Un'altra Guerra del Tempo di katyjolinar (/viewuser.php?uid=3135)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***
Capitolo 22: *** 22 ***
Capitolo 23: *** 23 ***
Capitolo 24: *** 24 ***
Capitolo 25: *** 25 ***
Capitolo 26: *** 26 ***
Capitolo 27: *** 27 ***
Capitolo 28: *** 28 ***
Capitolo 29: *** 29 ***
Capitolo 30: *** 30 ***
Capitolo 31: *** 31 ***
Capitolo 32: *** 32 ***
Capitolo 33: *** 33 ***
Capitolo 34: *** 34 ***
Capitolo 35: *** 35 ***
Capitolo 36: *** 36 ***
Capitolo 37: *** 37 ***
Capitolo 38: *** 38 ***
Capitolo 39: *** 39 ***
Capitolo 40: *** 40 ***
Capitolo 41: *** 41 ***
Capitolo 42: *** 42 ***
Capitolo 43: *** 43 ***
Capitolo 44: *** 44 ***
Capitolo 45: *** 45 ***
Capitolo 1 *** 1 ***
906 anni.
Per un umano sembrano
un’eternità, oltre 30 generazioni.
Eternità.
Nell’universo nulla è eterno, o almeno non lo
è
nel senso proprio del termine. Ogni cosa si trasforma in
qualcos’altro, in un
continuo circolo.
In 906 anni molte cose cambiano, e
quell’uomo lo sapeva
bene; lui di cambiamenti era un esperto.
Camminava nella base militare di
Jacksonville, Florida,
Stati uniti. Era il 2036; ci era già stato lì, ci
aveva vissuto quando era
appena un ragazzo, 800 anni prima, ma per i terrestri erano passati
soltanto
poco meno di 60 anni.
Si fermò davanti
all’ultima casa. La riconobbe: la porta
rossa la distingueva dal resto delle case. Erano passati secoli, ma
ricordava
bene quando l’aveva dipinta; in realtà il
regolamento lo vietava, ma la sua
posizione professionale aveva fatto chiudere un occhio ai piani alti.
In fondo
essere l’ufficiale scientifico capo della base dava i suoi
vantaggi.
A quei tempi si faceva chiamare Jacob
Dunham, ma era
conosciuto come Il Dottore.
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Capitolo 2 *** 2 ***
Si fermò sul vialetto e si
guardò intorno; tutto era
immobile, abbandonato da chissà quanto tempo.
Faceva caldo. Si aprì
l’impermeabile e si allentò la
cravatta, quindi fece qualche passo verso la porta della casa. Le
Converse
affondavano nella terra morbida del vialetto, facendolo sorridere ai
lontani
ricordi della sua giovinezza: una giovane donna che lo aspettava
davanti alla
porta, i capelli biondi che si muovevano nel vento… la sua
cara Marilyn.
Fece un respiro profondo e
aprì. Si guardò intorno, i mobili
erano sempre gli stessi, anche se erano rovinati dagli anni.
Entrò nella camera da
letto; il grosso letto matrimoniale
occupava ancora buona parte della stanza. Si sedette sul materasso e lo
provò;
si sorprese a chiedersi che ne era stato di Marilyn, ma si
ricordò che erano
passati 59 anni, probabilmente era morta di vecchiaia, o era molto
anziana e
viveva da qualche parte, affidata alle cure delle figlie e,
probabilmente, dei
nipoti.
L’uomo scattò in
piedi e corse nell’altra stanza. Si fermò
davanti alla porta, riportando alla mente l’aspetto che aveva
nel periodo in
cui si era fermato in quella casa: un lettino e una piccola culla, e
animali di
pelouche ovunque.
Poggiò una mano sulla
maniglia e la girò.
I cardini cigolarono sotto il peso
degli anni, rivelando la
piccola stanza delle bambine. Non era affatto come se la ricordava: ai
due lati
c’erano due lettini in legno, le altre due pareti, invece,
erano occupate da un
armadio e una scrivania.
Rimase sorpreso, ma si riprese
subito. Era ovvio che non
fosse come ricordava, le bambine nel frattempo erano cresciute.
Qualcosa, per terra vicino alla
scrivania, attirò la sua
attenzione. Si avvicinò e raccolse un vecchio orsetto
impolverato, con una tuta
mimetica e un cappellino. Il Dottore sorrise e se lo mise nella tasca
dell’impermeabile.
Si guardò ancora intorno;
sulla scrivania trovò un blocco
per disegni. Prese anche quello, lo aprì e riconobbe il
tratto.
“Olive…”
sussurrò tra sé, sfogliando i disegni. Riconobbe
alcune cose a lui famigliari, compreso un rozzo disegno di una cabina
blu. Andò
ancora avanti, ma quello che vide non gli piacque: terrore, tristezza,
smarrimento, violenza…
Corse fuori, verso il suo mezzo di
trasporto. Prima di
andarsene, 800 anni prima, aveva chiesto ad altri due scienziati suoi
amici di
prendersi cura delle sue ragazze. Perché non lo avevano
fatto?
Entrò nella cabina e
accese il computer di bordo; voleva
cercare qualunque informazione su cosa fosse successo in quei 60 anni a
Marilyn
e le bambine.
Non trovò molto: Marilyn
era morta pochi anni dopo la sua
partenza, e le bambine erano state affidate a un’amica di
famiglia.
Controllò tutti i
documenti che aveva trovato. Dopo che se
ne era andato Marilyn si era risposata. Trovò molte denunce
per violenza
domestica, e infine il certificato di morte di quell’uomo.
Rachel aveva 5 anni
e Olivia 7.
Erano state affidate in seguito a
Nina Sharp; se la
ricordava bene quella donna, era ambiziosa e irrefrenabile sul lavoro,
ma
sapeva che sarebbe stata un’ottima madre. Infatti ebbe la
conferma da quello
che trovò: Rachel si era sposata e aveva avuto due figli,
Ella e Eddie, mentre
Olivia era entrata nell’FBI.
Rise di gusto, era proprio il colmo,
lui che odiava le armi
aveva avuto una figlia che con le armi aveva a che fare tutti i giorni.
Continuò a leggere. Le
informazioni non erano molte… Olivia
aveva avuto una figlia nel 2012, Henrietta Bishop. I suoi cuori fecero
un
balzo: quel bambino malaticcio che aveva incontrato nelle cene con le
famiglie
dei colleghi era il padre di sua nipote. I Bishop gli erano sempre
piaciuti,
Walter sembrava una brava persona, anche se era un po’
eccentrico.
Cercò altre informazioni,
ma oltre il 2015 c’era il buio più
totale, non solo sulla sua famiglia, ma su tutto quanto. Era come se
dopo il
2015 la Terra avesse smesso di vivere.
Decise allora di trovarsi le
informazioni di prima mano. Si
spostò ai comandi, impostò la data e
tirò la leva di avvio.
Il veicolo ebbe uno scossone e
cominciò a roteare su sé
stesso; il Dottore si aggrappò alla plancia dei comandi per
non volare via.
“Oh, andiamo, piccola! Vai
più piano!” esclamò, tirando con
forza il freno.
La frenata brusca
scaraventò l’uomo dall’altra parte della
stanza, assieme a tutti gli oggetti non fissati. Il Dottore si
alzò dolorante e
controllò lo schermo della data.
“Ancora 2036? Ma avevo
detto 2015, stupido catorcio di un
TARDIS!”
Come risposta,
l’apparecchio smise di funzionare.
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Capitolo 3 *** 3 ***
“Dannazione! No! Non
ora!” imprecò, prendendo a calci la
plancia. Il TARDIS non diede segni di vita: si stava autoriparando e ci
sarebbe
voluto parecchio tempo perché potesse ripartire. Decise di
farsi un giro fuori.
Aprì la pesante porta in
legno che lo separava dall’esterno.
Era notte; annusò l’aria, si trovava ancora sulla
Terra, ma c’era qualcosa di
strano. Una strana sensazione lo invase, qualcosa che aveva
già sentito quando
era arrivato alla base militare di Jacksonville, prima non ci aveva
fatto caso,
ma era come se la vibrazione non fosse quella giusta.
Si guardò intorno; prima
di pensare ad altro doveva capire
dove si trovava. Non era più a Jacksonville, ma era ancora
negli Stati Uniti,
ne era abbastanza certo.
Chiuse a chiave il TARDIS e si
incamminò lungo il vicolo,
tenendo le mani nelle tasche dell’impermeabile.
Sentì tra le dita il suo
cacciavite sonico; non era un’arma,
lui non ne portava mai, ma gli sarebbe comunque tornato utile.
Era quasi arrivato allo sbocco del
vicolo quando dalla
strada principale si sentirono degli spari.
Si bloccò sul posto,
afferrò il cacciavite sonico e lo
puntò.
Qualcuno comparve dalla strada, si
fermò e guardò verso di
lui. teneva un fucile tra le mani; fissò ancora il vicolo e,
finalmente, corse,
andando incontro al Dottore. Quando fu abbastanza vicino lo
afferrò per la
cravatta e lo trascinò dietro un cassonetto dei rifiuti.
“Cosa…”
chiese il Dottore, tenendo ben saldo il cacciavite
sonico.
“Stai
giù!” esclamò una voce famigliare. Il
Dottore lo
guardò meglio: capelli castani, occhi chiari, fisico
scolpito; lui aveva già
visto quell’uomo.
“Capitano
Harkness?!”
“Ci conosciamo?”
chiese l’altro, rispondendo al fuoco. Non
avevano ancora smesso di sparare.
“Certo che sì!
Sono il Dottore!”
Il Capitano smise di sparare e lo
fissò sorridente. Stava
per dire qualcosa, quando una pallottola vagante lo colpì
alla testa. Harkness
cadde a terra con un buco in mezzo alla fronte e gli spari cessarono.
Il Dottore si affacciò con
cautela, sbirciando verso la
strada; non c’era più nessuno, quindi si
girò verso il Capitano, ancora steso a
terra. Il foro di proiettile era scomparso; Harkness annaspò
e fece un colpo di
tosse, poi si tirò su.
“Cosa…”
chiese ancora il Dottore.
“Lealisti. Diventano ogni
giorno più precisi. È la quinta
volta che mi accoppano oggi.”
“C…
cosa?” ripetè ancora l’altro
“Che cosa diavolo succede,
Jack?”
L’altro sospirò
e si alzò, si guardò intorno e tornò a
rivolgersi al Dottore.
“Sei proprio
l’aiuto che ci serve. Vieni con me, ti spiego
tutto dopo.”
Il Dottore annuì e
seguì il Capitano lungo strade strette e
poco frequentate, fino a una vecchia entrata di servizio della
metropolitana.
“La metropolitana di Boston
non viene più usata da circa 20
anni. I ribelli la usano come nascondiglio sicuro.”
spiegò, passando il cancello
e scendendo la stretta scala.
Si ritrovarono in un ambiente colmo
di gente intenta a
preparativi di ogni genere, ma nonostante l’affollamento
c’era un gran
silenzio.
I due si fecero largo tra la folla,
quindi svoltarono in un
tunnel laterale meno affollato, su cui si aprirono alcune porte.
Jack si fermò davanti
all’ultima porta e tornò a rivolgersi
al Dottore.
“Dietro questa porta
c’è una delle nostre collaboratrici e
informatrici. Una brava ragazza.”
L’altro annuì e
il Capitano aprì la porta. Appena entrarono
una giovane donna bionda corse loro incontro e saltò al
collo di Jack.
“Ehi! Piano,
piccola!” esclamò l’uomo “Che
succede?”
“Li ho trovati!”
disse la ragazza, indicando un altro uomo,
nella stanza con loro.
Il Dottore li osservò; i
due nuovi avevano lo stesso sguardo
e una postura molto simile. Probabilmente erano parenti tra loro.
“Stai dicendo che quel gran
bel fusto è…” domandò Jack,
mangiandoselo con gli occhi. La giovane annuì e
guardò il Dottore, incuriosita.
“Dottore, ti presento
Etta.” li presentò il Capitano.
“Dottore?” chiese
l’altro uomo “Dottore chi?”
“Solo Il Dottore. E lei
sarebbe?”
“Peter. Peter
Bishop.” si presentò l’altro.
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Capitolo 4 *** 4 ***
Peter Bishop. Quell’uomo
non dimostrava più di 40 anni, come
poteva essere suo genero?
Se lo ricordava neonato, nel 1978, e
nel 1979 ricordava che
passava ore a contemplare Olivia che dormiva, quando si trovavano tutti
insieme.
Inoltre se lo ricordava malato, una
strana malattia lo aveva
colpito in tenera età e per quello che sapeva lo avrebbe
ucciso prima di
raggiungere i 10 anni. Nonostante se ne fosse andato quando Olivia
aveva due
anni e Rachel era neonata, quindi Peter aveva 3 anni, era convinto che
sarebbe
sopravvissuto, poiché Walter si era dato da fare fin da
subito per trovare una
cura, ma non pensava di trovarsi di fronte un uomo perfettamente sano,
senza
alcun segno di quella orribile malattia.
“Peter Bishop? Una volta
conoscevo tuo padre.” disse il
Dottore, guardandolo fisso negli occhi.
“Non credo che Walter possa
ricordarsi. Siamo stati fuori
dal giro per parecchio tempo.” rispose l’altro.
“In realtà
ricordo molte cose, al momento, ma di te no,
giovanotto.” rispose una voce derma e anziana alle loro
spalle.
Il Dottore si girò,
trovandosi faccia a faccia con Walter
Bishop in persona. Era anziano, ma non quanto avrebbe pensato, e aveva
ancora
quella caratteristica scintilla nei suoi occhi, ancora viva dopo
più di mezzo
secolo.
“Beh, io sono cambiato
parecchio da allora… è passato tanto
tempo.”
Si avvicinò quindi a
Walter e lo fissò intensamente negli
occhi. Walter sostenne lo sguardo, infine spalancò gli occhi
ma non si mosse.
“Hai scoperto
l’elisir di lunga vita, Jake?”
“Più o
meno…” rispose l’altro, con un sorriso
gongolante e
guardandosi intorno “Potrei farti la stessa domanda,
Walter.”
“Walter, lo
conosci?” si intromise Peter.
“Eh? Sì, lui
è…”
“Un vecchio amico di
famiglia.” completò il Dottore.
“Non sembri poi
così vecchio.” Rispose l’altro,
sospettoso.
Il Dottore non rispose e si
girò verso Jack, che aveva
aggiornato Etta sugli ultimi avvenimenti.
“Capitano, ho bisogno che
mi racconti tutto quello che è
successo dal 2015 ad oggi.”
“Etta…”
si intromise il dottor Bishop “Mia cara ragazza, non
ci hai ancora presentato questo tuo amico.”
“Lui è il
Capitano Jack Harkness. Prima dell’Epurazione era
a capo di una squadra dell’Istituto Torchwood, in Gran
Bretagna.”
“Istituto
Torchwood?” chiese Walter, interessato “Che
cos’è?”
“Era un’agenzia
che si occupava dello studio e recupero di
tecnologia aliena,” spiegò il Capitano
“allo scopo di prevenire e combattere
una possibile invasione… ma questo era prima di scoprire che
la minaccia veniva
dalla Terra stessa, e non dallo Spazio.”
“Tecnologia Aliena? Intendi
extraterrestre?” chiese Peter,
confuso.
“Gli incontri ravvicinati
sono più frequenti di quanto si
creda. Potresti esserne testimone in qualsiasi momento senza che te ne
renda
conto.” spiegò il Dottore, prima di tornare a
rivolgersi a Jack “Che fine hanno
fatto gli altri? I tuoi compagni intendo.”
Jack sospirò e
abbassò lo sguardo.
“Li hanno uccisi tutti
durante l’Epurazione. Io me la sono
cavata grazie alla mia capacità.”
“Cosa è
successo, precisamente, durante questa Epurazione?”
chiese il Dottore. Negli archivi del TARDIS non aveva trovato
nulla… eppure
aveva accesso a tutta la storia dell’Universo.
“Oh,
beh…” esordì Peter “Per dirla
in modo semplice, il
futuro ci ha invaso.”
“Cosa? C… che?
Come?” domandò ancora il Dottore.
Jack sospirò e si
avvicinò, mettendosi di fronte all’uomo.
“E’
più facile se lo vedi di persona, Dottore. Accedi ai
miei ricordi.”
L’altro lo fissò
indeciso, infine gli prese la testa tra le
mani e chiuse gli occhi.
Stava per accedere ai ricordi del
Capitano, quando Peter lo
fermò.
“Che stai
facendo?”
“Devo entrare nella memoria
a lungo termine di Jack. Ora lasciami
lavorare. Non accetto altre interruzioni da gente meno intelligente di
me.”
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Capitolo 5 *** 5 ***
Ottenuto il silenzio, il Dottore si
concentrò nella mente di
Jack.
Cercò nel mare di ricordi
quello giusto, aiutato dal
Capitano, che portava in superficie quelli risalenti al 2015.
Finalmente trovò
il filone giusto e cominciò a raccontare quel che vedeva.
Cardiff, un
tranquillo
pomeriggio di settembre. Jack era di buonumore: quel giorno non doveva
lavorare, e aveva organizzato di passare la giornata con Ianto. Era
riuscito a
venire in possesso di due ottimi biglietti per la partita di calcio di
quel
pomeriggio.
Erano appena
entrati
nello stadio quando ci fu una breve ma intensa scossa di terremoto. Lo
stadio
venne evacuato, ma quasi subito scattò il cessato allarme e
poterono rientrare.
Jack si guardò intorno; aveva l’impressione che le
persone, prima dell’evacuazione,
fossero molte meno.
La partita
cominciò
regolarmente, ma un boato la interruppe dopo venti minuti. Tutto lo
stadio si
alzò in piedi; cosa stava succedendo?
Degli uomini
erano
comparsi come dal nulla; vestivano in grigio ed erano completamente
pelati.
Tra la folla
si
scatenò il panico; tutti corsero verso le uscite, ma erano
bloccate.
Gli uomini
calvi si
avvicinarono alla gente, presero alcune persone e poi…
Fu un
massacro. Le persone
vennero prese a gruppi, e gli altri erano costretti ad assistere.
Venne il
turno di
Ianto e Jack. Cercarono di opporre resistenza, ma senza successo;
vennero
abbandonati nel prato, al centro dello stadio.
Jack si
svegliò nello
stadio deserto. Gli uomini calvi erano scomparsi, lasciando nello
stadio solo
cadaveri.
Riuscì
ad uscire e
tornò alla base di Torchwood, ma anche lì erano
passati gli uomini in grigio.
Scappò
via, scoprendo
che c’erano altri sopravvissuti. Venne organizzata una
resistenza, ma tutte le
rivolte vennero soppresse col sangue.
Molto
duramente riuscì
a raggiungere gli Stati Uniti.
Scoprì
che gli uomini
calvi avevano preso il potere anche oltre oceano. Venivano dal futuro,
erano
chiamati Osservatori.
Scoprì
anche che un’agenzia
federale, la Divisione Fringe, cercava di combatterli. Li
cercò; voleva unirsi
alla lotta contro coloro che avevano ucciso le persone che considerava
la sua
famiglia.
Il tempo
passò. Jack
continuava a cercare questo gruppo federale; arrivò a
Boston, nella ormai
deserta Università di Harvard. Lì
trovò un gruppo di ribelli.
Erano
quattro adulti e
una bambina di circa cinque anni, due uomini e due donne, di cui una
incinta… e
uno somigliava incredibilmente al Dottore. Jack conosceva anche la
donna
incinta: era Rose, compagna del Dottore per un certo tempo, prima di
rimanere
imprigionata in un universo alternativo assieme al clone umano del
Dottore
stesso.
Gli altri
due non li
aveva mai visti prima: lei aveva i capelli rossi e somigliava
incredibilmente
alla bambina, mentre l’altro uomo era bruno e indossava un
paio di occhiali.
Gli dissero
di
chiamarsi Olivia Dunham e Lincoln Lee, di provenire da un universo
alternativo
e di aver fatto parte, assieme a Rose e al “Dottore
Umano”, che aveva assunto
il nome di John Smith, della Divisione Fringe del loro universo, e di
essersi
uniti alle loro controparti alternative nella lotta contro gli
Osservatori,
dopo la fusione dei due universi, che aveva dato vita a un terzo.
Si
unì a loro; scoprì
che la bambina era la figlia della controparte di Olivia, affidata loro
prima
di decidere di ibernarsi in una sostanza color ambra,
all’interno del locale
dove loro stessi si nascondevano.
In poco
tempo
conquistò la loro fiducia e l’affetto della
piccola Henrietta, ma la lotta
contro gli Osservatori era infruttuosa, e presero anche loro la
decisione di
ibernarsi. Fu una decisione sofferta soprattutto per Rose e John:
avrebbero
ibernato anche il nascituro, prima della sua nascita, ma non
c’era altra
soluzione.
Jack si
prese carico
della piccola Henrietta. Acquistarono delle false identità e
la crebbe come una
figlia, vedendola diventare agente della nuova Divisione Fringe e,
contemporaneamente, membro attivo della resistenza, soprattutto grazie
all’appoggio
del suo superiore all’interno della Divisione, Simon Foster.
Il Dottore allontanò le
mani. Entrambi stavano piangendo: il
transfert emotivo era un effetto collaterale della sua
capacità telepatica
tattile.
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Capitolo 6 *** 6 ***
Jack non riusciva a smettere di
piangere. Riportare alla
mente tutti quei ricordi dolorosi lo aveva destabilizzato.
Il Dottore lo abbracciò,
in attesa che si calmasse, infine
fissò gli altri tre.
I due uomini non mostravano alcuna
emozione, ma la ragazza
sembrava scossa e impugnava una pistola.
“Henrietta, metti via
quell’arma.” disse, calmo.
“Tu puoi leggere la mente
delle persone.” affermò la
giovane, senza abbassare l’arma.
“Non sono un Osservatore.
Loro sono umani del futuro, io no.”
“Dimostralo!”
“Etta, il Dottore ha
ragione.” la rassicurò Walter. Peter le
prese delicatamente la pistola dalle mani e la abbracciò. La
giovane si calmò
un po’ e fissò gli altri.
“Quindi ci troviamo in un
altro universo?” esordì il Dottore.
“Un universo nato dalla
fusione di altri due.” spiegò Peter
“Questo
ha una frequenza di fondo di 329,6 Hz, gli altri vibravano
rispettivamente a
261,6 e 392 Hz.”
“Certo…
è naturale.” annuì il Dottore
“Serve agli
Osservatori per poter vivere nel passato senza dover usufruire di una
Macchina
del Paradosso. Molto int…” si bloccò,
come se si fosse appena ricordato di
qualcosa.
“Qualcosa non va,
Dottore?” chiese Jack, che nel frattempo
si era calmato.
“Non siamo nello stesso
universo.” ripeté il Dottore.
“E’
così. E allora?” rispose Peter.
“La mia piccola…
la mia piccola potrebbe morire…”
balbettò,
poi corse fuori.
Gli altri lo seguirono a distanza
ravvicinata lungo i vicoli
di Boston. Riuscirono ad evitare sia i Lealisti che gli Osservatori,
fino ad
arrivare ad un vicolo cieco, sul fondo del quale era posta una cabina
telefonica della polizia inglese degli anni 40, tanto anacronistica
quanto
fuori luogo.
“La mia
piccolina…” ripeté il Dottore, come se
stesse
parlando alla sua fidanzata.
“Che
cos’è quella?” chiese Etta, mentre il
Dottore prendeva
la chiave e, con mano tremante, apriva quella strana cabina blu.
“E’ il TARDIS del
Dottore.” spiegò Jack, mentre il Dottore
spalancava la porta in legno e correva dentro.
Tutti gli altri lo seguirono; Walter
entrò per ultimo,
rimanendo sbalordito dalle dimensioni. Uscì di nuovo fuori,
misurandone il
perimetro esterno, quindi rientrò e si guardò
intorno.
“Fantastico! Più
grande dentro che fuori! Dove lo hai
recuperato questo?”
“L’ho
rubata.” rispose spicciamente il Dottore, mentre controllava
la plancia centrale “Povera piccola… stai
soffrendo, vero? Non temere, ti
rimetterò in sesto in un lampo.”
Si inginocchiò e
aprì una delle grate del pavimento, si
immerse nel mare di cavi e ne riemerse tenendo tra le mani un piccolo
cristallo
che emanava una debole luce azzurrina; ci soffiò sopra e il
cristallo aumentò
leggermente di intensità luminosa. Il Dottore sorrise e se
lo mise nella tasca
dell’impermeabile, quindi si tirò su.
“Ci vorrà
più tempo dell’ultima volta.” disse
“Che cosa si
fa ora?”
“Dobbiamo liberare Simon
dall’Ambra.” rispose la giovane.
“Ed anche Olivia e gli
altri. Ma gli apparecchi che avete
usato per liberare noi sono danneggiati.” Continuò
Peter.
“E poi dobbiamo aspettare
Astro. È andata a fare provviste,
dovrebbe tornare tra poco.” concluse Walter.
“Va bene. Torniamo al
nascondiglio.” ordinò il Dottore
“Darò
un’occhiata a quei vostri apparecchi mentre
aspettiamo.”
Tornati alla metropolitana, il
Dottore si sistemò in una
stanza vuota, in attesa. Dopo poco Peter lo raggiunse con i due
apparecchi che
erano stati usati per liberare lui e i suoi compagni.
Il Dottore ne smontò uno
usando il suo cacciavite sonico.
Peter lo osservava da vicino, in piedi, con le braccia incrociate sul
petto.
“C’è
qualcosa che vuoi chiedermi, ragazzo?” chiese il
Dottore, senza togliere gli occhi dal suo lavoro.
“Ragazzo? Tu hai la mia
stessa età.” obiettò l’altro.
“Solo apparenza. Sono molto
più vecchio di quanto tu creda. Sono
anche più vecchio del Capitano, che ha circa 100
anni.”
Peter lo fissò, senza
lasciar trasparire alcuna emozione.
“Chi sei? Come hai
conosciuto Walter?”
“E’ una lunga
storia… l’ho conosciuto negli anni 70 a
Jacksonville. Ero uno scienziato militare.” alzò
la testa e lo guardò negli
occhi “Ti ho anche visto nascere, sai?”
Peter sussultò. Il Dottore
vide affiorare un dolore intenso
nei suoi occhi.
“Olivia, la madre di
Henrietta, è di Jacksonville.” spiegò
Bishop.
“Anche io sono stato padre,
molto tempo fa.” rivelò l’altro.
“Non credo tu abbia
abbandonato tua figlia di 4 anni,
sapendo che potevi non rivederla mai più.”
“Oh, sì che
l’ho fatto… anzi, le mie figlie erano molto
più
giovani.” affermò il Dottore, continuando a
concentrarsi sul suo lavoro.
“Perché le hai
lasciate?” chiese, infine, Peter.
“Per la loro sicurezza. Nel
mio mondo ero un ricercato e un
rinnegato. Ho dovuto fingere la mia morte qui sulla Terra
perché lasciassero in
pace mia moglie e le mie figlie. Ma non è stato semplice,
voi umani avete l’incredibile
capacità di lasciare il segno.”
“Voi umani?”
domandò l’altro, confuso.
“Già…”
annuì il Dottore, facendo un leggero sorriso “io
non
sono umano, vengo da un altro mondo. Si chiamava Gallifrey.”
una nota di
tristezza attraversò i suoi occhi, al ricordo del pianeta
natale andato
distrutto.
Bishop lo fissò per
qualche secondo, esaminando la sua
reazione.
“Anche io, in un certo
senso, non sono di questo mondo.”
ammise.
Il Dottore lo guardò
interrogativo, e l’altro riprese a
parlare.
“Hai detto di avermi visto
nascere. Beh, quello non ero io,
ma il mio doppio. Lui è morto di una strana malattia quando
aveva 7 anni. Stavo
morendo anche io, ma Walter mi rapì e mi salvò la
vita usando la cura che non
aveva fatto in tempo a somministrare al suo Peter. Da allora sono
sempre
vissuto con Walter. È una brava persona, anche se ha fatto
degli errori.”
“Tutti fanno degli
errori.” sentenziò il Dottore.
“Non tutti,
però, usano dei bambini per fare esperimenti
atroci. Olivia era una di questi, e ne è rimasta segnata per
sempre.”
L’alieno smise di lavorare
sul dispositivo e fissò
intensamente Peter.
“Che tipo di esperimenti
erano?”
“Le hanno iniettato una
sostanza sperimentale, il
Cortexiphan, e l’hanno terrorizzata a morte, allo scopo di
far emergere alcune
capacità nascoste.”
Il Dottore scattò in piedi
e corse fuori. Sul suo volto si
leggeva un’immensa rabbia.
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Capitolo 7 *** 7 ***
Walter era seduto nel corridoio
principale assieme ad
Astrid, Etta e un gruppo di Nativi ribelli. Stava raccontando loro
tutto ciò
che sapeva riguardo gli Osservatori, poiché una buona
conoscenza del nemico è
alla base di una buona strategia di attacco e di difesa.
Il Dottore arrivò di
corsa, seguito da Peter, e, senza dire
una parola, sollevò di peso il vecchio scienziato e lo
sbattè contro il muro,
tenendolo per il colletto.
“Come hai osato? Erano solo
bambini!” disse, a denti
stretti, il Dottore.
“Ma
che…” esclamò Walter, sorpreso e
confuso.
“Te le avevo affidate
perché te ne prendessi cura, non per
trasformarle in cavie da laboratorio!” continuò
l’altro, sempre più arrabbiato.
“I… io
l’ho resa speciale” balbettò
l’altro, cercando di
liberarsi dalla presa del Dottore.
“Era solo una bambina! Tu
l’hai traumatizzata! Pensavo di
potermi fidare di te.”
“Tu eri morto, Jacob! Era
già traumatizzata.” ribattè,
finalmente, il dottor Bishop.
“Non è un buon
motivo per fare quello che le hai fatto!”
“E’ stata
un’idea di Belly…” si
giustificò Walter.
“Non inventare scuse! Anche
fosse stata una sua idea, tu ne
sei responsabile in ugual misura!”
“Ora basta! Tutti e
due!” si intromise Peter, separandoli.
“Non ti mettere in mezzo,
ragazzo!” ringhiò il Dottore
“Questa è una questione privata tra tuo padre e
me.”
“Qualunque cosa sia
successa, è passato più di mezzo
secolo.” disse il giovane Bishop “E comunque
dobbiamo restare uniti, altrimenti
facciamo solo il gioco degli Osservatori.”
“Lui ha fatto del male a
mia figlia!” ripetè il Dottore.
“E’ successo
mezzo secolo fa. Ora dobbiamo pensare a
liberarla dall’Ambra, come tutti gli altri.”
argomentò il giovane, guardandolo
negli occhi.
Il Dottore lo fissò
indeciso, quindi si allontanò di qualche
passo.
“Che cosa è
successo, papà?” chiese Etta, confusa.
“Il Dottore ha scoperto
cosa ha fatto tuo nonno a sua
figlia, molti anni fa.” spiegò Peter.
Etta annuì e si
avvicinò, guardando il Dottore negli occhi.
“Parlami di tua
figlia.” gli chiese “Cosa le è
successo?”
L’alieno la
fissò per qualche istante. Gli occhi della
ragazza avevano il colore di quelli del padre, ma lo sguardo, in quel
momento,
era quello della sua piccola Olive.
“Non la vedo da quando
aveva due anni…” spiegò “era
una
bambina così dolce, persino tuo padre ne era rimasto
colpito… ed era anche
forte, la persona più forte che abbia mai conosciuto,
nonostante l’età. E io ho
conosciuto molte persone, in molti mondi. Ho oltre 900 anni,
sai?”
Henrietta sorrise. Il Dottore fu
stupito dell’incredibile
somiglianza che c’era tra lei e sua madre.
“Non sembri così
vecchio…”
“Oh, lo sono. Sono un
vecchio, noioso Signore del Tempo.” Rise
l’altro, mettendosi le mani in tasca.
“Signore del
Tempo?” domandò la giovane.
“E’ la mia razza.
Te l’ho detto, non sono umano.” spiegò.
“Parlami del tuo
pianeta.” lo incoraggiò lei.
Il Dottore sospirò, si
tolse l’impermeabile, lo stese a
terra e si sedette.
“Era bellissimo…
si trovava a 250 milioni di anni luce da
qui. Era pieno di alberi dalle foglie argentee, e le montagne avevano
prati di
un rosso intenso, coperti di neve. Aveva due soli, sai? Era uno
spettacolo, il
secondo sole sorgeva a sud, e gli alberi apparivano argentei come una
foresta
in fiamme. La cittadella era posta sotto…”
raccontò, ma si accorse che
Henrietta stava descrivendo lo stesso paesaggio e la fisso, in silenzio.
“…Sotto
un’immensa cupola trasparente.” concluse lei
“La
mamma mi descriveva questo posto, quando ero piccola.”
Il Dottore sorrise, fissando un punto
lontano di fronte a
lui.
“Lo descrivevo alla mia
figlia maggiore per farla
addormentare…” disse.
“Ti manca il tuo
pianeta?” domandò Etta.
“Molto. Ma la Terra
è un pianeta altrettanto bello. Mi sono
affezionato a voi umani.”
“Sai nulla di cosa
è successo alle tue figlie, dopo che te
ne sei andato?” chiese, infine, la ragazza.
“So solo che hanno messo su
famiglia. Ho tre nipoti, un
maschio e due femmine, e una mi sta rendendo particolarmente fiero di
lei.”
I due si guardarono a lungo; il
Dottore sorrise e le diede
un buffetto sulla guancia.
In quel momento Jack tornò
da una ronda; la sua camicia
presentava un grosso buco sul petto, che non c’era quando era
uscito.
“E’ quasi ora del
coprifuoco, dobbiamo andare.” li informò.
Il Dottore si rimise in piedi, prese
l’impermeabile e lo
spolverò.
“Dove andiamo?”
chiese.
“A casa mia. Stiamo
lì di notte.” rispose Etta.
“No. Stanotte staremo sul
TARDIS. Anche se non è ancora
guarita, i sistemi di sicurezza e il dispositivo anti-rilevamento sono
pienamente funzionanti.” ordinò il Dottore
“Ho anche un sacco di stanze libere,
quindi potrete sistemarvi comodi.”
Tutti si guardarono; alla fine Peter
annuì.
“Mi sembra
un’ottima idea.” Esclamò, quindi il
gruppo si
mise in marcia verso il veicolo del Dottore.
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Capitolo 8 *** 8 ***
Arrivati al TARDIS, il Dottore fece
entrare tutti quanti e
chiuse la porta.
“Sarà una lunga
notte.” disse “Conviene mangiare qualcosa e
riposare un po’.”
“Ma… quanto
è grande questo posto?” chiese Astrid, sorpresa;
lei non aveva ancora visto l’interno della cabina del Dottore.
“Abbastanza. Se volete, la
cucina è da quella parte, accanto
al guardaroba.” indicò “E ci sono alcune
camere da letto dopo la piscina, sulla
sinistra.”
Gli altri lo fissarono sconcertati
per qualche secondo, ma
alla fine si dispersero nei vari ambienti.
Era notte fonda. Peter non riusciva a
chiudere occhio, troppi
pensieri affollavano la sua mente. Decise di alzarsi dal letto e di
andare
nella cucina di quello strano posto a prendere da mangiare.
Entrò nella cucina, ma si
bloccò sulla porta: il Capitano
Harkness stava mettendo il bollitore del tè sul fuoco. Nulla
di strano, se non
fosse che Jack indossava soltanto un paio di boxer con dei disegni di
orsetti
sorridenti.
Peter si passò una mano
sul viso, sospirando.
“E io che pensavo di aver
visto tutto con Walter…” sussurrò.
Jack alzò gli occhi e gli
sorrise, amichevole.
“Ehilà! Come mai
qui? Non riesci a dormire, dolcezza?”
Peter sospirò di nuovo.
Quel tizio era anche peggio di suo
padre.
“Dovresti
coprirti.” disse, aprendo la dispensa per cercare
qualcosa da mettere sotto i denti. “Ci sono delle donne in
questa cabina.”
“Oh,
beh…” commentò Jack “la
vostra amica, Astrid, è passata
poco fa, e mi è sembrato che avesse gradito il panorama,
dall’espressione che
ha fatto. Quanto a Henrietta… beh, lei l’ho
cresciuta io, ci è abituata. Ti va
una tazza di tè? L’ho appena fatto.”
Lo sguardo di Peter si
rabbuiò, ricordandosi improvvisamente
che sua figlia aveva passato gli ultimi venti anni lontana dalla sua
famiglia,
cresciuta da quell’uomo. Nonostante fosse grato a quello
sconosciuto per averla
protetta, non poteva non pensare che non aveva potuto assistere alle
tappe più
importanti della crescita della sua bambina. Jack notò
quello sguardo e gli
mise davanti una tazza di tè fumante.
“Le mancavate molto, tu e
sua madre.” disse.
“E’ stata una
decisione sofferta… ci siamo separati a New
York. Etta e Olivia sono dovute scappare, mentre noi attivavamo il
Protocollo
Ambra su noi stessi.” spiegò Peter, tenendo gli
occhi fissi sulla tazza.
“Tu e Olivia
l’avete protetta.” lo rassicurò il
Capitano “L’hanno
fatto anche Rose, John e i tuoi amici Lincoln e la Rossa. Io ho solo
continuato
l’opera. Siete delle persone speciali, oltre che i suoi
genitori, e lei lo sa
bene.”
“Non
c’è nulla di speciale in me.”
obiettò Bishop.
Cosa c’è di male
nell’esserlo? Voi siete una leggenda nella
Resistenza Nativa, e anche se non lo ammetteranno mai, gli Osservatori
vi
temono. Questo vi rende speciali.” disse Jack.
“Io non ho nulla di
speciale.” ripetè l’altro.
Il Capitano rise e
sorseggiò la sua tazza di tè.
“Adesso capisco da chi ha
preso la sua cocciutaggine, la
piccoletta. Amico, se c’è qualcuno che sa
riconoscere persone speciali, quando
le vede, quello sono io.” Peter lo guardò
interrogativo, così Jack si affrettò
a spiegarsi “Peter, il Dottore, anni fa, mi ha soprannominato
‘l’uomo
impossibile’. E c’è un motivo se
l’ha fatto: io sono gay, sono un soldato, sono
nato nel futuro e non posso morire. Io questo lo chiamo essere
speciali, e l’ho
insegnato a tua figlia.”
L’uomo lo fissò
per qualche secondo, prima di parlare di
nuovo.
“Sei nato nel
futuro?” domandò. Jack annuì.
“51°
secolo.” spiegò “Sono nato in uno dei
tanti pianeti che
un giorno verranno colonizzati dagli umani. Ma ora vivo qui, la Terra
è la mia
casa. Anche se dopo la morte dei miei amici non avevo più
uno scopo per vivere,
sono andato avanti. Quando Henrietta è entrata nella mia
vita ho ripreso a
vivere davvero, avevo trovato di nuovo un motivo per continuare, senza
contare
che alcuni suoi atteggiamenti mi ricordavano il Dottore, e questo per
me è
stato un ulteriore incoraggiamento. Mi ha mantenuto viva un
po’ di speranza,
dentro di me.” restò per qualche minuto in
silenzio, raccolto nei suoi
pensieri, poi tornò a parlare “Conosco il Dottore
da decenni, ma non mi aveva
mai detto che aveva una famiglia, qui sulla Terra.”
“Non era
un’informazione che fosse necessario farti sapere,
Capitano.” disse il Dottore, alle loro spalle, prendendo dal
frigo un
pasticcino alla banana.
“Ma
c’è qualcuno che dorme ancora, qui
dentro?” chiese
Peter, fissando l’alieno.
“Oh,
sì.” Confermò il Dottore, sorridendo
“Tuo padre ronfa
come una motosega da almeno due ore, mentre Etta dorme come un angelo.
Mi ricorda
sua madre quando era bambina.”
“Sua madre?”
chiese Jack “Conoscevi Olivia da bambina?”
“Certo, Jack. Ero presente
quando è stata concepita.”
rispose l’altro, mangiando il suo dolce.
“Concepita? Dottore, avrei
potuto dire tutto di te, ma non
che fossi un guardone!” esclamò Harkness.
“Non è un
guardone, Jack.” lo zittì Peter
“E’ mio suocero.”
“Che… che
cosa?” balbettò Jack.
Il Dottore si avvicinò,
fermandosi di fronte a Peter e
guardandolo negli occhi, e alla fine sorrise orgoglioso.
“Quando lo hai capito,
ragazzo?” domandò.
“Avevo qualche sospetto
già quando sei arrivato al
nascondiglio nella metropolitana. La conferma l’ho avuta
quando hai aggredito
Walter, dopo che hai saputo degli esperimenti col
Cortexiphan.” spiegò Bishop.
Il Dottore sorrise di nuovo e gli
diede una pacca sulla
spalla.
“Sei davvero intelligente,
Peter. Sono contento che Olivia
si sia legata a te.” si complimentò, poi
guardò Jack “Jack, tu sei quello che,
al momento, conosce meglio i posti dove si sono fatti ambrare Olivia e
gli
altri. Per poterli liberare dobbiamo cominciare da quello meno
sorvegliato.”
“Mh…”
ci pensò su il Capitano “Harvard è la
più sorvegliata.
Escluderei anche New York, si aspettano che qualcuno vada a liberare
Simon. Direi
che la villa al Lago Reiden, dove ci sono Rose e gli altri, sia la meno
pericolosa.”
“Bene. Allora appena siamo
tutti svegli andiamo al Lago
Reiden. Ce l’hai ancora il dispositivo di teletrasporto
miniaturizzato? Perché con
il TARDIS momentaneamente fuori uso dovremo usare mezzi
alternativi.” ordinò il
Signore del Tempo.
Jack annuì, sorridendo
orgoglioso.
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Capitolo 9 *** 9 ***
Il mattino successivo si riunirono
tutti nella cucina del
TARDIS per organizzare il da farsi.
Il Dottore stava finendo di riparare
gli apparecchi che
avrebbero usato per liberare i loro amici dall’Ambra, e nel
frattempo mangiava
una banana; Peter camminava per la stanza con una tazza di
caffè americano tra
le mani, parlando con Astrid e Etta che, su una cartina della zona del
Lago
Reiden, cercavano un posto sicuro per potersi teletrasportare, come
aveva
spiegato loro il dottore. Walter mangiava, inserendosi nella
conversazione,
mentre Jack cucinava per tutti. Di lì a poco sarebbero
andati a salvare un’altra
squadra della vecchia Divisione Fringe, quella dell’universo
alternativo.
Il Dottore si tolse gli occhiali e
guardò gli altri,
mettendosi in tasca il cacciavite sonico.
“Questo è a
posto.” informò “Jack, dammi il
teletrasporto,
voglio dargli un’occhiata e apportare qualche modifica. Non
voglio problemi,
senza contare che dovrà trasportare molto più di
due o tre persone in un solo
viaggio, e non so se può farcela.”
Il Capitano si tolse
l’orologio e lo lanciò all’alieno, che
lo prese al volo e si mise al lavoro, inforcando di nuovo gli occhiali.
Jack si
avvicinò al tavolo e sparecchiò, sorridendo
sornione alle due donne e facendo
l’occhiolino a Peter, che sospirò alzando gli
occhi al cielo.
“Jack, piantala di provarci
con mio genero! Non sei il suo
tipo.” lo ammonì il Dottore, che si
alzò e gli restituì il dispositivo
“Bene.
Possiamo andare.”
“Un momento!” lo
fermò Peter “ Ci servono delle armi. Non
c’è un’armeria dentro questo
affare?”
“Il Dottore non usa
armi.” spiegò il Capitano, indossando il
suo lungo cappotto militare della Seconda Guerra Mondiale e
allacciandosi
l’orologio al polso “Ora aggrappatevi tutti a me,
vi porto al Lago Reiden.”
Gli altri eseguirono e Jack
attivò il teletrasporto; pochi
istanti dopo si trovarono in mezzo agli alberi, a pochi passi dal lago.
Peter scosse la testa, disorientato,
e si passò le dita
sugli occhi, cercando di riacquistare un po’ di
lucidità; si guardò intorno,
erano tutti nelle sue stesse condizioni, tranne il Dottore e il
Capitano.
“Scusate,
le vertigini sono un
effetto collaterale del teletrasporto, ma dopo un po’ ci si
abitua.” disse
quest’ultimo, guardandosi intorno “Ora andiamo a
prendere gli altri.”
Si
incamminò con passo sicuro verso
una vecchia villetta disabitata. Peter la riconobbe: era la vecchia
casa di suo
padre.
Arrivati alla porta
il Dottore
afferrò il cacciavite sonico e fece saltare la serratura.
Peter spinse la porta
ed entrò per primo. Era ancora tutto come era stato lasciato
20 anni prima,
quando ci portava la famiglia in vacanza, con la differenza che ora, al
centro
del salone d’ingresso, c’era un piccolo cumulo
d’ambra in cui erano
intrappolate quattro persone.
Il Dottore si
avvicinò e fissò le
quattro figure, immobili come insetti preistorici nell’antica
resina
solidificata. Due erano la sua metacrisi umana e Rose Tyler, la sua
vecchia
compagna di viaggio. Non erano cambiati molto dall’ultima
volta che li aveva
visti, in fondo per loro erano passati cinque o sei anni da quando li
aveva
lasciati a vivere le loro vite nell’altro universo, fino al
momento in cui
avevano preso quella drammatica decisione. Notò anche che il
suo clone aveva
adottato un look più militare, nell’abbigliamento,
pur mantenendo costanti le
All Stars Converse.
Erano uno di fronte
all’altra,
molto vicini, la mano destra di Rose era ferma in una carezza
congelata, tra i
capelli del suo compagno, mentre la sinistra teneva quella di lui,
poggiata
delicatamente sul suo pancione. Si guardavano negli occhi, bloccati in
un
eterno conflitto tra amore, disperazione e speranza.
Spostò
l’attenzione sull’altra
coppia. Il doppio di sua figlia aveva i capelli rossi e indossava una
larga
felpa, un paio di jeans e degli stivaletti neri, mentre
l’altro uomo, Lincoln
Lee, indossava un paio di occhiali, una maglia scura con scollo a V
sotto una giacca
da motociclista, un paio di pantaloni scuri e degli anfibi. La rossa
teneva la
testa bassa, una guancia poggiata sul petto di Lincoln, che le cingeva
le
spalle con un braccio, mentre l’altra mano le sfiorava il
viso, la testa china
su quella di lei e le labbra poggiate sui capelli, vicino alla fronte.
“Non
possiamo tirarli fuori uno
alla volta.” osservò “sono troppo
vicini. Dobbiamo estrarli a coppie.”
Fissò il
dispositivo di
rigasificazione dell’Ambra ai piedi di Lincoln e Olivia e gli
diede energia,
mentre Jack puntava la pistola ultrasonica e Peter e Etta si mettevano
in
posizione per fare le iniezioni non appena i due fossero stati espulsi
dall’Ambra.
“Al mio via
spara, Capitano.”
ordinò, alzando tutte le leve del pannello di controllo
“Ora!”
Jack
sparò. I due vennero espulsi
dall’Ambra e presi al volo da Henrietta e Peter, che gli
fecero subito
l’iniezione.
Tossendo si
guardarono intorno;
Walter si chinò su di loro, tenendoli a terra.
“State
giù e respirate
profondamente.” consigliò.
“Signor
Segretario…” sussurrò
Olivia, annaspando. Walter sorrise e si alzò.
“Mi
dispiace, mia cara. Non sono
lui, sono il dottor Bishop.”
“Walter…”
sussurrò l’altro “ci
avete trovati…”
“Già.”
confermò Peter “State ancora
giù.”
Il Dottore si
avvicinò con le mani
in tasca e li guardò.
“John…
ti hanno già tirato fuori?”
domandò Lincoln “Come sta Rose?”
“Non sono
John. Sono il Dottore.”
lo corresse l’altro “John e Rose sono ancora
intrappolati nell’Ambra. Prima di
liberarli ho bisogno di sapere una cosa, per poterli estrarre in
sicurezza.” i
due annuirono e il Dottore continuò “Il bambino di
Rose. Quanto manca alla sua
nascita?”
Olivia si
tirò su, massaggiandosi
il viso.
“Mancava un
mese… me lo ricordo,
erano al settimo cielo, quando lo hanno scoperto.”
riferì.
“Me lo
ricordo bene anche io…”
confermò Lincoln “Big Ben non parlava
d’altro.”
“Piantala
di prenderlo in giro,
Linc!” lo ammonì la rossa.
“Scusa Liv,
ma è inglese. Mi viene
naturale prenderlo in giro.” si scusò
l’altro.
Il Dottore
annuì e guardò Etta.
“Henrietta,
prendi il mio posto.
Questa estrazione è delicata, mi occupo io di rimetterli in
sesto.”
La ragazza
annuì e prese
l’apparecchio, posizionandolo ai piedi dell’altra
coppia.
“Quando
vuoi tu, nonno.” rispose.
Il Dottore sorrise e
guardò gli
altri. Erano anni che qualcuno non lo chiamava così, aveva
cambiato aspetto
parecchie volte da allora; aveva dimenticato come ci si sentiva. Si
mise in
posizione e tenne ben salda la penna con la dose da iniettare ai due
estratti
dall’Ambra.
“Ora!”
ordinò. Etta attivò il dispositivo
e Jack sparò, spingendo fuori i due.
Il Dottore prese al
volo Rose e le
fece l’iniezione, quindi la fece stendere accanto al suo
compagno, che tossiva
cercando di respirare normalmente, e le controllò i
parametri vitali con il suo
cacciavite sonico.
Rose lo
fissò, cercando di parlare.
“Non ti
sforzare, Rose.” le
consigliò “Sono il Dottore, ti ricordi di me? Vi
abbiamo tirati fuori
dall’Ambra, state tutti bene, anche il tuo bambino. Ma ora ho
bisogno che stai
ancora stesa, dobbiamo teletrasportarci nel TARDIS, sarà
destabilizzante.”
Lei annuì
e guardò il suo compagno,
che si era già ripreso e ora le teneva la mano, carezzandole
la fronte,
premuroso. Il Dottore si girò verso Jack, che si
avvicinò al gruppo e
teletrasportò tutti dentro il TARDIS.
“Spero che
non lo useremo più, il
teletrasporto.” si lamentò Peter.
“Quante
storie per un po’ di
vertigini…” rispose l’alieno, aiutando
il suo clone ad alzarsi “Ti trovo bene.”
gli disse “Un po’ invecchiato, ma ti trovo
bene.”
“Tu,
invece, non sei invecchiato
affatto.” rispose l’altro, abbracciandolo come un
vecchio amico “Sapevo che
saresti ricomparso, prima o poi!” esclamò
“Tu arrivi sempre, quando ci sono
guai in vista.”
“John…”
lo chiamò Rose. L’uomo si
precipitò da lei, si stava carezzando la pancia.
“Dimmi
tutto, piccola.” la
incoraggiò.
“Il
bambino… il bambino si muove…”
gli disse, sorridendo. Lui sorrise e la abbracciò.
Il Dottore decise di
lasciarli soli
e si avvicinò a Olivia e Lincoln, che avevano appena
salutato Astrid e i due
Bishop.
“Salve, io
sono il Dottore.” si
presentò “E questo è il mio TARDIS.
Siete al sicuro ora.”
“Sei il
doppio di John?” chiese la
rossa.
“No.”
Negò John, stringendo la
compagna “Io sono il suo clone. Lui non è umano,
io sì. Sono stato creato da
una sua mano, e posseggo tutti i suoi ricordi fino al momento della mia
creazione, avvenuta sei anni prima che ci ambrassimo.”
“La quale
è avvenuta circa venti
anni fa.” concluse Jack, avvicinandosi.
“Jack! Sei
ancora vivo!” esclamò
Lincoln.
“Ci vuole
ben altro per uccidermi.
Ora sono tutto per te, bel fustacchione.” rispose il
Capitano, poggiandogli una
mano sul fondoschiena, ma Olivia gliela tolse, storcendogli le dita.
“Prova a
toccarlo di nuovo e trovo
il modo di farti fuori definitivamente.” lo
minacciò la donna.
Il Dottore rise e si
rivolse a
Jack, che si stava massaggiando la mano dolorante.
“Rassegnati,
è l’alter di mia
figlia!”
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Capitolo 10 *** 10 ***
Era notte fonda.
Nel TARDIS il silenzio era talmente
intenso che quasi si
sentivano i respiri di tutti i suoi componenti, nonostante fossero
sparsi in
varie stanze.
Peter non riusciva a dormire, troppi
pensieri affollavano la
sua mente; poche ore prima avevano estratto dall’Ambra i
quattro componenti
rimasti della Divisione Fringe alternativa, diventati
anch’essi membri della
Resistenza, dopo l’invasione degli Osservatori. Due di loro
non li conosceva, e
gli altri due non li vedeva da quando aveva chiuso il ponte, mesi prima
della
nascita di sua figlia.
Avrebbe voluto andare subito a
recuperare anche Olivia ad
Harvard, ma il Dottore era stato intransigente: nonostante anche lui
volesse
riabbracciare la figlia perduta, bisognava pianificare tutto alla
perfezione;
per quanto anche a lui piacesse agire d’istinto, quello non
era il momento,
troppe vite dipendevano dalle loro azioni.
Più conosceva quello
strambo individuo in completo, cravatta
e scarpe da tennis, più vedeva somiglianze con Olivia:
cocciuto, riflessivo in
certi momenti, impetuoso in altri, ma che sapeva dimostrare
compassione,
rispetto e affetto nei momenti giusti. Non c’erano dubbi che
lui e Olivia
fossero parenti.
Preso dai suoi pensieri era andato in
cucina, aveva aperto
tutte le ante e aveva trovato una bottiglia di whisky. Prese un
bicchiere e si
sedette al tavolo, versandosi da bere.
Stava sorseggiando il suo drink in
silenzio, quando Lincoln
si affacciò alla porta, con l’aria di essersi
perso nei corridoi del TARDIS. Indossava
ancora gli abiti che aveva quando lo avevano estratto
dall’Ambra, e per Peter
era strano vederlo così: l’ultima volta che lo
aveva visto indossava ancora
quel completo giacca e cravatta che lo faceva sembrare un contabile
nerd.
“Oh… ciao,
Peter. Credo di essermi perso.” spiegò Lincoln,
entrando in cucina.
“Questo posto è
un labirinto.” Disse Peter, prendendo un
altro bicchiere e offrendogli il whisky “Ci vuole un
po’ ad orientarsi.”
Lincoln annuì e si sedette
al tavolo, prendendo il bicchiere
che gli veniva offerto.
“E’ un
po’ che non ci si vede.” disse.
“Già.”
confermò Peter “L’ultima volta
è stata quando ho
chiuso il ponte.”
“Sono successe un sacco di
cose da allora.” continuò l’altro
“Molte cose sono cambiate.”
“Lo vedo.”
sospirò Bishop, fissando la mano sinistra
dell’amico,
su cui spiccava una piccola fede d’oro lucente. Lincoln
seguì lo sguardo e si
fissò la mano.
“Ah, sì. Sono
sposato.” confermò “Anche se
è stato un lungo
corteggiamento.”
“Sono contento per
te.” disse Peter, sorridendo “Avete dei
figli?”
Lincoln scosse la testa.
“Non abbiamo fatto in
tempo.” spiegò “Olivia ne avrebbe
voluti, ma poi sono arrivati gli Osservatori…”
“Per noi, invece,
è stato il contrario. Abbiamo avuto
Henrietta, ma non abbiamo fatto in tempo a sposarci.”
confessò, svuotando il
bicchiere in un sorso “Raccontami cosa è successo
da voi dopo che ho chiuso il
ponte.”
“Beh, non
c’è molto da dire. Sono rimasto alla Divisione
Fringe come ufficiale in campo. Facevo squadra con Olivia, quindi mi
sono
subito inserito. Dopo qualche mese, il Segretario Bishop ha deciso di
contattare la Gran Bretagna e di firmare un accordo di collaborazione
tra noi e
la loro Agenzia Torchwood. Così da noi sono arrivati gli
agenti inglesi, e alla
nostra squadra si sono aggiunti Rose Tyler, tra le altre cose figlia
del capo
di Torchwood, e John Smith, un esperto di tecnologie aliene.”
Raccontò,
sorseggiando il whisky.
“John Smith ha detto di
essere il clone del Dottore e di
possedere i suoi stessi ricordi.” riferì Peter.
“Chi è questo
Dottore? Come fa a sapere così tante cose sugli
alieni?” chiese Lincoln.
“E’ un alieno
egli stesso, un Signore del Tempo. Ed è anche
il padre di Olive.” disse “Continua a
raccontare…”
Lincoln annuì e fece un
respiro profondo.
“Sì,
dunque… abbiamo collaborato fino al 2015, quando
c’è stata
l’invasione e l’unione degli universi. Me lo
ricordo bene quando è successo, perché
eravamo appena tornati dalla luna di miele. Avevamo ancora qualche
giorno, ma
ci hanno chiamati d’urgenza alla base. Gli Osservatori
avevano preso il controllo,
così la nostra squadra ha tentato di contrastarli, e siamo
entrati in
clandestinità.” chiuse gli occhi e fece un altro
respiro profondo, raccogliendo
le idee “Tramite degli informatori abbiamo saputo che anche
voi stavate
combattendo, così ho proposto di venirvi a
cercare.”
“Quindi siete venuti ad
Harvard.” completò Peter.
L’altro annuì e
riprese a parlare.
“Lì abbiamo
trovato Olivia e Henrietta. Ci ha detto che vi
eravate dovuti separare per poter proteggere la bambina. Aveva perso le
speranze anche lei, e aveva deciso di farsi ambrare perché
non la trovassero. Ci
ha affidato vostra figlia; l’abbiamo tenuta con noi,
proteggendola. Ma era
dura, eravamo ricercati, e stavamo pianificando di spostarci da
Harvard, quando
Jack ci ha trovati e si è unito al gruppo. Subito dopo ci
siamo trasferiti alla
vostra casa sul Lago Reiden, ma ci stavano
trovando…”
“Così avete
affidato Etta a Jack e avete attivato il
Protocollo Ambra.”
Lincoln annuì di nuovo,
finì di bere il suo whisky e se ne
versò dell’altro.
“Dimmi una cosa. Come hai
conquistato Olivia?” chiese Peter.
Doveva allentare la tensione, e aveva deciso di cambiare argomento.
L’altro sorrise, riportando
alla mente vecchi ricordi
felici.
“A dire la
verità non so bene se io ho conquistato lei, o
lei me. Te l’ho detto, è stato un lungo
corteggiamento… a dire la verità, non
so neanche se c’è stato un vero corteggiamento. Io
avevo preso il posto del suo
collega morto, ricordi? Poi sono rimasto con loro.”
raccontò “Spesso siamo
usciti la sera, come amici, lei mi raccontava di lui… io la
lasciavo parlare,
ne aveva bisogno…”
“Capisco. Non deve essere
stato semplice.” Commentò Peter. Lincoln
annuì.
“Però stando a
contatto con lei sono cambiato, ho ritrovato
me stesso, un posto che potevo chiamare davvero casa.” fece
una pausa e si
indicò i vestiti “Questo sono io, adesso. Prima mi
mancava qualcosa…”
Fece di nuovo silenzio, sorseggiando
il whisky. Nel corridoio
sentirono qualcuno camminare verso la cucina. Entrambi gli uomini si
voltarono
verso la porta quando apparve Olivia.
Lincoln le sorrise, guardandola; gli
occhi dell’uomo si
erano illuminati non appena lei aveva fatto la sua comparsa.
“Come mai sei
già in piedi? Non riesci a dormire, tesoro?”
chiese Lincoln. Peter notò un quasi impercettibile cambio di
tonalità: la sua
voce era più bassa, tranquilla e preoccupata allo stesso
tempo. Era un tono che
conosceva bene, perché lo aveva usato molte volte con la sua
Olivia. Era la
voce di un uomo innamorato.
La donna si avvicinò
sorridendo.
“Non eri a letto,
così sono venuta a cercarti, Tyrone.”
spiegò,
con voce dolce, dandogli un leggero bacio sulle labbra.
“Colpa mia.” si
scusò Peter “L’ho trattenuto qui per
fare
due chiacchiere.”
“Oh… e di cosa
avete parlato?” domandò lei, aprendo il frigo
in cerca di qualcosa da mangiare. Trovò una fetta di
tiramisù, la prese e la
posò sul tavolo. Lincoln tirò indietro la propria
sedia e lei si sedette sulle
sue ginocchia, rivolta verso il tavolo, guardando Peter e assaggiando
il dolce.
“Niente di ché,
piccola, solo dei vecchi tempi.” rispose il
marito, tirandole indietro i capelli con un gesto automatico della mano
e afferrandole
delicatamente quella che teneva il cucchiaino, per assaggiare anche lui
il
dolce.
Peter osservava in silenzio la
coppia. La Rossa non era la
sua Olivia, ma gli faceva comunque male vederla in atteggiamenti
così intimi
con il suo migliore amico. Fino a quel momento non si era reso conto di
quanto
gli mancasse la sua compagna, di quanto gli mancassero quei piccoli
gesti
automatici che facevano di loro due un’unica
entità. Non si era reso conto di
quanto gli mancasse la semplice vita famigliare.
Si alzò e lavò
il suo bicchiere, poi tornò al tavolo.
“E’ meglio se
torno a dormire.” Annunciò, stringendo la mano
di Lincoln e baciando la fronte di Olivia.
Lei gli sorrise, mentre lui andava
verso la porta.
“Peter?” lo
chiamò. L’uomo si fermò, voltandosi di
nuovo, e
lei riprese a parlare “Non smettere mai di guardare il cielo.
Prima o poi
finirà di piovere.”
Peter annuì e
uscì quasi di corsa, sparendo nel corridoio.
Nel frattempo, nella sala comandi del
TARDIS, il Dottore
fissava lo schermo del computer di bordo, su cui scorrevano delle
vecchie foto.
Rose entrò, fermandosi
accanto a lui. guardò lo schermo,
occupato da una grossa foto, probabilmente degli anni 70,
rappresentante un
uomo e una donna, il giorno del loro matrimonio.
“Io questa donna la
conosco!” esclamò
“Cioè… quando l’ho
conosciuta io era molto più anziana, ma… questa
è la madre di Olivia!”
Il Dottore si voltò verso
di lei, guardandola. Fu sorpreso
di notare che, nonostante gli anni trascorsi e la gravidanza,
l’espressività
dei suoi occhi fosse sempre la stessa della Rose che aveva viaggiato
con lui
per due anni.
“John non ti ha mai detto
nulla?” domandò.
“Solo che conoscevi
l’altra Marilyn, secoli fa. Ma non mi ha
mai detto altro. Su questo argomento è sempre stato molto
riservato.”
L’alieno sospirò
e annuì, indicando l’uomo nella foto.
“Questo è Jacob
Dunham, il nonno di Henrietta.”
Rose si sedette e fissò
l’immagine.
“Sembrano molto
felici.” Commentò.
“Lo eravamo. Era il 21
marzo 1977, il giorno del nostro
matrimonio.” confessò il Dottore.
La ragazza spalancò gli
occhi e lo fissò, sorpresa.
“Ma… Dottore,
non mi hai mai detto nulla.”
“Non ti ho detto molte
cose. Non c’era bisogno che tu
sapessi.” rispose l’uomo, guardando un punto
lontano di fronte a sé.
“Eri…
diverso.” commentò la giovane, guardando la foto.
“Mi sono rigenerato nove
volte da allora.”
“Perché
l’hai lasciata, se eravate felici? Non la amavi?”
“Certo che la amavo, come
amavo le mie figlie. Marilyn è la
donna che ho amato di più al mondo, dopo te e Sarah
Jane.” disse, quasi senza
prendere fiato.
“Allora perché
le hai abbandonate?” insistette Rose.
“Prima di tutto, ero
ricercato. Avevo rubato il TARDIS e
sono scappato, per i Signori del Tempo ero un ladro e un
traditore.” rispose,
finalmente, quindi si girò per guardarla negli occhi
“E secondo, ti ricordi
cosa ti dissi una volta? Lei, o tu, o chiunque altro, potete passare la
vostra
vita con me, ma io non potrei mai fare lo stesso. Io non muoio, mi
rigenero. Non
credere che sia stato facile… non è mai
facile.”
Rose lo fissò, senza
sapere che dire. Il Dottore sostenne il
suo sguardo, serio, per poi cambiare improvvisamente espressione,
sorridendo
orgoglioso.
“Ma guardati, Rose Tyler!
Ti ho lasciato che eri solo una
ragazzina, e ti ritrovo giovane donna e futura madre!”
esclamò.
“Futura madre in un mondo
in frantumi…” completò lei,
abbassando lo sguardo e sfiorandosi la pancia “Quando
è iniziato tutto, è stata
la prima volta che ho visto John tentennare.”
continuò “Lui era sempre stato
l’esperto,
sicuro di sé, per questo lo amo, ma quando sono arrivati gli
Osservatori e
hanno compiuto quel massacro…” si
asciugò una lacrima “non sapeva più che
fare,
le sue sicurezze erano state infrante. Abbiamo combattuto, ma poi io
sono
rimasta incinta…” si fermò, presa da
un’improvvisa crisi di pianto “Dottore, io
non voglio che mio figlio cresca in un mondo dominato dagli
Osservatori…”
concluse “in molti hanno perso la speranza, ormai.”
Il Dottore la strinse, cercando di
farla calmare.
“C’è
sempre una speranza, Rose. Ora sono qui io, vi
aiuterò.”
Rose non rispose, continuando a
piangere disperata. John era
entrato e li guardava a distanza; il Dottore lo guardò e gli
fece cenno di
avvicinarsi.
“Portala in camera e falla
calmare.” disse “Non lasciarla
sola per nessun motivo, lei ha bisogno di te.” Gli
consigliò.
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Capitolo 11 *** 11 ***
Era passata una settimana.
Erano rimasti chiusi nel TARDIS senza
poter uscire, su
ordine del Dottore.
L’unico che aveva il
permesso di uscire, per fare provviste
o controllare la situazione attorno al loro nascondiglio, era il
Capitano
Harkness. Entrava e usciva continuamente dalla cabina, sempre per
eseguire gli
ordini del Dottore, il quale stava pianificando la mossa successiva da
fare.
Jack stava preparando lo zaino, prima
di uscire, aiutato da
Lincoln, che preparava i caricatori per le armi che il Capitano si
sarebbe
portato dietro, armi che aveva rubato ai Lealisti in una delle
precedenti
uscite.
“Questa è
pronta.” annunciò Lincoln, passando una piccola
mitraglietta a Jack. L’altro la prese e la
soppesò, sorridendo soddisfatto.
“Perfetta!
Equilibrata!” esclamò “Adoro queste
nuove armi
dei Lealisti, le trovo sexy!” si rivolse di nuovo a Lincoln,
guardandolo
sornione “Proprio come te, dolcezza.”
Lincoln sospirò,
sorridendo. Jack era sempre il solito:
cercava di allentare la tensione provandoci con tutti,
indifferentemente dal
sesso o dalla specie. Nessuno lo prendeva davvero sul serio, ma almeno
non permetteva
al gruppo di soccombere allo stress.
“Non ti allargare troppo,
Capitano!” lo ammonì “Se ti
sentisse mia moglie non sarebbe contenta.”
“Ma ora non
c’è. Se non sbaglio sta facendo compagnia a
Rose, con Astrid.” continuò Harkness
“Per cui puoi anche darmi un bacio, prima
che vad…” si bloccò, quando
sentì una mano afferrargli con forza un orecchio e
applicare una torsione, obbligandolo a mettersi carponi.
“Cosa stavi dicendo,
Jack?” chiese la voce minacciosa della
Rossa, a cui apparteneva la mano.
“Nu… nulla,
signora Lee.” si corresse l’uomo. Olivia tolse
la mano e Jack potè rialzarsi. Si massaggiò
l’orecchio e si girò verso di lei,
che lo guardava contrariata, tenendo le mani sui fianchi. Erano stati
raggiunti
anche dal Dottore e dal resto del gruppo.
Li guardò uno per uno:
John non mollava mai Rose, che si era
seduta vicino alla console dei comandi, il dottor Bishop degustava una
Red Vine
guardandosi intorno in modo calcolato e freddo, Astrid stava ferma
vicino a
lui, con aria preoccupata, così come Henrietta, e Peter
camminava avanti e
indietro come una tigre in gabbia.
“Bene, Jack.”
esordì il Dottore “Ti ricordi quello che devi
fare?”
“Avvicinarmi ad Harvard e
verificare quanti e quali
controlli ci sono per poter entrare.” spiegò
l’altro.
“Vengo con te,
Capitano.” si intromise Peter, prendendo la
giacca e una delle altre armi.
“No, Peter. Ci va da
solo.” lo bloccò l’alieno.
“Non me ne starò
nascosto qui dentro ad aspettare un minuto
di più, Dottore.” obiettò Bishop.
“No.” disse
l’alieno, fermo “Ci manca solo che un ragazzino
impaziente e impulsivo come te faccia saltare i piani!”
L’uomo si
avvicinò, a pugni stretti, guardandolo fisso in
faccia, gli occhi stretti dalla rabbia.
“Non. Starò.
Qui. Un minuto. Di più!” ringhiò.
Il Dottore sostenne lo sguardo,
avvicinandosi ulteriormente.
“Lo ripeto: esce solo Jack.
Chiaro? Non ammetto un’altra
obiezione da una persona con un QI che è metà del
mio! Quella che stiamo
cercando di riprenderci è mia figlia, quindi so quello che
faccio!”
“Olivia è anche
mia moglie! Voglio controllare di persona,
nessuno mi garantisce che questo Capitano da strapazzo me la riporti
sana e
salva!” sbottò il giovane.
“Ehi! Io non sono un
Capitano da str…” obiettò Jack.
“Jack, non ti
intromettere!” lo interruppe il Dottore, poi
si rivolse nuovamente a Peter “Tanto per cominciare, non deve
andare a
liberarla, ma solo a verificare le difese dell’edificio.
Secondo: ti ho appena
detto che è mia figlia! Ti pare che la lascerei nelle mani
di una persona di
cui non mi fido?”
“Beh, io non sono poi tanto
sicuro di potermi fidare di te.”
ringhiò ancora Peter “E’ colpa tua se
Olivia ha avuto un’infanzia orribile! Se
non l’avessi abbandonata non sarebbe successo tutto
questo!”
“Tu hai fatto lo stesso.
Hai abbandonato Henrietta.” ribattè
l’altro, senza battere ciglio.
“Era diverso! Noi eravamo
ricercati!”
“Anche io. Ammettilo,
Peter, tu non sei tanto diverso da me!
Anche tu sei scappato alla vista del tuo Vortice del Tempo, e non ti
sei ancora
fermato!” concluse il Dottore.
Peter strinse di nuovo i denti e, con
un movimento fulmineo,
alzò il braccio e tirò un forte pugno in pieno
volto all’alieno, mandandolo
dall’altra parte della stanza.
Stava per lanciarglisi contro per
rincarare la dose, ma
venne bloccato da John e Jack, che lo presero ognuno per un braccio,
mentre
Lincoln si metteva in mezzo.
“State lontani da me, voi
due!” urlò, dimenandosi e cercando
di liberarsi dalla presa “Non mi toccate!”
“Peter, calmati!”
esclamò Lincoln. Peter cercò ancora di
liberarsi dalla presa, e Lincoln parlò di nuovo, abbassando
il tono della voce
e guardandolo in faccia “Loro ti lasceranno, ma tu devi
calmarti, ok?”
Peter era teso come una corda di
violino. Stringeva i pugni
e cercava con lo sguardo rabbioso gli occhi del Dottore, che si era
alzato e
stava a distanza, di fronte a lui. il suo respiro era corto e le
labbra, tirate
in un leggero ringhio, lasciavano mostrare parzialmente i denti.
Lincoln doveva calmarlo, prima che
scatenasse il finimondo. Conosceva
abbastanza bene il suo amico da sapere che la sua furia non avrebbe
lasciato
nessun superstite, se non riusciva a controllarsi. Sapeva cosa doveva
fare,
aveva sedato altri litigi in passato, aveva solo bisogno di trovare
dentro di sé
l’equilibrio, prima di occuparsi di Peter. Una cosa era
sedare le liti tra due
drogati, o due ubriaconi, o criminali comuni, un’altra era
controllare la furia
di un uomo che aveva perso tutto e che si trovava in trappola come una
tigre in
gabbia.
Chiuse gli occhi e fece un respiro
profondo, li riaprì e si
guardò intorno, fissando i volti di tutti i presenti. Alla
fine si fermò su
quello di sua moglie, lo focalizzò e si concentrò
sul pensiero di lei, la sua
anima gemella. Ritrovato l’equilibrio tornò a
concentrarsi su Peter, fece un
passo avanti e gli posò una mano sulla spalla.
“Peter, stai
calmo.” disse, tenendo la voce bassa e gli
occhi fissi sui suoi, che continuavano a vagare per la stanza
“Non farai altro
che peggiorare la situazione, se non ti calmi. Capisco cosa provi, ma
devi
avere pazienza.”
“Sono stufo di
pazientare!” ringhiò Peter, continuando a far
vagare lo sguardo per la stanza. Lincoln gli afferrò la nuca
con entrambe le
mani, costringendolo a guardarlo.
“La troveremo, Peter. La
salveremo. Abbi fede, e pensa a tua
figlia. Lei sta bene, ma ha bisogno di te, per questo devi ritrovare la
calma.”
continuò l’altro, senza mai cambiare
tonalità di voce.
Bishop lo fissò in
silenzio per qualche secondo, poi tornò a
far vagare lo sguardo per la stanza, che si fermò,
finalmente, su Etta.
Lo fissava a distanza, in attesa.
Sembrava indecisa se
avvicinarsi o meno. Nel guardarla, Peter si impose di calmarsi, non
voleva
farle del male. Non doveva farle del male.
I suoi muscoli si distesero. Lincoln
lanciò uno sguardo agli
altri due, che tenevano ancora fermo l’amico, e questi lo
lasciarono, mentre
lui gli dava una pacca sulla spalla e faceva un passo indietro.
Peter sembrò uscire da una
trance e tornò a guardarsi
intorno, quindi decise di lasciare la sala comandi e di stare da solo
con sé stesso
per un po’, in qualunque altro locale del TARDIS.
Lincoln sospirò, esausto.
Questa volta era stata davvero
dura, aveva dovuto usare tutte le sue forze per riuscire a calmare il
suo
migliore amico.
Olivia si avvicinò e gli
prese la mano, quindi lo accompagnò
fuori della sala comandi. Attraversarono, insieme, il corridoio ed
entrarono in
uno dei salotti, il più intimo e silenzioso di quel luogo al
di fuori dello
spazio e del tempo.
Si sedettero sul divano. Lincoln la
guardò negli occhi; era
ancora esausto, ma già si sentiva meglio. La vicinanza di
sua moglie era la
migliore cura per la sua psiche.
La strinse e la baciò. Lei
lo lasciò fare e ricambiò
immediatamente. Mentre la baciava, Lincoln si ritrovò a
pensare a come era
cambiata la sua vita in poco tempo, da quando era entrato nella
Divisione
Fringe del suo Universo di nascita.
Aveva lavorato a fianco
dell’altra Olivia per mesi,
cominciando anche a provare un certo affetto per quella donna bionda
con un
passato scuro, ma non si era mai sentito a casa.
Quando era comparso Peter, aveva
anche provato gelosia,
soprattutto nel momento in cui lei aveva cominciato a ricambiare i
sentimenti
per quell’uomo misterioso apparso dal nulla, e si era
ritrovata con dei ricordi
di una vita mai vissuta, ben impressi nella sua mente.
Da quel momento aveva ripreso a
scappare, rifugiandosi nel
lavoro e nelle saltuarie visite nell’altro universo, dove ad
un certo punto si
era trasferito, con la scusa di aiutare un’amica a trovare
gli assassini di un
suo amico e collega.
Quell’amica era
l’altra Olivia, e l’uomo di cui stavano
cercando gli assassini era l’altro sé stesso della
realtà alternativa. Sperava che
cercando i suoi assassini avrebbe dato un po’ di pace
all’anima di quella
donna, così simile e, allo stesso tempo, così
diversa dall’Olivia che aveva
conosciuto.
Stando nell’altro universo
stava trovando la pace interiore,
ma non se ne era ancora reso conto. Solo quando fu costretto a
scegliere si
accorse di quanto quel nuovo mondo, così diverso da quello
in cui era nato, ma
allo stesso tempo così simile, gli era entrato nel sangue.
Doveva scegliere, e
non ci pensò due volte: il suo universo, d’ora in
avanti, sarebbe stato quello
dove aveva passato le ultime settimane prima della drastica decisione
di
chiudere il ponte a Liberty Island.
Il ponte fu chiuso, senza
possibilità di appello. Nessun rimpianto
attraversò la mente di Lincoln: quella era la sua casa,
perché il suo cuore era
lì.
Cominciò da subito a
lavorare per il Dipartimento della
Difesa, sostituendo in tutto e per tutto il defunto capitano Lee.
Lavorava al
fianco di Olivia, con cui aveva subito stabilito un certo affiatamento,
e con
lei condivideva anche la casa; infatti, in attesa che lui trovasse una
sistemazione migliore, gli aveva ceduto la camera degli ospiti.
Passò un anno, nel quale
Lincoln aveva appeso il gessato e
la cravatta al chiodo, preferendo un abbigliamento più
comodo, nonostante
amasse ancora le camicie bianche e ben stirate. Viveva ancora con
Olivia, e
insieme avevano anche creato una certa routine, come due vecchi amici
che
condividevano un appartamento.
Il venerdì, dopo una
settimana di intenso lavoro, se non c’erano
emergenze in corso, erano soliti restare a casa e ordinare la cena a un
take
away, il loro preferito era Damiano, a due isolati dal loro palazzo,
mangiare
con calma, chiacchierando del più e del meno, e dopo cena
guardare vecchi film
in bianco e nero, seduti sul divano, senza nessun altro pensiero.
Quella sera avevano scelto
“Colazione da Tiffany”, film che
Lincoln aveva già visto nell’altro universo, ma
che non aveva ancora visto nella
versione del suo universo di adozione, con Marilyn Munroe al posto di
Audrey
Hepburn.
Seduti sul divano, avvolti in una
trapunta come le altre
sere d’inverno che passavano a guardare quei vecchi film, si
scambiavano
commenti riguardo le differenze tra le due versioni del film, come
erano soliti
fare. Non era un venerdì sera tanto diverso dagli altri.
Come al solito, Olivia si era
appisolata dopo circa mezz’ora,
sistemandosi comoda sul divano, con la testa posata sulla spalla
dell’amico. Lui
la copriva meglio con la coperta e la lasciava dormire, continuando a
guardare
il film, per poi svegliarla alla fine.
Non era un venerdì tanto
diverso dagli altri… o forse sì?
Il film era finito, e lui aveva
spento la TV. Si era voltato
verso Olivia per svegliarla; aveva gli occhi chiusi e i capelli che le
ricadevano sul viso, disordinati. Glieli aveva spostati con un gesto
delicato
della mano e lei si era sistemata meglio.
“E’ tardi,
è ora di andare a dormire…” le aveva
sussurrato
all’orecchio.
Lei aveva aperto gli occhi e lo aveva
guardato, assonnata e
aveva sussurrato una debole protesta. Lincoln aveva sospirato e
l’aveva presa
in braccio per portarla in camera sua. L’aveva già
fatto altre volte, non era
niente di diverso di una premura di un amico.
L’aveva sistemata sotto le
coperte e lei aveva aperto gli
occhi e aveva sorriso. Un sorriso sereno, di chi si sente al sicuro.
Qualcosa era scattato, con quel
sorriso, e Lincoln si era
avvicinato, sfiorando le labbra di Olivia con le proprie; la Rossa
aveva
ricambiato subito e gli aveva fatto posto nel letto. Lui si era
sistemato
accanto a lei, continuando a baciarla e a stringerla. Avevano la mente
sgombra
da qualunque pensiero, in quel momento, l’unica cosa che
importava era che
erano insieme, come se fossero stati vicini da sempre. Due anime
gemelle, fatte
per stare insieme; due piatti di una bilancia che avevano, finalmente,
raggiunto l’equilibrio stabile.
I legami che Lincoln aveva ancora con
l’altro universo si
erano spezzati quella notte, mentre faceva l’amore con
Olivia, la Sua Olivia.
Da quel giorno erano passati anni, ma
quel legame che univa
Lincoln Tyrone Lee e Olivia Dunham-Lee non si era mai spezzato, anzi si
rafforzava ogni giorno.
Insieme avevano raggiunto
l’equilibrio, e più nulla poteva
turbarlo.
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Capitolo 12 *** 12 ***
Jack era uscito da un paio
d’ore, e Peter si era isolato
nella prima stanza vuota che aveva trovato: il locale piscina.
Nessuno lo aveva disturbato, doveva
ancora sbollire, così
una volta che Jack se ne fu andato, il Dottore congedò tutti
quanti, che si dispersero
nella nave.
Il Dottore era seduto accanto alla
plancia di comando,
soprappensiero, rigirandosi tra le mani il cacciavite sonico e il
borsello in
cui custodiva la sua utilissima carta psichica.
Sentì entrare qualcuno e
alzò gli occhi. Olivia lo guardava
dall’ingresso del corridoio, con le mani incrociate sul petto.
“Oh… ciao.
Lincoln sta meglio? L’ho visto affaticato,
prima.” la salutò, alzandosi e mettendosi le mani
in tasca.
Lei sorrise e si avvicinò.
In una mano teneva un kit di
pronto soccorso.
“Lui se la
caverà. Lo ha già fatto altre volte.”
rispose
“Piuttosto tu come stai? Quel pugno è stato
davvero forte…”
Il Dottore si toccò il
naso, ma dovette allontanare subito
la mano a causa di una improvvisa fitta di dolore.
“Eh,
sì… mio genero quando vuole ha un bel
sinistro…”
commentò.
“Fammi dare
un’occhiata.” lo pregò la Rossa,
avvicinandosi e
facendolo sedere.
“Sto bene, è
solo un pugno, niente di serio!” protestò
l’alieno. La giovane sorrise di nuovo e gli sfiorò
il naso “AHW! Fai piano!”
protestò lui.
“Quante storie…
mi sembra di vedere Tyrone tutte le volte
che si faceva un livido durante una missione… voi uomini non
sapete proprio
resistere al dolore.” rise.
“Io non sono un uomo, sono
un Signore del Tempo.” borbottò
l’alieno, cercando di allontanare le mani della donna dal suo
viso.
Olivia sospirò e gli
tirò uno schiaffetto su una mano.
“Fermo e lasciami
lavorare!” lo rimproverò, quindi aprì
il
kit di pronto soccorso, prese una garza e il disinfettante e gli
pulì il sangue
che gli era uscito dal naso, ignorando le proteste dell’uomo.
Il Dottore cercò di
divincolarsi, senza successo, perché la
donna lo teneva bloccato sulla sedia con un braccio. Olivia
finì di pulirgli il
sangue e lo guardò per qualche secondo.
“Che
c’è ancora? Non mi hai torturato
abbastanza?” protestò
ancora il Dottore.
Lei non rispose, gli
afferrò la base del naso e, con una
leggera torsione, gli rimise a posto le ossa incrinate.
L’uomo fece un urlo e
lei gli mise una borsa del ghiaccio dove aveva appena operato.
“AAHHDDIO!”
urlò ancora lui “Ma che sei? Lucrezia
Borgia?!”
“Chi?” chiese
lei. Il Dottore si rese conto che,
probabilmente, le differenze tra i due universi si allargavano alla
storia
ufficiale: probabilmente da loro non era mai esistita la Famiglia
Borgia.
“Ah, lascia
perdere… però mi hai fatto male, lo sai
questo?”
si lamentò, tenendosi la borsa del ghiaccio premuta sul naso.
Olivia scoppiò a ridere.
“E tu saresti mio padre?
Non riesci neanche a resistere a un
po’ di dolore fisico…” lo prese in giro.
“Ehm…
tecnicamente non sarei tuo padre, ma il padre
dell’altra Olivia…” la corresse.
“Beh, biologicamente io e
tua figlia siamo identiche, no?
Quindi questo fa di me tua figlia, in un’altra
realtà.” obiettò lei.
“Beh,
sì… più o meno…”
balbettò il Dottore, messo in
difficoltà.
Olivia si sedette accanto a lui,
guardandolo, infine parlò.
“Mio padre ti somigliava
molto, sai? Solo era un po’ più
anziano…”
“Da…
davvero?” chiese l’alieno “Beh, quando ho
avuto Olivia
apparivo più anziano di come sembro adesso, anche se ero
più giovane.” la donna
lo guardò interrogativa e lui si affrettò a
spiegare “Noi Signori del Tempo
abbiamo un trucchetto per ingannare la morte: arrivati vicino alla fine
noi
cambiamo. E per cambiare intendo sia fisicamente che
caratterialmente… in un
certo senso è come morire e rinascere più volte,
ogni volta diverso…”
“Oh…
capisco.” annuì Olivia “Quindi quando
hai avuto le tue
figlie avevi una faccia diversa, e più anziana di
adesso?”
“Già.”
confermò “Da allora sono passati 800 anni, sono
cambiato tante volte da allora.”
“Quante? Se posso
chiedere…”
“Oh…
beh… diciamo che questa è la mia decima faccia.
Ed è
davvero sexy, non trovi?” rise lui, mettendosi gli occhiali.
“Mio padre era…
come te ora, solo più vecchio.” spiegò
lei,
sorridendo “E’ stato un padre fantastico, lo
adoravo.”
“Si vede che le
rigenerazioni dei Signori del Tempo hanno
seguito un corso diverso, nella tua realtà. Ti
manca?”
“Molto. È
mancato quando avevo dodici anni, durante l’ultima
epidemia di Spagnola, nel Texas del Sud, nel 1991.”
confessò lei, abbassando lo
sguardo.
“Oh… mi
dispiace… però è strano…
non si è rigenerato?”
domandò l’altro, confuso. Lei scosse la testa.
“C’ero anche io
quando è morto… mi ricordo bene le sue
ultime parole: ‘mi rifiuto’.”
Il Dottore spalancò gli
occhi, sorpreso.
“Si è rifiutato
di rigenerarsi? Ma perché?”
“Forse non voleva
sopravvivere ai suoi cari.” spiegò lei,
poi si girò e lo guardò negli occhi
“John ci ha spiegato molte cose su di te,
in questi giorni. Ci ha detto che ti è molto difficile
creare legami stabili,
per via di quello che sei, e che sei scappato dalla tua vita con la tua
Marilyn
e le tue figlie non solo perché eri ricercato dai tuoi
simili, ma anche perché
non volevi sopravvivere a loro, vederle invecchiare e morire, mentre tu
semplicemente cambiavi.”
Il Dottore non rispose. Erano 800
anni che si tormentava per
le scelte fatte, ma non poteva cambiare la storia, non la sua.
“Questo non significa che
tu non possa essere stato un padre
meraviglioso. Sono sicura che lo eri, perché il mio era
stupendo.” continuò
Olivia, sorridendo. L’alieno ricambiò il sorriso e
le fece una carezza.
“Non sarai la mia Olivia,
ma sei esattamente come mi
immaginavo sarebbe diventata lei: tosta, sensibile e con una gran forza
d’animo.”
Lei lo lasciò fare e
sorrise.
“Ci sono certi giorni che
mi manca… ma non ci posso fare
nulla, non è colpa sua.” continuò
Olivia “Anche quando mi sono sposata… senza
di lui mancava qualcosa.”
“Mi dispiace. Ma sono
sicuro che sarebbe andato d’accordo
con tuo marito. Lincoln ha un bello spirito battagliero, so riconoscere
certe
cose, io.”
“In realtà
quando l’ho conosciuto era solo una copia un po’
nerd del mio collega, si muoveva come un pesce fuor d’acqua,
ma ci sapeva fare
con gli interrogatori.” spiegò Olivia,
massaggiandosi il dito su cui teneva la
fede.
“Il tuo collega?”
“Lincoln, l’altro
Lincoln, è stato il mio migliore amico per
cinque anni, prima di morire per mano di un terrorista mutaforma.
È stato un
duro colpo quando è morto.” confessò
“Linc mi è stato vicino, dopo la tragedia,
e dopo la chiusura del ponte è rimasto con me. Dopo tre mesi
ero già follemente
innamorata di lui, ma non mi andava di fare il primo passo, non dopo
quello che
avevamo passato entrambi, perdendo delle persone care.”
Il Dottore non disse nulla, non
c’era nulla da dire. Le passò
un braccio attorno alle spalle e la strinse in modo paterno.
Lincoln entrò e si
avvicinò.
“Tutto bene,
tesoro?” le chiese, premuroso.
“Sì, Tyrone.
Stavo solo facendo due chiacchiere con papà.”
rispose Olivia, sorridendo.
Sorrise anche il Dottore. Nonostante
non fosse propriamente
sua figlia, lo faceva star bene sentirsi chiamare in quel modo.
Ma la sua attenzione venne attratta
da qualcosa che sporgeva
dalla tasca dei jeans di Lincoln: una catenina metallica agganciata da
un capo
a un passante della cintura, e dall’altro a un orologio da
taschino, come
quelli che si usavano nel XIX secolo. Senza dire una parola lo prese e
lo
esaminò.
“Dove lo hai preso
questo?” domandò.
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Capitolo 13 *** 13 ***
“Questo vecchio
orologio?” domandò Lincoln “E’
un regalo di
nozze. Perché?”
“Un regalo di nozze da
chi?” chiese il Dottore di rimando.
“In realtà me
l’ha dato mio padre prima di partire per il
Texas del Sud. Voleva che lo tenessi io, finchè non tornava
a casa, perché quello
sarebbe stato il regalo di nozze per il mio futuro marito.”
spiegò la Rossa “Perché
ce lo chiedi? Lo hai già visto prima?”
“E’ solo un
vecchio orologio…” obiettò Lincoln
“Non vale
molto, è pure bloccato, non si apre… lo tengo
soprattutto perché sembra
portarmi fortuna.”
“Questo non è un
normale orologio.” spiegò, finalmente, il
Dottore “Guardate!” si alzò e
aprì una delle grate sul pavimento, tirò fuori
una vecchia scatola, la aprì e ne estrasse un orologio da
taschino, porgendolo
ai due.
Lincoln li osservò
attentamente e li soppesò.
“Sembrano identici, ma il
mio pesa leggermente di più.”
commentò.
“Perché il tuo
contiene al suo interno l’essenza di un
Signore del Tempo, ma non uno qualunque…”
spiegò il Dottore, camminando a
grandi passi attorno alla colonna centrale e gesticolando animatamente.
“Mio padre.”
completò Olivia.
“Esatto! Molto Bene!
Brava!” esclamò l’alieno, dicendo le
ultime parole in perfetto italiano, poi prese l’orologio e lo
esaminò da ogni
angolo, inforcando gli occhiali “Riesco a percepire la sua
essenza, qui dentro,
ma mi respinge. Non sono io quello che può aprirlo,
perché io sono lui, e non
possiamo convivere nello stesso corpo, ci annulleremmo a
vicenda… ma perché lasciarlo
a te? Cosa sapeva lui che non so? E, soprattutto, come ha fatto a
imprigionare
qui dentro la sua essenza senza perdere la memoria?”
guardò nuovamente Olivia “Perché
da quello che mi hai detto tuo padre sapeva di essere stato un Signore
del
Tempo. Io l’ho provato questo congegno: il trasferimento
della coscienza ti
cancella la memoria, ma a lui non è successo.
Perché?”
“Forse in questa versione
il congegno di cui parli funziona
diversamente.” propose Lincoln.
“Forse. Ma
c’è qualcosa che mi sfugge. AAAHH!”
urlò,
agitato, l’alieno, portandosi le mani alla testa e
scompigliandosi i capelli “Pensa!
Pensa! PENSA!”
Il Dottore riprese a camminare,
sembrava piuttosto
frustrato; Lincoln lo fermò e gli posò una mano
sulla spalla.
“Dottore!” lo
chiamò, ma l’altro non lo ascoltava.
Alzò improvvisamente
la voce “DOTTORE!” l’alieno lo
fissò con gli occhi sgranati, quindi, con voce
calma e controllata e un tono di voce nuovamente basso,
continuò “Dottore,
calmati e spiegaci tutto.”
L’alieno lo
fissò negli occhi, spostò lo sguardo sulla mano
poggiata sulla sua spalla e, di nuovo, sugli occhi di Lincoln. Alla
fine, sul
viso del Dottore comparve un enorme sorriso.
“Lincoln Tyrone Lee, tu sei
un genio!” esclamò, prendendogli
la testa tra le mani e stampandogli un bacio sulla fronte, poi si
allontanò e
abbracciò la Rossa “Lo dico sul serio, piccola!
Tuo marito è un genio! È proprio
vero che noi Signori del Tempo amiamo circondarci di persone
intelligenti, e i
miei figli non sono da meno, anche se sono Signori del Tempo solo per
metà!”
Il Dottore si allontanò,
sempre sorridente e li guardò, con
le mani in tasca.
“Ehm… cosa ho
detto di così geniale?” chiese Lincoln,
confuso.
“Ho sottovalutato le
capacità della mente umana. Credo di
avere capito, ma devo informarmi meglio.” spiegò
l’altro, quindi corse verso la
biblioteca.
I due si fissarono, interdetti.
“Il Dottore è
davvero un tipo strano…” commentò
Lincoln “A
volte mi ricorda il dottor Bishop, ai vecchi tempi.”
Olivia annuì e lo strinse,
in silenzio.
Peter, intanto, era ancora chiuso nel
locale piscina. Seduto
su una panca, dava le spalle alla porta e fissava l’acqua con
aria pensierosa,
coi gomiti poggiati sulle cosce e le mani intrecciate sotto il mento.
Astrid bussò ed
entrò, tenendo due tazze di caffè in mano.
Peter la ignorò e non si mosse.
“Peter? Ti ho portato del
caffè…” lo chiamò,
avvicinandosi.
Peter si voltò, con
sguardo assente. Sembrava quasi non
vederla; Astrid si avvicinò e le porse la tazza.
“Come ti senti?”
gli chiese.
L’uomo alzò le
spalle e drizzò la schiena. Stare solo a
pensare, per quelle due ore, gli aveva calmato un po’ i
nervi, ma non era
sicuro se era pronto a parlarne. La fissò di nuovo e
sembrò ridestarsi.
“Scusami, Astrid. Non ti ho
sentito arrivare.” si scusò.
“Tranquillo… non
devi prendertela col Dottore. Credo che lui
faccia quello che fa per il nostro bene.”
Bishop scosse la testa e le fece
posto nella panca,
sorseggiando il caffè che gli aveva portato.
“Quell’uomo mi
ricorda Walter, quando abbiamo iniziato…
ricordi?” commentò.
“E’ una brava
persona. Ed è il padre di Olivia, credo voglia
riabbracciarla quanto lo voglia tu.”
“Se davvero le voleva bene
non la abbandonava da bambina.”
ripetè Peter, meccanicamente.
“Ma se non la abbandonava
da bambina non sarebbe diventata l’Olivia
che hai conosciuto e con cui hai avuto una figlia.”
obiettò la donna.
“Ma lui…
perché non vuole agire? Perché aspetta
tanto?”
chiese l’uomo, frustrato.
“Perché ha 906
anni di storia sulle spalle.” disse la voce
del Dottore. Peter si girò, fulminandolo con lo sguardo.
Stava per rispondergli
male quando si accorse che non aveva davanti il Dottore, ma John Smith.
Lo dimostrava
l’abbigliamento militare, opposto all’abito
elegante con cravatta che usava
solitamente l’alieno.
“Cosa c’entra
questo, ora?” protestò.
John si avvicinò, prese
una delle panche e si sedette di
fronte agli altri due.
“In 906 anni ne ha passate
tante. È dall’età di 8 anni che
scappa, e non riesce a fermarsi. Aveva avuto delle tregue, a volte, ma
una
tregua non è un punto finale, è solo una tappa,
un pit-stop per prendere fiato,
per trovare una sorta di equilibrio, ma comunque non puoi fermarti,
devi
continuare a correre.” spiegò, fissandosi le mani.
“E una delle tregue
è stata la vita con la madre di Olivia,
a Jacksonville.” completò Astrid.
John annuì, alzando di
nuovo lo sguardo. Aveva gli occhi
lucidi; aveva riportato a galla i ricordi del Dottore, ben impressi
nella sua
giovane mente.
“La amava molto, e avrebbe
fatto qualunque cosa per lei e
per le bambine. Erano tutta la sua vita. Ma i suoi simili lo stavano
cercando,
e avevano minacciato la sua famiglia. Non aveva scelta.”
“Però se non se
ne fosse andato…” cercò ancora di
obiettare
Peter.
L’altro fece un respiro
profondo, raccogliendo le idee.
“Peter, hai idea di cosa
significhi vivere più a lungo di
qualsiasi altro essere umano? Veder appassire e morire lentamente le
persone
che ami, mentre tu continui a vivere la tua vita?”
domandò “Io sono giovane,
sono nato 26 anni fa, invecchierò e morirò, come
tutti gli altri, ma ho nella
mia testa tutti i ricordi del Dottore, so tutto quello che ha provato
quando ha
incontrato Marilyn, quando si sono sposati e sono nate le bambine. Mi
ricordo
persino te che, da bambino, quando sapevi appena camminare, tutte le
volte che
Walter ti portava da loro, correvi dentro solo per vedere la piccola
Olive che
dormiva nel suo passeggino. E mi ricordo anche il tormento che ha avuto
quando
è tornato al TARDIS, fingendo la sua morte, con
l’intenzione di proteggerle. È stato
lo stesso strazio che ha provato quando ha dovuto lasciare Rose
nell’altro
universo… credimi, non è stato facile,
davvero.”
“Chissà cosa ha
provato quando ha lasciato te con lei,
allora, se la amava…” commentò Astrid,
guardandolo.
“Non lo so.”
confessò John “E non credo mi interessi. Per
quanto
mi riguarda, io ho smesso di scappare, anche se i ricordi che ho non
sono i
miei, ma sono di un’altra persona, io ho trovato il mio
angolo di pace, e
questa volta non è una semplice tregua: non
scapperò da Rose e da mio figlio.”
“Però Olivia
è mia moglie… non posso aspettare
ancora…”
disse Peter.
“Capisco il tuo punto di
vista, Peter.” lo rassicurò l’altro
“Credo che farei lo stesso se al posto di mia f…
Olive ci fosse Rose. Ma il
Dottore ha ragione: non possiamo andare alla cieca. Abbi fede, la
riavrai
presto.”
Peter lo guardò negli
occhi. Alla fine sembrò convinto e si
alzò in piedi.
“Andiamo. Dobbiamo tenerci
pronti, nel caso dovessimo,
finalmente entrare in azione.” ordinò.
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Capitolo 14 *** 14 ***
Lincoln e Olivia erano rimasti nella
sala comandi,
approfittando del fatto che erano da soli. Erano abbracciati stretti e
si
muovevano al suono di una musica lenta che sentivano solo loro.
“Credi che riusciremo mai
ad avere di nuovo una vita
normale?” domandò l’uomo, guardando la
moglie negli occhi.
“Perché? Abbiamo
mai avuto davvero una vita normale?” chiese
Olivia, sorridendo divertita “Già il modo in cui
ci siamo conosciuti non è
propriamente definibile come normale. Tu avevi una faccia…
sembravi aver appena
visto un fantasma.”
Lincoln sorrise, stringendola di
più a sé.
“Avevo appena avuto una
strana sorpresa: il mondo non era
come pensavo che fosse.”
“Strana davvero…
pensa a me, che mi sono trovata di fronte
la copia del mio migliore amico.” commentò la
Rossa. Lincoln la guardò serio.
“Ci pensi mai a come
sarebbe stato se non fosse successo
quello che è successo?” chiese, senza distogliere
lo sguardo “A come sarebbe
stata la tua vita se lui non fosse morto?”
Olivia sospirò, passando
una mano sui capelli del marito.
Stavano insieme da anni, ma non avevano ancora davvero affrontato
quell’argomento.
“Non lo so.”
ammise “Forse sarebbe stato diverso. Con lui,
però, non ho mai avuto il rapporto che ho instaurato con te,
dopo che ti sei
trasferito. Eravamo amici, ma almeno per me non
c’è mai stato altro. Non so
come fosse per lui, ma per me era solo un amico che mi ha aiutato in un
momento
di difficoltà. Se lui non fosse morto, forse tu non ti
saresti mai trasferito,
ed ora non saremmo una famiglia.”
Lincoln sorrise e le diede un leggero
bacio. Famiglia… lui
non aveva mai avuto una vera famiglia, da quando aveva cominciato a
lavorare
all’FBI. Non si era mai sentito a casa, finchè non
aveva conosciuto Olivia.
“A proposito di
famiglia…” disse, continuando a guardarla
negli occhi “Quando tutto sarà finito, potremmo
cominciare a pensare di
allargarla…”
“Tyrone… ma
chissà quando finirà…”
obiettò lei.
“Già, ma
possiamo comunque tenerci in allenamento.” concluse
lui, con un sorriso allusivo.
“Stai cercando di portarmi
a letto, signor Lee?” lo
rimproverò Olivia.
L’uomo fece spallucce e la
baciò di nuovo. La Rossa ricambiò
e si strinse a lui, senza farselo ripetere due volte.
Erano ancora immersi nella loro
tacita conversazione, quando
la porta d’ingresso si aprì. Nessuno dei due si
mosse, talmente erano impegnati
in quello che stavano facendo.
“Ehi, Rossa!” li
interruppe la voce del Capitano Harkness
“Non me lo consumare troppo! Voglio anche io le coccole da
Lincoln!”
Olivia si allontanò dal
marito, senza però staccare gli
occhi da lui, e si rivolse a Jack.
“Capitano Harkness, ti
ricordo che ho una buona mira.” lo
minacciò.
“Oh, andiamo, stavo
scherzando!” esclamò l’altro.
“Io no. Il Dottore
è in biblioteca, e credo che ti stia
aspettando. Ti conviene sparire, e in fretta!”
“Forse sarei più
veloce se mi deste una mano…” obiettò
il
Capitano. Improvvisamente si accorsero che la sua voce era affaticata e
si
girarono per guardarlo “mentre venivo qui dei Lealisti mi
hanno usato come
bersaglio per il tiro a segno…”
L’uomo si reggeva a stento
in piedi, e il petto era
crivellato di fori di proiettile ancora sanguinanti. Era pallido e
aveva già
perso molto sangue. In una mano teneva stretto lo zaino che si era
portato
dietro, mentre nell’altra stringeva la mitraglietta.
Fece un passo avanti ma perse
l’equilibrio. Con un balzo,
Lincoln gli fu vicino e lo adagiò a terra, cercando di farlo
rimanere nella
posizione più comoda possibile.
“Vai a chiamare gli
altri!” esclamò, rivolto a Olivia. Lei
corse subito nel corridoio a cercare aiuto.
Jack tossì e si
aggrappò a Lincoln, quindi lo guardò in
faccia.
“Che
fortuna…” sussurrò
“Morirò felice se mi tieni stretto,
dolcezza…”
“Fai ancora una battuta del
genere e la prossima volta ti
lascio morire da solo!” lo rimproverò
l’altro.
Il Capitano stava per ribattere,
quando arrivarono gli
altri, il Dottore davanti a tutti, che si abbassò accanto a
lui e gli parlò.
“Jack! Che diavolo
è successo?”
“Nulla, Dottore…
la mia solita fortuna: un gruppo di
Lealisti di ronda in zona…” spiegò, con
voce bassa “però ti ho portato un
regalo… apri lo zaino.”
L’alieno annuì e
aprì lo zaino. Ci infilò dentro la mano e
ne estrasse una uniforme completa da Lealista.
“Come l’hai
avuta?” domandò, esaminandola.
“Ne ho accoppato uno ad
Harvard. Ho pensato che potesse essere
utile…” spiegò Jack, sempre
più affaticato.
“Hai ragione,
può esserci utile.” lo rassicurò
“Ora chiudi
gli occhi, ci si rivede quando ti risvegli.”
Jack annuì e chiuse gli
occhi, respirando piano. Lincoln lo
adagiò a terra e si alzò, guardando gli altri.
Non era la prima volta che il
Capitano tornava al TARDIS in punto di morte. Bisognava solo aspettare
e
sarebbe tornato in vita entro qualche minuto.
“Una uniforme dei
Lealisti?” chiese Peter “Come può
esserci
utile un’uniforme dei Lealisti?”
“Tanto per cominciare, il
TARDIS ha la capacità di darti
alcuni oggetti esattamente come tu li vuoi, quindi si possono fare
degli abiti
su misura partendo da un modello. Possono servirci per intrufolarci
nelle linee
nemiche senza farci notare.” spiegò il Dottore.
“Quindi significa che
entriamo in azione, finalmente?”
domandò il giovane Bishop, impaziente.
“Calma, ragazzo! Ci sono
ancora alcune cose da chiarire, in
questo piano!” lo placò l’alieno
“E comunque dobbiamo aspettare che Jack torni
dall’Oltretomba e ci riferisca la situazione di Harvard,
prima di
organizzarci.”
Peter non rispose e
sospirò, frustrato. Intanto il Dottor
Bishop si era abbassato per controllare il Capitano. Gli
poggiò due dita sul
collo, per sentirgli il battito.
“Jacob, credo che ci
vorrà un po’: non è ancora
morto.” gli
riferì.
Il Dottore si abbassò per
verificare e controllò il polso di
Jack, poi gli tastò la fronte.
“Dannazione! Ha la febbre
alta, e continua a perdere sangue!
Di questo passo ci vorranno ore prima che possa tornare tra
noi!” imprecò.
Il dottor Bishop gli aprì
la camicia, controllando le
ferite.
“Ha ancora dei proiettili
in corpo. A quest’ora non avrebbe
dovuto espellerli?”
Il Dottore annuì e
sospirò, preoccupato.
“Dovremo farlo
noi…” disse, dando una leggera pacca sulla
spalla di Jack, che gemette debolmente per il dolore.
Peter, John e Lincoln di guardarono
per qualche secondo, in
una tacita conversazione, infine si abbassarono sul Capitano, mettendo
le loro
mani sotto il suo corpo.
“Dottore, dacci una
mano!” lo chiamò Peter “Lo portiamo in
camera sua, poi Walter si occuperà dell’estrazione
dei proiettili!”
L’alieno annuì e
aiutò gli altri tre a sollevare Jack, senza
fargli subire troppi scossoni, quindi lo trasportarono alla sua stanza.
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Capitolo 15 *** 15 ***
Appena Jack fu sistemato sul letto,
Walter potè esaminare
meglio le ferite. Peter lo guardava a qualche passo di distanza, mentre
gli
altri erano usciti, per non essere d’intralcio.
Henrietta entrò,
fermandosi accanto al padre e fissando il
nonno che controllava uno per uno i fori di proiettile sul corpo di
Jack. Peter
la fissò; era tesa e preoccupata. Il suo sguardo vagava
attorno al letto dove
era disteso l’uomo che l’aveva cresciuta.
-Dio, come
somiglia a
sua madre…- si ritrovò a pensare,
fissandola con le braccia incrociate sul
petto. Era cresciuta tantissimo, e ancora non si era abituato al fatto
che non
era più la bambina spaventata che aveva dovuto dolorosamente
abbandonare venti
anni prima.
“Hai
bisogno di una mano, dottor
Bishop?” domandò, fissando il vecchio, preoccupata
e impaziente.
“Sì.
Dovresti passarmi gli
strumenti che ti chiederò.” annuì
Walter, leggermente contrariato perché non lo
chiamava nonno. La ragazza annuì e fece qualche passo verso
il letto, in
attesa; Peter la seguì, senza fiatare, guardandola
attentamente.
“Hai
intenzione di dirmi quello
che vuoi dirmi, papà, o resti a fissarmi finchè
Jack non torna in vita?” chiese
Etta, cogliendo il padre in fragrante.
L’uomo
distolse lo sguardo,
sospirando. Era decisamente figlia sua.
“Nulla…
stavo solo vedendo quanto
fossi simile a tua madre…” confessò.
Henrietta sorrise e
si avvicinò
ancora al letto, dove Walter aveva già cominciato ad
operare. Jack si
lamentava, stava soffrendo, ma il dottor Bishop aveva insistito a non
fare
alcuna anestesia, perché non c’era tempo da
perdere.
Afferrò il
bisturi che gli
porgeva la bionda e praticò un’incisione, quindi
allargò il foro e inserì la
pinza per estrarre il proiettile. Jack si lamentò ancora,
agitandosi. Peter fu
vicino a lui in un balzo, per tenerlo fermo mentre il padre operava.
Jack si
girò verso Etta,
facendole un sorriso paterno, nonostante stesse soffrendo come un cane.
Peter
strinse i denti; aveva notato parecchie volte, in quei giorni, quegli
scambi di
sguardi tra loro. Gli faceva male vederli, ma d’altronde il
Capitano le aveva
fatto da padre mentre lui era nell’Ambra, cosa avrebbe potuto
dire?
Henrietta
asciugò il sudore dal
volto di Jack, muovendo la salvietta con un gesto delicato, poi
incrociò lo
sguardo di Peter e gli fece un sorriso. L’uomo riconobbe quel
sorriso, era lo
stesso che gli faceva Olivia quando voleva rassicurarlo che stava bene,
che non
c’era niente che non andasse. Le sorrise di rimando,
continuando a tenere fermo
il Capitano Harkness.
Finalmente Walter
estrasse
l’ultimo proiettile. Jack si fece sempre più
debole; cercava di parlare.
“Shh…
non ti sforzare…” gli
sussurrò la giovane, carezzandogli i capelli.
“Devo…
devo dirlo…” insistette il
Capitano, con un filo di voce “Tuo… tuo nonno, il
dottor Bishop deve essere
stato un gran bell’uomo da giovane.”
completò, cercando anche di sorridere.
Etta scosse la testa
sorridendo:
anche in punto di morte aveva sempre quel chiodo fisso in testa. Gli
prese la
mano e gli posò le labbra sulla fronte, con delicatezza.
“Riprendiamo
dopo questo
discorso, Jack. Ora chiudi gli occhi.” rispose lei, con
dolcezza. Jack respirava
a fatica, le forze lo stavano lentamente abbandonando; si
girò verso Peter e
gli prese la mano, tenendola stretta. Bishop non si mosse e lo
guardò, in
attesa.
“Tua
figlia… è una ragazza forte.
Sicuramente l’ha preso da te.” sussurrò
“Devi essere fiero di lei.”
“Lo
sono.” rispose Peter “Ora fai
quello che ti ha detto. Chiudi gli occhi, riprendiamo il discorso
dopo.”
Jack stava per
rispondere, ma in
quel momento il suo cuore si fermò. Henrietta gli chiuse gli
occhi e si allontanò;
Peter le si avvicinò e la abbracciò, stringendola
in modo paterno.
“Ora non ci
resta che aspettare.”
disse.
Intanto, in uno dei
salotti, il
resto del gruppo era in attesa.
Astrid, Olivia e Rose
erano
sedute sul divano, in silenzio, Lincoln camminava per la stanza, John
era
fermo, con la schiena poggiata al muro e le mani in tasca, che guardava
il
vuoto, e il Dottore era seduto al tavolo, ed armeggiava con delle
chiavi, dei
piccoli bulloni e il suo cacciavite sonico.
Rose si carezzava la
pancia, lanciando
sguardi preoccupati alla porta. Astrid si rivolse a lei, dolcemente.
“Se la
caverà anche questa volta,
non temere.” la rassicurò.
La giovane la
guardò con gli
occhi lucidi.
“Lui non
può morire…” disse “Ma
noi sì. Quando, finalmente, agiremo sarà
pericoloso…”
“Non
agiremo tutti quanti. Alcuni
resteranno qui dentro, al sicuro.” affermò Olivia.
Rose la fissò quindi si girò
verso il compagno, guardandolo interrogativa.
“Per te
è più sicuro rimanere
qui.” confermò John “E’ troppo
pericoloso, e nelle tue condizioni non voglio
rischiare.”
“Ma
John…” cercò di obiettare la
giovane.
“Niente ma.
Scusa, Rose, John ha
ragione. Comunque Astrid e il dottor Bishop resteranno con
te.” la fermò il
Dottore, alzando gli occhi dal suo lavoro.
Rose stava per
replicare, ma John
si inginocchiò e le carezzò la pancia,
guardandola negli occhi.
“Rose, per
favore, non insistere.
Fallo per nostro figlio, ti prometto che non ci succederà
niente.” la implorò.
Si fissarono a lungo
negli occhi,
in silenzio. Olivia si alzò e posò una mano sulla
spalla di Rose, rassicurante.
“Lo
proteggeremo noi, tornerà
sano e salvo.” disse.
In quel momento
entrarono Peter,
Etta, Walter e Jack, finalmente guarito. Quest’ultimo si
sedette su una
poltrona e si guardò intorno, sorridente.
“Sono
tornato come nuovo, visto?”
esclamò.
Il Dottore si
alzò, rimettendosi
in tasca il cacciavite sonico, e si avvicinò
all’amico.
“Bene. Ora
dicci qual è la
situazione di Harvard.” lo incitò.
“Oh,
beh…” cominciò “fuori
è
pieno di posti di blocco. Ci sono lealisti ed Osservatori ovunque. Sono
riuscito
ad entrare da una porta non sorvegliata, che aveva una serratura con
badge. Sono
arrivato fino al vecchio laboratorio.”
“Aspetta…”
lo interruppe Peter “come
hai fatto ad entrare, se la serratura richiedeva un badge per
aprirsi?”
“Con
questa.” spiegò il Capitano,
quindi mostrò un rettangolo di carta completamente bianco.
“Carta
psichica?” la riconobbe il
Dottore “Geniale! Vai avanti.”
“No, un
momento, Dottore.” lo
interruppe ancora Peter “Che cos’è una
carta psichica?”
“E’
una carta speciale. Fa vedere
a chi la mostri qualunque cosa tu voglia.” spiegò
l’alieno.
“In che
senso?” domandò l’altro.
“E’
una sorta di ipnosi. Tecnologia
aliena, ragazzo. Però non funziona su chi ha un
addestramento psichico di base
o su chi ha la mente predisposta già in modo
naturale.” disse il Dottore “Ad
esempio, Jack vede solo un foglio bianco. Tu cosa vedi?”
domandò ancora,
mostrando la sua carta.
Peter prese il
borsellino e
rigirò il foglio da ogni angolo, quindi glielo
restituì.
“Nulla,
solo un foglio bianco.” rispose.
“Mh…
interessante…” commentò il
Dottore, quindi passò a Henrietta, mostrandole la carta
psichica.
“Dottore,
con lei non funziona.”
lo informò il Capitano “L’ho addestrata
io.”
“Ottimo,
Jack.” si complimentò l’altro,
quindi passò ad Astrid.
“Una
patente?” domandò, guardando
bene il foglio “No, è una tessera della
biblioteca… no, aspetta! Un passaporto…
ma…”
“Ecco cosa
vedono le persone
comuni: qualunque cosa tu voglia che queste vedano.”
spiegò il Dottore,
trionfante, quindi passò a Lincoln.
“Niente,
solo un foglio bianco.”
riferì quest’ultimo.
“Ne ero
certo, nel tuo caso.”
confermò l’alieno, quindi passò a
Walter.
“Questo
è… a cosa ti serve il
certificato di nascita di Rachel?” domandò,
interdetto.
“A nulla,
era solo una prova, ho
scelto la prima cosa che mi è venuta in mente.”
disse l’altro, passando a
Olivia. Lei scosse la testa e sorrise; il Dottore ripose il borsello
nella
tasca e le diede un buffetto sulla guancia “Il tuo essere per
metà Signore del
Tempo ti protegge, Olivia. Sei fortunata.”
“Bene. Ora,
dopo questa
dimostrazione, ci dici quale sarà il piano?”
domandò Peter, spazientito.
Il Dottore si
avvicinò al giovane
Bishop, guardandolo negli occhi, con le mani in tasca.
“Parte di
noi si introdurranno
nell’edificio nei panni di soldati Lealisti, usando una carta
psichica come
documento.” riferì “Gli altri li
seguiranno, usando un filtro di percezione.”
“Un filtro
di percezione?”
domandò Lincoln.
“Questo.”
disse l’alieno,
prendendo una delle chiavi a cui stava lavorando, legata a un cordino
“Guarda…”
si mise al collo la chiave. Lincoln strizzò gli occhi, e si
tolse anche gli
occhiali, strofinandoseli con una mano.
“Impossibile…”
esclamò “So che
sei lì, ma non riesco a vederti…”
Il Dottore sorrise e
si tolse la
chiave dal collo.
“Ora,
abbiamo solo due carte
psichiche…” cominciò, ma venne
interrotto da Jack.
“Non
è corretto. Ne abbiamo un po’.”
lo corresse, infilando la mano nella tasca del suo lungo cappotto e
tirando
fuori un mazzo di carte psichiche perfettamente bianche. Il Dottore
sorrise e
Jack concluse, sornione “Puoi dirlo che mi ami,
Dottore!”
“Perfetto.
Peter, Lincoln, Etta,
John, Olivia, prendetene una a testa.” ordinò
“Poi Peter, Lincoln e John vadano
a cambiarsi, partiamo prima possibile.”
“Cambiarci?
Come dobbiamo
vestirci?” chiese Lincoln, confuso.
“Vai in
camera tua e lo vedrai.”
rispose l’altro, sorridendo.
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Capitolo 16 *** 16 ***
“Aspetta,
Dottore!” incalzò Jack “E io che
faccio?”
“Ti conoscono,
Capitano.” spiegò l’alieno
“Non voglio
rischiare che la missione salti perché i Lealisti vedono una
faccia
conosciuta.”
“Io non me ne
starò dietro le quinte ad aspettare!”
insistette “Io vado in prima linea con gli altri! Quindi ora
vado in camera, e
sarebbe meglio se il TARDIS mi facesse trovare gli stessi abiti che ha
preparato per loro!”
Il Dottore sospirò, Jack
era davvero testardo. Ma d’altronde
non avrebbe potuto fargli cambiare idea in alcun modo, quindi lo
lasciò andare.
Il primo a ripresentarsi fu Peter.
Indossava un’uniforme da
Lealista che gli calzava a pennello. Henrietta si avvicinò e
gli aggiustò il
nodo della cravatta.
“Ti sta molto bene,
sai?” gli disse.
Peter sorrise. In realtà
quell’uniforme lo metteva a
disagio, perché significava dover infiltrarsi nelle linee
nemiche; lui aveva
fatto parte della prima Resistenza, era una faccia conosciuta, quindi
qualcuno
avrebbe potuto ricordarsi il suo volto.
L’arrivo di Lincoln lo
distrasse dai suoi pensieri. Anche
lui indossava un’uniforme da Lealista; Olivia si
avvicinò, gli aggiustò un
ciuffo ribelle di capelli e gli stampò un bacio affettuoso
sulle labbra. Peter
distolse lo sguardo; finchè non fosse riuscito a riavere la
sua Olivia, vedere
l’altra Olivia insieme al suo migliore amico continuava a
farlo stare male,
nonostante fosse felice per loro. Si meritavano un po’ di
felicità, soprattutto
nel mondo in cui stavano vivendo. Loro e gli altri due, John e Rose
erano
quelli che si meritavano di più un futuro di pace, come
anche sua figlia,
Henrietta.
Jack e John fecero capolino nella
sala comandi. Quest’ultimo
sembrava a disagio nell’uniforme, probabilmente avrebbe
preferito abiti più
comodi e meno vistosi; invece Jack sembrava perfettamente a suo agio e
si
pavoneggiava come un fotomodello.
Peter sospirò ma non
potè trattenere un sorriso. Il Capitano
non riusciva a stare serio, era più forte di lui; ma era il
suo carattere, e
finchè faceva il suo lavoro non era un problema per nessuno.
Anzi, le sue
uscite goliardiche, spesso, erano le benvenute.
Il Capitano si avvicinò a
Lincoln e Olivia, che si erano
abbracciati stretti, e si intromise, abbracciandoli entrambi.
“Voglio anche io
l’abbraccione…” piagnucolò,
scherzosamente.
Lincoln e Olivia lo guardarono
contrariati, poi lei si
allontanò leggermente dal compagno e si girò
verso il Capitano, che era già
pronto a ripararsi dall’ennesima reazione violenta della
donna. Ma lei lo
sorprese: lo abbracciò e gli stampò un bacio
sulla guancia. Jack rimase per un
momento bloccato, interdetto dalla reazione della donna, ma alla fine
rispose
all’abbraccio.
Lincoln sorrise e gli diede una pacca
sulla spalla. Jack,
senza mollare Olivia, abbracciò anche lui.
“Vieni qui, bel
maschione!” esclamò “Non essere
timido!”
continuò, e a sorpresa gli stampò un sonoro bacio
sulle labbra. Lincoln si
allontanò immediatamente, pulendosi la faccia, schifato.
Il Dottore li interruppe, guardandoli
severo.
“Ci siamo tutti?”
domandò.
“Sì,
ma… manca una cosa. Così non sono ancora
credibili.”
rispose Etta, guardandoli uno per uno.
“Perché? Cosa
manca?” chiese ancora l’alieno.
“Manca il
tatuaggio.” riferì Jack “Tutti i
lealisti hanno un
tatuaggio, credo sia un numero, sulla guancia, sotto l’occhio
destro, scritto
nella lingua degli Osservatori.”
“Come fai a dire che
è un numero?” intervenne Peter.
“Perché quando
chiamano qualcuno di loro, si identificano
con un numero.” spiegò il Capitano.
Il Dottore si massaggiò la
testa, pensieroso.
“Beh, questo è
un problema… dovrete farvi un tatuaggio
temporaneo…” disse, tra sé, quindi
prese il suo cacciavite sonico e lo fissò,
pensieroso.
“Può servire una
matita per gli occhi?” domandò Etta, ad un
certo punto. Il Dottore la fissò in silenzio, quindi corse
in una delle altre
stanze.
Tornò subito dopo con una
strana penna. Somigliava al suo
cacciavite sonico, ma la punta era più sottile, simile a
quella di una penna a
sfera. Si avvicinò a John e lo guardò.
L’altro capì e sorrise.
“Grandioso!”
esclamò “Penna sonica per tatuaggi
finti!”
“Penna che?”
domandò Lincoln.
“E’ una mia
invenzione, crea finti tatuaggi che spariscono
dopo qualche ora, riproducendo dei disegni preparati
precedentemente.” spiegò
il Dottore.
“Quindi serve un
modello?” chiese Henrietta.
“Credo che le foto scattate
in precedenza ai lealisti da
Jack possano esserci d’aiuto. Basta ricombinare i simboli. Ho
già caricato i
programmi.” disse, infine, il Dottore, facendo sedere il suo
clone e lavorando
sulla sua guancia destra.
Quando ebbe finito si rivolse agli
altri, mostrando il
lavoro. Peter si avvicinò, esaminando il finto tatuaggio.
“E’ perfetto.
Sembra quasi vero.” commentò. Il Dottore
sorrise soddisfatto e si mise al lavoro sugli altri.
Quando fu il turno di Lincoln, prima
di tatuarlo, lo fissò
perplesso.
“Togliti gli
occhiali.” ordinò “Non ho visto Lealisti
che li
indossavano, ti faresti troppo notare.”
Lincoln sospirò e si tolse
gli occhiali, passandoli alla
moglie, che se li mise con cura in tasca.
Quando, finalmente, la procedura fu
terminata, il Dottore
distribuì le chiavi a tutti e spiegò il
funzionamento.
“Camminate con calma.
Niente scatti bruschi; non correte.
Tenete la voce bassa, non urlate. E non fissate la gente a lungo, se lo
fate vi
vedranno.” elencò, quindi si rivolse agli uomini
in divisa “Ci avvicineremo
tutti insieme al cancello principale di Harvard, poi voi vi mostrerete
ed
entrerete nell’edificio, usando le carte psichiche. E
ricordate” aggiunse,
rivolto a Peter e Lincoln “quando dovrete usarla, mantenete
la concentrazione,
focalizzatevi su cosa volete mostrare.” concluse, quindi
attese una risposta.
Tutti annuirono e lui aprì la porta del TARDIS, fissando
Walter, Astrid e Rose
“Torneremo presto.” riferì, quindi
uscì, seguito dal resto del gruppo.
Si incamminarono lentamente, in
gruppo compatto, verso
l’università. Dovevano camminare per parecchi
isolati; restarono in silenzio,
il Dottore apriva il gruppo e il Capitano la chiudeva. Era
incredibilmente
serio, non aveva fatto nessuna delle sue solite battute da quando erano
usciti
dalla cabina blu.
Erano tutti concentrati. Il Dottore
camminava con le mani in
tasca, guardandosi intorno lungo la strada, Lincoln e Olivia
procedevano mano
nella mano, dietro di lui, senza perdere un passo. Peter camminava da
solo, al
centro del gruppo, fissando un punto di fronte a sé; dietro
di lui, Etta e John
cercavano di mantenere il passo. Il gruppo era chiuso da Jack, serio e
silenzioso come non era mai stato.
Dopo un po’ che
camminavano, sbucarono vicino all’entrata
principale di Harvard. Il Dottore si fermò a distanza, al
riparo, e si rivolse
a Peter, John, Lincoln e Jack.
“Toglietevi i filtri di
percezione. Cominciamo.”
Gli altri annuirono ed eseguirono.
Peter fece un respiro
profondo e si incamminò per primo. Arrivato al posto di
blocco si fermò e fissò
il Lealista che si era avvicinato.
“Dobbiamo prendere servizio
all’interno.” riferì.
“Posso vedere i vostri
permessi, per favore?” chiese
l’altro, squadrandoli uno per uno. Anche il dottore e le due
donne si erano
avvicinate, ma non le vide, poiché erano nascoste dal filtro
di percezione.
Peter porse la carta psichica.
L’altro uomo la prese e la
guardò attentamente, come se ci fosse scritto davvero
qualcosa, quindi la
restituì e li lasciò passare.
Mantenendo la calma passarono il
blocco, ritrovandosi in un
ambiente colmo di Lealisti ed Osservatori intenti in ogni genere di
attività.
Si avvicinarono all’entrata
e Lincoln aprì la porta,
sbirciando dentro. Nessuno in vista; fece cenno agli altri di entrare,
facendo
strada verso il vecchio laboratorio, nei sotterranei.
Avanzavano con calma, nel silenzio
più totale. Pochi secondi
dopo si fermarono davanti all’entrata del laboratorio;
attraverso il vetro
filtrava una luce color ambra, anticipazione di quello che avrebbero
trovato
all’interno.
Peter, impaziente,
spalancò le porte e scese le scale. Nel
centro del salone c’era un muro d’Ambra,
all’interno del quale c’era Olivia, la
Sua Olivia.
Corse verso di lei, toccando la
sostanza gialla all’altezza
del suo volto.
“Olive…”
sussurrò, preoccupato.
Il Dottore si avvicinò e
gli poggiò una mano sulla spalla.
“Ora tiriamola fuori.
Dobbiamo fare in fretta.” disse,
guardando Henrietta, che aveva già tra le mani il
dispositivo per l’estrazione.
Peter annuì e la ragazza preparò tutto.
La Rossa afferrò
saldamente la pistola, mentre Jack si
teneva pronto per l’iniezione.
Etta diede il segnale; Olivia venne
sparata fuori. Peter fu
accanto a lei in un balzo, come anche il Dottore. Jack le fece
l’iniezione e la
bionda aprì debolmente gli occhi.
“Ehi,
ciao…” sussurrò Bishop, tirandole
delicatamente
indietro i capelli.
“Peter…”
lo riconobbe lei “Peter, mi dispiace…
Henrietta…”
“Henrietta sta
bene.” la interruppe il Dottore “Io sono il
Dottore. Ora ti porteremo via di qui.” Disse, poi si rivolse
a Jack “Dammi il
teletrasporto. Me ne occupo io. Voi tornate dalla stessa strada da cui
siete
passati, non dovete destare sospetti.”
Jack gli passò
l’orologio, mentre l’alieno prendeva in
braccio la donna, che si aggrappò a lui, ancora debole,
guardandolo in volto.
“Dottore?”
sussurrò “Il mio papà si faceva
chiamare il Dottore…”
Il Signore del Tempo sorrise,
stringendola a sé, infine
attivò il teletrasporto, mentre gli altri uscivano,
ripercorrendo tutta la
strada a ritroso.
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Capitolo 17 *** 17 ***
Appena il Dottore fu scomparso, con
Olivia, il gruppo si
affrettò ad uscire dall’università.
Passato il posto di blocco, al sicuro
da sguardi indiscreti,
si incamminarono verso il nascondiglio.
Dovevano camminare con calma, come
all’andata, per non rendere
inutili i filtri di percezione, ma non fu semplice; Peter era
impaziente di
raggiungere il TARDIS, e spesso accelerava il passo.
Etta gli camminava accanto, facendolo
rallentare quando
possibile, ma non era semplice. Il padre voleva a tutti i costi
arrivare il più
presto possibile dalla compagna e verificare che stesse bene.
Erano in un vicolo sgombro, quindi
decisero che, visto che
non c’era nessuno, avrebbero potuto accelerare il passo,
senza essere notati.
Peter cominciò a correre e gli altri lo seguirono, cercando
di stare al suo
passo; stavano per sbucare nella strada principale quando sentirono
degli
spari. Bishop stava per attraversare, ma Jack lo trattenne.
“Fermo! Se ti vedono sei
morto!” esclamò.
“Dobbiamo tornare al
TARDIS!” obiettò l’altro, cercando di
liberarsi dalla presa.
“Non tornerai vivo se non
ti dai una calmata! Capisco che
vuoi andare dalla tua donna, ma devi arrivarci vivo!”
insistette l’uomo. Peter
lo fissò negli occhi; era ancora teso ma smise di lottare,
guardando verso la
strada principale.
“Che sta
succedendo?” domandò.
Jack fece spallucce, continuando a
tenerlo fermo.
“Niente di che, almeno per
me: guerriglia urbana. Mi ci sono
trovato in mezzo parecchie volte, e altrettante mi hanno
ammazzato.” rispose.
“Oh, e lo dici
così come se fosse niente?” esclamò,
sarcastico, l’altro.
Lincoln, intanto, si affacciava dal
vicolo, per controllare
la situazione.
“Possiamo
andare.” riferì, dopo un po’.
“Perfetto.”
commentò Jack, lasciando andare Peter.
Intanto il Dottore era arrivato
davanti al TARDIS. Entrò
nella cabina, ancora con la donna in braccio. Olivia era debole, e
teneva gli
occhi chiusi, respirando piano.
Quando entrò nel TARDIS,
Rose e Astrid gli corsero incontro,
preoccupate.
“Dottore!”
esclamò la riccia “Dove sono gli altri? Stanno
bene?”
L’alieno annuì e
camminò verso le camere, quindi entrò nella
prima e adagiò Olivia sul letto, coprendola bene.
“Stanno bene, ritorneranno
tra poco. Io li ho preceduti con
il teletrasporto di Jack.”
Rose guardò la bionda sul
letto, avvicinandosi.
“Lei è
Olivia?” domandò.
“Sì,
è mia figlia. E credo abbia la febbre.”
spiegò l’altro.
“Cosa?”
domandò Astrid “Non può essere un
effetto
collaterale dell’estrazione
dall’Ambra…”
“No, non lo
è.” disse il Dottore. Stava per continuare,
quando sentì la porta d’ingresso aprirsi e la voce
di Peter, allarmata e
ansimante, chiamarli.
“Dottore! Walter! Astrid!
Abbiamo bisogno di aiuto! Veloci!”
Corsero tutti alla sala comandi e
trovarono la Rossa e
Henrietta che chiudevano la porta d’ingresso, mentre John,
Jack e Peter
cercavano di tenere in piedi Lincoln, il quale era pallido e presentava
una
brutta ferita sanguinante sotto il costato.
“Cosa è
successo?” chiese il Dottore, esaminando la ferita
con il suo cacciavite sonico.
“Ci hanno visti e ci hanno
sparato addosso. Non so esattamente
che fazione fossero…” spiegò Jack,
mentre portavano Lincoln in camera sua. Lo fecero
stendere sul letto e la moglie gli si sedette accanto, aiutandolo a
togliersi
la camicia. Walter si avvicinò con il kit di pronto soccorso
e lo esaminò.
“Non è troppo
grave. Sei stato fortunato, agente Lee.” lo
rassicurò.
“Ora sono Maggiore Lee,
dottor Bishop…” sussurrò Lincoln,
stringendo con forza la mano di Olivia.
“Oh… beh,
comunque devo pulirti la ferita e metterti dei
punti.” continuò il vecchio, prendendo tutto
l’occorrente e disponendolo in
fila sul comodino “Sei diventato un militare,
nell’altro universo?” chiese
ancora, interessato.
“No…”
rispose l’altro, con un filo di voce “Non
propriamente…
ho preso il posto dell’altro Lincoln, così mi
hanno dato anche i suoi gradi.”
“E circa un anno dopo lo
hanno promosso.” completò Olivia,
senza lasciargli la mano e carezzandogli i capelli, cercando di
attirare su di sé
gli occhi blu del marito, per non farlo concentrare
sull’operazione che stava
per eseguire il dottor Bishop.
“Davvero? Congratulazioni,
allora!” si congratulò Walter,
mettendosi i guanti e prendendo una garza e del disinfettante per
pulire la
ferita “Mi dispiace non esserci stato. Avrei portato una
torta per festeggiare.
Ma suppongo che tu e Olivia abbiate avuto altri programmi per quella
sera…”
La coppia sorrise, senza smettere di
guardarsi negli occhi.
“Quella è stata
la sera in cui ci siamo messi insieme.”
confessò la Rossa “Colazione da Tiffany, ricordi,
Tyrone?”
“Io ricordo quello che
è successo dopo, tesoro…” rispose, ma
gemette di dolore appena Walter cominciò a ricucire la
ferita.
Peter fissava i tre dalla porta, con
la spalla poggiata allo
stipite e le braccia incrociate sul petto. Lincoln si era preso una
pallottola
al posto suo, e questo non avrebbe dovuto succedere.
Il Dottore gli si avvicinò
e lo prese da parte.
“Peter, andiamo da Olivia.
Non sta bene.” disse.
Improvvisamente Peter si
ridestò, ricordandosi il motivo
della loro uscita.
“Che cos’ha?
Posso vederla?” chiese, allarmato.
“Sì, ma non ti
allarmare. Ha un po’ di febbre. Credo che il
suo essere metà Signore del Tempo stia risentendo delle
vibrazioni di questa
realtà.
Peter lo fissò confuso,
quindi si incamminò verso la camera
dove era stata portata Olivia, preoccupato.
Lei era ancora stesa sul letto,
affidata alle cure di Rose,
che le aveva poggiato un panno bagnato sulla fronte, per farle
abbassare la
febbre. John, che era con lei, si avvicinò ai due.
“Glielo hai
detto?” domandò, rivolto al Dottore.
“Detto cosa?” si
intromise Peter. John sospirò e lo guardò
negli occhi.
“L’animazione
sospesa, se protratta per un lungo periodo di
tempo, può causare degli squilibri nei Signori del
Tempo.” spiegò John.
“Ma anche l’altra
Olivia è per metà Signore del Tempo,
eppure non ha avuto conseguenze l’animazione sospesa, in
lei.” obiettò il
giovane Bishop.
Il Dottore e il suo clone si
guardarono, in una silenziosa
conversazione, quindi quest’ultimo riprese a parlare.
“Non sappiamo
perché c’è questa differenza. Forse
nell’altro
universo i Signori del Tempo non risentivano delle conseguenze
dell’animazione
sospesa…”
“O forse l’altra
Olivia è più forte perché è
stata concepita
da un Dottore resosi umano…” continuò
l’altro.
“Oppure potrebbe essere
merito di quella sostanza che le ha
iniettato tuo padre da bambina, il Cortexiphan. O potrebbero essere
tutte
queste cose insieme. Non abbiamo idea di cosa abbia causato queste
differenze.”
concluse John.
Peter li guardò. Neanche
loro sapevano cosa aveva causato
quella reazione, e da quel poco che conosceva il padre di Olivia, aveva
intuito
che, se un Signore del Tempo non sa qualcosa, non è un buon
segno. Guardò di
nuovo la compagna, stesa sul letto, e si avvicinò. Rose si
alzò e Peter la
guardò con gratitudine.
“Ci penso io, ora. Vai a
riposare, sembri stanca. Nelle tue
condizioni non dovresti affaticarti.” le disse, quindi si
sedette sul letto,
prendendo la mano di Olivia.
La pelle era bollente, e Olivia
continuava a sudare. Peter
le tirò indietro i capelli e bagnò
l’asciugamano con acqua fresca.
Il Dottore si sedette accanto,
guardando la figlia,
altrettanto preoccupato.
“Mi sembra ieri che faceva
i primi passi…” commentò.
“Sono passati 56 anni,
Dottore…” disse l’altro, senza
togliere gli occhi dalla compagna.
“In realtà ne
sono passati quasi 800 per me. ma non cambia
molto. Non ci sono stato nei momenti importanti della sua vita. Non
sono stato
un buon padre.”
Peter, finalmente, lo
guardò. Nel suo
sguardo si leggeva preoccupazione per Olivia, ma anche
serenità per averla
ritrovata. Stava ritrovando l’equilibrio.
“Essere
padre non è semplice. E non
sempre se vedi crescere tua figlia, se le stai vicino nei momenti
importanti,
sei davvero un buon padre.” commentò
“Sai, un po’ di anni fa qualcuno ha deciso
di riscrivere la storia, cancellandomi dal tempo. Non chiedermi
perché, io non
lo so…”
“Linea
temporale riscritta? Chi diavolo
ha fatto questo pasticcio?!” esclamò il Signore
del Tempo, alterato.
“E’
una lunga storia. In ogni
caso, nella linea temporale originale era scoppiata una guerra tra i
due
universi. Avevano anche scambiato l’altra Olivia con tua
figlia, per poterci
spiare.” continuò, ripensando al periodo passato
con l’altra Olivia, dopo il
suo ritorno dall’altro universo, pensando che lei fosse la
Sua Olivia “Io ho
fatto un errore di valutazione, e da questo errore di valutazione
è nato un
bambino.”
“Henrietta
ha un fratello?” chiese
il Dottore. Peter annuì.
“Sì,
Henry. L’ho avuto dall’altra
Olivia e non ne conoscevo l’esistenza. E’ stato
cancellato dalla storia anche
lui, come conseguenza della mia cancellazione.”
“Niente
Peter, niente Henry.”
concluse l’alieno “Allora… chi ha fatto
questo casino? Manipolare il vortice
del tempo è un affare rischioso anche per noi Signori del
Tempo. Non mi
stupisce che poi si sia creato qualche paradosso imprevisto.”
Peter
sospirò, annuendo.
“Il
paradosso c’è stato, eccome… e
anche bello grande: io sono ricomparso, e dopo Olivia ha ricordato la
sua
vecchia vita con me.” disse.
Il Dottore non
rispose. Non c’era
nulla da dire: qualche idiota aveva giocato con il vortice del tempo e
aveva
incasinato la storia. Aveva compromesso un punto fisso, uno di quelli
che non
potevano essere modificati, e il vortice stesso gli si era ritorto
contro.
In quel momento
Olivia aprì gli
occhi, attirando l’attenzione dei due. Peter le sorrise.
“Tesoro…
bentornata. Come ti
senti?” le chiese Peter, con voce dolce.
“Peter…”
sussurrò lei, facendo un
sorriso debole, quindi fissò il Dottore, che le sorrideva
sereno.
“Bentornata
Olive, io sono…” si
presentò.
“Papà?”
lo interruppe lei.
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Capitolo 18 *** 18 ***
Il Dottore fissò Olivia
sorpreso. Lo aveva riconosciuto,
nonostante il suo aspetto fosse diverso e molto più giovane
rispetto all’ultima
volta che lo aveva visto.
“Sì, tesoro,
sono io.” rispose, sorridendo e facendole una
carezza paterna “Mi hai riconosciuto…”
“Papà…”
ripetè, sorridendo debolmente “Sapevo che non eri
morto… lo speravo…”
“Avevi solo due anni,
piccola…” continuò l’alieno
“Per la
precisione due anni, tre mesi e sei giorni… come puoi
ricordarti di me? Come
puoi riconoscermi? Io sono cambiato…”
“Il tuo sguardo.”
spiegò la bionda “Mi ricordo il tuo
sguardo. Sei tu, lo so.”
Il Dottore sorrise di nuovo,
abbracciando la figlia. Peter
osservò la scena in silenzio. In quel momento non poteva
fare nulla, non doveva
intromettersi; un padre e una figlia si erano ritrovati dopo secoli,
era il
loro momento, e lui non c’entrava.
Si voltò verso la porta e
notò Henrietta in piedi
all’entrata, in attesa. Anche lei non voleva disturbare quel
momento, sapeva
cosa la madre stava provando, lo aveva provato anche lei poco tempo
prima.
Le sorrise, sereno. Ora la famiglia
era di nuovo riunita,
niente avrebbe potuto dividerli. Tornò a guardare la
compagna e il Dottore, che
si erano allontanati. Olivia incrociò il suo sguardo.
“Henrietta…”
disse, allarmata “Io… non ce l’ho
fatta… l’ho
dovuta… io… non so dove…”
balbettò, andando in panico.
Peter le carezzò la
guancia, dolcemente.
“Tranquilla.” la
rassicurò “Henrietta sta bene. Lincoln, sua
moglie e i suoi amici se ne sono presi cura finchè hanno
potuto. Ora ascoltami,
sai dove ci troviamo?”
Olivia si guardò intorno,
confusa, infine scosse la testa.
“Sei a casa mia,
Olive.” spiegò il Dottore “Ti ricordi
quella cabina blu nascosta nella cantina? Quella che la mamma non
vedeva e che
io tenevo sempre chiusa?”
Olivia annuì, riprendendo
a guardarsi intorno.
“Più grande
dentro che fuori… come nelle favole che mi
raccontavi.” disse. Il Dottore sorrise e le baciò
paternamente la fronte,
alzandosi in piedi e lasciando il posto a Peter.
“Olivia, siamo nel 2036. Ti
abbiamo prelevato dall’Ambra.
Anche noi ci eravamo ambrati, poi Henrietta ci ha trovato. È
cresciuta tanto,
sai?” spiegò “Vorrei che la
vedessi.” si girò verso la figlia e le fece cenno
di avvicinarsi. Etta guardò il padre, esitò
indecisa, e infine si avvicinò al
letto.
“Ciao, mamma.”
salutò, mettendosi accanto a Peter. Olivia
sorrise e la abbracciò.
“Sei cresciuta
tanto…” sussurrò, stringendola
“Eri solo una
bambina… avevi quattro anni. Mi dispiace
tanto…”
Henrietta non disse nulla, si
limitò a stringere la madre
che non vedeva da venti anni.
Intanto, in cucina, Jack si era
versato del whisky, rimasto
solo dopo aver accompagnato Etta nella stanza della madre.
L’aveva lasciata
lì, davanti alla porta, e si era
allontanato: nonostante avesse cresciuto quella biondina, lui era solo
un
estraneo, non c’entrava nulla con la riunione di famiglia che
stava avvenendo
nell’altra stanza.
Rose entrò e
aprì il frigo, prendendo il cartone del succo
di frutta, quindi si sedette al tavolo e si versò un
bicchiere di succo. Jack
la osservò, quindi sorrise.
“Hai visto? John
è tornato sano e salvo, come abbiamo
promesso.” le disse.
“Sì,
ma… Lincoln…” obiettò lei.
“Lincoln starà
bene. Il dottor Bishop si sta occupando di
lui. e comunque il Maggiore ha la pelle dura, se la
caverà.” la rassicurò.
Rose sospirò e si
carezzò la pancia, ancora preoccupata.
Jack la osservò ancora.
Lei era quella più vulnerabile di
tutti, lì dentro; non poteva muoversi dal TARDIS e non
poteva essere lasciata
sola. La creatura che portava in grembo sarebbe nata da un momento
all’altro,
in un mondo in guerra, una guerra che stavano perdendo.
“Non è stato
fermo per un momento, da quando siete andati a
prendere Olivia.” riferì lei, senza smettere di
carezzarsi la pancia.
“Sentiva la tua
agitazione.” spiegò “Devi stare
tranquilla.
John è tornato sano e salvo, te l’ho
già detto. Ed ora abbiamo anche ritrovato
Olivia, non dovrai preoccuparti, starai al sicuro.”
“Ma io non potrò
aiutarvi…”
“Non
c’è bisogno, Rose. Tu ci aiuterai in altri modi,
restando qui dentro.” la rassicurò lui, alzandosi
per mettere via il bicchiere
e dandole un buffetto sulla guancia “Ti ricordi Londra nel
1943? Quando ci
siamo conosciuti?”
“Ricordo che ero rimasta
appesa a un dirigibile. Tu mi hai
tirato giù.” riferì lei, sorridendo.
“E dopo abbiamo ballato
sotto il Big Ben.” continuò l’altro,
ricambiando il sorriso, sornione.
“Ci stai provando con la
mia donna, Capitano?” chiese la
voce di John, sulla porta, fintamente alterato.
“Stavamo solo facendo
conversazione, Dottore.” rispose
scherzoso l’altro, usando il nome della sua controparte
aliena. John non disse
nulla e si avvicinò a Rose, baciandola sulla fronte.
“Stai bene?” le
chiese. Lei annuì, stringendolo. Era stata
preoccupata per lui per tutto il tempo che erano stati fuori.
John la strinse, facendola
tranquillizzare. Forse non
avrebbe dovuto lasciarla sola per quella missione così
pericolosa.
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Capitolo 19 *** 19 ***
Il Dottore era tornato nella sala
comandi del TARDIS. Sua
figlia stava bene, ma aveva bisogno di un po’ di
intimità con il compagno e con
la figlia, che non vedeva da molto tempo.
Stava controllando il livello di
ricarica del mezzo quando
Jack lo raggiunse.
“Il catorcio sta ancora
cercando di ripararsi?” domandò,
camminando con le mani in tasca.
“Ehi! Non offendere la
piccola!” lo ammonì l’alieno
“E’
particolarmente suscettibile in questo momento! Comunque credo che si
siano
riattivate alcune delle funzioni speciali, come la traduzione
automatica
telepatica.” spiegò.
“Perfetto!”
esclamò il Capitano “Così possiamo
finalmente
capire la lingua degli Osservatori!”
Il Dottore annuì e con un
gesto distratto premette il
pulsante di accensione della radio.
Un rumore statico gli fece capire che
anche quella era
funzionante, almeno parzialmente. Sorrise e afferrò la
manopola, girandola
lentamente alla ricerca di qualche tipo di trasmissione. Jack si
avvicinò,
ascoltando anche lui i suoni statici emessi dall’apparecchio.
“Aspetta…”
lo fermò “Ecco, qui, lo senti?”
“Hai ragione. Sembra
criptato.” confermò il Signore del
Tempo “Provo a pulire il segnale.” girò
un’altra manopola e, lentamente, dal
fondo emerse la voce di un uomo.
“Qui
parla….” il nome fu coperto da
un’interferenza statica
“e se mi state ascoltando siete la Resistenza.”
“Oh… ma guarda.
Non lo sentivo da un po’.” commentò
Harkness, sorridendo.
“Lo conosci?”
chiese l’altro.
“Di fama. È il
capo della Resistenza di New York. Trasmette
in onde corte tutti i giorni da circa una decina d’anni, con
trasmissioni
criptate. È uno dei maggiori ricercati dai Lealisti, ma
nessuno lo ha ancora
preso.”
Il Dottore annuì
interessato. In quel momento entrò Lincoln,
sorretto dalla moglie; aveva ripreso colore, ma ancora era debole per
la ferita
subita.
“Cos’è
questa voce?” chiese Olivia, avvicinandosi alla
plancia di comando.
“E’ il capo della
resistenza di New York.” spiegò di nuovo
Jack “Tutti i giorni trasmette in onde
corte…”
“Una cosa alla John
Connor?” domandò Lincoln, ascoltando
l’uomo alla radio che parlava.
“Chi?” chiese la
Rossa, di rimando.
“Scusa, tesoro…
tu lo conosci come Kyle Reese. Il
protagonista della saga di Terminator.” le spiegò
il compagno, quindi si
rivolse agli altri “Anche se mi sono trasferito
nell’altro universo, mi è
ancora difficile usare i loro riferimenti…
trent’anni vissuti dall’altra parte
sono difficili da dimenticare…”
I due annuirono e continuarono ad
ascoltare la trasmissione.
“Io questa voce la
conosco…” disse, ad un certo punto,
Olivia “E’ più anziano, ma credo di
conoscere quest’uomo.” continuò,
guardando
il marito “Tu non ricordi nulla?”
Lincoln ascoltò
concentrato. L’uomo della radio stava
parlando delle nuove armi contro gli Osservatori. La voce era distorta
dalla
trasmissione radio e dall’anzianità, ma
effettivamente gli era famigliare.
Ascoltò ancora per qualche
secondo, quindi spalancò gli
occhi e sorrise, sorpreso.
“Non ci posso
credere!” esclamò “Pensavo non avesse
retto
alla morte della moglie! Incredibile! Capo della Resistenza di New
York! Non ci
posso credere!”
Jack li fissò, sorridendo.
Gli era venuta un’idea, e se loro
davvero conoscevano quell’uomo era una marcia in
più.
“Dottore, il TARDIS
è abbastanza in forma da poter
affrontare un viaggio fino a New York? Se usiamo i mezzi tradizionali
potremmo
impiegarci ore, e non abbiamo molto tempo.” spiegò.
“Perché vuoi
andare a New York, Capitano?” chiese, l’alieno,
controllando la plancia del mezzo di trasporto.
“Perché il capo
della Resistenza può esserci molto utile, e
noi possiamo essere utili a loro. Inoltre io sono abbastanza conosciuto
nell’ambiente, sicuramente ci riceverà.”
spiegò l’altro.
Il Dottore ci pensò su,
fissando la colonna centrale, quindi
annuì.
“Vai a chiamare tutti. Ho
bisogno di una mano per le
manovre, e non sarà un viaggio tranquillo, potrebbero
esserci degli scossoni.
Jack annuì e
andò a chiamare gli altri. Quando tutti furono
riuniti nella sala controllo l’alieno parlò.
“Dobbiamo spostarci a New
York. Ho bisogno di una mano per
manovrare il TARDIS; di solito lo manovro da solo, ma questa volta
siamo di
fretta, quindi… Peter, Lincoln, Jack, John e Henrietta,
attorno alla plancia,
fate quello che vi dico. Rose, stai seduta, gli altri si tengano
forte!”
spiegò, quindi afferrò una delle leve e diede gli
ordini agli altri cinque
“Etta, tieni ben saldo il freno a mano. Non mollarlo
finchè non te lo dico io.
Lincoln, Peter, quelle due manopole giratele in senso orario, poi idem
come
Etta. Jack, la leva del timone. John, quell’altra leva e quel
pulsante, sai
cosa devi fare. Ora… si parte!”
esclamò, quindi tirò la leva e premette un
pulsante.
Il TARDIS fece uno scossone e il
pavimento vibrò. Peter
dovette afferrare saldamente la manopola per non rischiare di finire
scaraventato contro il muro.
Un rumore assordante
riempì l’ambiente per qualche secondo,
poi tutto finì. Le luci tremolarono e si spensero; il
Dottore diede una pacca
alla colonna centrale e si allontanò.
“Brava piccola. Ora
rilassati.” disse, quindi si rivolse
agli altri “Potete lasciare. Siamo arrivati.”
Quando tutti si furono ripresi dal
viaggio, l’alieno prese
il suo cappotto e uscì all’esterno, guardandosi
attorno. Jack fu il secondo a
uscire, anche lui osservò il posto
dell’atterraggio.
“Siamo nel Bronx. Non siamo
troppo lontani dal quartiere
generale della Resistenza. Andiamo!” ordinò.
Gli altri uscirono dalla cabina e
seguirono il Capitano
lungo le vie di quella che una volta era stata la zona più
malfamata della
Grande Mela. Lui li guidò fino a un anonimo edificio, in
mezzo ad altri
apparentemente tutti uguali, e bussò tre volte a una pesante
porta.
Una guardia aprì e li
guardò. Jack si fece avanti e mostrò
un distintivo di stoffa che aveva estratto da una delle tasche del suo
cappotto, quindi disse una parola d’ordine.
“Di’ al Capo che
Jack Harkness, l’Uomo Morto che Cammina, è
venuto a fargli visita e ha portato degli amici con
sé.” concluse.
La guardia fissò il
distintivo e ascoltò le parole di Jack,
quindi chiuse la porta. Il Capitano fece un respiro profondo e sorrise
agli
altri, tutti in trepidante attesa.
Dopo qualche minutò la
guardia aprì di nuovo.
“Entrate.” disse,
quindi fece strada all’interno del
palazzo, scendendo nei sotterranei.
L’interno era un brulicare
di persone, indaffarate in varie
mansioni, ma tutti si fermavano per qualche secondo per osservare il
passaggio
dei nuovi arrivati. La guardia li condusse verso una grande stanza,
all’ultimo
piano sotto terra, illuminata quasi a giorno dai neon che pendevano dal
soffitto.
Degli uomini discutevano al centro
della sala, in piedi
attorno a un grosso tavolo. La guardia fece cenno al gruppo di fermarsi
e si
avvicinò al più anziano, un uomo sulla
sessantina, con i capelli grigi e una
muscolatura allenata. Dopo che ebbero parlato, quest’ultimo
guardò Jack e si
avvicinò.
“Ho sentito molto parlare
di te, Capitano Harkness.” disse,
stringendogli la mano.
“E io di te, Capo Charlie
Francis.” rispose Jack,
sorridendo.
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Capitolo 20 *** 20 ***
I due uomini si scrutarono a lungo,
esaminandosi a vicenda.
Jack era apparentemente rilassato, mentre Charlie era pensieroso, gli
occhi
neri fermi in un’espressione fiera e responsabile, tipica di
un capo, la fronte
aggrottata nel tentativo di immagazzinare ogni informazione verbale e
non
verbale provenisse dalle persone presenti nella sala, e la cicatrice
accanto
all’occhio sinistro, accentuata dal peso degli anni e dalla
lotta contro gli
oppressori provenienti dal futuro.
Per qualche minuto ci fu un gran
silenzio, ma fu rotto
improvvisamente dalla Rossa, che corse incontro all’uomo,
saltandogli al collo.
“Charlie!”
esclamò “Pensavamo fossi morto!”
Francis fu sorpreso di quella
reazione. Non se la aspettava,
inoltre quella voce gli era famigliare. Con delicatezza fece
allontanare la
donna, la guardò negli occhi e, finalmente, la riconobbe.
“Liv?” disse
“Ma… come è possibile? Sono passati
venti anni…
non sei cambiata per niente…”
“Ambra.”
spiegò la Rossa “Io e Tyrone ci siamo dovuti
ambrare. Ci hanno tirato fuori qualche giorno fa.”
Charlie la fissò per
qualche secondo, poi tornò a guardare
Jack.
“Sei stato tu a
liberarli?” chiese.
“No, è una lunga
storia.” rispose il Capitano “Quindi i
signori Lee li conosci già?”
“Sono stato il loro
testimone di nozze, ed eravamo in
squadra insieme.” spiegò Charlie, poi si
girò a guardare il resto del gruppo
“Ok, suppongo che la bionda sia l’altra Olivia,
quella dell’altro universo…
santo cielo… signor Segretario!”
esclamò, avvicinandosi a Walter e mettendosi
sull’attenti.
Walter lo guardò,
visibilmente in imbarazzo, quindi gli fece
cenno di rilassarsi.
“Mi dispiace, non sono lui,
sono l’altro Walter…” si
scusò.
L’altro si rilassò e gli strinse la mano.
“E’ comunque un
piacere vederla, dottor Bishop.” lo salutò,
poi guardò Rose e le si avvicinò con un gran
sorriso “Ma guardati, agente
Tyler! Quasi non ti riconoscevo!” esclamò,
abbracciandola, facendo attenzione a
non stringerla troppo.
“Senti chi
parla… tu sei invecchiato, invece.” lo
salutò
lei. Charlie fece un altro gran sorriso e strinse la mano a John.
“John! Ti trovo bene, per
essere un ammuffito inglese.” lo
salutò, scherzoso.
“Vacci piano,
Yankee!” esclamò l’altro “Sto
per diventare
padre, non sono poi così ammuffito!” sorrise e si
abbracciarono calorosamente,
quindi Charlie passò al Dottore.
“Tu devi essere
l’altro John Smith…”
“Più o
meno…” rispose l’alieno “Sono
il Dottore. Solo il
Dottore.”
Charlie annuì e
guardò Etta e Peter, quindi tornò a
rivolgersi a Jack.
“Loro non li
conosco.” disse.
“Lei è
Henrietta.” la presentò il Capitano.
“Quindi lei sarebbe tua
figlia? Quella di cui parlano le
cronache?”
Jack fece un respiro profondo,
sentendosi improvvisamente
addosso gli occhi di Peter e Olivia, i genitori naturali di Etta.
“Tecnicamente non
è esattamente mia figlia, ma è figlia di
Olivia e Peter Bishop.” li indicò “Ma
sono stato io a crescerla, mentre loro
erano bloccati nell’Ambra.”
Charlie annuì, quindi
finì di stringere le mani ai nuovi
arrivati e tornò a parlare a Jack.
“Ho sentito molto parlare
di te. Sei l’unico ad uscire vivo
ogni volta che i lealisti mettono a segno qualche retata contro i
ribelli.”
disse.
“Roba da nulla, se non hai
la possibilità di morire.” si
pavoneggiò il Capitano “Comunque anche i tuoi
discorsi radiofonici criptati
stanno dando una mano a parecchia gente.”
“Faccio quello che posso
per mantenere viva la speranza,
oltre che combattere contro gli Osservatori.” rispose Francis
“Comunque come
mai sei venuto qui? Hai bisogno di qualcosa?”
“In realtà
abbiamo sentito il tuo ultimo discorso…” si
intromise il Dottore “E abbiamo pensato di venirti a trovare.
Ho sentito che la
Resistenza sta cercando la Divisione Fringe originale, per unirsi a lei
nella
lotta.”
“E’
così, ma nessuno ancora l’ha trovata. Io non so
esattamente chi siano, si dice che vengano dall’altro
universo, ma nel periodo
della collaborazione interuniversi io ero in viaggio di nozze e non li
ho
conosciuti. Se uscissero fuori sarebbe una bella botta di vita per
tutti i
ribelli d’America e, forse, del mondo.”
“Beh, ritieniti fortunato,
Charlie.” disse Peter, facendo un
passo avanti “La Divisione Fringe Originale è
proprio di fronte a te.”
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Capitolo 21 *** 21 ***
Charlie fissò il gruppo,
incredulo.
“La Divisione Fringe
Originale siete voi?” domandò.
“Sì.”
annuì Peter “Per la precisione siamo io, Olivia,
Astrid e Walter. Gli altri si sono uniti a noi dopo che siamo stati
estratti
dall’Ambra.”
Charlie li fissò ancora
per qualche momento, poi si rivolse
verso la guardia che aveva accompagnato il gruppo, un uomo sulla
trentina, con
i capelli biondi e gli occhi azzurri, e il viso segnato da anni di
lotte.
“Puoi andare,
Eddie.” ordinò.
L’uomo fece il saluto
militare ed uscì velocemente dal
salone. Francis prese una sedia e fece cenno agli altri di accomodarsi
attorno
al tavolo.
Attese che si fossero tutti seduti e
li fissò, uno per uno.
“Posso chiedervi come mai
siete venuti qui?” chiese, dopo un
minuto di silenzio.
Il Dottore fissò gli
altri, in attesa, infine si decise a
parlare.
“Oggi parlavi di quelle
armi contro gli Osservatori, durante
il tuo discorso alla radio. Posso chiederti dove le
recuperate?”
Francis si sistemò meglio
sulla sedia, raccogliendo le idee.
“Le costruiamo
noi.” rispose “Abbiamo trovato le istruzioni
in una casa di Brookline, vicino Boston, durante una ronda nella zona.
Abbiamo
fatto in modo che tutte le cellule ribelli d’America avessero
almeno una copia
delle istruzioni.”
Peter e Olivia si fissarono per
qualche secondo. Si
ricordavano bene quando avevano nascosto quelle istruzioni, venti anni
addietro, prima di separarsi. Sapevano che potevano essere utili in
futuro.
Il Dottore annuì,
interessato.
“Quindi la tua
trasmissione, come minimo, raggiunge i
ribelli di tutti gli Stati Uniti?” chiese ancora.
“Gli Stati Uniti di sicuro,
poi abbiamo ricevuto risposte
anche da Canada e Messico. Suppongo che le trasmissioni in onde corte
possano
essere arrivate un po’ ovunque, o che almeno ci sia il
passaparola.” affermò
l’uomo, pensieroso.
L’alieno sorrise. Nella sua
mente si stava cominciando a
creare un piano. Forse non sarebbe servito come antidoto definitivo
contro
l’invasione degli Osservatori, ma avrebbe fatto loro venire
almeno un prurito
fastidioso e difficilmente curabile.
“Ogni quanto tempo vai in
onda, capo Francis.” chiese,
infine.
“All’incirca ogni
24 ore, perché?”
“Bene, mi darà
un margine di tempo per lavorare. Se ti
dicessi che sono in grado di potenziare il segnale e farlo arrivare a
tutte le
cellule ribelli del mondo, mi lascerai attuare il mio piano?”
chiese ancora il
Dottore.
Charlie annuì e attese la
spiegazione, attento come tutti,
attorno a quel tavolo, o quasi.
Peter era distratto. Non si era
distratto subito, aveva
ascoltato parte della conversazione tra suo suocero e l’ormai
anziano Charlie
Francis, ma qualcosa lo distrasse all’improvviso. Uno
scintillio nella sua
mente quasi lo abbagliò nell’attimo in cui
Lincoln, seduto accanto a lui, in un
normale rituale che faceva ogni volta che aveva bisogno di mantenere
una lucida
calma, e che gli aveva visto fare spesso da quando risiedevano nel
TARDIS,
aveva tirato fuori dalla sua tasca un vecchio orologio da taschino.
Per Peter, quel piccolo oggetto in
possesso del suo amico
quasi non esisteva. Lo vedeva, ma era come se non lo vedesse; era solo
un
insignificante orologio, il cui unico valore, per Lincoln e sua moglie,
era
affettivo, in quanto apparteneva al padre della Rossa. Per lui
quell’orologio
non valeva niente, era solo uno dei tanti.
Improvvisamente, però,
aveva attratto la sua attenzione. Ora
non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Non esisteva
più nulla, tranne
quell’insignificante orologio da taschino rotto che il suo
migliore amico
stringeva tra le mani.
I discorsi dei presenti non li
sentiva più. La sala era
scomparsa, anche le persone attorno a lui erano scomparse. Qualcuno,
nella sua
mente, gli sussurrava qualcosa. Non riusciva a capire cosa dicesse,
doveva
concentrarsi meglio, isolare i rumori di fondo.
Finalmente ci riuscì.
-Bishop…
-
sussurrava la voce – non
è il momento…
non sei ancora pronto… -
Non sei ancora pronto per cosa? Peter
non riusciva a capire.
Voleva rimettere ordine nella sua testa. Per cosa diavolo non era
ancora
pronto?!
-Capirai…
-
continuò la voce nella sua testa – quando
sarà il momento capirai cosa devi fare…
-
Cosa? Cosa doveva capire?
Cercò ancora di captare la voce
nella sua mente, ma non ci riuscì.
Finalmente si accorse che qualcun
altro lo stava chiamando.
Si ridestò e si guardò intorno.
Tutti lo stavano fissando. Il Dottore
si era avvicinato, ed
ora aveva una mano sulla spalla di Peter. C’era
preoccupazione nei suoi occhi.
“Peter, mi hai
sentito?” domandò.
“Eh? Scusa, Dottore, mi
sono distratto un momento.” si scusò
l’altro. L’alieno annuì e si rivolse
nuovamente a Charlie.
“Allora per dare
un’occhiata alla radio dove devo andare?”
“Basta che chiedi al
ragazzo che vi ha portato qui.” spiegò
Francis “Si chiama Eddie Blake. È lui
l’addetto alla manutenzione degli
apparecchi elettrici ed elettronici.”
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Capitolo 22 *** 22 ***
Eddie Blake.
Quel nome per Olivia non era nuovo.
C’era qualcosa, un
collegamento con il passato… rovistò nella sua
mente, in cerca delle
informazioni giuste, infine si ricordò.
Da quando aveva recuperato i ricordi
della vecchia linea
temporale aveva visto la sorella solo due o tre volte. Aveva faticato
ad
abituarsi a questa nuova Rachel, più serena e ancora sposata
con Greg, il padre
di Ella, la nipotina a cui era molto legata, e aveva faticato allo
stesso modo
ad abituarsi al fatto che aveva un nipote, Eddie, un bambino pieno di
energie,
con una massa di capelli biondi e due luminosi occhi azzurri, che aveva
cinque
anni più di sua figlia Henrietta.
Eddie Blake. Quel giovane uomo che li
aveva accompagnati da
Charlie era suo nipote!
Scambiò uno sguardo con il
compagno, il quale capì
all’istante e, insieme, si alzarono e corsero dal Dottore.
“Papà,
aspetta!” lo chiamò la bionda “Veniamo
anche noi.”
Il Dottore si fermò sulla
porta, in attesa, quindi uscì nel
corridoio e, insieme, si incamminarono verso l’entrata, dove
li aspettava
Eddie. Con la cosa dell’occhio osservò il
linguaggio non verbale della figlia
e, finalmente, capì.
“Conosci quel Blake,
vero?” domandò, prima di salire le
scale che portavano all’ingresso.
“Sì.
È il figlio minore di Rachel.” spiegò
lei. L’alieno si
fermò sulle scale, voltandosi verso i due. Nei suoi occhi
era comparsa una
scintilla di felicità: aveva trovato un altro membro della
sua famiglia, uno
degli altri suoi nipoti.
Senza dire una parola prese a correre
per le scale, inciampando
quasi su ogni scalino, dove le sue scarpe da ginnastica scivolavano.
Anche il
suo lungo cappotto lo impacciava nei movimenti, ma lui lo ignorava. In
men che
non si dica era nell’atrio; si guardò intorno in
cerca del ragazzo.
Eddie era in piedi accanto alla
porta, che stringeva un
fucile con aria annoiata e pensierosa. Aveva una postura molto simile a
quella
di Etta, era impossibile non dire che erano parenti, poiché
anche i lineamenti
erano simili. Il Dottore si avvicinò e, inaspettatamente, lo
abbracciò
calorosamente, con un gran sorriso stampato in volto.
Il giovane si irrigidì,
interdetto dall’improvvisa azione
dell’alieno, il quale si allontanò e gli
stampò un sonoro bacio sulla fronte,
tenendogli il volto tra le mani.
“Tua madre aveva pochi mesi
quando l’ho vista l’ultima
volta, ma tu sei davvero identico a lei! Hai i suoi stessi
occhi!” esclamò,
euforico.
Eddie lo fissò confuso,
quindi si girò verso Peter e Olivia,
in cerca di una spiegazione. La donna si fece avanti.
“Eddie, accompagnaci alla
sala radio, poi ti spieghiamo
tutto. credo ci siano molte cose di cui parlare.” disse. Il
giovane annuì e gli
fece strada.
Arrivati alla sala radio, il Dottore
si sedette al tavolo e
smontò gli apparecchi, controllandoli uno per uno, usando il
suo cacciavite
sonico, mentre Olivia e Peter fecero cenno a Eddie di sedersi con loro.
“Tua madre si chiama
Rachel, vero?” chiese la donna,
guardando l’altro negli occhi.
“Sì.”
annuì Eddie “Rachel Blake.
Perché?”
Olivia fece un respiro profondo e si
sedette meglio, spostando
il busto più avanti, verso il giovane.
“Il suo nome da nubile era
Rachel Dunham?” chiese ancora.
Eddie annuì, dubbioso, guardando un po’ lei e un
po’ Peter, e Olivia riprese a
parlare “Non ti ricordi di noi? Pensaci, non eri troppo
piccolo quando ci siamo
visti l’ultima volta, avevi sette anni.”
Eddie li fissò ancora per
qualche secondo. Era ancora
confuso, non era del tutto sicuro di sapere chi fossero quelle due
persone.
“Zia Liv?”
sussurrò, insicuro. Olivia sorrise e annuì, e
Eddie guardò Peter “Zio Peter?”
La risposta fu di nuovo positiva,
quindi il giovane si girò
verso il Dottore.
“Tu chi sei?” gli
chiese. Aveva capito che aveva un legame
anche con lui, ma ancora non riusciva a identificarlo.
Il Dottore aveva inforcato gli
occhiali e stava ancora
lavorando sulla radio. Era concentrato, ma non si perdeva una parola
della
conversazione.
“Io sono tuo nonno,
ragazzo.” rispose “Il padre di tua
madre.”
Eddie era senza parole. Aveva trovato
parte della sua
famiglia nonostante la guerra in corso; per lui era un miracolo. Si
alzò e
abbracciò Olivia, stringendola come se non volesse
più lasciarla; la donna
ricambiò, stringendolo a sua volta, senza dire nulla.
Intanto nel salone erano rimasti
tutti gli altri. Erano
silenziosi, in attesa che il Dottore tornasse e spiegasse meglio il
piano che
aveva in mente.
Charlie era stufo del silenzio,
quindi si rivolse ai suoi ex
compagni di squadra.
“Voi non siete invecchiati
quasi… cosa vi è successo?”
domandò.
“Ambra.” rispose
Lincoln “ci siamo ambrati circa un paio d’anni
dopo l’invasione e la fusione degli universi.”
“Interessante…
voi dormivate e io per vent’anni ho cercato
di fare il culo ai pelatoni, con poco successo!”
esclamò sarcastico, facendo un
mezzo sorriso.
Lincoln sospirò e
fissò gli altri, soffermandosi soprattutto
su coloro che erano vissuti nel suo universo di nascita.
“In realtà
c’è una cosa che mi preoccupa.”
confessò, alla
fine “Qui la storia si sta ripetendo, gli Osservatori hanno
già commesso un
genocidio, quando sono arrivati, non mi stupirei se ci fosse anche un
altro
Olocausto.”
“Un cosa?” chiese
Charlie, confuso.
Lee fece un altro sospiro,
raccogliendo tutti i pensieri.
“E’ una cosa che
è radicata in tutti gli ebrei dell’altro
universo. Io sono un ebreo, come sapete, e anche se questi fatti non li
ho
vissuti, ho conosciuto persone che hanno vissuto quel periodo, nella
mia
comunità, e sono cose che rimangono impresse nella memoria
collettiva.”
La Rossa lo fissò seria.
Il marito non aveva mai raccontato
quella storia, e in quel momento immaginava il motivo: dovevano esserci
stati
molti morti tra le persone che confessavano l’ebraismo, come,
appunto, il suo
Lincoln, durante quello che aveva chiamato Olocausto.
“Quanti ebrei sono
morti?” domandò.
“Circa cinque milioni, e
non erano solo ebrei. Quello che ho
paura che succeda è che possano dividerci in gruppi e
sterminarci poco alla
volta solo perché non siamo come vorrebbero che
fossimo.” concluse Lincoln,
tenendo lo sguardo fisso sul suo orologio da taschino.
“Non
succederà.” affermò Charlie, deciso
“Non glielo
permetteremo.”
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Capitolo 23 *** 23 ***
Qualche minuto dopo il Dottore
tornò, seguito da Olivia,
Peter e Eddie.
Si sedettero di nuovo al tavolo e
l’alienò parlò.
“Charlie, come pensi che
reagirà il resto della Resistenza
alla notizia del ritorno della Divisione Fringe Originale?”
domandò.
Charlie sospirò,
pensieroso, e lasciò vagare lo sguardo per
la sala, raccogliendo le idee, quindi tornò a guardare il
Dottore.
“Credo che risveglierebbe
la speranza. Sarebbe una spinta in
più per combattere gli Osservatori; avere la Divisione
Fringe Originale di
nuovo in azione ci darebbe un grosso vantaggio, di sicuro.”
Il Dottore annuì e
guardò Peter.
Era di nuovo distratto, concentrato
sull’orologio di
Lincoln, l’orologio dell’ultimo Signore del Tempo
dell’altro universo.
Non l’aveva mai visto
così concentrato su quell’oggetto, e
non sapeva se era un bene o un male. Però aveva capito che
molto probabilmente
il filtro di percezione dell’orologio era stato tarato sulla
lunghezza d’onda
di quell’uomo. Per qualche motivo a lui ignoto,
l’altro Dottore aveva deciso di
morire, lasciare l’orologio alla figlia, con
all’interno la sua essenza, e
tararlo sulla lunghezza d’onda di Peter.
Il Dottore sapeva che Peter proveniva
dall’altro universo,
quindi se era vero che molti particolari delle storie personali delle
persone e
dei loro doppi coincidevano, era molto probabile che anche il suo
doppio avesse
conosciuto i Bishop, per un periodo più lungo di lui,
poiché era morto quando
l’altra Olivia aveva 12 anni, di conseguenza aveva anche
assistito al rapimento
del giovane da parte di Walter. Sicuramente sapeva qualcosa di
più, rispetto a
lui, sulla famiglia Bishop. Ma perché fargli avere
l’orologio con la sua
essenza imprigionata all’interno? E, soprattutto,
perché fargliela arrivare per
vie traverse, attraverso la figlia?
La risposta gli arrivò
senza neanche pensarci troppo: anche
l’altro Dottore era un Signore del Tempo, quindi con gli
stessi suoi poteri:
poteva vedere le cose come erano state in passato, come erano nel
presente,
come avrebbero dovuto essere o non avrebbero dovuto essere nel futuro.
Tutto
quanto lo vedeva in qualunque momento della sua vita, anche se
l’unione degli
universi del 2015 gli aveva mandato in tilt il suo potere,
poiché la lunghezza
d’onda di quel nuovo universo fuso non era la solita a cui
era abituato.
L’altro Dottore aveva visto
il futuro della figlia, e forse
aveva previsto che la ragazza si sarebbe innamorata e avrebbe sposato
il
migliore amico del giovane Bishop. In qualche modo era riuscito a
intuire che
gli Osservatori avrebbero invaso il loro tempo, unendo gli universi, e
aveva
capito che il genero avrebbe rivisto il suo migliore amico.
Per qualche ragione, per
l’altro Dottore, quel ragazzo era
importante, che sarebbe vissuto e avrebbe avuto un ruolo determinante
nella
lotta contro gli Oppressori del Futuro.
Perché Peter era
importante? Quella domanda attraversò la
mente dell’alieno in una frazione di secondo, e in un attimo
si trovò ad
analizzare la linea temporale che intercorreva tra il momento in cui
aveva
conosciuto Marilyn e il 2015. Vide le due linee temporali separarsi e
percorrere due linee diverse, parallele. Una era confusa, frammentaria,
l’altra
era netta e precisa. In un certo momento si riunivano di nuovo,
rientrando
nella linea giusta, così come doveva essere.
Analizzò il punto di
separazione, la data era il 1985. Una
data importante, lo sapeva. In quell’anno era situato un
punto fisso nella
trama del tempo, uno di quei punti tabù, che non andrebbero
toccati, come la
distruzione di Pompei, o lo Sbarco sulla Luna. Nel 1985 sapeva che
c’era un
altro punto fisso, ma ancora non aveva identificato quale fosse. Nel
1985 non
era accaduto nulla di particolare, a livello storicamente rilevante.
Era un
anno noioso, dal suo punto di vista, a parte i due concerti del Live
Aid di
Londra e Filadelfia del 13 luglio. Lui era stato presente a entrambi,
amava la
musica.
Si stava distraendo. Non doveva
distrarsi; tornò ad
analizzare il 1985, alla ricerca del punto fisso. Quando finalmente lo
trovò
quasi imprecò ad alta voce: il punto fisso era proprio in
coincidenza col punto
di separazione delle due linee temporali. Quel punto era... il
salvataggio di
Peter dopo che Walter lo aveva rapito ed entrambi erano caduti nelle
acque
ghiacciate del Lago Reiden!
Peter era il punto fisso nella trama
del tempo. Dalla sua
sopravvivenza da bambino derivava la netta linearità della
prima linea
temporale. L’altra linea temporale era più confusa
perché nata da una
distorsione della trama del tempo, a cui il tempo stesso aveva porto
rimedio,
creando un paradosso.
Peter era importante. Il suo doppio
lo sapeva, ed ora lo
sapeva anche lui.
Ma perché lasciargli
l’orologio? Qualcosa ancora gli
sfuggiva, ma presto avrebbe capito tutto. Era meglio affrontare un
problema
alla volta.
Al Dottore, per eseguire
quell’analisi, gli ci volle non più
di una frazione di secondo. Terminato il ragionamento,
richiamò alla realtà
Peter e gli parlò.
“Peter, domani parlerai
alla Resistenza. Prepara un discorso
convincente e vai a farti qualche ora di sonno. Avremo bisogno di tutte
le
nostre forze per vincere questa guerra.”
L’uomo annuì e
si alzò, deciso, come tutti gli altri,
diretti al TARDIS per andare a riposarsi per la notte.
Il giorno dopo si riunirono tutti in
sala radio. Eddie aveva
già preparato tutto, ed era in attesa di ulteriori ordini.
Charlie si fece
avanti e afferrò il trasmettitore, pronto a parlare.
“Sono Charlie Francis. E se
mi state ascoltando siete la
Resistenza” esordì, quindi fece un respiro
profondo “Oggi non vi parlerò di
armi o di strategie per combattere gli Osservatori, non direttamente.
Oggi vi
parlerò di alcune persone che, anni fa, hanno cominciato la
lotta che
continuiamo noi oggi. Qualcuno pensa che siano solo una leggenda, una
favola
per bambini, ma vi assicuro che sono persone reali, che hanno
combattuto e hanno
pagato caro il loro contributo alla causa della Resistenza. Loro
l’hanno
fondata, hanno sacrificato sé stessi per il nostro futuro,
un futuro migliore
per noi e per i nostri figli, un futuro per il quale combattiamo ancora
oggi.
Loro sono Astrid Farnsworth, OliviaDunham, Peter e Walter Bishop, la
Divisione
Fringe Originale.”
Fece una pausa, riempiendo i polmoni
un paio di volte, per
raccogliere le idee, quindi riprese a parlare.
“Loro non sono una
leggenda, sono reali. Sono scomparsi,
venti anni fa, perché imprigionati nell’Ambra, nel
tentativo di sfuggire ai
Lealisti, che li cercavano per consegnarli agli Oppressori. Ma non ci
hanno
lasciato al nostro destino, sapevano che sarebbero tornati, e ci hanno
trasmesso le loro conoscenze con diversi mezzi. Le armi che tutti noi
costruiamo e usiamo sono un loro progetto, e il loro ricordo ha dato a
tutti
noi la forza di andare avanti, nella speranza di vincere questa guerra,
che ha
già fatto numerose vittime. Ora sono di nuovo liberi, pronti
a combattere al
nostro fianco, e in questo momento sono qui vicino a me, che vogliono
parlare
con tutti voi.” concluse e passò il trasmettitore
a Peter, il quale si sedette
di fronte agli apparecchi radio, prima di cominciare il suo discorso.
“Il mio nome è
Peter Bishop.” esordì “Sono nato nel
1978 e
sono figlio di quello che alcuni dei più anziani di voi
conoscono come il
Segretario Bishop, l’uomo che una volta era a capo del
Dipartimento della
Difesa degli Stati Uniti d’America. Dico alcuni di voi
perché nel 2015, in
corrispondenza dell’arrivo degli Osservatori, è
successa una cosa: due universi
alternativi si sono fusi, così che, sicuramente, alcuni di
voi staranno
combattendo a fianco del loro doppio.
“Io sono nato in un
universo, ma sono cresciuto nell’altro,
e in quest’altro ho creato una famiglia, mettendo al mondo
una figlia che avrei
voluto vivesse nella serenità di una famiglia normale, in un
mondo sereno,
senza conoscere gli orrori della guerra. Così non
è stato, e per questo
combatto: perché i miei futuri nipoti possano conoscere la
pace. Io sono figlio
di due mondi, e questi due mondi ora sono oppressi da uomini
provenienti dal
futuro, dal XXVII secolo, dove sembra tutto in rovina, dove sembra la
speranza
sia morta. Ma non è così.
“Gli Osservatori sono in
grado di viaggiare nel tempo, ma
non sono gli unici a poterlo fare. Anche un’altra persona
appartenente alla
Resistenza può farlo. Io l’ho conosciuto; egli
è nato nel LI secolo, ed è
tornato indietro nel tempo. Ora combatte al nostro fianco. Dovete
ricordarvi di
lui, ricordarvi che c’è un futuro di pace oltre il
nostro tempo e quello degli
Osservatori. Il suo nome è Capitano Jack Harkness.
“Ricordatevi questo nome:
è sinonimo di speranza, di futuro,
di pace. Non smettete di combattere! Ricordatevi che se lui esiste
è perché non
abbiamo mollato, non abbiamo lasciato che gli Osservatori prendessero
il
sopravvento. Se lasciamo che gli Osservatori spadroneggino nel nostro
tempo,
non ci sarà futuro, quindi non ci sarà il
Capitano Harkness.
“Lui è la vera
persona importante. In questi venti anni ha
lottato al vostro fianco in incognito, senza chiedere nulla in cambio,
crescendo un’orfana come fosse sua figlia.
Quest’orfana non era un’orfana
qualunque, era Henrietta Bishop, mia figlia, ed è grazie a
lei se ora sono qui,
se ora vi sto parlando da questa radio. È grazie a lei se
ora tornerò a
combattere al vostro fianco, se vi dico di continuare a combattere al
nostro
fianco.”
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Capitolo 24 *** 24 ***
Peter terminò il suo
discorso e posò il trasmettitore sul
tavolo, alzandosi e lasciando il posto a Eddie, il quale
infilò le cuffie, in
attesa di trasmissioni radio dalle altre sedi della Resistenza.
“Quanto tempo pensate che
ci vorrà per avere una qualche
risposta?” domandò la Rossa, che si era seduta
sulle gambe del marito, data la
carenza di sedie nella sala radio.
“Dipende.”
spiegò Charlie “A volte ci vogliono pochi minuti,
a volte rispondono dopo ore.”
“Non credo ci
vorrà molto.” intervenne il Dottore “La
Divisione Fringe Originale da quello che ho capito è molto
conosciuta… e Jack è
appena passato da ‘Uomo Morto che Cammina’ a
‘Speranza
dell’Umanità’.”
Il Capitano sorrise sornione,
sentendosi al centro
dell’attenzione. Certo, era famoso già prima, in
quanto non poteva morire, ma
ora la sua popolarità era improvvisamente incrementata.
Adesso tutta la
Resistenza avrebbe combattuto perché lui potesse nascere.
“Ehi, gallese, torna tra
noi!” lo rimproverò scherzosamente
Lincoln “Ci servi lucido!”
Jack gli riservò un gran
sorriso a trentadue denti, dandogli
una pacca sulla spalla.
“Io sono sempre lucido,
Lee! Non vado avanti a Guinness e
sidro di mele come voi irlandesi cattolici.”
“Beh, tanto per cominciare,
non disprezzo la birra, ma il
sidro di mele non mi piace.” rispose di rimando Lincoln
“Seconda cosa: come ho
già detto, io sono ebreo, non cattolico. E comunque vedi di
portare rispetto:
potremmo essere tuoi antenati!”
Peter osservò la scenetta
sorridendo e sorprendendosi di
quanto fosse cambiato Lincoln.
La prima volta che lo aveva visto,
nella vecchia linea
temporale, avevano seguito insieme un’indagine, mentre Olivia
era
temporaneamente non disponibile a causa di un brutto scherzo di William
Bell.
Era ancora un ragazzo inesperto, appena uscito dall’accademia
dell’FBI, che si
era fissato con un caso che lo aveva colpito, e voleva fare chiarezza.
Si erano salutati con una stretta di
mano, e non si erano
più rivisti, finché Bishop non era tornato, nella
linea temporale riscritta. Lì
aveva scoperto che, dopo che il suo partner era stato ucciso da un
nuovo tipo
di mutaforma, Lincoln si era unito alla squadra, aiutando Olivia e gli
altri
nelle loro indagini.
Quando Peter era tornato,
l’agente Lee era stato il primo a
trattarlo come una persona e non come un evento Fringe, per questo gli
si era
affezionato, instaurando subito una buona amicizia. Aveva anche notato
gli
sguardi che lanciava a Olivia, e non ne fu sorpreso: anche
l’altro Lincoln,
quello dell’altro lato, provava dei profondi sentimenti nei
confronti
dell’altra Olivia, inoltre lei era una donna straordinaria,
era impossibile non
creare legami nei suoi confronti.
Quando ancora non sapeva di essere
tornato a casa, Peter era
addirittura arrivato a dargli la sua benedizione e incoraggiarlo a
farsi avanti
con lei, per poi arrivare a chiedergli scusa e chiarire la situazione,
quando
Bishop aveva capito di essere davvero a casa. Quella volta era stato
Lincoln a
dargli la sua benedizione.
Col passare dei mesi lo aveva visto
crescere, maturare sia
professionalmente che personalmente; Lincoln era un uomo con delle
buone
capacità latenti, aveva solo bisogno di tirarle fuori, ma
per farlo doveva
trovare la serenità interiore, una serenità che
Peter stava ritrovando, anche
se aveva lottato per riuscirci.
Non era solo un bravo poliziotto, ma
era stato capace di
creare un legame anche con Walter, di lavorare con lui serenamente,
cosa per
altro non facile, visto il carattere del vecchio, ma ci era riuscito
sia grazie
al suo potenziale, sia grazie alla passione che il dottor Bishop e
l’agente Lee
condividevano: gli scacchi.
Aveva assistito a qualche partita tra
loro: Lincoln era
molto abile, ciò denotava una grande intelligenza
strategica, dote molto utile
se devi condurre una guerra.
Ma gli mancava qualcosa: non si
sentiva a casa, e questo
bloccava gran parte del suo potenziale. Peter lo sapeva bene, sapeva
cosa
significava sentirsi fuori posto, voler scappare via da tutto, il
più lontano
possibile, ai confini dell’Universo, magari, se ne avesse
avuto i mezzi. Per questo,
in un certo momento, Lincoln aveva cominciato a fare il pendolare,
passando
molto tempo nell’altra realtà, prima con la scusa
di sbrigare pratiche
burocratiche e, alla fine, per aiutare l’altra Olivia a
cercare coloro che
avevano ucciso il suo compagno, l’altro Lincoln.
Questa era stata la svolta. Vedere
morire sé stesso per
rinascere diverso, più maturo. Più consapevole.
Peter lo aveva letto nei suoi occhi e
nel suo linguaggio del
corpo: la morte del Capitano Lee aveva profondamente cambiato
l’Agente Lee: era
più sicuro di sé, più deciso. Si stava
sbloccando, finalmente.
Quando era venuto il momento di
scegliere, Lincoln aveva
deciso di restare dall’altra parte, e i due si erano salutati
con una stretta
di mano. Da allora non si erano più rivisti, fino a pochi
giorni prima, quando lo
aveva estratto dall’Ambra e si erano uniti allo strambo
gruppo capitanato dal
padre di Olivia.
Lo aveva trovato di nuovo differente
da come lo aveva
lasciato. Aveva una luce negli occhi mai vista prima; Peter sapeva di
cosa si
trattava, era la stessa luce che aveva lui quando stava con la sua
compagna:
amore. L’altra Olivia aveva occupato quel posto rimasto
vacante dopo che Peter
e Liv erano tornati ad essere una coppia; il cuore spezzato di Lincoln
si era
curato col tempo e con la vicinanza della sua vera anima gemella, anima
gemella
che aveva trovato in un universo diverso dal suo, esattamente come
Bishop.
Peter e Lincoln erano molto simili,
più di quanto avessero
potuto credere.
Improvvisamente venne riportato alla
realtà dallo
scoppiettio statico degli altoparlanti della radio. Eddie
cercò di pulire il
segnale, rispondendo a quella che sembrava una chiamata da
un’altra sede della
Resistenza.
“Qui base New York. Ripeto,
qui base New York.” disse il
giovane “Identificatevi!”
Lo scoppiettio cessò e una
voce lontana parlò, attraverso la
radio.
“Qui base Boston. Vi stiamo
parlando da Harvard.”
Peter scattò in avanti a
prese il trasmettitore dalle manidi
Eddie.
“Parla Peter Bishop.
Harvard era nelle mani degli
Osservatori fino a ieri. Come fate a parlare da
lì?”
La voce, dall’altra parte,
sembrò esitare, e la sua tonalità
cambiò, alta e rispettosa.
“Signore.
L’abbiamo ripresa. Abbiamo attaccato usando una
sostanza che avevamo trovato in un vecchio garage assieme a dei vecchi
rapporti
di polizia. Erano firmati Walter Bishop. Credo siano stati lasciati da
suo
padre, signore.”
Walter scattò in avanti,
prendendo a sua volta il
trasmettitore dalle mani di Peter.
“Sono Walter
Bishop!” comunicò “Dimmi che sostanza
è? Come
l’avete usata?” domandò agitato.
“Signore…”
comunicò la voce dall’altra parte, confusa dal
continuo cambio di interlocutori “Abbiamo indossato delle
maschere antigas e
l’abbiamo sparsa nell’aria. Chiudeva il naso, la
bocca e gli occhi di chi la
respirava… è stata molto utile!”
“Cosa?!”
intervenne il Dottore “Cosa? Che cosa avete fatto?”
“S… scusi,
signore… con chi sto parlando?” domandò
l’uomo
alla radio, balbettando.
“Sono il Dottore, ma
comunque questo non è importante! Non
potete combattere in questo modo! Non farete altro che creare
più danno! Ci
vuole strategia!”
Peter lo guardò negli
occhi. Una cosa aveva capito del padre
di Olivia: non amava le armi, e se era possibile trovare una soluzione
che non
ne richiedesse l’uso la preferiva. Aveva ragione: questi
attentati
disorganizzati sarebbero stati più dannosi per la Resistenza
che per i
Lealisti. La Resistenza aveva bisogno di qualcuno che la coordinasse, e
dovevano farlo loro, erano gli unici che potevano farlo. Si
voltò verso Walter,
guardandolo negli occhi.
“Walter, te la senti di
tornare ad Harvard e riprendere
posto nel laboratorio?” chiese. Il vecchio annuì e
Peter si rivolse a Charlie
“Dobbiamo trasferire il quartiere generale a Boston. Dobbiamo
difendere
Harvard. Noi partiremo tra poco, arriveremo lì molto
velocemente, voi fate
tutti i preparativi e raggiungeteci appena possibile. Abbiamo bisogno
di molti
uomini per coordinare tutto.”
Charlie annuì e Bishop
tornò a parlare alla radio.
“Va bene. Stiamo arrivando.
Saremo lì tra poco, avverti
tutti!”
“Sì,
signore!” esclamò “Come vi
riconosceremo?”
Peter guardò il Dottore,
che annuì alla sua silenziosa
domanda.
“Davanti
all’Edificio Kresge apparirà una vecchia cabina
telefonica in legno, una di quelle che si usavano in Inghilterra anni
fa,
quelle per chiamare la polizia, di colore blu.”
Riferì Peter
“Un TARDIS,
signore?” domandò l’altro.
“Sai
cos’è?” chiese il Dottore, sorpreso.
“Sì, signore.
Mia sorella e suo marito me ne parlavano
spesso quando ero bambino, quando vivevamo a Londra. Io mi sono
trasferito qui
per cercarli, non so dove siano ora.”
Il Dottore riprese il trasmettitore,
parlando con calma.
“Come ti chiami,
ragazzo?” domandò.
“Tony Tyler,
signore.” rispose la voce da Harvard.
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Capitolo 25 *** 25 ***
Rose Fissò,
alternativamente, il Dottore e John. Non poteva
credere alle sue orecchie: quell’uomo con cui avevano appena
parlato via radio
era suo fratello.
“Ehi,
ma…” intervenne Lincoln “Rose, tuo
fratello, il
bambino che ha fatto da paggetto al mio matrimonio, non si chiamava
Tony?”
“Sì,
è proprio lui.” rispose John “Adesso
dovrebbe avere
quanto? 25 o 26 anni?”
“Caspita! Sarà
cresciuto un sacco!” esclamò la Rossa
“Per
noi è passato poco più di un anno da quella
cerimonia… mi ricordo quando si
nascondeva dietro la mia gonna, durante i preparativi,
perché non voleva
indossare il suo vestitino!”
“Oh…
davvero?” domandò il marito, sorridendo e
posandole un
bacio sui capelli “Io di quel giorno ricordo soprattutto
quanto eri sexy nel
tuo abito rosso… e ciò che è successo
dopo…”
“Okay, Tyrone!”
lo interruppe il Dottore “Non vogliamo
sapere nulla di come è stata focosa la vostra prima notte di
sesso da marito e
moglie!” si alzò in piedi e si diresse alla porta
“Ora andiamo! Baby Tyler ci
aspetta. Eddie, tu vieni con noi. Allons-y, truppa!”
Tutti si alzarono in piedi e
seguirono l’alieno fuori dall’edificio.
Eddie, Olivia, Peter e Etta
chiudevano la comitiva. Il giovane
fissò per qualche secondo Lincoln e l’altra
Olivia, di fronte a loro, che camminavano
affiancati, mano nella mano, con le dita intrecciate come non volessero
più
lasciarsi. Sorrise; la bionda lo notò e si rivolse a lui.
“A cosa pensi,
Eddie?” domandò.
“E’ incredibile
come certi legami possano resistere alle più
grandi calamità della storia senza venirne quasi
toccati…” commentò il giovane.
Olivia sorrise a sua volta, prendendo
la sua mano e quella
del compagno. Anche il loro legame sarebbe stato resistente a qualunque
cosa. Erano
una famiglia.
Arrivati di fronte al TARDIS, Eddie
si fermò, fissando
confuso la cabina di legno.
“Che
cos’è quello?” chiese.
“E’ il nostro
mezzo di trasporto.” rispose Peter, mentre il
Dottore si frugava nelle tasche in cerca della chiave.
“Ma ci starà una
persona, al massimo due…” obiettò
ancora il
giovane.
“C’è
il trucco, ragazzo.” lo rassicurò
l’altro, sorridendo.
In quel momento il Dottore
aprì la porta e tutti entrarono,
uno per volta, nella cabina blu. Eddie spalancò gli occhi,
confuso,
avvicinandosi alla porta man mano che gli altri entrarono; Peter gli
fece cenno
di precederlo e il ragazzo entrò, mentre Peter lo seguiva
chiudendosi la porta
alle spalle.
“Che diavoleria
è questa?!” esclamò il biondo,
stupefatto.
“Magia.” fu la
risposta di Peter, il quale sorrise, dandogli
una pacca sulla spalla e prendendo posto accanto alla plancia di
comando,
insieme agli altri “Benvenuto nel TARDIS di tuo nonno, Eddie
Blake.”
Il Dottore diede subito gli ordini e
si misero tutti al
lavoro per muovere la cabina, che pochi istanti dopo si
fermò. Il Dottore
accese il monitor che mostrava l’esterno e sorrise.
“Atterraggio perfetto!
Siamo ad Harvard e i nostri ci stanno
aspettando proprio qui davanti!” li informò.
Senza aspettare oltre, Rose si
alzò e corse verso la porta,
uscendo nel cortile. John la seguì preoccupato. La ragazza
si fermò di fronte
al gruppo di ribelli; uno di loro, sui 25 anni, biondo, con gli occhi
azzurri
segnati dalla lunga guerra, si fece avanti, fermandosi proprio di
fronte a lei.
I due si fissarono a lungo, senza
parlare, scrutandosi. Rose
era sorpresa di vedere il fratello così grande, dal momento
che l’ultima volta
che lo aveva visto era solo un bambino di cinque anni. Tony era
sorpreso di
vedere la sorella così giovane, e pure incinta, visto che
erano passati più di
20 anni dalla loro separazione.
“Tony… sei
alto!” esclamò, dopo un lungo silenzio, la
giovane donna. Tony sorrise e indicò il suo pancione.
“E tu sei
incinta… e non sei invecchiata di un giorno!”
commentò.
Rose sorrise e fece un passo avanti,
abbracciandolo stretto
e scoppiando a piangere.
Walter si fece avanti e si
incamminò verso l’interno dell’edificio.
“Oh, bando alle ciance e
andiamo dentro!” brontolò “Abbiamo
un sacco di lavoro da fare!”
Tutti quanti lo seguirono
all’interno del laboratorio. Al centro
del salone era ancora presente l’Ambra in cui era rimasta
imprigionata Olivia.
Walter la fissò e si rivolse agli altri.
“Dobbiamo trovare un modo
per disfarci di quell’Ambra senza
rovinare nulla. Facciamoci venire un’idea, avanti!”
ordinò, guardandosi
intorno, come fosse rinato.
Peter sorrise e strinse la compagna.
Erano finalmente tornati
a casa, anche se avevano ancora molto lavoro da fare.
Nel frattempo, a New York.
La guardia camminava nel corridoio,
spedita. Bussò alla
porta ed entrò nell’ufficio.
“Hanno preso Harvard,
signore.” riferì, rivolto all’uomo
calvo seduto vicino alla finestra.
“E’ solo una
battaglia. La guerra non la vinceranno così
facilmente.” disse l’altro uomo
“Assicurati che non abbiano vita facile.”
“Come desidera, Capitano
Windmark.” rispose la guardia,
facendo il saluto militare e uscendo dalla stanza.
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Capitolo 26 *** 26 ***
Il Dottore osservò Walter
che si dava da fare a mettere in
ordine il vecchio laboratorio. Si guardò intorno,
incuriosito; la volta
precedente non aveva avuto il tempo di esplorare l’ambiente,
quindi, mentre gli
altri discutevano su come liberarsi dell’ambra,
entrò nell’ufficio e si sedette
alla scrivania, colma di scatole d’archivio accatastate
lì di fretta.
Ne aprì una e ne
osservò il contenuto. C’erano diverse
cartelle di casi dell’FBI, mischiati a rapporti degli
esperimenti di Walter e
altre cose. Li sfogliò, trovandosi tra le mani delle vecchie
foto ingiallite.
Le sfogliò, riconoscendo
momenti di ricevimenti e di feste
alla base militare di Jacksonville, negli anni Settanta. Vedendosi, in
alcune
di quelle foto, si chiede come facesse a sopportare
l’uniforme. Ma allora era
diverso, era più giovane e meno saggio, ed era innamorato.
Passò il dito
sull’immagine della giovane moglie, in posa tra lui e Walter
in una foto
natalizia del 1978; se la ricordava quella sera: era stato quando aveva
scoperto che sarebbe diventato presto padre.
Sfogliò ancora il mucchio
di foto e ne trovò una in cui era
in posa con Walter. C’erano anche Olivia, in braccio a lui, e
Peter, in braccio
a suo padre. La bambina dormiva beata, con la manina agganciata alla
sua
giacca, mentre il piccolo la fissava con quelli che potevano essere
definiti
occhi a cuoricini.
Sorrise e ributtò tutto
quanto nella scatola di archivio, la
afferrò e la portò nel laboratorio, dove poco per
volta stavano liberandosi
dell’Ambra.
Walter stava armeggiando con dei
dischi e un vecchio
giradischi arrugginito, borbottando nervoso. Il Dottore
fissò Peter
interrogativo, il quale fece spallucce.
“Vuole ascoltare della
musica, ma il giradischi non
funziona.” spiegò, sospirando.
“Oh… ne me
occupo io.” si offrì l’alieno
“Voi portate di qua
le scatole d’archivio che ci sono in ufficio, e fate un
po’ di ordine tra le
cartelle, potrebbe esserci qualcosa di utile.”
Walter alzò gli occhi,
come per obiettare, ma appena vide
che l’altro aveva tirato fuori il suo strumento di lavoro, il
cacciavite
sonico, sorrise e si fece da parte. Evidentemente era curioso di vedere
di
nuovo quell’arnese all’opera, e magari cercare di
replicarlo in qualche modo.
Intanto Etta aveva preso una delle
altre scatole di archivio
e la stava portando nel laboratorio, quando Tony le si
avvicinò e si offrì di
portarla lui. Jack gli fu accanto in un attimo e afferrò la
scatola, guardando
ostile il giovane.
“Faccio io,
grazie.” disse, severo “Tu vai a prenderne
un’altra lì dentro.”
Il giovane provò ad
obiettare, ma venne zittito
immediatamente da un’occhiataccia di Jack.
“Andiamo, ce ne sono un
sacco di scatoloni da portare.” si
intromise Henrietta, parlando con Tony, per poi entrare di nuovo
nell’ufficio
insieme a lui.
Il Capitano andò a posare
la scatola sul bancone vuoto,
borbottando. Peter gli si avvicinò, porgendogli una birra
fresca, appena
prelevata dal TARDIS. Jack la prese e lanciò
l’ennesima occhiataccia al
ragazzo, che chiacchierava e rideva con Etta, mentre insieme spostavano
le
scatole.
“Lasciala respirare, Jack.
Ha 24 anni, è una donna adulta
ormai.” lo consigliò Bishop, dandogli una pacca
sulla spalla.
“E’ ancora
giovane. Non conosce gli uomini…”
obiettò Jack.
“Tranquillo, è
figlia mia e di Olivia, saprà cavarsela.” lo
rassicurò l’altro, guardando i due giovani
“In ogni caso il ragazzo è l’unico
del gruppo che ha la sua età, noi altri superiamo tutti i
trenta anni, qualcuno
supera anche i cinquanta… o i cento. Credo sia normale che
tra loro leghino di
più.”
Il Capitano sospirò,
bevendo un sorso della sua birra.
“Mi sembra ieri che dovevo
calmarla dai suoi incubi di
bambina… eppure sono passati quasi 20 anni.” .
“Quali incubi?”
domandò Peter, improvvisamente allarmato.
“Soliti… mostri,
tu e sua madre che la lasciate sola… sai
come è fatta la mente di un bambino…”
spiegò Harkness, ma quando notò
l’espressione preoccupata e colpevole di Bishop si
affrettò a continuare “Vi
vuole molto bene, ed è normale che la separazione da voi sia
stata traumatica,
non devi colpevolizzarti per questo, lo sappiamo tutti quanto sia
difficile
prendere certe decisioni, lo avete fatto per il suo bene.”
Peter sospirò e
tornò a guardare la figlia. Era normale
avere degli incubi, anche lui li aveva avuti, dopo che era stato
rapito, ma da
quel che vedeva lei li aveva superati. Dovette ammettere che Jack era
stato un
buon padre per Henrietta, doveva essergli grato per questo. Lui si era
perso
molte cose della sua crescita, quindi non poteva dire molto di sua
figlia, ma c’era
una cosa che sperava con tutto il cuore: che la sua bambina trovasse un
uomo
che la amasse come lui amava sua madre, un uomo che la rendesse felice;
solo
questo sperava per sua figlia, nient’altro. Voleva che lei
fosse felice,
nonostante tutto.
Era ancora immerso nei suoi pensieri,
quando le due Olivia
entrarono con qualcosa da mangiare, offerto dal gruppo della Resistenza
di cui
faceva parte Tony. La bionda si avvicinò a Peter e Jack,
porgendo loro dei
panini, quindi si voltò verso la Rossa, facendole un sorriso
di
incoraggiamento. Quest’ultima si avvicinò al
marito, che stava tagliando grossi
pezzi di ambra dalla zona occupata usando una penna laser trovata nel
TARDIS, e
gli porse il suo pranzo.
Lincoln le sorrise e posò
il laser, quindi addentò il suo
panino. Olivia si avvicinò, parlandogli
all’orecchio.
“Tesoro… devo
dirti una cosa.” sussurrò
“L’ho scoperto poco
fa.”
“Dimmi tutto,
piccola.” la incoraggiò l’uomo,
incuriosito,
continuando a mangiare.
La Rossa, incerta, si
voltò verso la sua alter, la quale le
fece un altro cenno di incoraggiamento, quindi si decise e
parlò all’orecchio
del marito.
Peter, che aveva notato la
conversazione silenziosa tra le
due Olivia, decise di chiedere lumi alla compagna.
“Che sta succedendo,
Olive?” le domandò.
“Una cosa che stava
succedendo prima che si ambrassero venti
anni fa, Peter. La famiglia Lee si allarga.” rispose la
bionda, guardandola sua
copia che parlava all’orecchio del compagno.
Peter sorrise e si voltò
verso di loro per congratularsi con
il futuro neopapà, ma non potè farlo: Lincoln era
diventato viola, quasi
soffocato da un boccone che gli era andato di traverso e che cercava di
tossire
fuori. Con un balzo gli fu vicino e con una manovra da esperto, gli
fece
sputare il boccone. Quando, finalmente, Lincoln potè
respirare, alzò gli occhi
verso la compagna.
Nei suoi occhi c’era
sorpresa, shock, ma non felicità. Evidentemente
non aveva gradito la notizia.
“Sei incinta?”
domandò “Ma… no… non
può essere. Ho sempre
preso precauzioni.”
“Beh, in realtà
nessun anticoncezionale è sicuro al cento
per cento.” si intromise Walter “Neanche il
preservativo o la pillola. E il
coito interrotto, che è quello più usato,
è il meno sicuro, perché qualche
goccia di sperma può passare…”
“Walter, shh!” lo
ammonì Peter. La situazione era critica, e
le lezioni di educazione sessuale di Walter, oltre ad essere fuori
luogo,
avrebbero potuto solo peggiorarla.
Olivia fissava Lincoln, ferma a due
passi da lui. Non si
aspettava quella reazione.
“Ma, Tyrone… lo
so che non era programmato, ma…” cercò
di
obiettare lei.
“Ma ti rendi conto in che
mondo siamo?!” esclamò lui, con
rabbia “E poi già dobbiamo occuparci di tenere al
sicuro Rose! Un’altra donna
incinta sarebbe solo un peso inutile!”
Rose stava per scattare, presa in
causa, ma John la prese e
la portò fuori: era meglio che lei non assistesse oltre a
quella lite tra coniugi.
Olivia strinse i pugni. Tutto si si
sarebbe aspettato da suo
marito, ma non quella reazione. Fece un respiro profondo e si
voltò verso il
Dottore.
“Papà,
c’è qualcosa che posso fare per rendermi
utile?” gli
chiese, cercando di mantenere la calma.
Il Dottore alzò gli occhi,
guardandola attraverso gli
occhiali, quindi guardò Lincoln e rispose alla Rossa.
“Ehm, sì. Vai a
prendere nel TARDIS la mia raccolta di
vinili. Sono in biblioteca. Questi del dottor Bishop sono troppo vecchi
e
rovinati.” le disse. La Rossa si allontanò senza
degnare il marito di uno
sguardo.
Lincoln la guardò
allontanarsi, indeciso su cosa fare,
quindi corse dietro di lei, fermandola sull’entrata della
cabina.
“Liv, aspetta!”
la chiamò, quindi le afferrò delicatamente
il braccio e la fece girare. La donna stava respirando profondamente,
cercando
di non scoppiare in lacrime.
“Pensavo fossi
diverso…” disse “Pensavo ti
importasse…”
“Ma Olivia, a me importa di
te…” cercò di rassicurarla
l’uomo.
“Non ti importa di nostro
figlio, però. Non è colpa sua se
nascerà in questo mondo, non puoi chiedergli di non nascere
ora che c’è. Il tuo
è puro egoismo, e l’uomo che ho sposato
è tutto fuorchè egoista.” concluse,
togliendosi con rabbia la fede e lanciandogliela contro, prima di
entrare nel
TARDIS, chiudendogli la porta in faccia.
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Capitolo 27 *** 27 ***
Lincoln tornò nel
laboratorio con il morale a terra. Avevano
già avuto altre discussioni in passato, dalle cose
più sciocche alle più serie,
ma erano sempre riusciti ad arrivare a un compromesso, alla fine.
Ricordava la prima litigata che
avevano fatto da quando
erano diventati una coppia, proprio il giorno dopo quella loro prima
notte.
Quella mattina erano stati chiamati per un evento di ordinaria
amministrazione,
nel Bronck, zona che coincideva con il Bronx nell’altro lato,
e che ne
condivideva la fama di zona malfamata della metropoli di New York;
stavano
evacuando la zona quando un ragazzino tirò fuori una pistola
e sparò agli
agenti.
Olivia fu presa di striscio, facendo
prendere un grosso
spavento all’agente Lee, il quale fece arrestare il ragazzo
e, incoraggiato da
Charlie, che gli aveva assicurato che ce l’avrebbe fatta da
solo a gestire la
situazione, aveva accompagnato la compagna all’ospedale per
farsi ricucire la
ferita.
Una volta arrivati in ospedale,
preoccupato le aveva chiesto
se non era il caso, almeno per lei, di chiedere al Segretario Bishop di
essere
assegnata a mansioni meno pericolose. Lei aveva subito ribattuto che
quello era
il suo lavoro e che non l’avrebbe cambiato per nulla al
mondo, e che anche lui
facendo quel lavoro sarebbe stato spesso in pericolo di vita, e avevano
cominciato una discussione particolarmente accesa, arrivando infine a
un
compromesso: avrebbero continuato a lavorare insieme nella stessa
squadra della
Divisione Fringe, coprendosi le spalle a vicenda e cercando di non
cacciarsi
deliberatamente nei guai.
Ma quella volta era diverso. Erano
nel bel mezzo di una
guerra civile, avevano combattuto da soli per quasi un anno, prima di
incontrare l’altra Olivia e Etta, prendendosi carico della
bambina nel momento
in cui la madre aveva deciso di chiudersi in un bozzolo
d’Ambra per un tempo
indefinito. Per mesi si erano occupati di Henrietta, e allo stesso
tempo
avevano combattuto contro gli Osservatori; l’arrivo di Jack
aveva dato loro una
grossa mano, ma la scoperta della gravidanza di Rose aveva reso la
situazione
più complicata.
La piccola Etta si era legata molto a
Olivia, grazie alla
forte somiglianza con la madre, e John era completamente preso dal
prendersi
cura della compagna, che col passare delle settimane, diventava sempre
meno in
grado di proteggersi da sola; oltre tutto era spesso in preda a crisi
isteriche, dovute alla situazione snervante in cui si trovavano. A
causa di
tutto ciò, Lincoln si trovò a dover prendere
sulle spalle buona parte del peso
di responsabilità della sua squadra, a dover prendere da
solo decisioni spesso
cruciali. Lui era diventato, improvvisamente, il capo materiale del
gruppo.
Certo, Jack gli dava una grossa mano,
e la sua capacità di
non morire era stata molto utile in molti frangenti, ma era comunque
una
situazione difficile, e vedendo in che condizioni era ridotto John, che
non
voleva, e non poteva, allontanarsi dalla compagna per nessun motivo,
Lincoln si
era convinto di non voler mettere al mondo dei figli finché
gli Osservatori non
fossero stati sconfitti. Voleva dei figli dalla sua compagna, ma non
voleva che
passassero quello che stava passando la piccola Henrietta, o che
avrebbe
passato il bambino di Rose e John.
Nell’intimità
con la moglie aveva sempre preso precauzioni,
e vista la tecnologia avanzata dell’universo dove viveva, era
abbastanza sicuro
che funzionassero. Per questo ricevere quella notizia, poco prima, era
stato
uno shock e aveva detto quelle parole dure, che ora desiderava non aver
mai
detto.
Senza guardare nessuno,
attraversò il laboratorio e si
diresse verso l’ufficio, ormai completamente sgombro dagli
scatoloni, per cui
sapeva che non l’avrebbero disturbato. Ma dovette fermarsi
sulla porta, poiché
Rose aveva deciso si sbarrargli la strada.
Lo sguardo della donna era duro;
probabilmente anche lei si
era sentita offesa da quello che era stato detto. Fece un respiro
profondo,
cercando di calmarsi e le posò una mano sul braccio,
cercando di indurla a
spostarsi e lasciarlo passare.
“Rose…”
disse, a voce bassa, controllando ogni movimento del
proprio corpo. Sapeva come farla calmare, lo aveva fatto altre volte
“Per
favore, fammi passare.”
La bionda non si mosse, e non si
calmò. Con un movimento
lento del capo si voltò a guardare la mano
dell’amico, che le teneva
delicatamente il braccio; se la scrollò di dosso come fosse
stato qualcosa di
sporco e tornò a guardare Lincoln negli occhi.
“Quindi sarei solo un
inutile peso per te?” esordì la
giovane, con tono accusatore.
“Rose…”
ripeté Lincoln, con lo stesso tono calmo di poco
prima. Voleva aggiungere altro, ma un rumoroso e doloroso ceffone
raggiunse la
sua guancia destra, creando una piccola ferita in corrispondenza della
fede che
portava la ragazza.
Non c’era altro da
aggiungere. Lincoln distolse lo sguardo,
rassegnato, mentre Rose corse via, tornando a sedersi al suo posto.
Finalmente
la strada era libera e lui poté entrare
nell’ufficio, per starsene in santa
pace.
John guardò la compagna.
Stava per avvicinarsi ma una sua
occhiataccia gli fece capire che non era il caso, che era meglio
lasciarle
sbollire la rabbia da sola. Quindi si girò verso Olivia e
Peter; stavano
parlando tra loro, a bassa voce, e dagli sguardi che lanciavano un
po’ alla
porta d’ingresso e un po’ a quella
dell’ufficio, intuì che stavano parlando dei
coniugi Lee. Probabilmente stavano decidendo come procedere. Si
avvicinò ai
due, riuscendo a percepire parte della conversazione.
“Ci parlo io con
Olivia.” disse la bionda “So cosa le sta
passando per la testa, saprei come prenderla. Lincoln magari lasciamolo
sbollire un po’.”
“Credo sia il caso di
parlare anche con lui.” si intromise
John “In passato abbiamo già affrontato situazioni
del genere, a causa degli
sbalzi ormonali di Rose, ma se non ci riuscivo io a calmarla, quando
interveniva Lincoln la calmava in un attimo. Questa volta non
è successo.
Qualunque sia la dote che possiede, questa discussione con Olivia lo ha
bloccato, e non so quanto potrebbe volerci prima che si sblocchi di
nuovo.”
fece un sospiro e riprese a parlare “Questo suo dono ci
è stato molto utile in
passato: riusciva a far fare a chiunque qualunque cosa volesse.
Potrebbe ancora
esserci utile.”
Peter lo fissò per qualche
secondo, quindi annuì e guardò la
compagna.
“Vado a parlare con
Lincoln. Tu occupati di sua moglie.”
disse, quindi andò nell’ufficio insieme a John.
Lincoln era seduto sulla sedia dietro
la scrivania, anzi vi
si era accasciato come una bambola senza ossa; con espressione
sconfortata
fissava il vuoto di fronte a sé, ma appena si accorse dei
due uomini li guardò
con l’aria di uno che voleva stare solo con sé
stesso e non vedere nessuno.
Peter si avvicinò e, con
un gesto autoritario della mano,
gli fece voltare il volto per controllare la guancia destra. Il taglio
era
ormai chiuso, ma cominciava a comparire un alone violaceo a forma di
mano.
“Guarirà.”
affermò, serio, dandogli una pacca sulla spalla,
quindi si sistemò di fronte a lui e lo fissò
negli occhi “Ti va di parlarne?”
domandò. Ma più che una domanda sembrava un
ordine.
Lincoln sostenne lo sguardo
dell’amico, ma era assente. Non
aveva voglia di parlare con nessuno, nemmeno con il suo migliore amico.
Peter,
però, non aveva alcuna intenzione di andarsene, tantomeno
John, che restava
vicino alla porta dell’ufficio, a distanza.
Bishop non abbassò lo
sguardo, era deciso a farlo parlare.
Afferrò l’altra sedia con noncuranza e si sedette
vicino a Lincoln, mettendosi
al suo livello.
Il Maggiore Lee si tirò
su, sedendosi meglio, senza mai
abbassare lo sguardo. Rimasero in silenzio a lungo, scrutandosi a
vicenda, come
due alfa che cercano un accordo sul territorio di caccia.
Peter si sporse in avanti, poggiando
i gomiti sulle cosce, e
finalmente si decise a parlare.
“Tu hai paura.”
esordì, misurando ogni parola.
Lincoln si sistemò ancora
sulla sedia, chiuse gli occhi e
inspirò a lungo. Quando riaprì gli occhi
tornò a sostenere lo sguardo di Peter.
“Sì, ho
paura.” ammise “Hai visto in che mondo siamo?
Questo
non è un mondo adatto ai bambini!”
Peter si tirò su col
busto, allargando le braccia.
“Sono un padre anche io, so
cosa stai passando, e anche io
sono stato assalito dai dubbi che tormentano te ora.”
spiegò Bishop.
“Tua figlia è
nata in tempo di pace, non nel pieno di una
guerra civile che stiamo perdendo.” lo corresse Lee.
“Lincoln, tu hai lavorato
con noi, hai visto che lavoro
facciamo, credi che sia semplice per due agenti federali che rischiano
la vita
ogni giorno crescere una bambina? È come essere
costantemente in tempo di
guerra, rischi di lasciare un’orfana ogni volta che esci per
andare al lavoro.”
continuò Peter, mantenendo la voce calma.
Lincoln non disse nulla, ma
spostò lo sguardo su John, il
quale si avvicinò e si sedette sulla scrivania, per poter
parlare anche lui.
“Anche per me non
è stato semplice, ricordi?” disse
“Quando
Rose mi ha detto di essere incinta ho avuto un attimo di smarrimento.
Ho
vissuto delle guerre peggiori di questa in passato.” si
fermò, ripensando a ciò
che aveva detto, e si corresse “Ok non le ho vissute, lo ha
fatto il Dottore,
ma io ho tutti i suoi ricordi vivi nella mia mente, quindi è
come se li avessi
vissuti io, comunque… erano guerre molto più
crudeli, in cui il Dottore ha
avuto un ruolo fortemente attivo e da cui deriva il suo, e il mio, odio
per le
armi. Ma non mi sono tirato indietro, quando ho realizzato che sarei
diventato
padre, non sono scappato, proprio perché questa è
una guerra, e voglio vincerla
perché mio figlio, anche se nascerà nel pieno di
essa, possa crescere in un
mondo di pace.”
Lincoln sospirò e si
alzò in piedi. Era evidentemente meno
scosso, anche se aveva bisogno ancora di tempo per elaborare tutto, ma
per lo
meno lo avevano convinto.
“Andiamo, abbiamo un sacco
di cose da fare.” disse, poi aprì
la porta e tornò nel laboratorio.
Intanto Olivia era entrata nel
TARDIS, dove sapeva che
avrebbe trovato la sua alter. Infatti la trovò seduta sulla
panca della sala
comandi, con l’aria depressa: aveva appena smesso di piangere
e, appena la
bionda fece il suo ingresso nella cabina, si affrettò ad
asciugarsi le lacrime.
“Come ti senti?”
le chiese, sedendosi accanto a lei.
“Non pensavo che mio marito
potesse essere così egoista…”
rispose la Rossa, respirando profondamente.
“Non penso sia egoismo,
credo sia, più che altro, paura.” lo
giustificò la bionda “E credo sia normale, sia per
il lavoro che facevamo, sia
per i tempi in cui viviamo.”
La Rossa si voltò verso di
lei, per guardarla negli occhi.
“Peter ti ha fatto una
scenata del genere quando gli hai
detto che eri incinta?”
“No.” ammise
l’altra “Lui è andato al settimo cielo.
Ha
sorriso per giorni come un bambino con la pancia piena che si gode le
coccole
della madre. In realtà quella che aveva paura, tra di noi,
ero io.”
“Perché?”
chiese la Rossa, incuriosita.
“Perché, con
tutto quello che ho passato fin dall’infanzia,
il Cortexiphan e tutto il resto, e poi con il mio lavoro,
così pericoloso, non
pensavo di poter essere in grado di crescere un bambino. Ma poi, quando
mi sono
ritrovata tra le braccia quel frugoletto, quella piccola creatura che
era una
parte di me e di Peter, sono cambiata. Henrietta aveva bisogno di me,
della mia
protezione, e decisi che sarei vissuta per questo, perché
lei avesse potuto
sentirsi amata e protetta, che avesse potuto crescere serena. E
così è stato,
nonostante tutto.”
La Rossa sospirò e
raddrizzò la schiena.
“Ma se non fosse
così? Se le parole dette da Lincoln fossero
davvero puro egoismo?”
“Beh, noi avremmo avuto
pure delle vite diverse…” la
rassicurò l’altra, sorridendo “ma di
sicuro una cosa in comune ce l’abbiamo:
perdiamo la testa per gli uomini complicati, ma non di certo per gli
egoisti.”
L’altra sorrise di gusto.
Si era tranquillizzata.
“Beh, in realtà,
a prima vista, Tyrone non sembrava poi così
complicato, quando lo hai portato al ponte la prima volta. Sembrava
più che
altro sperso; poi, conoscendolo, ho scoperto molte più cose
su di lui.”
“Peter, invece, quando
l’ho visto la prima volta, da adulti,
la prima cosa che ho pensato è stata che sarebbe stato una
gran rottura di
palle, e anche con lui, conoscendolo, ho cambiato opinione col
tempo.”
La Rossa sorrise, si era
tranquillizzata un po’.
“Che devo fare con lui,
ora? Come mi devo comportare?”
domandò.
“Lasciagli tempo.
Sarà lui a tornare da te, quando sarà
pronto.” le suggerì la bionda, alzandosi in piedi
“Ora andiamo a prendere i
dischi di papà, se no diventa impaziente.”
L’altra annuì e
insieme andarono in biblioteca.
La pausa pranzo venne accolta da
tutti con grande
entusiasmo. Per Tony e la sua squadra era uno dei pochi momenti in cui
non
pensavano alla loro situazione di rinnegati, fuorilegge, e il ritorno
in azione
della Divisione Fringe Originale aveva concesso loro un po’
di respiro e un
pizzico di speranza in più.
Il ragazzo, inoltre, aveva anche
ritrovato parte della
famiglia: la sorella e il cognato, che non vedeva da quando era solo un
bambino. Era felice di rivederli, perché non aveva
più nessuno da quando il
padre e la madre erano morti durante un’incursione a
Buckingham Palace, la sede
del nuovo governo degli Osservatori, a Londra, una decina di anni prima.
Rose gli aveva raccontato
già tutto quello che era successo,
dell’inizio della guerra, dell’incontro prima con
Etta e sua madre, e poi con
il Capitano Harkness, e infine la dolorosa decisione di ambrarsi.
La discussione tra l’agente
Lee e sua moglie, e la
successiva crisi isterica della sorella al ritorno dell’uomo
pochi minuti dopo
lo distrasse dai suoi pensieri. Tutti avevano assistito allo spettacolo
in
silenzio, ma sapevano di non dover intervenire, quindi alla fine
tornarono ai
propri lavori o al pranzo.
Tony uscì nel corridoio,
in cerca di un posto dove consumare
il suo pranzo in santa pace. Si guardò intorno e vide
Henrietta seduta su una
vecchia panca in legno, immersa nei propri pensieri. Notò
che non aveva preso
il pranzo, quindi tornò dentro, prese un paio di panini
preparati dai suoi
compagni e una bibita offerta dal TARDIS e si avvicinò alla
ragazza.
Lei alzò lo sguardo e gli
sorrise, prendendo il sacchetto
con i panini e la bibita.
“Grazie…”
lo ringraziò “non dovevi disturbarti.”
“Nessun
disturbo.” rispose lui, quindi indicò il posto
vuoto
sulla panca “Posso?”
La giovane annuì e gli
fece posto, prendendo uno dei panini
e mangiando con calma. Tony si sedette e le sorrise di nuovo.
“Comunque io sono Tony
Tyler, il fratello di Rose.” si
presentò.
“Henrietta
Bishop.” rispose lei, guardandolo negli occhi.
“Oh… quindi tu
saresti…” esclamò l’altro,
senza completare
la frase.
“Sono la figlia di Peter
Bishop e di Olivia Dunham, quella
di cui ha parlato mio padre nel suo discorso. E prima che lo chiedi
è vero: mi
ha cresciuto Jack Harkness, il Morto che Cammina.”
completò lei, anticipandolo.
“Oh…
beh… wow!” balbettò Tony, preso alla
sprovvista.
“Scusa…”
sospirò la ragazza “E’ che praticamente
scappo fin
da quando ero bambina… e da quando ho cominciato a lavorare
nella Divisione
Fringe ho dovuto aumentare le difese per non far scoprire ai pelati il
doppio
gioco.”
“Non ti scusare, lo capisco
benissimo. Anche io scappo fin
da quando ero bambino, so cosa si prova. Però non pensavo
che la Divisione
Fringe Originale comprendesse così tante
persone…” cercò di cambiare argomento.
La bionda sorrise, pensando alla
grande varietà di persone
che comprendevano quello strambo gruppo.
“In realtà
l’Originale era composta solo da mio padre, mia
madre, Walter e la sua assistente. Gli altri si sono aggregati
dopo.” spiegò.
“Capisco…
davvero un bel gruppo.” commentò il giovane
“Devi
davvero essere orgogliosa dei tuoi genitori…”
“Lo sono.” ammise
Henrietta “Solo che ho pochi ricordi di
loro, quando ero piccola. L’ultima volta che li ho visti
avevo quattro anni.”
continuò, stringendo il ciondolo che teneva al collo.
“Mi dispiace… i
miei invece sono morti dieci anni fa. Mia
sorella e mio cognato sono l’unica famiglia che mi
resta.” sospirò l’altro.
Etta si voltò verso di lui, fissandolo negli occhi. Anche se
avevano vissuti
diversi, le loro storie erano molto simili: rimasti soli al mondo per
molto
tempo, erano andati avanti sostenuti dal ricordo di coloro che amavano.
“Anche Rose e John, in un
certo senso, fanno parte della
famiglia. John è il clone del Dottore, e il Dottore
è mio nonno, lo sai? Credo
che questo renda anche te parte della nostra famiglia.”
disse, senza
distogliere lo sguardo.
Gli occhi della ragazza erano una
calamita, e Tony non
riuscì a staccare lo sguardo. Si limitò ad
annuire ed alzarsi quando lo fece
lei, una volta terminato di mangiare. Non sapeva cosa sarebbe successo
in
futuro, sapeva solo che aveva finalmente ritrovato la sua famiglia, e
che
questa d’ora in avanti, comprendeva anche la Divisione Fringe
Originale.
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Capitolo 28 *** 28 ***
Dopo quella movimentata pausa pranzo,
ognuno tornò alle
proprie mansioni. Dovevano riordinare tutto per riconvertire il vecchio
laboratorio nel quartiere generale della Resistenza mondiale.
Il Dottore aveva finito di aggiustare
il giradischi di
Walter e aveva messo su un disco dei Beatles, una rarissima prima
edizione del
White Album. Ora nell’aria vibravano le note di Revolution.
Tutti erano indaffarati nei propri
compiti: Peter
controllava gli apparecchi difettosi, cercando di imparare ad usare in
fretta
il cacciavite sonico del Dottore, che quest’ultimo gli aveva
affidato,
spiegandogli le funzionalità base; le due Olivia erano
sedute a un tavolo
assieme a Etta, Astrid e Rose, che separavano le cartelle prelevate
dalle varie
scatole. La Rossa a volte lanciava sguardi di sfuggita verso il marito,
che
andava e veniva dall’esterno assieme a Jack, Eddie e Tony.
Non voleva fare la
prima mossa, doveva essere lui a farsi avanti.
Lincoln, per tenersi occupato, si era
unito al gruppo di
guardia attorno all’edificio, e quando tornava al laboratorio
guardava la
moglie, indeciso su come agire. L’insicurezza, che era stata
una costante in
passato, era tornata; non sapeva come agire, non sapeva come avrebbe
reagito
Olivia, non sapeva se era pronto a chiederle perdono. In fondo al suo
cuore
sapeva che si meritava quella punizione, che non avrebbe dovuto agire
così, e
che se Olivia decideva di lasciarlo avrebbe fatto bene,
perché era stato un
egoista, non aveva pensato al bene di lei e del bambino, ma solo al
proprio.
Tornò fuori, insieme a
Jack e si diresse ai tornelli
d’ingresso. Eddie era già in postazione con altri
uomini di guardia.
“Ancora nulla?”
chiese, guardandosi intorno.
“Nulla.” rispose
il giovane “Non si vedono neanche i
Lealisti, si sono ritirati tutti quanti. È tutto
tranquillo.”
“Troppo
tranquillo.” sospirò Lincoln, controllando che il
fucile avesse il colpo in canna, pronto a sparare “Non
è un buon segno. Ci
serve una strategia, e in fretta. Spero che il Dottore abbia qualcosa
in mente,
se no parlerò con gli altri e ci organizzeremo di
conseguenza.”
Eddie annuì, guardando
verso la strada. Tutto era deserto e
silenzioso, ma sapeva che li stavano osservando.
Improvvisamente il rombo lontano del
motore di alcune
camionette ruppe il silenzio; tutti quanti afferrarono i propri fucili
e li
puntarono verso il fondo della strada. Jack fece un passo avanti, senza
mai
abbassare l’arma, e qualche minuto dopo,
dall’angolo della strada principale
comparvero delle camionette in formazione. Eddie guardò
attraverso il binocolo
e si rilassò.
“E’ capo Francis.
Abbassate le armi.” ordinò.
Tutti ubbidirono e, quando le
camionette furono vicine,
aprirono loro il tornello e fecero posteggiare nel cortile. Charlie fu
il primo
a scendere, e Jack, in un impeto di gioia gli saltò al
collo, baciandogli le
guance in un impeto di caloroso entusiasmo.
“Sono così
felice di vederti, bel fustacchione!” esclamò.
“Ehi, ehi! Calma,
Capitano!” lo salutò, facendolo
allontanare da lui “Gli altri sono dentro?”
“Sì, ti
accompagno.” annuì Lincoln, facendogli strada al
laboratorio.
Appena entrarono, l’aria fu
invasa dalle melodie dell’album
che stava girando sul giradischi.
“Oh… i
Beatles!” esclamò Charle, entrando e, appena
raggiunse il tavolo dove erano disposti i dischi del dottore,
afferrò la cover
di quello che stava girando e la esaminò
“Ma… è una prima edizione del White
Album!” esclamò. Il Dottore si avvicinò
e la esaminò a sua volta.
“Ah, sì. Prima
edizione, regalatami da Paul l’ultima volta
che l’ho visto. È autografata da tutti iBeatles,
un pezzo molto raro.” rispose,
guardando le firme sulla copertina.
“Paul? Ma non era morto nel
1966? Questo album se non
sbaglio è del 1968, al suo posto c’era William
Sheppard.” obiettò l’altro.
“Oh, quindi le teorie del
complotto che io ho contribuito ad
alimentare, nel tuo lato erano vere?” domandò
l’alieno “Sai, nel 1966 gli ho
salvato la vita. Paul ha rischiato di morire in un incidente stradale,
se non
l’avessi soccorso in tempo sarebbe morto. Poi mi ha invitato
a bere con gli
amici, e John si è inventato questa cosa della finta morte
di Paul. Per decenni
gli appassionati ci hanno rimuginato sopra tutti quei falsi
indizi… un vero
spasso!”
Francis non lo stava più
ascoltando: era perso nell’ammirare
la copertina di quel raro album, anzi rarissimo. Ma la sua
contemplazione venne
interrotta dalla Rossa, che lo prese sotto braccio e gli
parlò all’orecchio.
“Charlie, posso parlarti in
privato?” gli chiese. L’uomo si
girò verso di lei, guardandola negli occhi e, vendendo il
suo stato d’animo,
che traspariva dal suo sguardo, annuì e la seguì
nel corridoio.
L’uomo si fermò
in fondo, vicino alle scale e si poggiò al
muro, guardando la donna negli occhi.
“Dimmi cosa non va,
Liv.” la incoraggiò.
Olivia si torse le mani, pensando
bene a quello che avrebbe
dovuto dirgli. Fece un respiro profondo e parlò.
“Sono incinta.”
disse “Ma Tyrone…”
“Che ha fatto il
Maggiore?” domandò, allarmato. Era molto
affezionato a Olivia, e sapere che il marito aveva fatto qualcosa che
l’aveva
fatta piangere lo avrebbe mandato su tutte le furie.
“Lui… lui non
vuole il bambino. Mi ha detto delle parole che
non avrei mai pensato di sentirle da lui…”
confessò “Secondo Olivia lui ha
paura, ma io… io non so cosa pensare.”
Charlie la abbracciò in
modo paterno, facendola
tranquillizzare; in quel momento la donna aveva bisogno di conforto.
“Ora capisco
perché Lincoln aveva quell’aria colpevole,
prima.” disse “Ma penso che si sia già
pentito di quello che ti ha detto. È un
brav’uomo lui, e ti ama davvero, non credo ti farebbe mai un
torto del genere
volutamente. Provate a parlarne, sicuramente vorrà fare
pace.”
“E se non
volesse?”
“Vorrà,
vedrai.” la rassicurò, sorridendo e riportandola
nel
laboratorio.
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Capitolo 29 *** 29 ***
Windmark passeggiava lungo il
corridoio del quartiere
generale degli Osservatori, a New York. Il Comandante lo aveva mandato
a
chiamare, e quando lui chiamava non si poteva farlo aspettare.
Bussò ed entrò
nell’ufficio all’ultimo piano.
Il Comandante era in piedi, vicino
alla finestra, che
guardava il tramonto, l’inizio di una nuova notte sulla
città di New York.
“Comandante, mi ha
chiamato?” chiese, rispettosamente,
Windmark, restando a distanza.
L’uomo non si
voltò, continuò a guardare fuori, ma
parlò.
“Ho sentito che hanno preso
Harvard.”
“E’ corretto,
signore.” rispose l’altro.
“E secondo quanto ho
sentito, la Divisione Fringe Originale
è tornata, e con loro ci sono il Morto che Cammina e
l’altra Divisione Fringe.”
continuò il Comandante.
“E’
così, signore.” affermò ancora
Windmark, in attesa.
“Bene. Allora sentite cosa
dovete fare…” concluse l’uomo a
capo di tutto.
Era calata la notte, e ad Harvard
avevano organizzato dei
turni di guardia. C’era troppa calma in giro, e la cosa era
sospetta, così si
erano preparati, dividendosi in gruppi che si sarebbero dati il cambio
a
intervalli regolari.
Era mezzanotte, c’era
appena stato il cambio, e Henrietta
aveva raggiunto il resto del gruppo, dopo aver dato il cambio al padre,
che
aveva fatto il turno precedente. Mentre raggiungeva il cortile,
incrociò
Charlie e Lincoln che discutevano: Olivia aveva insistito ad avere
anche lei un
turno, nonostante il compagno non ne fosse molto entusiasta, ma non
aveva
ancora avuto il coraggio di parlarle, dopo la discussione del
pomeriggio, e si
era limitato a discuterne con Charlie, il migliore amico di Olivia da
sempre.
Henrietta si avvicinò e
attirò la loro attenzione.
“Lincoln, non
preoccuparti.” lo rassicurò “Non
è da sola, ci
sono anche io, e ci sono Tony e Jack, senza contare gli altri dieci
ragazzi
della squadra di Charlie. Olivia è al sicuro, non le
succederà niente.”
Charlie sorrise, dandole ragione e
Lincoln annuì, cercando
di rilassarsi e tornando verso il laboratorio, mentre Etta raggiungeva
gli
altri.
Eddie le venne incontro,
accogliendola con un caloroso
sorriso.
“Ben arrivata,
cuginetta.” la salutò. Henrietta gli sorrise
e controllò il suo fucile, quindi raggiunsero il resto del
gruppo, vicino ai
tornelli d’ingresso.
Tony le si avvicinò,
guardando la strada, mentre Jack le
dava una pacca affettuosa sulla spalla. Olivia teneva lo sguardo fisso
sulla
strada, concentrata su qualsiasi movimento che si vedesse.
Eddie li osservò per
qualche secondo, quindi diede ordine
agli altri di sparpagliarsi lungo il perimetro, e si
allontanò con loro.
Per lungo tempo ci fu silenzio nel
gruppo. Henrietta
camminava avanti e indietro, con occhi aperti e orecchie tese,
poiché non si
fidava di tutta quella calma. Guardò Olivia; era altrettanto
tesa, ma sapeva
che i suoi pensieri non erano rivolti unicamente alla guardia che
stavano
facendo, ma anche alla sua situazione personale, alla discussione che
aveva
avito poche ore prima con il marito, al bambino che portava in grembo.
Sapeva
che la situazione era pericolosa, ma non si era tirata indietro, aveva
chiesto
di avere anche lei un turno di guardia quella notte. Henrietta ammirava
Olivia;
era una donna forte, orgogliosa, esattamente come sua madre, e quando
era
piccola le aveva voluto bene fin dal primo istante in cui
l’aveva incontrata.
Tornò a guardare la
strada. C’era troppa calma. Henrietta
strinse il fucile e riprese a camminare, avvicinandosi a Tony. Era
seduto su un
muretto e si stava preparando una sigaretta, senza abbassare lo sguardo
dalla
strada. La ragazza si sedette accanto a lui e gli sorrise; quel
pomeriggio
avevano parlato a lungo, scoprendo molte similitudini nelle loro vite:
entrambi
erano figli dei due mondi, con i genitori che provenivano uno da un
lato e uno
dall’altro, entrambi erano cresciuti nella guerra civile, ed
entrambi avevano
deciso di combattere per la Resistenza in ricordo delle persone care
che
avevano perso.
Tony le sorrise a sua volta e si
accese la sigaretta. Riuscì
a fare due tiri, finchè Jack non gli si avvicinò,
togliendogli la sigaretta di
bocca e borbottando qualcosa riguardante la Prima Guerra Mondiale e il
fatto di
fumare nelle trincee di notte.
Tony stava per ribattere quando
sentirono dei rumori in
direzione del resto del loro gruppo. Si alzarono tutti in piedi,
impugnando le
armi e si misero in posizione, pronti a reagire a qualunque attacco.
Improvvisamente uno dei ragazzi di
guardia nel perimetro
corse verso di loro, ma un’ombra comparve, sbarrandogli la
strada. Etta la
riconobbe, era l’ombra di un Osservatore.
Caricò il fucile, pronta a
sparare, ma questo aveva già
ucciso l’altro ragazzo e si era voltato verso di loro,
puntando la sua arma e
colpendo alla testa Jack. Henrietta sparò ma non
riuscì a colpirlo: il pelato
era già sparito.
I tre si radunarono attorno al corpo
di Jack, per
proteggerlo intanto che si rigenerava, ma si ritrovarono circondati. Un
Osservatore aveva in mano una strana sfera; sembrava una bomba. La
lanciò verso
di loro. Tony si lanciò addosso alle due donne, per
proteggerle. Tutti e tre si
distesero per terra, usando il corpo di Jack, ancora incosciente, come
riparo,
ma delle schegge li raggiunsero, colpendoli in vari punti, e una luce
intensa
invase l’aria.
Etta perse i sensi.
Quando si risvegliò si
trovò in un ambiente freddo e buio.
Accanto a lei erano distesi Tony e la Rossa, mentre Jack non si vedeva.
Si alzò e si
guardò intorno. Riconobbe la cella di una
prigione, con tanto di sbarre e lucchetto. Si avvicinò alla
porta e si guardò
intorno. In un’altra cella era rinchiuso Jack, incatenato al
muro e con degli
elettrodi attaccati al corpo.
Tony si riprese e si alzò,
raggiungendola.
“Dove diavolo
siamo?” chiese.
“Non lo so, ma penso che
siamo stati catturati dagli
Osservatori.” rispose lei, cercando di memorizzare qualsiasi
piccolo
particolare le saltasse all’occhio in
quell’ambiente.
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Capitolo 30 *** 30 ***
Peter si era svegliato di colpo. Una
sensazione strana lo
aveva invaso nel bel mezzo del sonno REM.
Uscì dal sacco a pelo e si
guardò intorno; nel laboratorio
sembrava regnare la pace, tutti dormivano, certi di essere al sicuro,
grazie ai
turni di guardia che erano stati stabiliti la sera precedente.
Guardò l’ora. Le
due di notte. Il suo turno era terminato
due ore prima, e il cambio ci sarebbe stato un’ora
più tardi, alle tre.
Sperava che fuori stesse andando
tutto bene, ma era
abbastanza certo che sua figlia fosse al sicuro: Jack non avrebbe mai
permesso
che le succedesse qualcosa, e Peter sapeva di potersi fidare di lui.
Tornò a guardare gli
altri. Erano tutti addormentati attorno
al TARDIS, che il Dottore aveva spostato all’interno del
laboratorio per
permettere a Walter e Rose di poter dormire comodi e al sicuro da ogni
pericolo.
Entrò nella cabina; la sala di comando era buia, e nel
silenzio Peter poteva
quasi sentir respirare il veicolo. Sorrise tra sé: se glielo
avessero detto
anni prima non ci avrebbe mai creduto, ma ormai non si stupiva
più di nulla, e
quando il padre della sua compagna aveva detto che il TARDIS era un
essere
vivente non gli era neanche passato per l’anticamera del
cervello di mettere in
dubbio ciò che l’alieno aveva affermato.
In silenzio si diresse verso le
stanze da letto, e aprì la
porta di quella di Walter. Il padre ronfava sonoramente, cullato dai
sogni e da
qualche sostanza che si era fumato la sera precedente; non lo avrebbero
svegliato
neanche le trombe dell’Apocalisse, e per Peter era un bene.
Qualunque cosa
fosse successa all’esterno, i muri del TARDIS erano solidi e
lui e Rose
sarebbero stati al sicuro da qualsiasi minaccia.
Richiuse la porta ed uscì
dalla cabina, tornando nel
laboratorio. Tutti dormivano ancora. Si avvicinò a Olivia e
la coprì meglio con
la coperta; anche lei sembrava serena, in un mondo lontano dalle
disavventure
che avevano passato. Il Dottore dormiva accanto a lei, avvolto nel suo
lungo
cappotto e semi-seduto, con la schiena poggiata contro una delle pareti
esterne
del TARDIS; aprì gli occhi e fissò Bishop, il
quale ricambiò lo sguardo,
alzandosi in piedi.
“Non riesci a
dormire?” gli domandò l’alieno, a bassa
voce.
Peter fece spallucce, camminando per la stanza e controllando che tutti
dormissero.
“C’è
troppo silenzio. Non ci sono più abituato.”
rispose. Il
Dottore si alzò in piedi e si avvicinò al genero.
Avevano avuto poche occasioni
di parlare a quattrocchi, i giorni precedenti, decise di approfittare
del
momento.
Ma non riuscì neanche a
cominciare il discorso: sentirono
una delle porte esterne dell’edificio aprirsi, e qualcuno
entrare, dirigendosi
verso la loro posizione. I due si scambiarono uno sguardo, quindi Peter
afferrò
la sua pistola, mentre il Dottore aveva già in mano il
cacciavite sonico. Pochi
secondi dopo erano nel corridoio buio, uno accanto all’altro,
pronti a reagire
a qualunque minaccia si fosse presentata.
Un’ombra scese
l’ultima rampa di scale, barcollante. Peter e
il Dottore si fermarono a distanza, senza abbassare la guardia.
L’ombra avanzò
di qualche passo verso di loro e un raggio di luna la colpì.
Fu allora che lo
riconobbero.
“Eddie?” lo
chiamò Peter, abbassando l’arma e avvicinandosi
“Che succede?”
L’uomo camminava tenendosi
una mano sulla spalla, che
perdeva sangue per una brutta ferita. Il Dottore lo aiutò a
camminare e lo fece
sedere su una panca lì vicino, controllandogli la ferita.
“Ci hanno
attaccati… sapevano…” li
informò Eddie, con un
filo di voce.
“Cosa?!”
esclamò Peter, allarmato
“Cos’è successo? Dove sono
gli altri? Henrietta sta bene?” chiese, allarmato, ma Eddie
non lo stava
ascoltando: aveva perso i sensi, mentre il Dottore gli stava tamponando
la
ferita.
“Peter, sveglia gli altri!
Dai l’allarme. Mi occupo io di
lui, se la caverà!” lo incoraggiò,
operando i primi soccorsi sul giovane
soldato. Bishop scattò su e corse al laboratorio, accendendo
tutte le luci.
“Ci hanno
attaccati!” urlò “Abbiamo un ferito!
Presto!
Svegliatevi!”
Tutti scattarono in piedi, prendendo
le armi, mentre Peter
entrava nel TARDIS per svegliare il padre e Rose, e prendere la
cassetta del
pronto soccorso per curare Eddie.
Quando uscirono dalla cabina, il
Dottore e Charlie avevano
trasportato il giovane nel laboratorio e l’avevano fatto
stendere su uno dei
tavoli per controllarlo meglio. Walter si mise subito al lavoro e gli
disinfettò e fasciò la spalla; Eddie riprese un
po’ di colore e aprì gli occhi.
Tutti gli furono intorno, in attesa, mentre Charlie cercava di attirare
la sua
attenzione.
“Eddie, ehi,
ragazzo…” lo chiamò, facendolo voltare
verso di
sé “che cosa è successo?”
“Ci hanno
attaccati…” sussurrò l’altro.
“D’accordo. Gli
altri dove sono? Dov’è Jack? Lui non
può
essere morto.” insistette Charlie. Eddie cercò di
parlare, ma era senza forze.
Il Dottore decise di farsi avanti e gli posò le mani nelle
tempie.
“Ragazzo, ho bisogno che ti
rilassi.” disse, concentrato.
Charlie guardò Peter, interrogativo, non sapendo cosa aveva
in mente l’alieno.
“Gli vuole leggere la
mente. È uno dei suoi poteri.” spiegò
il giovane Bishop.
Il Dottore rimase qualche minuto in
silenzio, rovistando nei
ricordi del nipote, e alla fine aprì gli occhi, allarmato.
“Sono stati
presi.” riferì.
“Cosa?” si fece
avanti Lincoln, allarmato “Chi? Chi li ha
presi? Dov’è mia moglie?”
Il Dottore si tirò su,
guardandolo negli occhi.
“L’hanno presa
gli Osservatori.” rispose, poi si voltò verso
Peter e Olivia “Anche Henrietta… e
Tony.” concluse, guardando il suo clone e
Rose “Credo che sia stato preso anche Jack. Eddie non
l’ha visto, ma se non è
venuto anche lui a dare l’allarme, allora è stato
preso.”
Rose spalancò gli occhi,
aggrappandosi al braccio di John.
“Tony…”
sussurrò, quindi si avvicinò a Peter, prendendolo
per il bavero della giacca “Dobbiamo trovarlo! È
mio fratello! È l’unico rimasto
della mia famiglia!” esclamò “Vi prego,
dobbiamo trovarlo!”
Peter la lasciò parlare.
Sapeva esattamente cosa stava
provando: anche sua figlia era stata presa, e non se ne sarebbe stato
con le
mani in mano, l’avrebbe trovata anche a costo di setacciare
l’intero globo. La
afferrò delicatamente tra le braccia e la fece sedere,
aiutato dal compagno di
lei, quindi la guardò negli occhi.
“Tranquilla,
Rose.” la rassicurò “Li ritroveremo e li
riporteremo tutti quanti sani e salvi qui. Hanno preso anche mia
figlia, e la
moglie di Lincoln. Non ho nessuna intenzione di lasciarli in mano loro.
Ma tu
devi stare calma, non ti fa bene agitarti.”
Peter sembrava calmo, ma dentro di
sé impazziva di rabbia.
Avrebbe voluto correre immediatamente e riprendersi Henrietta e tutti
gli
altri, ma non poteva, avrebbe solo rischiato di morire ammazzato prima
ancora
di riuscire ad avvicinarsi al posto dove erano stati portati gli
ostaggi,
ovunque esso si trovi.
Olivia prese una delle armi di
riserva e tutte le munizioni
che riusciva a trovare, senza dire una parola. Peter lasciò
andare Rose e si
avvicinò a lei.
“Olive, la troveremo. Ma
dobbiamo stare calmi, non possiamo
fare mosse avventate.” le disse, prendendole la pistola dalle
mani.
Il Dottore si avvicinò
loro e fece una carezza rassicurante
alla figlia. Bishop lo guardò in volto: anche lui ribolliva
di rabbia dentro di
sé: gli avevano rapito alcune delle persone più
importanti della sua vita
proprio sotto il naso e lui non se ne era neanche accorto.
“Dobbiamo metterci subito
al lavoro.” esclamò “Ma non
possiamo muoverci senza almeno sapere dove sono stati
portati!” si voltò verso
Eddie, che si era ripreso ed ora era seduto sul tavolo dove era stato
adagiato
“Figliolo, ho bisogno che contatti via radio tutte le squadre
della resistenza
che riesci a trovare. Forse riusciamo ad avere delle
informazioni!” ordinò,
infine si guardò intorno
“Dov’è Lincoln?”
“L’ho visto
correre nel TARDIS non appena ha saputo che sua
moglie è stata presa.” riferì John, che
cercava di calmare la compagna, in
preda a una crisi di pianto.
Charlie sospirò e si
avvicinò alla cabina.
“Vado a
recuperarlo.” riferì, entrando nel TARDIS e
chiudendo la porta, per poi aprirla di nuovo e guardare il Dottore, con
aria
imbarazzata “Ehm, Dottore, da che parte devo
andare?”
“Scendi le scale e segui il
corridoio. Tutti i locali sono
lì.” gli indicò l’alieno.
Charlie annuì e tornò dentro, scese le scale e
raggiunse il corridoio.
Aprì tutte le porte,
finchè non arrivò a una delle camere.
Lincoln era seduto sul letto e si fissava il palmo della mano, sul
quale era
adagiata la fede che Olivia gli aveva restituito a seguito del litigio
del
giorno precedente.
Charlie si sedette accanto a lui,
fissando anche lui
l’anello che l’altro teneva tra le mani.
Restò in silenzio per un minuto,
raccogliendo le idee, e infine poggiò una mano sulla spalla
dell’amico.
“La ritroveremo, Lincoln,
vedrai. La riporteremo a casa sana
e salva.” lo rassicurò. Lincoln si tolse gli
occhiali e si asciugò gli occhi
umidi, prima di voltarsi e guardare Charlie in volto.
“E se invece non fosse
così? Se non la ritrovassimo? O se
fosse troppo tardi? L’ultimo ricordo che avrei di lei sarebbe
il litigio che
abbiamo avuto ieri! Non avrei dovuto reagire in quel modo, avrei dovuto
capire,
invece…” si sfogò.
“La ritroveremo.”
ripeté l’altro, cercando di essere
convincente.
“Ma se non fosse
così?” insistette il Maggiore Lee
“Pensaci,
Charlie… tua moglie è morta. Come sarebbero stati
questi anni se l’ultima
conversazione che tu e Mona avete avuto prima che gli Osservatori la
giustiziassero a sangue freddo fosse stato un litigio
furioso?”
Charlie sospirò e distolse
lo sguardo, afferrando le fedi
che teneva legate al collo con un cordino e raccogliendo le idee per
rispondergli.
“L’ultima
conversazione che io e Mona abbiamo avuto prima
che morisse è stato davvero un litigio, Lincoln. E sono
stato anche io invaso
dai sensi di colpa, per lunghi anni pure. Ma alla fine sono arrivato
alla
conclusione che per andare avanti dovevo tenere a mente i momenti belli
passati
con lei, e mettere da parte tutto il resto. Questo mi ha dato la forza
di
continuare a lottare. Ma il mio caso è diverso dal tuo. Per
quanto ne sappiamo
Olivia è ancora viva, e puoi ancora rimediare, quando la
ritroveremo puoi
ancora dirle quanto la ami. Devi tenere a mente solo questo: Olivia e
vostro
figlio hanno bisogno che tu sia lucido per essere tratti in salvo, e il
senso
di colpa non aiuta, quindi cerca di liberartene.”
“Come puoi essere sicuro
che sia ancora viva?” domandò
l’altro.
“Semplicemente
perché se avessero voluto ucciderla lo
avrebbero fatto qui, senza portarsela via. E comunque bisogna avere un
po’ di
fede.” affermò Francis, alzandosi in piedi
“E tu non dovresti lasciarti andare,
non dopo quello che hai detto che è successo agli ebrei come
te nell’altro
universo. Devi continuare a combattere e riprenderti Olivia, costi quel
che
costi.”
Lincoln lo fissò. Aveva
ragione, non poteva piangersi
addosso, doveva combattere. Prese la pistola dal comodino,
controllò che fosse
carica e si alzò, camminando spedito verso
l’ingresso della cabina.
Intanto, da qualche altra parte.
Henrietta e Tony erano ancora
rinchiusi nella cella, insieme
a Olivia, che era ancora priva di sensi. Con molta attenzione la
sistemarono
meglio, adagiandola sull’unica brandina di quel locale.
Etta le sistemò la sua
giacca sotto la testa, piegata per
farle da cuscino, quindi lanciò un’occhiata nella
cella di fronte.
Jack gemette di dolore e
aprì gli occhi, cercando di
muoversi, ma le catene gli impedivano ogni movimento.
Imprecò e si guardò intorno;
quando vide la ragazza, le sorrise rassicurante e le parlò.
“Stai bene,
scimmietta?” le domandò, affettuoso.
“Sì, anche Tony.
Olivia invece non si è ancora ripresa.” gli
rispose la biondina. Jack annuì e si guardò
intorno.
“Sono sicuro che gli altri
ci stanno già cercando… spero che
arrivino prima che i pelati mi riducano a spezzatino, perché
ho l’impressione
che vogliano studiarmi…” esclamò,
indicando con lo sguardo gli elettrodi che
aveva attaccati addosso.
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Capitolo 31 *** 31 ***
Eddie
si era messo alla radio,
cercando di contattare tutti i Ribelli che riusciva a trovare, in cerca
di
qualunque informazione sulle persone che erano state prese in ostaggio
dagli
Osservatori.
Contemporaneamente,
il Dottore
era seduto a un tavolo e cercava di riordinare le idee. Fissava il
vuoto,
masticando la stanghetta degli occhiali con aria assente, ma il suo
cervello
era attivo, stava elaborando milioni di dati in poche frazioni di
secondo, e
non riuscendo più a vedere bene il vortice del tempo a causa
della frequenza
dell’universo modificata rispetto alla frequenza originale,
l’unica cosa che
poteva fare era aiutare i ribelli ad elaborare un piano che volgesse i
fatti in
loro favore. Osservò attentamente i componenti del suo
gruppo, cercando di individuare
per ognuno i punti forti e le debolezze; non poteva lasciare nulla al
caso.
Guardò
John. Era il suo clone,
quindi sapeva come ragionava. Quello era un punto di forza. Il punto
debole,
invece, era Rose. La sua Rose stava per avere un bambino, e parte del
suo
cervello sarebbe stato occupato da questo pensiero. Ne avrebbe tenuto
conto una
volta venuto il momento di elaborare meglio un piano.
Rose,
il dottor Bishop e Eddie,
invece, avrebbero dovuto rimanere al sicuro nel TARDIS. Una donna
incinta, un
vecchio pazzo e un ferito di fresco sarebbero stati solo
d’intralcio;
ovviamente non li avrebbe lasciati soli, altri sarebbero rimasti a
proteggerli.
Spostò
lo sguardo su Olivia. Sua
figlia stava preparando le pistole, controllandole una per una e
verificandone
il funzionamento; sembrava essere a suo agio con le armi, ed essendo
sua figlia
questa cosa faceva uno strano effetto sul Dottore, che odiava le armi.
Se la
ricordava piccola e fragile, una bambina bionda che sorrideva sempre, e
si
ricordava le sue lacrime quando lui aveva finto la sua morte. Gli si
erano
spezzati entrambi i cuori a vederla così, da lontano, senza
poterla
rassicurare. Non poteva uscire allo scoperto, però, oppure
sarebbero stati in
pericolo; era in corso una cruenta guerra, di cui gli umani non erano a
conoscenza, e lui era ricercato sia dal suo popolo, i Signori del
Tempo, che
dai Daleks, a cui aveva pestato troppe volte i piedi. Il Dottore
avrebbe voluto
vivere la sua vita, quello che rimaneva della vita della moglie, e
veder
crescere le figlie in santa pace, ma non gli era stato possibile farlo,
perché
proprio il giorno del secondo compleanno di Olivia aveva visto in cielo
una
nave Dalek e aveva capito che erano sulle sue tracce. Aveva capito che
doveva
mettere al sicuro le sue tre donne, e l’unico modo per farlo
era sparire, non
coinvolgerle in quello che stava succedendo nello spazio-tempo. Certo
le sue
bambine avevano sofferto, ma per lo meno una era diventata una donna
forte e
una buona madre.
Aveva
notato la sua buona memoria
fotografica e la sua empatia. La prima era un ottimo punto di forza, la
seconda
poteva essere sia un punto di forza che un punto debole, ma
c’era una cosa che
giocava a suo favore: il suo legame forte con Peter. Quel legame era
molto
forte, e andava oltre l’amore, era qualcosa di diverso, come
se loro due
fossero stati creati per stare insieme. Se da soli erano pericolosi,
insieme
sarebbero stati una vera e propria bomba pronta ad esplodere,
soprattutto
considerando che la loro figlia era in pericolo.
Peter
stava controllando se tra
le sostanze che c’erano ancora nel vecchio laboratorio,
qualcuna potesse essere
utile, e intanto stava discutendo con Lincoln riguardo alle strategie
da
adottare in caso di scontro con i pelati. Quei due uomini erano
l’asso nella manica
del Dottore. Erano due capi nati, anche se avevano bisogno ancora di
imparare,
ma avevano tutte le carte in regola per guidare un esercito. Peter da
solo
poteva affrontare qualunque pericolo, ma come per Olivia, insieme alla
compagna
era imbattibile; l’unico suo difetto era
l’impulsività, che lo portava ad agire
d’istinto e rischiare di ficcarsi nei guai. Lincoln era un
buon stratega, lo
aveva verificato giocando a scacchi con lui nei giorni precedenti al
recupero
di Olivia, era un uomo abbastanza equilibrato, ma il suo punto debole
era
l’emotività: aveva visto cosa era successo dopo il
litigio con sua moglie, si
era bloccato, e sperava che andare a recuperarla lo avesse sbloccato
nuovamente. Entrambi gli uomini avevano una caratteristica molto utile:
giocavano
con le menti delle persone, a volte intenzionalmente, a volte
inconsciamente,
ma riuscivano sempre a far fare agli altri ciò che loro
volevano. Il Dottore li
avrebbe usati a suo vantaggio.
Ed
c’era Charlie, l’ultimo che si
era unito al suo gruppo. Lui non lo conosceva, ma gli altri si, e
Charlie
conosceva l’ambiente, era quello che aveva portato avanti la
Resistenza per
tutti quei lunghi anni, quello che non si era arreso, ed era anche lui
un
leader. Lo aveva osservato: era una brava persona, ed era un padre per
i
soldati più giovani e un amico per i più anziani.
Lui era l’elemento
equilibrante della sua squadra.
Infine,
ultimo ma non ultimo,
c’era egli stesso, il Dottore. Lui era esterno e, allo stesso
tempo, interno al
gruppo. Lui era un Signore del Tempo, l’ultimo dei Signori
del Tempo. Non era
umano, era alieno, ma la sua famiglia era umana. Lui possedeva due
cuori, ed
ognuno di questi batteva al proprio ritmo, ma sapeva che,
finchè almeno uno dei
suoi cuori continuava a battere, la razza umana sarebbe stata al sicuro
dalle
minacce esterne. Quello che non poteva prevedere erano le minacce
interne,
quelle create dall’uomo stesso, ma a volte era riuscito a
porvi rimedio, sempre
con l’aiuto dei suoi compagni, dei suoi Figli del Tempo.
Ora
la minaccia era venuta dal
futuro, un futuro non troppo lontano, non quanto quella volta che aveva
affrontato il Maestro, nell’anno che non c’era mai
stato, ma era comunque una
minaccia abbastanza grande. Forse non sarebbe riuscito a separare
nuovamente
gli universi, ma vedendo quella gente, che combatteva insieme per una
causa
comune, nonostante fossero di universi differenti, non ne aveva alcuna
voglia
di farlo, di separare nuovamente le forti amicizie che si erano create.
Certo,
i suoi sensi erano un po’ confusi al momento, ma non vedeva
alcun punto fisso
nel vortice del tempo, corrispondente al 2036, poteva agire liberamente
senza
combinare troppi danni.
Tornò
a guardare il gruppo di
ribelli. Oltre a sua figlia e alla sua copia, c’erano altre
persone che
lavoravano fianco a fianco con i loro doppi, e la cosa non era affatto
strana,
a giudicare da come si comportavano tutti, sembrava naturale.
D’altronde erano
in quella situazione da più di 20 anni.
Venne
distratto dai suoi pensieri
da Eddie. Si era avvicinato tenendo un foglio in mano, quindi ottenuta
l’attenzione del nonno glielo aveva letto.
“Qualcuno
ha riferito di aver
visto un convoglio di Lealisti uscire dalla periferia nord di Boston e
dirigersi a un centro di ricerca a circa 80 km dalla città,
poco dopo che siamo
stati attaccati. Ho verificato gli orari, credo siano loro.”
Il
Dottore annuì pensieroso. Era
ora di coinvolgere tutti quanti. Si alzò in piedi e fece
qualche passo verso il
centro della stanza.
“Bene!
Sentitemi tutti! Sappiamo
dove hanno portato gli ostaggi, è circa a un’ora
di viaggio fuori Boston. Ora,
non possiamo andarci tutti, qualcuno dovrà rimanere qui, e
mi servono dei
volontari per andare a riprenderci le persone che hanno rapito. Chi
vuole
unirsi al gruppo faccia un passo avanti!” molti dei presenti
avanzarono. Il
Dottore li guardò, ma dovette scartarne alcuni.
Chiamò coloro che si sarebbe
portato dietro “Lincoln, Peter, Olive, Charlie, voi verrete.
John, tu puoi
venire se vuoi, ma Rose deve restare qui.”
Rose
protestò, ma l’alieno la
guardò severo: non ammetteva repliche, non questa volta. Si
rivolse verso
Charlie e continuò il discorso.
“Tra
coloro che si sono offerti
volontari, scegline una decina, quelli più adatti a quello
che sto per dirvi.
Prenditi tutto il tempo che ti serve.” lo informò,
quindi tornò a rivolgersi al
resto della squadra “Ecco cosa faremo…”
Nel
frattempo, a 80 km di
distanza.
Olivia
si stava riprendendo.
Erano stati aggrediti e lei aveva perso i sensi. Era stesa su un piano
piuttosto duro e scomodo, ma qualcuno le aveva messo qualcosa sotto la
testa
per farla stare più comoda.
Aprì
gli occhi, ma dovette
richiuderli immediatamente, perché la luce le aveva dato
fastidio, provocandole
un attacco di nausea.
Qualcuno
le si avvicinò e le posò
una mano sulla spalla, per non farla muovere dalla posizione.
“Stai
giù, Olivia.” la consigliò
la voce di Etta “Fai piano…”
La
Rossa aprì nuovamente gli
occhi, con cautela e guardò la giovane donna.
“Dove
siamo?” le chiese.
“Non
lo so. Gli Osservatori hanno
preso noi due, Tony e Jack. Non so cosa abbiano in mente.”
Olivia
annuì e si tirò su,
facendosi aiutare dalla ragazza; fece un respiro profondo per cercare
di
resistere al capogiro che le era preso non appena si era alzata, e
infine si
guardò intorno.
Tony
le si avvicinò, preoccupato,
sedendosi accanto alla bionda.
“Stai
bene?” chiese, rivolto a
Olivia.
“Sì,
ho solo un po’ di nausea, ma
credo sia normale: sono quasi al terzo mese.” rispose lei,
guardandosi intorno.
In
quel momento sentirono una
porta aprirsi. Jack, dalla sua posizione, lanciò uno sguardo
preoccupato verso
i tre; uno sguardo che durò solo pochi secondi e scomparve
non appena due
Lealisti e un Osservatore lo raggiunsero, mentre altri tre Lealisti
aprirono la
cella di Etta, Tony e Olivia e li prelevarono, portando anche loro
nella stanza
di Jack.
L’Osservatore
li guardò tutti e
quattro, uno per volta, leggendo le menti di ognuno di loro.
Guardò sorpreso
Jack e Henrietta.
“Voi
due mi state contrastando…” osservò,
quindi si avvicinò a Tony, fissandolo intensamente
“Tu provi ammirazione per
l’altro uomo… molta ammirazione. Lui è
una specie di eroe per la tua gente… e
non ammiri solo lui.” lo guardò ancora, in
silenzio “Chi è quella graziosa
donna bionda? È incinta, vedo…
interessante… oh… due uomini uguali, ma non sono
uguali. Due cuori in un solo corpo… molto
interessante.” si fermò, fissandolo
severo nel momento in cui il ragazzo cercò di contrastarlo e
si rivolse verso
la rossa “Tu sei difficile da leggere… stai
cercando di contrastarmi, ma non ti
riesce bene. C’è qualcosa in te che non ti fa
concentrare a dovere… tanto
meglio per me.” la fisso e fece un sorriso “Ora
capisco… un bambino… molto
interessante…”
Non
riuscì a completare la sua
ricerca di informazioni: un frastuono assordante invase
l’aria, facendo vibrare
i muri. L’Osservatore si guardò intorno e diede
qualche ordine sbrigativo agli
uomini che erano con lui, quindi corsero tutti quanti fuori,
chiudendoli dentro
tutti insieme.
Olivia
ebbe un nuovo capogiro e
rischiò di perdere i sensi. Tony la prese al volo, mentre
Henrietta si occupava
di liberare Jack dai cavi che gli erano stati attaccati addosso. Quando
fu
libero dai cavi, Jack cercò di fare forza sulle catene, per
scardinarle e
liberarsi, ma ci sarebbe voluto tempo.
Sentirono
qualcuno correre per le
scale, e degli spari li assordarono. Stava succedendo qualcosa fuori.
Jack
riuscì a liberarsi e si alzò in piedi, afferrando
le catene, che erano ancora
collegate ai suoi polsi, per poterle usare come arma in caso fosse
stato
necessario; si posizionò tra la porta e gli altri tre,
pronto ad attaccare
chiunque si fosse presentato.
Il
Dottore fece capolino dietro
la porta, seguito da Olivia, Peter, Lincoln e John. Aprì con
facilità la porta
e li fece uscire.
Il
Dottore abbracciò tutti,
liberando anche Jack dalle catene, poi Henrietta si
precipitò tra le braccia
dei genitori, mentre Tony e John si abbracciavano.
Lincoln
e la Rossa si fissarono
indecisi, restando a distanza. Olivia rimaneva sulla porta, fissando il
marito,
e lui restava nella sua posizione.
Fu
solo dopo qualche minuto che
l’uomo si decise ad andarle incontro, abbracciarla e baciarla
in un modo tanto
intenso da convincerla definitivamente a perdonargli qualunque cosa si
fossero
detti in precedenza.
“Mi
dispiace, piccioncini, ma
dobbiamo andarcene in fretta.” li interruppe il Dottore
“Potrete riprendere il
discorso quando torneremo ad Harvard.”
Lincoln
si allontanò, prese la
mano della moglie e, tutti insieme, corsero fuori.
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Capitolo 32 *** 32 ***
Il viaggio di ritorno fu
più lungo dell’andata, poiché
dovettero fare un percorso differente, dal momento che la loro retata
al
laboratorio degli Osservatori aveva sicuramente attirato
l’attenzione e i
Lealisti avevano approntato dei posti di blocco un po’
ovunque.
Charlie guidava il furgone,
attorniato dalle jeep dei suoi
uomini, che facevano da scorta. Accanto a lui era seduto Peter, che
guardava
attentamente la strada buia di fronte a loro; nel vano dietro si erano
sistemati tutti gli altri.
Il Dottore scambiava qualche parola
un po’ con tutti,
guardando saltuariamente la strada dalla finestrella che dava
sull’abitacolo.
Era tranquillo e agitato allo stesso tempo: dovevano tornare alla base
il più
in fretta possibile, aveva una strana sensazione, come se stesse per
accadere
qualcosa da un momento all’altro.
Olivia era silenziosa, i suoi occhi
vagavano per l’ambiente,
posandosi alternativamente sul padre, sul compagno e sulla figlia. Era
felice
di averla ritrovata, e sperava di non doverla perdere di nuovo, per la
terza
volta.
Jack sonnecchiava
nell’angolo, assieme a John. Entrambi
erano tranquilli, e quest’ultimo, nonostante le apparenze,
era impaziente di
tornare dalla sua Rose. Lei era sicuramente agitata, e prima
arrivavano, prima
si sarebbe calmata.
Lincoln e la Rossa erano seduti in
silenzio. Olivia si era
addormentata sulla spalla del marito, lui la teneva, cercando di farla
stare
comoda e non farle sentire troppo i sobbalzi del furgone. Non
l’avrebbe
lasciata per nulla al mondo, soprattutto ora che stavano per diventare
genitori.
Henrietta era crollata nel momento in
cui aveva messo piede
nel furgone, e sonnecchiava sulla spalla di Tony, anche lui esausto,
che
dormiva con la testa poggiata contro la porta posteriore del veicolo.
C’era silenzio, e nessuno
osava romperlo: era un momento di
tranquillità in tutto quel trambusto. Ne avevano tutti
bisogno.
Dopo un viaggio che durò
più di un’ora arrivarono ad
Harvard. Scesero tutti dai loro veicoli ed entrarono
nell’edificio. C’era
confusione, stava succedendo qualcosa; Eddie andò loro
incontro.
“Finalmente siete
arrivati!” esclamò, quindi si rivolse a
John “Rose non si sente bene.”
“Cosa?”
domandò l’altro, allarmato, facendo un passo
avanti
“Che cos’ha?”
“Non lo so… si
è sentita male, e il Dottor Bishop e la
signorina Farnsworth l’hanno portata nella cabina. Sono
chiusi lì dentro da più
di un’ora.” rispose l’altro. John
scattò e in pochi secondi entrò nel TARDIS,
senza considerare nessuno.
“Rose!” la
chiamò, scendendo le scale. Astrid uscì dalla
loro stanza e gli andò incontro.
“John! Finalmente siete
tornati!” esclamò. John le si
avvicinò e la fissò negli occhi, afferrandole le
spalle. Era preoccupatissimo.
“Che cos’ha mia
moglie? Sta bene?”
“Tranquillo, Walter si sta
occupando di lei.” lo rassicurò
la riccia, sorridendogli.
“Walter? Cosa?! Io non
lascio mia moglie nelle mani di un
vecchio pazzo fumato! Lo conosco! Quello come minimo si sarà
fatto di LSD prima
di occuparsi di lei!” esclamò John, in preda al
panico.
Nel frattempo erano arrivati anche
gli altri. Il Dottore si
affiancò al suo doppio e chiese spiegazioni alla donna.
“Cosa è successo
a Rose?” domandò.
“Ha avuto un malore, poi
sono cominciate le contrazioni. Ora
Walter la sta controllando, le contrazioni sono regolari, ma non sono
troppo
vicine.” riferì l’altra.
“Cosa?” la
interruppe John “Ma è troppo presto! Mancano
ancora almeno tre settimane!”
“E’ sotto stress,
piò capitare.” si intromise Olivia “Se
si
è sotto stress le doglie possono anticipare, anche di
parecchie settimane.”
John la fissò incerto, il
Dottore gli diede una pacca sulla
spalla, rassicurante.
“Ti ricordi quando
è nata Olive? Anche lei è stata prematura
di due settimane. Ora vai dentro con Rose, ha bisogno di te.”
John annuì e corse nella
stanza, seguito subito dopo da
Astrid. Olivia guardò gli altri e si tolse la giacca,
avanzando anche lei verso
la stanza di Rose e John.
“Dove stai
andando?” la fermò Peter.
“Vado a dare una mano. Rose
ha bisogno di avere vicino
qualcuno che sappia cosa sta provando, e qui io sono l’unica
che può farlo!”
rispose, infine aprì la porta e scomparve nella camera.
Peter e il Dottore si fissarono per
qualche secondo.
Quest’ultimo sospirò e fece spallucce.
“La bambina ha preso
proprio da me: sempre pronta ad
aiutare…” sospirò “Ora
andiamo fuori. Quando nascerà lo sapremo.”
Quando furono fuori, Lincoln e Olivia
andarono a sedersi su
un vecchio divano, prelevato da uno degli edifici dormitorio della
vecchia
università e sistemato nel laboratorio dal gruppo di ribelli
rimasti a difesa
del campus.
Olivia era pallida, e Lincoln era
preoccupato: troppo stress
non le faceva bene. La Rossa si sistemò comoda, poggiando la
testa sul petto
del marito. Chiuse gli occhi; era stanca e spossata, l’unica
cosa che voleva
fare in quel momento era riposare, lasciandosi cullare dal battito del
cuore
del suo compagno. Lincoln le baciò i capelli e lei si
addormentò quasi subito.
Subito il suo cervello
elaborò un sogno.
Era serena e nervosa allo stesso
tempo. Si trovava a casa,
ma non era casa sua, era diversa, era la casa dell’altra
Olivia, a Boston.
Aveva appena mandato un messaggio a qualcuno e aveva atteso. Poi
avevano
suonato alla porta.
Olivia era andata ad aprire e si era
trovata davanti Peter.
Gli aveva sorriso, si erano scambiati due parole, e poi lei lo aveva
baciato.
La Rossa si svegliò di
colpo, tirandosi su e ansimando,
shockata. Lincoln la fissò, preoccupato, tirandole indietro
i capelli. Olivia
lo fissò per qualche secondo, quindi il suo sguardo
vagò per il laboratorio,
alla ricerca di qualcuno.
“Liv, che succede? Stai
bene?” le chiese il marito.
“Dov’è
Peter?” domandò, alzandosi in piedi. Si
guardò ancora
intorno e lo vide.
Gli si avvicinò con passo
spedito e si fermò di fronte a
lui. Lincoln la seguì preoccupato.
“Peter, devo
parlarti.” gli disse la donna.
Bishop la guardò
interrogativo, quindi si voltò verso
l’amico, ma notò che anche lui non aveva idea di
cosa la moglie volesse dirli.
La Rossa prese entrambi per il
braccio e li trascinò verso
l’ufficio, chiudendo la porta, infine si rivolse a Peter.
“Peter, ricordo
tutto…”
“Cosa? Non
capisco…”
“Ricordo tutto, di noi,
quella notte… e nostro figlio,
Henry…”
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Capitolo 33 *** 33 ***
Peter sbiancò
all’istante. Henry? Come poteva ricordarsene?
In quella timeline riscritta non poteva esistere Henry, dal momento che
loro
non erano mai andati a letto insieme. Nessuno si ricordava di
ciò che era
successo prima della sua cancellazione, a parte lui e la sua Olivia.
Dalla
mente di Settembre aveva scoperto sia l’esistenza del
bambino, sia la sua
cancellazione al momento della cancellazione del padre, e Bishop aveva
dato per
scontato che l’unico ad essere tornato fosse lui, anche
perché il bambino era
troppo piccolo per poter badare a sé stesso da solo.
Il suo sguardo vagò dalla
donna all’amico. Anche Lincoln era
sbiancato, ma non per lo stesso motivo; era infuriato. Senza
considerare Peter
si rivolse alla moglie.
“Olivia, ma sei
impazzita?” ringhiò “Tu non hai altri
figli,
tantomeno da Peter!”
“Lincoln,
ascolta…” si intromise l’altro,
poggiandogli una
mano sul braccio. Lincoln se lo scrollò di dosso,
guardandolo ostile.
“Sto parlando con mia
moglie, Peter! E dico che non è
possibile! Non hai altri figli!” esclamò.
“Tyrone… si
tratta della vecchia linea temporale…”
cercò di
spiegare la donna.
“Olivia ha ragione.
È successo quando lei aveva preso il
posto della mia Olivia. Io non ho mai saputo del bambino,
finchè non ho
condiviso la coscienza con Settembre, ricordi?”
continuò Peter.
“Avresti dovuto parlarcene,
invece di tenertelo per te!”
insistette l’altro. Non poteva credere che il suo migliore
amico gli avesse
tenuta nascosta una cosa così importante.
“E quando avrei dovuto
dirtelo? Quando l’ho saputo tu avevi
una cotta per la mia Olivia, l’altra non la consideravi
neanche! E dopo non ci
siamo più visti, fino a pochi giorni fa!”
esclamò Peter, che stava perdendo la
pazienza “Avrei dovuto dirtelo allora? E come?
‘Ciao, Lincoln, bentornato al
mondo. Sai, in un’altra linea temporale ormai scomparsa io e
tua moglie abbiamo
avuto un figlio’.”
Lincoln strinse i denti e chiuse i
pugni. In quel momento
desiderava tanto avere un sacco da pugile per potersi sfogare, e prima
che il
suo cervello registrasse l’azione il suo pugno destro aveva
raggiunto la faccia
di Peter, il quale aveva fatto un passo indietro, ma non aveva reagito.
Bishop si toccò la faccia.
Quello era stato davvero un bel
destro, Lincoln doveva essere proprio arrabbiato.
“Credi di aver risolto
qualcosa? Non è che prendendomi a
pugni il fatto scompaia. E credimi, io non ne vado affatto
fiero.” gli spiegò,
calmo. Olivia si avvicinò al marito e gli prese il volto tra
le mani,
guardandolo supplichevole.
“Tyrone, ti
prego… io non mi ricordavo nulla. Quella era
un’altra linea temporale, eravamo persone diverse, con vite
diverse. Per
qualche strana ragione mi sono ricordata solo
adesso…” lo pregò.
Lincoln non era ancora convinto. Il
suo sguardo vagava dalla
donna di fronte a lui all’amico, il quale sospirò
e parlò nuovamente.
“Ascolta,
Lincoln… se non ti fidi di me puoi chiedere a
Olivia. Non intendo la tua Olivia, ma la mia. Lei ti
confermerà tutto.”
“Che c’entra
Olivia, ora?”
“Abbiamo fatto un patto di
sincerità. Lei sa tutto, ti
confermerà la mia storia. Inoltre credo che ti potrebbe
aiutare.” disse,
mantenendo un tono di voce basso e pacato. Non poteva permettere che si
innervosisse ancora di più di quanto non lo fosse
già, ma un pensiero
attraversò la sua mente e un lampo di rabbia comparve nei
suoi occhi
“Fantastico…” disse, tra sé,
guardando Olivia “Se tu ti sei ricordata significa
che là fuori, da qualche parte, c’è
nostro figlio, e io non so neanche dove
cominciare a cercarlo…”
Lincoln non rispose e
tornò a guardare la moglie. Stava per
dire qualcosa, quando, attraverso il vetro della finestra che dava sul
laboratorio, vide uscire dal TARDIS Astrid, che si asciugava il sudore
e faceva
un sospiro di sollievo.
“Astrid è
uscita. Forse il bambino è nato.” li
informò, poi
passò una mano attorno al fianco della moglie e la condusse
fuori.
Peter li seguì e si
avvicinò alla riccia, assieme al Dottore
e a Tony. Astrid li fissò e sorrise.
“Come sta?”
domandò il Dottore, in pensiero.
“Stanno bene, sia rose che
il bambino. È un maschio.”
rispose la donna.
“Davvero?”
domandò Tony “Com’è? A chi
somiglia?”
“Se vuoi puoi entrare a
vederlo. Rose ha chiesto di te.” lo
informò Olivia, uscendo anche lei dalla cabina.
Tony corse subito dentro e Peter ne
approfittò per prendere
da parte la compagna e il Dottore. Doveva parlare con loro; fece un
cenno a
Lincoln e all’altra Olivia e tutti insieme rientrarono
nell’ufficio, mentre
Charlie saliva su uno dei tavoli e parlava ai suoi uomini, assieme a
Jack.
“Ragazzi, ricordiamoci di
questo giorno!” esclamò Francis
“Perché da oggi abbiamo un’altra persona
per cui lottare: il piccolo Smith! Lui
deve avere un futuro migliore del nostro presente, quindi non possiamo
mollare!
Dobbiamo farlo per lui e per Jack!”
Gli altri fecero un urlo di gioia
come risposta e Jack e
Francis si abbracciarono, sorridendo.
Intanto nell’ufficio,
Olivia e il Dottore attendevano che
Peter parlasse.
“Abbiamo un
problema…” cominciò Bishop
“Olivia si è
ricordata una cosa della vecchia linea temporale.” disse,
indicando la Rossa.
“Mh… che
cosa?” domandò il Dottore, pensieroso. Se
c’era
qualcuno esperto in linee temporali e paradossi, quello era lui.
La Rossa fissò Lincoln e
Peter, indecisa, quindi parlò.
“Mi ricordo di mio figlio.
Henry, quello che ho avuto da
Peter dopo che sono tornata dalla missione nell’altro
universo.”
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Capitolo 34 *** 34 ***
La bionda guardò la sua
alter confusa. Lei e Peter avevano
parlato poco di quel periodo che lei aveva passato nell’altro
lato contro la
sua volontà, e lui le aveva assicurato che, qualunque cosa
era successa,
pensava che l’altra fosse lei.
Sapeva che erano stati a letto
insieme, sapeva che Peter era
stato attratto da lei, ne era rimasta ferita sul momento, ma alla fine
aveva
deciso di perdonarlo, e avevano fatto un patto reciproco di
sincerità.
Olivia era sempre stata sincera, non
aveva più nascosto niente
al compagno, e pensava che Peter avesse fatto lo stesso, ma a quanto
pare non
era così. O meglio, Peter le aveva accennato qualcosa, ma
era stato molto vago;
in ogni caso non le aveva detto tutto, e questo andava contro il loro
patto.
Si girò verso il compagno
e lo fissò negli occhi. Era
furiosa; Peter non fece nulla per evitare quello sguardo e la sfuriata
che ne
sarebbe seguita, sapeva che non sarebbe servito a nulla cercare di
calmarla.
Poco prima aveva detto a Lincoln che
lei sapeva tutto, ma
questo non era vero, non del tutto. Olivia sapeva solo una minima parte
di
tutta quella storia, e ciò che Settembre gli aveva detto
durante la
condivisione di coscienza, anni prima, non aveva voluto dirglielo per
intero,
per non sconvolgerla più di quanto non lo fosse
già.
“Henry?”
domandò la bionda, rivolta a Peter “Vostro figlio?
Cos’è questa storia? Tu sapevi tutto?”
“Olivia,
ascolta…” tentò di spiegare Peter,
prendendole il
volto tra le mani per cercare di farla ragionare, ma lei si
spostò, facendo un
passo indietro.
“E’ per questo
che nostra figlia l’hai chiamata Henrietta?
Perché lui si chiama così?”
domandò ancora Olivia “Pensavo che il nostro patto
valesse qualcosa per te. A quanto pare mi sbagliavo.”
“Olivia, stammi a sentire,
per favore…” la interruppe l’uomo
“E’ vero, non ti ho detto nulla, e ho sbagliato. Ma
l’ho fatto perché pensavo
che ti avrebbe sconvolto. Era un brutto periodo, ricordi? Poi non ho
più detto
nulla perché eravamo felici, eravamo una famiglia. E poi il
nome di nostra figlia
lo avevamo scelto insieme, io non ho mai pensato di dare a lei il nome
di un
bambino che non avevo mai conosciuto e che, tra le altre cose, nel
momento in
cui sono stato cancellato è stato cancellato anche
lui.”
Olivia non rispose, ma
l’aveva convinta. Il suo sguardo
passò dal compagno agli altri presenti nella stanza, per
fermarsi sul volto del
padre.
Il Dottore era concentrato; stava
elaborando qualche
pensiero complesso. Il suo volto era cambiato, ma Olivia ricordava bene
quello
sguardo: lo aveva visto molte volte quando era piccola, prima che lui
morisse.
Aveva solo due anni, ma i suoi ricordi riguardanti il padre erano molto
vivi.
Con la coda dell’occhio vide che anche la Rossa si era
accorta di
quell’espressione; evidentemente anche suo padre aveva quello
sguardo, quando
ragionava su qualcosa.
Insieme, ma indipendentemente
l’una dall’altra, si
avvicinarono all’alieno e gli presero ciascuna una mano,
incoraggiandolo
silenziosamente ad esprimere i propri pensieri. Il Dottore
alzò lo sguardo e
sospirò.
“C’è
qualcosa che non va in queste linee temporali.”
esordì
“Qualcuno ha manipolato il vortice del tempo, scombussolando
l’intera storia
dell’umanità. Il mio organismo si sta adattando a
questa lunghezza d’onda,
quindi sto cominciando a vedere con più chiarezza i vortici
di entrambi gli
universi da cui provenite, anche se alcune cose non mi sono ancora del
tutto
chiare.”
“Cosa non ti è
chiaro, Dottore?” lo incoraggiò Peter. Anche
lui voleva saperne di più su questa storia; se volevano
vincere quella guerra dovevano
avere più informazioni possibili, e sicuramente quelle del
Dottore riguardo le
linee temporali potevano essere molto utili.
Il Dottore stava per rispondere, ma
Lincoln li interruppe.
“Si può
continuare dopo il discorso?” domandò, affaticato
“Non mi sento affatto bene…”
I quattro si girarono verso di lui,
fissandolo
interrogativi. L’uomo si era poggiato alla scrivania, era
pallido e respirava a
fatica. Inoltre teneva una mano su un fianco, e su quel punto la
camicia
presentava una grossa macchia rossa.
La Rossa gli fu accanto in un attimo,
mentre Peter,
allarmato, gli controllava la zona sanguinante: i punti che Walter
aveva messo
alla ferita che Lincoln si era fatto qualche giorno prima, quando erano
andati
a liberare Olivia, erano saltati. Peter imprecò e
fissò l’amico in faccia.
Lincoln era sul punto di svenire; evidentemente sentiva un gran dolore
da
parecchio, ma con tutto quello che era successo nelle ultime ore non se
ne era
curato, pensando che ci fossero cose più importanti a cui
pensare.
Il Dottore aiutò Peter a
far sedere Lincoln, quindi corse
fuori, entrando nel TARDIS, e tornò con il kit del pronto
soccorso, mettendosi
al lavoro per disinfettare e chiudere nuovamente la ferita.
“Dannazione! Questa ferita
è aperta da almeno un’ora!”
imprecò “Come diavolo hai fatto ad accorgertene
solo adesso?”
“Non era nulla…
potevo farcela…” obiettò
l’altro, per poi
fare un gemito di dolore non appena il Dottore passò la
garza per pulire il
sangue.
Olivia si sedette accanto al compagno
e lo guardò preoccupata.
Anni prima aveva perso il suo migliore amico per una ferita da arma da
fuoco,
non voleva perdere anche il suo compagno, nonché padre del
bambino che portava
in grembo. Mentre il Dottore gli ricuciva la ferita, la donna
carezzò
delicatamente i capelli di Lincoln, cercando di tenerlo sveglio,
poiché aveva
notato che il marito stava per perdere i sensi, e non poteva permettere
che
accadesse.
L’altra Olivia fece un
passo indietro, lasciando che il
padre avesse più spazio per lavorare. Avrebbe voluto
chiamare Walter, ma era
più utile nel TARDIS, dove Rose aveva appena dato alla luce
la sua creatura.
Scambiò uno sguardo con il compagno, il quale fece un passo
avanti, posò una
mano sulla spalla dell’alieno e gli parlò.
“Continuiamo dopo il
discorso. Ora occupati di Lincoln, noi
andiamo a vedere se gli altri hanno bisogno.”
Il Dottore annuì, senza
distrarsi dal suo lavoro, così
Bishop e la bionda uscirono dall’ufficio, tornando ad aiutare
il resto del
gruppo, impegnato a costruire armi di vario genere per affrontare gli
Osservatori.
L’alieno finì di
curare la ferita e si tirò su, guardandolo
in faccia.
“Si può sapere
perché non ti sei fatto curare un’ora
fa?” lo
rimproverò “Ora sei troppo debole, ci
vorrà tempo per riprenderti, e comunque
non credo ci sarà molto da fare per un po’, se non
difendere la postazione. Dobbiamo
prima saperne di più per organizzare un piano.”
“La conoscenza è
già mezza vittoria.” citò la rossa
“Me lo
diceva mio padre da bambina.”
“Tuo padre era un uomo
saggio.” sorrise il Dottore “D’altronde
era un’altra versione di me. Comunque è davvero
strano che ricordi la linea
temporale dove Peter non è morto da bambino.”
“Potrebbe essere che si
ricorda perché lei è metà Signore
del Tempo?” si intromise Lincoln “Intendo dire: tu
puoi vedere il tempo che
scorre, giusto? Un po’ come gli Osservatori.”
“Sì,
più o meno è così. Vedo il vortice del
tempo. È una
prerogativa dei Signori del Tempo.” rispose il Dottore.
“Quindi, se è
così, anche i tuoi discendenti dovrebbero avere
questo dono.” continuò l’altro
“Per questo motivo l’altra Olivia ha ricordato
tutto quando Peter è apparso a Lago Reiden,
perché è metà Signore del Tempo, e
inoltre nell’altra linea temporale aveva un forte legame con
lui, quindi questo
ha favorito l’affiorare di questi ricordi. Solo non mi spiego
perché mia moglie
ricordi solo ora quello che è successo, eppure anche lei
è metà Signore del
Tempo.”
“Forse perché il
mio legame con Peter era meno forte.” provò
a spiegare Olivia “A parte Henry, io non ho mai avuto
nient’altro che mi
legasse a lui, anche se ne sono stata attratta. Ma ancora non mi spiego
perché ho
ricordato ora…”
“Credo sia una combinazione
di vari fattori, ma devo
indagare meglio.” tagliò corto il Dottore, quindi
controllò il laboratorio,
guardando attraverso la finestra dell’ufficio e
tornò a rivolgersi all’uomo “Lincoln,
ho bisogno di sapere una cosa. Il tuo orologio ha mai attirato
l’attenzione?”
“No… a nessuno
è mai interessato. È come se nessuno lo
vedesse davvero, perché?” rispose, perplesso,
l’altro.
“Nessuno a parte Peter
negli ultimi giorni.” lo corresse il
Dottore. Lincoln ci pensò e alla fine annuì.
“Hai ragione. Non riesce a
staccare gli occhi, quando l’orologio
è in vista.” confermò “Che
cosa significa?”
Il Dottore sospirò,
camminando avanti e indietro per l’ufficio,
con una mano nella tasca dei pantaloni e l’altra tra i
capelli scompigliati.
“Non lo so. Sono solo
ipotesi, ma credo che il mio doppio lo
abbia lasciato a te per permettere a lui di usarlo, anche se non so
come.”
rispose “Ma quando sarà il momento dovrai
darglielo senza troppe storie. Il mio
doppio si è sacrificato, e se lo ha tarato su Peter ci
sarà un motivo. Se è
come me non agisce mai senza un motivo valido, quindi preferisco non
andare
contro il suo volere.”
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Capitolo 35 *** 35 ***
I giorni passarono.
Nella Base della Resistenza la vita
continuava frenetica,
sotto la guida e la supervisione del Dottore e della Divisione Fringe
Originale.
Quasi ogni giorno dovevano difendere
Harvard dagli attacchi
dei Lealisti e degli Osservatori, ma grazie alla geniale inventiva
congiunta
del Dottore e di Walter, le perdite dalla parte dei Ribelli erano
ridotte a
zero.
Il Dottore aveva riattivato il
generatore elettrico centrale
del campus, ormai in disuso da tempo, permettendo anche uno stile di
vita più
umano agli occupanti del quartiere ribelle. Inoltre, grazie ad alcuni
componenti gentilmente offerti dal TARDIS, aveva potenziato la piccola
centrale
elettrica e si era messo al lavoro, con l’aiuto di Peter,
Walter, Jack e, in
minima parte, di John, per la creazione di una bolla protettiva che
comprendesse tutta la zona rivendicata dai Ribelli. Questa precauzione
serviva
anche a ridurre la sorveglianza esterna, permettendo a tutti di poter
riposare
in modo adeguato, in attesa di entrare in azione.
Le incursioni oltre il perimetro
erano ridotte al minimo e,
generalmente, limitate al rifornimento di materiale utile e di cibo. Al
massimo
il Dottore mandava pochi uomini a spiare le mosse degli osservatori, ma
con la
raccomandazione di non farsi vedere e di stare fuori il minimo
indispensabile.
Dopo due settimane, nel laboratorio
di Walter l’atmosfera
era più rilassata. L’intero ambiente era stato
trasformato, lasciando un
angolo, corrispondente alla vecchia stalla di Gene, adibito a
laboratorio
personale del dottor Bishop, per zittire le sue proteste, mentre il
resto era
riconvertito in parte a cucina da campo e in parte a magazzino, mentre
il
vecchio ufficio era diventato la sala riunioni di coloro che, dai
Ribelli,
erano stati eletti a comandanti della Resistenza, ovvero il Dottore, la
Divisione Fringe e i loro compagni.
C’era anche una certa
serenità nei volti degli occupanti del
campus, dovuto principalmente alla rinata speranza, ma anche alla
presenza, tra
loro, del piccolo Peter John Smith, il neonato figlio di Rose, che dopo
i primi
giorni passati all’interno delle pareti protettive della
cabina blu del
Dottore, era stato portato fuori non appena la madre si era ristabilita
dalle
ore di travaglio ed era di nuovo in grado di muoversi.
Rose camminava lungo il corridoio con
il fagottino tra le
braccia. Il bambino dormiva sereno, cullato dal calore e dal battito
del cuore
della madre; tutti si giravano per guardare lei e il piccolo e si
spostavano
per lasciarla passare, rispettosi e reverenziali. Entrò nel
laboratorio e si
sedette vicino al banco cucina, dove John si stava dando da fare
assieme ad
alcuni dei soldati per preparare il pranzo.
“Tutto bene,
tesoro?” la salutò, stampandole un bacio sulle
labbra e guardando adorante il figlio addormentato. Rose
annuì e si guardò
intorno.
“Sono stata fuori. Comincia
a far freddo… volevo uscire in
cortile ma non mi sono fidata. Finchè non avrò
qualcosa di più pesante da
mettere a Pete non vorrei che gli prenda un
malanno…” rispose la bionda
“è così
piccolo e fragile…”
“Non preoccuparti. Il
Dottore ha mandato Jack, Etta e un
gruppo di ribelli a fare rifornimento. Torneranno con tutto
ciò che serve,
anche vestiti pesanti.” la rassicurò.
Rose annuì e si
guardò intorno. Erano tutti indaffarati, in
un modo o nell’altro; vide il Dottore a un tavolo, che
segnava dei punti su una
mappa, discutendo assieme a Peter e Lincoln. Probabilmente stavano
organizzando
qualche colpo contro gli Osservatori. Decise di avvicinarsi e ascoltare
i loro
discorsi.
“Da quello che dicono nel
Settore Due, il quartiere generale
degli Osservatori è alla Freedom Tower.”
informò Peter, segnando il punto.
“Ma è troppo
grande, e noi siamo in pochi.” obiettò Lincoln
“Ci ucciderebbero tutti prima ancora che potessimo
accorgercene.”
“Dove volete
arrivare?” si intromise la bionda, interessata.
Peter fece un passo indietro e la guardò, quindi
sospirò e spiegò il piano.
“Vogliamo arrivare ai piani
alti degli Osservatori. Non si
sono mai mostrati in pubblico, ma sappiamo dove sono.”
“In pratica volete
decapitare il loro sistema? Mi sembra un
piano suicida.” obiettò Rose “Dovreste
pensare a un piano di riserva, è troppo
pericoloso questo.”
Il Dottore la guardò,
pensieroso. La donna aveva ragione:
era un massacro. Doveva trovare un altro modo, ed evitare perdite
inutili.
Stava per dire qualcosa, quando il
gruppo di rifornimento
fece il suo ingresso. Jack ed Henrietta trasportavano un grosso baule
di
metallo, mentre Tony trasportava sulle spalle un grosso sacco di
stoffa,
probabilmente ricavato da un lenzuolo.
Il ragazzo posò il tutto
sul divano e aprì il bozzolo,
rivolgendosi alla sorella.
“Rose, abbiamo trovato
delle cose per il piccolo, vieni a
vedere.”
Rose annuì e si
avvicinò, guardando dentro l’involto: il
lenzuolo era colmo di cose utili per il bambino: vestiti pesanti,
pannolini di
cotone e altre cose apposta per neonati. La donna sorrise e
abbracciò il
fratello.
Jack e Etta, intanto, si erano
avvicinati al gruppo del
Dottore e avevano scambiato con loro due parole. Il Dottore
annuì e corse
fuori, incappando in Charlie.
“Francis, di’ ai
tuoi uomini che ho un piano! Ci sono ancora
alcuni dettagli da definire, ma devono tenersi pronti!”
esclamò.
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Capitolo 36 *** 36 ***
Peter era salito nell’atrio
dell’edificio. Non c’era nessuno
in quel momento, erano tutti indaffarati nei loro compiti.
Si avvicinò al davanzale e
si sedette, guardando fuori dalla
finestra. Il tramonto dava al paesaggio delle tinte dorate, lo
rendevano magico.
Nessuno, guardando quel panorama, avrebbe mai detto che al di fuori di
quelle
mura si stava consumando una sanguinosa guerra per il futuro
dell’umanità.
Aveva passato la giornata a fare
piani assieme al Dottore;
quest’ultimo aveva detto di averne uno in mente, ma ancora
non si era deciso a
riferirlo. Quell’uomo, anzi, quell’alieno, era
davvero un tipo strano: pazzo e
geniale quasi al livello di Walter, aveva un grande rispetto per tutti,
soprattutto le donne e i bambini. Era cocciuto, infantile, ma allo
stesso tempo
dava l’impressione di essere saggio e serioso. Era
compassionevole, dote che
aveva passato alla figlia, e pacifista, cosa che sembrava andare contro
ciò che
stava facendo per loro in quei giorni: preparare una guerra.
Peter non riusciva a capire il modo
di pensare del Dottore,
ma lo rispettava, prima di tutto perché era il padre della
sua donna, e poi
perché era l’individuo più anziano
lì dentro, che con i suoi 900 anni passati
aveva visto tutte le guerre dell’universo, ne aveva anche
vinta una… o persa, a
seconda dei punti di vista. Sapeva che poteva fidarsi di lui, ma
l’attesa era
snervante, e a Peter non piaceva rimanere a lungo chiuso nello stesso
posto; lo
aveva già dimostrato nel TARDIS, e Harvard non era da meno:
era imprigionato
nel campus senza alcuna possibilità di uscire, prima o poi
sarebbe impazzito.
Doveva parlare col Dottore e pretendere una missione
all’esterno, possibilmente
una missione di ricognizione nei pressi del quartiere generale degli
Osservatori.
Era ancora perso nei suoi pensieri,
quando qualcuno si
avvicinò.
“A cosa pensi,
ragazzo?” domandò la voce del Dottore.
Peter si voltò per
guardarlo in volto, sospirò e rispose.
“Vorrei uscire di qui, sono
stufo di stare chiuso…”
Il Dottore si avvicinò e
guardò fuori dalla finestra.
“Il cielo di questo pianeta
è meraviglioso in qualsiasi
ora.” ammise, sorridendo “Ma il mio preferito
è quello dell’alba, quando l’aria
è carica di promesse.”
Peter sorrise a sua volta e
tornò a guardare fuori.
“Anche per Olivia
è lo stesso. Lei adora l’alba.”
confessò
“Questo deve averlo preso da te.”
“Credo abbia preso molto da
me, tranne la mia voglia di
fuggire da tutto. Lei cerca la stabilità, su questo lato sei
tu più simile a me
di quanto lo sia mia figlia.” affermò, tornando a
guardarlo negli occhi.
Bishop sospirò, passandosi
nervosamente una mano sui
capelli. Il Dottore aveva ragione, lui non si era fermato mai, scappava
fin
dall’adolescenza. Ma da quando era entrato nella Divisione
Fringe aveva
finalmente trovato un motivo per fermarsi, un posto da chiamare casa,
aveva
creato una famiglia, che poi eventi non dipendenti dalla propria
volontà
avevano quasi distrutto.
“Non ci hai ancora detto
quale sia il tuo piano, Dottore.”
disse, cambiando discorso.
“Te lo dirò
quando la mia mente avrà messo al posto giusto
tutte le variabili. La trama del tempo è molto delicata,
Peter; anche se non ci
sono punti fissi nei paraggi bisogna agire con cautela, se no si
rischia di
recare altri danni.”
“Parli come un Osservatore,
sai?” lo rimproverò il giovane.
Il Dottore sospirò, si
mise le mani in tasca e si poggiò al
davanzale, dando le spalle alla finestra.
“In un certo senso lo sono.
Per noi Signori del Tempo non
valgono le stesse regole di voi Umani, per quanto riguarda lo scorrere
del
tempo. Noi viaggiamo attraverso di esso grazie ai TARDIS, noi lo
osserviamo da
vicino, lo viviamo… solo che noi nasciamo così,
questa è la nostra natura,
mentre gli Osservatori sono umani, esattamente come te, solo che hanno
scoperto
una tecnologia che permette loro di viaggiare attraverso i secoli e la
stanno
usando male. Suppongo che sia la stessa tecnologia che permette a Jack
di
combattere al nostro fianco, o qualcosa di simile, ma non è
altro che
tecnologia, mentre io sono frutto della Selezione Naturale.”
spiegò.
Peter restò in silenzio
per qualche secondo. Doveva
elaborare le informazioni. Si grattò la tempia, pensieroso.
“Se ci fosse qualcun altro
come te… ci vuole qualcuno nelle
nostre file che riesca a pensare come loro, o almeno che li
capisca…” affermò.
“Può darsi che
possa esserci.” rispose, criptico,
riprendendo a guardare il tramonto.
Intanto, nell’ufficio del
laboratorio, Lincoln era seduto
alla scrivania; controllava alcune carte che erano state archiviate due
decenni
prima da Walter. Erano analisi di Eventi Fringe su cui avevano
lavorato, alcuni
dei quali lo toccavano da vicino.
In quel momento aveva tra le mani il
rapporto sul caso del
porcospino alato gigante. Se lo ricordava bene quel caso; aveva ancora
le
cicatrici addosso per il morso dell’animale, e ricordava la
strana sensazione
che aveva durante la quasi trasformazione in bestia. Per fortuna Walter
lo
aveva preso in tempo e gli aveva salvato la vita.
Si sfiorò la spalla
sinistra, sentendo sotto la camicia il
lungo solco della ferita ricucita da Walter. Gli aveva fatto male per
giorni, e
ancora dopo che era passato nel suo nuovo mondo gli aveva dato qualche
problema,
ma nulla che potesse essere risolto con la tecnologia che avevano in
quel
luogo.
Da allora aveva avuto altre ferite e
rispettive cicatrici,
ma mai nulla di serio, a parte l’ultima, pochi giorni prima,
quella ferita da
arma da fuoco sotto le costole. Nonostante fosse ormai quasi
completamente
guarita e non rischiasse più di riaprirsi, Lincoln aveva
ancora qualche
problema quando respirava profondamente o quando doveva compiere uno
sforzo
maggiore del solito, come spostare del materiale pesante.
Olivia entrò con due tazze
fumanti di tè. Lincoln alzò gli
occhi e la guardò. I capelli, tornati quasi del tutto
biondi, poiché non li
tingeva più da tempo, le ricadevano lisci sulle spalle,
incorniciando il suo
viso e valorizzando i suoi occhi verdi. Lincoln era abituato a vederla
con i
capelli rossi, anche se il colore naturale era biondo, e per
quell’affermazione
della sua individualità lui la amava, ma dovette ammettere
che anche bionda non
stava affatto male.
Si alzò e le cedette il
posto sulla poltroncina, quindi
prese la tazza di tè che le porgeva la donna e lo
sorseggiò. Olivia si sedette
e gli sorrise, quindi sfogliò le carte che lui stava
controllando, incuriosita.
“Cosa stavi
leggendo?” domandò.
“Niente di che. Vecchi casi
della Divisione Fringe, alcuni
dei quali li conoscevo già, perché ho aiutato a
risolverli…” spiegò l’uomo,
poggiandosi alla scrivania e guardando la moglie. Fece un respiro
profondo e
continuò “tesoro… posso chiederti una
cosa?”
Olivia annuì, bevendo
lentamente il suo tè. Lincoln sospirò
di nuovo e continuò.
“Henry. Parlami di
lui.” disse, semplicemente.
La donna sospirò,
raccogliendo le idee.
“Non ricordo
tutto… sono ricordi confusi che stanno
affiorando lentamente.” spiegò “Ricordo
che sono stata con Peter, poi sono
stata richiamata dal Segretario, e poco tempo dopo ho scoperto la
gravidanza…”
“E dopo cosa è
successo?” la incoraggiò il compagno.
“Frank mi ha lasciata e
sono rimasta sola, poi sono andata a
fare delle analisi e…” si bloccò di
colpo e spalancò gli occhi, carezzandosi la
pancia, come se si fosse appena ricordata qualcosa di molto importante.
“Che analisi? Stai bene,
tesoro?” domandò l’uomo,
improvvisamente preoccupato per la reazione della donna.
“Io sono portatrice di VPE,
Tyrone.” confessò, con un filo
di voce.
“Cos’è
la VPE?” comandò Lincoln, sempre più
preoccupato.
Olivia non rispose e
continuò a carezzarsi la pancia,
pensierosa e preoccupata, quindi si alzò e andò
di corsa nel laboratorio,
dirigendosi spedita verso Rose e John, che stavano in un angolo assieme
al loro
bambino. Lincoln non la perse di vista. Era preoccupato, qualunque cosa
fosse
la VPE aveva capito che era qualcosa di grave e aveva a che fare con il
bambino
che aspettavano.
“John,
dov’è il Dottore?” domandò
la donna, attirando la su attenzione “Devo parlargli,
è importante. È una
questione di vita o di morte…”
L’uomo
guardò per un momento la
moglie, quindi si alzò e prese Olivia e Lincoln da parte.
“Il Dottore
non c’è, ma se vuoi
puoi dire a me.” spiegò.
Olivia
sospirò e guardò Lincoln,
quindi tornò a rivolgersi a John.
“John, io
sono portatrice di VPE.
Mia sorella e mia nipote sono morte perché anche Rachel era
portatrice.” spiegò
“Ma io ho già avuto un bambino in
un’altra linea temporale, e siamo
sopravvissuti entrambi. Non so come sia successo, ma… nel
TARDIS c’è qualche
macchinario che possa accelerarmi la gravidanza?”
“Che
cosa?!” esclamò Lincoln,
sorpreso “Olivia, mi vuoi dire che diavolo succede?
Accelerare la gravidanza? A
me sembra pericoloso, e anche piuttosto stupido, direi!”
John li
fissò entrambi. Non sapeva
cosa dire, lui aveva la stessa esperienza del Dottore, ma sapeva bene
che
l’unico che poteva rispondere alla richiesta di Olivia era il
Dottore stesso.
Lo vide rientrare nel laboratorio insieme a Peter e fece loro cenno di
avvicinarsi.
I due si avvicinarono
incuriositi
e John parlò al suo doppio alieno. Quest’ultimo,
ascoltata tutta la
spiegazione, si rivolse ai due coniugi, preoccupato.
“La VPE?
Significa che sia tu che
tuo figlio potreste morire al momento del parto?”
domandò. Olivia annuì e il
Dottore si avvicinò, prendendole il volto tra le mani e
chiudendo gli occhi “Ti
dispiace se vedo il tuo ricordo in prima persona? Mi serve per capire
come
agire…” la Rossa annuì nuovamente e
l’alieno si concentrò, sondando la sua
mente.
Dopo qualche minuto
aprì
nuovamente gli occhi, si allontanò di qualche passo e la
sondò con il suo
cacciavite sonico. Quando ebbe terminato guardò i due
coniugi e sospirò,
preoccupato.
“Che
succede, Dottore?” chiese
Lee, allarmato.
“Credo di
non poter fare nulla.
Non posso accelerare la gravidanza, mi dispiace…”
si scusò “sei già stata
fortunata la volta scorsa, che sei sopravvissuta, ma non credo che
potresti
farcela, il tuo corpo potrebbe non reggere, mi
dispiace…”
“Ma
papà... magari il TARDIS…”
cercò di obiettare la donna.
“Il TARDIS
non può fare tutto. Se
la soluzione ci fosse l’avrei già trovata,
credimi. L’unica cosa che posso fare
è fare esami periodici a te e al bambino. Mi
dispiace…” rispose l’altro.
Olivia
abbassò lo sguardo,
abbattuta, e Lincoln la strinse, cercando di infonderle un
po’ di forza, anche
se la brutta notizia era stato un colpo per entrambi. L’uomo
la cullò per
qualche secondo, in silenzio, mentre la Rossa nascondeva il volto in
lacrime
sul suo petto; non tentò neanche di calmarla,
perché sapeva che aveva bisogno
di sfogarsi e di sentirlo solo vicino, ma anche perché pure
lui non era
nell’umore giusto per farlo: sua moglie era portatrice di una
malattia che
avrebbe ucciso lei e il loro figlio al momento del parto,
l’unica cosa che
poteva fare in quel momento era maledire Dio e chiedersi cosa avessero
fatto
loro di così terribile per meritarsi una punizione
così orribile.
Peter li
fissò per qualche
secondo. Avevano appena ricevuto una notizia orribile, avrebbe voluto
fare
qualcosa; con la coda dell’occhio vide passare Walter, il
quale entrò nel suo
piccolo laboratorio rinnovato e si mise al lavoro su chissà
quale progetto.
Senza dire nulla, il giovane Bishop si avvicinò a lui e gli
parlò in privato.
Il vecchio lanciò uno sguardo alla coppia, quindi
annuì e preparò la
strumentazione, lavando delle provette e mettendo da parte
ciò che poteva essergli
utile per ciò che aveva in mente di fare.
Nel frattempo
Henrietta si stava
preparando per dormire e stava sistemando il suo sacco a pelo in una
piccola
stanza poco lontana dal laboratorio.
Era una piccola aula
inutilizzata,
svuotata di tutto ciò che poteva essere utile ai Ribelli, ma
tranquilla, calda
e non troppo lontana dal centro operativo. Non era molto usata, per cui
Etta
poteva stare tranquilla che non sarebbe stata disturbata durante la
notte.
Si era appena
sistemata vicino al
muro, nella zona più calda della stanza, quando Tony
aprì la porta ed entrò,
tenendo sotto braccio il suo sacco a pelo. Henrietta si alzò
in piedi e lo
guardò.
“Che ci fai
qui?” chiese. Tony si
girò di scatto e la fissò con gli occhi
spalancati: non si aspettava che la
stanza fosse già occupata.
“I…
io… pensavo che…” balbettò
“scusa, stavo cercando un posto tranquillo per dormire, non
sapevo che
quest’aula fosse già
occupata…”
Etta lo
guardò. Il giovane era
arrossito di colpo; fece un passo avanti e gli sorrise.
“Tranquillo,
se vuoi puoi restare
qui. C’è spazio per entrambi.” lo
rassicurò.
Il giovane
annuì e sistemò il suo
sacco a pelo all’altro angolo dell’aula, quindi si
sedette su uno dei banchi
ammassati sul fondo e si preparò una sigaretta in silenzio.
“Ti
dispiace non fumare qui
dentro?” domandò rispettosamente la giovane donna
“Non sono abituata.”
“Oh, scusa,
hai ragione…” rispose
Tony, mettendo via tutto “non ci ho
pensato…”
Etta sorrise di nuovo
e prese dalla
sua borsa una grossa tavoletta di cioccolato fondente, quindi si
andò a sedere
accanto a lui.
“Me
l’ha portata Jack stasera
quando è tornato dalla missione di approvvigionamento. Ne
vuoi un po’?”
domandò, offrendogliene un pezzo.
“Cioccolata?
Sono secoli che non
ne mangio!” esclamò “Praticamente da
quando ero bambino. L’ultima volta avevo
cinque anni.”
“Quindi…
poco prima che
arrivassero gli Osservatori?” chiese lei. Tony
annuì.
“Era il
matrimonio di Lincoln e
Olivia. Io ero il paggetto, ed ero anche il più piccolo tra
gli invitati. Mi
hanno coccolato tutti.”
“Al
matrimonio del migliore amico
di mio padre? Come è stato?”
“Molto
bello, a parte che odiavo
il vestito che dovevo indossare: non volevo mettere la cravatta, e poi
faceva
caldo.” rispose, sorridendo “Però il
Segretario ha fatto un bel discorso e ha
offerto gran parte del ricevimento, facendo portare anche molto
caffè e della
cioccolata.”
“Ti sarai
divertito molto…”
commentò lei, guardandolo negli occhi.
“Per un
bambino è facile trovare
un modo per divertirsi.” continuò Tony
“L’incubo è arrivato dopo, quando gli
universi sono stati fusi. Ma questo lo sai anche tu.” fece
una pausa,
raccogliendo le idee “Spero davvero che tuo nonno sappia cosa
fare. Io non
vorrei mai che i miei futuri figli passino quello che abbiamo passato
noi, o
che rischiano di passare Pete e il figlio di
Lincoln…”
“Futuri
figli? Tu vuoi dei figli?”
domandò sorpresa.
“Quando
troverò la donna giusta e
sarà il momento, sì. Ma non ora. Tu non ci hai
mai pensato?”
“A dire la
verità no.” rispose
Henrietta, arrossendo. Tony notò l’improvviso
rossore e sorrise.
“Incredibile!
Sono riuscito a far
arrossire Henrietta Bishop!” esclamò, scherzoso.
La giovane non rispose e
sorrise a sua volta, quindi si alzò e andò a
sistemarsi nel suo sacco a pelo.
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Capitolo 37 *** 37 ***
I giorni passarono lenti. Per qualche
strano motivo, dopo
che Peter aveva parlato con lui, Walter sembrava essere rinato: passava
le
giornate nel suo piccolo spazio, esaminando campioni di sangue presi da
tutti i
componenti del gruppo e segnando su un grosso quaderno i risultati di
ogni
analisi eseguita.
Nessuno sapeva cosa avesse in mente
di fare il vecchio
scienziato, ma nessuno se ne curava: Peter aveva chiesto a tutti di
lasciarlo
lavorare senza fare domande e di collaborare se Walter lo richiedeva.
Quel giorno il Dottore aveva mandato
Etta e Tony fuori in
perlustrazione. Sarebbero stati via qualche giorno, perché
dovevano tener
d’occhio la base degli Osservatori a New York e provare a
entrare senza essere
visti.
Quando l’alieno aveva
informato gli altri della sua
decisione, Jack non ne fu molto contento, e cercò di far
cambiare idea al
Dottore: la missione era troppo pericolosa e i due ragazzi potevano
venire
scoperti da un momento all’altro, ma il Signore del Tempo fu
irremovibile e
Jack dovette accettare la decisione.
I ragazzi erano andati via da qualche
ora, e Jack si era
offerto volontario per aiutare il Dottor Bishop, qualunque cosa stesse
facendo:
doveva tenersi occupato per non pensare ai pericoli che la piccola
Henrietta, a
cui era legato come a una figlia, rischiava di correre nel viaggio
verso New
York.
Nel vecchio campus, intanto, regnava
la calma, e tutti erano
più o meno indaffarati in vari compiti.
Peter era nei sotterranei, nel locale
caldaia, e controllava
il buon funzionamento della centralina. Aveva con sé
parecchi attrezzi utili,
ma ormai usava quasi esclusivamente il cacciavite sonico di riserva che
il
Dottore aveva deciso di cedergli.
Era steso per terra, parzialmente
sotto il corpo principale
della caldaia, con il pannello inferiore aperto per controllare
l’integrità
della parte elettrica dell’impianto, quando qualcuno
entrò nella stanza.
“Serve una mano?”
chiese la voce di Olivia.
“No, ho quasi
fatto.” rispose Peter “Ma tu non stavi
aiutando il Dottore a mettere in ordine i fascicoli? Avete
già fatto?”
“Veramente non ero io, ma
l’altra Olivia. Io sono la moglie
di Lincoln.” rispose l’altra, sedendosi sulla panca
vicino a dove stava
lavorando Peter.
L’uomo sospirò;
non era la prima volta, in quei giorni, che
le scambiava: avevano la stessa voce, erano identiche
nell’aspetto, soprattutto
da quando la moglie di Lincoln aveva smesso di tingersi i capelli, e
poteva
riconoscerle solo dallo sguardo. La sua Olivia, nonostante la
stabilità
faticosamente conquistata, aveva ancora un velo di tristezza in fondo
allo
sguardo, invisibile alla gente comune, ma che lui, ormai, sapeva
riconoscere
tra milioni, mentre l’altra Olivia era serena, più
solare.
Si tirò su, pulendosi le
mani e mettendosi in tasca il
cacciavite sonico, quindi la guardò in volto. La donna
sembrava pensierosa, e
abbattuta; si sedette accanto a lei, continuando a guardarla.
“Dovresti stare con tuo
marito ora…” commentò.
La donna scosse la testa e si
passò una mano sulla pancia,
ancora pensierosa. Era scossa, qualcosa non andava.
“Olivia…”
la chiamò di nuovo “stai bene? Hai bisogno di
qualcosa?” chiese ancora Peter, preoccupato.
“Sto bene, solo
che… forse Tyrone ha ragione, forse non
dovremmo avere dei figli nella situazione in cui
siamo…” rispose lei,
respirando profondamente.
“Non dirlo neanche per
scherzo! Non è colpa tua se è
successo tutto questo, non potevate saperlo!”
esclamò l’uomo.
Olivia alzò gli occhi,
fissandolo in lacrime. Peter le passò
un braccio attorno alle spalle e continuò il discorso.
“Si troverà una
soluzione. Come sei riuscita a mettere al
mondo nostro figlio nella vecchia linea temporale, riuscirai a mettere
al mondo
questo altro bambino, e sopravvivrete entrambi, te lo
assicuro.”
La donna lo fissò in
silenzio. Come poteva essere così
sicuro che lei e il bambino sarebbero sopravvissuti? Il Dottore si era
rifiutato di aiutarla, lui che aveva la possibilità di farlo
grazie alla
tecnologia del TARDIS, e non c’era nessun altro con quel
livello di tecnologia
e conoscenza nel loro gruppo.
“Peter, il Dottore non ha
voluto aiutarmi, lo hai visto
anche tu, e lui era l’unico che poteva farlo.”
protestò, in lacrime.
“No, ti sbagli. Lui non
è l’unico che può aiutarti.”
la
interruppe Bishop “Mio padre si è già
messo al lavoro, e sono sicuro che è
vicino alla soluzione. Tu conosci come è fatto Walter, non
si arrenderà così
facilmente. Tu e tuo figlio sopravvivrete.”
Olivia sospirò,
continuando a passarsi una mano sulla
pancia. Tornò a guardare Peter, con aria colpevole.
“Peter, mi dispiace per
quello che è successo. Io stavo
eseguendo degli ordini, non avrei mai voluto
ingannarti…” si scusò.
L’uomo inspirò a
lungo, riordinando le idee. Ciò che era
successo nella vecchia linea temporale era rimasto impresso nella sua
mente
come scolpito nella pietra, e nonostante tutto non era ancora riuscito
a
perdonare completamente l’inganno ricevuto e il rapimento
della Sua Olivia da
parte del suo padre naturale. Sapeva che la donna che ora implorava il
suo
perdono stava eseguendo degli ordini, e in quel periodo si era anche
accorto che
qualcosa non andava, ma come al solito non si era fidato del suo
istinto. Se lo
avesse fatto non sarebbe successo tutto quanto, forse.
“Una volta, un uomo saggio
mi disse che niente è davvero
quello che sembra essere.” esordì
“Bisogna saper guardare oltre le apparenze.
Quando ho scoperto l’inganno ho odiato a lungo sia te che il
Segretario Bishop,
per quello che era stato fatto a Olive, per le ferite che erano state
aperte
nella sua anima già abbastanza
tormentata…” fece un altro respiro profondo e
continuò “Olivia ha subito danni irreparabili da
quello che è successo, ed io
non posso perdonare ciò. Nonostante tutto tu hai
già espiato le tue colpe, e la
brutta opinione che avevo di certe persone del tuo universo
è cambiata quel
giorno che parlai con il Segretario, quando mi introdussi nel vostro
universo
di nascosto, venticinque anni fa. È passato molto tempo, e
non posso portare
rancore così a lungo, soprattutto se ho rivalutato
l’opinione della persona in
questione.”
La donna sorrise rincuorata. Non era
esattamente un perdono,
ma valeva come tale.
“Henry è stato
un piccolo miracolo…” sussurrò
“era un
bambino bellissimo e sano, ed era mio figlio. Il Dottore ha detto che
qualcuno
ha fatto qualche pasticcio nella trama del tempo…”
“Sì, per
cancellare la mia esistenza. E dal momento che io
non sono mai esistito, Henry non è mai stato
concepito.” confermò.
“Chiunque sia, mi hanno
portato via mio figlio! Non lo avrò
mai più indietro. Neanche nel modo in cui tu e Olivia avete
riavuto indietro
vostra figlia! Non sai cosa darei per riavere indietro
Henry…”
“Da quando mi hai detto che
lo ricordi sto maturando una
teoria.” ammise Peter “Credo che da qualche parte
sia ricomparso anche Henry,
insieme a me, devo solo capire come…”
“Ricomparso? In che senso?
Spiegati, per favore…”
“E’ solo
un’idea. Penso che da qualche parte lui ci sia
ancora, e il fatto che tu te ne ricordi potrebbe essere una
prova…”
La donna annuì, pensierosa.
“Se fosse vivo ora avrebbe
25 anni…” riferì.
“Ovunque sia lo
troveremo.” la rassicurò Bishop
“E’ mio
figlio, voglio trovarlo quanto lo vuoi tu.”
Intanto Henrietta e Tony erano appena
arrivati alla stazione
della monorotaia che li avrebbe portati a Manhattan.
Camminavano affiancati, ignorando e
venendo ignorati da
tutti. Tony mascherava abilmente il disagio dovuto al dover indossare
un’uniforme lealista; prima di partire avevano discusso a
lungo su come
superare i numerosi ostacoli che avrebbero trovato lungo la strada per
Manhattan, considerando diverse soluzioni, ma quella era
l’unica che non avrebbe
destato sospetti: Henrietta era ancora un agente della Divisione
Fringe, quindi
le sarebbe bastato mostrare un distintivo, per quanto riguarda Tony,
avrebbe
dovuto passare come agente lealista di scorta per la ragazza.
Avevano con sé solo il
minimo indispensabile, raccolto in un
borsone trasportato dal giovane uomo, ed erano in fila davanti ai
tornelli
d’accesso al treno. Sia Henrietta che Tony tenevano tra le
mani una carta
psichica, pronti a mostrarla nel caso fosse stato richiesto loro di
mostrare le
lettere di transito.
Una delle guardie fece loro cenno di
avvicinarsi alla sua
postazione. I due giovani si guardarono per qualche secondo, quindi
decisero di
avvicinarsi; la guardia li scrutò per qualche secondo,
soffermandosi sul
ragazzo, quindi parlò.
“Come mai andate a New
York?” domandò, rivolto a Tony.
“Sto scortando
l’agente per una deposizione. È stata
aggredita da un gruppo di ribelli e ha richiesto una scorta; ora deve
riferire
ai piani alti l’accaduto.” rispose, indicando con
la testa il grosso finestrone
dal quale si intravvedeva lo skyline di New York, su cui spiccava la
Freedom
Tower, poi mostrò la carta psichica.
Il Lealista lesse le immaginarie
parole sulla carta, con
attenzione, poi posò lo sguardo sulla giovane donna e
tornò a guardare Tony,
restituendogli la carta.
“D’accordo,
potete andare.” riferì, indugiando con lo
sguardo sulle curve di Etta. Tony, senza parlare, prese la compagna di
viaggio
per i fianchi e la condusse oltre i tornelli, mostrando degli
atteggiamenti
fortemente possessivi; quando arrivarono oltre si fermarono, Tony si
voltò
verso il Lealista che li aveva fatti passare e gli lanciò
uno sguardo
eloquente. L’altro uomo si voltò di scatto,
togliendo gli occhi dai due e
tornando a fare il suo lavoro.
“Ottimo lavoro,
Tony!” si complimentò Etta.
“E’ stato
semplice. I Lealisti sono idioti.” rispose
l’altro, scortandola al treno.
Entrarono nel vagone e cercarono due
posti liberi. Quando li
trovarono si sedettero e tornarono a parlare tra loro, a bassa voce.
Il vagone era colmo di soldati
Lealisti, e tutti quanti
erano attirati dalla presenza della giovane donna. Etta veniva
squadrata da
capo a piedi da tutti quanti, e stava diventando un’impresa
rimanere
inosservati; i due giovani si scambiarono uno sguardo, quindi in un
gesto possessivo
come quello di poco prima ai tornelli, Tony le passò un
braccio attorno alle
spalle, lanciando sguardi assassini agli altri uomini presenti:
istantaneamente
tutti smisero di guardarli. Evidentemente la donna di un commilitone
era
proprietà sua e gli altri non avevano nessun diritto su di
lei.
Il treno partì e i due
ragazzi continuarono a parlare
indisturbati a bassa voce. Qualche fermata più avanti, un
altro soldato
lealista si sedette di fronte a loro, insieme a una donna, vestita in
perfetto
stile Anni Cinquanta. Entrambi avevano la guancia tatuata, e appena si
sedettero
presero a fissare Etta: lei era l’unica persona nel vagone
che non presentava
alcun tatuaggio, e di certo era curioso vedere una donna non tatuata in
compagnia di un Lealista.
Tony stava cominciando ad agitarsi
per la situazione
venutasi a creare; andando avanti di questo passo, nonostante tutte le
precauzioni prese, sarebbero stati scoperti. Si trovavano da soli in
terreno
nemico, senza alcuna via di fuga, e si stavano dirigendo proprio
nell’Antro
della Bestia. Se l’inganno fosse stato scoperto avrebbero
passato grossi guai,
e neanche il Dottore con il suo TARDIS sarebbe stato in grado di
tirarli fuori.
“Stai calmo, Tony. Siamo
quasi arrivati.” sussurrò la
giovane, calma, al suo orecchio, sfiorandogli il volto con la punta
delle dita.
Il ragazzo la fissò negli occhi; erano incredibilmente seri;
il giovane annuì e
continuò a guardarla, ipnotizzato da quell’intenso
sguardo.
Si stavano ancora fissando, persi nei
propri pensieri,
quando la donna seduta di fronte a loro li chiamò, attirando
la loro
attenzione.
“Anche voi state andando a
chiedere il permesso?” domandò.
“Il permesso per cosa,
scusi?” chiese Tony, di rimando.
“Beh, ho
pensato…” continuò la donna, arrossendo
“visto come
siete uniti, come il signore è protettivo nei confronti di
lei… beh, sì,
insomma… state andando a chiedere il permesso per sposarvi,
vero? So che per le
coppie miste ci vuole un permesso speciale, difficile da
ottenere…”
“Ecco, noi…
veramente…” cominciò Tony, cercando le
parole
giuste per spiegare.
“Sì, a dire la
verità, sì.” concluse Henrietta
“Stiamo
andando a chiedere il permesso. Vero, tesoro?”
“Noi…
ecco… sì, è così,
piccola.” annuì, imbarazzato.
“Spero davvero che ve lo
diano.” augurò la donna “Siete
davvero una bella coppia.”
“Lo spero anche io. Tony
è un uomo fantastico, il migliore
che potessi incontrare!” esclamò la ragazza,
stampando un bacio sulle labbra di
Tony per enfatizzare il concetto.
Tony la lasciò fare,
cercando di mantenere la calma. Fortunatamente
la fermata successiva era la loro, così lui le
afferrò saldamente la mano e la
trascinò all’esterno.
Si fermarono a una decina di metri di
distanza dai tornelli
d’uscita. La stazione era colma di Osservatori, ed entrambi
dovevano riprendere
il controllo per poter nascondere i propri pensieri e non essere
scoperti.
“Tuo padre mi
ucciderà, e se non lo farà lui sarà il
Capitano Harkness a farlo…” sussurrò
Tony, respirando profondamente.
“Mio padre non
avrà nulla da dire.” lo rassicurò
Henrietta,
aggiustandogli il colletto della giacca dell’uniforme
“E Jack abbaia ma non
morde. Sono una donna adulta e sono libera di fare quello che voglio. E
comunque
la situazione era critica e dovevamo tirarcene fuori in qualche modo.
Ora andiamo
a cercarci un posto per dormire. Domani dobbiamo continuare con il
piano.”
disse, aggiustandogli meglio il cappello, per poi prendere il compagno
di
viaggio sotto braccio e uscire insieme dalla stazione.
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Capitolo 38 *** 38 ***
Era mattina.
Il sole dell’alba filtrava
attraverso le tende, e qualche
raggio di luce attraversò la piccola stanzetta
dell’hotel nella periferia di
Manhattan.
Un giovane uomo e una giovane donna
dormivano sereni, nel
piccolo letto in ferro battuto in fondo alla stanza, avvolti nel caldo
piumone
per ripararsi dal freddo tipico di metà dicembre.
Henrietta aprì gli occhi
lentamente. Uno strano rumore
l’aveva disturbata; respirò profondamente e
sentì il braccio nudo di Tony
muoversi attorno alle sue spalle e stringerla meglio.
Si voltò verso di lui,
guardandolo. I capelli gli ricadevano
disordinati sulla fronte; l’espressione, solitamente dura,
era serena e
tranquilla, il respiro era regolare e nulla sembrava poterlo disturbare.
Sentì di nuovo quel rumore
fastidioso e ascoltò meglio: era
il Vibracall del suo cellulare. Cercando di non svegliare il suo
compagno di
viaggio, allungò la mano sul comodino e afferrò
l’apparecchio, guardando lo
schermo: era una videochiamata dal cellulare di Jack. Si
sistemò meglio sotto
le coperte e rispose.
“Jack? Tutto bene al
laboratorio?” domandò. Sullo schermo
comparve Jack, affiancato dal Dottore, Peter e Charlie.
“Sì, qui tutto
bene, biondina.” rispose il Capitano Harkness
“Voi tutto a posto? Dove siete?”
“Siamo in un hotel qui a
Manhattan. Abbiamo preso una
stanza, oggi cominciamo le ricerche.”
“Una stanza a testa,
spero…” si lamentò Jack.
“No, stanza unica. Abbiamo
dovuto passare per una coppia per
non destare sospetti.” rispose la giovane.
Jack divenne improvvisamente livido;
il Dottore gli prese il
cellulare di mano e si allontanò per riuscire a parlare con
i due giovani con
calma.
“Bravi, ragazzi! Ottima
mossa, davvero. Cercate di passare
inosservati il più possibile. Ora torniamo a noi: dovete
avvicinarvi alla
Freedom Tower e trovare una via d’accesso sicura,
ricordate?” domandò, quindi
si bloccò ascoltando attentamente i rumori che arrivavano
dalla stanza dove si
trovavano i due ragazzi “Ma come fai a dormire con un rumore
simile? È Tony
quello che sta russando?”
“Eh? Sì, un
momento che lo sveglio…” rispose la giovane,
quindi si girò verso il compagno e lo scosse leggermente
“Tony? Sveglia! È ora
di alzarsi, dobbiamo lavorare.” lo chiamò. Il
ragazzo si lamentò e si sistemò
meglio nel letto, continuando a dormire. Henrietta sospirò e
guardò di nuovo lo
schermo del cellulare, dove il Dottore attendeva impaziente.
In quel momento Rose si fece avanti
assieme a John, prese il
cellulare dalle mani del Dottore e parlò con la ragazza
all’altro capo.
“So come svegliarlo, Etta.
Passamelo, per favore.” Etta
annuì e rivolse l’apparecchio verso Tony. Rose
fece un respiro profondo e parlò
“Alza quel culo e datti una mossa, scansafatiche! Hai un
lavoro da fare! Mamma
e papà se ti vedessero in questo momento si vergognerebbero
molto di te!”
esclamò, severa.
Tony si tirò su di scatto,
guardandosi intorno quasi
spaventato. Henrietta sorrise e tornò a parlare al telefono.
“Ti ringrazio, Rose. Mi
passi di nuovo il nonno, ora, per
piacere?”
La bionda sorrise e passò
nuovamente il cellulare al Dottore.
“Bene, ora che siete tutti
e due svegli possiamo parlare…”
esordì l’alieno.
Intanto Jack era andato nel piccolo
laboratorio del dottor
Bishop. Era nervoso e non riusciva a calmarsi.
“Qualcosa non va,
Capitano?” domandò il vecchio, che stava
filtrando delle foglie di dubbia origine per farne chissà
cosa.
“Io l’avevo
avvertita! Quel ragazzo non mi piace! Se solo la
tocca, io…” si lamentò.
“Ah, parli di Henrietta e
di quel ragazzo?” chiese,
pensieroso “Mh… credo di aver fatto bene a
mettergli quei preservativi nella
borsa, non si sa mai… i ragazzi devono
proteggersi…”
Jack, che era riuscito a calmarsi,
divenne nuovamente livido
e, con gli occhi iniettati di sangue e il viso contratto dalla rabbia,
si girò
verso il vecchio scienziato.
“Che cosa ha fatto, dottor
Bishop?!” ringhiò.
“Ho fatto un favore a mia
nipote, proteggendola dai rischi a
cui può essere esposta con un rapporto
occasionale.” rispose, tranquillo,
Walter, raccogliendo il filtrato in una busta che etichettò
come “Medicina
personale Walter Bishop”.
“Ha messo dei preservativi
nella borsa di Henrietta e Tony?
Ma è fumato per caso?” continuò
l’uomo, cercando di respirare profondamente per
non avere la tentazione di far fuori sul momento il vecchio che aveva
davanti.
“Oh,
beh…” osservò Walter
“l’altro giorno ho trovato in uno
degli armadi una vecchia partita di acido e l’ho provata.
È ancora buona dopo
venti anni, sai? Perfetta, forse invecchiata così
è anche meglio…”
Jack sospirò e si
guardò intorno. Non era possibile che quel
vecchio pazzo si fosse fatto di acido, tra l’altro vecchio di
decenni. Doveva
concentrarsi, come diavolo faceva? Senza contare lo scherzo che gli
aveva
appena fatto, mettendo dei preservativi nella borsa della sua figlia
adottiva,
che tra l’altro era anche la nipote di Walter, quindi avrebbe
dovuto portarle
più rispetto, non istigarla alla trasgressione.
“Che succede, Jack?
Qualcosa non va?” domandò Peter,
avvicinandosi insieme a Charlie. Avevano visto cosa stava succedendo
nel
laboratorio e avevano deciso di intervenire prima che fosse troppo
tardi.
“C’è
che tuo padre, fatto di acidi, ha pensato bene di
mettere dei preservativi nella borsa di Etta e Tony! Ma un
po’ di pudore non ce
l’ha?” esclamò il Capitano.
Peter sospirò e si rivolse
a Walter, serio.
“Davvero l’hai
fatto, Walter?” chiese. Non attese la
risposta del padre e tornò a parlare con Jack
“Senti, andiamo a discutere la
cosa da un’altra parte? Non penso che mio padre, in questo
momento, sia in
grado di ragionare lucidamente.”
Jack sospirò e
guardò Walter, quindi annuì e, insieme, si
allontanarono.
“Io non capisco che gli
è passato per la testa… dei
preservativi… ma dico io…”
borbottò il Capitano.
“Walter ha i suoi modi di
pensare, è fatto un po’ a modo
suo.” lo giustificò Peter “In ogni caso
non mi sembra il caso di prendersela
così. Mia figlia è una donna adulta e
ragionevole, non farà nulla di
avventato…”
“Mia
figlia…” si lamentò “Parli
sempre di Etta come se
l’avessi cresciuta tu!”
“Non
l’avrò cresciuta io, ma è comunque
parte di me.” si
giustificò Peter.
“Solo biologicamente. Tu
non l’hai cresciuta, sono stato io
a farlo, quindi non rompere le scatole e lasciami preoccupare per la
salute di
Mia figlia!” esclamò, irato.
Peter lo fissò negli
occhi. In fondo al cuore sapeva che
aveva ragione: Henrietta era più figlia di Jack che sua. Era
stato lui a
crescerla, ad occuparsi di lei, a proteggerla. Era suo padre a tutti
gli
effetti. Sospirò senza abbassare lo sguardo.
“Hai ragione. Solo non
prendertela con Walter, sai come è
fatto…” disse.
Jack non disse nulla e si
passò una mano tra i capelli,
nervoso.
“D’accordo…
spero solo che i ragazzi non si caccino nei
guai… sono nella Tana del Lupo e devono stare molto attenti
a quello che fanno.
È pericoloso…”
Peter annuì e gli diede
una pacca sulla spalla, poi tornò a
lavorare insieme agli altri.
Nel frattempo, i due giovani avevano
finito di ascoltare il
piano del Dottore e si erano preparati per uscire. Tony aveva dovuto
ritoccare
il tatuaggio, per passare inosservato ma, seguendo le usanze dei
Lealisti,
aveva deciso di andare in giro in borghese, per sembrare fuori servizio
ed
andare liberamente in giro per la città.
Camminavano verso la Freedom Tower,
fianco a fianco,
evitando abilmente il contatto con i Lealisti e una possibile lettura
della
mente da parte degli Osservatori. Arrivati nella piazza delle due
fontane, di
fronte alla torre, si fermarono al National September 11 Memorial e si
sedettero sul bordo di una delle fontane per avere una visuale buona
del luogo,
stracolmo di Osservatori che entravano e uscivano dal loro quartiere
generale.
Tony si guardò intorno.
Era nervoso, erano nella Tana del
Lupo, da soli, e se venivano scoperti non avrebbero avuto via di
scampo. Etta se
ne accorse e, con un gesto naturale, gli aggiustò una ciocca
di capelli che gli
cadeva sulla fronte, quindi avvicinò le labbra al suo
orecchio e gli parlò.
“Stai calmo, Tony. Svuota
la mente. Se lo fai non ti
leggeranno.” sussurrò.
Tony fece un respiro profondo e la
guardò. Aveva ragione,
non dovevano farsi scoprire. Fece un altro respiro e chiuse gli occhi,
svuotando completamente la mente, quindi li riaprì e
tornò a guardarsi intorno.
Non lontano dalla loro posizione, sulla strada di fronte
all’entrata principale
della Freedom Tower, si era fermato un venditore ambulante di hot dog.
Visto
che dovevano passare un po’ di tempo nella zona, prendendo
parecchio freddo,
tanto valeva scaldarsi mangiando qualcosa di caldo, quindi si
alzò in piedi e
prese la mano della compagna, sorridendo, e insieme si avvicinarono al
carrettino del venditore.
Senza mollare Etta ordinò
due hot dog, guardandosi intorno
per cogliere ogni particolare utile e, infine, senza parlare,
portò la ragazza
verso la traversa che dava su uno degli altri lati della torre, quello
meno
frequentato e più buio. Si fermò, poggiandosi al
muro dell’edificio di fronte e
trattenne la ragazza per i fianchi.
“Vedi anche tu quello che
vedo io?” sussurrò, indicando con
uno sguardo veloce poco lontano da loro, una piccola porta di servizio.
“Una porta di
servizio!” esclamò la bionda “Come
l’hai
trovata?”
“Ho visto un po’
di gente che veniva da questa parte e ho
voluto dare un’occhiata…” rispose
l’altro, senza mollarla e continuando a
guardarsi intorno, circospetto.
“Bene, una via
d’entrata! ora dobbiamo solo capire come
accedervi.” concluse Henrietta, poi si voltò a
guardarlo, notando l’espressione
accigliata “Tony, concentrati!” lo
ammonì “Così ci farai
scoprire!”
“Scusa…”
sospirò Tony “non riesco… è
più forte di me, non
sono mai stato così vicino alla loro base… sono
nervoso…”
Henrietta stava per rispondere,
quando sentirono qualcuno
avvicinarsi dalla strada principale. Si voltarono verso il bivio e
videro
attraversare l’incrocio tre Lealisti e un Osservatore, che
svoltarono subito l’angolo
nella loro direzione. Doveva pensare in fretta a qualcosa
perché non li
scoprissero, quindi prima di tutto doveva far calmare Tony.
Il suo cervello cominciò a
girare, analizzando tutte le
possibili soluzioni in poche frazioni di secondo. aveva bisogno di
svuotare la
mente e farla svuotare al compagno. Sapeva che il modo migliore per
farlo era
uno shock emotivo, uno shock che coinvolgesse entrambi.
Senza neanche pensarci
afferrò la nuca del ragazzo e lo
coinvolse in un bacio appassionato. Il giovane subito
ricambiò e la sua mente
si svuotò completamente, concentrata in quello che stavano
facendo.
Anche la mente di Tony si
svuotò. Tutti i suoi sensi erano
occupati, cercando di registrare tutte le sensazioni di quel momento:
il
profumo della pelle di Etta, il sapore di fragola che sentiva sulle sue
labbra,
il calore del suo corpo. Più cose sentiva, più
aveva voglia di approfondire il
bacio. La sua mente era vuota, il suo corpo completamente immerso in
quelle
sensazioni. Non riusciva a staccarsi da lei, le sue braccia la
strinsero, una
mano le carezzò i capelli, mentre continuava a baciarla,
assumendo il controllo
completo della situazione.
Henrietta, dopo un primo momento in
cui aveva il controllo
di tutto, si lasciò guidare dal ragazzo. Si
concentrò nel suo odore, un profumo
misto di polvere da sparo e erba appena tagliata, e assaporò
il suo aroma di
tabacco misto a caramelle alla menta, trovandosi a pensare che non era
affatto
male, nonostante non amasse particolarmente l’odore del fumo
di sigaretta.
Si accorsero a malapena
dell’Osservatore e dei tre Lealisti
che passarono a poca distanza da loro, e sentirono appena la porta di
servizio
che si apriva per lasciare entrare i quattro.
Si separarono dopo qualche minuto,
respirando profondamente
entrambi, cercando di ritrovare il controllo dei propri pensieri e del
proprio
corpo. Tony alzò gli occhi, cercando di riordinare le idee.
“Hanno lasciato la porta
aperta.” la informò “Andiamo!”
Henrietta annuì e lo
seguì dentro l’edificio. Si trovarono
davanti una rampa di scale di servizio, la seguirono per qualche piano,
finchè
non sentirono dei rumori dietro di loro: qualcuno aveva caricato
un’arma. Si bloccarono
e si voltarono; i tre Lealisti e l’Osservatore li stavano
guardando dal basso. I
tre soldati avevano le armi puntate, pronti a sparare.
“Dove credete di
andare?” domandò l’Osservatore.
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Capitolo 39 *** 39 ***
Era passato qualche giorno
dall’ultimo contatto con i due
ragazzi. Il Dottore aveva ordinato il silenzio radio con loro, per
evitare che
fossero scoperti, e aveva dato a Tony e Henrietta due settimane di
tempo per
raccogliere più informazioni possibili.
Ad Harvard erano tutti occupati nelle
loro mansioni, in
attesa della prossima mossa. Peter e Jack, per motivi diversi, erano i
più
agitati, ma cercavano di rendersi utili come potevano, secondo le loro
capacità; Lincoln lavorava senza sosta, cercando di occupare
la mente e non
pensare al pericolo che stavano correndo sua moglie e suo figlio a
causa della
VPE.
Stava caricando la caldaia per
scaldare gli interni
dell’ateneo e riparare tutti dalle rigide temperature di
dicembre, cercando di
far svagare la mente, senza successo, quando Olivia entrò
nel locale con una
tazza di tè fumante tra le mani. L’uomo si
fermò e la guardò: quella non era la
Sua Olivia, era l’altra, la compagna di Peter. Nonostante
fossero ormai
praticamente identiche, Lincoln avrebbe riconosciuto sua moglie tra
milioni di
sosia: conosceva ogni tratto di lei, ogni espressione, ogni
tonalità della
voce, persino la camminata era completamente diversa dalla sua alter.
Si asciugò il sudore e si
pulì le mani, prima di avvicinarsi
alla donna e prendere la tazza di tè che gli porgeva.
“Va tutto bene di
sopra?” domandò, sorseggiando la bevanda.
“Sì. Olivia sta
bene. Cerchiamo tutti di farla stare a
riposo, viste le sue condizioni, ma è difficile.”
Lincoln sospirò. Era grato
per il fatto che si preoccupassero
tutti per la sua salute, ma se il dottor Bishop non si sbrigava a
trovare una
cura per la VPE o, comunque, un modo per far sopravvivere lei e il
bambino al
parto sarebbe stato tutto inutile. Si sedette sulla panca con aria
abbattuta.
“Devo aver fatto qualcosa
di sbagliato per meritarmi questa
punizione…” disse.
La donna si sedette accanto a lui,
guardandolo. L’uomo era
davvero abbattuto, doveva cercare di tirarlo su.
“Tu non hai fatto nulla,
sono cose che possono succedere.
Walter si sta occupando della cura, tu occupati di tua moglie. Avete
bisogno
l’uno dell’altra ora; come pensi che si senta lei,
in questo momento? L’ho
vista poco fa, era insieme a Rose. Le stava facendo tenere il bambino,
ma
Olivia non sembrava felice. Qualcosa la turbava.”
“Cosa posso fare, Olivia?
Sono impotente su queste cose.
Posso solo sperare che Walter trovi la cura prima che sia troppo
tardi.”
“Stalle vicino, te
l’ho detto. È quasi Natale. Non avete mai
fatto nulla per Natale, nei cinque anni che hai passato con
lei?” chiese la
bionda.
“Sono ebreo, Olivia.
Ricordi?” rispose l’uomo “Non festeggio
il Natale.”
“Festeggi Hanukkah
però.” obiettò la donna.
“Sì…
anche se nel nostro universo è una festa molto
più
intima che nel vostro. È una cosa che si festeggia in
famiglia.” spiegò,
sorridendo leggermente “La prima volta che abbiamo
festeggiato Hanukkah abbiamo
cucinato insieme le frittelle dolci. Olivia non conosceva bene le mie
usanze,
ma ha imparato subito, e io ho imparato le sue.”
Olivia sorrise e si alzò.
“Allora che problema
c’è? Vai su e stai con lei. Mio padre è
fissato con il festeggiare il Natale, lo adora. Magari potresti dargli
qualche
consiglio per festeggiare anche Hanukkah insieme, e staresti comunque
con
Olivia.”
Lincoln pensò a lungo.
Forse aveva ragione, doveva stare con
sua moglie, passare con lei più tempo possibile, magari
riprendere delle
vecchie routine, nonostante il periodo buio. Finì di bere il
suo tè e annuì,
quindi si alzò e tornò nel laboratorio, insieme
alla bionda.
L’altra Olivia era seduta
su un divano accanto al TARDIS,
insieme a Rose, e coccolava il piccolo Pete. Il bambino la fissava con
gli
occhi spalancati e i pugnetti chiusi, mentre lei gli parlava tranquilla.
Lincoln si avvicinò e le
fece una carezza. La donna alzò gli
occhi e gli sorrise, quindi restituì il bambino alla madre e
si alzò,
lasciandosi stringere dal compagno.
In quel momento, Walter corse per il
locale, prendendo Peter
per un braccio.
“Ho trovato!”
esclamò, eccitato.
“Calma, Walter!”
esclamò, cercando di calmarlo “Che cosa hai
trovato? Spiegati.”
“Ho trovato la cura! Per la
VPE!” spiegò Walter. Peter fece
un cenno a Lincoln e Olivia, i quali si avvicinarono immediatamente.
“Bene. Di che si
tratta?” lo incoraggiò Peter.
“Si tratta di fare delle
iniezioni giornaliere. Non
comportano alcun rischio, ma accelereranno la gravidanza quel tanto che
basta
per non far sviluppare la malattia.” continuò il
vecchio.
“Va bene.”
annuì la donna “Di che sostanza si
tratta?”
“Un derivato del
Cortexiphan, mia cara.” rispose,
candidamente, il dottor Bishop.
“Aspetta un momento,
Walter! Hai detto Cortexiphan?!” lo
interruppe Peter.
“Sì…
è il miglior composto, il più sicuro da
modificare per
questo scopo…” rispose il vecchio, guardando il
figlio negli occhi.
“Ma il Cortexiphan non
è quel composto sperimentale usato su
Olivia quando era bambina?” domandò Lincoln.
“Sì, proprio
quello, Maggiore Lee.” confermò Walter.
“E proprio per questo non
ti permetto di usarlo ancora,
Walter! È pericoloso! Usarlo su una donna incinta
è una pazzia!” ringhiò Peter.
Il Dottore, che aveva assistito da
lontano alla scena, si
avvicinò intromettendosi nel discorso.
“Che sta succedendo? Hai
trovato una cura, Walter?” chiese.
“Vuole usare il Cortexiphan
su mia moglie come ha fatto su
tua figlia quando era bambina, Dottore!” spiegò
Lincoln, arrabbiato.
“E’ vero,
Walter?” domandò, con calma l’alieno.
Walter annuì e
cercò di spiegare. Peter lo interruppe
nuovamente.
“Dottore, non puoi
permettergli di usare di nuovo quella
roba! Non dopo quello che ha fatto a Olivia!”
“Calma, Peter. Sto
pensando.” lo fermò il Dottore. Nella sua
mente stava valutando pro e contro della scelta; era vero, sua figlia
aveva
sofferto a causa del Cortexiphan, ma forse poteva salvare la vita del
bambino
che l’altra Olivia portava in grembo. I suoi pensieri vennero
interrotti proprio
da quest’ultima.
“Mi dispiace interrompere
la vostra discussione, ma fino a
prova contraria la decisione finale spetta a me.” disse.
Fermò con un gesto
della mano una protesta del marito e si rivolse al vecchio scienziato
“Walter,
hai detto che mi accelererà la gravidanza quel tanto che
basta per evitare che
la malattia si sviluppi. Quanto ci vorrà, quindi?”
“N… non lo
so…” balbettò Walter “facendo
iniezioni tutti i
giorni, credo una settimana, ma per saperlo con certezza devo farti
regolarmente
delle ecografie…”
“Il TARDIS può
procurarci gli apparecchi necessari…”
informò
il Dottore.
“D’accordo.
Facciamolo.” confermò, decisa, la donna.
“Ma
Liv…” cercò ancora di protestare
Lincoln.
“Tyrone, se questo
è l’unico modo per salvare nostro figlio,
allora sono pronta a rischiare.” disse la donna, guardandolo
negli occhi. L’uomo
non potè fare altro che acconsentire e sperare che andasse
tutto bene: se
Olivia si metteva in testa una cosa era praticamente impossibile farle
cambiare
idea.
Nel frattempo, a Manhattan, i due
giovani erano stati
catturati e rinchiusi all’interno di una stanza del quartiere
generale degli
Osservatori.
Era un piccolo monolocale rifornito
di tutto, e i carcerieri
portavano loro da mangiare e da bere con regolarità. Unico
inconveniente: non
potevano uscire.
Erano prigionieri in quel luogo da
qualche giorno e ancora
non avevano ricevuto visite dai pelati per gli interrogatori di routine.
Sapevano che, prima o poi, quel
momento sarebbe arrivato e,
a modo loro, ciascuno dei due ragazzi cercava di rafforzare le
serrature che
tenevano chiuse le porte della propria mente, per resistere
più a lungo alle
intrusioni mentali degli oppressori.
Henrietta era seduta sul divanetto e
guardava il vuoto, riportando
alla mente ricordi neutri, riguardanti principalmente il suo padre
adottivo,
Jack: sapeva che se fosse stata interrogata, lui era l’unico
che non avrebbe
avuto troppe conseguenze se fosse venuto fuori il suo nome, dal momento
che non
poteva morire e, per questo, aveva una resistenza maggiore di tutti gli
altri e
più possibilità di cavarsela.
Tony era seduto sul davanzale della
finestra. Era nervoso:
aveva passato gli ultimi anni della sua vita sempre
all’aperto, e trovarsi in
un luogo chiuso per così tanto tempo, senza
possibilità di fuga, lo faceva
sentire come un lupo in gabbia. Cercava di svuotare la mente, senza
successo. All’ennesimo
tentativo sospirò e si voltò verso la compagna.
“Perché non ci
hanno ancora interrogato?” domandò.
“Non lo so, Tony, davvero.
Forse aspettano il momento
giusto.”
“Il momento giusto per
cosa?” chiese ancora, sempre più
nervoso.
“Forse aspettano che la
nostra mente sia pronta.” continuò la
ragazza “E’ per questo che dobbiamo mantenere la
calma. E ricordati che mio
nonno se non avrà nostre notizie verrà a
cercarci.”
“Ci ha dato due settimane.
Per allora potremmo essere morti!”
Etta sospirò e si
alzò, avvicinandosi al giovane. Gli poggiò
una mano sulla spalla e gli parlò, guardandolo negli occhi.
“Abbi fiducia in lui. Di
sicuro troverà il modo di tirarci
fuori di qui.” cercò di rassicurarlo.
Tony la fissò in silenzio.
Aveva ragione, il Dottore avrebbe
trovato il modo di tirarli fuori dai guai, loro dovevano solo
resistere. Sapeva
cosa doveva fare: doveva svuotare la mente, creare una barriera mentale
abbastanza robusta da resistere alle intrusioni telepatiche degli
Osservatori.
Cercò un pensiero
abbastanza forte da fare da lucchetto alla
cassaforte mentale in cui doveva chiudere tutto quanto, qualcosa che
non
mettesse in pericolo nessuno. Non era semplice, non voleva mettere in
pericolo
neanche Etta.
Mentre la sua mente formulava questi
pensieri, la sua mano
si mosse automaticamente verso il viso della giovane, e con un gesto
leggero le
aggiustò una ciocca di capelli che le ricadeva ribelle sulla
fronte.
Henrietta fece un passo avanti e lui
la strinse. L’unica
difesa, per loro, era restare uniti.
Il rumore della serratura che
scattava li riportò alla
realtà. Senza staccarsi, si voltarono verso la porta
d’ingresso; non era l’ora
dei pasti, non poteva essere la guardia che portava loro da mangiare.
Poteva essere
solo un’altra cosa.
Tony aumentò la stretta
attorno alle spalle della compagna,
quando sei Lealisti entrarono, di scorta a Windmark ed a un altro uomo.
Quest’ultimo era vestito
come un Osservatore, ma non era uno
di loro.
Dimostrava una trentina
d’anni, era particolarmente alto e
le spalle larghe e muscolose lo facevano risaltare tra tutti. I capelli
biondi
erano corti e ordinati, e le sopracciglia folte mettevano in risalto i
due
profondi occhi verdi che spiccavano sul volto ben rasato.
Tony, senza pensarci due volte, si
mise tra il gruppo appena
arrivato e la compagna: quelli erano lì per interrogarli, e
a giudicare dal
modo reverenziale in cui si muovevano Windmark e i Lealisti, quello
doveva
essere il loro capo.
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Capitolo 40 *** 40 ***
Il nuovo uomo guardò i due
prigionieri in silenzio per
qualche minuto; li stava studiando, sapeva che facevano parte del
gruppo di
ribelli che si era impossessato dell’università di
Harvard, che era il gruppo
più agguerrito di quello sciame di fastidiose formiche
rosse. Era per questo
che era uscito allo scoperto: voleva interrogarli di persona; in altri
frangenti avrebbe lasciato questo lavoro a Windmark, ma quel gruppo lo
aveva
incuriosito, doveva scoprire più su di loro, e doveva farlo
di persona.
Bastò un cenno della mano
per far muovere le guardie
lealiste, le quali divisero i due giovani, tenendoli ben fermi. I
ragazzi
opposero non poca resistenza, e continuarono a dimenarsi anche dopo che
furono
allontanati l’uno dall’altra.
L’uomo li studiò
ancora per qualche secondo, doveva decidere
da chi iniziare. Fece un passo avanti, fermandosi faccia a faccia con
Tony. Il ragazzo
cercava ancora di liberarsi dalla presa dei due uomini che lo tenevano
fermo, e
il suo sguardo era fisso su quello della compagna, concentrato e
preoccupato
allo stesso tempo.
Il Capo degli Osservatori non si
scompose. Con estrema calma
si tolse i guanti in pelle nera, afferrò il fazzoletto
candido che gli porgeva
Windmark, si pulì accuratamente con esso la mano sinistra, e
infine la poggiò
sulla guancia del ragazzo. Tony cercò di allontanare la
testa, ma una delle due
guardie intervenne prontamente, tenendogliela ben ferma.
Tony capì subito cosa
stava per fare. Non era la procedura
standard di lettura della mente attuata dagli Osservatori, ma aveva
già visto
un’altra persona agire in quel modo per leggere i pensieri.
Senza pensarci due
volte chiuse ogni accesso alla sua mente, opponendo resistenza
all’intrusione
mentale dell’uomo.
Henrietta li fissò,
inerme. Cercava ancora di liberarsi
dalla presa dei due Lealisti, ma aveva capito che erano troppo forti
per lei. L’unica
cosa che poteva fare era guardare la scena che aveva davanti,
aspettando in
silenzio il suo turno per la tortura che quell’uomo stava
attuando sul suo
compagno.
Tony opponeva ancora resistenza, ma
faticava. Dopo qualche
minuto cominciò a tremare per la fatica, e poi gli
uscì del sangue dal naso. Il
Capo degli Osservatori, però, non mollava,
continuò a scandagliare la sua mente
finchè il ragazzo non perse i sensi.
L’uomo allontanò
la mano e fece un cenno ai due lealisti che
tenevano il prigioniero. Senza dire una parola, mollarono la presa,
lasciando
cadere a terra il ragazzo svenuto e sporco di sangue.
Etta riprese a dimenarsi nel momento
in cui vide il viso di
Tony sporcarsi di sangue, ed ignorò il nuovo arrivato,
quando si avvicinò a
lei, dicendo qualcosa con una voce fredda e profonda, che la giovane
non riuscì
a capire. Si fermò solo quando sentì la mano
sinistra dell’uomo le sfiorò la
guancia; il suo sguardo smise di vagare attorno al punto in cui era
accasciato
Tony e si spostò sul suo carceriere.
I suoi occhi erano verdi, ma la
profondità di quello sguardo
l’aveva vista soltanto in un’altra persona; anche i
lineamenti del viso, a
guardarli bene, ricordavano quella persona. Ma era impossibile che
fosse
collegato a lui, non poteva essere…
Lo sentì entrare nella sua
testa. Oppose resistenza,
chiudendo a doppia mandata tutti i suoi ricordi e i suoi pensieri;
l’uomo non
si lasciò intimorire, cercò di forzare i blocchi.
Era difficile mantenere la
concentrazione, Etta era affaticata, ma a giudicare
dall’espressione del Capo
degli Osservatori, gli stava dando filo da torcere. Continuò
a tenere duro.
L’uomo continuava a
combattere con i blocchi mentali della
giovane, lei cercò di spingerlo fuori. Era un braccio di
ferro tra loro due;
Henrietta non sapeva come riusciva a farlo, ma non le importava,
purchè
riuscisse a tenere fuori quell’individuo dai suoi pensieri.
Improvvisamente qualcosa accadde.
Un’immagine vaga invase la
sua mente, delle voci ovattate
accompagnarono quell’immagine, assieme a strane sensazioni
non facilmente
descrivibili.
Due volti sfocati, uno incorniciato
da una chioma color
fuoco, più vicina, e un altro accanto a
quest’ultimo. Erano enormi, ma davano
un senso di sicurezza.
“Hai sentito?”
domandò una voce maschile. Apparteneva al
volto vicino a quello incorniciato di rosso, ma era ovattata, quasi
lontana “Hai
avuto un maschio.”
Un enorme dito toccò il
dorso della mano dell’uomo a cui
apparteneva quel lontanissimo ricordo. Era enorme, ma il suo tocco era
piacevole.
“E’
bellissimo…” rispose una voce femminile. Era la
voce
della donna dai capelli rossi. Era lontana, ma era la più
bella che avesse mai
sentito.
Il ricordo si interruppe bruscamente,
ed Henrietta venne
buttata fuori violentemente. L’uomo allontanò la
mano dalla sua guancia. La
giovane lo fissò negli occhi. Era confuso e sorpreso. Un
rivolo di sangue gli
colava dalla narice verso il labbro.
Fece un cenno alle due guardie che la
tenevano ferma ed uscì
velocemente dalla stanza. Etta venne lasciata libera e Windmark e gli
altri
seguirono il loro capo.
Quando furono di nuovo soli, la
ragazza corse verso il
compagno, ancora svenuto, per controllare come stesse.
Tony aprì gli occhi e la
fissò confuso, tirandosi su a
fatica.
“Stai bene?” le
domandò, preoccupato, sfiorandole il volto,
vicino alla linea segnata dal sangue che le era colato dal naso.
“Sì, sto bene.
Non ha cavato un ragno dal buco dalla mia
mente. Tu, piuttosto, come ti senti? Mi hai fatto prendere un bello
spavento
quando hai perso i sensi.”
“Io sto bene.”
rispose il giovane, allontanando
delicatamente le mani di Henrietta, che senza dire altro gli stava
controllando
le pupille “Credo di essere svenuto prima che potesse entrare
nei miei ricordi.
Sei sicura che non i abbia fatto niente? Sembri sconvolta.”
La bionda non rispose e
continuò il suo controllo. Tony la fermò
nuovamente, sembrava davvero agitata.
“Ehi! Ehi, calma! Sto bene,
sul serio! Che succede?” chiese,
tenendola ferma.
“Dobbiamo trovare il modo
di avvertire gli altri… non sanno
con chi hanno a che fare…”
Tony annuì
e si guardò intorno,
cercando di farsi venire un’idea. Improvvisamente il suo
occhio cadde sull’orologio
da polso che gli aveva dato il Dottore poco prima della loro partenza.
Gli aveva
detto solo che gli sarebbe stato utile, nel caso si fossero trovati
alle
strette, ma i due giovani si erano completamente scordati di avere
quell’oggetto
con sé.
Si slacciò
l’orologio dal polso e lo esaminò con attenzione.
Sembrava un normalissimo orologio analogico da polso, un cimelio del
Ventesimo
Secolo come ce ne erano tanti in giro. Il giovane sfiorò
leggermente la
rotellina della regolazione dell’ora e, improvvisamente, il
quadrante scattò,
aprendosi in due.
I giovani osservarono
l’interno dell’oggetto, sorpresi.
“Tecnologia dei Signori del
Tempo…” sussurrò Tony.
“Più grande
dentro che fuori…” completò Etta.
L’orologio conteneva un
piccolo telegrafo, più piccolo dei
telegrafi normali, ma apparentemente troppo grande per essere contenuto
in un
orologio di dimensioni così ridotte. C’era anche
un rotolino di carta. Etta lo
prese e lo spiegò, leggendo il messaggio.
“Lo hanno costruito John e
il Dottore. Funziona ad onde
corte. Possiamo mandare un messaggio alla base con il codice
Morse.” spiegò.
Tony annuì e si mise al
lavoro.
Nel frattempo, ad Harvard, Eddie era
di servizio alla radio.
Con lui c’era John, che gli
dava una mano a smistare i vari
messaggi.
Improvvisamente il vecchio telegrafo
che Peter e John
avevano rimesso in sesto, cominciò a mandare segnali.
I due uomini scattarono, Eddie prese
un foglio e una penna e
segnò il messaggio; John lo lesse e, quando
l’altro ebbe finito di scrivere,
gli strappò il foglio di mano e corse verso il TARDIS.
In una delle stanze, Olivia aveva
appena fatto una delle
iniezioni di Cortexiphan. Con lei c’era suo marito, che non
la mollava un
attimo, Walter, intento a controllare lo stato di salute del bambino
attraverso
le immagini dell’ecografia, e Peter e il Dottore, che non si
fidavano a
lasciare da solo Walter con Olivia.
John entrò
e si fermò in
mezzo alla stanza, accanto al suo doppio. Si piegò in
avanti, poggiando le mani
sulle cosce, cercando di riprendere a respirare normalmente, ma,
vedendo che
non ce l’avrebbe fatta a breve, passò il foglio al
Dottore, il quale lesse il
messaggio.
L’alieno
lesse, ma non
disse una parola. Peter lo fissò, analizzando ogni sua
reazione; sembrava
apparentemente calmo, ma quella che aveva ricevuto non era una bella
notizia,
per niente.
“Tutto ok,
Dottore? Notizie
da Etta?” domandò.
Il Dottore gli
passò il
foglio. Peter potè, quindi, leggere da solo le cattive
notizie appena arrivate:
SIAMO
PRIGIONIERI NEL QUARTIERE GENERALE.
INTERROGATI
DAGLI OSSERVATORI.
NESSUNA
INFORMAZIONE TRAPELATA.
VISTO
LORO CAPO.
NOMINATIVO
CAPO OSSERVATORI: HENRY BISHOP.
ASPETTIAMO
VOI.
ETTA
E TONY.
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Capitolo 41 *** 41 ***
Peter fissò quelle parole
a lungo.
Non poteva crederci: suo figlio era
il capo degli
Osservatori.
Cosa diavolo era successo?
Perché aveva fatto invadere il
loro mondo? E, soprattutto, come aveva fatto a tornare, se quando era
scomparso
era solo un neonato?
Queste e altre domande invasero la
mente di Peter nel poco
tempo che trascorse tra la lettura di quel telegramma di sua figlia e
il
momento in cui Lincoln gli prese il foglio dalle mani per leggere a sua
volta
quelle parole.
L’uomo sospirò e
lanciò uno sguardo indeciso verso la
moglie, che si era rivestita ed era seduta sulla brandina dove poco
prima aveva
fatto l’ecografia.
“Tyrone, che succede? Cosa
dicono Etta e Tony?” domandò,
guardandolo preoccupata.
L’uomo la fissò
indeciso. Non voleva farla agitare ma,
d’altronde, prima o poi avrebbe saputo tutto;
sospirò e lanciò uno sguardo a
Peter, il quale si fece avanti e fece sedere meglio la donna, prima di
parlarle, guardandola negli occhi.
“Olivia, il capo degli
Osservatori è nostro figlio.
Henrietta e Tony lo hanno appena incontrato.” le rispose,
calmo, mentre Lincoln
si sedeva accanto a lei, prevedendo una reazione emotiva della moglie.
La donna sospirò, fissando
prima Peter e poi Lincoln. Stava
per rispondere, quando sentirono una sonora esplosione proveniente
dall’esterno
del TARDIS.
Tutti quanti scattarono e corsero
verso l’ingresso; Peter,
Lincoln e Olivia afferrarono le loro armi, pronti a sparare.
Appena furono fuori, videro che anche
buona parte degli
uomini della Resistenza presenti nel laboratorio avevano estratto le
loro armi
e le puntavano contro una persona al centro della sala.
Si trattava di una donna, circa 35
anni, con dei boccoli
biondi che ricadevano sparsi sulla fronte, incorniciando due occhi
verdi
dall’espressione vispa e un sorriso furbo. Teneva le mani
alzate e, appena
arrivò il Dottore con gli altri, li guardò.
Il Dottore e John si fissarono per
qualche secondo:
l’avevano riconosciuta. L’alieno si fece avanti,
superando sua figlia, Jack e
Charlie, che non accennavano ad abbassare le armi, e guardò
la nuova arrivata
negli occhi.
“Come diavolo sei arrivata
qui?” le domandò, senza mostrare
alcuna emozione.
“Anche per me è
un piacere vederti, dolcezza.” rispose la
donna, continuando a sorridere “Ero sicura di trovarti
qui.”
“Rispondi alla
domanda!” esclamò l’altro, irritato.
“Sono venuta a dare una
mano alla Resistenza.” continuò lei,
abbassando le mani “Che anno siamo?”
“E’ appena
passato il Natale del 2036.” riferì John,
avvicinandosi e affiancando il suo doppio.
La donna sospirò e prese
dalla tasca del suo cappotto un
libricino di colore blu TARDIS, lo aprì e lo
sfogliò.
“Natale
2036…” mormorò “Santo cielo,
sono arrivata tardi!”
esclamò, guardandosi intorno “Ditemi che Etta e
Tony sono ancora qui, per
favore…”
“No, li ho mandati in
missione e abbiamo appena scoperto che
sono stati catturati dagli Osservatori.” rispose il Dottore,
sempre serio
“Allora che ci fai qui?”
“Sono
qui…” cercò di rispondere la donna
“Ero venuta qui per
avvertirti, ma sono arrivata tardi…”
Il Dottore sospirò e
guardò gli altri. Peter si avvicinò,
affiancando la compagna, e fissò la nuova arrivata con fare
indagatore.
“Tu devi essere Peter
Bishop, vero, pasticcino?” domandò, la
donna, continuando a sorridere.
“Mh… tu chi
saresti? Come conosci il Dottore? E come fai a
sapere chi siamo noi?” chiese Peter, di rimando, sempre
più sospettoso.
“Diciamo che vengo dal
vostro futuro. Il resto, per ora, è
spoiler.”
Nel frattempo, nella base operativa
degli Osservatori, i due
giovani erano in attesa nella loro prigione.
Tony era seduto sul davanzale, e
guardava distrattamente
fuori dalla finestra, in direzione della zona cementificata di Central
Park,
mentre Etta camminava per la stanza, con l’aria di una fiera
in gabbia.
“Henrietta, stai calma,
andrà tutto bene!” esclamò il
ragazzo, dopo qualche minuto. La ragazza si fermò di fronte
a lui, fissandolo;
era nervosa e preoccupata.
“Come faccio a stare calma?
Quello è mio fratello, e da
quello che ho visto è pericoloso!” si
sfogò “E se il messaggio non fosse
arrivato? Magari i nostri non sanno nulla… e lui ci
ucciderà…”
Tony si alzò,
avvicinandosi alla giovane; doveva cercare di
calmarla, se perdeva la lucidità che aveva mantenuto fino a
quel momento
avrebbe perso tutte le sue difese. Le prese il volto con entrambe le
mani,
inducendola a guardarlo negli occhi.
“Etta, tranquilla. Ho
fiducia nel Dottore, troverà il modo
di tirarci fuori di qui. Ma intanto che aspettiamo dobbiamo stare
calmi, ok?”
domandò. Etta era ancora agitata, ma annuì, senza
togliere gli occhi dai suoi. Il
ragazzo sospirò e la strinse. Dovevano sostenersi a vicenda,
se volevano
sopravvivere.
Senza mollarla, si sedette nuovamente
sul davanzale e tornò
a guardare Central Park in lontananza.
“Vedere Central Park
cementificato mette una tristezza
assurda…” commentò, cercando di
cambiare argomento per mantenere un minimo di
lucidità.
“Prima
dell’invasione, mamma e papà mi ci hanno portato
spesso. Mi piaceva correre sull’erba, era la cosa
più bella del mondo per me…”
disse la giovane, guardando anche lei fuori dalla finestra.
“Quando la guerra
finirà, voglio prendere una casa in
campagna. I miei figli devono avere la possibilità che non
ho potuto avere io
di crescere in mezzo al verde…”
continuò l’altro, soprappensiero. Henrietta si
girò nuovamente verso di lui, senza dire nulla; Tony
sospirò, guardandola
sconfortato “Sempre se questa guerra finirà
mai…” concluse.
“Io non ho mai pensato
davvero al futuro. Combatto praticamente
da sempre, il mio unico pensiero è sempre stato solo
sopravvivere.” si giustificò
lei. Tony annuì e la strinse ancora, riprendendo a parlare.
“Dobbiamo sopravvivere
tutti, e la speranza aiuta a farlo. La
mia speranza per il futuro è quello di riuscire a vivere in
pace, crearmi una
famiglia ed avere dei figli. Mi piacerebbe una femmina, sai?”
“Una femmina? Come
mai?”
“Non lo so… le
femmine sono generalmente più tranquille… non
tutte, ma in genere lo sono.” rispose, sovrappensiero
“Mi piacerebbe chiamarla
River… River Song.”
“E’ un bel nome.
Il canto del fiume. Indica grazia e forza,
allo stesso tempo.” sorrise Etta. Tony annuì e le
tirò indietro una ciocca di
capelli che le cadeva sulla fronte, quindi tornò a guardarla
negli occhi.
“Ora stiamo calmi e
aspettiamo, ok, biondina?” domandò;
Henrietta annuì e Tony la strinse ancora. Era più
tranquilla. Senza dire altro
le sfiorò le labbra con le proprie.
Etta chiuse gli occhi e lo
lasciò fare. Si sentiva al
sicuro, di nuovo, e aver vicino il suo amico la rilassava.
Tony approfondì. Fu un
gesto istintivo, e altrettanto
istintiva fu la risposta della ragazza. Sentirono l’energia
passare attraverso
di loro; era potente, quasi una droga. Il battito dei loro cuori si
sincronizzò, la respirazione rallentò e tutto
sparì attorno a loro.
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Capitolo 42 *** 42 ***
Olivia si fece avanti, affiancando il
compagno, abbassando
l’arma. Chi diavolo era quella donna? Perché aveva
chiamato Peter in quel modo?
“Scusa, tu chi saresti?
Come hai fatto ad arrivare qui?” la
aggredì, nervosa. Non le piaceva che una sconosciuta usasse
certi nomignoli sul
suo compagno.
“Lei si chiama River Song.
L’ho conosciuta un po’ di tempo
fa. È una viaggiatrice del tempo.” rispose il
Dottore, cercando di mantenere la
calma. L’ultima volta che l’aveva incontrata
avevano rischiato di finire divorati
dalle ombre, e la sua compagna di viaggio, Donna, era stata inglobata
in un
computer.
Olivia squadrò la donna,
ostile. River sorrise e si
avvicinò.
“Stai tranquilla, non ho
intenzione di rubarti il tuo uomo,
anche se… me lo ricordavo più grasso.”
la rassicurò, squadrando poi l’uomo da
capo a piedi. Peter sospirò e fissò Walter, che
stava in disparte, protetto dal
resto dei ribelli, i quali erano ancora tesi, con le armi puntate
contro la
donna.
“Va bene, abbiamo fatto le
presentazioni!” li interruppe il
Dottore “Ora, River, dicci che cosa sai della cattura di
Henrietta e Tony.”
River sospirò. Doveva
pesare bene le parole, prima di
parlare. Se avesse detto troppo avrebbe potuto cambiare
irrimediabilmente il
futuro di tutti quanti, compreso il suo.
“So che li hanno catturati
gli Osservatori e che li tengono
prigionieri in una stanza del cinquantacinquesimo piano del One World
Trade
Center. Se incontrano il Grande Capo degli Invasori saranno cavoli
amari,
perché li ucciderà.” rispose la donna.
“Troppo tardi anche per
questo, River. Hanno già incontrato
anche il Grande Capo. Sappiamo chi è.” la
informò il Dottore, serio.
“Dannazione,
io…” imprecò la donna, ma non fece in
tempo a
completare la frase che Peter fece un passo verso Jack, gli
afferrò il braccio
e, puntando il cacciavite sonico cedutogli dal Dottore, lo
impostò e, senza
preavviso, entrambi gli uomini scomparvero.
“Ecco, lo
sapevo…” si lamentò il Dottore
“Ora anche Peter e
Jack si metteranno nei guai!”
Intanto Etta e Tony erano ancora
fermi vicino alla finestra,
in silenzio, in attesa di qualunque cosa fosse successa.
Improvvisamente sentirono della
confusione nei corridoi.
Etta si allontanò di un passo da Tony e fissò la
porta, incerta su cosa fare.
Il ragazzo si tirò su, mettendosi sulla difensiva, pronto a
reagire a qualunque
cosa fosse successa.
Improvvisamente la porta si
spalancò. Tony si gettò addosso
alla prima persona che entrò nella stanza, cercando di
metterlo al tappeto, ma
venne bloccato e messo al tappeto dal secondo uomo che entrò.
“Papà!
Jack!” esclamò la ragazza, correndo loro incontro,
mentre Jack si tirava su, tenendo ben fermo Tony.
“Abbiamo ricevuto il vostro
messaggio e siamo venuti a
prendervi.” spiegò Bishop “Dobbiamo fare
in fretta ora. Jack, attiva il
teletrasporto!” ordinò.
“Il teletrasporto
è inutile al momento, Peter! Lo hai
scaricato con il tuo colpo di testa! Dovremo aspettare un bel
po’ prima di
poterlo riutilizzare.”
L’altro sospirò
e uscì di corsa dalla stanza, con la pistola
in una mano e il cacciavite sonico nell’altra. Dovevano
uscire dall’edificio
più in fretta che potevano e dileguarsi nelle vie di
Manhattan, in attesa che
il teletrasporto fosse di nuovo carico.
Gli altri tre lo seguirono senza
fiatare. Anche Jack prese
in mano la sua pistola, passando quella di riserva a Tony, in modo da
potersi
proteggere meglio.
Presero una rampa di scale e scesero
di qualche piano,
finchè non si trovarono la strada sbarrata da un gruppo di
guardie lealiste,
richiamate dall’allarme che era scattato poco prima.
Si infilarono nella prima porta,
correndo lungo i corridoi
del piano, in cerca di un’altra via di fuga.
Ben presto si resero conto di essere
circondati. Peter si
fermò, guardando uno per uno i lealisti che erano
sopraggiunti e che sbarravano
loro ogni via di fuga.
Nessuno di loro abbassò le
armi, né i lealisti né i
fuggiaschi; improvvisamente, in risposta a qualche segnale, il muro di
Lealisti
si aprì, facendo passare Windmark e Henry Bishop.
Peter abbassò
l’arma, fissando negli occhi l’uomo che sapeva
essere suo figlio. C’era odio in quello sguardo… e
follia.
Si rese conto che doveva fermarlo con
tutti i mezzi
necessari, mettere da parte i legami di sangue e fare qualunque cosa
per
fermare quell’uomo. Alzò di nuovo l’arma
e la puntò contro l’uomo, ma esitava.
Henry era suo figlio, e il suo cervello stava facendo a botte con il
suo cuore.
I due si guardarono a lungo,
studiandosi a vicenda, poi si
sentì un suono simile a quello di una sveglia elettronica,
Jack guardò il suo
dispositivo di trasporto, lanciò uno sguardo ai due giovani,
che subito si
aggrapparono alla sua spalla, quindi afferrò la spalla di
Peter e insieme si
smaterializzarono.
Si rimaterializzarono a Boston, a
pochi chilometri dall’università.
Peter si guardò intorno,
confuso: non si aspettava di venire
teletrasportato in quel momento, e ritrovarsi in un posto completamente
diverso
nel giro di pochi secondi lo aveva destabilizzato. Jack gli diede una
pacca
sulla spalla e fece strada verso la loro base.
Dopo un po’ rientrarono al
laboratorio. Erano ancora tutti
raccolti attorno a River, e quando i quattro entrarono, la donna si
alzò e
fissò i due ragazzi, con un sorriso indecifrabile in volto.
I due giovani la fissarono confusi,
indecisi su cosa fare,
cercando con lo sguardo un aiuto dal resto del gruppo. Nessuno degli
altri
sembrava sapere cosa stesse per succedere, e li fissarono in attesa.
River, improvvisamente,
abbracciò Henrietta, quindi si
avvicinò e le parlò, tenendole le mani.
“Sono così
felice di vedervi sani e salvi…”
confessò.
Etta la fissò per qualche
secondo, poi si voltò verso il
Dottore.
“Nonno, chi è
lei?” domandò.
“Una mia conoscente.
Viaggia nel tempo. Si chiama River
Song.” rispose l’alieno.
La giovane annuì,
voltandosi contemporaneamente verso Tony,
il quale era stato appena abbracciato da River.
La sua espressione era indecifrabile,
così come quella della
donna.
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Capitolo 43 *** 43 ***
Appena fu ristabilita la calma, il
Dottore fece una breve
riunione di famiglia, per conoscere i dettagli della prigionia dei due
giovani.
La riunione non durò a
lungo, quindi furono presto liberi di
tornare ai propri compiti.
Olivia era seduta sul divano, accanto
al TARDIS, e si
carezzava la pancia, ormai visibile dopo qualche giorno
dall’inizio della
somministrazione del Cortexiphan. Certo, il tutto stava accelerando la
gravidanza, e avrebbe permesso al bambino e a lei stessa di superare il
momento
del parto, ma la stava sfiancando, e inoltre non poteva rendersi utile
in
nessun modo.
Lincoln si sedette accanto a lei,
porgendole una tazza di
tè. La donna la prese e ne sorseggiò un
po’, prima di risistemarsi con aria stanca
e poggiare la testa sulla spalla del marito.
“Tesoro, stai
bene?” le domandò preoccupato, tirandole
indietro i capelli.
“Sì,
Tyrone… ho solo un po’ di mal di
testa…” rispose la
donna, chiudendo gli occhi.
“Mal di testa? Chiamo
Walter? Magari può darti qualcosa…”
continuò l’uomo, preoccupato per la salute della
moglie.
“No, davvero…
ora passa…” si lamentò lei, adagiandosi
meglio
sulla spalla del compagno. Lincoln la strinse, preoccupato, ma non
disse altro.
Olivia, intanto, aveva assistito da
lontano alla
conversazione tra i due coniugi, e vedendo che la sua doppia era
particolarmente pallida, decise di avvicinarsi per vedere come stava.
“Olivia, è tutto
a posto? Hai bisogno di qualcosa?” chiese,
premurosa.
“Dice che ha mal di
testa.” rispose Lincoln, continuando a
stringere la moglie.
Olivia si inchinò davanti
a loro, guardando l’altra Olivia
in volto. Effettivamente non se la stava passando benissimo.
“Deve essere un effetto
collaterale del Cortexiphan.” spiegò
“Ricordo che anche a me era venuta una forte emicrania, i
primi tempi. Cerca di
stare tranquilla, ok? Ormai manca poco.”
La donna annuì,
carezzandosi la pancia con aria stanca.
L’altra sorrise e si rivolse a Lincoln, alzandosi nuovamente
in piedi.
“Stai con tua moglie, Linc,
non preoccuparti di altro per il
momento. siamo in tanti, ci divideremo il lavoro, non cadrà
il mondo se tu per
qualche giorno non fai la tua parte. Hai cose più importanti
di cui occuparti.”
Lincoln annuì e la
guardò allontanarsi, continuando a tenere
stretta la moglie.
“Tyrone, piantala di
radiografarmi da magra!” esclamò,
scherzosa, la donna.
Lincoln sorrise divertito, posandole
un bacio sulla fronte.
Intanto Tony stava aiutando alcuni
commilitoni a fare ordine
nel magazzino della Resistenza.
Mentre trasportava delle scatole
all’interno del locale
scelto per lo scopo, vide uscire nei corridoi nei pressi del
laboratorio River
Song.
Quella donna era un vero mistero per
tutti quanti, compreso
il Dottore, che sapeva solo che era una viaggiatrice del tempo e
proveniva da
qualche punto del futuro. Quale punto non era dato saperlo, e sul
futuro delle
persone che lei conosceva era particolarmente criptica; ma Tony aveva
un
sospetto, e aveva bisogno di conferme. Decise che doveva parlare a
quattrocchi
con lei e doveva avere delle risposte chiare.
Dopo aver depositato gli scatoloni al
loro posto, uscì dal
magazzino e raggiunse la donna, che era seduta su una delle panche del
corridoio.
La fissò per qualche
secondo, quindi si sedette accanto a
lei, respirando profondamente.
“River… vorrei
chiederti una cosa.” esordì.
“Se stai per chiedermi
quale sarà il tuo futuro, ti dirò ciò
che ho detto agli altri: spoiler.” Lo interruppe la donna,
sorridendo e
guardandolo negli occhi.
“No, non è
questo. O almeno non direttamente.” spiegò
l’altro, cercando di trovare le parole giuste per chiederle
ciò che aveva in
mente. River annuì, incoraggiandolo a parlare, quindi Tony
continuò “Metterò su
famiglia, prima o poi?”
“Spoiler!”
esclamò l’altra, prima ancora che Tony terminasse
la domanda. Il giovane sospirò, cercando di riformulare la
domanda.
“Io ho solo 26 anni,
però ho sempre pensato che prima o poi
mi sarei sposato e avrei messo su famiglia, come hanno fatto i miei
genitori e
mia sorella… quello che mi chiedo è:
accadrà?”
“Spoiler!”
ripetè River, sorridendo.
“Ok…
riformulo…” sospirò, esasperato
“A me piacerebbe avere
una figlia femmina… ho già scelto il nome,
sai?”
La donna si voltò verso di
lui, sorpresa.
“Davvero? Questo non lo
sapevo…” commentò “non me
l’hai…”
continuò, ma si bloccò di nuovo: non voleva dire
troppo.
“Tuo padre non ti ha mai
detto di aver scelto quel nome molto
tempo prima che tu nascessi, vero, River?”
domandò, cogliendo l’occasione,
grazie alla sorpresa della bionda. Attese qualche secondo, per far
riprendere
lucidità alla donna, quindi continuò
“Non ti chiedo altro, solo… sarò un
buon
padre?”
River annuì, guardando
lontano, di fronte a sé.
“Un buon padre e un buon
compagno per mia madre. Da quando
mi ricordo io, siete sempre stati molto uniti.”
Tony sorrise e si alzò
nuovamente. Aveva avuto le sue
risposte.
Salutò la donna e
andò alla camera che condivideva con
Henrietta. La ragazza stava sistemando uno dei due letti che erano
stati
portati lì dalla zona alloggi del campus, apposta per loro.
Quando lo vide
entrare gli sorrise, avvicinandosi.
“Tutto bene,
Tony?” domandò. Tony annuì, sospirando.
Si
avvicinò a lei e la guardò negli occhi.
“River è mia
figlia… me l’ha confermato lei.”
confessò.
“Oh…”
commentò Etta, passandogli amichevolmente una mano sul
braccio “Come ti senti?”
“E’…
strano, o meglio, paradossale: avrà dieci anni
più di
me…”
“Proviene dal futuro,
è normale. Non la trovo una cosa poi
così strana. Ti ha detto nulla della madre?”
“Non gliel’ho
chiesto. Non voglio rovinarmi la sorpresa.
Quando sarà il momento lo saprò.” disse
il giovane, passandole una mano nei
capelli.
La ragazza restò in
silenzio e sorrise. Tony si avvicinò di
mezzo passo, continuando a passarle la mano sui capelli. In quei giorni
di
prigionia si erano sostenuti a vicenda, e la loro amicizia era
diventata più
forte. Avevano creato dei piccoli rituali, per farsi forza, ed erano
riusciti a
restare uniti, grazie a questo.
Il giovane le posò un
bacio sulla fronte, affettuosamente, e
la strinse. Stava bene con lei, forse perché erano coetanei,
ed entrambi erano
figli di due mondi.
Etta lo lasciò fare, gli
passò le braccia attorno alle
spalle e lo fissò negli occhi. Tony vi si perse per un tempo
che sembrò eterno.
Anche la ragazza si perse nello sguardo dell’amico.
Nessuno dei due parlò. Il
tempo sembrò fermarsi.
Quando ritrovarono la ragione si
stavano baciando, ma
nessuno dei due osò interrompere quel momento.
Avevano bisogno l’uno
dell’altra.
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Capitolo 44 *** 44 ***
La mattina seguente, la vita ad
Harvard tornò alla
normalità.
La Rossa era vicina al parto, grazie
al Cortexiphan, e
Lincoln le stava vicino il più possibile.
Il Dottore, per tenerla al sicuro,
l’aveva fatta trasferire
all’interno del TARDIS, dove avrebbe trovato tutto
ciò di cui avrebbe avuto
bisogno. L’altra Olivia le faceva compagnia, ogni tanto,
cercando di distrarla
dagli effetti collaterali della sostanza che le era stata iniettata,
soprattutto nei momenti in cui Lincoln si assentava.
Intanto, all’esterno,
Charlie stava controllando una mappa
olografica della Freedom Tower. Accanto a lui, River apportava delle
modifiche
alla stessa, colmando i vuoti lasciati dalle descrizioni fatte da Tony,
Henrietta, Peter e Jack, gli unici che, al momento, erano riusciti a
entrare.
“Come sarebbe che non ci
sono vie d’accesso all’ultimo piano
che non siano sorvegliate da meno di due Lealisti?”
domandò l’uomo fissando
l’ologramma “E’ impossibile, non possono
avere così tante guardie! Ci saranno
almeno una decina di punti di accesso, tra ascensori e scale
antincendio!”
“Dolcezza, credimi,
è così.” rispose la riccia, sorridendo
“Credi davvero che la fuga di Tony e Etta non abbia allarmato
gli Osservatori?
Senza contare che il loro capo li ha incontrati.”
Charlie sospirò e dovette
ammettere che la donna aveva
ragione. Inoltre ci sarebbero sicuramente state delle trappole, per
impedire
loro di entrare, e doveva tenerne conto.
Peter si avvicinò, tenendo
una tazza di tè fra le mani, per
osservare i progressi. Prese una matita e indicò
l’ultimo piano dell’ologramma.
“Su questo piano cosa
c’è?” domandò.
“Quello… in
teoria dovrebbe essere l’ufficio di Henry. In
pratica non so esattamente come è fatto, non sono mai
riuscita ad arrivare fin
lassù.” commentò River.
Peter annuì, fissando
l’ologramma, concentrato, mentre la
donna giocherellava con una piccola moneta d’argento,
facendola girare sulle
mani e sparire a piacimento, con piccoli giochi di prestigio.
L’uomo venne
attirato da quelle manipolazioni e le osservò per qualche
minuto, prima di
afferrare la moneta e analizzarla attentamente.
“Mezzo dollaro
d’argento. Sembra pure vecchia…” disse,
rigirandosela e facendo gli stessi giochi che faceva la riccia poco
prima “dove
l’hai trovata?”
“E’ un cimelio di
famiglia. Apparteneva a mio nonno. Mi ha
anche insegnato qualche gioco di prestigio quando ero
bambina.”
Peter bloccò la mano,
alzando gli occhi sul viso di River,
sorpreso e confuso allo stesso tempo.
“Come si chiamava tuo
nonno?” chiese.
“Entrambi i miei nonni
avevano lo stesso nome, ma è spoiler,
mi dispiace.” rispose, cripticamente, River.
L’uomo sospirò.
Già i giorni precedenti aveva ripetuto più
di una volta a tutti coloro che le facevano una qualsiasi domanda per
il futuro
quella parola: spoiler. Era frustrante non avere risposte complete; si
guardò
intorno, osservando gli altri ribelli, indaffarati nei loro compiti. Lo
sguardo
si fermò sulla figlia, impegnata
nell’immagazzinamento di alcune provviste, che
in quel momento si stava concedendo una breve pausa in compagnia del
fratello
di Rose. I due ragazzi sembravano essersi legati molto nel periodo di
prigionia; osservò quel gioco di sguardi e i movimenti dei
due. A Peter sembrò
di vedere sé stesso e Olivia anni prima, prima che lui
conoscesse la verità
sulla sua provenienza, prima di Jacksonville. Sorrise tra sé
quando Jack si
avvicinò e li divise, con la scusa di far portare a Tony uno
scatolone nel
magazzino, e si ritrovò a pensare a come erano cresciuti i
due ragazzi.
Due figli dei due mondi, con un
genitore di un lato e uno dell’altro,
cresciuti in un mondo in guerra, dove hanno dovuto imparare a
sopravvivere. Si
chiese che tipi fossero i genitori di Tony, ma dalle descrizioni di
John e Rose
aveva capito che la madre doveva essere stata una donna forte,
così come il
padre doveva essere un uomo forte, Peter Tyler, uno dei capi della
Resistenza
inglese.
La mente di Peter prese a lavorare
vorticosamente, appena
focalizzò il nome del padre di Tony. Spalancò gli
occhi e tornò a fissare la
riccia di fronte a lui. le sue parole rimbombarono nella sua testa: i miei due nonni avevano lo stesso nome.
Senza dire una parola allungò la mano e la poggiò
sulla guancia di River, in
una leggera carezza.
La donna non si mosse, fece un
leggero sorriso e lasciò che
la mano dell’uomo sfiorasse la sua guancia.
“Tu…”
sussurrò Peter, guardandola negli occhi “hai detto
che
i tuoi nonni… non può essere… tu
sei…”
Non fece in tempo a metter voce ai
suoi pensieri che Olivia
corse fuori dal TARDIS, guardandosi intorno, preoccupata e allarmata,
quindi la
bionda corse verso Lincoln e gli disse qualche parola in privato.
Subito l’uomo corse nella
cabina, trafelato, mentre Olivia
si avvicinava a Peter, preoccupata.
“Peter,
dov’è tuo padre?” domandò
“C’è bisogno di lui nel
TARDIS: il bambino di Olivia sta per nascere.”
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Capitolo 45 *** 45 ***
Lincoln
si diresse
trafelato verso la stanza del TARDIS in cui stava sua moglie.
Era
preoccupato sia
per Olivia, che per il bambino; rischiava di perderli entrambi da un
momento
all'altro a causa della VPE. Nonostante le rassicurazioni della donna,
aveva comunque
paura.
Entrò
nella stanza
di corsa, fermandosi vicino al letto su cui era stesa la moglie.
"Tesoro...
Olivia mi ha detto tutto. Come ti senti?" domandò,
preoccupato.
Olivia
sembrava
tranquilla. Si carezzava la pancia, respirando profondamente; si
voltò verso il
compagno e gli sorrise.
"Sto
bene,
Tyrone... il bambino sta per nascere." sussurrò. Era
visibilmente
affaticata, ma non voleva che il marito si preoccupasse.
Lincoln
le carezzò
i capelli, posandole un bacio sulla fronte, quindi si sedette sul
letto,
facendola sistemare meglio per farla stare più comoda.
"Andrà
tutto
bene." la rassicurò "Olivia è andata a cercare
Walter. Tra poco
saranno qui, tieni duro."
La donna
annuì,
guardandolo in volto. Le tornarono alla mente le immagini di un ricordo
lontano,
mai realmente avvenuto, ma che era parte della sua vita.
"L'altra
volta
c'eri anche tu." sussurrò.
"Quando?
Di
che parli?" chiese l'uomo, confuso.
"Quando
è nato
Henry. C'eri anche tu."
"Olivia...
non
è possibile..."
"In
realtà non
eri tu, ma l'altro Lincoln... lui mi ha detto..." si bloccò,
ripensando a
quei terribili momenti nel quartiere cinese. Era presente anche il suo
migliore
amico, la teneva tra le braccia mentre lei dava alla luce il suo
bambino; non
la mollava, e la incitava a tenere duro. Lei si aggrappava a lui, alle
sue
parole, cercando di mantenere un po' di lucidità. Ad un
certo punto, però,
aveva perso i sensi, le parole di Lincoln parevano lontane, ma nella
poca
lucidità di quel momento le era sembrato di sentire tre
parole.
Tornò
a guardare il
marito, l'altro Lincoln, così simile, eppure così
diverso dal suo migliore
amico, morto per mano di un terrorista.
Il suo
migliore
amico la amava, glielo aveva detto quel giorno, ma lei non ricambiava,
era solo
un amico, nient'altro.
"Lui mi
amava...
me lo ha detto quel giorno..." confessò "Ma io non..." non
fece
in tempo a completare la frase che una contrazione le mozzò
il fiato.Lincoln la
strinse rassicurante, era l'unica cosa che poteva fare, almeno
finché non fosse
arrivato Walter.
Olivia
chiuse gli
occhi, respirando lentamente e cercando di rilassarsi. La sua mente
vagava,
libera da ogni vincolo, riportando a galla ricordi passati.
Erano
tutti momenti
passati col suo Lincoln, dal momento in cui si erano incontrati al
ponte quel
giorno di 25 anni prima, quando lui aveva quell'adorabile aria da pesce
fuor
d'acqua, fino alla chiusura del ponte stesso, quando lui aveva deciso
di
restare con lei, e poi i momenti passati insieme dopo.
Uno, in
particolare, era ancora nitido nella sua mente.
Era una
bella
giornata di marzo, e da qualche settimana non c'erano stati Eventi
Fringe; era
il loro giorno libero, così avevano deciso di uscire,
approfittando del
pomeriggio di sole, dopo tre giorni ininterrotti di pioggia.
Camminavano
mano
nella mano lungo Broadway, fermandosi a guardare vetrine e le locandine
degli
spettacoli dei vari teatri della via. Stavano insieme da un anno e
convivevano
da due, era una giornata come ne avevano passate tante.
Si
fermarono in un
bar, sedendosi su uno dei tavolini disposti all'aperto e ordinando due
bibite
fresche.
Mentre
aspettavano
le ordinazioni, Olivia ascoltava i racconti del compagno riguardanti la
vita
nell'altro universo. Le piaceva ascoltare i suoi racconti, e sapeva che
per lui
era un modo per non sentirne troppo la mancanza, quindi lo lasciava
parlare,
senza interromperlo.
Lincoln
le teneva
delicatamente la mano, guardandola negli occhi, quando una coppia con
un
bambino di circa un anno passò accanto a loro. Il piccolo
camminava da solo, di
fronte ai suoi genitori, traballò e cadde proprio accanto a
Olivia; la donna fu
pronta subito a prenderlo al volo e lo restituì alla madre,
prima di tornare a
sedersi al suo posto. Si accorse subito che lo sguardo dell'uomo era
cambiato,
come avesse avuto una rivelazione improvvisa.
"Tutto
bene,
Tyrone?" domandò, usando il suo secondo nome, come ormai era
abituata a
chiamarlo quando erano soli.
L'uomo
scoppiò
improvvisamente a ridere. Rideva di gusto, come non lo aveva mai
sentito.
"Tyrone?
Che
succede? Che hai?" domandò la donna, stranita.
Lee fece
un respiro
profondo, cercando di riprendere il controllo delle proprie azioni.
"Quanto
dura
la luna di miele da questo lato, Liv?" domandò, incuriosito,
scrutandola
da dietro i suoi occhiali, con il sorriso sulle labbra. La Rossa lo
fissò
allibita, senza rispondere, quindi Lincoln si affrettò a
specificare "È
per curiosità... volevo sapere quanto tempo saremmo stati
via per il viaggio di
nozze."
Olivia
arrossì,
sorridendo e abbassando lo sguardo sulle loro mani intrecciate sopra il
tavolo.
"Mi... mi
stai
chiedendo quello che penso?" domandò.
"Livvy,
una
volta una persona mi disse che la propria casa è dove si
trova il cuore, ed è
in giornate come queste, in cui passo il tempo libero con te, che mi
rendo
conto di quanto avesse avuto ragione. Per questo io ti chiedo, vuoi..."
Non
riuscì a
completare la frase: il bambino che poco prima Olivia aveva aiutato a
rimettersi in piedi fece un urlò.
Senza
pensarci due
volte, entrambi si alzarono, pronti a reagire. Si voltarono nella
direzione in
cui avevano sentito il bambino e restarono stupiti dallo spettacolo che
avevano
davanti: un luminoso arcobaleno era comparso in direzione dell'Empire
State
Building, tra i dirigibili attraccati.
Olivia
rimase a
guardarlo per lunghi minuti: erano anni che non vedeva un arcobaleno
nel suo
mondo.
Lincoln
sorrise,
passandole dolcemente un braccio attorno ai fianchi e le
posò un bacio sulla
tempia.
"Sposami,
Rossa" le sussurrò, dolcemente, all'orecchio. La donna
restò in silenzio e
si strinse al compagno, continuando a guardare l'arcobaleno.
Una
contrazione la
riportò alla realtà.
"Questa
era
più vicina..."sussurrò, appena il suo respiro
tornò ad essere regolare.
Lincoln la strinse, preoccupato, senza dire nulla.
In quel
momento
l'altra Olivia rientrò, accompagnata da suo nipote Eddie e
da Astrid, che
reggevano Walter, il quale sembrava tutto fuori che lucido.
"Okay, lo
abbiamo trovato." disse la bionda, avvicinandosi al letto
"c'è solo
un problema: ha assunto qualche stupefacente trovato in giro per
l'edificio,
per cui non è in grado di fare nulla ora."
La
partoriente
ascoltò in silenzio,quindi il suo sguardo passò
dal suo doppio, a Walter, al
marito, per poi tornare su Olivia. Annuì.
"Mi fido
di
te, Olivia." disse.
Nel
frattempo,
all'esterno la voce dell'imminente parto della Rossa era girata, ed
erano tutti
in trepidante attesa, nonostante cercassero di mantenere un certo
controllo e
continuassero ad eseguire i loro compiti.
Rose
camminava per
la stanza, cullando il suo bambino, il quale si guardava intorno
incuriosito;aveva capito anche lui che stava per succedere qualcosa.
River si
avvicinò e
fece una carezza al bambino, il quale le afferrò la mano e
la esaminò con cura
e curiosità. Rose sospirò e la guardò
negli occhi.
"John
dice che
vi siete già incontrati una volta." esordì la
bionda.
"Se il
Dottore
lo ha detto, allora devi credergli." rispose l'altra, sorridendo e
continuando a guardare il piccolo Peter.
"Starà
bene
Olivia? Lo so che non vuoi rispondere alle domande sul futuro, ma
Olivia è una
mia amica..."
"Staranno
bene
sia lei, sia il piccolo Lincoln Oliver." la rassicurò, prima
di guardarsi
intorno, cercando qualcuno "Per caso sai dov'è tuo fratello?"
"Credo
sia in
giro con Etta. Passano molto tempo insieme, ultimamente.
Perché?"
"Semplice
curiosità... tuo fratello sarà un uomo importante
nella mia vita, quindi se gli
succedesse qualcosa sarebbe un disastro."
"Un uomo
importante? In che senso?"
"Spoiler!"
esclamò la riccia, prima di allontanarsi nuovamente.
I due
ragazzi, nel
frattempo, erano usciti nel cortile dell'università. Erano i
primi giorni di
gennaio del 2037, e l'aria era fredda e pungente.
Henrietta
camminava, stretta nel suo cappotto, mentre Tony le stava accanto, in
silenzio.
La giovane era pensierosa e preoccupata.
"Qualcosa
ti
preoccupa, biondina?" chiese il giovane, passandole un braccio attorno
ai
fianchi.
"Sono
solo
preoccupata per Olivia. È stata una seconda madre per me,
dopo che la mamma ha
deciso di rinchiudersi nell'Ambra..." confessò la giovane.
Tony la
strinse
rassicurante, baciandole la tempia.
"Andrà
bene,vedrai. Se la caveranno entrambi."
Etta
sorrise,
stringendosi al compagno. Il ragazzo la abbracciò meglio, e
restarono in quella
posizione per qualche minuto, finché non sentirono qualcuno
avvicinarsi alle
loro spalle; si voltarono e si trovarono di fronte il vecchio Charlie.
"Signore?
Tutto bene? Hai bisogno di me?" chiese Tony, allontanandosi leggermente
da
Etta.
"Tranquillo,
Tony, tutto bene. Solo fossi in te non mi farei vedere così
vicino a Henrietta
in presenza di Jack. Sai quanto è geloso." rispose l'altro
"Comunque
sono venuto ad avvisarvi che è appena nato il bambino di
Olivia. Se volete
potete andare a vederlo."
I due
ragazzi si
fissarono, poi Henrietta annuì e tornò nel
vecchio laboratorio, seguita dai due
uomini.
Entrarono
insieme
nel TARDIS. C'era silenzio; entrarono nella stanza della Rossa e si
guardarono
intorno.
Walter
era seduto
in un angolo, Henrietta dedusse che doveva essere completamente fatto,
visto il
modo in cui fissava il palmare di Eddie, collegato via wireless alla
rete della
Cabina Blu. Astrid e la madre di Etta erano indaffarate a rimettere in
ordine
attorno al letto, dove c'erano i coniugi Lee.
Olivia
era stesa
sul letto, tra le braccia stringeva un fagottino azzurro, e lo fissava
attenta,
ignorando tutto ciò che le succedeva intorno. Lincoln le
carezzava i capelli,
fissando anche lui il fagottino e sorridendo.
Henrietta
si
avvicinò ai due, in silenzio. Non voleva disturbare quel
momento di intimità,
ma nello stesso tempo voleva conoscere il nuovo membro della sua
famiglia
allargata. La neomamma alzò gli occhi e le fece cenno di
avvicinarsi ancora;
quando la giovane fu vicina, i due neogenitori si fissarono
intensamente,
quindi Lincoln prese il fagottino con delicatezza, si alzò
dal letto e si
avvicinò a Henrietta.
"È
un
maschio?" domandò la giovane, guardando il piccolo,
addormentato tra le
braccia del padre.
"Sì.
Lincoln
Oliver Lee. Vuoi prenderlo? In un certo senso è tuo
fratello, è giusto che vi
conosciate."
La
giovane sorrise,
guardando il bambino. Il piccolo aprì gli occhi, assonnato,
fissandola
corrucciato per qualche secondo. Aveva gli occhi chiari, non si capiva
bene se
erano quelli del padre o della madre. Gli diede un bacio sulla fronte.
"Benvenuto
al
mondo, fratellino." disse, prima di restituirlo a Lincoln e
allontanarsi,
affiancando Tony.
In quel
momento
entrarono nella stanza anche il Dottore e Peter. Quest'ultimo, appena
entrò,
lanciò un'occhiata al padre, ancora seduto nell'angolo,
perso nei suoi
pensieri, quindi si voltò verso la compagna.
"Ha
passato il
tempo a parlare di cibo." spiegò la bionda "E non era
affatto
concentrato. Per lo meno è stato tranquillo."
peter
annuì e si
voltò verso il letto. Il Dottore si era già fatto
avanti e teneva in braccio il
piccolo; sorrideva, e in quel momento sembrava più vecchio
di quanto apparisse
di solito. Forse erano tornati alla sua mente vecchi ricordi di 900
anni prima,
quando aveva tenuto per la prima volta in braccio Olivia e Rachel;
forse aveva
appena realizzato di essere diventato nonno, e il peso degli anni che
aveva
sulle spalle si era fatto sentire.
Bishop li
guardò a
lungo. Era concentrato su di loro quando una voce gli
sussurrò nella sua mente.
-Peter...- sussurrava -È
quasi giunto il momento. Tieniti pronto.-
Alzò
gli occhi, in
trance, guardandosi intorno alla ricerca della fonte della voce, e il
suo
sguardo fu nuovamente catturato dall'orologio da taschino di Lincoln,
che
quest'ultimo, in quel momento, teneva tra le mani.
Tutti si
accorsero
del repentino cambio di espressione dell'uomo. Olivia e Etta gli si
avvicinarono, guardandolo preoccupate, mentre il Dottore scambiava uno
sguardo
eloquente a Lincoln e, dopo aver restituito il bambino alla madre, si
avvicinò
al genero, facendolo sedere su una sedia vicino al letto.
"Credo
che
dobbiamo parlare." esordì "tutti quanti."
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