riguardo a New York: non si è materializzata davanti ai miei
occhi... o almeno ancora per un po' non lo farà.... :)
Buona lettura a te, Clarita, e a tutti i nuovi lettori!
52. N OTTE INFINITA
Parte
Prima
L'imponente ingresso dell'Astor Palace era un pullulare di
celebrità, da Kevin Costner a Mariah Carey, da Ralph Lauren
a James Cameron, tutte rigorosamente scortate da guardie del corpo che
somigliavano più a orsi polari che a esseri umani, tanto
erano massicci. I paparazzi si accalcavano con insistenza nei pressi
del lungo tappeto rosso che conduceva all'interno del palazzo in
un'interminabile e accecante susseguirsi di flash, con la speranza di
carpire la foto più bella o la più scandalosa.
Lynda
aveva davvero superato se stessa quella sera dimostrando tutta la sua
fama che la legava al mondo del jet-set.
Quando
il taxi di Faith giunse davanti all'ingresso, un'inserviente
aprì la portiera, e la ragazza si rese conto che c'erano
anche molte persone che non aveva mai visto, gente meno nota,
sicuramente strette conoscenze private di Lynda, che passavano
indisturbate agli scatti dei fotografi. Così si
intrufolò tra di loro per evitare i flash, e una volta
varcata la soglia dell'hotel lasciò il suo cappotto ad un
addetto del guardaroba, poi scrutò l'ambiente alla ricerca
di Max.
Nell'aria si diffondevano le note di un celebre inno natalizio e
tutt'intorno c'era una grande frenesia per quell'importante serata che
avrebbe devoluto tutto il ricavato in beneficenza.
Un
grande lampadario di cristallo pendeva dal centro del soffitto in
centinaia di gocce di vetro che riflettevano bagliori colorati sulle
pareti illuminando l'intero atrio, gremito di persone
così eleganti e raffinate da sembrare uscite da un
dipinto austriaco dell'Ottocento.
Al
centro della stanza troneggiava una fontana spettacolare: una statua di
Venere con un seno scoperto, che reggeva una cornucopia piena di frutta
e di fiori, era sovrastata da un pergolato di marmo bianco e chiusa in
una sorta di gabbia formata da sottili fili d'acqua che scivolavano a
pioggia dentro la vasca.
La
ragazza notò Max proprio a fianco della fontana dialogare
con due uomini ben abbigliati che avevano tutta l'aria di essere
avvocati, e il suo cuore prese a palpitare veloce, quasi volesse farle
esplodere il petto. Non c'era stata una sola occasione in cui avesse
visto Max fuori luogo: quella sera indossava un completo grigio
antracite con abbinata una cravatta blu. Portava la giacca su un
braccio, e Faith apprezzò il gilet che gli fasciava
particolarmente bene il torace.
Lui si
accorse della sua presenza dopo poco tempo: le chiacchiere dei due
interlocutori che aveva vicino divennero incomprensibili alle sue
orecchie dal momento in cui iniziò a concentrare
l'attenzione su Faith, che avanzava con fare elegante nella sua
direzione.
Un
lungo abito color carta da zucchero le lasciava scoperta una spalla e
scendeva fino a sfiorare il pavimento. In una mano teneva una pochette
della stessa tonalità, mentre un velo di trucco le donava
radiosità e ulteriore bellezza. Due piccoli diamanti che
brillavano in continuazione sostituivano i suoi occhi, lasciando Max
istantaneamente ipnotizzato.
Faith
gli si avvicinò come una visione e lo baciò sulla
guancia, per poi abbracciarlo in modo composto.
- Sei stupenda.- Le disse piano
all'orecchio.
La
ragazza chiuse gli occhi, immersa in quel profumo che ogni volta
risvegliava in lei desideri sopiti, e ripensò ad un anno
prima, quando entrava al Plaza tenendolo per mano. Le aveva sussurrato
le stesse identiche parole, e per un attimo si dimenticò di
tutto il resto, di Jason, dell'anello, della proposta di matrimonio.
- Sono contento che tu sia qui,
Faith.- Mormorò lui.
- Anch'io.- Replicò la
ragazza tenendo gli occhi chiusi.
C'era
qualcosa che non le tornava in tutta quella situazione: repentinamente
e inaspettatamente si sentiva come... a casa. Eppure si
trovava a chilometri da Santa Monica, ma non riusciva a comprendere
fino in fondo quella sensazione di benessere che sembrava farla
camminare a due metri da terra e la riscaldava dentro.
Dal
canto suo, Max non aveva più parole per l'emozione.
Ritrovarla in un contesto diverso gli riempiva il cuore di nostalgia, e
tutto ciò che avevano passato pareva appartenere ad un tempo
lontano anni luce.
- Tutto bene?- Le chiese soltanto.
Faith
si decise a guardarlo negli occhi.
- Si.- Rispose sollevando un angolo
della bocca.
- Ok. Direi di entrare, allora. Lynda
ci starà aspettando.-
Stava
per prenderla per mano, come un'abitudine consolidata, ma entrambi si
scoprirono impacciati, così lei lo prese sotto braccio,
sorridendogli timidamente.
Il
grande salone andava ben oltre ogni loro aspettativa: elaborate
ghirlande intrecciate di pungitopo e rametti di pino si arrampicavano
su altissime colonne fissate in cima da nastri e fiocchi di raso rosso;
ai lati della sala due modesti caminetti riscaldavano la stanza e
ricoprivano ogni cosa di un velo arancio e oro, mentre le alte finestre
regalavano una vista suggestiva sul giardino e sulla notte stellata; le
fiamme delle candele sui tavoli baluginavano assieme alle file di luci
bianche che decoravano piante e pareti. Ma ciò che attirava
maggiormente l'attenzione era il grande albero posizionato nel centro
della pista da ballo, magistralmente addobbato con palline di vetro
rosso e cordoncini di perle dorate. Nel fondo della sala un
sassofonista aveva iniziato ad eseguire uno struggente brano tratto da
un film, e le persone, di tanto in tanto, applaudivano calorosamente.
- Signori, posso offrirvi un bicchiere
di Pinot Bianco?- Domandò cortesemente un cameriere che
reggeva un vassoio di flûte.
- Volentieri, grazie.- Rispose Max con
un sorriso. Prese due bicchieri e uno lo porse a Faith.
- Non è presto per
ubriacarsi?- Gli fece lei assaggiando il vino.
- Un pò di alcool ti
aiuterà ad affrontare meglio la serata.- Commentò
lui lanciandole uno sguardo divertito.
Faith
cominciò a preoccuparsi. Aveva messo in secondo piano il
motivo per cui si trovava lì: incontrare Lynda Shields.
Istintivamente si sistemò una ciocca di capelli, e, senza
dare troppo nell'occhio, con una mano verificò di avere
ancora la testa in ordine. Aveva optato per un'acconciatura liscia a
spaghetto, con la frangia che arrivava appena sopra gli occhi.
Sentì una fitta allo stomaco, così bevve un altro
sorso di Pinot, che le rinfrescò la gola.
- Stai tranquilla, andrà
tutto bene.- La rassicurò Max notando quanto si stava
agitando.
- Non sono preoccupata.- Lo
contraddì lei con le labbra tirate in un sorriso forzato.
Max la
esaminò con la coda dell'occhio.
- Ti conosco bene ormai, Faith.-
Lei lo
guardò, e stava per ribattere quando Lynda si
materializzò davanti a loro. Pareva ringiovanita dall'ultima
volta che Faith l'aveva vista.
- Max! Faith! Che piacere rivedervi!
Stavo aspettando proprio voi!-
Esclamò piena di entusiasmo
avvicinandosi per baciarli, mentre in una mano stringeva un calice di
vino.
La donna era, come
al solito, un'icona di stile e di eleganza, sia nel vestire che nel
modo di atteggiarsi e di interagire con le persone. Un classico tubino
blu le sembrava cucito addosso e sulle spalle correva una stola di
pelliccia, bianca come i lunghi guanti che le coprivano gli avambracci.
- Sei incantevole, Max, come sempre. E
tu, Faith, - Salmodiò rivolgendosi alla ragazza - sei uno
splendore. Max è davvero fortunato ad averti come fidanzata.-
Faith
sorrise imbarazzata.
- Già...-
- Volete seguirmi al tavolo, ragazzi?
Se non vi dispiace vorrei presentarvi ad alcuni amici.- Propose loro.
Max e
Faith annuirono e si fecero largo tra la folla senza perdere di vista
Lynda.
- Ironico che Lynda non ci abbia mai
visto da fidanzati. Nemmeno l'anno scorso stavamo insieme quando siamo
andati al ballo.-
- Perchè ironico? Io lo
trovo triste.- Disse lui contrariato.
- Beh, forse hai ragione. In effetti
non c'è nulla di ironico.- Mormorò tra se,
realizzando costernata che la situazione sembrava più
tragica che comica.
“Concentriamoci su Lynda, stasera.”
Si impose mentalmente, scostandosi la frangia con un delicato colpo di
testa.
Il
marito di Lynda stava conversando con una signora quando i tre
arrivarono al tavolo.
- Tesoro, stai forse tubando con la
mia più cara amica?- Celiò la stilista mettendosi
tra loro e iniziando le presentazioni.
- Faith, Max, lei è Leah,
la mia migliore amica. Leah, loro sono Max e la ragazza prodigio di cui
ti parlavo, Faith.-
Faith
strinse la sua mano, celando un certo stupore nel sentirsi chiamare
“ragazza
prodigio” per chissà quale motivo.
Scrutò Max che, al contrario, era perfettamente a suo agio,
mentre lei sembrava essere l'unica all'oscuro di quella che doveva
essere una recita di bassa lega.
Lynda
presentò loro gli altri commensali, poi si
accomodò ordinando ancora del vino ad un cameriere.
Ancora
stupita, Faith prese posto tra Max e la stilista, che quella sera era
molto prolissa. Discuteva amabilmente con chiunque e di qualunque cosa,
con una battuta pronta per ogni occasione.
La
donna addentò un grissino con il fare di una dama di prima
classe, tenendo alzato il mignolo della mano, poi si rivolse a Faith.
- Ho apprezzato moltissimo le bozze
dei tuoi abiti, Faith. Hai davvero talento, lo sai?-
Lei
guardò Lynda, poi si voltò verso Max cercando di
capire cosa stesse succedendo, poi di nuovo Lynda.
- So che non sai nulla, Faith. Ma
qualcuno a te molto vicino ha voluto farti un regalo speciale.-
Spiegò la donna.
- Infatti, non so proprio di cosa
stiamo parlando...- Ammise candidamente la ragazza schiarendosi la voce.
Nel
frattempo Max continuava a tacere, mentre Lynda cominciava a raccontare
la sua storia.
- Il tuo ragazzo è stato
così gentile da far contenta la zia... Becky, giusto?
È lei l'artefice di tutto.- Ammise in un sorriso di affetto.
Faith si
sentì coprire di ridicolo e si impegnò a
formulare dei collegamenti, ma capì di non avere solide basi
per poterlo fare. “Sono
stata attirata fin qui con l'inganno?”
- Vogliate perdonarmi, Lynda.- Disse
posando educatamente il tovagliolo a fianco del piatto - Max, posso
parlarti un attimo in privato?-
Max
alzò lo sguardo su di lei, quindi si alzò in
piedi scusandosi con i commensali.
I due
ragazzi si allontanarono sotto lo sguardo confuso di Lynda che, per non
far pesare il silenzio calato, iniziò a discorrere dei
numerosi viaggi all'estero che avrebbe dovuto intraprendere di
lì a poco.
Irritata, Faith trascinò Max nell'atrio e, arrivati vicino
alla fontana, lo studiò con uno sguardo accigliato e le
braccia incrociate sul petto.
- Che cos'è questa farsa,
Max? Ti spiacerebbe spiegarmi gentilmente che diavolo sta succedendo
là dentro?-
Il
ragazzo mise le mani avanti pronto a darle una risposta, ma lei lo
interruppe prima che potesse farlo.
- Per quale malsano motivo ti diverti
a raccontare in giro della morte di mia zia? Che cosa vuoi dimostrare?-
- Faith, non è come credi,
per favore lascia che...- Tentò di intervenire Max.
- Con quale diritto ti sei permesso di
rovistare tra le mie cose, in casa mia, mentre io mi preparavo al
funerale?- Domandò lei alzando il tono della voce senza
rendersene conto.
- Faith, fammi spiegare...- La
pregò prendendole le mani e sentendo che la situazione stava
degenerando.
La
ragazza si divincolò dalla sua stretta iniziando a sentirsi
pervadere da un fastidioso senso di disgusto.
- Hai rubato le mie bozze, i miei
disegni, le mie idee, per portarli a
lei senza il mio consenso?- Sbraitò indicando
Lynda seduta lontano, al suo tavolo - Mi sento indignata, avvilita e
imbrogliata!-
- Faith, ora basta!- Tuonò
Max.
La
gente intorno si ammutolì di colpo voltandosi verso di loro,
e il viso di Faith divampò per l'imbarazzo.
- Non hai capito?- Fece Max riuscendo
finalmente a prendere la parola - Zia Becky ha parlato con Holly, e le
ha affidato i tuoi disegni pregandola di darmeli, affinché
io potessi farli avere a Lynda. Ha sempre saputo quanto desiderassi
lavorare con lei, ed ha voluto farti un regalo prima di andarsene.-
Max era
agitato, e Faith, colta di sorpresa dalla motivazione, tacque voltando
la testa da un lato con le labbra serrate.
- Quando ti deciderai a capire che sei
circondata da persone che ti amano, ti apprezzano e vorrebbero vederti
realizzata, e che nessuno è qui per prenderti in giro? Non
fai che lamentarti e piangerti addosso, quando invece possiedi tutto
ciò che si può desiderare, e lo butti in un
cesso! Quando lo capirai? Cristo!-
Lei non
rispose. Continuava a non guardarlo in faccia, ma nella sua testa stava
elaborando quello che gli aveva appena detto, e si diede mentalmente
della stupida.
Il
ragazzo, rosso in viso e al contempo dispiaciuto di aver perso la
pazienza in quel modo, rimase a fissarla, in attesa di una replica che
non arrivò. Fece quindi per tornarsene al tavolo, ma si
voltò.
- Tua zia ha voluto donarti
un'occasione perchè credeva in te. Se non vuoi tornare a
sederti per me, almeno fallo per lei. Glielo devi.- Concluse risoluto.
Poi
scomparve tra la folla, che nel frattempo aveva ripreso a parlare come
se niente di ciò che aveva appena visto fosse mai accaduto.
Faith, afflitta e stordita, si sedette sul bordo della vasca
e sfiorò l'acqua con un mano ammirando la statua di Venere.
Ancora una volta non aveva capito quanto fosse stata sciocca. Aveva
ingigantito ogni cosa senza un valido motivo, quando le sarebbe bastato
ascoltare prima di aprire bocca e sputare sentenze, rovinando
così un'altra importante occasione.
All'inizio le era sembrato tutto un inganno. Perchè Max non
le aveva detto subito delle bozze? Lei non si era nemmeno accorta della
mancanza del quaderno dal cassetto della sua scrivania. Non lo aveva
più ripreso in mano da prima che zia Becky morisse, e lo
aveva lasciato là, dimenticandosi dei suoi desideri e dei
suoi sogni. Realizzò che probabilmente non ci aveva
più pensato perchè dentro di se aveva
già deciso di non accettare la proposta di Lynda, qualunque
fosse stata.
Completamente presa dal turbinio dei suoi pensieri non si era accorta
che Lynda le si era avvicinata posandole una mano sulla spalla.
Alzò il viso e lo riabbassò provando vergogna.
- Io e Max non stiamo insieme.-
Dichiarò soltanto - Non siamo più fidanzati.-
Lynda
si sedette al suo fianco, con il sorriso di chi ormai aveva imparato
tutto dalla vita, e si lisciò il vestito.
- Non è di te e Max che
voglio parlare. Voglio parlare soltanto di te.-
- Di me?- Fece rassegnata la ragazza,
scuotendo la testa - Non c'è molto da dire su di me, mi
creda!-
- E invece si. I tuoi disegni dicono
moltissimo di te.-
Faith
esibì un sorriso triste.
- Quelle sono solo delle idee vaghe,
non contano nulla.-
- A me piacciono! Esclamò
Lynda - Faith Harrington! Non vorrai contraddire una delle stiliste
più affermate e conosciute degli ultimi vent'anni?-
La
ragazza la guardò rammaricata.
- No, assolutamente no! Ma...-
- Senti, Faith.- La interruppe Lynda -
Tua zia ha visto in te del potenziale, e l'ho visto anch'io. Nonostante
io non l'abbia mai conosciuta, dev'essere stata una donna davvero
eccezionale.-
Faith
sentì gli occhi inumidirsi, e il ricordo della zia le punse
il cuore.
- Sì, era eccezionale.-
Convenne sorridendo.
- Certo che lo era!-
Replicò Lynda afferrandole una mano - Guardati allo
specchio, Faith. Sei diventata ciò che sei perchè
lei ha voluto crescerti così. Non disprezzare il suo lavoro,
anzi, rendilo sempre all'altezza delle sue aspettative.-
La
ragazza si chiese come Lynda potesse aver capito così tante
cose di lei in così poco tempo passato insieme. Era chiaro
che Max le aveva parlato in più di un'occasione, esaltando
le sue qualità e i suoi pregi.
Perchè lui era in grado di
vedere sempre il buono in ogni persona, di estrapolarlo e di imparare a
conoscersi grazie al confronto con gli altri.
- Mi dispiace, signora Shields, di
aver rovinato tutto. Lei è molto gentile.-
Mormorò asciugandosi una lacrima con la mano.
- Non hai rovinato proprio niente.
Adesso ti va di tornare al tavolo? Devi ancora sentire la mia proposta!-
La
ragazza annuì con un sorriso.
- E per l'amor del cielo, Faith, non
darmi più del lei, perchè sono già
abbastanza vecchia!- Scherzò Lynda suscitandole
una risata.
J.S. Bach “Jesus
Bleibet Meine Freude”
http://www.youtube.com/watch?v=8feElWz5YJk
Mentre
attraversavano il salone, la ragazza scorse Max nella penombra tra un
caminetto e una delle altissime finestre che davano sul giardino, e
avvertì Lynda che l'avrebbe raggiunta al tavolo di
lì a poco. La donna comprese al volo la situazione, e le
ammiccò sorridendo.
Nel
frattempo i suoni dei violini e del pianoforte iniziarono a riempire
l'aria con le note di “Jesus
Bleibet Meine Freude”, una suggestiva
composizione di Bach, e l'atmosfera nella sala si fece più
rilassata e romantica.
- Ehi.- Lo richiamò Faith
accarezzandogli un braccio.
Max
sollevò un angolo della bocca.
- Mi aspettavo che venissi.-
- Posso andarmene, se vuoi.-
- No, rimani. Mi fa piacere.- La
invitò a restare.
Faith si perse
nuovamente nei suoi profondi occhi verdi e s'intenerì.
Udì lo scoppiettare del fuoco nel caminetto, e
avvertì il calore profumare delicatamente di pino e di
limone.
- Mi dispiace di non aver capito e di
averti accusato inutilmente poco fa.- Si
scusò la ragazza tormentandosi le dita delle mani.
Max inspirò a fondo,
scuotendo la testa.
- Ed io non avevo il diritto di alzare
la voce con te e di essere volgare. Non è nel mio essere.
Sono costernato. -
Faith
abbassò il capo, e la sua frangia oscillò
leggermente.
- Allora,- Allungò una mano
- pace fatta?-
Max
annuì, e gliela strinse, avvertendone il dolce tepore.
- Pace fatta.-
Lei
sorrise, e insieme guardarono il giardino coperto di neve riflettere la
luce lattiginosa e leggermente azzurrina della luna.
- È tutto stupendo stasera,
non trovi? C'è un non so che di magico in questi luoghi.
Dev'essere il Natale, la musica, o le candele.-
Commentò Faith
stringendosi nelle spalle.
- Mi piace il Natale.- Disse Max - Lo
preferisco al 31 dicembre, perchè mi fa pensare ai natali
passati, mentre l'ultimo giorno dell'anno mi dà
l'impressione che ogni capitolo della vita venga definitivamente
chiuso, bello o brutto che sia. E il 1 gennaio occorre ricominciare
tutto da capo. Ancora qualche ora e purtroppo anche il 1998
sarà finito.-
- Per fortuna!- Esclamò lei.
Max le
rivolse uno sguardo di disappunto.
- È stato tutto
così terribile?- Chiese, e la ragazza colse una nota di
dispiacere nella sua domanda.
- No, non tutto. Ci sono alcune cose,
però, che vorrei tanto dimenticare. E non credo che
basterà gettare via un calendario per poterlo fare. Anzi,
credo che non mi basterà una vita.-
Max
scosse il capo.
- Io penso che non tutto il male sia
venuto per nuocere. Dai dolori che abbiamo passato non dobbiamo far
altro che rialzarci più forti e sicuri di prima.-
- A volte è facile, altre
meno.- Considerò Faith ripensando agli eventi dell'anno che
stava per concludersi.
- Nessuno dice che sia facile o meno e
che occorra per forza cancellare ciò che è
stato.- Osservò Max.
Lei era dubbiosa,
ma rimase ad ascoltare il suo pensiero, senza intervenire.
- Guarda dove sei ora, per esempio.-
Proseguì lui - Lynda ti sta aprendo le porte del mondo che
hai sempre sognato. Sono sicuro che ogni evento sia servito a portarti
qui, adesso. È il tuo momento, Faith.- La
incoraggiò Max addolcendo il
tono della voce - Credo sia questo l'importante. Vai avanti,
non fermarti, cogli tutte le occasioni che ti vengono offerte e scopri
te stessa. Potresti comprendere cose che altrimenti non capiresti mai
se ti lasciassi scappare le opportunità.-
Faith
socchiuse gli occhi e piegò la testa di lato regalandogli un
sorriso affettuoso.
- È molto bello quello che
stai dicendo, Max. Come fai a pensare sempre alla cosa giusta al
momento giusto?-
Lui fece una
piccola risata.
- Non lo so. Ma qualche volta ne sparo
di grosse pure io!-
Faith
scoppiò a ridere, e gli fece una carezza. Al suo tocco Max
provò un brivido lungo la schiena, che lo avvolse come una
breve scossa.
- Scusa.- Mormorò lei
ritraendo la mano - Non avrei dovuto.-
Lui
uscì dal torpore momentaneo e guardò in basso.
- È facile fare le cose e
poi scusarsi di averle fatte.-
- Forse dovrei aggiungerlo nella lista
dei buoni propositi per il 1999: pensare
prima di agire!- Esclamò lei divertita.
- Ne hai già stilata una?-
Chiese lui incuriosendosi.
- Può darsi.- Rispose lei
mantenendosi sul vago.
- Beh, avresti fatto bene a farla. Ci
sarebbero molte di cose da scrivere, e ormai mancano pochi giorni. Se
vuoi ti do una mano io.- La prese in giro lui.
Faith
sorrise e tornò ad ammirare il giardino bianco avvolto in
quella notte magica. Rimase in silenzio con gli occhi lucidi, godendosi
gli attimi di pace. Una sensazione che provava soltanto vicino a Max, e
a nessun altro.
E
proprio lì, al suo fianco, si rese conto con stupore che i
mostri della sua anima non urlavano più.
La
proposta di Lynda riguardava l'apertura a Los Angeles di un atelier per
abiti da cerimonia, e Faith ne avrebbe gestito l'organizzazione con la
messa a punto di ogni singolo vestito, dalla selezione dei tessuti
ritenuti più ricercati e pregiati, fino alla finitura di
ogni singola collezione e alla sua distribuzione internazionale. Si
trattava di un affare che già prevedeva elevati profitti
grazie alla pubblicità a livello mondiale del marchio
personale della stilista. Il Los
Angeles Atelier Shields avrebbe aperto i battenti
all'inizio dell'estate 1999, non appena sarebbe stata formata la
squadra di ben venticinque persone, tra fashion designers,
sarti e organizzatori degli eventi.
- Non so davvero cosa dire, Lynda.
Sono onorata che tu abbia deciso di prendermi in così seria
considerazione. E ti sono grata di avermi concesso un po' di tempo per
riflettere sulla tua proposta.-
La
ringraziò Faith al termine della cena, quando nel salone non
restavano che poche persone oltre all'orchestra, che si stava
accingendo a terminare l'ultima melodia della serata.
- Fammi sapere, d'accordo? Spero tanto
di averti nella mia squadra, Faith. Ci tengo.- Le assicurò
guardandola negli occhi.
Max
provò un grande moto d'orgoglio per lei, e glielo trasmise
con una lieve carezza sulla schiena e un bacio inaspettato sulla
guancia.
Entrambi si alzarono per salutare Lynda, il marito e gli altri
commensali, poi Faith si diresse verso la pista da ballo, e Max la vide
discorrere con un violinista, mentre tutt'intorno i camerieri stavano
cominciando a sgomberare i tavoli, in un continuo tintinnare dei
bicchieri di cristallo.
Quando
la ragazza tornò, afferrò il ragazzo per una mano.
- Le va di ballare, mister Warren?-
Gli chiese educatamente.
Max rimase
sbigottito. Abbassò lo sguardo sulla sua mano stretta in
quella di Faith e sentì una forza inspiegabile scorrergli
nelle vene. Tutto quello che desiderava stava per prendere vita dopo il
lungo inverno che aveva ghiacciato i campi del suo cuore, e si
riscoprì finalmente vivo. In quel momento avrebbe tanto
voluto specchiarsi per memorizzare la sua immagine e i suoi occhi
trasmettere la felicità che tanto gli era mancata e che
tanto ricercava.
- C'è anche questo nella
tua lista dei buoni propositi?- Le chiese in tono scherzoso celando la
sua contentezza.
Lei
fece segno di no con la testa.
- Siamo ancora nell'anno vecchio.
Questo è ciò che avrei dovuto fare e che non ho
mai fatto.- Spiegò in un fugace sorriso - In fondo non
è mai troppo tardi per rimediare, giusto?-
Il
ragazzo esibì un sorriso dolce, e si lasciò
trascinare sulla pista, mentre l'orchestra eseguiva il brano richiesto
da Faith, “Always
on my mind”.
Lei
posò la testa sulla sua spalla e si lasciò
trasportare lontano sulla scia delle note del pianoforte, immaginando a
come sarebbe stata la sua vita se avesse scelto di stare con Max.
Sapeva che, non appena lo avrebbe salutato, le domande del suo
inconscio sarebbero riaffiorate esigendo una risposta. Ogni cosa pretendeva una risposta.
Probabilmente avrebbe trascorso la notte insonne, a tentare di
spiegarsi i motivi di quella sensazione di benessere. Max era l'unica
persona che la conosceva veramente e che sapeva leggere tra le righe
della sua anima, e il mostrarsi a lui per quella che era la rendeva
vera, senza bisogno di dover per forza dire o fare.
Perciò decise di non pensarci fino al momento in cui sarebbe
stata obbligata a farlo, convincendosi che probabilmente occorreva
lasciare spazio all'improvvisazione e che soltanto quell'attimo le
avrebbe suggerito la cosa giusta da fare.
- Grazie per tutto quello che hai
fatto per me, Max.- Mormorò stringendolo forte a se.
- L'ho fatto con piacere.-
Replicò lui dopo pochi istanti, osservando le luci
dell'albero di Natale brillare nella semioscurità del salone.
Nell'aria aleggiava ancora
il profumo dei biscotti e della cioccolata bianca serviti insieme al
dolce, e il fuoco nei caminetti scoppiettava allegramente.
Lei
alzò il viso e ammirò Max da vicino, trovando
strano osservarlo di persona, dopo tutto il tempo passato a ricordarlo
nella sua memoria. Realizzò che non lo vedeva allo stesso
modo di un anno prima. Ora lo trovava diverso, autentico, ancora di una
bellezza disarmante, ma non di quelle finte e costruite che si vedevano
sulle riviste patinate. Quella bellezza che trasmettono soltanto le
persone che si sono fatte conoscere a fondo, quella che parte da dentro
e che si mostra agli altri attraverso l'intelligenza, la
profondità dei pensieri e la sensibilità.
La
melodia finì, segnando il termine della serata e facendo
svanire ogni riflessione.
Max
accompagnò Faith a recuperare il suo cappotto nel
guardaroba, ed insieme uscirono dall'Astor, respirando l'odore di neve
che avvolgeva la città.
Il
marciapiede era un viavai interminabile di persone anche all'una di
notte, ma si poteva comunque rintracciare un taxi con
facilità.
- Domattina se ti va possiamo fare
colazione insieme, prima di partire.-
Propose Max stringendosi nella giacca,
prima di salutare Faith.
- D'accordo. Ti chiamo.- Gli
assicurò annuendo con la testa, e un sorriso istantaneo si
disegnò sul suo volto.
- A domani, allora. Buonanotte.-
Faith
lo saluto allungandosi per dargli un bacio sulla guancia, ma subito
avvertì un'inaspettata stretta al cuore: era il dispiacere
di veder finire la serata con la consapevolezza che le cose
più importanti che ancora la legavano a lui non erano state
chiarite, come se vagassero nell'aria sopra di loro in attesa di una
svolta. Si bloccò arricciando le labbra, e senza ulteriori
indugi fece ciò che nemmeno lei si aspettava.
- Ehi, Max.- Chiamò ad alta
voce.
Il
ragazzo si voltò e lei gli sorrise.
- Credi che sia ancora aperto quel
locale dove siamo stati un anno fa?-
Max
assunse un'espressione seria.
- In che razza di posto mi vuole
portare, signorina Harrington?- Scherzò.
Lei
ridacchiò di gusto, prendendo quella battuta come un si, e lo
afferrò sottobraccio.
- Da che parte andiamo, mister Warren?-
Max si
incamminò con lei verso il Devil's Kitchen con il cuore
sollevato. Era chiaro che durante la serata era riuscito a trasmetterle
qualcosa. C'era infinito affetto nel modo in cui lo aveva guardato
quando gli aveva chiesto di ballare con lei. Ma non poteva
essere certo si trattasse di qualcosa di più del semplice
bene che si provava per un amico. Tuttavia era contento di come le cose
tra loro si stavano sistemando: dopo tutti quei mesi di silenzio e di
argomenti non affrontati per timore di rovinare una già
delicata situazione, finalmente il rapporto sembrava aver preso una
piega migliore. Ora avvertiva con lei un legame più intimo,e
la ritrovata mescolanza di colori che era stata soppiantata da un
grigiore anonimo e solitario stava lentamente rifiorendo.
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Capitolo 53 *** 53. Notte Infinita - Parte Seconda 54. Le Ragioni Del Cuore + Epilogo ***
53.
N
OTTE INFINITA
Parte
Seconda
All'interno del Devil's Kitchen il tempo
pareva essersi fermato, persino i clienti sembravano addirittura gli
stessi di un anno prima, mentre loro due, entrando, si sentirono
repentinamente più vecchi.
- Una vera e propria passeggiata lungo il viale dei ricordi.-
Commentò Max inarcando un sopracciglio.
- Mi piace.- Replicò Faith con convinzione.
Il ragazzo la osservò
sollevando un angolo della bocca.
- Si. Anche a me.-
Aguzzando la vista alla ricerca di un
tavolino libero, Max apprezzò nuovamente lo stile
retrò del locale. Ogni oggetto costruito interamente in
legno era stato lucidato e rispecchiava le luci gialle e rosse dei
faretti sospesi sopra di loro, a riprodurre i nostalgici tramonti del
vecchio West. Sul palco vicino al bancone alcune ballerine si stavano
esibendo in un raffinato numero di burlesque, rievocando il fascino
degli anni Trenta, una mescolanza azzeccata con l'atmosfera del posto.
Il ragazzo scovò un tavolo
poco lontano dal juke-box, momentaneamente spento per consentire al
pubblico di assaporare la potente voce della cantante biondo platino
eseguire un brano di Etta James.
- È davvero brava!- Esclamò Faith togliendosi il
cappotto e accomodandosi sulla sedia che Max le aveva scostato.
- Devo dire che hai avuto una bella idea a portarmi qui.-
Constatò lui sedendosi a sua volta.
- Beh, non volevo che la serata finisse.- Confessò
candidamente Faith.
La sincerità con cui
pronunciò quelle parole lo disarmò. La
guardò negli occhi ed ebbe l'impressione che avesse qualcosa
di importante e urgente da dirgli. Ma la ragazza tacque, e scosse la
testa perplessa, scoprendo un sorriso preoccupato.
- Che c'è? Ho sbagliato a rivelarti il mio pensiero?-
- No, no!- Ribatté lui prontamente - Sono contento di essere
qui con te stasera.-
Lei annuì, incerta.
- Bene.- Concluse non troppo convinta, allungando le braccia sul tavolo
e incrociando le dita delle mani, mentre tornava a prestare attenzione
allo spettacolo per allontanare il lieve imbarazzo che era calato tra
lei e Max.
Una cameriera dalle gambe lunghissime e
i capelli vaporosi saltellò davanti al loro tavolo.
- Ciao, ragazzi! Cosa vi porto?- Domandò con il marcato
accento del nord.
- Per me una Diet Coke, per favore.- Rispose Faith, e Max le rivolse
uno sguardo confuso.
- Per stasera credo di aver bevuto abbastanza.- Si giustifico lei.
Il ragazzo sorrise, poi
ordinò un Jack Daniels.
- Perfetto! Tra poco sarò da voi!- Ringraziò la
donna infilandosi la matita nella folta chioma di capelli a mo' di
fermaglio, e il taccuino nella tasca del grembiule orlato di pizzo
bianco.
Nel frattempo la bionda sul palco si
agitava tra enormi piume rosa e collane di perle, nel fragore di urla e
applausi dei clienti appostati nei primissimi posti sotto il palco.
Anche Faith applaudì, poi, a spettacolo
finito, prese a chiacchierare con vivacità della cena
all'Astor, raccontando a Max le sue impressioni e il discorso che le
aveva fatto Lynda, di come andava il suo lavoro a Los Angeles e della
visita di Addison alla sfilata della sera prima, mentre lui si limitava
ad ascoltare, sorridendo e annuendo di tanto in tanto,
godendosi la sua compagnia.
- Immaginavo che sotto ci fosse il tuo zampino!- Ammise la ragazza.
- Mia madre era così impaziente di farti le sue scuse,
così ho approfittato della tua sfilata per farvi
incontrare.- Confessò Max stringendosi nelle spalle.
- E mi ha fatto davvero tanto piacere rivederla.- Replicò
sincera lei, piegando la testa di lato, e i suoi occhi lampeggiarono.
Poi lo scambio di battute cedette il
posto ad una lunga pausa, e la domanda che più ossessionava
Max uscì fuori.
- Come va con Jason?- Chiese di punto in bianco.
Faith spostò lo sguardo
stupito dal viso della cantante sul palco a quello di Max, sbattendo le
palpebre come per schiarirsi la vista, e socchiudendo le labbra.
- Non aspettavi di chiedermi altro da tutta la sera?-
Ribatté quasi per temporeggiare. Eppure sapeva che
l'argomento sarebbe venuto allo scoperto. Era o non
era andata in quel locale apposta per parlarne? Ma ora che il momento
sembrava arrivato, desiderava rimandarlo ancora, e un inspiegabile
fastidio le fece uscire di bocca soltanto quelle parole.
- Beh, se io non avessi accettato il tuo invito a venire qui, non avrei
chiesto niente.- Affermò laconico Max arrossendo
leggermente. La studiò ancora per qualche istante,
augurandosi di non aver rovinato ogni cosa, poi decise di proseguire
con il discorso con dolcezza, nel tentativo di salvare la situazione.
- Te l'ho chiesto perchè è da quando siamo
entrati qui che ho la sensazione che tu debba dirmi qualcosa.-
Faith tentennò un poco e fece
vagare lo sguardo cercando il modo di parlargli senza ferirlo. Fu
salvata in corner dalla cameriera, che ritornò con le
bevande, e i due ragazzi la ringraziarono.
Notando che Max continuava a fissarla in
attesa di una risposta, Faith prese un lungo respiro e vuotò
il sacco.
- Jason mi ha chiesto di sposarlo.- Lo informò tentennando
un poco, passandosi un dito sul sopracciglio.
Max si irrigidì con il
bicchiere a mezz'aria per alcuni secondi, poi, per non farsi vedere
scioccato ai suoi occhi, bevve un po' di liquore, senza tuttavia
gustarne il sapore.
Ma Faith non se ne accorse. Continuava a
guardare il palco con gli occhi lucidi e la mente altrove.
- Guardami, Faith, per favore.- La pregò Max.
La ragazza voltò il viso
verso di lui.
- Hai accettato la sua proposta?-
Lei asserì con un lieve cenno
della testa, e Max si sentì stringere lo stomaco in una
dolorosa fitta.
- Ma... lo ami?- Sapeva bene che era una domanda azzardata e
irrispettosa, tuttavia sentì che era giusto porgliela.
Faith si trovò impreparata a
rispondere, ma allo stesso tempo realizzò che era inutile
portare ancora avanti quell'indecisione. Le porte che la separavano dai
suoi mostri interiori erano state abbattute da quelle poche parole
pronunciate da Max, e lei fu catapultata dritta di fronte alla scelta
che la tormentava ormai da mesi.
- Io... vorrei uscire a prendere un po' d'aria.- Si congedò
scostandosi una ciocca di capelli.
Con un terribile peso interiore, Max non
riuscì a comprendere il suo stato d'animo, ma la
lasciò andare ugualmente, e lei si infilò
velocemente il cappotto per poi fiondarsi fuori dal locale, lasciandolo
solo al tavolo.
Il ragazzo sentì il cuore
implodergli in milioni di domande senza risposta, e si
sforzò di allontanare la presunzione di credere che lei
provasse ancora qualcosa per lui. Non avrebbe reagito in quel modo se
fosse stata innamorata di Jason, ma c'era comunque qualcosa che non gli
tornava nel suo comportamento. Aveva
accettato la sua proposta di matrimonio malgrado non lo amasse? E
perchè aveva voluto prolungare la serata con lui portandolo
in quel locale? Non avrebbe potuto dirglielo durante la cena? Si impose
di aspettare ancora qualche minuto, poi uscì lasciando un
paio di banconote sul tavolo.
Non appena ebbe richiuso la porta del
locale alle sue spalle, l'aria gelida della notte lo costrinse a
stringersi nel cappotto e a sistemarsi meglio la sciarpa attorno al
collo. Scese i pochi gradini davanti all'ingresso facendo attenzione a
non scivolare sul ghiaccio, e vide Faith seduta su una panchina non
molto lontana, così la raggiunse e le si sedette vicino
senza dire nulla.
Fu lei ad interrompere il silenzio, con
la voce tremante e lo sguardo smarrito, sicura di ciò che
stava per dire.
- Credimi, Max, sono stanca di chiedermi cosa fare della mia vita e di
fingere che stando vicino a te io non provi più niente,
perchè in realtà non è
così. Ho trascorso l'estate e gli ultimi mesi quasi
aspettandomi che tu tornassi da me, ma quando ti sei ripresentato a Los
Angeles, inaspettatamente ti ho trovato... diverso. Dentro il
mio cuore avevo imparato a convivere con la tua assenza, e il rivederti
ha significato dover riaprire una porta che avevo già chiuso
senza rendermene conto. Tuttavia, mi sono lasciata trasportare dal
ricordo di ciò che siamo stati, e forse è stata
una mossa sbagliata. La verità è che vorrei
poterti dimenticare, ma a volte non ci riesco, ed ho il timore che non
ci riuscirò mai.-
- Non si possono cancellare le persone, Faith, lo sai.-
Mormorò il ragazzo prendendole delicatamente una mano.
Lei alzò gli occhi su di lui
e pianse.
- Posso sforzarmi e accontentarmi di qualcosa di meno, certo, ma non
sarei una persona vera. Qual'è lo scopo di vivere la mia
vita da spettatore e non da protagonista? Non voglio vivere dietro ad
una maschera. E forse Jason non sarà la persona giusta per
me, ma gli voglio bene, e so che lui ci sarà sempre, ogni
volta che avrò bisogno di un sostegno.-
Il ragazzo rimase in silenzio senza
sapere cosa aspettarsi.
- Ci sarà sempre una parte di me che continuerà
ad amarti, ma non riesco a trovare un motivo per cui è
giusto che io torni con te, Max.-
Lui avvertì un groppo in gola
e sentì i suoi occhi divenire umidi.
- Perchè io ti amo, non è sufficiente?-
Lei scosse la testa.
- Credere di amarci non mi basta, adesso...- Ammise in lacrime
accarezzandogli una guancia - È come se tutto
ciò che di buono, spontaneo e genuino tu mi hai lasciato
fosse stato irreparabilmente contaminato dalla tremenda ferita che mi
hai provocato e che mi ha cambiato nei confronti della vita. Anche
volendo non potrei più essere la ragazza che hai conosciuto
un anno fa, per il semplice fatto che io non mi sento più
così.- Asciugò una lacrima che scendeva lungo il
viso di lui - Io vorrei stare con te, ma non è giusto. Non
saremmo più come eravamo. Mi sento lontana anni luce da te, da noi.-
Max la guardò a lungo negli occhi, e lei
provò un brivido: il suo sguardo appariva profondamente
ferito e deluso.
- Ci ho provato, Max, credimi, e ho sperato con tutto il cuore e con
tutta me stessa di riuscire a fingere che tu non te ne fossi mai
andato. Ho trascorso notti intere a piangere e pensare a cosa
è giusto per me. Io ti amo, e so che non amerò
mai nessun altro come amo te. Ma sento che devo andare avanti,
perchè tornare insieme vuol dire fare un passo indietro che
io non posso concedermi.-
Si sentì un mostro vedendo che lo stava
facendo soffrire, ma quella era la pura verità, e malgrado
tutto, si sentì meglio per avergli parlato dei suoi
sentimenti.
Max distolse lo sguardo e
sospirò, smarrito.
- Da quando me ne sono andato da Los Angeles prima dell'estate non ho
fatto che pensare a te. Mi sono sforzato di tenere la mente occupata
con altri pensieri, con il mio lavoro. Ma non appena la giornata
terminava, tu stavi sempre lì, dietro ogni riflessione, ad
aspettarmi, per tormentarmi, farmi sentire in colpa per il mio
comportamento sbagliato. Potevo allontanarti ancora, ma sapevo che tu
non mi avresti lasciato in pace. Mi addormentavo ogni notte con il tuo
viso davanti, e la mattina appena sveglio mi voltavo con il timore di
trovarti al mio fianco, vedendoti dormire come quel mattino nella
casetta sull'albero. Con il passare del tempo ho accettato che tu sei
il centro di tutto, lo sei sempre stata, la base su cui ho costruito la
mia vita e attorno alla quale ruota ogni mio singolo pensiero. Temevo
che il tuo cuore battesse per qualcuno che non ero più io.
Non potevo negarti, fingere che tu non esistessi più, per il
semplice fatto che io ti amavo ancora, nonostante ti avessi lasciato.
Come un bambino ho cominciato a credere che ogni cosa tra noi sarebbe
tornata a posto.- Alzò le spalle, sorridendo amareggiato, e
la guardò in viso con il cuore che gli doleva - Non ha
funzionato.-
Lei piegò la testa di lato,
poi la scosse leggermente, rammaricata.
“Perchè
la vita è dannatamente complicata?”
Si chiese quando lui lasciò la sua mano e si alzò
schiarendosi la voce.
- A questo punto non mi resta che augurarti di trovare ciò
che potrà farti stare bene, Faith.-
Lei si commosse ancora.
- Posso... posso avere un ultimo abbraccio?- Gli chiese timidamente.
Lui restò immobile, e lei
intuì che non se la sentiva. Dentro di se, Max
avvertì crescere una silenziosa rabbia, ma capì
che non aveva più senso provare rancore. Quello che
desiderava era soltanto la sua felicità. Anelava
abbracciarla forte e non lasciarla più, ma l'orgoglio lo
frenava. Alla fine, lei aveva soltanto fatto la sua scelta, e non
avrebbe potuto dire nulla.
- Cosi, finisce qui, dove tutto è cominciato.-
Constatò tristemente lei alzandosi in piedi e guardandosi
intorno.
Max annuì e frugò
in una tasca del cappotto, estraendo una busta bianca.
- Anche se ormai non ha più valore, questa è per
te.- Mormorò porgendogliela.
Lei la osservò perplessa.
- Cosa c'è dentro?-
- La prova che volevi.- Rispose mantenendo un tono di voce fermo per
celare il suo dispiacere, e le lacrime che gli pungevano gli occhi lo
obbligarono a tenere basso lo sguardo.
La ragazza esitò qualche
attimo, poi prese la busta con la mano tremante.
- Ciao, Faith.- La salutò lui con un sorriso triste.
Faith lo osservò voltarsi e
allontanarsi senza aggiungere altro. Le dispiaceva che fosse finita
così, ma la decisione era stata presa, e non voleva
più tornare indietro e soffrire.
Rammaricata, guardò a lungo la
busta, pensando se sarebbe stato un bene aprirla, o se sarebbe stato
meglio gettarla via. La accartocciò in una mano, e si
avvicinò ad un bidone lungo la strada, accingendosi a
buttarla, ma cedette. Decise di aprirla,
e scoprì che conteneva due fotografie molto simili
tra loro. Le studiò e notò che si trattava della
fotografia che lei gli aveva regalato il giorno di capodanno, mentre
l'altra, un po' più ingiallita e sgualcita, era quasi
identica, ma recava una scritta sul retro:
“Max e Faith, Cleveland 1979”
La ragazza scosse la testa confusa, poi
sgranò gli occhi e si portò una mano alla bocca
non appena ebbe collegato ogni fatto riordinando la sequenza degli
eventi. Si lasciò di nuovo andare sulla panchina sentendosi
improvvisamente mancare le forze, mentre il suo cuore aveva iniziato a
picchiare a cento all'ora, in una sensazione mai provata in vita sua.
Tante coincidenze incomprese ora si spiegavano, e gli occhi verdi che
lei sognava da bambina non erano stati solo frutto di un'invenzione.
Erano gli occhi di Max che le avevano lasciato una traccia indelebile
nei suoi ricordi, offuscati dalla polvere del tempo. Le
tornò subito alla mente il discorso di Holly riguardo al
destino e alle anime gemelle, e scoppiò a piangere di
felicità.
- Quella pazza aveva ragione, di nuovo!- Esclamò piena di
entusiasmo e incredulità.
Il fato non aveva fatto altro che agire
per farli incontrare continuamente, e come una bolla d'aria che emerge
sulla superficie dell'acqua, una frase di Claude Gallay si fece largo
tra i suoi pensieri.
- Vi sono esseri il cui
destino è incrociarsi. Dovunque siano, ovunque vadano, un
giorno si incontreranno.- Recitò tra se
fissando il vuoto.
Ripresa dall'attimo di confusione,
chiamò Max ad alta voce alzando lo sguardo, quasi a cercarne
una conferma, ma si ricordò con delusione che lui non c'era
più.
Osservò nuovamente le due
fotografie, tremando come una foglia, mentre il suo cuore continuava a
battere veloce, e nella sua testa si ripetevano le apparentemente folli
teorie di Holly, mescolate alle numerose coincidenze che l'avevano
unita a Max.
Si alzò di scatto, come punta
da uno spillo, e corse a cercarlo, alimentando la speranza di poter
recuperare quello che doveva essere l'unico grande amore della sua
vita, ma non fu un'impresa facile con il vestito che si ritrovava
addosso.
“Non devi
essere andato tanto lontano, Max, a meno che tu non abbia preso un
taxi! Ti verrò a cercare fino in capo al mondo, se
necessario!” Pensò tra se, pregando
Dio di ritrovarlo al più presto e sperando che non fosse
troppo tardi per rimediare al suo sbaglio.
La storia era finita. Difficile da
accettare, impossibile da credere. Con le mani infreddolite infilate
nelle tasche, Max camminava lentamente nella neve tenendo lo sguardo
basso per non farsi scoprire a piangere. Emozioni e sensazioni si
scontravano nel suo cuore riempiendogli le orecchie di parole dette,
che parevano non avere più senso, e il dover per forza
cercare una risposta a tutto iniziava a tormentarlo. Non era possibile
psicanalizzare la scelta di Faith. Forse, pensò, non era
sufficientemente maturo per comprendere i motivi che l'avevano portata
a prendere quella decisione. Cosa poteva spingere una persona a non
realizzarsi e vivere la propria vita in base alle aspettative altrui?
Magari Faith non avrebbe sposato Jason, ma perchè sprecare
l'occasione di avere al proprio fianco la persona che il cuore ritiene
perfetta per se?
Si trovò d'accordo sul punto
in cui la scelta di lasciarla mesi prima aveva inesorabilmente influito
sulla loro storia, e sul modo della ragazza di guardare alla vita. Ma
lui riteneva che entrambi erano maturati, che ciò che li
aveva divisi, li avrebbe uniti, più forti di prima, e che
avrebbero portato la loro relazione ad un livello superiore.
Poi un nuovo, terribile pensiero: il
timore di non saper affrontare il futuro senza l'unico punto di
riferimento che aveva fermato la sua esistenza, dandogli le certezze
che lui aveva sempre inseguito.
Non aveva mai incontrato nessuno come
Faith: lei era l'unica persona con la quale si sentiva se stesso, senza
riserve, colei che lo completava come nessuno aveva mai saputo fare. Ed
ora si sentiva privo di un obiettivo, senza alcuno scopo nella vita.
Avrebbe voluto prendere un aereo e
tornare a Londra, fuggire da New York, la città maledetta
che li aveva uniti e poi divisi, lasciandogli come unica cicatrice il
capitolo più bello e, allo stesso tempo, più
brutto della sua vita.
Nonostante l'orario le vie della
metropoli continuavano ad essere affollate, e il rumore sempre
più forte di una macchina spargisale che stava risalendo la
strada lo distolse dai suoi pensieri, proprio pochi secondi prima di
sentire lo stridio acuto e prolungato dei freni di un'automobile e le
grida di alcune donne dietro di lui, sul marciapiede.
Voltò la testa, incuriosito
dal chiasso, e scoprì con terrore che la ragazza che aveva
appena salutato stava distesa inanimata su un gelido tappeto bianco che
si macchiava lentamente di rosso.
Quello che avvenne in seguito lo
ricordava a tratti. Alcune parti erano state rimosse dalla paura, dal
dolore, dal freddo nelle ossa, dal rumore fastidioso delle urla e delle
auto, divenuti improvvisamente troppo elevati per i suoi timpani.
Circondato dalle persone che iniziavano
ad affollare il posto, Max rimase chino sul corpo inerme di Faith,
chiamandola per nome dieci, cento, mille volte, e urlando invano a
squarciagola, affinché si risvegliasse da quel sonno
innaturale che le impediva di aprire gli occhi e di rispondere.
Si tolse il cappotto e lo
utilizzò per coprirla, avvolgendoglielo attorno con cautela.
L'autista del mezzo che aveva travolto
la ragazza si avvicinò con le mani sul viso contratto per lo
spavento e il dispiacere.
- Ti ho trovato, finalmente.- Mormorò la ragazza respirando
con fatica, gli occhi socchiusi.
Lui ringraziò il cielo.
- Ti amo, Max. Non ho mai smesso di farlo, e perdonami se non ho saputo
riconoscerlo. Spero che non sia troppo tardi per dirtelo.-
- Non è mai tardi per dire a qualcuno che lo ami.- La
rassicurò con un sorriso accarezzandole la fronte - Ti amo
anch'io, tanto.-
Passandole una mano tra i capelli,
sentì il sangue riscaldargli le dita, e capì che
una profonda ferita dietro un orecchio stava rendendo pericolosa la
situazione. Di scatto fece per prendere
il cellulare dalla tasca e chiamare i soccorsi, ma lei lo
guardò come se stesse per salutarlo una seconda volta,
quella sera.
- Vorrei che mi baciassi, Max, per favore.- Lo pregò
sottovoce, ansimando.
I suoi occhi, aperti a stento, lo preoccuparono, e
piangendo Max posò delicatamente le labbra sulle sue,
completamente stordito.
Non appena si rese conto che Faith aveva
smesso di rispondere al suo bacio, rialzò il viso e rimase
in silenzio, osservandola incredulo con il respiro affannato.
L'abbracciò forte posando la
testa sul suo petto, e la giacca di lana si tinse di rosso scuro,
facendogli avvertire un fugace tepore.
Si guardò intorno, mentre in
lontananza si udiva il suono ovattato delle sirene delle auto della
polizia. Di lì a poco sopraggiunse anche un'ambulanza, e gli
uomini in divisa si misero prontamente in azione per tenere lontano i
curiosi e bloccare il passaggio alle altre vetture.
Gli infermieri si chinarono sollevando
con prudenza il corpo di Faith per poi posarlo sulla barella, e fu
allora che Max notò alcuni fogli tra la neve, a pochi passi
da lui. Obbligandosi a riprendere il controllo sul suo corpo, si mosse
lentamente, li colse e realizzò che si trattava delle
fotografie sgualcite che avevano segnato l'inizio e la fine di tutto.
Allora pianse, stringendole forte al
cuore.
54.
L
E RAGIONI DEL CUORE
L'essere rimasta sola davanti all'altare
le aveva lasciato dentro una grande amarezza e una pesante solitudine.
Ma fu uno stato d'animo che non durò a lungo: la sensazione
di libertà e di accettazione del suo unico grande amore
allontanò da lei ogni negatività. Le dispiaceva
per ciò che era appena accaduto con Jason, certo, ma era
finalmente riuscita a capire qual'era la strada giusta da intraprendere
per vivere davvero. Si rese conto che la sua vita pretendeva di essere
goduta come meritava, che era giunto il momento di smettere di
rimandare una decisione che aveva già una soluzione che lei
stessa aveva paradossalmente portato sempre nel suo cuore, ma che si
era ostinata a non voler comprendere. Negare che Max era il suo destino
le aveva soltanto fatto perdere tempo. Ora voleva riprendersi
ciò che aveva perso.
L'auto-convincimento era stato un lavoro
per cui aveva dedicato forze che avrebbe potuto investire in altri modi.
Scomparvero tutte le persone presenti
alla cerimonia, scomparvero i fiori, la chiesa. Ma lei non avvertiva
alcun timore.
La sete di risposte era stata placata,
la voglia di riemergere era soffocante e rassicurante al tempo stesso.
La eccitava, la coinvolgeva, le donava il coraggio di ammettere a se
stessa di aver sbagliato.
Era Max l'uomo della sua vita, ed ora
che lo aveva compreso e accettato, desiderava soltanto abbracciarlo per
non lasciarlo più andare via. Dirgli che lo amava come non
aveva mai amato nessun altro, e ripeterglielo infinite volte. Lui era
la sua salvezza, il suo mondo, il suo cielo, l'inizio e la fine di ogni
sua giornata.
Doveva correre da lui, guardarlo negli
occhi e lasciare che le loro anime si fondessero in una sola, imparare
che le ragioni del cuore non esistono, per il semplice fatto che
l'amore vero non è mai costruito sui perchè.
Una fortissima luce bianca la avvolse
attirandola inesorabilmente a se, e lei camminava, raggiungendo
lentamente l'apice di quella fonte chiara, sospinta da una forza
invisibile. Il momento della rinascita si stava avvicinando, il tempo
di cominciare il nuovo anno accanto alla persona più
importante della sua intera esistenza stava arrivando.
Man mano che avanzava, il buio che si
lasciava alle spalle si allontanava trascinando via i dolori, le
insicurezze e i rimpianti degli ultimi mesi, come fumo nero che
svanisce nell'aria senza lasciare tracce.
Si accorse con stupore di
essere scalza e di non avvertire alcun contatto con la superficie.
Guardò indietro per l'ultima
volta, e si lasciò andare.
E
PILOGO
Dedicato
a Monica
Spiaggia
di St. Alexander, 19 aprile 2008
Peter
Gabriel "The Book Of Love"
http://www.youtube.com/watch?v=k3rHErrrZ20
Lo stretto sentiero che portava alla
Spiaggia dei Desideri era rimasto lo stesso di dieci anni prima, e il
profumo delle rose selvatiche che punteggiavano delicatamente di giallo
e arancio i cespugli lungo la scogliera si univa al canto dei grilli
nascosti nell'erba, a creare un'atmosfera carica di una dolce
malinconia. L'aria era straordinariamente
calda per la stagione, e Max ispirò a fondo quella fragranza
agrodolce e salmastra che la impregnava e lo riportava con la mente ai
ricordi di una vita che non era più la sua da molto tempo,
ma che non per questo rinnegava.
Anzi, la custodiva dentro di se come il
periodo più bello, quello che lo aveva aiutato a capire se
stesso, ad accettarsi per quello che era, e ad apprezzare le sue
qualità come i segni distintivi e più importanti
in una persona.
Dopo quella tragica notte a New York,
aveva deciso di dare una svolta radicale alla sua vita. La perdita di
Faith gli era servita come monito per apprezzare la vicinanza delle
persone che lo amavano, e capire che tutto il tempo trascorso lontano
da loro gli aveva fatto perdere di vista gli affetti e i valori
fondamentali per l'esistenza di ogni essere umano.
Una nuova ragazza era riuscita ad entrare
nel suo cuore, dandogli un figlio, Alex, dopo pochi mesi di matrimonio.
Insieme avevano deciso di trasferirsi a Santa Monica, in una graziosa
casetta vicino all'oceano, con il giardino e un dondolo sotto il
portico, e Max, insieme al cugino e ad Addison, aveva aperto un piccolo
ristorante sulla spiaggia, che nei week end era sempre al completo.
Ma, nonostante questo, non aveva mai
dimenticato il suo amore per Faith, né lo aveva ricercato in
altre persone, poiché sapeva benissimo che l'anima gemella
era una soltanto, e nessun altra ragazza avrebbe mai potuto
sostituirla. I momenti trascorsi con lei erano stati irripetibili nella
loro bellezza, e proprio l'unicità li aveva resi stupendi e
preziosi.
Non si era dimenticato dell'appuntamento
che lui e Faith avevano fissato per il 19 aprile del 2008. Aveva atteso
da tanto l'arrivo di quel giorno, ma, quando arrivò, il suo
cuore lo percepì come la fine di un racconto rimasto in
sospeso per troppo tempo, forse per merito dei tanti ricordi che
avevano affollato la sua testa da mesi e che erano riemersi con maggior
prepotenza dal momento in cui aveva fermato la macchina sul lato della
Pacific Coasthighway.
- Ci siamo quasi, Alex! Coraggio! Guarda che meraviglia!- Disse al
bambino che stava pochi passi dietro di lui.
Max aveva insistito per portarlo fino
alla spiaggia sulla schiena, ma Alex era tutto intenzionato a muoversi
per conto suo, fermandosi di tanto in tanto per esplorare l'ambiente
circostante.
- Ci sono, papà.- Rispose il bambino, incespicando nei
piccoli ciottoli lungo il sentiero.
Un cartello di legno consumato dalla
sabbia faceva capolino da dietro il tronco di un arbusto, indicando il
punto di arrivo, e poco dopo, quando il ragazzo alzò lo
sguardo, i suoi occhi si assottigliarono e diventarono lucidi di
commozione: non ci sarebbe stata fotografia al mondo che avrebbe saputo
rendere giustizia a quello spettacolo.
L'oceano gli si mostrò
esattamente come la prima volta che lo aveva visto. Con le sue mille
tonalità di verde e di blu, la superficie del Pacifico
risplendeva in una distesa di minuscoli diamanti, e il cielo, infinito
nella sua profondità, sprigionava una striscia arancio e
rossa, che annunciava l'avvicinarsi del crepuscolo.
Sullo sfondo, i tre scogli della
costellazione dell'Ariete si ergevano maestosi, coperti di una folta
vegetazione, e Alex li indicò, chiedendo al padre il motivo
di quella particolare disposizione.
Max lo prese per mano incamminandosi
verso alcune rocce che lui conosceva bene, e raccontandogli la stessa
storia dei desideri che gli aveva narrato Faith.
- E tu non hai mai scritto un desiderio lassù?- Gli
domandò candidamente Alex.
- No, ma li ho scritti qui dentro.- Rispose Max estraendo una bottiglia
da una cavità parzialmente celata dalla rena e da alcuni
rami secchi.
Non appena la toccò, una
tempesta di emozioni lo travolse, facendosi largo nel suo cuore, e gli
venne voglia di piangere. Non per dolore, bensì per la
nostalgia di una persona che gli aveva restituito la vita salvandolo da
un passato doloroso dal quale non era mai stato realmente in grado di
liberarsi.
Stappò con cautela la
bottiglia ed estrasse due pezzi di carta arrotolati, sotto lo sguardo
attento e silenzioso del figlio. I desideri di due persone ora erano
racchiusi tra le sue mani, e lui li custodì come un tesoro
per alcuni minuti immaginando di averli scritti soltanto il giorno
prima.
Improvvisamente sentì che non sarebbe stato corretto leggere
i pensieri di qualcun altro, violare la sua intimità. Ma si
ricordò di averlo promesso, e lentamente srotolò
i biglietti.
Tirò un sospiro di sollievo:
il primo era il suo.
“Avere la
fortuna di amare davvero almeno una volta nella vita.”
Non aveva alcun dubbio di esserci
riuscito.
Mise da parte il foglietto e
guardò a lungo il secondo, sul palmo della mano.
Alzò lo sguardo sul figlio, e
nei suoi occhi verdi trovò il coraggio di aprirlo, e
scoprire un altro pezzo di se. L'ultimo.
La calligrafia era quella di Faith, e come poteva
non esserlo? “Povero
stupido!”, si disse mentalmente.
Ripensò a lei nel momento esatto in cui lo aveva scritto
quel giorno di primavera, e fece scorrere le dita sulla carta, quasi
aspettandosi che l'inchiostro gliele macchiasse, come simbolo di
qualcosa che era rimasto ancora vivo dopo tanto tempo.
“Cambiare la
vita di qualcuno con il mio amore forse è una richiesta
assurda, ma voglio provarci. Per te, Max, l'unica persona al mondo che
ammiro e apprezzo per quella che è: un ragazzo alla continua
ricerca di se stesso negli altri. Perciò desidero solamente
che tu sia felice per il resto della vita. Io ho te, e non posso
chiedere altro.”
Max chiuse gli occhi, e rivide lo sguardo
dolce e sereno di Faith riaffiorare dietro le palpebre.
“Anche il tuo
desiderio si è avverato.”
Pensò guardandola negli occhi.
E lei gli sorrise.
R
INGRAZIAMENTI
Nato con
l'intenzione di ricordare mio padre, questo romanzo ha accompagnato,
durante la sua stesura, diversi anni della mia vita, in cui tante e
diverse cose mi sono accadute.
Eventi
tristi, divertenti, teneri. A seconda del momento vissuto, ho voluto
annotare con precisione quasi maniacale i pensieri che ho ascoltato e i
sentimenti che ho provato, con lo scopo di non farli mai risultare
banali, falsi o scontati, ma il più possibile vicini alla
realtà.
Ho
conosciuto persone che, con le loro idee, le loro speranze e i loro
principi mi hanno aiutato a descrivere al meglio le emozioni e le
sensazioni dei personaggi che ho raccontato.
Confesso
che parecchie volte mi sono trovato in difficoltà a
proseguire nella stesura, ma proprio grazie a queste persone sono stato
in grado di perfezionarla, migliorarla e, soprattutto, ultimarla.
Io
stesso, nonostante ne sia il “creatore”, ho
imparato tanto da questo romanzo, sono cresciuto un po' insieme a lui,
e posso tranquillamente affermare che “Le Ragioni del Cuore”
appartiene anche a tutti coloro che mi sono stati - e mi sono tuttora -
vicini.
Il
romanzo termina proprio nel momento in cui ne inizia per me uno nuovo:
la vita reale.
Max
rappresenta ciò che ero, che sono e che vorrei diventare.
Faith
è l'anima gemella, cioè la persona che tutti
cercano, non tanto per le sue qualità o i suoi difetti, ma
per la figura che completa ciascuno di noi, come noi stessi meglio
crediamo. La persona che pochi riescono a trovare, come dice Holly in
uno degli ultimi capitoli, o che addirittura pochi riescono a
riconoscere.
Chiamatemi
sognatore o visionario, ma sono convinto che da qualche parte nel mondo
ci sia una sorta di incastro perfetto tra due persone predestinate a
stare insieme.
Ed
ora passiamo ai veri ringraziamenti!
Alla
mia fantastica correttrice
di bozze: grazie per i tuoi consigli, per le tue lavate di
capo, per le notti trascorse a chiacchierare sempre delle stesse cose,
e per la spalla che mi hai offerto in uno dei momenti più
delicati della mia vita.
Ringrazio
un'amica lontana
- geograficamente parlando, ma sempre vicina nel mio cuore - per
l'affetto e la comprensione donatami. Grazie a te sono riuscito a
cambiare.
Grazie
alla mamma
per avermi fatto diventare quello che sono. Ti voglio bene!
Grazie a chi mi ha fatto male,
perchè se non l'avesse fatto, non avrei capito un tubo di me
stesso.
Grazie
alle persone che sanno
farmi emozionare anche solo per un istante.
Grazie
a tutti i miei recensori:
mi avete scritto parole bellissime, che spesso mi hanno fatto
riflettere.
Grazie
a chi non è più qui con me, che ho amato e che
non potrò - né vorrò - mai dimenticare.
Un
abbraccio,
M
arco
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