Le Ragioni Del Cuore

di Will Turner
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo + 1. Un Piacevole... Scontro ***
Capitolo 2: *** 2. Tra Sorprese Inaspettate E Pessime Figure ***
Capitolo 3: *** 3. Faith ***
Capitolo 4: *** 4. Come Una Cosa Sola ***
Capitolo 5: *** 5. Per Sempre ***
Capitolo 6: *** 6. Festa Di Capodanno ***
Capitolo 7: *** 7. Un Doloroso Ricordo ***
Capitolo 8: *** 8. Fiducia ***
Capitolo 9: *** 9. Neve Su Los Angeles ***
Capitolo 10: *** 10. Promessa ***
Capitolo 11: *** 11. Un'Amara Scoperta ***
Capitolo 12: *** 12. La Spiaggia Dei Desideri ***
Capitolo 13: *** 13. L'Ora Della Verità ***
Capitolo 14: *** 14. Una Vera Occasione ***
Capitolo 15: *** 15. Scelte Difficili ***
Capitolo 16: *** 16. Rivelazioni ***
Capitolo 17: *** 17. Sogno O Realtà ***
Capitolo 18: *** 18. Sensi Di Colpa ***
Capitolo 19: *** 19. Segreti E Bugie ***
Capitolo 20: *** 20. Una Vecchia Conoscenza ***
Capitolo 21: *** 21. L'Ultima Sera ***
Capitolo 22: *** 22. Aria Di Tempesta ***
Capitolo 23: *** 23. Addio Max ***
Capitolo 24: *** 24. La Fine Di Un Giorno Da Non Rivivere ***
Capitolo 25: *** 25. Dimenticare (Parte Prima) ***
Capitolo 26: *** 26. Dimenticare (Parte Seconda) ***
Capitolo 27: *** 27. L'Invito ***
Capitolo 28: *** 28. Andare Avanti ***
Capitolo 29: *** 29. Ricordi E Parole Sull'Oceano ***
Capitolo 30: *** 30. Il Messaggio ***
Capitolo 31: *** 31. Perdonare E Dimenticare ***
Capitolo 32: *** 32. Fantasmi ***
Capitolo 33: *** 33. Ritrovarsi ***
Capitolo 34: *** 34. La Decisione Di Zia Becky ***
Capitolo 35: *** 35. Pensare Con Il Cuore ***
Capitolo 36: *** 36. Un Giorno Migliore ***
Capitolo 37: *** 37. A New Day Has Come ***
Capitolo 38: *** 38. Un Regalo Speciale ***
Capitolo 39: *** 39. La Cosa più Bella ***
Capitolo 40: *** 40. Nuove Svolte ***
Capitolo 41: *** 41. Il Bacio ***
Capitolo 42: *** 42. Fotografie Di Momenti ***
Capitolo 43: *** 43. Come Una Foglia D'Autunno ***
Capitolo 44: *** 44. Memorie ***
Capitolo 45: *** 45. Tempo Di Scegliere - Parte Prima ***
Capitolo 46: *** 46. Tempo Di Scegliere - Parte Seconda ***
Capitolo 47: *** 47. Tempo Di Scegliere - Parte Terza ***
Capitolo 48: *** 48. Crescere ***
Capitolo 49: *** 49. Destino ***
Capitolo 50: *** 50. Miracolo Di Natale ***
Capitolo 51: *** 51. Un Anno Dopo ***
Capitolo 52: *** 52. Notte Infinita - Parte Prima ***
Capitolo 53: *** 53. Notte Infinita - Parte Seconda 54. Le Ragioni Del Cuore + Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo + 1. Un Piacevole... Scontro ***


Le Ragioni Del Cuore BN
P ROLOGO

    Era là, davanti all’altare, accanto all’uomo che stava per diventare suo marito, quando fu presa dall’incertezza. Stava facendo la cosa giusta? La paura di commettere un errore l’assalì improvvisamente.
    Un dubbio comune a tutte le donne che stanno per sposarsi, ma, diversamente dalle altre, che nonostante tutto, sanno per certo nel più profondo del loro cuore che stanno per fare la cosa giusta, Faith si rese conto che era completamente sbagliato.
    La persona al suo fianco non era la stessa che avrebbe voluto sposare tanto tempo prima. Come aveva potuto ingannare il suo cuore fino a quel punto? Cose di quel genere accadevano solo nei film oppure nei libri, pensò d'un tratto. Ma in quel momento c’era in gioco la sua vita e la realtà che la rendeva tale.
    Lui era un bravo ragazzo, certo, e, malgrado i suoi errori, lo aveva perdonato. Gli voleva un gran bene, ma non lo amava più come lo aveva amato un tempo.
    Aveva la certezza che sarebbe riuscita a dire sì senza lasciarsi travolgere dai sensi di colpa che l’attanagliavano da alcuni giorni.
    Il ragazzo al suo fianco la guardava con gli occhi pieni d’amore ma, allo stesso tempo, carichi di una profonda amarezza; le parve che anche lui avesse intuito i suoi pensieri e se ne vergognò.
    Quando il pastore chiese all’uomo se voleva prendere Faith Harrington come sua sposa, lui strinse le mani della ragazza e con i suoi occhi verdi la fissò per qualche istante.
- No. Non posso.-
    Sotto le espressioni sbigottite dei presenti, Faith non replicò, in quanto si riteneva priva di ogni diritto di farlo.
- Io ti amo più della mia stessa vita, Faith, ma non posso sposarti. Non è giusto, mi dispiace.- Si scusò il ragazzo.
    Poi le lasciò dolcemente le mani, attraversò a testa china la navata centrale della chiesa, ornata di nastri di raso bianco e gigli profumati, ed uscì.
    Adesso lei era là, davanti all’altare, sola.
    Ancora una volta nella sua vita.


1. U N PIACEVOLE… SCONTRO

                New York, 18 dicembre 1997
         
    Nonostante quell’anno l’inverno si fosse fatto sentire con qualche giorno d’anticipo, il cielo grigio e nuvoloso del primo pomeriggio che ricopriva la città si ostinava a non lasciar cadere neppure un fiocco di neve.
    La gente era indaffarata ad acquistare i consueti regali di Natale e la frenesia e il disordine erano ormai diventati una caratteristica abituale di New York, che si ripresentava puntuale nel mese di dicembre.
    Le insegne luminose dei grandi magazzini si imponevano sulle strade, mentre palazzi, grattacieli, bar e ristoranti erano stati addobbati abbondantemente. Era praticamente impossibile non lasciarsi coinvolgere dal quel clima di festa al quale tutti erano allegramente abituati.
    Anche nel Rockfeller Center le migliaia di luci colorate che avvolgevano il gigantesco abete suscitavano contemporaneamente gioia e stupore soltanto a guardarle. Un folto gruppo di lavoratori vestiti di arancione si stava impegnando nell'allestimento di un palco proprio ai piedi dell'albero, in vista dell'annuale concerto di Natale tenuto dai cantanti più in voga del momento.
    Ovviamente lungo le numerose Avenues non mancavano interminabili code di automobili e furgoncini, sempre pronti a suonare insistentemente il clacson anche quando non ce n’era assolutamente motivo.
- Dove desidera essere accompagnato, signore?- Chiese il tassista con una certa indifferenza ed in modo automatico.
- Mi porti al Roosevelt Hotel, grazie.- Rispose prontamente Max Warren dai sedili posteriori dell’auto che lo aveva portato dall'aeroporto Kennedy al centro della città.

    Il Roosevelt era un hotel situato nella Midtown Manhattan, dalla quale erano facilmente raggiungibili il Broadway District, Central Park e la celebre 5th Avenue, la Quinta Strada, regno dello shopping a New York.
    Giunti innanzi al maestoso ingresso, Max estrasse una banconota da cinquanta dollari da una tasca del suo cappotto gessato e la porse gentilmente al tassista.
- Li tenga tutti!- Esclamò sorridendo e dandogli una leggera pacca sulla spalla - È Natale anche per lei!-
- Che Dio la benedica, signore! Buon Natale!- Esultò entusiasta il tassista.
    Max afferrò la sua valigia e scese dal taxi. Rimase attonito ammirando la facciata dell’hotel in cui avrebbe alloggiato per qualche giorno per motivi di lavoro.
    Un lungo tappeto rosso conduceva nell’elegante hall, facilmente visibile attraverso le vetrate rallegrate da rametti di pino, vischio e da decine di piccole luci bianche.
    Gli tornarono in mente le feste natalizie della sua infanzia, trascorse a scartare regali e a costruire bizzarri pupazzi di neve nel giardino della sua casa a Lakewood, un piccolo paese dell’Ohio affacciato sul lago Erie.
    A tredici anni, dopo la scuola, Max imparò a lavorare nell’officina meccanica del padre.
In quel periodo gli affari andavano alla grande, finché il padre morì e la madre, entrata in un profondo stato depressivo, si trovò ben presto a dover prendere l’infelice decisione di vendere l’attività del marito per poter garantire a lei e al figlio un futuro economico dignitoso.
    Dopo alcuni anni un amico di famiglia offrì a Max un’occasione irripetibile: un lavoro per una nota società di New Orleans. Il ragazzo accettò l’offerta senza pensarci due volte, deciso a dare una radicale svolta alla sua vita. Gli dispiacque molto lasciare sua madre, ma si convinse che non avrebbe potuto continuare a vivere nel passato.
    Così, terminata l’estate del 1990, partì alla volta della Louisiana.
    Non furono anni facili, ma la sua buona volontà e il costante ricordo del padre e dei suoi consigli gli diedero la forza di non arrendersi mai e di continuare a lottare contro ogni avversità.
    Ed ora, dopo sette anni, era davanti ad uno degli hotel più rinomati della città: il suo capo lo aveva infatti incaricato di concludere un’importante e delicato affare proprio nella Grande Mela.
    Mentre era completamente assorto nei suoi ricordi, il ragazzo venne improvvisamente travolto da una vera montagna di regali vagante.
- Mi scusi! Oh mio Dio! Che sbadata, accidenti! Perdoni la mia distrazione, signore, ma…-
    Il viso della giovane ragazza, che stava correndo lungo il marciapiede con una dozzina di pacchetti di varie dimensioni e colori, diventò di un simpatico rosso porpora per l’imbarazzo causato dalla situazione.
- Non fa niente, si figuri. Stia tranquilla.- La rassicurò Max che, rialzandosi da terra, riuscì a guardare negli occhi la sua distratta attentatrice.
    I loro sguardi si incontrarono ed entrambi avvertirono un brivido improvviso che li pervase, come un'energica scossa elettrica. Nessun pensiero li sfiorò minimamente se non quello dell'inaspettata sensazione di benessere nel trovarsi l’uno di fronte all’altra.
Nel frattempo un’anziana donna dall'aspetto piuttosto trasandato, che camminava a passo spedito tra la gente, si ritrovò intrappolata tra Max e la ragazza.
    Concludendo che nessuno dei due si sarebbe scostato per lasciarla passare,  si portò le mani sui fianchi e, dall’alto del suo metro e cinquanta, fece scorrere uno sguardo curioso dapprima su Max, poi sulla ragazza, poi di nuovo su Max.
- Avete intenzione di restare qui impalati ancora per molto a guardarvi con quelle ridicole facce?- Chiese la donna spazientita.
    Inevitabilmente i due giovani si accorsero della sua presenza e si allontanarono l’uno dall’altra, consentendole di passare.
    Ma un frettoloso passante urtò la ragazza spingendola nuovamente tra le braccia di Max, e la vecchia si ritrovò, suo malgrado, di nuovo in mezzo.
- Questa è la seconda volta nell’arco di tre minuti che mi travolge, signorina. So di essere particolarmente attraente, ma non crede sia giunto il momento di dirmi almeno come si chiama?-
- Avanti!- Intervenne l’anziana, scocciata - Dica il suo nome e facciamola finita con questa assurda sceneggiata!-
- Perché lei non si decide a chiudere quella pantofola e se ne va per la sua strada?- Domandò calma e decisa la ragazza.
    Max la guardò stupito e poi rivolse un sorriso di disappunto alla vecchia.
- Ah sì?- Rispose l'anziana - E dove dovrei andare, bambinetta presuntuosa?-
- Beh - Intervenne Max - Io credo che lei dovrebbe andarsene cortesemente per i fatti suoi, magari a ricamare un’orrenda sciarpa davanti al camino, come dovrebbero fare tutte le arpie come lei… senza offesa.-
    La donna, inorridita da quella risposta, contrasse le labbra e, mentre i due giovani si guardavano negli occhi scoppiando a ridere, ripartì spedita verso la sua meta.
- Farabutti!- Continuava ad urlare, agitando per aria un ombrello e calcandosi in testa il berretto blu dal quale faceva capolino una buffa penna di pavone.
- Bella mossa.- Si complimentò la ragazza.
- Altrettanto, signorina. Ad ogni modo… io sono Max. Max Warren.-
- Il mio nome è Faith.- Rispose porgendogli la mano - Scusa per il disastro che ho combinato poco fa. Io…-
- Non ti preoccupare, davvero. Ti aiuto a raccogliere la tua vagonata di pacchi!-
- Ehi! Non fare lo spiritoso!- Lo minacciò Faith, puntandogli un dito e tentando inutilmente di nascondere un sorriso.
- Altrimenti?- Le chiese Max, fingendosi terrorizzato.
    Faith rimase stregata dallo sguardo profondo del ragazzo che aveva davanti. I suoi occhi, di un verde acqua così intenso, che le sembrava di aver visto soltanto una volta, in un innocente sogno fatto molto tempo prima, irradiavano una sincerità così evidente che non era mai riuscita ad intravedere in altre persone, o, almeno, non in uno sconosciuto.
    Trovò che fosse anche di bell'aspetto, senza dubbio: piuttosto alto, accuratamente abbigliato e con i capelli scuri perfettamente in ordine, sembrava lo sponsor del marchio di un famoso stilista.
- Altrimenti io potrei… potrei…- Balbettò Faith, perdendo l'uso della parola.
- Uccidermi?- Azzardò Max.
- Sì! Cioè… No. Che dici? No di certo. Ma potrei farlo… Anche perché al momento non mi viene in mente nessun’altra minaccia.- Si rassegnò la ragazza. -  Senti Max, io adesso devo proprio andare al lavoro.- Mentì.
- Beh, io alloggerò in questo hotel per qualche giorno, perciò sai dove trovarmi, se ti va di scambiare qualche chiacchiera o di bere qualcosa.- Replicò lui.
- Tanti auguri di buon Natale, Max. Ciao!-
    Dopo aver raccolto l’ultimo regalo, Faith gli diede un bacio sulla guancia e se ne andò frettolosamente, scomparendo inghiottita dalla folla.
“Che stupida!” Pensava mentre correva via.
    Max, con un’espressione attonita, guardò il cielo ed esclamò: - Che stupido!-

    La hall del Roosevelt si presentava come una grande sala dalla forma circolare.
    Dal soffitto eleganti lampadari di cristallo la illuminavano a giorno e davano la sensazione del lusso più sfrenato. Al centro del salone, tra due alte colonne di portoro, un marmo nero con le caratteristiche venature giallo dorate, vi era collocata la reception, mentre tutto il pavimento era coperto da una moquette di probabile provenienza orientale, che dava particolarmente risalto al rosso e al nero.
    Max si avvicinò alla reception, dove fu accolto calorosamente da un uomo massiccio con barba e baffi ben curati e una giacca rossa con i bottoni dorati che, come la classica cravatta verde, recavano l’emblema dell’albergo, la lettera R.
- Benvenuto al Roosevelt Hotel, signore. In cosa posso esserle utile?- Chiese garbatamente.
- Buonasera, signor… Mc Kingley.- Rispose Max, leggendo il nome sulla targhetta che l'uomo portava sull’uniforme. - Ho una stanza prenotata al nome di Warren.-
- Controllo immediatamente la lista delle prenotazioni.-
    Il concierge sfogliò velocemente un’agenda e verificò sul suo computer.
- MAX WARREN, eccolo qui. Se non erro lei soggiornerà in hotel fino a lunedì 22 dicembre.-
    Max annuì.
- Perfetto!- Esclamò l’uomo - Come intende effettuare il pagamento?-
- Carta di credito.-
- Bene. Intanto ecco a lei la chiave della sua stanza. La informo che al mattino la colazione viene servita a partire dalle nove. Se lo desidera la informo che si effettua anche il servizio in camera. La prego di rivolgersi a me per eventuali lamentele o ulteriori necessità. Le auguro un’ottima permanenza.-
- La ringrazio, Mc Kingley.-
    Max prese la chiave e la sua carta di credito e si avviò verso l’ascensore. La 984 era situata in uno degli ultimi piani dell’hotel.
    La corsa dell’ascensore si fermò un paio di volte, che videro comparire due tipi piuttosto bizzarri.
    Il primo era un uomo calvo di mezz’età, che stava litigando con qualcuno al cellulare, probabilmente la moglie, ipotizzò Max. Ciò che rendeva ridicolo quell’uomo non era tanto il fatto che stesse litigando, ma che, sopra la giacca nera, indossava una camicia hawaiana: decisamente un pugno in un occhio se si teneva conto dell’ambiente circostante. Sembrava appena uscito da una di quelle simpatiche festicciole d’ufficio. Erano da poco passate le due del pomeriggio, ma era risaputo che quel genere di feste andavano di moda a qualsiasi ora del giorno.
    Max guardò incuriosito quell’uomo facendo attenzione a non farsi notare, poi accennò un sorriso, ma cercò di trattenersi, nonostante la vista di quel tipo, che sbraitava e agitava velocemente braccia e gambe, fosse davvero una comica originale.
    Arrivati al terzo piano l’ascensore si bloccò di nuovo.
    Entrò una donna sui settant’anni, dai capelli color platino, occhialoni da sole anni Sessanta abbinati ad un abitino vintage dai colori sgargianti, che portava con sé un Chihuahua all’interno della sua piccola borsa firmata. Allora non era molto diffusa la moda del cane nella borsetta: si trattava di un privilegio tipico delle persone facoltose e snob, che alla gente comune suscitava soltanto una risata a fior di labbra.
    Tuttavia Max riuscì a trattenere un sorriso guardando altrove.
    Giunto al nono piano il ragazzo scese dall’ascensore e, con lui, anche la donna con il Chihuahua, che sparì voltando velocemente l'angolo.
- 980… 982… Eccola qua: 984.-
    Entrò nella stanza, si tolse il cappotto e si sdraiò sul letto a due piazze, dove si appisolò, stanco del viaggio in aereo.

    Mentre si allontanava, Faith non faceva che ripensare al suo bellissimo incidente, quando ad un tratto lo squillo del suo cellulare la riportò con i piedi per terra. Eseguì mille acrobazie nel tentativo di rispondere a quel dannato arnese che suonava senza sosta, ma con tutti i regali che teneva tra le mani le veniva impossibile.
    Perciò decise di fermarsi e sistemarli sopra il tettuccio di una macchina in sosta.
- Holly! Siamo in vacanza da meno di quindici ore e tu già non riesci a restare da sola in una camera d’albergo! Che hai combinato stavolta?-
    Holly era la migliore amica, nonché collega di lavoro, che Faith aveva portato in vacanza a New York.
- FAITH!!!- Urlò Holly disperata all’altro capo della linea. - CORRI SUBITO IN ALBERGO! HO COMBINATO UN DISASTRO CON I CAPELLI!!! TELETRASPORTATI QUI IMMEDIATAMENTE!-
    Faith allontanò il cellulare perché Holly continuava a gridare come una povera pazza, facendole fischiare l'orecchio.
    La lasciò disperare ancora per qualche minuto, poi riattaccò e ripartì di gran carriera.
    Arrivata in hotel, la trovò che circolava istericamente per la stanza coperta soltanto da un asciugamano.
    I suoi poveri capelli castani erano devastati da una vistosa chiazza gialla che li rendeva tutti appiccicosi ed opachi.
- Holly! Ma… Ma che hai fatto ai capelli?- Le domandò stupita.
- Volevo farmi completamente bionda, ma Dio solo sa cos’ho combinato con queste maledette tinte fai-da-te!-
- Sembra che tu sia andata a farti bionda sul sole!- Faith stava scoppiando dal ridere.
- Non fare battute sceme, Faith! E adesso cosa faccio, Dio mio! Cosa faccio?- Holly andò in escandescenza.
- Mi avevi detto che avresti dormito un po’ e non che ti saresti tinta i capelli! E poi, con tutte le tonalità di biondo esistenti, proprio quella dovevi provare?-
    Holly sbuffò - Brava! Ridi di me! Divertiti pure!-
    Faith si sentiva male a furia di ridere ed era impossibile fermarla.
- Adesso tu ti metti un cappello qualunque e vieni con me!- Le ordinò.
- Dove hai intenzione di portarmi conciata così, Faith?- Le chiese Holly, timorosa.
- A Times Square. Magari ci sarà qualche rete televisiva nazionale che si occuperà del tuo caso.-
    Holly sgranò gli occhi.
- Andiamo, combina guai!- La tranquillizzò Faith - So io dove portarti.-

    Le due ragazze si erano conosciute alle scuole elementari e quello era il primo anno che riuscivano ad andare in vacanza insieme, dopo tanto che lo desideravano.
    Faith era già stata a New York per qualche mese, svolgendo uno stage previsto dal suo lavoro. Entrambe lavoravano come stiliste in una nota casa di moda di Santa Monica, a pochi passi da Los Angeles e, avendo appena ottenuto una promozione, avevano deciso di festeggiare insieme il Natale a Manhattan.
- A proposito!- Si ricordò Holly - Non ho potuto fare a meno di notare che alcuni regali che hai portato in camera poco fa sono leggermente ammaccati. Cos’hai fatto? Non sarai caduta?-
- No… Me li hanno incartati così.- Rispose Faith, cercando di essere il più convincente possibile.
- Sicura Faith? Io ti credo, ma non c’è bisogno di arrossire come stai facendo adesso.-
- Ma cosa stai dicendo Holly? Io non arrossisco! Dai continua a camminare o arriveremo tardi.-
    Holly si bloccò di colpo e con una mano fermò anche lei.
- FAITH!- Esclamò allarmata - Devi chiamare subito la polizia!-
- Ma perché? Quale polizia?- Domandò sconcertata l’amica.
- È chiaro che sei stata aggredita da un ladro, un assassino!-
    Faith scoppiò in una risata.
- Holly, tu sei pazza, lo sai vero? Stai scatenando inutilmente demoni più grandi di te senza nemmeno rendertene conto!-
- Faith, i regali non s’incartano in quel modo! Forse i Flintstones li incartavano così nell’era preistorica!-
- Ok, Holly, stai calma! Ti spiegherò tutto lì dentro.- La rassicurò Faith, indicandole con un cenno il salone di un parrucchiere.
- Hai ragione, si discute meglio davanti ad un buon hamburger, magari con maionese, funghetti, capperi, salsiccia. E poi ancora…-
- Holly!- La interruppe Faith, alzando gli occhi al cielo - Questo non è un fast-food, ma il rimedio per i tuoi capelli.-
    Holly lesse con più attenzione l’insegna posta sopra all’entrata e rise sonoramente.
- Cosa farei senza di te, Faith?- Cantilenò.
- Di certo non la parrucchiera!- Replicò Faith con ironia.

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Capitolo 2
*** 2. Tra Sorprese Inaspettate E Pessime Figure ***


Le Ragioni Del Cuore BN

R
ISPOSTA ALLE RECENSIONI

 
Innanzitutto intendo ringraziare pubblicamente quanti hanno recensito questo primo capitolo del romanzo che sto tutt'ora scrivendo. Ammetto che senza il vostro aiuto, per me come il carburante che fa funzionare il motore, non so nemmeno se avrei iniziato a pubblicare, perciò... GRAZIEEEEEEEEE! Spero che continuerete a leggere, consigliarmi e sostenermi nei prossimi mesi e nei prossimi capitoli!
In secondo luogo desidero rispondere ad ogni recensione, in quanto credo che possa fare piacere al lettore.
Comincerò con l'ultima recensione pubblicata.

Akane25! Non sai quanto ho atteso una tua recensione. Mi è piaciuta molto e riceverla da te, che sei una scrittrice ormai affermata in questo sito, mi ha dato immenso piacere.
Ahimè, però, questo personaggio da me descritto nel romanzo sembra far colpo su diverse femmine, tra cui tu, Rox. La faida tra te ed un'altra recensitrice, della quale parlerò più sotto, sembra ufficialmente aperta. Sappi che per conquistare Max Warren dovrai fare molto.
Ma attenzione!!
Non è ammesso in questa caccia al maschio sparlare delle concorrenti raccontando bugie o facendole apparire menomate mentali. Ma questo messaggio lo specificherò anche alle concorrenti.
Mi raccomando, Rox, esigo da te rispetto e perseveranza, qualità che credo tu possegga dalla nascita... VERO???
Allora... alla prossima, Amica mia!

Mozzi84!!! La mia Beta! Colei che mi supporta e mi sopporta, severa al punto giusto e puntuale: senza di lei ogni scrittore che si rispetti sarebbe perso. Ci sarebbero pagine da scrivere, ma credo che sarebbe meglio dividere le tante cose da dire lungo il corso della storia.
La tua recensione è impeccabile, questo basta per descriverla e per ringraziarti!
Ti voglio molto bene!

Layla Elric! La nuova scoperta, in quanto conosco le altre recensitrici, che mi fa l'onore di recensire il romanzo... GRAZIE MILLE, confido in altre tue recensioni così! Spero che la storia ti piaccia sempre di più man mano che procederò con la pubblicazione! La mia risposta è breve, ma saprò fare di meglio, vedrai!
A presto!!

Ed infine, per ultima ma non ultima, la mia PRIMA recensitrice ufficiale! Grande Ola per lei!!
Saty!!! Che dire? Fa sempre una certa impressione la prima recensione! Abbiamo avuto modo di parlare in privato e abbiamo stabilito che la sua seconda recensione mi stupirà, molto più della prima, vero??
Ti prego: non piantarmi in asso così! Quando l'ho letta credevo ci fosse dell'altro, ma è tutto ok. Ormai mi hai già detto cosa ne pensi e il tuo giudizio, ovviamente, mi lusinga moltissimo. Il tuo appoggio, la tua costanza, la tua puntualità sono per me una piacevole abitudine!
Tuttavia ti consiglio di leggere, ma già lo avrai fatto, la parte in cui dico di rispettare le regole, nel “capitolo“ Akane25, per una faida che si rispetti!
A te e a lei, quali adepte in corsa per ottenere il signor Warren, vi auguro vivamente BUONA FORTUNA e che vinca la migliore!
A presto, baci!
 
COMUNICO CHE LA PUBBLICAZIONE DEL CAPITOLO “3. FAITH” AVVERRA' SABATO 2 GENNAIO 2010.
COLGO L'OCCASIONE PER AUGURARE BUONE FESTE A TUTTI VOI E UNA BUONA LETTURA!!
A PRESTO,         MARCO

2. T  RA SORPRESE INASPETTATE E PESSIME FIGURE
 

    Erano le quasi  le cinque quando il telefono della camera di Max iniziò a squillare, svegliandolo.
    Con gli occhi ancora chiusi allungò una mano per afferrare l’apparecchio appeso alla parete, dietro ad una di quelle lampade in stile anni Cinquanta.
    Dalla reception lo avvisarono che una persona desiderava incontrarlo.
- La faccia salire, grazie.-  Acconsentì Max.
    Qualche minuto dopo si sentì bussare alla porta della sua stanza.
- POLIZIA DI STATO! LE ORDINO DI APRIRE QUESTA PORTA O SAREMO COSTRETTI A SFONDARLA!- Dichiarò un uomo dalla voce possente, ma che a Max sembrava tanto familiare.
    Il ragazzo si alzò in piedi, sistemandosi velocemente la camicia, con un sorriso stampato sul viso: sapeva esattamente chi c'era dietro la porta.
    Infatti, non appena la aprì, si trovò davanti…
- Il tuo vecchio, caro cugino Chris è passato a farti una visita!-
    Max era davvero felice di rivedere il suo compagno di giochi d’infanzia: per lui rappresentava una specie di fratello maggiore, anche se aveva soltanto due anni in più.
    Insieme avevano condiviso indimenticabili momenti, belli e brutti. Poi, in seguito al suo trasferimento a New York, i loro contatti erano diventati sempre più rari, quasi sino a scomparire.
    Il padre di Max era suo zio e, alla sua morte, le rispettive famiglie si erano ritrovate in contrasto riguardo la vendita dell’officina meccanica. Così troncarono completamente i rapporti fino a quando Chris non si era rifatto vivo a Lakewood per cercare di sistemare le cose.
    In quel periodo Max lavorava già a New Orleans e si sentivano di tanto in tanto telefonicamente.
- Sono contento di rivederti, Max! - Esclamò Chris entrando in camera.
    Era un ragazzone piuttosto alto e robusto, e quel giorno indossava un maglione nero con un paio di jeans slavati e leggermente strappati sulle ginocchia. Aveva gli occhi verdi, non proprio come quelli del cugino, ma più tendenti al castano, e i capelli corti scuri.
- Dì un po’...- Max lo mise in guardia, frenando il suo entusiasmo e facendosi serio - Hai bisogno di soldi?-
    Chris strabuzzò gli occhi, incredulo di aver udito quelle parole.
- Andiamo! - Gongolò Max - Sto scherzando! Fatti abbracciare fratellone!-
    Dopo tanti anni il vecchio duo si era finalmente ritrovato.
 
    Dall'alto di Ellis Island l’imponente Statua della Libertà, con il suo braccio destro alzato, sembrava tingere il cielo di viola, mentre leggere volute di nebbia provenienti dall’oceano avvolgevano tutta Manhattan.
    L’Empire State Building, le Torri Gemelle e tutti gli altri grattacieli della città iniziarono gradualmente a riempirsi di luci, quasi come a voler dare un degno saluto ad un’altra giornata che volgeva al termine.
    Nella Grande Mela, infatti, il tempo sembrava non bastare mai: l’atmosfera che si respirava durante le festività era davvero speciale e coinvolgente.
    Quando Faith e Holly uscirono dal salone del parrucchiere non si resero conto che erano da poco passate le cinque. Continuavano a discutere di Max, nonostante Faith fosse mentalmente esaurita.
- Non andrò a cercarlo Holly, se è questo che stai cercando di dirmi. E poi nemmeno gli piacerò. Perciò è inutile continuare a fare inutili supposizioni.-
- Non gli piacerai?! Faith, ti sei vista bene?- Obiettò Holly. - Guardati qui! - Le indicò una vetrina a specchio di un bar. - Alta, mora, uno sguardo intrigante e due belle te...-
- HOLLY!- La bloccò Faith. La sua amica non si era accorta di aver alzato parecchio il tono della voce, attirando l’attenzione di una poliziotta che si aggirava nelle vicinanze.
- … due belle TENDE, Faith cara. Due belle tende. Che ne dici di queste?- Svicolò Holly, indicandole le tendine arancioni del bar.
- Holly - Sussurrò Faith sotto l’occhio incuriosito della poliziotta - Lascia subito quelle tende se non vuoi finire in cella.-
    Holly finse di accorgersi in quel momento della presenza della poliziotta - Salve, agente. Non trova anche lei che queste tende siano un amore?! Vorrei portarle a casa. Ho una finestra del bagno dove ci starebbero da favola!-
    L’agente rimase impassibile, con le mani dietro la schiena.
- Non è una buona idea, eh?! Faith, quest’agente non trova belle le tende. Che ne dici se io e te tornassimo in hotel a discuterne ALL’ISTANTE?-
- Ottima idea.- Approvò Faith imbarazzata - Ma prima saluta la signora Hitler. -
    Holly si voltò verso la poliziotta, esibendo un largo sorriso.
- Saluti!- Esclamò, prima di incamminarsi velocemente in direzione dell’albergo.
 
    Nel frattempo Max e Chris avevano deciso di uscire per cenare insieme da Alfredo Of Rome, un rinomato ristorante della Rockfeller Plaza, a pochi passi dalla pista di pattinaggio sul ghiaccio del Center.
    E fu proprio lungo la strada che Faith li notò avvicinarsi.
- Dio mio! È lui!- Esclamò, innestando la retromarcia.
- Dio? Faith, dove hai visto Dio? Devo giusto chiedergli un favore...- Domandò eccitata Holly, seguendo l’amica.
- Lui, Max. Adesso è dietro di noi. Ha un cappotto gessato e una sciarpa bianca. Non voltarti!- Le  ordinò accelerando il passo. - Entriamo qui Holly, svelta!-
    Faith l’afferrò per un braccio e la trascinò all’interno di una libreria.
- Presto! Prenditi un libro qualunque e fingi di leggere. Non farti vedere!-
- Ma Faith... non mi conosce nemmeno.- Protestò Holly.
- Zitta e fa come ti dico: LEGGI!-
    Poi fece lo stesso: afferrò il primo libro a portata di mano e attese che Max transitasse davanti al negozio. - Eccolo, eccolo...- Mormorò agitata - È lui!-
    Tentò di nascondersi dietro il libro aperto, ma il caso volle che Max lanciasse casualmente un’occhiata furtiva nella libreria e si accorgesse di quello sguardo rimastogli ormai impresso nella memoria.
- Faith, ciao!- La salutò, agitando la mano dall’altra parte del vetro.
    Contrariamente a ciò che le aveva ordinato Faith, Holly rispose al saluto facendo la svenevole come soltanto lei sapeva fare.
- T’ammazzerei, Holly.- Le bisbigliò Faith, riducendo gli occhi a fessura.
    Max entrò nella libreria e la ragazza finse un’espressione di stupore - Max! Ma che bella sorpresa. Dove sei diretto?-
- Io e mio cugino stiamo andando a cena. Perché tu e la tua amica non vi unite a noi?- Le invitò Max.
- Ma che splendida idea, Faith!- Intervenne Holly, prima di beccarsi una gomitata dall’amica - ... Peccato - Riprese - che io e Faith dobbiamo tornare in hotel... sai, siamo esauste. Lo shopping stanca, eh sì...-
- Ma come?- Fece Max perplesso - Faith, non mi avevi detto di essere in ritardo per il lavoro oggi pomeriggio?-
    Attimi di imbarazzante silenzio scesero sui tre.
    Quando Chris decise di entrare in libreria li trovò fermi immobili a guardarsi in faccia e decise di intervenire - Ehilà! È da molti anni che il sonoro è stato introdotto nel mondo del cinema. Pronto?!-
- Sì - Rinvenne Faith - Ecco... io oggi mi sono presa un'ora di permesso e...-
- E così - Continuò Max - Hai deciso di passare in libreria, giusto?-
- Esatto! Proprio così. Adoro i romanzi.-
- Beh, quello che stai consultando deve essere un romanzo piuttosto interessante...- Osservò, accennando al volume che Faith teneva tra le mani.
    La ragazza sgranò gli occhi, fissando il vuoto, poi abbassò lentamente lo sguardo sulla copertina del libro dove campeggiava il titolo “Tutte le nuove posizioni del sesso”. Arrossì.
- Ehm... regalo... per un’amica.- Balbettò Faith, scrollando le spalle.
    Notando l’evidente imbarazzo della ragazza, Max si avvicinò e le sussurrò ad un orecchio - Ottima scelta.-
    Chris intervenne spazientito - Max! Perché non mi presenti le tue amiche?-
- Io sono Holly.- Si fece subito avanti l’amica di Faith. Chris le strinse la mano e si presentò a sua volta.
- Mentre lei è Faith.- Replicò Max, presentandola al cugino.
- Il piacere è tutto mio, Faith.- Sorrise Chris da perfetto farfallone.
- Metti a posto quella zampa, cugino...- Gli intimò gravemente Max, fingendo un sorriso amichevole. Poi si rivolse a Faith - Senti Faith, domani sera dovrei partecipare ad un ricevimento al Plaza, ma a dire il vero non mi va di andarci da solo. Perciò mi chiedevo se ti va di accompagnarmi, ma ti avverto: sarà una di quelle noiosissime serate orchestra e caviale.-
- Mi sta forse chiedendo un appuntamento, signor Warren?- Gli chiese Faith con un pizzico di malizia.
- Soltanto se risponde , signorina.-
    La ragazza tentennò un poco, ma poi accettò di buon grado.
- D'accordo. A che ora?-
- Ti aspetterò alle otto davanti all’ingresso del Plaza.- Rispose Max entusiasta.
 
    Mentre tornava in hotel, Faith cominciò a credere di essere stata troppo precipitosa ad aver accettato quell’invito e ne parlò con Holly che, al contrario, aveva le idee molto chiare a riguardo.
- Hai fatto la scelta giusta. Perché sei sempre così negativa? Ormai è più di un anno che hai mollato quel cretino di Jason. È ora di voltare pagina o finirai per diventare una vecchia brutta e sola.-
- Ma che idee! Non dico che non voglio più uscire con nessun ragazzo. Il fatto è che non so se mi sento pronta, ecco tutto.-
    Tuttavia Holly continuava a non essere d’accordo - Cogli l’attimo Faith. Chissà se e quando il destino ti manderà qualcun altro. E poi Max sembra davvero un bravo ragazzo. Però se tu sei abituata a frequentare solo alcolizzati cronici...-
- Jason non era alcolizzato!- Obiettò Faith.
- Forse quando dormiva.- Replicò Holly - Ascolta, Faith: probabilmente il Signore ha mandato Max per renderti felice. Approfittane. Dopotutto chiunque nella vita merita una fetta di felicità.-
- Bella frase.- Commentò Faith - L’hai trovata nei cioccolatini o nei biscotti della fortuna?-
- Spiritosa!- Replicò sarcastica Holly - A proposito, chi è quest’amica alla quale vuoi regalare quel libro riguardante tutte le nuove posizioni del sesso?-
    Faith si fermò e la guardò, ridendo:- Non è per un’amica. È per zia Becky.-
- Zia Becky?- Chiese sbalordita Holly con gli occhi fuori dalle orbite.
 - Però... a quanto pare tua zia ha una vita sessuale più attiva della mia.- Osservò, meditando sul fatto.
    Faith continuò a ridere, rassegnandosi - Non capirai mai eh, Holly? Dai, torniamo in hotel.-

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Capitolo 3
*** 3. Faith ***


Le Ragioni Del Cuore BN
R ISPOSTA ALLE RECENSIONI

Ciao a tutti! Eccomi qui, puntuale come il mal di denti, per rispondere alle vostre recensioni. Come il solito si comincia dall'ultima pubblicata.

AKANE25: Intendo subito ringraziarti per il prestito della tua Beta, sempre attenta e poi anche brava. Dovremo dividercela per un bel pezzo mi sa... :)
Detto questo sappi che l'unica copia del libro da te richiesto è momentaneamente occupato. Tra i milioni di libri che Monica possiede si camuffa infatti questo manoscritto ricco di scene e di testi istruttivi. Nessuno lo può notare sullo scaffale in mezzo ai manga e ai romanzi rosa. Quindi non ti resta che chiederlo a lei, anche se ovviamente negherà il tutto.
Per quanto riguarda Max la sfida è appena iniziata. Non temo i tuoi Bazooka del 1915-18, ci vuole ben altro, bella mia! :) E non offendere Faith che è la mia donna ideale!! Moscetta... PFUI!
Il prossimo capitolo non è quello del ballo orchestra e caviale, ma spero ti piacerà ugualmente.
A presto, mia fedele lettrice! E tanti auguri di buon anno nuovo! Con affetto, Marco

MOZZI84: Dimmi quando avrai intenzione di passeggiare per le vie di New York perchè verrei volentieri anch'io, magari quando hai un'oretta da perdere, invece che stare a casa, passeggiamo per le vie della città.
Sempre ben apprezzato il lavoro che fai come Beta, non smetterò di ribadirlo ad ogni capitolo pubblicato. Questo “furto” a Rox si è rivelato ben fatto e non mi fa sentire in colpa verso Dio :)
Finora nascondi bene la tua antipatia verso la protagonista principale (ti conosco bene!). Il mio compito sarà farti cambiare idea su di lei.
Qualche volta, per accontentarti, pubblicheremo anche i commenti che fai quando sei in versione Beta... davvero divertenti!
Ti voglio bene! Auguri di buon anno nuovo anche a te!

SATY: La mia consigliera di fiducia. Devo essere molto contento di avere un clan così attivo dalla mia parte, dando i giusti meriti anche a Sabrina! Brava! Sei sulla strada giusta per ottenere l'oggetto da te desiderato... il libro sul sesso, che cosa - o CHI - pensavi, ah??
Scherzi a parte, continua ad essere così analitica nelle tue recensioni: mi piace come scrivi! Sono contento che molte delle parole che scrivo ti generino emozioni: questa è una cosa importante per me. Credo che qualsiasi attività riguardante l'arte abbia come principale obiettivo il suscitare emozioni vere e sapere che a volte funziona è per me un grande onore e mi fa capire che ciò che faccio vale qualcosa.
Non smetterò di ringraziarti per il tuo appoggio e per tutto il tuo giornaliero sopportarmi!
Ti voglio bene! Buon anno nuovo!

IL PROSSIMO CAPITOLO “4. COME UNA COSA SOLA” SARA' PUBBLICATO IL 16 GENNAIO 2010.
BUONA LETTURA!

3. F  AITH

    La grande scultura dorata di Prometeo che sovrastava la pista di pattinaggio, rifletteva le coloratissime luci dell’albero di Natale alle sue spalle e, stando comodamente seduti ai tavoli di Alfredo Of Rome, ci si poteva rendere conto di quanto New York fosse una città stravagante e piena di vita. C’era sempre un gran andirivieni nel Rockfeller Center: malgrado le rigide temperature dell’inverno ormai alle porte, la gente non esitava a fare lunghe passeggiate per le numerose strade della città e a pattinare sulla pista ghiacciata.
    Il ristorante, non molto grande ma dall'impeccabile eleganza, offriva una scelta piuttosto ampia di pietanze, ed alcune di esse erano originarie dell'Italia, come i ravioli di vitello ai funghi porcini e le lasagne alle melanzane.
    Quando, dopo una decina di minuti, un cameriere si avvicinò al tavolo per prendere le ordinazioni, Chris optò per i calamari fritti con pezzi freschi di aragosta in salsa di avocado, mentre Max decise di assaggiare un'antica ricetta romana di carciofi con salsa di radicchio.
- Allora cugino, cosa ti porta a farmi visita?- Chiese Max, mangiucchiando distrattamente un grissino.
- Ho chiamato tua madre e mi ha detto che saresti stato a New York alcuni giorni. Così ho pensato di farti una sorpresa. Abito in un appartamentino non molto distante dal Central Park.-
- E come sta la tua ragazza... Clarence, Claire... come si chiama? È passato qualche mese da quando ci siamo sentiti al telefono l’ultima volta.-
- Si chiamava Claire, ma è roba vecchia.- Rispose annoiato Chris - Adesso sto con Lauren da un paio di giorni. Niente di serio però.-
- Da quanto ho capito il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Non sono mai riuscito a capire come tu riesca a passare da una ragazza all’altra con la stessa facilità usata per mangiare una mela.- Osservò Max.
- L’abitudine cugino, l’abitudine.- Si giustificò Chris, versandosi un bicchiere di Chardonnay che il cameriere aveva da poco portato in tavola  - Piuttosto - Prosegui dopo averlo sorseggiato - Cosa stai combinando con quella Faith della libreria? Sei davvero fortunato: una così bella ragazza come lei non la si trova tutti i giorni.-
- Già.- Annuì Max - È proprio vero.-
- Io non me la lascerei scappare se fossi in te.- Dichiarò il cugino - E questi calamari sono... mmmh... davvero squisiti!- Esclamò a bocca piena.
    Dopo una serata trascorsa a raccontarsi storie e a parlare dei bei ricordi, Max cominciò ad accusare una leggera stanchezza, perciò pagarono il conto e s’incamminarono sulla 5th Avenue.
    Il Roosevelt Hotel non era molto distante così i due cugini si salutarono, promettendosi di uscire ancora insieme, prima del ritorno di Max a New Orleans.

    Entrando nella Hall, Max notò Mc Kingley lavorare al computer.
- Turno di notte?- Gli chiese.
- Uno dei custodi si è preso una brutta influenza e dovrò sostituirlo io fino a domattina.- Rispose amareggiato il concierge - Ecco la chiave della sua stanza. Buonanotte signor Warren.-
- La ringrazio.- Disse Max - Ne avrò bisogno. A domani.-
    L’ascensore era già al pianoterra e si aprì non appena il ragazzo premette il pulsante.
    Quando arrivò al nono piano, voltando l’angolo, vide una ragazza dai capelli scuri che sedeva sopra una poltroncina imbottita vicino alla parete. Gli venne subito in mente Faith, nonostante il suo volto fosse coperto dalle foglie di una palma nana.
    Così le si avvicinò e, quando la ragazza si accorse della sua presenza, lo salutò sorridendogli.
- Faith, che ci fai qui?- Le domandò sorpreso.
- Io stavo facendo un giro e ho pensato di passare a trovarti.- Gli spiegò Faith - Ma se ti disturbo sparisco.-
- No!- Rispose, prendendola delicatamente per un braccio - Rimani.-
    Non appena Max la toccò, Faith sentì un brivido partirle appena sotto la nuca ed attraversarle la schiena.
    Lui la guardò negli occhi e avvertì una fitta  al cuore, smarrendosi per qualche istante in quegli occhi così penetranti e teneri allo stesso tempo. Si stupì di come ne fosse rimasto stregato.
- Il custode - Proseguì Faith, distogliendo lo sguardo - Mi ha permesso di salire per aspettarti. Così mi sono seduta in una di queste scomodissime poltroncine rosse.-
    Max studiò attentamente le sue labbra mentre parlava e non capì più niente. Era completamente perso di lei.
    “Coraggio, coraggio, invitala fuori, cosa aspetti stupido ragazzino!”
- Sì, che stupide poltroncine rosse!- Riuscì soltanto a dire.
    Faith concordò, titubando - Già...-
    “Lascia perdere le poltrone e invitala fuori! Ma che ti prende?”
- Faith, ti va di fare una passeggiata?- Le chiese tutto d'un fiato.
- Certo, volevo chiedertelo io.- Assentì lei con un sorriso.

    Per chi non lo conosceva, il Devil's Kitchen sarebbe stato piuttosto difficile da trovare, in quanto situato in fondo ad uno stretto vicolo laterale della Madison Avenue e segnalato soltanto da una lanterna rossa che illuminava un’insegna intagliata su un pannello di legno colorato.
    La porta d'ingresso, con il catenaccio e i cardini arrugginiti, assomigliava all'entrata segreta di un antico monastero e dava l'impressione di essere piuttosto pesante.
    Dall'interno giungeva il suono leggero di una musica, intervallato dalle risate della clientela.
- In che razza di posto mi ha portato, signor Warren?- Domandò Faith perplessa, guardandosi intorno.
    Un gatto nero se ne stava accucciato sugli scalini di una vecchia abitazione, vicino ad alcuni sacchi della spazzatura, gustandosi gli avanzi di un hot-dog. Nell'aria frizzante aleggiava un intenso odore di patatine fritte.
- Non fidarti delle apparenze. Entriamo e poi, se lo riterrai giusto, potrai insultarmi per averti portato in un locale di cattivo gusto.- Propose Max, esibendo un largo sorriso.
- Ci sto.- Approvò Faith, dandogli un colpetto con la spalla - In caso contrario ti offro da bere.- 
    In effetti, entrando, notò con stupore che era ben diverso da ciò che si aspettava.
    Le luci soffuse e l'arredamento interamente in legno caratterizzavano un ambiente che univa sapientemente le particolarità di un irish pub con quelle di un saloon.
    Il bancone del bar correva lungo tutta la parete di fondo, mentre ai lati vi erano stati sistemati alcuni tavolini visibilmente logori, che contribuivano al fascino retrò del locale, e un paio di tavoli da biliardo, entrambi occupati da accaniti fumatori.
    In un angolo, a fianco di un vecchio frigorifero della Coca Cola, un juke-box suonava “Crazy, little thing called love” e alcune donne ballavano e ridevano con il bicchiere in mano, al ritmo della musica.
    Alle pareti erano appesi ritratti e caricature di personaggi famosi: Frank Sinatra, Marilyn Monroe, James Dean, Jimi Hendrix, insieme ad altre icone del cinema e della musica.
- Allora?- Disse Max, voltandosi verso Faith - Il tuo sguardo mi fa venire voglia di bere qualcosa di fresco.- La punzecchiò.
    Faith sorrise, facendo l'arrendevole -  Birra o Coca?-
    Mentre si avvicinavano al bancone una cameriera bionda, con l'uniforme a quadretti rossi e bianchi, fece l'occhiolino a Max per poi dirigersi rapidamente a consegnare l'ordinazione.
    Lui si irrigidì un attimo e, con la coda dell'occhio, scorse Faith sorridere e fare finta di niente.
    Si tolsero i cappotti e si sedettero sugli sgabelli, ordinando da bere.
- Insomma - Esordì Max - Oggi è stata un'intensa giornata di lavoro.-
    Faith aprì la bocca per giustificarsi, ma lui la fermò prima che proferisse parola.
- No, no. Non accetto scuse. Abbandonarmi lungo un marciapiedi, dopo avermi seppellito di pacchi natalizi. Si vergogni, signorina.-  
- Lei ha pienamente ragione, signor Warren.- Ammise Faith, sorseggiando la sua Coca Cola. Colse nello sguardo di Max una complicità che le permise di sentirsi libera di scherzare con lui senza problemi.
- Quella vecchia oggi è stata davvero maleducata.- Tergiversò, alzandosi le maniche del maglione.
- Nemmeno tu però hai scherzato.- Ribatté Max con una risata.
- E tu non sei stato da meno. Hai rischiato di ricevere un'ombrellata sulla testa dandole dell'arpia.- 
- Vero!- Replicò il ragazzo.
    Realizzò che lo stare vicino a quella ragazza lo metteva di buon umore. La trovava spiritosa, divertente  ed inoltre si sentiva perfettamente a suo agio con lei.
- Come sapevi di questo posto, Max?- Gli chiese, distogliendolo dai suoi pensieri.
    Max posò la sua birra sul bancone e si asciugò la mano con un tovagliolo di carta.
- Poco fa Chris mi ha consigliato di venirci. Nemmeno io sapevo cosa aspettarmi, nonostante mi avesse rassicurato. Devo ammettere che a volte mio cugino ha delle buone idee.-
- È davvero un bel locale. Appartato, intimo, non troppo affollato. Insomma, come piace a me.-
- Sembri esperta in fatto di locali.- Scherzò Max
    Faith sorrise maliziosa - Tu piuttosto, cosa ci fai a New York? Cosa sei, un agente immobiliare? Un avvocato incorruttibile?-
    Max scosse la testa - Mi dispiace deluderti, ma non sono né l’uno né l’altro. Diciamo che faccio parte di una società che si occupa della compravendita di azioni e obbligazioni. Sono qui perché il mio capo mi ha affidato un incarico da portare a termine nei prossimi giorni. Poi me ne tornerò a New Orleans, dove lavoro e dove ho un appartamento nuovo di zecca.-
- Con la tua ragazza.- Aggiunse Faith, alzando gli occhi verso di lui mentre beveva, per poter esaminare meglio la sua espressione.
    Max fece per replicare, ma si bloccò un istante - Credi davvero che, se avessi avuto una ragazza, ti avrei invitato al ricevimento di domani sera?-
- Non saprei.- Rispose Faith, fingendosi disinteressata, mentre rigirava la cannuccia nel bicchiere - Al giorno d’oggi per voi uomini sembra andare di moda avere una ragazza in ogni “porto”, come fanno i marinai.-
- Spero che tu stia scherzando! Io non sono un uomo qualunque.- Protestò Max, divertito.
    Faith piegò la testa di lato e sorrise - Modesto il ragazzo. Dai, ti sto prendendo in giro.-
- Sarà meglio per te, se non vuoi pagare anche il secondo giro stasera.- Ribatté lui, riprendendo a bere la birra.
    Il juke-box iniziava a diffondere le prime note di “Always on my mind” quando Faith si lasciò andare sullo sgabello, sentendosi sciogliere improvvisamente - Adoro questa canzone.- Sospirò - Non la sento da un sacco di tempo.-
- Scommetto che ti ricorda qualcosa.- Azzardò Max, scrutandola negli occhi.
Faith si portò una ciocca di capelli dietro un orecchio e sollevò un angolo della bocca, scrollando le spalle.
- Credo che nella vita di ogni persona ci siano momenti legati ad una canzone in particolare. Però questa non si riferisce a niente di ciò che ho passato. Piuttosto, non ti capita mai di ascoltare una canzone, magari quando sei sdraiato a letto la sera prima di addormentarti, e immaginare come potrà essere il tuo futuro? So che posso sembrarti una pazza, però a me succede.-
    Max capì perfettamente a cosa si stava riferendo Faith, tanto che gli sembrò di parlare con sé stesso. Gli capitava spesso, eccome, anche con canzoni che non conosceva affatto e apprezzò molto questo particolare di lei.
-  Anche se ogni volta immagino un futuro diverso, a seconda di come mi sento in quel momento.- Proseguì Faith. D'un tratto l'espressione sognatrice e contenta che aveva sul volto svanì improvvisamente, lasciando il posto ad uno sguardo pieno di malinconia.
    Max si accorse del rapido cambiamento, ma decise di non chiederle nulla. Non in quel momento. Non quella sera.
- Adesso sarà meglio che torni in albergo, prima che Holly si preoccupi.- Decise Faith con un sorriso tirato, mentre si rimetteva il cappotto - Probabilmente mi starà aspettando sveglia, mentre piange davanti alla televisione perché alla fine Julia Roberts è andata a sposarsi con Richard Gere o chissà per quale altro arcano motivo.-
    Max sorrise e si offrì di accompagnarla.
- Non devi Max, chiamerò un taxi.- Lo tranquillizzò, uscendo dal locale.
    Percorsero in silenzio i pochi passi che li dividevano dalla Madison Avenue. Max avrebbe tanto voluto confortarla con qualche parola appropriata o, meglio ancora, con un abbraccio, ma giunse alla conclusione che sarebbe stato inopportuno.
    Dal canto suo, Faith apprezzò il silenzio del ragazzo. Qualsiasi altra persona avrebbe fatto milioni di domande. Lui no. Ebbe come l'impressione che avesse capito più di quanto credesse.
    L'aria della sera si era rinfrescata parecchio e lei si alzò il bavero del cappotto. Poi fece un cenno con la mano e un taxi accostò.
- Sono stata bene, Max. Davvero. A domani sera.- Disse, salendo sull’auto.
    Max la salutò alzando un mano e guardò il taxi scomparire in una strada laterale.
    Anche se aveva intuito che nella mente di Faith erano riaffiorati ricordi dolorosi della sua vita, si rese conto che da parecchio tempo non si sentiva così contento.
    Una sottile pioggia cominciò a scendere e le luci, iniziando lentamente a riflettersi sul marciapiede lucido, conferivano alla città un tocco di romanticismo che soltanto le persone innamorate avrebbero potuto percepire fino in fondo.
    E Max era sicuramente una di quelle persone.

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Capitolo 4
*** 4. Come Una Cosa Sola ***


Le Ragioni Del Cuore BN
R ISPOSTA ALLE RECENSIONI

MOZZY84  Tu. Devi. Diventare. Amica. Di. Faith. Se solo sentisse i malefici soprannomi che le affibbi mentre la beti, ti caverebbe gli occhi. Non so per quanto resisterai prima che io faccia la spia XD.
Continua cosi che sei la meglio! TVB.
PS. Non mi occorrono più libri del genere per apprendere la materia, perciò te lo regalo con tutto il cuore affinché tu possa approfondire... quello che vuoi! Ih ih ih!

AKANE25  Sei sempre magnifica nel tuo lavoro di recensitrice! Come farei senza di te? A tal proposito ti dico subito che il seguente capitolo lo dedico a te! Sperando che ti piaccia, ovviamente! Ti ringrazio per tutti i passati suggerimenti che mi hai dato per renderlo al meglio, mi sono proprio stati utili, davvero! Spero che tu me ne dia altri! Buona lettura!
Sono pienamente d'accordo sull'uscita a 4 e proporrò la cosa a Faith... XD
A presto, un abbraccio!  
PS. Monica non intende mollare il libro...

SATY  Ma che bella recensione. Mi piace molto. Nulla da dire.
Però il mio principale intento stavolta è ringraziarti pubblicamente per il valido aiuto che mi dai quando rimango in panne. In questi ultimi giorni grazie a te sono finalmente riuscito a sistemare ogni evento temporale di questa storia, un problema che mi assillava da tempo nella stesura.   
So che ci sarai sempre, perciò non dubito di te.
Buona lettura! Un abbraccio.


4.C  OME UNA COSA SOLA
Dedicato a Rossella, con profonda stima e affetto

    L’indomani, quando Faith si svegliò a mattino inoltrato, trovò Holly sprofondata in una poltrona davanti al letto, che la fissava tenendo le braccia conserte.
- Buongiorno, Faith. Ho sentito che sei rientrata tardi stanotte. O meglio stamattina.- Puntualizzò sollevando un sopracciglio.
- Esagerata!- L'apostrofò Faith, alzandosi e sbadigliando - Speravo di trovarti sveglia al mio ritorno. Io e Max siamo stati al Devil’s Kitchen e poi sono tornata in taxi.-
- E com’è andata?-
    Faith si avvicinò alla finestra e scostò leggermente la tenda per guardare fuori. Era una magnifica giornata di sole, con un cielo azzurro spruzzato qua e là di qualche piccola nuvola bianca. Lungo la strada le auto scorrevano a passo d'uomo e i marciapiedi erano affollati come sempre. Sul lato opposto un venditore ambulante di hot-dog si era appostato vicino ad un negozio di antiquariato con il suo carretto giallo e invitava la gente ad assaggiare le sue opere d'arte, come le definiva lui.
- Avevi ragione Holly.- Sospirò, voltandosi verso l’amica - Max è davvero una brava persona.-
    Holly balzò in piedi, trionfante - Lo sapevo: te ne sei innamorata. Ammettilo!-
    Faith lasciò la tenda e tornò a sedersi sul letto.
- Ancora non lo so. Insomma, non ci s’innamora in poco più di dodici ore. Non so nemmeno qual'è il suo colore preferito.- Osservò, scuotendo la testa.
- Ecco: inizi a straparlare. Primo sintomo.-
- Io non straparlo!- Protestò - Di che sintomi stai parlando?-
    Holly assunse la posa tipica di una professoressa con le mani sui fianchi.
- Primo sintomo.- Ripeté, camminando avanti e indietro immersa nei suoi pensieri.
    Ti manca solo una pipa in bocca, pensò Faith - Lo hai già detto. Cosa significa?-
- Primo sintomo dell'innamoramento: la vittima straparla.-
- Sei pazza.-
- ECCOLO!- Sbraitò, con gli occhi fuori dalle orbite.
    Faith sobbalzò sul letto, realizzando che l'amica era ormai giunta allo stadio finale dello sviluppo di un virus sconosciuto all'umanità.
- Secondo sintomo: negare l'evidenza.-
- Non c'è nessuna evidenza, Holly. Ma che dici?-
- Terzo sintomo: negare l'evidenza dell'evidenza. Quando si comincia a dire cose senza senso, come stai facendo tu, e poi a negare il tutto, significa che si è già innamorati persi. Che c'entra in questo momento qual'è il suo colore preferito? Già il fatto che tu stia qui a chiederti se lui ti piace è una chiara indicazione che stai iniziando a provare qualcosa, non sei d'accordo?- Analizzò Holly.
- Si, può darsi.- Rispose Faith, mostrandosi perplessa - E togliti dalla faccia quell'espressione da tuttologa! Holly Andrews, pensi di essere l'unica persona sulla faccia della Terra ad avere sempre ragione, ma io non credo a queste tue buffonate.-
    Afferrò un cuscino e glielo lanciò con tutta la forza che aveva, ma lei lo scansò con disinvoltura, mandandolo a finire contro un orologio da tavolo in ceramica posato sul cassettone di fianco alla porta.
    Lo schianto a terra fu inevitabile e, con uno scoppio violento, mille pezzi volarono per tutta la stanza, mentre entrambe le lancette venivano scagliate sul letto, vicino a Faith.
- Ops...- Mormorò, curvando verso il basso gli angoli della bocca.  
- Questi… - Dichiarò Holly indicando i cocci con un dito - … sarà meglio farli sparire.-
           
    Il Plaza Hotel era un elegante ed imponente edificio in stile neo rinascimentale, ritenuto uno dei più esclusivi alberghi della città. Era stato proclamato monumento nazionale, i cui caminetti, cristalli e marmi impreziosivano più di novecento stanze aventi quasi un secolo di vita.
    Le luci lo illuminavano dal basso, donandogli una morbida sfumatura di giallo dorato e dando risalto alla bandiera a stelle e strisce che sventolava fiera sulla terrazza dell’hotel, mentre i piccoli abeti, che contornavano il lussureggiante giardino, erano stati decorati con nastri d’argento e minuscole luci bianche.
    Mancavano pochi minuti alle otto quando alcuni degli invitati alla conferenza, terminata nel tardo pomeriggio, diedero inizio alle danze.
    Max aspettava impaziente la sua accompagnatrice davanti all'ingresso, tenendo in mano un bocciolo di rosa bianca. Tremava per l’emozione e pregò Dio che Faith non se ne accorgesse.
    Alle otto in punto un taxi entrò nel vialetto antistante all’hotel, arricchito per l’occasione da un lungo tappeto rosso.
    Quando si fermò, Faith scese elegantemente salutando Max con un sorriso.
    Ancora una volta lui rimase stregato dalla sua incredibile bellezza.
    La ragazza sfoggiava un abito di seta bianco che metteva in evidenza il suo fisico perfetto e, sulle spalle,   portava una stola dal tessuto pesante. Quella sera aveva spruzzato un po' di lacca sui capelli per fissare i boccoli, mentre il suo viso, dai lineamenti morbidi e delicati, non aveva avuto bisogno di un trucco eccessivo: era già bella per natura, e questo ovviamente non passò inosservato a Max, che subito avvertì dentro di sé un crescente turbinio di emozioni.
    Si avvicinò e le porse la rosa, prima di prenderle la mano e sfiorarla con le labbra.
- Sei stupenda.- Le bisbigliò, alzando lo sguardo sul suo viso.
- Grazie.- Mormorò Faith.
    Notò con piacere che anche lui si era preparato con particolare cura. In un raffinato completo nero di ottimo taglio, con una camicia bianca, la cravatta, i gemelli ai polsi e un filo di barba, sembrava più maturo rispetto alla sua età, ma non per questo meno affascinante. Anzi, ogni volta che lo guardava, Faith si chiedeva come fosse possibile che lui non avesse già una ragazza. I capelli erano pettinati con diligenza e il suo profumo fresco e dolce le risvegliò sensazioni a lungo dimenticate.
    Ammirò i suoi occhi verdi trovandosi smarrita e in quei brevi attimi le parve di sapere tutto di lui.
- Anche tu sei stupendo.- Replicò.
    Entrarono stringendosi per mano, un gesto che entrambi sentirono naturale e spontaneo malgrado si conoscessero soltanto da poche ore.
    Max consegnò gli inviti ad una sorridente ragazza del personale dell'hotel per poter accedere al ricevimento, e si trovò davanti ad un'ampia balconata che permetteva la panoramica dell'intero salone. L’orchestra stava eseguendo una sinfonia di Mozart, infondendo  un’incantevole atmosfera d’altri tempi.
    Al centro l’ampia pista da ballo, impreziosita da statue in marmo bianco e decori di stelle di Natale, si stava rapidamente affollando di coppie che volteggiavano tranquille, con movimenti precisi e coordinati, come rapite dal piacevole suono dei clarinetti accompagnati dal pianoforte.
    Alcuni tra gli illustri personaggi presenti sedevano nei tavoli ai bordi della pista, alimentando un leggero brusio.
- Sembra di essere in un sogno. - Mormorò Faith sottovoce.
- Lo è.- Confermò Max.
    Scesero le scale sottobraccio mentre lei lo guardava con gli occhi che brillavano e, assorta in quel clima fiabesco, tornò ad ascoltare l’orchestra.
    Nel contempo si avvicinò a loro una coppia vestita sontuosamente ed in perfetta sintonia con l'ambiente.
- Max Warren?-  Chiese l'uomo attirando l'attenzione del ragazzo. Indossava un abito grigio scuro con una lunga sciarpa bianca e una rosa dello stesso colore infilata nel taschino. Secondo Faith doveva avere più o  meno cinquant'anni.
    Anche la moglie era molto elegante nel suo abito nero, i capelli raccolti in uno chignon e una collana di perle.
- Signor Shields, che piacere rivederla.-  Lo salutò Max calorosamente. Poi si voltò verso la moglie e le baciò la mano.
- E questa splendida fanciulla?- Osservò l'uomo rivolgendosi a Faith.
    La ragazza sorrise e gli porse la mano - Faith Harrington. Lieta di conoscerla.-
- Il signor Shields - Le spiegò Max - è uno dei nostri migliori collaboratori. Ha dotato la nostra società di procedure e meccanismi operativi in grado di rispondere positivamente e celermente alle richieste della clientela.-   
    L'uomo sorrise e appoggiò una mano sulla spalla di Max.
- Warren mi sta lusingando troppo. Piuttosto, penso che dovrebbero esserci più persone altamente competenti come lei nella società.-
- Adesso però è lei a lusingarmi.- Replicò il ragazzo, compiaciuto.
    Le due donne fecero una piccola risata. Poi Max presentò a Faith la signora Shields.
- La signora Lynda, invece, si occupa di moda e, più precisamente, nell'ambito degli abiti per gli sposi. Le sue collezioni sono conosciute e molto apprezzate anche in Francia, in Inghilterra e in Italia.-
    Faith strabuzzò gli occhi: Lynda Shields, una delle sue stiliste preferite si trovava lì, esattamente davanti ai suoi occhi, e lei non l'aveva neppure riconosciuta.
    Effettivamente, la stilista era nota più per il nome che per le sue rarissime apparizioni in pubblico.
- Lei, Faith, che lavoro fa?- Le domandò Lynda, mostrandosi interessata.
    La ragazza tentò di rispondere senza farsi prendere dall'emozione, ma la paura di sfigurare le faceva tremare impercettibilmente le mani. Dovette appellarsi a tutte le sue forze per mantenere un minimo di decoro e non apparire come una di quelle ragazzette che si strappano i capelli alla vista di una celebrità. Perché era proprio questo che per lei rappresentava Lynda Shields: un mito, una vera icona di moda, un esempio da seguire, lo stesso esempio che l'aveva spinta fin da giovanissima a desiderare di diventare come lei. Da anni raccoglieva e collezionava copertine, foto, immagini dei suoi abiti che avevano spopolato in mezzo mondo. Lynda, prima di occuparsi esclusivamente di abiti da sposi, aveva vestito attori e attrici famosissimi e molti registi e costumisti l'avevano spesso interpellata per i loro lungometraggi. Gwyneth Paltrow, Jane Fonda e Michael Douglas erano solo alcuni dei volti noti che avevano avuto l'onore di indossare le sue creazioni.
    E Faith si ispirava proprio alle sue opere per disegnare i suoi capi.
- Anch'io sono una stilista.- Rispose, volgendo lo sguardo a Max, che improvvisamente avvertì un impeto di orgoglio: per lui significò una piacevole sorpresa.
- Certo, non ai suoi livelli.- Proseguì la giovane - Lavoro in una casa di moda di Los Angeles. Ho visto tutte le sue creazioni e mi permetta di dirle che sono bellissime.-
- Oh, negli ultimi anni sono un po' a corto di idee, ma diciamo che finora ho avuto parecchia fortuna. A volte l'ispirazione sembra abbandonarmi.- Dichiarò Lynda con un sorrisetto - E per quale casa di moda lavora?- Le chiese.
- Per la Diamonds Fashion House. Disegno abiti eleganti e casual e spesso organizzo eventi a nome della società.-
- La conosco bene: una colonna portante della moda di Los Angeles. Chissà, magari un giorno ci ritroveremo a dover organizzare una sfilata insieme, Faith.-
- Sarebbe molto interessante, oltre che un grande onore, signora Shields.- Replicò Faith emozionata.
    Lynda sorrise ancora, notando l'evidente ammirazione che la ragazza nutriva nei suoi confronti.
- Tesoro - Salmodiò infine - Che ne dici di ballare un po' e lasciare questi due giovanotti a godersi la serata? Non vorremo tormentarli parlando ancora di lavoro.-  Poi si rivolse a Faith, sottovoce, ma con l'intento di farsi sentire - Dio solo sa quanto è noioso quando parla di azioni, obbligazioni, bilanci e compagnia bella. Riuscirebbe a scriverne un'intera enciclopedia composta da ottanta volumi in meno di mezzora.-  
    Faith rise e Max sentì il cuore gonfiarsi al suono della sua risata.
- Certo, cara.- Replicò il marito con voce strascicata, come se l'avessero interrotto da un lungo discorso di carattere finanziario. Lui e la moglie rappresentavano pienamente la tipica coppia di coniugi che litiga da anni, ma che non si separerebbe per niente al mondo.
- Auguro a lei e alla sua fidanzata una piacevole serata, signor Warren.-
Sentendo il termine “fidanzata”, Max si voltò a guardare Faith, che, inaspettatamente, lo contraccambiò con un sorriso malizioso.  
- Piacere di averla conosciuta, signorina Harrington.- La salutò Shields, baciandole di nuovo la mano.
- Piacere mio.-
- Spero di incontrarla ancora, Faith.- Replicò Lynda - A presto, Max.-
    Non appena si furono allontanati, Max si rivolse alla ragazza, schiarendosi la voce.
- Non sapevo di avere una stilista per fidanzata. Spero che lei mi trovi abbastanza elegante questa sera.-
    Faith lo squadrò da capo a piedi, fingendo di guardarlo per la prima volta.
- Accettabile.- Scherzò.
    Max sfoderò il suo sorriso intrigante e malizioso - Ti va di ballare, fidanzata?-
- Solo se non mi pesterai i piedi, fidanzato!- Precisò lei, dando maggior enfasi all'ultima parola.
- Prometto che non lo farò.-
    Iniziò un valzer e la giovane coppia salì sulla pista. Max le si avvicinò di più, cingendola delicatamente in vita con un braccio e Faith si sentì protetta da quella presa così sicura.
- Vorrei tanto che questa serata non finisse mai - Gli sussurrò in un orecchio.
    Respirò il suo profumo e cercò di memorizzarlo, trattenendolo per qualche secondo.
    Max la fissò e capì che si sarebbe potuto innamorare di lei ogni istante della sua vita. Mentre ballavano formavano una cosa sola, talmente erano in sintonia. I cuori battevano veloci, ma loro erano gli unici a saperlo.
    Quando l’orchestra terminò la sinfonia, Max e Faith rimasero a fissarsi negli occhi, quasi non si fossero accorti degli ospiti che applaudivano i musicisti.
- Forse...- Mormorò Faith.
- Si.- Sorrise Max, destandosi da quel mondo che pareva creato soltanto per loro due, fatto di puro rapimento.
- Forse è meglio sedersi.-
    Scelsero un tavolo poi Max scostò una sedia, facendo accomodare la ragazza, quindi le si sedette di fronte.
    Tutto era stato preparato in modo impeccabile. I bicchieri di cristallo e le posate d’argento luccicavano sulla tovaglia in fiandra, mentre il tenue bagliore delle sottili candele bianche rendeva tutto più magico. Da un secchiello pieno di ghiaccio sbucava una bottiglia di champagne che, prontamente, un cameriere versò nei loro bicchieri, mentre un altro si faceva  avanti servendo l'antipasto.
- Bene - Esordì Max - Raccontami un po’ di te. Ieri sera abbiamo parlato soltanto del sottoscritto, ma stasera è il tuo turno.-
    La ragazza sorseggiò lo champagne fresco e si asciugò le labbra con un angolo del tovagliolo.
- Io non faccio nulla di straordinario, a dire il vero. Come avrai sentito poco fa, lavoro come disegnatrice ed organizzatrice di eventi a Santa Monica, sulla costa pacifica. È una professione che mi dà parecchie soddisfazioni, ma che mi tiene anche molto impegnata. Disegnare abiti, approvarli, modificarli, organizzare sfilate e tutto ciò che sta dietro al mondo della moda.-
- Da come ne parli sembra davvero impegnativo. Alcune persone lavorano così tanto che alla fine il lavoro stesso, se soddisfacente, diventa parte integrante del tempo libero.-
- Già, proprio così. Ma purtroppo non si può avere tutto dalla vita. Io non ho molto tempo libero, però credo che in fondo sia quello che ho sempre desiderato. Voglio dire, il mio sogno fin da bambina, era di diventare una stilista.-  Faith sollevò un angolo della bocca, scrollando le spalle -     Certe volte è strano: passi un sacco di tempo a desiderare fortemente qualcosa e il giorno seguente ti ritrovi a vivere il tuo sogno. Ed è capitato proprio a me, che ho smesso di fantasticare ancora prima di rendermi realmente conto di cosa significasse sognare.-
- Che cosa vuoi dire?- Le chiese Max.
    Lei si accigliò e fece un profondo respiro, come se stesse per parlare riferendosi a qualcun altro, sentendo improvvisamente l'impulso di aprirsi di più.
- Ecco, a otto anni il matrimonio dei tuoi genitori va in mille pezzi e mentre guardi impotente tua madre che esce dalla tua vita, chiudendosi per sempre la porta di casa alle spalle, cerchi di trovare un po’ di conforto tra le braccia di tuo padre. Ma non lo trovi. Anzi, lo vedi affogare i suoi dispiaceri nell’alcol, finendo inevitabilmente in un centro di disintossicazione e poi in un carcere per chissà quale motivo. E, in gran finale, ecco Jason, il mio ex ragazzo.-
    Faith si fermò e scosse la testa - Se tutti vedevano la nostra come una storia da favola, beh... quella storia è finita dopo neanche un anno. Quindi come posso credere nei sogni che si avverano?-
    Si voltò disinteressatamente verso l’ingresso, per non mostrare a Max il dispiacere che traspariva dai suoi occhi.
    Il ragazzo allungò una mano sul tavolo per prendere la sua.
- Spesso - Le confidò affettuosamente - Sognare ci aiuta ad evadere dalla dura realtà di tutti i giorni. Non dovresti mai smettere di farlo.-
- Probabilmente non so nemmeno come si fa.- Dichiarò Faith con rassegnazione.
- Devi avere più fiducia in te stessa. Il tuo desiderio di fare la stilista, per esempio, si è avverato. Troverai di certo qualcuno che ti insegnerà e ti farà capire che non si può vivere senza sognare, perché sono proprio i sogni che rendono il mondo migliore.-
    Lei annuì con un sorriso mesto - Mi piacerebbe tanto che tu avessi ragione, Max.-
- Impara ad ascoltare di più il tuo cuore.-
- Spero di non aver rovinato tutto.- Affermò asciugandosi una lacrima con un fazzoletto e abbozzando un sorriso - Sto facendo la parte della vittima. E questo non mi piace.-
    Max sorrise e la tranquillizzò - Trovo che tu sia molto dolce, invece.-
- Lo dici per farmi stare meglio, ma in realtà non lo pensi affatto.-
- No - Scosse la testa - Te l'ho detto che non sono un uomo qualunque.-
- E io te l'ho detto che sei piuttosto modesto?- Scherzò lei.
- Mi sembra vagamente di si.- Rispose aggrottando la fronte.   
- Allora - Continuò lei facendo scorrere leggermente un dito sul bordo del bicchiere - Che tipo di uomo sei?-
    Max la guardò e sorrise - Lo vuoi sapere?-
- Certo. Ha qualcosa da nascondermi, mr. Warren?-
- Assolutamente no. Potrei sembrarti noioso, però.- La avvertì.
    Un uomo di colore vestito di un frac bianco salì sul palco davanti all'orchestra afferrando il microfono e intonando “I'll be home for Christmas”, un pezzo reinterpretato da svariati artisti dello swing e più che adatto all'occasione.
    Faith lo ascoltò attentamente. Posò i gomiti sul tavolo incrociando le mani e valutò la risposta di Max.
- Da come sta andando la serata non credo che tu possa essere noioso.- Disse rivolgendosi a Max.
Lui bevve un sorso di vino - Cosa vuoi sapere?-
- Per esempio, qual'è il colore che preferisci?- Faith non poteva credere di avergli posto quella domanda.
- Rosso, senza alcun dubbio. Il colore della passione.-
- Numero preferito?-
- Il 2.-  
    La ragazza gli rivolse uno sguardo interrogativo.
- Ha una bella forma.- Spiegò lui. Lei sorrise.
- Sei superstizioso?-  
- Questa situazione somiglia molto ad un interrogatorio. Comunque... no. Penso che le cose succedano perché devono succedere e non perché un gatto nero ti ha attraversato la strada. Ma non dovevamo parlare di te stasera?-
- Si, ma mi sto divertendo a torturarti.- Gli confessò lei, non riuscendo a trattenere una risatina imbarazzata - Tu cos'altro vorresti sapere di me?-
    Max ci pensò un po', mentre assaggiava il salmone.
- Dunque... peggior vizio e miglior qualità.-
    La ragazza si scostò una ciocca di capelli dietro un orecchio.
- Il difetto è che sono poco flessibile e forse tendo ad analizzare troppo persino la cosa più insignificante. Ah, sono anche timida.- Aggiunse - Come qualità, invece, non saprei. Non sono brava a descrivermi.-
- Gli amici cosa dicono di positivo a riguardo?- La incalzò Max.
- Che sono intraprendente sul lavoro, educata e pure molto bella.- Sentenziò.
- Fortuna che non eri brava ad descriverti.-
- Stavo scherzando!- Si difese lei - Dicono che sono gentile e sempre disposta ad aiutare chi si trova in difficoltà.-
- Queste sono belle qualità.-
- Grazie.- Rispose lei, increspando le labbra.
    La serata stava procedendo meglio di quanto sperassero ed entrambi si accorsero di sentirsi sempre più a loro agio, nonostante la sensazione di nervosismo che li preoccupava dalla mattina.
    L'interesse reciproco dei ragazzi accresceva con il passare del tempo, ma non mancavano brevi attimi di imbarazzante silenzio.
    Nel frattempo l’artista sul palco proseguiva ad incantare il pubblico con la sua voce calda e coinvolgente. Brani celebri come "Unforgettable” e “Have yourself a merry, little Christmas” non passarono inosservati e riportarono al presente gli anni Cinquanta, quando Frank Sinatra e Nat King Cole rendevano tutto più romantico e riuscivano perfettamente nel loro intento di tradurre in realtà la magia delle cartoline natalizie dell'epoca.
    A quel punto Max le porse la domanda che più gli premeva negli ultimi minuti.
- C'è qualcuno in questo momento nella tua vita, Faith?-
    La ragazza rimase un po' in silenzio, arrossendo leggermente - Beh...-
- Capisco - Si affrettò lui - non sono affari miei. Scusami, non avevo il diritto di...-
- No.- Lo interruppe - Non c'è nessuno.-
    Max annuì. L'improvvisa fitta di disagio che lo aveva investito qualche attimo prima svanì di colpo.
- E poi credi davvero che se avessi avuto un ragazzo avrei accettato il tuo invito?- Lo punzecchiò - Io non sono una donna qualunque.-
- Mai detto.- Si difese lui con le mani alzate.
    Alla fioca luce delle candele, Faith gli pareva ancora più bella. Gli piaceva tutto di lei. Il modo con cui si scostava i capelli dietro l'orecchio, il suo sorriso luminoso e spezza-cuori, la sua risata cristallina, il suo modo di fare spirito senza mai essere volgare. E i suoi occhi, color del miele, profondi e carichi di espressività.
    Più volte, durante la cena, si era obbligato a distogliere lo sguardo perché non sarebbe riuscito a comporre una frase sensata, ma allo stesso tempo, avvertiva l'urgenza di non staccarle gli occhi di dosso. Lei era vera e lo faceva sentire vivo come non mai. Non riusciva a spiegarselo, ma c'era una potente forza che lo attirava impercettibilmente verso di lei.  
    Anche Faith lo osservava con ammirazione, completamente affascinata da quel ragazzo che sembrava essere cresciuto in modo del tutto opposto da quelli che aveva conosciuto fino ad allora. Lui era dolce, sensibile e, più di ogni altra cosa, sapeva ascoltare senza dover sempre interromperla per mettersi in mostra. Adorava come la guardava. I suoi occhi verdi erano attenti e sinceri. Il suo sorriso perfetto e rassicurante.
    Parlarono ancora per un paio d’ore, e il dolce, una millefoglie con gocce di cioccolata, era diventato ormai un lontano ricordo.
    Quando si accorsero che la gente iniziava ad andarsene e l’orchestra smetteva di suonare, si rivestirono ed uscirono dal Plaza.
    Sebbene la notte precedente fossero rientrati tardi, non si sentivano affatto stanchi. La serata era trascorsa in un batter d’occhio e nessuno dei due voleva andare a dormire. Nessuno dei due voleva che finisse.
    Il vento, che aveva soffiato sulla città durante tutto il pomeriggio, si era calmato, così si incamminarono e passeggiarono tutta la notte in una New York meno caotica, avvolta in una leggera foschia. Sembravano davvero le due persone più felici del mondo.
    Poi Max vide sopraggiungere un taxi e indicò all’autista di fermarsi.
- Vieni con me.- Disse a Faith, invitandola a salire sull'auto.
- Ma dove vuoi andare? Sei pazzo. È quasi mattina e...-
- Ti porto in un posto speciale, Faith. Ti prego, vieni con me.- La supplicò Max.
    Una volta saliti sul taxi il ragazzo si tolse la sciarpa e bendò gli occhi di una Faith incuriosita e divertita allo stesso tempo.
    La corsa durò poco meno di una decina di minuti. Privata momentaneamente della vista, Faith apprezzò il fatto che Max le tenesse la mano per farla stare tranquilla. Il calore che lui sapeva trasmettere la elettrizzava come una bambina alla vigilia di Natale.
    Si ritrovò stranamente a pensare ai sintomi dell'innamoramento che Holly le aveva bizzarramente illustrato la mattina precedente. Holly Andrews, ripeté tra sé, pensi di essere l'unica persona sulla faccia della Terra ad avere sempre ragione.
    Ma questa volta iniziava a crederci per davvero.
- Dove mi sta portando, mr. Warren?-
- Fidati di me.- Rispose lui. Faith avvertì un sorriso nelle sue parole.
    Dopo un breve viaggio in traghetto e un giro in ascensore,  ottenne finalmente il permesso di togliere la sciarpa.
    La vista che le si presentò era straordinaria.
- Max, ma qui siamo sulla...-
- … Statua della Libertà.- Dichiarò Max, rubandole le parole di bocca.
    Il maestoso monumento si stagliava trionfante in cima ad Ellis Island, dipinta dalle morbide sfumature dell'aurora.
    Con il suo braccio destro teso verso l’alto a reggere gloriosamente la fiaccola, la statua sembrava salutare l’inizio di una nuova giornata, mentre, dall’interno della corona, Max e Faith osservavano estasiati quell’incantevole spettacolo.
    La ragazza era rimasta senza fiato nell’ammirare la notte che alzava il suo manto nero come il sipario di un teatro, e l’alba che iniziava a rischiarare il cielo cosparso di tante spumose nuvole rosa e arancio.
    Restarono in silenzio per qualche minuto perché entrambi erano consapevoli si trattasse di uno di quei momenti infiniti che non valeva la pena guastare neanche con una sola parola.
    Poi Faith sorrise e, senza distogliere lo sguardo dal cielo, sussurrò:
- Sai, alcune persone aspettano tutta la vita per un momento come questo ed io mi ritengo più che fortunata a trovarmi a viverlo, ma soprattutto, a condividerlo con te, Max.-
    Faith si volse  verso di lui.
- È bellissimo quello che hai fatto per me, però sai una cosa?-
- Cosa?-
- A cena ti ho mentito.- Gli rivelò con lo sguardo abbassato - C'è qualcuno nella mia vita.-
    Max increspò le labbra mentre un lampo di tristezza mista a delusione balenò nei suoi occhi verdi.
- Credo di aver trovato quella persona che mi insegnerà che non si può vivere senza i sogni.- Continuò lei - I bei sogni. Quelli che ti fanno piangere di gioia, quelli che ti fanno sorridere alla vita, quelli che continuano anche dopo il risveglio alla mattina.-
    Faith chiuse gli occhi ed avvicinò lentamente le sue labbra a quelle di Max, avvertendo il suo respiro umido sulla pelle.
- Quelli che ti ritrovi a vivere in situazioni che nemmeno speravi ti potessero accadere.-
- Sei tu il mio sogno più vero, Faith...- Mormorò Max con un filo di voce.
    La ragazza si commosse. Non conosceva nessuna parola che potesse esprimere in modo esauriente la sua gratitudine.

    Le loro labbra si toccarono delicatamente una, due, tre volte, per poi baciarsi, con la passione e la purezza di un primo bacio, lasciandosi travolgere da un sogno che non sarebbe mai finito, avvolti nella luce pervinca del primo mattino.
    Ancora una volta, come sulla pista da ballo, formavano una cosa sola.

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Capitolo 5
*** 5. Per Sempre ***


Le Ragioni Del Cuore BN
RISPOSTA ALLE RECENSIONI

Eccomi qui per un nuovo capitolo di questa pseudo storia. Come sempre i miei immancabili ringraziamenti vanno alle mie fedeli recensitrici.

SATY Grazie per il tuo sostegno e appoggio. È molto importante per me, lo sai bene. Ho voluto farti uno speciale omaggio citando proprio il mitico Frank Sinatra.
E come sei sempre molto educata nel desiderare Max... Forse la tua rivale dovrebbe prendere esempio, ma è meglio che lei continui così, come si dice, ognuno ha il suo stile per esprimersi e a me piace anche il suo. Anche tu però continua così. La strada per ottenere l'oggetto del vostro desiderio è ancora lunga!  
Ti voglio bene!

AKANE25 Sarei molto contento di organizzarti la festa di laurea! Mi sa che avvierò un'agenzia organizzatrice di eventi, perciò... basta con questa storia, che ne dici? Basta con Max, Faith e compagnia bella! Pianto qui tutto! Only events! Che ne dici?
Comunque grazie per le tue dettagliate recensioni. Piano con il protagonista maschile... è ancora sotto copywrite e, in base al suo contratto, per molti capitoli non potrà avere NESSUN GENERE di rapporti con persone che vivono al di fuori del romanzo. Spiacente, Rox! Però io sono ben lieto di sostituirlo. Per qualsiasi tua necessità non esitare a chiamarmi, mi raccomando...  -_^
Buona lettura! A presto, un abbraccio.

MOZZI84 E Tu invece vacci piano con la protagonista femminile. Anche lei è protetta dal copy. Tutti i diritti riservati. Potrei farti causa, ma il fatto è che sei fondamentale per la continuazione di questa storia, perciò potremmo giungere ad un compromesso che discuteremo poi in separata sede!
Ottimo lavoro per questo capitolo così bello (modestamente!) ed importante. Molto bene!
Faccio a meno di augurarti buona lettura perché tanto sai già di cosa parla il nuovo capitolo (anche perché come sempre me li smonti e rimonti come più ti piace!)...dai che ske! Stai tra, mi hai capi?
Ti voglio bene!

Per finire un ringraziamento anche a chi ha inserito questa storia tra le preferite. GRAZIE! Sono fiducioso in prossime recensioni.

Buona lettura a tutti!



5. PER SEMPRE

    Max si svegliò nel primo pomeriggio, cercando di capire se ciò che aveva vissuto fino a qualche ora prima era stato soltanto un sogno. Era al settimo cielo e lo si poteva intuire dal suo sorriso.
    Anche Faith si risvegliò sorridendo. Il ballo, il bacio, il sole che sorgeva… era tutto vero, ed entrambi lo sapevano. Non aspettavano altro che baciarsi di nuovo.
    Il Natale si stava avvicinando rapidamente ed era strano come l’attesa di quel periodo dell’anno fosse molto più entusiasmante della giornata stessa.
    Max concluse brillantemente l’incarico che gli era stato affidato ed il suo breve soggiorno in città stava ormai per terminare.
- A che ora parte il tuo aereo domattina?- Gli domandò Faith.
- Alle undici, ma non preoccuparti.- La rassicurò lui - Ti raggiungerò a Los Angeles prestissimo.-
    Faith era molto triste.
- È un classico della mia vita. Proprio ora che cominciavo a stare bene... te ne vai.-
    Max la strinse a sé - Tornerò.-
- Dove?- Gli chiese.
- Da te. Da noi.-

    Passeggiarono lungo la strada tenendosi per mano e fermandosi di tanto in tanto a guardare le vetrine dei negozi addobbate a festa.
    Due dalmata tenuti al guinzaglio dal loro padrone iniziarono a giocare con loro e, mentre Faith si chinava per accarezzarli, Max si fermò da un fioraio e le comprò un mazzo di rose bianche.
- Come sapevi che è il mio fiore preferito?- Domandò Faith stupita.
- Lo sapevo.- Le rispose lui, nascondendo un sorriso.
- Lasciami indovinare: Holly?- Azzardò Faith.
    Max asserì con la testa.
    Si stavano divertendo tanto quel pomeriggio e il tempo scivolava via rapido e silenzioso.
- Guarda là!- Esclamò Faith, indicando uno dei negozi nella parte opposta della strada - Seguimi!-
    La ragazza afferrò Max per un braccio e, senza pensarci troppo, lo trascinò in mezzo al traffico infernale.
- Faith, sei pazza?!- Urlò.
    Le auto frenarono di colpo e qualche autista non si risparmiò dal suonare il clacson o dal gridare commenti non proprio educati, mentre i due innamorati zigzagavano nel caos.
    Giunsero sul marciapiede, ansimando e ridendo come matti per l’imprudenza appena compiuta.
    Poi Faith si mise ad ammirare il negozio che aveva attirato la sua attenzione.
- Tiffany... - Sospirò con aria sognante. Max la guardò allibito.
- E io avrei rischiato di farmi ammazzare da automobilisti rabbiosi soltanto per dei diamanti?-
    La ragazza passò lentamente il suo sguardo dalla vetrina al viso di Max, che aveva assunto un’espressione magnificamente sconvolta.
- Questi non sono dei diamanti qualsiasi. Qui siamo da Tiffany e questo è il negozio dove niente di brutto può succederti. Ricordi il film con Audrey Hepburn?-
- Come no. A te mancano solo una brioche in una mano e un cappuccino nell’altra e saresti pronta per girarne il seguito!- Scherzò lui.
    Entrarono nella gioielleria, mentre il sole che tramontava creava milioni di giochi di luce diversi tra i tanti gioielli e diamanti di ogni tipo e dimensione. Era come entrare in un gigantesco e luccicante palazzo di ghiaccio.
- Non senti che aria tranquilla si respira qui dentro?- Gli fece notare Faith, calandosi nel ruolo dell’attrice. Max la osservò con aria interrogativa, chiedendosi se davvero la sua ragazza fosse stata posseduta dallo spirito di Audrey.
    Il proprietario in persona mostrò loro alcuni pezzi ai quali Faith era interessata. La ragazza optò per un bracciale e Max decise di regalarglielo in occasione del Natale, mettendoglielo subito al polso.
 - Ti amo.- Le sussurrò.
- Per sempre?- Gli chiese lei.
    Max storse un po’ il naso - No, non per sempre. Che ne dici... Per tre o quattro mesi può andare bene?-
- Non provarci nemmeno.- Lo minacciò Faith, afferrandolo per il bavero del cappotto con un’espressione fintamente minacciosa.

    La serata trascorse tranquilla e all’insegna del divertimento. Alle 8.30 cenarono insieme ad Holly e Chris in una pizzeria sulla 44ma strada, e infine arrivò il momento di accomiatarsi.
    Chris chiamò un taxi per tornare a casa e Holly salì in camera dopo aver salutato Max.
- Eccoci qui.- Sospirò Faith, lasciando trasparire dalla voce una nota di amarezza.
- Già... eccoci qui.- Ripeté Max.
- Allora chiamami non appena arriverai a New Orleans.- Gli ricordò lei, mettendosi le mani infreddolite nelle tasche della giacca.
- Certo, lo farò.-
    Max vide una lacrima scendere lungo il viso di Faith in una scia argentata.
- Ehi! Non fare così, altrimenti non riuscirò a partire. È già difficile lasciarti, non voglio che i tuoi occhi tristi siano l’ultimo ricordo che ho di te. Io ti amo. Non dimenticarlo.-
    Si baciarono a lungo, come la prima volta. Poi Max la salutò e si incamminò verso il suo albergo.
    Ma si voltò quando, dopo pochi istanti, lei lo chiamò:
- Per sempre?- Gli chiese.
    Max sorrise - Per sempre, amore mio.-
    L’aria era frizzante quella sera e una luna bianchissima rischiarava il cielo blu intenso, costellato da una miriade di puntini luminosi che facevano da cornice alla città.
    Faith si scostò i capelli dalla fronte e, guardando la luna, sussurrò - Per sempre.- 

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Capitolo 6
*** 6. Festa Di Capodanno ***


Le Ragioni Del Cuore BN
RISPOSTE ALLE RECENSIONI
MOZZI84 Non so se ci sarà il lieto fine, la Sabry può farti una ventina di spoiler se glielo permetti… Come sempre grazie per il lavoro che svolgi, sei S.U.P.E.R.! tivibì!

AKANE25  Un bracciale di Tiffany è in arrivo anche per te, tesoro! Pieno pieno di diamanti… sono poco fantastico? E tu che mi rifiuti sempre per Domenico. Mah, che mondo! Ma ti voglio bene lo stesso, stai tra!!

SATY
Grazie per i tuoi tanti complimenti! Apprezzo come sottolinei le parti cinematografiche e i suoi riferimenti, fa piacere che qualcuno le noti! Grazie mille! Ti voglio bene e continua così!


In occasione della pubblicazione del sesto capitolo “FESTA DI CAPODANNO” ho realizzato una cover della fanfiction, sperando ovviamente che vi piaccia. Accetto critiche, ma anche suggerimenti nel caso dovessi in futuro realizzarne un’altra.  

Buona lettura!

6. F ESTA DI CAPODANNO

    Il mattino seguente Max prese il suo aereo per New Orleans, sistemò alcune cose lasciate in sospeso in ufficio, poi un altro volo lo riportò a casa, a Lakewood, dove trascorse il Natale con la madre ed alcuni amici.
    Qualche giorno dopo anche Faith e Holly tornarono a Santa Monica. L'ultimo giorno dell'anno era ormai alle porte e le due ragazze si stavano impegnando nei preparativi per i festeggiamenti.
 - Spero tanto che Max riesca ad essere qui il più presto possibile.- Disse Faith - Vorrei iniziare il nuovo anno con lui.-
- Sarà qui in tempo non preoccuparti.- La tranquillizzò Holly mentre si raccoglieva i capelli in una coda improvvisata - Nel frattempo diamoci da fare per organizzare una bella festa.-
    Quella giornata di fine dicembre era soleggiata e le due amiche ne approfittarono per fare un po’ di jogging in riva all’oceano.
 - Secondo te - Proseguì Faith, fermandosi qualche istante per prendere fiato - Credi che dovrei andare a far visita a mio padre?-
    Holly ci pensò un po’ - Non saprei. Insomma, quando tu avevi bisogno, lui non c’era. Però in fondo è sempre tuo padre e passare per il carcere non ti costa niente. Max cosa ne pensa?-
- Devo ancora parlargliene.-
- Qualsiasi cosa ti dirà sono sicura che farai la cosa più giusta, Faith.- La incoraggiò Holly, riprendendo a correre.

    Quando tornò a casa, Faith trovò la zia Becky in cucina intenta a sfornare una torta al cioccolato.
- Che profumo zia!- Esclamò ingolosita.
- Ciao Faith. Ti va una fetta di torta? E' bella calda. Dai, siediti.- La invitò amorevolmente la zia - Raccontami di New York. Com’è andata la vacanza con Holly? Ultimamente sei così indaffarata che non mi hai ancora detto se vi siete divertite.-
- Si, ci siamo divertite  tantissimo!- Rispose Faith - E poi... ho conosciuto un ragazzo.- Sorrise, abbassando lo sguardo.
- Un ragazzo?- S’incuriosì la zia - La torta è abbastanza grande per accompagnare tutta la storia. Sono tutt’orecchi, mia cara.-
    Faith era orgogliosa del rapporto che la legava a sua zia. Dopotutto era stata lei ad accoglierla in casa quando era ancora una bambina e le voleva un gran bene.
    Aveva saputo sostituire egregiamente sua madre e con lei poteva discutere di qualsiasi argomento.
- Come dici? Ti ha regalato un bracciale?- Le chiese la zia meravigliata.
    Faith glielo mostrò - Penserai che magari stiamo correndo troppo, però io sento di amarlo come non ho mai amato nessun altro.-
- No invece.- La contraddì la zia - Non lo penso affatto. Lascia che ti dica una cosa, bambina mia. L’amore non ha limiti di tempo. Quando c’è non puoi negarlo e quando non c’è non puoi obbligarti a sentirlo. Può arrivare presto o tardi, ma alla fine arriva sempre. L’amore è il più grande sentimento che lega due persone. Per sempre, se è quello vero. Non è mai nuovo e non è mai vecchio. E purtroppo la maggior parte della gente si rende conto di amare qualcuno quando ormai è troppo tardi. Il consiglio che ti voglio dare è questo: non trascurarlo, ma vivilo fino in fondo perché soltanto così potrai scoprire qual è il destino della tua storia.-
    Faith rimase a guardare la zia, facendo tesoro del suo consiglio. Poi si alzò da tavola e l’abbracciò forte -Ti voglio bene.- Le sussurrò, dandole un bacio sulla guancia.

    La mattina del 31 dicembre Faith e Holly terminarono i preparativi per la festa di capodanno.
- Max mi ha chiamato un paio di ore fa. Non sa se riuscirà ad essere qui prima di mezzanotte. Il maltempo ha causato dei ritardi ai voli di linea.- Sospirò Faith, amareggiata.
- Vedrai che prima o poi arriverà, stai tranquilla.- Le rispose l’amica.
- Lo spero.-
- Arriverà, vedrai, e ci divertiremo un sacco stasera tutti insieme.-
    Dopo pranzo Faith decise di andare da suo padre. Non era pienamente convinta, ma voleva comunque provarci. Erano passati parecchi anni da quando lo aveva visto l'ultima volta e temeva che qualcosa nel loro rapporto già così complicato fosse cambiato.
    Così prese la macchina e si recò in città.
    Lungo il tragitto pensò che forse avrebbe fatto meglio a parlarne prima con Max, ma poi ci ripensò: si trattava di un problema che riguardava soltanto lei e suo padre.
    Parcheggiò l’auto lungo il viale alberato che fiancheggiava il carcere e si diresse verso l’ingresso, ma, non appena si avvicinò al cancello, fu pervasa da mille  perplessità e si pentì di esserci andata.
“Cosa mi dirai? Cosa penserai di me? E perché sei finito qui dentro? Cos’hai fatto papà?”
    Queste erano soltanto alcune delle domande che affollavano la sua mente in quegli istanti, ma, più di ogni altra cosa, ciò che la turbava era il timore delle risposte che avrebbe sentito. Le stesse che attendeva da tanto tempo, ma che nessuno aveva mai saputo o voluto darle.
    Il solo fatto di essere arrivata fino all'entrata era stato sufficiente per farle ricordare tutto il male interiore che aveva subito molto tempo prima.
    Fino ad allora non aveva mai avvertito il desiderio di rivedere suo padre, perché la paura di rivivere tutti  i ricordi era tanta, ma da quando Max era entrato nella sua vita, si era resa conto che presto o tardi avrebbe dovuto risolvere la situazione e per farlo, era necessario buttarsi alle spalle il passato ed affrontare il presente.
    Consapevole di tutto questo, salì in auto e fece ritorno a casa, promettendosi che sarebbe ritornata.

    La festa di capodanno era stata allestita in una casa sulla spiaggia che Holly e Faith avevano affittato per l’occasione.
    Si trattava di un'abitazione piuttosto ampia che per tutta l'estate e il periodo natalizio veniva data in locazione dall'agenzia dello Stato a chiunque avesse voluto trascorrere una vacanza o anche solo organizzare ricevimenti e compleanni.
    Non era molto diversa dallo stereotipo di “casa americana”: strutturata su due piani, era costruita in legno e pietra, a pochi metri dall'oceano. Tutt'intorno, i cespugli selvatici si erano spinti fin sotto al porticato, dipinto di bianco e azzurro e illuminato da una lunga fila di lampadine colorate.
    Alle otto di sera era già gremita di gente, ma per Faith la casa era ancora vuota.
    Mancava una parte di lei che le era stata strappata pochi giorni prima di Natale, in una città che non era la sua, e il tempo ne aveva amplificato la mancanza.
    Cercò di non pensare all’assenza di Max, ma nonostante gli amici la invitassero ripetutamente a ballare, se ne stava seduta da sola aspettando una telefonata del suo ragazzo. Soltanto Holly riusciva a tirarla su di morale con le sue simpatiche battute. Consultava ripetutamente l’orologio, che pareva andare più veloce ad ogni occhiata, quasi avesse voluto farle un dispetto.
    Mancava poco alla mezzanotte quando il suo cellulare cominciò a suonare. Vista la confusione, fu costretta ad uscire sotto il porticato per poter rispondere.
 - Max dove sei? È quasi mezzanotte.-
- Scusa Faith, ma l’aereo ha dovuto fare scalo a Salt Lake City. Purtroppo non sarò lì per tempo.-
Faith si rattristò.
- Salt Lake City? Arriverai domattina...-
- Si, arriverò a Los Angeles intorno alle nove. Mi dispiace tanto...-
    Un'interferenza minacciava di far saltare i collegamenti.
- Ti amo, lo sai.-
- Anche io, Max.-
    La linea saltò definitivamente e Faith fu costretta a riattaccare.
    Rimase qualche minuto sotto il porticato ad ascoltare il rumore monotono dell'oceano, mentre il vento soffiava leggero, portandone l'odore salmastro.
    Quando decise di rientrare in casa la sua attenzione fu richiamata da una voce proveniente dalla strada: qualcuno era appena sceso da un taxi e la stava chiamando. La debole luce dei lampioni le permetteva di vederne soltanto la sagoma, ma quando riuscì a definire il suo volto, scoppiò dalla felicità.
- Max!- Urlò, correndo verso di lui - Brutto imbroglione! Salt Lake City, eh? Mi hai fatto star male! Temevo non saresti più arrivato!-
    Max le porse un grande mazzo di fiori che teneva nascosto dietro la schiena.
- Spero ti bastino queste rose per farmi perdonare, amore.-
- Oh, dovrai fare molto di più.- Gli rispose Faith con un sorriso malizioso.
    Improvvisamente, dalla casa sulla spiaggia, la gente iniziò a gridare il conto alla rovescia e, a mezzanotte in punto, decine di fuochi d’artificio illuminarono la baia di Santa Monica, squarciando il cielo di colori vivi e luminosi.
- Non potrei desiderare un inizio d’anno migliore.- Sospirò Faith, sorridendo e guardando Max nei suoi occhi verdi.
- Felice anno nuovo, piccola.-

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Capitolo 7
*** 7. Un Doloroso Ricordo ***


Le Ragioni Del Cuore BN
R ISPOSTA ALLE RECENSIONI

Prima di ringraziare le recensitrici mi preme fare gli auguri ad una persona importante. TANTISSIMISSIMI AUGURI, SABRI!!! Oggi è il tuo compleanno e non potevo certo dimenticarmi di questo giorno così importante. Mi auguro che tu trascorra una bella giornata e spero di aver fatto buona cosa a farti gli auguri  pubblicamente! Ti voglio bene!
Intanto che ci sono ti ringrazio per tutto quello che fai e che scrivi! Hai una pazienza di Giove a recensire così accuratamente ogni capitolo, e io ti ammiro davvero tanto per il lavoro che fai! GRAZIE! Continua così!
Un grazie particolare anche a Rossella. Sono contento che la prima cover ti piaccia e mi vergogno perché sei una mia fedele recensitrice, mentre io avrei voluto seguirti fin dall'inizio nella tua NOTTE ROSSA DI PLENILUNIO. Purtroppo non seguo il genere, ma apprezzo il tuo modo di scrivere e ho la certezza che ti meriti ognuno dei complimenti che ricevi ed io, al tuo confronto, mi sento un “poppante”. Non ti interesserà più di tanto sapere che, mentre l'altro giorno preparavo un Tiramisu, mi sei venuta in mente. Te ne manderei volentieri un pezzo, ma con la velocità e l'efficienza delle Poste Italiane non so in che condizioni ti arriverebbe. E SE ti arriverebbe! Comunque, scherzi a parte, grazie per il lavoro che fai. Sei Grande! Ti voglio bene!
Infine, i miei ringraziamenti vanno alla Beta così tanto desiderata e amata, che riceve dimostrazioni di affetto da ogni parte del mondo. Che dire? Sempre perfetta e puntuale nello svolgere i suoi compiti e per il grande spirito di sopportazione per miei ritardi e modifiche dell'ultima ora, quando ormai lei ha già svolto la betatura! Le tue recensioni sono sempre molto divertenti! Grazie, Monic. Ti voglio bene!

7. U  N DOLOROSO RICORDO

    L’anno nuovo iniziò con un’uggiosa e malinconica giornata.
    Dalla veranda della sua casa, Faith osservava distrattamente il colore scuro dell’oceano fondersi con il grigiore cupo del cielo. Le grosse nuvole ceree scivolavano lente e annoiate sopra la città, punteggiando talvolta la sabbia di pioggia per poi scomparire oltre le colline di Beverly Hills.
    La ragazza se ne stava seduta sopra un divanetto di vimini con una coperta sulle gambe, e si godeva quegli attimi di pace. Regnava un gran silenzio, intervallato soltanto dal sibilare del vento e dall’infrangersi delle onde contro gli scogli. Nell'aria si percepiva l'odore fresco della pioggia e c'era l'alta probabilità che di lì a poco scoppiasse un vero e proprio temporale.
    Pensava.
    Pensava a suo padre e al coraggio di vederlo che le era mancato il giorno prima. Sentiva l’assoluto bisogno di parlarne con Max, perciò decise di aspettare che si svegliasse, dopo un’intera nottata di festeggiamenti.
    Zia Becky era uscita nel primo pomeriggio per far visita ad un’amica e le aveva lasciato dei biscotti alla crema nel forno.
    Andò in cucina, ne prese un paio e si versò una bella tazza di caffè nero. Poi tornò ad accomodarsi sul divanetto, gustandosi i biscotti.
    Ai suoni del vento e delle onde si era aggiunto anche il ticchettio leggero ed insistente della pioggia che cadeva sul tetto in legno del porticato. Faith adorava quel rumore perché le conciliava il sonno. Stava appunto per appisolarsi quando Max apparve sulla porta d’ingresso, facendola cigolare. Si sedette al suo fianco e restò in silenzio.
- Si sta così bene qui.- Sussurrò dopo aver ammirato il paesaggio.
    Faith lo salutò con un bacio.
- Questo posto mi ricorda tanto casa mia.- Proseguì Max - Con la differenza che qui si vede l’oceano invece del lago.-
- È bello vero?- Convenne Faith - Tante volte mi piace sedermi qui. È rilassante e allo stesso tempo rassicurante. Mi da come la sensazione che niente e nessuno possa farmi del male in questo angolo di paradiso. Chiunque si sentirebbe a casa.-
- Hai ragione.- Approvò Max.
    Faith approfittò dell’occasione per parlargli di suo padre. Era certa che lui avrebbe saputo ascoltarla e consigliarle come era meglio comportarsi in una situazione così delicata.
 - Mi sento tanto in colpa.- Concluse, infine - Non sapevo che cosa fare e così ho pensato che se ne avessi parlato con te…-
- Hai fatto bene. Stiamo insieme adesso e dovremmo condividere i nostri problemi.- La giustificò lui.
- È difficile fare la scelta giusta in questi casi. Qualcuno finisce sempre per starci male. Tu cosa faresti al mio posto?-
- Se fossi in te... io andrei.- Rispose deciso Max.
- Ma non ti importa sapere che lui è in carcere perché ha infranto la legge?-
- Tu non sai perché c'è finito.-
- In effetti hai ragione.- Ammise Faith, volgendo lo sguardo da un lato.
- Se devo essere franco, ti consiglio di andare da lui. Non hai idea di quante persone darebbero qualsiasi cosa per poter andare a trovare i propri genitori e invece si devono accontentare di guardare delle vecchie fotografie perché loro non ci sono più, e non perché sono partiti per sempre per chissà quale luogo del mondo.-
    Max la fissò e lei capì che quella frase faceva un preciso riferimento alla sua vita.
- Stai parlando di tuo padre?-
    Il ragazzo tentennò un po’ prima di rispondere, stringendosi nelle spalle.
- Lui è morto qualche giorno prima del mio sedicesimo compleanno.-
- Dio, mi dispiace Max. Io…- Faith si portò una mano sul petto, dispiaciuta.
- Dispiace anche a me.- Mormorò il ragazzo.
- Cos’è successo?-
- Una semplice distrazione lo portò fuori strada con l'auto. Era una domenica mattina quando il suono insistente del telefono mi buttò praticamente giù dal  letto. Entrando in cucina trovai mia madre in preda al panico. Mi disse che papà aveva avuto un incidente in macchina e che lei sarebbe dovuta correre immediatamente in ospedale. Io rimasi in casa tutto il giorno e aspettai. Dentro di me sentivo che era successo qualcosa di veramente grave e irreparabile. Quando quella sera, mia madre tornò, io corsi alla porta per poter riabbracciare mio padre, cercando di convincermi che ci fosse. Ma purtroppo... non c’era.-
    Max si fermò di colpo. Non aveva mai raccontato a nessuno di quel giorno, e si commosse. Si strinse le mani, incredulo di essere finalmente riuscito a parlarne con qualcuno dopo tutto quel tempo.
    Faith, che aveva ascoltato incredula e silenziosa, lo abbracciò forte, cercando di trasmettergli tutto il suo affetto, finché lui riprese a raccontare.
- Mio padre non c’era. Mia madre scese dall’auto, piangendo. Ricordo che mi venne incontro, mi abbracciò e io le chiesi ingenuamente “Dov’è papà?” Lei mi guardò con gli occhi gonfi di lacrime e un sorriso che lasciava trasparire tutto il dolore di questo mondo e mi rispose “Papà non tornerà a casa. Lui... non ce l’ha fatta, tesoro.” Da quel momento tutto il mondo che conoscevo crollò come un castello di carte. Ero stordito e allo stesso tempo arrabbiato. Non ci potevo credere. Non ci volevo credere. Era come camminare in equilibrio sospeso sul confine tra realtà ed irrealtà. Non sentivo né caldo né freddo e non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. È stata la sensazione più brutta che io abbia mai provato. -
    Faith rimase senza parole. Aveva sentito tante storie simili a quella, ma non aveva mai saputo ascoltarle con il cuore, e questo la intristì. Questa volta era successo a Max, una persona che stava iniziando ad amare per davvero.
- Ti manca?- Gli domandò.
    Max rivolse il suo sguardo verso l’orizzonte, quasi a voler cercare una risposta che già sapeva, dettata dal suo cuore.
- Ogni giorno di più. Non immagini quante volte ho immaginato di vederlo ritornare a casa. Mi manca. Mi mancano le nostre chiacchierate sulla terrazza nelle sere d’estate. Mi manca l’odore delle sigarette che fumava quando guardava la televisione prima di andare a dormire. Mi manca il suo saluto quando tornava dal lavoro. Mi piacerebbe sapere che cosa pensa di me adesso, dopo tanto tempo. Probabilmente sarebbe deluso.-
    Faith richiamò la sua attenzione, poggiandogli entrambe le mani sul viso.
- Ti sbagli invece, e parecchio. Io penso che da stare lassù lui ti osservi e ti giudichi migliore di quanto ritenesse quando era in vita.-
    Max alzò lo sguardo. Una lacrima gli faceva brillare gli occhi.
- Devi trovare il coraggio di andare da tuo padre, Faith. Forse non subito, ma non aspettare ancora molto. Nonostante tutti gli sbagli che ha fatto in passato, credo si meriti il tuo perdono. Non puoi portarti questo rancore per tutta la vita. È pur sempre tuo padre. Tutti abbiamo bisogno di una seconda possibilità e lui più di ogni altro.-
    Lei sospirò, ravviandosi i capelli con una mano.
- Ci proverò, Max. Grazie per avermi ascoltato. Ti voglio bene.-
- Ti voglio bene anch'io.- Replicò lui, abbracciandola.

    Quando, verso sera, zia Becky rientrò a casa, Max e Faith erano ancora sotto il porticato a parlare.
- Finalmente conosco questo Max!- Esclamò la zia, stringendo la mano del ragazzo - Faith non fa che parlare di te.-
- Spero bene, almeno.- Ribatté lui.
- Certamente.- Confermò la zia con una risata spensierata - Che ne dite - Suggerì dopo - Se preparassi un gustoso aperitivo prima di metterci a tavola? Restate pure qui tranquilli: penserò a tutto io.-
- Perché no. Mi sembra un’ottima idea.- Concesse Faith.
    La zia tornò dopo pochi minuti con un vassoio ricco di stuzzichini e bevande.
- Che sciocca! Ho dimenticato i tovaglioli. Faith, ti dispiace andare a prenderli?-
- Assolutamente no.-
    Faith andò in cucina e ritornò con in mano i tovaglioli ed una vecchia fotografia sbiadita.
 - Zia, ho trovato questa mentre cercavo i tovaglioli. Chi sono questi bambini?- Le chiese, piena di curiosità.
    La zia si strofinò le mani nel grembiule e prese la foto. Dopo aver inforcato gli occhiali le diede un’occhiata.
 - Ma questa sei tu, mia cara!- Esclamò - La foto è un po’ scolorita, ma ti riconosco. Santo cielo, come ha fatto a finire in mezzo a questi tovaglioli? Piuttosto - disse la zia, scrutando meglio l'immagine - Non so chi sia questo bambino vicino a te. Con quel cappello calato sugli occhi non riesco a riconoscerlo.-
    Faith la riprese in mano e la guardò più attentamente.
 - Non sai dove è stata scattata? Sul retro non c’è scritto nulla.-
    Zia Becky scosse la testa - È molto vecchia. Non ricordavo nemmeno di averla.-
    Max stava assistendo alla scena e desiderò dare un’occhiata alla fotografia.
 - Rimane il fatto che tu sei bellissima in questa foto, Faith.- Affermò.
    Lei arrossì.
- Vi dispiace se la tengo?- Chiese loro Max - Mi piace...-
    La zia guardò Faith, in attesa di una risposta.
- A patto che tu non la faccia pubblicare su qualche rivista o, peggio, sul Los Angeles Times!- Scherzò la ragazza.
    Scoppiarono tutti a ridere mentre brindavano al nuovo anno.

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Capitolo 8
*** 8. Fiducia ***


Le Ragioni Del Cuore BN
RISPOSTA ALLE RECENSIONI

Saty
Sono contento che tu possa apprezzare le mie descrizioni. Mi fa piacere coinvolgere te e tutti gli altri lettori così bene nella storia. E meno male che fai apprezzamenti anche sui paesaggi, basta con questo Max!!! Mica esiste solo lui! Sto scherzando, ovviamente! Ogni commento è sempre ben accetto su qualsiasi parte del romanzo. Grazie ancora.
A kane25
Hai sempre delle belle parole da scrivermi. Grazie mille! Ho già contattato la fabbrica che produce i Max e le zie Becky in serie e te ne manderò una copia, poi potrai fare ciò che vuoi con quei bambolotti! Naturalmente ne manderò anche a Sabrina, per essere corretto, così per un po' vi accontentate. E chissà che non sia io un giorno a chiederti un autografo, visto il tuo folto pubblico! Sei bravissima!
M ozzi84
Vedrai che riuscirò a farti cambiare idea. So che non dovrei dirtelo, ma Faith ti stupirà molto presto e, se così non fosse, ti offrirò una coppa gelato dallo Zio. Non lo zio Becky! Ora non posso fargli pubblicità, ma tu hai già inteso tutto. Le tue betature sono sempre precise e i tuoi suggerimenti corretti, senza che modifichino troppo la narrazione, esattamente come io ESIGO da te! Beh, devo dire che mi sei piaciuta molto... Si si. Sei stata molto brava. Molto bene! (Parla lo spirito della zia Mara!)

Un ringraziamento anche ad una nuova e fedele lettrice, Chiarascimmia che, malgrado questo strano nickname, è una brava ragazza alla quale voglio molto bene. Grazie anche a te.


8. F  IDUCIA

    Dopo aver fatto un bagno caldo, Max raggiunse Faith nel salotto, mentre stava seduta comodamente sul divano, immersa nella lettura de “Le pagine della nostra vita”, uno dei suoi libri preferiti.
    Il caminetto diffondeva un gradevole tepore in tutta la stanza e il legno di pino che ardeva al suo interno sprigionava un delicato profumo balsamico.
    Con il suo cono di luce, una piccola lampada dei primi anni ottanta illuminava l’angolo del divano dove la ragazza leggeva il libro, mentre sui vetri dell’ampia finestra le luci dell’albero di Natale sembravano ammiccare ritmicamente.
- Disturbo?- Domandò Max, spostando leggermente la porta a vetri scorrevole per entrare nella stanza. Tra le mani stringeva una busta bianca.
- Affatto.- Rispose Faith, chiudendo il libro - Dalla tua espressione, sembra che tu debba dirmi qualcosa di importante.- Realizzò, analizzando meglio il suo sguardo.
    Il ragazzo annuì, sedendosi al suo fianco. Esitò qualche istante ed inspirò a fondo prima di parlare.
- Faith, mi rendo conto che noi ci conosciamo da poco tempo, ma c’è qualcosa di speciale che riesco ad avvertire quando ti sto vicino e che mi suggerisce di fidarmi di te. Non so se questa sia una cosa positiva o meno, perché è una sensazione che io non ho mai provato, o che probabilmente ho provato tanto tempo fa e che ho completamente rimosso dai miei ricordi. Però io voglio farlo: voglio fidarmi di te. Senza limiti, senza condizioni.-
    Lei ascoltava in silenzio e sorrideva, compiaciuta.
- Perciò - Proseguì Max - mi chiedevo se tu potessi leggere questa per me.- Disse, affidandole la busta.
- È di mio padre. L’ha scritta qualche giorno prima che lui… ecco, in occasione del mio sedicesimo compleanno. Non sono ancora riuscito ad aprirla e leggerne il contenuto. Ogni volta che ci provo tanti ricordi affollano la mia testa ed è grande la paura di ritornare indietro, in quei giorni pieni di dolore. Temo che leggere quelle righe rappresenti un saluto definitivo, una sorta di addio. Però allo stesso tempo ho bisogno di sapere cosa c’è scritto.-
- Sono davvero onorata che tu lo abbia chiesto a me, ma... sei proprio sicuro di voler sapere cosa c'è scritto?- Gli chiese la ragazza, assumendo un’espressione preoccupata.
- Sono sicuro.- Ripeté risoluto.
    Lei aprì la busta, estrasse la lettera piegata a metà e prese a leggerla lentamente, scandendo ogni singola parola - “Max, figliolo, non sono mai stato veramente bravo ad esprimermi a voce, perciò spero che mi potrai perdonare se ho preferito scrivere anziché parlartene direttamente. Credo sia il momento, dopo quasi sedici anni, di dirti cosa penso realmente di te.
Vorrei iniziare dicendoti GRAZIE.
Grazie, perché solo nascendo mi hai reso la persona più felice della terra.
Grazie, perché mi hai involontariamente insegnato che nella vita c’è sempre qualcosa di buono del quale essere fieri, qualcosa di significativo nel quale credere.
Grazie, perché mi hai dato il coraggio di riuscire a superare i momenti difficili, quando pensavo che niente si potesse risolvere. Da piccolo ti sedevi sulle mie ginocchia, mi guardavi e mi sorridevi. Potevo sentire il mio cuore gonfiarsi nel petto e sarei stato in grado di spaccare il mondo.
Mi hai fatto comprendere che bisogna lottare per ciò che si desidera perché niente si ottiene facilmente.
E così dovrai fare anche tu. Senza calpestare i sentimenti altrui, ma mettendo tra le tue priorità il rispetto verso le persone, l’onestà, la solidarietà. Sono certo che questo non ti sarà difficile, perché sei un bravo ragazzo e ci tengo che tu sappia quanto sono orgoglioso di te.
Infine vorrei aggiungere una cosa: ovunque sarai e qualsiasi cosa farai, sii sempre te stesso. Hai il dono straordinario di riuscire a far sognare chiunque ti circondi. Non sprecarlo e abbi fede: un giorno incontrerai una ragazza, una donna, che ti darà tanto e che riuscirà a capirti fino in fondo, più di chiunque altra. Sarà lei il tuo eterno premio.
Ti voglio bene, Max.
Ricordati che potrai sempre contare su di me e che sarò con te in ogni momento della tua vita. Anche se saremo lontani... io ci sarò.
Buon sedicesimo compleanno. Con affetto, papà.”-
    Faith strinse per un attimo il foglio tra le mani, immaginando ciò che era successo qualche giorno dopo, o, peggio ancora, poche ore dopo che il padre aveva scritto quella stessa lettera. Avvertì un brivido al pensiero che lei era stata la prima persona ad averla riaperta dopo dieci anni. Poi ripiegò il foglio e osservò la reazione di Max, che stava immobile con lo sguardo fisso verso il focolare.
- Come va?- Gli domandò qualche attimo dopo, poggiandogli una mano sulla schiena.
    Lui si destò dal flusso dei pensieri che si susseguivano nella sua mente ed emise un soffio, come se ciò fosse servito a liberarsi di un fardello che da troppo tempo lo appesantiva. Si meravigliò di essere riuscito a parlarne dopo tanto tempo.
    Inizialmente il semplice ricordare un evento così doloroso gli aveva provocato una morsa allo stomaco che lo fece aveva fatto pentire di aver affidato la lettura della lettera a Faith. Ma poi capì che, avendola coinvolta in una parte così personale della sua vita, era riuscito ad alleviare la sua sofferenza.
    Tuttavia non poté negare che l’aver diviso con lei ciò che provava dentro lo faceva sentire strano, anche ai suoi stessi occhi.
- Va tutto bene.- Rispose con una certa esitazione e un sorriso mesto. Il fuoco del focolare baluginava nei suoi occhi lucidi facendoli brillare.
    Si lasciò andare sul divano con il viso rivolto verso l'alto, poi tornò a guardare Faith.
- Tu hai mai scritto la lettera a Babbo Natale quando eri piccola?-
    Lei piegò la testa di lato, assottigliando gli occhi senza capire quell'improvviso cambio di argomento.
- No. Non ho mai scritto lettere. Purtroppo non c'era questa tradizione in casa mia.-
    Max si ricompose e le si sedette di fronte, afferrandole le mani.
- Quando ero bambino, tutti gli anni, qualche giorno prima di Natale, mio padre mi diceva di scriverla. Mi parlava di lui come un essere magico che diventava reale solamente nella notte in cui distribuiva i regali. Poi, da ragazzo, durante una sera della vigilia, lo trovai seduto sui gradini davanti all'ingresso di casa, a fissare il cielo. Gli chiesi cosa stava guardando e lui mi rispose con un sorriso sulle labbra “Aspetto Babbo Natale.” Io scoppiai a ridere “Papà, non devi più raccontarmi questa storia. Lo sanno tutti che Babbo Natale non esiste.” Lui mi guardò, dandosi una finta aria di superiorità, e mi disse “Nessuno sa che invece esiste davvero.” “E dove sarebbe?” Gli chiesi io, scettico “É qui, nel nostro cuore. Ecco perché quando si diventa adulti non si crede più in lui. Ci si dimentica di essere stati bambini e non ci si ricorda più come ascoltare ciò che sentiamo dentro di noi.” Io non sapevo cosa replicare, allora lui mi suggerì di chiudere gli occhi e di esprimere un desiderio. Quando li riaprii vidi che anche lui stava esprimendo un desiderio. “Cosa hai espresso, papà?” Gli domandai. Sai cosa mi rispose?-
    Faith scosse leggermente la testa, sollevando un angolo della bocca.
- Mi disse “Gli ho chiesto di regalarti un sorriso sincero per ogni giorno dell'anno.” Io alzai gli occhi al cielo e vidi con stupore che il mio desiderio si era avverato: stava cominciando a nevicare. Sorrisi d'istinto, e lui, guardandomi, mormorò “Ecco il primo sorriso sincero.” Aveva ragione... Babbo Natale esiste per davvero. L'importante è crederci.-
    La ragazza annuì considerando il suo pensiero.
- Ho capito dove vuoi arrivare.-
- Babbo Natale è il simbolo di tutti i sogni. E' merito di mio padre se oggi ci credo. Mi ha insegnato a non crescere mai nel cuore.-    
- Beh - Disse Faith - Tuo padre ha pienamente ragione nella lettera.-
Max le rivolse uno sguardo interrogativo.
- Riesci a far sognare chiunque ti circondi, me in particolare.- Gli confidò, baciandolo delicatamente sulle labbra con una mano sul suo viso.
    Lui chiuse gli occhi ed interiorizzò la sua carezza, assaporando il bacio.
- Adesso posso farti io una domanda?-
- Certo.-
- Perché oggi hai voluto che ti regalassi quella fotografia?-
- Perché proprio in quell’immagine hai lo stesso sguardo che mi ha fatto innamorare. Innocente e impacciato, ma allo stesso tempo dolce, profondo e sincero. Lo sguardo è lo specchio dell’anima e il tuo ne è la prova.- Poi Max sorrise - Anche se sono molto geloso di quel bambino al tuo fianco.-
- Ah, sì... forse è uno dei miei primi fidanzatini.- Lo stuzzicò lei, dandogli un pizzicotto sul fianco -     Comunque grazie Max, hai sempre qualcosa di carino da dirmi.-
- Grazie a te per aver letto la lettera. Sapere ciò che mio padre pensava di me mi ha reso felice e ha fugato ogni dubbio di averlo deluso. E' stato molto importante.-
- Lo dicevo io che non ti saresti dovuto preoccupare. Sai, credo che mi sarebbe piaciuto conoscerlo.-
- Ed io posso garantirti che anche a lui sarebbe piaciuto.- Replicò Max.
    Faith lo abbracciò e rimasero stretti per alcuni minuti. Poi lei gli si sdraiò vicino. I preparativi della festa di Capodanno l’avevano sfinita e la stanchezza delle ore precedenti si faceva sentire.
- Mi porteresti un po’ un d’acqua, per favore?- Gli chiese.
    Quando il ragazzo tornò in salotto, Faith si era già addormentata. Posò silenziosamente il bicchiere sul tavolino di vetro, le rimboccò una coperta di lana dandole un bacio sulla fronte, e si accomodò sulla poltrona vicino al caminetto. La osservò attentamente.
    I ceppi ardevano vigorosamente e i giochi di luce creati dal fuoco le illuminavano il viso, con colori morbidi e ombre irregolari. Pensò che fosse bellissima anche mentre dormiva e si sentì un ragazzo davvero fortunato per averla incontrata.  
    Gli bastò soltanto qualche istante per capire che l’amava veramente.
- Spero sia tu il mio eterno premio, Faith.-  Sussurrò, prima di chiudere gli occhi.

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Capitolo 9
*** 9. Neve Su Los Angeles ***


Le Ragioni Del Cuore BN
RISPOSTA ALLE RECENSIONI

Saty, la mia confidente e colei che mi consiglia nella stesura di questa storia, grazie infinite ancora una volta per la pazienza e la costanza con la quale recensisci la mia storia! E grazie anche degli auguri!
Nana_86, benvenuta nel club de “LE RAGIONI DEL CUORE”, sono molto onorato del tuo pensiero a riguardo. Mi auguro che continuerai a recensire e, perchè no, anche consigliare. Ci conto!
Chiarascimmia, grazie per aver recensito e anche per gli auguri di compleanno! Sei fantastica! Ti aspetto a casa mia che “c'ho” una torta per te...
Akane25, favolosa Rossella che, nonostante tutti i suoi impegni (non specifichiamo quali...) trova sempre qualche bella parolina anche per questa fan fiction! Grazie mille!  
Mozzi84, che dirti? Semplicemente unica nel suo genere ed inimitabile, più o meno come diceva Mary Poppins. Ok, non tirerai fuori lampade e piante dalla tua borsa, ma tanta tanta tanta pazienza sì, però! Ti ammiro molto!

AUGURO A TUTTI UNA BUONA LETTURA!

9. N EVE SU LOS ANGELES

“La memoria è il diario che ciascuno di noi
porta sempre con sé.”
Oscar Wilde


    La stanza di Faith fu invasa da un invitante profumo di frittelle e plumcake, rendendo il suo risveglio più dolce del solito, mentre dalla cucina voci e risate di più persone si accavallavano rumorosamente, facendola incuriosire parecchio. Uscì dal tepore che si era creato sotto le coperte e si ricordò di essersi addormentata in salotto la sera precedente. Max doveva averla portata a letto di peso e lei non se n'era neppure accorta.
    Max.
    Ogni volta che pensava a lui sorrideva e, anche se non si guardava allo specchio, era certa che avrebbe avuto un'espressione da stupida. Ma era felice.
    Qualcuno aveva alzato il volume della radio, attirando di nuovo la sua attenzione, così scese dal letto, dandosi una veloce sistemata ai capelli, e si infilò le pantofole.
    Quando mise piede in cucina vide Max, zia Becky, Holly e Chris intenti a preparare la colazione, ballando al suono di una canzone country. Il tostapane fece improvvisamente saltar fuori le fette abbrustolite e Holly le prese al volo, adagiandole su un piatto già quasi colmo; zia Becky muoveva ritmicamente qualche passo, reggendo una brocca di succo d'arancia, pronta da servire in tavola; Chris, con indosso un grembiule raffigurante Pippo che diceva “Baciate il Cuoco”, faceva volare per aria le frittelle come un giocoliere, divertendosi come un pazzo, mentre Max spalmava burro e marmellata sulle fette biscottate.
    Faith si appoggiò allo stipite della porta con aria divertita e si stropicciò gli occhi, chiedendosi quando l'allegra banda si sarebbe accorta della sua presenza.
    La cucina era inondata dalla luce di uno splendido sole e, se non fosse stato per il calore del caminetto, pareva di essere in una giornata d'estate, con gli uccellini che cinguettavano allegramente nel giardino.
- Buongiorno, Faith!- La salutò Holly, mentre ricopriva le frittelle di zucchero a velo.
- Ma che sta succedendo qui? Vedo che vi state divertendo senza di me!-  Esclamò Faith, stiracchiandosi.
    Max la osservò sistemarsi una spallina della canotta bianca. In pantaloncini corti era davvero sexy, pensò.
    Le si avvicinò e la baciò sulle labbra - Dormivi così bene che non abbiamo voluto svegliarti.- Le disse, sistemandole una ciocca ribelle di capelli -  Buongiorno, amore mio. A tavola.-
    Lei lo baciò e poi salutò Chris con un abbraccio - E tu che ci fai qui? Non ti aspettavo.-
- Ehi! Guarda che mi rimetto il cappotto e me ne torno a New York!- Scherzò lui - Ho attraversato il continente solo per farti assaggiare il mio famoso plumcake e le mie rinomate frittelle, e tu mi accogli così?-
    Alla vista del plumcake ancora fumante al centro della tavola, Faith s'ingolosì e si accomodò, mettendosi il tovagliolo sulle ginocchia.
- E tu da quando ti occupi di cucina? Pensavo che di mestiere facessi il dongiovanni.- Lo provocò in tono canzonatorio.
    Chris afferrò un forchettone dal vaso degli utensili da cucina e glielo puntò contro - Attenta a come parli, ragazzina.-
    Max, Holly e la zia scoppiarono a ridere e presero posto a tavola, insieme a Faith.
    Chris servì le ultime frittelle e si sedette, accingendosi a tagliare un pezzo di plumcake.
- Le giornate dovrebbero sempre iniziare così. Grazie per questa bella sorpresa, ragazzi.- Disse Faith - Non me l'aspettavo. È fantastico avervi qui tutti insieme in questi giorni di festa.-
- Beh, io a dire il vero non avevo di meglio da fare.- Affermò Chris, fingendosi annoiato.
- Sì, lo so Chris.-  Replicò Faith divertita, stando al suo gioco - Zia Becky ed io provvederemo a farti avere la tua giusta ricompensa per averci permesso di gustare queste prelibatezze.-
- Sono buone davvero le frittelle.- Osservò zia Becky, assaggiandole - Più delle mie. Mi dovrai svelare il tuo ingrediente segreto.-
- Allora un applauso per la cucina di Chris!- Esclamò Holly - Non sono in tanti a superare la maestria di Zia Becky!-
- Grazie! Grazie!- Fece Chris, alzandosi in piedi per potersi inchinare - Baciate il cuoco, prego!-
    I ragazzi si misero a ridere e continuarono a fare colazione, polverizzando frittelle e plumcake.

    La sera scese in fretta e uno strano silenzio avvolgeva la casa e il giardino intorno. Nemmeno le civette gridavano. Sembrava che qualcuno avesse premuto il tasto PAUSE su qualsiasi rumore prodotto dalla natura.
    Come da prassi nelle corte e pigre giornate festive, i ragazzi avevano trascorso il pomeriggio dividendosi tra giochi da tavolo, televisione e relax sul divano, nella piacevole atmosfera natalizia creata nel salotto.
    Nei giorni precedenti Il meteo aveva parlato spesso di una probabile nevicata nel sud della California, ma  i più esperti ovviamente lo escludevano.
    E come dargli torto? Effettivamente la zona che comprendeva Los Angeles era situata a latitudini troppo vicine all'Equatore perché potesse verificarsi un evento simile. Ma le frequenti piogge nell'ultimo periodo lasciavano ai romantici un minimo di speranza. Dopotutto anche sulla città era nevicato qualche anno prima. Certo, non era stata una tormenta, però qualche fiocco sembrava essere sfuggito alla volontà divina e questo bastò a riaccendere gli animi di chi desiderava capitasse di nuovo.
- Non sarebbe Natale se non nevicasse.- Affermò Chris mentre smuoveva la legna all'interno del focolare con una paletta. Immediatamente il fuoco si agitò, sprigionando nell'aria il profumo del legno di noce.
- Quando vivevo in Canada con mio marito ogni Natale nevicava abbondantemente, giorno e notte.-   Raccontò zia Becky, entrando nel salotto. Sistemò il parafuoco per evitare l'eccessivo calore diretto, poi si accomodò sulla sedia a dondolo con una coperta sulle gambe.
    Faith spense il televisore e tornò a sprofondare nel divano vicino a Max, piegando le ginocchia al petto e abbracciandole strette. Le piaceva molto ascoltare i ricordi di sua zia.
- Io e lo zio di Faith accendevamo il fuoco e stavamo per ore, sotto una coperta di lana, ad ammirare in silenzio la neve che cadeva leggera e silenziosa, ricoprendo tutto il paesaggio.- Zia Becky sorrise, malinconica, con lo sguardo fisso nel caminetto. I ricordi sembravano scorrerle davanti agli occhi - Questo è il ricordo di Natale più bello che mi porto nel cuore.-
    Le sue parole nostalgiche aleggiarono nell'aria per qualche minuto, mescolandosi con lo scoppiettare vivace del fuoco.
- Le vacanze di Natale - Iniziò Holly - le trascorrevo ad Aspen, con i miei genitori. Lassù la neve non mancava di certo. Aver avuto tutta la famiglia riunita nel giorno più importante dell'anno è il mio ricordo d'infanzia preferito.-
    Max sorrise e annuì - Anche il mio. Ricordi, Chris - Disse, rivolgendosi al cugino - I pupazzi di neve che costruivamo in giardino?-.
    Chris fece una breve risata.
- Sì! Eravamo forti. I nostri erano i migliori pupazzi di neve del paese.-
- Puoi ben dirlo.- Ribadì Max - E ricordi il pranzo di Natale che seguiva? Era bello avere tutti vicino. C'era questa grande tavola imbandita di ogni cosa e vedere tutte le persone strette attorno ti faceva pensare che giorni come quelli si sarebbero potuti ripetere all'infinito. Nessuno voleva mai che finissero.-   
- Ci siamo divertiti.- Confermò Chris annuendo con la testa.
- Io ricordo di quando mia madre cucinava il mio dolce preferito - Intervenne Faith con un'espressione sognante dipinta sul viso - il plumcake. Stamattina, quando mi sono svegliata, per un breve attimo mi è sembrato di tornare bambina e sentire il profumo del dolce mi ha fatto ricordare di lei.-
    Max le accarezzò i capelli e lei lo guardò - Allora eravamo davvero tutti uniti. Ma i tempi cambiano. Le persone si evolvono. E improvvisamente ci ritroviamo cambiati anche noi, nonostante abbiamo fatto di tutto per impedirlo.-
    Max considerò le sue parole e realizzò che Faith aveva ragione.
- Scusate.-  La ragazza si alzò e uscì in veranda, visibilmente turbata.
    Max non la seguì, consapevole che desiderava restare da sola per un po'.
    Quando Holly e Chris se ne furono andati, lui si fermò sotto il porticato.
- Ehi - Le disse piano, dondolandosi sui talloni - Come stai?-
    Si sedette sul divanetto al suo fianco e Lei sollevò un angolo della bocca alzando gli occhi - Credo che vada tutto bene.- Rispose con voce incerta.
- Ti va di parlarne?-
- Io stavo solo ripensando a mia madre. Tutto qui. Era da un po' che non lo facevo.-
- È normale che tu ci pensi. Non c'è niente di male.- La confortò, cingendole le spalle con un braccio.
    Lei si voltò e lo abbracciò stretto - Dio, Max, lei mi manca così tanto.- Sussurrò -  Però vuoi sapere una cosa?- Gli chiese, accarezzandolo in viso - Sono convinta che, per ogni persona che perdiamo durante la nostra breve esistenza, il destino ce ne regali un'altra.-
- Lo penso anch'io.- Affermò lui.
    La ragazza si asciugò un angolo dell'occhio con un dito - C'è una cosa che ieri ho dimenticato di darti. Vado un attimo in camera a prenderla.-
- Ti aspetto qui fuori.-
    Quando lei sparì oltre la porta, Max si alzò e uscì a prendere una boccata d'aria.
    Le temperature si erano abbassate parecchio e in alcuni punti il cielo si mostrava in insoliti chiarori rosati.
    La luna, nascosta dietro ad una nube violacea che ne rispecchiava la luce argentea, si ostinava a non voler mostrare il suo volto lattiginoso.
    Si sedette lungo i gradini della veranda, poggiando la schiena contro il parapetto, e ascoltò l'oceano muoversi lentamente. Gli tornò in mente quella sera della vigilia, quando aveva sorpreso suo padre guardare verso l'alto. Sorridendo, chiuse gli occhi ed espresse un desiderio. Un leggero refolo di vento gli mosse il bavero del cappotto e gli scompigliò delicatamente i capelli.
    Poco dopo Faith uscì di casa, reggendo un regalo con un fiocco dorato; sedette vicino a lui e glielo porse.
- Ecco, questo è per te. Mi rendo conto che non sarà mai abbastanza rispetto a quello che mi hai regalato tu, però...-
- Basta il pensiero, no?-
- Solitamente lo dicono tutti quando non sono contenti di ciò che hanno ricevuto.-
    Max sorrise, lanciandole una rapida occhiata mentre sfilava il nastro - Sei molto perspicace, ma non è il mio caso.-
    Tolse la carta colorata e, quando capì di cosa si trattava, scoppiò in una risata - Non ci credo!-
- Credici, bello mio.-
- Sei tornata nel negozio a comprarlo!- Esclamò lui spalancando gli occhi. Prese a sfogliare il libro e poi lo richiuse, leggendo ad alta voce il titolo sulla copertina e pensando che fosse uno scherzo - “Tutte le nuove posizioni del sesso”.-
    Faith ridacchiò.
- Non farti strane idee. Te l'ho voluto regalare perché in un certo senso è stato il libro che ci ha fatti incontrare. Ok, lasciando perdere quell'incidente avvenuto davanti al tuo hotel, ma di certo non potevo portarti  quella povera vecchia.-
- No! No di certo!- Ribadì Max.
- Comunque non è finita qui.- Aggiunse lei.
- Cos'altro devo aspettarmi?-
    Faith estrasse dalla tasca una scatola più piccola, anch'essa incartata elegantemente, ma dall'aspetto più sobrio.
- Andiamo sul pesante.- Commentò il ragazzo.
- Coraggio, aprilo.- Lo esortò lei in preda all'eccitazione.
    Aprì la scatola e un orologio finemente lavorato in acciaio, con il quadrante nero lucido e i numeri romani, luccicò sotto la luce del porticato.
    Max restò di sasso. Lo estrasse e lo ammirò più da vicino.
- Se guardi dietro c'è un iscrizione.- Spiegò Faith, guardando l'espressione stupita e felice del suo ragazzo.
- È molto bello, Faith. Non dovevi.-
    L'iscrizione incisa sul retro del quadrante diceva “All'Uomo dei Sogni. Tua Per Sempre, Faith”.
    Lui la guardò con gli occhi dolci.
- Volevo che anche tu avessi qualcosa che ti facesse ricordare di me.- Spiegò lei con il suo tenero sorriso.
- Tu sei sempre con me, lo sai.-
    Lei socchiuse gli occhi, scettica, ma sicura dei sentimenti che li legavano - E come?- Lo mise alla prova.
    Max le prese il viso con entrambe le mani e le diede un piccolo bacio sulle labbra.
- Così.- Le sussurrò.
    Mentre si fissavano negli occhi, un minuscolo ma visibile cristallo si posò sulla guancia di Faith per poi sciogliersi in una frazione di secondo e subito dopo, un altro e un altro ancora.
    I due ragazzi guardarono in alto e videro con stupore che milioni di puntini luminosi turbinavano leggeri nel fascio di luce proveniente dalla veranda e scendevano su di loro, avvolgendoli nel rassicurante silenzio che aveva accompagnato tutto il pomeriggio.
- Hai espresso un desiderio?- Gli chiese Faith, abbassando lo sguardo perplesso.
- Qualcosa del genere.- Mormorò Max, tornando a guardare il cielo con un sorriso - Qualcosa del genere.-

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Capitolo 10
*** 10. Promessa ***


Le Ragioni Del Cuore BN
RISPOSTE ALLE RECENSIONI

Akane25 Questo benedetto libro sembra molto richiesto e non riesco a soddisfare tutte le ordinazioni,ma vedrai che prima o dopo ti arriverà dritto a casina... Non preoccuparti del ritardo, anzi, ti ringrazio per aver votato la mia storia per i migliori personaggi originali. Spero che anche gli altri lettori ti seguano! A presto! Baci.
Nana_86 Come il suddetto libro per Akane25, questo benedetto ragazzo sembra molto richiesto e non riesco a soddisfare tutte le ordinazioni, ma vedrai che prima o dopo ti arriverà dritto a casina... Spero che il prossimo capitolo ti piaccia ancora di più! Grazie per aver recensito! A presto!
Saty Grazie anche a te per aver votato i miei personaggi come migliori originali. Immaginavo che l'introduzione di Oscar Wilde sarebbe stata di tuo gradimento. Così come la rievocazione del famoso libro... Credo che mi daranno il premio Strega per “Tutte le nuove posizioni del sesso”, ih ih ih! Grazie per il tuo regalino! Un grosso bacio!
Mozzi84 Dulcis in fundo, la beta! Oh, io non ho mai parole per te. Sei brava, svolgi il tuo dovere con precisione e buona volontà, cosa si può volere di più? (Per lo stipendio ci sistemiamo in privato... So che sono in debito, ma intanto ti faccio un pagherò...) Ti voglio bene! Grazie per aver votato i personaggi della storia!

10. PROMESSA

    Dopo le lunghe giornate d’inverno, la primavera iniziò a far sbocciare i primi fiori di campo, profumando l’aria delle più dolci fragranze.
    L'amore che legava Max e Faith continuava a crescere. Ogni fine settimana lui la raggiungeva a Santa Monica. Un venerdì in particolare portò Faith al settimo cielo. Si trattava dell'ultimo week-end di marzo.
    Quel giorno la ragazza tornò a casa esausta dal lavoro ed il suo unico desiderio era farsi un bel bagno. Così avvertì zia Becky che si sarebbe rilassata un’oretta prima di cena.
    Zia Becky faticò a nascondere un sorriso nel risponderle: Faith non sapeva cosa l’aspettava.
    Sistemò la sua valigetta sopra una sedia del salotto e si recò nella sua stanza.
    Quando aprì la porta, decine di petali rossi, rosa e bianchi danzarono leggeri verso il centro della camera, mossi dalla corrente d'aria. Si accorse con sorpresa che anche il suo letto era cosparso di tanti petali di rosa bianchi: sulle lenzuola di seta blu facevano un gran bell'effetto.
    Ma ciò che attirò la sua attenzione fin da subito era un piccolo pacchetto regalo posto sul cuscino che la lasciò stupita e alquanto perplessa. Non si aspettava di certo una sorpresa del genere. Pensò subito a Max come l’artefice di tutto, ma come poteva esserlo? Era certa che sarebbe arrivato il giorno successivo, non nel pomeriggio del venerdì.
    Si guardò un po’ intorno, smarrita, quasi a voler cercare una spiegazione, poi si avvicinò sospettosa a quella scatola sigillata da un elegante fiocco argento e l’aprì. Con suo grande dispiacere scoprì che non conteneva niente. O meglio, niente di così importante che potesse valere tutta quella scenografia che si era trovata davanti entrando in camera.
- Ma che diavolo…- Mormorò tra sé. Si sedette sul letto rigirandosi tra le mani la scatola vuota e obbligandosi a trovare una spiegazione.
    Fu in quel momento che si accorse di un mazzo di rose bianche adagiate sul cassettone sotto lo specchio. Ultimamente era così abituata a vedere fiori in ogni angolo della casa che non aveva proprio fatto caso alle rose legate insieme anch’esse da un nastro argento.
    Si portò una mano davanti alla bocca mentre sorrideva, contenta di sapere che Max si trovava nei paraggi, e decise di stare al gioco.
    Conosceva troppo bene il suo ragazzo e realizzò che lui voleva stupirla un’altra volta. Era una cosa che ammirava in Max più di ogni altra. Non aveva mai conosciuto nessuno che la sapesse sorprendere come faceva lui.
    Si alzò in piedi e vide un biglietto che faceva capolino tra le foglie verdi delle rose. Odorò i fiori e aprì il biglietto scritto in bella grafia.

Ogni notte, prima di addormentarmi,
un Angelo sfiora il mio cuore
e ne porta via un pezzo,
sussurrandomi che lo darà alla persona che amo.

Ogni mattina, prima di svegliarmi,
sento il mio cuore battere forte:
è il segno che l’Angelo
ha compiuto la sua missione.

Il mio cuore per te è così grande
che non basteranno tutte le notti di questo mondo
né tutti gli Angeli del Paradiso
per portartelo…

Chiudi gli occhi e ascolta gli Angeli
cantarti il mio Amore.


Max

    Faith sorrise e sentì una lacrima calda scivolarle lungo una guancia. Chiuse gli occhi e dopo qualche secondo il battito del suo cuore iniziò ad accelerare il ritmo. Avvertiva qualcosa nello spazio, come una presenza, che aleggiava impercettibilmente intorno a lei.
    Si sentì sfiorare delicatamente il viso e un brivido improvviso la fece trasalire. Sussultò.
    Era una sensazione strana, ma rassicurante allo stesso tempo.
    Un respiro tra i capelli. Un profumo diverso, quasi estraneo. Un tocco vellutato e impalpabile.
- Max.- Sussurrò.
- Shhh.- La zittì lui.- Tieni gli occhi chiusi.-
    Faith lottò contro sé stessa per restare il più tranquilla possibile. Inspirò a fondo, trattenne il fiato per qualche secondo ed espirò lentamente sentendo sciogliersi i muscoli della schiena e delle spalle e cercando di coordinare i suoi movimenti, mentre il tocco scendeva morbido e sicuro sul collo, lungo le braccia, fino ad afferrarle le mani. Quando le dita si intrecciarono lasciò uscire quella fitta di agitazione che la faceva tremare, rallentando gradualmente i battiti del suo cuore.
    Sentirlo così vicino l'aveva sempre elettrizzata, ma, quella volta, lo avvertiva in un modo del tutto nuovo, eccitante e piacevole, tanto da indurla ad abbandonarsi completamente al suo tocco e al suo corpo, divenendo parte dipendente di lui.
    In piedi, immobile, davanti allo specchio e con gli occhi chiusi soltanto da pochi minuti, si sentì improvvisamente disorientata e lasciò cadere ogni sua inibizione.  
    Anche Max teneva gli occhi chiusi odorando il profumo di lei. L'abbracciò standole dietro e il contatto con il suo corpo caldo gli scatenò un fuoco nello stomaco. Udiva i battiti del suo cuore e il tremolio delle mani che andava via via scemando. Le sfiorò il collo con le labbra e lei gemette.
    Provava una piacevole sensazione di libertà, qualcosa che aveva conosciuto rare volte, e questo lo eccitò. Desiderava fare l'amore con lei in quell'istante, ma non era il momento giusto perchè era consapevole che la continua attesa alla fine gli avrebbe regalato dolci attimi di emozioni fortissime. Non aveva alcuna intenzione di rovinare tutto subito, gli pareva uno spreco, soprattutto perchè quella ragazza era troppo importante per lui.
- Piaciuta la sorpresa?- Mormorò sottovoce per tenere la realtà al di fuori del loro spazio.
    Faith esitò a lungo prima di rispondere perché voleva interiorizzare il suono della sua voce profonda e rendere più intima e significativa la situazione e le emozioni che le provocava.
- Sono molto felice che tu sia qui con me.-
    Max la baciò sulla spalla.
- Vorrei stare così per sempre Max. Riesco a vederti anche se ho gli occhi chiusi. Riesco a sentire quello che provi, quello che pensi. - Sussurrava piano dando più enfasi ad ogni singola parola.
- Allora riesci a sentirli?- Le chiese.
- Sì.-
- E cosa ti stanno dicendo?-
    Faith si voltò con le mani nelle sue e si trovarono l’uno di fronte all’altra. Si avvicinò con il viso e lo baciò sulle labbra.
- Però- Obiettò Max quando sentì che Faith lo stava lasciando - non credo di aver capito bene, quindi ti dispiace se…-
    Faith sorrise e lo baciò di nuovo, più a lungo.
- Credi che adesso potremmo aprire gli occhi?- Gli domandò Faith.
- Apriamoli insieme.- Rispose.
- Ok. Allora conterò fino a tre e poi potremo aprirli.- Propose lei ridendo. Max sorrise.
    Faith cominciò a contare e aprirono gli occhi lentamente.
    Impiegarono un po’ ad abituarsi alla luce del sole che filtrava tra le fessure delle persiane.
    Max la guardò negli occhi.
- Cosa mi sono perso. Sei ancora più bella che ad occhi chiusi.- Faith arrossì leggermente. Max prese la sua mano sinistra e se la portò alle labbra per baciarla. Lei rimase immobile e con un’espressione piena d’incredulità.
- Max, ma cosa…-
- Ti piace?- Le chiese. La ragazza non si era ancora accorta che portava un anello al dito.
- L’anello- Le spiegò Max - non vuole significare una proposta immediata di matrimonio, ma una sorta di garanzia per assicurarti che presto ti chiederò di sposarmi. Non subito, perché forse sarebbe un po’ affrettato, insomma, ci sono alcune cose da sistemare e…-
    Faith si rattristò e si sedette sul letto ammirando l’anello. Pensò che fosse stupendo con tutti quei  piccoli diamanti incastonati, perfettamente allineati a formare un cerchio.
    Max le si inginocchiò di fronte e le accarezzò i capelli.
- Qualcosa non va Faith?-
    Lei alzò lo sguardo al soffitto per qualche istante mentre gli ultimi raggi del sole che tramontava le facevano brillare gli occhi.
- Sul serio vorresti dividere il resto dei tuoi giorni con me? E se invece ti sbagliassi? Se io non fossi la ragazza giusta per te?-
- Non esiste una ragazza giusta o sbagliata, ma soltanto una ragazza. E per me sei tu, Faith. Ho sentito di provare qualcosa per te fin da quel giorno a New York. Quando ti ho guardata è stato come se ti avessi già vista tanto tempo fa. Tu mi hai improvvisamente aperto gli occhi e il cuore.-
    Max le asciugò una lacrima con il dito.
- Io ti amo Faith e non potrei immaginarmi senza di te al mio fianco.-
    Faith sorrise.
- E io li sento davvero, Max. I tuoi angeli sono i miei. Le tue notti sono le mie. Il mio cuore... è tuo.-

    Stando dietro la porta socchiusa, zia Becky guardava la sua bambina. Anche lei si era un po’ commossa davanti a quei due ragazzi abbracciati stretti l’uno all’altra.
“Sei davvero cresciuta, mia piccola Faith.” Pensò mentre tornava silenziosamente in cucina.

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Capitolo 11
*** 11. Un'Amara Scoperta ***


Le Ragioni Del Cuore BN
RISPOSTA ALLE RECENSIONI

Stavolta inizierò dalla mia beta. Fantastica, come sempre, Mozzi84! Sono contento che ti sia piaciuto il biglietto di Max, significa che stavolta “abbiamo” fatto centro! Mi auguro davvero che tu lo trovi uno come lui, sei brava come il sole ;)
Nana_86, eccoti un nuovo capitolo che sono sicuro ti piacerà davvero tanto. Questa volta mi permetto di fare il modesto! Vai tranquilla sui commenti riguardo Max, ormai ne ha collezionati a bizzeffe e non credo che qualche complimento in più gli darà fastidio :D
Saty, ben felice che anche con questo capitolo ho saputo catturare il tuo parere super positivo! Il gioco ad occhi chiusi lo trovo molto affascinante e sembra che ti permetta di percepire meglio ogni sensazione. Non che io l'abbia provato, però... Però... :D

Ringrazio anche Akane25, che probabilmente è stata rinchiusa dentro ad una botte e lanciata in mare da un gruppetto di pirati, dato che questa volta non mi ha neppure mandato una cartolina.... Sto scherzando, ovviamente!!
Anche Chiarascimmia, comunque, dev'essere stata rinchiusa da qualche parte... At voi tant ben!

Visto che ancora non l'ho fatto, voglio approfittarne per ringraziare tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra le loro preferite e seguite. Grazie di cuore!

Nel corso del capitolo “Un'amara scoperta” troverete due canzoni che vi suggerisco di ascoltare durante la lettura. La prima è “I could not ask for more” di Edwin McCain; la seconda è “Home” di Michael Bublé. Spero siano di vostro gradimento!

11. U N'AMARA SCOPERTA

    Un sabato pomeriggio di aprile, Faith decise di tornare in carcere per far visita a suo padre.
    Ormai rimandare non aveva più senso. Era passato troppo tempo e la curiosità di sapere perché fosse finito in un posto simile era aumentata fino a diventare una vera e propria ossessione.
    Max si era offerto di accompagnarla, ma lei aveva preferito andare da sola: voleva concentrarsi pienamente sulla situazione e con il suo ragazzo intorno non sarebbe riuscita a farlo. Talmente ne era innamorata, avrebbe rappresentato la sua più bella distrazione.
    Gli aveva soffiato un bacio con la mano mentre lui la osservava uscire dal vialetto di casa a bordo della sua auto e il suo sguardo le aveva trasmesso tutto il coraggio di cui avrebbe avuto bisogno.
    Malgrado fosse una giornata di sole, il carcere manteneva il suo solito aspetto austero, freddo e anonimo, tanto da indurla a chiedersi cosa la costringesse ad entrarci.
    Appena varcò la soglia le si avvicinò un inserviente di mezz'età.
- Buon pomeriggio, signorina. Con chi desidera parlare?-
- Brian Harrington, per favore.-
- Allora si accomodi pure nella sala a sinistra. Potrà parlare con lui tra pochi minuti.-
    Faith annuì e lo ringraziò, seguendo le sue indicazioni.
    La grande stanza appariva squallida ed appena illuminata dai coni di luce che filtravano dalle piccole finestrelle quadrate dotate di sbarre vicine al soffitto. Inoltre si respirava un insopportabile odore di fumo che si amalgamava all'aroma del caffè preparato dalla macchinetta automatica, sistemata in un angolo a fianco del distributore di bibite in lattine.
    C'erano diverse persone che parlavano a tavolino con i carcerati e un leggero brusio rompeva un continuo e incombente silenzio.
    Passarono un paio di minuti prima che Faith vedesse comparire suo padre sulla soglia della porta della stanza.
- Faith!- La salutò, sorpreso - Non mi aspettavo di vederti.-
    La ragazza tentennò un poco prima di parlare.
- Io... non so nemmeno perché sono qui.-
- Però ci sei- La incalzò suo padre - ed io sono molto contento di vederti.-
- Io invece no.- Ribatté Faith - Nonostante sia qui non sono contenta di esserci.-
    Brian comprese cosa gli stava dicendo e, imbarazzato, fece correre lo sguardo sulle persone intorno a loro.
- Ti sei comportato male, papà. Nei miei confronti, specialmente. Questo è giusto che tu lo sappia.-
- Tua madre mi tradiva. Ha tradito tutti noi.-
- Smettila!- Faith si alzò di scatto, ma tornò a sedersi quando si rese conto di essersi attirata l'attenzione di tutti - Smetti di dare le colpe alla mamma.- Sibilò - Proprio non vuoi prenderti le tue responsabilità!-
- Faith, non è così facile come puoi pensare.-
    Faith sbuffò e si lasciò andare sulla sedia, con le braccia conserte.
- E come la posso pensare, papà? Spiegamelo, perché non riesco a capirlo.-
- Il fatto che me ne sia andato non significa che mi sia dimenticato di te.- Rispose Brian allungando una mano sul tavolo per tentare di accarezzare Faith - Sei la persona che occupa tutti i pensieri della mia mente quando non penso a ciò che ho fatto in passato per finire qui dentro, Faith. Darei tutto quel poco che ho per riconquistare il tuo rispetto e per fare in modo che tu possa tornare ad essere orgogliosa di me.-
    Una lacrima disegnò una sottile striscia argentata sul viso di Faith.
- E allora perché? Dimmi perché sei finito in galera.- Lo supplicò afferrando entrambe le sue mani.
Brian abbassò lo sguardo e le sue labbra si contrassero in un sorriso stanco e pieno di amarezza.
- Quando tua madre uscì dalla nostra vita cominciai a bere e finii per perdere il lavoro. Diventavo sempre più pericoloso ogni giorno che passava, finché la zia Becky riuscì a convincermi ad entrare in un centro di disintossicazione. Dapprima non ne volevo sapere, ma una mattina capii per quale motivo avrei dovuto iniziare la cura. E quel motivo eri tu, Faith. Il tuo sguardo che non aveva bisogno di essere spiegato, il tuo sorriso che iniziava a spegnersi quando sapevi che ti stavo guardando. Compresi che ti stavo già facendo del male. Se fossi rimasto avrei distrutto la tua vita più di quanto non avessi già fatto.-
    Faith lo ascoltava con attenzione e con gli occhi lucidi chiedendosi se suo padre fosse davvero cambiato, ma si ricordò che, se si trovava in carcere, doveva aver compiuto qualcosa di veramente grave.
    Brian sospirò.
- Faith, ho ucciso una persona tanto tempo fa.-
    La ragazza sgranò gli occhi portandosi d'istinto una mano davanti alla bocca.
- Ma ti assicuro che è stato soltanto un terribile incidente.-
- Non è mai un incidente, papà! Oh mio Dio, cos'hai fatto? COS'HAI FATTO?!- Faith era sconvolta e si sforzava di convincersi di aver frainteso tutto.
- Faith, ascoltami per favore. Ascoltami.- La implorò lui.
    La ragazza si alzò in piedi e fece per andarsene.
- Faith, tesoro! Ti giuro che se potessi tornare indietro...-
- Non si torna indietro, papà. Rassegnati. Questa è la vita.- Disse con un'alzata di spalle fermandosi sulla  soglia senza voltarsi - E, in quanto a me - Continuò - ho fatto a meno del tuo amore per molto tempo. Posso farlo ancora.-
- Faith...- Sussurrò suo padre mentre la vedeva sparire oltre la porta.

    Il cielo era diventato rosso e Faith si soffermò qualche minuto ad osservare alcune nuvole blu rincorrersi fino ad unirsi a formare il profilo di un castello.
    Sorrise, triste.
    Quello lassù doveva essere davvero un mondo fantastico, pensò.
    Un mondo che non aveva mai visitato. Una zona neutrale dove non esisteva il bene perché non esisteva il male.
    Un mondo dove le persone si amano e vivono di sentimenti che non hanno bisogno di essere spiegati.
    Un mondo lontano da lei milioni di anni luce.
- Perché è una cosa orribile il solo credere di non amare più mio padre.- Disse tra sé.

Edwin McCain “I could not ask for more”
    Faith tornò a casa poco prima delle sei ed entrando in cucina chiese a zia Becky dove si trovasse il suo ragazzo.
- Mi ha detto che avrebbe fatto una passeggiata sulla spiaggia.- Le rispose - Com'è andata con tuo padre?-
    La ragazza la guardò un istante negli occhi prima di esprimersi.
- Mi credi se ti dico che non lo so?-
    Zia Becky poggiò una pila di piatti sulla tavola e si asciugò le mani nel grembiule.
- Ti credo.- Annuì - Max ti sta aspettando.-
- Vado.- Sospirò piegando leggermente la testa di lato.
    Il sole arancione stava tramontando per lasciare il posto ad una fresca serata che stendeva pigramente un velo viola e bluastro punteggiato da decine di stelle.
    Vicino al bagnasciuga colorato d'oro alcune starne si posavano sulle massicce travi di legno del pontile per poi volare via, spaventate dall'infrangersi delle onde, mentre le foglie affusolate delle palme vibravano leggere al soffio del vento che spirava da nord-est.
    Max era seduto sulla sabbia accanto ad un piccolo falò, intento ad ammirare l'oceano e la ricca varietà di colori che rispecchiava.
- Ehi, straniero.- Lo richiamò Faith - Ha per caso visto passare di qua un ragazzo piuttosto attraente, dallo sguardo tipico di un attore e dalla voce incredibilmente calda?-
    Max si voltò a guardarla e, con un indice, le indicò un punto non ben definito oltre gli scogli.
- Non che io sia attratto da questi particolari quando incontro una persona di sesso maschile, ma credo che chiunque lei stia cercando sia andato in quella direzione.-
    Faith lo fissò negli occhi e avvertì un brivido partire da sotto la nuca.
- Pazienza.- Sospirò accomodandosi al suo fianco - Vorrà dire che lo aspetterò qui. Non le dispiace, vero?-
- Tantissimo, invece.- Rispose lui serio chiudendo gli occhi ed avvicinandosi per baciarla. Il vento tiepido soffiò i capelli di Faith sul suo viso.
    Faith posò le mani sulle sue guance per impedirgli di allontanarsi.
- Capito.- Disse riprendendo a baciarlo - Forse è meglio che vada a cercarlo.-
- Già, lo penso anch'io.-
    Bacio.
- Smetta di baciarmi, allora.-
    Bacio.
- E' lei, signorina, che non mi lascia andare-
    Bacio.
- Mi scusi, ma i suoi baci hanno un buon sapore.-
    Max scoppiò a ridere.
- Sei una brava attrice, sai?-
- Grazie.- Fece lei posando la testa sulla sua spalla.
- Sei riuscita a parlare con tuo padre?- Le chiese.
- Si, ma... non mi va di discuterne. Almeno per ora. Scusa.-
- Stai tranquilla.- La confortò Max.
    Le passò un braccio attorno alle spalle e restarono a lungo a fissare in silenzio il fuoco che scoppiettava rilasciando nell'aria innumerevoli  faville arancioni.
- Il fuoco ha sempre avuto quello strano potere di rendere tutto più... magico.- Osservò Faith.
- Dobbiamo esserne grati a Prometeo.- Affermò Max. Lei gli lanciò uno sguardo interrogativo.
- Secondo la mitologia greca - Iniziò a spiegare il ragazzo - il Dio Vulcano offrì Pandora in sposa al gigante Prometeo.-
- Pandora non è la ragazza del famoso vaso?- Lo interruppe Faith.
- Esatto. Ma Prometeo, sapendo a cosa andava incontro, rifiutò l'offerta e il Dio Vulcano la offrì quindi al fratello Epimeteo che, essendo molto meno scaltro, accettò senza pensarci. Fu lui, infatti, ad aprire il vaso, non Pandora, come tutti credono.-
- Ma questo cos'ha a che fare con il fuoco?-
- Gli Dei dell'Olimpo decisero di non punirlo per aver aperto il vaso. Anzi, gli affidarono un incarico ben più gravoso: distribuire le facoltà naturali a tutti gli esseri viventi con lo scopo di assicurarne la sopravvivenza. Ma lui le sparse distrattamente per la terra e, quando venne il turno dell'uomo, Epimeteo non aveva più nulla da donargli. Così suo fratello Prometeo tentò di riparare il danno rubando il fuoco agli Dei ed offrendolo agli uomini, insieme al sapere tecnico, all'intelligenza ed alla cultura. Naturalmente tutte queste virtù venivano considerate cause e stimoli di ogni progresso, così, per il suo gesto, il gigante fu incatenato ad una roccia sul Càucaso, dove un'aquila divorava il suo fegato ogni giorno. Divenne il simbolo dell'eterna sfida dell'uomo alle divinità.-
    Faith rimase sbigottita.
- Non mi sembra giusto: ad Epimeteo è stata concessa una seconda opportunità.-
- Epimeteo era uno stupido che non si preoccupava delle conseguenze delle sue azioni. Prometeo era più prevenuto e già lo diceva il suo nome. Ma l'affetto che provava verso il fratello era più potente di qualsiasi cosa, tanto da volerlo proteggere dall'ira degli Dei. Venne punito proprio perché sapeva bene cosa avrebbe scatenato rubando loro il fuoco.-
- E tu da quando ti interessi di mitologia greca?- Gli domandò Faith divertita.
- Mia madre era insegnante di letteratura e tra i suoi argomenti rientrava anche la mitologia. Quando ero piccolo mi piaceva ascoltare questo genere di storie. Avevano qualcosa di romantico e leggendario che mi ha sempre affascinato.- Spiegò Max.
    Lei gli passò le dita tra i capelli spettinandolo.
- Tua madre si meriterebbe un premio.-
    Max le lanciò un'occhiata torva.
- Perché?-
- Perché sei un secchione.-
    Lui rise sarcastico.
- E perché, insieme a tuo padre, ha cresciuto un figlio perfetto.- Aggiunse la ragazza.
- Non mi pare.- Si schernì.
- Si, invece. Ed io ci credo davvero.-
    Max la baciò teneramente per qualche secondo e poi si staccò improvvisamente da lei passandosi una mano sulle labbra e guardando nella direzione opposta.
- Che c'è?- Domandò Faith perplessa.
- Guarda alle tue spalle. Sta arrivando il tuo ragazzo. Quello che cercavi poco fa.-
    D'istinto, Faith si voltò un istante, ma comprese immediatamente di essere caduta in pieno nel tranello di Max.
- Brutto imbroglione!- Esclamò dandogli una leggera gomitata.
- AHI!- Gemette lui fingendo di provare dolore.
- Dovresti rinnovare l'abbonamento alla palestra perché non mi va di essere fidanzata con un ragazzo di cristallo.- Scherzò lei.
- Che spirito! Se vuoi ti presento un mio amico, un certo vampiro...-
- C'è il rischio che diventi la sua cena.- Realizzò Faith, più divertita che preoccupata.
- Però i vampiri sono tutti bellissimi e fortissimi.-
- Beh, se poco fa non ti ho fatto male, perché avere un vampiro quando posso avere te? Bellissimo e fortissimo.-
    Max ci pensò un po'.
- Sono d'accordo... fammi sentire che sapore hai!- Esclamò baciandole l'incavo del collo.
    Il suono allegro delle loro risate saliva in cielo accompagnato dalle ultime scintille del fuoco che si spegneva lentamente, mentre l'orizzonte si tingeva di blu e nell'aria si respirava il profumo salmastro dell'oceano Pacifico.

    Erano da poco passate le due di notte quando Faith si svegliò di soprassalto con la fronte imperlata di sudore.
    Pioveva abbondantemente da un'ora e la sua stanza veniva ripetutamente rischiarata dai lampi cinerei.
    L'incontro del pomeriggio con suo padre l'aveva profondamente scossa, più di quanto credesse, e tentava inutilmente di cacciare dalla sua testa quelle inquietanti parole che gli aveva sentito dire “HO UCCISO UNA PERSONA”.
    Sapeva che Brian aveva deciso di farsi aiutare in un centro di disintossicazione, ma era completamente all'oscuro del fatto che avesse commesso un reato così grave da finire in carcere.
    Cercò invano di distrarsi osservando le ombre degli alberi del giardino danzare sulla parete, agitati dal vento, ma non funzionò e decise di andare in cucina per prepararsi un the caldo.
    Max dormiva nella stanza a fianco alla sua e le avrebbe fatto piacere se le avesse tenuto compagnia per un po', però ritenne più corretto non svegliarlo. Lavorava intensamente tutta la settimana e affrontava ore di aereo per poterla vedere anche solo per un paio di giorni.
    Da tempo Faith meditava di sistemare un letto a due piazze, ma le dimensioni della sua stanza non glielo permettevano. Inoltre si trattava della casa di sua zia e, nonostante vivesse con lei da molti anni, non voleva imporsi più di tanto.
    Un giorno, quando sarebbe andata a vivere per conto suo, avrebbe fatto ciò che più desiderava.
    Non che zia Becky fosse contraria, lei stessa aveva proposto a Faith di acquistare un letto matrimoniale, ma si trattava del principio, e la ragazza intendeva rispettarlo.
    Si ricordava ancora bene della prima volta che parlò a Max di questa cosa.

Michael Bublé “Home”
    La notte di Capodanno, di ritorno dalla festa sulla spiaggia, ancora prima di entrare in casa, Max aveva iniziato a baciarla appassionatamente davanti all'ingresso sotto il porticato.
- A cosa devo questo bacio?- Gli chiese.
- Beh, sopra a questa porta è appeso un rametto di vischio. E a me piace rispettare le tradizioni.-     Spiegò lui.
- Allora preparati perché dentro casa ci sarà un rametto appeso sopra ad ogni porta. Spero che non ti dia fastidio, ma zia Becky lo ha sistemato anche sopra l'ingresso della tua stanza.-
    Max la guardò perplesso.
- La mia stanza?- Chiese.
- Sì, la tua stanza.- Ripeté lei con maggior enfasi intuendo dove lui intendesse arrivare - Ma se vuoi posso toglierlo immediatamente!- Esclamò voltandosi per infilare la chiave nella serratura.
- Ma... la mia stanza non è la tua?- Sussurrò. Si avvicinò all'orecchio sinistro di Faith per poi baciarla sul collo. Faith rise e si voltò verso di lui.
- Purtroppo le stanze da letto non sono molto grandi in questa casa.-
    Max la baciò di nuovo sulle labbra, lentamente e con gli occhi chiusi, per tentare di sedurla.
- Ti prometto che non russerò, non darò calci e non canterò nel sonno.-
La guardò facendo gli occhi dolci.
- È pressoché inutile che cerchi di incantarmi con quello sguardo, Max.-
    Il ragazzo assunse l'espressione imbronciata dei bambini.
- Anche se volessi non ci sarebbe abbastanza spazio per tutti e due. I letti sono da una piazza e inoltre - Spiegò scostandosi una ciocca di capelli dietro un orecchio - Non voglio cambiare niente in casa di mia zia. È una questione di principio.-
- D'accordo.- Concluse Max ricomponendosi con le mani nelle tasche dei jeans.
- D'accordo?- Ripeté lei analizzando la sua espressione.
- Sì. Se questa è la tua decisione, io intendo rispettarla.-
- Tu non sei di questo mondo.- Elaborò Faith scuotendo la testa.
- Che vuoi dire?-
- Sei così... perfetto. Un romantico. Un gentiluomo che proviene da un'altra epoca.-
- Non è colpa mia.- Spiegò stringendosi nelle spalle - È che mi disegnano così.-
    Faith scoppiò in una risata portandosi successivamente una mano davanti alla bocca.
- Sveglieremo zia Becky se continuerai a fare lo stupido.- Lo rimproverò bonariamente.
    Girò la chiave nella toppa e, con un rumore metallico, la porta si aprì.
- Potremmo stringerci forte nel letto.- Suggerì ancora Max.
- OK, ma non farci l'abitudine.- Lo stuzzicò.

    Il fischio della teiera riportò Faith al presente. Stava sorridendo.
    Per qualche minuto non aveva pensato a suo padre.
    Si versò un po' di the in una grande tazza da portarsi in camera chiedendosi se zia Becky fosse a conoscenza del fatto che aveva coinvolto Brian. In fondo si trattava di suo fratello e proprio per questo avrebbe dovuto difenderlo a spada tratta nonostante avesse cacciato sua madre da casa.     Eppure, per un qualche motivo, non l'aveva fatto.
    Tuttavia si ricordò che lei non ne aveva più voluto sapere da quando era andato a disintossicarsi. L'ultima discussione che avevano avuto era finita con uno schiaffo da parte di suo padre e ci mancò poco che zia Becky lo denunciasse. Non lo fece perché capì che era sotto l'effetto dell'alcol.
- Non ne parlerò con nessuno, almeno finché non saprò tutta la verità. - Affermò a voce alta, quasi a volersi convincere meglio.
    Ma non sapeva che, così facendo, avrebbe dato origine a seri problemi.

    Il temporale cessò, ma si poteva ancora udire il rombo violento dei tuoni diminuire d'intensità man mano che si allontanava.
    Quando Faith terminò il suo the si alzò dal letto e dalla libreria sfilò un volume con una spessa copertina rosa: si trattava dell'album di fotografie che lei tanto amava sfogliare quando non riusciva ad addormentarsi o quando voleva scappare dalle decisioni difficili che le si presentavano. O ancora quando provava semplicemente nostalgia delle persone che desiderava vicine, ma che non poteva avere.
    Ogni volta che lo sfogliava le tornavano alla mente milioni di ricordi.
    I suoi compleanni passati, le feste di Natale e quelle di Ringraziamento. Quelli erano momenti in cui si sentiva bene e la spensieratezza dell'infanzia ignorava ogni tipo di problema.
    La maggior parte delle fotografie la ritraevano con sua madre.
    Si domandava spesso dove fosse e, soprattutto, perché non fosse mai tornata a cercarla.
    Le voleva bene nonostante se ne fosse andata? Pensava a lei qualche volta?
    Le risultava impossibile darsi delle risposte. E nel contempo le sembrava impossibile che avesse cercato la compagnia di un uomo che non era suo padre. Non c'era niente che la faceva sospettare di un suo tradimento.
    Ma di una cosa era certa. In quei primi anni della sua vita, Faith aveva ricevuto tutte le attenzioni possibili che una madre potesse offrire al proprio figlio, e di questo ne andava fiera.
    Zia Becky le diceva sempre che non esistono al mondo sentimenti più forti dell'amore che lega una madre ai propri figli.
    Quello è un amore completo, puro ed eterno, che nessuno può distruggere o sostituire.
    La mamma è quella persona che ci conosce meglio di chiunque altro. Quella persona che ci aiuta a rialzarci quando cadiamo e che ci rimprovera all'occorrenza. È quella persona che ci asciuga le lacrime quando siamo tristi e che ci consola quando la vita ci dà le delusioni. È quella persona che ci ascolta e ci consiglia, perché lei vorrebbe sempre il meglio per noi.
    E, in cambio di tutto questo, non pretende soldi, fiori o regali. Desidera soltanto il nostro affetto.
    La zia le ripeteva queste parole come una filastrocca e, grazie a lei, Faith poteva sentirsi un po' più vicina a sua madre.

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Capitolo 12
*** 12. La Spiaggia Dei Desideri ***


Le Ragioni Del Cuore BN
R ISPOSTA ALLE RECENSIONI

Mozzi84
Grazie per il lavoro che svolgi, potresti fare la correttrice di bozze per una casa editrice come lavoro ;)
Vedo che con questa romanza emerge il tuo lato sensibile, tu che ti mostri sempre come una tipa dura e combattiva... :) Ti voglio bene!
 
Chiarascimmia
Verrò di certo a casa tua, ma solo per mangiare la torta che mi preparerai. La esigo molto elaborata, mi raccomando. Magari fanne due. Le voglio a forma di gallina, però una con il ripieno di marmellata e una carica di Nutella. Le pretendo, voglio che assomiglino proprio a due belle galline!!
Scherzi a parte, lo sai che ti voglio un mondo di bene e che mi fa un piacere infinito sapere che apprezzi così tanto la mia storia. Spero che anche il 12 sia di tuo gusto! A presto!

Nana_86
Grazie! Sei sempre tanto carina nei tuoi giudizi su questa fan-fiction! Vedrai che anche stavolta non ti avrò fatto attendere due settimane invano! Non ho alcuna intenzione di farti morire, ma purtroppo queste parole escono spontanee che quasi io stento a credere di averle elaborate. Non tutte mi riescono come vorrei, però mi auguro che colpiscano il tuo cuore come quello di chiunque le legga. Grazie ancora!

Come sempre, grazie a chi ha aggiunto questa storia tra le seguite e a chi la legge in silenzio!

Per ultimo, e non di certo perchè il meno importante, ho voluto lasciare un ringraziamento speciale.
Questo capitolo lo voglio dedicare alla mia amica Sabrina, con infinito affetto e profonda stima, che mi suggerisce e mi dà sempre ottimi consigli, non solo riguardanti “Le ragioni del cuore”, ma anche per la vita di tutti i giorni, consigli che apprezzo molto anche quando non sono pienamente d'accordo.
Spesso le cose più difficili da dire sono quelle che contano davvero (Ok, lo spirito di Max si è impossessato del mio corpo!), ma tu non hai timore di dirle, e ciò ti fa onore.
Sei una persona davvero davvero davvero speciale alla quale voglio tanto bene!
Te l'avevo promesso, perciò questo capitolo è proprio per te!

Nel corso di “La spiaggia dei desideri” troverete due canzoni che suggerisco di ascoltare durante la lettura. La prima è “Breakaway” di Kelly Clarkson; la seconda “I'll be” di Edwin McCain.

12. L A SPIAGGIA DEI DESIDERI
(Per Sabrina)

    La domenica mattina il sole tornò a splendere nei cieli azzurri di Santa Monica. La stagione del surf era già iniziata e l’oceano Pacifico stava offrendo le sue migliori onde agli amanti di quell’intramontabile sport divenuto una delle più spettacolari caratteristiche, ma anche un simbolo della California e, più in particolare, delle spiagge di Los Angeles.
    I tenui raggi di luce penetravano nella stanza di Faith, attraverso le sottili fessure delle persiane socchiuse, rendendola più intima e ancora più accogliente.
    La ragazza si svegliò non appena sentì bussare alla porta, con l’album di fotografie ancora stretto tra le mani.
- Chi è?- Chiese con la voce impastata di sonno riponendo l’album in un cassetto.
- Colazione in camera, mademoiselle.- Annunciò Max facendo capolino da dietro la porta e aprendola quel tanto che bastava per farci passare la testa - Si può?-
    Faith annuì battendo leggermente la mano sul letto in segno di invito a sederle accanto.
    Max fece un’entrata trionfale con un grande vassoio su una mano.
- Che gentile. E questa rosa?- Chiese Faith afferrando delicatamente il bocciolo e odorandolo.
- Raccolto per lei ancora fresco di rugiada. Inoltre qui abbiamo una bella tazza di caffè, un po’ di latte, qualche biscotto al cioccolato, rubato poco fa alla prestigiosa e rinomata pasticceria di zia Becky e, per finire, una dissetante spremuta di arance della California.- Spiegò Max con il perfetto accento tipico dei cuochi francesi.
- Non penserà di ottenere una mancia, maître?- Ribatté Faith.
- Mi accontento di un bacio, mademoiselle, alla francese.- Replicò lui avvicinando le sue labbra a quelle di Faith, che obiettò - Meglio due.-
- Oggi è proprio una splendida giornata.- Osservò Max - Che ne dici se prendessimo la macchina e ce ne andassimo a fare un bel giro lontani dalla quotidianità di questo affollato sobborgo di Los Angeles? Potremmo dirigerci verso sud per trovare una spiaggetta tranquilla e riservata, soltanto per noi due… io e te.-
- Sembra un’idea davvero allettante, mio bel francese.-
- Lo è.- Le sussurrò avvicinandosi ancora. Faith anelava ad un suo terzo bacio.
- Ma non ti bacerò più finché non sarai completamente vestita, pettinata e nutrita di queste preziose cibarie. Ti aspetto in salotto.- Le ordinò uscendo dalla stanza.
    Lei rimase con le labbra protese in attesa di un bacio che non sarebbe arrivato. Ancora una volta l'aveva ingannata.

     Kelly Clarkson “Breakaway”
    Percorrendo la Pacific Coasthighway, l’autostrada che costeggia il Pacifico dall’Oregon sino al confine con il Messico, si potevano facilmente raggiungere piccole località balneari e spiagge deserte non certo prive di fascino. Baie incontaminate si celavano nella vasta vegetazione tipicamente tropicale.
    L’oceano sembrava mostrarsi in decine di tonalità diverse di verdi e di azzurri e il sole si rispecchiava con accecanti bagliori. Le grandi rocce bianche e grigie, unite ai faraglioni che emergevano maestosi dall’acqua, regalavano quella sensazione paradisiaca di trovarsi su di una remota isola equatoriale.
- Ehi Max.- Lo chiamò Faith. Viaggiavano con i finestrini abbassati e il rumore dell’aria che sferzava l’automobile, una vecchia Land Rover nera, copriva il suono dell’autoradio accesa.
- Conosco un posto molto carino. Accosta là in fondo, vicino a quei filari di viti.-
    Max fece un cenno di assenso e fermò l’auto nel punto indicato.
- Ma dove siamo?- Domandò perplesso sistemandosi i Ray Ban tra i capelli.
- Seguimi e vedrai.- Ammiccò Faith scendendo dall’auto con uno sguardo complice.
    Quello che a Max sembrava un anonimo vigneto era in realtà qualcosa di speciale. Tra i filari si nascondeva uno stretto sentiero di pietruzze color mattone che avrebbe invogliato chiunque a percorrerlo per scoprire dove portava.
    Così Max prese lo zaino e seguì Faith.
- Dai sbrigati, lumaca.- Lo esortò, prendendolo bonariamente in giro.
    Il sentiero era ricco di curve e nettamente in discesa, fiancheggiato, oltre che dalle viti, da cespugli verdissimi e piante di rose selvatiche che liberavano nell’aria un profumo dolcissimo.
    Dopo qualche minuto di camminata apparve uno scorcio meraviglioso: la stradina sboccava in una spiaggia piccola e appartata, nascosta a nord da un’altra scogliera a picco sul blu inteso dell’oceano che la racchiudeva quasi a volerla proteggere da occhi indiscreti.
- Una specie di paradiso terrestre.- Commentò Max fermandosi per ammirare il panorama. Faith sorrise.
- Oh! È, molto di più. Questo sentiero porta dritto alla Cala di St. Alexander, meglio conosciuta come “Spiaggia dei Desideri”.-
- Perché “dei Desideri”?-
- È una vecchia leggenda che mi ha raccontato zia Becky.- Iniziò a spiegare Faith riprendendo a scendere lungo il sentiero e voltandosi di tanto in tanto verso Max, che la seguiva ascoltando la storia.
- Anche qui abbiamo le nostre leggende. Vedi quei tre grandi scogli che spuntano dall’acqua?- Gli chiese Faith indicando un punto oltre i cespugli e le felci.
    Max si fermò e vide tre scogli appuntiti disposti alla stessa distanza l’uno dall’altro. Le onde ci si infrangevano contro, coprendoli di un leggero velo di schiuma dai riflessi argentati.
- È solo una mia impressione oppure sono equamente distanti tra loro?-
- Non è una tua impressione: è davvero così.- Asserì Faith - Si dice che la disposizione di quei tre scogli coincida perfettamente con quella delle prime tre stelle della Costellazione dell’Ariete.-
- Ma questo cos’ha a che fare con la spiaggia?- Domandò Max.
- Quando saremo arrivati te lo spiegherò.-
    Bastarono una decina di minuti e raggiunsero la spiaggia, mentre un alito di vento li accoglieva con il profumo fresco e salmastro dell’oceano.
    La laguna trasparente era ombreggiata a tratti da gruppi di due o tre palme che sbucavano dalla sabbia dorata per svilupparsi orizzontalmente sull’acqua cristallina.
- Ma qui siamo alle Hawaii!- Esclamò Max con un’espressione di stupore.
    Faith si chinò per raccogliere qualcosa nella sabbia.
- Questa spiaggia - Disse mostrandogli cosa teneva in mano - è cosparsa di tante piccole pietruzze color mattone, le stesse del sentiero che abbiamo percorso. Secondo la leggenda chiunque custodisca nel proprio cuore un desiderio e voglia fare in modo che si avveri, dovrà prendere una di queste pietre e nuotare fino allo scoglio centrale.-
    Max raccolse una pietra.
- Sono leggerissime. Ma a quale scopo?-
- Una volta arrivato allo scoglio, egli dovrà scrivere il suo desiderio sulla roccia. Ma se desidera che si avveri non potrà farlo quando vuole: dovrà scriverlo nei tre giorni in cui nel cielo compare la Costellazione dell’Ariete.-
    Faith scrutava Max negli occhi mentre il vento le accarezzava i capelli.
- Ma è certo che il desiderio si avveri?- Le chiese lui scettico.
- No.- Rispose - Se il messaggio scritto sulla roccia resisterà all’alta marea fino alla scomparsa della Costellazione dal cielo, allora il desiderio si avvererà. Ma se le onde furiose dell’oceano lo cancelleranno…- Faith scosse la testa - Sarà stato soltanto uno sforzo inutile.-
- È comunque uno sforzo arrivare fin là e riuscire a scrivere in balia delle onde.- Osservò Max.
- Hai ragione.- Convenne Faith - Ma se nella vita vuoi davvero ottenere qualcosa devi faticare e lottare contro gli ostacoli: le onde lungo il tuo cammino.-
- Giusto.-
    Si sdraiarono vicini sotto alcune palme, dove la sabbia, fine e morbida, era ancora umida dopo il temporale della notte precedente. Di tanto in tanto il grido dei gabbiani che volavano sulla cresta delle onde rompeva il silenzio della laguna.
- Faith?-
- Sì?-
- Tu non hai mai scritto un desiderio sulla roccia?-
    Faith guardò Max mettendosi seduta sul telo da spiaggia.
- No, non ci ho mai creduto. E poi…- La ragazza fece una piccola risata.
- Perché ridi?-
- Scusa, ma è una cosa imbarazzante che mi sono ripromessa di non dire a nessuno.- Rivelò arrossendo - Io non sono mai stata brava a nuotare. Ti sembrerà strano visto che abito qui da tanto tempo e per di più amo il mare.-
- Tutto questo non presuppone che tu sappia nuotare.- Affermò Max.
- E per finire,- Riprese Faith - i giorni in cui si possono scrivere i desideri sono i primi tre di primavera e l’acqua è decisamente troppo fredda per me, che sono una freddolosa.-
    Max scoppiò a ridere e Faith dopo di lui.
- Allora facciamo così.- Decise il ragazzo - Inventiamo noi due la nostra leggenda.-
- Cosa vuoi fare?-
    Max prese una bottiglia di vetro dallo zaino, le offrì un po’ d’acqua e poi bevve l’ultimo sorso che restava.
- Usiamo questa.-
    Faith lo fissò perplessa.
- Scriveremo i nostri desideri su alcuni foglietti di carta che poi inseriremo qui dentro. Ovviamente la nasconderemo in un posto che soltanto noi conosciamo. Poi stabiliremo una data ed in quel giorno ci ritroveremo qui per leggerli e vedremo se si saranno avverati.-
- Ci sto!- Esclamò Faith rovistando in fondo allo zaino per cercare carta e penna.
    Fecero come detto, guardandosi negli occhi e sorridendo, mentre ognuno scriveva i propri desideri, senza farli leggere all’altro, e li infilarono nella bottiglia.
- Oggi,- Annunciò Max chiudendo la bottiglia - è il 19 aprile 1998.-
    Faith annuì con un sorriso.
- Il 19 aprile del 2008 ci ritroveremo qui, io e te, alle tre del pomeriggio. Ovunque saremo, dovremo fare in modo di rispettare il nostro accordo.-
- Ok. Nessun impegno per quel giorno.-
    Faith prese la bottiglia e la nascose nella cavità di uno scoglio abbastanza rialzato, dove le alte maree non l'avrebbero raggiunta.
- Qui starà al sicuro per i prossimi dieci anni.- Affermò.

    Edwin McCain “I'll be”
    Mentre passeggiavano lungo il bagnasciuga tenendosi per mano, le onde dell’oceano lambivano la riva, cancellando le loro impronte.
    Di tanto in tanto Faith si chinava per raccogliere qualche piccola conchiglia che aveva attirato la sua attenzione e la mostrava a Max raccontandogli di quanto le era sempre piaciuto collezionarle da bambina.
- Ultimamente mi chiedo spesso che cosa ne sarà di noi.- Sospirò Faith ammirando il sole rosso galleggiare poco più sopra dell'orizzonte.
- Che vuoi dire?- Le domandò Max.
- Insomma, tu vivi a New Orleans e io a Los Angeles. Non puoi continuare ad attraversare gli Stati Uniti in eterno. E non sai come mi si stringe il cuore quando ti saluto all’aeroporto ogni domenica.-
    Max si fermò le fece notare l’anello che portava al dito.
- Ricordi cosa ti ho promesso con questo? Beh, volevo farti una sorpresa, ma visto che siamo in argomento…-
- Cosa stai cercando di dirmi?- Gli chiese in apprensione.
- Ho ottenuto il trasferimento a Los Angeles.- Fece lui con un sorriso sornione.
    Faith scoppiò in un urlo di gioia e si aggrappò a lui stringendolo forte.
- Faith, Faith, ok! D’accordo!-
    Lo stava strangolando.
- Mi porteranno qui in posizione orizzontale se continui così!-
- Sono troppo contenta, Max!-
- Mi fa piacere che tu lo sia. Potrei abitare con te e zia Becky per un po’, almeno finché non trovo una sistemazione definitiva. Sempre che tu sia d’accordo. E sempre che ti decida a lasciare entrare un po’ di ossigeno nei miei polmoni. Non troppo, giusto quello che mi serve per sopravvivere.-
    Faith lo lasciò e affondò i piedi nell'acqua facendola schizzare dappertutto.
- È meraviglioso e io ti amo!- Lo baciò alzandosi sulle punte dei piedi.
- Ma prima c’è un’altra cosa che devo fare.- L’avvertì Max.
    La ragazza lo guardò in silenzio, pronta al peggio.
    Max l’afferrò velocemente passandole un braccio dietro la schiena e uno a reggerle le gambe, e la trascinò in acqua minacciandola di immergerla completamente.
- Devi promettermi che non verrai più a spiarmi mentre faccio la doccia.-
- Non l’ho mai fatto!- Negò indignata. Avvertiva l'acqua fresca sfiorarle le gambe e rabbrividì - Ok! Ok! L’ho fatto!- Si arrese - Ma solo una volta.-
    Lui la immerse un po’ di più con il fondo schiena.
- È fredda! Ok, forse sono state due!- Gli confessò urlando.
- Prometti.- Ordinò Max
- Ok! Ok! Lo prometto.-
- E prometti di amarmi e di essere sempre sincera con me?-
    Lei lo guardò negli occhi, dove brillava la luce dell'amore. Il tono della sua voce era diventato così dolce e risoluto che Faith non resistette all'impulso di baciarlo.
- Ci proverò.- Rispose in un sorriso.
    Arrivò un’onda improvvisa che fece perdere a Max l’equilibrio e si ritrovarono in acqua, uno sopra l’altra.
- Credevo ti piacesse essere spiato.- Gli confidò Faith.
Con i vestiti completamente fradici, Max apprezzò quel corpo così affascinante che lei esibiva.  
- Soltanto se poi entri anche tu a farmi compagnia sotto la doccia.- La stuzzicò.
    Ormai bagnati dalla testa ai piedi, giocarono e scherzarono come due bambini. Senza problemi, senza pensieri. Senza passato e senza futuro.
    Erano soltanto due bambini che vivevano l’attimo del presente come non l’avevano mai vissuto.

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Capitolo 13
*** 13. L'Ora Della Verità ***


Le Ragioni Del Cuore BN
RISPOSTA ALLE RECENSIONI

Ciao!
Questa volta non vi trattengo troppo tempo e vi lascio subito alla storia!
Ma prima intendo ringraziare, come sempre, nana_86 (con tanto auguri di buon compleanno e un nuovo capitolo per regalo), Saty, Akane25, Mozzi84, Chiarascimmia e tutti coloro che aggiungono la storia tra le loro preferite e seguite!
Di nuovo grazie, e buona lettura!

13. L'ORA DELLA VERITA'

    La settimana che precedeva il trasferimento di Max vide Faith completamente presa dai preparativi della festa di compleanno di Holly, che si sarebbe tenuta il giorno immediatamente successivo all'arrivo del ragazzo a Los Angeles.
    La preoccupazione dell'amica era salita alle stelle e Faith era ormai andata fuori di testa.
- Holly, sentimi bene.- Le disse scandendo lentamente ogni parola - Ti stai comportando da pazza!- Urlò isterica - Quanti altri compleanni hai festeggiato prima di questo? Penso che almeno ventitré ci possano stare, non credi? Ormai mancano meno di sette giorni. Basterà organizzare una semplice festa in piscina a casa tua.-
- Si, forse hai ragione - Mormorò Holly abbandonandosi sul divanetto in vimini del porticato di Faith - Allora niente cavalli e carrozze per gli invitati, niente ristorante extra-lusso con le sculture di ghiaccio, niente...-
- Non stai per sposarti, Holly! Tieni per allora queste tue favolose idee.-
- Ma... i cavalli...- Obiettò.
- No, Holly. Ascolta. Prima di tutto è decisamente troppo tardi per prenotare cavalli, carrozze e compagnia bella. Posso capire che questo stravagante senso dell'abitudine di vivere a due passi da Hollywood ti abbia completamente disintegrato ogni più piccola parte di cervello, ma ti prego,- La scongiurò Faith - abbandona l'idea di fare una ridicola entrata a bordo di un cavallo di legno semovente e per di più con in testa un cappello di Babbo Natale in piena primavera. Abbandonala subito.-
- E va bene, va bene.- Si rassegnò Holly sbuffando - Niente cavalli. Ci limiteremo ad una semplice festa in piscina.
    La discussione venne improvvisamente interrotta dallo squillo di un cellulare.
- Oh, scusa Faith. È il mio!- Esclamò Holly iniziando a sogghignare non appena ebbe risposto.
    Faith la osservò, chiedendosi se l'amica avesse perso qualche rotella, e decise di lasciarla in veranda a parlare indisturbata, per entrare in cucina a bere un bicchiere d'acqua.
    Non era la prima volta che Holly si comportava così. Ultimamente Faith era talmente occupata che non aveva dato alcun peso a tutte quelle telefonate misteriose alle quali Holly rispondeva.
    Era già da un mese che Faith voleva saperne di più, ma non era riuscita a cavare un ragno dal buco, anche perché l'amica aveva il dono straordinario di tergiversare e farle dimenticare qual'era stato l'argomento che aveva dato inizio alla discussione. Ma era intenzionata ad andare fino in fondo alla faccenda e quello le sembrò il momento giusto per approfittarne.
    Vuotò il suo bicchiere, lo posò nel secchiaio e si avvicinò all'ingresso mentre Holly stava ancora chiacchierando.
    Discorreva sottovoce continuando a guardarsi attorno, quasi come se stesse progettando una rapina in banca con il suo interlocutore.
- Si, si, anch'io non vedo l'ora di vederti, paperino mio. Si...- Sussurrò Holly ridacchiando piano come una bambina con in mente un diabolico piano.
    Faith sgranò gli occhi convincendosi di aver capito male.
    Quando uscì, l'amica ripose il cellulare nella borsetta scostandosi dalla fronte una ciocca di capelli.
- Mio padre.- Spiegò con uno sbuffo - Mi chiama sempre quando non dovrebbe!-
    Faith la scrutò con attenzione.
- Ah. E da quando tuo padre è diventato un fumetto? Cos'è, sei nata a Cartoonia e per eliminarti devo procurarmi un barile di salamoia? Perché ti avverto: quel tuo inquietante sorriso che hai stampato in faccia inizia a farmi davvero paura.-
    Holly scoppiò in una risata fragorosa.
- Faith, sei una comica nata! Comunque, tornando a noi: stasera ti va di mangiare messicano da Don Antonio's?-
- Va bene. Ci mettiamo d'accordo più tardi in ufficio. Ma la tua telefonata...- Insistette Faith.
- Perfetto! Ci vediamo tra poco. Devo proprio scappare adesso, Faith! Saluti!- Esclamò Holly agitando le dita della mano che reggeva la borsetta. Salì rapida sulla sua Lamborghini rossa fiammante e se ne andò ad una velocità folle.
- A tra poco.- Sospirò Faith sconcertata.
    Anche quella volta il suo piano era fallito, ma avrebbe avuto tutta la serata per ritentare.
Sorrise tra sé. Ormai era noto a tutti che Holly era un personaggio particolare. Spiritosa e anche molto carina. Faith non si sarebbe stupita se avesse finalmente trovato un ragazzo adatto a lei.
Holly era sempre stata un po' sfortunata in amore. Fino a pochi mesi prima era uscita con un dentista che riteneva la sua dentatura più interessante di lei.
    Poi aveva frequentato un universitario che pagava la sua retta scolastica con i soldi guadagnati grazie alla vendita di stupefacenti.
    Infine, sembrava aver trovato la sua anima gemella in un giovane ambientalista, ma, in base a quanto le risultava, il ragazzo proibiva ad Holly di cibarsi di pollo, maiale e carne di bovino. Ciò voleva dire togliere l'acqua ad un pesce rosso. Lo lasciò nel bel mezzo di una cena a lume di candela al Ralph's, uno dei ristoranti più in voga della città.
    Chiusa la storia con l'ambientalista, non aveva più voluto saperne di innamorarsi.
    Questo fino ad un mese prima, suppose Faith. Ad ogni modo lei aveva altro a cui pensare.
    Tornò di corsa in casa perché doveva ancora finire di riempire la sua valigia. Non voleva ritrovarsi a mettere dentro le cose più inutili che possedeva, nel cuore della notte e con la pancia piena di pietanze messicane.
    Non ci poteva ancora credere: il mattino seguente avrebbe preso un aereo per Cleveland.
    Max, infatti, le aveva telefonato due giorni prima dicendole che sua madre era ansiosa di conoscerla. Lui sarebbe dovuto tornare a Lakewood per recuperare alcune carte indispensabili per il suo trasferimento, perciò avrebbe unito l'utile al dilettevole.
    Così Faith decise di accettare riconoscendo comunque di essersi trovata impreparata all'invito.     Dopotutto, pensò, si trattava di un paio di giorni e non c'era motivo di preoccuparsi.
    Piuttosto, c'era una cosa ben più importante degna di meritarsi tutta la sua preoccupazione: nel pomeriggio, infatti, era intenzionata a tornare in carcere. Si era ripromessa che non ci sarebbe più andata, ma un presagio più forte di ogni sua convinzione non la faceva stare bene con sé stessa. Attribuiva la colpa a quel giorno in cui suo padre le aveva rivelato il motivo per cui si trovava in carcere, però, in fondo, intuiva che c'era dell'altro da sapere e che non poteva in alcun modo essere ignorato, nonostante lei si sforzasse di negarlo. Ormai non poteva più resistere all'idea di scoprire come suo padre fosse implicato in un omicidio. Si sentiva stranamente preparata a ciò che si sarebbe sentita dire, ma c'era sempre una piccola parte che le impediva di restare tranquilla, quasi fosse certa che in qualche modo le parole di suo padre avrebbero sconvolto totalmente e per sempre la sua vita.
    Tutto stava procedendo a gonfie vele da troppo tempo, perciò si aspettava che prima o poi una minacciosa nuvola nera incombesse all'orizzonte.

    Era un altro splendido e soleggiato giorno di maggio. Le temperature erano aumentate notevolmente, ma una leggera brezza primaverile rendeva più sopportabile l'ondata di caldo che da qualche giorno opprimeva la città.
    Dalla finestra del suo ufficio, Faith osservava quel gran viavai di persone che circolava a piedi, in bicicletta, in automobile e, alcuni, in skateboard.
    Poi allontanò lo sguardo oltre Los Angeles, dove si scorgevano vaste e desolate distese ed immaginava come si potesse vivere lontani dal caos di quella frenetica megalopoli. Certo, la sua casa vicina all'oceano non aveva nulla da invidiare alle colline californiane, ma qualcosa della vita di campagna l'aveva sempre affascinata.
    Si ricordò di quante volte, da bambina, sua madre la portava a fare lunghe passeggiate tra i vigneti e i poderi del sud della California, specialmente d'estate, quando l'aria era intrisa dei profumi degli alberi e dell'erba, e i grilli intonavano armoniose melodie.
    Erano davvero belli quei momenti, purtroppo irripetibili.
    Fu improvvisamente interrotta da Holly, che fece irruzione nel suo ufficio, avvertendola della sua intenzione di andare a casa.
- Faith, allora alle otto al Don Antonio's, ok?-
- Certo, Holly. A stasera.- Confermò Faith.

    Alle sei spense il computer ed uscì dall'ufficio. Percorse in auto il tratto di strada che la separava dal carcere con addosso una strana agitazione, ma concluse che si doveva trattare di una sensazione del tutto normale. Accostò a pochi passi dal cancello, si diede una veloce sistemata ai capelli e quindi si diresse verso l'ingresso, dove ottenne il permesso di entrare. Realizzò che quello della prigione era un mondo lontanissimo da lei e non riusciva a concepire in quale modo un qualsiasi essere umano potesse condurre una vita là dentro, segregato tra quattro mura, sbarre e reti metalliche.
    Rabbrividì al solo pensarci.
    Si sedette, dopo aver chiesto di suo padre, e attese in silenzio finché lo vide comparire sulla porta.
- Papà!-
- Faith! Credevo non ti avrei più rivista dopo la nostra ultima spiacevole conversazione.- Le confessò suo padre guardandola in viso.
    Faith esitò.
- Proprio di questo vorrei parlarti, papà. Voglio sapere com'è realmente andata quella situazione in cui ancora stento a credere tu sia coinvolto.-
- Vuoi davvero sapere cos'è successo quel giorno?-
- Sono qui per capire che genere di persona tu sia.-
- Non voglio che tu mi debba giudicare in base agli sbagli che ho commesso in passato.-
- Nemmeno io spero di doverlo fare.- Ribatté Faith.
    Brian respirò a lungo prima di iniziare il racconto del giorno che lui riteneva maledetto.
    Guardò la figlia negli occhi: aveva ancora la tenera espressione di quella bambina che abbandonò quando aveva soltanto nove anni.
    Cominciò a sentire il sudore freddo sulla fronte e si mordicchiò nervosamente il labbro inferiore.
    La stanza era perennemente satura dello stagnante e insopportabile odore di sigaretta e la luce del sole si amalgamava con sottili anelli di fumo che aleggiavano lenti, creando le forme più bizzarre.
- Quando mandai tua madre fuori di casa, mi sentii profondamente ferito, oltre che arrabbiato. Avevo iniziato a bere, come puoi ben ricordare, e, nel giro di qualche settimana, persi il lavoro. Tornavo sempre a casa ubriaco fradicio. Tua zia Becky era stata molto gentile ad ospitarci dopo lo sfratto, ma continuavo a litigarci e una volta non esitai ad allungarle uno schiaffo. Mi convinse a curarmi in un centro per alcolisti in Ohio, dove, insieme a tua madre, avevamo abitato per qualche anno, prima di stabilirci qui a Los Angeles. Era il posto più lontano possibile in cui potessi andare e...-
- Aspetta un attimo, papà - Lo interruppe Faith - Non mi ricordavo di aver abitato in Ohio.-
- No, certo. Eri molto piccola. Dopo pochi mesi dalla tua nascita, tua madre decise di andare a vivere là, insieme a tua nonna, ma non funzionò. Io amavo il mio lavoro qui e non mi andava più di tornare a casa una volta la settimana. Inoltre, tua nonna morì, perciò, dopo quattro anni, tornammo a vivere in California.-
    Faith ci pensò su per qualche istante, ma non si ricordava nulla di quel periodo.
- Comunque - Riprese suo padre - i medici mi dissero che l'avevo scampata bella, perché l'alcol non mi aveva ancora creato seri danni al fegato. Riuscii a guarire dalla mia dipendenza dopo tre lunghi anni. Mi sentivo davvero una persona migliore, ma ero ancora impreparato ad un mio ritorno a casa.
    Incontrai un amico di vecchia data, Larry Brice, che mi propose di trasferirmi da lui per un po' di tempo, dicendomi che aveva bisogno di un aiuto con il suo lavoro di muratore. Accettai subito, anche perché avevo bisogno di soldi. Si trattava di un lavoro serio, che io portai avanti con grande impegno.
    Una sera io e Larry ci ritrovammo in una locanda a festeggiare l'ultimazione di una serie di costruzioni portuali, e mi spiegò che tutte le storie sulla dipendenza da alcol erano soltanto ipocrisie create dalla società. Nessuno, secondo lui, poteva guarire completamente da quella “malattia”. E, in effetti, mi resi conto che non potevo più resistere. Da troppo tempo non toccavo più una goccia di alcol, così buttai al vento tre lunghi e faticosi anni di lavoro e ripresi a bere. Trascorremmo la notte ad ingerire litri di birra e di ogni sorta di alcolici, fino al mattino, quando mi misi al volante della mia auto - così mi dissero - completamente stordito. Quello che accadde lo puoi immaginare.-
    Faith si strinse le mani in grembo e guardò il cielo azzurro e bianco fuori dalla finestra. Si sentiva la gola secca e, malgrado nella sua mente affiorassero mille idee sul possibile seguito, tacque, piena di apprensione.
- E' successo tutto in un attimo, Faith. Non ricordo nemmeno bene come. Oltrepassai un semaforo rosso a tutta velocità quando un'auto mi attraversò la strada ed io andai a sbatterci contro con una tale violenza da scaraventarla a parecchi metri da me.-
- Oh, mio Dio.- Sussurrò Faith in un gemito sommesso. Ebbe una rapida intuizione e fece un lungo sospiro prima di volgere a suo padre una domanda inquietante.
    Mentre la formulava sperò di avere dannatamente torto e che non avesse avuto nulla a che fare con lui.
- Papà, ricordi il nome del conducente di quell'auto?-adre guardandola in viso.

Faith esitò.
- Proprio di questo vorrei parlarti, papà. Voglio sapere com'è realmente andata quella situazione in cui ancora stento a credere tu sia coinvolto.-
- Vuoi davvero sapere cos'è successo quel giorno?-
- Sono qui per capire che genere di persona tu sia.-
- Non voglio che tu mi debba giudicare in base agli sbagli che ho commesso in passato.-
- Nemmeno io spero di doverlo fare.- Ribatté Faith.
    Brian respirò a lungo prima di iniziare il racconto del giorno che lui riteneva maledetto.
    Guardò la figlia negli occhi: aveva ancora la tenera espressione di quella bambina che abbandonò quando aveva soltanto nove anni.
    Cominciò a sentire il sudore freddo sulla fronte e si mordicchiò nervosamente il labbro inferiore.
    La stanza era perennemente satura dello stagnante e insopportabile odore di sigaretta e la luce del sole si amalgamava con sottili anelli di fumo che aleggiavano lenti, creando le forme più bizzarre.
- Quando mandai tua madre fuori di casa, mi sentii profondamente ferito, oltre che arrabbiato. Avevo iniziato a bere, come puoi ben ricordare, e, nel giro di qualche settimana, persi il lavoro. Tornavo sempre a casa ubriaco fradicio. Tua zia Becky era stata molto gentile ad ospitarci dopo lo sfratto, ma continuavo a litigarci e una volta non esitai ad allungarle uno schiaffo. Mi convinse a curarmi in un centro per alcolisti in Ohio, dove, insieme a tua madre, avevamo abitato per qualche anno, prima di stabilirci qui a Los Angeles. Era il posto più lontano possibile in cui potessi andare e...-
- Aspetta un attimo, papà - Lo interruppe Faith - Non mi ricordavo di aver abitato in Ohio.-
- No, certo. Eri molto piccola. Dopo pochi mesi dalla tua nascita, tua madre decise di andare a vivere là, insieme a tua nonna, ma non funzionò. Io amavo il mio lavoro qui e non mi andava più di tornare a casa una volta la settimana. Inoltre, tua nonna morì, perciò, dopo quattro anni, tornammo a vivere in California.-
    Faith ci pensò su per qualche istante, ma non si ricordava nulla di quel periodo.
- Comunque - Riprese suo padre - i medici mi dissero che l'avevo scampata bella, perché l'alcol non mi aveva ancora creato seri danni al fegato. Riuscii a guarire dalla mia dipendenza dopo tre lunghi anni. Mi sentivo davvero una persona migliore, ma ero ancora impreparato ad un mio ritorno a casa.
    Incontrai un amico di vecchia data, Larry Brice, che mi propose di trasferirmi da lui per un po' di tempo, dicendomi che aveva bisogno di un aiuto con il suo lavoro di muratore. Accettai subito, anche perché avevo bisogno di soldi. Si trattava di un lavoro serio, che io portai avanti con grande impegno.
    Una sera io e Larry ci ritrovammo in una locanda a festeggiare l'ultimazione di una serie di costruzioni portuali, e mi spiegò che tutte le storie sulla dipendenza da alcol erano soltanto ipocrisie create dalla società. Nessuno, secondo lui, poteva guarire completamente da quella “malattia”. E, in effetti, mi resi conto che non potevo più resistere. Da troppo tempo non toccavo più una goccia di alcol, così buttai al vento tre lunghi e faticosi anni di lavoro e ripresi a bere. Trascorremmo la notte ad ingerire litri di birra e di ogni sorta di alcolici, fino al mattino, quando mi misi al volante della mia auto - così mi dissero - completamente stordito. Quello che accadde lo puoi immaginare.-
    Faith si strinse le mani in grembo e guardò il cielo azzurro e bianco fuori dalla finestra. Si sentiva la gola secca e, malgrado nella sua mente affiorassero mille idee sul possibile seguito, tacque, piena di apprensione.
- E' successo tutto in un attimo, Faith. Non ricordo nemmeno bene come. Oltrepassai un semaforo rosso a tutta velocità quando un'auto mi attraversò la strada ed io andai a sbatterci contro con una tale violenza da scaraventarla a parecchi metri da me.-
- Oh, mio Dio.- Sussurrò Faith in un gemito sommesso. Ebbe una rapida intuizione e fece un lungo sospiro prima di volgere a suo padre una domanda inquietante.
    Mentre la formulava sperò di avere dannatamente torto e che non avesse avuto nulla a che fare con lui.
- Papà, ricordi il nome del conducente di quell'auto?-

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Capitolo 14
*** 14. Una Vera Occasione ***


Le Ragioni Del Cuore BN
RISPOSTA ALLE RECENSIONI

Ciao a tutti!

Sono tornato, puntuale con un nuovo capitolo, che spero vi piacerà come credo vi siano piaciuti fino ad ora.
Ringrazio, come sempre, Saty, che con infinito affetto e ammirazione, recensisce attentamente e dettagliatamente questa fan fiction, nonostante ne conosca ogni risvolto e ogni più piccolo e continuo cambiamento. Grazie infinite!
Poi Nana_86, spero che il romanzo ti possa entusiasmare sempre di più, ora che siamo arrivati al primo punto importante di svolta della trama, dove gli eventi molto presto avranno il sopravvento su ciascuno dei personaggi. Come si dice “il bello deve ancora arrivare...”
Ancora grazie alla mia beta, Mozzi84, che mi sopporta personalmente, perciò ha il diritto di non recensire quando non ha il tempo o l'ispirazione (certo, serve l'ispirazione per fare anche solo una semplice recensione, dovrebbero premiare tutti coloro che lo fanno, perchè sono loro che mantengono in vita le storie!)
Inoltre grazie anche ad Akane25, sempre presa dallo studio (la Secchiona ;D), a Chiarascimmia, la mia compaesana pasticcera, e a tutti quanti inseriscono questa storia tra le Preferite e Seguite!

Grazie a tutti!



Ho pensato che magari potrebbe far comodo un veloce riepilogo dei capitoli precedenti.
Faith e Max, due comuni ragazzi americani, si incontrano a New York nella magica atmosfera natalizia; lei è in città per una vacanza, lui per motivi di lavoro. Si innamorano e, da quel giorno di metà dicembre, la loro storia si arricchisce di parole, regali, confidenze, e il passato di entrambi viene rievocato attraverso ricordi tristi, ma anche spensierati.
Il padre di Max è morto in un incidente d'auto e il ragazzo fatica a superarne il trauma; Faith è cresciuta a Santa Monica, nell'assolata California, grazie alle cure di zia Becky, la dolce e comprensiva sorella del padre, Brian, che si trova nel carcere di Los Angeles per aver ucciso una persona molto tempo prima.
A far da “contorno” ai due protagonisti, partecipano la miglior amica di Faith, Holly, e il cugino di Max, Chris, che danno vita a divertenti siparietti, acquistando, con lo svolgersi della storia, sempre più importanza e mostrando il loro lato più profondo e sensibile.
Dopo che Max ha promesso a Faith di sposarla, ecco presentarsi un ostacolo alla loro storia d'amore, il primo punto di svolta della fan fiction, dove la ragazza si troverà davanti ad una scelta difficile.
Anche Max avrà a che fare con un inconveniente, seppur di minor gravità, che sembra volerlo tenere lontano dalla sua amata, come sempre accade in ogni storia d'amore che si rispetti...


14.U  NA VERA OCCASIONE

    Max stava esaminando attentamente alcune relazioni riguardanti il mercato azionario statunitense quando fu interrotto dalla sua segretaria.
- Signor Warren, il direttore la desidera nel suo ufficio appena possibile.-
- Sarò da lui tra pochi minuti, grazie Kirsten.-  
    Terminò il suo caffè, si sistemò velocemente la cravatta e il colletto della camicia e, quando arrivò dinnanzi all'ufficio del direttore, bussò annunciandosi.
- Prego, Warren. Si accomodi.- Lo invitò il principale.
    Il suo studio, oltre ad essere perfettamente in ordine, era molto ampio e ben illuminato. La parete di vetro alle spalle dell'elegante scrivania in noce permetteva una vista singolare sul Mississippi e sul verdeggiante parco limitrofo alla Jackson Square.
    Una seconda scrivania occupava l'angolo sinistro dell'ufficio, unitamente ad un rigoglioso ficus, che conferiva alla stanza un immagine più professionale. Nell'angolo opposto stavano due poltroncine foderate, anch'esse in legno di noce, mentre una raffinata lampada a stelo in vetro lavorato le separava da una massiccia libreria ricca di volumi di Economia e Commercio.
    Le pareti, dipinte di un giallo tenue, facevano risaltare un paio di quadri di nature morte, una fedele riproduzione de “I girasoli” di Van Gogh , e numerosi attestati e riconoscimenti incorniciati adeguatamente, in perfetta armonia con il resto dell'arredo.
    Il direttore si alzò in piedi non appena Max entrò nell'ufficio, togliendosi gli occhiali ed avvicinandosi alla macchinetta del caffè. Indossava un completo gessato e una cravatta grigia, intonata alla camicia nera. Con gli anni le gambe gli avevano dato lievi problemi e quella sinistra lo faceva appena zoppicare a causa di un passato incidente a cavallo. Ma, nonostante questo, restava un uomo distinto e di gran classe e Max lo ammirava molto: al di là del fatto che fosse il suo capo, il direttore lo aveva sempre rispettato e trattato con i modi più garbati, sin dal primo giorno in cui aveva messo piede alla Foster & Marshall Company.
- Desidera acqua, caffè, the?- Gli chiese.
- No, la ringrazio, signor Cohen.- Rispose Max.
    Notando nel ragazzo una leggera preoccupazione, il direttore gli sorrise.
- Tranquillo, tranquillo, Warren. Non è successo nulla di grave. Si sieda pure.-
Si sedettero entrambi e il principale sorseggiò la sua tazza di caffè fumante.
- Sono ancora d'accordo per il suo trasferimento a Los Angeles. Oggi è il suo ultimo giorno qui da noi e vorrei congratularmi per l'eccellente lavoro svolto in tutti questi anni. Sono molto fiero di lei, signor Warren.-
    Max sollevò un angolo della bocca.
- È stato un grande piacere lavorare qui, signor Cohen, mi creda.-
- Ne sono pienamente convinto. I risultati infatti lo dimostrano. Proprio per questo ci sarebbe un ultimo affare del quale vorrei si occupasse.-
- Dica pure, direttore.- Lo esortò Max.
    Il signor Cohen si alzò e prese dalla scrivania un fascicolo piuttosto voluminoso, sfogliandolo velocemente.
- Nella cara vecchia Inghilterra, precisamente a Londra, i signori della Powell & Scottsdale, una delle compagnie commerciali inglesi più potenti, vorrebbero concludere un affare che risulterà molto vantaggioso per la nostra società.-
    Il direttore porse a Max il fascicolo che recava l'intestazione della compagnia in questione.
- Lì dentro troverà tutto ciò che le potrà interessare a riguardo. Se riuscirà a portare positivamente a termine l'incarico, come prevedo succederà, le nostre società si uniranno a formare un'unica compagnia bancaria. Lei e il signor Graham resterete in Inghilterra per alcuni mesi, in modo da definire accordi e transazioni inerenti la fusione.-
    Max alzò lo sguardo perplesso dal fascicolo.
- Alcuni mesi?-
- Il tempo utile per svolgere tutte le pratiche è piuttosto lungo, come potrà ben sapere. Naturalmente, se si occuperà di questo incarico in maniera ottimale, lei otterrà un avanzamento di carriera ed un notevole aumento di stipendio. Anche se sarà a Los Angeles prossimamente non dimentichi che lavorerà ancora per me. Spero non voglia gettare al vento una simile occasione.- Affermò il signor Cohen, intento a giocherellare con una stilografica.
- No, certo - Tentennò Max - Quando dovremmo partire io e Graham?-
- Alla fine della settimana prossima. Voli e soggiorni saranno interamente a carico della società.-
- Bene.- Annuì il ragazzo.
    Il direttore gli si avvicinò e gli strinse la mano.
- Mi raccomando, Warren. Ripongo in lei la mia più completa fiducia. Non esiti a contattarmi per chiarimenti di ogni genere.-
- D'accordo. Grazie, signor Cohen.- Disse Max, aprendo la porta - Di tutto.-
    Il principale tornò a sedersi alla scrivania ed inforcò gli occhiali.
- Signor Warren?- Lo richiamò
- Si?-
- Aspetto un invito al suo matrimonio.-
Max lo guardò incuriosito per qualche istante, quasi non avesse capito bene la sua richiesta.
- Presumo che lei si trasferisca a Los Angeles per amore.- Gli spiegò il signor Cohen.
    Il ragazzo abbassò lo sguardo, sorridendo.
- Avrebbe ricevuto l'invito anche se non me l'avesse chiesto, direttore.- Affermò.

    Max provava un misto di soddisfazione e di preoccupazione mentre tornava nel suo ufficio. Lanciò un rapido sguardo al fascicolo della Powell & Scottsdale e si sentì davvero orgoglioso di sé stesso per l'importante incarico che il direttore gli aveva affidato.
    Ma, allo stesso tempo, era preoccupato perché non aveva proprio idea di come lo avrebbe detto a Faith. Per qualche mese non avrebbero potuto vedersi tanto spesso e ne era rammaricato perché, proprio in quei giorni, era riuscito a mettersi in contatto con un'agenzia immobiliare per l'acquisto di una casa a Los Angeles.
    In fondo, però, pensò che Faith avrebbe compreso la situazione e lo avrebbe appoggiato senza mostrare rancore.

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Capitolo 15
*** 15. Scelte Difficili ***


Le Ragioni Del Cuore BN
R ISPOSTA ALLE RECENSIONI

Eccomi qui, con un nuovo capitolo ed una rivelazione che qualcuno avrà già intuito...

Ringrazio come sempre le mie puntuali e fedeli recensitrici, Saty (ti proporrò come nuova segretaria di Max...), Nana_86 e l'ultima arrivata, Chiara84. Un ringraziamento anche alla mia beta, Mozzi84 perennemente presa tra mille cose da fare, ma che trova sempre un attimo per betare la mia storia. Thank you so much!
Grazie anche a chi aggiunge la fan fiction tra le Seguite e le Preferite.

Questa volta vi consiglio di ascoltare una canzone che troverete durante la lettura. Si tratta di Lisa Loeb con la sua malinconica “How”

Buona lettura e a presto!



15. S CELTE DIFFICILI

    Nel penitenziario di un'assolata Los Angeles Faith stava vivendo quello che per lei rappresentava il peggiore tra tutti gli incubi.
- Non posso crederci, papà!- Tuonò - Credevi che andando il più lontano possibile da qui avresti evitato di rovinarmi la vita, ma ti sei sbagliato! Non esiste un posto in questa galassia dove tu possa andare per farmi stare meglio, lo sai questo?-
- Faith, ti sto chiedendo scusa! Io...- Il padre cercò di scusarsi nuovamente, ma la ragazza non glielo permise.
- Papà!! Tu hai ucciso il padre del mio ragazzo!- Esclamò Faith in preda all'angoscia, enfatizzando ogni singola parola in tono grave - Come posso perdonarti? COME?- Gli chiese guardandolo dritto negli occhi.
    Si passò una mano tra i capelli mentre tentava con tutte le sue forze di ricomporsi.
- Lo sapevo - Bisbigliò a sé stessa - Avrei dovuto immaginarlo. Le cose stavano andando bene da troppo tempo.-
    Brian allungò una mano per accarezzarla, ma lei lo scostò bruscamente, fulminandolo con uno sguardo pieno di odio.
- Meriti di marcire qui dentro!- Sibilò, avvicinandosi a lui.
    Si alzò in piedi ed uscì senza dire più nulla, mentre il padre la richiamava invano.
- MI dispiace tanto, bambina mia...- Sussurrò sotto gli occhi incuriositi della gente in silenzio.

    Faith salì in macchina, accese l'autoradio al volume massimo, si guardò nello specchietto retrovisore e scoppiò a piangere, picchiando i pugni sul volante.
    Si fermò all'improvviso a fissare l'anello che le aveva regalato Max e lo sfiorò con un dito. Le piccole pietre incastonate riflettevano la luce rosata del sole in tanti minuscoli punti luminosi.
    “E prometti di amarmi e di essere sempre sincera con me?”
- Adesso che cosa devo fare?- Mormorò, ripensando alle parole di Max.
    Chiuse gli occhi e si coprì il viso umido con le mani.

    Quando entrò in casa Zia Becky era seduta in veranda intenta a leggere un libro e si fermò sulla porta, restando a fissarla inespressiva, con gli occhi lucidi e arrossati.
    Il lungo silenzio che seguì bastò a far capire a sua zia che era appena stata in carcere e aveva scoperto qualcosa di terribile.
    La donna richiuse il libro, posandolo sul tavolino, ed abbracciò la nipote, tenendola stretta a sé, mentre si lasciava andare con le ginocchia sul pavimento singhiozzando piano, quasi a non voler farsi sentire.
    Ma chi l'avrebbe potuta sentire? Nemmeno il lontano e monotono infrangersi delle onde pareva udire il suo dolore.
- Faith, entriamo in cucina, coraggio. Raccontami, bambina mia, dimmi tutto.- La pregò la zia.
    Era la prima volta che vedeva sua nipote in quelle condizioni e non sapeva come farla stare meglio.
    Faith la guardò: era come se le parole di sua zia le fossero giunte alle orecchie con qualche secondo di ritardo e si fossero fatte sentire in un flebile sussurro per poi scomparire istantaneamente nel vuoto.
- Forza, Faith, entriamo.- Ripeté zia Becky.
    La ragazza si rialzò lentamente in piedi con l'aiuto della zia e si portò una mano sulla fronte, proteggendosi dalla luce del sole che irritava i suoi occhi rimasti senza più lacrime da versare.
    Poi tornò a guardare di nuovo sua zia e annuì, sforzandosi di sorridere.
- Entriamo.- Disse.

    Occorse un po' di tempo perchè Faith si potesse riprendere e riuscisse a raccontare a zia Becky tutto ciò che era successo. Nemmeno ascoltando sé stessa fu in grado di convincersi: le sembrava di inventarsi le cose, talmente giudicava quella storia troppo assurda per essere vera. Non sapeva se sentirsi arrabbiata, triste o preoccupata. Anche provando a soffermarsi per cercare di esprimere ciò che avvertiva dentro non le era per niente d'aiuto. Gli occhi le facevano male ed ogni volta che provava a piangere un fuoco sembrava volerli bruciare.
    Zia Becky camminava nervosamente avanti e indietro, altrettanto incredula di ciò che aveva appena appreso dalla nipote.
    Il sole era tramontato da qualche minuto e gli alberi del giardino si andavano tingendo rapidamente di nero e ritiravano dal vialetto le loro lunghe ed esili ombre, confondendosi con i colori scuri del crepuscolo.
- Faith. - La richiamò  la zia, accendendo la luce sopra il piano cottura - So che farai la cosa giusta. Ne sono sicura.-
    Faith alzò lo sguardo dal bicchiere di succo d'arancia e le rivolse un sorriso pieno d'amarezza.
- Io non so più cosa è giusto e cosa non lo è. E sono contenta che tu abbia così tanta fiducia in me perchè io non ne ho.-
    Zia Becky le si sedette di fronte, delusa di aver udito quelle parole.
- Non dire queste cose, Faith! Non puoi attribuirti la colpa di tutto! È un errore che ha commesso tuo padre e del quale tu non c'entri assolutamente niente.-
- Allora non capisci, zia?- Replicò la ragazza, alzandosi di scatto - Non è di mio padre che mi preoccupo! Dopo quello che ha fatto non è degno di meritarsi anche uno solo dei miei pensieri.-
    Si avvicinò alla finestra e non vide altro che la sua immagine riflessa. Sentì il grido di un uccello notturno e ne intravide il profilo mentre agitava le ali guizzando dalla chioma di un albero.
- È di Max che mi preoccupo. Non so se dovrei dirglielo oppure stare zitta. Ma lo vedi questo?- Chiese a zia Becky, voltandosi per mostrarle l'anello che portava al dito - Con questo io gli ho promesso che sarei sempre stata sincera. E questa è una verità troppo grande e troppo importante perchè io gliela nasconda.-
- È esattamente quello che sto cercando di dirti, Faith.- Mise in chiaro zia Becky, alzandosi da tavola e raggiungendola alla finestra - Anche se non lo vuoi ammettere tu vuoi bene a tuo padre.     Non hai mai smesso di volergliene, e questo è normale. Non devi vergognartene, ti sei solamente allontanata da lui. E ami Max, incondizionatamente.-
- E allora perchè sto così male?- Le chiese in un sussurro.
- Perchè ti trovi in mezzo a due persone alle quali vuoi un bene infinito e per accontentarne una devi sacrificare l'altra. Faith, tutti nella vita ci troviamo a far fronte a scelte che spesso sconvolgono l'intero mondo al quale siamo abituati: è così che si cresce. E sono proprio le decisioni difficili che ci fanno diventare quelli che siamo. Sta a noi cercare di capire qual'è la scelta più giusta da fare. Ma che sia quella più giusta per noi e per nessun altro. Ora ti trovi a dover decidere se rivelare tutto a Max oppure tacere per sempre, con la consapevolezza di essere a conoscenza di un segreto che lo riguarda e che lui non potrà mai sapere.-
    Faith annuì - Cosa posso fare, zia?-
- Mettiti nei suoi panni, Faith. Lui ti ha aperto il suo cuore e si aspetta che anche tu lo faccia. La sincerità sta alla base di ogni rapporto, ricordalo. Come ti ho appena detto, però, sta a te fare la scelta giusta. Io posso soltanto suggerirti che Max non merita di essere tradito, specialmente dalla sua ragazza. Non è facile, lo so, ma se lo ami credo che dovresti dirglielo.- Realizzò zia Becky.
- Si. Io lo amo.- Affermò Faith, certa dei suoi sentimenti - Lo amo con tutta me stessa.-
    Lo disse sorridendo, e lo sguardo che si scambiarono rivelava che erano completamente d'accordo l'una con l'altra.

- Non posso crederci!- Esclamò Holly mentre sedeva con Faith al Don Antonio's - Cosa dirai a Max?-
    Le due ragazze avevano appena ordinato un piatto di patatine fritte, un po' di insalata verde e un petto di pollo, il tutto condito con alcune tipiche piccanti salse messicane e contornato di gustosi tacos.
    Malgrado fosse lunedì, il ristorante era pieno di gente, ma Faith e Holly erano clienti abituali e per loro un posto c'era sempre. Infatti Miguel, il cameriere che corteggiava Holly da anni, appena le vedeva entrare nel locale, faceva misteriosamente comparire un tavolo nonostante prima di loro ci fossero state parecchie persone ad attendere di sedersi e che si facevano intere mezzore di fila.
    Naturalmente fu proprio Miguel a servire la cena, ma quella sera Holly e Faith non erano dell'umore giusto per scherzare insieme a lui.
- Zia Becky mi ha consigliato di dirglielo. Penso che abbia ragione.- Disse Faith che, con un cenno del viso, ringraziò Miguel  per aver portato in tavola le bevande.
- Credo anch'io che sia la scelta migliore.- Sospirò Holly, sorseggiando la sua coca - Devi parlargli al più presto. Non lasciare che il tempo passi e che tu ti logori portandoti dentro un segreto che lo riguarda strettamente. Però - Si fermò un istante per analizzare meglio la situazione - Max non conosce chi ha ucciso suo padre?-
- No, lui crede che abbia avuto un semplice incidente uscendo di strada con l'auto.- Spiegò Faith.
- Quindi stai dicendo che sua madre gli ha mentito per tutto questo tempo?- Le domandò Holly esterrefatta.
    Faith annuì.
- Non vedo altra spiegazione.-
    L'amica si lasciò andare in un sospiro di sorpresa.
- Beh, è davvero un bel guaio. Certo che è strano: con tutti i ragazzi che ci sono al mondo il destino ti ha presentato proprio il figlio dell'uomo ucciso da tuo padre.-
- Già - Mormorò Faith, assaggiando il pollo - Senti, Holly - Disse, tergiversando - Riuscirai a cavartela con il resto dei preparativi per la tua festa?-
- Oh, non preoccuparti, Faith. Tu pensa a risolvere questa faccenda con Max.-
- Non sarà così semplice.- Replicò l'amica, guardando nel piatto.
    Holly distese un braccio e le prese la mano.
- Se lui ti ama veramente come dice di amarti... ti capirà. Dopotutto tu che colpe puoi avere?-
- Non lo so per certo, ma credo che faccia uno strano effetto essere fidanzati con la figlia di chi ti ha portato via il padre, non trovi?-
- È vero. Io non so come reagirei, ma penso che lo accetterei se qualcuno mi dicesse la verità.-
- Max è un po' sensibile quando si parla di suo padre, ma chi non lo sarebbe?- Convenne Faith.
- Parlagli domani. Vedrai che ti sentirai meglio, credimi.- La pregò Holly.
    Faith si volse verso la grande vetrata vicina al suo tavolo, dove una scritta al neon lampeggiava con il nome del locale.
- Spero tanto di riuscire a farlo.- Poi guardò l'amica negli occhi - Grazie per il tuo appoggio.-
- Gli amici servono a questo, Faith. Ricordati che potrai sempre contare su di me quando ne avrai bisogno e che non sarai mai sola.-
- Ti voglio bene, Holly.- Mormorò Faith con un sorriso.

    La valigia era pronta e Faith si era sdraiata a letto da un pezzo, ma continuava a rigirarsi, incapace di prendere sonno.
    Decise di ascoltare un po' di musica, così scelse un cd di Brian Adams nel cassetto del mobiletto vicino alla porta, e lo inserì nel suo impianto HI-FI con il volume appena udibile.
    Aprì la finestra e si appoggiò al davanzale. Il piacevole canto dei grilli si disperdeva nella tiepida brezza notturna che sembrava spingere le nuvole ad avvolgere il sottile spicchio di luna che illuminava la baia.
    Si poteva sentire il rumore dell'oceano, delle onde che si infrangevano sugli scogli per poi ritirarsi, ad intervalli regolari.
    Faith chiuse gli occhi. Immaginò di possedere due grandi ali e di volare sulla laguna rasentando l'acqua fresca del Pacifico, come un angelo che infrange le regole e si prende una pausa dal Paradiso per scendere a divertirsi sulla Terra.
    Ma quella volta Faith si sentiva un angelo incapace di volare. Nonostante tutti i suoi sforzi c'era qualcosa di più forte che la attirava verso il basso. Qualcosa che si poteva concretizzare nella paura delle conseguenze della sua decisione.
    Fu in quel momento che si sentì  privata delle sue ali e imprigionata nel punto più basso dell'Inferno.

Lisa Loeb “How”
    Si risvegliò dopo un paio d'ore, mentre la luce pallida e argentea della luna scostava le tende leggere per illuminare la stanza quasi per intero. Faith volse la testa verso il display dell'orologio vicino al letto: era soltanto l'una e mezza perciò decise di restare sdraiata ancora qualche minuto, elaborando mentalmente un rapido programma della giornata che stava per cominciare.
    Alle tre avrebbe preso un aereo che sarebbe atterrato a Cleveland a mezzogiorno, per effetto dei tre fusi orari che la dividevano da Los Angeles.
    E avrebbe rivisto Max.
    Per qualche istante l'atmosfera intima che si era creata nella sua stanza le fece dimenticare tutti i suoi pensieri e le sue preoccupazioni.
    Ammirava il mazzo di rose di rose bianche che lui le aveva regalato il giorno in cui le aveva donato l'anello, e che lei aveva meticolosamente sistemato in un grande vaso di vetro, dopo averlo fatto essiccare.
    Realizzò che erano già trascorsi più di cinque mesi da quando lo aveva conosciuto a New York.     Cinque mesi pieni di amore, per una storia che la faceva sentire una persona migliore.
    Riteneva Max la sua anima gemella, colui che le aveva riaperto il cuore e trasmesso la capacità di credere in sé stessa e nelle piccole cose di ogni giorno; colui che era in grado di farla sognare in ogni momento che trascorrevano insieme.
    Sorrise.
“Si," Pensò “lui si merita la mia completa sincerità.”

    Raggiunse la cucina e, mentre attendeva che il caffè fosse pronto, chiuse la valigia dopo aver inserito le ultime cose, lo spazzolino e un maglioncino: si era dimenticata di chiedere a Max che temperature ci fossero a Lakewood, così concluse che portarsi qualcosa di pesante non avrebbe guastato.
    Lanciò un'occhiata alla sua immagine riflessa nello specchio accanto all'ingresso e stabilì che il suo make-up abbisognava di qualche ritocco.
- Non hai bisogno di farti bella, ragazza.- Commentò zia Becky facendo la sua apparizione in camicia da notte.
- Zia, mi hai spaventata.- Sobbalzò Faith - Scusa, forse ho fatto troppo rumore.-
Zia Becky scosse la testa.
- Quando si diventa vecchi si perde il sonno e si acquisisce il rimbecillimento senile. Per non parlare di questi mal di testa che vanno e vengono dall'inizio dell'anno .-
- Non lo sapevo. Hai provato a chiedere un consiglio al tuo medico?- Le chiese Faith mostrandosi preoccupata.
    Zia Becky si strinse nelle spalle dando poca importanza alla cosa.
- Secondo lui si tratta solamente di stanchezza, quindi niente di grave. Mi ha somministrato un farmaco. Io dico che è la vecchiaia. Al diavolo questi dottori da quattro soldi.- Dichiarò in tono risoluto.
- Bevi un caffè con me?- Domandò Faith sorridendo per la sua battuta.
- Mi preparerò una camomilla. Il caffè mi rende troppo nervosa.-
    La ragazza se ne versò una bella tazza e si appoggiò al bancone con una gamba piegata e il piede contro l'armadietto sorseggiando la bevanda fumante.
    Zia Becky mise un po' d'acqua a scaldare sul fornello e si sedette a tavola a guardare la nipote, con le mani giunte sotto il mento.
- Sei meravigliosa.- Mormorò dopo qualche istante.
    Nel silenzio della cucina soltanto il ticchettio dell'orologio a muro e il rumore dell'acqua che iniziava a bollire nel tegamino.
- Perchè?-
- Stai affrontando questa situazione meglio di quanto tu creda. E' davvero ammirevole in una ragazza della tua età.-
- In gran parte è merito tuo.- Confessò Faith in un sorriso di ammirazione e gratitudine - E' grazie a te se oggi sono quella che sono.-
    Finì di bere il caffè e ripose la tazza nella lavastoviglie, poi si sciacquò velocemente le mani.
- Ho paura, zia.- Le confidò in un sussurro mentre le dava le spalle. La debole luce del piano cottura le illuminava soltanto la parte inferiore del viso e, alzandosi, zia Becky si accorse che stava contraendo le labbra per trattenere le sue emozioni. Allora le si avvicinò accarezzandole i capelli.
- Devi averne, Faith. Non hai coraggio se non hai paura. Significa che lui ti interessa e che ci tieni tanto.-
    Faith piegò la testa di lato.
- Sei meglio di una madre.- Le disse.
    Zia Becky sorrise e i suoi occhi si fecero lucidi.
- Mi fai commuovere, così! Che stupida vecchia piagnucolosa che sono!- Esclamò - Ora vai, bambina. Hai un aereo che ti aspetta. Hai una storia da far continuare.-
    La ragazza annuì sollevando un angolo della bocca. Quindi afferrò la valigia ed aprì la porta, pronta per uscire.
- Ah, dimenticavo di dirti. Verso sera Holly passerà di qui per prendere alcune bozze di abiti nuovi che ieri ho dimenticato di allungarle. Le ho lasciate in salotto, perciò potresti dargliele, se non ti dispiace?-
- Certo che no, ci penso io. Parti tranquilla. Rilassati e divertiti!- Le ordinò la donna.
- Ci vediamo presto, zia.-

    Uscì nella notte e fece un profondo respiro. Le stelle baluginavano alte nel cielo terso e limpido, carezzate da un alito di vento tiepido.
    Faith alzò lo sguardo verso di esse chiedendosi se la fortuna sarebbe stata dalla sua parte.
Perchè ci sono dei momenti in cui la strada che stai seguendo giunge ad un incrocio e tu non hai alcuna indicazione che possa suggerirti quale direzione seguire.
    E allora ti butti, inconsapevole dei rischi ai quali andrai incontro. Ma è proprio questo il bello della vita: se non rischi non saprai mai cosa puoi riuscire ad ottenere.
    E non è detto che lungo la strada, qualsiasi percorso decida di intraprendere, tu non incontra dei veri amici.

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Capitolo 16
*** 16. Rivelazioni ***


Le Ragioni Del Cuore BN
R ISPOSTA ALLE RECENSIONI

Ciao a tutti!

Eccoci qui con un nuovo capitolo, il penultimo, prima della pausa estiva.
Non posso dimenticarmi di ringraziare come sempre le mie fedeli e ormai consolidate recensitrici, SATY e NANA_86: il vostro giudizio riguardo ad ogni singolo capitolo è per me importantissimo e sono sempre più contento di dividere con voi questa mia prima “opera”.
Naturalmente, spero di allargare la schiera dei recensori, e ne approfitto per ringraziare anche chi legge soltanto.
Infine, un grazie va alla mia beta, MOZZY84, sempre laboriosa dietro le quinte :)

Anche questa volta ho inserito un paio di canzoni. La prima proprio all'inizio del capitolo, di Evan & Jaron, “The Distance”. La seconda è “Humble Me” di Norah Jones.
Raccontatemi cosa ne pensate delle canzoni che scelgo e, se volete, suggeritemene qualcuna che secondo voi è adatta a questa fan fiction. Sarò ben lieto di associarle alle scene più adatte.

Grazie!!

16. R IVELAZIONI

Evan & Jaron “The Distance”
    Max aspettava impaziente da venti minuti davanti all'uscita del gate quando l'aereo di Faith atterrò all'aeroporto Hopkins International di Cleveland a mezzogiorno in punto.
- Faith, amore, sei qui!- Esclamò pieno di felicità non appena la vide farsi largo tra gli altri passeggeri. Era bella, come sempre, con il suo giubbotto, blu corto e stretto ai fianchi e la zip aperta.
- Ciao, Max.- Replicò lei abbozzando un sorriso.
- Che c'è?- Le chiese subito Max studiando la sua espressione - È successo qualcosa?-
    Faith esitò un momento e, quando provò a parlare, le parole le morirono in bocca. Max possedeva lo strano potere di riuscire a leggerle negli occhi quando qualcosa la preoccupava. E questo, naturalmente, era un punto a suo sfavore in certi casi.
- Sono solo un pò stanca, tutto qui. Sarà colpa del volo.- Riuscì a dire scostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Si sentì la donna più bugiarda del mondo.
    Max la baciò teneramente.
- Non aspettavo altro dall'ultima volta che ci siamo visti.- Sussurrò spiegando il suo gesto - Vieni. Ho la macchina proprio qui davanti.- Disse mentre la aiutava con la valigia.
- Fa piuttosto freddo!- Esclamò una volta usciti dall'aeroporto, e si strinse nelle spalle.
- Purtroppo qui non è come nella tua Los Angeles, ma... sopravviverai.- Replicò lui aprendole la portiera dell'auto.
    Lungo il tragitto verso casa, Faith si limitò a guardare fuori dal finestrino.
    Prima di partire si era rapidamente informata sul paese d'origine del suo ragazzo, quel tanto che bastava per non apparire del tutto impreparata.
    Aveva letto, tra le altre cose, che Lakewood era una cittadina situata lungo le sponde del lago Erie, a cinque miglia a ovest di Cleveland Public Square. Oltre ad essere un centro molto importante perfetto per concludere gli affari, era anche un luogo dotato di una straordinaria bellezza fisica, arricchita specialmente dal Lakewood Park, uno dei parchi verdi più importanti, e da un lungolago, costituito da una splendida passerella di mattoni dove i visitatori potevano godere di una suggestiva vista del lago, così come di uno skyline del centro di Cleveland.
    Dalla strada, infatti, era possibile ammirare il lago fare da cornice ad una veduta incantevole, rispecchiando nel suo blu intenso l'intera zona costiera, affollata di barche e ricca di costruzioni dalle tonalità sgargianti.
    Aveva appreso anche dell'esistenza di una casa molto antica, una delle maggiori attrattive della zona, e pensò che le sarebbe piaciuto poterla visitare in uno di quei giorni.
- Sono luoghi molto belli.- Commentò apprezzando il paesaggio.
- Già. Con l'arrivo della bella stagione i paesini qui intorno si riempiono di turisti. Certo, non tutti sono schizzinosi come certi cittadini di Los Angeles.- Scherzò Max prendendola bonariamente in giro.
    In tutta risposta lei gli diede un pizzicotto sul braccio.
- Sei nervosa?- Le domandò.
    Faith scosse la testa.
- No. Perchè dovrei?-
- Beh, il primo incontro con la futura suocera preoccupa da sempre voi ragazze.-
- Invece voi maschietti siete da sempre preoccupati di incontrare il padre della vostra fidanzata.-     Ribatté lei senza pensarci. Ma si rese immediatamente conto di ciò che aveva detto e sgranò gli occhi continuando a guardare fuori.
- Comunque stai tranquillo,- disse rivolgendogli un sorriso per allontanare la situazione di silenzio che li aveva avvolti - Non sono affatto preoccupata.-
- Bene.- Concluse Max titubante.
    Faith si detestò per la sua affermazione. Quello scambio di battute, inoltre, le aveva fatto sorgere il dubbio che la madre di Max sapesse chi era la ragazza che stava frequentando suo figlio. C'era qualcosa che non riusciva a comprendere in quell'invito improvviso che le aveva fatto.
    Tuttavia cercò di non pensarci.
    Max si era inevitabilmente accorto del comportamento insolito della ragazza, mentre lei si era resa conto di non essere molto brava a nascondere i suoi stati d'animo.
- Come procedono i preparativi della festa di Holly?- Chiese lui senza staccare gli occhi dalla strada.
- Bene. Se la caverà anche senza il mio aiuto in questi giorni. Il più del lavoro ormai è stato fatto.-
    Scese di nuovo un fastidioso silenzio. Max avrebbe voluto affrontare il discorso del suo imminente soggiorno a Londra, ma non gli parve la situazione adatta.
    Giunsero a destinazione dopo un quarto d'ora e, superato un complesso residenziale di ultima costruzione, Max svoltò nel vialetto di casa.
- Eccoci qua.- Affermò spegnendo la macchina.
    Faith scese dall'auto e respirò a pieni polmoni l'aria che odorava di resina. Avvertì anche una leggera e fugace nota sgradevole proveniente dai pescherecci giù al lago.
    La casa, non molto grande e con il tetto spiovente, era circondata da un ampio giardino ben curato e cintato da una staccionata ormai usurata dal tempo, ma che dava l'impressione di essere ancora piuttosto robusta. Un porticato girava tutt'intorno all'abitazione, tinta di una morbida tonalità panna, e uno stretto sentiero di ciottoli conduceva dritto davanti all'ingresso, fiancheggiando un laghetto e un prato verdissimo, dove vi era allestito un piccolo gazebo con un dondolo e un caminetto da barbecue.
- Siete arrivati,  finalmente!- Esclamò tutta contenta una signora sui quarantacinque anni comparsa sotto il porticato.
    Era una donna molto affascinante, dai capelli scuri raccolti con un fermaglio. Sopra al maglione e ai jeans indossava un grembiule giallo con stampate delle grosse e simpatiche margherite.
- Si, mamma.- Ribatté Max - Faith è riuscita ad arrivare fin qui da sola.- Scherzò, mentre si accingeva a scaricare il bagaglio della ragazza. Faith sorrise, imbarazzata, per poi lanciargli un'occhiataccia e un rapido sorriso.
    Salirono gli scricchiolanti gradini di legno che portavano in veranda e le due donne si strinsero la mano.
- Piacere, signora Warren. La ringrazio vivamente per avermi invitata a casa sua. Sono molto contenta di essere qui.- Le disse Faith, come a recitare una poesia a memoria tutta d'un fiato.
    La madre ridacchiò, divertita.
- Stai tranquilla: non sono la tipica suocera crudele e spietata. Sarai sempre la benvenuta, Faith.-
- Lei è troppo gentile, signora.-
- Chiamami pure Addison, cara.- Le concesse abbracciandola. Poi la lasciò e la osservò in silenzio con molta attenzione per pochi attimi, durante i quali Faith rabbrividì.
- Cosa succede, mamma?- Chiese Max con la voce preoccupata.
- Niente.- Rispose semplicemente Addison distogliendo lo sguardo - È davvero bella come mi dicevi.-
    Faith sentì la tensione abbandonarla gradualmente ed esibì un timido sorriso, mentre le guance le si arrossavano.
- Hai un figlio bello, chi ti aspettavi di vedere?- Spiegò Max senza troppi giri di parole entrando in casa con la valigia.
    La madre prese Faith sottobraccio e le sussurrò - Ma come hai fatto ad innamorarti di un vanitoso come lui?-
- Ti ho sentita, mamma. Non sforzarti troppo di parlare a bassa voce!- Si sentì rimproverare dall'interno.
    Scoppiarono a ridere mentre varcavano la soglia e Faith pensò di aver ottenuto la risposta che tanto desiderava: Addison non era a conoscenza di quel dettaglio così fastidioso.
    O, almeno, non ancora.

    L'interno della casa era molto ospitale e la stanza principale arredata con buon gusto.
    Il mobilio, di colore scuro, si presentava in ottimo stato ed ispirato all'arte povera degli anni Cinquanta.
    Nel salotto un piccolo camino ad angolo emanava un piacevole tepore e Faith gli si avvicinò subito per riscaldarsi le mani infreddolite.
- Che buon profumo di arancia.- Salmodiò dopo averne avvertito l'aroma.
- Oh, cielo! Ho dimenticato l'anitra nel forno!- Ululò Addison ricordandosene.
    Corse immediatamente in cucina e Faith si ritrovò sola nel salotto, poiché anche Max sembrava scomparso con la sua valigia.
    Si guardò un po' intorno e notò con stupore che la stanza non era poi tanto diversa dal suo soggiorno: tende bianche e leggere alle finestre, una libreria colma di libri, riviste e souvenir, un comodo divano con due poltrone ai lati ed un tavolino al centro, coperto da una tovaglia ricamata e arricchito da un vaso di frutta secca.
    Una grande televisione troneggiava sopra un mobiletto, insieme ad una composizione di fiori, composta per lo più da spighe essiccate.
    Sulla mensola del caminetto erano ordinatamente disposte alcune fotografie di Max, e la ragazza ne scorse una che lo ritraeva con un uomo più vecchio.
- A cosa pensi?- Le domandò Max, irrompendo in salotto.
    Faith si voltò e, con un dito, indicò la fotografia.
- Quell'uomo è tuo padre?-
    Max annuì e Faith provò una fitta al cuore osservandola più da vicino. Anche se faticava ad ammetterlo, in un certo senso si sentiva una colpevole indiretta dell'incidente.
- Ti somiglia molto.- Osservò dolcemente.
- Si.- Convenne lui infilandosi le mani nelle tasche dei jeans - Me lo dicono tutti.-
    Faith gli fece di rimando un sorriso carico di tristezza.
- Mia madre ha detto che sarà pronto in tavola tra circa mezzora. Stiamo aspettando qualche amico.- La informò lui tergiversando - Ti mostro la tua stanza e il bagno, nel caso volessi darti una rinfrescata.-
- Certo.- Acconsentì la ragazza.

    Quando uscì dal bagno, Addison la richiamò dalla cucina.
- Dov'è andato Max?- Le chiese Faith dopo averla raggiunta.
- Credo che sia uscito a prendere un po' di legna da ardere. Sei brava in cucina? Ti spiace aiutarmi con l'insalata?-
- Figurati. Sono una frana, ma con le verdure divento imbattibile.-
Si sciacquò le mani e cominciò a spezzettare la verdura.
- In quanti saremo a pranzo?- Si informò per rompere il ghiaccio.
- Oltre a noi ci saranno tre amici di Max.- Rispose Addison intenta a tagliare un pomodoro - Quando lui torna a casa organizza sempre un pranzo o una cena con loro. Sono molto uniti, fin dai tempi della scuola. Vedrai, ti piaceranno. Sono dei tipi davvero simpatici.-
    Faith sorrise e si stupì: Max non gliene aveva mai parlato.
    Poco dopo si udirono delle voci e delle sonore risate provenire dall'ingresso.
- Entrate, ragazzi. Accomodatevi in cucina.- Li invitò Max - Sistemo questa legna vicino al camino e sarò subito da voi.-
- Che profumino!- Esclamò una ragazza.
    Faith finì di condire l'insalata e si asciugò le mani con uno strofinaccio appeso alla parete.
    Il gruppetto fece il suo ingresso in cucina seguito da Max, che ne presentò ogni componente alla sua ragazza.
- Io sono Alice.- Disse la più bassa di loro facendosi avanti e tendendole la mano.
    Faith gliela strinse presentandosi a sua volta, poi conobbe gli altri due, un ragazzo e una ragazza.
-Lui è Nicholas, il fidanzato di Alice, mentre lei è Lexie.- Aggiunse Max.
- Piacere.- Annuì entusiasta Faith.
    Avevano tutti la stessa età di Max, ventisei anni, tranne Alice che, come Faith, ne aveva ventiquattro.
- E questa splendida ragazza è Faith, la mia fidanzata!- Esclamò Max, cingendole la vita con un braccio per baciarla.
- Il pranzo è servito!- Annunciò improvvisamente Addison ad alta voce facendosi largo tra gli ospiti con un'enorme plancia di lasagne al forno, sotto gli occhi estasiati dei ragazzi.
- Adoro le lasagne di mamma Addison!- Dichiarò Alice, che prese posto a tavola per prima.
    Faith rise guardandola perchè sembrava davvero una ragazza divertente, oltre che carina.
    Esibiva un taglio di capelli corto, dal look finto spettinato, e portava un maglioncino rosa con lo scollo a V e un paio di jeans sbiaditi, molto casual. Inoltre Faith trovò che avesse un sorriso magnetico e ben curato e, da solo, le ispirava allegria e determinazione.
    Il suo ragazzo, Nicholas, era un tipo dalla battuta sempre pronta, per questo pensava che stavano bene insieme. I suoi capelli erano corti e colore del miele e si abbinavano perfettamente all'azzurro chiaro dei suoi occhi. Quel giorno indossava una camicia blu ed un paio di pantaloni chiari.
    Durante il pranzo Faith aveva scoperto che erano entrambi studenti universitari: lei era iscritta alla facoltà di medicina; lui studiava per diventare architetto.
    Un po' più silenziosa, ma non meno divertente, Lexie era una ragazza alta e slanciata e pareva uscita da una copertina di Vogue. Ma, malgrado questo, non si dava arie per la sua bellezza.
    Si presentava come una persona semplice che si era accontentata di lavorare nella pasticceria della madre in centro a Cleveland e, di conseguenza, non aveva voluto intraprendere alcun corso di studi.
    Lexie portava i capelli lunghi e lisci, portati indietro come le ali di una farfalla, di un bel colore biondo castano, e sfoggiava un dolcevita rosso sopra ad un paio di jeans bianchi. Aveva fatto il suo ingresso con una grande scatola di pasticceria che Addison aveva prontamente riposto in frigorifero.
    Nel complesso la compagnia di Max appariva una combriccola ben formata e molto affiatata e Faith si divertì ad ascoltare storie ed aneddoti del loro passato. Talvolta fu persino invidiosa di non aver fatto parte di quel gruppo, nonostante tutti facessero a gara per strapparle una risata.
- Vi ricordate,- Intervenne Alice - quando siamo andati al cinema a vedere Top Gun?-
    Gli altri scoppiarono subito a ridere e Max sorrise abbassando lo sguardo e passandosi una mano tra i capelli, evidentemente imbarazzato.
- Cosa successe?- Chiese curiosa Faith.
- Ti prego, Alice, non vorrai rendermi ridicolo davanti alla mia ragazza?- La rimbeccò Max.
- Cosa mi nasconde, signor Warren?- Insistette Faith pizzicandogli un fianco.
    Alice prese subito a raccontare l'episodio sforzandosi di restare seria.
- Appena usciti dal cinema Max si mise in testa che voleva ad ogni costo pilotare un F14 e non c'era niente che potesse dissuaderlo. Cominciava a comportarsi esattamente come Maverick e, il giorno seguente, non avendo un F14, si presentò a scuola con un motorino mezzo distrutto che pareva sistemato da uno psicopatico.-
    Alice si bloccò dal ridere ricordando la scena e non riusciva più a terminare una sola frase.
- Indossava un giubbotto di pelle nera sopra una maglietta bianca e si era profumato fino all'inverosimile! Ah, ah, ah!-
- Più che Maverick, sembrava Fonzie, con quei capelli impomatati!- Osservò Nicholas.
    Faith rise e vide Max arrossire notevolmente.
- Così,- Riprese Alice - entrò nel cortile della scuola e, con i suoi occhiali da sole, fondamentali anche in un giorno di pioggia, dispensava saluti e sorrisi idioti a tutte le ragazze presenti! Non vi dico: un vero sciupa femmine! Ma non era una ragazza qualunque quella su cui voleva fare colpo, bensì...-
- La giovane professoressa di lingue.- Confessò indignata la madre di Max - La quale - Continuò - mi riferì immediatamente l'accaduto, irrimediabilmente sconvolta.-
    Tutti scoppiarono di nuovo a ridere e a sghignazzare.
- Le si presentò con il nome di Maverick e la invitò a fare un giro con lui sul motorino.- Raccontò Nicholas.
- E alla fine mi beccai una bella nota di demerito.- Soggiunse Max.
- Allora non sei così perfetto come ti credevo, signor Warren.- Affermò sorpresa Faith baciandolo sulla guancia.
- Mi ricorderò di ucciderti un giorno o l'altro, Alice. Magari verrò a farti visita di notte, mentre stai dormendo, e infilerò un paio di topi nel tuo letto.- Scherzò Max.
- Sempre a sua disposizione, capo.- Replicò la ragazza mettendosi in posa da soldato sull'attenti.

Norah Jones “ Humble Me”
    Il pranzo proseguì allegro e spensierato in una cucina sempre più rumorosa.
    Faith avvertì il bisogno di uscire a prendere una boccata d'aria, così si infilò il giubbotto e percorse la veranda fermandosi sul retro e appoggiandosi contro il parapetto.
    Si godeva una veduta spettacolare e la ragazza respirò a fondo l'aria fresca vagabondando con lo sguardo.
    Il sole brillava sul lago e le coste verdeggianti sembravano dissolversi man mano si avvicinavano all'orizzonte.
- Fanno un gran chiasso là dentro, eh?- Domandò Lexie facendola trasalire, mentre usciva dalla porta sul retro.
- Ciao, Lexie.- La salutò - Si, hai ragione. Non sono molto abituata a resistere a lungo in luoghi rumorosi. Vivo da tanto tempo vicino all'oceano, quindi puoi ben immaginare.-
- Si. Ti capisco benissimo.- Annuì con un sorriso.
    Si appoggiò al parapetto accanto a Faith e rimase in silenzio per qualche minuto.
- Sai, Faith,- Esordì voltandosi a guardarla - sei davvero fortunata  ad avere un ragazzo come Max. Lui è...-
- Straordinario.- Appurò Faith con un cenno del capo.
- Sì. È straordinario.- Concordò in una nota di rancore e di tristezza che a Faith non sfuggì.
    Lexie era tornata a guardare il lago, ma in realtà non gli interessava affatto. Sembrava piuttosto che stesse rivivendo un ricordo lontanissimo, le cui immagini si susseguivano come i fotogrammi di un film.
    Uno stormo di uccelli si levò dal boschetto adiacente alla casa e si librò nel cielo limpido e celeste.
- Perchè mi dici questo?- Le chiese Faith.
Lexie esitò prima di rispondere, quasi a voler trovare le parole giuste.
- Se non vuoi che fugga via da te dovrai sempre rispettarlo: se lo merita.-
    Le due ragazze si scambiarono uno sguardo. Nella mente di Faith balenò l'idea che Lexie fosse a conoscenza della verità sull'incidente, ma allontanò subito quell'improbabile supposizione, ipotizzando che stesse alludendo a tutt'altro.
    Effettivamente, Lexie non aveva un ragazzo, era la più silenziosa e riservata del gruppo e, durante il pranzo, Faith si era accorta che osservava Max in modo strano.
- Sei ancora innamorata di lui?- Domandò, andando dritta al punto.
    Lexie sorrise, per darle l'impressione che avesse appena detto una sciocchezza.
- Io e Max non siamo mai stati insieme.-
- Però non hai risposto alla mia domanda.- La incalzò Faith.
    A quel punto i suoi occhi si fecero lucidi e fece un lungo respiro, consapevole di essere stata scoperta.
- Eravamo migliori amici, ma io nutrivo per lui sentimenti più grandi di una semplice amicizia. Voglio dire, siamo ancora in buoni rapporti, ma ormai non vive più qui e le nostre vite, di conseguenza, hanno preso strade diverse, come è giusto che sia.-
    Poi tacque per qualche attimo, studiando la reazione di Faith, che apparve tranquilla e in attesa di un'ulteriore spiegazione.
- Un giorno - Proseguì Lexie lentamente - provai a raccontargli tutta la verità riguardo la morte di suo padre, ma lui me lo impedì non appena accennai all'argomento. Non voleva saperlo in nessun modo. Non voleva più sentir parlare di quell'incidente.-
    Faith impallidì. Si chiese che cosa sapesse Lexie che lei non conosceva e si guardò bene dal modo in cui formularle le domande.
- Perchè gliene volevi parlare?-  
- Mi sentivo così in colpa. Ho insistito, ma non mi ha voluto ascoltare. È uscito da casa mia senza voler sentire ragioni e, da quella volta, ho capito che qualcosa tra di noi si era spezzato.-
- Ma tu che cosa sai sull'incidente?- Azzardò Faith - Perchè ti sei sentita in colpa?-
    Lexie sospirò.
- Max crede che suo padre sia uscito di strada per una distrazione. Ma in realtà non è così.-
    La ragazza si voltò verso Faith con gli occhi che sembravano lanciarle un messaggio più che eloquente.
- Lo hanno travolto vicino ala pasticceria di mia madre.-
    Faith distolse lo sguardo: non era stata in grado di interpretare l'espressione di Lexie mentre la fissava negli occhi e si fece prendere dal panico. Sarebbe volentieri fuggita da quella situazione troppo scomoda, ma cercò di mantenere la calma e di non esternare più di tanto i suoi sentimenti e le sue paure.
    Si accorse che i palmi delle sue mani erano diventati umidi.
- Era una domenica mattina e io mi trovavo là con mia madre. La stavo aiutando a sistemare il negozio: voleva lucidare i pavimenti prima di aprire la pasticceria, così andò nel magazzino a prendere l'occorrente. Io la aspettai vicino alla vetrina del negozio. Fu allora che avvenne l'incidente. Ho visto tutto con i miei occhi. È stato terribile.-
Faith taceva, continuando ad aspettare l'inevitabile, ma, vedendo che non arrivava, le rivolse la domanda più critica e difficile.
- Chi è stato ad ucciderlo?-
    Lexie non rispose e Faith tornò a ripeterle la domanda.
- Faith, promettimi che non glielo dirai mai.- La supplicò lei, prendendole le mani - Non lo sa nemmeno mia madre. Non ho mai avuto il coraggio di dirglielo.-
    D'un tratto Max fece irruzione sotto il porticato per avvertirle che il dolce stava per essere servito.
- Grazie, Lexie, per aver portato la torta. Ha un aspetto magnifico.-
    Lexie si asciugò gli occhi con la manica del maglione senza farsi notare e sfoderò un sorriso.
- Spero sia buona quanto bella!- Esclamò.
- Lo scopriremo subito.- Intervenne Faith, sentendosi più sollevata.
    Nonostante quello, però, intuì che c'era qualcosa di poco chiaro nel comportamento di Lexie.
    Il modo in cui le aveva afferrato le mani pregandola di non dire niente a Max, le insinuò il dubbio che la verità sull'incidente che sapeva Lexie avesse dettagli diversi da quella che conosceva lei.
    Immaginò che suo padre non le avesse raccontato tutto, ma ciò non spiegava l'inaspettato gesto della ragazza.
    Tuttavia, non sapeva come né perchè, sentì di avere una caratteristica in comune con lei. E non era tanto la verità o l'amore per Max, quanto una paura angosciante.
    La paura di perderlo.

    Le ore scivolarono via, inesorabili, ed erano quasi le sette quando Alice e Nicholas si congedarono strofinandosi lo stomaco con una mano.
- Io non mangerò per almeno una settimana!- Si lamentò Alice ringraziando Addison.
- Sarà meglio che vada a casa anch'io.- Annunciò Lexie - È stato davvero un piacere conoscerti, Faith.- Disse stringendo la mano alla ragazza.
- Figurati. Piacere mio, Lexie.- Replicò Faith.
    Si ritrovò nella mano un foglietto e, alzando lo sguardo, notò che Lexie la stava fissando, pregandola con gli occhi di non farlo vedere.
- Ciao, Max!- Disse poi, abbracciando il ragazzo, che ricambiò.
    Salutò Addison ed uscì nella semi oscurità, dirigendosi verso la sua auto, mentre una grande luna arancione faceva capolino dietro ad un frastagliato nembo di nuvole viola.
- Entriamo?- Sussurrò Max, cingendo le spalle di Faith con un braccio.
- Ti dispiace se facciamo una passeggiata vicino al lago?- Suggerì lei.
- No, certo. Però lascia che ti prenda un maglione. Più tardi farà freddo.-
- Ti aspetto.- Bisbigliò la ragazza con un sorriso.
    Rimasta sola sotto il porticato, aprì il foglietto che le aveva lasciato Lexie, piena di curiosità.
    “Chiamami ogni volta che ne sentirai il bisogno.” diceva il biglietto, specificando il numero di telefono.
    Lo richiuse non appena avvertì la porta socchiudersi con un cigolio e lo infilò in una tasca dei jeans.

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Capitolo 17
*** 17. Sogno O Realtà ***


Le Ragioni Del Cuore BN
R ISPOSTA ALLE RECENSIONI

Ultimo capitolo, prima della pausa estiva da me anticipatavi due settimane fa! Questo breve periodo mi sarà utile per finire (lo spero!) il mio primo “romanzo”. Spero che finora chiunque lo abbia letto ne sia rimasto piacevolmente colpito. I colpi di scena non finiranno qui, naturalmente, non siamo ancora a metà della storia.
Ne approfitto per citare innanzitutto la mia beta, che, per questa volta, chiamerò per nome, Monica, ed alla quale ho dedicato gran parte dell'ambientazione di questa storia, la spiaggia di Santa Monica, in California. A lei vanno i miei ringraziamenti più profondi, non solo per la cura, la pazienza e la puntualità con cui ha betato il mio scritto, ma per il coraggio e la stima nei miei confronti grazie ai quali mi ha convinto, lo scorso dicembre, a pubblicare “Le Ragioni Del Cuore”, romanzo che io diffidavo dal voler far leggere ad altri se non a me stesso! Perciò, Monica, grazie mille. Sei davvero una grande amica, la migliore. E ti voglio tanto bene, naturalmente, non dimenticarlo!
Sabrina, la seconda che ringrazio con tutto il cuore, che mi sta sempre aiutando, consigliando e mettendo in riga quando scrivo delle eresie, per essere educati, che non stanno né in cielo né in terra. La seconda persona che ha letto il romanzo e lo ha trovato eccezziunale veramente, o almeno così m'è parso, poi se vuoi, correggimi pure in una delle tue chilometriche e sempre divertenti recensioni.
Voglio tanto bene anche a te, davvero!
Poi ci sono Rossella e Chiara, che ormai vivono alle Hawaii (?), ma che ricordo sempre con immenso affetto. Vi aspetto a settembre con le vostre recensioni, e, se sarete a corto di parole, vi suggerisco io cosa scrivere:
“MARCO SEI FIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIGOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!”
Una volta iniziata la vostra recensione in questo modo, avete già conquistato la mia ammirazione!
Questo ovviamente vale anche per Annarita (Nana_86), che spero di ritrovare a settembre con tanta fiducia e stima per ciò che finora hai pubblicato anche tu. Non mancare, un bacio!
Ringrazio anche tutti coloro che leggono in silenzio e che hanno inserito la mia storia tra le Seguite e Preferite. Vi aspetto a settembre, ci conto.

Questo è il capitolo più hot della storia, giusto per lasciarvi un po' presi bene... Infatti sono curioso di sapere i vostri commenti, positivi o negativi che siano.
Ho anche inserito una canzone, di quell'idolo che sembra tanto andare di moda in questi anni, mr. Robert Pattinson. Vedo già una certa faccia rovescia che legge queste parole. Chi ha orecchie per intendere, intenda...
Avrei preferito inserire una canzone di Bella Swan, ma pare che lei non sappia cantare.
Il brano si intitola “Never Think”, incluso nella colonna sonora di Twilight.

Per ultimo, anche perchè ormai ho già scritto troppo, vi informo che il capitolo 18 “Sensi di Colpa” verrà pubblicato martedì 7 settembre 2010.

Buone vacanze, per chi dovesse ancora iniziarle, e buon proseguimento per tutti gli altri!


17. S OGNO E REALTA'
Dedicato a tutte le persone che hanno recensito almeno una volta questa Fan Fiction

- Io ti avevo chiesto di fare una semplice passeggiata sulla spiaggia, non una gita notturna nel bosco!-
    Si lamentò candidamente Faith. Dovette prestare parecchia attenzione a dove metteva i piedi per non inciampare nelle grosse e nodose radici delle querce che sbucavano dal terreno e si sviluppavano per diversi metri come serpenti.
- Voglio farti vedere una cosa.- Le spiegò Max, tenendola per mano - Però dobbiamo sbrigarci. È quasi buio e non la troveremo facilmente se ci fermiamo.-
- E perché non hai portato una torcia elettrica o una vecchia lanterna?- Lo rimproverò lei.
- Perché effettivamente il mio progetto era di portarti sulla spiaggia, ma poi ho cambiato idea.-
    Faith si immobilizzò e lo guardò con gli occhi sgranati.
- Non mi stai portando in una radura per poi uccidermi, vero?-
    Max scoppiò a ridere.
- No, stai tranquilla. Ti ucciderò solo dopo che ti avrò sposata, come faceva Barbablù.-
    Faith sorrise e gli diede un colpetto con il gomito.
- Allora, cosa ne pensi di mia madre?- Chiese lui dopo un po’.
- Mi piace.- Rispose senza esitare.
    Max si volse a guardarla, sorpreso da quella risposta immediata.
- Dico sul serio, Max. Stamattina ti ho detto che non ero preoccupata, ma in realtà un po' lo ero.-     Confessò lei - Però mi sono subito tranquillizzata. Voglio dire, Addison è davvero simpatica. E poi ammiro molto come tiene curata e in ordine la casa. La cucina, con quella tavola apparecchiata ed ogni utensile al proprio posto, sembrava una sala d'esposizione. Anche i tuoi amici sono molto simpatici.-
- Sono contento che la pensi così. Sono persone importanti per me e mi fa piacere che tu sia d'accordo su questo.-
- Però non mi hai mai parlato di loro.- Replicò Faith.
- Il fatto è che noi due ci vediamo così poco e quando stiamo insieme voglio dedicarmi soltanto a te e a nessun altro. Puoi biasimarmi?-  
    La ragazza scosse la testa, senza mostrare alcun rancore.
- Bene.- Concluse lui - Eccoci!- Esclamò dopo pochi passi - Sapevo che non eravamo lontani.- Affermò alzando lo sguardo verso la chioma di un gigantesco albero.
    La luce lattiginosa della luna disegnava il profilo di una casetta di legno adagiata tra i rami della quercia.
    Lungo il tronco massiccio e resinoso vi erano state inchiodate alcune assicelle che fungevano da scalini e che si snodavano fin sotto alla costruzione, seminascosta dalle fronde.
    Nell'aria l'odore del lago si alternava al profumo del muschio bagnato e pareva che anche tutto il bosco respirasse, facendo vibrare le foglie con un rumore perpetuo ma rilassante.
    Di tanto in tanto alcune civette emettevano il loro grido spettrale, svolazzando rapide tra i rami degli alberi.
    Faith scrutò attentamente la costruzione, aggirandosi con circospezione attorno alla quercia.
- Sbaglio oppure questa è la casetta di Dorothy Gale che il tornado ha fatto arrivare fin qui dal Kansas? Se così fosse significa che siamo nel magico mondo di Oz.-
- Scherza, scherza pure.- Protestò Max sarcastico.
- È bellissima.- Osservò lei.
- Ti va di salirci?- Le chiese.
    Faith lanciò un'ultima un'occhiata alla casa e assentì.

    L'interno della struttura, per quel poco che Faith riusciva a vedere nel buio, appariva semivuoto e piuttosto in ordine. Le sembrò di entrare in un vecchio film in bianco e nero, dove gli oggetti assumevano sembianze diverse e la luce pallida della luna conferiva all'insieme un aspetto retrò, creando un inquietante gioco di ombre.
    Max si mise a frugare dentro ad una cassetta di legno, sperando di ritrovare una lanterna ed alcuni fiammiferi.
- Fantastico!- Esclamò Faith estasiata, affacciandosi alla finestra.
    Aprì le imposte per far uscire l'odore di chiuso, e subito una folata di vento agitò alcuni fogli di giornale sparsi sul pavimento.
- Da quassù si vedono le luci dei paesini che costeggiano il lago.-
- Bello, vero?- Concordò Max, sistemando la lanterna sopra un secchio di latta ripulito delle ragnatele.
- Ed ora abbiamo anche la luce.- Esultò soddisfatto mentre la fiamma rischiarava gradualmente tutta la stanza.
    Un tenue odore di petrolio si diffuse nell'ambiente, riportando alla sua mente lontani ricordi e Faith gli si avvicinò per dargli un bacio sulla guancia.
- L'hai costruita tutta da solo?-
- No, Chris mi ha dato una mano.- Le rispose.
    Da un baule posto sotto alla finestra Max estrasse due ampie coperte di lana, stendendone una sul pavimento e ponendo l'altra ai loro piedi.
- L'abbiamo costruita con l'aiuto di mio padre.- Continuò, sedendocisi sopra.
- Avete fatto un gran bel lavoro.- Mormorò Faith, che si accomodò vicino a lui.
    Il suo sguardo meravigliato si soffermò su un timone appeso alla parete alle loro spalle con grosse funi, avvolto in una spessa rete da pesca.
- Sì, abbiamo lavorato come pazzi.- Disse Max sorridendo.
    Guardò la finestra e ridacchiò.
- Perché ridi?- Gli chiese Faith.
    Lui si voltò verso la ragazza e poi tornò a guardare ancora la finestra.
- Sai perché c'è soltanto una finestra?-
    Faith fece un leggero cenno di diniego con la testa.
- Io e mio padre volevamo farne una per ogni parete, ma il mio scaltro cugino si oppose fermamente. Diceva che questa casa, un giorno, gli sarebbe servita per portarci le ragazze e non voleva essere visto dalla gente che gironzolava per il bosco.-
- Ma qui siamo a parecchi metri d'altezza. Chi avrebbe potuto vederlo?-
- Prova a capire la sua mentalità contorta. Già fatico a farlo adesso, immaginati allora.-
    Faith scoppiò in una sonora risata spensierata, cercando di figurarsi nella mente quella ridicola scena.
    Poi si alzò in piedi per chiudere la finestra, l'aria si era fatta decisamente più fredda e la ragazza provò in brivido.
    Si soffermò un istante ad ammirare il panorama al crepuscolo attraverso i vetri, resi opachi da un sottile velo di polvere. L'arancio vivo che separava il cielo dall'acqua stava lasciando il posto ad un blu brillante macchiato di indaco, e le luci dei porti lampeggiavano rispecchiandosi nel lago.
- E tu, Max?- Mormorò, dandogli le spalle.
- Io cosa?- Replicò lui.
    Faith si coprì le mani allungando le maniche del maglione e tornò a sedersi.
- Quante... Quante ragazze hai portato quassù?-
    Max la guardò a bocca aperta.
- Che ragazza impertinente!- Esclamò.
    Faith arrossì, facendo roteare gli occhi.
- Una.- Affermò lui con decisione.
    La ragazza sollevò un angolo della bocca senza staccare lo sguardo da terra.
- Lexie, immagino.- Poi lo guardò e lui la fissò negli occhi timorosi di ricevere una conferma.
- No, cosa te lo fa pensare?-
    Lei valutò la sua risposta per poi scuotere il capo.
- Beh, ho visto come ti guardava a pranzo.-
- E?-
- E non si trattava di un semplice sguardo di amicizia.-
- E?-
- Insomma, sono una donna e conosco quel tipo di sguardo.-
    Max continuava a fissarla aspettandosi una motivazione valida.
- E non so più cosa dire, Max!-
    Lui la guardò di sottecchi.
- Ok.- Ammise Faith - Mi ha raccontato che un tempo era innamorata di te.-
    Il ragazzo piegò la testa all'indietro e portò le braccia dietro alla schiena, poggiandosi sui palmi delle mani.
- Questo lo so.- Confessò con un sorriso.
- E come lo sai?- Gli domandò lei scettica.
- Sei gelosa per caso?- La provocò Max, divertito dalla piega che stava prendendo la conversazione.
- Non me ne avevi mai parlato. A quanto pare ci sono un sacco di cose che non mi dici.-
- Perché io non ho mai provato niente che non fosse amicizia nei suoi confronti.- Spiegò lui - E poi, se dovessi parlarti di tutte le ragazze che avevano e hanno tuttora un debole per me, bella mia, dovremmo restare qui per un bel pezzo!-
    Notò con immediato dispiacere che la sua battuta non l'aveva fatta divertire, così le accarezzò il viso.
- L'unica ragazza che ho portato qui sei tu.-
    La sua voce si era fatta profonda, calda e coinvolgente, ma Faith non si fece abbindolare ed esibì una smorfia.
- E che mi dici dell'insegnante di lingue?-
- Questo è un colpo basso, però!- Ribatté Max.
    Poi si fece serio e abbassò lo sguardo sulla coperta, tracciando con un dito dei segni immaginari.
- Non ti sei mai innamorato, Max?- Gli chiese Faith con esitazione.
    Lui considerò mentalmente quella domanda e poi scosse la testa, senza guardarla.
    La ragazza capì che la sua risposta andava ben oltre a ciò che gli aveva domandato e gli passò delicatamente una mano tra i capelli.
- Scusami, - Sussurrò - Lexie è una ragazza molto carina e ho pensato che forse potevi essertene innamorato. Inoltre anche tu sei un bel ragazzo, hai vissuto lontano da qui, in una casa tua, hai conosciuto gente nuova... Scusa: sono giunta a conclusioni stupide e affrettate.-
- Ma no, tu non hai niente di cui scusarti. Io credo che la bellezza fisica non sia il requisito principale per innamorarsi. Se prima non c'è una scintilla che ti accende il cuore e la mente, non può esserci amore. Nemmeno con la persona più bella di questo mondo.-
    Faith lo ascoltava estasiata. Non aveva mai sentito nessun ragazzo esprimersi in quel modo.
- Purtroppo non tutti la pensano così.-
- Blaise Pascal diceva “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non può capire”.-
Lei si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e i loro sguardi si incontrarono, indugiando un po' più a lungo.
- E credi che avesse ragione?-
    Max annuì mentre la fiamma della lanterna baluginava nelle sue pupille, conferendo alle iridi un verde vivo ed ipnotizzante.
- Credo di sì.-
- Lo credi o lo sai?- Tenne a precisare Faith.
    Il ragazzo le si avvicinò e le sfiorò le labbra con la bocca.
- Non ho mai avvertito quella cosa che ho provato quando ho visto te. Ho sentito che il mio cuore aveva smesso improvvisamente di battere. C'eri soltanto tu. È stato come morire e rinascere in pochi attimi. Non pensavo potesse esistere una forza così potente da rivoluzionare completamente il concetto di amore che ho sempre elaborato nella mia testa. È tutto così... -
- … strano.- Proseguì Faith con lo sguardo assorto.
    Max le toccò di nuovo il viso e con il pollice le accarezzò una guancia.
- E magico.- Aggiunse sottovoce.
Robert Pattinson “Never Think”       
    Le posò con dolcezza una mano sul seno, baciandola con più passione e passandole le dita tra i capelli. Anche lei gli accarezzò la nuca e il viso, mentre lui, con la sua barba cortissima le solleticava le guance e l'incavo del collo.
    Faith si tolse il maglione e lui prese a slacciarle la camicia, fermandosi di tanto in tanto per guardarla negli occhi, dove vi leggeva il desiderio, la volontà irrinunciabile ed irresistibile di essere amata in quel preciso momento.
    Non che avesse dimenticato il suo segreto, ma ora Faith desiderava Max come non lo aveva mai desiderato. Voleva essere parte di lui, amarlo, diventare sua.
    Lo osservò mentre si sfilava la maglia con un movimento fluido e ammirò il suo petto ampio e ben tornito, perfetto alla luce della lanterna. Il suo sguardo profondo e bramoso la eccitò e, quando lui si avvicinò ancora, baciandole la bocca in un sussurro, Faith intrecciò le braccia sulle sue spalle larghe e robuste, facendo scorrere le labbra umide lungo il collo e apprezzando il calore e la morbidezza della sua pelle.
    Lui alzò il viso, provando piacere al tocco delicato ma sicuro della sua compagna, e le slacciò il reggiseno, stringendola forte a sé, mentre lei teneva gli occhi chiusi ed emetteva un gemito soffocato.
    Poi la lasciò qualche istante per togliersi i pantaloni e, nel frattempo, anche lei si spogliò, tenendo indosso ciò che restava del suo intimo.
    Max la baciò ancora e si sedette, incrociando le gambe e trascinando Faith sopra di lui. Voleva amarla subito. Non riusciva più resistere.
- Voglio che tu sappia che ti amo e ti desidero, amore mio.- Le bisbigliò in un orecchio.
    Lei lo fissò negli occhi: Max era emozionato e il suo sguardo di ragazzo non fece che aumentare la voglia di fare l'amore con lui, senza compromessi. Desiderava donarsi completamente, affidargli il suo corpo, la sua anima, la sua fiducia, il suo cuore.
    Gli diede un bacio sulla fronte, poi lui cominciò a sfiorarle il seno con le labbra calde e lisce. Lo sentì inturgidirsi mentre faceva scorrere la lingua in stretti movimenti circolari, e si eccitò.
    Una vampa infuocata pervase il suo corpo, ma si obbligò a restare concentrato per non affrettare le cose e i movimenti. Malgrado il suo cuore battesse velocissimo, si stupì di come riuscisse a mantenere un certo autocontrollo.
    Era perfettamente consapevole che il suo obiettivo principale fosse soddisfare la sua ragazza. La amava troppo e lui ambiva ad essere la sua roccia, il suo uomo.
- Ti desidero, Max.-  Sussurrò Faith con voce flebile.
    Lui si sdraiò sulla schiena e la ragazza prese a baciargli il petto. Avvertiva i muscoli dell'addome guizzare sotto la pelle mentre si spostava verso lo stomaco.
    Max espirò lentamente nel momento in cui gli sfilò i boxer.
    E, quando anche lei si mostrò in tutta la sua bellezza alla luce gialla e arancio della lanterna, il ragazzo la ammirò affascinato: era perfetta quanto una statua scolpita. Il suo seno sodo sembrava disegnato da uno scultore; il suo ventre piatto e le sue gambe tornite erano completi e privi di difetti.
    Faith si adagiò sopra di lui, lenta e precisa, mentre Max si rimetteva seduto per poterla guidare, ed emise un gemito.
    Anche lui sussultò, una volta dentro di lei, facendola fremere.
- Ti amo.- Le mormorò dolcemente in un orecchio con la sua voce calda e profonda.
    Altre parole dolci si diffusero soffocate nell'aria mentre i due amanti si muovevano lenti, traendo infinito piacere l'uno dall'altro.
    Un sottile velo di sudore iniziava ad imperlare i loro corpi frementi. Max la guardò in viso e, quando anche lei posò gli occhi nei suoi, comprese che avrebbero potuto trascorrere cento, mille vite insieme.
    Si baciarono e lei riprese a muoversi più veloce, mentre lui la attirava a sé in un crescente desiderio, stringendole le cosce, incapace di lasciarla andare e di resisterle.
    Avevano osato più in profondità e provavano emozioni pronte ad esplodere al di fuori di loro.
    Poi lei piegò la testa all'indietro, con i capelli che ricadevano lisci e spettinati sulle spalle, ed inarcò la schiena, irrigidendosi.
    Tornò a posare gli occhi su Max, mentre ancora respirava affannosamente, e vide che i suoi erano socchiusi. I muscoli del collo tesi.
    Fu allora che il ragazzo emise un gemito e poi un altro poco più forte, ma sempre sommesso.
Infine alzò il viso e la guardò, mentre lei gli accarezzava i capelli, madidi di sudore.
    Vide con soddisfazione che era appagata, e appoggiò la testa sulla sua spalla, abbracciandola e respirando a fondo il profumo della sua pelle.
    Non avevano dubbi. Anime gemelle per cento, mille vite.

    Si erano sdraiati stretti sotto l'altra coperta che Max aveva procurato, avvolti nel loro forte ed ardente sentimento, quando il cellulare di Faith cominciò a squillare spezzando il silenzio.
- Forse dovresti rispondere.- Mormorò lui senza smettere di baciarla.
- Non mi interessa.- Mugugnò.
- Magari è tua zia.-
    Faith si bloccò, tenendo le labbra incollate alle sue.
- Ok, ora controllo.- Cantilenò, estraendo di malavoglia il cellulare dalla tasca dei jeans - È Holly.-     Constatò leggendone il nome - Può aspettare domattina. Ora ho di meglio da fare.-
    Lui sorrise e la accolse tra le braccia.
- Sono un bel passatempo, lo so.- Fece Max mantenendosi serio.
    La ragazza rispose con una risata spensierata e lo coccolò a lungo, prima di fare ancora l'amore con lui.

    Il chiarore caldo e rosato del primo mattino riempiva la stanza mostrandola completamente diversa da come si era presentata la sera precedente.
    Non sembrava affatto una casetta sull'albero, ma la stanza di una di quelle abitazioni in legno disperse nelle illimitate e deserte spianate del Texas che si vedono nei film, dove si avverte soltanto il soffiare insistente del vento attraverso gli spifferi.
    Max si risvegliò per primo e, mentre apriva gli occhi, la prima impressione era di essere tornato indietro negli anni, nelle prime notti in cui aveva dormito in quella casa.
    Ripensò inevitabilmente a suo padre ed osservò Faith. Distesa su un fianco e rivolta verso di lui, la ragazza dormiva tranquilla e ai suoi occhi appariva come una scultura greca. Una ciocca di capelli le attraversava un viso dai lineamenti morbidi e rilassati, e velato da un trucco leggero che la rendeva ancora più sensuale. La coperta, stretta sopra il seno, delineava il profilo perfetto del fianco e delle gambe.
    Max le scostò la ciocca di capelli e le baciò la spalla nuda, odorando il suo profumo di mughetto. Ancora non si capacitava di aver conosciuto una ragazza così bella in tutti i sensi.
    Lei aprì lentamente gli occhi e lo fissò silenziosamente per qualche istante.
- Cosa stai guardando?- Gli chiese.
- Te.-
- E a cosa pensi?-
- Penso che sei bellissima.- Le sussurrò semplicemente Max.
    Lei esibì un sorriso dolcissimo.
- Anche tu.- Replicò, accarezzandogli il viso con il tocco vellutato delle dita.
- Non hai freddo?-
- Sono un forno a legna!- Esclamò lui, battendosi un pugno sul petto - E poi ti ricordo che sei tu quella che al momento non indossa niente. Io almeno ho un paio di boxer.-
- Sono nuda?- Si lamentò Faith sgranando gli occhi.
- Eh si.- Confermò lui candidamente.
- Per caso mi ha fatto assumere sostanze altamente alcoliche ieri sera, signor Warren?- Domandò valutando i fatti.
- Così mi offendi.-
    La ragazza allora lo baciò a lungo.
- Mi sembra che stanotte ti sia divertita parecchio.- Continuò Max, sornione.
    Faith rise un attimo per poi tornare seria.
- Sei stato molto dolce, Max. Dico davvero.-
- Vuoi sapere qual'è stato il momento che ho preferito?- Le domandò.
- Quello!- Esclamò lei.
- È così scontato?-
- Per voi uomini sì.-
- Beh, a parte quel momento, allora!-
    Faith annuì, sorridendo, ansiosa di saperlo.
- Ad un certo punto ho visto la luna riflessa nei tuoi occhi. Anche se non c'era molta luce ho capito che mi stavi guardando.- Max sollevò un angolo della bocca - Mi sono sentito un uomo. Per la prima volta in vita mia non ero più un ragazzo. Mi hai collocato al centro del tuo mondo, e ti sono grato per questo. Quando saremo davanti all'altare, al cospetto di Dio, ti prometterò il mio amore e il mio rispetto per tutti i giorni della mia vita. Non solo finché la morte ci separerà: io ti amerò anche oltre, per l'eternità.-
- Max,- Mormorò Faith con gli occhi velati - da quando ti ho conosciuto ho capito che in questo mondo pieno di cattiveria e ipocrisia esistono persone che riescono veramente a sentire ciò che vorresti dire. Persone che sanno quali sono i veri valori. L'unico con il quale mi sento sempre in sintonia e che capisce completamente tutto di me sei tu. Anch'io ti amo.-
    Un sorriso fece risplendere i sottili occhi verdi del ragazzo.
- Vieni qui.- Le sussurrò stringendola tra le braccia - Che ne dici di riscaldarci un altro po' prima di tornare alla noiosa realtà?-
- Mi stai forse facendo capire che al di fuori di qua io sarei noiosa?- Protestò Faith, allontanandosi da lui.
- No. Voglio dire che tu non sei la realtà. Tu sei il mio sogno.- Precisò Max.
    Faith stava già per ribattere, ma lo squillo del suo cellulare la interruppe, facendo svanire l'atmosfera intima che si era creata.
- Ricordami di lasciare a casa il maledetto arnese la prossima volta.- Sbuffò - È ancora Holly. Ma cosa vorrà a quest'ora?-
    Si voltò verso Max, sperando che le ordinasse di non rispondere.
- Rispondi. Poi torna da me.- Le disse.
    Faith sbuffò ancora, aprì il cellulare e rispose.
- Ciao Holly. Che succede? Qualcosa non va?-
    Dal tono di voce che Max riusciva a captare, Holly sembrava piuttosto agitata.
- No, scusa. Ieri sera ero fuori casa e... -
    Poi Faith fece una pausa, guardando Max con aria allarmata.
- Ok, Holly, senti. Prenderò il primo aereo per Los Angeles. Grazie per avermi avvertita. Ci vediamo al mio arrivo. Ciao.-
    Riattaccò e rimase a fissare il suo ragazzo, passandosi una mano tra i capelli.
- Che succede, Faith?- Le chiese preoccupato.
- Si tratta di zia Becky. Ieri sera si è sentita male ed è stata portata d'urgenza in ospedale. Devo tornare subito a casa.-

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Capitolo 18
*** 18. Sensi Di Colpa ***


Le Ragioni Del Cuore BN
R ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Ciaooooooooooo!
Eccomi qui, dopo più di un mese di pausa (e di ferie MERITATISSIME!) a continuare la pubblicazione di questo mio primo scritto. Purtroppo non ho fatto in tempo a finirlo, ma sono a buon punto e Dio solo sa quanto non vedo l'ora di completarlo!
Dunque, voglio assolutamente ringraziare i miei fedeli recensori, anzi, posso dire in tutta tranquillità, le mie fedeli recensitrici, che sono SATY, NANA_85, CHIARA84, MOZZI84, AKANE25, e CHIARASCIMMIA (continuo a chiedermi a cosa stesse pensando quest'ultima per darsi un nickname del genere ;)).
Un grazie di cuore a tutte voi. Spero di non perdervi durante la storia!
Per questo capitolo inedito ho scelto una canzone molto bella: Sarah McLachlan “I Will Remember You”.
Spero che vi piaccia!
A tra due settimane!


18. S ENSI DI COLPA

- Non posso credere che ieri mi stavo divertendo mentre dall'altra parte del continente mia zia stava si sentiva male.- Protestò Faith agitando nervosamente le mani per aria.
    Camminava rapidamente attraverso il bosco, e i sottili ramoscelli che ricoprivano il suolo come un tappeto si spezzavano con un rumore secco sotto i suoi piedi.
- Non puoi fartene una colpa, Faith.- La rimproverò Max, che faticava a tenerle il passo.
    Faith si fermò di scatto voltandosi a guardarlo con gli occhi spalancati.
- Non ho risposto al cellulare, Max! Mia zia sarebbe potuta anche morire ed io non sarei stata al suo fianco perchè pensavo soltanto a divertirmi con il mio ragazzo.-
- Nemmeno io ero al fianco di mio padre quando morì.- Sbottò lui.
Quel segreto era tornato inesorabilmente a farsi largo tra i pensieri di Faith.
- Non è la stessa cosa.- Replicò in tono neutro.
    Come se lo stato di salute di sua zia non la stesse preoccupando abbastanza, ora si era dimenticata di quel particolare così fastidioso del quale ancora faticava a credere. Aveva trascorso la notte precedente in preda ai rimorsi, chiedendosi in continuazione se fare l'amore con Max fosse stato corretto nei suoi confronti. Gli aveva taciuto un fatto troppo importante, ma non era riuscita a frenare la passione che li aveva coinvolti. Ed ora si sentiva come un'adolescente stupida e incapace di gestire quel genere di situazioni.
    Riprese a camminare, piena di nervosismo e frustrazione.
- È da immaturi quello che ho fatto.-
- Rimpiangi di aver fatto l'amore con me?- Chiese Max parandosi davanti e trattenendola per le spalle - È questo che vuoi dire?-.
    Faith colse una nota di tensione nel tono con cui le aveva rivolto la domanda.
    Lo guardò negli occhi pensando velocemente ad una risposta che potesse essere significativa senza ferirlo, ma in quel momento la sua mente non era predisposta ad affrontare un discorso così impegnativo.
- Non è questo che intendo.- Spiegò tornando sui suoi passi - Dico solo che, di fronte alle cose gravi che succedono nella vita di una persona, non esiste svago che possa reggerne il confronto.-
    Max l'afferrò per un braccio facendola voltare verso di lui e sforzandosi di mantenere la calma.
- Ma... ma che cosa stai dicendo, Faith? Uno svago? Credi che quello che è successo tra di noi ieri sera sia stato soltanto uno svago?-
    Faith si liberò dalla sua presa. Non aveva né le forze necessarie né la voglia di discutere con lui in quell'istante e,  spazientita, esplose in un impeto di rabbia.
- Santo cielo, Max!Proprio non vuoi capire?-
Le sue parole rimbombarono attorno a loro come uno sparo.
- Non sono in grado di parlare di ieri sera! Sono in ansia perché mia zia è su un letto d'ospedale! Lo capisci? Zia Becky sta male e tu pensi soltanto al sesso?-
    Max le rivolse uno sguardo pieno di incredulità.
- Non è al sesso che sto pensando, e tu lo sai!- La contraddì urlando più forte di lei.
    Ascoltò il riverbero delle sue parole svanire come risucchiate dal bosco.
    Alcune ghiandaie schizzarono fuori dai rami sopra di loro, spaventate dai rumori improvvisi. Poi il silenzio tornò di nuovo a fare da padrone.
    La ragazza rimase ammutolita. Per la prima volta aveva sentito il suo ragazzo alzare la voce e ne fu un po' impressionata. Non l'aveva mai visto così arrabbiato.
    Si limitò a guardarsi attorno con le braccia conserte: il fitto fogliame sopra le loro teste era perforato da innumerevoli sottili lame di luce che coloravano il bosco di brillanti tonalità e rendevano meno cupe le zone in ombra. I grandi tronchi delle querce sbucavano dal terreno umido di rugiada come giganti inanimati ed inquietanti, mentre una foschia verde scuro che si levava dal terreno rendeva i loro profili sempre meno nitidi man mano che ci si allontanava con lo sguardo.
    Alcune farfalle bianche svolazzavano leggiadre ed instancabili tra i rami più bassi.
    Faith non aveva alcuna intenzione di offenderlo, ma un insano e momentaneo gusto nel ferirlo, pur di fargli capire il suo attuale stato d'animo, le fece uscire le parole di bocca prima ancora di decidere se fosse giusto dirle.
- Avrei preferito esserle stata vicino stanotte piuttosto che fare l'amore con te.- Affermò in tono freddo e distaccato.
    Max mosse appena le labbra, incredulo di averglielo sentito dire. Avrebbe voluto replicare in un'infinità di modi diversi, ma giunse all'ineluttabile conclusione che in quel momento non sarebbe servito a niente.
- Vai, Faith. Và da lei.- Mormorò soltanto, prima di voltarsi e cambiare direzione.
    Faith si tirò indietro i capelli e lo osservò allontanarsi. Abbattuta, riprese a camminare verso casa, decidendo che avrebbe chiarito quello spiacevole malinteso in un momento più opportuno.

Sarah McLachlan “I Will Remember You”
    Max non riusciva a capire dove avesse sbagliato. Pochi minuti prima lui e Faith andavano d'amore e d'accordo e, subito dopo, avevano affrontato una discussione.
    La prima da quando si conoscevano.
    In cuor suo era certo di non provare alcun rancore nei suoi confronti. Provava soltanto dispiacere perché quella notte, nonostante per lui avesse significato un fatto di notevole importanza, per la sua ragazza sembrava non aver avuto alcun significato o, perlomeno, un briciolo del valore che lui le aveva attribuito.
    Il cimitero era aperto da poco e il custode stava spazzando via cartacce e petali di fiori dal marciapiedi davanti all'ingresso con una vecchia scopa di saggina. Era un uomo anziano, con un cappello scuro e liso calcato in testa, la barba incolta e una sigaretta in bocca.
- 'Giorno.- Disse a Max, con un cenno della testa, senza alzare gli occhi dal marciapiedi.
    Non dava l'aria di essere molto contento di stare lì. Complice l'orario mattiniero, svolgeva il suo lavoro in maniera annoiata, automatica ed indifferente.
    Max rispose al saluto ed oltrepassò il maestoso cancello in ferro battuto. Un leggero profumo di gigli lo avvolse per qualche secondo, mentre percorreva il lungo e ampio porticato laterale che costeggiava alcune lapidi risalenti ai primi anni del novecento.
    Le colonne, ingrigite dal tempo e dagli agenti atmosferici, non avevano perduto il loro antico fascino: le piante di glicine, con i fiori a grappolo color violetto, vi si arrampicavano fino ai capitelli e alle architravi, intrecciandosi con l'edera ed emanando un odore delicato e gradevole.
    I sentieri di ghiaia, delimitati perlopiù da bossi e alti cipressi, circondavano aiuole verdi e ben tenute.
    Max giunse ai piedi di una collinetta sovrastata da un salice piangente i cui virgulti, ricadendo, sfioravano un piccolo laghetto ricco di ninfee bianchissime.
    Abbassò lo sguardo in direzione del blocco verticale di marmo bianco e, osservando la fotografia che ormai conosceva come una poesia a memoria, per un breve istante rivide sé stesso.
    Fece un profondo respiro assaporando ogni singolo istante di quel remoto silenzio che sembrava allontanarlo dalla realtà.
    Quando ancora viveva a Lakewood, si recava spesso in quel luogo. Vi trovava l'armonia e la pace che non riusciva a trovare al di fuori di quelle mura, e ciò lo rendeva più sicuro di sé, senza provare imbarazzo di fronte alle sue emozioni.
    Si sedette sul prato incrociando le gambe e, con una mano, passò le dita tra i fili d'erba.
    Sotto alla fotografia era stato sistemato un mazzo di fiori campestri, di quelli che durano più giorni senz'acqua e, accanto, un piccolo vaso di margherite gialle.
- Ciao papà.- Mormorò.
    Si fermò ascoltando il suono della sua voce.
- È da un po' che non vengo a trovarti. Mentirei se ti dicessi che non lo faccio perché sono troppo preso dal lavoro, e tu lo sai. Mi conosci più di quanto mi conosca io. Questo è sempre stato l'unico posto in cui mi sia mai sentito in pace con me stesso, dove ti ho sempre sentito più vicino a me. Ma mi rendevo conto che non potevo fondare la mia vita sul passato e che un giorno me ne sarei dovuto andare, nonostante mi sforzassi di pensarla diversamente. Non si può continuare a vivere nei ricordi. Oggi però ho cambiato il modo di vedere le cose. Oggi ho tutto, papà, ed è un peccato che io non possa condividere la mia felicità con te anche se penso che tu mi ascolti in ogni momento della giornata. Non ne sono sicuro, ma mi piace crederlo. Mi piace pensare che un giorno ti rivedrò. Mi piace pensare che tutto il tempo che ci ha tenuti separati quel giorno si dissolverà e diventerà un ricordo lontanissimo. Mi piace pensare che, in fin dei conti, tu sei sempre qui vicino a me e, malgrado io non possa vederti o sentirti, sono certo che ogni gesto che faccio e ogni parola che dico siano suggeriti da te, perché tu vivi dentro di me, nel mio cuore e nella mia mente. Sono qui perché cercavo una risposta, e l'ho trovata non appena ho incrociato il tuo sguardo nella fotografia. Sono io ad aver sbagliato  e dovrei farle le mie scuse perché ho dimenticato che anche gli altri possono provare ciò che ho provato io quando te ne sei andato. Sono stato un egoista, e tu me l'hai fatto notare.-
    Max si alzò in piedi ricacciando indietro una lacrima.
- Sappi che nel mio tutto c'è un solo posto vuoto: il tuo.- Sussurrò in un sorriso carico di tristezza.
    Si alzò in piedi e posò delicatamente sulla lastra di marmo la rosa rossa che aveva comprato poco prima nella piccola fioreria davanti al cimitero.
- Ciao, papà. Tornerò presto a trovarti.-
    Stava per andarsene quando un inaspettato refolo di vento fece rotolare il fiore vicino ai suoi piedi.
- D'accordo - Annuì chinandosi a raccoglierla - La porterò a lei.-

    Addison stava seguendo attentamente il notiziario del mattino della CNN alla televisione mentre sorseggiava una tazza di caffè, quando Faith fece irruzione in casa senza accorgersi della sua presenza.
- Faith.- La chiamò.
- Buongiorno Addison.-
- Va tutto bene? Dov'è Max? Sembri scossa.- Osservò alzandosi in piedi per avvicinarsi.
- In effetti... devo tornare immediatamente a Los Angeles. Mia zia stanotte si è sentita male ed è stata portata in ospedale.-
- Spero non sia nulla di grave.- Le disse preoccupata, portandosi una mano sul petto.
- Lo spero anch'io.- Replicò Faith stringendosi nervosamente le mani. Non sapeva come parlarle del suo piccolo litigio con Max - Se non ti dispiace vorrei fare una doccia veloce e chiamare un taxi che mi accompagni all'aeroporto.-
- Un taxi?- Domandò Addison perplessa.
- Sì. Poco fa io e Max abbiamo avuto una discussione - Riuscì ad ammettere Faith - Stanotte abbiamo dormito nella casa sull'albero e stamattina abbiamo litigato. Ora non ho la minima idea di dove possa essere.-
    Addison annuì.
- Credo di saperlo. Tornerà prima che tu vada via, vedrai. Così sarà lui ad accompagnarti all'aeroporto.- La rassicurò strofinandole un braccio per confortarla.
- Lo spero tanto.- Convenne Faith sollevando un angolo della bocca - Beh, sarà meglio che mi sbrighi. Ho l'aereo tra meno di due ore.- Realizzò lanciando un rapido sguardo all'orologio appeso sopra la porta della cucina.
- Faith.- La richiamò Addison dopo qualche istante.
    La ragazza si voltò, togliendosi la borsa a tracolla.
- Devi dirglielo.-
    Faith s'irrigidì, con un braccio a mezz'aria, e il suo viso si fece immediatamente pallido.
- Dire cosa... a chi?-  
    Addison le andò più vicino scrutandola titubante negli occhi, con la fronte corrugata.
- La verità che riguarda tuo padre.-

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Capitolo 19
*** 19. Segreti E Bugie ***


Le Ragioni Del Cuore BN
R ISPOSTE ALLE RECENSIONI

Ciao!
Scusate per il breve ritardo, ma ora eccomi qui con un nuovo capitolo tutto per voi.
Voglio ringraziare innanzitutto Saty, che recensisce sempre con dettagliate descrizioni (che io amo, tra l'altro!) e poi Mozzi84, la mia “correttrice di bozze”! GRAZIE AD ENTRAMBE INFINITAMENTE!
Poi ringrazio anche chi aggiunge la storia alle Preferite e Seguite. Attendo presto un vostro giudizio!
Auguro a tutti una piacevole lettura!

19. S EGRETI E BUGIE

    Le due donne rimasero a fissarsi, immobili come statue.
    Com'è possibile che lei conosca mio padre? Come sa che io sono la figlia dell'assassino di suo marito?
    La voce del giornalista alla TV cominciava a diventare insopportabile e Faith avrebbe volentieri scaraventato a terra l'apparecchio. Iniziò a tremare impercettibilmente agli occhi di Addison, mentre nella sua testa escogitava tutti i modi possibili per risolvere la situazione.
- Non capisco di cosa stai parlando.-
    Consapevole di non essere mai stata brava a mentire, era certa che di lì a poco anche Addison l'avrebbe capito.
- Faith, non voglio spaventarti. Non ce l'ho con te se è questo che ti preoccupa.- Mise subito in chiaro la donna.
- Come lo sai?- Domandò Faith andando dritta al nocciolo della questione.
    La madre annuì intuendo che la ragazza non conosceva tutta la storia.
- Vieni - Le disse facendole segno di seguirla in cucina - sediamoci qualche minuto. Ti prometto che non perderai il tuo aereo.-
    Faith si sedette, ancora incredula di essere prossima ad intrattenere quell'argomento che l'aveva sconvolta due giorni prima.
    Addison aprì la lavastoviglie e le porse un bicchiere. Poi prese una caraffa di vetro dal frigorifero e le versò un po' di spremuta d'arancia. Aveva spento il televisore e si sentiva soltanto il ticchettio anonimo e monotono dell'orologio.
- Ho conosciuto tuo padre il giorno successivo all'incidente. È rimasto nel carcere di Cleveland per una settimana prima del suo trasferimento a Los Angeles.-
    Si sedette di fronte a lei e riprese a bere il suo caffè stringendo la tazza con entrambe le mani.
- Ti starai chiedendo perché io lo abbia voluto conoscere. La risposta è semplice: volevo vedere negli occhi chi aveva ucciso mio marito. Ero arrabbiata e confusa il giorno in cui mi recai in prigione. Avrei voluto prendere quell'uomo per il collo e strangolarlo perché lui mi aveva portato via una delle persone che amavo di più. Sapevo bene che quel gesto non avrebbe riportato in vita mio marito, né mi avrebbe fatto stare meglio. Ma ero libera di provare quella sensazione e quel desiderio di vendetta. E  fu ciò che provai finché non vidi tuo padre. Era là, dietro alle sbarre, in una camera piccola e vuota, seduto sul letto con la testa tra le mani. Mi guardò negli occhi quando lo chiamarono e capii che anche lui stava male. Non quanto me, certo, e non allo stesso modo in cui stavo male io. Il suo sguardo era perso nel vuoto, completamente scollegato dalla sua mente. Chiesi all'agente di guardia il permesso di farmi entrare e mi sedetti sul bordo del letto davanti a lui, restando in silenzio per qualche minuto con gli occhi fissi sul pavimento. Fu lui a  parlare per primo. Sai cosa disse?-                  
    Addison posò la tazza sul tavolo e si rivolse lo sguardo alla ragazza, ancora inerte ma, allo stesso tempo, sulla difensiva.
 - Ho perso per sempre l'amore di mia figlia.-
Una lacrima inaspettata rigò il viso tirato di Faith, malgrado si sforzasse di restare composta.
- Mi raccontò com'era avvenuto l'incidente, o quel poco che poteva ricordare.- Riprese Addison - Mi parlò di te, Faith. Portava sempre con sé una tua fotografia. Provai così tanta pena per lui che un po' mi vergognai di provare quella sensazione. Insomma, aveva pur sempre ucciso mio marito, ma mi stupii di me stessa. Con il passare degli anni ho saputo perdonarlo. Se non lo avessi conosciuto probabilmente non sarei riuscita a farlo. Purtroppo però non ho pensato lo stesso per Max.-
    Faith scosse la testa. Non riesco a perdonarlo io per quello che ha fatto, come ci sei riuscita tu?
- Perché non gli hai detto la verità? Perché gli hai mentito? Perché non hai provato a dirglielo subito?- La rimbeccò - Che razza di madre può nascondere queste terribili verità a suo figlio?-
    Addison abbassò lo sguardo, messa di fronte al suo sbaglio. Dopo tanto tempo qualcuno aveva dato voce ai suoi pensieri più oscuri e questo la tormentò.
- Non ero certa che Max sarebbe riuscito a perdonarlo come ho fatto io. Avevo paura che avrebbe fatto qualcosa di insensato verso sé stesso. Io ho solo cercato di proteggerlo. Poi il tempo passava e lui diventava sempre più taciturno. Non ne abbiamo mai parlato da quel giorno e io non ho più trovato l'occasione adatta per farlo. Alla fine ha deciso di partire per New Orleans di punto in bianco ed io lo vedevo un paio di volte l'anno.-
    Addison si voltò verso la finestra.
- Ormai non ha più senso che sia io a dirgli la verità.-
- No, Addison! Non puoi scaricare su di me questa responsabilità! Io l'ho scoperto soltanto due giorni fa e credimi, non sai quanto sto male all'idea di perderlo se glielo dicessi. Penso che sia abbastanza maturo e forte da saper accettare tutto questo, ma ho paura. Ho tanta paura.-
    Addison le strinse le mani.
- Lui ti ama veramente. Sono certa che capirà.-
    Faith la guardò con gli occhi stanchi e lucidi.
- Non è mai troppo tardi per dire le cose più importanti.-
- Hai ragione, Faith.- Approvò la donna - Ma adesso sei tu il suo presente. Io sono soltanto una comparsa nella sua vita.-
- Non lo conosci abbastanza se pensi  questo.- Affermò Faith sfilando le mani dalle sue.
- Lo perderò in entrambi i casi, che sia io a dirglielo oppure tu. Resterà con te, Faith. Sono sicura.-
    Faith si alzò in piedi e, quando fu sulla porta, si voltò.
- Ricordati che è stato mio padre ad uccidere il suo.-

    Faith non riusciva ancora a credere di aver avuto quella conversazione con Addison. Si trovava lì da poche ore ed erano successe così tante cose che le sembrò di avervi trascorso molto più tempo.
    Le stesse domande la tormentavano senza darle modo di trovare delle risposte.
    Troppe domande, nessuna risposta.
    Continuava a chiedersi come Addison fosse riuscita a perdonare suo padre. Forse anche lei, con il passare del tempo, lo avrebbe fatto, ma non in quel momento. Adesso le toccava il compito più difficile.
    Rivelare a Max tutta la verità dopo dieci anni comportava un grosso rischio, ma era giusto che lui la sapesse. Era giusto essere sincera nei suoi confronti perché aveva sempre ritenuto corretto che in una relazione adulta la più completa e rispettiva fiducia dovesse essere un requisito fondamentale.
    E se lui non avesse saputo accettarla? Se l'avesse lasciata come aveva fatto con Lexie anni prima?
    In fondo lei aveva soltanto cercato di dirgli com'erano andate le cose.
    Si ricordò del biglietto che la ragazza le aveva lasciato la sera precedente e lo estrasse dai jeans che aveva posato sul letto prima di andare a farsi la doccia.
    Chiamami ogni volta che ne sentirai il bisogno.
“Per quale motivo dovrei chiamarla?” Pensò. “E di quale verità voleva parlare a Max?”
    Addison a parte, lei era l'unica a sapere come fosse realmente accaduto l'incidente.
    Non ci capiva più nulla e la confusione che le si era venuta a creare in testa non le permetteva di ragionare con fermezza.
    Realizzò che avrebbe dovuto contattarla perché Lexie conosceva Max più di quanto lo conoscesse lei e magari avrebbe saputo consigliarla su come comportarsi con lui.
- Ma che razza di idee! Non è un elettrodomestico di cui non posseggo le istruzioni!- Esclamò convinta.
    Un leggero rumore di nocche sulla porta della sua stanza la distolse dai suoi pensieri.
- Avanti.- Disse ripiegando velocemente il foglietto.
- Ciao.- La salutò Max entrando.
    Faith gli sorrise, spostandosi una ciocca di capelli umidi dietro un orecchio.
- Questa è per te.- Mormorò offrendole la rosa - Da parte di una persona speciale.-
    Faith si avvicinò e la prese con una mano - È bellissima.-
- Tu sei bellissima.-  Tenne a precisare.
    L'abbracciò forte e odorò il profumo dei suoi capelli.
- Ok, scuse accettate.- Sospirò lei.
    Max la lasciò e la guardò negli occhi perplesso
- Chi ha detto che tra noi due sia io a doverti delle scuse?- Domandò con un'ombra di sorriso sulle labbra.
- Beh, mi hai portato una rosa, mi hai stretta tra le tue braccia...-
- Mi dispiace, Faith.- La interruppe lui.
- No, anch'io devo scusarmi con te.-
- Ma io di più. Sono stato un egoista.- Ammise Max sedendosi sul letto - Ho messo le mie emozioni e i miei sentimenti davanti a tutto, compresa la tua preoccupazione per zia Becky.-
- Stai tranquillo, Max.- Mormorò Faith accarezzandolo in viso - Ho richiamato Holly e sembra che zia Becky sia fuori pericolo. Sono comunque preoccupata, ma non ho il diritto di comportarmi così, specialmente con te.-
    Max alzò lo sguardo e lei provò tenerezza per quel ragazzo così onesto e sincero.
- Non avrei dovuto dirti quella cosa orribile. Anzi, sono molto contenta di aver fatto l'amore con te e non cambierei la notte scorsa con niente al mondo.-
    Max deglutì e sollevò un angolo della bocca.
- Parli sul serio?-
    Nonostante lei provasse un lieve senso di colpa, doveva ammettere che quello che avevano passato insieme era stato un momento indimenticabile. Un grande passo nella loro relazione.
- Ma certo, stupido!- Confermò sorridendo - E non vedo l'ora di farlo di nuovo.-
    Lo baciò passandogli le mani tra i capelli - Ma non ora!- Sottolineò staccandosi per tornare alla sua valigia - Ho un aereo che  mi aspetta e devo sbrigarmi.-
- La macchina è pronta. Ti aspetto in salotto.- Replicò Max mentre si avvicinava alla porta - Sicura che non vuoi che venga con te a Los Angeles?- .
    Faith scosse la testa.
- Tranquillo, ti aspetterò alla fine della settimana.-
    Max rimase immobile sulla porta. La guardò. Era terribilmente sexy avvolta nella salvietta e, per qualche attimo, pensò di  non meritarsi così tanta grazia e perfezione. Poteva innamorarsi di lei ogni volta che incrociava i suoi occhi scuri e questo gli faceva sentire le farfalle nello stomaco come la prima volta che l'aveva vista.
    Una sensazione che si era stampata nel suo cuore e che non poteva, né avrebbe mai voluto assolutamente dimenticare.  
- Che c'è?- Gli chiese Faith mentre ripiegava un maglione, divertita dal suo sguardo ammirato.
- Ti amo.- Disse lui con fermezza.
- Anch'io.- Sussurrò la ragazza.

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Capitolo 20
*** 20. Una Vecchia Conoscenza ***


Le Ragioni Del Cuore BN
R ISPOSTE ALLE RECENSIONI

Ciao a tutti!
Voglio cominciare ringraziando subito i miei recensori.
Kyni, sono molto contento che questa storia ti regali delle emozioni, significa che sto riuscendo nel mio intento, che non è commuovere i lettori, ma lasciare nei loro cuori cose che rimangano ad interrogarli sui loro possibili significati. Credo che, dopo una giornata trascorsa in un mondo dove ormai i veri sentimenti vengono spesso calpestati e sottovalutati, sia bello lasciarsi andare in una piacevole lettura, magari che trasmetta divertimento, passione, romanticismo. Mi auguro che i prossimi capitoli siano per te altrettanto entusiasmanti! Ti ringrazio per i complimenti e... Buona lettura!
Saty, cosa posso dire oltre a ciò che ti ho già detto? Sono perfettamente a conoscenza delle emozioni che ti trasmetto, e anche stupito di come riesco a farlo in ogni capitolo. Sei davvero una lettrice squisita, onesta e carina! E so per certo che continuerai a seguirmi fino alla fine di questa storia! Un abbraccio!

Come sempre, colgo l'occasione per salutare e ringraziare la mia beta Mozzi per l'ottimo lavoro che svolge. Sei unica!

Grazie ancora a chi aggiunge questa storia alle Seguite e Preferite! Aumentate ogni capitolo sempre di più!
 

20. U NA VECCHIA CONOSCENZA

    Faceva decisamente più caldo a Los Angeles e Faith fu costretta a togliersi una maglia non appena mise piede fuori dall'aeroporto. Una leggera brezza calda sembrava voler richiamare l'estate in anticipo e ciò prevedeva l'arrivo imminente di almeno il triplo dei turisti che già affollavano le vie della metropoli.
    Ma a Faith non dispiaceva affatto. Ormai non faceva più caso a tutta quelle gente.
    S'infilò velocemente in uno dei taxi che sostava davanti dell'aeroporto per farsi accompagnare al Presbyterian Medical Center. Non aveva tempo di passare per casa: era troppo ansiosa di vedere zia Becky.
    Entrò in ospedale fermandosi allo sportello accettazioni per chiedere in quale reparto l'avrebbe trovata e prese l'ascensore seguendo le indicazioni ricevute.
    L'aria odorava di disinfettante e le luci fredde dei neon disposte lungo gli infiniti corridoi facevano sembrare più stanche e ancora più preoccupate le espressioni delle persone che li affollavano.
    Faith non faticò a trovare la stanza 241. La porta era aperta e un'infermiera stava uscendo spingendo un carrello carico di medicinali e strumenti da lavoro.
- Lei è la signorina Faith Harrington?- Chiese alla ragazza.
- Si, sono io. Come sta mia zia?-
- Si è appena svegliata. Mi raccomando: non si trattenga molto. È ancora affaticata e ha bisogno di riposo.-
- Certo. Non resterò a lungo. Saprebbe dirmi con chi posso parlare riguardo a ciò che è successo?-
    L'infermiera annuì.
- Le manderò qui il dottor Fawcett. È lui che si è occupato di sua zia.-
    Faith la ringraziò e, quando l'infermiera scomparve dietro la porta, si avvicinò al letto.
    Zia Becky era sdraiata con una flebo infilata nel braccio, mentre un apparecchio vicino a lei monitorava il suo battito cardiaco. Aveva il volto pallido e gli occhi vitrei rivolti verso la finestra, in un'espressione che sembrava celare una sofferenza trascinata dietro da tempo, ma sorrise quando vide la nipote.
- Ciao, zia.- Sussurrò la ragazza.
- Faith, bambina mia. Ti aspettavo.-
- Sono qui adesso, stai tranquilla.-
    Zia Becky si nascose il viso tra le mani ed emise un lamento iniziando a singhiozzare.
- Mi dispiace tanto, Faith. Mi dispiace!-
    Faith le si sedette vicino e le accarezzò i capelli.
- Ma no, zia, non devi dispiacerti. Non è stata colpa tua. Adesso sono qui, non preoccuparti.-
    Le piangeva il cuore alla vista di sua zia in quel grande letto d'ospedale ricordando come, fino a qualche ora prima, fosse agile e svelta nonostante l’età.
- Vedrai che presto tornerai a casa e sarai in forma come al solito.-
    Ma dentro di sé era pienamente consapevole che stava mentendo. Quante bugie era costretta a raccontare in quei giorni per non far star male le persone che amava. Faith si rese conto che da quel momento zia Becky si sarebbe dovuta sottoporre a visite mediche e continui controlli, senza parlare degli innumerevoli farmaci che avrebbe dovuto assumere.
- Sei venuta con Max?- Le domandò la zia asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.
- No. Max verrà qui nel fine settimana.-
- Gli hai parlato di quella cosa?- Le domandò in tono perentorio.
- Non ne ho avuto modo, ma lo farò appena mi sarà possibile.- Rispose ripensando alla conversazione avuta con Addison quella mattina stessa.
- È un così caro ragazzo, Faith.-
- Si, lo è.- Annuì la ragazza sistemando distrattamente un tulipano all'interno di un vaso di fiori sul comodino - Sai, sua madre sa tutto. Sa che a provocare l'incidente è stato Brian.-
- E come lo sa?- Fece sorpresa zia Becky - Cioè, come fa a sapere che tu sei sua figlia? Ci potrebbero essere mille Faith Harrington al mondo!- Osservò.
- Beh, il giorno dopo ha conosciuto mio padre. Fu lui a raccontarle di me. Max le ha detto che si trovava in carcere, così lei ha capito chi sono ed ora vorrebbe che fossi io a dire la verità a suo figlio.-
    Zia Becky parve perplessa.
- Perchè non è stata lei a farlo?-
- Perchè voleva solo proteggerlo. Gli ha raccontato una bugia per paura che in un modo o nell'altro si sarebbe vendicato di chi gli aveva portato via il padre.- Spiegò Faith - Ma adesso è troppo tardi.- Concluse volgendo la testa verso la porta.
    L'infermiera era ritornata accompagnata dal medico. Faith si alzò in piedi e lo salutò presentandosi.
    Era un uomo sui trent'anni, dal volto affabile e rassicurante.
- Può seguirmi nel mio ambulatorio, signorina?- Le chiese con un sorriso professionale.
    Faith guardò zia Becky, promettendole che sarebbe tornata a salutarla, ed uscì seguendo il dottor Fawcett.

- Si accomodi, prego.- La invitò il medico indicandole una poltroncina davanti ad una scrivania carica di cartelle cliniche e documenti di vario genere.
- Cos'è successo, dottor Fawcett?- Gli domandò.
    L'uomo si sedette sistemandosi il camice e tirò un lungo sospiro.
- Sua zia ha avuto un attacco epilettico con una conseguente temporanea paralisi del braccio sinistro. Malgrado l'età sembra stia riuscendo velocemente a superarne gli effetti, ma non escludo che, nelle prossime ore, possa avere una ricaduta.-
    Faith lo fissò negli occhi facendosi più seria.
- Che cosa vuol dire?-
    Il medico tentennò un poco prima di rispondere, ma lei lo bloccò.
- La prego, vada subito al sodo senza illudermi con inutili eufemismi.-
- Mi creda, non è mia intenzione creare allarmismi. Sto solo dicendo che, d'ora in poi, sua zia dovrà essere tenuta costantemente sotto controllo. Nelle prossime settimane, se lei è d'accordo, vorrei farla sottoporre ad una serie di esami per riuscire ad individuare la causa che le ha procurato l'attacco. Le ripeto, non intendo far preoccupare lei e i vostri famigliari più del necessario, perciò non voglio sbilanciarmi prima di vedere i risultati delle analisi.-
    Faith annuì. Ancora non riusciva a rendersene conto e quella preoccupazione la lasciava senza parole. Al momento non si conosceva nulla di ciò che poteva aver fatto star male zia Becky, ma venne assalita dal timore di poter perdere una delle persone più importanti della sua vita.
- Quali potrebbero essere le cause, dottore?-
- In realtà ce ne sono molte. Alcune insignificanti, altre un po' meno.- Rispose restando sul vago. Il viso di     Faith aveva già espresso preoccupazione e lui intuiva quale sarebbe stata la sua prossima domanda.
- Ad esempio?-
    Il medico indugiò un istante prima di rispondere. Era abituato a dire cose ben peggiori di quella, ma in quel momento si trovò in difficoltà. Non poteva mentirle, ma era normale che la ragazza avesse bisogno di sentirsi dire che andava tutto bene. Elencò alcune delle cause contandole sulle dita senza conferire loro troppa importanza. In effetti la vera causa era ancora da scoprire.
- Potrebbe essere una semplice reazione allergica. O magari lo stress, che spesso contribuisce a causare questi attacchi. Ma anche un tumore al cervello, la stanchezza, la disidratazione o del cibo avariato non sono da escludere. Capita a moltissime persone e tante volte sono insignificanti, mi creda.-
    Faith sembrò analizzare la risposta del dottore.
- Un tumore al cervello?- Chiese piano. Istantaneamente si ricordò dei frequenti mal di testa di cui le aveva accennato sua zia prima che lei partisse per l'Ohio.
    Fawcett sospirò.
- Si, potrebbe darsi, ma non nel caso di sua zia. Sembra essersi ripresa piuttosto in fretta e credo che il tumore sia da escludere.- Le assicurò guardandola dritta negli occhi - Stia tranquilla, Faith. La contatterò io stesso non appena avrò tra le mani i risultati delle analisi.-
    La ragazza annuì, si rimise la borsa a tracolla e si alzò in piedi porgendo la mano al medico.
- Spero vivamente che lei abbia ragione sul tumore e che riusciate a guarire mia zia al più presto.-
    Fawcett mantenne un'espressione austera e decisa, consapevole delle richieste e delle preoccupazioni della ragazza.
- Non dipende del tutto da noi, ma faremo del nostro meglio, signorina Harrington.-
- A presto.- Lo salutò Faith.

    Tornando in camera, Faith si chiese come fosse possibile tutto ciò che le stava accadendo. A parte qualche piccolo ed insignificante acciacco dovuto ai suoi settant'anni e a qualche leggero mal di testa, zia Becky era sempre stata sana come un pesce.
    Eppure adesso era in un letto d'ospedale con la probabilità che potesse avere un tumore. Ripeté dentro di sé quella parola e rabbrividì.
    Allontanò dalla testa quella terribile possibilità, ma sentì improvvisamente di non riuscire più a gestire le redini della sua intera esistenza. Il solo pensare che il destino si divertisse a toglierle tutte le persone a lei più care rappresentava una cosa inaudita, oltre che ingiusta. Sembrava volerla mettere in difficoltà in ogni modo, a costo di strapparle tutto ciò che possedeva di buono e significativo.
Immaginò che anche Max l'avrebbe lasciata una volta messo a conoscenza della verità. E così lo avrebbe perso, dopo sua madre, suo padre e zia Becky.
    Provo ancora un brivido.
    In ogni caso non avrebbe detto nulla a zia Becky, almeno finché il dottore non avesse scoperto la vera causa del problema. Si sforzò di mantenere la calma. In fondo non sapeva ancora niente e ritenne sensato, come le aveva suggerito Fawcett, non allarmarsi più di tanto. La maggior parte delle cause erano di scarso valore. Sicuramente da non sottovalutare, ma comunque sempre meno gravi di un tumore al cervello.
    Voltò l'angolo e, dopo qualche metro, entrò nella stanza dov'era stata pochi minuti prima.
    Si sorprese trovandovi Holly, che abbracciò, contenta di rivederla
- Quando sono entrata stava dormendo.- Le disse sottovoce indicando zia Becky con un'occhiata.
- Io ho parlato con lei poco fa e adesso ho incontrato un medico.- Le spiegò Faith.
- Sei qui da molto? Dov'è Max?-
- Sono arrivata un'ora fa. Max non c'è. Verrà sabato mattina. Senti, ti va di andare a bere qualcosa al bar qui di fronte? - Sussurrò Faith facendo un cenno verso zia Becky - Volevo salutarla prima di tornare a casa, ma ora non voglio svegliarla.-
- Certo, andiamo. Dov'è la tua valigia? La carichiamo subito sulla mia macchina e torniamo più tardi.-
Faith si picchiò leggermente la fronte con una mano.
- La mia valigia!-
    Holly la guardò con aria interrogativa.
- L'ho lasciata in aeroporto!- Bisbigliò allarmata.
- Bene. Il personale maschile si divertirà un mondo con la tua biancheria intima.- Scherzò l'amica, e subito     Faith le lanciò un'occhiataccia.

- Ovviamente al momento non possono occuparsi della mia valigia.- Si lamentò Faith richiudendo il cellulare - Se è rimasta sull'aereo, c'è l'alta probabilità che a quest'ora i miei vestiti stiano facendo il giro del globo. Magari è finita a Marrakech o su qualche sperduta isola della Polinesia orientale.-
- Stai calma, Faith. È successo anche a me qualche anno fa. Vedrai che tra qualche giorno ti recapiteranno il bagaglio a casa.- La rassicurò Holly mentre valutava la scelta di un tavolino al Foundry, un risto-bar poco lontano dall'ospedale - Qui fuori va bene?-
- Si. È una bella giornata.- Convenne Faith scacciando il malumore per la valigia.
    Si accomodarono vicino ad una piccola palma, sotto il tendone giallo del bar che ombreggiava l'intero marciapiede.
    Il locale non era ancora troppo affollato e nell'aria si respiravano gli ultimi momenti di tranquillità che precedevano il chiasso cittadino. Alcuni ragazzi armati di tavola da surf si stavano recando alla spiaggia parlando e scherzando sommessamente tra di loro, e Holly li salutò con la mano. Uno del gruppo le strizzò un occhio mentre gli altri due le sorrisero senza fermarsi.
- Ma chi sono?- Domandò Faith voltandosi a guardarli.
- Non lo so.- Ribatté Holly - Però, sono così carini...- Sospirò abbassandosi gli occhiali sul naso per ammirarli meglio.
- È proprio vero. Con la primavera si risvegliano gli ancestrali istinti, ma tu sei l'unico caso che li fa durare tutto l'anno.- Commentò Faith scrollando il capo.
    Dopo pochi istanti si avvicinò al tavolo una cameriera bionda con un taccuino in mano e un sorriso smagliante.
- Cosa vi porto, ragazze?-
- Per me un cappuccino e una brioche al cioccolato.- Rispose Holly distogliendo lo sguardo dai tre ragazzi.
    Faith prese velocemente visione del menu, ma decise di optare per un semplice caffè macchiato.
    La cameriera prese nota, sorrise, si infilò la penna e il taccuino in tasca per poi sparire rapidamente all'interno del locale.
- Come sta zia Becky?- Domando Holly mostrandosi preoccupata.
- Il dottor Fawcett mi ha detto che ha avuto un attacco epilettico, ma non si è sbilanciato sulle cause. Aspettiamo di vedere i risultati delle analisi. Ad ogni modo sembra che non sia nulla di grave. Probabilmente si tratta soltanto di un po' di stanchezza.-
- Bene,- Fece Holly adagiandosi sullo schienale della sedia - ora mi sento più tranquilla. Non sai che spavento quando sono entrata in casa e l'ho trovata stesa a terra.-
- Anch'io sono più tranquilla. Spero che nei prossimi giorni vada tutto per il meglio.- Si augurò Faith togliendosi gli occhiali da sole.
- Se vuoi dedicarti completamente a lei possiamo rimandare la mia festa di compleanno. Non è un problema.-
    Faith scosse la testa.
- È la tua festa, Holly, e so quanto la desideri. Avrò tempo per mia zia e per aiutare te, non preoccuparti.- La rassicurò allungando un braccio sul tavolo per prenderle la mano.
- Allora,- Disse Holly cambiando argomento - com'è andata a Cleveland? Sei riuscita a parlare con Max?-
- Beh, la faccenda inizia a complicarsi.-
- In che senso?-
- Addison, la madre di Max, sa chi sono. Ha conosciuto mio padre subito dopo l'incidente ed ora vorrebbe che fossi io a dirgli  tutta la verità.-
- Questo è davvero incredibile. E lo farai? Voglio dire, sei ancora intenzionata a farlo?-
    Una ciocca di capelli le era scivolata sul viso e Faith scosse leggermente la testa per rimandarla indietro.
- È più difficile di quanto immaginassi. Specialmente dopo quello che è successo tra di noi.-
- Di cosa parli?-
- Ieri sera noi...- Faith si mostrò in imbarazzo, ma poi sorrise ripensando alla notte precedente - Ecco, noi abbiamo fatto l'amore.-
- Ora capisco perchè non hai risposto al telefono quando ti ho chiamata.- Concluse Holly gongolante.
- Si, ma stamattina al risveglio, mi sembrava di averlo ingannato. E poi, se avessi saputo che zia Becky si era sentita male...-
- Lascia stare.- La tranquillizzò l'amica - Adesso sei qui e zia Becky sta bene. Non preoccuparti troppo. Max arriverà tra qualche giorno perciò fatti coraggio e parlagliene. Sono certa che questa brutta situazione si sistemerà.-
    Poco dopo la stessa cameriera che aveva preso l'ordinazione si ripresentò con le bevande e un piatto di dolcetti.
- Piuttosto, raccontami della tua notte di sesso sfrenato!- La pregò Holly facendosi avanti con il viso per non farsi sentire dai passanti. Il che, pensò Faith, era davvero insolito per una pazza che urlava al mondo le cose private senza rendersene conto. Il suo sguardo complice e il tono di voce facevano presumere che la ragazza anelava ad essere informata riguardo ogni dettaglio della sua serata con Max.
- È stato... bello.- Osservò semplicemente con un'alzata di spalle.
- Tutto qui?- Fece Holly stizzita spalancando gli occhi.
- Che cosa vuoi che ti dica?- Ribatté Faith facendo la preziosa. In effetti non voleva condividere niente. Avrebbe serbato nel suo cuore ogni più piccolo particolare di quei momenti magici. Raccontare ciò che era successo per lei significava non solo sentirsi defraudata, ma anche togliere intimità e complicità a qualcosa che la univa a Max fisicamente, ma soprattutto psicologicamente. Intendeva custodirla dentro di sé ed aprire la finestra su quel ricordo ogni volta che sentiva la sua mancanza e desiderava sentirlo più vicino.
- Voglio sapere dove, e come...- La stuzzicò Holly.
- Oh, niente di particolare.- Disse Faith sorseggiando disinteressatamente il suo caffè - Lo abbiamo fatto dentro ad una vecchia barca piena di muffa sulle rive del lago, in mezzo al tanfo di pesce.-
    Holly la guardò scettica e leggermente delusa.
- Sappiamo bene entrambe che non sei brava a raccontare bugie, Faith.-
    L'amica si sentì un po' in colpa. In fondo le voleva molto bene e per lei era come una sorella. Decise quindi che non sarebbe stato poi così sbagliato condividere con lei qualche particolare personale.
- D'accordo, d'accordo.- Concesse sorridendo - È stato tutto così incredibilmente romantico. Mi ha portato nella casetta sull'albero che aveva costruito da piccolo con suo padre e abbiamo cominciato a parlare. È   stato dolcissimo.-
- E?- La incalzò Holly.
- E poi abbiamo fatto l'amore.-
    Holly restò a fissarla. I suoi occhi esprimevano da soli la domanda che più le premeva.
- Non ti dirò la posizione, Holly. Scordatelo!- Esclamò Faith.  
- Ma avrete pur sfogliato quel famoso libro che dovevi regalare per Natale a zia Becky.- Insistette Holly.
- Oh, certo. Ma quella che abbiamo fatto ha un nome strano. Sai... tutti nomi indiani.- Spiegò vagamente Faith attribuendo poca importanza alla cosa.  
- E Max com'è?-
- Te l'ho detto. È stato molto dolce.- Ripeté.
- No, intendevo, com'è.-
- Com'è cosa?-
- Beh, com'è... com'è là...-
- Holly!- Sbraitò la ragazza allibita.
- Dai, dai! Poi non ti chiedo più niente. Giuro.- Promise Holly incrociando le dita sulle labbra.
- Non posso credere che ti sto parlando di queste cose.- Fece Faith stupita e divertita portandosi le mani sulle tempie - È... notevole.-
- Notevole.- Replicò Holly riflettendoci su.
    Faith alzò un dito proprio mentre l'amica stava per ribattere.
- ALT! Hai giurato che non mi avresti più chiesto niente.-
- Va bene.- Finì fingendo di chiudersi la bocca con una chiave.
- Ho conosciuto i suoi amici.- Tergiversò Faith aggiungendo altro zucchero al caffè.
- Sono simpatici?-
- Si, sono tutti molto divertenti. Ho parlato con una di loro, Lexie. Mi ha lasciata un po' sconcertata. Mi ha pure dato il suo numero di telefono.-
Holly la guardò piena di curiosità e Faith le raccontò del discorso intrapreso con la ragazza il pomeriggio precedente.
- Non ne sono certa,- Continuò - ma credo che mio padre non mi abbia detto tutto quello che c'è da sapere sull'incidente.- Le confidò Faith.
- Hai detto che Lexie ti ha lasciato il suo numero. Perchè non le telefoni?- Suggerì Holly.
- Non lo so. Sembrava non voler dire niente nemmeno a me. E, anche se volessi, il suo biglietto è rimasto nella valigia. Chissà quando la rivedrò.-
    Lo squillo del cellulare di Holly interruppe la loro conversazione, ma la ragazza, una volta visto chi la stava chiamando, decise di non rispondere.
    Faith pensò subito si trattasse del suo nuovo misterioso ragazzo e stava giusto per chiederle informazioni quando la sua attenzione fu attirata da un uomo che usciva dal Foundry.
    Una persona che conosceva molto bene e che non rivedeva da parecchio tempo.
- Jason?- Azzardò chiamandolo.
    Il ragazzo si voltò verso di lei e rispose con un largo sorriso.
- Faith!- Esclamò avvicinandosi per abbracciarla - Che piacere vederti.-
- Ti trovo bene, Jason. Davvero.- Si complimentò lei.
- Si. Ho seguito il tuo consiglio e ho deciso di smetterla con l'alcol.-
- Sono molto orgogliosa di te.-
    I loro sguardi indugiarono per qualche attimo l'uno nell'altro ed Holly, che proprio non aveva mai trovato simpatico “quell'essere”, com'era solita definirlo, decise di rispondere al telefono che non smetteva di suonare.
- Sei bellissima.- Mormorò Jason facendo arrossire Faith.
- Grazie. Sei sempre carino.-
- Senti, ora sono di fretta. Che ne dici di uscire insieme qualche volta?-
    Faith si mostrò titubante.
- Oh, stai tranquilla. Non è un appuntamento romantico. Sono fidanzato e tra non molto mi sposerò.- Dichiarò Jason.
    La ragazza tirò un sospiro di sollievo sentendosi libera dall'improvvisa sensazione di disagio.
- Anch'io sono fidanzata, ma credo che una pizza non farebbe male a nessuno. Magari potremmo uscire tutti e quattro insieme.- Suggerì per non provare sensi di colpa nei confronti di Max.
- Benissimo. Il mio numero non è cambiato.- La informò Jason - È stato un piacere rivederti, Faith. Ci vediamo.-
- Certo. Ci vediamo.- Ripeté lei con un cenno della mano.
    Jason la salutò con un sorriso e scomparve tra la gente.
    Nel frattempo Holly aveva seguito disgustata la parte finale della scena e fissava Faith con aria sconvolta.
- Non pensarci nemmeno.- La ammonì immediatamente Faith alzando entrambe le mani. Sapeva esattamente a cosa stesse pensando l'amica e sapeva esattamente che stava per dire delle sciocchezze - Ho già troppe cose di cui preoccuparmi.-
- Ho visto come ti guardava.- La rimbeccò l'amica - Conoscendolo, ti sarebbe letteralmente saltato addosso. “E' stato un piacere rivederti, Faith. Ci vediamo”.- Cinguettò imitando Jason.
    Faith scosse la testa e riprese a bere il caffè.
- È cambiato, Holly. E sta per sposarsi.-
- Frottole! Posso affermare con assoluta certezza che vuole riconquistarti.- Sostenne decisa.
    Ignorando tutte quelle assurdità, Faith decise di approfittare dell'occasione per ottenere dei chiarimenti riguardo alle sue sempre più frequenti telefonate.
- Cielo!- Esclamò Holly - Dimenticavo che, prima di tornare a casa, dovrei fermarmi in pasticceria per prenotare la torta di compleanno.-
- Holly! Avresti dovuto farlo ieri.- La rimproverò Faith - Forza, torniamo da zia Becky e poi corriamo in pasticceria.- Le disse alzandosi in piedi e rimettendo gli occhiali.
- No, no!- Si oppose Holly - Ti porterò a casa. In pasticceria andrò da sola. Tu hai bisogno di riposarti. E non dimenticare di chiamare l'aeroporto. Probabilmente qualcuno si starà divertendo a girovagare per i mercatini rionali di Marrakech con la tua biancheria intima.-
    Faith ignorò il suo spirito ed analizzò l'espressione dell'amica, giungendo alla conclusione che stava senza dubbio nascondendo qualcosa. Ma si rassegnò.
    In effetti desiderava davvero buttarsi sul divano qualche ora. Il fuso orario l'aveva innegabilmente scombussolata.
    Concluse che, ancora una volta, Holly aveva avuto la meglio su di lei.
“Scoprirò molto presto che cosa nascondi, amica mia.” Pensò, mentre Holly sfoderava un sorriso a quaranta denti.

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Capitolo 21
*** 21. L'Ultima Sera ***


Le Ragioni Del Cuore BN
R ISPOSTE ALLE RECENSIONI

Ecco a voi un altro bel capitolo, intenso e piacevole.

Ringrazio Saty per la sua sempre descrittiva e divertente recensione, e poi colgo l'occasione per ringraziarla pubblicamente di avermi sopportato personalmente per ben 55 ore (più o meno!)
GRAZIEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!

Non dimentico di dire grazie anche a chi aggiunge questa fic tra le Preferite e le Seguite. Un grazie di cuore!

In questo capitolo ho voluto inserire la struggente e romantica “I Will Always Love You” di Whitney Houston.

Buona lettura! A presto!


21. L 'ULTIMA SERA

“L'amore e la magia sono legati da un unico segreto.
 Sta a noi scoprirlo.”

    Il sabato seguente Max sarebbe arrivato a Los Angeles con l'aereo di mezzogiorno e dieci, ma Faith si stava già arrovellando il cervello per trovare un modo con cui parlargli della verità riguardo a suo padre. Se nei giorni precedenti era pienamente intenzionata a farlo, quel mattino il coraggio sembrava abbandonarla man mano che le ore passavano. Nutriva seri dubbi che sarebbe riuscita a farlo, perciò si convinse del fatto che avrebbe saputo cosa dire una volta che gli si sarebbe trovata davanti. Riteneva pressoché inutile l'uso di insensati giri di parole e di lunghe frasi preparate d'anticipo.
    Si odiò profondamente per non aver coltivato dentro di sé maggior sicurezza e soprattutto un maggior coraggio per affrontare questo genere di situazioni. Trovò di assomigliare ad una di quelle attricette prive di sangue freddo che spopolavano in televisione, e se ne rammaricò. Avrebbe voluto essere più combattiva visto il suo tormentato passato.
    Ma non era così. Lei era esattamente come sua madre: una persona che sopportava in silenzio e con grande stoicismo i propri dolori senza la forza di reagire.
    Faith era rimasta parecchio stupita, oltre che addolorata, quando se n'era andata di casa. Si chiedeva spesso come avesse fatto a non accorgersi che il rapporto tra i suoi genitori si stava deteriorando, fino al punto in cui sua madre era arrivata al tradimento. Non capiva perchè non gliene avesse mai parlato, in fondo per Faith rappresentava anche un'amica. Aveva cercato tante volte di spiegarsi perchè se ne fosse andata senza portarla con lei, ma ogni volta non era riuscita a rispondersi.
    Se solo suo padre l'avesse ascoltata, se solo l'avesse perdonata.
    Se solo...

    Ne aveva parlato nuovamente con zia Becky che, dopo quell'improvviso malore, sembrava essersi ripresa.
    Nel corso della settimana era migliorata parecchio. I risultati delle prime analisi non mostravano nulla di preoccupante e il malessere non si era più manifestato, suscitandole un grande sollievo. Anche i mal di testa erano spariti e ciò significava una preoccupazione in meno.
    Tuttavia il dottor Fawcett aveva consigliato a zia Becky di sottoporsi ad una risonanza magnetica per poter elaborare analisi ancora più dettagliate. Faith e la zia si trovarono d'accordo con lui ad effettuare una TAC, ormai certe che non sarebbe risultato niente di negativo.

    L'aereo atterrò puntuale dieci minuti dopo mezzogiorno. La sala d'aspetto del Los Angeles International Airport era affollata e Faith faticò non poco a localizzare Max.
    La gente si muoveva frettolosamente portandosi appresso borse e valige e accalcandosi davanti gli sportelli per la vendita dei biglietti, mentre una voce maschile risuonava squillante per tutto l'aeroporto annunciando i voli in arrivo e quelli in partenza.
    Alcuni uomini in giacca e cravatta attendevano il loro turno in coda alla fila di uno sportello ed ingannavano il tempo apprezzando la bellezza caraibica di due ragazze bionde poco più avanti di loro.
    In un angolo sotto al tabellone degli orari sostava un gruppetto di suore dominicane, che confabulavano  educatamente e consultavano attentamente la cartina topografica della città.
    Faith osservò un ragazzo abbracciare la sua fidanzata appena arrivata e porgerle un mazzo di fiori, baciandola come se quella fosse l'ultima volta che l'avrebbe vista.
    Avvertì un groppo in gola. Lei era davvero impaziente di rivedere Max, ma allo stesso tempo avrebbe voluto rimandare quel giorno. Provava dentro di sé emozioni in netto contrasto tra di loro e ciò la faceva sentire a disagio. Quella scomoda verità la turbava continuamente e le impediva di gustarsi quel momento come avrebbe dovuto.
    Lo vide poco dopo avvicinarsi a fatica con due grosse valige. Indossava i jeans e una maglietta nera e lei si sorprese a pensare di nuovo a quanto fosse carino. Sorrise e gli andò incontro abbracciandolo e baciandolo dolcemente.
- Mi sei mancato.- Gli confidò piano all'orecchio - Finalmente sei qui.-
- Si, e stavolta per sempre.- Sottolineò lui.
    Faith lo guardò negli occhi. Era contento e lo si poteva percepire dal suo sguardo, lo stesso di quel giorno di dicembre, quando lo aveva incontrato per la prima volta.
    Suo malgrado si rese conto che ben presto sarebbe stata lei a rovinare quella felicità che lo faceva stare bene.
- Ti do una mano con i bagagli.- Tergiversò afferrando una valigia e allontanando quei brutti pensieri dalla testa.
    Uscirono dall'aeroporto, caricarono tutto sull'auto e si avviarono verso casa.
- Come sta la zia?- Le domandò Max lungo la strada.
- Migliora di giorno in giorno. Oggi andrò a trovarla e pensavo che potresti venire anche tu. Ha detto di aver voglia di vederti. Non fa che nominarti.-
- Verrò molto volentieri. Poi però ho in serbo una sorpresa per te.- Annunciò Max con un sorriso malizioso.
- Cosa?- Fece lei voltandosi a guardarlo.
- Questa settimana ho contattato un agente immobiliare di Los Angeles. Pare abbia trovato una casetta da affittarmi a Beverly Hills.-
- Ma è fantastico!- Esclamò lei entusiasta.
- Sì. Siamo d'accordo di incontrarci tra qualche ora e sarebbe bello che ci fossi anche tu. Presto andremo a vivere insieme ed un tuo giudizio a riguardo è indispensabile per me.-
    Faith annuì.
- Se lo ritieni così importante, non mancherò di certo.-
- Per me è importante, Faith.- Ribadì lui in tono dolce ma risoluto.
    Le strinse la mano mentre guidava e sorrise pensando che ogni tassello stava finalmente prendendo posto nel grande e complesso quadro della sua vita.

    Di ritorno dalla visita a zia Becky, quel pomeriggio Max e Faith si trovarono a percorrere in auto uno dei tanti lunghi viali alberati di Beverly Hills.
    Le abitazioni che si affacciavano sulla strada erano tinteggiate di colori chiari e morbidi e non ce n'era una che non avesse un bel giardino completo di piscina.
    Case eleganti, lussuose e ben tenute donavano al quartiere più esclusivo di Los Angeles una piacevole sensazione di ordine e di benessere, di allegria e di vivacità. Tutti i vialetti secondari erano costeggiati da altissime palme dai tronchi sottili che svettavano in un cielo azzurro intenso macchiato qua e là di nuvole bianche.
- È un sogno.- Commentò Faith indossando i suoi occhiali scuri per ripararsi dall'accecante luce del sole.
- Dovremmo quasi esserci. La casa è la numero 1026.- Specificò Max rileggendo un breve appunto sopra un pezzo di carta.
- Eccola lì.- Gli fece notare lei.
    Accostarono al marciapiede, dove una donna bionda vestita di un raffinato tailleur bianco stava aspettando stringendo alcuni fogli tra le mani, e scesero dall'auto.
- Piacere.- Disse la donna andando loro incontro e porgendo la mano con un caloroso sorriso - Rebecca Stone. Lei è Max Warren, giusto?-
    Max annuì e le presentò la sua ragazza.
- Venite.- Li invitò l'agente - Vi mostro la casa.-
    Faith rimase a bocca aperta. I suoi occhi rimbalzavano tra il prato all'inglese e la stupefacente facciata dell'abitazione.
- Una casetta, dicevi, Max?- Commento sarcastica la ragazza.
    Max le sorrise.
    Varcato il grande cancello in muratura e ferro battuto la casa appariva semplice ma ben curata e rifinita nei minimi dettagli. Il suo colore giallo pastello, tipico delle villette coloniche, rendeva il tutto più intimo.
    Disposta su due piani, la costruzione presentava un'ampia scala in marmo bianco tramite la quale si poteva raggiungere la terrazza, che correva lungo tutta la parte anteriore e che poggiava su archi e colonne in pietra. Ad incorniciarla un rigoglioso giardino di palme, decine di piante verdi e curiosi fiori colorati.
    Ma, se l'esterno era strabiliante, l'interno non era da meno.
    Lo spazioso atrio si affacciava su un salotto ammobiliato di modesti e innovativi pezzi d'arredamento.
Il gioco di colori era basato sul bianco e sul nero: se si osservava il pavimento si poteva notare come fosse precisamente suddiviso in larghi quadrati di marmo di uguali dimensioni e nelle due tonalità. La sensazione era di muoversi su una gigantesca scacchiera.
    Infatti l'attenzione di Max fu subito attirata da una statua bianca di marmo alta più o meno un metro, scolpita a rappresentare una torre: immediato il suo riferimento ad una delle figure degli scacchi.
    Dopo qualche istante si voltò per ammirare il caminetto e si meravigliò: ai suoi lati troneggiavano altre due statue, il Re e la Regina, anch'esse in marmo bianco.
- Il proprietario di questa villa è un tantino eccentrico, come potrete notare.- Affermò la signorina Stone con un cenno della mano - Vive a Dublino e viene raramente qui a Los Angeles. Perciò ha chiesto di affittarla a qualcuno che possa usufruirne più di lui, specificando che potrebbe anche venderla.-
- Si, ero al corrente di questo.- Confermò Max - Stavo appunto pensando di affittarla per un breve periodo, giusto per accertarmi che risponda alle mie esigenze, e acquistarla in seguito.-
    Improvvisamente squillò il cellulare dell'agente immobiliare costringendola a scusarsi con i suoi clienti per poter rispondere.
    Faith approfittò del momento di distrazione della donna per avvicinarsi a Max.
- Sei pazzo? Questa casa ti costerà una fortuna.-
- Tranquilla. Non ci sono problemi.- La rassicurò lui.
- Stavamo dicendo, - Riprese Rebecca Stone terminata la sua breve telefonata - una volta che lei sarà sicuro di voler acquistare questa casa non le resta che passare per la nostra agenzia. Venite, vi mostro il piano superiore.-
    Visitarono ciò che restava della casa, compreso il giardino sul retro rigorosamente provvisto di piscina e una grande camera da letto con la portafinestra, poi si accordarono sulle questioni burocratiche inerenti all'affitto.
    Infine Max ottenne le tanto desiderate chiavi. Era così pieno di entusiasmo che, non appena l'agente immobiliare se ne fu andata, abbracciò Faith e la sollevò da terra facendo un giro su sé stesso.
- Tu. Sei. Un. Pazzo.- Tornò a ribadire la ragazza - Ma io ti amo per questo.-
- Io di più, amore mio.-
    Fu allora che Max si inginocchiò, le prese la mano e alzò lo sguardo fino ad incontrare i suoi occhi.
- Faith, vorrei gridare al mondo intero il mio amore per te. Tu sei la mia migliore amica, la mia anima gemella, la mia stessa vita. Perciò ti chiedo: vuoi sposarmi?-
    Faith rimase sorpresa e ammutolita: quella proposta la colse del tutto impreparata, ma lo sguardo dolce e languido di Max la intenerì, suggerendo al suo cuore un'unica risposta.
- Si, lo voglio.- Rispose solennemente.
    Lui si rialzò in piedi, le cinse la vita con un braccio e chinò la testa.
- Per sempre?-
    Faith storse un po' il naso.
- No. Che ne dici se facessimo solo per tre o quattro mesi?-
    Lui guardò il cielo, assottigliando gli occhi, e valutò la sua offerta.
- Vieni qui.- Disse lei con un sorriso.
    Lo tirò dolcemente a sé ed insieme si sciolsero in lungo e appassionato bacio.
 
    Il programma che Max aveva per la serata prevedeva una cenetta romantica sulla terrazza della villa perciò, visti i tempi ristretti e la sua scarsa destrezza in cucina, il ragazzo decise di fare due passi verso il centro, all'Hollywood Star Restaurant, e prenotare alcune pietanze particolari.
    Al ristorante una ragazza del personale gli garantì una puntuale consegna a domicilio alle 8.30.
    Realizzò che gli restava ancora un po' di tempo libero così ritenne indispensabile una veloce sosta al centro commerciale. La sua nuova casa abbisognava di alcune cose essenziali, un po' di generi alimentari e qualche prodotto per il bagno. Il resto avrebbe potuto aspettare tranquillamente, pensò Max entrando al Barney's.
    Il centro commerciale era affollato per lo più da bambini che correvano in ogni direzione col viso paonazzo tenendo in mano giocattoli, dolciumi e, talvolta, inseguiti da genitori nervosi e stressati.
    Max localizzò subito l'insegna del market vicino ad una profumeria e ci si piombò a capofitto facendosi largo tra la folla di bambini impazziti. Non riusciva davvero a capire cosa stesse accadendo finché, con la coda dell'occhio, notò alcune persone abilmente travestite da personaggi del cartoon Scooby-Doo aggirarsi tra i negozi per distribuire palloncini e leccornie.
    Una vera manna dal cielo per quei bambini, disse Max tra sé.
    Il market si presentava invece come una zona tranquilla. Un intenso profumo di frutta fresca lo ingolosì e lo convinse a comprare un po' d'uva, qualche arancia e un piccolo ananas.
    Pensò che non avrebbero di certo guastato anche una bottiglia di buon vino, del pane fresco e alcune candele per impreziosire la tavola e la terrazza.
    Proprio a fianco della scaffalatura con le candele profumate una coppia di giovani si stava baciando appassionatamente senza curarsi di chi gli stava intorno. A pochi passi da loro, Max iniziò a passare in rassegna le tipologie di candele lanciando loro un'occhiata di tanto in tanto e sorridendo.
    La ragazza aveva tutti i capelli arruffati e il ragazzo, di spalle, era piuttosto robusto e le infilava la mano sotto la maglietta.
    Max non poté fare a meno di distogliere lo sguardo. Anzi, pareva piuttosto divertito.
    Ben presto, però, il sorriso stampato sulla sua faccia lasciò il posto allo sgomento.
- HOLLY?- Azzardò guardando meglio in viso la ragazza.
    Lei si irrigidì di colpo scostandosi lentamente i capelli dagli occhi.
- Ciao, Max. Che ci fai qui?- Chiese semplicemente. Dopo un breve imbarazzo la ragazza cambiò totalmente atteggiamento ed espressione, comportandosi come se niente di ciò che aveva visto Max fosse realmente successo.
    Lui scosse la testa, ancora sorpreso di averla scoperta in quella situazione.
- Forse ci faccio la spesa?- Rispose sarcastico.
- Ah, già!- Esclamò Holly aggiungendo una risatina forzata - La spesa!-
    Nel frattempo l'altro ragazzo continuava a dar loro le spalle, quasi non si fosse accorto di nulla.
- Allora, non mi presenti il tuo fidanzato?- Le domandò Max con un sorrisetto.
    Holly parve di nuovo imbarazzata.
- Oh, fidanzato! È una parola grossa. Lui è... è... cioè, lui non è nemmeno americano.- Spiegò in un'alzata di spalle - È inutile che te lo presenti. Lui non conosce la nostra lingua. È spagnolo. Olé!- Fece Holly improvvisando un balletto di improbabili origini spagnole.
    Max sorrise ascoltandola con attenzione e con molto interesse.
- Però, in base a ciò che ho notato poco fa, mi sembra che tu conosca molto bene la sua lingua.- La incalzò Max.
    Holly scoppiò in un'isterica risata asinina.
- Spiritoso, come sempre!-
- Beh,- Fece lui avvicinandosi al ragazzo - io sono Max. Piacere di conoscerti.-
    Ancora una volta lo sgomento si dipinse sul suo volto e la bottiglia di vino che teneva tra le mani scivolò a terra schiantandosi.
- CHRIS?-
- Ciao, Max. Io sono Chris. Piacere mio.- Replicò candidamente il cugino stringendogli la mano.
    Max era completamente allibito. Prima Holly e poi Chris. Holly e Chris insieme. INSIEME?
- Ok,- Disse lentamente - qualcuno vuole spiegarmi cosa sta succedendo? Sono forse finito in un universo alternativo senza essermene accorto?-
    Chris mise subito le mani avanti e spiegò la situazione.
- Io e Holly stiamo insieme adesso.- Disse risoluto.
- Questo non l'avevo capito e ti ringrazio per la delucidazione, cugino. Avresti potuto dirmelo. Non c'è nulla di male.- Affermò Max.
- Quindi non sei arrabbiato o deluso o disgustato?- Gli chiese Holly.
    Lui ci pensò un istante per poi scuotere la testa divertito.
- No, certo che no. Ma permettetemi di essere sorpreso nel vedervi qui, così.. come dire.. allacciati? Si, “allacciati” mi sembra il termine corretto. Molto sorpreso.- Precisò con un sorriso.
    Un commesso si accorse della chiazza di vino rosso che si espandeva rapidamente sul pavimento a piedi dei tre ragazzi e corse in magazzino a prendere una pala per raccogliere i cocci di vetro e uno scopettone per pulire.
    Holly si fece avanti visibilmente preoccupata.
- Ti prego, non dire nulla a Faith. Almeno per oggi.-
    Max parve non capire i motivi di tutta quella segretezza e decise che, in ogni caso, erano affari loro.
- D'accordo.- Approvò con voce incerta - Come volete voi, ragazzi. Ma prima o dopo lo scoprirà. Sai, Holly, Faith mi ha raccontato che trascorri molto tempo al telefono quando stai con lei. Non le dirò nulla, tranquilla.- La rassicurò.
    La ragazza tirò un sospiro di sollievo.
- Grazie, Max. Ti devo un favore.- Disse baciandolo sulla guancia.
    Poi fece per andarsene, ma si voltò e lo osservò di nuovo con lo sguardo ammirato.
- Sai, non mi ero mai accorta di quanto fossi così incredibilmente bello, Max.-
- Non c'è bisogno di fare la leccapiedi, Holly.- Scherzò lui.
    Lei scoppiò a ridere e si allontanò con Chris sottobraccio, urlando.
- No, però volevo solo assicurarmi il tuo silenzio. So che basta poco perchè Faith ti faccia cantare!-
    Mentre Max sorrideva il commesso si stava dando da fare per raccogliere i cocci e lui si scusò per il disastro causato accingendosi ad aiutarlo.
- Con tutto il permesso, signore.- Mormorò il ragazzino con un cenno degli occhi - Se fossi in lei porterei immediatamente i pantaloni in lavanderia. Ce n'è una qui di fronte, appena fuori dal market.-
    Max si irrigidì immaginando già cos'avrebbe trovato una volta abbassato lo sguardo.

    Faith gli aveva detto che sarebbe arrivata un paio d'ore più tardi, quindi Max si sbrigò a disfare le valigie e sistemare gli abiti nel grande armadio della sua nuova camera da letto.
    Aprì un borsone e inaspettatamente spuntò il fascicolo della Powell & Scottsdale che il direttore gli aveva lasciato in previsione del suo prossimo affare da concludersi a Londra.
- Cavoli!- Esclamò picchiandosi leggermente la fronte con una mano - Me n'ero scordato.-
    Tutta l'euforia del pomeriggio gli aveva fatto dimenticare quel piccolo particolare. Non si trattava di qualcosa di impegnativo da dire, ma aveva comunque la sua importanza ed era corretto far presente a Faith che avrebbe trascorso un periodo in Inghilterra.
    Concluse che la cena sarebbe stata l'occasione perfetta per farlo.
    Così come, d'altro canto, lo sarebbe stata per Faith.
    Il fatto che Max le avesse chiesto di sposarlo conferiva al suo segreto maggior rilievo e dovette ammettere con sé stessa che stava diventando una situazione impossibile da gestire.
    Non poteva più tacere, non doveva più rimandare.
    Quella sera si preparò con più cura del solito. Mentre si sistemava i capelli guardò la sua immagine riflessa allo specchio e si fermò per qualche istante.
    Che razza di persona sarebbe stata se avesse continuato a tacere? E, allo stesso tempo, come si sarebbe sentita una volta parlato con Max? come si sarebbe sentito lui, piuttosto? Come avrebbe reagito?
    Aveva tanta paura. Continuava a lanciare rapide occhiate all'orologio appeso al muro alle sue spalle e ogni volta si stupiva di come il tempo trascorresse troppo velocemente.
    Quella era una di quelle situazioni in cui avrebbe tanto voluto possedere il potere di fermare il tempo. Bloccare quelle lancette che proseguivano inesorabili a segnare le ore.
    Non riusciva nemmeno ad esprimere tutta la felicità che ogni ragazza solitamente manifesta nel momento in cui le viene chiesta la mano. E le dispiaceva parecchio perchè voleva vivere quella sensazione con tutte le sue forze. Viverla fino in fondo, così da poter sentire il suo cuore battere all'impazzata senza tregua.
    Voleva vivere il suo sogno.
    Il suono squillante del telefono in salotto richiamò la sua attenzione e lei si alzò immediatamente pensando si trattasse di zia Becky. Anche se ormai era quasi in forma, stava pur sempre in ospedale e non sarebbe stata completamente tranquilla finché non fosse tornata a casa.
    Tuttavia si sorprese di sentire Holly all'altro capo del telefono.
- Ciao Faith! Tutto bene?- Domandò.
- Si.- Rispose la ragazza.
- Hai parlato con Max?-
    Faith esitò un attimo riflettendo sul perchè dell'immediatezza di quella domanda.
- Non ancora. Ha appena trovato casa a Beverly Hills e per stasera ha organizzato una cenetta romantica.     Sarà l'occasione giusta per parlargliene.-
- Bene.- Concluse Holly.
- Ma tu devi chiedermi qualcosa?-
- No. Perchè lo pensi?-
- Non saprei. Sei stata tu a chiamare.-
- Si. Volevo sapere come stavi.- Replicò Holly rimasta ai ferri corti.
- Ma ci siamo viste ieri.- Osservò Faith sconcertata.
- Non si sa mai cosa può accadere in ventiquattro ore. D'accordo. A domani, allora.-
    Holly riattaccò prima ancora che Faith potesse ribattere, lasciandola in piedi, inebetita vicino alla finestra. La sua amica appariva sempre più strana nell'ultimo periodo.
    Ma si trattava di un fatto secondario. Ogni cosa a suo tempo, pensò. Adesso doveva concentrarsi esclusivamente su Max.
    La valigia le era stata recapitata a casa dopo un paio di giorni dal reclamo e stava ancora ai piedi del letto completamente svuotata.
    Non vedeva l'ora di mettere le mani sul biglietto di Lexie, ma lo aveva cercato invano frugando in ogni tasca. Eppure era certa di averlo messo dentro poco prima di partire per tornare a casa.
    Desiderava telefonarle per ottenere ulteriori chiarimenti prima di intraprendere quel discorso con Max, ma poi, dopo un controllo più approfondito, aveva notato con rammarico che mancavano anche alcuni capi di abbigliamento e un profumo provvisorio che aveva deciso in ultimo di portare con sé. Con molta probabilità qualcuno aveva aperto il bagaglio abbandonato in aeroporto per rubare ciò che attirava il suo interesse, facendo scivolare fuori il biglietto.
- Che razza di gente circola al mondo!-  Esclamò tra sé.

- Che ti ha detto Faith? Il cugino ha già cantato?- Domandò Chris rimettendosi i boxer.
    Dopo la breve sosta al centro commerciale Holly lo aveva portato a casa sua e avevano fatto l'amore per la terza volta quel pomeriggio.
    Chris era arrivato due giorni prima e né Faith né Max erano stati avvertiti.
    La loro storia era ancora un segreto. O meglio, adesso era un segreto diviso per tre.
    Da quando si erano incontrati a New York si erano sentiti spesso al telefono e ben presto si erano accorti che non potevano fare a meno l'uno dell'altra.
    Tuttavia Holly aveva pensato di telefonare all'amica augurandosi che Max avesse taciuto come aveva promesso. E le sue richieste erano state esaudite.
- Ma domani glielo diremo. Inizia a sospettare qualcosa. Max ha detto la verità poco fa al supermercato.-     Rispose la ragazza, più rilassata.
    Si sdraiò sul letto con indosso la camicia di lui e sospirò.
- E noi glielo diremo. Vedrai, ne sarà entusiasta. Ancora non capisco perchè non gliel'hai voluto dire subito.- Fece Chris mostrandosi perplesso.
    Holly si rialzò e gli si avvicinò con movenze sensuali.
- Volevo prima essere sicura dei nostri sentimenti, Chris.-
- Questa motivazione mi aggrada.- Mormorò lui baciandole l'incavo del collo - Però non sono ancora ben sicuro dei sentimenti che ci legano. Vorrei approfondirli.-
    Holly fece un sorrisetto e gli diede un bacio sulla guancia.
- Stasera non ho impegni, bambino.-

    Quando suonò il campanello, Max aveva da poco finito di farsi una doccia e dovette legarsi un asciugamano in vita per poter andare ad aprire la porta.
    Dapprima si affacciò alla finestra e, una volta accertatosi che si trattasse di Faith, azionò il cancello automatico.
    La ragazza entrò nel cortile sorridendo.
- Ciao.- La salutò Max restando a fissarla come se non l'avesse mai vista.
    Faith si avvicinò all'ingresso guardandolo con i suoi grandi occhi color del miele. Per far risaltare lo sguardo e la carnagione ambrata aveva puntato su un trucco leggero, dai toni del ruggine e del rame, e aveva voluto cambiare il look dei suoi capelli sfoggiando un'acconciatura a onde morbide e sensuali.
    Mentre saliva i due scalini che la separavano da Max un soffio di vento le spostò una piccola ciocca sul viso e fu costretta a risistemarla con una mano.
    Un'elegante canottiera di seta nera, un paio di jeans al ginocchio e i sandali non troppo alti completavano l'opera, mentre, tra le mani, portava una torta di pasticceria accuratamente confezionata.
- Sei mozzafiato stasera.- Salmodiò Max dandole un veloce bacio.
- Questa è la tenuta con cui accogli tuoi ospiti?- Chiese lei divertita.
    Lui sorrise e allargò le braccia.
- Scusa. Sai che sono un po' lento a prepararmi.-
    Lei lo guardò da capo a piedi. I suoi occhi indugiarono sul petto ancora umido e sull'asciugamano intriso d'acqua che gli pendeva basso sulle anche in modo alquanto seducente.
    Distolse lo sguardo prima che lui se ne accorgesse e vide che era scalzo.
- Potresti mettere un paio di ciabatte, almeno.- Scherzò.
    Max scoppiò a ridere e la fece entrare.
- Non ti dispiace, vero, mettere la torta in frigorifero? Dammi cinque minuti e sono da te.-
- Vai pure a prepararti. Ci penso io.- Lo tranquillizzò Faith vedendolo volatilizzarsi.
    Era la seconda volta che entrava in quella casa e per la seconda volta ne era rimasta completamente stregata.
    Lame di luce rosso dorato entravano attraverso le tende bianche e leggere e tagliavano il pavimento creando un fitto reticolato luminoso. Le statue di marmo sembravano fissarla e seguirla in ogni suo movimento, ma questo non la spaventava assolutamente.
    Si soffermò invece ad ammirare un quadro di Monet appeso sopra il caminetto chiedendosi se fosse l'originale. Era evidente come il proprietario non badasse a spese e difficilmente si sarebbe accontentato di una copia.
    Rendendosi improvvisamente conto di avere ancora la torta in mano si diresse immediatamente in quella che sembrava la cucina e, dopo averla sistemata in frigorifero, si avvicinò alla portafinestra che dava sulla terrazza restando senza fiato.
    Il tramonto limpido spruzzato di rosa concedeva una vista favolosa su Beverly Hills e sulla costiera che si tuffava nell'oceano. Le palme sembravano disegnate con una matita nera sul cielo rosso e indaco e il canto delicato dei grilli si mescolava al rumore delle onde lontane.
    Al centro della terrazza troneggiava una tavola non troppo grande coperta da un panno di velluto rosso e apparecchiata per due persone. Vicino al cesto del pane e ad un vaso di orchidee si ergeva un candelabro d'argento a due braccia che luccicava alla fiamma di candele bianche.
    Altre candele sparse un po' ovunque sul pavimento e mescolate ai petali di rosa davano l'idea di tante stelle cadute dal cielo  profumando fugacemente l'aria di vaniglia.
    Whitney Houston “I Will Always Love You”
    Faith stava per prendere posto a tavola quando ad un tratto si udì una musica provenire dal salotto e Max comparve poco dopo sulla porta sfoggiando una camicia nera con un paio di pantaloni chiari e leggeri.
- Spero sia di tuo gradimento la voce di Whitney Houston.- Mormorò conoscendo bene i gusti musicali della ragazza, che annuì.
- La vista è semplicemente fantastica, Max.- Realizzò Faith.
- Tu sei semplicemente fantastica.- La corresse lui mentre si sistemava i gemelli della camicia - Stasera -  Continuò - starai seduta comoda a tavola perchè penserò a tutto io.-
- Sono proprio curiosa, infatti, di assaggiare i piatti dell'Hollywood Star Restaurant.- Osservò lei con l'aria da  finta ingenua.
    Max intuì che Faith doveva aver notato in cucina  la presenza di varie confezioni recanti l'intestazione del ristorante.
- Si, anch'io.- Rispose semplicemente.
    Poi le si avvicinò e le porse una mano invitandola a ballare.
    Lei accettò l'invito e si strinse a lui con gli occhi che rilucevano il sole. Cominciarono a muoversi lentamente intrecciando le loro dita e avvertendo le continue scosse elettriche attraversare i loro corpi.
    Nessuno dei due voleva parlare. Era un altro dei magici incantesimi che li avvolgeva stretti, legando i loro cuori con un nastro invisibile.
- Ricordi,- sussurrò lei - la sera che mi hai chiesto di ballare con te?-
- Come potrei dimenticarla?- Rispose lui con la sua voce profonda e penetrante - Ho capito che ciò che provavo per te era qualcosa di grande e impossibile da spiegare con le parole. Ho capito quanto sei fantastica.-
    Faith arrossì e abbassò il viso un attimo per poi tornare a guardarlo.
- Dicono che quando una persona riceve dei complimenti non dovrebbe mai ringraziare. Io dovrei fare così, non dovrei dirti grazie, ma lo faccio lo stesso. E non perchè mi sento obbligata, ma perchè sento di doverti ringraziare. Non solo per quello che hai detto. Sei tu che mi fai sentire così, Max. sei tu che riesci a tirare fuori da me qualcosa che praticamente nessuno riesce a fare. E questo lo avverto ogni volta che sono con te.-
    Max annuì in silenzio e Faith gli accarezzò il viso.
- Questo voleva essere un discorso piuttosto lungo per dirti soltanto una cosa.-
    Lo guardò con attenzione negli occhi che brillavano di una luce verde ricordandole due piccoli smeraldi e sussurrò - Ti amo, Max Warren. E non potrei mai smettere di farlo.-
    Lui sorrise. La sua tenerezza gli stringeva il cuore e lo attirava a lei come una calamita. La strinse forte tra le braccia e immediatamente percepì l'inebriante profumo dei suoi capelli e della sua pelle morbida.
    Un'improvvisa e tiepida brezza marina fece tremare le esili fiamme delle candele rubando, leggiadra, l'aroma della vaniglia.
    I loro visi erano vicini. I respiri caldi e umidi. Chiusero gli occhi ed avvicinarono le labbra fondendosi in un bacio. Ma non un bacio qualunque. Un bacio focoso e appassionato che, nel suo romantico silenzio, gridava l'amore vero.

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Capitolo 22
*** 22. Aria Di Tempesta ***


Le Ragioni Del Cuore BN
R ISPOSTE ALLE RECENSIONI
 
Ciao a tutti!
Inizio subito dicendo che quest'oggi ricorre un evento importante che io intendo rendere pubblico. La mia personal-beta compie gli anni!! Quindi tantissimi cari auguri di buon compleanno, Monic, alias Mozzi84! Ti voglio tanto tanto bene! (Mi fermo qui poiché ella è un po' restia a queste pubbliche manifestazioni di affetto...).  
Ringrazio tanto Saty per la sua costanza nel recensire sempre con puntualità e attenzione ai particolari di ogni mio capitolo e ringrazio anche chi legge in  silenzio.
Con questo capitolo giungiamo ad una nuova svolta che spero vi incuriosisca e vi piaccia.
A presto!
Marco


22. A RIA DI TEMPESTA

    L'alba giunse tingendo il cielo e l'oceano Pacifico di un intenso colore arancione macchiato d'azzurro  mentre il sole emergeva silenzioso dall'acqua dorando le creste dei marosi che arrivavano da lontano, spinti dai venti dell'est.
    Faith si risvegliò tra le braccia di Max, stretta al suo corpo nudo e caldo. Scese dal letto guardandosi dal non fare troppo rumore, si coprì con la sua camicia, che le cadeva larga sui fianchi, ed uscì sulla terrazza.
    Le candele si erano ormai consumate e una brezza calda spirava tra le affusolate foglie delle palme alimentando un assonnato e monotono fruscio.
    Faith si sedette a terra con la testa appoggiata al muro e fissò il cielo, coccolata dal profumo della camicia di Max.
    Era sempre stata dell'opinione che ogni aurora ed ogni tramonto assumessero un colore diverso, anche se a prima vista non si notava alcuna differenza. L'unico modo per scoprirlo era osservare il cielo attentamente e coglierne ogni sfumatura, ogni striatura, ogni tonalità. A volte era tinto di un bell'arancio vivo, altre volte assomigliava all'oro. Altre ancora risplendeva di un porpora quasi unico, mescolato al viola, ricercato e imitato dai pittori di ogni tempo.
    Ma in quel momento Faith non avrebbe saputo definire in modo dettagliato i suoi colori. Non era predisposta ad individuare le differenze.
    Aveva ammesso a sé stessa che non sarebbe riuscita a dire a Max il suo assurdo segreto e questo le rodeva dentro stringendole lo stomaco come una morsa. L'aver fatto di nuovo l'amore con lui significava averlo ingannato e se glielo avesse detto lo avrebbe perso. Non poteva accettarlo.
    Una lacrima le segnò la guancia lasciando una scia brillante e sottile mentre un nuovo giorno stava per cominciare.

    Dalla cucina un delizioso profumo di torta e di caffè obbligò Max a scendere dal letto non appena ebbe aperto gli occhi.
    Faith era intenta a preparare la colazione e stava giusto spremendo qualche arancia quando lui le piombò alle spalle spaventandola a morte.
- Buongiorno.- Le sussurrò all'orecchio cingendole la vita con le braccia e baciandola sul collo.
- Se continuerai così non avrai altri “buongiorno” da augurarmi.- Lo rimproverò lei fingendosi arrabbiata.
    Lo baciò a lungo. Con i boxer e la canotta bianca che evidenziava le sue spalle larghe le veniva impossibile lasciarlo andare.
- Oggi ci sarà il compleanno di Holly ed io mi sono scordato di farle un regalo.- Ammise dispiaciuto il ragazzo.
- Tranquillo.- Disse Faith - Ho pensato a tutto io.-
    Max prese una tazza dalla credenza e si versò un po' di spremuta d'arancia sedendosi a tavola di fronte a lei.
- Sei davvero un tesoro, ma non mi piace l'idea di presentarmi a mani vuote.- Obiettò assaggiando una fetta di torta - Magari faccio un salto dal fiorista più tardi.-
    Faith stava in piedi appoggiata al bancone della cucina e reggeva la sua tazza con entrambe le mani. Mentre Max cercava di elaborare qualche idea per il regalo di Holly, lo fissava con lo sguardo, ma la mente vagava altrove, combattendo contro la convinzione di dovergli dire tutto in quel preciso istante.
    Posò delicatamente la tazza sul piano del tavolo, si sedette e afferrò le mani di Max interrompendo il suo discorso, involontariamente tramutatosi in un monologo.
- Max.- Lo richiamò gravemente.
    Lui distolse lo sguardo dalla torta e la fissò smettendo di masticare.
    Faith iniziò a tentennare. La resa dei conti era arrivata e stava lì davanti a lei, sogghignandole beffarda.     Bastava solo pronunciare poche parole. Poche, ma difficili parole. Le più complicate che avesse mai dovuto dire fino a quel momento.
    Non sapeva da che parte cominciare e si trovò spiazzata mentre lui continuava a guardarla con quei suoi occhi verdi mettendole addosso un'ansia insopportabile.
- Io devo dirti una cosa molto importante.-
- Ti ascolto.- La incoraggiò Max mostrandosi preoccupato, proprio nello stesso istante in cui squillò il cellulare di Faith, che sospirò, grata di essere stata salvata da quella situazione. Rispose sotto gli occhi curiosi di Max e riattaccò poco dopo.
- Era Holly.- Spiegò tentennando - Ha urgente bisogno di me. Sai com'è Holly. Guai lasciarla sola per troppo tempo.- Tergiversò con un sorriso forzato.
- Ok, vai pure. Ma quella cosa di cui mi parlavi...- Insistette lui.
- Ne parleremo stasera con più calma. Non è nulla di così urgente. Tornerò presto, vedrai.- Lo rassicurò Faith baciandolo sulla guancia per poi fuggire in camera a vestirsi.
    Richiuse la porta della stanza dietro di sé e le si appoggiò contro con la testa inclinata all'indietro e gli occhi chiusi facendo un profondo respiro.
- Non posso continuare così.- Mormorò avvertendo di nuovo quella dolorosa fitta allo stomaco.

    Quella di Holly era una tipica festa hollywoodiana. La sua casa, o meglio, la sua villa, era situata vicino ad un crepaccio a strapiombo sul Pacifico e permetteva una vista a trecentosessanta gradi su tutta Santa Monica e sulla spiaggia di Venice.
    Holly viveva ancora con i genitori che, a causa del loro lavoro, erano stati poco presenti nella sua vita, ma lei ci aveva ormai fatto l'abitudine. Con un maggiordomo, una cameriera, un giardiniere, un campo da golf e una piscina chiunque si sarebbe abituato facilmente.
    Ma lei non era affatto una di quelle ragazzine viziate di Malibù o della vicina Laguna Beach che si vantavano delle ricchezze dei loro padri e che trascorrevano le giornate stese al sole a fare gli occhi dolci all'istruttore di nuoto.
    Holly era una ragazza normale, sensibile, intelligente e gentile. D'accordo, ogni tanto aveva qualche idea bizzarra, ma si trattava soltanto di un valore aggiunto che la rendeva ancora più simpatica.
    Purtroppo, a dispetto delle sue previsioni, la giornata non prometteva sole con quaranta gradi all'ombra: oltre le colline, appena poco più su dell'orizzonte, si stagliava un grosso cumulo di nubi violacee che sembrava avvicinarsi sempre più rapidamente nel cielo plumbeo. Ma, nonostante il tempo, nessuno degli invitati pareva aver rifiutato il suo invito.
    Il grande giardino era pieno zeppo di gente che si spostava dal generoso banchetto, allestito sotto il gazebo, alla piscina, fino a raggiungere l'ampia terrazza sospesa sul mare.
    E gli invitati continuavano ad arrivare a frotte. Ad insaputa di Faith, Holly sembrava aver invitato l'intera costa pacifica.
- Holly.- La chiamò perplessa la ragazza facendo il suo ingresso al fianco di Max - Ma cosa sta succedendo qui? Non saprei a cosa pensare se non ad un rave party.-
- Faith! Max! Siete arrivati!- Urlò Holly correndo loro incontro.
    Max le porse un mazzo di svariati e coloratissimi fiori.
- Non dovevi, Max. Grazie.- Gli disse baciandolo sulle guance.
- Ecco, io non sapevo quali fossero i tuoi preferiti, perciò...-
- Questi sono bellissimi. Li adoro!- Gli assicurò Holly.
    Poi si rivolse a Faith, ancora in attesa di una risposta con le braccia conserte.
- Si, ecco Faith. Ho voluto invitare tre o quattro amici in più...-
- Solo tre o quattro? Non mi stupirei di trovarci l'intero cast di Titanic! Spero almeno che tu abbia aumentato le dimensioni della torta!- Si augurò Faith.
    Holly si portò rapidamente una mano alla bocca.
- LA TORTA!-
    Faith la guardò sbigottita.
- Cosa vuol dire “la torta”? Dov'è quella dannata torta, Holly?
- Ho dimenticato di ritirarla...- Ammise dispiaciuta.
- Stai scherzando?- Le domandò Faith tra il serio e il faceto - Ma dove hai la testa in questi giorni?-
    Udendo quelle parole, Max si lasciò sfuggire una risata sotto i baffi e, per non darlo a vedere, tossicchiò fingendo di guardarsi un po' attorno.
- Potresti andare tu a ritirarla, Faith? Per favore!- La implorò Holly - Io non posso muovermi di qui. Devo accogliere gli ospiti, servire le tartine, versare lo spumante, spettegolare...-
    Faith spalancò gli occhi e la bocca.
- Se vuoi ti accompagno, amore.- Si offrì volontario Max.
- No, no!- Intervenne prontamente Holly - Max, tu mi servi qui, adesso. Devi aiutarmi a finire di sistemare le sedie vicino al gazebo.-
    Il ragazzo non aggiunse altro, ammutolito, e si rimangiò mentalmente la sua proposta.
- Faith, usa pure la mia auto, che è spaziosa e la torta starà più comoda. Pippo verrà con te e ti darà una mano.- Pianificò celermente Holly.
    Faith passò il suo sguardo sconcertato da Max a lei.
- Pippo?-
- Si.- Confermò l'amica - È il mio nuovo cameriere. Adesso te lo chiamo.-
    Si infilò due dita in bocca e con un sibilante fischio ammutolì l'intero giardino.
    Pippo, un tipetto piuttosto inusuale di origini portoricane dalla bassa statura e dalla carnagione scura, si fece rapidamente largo tra la folla e ascoltò attentamente ciò che Holly aveva da dirgli.
    Impartitogli l'ordine, la ragazza prese Max sottobraccio e gli spiegò dettagliatamente come desiderava che le sedie venissero sistemate mentre Faith, ancora allibita, si avviò verso il garage con Pippo che la seguiva silenziosamente.

    Max terminò di sistemare le sedie mentre Holly si era dileguata per l'ennesima volta dopo aver notato del fumo nero uscire da una delle finestre della cucina, così pensò di perlustrare la zona con lo scopo di sottrarsi agli sguardi interessati di un paio di ragazze che lo stavano fissando ininterrottamente da quando si era messo al lavoro nei pressi del gazebo.
    Piuttosto imbarazzato, approfittò di un loro momento di distrazione ed attraversò il giardino per raggiungere la grande terrazza sull'oceano. Si appoggiò al parapetto di freddo marmo rosato, intervallato da piccole palme in vaso dalle foglie verdissime, che aggiungevano un tocco di eleganza sofisticata all'immensità della villa.
    Sopra di lui il cielo pareva spaccato a metà: da una parte il sole sfolgorante gettava sull'acqua i suoi fasci di luce bianca; dall'altra uno strato viola e minaccioso si imponeva prepotentemente lottando contro il bel tempo per invadere gradualmente l'altra metà del cielo.
    Max fissò un puntino rosso in lontananza e ipotizzò si trattasse di una boa.
- Sei qui, Max.- Lo sorprese Holly avvicinandosi - In cucina è tutto sistemato. Il pollo arrosto ha rischiato grosso.- Si lamentò sarcasticamente.
    Il ragazzo ridacchiò e poi riportò la sua attenzione al puntino rosso che danzava nel grigio sconfinato.
- Cos'è quello sguardo?- Gli chiese scorgendo in lui una certa preoccupazione - Dovresti essere contento. Faith ieri mi ha raccontato della casa in cui andrete a vivere insieme.-
- Si, è fantastica.- Affermò lui senza mostrare rancori.
- Ma c'è qualcosa che non va, giusto?-
    Max annuì e si strinse nelle spalle accigliandosi.
- No, è tutto ok. Ma prima io e Faith dovremmo parlare di una cosa.-
    Alludeva al fatto di non aver ancora accennato alla sua ragazza che di lì a pochi giorni sarebbe dovuto partire per l'Inghilterra.
    Holly si rimandò una ciocca di capelli e posò le braccia sul parapetto sospirando. Ammirò l'oceano e la sua imponenza. I marosi spumeggianti stavano crescendo e si infrangevano violentemente contro la scogliera con potenti spruzzi d'acqua.
- Max, non sentirti tradito. Faith non ne ha colpa.-
    Il ragazzo la osservò con lo sguardo perplesso.
- Insomma, si tratta di una cosa successa tanto tempo fa, e tu lo sai meglio di me. Mi dispiace per tuo padre e credimi, anche Faith ci sta malissimo. Non sai quanto coraggio si sia dovuta fare per riuscire a dirtelo.-
    Max si sforzò invano di capire a cosa stesse facendo riferimento.
- Ma Holly... Di che cosa stai parlando? Cosa avrebbe dovuto dirmi Faith?-
    Holly assunse un'espressione di stupore e sorrise nervosamente.
- Come? Faith non ti ha detto...- Cominciò a gesticolare e a scuotere la testa rendendosi conto che Max non era a conoscenza di niente.
    Si voltò appoggiandosi con la schiena alla balaustra e si portò una mano sulla fronte consapevole di aver creato un bel guaio.
- Faith mi ha detto che te ne avrebbe parlato ieri sera a cena. Santo cielo... Non l'ha fatto?-
    Max continuava a guardarla sempre più preoccupato immaginando in ogni angolo della sua mente le cose più assurde. La tensione lo colpì al petto e improvvisamente si sentì la gola secca. Deglutì.
- Che cosa, Holly? Cosa deve dirmi Faith?-
    Mortificata, Holly alzò lo sguardo verso di lui e si sentì in trappola. Scrollò le spalle cercando di apparire il meno drammatica possibile.
- Max, non è niente di importante. Te ne parlerà lei di persona appena ritorna.- Riuscì a balbettare avviandosi verso il gazebo.
    Lui esitò un attimo e la seguì parandosi davanti e costringendola a parlare.
    Holly tacque per qualche istante, in cui si maledì di non aver tenuto la bocca chiusa. Ma ormai il danno era stato fatto. Inspirò profondamente e lasciò che le parole uscissero liberamente.
- È stato Brian a causare l'incidente di tuo padre, Max.-
    Il volto del ragazzo mutò totalmente espressione. In principio sembrava non aver compreso il significato di quella frase ed impiegò qualche istante a capirlo.
    Quando Holly si portò entrambe le mani sulla bocca, lui le fece un sorriso tirato che non aveva niente a che vedere con la felicità, poi si voltò lentamente quasi a voler cercare un altro senso. Ma la verità era che non esistevano altri significati. Brian aveva ucciso suo padre. Questo rivoluzionava il pensiero che aveva accompagnato la sua esistenza per dieci anni e che rappresentava l'unica certezza in cui lui avesse mai creduto. Si rifiutava categoricamente di credere a Holly, ma allo stesso tempo tutto cominciava ad avere un senso logico.
    Fu allora che il suo mondo si capovolse irrimediabilmente con la sua spietata crudeltà e la verità lo colpì in pieno viso come uno schiaffo.
    Completamente frastornato e confuso si diresse verso l'uscita della villa ignorando i continui e disperati richiami di Holly.
    Il suo unico desiderio era quello di andare il più lontano possibile da lì.

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Capitolo 23
*** 23. Addio Max ***


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R ISPOSTE ALLE RECENSIONI

Ciao a tutti!
Sto per pubblicare un nuovo capitolo, un po' “brutto” per il contenuto, ma spero che, per chi legge, sia bello.
Ho inserito una canzone che mi sembrava adatta per il risvolto del romanzo. È Jann Arden con “In Your Keeping”.
Grazie a Saty, Mozzi84 e a chiunque legge in silenzio!
A presto!



23. A  DDIO, MAX

    Alla guida della sua Land Rover Faith realizzò in un istante che si trattava di certo del periodo più piovoso che lei ricordasse dal giorno del suo arrivo in California. La costa occidentale degli Stati Uniti era conosciuta per il bel tempo che durava tutto l'anno.
    Si sforzò di sorridere. “Altro che bel tempo,” pensò “sembra di essere a Londra.”
    Per sua fortuna la strada principale era poco trafficata e questo le permise di accelerare incurante dei limiti di velocità. Era preoccupata e non le importava della sua incoscienza nella guida. Voleva disperatamente raggiungere Max.
    Lui adesso era a conoscenza di ogni cosa, ma il fatto che lo avesse saputo da qualcuno che non era lei poteva soltanto aver peggiorato la situazione.
    Lungo la strada fu costretta a fermarsi al rosso di un semaforo. Continuava a picchiettare nervosamente le dita sopra il volante e le sembrò che il verde ci mettesse un'eternità ad illuminarsi. Per qualche secondo desiderò che non si accendesse mai. Ecco l'ennesimo momento della sua vita in cui avrebbe tanto voluto possedere il potere di fermare il tempo. Non sapeva cosa sarebbe successo una volta giunta a casa. Avrebbe trovato ancora Max oppure se  n'era andato senza dirle niente?
    “No. Max non è quel tipo di persona che prende e se ne va.”
    Non lo aveva trovato alla villa, quindi stava di certo aspettandola a casa sua. Ma cosa gli avrebbe detto? Sentiva dentro di sé che ogni scusa sarebbe stata inutile: si trattava di un errore troppo grande per ottenere il suo perdono, ma confidava nel suo buon senso e nella sua infinita comprensione e bontà.
    Gli balzò il cuore in gola e si rosicchiò un'unghia, assalita dall'ansia.
    Non appena scattò il verde ingranò la marcia e partì con una potente sgommata. Oltrepassò un cartello stradale che recava la scritta “St. Alexander” con le miglia che mancavano per raggiungerla, e la mente la riportò indietro a quel giorno sulla spiaggia. Cercò di collocare temporalmente tutti i bei momenti che aveva condiviso con Max. Erano davvero tanti. Il tempo trascorso insieme a lui era volato ed ora le sembrava appeso ad un filo pronto a spezzarsi per svanire nel vuoto.
    Lo sguardo magnetico che l'aveva stregata quel pomeriggio di dicembre era stato l'inizio di tutto. Pregò Dio di non dover dire che ne sarebbe stato anche la fine.
    Il cielo ormai era uno strato di nuvole impenetrabili che preannunciavano un violento temporale e sul parabrezza cominciavano già a cadere le prime gocce di pioggia, spazzate via per l'elevata velocità dell'auto.
    In lontananza iniziò a farsi vedere la spiaggia di Santa Monica e, dopo pochi chilometri, anche la sua casa.
    Faith la raggiunse in un batter d'occhio svoltando nel vialetto d'ingresso. Scese dall'automobile e s'incamminò rapidamente verso l'entrata, ma si bloccò di colpo non appena scorse Max seduto in veranda con i gomiti sulle ginocchia e le mani giunte.
    Lui la stava osservando con i muscoli del viso contratti e gli occhi verdi spenti che trasmettevano rabbia e delusione.
    La ragazza si ghiacciò mentre lo fissava attraverso i vetri della veranda. Riprese a camminare facendosi coraggio ed entrò chiudendosi la porta alle spalle. Notò subito un borsone ai piedi della sedia su cui era seduto.
- Lì dentro ci sono le ultime cose da portare nella nostra casa?- Mormorò con un sorriso dispiaciuto indicandogli la valigia.
    Max fece un profondo respiro. C'erano tante che cose che avrebbe voluto dirle in quegli istanti ma il cervello gli si era svuotato e provò un improvviso senso di fastidio a trovarsi di fronte a lei.
- No. Ci sono le ultime cose da portare via da qui.-
    La guardò negli occhi aspettando spiegazioni. Faith sentì il cuore gonfiarsi di dolore e abbassò lo sguardo giocherellando con le dita tremanti. Sentì venirle le lacrime agli occhi e si sforzò di cacciarle indietro. Stava ancora in piedi vicino alla porta pervasa da un'imbarazzante sensazione di vergogna e di rimorso.
- Allora, Faith?- La richiamò lui in tono distaccato - Cosa aspettavi a dirmelo?-
- Max.- Esordì facendo un passo avanti - Mi dispiace. io...-
- Tu mi hai mentito, Faith.- La interruppe scandendo ogni singola parola. La sua voce era un misto di tensione e di dispiacere - Mi hai mentito per tutto questo tempo. Mentre io mi fidavo di te, tu mi nascondevi un segreto così importante. Come hai potuto, Faith? Come?-
    Si alzò in piedi stringendo i pugni e la sua espressione si fece dura.
    Lei non lo aveva mai visto così nervoso e si accorse che l'atteggiamento del ragazzo nei suoi confronti era radicalmente cambiato, come dal giorno alla notte.
- Max, non sapevo come dirtelo. Lexie aveva già provato a dirti la verità, ma tu non l'hai voluta ascoltare.-
- Ma con te è diverso!- Esclamò voltandole le spalle.
- E che differenza fa? Mio padre adesso è in carcere e sta pagando per quello che ha fatto. Non puoi gettare su di me tutte le colpe.-
    Max la scrutò di nuovo prima di afferrarle le spalle e scuoterla.
- Avresti dovuto dirmelo, Faith! Riguarda noi due! Lo capisci?- Sbraitò in preda alla collera.
- Mi dispiace.- Sussurrò lei con la voce rotta dal pianto e l'angoscia che le annodava lo stomaco - Ma cerca di capire la mia posizione.-
- Capire? Capire la tua posizione?- Ripeté lui incredulo sorridendo con sarcasmo e inarcando un sopracciglio. La lasciò andare sforzandosi di trovare un senso logico in quell'affermazione. Il suo cuore si fece di pietra e innalzò dentro di lui ogni barriera di difesa.
- Perdonami se non riesco proprio a capire la tua posizione. Aspettavi di sposarmi per dirmelo?-
    Faith abbassò nuovamente lo sguardo.
- Guardami in faccia!- Le gridò Max.
    Lei lo guardò scostandosi una ciocca di capelli dal viso. Aveva gli occhi arrossati e le labbra increspate. Avvertiva i muscoli rigidi rifiutarsi di reagire.
    Nel pesante silenzio che li avvolgeva soltanto il picchiettare della pioggia sul tetto in legno della veranda si faceva sentire.
    Max fece vagare lentamente lo sguardo verso la spiaggia e tornò a sedersi con il viso tra le mani. Era chiaro che Faith non gliel'avrebbe mai detto. Questo suo comportamento lo stava ferendo come una lama che sferra colpi su colpi, continuamente e senza sosta.
    Lei si sentì impotente. Avrebbe voluto fare qualcosa per sistemare tutto, ma comprese che era troppo tardi. Si avvicinò a Max tentando di essere più convincente nelle scuse, ma lui la bloccò con un gesto della mano.
- Allora, ti interessavano i miei soldi?- Le chiese freddo - Oppure sono stato l'ennesimo ragazzo che ti sei portata a letto e ciò che è successo tra di noi non ha alcun significato per te?-
    Faith non credette alle sue orecchie.
- Come puoi dire una cosa simile?-
    Sentendosi ferita nel cuore e nell'orgoglio all'improvviso si sentì ribollire di rabbia e d'istinto gli diede uno schiaffo. Ma si portò subito una mano alla bocca, pentita di quel suo gesto immaturo e volgare. Non aveva mai alzato un dito su nessuno ed ora aveva schiaffeggiato la persona che più amava al mondo.
    Lui l'aveva incassato senza batter ciglio volgendo la testa verso l'oceano, quasi non lo avesse neppure sentito. Gli era chiaro che, vista la situazione, nessuno dei due era più in grado di ragionare con fermezza.
    Faith gli si sedette accanto esalando un lungo respiro, affranta per il modo drammatico con cui si era evoluta la loro relazione. Giunse al triste epilogo che niente sarebbe tornato come prima. Tutto stava cambiando e lei doveva adeguarsi, che l'avesse voluto o meno.
- Max, per me conta moltissimo il rapporto che abbiamo. Ti prego, dimmi se c'è qualcosa che posso fare per farti stare meglio.-
    Max la guardò e le disse - Sì, c'è qualcosa che puoi fare.-
    La ragazza sospirò sentendosi sorprendentemente più sollevata.
- Vorrei che ti togliessi quell'anello dal dito.- Dichiarò imperturbabile.
Jann Arden “In Your Keeping”
- Come, scusa?-
- Hai capito bene, Faith.- Affermò risoluto - Togli quell'anello. Non ho nessuna intenzione di sposare una bugiarda.-
    Faith rimase immobile riflettendo su quelle parole mentre lui si alzava in piedi e afferrava il borsone mettendoselo a tracolla, pronto per andarsene.
- Max.- Lo richiamò Faith in lacrime.
    Lui si fermò sull'uscio senza voltarsi.
- Non puoi farlo. Non puoi andartene così.- Singhiozzò.
- Perchè?-
- Perchè io... io...-
    Max alzò una mano facendole intendere che non avrebbe dovuto terminare la frase.
- Non dirlo, Faith. Non dire ciò che non pensi veramente.-
    Un taxi fece la sua apparizione nel vialetto e il ragazzo uscì sotto una fitta cortina di pioggia senza nemmeno cercare di ripararsi.
    Dietro di lui la porta si richiuse con un tonfo, spinta dal vento, e Faith rimase immobile e priva di forze finché non lo vide aprire la portiera dell'auto, accingendosi a salire.
“No,” pensò “non può finire così.”
    Corse fuori sbattendo la porta e lo raggiunse, avvertendo la pioggia ed il vento sferzarle violentemente il viso.
- Max, io ti amo! Ti amo più di ogni altra cosa al mondo!- Urlò cercando di sovrastare il rombo dei tuoni.
    Max si voltò e lei poté guardare in profondità i suoi occhi. La fine di tutto. Non capiva se le gocce che rigavano il suo viso fossero lacrime o la semplice pioggia.
- E io invece ti odio.- Affermò con una voce ferma che non lasciava trapelare nulla.
    Quelle parole colpirono Faith come il gancio di un pugile.
- Non dire ciò che non pensi veramente.- Ribatté scrollando la testa e usando le stesse parole che Max aveva pronunciato poco prima.
    Il ragazzo non replicò e salì sul taxi. Sotto un'argentea coltre di pioggia i loro sguardi indugiarono ancora per poco l'uno nell'altro prima che l'auto partisse.
    Faith rimase a fissare il taxi che si allontanava portando via il suo cuore. Immobile sul vialetto di casa, con i capelli e gli abiti inzuppati di pioggia, rigirò l'anello che ancora portava al dito, e pianse.
- Addio, Max.- Sussurrò.

    ADDIO
    Un'espressione di saluto nel lasciarsi. Abbandonare o essere abbandonati da qualcuno per sempre.
    Così spiega ogni dizionario.
    Una parola, un concetto che Faith non poteva sopportare. Non riusciva più ad accettare di  essere continuamente abbandonata.
    Troppo dolore, troppe perdite avevano sconvolto la sua infanzia, e l'aver perso Max la riportò indietro nel tempo rievocandole tristi ricordi.
    Rientrando in casa notò un pezzo di carta stropicciato sul piano del tavolo della cucina. Lo prese e immediatamente il battito cardiaco accelerò. Aveva riconosciuto quel biglietto che aveva tanto cercato negli ultimi giorni. Capì che era caduto nella stanza da letto a casa di Max e lui lo aveva ritrovato fingendo che non avesse avuto alcun valore.
    Tanto non aveva più senso chiamare Lexie. Lui se n'era andato esattamente come aveva fatto con lei molti anni prima.
    Si sedette ai piedi della porta abbracciandosi le ginocchia. Con gli occhi arrossati e lo sguardo perso nel vuoto sentiva un freddo che niente avrebbe potuto sconfiggere. Un misto di angoscia e di incredulità la riempiva dentro e la faceva stare male.
    Soltanto poche ore prima era tutto perfetto. La sua vita era perfetta. Poi era arrivato qualcosa che si era portato via ogni cosa prima ancora che lei riuscisse a rendersi conto di ciò che stava realmente succedendo.
    E improvvisamente il mondo intorno a lei sembrò muoversi al rallentatore amplificando la sua sensazione di smarrimento.

    Era piovuto per tutto il pomeriggio e soltanto poco prima del tramonto faceva capolino un sole limpido e luminoso tra la linea dell'orizzonte e una grossa nuvola blu striata di rosa. I suoi ultimi raggi perforavano il cielo ed insistevano a donare ancora un po' di calore alle spiagge di Los Angeles.
    Malgrado tutti gli sforzi, però, non sarebbero riusciti a riscaldare il cuore di Max, che guardava il mondo stando in piedi sulla terrazza della villa. Un mondo che non era il suo ed al quale lui sentiva di non appartenere più.
    Che senso avrebbe avuto restare?
    L'indomani sarebbe partito per Londra ed una volta tornato negli Stati Uniti avrebbe richiesto il suo impiego a New Orleans.
    Questo divenne il suo principale obiettivo. Non voleva mai più tornare in California. Non voleva mai più rivedere Faith.
    Il fatto che lo avesse ferito profondamente era un motivo più che sufficiente per andarsene.
    Si sentiva diverso. Per tutta la vita aveva cercato di non pensare all'incidente che uccise suo padre concentrandosi esclusivamente sull'affetto che provava nei suoi confronti. Non era più presente fisicamente, ma era rimasto sempre vivo nel suo cuore nonostante la morte li avesse separati.
    Quante notti aveva pianto convinto di aver perduto una parte di sé stesso. Ciò che provava in quei momenti era un dolore che in molti credono di conoscere, ma soltanto chi lo ha vissuto riesce a percepirne il profondo e complesso significato.
    Ma ora aveva saputo tutta la verità. E voleva soltanto fuggire via.
 
    Trascorse un'ora da quando se n'era andato.
    Faith si era chiusa in casa, con gli occhi doloranti, incapace di versare una sola lacrima. E questo la faceva stare ancora peggio perchè non conosceva altro modo per potersi sfogare. Avrebbe potuto distruggere qualcosa, ma capì che non sarebbe servito a molto se non a placare la sua rabbia per aver agito in modo sbagliato. Sapeva perfettamente che sarebbe andata a finire così, ma non aveva fatto nulla per cercare di impedirlo. Anzi, aveva soltanto peggiorato le cose.
    La sua vita era stata tutto uno sbaglio e adesso si sentiva inutile come non si era mai sentita.
    Si stava faticosamente rialzando in piedi per potersi buttare sul divano quando il telefono prese a squillare. Dapprima pensò di non rispondere. Non era proprio dell'umore adatto. Poi il suo pensiero andò a zia Becky ed afferrò la cornetta senza esitare.
    Era il dottor Fawcett e, dal tono della voce, Faith intuì che stava accadendo qualcosa di grave. Pochi attimi dopo crollò anche l'ultima cosa veramente bella che le restava nella sua vita.
    A Zia Becky era stato diagnosticato un tumore al cervello.

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Capitolo 24
*** 24. La Fine Di Un Giorno Da Non Rivivere ***


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R ISPOSTE ALLE RECENSIONI

Ciao a tutti!
Eccomi con la pubblicazione dell'ultimo capitolo prima della pausa in occasione delle festività!
Voglio annunciare che la pubblicazione del capitolo 25 avverrà VENERDI 21 GENNAIO 2011.
Ringrazio tutti coloro che in questo primo anno di pubblicazione hanno recensito la mia storia e mi auguro che con l'anno nuovo il numero dei lettori aumenti!
Un ringraziamento speciale va a Sabrina, che non manca una sola recensione, e a Monica, la mia beta!
Auguro a tutti i lettori di trascorrere belle feste e di cominciare un anno nuovo migliore di questo!
A presto!
MM

Per questo capitolo ho scelto una canzone leggera... S'intitola “You're Not Sorry” di Taylor Swift.
Spero che vi piaccia!
Ditemi cosa ne pensate anche della nuova cover da me realizzata!

24. L A FINE DI UN GIORNO DA NON RIVIVERE

- Dev'esserci una cura, dottor Fawcett. Farmaci, terapie, qualcosa deve pur esserci.- Osservò Faith sforzandosi di restare composta mentre cercava di convincere il medico in ogni modo.
    Appena appresa la notizia la ragazza si era precipitata in ospedale. Doveva avere un aspetto orribile, aveva pensato chiudendo la porta di casa, ma non le importava. Niente ora era più importante di zia Becky. Niente e nessuno.
    Nello studio del medico le sembrava di impazzire. Un attimo prima si sentiva le guance in fiamme e la fronte accaldata provando un fastidioso senso di claustrofobia; quello dopo avvertiva un freddo pungente penetrarle nelle ossa unito al bisogno di non uscire dall'ufficio.
    Erano successe così tante cose in poco tempo che il suo corpo faticava ad obbedire a qualsiasi comando impartitogli dal cervello, facendola sentire in trappola di sé stessa.
- So che la radioterapia e la chemioterapia possono essere utili a...-
- Servirebbero soltanto a rallentarne la diffusione.- Dichiarò Fawcett interrompendo le sue ipotesi.
- Ma si potrebbe operare.- Insistette lei.
    Il medico aprì una cartella clinica e le mostrò le lastre della risonanza magnetica dov'era ben visibile una massa scura all'interno del cervello.
- Questo tipo di cellula tumorale - Prese a spiegarle indicando la macchia con una penna - si è propagata molto in profondità, in aree preposte alle funzioni vitali. Se provassimo ad asportarlo, oltre al fatto che potrebbe riformarsi in breve tempo, c'è il rischio di indurre sua zia allo stato vegetativo. Inoltre sarebbe inutile tentare di neutralizzarlo con farmaci o con la chemioterapia, come ha suggerito lei poco fa, in quanto si tratta di un tumore a crescita rapida che si diffonde a ragnatela.-
    Faith si lasciò andare sulla sedia. In conclusione, pensò, non restava nessun appiglio al quale potersi aggrappare, nessuna speranza in cui credere. Si portò le mani alla fronte e chiuse gli occhi desiderando con tutte le sue forze di essere in un incubo.
- Com'è possibile che mia zia abbia un tumore al cervello così sviluppato? Avrebbe dovuto accorgersi da un po' che qualcosa non andava.-
- Purtroppo - Disse il medico facendo un profondo respiro - esistono tumori che si sviluppano rapidamente senza dare sintomi particolarmente importanti. Sua zia mi ha detto che ultimamente soffriva di mal di testa.-
- Un mal di testa non è sufficiente per ritenere di avere un tumore.- Ribatté Faith risoluta.
    Il medico tacque per un po'. Era evidente e comprensibile che la ragazza seduta di fronte a lui fosse sconvolta e faticasse ad accettare la realtà.
    Era quello il lato che più odiava del suo mestiere. Dare cattive notizie non era mai bello, non lo era mai stato per nessun medico. Con il tempo aveva cominciato ad abituarsi, senza tuttavia sottovalutare i sentimenti di chi lo stava ad ascoltare. Si trattava pur sempre di un compito difficile, ma era suo preciso dovere informare il paziente di qualsiasi cosa si trattasse.
- No,- Mormorò infine  - non è sufficiente.-
    La ragazza lo guardò negli occhi, inespressiva.
- Quanto le rimane?-
    Fawcett esitò un istante picchiettando la penna sulla scrivania. “Ecco la domanda cruciale.”
- Dipende. Se sua zia vuole provare a sottoporsi alla chemioterapia...-
- Si,- Dichiarò Faith senza voler sentire altro - si sottoporrà a qualsiasi cura medica.-
- Tra novembre e la fine di quest'anno.- Concluse il medico fermamente.
    Per Faith quella risposta equivaleva ad un pugno allo stomaco. Vista la gravità della situazione in un certo senso se l'era aspettata, ma Fawcett aveva dato voce alle sue paure e lei si era ritrovata la verità sbattuta in faccia.
    Iniziava di nuovo a sentire freddo e ad un certo punto credette di avere l'influenza.
    In un giorno solo e per uno strano scherzo del destino aveva perso tutto, ma non voleva più piangere. Adesso si rendeva conto che bisognava lottare e lei ce l'avrebbe messa tutta per far guarire sua zia.
    In fondo al cuore voleva credere che ci sarebbe riuscita. Doveva crederci.
    Doveva farlo per zia Becky che, da quel giorno, avrebbe avuto tanto bisogno di lei.
    Zia Becky l'aveva accolta in casa sua e l'aveva aiutata in ogni momento. Era giunta l'ora di ricambiare tutto ciò che aveva fatto. Le sarebbe rimasta sempre vicino, incondizionatamente.
    Fino all'ultimo.

    Zia Becky si era da poco svegliata quando Faith le aveva spiegato la causa del suo malessere.
    L'orario di visita era terminato da almeno mezzora, ma la ragazza aveva ottenuto il permesso del medico di trattenersi un po' di più.
    Quando era entrata in camera la luce arancione del sole stava sfumando lentamente. A lei piacevano quei colori caldi e decise di non accendere la fredda luce dei neon.
    Anche il viso di sua zia sembrava aver ripreso il suo abituale colorito roseo. Osservando la sua espressione rilassata non sembrava affatto che un male inguaribile presto se la sarebbe portata via.
    Il solo pensiero le faceva venire le lacrime agli occhi e le creava una voragine nello stomaco.
    Comprendeva perfettamente che se avesse ceduto non avrebbe più ritrovato il modo di rialzarsi. Inoltre riteneva di non avere il diritto di piangere. Quella era diventata automaticamente un'esclusiva della zia e lei non doveva far altro che mostrarsi più forte o il suo sostegno non sarebbe servito a niente.
    Si sentiva stanca e affranta e aveva deciso di sedersi vicino al letto a guardarla dormire.
    Era così piccola e sembrava più magra rispetto al giorno in cui era entrata in ospedale. Il tumore stava risucchiando tutta la sua vita senza farsi vedere come, d'altro canto, aveva fatto fino ad ora.
    Faith sorrideva, amareggiata, pensando a quegli stupidi mal di testa che da qualche mese affliggevano sua zia.
    Cosa sarebbe successo da quel giorno?, si era chiesta.
    Sapeva per certo che avrebbe vissuto ogni attimo come se fosse stato l'ultimo. Ogni mattina avrebbe aspettato di vedere zia Becky aprire gli occhi e dirle che le voleva bene.
- Quando potrò uscire di qui?- Chiese mostrandole una forza ed un coraggio del tutto inaspettati che la lasciarono basita.
- Domani pomeriggio potrai tornare a casa.- Le assicurò Faith baciandola sulla guancia.
- Benissimo.- Sbuffò - Sono stanca di queste minestrine da strapazzo. Non sono ancora una vecchia senza denti.- Sostenne facendo un cenno al piatto ancora pieno che stava sul comodino.
    Faith sollevò un angolo della bocca e la sua espressione si intenerì. Si aspettava di vederla scoppiare in lacrime da un momento all'altro, ma la vide ostentare soltanto un sorriso carico di amarezza, come se il male che si portava dentro fosse una normale malattia guaribile in pochi giorni. Zia Becky era sempre stata più forte di lei, per questo le piaceva così tanto.
    Ma il fatto che reprimesse i suoi veri sentimenti davanti ad una gravità simile la preoccupò.
    Tuttavia non insistette e accettò la possibilità che magari le occorreva più tempo per assimilare la cosa.
- Verrò a prenderti alle tre in punto, zia.- Le promise.
    Afferrò la sua borsa, la saluto con una carezza ed uscì dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle.
    Non ne era sicura ma, mentre si allontanava, le parve di sentirla piangere.

Taylor Swift “You're Not Sorry”
    La pioggia battente aveva lasciato dietro di sé un'aria più pulita e più frizzante e il cielo della sera si mostrava limpido ed infinito.
    Il porto lì vicino era pieno di luci, ricco di lussuosi yacht che ondeggiavano tranquilli tra i rumori della banchina in balia dell'oceano che si muoveva lento e maestoso. Il Pacifico pareva un'immensa macchia di inchiostro che, nonostante il suo aspetto misterioso, infondeva sicurezza e tranquillità.
    Lungo la spiaggia poco distante si intravedevano alcuni falò innalzarsi in sottili fili che guizzavano verso le stelle e le risa dei ragazzi intorno accrescevano e diminuivano ripetutamente a seconda della direzione della brezza marina.
    Faith aveva raggiunto l'estremità del molo e si era accomodata su una fredda panchina di marmo alzandosi il bavero della giacca e stringendosi nelle spalle per ripararsi dalla frescura della sera. In lontananza sentì qualcuno suonare una nostalgica melodia con la chitarra mentre il mondo proseguiva la sua corsa incurante degli eventi che avevano sconvolto la sua giornata e la sua vita.
    Non aveva molta voglia di tornare a casa e allo stesso tempo non se la sentiva affatto di gironzolare a vuoto per la città. Se fosse rientrata si sarebbe buttata a letto perchè era distrutta, ma non voleva sprecare il tempo a dormire. Un altro giorno sarebbe giunto presto e un giorno in meno da vivere restava a zia Becky.
    E non era giusto. Niente lo era in quel momento.
    Udì i passi incerti di una persona che si avvicinava e si voltò d'istinto.
- Sapevo che ti avrei trovata qui.- Mormorò Holly.
- Già, sono piuttosto prevedibile.- Ribatté Faith riportando lo sguardo ad individuare la linea dell'orizzonte.
- Ti spiace se mi siedo?-
- No.-
    Con la coda dell'occhio Faith la vide tentennare un po’ per poi sedersi vicino ad osservare il ripetitivo sciabordare delle onde contro il molo. Le era chiaro che si sentiva in colpa per ciò che era accaduto nel pomeriggio. Appariva talmente imbarazzata da non rendersi conto del modo in cui si stava contorcendo le dita.
    Per la prima volta in vita sua Holly non sapeva come iniziare un discorso di scuse, ma quel silenzio la uccideva a tal punto da indurla a pronunciare poche semplici parole.
- Mi dispiace, Faith. Davvero.-
    Faith chinò la testa verso il basso senza guardarla. In quell'istante non voleva perdonare il comportamento dell'amica, però non intendeva né accusarla né tanto meno litigare con lei.
- Non potevi saperlo, Holly.-
    Holly le sorrise tristemente con gli occhi velati. Avrebbe tanto voluto chiarire il loro spiacevole incidente, ma comprese che non sarebbe stato il momento opportuno per farlo. Si portò le mani in grembo e sospirò.
- Come sta zia Becky?-
    Faith si accigliò tornando a guardare i confini dell'oceano.
- Beh,- Mormorò stringendosi nelle spalle - lei morirà.- Disse piano con la voce incrinata. Era riuscita ad ammetterlo a sé stessa e ciò non fece che aumentare l'angoscia e la paura dentro di lei.
    Holly si sentì salire le lacrime agli occhi.
- Che cosa succederà adesso?-
- A parte il fatto che un tumore al cervello presto se la porterà via per sempre, non so cos'altro potrebbe succedere.-
- Faith.- Sussurrò Holly poggiandole una mano sulla spalla - Che cosa posso fare? Vuoi che ti faccia compagnia stasera?.-
- No.- Rispose Faith.
- Ma se vuoi posso aiutarti con zia Becky e...- Insistette lei.
- No.- Ripeté l'amica con una determinazione che non ammetteva repliche - Holly,- Disse guardandola negli occhi - voglio stare sola.-
    Holly annuì, interiorizzando il significato di quelle parole, e contrasse le labbra per reprimere l'impulso di piangere.
- D'accordo. Chiamami se avrai bisogno.-
    La ragazza si alzò ed esitò un istante, come a voler aggiungere altro, come a voler aggiungere che le voleva un bene immenso, ma se ne andò senza dire nulla.
    Faith la sentì allontanarsi e le venne l'istinto di voltarsi per richiamarla, però qualcosa di indefinito nei suoi ragionamenti la convinse a non farlo. Si odiava per come si era appena comportata, ma allo stesso tempo confidava che sarebbe arrivato presto anche il momento dei chiarimenti.
    Alcuni uccelli notturni svolazzavano tra le piante del giardino dell'ospedale ed un fugace soffio di vento trasportò il profumo delle rose in fiore.
- Ti prego, Dio,- Sussurrò Faith - se mi stai ascoltando, aiutami.-

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Capitolo 25
*** 25. Dimenticare (Parte Prima) ***


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R ISPOSTE ALLE RECENSIONI

Ciao a tutti!

Eccomi qui con un nuovo capitolo per farvi i miei migliori auguri di un buon anno nuovo!

Ringrazio come sempre la mia fedele lettrice Saty e la mia beta Mozzi84! E, naturalmente, chiunque aggiunge la mia storia tra le Preferite e Seguite!

Per questo capitolo vi suggerisco di ascoltare una canzone di Norah Jones, “The Long Day Is Over”.

Buona lettura!


25. D IMENTICARE
Parte Prima

    Al risveglio Faith impiegò qualche istante a capacitarsi di tutto quello che era accaduto il giorno precedente, e immediatamente il viso dolce di zia Becky affiorò tra i suoi pensieri.
    Si stropicciò gli occhi voltandosi a guardare la sveglia posta sul comodino che segnava le undici.
    Aveva dormito fino a tardi e si alzò di scatto avvertendo la calda luce del sole che riempiva la sua stanza.     Dopo essersi fatta una doccia fredda si vestì e andò in cucina per prepararsi un paio di toast che divorò in pochi minuti. La sera prima non aveva mangiato niente poiché l'angoscia gliel'aveva impedito.
    Con sua sorpresa si sentì più in forze rispetto al giorno prima. C'era un nuovo capitolo da cominciare. Nonostante gli avvenimenti precedenti, decise di impegnarsi a non pensarci e di dedicare la sua più completa attenzione a Zia Becky.
    Quanto altro tempo ancora le restava da vivere con lei? Poco, pensò, troppo poco.
    Uscì in giardino e si fece inondare dalla brezza primaverile e dal profumo dell'oceano. Gli uccellini fischiettavano allegramente tra i rami mentre due piccoli gatti giocherellavano con un tappo di sughero lungo il vialetto.
    Vicino alla riva alcune persone passeggiavano tranquille con il loro cane fermandosi di tanto in tanto  per lanciargli una pallina o per accarezzarlo.
    Faith guardò il cielo di quel giorno di maggio inspirando a fondo. Il roseto che si inerpicava rigoglioso sul lato destro della casa fino a toccare il tetto del porticato esibiva decine di boccioli dai colori giallo rosati e infondeva nell'aria un aroma inconfondibile che le immetteva nell'animo una forza inaspettata. Decise di raccogliere un paio di rose da mettere in cucina e si avvicinò al cespuglio facendo attenzione a non pungersi con le spine. Con molta delicatezza ne staccò una e se la portò al naso, odorandola ad occhi chiusi. Poi staccò anche la seconda e le portò in casa, dove gli tolse le spine ed eliminò le foglie guaste. Infine le sistemò con cura all'interno di un vaso di vetro e, ad opera finita, si allontanò dal tavolo su cui le aveva posizionate, apprezzandone il risultato.
    Realizzò che erano bellissime. Inevitabilmente gli tornarono in mente le rose che ogni settimana rallegravano la casa, delle quali non le restava che un solo mazzo essiccato nella sua camera da letto.
    Si recò subito nel bagno perché il bucato ancora da sbrigare la stava aspettando. Non aveva tempo di pensare al passato, né poteva permetterselo. Finché si fosse tenuta mentalmente occupata non avrebbe avuto nulla per cui stare male.
    Giunse l'ora di recarsi in ospedale, dove zia Becky la stava aspettando con l'ansia e l'irrequietezza di una ragazzina.
    Il dottor Fawcett le aveva già fissato gli appuntamenti per effettuare la chemioterapia e lei non vedeva l'ora di andarsene da quel posto.
    Faith chiuse il borsone e la accompagnò alla macchina reggendola per un braccio. Il suo corpo era minuto e fragile e le si strinse il cuore non appena il pensiero della malattia tornò ad essere predominante.
    Una volta a casa Zia Becky riprese in mano grembiule e utensili da cucina sotto gli occhi sbigottiti della nipote.
- Che c'è?- Le chiese la zia senza capire.
    Faith scosse la testa, colta da una tenera malinconia.
- Bentornata a casa.- Le mormorò abbracciandola - Mi sei mancata.-
    Fino a quel momento la ragazza si era obbligata a non piangere davanti a lei, ma tenendola tra le sue braccia non riuscì più a resistere e scoppiò in lacrime, singhiozzando convulsamente e stringendola sempre più forte, come se compiere quel gesto sarebbe servito ad impedire al male di portargliela via.
- Oh, zia. Ho tanta paura.- Le confessò sommessamente.
- Stai tranquilla, Faith. Andrà tutto bene. Sfogati, non trattenere tutto il dolore.-
- Ma non posso. Dovrei aiutarti e invece non faccio che rendermi ridicola e tu non hai bisogno di avere vicino una persona come me.- Si lamentò Faith senza lasciarla.
- Ma io ho bisogno di te, e tu lo sai.- Ribatté la zia guardandola in viso - Tu sei la ragione del mio essere. Non vorrei vicino nessun’altro che te, bambina mia.-
    Gli occhi di zia Becky si velarono e lei non fece nulla per nasconderlo. Mentre abbracciava forte la nipote non poté fare a meno di chiedersi quanti altri abbracci così avrebbe potuto ancora donarle.

- Ti va di parlarne?- Le chiese la zia qualche sera dopo, terminata la cena.
    Erano passati alcuni giorni e lei aveva notato un certo cambiamento negli atteggiamenti della nipote. Si teneva impegnata in ogni modo ed era palese che lo faceva sforzandosi di dimenticare qualcosa. O qualcuno.
    Faith si infilò la matita tra le labbra ed osservò l'abito che stava disegnando, con la testa piegata di lato.     Non andava più al lavoro regolarmente ed aveva ottenuto il permesso dal capo di poter sbrigare da casa tutto ciò che non richiedeva la sua presenza in ufficio. In questo modo avrebbe continuato a lavorare per l'azienda restando sempre vicina a sua zia, senza perderla mai d'occhio.
    Zia Becky posò le tazze di the fumante sul tavolino del salotto ed ammirò il disegno, lisciandosi il grembiule.
- È molto bello.- Commentò.
- Non so.- Obiettò incerta la nipote - Mi sembra che manchi qualcosa.-
    Poi ripose la matita in un cassetto e chiuse il suo album decisa a continuare l'indomani.
- Di cosa volevi parlare?- Domandò.
- Cosa c'è che non va? Da qualche giorno non ti sento parlare di Max. Non lo chiami mai, non mi racconti più niente di lui.-
    Faith annuì. Il solo sentire quel nome la fece sussultare impercettibilmente, lacerandole il cuore che ancora sanguinava in silenzio. Attendeva le lacrime, ma con sua sorpresa non arrivarono.
    Era possibile che lei lo avesse già allontanato dai suoi pensieri?
- È andato via e credo che non tornerà più.- Rispose celando la sua tristezza come meglio poteva.
    Ma zia Becky non si lasciò sfuggire un dettaglio. La nipote non aveva citato il nome del ragazzo e ciò evidenziava i suoi rancori e il suo dispiacere ancora forti.
    Faith lo aveva fatto di proposito. Che senso aveva stare male di nuovo? Lui era entrato nella sua vita come un fulmine improvviso e ne era uscito allo stesso modo, senza voler sentire ragioni. Con molta probabilità non lo avrebbe rivisto mai più. Senza dubbio si era trattato di una storia importante, ma adesso era finita e lei non era la prima e non sarebbe stata di certo l'ultima ragazza lasciata.
- Vorrei andare a letto, zia. Non ti dispiace, vero? Sono un po' stanca.- Mentì con uno sbadiglio.
    La zia scosse la testa, affatto contrariata.
- Vai pure, bambina mia. Buonanotte.- Le augurò in tono dolce.
    La ragazza le diede un bacio sulla guancia e prese una tazza di the per portarsela in camera.
    Stando seduta sul letto di fronte al mazzo di rose bianche si ritrovò inesorabilmente a pensare a lui. Anche se non aveva la più pallida idea di dove fosse, lo immaginò nel suo appartamento, magari disteso a letto con ancora indosso la camicia e la cravatta col nodo allentato, a fissare il soffitto.  
    Era troppo pretendere che stesse pensando a lei?, si chiese. No, non lo era.
    Ma non poteva certo sapere che, in una stanza di un hotel londinese, anche lui se lo stava chiedendo.

    Arrivò la fine di maggio senza che Faith se ne accorgesse. Ormai trascorreva tutto il giorno con zia Becky e quel martedì avrebbe dovuto accompagnarla in ospedale per cominciare il ciclo di chemioterapia.
    In apparenza il tumore sembrava non dare segni evidenti, ma la ragazza temeva il giorno in cui si sarebbe manifestato in tutta la sua pericolosità.
    Il dottor Fawcett si era preso l'incarico di occuparsene personalmente, mantenendo come sempre la sua professionalità ed una certa sensibilità nel gestire una situazione così delicata. Aveva garantito a Faith la sua più completa disponibilità ed intendeva mantenere la parola data.
    Lasciata zia Becky temporaneamente tra le sue mani, la ragazza decise di scendere al bar dell'ospedale per rinfrescarsi con una bevanda dissetante.
    Il sole si era imposto definitivamente su tutta la California e le temperature erano aumentate considerevolmente, scacciando dallo stato il cattivo tempo.
    Mentre si recava al bar, lungo il corridoio si udì improvvisamente un grido lamentoso e la ragazza fece appena tempo a voltarsi di lato prima di sentirsi travolgere da una bambina che strillava senza sosta, inseguita da un ragazzo alto e prestante.
- Oh, Cristo! Mi perdoni signorina, io...- Si scusò l'uomo correndole incontro.
- Fa niente, capita.- Sdrammatizzò Faith risollevando la bambina da terra.
    L'uomo si avvicinò preoccupato e si assicurò che nessuna delle due si fosse fatta male.
- Faith!- Esclamò con stupore dopo aver osservato la ragazza in viso.
    Faith alzò lo sguardo e si trovò davanti Jason, in blue jeans e maglietta bianca.
- Jason! Che sorpresa! Ma che ci fai qui?- Gli chiese con un sorriso.
    Il ragazzo indicò la bambina con un cenno e si grattò la testa.
- La mia sorellina poco fa è caduta giocando sull'altalena e si è procurata un taglietto alla mano. Nulla di grave, ma sai come sono i bambini.-
- Aspetta un attimo.- Disse Faith osservando la bambina, sbalordita. Era passato più di un anno e mezzo dall'ultima volta che l'aveva vista ma, nonostante portasse la stessa chioma bionda e riccia, non l'aveva riconosciuta. Non ricordava la sua età, forse sei, sette anni, ipotizzò. Sul suo visino d'angelo spiccavano due occhi di un colore verde azzurro, simili a quelli del fratello - Questa è Sabrina? Caspita, com'è cresciuta in così poco tempo.-
- Già. Sembra che i bambini vogliano diventare grandi in fretta.- Affermò Jason provando un leggero imbarazzo. Si sentì le mani sudate e il semplice fatto di trovarsi di fronte a Faith gli trasmetteva una maledetta e insensata agitazione.
    Dal canto suo la ragazza si sentiva perfettamente a suo agio, ostentando la gentilezza e la genuinità che la contraddistinguevano.
    Nel frattempo la bambina si era calmata e stava accarezzando delicatamente i lunghi capelli di Faith, ancora china su di lei.
- Ciao, Sabrina.- La salutò la ragazza dolcemente - Ti ricordi di me?-
    La bambina scrollò la testa.
- In effetti,- Rifletté Faith - mi avrai vista solo due o tre volte.-
- Che bei capelli che hai. Assomigli ad una delle mie bambole.- Fece la bambina continuando a lisciarle i capelli con la sua piccola manina.
    Faith sorrise.
- Grazie! Davvero?-
- Sì.- Confermò lei  piena di convinzione - Ti va di venire a vederle?-
    Titubante, la ragazza alzò di nuovo lo sguardo su Jason, che intervenne tempestivamente.
- Faith non ha tempo adesso di venire a vedere le tue bambole, Sabrina.- Affermò prendendole la mano.
    La bambina ricominciò a piagnucolare e Jason si chinò all'altezza del suo viso.
- Se adesso vieni con me ti regalo subito un bel gelato.- Le propose.
- E io verrò con te solo se Faith mi prometterà di venire a vedere le mie bambole.- Ribatté la bambina guardandolo dritto negli occhi.
    Faith si lasciò scappare una risatina. Quella bambina era davvero una furbetta, realizzò.
    Jason spalancò gli occhi e rivolse lo sguardo a Faith del tutto frastornato. La sua espressione implorava aiuto immediato e soltanto lei avrebbe potuto dargli una mano.
- D'accordo,- Concesse Faith - verrò a vedere le tue bambole, Sabrina.-
- Vieni domani?- Le chiese la bambina tornando a sorridere, tutta eccitata.
- Beh, domani...- Faith considerò un po' l'idea, ma lo sguardo più che eloquente di Jason non le lasciava altra scelta. Aveva iniziato ad asserire con la testa senza farsi vedere dalla sorella e sembrava davvero disposto a tutto pur di compiacerla.
- Va bene, facciamo domani, ok?- La accontentò.
    La bambina prese a saltellare come un canguro piena di felicità e Jason dovette faticare non poco per fermarla.
- Allora ti aspettiamo domani pomeriggio, Faith. Mi raccomando, non dimenticarti.- La pregò il ragazzo sentendosi trascinare via dalla sorella. Anche Sabrina la salutò sbraitando lungo la corsia come soltanto un bambino poteva permettersi di fare.
    Faith li salutò con una mano ed entrò a passo allegro nel bar dell'ospedale.
    Quello era stato il primo momento in cui si era sentita veramente bene dopo tanti giorni, ma il suo carattere e il suo contorto modo di ragionare la indussero a sentirsi nuovamente in colpa.
“Smetti di pensare a lui.” Si impose mentre sorseggiava un'aranciata.


Norah Jones “The Long Day Is Over”
    La sera stessa zia Becky sedeva in veranda con una coperta sulle gambe, a scrutare il cielo e l'oceano. Si ritrovò a riflettere sulla malattia che presto avrebbe preso il sopravvento su di lei. Come la nipote, ancora non si capacitava di avere un tumore che stranamente non dava segni particolarmente gravi, escludendo l'isolato episodio di un paio di settimane prima.
    Faith la raggiunse, interrompendo il flusso dei suoi pensieri, e si sedette al suo fianco, in silenzio.
    Ascoltarono i grilli cantare in coro mentre il sole calava pigramente tingendo ogni cosa di rosso, e assimilarono quei tranquilli e suggestivi momenti insieme. Il vento là fuori soffiava tra le foglie e stormiva l'erba delimitante il vialetto di casa, facendola frusciare.
    Il tempo stava trascorrendo veloce. Faith si rese conto che né lei né sua zia sapevano con certezza quanto altro ne sarebbe passato, e decise di confidarsi.
- Sai che cosa non posso biasimargli?- Domandò continuando a guardare l'oceano.
- Cosa?-
- Il fatto che lui sia arrabbiato perchè mio padre ha ucciso il suo.- Affermò in un sospiro - Lo sarei anch'io e credo che mi sarei comportata allo stesso modo.-
    Zia Becky tacque. Non che fosse del tutto in disaccordo con la nipote, ma lei aveva la straordinaria capacità di riuscire sempre a vedere l'altra faccia della medaglia, quella positiva.
- Tornerà.- Realizzò in tono deciso.
    Faith si voltò per guardarla. Alla luce rossa del sole appariva così fragile e indifesa da suscitarle tenerezza e l'istinto di abbracciarla in continuazione.
- Cosa te lo fa pensare?- Le chiese scettica.
    La zia si voltò a sua volta ed esitò pochi attimi prima di rispondere.
- Lui ti guardava nello stesso modo in cui tuo zio guardava me.- Rispose con gli occhi velati.
    Faith si sentì travolgere da un'ondata di ricordi che le procurava troppo dolore, e respirò a fondo, come per allontanare il passato che continuava a bussare alla porta del suo cuore.
- Oggi pomeriggio in ospedale ho incontrato Jason con la sua sorellina. Sta crescendo così in fretta, zia. Dovresti vederla.- Tergiversò la ragazza - Mi ha invitato a vedere le sue bambole domani, ma non sono sicura di volerci andare.-
- E perchè no?- Ribatté la zia - Ritengo che tu debba andarci, così ti svaghi un po'. Sei sempre chiusa in casa. Io me la caverò per due o tre ore.-
- Ricordi cos'è successo l'ultima volta che ti ho lasciata sola in casa, zia.- Osservò Faith accigliandosi.
- Si tratta di poco tempo, Faith. Vai e divertiti.- La incitò zia Becky.
- Sicura?-
- Sicura.- Ripeté l'anziana - E non sentirti in colpa. Tutto si sistema. L'importante è crederci.-
    La ragazza annuì. Quanto desiderava che lei avesse ragione, ma era evidente che purtroppo non sarebbe mai andata così.
    Insieme a sua zia tornò ad ammirare quella piccola palla rossa che si immergeva nel Pacifico, spruzzando il cielo di rosa e di viola e, per un attimo, due stupendi e profondi occhi verdi le si figurarono nella mente.

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Capitolo 26
*** 26. Dimenticare (Parte Seconda) ***


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R ISPOSTE ALLE RECENSIONI

Ciao a tutti! Puntuale come spesso (non sempre, purtroppo!) ecco a voi il capitolo 26! Mi auguro come al solito che vi piaccia!
Ringrazio Saty: ti giuro che non c'è alcun riferimento tra te e la sorellina di Jason... :)
Grazie anche a chi continua ad inserire la fan fiction tra le proprie Seguite e Preferite! Ed un grazie anche alla beta, Mozzi84.

Buona lettura! A presto!

 
26. D IMENTICARE
Parte Seconda

- Coraggio, amico! Divertiamoci!- Esclamò Tom Graham afferrando il grosso boccale di birra che aveva davanti. Era il terzo che si stava scolando da quando lui e Max avevano messo piede nel locale, ma pareva non rendersene conto. Malgrado i suoi ventisette anni, però, stava attento a non ubriacarsi, come era solita fare la stragrande maggioranza dei ragazzi della sua età.
- Non sono dell'umore giusto, Tom.- Ribatté Max a voce alta per sovrastare il frastuono della musica suonata dagli Strongers, la band della serata che stava eseguendo “Sweet Child O Mine”.
    Da più di due settimane l'amico aveva cercato in tutti i modi di convincerlo ad uscire, e quella volta era riuscito nel suo intento.
    Lo aveva portato in uno dei locali più esclusivi della capitale inglese, il Prospect Of Whitby, lungo la Wappin Wall, non molto distante dall'albergo in cui alloggiavano.
    Costruito sulle rive del Tamigi nel 1520, si trattava del più antico pub londinese che un tempo annoverava celebri clienti come Samuel Pepys e Charles Dickens. Precedentemente veniva denominato Taverna del Diavolo, a causa della sua pessima reputazione, in quanto era frequentato specialmente da briganti e assassini, e alcune leggende locali raccontavano inoltre che proprio il conte Dracula si aggirasse in quelle zone. Poi venne ricostruito in seguito all'incendio che lo distrusse nel diciannovesimo secolo e assunse il nome attuale.
- È da troppo tempo che non sei dell'umore giusto, Max.- Gli fece notare.
- Forse sarebbe stato meglio se fossi rimasto in camera. Non sono molto di compagnia ultimamente.-
- Secondo me tu hai solo bisogno di svagarti un po'.- Suggerì Tom indicandogli con un cenno due ragazze in tenuta decisamente sexy che sedevano al bancone, bevendo cocktails dai colori fosforescenti con la cannuccia e voltandosi ripetutamente nella loro direzione - Guarda come ci fissano quelle due bamboline.-
    Max girò la testa di lato giusto per accontentarlo e vide due donne di indubbia bellezza ammiccargli maliziosamente. Poi tornò a guardare la sua birra, mostrandosi annoiato.
- Non mi interessano.- Affermò bevendone un sorso.
    Attraverso le vetrate ammirò le acque scure del Tamigi scorrere veloci, illuminate a tratti regolari da alcuni lampioncini che riflettevano morbide luci gialle.
    Tom si allungò sul tavolo avvicinandosi al viso di Max.
- Devo iniziare a preoccuparmi, Max? Mi posso informare se nei dintorni c'è un bar per soli ragazzi...- Lo prese bonariamente in giro, mantenendosi serio.
    Max ridacchiò.
- Ammettilo.- Replicò seriamente - Ammetti che quest'idea attira più te di me.-
    Tom gli soffiò un bacio con la mano e Max scoppiò a ridere.
- Se fai così rischi di perderti una notte di sesso sfrenato con quelle due.-
- Preferisco stare con un buon amico.- Gli rivelò Tom levando alto il boccale.
    Max lo scrutò, scettico, alzando un sopracciglio.
- Stai mentendo.- Affermò risoluto.
- Stai sbagliando.- Negò Tom.
- Io non sbaglio mai.-
    Tom si fece una grassa risata e continuò a bere la birra. La schiuma gli si fermò sul labbro superiore e Max portò il suo sguardo altrove, tra il disgustato e il divertito.
- Ma tu non sei fidanzato?- Tergiversò - Non dovresti fare cattivi pensieri su altre donne.-
- Perchè avere una sola ragazza quando puoi averne di più?- Obiettò Tom alzando le spalle, come se fosse implicita la correttezza del suo ragionamento.
    Max distolse un attimo l'attenzione per estrarre il cellulare che aveva iniziato a vibrare nella tasca posteriore dei jeans e ne guardò il display.
- Ecco, io gli impartisco lezioni di vita e lui nemmeno mi ascolta.- Si lamentò Tom alzando scherzosamente gli occhi al cielo. Ma si fece serio quando notò il cambio di espressione dell'amico.
    Max era rimasto per qualche istante a fissare il display che lampeggiava, per poi richiudere il cellulare e riporlo nella tasca.
- Non rispondi?- Gli domandò Tom con lo sguardo incerto.
- Non è nessuno di importante.- Tagliò corto lui terminando la sua birra. Alzò subito una mano per richiamare l'attenzione di una cameriera e ne ordinò un'altra.
- Ma si,- Disse a Tom, che nel frattempo lo stava analizzando, stupito - divertiamoci!-

- Sei un pessimo ubriaco, Max, lasciatelo dire!- Affermò Tom sganasciandosi dalle risate.
    Max stava piegato in due sulla balaustra del marciapiede che fiancheggiava la riva del Tamigi, completamente stordito e con un fortissimo mal di testa, causato dalle sette birre che si era bevuto senza nemmeno prendere fiato. Ad un certo punto era corso fuori dal locale  in preda ad un lancinante dolore allo stomaco, sotto gli occhi perplessi di Tom, che lo aveva raggiunto preoccupato.
    Non ricordava l'ultima volta che si era ubriacato, ma forse, pensò, non aveva mai bevuto così tanto, e se ne pentì amaramente, promettendosi che non l'avrebbe più fatto.
- Se davvero vuoi ubriacarti,- Gli consigliò Tom - fallo perchè ti va di fare lo stupido o perchè quella sera ti va di bere. Non vale la pena di stare male per una donna.-   
- Sta' zitto, Tom.- Lo apostrofò Max indispettito.
- Come vuoi.- Si difese lui alzando entrambe le mani.
    Percepiva il sibilare del vento gelido che faceva vibrare le lanterne rosse sospese sopra l'ingresso del pub, e il freddo pungente lo costrinse ad indossare il cappotto che Tom gli aveva cortesemente portato fuori.
- Grazie.- Borbottò senza guardarlo in faccia - Probabilmente ho vomitato anche l'anima.-
    Tom fece una piccola risata.
- Sono preoccupato per te, Max.- Confessò accigliandosi.
    Si poggiò con le mani giunte alla balaustra e ammirò insieme a lui il suggestivo skyline di Londra, che lasciava intravedere il Big Ben e la parte occidentale di Westminster attraverso gli alberi frondosi.
- Non ne hai motivo.- Replicò Max con gli occhi fissi sul Tamigi.
- No, non ne ho il motivo, ma sei un mio amico. E quindi io mi preoccupo.- Sbottò Tom - So bene di non poter comprendere il tuo stato d'animo, ma permettimi di provarci.-
    Max inspirò a fondo, affranto dall'aver ripetuto allo stremo e poi esaurito tutti gli elementi per approfondire l'argomento.
- Suo padre ha ucciso il mio, lei non me l'ha detto ed io l'ho lasciata. Fine della storia. Non c'è nulla da comprendere.-  Spiegò schietto.
    Tom preferì non aggiungere altro e rimase immobile, contro la ringhiera. Si accese una sigaretta e gli anelli di fumo che uscivano dalla bocca cominciarono a disperdersi rapidi nella notte.
    Max si fregò le mani, unendole ad imbuto e soffiandoci dentro per riscaldarle.
- Tom,- Mormorò in tono compassionevole rivolgendogli lo sguardo - apprezzo sinceramente il fatto che tu ti preoccupi per me, e sono lusingato. Ma sono giunto ad un punto della mia vita in cui non so che cosa devo fare. Soltanto il lavoro è l'unica cosa certa che ho, e non mi va di elemosinare le attenzioni tue né di nessun altro.-
    Tom scrollò la testa.
- Ciò che ti sto offrendo non si chiama elemosina, Max. Si chiama aiuto. Si chiama amicizia. E non devi vergognarti di chiedere queste cose ad un amico, perchè lui è qui per questo, o non si chiamerebbe così se non lo fosse.-
- Non sono abituato a chiedere aiuto. Ho imparato a fare sempre tutto da me.-
- Lo vedo. Guarda ora dove sei arrivato. Non hai più alcuna certezza e non ti fidi di nessuno.- Realizzò Tom - D'accordo, hai scoperto una cosa terribile che riguarda tuo padre, tua madre e la tua ragazza ti hanno mentito. Ma la vita non finisce qui, Max.- Si oppose guardandolo dritto negli occhi - Si va avanti, si volta pagina. Ci sono milioni di ragazze disposte a stare con te. E credo che dovresti parlare con tua madre perchè di mamma ce n'è una soltanto e non la si può rimpiazzare. Non fare come me, che ho lasciato morire i miei genitori senza avergli mai detto quanto li amassi. E ora me ne pento ogni giorno che passa.-
- E se io non volessi andare avanti, Tom? Se volessi restare qui, in questa pagina bianca che separa un capitolo da quello successivo?-
    Tom tirò l'ultima boccata di fumo e gettò il mozzicone nel fiume.
- Significa che non sei pronto a dare un taglio netto col passato.- Dichiarò pieno di convinzione - Sei ancora innamorato di quella ragazza?-
    Max parve pensarci un po'. Se l'era chiesto mille volte da quando aveva lasciato Faith lungo il vialetto della sua casa, con la pioggia che infradiciava i suoi abiti e gli occhi pieni di lacrime, ma sentire quella domanda provenire dalla bocca di qualcun altro gli agitò il cuore, e frammenti di ricordi si susseguirono rapidi nella sua testa.
- Credo... credo di sì.- Mormorò piano, sorprendendo sé stesso di averlo confessato - E mi odio per questo, perchè non voglio più amarla.-
- Allora volta pagina, Max.- Concluse Tom con decisione.
- La fai facile, tu.- Replicò sarcastico il ragazzo.
- Basta volerlo.- Disse l'amico poggiandogli una mano sulla spalla - Basta volerlo.-

    Basta volerlo.
    Con un po' di impegno probabilmente Max sarebbe riuscito a voltare pagina senza vedere lo sguardo di Faith in qualunque cosa intraprendesse.
    Ma lei era presente in ogni momento della sua giornata e gli sembrava impossibile dimenticarla. L'aveva amata con tutte le sue forze ed ora era tutto finito, come un fiore tropicale che fiorisce ed appassisce in pochi attimi.
    Entrò nella sua stanza d'albergo, si allentò il nodo della cravatta e si avvicinò alla finestra. Una debole  acquerugiola iniziò a cadere picchiettando sui vetri e trasformandosi ben presto in un vero e proprio acquazzone.
    Max scostò la tenda e poggiò una mano sul vetro, percependone la freddezza. Oltre il suo riflesso riprodotto dalle mille gocce che scivolavano verso il basso, osservò la città coperta da una fitta cortina di pioggia, con le persone che correvano al coperto, colte alla sprovvista dal temporale.
    Aveva sempre considerato Londra una città fredda, ma c'era qualcosa che lo attirava in quei luoghi immuni allo scorrere del tempo. Una sorta di segreto pareva celarsi tra i lampioni lungo le strade, tra i palazzi e le abitazioni intorno, tra le tante finestre che si affacciavano sulle vie, tra i locali ed i negozi old fashion. Tutto  conservava lo stesso fascino misterioso dell'Ottocento.
    Anche le persone si comportavano in maniera nettamente diversa da quella degli americani, a cominciare dal loro inconfondibile accento inglese, che ostentava una rigorosa eleganza ed una raffinatezza tipica dei grandi scrittori e poeti più importanti della storia culturale dell'Inghilterra.
    Gli tornò in mente un aforisma di Oscar Wilde, probabilmente letto tanti anni prima in un libro di scuola. L'aveva rimosso dai ricordi, ma improvvisamente si fece largo tra i suoi pensieri, e diceva esattamente: “Le cose durano troppo o troppo poco”.
    Proprio ciò che lui aveva provato sulla sua pelle.
    Strano, pensò, come un poeta di quell'epoca potesse avere una mente così geniale per analizzare il tempo in ogni sua forma, esponendo anche le teorie più logiche , che tutti danno per scontato.
    E, in fondo, se ci si riflette con attenzione, quelli di Wilde sono tra i pensieri più veri e sensati che si possano conoscere.

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Capitolo 27
*** 27. L'Invito ***


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R  ISPOSTE ALLE RECENSIONI

Ciao!!!
Eccovi il capitolo 27. Spero che questa storia vi piaccia e ringrazio come sempre la mia fedele lettrice Saty, la mia beta Mozzi84 e tutti coloro che inseriscono la fan fic tra le Seguite e Preferite, che sono davvero in tanti! Grazie!


27. L ' INVITO

    All'ospedale, Faith si era scordata di chiedere a Jason e a Sabrina a che ora li avrebbe dovuti raggiungere a casa e pensò che le quattro del pomeriggio fosse un orario più che adeguato per far loro visita.
    Abitavano in una casetta abbastanza modesta ad Hermosa Beach, tra la Manhattan e la Redondo Beach, spiagge sempre affollate di persone stravaganti, ma molto divertenti e cordiali.
    La ragazza parcheggiò l'auto di fianco alla cancellata coperta da siepi e piante rampicanti, scese e suonò il campanello. Aveva optato per un look casual, non le sembrava il caso di abbigliarsi in maniera troppo formale. Pensandoci bene, davanti allo specchio le suonava strano il fatto di aver accettato l'invito del suo ex fidanzato, ma convinse sé stessa che, in fondo, lei lo aveva fatto solo per accontentare Sabrina.
    Quella bambina le ispirava simpatia e tenerezza e le sarebbe dispiaciuto rifiutare la proposta di “vedere le sue bambole”.
    Lungo la strada aveva deciso di fermarsi in una gelateria vicino al porto principale della città per acquistare una vaschetta di gelato. Presentarsi a mani vuote non era mai un gesto educato e inoltre la infastidiva parecchio.
    Dopo qualche istante il cancello si aprì con un rumore metallico e la porta sopra le scale si spalancò di colpo.
    Sabrina, vestita con un abitino azzurro intonato ai suoi occhi, guizzò fuori e corse incontro alla ragazza, che l'abbracciò divertita e stupita di come fosse così affabile e disinvolta per l'età che aveva.
- Ti ho portato il gelato.- Le annunciò Faith esibendo la vaschetta - Spero che ti piacciano i gusti che ho scelto.-
- A me piacciono tutti.- Dichiarò la bambina.
    Faith le diede un buffetto sulla testa e notò che Jason le stava osservando in cima alle scale con le braccia conserte.
- Benvenuta.- Esordì il ragazzo.
    Lei tolse gli occhiali da sole e gli sorrise. Quindi prese Sabrina per mano e lo raggiunse.
    Guardandolo con più attenzione, le sembrò che per lui il tempo non fosse passato per niente. Era rimasto lo stesso identico ragazzone di quando lo aveva conosciuto, con i capelli corti biondo scuro e il fisico atletico, frutto degli anni d'infanzia passati a praticare il windsurf.
    In passato i suoi genitori avevano avuto gravi problemi di salute e per questo lui era entrato nel giro dell'alcol mentre stava insieme a Faith. Poi la situazione era migliorata, ma lui continuava a bere. Ne era uscito poco dopo, quando la fine della loro storia gli aveva fatto capire che, se avesse continuato così, non ci sarebbe stato alcuno scopo nella sua vita e non avrebbe incontrato nessuna donna disposta a vivere con un alcolizzato.
- Sembra che tu sia diventata la sua nuova migliore amica.- Commentò con un sorriso.
- É adorabile.- Affermò Faith entrando in casa.
    Jason avvertì una leggera traccia di profumo al suo passaggio. Trovò che fosse davvero una ragazza molto carina e inoltre gli piaceva il modo in cui si comportava con sua sorella. In genere le altre ragazze della sua età snobbavano i bambini, prestando più attenzione a non rovinarsi l'acconciatura o le unghie.
- Lascia pure il gelato, Faith. Lo porterò in cucina e vi aspetterò mentre guardate le bambole.- Si offrì liberandole le mani. Sentì un brivido sfiorandole le dita e si obbligò a pensare ad altro, recandosi in cucina senza voltarsi. Gli era chiaro che lei aveva ancora una certa influenza su di lui. Era tutto accaldato e le mani gli tremavano per l'emozione. Il solo pensare che lei fosse in casa sua lo agitava come un ragazzino.

    Quando Sabrina aprì la porta della sua stanza, Faith rimase sbalordita.
    Il sole inondava la cameretta con ampi fasci di luce e decine di piccoli occhi parevano fissarla. Si aspettava di trovarsi davanti delle semplici bambole di plastica, invece decine di bambole di porcellana erano disposte ordinatamente su mobili e scaffali di legno.
    Entrò lentamente in quella stanza dipinta di rosa, dove si respirava aria di fiaba e dove ogni giocattolo aveva la sua collocazione. Non le pareva vero che una bambina così piccola potesse essere anche così ordinata.
- Vieni.- La invitò Sabrina con un sorriso stampato sul viso angelico.
- Sono... bellissime.- Mormorò Faith completamente rapita.
    Le bambole, minuziosamente curate negli abiti e nei capelli, erano degne di un vero collezionista. Alcune di esse sembravano antiche e, a suo parere, avevano di certo un gran valore.  
- Oh, mio Dio!- Esclamò soffermandosi a guardare una bambola con un vestito ricco di pizzi e merletti - Ma questa è una Honey Doll.- Fece per toccarla con la punta di un dito, ma si bloccò per rispetto, in quanto non era di sua proprietà.
- Puoi prenderla in mano se vuoi.- Le concesse Sabrina piena di orgoglio.
    Faith si voltò a guardarla per accertarsi di aver sentito bene e la bambina le esibì il suo candido sorriso.     Incredula, riportò la sua attenzione sulla bambola, la prese diligentemente tra le mani e si sedette sul bordo del letto, seguita da Sabrina.
    Le raccontò di aver posseduto una bambola molto simile da piccola, e di averla perduta durante il corso degli anni. Probabilmente stava ancora in soffitta da zia Becky, chiusa in un vecchio baule pieno di cianfrusaglie, le disse.
    Rivedere quella bambola le fece tornare in mente sua madre. Si ricordava nei minimi particolari quando gliel'aveva regalata, per il suo quinto compleanno. Quel giorno si era commossa parecchio perchè l'aveva desiderata con tutto il cuore e non se l'aspettava di certo. La sua famiglia non apparteneva al ceto benestante e un giocattolo simile era decisamente al di fuori delle possibilità economiche dei suoi genitori.
    La porta della stanza si aprì e Jason infilò dentro la testa.
- Il gelato è servito, ragazze.- Le avvertì.
- Arriviamo subito.- Replicò Faith destandosi dai ricordi d'infanzia.
    Si alzò dal letto e fece per rimettere la bambola al suo posto, ma Sabrina intervenne.
- Prendila, Faith.-
- Come dici?- Domandò Faith confusa.
- Ho detto: prendila. Te la regalo.- Replicò candidamente la bambina.
- Ma... non posso, Sabrina. È tua, e non sai quanti soldi possa valere un pezzo simile.- Spiegò Faith, commossa, ma allo stesso tempo lusingata da una proposta così allettante.
- Ma tu sei una mia amica adesso e io voglio regalartela.-
- Facciamo così.- Propose Faith abbassandosi all'altezza della bambina - Andrò in soffitta per controllare se la mia vecchia bambola c'è ancora e se la troverò,  te la porterò, così potremmo scambiarle. Sei d'accordo?-
    Sabrina asserì con la testa e Faith le fece una carezza sul viso.
- Andiamo. Tuo fratello ci sta aspettando.- Le ricordò prendendola per mano.

    La veranda sul retro della casa era piacevolmente fresca ed ombreggiata dai pini marittimi che incorniciavano l'abitazione insieme a molte piante grasse e fiori straordinari. Da un lato l'oceano pareva essere ricoperto da milioni di diamanti che brillavano al sole, dall'altro villette variopinte e dimore storiche impreziosivano l'Hermosa Beach di quella Los Angeles meno caotica e meglio accessibile.
    Sabrina aveva già polverizzato due coppette di gelato e si era dileguata, dopo che la bambina che le abitava vicino l'aveva invitata a giocare a casa sua, lasciando Faith e Jason soli sotto il porticato.
    L'invito di Sabrina era diventato una sorta di appuntamento con il fratello e soltanto in quel momento Faith si sentì lievemente a disagio.
- Allora,- Esordì posando la coppetta vuota sul tavolino - quando mi presenti la tua ragazza?-
    Jason esitò un istante in cui si lasciò sfuggire una risatina nervosa.
- Beh, non so se sia il caso, Faith.-
    La ragazza alzò lo sguardo su di lui, incuriosita.
- Perchè no?-
    Jason si strinse nelle spalle.
- Perchè no.- Ripeté stringendosi nelle spalle - Vuoi altro gelato?-
    Faith scosse la testa.
    Lui si alzò in piedi, afferrò le coppette impilandole una sopra l'altra e le portò in casa.
- Non è una risposta sensata la tua.- Osservò lei alzandosi a sua volta per seguirlo.
    Entrò in cucina e lo guardò risciacquare velocemente i cucchiaini e le coppe nel lavello per poi riporre tutto in un mobiletto accanto al forno a microonde.
- Non mi sembra il caso che tu la conosca. Dove non vedi un senso?- Domandò abbozzando un sorriso mentre si asciugava le mani.
    Faith annuì. Effettivamente era stato molto chiaro, ma non riusciva a comprendere il suo comportamento.
- D'accordo.- Disse soltanto.
    Tacquero entrambi per alcuni minuti. Lui aprì il frigorifero ed estrasse due bottiglie di coca cola, posandole sul tavolo che lo separava da Faith. Poi prese due bicchieri e glieli sistemò a fianco.
    Lei si guardò un po' intorno, fingendo di interessarsi ad una composizione di fiori secchi vicino ad una finestra.
- E tu?- Riprese il ragazzo.
- Io cosa?-
- Tu quando mi presenti il tuo fidanzato?-
    Faith avvertì un'istantanea fitta di disagio e un brivido le percorse la spina dorsale.
- Non mi sembra il caso.- Scosse la testa sollevando un angolo della bocca.
    Jason sorrise e bevve un sorso di coca. Il suo sguardo si soffermò un po' troppo a lungo su di lei, che parve accorgersene, cogliendola in imbarazzo.
- Che c'è?- Chiese turbata.
- Niente.- Si affrettò a rispondere lui, spostando le sue attenzioni altrove.
- Non mi pare che la nostra sia una conversazione da adulti.- Realizzò Faith sdrammatizzando quella situazione inverosimile.
- No, per niente.- Concordò Jason, divertito.
    Si era infilato le mani nelle tasche posteriori dei jeans, dondolandosi sui talloni come un bambino in procinto di confessare una colpa. Con la differenza che lui non aveva alcuna colpa da confessare, ma un misto di imbarazzo e di felicità nel trovarsi di fronte a lei lo stava completamente rincitrullendo. La stessa sensazione che si ricordò di aver provato il giorno precedente all'ospedale.
    “L'OSPEDALE! Ma certo!” Pensò soddisfatto di aver finalmente trovato un argomento da trattare.
    Finché Sabrina si era trovata nei dintorni, lui aveva potuto “utilizzarla” come scudo, ma da quando l'aveva lasciato da solo con Faith, la sua testa si era tramutata nel caos più assoluto.
- Ok.- Disse Faith, buttando l'occhio sull'orologio che portava al polso - Si è fatto tardi, Jason. Devo proprio rientrare.-
- Certo.- Si rassegnò lui, destandosi da quel torpore fatto di timidezza - Ti accompagno all'uscita.-
    Le aprì la porta, indeciso se baciarla sulle guance o meno, ma lei lo anticipò e gli porse una mano.
- Grazie per questo pomeriggio.- Mormorò.
    Lui gliela strinse e sorrise.

- Ringrazia Sabrina.-
    Lei rispose al sorriso ed annuì.
- Dalle un bacio da parte mia.-
- Lo farò.-
    Faith s'incamminò verso il cancello e Jason si sorprese ad ammirare il modo aggraziato con cui scendeva le scale.
- Faith.- La richiamò.
    Lei si voltò.
- Credi che potrei passare a trovarti uno di questi giorni?- Era riuscito a dirle qualcosa di sensato e sentì pervadersi da un impeto di orgoglio.
    Faith rimase un po' stupita dalla richiesta, ma non vedeva perchè non avrebbe dovuto approvarla.
- Ne sarei davvero felice, Jason.-
- A presto, allora.- Affermò, alzando una mano in segno di saluto.
    Lei sorrise di nuovo ed uscì, richiudendo il cancelletto.

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Capitolo 28
*** 28. Andare Avanti ***


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R ISPOSTE ALLE RECENSIONI

Buonasera a tutti!
Questa settimana ricorre una data importante. La mia carissima amica Saty compie gli anni, ed è mia intenzione farle gli auguri durante la pubblicazione di un nuovo capitolo, sperando che non se ne abbia a male! Perciò...
Tanti Auguroni di cuore, Sabrina!!!!

Mentre a tutti i lettori che mi seguono auguro una buona lettura e ringrazio tutti quanti inseriscano questa storia tra le Preferite e Seguite!

Grazie anche a Mozzi84, che questa settimana non perderà occasione di indossare una mascherina rosa con tanto di piumaggio in tinta annesso e connesso per partecipare al Gran Carnevale di Venezia! Chiunque vorrà la potrà incontrare nella più celebre piazzetta della laguna dove impazza la festa... XP

A presto!
MM


28. A NDARE AVANTI

    Com'era prevedibile, il pomeriggio seguente, poco dopo le due, Jason bussò alla sua porta e, quando se lo trovò davanti, Faith non poté trattenersi da sorridergli.
- Non ti aspettavo così presto.- Ironizzò, sistemandosi un asciugamano giallo attorno collo. L'ondata di afa che in quei giorni aveva investito la città stava raggiungendo temperature decisamente alte per essere a metà maggio.
    Tuttavia Jason, con un berretto da baseball, una canotta bianca e un paio di pantaloncini cachi, pareva essere  perfettamente a suo agio, fresco e rilassato.
- Se ti ho disturbata, torno a casa.- Fece grattandosi dietro la nuca.
- No, affatto.- Diniegò lei scuotendo la testa - Entra. Lì fuori fa parecchio caldo. Non che qui dentro si stia tanto meglio, però...-
    Faith si legò rapidamente i capelli in una coda improvvisata e lo condusse in cucina.
- Ti va un po' di spremuta d'arancia? L'ho appena fatta.-
- Sì.- Rispose lui, mettendocela tutta per mantenersi tranquillo.
    Faith aprì l'anta di un armadietto sopra il lavello per prendere due bicchieri e un pezzetto di pelle si scoprì appena sotto la maglietta corta.
    Jason non poté fare a meno di notarlo e distolse subito lo sguardo, togliendosi il cappello per passarsi l’avambraccio sulla fronte, che aveva immediatamente iniziato a sudare.
    La ragazza posò i bicchieri sul tavolo e lo guardò dondolarsi sui talloni, esattamente come aveva fatto il giorno prima, con le mani che stringevano convulsamente lo schienale della sedia.
- Non ti siedi?-
- Sì.- Rispose lui.
- Sai dire solo “sì” oggi?- Gli chiese divertita.
- Sì. Cioè, no.-
    La ragazza ridacchiò e prese a versare la spremuta nei bicchieri.
- Ascolta, Jason, è normale l'evidente imbarazzo che entrambi proviamo quando siamo l'una di fronte all'altro, ma penso che non ci sia alcun motivo di sentirsi così. Siamo soltanto due vecchi amici. Mettiamo da parte impedimenti e perplessità. Possiamo vederci quando vogliamo. Sempre che tu sia d'accordo, naturalmente.-
- Sì.- Replicò Jason, e Faith lo guardò un attimo per poi ridere di nuovo. Anche lui rise, rendendosi conto che stava rispondendo sempre allo stesso modo.
- Sì, sono d'accordo. Che stupidi che siamo. Nessun imbarazzo.- Approvò risoluto. Corrugò la fronte per un istante, poi si sedette e bevve un sorso di spremuta.
- Hai qualche programma per il resto della giornata?- Le domandò.
    Lei si passò il dorso della mano sulla fronte accaldata.
- Se finire di fare le pulizie in casa lo definisci “programma”, allora sì.-
Jason parve riflettere sulla risposta, quindi tornò all'attacco.
- E stasera sei libera?-
- Ho promesso che avrei aiutato mia zia a preparare la cena.-
- Allora dopo cena.- Insistette lui.
    Faith sorrise, maliziosa. Avrebbe voluto chiedergli della sua ragazza, ma il giorno precedente l'argomento non aveva riscosso un grande successo. Suo malgrado, però, dovette ammettere che non era normale che lui preferisse la sua compagnia a quella della sua fidanzata. Qualcosa non la convinceva, ma per quella volta decise di lasciar correre.
- Ho programmato di portare Sabrina al Neptune's Net a bere un frappè. Non puoi mancare.- Spiegò Jason per cercare di convincerla - Anche perchè non fa che chiedere di te.- Aggiunse facendo vagare lo sguardo nella stanza, quasi a voler dimostrare invano un certo disinteresse nei suoi confronti. Era palese che anche lui desiderasse la sua compagnia.
- Il Neptune's?- Fece lei richiamando meravigliata la sua attenzione.
- Sì. Che c'è di strano?-
- Non è un bar per motociclisti?-
- Sì. E quindi?-
- Jason, non per guastarti la festa, ma io non guido una moto. E nemmeno tu, se non sbaglio.-
- Non importa. Chiunque può entrarci. Fanno i frappè più buoni della contea.- Affermò lui strizzandole un occhio.
- Se la metti così...- Si rassegnò lei - Mi unirò a voi.-
- Fantastico!- Esclamò il ragazzo, soddisfatto per aver raggiunto l'obiettivo - Passeremo a prenderti alle nove.-
- D'accordo. Vi aspetto.-
- Adesso - Disse lui alzandosi in piedi ed indicando la porta con un cenno della testa - Ti lascio alle tue faccende domestiche.-
- Wow! Non vedo l'ora.- Fece lei sarcastica.
    Uscirono sotto il porticato e l'aria calda e umida li investì dopo pochi brevissimi istanti.
- A stasera, Faith.- Le mormorò in un sorriso.
- A stasera.- Ripeté lei.
    Il ragazzo scese atleticamente i gradini con un balzo, attraversò il giardino e salì sulla sua jeep blu scuro.     Una volta acceso il motore la saluto con una mano.
    Faith rispose al saluto stando appoggiata ad una colonna di legno del porticato. Nonostante il ricordo di Max fosse ancora vivido nella sua testa, avvertì qualcosa di diverso nel suo stato d'animo. Forse la felicità nell'aver ritrovato un vecchio amico, forse la certezza che, con tutta la sua buona volontà, sarebbe riuscita a superare quel momento così duro per lei, perchè anche se lo aveva perso, una piccola parte del suo cuore si ostinava ad amarlo e a sperare che un giorno non troppo lontano Max sarebbe tornato.

    Le bandiere sul molo sventolavano irrequiete nella brezza del crepuscolo mentre gli aloni ramati del sole all'orizzonte si diluivano nell'immensa oscurità dell'oceano. Il grido degli uccelli marini si mescolava allo scroscio ripetuto delle onde sugli scogli e alla musica proveniente dall'interno del locale.
- Non ero mai stata qui.- Dichiarò Faith guardandosi intorno.
    Avevano deciso di sedersi all'aperto, sotto il porticato retrostante il locale, dove si godeva di una veduta dell'intera zona costiera di Los Angeles interamente punteggiata di migliaia di luci. Poco distante dal loro tavolo un gruppetto di ragazzi assisteva divertito ad una partita di ping pong, bevendo birra e ridendo rumorosamente.
- Hai fatto male.- Osservò Jason sedendole a fianco - Ma hai recuperato in tempo.-
    Faith fece un'allegra risata.
    Sabrina si sedette e poco dopo una cameriera con i jeans strappati e una polo nera con stampato il suo nome si avvicinò al tavolo per dar loro il benvenuto e lasciare i menu. Allontanandosi, si fermò pochi istanti, incuriosita da come procedeva la partita di ping pong alle loro spalle, e ridacchiò alla battuta di un ragazzo biondo e tatuato.
- Giochiamo a ping pong?- Domandò Sabrina con gli occhi che seguivano ogni rimbalzo della pallina.
- Quando si libererà il tavolo, giocheremo anche noi.- Le rispose Jason aprendo il menu - Ora dimmi che frappè vuoi.-
- Fragola.- Affermò senza guardare il fratello. Il gioco era molto più interessante.
    Faith sfogliò attentamente il carnet. C'erano un sacco di frappè differenti e lei si trovò indecisa su tre tipi.
- Non saprei davvero quale scegliere.- Mormorò meravigliata per la grande varietà che il Neptune's offriva. Fece scorrere un dito lungo la pagina e poi guardò Jason.
- Mela verde.- Decise.
    Lui storse il naso e mugugnò.
- Un po' aspro.-
- Mmm... Allora ananas?- Suggerì lei.
- Troppo ordinario.- Replicò il ragazzo scuotendo la testa. Continuava a leggere le pagine e Faith non si accorse che stava sorridendo senza farsi vedere.
    Sbarrò gli occhi e poi li riabbassò sul menu.
- Cioccolato?- Disse infine. Era l'ultima tra le sue scelte.
- Troppo dolce.-
- Allora sceglilo tu per me!- Sbottò Faith fingendosi scocciata.
    Jason richiuse il menù con un leggero tonfo e la guardò in viso, dandosi un'aria da esperto.
- Peperoncino e cipolla.-
- Non se ne parla!-
    Lui sorrise. Si stava divertendo a prenderla in giro e lei gli diede un colpetto sulla spalla.
- Ti consiglio il cocco. Fresco ed estivo. E non eccessivamente dolce.-
    Lei ci pensò un po' su.
- D'accordo. Vada per il cocco.-
    Quando Victoria, la stessa cameriera che aveva lasciato i menù, tornò con il taccuino e la penna, Jason ordinò per tutti. Sabrina era ancora immersa nella partita e si capiva dall'espressione raggiante dipinta sul suo viso che si stava divertendo.
- È bello che ti occupi di tua sorella. Sembrate andare d'accordo.- Osservò Faith voltandosi verso Jason.
    Lui sbuffò, divertito, portandosi le mani alle tempie.
- A volte è davvero instancabile e non mi dà retta quasi mai. Stasera invece è piuttosto tranquilla. I miei genitori sono partiti per festeggiare l'anniversario del loro matrimonio. Hanno deciso di fare il giro del mondo. Quindi la sorellina tocca a me.- Concluse sorridendo.
- È una brava bambina.-
- Su questo non discuto. Perlomeno non è capricciosa come le sue amiche. Anzi, a volte mi stupisce quando esprime i suoi pensieri. Mi sembra di parlare con un'adulta. Ma altre invece, non voglio pensarci! Testarda come un mulo. Quando si mette in testa un'idea, dev'essere quella per forza.-
    Faith rise. Trovò che Jason fosse diventato davvero un bravo ragazzo, oltre che un fratello presente. Lei era figlia unica e aveva sempre desiderato un fratello più grande.
- Quando torneranno i tuoi genitori?-
- Fra due settimane. Sono giunti a metà del loro viaggio. Dicono che si stanno divertendo a visitare i luoghi più sperduti del pianeta. Perù, Isola di Pasqua, Australia. L'ultima volta che li ho sentiti si trovavano in Cambogia.-
    Faith spalancò la bocca.
- Caspita, devono divertirsi un mondo. Anche a me piacerebbe fare un viaggio così.-
Jason la osservò per qualche istante e socchiuse le labbra, intenzionato a dirle qualcosa, ma giudicò più corretto tacere.
- Pure a me.- Replicò soltanto, asserendo con la testa.
- Che fai adesso, Jason?- Gli chiese Faith.
    Lui credette di essere stato scoperto e provò un pizzico di imbarazzo.
- Sto seduto qui, con mia sorella ed una cara amica.- Rispose.
    Faith sorrise, piegando la testa di lato.
- No, intendevo, di cosa ti occupi durante il giorno.-
- Oh, io lavoro giù allo Yacht Club da circa un anno.-
- Sembra interessante. E ti piace?-
- Sì.-
    Faith esaminò attentamente la sua espressione ed intuì che non era tutto.
- Ma?-  
- Nessun “ma”.- Si affrettò a rispondere lui - Sorveglio quotidianamente gli yacht, li tengo in ordine. Ma in questi giorni quasi tutti i soci sono partiti per le Hawaii. Una specie di viaggio di gruppo. Quindi al momento non ho molto lavoro da fare. A volte sostituisco un collega che rifornisce di carburante tutte le barche del club. È... rilassante, devo dire. E inoltre il titolare mi permette di portare Sabrina con me.-
- Puoi anche guidare una barca?- Domandò lei mostrandosi interessata.
- Certo. La mia famiglia è socia del club e ne possiede una, giù al molo. Devo ringraziare loro se ora ho la possibilità di lavorare lì.-
- Se la staranno godendo per il viaggio, immagino. Come li invidio.- Sospirò Faith con lo sguardo sognante.
- No, hanno preferito viaggiare in aereo. Così hanno meno pensieri. E anche noi qui a casa. Mia madre non è un'avventuriera alla Indiana Jones.- Scherzò lui.
    Proseguì a parlare dell'itinerario del viaggio intorno al mondo dei suoi genitori, in quanto Faith si dimostrava sinceramente interessata, finché Victoria giunse al loro tavolo poggiando un vassoio con tre bicchieroni colorati. Soltanto allora Sabrina staccò gli occhi dal tavolo da ping pong per dedicarsi al suo frappè.
    La cameriera finì di distribuire i bicchieri e, quando Jason estrasse il portafoglio per pagare il conto, Faith lo fermò, aprendo la sua borsetta.
- No.- Replicò il ragazzo con determinazione - Sei nostra ospite. Lascia fare a me.-
    Faith richiuse la borsa, lanciandogli un'occhiata di rimprovero. Lui pagò Victoria e rimise il portafoglio nella tasca posteriore dei jeans, facendo finta di niente.
- Questo frappè ha un aspetto fantastico!- Esclamò portando la sua attenzione sull'ombrellino variopinto che sbucava dal bicchiere. Faith sorrise e scrollò il capo, divertita.
    Le era sempre piaciuto quel lato teneramente infantile che ogni tanto Jason ostentava. Certo, ammirava gli uomini forti e sicuri di sé, ma le piaceva soprattutto che un ragazzo fosse dolce e non avesse completamente rimosso dal suo carattere quella parte di “eterno bambinone” che la inteneriva tanto.
    Senza rendersene conto si era voltata verso l'oceano e osservava le onde illuminate dai fari lambire la riva con la loro schiuma argentata. Il Pacifico appariva come un liquido nero che rispecchiava lo spicchio della luna comparso appena sopra la frastagliata costa, ricca di luci e di vegetazione. Il cielo terso e privo di nuvole cominciava a riempirsi di stelle, che ammiccavano ritmicamente, mentre una leggera caligine cancellava la linea dell'orizzonte.
    In quell'attimo, senza un preciso collegamento, si ricordo di quando, un pomeriggio di marzo, lei e Max avevano aiutato zia Becky nella preparazione di una torta.

    Accortasi che mancavano le fragole, la zia si era dovuta assentare per qualche minuto, dicendo loro che sarebbe andata a comprarne un pò nel negozio vicino a casa.
- Sei piuttosto bravo a lavorare la pasta.- Commentò Faith con un sorriso.
    Con le mani sporche di farina, Max lavorava energicamente la pasta della torta sotto gli occhi della ragazza, che sedeva comodamente sul tavolo rivolta verso di lui con le gambe accavallate.
- Questa è l'unica torta che mi riesce bene. Mia madre mi insegnò a farla quando avevo sette anni.- Le raccontò lui restando concentrato sull'impasto.
- Non mi dire. Un vero bambino prodigio.- Lo prese bonariamente in giro.
- Non serve molto per fare una crostata di fragole.-
    Lei lo osservò con attenzione. La maglietta blu a maniche corte era spolverata di farina e lasciava intravedere i muscoli delle braccia che guizzavano sotto la pelle mentre impastava. Anche su una guancia aveva un baffo di farina che arrivava appena sotto il mento.
- Cosa guardi?- Chiese lui avvertendo addosso il suo sguardo.
- La tua maglietta.- Rispose lei. Allungò una mano e staccò un pezzetto di pasta, assaggiandolo. - È sporca.-
    Lui smise di lavorare l'impasto e abbassò la testa sorridendo per guardarsi il petto, con le mani sui fianchi.
- Si dà il caso che io stia lavorando, a differenza tua.- Si giustificò.
    Faith ridusse gli occhi a fessura e increspò le labbra, continuando a masticare.
- Credo che qui manchi qualcosa.-
- Nella torta?-
    Faith non rispose. Si voltò con la schiena e afferrò il cesto delle uova, ponendoglielo davanti.
- Uova?- Disse lui basito.
- Sì.- Ribadì la ragazza allargando le braccia.
- Nella torta?- Ripeté Max.
- No, non nella torta.- Rispose lei scuotendo la testa.
- E dove, allora?-
    Faith prese delicatamente un uovo con la punta delle dita e, in tutta tranquillità, lo spiaccicò sulla maglietta di Max, che non si mosse di un centimetro. Anzi, rimase a fissare la ragazza che continuava a premere l'uovo e a schiacciarne il contenuto, mentre l'albume colava da ogni parte.
- Credo di meritarmi un bacio, adesso.- Fece lui mettendo il broncio come un bambino.
- Certo, ora sei più sexy.- Acconsentì lei fingendo pudore.
    Si avvicinò a Max e gli mise le braccia intorno al collo. Con uno strofinaccio il ragazzo si ripulì rapidamente la maglietta e si spostò di lato. La attirò a sé afferrandola per le cosce, poi la baciò intensamente e le toccò il viso con le mani di farina, mentre lei rideva sommessamente tenendo le labbra incollate alle sue.
    Senza farsi vedere Max prese un uovo dal cesto che stava dietro di lei e abbracciò la ragazza, infilandole le mani sotto la maglia.
- Max, non qui. Zia Becky potrebbe entrare in qualsiasi momento...- Mormorò mentre si sentiva baciare ripetutamente sul collo.
    Con le mani lui risalì lungo la schiena fino al punto esatto tra le scapole, poco sopra il laccetto del reggiseno, e schiacciò l'uovo, facendo urlare la ragazza.
- Beh, non esagerare adesso...- Fece lui divertito - Non ho ancora cominciato.-
    Lei schizzò giù dal tavolo e gli puntò un dito di accusa.
- Vuoi la guerra? E guerra sia!- Esclamò dopo essersi levata i pezzi di guscio da sotto la maglia.

- Faith?- La richiamò Sabrina - Cosa c'è? Perchè sorridi?- Le chiese in un misto di premura e perplessità.
    Lei scosse la testa, accorgendosi di non aver più parlato da quando la cameriera se n'era andata.
- Niente. Pensavo .- Rispose semplicemente. Subito un velo di tristezza rabbuiò il suo sguardo.
- Hai una strana espressione. Io capisco quando c'è qualcosa che non va.- Dichiarò la bambina.
    Faith arrossì lievemente e guardò Jason sollevare entrambe le mani, segno che non sapeva di cosa stesse farneticando la sorella.
- E come fai a capirlo?- Le domandò incuriosita.
    Sabrina continuò a mescolare il frappè con il cucchiaio e disse - Lo so perchè Jason mi risponde sempre così quando c'è qualcosa che non va. Ed ha la tua stessa espressione.-
    Jason spalancò gli occhi mentre Faith era voltata dall'altra parte e quando lei si girò a guardarlo, riprese a bere indisturbato il suo frappè.
    Tuttavia Faith decise di approfondire l'argomento. Si sporse in avanti e si poggiò sul tavolo.
- E cosa pensi che nasconda il tuo fratellino?- La stuzzicò inarcando un sopracciglio. Pareva seriamente intenzionata a fare squadra con la bambina, e Jason lo intuì all'istante.
- Io lo so.- Proclamò Sabrina con gli occhi chiusi e l'aria da saputella.
- Avete finito voi due?- Intervenne Jason - Non è giusto: voi siete in maggioranza.- Si lamentò.
- Ultimamente lo fa spesso.- Continuò la sorella guardandolo con la coda dell'occhio.
- Sabrina!- La richiamò lui gravemente.
    Sabrina parve non sentirlo e spiattellò tutto a Faith, approfittando del candore e dell'innocenza della sua età.
- Da quando Kristin l'ha mollato lui non fa che starsene solo con i suoi pensieri.-
    L'espressione divertita di Faith mutò radicalmente, per lasciare il posto allo stupore.
    Provò un fitta di dispiacere nei confronti di Jason, che teneva gli occhi fissi sul tavolo rigirandosi tra le dita l'ombrellino colorato, chiaramente imbarazzato.
    Ora capiva perchè stava dedicando a lei tutto il suo tempo. La sua ragazza lo aveva lasciato per una qualche ragione ed ora lui cercava continuamente la sua compagnia.
    Rimase per qualche istante in silenzio, indecisa su come riprendere in mano il controllo della discussione quando, oltre le spalle di Jason, notò che il tavolino da ping pong si era liberato.
- Ehi, Jason.- Gli toccò una mano per richiamare la sua attenzione - Ti va una partita a ping pong?-
    Lui la ringraziò con lo sguardo. Le fu grato per aver salvato la situazione e per non averlo fatto apparire come un perfetto idiota nei confronti della sorella.
- Certo. Ti va di perdere?- Le chiese con l'ombra di un sorriso.
    Faith socchiuse gli occhi.
- Io sono una maestra di ping pong.- Affermò in tono di sfida.

    Dopo aver perso rovinosamente tre partite su quattro, Faith si arrese e Jason stabilì che fosse l'ora di rientrare, dato che Sabrina il giorno seguente sarebbe dovuta andare a scuola.
    Così la ragazza recuperò il maglioncino che aveva lasciato sullo schienale della sedia e lo seguì farsi strada tra la gente che affollava il porticato, tenendo sua sorella per mano.
    D'un tratto si sentì osservata. Eppure, si disse certa di non conoscere nessuno dei ragazzi lì intorno. Si voltò un istante, ma si convinse di essersi sbagliata. Tornò a guardare avanti e con la coda dell'occhio scorse Holly. Si fermò, d'istinto, incerta su come comportarsi.
    Non aveva più visto l'amica dal giorno in cui... Da quel giorno. Era passata qualche settimana, ma le parvero trascorse solo poche ore.
    Nel frattempo Holly restava immobile accanto ad una finestra del locale, aspettandosi un cenno, un saluto, qualsiasi segno che le facesse capire che fosse tutto a posto.
    Anche Faith lo aspettava. Ma quel segno non arrivò. Abbassò lo sguardo sul pavimento e proseguì senza voltarsi, allontanandosi dal Neptune's.
    Holly increspò le labbra, sentendo montare la tristezza dentro di lei, come una voragine che le squarciava lo stomaco.
- Che succede?- Le domandò Chris poco dopo, comparendo con due drink nelle mani e notando la sua espressione.
    Lei scosse la testa, avvilita, e sorrise debolmente stringendosi nelle spalle.
- Niente. Ho scambiato un'altra persona per una mia amica.-  

    Più tardi quella sera, dopo aver messo a letto Sabrina, Faith volle trattenersi un altro po' a casa di Jason.     Non era ancora mezzanotte e l'aria frizzante persuase la ragazza a sedersi in veranda, con il rassicurante canto dei grilli in sottofondo.
    Lo scrosciare delle onde in lontananza infondeva tranquillità e i due ragazzi rimasero ad ascoltarlo in silenzio per alcuni lunghi minuti nella penombra.
    Un cumulo di nubi violacee riverberavano la luce lattiginosa della luna, gettando sul molo un fascio patinato e facendo brillare la cresta delle onde con continui luccichii.
    Jason aveva portato fuori una brocca di limonata fresca con due bicchieri a calice e li aveva riempiti entrambi per metà, porgendone uno a Faith.
- Bella serata, eh?- Commentò la ragazza assaggiando la bevanda.
- Già.- Concordò lui appoggiandosi allo schienale della sedia con il bicchiere in grembo. Accavallò le gambe, portandosi una caviglia sul ginocchio dell'arto opposto, e gettò la testa indietro, incerto di come affrontare l'argomento “Kristin”, ma lei lo sorprese.
- Sai, Jason- Esordì - se può farti sentire meglio anch'io sono stata lasciata dal mio ragazzo poche settimane fa.-
    Lui la guardò. Il buio gli impediva di delineare perfettamente il suo viso, ma intuì lo sguardo che poteva avere in base al tono della voce.
    Faith si sentì al sicuro protetta dalla semioscurità della notte: non intendeva in alcun modo mostrargli il suo dolore, perchè ogni volta che ne parlava la sua espressione s'incupiva e lei si riteneva una sciocca. Dal giorno in cui se n'era andato non aveva più versato una sola lacrima per Max, e non voleva farlo proprio adesso in presenza di Jason.
- Mi spiace.- Fece  lui rattristandosi.
    Lei annuì corrugando le labbra e rimase a riflettere sulle cause che avevano fatto finire il suo rapporto.
- Forse siamo stati troppo precipitosi. Ci abbiamo messo tutto il cuore e tutta l'anima, ma credo sia stato uno sbaglio.-
- Quando sei innamorato di qualcuno non è mai uno sbaglio.- Affermò Jason - Lo sbaglio si commette quando non si ammettono i propri sentimenti.-
- O quando si mente per amore.- Eccepì lei.
    Con un leggero cenno del capo si scostò una ciocca di capelli ed alzò lo sguardo verso la luna. Ci fu un lungo silenzio in cui anche i grilli smisero di cantare. Una lieve brezza trasportò i rumori del molo e fece tintinnare il carillon a vento appeso ad un arco di legno del porticato. La ragazza chiuse gli occhi, come per assaporare meglio quegli attimi di quiete, e si ritrovò improvvisamente a pensare al viso di Holly. I suoi occhi tristi la indussero a chiedersi se non fosse arrivato il momento di chiarirsi con quella che era sempre stata la sua migliore amica. Indubbiamente le mancava, ma continuava ad attribuirle un minimo di colpa per averle fatto perdere Max, anche se doveva ammettere che era lei stessa ad avere torto. Dio solo sapeva quante volte si era rimproverata per non avergli raccontato tutta la verità fin dall'inizio.
    Jason la osservò attentamente. Provava sincero dispiacere ed era rincuorato soltanto dal fatto che anche lei avvertisse in sé lo stesso dolore che stava patendo lui.
- Noi avevamo in progetto di sposarci, ma...- Esitò un po' prima di continuare la frase.
    Lei lo ascoltò e rispettò quella pausa in silenzio, comprendendo che si trattava di parole importanti e allo stesso tempo difficili da esprimere.
    Jason espirò, schiarendosi la voce, e ripose il bicchiere vuoto sul tavolo.
- Ha scoperto di provare ancora dei sentimenti verso il suo ex ragazzo. Così mi ha lasciato.-
    Faith asserì lievemente con la testa.
- Siamo una bella coppia.- Disse per sdrammatizzare.
    Vide le labbra di Jason curvarsi in un sorriso mesto.
- A te cosa è successo, invece? Perchè ti ha lasciato?-
- È una lunga storia. Incredibile, più che altro.- Mormorò Faith. Bevve ancora della limonata e sentì la sua gola rinfrescarsi gradevolmente.
- Incredibile persino per me, credimi. In un momento hai tutto ciò che desideri dalla vita, e l'attimo dopo non hai più niente.- Continuò la ragazza
- Posso farti una domanda, Faith?- Le chiese Jason.
- Certo.-
- Hai dei rimorsi?-
    Lei tacque. L'unico grande rimorso era l'aver nascosto tutto a Max. Se solo avesse potuto far tornare indietro il tempo e cambiare ogni cosa...
- Sì.- Rispose - Sono sempre stata del parere che in un rapporto debba esserci la più completa sincerità e fiducia. Eppure, nonostante questo, sono andata contro ogni mia teoria.-
- É facile parlare quando qualcosa non ci riguarda strettamente, ma coinvolge altre persone. Ma una volta che accade a noi tutto cambia e ci risulta difficile seguire i consigli che noi stessi abbiamo dato agli altri. È normale.- Osservò Jason.
- Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non può capire.- Recitò Faith ricordando a malincuore la sua prima notte d'amore con Max.
- Bella frase.- Fece Jason.
    Faith sollevò un angolo della bocca e avvertì un groppo in gola.
- Blaise Pascal.- Sussurrò - E tu, hai dei rimorsi?- Gli domandò scrollandosi dalla mente quei dolci ricordi.
- Sì.- Rispose lui dopo un po'. Non sapeva se fosse il caso di confessarglielo, ma l'atmosfera di intimità e complicità che si era creato lo convinse a parlare.
- Averti lasciata andare via.- Disse piano, sentendosi quasi in colpa - Mi sono comportato male e non ho fatto niente per migliorare. Quando hai deciso di lasciarmi, ho capito che avevi ragione ad andartene e che probabilmente avrei fatto così anch'io, fossi stato in te.-
- Guarda come siamo adesso, Jason.- Replicò Faith facendosi avanti con i gomiti sulle ginocchia. Tra le mani stringeva lo stelo del bicchiere, che luccicava alla luce della luna - Se un giorno qualcuno mi avesse detto che avrei trascorso una serata da sola con il mio ex ragazzo nella veranda di casa sua, gli sarei scoppiata a ridere in faccia.-
- Cosa vuoi dire?- Domandò lui accigliandosi.
    Lei si scostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e rispose con una voce dolce.
- Che siamo cambiati. Non solo tu, ma anch'io. Siamo cresciuti, Jason.-
    Jason non rispose, ma in cuor suo era d'accordo con Faith. Lui era riuscito a disintossicarsi ed aveva iniziato una nuova relazione, poco contava che fosse finita male. In un certo senso, ce l'aveva fatta. Era diventato un uomo nuovo, buttandosi alle spalle quel brutto periodo che lo aveva visto schiavo dell'alcol.
- A cosa pensi?- Chiese Faith, destandolo dai suoi pensieri.
    Lui sorrise e si schiarì la voce, facendole la proposta alla quale aveva pensato mentre si trovavano al Neptune's.
- Ti andrebbe di fare un giro in barca a vela con me domani?-

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Capitolo 29
*** 29. Ricordi E Parole Sull'Oceano ***


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23/03/2011

Beta's corner:
Chi vi parla in questo piccolo angolino ritagliato all’insaputa dell’autore è la beta di questa storia Mozzi84. Rischio l’ira di voi lettori avidi del nuovo capitolo (speriamo siate in tanti) e mi approprio di un minuto del vostro tempo per festeggiare il compleanno di una grande persona alla quale voglio un mondo di bene.
Marco (Will Turner) oggi compie 27 anni e spero vi unirete a me nell’augurargli un bellissimo e felicissimo compleanno.
TANTI AUGURIIIII! TVTB!


R ISPOSTE ALLE RECENSIONI

Ciao!
Allora, che ve ne pare di questa storia? Sono curioso di sapere i vostri pensieri e i vostri commenti! Oppure devo piantare tutto qui e darmi all'ippica?
Attendo fiducioso i vostri pareri!
Nel frattempo non posso non ringraziare Saty per la cura e la pazienza con le quali recensisce ogni singolo capitolo. Ogni nota che faccio per te non è mai spazio sprecato!
E poi un grazie anche alla beta Mozzi84, dalla quale sono ansioso di vedere lo spettacolino privato di Burlesque... uuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuh aaaaaaaahh!! Sto scherzando, ovviamente, se la beta sta leggendo non si prenda male e non mi pianti la grugna, ih ih ih!
Ho voluto inserire un paio di canzoni, una proprio all'inizio del capitolo, “Breathless” dei Corrs; la seconda è “Two Beds And A Coffee Machine” dei Savage Garden.
Buona lettura a tutti e buon week end!
Ciao ciao!

29. R  ICORDI E PAROLE SULL'OCEANO

The Corrs “Breathless”
    Le ombre delle imbarcazioni si allungavano pigre lungo le assi di legno del pontile, mentre il moto ondoso dell'oceano le faceva rollare dolcemente in un movimento quasi ipnotico. Il sole ancora giallo del tramonto riscaldava la brezza e dorava i contorni frastagliati delle nuvole all'orizzonte.
    Quando Faith raggiunse a piedi il molo, dopo aver lasciato l'auto poco lontano, Jason stava terminando di sistemare le scotte, inginocchiato sul ponte di una barca.
- Pronto per portarmi al largo, marinaio?- Gli chiese la ragazza avvicinandosi con una mano sulla fronte per schermarsi gli occhi dalla luce del sole.
    Lui si voltò e subito un sorriso di sorpresa si dipinse sul suo volto.
- La porto dove desidera, signorina.-
    Faith fece una risatina e Jason provò una familiare fitta allo stomaco osservandola. Indossava una camicetta rossa a maniche corte, scollata a mettere in risalto a meraviglia le sue forme, e un paio di blu jeans sbiaditi a vita bassa con sandali bianchi. In una mano teneva un cestino da picnic che lasciava intravedere qualche mela, un cartoccio di stagnola e due lattine di coca cola.
- Ho pensato di portare qualcosa da mangiare, nel caso ci venisse fame.- Spiegò notando che Jason aveva lanciato un'occhiata al cestino.
- Hai fatto benissimo.- Affermò il ragazzo ancora intontito dalla sua bellezza. Era rimasto rapito dalla sua folta chioma. Il vento giocava con i suoi lunghi capelli, che svolazzavano morbidamente lanciando fugaci riflessi dorati.
    Con la mano libera, Faith si ravviò alcune ciocche che le ondeggiavano sul viso e squadrò la barca da cima a fondo. Lo scafo era verniciato di un nero lucido e a prua, come a poppa, campeggiava il nome “Breakaway”. Non che lei se ne intendesse, ma considerò che l'imbarcazione avesse l'aspetto tipico di ogni barca a vela.
    Si sviluppava perlopiù su due ponti: quello inferiore, del tutto scoperto, e quello superiore, di poco più alto, che si estendeva fino a prua. Sotto vi era situata la cabina, caratterizzata da tre piccole finestrelle, perfettamente pulite, che riflettevano il bagliore del sole. A poppavia il grande albero maestro sosteneva una vela color crema, che sembrava impaziente di essere spiegata.
- É questa la tua nave?- Domandò armoniosamente.
- Si. Ti piace?-
- É molto lussuosa.- Commentò - Ho il permesso di salire a bordo?- Chiese alzando il mento per atteggiarsi a ricca signora.
    Jason si allungò verso il pontile, si strofinò un mano sui calzoni e gliela porse.
- Prego, signorina.- Fece lui, ossequioso, mettendosi a sua completa disposizione.
    Faith afferrò la sua mano e il ragazzo la issò a bordo. Tutto si svolse così velocemente che non si resero conto di trovarsi in un attimo vicinissimi l'uno all'altro. I loro corpi si sfiorarono e lei avvertì una traccia della sua acqua di colonia. Sempre stringendogli la mano, lo guardò senza dire nulla. Sul suo viso abbronzato e rasato spiccavano due sottili occhi verdi che le provocarono un dolore al centro del petto, quasi una sorta di rimorso momentaneo per aver accettato quell'invito.
    Jason sentì palpitare forte il suo cuore, rimanendo in silenzio a sua volta, nel timore che tutto il controllo che era riuscito a mantenere in sua presenza potesse sfuggirgli di mano.
    Imbarazzata, lei abbassò immediatamente lo sguardo, sollevando il cestino che teneva stretto.
- Dove... Dove posso mettere questo?- Balbettò, colta dalla tensione.
- Puoi appoggiarlo sui sedili.- Rispose lui schiarendosi la voce.
    Si mise la mano in tasca, quasi vergognandosi del calore che lei gli aveva trasmesso con il suo tocco e che lui voleva custodire come una pietra preziosa. Poi si avvicinò al timone e girò la chiavetta per accendere il motore.
- É davvero elegante la tua barca.-  Realizzò Faith per stemperare la tensione che ancora li avvolgeva. Si concentrò quindi sull'imbarcazione, ammirandone meglio ogni particolare. I finimenti in legno chiaro le donavano un aspetto maestoso e raffinato.
- Chi ha deciso il nome?- Gli chiese voltandosi a guardarlo.
- Mio padre.- Rispose lui con fermezza mentre mollava le cime di ormeggio ed issava rapidamente la vela.
    Faith udì il lieve ronzio del motore crescere d'intensità, fino a diventare un rombo assordante, e, dopo pochi secondi, la barca prese il vento, allontanandosi dal molo. Si accomodò sul sedile lungo il parapetto, proprio dietro a Jason, che nel frattempo reggeva saldamente il timone, flettendo le gambe all'inclinarsi della barca. Sopra di loro il boma si spostò di lato, trascinato dalla vela che si stendeva al vento.
    Jason sembrava molto concentrato sulle manovre e lei lo osservò in silenzio per non distrarlo.
    Doveva ammettere che era indubbiamente un bel ragazzo e si ricordò dei sentimenti che in passato l'avevano legata a lui. Erano stati bene insieme, almeno finchè Jason non aveva iniziato a bere. Ma si era trattato di cose avvenute tanto tempo prima, che lei aveva finito per dimenticare, innamorandosi di Max.
    Tuttavia, guardandolo, Faith non pensò che ai momenti belli trascorsi insieme, e questo le regalò un istantaneo senso di benessere. Considerò che, in questo periodo, ne aveva davvero bisogno.
    Si sporse a poppa, posando una mano sul parapetto, attirata dal gorgogliare vorticoso della scia dietro la barca. Poi alzò lo sguardo, in direzione del porto, e lo contemplò.
    Le abitazioni affacciate sul Pacifico erano dipinte dalla morbida e fulva luce del sole che tramontava, e lei scoprì Los Angeles da un punto di vista che non aveva mai sperimentato. Sembrava... diversa.
    Diversa da come la conosceva. Diversa dalla città che amava tanto. E le parve ancora più suggestiva e affascinante.
    Mentre le acque si tingevano di rosso e di blu, la Breakaway beccheggiava sicura con le vele che schioccavano forte sotto la spinta del vento.
    Quando Jason ritenne che la randa si trovasse nella posizione giusta, fissò le scotte. Lei lo osservò ammirata compiere quei movimenti con velocità e precisione. Uscirono dalla bocca del porto, oltrepassando il faro e, dopo poche miglia, cambiarono direzione, lasciandosi alle spalle lo strato di cumuli viola che annunciavano la notte. La brezza gonfiava la randa e faceva sbatacchiare ripetutamente le vele contro l'albero maestro.
    Poi Jason impostò il pilota automatico e si volse verso Faith, con un largo sorriso.
- Ora godiamoci il viaggio.- Disse andando a sedersi al suo fianco.
    Faith passò rapidamente lo sguardo da lui al timone, pressoché immobile malgrado il dondolio leggero della Breakaway, e poi guardò di nuovo Jason.
- Non sarà pericoloso?- Mormorò con circospezione.
- Tranquilla.- Fece lui - Stasera non ci saranno forti raffiche di vento. Riusciremo a mantenere questa rotta senza difficoltà.- La rassicurò, esaminando l'orizzonte.
    La Breakaway cominciò a prendere velocità, solcando le onde, fiera e imponente, e puntando dritta verso il tramonto infuocato.
- Grazie per avermi invitata sulla tua barca.- Disse Faith dopo qualche minuto, mentre gli ultimi raggi del sole le illuminavano il viso - È bellissimo.-
    Jason scrollò le spalle.
- Mi fa piacere che ti piaccia. Spero che ci verrai ancora.-
- Assolutamente si.- Sorrise lei.
    Dopo aver spento il motore Jason verificò che le vele fossero a posto, mentre l'imbarcazione procedeva silenziosamente a parecchie miglia dalla costa. Osservò distrattamente un'altra barca a vela poco distante da loro provenire dalla direzione opposta. Anche Faith la notò rendendosi immediatamente conto che stavano transitando di fronte ad un luogo a lei caro.
    Visti da una diversa prospettiva i tre scogli parevano ancora più imponenti di come li aveva sempre guardati stando seduta sulla spiaggia. Si ergevano massicci con la loro austerità ed alcuni gabbiani svolazzavano attorno alle sommità, avvolte in un'aura di mistero incantato.
- La Cala di St. Alexander.- Annunciò Jason mentre scrutava la baia tenendosi aggrappato alla cima con una mano.
    Faith annuì inespressiva, senza nemmeno guardarlo. Non riusciva proprio a sopportare il peso di tutti i ricordi che riaffioravano imperterriti nella sua mente. Si chiese se la bottiglia con i desideri suoi e di Max fosse ancora là, nella cavità tra gli scogli vicini alla riva, oppure se l'alta marea l'aveva portata con sé ed ora la stesse trascinando verso il Giappone o chissà quale destinazione esotica. Per un istante preferì saperla al largo, dove nessuno, specialmente lei, avrebbe potuto trovarla.
    Rimase in silenzio, apprezzando la quiete che caratterizzava l'oceano. Soltanto lo sciabordare delle onde e lo schioccare delle vele al vento rendevano unica quella straordinaria esperienza.
    Faith non aveva mai desiderato navigare su una barca a vela, ma riconobbe a sé stessa che non sapeva cosa si sarebbe persa se non l'avesse provata almeno una volta nella vita. E quella volta stava succedendo proprio con il suo ex ragazzo.
    In quel momento realizzò che, malgrado tutti i litigi passati e le loro discrepanze, ora erano di nuovo amici. Faith si trovava bene in sua compagnia, ed era certa che anche Jason si sentisse a suo agio con lei. Non si trattava di una semplice amicizia fatta di lunghe dissertazioni, ma il loro rapporto andava più in profondità. Come se l'essere stati fidanzati avesse in un certo modo contribuito a renderli le persone che erano diventate. Riusciva a percepire un sottile filo che li legava e che non si sarebbe spezzato tanto facilmente. Probabilmente, pensò, da qualche parte nell'universo c'erano un'altra Faith e un altro Jason che stavano ancora insieme, uniti da un amore indistruttibile. Era un'idea che si era fatta spesso, ai tempi, perchè le piaceva pensare che potesse essere vera.
- Che ne dici se ci fermassimo qui per mangiare, Faith?- Le propose Jason avvicinandosi all'ancora.
    Faith guardò di nuovo verso la spiaggia. La sottile striscia di sabbia rossa della Cala di St. Alexander era scomparsa dalla vista, nascosta dai faraglioni e dalla vegetazione che arricchivano le varie insenature.
- Qui è perfetto.- Approvò.
    Jason calò l'ancora, che scese in acqua con un rumore metallico, per scomparire rapidamente tra le profondità marine.
- Navigare mette sempre appetito. Almeno a me.- Commentò allegramente.
- Bene.- Replicò Faith estraendo la stagnola dal cestino. Conteneva due panini al prosciutto con una foglia di insalata e due toast al formaggio - Ho preparato uno spuntino rapido prima di venire al molo.-
    Lui diede un'occhiata alle cibarie e assunse un'espressione da sufficienza.
- Sembra tutto commestibile...- Scherzò, e lei gli diede un colpetto sulla spalla.
    Nella brezza carezzevole, divorarono i panini e anche i toast, poi si sdraiarono sui sedili contro il parapetto, Jason da una parte e Faith dal lato opposto della barca, a scrutare il cielo che nel frattempo si era oscurato.
Savage Garden “Two Beds And A Coffee Machine”
    Orione e la Stella Polare erano le più brillanti, ma la regina della sera pareva scomparsa dalla galassia. Nulla interrompeva quell'ancestrale silenzio, cullato soltanto dal leggero gorgoglio delle onde del Pacifico.
- Sei felice, Jason?- Chiese Faith d'un tratto.
    Lui si stupì di quella domanda. Rifletté qualche secondo, poi piegò il capo e la guardò con grande intensità, smarrendosi brevemente lungo la strada dei ricordi.
    Dio, quant'è bella, realizzò nei suoi pensieri più intimi. Non riusciva a capire come Faith potesse ancora avere quell'influsso su di lui. Forse perchè possedeva tutte le doti e le qualità che ogni ragazzo cerca in una donna, ossia l'educazione, la bellezza, la simpatia, la dolcezza, il buonsenso. Tutte le volte che la guardava, lei era in grado di catturare non solo il suo sguardo, ma anche il suo cuore. Per quanto avesse amato Kristin, giunse alla conclusione che non era lo stesso tipo di amore che aveva provato per Faith.
- Credo che nessuno sia felice dopo essere stato lasciato dalla persona che amava.- Rispose, con la voce carica di smarrimento
- Amore a parte, intendo. Sei felice della tua vita?- Specificò lei.
- Non saprei. Tu?-
- Beh,- Sospirò, giocherellando con una ciocca di capelli e con lo sguardo fisso nel cielo - se me l'avessi chiesto qualche tempo fa ti avrei risposto fermamente di no. Ho perso tutto, Jason.-
- Hai sempre zia Becky.-
- Si, ma chissà per quanto ancora.-
- Che vuoi dire?- Domandò Jason accigliandosi - Mi sembra di ricordare che sia ancora piuttosto giovane.-
Lei respirò profondamente, lottando contro il nodo allo stomaco che lievitava ogni volta che ripensava alla situazione fisica di sua zia.
- Le è stato diagnosticato un tumore al cervello.-
- Non lo sapevo.- Mormorò lui, sentendosi impacciato, preoccupato di pronunciare le parole sbagliate - Mi dispiace.-  
    Ricordava bene quanto sua zia fosse importante per lei. Avrebbe voluto avvicinarsi per prenderla e stringerla forte tra le sue braccia, scacciare lontano ogni dolore che l'affliggeva, sentendosi più sereno a sua volta. Avvertì l'impulso incontrollato di agire, ma capì che non era la situazione adatta, e si limitò ad abbracciarsi le gambe, seduto con i piedi sul sedile.
    Guardò le stelle palpitare e squarciare il cielo con la loro aureola luminosa, e rammentò le ore solitarie che erano seguite da quando lei lo aveva lasciato. Avrebbe tanto voluto essere di nuovo al centro dei suoi pensieri, ma comprese che in quel momento era impossibile. Riusciva ancora a leggerle negli occhi l'amore per quel ragazzo che le aveva rubato il cuore, forse per sempre, e questo era come un pugno allo stomaco. L'ennesimo.
    Fu lei ad interrompere nuovamente il silenzio, facendo una considerazione della sua vita, con la voce che era poco più di un sussurro.
- Non capisco perchè nella vita di una persona le cose belle e quelle brutte siano fortemente sbilanciate. Credi che sia perchè la gente dà peso soltanto a quelle brutte, ignorando le belle?-
    Jason cercò mentalmente di fare ordine tra le sue idee per evitare di recitare frasi fatte e scontate, perchè sapeva che lei non ne aveva bisogno. Faith era una di quelle persone per le quali occorreva qualcosa di ben più profondo.
- Io penso che sia difficile riuscire a bilanciare la considerazione che si dà ad entrambe. È una prerogativa che si impara piano piano. Siamo tutti così, inizialmente.-
- Vorrei che tu avessi ragione.- Sorrise debolmente.
    Uno spicchio cereo della luna spuntò oltre una nube nerissima e l'oceano iniziò lentamente a velarsi di una patina argentata.
- Dipende da tante cose, comunque.- Proseguì Jason - Io non dico che sia facile soppesare i momenti felici con quelli tristi. Si fa presto a consigliare di concentrarsi sulle cose belle.-
- Forse serve qualcuno che te le faccia notare.-
- Anche se te le facessero notare è comunque difficile. Io sono convinto, però, che si debba fare uno sforzo, perchè ne va a discapito della propria serenità.-
    Faith si girò verso di lui, comprendendo che il loro rapporto si stava amplificando, e si chiamò contenta per aver ritrovato un amico come Jason.
- Hai qualche consiglio da darmi?-
- Potresti cominciare ad essere un po' egoista e pensare di più a cosa o a chi ci fa stare bene, cercando di farci scivolare di dosso le brutture.-
- Non sarà menefreghismo, però?-
- Anch'io pensavo così. Infatti non riesco ancora a fregarmene di tutte le cose di cui dovrei. Ma una persona non può e non deve caricarsi di tutto, soprattutto se non è colpa sua.-
    Faith ci pensò su per alcuni minuti, mentre la brezza tiepida le carezzava le guance, poi guardò di nuovo il ragazzo che le stava vicino. E si rese conto che non era più un ragazzo. Era diventato un uomo straordinario. Si mise a sedere con il viso rivolto verso Jason, che distolse lo sguardo dal cielo, e si alzò aggraziatamente, avvicinandosi con passo incerto e chiedendosi che cosa avrebbe fatto una volta giunta da lui. Ormai era tardi per tornare indietro. Jason la guardò, con gli occhi che brillavano alla luce lunare, e deglutì, chiedendosi che cosa stesse accadendo.
- Posso abbracciarti?- Gli sussurrò debolmente, afferrandogli le mani con dolcezza.
Il ragazzo avvertì un forte calore crescergli nel cuore, sentendosi assalire da un turbinio di sensazioni ed emozioni che gli impedivano di gestire la situazione. Capì che era inutile resistere ancora. Spalancò le braccia, e lei si tuffò contro il suo petto. Jason aveva saputo dire le parole che si aspettava di sentire, e lo ringraziò sottovoce.
    Stretta tra le sue forti braccia, avvertì sciogliersi la tensione che da giorni non la lasciava andare, ed improvvisamente tutto il tempo che aveva passato lontano da lui si dissolse. In quel momento le parve che nulla fosse cambiato da quando lo aveva lasciato. Si era persino dimenticata del vizio che l'aveva costretta a troncare il rapporto.
    Jason alzò il viso e contemplò la luna che galleggiava tra due strati di nubi ceree. Odorò il profumo dei capelli di Faith e si accorse di essersi innamorato di lei per la seconda volta. Non del ricordo di ciò che era stata. Quel momento magico lo stava riscaldando dentro, ma la consapevolezza che lei non ricambiasse il suo sentimento lo fece soffrire,  e, con sua sorpresa, sentì salirgli una lacrima agli occhi.
    Una lacrima che non riuscì a frenare, nonostante tutti i suoi sforzi.  

    Mentre la Breakaway faceva ritorno al molo, Faith si sentì strana. Provava ancora un senso di colpa per il suo gesto. Un po' perchè aveva realizzato di aver reso le cose difficili a Jason. Un po' perchè Max non era completamente uscito dalla sua vita, dal suo cuore. Le sembrava tutto così affrettato, e avvertì un leggero imbarazzo.
    Appena mise piede sul pontile, si limitò a salutarlo, ringraziandolo per la bella serata. Lui annuì e la seguì con gli occhi per qualche passo, mentre finiva di sistemare la barca.
- Ti rivedrò, Faith?- Le chiese sommessamente, comprendendo la difficoltà della prova che stava affrontando.
    La ragazza si fermò, chiudendo gli occhi per riflettere meglio sulla risposta. Prendere quella decisione si  stava rivelando alquanto difficile, soprattutto dopo ciò che era successo al largo. Avrebbe potuto rispondere semplicemente si, ma non intendeva ferire ulteriormente i sentimenti di quel ragazzo che si stava dimostrando così gentile. Allo stesso tempo, però, le parole che aveva detto le risuonavano nella testa.
    Concentrarsi sulle cose e sulle persone che ci fanno stare bene. È davvero questa la ricetta della felicità?
Quando li riaprì, si voltò e vide Jason sotto un altro aspetto. Era chiaro che la facesse stare bene, perchè privarsi di una cosa bella? Perchè continuare a vivere nei ricordi e in un passato doloroso?
    Lo osservò con un timido sorriso sulle labbra e si passò le dita tra i capelli.
- Quando lo vorrai, Jason. Io ti aspetto.-
    Gli sorrise, poi si allontanò, sentendosi più leggera e ripetendo tra sé il bene che gli voleva.

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Capitolo 30
*** 30. Il Messaggio ***


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R ISPOSTE ALLE RECENSIONI

Ciao a tutti!
Cosa vi è sembrato dell'ultimo capitolo? Che ne pensate di questo riavvicinamento tra Faith e Jason? Sono molto curioso di leggere i vostri pareri, perchè ogni settimana aumenta il numero di chi inserisce questa storia tra le preferite! Siete davvero in tanti e voglio ringraziarvi!
Come ringrazio anche Mozzi84 per avermi fatto gli auguri senza avvisarmi della sua idea di pubblicarli. È stato un bel pensiero, e naturalmente anche io ti voglio tanto bene!
Grazie alla fedele Saty! L'ultima recensione è troppo divertente e suggerisco ai lettori di leggere i commenti di questa donna! Magnifici!
Comunque non voglio rubarvi altro tempo e vi lascio al nuovo capitolo.
A presto!
Marco

30. I L MESSAGGIO

- Non dire o fare cose delle quali poi potresti pentirti, Max.- Si era raccomandato Tom pochi istanti prima al gate dell'aeroporto Heathrow di Londra.
    Max lo aveva guardato nel modo scettico ma carico di speranza di chi non è sicuro di sapere a cosa va incontro. Era deciso a tornare a casa sua, a Lakewood, per cercare di far luce sul motivo per cui Addison gli aveva mentito riguardo alla morte del padre.
    Ma non si era convinto del tutto da solo a volerci tornare.
    Una sera, rientrato in albergo, trovò un messaggio sulla segreteria del cellulare. Non gli era occorso molto tempo per capire chi lo aveva lasciato. Viste le frequenti telefonate ignorate, il messaggio si era poi confermato essere di Chris.
    Max aveva captato qualcosa nella sua voce, una sorta di estraneità dai fatti che lo avevano coinvolto. Si era chiesto spesso se effettivamente suo cugino non fosse a conoscenza della verità, ma tutte le bugie che gli avevano raccontato Faith e soprattutto sua madre, unite ad una comprensibile incapacità di discernimento, lo avevano obbligato a classificare Chris come un bugiardo.
    Adesso, sprofondato in una poltrona di prima classe di un aereo della British Airlines, Max attendeva da qualche minuto il decollo del velivolo, osservando il sole scomparire dietro le torri di controllo, in una nebbia ambrata, e riascoltò il messaggio di Chris. La sua voce sembrava stanca, ma tentava di essere il più convincente possibile.
“Max, ho deciso di andare da tua madre per chiarire ogni cosa. Ti giuro che sono sconvolto quanto te e non sai quanto avrei voluto dirtelo, ma tu non vuoi rispondere alle mie telefonate. Perciò ascoltami, ti prego: torna a casa. Vorrei che chiarissimo tutti e tre insieme quello che io credo sia uno spiacevole malinteso. Verrò a prenderti in aeroporto venerdì pomeriggio alle due. Spero di trovarti. Ci conto.”
    Da sopra il sedile, Max notò una hostess che, con frequenti occhiate, lo intimava a spegnere il cellulare.
- Siete pregati di allacciare le cinture di sicurezza. Stiamo per decollare.- Recitò gentilmente avvicinandosi ai passeggeri vicini a lui.
    Max allacciò le cinture e si appoggiò al finestrino con il gomito, facendo scivolare il cellulare nelle tasca del giubbotto.
    Un televisore in fondo alla corsia, appeso sopra la porta, iniziò in quel momento a dispensare istruzioni riguardanti l'utilizzo delle mascherine per l'ossigeno, qualora ce ne fosse stato il bisogno, e Max volse la testa di lato, sbuffando annoiato. Con tutti i voli effettuati aveva finito per imparare a memoria ogni norma di comportamento ed ogni consiglio pratico per ogni caso, dalla semplice perturbazione al gravoso incidente in aria.
    Tuttavia quel giorno il cielo si mostrava sereno e lui non si preoccupò affatto del volo. Nella sua testa non facevano che ripetersi milioni di domande, le stesse ormai da quando aveva lasciato Los Angeles.
    L'aereo decollò e atterrò senza imprevisti sette ore dopo.
- Le due esatte.- Mormorò Max dando un'occhiata all'orologio che portava al polso.
    Non era lo stesso che gli aveva regalato Faith. Quello lo aveva tolto immediatamente non appena si era reso conto di aver ancora addosso qualcosa che, in un certo senso, apparteneva a lei. Ma ciò non gli era servito a dimenticarla perchè non solo se la sentiva addosso, ma dentro di lui. Ed ogni volta che guardava l'orologio acquistato per pochi dollari in sostituzione di quello di Faith, non poteva non pensare che quello stesso orologio stava prendendo il posto che apparteneva a qualcun altro.
    Scosse la testa mentre l'aereo compiva le ultime manovre di atterraggio e con lo sguardo passò in rassegna il paesaggio che tanto conosceva.
    Si era giunti a metà giugno e il sole del nord America possedeva già tutte le prerogative e le buone intenzioni di non andarsene almeno fino ad ottobre. Cleveland era luminosa, come sempre, ma quello non rappresentava un tipico ritorno a casa. C'era un tarlo che si insinuava nella piacevole sensazione; un puntino nero in un oceano bianco; una nuvola scura in un cielo terso.
    Max slacciò le cinture, indossò il suo giubbotto grigio e, una volta sceso dall'aereo, afferrò il bagaglio sul nastro trasportatore.
- Sei venuto.- Disse una voce alle sue spalle.
    Max si voltò e il viso di Chris gli si riflesse sui Ray Ban.
- Voglio riprendere in mano la mia vita.- Affermò risoluto, togliendosi gli occhiali.

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Capitolo 31
*** 31. Perdonare E Dimenticare ***


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R ISPOSTE ALLE RECENSIONI

Ciao a tutti!

Senza ulteriori indugi vado a ringraziare la fedele Saty, che ogni volta mi fa ridere con le sue recensioni. Devo ammettere che hai una bella fantasia e descrivi sempre in modo conciso ed efficace ogni parere che esprimi. Sono fiero e contento di avere una lettrice come te!
Poi ringrazio Beta Mozzi, che riesce a scovare erroracci celati tra i verbi. A quanto pare tutta la grammatica che facessi alle medie non abbia avuto alcun effetto (please, correggere verbi in corsivo! ;P). Come sempre, grazie per il lavoro che svolgi!
Ed infine ringrazio chi inserisce la storia tra le Preferite e Seguite! Attendo presto i vostri pareri!

Prima di augurarvi buona lettura, voglio consigliarvi di ascoltare “Colorblind” dei Counting Crows durante il capitolo!
Ciao ciao!


31. P ERDONARE E DIMENTICARE

    Con indosso un paio di guanti da giardinaggio, Addison stava inginocchiata sul prato, intenta a sistemare del terriccio attorno ai bossi che delimitavano il sentiero di ciottoli, e si stupì quando vide Max e Chris aprire il cancelletto d'ingresso.
    Si alzò in piedi, sorpresa e contenta di rivederli, e si diresse verso di loro con un largo sorriso e con l'intento di abbracciarli, ma qualcosa di insolito nello sguardo di Max le fece comprendere che non si trattava di una semplice visita di piacere. Addison capì immediatamente che cosa stava succedendo. Da anni aspettava il giorno in cui suo figlio l'avrebbe guardata in un modo diverso da come aveva sempre fatto. E adesso che quel giorno era arrivato, desiderava soltanto essere compresa e perdonata per la menzogna che aveva raccontato.
    Con un'ombra di delusione, Max manteneva su di lei uno sguardo severo, e tutti e tre restarono in silenzio per una manciata di secondi, sotto la calda luce del sole, tra gli allegri cinguettii degli uccellini a contrastare la drammaticità della situazione.
    Era passato più di un mese da quando Max aveva scoperto la verità, e la rabbia provata in quei giorni avrebbe dovuto lasciare il posto all'indulgenza, come gli era sempre capitato. Ma questa non era una di quelle volte in cui si fa presto a perdonare. C'era in ballo una verità che aveva segnato quasi la metà della sua esistenza. Ancora adesso faticava ad accettare la scomparsa del padre, ma si era reso conto che, grazie a Faith, stava riuscendo a compiere dei passi avanti. Gradualmente si stava convincendo che la vita di ogni persona segue il suo corso, come l'acqua che scorre lungo il letto di un fiume.
    Con il suo amore Faith si era impegnata, spesso senza rendersene conto, a fargli comprendere che anche la sua vita aveva un corso da seguire e che non si fermava dove si era fermata quella del padre, ma proseguiva ancora, e ancora, in attesa di scoprire cose nuove e di apprendere le lezioni che solitamente accompagnano una persona per sempre.
    Quando aveva scoperto la verità, però, Max si era sentito regredire e improvvisamente ogni cosa era tornata ad essere quella di sempre, dal giorno del funerale. Gli era già difficile cercare di accettare una morte così insensata, e scoprire cosa realmente fosse accaduto lo aveva fatto ripiombare nel baratro della  tristezza e della rabbia nei confronti di coloro che gli avevano mentito.
    Davanti a sua madre il ragazzo si sentì montare dentro una collera che non aveva mai provato e realizzò la sua incapacità di gestirla. Per qualche istante dubitò persino dell'autenticità dell'affetto che aveva sempre provato per lei, ma la sua mente in quel momento viaggiava su frequenze diverse per essere in grado di ragionare sulla risposta.
    Avvertì Chris posargli una mano sulla spalla e interpretò quel gesto come uno sprono atto ad alimentare la sua rabbia e la consapevolezza di essere nel pieno della ragione.
    Lungo il tragitto verso casa Chris gli aveva esposto la propria estraneità ai fatti , convincendolo del suo sbigottimento e della sua incredulità. Entrambi non erano riusciti a capire perchè Addison avesse raccontato una simile falsità su qualcosa di così importante.
    Addison si sfilò i guanti da giardinaggio e, con una mano, si ravviò i capelli.
- Entriamo in casa, ragazzi.- Disse piano socchiudendo gli occhi per il riverbero della luce del sole.
    Fece per avviarsi, ma, non appena si voltò, si rese conto che nessuno dei due la stava seguendo.
- Ho solamente una domanda da farti, Addison.- Esordì Max a voce alta.
    La donna si fermò e il cuore prese a batterle più veloce. Sentirsi appellare per nome dal figlio che l'aveva sempre chiamata “mamma” le insinuò nella mente che qualcosa stava cambiando, o che forse era già cambiato.
- Cosa vuoi sapere?- Chiese guardandolo negli occhi.
    Lui non distolse lo sguardo nemmeno per un attimo, con la mascella serrata e i pugni chiusi, in un tremore appena percettibile.
- Perchè mi hai mentito?-
- Ho dovuto farlo.-
- Ero tuo figlio!- Sbraitò Max.
“Ero. Perchè al passato?" Pensò Addison.
    Si portò una mano sulla fronte guardandosi attorno come per cercare le parole adatte. Ma non ce n'erano.
    Chris assisteva alla scena standosene in disparte, consapevole si trattasse di una questione che riguardava principalmente Max e sua madre.
- Ho sbagliato tutto, Max, e mi dispiace.-  Replicò soltanto.
    Max scosse la testa grattandosi il mento e volgendosi verso il lago Erie. Abbassò il capo e fece una risata carica di nervosismo, quasi le parole della madre gli fossero suonate come una ridicola barzelletta.
- Tutto qui?- Le chiese. Sembrava in procinto di ridere di nuovo - Dopo dieci anni è tutto qui ciò che hai da dirmi? Che ti dispiace? Sono in tanti a dispiacersi in questo periodo.-
    Compì mezzo giro su sé stesso assumendo i comportamenti di un professore che spiega la lezione.
- Sai cos'è buffo in tutto questo, Addison? La cosa che accomuna te e Faith è che siete bugiarde. Persone importanti, certo, ma bugiarde. Avete giocato con la mia vita, tu specialmente. Mi hai orchestrato a tuo piacere, neanche fossi un burattino.- Dichiarò con la voce carica di disprezzo.
- Non è affatto così, tesoro, e tu lo sai bene.- Ribatté Addison avvicinandosi a lui.
- Sta ferma lì.- Le ordinò Max bruscamente indicandola con un dito - Non voglio la tua compassione. Non voglio più niente da te.-
    Recitò queste frasi con una durezza ed una convinzione tale da ferire Addison più di quanto lei si aspettasse.
- Max, sono consapevole di aver sbagliato e so che è inutile spiegarti motivi nei quali nemmeno io credo più. Vorrei solo che tu provassi a metterti nei miei panni. Nei panni di una madre che ha voluto a tutti i costi proteggere suo figlio.-
- Da cosa?- Urlò Max - Proteggermi da cosa? Dal mondo? Dalla delusione?-
- Da quell'uomo che ha ucciso tuo padre!- Addison alzò il tono di voce - Se te l'avessi detto avresti commesso degli errori che ti avrebbero perseguitato per tutta la vita. Ricordi bene anche tu quanto eravate legati tu e tuo padre.-
- Ah, bella fiducia hai avuto in me.- Commentò lui con sarcasmo e una nota di presunzione.
- Perchè non provi a perdonarmi, Max?- Addison si vergognò profondamente perchè sentiva di non aver adempiuto ai suoi compiti di brava madre come avrebbe dovuto fare.
- Certo,- Mormorò Max - ti perdono.-
    La donna gli andò vicino e fece per abbracciarlo.
- Ma voglio dimenticarti. Per me sei già un'estranea.- Aggiunse il ragazzo con voce ferma.
    Addison si impietrì e Chris decise di intervenire.
- Max, non fare così...- Gli disse prendendolo per un braccio, ma lui lo scansò.
- Non toccarmi.- Lo apostrofò sillabando le parole - Non ho bisogno di qualcuno che mi dia consigli, Chris. Sono venuto qui, come mi hai chiesto, e abbiamo chiarito. Ora ognuno andrà per la sua strada.-
    Prese il cellulare dalla tasca del giubbotto e compose il numero per farsi mandare un taxi.
- Non abbiamo chiarito un bel niente, Max, non è così che si chiariscono le cose.- Obiettò standogli dietro.
    Lui lo fissò con gli occhi lucidi.
- Per me è più che sufficiente.-
    Parlò all'apparecchio, dove nel frattempo una donna gli aveva risposto, e prenotò il taxi. Poi riattaccò e si voltò verso il cugino e la madre.
    La guardò in viso ed avvertì una fitta allo stomaco. Non si era accorto delle lacrime che le rigavano le guance e brillavano alla luce rossa che squarciava il cielo macchiato di blu.
    Quelle terribili parole l'avevano colpita nel profondo e non era più in grado di replicare. Parole pesanti, dolorosissime, dette in un momento di rabbia ma che avevano sempre un fondo di verità.
- Non puoi, Max! Non puoi fare questo ad Addison. Lei è tua mamma!- Lo rimproverò Chris allargando le braccia.
    Max rimase con gli occhi fissi in quelli della madre e la voce del cugino gli scivolò di dosso come olio.
- Dille che non la riconosco più come mia madre e che non la voglio più vedere.-
    Addison sussultò prendendo a singhiozzare, con una mano davanti alla bocca e una sullo stomaco, mentre Chris si volgeva verso di lei per passarle un braccio attorno alle spalle e cercare di confortarla come meglio poteva.
- Ha ragione, Chris! Ha ragione!- Balbettò piano tra le lacrime.
    Le gambe le cedettero e si ritrovò inginocchiata a terra con Chris che l'abbracciava per sostenerla.
- Ha ragione lui! Sono una pessima madre! Ha ragione!- Ripeté, la voce spezzata dal pianto e il corpo in preda alle convulsioni.
- Dannazione, Max! Non era questo che volevo!- Imprecò Chris alzando lo sguardo verso di lui.
- Non lo volevo neanch'io.- Replicò Max muovendo appena le labbra.
    Uscì dal giardino perchè la vista di sua madre in quelle condizioni lo faceva sentire un verme. Ma sapeva che non avrebbe potuto fare altrimenti. Era furioso con lei, ma ancora di più con sé stesso per come si era evoluta la vicenda. Ancora non capiva quanto crudele fossero state quelle parole però era consapevole di essere andato contro tutti i sani principi in cui aveva sempre creduto.
“Colorblind” Counting Crows
    Inforcati gli occhiali, attendeva il taxi con impazienza, mentre Chris accompagnava la madre in casa. Si sentiva superfluo e gli pareva che ogni cosa intorno ce l'avesse con lui.
    Il sole si nascondeva dietro ad una voluminosa nuvola scura, graffiando il cielo con i suoi sottili fasci di luce.
    Max si appoggiò alla colonnina dello steccato, sotto il piccolo arco intricato di edera e rose gialle, e odorò nell'aria un dolce profumo di fiori. Si voltò verso casa e poco dopo vide Chris uscire in veranda. Aveva l'aria stanca e con una mano si stropicciava gli occhi. Notò che Max lo stava fissando e restò contro il parapetto a guardarlo a sua volta, in silenzio. Sapeva che non sarebbe rientrato in cortile, così scese lentamente i gradini ed attraversò il giardino, avvicinandosi a lui.
    Entrambi mantenevano lo sguardo sulla vallata ricca di boschi che cominciava appena oltre la fila di case dalla parte opposta della strada, Max con la schiena contro la staccionata e Chris vicino a lui, all'interno del giardino, con le braccia sulle assicelle scrostate e consunte.
- Se sei venuto per darmi un'altra delle tue lezioni, puoi anche tornare dentro.- Affermò Max, con una calma tale da infiammare l'animo del cugino.
    Ma Chris tacque, facendo un profondo respiro ed imponendosi di essere razionale. La voglia di mollargli un pugno era davvero forte.
- Chi sono io per dirti cosa devi o non devi fare?-
- Allora che cosa vuoi?- Domandò Max senza degnarlo di uno sguardo.
- Voglio solo che tu ti renda conto di quanto stai buttando via della tua vita.-
    Max scrollò il capo.
- Tu non sai niente, Chris. Non sai come mi sento, non sai che cosa sto provando. In conclusione, non sai un bel niente di me.-
- Forse no, ma ti conosco abbastanza per dirti che non sei così, e non lo sei mai stato. Quello che hai detto ad Addison è davvero terribile, ma lo è ancora di più il fatto che sembra tu non te ne accorga.-
- Te lo ripeto, Chris: tu non sai come mi sento.- Ribadì Max, sprezzante.
- Mi farebbe tanto piacere che ti sentissi uno schifo.- Commentò Chris convinto del suo pensiero e per nulla intimorito di scatenarsi contro le ire del cugino.
    Max espirò rumorosamente, lasciandosi andare contro la colonna di legno intagliato.
- Dove sei, Max?- Mormorò Chris rivolgendosi più alla brezza che al cugino stesso.
- Vorrei saperlo anch'io, credimi.-
- Comincia a riprendere ciò che ti apparteneva e che hai buttato all'aria. - Gli suggerì Chris.
- Forse è tardi.-
- Non è mai troppo tardi per perdonare qualcuno.-
    Il taxi sbucò da dietro l'angolo tra un panificio e un negozio ortofrutticolo, per immettersi sulla strada che conduceva a casa di Max. Quando si fermò davanti a loro, lui non desiderava più andare via.
- Come sta Faith?- Chiese fingendo disinteresse.
- Non l'ho vista molto da quando te ne sei andato. Ma Holly mi ha detto che zia Becky è malata. Perchè non vai da lei? Credo che le farebbe piacere la tua compagnia in un momento così difficile.-
- Non posso. Devo lavorare.- Si affrettò a rispondere Max.
- Ok.- Ribatté semplicemente Chris. Aveva capito che il cugino si stava nascondendo dietro alla scusa del lavoro, ma decise di non infierire ulteriormente.
- Sarebbe insensato chiederti un abbraccio prima di lasciarti andare?- Domandò mentre Max apriva la portiera dell'auto accingendosi a salire.
    Il ragazzo tornò sui suoi passi e con titubanza abbracciò il cugino, stringendolo fraternamente.
- Voglio perdonare e dimenticare, Chris.- Gli sussurrò mentre osservava la sua casa con gli occhi velati.
- Pensaci bene, cugino.- Replicò lui dandogli una pacca affettuosa sulla schiena - Pensaci bene.-
    Max lo guardò ancora per pochi istanti e, con un cenno della testa, lo salutò, salendo in macchina. Chris sollevò una mano e sorrise debolmente.
- A presto, Max.-

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Capitolo 32
*** 32. Fantasmi ***


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R  ISPOSTE ALLE RECENSIONI

Ciaoo!
Pubblico ora un nuovo capitolo augurandomi che vi piaccia!
Ti ringrazio come sempre, Saty, sono contento di riuscire ad esprimere sentimenti ed emozioni come descrivi nelle tue recensioni, e mi piace come segui attentamente la storia!
Beta Mozzi, la manager che gestisce tutti i miei appuntamenti, incontri, eccetera eccetera. Manca solo che mi stiri le camicie e poi sei assolutamente perfetta! :P
Anche questa volta vi suggerisco l'ascolto di una canzone: Hold On di Mary Beth Maziarz!
Buona lettura!
 

32. F ANTASMI

“Hold On” Mary Beth Maziarz
    La settimana seguente, di ritorno dall’ospedale, Faith si ritrovò a pensare alla situazione fisica di zia Becky. La chemioterapia sembrava già riscontrare i suoi effetti, tanto che persino il dottor Fawcett era rimasto sbalordito. Dall'espressione che aveva usato, pareva che il tumore stesse scomparendo gradualmente.
    I risultati delle analisi, dopo sole poche cure, erano buoni, al punto da indurre Faith a credere che ci fossero ancora delle speranze di salvare sua zia.
    Fawcett non si sbilanciò quando gli espose quest'idea, ma replicò soltanto che il miglioramento effettivamente c'era stato: con sua sorpresa, il tumore si era ridotto di un quarto e, anche se molto lontana, c'era la probabilità che le cellule tumorali rimaste sarebbero state distrutte. Tuttavia avrebbe dovuto continuare ad assumere i farmaci antiepilettici, per evitare ulteriori attacchi.
    Il medico però non escludeva del tutto la prognosi iniziale: quel genere di tumore spesso era imprevedibile.
    Fatto sta che l'umore di Faith era tornato quello di sempre, se non quasi.
    Le ultime uscite con Jason l'avevano aiutata molto a superare i suoi momenti più difficili e il miglioramento delle condizioni di salute della zia le avevano permesso di analizzare con oculatezza il rapporto che la legava al ragazzo.
    Com'era normale in quei casi, non giunse ad alcuna conclusione e, siccome i tempi non erano ancora maturi, si impose di non pensarci troppo. L'unica certezza che aveva era il fatto che in sua compagnia si sentiva davvero sé stessa.
    La loro gita in barca l'aveva fatta ricredere su di lui. Qualunque ragazzo l'avrebbe baciata o approfittato del suo attimo di debolezza, ma lui non l'aveva fatto. Si era limitato a stringerla forte tra le braccia, proprio come sperava avrebbe fatto.
    La cosa giusta al momento giusto, e niente più.
    Con lo sguardo seguì zia Becky scendere dall'auto ed entrare lentamente in casa, e sorrise. Afferrò la sua borsa ed estrasse il cellulare con l'intenzione di telefonare a Jason per proporgli un'uscita quella sera stessa, quando, riflessi nello specchietto retrovisore ,vide i fari di un'auto fermarsi lungo il vialetto di casa, dietro di lei.
    Osservò meglio, ma il riverbero della luce del sole che calava le impedì di capire di chi si trattasse. Si slacciò la cintura e scese dalla macchina, infilandosi la borsa a tracolla.
    L'aria era calda e le nuvole alte nel cielo si gonfiavano e si disfacevano, assumendo forme indefinite e fantastiche e striando di grigio l'orizzonte.
    La ragazza stava richiudendo la portiera quando vide che dall'auto si materializzava una persona che conosceva bene.
- Ciao, Faith.-
- Chris?- Fece lei, sorpresa di trovarselo lì, in quel momento. Aveva un'espressione austera, il ché, realizzò tra sé, non presagiva belle notizie in arrivo, specialmente perché Chris rappresentava un sottile collegamento con il passato.
    Indossava una polo bianca e un paio di blue jeans. Con gli occhiali da sole sarebbe potuto benissimo passare per lo sponsor di un prodotto di bellezza.
- Posso parlarti?- Chiese il ragazzo togliendo gli occhiali.
    Faith assottigliò gli occhi per schermarsi dal sole e, quasi conoscesse il motivo di quella visita inaspettata, si guardò i piedi e poi di nuovo Chris.
- Facciamo una camminata lungo la riva?-
    Il ragazzo annuì e s'infilò le mani in tasca mentre, accanto a lei, si avviava verso la battigia.
    Uno stormo di uccelli marini si levò improvvisamente in volo al loro avvicinarsi, e si librò veloce come l'esplosione di una bomba che scaglia tanti piccoli frammenti nell'aria.
- È stata Holly a convincerti di venire qui, vero?- Domandò lei guardando in direzione dell'oceano.
    Il vento proveniente da sudest iniziò a far svolazzare i suoi capelli, che fino a poco prima le ricadevano morbidi lungo la schiena.
    Chris aspettò a rispondere. Non gli era mai piaciuto parlare a vanvera e misurare le parole era sempre stata una sua prerogativa.
- Non proprio, a dire il vero.- Disse piano.
    Faith lo osservò. Doveva essere per forza successo qualcosa di importante se Chris non accennava nemmeno un sorriso, com'era nel suo carattere.
- Però tu e lei state insieme.- Lo incalzò, certa di ciò che diceva. Era stato Jason a riferirglielo qualche giorno prima. Le aveva raccontato di averli visti insieme al Ralph's, il ristorantino sulla Beverly Boulevard, a scambiarsi effusioni. Gli era bastato descrivere pochi particolari del ragazzo e Faith, dopo averli presi in considerazione insieme a tutte le telefonate misteriose di Holly, aveva capito che si trattava di Chris.
    Ed ora il fatto che lui si trovasse a Los Angeles ne era la conferma.
- Non è di Holly che ti voglio parlare.- Mormorò lui, leggermente piccato.
    Faith allora lo guardò di nuovo negli occhi per poi scuotere la testa. “Eccoci”, pensò, “il passato è tornato a prendermi.”
- Ha litigato duramente con Addison, Faith.-
    Istantaneamente, la ragazza avvertì un forte ed insopportabile senso di nausea e riprese a camminare nervosamente verso l'oceano.
- Non sarei qui se non fosse importante.- Gridò Chris dietro di lei sollevando piccole nuvole di sabbia.
    Faith si voltò di scatto e tornò indietro a grandi passi, sentendosi ribollire di rabbia.
- Cosa vuoi che faccia,Chris? Vuoi che tiri fuori la mia bacchetta magica per rimettere a posto la situazione?- Sbottò allargando le braccia. Ma la rabbia che dimostrava veniva perlopiù alimentata da un profondo dispiacere celato negli angoli più isolati del suo cuore.
- Si tratta di Max!- Esclamò il ragazzo.
    Faith chiuse gli occhi e li strinse forte per reprimere i veri sentimenti che rischiavano di riemergere da un momento all'altro. Poi li riaprì e replicò lentamente, sforzandosi di mantenere la calma.
- Lui non e più affare mio. E se anche lo volessi non sarei io la persona più indicata per aiutarlo.-
    Ma risultò chiaro anche a lei che non era vero. Max era ancora affar suo. Un ideale, una persona immaginaria contra la quale combatteva giorno dopo giorno.
    Si voltò, dandogli le spalle, con lo sguardo a mezz'aria.
    Sarebbe stato un momento magnifico - il sole, l'oceano, il silenzio - se non fosse stato per Chris, anche se in fondo, lui non aveva nessuna colpa.
    Ma vederlo lì era come vedere Max. Sembrava che il destino provasse un malsano piacere nel vederla soffrire.
    Chris rimase immobile, realizzando che, in effetti, aveva sbagliato a presentarsi da lei, ma decise di giocare l'ultima carta. La più rischiosa.
- Gli manchi.- Recitò d'un fiato.
    È strano come le persone siano sempre sicure di dire la cosa giusta per poi ricredersi immediatamente dopo aver parlato.
    Chris strinse i pugni maledicendosi non appena notò Faith tremare a quelle parole. Standole dietro di pochi passi, la osservò chinare il capo e rimandarsi una ciocca di capelli.
- Te l'ha detto lui?- Chiese dopo un po' senza voltarsi, con la voce rotta per l'emozione. Il buco che poco prima le si era formato nello stomaco, ora stava diventando una voragine, i cui lembi venivano divorati da un'ondata di lava irrefrenabile e corrosiva.
    Chris fece scorrere lo sguardo sull'acqua che diveniva color oro, e tossicchiò.
- L'ho capito.- Mormorò.
- Che significa?- Fece lei, tristemente malinconica.
- Significa che siete destinati a stare insieme.-
- Da quando credi nel destino?-
    La ragazza si ostinava a non guardarlo in viso perché le ricordava troppo Max. Erano due cugini talmente uniti che avvertiva la presenza della persona che aveva amato anche nella vicinanza con Chris.
- Da quando vi ho visti insieme. Dove sono finite le persone che eravate?-
    Una lama argentata le trapassò il cuore riaprendole una ferita dolorosissima. Si rivolse a lui mentre una ciocca di capelli le attraversava il viso. Nei suoi sottili occhi color del miele il sole riluceva in decine di piccoli bagliori e pareva che l'intero oceano fosse stato racchiuso all'interno delle sue pupille.
- Siamo stati insieme in un momento sbagliato delle nostre vite. Non credo ci sarà mai un momento giusto per noi.- Dichiarò risoluta - E vuoi sapere un'altra cosa?- Mormorò con le braccia conserte - Anche lui mi manca, ma allo stesso modo in cui mi manca un amico.-
    Lo guardò ancora per qualche istante negli occhi e comprese di averlo messo a disagio.
- Sto ricominciando, Chris. Non posso permettergli di entrare ed uscire dalla mia vita come e quando gli pare. La situazione tra lui ed Addison ormai non mi riguarda più.-
    Chris non replicò, anzi, il ragionamento di Faith non faceva una piega e non aveva più senso insistere.
- Mi dispiace tanto.- Sussurrò la ragazza avvicinandosi a lui - Porta i miei saluti ad Holly se non ti disturba troppo.-
    Gli diede un delicato bacio sulla guancia e Chris chiuse gli occhi, sentendola allontanarsi sulla sabbia. Li riaprì quando non udì altro che il rumore dell'oceano che avanzava e si allontanava davanti a lui, lasciando un'ombra luccicante lungo la battigia mentre alcuni gabbiani si muovevano attorno ad un tronco secco lambito dall'acqua.
    E la luna, eterea come un fantasma nel cielo, cavalcava orgogliosa le nuvole per riprendersi il suo posto nel firmamento.

    Attraverso la finestra della cucina, Faith osservò Chris risalire in macchina e andarsene, mentre stava seduta a tavola con il viso tra le mani. Non aveva detto una singola parola da quando era rientrata in casa e zia Becky aveva deciso di lasciarla sola con i suoi pensieri. Anche lei si era accorta dell'arrivo di Chris e stava per uscire a fargli un saluto quando aveva capito che non sarebbe stato il momento opportuno.
    Durante la cena fu soltanto il televisore a parlare.

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Capitolo 33
*** 33. Ritrovarsi ***


Le Ragioni Del Cuore BN
R ISPOSTE ALLE RECENSIONI

Ciao a tutti!
Due settimane sono passate ed un nuovo capitolo è pronto e pubblicato!
Ringrazio la beta Mozzi, come di consueto, che corregge i miei abominevoli errori.
Poi ringrazio Saty, che non si perde una recensione e ciò mi fa tanto piacere. Ormai mi sono abituato bene perciò dovrai continuare a recensire ancora, e ancora, e ancora... :) Immagino, mentre scrivi i tuoi commenti, le risate maligne che ti fai, mi ricordi tanto la Littizzetto mentre prepara il suo monologo domenicale per “Che Tempo Che Fa”...
Ed infine ringrazio chi inserisce questa storia tra le preferite e seguite!
Buona lettura!


33. R ITROVARSI

    I due giorni successivi  furono lo stesso. Faith avrebbe tanto voluto confidarsi con sua zia, ma non sapeva da dove cominciare, se era più giusto dare importanza al fatto che Max avesse litigato con la madre oppure rimettere in discussione i sentimenti che continuava a provare per lui.
    E poi c'era Jason.
    Dovette ammettere che lui le piaceva, e tanto anche, per il solo fatto che era lì e non all'altro capo del mondo. Ma non poteva esporsi troppo su una questione della quale nemmeno lei era pienamente convinta. Non voleva che le sue sensazioni e le sue emozioni fossero dettate dall'esigenza di sostituire Max con l'unico scopo di dimenticarlo. Sfruttare le persone non faceva parte di lei, e non intendeva illudere Jason fingendo di amarlo.
    Stava pensando a lui quando, quella sera dopo cena, bussarono all'ingresso e zia Becky andò ad aprire.
- Cercano te, Faith.- Le sussurrò la zia poco dopo facendo capolino alla porta della cucina.
    La ragazza si alzò, spense il televisore e si sistemò distrattamente i capelli, arrotolandosene una piccola ciocca attorno ad un dito.
- Ciao, Faith.- La salutò sorridendo Jason, con le mani in tasca.
    Faith lo osservò. Emanava un buon profumo e indossava una camicia bianca a maniche corte che metteva in risalto le sue spalle larghe, con un paio di bermuda scuri e scarpe sportive.
    Si trovò del tutto inadatta a trovarglisi di fronte così conciata - portava  una canotta sdrucita e strappata con pantaloncini scoloriti - e ad un certo punto credette che anche lui si fosse accorto della sua pessima cera.
- Come sei elegante.- Si complimentò sollevando un angolo della bocca.
- Grazie. Anche tu sei bellissima stasera.- Replicò Jason.
    Faith rise per la prima volta da quando Chris se n'era andato. Era Jason che le faceva quest'effetto.     Riusciva sempre a farla ridere e a trasmetterle il buonumore. Abbassò lo sguardo e poi rialzò il viso, con una mano dietro il collo.
    Lui arrossì notando che lei lo squadrava senza dire nulla.
- Che c'è?- Chiese imbarazzato.
    Faith scosse la testa e realizzò che fosse molto carino.
- Niente. Vuoi entrare?-
- Veramente sono venuto per invitarti a fare una passeggiata fino alla fiera in centro. I miei genitori sono tornati e quindi stasera non devo occuparmi di mia sorella. Ma se non ti va...-
- No, no, va benissimo. Se non ti dispiace però, prima vorrei fare una doccia rapida.-
- Certo, fa pure.- Acconsentì Jason.
-Perfetto!-
    Ciò di cui Jason non era informato riguardo a Faith era la sua inesistente propensione a rendere rapida una doccia. Quando uscì dal bagno circa un'ora e mezza dopo, Jason stava in dormiveglia sul tavolo della cucina, nonostante alla TV stessero trasmettendo una replica di Will & Grace.
- Come sto?- Domandò Faith entrando nella stanza.
    Di soprassalto, Jason si mise composto sulla sedia e osservò la ragazza compiere eccitata un giro su sé stessa.
- Wow!- Mormorò soltanto a fior di labbra, quasi avesse avuto una celestiale visione. Realizzò in un attimo che era valsa la pena aver atteso tutto quel tempo.  
    L'abito bianco a fiori che le arrivava sopra il ginocchio mostrava le gambe slanciate e le lasciava le spalle scoperte, sulle quali aveva deciso di lasciare ricadere i lunghi capelli mossi e umidi.
    Notando l'espressione di apprezzamento di Jason, Faith si sentì desiderata e l'evento dei giorni precedenti non le diede che ulteriore forza per prendere la situazione di petto senza lasciarsi travolgere dalla tristezza.
- Allora possiamo andare.- Sorrise afferrando la borsetta.

    Passeggiarono lungo la via principale del paese, ancora piena di gente che ammirava estasiata le vetrine e le bancarelle, e si fermavano ad uno spettacolo improvvisato di qualche chitarrista intento ad intonare un brano di Bob Dylan, sotto lunghe file di lampadine colorate.
    La serata era perfetta e, poiché la fiera era riparata dalle costruzioni che si affacciavano lungo la via, non soffiava un alito di vento. Per la prima volta Jason prese Faith per mano e lei strinse la sua in modo molto naturale e soprattutto senza provare sensi di colpa.
- Ti va un panino?- Le domandò con disinvoltura mentre transitavano davanti ad un venditore ambulante di hot-dog.
- Certo, non ho mangiato molto stasera.- Approvò Faith odorando nell'aria il profumo di pop corn e patatine fritte.
    Jason ordinò due panini ben farciti e, quando furono pronti, gliene porse uno.
- È enorme!- Esclamò spalancando gli occhi con un sorriso.
    Jason diede un morso al suo e rispose - Aspetta di assaggiarlo e in men che non si dica lo avrai polverizzato!-
    La ragazza scoppiò a ridere quando si accorse che sul mento di Jason si era fermata una grossa goccia di salsa ai funghi.
- Perché ridi?- Le chiese ingenuamente con la bocca piena.
    Lei afferrò velocemente un tovagliolo di carta per togliergli la salsa, mentre lui rimaneva fermo e la guardava negli occhi. Sentendo addosso il suo sguardo, la ragazza si concentrò sul tovagliolo, ma non poté trattenersi dal fissarlo a sua volta.
- Grazie.- Mormorò Jason, con gli occhi fissi nei suoi.
    Faith rimase per un po’ completamente spaesata, poi fece spallucce - Dovrai offrirmi un sacco di zucchero filato, bellezza!- Scherzò camuffando il suo imbarazzo.
    S'incamminarono sotto le file di lampadine gialle e rosse che illuminavano la fiera, tenendosi per mano e, dopo il panino, Jason le comprò lo zucchero filato, che finì per mangiarne metà.
    Al ritorno decisero di imboccare la strada che fiancheggiava l'oceano. Mano a mano che si allontanavano le risate e le voci della gente scemavano, lasciando il posto al silenzio e al dolce scrosciare delle onde nell'oscurità.
    Il cielo era limpido e ricco di stelle e sia Faith che Jason apprezzarono con maggior intimità il calore delle loro mani strette l'una nell'altra.
    In un attimo, senza ben capire perché, lei si fermò e guardò il suo profilo illuminato dalla luna. Pensò che fosse bellissimo. Avvertì l'irrefrenabile impulso di aprirgli il suo cuore come non faceva da tempo. Senza lasciargli la mano, si poggiò con la schiena contro il muretto che li separava dalla spiaggia e fece un profondo respiro.
- Sai, Jason,- Esordì portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio - qualche giorno fa è successa una cosa che mi ha un po'...- Si fermò per trovare il termine che definisse al meglio il suo stato d'animo - … turbata, ecco. E intristita.-
    Jason le rimase di fronte, accigliandosi.
- Nulla di grave, spero. Si tratta di zia Becky?-
    Faith scosse la testa.
- No, non si tratta di lei.-
    Si bloccò di nuovo e riprese a camminare con lui al suo fianco.
- Ti è mai capitato di guardarti indietro e soffrire tremendamente?- Gli chiese laconica.
- Credo sia successo a chiunque. Anche a me.-
- E cosa fai per non stare male di nuovo?-
    Lui la fermò posando gli occhi nei suoi.
- Trascorrendo il mio presente con le persone che mi vogliono bene. Perché è questo che loro si aspettano da me: la mia presenza, il mio affetto. Per quanto tutti noi siamo diversi, in fondo esiste un legame invisibile che ci tiene uniti e ci fa somigliare più di quanto crediamo.-
    Faith lo osservò, profondamente ammirata.
- Stasera, trovandoti alla mia porta, ho pensato a quanto sono fortunata ad averti vicino. Non ricordo perché tra me e te non abbia funzionato.-
- Perché non riuscivo a smettere di bere.- Rispose lui con una punta di rammarico.
- No.- Obiettò lei facendo correre lo sguardo lungo la linea dell'orizzonte che riluceva di un intenso turchese - É troppo scontata come risposta. Se ora rifletto meglio su come sono andate le cose penso che la risposta corretta sia perché avevo paura. Non sapevo come affrontare la cosa e questo mi ha spaventata al punto da lasciarti.-
    Si fermò e lo guardò portandosi le sue mani sul cuore.
- Tu avevi bisogno di me. Cercavi il mio aiuto, il mio appoggio, e io cos'ho fatto? Sono fuggita e ti ho abbandonato. Sono una persona orribile.- Si schernì abbassando lo sguardo e rendendosi improvvisamente conto del suo comportamento.
    Jason le sollevò delicatamente il viso con una mano.
- Ehi, tu non sei una persona orribile. Sei la ragazza più bella che io conosca, e non solo esteriormente. Sei così piena di bellezza e grazia, eleganza e simpatia.-
    Faith rise sommessamente e Jason capì che non aveva smesso di amarla per un solo singolo minuto da quando si erano lasciati.
    Si alzò un leggero vento tiepido che le fece ondeggiare i capelli.
- Questi due giorni sono stati orrendi, ma tu hai spazzato via tutto ed è stato fantastico, per questo ti ringrazio, Jason.-
    Lui rimase in silenzio con il sorriso sulle labbra. Voleva baciarla a tutti i costi, ed era convinto che anche lei lo desiderasse.
    Ma Faith si limitò a tenergli la mano fin davanti a casa.
- Grazie per la serata. Mi sono divertita tantissimo.- Gli sussurrò con gli occhi dolci.
    Notò che le luci del salotto erano ancora accese nonostante la tarda ora.
- Grazie a te, Faith.-
    La ragazza sorrise, ma non voleva lasciarlo andare. Stava così bene in sua compagnia che ogni volta che lo salutava era come se una parte di lei morisse.
    Jason fece per allontanarsi e tese il braccio più che poteva senza lasciarle la mano. In pochi istanti lei lo tirò verso di sé e gli diede un bacio sulle labbra, chiudendo gli occhi. Lui la cinse con un braccio mentre con l'altra mano le accarezzava i capelli, pensando che fosse soltanto un sogno. Da troppo tempo non desiderava altro che stringerla di nuovo come stava facendo in quel momento.    
- Mi sei mancato.- Mormorò lei guardandolo negli occhi.
- Mi sei mancata.- Ripeté lui baciandola di nuovo - Credi che domani ci potremmo vedere oppure questo bacio ha rovinato tutto in maniera irreversibile?- Scherzò Jason.
- Non voglio che tu vada via adesso.- Piagnucolò Faith.
- Ma domattina devo alzarmi presto per andare a lavorare...- Spiegò lui divertito, tra un bacio e l'altro.
- Ho dimenticato di darti una cosa per Sabrina.- Fece lei ricordandosi improvvisamente della bambola che aveva recuperato dalla soffitta.
- È una trappola per attirarmi dentro casa?- Ironizzò il ragazzo.
- No, stupido! Andiamo.-
    Jason la seguì salendo i gradini della veranda e attese che aprisse la porta.
- Zia Becky dovrebbe essere sveglia se le luci sono ancora accese, perciò non credo che la disturberemo. Entra.- Lo invitò posando la borsetta sul tavolino accanto all'ingresso.
- Zia Becky?- La chiamò a bassa voce - Sono io, sei ancora alzata?-
    Spostando leggermente lo sguardo verso la porta che dava sul salotto vide una tazza rovesciata sul pavimento, in una piccola pozza di acqua scura. Si fece avanti cominciando a preoccuparsi seriamente e trovò zia Becky distesa a terra con il braccio teso verso la tazzina.
- Oh, mio Dio! Zia!- Esclamò piena di agitazione.
    Resosi immediatamente conto della gravità della situazione, Jason si fiondò nel salotto, subito dietro a lei, che reggeva la testa di zia Becky, inerte.
- Zia, svegliati! Che succede? Che sta succedendo?- Urlò in preda al panico.
    Divenne pallida mentre cercava di far riprendere sua zia, invano.
    Jason corse nel corridoio per afferrare il telefono e chiamare il pronto soccorso. Malgrado le mani gli tremassero, fu in grado di digitare il numero correttamente, riuscendo a farsi mandare un'ambulanza. Udiva Faith urlare e singhiozzare, e pregò Dio che zia Becky si ridestasse, ma sembrava non dare segni di vita. Riattaccò la cornetta, che sembrava esserglisi incollata in mano per tutta la forza che aveva impiegato a stringerla dalla preoccupazione,  e tornò in salotto.
    Faith, in ginocchio, teneva sua zia in grembo e continuava a chiamarla senza ottenere risposta.
-Ti prego, zia, non adesso! Non puoi farlo adesso! Non puoi!- Gridò con tutto il fiato che aveva nei polmoni.
    Jason le si avvicinò e prese il polso della donna per verificare la presenza del battito cardiaco.
- È ancora viva.- Mormorò sollevato, e Faith si sentì subito più rassicurata, ma continuava a restare in ansia.
    Soltanto pochi giorni prima i risultati delle analisi avevano confermato il fatto che la zia stesse guarendo e non riusciva a capacitarsi del perché avesse avuto un nuovo attacco epilettico. Sempre che si trattasse di un attacco epilettico.
    Distrattamente il suo sguardo cadde sulla scatola di farmaci antiepilettici che stava sul tavolino di vetro accanto al divano. La prese e notò che la confezione era ancora intatta. Chiuse gli occhi, realizzando ciò che non si aspettava.
- Perché?- Sussurrò guardando il viso rilassato ed immobile di sua zia.

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Capitolo 34
*** 34. La Decisione Di Zia Becky ***


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R ISPOSTE ALLE RECENSIONI

Ciaoooo!
Pubblico un nuovo capitolo in attesa di commenti e pareri da parte dei lettori!
Ringrazio Saty per le sue recensioni, Beta Mozzi e chiunque legga in silenzio questa fan fiction!
Buona lettura e a presto!


34. L A DECISIONE DI ZIA BECKY

- Ti ho portato un po' di caffè.- Sussurrò Jason entrando silenziosamente nella stanza dov'era ricoverata zia Becky.
    Faith si era appisolata sulla sedia a fianco del letto e si ridestò non appena udì la sua voce. Si trovavano in ospedale da circa tre ore e la zia non si era ancora risvegliata.
    Il dottor Fawcett aveva richiesto d'urgenza una risonanza magnetica, ma i risultati sarebbero stati resi noti soltanto dopo due giorni e Faith, già preoccupata, era pronta al peggio. Il medico le aveva spiegato che i farmaci antiepilettici giocavano un ruolo importante nella lotta contro il tumore e la loro mancata assunzione non avrebbe portato niente di buono.
- Grazie, Jason.- Mormorò ravviandosi i capelli in un gesto stanco.
    Il ragazzo si avvicinò, le porse gentilmente il caffè e le diede un bacio sulla fronte.
- E' molto bello quello che stai facendo, ma non devi restare, Jason.-
- Ma io voglio restare.- Obiettò lui dolcemente.
    Lei sorrise, commossa, e gli carezzò il volto avvertendo il tepore della sua guancia sulla mano.
- Sei ghiacciata.- Osservò il ragazzo accigliandosi.
- Sto bene.- Lo rassicurò Faith - Sei una brava persona, lo sai?-
- Mmm... si, forse...- Sdrammatizzò lui assumendo un'aria fintamente gratificata.
- Vai a casa, Jason. Resterò io qui con lei stanotte.-
    Lui valutò la sua intenzione con un'alzata di sopracciglia.
- Sicura di non aver bisogno di me?-
    Faith annuì, soffocando a schiaffetti uno sbadiglio.
- Sicura.- Garantì - Ti chiamerò domattina non appena sarò tornata a casa.-
    Jason guardò per un attimo zia Becky, così tranquilla nel suo letto, e provò una dolorosa fitta al cuore.
-Ok.-
    Abbracciò stretta Faith per qualche secondo e la sentì piangere sommessamente. Il suo esile corpo tremava contro di sé e gli parve di stringere un cucciolo spaventato. Pensò che non fosse il momento adatto per baciarla, e si limitò ad accarezzarle i capelli, che emanavano un delicato profumo di vaniglia.
    Le lacrime gli salirono agli occhi e, quando si staccò da lei, non la guardò per non aumentare il suo dispiacere. Aprì la porta asciugandosi la guancia con il dorso della mano e si voltò verso Faith.
-Ti voglio bene.- Le sussurrò, annuendo con la testa.

    Quel mattino una cappa di nuvole grigie avvolgeva tutta la città tingendo ogni cosa di colori opachi e anonimi.
    Non avendo chiuso occhio da quando Jason era andato via, Faith aveva trascorso il resto della notte sfogliando distrattamente alcune riviste e sorseggiando il caffè, divenuto ormai freddo.
    All'alba si alzò dalla sedia per avvicinarsi alla finestra quando udì il rumore leggero e malinconico della pioggia, e l'aprì un poco, respirando l'odore salmastro dell'oceano.
    Indossava ancora l'abito leggero e provò un brivido quando l'aria fresca del mattino spirò all'interno della stanza. Richiuse la finestra e si fermò ad osservare annoiata il gran viavai di gente che affollava le varie entrate dell'ospedale, nonostante l'orologio avesse appena battuto le sei e mezzo, chiedendosi perchè sua zia non avesse assunto i farmaci prescritti.
    Si rimproverò per non averla tenuta d'occhio abbastanza, ma si ripromise di seguirla maggiormente e stare attenta che assumesse gli antiepilettici. Quell'ennesimo risvolto non prometteva niente di buono, ma lei voleva che zia Becky restasse in vita il più a lungo possibile.
- Faith.- Si sentì chiamare d'un tratto. Era la voce flebile di sua zia.
    Faith tornò a sedersi e le afferrò una mano, portandosela sul viso. Zia Becky esaminò la sua espressione e, intuendo che la nipote fosse a conoscenza di ciò che aveva fatto, provò a dare una spiegazione plausibile al suo gesto.
- So che sei arrabbiata con me, Faith, e ne hai tutti i diritti. Ma io non voglio che tu mi veda ridotta ad un vegetale tra pochi mesi. Non posso accettare quest'idea.-
    Una lacrima rigò il viso di Faith, che sorrise tendendo le labbra.
- Ma non hai sentito il medico qualche giorno fa? Stai guarendo, il tumore se ne sta andando e ...-
- No,- Fece la zia scuotendo il capo e cercando di farla ragionare - no, bambina mia. Questi tumori non se ne vanno.-
- Ma io?- Protestò la ragazza - Io non ho voce in capitolo nelle tue decisioni?-
    Zia Becky la guardò amorevolmente.
- Tu ormai non sei in grado di ragionare con razionalità su questa situazione. Siamo obiettivi, Faith: non mi resta ancora molto. Rassegnamoci. È inutile sperare di sconfiggere la malattia.-
    Spiegò con la voce carica di tristezza. Facevano male anche a lei quelle parole e pronunciarle ad alta voce significava sentirsi obbligata a crederci per davvero e abbandonare ogni barlume di speranza.
- Ma io voglio tenerti con me, zia, non lo capisci?- Si lamentò Faith sforzandosi in tutti i modi di esternare il suo pensiero. Ma più provava a spiegarsi e più le parole faticavano a trovare un senso e a delineare meglio la sua opinione, offuscate dall'emozione, dalla rabbia, dalla delusione.
- Certo che lo capisco. Probabilmente anch'io mi comporterei allo stesso modo, ma questa è una decisione che spetta a me soltanto.-
    La ragazza rimase in silenzio e chiuse gli occhi, stringendo forte la mano ossuta di sua zia. Non era più in grado di replicare davanti a quella scelta, ma c'era una domanda che intendeva farle e sapeva perfettamente che la risposta non le sarebbe piaciuta.
- Allora, che cosa hai deciso di fare?-
    Zia Becky fece un profondo respiro.
- Voglio tornare a casa e smettere il ciclo di chemioterapia. Il mio desiderio è cercare di restare cosciente il più possibile, senza farmi imbottire da tutti quei farmaci che mi intontiscono.- Dichiarò restando ad osservare lo sguardo contrariato di Faith - Puoi accettarlo?-
    Faith aveva una disperata voglia di piangere, ma era consapevole che non sarebbe stato giusto, oltre che prettamente egoistico. Aveva paura, ma chi le assicurava che anche sua zia non ne avesse avuta malgrado quella scelta?
- Posso accettarlo,- Rispose Faith con la voce roca dopo un lungo attimo - ma non lo condivido.-

    Faith tornò a casa poco dopo mezzogiorno. Nel tragitto aveva ripensato alle parole e alla decisione di zia Becky, rifiutandosi di accettare il fatto che si fosse arresa così facilmente nella lotta contro il male che la stava uccidendo.
    Si sentiva esclusa dalla sua vita, non aveva potuto dire niente per farle cambiare idea e ciò la faceva innervosire. Non le sembrava possibile che lei, la donna che l'aveva sempre spronata a continuare, ad andare avanti e lottare per ciò che voleva, ora si stesse arrendendo. E soprattutto non capiva perchè non gliene avesse parlato prima. Non era più una bambinetta stupida ed era certa che avrebbe compreso le sue paure facendo di tutto per aiutarla.
    Ma ora? Ora il suo pensiero non contava più nulla per zia Becky?
    Lei aveva deciso e sembrava avere tutte le intenzioni di proseguire con il suo progetto. Non le restava altro che accettare la sua scelta. In fondo cosa c'era di tanto male nel volerla tenere in vita il più a lungo possibile?
    Giunse a pensare che fosse da egoisti. Probabilmente la zia aveva ragione. La vita era la sua ed ogni persona aveva il diritto di farne ciò che voleva. Ma lei l'amava così tanto che non poteva concepire di perdere un'altra persona importante. Era questo che stava alla base della riluttanza sulla sua scelta: l'amore che provava nei suoi confronti. Forse l'avrebbe capita e accettata col tempo, ma realizzò che sarebbe stato un percorso difficile e doloroso da intraprendere.
    Svoltando nel vialetto di casa le parve di intravedere un'ombra minuta che sedeva in veranda e, avvicinandosi, realizzò che qualcuno si era alzato non appena l'aveva vista arrivare.
    La pioggia scendeva sottile ed impalpabile da un cielo violaceo, ma ciò non intimoriva quelle persone che passeggiavano serafiche lungo la spiaggia accompagnate dai loro cani che correvano instancabili, inseguendo i gabbiani. Nell'aria si respirava una sorta di insolita calma mentre il vento soffiava tra i cespugli facendoli frusciare.
- Holly.- Mormorò sorpresa Faith scendendo dall'auto. Era totalmente sbalordita, ma trovarla lì le suscitò una gran felicità nel cuore.
- Che bel vestito.- Commentò sinceramente Holly indicandole l'abito con un dito. Aveva aperto la porta ed era scesa aggraziatamente sul sentiero.
    Faith abbassò gli occhi perchè gli eventi della giornata le avevano fatto dimenticare quale vestito indossasse. Se lo lisciò con una mano, improvvisamente in imbarazzo e senza parole da dire all'amica.
    Alzò quindi lo sguardo verso di lei e, come se riuscisse a leggerle nella mente, capì che fondamentalmente nulla era cambiato tra di loro. Il rapporto che le legava era divenuto così forte con il trascorrere degli anni che niente ora aveva più importanza.
    Con gli occhi negli occhi per un lungo momento, rimasero immobili, quasi si stessero scusando telepaticamente l'un l'altra, poi si avvicinarono lentamente, fino ad incontrarsi, e si abbracciarono. Il tempo che le aveva tenute separate venne colmato da milioni di momenti trascorsi insieme.
- Mi dispiace! Mi dispiace!- Continuavano a ripetersi senza lasciarsi andare, piangendo insieme come due vecchie amiche che non si vedevano da tanto.
- Ti va di entrare e di mangiare qualcosa con me? Zia Becky ha preparato le lasagne ieri sera.- Disse Faith tirando su con il naso.
    Holly era così felice che non se la sentì di rifiutare.
- Certo, sono qui per questo!- Rispose.
    Faith piegò la testa di lato con l'ombra di un sorriso.
- Cioè, non per le lasagne. Sono qui per te.- Puntualizzò posandole una mano sulla spalla.
    Lei sorrise, prendendola sottobraccio, ed entrarono in casa.

- Ero convinta che ci fosse qualche possibilità per mia zia.- Spiegò Faith mentre infornava le lasagne - Ma dopo ciò che è successo la scorsa notte, non credo ce la farà.- Ammise con la tristezza e la rassegnazione  che trasparivano chiaramente dai suoi occhi.
    Prese due bicchieri dalla credenza, li posò sul tavolo poi aprì il frigo e scelse una bottiglia di vino bianco. Ne versò ad Holly e un po' per sé, ripercorrendo con la mente gli ultimi accadimenti.
- Non sai quanto mi spiace, Faith, sul serio.-
    Faith la fissò intensamente, fermandosi a mezz'aria con la bottiglia lievemente inclinata.
- Ha deciso di non voler più fare la chemioterapia. E tutto ciò senza nemmeno sentire il mio parere.-
- Purtroppo ognuno di noi arriva al punto in cui non accetta i consigli degli altri semplicemente perchè... si basta da solo.-
- Ma io mi sento fuori gioco così. Sembra persino che non le importi più di avermi come nipote.- Ribatté Faith con decisione, allargando le braccia, quasi in un gesto di esasperazione.
- Ed è normale che tu ti senta così.- La rassicurò l'amica - Ma pensa a zia Becky. Credo che in fondo lo faccia anche per te. Lei vuole restare qui a casa con sua nipote e far sì che tutto in questo ultimo atto della sua vita sia assolutamente normale. Probabilmente è proprio la normalità di un'esistenza, la routine quotidiana che potrebbe mantenerla in vita più a lungo di quanto possano fare tre stupidi farmaci.-
    Faith faceva oscillare il bicchiere osservando il vino al suo interno riempirsi di piccole bollicine.
- Faith.- Continuò Holly, socchiudendo gli occhi - Prova a pensarci. Non essere arrabbiata con lei proprio adesso. Non lo merita. E non lo meriti nemmeno tu. Sono convinta che faccia tutto questo perchè per lei rappresenti la cosa più importante ora.-
    Faith abbozzò un sorriso.
- Sono una stupida.- Considerò alzando gli occhi al soffitto - Ho sempre ritenuto di essere abbastanza matura, ma, non appena si presenta l'occasione in cui dovrei dimostrarlo, mi rendo conto di essere soltanto una povera stupida.- Si coprì il viso con le mani, sentendosi incredibilmente sciocca di fronte all'amica - Che cosa posso fare, Holly?- Faith bevve un sorso di vino passandosi una mano tra i lunghi capelli.
- Non farle pesare la sua decisione ed aiutala a rendere questi ultimi mesi della sua vita il più normale che puoi.-
    Faith interiorizzò quelle parole così vere e si ripromise di essere migliore, non solo con zia Becky, ma con chiunque avesse avuto a che fare con lei.
- Meriti delle confessioni, Holly.- Mormorò poco dopo - E anche le mie scuse.-
    Holly curvò le spalle.
- Per cosa?-
    Faith si mostrò titubante nel voler discutere di quell'argomento, ma ritenne corretto farlo nei confronti della sua più cara amica.
- Riguardo a ciò che è successo con Max.-
    Holly esibì un timido sorriso ed iniziò a giocherellare con la catenella che portava al collo.
- Eravamo tutti un po'...- Fece una pausa, annuendo e cercando il termine adatto - Sconvolti.-
    Faith scosse la testa facendo scorrere distrattamente le dita lungo una spallina del vestito.
- Ti ho trattata malissimo.- Ammise guardandola negli occhi, e, mentre lo diceva, si capacitava sempre più delle sue azioni e del suo comportamento scorretto nei confronti di Holly.
- Un po' avevi ragione. Avrei dovuto farmi gli affari miei.-
- Prima o dopo lo avrebbe scoperto comunque. Ed è stato meglio così. Se fosse passato più tempo credo che avrei fatto molta più fatica a sopportare la sua lontananza.-
- Chris mi ha detto che ha litigato con la madre.-
    Faith annuì, ripensando a malincuore alla visita di Chris, tre giorni prima.
- A quanto pare non la vuole rivedere.-  Aggiunse Holly - Mai più.-
    L'amica guardò in basso, incapace di esprimere la sua opinione. A quanto pare, pensò riprendendo le parole di Holly, la situazione è più tragica di quanto credessi.
- Max è abbastanza maturo per capire che sta sbagliando a comportarsi così.- Riconobbe sinceramente, impegnandosi a celare il suo dispiacere e ad apparire il più distaccata possibile.
    Si aspettava che Holly saltasse su a dirle che avrebbe dovuto aiutarlo in qualche modo, ma non successe. Anzi, l'amica sembrava essere del suo stesso parere.
- Lo penso anch'io, Faith.- Ribadì terminando il vino in una sorsata.

    Pranzarono tranquille mentre fuori il tempo non aveva alcuna intenzione di cambiare. Il cielo era di un unico colore e l'oceano pareva una patina di ferro fuso, pacato e per niente minaccioso.
    Holly si era presa il pomeriggio libero e, man mano che il tempo passava, avvertiva dentro di sé il calore di un'amicizia che le era mancato. Quel brutto momento che aveva attraversato con Faith sembrava allontanarsi da lei, i contorni sfocavano gradualmente e niente pareva realmente accaduto.
    Dopo pranzo avevano aperto un'altra bottiglia e si erano accomodate sul divano del salotto a chiacchierare. Faith aveva indossato degli abiti comodi e acceso un po' di musica di sottofondo.
- Allora finalmente si è scoperto di chi erano tutte quelle telefonate misteriose che ricevevi.- Esordì Faith ammiccando all'amica.
    Holly sorrise con sguardo sognante.
- È un ragazzo fantastico, Faith.- Sospirò unendo le mani in grembo.
- Ci credo.- Disse Faith piegando la testa di lato - Perchè ha scelto te.-
    L'amica guardò fuori dalla finestra. La linea dell'orizzonte non esisteva più e le alte coste rocciose parevano galleggiare in un mondo immaginario creato sulle nuvole.
- Non volevo dirtelo perchè pensavo non avresti accettato la mia scelta.-
- Ma che dici, Holly?- Fece Faith con sdegno - Siete entrambe brave persone. Formate una bella coppia.-
    Holly sorrise.
- E tu, con Jason?-
- Sto bene con lui.- Ammise - So che non ti è mai piaciuto, ma è cambiato.-
    A quel punto Holly assunse un'espressione seria.
- Ne sei sicura, Faith?-
    Faith si intimorì a quella domanda. Gliel'aveva posta con eccessiva serietà e ciò la preoccupò.
- Si.- Rispose titubante - Perchè non dovrei?-
    Holly la esaminò attentamente. Le era chiaro che Faith non fosse a conoscenza di tutto ciò che Jason faceva  quando non stava con lei.
- Gente che conosco mi ha riferito di averlo visto ubriaco qualche sera fa.- Confessò in un sospiro.
    Faith abbassò lo sguardo sul bicchiere annuendo, come se non ne fosse per niente sorpresa. Ma Jason era davvero cambiato, ne era convinta.
- Probabilmente la gente ha visto qualcun altro quella sera.- Suppose, nonostante il timore che Holly le avesse detto la verità si stava diffondendo come un virus nella sua mente.
    Holly però aveva sempre detestato quel ragazzo e magari, pensò tra sé, stava dando vita ad un nuovo giochetto per farli dividere.
- Tu sai bene che non mi è mai stato simpatico e capisco se credi che io ti stia mentendo soltanto perchè non voglio che tu lo frequenti.- Disse quasi dando immediata voce ai pensieri di Faith, che scosse la testa abbozzando un sorriso triste.
- Tu non vuoi che io lo frequenti?-
- Io voglio solo che tu sia felice.- Affermò Holly incrociandosi le mani sul petto.
- Ma non credi che lui possa rendermi felice, giusto?- Osservò lei scuotendo leggermente la testa.
    Holly balbettò brevemente ribadendo silenziosamente la sua già nota contrarietà a quel rapporto.
- Senti, Faith, perchè non provi a chiederglielo?- Le chiese istintivamente.
    Faith sorrise voltando la testa di lato.
- Certo, Holly, potrei andare da lui e dirgli “Oggi fa davvero caldo, non trovi, Jason? A proposito, mi hanno detto di averti visto ubriaco l'altra sera.”-
    Holly non ribatté e Faith la osservò.
- Non è così semplice.- Disse fissandola intensamente.
    Come se non fosse già abbastanza preoccupata per Zia Becky, ora ci si metteva pure Jason. Pensandoci bene, non sarebbe stata una novità che avesse ripreso a bere. Quante persone erano cadute di nuovo preda dell'alcool?
    Eppure voleva fortemente credere che Jason non appartenesse a quel gruppo di persone. Ma questo significava giudicare falsa la sua migliore amica e, malgrado Holly non provasse simpatia nei confronti di Jason, Faith aveva la sensazione che le avesse soltanto detto la verità.
    Dalla cucina giunse lo squillo del cellulare e Faith si alzò dal divano ricordandosi improvvisamente di aver promesso a Jason che lo avrebbe richiamato quella mattina, ma l'arrivo inaspettato di Holly gliel'aveva fatto dimenticare.
- Ciao, Faith. Tutto bene?- La salutò il ragazzo dall'altro capo del telefono.
- Scusa, Jason. Mi sono dimenticata di chiamarti stamattina.-
- Non preoccuparti. Stasera passo da te, ok?-
- Si, non ci sono problemi. Tra poco faccio un salto da mia zia, ma tornerò prima di cena.- Lo informò Faith.
- Ok. Porterò la pizza. A più tardi. Ti voglio bene.-
    La ragazza rabbrividì a quelle parole. Quel “ti voglio bene” le suonava stranamente ipocrita, ma si detestò immediatamente per averlo pensato.
- A più tardi...- Rispose soltanto prima di chiudere la telefonata.
    Quando tornò in salotto Holly aveva già indossato la sua giacchetta elegante e la stava aspettando in piedi per avvisarla che sarebbe dovuta andare.
- Te ne vai già?- Le chiese Faith con un'espressione di ferita sorpresa.
    Holly si strinse nelle spalle e si sistemò la borsetta.
- Si, devo passare per il centro. Chris mi sta aspettando all'Elixir Cafè.-
    Faith annuì visibilmente dispiaciuta e Holly le si avvicinò.
- Se vuoi uno di questi pomeriggi usciamo a fare un po' di shopping. Ti farebbe bene un po' di svago.-
- Certo. Mi farebbe bene.- Ripeté lei.
    Holly si sentì tremendamente a disagio perchè il discorso che riguardava Jason non era stato concluso. Dentro di lei lottavano le due sensazioni contrastanti riguardo l'aver fatto bene o meno la cosa giusta.
    L'affetto che provava verso Faith era tanto da non volerla ferire nuovamente come aveva fatto con Max ed era disposta a tutto per proteggerla da ulteriori dolori, specialmente quando si trattava di Jason.
- Parla con lui di questa storia e poi chiamami, Faith.- La pregò carezzandole un braccio.
    Faith si mise le mani in tasca e sollevò un angolo della bocca.
- Stasera proverò a chiedergli spiegazioni.-
    Accompagnò Holly alla porta e poi, una volta sulla veranda, l'abbracciò affettuosamente.
- Grazie di tutto, Holly.-
    Holly sorrise, traducendo quel gesto e quelle parole come un'ulteriore conferma che finalmente, dopo un tempo simile ad un'eternità, la loro amicizia si era solamente rafforzata.

- Sei taciturna stasera.- Osservò Jason mentre con lo sguardo seguiva Faith sparecchiare la tavola con gesti rapidi e precisi.
    Lei alzò il viso e si bloccò con i piatti in mano, decidendo velocemente se quello fosse il momento giusto per parlargli.
- Io devo chiederti una cosa.-
- D'accordo. Se ti riferisci a ciò che è successo ieri sera prima che trovassimo zia Becky...-
- No.- Fece la ragazza scuotendo la testa.
    Jason si ammutolì di fronte a tanta serietà.
- Ok, ti ascolto.-
    Faith prese fiato e andò dritta al punto.
- Hai... hai ripreso a bere?-
    Jason strabuzzò gli occhi, ma esitò a rispondere.
- Ti prego, Jason.- Lo anticipò la ragazza portandosi le mani alle tempie, gli occhi chiusi - È importante per me che tu sia sincero. Non mentirmi.-
    Scostò una sedia e si sedette davanti a lui, fissandolo dritto negli occhi. il verde ipnotico delle sue iridi le provocò un tuffo al cuore.
- Ti prego.- Ripeté.
    Jason cominciò a tormentarsi nervosamente le dita senza scollare gli occhi da quelli di Faith.
- No.- Rispose piano.
    La ragazza continuò a fissarlo chiedendosi se Holly le avesse raccontato una bugia o se Jason stesse per aggiungere qualcosa a quel no pronunciato in un modo troppo incerto.
- Ma ci sono andato vicino.- Proseguì il ragazzo - Qualche sera fa ho bevuto uno o due bicchieri di troppo e...-
- Perchè?- Lo interruppe lei dolcemente, ma con la collera che sentiva accrescere improvvisamente dentro di sé.
    Lui si strinse timidamente nelle spalle e posò uno sguardo incredibilmente intenso nei suoi occhi. Uno sguardo che rispose tacitamente alla domanda.
- Oh...- Fece lei riprendendo in mano i piatti e alzandosi per portarli nel lavello - È proprio colpa della mia vicinanza se tu non riesci a resistere al richiamo dell'alcool.- Realizzò dandogli le spalle.
    Durante tutto il tempo che avevano trascorso insieme non aveva considerato il fatto che lui potesse essere ancora innamorato di lei.
    Sconfortato dalla reazione di Faith, Jason si alzò per andarle vicino.
- Da quando lo sai?- Gli chiese lei voltandosi di scatto e agitando le mani.
    Con un timido sorriso lui si poggiò con le mani al mobile e la ragazza si ritrovo bloccata nel cerchio delle sue braccia.
- Da sempre. Credevo che questa sera sarebbe stata l'occasione giusta per parlarne.-
    Faith frappose le mani tra di loro come a voler innalzare una barriera. Sentiva l'istintivo bisogno di allontanarsi immediatamente da lui e avvertiva una tale confusione in testa che le sembrava di muoversi in un sogno. L'unica cosa chiara riguardava il fatto che Jason si era ubriacato perchè innamorato di lei e che si rendeva perfettamente conto che non sarebbero più tornati insieme. O così sarebbe stato, finchè lei non l'aveva baciato la sera prima.
    In quell'istante un dubbio orribile si fece largo tra i suoi ragionamenti.
- Mi hai usata, Jason? Le belle serate, la gita in barca, le tue belle parole, tutto un piano perchè io potessi di nuovo innamorarmi di te? La tua amicizia è stata soltanto una recita?- Gli domandò a raffica, incredula.
    Jason ascoltò quelle frasi uscire dalla sua bocca e quasi stentò a credere che lei la pensasse veramente in quel modo. Un'espressione ferita si dipinse istantanea sul suo volto.
- Sei stata tu a baciarmi, ieri!- Sottolineò lui sbigottito e furibondo.
    Faith sussultò - Beh... Forse ero vulnerabile. E ancora sconvolta dagli eventi.-
- Quali eventi?- Le chiese lui spazientito. La afferrò per le braccia scuotendola leggermente - Cosa sono tutti questi eventi che sembra ti sconvolgano la vita, me lo vuoi dire? C'entra ancora il tuo ex ragazzo?-
    Faith volse la testa di lato e una ciocca di capelli le ricadde sul viso. Con gli occhi velati vide la terrina di fragole sul ripiano della cucina e la mente tornò a malincuore a quel pomeriggio in cui lei e Max cucinarono la torta.
    Jason le alzò dolcemente il viso con un pollice per farla voltare verso di sé.
- No.- Sussurrò incerta. Ma neppure lei era convinta della sua risposta e realizzò che anche Jason l'aveva capito.
    Il ragazzo sospirò e rimase a guardarla ancora per pochi istanti.
- C'era anche un'altra cosa di cui ti avrei voluto parlare stasera, ma vedo che non ti importa poi così tanto di me, perciò posso anche andarmene.- Dichiarò risoluto.
- Jason?- Lo richiamò Faith con la voce incrinata mentre si stava avvicinando all'ingresso.
- Si?-
- Ciò che è accaduto a mia zia ha rimesso in discussione i sentimenti e le emozioni che ho provato ieri sera. Non costringermi a forzare le cose perchè, ora come ora, non so come devo comportarmi.-
    Jason annuì, passandosi una mano sotto il mento e, prima di chiudersi la porta alle spalle, replicò: - Sai dove trovarmi quando hai deciso cosa fare.-

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Capitolo 35
*** 35. Pensare Con Il Cuore ***


Le Ragioni Del Cuore BN
R ISPOSTE ALLE RECENSIONI

Ciao a tutti!
Oggi pubblicherò un capitolo che ho scritto più o meno un anno fa mentre ero in vacanza. Mi auguro che vi piaccia e che possiate seguire questa storia con maggiore interesse!
Intendo ringraziare Saty, che metterei volentieri in una stanza insieme a Faith per vedere cosa accade ;) Mozzi84, e chiunque inserisca la storia tra le Preferite e Seguite!
A presto! MM


35. P ENSARE CON IL CUORE

    Le massicce porte della chiesa erano aperte quando Max vi giunse innanzi, ed un intenso odore di cera e fiori recisi lo investì non appena varcò la soglia dell'edificio in stile romanico. Nell'oscurità che avvolgeva i banchi sedeva ordinatamente in preghiera una folta schiera di persone vestita di colori scuri, ed alcune si voltarono a guardarlo attraversare la navata centrale, bisbigliando in un malcelato interesse.
    Il ragazzo aveva indosso il suo abito migliore, un completo grigio perla impreziosito da sottili cuciture in rilievo e la camicia di una tonalità leggermente più chiara. Si sentiva stanco, le gambe dolenti gli parevano macigni di cemento, ma, senza conoscere il motivo, dentro di sé avvertiva l'urgenza di arrivare in fondo alla navata dove, ai piedi dell'altare, una bara aperta per metà troneggiava tra due ricchi mazzi di rose gialle.
    Nel suo cervello imperava una forza sconosciuta che lo spingeva, obbligandolo a raggiungere il feretro senza sapere chi si trovasse al suo interno. Si era ritrovato misteriosamente a transitare davanti alla chiesa, ma non si domandava nemmeno cosa ci facesse là, e non capiva perchè la cerimonia si stesse svolgendo a notte fonda.
    Certo, era conscio si trattasse di un funerale, ma di chi? E perchè la gente attorno continuava ad osservarlo mentre procedeva piano e con un certo imbarazzo verso la bara?
    Gli sguardi di quelle persone a lui sconosciute sembravano iniettati di odio. In qualche modo, Max riusciva a percepire il disprezzo che traspariva dalle loro espressioni, dalle mascelle serrate di alcuni signori alle occhiate maligne delle signore, ed era certo che chiunque là dentro ce l'avesse con lui.
    Improvvisamente provò vergogna e tutti gli sguardi accusatori parvero moltiplicarsi, come gli occhi luminosi di certi animali selvatici che si accendono tra i cespugli di una foresta al crepuscolo.
    Una vecchia schiuse le labbra, ma Max non riuscì a capire ciò che aveva da dire. Il suono maestoso e triste dell'organo risuonò improvviso e potente nella chiesa, facendo vibrare le colonne e i porticati laterali per poi scendere ad allargarsi in cerchi concentrici sul pavimento di marmo decorato. Le fiamme di decine di candele mezze consumate tremolarono vigorosamente creando inquietanti giochi di luce sulla parete retrostante, in aloni giallastri ed intensi.
    Momentaneamente distratto dalla melodia, il ragazzo riportò la sua attenzione al feretro, ormai l'aveva quasi raggiunto. Mancava ancora qualche passo e la preoccupazione per ciò che avrebbe scoperto iniziò a prenderlo alle tempie trasformandosi in un mal di testa lancinante simile a due punte di trapano che gli foravano il cranio.
    Malgrado il fortissimo dolore, la forza dentro di lui lo costringeva a proseguire. L'organo persisteva a suonare imperterrito una nenia fastidiosa ed il pavimento sotto i suoi piedi vibrava quanto una lieve scossa sismica che soltanto lui pareva avvertire, mentre la gente intorno lo guardava nello stesso modo in cui avrebbe osservato un povero pazzo in preda alle allucinazioni.
    Avvolto da un penetrante odore di cera e incenso, Max tornò a concentrarsi sul feretro. La bara, di un colore marrone chiaro, presentava intarsi ben eseguiti, di forma circolare, sovrapposti l'un l'altro a formare una sorta di catena che girava tutt'intorno.
    Si avvicinò cauto, poggiando delicatamente le punte delle dita sul bordo, ed allungò la testa prestando molta attenzione, quasi temesse l'improvvisa ed inaspettata fuoriuscita di un essere demoniaco.  Quando finalmente riuscì a vedere il viso della persona che riposava all'interno, un conato di vomito lo assalì partendo dallo stomaco, ed istantaneamente si portò una mano alla bocca.
    Il viso angelico di sua madre sembrava giudicarlo attraverso gli occhi serrati. La sua espressione beata e sinistramente felice inorridì il ragazzo, che indietreggiò di colpo, reprimendo un grido di terrore, incredulità e disperazione.
- L'ha uccisa lui!- Lo accusò d'un tratto la stessa vecchia che poco prima sussurrava parole indecifrabili.
    La donna si era drizzata faticosamente in piedi con l'aiuto di un bastone e puntava l'indice scarno nella sua direzione.
    Colto da un brivido di nervosismo, Max provò ad urlare il suo rifiuto di credere a quella tremenda ed inverosimile verità, ma il grido gli  morì in gola e dalla sua bocca non uscì altro che aria. Si rese conto con orrore di non essere più in grado di emettere alcun suono.
- L'ha uccisa lui!- Ripeté la vecchia, il tono della sua voce più carico di disgusto, più acido, e i suoi occhi colmi di veleno furono attraversati da un lampo di rabbia.
    Poi Max udì un'altra voce provenire alle sue spalle, stavolta calda, morbida, setosa, che non aveva nulla a che vedere con il mondo spietato ed assurdo nel quale si era ritrovato catapultato.
    Si voltò e vide il profilo di una ragazza dai lunghi capelli, vestita di bianco e circondata da un'aureola di magia. Il bagliore che emetteva aumentava con il suo avvicinarsi e Max dovette schermarsi gli occhi con una mano.
- Non sono stato io... Non è colpa mia!-  Esclamò assalito dal panico di fronte a quella celestiale, ma alquanto temibile visione. Si meravigliò di avere ottenuto di nuovo l'uso della voce, ma la stessa meraviglia svanì poco dopo, quando riaprì gli occhi e vide che il buio era sceso su di lui come un'improvviso cambio di scena.
    Nessuna traccia di feretri, chiese, fiori o ragazze vestite di bianco aleggiava nell'ambiente circostante. Niente più sguardi luminosi nell'oscurità. In pochi secondi comprese che si era trattato di un sogno. Di un incubo, per la precisione.
    Allungò a tentoni la mano verso il comodino ed accese la luce stropicciandosi gli occhi. il silenzio era  scandito soltanto da un orologio che segnava annoiato le cinque del mattino, ed un insolito color zaffiro tingeva le finestre, ammantando i tetti degli edifici londinesi più lontani. Nel piccolo cono di luce che rischiarava la stanza, Max si portò una mano sul cuore e lo sentì battere veloce. La sua maglietta era madida di sudore e la fastidiosa sensazione di appiccicaticcio sul petto e sulla schiena lo costrinse a levarsela, gettandola ai piedi del letto in un gesto stanco.
    Quell'incubo, realizzò, era stato maledettamente realistico e la semioscurità della camera ne amplificava gli effetti al punto di sconvolgerlo.
    Gli eventi dell'ultimo periodo si erano indiscutibilmente rielaborati nella sua mente, nitidi e precisi, come ricordi recenti, tanto da chiedersi se sua madre fosse realmente deceduta. Il messaggio che voleva trasmettere quel sogno era chiaro.
    Quanto dolore poteva aver provocato ad Addison ferendola come aveva fatto? Sapeva perfettamente di non essere stato corretto trattandola in quel modo ed averla vista distesa in una bara lo fece pentire, fomentando i suoi già numerosi rimorsi. Quelle immagini si ripetevano nella sua mente come il ritornello di una canzone e temette di non riuscire più a liberarsene.
    E poi c'era la ragazza. Avrebbe potuto benissimo essere Faith, ma la luce che la circondava era talmente potente  d'avergli impedito di delinearne il viso.
    Esausto e turbato, spense la luce e, con le mani incrociate dietro la nuca, chiuse gli occhi cercando di non pensare ad altro se non a riaddormentarsi, ma passò almeno una mezzora prima che Morfeo si impadronisse nuovamente del suo sonno.

- Mio Dio, Max, oggi hai un aspetto orribile.- Commentò Tom il mattino seguente al tavolino del Cafè on  the Square. I due amici erano soliti fare colazione insieme durante il week-end, in modo da trascorrere più tempo al di fuori del lavoro.
- Grazie tante.- Ribatté sarcastico il ragazzo. In effetti Tom non aveva tutti i torti: due occhiaie scure, la carnagione pallida e i capelli spettinati lo facevano sembrare un'altra persona.
- Che hai fatto stanotte? Sei rimasto sveglio davanti alla TV a guardare robaccia decisamente  poco adatta ad un ragazzo perbene come te?- Continuò ad istigarlo Tom.
    Max bevve un sorso del suo caffè, decidendo di ignorarlo con assoluta convinzione. Si stava divertendo come un matto a provocarlo e di certo si sarebbe divertito ancora di più se lui gli avesse risposto con una sfuriata. Con molta calma ripose la tazza sul piattino e lo guardò.
- Magari.- Replicò con un fugace sorriso tirato. Poi si fece serio, e parlò abbassando il tono di voce.
- Ho fatto un incubo stanotte.-
    Tom aggiunse altro zucchero al caffè e tacque, analizzando la sua risposta. Stava per sparare un'altra delle sue battute, ma considerò che non era la mattina adatta per ironizzare. Ormai conosceva bene Max e sapeva quando era il caso di continuare un discorso con un certo sussiego in base al modo in cui l'amico rispondeva alle sue domande.
- Ti va di fare una passeggiata nel parco?- Gli chiese Max spiazzandolo.
- Ok.- Approvò Tom - Finisco il caffè.-
    Pagarono il conto ed uscirono dal locale, dove, a fianco dell'entrata, un uomo stava affiggendo un cartellone con gli orari del musical “Les Miserables”. La luce bianca e azzurra di quel primo sabato di luglio li investì come un'ondata di acqua calda. Lungo il marciapiedi frotte di turisti si dilettavano a fotografare i particolari tipici della città o ad alzare gli sguardi al cielo per ammirare gli splendidi edifici che si affacciavano sulla piazza, come la National Portrait Gallery, la Canada House e la chiesa di St. Martin.
    I due ragazzi si si immisero nella folla e si avviarono verso i giardini.
- Allora.- Esordì distrattamente Tom - Che hai sognato di così sconvolgente?-
    Max continuò a guardare avanti con gli occhi coperti dai Ray Ban.
- Mia madre.- Disse semplicemente. Tom esitò.
- E... che ti ha detto?-
- Era morta.-
    L'amico si sentì rimpicciolire. Max gli aveva raccontato ogni dettaglio del suo breve viaggio a Lakewood, ma non erano più tornati sull'argomento, un po' per discrezione di Tom, un po' perchè quello era il primo week end che riuscivano a trascorrere insieme dal suo ritorno a Londra.
    Dopo aver lasciato sfrecciare un autobus rosso fuoco, attraversarono Trafalgar Square, dove si stava svolgendo una marcia reale con le guardie a cavallo.
    Considerata da molti inglesi il centro della città, la piazza pullulava di macchine fotografiche e stormi di piccioni che zampettavano tra le due grandi fontane laterali. Al centro si ergeva trionfante il suo storico simbolo, la colonna dedicata all'ammiraglio Nelson, in onore della sua vittoria contro le truppe napoleoniche nella battaglia navale del 1805 a Trafalgar.
    Dopo pochi metri Max e Tom giunsero a Saint James, il parco cintato da un elegante cancellata in ferro battuto che univa la piazza a Buckingham Palace.
    Una lieve brezza faceva frusciare le fronde degli alberi e pareva di respirare un'aria migliore di quella del centro. I prati, i cespugli e le foglie erano dipinti di un verde brillante e il sole mattutino li rivestiva di una luce quasi paradisiaca.
    La gente passeggiava tranquilla tra i sentieri ghiaiati che serpeggiavano attraverso i giardini e si riposava sulle panchine di legno distribuite ad intervalli regolari in tutto il parco. Qualcuno leggeva il giornale, qualcun altro, con la testa reclinata all'indietro, tentava di abbronzarsi un po'. Una ragazza che faceva jogging con i capelli legati in una coda ordinata e le cuffiette alle orecchie non passò inosservata a Tom, che si voltò per guardarle il fondoschiena non appena lo ebbe superato correndo nella direzione opposta.
    Max lo notò con la coda dell'occhio e sorrise scuotendo leggermente la testa senza dire nulla. Scovarono una panchina libera ai piedi di una collinetta delimitata da un paio di statue ingrigite dal tempo. Entrambe riproducevano due cherubini intenti a pizzicare le corde di un'arpa, con le ali semichiuse. Alcuni uccellini adagiati sulle teste cinguettavano allegramente quasi stessero discutendo tra di loro.
    I due ragazzi sedettero sulla panchina e Max si appoggiò allo schienale allargando le  braccia con il viso rivolto verso il sole.
- Mi trovavo ad un funerale senza sapere di chi fosse.- Riprese a raccontare.
    Tom lo ascoltò senza intervenire.
- Mentre attraversavo la navata centrale della chiesa la gente attorno mi osservava indignata e, quando ho scoperto che nella bara c'era mia madre, una vecchia si è alzata in piedi incolpandomi della sua morte. Poi è apparsa una ragazza.- Max fece un gesto vago con la mano - Una specie di angelo. Non sono stato in grado si riconoscerla. Ho aperto gli occhi subito dopo.-
    Tom mugugnò valutando il tutto come un interprete dei sogni, poi elaboro la sua teoria.
- Inutile dire che tutto ciò potrebbe essere una conseguenza  di quello che è successo in Ohio, questo credo che tu lo abbia già capito, Max.-
    Max annuì con la testa, sollevando un sopracciglio per evidenziare ovvietà.
- Esatto, Freud.-
- Anch'io facevo sogni simili al tuo dopo che i miei genitori morirono nell'incidente in auto.-
    Max conosceva a grandi linee la sua storia, ma non era informato circa i dettagli più riservati. Fu in quel frangente che l'amico gli raccontò di com'era andata, forse spinto dal volerlo aiutare dandogli qualche consiglio senza essere sottoposto ad un facile giudizio.
- Avevo da poco cominciato a studiare alla Berkeley, ma non ero soddisfatto. Complici i sentimenti che mi legavano ad una ragazza che studiava all'altro capo del paese, mi ostinai a voler cambiare università. Una sera tornai a casa e dissi ai miei genitori di aver lasciato gli studi in California perchè volevo iscrivermi alla Brown. A quel tempo mio padre gestiva un ristorante lungo la costa, ma le entrate non erano molto alte. Così mi rimproverò accusandomi di aver buttato via il loro denaro. Non potevo permettermi di cambiare università per un semplice capriccio. Ricordo che mi disse "Io e tua madre ti abbiamo sempre sostenuto in ogni tua decisione, ma questo non me lo sarei mai aspettato da te. Tu sei mio figlio ed io ti vorrò sempre bene, però stasera mi hai deluso. Ciò che mi importa più dei soldi è il tuo futuro e non posso permettere che tu lo metta a rischio soltanto per amore di una ragazza. Commetteresti un errore trasferendoti alla Brown." Poi sospirò e disse guardandomi negli occhi "Mi fai stare male, Tom." E, dopo aver detto questo, lui e mia madre uscirono per andare al lavoro al ristorante. Fu l'ultima volta che parlai con loro.- Tom incrociò le dita delle mani e abbassò lo sguardo, smuovendo alcuni sassolini con un piede.
- Soltanto dopo l'incidente mi resi conto che mio padre aveva ragione. Ero giovane e tanto egoista. Ostinato e completamente preso dalla folle idea di cambiare università. Porterò sempre dentro di me le sue ultime parole, e non immagini quanto mi feriscano ogni volta che mi tornano in mente. Non aver avuto la possibilità di chiarirmi con lui mi fece sentire un verme per parecchio tempo. Avrei tanto voluto chiedergli scusa, porre rimedio a quella discussione. L'avevo deluso e lui se n'era andato con il rancore nei miei confronti. Anche mia madre era del suo stesso parere, ma si era limitata ad abbracciarmi, chiedendomi di ripensare bene alla mia decisione.-
    Tom esibì un sorriso che non aveva niente a che vedere con la felicità, e Max vide chiaramente che i suoi occhi erano lucidi.
- Tutto questo per dirti che tu sei ancora in tempo per porre rimedio al tuo sbaglio. Io non lo sono più.- Realizzò con tanta amarezza nella voce - Non capisco perchè certe cose si riconoscano per quello che sono realmente solo dopo che la morte ci ha portato via chi cercava di aiutarci.- Osservò stringendosi nelle spalle - Non voglio che tu stia male come lo sono stato io. E, se posso dirtelo, scommetto che tua madre non sta tanto meglio di te in questo momento.-
    Max parve rifletterci. Notò solo adesso un ragazzo che stava dipingendo una tela adagiato comodamente sotto un grande albero, e si destreggiava con abilità tra pennelli e colori. Si chiese che cosa stesse dipingendo, se la realtà o la fantasia.
- Ma perchè mi ha mentito così?- Chiese volgendosi di nuovo verso Tom, che si grattò il mento.
- Sapeva che avresti perso la testa e non voleva perdere anche te, dopo tuo padre.-
- Si, ma...-
- Non ci sono “ma”, Max.- Tagliò corto Tom - Perchè non riesci a capire che tutto ciò che le rimane sei tu?     Perchè non riesci a capire che tu sei tutta la sua famiglia?  Io non voglio giudicarti, ma renditi conto che di mamma ce n'è una soltanto e quando lei non ci sarà più, tu cosa ne farai della rabbia e del risentimento che ti sei portato dentro per tanto tempo?-
    Max lo guardò senza rispondere. Non sapeva cosa replicare. Perchè il suo amico aveva così tremendamente ragione?
- Esatto.- Sbottò Tom esaminando la sua espressione - Non te ne farai proprio niente.-
    L'amico increspò le labbra. Forse era troppo presto per cercare di sistemare tutto con sua madre, e non poteva essere sicuro che lei lo avrebbe perdonato con tanta facilità. Però ci fu una molla nella sua testa, uno scatto, che gli fece improvvisamente elaborare da un altro punto di vista tutta la situazione. Fino a quel momento non era riuscito a pensare con il cuore perchè il livore e la disperazione celavano ciò che agli occhi di tutti appariva come l'infinito amore di una madre verso il figlio. Addison non era stata egoista a volergli nascondere la verità, ma puramente e completamente il contrario, e lui aveva calpestato i suoi sentimenti e le sue buone intenzioni. Adesso subentrava la stessa vergogna che aveva provato nel suo incubo e sapeva che l'unico modo per sentirsi meglio non era perdonare sua madre, ma riuscire a farsi perdonare.
- Che mi dici della ragazza?- Domandò Tom interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
- Quale ragazza?-
- Quella apparsa alla fine del tuo incubo.-
    Max sollevò un angolo della bocca, chiudendo brevemente gli occhi e passandosi una mano tra i capelli.
- Non vorrei giurarci, ma credo che rappresenti l'altra questione da risolvere.- Rispose accorato.

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Capitolo 36
*** 36. Un Giorno Migliore ***


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R ISPOSTE ALLE RECENSIONI


Ciao a tutti!
Eccoci qui, in una nuova estate! Quello che trovate qui in basso è il penultimo capitolo che pubblico prima delle vacanze! Ci ritroveremo il 15 settembre 2011, ma tornerò a ripeterlo tra due settimane prima di salutarvi!
Come sempre non dimentico di ringraziare Saty e Mozzi per il loro lavoro! Siete le migliori amiche che si possano desiderare! Ma vi ringrazierò con qualche altra bella parolina nell'ultima pubblicazione!
E poi un grazie va anche a chi inserisce questa storia tra le Preferite e Seguite! Continuate a leggere!!
Buona lettura!
MM

36. U N GIORNO MIGLIORE

    Il pomeriggio del giorno seguente Faith ricevette la notizia che più di ogni altra non avrebbe voluto ricevere: zia Becky stava morendo lentamente e la diagnosi iniziale del dottor Fawcett non lasciava più spazio ad alcuna possibilità di guarigione.
    A malincuore, aveva aiutato la zia a prendere le ultime cose ed insieme avevano lasciato l'ospedale.
    Zia Becky sembrava dimagrire a vista d'occhio e più i giorni passavano, più le forze le venivano a mancare.
    All'inizio di luglio Faith si accorse che nella maggior parte dei discorsi che intraprendeva, la donna faticava a comprendere i dettagli e spesso le ripeteva più volte i concetti affinché mantenesse il cervello allenato il più possibile. Una sera, al tramonto, la ragazza uscì in veranda per avvertirla che la cena era pronta.
    La donna si stava cullando lentamente sulla sedia a dondolo e guardava ipnotizzata il sole tingere di arancio le creste dell'oceano. Non parve accorgersi della sua presenza, così Faith la osservò in silenzio.
    In poche settimane era invecchiata parecchio. I capelli fini e bianchi legati sulla nuca le conferivano più anni di quelli che aveva, il perenne colorito roseo delle guance era sbiadito e profonde rughe le contornavano le labbra. I suoi piccoli occhi iniziavano a perdere valore infossati sotto le sopracciglia leggermente irregolari. Malgrado ci fossero temperature piuttosto alte, tendeva sempre a coprirsi, e tante volte Faith la sorprendeva a tremare.
- Ho preparato qualcosa da mangiare, zia.- Sussurrò la ragazza.
    Zia Becky si destò da quel sonno ad occhi aperti e la guardò con un debole sorriso. Faith le posò una mano sulla spalla avvertendo una fragilità tale da suscitarle tenerezza e commozione.
- Sai una cosa, Faith?- Fece la donna carezzandole la mano sulla spalla - Saperti qui al mio fianco in un momento così delicato della mia vita mi riempie il cuore di gioia.-
- Oh, zia...- Mormorò Faith piegandosi sulle ginocchia.
    Zia Becky guardò l'oceano mentre alcune barche spiegavano le loro vele e cavalcavano maestose i marosi dorati. Un vento d'inizio estate sospingeva verso l'orizzonte nubi grigie a macchiare l'azzurro intenso del crepuscolo.
- Ricordo ancora bene quando sei venuta ad abitare qui con me. Avevi soltanto nove anni, ma dimostravi già una grinta ed un coraggio incredibile nell'affrontare le cose.- La zia sorrise ricordando quei giorni del passato, e gli occhi si fecero lucidi.
    Faith sentì un groppo in gola. Avrebbe voluto continuare ad ascoltarla a lungo, ma, allo stesso tempo, desiderava che smettesse di ricordare.
    Quelle parole in quel contesto assumevano un significato doloroso, nonostante si trattasse di bei ricordi che, improvvisamente, racchiudevano in sé il sapore delle cose dette da una persona che l'avrebbe abbandonata da un momento all'altro, lasciandole una ferita nel cuore costantemente aperta.
    Quasi fosse l'ultima lacrima versata, l'ultima cosa divertente raccontata. E tutto ciò la angosciava terribilmente.
- Da allora sono passati sedici anni, Faith.- Continuò la zia - Ma io ti vedo ancora come ti vedevo allora: fragile e forte, dolce e profonda.-
    La donna la guardò posandole una mano sul viso e, con il pollice, le asciugò una lacrima.
- Sei sempre tu, la mia bambina, qui con me fino alla fine. E so che ci sarai anche dopo che io...-
- No. Smetti di parlare così, zia.- La zittì dolcemente Faith scuotendo la testa.
- È così, Faith.- Insistette zia Becky tornando ad ammirare ciò che restava del sole nel cielo - Io morirò presto. Solo ora comincio a capire che cosa significa, ma sono serena. Non ho rimpianti, nella vita ho fatto tutto ciò che volevo, ho ricevuto tutto l'amore che desideravo e ne ho dato altrettanto. Quanti possono dire lo stesso?- Chiese rivolgendosi alla nipote, che volse la testa di lato contraendo le labbra per trattenere le lacrime come poteva - Tu puoi dire questo, Faith?-
    La ragazza chiuse gli occhi e tra le folte ciglia brillò una lacrima.
- No.- Affermò semplicemente.
- Sembra ieri quando sei arrivata qui. Il tempo è un attimo, Faith. Ha la durata di un soffio, di un battere d'ali. Devi sfruttarlo al meglio o, in men che non si dica, ti ritroverai con niente in mano.-
- Anche se sono trascorsi tanti anni, credo di non sapere come si fa, zia.-
    La zia piegò la testa di lato e sorrise.
- Si.- Sussurrò - Si che lo sai. Devi solo volerlo.-
    Faith le prese entrambe le mani e rimase a guardarla a lungo negli occhi, come volesse scoprire e imparare i segreti di tutta una vita scrutando quelle pupille che trasmettevano ancora la forza degli anni, la volontà di volere.
- Vorrei solo che tu non andassi via.- Le confidò con gli occhi lucidi sollevando un angolo della bocca - Vorrei che restassi con me perchè io ho ancora bisogno di te. Sei l'unica cosa importante della mia vita e, quando tu non ci sarai più, io non saprò cosa fare. È così poco il tempo che abbiamo trascorso insieme...-
    Zia Becky le prese il viso tra le mani e la tirò a sé per abbracciarla.
- Non andrò mai via da te, bambina mia.- Le sussurrò in un orecchio prendendo ad accarezzarle i capelli - Io resto qui.-
    La tenne stretta a lungo e pianse con lei finchè la luce del sole svanì completamente e il giorno non divenne altro che un ricordo.

    Per Faith non era facile capire cosa volere. Aveva riflettuto parecchio sul discorso di zia Becky. Si era impegnata, sforzata, ma sembrava non trovare alcuna risposta. Tuttavia, le idee su come avrebbe dovuto sfruttare il suo tempo c'erano, anche se lei non voleva ammetterlo a sé stessa. A parte sua zia, i motivi per i quali continuare a vivere erano due. Ciascuno di questi due motivi possedeva una metà del suo cuore, ma era inconcepibile per lei amare allo stesso tempo l'uno e l'altro.
    In un certo modo Max continuava indirettamente ad influenzare la sua vita mentre Jason rappresentava per lei la fuga dal passato.
    Presa dall'impeto di voler prendere una decisione in quello stesso istante, scese dal letto e afferrò il cellulare. Digitò il numero ed esitò qualche attimo prima di inoltrare la chiamata, non sapendo bene cosa dire. Con sua sorpresa e  sollievo si attivò la segreteria telefonica.
- Ciao.- Esordì incerta. In quel frangente si prese la testa tra le mani e pianse - Mi dispiace tanto per tutto quello che è successo, ma ti prego, perdonami. Io ti amo e non riesco a stare senza di te. Ci sto provando con tutte le mie forze ma non ce la faccio. È troppo difficile.-
    Riattaccò subito dopo, pentendosi di essere apparsa così vulnerabile e ridicola, ma, in cuor suo, pregò che lui comprendesse.
    Si mise a sedere sul letto abbracciandosi le ginocchia, illuminata dalla candida luna, sperando che il giorno seguente potesse essere migliore.

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Capitolo 37
*** 37. A New Day Has Come ***


Le Ragioni Del Cuore BN
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Ciao a tutti i lettori!
Eccoci giunti all'ultimo capitolo della stagione. A qualcuno piacerà, a qualcun altro meno, ma spero che lo possiate commentare.
Spero anche che a settembre siate in tanti a leggere questa fan fiction!
Nel frattempo ringrazio Saty e Mozzi84 per la pazienza e la cura con le quali si occupano di questa storia: siete fantastiche!
Come ultima canzone da ascoltare vi consiglio “New Day” di Tamar Kaprelian, e vi saluto aspettandovi il 16 settembre 2011!
Buone vacanze a tutti e buona lettura!
MM


37. A  NEW DAY HAS COME

    Trascorsero cinque giorni da quella notte e Faith si sentiva sempre più stupida man mano che le ore passavano. Ogni volta che il telefono squillava o che qualcuno bussava alla porta il cuore iniziava a batterle come un martello pneumatico. Ed ogni volta la delusione e la tristezza si alimentavano irreversibilmente.
    Non sapeva più a cosa pensare. Non capiva perché Jason non avesse risposto al suo messaggio ed arrivò a credere che se la fosse presa così tanto da sentirsi stanco di essere preso in giro da lei, la ragazza che gli aveva rubato il cuore, gettandolo a terra e calpestandolo come erba selvatica.
    Finché, passato il quinto giorno, alle sei del pomeriggio avvertì zia Becky che sarebbe uscita a cercarlo, promettendole che sarebbe stata di ritorno prima di sera.
    Era giunto il momento di smettere di aspettare, aveva già perso troppo tempo. Prima che il buio fosse calato lei avrebbe ottenuto tutto, oppure niente. Era un bel rischio, ma sentiva che era giusto correrlo.
    Salì in auto e partì alla volta di Hermosa Beach, anche se non era certa che lo avrebbe trovato in casa a quell'ora.
    Il cuore sembrava esploderle nel petto mentre il sole bollente penetrava all'interno dell'auto attraverso i finestrini aperti e le scaldava la pelle del viso e delle braccia.
    Improvvisamente si rese conto che non avrebbe saputo cosa dire nel caso se lo fosse trovato davanti, ma quel pensiero venne ben presto spazzato via dalla frenesia di voler trovare la persona della quale si era innamorata.
    Accese la radio, spegnendola subito dopo aver capito che non c'era altro all'infuori di Jason che potesse interessarle in quel momento.
    Lui era diventato il centro del suo mondo e doveva ad ogni costo dirgli di persona quello che provava nei suoi confronti. Avendo capito di essersi comportata da immatura e da prepotente, sperava ardentemente nel suo perdono.
    La strada era trafficata, ma non impiegò molto tempo ad arrivare a casa del ragazzo.
    Accostò al marciapiede e, dimenticando la borsetta in auto, si precipitò a suonare il campanello dell'abitazione.
    Le venne ad aprire Kate, la madre di Jason, che si mostrò subito preoccupata notando lo stato di agitazione della ragazza.
- Entra, Faith, e spiegami cosa sta succedendo.- Le disse con la voce carica di ansia.
    Faith varcò il cancello a grandi passi e si avvicinò alle scale sforzandosi di sembrare il più civile e adulta possibile.
- Salve, signora Conrad, sto cercando Jason. É in casa?- Chiese fermandosi a riprendere fiato.
    Kate parve sconcertata da quella domanda.
- A dire il vero, Faith, lui è partito.- Fece laconica.
    La ragazza rimase un attimo in silenzio, confusa, ripetendosi mentalmente la risposta.
- Partito? Per dove?- Domandò sbalordita, senza nascondere un pizzico di delusione.
    Kate scese le scale con una mano sul parapetto e l'altra a sistemarsi il grembiule legato in vita.
- Si, non te l'ha detto? Trascorrerà tre mesi in Polinesia lavorando a bordo della barca di una coppia di soci dello Yacht Club.-
    D'un tratto Faith comprese che doveva essere questo ciò che Jason avrebbe voluto dirle quella sera, quando lei lo aveva accusato di averle mentito riguardo ai sentimenti che provava. Che stupida!
- Io... Io ho lasciato un messaggio sulla segreteria del suo cellulare, ma...- Balbettò sconsolata la ragazza.
Kate scosse la testa portandosi le mani sui fianchi.
- Quel distratto di mio figlio ha perduto il cellulare poco meno di una settimana fa, quindi non credo che lo abbia ascoltato.-
    A Faith si illuminarono gli occhi: adesso era certa che lui non fosse arrabbiato al punto di non volerne più sapere di lei. Ma s'incupì immediatamente ricordandosi che ormai era tardi: aveva lasciato Los Angeles.
- Però credo che farai ancora in tempo a trovarlo se corri al porto.- Continuò Kate, instillando nel suo animo una buona dose di speranza - Mi ha detto che sarebbe salpato alle 6.30.-
    Senza pensarci, Faith rivolse un immediato sguardo all'orologio che portava al polso: 6.20.
- Grazie mille, signora Conrad.-
    La salutò velocemente, uscì dal cortile, si fiondò in macchina e partì facendo stridere i pneumatici sull'asfalto. Oh, mio Dio, sembro una povera pazza!
Tamar Kaprelian “New Day”
    Il porto distava circa tre chilometri dalla casa di Jason, ma l'abituale traffico li faceva sembrare il triplo.
    Lungo la strada Faith lanciava insistentemente occhiate all'orologio, attanagliata dal timore di non riuscire a raggiungere il ragazzo. I particolari del paesaggio attorno sfrecciavano in una miriade di strisce colorate, creando lo stesso effetto di un dito passato su un dipinto appena terminato, mentre il sole, in uno squarcio dorato nel cielo bluastro, pareva danzare beffardo sulla linea dell'orizzonte.
    Alle 6.28 giunse al parcheggio dello Yacht Club e fermò la macchina con una frenata degna di un film poliziesco. Si osservò un breve istante allo specchietto retrovisore dell'auto, ripensando a quella volta che Holly le disse “Occorre essere sempre in ordine ogni volta che si esce di casa!”. Se l'avesse vista ora avrebbe concluso che la parrucca di un clown sarebbe stata più in ordine dei suoi capelli, ma poco le importava. Non indossava neppure niente di eccezionale: un paio di jeans strappati alle ginocchia e una canotta rossa. Le infradito ai piedi non erano il massimo per fare una corsa, ma finse di non badarci. L'importante era raggiungere il molo - e Jason - al più presto.
    Attraversò il giardino, ricco di piante e fiori di ogni tipo, e imboccò la scala che scendeva ripida al pontile in un paio di rampe, sotto lo sguardo incuriosito di un giardiniere con in mano un'enorme paio di cesoie, e di un trio di vecchietti che stava giocando alle carte all'ombra di un gazebo.
    Quel luogo, al tramonto, era spettacolare, realizzò affascinata, notando le barche ormeggiate che si andavano lentamente coprendo dei morbidi  e suggestivi colori serali.
    Si guardò intorno cercando di localizzare Jason quando, grazie al rombo di un motore e un fugace bagliore riflesso nei vetri, intravide uno yacht lasciare il porto sfilando tra le altre imbarcazioni ancorate in un'intricata distesa di alberi e di vele che ondeggiavano al dolce cullare del Pacifico.
    L'odore salmastro le giungeva a tratti al naso, a seconda della direzione del vento, mentre sulle travi di legno nerastro i gabbiani arruffavano le penne, emettendo il loro grido vivace e nascondendo il becco sotto un'ala.
    Faith non perse tempo. Prese a correre lungo il pontile e, sotto i piedi, le assi velate da un sottile strato di sabbia scricchiolavano, rimandando il tonfo leggero dei suoi passi.
    Lo yacht era ancora vicino. La ragazza oltrepassò un altro paio di barche e riuscì a vedere Jason che si occupava delle vele, esattamente come aveva fatto il giorno della loro gita al largo.
    Si fermò e, unendo le mani ad imbuto, lo chiamò a gran voce.
    Jason parve non sentire a causa del rombo del motore, ma, al secondo richiamo, si volse in direzione del pontile e la vide. Lasciò perdere le vele per sporgersi dalla barca, ma la lontananza dal molo era ancora troppa. Sentì il cuore balzargli in gola e togliergli il respiro perché sapeva che Faith era là per un motivo. Sapeva che era là per lui.
- Jason, ti amo! Ti amo!- Ripeté più volte la ragazza facendo un paio di saltelli, come fosse servito a farsi sentire meglio.
    Jason le sorrise e si portò una mano sulla fronte, giudicando incredibile tutto quello che stava accadendo. Quella ragazza era una sorpresa continua ed era riuscita a stupirlo ancora una volta, facendogli dimenticare la stupida lite di qualche giorno prima.
    Lo yacht si stava allontanando dal porto sempre più rapidamente e Faith corse fino a raggiungere l'estremità del pontile senza più fiato nei polmoni.
- Ti amo, Faith! Sei tutto per me!- Urlò Jason di rimando.
    Poi gridò parole a lei incomprensibili, poiché il vento trasportò lontano dal molo ogni suono.
    La ragazza lasciò allora che le braccia le scivolassero lungo i fianchi e piegò la testa da un lato, rimandandosi indietro i lunghi capelli in un sorriso. Gli soffiò un bacio con la mano prima di salutarlo con il palmo immobile e aperto.
    Una volta che lo yacht raggiunse il largo, Faith udì i suoi motori spegnersi, e l'osservò prendere velocità, con le vele che schioccavano al vento coprendosi gradualmente d'oro, mentre l'oceano si striava di rosso, di rosa e di arancione.
- Sarò qui ad aspettarti...- Mormorò la ragazza quando la barca divenne poco più di un puntino luminoso sull'acqua.
    Poi s'incamminò verso la sua auto, ammirando sulle colline in lontananza il profilo della scritta metallica HOLLYWOOD riflettere l'intensa luce del tramonto in un bagliore, tra il verde scuro della vegetazione e il viola del crepuscolo. Si fermò e voltò soltanto la testa, mentre la brezza marina le faceva ondeggiare una ciocca di capelli sopra le labbra.
    L'arancio del sole si dipinse nei suoi occhi facendoli brillare, e lei sorrise, soddisfatta, pensando che prima dell'imbrunire era riuscita ad ottenere tutto ciò che voleva.

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Capitolo 38
*** 38. Un Regalo Speciale ***


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Ciao a tutti! Bentrovati e bentornati dalle vacanze estive, per chi è andato in vacanza, s'intende (io non sono andato, tengo a precisare!)


Io e la mia personal beta Mozzi84 siamo qui pronti a pubblicare questo nuovo capitolo, che spero sia di vostro gradimento. Lasciatemi tanti commenti, anche cattivi, anche per insultare Faith (che dopo l'ultimo capitolo, pare vada proprio di moda insultarla. Ma io la amo lo stesso, sempre e comunque, malgrado noti benissimo le smorfie della Beta.), insomma, qualsiasi cosa! Io vi risponderò!

Ringrazio come sempre la mia amica Saty che pare abbia inserito uno zoo nella sua ultima recensione, molto divertente davvero! Mi piace come scrive questa lombarda pazzerellona! Anche se non lo vuole ammettere, lei prova un odio profondo verso Faith, e questo mi diverte!
Poi ringrazio anche Chiarascimmia, che recensisce privatamente il capitolo ("Bello il capitolo, anche se mi sta antipatica quella baldracca - si può scrivere? non lo so! - che prima va con Max, poi con Jason, e scommetto che tornerà con Max, mettendogliela nel deretano - si può scrivere? non lo so! - a Jason, che ci rimarrà di BEEEEEP! - questa non si può scrivere! - Povero illuso!") . Si noti la finezza di quest'altra lombarda, sempre invidiabile... :)

La Mozzi84, invece, si limita a tacere, ma il suo silenzio è pericoloso... vedremo in seguito se metterà per iscritto la sua simpatia per Faith...
Detto questo, vi lascio senza ulteriori indugi alla lettura del capitolo e vi comunico che la pubblicazione avverrà una volta al mese, non più una ogni due settimane. La prossima pubblicazione cadrà di venerdi 14 ottobre!

A presto!

MM



38. U N REGALO SPECIALE

    Nelle settimane che seguirono la partenza di Jason, Faith notò dei peggioramenti dello stato di salute di zia Becky e, sapendo bene che non mancava più tanto tempo, la tristezza aveva ormai trovato una dimora fissa nel suo cuore.
    Il tempo dei sonnellini pomeridiani della zia era aumentato gradualmente con il passare dei giorni, e la mattina faticava ad alzarsi. Aveva anche cominciato a zoppicare ed ogni volta che Faith la osservava camminare insicura le pareva di sentire il cuore stringersi in una morsa che tratteneva dentro le lacrime.
    Naturalmente non aveva raccontato nulla di tutto questo a Jason, che era riuscito a telefonarle soltanto un paio di volte da quando aveva lasciato la città. Da come le aveva descritto le cose, sembrava davvero entusiasta di quel viaggio, e non c'era da stupirsi. Viaggiare era sempre stato il suo sogno e lei non intendeva certo guastarglielo parlandogli dei problemi sempre più gravi di sua zia. Ogni volta che le chiedeva come stava, la ragazza vagheggiava senza soffermarsi troppo o sottolineare cose delle quali il solo pronunciarle le faceva male. Avrebbe preferito che Jason fosse rimasto a Santa Monica, ma poi aveva concluso che in fondo non c'entrava nulla con zia Becky, anche se era certa che lui l'avrebbe aiutata incondizionatamente in quel periodo difficile.
    Faith non usciva di casa, se non per svolgere le commissioni più urgenti, come passare al supermercato per fare un po' di spesa oppure fermarsi in banca per pagare le bollette. Non aveva rivisto nemmeno Holly, nonostante l'amica le avesse telefonato numerose volte chiedendole di accompagnarla in un tal posto o di aiutarla a fare un determinato lavoro in casa, perché teneva a passare più tempo che poteva con la zia. Ormai aveva inteso benissimo che Holly si inventava qualsiasi cosa pur di farla uscire perché si distraesse un poco, ma lei continuava a declinare gli inviti con garbo, senza inventarsi bugie, replicando che doveva fare compagnia a zia Becky.
    Agosto arrivò in un batter d'occhio e il suo compleanno era alle porte. Con la situazione in cui si trovava, la ragazza non era dell'umore adatto per festeggiare. Fu la zia il pomeriggio del giorno precedente a convincerla di organizzare una semplice cena con Holly.
- Potreste prenotare una pizza e un film in cassetta.- Aveva proposto, e Faith, non sentendosi in diritto di  provare egoismo, finì per accettare l'idea, più per sua zia che per sé stessa. Non voleva deluderla o negarle le semplici cose proprio ora. In fondo non chiedeva un party faraonico alla Holly Andrews, pensò, e la compagnia dei suoi amici le avrebbe sicuramente giovato.
    Anche Jason, che le aveva telefonato per farle gli auguri, era del suo stesso parere.  
    Così chiamo l'amica e convinse pure Chris a partecipare alla serata, per essere sicura che la loro amicizia non fosse finita quel pomeriggio lungo la spiaggia, quando lui le aveva raccontato dell'alterco di Max con sua madre.
    Entrambi accettarono di buon grado, presentandosi puntuali alle otto con la scatola di una pizza enorme tra le mani e un pacco avvolto in una carta colorata e un nastro giallo pieno di riccioli.
- Holly, Chris... Non dovevate....- Sorrise Faith piegando la testa.
- Vorrà dire che lo terrò io.- Affermò Holly piena di convinzione - Non sai quanto mi costa darlo a te. Sappi, signorina, che ho fatto la corte a questo oggetto qui dentro per un bel po' di tempo.-
- Beh, perché non l'hai tenuto tu, allora?- Scherzò Faith.
- So che potrebbe piacere di più a te.- Rispose con un vago gesto della mano, fingendo che non le interessasse più.
    I tre ragazzi risero allegramente sulla porta.
- Tanti auguri, Faith.- Mentre Holly l'abbracciava teneramente, a Faith venne in mente tutto quello che avevano passato nell'ultimo periodo e si commosse.
- Grazie.- Le disse piano all'orecchio.
    Anche Chris si fece avanti per abbracciarla e Faith, mostrandosi inizialmente un po' titubante, decise di mettere da parte i ricordi e si strinse nel suo petto per alcuni attimi cercando di immaginarsi in quale modo il ragazzo la vedeva ora.
- Ti voglio bene.- Le sussurrò.
    Lei alzò la testa asciugandosi una lacrima con il dorso della mano e lo guardò.
- Buon compleanno, Faith.- Le augurò con il suo sorriso da mascalzone, e lei sorrise a sua volta.
- Ho contribuito anch'io al regalo di Holly. Spero davvero che ti piaccia, perché mi ci è andato il mio primo stipendio da ristoratore.-
-Chris!- Lo richiamò gravemente Holly - Non mi sembra il caso di parlare di soldi proprio adesso!-
    Ma Faith non fece caso all'amica, trovando più interessante il discorso di Chris.
- Lavori in un ristorante?- Gli chiese sbalordita, ma contenta.
- Allo Spago, quel ristorante sulla Canon Drive. Lo conosci, vero?-
    Faith asserì.
- È un posto di lusso. Complimenti, Chris!-
- Il mio bravo capo mi ha permesso di essere qui stasera nonostante lavori lì da poco. Ma sai, gli ho parlato così bene di te che non ha potuto negarmi il permesso.-
    Faith gli picchiò piano una mano sulla spalla.
- Sei furbo, tu.- Lo apostrofò strizzandogli un occhio.
- Si fa quel che si può.- Posò le braccia sulle spalle delle ragazze come un corteggiatore vissuto - Coraggio, entriamo. Ho una fame!- Ridacchiò.
    Mangiarono la pizza con zia Becky poi si spostarono tutti sotto il portico e Faith affettò la torta di pere e cioccolato che aveva comprato nel pomeriggio in una pasticceria fuori città.
La serata era calda, allietata dal gradevole canto dei grilli  e dal frinire delle cicale. Non c'era traccia della luna in cielo, ma le stelle baluginavano ritmicamente come piccoli frammenti di diamante.
    Zia Becky aveva chiesto a Faith di mettere il suo disco preferito sul vecchio grammofono del salotto, e dalla finestra aperta giungeva la calda voce di Cole Porter, che amalgamava tutto quanto c'era di buono nella serata. L'atmosfera che si respirava era rilassante e i problemi di quei giorni sembravano lontanissimi e privi di valore.
    La lanterna di ferro battuto che pendeva dal centro della veranda dondolava impercettibilmente al vento tiepido, nella sua delicata luce ambrata. In cucina Holly si era procurata alcune piccole candele e, dopo averle accese, le aveva poggiate sul parapetto per tenere lontane le zanzare attirate dalla luce e dai profumi.
- È l'ora di aprire il regalo.- Annunciò con entusiasmo smorzando con un soffio il fiammifero che aveva utilizzato.
    Faith si vide costretta a lasciare la sua fetta di dolce a metà, in quanto l'amica era davvero su di giri e più impaziente di lei. Afferrò la scatola che aveva vicino e sospirò.
- Davvero... Non dovevate.-
- Ancora una parola e me lo porto via io!- Esclamò Holly sbuffando bonariamente.
- Ok, ok, lo apro.- Replicò arrendevole Faith prendendo a scartare la scatola.
    Non era leggera, ma neanche eccessivamente pesante. Di certo era qualcosa da indossare, questo l'aveva intuito già dalla foggia del rivestimento con cui era stato incartato. Tolse il coperchio e ne estrasse un abito rosa reggendolo per le spalline di raso.
    Lo guardò un attimo riconoscendolo all'istante e poi sbarrò gli occhi in direzione di Holly e Chris.
- Ma questo è un Ralph Lauren!- Tornò ad ammirare il vestito, estasiata - È semplicemente... favoloso!- Si alzò in piedi per ringraziare i ragazzi con un bacio.
- Non trovi che sia favoloso, zia?- Ripeté voltandosi verso zia Becky, che si stava cullando lentamente sulla sedia a dondolo e sorrideva, felice di rivedere la nipote contenta come non la vedeva da tempo.
- È fantastico, Faith! I tuoi amici hanno buon gusto.- Affermò con persuasione.
- Grazie... Lo desideravo tanto! Ora non posso dirvi le belle parole che ho pensato stamattina perché pensereste che lo faccia soltanto perché mi avete regalato questo splendido abito, ma...- Sorrise, abbassando la testa e, quando la rialzò, gli occhi le si erano fatti lucidi - Siete gli amici migliori che una persona possa desiderare, e sono fortunata ad avervi. Malgrado non mi sia comportata proprio bene con voi e continui tuttora a dispiacermi per ciò che ho detto e fatto, sappiate che vi voglio bene e non smetterò mai di volervene. E voglio anche aggiungere che ci sarò sempre per voi, come voi state facendo con me in questo momento. Questa serata ha per me un chiaro significato. L'amicizia, quando è vera, non si perde tra i bivi delle strade della vita, ma continua ad esistere e combatte contro la lontananza, i diverbi. E si fa ogni volta più forte e più inattaccabile. Non voglio più rinunciare ad una forma di piacere così vera, intensa e d inimitabile  per il semplice fatto che mi sentirei persa. E so per certo che con voi non lo sono.-
    Holly si commosse e Chris tirò su con il naso.
- È una lacrima quella?- Osservò Holly divertita indicando una piccola goccia argentata che rigava la guancia del ragazzo.
- No!- Esclamò subito lui asciugandosi velocemente. Guardò fuori - È rugiada.-
    Le ragazze scoppiarono a ridere insieme alla zia.
- Grazie.- Concluse Faith con la voce carica di sincerità.

    Più tardi, mentre Faith si apprestava ad andare a letto, zia Becky bussò alla porta della sua stanza.
- Sono contenta di trovarti ancora sveglia. Disturbo?- Disse entrando zoppicando nella stanza.
- No, entra pure. Non mi disturbi mai, lo sai.-
    Notò poco dopo che la donna teneva tra le mani una scatola simile a quella di un paio di scarpe, ma più piatta e quadrata, con in cima un fiocco blu intrecciato a fiori secchi azzurri e gialli.
- Volevo darti il mio regalo.- Glielo porse con la mano tremante e le parve che la nipote non volesse accettarlo - Per te.- Affermò annuendo con la testa.
    Faith ripose la spazzola nel cassetto della specchiera e prese il regalo, stupita e curiosa.
- Ma... Come hai fatto a comprarlo?-
- Sarò pure vecchia e malata, ma ammetti che riesco ancora a stupirti.- Affermò la zia con un sorriso.
    Faith assunse un'espressione austera perché la sua malattia non era uno scherzo e le fece male al cuore vedere che la zia tentava in tutti i modi di sottovalutarla.
    Per distrarsi, si concentrò sul regalo chiedendosi come se lo fosse procurato. Non era difficile che ci fosse stato lo zampino di Holly.
    Zia Becky si sedette sul letto al suo fianco e guardò la ragazza aprire la scatola sfilando semplicemente il fiocco. Una leggera velina bianca ricopriva qualcosa che sembrava fragile. Faith la sollevo attentamente e con molta delicatezza, e si fermò ad osservare il contenuto. C'era un biglietto di carta ruvida ed ondulata scritto in grafia non troppo bella, ma comunque comprensibile. La grafia di sua zia.
    Lo lesse a mente e immediatamente capì il motivo per cui non le aveva dato il regalo durante la cena. Zia Becky sapeva colpirla al cuore, come aveva sempre saputo fare. Era in grado di pizzicare le sottili corde della sua anima e tracciare con sicurezza le linee che delimitavano i confini del suo cuore abbattendo ogni barriera ed ogni forza creata per proteggere la sua vulnerabilità.
    Si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e si passò un dito sotto gli occhi, guardando sua zia attraverso un velo lucido.
- Non... Non so che dire, zia...- Mormorò piano, e nella sua voce affiorò una punta di felicità mista a disperazione. La disperazione per ciò che presto sarebbe successo.
- Non c'è bisogno di dire niente, bambina mia.- La rassicurò carezzandole una guancia - La tua espressione ha già detto tutto. Sono contenta che il regalo ti piaccia.-
    La baciò sulla fronte e si alzò in piedi.
- Felice compleanno.- Le sussurrò allegramente.
    Faith curvò un angolo delle labbra.
- Grazie di cuore, zia. Buonanotte.- La salutò mentre si richiudeva la porta alle spalle lasciandola attonita sul letto, con il regalo tra le mani.
    Lo guardò ancora per qualche attimo, piangendoci sopra, mentre i ricordi le distruggevano il cuore in mille pezzi per poi ricostruirlo e distruggerlo nuovamente, come il frantumarsi di tanti bicchieri di cristallo, uno dopo l'altro.
    Estrasse la cornice d'argento finemente lavorata e la pose sul comodino vicino al suo letto. Conteneva una fotografia in bianco e nero di lei e zia Becky ritratte abbracciate vicino all'albero di Natale che avevano addobbato in salotto qualche anno prima.
    Si distese sul letto continuando ad ammirare l'immagine, quasi a studiare se nel momento dello scatto la zia manifestasse già qualche sintomo della malattia. Non ne trovò. In quegli anni non c'era alcun male che minacciasse di portarla via.
    Rilesse il biglietto di auguri facendo scorrere un dito sull'inchiostro e riflettendo su ciò che diceva.
    “Buon 25° Compleanno, Faith. Mi auguro che il tuo futuro possa essere pieno di ricordi come questo. Ti voglio bene.”

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Capitolo 39
*** 39. La Cosa più Bella ***


Le Ragioni Del Cuore BN
R ISPOSTE ALLE RECENSIONI
Ciao a tutti!
Bentrovati per questo nuovo capitolo, il numero 39!
Come sempre ringrazio chiunque abbia aggiunto la mia fan fiction tra le Preferite o Seguite.
Poi anche Saty: mi piace come commenti ogni volta i miei personaggi. Ed io ogni volta mi diverto a scrivere di loro pensando a cosa scriverai tu, chiara e concisa, che commenti il capitolo secondo il tuo personale punto di vista che, a mio parere, è sempre spiritoso! Mi piace!
Spero che altri possano commentare come fai tu!
Un bacio anche a Mozzi84 che, tra una corsa con la gonna corta e la borsetta sotto braccio, e una spedizione alla ricerca di un buon cotechino, si dà sempre da fare per rendere migliore questo romanzo!
Ma lascio voi lettori al capitolo e vi avviso che il capitolo 40 verrà pubblicato il 18 Novembre!
A presto!

39. L A COSA PIU' BELLA

    Il sole era tramontato da poco quando Addison sentì bussare alla porta. Si stava impegnando a farcire il pollo che l'indomani avrebbe portato per il pranzo domenicale dell'orfanotrofio del paese, insieme alla torta di mele che stava finendo di cuocere nel forno. Negli ultimi anni aveva incentrato i suoi sforzi e i suoi interessi verso i bambini bisognosi, scoprendo di provare piacere nel sentirsi socialmente utile. Era riuscita a comprendere che il volontariato la faceva stare bene con sé stessa, oltre che a tenerla impegnata mentalmente quando non voleva pensare ad eventi che le davano dispiacere e malinconia.
    Tutto questo era derivato da fallimentari incontri con uomini sbagliati. Da quando suo marito Will era morto, innamorarsi di qualcun altro per lei rappresentava un tradimento. Era tuttora una donna molto affascinante, di buon gusto, educata e raffinata, e i corteggiatori non le erano di certo mancati. Con il passare degli anni, anche grazie all'aiuto dei consigli delle amiche, la sensazione di dover tradire Will sembrava sbiadire, ma restava fermamente convinta che non sarebbe più stata in grado di provare un amore puro e profondo come quello che aveva nutrito per il marito. Si poteva benissimo accontentare di un uomo serio e onesto che le stesse vicino e che le volesse bene.
    Tuttavia i radi incontri che aveva avuto erano risultati più che disastrosi. Le pareva che la maggior parte degli uomini pensasse soltanto a portarsela a letto e che fosse priva di qualsiasi sentimento. Tutto ciò le creava disgusto e la faceva ripetutamente pensare a quanto fosse perfetto Will, così completo e nobile d'animo, ricco di buon senso, gentile e premuroso.
    Così aveva riversato tutta la sua attenzione verso le persone più bisognose prendendo parte al gruppo di volontari che si occupava dell'orfanotrofio di Cleveland. Stare in mezzo a tutti quei bambini le regalava emozioni che non provava da tempo. Le riusciva incredibile credere che, malgrado le situazioni difficili in cui erano cresciuti, fossero più maturi di un adulto vero e proprio e che inoltre fossero perfettamente in grado di capire quando c'era qualcosa che non andava per il verso giusto. Aveva finito con il pensare che forse erano state proprio quelle situazioni ad averli plasmati fino a farli divenire ciò che erano adesso.
    Aveva legato in modo particolare con una di loro, Josephine, che lei amava chiamare con il diminutivo di Jo, una bambina davvero intelligente per i suoi undici anni. Era stata abbandonata pochi giorni dopo essere venuta al mondo, poi, adottata per qualche anno da una famiglia di Pittsburgh, era stata di nuovo riportata all'orfanotrofio in quanto “bambina poco socievole ed intrattabile”, così definita dai genitori adottivi.
    Ascoltando la sua storia, Addison comprese immediatamente con che razza di persone la bambina aveva avuto a che fare, perché con lei poteva parlare di qualsiasi cosa e riusciva a farsi comprendere in ogni modo. Le ultime occasioni in cui le aveva fatto visita all'orfanotrofio le aveva raccontato del diverbio con Max e la bambina si era seduta a guardarla preparare la macedonia e ascoltandola con molta riflessione. Al termine del racconto le aveva chiesto se portava con sé una fotografia del figlio. Addison era rimasta un attimo a fissarla sbigottita, chiedendosi se stesse facendo sul serio, poi aveva estratto dalla borsa una foto  recente di Max. Dopo averla esaminata attentamente Jo le aveva detto:
- Tuo figlio ha gli occhi sinceri. Nel cuore nasconde tanta bontà e tanti buoni sentimenti. Sono sicura che tornerà un giorno o l'altro e vedrai che sistemerete tutto quanto.-
    Addison, con un nodo in gola che scendeva stringendole anche il petto, aveva abbozzato un sorriso ritenendo inaspettato ciò che la bambina aveva detto, e le accarezzò il viso.
    Si riscosse dai pensieri quando udì il campanello suonare la seconda volta. Afferrò lo strofinaccio sul tavolo pulendosi rapidamente le mani e andò ad aprire la porta.
- Sto arrivando.- Disse ripensando distrattamente a Jo.
    Dinanzi all'uscio un ragazzo alto con indosso una giacca leggera ed una borsa a tracolla si stagliava nel fascio di luce proveniente dal salotto.
    Il suo sguardo si posò timido e colpevole in quello di Addison.
- Max... - Mormorò incredula la donna sentendosi quasi il corpo anestetizzato nel trovarsi il figlio davanti.
    Il ragazzo non disse nulla. Pareva incerto su cosa dire, ogni parola gli appariva scarsa d'effetto, inutile. Anche nei movimenti non sapeva cosa fosse giusto fare. Stare di fronte a sua madre gli parve immeritato e un misto di soggezione e rincrescimento lo prese allo stomaco. Avrebbe voluto stringerla forte, pregarla di perdonarlo e contemporaneamente non sfiorarla nemmeno di un centimetro. La vergogna che avvertiva nei suoi confronti si era quadruplicata nel momento stesso in cui la porta gli era stata aperta e Addison aveva pronunciato il suo nome. Gli sembrava di averla disonorata e, pensò fugacemente, forse era proprio ciò che aveva fatto.
    Poi la tensione dentro di lui parve improvvisamente scomparire. Non appena vide una lacrima scendere lungo una guancia di sua madre, capì istantaneamente che lei non desiderava altro dalla vita che riabbracciare suo figlio. Capì che anche lei aveva sbagliato, ma che lo aveva fatto per il suo bene. Tom aveva avuto ragione. Addison era stata da sempre una buona madre, ma la rabbia e i rancori avevano offuscato gli occhi del suo cuore fino a quasi annientare l'amore di ventisei anni, l'amore che lo aveva consolato la prima volta che era caduto imparando ad andare in bicicletta o che lo aveva accompagnato e rassicurato il primo giorno di scuola. L'amore che lo aveva aiutato quando suo padre se n'era andato era lo stesso che in quel momento lo osservava senza risentimenti, senza limitazioni.
    Spinto dal timore di poterla perdere, mise da parte l'imbarazzo e l'abbracciò forte, piangendo sommessamente nel sentirla piangere a sua volta. Qualcosa nella sua vita stava cambiando in meglio, lo poteva avvertire tra le braccia di sua madre.
    Addison gli accarezzò la testa singhiozzando. Non era possibile che l'odio esistesse tra lei e suo figlio. Di questo ne era certa.
    Dalla tasca del grembiule estrasse la fotografia che aveva tenuto sempre vicino da quando Jo le aveva detto quelle parole e la guardò nella luce fioca.
    “Grazie, Jo...” pensò stringendo gli occhi e restando abbracciata al figlio in un momento interminabile della sua vita.
    Quello che aspettava.

- Posso entrare?- Chiese il ragazzo quasi in un sussurro.
    Addison lo guardò e si fece da parte, tendendo un braccio in segno di invito.
    Max entrò ostentando rispetto e titubanza, ed oltrepassò la porta della cucina. Notò che non era cambiato nulla dall'ultima volta che era stato lì e quella specie di abituale monotonia lo rassicurò facendolo sentire a casa per davvero, eliminando l'ultimo triste periodo.
    Si avvicinò ai fornelli sentendosi addosso lo sguardo contento di sua madre, un'altra cosa che lo faceva sentire amato.
- Cosa stai cucinando di buono?-
    Addison si stropicciò il grembiule, aprì un mobiletto e tirò fuori un bicchiere di vetro.
- Il pollo per il pranzo di domani all'orfanotrofio. Sai che ogni domenica si festeggia.-
- Ah, già.- Annuì Max con un sorriso - Per un attimo ho dimenticato quanto fossi brava con i bambini.-
- Lo credo bene! Ho allevato un figlio birichino come te!- Scherzò.
    Max rise brevemente.
- Non ero così cattivo!- Si difese.
- No.- Fece Addison scuotendo la testa - Non lo eri affatto.-
    Lo guardò intensamente riflettendo su quanto le era mancato di lui, più affettivamente che fisicamente. Ormai era abituata a vederlo poco vista la professione che svolgeva, ma dopo il diverbio che avevano avuto più di due mesi prima, lo aveva sentito lontano anni luce da lei, e con tutta probabilità avrebbe provato questa sensazione anche se Max fosse rimasto lì. L'odio che le aveva gettato addosso non poteva di certo annullare l'amore che avvertiva in sé nei suoi confronti, ma era comunque stato in grado di allontanarlo contro il suo volere.
- Mi sei mancata, sai mamma?- Mormorò Max facendosi più serio.
- Anche tu, Max. Tanto.- Tenne a sottolineare Addison.
- Ti devo le mie scuse più sincere. Ho mancato di rispetto a te, e di conseguenza, a mio padre. Non avevo capito che volevi solo proteggermi, perché avrei potuto fare una pazzia pur di vendicare la sua morte.-
- Forse non avrei dovuto aspettare così tanto per dirtelo.- Fece la donna congiungendo le mani e sentendosi totalmente colpevole.
    Max socchiuse gli occhi e piegò la testa di lato.
- Credo che non avrebbe fatto alcuna differenza, mamma.-
    Allontanò una sedia dal tavolo e ci si sedette poggiando i gomiti sul piano e portandosi le mani alle tempie. Anche Addison fece lo stesso dopo aver preso una bottiglia d'acqua dal frigorifero. Gli si sedette di fronte e riempì il bicchiere a metà.
- Come... come va con Faith?- Gli domandò accorata cambiando tonalità della voce nel pronunciare il nome della ragazza, in una sorta di timore nel nominarla.
    Max increspò le labbra in un'espressione mesta e carica di afflizione, tenendo lo sguardo abbassato sulla tovaglia a scacchi blu e bianchi.
- L'ho lasciata.- Rispose semplicemente.
    Addison fece scorrere lo sguardo attorno a loro colta dal dispiacere, cercando di immaginare a come potessero essere andate le cose tra suo figlio e Faith. Si chiese dove la ragazza avesse trovato tutto il coraggio per rivelare una verità cosi scomoda e provò vergogna nell'averla quasi obbligata a svolgere un compito che avrebbe dovuto essere principalmente di sua competenza. Era vero che Faith rappresentava il futuro di Max, ma non era stato giusto caricarla di una responsabilità così grande.
- Forse non è troppo tardi per sistemare tutto anche con lei.-
    Max scosse la testa. Si alzò e si avvicinò alla finestra aperta. L'aria calda entrava smuovendo le tende e lui si rimboccò le maniche ammirando il cielo farsi viola e le finestrelle delle case vicine riempirsi di luci gialle. Nel giardino quasi buio le rose si ergevano maestose oscillando leggermente insieme all'erba corta che frusciava attorno.
- Non lo so. Non sono ancora pronto per presentarmi a lei. Non sarà così facile come lo poteva essere con te.-
    A queste ultime parole si voltò verso la madre e la guardò negli occhi.
- Tu mi vuoi bene. E sono certo che non hai smesso di volermene anche quando...- Si ritrovò improvvisamente senza l'ardire nel ricordare quel giorno di metà giugno.
    Addison gli si avvicinò di qualche passo.
- Non posso dirlo con assoluta certezza, ma credo che quella ragazza sia ancora innamorata di te.-
    Max rise scettico.
- Perché lo credi?-
- Beh, a volte l'amore non si riesce a spiegare. Ma io ho visto quello che c'è tra di voi. È qualcosa di vero e di talmente profondo che raramente oggi si vede. L'ho capito da come vi guardavate quel giorno a pranzo.     Era come se una forza sconosciuta vi stesse sospingendo l'uno verso l'altro.- La donna cercò di spiegarsi e le parole le uscirono semplici e sincere - È la stessa cosa che avvertivo con tuo padre, Max.-
    Max ricordò di aver sempre ammirato i suoi genitori. Tra di loro esistevano gentilezze, accortezze, premure. Si completavano a vicenda, l'uno non avrebbe potuto esistere senza l'altra. Dove sua madre arrivava, suo padre continuava, e viceversa, in un connubio perfetto di tenerezza e di consapevolezza.
    Lui li prendeva bonariamente in giro quando li sorprendeva scambiarsi effusioni in cucina o mentre stavano abbracciati sul divano guardando la televisione, ma poi, pensandoci bene, non poteva che sorridere entusiasta e soddisfatto di possedere una famiglia come quella. La sua famiglia, dove l'amore e l'affetto erano le parole d'ordine.
- Ho capito.- Affermò Max annuendo. Attraverso i suoi occhi comprese quanto Will le mancasse. Le andò vicino e le posò le mani sulle spalle.
    Addison sorrise tristemente, la mente immersa nei ricordi più dolci e felici.
- Non sai quanto mi manca, Max. E la cosa peggiore è che me ne rendo conto ogni giorno di più.-
- Non devi vergognartene, mamma. Sarebbe un male se non fosse così.-
    La strinse a sé, guardando oltre a lei la casa che ostentava la mancanza di qualcosa di importante da ormai troppo tempo. Qualcosa di insostituibile in una casa lo è di più nel cuore di una persona, pensò. Un vuoto incolmabile che nessuno può far scomparire e che rimane per sempre. Quel momento lo riportò inevitabilmente a dieci anni prima, riaprendogli la ferita più profonda della sua anima.
- Sarà sempre così, mamma. Ma sii felice e fiera di quello che ti ha lasciato. Ti ha regalato la cosa più bella che una persona possa desiderare.-
    Max intendeva un amore puro e vero, ma Addison sollevò lo sguardo verso di lui con un sorriso compiaciuto.
- Hai ragione, Max. La cosa più bella che potesse regalarmi è qui, davanti a me.-
    Il ragazzo la guardò con gli occhi velati.
- Non lasciarti scappare quella ragazza, tesoro.- Sussurrò quasi in una preghiera.
    Max sorrise e, casualmente, lanciò uno sguardo verso il forno.
- Mamma! La torta!- Gridò, ed entrambi corsero ad estrarne ciò che restava del dolce.
    Una nuvola di fumo grigio si propagò rapida nella cucina e madre e figlio si trovarono a guardarsi in faccia con gli strofinacci in mano, scoppiando a ridere.
- Tu ridi, ma io domani cosa porto all'orfanotrofio?- Domandò scacciando il fumo fuori dalla finestra agitando le mani e un cucchiaio di legno.
- Hai gli ingredienti per farne un'altra?-
- Si, ma ci ho messo quasi tutto il pomeriggio per prepararla. E devo ancora cuocere il pollo.-
- Vorrà dire che ne cucineremo un'altra a costo di impiegarci tutta la notte e tutta la mattina.-
- Mi daresti una mano davvero?- Chiese sbalordita Addison - Non sei stanco del volo da Londra?-
    Max scosse la testa, divertito.
- Coraggio, mettiamoci all'opera.-
- Benissimo. Ma domani verrai con me al pranzo. Che ne dici?- Azzardò la madre.
    Il ragazzo sollevò un angolo della bocca e annuì.
- Mi piacerebbe tanto.-

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Capitolo 40
*** 40. Nuove Svolte ***


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R ISPOSTE ALLE RECENSIONI

Bentrovati a tutti i miei fedeli lettori!

Oggi non posso esimermi dal fare un sacco gigante di Auguri di Buon Compleanno alla mia personal beta, che proprio il 18 Novembre compie ben 27 anni!!!
Quindi un bel Happy Birthday virtuale a Monic, alias Mozzi84, beta e miglior amica!!
TANTI AUGURONI, MONIC, E TANTI BACI!! :*

Finalmente il 40mo capitolo è a disposizione di Voi tutti, spero naturalmente che Vi piaccia, ma com'è che nessuno vuole farmi sapere il proprio parere? Vedo che siete in tanti, e ne approfitto per ringraziare chi inserisce la storia tra le Preferite e Seguite!

Grazie a Saty, ormai l'unica, ma valida lettrice, che giudica con una certa pratica ogni capitolo e fa commenti costruttivi sui personaggi e le situazioni che li circondano. THANKS! :*

Ma basta parlare, e allora Buona lettura!
Vi aspetto il 16 Dicembre 2011 per un nuovo entusiasmante capitolo!

Ciao!

 
40. N UOVE SVOLTE

    La domenica Max si risvegliò con la sensazione che ogni cosa della sua vita avesse ripreso il proprio posto. Il sole che brillava ed il tepore del primo mattino di quel giorno di metà d'agosto contribuivano a farlo stare bene con sé stesso. Malgrado avesse dormito soltanto quattro ore, della stanchezza non c'era  alcuna traccia, anzi. Tutto sembrava magicamente tornato come prima.
    Stando sdraiato a letto osservò con nostalgia e tenerezza la sua stanza, teatro di tante scene d'infanzia e di adolescenza. I poster dei film preferiti da ragazzo, come “Terminator”, “Top Gun” e “Stand by me” campeggiavano ancora sulle pareti, quasi dimenticati lì, appesi, dalla fretta di voler andare via ad ogni costo.
    Realizzò quanto fosse strano che ogni cosa fatta ed ogni esperienza vissuta lontano da casa avessero finito per ricondurlo in quel piccolo paesino dell'Ohio. Stava gradualmente accettando il fatto che esistesse un sottile legame tra lui e Lakewood e si sorprese nel ripensare a quanto si era impegnato a volerlo spezzare, dimenticando che quegli stessi luoghi costituivano tuttora le fondamenta di un'esistenza trascorsa a voler superare, quasi con inconcludente ostinazione, un passato carico di rimorso e di collera inespressa.
    Quella stanza ora gli appariva più piccola, più stretta. O forse, pensò, era lui ad essere cresciuto senza rendersene conto. Quanto tempo aveva sprecato intrappolato in un ricordo e convincendosi di avere accettato la morte di suo padre? Quei dannati poster cinematografici sembravano ripeterglielo tacitamente, e i ricordi del ragazzo che era un tempo riaffiorarono nel suo cuore di adulto.
    Sospirò con le mani dietro la nuca e, voltandosi verso la libreria carica di volumi, scorse quel piccolo libro che gli stava a cuore tanti anni prima. Si trattava di una raccolta di aforismi e poesie che Blanchard, il suo professore di lettere, gli aveva donato alla vigilia del giorno del diploma e che lui aveva custodito gelosamente in quanto suo sincero ammiratore. Ricordò con rimpianto quel momento in cui, salutandolo, Blanchard lo aveva trattenuto dicendogli parole che lo avevano  fatto riflettere.
    Era l'ultimo giorno di scuola e presto la sua vita, come quella di molti coetanei, avrebbe intrapreso una strada diversa e sarebbe inevitabilmente cambiata, anche se non sapeva ancora bene in quale modo. Gli ultimi anni non erano stati affatto facili e, da quando suo padre se n'era andato, Max aveva terminato gli studi senza l'entusiasmo con il quale li aveva iniziati, lo stesso entusiasmo che non era passato inosservato al professor Blanchard fin dai primi momenti.
    Quel giorno, Blanchard, stando seduto dietro alla cattedra, aveva salutato gli studenti con un'amichevole stretta di mano e, quando era arrivato il turno di Max, l'ultimo a rifare lo zaino e ad uscire, lo aveva invitato a fermarsi  per qualche minuto.
    Ricordò che il professore, dopo aver estratto dal borsone quel libretto usurato, ma ancora in buono stato che ora teneva tra le mani, gliel'aveva porto suggerendogli di aprirlo in una pagina con l'angolo superiore piegato.
- Max, leggi ad alta voce quelle poche righe sottolineate a matita.- Lo aveva pregato.
    Incuriosito, Max, aveva guardato dapprima il libretto, poi il professore che, con lo sguardo, lo esortava a leggere. Allora si era schiarito la voce e, con una sorta di esitazione, aveva preso a leggere lentamente.
- È stupendo scoprire come dentro di noi vive un'anima che possiede delle matite speciali, capaci di colorare anche le pagine più nere della nostra vita e di trasformare in consapevole saggezza le brucianti ferite del passato.-
    Confuso, il ragazzo aveva alzato lo sguardo dal libro. In un certo senso aveva inteso cosa Blanchard stesse cercando di dirgli, ma si trattava di qualcosa a lui difficile da ammettere.
- Cosa vuol dire?-
- Vuol dire che sei fortunato, anche se non te ne rendi conto.- Gli aveva risposto il professore.
- Io non sono fortunato. Questo aforisma è per le persone che hanno il dono.-
- E tu ce l'hai, il dono, non io e nemmeno tutti quelli come me, che si improvvisano maestri e professori soltanto perchè hanno studiato libri su libri. Tu possiedi le matite, ma ancora non lo sai. Sono le persone come te che possono fare e dare tanto agli altri e a sé stessi.-
    Max aveva esibito un sorriso triste fissando il libretto e scuotendo la testa.
- Presto ti renderai conto di essere una persona straordinaria e sarà in quel momento che diventerai lo scrittore della tua stessa vita. Non come hai fatto in questi ultimi anni. Io ho visto chi sei realmente. L'ho capito guardandoti durante la prima lezione, come ho capito che poi ti sei smarrito e hai lasciato che qualcun'altro scrivesse la tua vita per te. Tu sei tra i pochi  che si contraddistinguono dalla maggior parte della gente e che possono cambiare tutto ciò che vogliono in un modo assolutamente genuino e profondo. Possono fare della propria vita ciò che vogliono quando vogliono.-
    Provando imbarazzo e orgoglio, Max aveva indugiato per qualche attimo nello sguardo del professore senza dire niente. Sapere che c'era qualcuno al di fuori della sua famiglia che vedeva in lui qualità così valide lo aveva riempito di coraggio, ma anche di timore di non riuscire a scoprire quelle matite speciali descritte nel libro, che vivevano dentro di lui. La paura di deludere il suo professore, e specialmente sé stesso, con la conseguente ed inevitabile disillusione dal possedere virtù così rare ed ambite.
- Sono sicuro che presto le scoprirai.- Aveva mormorato il professore prima di salutarlo, quasi gli avesse letto nella mente.
    Max aprì il libretto alla pagina con l'angolo piegato. Si sdraiò di nuovo sul letto e rilesse mentalmente quelle poche righe sottolineate a matita. Non l'aveva più fatto da quell'ultimo giorno in classe perchè il solo pensiero gli procurava una malinconia dolce, ma allo stesso tempo, tremenda.
    Per qualche strano e bizzarro scherzo del destino quella stessa frase ora gli suscitò un sorriso, apparendo ai suoi occhi in maniera del tutto diversa da quando l'aveva letta davanti a Blanchard. Non poteva essere sicuro di avere scoperto tutte le matite, ma era consapevole di essere a buon punto. Avrebbe desiderato tornare a quel giorno e dire al suo professore che aveva ragione, che la vita poteva essere scritta come ciascuno desiderava e che lui in parte c'era riuscito.
    Facendo scorrere le pagine, lesse frasi che lo indussero a riflettere a ciò che per lui aveva più importanza, che fosse ancora nella sua vita e che ormai gli sembrava perduto.
“Esistono molte cose nella vita che catturano lo sguardo, ma solo poche catturano il tuo cuore... segui quelle.”.
    Un'altra lo fece ripensare a Faith.
“Un amore crollato, ricostruito, cresce forte, leggiadro, grande più di prima.”
    Richiuse il libro ed inspirò a fondo. Era ancora possibile sistemare le cose con lei? Si poteva davvero creare lo stesso rapporto basandosi sugli errori commessi, ma utilizzandone soltanto la saggezza per farlo maturare?
    Faith era l'unica persona che lui avesse mai amato così profondamente, e non voleva più rinunciare a ciò che donava un senso alla sua intera esistenza. Era arrivato il momento di mettere da parte tutti i vecchi risentimenti e di smettere di celare i propri sentimenti dietro alla superbia.
    Adesso doveva riconquistare il grande e unico vero amore della sua vita. Lei gli apparteneva, lo completava in tutto e per tutto, continuava a vivere in lui, gli dava l'impulso nelle prove più difficili. Nonostante la distanza li tenesse lontani, Faith sussurrava, rideva, gridava nella sua testa, e per Max era come sentirla vicina, sempre.
    Se prima era convinto del contrario, ora voleva dirsi certo che una minima possibilità poteva esistere e che le cose erano difficili soltanto quando non ci si metteva alla prova.

    Quella mattina stessa, dopo aver preparato la colazione a zia Becky, Faith approfittò della bella giornata per dare una sistemata alla sua stanza. Da troppo tempo ormai l'aveva trascurata per potersi dedicare a tempo pieno all'anziana.
    Dall'angolo vicino alla finestra partiva una sottile ma elaborata ragnatela e il riflesso del sole  la illuminava fino alla punta dell'armadio; gli abiti giacevano accavallati agli schienali delle poltrone; decine di scarpe spaiate erano sparse sotto il letto; gli scaffali e i mobili, ricoperti da uno strato di polvere, avevano perso la loro naturale lucentezza. Faith vi scarabocchiò velocemente sopra con un dito, e storse il naso. Si guardò meglio intorno, curvando gli angoli della bocca verso il basso, disgustata. Non che la camera fosse come lo scantinato, ma ci andava molto vicino, pensò tra sé.
    Si procurò rapidamente alcuni strofinacci e prodotti per la pulizia e, armandosi di buona volontà, cominciò a spolverare e rassettare. Poco prima di mezzogiorno la stanza era tornata lustra e pareva più luminosa del solito.
    Si era bloccata spesso innanzi al mazzo di rose essiccate poste davanti allo specchio. Più di una volta lo aveva afferrato con decisione, ma quando sollevava il coperchio del secchio della spazzatura, lo riguardava, dicendo a sé stessa che avrebbe pensato a cosa farne. A mezzogiorno le rose stavano ancora al loro posto, davanti allo specchio. Malgrado la profonda ferita che Max le aveva procurato, ogni volta che riguardava quei fiori non poteva che ripensare ai singoli attimi felici che avevano condiviso. Non aveva senso gettarli via, perchè con loro avrebbe dovuto gettare anche il suo cuore e i suoi pensieri.
    Decisa a volersi fare di nuovo del male, sedette sul letto ed aprì il cassetto del comodino. Un paio di fogli immacolati sembravano essere stati messi lì apposta per nascondere qualcosa. Li sollevò e, con una tormentata amarezza, osservò il sottile anello che non aveva più indossato dal giorno in cui il ragazzo se n'era andato.
“Vorrei che ti togliessi quell'anello dal dito.” Le aveva detto.
    Come poteva dimenticare quelle parole e quegli occhi carichi di assurda disperazione e odio tagliente?
    Prese l'anello e lo rigirò tra le dita, stringendolo, annusandolo, sforzandosi di avvertire un profumo, ricordare anche un solo piccolo ed insignificante particolare che potesse ricollegare a Max. Ma non c'era. Quel piccolo cerchio di diamanti, il cui continuo luccicare appariva privo di significato, era freddo ed inanimato.
    Giunse le mani in grembo e, lanciando un'occhiata al cassetto, vide spuntare il biglietto che Lexie le aveva lasciato quando era stata in Ohio. Sembrava quasi ammiccarle, là in mezzo alle pagine di un libro. Con decisione, aprì il volume e rilesse il messaggio.
    Quel giorno, nella veranda della casa di Max, Lexie le aveva spiegato com'era accaduto l'incidente del padre del ragazzo, ma non era riuscita a terminare il racconto.
    Ripensandoci ora, la sua curiosità venne improvvisamente riaccesa e, nonostante conoscesse a memoria i fatti, si ricordò che alcuni dettagli dovevano esserle sfuggiti. Particolari che suo padre, con molta probabilità, aveva omesso.
    Non ci trovò niente di male a voler chiamare Lexie per farsi spiegare tutto, così, d'istinto, andò in salotto,  fece un profondo respiro, afferrò la cornetta e digitò il numero.
    La ragazza rispose dopo un paio di squilli e Faith, colta dal timore di aver sbagliato di nuovo tutto quanto, riagganciò rapidamente.
“Era proprio la voce di Lexie! Se non c'è niente di male a chiamarla, perchè ho riattaccato? Cretina!” Pensò sedendosi sul divano e massaggiandosi nervosamente la fronte.
“Adesso la richiami, da persona adulta.” Ordinò a sé stessa.
    Digitò il numero una seconda volta e attese.
- Pronto?- Rispose cortesemente Lexie.
- Lexie? Sei tu?- Domandò Faith, realizzando di nuovo che razza di stupida fosse. “Certo che è lei! Che domande fai?”.
- Si, sono io. Con chi parlo?-
- Ciao, sono Faith. Ci siamo conosciute...-
- Ciao, Faith! Che piacere sentirti! Sinceramente non mi sarei mai aspettata una tua telefonata.- Confessò     Lexie in tono stupito ma felice.
- In effetti... nemmeno io, ma senti, ho assolutamente bisogno di sapere una cosa.- Le disse Faith senza esitare.
- L'incidente di Will Warren.- Azzardò Lexie, con la certezza che non vedeva altri motivi per cui Faith l'avesse chiamata.
- Si. Più o meno. Insomma, mi stavi raccontando di quel giorno, quando... quando...- Citare ad alta voce il nome di Max le creava con sua sorpresa ancora disagio - Quando Max è uscito di casa interrompendo il discorso. Volevo sapere cosa avevi visto quel mattino.-
- Promettimi di non dirgli nulla.- La pregò la ragazza.
    Faith spalancò gli occhi. Le era chiaro che Lexie ancora non era stata aggiornata circa la sua relazione con Max.
- Lexie... Lui ed io non stiamo più insieme.-
    Dall'altro capo non si avvertì più nulla per qualche istante e Faith immaginò con facilità l'espressione di Lexie.
- Oh, Faith. Mi dispiace. Io non ne sapevo niente, lo giuro. Ma cos'è successo?-
- Beh, ha scoperto che mio padre ha causato quell'incidente. Perciò volevo sapere da te...-
- Faith... Tuo padre è Brian Harrington?- Domandò quasi ostentando sorpresa.
- Si. Ma non lo sapevi?-
- Non sapevo fosse tuo padre. Senti, Faith, ti ringrazio per avermi chiamato e mi ha fatto molto piacere sentirti, ma dimenticavo che proprio oggi devo presenziare nell'orfanotrofio qui in paese. Magari ne riparliamo, ok? Richiamami e giuro che ti spiegherò tutto quello che vuoi sapere.-
- Ok, Lexie, nessun problema. A presto...-
- Ciao, Faith!-
    Lexie riattaccò lasciando Faith incuriosita e con il vago sentore che le avesse mentito. L'aveva liquidata troppo in fretta, cosa stava tentando di nascondere? Il tono della voce e la sua disponibilità erano totalmente cambiate dal momento in cui le aveva detto di Brian. Se Lexie aveva visto con i propri occhi la scena dell'incidente, non avrebbe dovuto sorprendersi in quel modo. A meno che non fosse stata a conoscenza di ulteriori particolari a quel punto fondamentali, e il rivelarli l'avrebbe cacciata in guai seri. Inoltre perchè continuava a chiederle di tenere Max all'oscuro di tutto?
    Per la prima volta da tanto numerosi sospetti prendevano forma. Tuttavia Faith non riusciva a collegare razionalmente i fatti. Ricordò soltanto in quell'istante di quando Brian le aveva raccontato che non sapeva bene come era avvenuto l'incidente. Lui era ubriaco fradicio e probabilmente, al risveglio, aveva perso la memoria. Quindi tutto ciò che le aveva raccontato gli era stato raccontato da qualcun'altro.
    C'era la possibilità che qualcuno si fosse preso gioco di lui e della sua memoria attribuendogli tutta la colpa? C'era la possibilità che Brian le avesse descritto ciò che non gli era realmente accaduto, ma ciò di cui lo avevano convinto fosse successo?
    Il flusso intricato dei suoi pensieri fu interrotto dal richiamo di zia Becky, così ripose il foglietto vicino all'apparecchio telefonico ripromettendosi che sarebbe andata a fondo della storia. Un'idea le era già balzata in mente e non vedeva l'ora arrivasse il momento per metterla in pratica.

    Già a metà pomeriggio Max aveva ballato con tutte le bambine e le ragazzine che gliel'avevano chiesto. Non si sentiva più le estremità dei piedi, ma la soddisfazione nell'averle fatte contente era sufficiente per ignorare il dolore che provava. Aveva fatto salire le più piccole sui piedi e si era divertito tanto a danzare con loro. Le più grandicelle, invece, avevano  cercato di prendere più seriamente la cosa, ma, inesperte quali erano, avevano finito per pestarglieli continuamente. Max, con infinita pazienza e rispetto aveva insegnato loro i movimenti di base ripetendoli due, tre, quattro volte, finché la ragazzina di turno non aveva dato segno di averli appresi.
- Hai mai pensato di aprire una scuola di ballo, Max?- Gli chiese Lexie avvicinandosi alla panchina sulla quale si stava riposando.
    Il ragazzo alzò lo sguardo sorpreso.
- Lexie! Che ci fai qui?- Si rimise in piedi e l'abbracciò stretta.
- Beh, io ci vivo. Tu piuttosto che ci fai qui?- Replicò lei con un sorriso smagliante.
    Max si grattò lievemente dietro la testa sorridendo a sua volta e trovandosi inaspettatamente senza parole.
- Ho deciso di trascorrere questo week end con mia madre. C'erano alcune cose che volevo chiarire con lei, così... eccomi qua.- Concluse allargando le braccia.
    Lexie lo guardò per qualche istante e piegò la testa di lato.
- Ti va di camminare un po'? Potremmo prendere una bibita e...-
    La ragazza fu distratta da una ragazzina che si era avvicinata a Max e aveva iniziato a tirargli l'orlo della maglietta per attirare la sua attenzione chiamandolo per nome.
- Max, possiamo ballare ancora un po'?-
    Max si chinò all'altezza del suo viso e le prese amorevolmente la mano.
- Vieni qui, Jo. Ti voglio presentare un'amica.- Le disse indicandole Lexie - Lei è Lexie.-
    La ragazza si fece avanti e strinse la mano di Jo.
- Io mi chiamo Jo. Sei davvero carina, Lexie.- Osservò gentilmente Jo.
- Grazie. Anche tu lo sei.- Replicò compiaciuta.
- Ti spiace se Max balla ancora un po' con me?- Le chiese la ragazzina guardandola dal basso.
- Adesso farò quattro passi con Lexie e ti prometto che al mio ritorno balleremo ancora. Sei d'accordo?- Le propose Max in tono quasi paterno.
- Ma no,- Lo interruppe Lexie - balla ancora un po' con lei. Io posso aspettare.-
- Sicura?- Fece Max riducendo gli occhi a fessura.
- Vai.- Sorrise Lexie.
- A tra poco, allora.- Affermò il ragazzo annuendo leggermente con la testa.
    Lexie si sedette sulla panchina sistemandosi l'abito leggero e lo osservò ballare con Jo. Aveva dimenticato quanto quel ragazzo fosse fantastico. Ora che non stava più insieme a Faith lei aveva campo libero per poterlo conquistare. Non avrebbe più commesso gli errori del passato e presto Faith sarebbe definitivamente uscita dai suoi pensieri, se ovviamente già non l'aveva fatto. Non sapeva da quanto tempo si fossero lasciati, perciò questo avrebbe potuto essere l'unico ostacolo ad un suo eventuale congiungimento con Max. Conoscendolo, era consapevole di quanto vivesse ogni relazione con eccessiva e drastica serietà. Certo, all'inizio le avrebbe detto di non sentirsi pronto per intraprendere un nuovo rapporto, ma con le giuste parole e un po' di tempo, lo avrebbe convinto a cambiare idea. In fondo era sempre stata del parere che sarebbero stati una coppia perfetta e non c'era momento più adatto per dichiararsi a lui.
    Come non c'era più necessità di raccontargli che ad uccidere Will Warren non era stato Brian Harrington, ma il suo stesso padre, Larry Brice.

- Allora, come va con Faith?- Gli chiese distrattamente Lexie sorseggiando la sua bibita.
    Max indugiò per alcuni secondi.
- Io e lei ci siamo lasciati qualche mese fa.-
    La ragazza si voltò verso di lui con una mano sul petto, fingendo stupore.
- Mi dispiace, Max. Io...-
    Lui sollevò un angolo della bocca e le accarezzò una spalla per tranquillizzarla.
- Non preoccuparti. Sto bene. Davvero.-
- Sono stata una sciocca ad intromettermi nei tuoi affari. Possiamo cambiare argomento, se vuoi...-
- Non c'è tanto da dire, in fondo.- Sospirò Max riprendendo a camminare.
    Osservò con malinconia il giardino intorno a loro, così carico dei colori intensi del tramonto. L'arancio vivo che rivestiva ogni cosa gli riempiva il cuore di svariati frammenti di ricordi.
- Sei ancora innamorato di lei?- Gli domandò Lexie.
    Max la guardò a fondo abbozzando un sorriso, e mentì perchè non era ancora pronto a rivelare quella nuova svolta a qualcuno.
- No.- Rispose voltandosi verso il sole. Quanto male gli faceva nascondere quel grande amore per Faith! Eppure riteneva che fosse giusto farlo. Ricordava che Lexie lo aveva amato quando erano ragazzini e con il passare degli anni si era convinto che si fosse trattato soltanto di una cotta adolescenziale, ma pensò che fosse terribilmente ingiusto e meschino ostentare di fronte a lei l'amore che provava nei confronti di qualcun'altro.
- Domani sera riparto, Lexie.- Mormorò guardandola di nuovo.
- E... dove vai?- Gli chiese la ragazza facendoglisi più vicina.
- Ho il mio lavoro a Londra e non posso trattenermi qui a lungo.-
    Lexie si passò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e quel gesto lo colpì in pieno petto. Faith era solita farlo quando si sentiva insicura o quando teneva a precisare qualcosa. Amava quando lo faceva.
- Così non ti rivedrò più per un paio d'anni?-
- Ci vedremo per il giorno del Ringraziamento. Poi ci sarà il Natale.- Ribatté lui con dolcezza.
    Lexie sorrise amareggiata tentando invano di accettare quella distanza temporale che presto li avrebbe separati.
- Natale sembra così lontano.- Osservò con un filo di voce in una punta di dispiacere.
    Max allora le cinse le spalle con un braccio e lei posò la testa sul suo petto mentre riprendevano a camminare adagio lungo il sentiero ghiaiato.
- Sai, Max,- Esordì lei dopo un lungo silenzio - da quando te ne sei andato non faccio che incolpare me stessa  per averti fatto in un certo senso fuggire da qui.-
    Istantaneamente avvertì Max respirare a fondo, quasi un modo di prendere tempo per formulare una risposta che potesse essere sensata senza cadere nello scontato.
- Non sono fuggito da te, questo ci tengo che tu lo sappia.- Mormorò piano osservando i fiori e i sottili fili d'erba vibrare nel vento leggero - Allora ero arrabbiato con chiunque mi rivolgesse la parola, persino con me stesso. Ma mi rendevo anche conto che nessuno aveva colpe per ciò che era successo a mio padre. E questo mi faceva un male terribile perchè avrei tanto voluto trovare qualcuno da incolpare nonostante fosse completamente sbagliato. Andare via da qui, lasciare mia madre, i miei amici, te e Lakewood mi è servito per comprendere che non sempre nella vita è necessario attribuire colpe soltanto per sentirsi meglio con sé stessi e provare così meno dolore. Non è giusto per nessuno. Arrivi ad un certo punto in cui devi capacitarti di ciò che ti accade e imparare ad accettarlo incondizionatamente, anche se non sempre è facile.-
    I due ragazzi giunsero sul ponticello di legno che attraversava un piccolo specchio d'acqua dove il sole ne stava tingendo d'ambra e rosso la superficie increspata.
    Lexie prese il braccio di Max liberandosi dalla sua presa e gli tenne la mano poggiandosi al parapetto del ponte. Fece scorrere le dita sul legno avvertendone la ruvidità e l'irregolarità, mentre un refolo di vento caldo le soffiò tra i capelli.
- E tu sei sicuro di esserci riuscito?- Gli domandò con una certa perplessità guardandolo negli occhi.
    Max increspò le labbra e chiuse gli occhi per qualche secondo, poi li riaprì.
- Non lo so per certo ma, ora come ora, so di aver sbagliato a comportarmi così con chi mi ha sempre voluto bene. Imparando dai miei errori adesso so cosa sarei disposto a fare, non come dieci anni fa, quando ero convinto che ogni decisione sbagliata avrebbe potuto far crollare il mondo intero. A sedici anni è praticamente impossibile sapere cosa è giusto fare. Perciò mi spiace di averti trattata male e di averti lasciato per tutti questi anni con la convinzione di avere tutte le colpe.-
    Lexie sorrise stringendosi nelle spalle. Poi gli accarezzò una guancia e, chiudendo gli occhi, si avvicinò a lui e lo baciò sulle labbra.

    Il telefono in casa di Lexie squillò tre o quattro volte prima che la madre alzasse il ricevitore.
- Salve, parlo con la signora Brice?- Chiese gentilmente Faith senza ombra di esitazione.
- Si, sono io.- Rispose la madre di Lexie - Posso esserle utile?-
- Si, vorrei parlare con il signor Larry. È in casa?-
    La donna tacque per qualche istante che parve un eternità.
- Mi dispiace, signorina. Larry è morto circa dieci anni fa.- Affermò con freddezza la donna.
    Faith rimase in silenzio, completamente sconcertata.
- Signorina, è ancora lì? - Ripeté la donna più di una volta.
- Mi scusi, non lo sapevo... Mi scusi tanto.-
    Riattaccò, mentre la madre di Lexie continuava a parlare, e rimase immobile vicino alla finestra. La complicata matassa di eventi che si era formata nella sua testa andava via via sciogliendosi.
    Ormai le era chiaro che a causare l'incidente di Will Warren era stato il padre di Lexie. Non era nemmeno certa che fosse realmente morto come le aveva raccontato la moglie. Probabilmente si trattava di una bugia e lui era fuggito chissà dove per non finire la sua vita in carcere.
    Restava soltanto da chiarire l'esatta dinamica dei fatti e solo una persona sapeva esattamente com'era andata. 

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Capitolo 41
*** 41. Il Bacio ***


Le Ragioni Del Cuore BN
R ISPOSTE ALLE RECENSIONI

Eccoci qui per il numero 41!
Spero che i precedenti capitoli vi siano piaciuti... vedo pochissime recensioni. Troppo poche!

Oltre a ringraziare chi aggiunge la mia storia alle Preferite e Seguite, ringrazio anche Saty, mi auguro con te che questi due personaggi capiscano cos'hanno gettato via. Spesse volte i protagonisti prendono le strade che vogliono e non badano a ciò che io ho in serbo per loro. È come se avessero vita propria!
Grazie anche ad una nuova ragazza che recensisce, Clarita, magari sei arrivata fino a questo punto della tua lettura o forse ti sei fermata prima perchè annoiata o delusa... fammi sapere in entrambi i casi le tue emozioni e sensazioni. Per chi scrive è sempre un piacere, anche se i commenti non sono proprio positivi!
E poi tanti auguri di buon compleanno ad una recente lettrice, che qui non si fa vedere con commenti sulla storia, ma che legge segretamente! Fatti vedere, maschera!!

Per questo nuovo capitolo vi suggerisco Chantal Kreviazuk con “Green Apples”.

E ne approfitto per augurare a tutti Voi tante belle festività!
Ci ritroviamo nell'anno nuovo, il 20 gennaio!

Buona lettura!

MM

41. I L BACIO


Chantal Kreviazuk  “Green Apples”
    Max rimase impietrito e, quando riaprì gli occhi completamente frastornato, notò Lexie abbassare lo sguardo.
- Cos'era questo?- Le chiese turbato dopo aver cercato invano di darsi da solo una risposta. Non si sarebbe mai aspettato che Lexie lo baciasse, e ciò lo lusingò, ma immediatamente affiorò in lui un senso di colpa.
- Per te cos'è stato?- Replicò la ragazza continuando a guardare a terra, incerta se manifestare orgoglio per il suo gesto oppure provare vergogna.
- Un terribile errore commesso da una vecchia amica.- Rispose Max - Da quanto tempo desideravi baciarmi?-
    Lexie deglutì emettendo un lieve rumore ed i suoi occhi si fecero lucidi. Sollevò il viso, carica di timore nel doverlo riguardare negli occhi, e fu subito pervasa da un fastidioso imbarazzo.
- Da quando ti conosco non ho mai smesso di desiderare di baciarti ed ogni volta che ti vedo questo mio bisogno aumenta sempre di più. Mi rendo conto che è da stupidi, ma...- Si fermò per asciugarsi una lacrima con il dorso della mano mentre Max l'ascoltava smarrito incolpandosi tacitamente per averla in qualche modo incoraggiata a compiere quel gesto così infantile ma allo stesso tempo maturo ed impavido -… non posso farne a meno, Max. Scusa, sono una stupida egoista. Non era mia intenzione baciarti perchè avrei preferito tenere questo segreto esclusivamente per me e lasciare che tutto restasse soltanto una fantasia nella quale rifugiarmi ogni volta che volevo ricordare.-
    Lui scosse la testa senza riuscire a comprendere fino in fondo il perchè di quel bacio. Si rese conto di provare compassione nei confronti di Lexie, e dispiacere per non essere mai stato in grado di percepire la profondità di quel sentimento che lei aveva tenuto nascosto per tutti quegli anni, malgrado la lontananza.
- Come si può ricordare qualcosa che non è mai accaduto?-
    Lexie cercò di mantenere il controllo.
- Con l'illusione.- Rispose - Finché vivi in un'illusione puoi desiderare che tutto sia perfetto, esattamente come desideri che vada. Ed ogni volta che vuoi ti lasci trasportare da un'aspettativa che non ti tradisce, non ti delude mai per il semplice fatto che non è mai avvenuto.-
- Ma ora è successo.- Precisò Max lasciando affievolire la voce.
- Si.- Affermò lei con un mezzo sussurro - E mi dispiace di una cosa.-
    Il ragazzo la fissò con lo sguardo fermo.
- Io non ti amo, Max Warren.- Rispose semplicemente sollevando un angolo della bocca - E mi ci è voluto tutto questo tempo ed un solo bacio per capirlo. E adesso so di essere stata innamorata del ragazzo che eri, non dell'uomo che sei diventato. Ho sentito che non eri con me mentre ti baciavo. So che il tuo cuore appartiene ad un'altra persona con la quale non potrei competere, ma non importa. Tu sei come un fratello per me, e questo mi basta. Forse quel bacio era qualcosa che avrei dovuto fare tanto tempo fa, così mi sarei risparmiata tutto il dolore di questi anni.-
- Forse le cose sarebbero andate diversamente se l'avessi fatto tanto tempo fa.- Replicò Max lentamente.
- Hai ragione.- Approvò lei sorridendo debolmente - Ma a 16 anni non avrei voluto perdere un amico come te.-
    Lexie gli prese dolcemente la mano e gliela strinse avvertendone un tepore che le riscaldò il cuore. Si aspettava che lui la lasciasse, invece la strinse più forte e piegò la testa, poggiando la fronte sulla sua.
- Io ti voglio bene, Lexie, e per te ci sarò in ogni momento, oggi più di ieri.- Mormorò sorridendo con gli occhi chiusi.
- Ti voglio bene anch'io, Max. Continua per la tua strada e presto ti renderai conto di essere una persona che nessuno vuole dimenticare. Chiunque sarà orgoglioso di di aver condiviso con te un pezzo della propria vita.-
    Lui sorrise triste e l'abbracciò forte mentre il sole alle loro spalle spariva sotto l'orizzonte portando con sé il ricordo dorato di quella giornata di metà agosto.

    Rientrando a casa, Max si soffermò a pensare a Lexie. Da troppo tempo aveva involontariamente chiuso in un cassetto la loro profonda amicizia. Si era quasi scordato di quanto quella ragazza fosse importante per lui, ma si sentì rinfrancato e soddisfatto per averla ritrovata. In un certo senso avvertiva che il loro rapporto era cambiato, maturato, perchè erano loro stessi ad essere maturati. Era confuso ma felice in egual misura ed un bilanciamento di tali emozioni così in contrasto tra di loro, ma allo stesso tempo in perfetta sintonia, non faceva che donargli un senso di appagamento.
    Raggiunse le sedie sotto il gazebo del suo giardino e si sedette voltando la testa verso casa. La luce accesa della finestra della cucina gettava un fascio di luce sopra i cespugli di rose che crescevano rigogliosi sotto il davanzale. I profumi della sera che scendeva si mescolavano agli odori del lago Erie e la luna già risplendeva algida nel cielo indaco mentre una vaporosa nuvola si accingeva ad attraversarla.
    La porta della veranda si aprì cigolando e, dopo qualche istante, Addison uscì avvicinandosi al gazebo.
- Ti ho visto arrivare. Che ci fai qui al buio?- Domandò accendendo la lanterna che sporgeva dal pergolato con un fiammifero pescato da una tasca del grembiule. Il vento estivo la fece dondolare non appena la donna la richiuse, ed alcune farfalle notturne presero ad agitarsi silenziose nella luce che aumentava gradualmente d'intensità.
- Pensavo.- Rispose semplicemente Max.
- A cosa?-
- A tutto e a niente.- Affermò mettendosi comodo sulla poltroncina.
    Addison sospirò e si sedette avvicinando un'altra sedia a quella del ragazzo.
- Max, non credi sia arrivato il momento di smettere di pensare e di prendere in mano la situazione?- Osservò in tono materno.
    Max la guardò torvo. La sua voce era piatta.
- Quale situazione?-
- Sai bene di quale situazione sto parlando. Non fare il finto tonto.- Lo rimbeccò Addison.
    Lui fece una smorfia e si sporse poggiando i gomiti sulle ginocchia ed incrociando le dita.
- Mi manca quella spinta, quell'impulso che mi dà il coraggio di ripresentarmi davanti a lei dopo tutto ciò di cui l'ho accusata. Non posso andare là e chiederle semplicemente scusa. Non posso e non voglio.- Spiegò allargando le braccia e poi prendendosi il viso tra le mani. Si sentiva palesemente sconfitto perchè non c'era niente che avrebbe potuto fare per sistemare le cose con Faith. Era la stessa situazione di chi percorre per tanto tempo una strada pienamente convinto che sia quella giusta per poi trovarsi di fronte ad muro altissimo ed invalicabile anche solo con il pensiero. Un vicolo cieco. Addison lo osservò quasi volesse conoscere tutto ciò che passava per la mente del figlio in quel preciso istante.
- Potrebbe anche darsi che non ci sia bisogno di chiedere scusa. Se vi amate per davvero saranno i vostri occhi a parlare.- Replicò Addison - Faith è una ragazza speciale e tu sei speciale. Voi due rappresentate un amore così puro ed eternamente innocente che qualunque persona oggi vorrebbe vivere. Non sprecare questa ennesima occasione di essere davvero felice, Max. In tutti questi anni ti sei privato di cose che avrebbero potuto darti tanto. Ne hai lasciate scappare troppe.-
    Addison gli posò una mano sul viso e piegò la testa di lato.
- Siete fatti per stare insieme. Anime gemelle.-
    Max increspò le labbra e sorrise.
- Ho qui una cosa per te.- Si ricordò all'improvviso la donna estraendo dalla tasca un foglietto ripiegato.
    Max lo prese e lo aprì esaminandolo con sguardo indagatore. Era la fotografia che Faith gli aveva regalato il primo giorno dell'anno dopo avergli fatto promettere che non l'avrebbe fatta pubblicare su nessun giornale.
- Questa foto l'ho lasciata nella mia stanza a Londra. Come fai ad averla tu?- Domandò confuso.
    Addison gli rivolse un'occhiata sbigottita scuotendo leggermente la testa.
- È sempre rimasta qui con me. L'ho ritrovata una settimana fa nel cassetto dei documenti di tuo padre. Sono stata io stessa a scattarla, leggi sul retro. C'è la mia scrittura.-
    Max avvertì un brivido scorrergli lungo la schiena. Chiuse gli occhi ed inspirò a fondo, quindi girò la fotografia.
“Max e Faith, Cleveland 1979”

    Il ragazzo sentì gli occhi divenire umidi e fece una piccola risata di incredulità, mentre il cuore nel petto parve stringersi e la sua mente volare lontano trasportata dai ricordi rimasti nascosti negli angoli più remoti della sua mente. Come per magia, il muro che da tempo aveva avuto davanti agli occhi sembrò svanire lentamente.
- Sono io... Il bambino con il berretto abbassato sono io.- Affermò ad alta voce per convincersi meglio, perchè ancora faticava a crederlo.
    Rimase in silenzio e durante quell'intervallo di tempo realizzò che il destino aveva già deciso tutto quanto per lui.
- Anime gemelle.- Replicò a sua madre in un sussurro.

    Il giorno seguente Max sarebbe ripartito per Londra e Lexie non era stata in grado di rivelargli il segreto che da più di dieci anni si portava dentro e del quale nessuno, a parte suo padre, era al corrente.
    A dire il vero, non ci aveva nemmeno provato. Sinceramente convinta di essere innamorata di lui, era rimasta delusa dall'immediata conferma del contrario non appena le loro labbra si erano incontrate. Che senso aveva ora tenersi quel pesante fardello? Per lei Max era divenuto più di un amico e non voleva più tradirlo. Realizzò di essere stata una stupida perchè, se anche si fosse messa insieme a lui, la relazione avrebbe significato un doppio tradimento. Il suo cuore ormai apparteneva completamente a Faith e a nessun'altra.
    Si sedette su una panchina di legno lungo la strada e ripensò all'incidente.
    Larry Brice era salito a bordo del suo fuoristrada quel freddo mattino di novembre e Brian Harrington lo aveva seguito fiondandosi nell'abitacolo poco prima che partisse in seguito ad una rissa davanti al Payton Bar. Completamente ubriaco, suo padre era partito ad una velocità folle e, a pochi metri, lo schianto all'incrocio della Sunset Road con Castle Street. Dopo qualche istante aveva visto uscire Larry dal fuoristrada capovolto e, con una gamba zoppicante, posizionare il corpo esanime di Brian al posto di guida.
    Poi era fuggito stringendosi una spalla con la mano. Da quel giorno non si era più fatto vivo in paese.
    Lui e sua madre avevano divorziato quando lei aveva solo dieci anni. Non sapeva se fosse morto o fuggito da qualche parte nel mondo per non passare il resto della sua vita in carcere.
    Il ricordo di quella mattina era tutto ciò che le era rimasto di suo padre.
    Come l'avrebbe presa Max? Anche se suo padre era sparito non era giusto che Brian restasse in carcere per un omicidio del quale non aveva alcuna colpa.
    La ragazza si alzò decidendo di scrivere una lettera a Max dove gli avrebbe spiegato ogni cosa e che sarebbe stata disposta a testimoniare per la scarcerazione di Brian.
    Era il minimo che avrebbe potuto fare.
    Una volta a casa trascorse gran parte della notte a pensare a come scrivere tutto ciò che avrebbe voluto dirgli sperando ardentemente di non mettere a rischio la sua amicizia.
    All'alba si svegliò di soprassalto realizzando di essersi addormentata poco meno di un'ora prima.
    Terminò la lettera, la chiuse in una busta restando qualche minuto a fissarla, quasi fosse incerta se consegnargliela o meno, poi uscì di casa, avvertendo sulla pelle il lieve tepore del sole che iniziava a cavalcare massicce nubi rosa. Salì sull'auto e raggiunse la casa di Max. Silenziosamente si avvicinò alla cassetta della posta e vi infilò la busta senza esitazioni. Quando sentì il tonfo leggero degli angoli della lettera toccare il fondo, un senso di liberazione e di paura la investì come un'ondata di mare in tempesta.
    Tornò in auto voltandosi una volta soltanto per guardare la casa di Max, e ripartì in direzione del paese.
    Ciò che non immaginava era che, per uno strano scherzo del destino, Max non avrebbe letto la sua lettera e sarebbe tornato a Londra senza conoscere la verità.

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Capitolo 42
*** 42. Fotografie Di Momenti ***


Le Ragioni Del Cuore

R ISPOSTE ALLE RECENSIONI


    Ciao a tutti!
Eccomi qui con il capitolo nuovo, numero 42!
Sarò breve! Ringrazio subito Saty per aver recensito il capitolo precedente (mi fa tanto piacere che mi scrivi sempre qualcosa :)) ,chiunque legge in silenzio e chi inserisce questa storia tra le Preferite o Seguite!

    Durante il capitolo ho inserito una struggente canzone da ascoltare: si tratta di “Angel” di Sarah McLachlan!
Buona lettura e buon  ascolto!
Vi aspetto il mese prossimo con il capitolo 43!
(18 Febbraio 2012)

MM


42. F OTOGRAFIE DI MOMENTI


    Agosto scivolò via in fretta, trascinando con sé ciò che restava del caldo opprimente che aveva caratterizzato l'estate. L'inizio di settembre rendeva le giornate più corte ma meglio sopportabili rispetto alle precedenti, e anche la città sembrava tornare gradualmente alla normalità dopo il consueto afflusso di turisti.
    Dall'ultima conversazione avuta con la madre di Lexie, Faith non aveva più richiamato in Ohio, presa com'era dai problemi di salute di zia Becky che continuavano a peggiorare col passare dei giorni.
    L'anziana aveva sempre meno energie e la gamba ed il braccio sinistri andavano lentamente paralizzandosi.  Anche la parte sinistra del viso stava perdendo mobilità, e ciò le faceva spesso biascicare le parole. Inoltre i suoi sonnellini diventavano sempre più lunghi e, facendosi assalire dal panico ogni volta che la sorprendeva con gli occhi chiusi, Faith le si avvicinava, chiamandola e carezzandole i capelli. Zia Becky li apriva con tutta la calma del mondo e lei tirava un sospiro di sollievo, ma era tristemente consapevole che presto non li avrebbe più riaperti.
    Provava un tale senso di pietà e smarrimento quando in silenzio la osservava mangiare, leggere un libro, o guardare il mare, e desiderava conoscere tutti i suoi pensieri, le sue paure, i suoi rimorsi, sempre ammesso che ne avesse avuti. Tante volte il suo sguardo sembrava fissare tutto e niente: lei era lì con il corpo, ma la sua mente pareva viaggiare per galassie lontane.
    La ragazza allora avvertiva una voragine squarciarle il petto, mentre il cuore e lo stomaco come pugnalati ripetutamente da un gravoso senso di dolore e di inutilità.
- C'è qualcosa che posso fare per te, zia?- Le chiedeva senza nascondere la sua apprensione.
    Ed ogni volta la zia rispondeva in tono paziente e materno, mai stanco: - Resta qui con me, ti va?-
    Potevano trascorrere ore intere a farsi compagnia senza pronunciare una sola parola, semplicemente ascoltando il ritmo regolare dei loro respiri.
    Qualche volta Faith le raccontava di nuove e divertenti situazioni accadute ad Holly, ma anche vicende del passato che le due amiche avevano condiviso e che zia Becky non aveva mai sentito. Oppure le parlava dell'ultima telefonata di Jason, di quanto sentisse la sua mancanza e non avesse mai desiderato qualcuno vicino in vita sua come in quel momento così infelicemente unico da quando era venuta ad abitare a Santa Monica.
    Non aveva trovato il coraggio di accennarle di Lexie e di ciò che era stata in grado di scoprire, un po' perchè non ne era certa del tutto, malgrado gli indizi lo confermassero, e un po' perchè, in fondo, rispetto a  quello che stava accadendo, non lo riteneva poi così importante. L'ultima cosa che Faith voleva era evitare di dare ulteriori dispiaceri a sua zia parlandole del fratello, anche se appariva innocente.
    Aveva riflettuto spesso negli ultimi tempi a quanto la vita di zia Becky e quella di suo padre fossero diverse in ogni loro aspetto, ma entrambe non si potevano dire certo prive di difficoltà.
    Stava di nuovo prendendo in considerazione l'idea di tornare in carcere, almeno per mettere Brian al corrente della situazione fisica della sorella.
- Zia,- Esordì una sera a tavola mentre cenavano in veranda - pensi che... ecco, pensi che papà dovrebbe sapere della tua malattia?-
    Zia Becky smise di mangiare e si asciugò gli angoli della bocca con il tovagliolo. La luce del sole che tramontava metteva in risalto i tratti spigolosi del suo viso nascondendo parzialmente le profonde mezzelune scure che sottolineavano gli occhi. Pareva sempre più magra: il tumore la stava rapidamente consumando.
    Tacque ancora e Faith rimase a fissarla temendo di aver detto qualcosa che potesse averla ferita. Sentì il rapido pulsare della propria gola e si diede mentalmente della stupida per averne parlato.
    Zia Becky esalò un sospiro di rassegnazione.
- Faith, nel corso della mia vita ho imparato a capire cosa è giusto dire e cosa non lo è. Preferisco che tuo padre non sappia niente.- Rispose risoluta.
    La ragazza annuì silenziosamente e riprese a mangiare, in un sottofondo di grilli, mentre del sole non restava che un vivido bagliore rossastro a macchiare la sconfinata tristezza dell'oceano.

    Settembre fu per Faith un mese emotivamente spossante. Dormiva pochissimo e le rare volte che riusciva ad addormentarsi gli incubi la risvegliavano bruscamente rendendo vana ogni possibilità di riprendere sonno.
    Una notte, dopo l'ennesimo brutto sogno, scese dal letto con l'intento di andare in cucina e rinfrescarsi la gola con  un bicchiere d'acqua. Lanciò distrattamente un'occhiata in giardino e notò il riflesso di una sagoma bianca accovacciata tra le radici della grande quercia. Inorridì realizzando che si trattava di zia Becky. Senza pensarci gettò il bicchiere nel lavandino e si precipitò fuori sbattendo la porta d'ingresso.
    L'aria della notte era fresca e zia Becky indossava solo una vestaglia leggera.
- Zia!- La chiamò Faith a gran voce avvicinandosi con il cuore che le batteva a mille - Che ci fai qui fuori? Sono le due di notte e...-
   
Sarah McLachlan “Angel”
http://www.youtube.com/watch?v=Hx4RsCfL_fA

    La zia si voltò osservandola con lo sguardo vuoto, privo di qualsiasi espressività, ma Faith intuì che dietro a quegli occhi si celava una paura angosciante. La consapevolezza che ogni cosa stesse ormai giungendo irrimediabilmente al termine.
Lentamente Faith le si sedette vicino e le coprì le spalle con un braccio per tranquillizzarla e riscaldarla. Lei posò la testa sulla sua spalla e fece un profondo respiro.
- Sono qui, zia, sono qui.- Le sussurrò con dolcezza.
    Dovette faticare parecchio per non scoppiare in singhiozzi perchè sapeva a malincuore che momenti come quello sarebbero stati gli ultimi. Si sforzò di catturare ogni singolo ed insignificante particolare affinché potesse restarle impresso nella mente e mantenersi inattaccabile al deteriorante passare del tempo. Le stelle immobili, la luna opaca, il mormorio delle foglie appena sfiorate dal vento, il rumore uniforme dell'oceano. Ogni cosa proseguiva nel suo naturale corso, ma per Faith niente era normale. Le sembrava tutto così irreale e ciò che le restava e si sentiva di fare era pregare perchè un miracolo risparmiasse zia Becky dalla morte. Anche se poteva essere assolutamente illogico credere in una guarigione, Faith non avrebbe smesso di sperare per il semplice fatto che lei era sua zia e le voleva un bene inesauribile,  che andava oltre ogni immaginazione.
- È finita, Faith?- Chiese la zia con un filo di voce, quasi ingenuamente.
    Faith deglutì sentendo gli occhi inumidirsi.
- Perchè io non sono ancora pronta per morire.- Continuò zia Becky in un misto di rassegnazione e speranza di farcela.
    Sollevò la testa per guardare la nipote, e Faith provò un tuffo al cuore.
- No,- La ragazza scosse la testa - non sei pronta, zia.-
    La donna le si strinse al petto e scoppiò a piangere per la prima volta da quando le venne diagnosticato il tumore.

    La settimana seguente zia Becky perse completamente la sensibilità a tutta la parte sinistra del corpo. Faith l'aiutava a mangiare e la sorreggeva negli spostamenti poiché non riusciva più a reggersi in piedi da sola. Al pomeriggio erano solite sedersi in veranda ed ammirare inerti l'autunno che assorbiva i caldi colori dell'estate insieme ad una vita di ricordi che stava terminando.
    Faith cercava ogni volta di imprimersi nella memoria il volto della zia, i precisi lineamenti del suo viso, le labbra scure e tirate, il naso sottile, gli occhi grigi. Temeva che gli anni ne avrebbero sfocato il ricordo e si impose di fotografare mentalmente ogni peculiarità che le apparteneva. Poi però la malinconia dei giorni passati tornava a farsi sentire e lei si perdeva tra centinaia di riflessioni.
    Quasi inaspettatamente, si scoprì più di una volta a pensare a Max. Fantasticava su dove si trovasse e cosa stesse facendo in quel preciso momento, o se il sole che stava tramontando davanti ai suoi occhi era lo stesso che aveva visto lui poche ore prima, con gli stessi colori, le medesime forme. Si chiese che effetto le avrebbe fatto se si fosse ripresentato, e se avrebbe volentieri intrapreso un qualsiasi discorso con lui ignorando lo strascico drammatico di tutto ciò che era accaduto tra di loro. Quell'ultimo periodo aveva cambiato così tante cose della sua vita che le risultava impossibile chiuderle in una scatola e fingere che non fossero mai successe.
     Come sempre, era Jason ad irrompere nella confusione di quei pensieri, per mortificarla e farla sentire in colpa per un sentimento che non riusciva - o non voleva - ammettere e cancellare dal suo cuore. Nella sua testa tutto era in discordanza, tutto non trovava una soluzione. Presto sarebbe giunto un momento critico e allora lei non avrebbe più potuto fuggire. Si trattava di una soluzione che non doveva essere lasciata in sospeso. Non poteva concedersi quel lusso.
    Senza un comprensibile collegamento, tornava ad immaginare come sarebbero stati gli anni a venire, ponendoli a confronto con quelli passati, ed  idealizzava la vita con la mancanza di zia Becky, sentendo  immediatamente montare la tristezza.
    Con l'arrivo di ottobre la malattia si aggravò ulteriormente. La zia non era più in grado di parlare e di camminare. Ormai veniva alimentata soltanto di liquidi ed osservava dalla finestra della sua stanza il mondo tingersi di arancio e di marrone, mentre i suoi periodi di sonno si erano estesi a buona parte della giornata.
    Nonostante fosse stanca ed emotivamente provata, Faith aveva finito per accettare la realtà. Si ritrovava a piangere nei momenti e nelle situazioni più impensati, ma si obbligava a non ostentare la sua afflizione davanti alla zia. Era giusto che lei vivesse con assoluta tranquillità ed apparente normalità ciò che restava del suo tempo.
    Tenuti informati da Faith, Holly e Chris vennero a far visita all'anziana in uno degli ultimi giorni. Desideravano poterla salutare, ma alla fine solo Chris trovò il coraggio di entrare nella stanza dove ormai la zia trascorreva tutto il tempo distesa a letto.
    Per Holly fu più difficile. La conosceva da troppo tempo e questo le impedì di avere la forza di dirle addio.
In procinto di aprire la porta ed entrare, un tormentato ed indomabile dolore le strinse lo stomaco. Si voltò per tornare in cucina e subito si bloccò. Immobile con le braccia conserte, Faith stava in piedi, appoggiata alla colonna, e la osservava. Senza dire nulla, l'abbracciò stretta e Holly scoppiò in lacrime.
- Non posso, Faith.-  Disse piano tra i singhiozzi - Non ce la faccio.-
    Dopo un lungo momento, Faith si staccò da lei e, con gli occhi velati, le sorrise mestamente asciugandole una lacrima con il pollice.
- Non preoccuparti, Holly.-
- Non voglio ricordarla così.- Mormorò l'amica quasi a volersi giustificare.
- Vieni qui.- Le sussurrò Faith stringendola di nuovo tra le braccia.
    L'abbraccio così intimo e sincero di Faith fece liberare la ragazza di tutte le emozioni che albergavano nella sua testa e nella sua anima. Le due amiche piansero insieme, delineate nella sottile striscia di luce, nel familiare e rassicurante silenzio della casa, nel ticchettare monotono dell'orologio. Nella vita che proseguiva felice soltanto nei ricordi.

    Al termine di quella giornata, Faith ricevette una telefonata. Ciò che Lexie aveva da dirle non la sorprese, anzi, non fece che confermare i suoi sospetti: Larry Brice era l'unico colpevole dell'incidente. Lexie le assicurò che avrebbe fatto qualsiasi cosa perchè Brian venisse scarcerato.
    Da tanto tempo la ragazza avrebbe voluto sentirsi dire quelle parole, ma in quel momento non le regalarono alcuna soddisfazione, tanto meno felicità. Erano in totale disaccordo con la sua realtà.

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Capitolo 43
*** 43. Come Una Foglia D'Autunno ***


Le Ragioni Del Cuore


R ISPOSTE ALLE RECENSIONI

Voglio cominciare ringraziando una persona che, a causa di mancanza di tempo e inaccettabili situazioni da me create, ho assurdamente allontanato. Ci tengo a dire che rimane per me molto importante e che sono davvero dispiaciuto di come siano andate le cose. Non è un caso che le rivolga queste parole proprio in occasione della pubblicazione del capitolo.
In poco tempo ha saputo mettermi in discussione ed ha cercato in ogni modo di farmi rendere conto delle mie capacità.
Quanti di voi sono stati così fortunati da conoscere qualcuno che vi abbia incoraggiati, spronati, appoggiati in ogni situazione, anche quando sapevate di essere in torto?
So di non aver perso questa persona, ma mi manca molto e ci tenevo a farglielo sapere.

Vi invito a leggere questo capitolo attentamente e con occhio diverso. Non leggetelo in fretta o con superficialità, ma fatelo con il cuore:
è dedicato a tutti quelli che abbiamo amato - e che ci hanno amato - e che oggi, per qualsivoglia motivo, non sono più qui con noi.

Grazie a tutti. Di cuore.

Marco.




43.C OME UNA FOGLIA D'AUTUNNO

La morte è come un bel tramonto. Ci lascia nel cuore la consapevolezza che non ne vedremo mai un altro uguale, come non incontreremo mai una persona identica a quella che ci ha appena lasciato.

    È strano come in certe situazioni si tenda a focalizzare la propria attenzione sui più piccoli ed insignificanti particolari, quasi a volerli imprimere nella mente per poi poterli rivivere dentro di sé.  
    Dal momento in cui Faith mise piede nella stanza di zia Becky, avvertita di un ineluttabile peggioramento delle sue condizioni, sapeva che sarebbe andata incontro all’ennesima grande tragedia della sua vita. La perdita che sentiva incombere su di lei stava riportando alla luce sensazioni dolorose mai messe a tacere, e vedere la prova fisica di un allontanamento così definitivo davanti ai suoi occhi la lasciava sconcertata e sconvolta.
    Inondata dalla luce dorata che penetrava dalla finestra aperta su un malinconico e soleggiato pomeriggio autunnale, osservò come le lenzuola bianche non fossero poi così immacolate a guardarle bene:  era come se stessero riflettendo una patina grigia che poteva vedere chiaramente, striata di venature forse messe lì dalla sua mente stanca. Le vedeva diramarsi partendo da una mano, fragile e leggermente sussultante, che non poteva pensare fosse proprio quella della zia, la stessa che l'aveva guidata per tutta la vita, forte e saggia, e che ora ritrovava del tutto inerme.
    C’era qualcosa di contraddittorio e di inaccettabile in tutto questo, che non riusciva, o che forse non voleva, capire ed approvare completamente.
    Afferrò la sedia della scrivania e silenziosamente l'avvicinò al letto, scoprendosi impreparata a sostenere ciò che stava accadendo, combattuta tra il mostrare una certa maturità e sfogare la frustrazione che serbava in corpo.
Si sorprese ansiosa di ricevere un segnale che avesse fatto percepire alla donna il suo arrivo, ma allo stesso tempo desiderosa di lasciarle tutta la pace possibile. Durante l'intera mattinata era stata indecisa sul da farsi, e provava timore ad avvicinarsi a lei, la persona che più amava al mondo e che desiderava come presenza costante nella sua vita.
    Nell'istante in cui la mano della zia si mosse impercettibilmente, fu come guidata da una forza che la costrinse a prenderla delicatamente tra le sue, rispettosa ed angosciata. Zia Becky ebbe un leggero sussulto, e subito il senso di colpa si impadronì dei pensieri della ragazza. Ma non appena le sue palpebre fremettero per poi aprirsi leggermente, fu pervasa da un egoistico sollievo: lei era ancora lì.
    Quando gli occhi dell'anziana si focalizzarono con fatica sul suo viso, Faith ebbe l'assoluta certezza che sarebbe rimasta con lei fino alla fine. Nonostante non avesse la forza di parlare, il suo sguardo, ancora sofferente, le suscitava innumerevoli emozioni: paura e coraggio; amore e devozione; stanchezza e rassegnazione.
    Continuò a tenerle stretta la mano, ed era come se quel gesto significasse tutto e niente. Quel piccolo e delicato tocco rappresentava il forte legame che le univa, ed il solo sapere che presto quel vincolo si sarebbe spezzato, le tormentava il cuore.  
    Quasi assorta, la zia continuò ad osservarla, mentre la ragazza si sforzava di capire a cosa stesse pensando. Probabilmente a quanto fosse cresciuta, oppure alle tante cose che avevano condiviso nel corso degli anni passati insieme. Forse provava dispiacere a saperla presto sola, e magari i suoi ultimi pensieri stavano prendendo la consueta piega di preoccupazione per la nipotina. Sorrise tristemente a quest'ultima supposizione e non osò sperare che invece stesse provando orgoglio e meraviglia alla vista di ciò che era diventata. Le concesse di provare gioia perché, malgrado gli ultimi errori commessi, sapeva fosse certa di aver fatto un meraviglioso lavoro con lei, fin da bambina.
    Ricordò con un sorriso il giorno in cui aveva aperto la porta ed era entrata in casa sua sentendosi come un uragano pronto a sconvolgere la vita di una donna che per tanto tempo aveva vissuto da sola, in una pace quotidiana. Con sua sorpresa, l'aveva accolta calorosamente, ben lieta di iniziare un nuovo capitolo della sua vita.
Improvvisamente fu assalita dal desiderio irrefrenabile di dirle qualcosa. Il silenzio, ormai diventato insopportabile, venne spezzato dal rumore di una foglia sbattuta dal vento che frusciava insistentemente contro il vetro della finestra. Anche lei, come la zia, stava lasciando la vita. Dopo due intere stagioni, era giunto il momento di andare.
    Da quando Faith aveva saputo che per zia Becky non ci sarebbe stato più niente da fare, pensieri,  sentimenti e paure si erano alimentati dentro di lei. Desiderava che la zia sapesse tante cose e, soprattutto, voleva che quegli ultimi momenti insieme fossero speciali e diversi.
    L'anziana parve capire la difficoltà della nipote nell'esprimermi, e il suo sguardo assunse un'espressione di serena attesa. Quella fiducia spinse Faith a farsi coraggio e cominciare a parlare.
- Ciao zia.- Esordì semplicemente.
    Il suono delle sue parole parve scuotere tutto l’ambiente circostante e per un attimo si fermò, ancora indecisa, ad ascoltare il mormorio incerto della sua voce.
    Il respiro di zia Becky si faceva più lento mano a mano che i minuti passavano, e lei intuì che di lì a poco sarebbe cominciato il suo crollo personale.
- Non so cosa dire sinceramente. Ogni parola sembra scontata e inutile adesso, vero? E poi un monologo mi sembra così strano. Di solito sei sempre parte attiva in ogni discussione.-
    Zia Becky sorrise leggermente e la ragazza si sentì un mostro.
Eppure percepiva chiaramente che non sarebbe riuscita a frenare la valanga di parole che lottavano nella sua mente. Avrebbe voluto riversarle tutte in modo da creare un legame effimero ma sonoro, che riempisse il vuoto che già sentiva.
    Come si può stare in compito silenzio di fronte alla vita più preziosa che se ne va?
Riusciva a stento a trattenersi dal manifestare con forza tutta la sua contrarietà ad un evento assurdamente ingiusto. Vedere Zia Becky così calma, con la rassegnazione negli occhi martoriati da troppo dolore, era qualcosa che la privava del respiro, come stare sott’acqua, nel momento in cui si risale senza ossigeno, sperando di arrivare presto in superficie.
    Ma lei non era certa che ci sarebbe mai arrivata. Vedere le tragiche increspature di quel triste evento, senz'aria e defraudato di qualsiasi emozione, la colmava della consapevolezza che Zia Becky avrebbe portato via il suo respiro, lasciandole i polmoni brucianti di smarrimento.
    Nemmeno la sua mano riusciva più ad ancorarla alla realtà e a tenerla presente per lei. Avrebbe dovuto essere forte, invece si scoprì fallire, cedere senza rispetto per colei che l'aveva cresciuta ed amata.
    Tutto questo parve darle una terribile scossa. Risalì dalla sua cieca e facile disperazione e focalizzò lo sguardo su di lei. La stava ancora guardando, ma i suoi occhi sembravano più spenti, già estremi viaggiatori.
- Zia, non so davvero cosa dire. Come farò? Ho deluso te, ho commesso un errore terribile ed ora mi ritrovo senza nessuno. Ok, c'è sempre Jason, ma... Non sarà più la stessa cosa senza di te.-
    Si rese improvvisamente conto di discorrere di un discorso privo di collegamenti logici, dove le parole tentavano di formulare un’egoistica confessione di debolezza a colei che tuttora era la sua roccia.
    Zia Becky parve risvegliarsi dal torpore che la ghermiva, quasi richiamata dalle sue parole, e le sembrò persino di disturbarla troppo. Non poteva parlare, ma le passò delicatamente il pollice sul dorso della mano. Fu un movimento lento e faticoso, straziante nel suo voler essere un ultimo conforto pieno di dolcezza e sofferenza.
    Faith comprese che zia Becky non la stava affatto condannando, né stava sopportando il suo abbattimento, ma la stava amando, spronandola per l’ultima volta.
    Quello fu l’ultimo gesto.
Poi gli occhi le si chiusero, inesorabili. Faith ascoltò quella mano liberarsi di ogni forza, come rannicchiata tra le sue, a cercare rifugio davanti ad una prova troppo grande.
    Il momento era arrivato. Con la gola secca, la giovane increspò le labbra e deglutì. Il tempo per parlare era terminato e lei ringraziò Dio per averle concesso quei preziosi attimi.
    Così, si alzò lentamente dalla sedia, eliminando le distanze e le paure, e decise di instaurare un ultimo contatto con zia Becky. Senza lasciarle la mano, le accarezzò la fronte con l’altra ed avvicinò le labbra al suo orecchio, distendendosi dolcemente sul letto. Respirò a fondo il suo profumo di mamma e di amore, e le sussurrò chissà quali parole, dando vita a tutta la sua riconoscenza. Era decisa ad accompagnarla con forza e discrezione, così si assunse il dovere di non lasciarla sola.
    Capì immediatamente quando la sua mano perse vita, quando il capo rimase reclinato contro il suo, più per sconfitta che per protezione. Allora la strinse più forte a sé, avvertendo lancinanti lame di dolore straziarle l'anima, mentre un legittimo sollievo per la fine delle sue sofferenze, le si manifestava silenziosamente nella coscienza.
    Nello stesso istante in cui la foglia si adagiò sul davanzale, zia Becky se ne andò, e Faith poté udire il suo cuore smorzarsi lentamente.
    Rimase quasi riverente accanto a lei, grata ed orgogliosa di averla avuta nella sua esistenza e poi, mentre calde gocce d’amore cadevano sempre più numerose, la ringraziò sottovoce, cercando un tardivo nuovo contatto mentre l’amarezza governava ineluttabile i suoi pensieri.
    In qualche modo doveva rendersi consapevole che lei se n'era andata per sempre, portando con sé le pagine più belle della sua vita.
- Non ti dimenticherò mai, zia.- Mormorò.

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Capitolo 44
*** 44. Memorie ***


Le Ragioni Del Cuore

44.
M EMORIE


    Il suono acuto del campanello penetrò nel profondo sonno di Faith rimbombando fastidiosamente nei suoi sogni. Dopo  aver nascosto la testa sotto la trapunta, la ragazza sperò di averlo soltanto immaginato, ma un nuovo trillo la riportò coi piedi per terra. Aprì faticosamente gli occhi e lanciò uno sguardo all'orologio a pendolo chiedendosi chi mai potesse essere alle otto del mattino. Holly le aveva detto che sarebbe passata, ma non l'aspettava così presto.
    Si fermò di colpo rendendosi conto che tutto ciò che era successo la sera precedente purtroppo non era stato frutto di un sogno. Si sentiva male perché non sapeva cosa avrebbe dovuto fare. Tutto era radicalmente cambiato e non c'era più nessuna cosa della quale le importasse veramente. Nella sua testa si accavallavano immagini di zia Becky, frasi sconnesse del medico venuto ad accertarne la morte, pensieri privi di un qualsiasi collegamento, particolari inutili.
    Innumerevoli emozioni e sensazioni vorticavano nel vuoto, ripetendosi centinaia, migliaia di volte. Non era possibile che fosse davvero accaduto a sua zia, una donna straordinaria che si era sempre fatta in quattro per aiutare gli altri.
    Faith avrebbe tanto voluto riportare indietro il tempo, ma per salvare chi, si chiese? Lei stessa dal provare meno dolore essendo preparata, o zia Becky da quel brutto male che se l'era portata via? Non si è mai preparati abbastanza a queste cose e non avrebbe potuto fare niente per lei.
    Il campanello suonò ancora una volta, costringendo la ragazza ad alzarsi pigramente dal divano, con la trapunta blu a coprirle le spalle.
Aprì svogliatamente la porta con uno sbadiglio e si immobilizzò di colpo, con una mano sulla bocca gli occhi sbarrati.
- Ciao, Faith.-
    Faith avvertì un brivido attraversarle il corpo per poi congelarglielo, ed iniziò a tremare, incredula.
- Max... sei qui...-
    Non credeva ai suoi occhi. Si, Max era tornato. Era lì, davanti a lei, ai suoi occhi assonnati, al suo cuore che batteva nel petto come al termine di una gara podistica. Non era solo uno di quei sogni che faceva ultimamente. Venne improvvisamente travolta da una certezza che le suggeriva di stare tranquilla perché lui l'avrebbe aiutata a superare quel momento difficile che l'aveva trascinata nelle solitudine e nell'angoscia.
- Non sai quanto sono felice di vederti, Max.- Gli disse con la voce spezzata e gli occhi luccicanti. Restò immobile lasciando cadere le braccia lungo i fianchi, con le spalle abbassate.
- Non preoccuparti, Faith. Ci sono io adesso.- Mormorò Max contraendo le labbra.
    Dopo un attimo di esitazione, abbracciò forte la ragazza, affondando il viso nei suoi capelli e riscoprendone il profumo. Si accorse di quante cose di lei gli fossero mancate. Troppe.
    Si concessero un interminabile abbraccio nel grigiore del mattino, senza dire niente. Quello era un silenzio diverso da tutti gli altri. Apparteneva a loro, e loro soltanto vivevano in quel momento.

    - Chris mi ha avvertito ieri pomeriggio, così ho preso il primo aereo e sono venuto. Mi dispiace tanto, Faith.- Le raccontò Max riempiendosi la tazza di caffè.
Malgrado il suo impegno, non riusciva a sentirsi a proprio agio in quella cucina. Si trovava inadatto a trovarsi lì, di fronte a Faith. Parlare di zia Becky serviva soltanto a rimandare il momento delle scuse, dei rimorsi, dei rimpianti, delle inaspettate reazioni, ma allo stesso tempo lo avviliva senza pietà.
    Ai suoi occhi Faith appariva sempre più bella, ma c'era qualcosa di indecifrabile nel modo in cui lo guardava e nel modo in cui si muoveva, che l'aveva profondamente cambiata.
- Lei era una persona così sicura di sé, così piena di emotività e di forza da sembrare...- Si fermò, per trovare un termine adatto - immortale. Nessuno si aspetta che succedano certe cose finché... beh, finché non accadono. È bastato un soffio di vento. E lei se n'è andata.-
    La ragazza si guardò brevemente intorno e pianse. Realizzò che la mancanza di sua zia iniziava a farsi sentire e ad insinuarsi prepotentemente nella quotidianità della casa.
- Non c'è più, Max. Zia Becky non c'è più!- Singhiozzò coprendosi il viso con le mani.
    Max non sapeva cosa dirle per farla stare meglio. Comprese che era inutile cercare di sforzarsi per trovare parole che la potessero confortare. Quella era l'evidenza. Aveva appreso dalle proprie esperienze che soltanto il tempo poteva guarire le ferite provocate dalle difficili prove della vita. Nessuna parola  era riuscita a farlo sentire meglio quando aveva perso suo padre. In quegli istanti desiderava soltanto riaverlo perché lui ne aveva ancora bisogno. Era troppo giovane per sopportare un simile peso, perciò sapeva bene come si sentisse Faith.
- Faith, voglio che tu sappia che non sei sola. Nessuno lo è in questi casi. Io, Holly e Chris siamo qui per aiutarti ogni volta che lo chiederai.- Max prese la sua mano. Era gelida - Al di là di tutto quello che c'è stato tra di noi, io ti vorrò sempre bene. Non sai quanta tristezza mi porto dentro sapendo come ti senti adesso. Quindi non starò qui a dirti di non piangere, ma ti consiglio di sfogarti e di lasciare passare il tempo.-
    Faith scosse la testa, in un gesto di rifiuto della situazione e di quel consiglio così scontato.
- Nella mia vita ho perso tante persone che per me contavano moltissimo. Prima mia madre, poi mio padre. È arrivato il tempo di perdere anche te, Max. E per finire, mia zia. Ho soltanto 25 anni, non oso immaginare quale destino sia già stato scritto per me. Ho tanta paura nel cuore e tanta confusione nella mia testa.-
    Max si schiarì la voce e deglutì di fronte a tutta quella disperazione.
- Tu non ricordi cosa ti ho detto la prima sera che siamo usciti insieme. Eravamo a tavola in quel salone immenso, con la musica e le candele. “Credi nei sogni, perché rendono il mondo migliore e aiutano ad evadere dalla dura realtà di tutti i giorni.”-
- Mi ricordo, Max. E ti ho ascoltato, ma il mio sogno è durato per poco tempo. Come lo spieghi?- Gli chiese Faith tirando su con il naso.
- Probabilmente non ci hai creduto abbastanza.- Ipotizzò Max, seppur incerto lui stesso di quelle parole.
    A quella risposta Faith sospese l'inarrestabile flusso di pensieri e si fece più seria. Soltanto in quell'istante poté comprendere cosa stava accadendo e si sentì pervadere da una grande ed improvvisa rabbia. Quella collera e quell'amarezza represse da mesi emersero in superficie come una bolla d'aria, che esplose fulminea sospinta dall'orgoglio e dal dolore.
- Non ci ho creduto abbastanza, mi dici? Chi se n'è andato senza voler sentire spiegazioni?- Sibilò alzandosi in piedi di scatto ed indicando l'esterno della casa con un dito. La sedia sulla quale stava seduta cadde all'indietro per l'urto improvviso - Chi se n'è andato lasciandomi qui come un'assassina imperdonabile? Come se non ti avessi mai amato, forse più di me stessa? Mi hai abbandonata dopo avermi detto che mi avresti amata per sempre, ed ora, come il diavolo che entra in una chiesa, ti ripresenti qui, in casa di mia zia, infangandone la sua memoria, e mi propini pure le tue belle frasi da maestrino saccente? Dio, ma non provi nemmeno un po' di vergogna?- Gli gridò con un sorriso colmo di sarcasmo - Sei solo un bastardo!-.
    Max impallidì. La sua espressione mutò completamente, apparendo vuota ed attonita. Come Alice nel Paese delle Meraviglie, si sentì istantaneamente rimpicciolire sulla seggiola,  ma si sforzò di affrontare da uomo quella drammatica ed alquanto assurda situazione. Certo, tornando a Santa Monica, non si aspettava né voleva che gli venissero stesi tappeti rossi...
- Ho sbagliato, Faith, e mi dispiace, mi dispiace tanto, credimi. Ma ora sono qui e sai bene quanto affetto provi nei tuoi confronti.-  Tentò di scusarsi, calcando di rammarico le sue parole, consapevole che quella risposta non sarebbe bastata nemmeno a lui se si fosse trovato al posto di Faith. La ragazza, a maggior ragione, pareva non voler più sentire scuse. Le guance avvampate, gli occhi lucidi ed inspiegabilmente neri, le guance rigate dalle lacrime e i capelli scompigliati dal sonno bastavano a trasmettere tutto il malessere interiore coltivato nell'arco di quegli ultimi mesi.
- Sai una cosa, Max? Trovandoti alla mia porta stamattina mi sono dimenticata del male che mi hai fatto. Dici di volermi bene, ma a questo punto io non so più se provo affetto verso di te. Anzi, ti ho odiato per tanto di quel tempo che credo di odiarti anche adesso.-
    Max accusò il colpo, ma non replicò. Sapeva di essere in torto, quindi si alzò lentamente da tavola e fissò per qualche istante la ragazza che si era voltata dandogli le spalle.
- Faith,- Azzardò nuovamente - ti prego, fermati e pensa: vuoi davvero che finisca così tra di noi? Perché per una volta non proviamo a comportarci da adulti e troviamo un punto d'incontro? Sinceramente, a me sembra che non ci sarà mai un momento giusto per noi se non ci sforziamo di essere maturi.-
    Rimandandosi i capelli con entrambe le mani, la ragazza si voltò di nuovo verso di lui in una maschera di stupore e di offesa.
- Scusa, Max, ma tra di noi, sei tu quello immaturo. Dopo dieci anni continui a vivere nei ricordi di tuo padre e non vuoi accettare la sua morte, e per di più mi dai consigli nei quali neanche tu credi. Hai mollato tutto e tutti soltanto per il tuo stupido orgoglio, quasi servisse a riportarlo indietro. Non venirmi a parlare di maturità!-
    Le tornò alla mente l'ultima telefonata di Lexie e ne avrebbe discusso volentieri, ma non era il momento più opportuno per farlo. Si mise freneticamente a lavare alcuni bicchieri lasciati nel lavandino dalla sera precedente, perché era stanca e non aveva alcuna intenzione di proseguire il discorso.
    Un pesante silenzio si insinuò tra di loro.
- Hai finito?- Tentennò Max più risentito che sconfitto, gli occhi che brillavano.
- Va' fuori di qua, Max.- Gli ordinò senza voltarsi, scandendo lentamente le parole con la testa piegata verso il basso. Non voleva realmente che Max se ne andasse, era cosciente che si sarebbe potuto risolvere tutto soltanto se lei l'avesse voluto. C'erano già state fin troppe tragedie, pensò, perché complicare di più ogni cosa? Ma allo stesso tempo il solo vederlo la faceva morire dentro un po' alla volta.
    Il ragazzo indugiò qualche secondo, senza parole, poi afferrò la sua giacca scura sistemata sullo schienale della sedia ed uscì.

    Erano le nove e un quarto della sera quando Holly e Chris videro Max fare il suo ingresso al Neptune's Bar, e lo invitarono a sedersi con loro. Chris si alzò in piedi per fargli posto e lo abbracciò fraternamente.
- Quanto tempo, Max. Certo, non sei qui per una bella occasione, ma sono contento che ci hai raggiunti.-
    Anche Holly lo abbracciò.
- Ciao, Max. Come va? Resta un po' con noi.-
    Si sedettero e dopo pochi minuti ordinarono qualcosa da bere.
- Ad essere sinceri, Holly,- Riprese Max - non so molto bene come vada.-
- Lo so.- Lo interruppe lei ostentando un certo rincrescimento - Oggi pomeriggio sono stata da Faith e mi ha raccontato della vostra lite.-
    Max tornò con i pensieri all'accesa discussione della mattinata. Si chiese in che modo Faith l'avesse raccontata all'amica, e si augurò che fosse stata comunque contenta di rivederlo, malgrado le cattive parole che erano volate nella cucina.
- Questa mattina quando sono sceso dall'aereo ho avuto la certezza che ogni cosa sarebbe tornata come prima, seppur faticosamente, ma ci ho creduto davvero.  Però, non appena ho rivisto Faith, mi sono reso conto che era stata soltanto un'impressione.- Sospirò Max rassegnato - Questo mi spaventa perché ho sempre saputo cosa fare o cosa volere dalla vita. Ma adesso non ne ho più idea. È una sensazione strana.-
- Tu le manchi, Max.- Osservò Chris, ed Holly annuì con la testa, pienamente d'accordo.
- In queste ultime ore Faith è distrutta e forse oggi ha esagerato un po'. Non prendertela più di tanto.-
    La cameriera tornò con le ordinazioni e lasciò il conto sul tavolino.
- Avreste dovuto sentire quello che mi ha detto. E quel che è peggio è che ha ragione. Mi sono comportato male lasciandola in quel modo, e mi dispiace.-
 - Senti, Max.- Obiettò Holly giocherellando con l'ombrellino di paglia che decorava il suo cocktail - Entrambi avete validi motivi per non stare più insieme. Però... non odiatevi. La vita è troppo breve per portare eterno rancore verso chi un tempo ci ha dato tanto. E odiare è una parola grande e già usata in abbondanza.-
    Max le sorrise annuendo con la testa.
- Hai ragione. L'odio non deve avere niente a che fare con noi due.-
- Prova a starle vicino. Questo è un momento molto delicato per lei.- Suggerì Holly accigliandosi.

    Restarono a chiacchierare per una buona mezzora, poi Holly e Chris si congedarono.
- Buonanotte, ragazzi.- Li salutò Max - Io credo che rimarrò ancora un po'.-
    Il locale andava lentamente svuotandosi e le lunghe file di luci colorate che correvano attraversando il soffitto si erano fatte più soffuse. Il juke-box sistemato nell'angolo vicino al tavolo da biliardo continuava a lampeggiare allegramente e a trasmettere musica di vario genere, mentre alcuni ragazzi lì intorno bevevano birra e scherzavano tra loro, inserendo di tanto in tanto una monetina per richiedere una canzone.
Anche Max ne inserì una, ma il juke-box sembrava terribilmente indietro con le richieste e concluse che, se avesse voluto ascoltarla, sarebbe dovuto restare lì tutta la notte.
    Tornò quindi a sedersi e, attraverso le ampie vetrate del bar, scrutò l'esterno, dove il nero della notte e il riflesso argentato della luna sulla schiuma grigiastra delle onde dell'oceano erano le uniche tonalità che riusciva ad intravedere. Poi, deluso dalla scarsa visibilità del panorama, fissò lo sguardo sul tavolo, completamente assorto nei suoi pensieri. Nemmeno le risate e le chiacchiere della gente riuscivano ad attirare la sua attenzione. Si sentiva un egoista. Zia Becky non c'era più e lui non faceva che pensare al suo rapporto - se così si poteva definire - con Faith.
    Alzò fugacemente la testa e notò la porta del locale aprirsi, facendo tintinnare la campanella posta sopra l'ingresso.
    Era lei.
Anche Faith lo vide dopo un breve istante, e rallentò il passo, stringendosi nella giacca di jeans. Mentre altre persone si frapponevano tra loro, Max la seguì con lo sguardo, come se nel locale non ci fosse stato nessun altro, finché lei si avvicinò al suo tavolo.
- Posso?- Domandò accennando con la testa al posto vuoto davanti a lui, senza celare l'incertezza di ricevere un rifiuto.
    Il ragazzo acconsentì, deglutendo.
- Max.- Iniziò passandosi una mano tra i capelli, con un gesto stanco - Vorrei scusarmi per come ho reagito questa mattina. Non avrei dovuto dirti quelle cose terribili. Tu sei venuto per starmi vicino ed io te ne dovrei essere grata. Adesso vorrei concentrarmi soltanto su mia zia, perciò... mettiamo da parte tutto quello che abbiamo passato e smettiamo di gridarci in faccia parole che ci fanno solamente del male. Ti va di provarci?- Gli chiese Faith con lo sguardo serio e malinconico.
    Gli occhi di Max indugiarono per un lungo istante nei suoi. Non erano più neri e carichi di collera, ma erano luminosi, chiari. Sorrise sollevando un angolo della bocca.
- Certo.- Rispose annuendo e guardandola teneramente.
    Il juke-box cominciò a diffondere le note di Always on my mind, ma Faith non parve farci caso.
- Ti va di ballare?- Propose d'istinto Max avvertendo l'improvviso onere di farla distrarre un po’ - So che questa è la tua canzone preferita...-
    Lei alzò lo sguardo di scatto, sorpresa, poi abbassò di nuovo il viso, con l'ombra di un sorriso colmo di malinconia e di voglia di tornare indietro. Voglia di rimediare ai suoi errori, voglia di avere una seconda opportunità.
- Te lo ricordi ancora...- Mormorò scuotendo leggermente la testa e sentendo il cuore sciogliersi.
- Ricordo ogni cosa di te.- Affermò Max con lo stomaco sottosopra - Allora, ti va?-
- Soltanto se non mi pesterà i piedi, mr. Warren!- Squittì lei con una risata sommessa.
    Era consapevole che non sarebbe stata una buona idea ballare con lui ma, malgrado la testa le suggerisse ciò che poteva sembrare giusto, lei preferì ascoltare il suo cuore. Voleva dimostrare a sé stessa che tutte le emozioni e tutti i sentimenti che un tempo aveva provato per Max erano svaniti.
    Ma perché si sentiva così impaurita e travolta dai sensi di colpa non appena lo vide alzarsi e porgerle la mano?
Gliela prese delicatamente, ed ogni terminazione nervosa sembrò caricarsi di elettricità, fremendo per il tempo di una brevissima scossa. Non si azzardò nemmeno a guardarlo negli occhi mentre gli si avvicinava, perché era certa ne avrebbe letto parole proibite, ma si limitò a posare il viso sulla sua spalla mentre lui le cingeva la vita con un braccio. Lo sentì entrare in tensione per poi tranquillizzarsi lentamente. Poteva  avvertire il suo profumo infonderle sicurezza e forza, dolcezza e sensibilità.
    Chiuse gli occhi e si concentrò sulla canzone e sul momento che stava vivendo, traducendolo in una pausa dalla triste ed inevitabile vita che avrebbe trovato ad aspettarla il giorno successivo.  

    Faith se ne stava seduta sulla piccola panchina di legno proprio in fondo al pontile, mentre alcuni gabbiani svolazzavano malinconici sfiorando l'acqua dell'oceano, senza un'apparente destinazione. Il cielo  plumbeo aveva lasciato il posto ad uno stupendo tramonto che sembrava quasi un affronto a ciò che era successo negli ultimi giorni.
    La ragazza era invidiosa di quella vita attorno a lei che proseguiva come se nulla fosse accaduto. Avrebbe preferito che tutto il mondo si fosse fermato a consolarla per farle sparire la disperazione, l'angoscia e quella sensazione di vuoto che le aveva stravolto la vita. Voleva piangere, urlare al vento la sua rabbia, le sue tristi parole, ma non ci riusciva. Si limitò ad osservare l'ambiente che la circondava e che in quel momento non le trasmetteva più nessuna emozione.
    Volse lo sguardo in direzione della sua casa e notò zia Becky venirle incontro.
- Allora, Faith, ti sei divertita alla tua festa oggi?-
- Si, zia!- Le rispose Faith sorridendo.
- Proprio quello che volevo sentirti dire.-
La zia sedette al suo fianco e, dalla tasca del grembiule, estrasse un pacchetto.
- Questo è il mio regalo di compleanno per te, bambina mia. Spero che ti piaccia!-
    Faith rimase stupita.
- Non dovevi, zia. A me basta che tu mi voglia bene.-
- Ma io te ne voglio. Forza, aprilo!- La pregò impaziente la zia.
    La ragazza scartò curiosa il regalo. Una catenina d'oro con un piccolo smeraldo intagliato a forma di stella luccicava all'interno della scatolina.
- Zia, ma è bellissimo! Chissà quanto ti sarà costato...-
- Non pensarci! Hai 18 anni e ormai sei una donna. Ci tenevo che tu avessi qualcosa per ricordarti sempre di me.-
- Ma io non potrei mai dimenticarmi di te, zia, perché tu vivi qui, nel mio cuore. Per sempre. E niente può cambiare tutto questo.-
    Zia Becky si commosse e Faith le sorrise.
    Il suono di una voce maschile che la chiamava per nome riportò Faith nella realtà. Si accorse che nella mano destra stava ancora stringendo convulsamente la stella di smeraldo.
    Max le si avvicinò scrutandola con cautela assicurandosi di non darle fastidio con la sua presenza.
- Faith, stavi sorridendo... Va tutto bene?-
    La ragazza tornò improvvisamente triste in volto: il ricordo di quel giorno era svanito. Un miraggio. Scrutò l'orizzonte mentre un soffio di vento le accarezzò i lunghi capelli castani.
- La verità è che non c'è più niente che vada bene.- Ammise, abbattuta.
    Max fece un profondo respiro di comprensione e di affetto, si sedette sulla panchina e le avvolse accuratamente le spalle con il suo maglione.
- L'aria si sta rinfrescando. Copriti.-
- Avevi ragione, Max.- Sbottò riluttante la ragazza - In questi casi non si sente freddo, e non si sente nemmeno il caldo. Non si sente più nulla.-
- Faith, so che non ci sono parole che ti possano rallegrare. Se vuoi me ne starò qui, anche in silenzio, sperando che la mia presenza sia sufficiente a farti stare meglio.- La consolò Max, sentendosi inutile per la seconda volta nell'arco di due giorni.
    Rimasero in silenzio per qualche minuto finché la ragazza decise di interrompere quel momento di quiete.
- È strano.- Mormorò con lo sguardo fisso in avanti, verso un punto invisibile, quasi stesse per recitare una poesia a memoria - Sembra che, andandosene via, abbia portato con sé un pezzo della mia vita. È come se ad una canzone avessero ingiustamente rubato le parole che accompagnano la musica. Ed è una sensazione  bruttissima. Adesso non so più quale sia il significato della parola vivere.-
- Tutti credono di sapere cosa significhi vivere, ma nessuno lo sa per certo. Nemmeno noi.-
- Allora perché siamo costretti a soffrire? Perché occorre per forza perdere le persone che amiamo per capire quanto contano per noi?-
    Max osservò davanti a lui la distesa illimitata d'acqua che ondeggiava, monotona, color del bronzo, contro i piloni di legno sotto i suoi piedi. Di tanto in tanto, sulle rive dell'oceano, alcuni fiori autunnali occhieggiavano nascosti tra alti ciuffi d'erba gialla.
- Perché fa parte della vita, Faith. Passiamo una parte talmente grande della nostra esistenza a dedicarci alle persone alle quali vogliamo bene da non riuscire a renderci conto che l'affetto che loro provano per noi cresce ogni giorno di più. Quello è un sentimento che inconsciamente allontana le nostre paure e le nostre insicurezze rendendoci più forti. E quando la morte o la semplice lontananza ci separa da quelle persone ci accorgiamo di quanto di veramente buono hanno fatto per noi. Tutte le paure sono scomparse e noi scopriamo una forza interiore che è sempre stata nel nostro cuore, ma che non abbiamo mai immaginato di avere. Anche tu, Faith, possiedi questa forza. Perciò non permettere che zia Becky se ne sia andata inutilmente. Lei non vorrebbe di certo vederti soffrire.-
- È difficile per me, Max.- Confessò Faith scoraggiata.
Lui l'abbracciò forte e la ragazza iniziò a piangere appoggiata alla sua spalla.
- Lo so, Faith, lo so. Ma vedrai che presto tutto questo passerà e potrai sorridere pensando a lei.-
    Mentre il sole tramontava dipingendo di un rosso intenso la sottile linea dell'orizzonte, il vento portò con sé il suono delle campane di una chiesetta lontana. Un suono che rappresentava il ricordo del passato, la speranza nel futuro e, per il presente, il significato della parola vita.

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Capitolo 45
*** 45. Tempo Di Scegliere - Parte Prima ***


Le Ragioni Del Cuore
45. T EMPO DI SCEGLIERE
Parte Prima


Shawn Colvin “Never Saw Blue Like That”
http://www.youtube.com/watch?v=Q2CkOEThLLw

    Nel giorno dell'addio anche il cielo piangeva. Le sue lacrime sottili ricordavano aghi argentati ed impalpabili che cadevano dal grigiore delle nuvole per scivolare tra i petali dei boccioli di rose che i presenti alla cerimonia tenevano tra le mani.
    Dopo che il pastore ebbe terminato di recitare il salmo 23, nell'aria fresca che profumava di autunno si liberarono le parole profonde e affettuose di chi conosceva zia Becky, mentre un vento leggiadro le portava con sé, oltre un oceano dipinto di un blu scuro ed opaco.
    Anche Faith desiderava esprimere qualche pensiero in memoria di sua zia. Si alzò in piedi e, voltandosi, si meravigliò di quanta gente si fosse stretta attorno a lei, malgrado il tempo incerto di quel pomeriggio.
    Visibilmente commossa, salì sulla piccola impalcatura in legno e si avvicinò al microfono, reprimendo le salate lacrime che le ghermivano gli occhi. Prima di parlare si schiarì la voce e fece di nuovo correre lo sguardo tra la gente, mentre espressioni tristi si nascondevano a stento sotto qualche ombrello aperto.
    C'erano tante persone che non conosceva, e realizzò che sua zia vantava un sacco di amicizie, per la maggioranza mai raccontate.
    La signora Josephine con il compagno Jackson Brookstone, compagni fidati della zia dai tempi della scuola. Li conosceva da quando era bambina. Sorrise loro tristemente.
    Il sindaco, il personale dell'ospedale che aveva assistito zia Becky negli ultimi giorni di malattia, il signor Crawfordless, il simpatico vecchietto che gestiva la bottega di generi alimentari vicino a casa. Faith si soffermò sulla sua espressione: non lo aveva mai visto così triste. Era sempre di buon umore, con il sorriso stampato sulla faccia, quello stesso sorriso che ora si era trasformato in un anonimo e contratto paio di labbra scure, e un cappello grigio fumo, intonato alla giacca, contribuiva a rabbuiare il suo sguardo vuoto.
    Holly e Chris, i suoi più cari amici, pensò. Inviò loro un cenno di ringraziamento per esserle continuamente vicino.
    E poi c'era Max, sempre elegantissimo per ogni occasione. Immobile e con la schiena dritta, come un ufficiale dell'esercito, pareva studiarla con i suoi occhi verdi che la rapivano tutte le volte che li incrociava.
    Abbassò lo sguardo dopo pochi istanti: non era più in grado di guardarlo troppo a lungo. Un profondo senso di colpa la tormentava e non sapeva come liberarsene. L'aveva messo da parte quando il pensiero della zia era diventato predominante nella sua testa. Ma in quei momenti era riaffiorato, inesorabile, e si scoprì incapace di combatterlo. Decise di allontanarlo ancora: non era giusto pensarci. Non lo era nei confronti di zia Becky.
    Jason le aveva telefonato dopo che lei gli aveva lasciato un messaggio vocale, e si era scusato di non poter presenziare alla funzione. Ma non era questo a farla stare male. O meglio, non solo questo.
Il non vedere suo padre nella folla la rendeva in qualche modo incompleta. Ora, dopo aver scoperto la verità, pensava a lui in maniera del tutto diversa, carica della speranza che presto lo avrebbe riavuto nella sua vita.
    Guardò il cielo, mentre alcuni fasci di luce cercavano di affiorare tra le nubi, e parlò.
- Oggi è un giorno che difficilmente si dimentica. Uno di quei giorni che nessuno di noi vorrebbe rivivere, talmente intensi da restare impressi per sempre nella nostra memoria e nei nostri cuori. Ogni volta che proviamo a ricordarli, il tempo torna indietro così velocemente che ci sembra di riviverli, infinite volte.-
    Una lacrima le rigò una guancia, ma lei si impose di non crollare, la voce triste.
- Una persona alla quale tengo davvero tanto, mi ha assicurato che nessuno è solo quando accadono queste cose. Soltanto adesso mi rendo conto che ha ragione. Per quanto drammatico e triste sia questo momento,- Faith guardò Max e sorrise - sono certa che chi mi circonda mi aiuterà a volare fuori dalla tempesta e a capire che, dopo ogni giorno nero, c'è sempre un arcobaleno che attraversa il cielo. Non dimenticherò mai zia Becky, né tutto quello che ha fatto per me. Domani voglio pensare a lei sorridendo, perché credo sia così che ci si ricorda di chi non è più qui con noi: con un semplice sorriso. Solo allora ci sentiremo più vicini. Grazie a tutti per essere stati presenti.-
    Mentre tornava a sedersi, complice la solennità del momento, tra la gente si levò un applauso di cordoglio che, da tenue, aumentò rapidamente d'intensità, mantenendosi vivo per alcuni secondi. Un simbolo per rendere l'ultimo omaggio.
- Stringi la mia mano, Faith.- Le sussurrò Max con dolcezza.
    Faith si asciugò una lacrima ed intrecciò delicatamente le sue dita con quelle del ragazzo senza guardarlo.
- Grazie, Max.- disse infine alzando il viso verso di lui - Per essermi vicino.-
- Grazie a te che me lo permetti.- Rispose lui sinceramente rinfrancato.

    Con l'aiuto di Holly, Faith aveva organizzato un piccolo rinfresco al termine della funzione religiosa. Nel salotto un lungo tavolo imbandito con biscotti e frutta secca aveva preso il posto del divano e del tavolino di vetro, dislocati momentaneamente ai lati del caminetto. La stanza era gremita di persone giunte per le ultime condoglianze. Alcune di loro fumavano, discorrendo a bassa voce delle proprie professioni o degli affari di famiglia; altri si riabbracciavano dopo tanto tempo; altri ancora cercavano di dare il loro aiuto in casa.
    Faith era in cucina a preparare un po' di caffè quando Max entrò poggiando sul tavolo alcuni piatti vuoti. Nonostante si sentisse tremendamente stanco, riusciva a mantenere un aspetto fresco, dimostrandosi pieno di attenzioni, come aveva sempre fatto.
- Ti serve aiuto?-
    Faith si volse con un sorriso tirato e gli occhi velati, scuotendo la testa.
- Ehi.- La richiamò avvicinandosi - Tutto bene?-
    Lei annuì con la testa, restando concentrata ad asciugare le tazzine appena risciacquate.
    Max si appoggiò al banco e la ammirò. Sembrava così fragile, così indifesa. Così bella. Da tanto tempo desiderava baciarla di nuovo, cancellare tutto quello che era successo fra di loro negli ultimi mesi.
- Max.- Lo richiamò lei con la voce rotta interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
    Il ragazzo annuì per farle capire che la ascoltava.
- Non sai quanto mi faccia piacere che tu sia qui in questi giorni così duri per me. Te ne sono grata.- Lo ringraziò con un cenno del capo - Non ho idea di quanto possa essere doloroso per te dopo quello che c'è stato tra di noi, ma ci tengo a farti sapere che per me lo è, e moltissimo anche.
Trovarti alla mia porta l'altro giorno mi ha fatto felice, ma ha anche riaperto la ferita al cuore che mi hai lasciato andandotene via. Non posso ignorarlo, Max.-
- Perché me lo stai dicendo?- Le chiese lui come aspettandosi un amaro risvolto.
    Lei sostenne il suo sguardo per qualche attimo, poi volse la testa di lato, passandosi una mano tra i capelli e sentendosi del tutto incapace di trattenere ancora ciò che avrebbe dovuto dirgli fin da subito.
- Max, io...-
- Se è questo che temi,- La interruppe lui - sappi che anch'io ho paura. So che non sarà facile riprendere tutto da dove abbiamo lasciato e...-
Faith si sentì una persona orribile.
- No, Max, fermati, io volevo dirti che...-
- Aspetta, Faith, fammi finire. Non so dove ci porterà questa storia e capisco che non è il momento più adatto per parlarne, ma io sento che non è giusto buttare questa opportunità di rimetterci in gioco. Se solo riprovassimo a...-
- No, Max, no! Ti prego.- Lo bloccò Faith, esausta e con il petto che le doleva.
- Cosa c'è?- Sussurrò lui in un tono talmente ingenuo e dolce da spezzarle il cuore.
    Lei si asciugò le mani umide stringendo lo strofinaccio. Quanto avrebbe voluto sentirlo parlare ancora, quanto desiderava leggere sulle sue labbra quelle poche ma significative parole. Non voleva ammettere a sé stessa che lui la faceva sentire viva come nessuno era mai stato in grado di fare, ma era ingiusto nei suoi confronti continuare ad illuderlo che presto tutto sarebbe tornato come prima.
- C'è Jason nella mia vita, ora. Noi due stiamo insieme.-
    Lo disse tutto d'un fiato, sentendosi istantaneamente più alleggerita di un grande peso.
    Max indietreggiò di un passo e nella sua espressione Faith lesse il desiderio di non aver voluto esporsi così tanto. Lui si sforzò di non darlo a vedere, ma ormai era evidente e, malgrado fosse seriamente dispiaciuta per aver deluso le sue aspettative, la ragazza giustificò il suo comportamento.
    Il rapporto che li univa li allontanava allo stesso tempo e Max non riusciva a sopportare quella situazione. Si sentì quasi soffocare e non fu più in grado di capire perché in quel preciso istante avesse voluto trovarsi a chilometri di distanza da lì e contemporaneamente non anelasse a stare in nessun altro posto. Aveva giurato a sé stesso che non avrebbe più fatto ritorno a Santa Monica, eppure era di nuovo lì, a soffrire come un matto davanti a lei, ai suoi occhi tristi, al suo incondizionato bisogno di non sentirsi sola. Avrebbe potuto fare finta di niente, lasciarla nel suo dolore, dopo tanto che lei gliene aveva procurato, ma lui non era mai stato quel genere di persona, né lo era diventato.
    La perdita di suo padre gli aveva rubato la giovinezza spensierata dei sedici anni, ma in cambio gli aveva  donato la maturità di un adulto. La sua sensibilità d'animo e la capacità di percepire i sentimenti altrui si erano affinati, la prudenza nelle scelte della vita era accresciuta, l'obbligo di dover sempre fare la cosa giusta era diventata una vera e propria ossessione.
    Ma qual'era ora la cosa giusta da fare?
Faith continuava ad osservarlo smarrita e preoccupata, in attesa di una qualunque reazione, quando improvvisamente Holly entrò in cucina.
- Faith, è pronto il caffè?-
- Sì.- Rispose Faith prendendo subitamente a versarlo nelle tazze.
    Con Max che guardava fuori dalla finestra e Faith che si era mossa di scatto per occuparsi del caffè, Holly comprese di aver interrotto un discorso importante.
- Andiamo.- La incitò Faith mettendole tra le mani il vassoio con le tazzine.

    Max sentì il bisogno di prendere un po' d'aria e si tuffò nella luce dorata del sole autunnale. Era stata una giornata intensa e particolare, e decise di sedersi sui gradini del portico a guardare i bambini che correvano lontani lungo la spiaggia mentre giocavano con alcuni cani.
    Aveva le maniche della camicia arrotolate al gomito e si era allentato il nodo della cravatta quel tanto che bastava per non apparire in disordine, vista la moltitudine di gente che ancora affollava la casa.
    Il ronzio di alcuni insetti accompagnava lo scroscio delicato delle onde e un soffio di vento gli portò l'odore salmastro dell'oceano. Chiuse gli occhi, assaporandolo e respirandolo a fondo, e avvertì il tepore gradevole dei raggi del sole sulla pelle mentre il ricordo di un giorno di marzo riaffiorava inaspettatamente tra i suoi pensieri.
    Voltò la testa verso il porticato e si rivide seduto sul divanetto al fianco di zia Becky, come se stesse ripercorrendo un pezzo della sua vita attraverso un film.
- È bellissimo, Max!- Esclamò entusiasta la zia - Sono sicura che le piacerà molto.-
    Il simbolo del suo amore per Faith luccicava nella piccola scatola blu che Max aveva aperto.
- Io la amo.- Spiegò abbassando lo sguardo con un sorriso innocente e sincero.
- Lo so.- Affermò zia Becky.
    Lui alzò il viso e la donna comprese il significato delle parole di cui le parlava sempre sua nipote: gli occhi di Max non avevano bisogno di essere interpretati. Per lei racchiudevano tutto quanto potesse esserci di bello al mondo: le domande di un bambino, le risposte di un adulto ed il tempo che intercorre tra i due momenti, accompagnato dalla saggezza e dall'intelligenza.
- Posso chiederti una cosa?- Le domandò il ragazzo.
    Lei annuì incrociando le dita delle mani.
- Cosa succede quando si ama qualcuno così tanto? È un sentimento che non ho mai provato per una persona al di fuori della mia famiglia, e un po' mi spaventa. Ho paura che, com'è arrivato, un giorno se ne possa andare lasciandomi il cuore completamente a pezzi.-
    Zia Becky si lasciò andare in una piccola risata sommessa piena d'affetto e comprensione.
- Ci si sente completi, liberi, e soprattutto sé stessi. L'amore ha il pregio di tirare fuori da noi i lati migliori del nostro essere che, allo stesso tempo lo alimentano. È una sorta di circolo vizioso.-
    La donna posò dolcemente una mano sul viso di Max.
- Non aver paura di amare, Max, che si tratti di Faith o di un'altra persona. Non farti sopraffare dall'orgoglio, ma continua a donarti. Anche il cuore ha bisogno di vivere.-
    Gli occhi di Max si assottigliarono lucidi, mentre le foglie ingiallite danzavano sotto il porticato donando al vento ogni particolare di quel ricordo evanescente.
    Lo aveva completamente rimosso dalla sua mente, ed ora, riemergendo dal passato, quelle parole lo mettevano in crisi. Anche se lo avesse voluto, era sbagliato dire a Faith che l'amava ancora. Senza pensare che lei era comprensibilmente sconvolta per la scomparsa di sua zia e non era il momento adatto.
    Stava con qualcun altro, probabilmente non ci sarebbe più stato il momento adatto.
- Ehi, cugino.- Lo salutò Chris uscendo sotto la veranda. Scese le scale e studiò l'espressione di Max - Giornata intensa, eh?-
    Il ragazzo annuì.
- Come stai, Max?- Domandò con una nota di apprensione.
    Max si passò una mano tra i capelli.
- Bene.- Rispose automaticamente.
    Chris si abbassò all'altezza del suo viso e lo scrutò,scettico.
- Come stai, Max?- Ripeté conferendo più enfasi alla domanda.
    Il ragazzo sorrise, ma gli occhi lucidi lo tradirono.
- Sto uno schifo!-
    Chris gli posò una mano sulla spalla per infondergli coraggio.
- Vuoi sapere una cosa, Max?-
Eva Cassidy “Fields Of Gold”
http://www.youtube.com/watch?v=HRg3CNbCfNs
- Che tutto questo è un incubo e che mi sveglierò tra poco su un'isola deserta?- Ironizzò Max per mascherare la tristezza.
- Sei il mio eroe.- Sentenziò il cugino mantenendosi serio - Guardati. Dopo tutto quello che c'è stato... sei qui. Ho sempre visto in te grandi qualità, e in questi giorni hai dimostrato alla grande che ho ragione. Non come quando te ne sei andato da Lakewood fuggendo dai tuoi problemi. Hai imparato che non si può scappare per sempre. Ora i tuoi problemi sono qui. Tu sei qui. Sii orgoglioso di te stesso.-
    Una lacrima solcò il viso di Max.
- I veri eroi non piangono, Chris.- Lo corresse con la voce rotta.
- Ti sbagli, Max. sono i veri eroi quelli che non temono di commuoversi.-
    Max si alzò in piedi e lo abbracciò forte.
- Lei ha bisogno di te adesso.- Mormorò Chris.
- No.- Disse il ragazzo scuotendo la testa - Non ha più bisogno di me.-
    Il cugino lo fissò negli occhi, confuso.
- Ora sono io ad aver bisogno di me, Chris.-
- Ci sono anch'io. Sai dove trovarmi. Sempre.- Sottolineò Chris con un sorriso malinconico.
    Si sedettero insieme sugli scalini, uno vicino all'altro, come facevano quando erano ragazzini, e osservarono le nuvole blu e ambra tuffarsi nell'oceano.
- Sei il fratello che ho sempre desiderato.- Aggiunse dopo un po'.
    Max si volse verso di lui, commosso.
- Anche tu.-

    Era stata una giornata intensa e particolare. La luce dorata e soffusa stava svanendo e i bambini non correvano più lungo la spiaggia. Ogni lacrima si era dissolta nell'aria. La casa si era svuotata ed anche le automobili avevano lasciato libero il vialetto retrostante.
    Dal giardino Max notò la luce accesa nel salotto e si avvicinò alla finestra. Vide Faith in piedi davanti al caminetto osservare intensamente una fotografia. Teneva le braccia conserte e lo sguardo fisso, dando l'impressione di avere la mente immersa in chissà quale ricordo condiviso con sua zia, e venne assalito nuovamente dalla voglia di stringerla tra le braccia, di non lasciarla più andare via.
    Entrò Holly nel salotto, e Faith le parlò un poco prima di abbracciarla.
Non occorreva riflettere troppo a ciò che potevano essersi dette. Ormai non restavano più tante parole per descrivere quella giornata o per chiedere perché.
    Il destino non risponde alle domande quando ci strappa alle persone che amiamo. Il destino agisce, e null'altro.

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Capitolo 46
*** 46. Tempo Di Scegliere - Parte Seconda ***


Le Ragioni Del Cuore
46. T EMPO DI SCEGLIERE
Parte Seconda


    - Grazie per essere rimasta ad aiutarmi a rimettere tutto a posto, Holly.- Disse gentilmente Faith all'amica accompagnandola alla porta.

- L'ho fatto volentieri.-
  Faith le sorrise riconoscente. L'aria era frizzante e, scendendo in giardino, le due ragazze si accorsero che c'era qualcuno seduto lungo il pontile. Max.
    Holly osservò Faith di sbieco aspettando che dicesse qualcosa, ma vide che non proferiva parola e teneva lo sguardo  abbassato.
- Sono sicura che avrete tante cose da dirvi.- Mormorò Holly prendendole una mano.
    Faith piegò la testa di lato e cambiò espressione, fingendo di pensarci, poi la alzò e guardò nuovamente in direzione del pontile. Non riusciva a capire perché si sentisse così in colpa, in fondo era stato Max a lasciarla. Eppure avvertiva nel petto una fastidiosa spina che non era in grado di dominare.
- Coraggio.- La incitò Holly - Va' da lui. Noi ci vediamo presto.-
- D'accordo.- Acconsentì annuendo - Buonanotte, Holly.-
Marc Cohn “Healing Hands”
http://www.youtube.com/watch?v=dHGPeHfZv6U

    L'amica l'abbracciò stretta e la salutò - A presto.-
Faith la osservò allontanarsi poi si incamminò verso la spiaggia. I lampioncini lungo il pontile erano accesi dall'imbrunire e gettavano tenui fasci di luce gialla creando cerchi dorati sulla superficie increspata dell'acqua.

    Max si era accomodato sulle assi di legno con le gambe penzoloni e la vide quando fu a pochi passi da lui.
- Ciao.- Disse piano.
    Il vento faceva ondeggiare i capelli della ragazza, che si strinse il petto con le braccia avvertendo un brivido.
- Posso parlarti?- Gli chiese cauta.
- Certo.- Rispose Max tranquillamente.
    Faith si piegò e si sedette vicino a lui, sulle assicelle irregolari e ruvide, consumate dal vento e dalla sabbia. Rimase a lungo in silenzio, come a voler cercare le parole adatte per commentare quello che poteva essere stato il pomeriggio più triste della sua vita.
- A proposito di ciò che abbiamo detto oggi, Max, capisco come ti senti e mi dispiace tantissimo, ma la situazione è questa. Non posso lasciare Jason soltanto perché tu ti sei ripresentato alla mia porta. Non puoi pretendere che io finga che non sia successo niente di ciò che in realtà è accaduto.  Riesci a  comprenderlo?-
    Max annuì con lo sguardo puntato sull'acqua sotto di loro.
- Non ti biasimo e non ho scusanti. Abbiamo avuto una possibilità ed io l'ho sprecata.-
    Volse la testa a guardarla e si strinse nelle spalle, con gli occhi velati.
- Voglio che tu sappia che non amerò mai nessun altra come ho amato te, Faith.-
    La ragazza interiorizzò quelle parole, e la spina che poco prima sentiva nel petto le affondò nel cuore. Sorrise debolmente e distolse lo sguardo, lo stomaco come stretto in una dolorosa morsa.
- Max, io so che non è vero quello che mi stai dicendo.-
- Perché ne dubiti?- Le chiese, visibilmente ferito.
    Faith lo guardò dritto negli occhi e aprì la bocca, pronta a rispondere. Scosse la testa, arrossendo leggermente, e si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
- Non puoi dirmi di amarmi soltanto perché sai che non è stato mio padre a causare l'incidente.-
    Max la guardò, confuso, e lei sorrise per mascherare il suo disappunto.
- Si, lo so, Max. Lexie mi ha telefonato per confessarmelo qualche giorno fa. So che è stato suo padre in realtà. Per questo non credo alle tue parole e, sinceramente, pensavo fossi ritornato solo per questo motivo.-
    Max tornò ad osservare l'oceano nero. Da lontano giungevano i rumori ritmati della banchina e delle barche giù al porto mescolati all'abbaiare solitario di un cane. L'ennesima verità gli era stata sbattuta in faccia e tutto gli parve come un doloroso deja vù.
- Chi è stato ad uccidere mio padre, Faith? Perché, a questo punto, io non lo so più.- Strascicò le parole guardando la ragazza con un'espressione sfinita e, allo stesso tempo, incredula.
    Com'era possibile che anche Lexie, la sua migliore amica Lexie, gli avesse mentito? Come poteva essere stato suo padre il colpevole? Come aveva potuto tacere nei momenti in cui erano stati insieme e come aveva potuto baciarlo tenendosi dentro quel segreto?
    Faith comprese che davvero Max non se sapeva nulla, dal momento che sul suo viso si dipinsero lo smarrimento e la delusione, ed abbassò le difese.
- Lexie mi ha detto di averti scritto una lettera. Non te l'ha consegnata?-     Gli domandò stringendosi le mani, stupita quanto lui.
    Max si coprì la bocca con una mano, udendo appena la voce di Faith.
- Non ho ricevuto lettere mentre mi trovavo a Lakewood, e non ho guardato nella cassetta della posta. Mia madre me l'avrebbe detto se l'avesse trovata. Non ci posso credere...- Si prese il viso con entrambe le mani - Ma come... cos'è accaduto quel giorno?-
    Faith glielo spiegò nei particolari, quasi avesse assistito di persona, esattamente come le aveva riferito Lexie, e si sorprese di come Max restasse ad ascoltare, seppur commosso e addolorato. Si sentì impotente ed altrettanto incredula che lui l'avesse scoperto in quel modo.
- Sei arrabbiato, adesso?-
    Max espirò rumorosamente, scuotendo la testa. Era evidente che Lexie aveva avuto le sue buone ragioni per essersi tenuta tutto dentro nel corso degli anni. Ma, diversamente da come era andata con Faith, decise che avrebbe parlato con lei e non avrebbe ripetuto lo stesso errore per la seconda volta.
- A che serve arrabbiarsi? Ho imparato a caro prezzo che non è giusto prendersela con chi non ne ha colpa, perché potremmo perdere chi amiamo per davvero.- Guardò Faith in volto - Io ho perso te per questo.-
    Faith sostenne il suo sguardo triste e sincero.
- Hai ragione, Faith.- Continuò il ragazzo scrutando l'orizzonte - Sono soltanto io l'immaturo. Dopo tutto questo tempo mi rendo conto di quanto ancora sia difficile parlare di mio padre e, quel che è peggio, è che non sono riuscito ad accettare il fatto che lui non ci sia più.-
    Faith scosse la testa posandogli una mano sulla spalla.
- Quello che ho detto l'altro giorno era dettato più dalla rabbia che dalla razionalità, Max. Non c'è nulla di male a vivere nei ricordi, ma poi arrivi ad un punto in cui non puoi più continuare a scappare e ti ritrovi a dover combattere contro la realtà.-
- Io mi sono sempre trovato bene a scappare. Non per vigliaccheria, ma per rifiuto. Rifiuto della realtà, che mi sembra sempre più ingiusta.- Ammise Max in una sorta di confessione.
- La realtà è ingiusta.- Puntualizzò Faith - Ma non avremmo alcuno scopo nella vita se tutto fosse facile, e non saremmo preparati abbastanza se non ci capitassero degli ostacoli. Penso che la nostra autentica personalità emerga proprio nei momenti più difficili.-
    Max la guardò di nuovo - Serve tutto a renderci più forti.- Annuì con l'ombra di un sorriso.
- Esatto.- Confermò lei.
- È buffo che sia tu a darmi consigli quando è palese che ora debba essere il contrario.-
    Faith gli accarezzò il viso e avvertì la barba cortissima pungerle delicatamente la mano.
- Tu hai già fatto tanto per me, Max.-
    Le pianse il cuore ricordando che lui l' amava ancora come pochi mesi prima, se non di più.
    Ma lei? Lei lo amava? Era questa la spina che le pungeva nel petto? Nel suo cuore tratteneva un sentimento che bruciava imperterrito e che cercava di reprimere con tutte le sue forze.
    Tolse la mano dal suo viso come se scottasse, e la nascose sotto una gamba.
- Ho dimenticato di dirti una cosa.- Tergiversò Max dopo qualche minuto - Ieri mi ha telefonato Lynda Shields chiedendomi se fossi disposta a partecipare al ballo che terrà a New York il prossimo Natale.-
    Faith lo guardò credendo che scherzasse e gli diede un colpetto sulla spalla.
- Mi stai prendendo in giro?-
- No, dico sul serio. Pensa che io e te stiamo ancora insieme e così ha invitato entrambi. Dal tono con cui mi ha posto l'invito credo abbia qualcosa di interessante da proporti, ma se non ti va...-
    Faith spalancò la bocca e sorrise, meravigliata.
- È stupendo, Max!- Esclamò abbracciandolo d'impulso. Lo strinse forte e, imbarazzato, Max fece lo stesso.
- Domani la richiamerò per confermare, allora.-
    Faith si staccò da lui e lo guardò reclinando la testa di lato, con gli occhi lucidi e la punta del naso leggermente arrossata dal freddo.
- Grazie, Max.- Sussurrò dolce.
    Max rimase a fissarla negli occhi per un istante infinito e sentì le mani tremargli, il petto bruciargli ferocemente.
- Penso... credo si sia fatto tardi. Meglio che io torni in albergo.- Mormorò trattenendosi dal dire o fare qualcosa di sbagliato.
    Faith annuì con la testa e si strinse le mani tra le gambe. Il ragazzo le diede un fugace bacio sulla guancia fresca e si alzò con cautela, strofinandosi i pantaloni per togliere i granelli di sabbia.
- Aspetta, Max.- Lo richiamò lei alzandosi a sua volta.
Sarah McLachlan “Full Of Grace”
http://www.youtube.com/watch?v=L3sjSnhZJk0

    Lui si fermò, fissandola come se sapesse cosa stava per dire.
- Non mi va di stare da sola stasera.- Confessò dolcemente, quasi impaurita, incrociando le braccia sul petto. Si avvicinò a lui e gli prese una mano. Max osservò la mano stringersi piano nella sua come cercasse un rifugio, e provò un brivido.
- Resta.- Lo supplicò, con un tono che lo colpì dritto al petto - Ho bisogno di un amico. Ho bisogno di te.-
    Il ragazzo avvertì il cuore frantumarsi in milioni di pezzi.
- Credi sia giusto?- Le chiese semplicemente.
    Lei tacque ed abbassò la testa.
- Ora più che mai.- Mormorò.
- Vieni qui.-
    Lui le coprì le spalle con un braccio e la strinse a sé.
Faith si sentì al sicuro e provò un'inaspettata serenità, mentre la convinzione di avere Max come amico, piuttosto di non averlo affatto nella sua vita, si affermava pian piano tra i suoi sentimenti.

    Le braci che ardevano nel caminetto tingevano il salotto di una cupa sfumatura rossastra ed il loro crepitio trasmetteva la voglia di sedercisi davanti ad osservarle ipnoticamente.
    Ed era esattamente ciò che Max aveva fatto. Dopo essersi spogliato, aveva preparato il divano con una coperta e ci si era accomodato sopra con i gomiti sulle ginocchia ed il viso appoggiato sui palmi delle mani.
    Ripensava a tutto ciò che lo aveva riportato lì e a tutte le forze che aveva impiegato per non tornarci, ma capiva che, in fondo, non era mai andato via. Fisicamente avrebbe potuto essere al Polo Nord o in Francia, ma mentalmente non aveva mai lasciato Los Angeles. Il suo cuore non si era mai mosso da quella casa, eppure c'era qualcosa dentro di lui che lo spingeva a smettere di farsi del male in quel modo.
    Faith non gli apparteneva più, che gli piacesse o meno.
    Si strofinò gli occhi e sbuffò lievemente, stanco di non riuscire a fare un po' di ordine nella sua testa.
    C'era inoltre da chiarire anche la questione di Lexie, e non era poco. Gli sembrava che fosse la sua vita ad avere il controllo su di lui, quando avrebbe dovuto essere il contrario.
    Fu in quel momento che Faith fece irruzione in salotto con alcuni indumenti tra le mani. Rendendosi conto che Max era a torso nudo, si voltò di scatto rammaricandosi.
- Scusa! Avrei dovuto bussare!-
    Max si alzò.
- No, entra pure. Niente che tu non abbia già visto, in fondo.-
   Lei tornò a guardarlo e sorrise nervosamente, notando che anche lui sorrideva.
Il tenue bagliore delle braci dipingeva il profilo del suo petto esaltandone la muscolatura, e Faith faticò a celare un certo imbarazzo.

- Ho portato alcune cose che ti appartengono e che hai dimenticato qui.-     Tergiversò posando gli indumenti sul dorso del divano.
- Li hai tenuti.- Mormorò lui sorpreso.
- Si. Li volevo buttare, ma poi ho cambiato idea.-
- Grazie.- Fece lui nel silenzio della stanza.
    Lei sollevò le spalle annuendo. Si infilò le mani nelle tasche dei jeans e, per rompere la tensione che imperversava, concentrò le sue attenzioni verso il caminetto.
- Aggiungo un po' di legna, altrimenti morirai di freddo stanotte. Se ti va puoi farti una doccia, io per ora non ho bisogno del bagno. Ti ho lasciato un paio di asciugamani sulla lavatrice.-
    Max sospirò.
- Si, mi farebbe davvero bene un bel bagno. Sono esausto.-
- Sono stati giorni difficili per tutti.- Convenne Faith sistemando diligentemente un pezzo di legno nel focolare. Posò con cura gli alari e posizionò il parafuoco, quindi si pulì le mani in uno strofinaccio posto a lato del caminetto - Sono contenta che tu abbia deciso di restare.-
    Si avvicinò al ragazzo, lo osservò per un istante e lo baciò sulla guancia.
- Buonanotte.- Sussurrò prima di uscire dalla stanza.
   Lui respirò il suo profumo mantenendo gli occhi chiusi. Si voltò prima che lei se ne fosse andata e le afferrò un polso.
- Si?- Fece lei, stranita, con i suoi grandi occhi da cerbiatta.
   Mentre il crepitio del focolare si occupava di riempire il silenzio della stanza, i loro sguardi indugiarono l'uno nell'altro per una frazione di secondo di troppo, che indusse la ragazza ad avvertire l'inevitabile. “Eccoci”, pensò tra sé.
- Buonanotte.- Ripeté Max, combattuto tra tutte le cose che avrebbe voluto dirle.
  Faith sorrise, scoprendosi vagamente delusa e, quando lui lasciò la presa, andò nella sua stanza, pervasa dalla tristezza.
Non era ciò che avrei voluto dirti.” Pensò Max scuotendo la testa.
    Come spinto dal desiderio, mosse alcuni passi silenziosi e posò la mano sulla maniglia della porta della stanza di Faith, deciso ad aprirla, ma si bloccò. Il desiderio era svanito velocemente com'era comparso. Restò per qualche minuto immobile, paralizzato, il capo abbassato. Voleva entrare, stringerla, baciarla, parlarle, osservarla. Ma voleva anche non aprire quella porta e tacere, andare via, piangere. Non poteva immaginare che oltre la porta Faith teneva una mano sulla maniglia e immediatamente dopo la toglieva, vinta dalle medesime emozioni ed incertezze.

  Quando il mattino seguente Faith si svegliò, avvertì la casa inaspettatamente vuota. Attraversò il corridoio e scoprì che nel salotto non vi era traccia di Max. Il ragazzo aveva ripiegato accuratamente le coperte e sistemato i cuscini agli angoli del divano. Sul tavolino di vetro faceva capolino un biglietto.

Passerò da te nel pomeriggio. Max
    Senza rendersene conto, Faith avvicinò il foglio al viso e lo odorò ad occhi chiusi, sperando di sentire ancora la sua presenza.
   I raggi obliqui del sole filtravano nella stanza attraverso le tende illuminando i minuscoli granelli di polvere che aleggiavano impalpabili.    Nel caminetto non restavano che pochi trucioli di legna bruciati, a conferire un velo di amarezza su qualcosa che c'era stato, ma che ora non esisteva più.
    La ragazza si scompigliò i capelli con una mano e si diresse in cucina, dove trovò ad aspettarla una tavola apparecchiata per metà con una bella colazione. Il caffè era ancora piacevolmente caldo, e ciò significava che Max non se n'era andato da molto, pensò.
    Ne bevve un poco, poi alzò lo sguardo sull'orologio che segnava le otto, e, dopo aver realizzato che non c'era nulla che potesse pretendere la sua attenzione, decise di tornare a dormire.

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Capitolo 47
*** 47. Tempo Di Scegliere - Parte Terza ***


47 Le Ragioni Del Cuore


47. 
T EMPO DI SCEGLIERE

Parte Terza

   Alle otto e trenta del mattino il Neptune's era già affollato e rumorosissimo. Con il bavero della giacca sollevato, Max aspettava Chris seduto ad un tavolo all'aperto, godendosi l'inizio di una magnifica giornata di sole.
    I gabbiani volavano maestosi nel cielo azzurro e, a parte una lieve bruma che aleggiava sull'oceano rendendone sfocato l'orizzonte, le piante intorno erano vestite di una luminosa e pittoresca mescolanza di gialli, di rossi e di arancioni, che aveva completamente mutato il paesaggio trasformandolo in un'esplosione di colori. L'aria fresca odorava di pieno autunno, e a tratti giungeva il forte aroma di caffè che sfuggiva dall'interno del locale tutte le volte che la porta d'ingresso si spalancava.
    La gente entrava ed usciva dal locale in continuazione, così il ragazzo aveva pensato di ordinare un caffè e accomodarsi sull'ampia terrazza in legno, standosene in disparte ad osservare le persone e la spiaggia sottostante.
- Strano che tu sia ancora qui, cugino.- Esordì Chris distogliendolo dai suoi pensieri - Ti credevo già a Londra seduto comodo nella tua poltrona di Yak davanti ad un PC super-mega-iper-tecnologico e a fissare il fondoschiena della tua sexy segretaria.-
    Max sorrise e bevve una lunga sorsata di caffè. La bevanda calda gli riscaldò la gola, lasciandogli in bocca il suo gusto pieno e morbido.
- Il tuo spirito e la tua fantasia sono illimitati. Holly è proprio fortunata.- Replicò sarcastico.
- Holly non capisce una sola delle mie battute!- Confessò sedendosi di fronte a Max.
     Richiamò l'attenzione di una cameriera ed ordinò un cappuccino.
- Come sta Faith?- Gli domandò accigliandosi.
    Una leggera brezza gli scompigliava i capelli e il sole del primo mattino rendeva i suoi occhi più luminosi del solito.
   Max si grattò dietro alla nuca e si allungò sul tavolo come per confessare un segreto.
- Beh... stanotte ho dormito da lei.- Disse piano.
    Chris annuì con la testa.
- Interessante...-
- Frena, frena!- Esclamò Max mettendo una mano avanti - Non è successo niente. Ho dormito sul divano.-
- Sul divano si possono fare tante cose.- Spiegò pazientemente l'altro.
- Ma non quelle che stai pensando tu. Sei sempre a senso unico?-
Chris fece una risata sguaiata.
- Cavoli, come diventi acido quando si parla di questi argomenti!-
- Lo sai bene che non sono bravo a discorrere di quelle cose.-
 - Quelle cose si chiamano sesso, Max! Forza, ripeti lentamente insieme a me: SEEESSOOO!- Recitò Chris ad alta voce.
    La cameriera, giunta alle sue spalle, lasciò velocemente il cappuccino sul tavolo guardando di sbieco il ragazzo, mentre Max assisteva piuttosto imbarazzato.
 - Ehi! Ho soltanto detto SESSO!- Sbraitò Chris seguendo con lo sguardo la cameriera, che spariva all'interno del locale - La parola SESSO è inclusa in tutti i dizionari!- Sbottò voltandosi sbalordito e confuso verso Max per dargli spiegazioni.
- D'accordo, d'accordo, Chris!- Fece lui afferrandogli i polsi - Non siamo qui per parlare di sesso. Questa non è una chat erotica.-
    Chris cambiò improvvisamente espressione e socchiuse gli occhi.
- Quelle noto con piacere che le conosci, però.-
  Max si alzò di scatto dopo aver dedotto che non era possibile intraprendere un discorso serio con suo cugino.
- Ora me ne vado.-
- No, no, no! Scherzavo! Ok, ok, non ne parlo più! Siediti e raccontami. So dare ottimi consigli.-
  Max sospirò e, rassegnato, tornò a sedersi seppur con qualche esitazione.
- Non so che fare con Faith. Sono ancora innamorato di lei, ma non so se questo sia giusto. Quando sono tornato qui ero sicuro che sarei stato in grado di sistemare ogni cosa. Ma non ci sono riuscito.-
- Max, non potevi pretendere che lei ti accogliesse a braccia aperte e che tutto sarebbe tornato come prima. Non dimenticare che hai preso una decisione esecrabile e che l'hai lasciata qui senza permetterle di spiegarti.-
    Max notò una coppia di anziani camminare lungo la riva tenendosi per mano. Valutò il parere di Chris, incerto se dar voce al pensiero che più gli premeva dal momento in cui aveva rivisto Faith.
- Lei è la mia luce, Chris.- Affermò serio.
    Entrambi tacquero per alcuni istanti, un silenzio greve che quadruplicò il valore di quelle poche parole.
- E gliel'hai detto?-
- Ci ho provato.-
- Ho capito: non gliel'hai detto.- Dedusse il cugino.
- Ma non è giusto. Non avrebbe più senso.-
- Allora perchè sei rimasto a dormire da lei?-
- Perchè me l'ha chiesto.-
- E se te l'ha chiesto non vuol dire che anche lei ti ama?- Lo incalzò Chris.
   Max esibì un sorriso triste. Nella sua mente si ripercorsero velocemente tutti i fatti e tutte le parole dette negli ultimi due giorni, e la tristezza e l'angoscia ripiombarono su di lui come un'interminabile uragano.
- Lei ama Jason. Me l'ha detto ieri pomeriggio.-
   Chris si portò le mani alle tempie come a cercare di fare ordine alle idee.
- Max, spiegami perchè ti avrebbe detto che ama Jason. Tu cosa le hai chiesto?- Chris pareva non accettare la realtà della situazione e ciò non sfuggì a Max, che provò un insolito malessere nel vedere che la sua tormentata vita sentimentale veniva vivisezionata ed analizzata come una cavia da laboratorio. E lui non era proprio dell'umore giusto per soffermarsi su ogni singola parola ed estrapolarne mille differenti significati.
  Era così difficile per Chris ammettere la realtà dei fatti? Nessuno, neppure lui avrebbe potuto ridargli Faith. Tuttavia intuiva che ci doveva per forza essere una morale in tutta quella dissertazione.
- Le ho detto che mi piacerebbe ricominciare da capo.- Rispose mantenendo un tono pacato.
- E lei?-
- Lei ha risposto che ora sta con Jason.-
- E quindi non ti ha detto che ama Jason.-
- E che differenza c'è, scusa?-
- Che ci sta insieme, ma non lo ama.-
    Max scosse la testa alzando gli occhi al cielo.
- Faith non è il tipo di ragazza che sta con un ragazzo senza amarlo.-
    Chris si fermò un istante a meditare corrugando la fronte.
- Non hai pensato che magari lo fa per dimenticarti?-
- Ma io sono qui ora e le ho proposto di riprovare. Non avrebbe più motivo di dimenticarmi.-
    Chris tirò le labbra e socchiuse gli occhi.
- Vedi, Max, le donne hanno uno strano modo di ragionare.-
    Max tacque, restando a fissarlo.   
 - Signore e signori, ecco a voi l'autore del nuovo romanzo “Tutto sulle  donne”: Chris Warren!-
- Non dire sciocchezze. Le donne sono molto più corrette di noi uomini. Mentre noi siamo pronti a cambiare una ragazza al mese senza pensare al passato, escludendo il dio greco Max Warren, naturalmente, le donne ripensano al passato, ma accettano in tutto e per tutto l'uomo che hanno accanto. Cercano di vedere in lui i lati positivi e basano il loro amore su ciò che hanno di buono. Non lo mollano anche se vorrebbero tornare indietro. E sono orgogliose. Ah, quanto sono orgogliose. Ecco perchè Faith non vuole tornare con te. Tu l'hai mollata e questo l'ha giustamente ferita. Tornare con te significherebbe calpestare i suoi stessi sentimenti.-
Chris cominciò a giocherellare con il cucchiaino nella tazza - E poi c'è il discorso della fiducia.-
- Cosa intendi?- Fece Max scoprendosi sempre più interessato.
- Beh, l'hai lasciata una volta, chi le garantisce che tu non lo possa fare di nuovo? È chiaro che la fiducia che lei aveva in te si è completamente dissolta.-
    Max s'incupì. Come non aveva potuto capire una cosa talmente ovvia? Lui stesso si era sentito tradito quando aveva scoperto la storia dell'omicidio di suo padre. Anche se nelle ultime ore l'autentica verità era venuta a galla, si era comunque sentito tradito. Da Faith e da sua madre. Quindi sapeva benissimo come ci si potesse sentire e cosa si provasse in circostanze come quella.
   La fiducia è da sempre la cosa più difficile da dare ad una persona e, quando viene a mancare improvvisamente, diventa complicato ripartire da capo.
    Il tempo, forse, era l'unica soluzione che avrebbe potuto aiutarlo.
- Lasciale un po' affinché possa capire ciò che le sta accadendo. In questi giorni è comprensibilmente provata. Troppe emozioni, troppo stress. Una combinazione traumatica che le impedisce di ragionare correttamente su una situazione così delicata.- Finì Chris.
    Max si buttò sullo schienale e sulle sue labbra comparve l'ombra di un sorriso.
- Sei bravo a dare consigli, cugino, devo ammetterlo.-
- Modestamente.- Salmodiò il ragazzo gonfiando il petto. Si alzò e si drizzò la giacca - Ora scusa, Max. Devo andare al lavoro. Non vorrei  fare tardi proprio oggi.-
- Perchè, che giorno è oggi?- Chiese Max incuriosendosi.
 - Giorno di paga. Money!- Canticchiò improvvisando un ridicolo passo di danza.
    Max si nascose il viso tra le mani.
- Vattene da qui, pagliaccio!- Lo intimò scherzosamente.
- Non stare via troppo tempo, signor Ce L'ho Solo Io!- Urlò alzando una mano per salutarlo mentre scendeva le scale che portavano al parcheggio sul retro.
    Max rise guardandosi intorno.
- E intanto il conto lo pago io!-    

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Capitolo 48
*** 48. Crescere ***


Le Ragioni Del Cuore
   
iao a tutti!

Nel pubblicare il nuovo capitolo, ringrazio tutti voi lettori e vi informo che questo sarà l'ultimo prima della pausa estiva!
Vi auguro inoltre buone vacanze e vi aspetto a settembre!
    A presto!

    M arco
 
 
48. C RESCERE

    Da quando si era accorta dell'assenza di Max, quella mattina, Faith non aveva più chiuso occhio. Anche se lui non era in casa, sapeva che si trovava nei paraggi. Dopo tanto tempo trascorso a chiedersi in quale parte del mondo vivesse, ora le riusciva impossibile credere che fosse tornato a Los Angeles.
    Si era rannicchiata sotto le coperte, aspettando che il sonno si appropriasse nuovamente di lei, ma il pensiero fisso su Max continuava a tenerla sveglia. Da quando lo aveva trovato inaspettatamente davanti alla sua porta, ogni cosa sembrava aver preso una piega diversa.
    Certo, zia Becky era morta, ma la sola presenza di Max le infondeva un tale coraggio ed una tale protezione da sentirsi al sicuro come mai in vita sua le era capitato. Neppure in compagnia di Jason avvertiva quella sensazione che provava a pelle e che non era mai riuscita a spiegarsi. D'altronde, la vita le aveva insegnato che non tutto poteva essere esplicato, ma a volte occorreva limitarsi ad una personale interpretazione.
    Sdraiata sul dorso, fissava disinteressatamente il soffitto, quasi a voler scoprire la soluzione dei suoi problemi tra le travi che correvano da una parete all'altra. Le venne in mente la discussione che aveva intrapreso con Max il pomeriggio precedente, mentre stava preparando il caffè per gli ospiti, quando gli aveva rivelato di essere la ragazza di Jason. Le si strinse di nuovo il cuore al pensiero dell'espressione delusa, e allo stesso tempo confusa, che si era dipinta istantaneamente sul volto del ragazzo. Sapere che lui c'era ancora, che era lì per lei esattamente come un tempo, l'aveva fatta sentire un'insensibile. Lui l'amava, ed un'inappropriata esaltazione si era instillata dentro di lei. La stessa esaltazione che la pervadeva ogni volta che il pensiero correva su Max. Avrebbe voluto scacciare dalla sua testa quell'emozione assurda e ingiusta, ma una vocina nella sua mente le impediva di smantellare quel castello fatto di desideri inespressi che andavano ben oltre la sua volontà. Non accettava - o non voleva accettare - il fatto di non avere più alcun controllo sulla situazione. Lei stava bene con Max, doveva ammetterlo, ma lui faceva parte del passato ed era giunto il momento di staccarsi da esso. I ricordi dovevano restare tali e non potevano avere un futuro. Il suo futuro era Jason.
    Ma chi cercava di convincere? Era come se il suo cervello fosse separato in due parti, ognuna con il parere opposto all'altra. Bisognava considerare che anche Jason aveva le sue buone qualità e non le sembrava giusto comportarsi in modo scorretto con lui. Tuttavia non riusciva a non sentirsi colpevole, seppur in minima parte. Il solo aver stretto Max tra le sue braccia, il solo avergli parlato, il solo contatto psicologico con lui, le trasmettevano un senso di tradimento. Alla fine si trattava soltanto di semplici effusioni, nulla di trascendentale, ma in cuor suo sapeva benissimo che c'era dell'altro. Aveva provato naturali ed intense emozioni di benessere, felicità e completezza, e ciò era sufficiente per essersi comportata male nei confronti di Jason. Lui non lo sarebbe mai venuto a sapere se lei non gliene avesse parlato, ma l'idea di essere la sua ragazza e convivere con il rimpianto di un amore non vissuto la uccideva al solo pensiero.
    Seppur in modi diversi, amava Jason e amava Max. Ma, forse, era davvero il caso di dare un taglio al passato.  

    Quel pomeriggio Faith cominciò a leggere il libro che zia Becky aveva lasciato aperto sulla poltrona del salotto malgrado non si sentisse ancora pronta ad intraprendere qualsiasi attività che avrebbe potuto distoglierla dai pensieri degli ultimi giorni. Aveva capito che sarebbe stato controproducente continuare a fissare l'orologio in attesa di Max, così, per curiosità, aveva sfogliato le prime pagine e, dopo aver letto qualche riga, ne era rimasta talmente affascinata da decidere di mettersi comoda in veranda e rilassare la mente per qualche ora.
    Il tempo era decisamente buono e il sole di metà pomeriggio riscaldava l'aria e rendeva meno malinconica quella giornata d'ottobre.
    La ragazza non lesse che pochi capitoli quando un'auto venne ad accostarsi al marciapiedi di fianco alla casa.
    Max spense il motore dopo un breve istante e scese dirigendosi verso l'entrata.
- Ciao, Max.- Lo salutò cordialmente, felice di rivederlo e aprendogli la porta.
- Non resterò a lungo. Sono passato per salutarti.- Replicò lui incerto.
    Lei rimase per qualche istante sconcertata e nella sua mente si materializzò l'ennesimo doloroso addio.
- Che vuol dire? Te ne vai?-
- Vieni.- La invitò ad entrare il ragazzo posandole delicatamente una mano su un fianco.
- Credevo che ti saresti trattenuto un po' di più...- Disse tradendo una nota di delusione.
- Non posso, Faith. Devo tornare in Inghilterra. Hanno bisogno di me ed è già un miracolo che mi abbiano concesso di restare qui un giorno in più.-
- Si. È il tuo lavoro e hai ragione. Probabilmente il bisogno che io ho di te non è abbastanza forte, perciò...-
    A quelle parole, Faith si stupì di sé stessa. Era come se il suo inconscio avesse preso inaspettatamente la parola, rivelando a lei e a Max ciò che realmente pensava di tutta quella situazione.
    Tuttavia Max parve non accorgersi della sua espressione. Aveva voltato la testa verso l'oceano perché guardarla negli occhi in quegli istanti gli bucava il cuore.
- Faith, non travisare ogni cosa.-   
- E allora perché continui a scappare, Max?- Gli domandò con la voce incrinata.
    Il ragazzo rimase in silenzio e Faith lo osservò con le mani giunte in grembo. Sapeva a cosa stava pensando perché era lo stesso a cui stava pensando lei: qualcosa tra di loro era cambiato negli ultimi giorni.
- Che cosa stai leggendo?- Tergiversò Max indicando il libro sul tavolino.
Faith si strinse nelle spalle.
- È un romanzo che ha comprato zia Becky. Sono quasi certa che abbia un lieto fine.- Sorrise dolcemente ricordando la zia, ma comprese immediatamente che quel discorso superficiale serviva soltanto a rimandarne uno più importante - Amava i romanzi a lieto fine. Si faceva consigliare dalle amiche e poi li comprava soltanto se finivano come piaceva a lei.- Fece un sospiro, e guardò Max - Come finiscono le fiabe: tutti felici e contenti per sempre.-
- I lieto fine sono quelli che preferisco anch'io.- Convenne il ragazzo.
- Io no. O meglio,- Si corresse Faith - una volta li preferivo. Poi mi sono resa conto che nessuno vivrà mai felice e contento per sempre.-
- Ti sbagli, invece.- La contraddì lui - La gente ha un disperato bisogno di credere in qualcosa di buono perché la vita è già difficile di per sé. Non c'è motivo di trascriverla nei momenti più dolorosi e più tristi. Penso che chi legge un libro a lieto fine riesca ad accorgersi anche delle piccole belle cose di ogni giorno, quelle che ormai si danno per scontate, ma che fanno sempre parte di noi.-
    Faith scosse la testa.
- Sono le storie tristi che aiutano l'anima a crescere perché sono le più vere. I libri a lieto fine mettono in testa alle persone ideali, illusioni e obiettivi che, nonostante tutti gli sforzi, non riusciranno mai a raggiungere. Guarda noi, Max: il nostro non è stato un finale da fiaba.-
    Max la guardò intensamente, quasi a volerle leggere nell'anima. I suoi sottili occhi verdi riflettevano la luce del sole.
- Non sono io quello che fugge, Faith. Non sono io tra di noi quello che si nega le emozioni, perché è esattamente questo che stai facendo tu adesso. E allora, che cosa vuoi da me? Vuoi che ti porga le mie scuse? L'ho fatto. Non puoi farmi sentire in colpa tutta la vita per un errore che ho commesso.- Osservò con  un misto di tristezza e comprensione nella voce.
- Non voglio le tue scuse, Max. Vorrei solo capire cosa è giusto fare.- Indicò con la mano lo stesso libro di cui avevano parlato poco prima - Vorrei aprire un libro e trovare la risposta che mi serve.- Ribatté in un sussurro.
- Faith, andiamo...- Replicò il ragazzo, intenerito - Conosci già la risposta. Però, ci ho pensato a lungo stamattina e credo sia scorretto forzarti e lasciare a te la decisione. Sono piombato qui con l'intento di rimettere egoisticamente a posto ogni cosa, ma non è così che funziona.-  
    La ragazza alzò lo sguardo, gli occhi umidi.
- Cosa... cosa vuoi dire?-
- Che non intendo rovinare il tuo rapporto con Jason. Non voglio dirti di lasciarlo per me e non voglio che tu mi segua. Ho capito che ti amo al punto che non posso condizionare la tua vita. Non posso andare e tornare a mio piacere, così come non posso obbligarti a rimettere continuamente in discussione la tua vita. Sarebbe da egoisti. Perciò... sei libera, Faith.-
    Faith strinse le labbra, sentendosi quasi mancare. Si rimandò una ciocca di capelli, dispiaciuta e sfinita. Se c'era una cosa che non voleva era di essere lasciata libera. Non in quel momento. Non da lui.
- Sono consapevole,- Proseguì Max a bassa voce - abbiamo avuto il nostro momento, ed io l'ho sprecato.-
    La ragazza non disse nulla, ma avrebbe voluto far uscire dal suo cuore tante parole. Anche se Max sedeva ancora vicino a lei, provò un increscioso senso di abbandono. Aveva chiaramente dimostrato la sua incapacità di lasciarsi tutto alle spalle e di guardare avanti.

Ron Pope “A Drop In The Ocean”
http://www.youtube.com/watch?v=LVsrP9OJ6PA&feature=fvwrel

    Dopo qualche minuto di silenzio, Max diede un'occhiata all'orologio e sospirò.
- Ora devo andare, Faith.-
    Lei annuì e tirò su con il naso tentando di tenere a bada le lacrime che le pungevano gli occhi.
    Il sole stava iniziando a tramontare e i colori intorno mutavano gradualmente di intensità. Un pettirosso volò sul prato davanti alla casa saltellando con fare guardingo, alla ricerca di qualche briciola di pane.
- Credi che un abbraccio sia inappropriato?- Gli chiese Faith alzandosi insieme a lui, con le mani nelle tasche dei jeans.
- No.- Mormorò Max con un debole sorriso.
    Si avvicinarono con decisione, abbandonandosi l'uno contro il corpo dell'altro e, riconoscendo l'esigenza di voler restare vicini ancora per un poco, si concessero qualche minuto. Chiusero gli occhi e respirarono insieme. Si strinsero più forte e, come se gli avesse iniettato una dose d'amore e rassegnazione, Faith udì Max singhiozzare in silenzio. Era palese che anche lui, come lei, avrebbe voluto che le cose fossero state più semplici. Avvertì una lacrima rigarle la guancia e sbatté le palpebre imponendosi di non sprecare quel momento, e di godersi il loro ultimo contatto.
    Ascoltarono i loro cuori battere, desiderando di poter ricominciare dall'inizio, ma, quando si resero conto che non era possibile, le braccia si lasciarono andare quasi contemporaneamente, seppur contro la loro volontà.
- Ci rivedremo a dicembre, al ballo di Lynda, allora.- Le ricordò Max ridestandosi dal torpore e asciugandosi gli occhi con una mano. Sapeva che lei non l'aveva dimenticato.
- Certo. Ci rivedremo a dicembre.- Ripeté Faith, come un automa, ancora confusa dalla situazione.
    Senza pensarci Max si allungò verso di lei e la baciò lievemente sulle labbra.
- Ciao.- Sussurrò.
    Faith alzò una mano piegando la testa di lato, in silenzio. Lo guardò uscire dalla veranda e aprire la portiera della sua auto dopo pochi passi, quindi lo salutò ancora, piangendo.
    Il ragazzo restò un breve istante con lo sguardo fisso su di lei, reprimendo la voglia di tornare dentro e riprovare ogni cosa dal principio. Desiderò tornare alla sera precedente e spalancare la porta della stanza di Faith senza pensarci due volte. Avvertì in sé qualcosa di altrettanto forte che lo teneva sui suoi passi, l'orgoglio forse, o la consapevolezza che ricominciare daccapo non sarebbe stato facile come si poteva credere. Probabilmente non sarebbe bastato l'amore. Era necessario conoscersi nuovamente, analizzarsi con occhi diversi, ricostruire un rapporto con solide basi e ulteriori principi. Lui ce la poteva fare, lo aveva capito fin da quando sua madre gli aveva raccontato della foto, ma non si sentiva di obbligare Faith ad intraprendere un nuovo progetto. E, contemporaneamente, non possedeva la forza per entrambi per poterlo fare. O almeno non adesso, che la scomparsa di zia Becky si sarebbe fatta sentire con il passare del tempo. Ma si augurava che un giorno le cose sarebbero cambiate.
    Salì sull'auto sforzandosi di distogliere lo sguardo da quella ragazza che era rimasta immobile con le braccia conserte sotto la veranda, e si allontanò lentamente immettendosi sulla Ocean Avenue, nella rete di lunghe ombre nere che le palme gettavano sull'asfalto.
    Lungo la strada, la foto nella tasca della giacca sembrava chiamarlo in un disperato e silenzioso grido di supplica, e lui la strinse con una mano quasi a volerla zittire, mentre gocce di malinconia inumidivano i suoi occhi. Per la prima volta nella sua vita, si scoprì ottimista e consapevole della speranza che un giorno entrambi sarebbero stati abbastanza maturi da riconoscere ed accettare il legame che li univa.

    Faith osservò inerme i deboli bagliori del sole riflesso sull'auto che si allontanava, e non si mosse nemmeno quando fu sparita oltre la curva. Restò in attesa, sperando di vederla tornare indietro, nella foschia arancione che richiamava il crepuscolo, e chiedendosi se quegli ultimi giorni non erano stati altro che un sogno.
    Istintivamente, tornò in casa a cercare zia Becky: di certo stava preparando qualcosa di buono per la cena. Ma fu un pensiero che durò meno di un secondo quando, entrando, scoprì la casa piombata nella penombra e la cucina infinitamente vuota. La tavola nuda, il forno spento. Gli ultimi raggi tingevano d'oro scuro ogni cosa. Facendo scorrere lentamente lo sguardo da una parte all'altra della stanza, si rese tristemente conto che non c'era nessuno ad aspettarla.
    Andò sulla porta del salotto. Tutto era immobile, in attesa di qualcosa o di qualcuno. Come per il giro turistico di un museo, percorse il breve corridoio lasciando scivolare le dita su mobili e pareti, toccando oggetti e quadri di una casa che improvvisamente e dolorosamente non sentiva più come sua. Giunse davanti alla camera dove aveva salutato la zia per l'ultima volta e sospirò, con un groppo in gola.
    Affranta, si appoggiò con una spalla allo stipite e ammirò l'ordine freddo ed innaturale che regnava oltre la soglia. Il letto perfetto, le tende perfette, i fiori perfetti. In altre circostanze, Faith avrebbe apprezzato tutta quella perfezione, ma in quel momento avrebbe distrutto ogni cosa dalla rabbia e dalla frustrazione, soltanto per il gusto di dimostrare a sé stessa che non era affatto la bella persona che tutti conoscevano, che sua zia conosceva.
    Il crudele gioco di Dio le aveva fatto perdere ogni cosa, non c'era più nulla per cui valesse davvero la pena credere. Entrò nella stanza, con gli occhi gonfi e arrossati e, presa dalla collera, scagliò il vaso di giacinti sul pavimento, afferrò le coperte e le strappò violentemente dal letto, gettandole per aria. Poi avvicinò le mani al cuscino, intenzionata a squarciarlo, ma si bloccò di colpo, come rinsavita, con i capelli che le ricadevano sul viso umido di lacrime. Il suo sguardo si era posato sul comodino, dove campeggiava la fotografia della zia utilizzata in occasione della cerimonia funebre.
    Prese la cornice tra le dita tremanti, e subito una sensazione di tranquillità e rilassamento le pervase il corpo partendo dalla testa, come un anestetizzante, instillandole un'inspiegabile dose di fede e di speranza. Qualcuno le stava dicendo qualcosa.
    Si sedette a terra con le braccia sul materasso, singhiozzando e stringendo convulsamente la fotografia.
- Grazie, zia.- Sospirò, prima di lasciarsi andare ad un pianto liberatorio.

    Da tre chilometri di altezza, gli occhi di Max saltavano distrattamente da una minuscola stella ad una più grande e luminosa, in cerca di un'ispirazione, di una musica che l'aiutasse a resistere, a salutare una parte del suo cuore che era rimasta a terra.
    Con le punte affusolate e la forma esile, la luna crescente attirò la sua attenzione. Pareva vicinissima, e sovrastava con eleganza i sottili e irregolari stracci di nuvole nere che macchiavano il cielo come inchiostro trascinato maldestramente su un foglio.
    Poi lasciò che il suo sguardo precipitasse, e scorse la grande ruota panoramica e le montagne russe illuminare Pacific Park sulla baia di Santa Monica. Si chiese quanto presto l'avrebbe rivista, mentre l'orizzonte dipinto da un giallo bruciato segnava il termine di un viaggio e l'inizio di un altro.
    Sotto di lui migliaia di puntini luminosi ammiccavano ritmicamente riflettendosi sulla superficie violacea dell'oceano: la Città degli Angeli lo stava a suo modo salutando.     

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Capitolo 49
*** 49. Destino ***


Cap.49                                  Le Ragioni Del Cuore
49. D ESTINO

    - Che ne dici di questo?- Domandò Holly esibendo tutta eccitata un mini abito di strass e nastri argentati.
    Faith alzò gli occhi al cielo per la quinta volta, esasperata. Lei e Holly stavano trascorrendo il sabato mattina a setacciare l'intera Los Angeles alla ricerca di un vestito da sera per l'occasione del ballo di Lynda Shields.
Malgrado Faith ricercasse qualcosa di sobrio e assolutamente elegante, Holly continuava a mostrarle pezzi d'abbigliamento che ricordavano più i minuscoli ritagli di una sarta.
- Holly, lo sai bene che non voglio passare per una spogliarellista.- Commentò paziente lisciando il vestito che Holly teneva appeso alla sua gruccia - Sinceramente, non vedo quale sia la differenza tra “l'indossare questo abito” e “il non indossare affatto un abito”.-
    Holly parve rifletterci su. Lo studiò meglio, lo toccò a lungo valutandone le cuciture e creando nella sua testa chissà quale film fantascientifico.
- Madonna lo indosserebbe senza problemi.- Concluse risoluta, scatenando una risata di Faith.
- Mi sembra anche effimero che io stia qui ad elencarti le differenze tra me e Madonna!- Celiò riponendo l'abito lungo l'asta metallica che contava almeno una cinquantina di pezzi alla moda. Fin troppo alla moda, per i suoi gusti.
    Iniziava seriamente a preoccuparsi: il ballo sarebbe stato a meno di due settimane, e il tempo che aveva a disposizione stava per terminare.
CiCi LaCruise , la titolare della casa di moda per cui lavorava, le aveva da poco proposto una promozione affidandole l'intera organizzazione di una sfilata che si sarebbe tenuta proprio il giorno precedente a quello del ballo di Lynda Shields. Anche se metà del lavoro era già stato svolto, le restavano ancora parecchie cose di cui occuparsi.
    Dopo la morte di zia Becky, Faith si era buttata a capofitto nel lavoro, e le nuove idee di stile che aveva proposto erano piaciute molto a CiCi, che da tempo attendeva l'occasione adatta per promuoverla definitivamente a capo organizzatrice eventi. Fino ad allora si era limitata alla gestione degli invitati e alla collaborazione nella creazione di abiti, perciò il nuovo incarico la eccitava parecchio, oltre che occupare gran parte del suo tempo libero. In poche parole, era ad un passo dal diventare socia di CiCi.
    Scosse la testa al pensiero mentre faceva scorrere distrattamente le dita sugli abiti appesi lungo l'asta.
    Tutto ciò sarebbe stato possibile se lei avesse accettato quella promozione. Aveva deciso di prendersi un po' di tempo per pensarci, e CiCi si era trovata pienamente d'accordo.
- Forse la nuova collezione di Armani è un po' eccentrica...- Bisbigliò Holly richiamando la sua attenzione.
- Vedo che mi hai finalmente capita.- Replicò Faith con un sorriso.
    Uscirono dal negozio, mentre un commesso in giacca e cravatta teneva loro aperta la porta in vetro, e la calma che c'era stata fino a poco prima, svanì velocemente come un miraggio: la città, con l'avvicinarsi delle festività natalizie, piombava nel caos più assoluto.
    Il clima era decisamente mite per essere una giornata di inizio dicembre e, a tratti, anche l'aria pareva tiepida: il tempo ideale per fare quattro passi e scovare oggetti interessanti in curiosi e caratteristici negozietti.
    I marciapiedi erano un continuo tacchettare di scarpe e un assordante vociare di bambini, e la strada un fastidioso rombare di motori.
- Perché non ti porti il vestito che io e Chris ti abbiamo regalato per il compleanno?- Chiese Holly cercando di stare al passo con Faith. Con il cappotto chiaro, i jeans aderenti e gli stivali che le fasciavano armonicamente piedi e polpacci, la sua amica sembrava davvero un pezzo grosso della moda. Un pezzo grosso che camminava più veloce di lei.
    Faith rallentò sgranando gli occhi.
- Scherzi, Holly? Morirò di freddo con quel vestito! È fuori discussione!-
    Holly ansimò.
- Bisogna soffrire per essere belle.-
- Lo dici sempre.-
- E tu non mi ascolti mai!-
    Faith scoppiò in una risata e la prese sottobraccio. Si fermarono sotto il semaforo rosso insieme a tutta la massa di gente che voleva attraversare la strada, e, immediatamente, una rapida successione di taxi e auto sfrecciò davanti a loro senza risparmiarsi dal suonare il clacson o dallo sterzare bruscamente.
    Un autobus rosso e bianco si materializzò davanti a loro pubblicizzando la prémière nei cinema di “Shakespeare in love”, ed una biondissima Gwyneth Paltrow faceva bella mostra di sé lungo la fiancata.
- Non dimenticare che abbiamo appuntamento da Pierre tra un'ora.- Le ricordò Faith attraversando rapidamente la strada a semaforo verde.
- Ho proprio voglia di dare un cambio al mio look!- Esclamò entusiasta Holly - Ma prima abbiamo ancora un po' di tempo per cercare un vestito!-

    Cinque ore dopo, con un nuovo look e le mani piene di pacchetti e borse griffate, Holly e Faith  parevano uscite da Sex and the City. Anche se il sole stava tramontando oltre i cespugli di palme che disegnavano l'orizzonte, il gran andirivieni di persone sembrava non aver fine.
    Le due ragazze passeggiarono pigramente a Mid-City West e decisero di fermarsi al Who's on Third a bere qualcosa.
- Secondo te piacerò a Chris con questo nuovo taglio?- Fece Holly prendendo posto ad un tavolino un po' appartato in un angolo adorno di una leggera tenda color ambra.
    Il locale era più un lounge bar che un normale Cafè: luci basse, musica commerciale che sarebbe stata ben presto superata, arredamento squadrato e lineare dalle tonalità scure, divanetti imbottiti e bassi tavolini decorati con piccole candele che galleggiavano in sottovasi pieni d'acqua.     La riservatezza dei tavoli era accentuata da una serie di piante grasse che componevano graziosi giardini in miniatura, arricchiti da grosse pietre bianche ed esili fontane dal gorgoglio rilassante.
    Non c'erano finestre e il soffitto era nascosto da larghi teli blu appesi a drappi regolari che davano l'impressione di stare dentro ad una tenda indiana.
- Ovvio che gli piacerai!- Esclamò Faith sincera - Sembri una perfetta parigina. Ti dona molto quel taglio corto.-
    Holly si compiacque come un adolescente. Mentre lei aveva radicalmente cambiato il suo look, Faith si era limitata a schiarire i suoi capelli di qualche tono e a raccoglierli in morbidi boccoli che davano risalto al suo viso.
    Ciononostante alcuni ragazzi non toglievano loro gli occhi di dosso da quando erano entrate nel locale. Ad essere corretti, ogni volta che entravano al Who's on Third facevano una strage di cuori.
- Ciao, ragazze! Che vi porto? Il solito?- Le richiamò ad alta voce Kelly sporgendosi dal bancone.
    Le due amiche sorrisero e fecero segno OK con le dita.
- Dunque, Faith,- Iniziò Holly - stai considerando la proposta di CiCi?-
- Credo che prima sentirò cosa avrà da offrirmi Lynda Shields. Poi valuterò.-
- Ma si tratta di Parigi, Faith!- Sottolineò afferrandole le mani - PA-RI-GI!-
    Faith abbassò gli angoli della bocca, incerta.
- Lo so bene, Holly, ma per il momento sto ancora bene a Los Angeles. E inoltre qui c'è Jason. Non posso obbligarlo a lasciare tutto per seguirmi.-
- E allora piantalo qui!- Ribatté Holly senza pensarci. Faith le rivolse uno sguardo di disappunto.
- Cosa devo fare per convincerti che non è poi così male come pensi?-
    L'amica si strinse nelle spalle. Per quanto si fosse sforzata di farselo amico da quando aveva fatto ritorno dall'Isola Che Non C'è, come sosteneva sempre lei, non appena guardava Faith realizzava quanto fossero diversi l'uno dall'altra.
- Lo sai che ti meriti di meglio.- Le mormorò affettuosamente piegando la testa di lato.
- Ma io ho il meglio.- Puntualizzò Faith scuotendo il capo e sorridendo - Sii felice per me, Holly.-
    Kelly, la barista che conoscevano ormai da settimane, si avvicinò al tavolo con due cocktails rosa guarniti con una ciliegia candita infilzata in uno stecchino sospeso sui bordi dei calici.
- Ragazze,- Esordì elettrizzata distribuendo loro le bevande - siete uno schianto così acconciate! Vi invidio un casino! Sappiate che ho il bancone letteralmente inondato della bava di quei tipi laggiù!-
    Entrambe con un'espressione disgustata, volsero in modo automatico gli sguardi in direzione dell'angolo bar.
- Sembrano carini...- Commentò pacata Holly.
    Faith la osservò di sbieco e notò che occhieggiava verso di loro.
- Holly!- La richiamò sbalordita.
- Eh, che sarà mai! Guardare non ha mai fatto male a nessuno. Anzi,- Proseguì la ragazza frugando nella borsetta ed estraendo carta e penna - Kelly, per favore, dai loro il mio numero di cellulare non appena saremo uscite.-
    Prese a scrivere velocemente, noncurante delle occhiatacce sempre più esterrefatte di Faith.
- Holly, sei pazza?- Sibilò.
    Kelly scoppiò in una risata diabolica e Faith alzò preoccupata lo sguardo su di lei.
- Siete due comiche!- Si giustificò Kelly quasi piegata in due, con una mano sulla pancia.
    Prese il vassoio e s'infilò il biglietto in una tasca del grembiule, poi, passandosi teatralmente un palmo della mano dalla fronte al collo, con un'espressione austera tornò al bancone.
- Chris ti ammazzerà.- La intimò Faith puntandole contro un dito accusatorio.
    Gongolando, Holly sorseggiò serafica il suo drink.
- Non crederai che abbia scritto il mio vero numero.- La sua risuonava più come un'affermazione che una domanda, e la bocca di Faith si spalancò.
- Sei proprio incorreggibile.- Affermò scuotendo la testa.

    Decisero di andarsene nel momento in cui il locale stava cominciando a riempirsi di gente giunta sul posto per gustare un aperitivo. Kelly le salutò velocemente ammiccando loro da dietro il bancone, impegnata com'era a preparare drink e stappare bottiglie di vino, e le due ragazze presero le borse con gli acquisti e si rituffarono nel caos del tardo pomeriggio.
    Le temperature erano diminuite ed una folata d'aria fresca le colpì non appena misero piede fuori dal locale. Era incredibile come la confusione che c'era là dentro fosse la stessa all'aperto.
    Con una mano Faith abbottonò il cappotto e si guardò un po' intorno. Le vetrine illuminate a festa, le insegne luminose e i piccoli abeti di Natale lungo le strade rischiaravano a giorno il quartiere, mentre alti palazzi e lucidi grattacieli sembravano reggere un sipario violaceo e sfolgorante.
    Conosceva perfettamente Los Angeles, il posto dove trascende qualsiasi moda, ma ogni volta la ammirava come fosse per lei una continua sorpresa.
- Hai chiamato Max?- Le domandò vagamente Holly.
- Non ancora. Lo sentirò la prossima settimana.-
    Tacque per qualche minuto riflettendo su come sarebbe stato tornare a New York nel periodo natalizio, con Max. Doveva ammettere che si trattava di una situazione alquanto strana: malgrado tutto ciò che era accaduto nell'ultimo anno, si verificavano continuamente una serie di coincidenze che li faceva incontrare.
    Da quando il ragazzo se n'era andato l'ultima volta, lei aveva cominciato ad interpretare come una pausa dalla vita quei pochi mesi che li avrebbero separati. La consapevolezza che di lì a poco tempo l'avrebbe rivisto bastava a darle un certo equilibrio mentale anche se, sull'altro piatto della bilancia, albergava una sensazione di disagio. Jason sapeva tutto ciò che doveva sapere, tuttavia lei aveva calcato sull'importanza di nuove ed importanti possibilità lavorative piuttosto che sulla descrizione del suo accompagnatore, e proprio per questo lui aveva acconsentito a lasciarla andare da sola. Lui si fidava.
    Il loro rapporto si stava approfondendo e, ormai, trascorrevano tutto il tempo libero insieme.
- Io ho sempre pensato che le storie sul destino abbiano un fondo di verità.- Commentò distrattamente Holly, soffermandosi davanti alla vetrina di una gioielleria.
    Faith si fermò al suo fianco e si vide riflessa nel vetro.
- Tu?- Le fece scettica - Non ti credevo così... fatalista.-
    Holly volse uno sguardo sprezzante verso di lei.
- Ma certo, per chi mi prendi? Per una superficialotta?- Sbottò, teatrale.
- No! No di certo! Solo che non mi hai mai parlato di questa tua inclinazione al succedersi degli eventi ritenuto come preordinato e necessario.-
- Si, beh, in un certo senso è da un po' che ci penso.- Confessò, riprendendo a camminare tra la gente.
    Un suonatore di fisarmonica sistemò il berretto sul marciapiede, e Holly estrasse qualche monetina dalla borsetta e gliela diede, ricevendo in cambio un augurio di buone feste.
- Voglio dire, se tu non fossi stata a New York l'anno scorso, non avresti incontrato Max. E se io non fossi venuta con te, non avrei conosciuto Chris. Per farla breve, il fulcro sta nel fatto che se io non ti conoscessi, non starei insieme a Chris. Il destino ha agito perché tu ed io diventassimo amiche, capisci?-
    Effettivamente, il discorso di Holly non faceva una piega. Tuttavia, era chiaro che ci doveva essere dell'altro a completare la sua convinzione.
- Se però pensiamo al tuo caso, dobbiamo tornare molto più indietro con gli anni. Non trovi strano che tuo padre sia stato coinvolto nell'incidente che ha ucciso il papà di Max? E non trovi strano che vi siate incontrati a New York? Voglio dire, ci sono più di sei miliardi di persone su questo pianeta, e un numero elevatissimo di città e paesi. Perchè proprio voi due, e perchè proprio New York, e non, che ne so, Los Angeles, o Venezia, o Città del Capo?-
    Faith dovette tirare un attimo le fila del discorso, perchè quando l'amica ci si metteva, nessuno riusciva più a frenarla e occorreva seguirla molto velocemente nei suoi discorsi.
- Holly, non ti sta fumando la lingua, vero?- Scherzò, titubando, quasi per prendere tempo.
    L'altra ignorò la sua ironia, obbligandola a dare un responso.
- Ok, ammetto che hai ragione su tutto. Ad ogni modo non saprei darti una risposta. Non so proprio come spiegarmelo...-
- Io una risposta l'avrei.- Affermò Holly convinta di ciò che stava per dire - Tu e Max siete destinati a stare insieme.-
- Holly...- cantilenò Faith, stanca di tornare sempre sullo stesso argomento - E non credi che il destino ci abbia fatto avvicinare soltanto per far capire ad entrambi cose del tutto diverse da quelle che pensi tu?-
- Ad esempio?-
    Faith prese un lungo respiro per conferire più importanza alle sue riflessioni che dovevano confutare la tesi.
- Beh, ad esempio può darsi che sia servito a lui per scoprire come sono andati realmente i fatti il giorno dell'incidente, mentre a me ha fatto capire che il ragazzo della mia vita è Jason.-
    Holly scosse la testa.
- Ma tu e Jason non stavate insieme quando Max è apparso nella tua vita. Non ti sei trovata a dover scegliere con chi stare.-
- No, ma se non mi avesse lasciata qui, io non avrei ritrovato Jason.-
- E perchè Max sarebbe tornato e settembre?-
- Per zia Becky.-
- Solo per lei?- La incalzò Holly prendendola per un braccio.
    Faith sfogliò velocemente le pagine della sua mente per ribattere in tempo... ma non trovò alcuna risposta.
- Io credo che la morte di zia Becky sia stata in parte un espediente. Di certo è tornato anche per il funerale, ma forse più per dimostrarti che ha capito di aver sbagliato e che non può vivere senza di te. Lo avrò pur chiamato io, ma alla fine ha deciso da solo di venire da Londra fino a qui. È un chiaro segnale che a te ci tiene.-
    Faith rallentò il passo con Holly sottobraccio, e annuì, come se si fosse resa conto per la prima volta di com'erano andate le cose. Vivendole in prima persona e trovandosi coinvolta emotivamente non si era mai soffermata sul significato degli eventi.
    Holly la fermò e le prese entrambe le braccia, certa di aver colto nel segno e decisa a battere sul ferro caldo.
- Siete destinati a stare insieme, Faith.- Ripeté sempre più convinta - E lo sai anche tu. Sei solo preoccupata di mostrare quella parte di te che ancora lo desidera e che è ancora interessata a lui.-
    Faith volse la testa di lato per sfuggire a quell'inquisizione, i suoi occhi d'un tratto si fecero umidi. Tornò a guardare Holly con un sorriso triste, rimandandosi con un movimento del viso una ciocca di capelli.
- Non è sempre tutto semplice, Holly. Questo non è un film a lieto fine dove tutti sanno cosa succederà loro.-
    Si strinse nelle spalle, scuotendo la testa e sorridendo nervosamente.
- Questa è la vita reale, noi siamo reali, e niente è così facile come si può pensare.-
- Niente è facile perchè la gente si diverte a complicare le cose!- Obiettò Holly, lasciandola andare e riprendendo a camminare da sola lungo il marciapiedi.
    Faith la osservò provando un inaspettato impeto di collera, e la seguì spedita.
- Credi forse che io mi diverta a complicare le cose?- Le chiese cercando di mantenere la calma. Sapeva che l'amica non intendeva infierire e lei non voleva di certo fare una scenata in pubblico. Ma, ogni volta che si parlava di Max, Holly partiva in quarta prendendo le sue difese.
- In un certo senso, si. Hai le risposte davanti agli occhi e non vuoi riconoscerle.-
    Faith tacque riflettendo sulla risposta di Holly.
- Si sta male da morire, Holly,- Replicò dopo qualche passo, con la voce incrinata - quando si viene piantati così all'improvviso per colpe che alla fine non si hanno. Aspetti una vita intera di incontrare quella persona che ti fa sentire viva in ogni momento che passi con lei, e quando ti vedi scivolare via tutto in un attimo, provi rabbia e tristezza. Tutti i giorni ti chiedi se davvero hai sbagliato, come ti saresti dovuta comportare, e non trovi una risposta, non accetti la realtà dei fatti. Finché non te ne fai una ragione, ti rassegni. E allora devi guardare avanti. Non dico di non provare più niente per Max, però mi ha ferito, e non riesco a vederlo allo stesso modo di otto mesi fa. Non ci riesco, mi dispiace.-
    Holly ascoltò attentamente i sentimenti dell'amica dandosi mentalmente della stupida per non averli mai compresi per davvero.
- So quanto ci sei stata male, Faith, credimi. Io ti posso dare il mio parere osservando la situazione dall’esterno, ma nella vita spesso occorre fare delle scelte, perchè non si ha niente per niente. Magari non tutte le svolte sono negative, anche se inizialmente prevedono un passaggio difficile, impegnativo e demoralizzante. Non sono qui per insultare Jason, perchè un motivo c'è se tu stai con lui. Quello che ti sto dicendo è che si vive una volta sola. Non negarti emozioni e non portare rancore, perché è la cosa più brutta che si possa fare. Sii te stessa, senza riserve, e vedrai che ti sentirai bene per davvero. Non capita a tutti di incontrare l'anima gemella, anzi, se proprio vuoi saperlo, qualcuno non la troverà mai. Tu non sai quanto sei fortunata ad averla incontrata. Devi solo accettarlo. Mi fa rabbia vederti sprecare un'occasione così.-
    Faith la guardò con gli occhi lucidi, e le sorrise sollevando un angolo della bocca.
- Forse non sono ancora pronta ad accettarlo. O forse non lo sarò mai.-         Esalò un sospiro di rassegnazione - Forse io e lui abbiamo tempistiche diverse, non lo so … -
- Sei tu ad avere il potere sulla tua vita, Faith. Fai ciò che davvero ti senti di fare, ciò che il tuo cuore ti suggerisce. E sarai felice.- Le consigliò Holly stringendosi le mani al petto per dare più enfasi alle sue parole.
    Si fermarono nei pressi di un piccolo spiazzo lastricato, incuriosite da un modesto gruppo di persone radunate disordinatamente ad ammirare un grande abete come in attesa di un importante evento.
    Decorato con stelle d'argento e palline blu che riflettevano le luci dei negozi intorno, l'albero era il protagonista inaspettato dell'intero quartiere, con la sua punta che svettava esile, pungendo il cielo bluastro.
    Dopo pochi attimi il pino si illuminò, e i bambini sussultarono felici, rapiti da quell'improvvisa esplosione di luci che avvolgeva ogni cosa e instillava nel cuore una sensazione di allegria e di amore.
    Anche le due ragazze lo osservarono lasciandosi prendere dal buonumore, e, ripensando al discorso sul destino, Faith si commosse.
- Qualcosa mi dice che non ti rassegnerai tanto facilmente, vero?- Chiese ad Holly senza distogliere lo sguardo dall'albero di Natale.
    L'amica mugugnò.
- No, credo di no.- Rispose allungandosi per darle un affettuoso bacio sulla guancia.

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Capitolo 50
*** 50. Miracolo Di Natale ***


 Le Ragioni Del Cuore


50. M IRACOLO DI NATALE


    La sera della sfilata arrivò e passò in un batter d’occhio e fu, con sua sorpresa, un gran successo per Faith. Molta gente più o meno nota del jet-set della moda andò a complimentarsi con lei al termine dell’evento, e la stessa CiCi, che aveva assistito allo spettacolo comodamente seduta in prima fila, le aveva ammiccato standosene in disparte per permetterle di godersi appieno quei meritati momenti di gloria.
    Faith si sentì orgogliosa e soddisfatta come non si sentiva da tempo. Avrebbe voluto vivere attimi come quelli per tutta la vita, ed ora che era perfettamente convinta della strada che avrebbe voluto seguire, le stava per essere proposta un’offerta interessante dall’altra parte del continente.
    Lynda Shields, il sogno inseguito da tutta una vita, le stava inaspettatamente aprendo le porte.
    Mentre ammirava i coriandoli argentati che ancora fluttuavano nei potenti fasci di luce emanati dai fari colorati, si chiese se anche quello non fosse stato tutto scritto dal destino già molto tempo prima.
    Avvertendo una strana malinconia prenderla allo stomaco, rabbrividì nel suo lungo abito blu che la fasciava perfettamente in vita lasciandole la schiena scoperta. Si guardò intorno e in un istante ogni cosa le sembrava già lontana, un piccolo mondo che non le apparteneva più. Dietro di lei poteva ancora udire gli schiamazzi e le risate spensierate delle modelle che, fino a mezzora prima, avevano circolato isteriche per tutti i camerini alla ricerca di una spazzola o di un rossetto, per quanto Faith si fosse impegnata ad organizzare ogni minimo dettaglio. Non era difficile rendersi conto di come fosse impossibile gestire più di settanta modelle urlanti, stipate in cento metri quadrati. Fortunatamente lo spazio era stato insonorizzato e reso indipendente dalla passerella.
    Ad aver contribuito a dare maggior successo alla serata era stata un’idea vincente che le era balzata in mente sfogliando una rivista di moda. Attraverso una rubrica per le lettrici aveva appreso quanto fosse elevato l’interesse verso il mondo delle passerelle di ragazze comuni che professionalmente non avevano nulla a che vedere con quella realtà.
    Così aveva colto l’occasione di riservare un’area del padiglione a tutte le persone che ne nutrivano un certo interesse, permettendo loro di accedere alla sfilata senza bisogno di dover presentare l’invito che solitamente era riservato ad un pubblico di una certa levatura e importanza.
    Il risultato era stata un’invasione di donne di ogni età che avevano assistito a bocca aperta e con gli occhi colmi di meraviglia allo sfilare di capi d’alta moda.
- Avresti dovuto sfilare anche tu, Faith.- Commentò una voce alle spalle della ragazza.
    Faith sobbalzò sovrappensiero. Si volse, reggendo in mano alcune orchidee e ringraziando la donna molto elegante che le veniva incontro lentamente, con passo incerto.
- Si figuri, io non sarei in grado di fare cinque passi di fila su quei trampoli e…- Si bloccò non appena ebbe riconosciuto quel viso così curato e composto.
- Addison…- Mormorò con il cuore che prendeva a martellarle nel petto per un inspiegabile motivo - Che ci fai qui?-
    Addison, vestita di un sobrio tailleur grigio ghiaccio, non somigliava affatto alla donna che Faith aveva conosciuto in Ohio qualche mese prima. I capelli, in parte raccolti e in parte liberi di caderle sulle spalle, erano lisci e di qualche tono più chiari, e le conferivano un aspetto più giovanile. Nel suo viso la ragazza riconobbe alcuni tratti che le ricordavano Max in maniera impressionante: il taglio sottile degli occhi, lo stesso modo di curvare le labbra verso l’alto, tutti particolari che si erano impressi nella sua mente e che non si erano mai cancellati.
- Ci tenevo a scusarmi personalmente con te, Faith. Ti ho spinta a dover confessare tutto a Max contro la tua volontà, e poi ho scoperto che tuo padre non ha alcuna colpa.-
    Faith rimase immobile, come impietrita.
- So perfettamente che tra te e Max ora non c’è più niente, ma ho fatto troppi sbagli nel corso della mia vita e vorrei poter rimediare, per quanto mi è possibile.-
    Addison si stringeva le mani evidentemente rammaricata, e Faith provò tenerezza. Malgrado tutti i suoi errori, era certamente una persona buona e dotata di grande acume, che la vita aveva deciso di punire ingiustamente portandole via il marito e, per poco, anche il figlio. Erano così uguali lei e Max, sempre pronti a voler rimediare a tutto, sempre pronti a saper riconoscere le loro colpe.
    Faith non la lasciò terminare e, senza pensarci, l’abbracciò come fosse stata sua madre. Quello era uno di quei momenti in cui il silenzio valeva più di mille scuse e mille dispiaceri. Restarono strette nel fascio di luce finché alcuni uomini entrarono dagli ingressi laterali, pronti a smontare tende e palcoscenico.
- Grazie per essere venuta fin qui soltanto per dirmi questo, Addison. Lo apprezzo molto, davvero.- Sussurrò Faith avvertendo un grande calore nel cuore. Si staccò da lei e la guardò sorridente, donandole un’orchidea e baciandola sulla guancia.
- Non devi spiegarmi niente. Ho capito tutto.- La rassicurò, ed Addison le ricambiò il sorriso - Sei una donna meravigliosa, e Max è fortunato ad averti come madre.-
    Indugiò qualche istante, abbassando gli occhi brillanti sui fiori - Vorrei che fossi anche la mia.-

    Addison si portò le mani al petto, rinfrancata da quelle belle parole, e le fece una carezza.
- Non è possibile portare rancore in eterno. Io non sono fatta così, e penso sia sempre meglio chiarire ogni cosa prima di chiudere definitivamente una porta.- Spiegò Faith - Chiunque ha il diritto di chiedere scusa, in fondo. O, almeno, a me piacerebbe che venisse offerta la possibilità di spiegare i motivi che mi hanno spinto a comportarmi in un determinato modo.-
    In quell'istante ripensò a suo padre. Dopo tutto ciò che gli aveva rimproverato e tutte le cattiverie proferite, provava vergogna per sé stessa a doverlo incontrare. Avrebbe voluto parlargli, chiedergli perdono per aver dubitato della sua onestà, ma lui? Lui era pronto ad offrirle la possibilità di chiedere scusa? E lei era pronta ad intraprendere un normale rapporto con suo padre?
- Tua madre sarebbe fiera di te, ne sono sicura.- Mormorò Addison - E anche tuo padre.- Aggiunse come leggendole nella mente.

    Rimasero a parlare pochi minuti nei quali Faith le raccontò del ballo di Lynda al quale avrebbe partecipato il giorno successivo, quindi la ragazza si congedò.
    Una volta in taxi, un sorriso le spuntò inaspettato sul volto mentre, attraverso il vetro umido, osservava la città luminosa scivolare al suo passaggio, sotto una notte senza stelle.
Era tempo di lasciarsi indietro paure e incertezze. Era tempo di agire.

    Il taxi si fermò proprio davanti all'ingresso del carcere. Faith pagò la corsa, chiese all'autista di aspettarla qualche minuto, e scese dall'auto stringendosi la cintura del lungo cappotto nero. Sapeva di essere ben oltre il limite dell'orario di visita, ma sperò nel buon cuore del poliziotto che sedeva al centralino all'ingresso.
    Non appena la vide avvicinarsi, l'uomo si alzò in piedi incuriosito, posando la tazza di caffè sulla scrivania.
- L'orario per le visite è finito da un pò, signorina, mi spiace.- La informò indicando l'orologio alle sue spalle.
- Oh,- Fece Faith scostandosi una ciocca di capelli dietro un orecchio - mi dispiace tanto, ma... non potrebbe fare un'eccezione? È davvero importante, vorrei vedere mio padre, Brian Harrington, perchè domattina partirò presto per New York e ...-
- Sono spiacente, signorina.- Ripeté impassibile il poliziotto.
- Per favore... le chiedo cinque minuti soltanto...- Continuò Faith tentennando, con la voce calma e dolce.
- Non posso farla entrare. Se lei entra, io vengo buttato fuori.-
    Faith abbassò gli angoli della bocca, rammaricata della sua richiesta.
- D'accordo. Le auguro buone feste, allora.- Disse rassegnata, con gli occhi tristi.
    Il poliziotto la osservò incamminarsi verso il taxi con le mani in tasca, e avvertì un istantaneo dispiacere al cuore. L'espressione di quella ragazza lo aveva intenerito, così la richiamò proprio mentre si si stava apprestando a risalire in macchina.
    Faith si voltò stupita, si avvicinò titubante al vetro che la separava dall'uomo, e ascoltò cos'aveva da dirle.
- Vada sul retro, senza farsi notare, e raggiunga il reticolato vicino al campo da basket. Mi inventerò una scusa e le manderò suo padre, ma mi raccomando: cinque minuti soltanto. Intesi? O domattina dovrà portarmi con lei a New York per trovarmi un nuovo lavoro.-
    Faith gli sorrise.
- Grazie. È molto gentile.-
- Si figuri. Ora vada e si ricordi le mie istruzioni. CINQUE minuti.-
- Va bene.- Annuì strizzandogli un occhio.
 
   Deborah Lurie “Final Letter”
http://www.youtube.com/watch?v=M3QL0Jn7SQc
    - Faith, santo cielo, che ci fai qui? È notte fonda, e fa freddo...- Disse Brian allarmato non appena la vide delinearsi nel cono di luce del faro sovrastante.
- Ciao, papà.- Lo saluto semplicemente lei.
- Va tutto bene?- Le chiese in tono apprensivo. Aveva gli occhi assonnati e i capelli spettinati, ma si dimostrava gentile, ed inoltre era contento di vedere sua figlia, anche in quell'inusuale circostanza.
- Si, si, certo, va tutto bene.- Lo guardò con gli occhi lucidi. Era consapevole che Brian avesse intuito che stava per dirgli qualcosa di importante, ma era incapace di emettere una sola parola. Non voleva cadere nel ridicolo, esprimersi in frasi prive di senso o cose già dette.
- Cosa c'è, Faith? Non capisco se non mi parli.- La pregò preoccupato il padre, poggiando le mani sul reticolato, come a voler abbracciare la figlia e rassicurarla.
    Faith scosse la testa, il naso arrossato per il freddo.
- Mi... mi dispiace, papà.- Sussurrò stringendosi nelle spalle - Non so cosa mi sia preso quel giorno, ero arrabbiata, delusa, osservavo impotente la mia vita andare a rotoli, e me la sono presa ingiustamente con te.-
- Faith, non devi scusarti. Non occorre.-
- Zia Becky è morta, lo sai?- Gli domandò imbarazzata, cambiando argomento.
    Gli occhi di Brian si fecero comprensibilmente languidi.
- Lo so. Ma avrei preferito che fossi stata tu a dirmelo.-
- Domattina partirò per New York, ma ho voluto venire qui per sapere una cosa che per me è importante.-
    Suo padre rimase in ascolto, stringendo le labbra.
- Mi vuoi ancora bene?- Gli chiese Faith dopo qualche istante, evitando di guardarlo negli occhi.
- Non ho mai smesso di volertene.-
    Lei allora posò lo sguardo nel suo e una lacrima le scivolo lungo una guancia. Con una mano toccò le dita del padre attraverso la rete, e lui la strinse.
- Io ci sono sempre per te, Faith, non devi dimenticarlo. Non mi importa di ciò che è stato detto e fatto. La cosa che non potrà mai cambiare è che tu sei sempre mia figlia. La mia bellissima figlia.- Precisò Brian - Tra non molto sarò fuori di qui e potrò prendermi cura di te. Voglio recuperare tutto il tempo perso. Me lo permetterai?-
    Faith sorrise strofinandosi il naso con l'altra mano. Scoppiò in un sospiro di liberazione e sollievo, grata a suo padre per averla perdonata.
- Non desidero altro, papà.- Rispose piegando la testa di lato - Ti voglio bene.-
    Qualche attimo dopo si udì un uomo tossicchiare dietro di loro, nell'ombra, e Brian si voltò.
- Oh, certo,- Fece Faith asciugandosi il viso con un fazzoletto - Purtroppo il nostro tempo è scaduto.-
- Divertiti, Faith. Passa un buon Natale.- Le augurò il padre.
    Lei fece per andarsene e, dopo alcuni passi, si girò.
- Ti aspetto a casa, papà.- Gli ricordò, sollevando una mano per salutarlo.

    Lungo il marciapiede si sentì cogliere da un senso di leggerezza. Trovava stupendo come la sua vita stesse prendendo una piega diversa, dopo il dolore patito per la perdita di zia Becky. Pensava ancora molto a lei, ed era consapevole che nessuno avrebbe potuto sostituirla, nemmeno suo padre. Però sapeva anche che le occorreva riempire i suoi giorni a venire con nuove persone, nuovi obiettivi, nuove speranze, e che non tutto il male era avvenuto per nuocere, ma aveva contribuito a suo modo a prepararla alla sua esistenza futura. Non era mai tardi per ottenere nuovi spazi e nuove possibilità.
    Notò una lattina schiacciata sul ciglio del marciapiede, e la evitò con noncuranza. Poi le balenò in testa un'idea e tornò sui suoi passi. Puntò un bidone dell'immondizia dall'altra parte della strada, si guardò un attimo intorno prendendo la mira, e diede un calcio secco alla lattina, che andò a finire dritta tra i sacchi neri e lucidi ammucchiati all'interno.
    Alzò le braccia entusiasta in segno di vittoria, soddisfatta del suo tiro, ma soprattutto contenta di come stavano andando le cose.
    Non era una leggenda, pensò: il miracolo di Natale esisteva per davvero.


R
isposte alle Recensioni


C iao a tutti i lettori! Stavolta ho deciso di rispondere alle recensioni alla fine del capitolo, per non farvi perdere ulteriore tempo!
    Non posso che darti la mia piena ragione, Clarita. Oggi l'amore fa paura. Ci si lascia condizionare fortemente dal parere dell'altra gente, e chi è facilmente influenzabile, spesse volte preferisce rinunciare ad essere felice, pur di far contenti gli altri, che egoisticamente non si rendono conto di essersi imposti su di noi con i loro pareri apparentemente giusti, forse per volerci proteggere, ma senza pensare alla nostra autentica serenità. Per questo motivo il coraggio viene a mancare. Viviamo in una società impostata su canoni che non ci consentono di potersi realizzare, ma che ci cresce e modella secondo le sue regole.
    Occorre solo rendersi conto che non si ha niente per niente se non ci si impegna e non si prova a comprendere il vero significato di “felicità”. Ci saranno sempre degli ostacoli, è così che si diventa “grandi” e si capisce cosa è giusto per noi, e quando lo si capisce, è necessario farlo presente a chi ci vuole bene. Io credo sempre che sia il cuore a parlare, e non la mente. Lasciamo entrare nel nostro cuore la persona che riesce ad aprire le ali e a volare stando al nostro passo, mai dietro o davanti a noi, ma l'uno in fianco all'altro, altrimenti non potrà mai funzionare. Solo così scopriremo di essere felici per davvero.
    Ti mando un saluto, Clarita. E grazie per i tuoi bellissimi complimenti. :)


MM     

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Capitolo 51
*** 51. Un Anno Dopo ***


                                 Le Ragioni Del Cuore
51. U  N ANNO DOPO

   Dopo un tranquillo volo di quasi cinque ore, l'aereo di Faith atterrò a New York City nel bel mezzo di una tempesta di neve. Le previsioni meteorologiche, una volta tanto, ci avevano azzeccato, ma fortunatamente la bufera si era scatenata soltanto negli ultimi dieci minuti, proprio durante la fase finale delle manovre d'atterraggio.
  Una volta scesa dall'aereo, la ragazza afferrò il suo bagaglio, uscì dall'aeroporto e si fece accompagnare da un taxi all'hotel in cui aveva prenotato, il Casablanca, situato proprio nei pressi di Times Square. Non era affatto stanca, ma non poteva uscire anche solo per fare una passeggiata e godersi l'atmosfera natalizia, poiché l'abbondante nevicata sembrava non dare tregua alla città.
    Si accontentò di socchiudere la finestra per alcuni istanti e osservare incantata quel cumulo di ferro, acciaio e vetro che si ergeva davanti a lei in migliaia di abitazioni, palazzi societari e grattacieli infiniti, ricoprirsi in modo uniforme di un candido velo bianco. Era sempre una magia sorprendersi davanti a New York sotto la neve di dicembre. I fiocchi si materializzavano dal grigiore del cielo per poi posarsi disordinatamente su qualsiasi superficie piatta, mentre lunghe catene di luci colorate ammiccavano riflettendosi nelle vetrine e nelle pozzanghere lungo la strada. Ogni rumore risultava ovattato, e ci si sentiva al caldo e al sicuro nell'ammirare quello spettacolo stando dietro una finestra.
    “Ecco un buon motivo per tornare a New York”, realizzò Faith.
   Dopo aver telefonato a Jason per dirgli che tutto era filato liscio, accese la televisione e si sdraiò sul letto. L'ora di punta si stava avvicinando, e il brontolio allo stomaco le ricordò che non aveva mangiato nulla prima di partire, quindi decise di farsi portare qualcosa in camera.
Il menù del giorno, accuratamente scritto su un foglio adagiato sul comodino, prevedeva pollo in insalata, patate al forno e macedonia di frutta tropicale con mandorle. Al solo pensiero, l'appetito di Faith aumentò considerevolmente.
    Afferrò la cornetta e ordinò il pranzo con l'aggiunta di una bottiglia di succo di mirtillo e un po' di the caldo. Il cameriere le garantì la consegna entro un quarto d'ora, e Faith sentì salirle l'acquolina in bocca.
   Per distrarsi durante l'attesa, provò a concentrarsi sul dibattito politico trasmesso dalla NBC Channel, incentrato per l'ennesima volta sullo scandalo del sexgate che aveva coinvolto Bill Clinton.
   Da quando nell'estate precedente la rivelazione di una sua relazione con la stagista aveva provocato un vero e proprio scandalo, il Presidente si era rifiutato costantemente di ammettere la verità, e il suo comportamento era stato utilizzato dai suoi avversari politici per ottenere la procedura di impeachment, con le accuse di falsa dichiarazione giurata e di intralcio alla giustizia.
Riuscito ad evitare le dimissioni grazie al giudizio del Senato, Clinton aveva proseguito nella sua amministrazione, e le maggiori testate giornalistiche del momento avevano annunciato che gli Stati Uniti erano pronti per un nuovo e massiccio intervento militare in Iraq.
Non che Faith fosse molto interessata alla politica, ma aveva idee ben precise su argomenti come la guerra in Iraq, appunto, l'imminente riforma sanitaria proposta dalla first lady, o la promozione di leggi concernenti l'adozione e l'immigrazione.
   Fortunatamente, le Nazioni Unite si stavano impegnando a far desistere il Presidente dall'inviare ulteriori truppe in quella che pareva essere una guerra non solo senza fine, ma priva ormai di ogni senso logico, che aveva come scopo un continuo ed inutile spargimento di sangue. Il mondo non poteva e non doveva più accettare la perdita di ragazzi così giovani che andavano incontro alla morte soltanto per tenere alto l'onore dell'America.
    La diretta televisiva mandò uno stacco pubblicitario e la ragazza passò in rassegna diversi canali prima di capitare su una replica di FRIENDS, dove si soffermò distrattamente per qualche minuto.
    Senza alcun collegamento, il pensiero corse a qualche sera prima, quando Jason le aveva regalato l'anello di fidanzamento.
  Il ragazzo l'aveva invitata fuori a cena con l'espediente dell'imminente promozione professionale di Faith, e aveva organizzato una serata davvero speciale e carica di romanticismo.     Al momento del dolce, le aveva fatto la proposta, e per poco lei non era svenuta per lo stupore. Non aveva raccontato nulla di quella serata nemmeno a Holly per timore di una sua reazione esageratamente negativa, e si era tenuta dentro tutte le sue emozioni. Nell'arco di pochi mesi quella era la seconda volta che un uomo la chiedeva in sposa.
    Inevitabilmente il pensiero si spostò su Max. Si volse verso l'orologio appeso alle sue spalle e constatò che ormai mancavano poche ore al suo arrivo da Londra. Un'inaspettata frenesia e il senso di vuoto allo stomaco che ormai conosceva bene la misero in agitazione, e rimase seduta sul letto per qualche minuto chiedendosi che cosa stesse facendo in una stanza d'albergo, a New York pochi giorni prima di Natale, e completamente sola. Sola e con tutti i pensieri concentrati sull'unica persona al mondo a cui non avrebbe dovuto pensare.
    Perchè non riusciva a toglierselo dalla testa? Perchè Holly e i suoi discorsi continuavano a tormentarla? Più si sforzava di non pensarci, e più i suoi mostri si facevano sentire urlando e sbattendo contro le porte del suo inconscio, disposti a tutto pur di uscire. Ci aveva riflettuto con maggiore frequenza man mano che il giorno del ballo si era avvicinato, ma senza riuscire a darsi pace. Questo conflitto interiore la demoralizzava, aumentando il senso di inadeguatezza nelle relazioni interpersonali, e lei aveva osservato i suoi problemi come se non fossero affatto stati di sua competenza. Ciò aveva funzionato nei primi tempi in cui, completamente presa dagli impegni di lavoro, continuava a rimandare il momento del confronto con la questione. Le perplessità intanto ristagnavano, bollendo in un calderone che pareva non avere fondo e pronto ad esplodere non appena lei avesse abbassato la guardia. I mostri stavano lì, e lei non solo non sapeva come farli uscire, ma non ci rifletteva nemmeno.
    L'aiuto di Holly poteva servire, ma fino ad un certo punto: il parere dell'amica era troppo soggettivo e di parte. Le occorreva qualcuno di imparziale che l'aiutasse a risolvere i suoi dubbi e le esplicasse tutto quel tormento interiore che persisteva a procrastinare.
    O forse sapeva già da cosa aveva origine e cosa avrebbe dovuto fare, ma ancora non se ne rendeva conto. L'unica cosa certa era che Max le aveva sconvolto la vita più di quanto avesse mai  immaginato.

    Approfittando di qualche fievole raggio di sole, dopo pranzo uscì per fare due passi. Faceva freddo, ma l'atmosfera della metropoli rapiva, affascinava, atterriva al punto da dimenticarsi delle temperature.
    Provò ad immaginare a come poteva essere la città in primavera, con i prati verdi di Central Park e i suoi alberi frondosi carichi di uccellini e di farfalle. Era chiaro e risaputo che New York cambiasse continuamente aspetto. Questo suo periodico rinnovarsi la rendeva un luogo unico ed inimitabile. La sua gente, i suoi palazzi, i suoi odori appartenevano esclusivamente a lei, in un'inspiegabile e bizzarra coesione di colori e tradizioni.
    Anche se c'era stata soltanto due volte, Faith notò immediatamente le differenze di stile, e si scoprì nuovamente più piccola.
    Los Angeles era una città molto meno caotica sotto certi aspetti, e non mostrava né possedeva quella vistosa sorta di incombenza e prepotenza che vestiva New York di orgoglio e di fascino.
    Le bandiere adorne di stelle esposte in ogni angolo riempivano l'aria di un insuperabile senso di patriottismo e di appartenenza ad una grande famiglia, sottolineando un punto saldo e intramontabile della politica americana.  
   Lungo la strada decine di uomini abbigliati da Babbo Natale suonavano i campanacci per attirare  le persone all'interno di negozi, grandi magazzini o semplicemente per chiedere un'offerta in favore dei bambini bisognosi.
    La città semi-paralizzata dalla neve era un groviglio disordinato di persone che si affrettavano senza guardarsi in faccia, ognuna persa nei propri pensieri, nei propri progetti. Ognuna ansiosa di arrivare il più presto possibile alla meta predestinata.
   Faith si sentiva sollevata: non aveva alcuna fretta, i regali di Natale erano già incartati, i biglietti di auguri già spediti. Stava entrando in un locale pregustando con la mente una bella tazza di cioccolata fumante quando udì il suono che l'avvisava dell'arrivo di un SMS sul suo cellulare: Max la informava che era atterrato da poco e la aggiornava circa l'orario in cui avrebbero dovuto incontrarsi all'Astor Palace.
   Faith avvertì di nuovo montare l'agitazione e si obbligò a rimanere calma. Le restavano più o meno cinque ore prima della cena, così, dopo aver ordinato la cioccolata, programmò velocemente i suoi prossimi movimenti. Non che avesse avuto tanto da fare, ma teneva particolarmente ad organizzare ogni cosa nel minimo dettaglio. Le infondeva una sensazione di ordine e di sicurezza, oltre che farla sentire a proprio agio e non completamente in preda agli eventi.

    Snow Patrol “New York”
    http://www.youtube.com/watch?v=Ytlz0rWantI
  
    Uscendo dal Kennedy, Max fu investito da una valanga interminabile di ricordi che si stampò con violenza davanti ai suoi occhi e che non riuscì a togliersi di dosso in alcun modo. C'era qualcosa di arcano in quella città coperta di bianco che gli riaprì all'improvviso una porta spazio-temporale sul passato senza dargli modo di fuggire lontano da un flusso di memorie che avrebbe tanto preferito evitare. Camminando perplesso lungo il marciapiede, si fermò davanti ad una vetrata resa umida dal freddo, e impiegò parecchi istanti a riconoscersi nell'uomo riflesso.
    Era passato un anno dall'ultima volta che era stato a New York, e si ritrovò inconsciamente a fare un bilancio degli ultimi dodici mesi. Il tempo pareva gli fosse scivolato di mano, talmente tanti e strani erano stati gli avvenimenti che avevano stravolto la sua intera esistenza. Ciò che credeva vero si era rivelato non esserlo, e faticava tuttora a comprendere gli eventi incredibili che avevano caratterizzato quell'anno. Desiderò tornare indietro nel tempo, rifare ogni cosa, forse meglio, rimediare ai suoi errori, recuperare i giorni persi con quella che avrebbe dovuto essere la sua anima gemella. Era buffo pensare a come occorresse il Natale per far riflettere le persone su ciò che avevano perduto, o su ciò che si erano obbligati a lasciarsi alle spalle, convinti ciecamente che sarebbe stato tutto uno sbaglio seguire i propri sentimenti. Perchè sono i sentimenti l'unica forza in grado di cambiare il mondo, ma in pochi ci credono, o peggio ancora, in pochi lo sanno.
    Ogni fine anno, quasi per ripulire il mondo dalla cattiveria, dall'egoismo e dalla sfiducia, l'idea dell'arrivo di un periodo di quiete rendeva tutti più propensi a fare un esame di coscienza, a ripensare a ciò che si era sbagliato nei mesi precedenti, a tentare di porvi rimedio, in un modo o nell'altro. A chiedere scusa per i torti e i dolori causati, e a possedere la forza di perdonare. Chi riusciva nell'indulgenza, nonostante le ferite del cuore, ne usciva vincitore e poteva affermare di sentirsi più sollevato e in pace con la propria anima. Era però necessario che fosse un dovere bilaterale, o non avrebbe avuto alcun senso.
    Nessuno doveva essere infelice a Natale, eppure Max aveva un profondo buco nel cuore che desiderava soltanto essere riempito di affetto dalla persona che amava, e che lui aveva scioccamente lasciato andare, accecato dalla rabbia e dall'orgoglio. Soltanto alcuni mesi dopo era riuscito a realizzare quanto aveva perso. Erano rare le volte in cui, durante la vita, capitava la fortuna di incontrare persone davvero straordinarie, autentiche e in grado di valorizzare i difetti trasformandoli in virtù. Persone capaci di riempire le giornate degli altri con un semplice gesto, una parola gentile, un'emozione vera, in sorriso o una lacrima di affetto, e che entravano nel cuore in punta di piedi. E lui se l'era lasciata scappare.
    Quante probabilità aveva di trovare un'altra ragazza come lei con i tempi che correvano?
   L'uomo che stava osservando riflesso non era altro che una versione afflitta di se, quasi un affronto alle allegre luci che decoravano l'ambiente circostante. Dagli occhi che perforavano quel vetro traspariva la tristezza per gli errori commessi, lasciati troppo a lungo in un angolo e senza rimedio; il viso aveva perso la sua naturale freschezza; la fronte corrugata e l'impronta di un sorriso che ora faticava a ricomparire gli conferivano un aspetto malinconico.
    Quasi per caso, si accorse di due giovani innamorati che si stavano abbracciando forte sotto la neve, vicino all'entrata dell'aeroporto. Lei in punta di piedi, lui con il viso affondato nella sua sciarpa di lana, sembravano le uniche persone in tutta la città. Rimasero così per un tempo che agli occhi dell'altra gente doveva sembrare infinito. C'era una magica sintonia in quell'abbraccio e, quando si separarono, Max vide che il ragazzo piangeva in silenzio, segno che la lontananza dalla sua fidanzata non sarebbe stata a breve termine, e una burrasca di emozioni gli si riversò nel petto.
    Una folata di aria gelida lo riattivò bruscamente provocandogli un brivido, e con rammarico realizzò di aver dimenticato la sciarpa sull'aereo. Il male minore.
    La ragazza aveva preso il suo aereo, il ragazzo, diventato una sagoma indistinta tra la folla, stava scomparendo, ma l'immagine dell'uomo nel vetro era mutata. Un debole, dolce sorriso iniziava a fare capolino sul suo viso.
    Era la consapevolezza che non tutto era perduto e che chiunque è autore del proprio destino.

  Attraverso la grande finestra decorata con il vischio e alcune palline in vetro soffiato, Faith guardava la gente passare con i regali sottobraccio. La cioccolata e le musiche di Natale in sottofondo erano riuscita a metterla di buon umore e calmarla, così si rivestì e si ributtò tra la gente con lo spirito rinnovato.
    Passando a Times Square notò che gli operai si stavano dando da fare per rendere memorabile ancora una volta il Capodanno newyorchese, con la discesa della grande sfera luminosa dalla Times Tower, a mezzanotte del 31 dicembre, e l'esplosione di centinaia di fuochi artificiali.
  Migliaia di bigliettini con scritti i desideri e le preghiere dei cittadini americani sarebbero fluttuate nell'aria della notte come una pioggia di coriandoli colorati.
  Quelle di Bruce Springsteen, Celine Dion e Brian Adams erano solo alcune delle voci in programma per la serata più magica dell'anno, che avrebbe celebrato l'amore, la speranza, il perdono, e spalancato le porte al 1999.

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Capitolo 52
*** 52. Notte Infinita - Parte Prima ***


                                 Le Ragioni Del Cuore
R ISPOSTA ALLE RECENSIONI

    Ciao Clarita! Sono d'accordo con te in ciascun passaggio della tua recensione, ma, sebbene mi sia chiesto il “perchè” degli eventi che ci accadono, molte volte non riesco a trovare una risposta. Forse solo il tempo aiuta ad arrivarci, chissà...
    Il destino spesso ci gioca strani scherzi, e concordo che è bello ogni tanto lasciarsi andare, magari perchè siamo attirati dall' ”effetto sorpresa”, e dal lasciare che le cose scorrano coprendoci di spontaneità.
    Per fare un'esame di coscienza, invece, io non aspetto l'ultimo giorno dell'anno, ma più o meno lo faccio ogni ventiquattrore! Ormai resta ben poco del mio cervello che sempre macina e macina! Sono fatto così, purtroppo, ma è sempre meglio pensarci che non pensarci affatto. La maggior parte della gente non lo fa, non si fa alcun genere di domanda, e sta bene al mondo, ma non so dove arrivi quanto a intelletto! Perchè chi se le pone almeno cerca di risolverle, no?
    Riguardo a New York: non si è materializzata davanti ai miei occhi... o almeno ancora per un po' non lo farà.... :)
    Buona lettura a te, Clarita, e a tutti i nuovi lettori!


52. N OTTE INFINITA
Parte Prima

    L'imponente ingresso dell'Astor Palace era un pullulare di celebrità, da Kevin Costner a Mariah Carey, da Ralph Lauren a James Cameron, tutte rigorosamente scortate da guardie del corpo che somigliavano più a orsi polari che a esseri umani, tanto erano massicci. I paparazzi si accalcavano con insistenza nei pressi del lungo tappeto rosso che conduceva all'interno del palazzo in un'interminabile e accecante susseguirsi di flash, con la speranza di carpire la foto più bella o la più scandalosa.
    Lynda aveva davvero superato se stessa quella sera dimostrando tutta la sua fama che la legava al mondo del jet-set.
    Quando il taxi di Faith giunse davanti all'ingresso, un'inserviente aprì la portiera, e la ragazza si rese conto che c'erano anche molte persone che non aveva mai visto, gente meno nota, sicuramente strette conoscenze private di Lynda, che passavano indisturbate agli scatti dei fotografi. Così si intrufolò tra di loro per evitare i flash, e una volta varcata la soglia dell'hotel lasciò il suo cappotto ad un addetto del guardaroba, poi scrutò l'ambiente alla ricerca di Max.
    Nell'aria si diffondevano le note di un celebre inno natalizio e tutt'intorno c'era una grande frenesia per quell'importante serata che avrebbe devoluto tutto il ricavato in beneficenza.
    Un grande lampadario di cristallo pendeva dal centro del soffitto in centinaia di gocce di vetro che riflettevano bagliori colorati sulle pareti illuminando l'intero atrio, gremito di persone così  eleganti e raffinate da sembrare uscite da un dipinto austriaco dell'Ottocento.
    Al centro della stanza troneggiava una fontana spettacolare: una statua di Venere con un seno scoperto, che reggeva una cornucopia piena di frutta e di fiori, era sovrastata da un pergolato di marmo bianco e chiusa in una sorta di gabbia formata da sottili fili d'acqua che scivolavano a pioggia dentro la vasca.
    La ragazza notò Max proprio a fianco della fontana dialogare con due uomini ben abbigliati che avevano tutta l'aria di essere avvocati, e il suo cuore prese a palpitare veloce, quasi volesse farle esplodere il petto. Non c'era stata una sola occasione in cui avesse visto Max fuori luogo: quella sera indossava un completo grigio antracite con abbinata una cravatta blu. Portava la giacca su un braccio, e Faith apprezzò il gilet che gli fasciava particolarmente bene il torace.
    Lui si accorse della sua presenza dopo poco tempo: le chiacchiere dei due interlocutori che aveva vicino divennero incomprensibili alle sue orecchie dal momento in cui iniziò a concentrare l'attenzione su Faith, che avanzava con fare elegante nella sua direzione.
    Un lungo abito color carta da zucchero le lasciava scoperta una spalla e scendeva fino a sfiorare il pavimento. In una mano teneva una pochette della stessa tonalità, mentre un velo di trucco le donava radiosità e ulteriore bellezza. Due piccoli diamanti che brillavano in continuazione sostituivano i suoi occhi, lasciando Max istantaneamente ipnotizzato.
    Faith gli si avvicinò come una visione e lo baciò sulla guancia, per poi abbracciarlo in modo composto.
- Sei stupenda.- Le disse piano all'orecchio.
    La ragazza chiuse gli occhi, immersa in quel profumo che ogni volta risvegliava in lei desideri sopiti, e ripensò ad un anno prima, quando entrava al Plaza tenendolo per mano. Le aveva sussurrato le stesse identiche parole, e per un attimo si dimenticò di tutto il resto, di Jason, dell'anello, della proposta di matrimonio.
- Sono contento che tu sia qui, Faith.- Mormorò lui.
- Anch'io.- Replicò la ragazza tenendo gli occhi chiusi.
    C'era qualcosa che non le tornava in tutta quella situazione: repentinamente e inaspettatamente si sentiva come... a casa. Eppure si trovava a chilometri da Santa Monica, ma non riusciva a comprendere fino in fondo quella sensazione di benessere che sembrava farla camminare a due metri da terra e la riscaldava dentro.
    Dal canto suo, Max non aveva più parole per l'emozione. Ritrovarla in un contesto diverso gli riempiva il cuore di nostalgia, e tutto ciò che avevano passato pareva appartenere ad un tempo lontano anni luce.
- Tutto bene?- Le chiese soltanto.
    Faith si decise a guardarlo negli occhi.
- Si.- Rispose sollevando un angolo della bocca.
- Ok. Direi di entrare, allora. Lynda ci starà aspettando.-
    Stava per prenderla per mano, come un'abitudine consolidata, ma entrambi si scoprirono impacciati, così lei lo prese sotto braccio, sorridendogli timidamente.
    Il grande salone andava ben oltre ogni loro aspettativa: elaborate ghirlande intrecciate di pungitopo e rametti di pino si arrampicavano su altissime colonne fissate in cima da nastri e fiocchi di raso rosso; ai lati della sala due modesti caminetti riscaldavano la stanza e ricoprivano ogni cosa di un velo arancio e oro, mentre le alte finestre regalavano una vista suggestiva sul giardino e sulla notte stellata; le fiamme delle candele sui tavoli baluginavano assieme alle file di luci bianche che decoravano piante e pareti. Ma ciò che attirava maggiormente l'attenzione era il grande albero posizionato nel centro della pista da ballo, magistralmente addobbato con palline di vetro rosso e cordoncini di perle dorate. Nel fondo della sala un sassofonista aveva iniziato ad eseguire uno struggente brano tratto da un film, e le persone, di tanto in tanto, applaudivano calorosamente.
- Signori, posso offrirvi un bicchiere di Pinot Bianco?- Domandò cortesemente un cameriere che reggeva un vassoio di flûte.
- Volentieri, grazie.- Rispose Max con un sorriso. Prese due bicchieri e uno lo porse a Faith.
- Non è presto per ubriacarsi?- Gli fece lei assaggiando il vino.
- Un pò di alcool ti aiuterà ad affrontare meglio la serata.- Commentò lui lanciandole uno sguardo divertito.
    Faith cominciò a preoccuparsi. Aveva messo in secondo piano il motivo per cui si trovava lì: incontrare Lynda Shields. Istintivamente si sistemò una ciocca di capelli, e, senza dare troppo nell'occhio, con una mano verificò di avere ancora la testa in ordine. Aveva optato per un'acconciatura liscia a spaghetto, con la frangia che arrivava appena sopra gli occhi.
    Sentì una fitta allo stomaco, così bevve un altro sorso di Pinot, che le rinfrescò la gola.
- Stai tranquilla, andrà tutto bene.- La rassicurò Max notando quanto si stava agitando.
- Non sono preoccupata.- Lo contraddì lei con le labbra tirate in un sorriso forzato.
    Max la esaminò con la coda dell'occhio.
- Ti conosco bene ormai, Faith.-
   Lei lo guardò, e stava per ribattere quando Lynda si materializzò davanti a loro. Pareva ringiovanita dall'ultima volta che Faith l'aveva vista.
- Max! Faith! Che piacere rivedervi! Stavo aspettando proprio voi!-    
   Esclamò piena di entusiasmo avvicinandosi per baciarli, mentre in una mano stringeva un calice di vino.

  La donna era, come al solito, un'icona di stile e di eleganza, sia nel vestire che nel modo di atteggiarsi e di interagire con le persone. Un classico tubino blu le sembrava cucito addosso e sulle spalle correva una stola di pelliccia, bianca come i lunghi guanti che le coprivano gli avambracci.
- Sei incantevole, Max, come sempre. E tu, Faith, - Salmodiò rivolgendosi alla ragazza - sei uno splendore. Max è davvero fortunato ad averti come fidanzata.-
    Faith sorrise imbarazzata.
- Già...-
- Volete seguirmi al tavolo, ragazzi? Se non vi dispiace vorrei presentarvi ad alcuni amici.- Propose loro.
   Max e Faith annuirono e si fecero largo tra la folla senza perdere di vista Lynda.
- Ironico che Lynda non ci abbia mai visto da fidanzati. Nemmeno l'anno scorso stavamo insieme quando siamo andati al ballo.-   
- Perchè ironico? Io lo trovo triste.- Disse lui contrariato.   
- Beh, forse hai ragione. In effetti non c'è nulla di ironico.- Mormorò tra se, realizzando costernata che la situazione sembrava più tragica che comica.
Concentriamoci su Lynda, stasera.” Si impose mentalmente, scostandosi la frangia con un delicato colpo di testa.
    Il marito di Lynda stava conversando con una signora quando i tre arrivarono al tavolo.
- Tesoro, stai forse tubando con la mia più cara amica?- Celiò la stilista mettendosi tra loro e iniziando le presentazioni.
- Faith, Max, lei è Leah, la mia migliore amica. Leah, loro sono Max e la ragazza prodigio di cui ti parlavo, Faith.-
   Faith strinse la sua mano, celando un certo stupore nel sentirsi chiamare “ragazza prodigio” per chissà quale motivo. Scrutò Max che, al contrario, era perfettamente a suo agio, mentre lei sembrava essere l'unica all'oscuro di quella che doveva essere una recita di bassa lega.
    Lynda presentò loro gli altri commensali, poi si accomodò ordinando ancora del vino ad un cameriere.
    Ancora stupita, Faith prese posto tra Max e la stilista, che quella sera era molto prolissa. Discuteva amabilmente con chiunque e di qualunque cosa, con una battuta pronta per ogni occasione.
    La donna addentò un grissino con il fare di una dama di prima classe, tenendo alzato il mignolo della mano, poi si rivolse a Faith.
- Ho apprezzato moltissimo le bozze dei tuoi abiti, Faith. Hai davvero talento, lo sai?-
    Lei guardò Lynda, poi si voltò verso Max cercando di capire cosa stesse succedendo, poi di nuovo Lynda.
- So che non sai nulla, Faith. Ma qualcuno a te molto vicino ha voluto farti un regalo speciale.- Spiegò la donna.
- Infatti, non so proprio di cosa stiamo parlando...- Ammise candidamente la ragazza schiarendosi la voce.
    Nel frattempo Max continuava a tacere, mentre Lynda cominciava a raccontare la sua storia.
- Il tuo ragazzo è stato così gentile da far contenta la zia... Becky, giusto? È lei l'artefice di tutto.- Ammise in un sorriso di affetto.
  Faith si sentì coprire di ridicolo e si impegnò a formulare dei collegamenti, ma capì di non avere solide basi per poterlo fare. “Sono stata attirata fin qui con l'inganno?
- Vogliate perdonarmi, Lynda.- Disse posando educatamente il tovagliolo a fianco del piatto - Max, posso parlarti un attimo in privato?-
    Max alzò lo sguardo su di lei, quindi si alzò in piedi scusandosi con i commensali.
    I due ragazzi si allontanarono sotto lo sguardo confuso di Lynda che, per non far pesare il silenzio calato, iniziò a discorrere dei numerosi viaggi all'estero che avrebbe dovuto intraprendere di lì a poco.
    Irritata, Faith trascinò Max nell'atrio e, arrivati vicino alla fontana, lo studiò con uno sguardo accigliato e le braccia incrociate sul petto.
- Che cos'è questa farsa, Max? Ti spiacerebbe spiegarmi gentilmente che diavolo sta succedendo là dentro?-
    Il ragazzo mise le mani avanti pronto a darle una risposta, ma lei lo interruppe prima che potesse farlo.
- Per quale malsano motivo ti diverti a raccontare in giro della morte di mia zia? Che cosa vuoi dimostrare?-
- Faith, non è come credi, per favore lascia che...- Tentò di intervenire Max.
- Con quale diritto ti sei permesso di rovistare tra le mie cose, in casa mia, mentre io mi preparavo al funerale?- Domandò lei alzando il tono della voce senza rendersene conto.
- Faith, fammi spiegare...- La pregò prendendole le mani e sentendo che la situazione stava degenerando.
    La ragazza si divincolò dalla sua stretta iniziando a sentirsi pervadere da un fastidioso senso di disgusto.
- Hai rubato le mie bozze, i miei disegni, le mie idee, per portarli a lei senza il mio consenso?- Sbraitò indicando Lynda seduta lontano, al suo tavolo - Mi sento indignata, avvilita e imbrogliata!-
- Faith, ora basta!- Tuonò Max.
    La gente intorno si ammutolì di colpo voltandosi verso di loro, e il viso di Faith divampò per l'imbarazzo.
- Non hai capito?- Fece Max riuscendo finalmente a prendere la parola - Zia Becky ha parlato con Holly, e le ha affidato i tuoi disegni pregandola di darmeli, affinché io potessi farli avere a Lynda. Ha sempre saputo quanto desiderassi lavorare con lei, ed ha voluto farti un regalo prima di andarsene.-
    Max era agitato, e Faith, colta di sorpresa dalla motivazione, tacque voltando la testa da un lato con le labbra serrate.
- Quando ti deciderai a capire che sei circondata da persone che ti amano, ti apprezzano e vorrebbero vederti realizzata, e che nessuno è qui per prenderti in giro? Non fai che lamentarti e piangerti addosso, quando invece possiedi tutto ciò che si può desiderare, e lo butti in un cesso! Quando lo capirai? Cristo!-
    Lei non rispose. Continuava a non guardarlo in faccia, ma nella sua testa stava elaborando quello che gli aveva appena detto, e si diede mentalmente della stupida.
    Il ragazzo, rosso in viso e al contempo dispiaciuto di aver perso la pazienza in quel modo, rimase a fissarla, in attesa di una replica che non arrivò. Fece quindi per tornarsene al tavolo, ma si voltò.
- Tua zia ha voluto donarti un'occasione perchè credeva in te. Se non vuoi tornare a sederti per me, almeno fallo per lei. Glielo devi.- Concluse risoluto.
   Poi scomparve tra la folla, che nel frattempo aveva ripreso a parlare come se niente di ciò che aveva appena visto fosse mai accaduto.
     Faith, afflitta e stordita, si sedette sul bordo della vasca e sfiorò l'acqua con un mano ammirando la statua di Venere. Ancora una volta non aveva capito quanto fosse stata sciocca. Aveva ingigantito ogni cosa senza un valido motivo, quando le sarebbe bastato ascoltare prima di aprire bocca e sputare sentenze, rovinando così un'altra importante occasione.
    All'inizio le era sembrato tutto un inganno. Perchè Max non le aveva detto subito delle bozze? Lei non si era nemmeno accorta della mancanza del quaderno dal cassetto della sua scrivania. Non lo aveva più ripreso in mano da prima che zia Becky morisse, e lo aveva lasciato là, dimenticandosi dei suoi desideri e dei suoi sogni. Realizzò che probabilmente non ci aveva più pensato perchè dentro di se aveva già deciso di non accettare la proposta di Lynda, qualunque fosse stata.
    Completamente presa dal turbinio dei suoi pensieri non si era accorta che Lynda le si era avvicinata posandole una mano sulla spalla. Alzò il viso e lo riabbassò provando vergogna.
- Io e Max non stiamo insieme.- Dichiarò soltanto - Non siamo più fidanzati.-
    Lynda si sedette al suo fianco, con il sorriso di chi ormai aveva imparato tutto dalla vita, e si lisciò il vestito.
- Non è di te e Max che voglio parlare. Voglio parlare soltanto di te.-
- Di me?- Fece rassegnata la ragazza, scuotendo la testa - Non c'è molto da dire su di me, mi creda!-
- E invece si. I tuoi disegni dicono moltissimo di te.-
    Faith esibì un sorriso triste.
- Quelle sono solo delle idee vaghe, non contano nulla.-
- A me piacciono! Esclamò Lynda - Faith Harrington! Non vorrai contraddire una delle stiliste più affermate e conosciute degli ultimi vent'anni?-
    La ragazza la guardò rammaricata.
- No, assolutamente no! Ma...-
- Senti, Faith.- La interruppe Lynda - Tua zia ha visto in te del potenziale, e l'ho visto anch'io. Nonostante io non l'abbia mai conosciuta, dev'essere stata una donna davvero eccezionale.-
    Faith sentì gli occhi inumidirsi, e il ricordo della zia le punse il cuore.
- Sì, era eccezionale.- Convenne sorridendo.
- Certo che lo era!- Replicò Lynda afferrandole una mano - Guardati allo specchio, Faith. Sei diventata ciò che sei perchè lei ha voluto crescerti così. Non disprezzare il suo lavoro, anzi, rendilo sempre all'altezza delle sue aspettative.-
    La ragazza si chiese come Lynda potesse aver capito così tante cose di lei in così poco tempo passato insieme. Era chiaro che Max le aveva parlato in più di un'occasione, esaltando le sue qualità e i suoi pregi.    Perchè lui era in grado di vedere sempre il buono in ogni persona, di estrapolarlo e di imparare a conoscersi grazie al confronto con gli altri.
- Mi dispiace, signora Shields, di aver rovinato tutto. Lei è molto gentile.- Mormorò asciugandosi una lacrima con la mano.
- Non hai rovinato proprio niente. Adesso ti va di tornare al tavolo? Devi ancora sentire la mia proposta!-
    La ragazza annuì con un sorriso.
- E per l'amor del cielo, Faith, non darmi più del lei, perchè sono già abbastanza vecchia!- Scherzò  Lynda suscitandole una risata.  

J.S. Bach “Jesus Bleibet Meine Freude”
http://www.youtube.com/watch?v=8feElWz5YJk
    Mentre attraversavano il salone, la ragazza scorse Max nella penombra tra un caminetto e una delle altissime finestre che davano sul giardino, e avvertì Lynda che l'avrebbe raggiunta al tavolo di lì a poco. La donna comprese al volo la situazione, e le ammiccò sorridendo.
    Nel frattempo i suoni dei violini e del pianoforte iniziarono a riempire l'aria con le note di “Jesus Bleibet Meine Freude”, una suggestiva composizione di Bach, e l'atmosfera nella sala si fece più rilassata e romantica.
- Ehi.- Lo richiamò Faith accarezzandogli un braccio.
    Max sollevò un angolo della bocca.
- Mi aspettavo che venissi.-
- Posso andarmene, se vuoi.-
- No, rimani. Mi fa piacere.- La invitò a restare.
   Faith si perse nuovamente nei suoi profondi occhi verdi e s'intenerì. Udì lo scoppiettare del fuoco nel caminetto, e avvertì il calore profumare delicatamente di pino e di limone.
- Mi dispiace di non aver capito e di averti accusato inutilmente poco fa.-     Si scusò la ragazza tormentandosi le dita delle mani.
Max inspirò a fondo, scuotendo la testa.
- Ed io non avevo il diritto di alzare la voce con te e di essere volgare. Non è nel mio essere. Sono costernato. -
    Faith abbassò il capo, e la sua frangia oscillò leggermente.
- Allora,- Allungò una mano - pace fatta?-
    Max annuì, e gliela strinse, avvertendone il dolce tepore.
- Pace fatta.-
    Lei sorrise, e insieme guardarono il giardino coperto di neve riflettere la luce lattiginosa e leggermente azzurrina della luna.
- È tutto stupendo stasera, non trovi? C'è un non so che di magico in questi luoghi. Dev'essere il Natale, la musica, o le candele.- Commentò     Faith stringendosi nelle spalle.
- Mi piace il Natale.- Disse Max - Lo preferisco al 31 dicembre, perchè mi fa pensare ai natali passati, mentre l'ultimo giorno dell'anno mi dà l'impressione che ogni capitolo della vita venga definitivamente chiuso, bello o brutto che sia. E il 1 gennaio occorre ricominciare tutto da capo. Ancora qualche ora e purtroppo anche il 1998 sarà finito.-
- Per fortuna!- Esclamò lei.
    Max le rivolse uno sguardo di disappunto.
- È stato tutto così terribile?- Chiese, e la ragazza colse una nota di dispiacere nella sua domanda.
- No, non tutto. Ci sono alcune cose, però, che vorrei tanto dimenticare. E non credo che basterà gettare via un calendario per poterlo fare. Anzi, credo che non mi basterà una vita.-
    Max scosse il capo.
- Io penso che non tutto il male sia venuto per nuocere. Dai dolori che abbiamo passato non dobbiamo far altro che rialzarci più forti e sicuri di prima.-
- A volte è facile, altre meno.- Considerò Faith ripensando agli eventi dell'anno che stava per concludersi.
- Nessuno dice che sia facile o meno e che occorra per forza cancellare ciò che è stato.- Osservò Max.
  Lei era dubbiosa, ma rimase ad ascoltare il suo pensiero, senza intervenire.
- Guarda dove sei ora, per esempio.- Proseguì lui - Lynda ti sta aprendo le porte del mondo che hai sempre sognato. Sono sicuro che ogni evento sia servito a portarti qui, adesso. È il tuo momento, Faith.- La incoraggiò     Max addolcendo il tono della voce - Credo sia questo l'importante. Vai avanti, non fermarti, cogli tutte le occasioni che ti vengono offerte e scopri te stessa. Potresti comprendere cose che altrimenti non capiresti mai se ti lasciassi scappare le opportunità.-
    Faith socchiuse gli occhi e piegò la testa di lato regalandogli un sorriso affettuoso.
- È molto bello quello che stai dicendo, Max. Come fai a pensare sempre alla cosa giusta al momento giusto?-
   Lui fece una piccola risata.
- Non lo so. Ma qualche volta ne sparo di grosse pure io!-
   Faith scoppiò a ridere, e gli fece una carezza. Al suo tocco Max provò un brivido lungo la schiena, che lo avvolse come una breve scossa.
- Scusa.- Mormorò lei ritraendo la mano - Non avrei dovuto.-
   Lui uscì dal torpore momentaneo e guardò in basso.
- È facile fare le cose e poi scusarsi di averle fatte.-
- Forse dovrei aggiungerlo nella lista dei buoni propositi per il 1999: pensare prima di agire!- Esclamò lei divertita.
- Ne hai già stilata una?- Chiese lui incuriosendosi.
- Può darsi.- Rispose lei mantenendosi sul vago.
- Beh, avresti fatto bene a farla. Ci sarebbero molte di cose da scrivere, e ormai mancano pochi giorni. Se vuoi ti do una mano io.- La prese in giro lui.
    Faith sorrise e tornò ad ammirare il giardino bianco avvolto in quella notte magica. Rimase in silenzio con gli occhi lucidi, godendosi gli attimi di pace. Una sensazione che provava soltanto vicino a Max, e a nessun altro.
    E proprio lì, al suo fianco, si rese conto con stupore che i mostri della sua anima non urlavano più.

    La proposta di Lynda riguardava l'apertura a Los Angeles di un atelier per abiti da cerimonia, e Faith ne avrebbe gestito l'organizzazione con la messa a punto di ogni singolo vestito, dalla selezione dei tessuti ritenuti più ricercati e pregiati, fino alla finitura di ogni singola collezione e alla sua distribuzione internazionale. Si trattava di un affare che già prevedeva elevati profitti grazie alla pubblicità a livello mondiale del marchio personale della stilista. Il Los Angeles Atelier Shields avrebbe aperto i battenti all'inizio dell'estate 1999, non appena sarebbe stata formata la squadra di ben venticinque persone, tra fashion designers, sarti e organizzatori degli eventi.
- Non so davvero cosa dire, Lynda. Sono onorata che tu abbia deciso di prendermi in così seria considerazione. E ti sono grata di avermi concesso un po' di tempo per riflettere sulla tua proposta.-
  La ringraziò Faith al termine della cena, quando nel salone non restavano che poche persone oltre all'orchestra, che si stava accingendo a terminare l'ultima melodia della serata.
- Fammi sapere, d'accordo? Spero tanto di averti nella mia squadra, Faith. Ci tengo.- Le assicurò guardandola negli occhi.
    Max provò un grande moto d'orgoglio per lei, e glielo trasmise con una lieve carezza sulla schiena e un bacio inaspettato sulla guancia.
    Entrambi si alzarono per salutare Lynda, il marito e gli altri commensali, poi Faith si diresse verso la pista da ballo, e Max la vide discorrere con un violinista, mentre tutt'intorno i camerieri stavano cominciando a sgomberare i tavoli, in un continuo tintinnare dei bicchieri di cristallo.
    Quando la ragazza tornò, afferrò il ragazzo per una mano.
- Le va di ballare, mister Warren?- Gli chiese educatamente.
  Max rimase sbigottito. Abbassò lo sguardo sulla sua mano stretta in quella di Faith e sentì una forza inspiegabile scorrergli nelle vene. Tutto quello che desiderava stava per prendere vita dopo il lungo inverno che aveva ghiacciato i campi del suo cuore, e si riscoprì finalmente vivo. In quel momento avrebbe tanto voluto specchiarsi per memorizzare la sua immagine e i suoi occhi trasmettere la felicità che tanto gli era mancata e che tanto ricercava.
- C'è anche questo nella tua lista dei buoni propositi?- Le chiese in tono scherzoso celando la sua contentezza.
    Lei fece segno di no con la testa.
- Siamo ancora nell'anno vecchio. Questo è ciò che avrei dovuto fare e che non ho mai fatto.- Spiegò in un fugace sorriso - In fondo non è mai troppo tardi per rimediare, giusto?-
    Il ragazzo esibì un sorriso dolce, e si lasciò trascinare sulla pista, mentre l'orchestra eseguiva il brano richiesto da Faith, “Always on my mind”.
    Lei posò la testa sulla sua spalla e si lasciò trasportare lontano sulla scia delle note del pianoforte, immaginando a come sarebbe stata la sua vita se avesse scelto di stare con Max. Sapeva che, non appena lo avrebbe salutato, le domande del suo inconscio sarebbero riaffiorate esigendo una risposta. Ogni cosa pretendeva una risposta. Probabilmente avrebbe trascorso la notte insonne, a tentare di spiegarsi i motivi di quella sensazione di benessere. Max era l'unica persona che la conosceva veramente e che sapeva leggere tra le righe della sua anima, e il mostrarsi a lui per quella che era la rendeva vera, senza bisogno di dover per forza dire o fare.
    Perciò decise di non pensarci fino al momento in cui sarebbe stata obbligata a farlo, convincendosi che probabilmente occorreva lasciare spazio all'improvvisazione e che soltanto quell'attimo le avrebbe suggerito la cosa giusta da fare.
- Grazie per tutto quello che hai fatto per me, Max.- Mormorò stringendolo forte a se.
- L'ho fatto con piacere.- Replicò lui dopo pochi istanti, osservando le luci dell'albero di Natale brillare nella semioscurità del salone.
  Nell'aria aleggiava ancora il profumo dei biscotti e della cioccolata bianca serviti insieme al dolce, e il fuoco nei caminetti scoppiettava allegramente.
    Lei alzò il viso e ammirò Max da vicino, trovando strano osservarlo di persona, dopo tutto il tempo passato a ricordarlo nella sua memoria. Realizzò che non lo vedeva allo stesso modo di un anno prima. Ora lo trovava diverso, autentico, ancora di una bellezza disarmante, ma non di quelle finte e costruite che si vedevano sulle riviste patinate. Quella bellezza che trasmettono soltanto le persone che si sono fatte conoscere a fondo, quella che parte da dentro e che si mostra agli altri attraverso l'intelligenza, la profondità dei pensieri e la sensibilità.
    La melodia finì, segnando il termine della serata e facendo svanire ogni riflessione.
    Max accompagnò Faith a recuperare il suo cappotto nel guardaroba, ed insieme uscirono dall'Astor, respirando l'odore di neve che avvolgeva la città.
   Il marciapiede era un viavai interminabile di persone anche all'una di notte, ma si poteva comunque rintracciare un taxi con facilità.
- Domattina se ti va possiamo fare colazione insieme, prima di partire.-    
    Propose Max stringendosi nella giacca, prima di salutare Faith.

- D'accordo. Ti chiamo.- Gli assicurò annuendo con la testa, e un sorriso istantaneo si disegnò sul suo volto.
- A domani, allora. Buonanotte.-
    Faith lo saluto allungandosi per dargli un bacio sulla guancia, ma subito avvertì un'inaspettata stretta al cuore: era il dispiacere di veder finire la serata con la consapevolezza che le cose più importanti che ancora la legavano a lui non erano state chiarite, come se vagassero nell'aria sopra di loro in attesa di una svolta. Si bloccò arricciando le labbra, e senza ulteriori indugi fece ciò che nemmeno lei si aspettava.
- Ehi, Max.- Chiamò ad alta voce.
    Il ragazzo si voltò e lei gli sorrise.
- Credi che sia ancora aperto quel locale dove siamo stati un anno fa?-
    Max assunse un'espressione seria.
- In che razza di posto mi vuole portare, signorina Harrington?- Scherzò.
    Lei ridacchiò di gusto, prendendo quella battuta come un si, e lo afferrò sottobraccio.
- Da che parte andiamo, mister Warren?-

    Max si incamminò con lei verso il Devil's Kitchen con il cuore sollevato. Era chiaro che durante la serata era riuscito a trasmetterle qualcosa. C'era infinito affetto nel modo in cui lo aveva guardato quando gli  aveva chiesto di ballare con lei. Ma non poteva essere certo si trattasse di qualcosa di più del semplice bene che si provava per un amico. Tuttavia era contento di come le cose tra loro si stavano sistemando: dopo tutti quei mesi di silenzio e di argomenti non affrontati per timore di rovinare una già delicata situazione, finalmente il rapporto sembrava aver preso una piega migliore. Ora avvertiva con lei un legame più intimo,e la ritrovata mescolanza di colori che era stata soppiantata da un grigiore anonimo e solitario stava lentamente rifiorendo.

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Capitolo 53
*** 53. Notte Infinita - Parte Seconda 54. Le Ragioni Del Cuore + Epilogo ***


                                         Le Ragioni Del Cuore Photobucket
53. N OTTE INFINITA
Parte Seconda

    All'interno del Devil's Kitchen il tempo pareva essersi fermato, persino i clienti sembravano addirittura gli stessi di un anno prima, mentre loro due, entrando, si sentirono repentinamente più vecchi.
- Una vera e propria passeggiata lungo il viale dei ricordi.- Commentò Max inarcando un sopracciglio.
- Mi piace.- Replicò Faith con convinzione.
    Il ragazzo la osservò sollevando un angolo della bocca.
- Si. Anche a me.-
   Aguzzando la vista alla ricerca di un tavolino libero, Max apprezzò nuovamente lo stile retrò del locale. Ogni oggetto costruito interamente in legno era stato lucidato e rispecchiava le luci gialle e rosse dei faretti sospesi sopra di loro, a riprodurre i nostalgici tramonti del vecchio West. Sul palco vicino al bancone alcune ballerine si stavano esibendo in un raffinato numero di burlesque, rievocando il fascino degli anni Trenta, una mescolanza azzeccata con l'atmosfera del posto.
   Il ragazzo scovò un tavolo poco lontano dal juke-box, momentaneamente spento per consentire al pubblico di assaporare la potente voce della cantante biondo platino eseguire un brano di Etta James.
- È davvero brava!- Esclamò Faith togliendosi il cappotto e accomodandosi sulla sedia che Max le aveva scostato.
- Devo dire che hai avuto una bella idea a portarmi qui.- Constatò lui sedendosi a sua volta.
- Beh, non volevo che la serata finisse.- Confessò candidamente Faith.
    La sincerità con cui pronunciò quelle parole lo disarmò. La guardò negli occhi ed ebbe l'impressione che avesse qualcosa di importante e urgente da dirgli. Ma la ragazza tacque, e scosse la testa perplessa, scoprendo un sorriso preoccupato.
- Che c'è? Ho sbagliato a rivelarti il mio pensiero?-
- No, no!- Ribatté lui prontamente - Sono contento di essere qui con te stasera.-
    Lei annuì, incerta.
- Bene.- Concluse non troppo convinta, allungando le braccia sul tavolo e incrociando le dita delle mani, mentre tornava a prestare attenzione allo spettacolo per allontanare il lieve imbarazzo che era calato tra lei e Max.
    Una cameriera dalle gambe lunghissime e i capelli vaporosi saltellò davanti al loro tavolo.
- Ciao, ragazzi! Cosa vi porto?- Domandò con il marcato accento del nord.
- Per me una Diet Coke, per favore.- Rispose Faith, e Max le rivolse uno sguardo confuso.
- Per stasera credo di aver bevuto abbastanza.- Si giustifico lei.
    Il ragazzo sorrise, poi ordinò un Jack Daniels.
- Perfetto! Tra poco sarò da voi!- Ringraziò la donna infilandosi la matita nella folta chioma di capelli a mo' di fermaglio, e il taccuino nella tasca del grembiule orlato di pizzo bianco.
    Nel frattempo la bionda sul palco si agitava tra enormi piume rosa e collane di perle, nel fragore di urla e applausi dei clienti appostati nei primissimi posti sotto il palco.
  Anche Faith applaudì, poi, a spettacolo finito, prese a chiacchierare con vivacità della cena all'Astor, raccontando a Max le sue impressioni e il discorso che le aveva fatto Lynda, di come andava il suo lavoro a Los Angeles e della visita di Addison alla sfilata della sera prima, mentre lui si limitava ad ascoltare, sorridendo e annuendo di tanto in tanto,  godendosi la sua compagnia.
- Immaginavo che sotto ci fosse il tuo zampino!- Ammise la ragazza.
- Mia madre era così impaziente di farti le sue scuse, così ho approfittato della tua sfilata per farvi incontrare.- Confessò Max stringendosi nelle spalle.
- E mi ha fatto davvero tanto piacere rivederla.- Replicò sincera lei, piegando la testa di lato, e i suoi occhi lampeggiarono.
    Poi lo scambio di battute cedette il posto ad una lunga pausa, e la domanda che più ossessionava Max uscì fuori.
- Come va con Jason?-  Chiese di punto in bianco.
   Faith spostò lo sguardo stupito dal viso della cantante sul palco a quello di Max, sbattendo le palpebre come per schiarirsi la vista, e socchiudendo le labbra.
- Non aspettavi di chiedermi altro da tutta la sera?- Ribatté quasi per temporeggiare. Eppure sapeva che l'argomento sarebbe venuto allo scoperto.   Era o non era andata in quel locale apposta per parlarne? Ma ora che il momento sembrava arrivato, desiderava rimandarlo ancora, e un inspiegabile fastidio le fece uscire di bocca soltanto quelle parole.
- Beh, se io non avessi accettato il tuo invito a venire qui, non avrei chiesto niente.- Affermò laconico Max arrossendo leggermente. La studiò ancora per qualche istante, augurandosi di non aver rovinato ogni cosa, poi decise di proseguire con il discorso con dolcezza, nel tentativo di salvare la situazione.
- Te l'ho chiesto perchè è da quando siamo entrati qui che ho la sensazione che tu debba dirmi qualcosa.-
    Faith tentennò un poco e fece vagare lo sguardo cercando il modo di parlargli senza ferirlo. Fu salvata in corner dalla cameriera, che ritornò con le bevande, e i due ragazzi la ringraziarono.
   Notando che Max continuava a fissarla in attesa di una risposta, Faith prese un lungo respiro e vuotò il sacco.
- Jason mi ha chiesto di sposarlo.- Lo informò tentennando un poco, passandosi un dito sul sopracciglio.
    Max si irrigidì con il bicchiere a mezz'aria per alcuni secondi, poi, per non farsi vedere scioccato ai suoi occhi, bevve un po' di liquore, senza tuttavia gustarne il sapore.
    Ma Faith non se ne accorse. Continuava a guardare il palco con gli occhi lucidi e la mente altrove.
- Guardami, Faith, per favore.- La pregò Max.
    La ragazza voltò il viso verso di lui.
- Hai accettato la sua proposta?-
    Lei asserì con un lieve cenno della testa, e Max si sentì stringere lo stomaco in una dolorosa fitta.
- Ma... lo ami?- Sapeva bene che era una domanda azzardata e irrispettosa, tuttavia sentì che era giusto porgliela.
    Faith si trovò impreparata a rispondere, ma allo stesso tempo realizzò che era inutile portare ancora avanti quell'indecisione. Le porte che la separavano dai suoi mostri interiori erano state abbattute da quelle poche parole pronunciate da Max, e lei fu catapultata dritta di fronte alla scelta che la tormentava ormai da mesi.
- Io... vorrei uscire a prendere un po' d'aria.- Si congedò scostandosi una ciocca di capelli.
   Con un terribile peso interiore, Max non riuscì a comprendere il suo stato d'animo, ma la lasciò andare ugualmente, e lei si infilò velocemente il cappotto per poi fiondarsi fuori dal locale, lasciandolo solo al tavolo.
    Il ragazzo sentì il cuore implodergli in milioni di domande senza risposta, e si sforzò di allontanare la presunzione di credere che lei provasse ancora qualcosa per lui. Non avrebbe reagito in quel modo se fosse stata innamorata di Jason, ma c'era comunque qualcosa che non gli tornava nel suo comportamento.    Aveva accettato la sua proposta di matrimonio malgrado non lo amasse? E perchè aveva voluto prolungare la serata con lui portandolo in quel locale? Non avrebbe potuto dirglielo durante la cena? Si impose di aspettare ancora qualche minuto, poi uscì lasciando un paio di banconote sul tavolo.
    Non appena ebbe richiuso la porta del locale alle sue spalle, l'aria gelida della notte lo costrinse a stringersi nel cappotto e a sistemarsi meglio la sciarpa attorno al collo. Scese i pochi gradini davanti all'ingresso facendo attenzione a non scivolare sul ghiaccio, e vide Faith seduta su una panchina non molto lontana, così la raggiunse e le si sedette vicino senza dire nulla.
    Fu lei ad interrompere il silenzio, con la voce tremante e lo sguardo smarrito, sicura di ciò che stava per dire.
- Credimi, Max, sono stanca di chiedermi cosa fare della mia vita e di fingere che stando vicino a te io non provi più niente, perchè in realtà non è così. Ho trascorso l'estate e gli ultimi mesi quasi aspettandomi che tu tornassi da me, ma quando ti sei ripresentato a Los Angeles, inaspettatamente ti ho trovato... diverso. Dentro il mio cuore avevo imparato a convivere con la tua assenza, e il rivederti ha significato dover riaprire una porta che avevo già chiuso senza rendermene conto. Tuttavia, mi sono lasciata trasportare dal ricordo di ciò che siamo stati, e forse è stata una mossa sbagliata. La verità è che vorrei poterti dimenticare, ma a volte non ci riesco, ed ho il timore che non ci riuscirò mai.-
- Non si possono cancellare le persone, Faith, lo sai.- Mormorò il ragazzo prendendole delicatamente una mano.
    Lei alzò gli occhi su di lui e pianse.
- Posso sforzarmi e accontentarmi di qualcosa di meno, certo, ma non sarei una persona vera. Qual'è lo scopo di vivere la mia vita da spettatore e non da protagonista? Non voglio vivere dietro ad una maschera. E forse Jason non sarà la persona giusta per me, ma gli voglio bene, e so che lui ci sarà sempre, ogni volta che avrò bisogno di un sostegno.-
    Il ragazzo rimase in silenzio senza sapere cosa aspettarsi.
- Ci sarà sempre una parte di me che continuerà ad amarti, ma non riesco a trovare un motivo per cui è giusto che io torni con te, Max.-
    Lui avvertì un groppo in gola e sentì i suoi occhi divenire umidi.
- Perchè io ti amo, non è sufficiente?-
    Lei scosse la testa.
- Credere di amarci non mi basta, adesso...- Ammise in lacrime accarezzandogli una guancia - È  come se tutto ciò che di buono, spontaneo e genuino tu mi hai lasciato fosse stato irreparabilmente contaminato dalla tremenda ferita che mi hai provocato e che mi ha cambiato nei confronti della vita. Anche volendo non potrei più essere la ragazza che hai conosciuto un anno fa, per il semplice fatto che io non mi sento più così.- Asciugò una lacrima che scendeva lungo il viso di lui - Io vorrei stare con te, ma non è giusto. Non saremmo più come eravamo. Mi sento lontana anni luce da te, da noi.-
  Max la guardò a lungo negli occhi, e lei provò un brivido: il suo sguardo appariva profondamente ferito e deluso.
- Ci ho provato, Max, credimi, e ho sperato con tutto il cuore e con tutta me stessa di riuscire a fingere che tu non te ne fossi mai andato. Ho trascorso notti intere a piangere e pensare a cosa è giusto per me. Io ti amo, e so che non amerò mai nessun altro come amo te. Ma sento che devo andare avanti, perchè tornare insieme vuol dire fare un passo indietro che io non posso concedermi.-
   Si sentì un mostro vedendo che lo stava facendo soffrire, ma quella era la pura verità, e malgrado tutto, si sentì meglio per avergli parlato dei suoi sentimenti.
    Max distolse lo sguardo e sospirò, smarrito.
- Da quando me ne sono andato da Los Angeles prima dell'estate non ho fatto che pensare a te. Mi sono sforzato di tenere la mente occupata con altri pensieri, con il mio lavoro. Ma non appena la giornata terminava, tu stavi sempre lì, dietro ogni riflessione, ad aspettarmi, per tormentarmi, farmi sentire in colpa per il mio comportamento sbagliato. Potevo allontanarti ancora, ma sapevo che tu non mi avresti lasciato in pace. Mi addormentavo ogni notte con il tuo viso davanti, e la mattina appena sveglio mi voltavo con il timore di trovarti al mio fianco, vedendoti dormire come quel mattino nella casetta sull'albero. Con il passare del tempo ho accettato che tu sei il centro di tutto, lo sei sempre stata, la base su cui ho costruito la mia vita e attorno alla quale ruota ogni mio singolo pensiero. Temevo che il tuo cuore battesse per qualcuno che non ero più io. Non potevo negarti, fingere che tu non esistessi più, per il semplice fatto che io ti amavo ancora, nonostante ti avessi lasciato. Come un bambino ho cominciato a credere che ogni cosa tra noi sarebbe tornata a posto.- Alzò le spalle, sorridendo amareggiato, e la guardò in viso con il cuore che gli doleva - Non ha funzionato.-
    Lei piegò la testa di lato, poi la scosse leggermente, rammaricata.
Perchè la vita è dannatamente complicata?” Si chiese quando lui lasciò la sua mano e si alzò schiarendosi la voce.
- A questo punto non mi resta che augurarti di trovare ciò che potrà farti stare bene, Faith.-
    Lei si commosse ancora.
- Posso... posso avere un ultimo abbraccio?- Gli chiese timidamente.
   Lui restò immobile, e lei intuì che non se la sentiva. Dentro di se, Max avvertì crescere una silenziosa rabbia, ma capì che non aveva più senso provare rancore. Quello che desiderava era soltanto la sua felicità. Anelava abbracciarla forte e non lasciarla più, ma l'orgoglio lo frenava. Alla fine, lei aveva soltanto fatto la sua scelta, e non avrebbe potuto dire nulla.
- Cosi, finisce qui, dove tutto è cominciato.- Constatò tristemente lei alzandosi in piedi e guardandosi intorno.
    Max annuì e frugò in una tasca del cappotto, estraendo una busta bianca.
- Anche se ormai non ha più valore, questa è per te.- Mormorò porgendogliela.
    Lei la osservò perplessa.
- Cosa c'è dentro?-
- La prova che volevi.- Rispose mantenendo un tono di voce fermo per celare il suo dispiacere, e le lacrime che gli pungevano gli occhi lo obbligarono a tenere basso lo sguardo.
    La ragazza esitò qualche attimo, poi prese la busta con la mano tremante.
- Ciao, Faith.- La salutò lui con un sorriso triste.
   Faith lo osservò voltarsi e allontanarsi senza aggiungere altro. Le dispiaceva che fosse finita così, ma la decisione era stata presa, e non voleva più tornare indietro e soffrire.
   Rammaricata, guardò a lungo la busta, pensando se sarebbe stato un bene aprirla, o se sarebbe stato meglio gettarla via. La accartocciò in una mano, e si avvicinò ad un bidone lungo la strada, accingendosi a buttarla, ma cedette.    Decise di aprirla, e scoprì che conteneva  due fotografie molto simili tra loro. Le studiò e notò che si trattava della fotografia che lei gli aveva regalato il giorno di capodanno, mentre l'altra, un po' più ingiallita e sgualcita, era quasi identica, ma recava una scritta sul retro:  

Max e Faith, Cleveland 1979

    La ragazza scosse la testa confusa, poi sgranò gli occhi e si portò una mano alla bocca non appena ebbe collegato ogni fatto riordinando la sequenza degli eventi. Si lasciò di nuovo andare sulla panchina sentendosi improvvisamente mancare le forze, mentre il suo cuore aveva iniziato a picchiare a cento all'ora, in una sensazione mai provata in vita sua. Tante coincidenze incomprese ora si spiegavano, e gli occhi verdi che lei sognava da bambina non erano stati solo frutto di un'invenzione. Erano gli occhi di Max che le avevano lasciato una traccia indelebile nei suoi ricordi, offuscati dalla polvere del tempo. Le tornò subito alla mente il discorso di Holly riguardo al destino e alle anime gemelle, e scoppiò a piangere di felicità.
- Quella pazza aveva ragione, di nuovo!- Esclamò piena di entusiasmo e incredulità.
    Il fato non aveva fatto altro che agire per farli incontrare continuamente, e come una bolla d'aria che emerge sulla superficie dell'acqua, una frase di Claude Gallay si fece largo tra i suoi pensieri.
- Vi sono esseri il cui destino è incrociarsi. Dovunque siano, ovunque vadano, un giorno si incontreranno.- Recitò tra se fissando il vuoto.
   Ripresa dall'attimo di confusione, chiamò Max ad alta voce alzando lo sguardo, quasi a cercarne una conferma, ma si ricordò con delusione che lui non c'era più.
    Osservò nuovamente le due fotografie, tremando come una foglia, mentre il suo cuore continuava a battere veloce, e nella sua testa si ripetevano le apparentemente folli teorie di Holly, mescolate alle numerose coincidenze che l'avevano unita a Max.
    Si alzò di scatto, come punta da uno spillo, e corse a cercarlo, alimentando la speranza di poter recuperare quello che doveva essere l'unico grande amore della sua vita, ma non fu un'impresa facile con il vestito che si ritrovava addosso.
Non devi essere andato tanto lontano, Max, a meno che tu non abbia preso un taxi! Ti verrò a cercare fino in capo al mondo, se necessario!” Pensò tra se, pregando Dio di ritrovarlo al più presto e sperando che non fosse troppo tardi per rimediare al suo sbaglio.

    La storia era finita. Difficile da accettare, impossibile da credere. Con le mani infreddolite infilate nelle tasche, Max camminava lentamente nella neve tenendo lo sguardo basso per non farsi scoprire a piangere. Emozioni e sensazioni si scontravano nel suo cuore riempiendogli le orecchie di parole dette, che parevano non avere più senso, e il dover per forza cercare una risposta a tutto iniziava a tormentarlo. Non era possibile psicanalizzare la scelta di Faith. Forse, pensò, non era sufficientemente maturo per comprendere i motivi che l'avevano portata a prendere quella decisione. Cosa poteva spingere una persona a non realizzarsi e vivere la propria vita in base alle aspettative altrui? Magari Faith non avrebbe sposato Jason, ma perchè sprecare l'occasione di avere al proprio fianco la persona che il cuore ritiene perfetta per se?
    Si trovò d'accordo sul punto in cui la scelta di lasciarla mesi prima aveva inesorabilmente influito sulla loro storia, e sul modo della ragazza di guardare alla vita. Ma lui riteneva che entrambi erano maturati, che ciò che li aveva divisi, li avrebbe uniti, più forti di prima, e che avrebbero portato la loro relazione ad un livello superiore.
    Poi un nuovo, terribile pensiero: il timore di non saper affrontare il futuro senza l'unico punto di riferimento che aveva fermato la sua esistenza, dandogli le certezze che lui aveva sempre inseguito.
    Non aveva mai incontrato nessuno come Faith: lei era l'unica persona con la quale si sentiva se stesso, senza riserve, colei che lo completava come nessuno aveva mai saputo fare. Ed ora si sentiva privo di un obiettivo, senza alcuno scopo nella vita.
    Avrebbe voluto prendere un aereo e tornare a Londra, fuggire da New York, la città maledetta che li aveva uniti e poi divisi, lasciandogli come unica cicatrice il capitolo più bello e, allo stesso tempo, più brutto della sua vita.
    Nonostante l'orario le vie della metropoli continuavano ad essere affollate, e il rumore sempre più forte di una macchina spargisale che stava risalendo la strada lo distolse dai suoi pensieri, proprio pochi secondi prima di sentire lo stridio acuto e prolungato dei freni di un'automobile e le grida di alcune donne dietro di lui, sul marciapiede.
    Voltò la testa, incuriosito dal chiasso, e scoprì con terrore che la ragazza che aveva appena salutato stava distesa inanimata su un gelido tappeto bianco che si macchiava lentamente di rosso.

    Quello che avvenne in seguito lo ricordava a tratti. Alcune parti erano state rimosse dalla paura, dal dolore, dal freddo nelle ossa, dal rumore fastidioso delle urla e delle auto, divenuti improvvisamente troppo elevati per i suoi timpani.

    Circondato dalle persone che iniziavano ad affollare il posto, Max rimase chino sul corpo inerme di Faith, chiamandola per nome dieci, cento, mille volte, e urlando invano a squarciagola, affinché si risvegliasse da quel sonno innaturale che le impediva di aprire gli occhi e di rispondere.
    Si tolse il cappotto e lo utilizzò per coprirla, avvolgendoglielo attorno con cautela.
    L'autista del mezzo che aveva travolto la ragazza si avvicinò con le mani sul viso contratto per lo spavento e il dispiacere.
- Ti ho trovato, finalmente.- Mormorò la ragazza respirando con fatica, gli occhi socchiusi.
    Lui ringraziò il cielo.
- Ti amo, Max. Non ho mai smesso di farlo, e perdonami se non ho saputo riconoscerlo. Spero che non sia troppo tardi per dirtelo.-
- Non è mai tardi per dire a qualcuno che lo ami.- La rassicurò con un sorriso accarezzandole la fronte - Ti amo anch'io, tanto.-
    Passandole una mano tra i capelli, sentì il sangue riscaldargli le dita, e capì che una profonda ferita dietro un orecchio stava rendendo pericolosa la situazione.     Di scatto fece per prendere il cellulare dalla tasca e chiamare i soccorsi, ma lei lo guardò come se stesse per salutarlo una seconda volta, quella sera.
- Vorrei che mi baciassi, Max, per favore.- Lo pregò sottovoce, ansimando.
  I suoi occhi, aperti a stento, lo preoccuparono, e piangendo Max posò delicatamente le labbra sulle sue, completamente stordito.
    Non appena si rese conto che Faith aveva smesso di rispondere al suo bacio, rialzò il viso e rimase in silenzio, osservandola incredulo con il respiro affannato.     L'abbracciò forte posando la testa sul suo petto, e la giacca di lana si tinse di rosso scuro, facendogli avvertire un fugace tepore.
    Si guardò intorno, mentre in lontananza si udiva il suono ovattato delle sirene delle auto della polizia. Di lì a poco sopraggiunse anche un'ambulanza, e gli uomini in divisa si misero prontamente in azione per tenere lontano i curiosi e bloccare il passaggio alle altre vetture.
    Gli infermieri si chinarono sollevando con prudenza il corpo di Faith per poi posarlo sulla barella, e fu allora che Max notò alcuni fogli tra la neve, a pochi passi da lui. Obbligandosi a riprendere il controllo sul suo corpo, si mosse lentamente, li colse e realizzò che si trattava delle fotografie sgualcite che avevano segnato l'inizio e la fine di tutto.
    Allora pianse, stringendole forte al cuore.


54. L E RAGIONI DEL CUORE

    L'essere rimasta sola davanti all'altare le aveva lasciato dentro una grande amarezza e una pesante solitudine. Ma fu uno stato d'animo che non durò a lungo: la sensazione di libertà e di accettazione del suo unico grande amore allontanò da lei ogni negatività. Le dispiaceva per ciò che era appena accaduto con Jason, certo, ma era finalmente riuscita a capire qual'era la strada giusta da intraprendere per vivere davvero. Si rese conto che la sua vita pretendeva di essere goduta come meritava, che era giunto il momento di smettere di rimandare una decisione che aveva già una soluzione che lei stessa aveva paradossalmente portato sempre nel suo cuore, ma che si era ostinata a non voler comprendere. Negare che Max era il suo destino le aveva soltanto fatto perdere tempo. Ora voleva riprendersi ciò che aveva perso.    L'auto-convincimento era stato un lavoro per cui aveva dedicato forze che avrebbe potuto investire in altri modi.
    Scomparvero tutte le persone presenti alla cerimonia, scomparvero i fiori, la chiesa. Ma lei non avvertiva alcun timore.
    La sete di risposte era stata placata, la voglia di riemergere era soffocante e rassicurante al tempo stesso. La eccitava, la coinvolgeva, le donava il coraggio di ammettere a se stessa di aver sbagliato.
    Era Max l'uomo della sua vita, ed ora che lo aveva compreso e accettato, desiderava soltanto abbracciarlo per non lasciarlo più andare via. Dirgli che lo amava come non aveva mai amato nessun altro, e ripeterglielo infinite volte. Lui era la sua salvezza, il suo mondo, il suo cielo, l'inizio e la fine di ogni sua giornata.
    Doveva correre da lui, guardarlo negli occhi e lasciare che le loro anime si fondessero in una sola, imparare che le ragioni del cuore non esistono, per il semplice fatto che l'amore vero non è mai costruito sui perchè.
    Una fortissima luce bianca la avvolse attirandola inesorabilmente a se, e lei camminava, raggiungendo lentamente l'apice di quella fonte chiara, sospinta da una forza invisibile. Il momento della rinascita si stava avvicinando, il tempo di cominciare il nuovo anno accanto alla persona più importante della sua intera esistenza stava arrivando.
   Man mano che avanzava, il buio che si lasciava alle spalle si allontanava trascinando via i dolori, le insicurezze e i rimpianti degli ultimi mesi, come fumo nero che svanisce nell'aria senza lasciare tracce.
    Si accorse con  stupore di essere scalza e di non avvertire alcun contatto con la superficie.
    Guardò indietro per l'ultima volta, e si lasciò andare.


E PILOGO
Dedicato a Monica


Spiaggia di St. Alexander, 19 aprile 2008

Peter Gabriel "The Book Of Love"
http://www.youtube.com/watch?v=k3rHErrrZ20
    Lo stretto sentiero che portava alla Spiaggia dei Desideri era rimasto lo stesso di dieci anni prima, e il profumo delle rose selvatiche che punteggiavano delicatamente di giallo e arancio i cespugli lungo la scogliera si univa al canto dei grilli nascosti nell'erba, a creare un'atmosfera carica di una dolce malinconia.    L'aria era straordinariamente calda per la stagione, e Max ispirò a fondo quella fragranza agrodolce e salmastra che la impregnava e lo riportava con la mente ai ricordi di una vita che non era più la sua da molto tempo, ma che non per questo rinnegava.
   Anzi, la custodiva dentro di se come il periodo più bello, quello che lo aveva aiutato a capire se stesso, ad accettarsi per quello che era, e ad apprezzare le sue qualità come i segni distintivi e più importanti in una persona.
    Dopo quella tragica notte a New York, aveva deciso di dare una svolta radicale alla sua vita. La perdita di Faith gli era servita come monito per apprezzare la vicinanza delle persone che lo amavano, e capire che tutto il tempo trascorso lontano da loro gli aveva fatto perdere di vista gli affetti e i valori fondamentali per l'esistenza di ogni essere umano.
   Una nuova ragazza era riuscita ad entrare nel suo cuore, dandogli un figlio, Alex, dopo pochi mesi di matrimonio. Insieme avevano deciso di trasferirsi a Santa Monica, in una graziosa casetta vicino all'oceano, con il giardino e un dondolo sotto il portico, e Max, insieme al cugino e ad Addison, aveva aperto un piccolo ristorante sulla spiaggia, che nei week end era sempre al completo.
    Ma, nonostante questo, non aveva mai dimenticato il suo amore per Faith, né lo aveva ricercato in altre persone, poiché sapeva benissimo che l'anima gemella era una soltanto, e nessun altra ragazza avrebbe mai potuto sostituirla. I momenti trascorsi con lei erano stati irripetibili nella loro bellezza, e proprio l'unicità li aveva resi stupendi e preziosi.
    Non si era dimenticato dell'appuntamento che lui e Faith avevano fissato per il 19 aprile del 2008. Aveva atteso da tanto l'arrivo di quel giorno, ma, quando arrivò, il suo cuore lo percepì come la fine di un racconto rimasto in sospeso per troppo tempo, forse per merito dei tanti ricordi che avevano affollato la sua testa da mesi e che erano riemersi con maggior prepotenza dal momento in cui aveva fermato la macchina sul lato della Pacific Coasthighway.  
- Ci siamo quasi, Alex! Coraggio! Guarda che meraviglia!- Disse al bambino che stava pochi passi dietro di lui.
    Max aveva insistito per portarlo fino alla spiaggia sulla schiena, ma Alex era tutto intenzionato a muoversi per conto suo, fermandosi di tanto in tanto per esplorare l'ambiente circostante.
- Ci sono, papà.- Rispose il bambino, incespicando nei piccoli ciottoli lungo il sentiero.
    Un cartello di legno consumato dalla sabbia faceva capolino da dietro il tronco di un arbusto, indicando il punto di arrivo, e poco dopo, quando il ragazzo alzò lo sguardo, i suoi occhi si assottigliarono e diventarono lucidi di commozione: non ci sarebbe stata fotografia al mondo che avrebbe saputo rendere giustizia a quello spettacolo.
   L'oceano gli si mostrò esattamente come la prima volta che lo aveva visto. Con le sue mille tonalità di verde e di blu, la superficie del Pacifico risplendeva in una distesa di minuscoli diamanti, e il cielo, infinito nella sua profondità, sprigionava una striscia arancio e rossa, che annunciava l'avvicinarsi del crepuscolo.
   Sullo sfondo, i tre scogli della costellazione dell'Ariete si ergevano maestosi, coperti di una folta vegetazione, e Alex li indicò, chiedendo al padre il motivo di quella particolare disposizione.
    Max lo prese per mano incamminandosi verso alcune rocce che lui conosceva bene, e raccontandogli la stessa storia dei desideri che gli aveva narrato Faith.
- E tu non hai mai scritto un desiderio lassù?- Gli domandò candidamente Alex.
- No, ma li ho scritti qui dentro.- Rispose Max estraendo una bottiglia da una cavità parzialmente celata dalla rena e da alcuni rami secchi.
    Non appena la toccò, una tempesta di emozioni lo travolse, facendosi largo nel suo cuore, e gli venne voglia di piangere. Non per dolore, bensì per la nostalgia di una persona che gli aveva restituito la vita salvandolo da un passato doloroso dal quale non era mai stato realmente in grado di liberarsi.
    Stappò con cautela la bottiglia ed estrasse due pezzi di carta arrotolati, sotto lo sguardo attento e silenzioso del figlio. I desideri di due persone ora erano racchiusi tra le sue mani, e lui li custodì come un tesoro per alcuni minuti immaginando di averli scritti soltanto il giorno prima.
Improvvisamente sentì che non sarebbe stato corretto leggere i pensieri di qualcun altro, violare la sua intimità. Ma si ricordò di averlo promesso, e lentamente srotolò i biglietti.
    Tirò un sospiro di sollievo: il primo era il suo.
Avere la fortuna di amare davvero almeno una volta nella vita.
    Non aveva alcun dubbio di esserci riuscito.
   Mise da parte il foglietto e guardò a lungo il secondo, sul palmo della mano.    Alzò lo sguardo sul figlio, e nei suoi occhi verdi trovò il coraggio di aprirlo, e scoprire un altro pezzo di se. L'ultimo.
  La calligrafia era quella di Faith, e come poteva non esserlo? “Povero stupido!”, si disse mentalmente. Ripensò a lei nel momento esatto in cui lo aveva scritto quel giorno di primavera, e fece scorrere le dita sulla carta, quasi aspettandosi che l'inchiostro gliele macchiasse, come simbolo di qualcosa che era rimasto ancora vivo dopo tanto tempo.
Cambiare la vita di qualcuno con il mio amore forse è una richiesta assurda, ma voglio provarci. Per te, Max, l'unica persona al mondo che ammiro e apprezzo per quella che è: un ragazzo alla continua ricerca di se stesso negli altri. Perciò desidero solamente che tu sia felice per il resto della vita. Io ho te, e non posso chiedere altro.
   Max chiuse gli occhi, e rivide lo sguardo dolce e sereno di Faith riaffiorare dietro le palpebre.
Anche il tuo desiderio si è avverato.” Pensò guardandola negli occhi.
    E lei gli sorrise.



R INGRAZIAMENTI

Nato con l'intenzione di ricordare mio padre, questo romanzo ha accompagnato, durante la sua stesura, diversi anni della mia vita, in cui tante e diverse cose mi sono accadute.
Eventi tristi, divertenti, teneri. A seconda del momento vissuto, ho voluto annotare con precisione quasi maniacale i pensieri che ho ascoltato e i sentimenti che ho provato, con lo scopo di non farli mai risultare banali, falsi o scontati, ma il più possibile vicini alla realtà.
Ho conosciuto persone che, con le loro idee, le loro speranze e i loro principi mi hanno aiutato a descrivere al meglio le emozioni e le sensazioni dei personaggi che ho raccontato.
Confesso che parecchie volte mi sono trovato in difficoltà a proseguire nella stesura, ma proprio grazie a queste persone sono stato in grado di perfezionarla, migliorarla e, soprattutto, ultimarla.
Io stesso, nonostante ne sia il “creatore”, ho imparato tanto da questo romanzo, sono cresciuto un po' insieme a lui, e posso tranquillamente affermare che “Le Ragioni del Cuore” appartiene anche a tutti coloro che mi sono stati - e mi sono tuttora - vicini.
Il romanzo termina proprio nel momento in cui ne inizia per me uno nuovo: la vita reale.
Max rappresenta ciò che ero, che sono e che vorrei diventare.
Faith è l'anima gemella, cioè la persona che tutti cercano, non tanto per le sue qualità o i suoi difetti, ma per la figura che completa ciascuno di noi, come noi stessi meglio crediamo. La persona che pochi riescono a trovare, come dice Holly in uno degli ultimi capitoli, o che addirittura pochi riescono a riconoscere.
Chiamatemi sognatore o visionario, ma sono convinto che da qualche parte nel mondo ci sia una sorta di incastro perfetto tra due persone predestinate a stare insieme.

Ed ora passiamo ai veri ringraziamenti!
Alla mia fantastica correttrice di bozze: grazie per i tuoi consigli, per le tue lavate di capo, per le notti trascorse a chiacchierare sempre delle stesse cose, e per la spalla che mi hai offerto in uno dei momenti più delicati della mia vita.
Ringrazio un'amica lontana - geograficamente parlando, ma sempre vicina nel mio cuore - per l'affetto e la comprensione donatami. Grazie a te sono riuscito a cambiare.
Grazie alla mamma per avermi fatto diventare quello che sono. Ti voglio bene!
Grazie a chi mi ha fatto male, perchè se non l'avesse fatto, non avrei capito un tubo di me stesso.
Grazie alle persone che sanno farmi emozionare anche solo per un istante.
Grazie a tutti i miei recensori: mi avete scritto parole bellissime, che spesso mi hanno fatto riflettere.
Grazie a chi non è più qui con me, che ho amato e che non potrò - né vorrò - mai dimenticare.

Un abbraccio,



M arco

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