Un'altra Guerra del Tempo

di katyjolinar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***
Capitolo 22: *** 22 ***
Capitolo 23: *** 23 ***
Capitolo 24: *** 24 ***
Capitolo 25: *** 25 ***
Capitolo 26: *** 26 ***
Capitolo 27: *** 27 ***
Capitolo 28: *** 28 ***
Capitolo 29: *** 29 ***
Capitolo 30: *** 30 ***
Capitolo 31: *** 31 ***
Capitolo 32: *** 32 ***
Capitolo 33: *** 33 ***
Capitolo 34: *** 34 ***
Capitolo 35: *** 35 ***
Capitolo 36: *** 36 ***
Capitolo 37: *** 37 ***
Capitolo 38: *** 38 ***
Capitolo 39: *** 39 ***
Capitolo 40: *** 40 ***
Capitolo 41: *** 41 ***
Capitolo 42: *** 42 ***
Capitolo 43: *** 43 ***
Capitolo 44: *** 44 ***
Capitolo 45: *** 45 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


906 anni.

Per un umano sembrano un’eternità, oltre 30 generazioni.

Eternità. Nell’universo nulla è eterno, o almeno non lo è nel senso proprio del termine. Ogni cosa si trasforma in qualcos’altro, in un continuo circolo.

In 906 anni molte cose cambiano, e quell’uomo lo sapeva bene; lui di cambiamenti era un esperto.

Camminava nella base militare di Jacksonville, Florida, Stati uniti. Era il 2036; ci era già stato lì, ci aveva vissuto quando era appena un ragazzo, 800 anni prima, ma per i terrestri erano passati soltanto poco meno di 60 anni.

Si fermò davanti all’ultima casa. La riconobbe: la porta rossa la distingueva dal resto delle case. Erano passati secoli, ma ricordava bene quando l’aveva dipinta; in realtà il regolamento lo vietava, ma la sua posizione professionale aveva fatto chiudere un occhio ai piani alti. In fondo essere l’ufficiale scientifico capo della base dava i suoi vantaggi.

A quei tempi si faceva chiamare Jacob Dunham, ma era conosciuto come Il Dottore.

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Capitolo 2
*** 2 ***


Si fermò sul vialetto e si guardò intorno; tutto era immobile, abbandonato da chissà quanto tempo.

Faceva caldo. Si aprì l’impermeabile e si allentò la cravatta, quindi fece qualche passo verso la porta della casa. Le Converse affondavano nella terra morbida del vialetto, facendolo sorridere ai lontani ricordi della sua giovinezza: una giovane donna che lo aspettava davanti alla porta, i capelli biondi che si muovevano nel vento… la sua cara Marilyn.

Fece un respiro profondo e aprì. Si guardò intorno, i mobili erano sempre gli stessi, anche se erano rovinati dagli anni.

Entrò nella camera da letto; il grosso letto matrimoniale occupava ancora buona parte della stanza. Si sedette sul materasso e lo provò; si sorprese a chiedersi che ne era stato di Marilyn, ma si ricordò che erano passati 59 anni, probabilmente era morta di vecchiaia, o era molto anziana e viveva da qualche parte, affidata alle cure delle figlie e, probabilmente, dei nipoti.

L’uomo scattò in piedi e corse nell’altra stanza. Si fermò davanti alla porta, riportando alla mente l’aspetto che aveva nel periodo in cui si era fermato in quella casa: un lettino e una piccola culla, e animali di pelouche ovunque.

Poggiò una mano sulla maniglia e la girò.

I cardini cigolarono sotto il peso degli anni, rivelando la piccola stanza delle bambine. Non era affatto come se la ricordava: ai due lati c’erano due lettini in legno, le altre due pareti, invece, erano occupate da un armadio e una scrivania.

Rimase sorpreso, ma si riprese subito. Era ovvio che non fosse come ricordava, le bambine nel frattempo erano cresciute.

Qualcosa, per terra vicino alla scrivania, attirò la sua attenzione. Si avvicinò e raccolse un vecchio orsetto impolverato, con una tuta mimetica e un cappellino. Il Dottore sorrise e se lo mise nella tasca dell’impermeabile.

Si guardò ancora intorno; sulla scrivania trovò un blocco per disegni. Prese anche quello, lo aprì e riconobbe il tratto.

“Olive…” sussurrò tra sé, sfogliando i disegni. Riconobbe alcune cose a lui famigliari, compreso un rozzo disegno di una cabina blu. Andò ancora avanti, ma quello che vide non gli piacque: terrore, tristezza, smarrimento, violenza…

Corse fuori, verso il suo mezzo di trasporto. Prima di andarsene, 800 anni prima, aveva chiesto ad altri due scienziati suoi amici di prendersi cura delle sue ragazze. Perché non lo avevano fatto?

Entrò nella cabina e accese il computer di bordo; voleva cercare qualunque informazione su cosa fosse successo in quei 60 anni a Marilyn e le bambine.

Non trovò molto: Marilyn era morta pochi anni dopo la sua partenza, e le bambine erano state affidate a un’amica di famiglia.

Controllò tutti i documenti che aveva trovato. Dopo che se ne era andato Marilyn si era risposata. Trovò molte denunce per violenza domestica, e infine il certificato di morte di quell’uomo. Rachel aveva 5 anni e Olivia 7.

Erano state affidate in seguito a Nina Sharp; se la ricordava bene quella donna, era ambiziosa e irrefrenabile sul lavoro, ma sapeva che sarebbe stata un’ottima madre. Infatti ebbe la conferma da quello che trovò: Rachel si era sposata e aveva avuto due figli, Ella e Eddie, mentre Olivia era entrata nell’FBI.

Rise di gusto, era proprio il colmo, lui che odiava le armi aveva avuto una figlia che con le armi aveva a che fare tutti i giorni.

Continuò a leggere. Le informazioni non erano molte… Olivia aveva avuto una figlia nel 2012, Henrietta Bishop. I suoi cuori fecero un balzo: quel bambino malaticcio che aveva incontrato nelle cene con le famiglie dei colleghi era il padre di sua nipote. I Bishop gli erano sempre piaciuti, Walter sembrava una brava persona, anche se era un po’ eccentrico.

Cercò altre informazioni, ma oltre il 2015 c’era il buio più totale, non solo sulla sua famiglia, ma su tutto quanto. Era come se dopo il 2015 la Terra avesse smesso di vivere.

Decise allora di trovarsi le informazioni di prima mano. Si spostò ai comandi, impostò la data e tirò la leva di avvio.

Il veicolo ebbe uno scossone e cominciò a roteare su sé stesso; il Dottore si aggrappò alla plancia dei comandi per non volare via.

“Oh, andiamo, piccola! Vai più piano!” esclamò, tirando con forza il freno.

La frenata brusca scaraventò l’uomo dall’altra parte della stanza, assieme a tutti gli oggetti non fissati. Il Dottore si alzò dolorante e controllò lo schermo della data.

“Ancora 2036? Ma avevo detto 2015, stupido catorcio di un TARDIS!”

Come risposta, l’apparecchio smise di funzionare.

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Capitolo 3
*** 3 ***


“Dannazione! No! Non ora!” imprecò, prendendo a calci la plancia. Il TARDIS non diede segni di vita: si stava autoriparando e ci sarebbe voluto parecchio tempo perché potesse ripartire. Decise di farsi un giro fuori.

Aprì la pesante porta in legno che lo separava dall’esterno. Era notte; annusò l’aria, si trovava ancora sulla Terra, ma c’era qualcosa di strano. Una strana sensazione lo invase, qualcosa che aveva già sentito quando era arrivato alla base militare di Jacksonville, prima non ci aveva fatto caso, ma era come se la vibrazione non fosse quella giusta.

Si guardò intorno; prima di pensare ad altro doveva capire dove si trovava. Non era più a Jacksonville, ma era ancora negli Stati Uniti, ne era abbastanza certo.

Chiuse a chiave il TARDIS e si incamminò lungo il vicolo, tenendo le mani nelle tasche dell’impermeabile.

Sentì tra le dita il suo cacciavite sonico; non era un’arma, lui non ne portava mai, ma gli sarebbe comunque tornato utile.

Era quasi arrivato allo sbocco del vicolo quando dalla strada principale si sentirono degli spari.

Si bloccò sul posto, afferrò il cacciavite sonico e lo puntò.

Qualcuno comparve dalla strada, si fermò e guardò verso di lui. teneva un fucile tra le mani; fissò ancora il vicolo e, finalmente, corse, andando incontro al Dottore. Quando fu abbastanza vicino lo afferrò per la cravatta e lo trascinò dietro un cassonetto dei rifiuti.

“Cosa…” chiese il Dottore, tenendo ben saldo il cacciavite sonico.

“Stai giù!” esclamò una voce famigliare. Il Dottore lo guardò meglio: capelli castani, occhi chiari, fisico scolpito; lui aveva già visto quell’uomo.

“Capitano Harkness?!”

“Ci conosciamo?” chiese l’altro, rispondendo al fuoco. Non avevano ancora smesso di sparare.

“Certo che sì! Sono il Dottore!”

Il Capitano smise di sparare e lo fissò sorridente. Stava per dire qualcosa, quando una pallottola vagante lo colpì alla testa. Harkness cadde a terra con un buco in mezzo alla fronte e gli spari cessarono.

Il Dottore si affacciò con cautela, sbirciando verso la strada; non c’era più nessuno, quindi si girò verso il Capitano, ancora steso a terra. Il foro di proiettile era scomparso; Harkness annaspò e fece un colpo di tosse, poi si tirò su.

“Cosa…” chiese ancora il Dottore.

“Lealisti. Diventano ogni giorno più precisi. È la quinta volta che mi accoppano oggi.”

“C… cosa?” ripetè ancora l’altro “Che cosa diavolo succede, Jack?”

L’altro sospirò e si alzò, si guardò intorno e tornò a rivolgersi al Dottore.

“Sei proprio l’aiuto che ci serve. Vieni con me, ti spiego tutto dopo.”

Il Dottore annuì e seguì il Capitano lungo strade strette e poco frequentate, fino a una vecchia entrata di servizio della metropolitana.

“La metropolitana di Boston non viene più usata da circa 20 anni. I ribelli la usano come nascondiglio sicuro.” spiegò, passando il cancello e scendendo la stretta scala.

Si ritrovarono in un ambiente colmo di gente intenta a preparativi di ogni genere, ma nonostante l’affollamento c’era un gran silenzio.

I due si fecero largo tra la folla, quindi svoltarono in un tunnel laterale meno affollato, su cui si aprirono alcune porte.

Jack si fermò davanti all’ultima porta e tornò a rivolgersi al Dottore.

“Dietro questa porta c’è una delle nostre collaboratrici e informatrici. Una brava ragazza.”

L’altro annuì e il Capitano aprì la porta. Appena entrarono una giovane donna bionda corse loro incontro e saltò al collo di Jack.

“Ehi! Piano, piccola!” esclamò l’uomo “Che succede?”

“Li ho trovati!” disse la ragazza, indicando un altro uomo, nella stanza con loro.

Il Dottore li osservò; i due nuovi avevano lo stesso sguardo e una postura molto simile. Probabilmente erano parenti tra loro.

“Stai dicendo che quel gran bel fusto è…” domandò Jack, mangiandoselo con gli occhi. La giovane annuì e guardò il Dottore, incuriosita.

“Dottore, ti presento Etta.” li presentò il Capitano.

“Dottore?” chiese l’altro uomo “Dottore chi?”

“Solo Il Dottore. E lei sarebbe?”

“Peter. Peter Bishop.” si presentò l’altro.

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Capitolo 4
*** 4 ***


Peter Bishop. Quell’uomo non dimostrava più di 40 anni, come poteva essere suo genero?

Se lo ricordava neonato, nel 1978, e nel 1979 ricordava che passava ore a contemplare Olivia che dormiva, quando si trovavano tutti insieme.

Inoltre se lo ricordava malato, una strana malattia lo aveva colpito in tenera età e per quello che sapeva lo avrebbe ucciso prima di raggiungere i 10 anni. Nonostante se ne fosse andato quando Olivia aveva due anni e Rachel era neonata, quindi Peter aveva 3 anni, era convinto che sarebbe sopravvissuto, poiché Walter si era dato da fare fin da subito per trovare una cura, ma non pensava di trovarsi di fronte un uomo perfettamente sano, senza alcun segno di quella orribile malattia.

“Peter Bishop? Una volta conoscevo tuo padre.” disse il Dottore, guardandolo fisso negli occhi.

“Non credo che Walter possa ricordarsi. Siamo stati fuori dal giro per parecchio tempo.” rispose l’altro.

“In realtà ricordo molte cose, al momento, ma di te no, giovanotto.” rispose una voce derma e anziana alle loro spalle.

Il Dottore si girò, trovandosi faccia a faccia con Walter Bishop in persona. Era anziano, ma non quanto avrebbe pensato, e aveva ancora quella caratteristica scintilla nei suoi occhi, ancora viva dopo più di mezzo secolo.

“Beh, io sono cambiato parecchio da allora… è passato tanto tempo.”

Si avvicinò quindi a Walter e lo fissò intensamente negli occhi. Walter sostenne lo sguardo, infine spalancò gli occhi ma non si mosse.

“Hai scoperto l’elisir di lunga vita, Jake?”

“Più o meno…” rispose l’altro, con un sorriso gongolante e guardandosi intorno “Potrei farti la stessa domanda, Walter.”

“Walter, lo conosci?” si intromise Peter.

“Eh? Sì, lui è…”

“Un vecchio amico di famiglia.” completò il Dottore.

“Non sembri poi così vecchio.” Rispose l’altro, sospettoso.

Il Dottore non rispose e si girò verso Jack, che aveva aggiornato Etta sugli ultimi avvenimenti.

“Capitano, ho bisogno che mi racconti tutto quello che è successo dal 2015 ad oggi.”

“Etta…” si intromise il dottor Bishop “Mia cara ragazza, non ci hai ancora presentato questo tuo amico.”

“Lui è il Capitano Jack Harkness. Prima dell’Epurazione era a capo di una squadra dell’Istituto Torchwood, in Gran Bretagna.”

“Istituto Torchwood?” chiese Walter, interessato “Che cos’è?”

“Era un’agenzia che si occupava dello studio e recupero di tecnologia aliena,” spiegò il Capitano “allo scopo di prevenire e combattere una possibile invasione… ma questo era prima di scoprire che la minaccia veniva dalla Terra stessa, e non dallo Spazio.”

“Tecnologia Aliena? Intendi extraterrestre?” chiese Peter, confuso.

“Gli incontri ravvicinati sono più frequenti di quanto si creda. Potresti esserne testimone in qualsiasi momento senza che te ne renda conto.” spiegò il Dottore, prima di tornare a rivolgersi a Jack “Che fine hanno fatto gli altri? I tuoi compagni intendo.”

Jack sospirò e abbassò lo sguardo.

“Li hanno uccisi tutti durante l’Epurazione. Io me la sono cavata grazie alla mia capacità.”

“Cosa è successo, precisamente, durante questa Epurazione?” chiese il Dottore. Negli archivi del TARDIS non aveva trovato nulla… eppure aveva accesso a tutta la storia dell’Universo.

“Oh, beh…” esordì Peter “Per dirla in modo semplice, il futuro ci ha invaso.”

“Cosa? C… che? Come?” domandò ancora il Dottore.

Jack sospirò e si avvicinò, mettendosi di fronte all’uomo.

“E’ più facile se lo vedi di persona, Dottore. Accedi ai miei ricordi.”

L’altro lo fissò indeciso, infine gli prese la testa tra le mani e chiuse gli occhi.

Stava per accedere ai ricordi del Capitano, quando Peter lo fermò.

“Che stai facendo?”

“Devo entrare nella memoria a lungo termine di Jack. Ora lasciami lavorare. Non accetto altre interruzioni da gente meno intelligente di me.”

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Capitolo 5
*** 5 ***


Ottenuto il silenzio, il Dottore si concentrò nella mente di Jack.

Cercò nel mare di ricordi quello giusto, aiutato dal Capitano, che portava in superficie quelli risalenti al 2015. Finalmente trovò il filone giusto e cominciò a raccontare quel che vedeva.

 

Cardiff, un tranquillo pomeriggio di settembre. Jack era di buonumore: quel giorno non doveva lavorare, e aveva organizzato di passare la giornata con Ianto. Era riuscito a venire in possesso di due ottimi biglietti per la partita di calcio di quel pomeriggio.

Erano appena entrati nello stadio quando ci fu una breve ma intensa scossa di terremoto. Lo stadio venne evacuato, ma quasi subito scattò il cessato allarme e poterono rientrare. Jack si guardò intorno; aveva l’impressione che le persone, prima dell’evacuazione, fossero molte meno.

La partita cominciò regolarmente, ma un boato la interruppe dopo venti minuti. Tutto lo stadio si alzò in piedi; cosa stava succedendo?

Degli uomini erano comparsi come dal nulla; vestivano in grigio ed erano completamente pelati.

Tra la folla si scatenò il panico; tutti corsero verso le uscite, ma erano bloccate.

Gli uomini calvi si avvicinarono alla gente, presero alcune persone e poi…

Fu un massacro. Le persone vennero prese a gruppi, e gli altri erano costretti ad assistere.

Venne il turno di Ianto e Jack. Cercarono di opporre resistenza, ma senza successo; vennero abbandonati nel prato, al centro dello stadio.

Jack si svegliò nello stadio deserto. Gli uomini calvi erano scomparsi, lasciando nello stadio solo cadaveri.

Riuscì ad uscire e tornò alla base di Torchwood, ma anche lì erano passati gli uomini in grigio.

Scappò via, scoprendo che c’erano altri sopravvissuti. Venne organizzata una resistenza, ma tutte le rivolte vennero soppresse col sangue.

Molto duramente riuscì a raggiungere gli Stati Uniti.

Scoprì che gli uomini calvi avevano preso il potere anche oltre oceano. Venivano dal futuro, erano chiamati Osservatori.

Scoprì anche che un’agenzia federale, la Divisione Fringe, cercava di combatterli. Li cercò; voleva unirsi alla lotta contro coloro che avevano ucciso le persone che considerava la sua famiglia.

Il tempo passò. Jack continuava a cercare questo gruppo federale; arrivò a Boston, nella ormai deserta Università di Harvard. Lì trovò un gruppo di ribelli.

Erano quattro adulti e una bambina di circa cinque anni, due uomini e due donne, di cui una incinta… e uno somigliava incredibilmente al Dottore. Jack conosceva anche la donna incinta: era Rose, compagna del Dottore per un certo tempo, prima di rimanere imprigionata in un universo alternativo assieme al clone umano del Dottore stesso.

Gli altri due non li aveva mai visti prima: lei aveva i capelli rossi e somigliava incredibilmente alla bambina, mentre l’altro uomo era bruno e indossava un paio di occhiali.

Gli dissero di chiamarsi Olivia Dunham e Lincoln Lee, di provenire da un universo alternativo e di aver fatto parte, assieme a Rose e al “Dottore Umano”, che aveva assunto il nome di John Smith, della Divisione Fringe del loro universo, e di essersi uniti alle loro controparti alternative nella lotta contro gli Osservatori, dopo la fusione dei due universi, che aveva dato vita a un terzo.

Si unì a loro; scoprì che la bambina era la figlia della controparte di Olivia, affidata loro prima di decidere di ibernarsi in una sostanza color ambra, all’interno del locale dove loro stessi si nascondevano.

In poco tempo conquistò la loro fiducia e l’affetto della piccola Henrietta, ma la lotta contro gli Osservatori era infruttuosa, e presero anche loro la decisione di ibernarsi. Fu una decisione sofferta soprattutto per Rose e John: avrebbero ibernato anche il nascituro, prima della sua nascita, ma non c’era altra soluzione.

Jack si prese carico della piccola Henrietta. Acquistarono delle false identità e la crebbe come una figlia, vedendola diventare agente della nuova Divisione Fringe e, contemporaneamente, membro attivo della resistenza, soprattutto grazie all’appoggio del suo superiore all’interno della Divisione, Simon Foster.

 

Il Dottore allontanò le mani. Entrambi stavano piangendo: il transfert emotivo era un effetto collaterale della sua capacità telepatica tattile.

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Capitolo 6
*** 6 ***


Jack non riusciva a smettere di piangere. Riportare alla mente tutti quei ricordi dolorosi lo aveva destabilizzato.

Il Dottore lo abbracciò, in attesa che si calmasse, infine fissò gli altri tre.

I due uomini non mostravano alcuna emozione, ma la ragazza sembrava scossa e impugnava una pistola.

“Henrietta, metti via quell’arma.” disse, calmo.

“Tu puoi leggere la mente delle persone.” affermò la giovane, senza abbassare l’arma.

“Non sono un Osservatore. Loro sono umani del futuro, io no.”

“Dimostralo!”

“Etta, il Dottore ha ragione.” la rassicurò Walter. Peter le prese delicatamente la pistola dalle mani e la abbracciò. La giovane si calmò un po’ e fissò gli altri.

“Quindi ci troviamo in un altro universo?” esordì il Dottore.

“Un universo nato dalla fusione di altri due.” spiegò Peter “Questo ha una frequenza di fondo di 329,6 Hz, gli altri vibravano rispettivamente a 261,6 e 392 Hz.”

“Certo… è naturale.” annuì il Dottore “Serve agli Osservatori per poter vivere nel passato senza dover usufruire di una Macchina del Paradosso. Molto int…” si bloccò, come se si fosse appena ricordato di qualcosa.

“Qualcosa non va, Dottore?” chiese Jack, che nel frattempo si era calmato.

“Non siamo nello stesso universo.” ripeté il Dottore.

“E’ così. E allora?” rispose Peter.

“La mia piccola… la mia piccola potrebbe morire…” balbettò, poi corse fuori.

Gli altri lo seguirono a distanza ravvicinata lungo i vicoli di Boston. Riuscirono ad evitare sia i Lealisti che gli Osservatori, fino ad arrivare ad un vicolo cieco, sul fondo del quale era posta una cabina telefonica della polizia inglese degli anni 40, tanto anacronistica quanto fuori luogo.

“La mia piccolina…” ripeté il Dottore, come se stesse parlando alla sua fidanzata.

“Che cos’è quella?” chiese Etta, mentre il Dottore prendeva la chiave e, con mano tremante, apriva quella strana cabina blu.

“E’ il TARDIS del Dottore.” spiegò Jack, mentre il Dottore spalancava la porta in legno e correva dentro.

Tutti gli altri lo seguirono; Walter entrò per ultimo, rimanendo sbalordito dalle dimensioni. Uscì di nuovo fuori, misurandone il perimetro esterno, quindi rientrò e si guardò intorno.

“Fantastico! Più grande dentro che fuori! Dove lo hai recuperato questo?”

“L’ho rubata.” rispose spicciamente il Dottore, mentre controllava la plancia centrale “Povera piccola… stai soffrendo, vero? Non temere, ti rimetterò in sesto in un lampo.”

Si inginocchiò e aprì una delle grate del pavimento, si immerse nel mare di cavi e ne riemerse tenendo tra le mani un piccolo cristallo che emanava una debole luce azzurrina; ci soffiò sopra e il cristallo aumentò leggermente di intensità luminosa. Il Dottore sorrise e se lo mise nella tasca dell’impermeabile, quindi si tirò su.

“Ci vorrà più tempo dell’ultima volta.” disse “Che cosa si fa ora?”

“Dobbiamo liberare Simon dall’Ambra.” rispose la giovane.

“Ed anche Olivia e gli altri. Ma gli apparecchi che avete usato per liberare noi sono danneggiati.” Continuò Peter.

“E poi dobbiamo aspettare Astro. È andata a fare provviste, dovrebbe tornare tra poco.” concluse Walter.

“Va bene. Torniamo al nascondiglio.” ordinò il Dottore “Darò un’occhiata a quei vostri apparecchi mentre aspettiamo.”

Tornati alla metropolitana, il Dottore si sistemò in una stanza vuota, in attesa. Dopo poco Peter lo raggiunse con i due apparecchi che erano stati usati per liberare lui e i suoi compagni.

Il Dottore ne smontò uno usando il suo cacciavite sonico. Peter lo osservava da vicino, in piedi, con le braccia incrociate sul petto.

“C’è qualcosa che vuoi chiedermi, ragazzo?” chiese il Dottore, senza togliere gli occhi dal suo lavoro.

“Ragazzo? Tu hai la mia stessa età.” obiettò l’altro.

“Solo apparenza. Sono molto più vecchio di quanto tu creda. Sono anche più vecchio del Capitano, che ha circa 100 anni.”

Peter lo fissò, senza lasciar trasparire alcuna emozione.

“Chi sei? Come hai conosciuto Walter?”

“E’ una lunga storia… l’ho conosciuto negli anni 70 a Jacksonville. Ero uno scienziato militare.” alzò la testa e lo guardò negli occhi “Ti ho anche visto nascere, sai?”

Peter sussultò. Il Dottore vide affiorare un dolore intenso nei suoi occhi.

“Olivia, la madre di Henrietta, è di Jacksonville.” spiegò Bishop.

“Anche io sono stato padre, molto tempo fa.” rivelò l’altro.

“Non credo tu abbia abbandonato tua figlia di 4 anni, sapendo che potevi non rivederla mai più.”

“Oh, sì che l’ho fatto… anzi, le mie figlie erano molto più giovani.” affermò il Dottore, continuando a concentrarsi sul suo lavoro.

“Perché le hai lasciate?” chiese, infine, Peter.

“Per la loro sicurezza. Nel mio mondo ero un ricercato e un rinnegato. Ho dovuto fingere la mia morte qui sulla Terra perché lasciassero in pace mia moglie e le mie figlie. Ma non è stato semplice, voi umani avete l’incredibile capacità di lasciare il segno.”

“Voi umani?” domandò l’altro, confuso.

“Già…” annuì il Dottore, facendo un leggero sorriso “io non sono umano, vengo da un altro mondo. Si chiamava Gallifrey.” una nota di tristezza attraversò i suoi occhi, al ricordo del pianeta natale andato distrutto.

Bishop lo fissò per qualche secondo, esaminando la sua reazione.

“Anche io, in un certo senso, non sono di questo mondo.” ammise.

Il Dottore lo guardò interrogativo, e l’altro riprese a parlare.

“Hai detto di avermi visto nascere. Beh, quello non ero io, ma il mio doppio. Lui è morto di una strana malattia quando aveva 7 anni. Stavo morendo anche io, ma Walter mi rapì e mi salvò la vita usando la cura che non aveva fatto in tempo a somministrare al suo Peter. Da allora sono sempre vissuto con Walter. È una brava persona, anche se ha fatto degli errori.”

“Tutti fanno degli errori.” sentenziò il Dottore.

“Non tutti, però, usano dei bambini per fare esperimenti atroci. Olivia era una di questi, e ne è rimasta segnata per sempre.”

L’alieno smise di lavorare sul dispositivo e fissò intensamente Peter.

“Che tipo di esperimenti erano?”

“Le hanno iniettato una sostanza sperimentale, il Cortexiphan, e l’hanno terrorizzata a morte, allo scopo di far emergere alcune capacità nascoste.”

Il Dottore scattò in piedi e corse fuori. Sul suo volto si leggeva un’immensa rabbia.

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Capitolo 7
*** 7 ***


Walter era seduto nel corridoio principale assieme ad Astrid, Etta e un gruppo di Nativi ribelli. Stava raccontando loro tutto ciò che sapeva riguardo gli Osservatori, poiché una buona conoscenza del nemico è alla base di una buona strategia di attacco e di difesa.

Il Dottore arrivò di corsa, seguito da Peter, e, senza dire una parola, sollevò di peso il vecchio scienziato e lo sbattè contro il muro, tenendolo per il colletto.

“Come hai osato? Erano solo bambini!” disse, a denti stretti, il Dottore.

“Ma che…” esclamò Walter, sorpreso e confuso.

“Te le avevo affidate perché te ne prendessi cura, non per trasformarle in cavie da laboratorio!” continuò l’altro, sempre più arrabbiato.

“I… io l’ho resa speciale” balbettò l’altro, cercando di liberarsi dalla presa del Dottore.

“Era solo una bambina! Tu l’hai traumatizzata! Pensavo di potermi fidare di te.”

“Tu eri morto, Jacob! Era già traumatizzata.” ribattè, finalmente, il dottor Bishop.

“Non è un buon motivo per fare quello che le hai fatto!”

“E’ stata un’idea di Belly…” si giustificò Walter.

“Non inventare scuse! Anche fosse stata una sua idea, tu ne sei responsabile in ugual misura!”

“Ora basta! Tutti e due!” si intromise Peter, separandoli.

“Non ti mettere in mezzo, ragazzo!” ringhiò il Dottore “Questa è una questione privata tra tuo padre e me.”

“Qualunque cosa sia successa, è passato più di mezzo secolo.” disse il giovane Bishop “E comunque dobbiamo restare uniti, altrimenti facciamo solo il gioco degli Osservatori.”

“Lui ha fatto del male a mia figlia!” ripetè il Dottore.

“E’ successo mezzo secolo fa. Ora dobbiamo pensare a liberarla dall’Ambra, come tutti gli altri.” argomentò il giovane, guardandolo negli occhi.

Il Dottore lo fissò indeciso, quindi si allontanò di qualche passo.

“Che cosa è successo, papà?” chiese Etta, confusa.

“Il Dottore ha scoperto cosa ha fatto tuo nonno a sua figlia, molti anni fa.” spiegò Peter.

Etta annuì e si avvicinò, guardando il Dottore negli occhi.

“Parlami di tua figlia.” gli chiese “Cosa le è successo?”

L’alieno la fissò per qualche istante. Gli occhi della ragazza avevano il colore di quelli del padre, ma lo sguardo, in quel momento, era quello della sua piccola Olive.

“Non la vedo da quando aveva due anni…” spiegò “era una bambina così dolce, persino tuo padre ne era rimasto colpito… ed era anche forte, la persona più forte che abbia mai conosciuto, nonostante l’età. E io ho conosciuto molte persone, in molti mondi. Ho oltre 900 anni, sai?”

Henrietta sorrise. Il Dottore fu stupito dell’incredibile somiglianza che c’era tra lei e sua madre.

“Non sembri così vecchio…”

“Oh, lo sono. Sono un vecchio, noioso Signore del Tempo.” Rise l’altro, mettendosi le mani in tasca.

“Signore del Tempo?” domandò la giovane.

“E’ la mia razza. Te l’ho detto, non sono umano.” spiegò.

“Parlami del tuo pianeta.” lo incoraggiò lei.

Il Dottore sospirò, si tolse l’impermeabile, lo stese a terra e si sedette.

“Era bellissimo… si trovava a 250 milioni di anni luce da qui. Era pieno di alberi dalle foglie argentee, e le montagne avevano prati di un rosso intenso, coperti di neve. Aveva due soli, sai? Era uno spettacolo, il secondo sole sorgeva a sud, e gli alberi apparivano argentei come una foresta in fiamme. La cittadella era posta sotto…” raccontò, ma si accorse che Henrietta stava descrivendo lo stesso paesaggio e la fisso, in silenzio.

“…Sotto un’immensa cupola trasparente.” concluse lei “La mamma mi descriveva questo posto, quando ero piccola.”

Il Dottore sorrise, fissando un punto lontano di fronte a lui.

“Lo descrivevo alla mia figlia maggiore per farla addormentare…” disse.

“Ti manca il tuo pianeta?” domandò Etta.

“Molto. Ma la Terra è un pianeta altrettanto bello. Mi sono affezionato a voi umani.”

“Sai nulla di cosa è successo alle tue figlie, dopo che te ne sei andato?” chiese, infine, la ragazza.

“So solo che hanno messo su famiglia. Ho tre nipoti, un maschio e due femmine, e una mi sta rendendo particolarmente fiero di lei.”

I due si guardarono a lungo; il Dottore sorrise e le diede un buffetto sulla guancia.

In quel momento Jack tornò da una ronda; la sua camicia presentava un grosso buco sul petto, che non c’era quando era uscito.

“E’ quasi ora del coprifuoco, dobbiamo andare.” li informò.

Il Dottore si rimise in piedi, prese l’impermeabile e lo spolverò.

“Dove andiamo?” chiese.

“A casa mia. Stiamo lì di notte.” rispose Etta.

“No. Stanotte staremo sul TARDIS. Anche se non è ancora guarita, i sistemi di sicurezza e il dispositivo anti-rilevamento sono pienamente funzionanti.” ordinò il Dottore “Ho anche un sacco di stanze libere, quindi potrete sistemarvi comodi.”

Tutti si guardarono; alla fine Peter annuì.

“Mi sembra un’ottima idea.” Esclamò, quindi il gruppo si mise in marcia verso il veicolo del Dottore.

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Capitolo 8
*** 8 ***


Arrivati al TARDIS, il Dottore fece entrare tutti quanti e chiuse la porta.

“Sarà una lunga notte.” disse “Conviene mangiare qualcosa e riposare un po’.”

“Ma… quanto è grande questo posto?” chiese Astrid, sorpresa; lei non aveva ancora visto l’interno della cabina del Dottore.

“Abbastanza. Se volete, la cucina è da quella parte, accanto al guardaroba.” indicò “E ci sono alcune camere da letto dopo la piscina, sulla sinistra.”

Gli altri lo fissarono sconcertati per qualche secondo, ma alla fine si dispersero nei vari ambienti.

Era notte fonda. Peter non riusciva a chiudere occhio, troppi pensieri affollavano la sua mente. Decise di alzarsi dal letto e di andare nella cucina di quello strano posto a prendere da mangiare.

Entrò nella cucina, ma si bloccò sulla porta: il Capitano Harkness stava mettendo il bollitore del tè sul fuoco. Nulla di strano, se non fosse che Jack indossava soltanto un paio di boxer con dei disegni di orsetti sorridenti.

Peter si passò una mano sul viso, sospirando.

“E io che pensavo di aver visto tutto con Walter…” sussurrò.

Jack alzò gli occhi e gli sorrise, amichevole.

“Ehilà! Come mai qui? Non riesci a dormire, dolcezza?”

Peter sospirò di nuovo. Quel tizio era anche peggio di suo padre.

“Dovresti coprirti.” disse, aprendo la dispensa per cercare qualcosa da mettere sotto i denti. “Ci sono delle donne in questa cabina.”

“Oh, beh…” commentò Jack “la vostra amica, Astrid, è passata poco fa, e mi è sembrato che avesse gradito il panorama, dall’espressione che ha fatto. Quanto a Henrietta… beh, lei l’ho cresciuta io, ci è abituata. Ti va una tazza di tè? L’ho appena fatto.”

Lo sguardo di Peter si rabbuiò, ricordandosi improvvisamente che sua figlia aveva passato gli ultimi venti anni lontana dalla sua famiglia, cresciuta da quell’uomo. Nonostante fosse grato a quello sconosciuto per averla protetta, non poteva non pensare che non aveva potuto assistere alle tappe più importanti della crescita della sua bambina. Jack notò quello sguardo e gli mise davanti una tazza di tè fumante.

“Le mancavate molto, tu e sua madre.” disse.

“E’ stata una decisione sofferta… ci siamo separati a New York. Etta e Olivia sono dovute scappare, mentre noi attivavamo il Protocollo Ambra su noi stessi.” spiegò Peter, tenendo gli occhi fissi sulla tazza.

“Tu e Olivia l’avete protetta.” lo rassicurò il Capitano “L’hanno fatto anche Rose, John e i tuoi amici Lincoln e la Rossa. Io ho solo continuato l’opera. Siete delle persone speciali, oltre che i suoi genitori, e lei lo sa bene.”

“Non c’è nulla di speciale in me.” obiettò Bishop.

Cosa c’è di male nell’esserlo? Voi siete una leggenda nella Resistenza Nativa, e anche se non lo ammetteranno mai, gli Osservatori vi temono. Questo vi rende speciali.” disse Jack.

“Io non ho nulla di speciale.” ripetè l’altro.

Il Capitano rise e sorseggiò la sua tazza di tè.

“Adesso capisco da chi ha preso la sua cocciutaggine, la piccoletta. Amico, se c’è qualcuno che sa riconoscere persone speciali, quando le vede, quello sono io.” Peter lo guardò interrogativo, così Jack si affrettò a spiegarsi “Peter, il Dottore, anni fa, mi ha soprannominato ‘l’uomo impossibile’. E c’è un motivo se l’ha fatto: io sono gay, sono un soldato, sono nato nel futuro e non posso morire. Io questo lo chiamo essere speciali, e l’ho insegnato a tua figlia.”

L’uomo lo fissò per qualche secondo, prima di parlare di nuovo.

“Sei nato nel futuro?” domandò. Jack annuì.

“51° secolo.” spiegò “Sono nato in uno dei tanti pianeti che un giorno verranno colonizzati dagli umani. Ma ora vivo qui, la Terra è la mia casa. Anche se dopo la morte dei miei amici non avevo più uno scopo per vivere, sono andato avanti. Quando Henrietta è entrata nella mia vita ho ripreso a vivere davvero, avevo trovato di nuovo un motivo per continuare, senza contare che alcuni suoi atteggiamenti mi ricordavano il Dottore, e questo per me è stato un ulteriore incoraggiamento. Mi ha mantenuto viva un po’ di speranza, dentro di me.” restò per qualche minuto in silenzio, raccolto nei suoi pensieri, poi tornò a parlare “Conosco il Dottore da decenni, ma non mi aveva mai detto che aveva una famiglia, qui sulla Terra.”

“Non era un’informazione che fosse necessario farti sapere, Capitano.” disse il Dottore, alle loro spalle, prendendo dal frigo un pasticcino alla banana.

“Ma c’è qualcuno che dorme ancora, qui dentro?” chiese Peter, fissando l’alieno.

“Oh, sì.” Confermò il Dottore, sorridendo “Tuo padre ronfa come una motosega da almeno due ore, mentre Etta dorme come un angelo. Mi ricorda sua madre quando era bambina.”

“Sua madre?” chiese Jack “Conoscevi Olivia da bambina?”

“Certo, Jack. Ero presente quando è stata concepita.” rispose l’altro, mangiando il suo dolce.

“Concepita? Dottore, avrei potuto dire tutto di te, ma non che fossi un guardone!” esclamò Harkness.

“Non è un guardone, Jack.” lo zittì Peter “E’ mio suocero.”

“Che… che cosa?” balbettò Jack.

Il Dottore si avvicinò, fermandosi di fronte a Peter e guardandolo negli occhi, e alla fine sorrise orgoglioso.

“Quando lo hai capito, ragazzo?” domandò.

“Avevo qualche sospetto già quando sei arrivato al nascondiglio nella metropolitana. La conferma l’ho avuta quando hai aggredito Walter, dopo che hai saputo degli esperimenti col Cortexiphan.” spiegò Bishop.

Il Dottore sorrise di nuovo e gli diede una pacca sulla spalla.

“Sei davvero intelligente, Peter. Sono contento che Olivia si sia legata a te.” si complimentò, poi guardò Jack “Jack, tu sei quello che, al momento, conosce meglio i posti dove si sono fatti ambrare Olivia e gli altri. Per poterli liberare dobbiamo cominciare da quello meno sorvegliato.”

“Mh…” ci pensò su il Capitano “Harvard è la più sorvegliata. Escluderei anche New York, si aspettano che qualcuno vada a liberare Simon. Direi che la villa al Lago Reiden, dove ci sono Rose e gli altri, sia la meno pericolosa.”

“Bene. Allora appena siamo tutti svegli andiamo al Lago Reiden. Ce l’hai ancora il dispositivo di teletrasporto miniaturizzato? Perché con il TARDIS momentaneamente fuori uso dovremo usare mezzi alternativi.” ordinò il Signore del Tempo.

Jack annuì, sorridendo orgoglioso.

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Capitolo 9
*** 9 ***


Il mattino successivo si riunirono tutti nella cucina del TARDIS per organizzare il da farsi.

Il Dottore stava finendo di riparare gli apparecchi che avrebbero usato per liberare i loro amici dall’Ambra, e nel frattempo mangiava una banana; Peter camminava per la stanza con una tazza di caffè americano tra le mani, parlando con Astrid e Etta che, su una cartina della zona del Lago Reiden, cercavano un posto sicuro per potersi teletrasportare, come aveva spiegato loro il dottore. Walter mangiava, inserendosi nella conversazione, mentre Jack cucinava per tutti. Di lì a poco sarebbero andati a salvare un’altra squadra della vecchia Divisione Fringe, quella dell’universo alternativo.

Il Dottore si tolse gli occhiali e guardò gli altri, mettendosi in tasca il cacciavite sonico.

“Questo è a posto.” informò “Jack, dammi il teletrasporto, voglio dargli un’occhiata e apportare qualche modifica. Non voglio problemi, senza contare che dovrà trasportare molto più di due o tre persone in un solo viaggio, e non so se può farcela.”

Il Capitano si tolse l’orologio e lo lanciò all’alieno, che lo prese al volo e si mise al lavoro, inforcando di nuovo gli occhiali. Jack si avvicinò al tavolo e sparecchiò, sorridendo sornione alle due donne e facendo l’occhiolino a Peter, che sospirò alzando gli occhi al cielo.

“Jack, piantala di provarci con mio genero! Non sei il suo tipo.” lo ammonì il Dottore, che si alzò e gli restituì il dispositivo “Bene. Possiamo andare.”

“Un momento!” lo fermò Peter “ Ci servono delle armi. Non c’è un’armeria dentro questo affare?”

“Il Dottore non usa armi.” spiegò il Capitano, indossando il suo lungo cappotto militare della Seconda Guerra Mondiale e allacciandosi l’orologio al polso “Ora aggrappatevi tutti a me, vi porto al Lago Reiden.”

Gli altri eseguirono e Jack attivò il teletrasporto; pochi istanti dopo si trovarono in mezzo agli alberi, a pochi passi dal lago.

Peter scosse la testa, disorientato, e si passò le dita sugli occhi, cercando di riacquistare un po’ di lucidità; si guardò intorno, erano tutti nelle sue stesse condizioni, tranne il Dottore e il Capitano.

“Scusate, le vertigini sono un effetto collaterale del teletrasporto, ma dopo un po’ ci si abitua.” disse quest’ultimo, guardandosi intorno “Ora andiamo a prendere gli altri.”

Si incamminò con passo sicuro verso una vecchia villetta disabitata. Peter la riconobbe: era la vecchia casa di suo padre.

Arrivati alla porta il Dottore afferrò il cacciavite sonico e fece saltare la serratura. Peter spinse la porta ed entrò per primo. Era ancora tutto come era stato lasciato 20 anni prima, quando ci portava la famiglia in vacanza, con la differenza che ora, al centro del salone d’ingresso, c’era un piccolo cumulo d’ambra in cui erano intrappolate quattro persone.

Il Dottore si avvicinò e fissò le quattro figure, immobili come insetti preistorici nell’antica resina solidificata. Due erano la sua metacrisi umana e Rose Tyler, la sua vecchia compagna di viaggio. Non erano cambiati molto dall’ultima volta che li aveva visti, in fondo per loro erano passati cinque o sei anni da quando li aveva lasciati a vivere le loro vite nell’altro universo, fino al momento in cui avevano preso quella drammatica decisione. Notò anche che il suo clone aveva adottato un look più militare, nell’abbigliamento, pur mantenendo costanti le All Stars Converse.

Erano uno di fronte all’altra, molto vicini, la mano destra di Rose era ferma in una carezza congelata, tra i capelli del suo compagno, mentre la sinistra teneva quella di lui, poggiata delicatamente sul suo pancione. Si guardavano negli occhi, bloccati in un eterno conflitto tra amore, disperazione e speranza.

Spostò l’attenzione sull’altra coppia. Il doppio di sua figlia aveva i capelli rossi e indossava una larga felpa, un paio di jeans e degli stivaletti neri, mentre l’altro uomo, Lincoln Lee, indossava un paio di occhiali, una maglia scura con scollo a V sotto una giacca da motociclista, un paio di pantaloni scuri e degli anfibi. La rossa teneva la testa bassa, una guancia poggiata sul petto di Lincoln, che le cingeva le spalle con un braccio, mentre l’altra mano le sfiorava il viso, la testa china su quella di lei e le labbra poggiate sui capelli, vicino alla fronte.

“Non possiamo tirarli fuori uno alla volta.” osservò “sono troppo vicini. Dobbiamo estrarli a coppie.”

Fissò il dispositivo di rigasificazione dell’Ambra ai piedi di Lincoln e Olivia e gli diede energia, mentre Jack puntava la pistola ultrasonica e Peter e Etta si mettevano in posizione per fare le iniezioni non appena i due fossero stati espulsi dall’Ambra.

“Al mio via spara, Capitano.” ordinò, alzando tutte le leve del pannello di controllo “Ora!”

Jack sparò. I due vennero espulsi dall’Ambra e presi al volo da Henrietta e Peter, che gli fecero subito l’iniezione.

Tossendo si guardarono intorno; Walter si chinò su di loro, tenendoli a terra.

“State giù e respirate profondamente.” consigliò.

“Signor Segretario…” sussurrò Olivia, annaspando. Walter sorrise e si alzò.

“Mi dispiace, mia cara. Non sono lui, sono il dottor Bishop.”

“Walter…” sussurrò l’altro “ci avete trovati…”

“Già.” confermò Peter “State ancora giù.”

Il Dottore si avvicinò con le mani in tasca e li guardò.

“John… ti hanno già tirato fuori?” domandò Lincoln “Come sta Rose?”

“Non sono John. Sono il Dottore.” lo corresse l’altro “John e Rose sono ancora intrappolati nell’Ambra. Prima di liberarli ho bisogno di sapere una cosa, per poterli estrarre in sicurezza.” i due annuirono e il Dottore continuò “Il bambino di Rose. Quanto manca alla sua nascita?”

Olivia si tirò su, massaggiandosi il viso.

“Mancava un mese… me lo ricordo, erano al settimo cielo, quando lo hanno scoperto.” riferì.

“Me lo ricordo bene anche io…” confermò Lincoln “Big Ben non parlava d’altro.”

“Piantala di prenderlo in giro, Linc!” lo ammonì la rossa.

“Scusa Liv, ma è inglese. Mi viene naturale prenderlo in giro.” si scusò l’altro.

Il Dottore annuì e guardò Etta.

“Henrietta, prendi il mio posto. Questa estrazione è delicata, mi occupo io di rimetterli in sesto.”

La ragazza annuì e prese l’apparecchio, posizionandolo ai piedi dell’altra coppia.

“Quando vuoi tu, nonno.” rispose.

Il Dottore sorrise e guardò gli altri. Erano anni che qualcuno non lo chiamava così, aveva cambiato aspetto parecchie volte da allora; aveva dimenticato come ci si sentiva. Si mise in posizione e tenne ben salda la penna con la dose da iniettare ai due estratti dall’Ambra.

“Ora!” ordinò. Etta attivò il dispositivo e Jack sparò, spingendo fuori i due.

Il Dottore prese al volo Rose e le fece l’iniezione, quindi la fece stendere accanto al suo compagno, che tossiva cercando di respirare normalmente, e le controllò i parametri vitali con il suo cacciavite sonico.

Rose lo fissò, cercando di parlare.

“Non ti sforzare, Rose.” le consigliò “Sono il Dottore, ti ricordi di me? Vi abbiamo tirati fuori dall’Ambra, state tutti bene, anche il tuo bambino. Ma ora ho bisogno che stai ancora stesa, dobbiamo teletrasportarci nel TARDIS, sarà destabilizzante.”

Lei annuì e guardò il suo compagno, che si era già ripreso e ora le teneva la mano, carezzandole la fronte, premuroso. Il Dottore si girò verso Jack, che si avvicinò al gruppo e teletrasportò tutti dentro il TARDIS.

“Spero che non lo useremo più, il teletrasporto.” si lamentò Peter.

“Quante storie per un po’ di vertigini…” rispose l’alieno, aiutando il suo clone ad alzarsi “Ti trovo bene.” gli disse “Un po’ invecchiato, ma ti trovo bene.”

“Tu, invece, non sei invecchiato affatto.” rispose l’altro, abbracciandolo come un vecchio amico “Sapevo che saresti ricomparso, prima o poi!” esclamò “Tu arrivi sempre, quando ci sono guai in vista.”

“John…” lo chiamò Rose. L’uomo si precipitò da lei, si stava carezzando la pancia.

“Dimmi tutto, piccola.” la incoraggiò.

“Il bambino… il bambino si muove…” gli disse, sorridendo. Lui sorrise e la abbracciò.

Il Dottore decise di lasciarli soli e si avvicinò a Olivia e Lincoln, che avevano appena salutato Astrid e i due Bishop.

“Salve, io sono il Dottore.” si presentò “E questo è il mio TARDIS. Siete al sicuro ora.”

“Sei il doppio di John?” chiese la rossa.

“No.” Negò John, stringendo la compagna “Io sono il suo clone. Lui non è umano, io sì. Sono stato creato da una sua mano, e posseggo tutti i suoi ricordi fino al momento della mia creazione, avvenuta sei anni prima che ci ambrassimo.”

“La quale è avvenuta circa venti anni fa.” concluse Jack, avvicinandosi.

“Jack! Sei ancora vivo!” esclamò Lincoln.

“Ci vuole ben altro per uccidermi. Ora sono tutto per te, bel fustacchione.” rispose il Capitano, poggiandogli una mano sul fondoschiena, ma Olivia gliela tolse, storcendogli le dita.

“Prova a toccarlo di nuovo e trovo il modo di farti fuori definitivamente.” lo minacciò la donna.

Il Dottore rise e si rivolse a Jack, che si stava massaggiando la mano dolorante.

“Rassegnati, è l’alter di mia figlia!”

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Capitolo 10
*** 10 ***


Era notte fonda.

Nel TARDIS il silenzio era talmente intenso che quasi si sentivano i respiri di tutti i suoi componenti, nonostante fossero sparsi in varie stanze.

Peter non riusciva a dormire, troppi pensieri affollavano la sua mente; poche ore prima avevano estratto dall’Ambra i quattro componenti rimasti della Divisione Fringe alternativa, diventati anch’essi membri della Resistenza, dopo l’invasione degli Osservatori. Due di loro non li conosceva, e gli altri due non li vedeva da quando aveva chiuso il ponte, mesi prima della nascita di sua figlia.

Avrebbe voluto andare subito a recuperare anche Olivia ad Harvard, ma il Dottore era stato intransigente: nonostante anche lui volesse riabbracciare la figlia perduta, bisognava pianificare tutto alla perfezione; per quanto anche a lui piacesse agire d’istinto, quello non era il momento, troppe vite dipendevano dalle loro azioni.

Più conosceva quello strambo individuo in completo, cravatta e scarpe da tennis, più vedeva somiglianze con Olivia: cocciuto, riflessivo in certi momenti, impetuoso in altri, ma che sapeva dimostrare compassione, rispetto e affetto nei momenti giusti. Non c’erano dubbi che lui e Olivia fossero parenti.

Preso dai suoi pensieri era andato in cucina, aveva aperto tutte le ante e aveva trovato una bottiglia di whisky. Prese un bicchiere e si sedette al tavolo, versandosi da bere.

Stava sorseggiando il suo drink in silenzio, quando Lincoln si affacciò alla porta, con l’aria di essersi perso nei corridoi del TARDIS. Indossava ancora gli abiti che aveva quando lo avevano estratto dall’Ambra, e per Peter era strano vederlo così: l’ultima volta che lo aveva visto indossava ancora quel completo giacca e cravatta che lo faceva sembrare un contabile nerd.

“Oh… ciao, Peter. Credo di essermi perso.” spiegò Lincoln, entrando in cucina.

“Questo posto è un labirinto.” Disse Peter, prendendo un altro bicchiere e offrendogli il whisky “Ci vuole un po’ ad orientarsi.”

Lincoln annuì e si sedette al tavolo, prendendo il bicchiere che gli veniva offerto.

“E’ un po’ che non ci si vede.” disse.

“Già.” confermò Peter “L’ultima volta è stata quando ho chiuso il ponte.”

“Sono successe un sacco di cose da allora.” continuò l’altro “Molte cose sono cambiate.”

“Lo vedo.” sospirò Bishop, fissando la mano sinistra dell’amico, su cui spiccava una piccola fede d’oro lucente. Lincoln seguì lo sguardo e si fissò la mano.

“Ah, sì. Sono sposato.” confermò “Anche se è stato un lungo corteggiamento.”

“Sono contento per te.” disse Peter, sorridendo “Avete dei figli?”

Lincoln scosse la testa.

“Non abbiamo fatto in tempo.” spiegò “Olivia ne avrebbe voluti, ma poi sono arrivati gli Osservatori…”

“Per noi, invece, è stato il contrario. Abbiamo avuto Henrietta, ma non abbiamo fatto in tempo a sposarci.” confessò, svuotando il bicchiere in un sorso “Raccontami cosa è successo da voi dopo che ho chiuso il ponte.”

“Beh, non c’è molto da dire. Sono rimasto alla Divisione Fringe come ufficiale in campo. Facevo squadra con Olivia, quindi mi sono subito inserito. Dopo qualche mese, il Segretario Bishop ha deciso di contattare la Gran Bretagna e di firmare un accordo di collaborazione tra noi e la loro Agenzia Torchwood. Così da noi sono arrivati gli agenti inglesi, e alla nostra squadra si sono aggiunti Rose Tyler, tra le altre cose figlia del capo di Torchwood, e John Smith, un esperto di tecnologie aliene.” Raccontò, sorseggiando il whisky.

“John Smith ha detto di essere il clone del Dottore e di possedere i suoi stessi ricordi.” riferì Peter.

“Chi è questo Dottore? Come fa a sapere così tante cose sugli alieni?” chiese Lincoln.

“E’ un alieno egli stesso, un Signore del Tempo. Ed è anche il padre di Olive.” disse “Continua a raccontare…”

Lincoln annuì e fece un respiro profondo.

“Sì, dunque… abbiamo collaborato fino al 2015, quando c’è stata l’invasione e l’unione degli universi. Me lo ricordo bene quando è successo, perché eravamo appena tornati dalla luna di miele. Avevamo ancora qualche giorno, ma ci hanno chiamati d’urgenza alla base. Gli Osservatori avevano preso il controllo, così la nostra squadra ha tentato di contrastarli, e siamo entrati in clandestinità.” chiuse gli occhi e fece un altro respiro profondo, raccogliendo le idee “Tramite degli informatori abbiamo saputo che anche voi stavate combattendo, così ho proposto di venirvi a cercare.”

“Quindi siete venuti ad Harvard.” completò Peter.

L’altro annuì e riprese a parlare.

“Lì abbiamo trovato Olivia e Henrietta. Ci ha detto che vi eravate dovuti separare per poter proteggere la bambina. Aveva perso le speranze anche lei, e aveva deciso di farsi ambrare perché non la trovassero. Ci ha affidato vostra figlia; l’abbiamo tenuta con noi, proteggendola. Ma era dura, eravamo ricercati, e stavamo pianificando di spostarci da Harvard, quando Jack ci ha trovati e si è unito al gruppo. Subito dopo ci siamo trasferiti alla vostra casa sul Lago Reiden, ma ci stavano trovando…”

“Così avete affidato Etta a Jack e avete attivato il Protocollo Ambra.”

Lincoln annuì di nuovo, finì di bere il suo whisky e se ne versò dell’altro.

“Dimmi una cosa. Come hai conquistato Olivia?” chiese Peter. Doveva allentare la tensione, e aveva deciso di cambiare argomento.

L’altro sorrise, riportando alla mente vecchi ricordi felici.

“A dire la verità non so bene se io ho conquistato lei, o lei me. Te l’ho detto, è stato un lungo corteggiamento… a dire la verità, non so neanche se c’è stato un vero corteggiamento. Io avevo preso il posto del suo collega morto, ricordi? Poi sono rimasto con loro.” raccontò “Spesso siamo usciti la sera, come amici, lei mi raccontava di lui… io la lasciavo parlare, ne aveva bisogno…”

“Capisco. Non deve essere stato semplice.” Commentò Peter. Lincoln annuì.

“Però stando a contatto con lei sono cambiato, ho ritrovato me stesso, un posto che potevo chiamare davvero casa.” fece una pausa e si indicò i vestiti “Questo sono io, adesso. Prima mi mancava qualcosa…”

Fece di nuovo silenzio, sorseggiando il whisky. Nel corridoio sentirono qualcuno camminare verso la cucina. Entrambi gli uomini si voltarono verso la porta quando apparve Olivia.

Lincoln le sorrise, guardandola; gli occhi dell’uomo si erano illuminati non appena lei aveva fatto la sua comparsa.

“Come mai sei già in piedi? Non riesci a dormire, tesoro?” chiese Lincoln. Peter notò un quasi impercettibile cambio di tonalità: la sua voce era più bassa, tranquilla e preoccupata allo stesso tempo. Era un tono che conosceva bene, perché lo aveva usato molte volte con la sua Olivia. Era la voce di un uomo innamorato.

La donna si avvicinò sorridendo.

“Non eri a letto, così sono venuta a cercarti, Tyrone.” spiegò, con voce dolce, dandogli un leggero bacio sulle labbra.

“Colpa mia.” si scusò Peter “L’ho trattenuto qui per fare due chiacchiere.”

“Oh… e di cosa avete parlato?” domandò lei, aprendo il frigo in cerca di qualcosa da mangiare. Trovò una fetta di tiramisù, la prese e la posò sul tavolo. Lincoln tirò indietro la propria sedia e lei si sedette sulle sue ginocchia, rivolta verso il tavolo, guardando Peter e assaggiando il dolce.

“Niente di ché, piccola, solo dei vecchi tempi.” rispose il marito, tirandole indietro i capelli con un gesto automatico della mano e afferrandole delicatamente quella che teneva il cucchiaino, per assaggiare anche lui il dolce.

Peter osservava in silenzio la coppia. La Rossa non era la sua Olivia, ma gli faceva comunque male vederla in atteggiamenti così intimi con il suo migliore amico. Fino a quel momento non si era reso conto di quanto gli mancasse la sua compagna, di quanto gli mancassero quei piccoli gesti automatici che facevano di loro due un’unica entità. Non si era reso conto di quanto gli mancasse la semplice vita famigliare.

Si alzò e lavò il suo bicchiere, poi tornò al tavolo.

“E’ meglio se torno a dormire.” Annunciò, stringendo la mano di Lincoln e baciando la fronte di Olivia.

Lei gli sorrise, mentre lui andava verso la porta.

“Peter?” lo chiamò. L’uomo si fermò, voltandosi di nuovo, e lei riprese a parlare “Non smettere mai di guardare il cielo. Prima o poi finirà di piovere.”

Peter annuì e uscì quasi di corsa, sparendo nel corridoio.

Nel frattempo, nella sala comandi del TARDIS, il Dottore fissava lo schermo del computer di bordo, su cui scorrevano delle vecchie foto.

Rose entrò, fermandosi accanto a lui. guardò lo schermo, occupato da una grossa foto, probabilmente degli anni 70, rappresentante un uomo e una donna, il giorno del loro matrimonio.

“Io questa donna la conosco!” esclamò “Cioè… quando l’ho conosciuta io era molto più anziana, ma… questa è la madre di Olivia!”

Il Dottore si voltò verso di lei, guardandola. Fu sorpreso di notare che, nonostante gli anni trascorsi e la gravidanza, l’espressività dei suoi occhi fosse sempre la stessa della Rose che aveva viaggiato con lui per due anni.

“John non ti ha mai detto nulla?” domandò.

“Solo che conoscevi l’altra Marilyn, secoli fa. Ma non mi ha mai detto altro. Su questo argomento è sempre stato molto riservato.”

L’alieno sospirò e annuì, indicando l’uomo nella foto.

“Questo è Jacob Dunham, il nonno di Henrietta.”

Rose si sedette e fissò l’immagine.

“Sembrano molto felici.” Commentò.

“Lo eravamo. Era il 21 marzo 1977, il giorno del nostro matrimonio.” confessò il Dottore.

La ragazza spalancò gli occhi e lo fissò, sorpresa.

“Ma… Dottore, non mi hai mai detto nulla.”

“Non ti ho detto molte cose. Non c’era bisogno che tu sapessi.” rispose l’uomo, guardando un punto lontano di fronte a sé.

“Eri… diverso.” commentò la giovane, guardando la foto.

“Mi sono rigenerato nove volte da allora.”

“Perché l’hai lasciata, se eravate felici? Non la amavi?”

“Certo che la amavo, come amavo le mie figlie. Marilyn è la donna che ho amato di più al mondo, dopo te e Sarah Jane.” disse, quasi senza prendere fiato.

“Allora perché le hai abbandonate?” insistette Rose.

“Prima di tutto, ero ricercato. Avevo rubato il TARDIS e sono scappato, per i Signori del Tempo ero un ladro e un traditore.” rispose, finalmente, quindi si girò per guardarla negli occhi “E secondo, ti ricordi cosa ti dissi una volta? Lei, o tu, o chiunque altro, potete passare la vostra vita con me, ma io non potrei mai fare lo stesso. Io non muoio, mi rigenero. Non credere che sia stato facile… non è mai facile.”

Rose lo fissò, senza sapere che dire. Il Dottore sostenne il suo sguardo, serio, per poi cambiare improvvisamente espressione, sorridendo orgoglioso.

“Ma guardati, Rose Tyler! Ti ho lasciato che eri solo una ragazzina, e ti ritrovo giovane donna e futura madre!” esclamò.

“Futura madre in un mondo in frantumi…” completò lei, abbassando lo sguardo e sfiorandosi la pancia “Quando è iniziato tutto, è stata la prima volta che ho visto John tentennare.” continuò “Lui era sempre stato l’esperto, sicuro di sé, per questo lo amo, ma quando sono arrivati gli Osservatori e hanno compiuto quel massacro…” si asciugò una lacrima “non sapeva più che fare, le sue sicurezze erano state infrante. Abbiamo combattuto, ma poi io sono rimasta incinta…” si fermò, presa da un’improvvisa crisi di pianto “Dottore, io non voglio che mio figlio cresca in un mondo dominato dagli Osservatori…” concluse “in molti hanno perso la speranza, ormai.”

Il Dottore la strinse, cercando di farla calmare.

“C’è sempre una speranza, Rose. Ora sono qui io, vi aiuterò.”

Rose non rispose, continuando a piangere disperata. John era entrato e li guardava a distanza; il Dottore lo guardò e gli fece cenno di avvicinarsi.

“Portala in camera e falla calmare.” disse “Non lasciarla sola per nessun motivo, lei ha bisogno di te.” Gli consigliò.

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Capitolo 11
*** 11 ***


Era passata una settimana.

Erano rimasti chiusi nel TARDIS senza poter uscire, su ordine del Dottore.

L’unico che aveva il permesso di uscire, per fare provviste o controllare la situazione attorno al loro nascondiglio, era il Capitano Harkness. Entrava e usciva continuamente dalla cabina, sempre per eseguire gli ordini del Dottore, il quale stava pianificando la mossa successiva da fare.

Jack stava preparando lo zaino, prima di uscire, aiutato da Lincoln, che preparava i caricatori per le armi che il Capitano si sarebbe portato dietro, armi che aveva rubato ai Lealisti in una delle precedenti uscite.

“Questa è pronta.” annunciò Lincoln, passando una piccola mitraglietta a Jack. L’altro la prese e la soppesò, sorridendo soddisfatto.

“Perfetta! Equilibrata!” esclamò “Adoro queste nuove armi dei Lealisti, le trovo sexy!” si rivolse di nuovo a Lincoln, guardandolo sornione “Proprio come te, dolcezza.”

Lincoln sospirò, sorridendo. Jack era sempre il solito: cercava di allentare la tensione provandoci con tutti, indifferentemente dal sesso o dalla specie. Nessuno lo prendeva davvero sul serio, ma almeno non permetteva al gruppo di soccombere allo stress.

“Non ti allargare troppo, Capitano!” lo ammonì “Se ti sentisse mia moglie non sarebbe contenta.”

“Ma ora non c’è. Se non sbaglio sta facendo compagnia a Rose, con Astrid.” continuò Harkness “Per cui puoi anche darmi un bacio, prima che vad…” si bloccò, quando sentì una mano afferrargli con forza un orecchio e applicare una torsione, obbligandolo a mettersi carponi.

“Cosa stavi dicendo, Jack?” chiese la voce minacciosa della Rossa, a cui apparteneva la mano.

“Nu… nulla, signora Lee.” si corresse l’uomo. Olivia tolse la mano e Jack potè rialzarsi. Si massaggiò l’orecchio e si girò verso di lei, che lo guardava contrariata, tenendo le mani sui fianchi. Erano stati raggiunti anche dal Dottore e dal resto del gruppo.

Li guardò uno per uno: John non mollava mai Rose, che si era seduta vicino alla console dei comandi, il dottor Bishop degustava una Red Vine guardandosi intorno in modo calcolato e freddo, Astrid stava ferma vicino a lui, con aria preoccupata, così come Henrietta, e Peter camminava avanti e indietro come una tigre in gabbia.

“Bene, Jack.” esordì il Dottore “Ti ricordi quello che devi fare?”

“Avvicinarmi ad Harvard e verificare quanti e quali controlli ci sono per poter entrare.” spiegò l’altro.

“Vengo con te, Capitano.” si intromise Peter, prendendo la giacca e una delle altre armi.

“No, Peter. Ci va da solo.” lo bloccò l’alieno.

“Non me ne starò nascosto qui dentro ad aspettare un minuto di più, Dottore.” obiettò Bishop.

“No.” disse l’alieno, fermo “Ci manca solo che un ragazzino impaziente e impulsivo come te faccia saltare i piani!”

L’uomo si avvicinò, a pugni stretti, guardandolo fisso in faccia, gli occhi stretti dalla rabbia.

“Non. Starò. Qui. Un minuto. Di più!” ringhiò.

Il Dottore sostenne lo sguardo, avvicinandosi ulteriormente.

“Lo ripeto: esce solo Jack. Chiaro? Non ammetto un’altra obiezione da una persona con un QI che è metà del mio! Quella che stiamo cercando di riprenderci è mia figlia, quindi so quello che faccio!”

“Olivia è anche mia moglie! Voglio controllare di persona, nessuno mi garantisce che questo Capitano da strapazzo me la riporti sana e salva!” sbottò il giovane.

“Ehi! Io non sono un Capitano da str…” obiettò Jack.

“Jack, non ti intromettere!” lo interruppe il Dottore, poi si rivolse nuovamente a Peter “Tanto per cominciare, non deve andare a liberarla, ma solo a verificare le difese dell’edificio. Secondo: ti ho appena detto che è mia figlia! Ti pare che la lascerei nelle mani di una persona di cui non mi fido?”

“Beh, io non sono poi tanto sicuro di potermi fidare di te.” ringhiò ancora Peter “E’ colpa tua se Olivia ha avuto un’infanzia orribile! Se non l’avessi abbandonata non sarebbe successo tutto questo!”

“Tu hai fatto lo stesso. Hai abbandonato Henrietta.” ribattè l’altro, senza battere ciglio.

“Era diverso! Noi eravamo ricercati!”

“Anche io. Ammettilo, Peter, tu non sei tanto diverso da me! Anche tu sei scappato alla vista del tuo Vortice del Tempo, e non ti sei ancora fermato!” concluse il Dottore.

Peter strinse di nuovo i denti e, con un movimento fulmineo, alzò il braccio e tirò un forte pugno in pieno volto all’alieno, mandandolo dall’altra parte della stanza.

Stava per lanciarglisi contro per rincarare la dose, ma venne bloccato da John e Jack, che lo presero ognuno per un braccio, mentre Lincoln si metteva in mezzo.

“State lontani da me, voi due!” urlò, dimenandosi e cercando di liberarsi dalla presa “Non mi toccate!”

“Peter, calmati!” esclamò Lincoln. Peter cercò ancora di liberarsi dalla presa, e Lincoln parlò di nuovo, abbassando il tono della voce e guardandolo in faccia “Loro ti lasceranno, ma tu devi calmarti, ok?”

Peter era teso come una corda di violino. Stringeva i pugni e cercava con lo sguardo rabbioso gli occhi del Dottore, che si era alzato e stava a distanza, di fronte a lui. il suo respiro era corto e le labbra, tirate in un leggero ringhio, lasciavano mostrare parzialmente i denti.

Lincoln doveva calmarlo, prima che scatenasse il finimondo. Conosceva abbastanza bene il suo amico da sapere che la sua furia non avrebbe lasciato nessun superstite, se non riusciva a controllarsi. Sapeva cosa doveva fare, aveva sedato altri litigi in passato, aveva solo bisogno di trovare dentro di sé l’equilibrio, prima di occuparsi di Peter. Una cosa era sedare le liti tra due drogati, o due ubriaconi, o criminali comuni, un’altra era controllare la furia di un uomo che aveva perso tutto e che si trovava in trappola come una tigre in gabbia.

Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, li riaprì e si guardò intorno, fissando i volti di tutti i presenti. Alla fine si fermò su quello di sua moglie, lo focalizzò e si concentrò sul pensiero di lei, la sua anima gemella. Ritrovato l’equilibrio tornò a concentrarsi su Peter, fece un passo avanti e gli posò una mano sulla spalla.

“Peter, stai calmo.” disse, tenendo la voce bassa e gli occhi fissi sui suoi, che continuavano a vagare per la stanza “Non farai altro che peggiorare la situazione, se non ti calmi. Capisco cosa provi, ma devi avere pazienza.”

“Sono stufo di pazientare!” ringhiò Peter, continuando a far vagare lo sguardo per la stanza. Lincoln gli afferrò la nuca con entrambe le mani, costringendolo a guardarlo.

“La troveremo, Peter. La salveremo. Abbi fede, e pensa a tua figlia. Lei sta bene, ma ha bisogno di te, per questo devi ritrovare la calma.” continuò l’altro, senza mai cambiare tonalità di voce.

Bishop lo fissò in silenzio per qualche secondo, poi tornò a far vagare lo sguardo per la stanza, che si fermò, finalmente, su Etta.

Lo fissava a distanza, in attesa. Sembrava indecisa se avvicinarsi o meno. Nel guardarla, Peter si impose di calmarsi, non voleva farle del male. Non doveva farle del male.

I suoi muscoli si distesero. Lincoln lanciò uno sguardo agli altri due, che tenevano ancora fermo l’amico, e questi lo lasciarono, mentre lui gli dava una pacca sulla spalla e faceva un passo indietro.

Peter sembrò uscire da una trance e tornò a guardarsi intorno, quindi decise di lasciare la sala comandi e di stare da solo con sé stesso per un po’, in qualunque altro locale del TARDIS.

Lincoln sospirò, esausto. Questa volta era stata davvero dura, aveva dovuto usare tutte le sue forze per riuscire a calmare il suo migliore amico.

Olivia si avvicinò e gli prese la mano, quindi lo accompagnò fuori della sala comandi. Attraversarono, insieme, il corridoio ed entrarono in uno dei salotti, il più intimo e silenzioso di quel luogo al di fuori dello spazio e del tempo.

Si sedettero sul divano. Lincoln la guardò negli occhi; era ancora esausto, ma già si sentiva meglio. La vicinanza di sua moglie era la migliore cura per la sua psiche.

La strinse e la baciò. Lei lo lasciò fare e ricambiò immediatamente. Mentre la baciava, Lincoln si ritrovò a pensare a come era cambiata la sua vita in poco tempo, da quando era entrato nella Divisione Fringe del suo Universo di nascita.

Aveva lavorato a fianco dell’altra Olivia per mesi, cominciando anche a provare un certo affetto per quella donna bionda con un passato scuro, ma non si era mai sentito a casa.

Quando era comparso Peter, aveva anche provato gelosia, soprattutto nel momento in cui lei aveva cominciato a ricambiare i sentimenti per quell’uomo misterioso apparso dal nulla, e si era ritrovata con dei ricordi di una vita mai vissuta, ben impressi nella sua mente.

Da quel momento aveva ripreso a scappare, rifugiandosi nel lavoro e nelle saltuarie visite nell’altro universo, dove ad un certo punto si era trasferito, con la scusa di aiutare un’amica a trovare gli assassini di un suo amico e collega.

Quell’amica era l’altra Olivia, e l’uomo di cui stavano cercando gli assassini era l’altro sé stesso della realtà alternativa. Sperava che cercando i suoi assassini avrebbe dato un po’ di pace all’anima di quella donna, così simile e, allo stesso tempo, così diversa dall’Olivia che aveva conosciuto.

Stando nell’altro universo stava trovando la pace interiore, ma non se ne era ancora reso conto. Solo quando fu costretto a scegliere si accorse di quanto quel nuovo mondo, così diverso da quello in cui era nato, ma allo stesso tempo così simile, gli era entrato nel sangue. Doveva scegliere, e non ci pensò due volte: il suo universo, d’ora in avanti, sarebbe stato quello dove aveva passato le ultime settimane prima della drastica decisione di chiudere il ponte a Liberty Island.

Il ponte fu chiuso, senza possibilità di appello. Nessun rimpianto attraversò la mente di Lincoln: quella era la sua casa, perché il suo cuore era lì.

Cominciò da subito a lavorare per il Dipartimento della Difesa, sostituendo in tutto e per tutto il defunto capitano Lee. Lavorava al fianco di Olivia, con cui aveva subito stabilito un certo affiatamento, e con lei condivideva anche la casa; infatti, in attesa che lui trovasse una sistemazione migliore, gli aveva ceduto la camera degli ospiti.

Passò un anno, nel quale Lincoln aveva appeso il gessato e la cravatta al chiodo, preferendo un abbigliamento più comodo, nonostante amasse ancora le camicie bianche e ben stirate. Viveva ancora con Olivia, e insieme avevano anche creato una certa routine, come due vecchi amici che condividevano un appartamento.

Il venerdì, dopo una settimana di intenso lavoro, se non c’erano emergenze in corso, erano soliti restare a casa e ordinare la cena a un take away, il loro preferito era Damiano, a due isolati dal loro palazzo, mangiare con calma, chiacchierando del più e del meno, e dopo cena guardare vecchi film in bianco e nero, seduti sul divano, senza nessun altro pensiero.

Quella sera avevano scelto “Colazione da Tiffany”, film che Lincoln aveva già visto nell’altro universo, ma che non aveva ancora visto nella versione del suo universo di adozione, con Marilyn Munroe al posto di Audrey Hepburn.

Seduti sul divano, avvolti in una trapunta come le altre sere d’inverno che passavano a guardare quei vecchi film, si scambiavano commenti riguardo le differenze tra le due versioni del film, come erano soliti fare. Non era un venerdì sera tanto diverso dagli altri.

Come al solito, Olivia si era appisolata dopo circa mezz’ora, sistemandosi comoda sul divano, con la testa posata sulla spalla dell’amico. Lui la copriva meglio con la coperta e la lasciava dormire, continuando a guardare il film, per poi svegliarla alla fine.

Non era un venerdì tanto diverso dagli altri… o forse sì?

Il film era finito, e lui aveva spento la TV. Si era voltato verso Olivia per svegliarla; aveva gli occhi chiusi e i capelli che le ricadevano sul viso, disordinati. Glieli aveva spostati con un gesto delicato della mano e lei si era sistemata meglio.

“E’ tardi, è ora di andare a dormire…” le aveva sussurrato all’orecchio.

Lei aveva aperto gli occhi e lo aveva guardato, assonnata e aveva sussurrato una debole protesta. Lincoln aveva sospirato e l’aveva presa in braccio per portarla in camera sua. L’aveva già fatto altre volte, non era niente di diverso di una premura di un amico.

L’aveva sistemata sotto le coperte e lei aveva aperto gli occhi e aveva sorriso. Un sorriso sereno, di chi si sente al sicuro.

Qualcosa era scattato, con quel sorriso, e Lincoln si era avvicinato, sfiorando le labbra di Olivia con le proprie; la Rossa aveva ricambiato subito e gli aveva fatto posto nel letto. Lui si era sistemato accanto a lei, continuando a baciarla e a stringerla. Avevano la mente sgombra da qualunque pensiero, in quel momento, l’unica cosa che importava era che erano insieme, come se fossero stati vicini da sempre. Due anime gemelle, fatte per stare insieme; due piatti di una bilancia che avevano, finalmente, raggiunto l’equilibrio stabile.

I legami che Lincoln aveva ancora con l’altro universo si erano spezzati quella notte, mentre faceva l’amore con Olivia, la Sua Olivia.

Da quel giorno erano passati anni, ma quel legame che univa Lincoln Tyrone Lee e Olivia Dunham-Lee non si era mai spezzato, anzi si rafforzava ogni giorno.

Insieme avevano raggiunto l’equilibrio, e più nulla poteva turbarlo.

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Capitolo 12
*** 12 ***


Jack era uscito da un paio d’ore, e Peter si era isolato nella prima stanza vuota che aveva trovato: il locale piscina.

Nessuno lo aveva disturbato, doveva ancora sbollire, così una volta che Jack se ne fu andato, il Dottore congedò tutti quanti, che si dispersero nella nave.

Il Dottore era seduto accanto alla plancia di comando, soprappensiero, rigirandosi tra le mani il cacciavite sonico e il borsello in cui custodiva la sua utilissima carta psichica.

Sentì entrare qualcuno e alzò gli occhi. Olivia lo guardava dall’ingresso del corridoio, con le mani incrociate sul petto.

“Oh… ciao. Lincoln sta meglio? L’ho visto affaticato, prima.” la salutò, alzandosi e mettendosi le mani in tasca.

Lei sorrise e si avvicinò. In una mano teneva un kit di pronto soccorso.

“Lui se la caverà. Lo ha già fatto altre volte.” rispose “Piuttosto tu come stai? Quel pugno è stato davvero forte…”

Il Dottore si toccò il naso, ma dovette allontanare subito la mano a causa di una improvvisa fitta di dolore.

“Eh, sì… mio genero quando vuole ha un bel sinistro…” commentò.

“Fammi dare un’occhiata.” lo pregò la Rossa, avvicinandosi e facendolo sedere.

“Sto bene, è solo un pugno, niente di serio!” protestò l’alieno. La giovane sorrise di nuovo e gli sfiorò il naso “AHW! Fai piano!” protestò lui.

“Quante storie… mi sembra di vedere Tyrone tutte le volte che si faceva un livido durante una missione… voi uomini non sapete proprio resistere al dolore.” rise.

“Io non sono un uomo, sono un Signore del Tempo.” borbottò l’alieno, cercando di allontanare le mani della donna dal suo viso.

Olivia sospirò e gli tirò uno schiaffetto su una mano.

“Fermo e lasciami lavorare!” lo rimproverò, quindi aprì il kit di pronto soccorso, prese una garza e il disinfettante e gli pulì il sangue che gli era uscito dal naso, ignorando le proteste dell’uomo.

Il Dottore cercò di divincolarsi, senza successo, perché la donna lo teneva bloccato sulla sedia con un braccio. Olivia finì di pulirgli il sangue e lo guardò per qualche secondo.

“Che c’è ancora? Non mi hai torturato abbastanza?” protestò ancora il Dottore.

Lei non rispose, gli afferrò la base del naso e, con una leggera torsione, gli rimise a posto le ossa incrinate. L’uomo fece un urlo e lei gli mise una borsa del ghiaccio dove aveva appena operato.

“AAHHDDIO!” urlò ancora lui “Ma che sei? Lucrezia Borgia?!”

“Chi?” chiese lei. Il Dottore si rese conto che, probabilmente, le differenze tra i due universi si allargavano alla storia ufficiale: probabilmente da loro non era mai esistita la Famiglia Borgia.

“Ah, lascia perdere… però mi hai fatto male, lo sai questo?” si lamentò, tenendosi la borsa del ghiaccio premuta sul naso.

Olivia scoppiò a ridere.

“E tu saresti mio padre? Non riesci neanche a resistere a un po’ di dolore fisico…” lo prese in giro.

“Ehm… tecnicamente non sarei tuo padre, ma il padre dell’altra Olivia…” la corresse.

“Beh, biologicamente io e tua figlia siamo identiche, no? Quindi questo fa di me tua figlia, in un’altra realtà.” obiettò lei.

“Beh, sì… più o meno…” balbettò il Dottore, messo in difficoltà.

Olivia si sedette accanto a lui, guardandolo, infine parlò.

“Mio padre ti somigliava molto, sai? Solo era un po’ più anziano…”

“Da… davvero?” chiese l’alieno “Beh, quando ho avuto Olivia apparivo più anziano di come sembro adesso, anche se ero più giovane.” la donna lo guardò interrogativa e lui si affrettò a spiegare “Noi Signori del Tempo abbiamo un trucchetto per ingannare la morte: arrivati vicino alla fine noi cambiamo. E per cambiare intendo sia fisicamente che caratterialmente… in un certo senso è come morire e rinascere più volte, ogni volta diverso…”

“Oh… capisco.” annuì Olivia “Quindi quando hai avuto le tue figlie avevi una faccia diversa, e più anziana di adesso?”

“Già.” confermò “Da allora sono passati 800 anni, sono cambiato tante volte da allora.”

“Quante? Se posso chiedere…”

“Oh… beh… diciamo che questa è la mia decima faccia. Ed è davvero sexy, non trovi?” rise lui, mettendosi gli occhiali.

“Mio padre era… come te ora, solo più vecchio.” spiegò lei, sorridendo “E’ stato un padre fantastico, lo adoravo.”

“Si vede che le rigenerazioni dei Signori del Tempo hanno seguito un corso diverso, nella tua realtà. Ti manca?”

“Molto. È mancato quando avevo dodici anni, durante l’ultima epidemia di Spagnola, nel Texas del Sud, nel 1991.” confessò lei, abbassando lo sguardo.

“Oh… mi dispiace… però è strano… non si è rigenerato?” domandò l’altro, confuso. Lei scosse la testa.

“C’ero anche io quando è morto… mi ricordo bene le sue ultime parole: ‘mi rifiuto’.”

Il Dottore spalancò gli occhi, sorpreso.

“Si è rifiutato di rigenerarsi? Ma perché?”

“Forse non voleva sopravvivere ai suoi cari.” spiegò lei, poi si girò e lo guardò negli occhi “John ci ha spiegato molte cose su di te, in questi giorni. Ci ha detto che ti è molto difficile creare legami stabili, per via di quello che sei, e che sei scappato dalla tua vita con la tua Marilyn e le tue figlie non solo perché eri ricercato dai tuoi simili, ma anche perché non volevi sopravvivere a loro, vederle invecchiare e morire, mentre tu semplicemente cambiavi.”

Il Dottore non rispose. Erano 800 anni che si tormentava per le scelte fatte, ma non poteva cambiare la storia, non la sua.

“Questo non significa che tu non possa essere stato un padre meraviglioso. Sono sicura che lo eri, perché il mio era stupendo.” continuò Olivia, sorridendo. L’alieno ricambiò il sorriso e le fece una carezza.

“Non sarai la mia Olivia, ma sei esattamente come mi immaginavo sarebbe diventata lei: tosta, sensibile e con una gran forza d’animo.”

Lei lo lasciò fare e sorrise.

“Ci sono certi giorni che mi manca… ma non ci posso fare nulla, non è colpa sua.” continuò Olivia “Anche quando mi sono sposata… senza di lui mancava qualcosa.”

“Mi dispiace. Ma sono sicuro che sarebbe andato d’accordo con tuo marito. Lincoln ha un bello spirito battagliero, so riconoscere certe cose, io.”

“In realtà quando l’ho conosciuto era solo una copia un po’ nerd del mio collega, si muoveva come un pesce fuor d’acqua, ma ci sapeva fare con gli interrogatori.” spiegò Olivia, massaggiandosi il dito su cui teneva la fede.

“Il tuo collega?”

“Lincoln, l’altro Lincoln, è stato il mio migliore amico per cinque anni, prima di morire per mano di un terrorista mutaforma. È stato un duro colpo quando è morto.” confessò “Linc mi è stato vicino, dopo la tragedia, e dopo la chiusura del ponte è rimasto con me. Dopo tre mesi ero già follemente innamorata di lui, ma non mi andava di fare il primo passo, non dopo quello che avevamo passato entrambi, perdendo delle persone care.”

Il Dottore non disse nulla, non c’era nulla da dire. Le passò un braccio attorno alle spalle e la strinse in modo paterno.

Lincoln entrò e si avvicinò.

“Tutto bene, tesoro?” le chiese, premuroso.

“Sì, Tyrone. Stavo solo facendo due chiacchiere con papà.” rispose Olivia, sorridendo.

Sorrise anche il Dottore. Nonostante non fosse propriamente sua figlia, lo faceva star bene sentirsi chiamare in quel modo.

Ma la sua attenzione venne attratta da qualcosa che sporgeva dalla tasca dei jeans di Lincoln: una catenina metallica agganciata da un capo a un passante della cintura, e dall’altro a un orologio da taschino, come quelli che si usavano nel XIX secolo. Senza dire una parola lo prese e lo esaminò.

“Dove lo hai preso questo?” domandò.

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Capitolo 13
*** 13 ***


“Questo vecchio orologio?” domandò Lincoln “E’ un regalo di nozze. Perché?”

“Un regalo di nozze da chi?” chiese il Dottore di rimando.

“In realtà me l’ha dato mio padre prima di partire per il Texas del Sud. Voleva che lo tenessi io, finchè non tornava a casa, perché quello sarebbe stato il regalo di nozze per il mio futuro marito.” spiegò la Rossa “Perché ce lo chiedi? Lo hai già visto prima?”

“E’ solo un vecchio orologio…” obiettò Lincoln “Non vale molto, è pure bloccato, non si apre… lo tengo soprattutto perché sembra portarmi fortuna.”

“Questo non è un normale orologio.” spiegò, finalmente, il Dottore “Guardate!” si alzò e aprì una delle grate sul pavimento, tirò fuori una vecchia scatola, la aprì e ne estrasse un orologio da taschino, porgendolo ai due.

Lincoln li osservò attentamente e li soppesò.

“Sembrano identici, ma il mio pesa leggermente di più.” commentò.

“Perché il tuo contiene al suo interno l’essenza di un Signore del Tempo, ma non uno qualunque…” spiegò il Dottore, camminando a grandi passi attorno alla colonna centrale e gesticolando animatamente.

“Mio padre.” completò Olivia.

“Esatto! Molto Bene! Brava!” esclamò l’alieno, dicendo le ultime parole in perfetto italiano, poi prese l’orologio e lo esaminò da ogni angolo, inforcando gli occhiali “Riesco a percepire la sua essenza, qui dentro, ma mi respinge. Non sono io quello che può aprirlo, perché io sono lui, e non possiamo convivere nello stesso corpo, ci annulleremmo a vicenda… ma perché lasciarlo a te? Cosa sapeva lui che non so? E, soprattutto, come ha fatto a imprigionare qui dentro la sua essenza senza perdere la memoria?” guardò nuovamente Olivia “Perché da quello che mi hai detto tuo padre sapeva di essere stato un Signore del Tempo. Io l’ho provato questo congegno: il trasferimento della coscienza ti cancella la memoria, ma a lui non è successo. Perché?”

“Forse in questa versione il congegno di cui parli funziona diversamente.” propose Lincoln.

“Forse. Ma c’è qualcosa che mi sfugge. AAAHH!” urlò, agitato, l’alieno, portandosi le mani alla testa e scompigliandosi i capelli “Pensa! Pensa! PENSA!”

Il Dottore riprese a camminare, sembrava piuttosto frustrato; Lincoln lo fermò e gli posò una mano sulla spalla.

“Dottore!” lo chiamò, ma l’altro non lo ascoltava. Alzò improvvisamente la voce “DOTTORE!” l’alieno lo fissò con gli occhi sgranati, quindi, con voce calma e controllata e un tono di voce nuovamente basso, continuò “Dottore, calmati e spiegaci tutto.”

L’alieno lo fissò negli occhi, spostò lo sguardo sulla mano poggiata sulla sua spalla e, di nuovo, sugli occhi di Lincoln. Alla fine, sul viso del Dottore comparve un enorme sorriso.

“Lincoln Tyrone Lee, tu sei un genio!” esclamò, prendendogli la testa tra le mani e stampandogli un bacio sulla fronte, poi si allontanò e abbracciò la Rossa “Lo dico sul serio, piccola! Tuo marito è un genio! È proprio vero che noi Signori del Tempo amiamo circondarci di persone intelligenti, e i miei figli non sono da meno, anche se sono Signori del Tempo solo per metà!”

Il Dottore si allontanò, sempre sorridente e li guardò, con le mani in tasca.

“Ehm… cosa ho detto di così geniale?” chiese Lincoln, confuso.

“Ho sottovalutato le capacità della mente umana. Credo di avere capito, ma devo informarmi meglio.” spiegò l’altro, quindi corse verso la biblioteca.

I due si fissarono, interdetti.

“Il Dottore è davvero un tipo strano…” commentò Lincoln “A volte mi ricorda il dottor Bishop, ai vecchi tempi.”

Olivia annuì e lo strinse, in silenzio.

Peter, intanto, era ancora chiuso nel locale piscina. Seduto su una panca, dava le spalle alla porta e fissava l’acqua con aria pensierosa, coi gomiti poggiati sulle cosce e le mani intrecciate sotto il mento.

Astrid bussò ed entrò, tenendo due tazze di caffè in mano. Peter la ignorò e non si mosse.

“Peter? Ti ho portato del caffè…” lo chiamò, avvicinandosi.

Peter si voltò, con sguardo assente. Sembrava quasi non vederla; Astrid si avvicinò e le porse la tazza.

“Come ti senti?” gli chiese.

L’uomo alzò le spalle e drizzò la schiena. Stare solo a pensare, per quelle due ore, gli aveva calmato un po’ i nervi, ma non era sicuro se era pronto a parlarne. La fissò di nuovo e sembrò ridestarsi.

“Scusami, Astrid. Non ti ho sentito arrivare.” si scusò.

“Tranquillo… non devi prendertela col Dottore. Credo che lui faccia quello che fa per il nostro bene.”

Bishop scosse la testa e le fece posto nella panca, sorseggiando il caffè che gli aveva portato.

“Quell’uomo mi ricorda Walter, quando abbiamo iniziato… ricordi?” commentò.

“E’ una brava persona. Ed è il padre di Olivia, credo voglia riabbracciarla quanto lo voglia tu.”

“Se davvero le voleva bene non la abbandonava da bambina.” ripetè Peter, meccanicamente.

“Ma se non la abbandonava da bambina non sarebbe diventata l’Olivia che hai conosciuto e con cui hai avuto una figlia.” obiettò la donna.

“Ma lui… perché non vuole agire? Perché aspetta tanto?” chiese l’uomo, frustrato.

“Perché ha 906 anni di storia sulle spalle.” disse la voce del Dottore. Peter si girò, fulminandolo con lo sguardo. Stava per rispondergli male quando si accorse che non aveva davanti il Dottore, ma John Smith. Lo dimostrava l’abbigliamento militare, opposto all’abito elegante con cravatta che usava solitamente l’alieno.

“Cosa c’entra questo, ora?” protestò.

John si avvicinò, prese una delle panche e si sedette di fronte agli altri due.

“In 906 anni ne ha passate tante. È dall’età di 8 anni che scappa, e non riesce a fermarsi. Aveva avuto delle tregue, a volte, ma una tregua non è un punto finale, è solo una tappa, un pit-stop per prendere fiato, per trovare una sorta di equilibrio, ma comunque non puoi fermarti, devi continuare a correre.” spiegò, fissandosi le mani.

“E una delle tregue è stata la vita con la madre di Olivia, a Jacksonville.” completò Astrid.

John annuì, alzando di nuovo lo sguardo. Aveva gli occhi lucidi; aveva riportato a galla i ricordi del Dottore, ben impressi nella sua giovane mente.

“La amava molto, e avrebbe fatto qualunque cosa per lei e per le bambine. Erano tutta la sua vita. Ma i suoi simili lo stavano cercando, e avevano minacciato la sua famiglia. Non aveva scelta.”

“Però se non se ne fosse andato…” cercò ancora di obiettare Peter.

L’altro fece un respiro profondo, raccogliendo le idee.

“Peter, hai idea di cosa significhi vivere più a lungo di qualsiasi altro essere umano? Veder appassire e morire lentamente le persone che ami, mentre tu continui a vivere la tua vita?” domandò “Io sono giovane, sono nato 26 anni fa, invecchierò e morirò, come tutti gli altri, ma ho nella mia testa tutti i ricordi del Dottore, so tutto quello che ha provato quando ha incontrato Marilyn, quando si sono sposati e sono nate le bambine. Mi ricordo persino te che, da bambino, quando sapevi appena camminare, tutte le volte che Walter ti portava da loro, correvi dentro solo per vedere la piccola Olive che dormiva nel suo passeggino. E mi ricordo anche il tormento che ha avuto quando è tornato al TARDIS, fingendo la sua morte, con l’intenzione di proteggerle. È stato lo stesso strazio che ha provato quando ha dovuto lasciare Rose nell’altro universo… credimi, non è stato facile, davvero.”

“Chissà cosa ha provato quando ha lasciato te con lei, allora, se la amava…” commentò Astrid, guardandolo.

“Non lo so.” confessò John “E non credo mi interessi. Per quanto mi riguarda, io ho smesso di scappare, anche se i ricordi che ho non sono i miei, ma sono di un’altra persona, io ho trovato il mio angolo di pace, e questa volta non è una semplice tregua: non scapperò da Rose e da mio figlio.”

“Però Olivia è mia moglie… non posso aspettare ancora…” disse Peter.

“Capisco il tuo punto di vista, Peter.” lo rassicurò l’altro “Credo che farei lo stesso se al posto di mia f… Olive ci fosse Rose. Ma il Dottore ha ragione: non possiamo andare alla cieca. Abbi fede, la riavrai presto.”

Peter lo guardò negli occhi. Alla fine sembrò convinto e si alzò in piedi.

“Andiamo. Dobbiamo tenerci pronti, nel caso dovessimo, finalmente entrare in azione.” ordinò.

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Capitolo 14
*** 14 ***


Lincoln e Olivia erano rimasti nella sala comandi, approfittando del fatto che erano da soli. Erano abbracciati stretti e si muovevano al suono di una musica lenta che sentivano solo loro.

“Credi che riusciremo mai ad avere di nuovo una vita normale?” domandò l’uomo, guardando la moglie negli occhi.

“Perché? Abbiamo mai avuto davvero una vita normale?” chiese Olivia, sorridendo divertita “Già il modo in cui ci siamo conosciuti non è propriamente definibile come normale. Tu avevi una faccia… sembravi aver appena visto un fantasma.”

Lincoln sorrise, stringendola di più a sé.

“Avevo appena avuto una strana sorpresa: il mondo non era come pensavo che fosse.”

“Strana davvero… pensa a me, che mi sono trovata di fronte la copia del mio migliore amico.” commentò la Rossa. Lincoln la guardò serio.

“Ci pensi mai a come sarebbe stato se non fosse successo quello che è successo?” chiese, senza distogliere lo sguardo “A come sarebbe stata la tua vita se lui non fosse morto?”

Olivia sospirò, passando una mano sui capelli del marito. Stavano insieme da anni, ma non avevano ancora davvero affrontato quell’argomento.

“Non lo so.” ammise “Forse sarebbe stato diverso. Con lui, però, non ho mai avuto il rapporto che ho instaurato con te, dopo che ti sei trasferito. Eravamo amici, ma almeno per me non c’è mai stato altro. Non so come fosse per lui, ma per me era solo un amico che mi ha aiutato in un momento di difficoltà. Se lui non fosse morto, forse tu non ti saresti mai trasferito, ed ora non saremmo una famiglia.”

Lincoln sorrise e le diede un leggero bacio. Famiglia… lui non aveva mai avuto una vera famiglia, da quando aveva cominciato a lavorare all’FBI. Non si era mai sentito a casa, finchè non aveva conosciuto Olivia.

“A proposito di famiglia…” disse, continuando a guardarla negli occhi “Quando tutto sarà finito, potremmo cominciare a pensare di allargarla…”

“Tyrone… ma chissà quando finirà…” obiettò lei.

“Già, ma possiamo comunque tenerci in allenamento.” concluse lui, con un sorriso allusivo.

“Stai cercando di portarmi a letto, signor Lee?” lo rimproverò Olivia.

L’uomo fece spallucce e la baciò di nuovo. La Rossa ricambiò e si strinse a lui, senza farselo ripetere due volte.

Erano ancora immersi nella loro tacita conversazione, quando la porta d’ingresso si aprì. Nessuno dei due si mosse, talmente erano impegnati in quello che stavano facendo.

“Ehi, Rossa!” li interruppe la voce del Capitano Harkness “Non me lo consumare troppo! Voglio anche io le coccole da Lincoln!”

Olivia si allontanò dal marito, senza però staccare gli occhi da lui, e si rivolse a Jack.

“Capitano Harkness, ti ricordo che ho una buona mira.” lo minacciò.

“Oh, andiamo, stavo scherzando!” esclamò l’altro.

“Io no. Il Dottore è in biblioteca, e credo che ti stia aspettando. Ti conviene sparire, e in fretta!”

“Forse sarei più veloce se mi deste una mano…” obiettò il Capitano. Improvvisamente si accorsero che la sua voce era affaticata e si girarono per guardarlo “mentre venivo qui dei Lealisti mi hanno usato come bersaglio per il tiro a segno…”

L’uomo si reggeva a stento in piedi, e il petto era crivellato di fori di proiettile ancora sanguinanti. Era pallido e aveva già perso molto sangue. In una mano teneva stretto lo zaino che si era portato dietro, mentre nell’altra stringeva la mitraglietta.

Fece un passo avanti ma perse l’equilibrio. Con un balzo, Lincoln gli fu vicino e lo adagiò a terra, cercando di farlo rimanere nella posizione più comoda possibile.

“Vai a chiamare gli altri!” esclamò, rivolto a Olivia. Lei corse subito nel corridoio a cercare aiuto.

Jack tossì e si aggrappò a Lincoln, quindi lo guardò in faccia.

“Che fortuna…” sussurrò “Morirò felice se mi tieni stretto, dolcezza…”

“Fai ancora una battuta del genere e la prossima volta ti lascio morire da solo!” lo rimproverò l’altro.

Il Capitano stava per ribattere, quando arrivarono gli altri, il Dottore davanti a tutti, che si abbassò accanto a lui e gli parlò.

“Jack! Che diavolo è successo?”

“Nulla, Dottore… la mia solita fortuna: un gruppo di Lealisti di ronda in zona…” spiegò, con voce bassa “però ti ho portato un regalo… apri lo zaino.”

L’alieno annuì e aprì lo zaino. Ci infilò dentro la mano e ne estrasse una uniforme completa da Lealista.

“Come l’hai avuta?” domandò, esaminandola.

“Ne ho accoppato uno ad Harvard. Ho pensato che potesse essere utile…” spiegò Jack, sempre più affaticato.

“Hai ragione, può esserci utile.” lo rassicurò “Ora chiudi gli occhi, ci si rivede quando ti risvegli.”

Jack annuì e chiuse gli occhi, respirando piano. Lincoln lo adagiò a terra e si alzò, guardando gli altri. Non era la prima volta che il Capitano tornava al TARDIS in punto di morte. Bisognava solo aspettare e sarebbe tornato in vita entro qualche minuto.

“Una uniforme dei Lealisti?” chiese Peter “Come può esserci utile un’uniforme dei Lealisti?”

“Tanto per cominciare, il TARDIS ha la capacità di darti alcuni oggetti esattamente come tu li vuoi, quindi si possono fare degli abiti su misura partendo da un modello. Possono servirci per intrufolarci nelle linee nemiche senza farci notare.” spiegò il Dottore.

“Quindi significa che entriamo in azione, finalmente?” domandò il giovane Bishop, impaziente.

“Calma, ragazzo! Ci sono ancora alcune cose da chiarire, in questo piano!” lo placò l’alieno “E comunque dobbiamo aspettare che Jack torni dall’Oltretomba e ci riferisca la situazione di Harvard, prima di organizzarci.”

Peter non rispose e sospirò, frustrato. Intanto il Dottor Bishop si era abbassato per controllare il Capitano. Gli poggiò due dita sul collo, per sentirgli il battito.

“Jacob, credo che ci vorrà un po’: non è ancora morto.” gli riferì.

Il Dottore si abbassò per verificare e controllò il polso di Jack, poi gli tastò la fronte.

“Dannazione! Ha la febbre alta, e continua a perdere sangue! Di questo passo ci vorranno ore prima che possa tornare tra noi!” imprecò.

Il dottor Bishop gli aprì la camicia, controllando le ferite.

“Ha ancora dei proiettili in corpo. A quest’ora non avrebbe dovuto espellerli?”

Il Dottore annuì e sospirò, preoccupato.

“Dovremo farlo noi…” disse, dando una leggera pacca sulla spalla di Jack, che gemette debolmente per il dolore.

Peter, John e Lincoln di guardarono per qualche secondo, in una tacita conversazione, infine si abbassarono sul Capitano, mettendo le loro mani sotto il suo corpo.

“Dottore, dacci una mano!” lo chiamò Peter “Lo portiamo in camera sua, poi Walter si occuperà dell’estrazione dei proiettili!”

L’alieno annuì e aiutò gli altri tre a sollevare Jack, senza fargli subire troppi scossoni, quindi lo trasportarono alla sua stanza.

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Capitolo 15
*** 15 ***


Appena Jack fu sistemato sul letto, Walter potè esaminare meglio le ferite. Peter lo guardava a qualche passo di distanza, mentre gli altri erano usciti, per non essere d’intralcio.

Henrietta entrò, fermandosi accanto al padre e fissando il nonno che controllava uno per uno i fori di proiettile sul corpo di Jack. Peter la fissò; era tesa e preoccupata. Il suo sguardo vagava attorno al letto dove era disteso l’uomo che l’aveva cresciuta.

-Dio, come somiglia a sua madre…- si ritrovò a pensare, fissandola con le braccia incrociate sul petto. Era cresciuta tantissimo, e ancora non si era abituato al fatto che non era più la bambina spaventata che aveva dovuto dolorosamente abbandonare venti anni prima.

“Hai bisogno di una mano, dottor Bishop?” domandò, fissando il vecchio, preoccupata e impaziente.

“Sì. Dovresti passarmi gli strumenti che ti chiederò.” annuì Walter, leggermente contrariato perché non lo chiamava nonno. La ragazza annuì e fece qualche passo verso il letto, in attesa; Peter la seguì, senza fiatare, guardandola attentamente.

“Hai intenzione di dirmi quello che vuoi dirmi, papà, o resti a fissarmi finchè Jack non torna in vita?” chiese Etta, cogliendo il padre in fragrante.

L’uomo distolse lo sguardo, sospirando. Era decisamente figlia sua.

“Nulla… stavo solo vedendo quanto fossi simile a tua madre…” confessò.

Henrietta sorrise e si avvicinò ancora al letto, dove Walter aveva già cominciato ad operare. Jack si lamentava, stava soffrendo, ma il dottor Bishop aveva insistito a non fare alcuna anestesia, perché non c’era tempo da perdere.

Afferrò il bisturi che gli porgeva la bionda e praticò un’incisione, quindi allargò il foro e inserì la pinza per estrarre il proiettile. Jack si lamentò ancora, agitandosi. Peter fu vicino a lui in un balzo, per tenerlo fermo mentre il padre operava.

Jack si girò verso Etta, facendole un sorriso paterno, nonostante stesse soffrendo come un cane. Peter strinse i denti; aveva notato parecchie volte, in quei giorni, quegli scambi di sguardi tra loro. Gli faceva male vederli, ma d’altronde il Capitano le aveva fatto da padre mentre lui era nell’Ambra, cosa avrebbe potuto dire?

Henrietta asciugò il sudore dal volto di Jack, muovendo la salvietta con un gesto delicato, poi incrociò lo sguardo di Peter e gli fece un sorriso. L’uomo riconobbe quel sorriso, era lo stesso che gli faceva Olivia quando voleva rassicurarlo che stava bene, che non c’era niente che non andasse. Le sorrise di rimando, continuando a tenere fermo il Capitano Harkness.

Finalmente Walter estrasse l’ultimo proiettile. Jack si fece sempre più debole; cercava di parlare.

“Shh… non ti sforzare…” gli sussurrò la giovane, carezzandogli i capelli.

“Devo… devo dirlo…” insistette il Capitano, con un filo di voce “Tuo… tuo nonno, il dottor Bishop deve essere stato un gran bell’uomo da giovane.” completò, cercando anche di sorridere.

Etta scosse la testa sorridendo: anche in punto di morte aveva sempre quel chiodo fisso in testa. Gli prese la mano e gli posò le labbra sulla fronte, con delicatezza.

“Riprendiamo dopo questo discorso, Jack. Ora chiudi gli occhi.” rispose lei, con dolcezza. Jack respirava a fatica, le forze lo stavano lentamente abbandonando; si girò verso Peter e gli prese la mano, tenendola stretta. Bishop non si mosse e lo guardò, in attesa.

“Tua figlia… è una ragazza forte. Sicuramente l’ha preso da te.” sussurrò “Devi essere fiero di lei.”

“Lo sono.” rispose Peter “Ora fai quello che ti ha detto. Chiudi gli occhi, riprendiamo il discorso dopo.”

Jack stava per rispondere, ma in quel momento il suo cuore si fermò. Henrietta gli chiuse gli occhi e si allontanò; Peter le si avvicinò e la abbracciò, stringendola in modo paterno.

“Ora non ci resta che aspettare.” disse.

Intanto, in uno dei salotti, il resto del gruppo era in attesa.

Astrid, Olivia e Rose erano sedute sul divano, in silenzio, Lincoln camminava per la stanza, John era fermo, con la schiena poggiata al muro e le mani in tasca, che guardava il vuoto, e il Dottore era seduto al tavolo, ed armeggiava con delle chiavi, dei piccoli bulloni e il suo cacciavite sonico.

Rose si carezzava la pancia, lanciando sguardi preoccupati alla porta. Astrid si rivolse a lei, dolcemente.

“Se la caverà anche questa volta, non temere.” la rassicurò.

La giovane la guardò con gli occhi lucidi.

“Lui non può morire…” disse “Ma noi sì. Quando, finalmente, agiremo sarà pericoloso…”

“Non agiremo tutti quanti. Alcuni resteranno qui dentro, al sicuro.” affermò Olivia. Rose la fissò quindi si girò verso il compagno, guardandolo interrogativa.

“Per te è più sicuro rimanere qui.” confermò John “E’ troppo pericoloso, e nelle tue condizioni non voglio rischiare.”

“Ma John…” cercò di obiettare la giovane.

“Niente ma. Scusa, Rose, John ha ragione. Comunque Astrid e il dottor Bishop resteranno con te.” la fermò il Dottore, alzando gli occhi dal suo lavoro.

Rose stava per replicare, ma John si inginocchiò e le carezzò la pancia, guardandola negli occhi.

“Rose, per favore, non insistere. Fallo per nostro figlio, ti prometto che non ci succederà niente.” la implorò.

Si fissarono a lungo negli occhi, in silenzio. Olivia si alzò e posò una mano sulla spalla di Rose, rassicurante.

“Lo proteggeremo noi, tornerà sano e salvo.” disse.

In quel momento entrarono Peter, Etta, Walter e Jack, finalmente guarito. Quest’ultimo si sedette su una poltrona e si guardò intorno, sorridente.

“Sono tornato come nuovo, visto?” esclamò.

Il Dottore si alzò, rimettendosi in tasca il cacciavite sonico, e si avvicinò all’amico.

“Bene. Ora dicci qual è la situazione di Harvard.” lo incitò.

“Oh, beh…” cominciò “fuori è pieno di posti di blocco. Ci sono lealisti ed Osservatori ovunque. Sono riuscito ad entrare da una porta non sorvegliata, che aveva una serratura con badge. Sono arrivato fino al vecchio laboratorio.”

“Aspetta…” lo interruppe Peter “come hai fatto ad entrare, se la serratura richiedeva un badge per aprirsi?”

“Con questa.” spiegò il Capitano, quindi mostrò un rettangolo di carta completamente bianco.

“Carta psichica?” la riconobbe il Dottore “Geniale! Vai avanti.”

“No, un momento, Dottore.” lo interruppe ancora Peter “Che cos’è una carta psichica?”

“E’ una carta speciale. Fa vedere a chi la mostri qualunque cosa tu voglia.” spiegò l’alieno.

“In che senso?” domandò l’altro.

“E’ una sorta di ipnosi. Tecnologia aliena, ragazzo. Però non funziona su chi ha un addestramento psichico di base o su chi ha la mente predisposta già in modo naturale.” disse il Dottore “Ad esempio, Jack vede solo un foglio bianco. Tu cosa vedi?” domandò ancora, mostrando la sua carta.

Peter prese il borsellino e rigirò il foglio da ogni angolo, quindi glielo restituì.

“Nulla, solo un foglio bianco.” rispose.

“Mh… interessante…” commentò il Dottore, quindi passò a Henrietta, mostrandole la carta psichica.

“Dottore, con lei non funziona.” lo informò il Capitano “L’ho addestrata io.”

“Ottimo, Jack.” si complimentò l’altro, quindi passò ad Astrid.

“Una patente?” domandò, guardando bene il foglio “No, è una tessera della biblioteca… no, aspetta! Un passaporto… ma…”

“Ecco cosa vedono le persone comuni: qualunque cosa tu voglia che queste vedano.” spiegò il Dottore, trionfante, quindi passò a Lincoln.

“Niente, solo un foglio bianco.” riferì quest’ultimo.

“Ne ero certo, nel tuo caso.” confermò l’alieno, quindi passò a Walter.

“Questo è… a cosa ti serve il certificato di nascita di Rachel?” domandò, interdetto.

“A nulla, era solo una prova, ho scelto la prima cosa che mi è venuta in mente.” disse l’altro, passando a Olivia. Lei scosse la testa e sorrise; il Dottore ripose il borsello nella tasca e le diede un buffetto sulla guancia “Il tuo essere per metà Signore del Tempo ti protegge, Olivia. Sei fortunata.”

“Bene. Ora, dopo questa dimostrazione, ci dici quale sarà il piano?” domandò Peter, spazientito.

Il Dottore si avvicinò al giovane Bishop, guardandolo negli occhi, con le mani in tasca.

“Parte di noi si introdurranno nell’edificio nei panni di soldati Lealisti, usando una carta psichica come documento.” riferì “Gli altri li seguiranno, usando un filtro di percezione.”

“Un filtro di percezione?” domandò Lincoln.

“Questo.” disse l’alieno, prendendo una delle chiavi a cui stava lavorando, legata a un cordino “Guarda…” si mise al collo la chiave. Lincoln strizzò gli occhi, e si tolse anche gli occhiali, strofinandoseli con una mano.

“Impossibile…” esclamò “So che sei lì, ma non riesco a vederti…”

Il Dottore sorrise e si tolse la chiave dal collo.

“Ora, abbiamo solo due carte psichiche…” cominciò, ma venne interrotto da Jack.

“Non è corretto. Ne abbiamo un po’.” lo corresse, infilando la mano nella tasca del suo lungo cappotto e tirando fuori un mazzo di carte psichiche perfettamente bianche. Il Dottore sorrise e Jack concluse, sornione “Puoi dirlo che mi ami, Dottore!”

“Perfetto. Peter, Lincoln, Etta, John, Olivia, prendetene una a testa.” ordinò “Poi Peter, Lincoln e John vadano a cambiarsi, partiamo prima possibile.”

“Cambiarci? Come dobbiamo vestirci?” chiese Lincoln, confuso.

“Vai in camera tua e lo vedrai.” rispose l’altro, sorridendo.

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Capitolo 16
*** 16 ***


“Aspetta, Dottore!” incalzò Jack “E io che faccio?”

“Ti conoscono, Capitano.” spiegò l’alieno “Non voglio rischiare che la missione salti perché i Lealisti vedono una faccia conosciuta.”

“Io non me ne starò dietro le quinte ad aspettare!” insistette “Io vado in prima linea con gli altri! Quindi ora vado in camera, e sarebbe meglio se il TARDIS mi facesse trovare gli stessi abiti che ha preparato per loro!”

Il Dottore sospirò, Jack era davvero testardo. Ma d’altronde non avrebbe potuto fargli cambiare idea in alcun modo, quindi lo lasciò andare.

Il primo a ripresentarsi fu Peter. Indossava un’uniforme da Lealista che gli calzava a pennello. Henrietta si avvicinò e gli aggiustò il nodo della cravatta.

“Ti sta molto bene, sai?” gli disse.

Peter sorrise. In realtà quell’uniforme lo metteva a disagio, perché significava dover infiltrarsi nelle linee nemiche; lui aveva fatto parte della prima Resistenza, era una faccia conosciuta, quindi qualcuno avrebbe potuto ricordarsi il suo volto.

L’arrivo di Lincoln lo distrasse dai suoi pensieri. Anche lui indossava un’uniforme da Lealista; Olivia si avvicinò, gli aggiustò un ciuffo ribelle di capelli e gli stampò un bacio affettuoso sulle labbra. Peter distolse lo sguardo; finchè non fosse riuscito a riavere la sua Olivia, vedere l’altra Olivia insieme al suo migliore amico continuava a farlo stare male, nonostante fosse felice per loro. Si meritavano un po’ di felicità, soprattutto nel mondo in cui stavano vivendo. Loro e gli altri due, John e Rose erano quelli che si meritavano di più un futuro di pace, come anche sua figlia, Henrietta.

Jack e John fecero capolino nella sala comandi. Quest’ultimo sembrava a disagio nell’uniforme, probabilmente avrebbe preferito abiti più comodi e meno vistosi; invece Jack sembrava perfettamente a suo agio e si pavoneggiava come un fotomodello.

Peter sospirò ma non potè trattenere un sorriso. Il Capitano non riusciva a stare serio, era più forte di lui; ma era il suo carattere, e finchè faceva il suo lavoro non era un problema per nessuno. Anzi, le sue uscite goliardiche, spesso, erano le benvenute.

Il Capitano si avvicinò a Lincoln e Olivia, che si erano abbracciati stretti, e si intromise, abbracciandoli entrambi.

“Voglio anche io l’abbraccione…” piagnucolò, scherzosamente.

Lincoln e Olivia lo guardarono contrariati, poi lei si allontanò leggermente dal compagno e si girò verso il Capitano, che era già pronto a ripararsi dall’ennesima reazione violenta della donna. Ma lei lo sorprese: lo abbracciò e gli stampò un bacio sulla guancia. Jack rimase per un momento bloccato, interdetto dalla reazione della donna, ma alla fine rispose all’abbraccio.

Lincoln sorrise e gli diede una pacca sulla spalla. Jack, senza mollare Olivia, abbracciò anche lui.

“Vieni qui, bel maschione!” esclamò “Non essere timido!” continuò, e a sorpresa gli stampò un sonoro bacio sulle labbra. Lincoln si allontanò immediatamente, pulendosi la faccia, schifato.

Il Dottore li interruppe, guardandoli severo.

“Ci siamo tutti?” domandò.

“Sì, ma… manca una cosa. Così non sono ancora credibili.” rispose Etta, guardandoli uno per uno.

“Perché? Cosa manca?” chiese ancora l’alieno.

“Manca il tatuaggio.” riferì Jack “Tutti i lealisti hanno un tatuaggio, credo sia un numero, sulla guancia, sotto l’occhio destro, scritto nella lingua degli Osservatori.”

“Come fai a dire che è un numero?” intervenne Peter.

“Perché quando chiamano qualcuno di loro, si identificano con un numero.” spiegò il Capitano.

Il Dottore si massaggiò la testa, pensieroso.

“Beh, questo è un problema… dovrete farvi un tatuaggio temporaneo…” disse, tra sé, quindi prese il suo cacciavite sonico e lo fissò, pensieroso.

“Può servire una matita per gli occhi?” domandò Etta, ad un certo punto. Il Dottore la fissò in silenzio, quindi corse in una delle altre stanze.

Tornò subito dopo con una strana penna. Somigliava al suo cacciavite sonico, ma la punta era più sottile, simile a quella di una penna a sfera. Si avvicinò a John e lo guardò. L’altro capì e sorrise.

“Grandioso!” esclamò “Penna sonica per tatuaggi finti!”

“Penna che?” domandò Lincoln.

“E’ una mia invenzione, crea finti tatuaggi che spariscono dopo qualche ora, riproducendo dei disegni preparati precedentemente.” spiegò il Dottore.

“Quindi serve un modello?” chiese Henrietta.

“Credo che le foto scattate in precedenza ai lealisti da Jack possano esserci d’aiuto. Basta ricombinare i simboli. Ho già caricato i programmi.” disse, infine, il Dottore, facendo sedere il suo clone e lavorando sulla sua guancia destra.

Quando ebbe finito si rivolse agli altri, mostrando il lavoro. Peter si avvicinò, esaminando il finto tatuaggio.

“E’ perfetto. Sembra quasi vero.” commentò. Il Dottore sorrise soddisfatto e si mise al lavoro sugli altri.

Quando fu il turno di Lincoln, prima di tatuarlo, lo fissò perplesso.

“Togliti gli occhiali.” ordinò “Non ho visto Lealisti che li indossavano, ti faresti troppo notare.”

Lincoln sospirò e si tolse gli occhiali, passandoli alla moglie, che se li mise con cura in tasca.

Quando, finalmente, la procedura fu terminata, il Dottore distribuì le chiavi a tutti e spiegò il funzionamento.

“Camminate con calma. Niente scatti bruschi; non correte. Tenete la voce bassa, non urlate. E non fissate la gente a lungo, se lo fate vi vedranno.” elencò, quindi si rivolse agli uomini in divisa “Ci avvicineremo tutti insieme al cancello principale di Harvard, poi voi vi mostrerete ed entrerete nell’edificio, usando le carte psichiche. E ricordate” aggiunse, rivolto a Peter e Lincoln “quando dovrete usarla, mantenete la concentrazione, focalizzatevi su cosa volete mostrare.” concluse, quindi attese una risposta. Tutti annuirono e lui aprì la porta del TARDIS, fissando Walter, Astrid e Rose “Torneremo presto.” riferì, quindi uscì, seguito dal resto del gruppo.

Si incamminarono lentamente, in gruppo compatto, verso l’università. Dovevano camminare per parecchi isolati; restarono in silenzio, il Dottore apriva il gruppo e il Capitano la chiudeva. Era incredibilmente serio, non aveva fatto nessuna delle sue solite battute da quando erano usciti dalla cabina blu.

Erano tutti concentrati. Il Dottore camminava con le mani in tasca, guardandosi intorno lungo la strada, Lincoln e Olivia procedevano mano nella mano, dietro di lui, senza perdere un passo. Peter camminava da solo, al centro del gruppo, fissando un punto di fronte a sé; dietro di lui, Etta e John cercavano di mantenere il passo. Il gruppo era chiuso da Jack, serio e silenzioso come non era mai stato.

Dopo un po’ che camminavano, sbucarono vicino all’entrata principale di Harvard. Il Dottore si fermò a distanza, al riparo, e si rivolse a Peter, John, Lincoln e Jack.

“Toglietevi i filtri di percezione. Cominciamo.”

Gli altri annuirono ed eseguirono. Peter fece un respiro profondo e si incamminò per primo. Arrivato al posto di blocco si fermò e fissò il Lealista che si era avvicinato.

“Dobbiamo prendere servizio all’interno.” riferì.

“Posso vedere i vostri permessi, per favore?” chiese l’altro, squadrandoli uno per uno. Anche il dottore e le due donne si erano avvicinate, ma non le vide, poiché erano nascoste dal filtro di percezione.

Peter porse la carta psichica. L’altro uomo la prese e la guardò attentamente, come se ci fosse scritto davvero qualcosa, quindi la restituì e li lasciò passare.

Mantenendo la calma passarono il blocco, ritrovandosi in un ambiente colmo di Lealisti ed Osservatori intenti in ogni genere di attività.

Si avvicinarono all’entrata e Lincoln aprì la porta, sbirciando dentro. Nessuno in vista; fece cenno agli altri di entrare, facendo strada verso il vecchio laboratorio, nei sotterranei.

Avanzavano con calma, nel silenzio più totale. Pochi secondi dopo si fermarono davanti all’entrata del laboratorio; attraverso il vetro filtrava una luce color ambra, anticipazione di quello che avrebbero trovato all’interno.

Peter, impaziente, spalancò le porte e scese le scale. Nel centro del salone c’era un muro d’Ambra, all’interno del quale c’era Olivia, la Sua Olivia.

Corse verso di lei, toccando la sostanza gialla all’altezza del suo volto.

“Olive…” sussurrò, preoccupato.

Il Dottore si avvicinò e gli poggiò una mano sulla spalla.

“Ora tiriamola fuori. Dobbiamo fare in fretta.” disse, guardando Henrietta, che aveva già tra le mani il dispositivo per l’estrazione. Peter annuì e la ragazza preparò tutto.

La Rossa afferrò saldamente la pistola, mentre Jack si teneva pronto per l’iniezione.

Etta diede il segnale; Olivia venne sparata fuori. Peter fu accanto a lei in un balzo, come anche il Dottore. Jack le fece l’iniezione e la bionda aprì debolmente gli occhi.

“Ehi, ciao…” sussurrò Bishop, tirandole delicatamente indietro i capelli.

“Peter…” lo riconobbe lei “Peter, mi dispiace… Henrietta…”

“Henrietta sta bene.” la interruppe il Dottore “Io sono il Dottore. Ora ti porteremo via di qui.” Disse, poi si rivolse a Jack “Dammi il teletrasporto. Me ne occupo io. Voi tornate dalla stessa strada da cui siete passati, non dovete destare sospetti.”

Jack gli passò l’orologio, mentre l’alieno prendeva in braccio la donna, che si aggrappò a lui, ancora debole, guardandolo in volto.

“Dottore?” sussurrò “Il mio papà si faceva chiamare il Dottore…”

Il Signore del Tempo sorrise, stringendola a sé, infine attivò il teletrasporto, mentre gli altri uscivano, ripercorrendo tutta la strada a ritroso.

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Capitolo 17
*** 17 ***


Appena il Dottore fu scomparso, con Olivia, il gruppo si affrettò ad uscire dall’università.

Passato il posto di blocco, al sicuro da sguardi indiscreti, si incamminarono verso il nascondiglio.

Dovevano camminare con calma, come all’andata, per non rendere inutili i filtri di percezione, ma non fu semplice; Peter era impaziente di raggiungere il TARDIS, e spesso accelerava il passo.

Etta gli camminava accanto, facendolo rallentare quando possibile, ma non era semplice. Il padre voleva a tutti i costi arrivare il più presto possibile dalla compagna e verificare che stesse bene.

Erano in un vicolo sgombro, quindi decisero che, visto che non c’era nessuno, avrebbero potuto accelerare il passo, senza essere notati. Peter cominciò a correre e gli altri lo seguirono, cercando di stare al suo passo; stavano per sbucare nella strada principale quando sentirono degli spari. Bishop stava per attraversare, ma Jack lo trattenne.

“Fermo! Se ti vedono sei morto!” esclamò.

“Dobbiamo tornare al TARDIS!” obiettò l’altro, cercando di liberarsi dalla presa.

“Non tornerai vivo se non ti dai una calmata! Capisco che vuoi andare dalla tua donna, ma devi arrivarci vivo!” insistette l’uomo. Peter lo fissò negli occhi; era ancora teso ma smise di lottare, guardando verso la strada principale.

“Che sta succedendo?” domandò.

Jack fece spallucce, continuando a tenerlo fermo.

“Niente di che, almeno per me: guerriglia urbana. Mi ci sono trovato in mezzo parecchie volte, e altrettante mi hanno ammazzato.” rispose.

“Oh, e lo dici così come se fosse niente?” esclamò, sarcastico, l’altro.

Lincoln, intanto, si affacciava dal vicolo, per controllare la situazione.

“Possiamo andare.” riferì, dopo un po’.

“Perfetto.” commentò Jack, lasciando andare Peter.

Intanto il Dottore era arrivato davanti al TARDIS. Entrò nella cabina, ancora con la donna in braccio. Olivia era debole, e teneva gli occhi chiusi, respirando piano.

Quando entrò nel TARDIS, Rose e Astrid gli corsero incontro, preoccupate.

“Dottore!” esclamò la riccia “Dove sono gli altri? Stanno bene?”

L’alieno annuì e camminò verso le camere, quindi entrò nella prima e adagiò Olivia sul letto, coprendola bene.

“Stanno bene, ritorneranno tra poco. Io li ho preceduti con il teletrasporto di Jack.”

Rose guardò la bionda sul letto, avvicinandosi.

“Lei è Olivia?” domandò.

“Sì, è mia figlia. E credo abbia la febbre.” spiegò l’altro.

“Cosa?” domandò Astrid “Non può essere un effetto collaterale dell’estrazione dall’Ambra…”

“No, non lo è.” disse il Dottore. Stava per continuare, quando sentì la porta d’ingresso aprirsi e la voce di Peter, allarmata e ansimante, chiamarli.

“Dottore! Walter! Astrid! Abbiamo bisogno di aiuto! Veloci!”

Corsero tutti alla sala comandi e trovarono la Rossa e Henrietta che chiudevano la porta d’ingresso, mentre John, Jack e Peter cercavano di tenere in piedi Lincoln, il quale era pallido e presentava una brutta ferita sanguinante sotto il costato.

“Cosa è successo?” chiese il Dottore, esaminando la ferita con il suo cacciavite sonico.

“Ci hanno visti e ci hanno sparato addosso. Non so esattamente che fazione fossero…” spiegò Jack, mentre portavano Lincoln in camera sua. Lo fecero stendere sul letto e la moglie gli si sedette accanto, aiutandolo a togliersi la camicia. Walter si avvicinò con il kit di pronto soccorso e lo esaminò.

“Non è troppo grave. Sei stato fortunato, agente Lee.” lo rassicurò.

“Ora sono Maggiore Lee, dottor Bishop…” sussurrò Lincoln, stringendo con forza la mano di Olivia.

“Oh… beh, comunque devo pulirti la ferita e metterti dei punti.” continuò il vecchio, prendendo tutto l’occorrente e disponendolo in fila sul comodino “Sei diventato un militare, nell’altro universo?” chiese ancora, interessato.

“No…” rispose l’altro, con un filo di voce “Non propriamente… ho preso il posto dell’altro Lincoln, così mi hanno dato anche i suoi gradi.”

“E circa un anno dopo lo hanno promosso.” completò Olivia, senza lasciargli la mano e carezzandogli i capelli, cercando di attirare su di sé gli occhi blu del marito, per non farlo concentrare sull’operazione che stava per eseguire il dottor Bishop.

“Davvero? Congratulazioni, allora!” si congratulò Walter, mettendosi i guanti e prendendo una garza e del disinfettante per pulire la ferita “Mi dispiace non esserci stato. Avrei portato una torta per festeggiare. Ma suppongo che tu e Olivia abbiate avuto altri programmi per quella sera…”

La coppia sorrise, senza smettere di guardarsi negli occhi.

“Quella è stata la sera in cui ci siamo messi insieme.” confessò la Rossa “Colazione da Tiffany, ricordi, Tyrone?”

“Io ricordo quello che è successo dopo, tesoro…” rispose, ma gemette di dolore appena Walter cominciò a ricucire la ferita.

Peter fissava i tre dalla porta, con la spalla poggiata allo stipite e le braccia incrociate sul petto. Lincoln si era preso una pallottola al posto suo, e questo non avrebbe dovuto succedere.

Il Dottore gli si avvicinò e lo prese da parte.

“Peter, andiamo da Olivia. Non sta bene.” disse.

Improvvisamente Peter si ridestò, ricordandosi il motivo della loro uscita.

“Che cos’ha? Posso vederla?” chiese, allarmato.

“Sì, ma non ti allarmare. Ha un po’ di febbre. Credo che il suo essere metà Signore del Tempo stia risentendo delle vibrazioni di questa realtà.

Peter lo fissò confuso, quindi si incamminò verso la camera dove era stata portata Olivia, preoccupato.

Lei era ancora stesa sul letto, affidata alle cure di Rose, che le aveva poggiato un panno bagnato sulla fronte, per farle abbassare la febbre. John, che era con lei, si avvicinò ai due.

“Glielo hai detto?” domandò, rivolto al Dottore.

“Detto cosa?” si intromise Peter. John sospirò e lo guardò negli occhi.

“L’animazione sospesa, se protratta per un lungo periodo di tempo, può causare degli squilibri nei Signori del Tempo.” spiegò John.

“Ma anche l’altra Olivia è per metà Signore del Tempo, eppure non ha avuto conseguenze l’animazione sospesa, in lei.” obiettò il giovane Bishop.

Il Dottore e il suo clone si guardarono, in una silenziosa conversazione, quindi quest’ultimo riprese a parlare.

“Non sappiamo perché c’è questa differenza. Forse nell’altro universo i Signori del Tempo non risentivano delle conseguenze dell’animazione sospesa…”

“O forse l’altra Olivia è più forte perché è stata concepita da un Dottore resosi umano…” continuò l’altro.

“Oppure potrebbe essere merito di quella sostanza che le ha iniettato tuo padre da bambina, il Cortexiphan. O potrebbero essere tutte queste cose insieme. Non abbiamo idea di cosa abbia causato queste differenze.” concluse John.

Peter li guardò. Neanche loro sapevano cosa aveva causato quella reazione, e da quel poco che conosceva il padre di Olivia, aveva intuito che, se un Signore del Tempo non sa qualcosa, non è un buon segno. Guardò di nuovo la compagna, stesa sul letto, e si avvicinò. Rose si alzò e Peter la guardò con gratitudine.

“Ci penso io, ora. Vai a riposare, sembri stanca. Nelle tue condizioni non dovresti affaticarti.” le disse, quindi si sedette sul letto, prendendo la mano di Olivia.

La pelle era bollente, e Olivia continuava a sudare. Peter le tirò indietro i capelli e bagnò l’asciugamano con acqua fresca.

Il Dottore si sedette accanto, guardando la figlia, altrettanto preoccupato.

“Mi sembra ieri che faceva i primi passi…” commentò.

“Sono passati 56 anni, Dottore…” disse l’altro, senza togliere gli occhi dalla compagna.

“In realtà ne sono passati quasi 800 per me. ma non cambia molto. Non ci sono stato nei momenti importanti della sua vita. Non sono stato un buon padre.”

Peter, finalmente, lo guardò. Nel suo sguardo si leggeva preoccupazione per Olivia, ma anche serenità per averla ritrovata. Stava ritrovando l’equilibrio.

“Essere padre non è semplice. E non sempre se vedi crescere tua figlia, se le stai vicino nei momenti importanti, sei davvero un buon padre.” commentò “Sai, un po’ di anni fa qualcuno ha deciso di riscrivere la storia, cancellandomi dal tempo. Non chiedermi perché, io non lo so…”

“Linea temporale riscritta? Chi diavolo ha fatto questo pasticcio?!” esclamò il Signore del Tempo, alterato.

“E’ una lunga storia. In ogni caso, nella linea temporale originale era scoppiata una guerra tra i due universi. Avevano anche scambiato l’altra Olivia con tua figlia, per poterci spiare.” continuò, ripensando al periodo passato con l’altra Olivia, dopo il suo ritorno dall’altro universo, pensando che lei fosse la Sua Olivia “Io ho fatto un errore di valutazione, e da questo errore di valutazione è nato un bambino.”

“Henrietta ha un fratello?” chiese il Dottore. Peter annuì.

“Sì, Henry. L’ho avuto dall’altra Olivia e non ne conoscevo l’esistenza. E’ stato cancellato dalla storia anche lui, come conseguenza della mia cancellazione.”

“Niente Peter, niente Henry.” concluse l’alieno “Allora… chi ha fatto questo casino? Manipolare il vortice del tempo è un affare rischioso anche per noi Signori del Tempo. Non mi stupisce che poi si sia creato qualche paradosso imprevisto.”

Peter sospirò, annuendo.

“Il paradosso c’è stato, eccome… e anche bello grande: io sono ricomparso, e dopo Olivia ha ricordato la sua vecchia vita con me.” disse.

Il Dottore non rispose. Non c’era nulla da dire: qualche idiota aveva giocato con il vortice del tempo e aveva incasinato la storia. Aveva compromesso un punto fisso, uno di quelli che non potevano essere modificati, e il vortice stesso gli si era ritorto contro.

In quel momento Olivia aprì gli occhi, attirando l’attenzione dei due. Peter le sorrise.

“Tesoro… bentornata. Come ti senti?” le chiese Peter, con voce dolce.

“Peter…” sussurrò lei, facendo un sorriso debole, quindi fissò il Dottore, che le sorrideva sereno.

“Bentornata Olive, io sono…” si presentò.

“Papà?” lo interruppe lei.

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Capitolo 18
*** 18 ***


Il Dottore fissò Olivia sorpreso. Lo aveva riconosciuto, nonostante il suo aspetto fosse diverso e molto più giovane rispetto all’ultima volta che lo aveva visto.

“Sì, tesoro, sono io.” rispose, sorridendo e facendole una carezza paterna “Mi hai riconosciuto…”

“Papà…” ripetè, sorridendo debolmente “Sapevo che non eri morto… lo speravo…”

“Avevi solo due anni, piccola…” continuò l’alieno “Per la precisione due anni, tre mesi e sei giorni… come puoi ricordarti di me? Come puoi riconoscermi? Io sono cambiato…”

“Il tuo sguardo.” spiegò la bionda “Mi ricordo il tuo sguardo. Sei tu, lo so.”

Il Dottore sorrise di nuovo, abbracciando la figlia. Peter osservò la scena in silenzio. In quel momento non poteva fare nulla, non doveva intromettersi; un padre e una figlia si erano ritrovati dopo secoli, era il loro momento, e lui non c’entrava.

Si voltò verso la porta e notò Henrietta in piedi all’entrata, in attesa. Anche lei non voleva disturbare quel momento, sapeva cosa la madre stava provando, lo aveva provato anche lei poco tempo prima.

Le sorrise, sereno. Ora la famiglia era di nuovo riunita, niente avrebbe potuto dividerli. Tornò a guardare la compagna e il Dottore, che si erano allontanati. Olivia incrociò il suo sguardo.

“Henrietta…” disse, allarmata “Io… non ce l’ho fatta… l’ho dovuta… io… non so dove…” balbettò, andando in panico.

Peter le carezzò la guancia, dolcemente.

“Tranquilla.” la rassicurò “Henrietta sta bene. Lincoln, sua moglie e i suoi amici se ne sono presi cura finchè hanno potuto. Ora ascoltami, sai dove ci troviamo?”

Olivia si guardò intorno, confusa, infine scosse la testa.

“Sei a casa mia, Olive.” spiegò il Dottore “Ti ricordi quella cabina blu nascosta nella cantina? Quella che la mamma non vedeva e che io tenevo sempre chiusa?”

Olivia annuì, riprendendo a guardarsi intorno.

“Più grande dentro che fuori… come nelle favole che mi raccontavi.” disse. Il Dottore sorrise e le baciò paternamente la fronte, alzandosi in piedi e lasciando il posto a Peter.

“Olivia, siamo nel 2036. Ti abbiamo prelevato dall’Ambra. Anche noi ci eravamo ambrati, poi Henrietta ci ha trovato. È cresciuta tanto, sai?” spiegò “Vorrei che la vedessi.” si girò verso la figlia e le fece cenno di avvicinarsi. Etta guardò il padre, esitò indecisa, e infine si avvicinò al letto.

“Ciao, mamma.” salutò, mettendosi accanto a Peter. Olivia sorrise e la abbracciò.

“Sei cresciuta tanto…” sussurrò, stringendola “Eri solo una bambina… avevi quattro anni. Mi dispiace tanto…”

Henrietta non disse nulla, si limitò a stringere la madre che non vedeva da venti anni.

Intanto, in cucina, Jack si era versato del whisky, rimasto solo dopo aver accompagnato Etta nella stanza della madre.

L’aveva lasciata lì, davanti alla porta, e si era allontanato: nonostante avesse cresciuto quella biondina, lui era solo un estraneo, non c’entrava nulla con la riunione di famiglia che stava avvenendo nell’altra stanza.

Rose entrò e aprì il frigo, prendendo il cartone del succo di frutta, quindi si sedette al tavolo e si versò un bicchiere di succo. Jack la osservò, quindi sorrise.

“Hai visto? John è tornato sano e salvo, come abbiamo promesso.” le disse.

“Sì, ma… Lincoln…” obiettò lei.

“Lincoln starà bene. Il dottor Bishop si sta occupando di lui. e comunque il Maggiore ha la pelle dura, se la caverà.” la rassicurò.

Rose sospirò e si carezzò la pancia, ancora preoccupata.

Jack la osservò ancora. Lei era quella più vulnerabile di tutti, lì dentro; non poteva muoversi dal TARDIS e non poteva essere lasciata sola. La creatura che portava in grembo sarebbe nata da un momento all’altro, in un mondo in guerra, una guerra che stavano perdendo.

“Non è stato fermo per un momento, da quando siete andati a prendere Olivia.” riferì lei, senza smettere di carezzarsi la pancia.

“Sentiva la tua agitazione.” spiegò “Devi stare tranquilla. John è tornato sano e salvo, te l’ho già detto. Ed ora abbiamo anche ritrovato Olivia, non dovrai preoccuparti, starai al sicuro.”

“Ma io non potrò aiutarvi…”

“Non c’è bisogno, Rose. Tu ci aiuterai in altri modi, restando qui dentro.” la rassicurò lui, alzandosi per mettere via il bicchiere e dandole un buffetto sulla guancia “Ti ricordi Londra nel 1943? Quando ci siamo conosciuti?”

“Ricordo che ero rimasta appesa a un dirigibile. Tu mi hai tirato giù.” riferì lei, sorridendo.

“E dopo abbiamo ballato sotto il Big Ben.” continuò l’altro, ricambiando il sorriso, sornione.

“Ci stai provando con la mia donna, Capitano?” chiese la voce di John, sulla porta, fintamente alterato.

“Stavamo solo facendo conversazione, Dottore.” rispose scherzoso l’altro, usando il nome della sua controparte aliena. John non disse nulla e si avvicinò a Rose, baciandola sulla fronte.

“Stai bene?” le chiese. Lei annuì, stringendolo. Era stata preoccupata per lui per tutto il tempo che erano stati fuori.

John la strinse, facendola tranquillizzare. Forse non avrebbe dovuto lasciarla sola per quella missione così pericolosa.

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Capitolo 19
*** 19 ***


Il Dottore era tornato nella sala comandi del TARDIS. Sua figlia stava bene, ma aveva bisogno di un po’ di intimità con il compagno e con la figlia, che non vedeva da molto tempo.

Stava controllando il livello di ricarica del mezzo quando Jack lo raggiunse.

“Il catorcio sta ancora cercando di ripararsi?” domandò, camminando con le mani in tasca.

“Ehi! Non offendere la piccola!” lo ammonì l’alieno “E’ particolarmente suscettibile in questo momento! Comunque credo che si siano riattivate alcune delle funzioni speciali, come la traduzione automatica telepatica.” spiegò.

“Perfetto!” esclamò il Capitano “Così possiamo finalmente capire la lingua degli Osservatori!”

Il Dottore annuì e con un gesto distratto premette il pulsante di accensione della radio.

Un rumore statico gli fece capire che anche quella era funzionante, almeno parzialmente. Sorrise e afferrò la manopola, girandola lentamente alla ricerca di qualche tipo di trasmissione. Jack si avvicinò, ascoltando anche lui i suoni statici emessi dall’apparecchio.

“Aspetta…” lo fermò “Ecco, qui, lo senti?”

“Hai ragione. Sembra criptato.” confermò il Signore del Tempo “Provo a pulire il segnale.” girò un’altra manopola e, lentamente, dal fondo emerse la voce di un uomo.

“Qui parla….” il nome fu coperto da un’interferenza statica “e se mi state ascoltando siete la Resistenza.”

“Oh… ma guarda. Non lo sentivo da un po’.” commentò Harkness, sorridendo.

“Lo conosci?” chiese l’altro.

“Di fama. È il capo della Resistenza di New York. Trasmette in onde corte tutti i giorni da circa una decina d’anni, con trasmissioni criptate. È uno dei maggiori ricercati dai Lealisti, ma nessuno lo ha ancora preso.”

Il Dottore annuì interessato. In quel momento entrò Lincoln, sorretto dalla moglie; aveva ripreso colore, ma ancora era debole per la ferita subita.

“Cos’è questa voce?” chiese Olivia, avvicinandosi alla plancia di comando.

“E’ il capo della resistenza di New York.” spiegò di nuovo Jack “Tutti i giorni trasmette in onde corte…”

“Una cosa alla John Connor?” domandò Lincoln, ascoltando l’uomo alla radio che parlava.

“Chi?” chiese la Rossa, di rimando.

“Scusa, tesoro… tu lo conosci come Kyle Reese. Il protagonista della saga di Terminator.” le spiegò il compagno, quindi si rivolse agli altri “Anche se mi sono trasferito nell’altro universo, mi è ancora difficile usare i loro riferimenti… trent’anni vissuti dall’altra parte sono difficili da dimenticare…”

I due annuirono e continuarono ad ascoltare la trasmissione.

“Io questa voce la conosco…” disse, ad un certo punto, Olivia “E’ più anziano, ma credo di conoscere quest’uomo.” continuò, guardando il marito “Tu non ricordi nulla?”

Lincoln ascoltò concentrato. L’uomo della radio stava parlando delle nuove armi contro gli Osservatori. La voce era distorta dalla trasmissione radio e dall’anzianità, ma effettivamente gli era famigliare.

Ascoltò ancora per qualche secondo, quindi spalancò gli occhi e sorrise, sorpreso.

“Non ci posso credere!” esclamò “Pensavo non avesse retto alla morte della moglie! Incredibile! Capo della Resistenza di New York! Non ci posso credere!”

Jack li fissò, sorridendo. Gli era venuta un’idea, e se loro davvero conoscevano quell’uomo era una marcia in più.

“Dottore, il TARDIS è abbastanza in forma da poter affrontare un viaggio fino a New York? Se usiamo i mezzi tradizionali potremmo impiegarci ore, e non abbiamo molto tempo.” spiegò.

“Perché vuoi andare a New York, Capitano?” chiese, l’alieno, controllando la plancia del mezzo di trasporto.

“Perché il capo della Resistenza può esserci molto utile, e noi possiamo essere utili a loro. Inoltre io sono abbastanza conosciuto nell’ambiente, sicuramente ci riceverà.” spiegò l’altro.

Il Dottore ci pensò su, fissando la colonna centrale, quindi annuì.

“Vai a chiamare tutti. Ho bisogno di una mano per le manovre, e non sarà un viaggio tranquillo, potrebbero esserci degli scossoni.

Jack annuì e andò a chiamare gli altri. Quando tutti furono riuniti nella sala controllo l’alieno parlò.

“Dobbiamo spostarci a New York. Ho bisogno di una mano per manovrare il TARDIS; di solito lo manovro da solo, ma questa volta siamo di fretta, quindi… Peter, Lincoln, Jack, John e Henrietta, attorno alla plancia, fate quello che vi dico. Rose, stai seduta, gli altri si tengano forte!” spiegò, quindi afferrò una delle leve e diede gli ordini agli altri cinque “Etta, tieni ben saldo il freno a mano. Non mollarlo finchè non te lo dico io. Lincoln, Peter, quelle due manopole giratele in senso orario, poi idem come Etta. Jack, la leva del timone. John, quell’altra leva e quel pulsante, sai cosa devi fare. Ora… si parte!” esclamò, quindi tirò la leva e premette un pulsante.

Il TARDIS fece uno scossone e il pavimento vibrò. Peter dovette afferrare saldamente la manopola per non rischiare di finire scaraventato contro il muro.

Un rumore assordante riempì l’ambiente per qualche secondo, poi tutto finì. Le luci tremolarono e si spensero; il Dottore diede una pacca alla colonna centrale e si allontanò.

“Brava piccola. Ora rilassati.” disse, quindi si rivolse agli altri “Potete lasciare. Siamo arrivati.”

Quando tutti si furono ripresi dal viaggio, l’alieno prese il suo cappotto e uscì all’esterno, guardandosi attorno. Jack fu il secondo a uscire, anche lui osservò il posto dell’atterraggio.

“Siamo nel Bronx. Non siamo troppo lontani dal quartiere generale della Resistenza. Andiamo!” ordinò.

Gli altri uscirono dalla cabina e seguirono il Capitano lungo le vie di quella che una volta era stata la zona più malfamata della Grande Mela. Lui li guidò fino a un anonimo edificio, in mezzo ad altri apparentemente tutti uguali, e bussò tre volte a una pesante porta.

Una guardia aprì e li guardò. Jack si fece avanti e mostrò un distintivo di stoffa che aveva estratto da una delle tasche del suo cappotto, quindi disse una parola d’ordine.

“Di’ al Capo che Jack Harkness, l’Uomo Morto che Cammina, è venuto a fargli visita e ha portato degli amici con sé.” concluse.

La guardia fissò il distintivo e ascoltò le parole di Jack, quindi chiuse la porta. Il Capitano fece un respiro profondo e sorrise agli altri, tutti in trepidante attesa.

Dopo qualche minutò la guardia aprì di nuovo.

“Entrate.” disse, quindi fece strada all’interno del palazzo, scendendo nei sotterranei.

L’interno era un brulicare di persone, indaffarate in varie mansioni, ma tutti si fermavano per qualche secondo per osservare il passaggio dei nuovi arrivati. La guardia li condusse verso una grande stanza, all’ultimo piano sotto terra, illuminata quasi a giorno dai neon che pendevano dal soffitto.

Degli uomini discutevano al centro della sala, in piedi attorno a un grosso tavolo. La guardia fece cenno al gruppo di fermarsi e si avvicinò al più anziano, un uomo sulla sessantina, con i capelli grigi e una muscolatura allenata. Dopo che ebbero parlato, quest’ultimo guardò Jack e si avvicinò.

“Ho sentito molto parlare di te, Capitano Harkness.” disse, stringendogli la mano.

“E io di te, Capo Charlie Francis.” rispose Jack, sorridendo.

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Capitolo 20
*** 20 ***


I due uomini si scrutarono a lungo, esaminandosi a vicenda. Jack era apparentemente rilassato, mentre Charlie era pensieroso, gli occhi neri fermi in un’espressione fiera e responsabile, tipica di un capo, la fronte aggrottata nel tentativo di immagazzinare ogni informazione verbale e non verbale provenisse dalle persone presenti nella sala, e la cicatrice accanto all’occhio sinistro, accentuata dal peso degli anni e dalla lotta contro gli oppressori provenienti dal futuro.

Per qualche minuto ci fu un gran silenzio, ma fu rotto improvvisamente dalla Rossa, che corse incontro all’uomo, saltandogli al collo.

“Charlie!” esclamò “Pensavamo fossi morto!”

Francis fu sorpreso di quella reazione. Non se la aspettava, inoltre quella voce gli era famigliare. Con delicatezza fece allontanare la donna, la guardò negli occhi e, finalmente, la riconobbe.

“Liv?” disse “Ma… come è possibile? Sono passati venti anni… non sei cambiata per niente…”

“Ambra.” spiegò la Rossa “Io e Tyrone ci siamo dovuti ambrare. Ci hanno tirato fuori qualche giorno fa.”

Charlie la fissò per qualche secondo, poi tornò a guardare Jack.

“Sei stato tu a liberarli?” chiese.

“No, è una lunga storia.” rispose il Capitano “Quindi i signori Lee li conosci già?”

“Sono stato il loro testimone di nozze, ed eravamo in squadra insieme.” spiegò Charlie, poi si girò a guardare il resto del gruppo “Ok, suppongo che la bionda sia l’altra Olivia, quella dell’altro universo… santo cielo… signor Segretario!” esclamò, avvicinandosi a Walter e mettendosi sull’attenti.

Walter lo guardò, visibilmente in imbarazzo, quindi gli fece cenno di rilassarsi.

“Mi dispiace, non sono lui, sono l’altro Walter…” si scusò. L’altro si rilassò e gli strinse la mano.

“E’ comunque un piacere vederla, dottor Bishop.” lo salutò, poi guardò Rose e le si avvicinò con un gran sorriso “Ma guardati, agente Tyler! Quasi non ti riconoscevo!” esclamò, abbracciandola, facendo attenzione a non stringerla troppo.

“Senti chi parla… tu sei invecchiato, invece.” lo salutò lei. Charlie fece un altro gran sorriso e strinse la mano a John.

“John! Ti trovo bene, per essere un ammuffito inglese.” lo salutò, scherzoso.

“Vacci piano, Yankee!” esclamò l’altro “Sto per diventare padre, non sono poi così ammuffito!” sorrise e si abbracciarono calorosamente, quindi Charlie passò al Dottore.

“Tu devi essere l’altro John Smith…”

“Più o meno…” rispose l’alieno “Sono il Dottore. Solo il Dottore.”

Charlie annuì e guardò Etta e Peter, quindi tornò a rivolgersi a Jack.

“Loro non li conosco.” disse.

“Lei è Henrietta.” la presentò il Capitano.

“Quindi lei sarebbe tua figlia? Quella di cui parlano le cronache?”

Jack fece un respiro profondo, sentendosi improvvisamente addosso gli occhi di Peter e Olivia, i genitori naturali di Etta.

“Tecnicamente non è esattamente mia figlia, ma è figlia di Olivia e Peter Bishop.” li indicò “Ma sono stato io a crescerla, mentre loro erano bloccati nell’Ambra.”

Charlie annuì, quindi finì di stringere le mani ai nuovi arrivati e tornò a parlare a Jack.

“Ho sentito molto parlare di te. Sei l’unico ad uscire vivo ogni volta che i lealisti mettono a segno qualche retata contro i ribelli.” disse.

“Roba da nulla, se non hai la possibilità di morire.” si pavoneggiò il Capitano “Comunque anche i tuoi discorsi radiofonici criptati stanno dando una mano a parecchia gente.”

“Faccio quello che posso per mantenere viva la speranza, oltre che combattere contro gli Osservatori.” rispose Francis “Comunque come mai sei venuto qui? Hai bisogno di qualcosa?”

“In realtà abbiamo sentito il tuo ultimo discorso…” si intromise il Dottore “E abbiamo pensato di venirti a trovare. Ho sentito che la Resistenza sta cercando la Divisione Fringe originale, per unirsi a lei nella lotta.”

“E’ così, ma nessuno ancora l’ha trovata. Io non so esattamente chi siano, si dice che vengano dall’altro universo, ma nel periodo della collaborazione interuniversi io ero in viaggio di nozze e non li ho conosciuti. Se uscissero fuori sarebbe una bella botta di vita per tutti i ribelli d’America e, forse, del mondo.”

“Beh, ritieniti fortunato, Charlie.” disse Peter, facendo un passo avanti “La Divisione Fringe Originale è proprio di fronte a te.”

 

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Capitolo 21
*** 21 ***


Charlie fissò il gruppo, incredulo.

“La Divisione Fringe Originale siete voi?” domandò.

“Sì.” annuì Peter “Per la precisione siamo io, Olivia, Astrid e Walter. Gli altri si sono uniti a noi dopo che siamo stati estratti dall’Ambra.”

Charlie li fissò ancora per qualche momento, poi si rivolse verso la guardia che aveva accompagnato il gruppo, un uomo sulla trentina, con i capelli biondi e gli occhi azzurri, e il viso segnato da anni di lotte.

“Puoi andare, Eddie.” ordinò.

L’uomo fece il saluto militare ed uscì velocemente dal salone. Francis prese una sedia e fece cenno agli altri di accomodarsi attorno al tavolo.

Attese che si fossero tutti seduti e li fissò, uno per uno.

“Posso chiedervi come mai siete venuti qui?” chiese, dopo un minuto di silenzio.

Il Dottore fissò gli altri, in attesa, infine si decise a parlare.

“Oggi parlavi di quelle armi contro gli Osservatori, durante il tuo discorso alla radio. Posso chiederti dove le recuperate?”

Francis si sistemò meglio sulla sedia, raccogliendo le idee.

“Le costruiamo noi.” rispose “Abbiamo trovato le istruzioni in una casa di Brookline, vicino Boston, durante una ronda nella zona. Abbiamo fatto in modo che tutte le cellule ribelli d’America avessero almeno una copia delle istruzioni.”

Peter e Olivia si fissarono per qualche secondo. Si ricordavano bene quando avevano nascosto quelle istruzioni, venti anni addietro, prima di separarsi. Sapevano che potevano essere utili in futuro.

Il Dottore annuì, interessato.

“Quindi la tua trasmissione, come minimo, raggiunge i ribelli di tutti gli Stati Uniti?” chiese ancora.

“Gli Stati Uniti di sicuro, poi abbiamo ricevuto risposte anche da Canada e Messico. Suppongo che le trasmissioni in onde corte possano essere arrivate un po’ ovunque, o che almeno ci sia il passaparola.” affermò l’uomo, pensieroso.

L’alieno sorrise. Nella sua mente si stava cominciando a creare un piano. Forse non sarebbe servito come antidoto definitivo contro l’invasione degli Osservatori, ma avrebbe fatto loro venire almeno un prurito fastidioso e difficilmente curabile.

“Ogni quanto tempo vai in onda, capo Francis.” chiese, infine.

“All’incirca ogni 24 ore, perché?”

“Bene, mi darà un margine di tempo per lavorare. Se ti dicessi che sono in grado di potenziare il segnale e farlo arrivare a tutte le cellule ribelli del mondo, mi lascerai attuare il mio piano?” chiese ancora il Dottore.

Charlie annuì e attese la spiegazione, attento come tutti, attorno a quel tavolo, o quasi.

Peter era distratto. Non si era distratto subito, aveva ascoltato parte della conversazione tra suo suocero e l’ormai anziano Charlie Francis, ma qualcosa lo distrasse all’improvviso. Uno scintillio nella sua mente quasi lo abbagliò nell’attimo in cui Lincoln, seduto accanto a lui, in un normale rituale che faceva ogni volta che aveva bisogno di mantenere una lucida calma, e che gli aveva visto fare spesso da quando risiedevano nel TARDIS, aveva tirato fuori dalla sua tasca un vecchio orologio da taschino.

Per Peter, quel piccolo oggetto in possesso del suo amico quasi non esisteva. Lo vedeva, ma era come se non lo vedesse; era solo un insignificante orologio, il cui unico valore, per Lincoln e sua moglie, era affettivo, in quanto apparteneva al padre della Rossa. Per lui quell’orologio non valeva niente, era solo uno dei tanti.

Improvvisamente, però, aveva attratto la sua attenzione. Ora non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Non esisteva più nulla, tranne quell’insignificante orologio da taschino rotto che il suo migliore amico stringeva tra le mani.

I discorsi dei presenti non li sentiva più. La sala era scomparsa, anche le persone attorno a lui erano scomparse. Qualcuno, nella sua mente, gli sussurrava qualcosa. Non riusciva a capire cosa dicesse, doveva concentrarsi meglio, isolare i rumori di fondo.

Finalmente ci riuscì.

-Bishop… - sussurrava la voce – non è il momento… non sei ancora pronto… -

Non sei ancora pronto per cosa? Peter non riusciva a capire. Voleva rimettere ordine nella sua testa. Per cosa diavolo non era ancora pronto?!

-Capirai… - continuò la voce nella sua testa – quando sarà il momento capirai cosa devi fare… -

Cosa? Cosa doveva capire? Cercò ancora di captare la voce nella sua mente, ma non ci riuscì.

Finalmente si accorse che qualcun altro lo stava chiamando. Si ridestò e si guardò intorno.

Tutti lo stavano fissando. Il Dottore si era avvicinato, ed ora aveva una mano sulla spalla di Peter. C’era preoccupazione nei suoi occhi.

“Peter, mi hai sentito?” domandò.

“Eh? Scusa, Dottore, mi sono distratto un momento.” si scusò l’altro. L’alieno annuì e si rivolse nuovamente a Charlie.

“Allora per dare un’occhiata alla radio dove devo andare?”

“Basta che chiedi al ragazzo che vi ha portato qui.” spiegò Francis “Si chiama Eddie Blake. È lui l’addetto alla manutenzione degli apparecchi elettrici ed elettronici.”

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Capitolo 22
*** 22 ***


Eddie Blake.

Quel nome per Olivia non era nuovo. C’era qualcosa, un collegamento con il passato… rovistò nella sua mente, in cerca delle informazioni giuste, infine si ricordò.

Da quando aveva recuperato i ricordi della vecchia linea temporale aveva visto la sorella solo due o tre volte. Aveva faticato ad abituarsi a questa nuova Rachel, più serena e ancora sposata con Greg, il padre di Ella, la nipotina a cui era molto legata, e aveva faticato allo stesso modo ad abituarsi al fatto che aveva un nipote, Eddie, un bambino pieno di energie, con una massa di capelli biondi e due luminosi occhi azzurri, che aveva cinque anni più di sua figlia Henrietta.

Eddie Blake. Quel giovane uomo che li aveva accompagnati da Charlie era suo nipote!

Scambiò uno sguardo con il compagno, il quale capì all’istante e, insieme, si alzarono e corsero dal Dottore.

“Papà, aspetta!” lo chiamò la bionda “Veniamo anche noi.”

Il Dottore si fermò sulla porta, in attesa, quindi uscì nel corridoio e, insieme, si incamminarono verso l’entrata, dove li aspettava Eddie. Con la cosa dell’occhio osservò il linguaggio non verbale della figlia e, finalmente, capì.

“Conosci quel Blake, vero?” domandò, prima di salire le scale che portavano all’ingresso.

“Sì. È il figlio minore di Rachel.” spiegò lei. L’alieno si fermò sulle scale, voltandosi verso i due. Nei suoi occhi era comparsa una scintilla di felicità: aveva trovato un altro membro della sua famiglia, uno degli altri suoi nipoti.

Senza dire una parola prese a correre per le scale, inciampando quasi su ogni scalino, dove le sue scarpe da ginnastica scivolavano. Anche il suo lungo cappotto lo impacciava nei movimenti, ma lui lo ignorava. In men che non si dica era nell’atrio; si guardò intorno in cerca del ragazzo.

Eddie era in piedi accanto alla porta, che stringeva un fucile con aria annoiata e pensierosa. Aveva una postura molto simile a quella di Etta, era impossibile non dire che erano parenti, poiché anche i lineamenti erano simili. Il Dottore si avvicinò e, inaspettatamente, lo abbracciò calorosamente, con un gran sorriso stampato in volto.

Il giovane si irrigidì, interdetto dall’improvvisa azione dell’alieno, il quale si allontanò e gli stampò un sonoro bacio sulla fronte, tenendogli il volto tra le mani.

“Tua madre aveva pochi mesi quando l’ho vista l’ultima volta, ma tu sei davvero identico a lei! Hai i suoi stessi occhi!” esclamò, euforico.

Eddie lo fissò confuso, quindi si girò verso Peter e Olivia, in cerca di una spiegazione. La donna si fece avanti.

“Eddie, accompagnaci alla sala radio, poi ti spieghiamo tutto. credo ci siano molte cose di cui parlare.” disse. Il giovane annuì e gli fece strada.

Arrivati alla sala radio, il Dottore si sedette al tavolo e smontò gli apparecchi, controllandoli uno per uno, usando il suo cacciavite sonico, mentre Olivia e Peter fecero cenno a Eddie di sedersi con loro.

“Tua madre si chiama Rachel, vero?” chiese la donna, guardando l’altro negli occhi.

“Sì.” annuì Eddie “Rachel Blake. Perché?”

Olivia fece un respiro profondo e si sedette meglio, spostando il busto più avanti, verso il giovane.

“Il suo nome da nubile era Rachel Dunham?” chiese ancora. Eddie annuì, dubbioso, guardando un po’ lei e un po’ Peter, e Olivia riprese a parlare “Non ti ricordi di noi? Pensaci, non eri troppo piccolo quando ci siamo visti l’ultima volta, avevi sette anni.”

Eddie li fissò ancora per qualche secondo. Era ancora confuso, non era del tutto sicuro di sapere chi fossero quelle due persone.

“Zia Liv?” sussurrò, insicuro. Olivia sorrise e annuì, e Eddie guardò Peter “Zio Peter?”

La risposta fu di nuovo positiva, quindi il giovane si girò verso il Dottore.

“Tu chi sei?” gli chiese. Aveva capito che aveva un legame anche con lui, ma ancora non riusciva a identificarlo.

Il Dottore aveva inforcato gli occhiali e stava ancora lavorando sulla radio. Era concentrato, ma non si perdeva una parola della conversazione.

“Io sono tuo nonno, ragazzo.” rispose “Il padre di tua madre.”

Eddie era senza parole. Aveva trovato parte della sua famiglia nonostante la guerra in corso; per lui era un miracolo. Si alzò e abbracciò Olivia, stringendola come se non volesse più lasciarla; la donna ricambiò, stringendolo a sua volta, senza dire nulla.

Intanto nel salone erano rimasti tutti gli altri. Erano silenziosi, in attesa che il Dottore tornasse e spiegasse meglio il piano che aveva in mente.

Charlie era stufo del silenzio, quindi si rivolse ai suoi ex compagni di squadra.

“Voi non siete invecchiati quasi… cosa vi è successo?” domandò.

“Ambra.” rispose Lincoln “ci siamo ambrati circa un paio d’anni dopo l’invasione e la fusione degli universi.”

“Interessante… voi dormivate e io per vent’anni ho cercato di fare il culo ai pelatoni, con poco successo!” esclamò sarcastico, facendo un mezzo sorriso.

Lincoln sospirò e fissò gli altri, soffermandosi soprattutto su coloro che erano vissuti nel suo universo di nascita.

“In realtà c’è una cosa che mi preoccupa.” confessò, alla fine “Qui la storia si sta ripetendo, gli Osservatori hanno già commesso un genocidio, quando sono arrivati, non mi stupirei se ci fosse anche un altro Olocausto.”

“Un cosa?” chiese Charlie, confuso.

Lee fece un altro sospiro, raccogliendo tutti i pensieri.

“E’ una cosa che è radicata in tutti gli ebrei dell’altro universo. Io sono un ebreo, come sapete, e anche se questi fatti non li ho vissuti, ho conosciuto persone che hanno vissuto quel periodo, nella mia comunità, e sono cose che rimangono impresse nella memoria collettiva.”

La Rossa lo fissò seria. Il marito non aveva mai raccontato quella storia, e in quel momento immaginava il motivo: dovevano esserci stati molti morti tra le persone che confessavano l’ebraismo, come, appunto, il suo Lincoln, durante quello che aveva chiamato Olocausto.

“Quanti ebrei sono morti?” domandò.

“Circa cinque milioni, e non erano solo ebrei. Quello che ho paura che succeda è che possano dividerci in gruppi e sterminarci poco alla volta solo perché non siamo come vorrebbero che fossimo.” concluse Lincoln, tenendo lo sguardo fisso sul suo orologio da taschino.

“Non succederà.” affermò Charlie, deciso “Non glielo permetteremo.”

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Capitolo 23
*** 23 ***


Qualche minuto dopo il Dottore tornò, seguito da Olivia, Peter e Eddie.

Si sedettero di nuovo al tavolo e l’alienò parlò.

“Charlie, come pensi che reagirà il resto della Resistenza alla notizia del ritorno della Divisione Fringe Originale?” domandò.

Charlie sospirò, pensieroso, e lasciò vagare lo sguardo per la sala, raccogliendo le idee, quindi tornò a guardare il Dottore.

“Credo che risveglierebbe la speranza. Sarebbe una spinta in più per combattere gli Osservatori; avere la Divisione Fringe Originale di nuovo in azione ci darebbe un grosso vantaggio, di sicuro.”

Il Dottore annuì e guardò Peter.

Era di nuovo distratto, concentrato sull’orologio di Lincoln, l’orologio dell’ultimo Signore del Tempo dell’altro universo.

Non l’aveva mai visto così concentrato su quell’oggetto, e non sapeva se era un bene o un male. Però aveva capito che molto probabilmente il filtro di percezione dell’orologio era stato tarato sulla lunghezza d’onda di quell’uomo. Per qualche motivo a lui ignoto, l’altro Dottore aveva deciso di morire, lasciare l’orologio alla figlia, con all’interno la sua essenza, e tararlo sulla lunghezza d’onda di Peter.

Il Dottore sapeva che Peter proveniva dall’altro universo, quindi se era vero che molti particolari delle storie personali delle persone e dei loro doppi coincidevano, era molto probabile che anche il suo doppio avesse conosciuto i Bishop, per un periodo più lungo di lui, poiché era morto quando l’altra Olivia aveva 12 anni, di conseguenza aveva anche assistito al rapimento del giovane da parte di Walter. Sicuramente sapeva qualcosa di più, rispetto a lui, sulla famiglia Bishop. Ma perché fargli avere l’orologio con la sua essenza imprigionata all’interno? E, soprattutto, perché fargliela arrivare per vie traverse, attraverso la figlia?

La risposta gli arrivò senza neanche pensarci troppo: anche l’altro Dottore era un Signore del Tempo, quindi con gli stessi suoi poteri: poteva vedere le cose come erano state in passato, come erano nel presente, come avrebbero dovuto essere o non avrebbero dovuto essere nel futuro. Tutto quanto lo vedeva in qualunque momento della sua vita, anche se l’unione degli universi del 2015 gli aveva mandato in tilt il suo potere, poiché la lunghezza d’onda di quel nuovo universo fuso non era la solita a cui era abituato.

L’altro Dottore aveva visto il futuro della figlia, e forse aveva previsto che la ragazza si sarebbe innamorata e avrebbe sposato il migliore amico del giovane Bishop. In qualche modo era riuscito a intuire che gli Osservatori avrebbero invaso il loro tempo, unendo gli universi, e aveva capito che il genero avrebbe rivisto il suo migliore amico.

Per qualche ragione, per l’altro Dottore, quel ragazzo era importante, che sarebbe vissuto e avrebbe avuto un ruolo determinante nella lotta contro gli Oppressori del Futuro.

Perché Peter era importante? Quella domanda attraversò la mente dell’alieno in una frazione di secondo, e in un attimo si trovò ad analizzare la linea temporale che intercorreva tra il momento in cui aveva conosciuto Marilyn e il 2015. Vide le due linee temporali separarsi e percorrere due linee diverse, parallele. Una era confusa, frammentaria, l’altra era netta e precisa. In un certo momento si riunivano di nuovo, rientrando nella linea giusta, così come doveva essere.

Analizzò il punto di separazione, la data era il 1985. Una data importante, lo sapeva. In quell’anno era situato un punto fisso nella trama del tempo, uno di quei punti tabù, che non andrebbero toccati, come la distruzione di Pompei, o lo Sbarco sulla Luna. Nel 1985 sapeva che c’era un altro punto fisso, ma ancora non aveva identificato quale fosse. Nel 1985 non era accaduto nulla di particolare, a livello storicamente rilevante. Era un anno noioso, dal suo punto di vista, a parte i due concerti del Live Aid di Londra e Filadelfia del 13 luglio. Lui era stato presente a entrambi, amava la musica.

Si stava distraendo. Non doveva distrarsi; tornò ad analizzare il 1985, alla ricerca del punto fisso. Quando finalmente lo trovò quasi imprecò ad alta voce: il punto fisso era proprio in coincidenza col punto di separazione delle due linee temporali. Quel punto era... il salvataggio di Peter dopo che Walter lo aveva rapito ed entrambi erano caduti nelle acque ghiacciate del Lago Reiden!

Peter era il punto fisso nella trama del tempo. Dalla sua sopravvivenza da bambino derivava la netta linearità della prima linea temporale. L’altra linea temporale era più confusa perché nata da una distorsione della trama del tempo, a cui il tempo stesso aveva porto rimedio, creando un paradosso.

Peter era importante. Il suo doppio lo sapeva, ed ora lo sapeva anche lui.

Ma perché lasciargli l’orologio? Qualcosa ancora gli sfuggiva, ma presto avrebbe capito tutto. Era meglio affrontare un problema alla volta.

Al Dottore, per eseguire quell’analisi, gli ci volle non più di una frazione di secondo. Terminato il ragionamento, richiamò alla realtà Peter e gli parlò.

“Peter, domani parlerai alla Resistenza. Prepara un discorso convincente e vai a farti qualche ora di sonno. Avremo bisogno di tutte le nostre forze per vincere questa guerra.”

L’uomo annuì e si alzò, deciso, come tutti gli altri, diretti al TARDIS per andare a riposarsi per la notte.

Il giorno dopo si riunirono tutti in sala radio. Eddie aveva già preparato tutto, ed era in attesa di ulteriori ordini. Charlie si fece avanti e afferrò il trasmettitore, pronto a parlare.

“Sono Charlie Francis. E se mi state ascoltando siete la Resistenza” esordì, quindi fece un respiro profondo “Oggi non vi parlerò di armi o di strategie per combattere gli Osservatori, non direttamente. Oggi vi parlerò di alcune persone che, anni fa, hanno cominciato la lotta che continuiamo noi oggi. Qualcuno pensa che siano solo una leggenda, una favola per bambini, ma vi assicuro che sono persone reali, che hanno combattuto e hanno pagato caro il loro contributo alla causa della Resistenza. Loro l’hanno fondata, hanno sacrificato sé stessi per il nostro futuro, un futuro migliore per noi e per i nostri figli, un futuro per il quale combattiamo ancora oggi. Loro sono Astrid Farnsworth, OliviaDunham, Peter e Walter Bishop, la Divisione Fringe Originale.”

Fece una pausa, riempiendo i polmoni un paio di volte, per raccogliere le idee, quindi riprese a parlare.

“Loro non sono una leggenda, sono reali. Sono scomparsi, venti anni fa, perché imprigionati nell’Ambra, nel tentativo di sfuggire ai Lealisti, che li cercavano per consegnarli agli Oppressori. Ma non ci hanno lasciato al nostro destino, sapevano che sarebbero tornati, e ci hanno trasmesso le loro conoscenze con diversi mezzi. Le armi che tutti noi costruiamo e usiamo sono un loro progetto, e il loro ricordo ha dato a tutti noi la forza di andare avanti, nella speranza di vincere questa guerra, che ha già fatto numerose vittime. Ora sono di nuovo liberi, pronti a combattere al nostro fianco, e in questo momento sono qui vicino a me, che vogliono parlare con tutti voi.” concluse e passò il trasmettitore a Peter, il quale si sedette di fronte agli apparecchi radio, prima di cominciare il suo discorso.

“Il mio nome è Peter Bishop.” esordì “Sono nato nel 1978 e sono figlio di quello che alcuni dei più anziani di voi conoscono come il Segretario Bishop, l’uomo che una volta era a capo del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America. Dico alcuni di voi perché nel 2015, in corrispondenza dell’arrivo degli Osservatori, è successa una cosa: due universi alternativi si sono fusi, così che, sicuramente, alcuni di voi staranno combattendo a fianco del loro doppio.

“Io sono nato in un universo, ma sono cresciuto nell’altro, e in quest’altro ho creato una famiglia, mettendo al mondo una figlia che avrei voluto vivesse nella serenità di una famiglia normale, in un mondo sereno, senza conoscere gli orrori della guerra. Così non è stato, e per questo combatto: perché i miei futuri nipoti possano conoscere la pace. Io sono figlio di due mondi, e questi due mondi ora sono oppressi da uomini provenienti dal futuro, dal XXVII secolo, dove sembra tutto in rovina, dove sembra la speranza sia morta. Ma non è così.

“Gli Osservatori sono in grado di viaggiare nel tempo, ma non sono gli unici a poterlo fare. Anche un’altra persona appartenente alla Resistenza può farlo. Io l’ho conosciuto; egli è nato nel LI secolo, ed è tornato indietro nel tempo. Ora combatte al nostro fianco. Dovete ricordarvi di lui, ricordarvi che c’è un futuro di pace oltre il nostro tempo e quello degli Osservatori. Il suo nome è Capitano Jack Harkness.

“Ricordatevi questo nome: è sinonimo di speranza, di futuro, di pace. Non smettete di combattere! Ricordatevi che se lui esiste è perché non abbiamo mollato, non abbiamo lasciato che gli Osservatori prendessero il sopravvento. Se lasciamo che gli Osservatori spadroneggino nel nostro tempo, non ci sarà futuro, quindi non ci sarà il Capitano Harkness.

“Lui è la vera persona importante. In questi venti anni ha lottato al vostro fianco in incognito, senza chiedere nulla in cambio, crescendo un’orfana come fosse sua figlia. Quest’orfana non era un’orfana qualunque, era Henrietta Bishop, mia figlia, ed è grazie a lei se ora sono qui, se ora vi sto parlando da questa radio. È grazie a lei se ora tornerò a combattere al vostro fianco, se vi dico di continuare a combattere al nostro fianco.”

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Capitolo 24
*** 24 ***


Peter terminò il suo discorso e posò il trasmettitore sul tavolo, alzandosi e lasciando il posto a Eddie, il quale infilò le cuffie, in attesa di trasmissioni radio dalle altre sedi della Resistenza.

“Quanto tempo pensate che ci vorrà per avere una qualche risposta?” domandò la Rossa, che si era seduta sulle gambe del marito, data la carenza di sedie nella sala radio.

“Dipende.” spiegò Charlie “A volte ci vogliono pochi minuti, a volte rispondono dopo ore.”

“Non credo ci vorrà molto.” intervenne il Dottore “La Divisione Fringe Originale da quello che ho capito è molto conosciuta… e Jack è appena passato da ‘Uomo Morto che Cammina’ a ‘Speranza dell’Umanità’.”

Il Capitano sorrise sornione, sentendosi al centro dell’attenzione. Certo, era famoso già prima, in quanto non poteva morire, ma ora la sua popolarità era improvvisamente incrementata. Adesso tutta la Resistenza avrebbe combattuto perché lui potesse nascere.

“Ehi, gallese, torna tra noi!” lo rimproverò scherzosamente Lincoln “Ci servi lucido!”

Jack gli riservò un gran sorriso a trentadue denti, dandogli una pacca sulla spalla.

“Io sono sempre lucido, Lee! Non vado avanti a Guinness e sidro di mele come voi irlandesi cattolici.”

“Beh, tanto per cominciare, non disprezzo la birra, ma il sidro di mele non mi piace.” rispose di rimando Lincoln “Seconda cosa: come ho già detto, io sono ebreo, non cattolico. E comunque vedi di portare rispetto: potremmo essere tuoi antenati!”

Peter osservò la scenetta sorridendo e sorprendendosi di quanto fosse cambiato Lincoln.

La prima volta che lo aveva visto, nella vecchia linea temporale, avevano seguito insieme un’indagine, mentre Olivia era temporaneamente non disponibile a causa di un brutto scherzo di William Bell. Era ancora un ragazzo inesperto, appena uscito dall’accademia dell’FBI, che si era fissato con un caso che lo aveva colpito, e voleva fare chiarezza.

Si erano salutati con una stretta di mano, e non si erano più rivisti, finché Bishop non era tornato, nella linea temporale riscritta. Lì aveva scoperto che, dopo che il suo partner era stato ucciso da un nuovo tipo di mutaforma, Lincoln si era unito alla squadra, aiutando Olivia e gli altri nelle loro indagini.

Quando Peter era tornato, l’agente Lee era stato il primo a trattarlo come una persona e non come un evento Fringe, per questo gli si era affezionato, instaurando subito una buona amicizia. Aveva anche notato gli sguardi che lanciava a Olivia, e non ne fu sorpreso: anche l’altro Lincoln, quello dell’altro lato, provava dei profondi sentimenti nei confronti dell’altra Olivia, inoltre lei era una donna straordinaria, era impossibile non creare legami nei suoi confronti.

Quando ancora non sapeva di essere tornato a casa, Peter era addirittura arrivato a dargli la sua benedizione e incoraggiarlo a farsi avanti con lei, per poi arrivare a chiedergli scusa e chiarire la situazione, quando Bishop aveva capito di essere davvero a casa. Quella volta era stato Lincoln a dargli la sua benedizione.

Col passare dei mesi lo aveva visto crescere, maturare sia professionalmente che personalmente; Lincoln era un uomo con delle buone capacità latenti, aveva solo bisogno di tirarle fuori, ma per farlo doveva trovare la serenità interiore, una serenità che Peter stava ritrovando, anche se aveva lottato per riuscirci.

Non era solo un bravo poliziotto, ma era stato capace di creare un legame anche con Walter, di lavorare con lui serenamente, cosa per altro non facile, visto il carattere del vecchio, ma ci era riuscito sia grazie al suo potenziale, sia grazie alla passione che il dottor Bishop e l’agente Lee condividevano: gli scacchi.

Aveva assistito a qualche partita tra loro: Lincoln era molto abile, ciò denotava una grande intelligenza strategica, dote molto utile se devi condurre una guerra.

Ma gli mancava qualcosa: non si sentiva a casa, e questo bloccava gran parte del suo potenziale. Peter lo sapeva bene, sapeva cosa significava sentirsi fuori posto, voler scappare via da tutto, il più lontano possibile, ai confini dell’Universo, magari, se ne avesse avuto i mezzi. Per questo, in un certo momento, Lincoln aveva cominciato a fare il pendolare, passando molto tempo nell’altra realtà, prima con la scusa di sbrigare pratiche burocratiche e, alla fine, per aiutare l’altra Olivia a cercare coloro che avevano ucciso il suo compagno, l’altro Lincoln.

Questa era stata la svolta. Vedere morire sé stesso per rinascere diverso, più maturo. Più consapevole.

Peter lo aveva letto nei suoi occhi e nel suo linguaggio del corpo: la morte del Capitano Lee aveva profondamente cambiato l’Agente Lee: era più sicuro di sé, più deciso. Si stava sbloccando, finalmente.

Quando era venuto il momento di scegliere, Lincoln aveva deciso di restare dall’altra parte, e i due si erano salutati con una stretta di mano. Da allora non si erano più rivisti, fino a pochi giorni prima, quando lo aveva estratto dall’Ambra e si erano uniti allo strambo gruppo capitanato dal padre di Olivia.

Lo aveva trovato di nuovo differente da come lo aveva lasciato. Aveva una luce negli occhi mai vista prima; Peter sapeva di cosa si trattava, era la stessa luce che aveva lui quando stava con la sua compagna: amore. L’altra Olivia aveva occupato quel posto rimasto vacante dopo che Peter e Liv erano tornati ad essere una coppia; il cuore spezzato di Lincoln si era curato col tempo e con la vicinanza della sua vera anima gemella, anima gemella che aveva trovato in un universo diverso dal suo, esattamente come Bishop.

Peter e Lincoln erano molto simili, più di quanto avessero potuto credere.

Improvvisamente venne riportato alla realtà dallo scoppiettio statico degli altoparlanti della radio. Eddie cercò di pulire il segnale, rispondendo a quella che sembrava una chiamata da un’altra sede della Resistenza.

“Qui base New York. Ripeto, qui base New York.” disse il giovane “Identificatevi!”

Lo scoppiettio cessò e una voce lontana parlò, attraverso la radio.

“Qui base Boston. Vi stiamo parlando da Harvard.”

Peter scattò in avanti a prese il trasmettitore dalle manidi Eddie.

“Parla Peter Bishop. Harvard era nelle mani degli Osservatori fino a ieri. Come fate a parlare da lì?”

La voce, dall’altra parte, sembrò esitare, e la sua tonalità cambiò, alta e rispettosa.

“Signore. L’abbiamo ripresa. Abbiamo attaccato usando una sostanza che avevamo trovato in un vecchio garage assieme a dei vecchi rapporti di polizia. Erano firmati Walter Bishop. Credo siano stati lasciati da suo padre, signore.”

Walter scattò in avanti, prendendo a sua volta il trasmettitore dalle mani di Peter.

“Sono Walter Bishop!” comunicò “Dimmi che sostanza è? Come l’avete usata?” domandò agitato.

“Signore…” comunicò la voce dall’altra parte, confusa dal continuo cambio di interlocutori “Abbiamo indossato delle maschere antigas e l’abbiamo sparsa nell’aria. Chiudeva il naso, la bocca e gli occhi di chi la respirava… è stata molto utile!”

“Cosa?!” intervenne il Dottore “Cosa? Che cosa avete fatto?”

“S… scusi, signore… con chi sto parlando?” domandò l’uomo alla radio, balbettando.

“Sono il Dottore, ma comunque questo non è importante! Non potete combattere in questo modo! Non farete altro che creare più danno! Ci vuole strategia!”

Peter lo guardò negli occhi. Una cosa aveva capito del padre di Olivia: non amava le armi, e se era possibile trovare una soluzione che non ne richiedesse l’uso la preferiva. Aveva ragione: questi attentati disorganizzati sarebbero stati più dannosi per la Resistenza che per i Lealisti. La Resistenza aveva bisogno di qualcuno che la coordinasse, e dovevano farlo loro, erano gli unici che potevano farlo. Si voltò verso Walter, guardandolo negli occhi.

“Walter, te la senti di tornare ad Harvard e riprendere posto nel laboratorio?” chiese. Il vecchio annuì e Peter si rivolse a Charlie “Dobbiamo trasferire il quartiere generale a Boston. Dobbiamo difendere Harvard. Noi partiremo tra poco, arriveremo lì molto velocemente, voi fate tutti i preparativi e raggiungeteci appena possibile. Abbiamo bisogno di molti uomini per coordinare tutto.”

Charlie annuì e Bishop tornò a parlare alla radio.

“Va bene. Stiamo arrivando. Saremo lì tra poco, avverti tutti!”

“Sì, signore!” esclamò “Come vi riconosceremo?”

Peter guardò il Dottore, che annuì alla sua silenziosa domanda.

“Davanti all’Edificio Kresge apparirà una vecchia cabina telefonica in legno, una di quelle che si usavano in Inghilterra anni fa, quelle per chiamare la polizia, di colore blu.” Riferì Peter

“Un TARDIS, signore?” domandò l’altro.

“Sai cos’è?” chiese il Dottore, sorpreso.

“Sì, signore. Mia sorella e suo marito me ne parlavano spesso quando ero bambino, quando vivevamo a Londra. Io mi sono trasferito qui per cercarli, non so dove siano ora.”

Il Dottore riprese il trasmettitore, parlando con calma.

“Come ti chiami, ragazzo?” domandò.

“Tony Tyler, signore.” rispose la voce da Harvard.

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Capitolo 25
*** 25 ***


Rose Fissò, alternativamente, il Dottore e John. Non poteva credere alle sue orecchie: quell’uomo con cui avevano appena parlato via radio era suo fratello.

“Ehi, ma…” intervenne Lincoln “Rose, tuo fratello, il bambino che ha fatto da paggetto al mio matrimonio, non si chiamava Tony?”

“Sì, è proprio lui.” rispose John “Adesso dovrebbe avere quanto? 25 o 26 anni?”

“Caspita! Sarà cresciuto un sacco!” esclamò la Rossa “Per noi è passato poco più di un anno da quella cerimonia… mi ricordo quando si nascondeva dietro la mia gonna, durante i preparativi, perché non voleva indossare il suo vestitino!”

“Oh… davvero?” domandò il marito, sorridendo e posandole un bacio sui capelli “Io di quel giorno ricordo soprattutto quanto eri sexy nel tuo abito rosso… e ciò che è successo dopo…”

“Okay, Tyrone!” lo interruppe il Dottore “Non vogliamo sapere nulla di come è stata focosa la vostra prima notte di sesso da marito e moglie!” si alzò in piedi e si diresse alla porta “Ora andiamo! Baby Tyler ci aspetta. Eddie, tu vieni con noi. Allons-y, truppa!”

Tutti si alzarono in piedi e seguirono l’alieno fuori dall’edificio.

Eddie, Olivia, Peter e Etta chiudevano la comitiva. Il giovane fissò per qualche secondo Lincoln e l’altra Olivia, di fronte a loro, che camminavano affiancati, mano nella mano, con le dita intrecciate come non volessero più lasciarsi. Sorrise; la bionda lo notò e si rivolse a lui.

“A cosa pensi, Eddie?” domandò.

“E’ incredibile come certi legami possano resistere alle più grandi calamità della storia senza venirne quasi toccati…” commentò il giovane.

Olivia sorrise a sua volta, prendendo la sua mano e quella del compagno. Anche il loro legame sarebbe stato resistente a qualunque cosa. Erano una famiglia.

Arrivati di fronte al TARDIS, Eddie si fermò, fissando confuso la cabina di legno.

“Che cos’è quello?” chiese.

“E’ il nostro mezzo di trasporto.” rispose Peter, mentre il Dottore si frugava nelle tasche in cerca della chiave.

“Ma ci starà una persona, al massimo due…” obiettò ancora il giovane.

“C’è il trucco, ragazzo.” lo rassicurò l’altro, sorridendo.

In quel momento il Dottore aprì la porta e tutti entrarono, uno per volta, nella cabina blu. Eddie spalancò gli occhi, confuso, avvicinandosi alla porta man mano che gli altri entrarono; Peter gli fece cenno di precederlo e il ragazzo entrò, mentre Peter lo seguiva chiudendosi la porta alle spalle.

“Che diavoleria è questa?!” esclamò il biondo, stupefatto.

“Magia.” fu la risposta di Peter, il quale sorrise, dandogli una pacca sulla spalla e prendendo posto accanto alla plancia di comando, insieme agli altri “Benvenuto nel TARDIS di tuo nonno, Eddie Blake.”

Il Dottore diede subito gli ordini e si misero tutti al lavoro per muovere la cabina, che pochi istanti dopo si fermò. Il Dottore accese il monitor che mostrava l’esterno e sorrise.

“Atterraggio perfetto! Siamo ad Harvard e i nostri ci stanno aspettando proprio qui davanti!” li informò.

Senza aspettare oltre, Rose si alzò e corse verso la porta, uscendo nel cortile. John la seguì preoccupato. La ragazza si fermò di fronte al gruppo di ribelli; uno di loro, sui 25 anni, biondo, con gli occhi azzurri segnati dalla lunga guerra, si fece avanti, fermandosi proprio di fronte a lei.

I due si fissarono a lungo, senza parlare, scrutandosi. Rose era sorpresa di vedere il fratello così grande, dal momento che l’ultima volta che lo aveva visto era solo un bambino di cinque anni. Tony era sorpreso di vedere la sorella così giovane, e pure incinta, visto che erano passati più di 20 anni dalla loro separazione.

“Tony… sei alto!” esclamò, dopo un lungo silenzio, la giovane donna. Tony sorrise e indicò il suo pancione.

“E tu sei incinta… e non sei invecchiata di un giorno!” commentò.

Rose sorrise e fece un passo avanti, abbracciandolo stretto e scoppiando a piangere.

Walter si fece avanti e si incamminò verso l’interno dell’edificio.

“Oh, bando alle ciance e andiamo dentro!” brontolò “Abbiamo un sacco di lavoro da fare!”

Tutti quanti lo seguirono all’interno del laboratorio. Al centro del salone era ancora presente l’Ambra in cui era rimasta imprigionata Olivia. Walter la fissò e si rivolse agli altri.

“Dobbiamo trovare un modo per disfarci di quell’Ambra senza rovinare nulla. Facciamoci venire un’idea, avanti!” ordinò, guardandosi intorno, come fosse rinato.

Peter sorrise e strinse la compagna. Erano finalmente tornati a casa, anche se avevano ancora molto lavoro da fare.

Nel frattempo, a New York.

La guardia camminava nel corridoio, spedita. Bussò alla porta ed entrò nell’ufficio.

“Hanno preso Harvard, signore.” riferì, rivolto all’uomo calvo seduto vicino alla finestra.

“E’ solo una battaglia. La guerra non la vinceranno così facilmente.” disse l’altro uomo “Assicurati che non abbiano vita facile.”

“Come desidera, Capitano Windmark.” rispose la guardia, facendo il saluto militare e uscendo dalla stanza.

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Capitolo 26
*** 26 ***


Il Dottore osservò Walter che si dava da fare a mettere in ordine il vecchio laboratorio. Si guardò intorno, incuriosito; la volta precedente non aveva avuto il tempo di esplorare l’ambiente, quindi, mentre gli altri discutevano su come liberarsi dell’ambra, entrò nell’ufficio e si sedette alla scrivania, colma di scatole d’archivio accatastate lì di fretta.

Ne aprì una e ne osservò il contenuto. C’erano diverse cartelle di casi dell’FBI, mischiati a rapporti degli esperimenti di Walter e altre cose. Li sfogliò, trovandosi tra le mani delle vecchie foto ingiallite.

Le sfogliò, riconoscendo momenti di ricevimenti e di feste alla base militare di Jacksonville, negli anni Settanta. Vedendosi, in alcune di quelle foto, si chiede come facesse a sopportare l’uniforme. Ma allora era diverso, era più giovane e meno saggio, ed era innamorato. Passò il dito sull’immagine della giovane moglie, in posa tra lui e Walter in una foto natalizia del 1978; se la ricordava quella sera: era stato quando aveva scoperto che sarebbe diventato presto padre.

Sfogliò ancora il mucchio di foto e ne trovò una in cui era in posa con Walter. C’erano anche Olivia, in braccio a lui, e Peter, in braccio a suo padre. La bambina dormiva beata, con la manina agganciata alla sua giacca, mentre il piccolo la fissava con quelli che potevano essere definiti occhi a cuoricini.

Sorrise e ributtò tutto quanto nella scatola di archivio, la afferrò e la portò nel laboratorio, dove poco per volta stavano liberandosi dell’Ambra.

Walter stava armeggiando con dei dischi e un vecchio giradischi arrugginito, borbottando nervoso. Il Dottore fissò Peter interrogativo, il quale fece spallucce.

“Vuole ascoltare della musica, ma il giradischi non funziona.” spiegò, sospirando.

“Oh… ne me occupo io.” si offrì l’alieno “Voi portate di qua le scatole d’archivio che ci sono in ufficio, e fate un po’ di ordine tra le cartelle, potrebbe esserci qualcosa di utile.”

Walter alzò gli occhi, come per obiettare, ma appena vide che l’altro aveva tirato fuori il suo strumento di lavoro, il cacciavite sonico, sorrise e si fece da parte. Evidentemente era curioso di vedere di nuovo quell’arnese all’opera, e magari cercare di replicarlo in qualche modo.

Intanto Etta aveva preso una delle altre scatole di archivio e la stava portando nel laboratorio, quando Tony le si avvicinò e si offrì di portarla lui. Jack gli fu accanto in un attimo e afferrò la scatola, guardando ostile il giovane.

“Faccio io, grazie.” disse, severo “Tu vai a prenderne un’altra lì dentro.”

Il giovane provò ad obiettare, ma venne zittito immediatamente da un’occhiataccia di Jack.

“Andiamo, ce ne sono un sacco di scatoloni da portare.” si intromise Henrietta, parlando con Tony, per poi entrare di nuovo nell’ufficio insieme a lui.

Il Capitano andò a posare la scatola sul bancone vuoto, borbottando. Peter gli si avvicinò, porgendogli una birra fresca, appena prelevata dal TARDIS. Jack la prese e lanciò l’ennesima occhiataccia al ragazzo, che chiacchierava e rideva con Etta, mentre insieme spostavano le scatole.

“Lasciala respirare, Jack. Ha 24 anni, è una donna adulta ormai.” lo consigliò Bishop, dandogli una pacca sulla spalla.

“E’ ancora giovane. Non conosce gli uomini…” obiettò Jack.

“Tranquillo, è figlia mia e di Olivia, saprà cavarsela.” lo rassicurò l’altro, guardando i due giovani “In ogni caso il ragazzo è l’unico del gruppo che ha la sua età, noi altri superiamo tutti i trenta anni, qualcuno supera anche i cinquanta… o i cento. Credo sia normale che tra loro leghino di più.”

Il Capitano sospirò, bevendo un sorso della sua birra.

“Mi sembra ieri che dovevo calmarla dai suoi incubi di bambina… eppure sono passati quasi 20 anni.” .

“Quali incubi?” domandò Peter, improvvisamente allarmato.

“Soliti… mostri, tu e sua madre che la lasciate sola… sai come è fatta la mente di un bambino…” spiegò Harkness, ma quando notò l’espressione preoccupata e colpevole di Bishop si affrettò a continuare “Vi vuole molto bene, ed è normale che la separazione da voi sia stata traumatica, non devi colpevolizzarti per questo, lo sappiamo tutti quanto sia difficile prendere certe decisioni, lo avete fatto per il suo bene.”

Peter sospirò e tornò a guardare la figlia. Era normale avere degli incubi, anche lui li aveva avuti, dopo che era stato rapito, ma da quel che vedeva lei li aveva superati. Dovette ammettere che Jack era stato un buon padre per Henrietta, doveva essergli grato per questo. Lui si era perso molte cose della sua crescita, quindi non poteva dire molto di sua figlia, ma c’era una cosa che sperava con tutto il cuore: che la sua bambina trovasse un uomo che la amasse come lui amava sua madre, un uomo che la rendesse felice; solo questo sperava per sua figlia, nient’altro. Voleva che lei fosse felice, nonostante tutto.

Era ancora immerso nei suoi pensieri, quando le due Olivia entrarono con qualcosa da mangiare, offerto dal gruppo della Resistenza di cui faceva parte Tony. La bionda si avvicinò a Peter e Jack, porgendo loro dei panini, quindi si voltò verso la Rossa, facendole un sorriso di incoraggiamento. Quest’ultima si avvicinò al marito, che stava tagliando grossi pezzi di ambra dalla zona occupata usando una penna laser trovata nel TARDIS, e gli porse il suo pranzo.

Lincoln le sorrise e posò il laser, quindi addentò il suo panino. Olivia si avvicinò, parlandogli all’orecchio.

“Tesoro… devo dirti una cosa.” sussurrò “L’ho scoperto poco fa.”

“Dimmi tutto, piccola.” la incoraggiò l’uomo, incuriosito, continuando a mangiare.

La Rossa, incerta, si voltò verso la sua alter, la quale le fece un altro cenno di incoraggiamento, quindi si decise e parlò all’orecchio del marito.

Peter, che aveva notato la conversazione silenziosa tra le due Olivia, decise di chiedere lumi alla compagna.

“Che sta succedendo, Olive?” le domandò.

“Una cosa che stava succedendo prima che si ambrassero venti anni fa, Peter. La famiglia Lee si allarga.” rispose la bionda, guardandola sua copia che parlava all’orecchio del compagno.

Peter sorrise e si voltò verso di loro per congratularsi con il futuro neopapà, ma non potè farlo: Lincoln era diventato viola, quasi soffocato da un boccone che gli era andato di traverso e che cercava di tossire fuori. Con un balzo gli fu vicino e con una manovra da esperto, gli fece sputare il boccone. Quando, finalmente, Lincoln potè respirare, alzò gli occhi verso la compagna.

Nei suoi occhi c’era sorpresa, shock, ma non felicità. Evidentemente non aveva gradito la notizia.

“Sei incinta?” domandò “Ma… no… non può essere. Ho sempre preso precauzioni.”

“Beh, in realtà nessun anticoncezionale è sicuro al cento per cento.” si intromise Walter “Neanche il preservativo o la pillola. E il coito interrotto, che è quello più usato, è il meno sicuro, perché qualche goccia di sperma può passare…”

“Walter, shh!” lo ammonì Peter. La situazione era critica, e le lezioni di educazione sessuale di Walter, oltre ad essere fuori luogo, avrebbero potuto solo peggiorarla.

Olivia fissava Lincoln, ferma a due passi da lui. Non si aspettava quella reazione.

“Ma, Tyrone… lo so che non era programmato, ma…” cercò di obiettare lei.

“Ma ti rendi conto in che mondo siamo?!” esclamò lui, con rabbia “E poi già dobbiamo occuparci di tenere al sicuro Rose! Un’altra donna incinta sarebbe solo un peso inutile!”

Rose stava per scattare, presa in causa, ma John la prese e la portò fuori: era meglio che lei non assistesse oltre a quella lite tra coniugi.

Olivia strinse i pugni. Tutto si si sarebbe aspettato da suo marito, ma non quella reazione. Fece un respiro profondo e si voltò verso il Dottore.

“Papà, c’è qualcosa che posso fare per rendermi utile?” gli chiese, cercando di mantenere la calma.

Il Dottore alzò gli occhi, guardandola attraverso gli occhiali, quindi guardò Lincoln e rispose alla Rossa.

“Ehm, sì. Vai a prendere nel TARDIS la mia raccolta di vinili. Sono in biblioteca. Questi del dottor Bishop sono troppo vecchi e rovinati.” le disse. La Rossa si allontanò senza degnare il marito di uno sguardo.

Lincoln la guardò allontanarsi, indeciso su cosa fare, quindi corse dietro di lei, fermandola sull’entrata della cabina.

“Liv, aspetta!” la chiamò, quindi le afferrò delicatamente il braccio e la fece girare. La donna stava respirando profondamente, cercando di non scoppiare in lacrime.

“Pensavo fossi diverso…” disse “Pensavo ti importasse…”

“Ma Olivia, a me importa di te…” cercò di rassicurarla l’uomo.

“Non ti importa di nostro figlio, però. Non è colpa sua se nascerà in questo mondo, non puoi chiedergli di non nascere ora che c’è. Il tuo è puro egoismo, e l’uomo che ho sposato è tutto fuorchè egoista.” concluse, togliendosi con rabbia la fede e lanciandogliela contro, prima di entrare nel TARDIS, chiudendogli la porta in faccia.

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Capitolo 27
*** 27 ***


Lincoln tornò nel laboratorio con il morale a terra. Avevano già avuto altre discussioni in passato, dalle cose più sciocche alle più serie, ma erano sempre riusciti ad arrivare a un compromesso, alla fine.

Ricordava la prima litigata che avevano fatto da quando erano diventati una coppia, proprio il giorno dopo quella loro prima notte. Quella mattina erano stati chiamati per un evento di ordinaria amministrazione, nel Bronck, zona che coincideva con il Bronx nell’altro lato, e che ne condivideva la fama di zona malfamata della metropoli di New York; stavano evacuando la zona quando un ragazzino tirò fuori una pistola e sparò agli agenti.

Olivia fu presa di striscio, facendo prendere un grosso spavento all’agente Lee, il quale fece arrestare il ragazzo e, incoraggiato da Charlie, che gli aveva assicurato che ce l’avrebbe fatta da solo a gestire la situazione, aveva accompagnato la compagna all’ospedale per farsi ricucire la ferita.

Una volta arrivati in ospedale, preoccupato le aveva chiesto se non era il caso, almeno per lei, di chiedere al Segretario Bishop di essere assegnata a mansioni meno pericolose. Lei aveva subito ribattuto che quello era il suo lavoro e che non l’avrebbe cambiato per nulla al mondo, e che anche lui facendo quel lavoro sarebbe stato spesso in pericolo di vita, e avevano cominciato una discussione particolarmente accesa, arrivando infine a un compromesso: avrebbero continuato a lavorare insieme nella stessa squadra della Divisione Fringe, coprendosi le spalle a vicenda e cercando di non cacciarsi deliberatamente nei guai.

Ma quella volta era diverso. Erano nel bel mezzo di una guerra civile, avevano combattuto da soli per quasi un anno, prima di incontrare l’altra Olivia e Etta, prendendosi carico della bambina nel momento in cui la madre aveva deciso di chiudersi in un bozzolo d’Ambra per un tempo indefinito. Per mesi si erano occupati di Henrietta, e allo stesso tempo avevano combattuto contro gli Osservatori; l’arrivo di Jack aveva dato loro una grossa mano, ma la scoperta della gravidanza di Rose aveva reso la situazione più complicata.

La piccola Etta si era legata molto a Olivia, grazie alla forte somiglianza con la madre, e John era completamente preso dal prendersi cura della compagna, che col passare delle settimane, diventava sempre meno in grado di proteggersi da sola; oltre tutto era spesso in preda a crisi isteriche, dovute alla situazione snervante in cui si trovavano. A causa di tutto ciò, Lincoln si trovò a dover prendere sulle spalle buona parte del peso di responsabilità della sua squadra, a dover prendere da solo decisioni spesso cruciali. Lui era diventato, improvvisamente, il capo materiale del gruppo.

Certo, Jack gli dava una grossa mano, e la sua capacità di non morire era stata molto utile in molti frangenti, ma era comunque una situazione difficile, e vedendo in che condizioni era ridotto John, che non voleva, e non poteva, allontanarsi dalla compagna per nessun motivo, Lincoln si era convinto di non voler mettere al mondo dei figli finché gli Osservatori non fossero stati sconfitti. Voleva dei figli dalla sua compagna, ma non voleva che passassero quello che stava passando la piccola Henrietta, o che avrebbe passato il bambino di Rose e John.

Nell’intimità con la moglie aveva sempre preso precauzioni, e vista la tecnologia avanzata dell’universo dove viveva, era abbastanza sicuro che funzionassero. Per questo ricevere quella notizia, poco prima, era stato uno shock e aveva detto quelle parole dure, che ora desiderava non aver mai detto.

Senza guardare nessuno, attraversò il laboratorio e si diresse verso l’ufficio, ormai completamente sgombro dagli scatoloni, per cui sapeva che non l’avrebbero disturbato. Ma dovette fermarsi sulla porta, poiché Rose aveva deciso si sbarrargli la strada.

Lo sguardo della donna era duro; probabilmente anche lei si era sentita offesa da quello che era stato detto. Fece un respiro profondo, cercando di calmarsi e le posò una mano sul braccio, cercando di indurla a spostarsi e lasciarlo passare.

“Rose…” disse, a voce bassa, controllando ogni movimento del proprio corpo. Sapeva come farla calmare, lo aveva fatto altre volte “Per favore, fammi passare.”

La bionda non si mosse, e non si calmò. Con un movimento lento del capo si voltò a guardare la mano dell’amico, che le teneva delicatamente il braccio; se la scrollò di dosso come fosse stato qualcosa di sporco e tornò a guardare Lincoln negli occhi.

“Quindi sarei solo un inutile peso per te?” esordì la giovane, con tono accusatore.

“Rose…” ripeté Lincoln, con lo stesso tono calmo di poco prima. Voleva aggiungere altro, ma un rumoroso e doloroso ceffone raggiunse la sua guancia destra, creando una piccola ferita in corrispondenza della fede che portava la ragazza.

Non c’era altro da aggiungere. Lincoln distolse lo sguardo, rassegnato, mentre Rose corse via, tornando a sedersi al suo posto. Finalmente la strada era libera e lui poté entrare nell’ufficio, per starsene in santa pace.

John guardò la compagna. Stava per avvicinarsi ma una sua occhiataccia gli fece capire che non era il caso, che era meglio lasciarle sbollire la rabbia da sola. Quindi si girò verso Olivia e Peter; stavano parlando tra loro, a bassa voce, e dagli sguardi che lanciavano un po’ alla porta d’ingresso e un po’ a quella dell’ufficio, intuì che stavano parlando dei coniugi Lee. Probabilmente stavano decidendo come procedere. Si avvicinò ai due, riuscendo a percepire parte della conversazione.

“Ci parlo io con Olivia.” disse la bionda “So cosa le sta passando per la testa, saprei come prenderla. Lincoln magari lasciamolo sbollire un po’.”

“Credo sia il caso di parlare anche con lui.” si intromise John “In passato abbiamo già affrontato situazioni del genere, a causa degli sbalzi ormonali di Rose, ma se non ci riuscivo io a calmarla, quando interveniva Lincoln la calmava in un attimo. Questa volta non è successo. Qualunque sia la dote che possiede, questa discussione con Olivia lo ha bloccato, e non so quanto potrebbe volerci prima che si sblocchi di nuovo.” fece un sospiro e riprese a parlare “Questo suo dono ci è stato molto utile in passato: riusciva a far fare a chiunque qualunque cosa volesse. Potrebbe ancora esserci utile.”

Peter lo fissò per qualche secondo, quindi annuì e guardò la compagna.

“Vado a parlare con Lincoln. Tu occupati di sua moglie.” disse, quindi andò nell’ufficio insieme a John.

Lincoln era seduto sulla sedia dietro la scrivania, anzi vi si era accasciato come una bambola senza ossa; con espressione sconfortata fissava il vuoto di fronte a sé, ma appena si accorse dei due uomini li guardò con l’aria di uno che voleva stare solo con sé stesso e non vedere nessuno.

Peter si avvicinò e, con un gesto autoritario della mano, gli fece voltare il volto per controllare la guancia destra. Il taglio era ormai chiuso, ma cominciava a comparire un alone violaceo a forma di mano.

“Guarirà.” affermò, serio, dandogli una pacca sulla spalla, quindi si sistemò di fronte a lui e lo fissò negli occhi “Ti va di parlarne?” domandò. Ma più che una domanda sembrava un ordine.

Lincoln sostenne lo sguardo dell’amico, ma era assente. Non aveva voglia di parlare con nessuno, nemmeno con il suo migliore amico. Peter, però, non aveva alcuna intenzione di andarsene, tantomeno John, che restava vicino alla porta dell’ufficio, a distanza.

Bishop non abbassò lo sguardo, era deciso a farlo parlare. Afferrò l’altra sedia con noncuranza e si sedette vicino a Lincoln, mettendosi al suo livello.

Il Maggiore Lee si tirò su, sedendosi meglio, senza mai abbassare lo sguardo. Rimasero in silenzio a lungo, scrutandosi a vicenda, come due alfa che cercano un accordo sul territorio di caccia.

Peter si sporse in avanti, poggiando i gomiti sulle cosce, e finalmente si decise a parlare.

“Tu hai paura.” esordì, misurando ogni parola.

Lincoln si sistemò ancora sulla sedia, chiuse gli occhi e inspirò a lungo. Quando riaprì gli occhi tornò a sostenere lo sguardo di Peter.

“Sì, ho paura.” ammise “Hai visto in che mondo siamo? Questo non è un mondo adatto ai bambini!”

Peter si tirò su col busto, allargando le braccia.

“Sono un padre anche io, so cosa stai passando, e anche io sono stato assalito dai dubbi che tormentano te ora.” spiegò Bishop.

“Tua figlia è nata in tempo di pace, non nel pieno di una guerra civile che stiamo perdendo.” lo corresse Lee.

“Lincoln, tu hai lavorato con noi, hai visto che lavoro facciamo, credi che sia semplice per due agenti federali che rischiano la vita ogni giorno crescere una bambina? È come essere costantemente in tempo di guerra, rischi di lasciare un’orfana ogni volta che esci per andare al lavoro.” continuò Peter, mantenendo la voce calma.

Lincoln non disse nulla, ma spostò lo sguardo su John, il quale si avvicinò e si sedette sulla scrivania, per poter parlare anche lui.

“Anche per me non è stato semplice, ricordi?” disse “Quando Rose mi ha detto di essere incinta ho avuto un attimo di smarrimento. Ho vissuto delle guerre peggiori di questa in passato.” si fermò, ripensando a ciò che aveva detto, e si corresse “Ok non le ho vissute, lo ha fatto il Dottore, ma io ho tutti i suoi ricordi vivi nella mia mente, quindi è come se li avessi vissuti io, comunque… erano guerre molto più crudeli, in cui il Dottore ha avuto un ruolo fortemente attivo e da cui deriva il suo, e il mio, odio per le armi. Ma non mi sono tirato indietro, quando ho realizzato che sarei diventato padre, non sono scappato, proprio perché questa è una guerra, e voglio vincerla perché mio figlio, anche se nascerà nel pieno di essa, possa crescere in un mondo di pace.”

Lincoln sospirò e si alzò in piedi. Era evidentemente meno scosso, anche se aveva bisogno ancora di tempo per elaborare tutto, ma per lo meno lo avevano convinto.

“Andiamo, abbiamo un sacco di cose da fare.” disse, poi aprì la porta e tornò nel laboratorio.

Intanto Olivia era entrata nel TARDIS, dove sapeva che avrebbe trovato la sua alter. Infatti la trovò seduta sulla panca della sala comandi, con l’aria depressa: aveva appena smesso di piangere e, appena la bionda fece il suo ingresso nella cabina, si affrettò ad asciugarsi le lacrime.

“Come ti senti?” le chiese, sedendosi accanto a lei.

“Non pensavo che mio marito potesse essere così egoista…” rispose la Rossa, respirando profondamente.

“Non penso sia egoismo, credo sia, più che altro, paura.” lo giustificò la bionda “E credo sia normale, sia per il lavoro che facevamo, sia per i tempi in cui viviamo.”

La Rossa si voltò verso di lei, per guardarla negli occhi.

“Peter ti ha fatto una scenata del genere quando gli hai detto che eri incinta?”

“No.” ammise l’altra “Lui è andato al settimo cielo. Ha sorriso per giorni come un bambino con la pancia piena che si gode le coccole della madre. In realtà quella che aveva paura, tra di noi, ero io.”

“Perché?” chiese la Rossa, incuriosita.

“Perché, con tutto quello che ho passato fin dall’infanzia, il Cortexiphan e tutto il resto, e poi con il mio lavoro, così pericoloso, non pensavo di poter essere in grado di crescere un bambino. Ma poi, quando mi sono ritrovata tra le braccia quel frugoletto, quella piccola creatura che era una parte di me e di Peter, sono cambiata. Henrietta aveva bisogno di me, della mia protezione, e decisi che sarei vissuta per questo, perché lei avesse potuto sentirsi amata e protetta, che avesse potuto crescere serena. E così è stato, nonostante tutto.”

La Rossa sospirò e raddrizzò la schiena.

“Ma se non fosse così? Se le parole dette da Lincoln fossero davvero puro egoismo?”

“Beh, noi avremmo avuto pure delle vite diverse…” la rassicurò l’altra, sorridendo “ma di sicuro una cosa in comune ce l’abbiamo: perdiamo la testa per gli uomini complicati, ma non di certo per gli egoisti.”

L’altra sorrise di gusto. Si era tranquillizzata.

“Beh, in realtà, a prima vista, Tyrone non sembrava poi così complicato, quando lo hai portato al ponte la prima volta. Sembrava più che altro sperso; poi, conoscendolo, ho scoperto molte più cose su di lui.”

“Peter, invece, quando l’ho visto la prima volta, da adulti, la prima cosa che ho pensato è stata che sarebbe stato una gran rottura di palle, e anche con lui, conoscendolo, ho cambiato opinione col tempo.”

La Rossa sorrise, si era tranquillizzata un po’.

“Che devo fare con lui, ora? Come mi devo comportare?” domandò.

“Lasciagli tempo. Sarà lui a tornare da te, quando sarà pronto.” le suggerì la bionda, alzandosi in piedi “Ora andiamo a prendere i dischi di papà, se no diventa impaziente.”

L’altra annuì e insieme andarono in biblioteca.

La pausa pranzo venne accolta da tutti con grande entusiasmo. Per Tony e la sua squadra era uno dei pochi momenti in cui non pensavano alla loro situazione di rinnegati, fuorilegge, e il ritorno in azione della Divisione Fringe Originale aveva concesso loro un po’ di respiro e un pizzico di speranza in più.

Il ragazzo, inoltre, aveva anche ritrovato parte della famiglia: la sorella e il cognato, che non vedeva da quando era solo un bambino. Era felice di rivederli, perché non aveva più nessuno da quando il padre e la madre erano morti durante un’incursione a Buckingham Palace, la sede del nuovo governo degli Osservatori, a Londra, una decina di anni prima.

Rose gli aveva raccontato già tutto quello che era successo, dell’inizio della guerra, dell’incontro prima con Etta e sua madre, e poi con il Capitano Harkness, e infine la dolorosa decisione di ambrarsi.

La discussione tra l’agente Lee e sua moglie, e la successiva crisi isterica della sorella al ritorno dell’uomo pochi minuti dopo lo distrasse dai suoi pensieri. Tutti avevano assistito allo spettacolo in silenzio, ma sapevano di non dover intervenire, quindi alla fine tornarono ai propri lavori o al pranzo.

Tony uscì nel corridoio, in cerca di un posto dove consumare il suo pranzo in santa pace. Si guardò intorno e vide Henrietta seduta su una vecchia panca in legno, immersa nei propri pensieri. Notò che non aveva preso il pranzo, quindi tornò dentro, prese un paio di panini preparati dai suoi compagni e una bibita offerta dal TARDIS e si avvicinò alla ragazza.

Lei alzò lo sguardo e gli sorrise, prendendo il sacchetto con i panini e la bibita.

“Grazie…” lo ringraziò “non dovevi disturbarti.”

“Nessun disturbo.” rispose lui, quindi indicò il posto vuoto sulla panca “Posso?”

La giovane annuì e gli fece posto, prendendo uno dei panini e mangiando con calma. Tony si sedette e le sorrise di nuovo.

“Comunque io sono Tony Tyler, il fratello di Rose.” si presentò.

“Henrietta Bishop.” rispose lei, guardandolo negli occhi.

“Oh… quindi tu saresti…” esclamò l’altro, senza completare la frase.

“Sono la figlia di Peter Bishop e di Olivia Dunham, quella di cui ha parlato mio padre nel suo discorso. E prima che lo chiedi è vero: mi ha cresciuto Jack Harkness, il Morto che Cammina.” completò lei, anticipandolo.

“Oh… beh… wow!” balbettò Tony, preso alla sprovvista.

“Scusa…” sospirò la ragazza “E’ che praticamente scappo fin da quando ero bambina… e da quando ho cominciato a lavorare nella Divisione Fringe ho dovuto aumentare le difese per non far scoprire ai pelati il doppio gioco.”

“Non ti scusare, lo capisco benissimo. Anche io scappo fin da quando ero bambino, so cosa si prova. Però non pensavo che la Divisione Fringe Originale comprendesse così tante persone…” cercò di cambiare argomento.

La bionda sorrise, pensando alla grande varietà di persone che comprendevano quello strambo gruppo.

“In realtà l’Originale era composta solo da mio padre, mia madre, Walter e la sua assistente. Gli altri si sono aggregati dopo.” spiegò.

“Capisco… davvero un bel gruppo.” commentò il giovane “Devi davvero essere orgogliosa dei tuoi genitori…”

“Lo sono.” ammise Henrietta “Solo che ho pochi ricordi di loro, quando ero piccola. L’ultima volta che li ho visti avevo quattro anni.” continuò, stringendo il ciondolo che teneva al collo.

“Mi dispiace… i miei invece sono morti dieci anni fa. Mia sorella e mio cognato sono l’unica famiglia che mi resta.” sospirò l’altro. Etta si voltò verso di lui, fissandolo negli occhi. Anche se avevano vissuti diversi, le loro storie erano molto simili: rimasti soli al mondo per molto tempo, erano andati avanti sostenuti dal ricordo di coloro che amavano.

“Anche Rose e John, in un certo senso, fanno parte della famiglia. John è il clone del Dottore, e il Dottore è mio nonno, lo sai? Credo che questo renda anche te parte della nostra famiglia.” disse, senza distogliere lo sguardo.

Gli occhi della ragazza erano una calamita, e Tony non riuscì a staccare lo sguardo. Si limitò ad annuire ed alzarsi quando lo fece lei, una volta terminato di mangiare. Non sapeva cosa sarebbe successo in futuro, sapeva solo che aveva finalmente ritrovato la sua famiglia, e che questa d’ora in avanti, comprendeva anche la Divisione Fringe Originale.

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Capitolo 28
*** 28 ***


Dopo quella movimentata pausa pranzo, ognuno tornò alle proprie mansioni. Dovevano riordinare tutto per riconvertire il vecchio laboratorio nel quartiere generale della Resistenza mondiale.

Il Dottore aveva finito di aggiustare il giradischi di Walter e aveva messo su un disco dei Beatles, una rarissima prima edizione del White Album. Ora nell’aria vibravano le note di Revolution.

Tutti erano indaffarati nei propri compiti: Peter controllava gli apparecchi difettosi, cercando di imparare ad usare in fretta il cacciavite sonico del Dottore, che quest’ultimo gli aveva affidato, spiegandogli le funzionalità base; le due Olivia erano sedute a un tavolo assieme a Etta, Astrid e Rose, che separavano le cartelle prelevate dalle varie scatole. La Rossa a volte lanciava sguardi di sfuggita verso il marito, che andava e veniva dall’esterno assieme a Jack, Eddie e Tony. Non voleva fare la prima mossa, doveva essere lui a farsi avanti.

Lincoln, per tenersi occupato, si era unito al gruppo di guardia attorno all’edificio, e quando tornava al laboratorio guardava la moglie, indeciso su come agire. L’insicurezza, che era stata una costante in passato, era tornata; non sapeva come agire, non sapeva come avrebbe reagito Olivia, non sapeva se era pronto a chiederle perdono. In fondo al suo cuore sapeva che si meritava quella punizione, che non avrebbe dovuto agire così, e che se Olivia decideva di lasciarlo avrebbe fatto bene, perché era stato un egoista, non aveva pensato al bene di lei e del bambino, ma solo al proprio.

Tornò fuori, insieme a Jack e si diresse ai tornelli d’ingresso. Eddie era già in postazione con altri uomini di guardia.

“Ancora nulla?” chiese, guardandosi intorno.

“Nulla.” rispose il giovane “Non si vedono neanche i Lealisti, si sono ritirati tutti quanti. È tutto tranquillo.”

“Troppo tranquillo.” sospirò Lincoln, controllando che il fucile avesse il colpo in canna, pronto a sparare “Non è un buon segno. Ci serve una strategia, e in fretta. Spero che il Dottore abbia qualcosa in mente, se no parlerò con gli altri e ci organizzeremo di conseguenza.”

Eddie annuì, guardando verso la strada. Tutto era deserto e silenzioso, ma sapeva che li stavano osservando.

Improvvisamente il rombo lontano del motore di alcune camionette ruppe il silenzio; tutti quanti afferrarono i propri fucili e li puntarono verso il fondo della strada. Jack fece un passo avanti, senza mai abbassare l’arma, e qualche minuto dopo, dall’angolo della strada principale comparvero delle camionette in formazione. Eddie guardò attraverso il binocolo e si rilassò.

“E’ capo Francis. Abbassate le armi.” ordinò.

Tutti ubbidirono e, quando le camionette furono vicine, aprirono loro il tornello e fecero posteggiare nel cortile. Charlie fu il primo a scendere, e Jack, in un impeto di gioia gli saltò al collo, baciandogli le guance in un impeto di caloroso entusiasmo.

“Sono così felice di vederti, bel fustacchione!” esclamò.

“Ehi, ehi! Calma, Capitano!” lo salutò, facendolo allontanare da lui “Gli altri sono dentro?”

“Sì, ti accompagno.” annuì Lincoln, facendogli strada al laboratorio.

Appena entrarono, l’aria fu invasa dalle melodie dell’album che stava girando sul giradischi.

“Oh… i Beatles!” esclamò Charle, entrando e, appena raggiunse il tavolo dove erano disposti i dischi del dottore, afferrò la cover di quello che stava girando e la esaminò “Ma… è una prima edizione del White Album!” esclamò. Il Dottore si avvicinò e la esaminò a sua volta.

“Ah, sì. Prima edizione, regalatami da Paul l’ultima volta che l’ho visto. È autografata da tutti iBeatles, un pezzo molto raro.” rispose, guardando le firme sulla copertina.

“Paul? Ma non era morto nel 1966? Questo album se non sbaglio è del 1968, al suo posto c’era William Sheppard.” obiettò l’altro.

“Oh, quindi le teorie del complotto che io ho contribuito ad alimentare, nel tuo lato erano vere?” domandò l’alieno “Sai, nel 1966 gli ho salvato la vita. Paul ha rischiato di morire in un incidente stradale, se non l’avessi soccorso in tempo sarebbe morto. Poi mi ha invitato a bere con gli amici, e John si è inventato questa cosa della finta morte di Paul. Per decenni gli appassionati ci hanno rimuginato sopra tutti quei falsi indizi… un vero spasso!”

Francis non lo stava più ascoltando: era perso nell’ammirare la copertina di quel raro album, anzi rarissimo. Ma la sua contemplazione venne interrotta dalla Rossa, che lo prese sotto braccio e gli parlò all’orecchio.

“Charlie, posso parlarti in privato?” gli chiese. L’uomo si girò verso di lei, guardandola negli occhi e, vendendo il suo stato d’animo, che traspariva dal suo sguardo, annuì e la seguì nel corridoio.

L’uomo si fermò in fondo, vicino alle scale e si poggiò al muro, guardando la donna negli occhi.

“Dimmi cosa non va, Liv.” la incoraggiò.

Olivia si torse le mani, pensando bene a quello che avrebbe dovuto dirgli. Fece un respiro profondo e parlò.

“Sono incinta.” disse “Ma Tyrone…”

“Che ha fatto il Maggiore?” domandò, allarmato. Era molto affezionato a Olivia, e sapere che il marito aveva fatto qualcosa che l’aveva fatta piangere lo avrebbe mandato su tutte le furie.

“Lui… lui non vuole il bambino. Mi ha detto delle parole che non avrei mai pensato di sentirle da lui…” confessò “Secondo Olivia lui ha paura, ma io… io non so cosa pensare.”

Charlie la abbracciò in modo paterno, facendola tranquillizzare; in quel momento la donna aveva bisogno di conforto.

“Ora capisco perché Lincoln aveva quell’aria colpevole, prima.” disse “Ma penso che si sia già pentito di quello che ti ha detto. È un brav’uomo lui, e ti ama davvero, non credo ti farebbe mai un torto del genere volutamente. Provate a parlarne, sicuramente vorrà fare pace.”

“E se non volesse?”

“Vorrà, vedrai.” la rassicurò, sorridendo e riportandola nel laboratorio.

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Capitolo 29
*** 29 ***


Windmark passeggiava lungo il corridoio del quartiere generale degli Osservatori, a New York. Il Comandante lo aveva mandato a chiamare, e quando lui chiamava non si poteva farlo aspettare. Bussò ed entrò nell’ufficio all’ultimo piano.

Il Comandante era in piedi, vicino alla finestra, che guardava il tramonto, l’inizio di una nuova notte sulla città di New York.

“Comandante, mi ha chiamato?” chiese, rispettosamente, Windmark, restando a distanza.

L’uomo non si voltò, continuò a guardare fuori, ma parlò.

“Ho sentito che hanno preso Harvard.”

“E’ corretto, signore.” rispose l’altro.

“E secondo quanto ho sentito, la Divisione Fringe Originale è tornata, e con loro ci sono il Morto che Cammina e l’altra Divisione Fringe.” continuò il Comandante.

“E’ così, signore.” affermò ancora Windmark, in attesa.

“Bene. Allora sentite cosa dovete fare…” concluse l’uomo a capo di tutto.

 

Era calata la notte, e ad Harvard avevano organizzato dei turni di guardia. C’era troppa calma in giro, e la cosa era sospetta, così si erano preparati, dividendosi in gruppi che si sarebbero dati il cambio a intervalli regolari.

Era mezzanotte, c’era appena stato il cambio, e Henrietta aveva raggiunto il resto del gruppo, dopo aver dato il cambio al padre, che aveva fatto il turno precedente. Mentre raggiungeva il cortile, incrociò Charlie e Lincoln che discutevano: Olivia aveva insistito ad avere anche lei un turno, nonostante il compagno non ne fosse molto entusiasta, ma non aveva ancora avuto il coraggio di parlarle, dopo la discussione del pomeriggio, e si era limitato a discuterne con Charlie, il migliore amico di Olivia da sempre.

Henrietta si avvicinò e attirò la loro attenzione.

“Lincoln, non preoccuparti.” lo rassicurò “Non è da sola, ci sono anche io, e ci sono Tony e Jack, senza contare gli altri dieci ragazzi della squadra di Charlie. Olivia è al sicuro, non le succederà niente.”

Charlie sorrise, dandole ragione e Lincoln annuì, cercando di rilassarsi e tornando verso il laboratorio, mentre Etta raggiungeva gli altri.

Eddie le venne incontro, accogliendola con un caloroso sorriso.

“Ben arrivata, cuginetta.” la salutò. Henrietta gli sorrise e controllò il suo fucile, quindi raggiunsero il resto del gruppo, vicino ai tornelli d’ingresso.

Tony le si avvicinò, guardando la strada, mentre Jack le dava una pacca affettuosa sulla spalla. Olivia teneva lo sguardo fisso sulla strada, concentrata su qualsiasi movimento che si vedesse.

Eddie li osservò per qualche secondo, quindi diede ordine agli altri di sparpagliarsi lungo il perimetro, e si allontanò con loro.

Per lungo tempo ci fu silenzio nel gruppo. Henrietta camminava avanti e indietro, con occhi aperti e orecchie tese, poiché non si fidava di tutta quella calma. Guardò Olivia; era altrettanto tesa, ma sapeva che i suoi pensieri non erano rivolti unicamente alla guardia che stavano facendo, ma anche alla sua situazione personale, alla discussione che aveva avito poche ore prima con il marito, al bambino che portava in grembo. Sapeva che la situazione era pericolosa, ma non si era tirata indietro, aveva chiesto di avere anche lei un turno di guardia quella notte. Henrietta ammirava Olivia; era una donna forte, orgogliosa, esattamente come sua madre, e quando era piccola le aveva voluto bene fin dal primo istante in cui l’aveva incontrata.

Tornò a guardare la strada. C’era troppa calma. Henrietta strinse il fucile e riprese a camminare, avvicinandosi a Tony. Era seduto su un muretto e si stava preparando una sigaretta, senza abbassare lo sguardo dalla strada. La ragazza si sedette accanto a lui e gli sorrise; quel pomeriggio avevano parlato a lungo, scoprendo molte similitudini nelle loro vite: entrambi erano figli dei due mondi, con i genitori che provenivano uno da un lato e uno dall’altro, entrambi erano cresciuti nella guerra civile, ed entrambi avevano deciso di combattere per la Resistenza in ricordo delle persone care che avevano perso.

Tony le sorrise a sua volta e si accese la sigaretta. Riuscì a fare due tiri, finchè Jack non gli si avvicinò, togliendogli la sigaretta di bocca e borbottando qualcosa riguardante la Prima Guerra Mondiale e il fatto di fumare nelle trincee di notte.

Tony stava per ribattere quando sentirono dei rumori in direzione del resto del loro gruppo. Si alzarono tutti in piedi, impugnando le armi e si misero in posizione, pronti a reagire a qualunque attacco.

Improvvisamente uno dei ragazzi di guardia nel perimetro corse verso di loro, ma un’ombra comparve, sbarrandogli la strada. Etta la riconobbe, era l’ombra di un Osservatore.

Caricò il fucile, pronta a sparare, ma questo aveva già ucciso l’altro ragazzo e si era voltato verso di loro, puntando la sua arma e colpendo alla testa Jack. Henrietta sparò ma non riuscì a colpirlo: il pelato era già sparito.

I tre si radunarono attorno al corpo di Jack, per proteggerlo intanto che si rigenerava, ma si ritrovarono circondati. Un Osservatore aveva in mano una strana sfera; sembrava una bomba. La lanciò verso di loro. Tony si lanciò addosso alle due donne, per proteggerle. Tutti e tre si distesero per terra, usando il corpo di Jack, ancora incosciente, come riparo, ma delle schegge li raggiunsero, colpendoli in vari punti, e una luce intensa invase l’aria.

Etta perse i sensi.

Quando si risvegliò si trovò in un ambiente freddo e buio. Accanto a lei erano distesi Tony e la Rossa, mentre Jack non si vedeva.

Si alzò e si guardò intorno. Riconobbe la cella di una prigione, con tanto di sbarre e lucchetto. Si avvicinò alla porta e si guardò intorno. In un’altra cella era rinchiuso Jack, incatenato al muro e con degli elettrodi attaccati al corpo.

Tony si riprese e si alzò, raggiungendola.

“Dove diavolo siamo?” chiese.

“Non lo so, ma penso che siamo stati catturati dagli Osservatori.” rispose lei, cercando di memorizzare qualsiasi piccolo particolare le saltasse all’occhio in quell’ambiente.

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Capitolo 30
*** 30 ***


Peter si era svegliato di colpo. Una sensazione strana lo aveva invaso nel bel mezzo del sonno REM.

Uscì dal sacco a pelo e si guardò intorno; nel laboratorio sembrava regnare la pace, tutti dormivano, certi di essere al sicuro, grazie ai turni di guardia che erano stati stabiliti la sera precedente.

Guardò l’ora. Le due di notte. Il suo turno era terminato due ore prima, e il cambio ci sarebbe stato un’ora più tardi, alle tre.

Sperava che fuori stesse andando tutto bene, ma era abbastanza certo che sua figlia fosse al sicuro: Jack non avrebbe mai permesso che le succedesse qualcosa, e Peter sapeva di potersi fidare di lui.

Tornò a guardare gli altri. Erano tutti addormentati attorno al TARDIS, che il Dottore aveva spostato all’interno del laboratorio per permettere a Walter e Rose di poter dormire comodi e al sicuro da ogni pericolo. Entrò nella cabina; la sala di comando era buia, e nel silenzio Peter poteva quasi sentir respirare il veicolo. Sorrise tra sé: se glielo avessero detto anni prima non ci avrebbe mai creduto, ma ormai non si stupiva più di nulla, e quando il padre della sua compagna aveva detto che il TARDIS era un essere vivente non gli era neanche passato per l’anticamera del cervello di mettere in dubbio ciò che l’alieno aveva affermato.

In silenzio si diresse verso le stanze da letto, e aprì la porta di quella di Walter. Il padre ronfava sonoramente, cullato dai sogni e da qualche sostanza che si era fumato la sera precedente; non lo avrebbero svegliato neanche le trombe dell’Apocalisse, e per Peter era un bene. Qualunque cosa fosse successa all’esterno, i muri del TARDIS erano solidi e lui e Rose sarebbero stati al sicuro da qualsiasi minaccia.

Richiuse la porta ed uscì dalla cabina, tornando nel laboratorio. Tutti dormivano ancora. Si avvicinò a Olivia e la coprì meglio con la coperta; anche lei sembrava serena, in un mondo lontano dalle disavventure che avevano passato. Il Dottore dormiva accanto a lei, avvolto nel suo lungo cappotto e semi-seduto, con la schiena poggiata contro una delle pareti esterne del TARDIS; aprì gli occhi e fissò Bishop, il quale ricambiò lo sguardo, alzandosi in piedi.

“Non riesci a dormire?” gli domandò l’alieno, a bassa voce. Peter fece spallucce, camminando per la stanza e controllando che tutti dormissero.

“C’è troppo silenzio. Non ci sono più abituato.” rispose. Il Dottore si alzò in piedi e si avvicinò al genero. Avevano avuto poche occasioni di parlare a quattrocchi, i giorni precedenti, decise di approfittare del momento.

Ma non riuscì neanche a cominciare il discorso: sentirono una delle porte esterne dell’edificio aprirsi, e qualcuno entrare, dirigendosi verso la loro posizione. I due si scambiarono uno sguardo, quindi Peter afferrò la sua pistola, mentre il Dottore aveva già in mano il cacciavite sonico. Pochi secondi dopo erano nel corridoio buio, uno accanto all’altro, pronti a reagire a qualunque minaccia si fosse presentata.

Un’ombra scese l’ultima rampa di scale, barcollante. Peter e il Dottore si fermarono a distanza, senza abbassare la guardia. L’ombra avanzò di qualche passo verso di loro e un raggio di luna la colpì. Fu allora che lo riconobbero.

“Eddie?” lo chiamò Peter, abbassando l’arma e avvicinandosi “Che succede?”

L’uomo camminava tenendosi una mano sulla spalla, che perdeva sangue per una brutta ferita. Il Dottore lo aiutò a camminare e lo fece sedere su una panca lì vicino, controllandogli la ferita.

“Ci hanno attaccati… sapevano…” li informò Eddie, con un filo di voce.

“Cosa?!” esclamò Peter, allarmato “Cos’è successo? Dove sono gli altri? Henrietta sta bene?” chiese, allarmato, ma Eddie non lo stava ascoltando: aveva perso i sensi, mentre il Dottore gli stava tamponando la ferita.

“Peter, sveglia gli altri! Dai l’allarme. Mi occupo io di lui, se la caverà!” lo incoraggiò, operando i primi soccorsi sul giovane soldato. Bishop scattò su e corse al laboratorio, accendendo tutte le luci.

“Ci hanno attaccati!” urlò “Abbiamo un ferito! Presto! Svegliatevi!”

Tutti scattarono in piedi, prendendo le armi, mentre Peter entrava nel TARDIS per svegliare il padre e Rose, e prendere la cassetta del pronto soccorso per curare Eddie.

Quando uscirono dalla cabina, il Dottore e Charlie avevano trasportato il giovane nel laboratorio e l’avevano fatto stendere su uno dei tavoli per controllarlo meglio. Walter si mise subito al lavoro e gli disinfettò e fasciò la spalla; Eddie riprese un po’ di colore e aprì gli occhi. Tutti gli furono intorno, in attesa, mentre Charlie cercava di attirare la sua attenzione.

“Eddie, ehi, ragazzo…” lo chiamò, facendolo voltare verso di sé “che cosa è successo?”

“Ci hanno attaccati…” sussurrò l’altro.

“D’accordo. Gli altri dove sono? Dov’è Jack? Lui non può essere morto.” insistette Charlie. Eddie cercò di parlare, ma era senza forze. Il Dottore decise di farsi avanti e gli posò le mani nelle tempie.

“Ragazzo, ho bisogno che ti rilassi.” disse, concentrato. Charlie guardò Peter, interrogativo, non sapendo cosa aveva in mente l’alieno.

“Gli vuole leggere la mente. È uno dei suoi poteri.” spiegò il giovane Bishop.

Il Dottore rimase qualche minuto in silenzio, rovistando nei ricordi del nipote, e alla fine aprì gli occhi, allarmato.

“Sono stati presi.” riferì.

“Cosa?” si fece avanti Lincoln, allarmato “Chi? Chi li ha presi? Dov’è mia moglie?”

Il Dottore si tirò su, guardandolo negli occhi.

“L’hanno presa gli Osservatori.” rispose, poi si voltò verso Peter e Olivia “Anche Henrietta… e Tony.” concluse, guardando il suo clone e Rose “Credo che sia stato preso anche Jack. Eddie non l’ha visto, ma se non è venuto anche lui a dare l’allarme, allora è stato preso.”

Rose spalancò gli occhi, aggrappandosi al braccio di John.

“Tony…” sussurrò, quindi si avvicinò a Peter, prendendolo per il bavero della giacca “Dobbiamo trovarlo! È mio fratello! È l’unico rimasto della mia famiglia!” esclamò “Vi prego, dobbiamo trovarlo!”

Peter la lasciò parlare. Sapeva esattamente cosa stava provando: anche sua figlia era stata presa, e non se ne sarebbe stato con le mani in mano, l’avrebbe trovata anche a costo di setacciare l’intero globo. La afferrò delicatamente tra le braccia e la fece sedere, aiutato dal compagno di lei, quindi la guardò negli occhi.

“Tranquilla, Rose.” la rassicurò “Li ritroveremo e li riporteremo tutti quanti sani e salvi qui. Hanno preso anche mia figlia, e la moglie di Lincoln. Non ho nessuna intenzione di lasciarli in mano loro. Ma tu devi stare calma, non ti fa bene agitarti.”

Peter sembrava calmo, ma dentro di sé impazziva di rabbia. Avrebbe voluto correre immediatamente e riprendersi Henrietta e tutti gli altri, ma non poteva, avrebbe solo rischiato di morire ammazzato prima ancora di riuscire ad avvicinarsi al posto dove erano stati portati gli ostaggi, ovunque esso si trovi.

Olivia prese una delle armi di riserva e tutte le munizioni che riusciva a trovare, senza dire una parola. Peter lasciò andare Rose e si avvicinò a lei.

“Olive, la troveremo. Ma dobbiamo stare calmi, non possiamo fare mosse avventate.” le disse, prendendole la pistola dalle mani.

Il Dottore si avvicinò loro e fece una carezza rassicurante alla figlia. Bishop lo guardò in volto: anche lui ribolliva di rabbia dentro di sé: gli avevano rapito alcune delle persone più importanti della sua vita proprio sotto il naso e lui non se ne era neanche accorto.

“Dobbiamo metterci subito al lavoro.” esclamò “Ma non possiamo muoverci senza almeno sapere dove sono stati portati!” si voltò verso Eddie, che si era ripreso ed ora era seduto sul tavolo dove era stato adagiato “Figliolo, ho bisogno che contatti via radio tutte le squadre della resistenza che riesci a trovare. Forse riusciamo ad avere delle informazioni!” ordinò, infine si guardò intorno “Dov’è Lincoln?”

“L’ho visto correre nel TARDIS non appena ha saputo che sua moglie è stata presa.” riferì John, che cercava di calmare la compagna, in preda a una crisi di pianto.

Charlie sospirò e si avvicinò alla cabina.

“Vado a recuperarlo.” riferì, entrando nel TARDIS e chiudendo la porta, per poi aprirla di nuovo e guardare il Dottore, con aria imbarazzata “Ehm, Dottore, da che parte devo andare?”

“Scendi le scale e segui il corridoio. Tutti i locali sono lì.” gli indicò l’alieno. Charlie annuì e tornò dentro, scese le scale e raggiunse il corridoio.

Aprì tutte le porte, finchè non arrivò a una delle camere. Lincoln era seduto sul letto e si fissava il palmo della mano, sul quale era adagiata la fede che Olivia gli aveva restituito a seguito del litigio del giorno precedente.

Charlie si sedette accanto a lui, fissando anche lui l’anello che l’altro teneva tra le mani. Restò in silenzio per un minuto, raccogliendo le idee, e infine poggiò una mano sulla spalla dell’amico.

“La ritroveremo, Lincoln, vedrai. La riporteremo a casa sana e salva.” lo rassicurò. Lincoln si tolse gli occhiali e si asciugò gli occhi umidi, prima di voltarsi e guardare Charlie in volto.

“E se invece non fosse così? Se non la ritrovassimo? O se fosse troppo tardi? L’ultimo ricordo che avrei di lei sarebbe il litigio che abbiamo avuto ieri! Non avrei dovuto reagire in quel modo, avrei dovuto capire, invece…” si sfogò.

“La ritroveremo.” ripeté l’altro, cercando di essere convincente.

“Ma se non fosse così?” insistette il Maggiore Lee “Pensaci, Charlie… tua moglie è morta. Come sarebbero stati questi anni se l’ultima conversazione che tu e Mona avete avuto prima che gli Osservatori la giustiziassero a sangue freddo fosse stato un litigio furioso?”

Charlie sospirò e distolse lo sguardo, afferrando le fedi che teneva legate al collo con un cordino e raccogliendo le idee per rispondergli.

“L’ultima conversazione che io e Mona abbiamo avuto prima che morisse è stato davvero un litigio, Lincoln. E sono stato anche io invaso dai sensi di colpa, per lunghi anni pure. Ma alla fine sono arrivato alla conclusione che per andare avanti dovevo tenere a mente i momenti belli passati con lei, e mettere da parte tutto il resto. Questo mi ha dato la forza di continuare a lottare. Ma il mio caso è diverso dal tuo. Per quanto ne sappiamo Olivia è ancora viva, e puoi ancora rimediare, quando la ritroveremo puoi ancora dirle quanto la ami. Devi tenere a mente solo questo: Olivia e vostro figlio hanno bisogno che tu sia lucido per essere tratti in salvo, e il senso di colpa non aiuta, quindi cerca di liberartene.”

“Come puoi essere sicuro che sia ancora viva?” domandò l’altro.

“Semplicemente perché se avessero voluto ucciderla lo avrebbero fatto qui, senza portarsela via. E comunque bisogna avere un po’ di fede.” affermò Francis, alzandosi in piedi “E tu non dovresti lasciarti andare, non dopo quello che hai detto che è successo agli ebrei come te nell’altro universo. Devi continuare a combattere e riprenderti Olivia, costi quel che costi.”

Lincoln lo fissò. Aveva ragione, non poteva piangersi addosso, doveva combattere. Prese la pistola dal comodino, controllò che fosse carica e si alzò, camminando spedito verso l’ingresso della cabina.

 

Intanto, da qualche altra parte.

Henrietta e Tony erano ancora rinchiusi nella cella, insieme a Olivia, che era ancora priva di sensi. Con molta attenzione la sistemarono meglio, adagiandola sull’unica brandina di quel locale.

Etta le sistemò la sua giacca sotto la testa, piegata per farle da cuscino, quindi lanciò un’occhiata nella cella di fronte.

Jack gemette di dolore e aprì gli occhi, cercando di muoversi, ma le catene gli impedivano ogni movimento. Imprecò e si guardò intorno; quando vide la ragazza, le sorrise rassicurante e le parlò.

“Stai bene, scimmietta?” le domandò, affettuoso.

“Sì, anche Tony. Olivia invece non si è ancora ripresa.” gli rispose la biondina. Jack annuì e si guardò intorno.

“Sono sicuro che gli altri ci stanno già cercando… spero che arrivino prima che i pelati mi riducano a spezzatino, perché ho l’impressione che vogliano studiarmi…” esclamò, indicando con lo sguardo gli elettrodi che aveva attaccati addosso.

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Capitolo 31
*** 31 ***


Eddie si era messo alla radio, cercando di contattare tutti i Ribelli che riusciva a trovare, in cerca di qualunque informazione sulle persone che erano state prese in ostaggio dagli Osservatori.

Contemporaneamente, il Dottore era seduto a un tavolo e cercava di riordinare le idee. Fissava il vuoto, masticando la stanghetta degli occhiali con aria assente, ma il suo cervello era attivo, stava elaborando milioni di dati in poche frazioni di secondo, e non riuscendo più a vedere bene il vortice del tempo a causa della frequenza dell’universo modificata rispetto alla frequenza originale, l’unica cosa che poteva fare era aiutare i ribelli ad elaborare un piano che volgesse i fatti in loro favore. Osservò attentamente i componenti del suo gruppo, cercando di individuare per ognuno i punti forti e le debolezze; non poteva lasciare nulla al caso.

Guardò John. Era il suo clone, quindi sapeva come ragionava. Quello era un punto di forza. Il punto debole, invece, era Rose. La sua Rose stava per avere un bambino, e parte del suo cervello sarebbe stato occupato da questo pensiero. Ne avrebbe tenuto conto una volta venuto il momento di elaborare meglio un piano.

Rose, il dottor Bishop e Eddie, invece, avrebbero dovuto rimanere al sicuro nel TARDIS. Una donna incinta, un vecchio pazzo e un ferito di fresco sarebbero stati solo d’intralcio; ovviamente non li avrebbe lasciati soli, altri sarebbero rimasti a proteggerli.

Spostò lo sguardo su Olivia. Sua figlia stava preparando le pistole, controllandole una per una e verificandone il funzionamento; sembrava essere a suo agio con le armi, ed essendo sua figlia questa cosa faceva uno strano effetto sul Dottore, che odiava le armi. Se la ricordava piccola e fragile, una bambina bionda che sorrideva sempre, e si ricordava le sue lacrime quando lui aveva finto la sua morte. Gli si erano spezzati entrambi i cuori a vederla così, da lontano, senza poterla rassicurare. Non poteva uscire allo scoperto, però, oppure sarebbero stati in pericolo; era in corso una cruenta guerra, di cui gli umani non erano a conoscenza, e lui era ricercato sia dal suo popolo, i Signori del Tempo, che dai Daleks, a cui aveva pestato troppe volte i piedi. Il Dottore avrebbe voluto vivere la sua vita, quello che rimaneva della vita della moglie, e veder crescere le figlie in santa pace, ma non gli era stato possibile farlo, perché proprio il giorno del secondo compleanno di Olivia aveva visto in cielo una nave Dalek e aveva capito che erano sulle sue tracce. Aveva capito che doveva mettere al sicuro le sue tre donne, e l’unico modo per farlo era sparire, non coinvolgerle in quello che stava succedendo nello spazio-tempo. Certo le sue bambine avevano sofferto, ma per lo meno una era diventata una donna forte e una buona madre.

Aveva notato la sua buona memoria fotografica e la sua empatia. La prima era un ottimo punto di forza, la seconda poteva essere sia un punto di forza che un punto debole, ma c’era una cosa che giocava a suo favore: il suo legame forte con Peter. Quel legame era molto forte, e andava oltre l’amore, era qualcosa di diverso, come se loro due fossero stati creati per stare insieme. Se da soli erano pericolosi, insieme sarebbero stati una vera e propria bomba pronta ad esplodere, soprattutto considerando che la loro figlia era in pericolo.

Peter stava controllando se tra le sostanze che c’erano ancora nel vecchio laboratorio, qualcuna potesse essere utile, e intanto stava discutendo con Lincoln riguardo alle strategie da adottare in caso di scontro con i pelati. Quei due uomini erano l’asso nella manica del Dottore. Erano due capi nati, anche se avevano bisogno ancora di imparare, ma avevano tutte le carte in regola per guidare un esercito. Peter da solo poteva affrontare qualunque pericolo, ma come per Olivia, insieme alla compagna era imbattibile; l’unico suo difetto era l’impulsività, che lo portava ad agire d’istinto e rischiare di ficcarsi nei guai. Lincoln era un buon stratega, lo aveva verificato giocando a scacchi con lui nei giorni precedenti al recupero di Olivia, era un uomo abbastanza equilibrato, ma il suo punto debole era l’emotività: aveva visto cosa era successo dopo il litigio con sua moglie, si era bloccato, e sperava che andare a recuperarla lo avesse sbloccato nuovamente. Entrambi gli uomini avevano una caratteristica molto utile: giocavano con le menti delle persone, a volte intenzionalmente, a volte inconsciamente, ma riuscivano sempre a far fare agli altri ciò che loro volevano. Il Dottore li avrebbe usati a suo vantaggio.

Ed c’era Charlie, l’ultimo che si era unito al suo gruppo. Lui non lo conosceva, ma gli altri si, e Charlie conosceva l’ambiente, era quello che aveva portato avanti la Resistenza per tutti quei lunghi anni, quello che non si era arreso, ed era anche lui un leader. Lo aveva osservato: era una brava persona, ed era un padre per i soldati più giovani e un amico per i più anziani. Lui era l’elemento equilibrante della sua squadra.

Infine, ultimo ma non ultimo, c’era egli stesso, il Dottore. Lui era esterno e, allo stesso tempo, interno al gruppo. Lui era un Signore del Tempo, l’ultimo dei Signori del Tempo. Non era umano, era alieno, ma la sua famiglia era umana. Lui possedeva due cuori, ed ognuno di questi batteva al proprio ritmo, ma sapeva che, finchè almeno uno dei suoi cuori continuava a battere, la razza umana sarebbe stata al sicuro dalle minacce esterne. Quello che non poteva prevedere erano le minacce interne, quelle create dall’uomo stesso, ma a volte era riuscito a porvi rimedio, sempre con l’aiuto dei suoi compagni, dei suoi Figli del Tempo.

Ora la minaccia era venuta dal futuro, un futuro non troppo lontano, non quanto quella volta che aveva affrontato il Maestro, nell’anno che non c’era mai stato, ma era comunque una minaccia abbastanza grande. Forse non sarebbe riuscito a separare nuovamente gli universi, ma vedendo quella gente, che combatteva insieme per una causa comune, nonostante fossero di universi differenti, non ne aveva alcuna voglia di farlo, di separare nuovamente le forti amicizie che si erano create. Certo, i suoi sensi erano un po’ confusi al momento, ma non vedeva alcun punto fisso nel vortice del tempo, corrispondente al 2036, poteva agire liberamente senza combinare troppi danni.

Tornò a guardare il gruppo di ribelli. Oltre a sua figlia e alla sua copia, c’erano altre persone che lavoravano fianco a fianco con i loro doppi, e la cosa non era affatto strana, a giudicare da come si comportavano tutti, sembrava naturale. D’altronde erano in quella situazione da più di 20 anni.

Venne distratto dai suoi pensieri da Eddie. Si era avvicinato tenendo un foglio in mano, quindi ottenuta l’attenzione del nonno glielo aveva letto.

“Qualcuno ha riferito di aver visto un convoglio di Lealisti uscire dalla periferia nord di Boston e dirigersi a un centro di ricerca a circa 80 km dalla città, poco dopo che siamo stati attaccati. Ho verificato gli orari, credo siano loro.”

Il Dottore annuì pensieroso. Era ora di coinvolgere tutti quanti. Si alzò in piedi e fece qualche passo verso il centro della stanza.

“Bene! Sentitemi tutti! Sappiamo dove hanno portato gli ostaggi, è circa a un’ora di viaggio fuori Boston. Ora, non possiamo andarci tutti, qualcuno dovrà rimanere qui, e mi servono dei volontari per andare a riprenderci le persone che hanno rapito. Chi vuole unirsi al gruppo faccia un passo avanti!” molti dei presenti avanzarono. Il Dottore li guardò, ma dovette scartarne alcuni. Chiamò coloro che si sarebbe portato dietro “Lincoln, Peter, Olive, Charlie, voi verrete. John, tu puoi venire se vuoi, ma Rose deve restare qui.”

Rose protestò, ma l’alieno la guardò severo: non ammetteva repliche, non questa volta. Si rivolse verso Charlie e continuò il discorso.

“Tra coloro che si sono offerti volontari, scegline una decina, quelli più adatti a quello che sto per dirvi. Prenditi tutto il tempo che ti serve.” lo informò, quindi tornò a rivolgersi al resto della squadra “Ecco cosa faremo…”

 

Nel frattempo, a 80 km di distanza.

Olivia si stava riprendendo. Erano stati aggrediti e lei aveva perso i sensi. Era stesa su un piano piuttosto duro e scomodo, ma qualcuno le aveva messo qualcosa sotto la testa per farla stare più comoda.

Aprì gli occhi, ma dovette richiuderli immediatamente, perché la luce le aveva dato fastidio, provocandole un attacco di nausea.

Qualcuno le si avvicinò e le posò una mano sulla spalla, per non farla muovere dalla posizione.

“Stai giù, Olivia.” la consigliò la voce di Etta “Fai piano…”

La Rossa aprì nuovamente gli occhi, con cautela e guardò la giovane donna.

“Dove siamo?” le chiese.

“Non lo so. Gli Osservatori hanno preso noi due, Tony e Jack. Non so cosa abbiano in mente.”

Olivia annuì e si tirò su, facendosi aiutare dalla ragazza; fece un respiro profondo per cercare di resistere al capogiro che le era preso non appena si era alzata, e infine si guardò intorno.

Tony le si avvicinò, preoccupato, sedendosi accanto alla bionda.

“Stai bene?” chiese, rivolto a Olivia.

“Sì, ho solo un po’ di nausea, ma credo sia normale: sono quasi al terzo mese.” rispose lei, guardandosi intorno.

In quel momento sentirono una porta aprirsi. Jack, dalla sua posizione, lanciò uno sguardo preoccupato verso i tre; uno sguardo che durò solo pochi secondi e scomparve non appena due Lealisti e un Osservatore lo raggiunsero, mentre altri tre Lealisti aprirono la cella di Etta, Tony e Olivia e li prelevarono, portando anche loro nella stanza di Jack.

L’Osservatore li guardò tutti e quattro, uno per volta, leggendo le menti di ognuno di loro. Guardò sorpreso Jack e Henrietta.

“Voi due mi state contrastando…” osservò, quindi si avvicinò a Tony, fissandolo intensamente “Tu provi ammirazione per l’altro uomo… molta ammirazione. Lui è una specie di eroe per la tua gente… e non ammiri solo lui.” lo guardò ancora, in silenzio “Chi è quella graziosa donna bionda? È incinta, vedo… interessante… oh… due uomini uguali, ma non sono uguali. Due cuori in un solo corpo… molto interessante.” si fermò, fissandolo severo nel momento in cui il ragazzo cercò di contrastarlo e si rivolse verso la rossa “Tu sei difficile da leggere… stai cercando di contrastarmi, ma non ti riesce bene. C’è qualcosa in te che non ti fa concentrare a dovere… tanto meglio per me.” la fisso e fece un sorriso “Ora capisco… un bambino… molto interessante…”

Non riuscì a completare la sua ricerca di informazioni: un frastuono assordante invase l’aria, facendo vibrare i muri. L’Osservatore si guardò intorno e diede qualche ordine sbrigativo agli uomini che erano con lui, quindi corsero tutti quanti fuori, chiudendoli dentro tutti insieme.

Olivia ebbe un nuovo capogiro e rischiò di perdere i sensi. Tony la prese al volo, mentre Henrietta si occupava di liberare Jack dai cavi che gli erano stati attaccati addosso. Quando fu libero dai cavi, Jack cercò di fare forza sulle catene, per scardinarle e liberarsi, ma ci sarebbe voluto tempo.

Sentirono qualcuno correre per le scale, e degli spari li assordarono. Stava succedendo qualcosa fuori. Jack riuscì a liberarsi e si alzò in piedi, afferrando le catene, che erano ancora collegate ai suoi polsi, per poterle usare come arma in caso fosse stato necessario; si posizionò tra la porta e gli altri tre, pronto ad attaccare chiunque si fosse presentato.

Il Dottore fece capolino dietro la porta, seguito da Olivia, Peter, Lincoln e John. Aprì con facilità la porta e li fece uscire.

Il Dottore abbracciò tutti, liberando anche Jack dalle catene, poi Henrietta si precipitò tra le braccia dei genitori, mentre Tony e John si abbracciavano.

Lincoln e la Rossa si fissarono indecisi, restando a distanza. Olivia rimaneva sulla porta, fissando il marito, e lui restava nella sua posizione.

Fu solo dopo qualche minuto che l’uomo si decise ad andarle incontro, abbracciarla e baciarla in un modo tanto intenso da convincerla definitivamente a perdonargli qualunque cosa si fossero detti in precedenza.

“Mi dispiace, piccioncini, ma dobbiamo andarcene in fretta.” li interruppe il Dottore “Potrete riprendere il discorso quando torneremo ad Harvard.”

Lincoln si allontanò, prese la mano della moglie e, tutti insieme, corsero fuori.

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Capitolo 32
*** 32 ***


Il viaggio di ritorno fu più lungo dell’andata, poiché dovettero fare un percorso differente, dal momento che la loro retata al laboratorio degli Osservatori aveva sicuramente attirato l’attenzione e i Lealisti avevano approntato dei posti di blocco un po’ ovunque.

Charlie guidava il furgone, attorniato dalle jeep dei suoi uomini, che facevano da scorta. Accanto a lui era seduto Peter, che guardava attentamente la strada buia di fronte a loro; nel vano dietro si erano sistemati tutti gli altri.

Il Dottore scambiava qualche parola un po’ con tutti, guardando saltuariamente la strada dalla finestrella che dava sull’abitacolo. Era tranquillo e agitato allo stesso tempo: dovevano tornare alla base il più in fretta possibile, aveva una strana sensazione, come se stesse per accadere qualcosa da un momento all’altro.

Olivia era silenziosa, i suoi occhi vagavano per l’ambiente, posandosi alternativamente sul padre, sul compagno e sulla figlia. Era felice di averla ritrovata, e sperava di non doverla perdere di nuovo, per la terza volta.

Jack sonnecchiava nell’angolo, assieme a John. Entrambi erano tranquilli, e quest’ultimo, nonostante le apparenze, era impaziente di tornare dalla sua Rose. Lei era sicuramente agitata, e prima arrivavano, prima si sarebbe calmata.

Lincoln e la Rossa erano seduti in silenzio. Olivia si era addormentata sulla spalla del marito, lui la teneva, cercando di farla stare comoda e non farle sentire troppo i sobbalzi del furgone. Non l’avrebbe lasciata per nulla al mondo, soprattutto ora che stavano per diventare genitori.

Henrietta era crollata nel momento in cui aveva messo piede nel furgone, e sonnecchiava sulla spalla di Tony, anche lui esausto, che dormiva con la testa poggiata contro la porta posteriore del veicolo.

C’era silenzio, e nessuno osava romperlo: era un momento di tranquillità in tutto quel trambusto. Ne avevano tutti bisogno.

Dopo un viaggio che durò più di un’ora arrivarono ad Harvard. Scesero tutti dai loro veicoli ed entrarono nell’edificio. C’era confusione, stava succedendo qualcosa; Eddie andò loro incontro.

“Finalmente siete arrivati!” esclamò, quindi si rivolse a John “Rose non si sente bene.”

“Cosa?” domandò l’altro, allarmato, facendo un passo avanti “Che cos’ha?”

“Non lo so… si è sentita male, e il Dottor Bishop e la signorina Farnsworth l’hanno portata nella cabina. Sono chiusi lì dentro da più di un’ora.” rispose l’altro. John scattò e in pochi secondi entrò nel TARDIS, senza considerare nessuno.

“Rose!” la chiamò, scendendo le scale. Astrid uscì dalla loro stanza e gli andò incontro.

“John! Finalmente siete tornati!” esclamò. John le si avvicinò e la fissò negli occhi, afferrandole le spalle. Era preoccupatissimo.

“Che cos’ha mia moglie? Sta bene?”

“Tranquillo, Walter si sta occupando di lei.” lo rassicurò la riccia, sorridendogli.

“Walter? Cosa?! Io non lascio mia moglie nelle mani di un vecchio pazzo fumato! Lo conosco! Quello come minimo si sarà fatto di LSD prima di occuparsi di lei!” esclamò John, in preda al panico.

Nel frattempo erano arrivati anche gli altri. Il Dottore si affiancò al suo doppio e chiese spiegazioni alla donna.

“Cosa è successo a Rose?” domandò.

“Ha avuto un malore, poi sono cominciate le contrazioni. Ora Walter la sta controllando, le contrazioni sono regolari, ma non sono troppo vicine.” riferì l’altra.

“Cosa?” la interruppe John “Ma è troppo presto! Mancano ancora almeno tre settimane!”

“E’ sotto stress, piò capitare.” si intromise Olivia “Se si è sotto stress le doglie possono anticipare, anche di parecchie settimane.”

John la fissò incerto, il Dottore gli diede una pacca sulla spalla, rassicurante.

“Ti ricordi quando è nata Olive? Anche lei è stata prematura di due settimane. Ora vai dentro con Rose, ha bisogno di te.”

John annuì e corse nella stanza, seguito subito dopo da Astrid. Olivia guardò gli altri e si tolse la giacca, avanzando anche lei verso la stanza di Rose e John.

“Dove stai andando?” la fermò Peter.

“Vado a dare una mano. Rose ha bisogno di avere vicino qualcuno che sappia cosa sta provando, e qui io sono l’unica che può farlo!” rispose, infine aprì la porta e scomparve nella camera.

Peter e il Dottore si fissarono per qualche secondo. Quest’ultimo sospirò e fece spallucce.

“La bambina ha preso proprio da me: sempre pronta ad aiutare…” sospirò “Ora andiamo fuori. Quando nascerà lo sapremo.”

Quando furono fuori, Lincoln e Olivia andarono a sedersi su un vecchio divano, prelevato da uno degli edifici dormitorio della vecchia università e sistemato nel laboratorio dal gruppo di ribelli rimasti a difesa del campus.

Olivia era pallida, e Lincoln era preoccupato: troppo stress non le faceva bene. La Rossa si sistemò comoda, poggiando la testa sul petto del marito. Chiuse gli occhi; era stanca e spossata, l’unica cosa che voleva fare in quel momento era riposare, lasciandosi cullare dal battito del cuore del suo compagno. Lincoln le baciò i capelli e lei si addormentò quasi subito.

Subito il suo cervello elaborò un sogno.

Era serena e nervosa allo stesso tempo. Si trovava a casa, ma non era casa sua, era diversa, era la casa dell’altra Olivia, a Boston. Aveva appena mandato un messaggio a qualcuno e aveva atteso. Poi avevano suonato alla porta.

Olivia era andata ad aprire e si era trovata davanti Peter. Gli aveva sorriso, si erano scambiati due parole, e poi lei lo aveva baciato.

La Rossa si svegliò di colpo, tirandosi su e ansimando, shockata. Lincoln la fissò, preoccupato, tirandole indietro i capelli. Olivia lo fissò per qualche secondo, quindi il suo sguardo vagò per il laboratorio, alla ricerca di qualcuno.

“Liv, che succede? Stai bene?” le chiese il marito.

“Dov’è Peter?” domandò, alzandosi in piedi. Si guardò ancora intorno e lo vide.

Gli si avvicinò con passo spedito e si fermò di fronte a lui. Lincoln la seguì preoccupato.

“Peter, devo parlarti.” gli disse la donna.

Bishop la guardò interrogativo, quindi si voltò verso l’amico, ma notò che anche lui non aveva idea di cosa la moglie volesse dirli.

La Rossa prese entrambi per il braccio e li trascinò verso l’ufficio, chiudendo la porta, infine si rivolse a Peter.

“Peter, ricordo tutto…”

“Cosa? Non capisco…”

“Ricordo tutto, di noi, quella notte… e nostro figlio, Henry…”

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Capitolo 33
*** 33 ***


Peter sbiancò all’istante. Henry? Come poteva ricordarsene? In quella timeline riscritta non poteva esistere Henry, dal momento che loro non erano mai andati a letto insieme. Nessuno si ricordava di ciò che era successo prima della sua cancellazione, a parte lui e la sua Olivia. Dalla mente di Settembre aveva scoperto sia l’esistenza del bambino, sia la sua cancellazione al momento della cancellazione del padre, e Bishop aveva dato per scontato che l’unico ad essere tornato fosse lui, anche perché il bambino era troppo piccolo per poter badare a sé stesso da solo.

Il suo sguardo vagò dalla donna all’amico. Anche Lincoln era sbiancato, ma non per lo stesso motivo; era infuriato. Senza considerare Peter si rivolse alla moglie.

“Olivia, ma sei impazzita?” ringhiò “Tu non hai altri figli, tantomeno da Peter!”

“Lincoln, ascolta…” si intromise l’altro, poggiandogli una mano sul braccio. Lincoln se lo scrollò di dosso, guardandolo ostile.

“Sto parlando con mia moglie, Peter! E dico che non è possibile! Non hai altri figli!” esclamò.

“Tyrone… si tratta della vecchia linea temporale…” cercò di spiegare la donna.

“Olivia ha ragione. È successo quando lei aveva preso il posto della mia Olivia. Io non ho mai saputo del bambino, finchè non ho condiviso la coscienza con Settembre, ricordi?” continuò Peter.

“Avresti dovuto parlarcene, invece di tenertelo per te!” insistette l’altro. Non poteva credere che il suo migliore amico gli avesse tenuta nascosta una cosa così importante.

“E quando avrei dovuto dirtelo? Quando l’ho saputo tu avevi una cotta per la mia Olivia, l’altra non la consideravi neanche! E dopo non ci siamo più visti, fino a pochi giorni fa!” esclamò Peter, che stava perdendo la pazienza “Avrei dovuto dirtelo allora? E come? ‘Ciao, Lincoln, bentornato al mondo. Sai, in un’altra linea temporale ormai scomparsa io e tua moglie abbiamo avuto un figlio’.”

Lincoln strinse i denti e chiuse i pugni. In quel momento desiderava tanto avere un sacco da pugile per potersi sfogare, e prima che il suo cervello registrasse l’azione il suo pugno destro aveva raggiunto la faccia di Peter, il quale aveva fatto un passo indietro, ma non aveva reagito.

Bishop si toccò la faccia. Quello era stato davvero un bel destro, Lincoln doveva essere proprio arrabbiato.

“Credi di aver risolto qualcosa? Non è che prendendomi a pugni il fatto scompaia. E credimi, io non ne vado affatto fiero.” gli spiegò, calmo. Olivia si avvicinò al marito e gli prese il volto tra le mani, guardandolo supplichevole.

“Tyrone, ti prego… io non mi ricordavo nulla. Quella era un’altra linea temporale, eravamo persone diverse, con vite diverse. Per qualche strana ragione mi sono ricordata solo adesso…” lo pregò.

Lincoln non era ancora convinto. Il suo sguardo vagava dalla donna di fronte a lui all’amico, il quale sospirò e parlò nuovamente.

“Ascolta, Lincoln… se non ti fidi di me puoi chiedere a Olivia. Non intendo la tua Olivia, ma la mia. Lei ti confermerà tutto.”

“Che c’entra Olivia, ora?”

“Abbiamo fatto un patto di sincerità. Lei sa tutto, ti confermerà la mia storia. Inoltre credo che ti potrebbe aiutare.” disse, mantenendo un tono di voce basso e pacato. Non poteva permettere che si innervosisse ancora di più di quanto non lo fosse già, ma un pensiero attraversò la sua mente e un lampo di rabbia comparve nei suoi occhi “Fantastico…” disse, tra sé, guardando Olivia “Se tu ti sei ricordata significa che là fuori, da qualche parte, c’è nostro figlio, e io non so neanche dove cominciare a cercarlo…”

Lincoln non rispose e tornò a guardare la moglie. Stava per dire qualcosa, quando, attraverso il vetro della finestra che dava sul laboratorio, vide uscire dal TARDIS Astrid, che si asciugava il sudore e faceva un sospiro di sollievo.

“Astrid è uscita. Forse il bambino è nato.” li informò, poi passò una mano attorno al fianco della moglie e la condusse fuori.

Peter li seguì e si avvicinò alla riccia, assieme al Dottore e a Tony. Astrid li fissò e sorrise.

“Come sta?” domandò il Dottore, in pensiero.

“Stanno bene, sia rose che il bambino. È un maschio.” rispose la donna.

“Davvero?” domandò Tony “Com’è? A chi somiglia?”

“Se vuoi puoi entrare a vederlo. Rose ha chiesto di te.” lo informò Olivia, uscendo anche lei dalla cabina.

Tony corse subito dentro e Peter ne approfittò per prendere da parte la compagna e il Dottore. Doveva parlare con loro; fece un cenno a Lincoln e all’altra Olivia e tutti insieme rientrarono nell’ufficio, mentre Charlie saliva su uno dei tavoli e parlava ai suoi uomini, assieme a Jack.

“Ragazzi, ricordiamoci di questo giorno!” esclamò Francis “Perché da oggi abbiamo un’altra persona per cui lottare: il piccolo Smith! Lui deve avere un futuro migliore del nostro presente, quindi non possiamo mollare! Dobbiamo farlo per lui e per Jack!”

Gli altri fecero un urlo di gioia come risposta e Jack e Francis si abbracciarono, sorridendo.

Intanto nell’ufficio, Olivia e il Dottore attendevano che Peter parlasse.

“Abbiamo un problema…” cominciò Bishop “Olivia si è ricordata una cosa della vecchia linea temporale.” disse, indicando la Rossa.

“Mh… che cosa?” domandò il Dottore, pensieroso. Se c’era qualcuno esperto in linee temporali e paradossi, quello era lui.

La Rossa fissò Lincoln e Peter, indecisa, quindi parlò.

“Mi ricordo di mio figlio. Henry, quello che ho avuto da Peter dopo che sono tornata dalla missione nell’altro universo.”

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Capitolo 34
*** 34 ***


La bionda guardò la sua alter confusa. Lei e Peter avevano parlato poco di quel periodo che lei aveva passato nell’altro lato contro la sua volontà, e lui le aveva assicurato che, qualunque cosa era successa, pensava che l’altra fosse lei.

Sapeva che erano stati a letto insieme, sapeva che Peter era stato attratto da lei, ne era rimasta ferita sul momento, ma alla fine aveva deciso di perdonarlo, e avevano fatto un patto reciproco di sincerità.

Olivia era sempre stata sincera, non aveva più nascosto niente al compagno, e pensava che Peter avesse fatto lo stesso, ma a quanto pare non era così. O meglio, Peter le aveva accennato qualcosa, ma era stato molto vago; in ogni caso non le aveva detto tutto, e questo andava contro il loro patto.

Si girò verso il compagno e lo fissò negli occhi. Era furiosa; Peter non fece nulla per evitare quello sguardo e la sfuriata che ne sarebbe seguita, sapeva che non sarebbe servito a nulla cercare di calmarla.

Poco prima aveva detto a Lincoln che lei sapeva tutto, ma questo non era vero, non del tutto. Olivia sapeva solo una minima parte di tutta quella storia, e ciò che Settembre gli aveva detto durante la condivisione di coscienza, anni prima, non aveva voluto dirglielo per intero, per non sconvolgerla più di quanto non lo fosse già.

“Henry?” domandò la bionda, rivolta a Peter “Vostro figlio? Cos’è questa storia? Tu sapevi tutto?”

“Olivia, ascolta…” tentò di spiegare Peter, prendendole il volto tra le mani per cercare di farla ragionare, ma lei si spostò, facendo un passo indietro.

“E’ per questo che nostra figlia l’hai chiamata Henrietta? Perché lui si chiama così?” domandò ancora Olivia “Pensavo che il nostro patto valesse qualcosa per te. A quanto pare mi sbagliavo.”

“Olivia, stammi a sentire, per favore…” la interruppe l’uomo “E’ vero, non ti ho detto nulla, e ho sbagliato. Ma l’ho fatto perché pensavo che ti avrebbe sconvolto. Era un brutto periodo, ricordi? Poi non ho più detto nulla perché eravamo felici, eravamo una famiglia. E poi il nome di nostra figlia lo avevamo scelto insieme, io non ho mai pensato di dare a lei il nome di un bambino che non avevo mai conosciuto e che, tra le altre cose, nel momento in cui sono stato cancellato è stato cancellato anche lui.”

Olivia non rispose, ma l’aveva convinta. Il suo sguardo passò dal compagno agli altri presenti nella stanza, per fermarsi sul volto del padre.

Il Dottore era concentrato; stava elaborando qualche pensiero complesso. Il suo volto era cambiato, ma Olivia ricordava bene quello sguardo: lo aveva visto molte volte quando era piccola, prima che lui morisse. Aveva solo due anni, ma i suoi ricordi riguardanti il padre erano molto vivi. Con la coda dell’occhio vide che anche la Rossa si era accorta di quell’espressione; evidentemente anche suo padre aveva quello sguardo, quando ragionava su qualcosa.

Insieme, ma indipendentemente l’una dall’altra, si avvicinarono all’alieno e gli presero ciascuna una mano, incoraggiandolo silenziosamente ad esprimere i propri pensieri. Il Dottore alzò lo sguardo e sospirò.

“C’è qualcosa che non va in queste linee temporali.” esordì “Qualcuno ha manipolato il vortice del tempo, scombussolando l’intera storia dell’umanità. Il mio organismo si sta adattando a questa lunghezza d’onda, quindi sto cominciando a vedere con più chiarezza i vortici di entrambi gli universi da cui provenite, anche se alcune cose non mi sono ancora del tutto chiare.”

“Cosa non ti è chiaro, Dottore?” lo incoraggiò Peter. Anche lui voleva saperne di più su questa storia; se volevano vincere quella guerra dovevano avere più informazioni possibili, e sicuramente quelle del Dottore riguardo le linee temporali potevano essere molto utili.

Il Dottore stava per rispondere, ma Lincoln li interruppe.

“Si può continuare dopo il discorso?” domandò, affaticato “Non mi sento affatto bene…”

I quattro si girarono verso di lui, fissandolo interrogativi. L’uomo si era poggiato alla scrivania, era pallido e respirava a fatica. Inoltre teneva una mano su un fianco, e su quel punto la camicia presentava una grossa macchia rossa.

La Rossa gli fu accanto in un attimo, mentre Peter, allarmato, gli controllava la zona sanguinante: i punti che Walter aveva messo alla ferita che Lincoln si era fatto qualche giorno prima, quando erano andati a liberare Olivia, erano saltati. Peter imprecò e fissò l’amico in faccia. Lincoln era sul punto di svenire; evidentemente sentiva un gran dolore da parecchio, ma con tutto quello che era successo nelle ultime ore non se ne era curato, pensando che ci fossero cose più importanti a cui pensare.

Il Dottore aiutò Peter a far sedere Lincoln, quindi corse fuori, entrando nel TARDIS, e tornò con il kit del pronto soccorso, mettendosi al lavoro per disinfettare e chiudere nuovamente la ferita.

“Dannazione! Questa ferita è aperta da almeno un’ora!” imprecò “Come diavolo hai fatto ad accorgertene solo adesso?”

“Non era nulla… potevo farcela…” obiettò l’altro, per poi fare un gemito di dolore non appena il Dottore passò la garza per pulire il sangue.

Olivia si sedette accanto al compagno e lo guardò preoccupata. Anni prima aveva perso il suo migliore amico per una ferita da arma da fuoco, non voleva perdere anche il suo compagno, nonché padre del bambino che portava in grembo. Mentre il Dottore gli ricuciva la ferita, la donna carezzò delicatamente i capelli di Lincoln, cercando di tenerlo sveglio, poiché aveva notato che il marito stava per perdere i sensi, e non poteva permettere che accadesse.

L’altra Olivia fece un passo indietro, lasciando che il padre avesse più spazio per lavorare. Avrebbe voluto chiamare Walter, ma era più utile nel TARDIS, dove Rose aveva appena dato alla luce la sua creatura. Scambiò uno sguardo con il compagno, il quale fece un passo avanti, posò una mano sulla spalla dell’alieno e gli parlò.

“Continuiamo dopo il discorso. Ora occupati di Lincoln, noi andiamo a vedere se gli altri hanno bisogno.”

Il Dottore annuì, senza distrarsi dal suo lavoro, così Bishop e la bionda uscirono dall’ufficio, tornando ad aiutare il resto del gruppo, impegnato a costruire armi di vario genere per affrontare gli Osservatori.

L’alieno finì di curare la ferita e si tirò su, guardandolo in faccia.

“Si può sapere perché non ti sei fatto curare un’ora fa?” lo rimproverò “Ora sei troppo debole, ci vorrà tempo per riprenderti, e comunque non credo ci sarà molto da fare per un po’, se non difendere la postazione. Dobbiamo prima saperne di più per organizzare un piano.”

“La conoscenza è già mezza vittoria.” citò la rossa “Me lo diceva mio padre da bambina.”

“Tuo padre era un uomo saggio.” sorrise il Dottore “D’altronde era un’altra versione di me. Comunque è davvero strano che ricordi la linea temporale dove Peter non è morto da bambino.”

“Potrebbe essere che si ricorda perché lei è metà Signore del Tempo?” si intromise Lincoln “Intendo dire: tu puoi vedere il tempo che scorre, giusto? Un po’ come gli Osservatori.”

“Sì, più o meno è così. Vedo il vortice del tempo. È una prerogativa dei Signori del Tempo.” rispose il Dottore.

“Quindi, se è così, anche i tuoi discendenti dovrebbero avere questo dono.” continuò l’altro “Per questo motivo l’altra Olivia ha ricordato tutto quando Peter è apparso a Lago Reiden, perché è metà Signore del Tempo, e inoltre nell’altra linea temporale aveva un forte legame con lui, quindi questo ha favorito l’affiorare di questi ricordi. Solo non mi spiego perché mia moglie ricordi solo ora quello che è successo, eppure anche lei è metà Signore del Tempo.”

“Forse perché il mio legame con Peter era meno forte.” provò a spiegare Olivia “A parte Henry, io non ho mai avuto nient’altro che mi legasse a lui, anche se ne sono stata attratta. Ma ancora non mi spiego perché ho ricordato ora…”

“Credo sia una combinazione di vari fattori, ma devo indagare meglio.” tagliò corto il Dottore, quindi controllò il laboratorio, guardando attraverso la finestra dell’ufficio e tornò a rivolgersi all’uomo “Lincoln, ho bisogno di sapere una cosa. Il tuo orologio ha mai attirato l’attenzione?”

“No… a nessuno è mai interessato. È come se nessuno lo vedesse davvero, perché?” rispose, perplesso, l’altro.

“Nessuno a parte Peter negli ultimi giorni.” lo corresse il Dottore. Lincoln ci pensò e alla fine annuì.

“Hai ragione. Non riesce a staccare gli occhi, quando l’orologio è in vista.” confermò “Che cosa significa?”

Il Dottore sospirò, camminando avanti e indietro per l’ufficio, con una mano nella tasca dei pantaloni e l’altra tra i capelli scompigliati.

“Non lo so. Sono solo ipotesi, ma credo che il mio doppio lo abbia lasciato a te per permettere a lui di usarlo, anche se non so come.” rispose “Ma quando sarà il momento dovrai darglielo senza troppe storie. Il mio doppio si è sacrificato, e se lo ha tarato su Peter ci sarà un motivo. Se è come me non agisce mai senza un motivo valido, quindi preferisco non andare contro il suo volere.”

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Capitolo 35
*** 35 ***


I giorni passarono.

Nella Base della Resistenza la vita continuava frenetica, sotto la guida e la supervisione del Dottore e della Divisione Fringe Originale.

Quasi ogni giorno dovevano difendere Harvard dagli attacchi dei Lealisti e degli Osservatori, ma grazie alla geniale inventiva congiunta del Dottore e di Walter, le perdite dalla parte dei Ribelli erano ridotte a zero.

Il Dottore aveva riattivato il generatore elettrico centrale del campus, ormai in disuso da tempo, permettendo anche uno stile di vita più umano agli occupanti del quartiere ribelle. Inoltre, grazie ad alcuni componenti gentilmente offerti dal TARDIS, aveva potenziato la piccola centrale elettrica e si era messo al lavoro, con l’aiuto di Peter, Walter, Jack e, in minima parte, di John, per la creazione di una bolla protettiva che comprendesse tutta la zona rivendicata dai Ribelli. Questa precauzione serviva anche a ridurre la sorveglianza esterna, permettendo a tutti di poter riposare in modo adeguato, in attesa di entrare in azione.

Le incursioni oltre il perimetro erano ridotte al minimo e, generalmente, limitate al rifornimento di materiale utile e di cibo. Al massimo il Dottore mandava pochi uomini a spiare le mosse degli osservatori, ma con la raccomandazione di non farsi vedere e di stare fuori il minimo indispensabile.

Dopo due settimane, nel laboratorio di Walter l’atmosfera era più rilassata. L’intero ambiente era stato trasformato, lasciando un angolo, corrispondente alla vecchia stalla di Gene, adibito a laboratorio personale del dottor Bishop, per zittire le sue proteste, mentre il resto era riconvertito in parte a cucina da campo e in parte a magazzino, mentre il vecchio ufficio era diventato la sala riunioni di coloro che, dai Ribelli, erano stati eletti a comandanti della Resistenza, ovvero il Dottore, la Divisione Fringe e i loro compagni.

C’era anche una certa serenità nei volti degli occupanti del campus, dovuto principalmente alla rinata speranza, ma anche alla presenza, tra loro, del piccolo Peter John Smith, il neonato figlio di Rose, che dopo i primi giorni passati all’interno delle pareti protettive della cabina blu del Dottore, era stato portato fuori non appena la madre si era ristabilita dalle ore di travaglio ed era di nuovo in grado di muoversi.

Rose camminava lungo il corridoio con il fagottino tra le braccia. Il bambino dormiva sereno, cullato dal calore e dal battito del cuore della madre; tutti si giravano per guardare lei e il piccolo e si spostavano per lasciarla passare, rispettosi e reverenziali. Entrò nel laboratorio e si sedette vicino al banco cucina, dove John si stava dando da fare assieme ad alcuni dei soldati per preparare il pranzo.

“Tutto bene, tesoro?” la salutò, stampandole un bacio sulle labbra e guardando adorante il figlio addormentato. Rose annuì e si guardò intorno.

“Sono stata fuori. Comincia a far freddo… volevo uscire in cortile ma non mi sono fidata. Finchè non avrò qualcosa di più pesante da mettere a Pete non vorrei che gli prenda un malanno…” rispose la bionda “è così piccolo e fragile…”

“Non preoccuparti. Il Dottore ha mandato Jack, Etta e un gruppo di ribelli a fare rifornimento. Torneranno con tutto ciò che serve, anche vestiti pesanti.” la rassicurò.

Rose annuì e si guardò intorno. Erano tutti indaffarati, in un modo o nell’altro; vide il Dottore a un tavolo, che segnava dei punti su una mappa, discutendo assieme a Peter e Lincoln. Probabilmente stavano organizzando qualche colpo contro gli Osservatori. Decise di avvicinarsi e ascoltare i loro discorsi.

“Da quello che dicono nel Settore Due, il quartiere generale degli Osservatori è alla Freedom Tower.” informò Peter, segnando il punto.

“Ma è troppo grande, e noi siamo in pochi.” obiettò Lincoln “Ci ucciderebbero tutti prima ancora che potessimo accorgercene.”

“Dove volete arrivare?” si intromise la bionda, interessata. Peter fece un passo indietro e la guardò, quindi sospirò e spiegò il piano.

“Vogliamo arrivare ai piani alti degli Osservatori. Non si sono mai mostrati in pubblico, ma sappiamo dove sono.”

“In pratica volete decapitare il loro sistema? Mi sembra un piano suicida.” obiettò Rose “Dovreste pensare a un piano di riserva, è troppo pericoloso questo.”

Il Dottore la guardò, pensieroso. La donna aveva ragione: era un massacro. Doveva trovare un altro modo, ed evitare perdite inutili.

Stava per dire qualcosa, quando il gruppo di rifornimento fece il suo ingresso. Jack ed Henrietta trasportavano un grosso baule di metallo, mentre Tony trasportava sulle spalle un grosso sacco di stoffa, probabilmente ricavato da un lenzuolo.

Il ragazzo posò il tutto sul divano e aprì il bozzolo, rivolgendosi alla sorella.

“Rose, abbiamo trovato delle cose per il piccolo, vieni a vedere.”

Rose annuì e si avvicinò, guardando dentro l’involto: il lenzuolo era colmo di cose utili per il bambino: vestiti pesanti, pannolini di cotone e altre cose apposta per neonati. La donna sorrise e abbracciò il fratello.

Jack e Etta, intanto, si erano avvicinati al gruppo del Dottore e avevano scambiato con loro due parole. Il Dottore annuì e corse fuori, incappando in Charlie.

“Francis, di’ ai tuoi uomini che ho un piano! Ci sono ancora alcuni dettagli da definire, ma devono tenersi pronti!” esclamò.

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Capitolo 36
*** 36 ***


Peter era salito nell’atrio dell’edificio. Non c’era nessuno in quel momento, erano tutti indaffarati nei loro compiti.

Si avvicinò al davanzale e si sedette, guardando fuori dalla finestra. Il tramonto dava al paesaggio delle tinte dorate, lo rendevano magico. Nessuno, guardando quel panorama, avrebbe mai detto che al di fuori di quelle mura si stava consumando una sanguinosa guerra per il futuro dell’umanità.

Aveva passato la giornata a fare piani assieme al Dottore; quest’ultimo aveva detto di averne uno in mente, ma ancora non si era deciso a riferirlo. Quell’uomo, anzi, quell’alieno, era davvero un tipo strano: pazzo e geniale quasi al livello di Walter, aveva un grande rispetto per tutti, soprattutto le donne e i bambini. Era cocciuto, infantile, ma allo stesso tempo dava l’impressione di essere saggio e serioso. Era compassionevole, dote che aveva passato alla figlia, e pacifista, cosa che sembrava andare contro ciò che stava facendo per loro in quei giorni: preparare una guerra.

Peter non riusciva a capire il modo di pensare del Dottore, ma lo rispettava, prima di tutto perché era il padre della sua donna, e poi perché era l’individuo più anziano lì dentro, che con i suoi 900 anni passati aveva visto tutte le guerre dell’universo, ne aveva anche vinta una… o persa, a seconda dei punti di vista. Sapeva che poteva fidarsi di lui, ma l’attesa era snervante, e a Peter non piaceva rimanere a lungo chiuso nello stesso posto; lo aveva già dimostrato nel TARDIS, e Harvard non era da meno: era imprigionato nel campus senza alcuna possibilità di uscire, prima o poi sarebbe impazzito. Doveva parlare col Dottore e pretendere una missione all’esterno, possibilmente una missione di ricognizione nei pressi del quartiere generale degli Osservatori.

Era ancora perso nei suoi pensieri, quando qualcuno si avvicinò.

“A cosa pensi, ragazzo?” domandò la voce del Dottore.

Peter si voltò per guardarlo in volto, sospirò e rispose.

“Vorrei uscire di qui, sono stufo di stare chiuso…”

Il Dottore si avvicinò e guardò fuori dalla finestra.

“Il cielo di questo pianeta è meraviglioso in qualsiasi ora.” ammise, sorridendo “Ma il mio preferito è quello dell’alba, quando l’aria è carica di promesse.”

Peter sorrise a sua volta e tornò a guardare fuori.

“Anche per Olivia è lo stesso. Lei adora l’alba.” confessò “Questo deve averlo preso da te.”

“Credo abbia preso molto da me, tranne la mia voglia di fuggire da tutto. Lei cerca la stabilità, su questo lato sei tu più simile a me di quanto lo sia mia figlia.” affermò, tornando a guardarlo negli occhi.

Bishop sospirò, passandosi nervosamente una mano sui capelli. Il Dottore aveva ragione, lui non si era fermato mai, scappava fin dall’adolescenza. Ma da quando era entrato nella Divisione Fringe aveva finalmente trovato un motivo per fermarsi, un posto da chiamare casa, aveva creato una famiglia, che poi eventi non dipendenti dalla propria volontà avevano quasi distrutto.

“Non ci hai ancora detto quale sia il tuo piano, Dottore.” disse, cambiando discorso.

“Te lo dirò quando la mia mente avrà messo al posto giusto tutte le variabili. La trama del tempo è molto delicata, Peter; anche se non ci sono punti fissi nei paraggi bisogna agire con cautela, se no si rischia di recare altri danni.”

“Parli come un Osservatore, sai?” lo rimproverò il giovane.

Il Dottore sospirò, si mise le mani in tasca e si poggiò al davanzale, dando le spalle alla finestra.

“In un certo senso lo sono. Per noi Signori del Tempo non valgono le stesse regole di voi Umani, per quanto riguarda lo scorrere del tempo. Noi viaggiamo attraverso di esso grazie ai TARDIS, noi lo osserviamo da vicino, lo viviamo… solo che noi nasciamo così, questa è la nostra natura, mentre gli Osservatori sono umani, esattamente come te, solo che hanno scoperto una tecnologia che permette loro di viaggiare attraverso i secoli e la stanno usando male. Suppongo che sia la stessa tecnologia che permette a Jack di combattere al nostro fianco, o qualcosa di simile, ma non è altro che tecnologia, mentre io sono frutto della Selezione Naturale.” spiegò.

Peter restò in silenzio per qualche secondo. Doveva elaborare le informazioni. Si grattò la tempia, pensieroso.

“Se ci fosse qualcun altro come te… ci vuole qualcuno nelle nostre file che riesca a pensare come loro, o almeno che li capisca…” affermò.

“Può darsi che possa esserci.” rispose, criptico, riprendendo a guardare il tramonto.

Intanto, nell’ufficio del laboratorio, Lincoln era seduto alla scrivania; controllava alcune carte che erano state archiviate due decenni prima da Walter. Erano analisi di Eventi Fringe su cui avevano lavorato, alcuni dei quali lo toccavano da vicino.

In quel momento aveva tra le mani il rapporto sul caso del porcospino alato gigante. Se lo ricordava bene quel caso; aveva ancora le cicatrici addosso per il morso dell’animale, e ricordava la strana sensazione che aveva durante la quasi trasformazione in bestia. Per fortuna Walter lo aveva preso in tempo e gli aveva salvato la vita.

Si sfiorò la spalla sinistra, sentendo sotto la camicia il lungo solco della ferita ricucita da Walter. Gli aveva fatto male per giorni, e ancora dopo che era passato nel suo nuovo mondo gli aveva dato qualche problema, ma nulla che potesse essere risolto con la tecnologia che avevano in quel luogo.

Da allora aveva avuto altre ferite e rispettive cicatrici, ma mai nulla di serio, a parte l’ultima, pochi giorni prima, quella ferita da arma da fuoco sotto le costole. Nonostante fosse ormai quasi completamente guarita e non rischiasse più di riaprirsi, Lincoln aveva ancora qualche problema quando respirava profondamente o quando doveva compiere uno sforzo maggiore del solito, come spostare del materiale pesante.

Olivia entrò con due tazze fumanti di tè. Lincoln alzò gli occhi e la guardò. I capelli, tornati quasi del tutto biondi, poiché non li tingeva più da tempo, le ricadevano lisci sulle spalle, incorniciando il suo viso e valorizzando i suoi occhi verdi. Lincoln era abituato a vederla con i capelli rossi, anche se il colore naturale era biondo, e per quell’affermazione della sua individualità lui la amava, ma dovette ammettere che anche bionda non stava affatto male.

Si alzò e le cedette il posto sulla poltroncina, quindi prese la tazza di tè che le porgeva la donna e lo sorseggiò. Olivia si sedette e gli sorrise, quindi sfogliò le carte che lui stava controllando, incuriosita.

“Cosa stavi leggendo?” domandò.

“Niente di che. Vecchi casi della Divisione Fringe, alcuni dei quali li conoscevo già, perché ho aiutato a risolverli…” spiegò l’uomo, poggiandosi alla scrivania e guardando la moglie. Fece un respiro profondo e continuò “tesoro… posso chiederti una cosa?”

Olivia annuì, bevendo lentamente il suo tè. Lincoln sospirò di nuovo e continuò.

“Henry. Parlami di lui.” disse, semplicemente.

La donna sospirò, raccogliendo le idee.

“Non ricordo tutto… sono ricordi confusi che stanno affiorando lentamente.” spiegò “Ricordo che sono stata con Peter, poi sono stata richiamata dal Segretario, e poco tempo dopo ho scoperto la gravidanza…”

“E dopo cosa è successo?” la incoraggiò il compagno.

“Frank mi ha lasciata e sono rimasta sola, poi sono andata a fare delle analisi e…” si bloccò di colpo e spalancò gli occhi, carezzandosi la pancia, come se si fosse appena ricordata qualcosa di molto importante.

“Che analisi? Stai bene, tesoro?” domandò l’uomo, improvvisamente preoccupato per la reazione della donna.

“Io sono portatrice di VPE, Tyrone.” confessò, con un filo di voce.

“Cos’è la VPE?” comandò Lincoln, sempre più preoccupato.

Olivia non rispose e continuò a carezzarsi la pancia, pensierosa e preoccupata, quindi si alzò e andò di corsa nel laboratorio, dirigendosi spedita verso Rose e John, che stavano in un angolo assieme al loro bambino. Lincoln non la perse di vista. Era preoccupato, qualunque cosa fosse la VPE aveva capito che era qualcosa di grave e aveva a che fare con il bambino che aspettavano.

“John, dov’è il Dottore?” domandò la donna, attirando la su attenzione “Devo parlargli, è importante. È una questione di vita o di morte…”

L’uomo guardò per un momento la moglie, quindi si alzò e prese Olivia e Lincoln da parte.

“Il Dottore non c’è, ma se vuoi puoi dire a me.” spiegò.

Olivia sospirò e guardò Lincoln, quindi tornò a rivolgersi a John.

“John, io sono portatrice di VPE. Mia sorella e mia nipote sono morte perché anche Rachel era portatrice.” spiegò “Ma io ho già avuto un bambino in un’altra linea temporale, e siamo sopravvissuti entrambi. Non so come sia successo, ma… nel TARDIS c’è qualche macchinario che possa accelerarmi la gravidanza?”

“Che cosa?!” esclamò Lincoln, sorpreso “Olivia, mi vuoi dire che diavolo succede? Accelerare la gravidanza? A me sembra pericoloso, e anche piuttosto stupido, direi!”

John li fissò entrambi. Non sapeva cosa dire, lui aveva la stessa esperienza del Dottore, ma sapeva bene che l’unico che poteva rispondere alla richiesta di Olivia era il Dottore stesso. Lo vide rientrare nel laboratorio insieme a Peter e fece loro cenno di avvicinarsi.

I due si avvicinarono incuriositi e John parlò al suo doppio alieno. Quest’ultimo, ascoltata tutta la spiegazione, si rivolse ai due coniugi, preoccupato.

“La VPE? Significa che sia tu che tuo figlio potreste morire al momento del parto?” domandò. Olivia annuì e il Dottore si avvicinò, prendendole il volto tra le mani e chiudendo gli occhi “Ti dispiace se vedo il tuo ricordo in prima persona? Mi serve per capire come agire…” la Rossa annuì nuovamente e l’alieno si concentrò, sondando la sua mente.

Dopo qualche minuto aprì nuovamente gli occhi, si allontanò di qualche passo e la sondò con il suo cacciavite sonico. Quando ebbe terminato guardò i due coniugi e sospirò, preoccupato.

“Che succede, Dottore?” chiese Lee, allarmato.

“Credo di non poter fare nulla. Non posso accelerare la gravidanza, mi dispiace…” si scusò “sei già stata fortunata la volta scorsa, che sei sopravvissuta, ma non credo che potresti farcela, il tuo corpo potrebbe non reggere, mi dispiace…”

“Ma papà... magari il TARDIS…” cercò di obiettare la donna.

“Il TARDIS non può fare tutto. Se la soluzione ci fosse l’avrei già trovata, credimi. L’unica cosa che posso fare è fare esami periodici a te e al bambino. Mi dispiace…” rispose l’altro.

Olivia abbassò lo sguardo, abbattuta, e Lincoln la strinse, cercando di infonderle un po’ di forza, anche se la brutta notizia era stato un colpo per entrambi. L’uomo la cullò per qualche secondo, in silenzio, mentre la Rossa nascondeva il volto in lacrime sul suo petto; non tentò neanche di calmarla, perché sapeva che aveva bisogno di sfogarsi e di sentirlo solo vicino, ma anche perché pure lui non era nell’umore giusto per farlo: sua moglie era portatrice di una malattia che avrebbe ucciso lei e il loro figlio al momento del parto, l’unica cosa che poteva fare in quel momento era maledire Dio e chiedersi cosa avessero fatto loro di così terribile per meritarsi una punizione così orribile.

Peter li fissò per qualche secondo. Avevano appena ricevuto una notizia orribile, avrebbe voluto fare qualcosa; con la coda dell’occhio vide passare Walter, il quale entrò nel suo piccolo laboratorio rinnovato e si mise al lavoro su chissà quale progetto. Senza dire nulla, il giovane Bishop si avvicinò a lui e gli parlò in privato. Il vecchio lanciò uno sguardo alla coppia, quindi annuì e preparò la strumentazione, lavando delle provette e mettendo da parte ciò che poteva essergli utile per ciò che aveva in mente di fare.

Nel frattempo Henrietta si stava preparando per dormire e stava sistemando il suo sacco a pelo in una piccola stanza poco lontana dal laboratorio.

Era una piccola aula inutilizzata, svuotata di tutto ciò che poteva essere utile ai Ribelli, ma tranquilla, calda e non troppo lontana dal centro operativo. Non era molto usata, per cui Etta poteva stare tranquilla che non sarebbe stata disturbata durante la notte.

Si era appena sistemata vicino al muro, nella zona più calda della stanza, quando Tony aprì la porta ed entrò, tenendo sotto braccio il suo sacco a pelo. Henrietta si alzò in piedi e lo guardò.

“Che ci fai qui?” chiese. Tony si girò di scatto e la fissò con gli occhi spalancati: non si aspettava che la stanza fosse già occupata.

“I… io… pensavo che…” balbettò “scusa, stavo cercando un posto tranquillo per dormire, non sapevo che quest’aula fosse già occupata…”

Etta lo guardò. Il giovane era arrossito di colpo; fece un passo avanti e gli sorrise.

“Tranquillo, se vuoi puoi restare qui. C’è spazio per entrambi.” lo rassicurò.

Il giovane annuì e sistemò il suo sacco a pelo all’altro angolo dell’aula, quindi si sedette su uno dei banchi ammassati sul fondo e si preparò una sigaretta in silenzio.

“Ti dispiace non fumare qui dentro?” domandò rispettosamente la giovane donna “Non sono abituata.”

“Oh, scusa, hai ragione…” rispose Tony, mettendo via tutto “non ci ho pensato…”

Etta sorrise di nuovo e prese dalla sua borsa una grossa tavoletta di cioccolato fondente, quindi si andò a sedere accanto a lui.

“Me l’ha portata Jack stasera quando è tornato dalla missione di approvvigionamento. Ne vuoi un po’?” domandò, offrendogliene un pezzo.

“Cioccolata? Sono secoli che non ne mangio!” esclamò “Praticamente da quando ero bambino. L’ultima volta avevo cinque anni.”

“Quindi… poco prima che arrivassero gli Osservatori?” chiese lei. Tony annuì.

“Era il matrimonio di Lincoln e Olivia. Io ero il paggetto, ed ero anche il più piccolo tra gli invitati. Mi hanno coccolato tutti.”

“Al matrimonio del migliore amico di mio padre? Come è stato?”

“Molto bello, a parte che odiavo il vestito che dovevo indossare: non volevo mettere la cravatta, e poi faceva caldo.” rispose, sorridendo “Però il Segretario ha fatto un bel discorso e ha offerto gran parte del ricevimento, facendo portare anche molto caffè e della cioccolata.”

“Ti sarai divertito molto…” commentò lei, guardandolo negli occhi.

“Per un bambino è facile trovare un modo per divertirsi.” continuò Tony “L’incubo è arrivato dopo, quando gli universi sono stati fusi. Ma questo lo sai anche tu.” fece una pausa, raccogliendo le idee “Spero davvero che tuo nonno sappia cosa fare. Io non vorrei mai che i miei futuri figli passino quello che abbiamo passato noi, o che rischiano di passare Pete e il figlio di Lincoln…”

“Futuri figli? Tu vuoi dei figli?” domandò sorpresa.

“Quando troverò la donna giusta e sarà il momento, sì. Ma non ora. Tu non ci hai mai pensato?”

“A dire la verità no.” rispose Henrietta, arrossendo. Tony notò l’improvviso rossore e sorrise.

“Incredibile! Sono riuscito a far arrossire Henrietta Bishop!” esclamò, scherzoso. La giovane non rispose e sorrise a sua volta, quindi si alzò e andò a sistemarsi nel suo sacco a pelo.

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Capitolo 37
*** 37 ***


I giorni passarono lenti. Per qualche strano motivo, dopo che Peter aveva parlato con lui, Walter sembrava essere rinato: passava le giornate nel suo piccolo spazio, esaminando campioni di sangue presi da tutti i componenti del gruppo e segnando su un grosso quaderno i risultati di ogni analisi eseguita.

Nessuno sapeva cosa avesse in mente di fare il vecchio scienziato, ma nessuno se ne curava: Peter aveva chiesto a tutti di lasciarlo lavorare senza fare domande e di collaborare se Walter lo richiedeva.

Quel giorno il Dottore aveva mandato Etta e Tony fuori in perlustrazione. Sarebbero stati via qualche giorno, perché dovevano tener d’occhio la base degli Osservatori a New York e provare a entrare senza essere visti.

Quando l’alieno aveva informato gli altri della sua decisione, Jack non ne fu molto contento, e cercò di far cambiare idea al Dottore: la missione era troppo pericolosa e i due ragazzi potevano venire scoperti da un momento all’altro, ma il Signore del Tempo fu irremovibile e Jack dovette accettare la decisione.

I ragazzi erano andati via da qualche ora, e Jack si era offerto volontario per aiutare il Dottor Bishop, qualunque cosa stesse facendo: doveva tenersi occupato per non pensare ai pericoli che la piccola Henrietta, a cui era legato come a una figlia, rischiava di correre nel viaggio verso New York.

Nel vecchio campus, intanto, regnava la calma, e tutti erano più o meno indaffarati in vari compiti.

Peter era nei sotterranei, nel locale caldaia, e controllava il buon funzionamento della centralina. Aveva con sé parecchi attrezzi utili, ma ormai usava quasi esclusivamente il cacciavite sonico di riserva che il Dottore aveva deciso di cedergli.

Era steso per terra, parzialmente sotto il corpo principale della caldaia, con il pannello inferiore aperto per controllare l’integrità della parte elettrica dell’impianto, quando qualcuno entrò nella stanza.

“Serve una mano?” chiese la voce di Olivia.

“No, ho quasi fatto.” rispose Peter “Ma tu non stavi aiutando il Dottore a mettere in ordine i fascicoli? Avete già fatto?”

“Veramente non ero io, ma l’altra Olivia. Io sono la moglie di Lincoln.” rispose l’altra, sedendosi sulla panca vicino a dove stava lavorando Peter.

L’uomo sospirò; non era la prima volta, in quei giorni, che le scambiava: avevano la stessa voce, erano identiche nell’aspetto, soprattutto da quando la moglie di Lincoln aveva smesso di tingersi i capelli, e poteva riconoscerle solo dallo sguardo. La sua Olivia, nonostante la stabilità faticosamente conquistata, aveva ancora un velo di tristezza in fondo allo sguardo, invisibile alla gente comune, ma che lui, ormai, sapeva riconoscere tra milioni, mentre l’altra Olivia era serena, più solare.

Si tirò su, pulendosi le mani e mettendosi in tasca il cacciavite sonico, quindi la guardò in volto. La donna sembrava pensierosa, e abbattuta; si sedette accanto a lei, continuando a guardarla.

“Dovresti stare con tuo marito ora…” commentò.

La donna scosse la testa e si passò una mano sulla pancia, ancora pensierosa. Era scossa, qualcosa non andava.

“Olivia…” la chiamò di nuovo “stai bene? Hai bisogno di qualcosa?” chiese ancora Peter, preoccupato.

“Sto bene, solo che… forse Tyrone ha ragione, forse non dovremmo avere dei figli nella situazione in cui siamo…” rispose lei, respirando profondamente.

“Non dirlo neanche per scherzo! Non è colpa tua se è successo tutto questo, non potevate saperlo!” esclamò l’uomo.

Olivia alzò gli occhi, fissandolo in lacrime. Peter le passò un braccio attorno alle spalle e continuò il discorso.

“Si troverà una soluzione. Come sei riuscita a mettere al mondo nostro figlio nella vecchia linea temporale, riuscirai a mettere al mondo questo altro bambino, e sopravvivrete entrambi, te lo assicuro.”

La donna lo fissò in silenzio. Come poteva essere così sicuro che lei e il bambino sarebbero sopravvissuti? Il Dottore si era rifiutato di aiutarla, lui che aveva la possibilità di farlo grazie alla tecnologia del TARDIS, e non c’era nessun altro con quel livello di tecnologia e conoscenza nel loro gruppo.

“Peter, il Dottore non ha voluto aiutarmi, lo hai visto anche tu, e lui era l’unico che poteva farlo.” protestò, in lacrime.

“No, ti sbagli. Lui non è l’unico che può aiutarti.” la interruppe Bishop “Mio padre si è già messo al lavoro, e sono sicuro che è vicino alla soluzione. Tu conosci come è fatto Walter, non si arrenderà così facilmente. Tu e tuo figlio sopravvivrete.”

Olivia sospirò, continuando a passarsi una mano sulla pancia. Tornò a guardare Peter, con aria colpevole.

“Peter, mi dispiace per quello che è successo. Io stavo eseguendo degli ordini, non avrei mai voluto ingannarti…” si scusò.

L’uomo inspirò a lungo, riordinando le idee. Ciò che era successo nella vecchia linea temporale era rimasto impresso nella sua mente come scolpito nella pietra, e nonostante tutto non era ancora riuscito a perdonare completamente l’inganno ricevuto e il rapimento della Sua Olivia da parte del suo padre naturale. Sapeva che la donna che ora implorava il suo perdono stava eseguendo degli ordini, e in quel periodo si era anche accorto che qualcosa non andava, ma come al solito non si era fidato del suo istinto. Se lo avesse fatto non sarebbe successo tutto quanto, forse.

“Una volta, un uomo saggio mi disse che niente è davvero quello che sembra essere.” esordì “Bisogna saper guardare oltre le apparenze. Quando ho scoperto l’inganno ho odiato a lungo sia te che il Segretario Bishop, per quello che era stato fatto a Olive, per le ferite che erano state aperte nella sua anima già abbastanza tormentata…” fece un altro respiro profondo e continuò “Olivia ha subito danni irreparabili da quello che è successo, ed io non posso perdonare ciò. Nonostante tutto tu hai già espiato le tue colpe, e la brutta opinione che avevo di certe persone del tuo universo è cambiata quel giorno che parlai con il Segretario, quando mi introdussi nel vostro universo di nascosto, venticinque anni fa. È passato molto tempo, e non posso portare rancore così a lungo, soprattutto se ho rivalutato l’opinione della persona in questione.”

La donna sorrise rincuorata. Non era esattamente un perdono, ma valeva come tale.

“Henry è stato un piccolo miracolo…” sussurrò “era un bambino bellissimo e sano, ed era mio figlio. Il Dottore ha detto che qualcuno ha fatto qualche pasticcio nella trama del tempo…”

“Sì, per cancellare la mia esistenza. E dal momento che io non sono mai esistito, Henry non è mai stato concepito.” confermò.

“Chiunque sia, mi hanno portato via mio figlio! Non lo avrò mai più indietro. Neanche nel modo in cui tu e Olivia avete riavuto indietro vostra figlia! Non sai cosa darei per riavere indietro Henry…”

“Da quando mi hai detto che lo ricordi sto maturando una teoria.” ammise Peter “Credo che da qualche parte sia ricomparso anche Henry, insieme a me, devo solo capire come…”

“Ricomparso? In che senso? Spiegati, per favore…”

“E’ solo un’idea. Penso che da qualche parte lui ci sia ancora, e il fatto che tu te ne ricordi potrebbe essere una prova…”

La donna annuì, pensierosa.

“Se fosse vivo ora avrebbe 25 anni…” riferì.

“Ovunque sia lo troveremo.” la rassicurò Bishop “E’ mio figlio, voglio trovarlo quanto lo vuoi tu.”

Intanto Henrietta e Tony erano appena arrivati alla stazione della monorotaia che li avrebbe portati a Manhattan.

Camminavano affiancati, ignorando e venendo ignorati da tutti. Tony mascherava abilmente il disagio dovuto al dover indossare un’uniforme lealista; prima di partire avevano discusso a lungo su come superare i numerosi ostacoli che avrebbero trovato lungo la strada per Manhattan, considerando diverse soluzioni, ma quella era l’unica che non avrebbe destato sospetti: Henrietta era ancora un agente della Divisione Fringe, quindi le sarebbe bastato mostrare un distintivo, per quanto riguarda Tony, avrebbe dovuto passare come agente lealista di scorta per la ragazza.

Avevano con sé solo il minimo indispensabile, raccolto in un borsone trasportato dal giovane uomo, ed erano in fila davanti ai tornelli d’accesso al treno. Sia Henrietta che Tony tenevano tra le mani una carta psichica, pronti a mostrarla nel caso fosse stato richiesto loro di mostrare le lettere di transito.

Una delle guardie fece loro cenno di avvicinarsi alla sua postazione. I due giovani si guardarono per qualche secondo, quindi decisero di avvicinarsi; la guardia li scrutò per qualche secondo, soffermandosi sul ragazzo, quindi parlò.

“Come mai andate a New York?” domandò, rivolto a Tony.

“Sto scortando l’agente per una deposizione. È stata aggredita da un gruppo di ribelli e ha richiesto una scorta; ora deve riferire ai piani alti l’accaduto.” rispose, indicando con la testa il grosso finestrone dal quale si intravvedeva lo skyline di New York, su cui spiccava la Freedom Tower, poi mostrò la carta psichica.

Il Lealista lesse le immaginarie parole sulla carta, con attenzione, poi posò lo sguardo sulla giovane donna e tornò a guardare Tony, restituendogli la carta.

“D’accordo, potete andare.” riferì, indugiando con lo sguardo sulle curve di Etta. Tony, senza parlare, prese la compagna di viaggio per i fianchi e la condusse oltre i tornelli, mostrando degli atteggiamenti fortemente possessivi; quando arrivarono oltre si fermarono, Tony si voltò verso il Lealista che li aveva fatti passare e gli lanciò uno sguardo eloquente. L’altro uomo si voltò di scatto, togliendo gli occhi dai due e tornando a fare il suo lavoro.

“Ottimo lavoro, Tony!” si complimentò Etta.

“E’ stato semplice. I Lealisti sono idioti.” rispose l’altro, scortandola al treno.

Entrarono nel vagone e cercarono due posti liberi. Quando li trovarono si sedettero e tornarono a parlare tra loro, a bassa voce.

Il vagone era colmo di soldati Lealisti, e tutti quanti erano attirati dalla presenza della giovane donna. Etta veniva squadrata da capo a piedi da tutti quanti, e stava diventando un’impresa rimanere inosservati; i due giovani si scambiarono uno sguardo, quindi in un gesto possessivo come quello di poco prima ai tornelli, Tony le passò un braccio attorno alle spalle, lanciando sguardi assassini agli altri uomini presenti: istantaneamente tutti smisero di guardarli. Evidentemente la donna di un commilitone era proprietà sua e gli altri non avevano nessun diritto su di lei.

Il treno partì e i due ragazzi continuarono a parlare indisturbati a bassa voce. Qualche fermata più avanti, un altro soldato lealista si sedette di fronte a loro, insieme a una donna, vestita in perfetto stile Anni Cinquanta. Entrambi avevano la guancia tatuata, e appena si sedettero presero a fissare Etta: lei era l’unica persona nel vagone che non presentava alcun tatuaggio, e di certo era curioso vedere una donna non tatuata in compagnia di un Lealista.

Tony stava cominciando ad agitarsi per la situazione venutasi a creare; andando avanti di questo passo, nonostante tutte le precauzioni prese, sarebbero stati scoperti. Si trovavano da soli in terreno nemico, senza alcuna via di fuga, e si stavano dirigendo proprio nell’Antro della Bestia. Se l’inganno fosse stato scoperto avrebbero passato grossi guai, e neanche il Dottore con il suo TARDIS sarebbe stato in grado di tirarli fuori.

“Stai calmo, Tony. Siamo quasi arrivati.” sussurrò la giovane, calma, al suo orecchio, sfiorandogli il volto con la punta delle dita. Il ragazzo la fissò negli occhi; erano incredibilmente seri; il giovane annuì e continuò a guardarla, ipnotizzato da quell’intenso sguardo.

Si stavano ancora fissando, persi nei propri pensieri, quando la donna seduta di fronte a loro li chiamò, attirando la loro attenzione.

“Anche voi state andando a chiedere il permesso?” domandò.

“Il permesso per cosa, scusi?” chiese Tony, di rimando.

“Beh, ho pensato…” continuò la donna, arrossendo “visto come siete uniti, come il signore è protettivo nei confronti di lei… beh, sì, insomma… state andando a chiedere il permesso per sposarvi, vero? So che per le coppie miste ci vuole un permesso speciale, difficile da ottenere…”

“Ecco, noi… veramente…” cominciò Tony, cercando le parole giuste per spiegare.

“Sì, a dire la verità, sì.” concluse Henrietta “Stiamo andando a chiedere il permesso. Vero, tesoro?”

“Noi… ecco… sì, è così, piccola.” annuì, imbarazzato.

“Spero davvero che ve lo diano.” augurò la donna “Siete davvero una bella coppia.”

“Lo spero anche io. Tony è un uomo fantastico, il migliore che potessi incontrare!” esclamò la ragazza, stampando un bacio sulle labbra di Tony per enfatizzare il concetto.

Tony la lasciò fare, cercando di mantenere la calma. Fortunatamente la fermata successiva era la loro, così lui le afferrò saldamente la mano e la trascinò all’esterno.

Si fermarono a una decina di metri di distanza dai tornelli d’uscita. La stazione era colma di Osservatori, ed entrambi dovevano riprendere il controllo per poter nascondere i propri pensieri e non essere scoperti.

“Tuo padre mi ucciderà, e se non lo farà lui sarà il Capitano Harkness a farlo…” sussurrò Tony, respirando profondamente.

“Mio padre non avrà nulla da dire.” lo rassicurò Henrietta, aggiustandogli il colletto della giacca dell’uniforme “E Jack abbaia ma non morde. Sono una donna adulta e sono libera di fare quello che voglio. E comunque la situazione era critica e dovevamo tirarcene fuori in qualche modo. Ora andiamo a cercarci un posto per dormire. Domani dobbiamo continuare con il piano.” disse, aggiustandogli meglio il cappello, per poi prendere il compagno di viaggio sotto braccio e uscire insieme dalla stazione.

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Capitolo 38
*** 38 ***


Era mattina.

Il sole dell’alba filtrava attraverso le tende, e qualche raggio di luce attraversò la piccola stanzetta dell’hotel nella periferia di Manhattan.

Un giovane uomo e una giovane donna dormivano sereni, nel piccolo letto in ferro battuto in fondo alla stanza, avvolti nel caldo piumone per ripararsi dal freddo tipico di metà dicembre.

Henrietta aprì gli occhi lentamente. Uno strano rumore l’aveva disturbata; respirò profondamente e sentì il braccio nudo di Tony muoversi attorno alle sue spalle e stringerla meglio.

Si voltò verso di lui, guardandolo. I capelli gli ricadevano disordinati sulla fronte; l’espressione, solitamente dura, era serena e tranquilla, il respiro era regolare e nulla sembrava poterlo disturbare.

Sentì di nuovo quel rumore fastidioso e ascoltò meglio: era il Vibracall del suo cellulare. Cercando di non svegliare il suo compagno di viaggio, allungò la mano sul comodino e afferrò l’apparecchio, guardando lo schermo: era una videochiamata dal cellulare di Jack. Si sistemò meglio sotto le coperte e rispose.

“Jack? Tutto bene al laboratorio?” domandò. Sullo schermo comparve Jack, affiancato dal Dottore, Peter e Charlie.

“Sì, qui tutto bene, biondina.” rispose il Capitano Harkness “Voi tutto a posto? Dove siete?”

“Siamo in un hotel qui a Manhattan. Abbiamo preso una stanza, oggi cominciamo le ricerche.”

“Una stanza a testa, spero…” si lamentò Jack.

“No, stanza unica. Abbiamo dovuto passare per una coppia per non destare sospetti.” rispose la giovane.

Jack divenne improvvisamente livido; il Dottore gli prese il cellulare di mano e si allontanò per riuscire a parlare con i due giovani con calma.

“Bravi, ragazzi! Ottima mossa, davvero. Cercate di passare inosservati il più possibile. Ora torniamo a noi: dovete avvicinarvi alla Freedom Tower e trovare una via d’accesso sicura, ricordate?” domandò, quindi si bloccò ascoltando attentamente i rumori che arrivavano dalla stanza dove si trovavano i due ragazzi “Ma come fai a dormire con un rumore simile? È Tony quello che sta russando?”

“Eh? Sì, un momento che lo sveglio…” rispose la giovane, quindi si girò verso il compagno e lo scosse leggermente “Tony? Sveglia! È ora di alzarsi, dobbiamo lavorare.” lo chiamò. Il ragazzo si lamentò e si sistemò meglio nel letto, continuando a dormire. Henrietta sospirò e guardò di nuovo lo schermo del cellulare, dove il Dottore attendeva impaziente.

In quel momento Rose si fece avanti assieme a John, prese il cellulare dalle mani del Dottore e parlò con la ragazza all’altro capo.

“So come svegliarlo, Etta. Passamelo, per favore.” Etta annuì e rivolse l’apparecchio verso Tony. Rose fece un respiro profondo e parlò “Alza quel culo e datti una mossa, scansafatiche! Hai un lavoro da fare! Mamma e papà se ti vedessero in questo momento si vergognerebbero molto di te!” esclamò, severa.

Tony si tirò su di scatto, guardandosi intorno quasi spaventato. Henrietta sorrise e tornò a parlare al telefono.

“Ti ringrazio, Rose. Mi passi di nuovo il nonno, ora, per piacere?”

La bionda sorrise e passò nuovamente il cellulare al Dottore.

“Bene, ora che siete tutti e due svegli possiamo parlare…” esordì l’alieno.

Intanto Jack era andato nel piccolo laboratorio del dottor Bishop. Era nervoso e non riusciva a calmarsi.

“Qualcosa non va, Capitano?” domandò il vecchio, che stava filtrando delle foglie di dubbia origine per farne chissà cosa.

“Io l’avevo avvertita! Quel ragazzo non mi piace! Se solo la tocca, io…” si lamentò.

“Ah, parli di Henrietta e di quel ragazzo?” chiese, pensieroso “Mh… credo di aver fatto bene a mettergli quei preservativi nella borsa, non si sa mai… i ragazzi devono proteggersi…”

Jack, che era riuscito a calmarsi, divenne nuovamente livido e, con gli occhi iniettati di sangue e il viso contratto dalla rabbia, si girò verso il vecchio scienziato.

“Che cosa ha fatto, dottor Bishop?!” ringhiò.

“Ho fatto un favore a mia nipote, proteggendola dai rischi a cui può essere esposta con un rapporto occasionale.” rispose, tranquillo, Walter, raccogliendo il filtrato in una busta che etichettò come “Medicina personale Walter Bishop”.

“Ha messo dei preservativi nella borsa di Henrietta e Tony? Ma è fumato per caso?” continuò l’uomo, cercando di respirare profondamente per non avere la tentazione di far fuori sul momento il vecchio che aveva davanti.

“Oh, beh…” osservò Walter “l’altro giorno ho trovato in uno degli armadi una vecchia partita di acido e l’ho provata. È ancora buona dopo venti anni, sai? Perfetta, forse invecchiata così è anche meglio…”

Jack sospirò e si guardò intorno. Non era possibile che quel vecchio pazzo si fosse fatto di acido, tra l’altro vecchio di decenni. Doveva concentrarsi, come diavolo faceva? Senza contare lo scherzo che gli aveva appena fatto, mettendo dei preservativi nella borsa della sua figlia adottiva, che tra l’altro era anche la nipote di Walter, quindi avrebbe dovuto portarle più rispetto, non istigarla alla trasgressione.

“Che succede, Jack? Qualcosa non va?” domandò Peter, avvicinandosi insieme a Charlie. Avevano visto cosa stava succedendo nel laboratorio e avevano deciso di intervenire prima che fosse troppo tardi.

“C’è che tuo padre, fatto di acidi, ha pensato bene di mettere dei preservativi nella borsa di Etta e Tony! Ma un po’ di pudore non ce l’ha?” esclamò il Capitano.

Peter sospirò e si rivolse a Walter, serio.

“Davvero l’hai fatto, Walter?” chiese. Non attese la risposta del padre e tornò a parlare con Jack “Senti, andiamo a discutere la cosa da un’altra parte? Non penso che mio padre, in questo momento, sia in grado di ragionare lucidamente.”

Jack sospirò e guardò Walter, quindi annuì e, insieme, si allontanarono.

“Io non capisco che gli è passato per la testa… dei preservativi… ma dico io…” borbottò il Capitano.

“Walter ha i suoi modi di pensare, è fatto un po’ a modo suo.” lo giustificò Peter “In ogni caso non mi sembra il caso di prendersela così. Mia figlia è una donna adulta e ragionevole, non farà nulla di avventato…”

“Mia figlia…” si lamentò “Parli sempre di Etta come se l’avessi cresciuta tu!”

“Non l’avrò cresciuta io, ma è comunque parte di me.” si giustificò Peter.

“Solo biologicamente. Tu non l’hai cresciuta, sono stato io a farlo, quindi non rompere le scatole e lasciami preoccupare per la salute di Mia figlia!” esclamò, irato.

Peter lo fissò negli occhi. In fondo al cuore sapeva che aveva ragione: Henrietta era più figlia di Jack che sua. Era stato lui a crescerla, ad occuparsi di lei, a proteggerla. Era suo padre a tutti gli effetti. Sospirò senza abbassare lo sguardo.

“Hai ragione. Solo non prendertela con Walter, sai come è fatto…” disse.

Jack non disse nulla e si passò una mano tra i capelli, nervoso.

“D’accordo… spero solo che i ragazzi non si caccino nei guai… sono nella Tana del Lupo e devono stare molto attenti a quello che fanno. È pericoloso…”

Peter annuì e gli diede una pacca sulla spalla, poi tornò a lavorare insieme agli altri.

Nel frattempo, i due giovani avevano finito di ascoltare il piano del Dottore e si erano preparati per uscire. Tony aveva dovuto ritoccare il tatuaggio, per passare inosservato ma, seguendo le usanze dei Lealisti, aveva deciso di andare in giro in borghese, per sembrare fuori servizio ed andare liberamente in giro per la città.

Camminavano verso la Freedom Tower, fianco a fianco, evitando abilmente il contatto con i Lealisti e una possibile lettura della mente da parte degli Osservatori. Arrivati nella piazza delle due fontane, di fronte alla torre, si fermarono al National September 11 Memorial e si sedettero sul bordo di una delle fontane per avere una visuale buona del luogo, stracolmo di Osservatori che entravano e uscivano dal loro quartiere generale.

Tony si guardò intorno. Era nervoso, erano nella Tana del Lupo, da soli, e se venivano scoperti non avrebbero avuto via di scampo. Etta se ne accorse e, con un gesto naturale, gli aggiustò una ciocca di capelli che gli cadeva sulla fronte, quindi avvicinò le labbra al suo orecchio e gli parlò.

“Stai calmo, Tony. Svuota la mente. Se lo fai non ti leggeranno.” sussurrò.

Tony fece un respiro profondo e la guardò. Aveva ragione, non dovevano farsi scoprire. Fece un altro respiro e chiuse gli occhi, svuotando completamente la mente, quindi li riaprì e tornò a guardarsi intorno. Non lontano dalla loro posizione, sulla strada di fronte all’entrata principale della Freedom Tower, si era fermato un venditore ambulante di hot dog. Visto che dovevano passare un po’ di tempo nella zona, prendendo parecchio freddo, tanto valeva scaldarsi mangiando qualcosa di caldo, quindi si alzò in piedi e prese la mano della compagna, sorridendo, e insieme si avvicinarono al carrettino del venditore.

Senza mollare Etta ordinò due hot dog, guardandosi intorno per cogliere ogni particolare utile e, infine, senza parlare, portò la ragazza verso la traversa che dava su uno degli altri lati della torre, quello meno frequentato e più buio. Si fermò, poggiandosi al muro dell’edificio di fronte e trattenne la ragazza per i fianchi.

“Vedi anche tu quello che vedo io?” sussurrò, indicando con uno sguardo veloce poco lontano da loro, una piccola porta di servizio.

“Una porta di servizio!” esclamò la bionda “Come l’hai trovata?”

“Ho visto un po’ di gente che veniva da questa parte e ho voluto dare un’occhiata…” rispose l’altro, senza mollarla e continuando a guardarsi intorno, circospetto.

“Bene, una via d’entrata! ora dobbiamo solo capire come accedervi.” concluse Henrietta, poi si voltò a guardarlo, notando l’espressione accigliata “Tony, concentrati!” lo ammonì “Così ci farai scoprire!”

“Scusa…” sospirò Tony “non riesco… è più forte di me, non sono mai stato così vicino alla loro base… sono nervoso…”

Henrietta stava per rispondere, quando sentirono qualcuno avvicinarsi dalla strada principale. Si voltarono verso il bivio e videro attraversare l’incrocio tre Lealisti e un Osservatore, che svoltarono subito l’angolo nella loro direzione. Doveva pensare in fretta a qualcosa perché non li scoprissero, quindi prima di tutto doveva far calmare Tony.

Il suo cervello cominciò a girare, analizzando tutte le possibili soluzioni in poche frazioni di secondo. aveva bisogno di svuotare la mente e farla svuotare al compagno. Sapeva che il modo migliore per farlo era uno shock emotivo, uno shock che coinvolgesse entrambi.

Senza neanche pensarci afferrò la nuca del ragazzo e lo coinvolse in un bacio appassionato. Il giovane subito ricambiò e la sua mente si svuotò completamente, concentrata in quello che stavano facendo.

Anche la mente di Tony si svuotò. Tutti i suoi sensi erano occupati, cercando di registrare tutte le sensazioni di quel momento: il profumo della pelle di Etta, il sapore di fragola che sentiva sulle sue labbra, il calore del suo corpo. Più cose sentiva, più aveva voglia di approfondire il bacio. La sua mente era vuota, il suo corpo completamente immerso in quelle sensazioni. Non riusciva a staccarsi da lei, le sue braccia la strinsero, una mano le carezzò i capelli, mentre continuava a baciarla, assumendo il controllo completo della situazione.

Henrietta, dopo un primo momento in cui aveva il controllo di tutto, si lasciò guidare dal ragazzo. Si concentrò nel suo odore, un profumo misto di polvere da sparo e erba appena tagliata, e assaporò il suo aroma di tabacco misto a caramelle alla menta, trovandosi a pensare che non era affatto male, nonostante non amasse particolarmente l’odore del fumo di sigaretta.

Si accorsero a malapena dell’Osservatore e dei tre Lealisti che passarono a poca distanza da loro, e sentirono appena la porta di servizio che si apriva per lasciare entrare i quattro.

Si separarono dopo qualche minuto, respirando profondamente entrambi, cercando di ritrovare il controllo dei propri pensieri e del proprio corpo. Tony alzò gli occhi, cercando di riordinare le idee.

“Hanno lasciato la porta aperta.” la informò “Andiamo!”

Henrietta annuì e lo seguì dentro l’edificio. Si trovarono davanti una rampa di scale di servizio, la seguirono per qualche piano, finchè non sentirono dei rumori dietro di loro: qualcuno aveva caricato un’arma. Si bloccarono e si voltarono; i tre Lealisti e l’Osservatore li stavano guardando dal basso. I tre soldati avevano le armi puntate, pronti a sparare.

“Dove credete di andare?” domandò l’Osservatore.

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Capitolo 39
*** 39 ***


Era passato qualche giorno dall’ultimo contatto con i due ragazzi. Il Dottore aveva ordinato il silenzio radio con loro, per evitare che fossero scoperti, e aveva dato a Tony e Henrietta due settimane di tempo per raccogliere più informazioni possibili.

Ad Harvard erano tutti occupati nelle loro mansioni, in attesa della prossima mossa. Peter e Jack, per motivi diversi, erano i più agitati, ma cercavano di rendersi utili come potevano, secondo le loro capacità; Lincoln lavorava senza sosta, cercando di occupare la mente e non pensare al pericolo che stavano correndo sua moglie e suo figlio a causa della VPE.

Stava caricando la caldaia per scaldare gli interni dell’ateneo e riparare tutti dalle rigide temperature di dicembre, cercando di far svagare la mente, senza successo, quando Olivia entrò nel locale con una tazza di tè fumante tra le mani. L’uomo si fermò e la guardò: quella non era la Sua Olivia, era l’altra, la compagna di Peter. Nonostante fossero ormai praticamente identiche, Lincoln avrebbe riconosciuto sua moglie tra milioni di sosia: conosceva ogni tratto di lei, ogni espressione, ogni tonalità della voce, persino la camminata era completamente diversa dalla sua alter.

Si asciugò il sudore e si pulì le mani, prima di avvicinarsi alla donna e prendere la tazza di tè che gli porgeva.

“Va tutto bene di sopra?” domandò, sorseggiando la bevanda.

“Sì. Olivia sta bene. Cerchiamo tutti di farla stare a riposo, viste le sue condizioni, ma è difficile.”

Lincoln sospirò. Era grato per il fatto che si preoccupassero tutti per la sua salute, ma se il dottor Bishop non si sbrigava a trovare una cura per la VPE o, comunque, un modo per far sopravvivere lei e il bambino al parto sarebbe stato tutto inutile. Si sedette sulla panca con aria abbattuta.

“Devo aver fatto qualcosa di sbagliato per meritarmi questa punizione…” disse.

La donna si sedette accanto a lui, guardandolo. L’uomo era davvero abbattuto, doveva cercare di tirarlo su.

“Tu non hai fatto nulla, sono cose che possono succedere. Walter si sta occupando della cura, tu occupati di tua moglie. Avete bisogno l’uno dell’altra ora; come pensi che si senta lei, in questo momento? L’ho vista poco fa, era insieme a Rose. Le stava facendo tenere il bambino, ma Olivia non sembrava felice. Qualcosa la turbava.”

“Cosa posso fare, Olivia? Sono impotente su queste cose. Posso solo sperare che Walter trovi la cura prima che sia troppo tardi.”

“Stalle vicino, te l’ho detto. È quasi Natale. Non avete mai fatto nulla per Natale, nei cinque anni che hai passato con lei?” chiese la bionda.

“Sono ebreo, Olivia. Ricordi?” rispose l’uomo “Non festeggio il Natale.”

“Festeggi Hanukkah però.” obiettò la donna.

“Sì… anche se nel nostro universo è una festa molto più intima che nel vostro. È una cosa che si festeggia in famiglia.” spiegò, sorridendo leggermente “La prima volta che abbiamo festeggiato Hanukkah abbiamo cucinato insieme le frittelle dolci. Olivia non conosceva bene le mie usanze, ma ha imparato subito, e io ho imparato le sue.”

Olivia sorrise e si alzò.

“Allora che problema c’è? Vai su e stai con lei. Mio padre è fissato con il festeggiare il Natale, lo adora. Magari potresti dargli qualche consiglio per festeggiare anche Hanukkah insieme, e staresti comunque con Olivia.”

Lincoln pensò a lungo. Forse aveva ragione, doveva stare con sua moglie, passare con lei più tempo possibile, magari riprendere delle vecchie routine, nonostante il periodo buio. Finì di bere il suo tè e annuì, quindi si alzò e tornò nel laboratorio, insieme alla bionda.

L’altra Olivia era seduta su un divano accanto al TARDIS, insieme a Rose, e coccolava il piccolo Pete. Il bambino la fissava con gli occhi spalancati e i pugnetti chiusi, mentre lei gli parlava tranquilla.

Lincoln si avvicinò e le fece una carezza. La donna alzò gli occhi e gli sorrise, quindi restituì il bambino alla madre e si alzò, lasciandosi stringere dal compagno.

In quel momento, Walter corse per il locale, prendendo Peter per un braccio.

“Ho trovato!” esclamò, eccitato.

“Calma, Walter!” esclamò, cercando di calmarlo “Che cosa hai trovato? Spiegati.”

“Ho trovato la cura! Per la VPE!” spiegò Walter. Peter fece un cenno a Lincoln e Olivia, i quali si avvicinarono immediatamente.

“Bene. Di che si tratta?” lo incoraggiò Peter.

“Si tratta di fare delle iniezioni giornaliere. Non comportano alcun rischio, ma accelereranno la gravidanza quel tanto che basta per non far sviluppare la malattia.” continuò il vecchio.

“Va bene.” annuì la donna “Di che sostanza si tratta?”

“Un derivato del Cortexiphan, mia cara.” rispose, candidamente, il dottor Bishop.

“Aspetta un momento, Walter! Hai detto Cortexiphan?!” lo interruppe Peter.

“Sì… è il miglior composto, il più sicuro da modificare per questo scopo…” rispose il vecchio, guardando il figlio negli occhi.

“Ma il Cortexiphan non è quel composto sperimentale usato su Olivia quando era bambina?” domandò Lincoln.

“Sì, proprio quello, Maggiore Lee.” confermò Walter.

“E proprio per questo non ti permetto di usarlo ancora, Walter! È pericoloso! Usarlo su una donna incinta è una pazzia!” ringhiò Peter.

Il Dottore, che aveva assistito da lontano alla scena, si avvicinò intromettendosi nel discorso.

“Che sta succedendo? Hai trovato una cura, Walter?” chiese.

“Vuole usare il Cortexiphan su mia moglie come ha fatto su tua figlia quando era bambina, Dottore!” spiegò Lincoln, arrabbiato.

“E’ vero, Walter?” domandò, con calma l’alieno.

Walter annuì e cercò di spiegare. Peter lo interruppe nuovamente.

“Dottore, non puoi permettergli di usare di nuovo quella roba! Non dopo quello che ha fatto a Olivia!”

“Calma, Peter. Sto pensando.” lo fermò il Dottore. Nella sua mente stava valutando pro e contro della scelta; era vero, sua figlia aveva sofferto a causa del Cortexiphan, ma forse poteva salvare la vita del bambino che l’altra Olivia portava in grembo. I suoi pensieri vennero interrotti proprio da quest’ultima.

“Mi dispiace interrompere la vostra discussione, ma fino a prova contraria la decisione finale spetta a me.” disse. Fermò con un gesto della mano una protesta del marito e si rivolse al vecchio scienziato “Walter, hai detto che mi accelererà la gravidanza quel tanto che basta per evitare che la malattia si sviluppi. Quanto ci vorrà, quindi?”

“N… non lo so…” balbettò Walter “facendo iniezioni tutti i giorni, credo una settimana, ma per saperlo con certezza devo farti regolarmente delle ecografie…”

“Il TARDIS può procurarci gli apparecchi necessari…” informò il Dottore.

“D’accordo. Facciamolo.” confermò, decisa, la donna.

“Ma Liv…” cercò ancora di protestare Lincoln.

“Tyrone, se questo è l’unico modo per salvare nostro figlio, allora sono pronta a rischiare.” disse la donna, guardandolo negli occhi. L’uomo non potè fare altro che acconsentire e sperare che andasse tutto bene: se Olivia si metteva in testa una cosa era praticamente impossibile farle cambiare idea.

Nel frattempo, a Manhattan, i due giovani erano stati catturati e rinchiusi all’interno di una stanza del quartiere generale degli Osservatori.

Era un piccolo monolocale rifornito di tutto, e i carcerieri portavano loro da mangiare e da bere con regolarità. Unico inconveniente: non potevano uscire.

Erano prigionieri in quel luogo da qualche giorno e ancora non avevano ricevuto visite dai pelati per gli interrogatori di routine.

Sapevano che, prima o poi, quel momento sarebbe arrivato e, a modo loro, ciascuno dei due ragazzi cercava di rafforzare le serrature che tenevano chiuse le porte della propria mente, per resistere più a lungo alle intrusioni mentali degli oppressori.

Henrietta era seduta sul divanetto e guardava il vuoto, riportando alla mente ricordi neutri, riguardanti principalmente il suo padre adottivo, Jack: sapeva che se fosse stata interrogata, lui era l’unico che non avrebbe avuto troppe conseguenze se fosse venuto fuori il suo nome, dal momento che non poteva morire e, per questo, aveva una resistenza maggiore di tutti gli altri e più possibilità di cavarsela.

Tony era seduto sul davanzale della finestra. Era nervoso: aveva passato gli ultimi anni della sua vita sempre all’aperto, e trovarsi in un luogo chiuso per così tanto tempo, senza possibilità di fuga, lo faceva sentire come un lupo in gabbia. Cercava di svuotare la mente, senza successo. All’ennesimo tentativo sospirò e si voltò verso la compagna.

“Perché non ci hanno ancora interrogato?” domandò.

“Non lo so, Tony, davvero. Forse aspettano il momento giusto.”

“Il momento giusto per cosa?” chiese ancora, sempre più nervoso.

“Forse aspettano che la nostra mente sia pronta.” continuò la ragazza “E’ per questo che dobbiamo mantenere la calma. E ricordati che mio nonno se non avrà nostre notizie verrà a cercarci.”

“Ci ha dato due settimane. Per allora potremmo essere morti!”

Etta sospirò e si alzò, avvicinandosi al giovane. Gli poggiò una mano sulla spalla e gli parlò, guardandolo negli occhi.

“Abbi fiducia in lui. Di sicuro troverà il modo di tirarci fuori di qui.” cercò di rassicurarlo.

Tony la fissò in silenzio. Aveva ragione, il Dottore avrebbe trovato il modo di tirarli fuori dai guai, loro dovevano solo resistere. Sapeva cosa doveva fare: doveva svuotare la mente, creare una barriera mentale abbastanza robusta da resistere alle intrusioni telepatiche degli Osservatori.

Cercò un pensiero abbastanza forte da fare da lucchetto alla cassaforte mentale in cui doveva chiudere tutto quanto, qualcosa che non mettesse in pericolo nessuno. Non era semplice, non voleva mettere in pericolo neanche Etta.

Mentre la sua mente formulava questi pensieri, la sua mano si mosse automaticamente verso il viso della giovane, e con un gesto leggero le aggiustò una ciocca di capelli che le ricadeva ribelle sulla fronte.

Henrietta fece un passo avanti e lui la strinse. L’unica difesa, per loro, era restare uniti.

Il rumore della serratura che scattava li riportò alla realtà. Senza staccarsi, si voltarono verso la porta d’ingresso; non era l’ora dei pasti, non poteva essere la guardia che portava loro da mangiare. Poteva essere solo un’altra cosa.

Tony aumentò la stretta attorno alle spalle della compagna, quando sei Lealisti entrarono, di scorta a Windmark ed a un altro uomo.

Quest’ultimo era vestito come un Osservatore, ma non era uno di loro.

Dimostrava una trentina d’anni, era particolarmente alto e le spalle larghe e muscolose lo facevano risaltare tra tutti. I capelli biondi erano corti e ordinati, e le sopracciglia folte mettevano in risalto i due profondi occhi verdi che spiccavano sul volto ben rasato.

Tony, senza pensarci due volte, si mise tra il gruppo appena arrivato e la compagna: quelli erano lì per interrogarli, e a giudicare dal modo reverenziale in cui si muovevano Windmark e i Lealisti, quello doveva essere il loro capo.

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Capitolo 40
*** 40 ***


Il nuovo uomo guardò i due prigionieri in silenzio per qualche minuto; li stava studiando, sapeva che facevano parte del gruppo di ribelli che si era impossessato dell’università di Harvard, che era il gruppo più agguerrito di quello sciame di fastidiose formiche rosse. Era per questo che era uscito allo scoperto: voleva interrogarli di persona; in altri frangenti avrebbe lasciato questo lavoro a Windmark, ma quel gruppo lo aveva incuriosito, doveva scoprire più su di loro, e doveva farlo di persona.

Bastò un cenno della mano per far muovere le guardie lealiste, le quali divisero i due giovani, tenendoli ben fermi. I ragazzi opposero non poca resistenza, e continuarono a dimenarsi anche dopo che furono allontanati l’uno dall’altra.

L’uomo li studiò ancora per qualche secondo, doveva decidere da chi iniziare. Fece un passo avanti, fermandosi faccia a faccia con Tony. Il ragazzo cercava ancora di liberarsi dalla presa dei due uomini che lo tenevano fermo, e il suo sguardo era fisso su quello della compagna, concentrato e preoccupato allo stesso tempo.

Il Capo degli Osservatori non si scompose. Con estrema calma si tolse i guanti in pelle nera, afferrò il fazzoletto candido che gli porgeva Windmark, si pulì accuratamente con esso la mano sinistra, e infine la poggiò sulla guancia del ragazzo. Tony cercò di allontanare la testa, ma una delle due guardie intervenne prontamente, tenendogliela ben ferma.

Tony capì subito cosa stava per fare. Non era la procedura standard di lettura della mente attuata dagli Osservatori, ma aveva già visto un’altra persona agire in quel modo per leggere i pensieri. Senza pensarci due volte chiuse ogni accesso alla sua mente, opponendo resistenza all’intrusione mentale dell’uomo.

Henrietta li fissò, inerme. Cercava ancora di liberarsi dalla presa dei due Lealisti, ma aveva capito che erano troppo forti per lei. L’unica cosa che poteva fare era guardare la scena che aveva davanti, aspettando in silenzio il suo turno per la tortura che quell’uomo stava attuando sul suo compagno.

Tony opponeva ancora resistenza, ma faticava. Dopo qualche minuto cominciò a tremare per la fatica, e poi gli uscì del sangue dal naso. Il Capo degli Osservatori, però, non mollava, continuò a scandagliare la sua mente finchè il ragazzo non perse i sensi.

L’uomo allontanò la mano e fece un cenno ai due lealisti che tenevano il prigioniero. Senza dire una parola, mollarono la presa, lasciando cadere a terra il ragazzo svenuto e sporco di sangue.

Etta riprese a dimenarsi nel momento in cui vide il viso di Tony sporcarsi di sangue, ed ignorò il nuovo arrivato, quando si avvicinò a lei, dicendo qualcosa con una voce fredda e profonda, che la giovane non riuscì a capire. Si fermò solo quando sentì la mano sinistra dell’uomo le sfiorò la guancia; il suo sguardo smise di vagare attorno al punto in cui era accasciato Tony e si spostò sul suo carceriere.

I suoi occhi erano verdi, ma la profondità di quello sguardo l’aveva vista soltanto in un’altra persona; anche i lineamenti del viso, a guardarli bene, ricordavano quella persona. Ma era impossibile che fosse collegato a lui, non poteva essere…

Lo sentì entrare nella sua testa. Oppose resistenza, chiudendo a doppia mandata tutti i suoi ricordi e i suoi pensieri; l’uomo non si lasciò intimorire, cercò di forzare i blocchi. Era difficile mantenere la concentrazione, Etta era affaticata, ma a giudicare dall’espressione del Capo degli Osservatori, gli stava dando filo da torcere. Continuò a tenere duro.

L’uomo continuava a combattere con i blocchi mentali della giovane, lei cercò di spingerlo fuori. Era un braccio di ferro tra loro due; Henrietta non sapeva come riusciva a farlo, ma non le importava, purchè riuscisse a tenere fuori quell’individuo dai suoi pensieri.

Improvvisamente qualcosa accadde.

Un’immagine vaga invase la sua mente, delle voci ovattate accompagnarono quell’immagine, assieme a strane sensazioni non facilmente descrivibili.

Due volti sfocati, uno incorniciato da una chioma color fuoco, più vicina, e un altro accanto a quest’ultimo. Erano enormi, ma davano un senso di sicurezza.

“Hai sentito?” domandò una voce maschile. Apparteneva al volto vicino a quello incorniciato di rosso, ma era ovattata, quasi lontana “Hai avuto un maschio.”

Un enorme dito toccò il dorso della mano dell’uomo a cui apparteneva quel lontanissimo ricordo. Era enorme, ma il suo tocco era piacevole.

“E’ bellissimo…” rispose una voce femminile. Era la voce della donna dai capelli rossi. Era lontana, ma era la più bella che avesse mai sentito.

Il ricordo si interruppe bruscamente, ed Henrietta venne buttata fuori violentemente. L’uomo allontanò la mano dalla sua guancia. La giovane lo fissò negli occhi. Era confuso e sorpreso. Un rivolo di sangue gli colava dalla narice verso il labbro.

Fece un cenno alle due guardie che la tenevano ferma ed uscì velocemente dalla stanza. Etta venne lasciata libera e Windmark e gli altri seguirono il loro capo.

Quando furono di nuovo soli, la ragazza corse verso il compagno, ancora svenuto, per controllare come stesse.

Tony aprì gli occhi e la fissò confuso, tirandosi su a fatica.

“Stai bene?” le domandò, preoccupato, sfiorandole il volto, vicino alla linea segnata dal sangue che le era colato dal naso.

“Sì, sto bene. Non ha cavato un ragno dal buco dalla mia mente. Tu, piuttosto, come ti senti? Mi hai fatto prendere un bello spavento quando hai perso i sensi.”

“Io sto bene.” rispose il giovane, allontanando delicatamente le mani di Henrietta, che senza dire altro gli stava controllando le pupille “Credo di essere svenuto prima che potesse entrare nei miei ricordi. Sei sicura che non i abbia fatto niente? Sembri sconvolta.”

La bionda non rispose e continuò il suo controllo. Tony la fermò nuovamente, sembrava davvero agitata.

“Ehi! Ehi, calma! Sto bene, sul serio! Che succede?” chiese, tenendola ferma.

“Dobbiamo trovare il modo di avvertire gli altri… non sanno con chi hanno a che fare…”

Tony annuì e si guardò intorno, cercando di farsi venire un’idea. Improvvisamente il suo occhio cadde sull’orologio da polso che gli aveva dato il Dottore poco prima della loro partenza. Gli aveva detto solo che gli sarebbe stato utile, nel caso si fossero trovati alle strette, ma i due giovani si erano completamente scordati di avere quell’oggetto con sé.

Si slacciò l’orologio dal polso e lo esaminò con attenzione. Sembrava un normalissimo orologio analogico da polso, un cimelio del Ventesimo Secolo come ce ne erano tanti in giro. Il giovane sfiorò leggermente la rotellina della regolazione dell’ora e, improvvisamente, il quadrante scattò, aprendosi in due.

I giovani osservarono l’interno dell’oggetto, sorpresi.

“Tecnologia dei Signori del Tempo…” sussurrò Tony.

“Più grande dentro che fuori…” completò Etta.

L’orologio conteneva un piccolo telegrafo, più piccolo dei telegrafi normali, ma apparentemente troppo grande per essere contenuto in un orologio di dimensioni così ridotte. C’era anche un rotolino di carta. Etta lo prese e lo spiegò, leggendo il messaggio.

“Lo hanno costruito John e il Dottore. Funziona ad onde corte. Possiamo mandare un messaggio alla base con il codice Morse.” spiegò.

Tony annuì e si mise al lavoro.

Nel frattempo, ad Harvard, Eddie era di servizio alla radio.

Con lui c’era John, che gli dava una mano a smistare i vari messaggi.

Improvvisamente il vecchio telegrafo che Peter e John avevano rimesso in sesto, cominciò a mandare segnali.

I due uomini scattarono, Eddie prese un foglio e una penna e segnò il messaggio; John lo lesse e, quando l’altro ebbe finito di scrivere, gli strappò il foglio di mano e corse verso il TARDIS.

In una delle stanze, Olivia aveva appena fatto una delle iniezioni di Cortexiphan. Con lei c’era suo marito, che non la mollava un attimo, Walter, intento a controllare lo stato di salute del bambino attraverso le immagini dell’ecografia, e Peter e il Dottore, che non si fidavano a lasciare da solo Walter con Olivia.

John entrò e si fermò in mezzo alla stanza, accanto al suo doppio. Si piegò in avanti, poggiando le mani sulle cosce, cercando di riprendere a respirare normalmente, ma, vedendo che non ce l’avrebbe fatta a breve, passò il foglio al Dottore, il quale lesse il messaggio.

L’alieno lesse, ma non disse una parola. Peter lo fissò, analizzando ogni sua reazione; sembrava apparentemente calmo, ma quella che aveva ricevuto non era una bella notizia, per niente.

“Tutto ok, Dottore? Notizie da Etta?” domandò.

Il Dottore gli passò il foglio. Peter potè, quindi, leggere da solo le cattive notizie appena arrivate:

SIAMO PRIGIONIERI NEL QUARTIERE GENERALE.

INTERROGATI DAGLI OSSERVATORI.

NESSUNA INFORMAZIONE TRAPELATA.

VISTO LORO CAPO.

NOMINATIVO CAPO OSSERVATORI: HENRY BISHOP.

ASPETTIAMO VOI.

ETTA E TONY.

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Capitolo 41
*** 41 ***


Peter fissò quelle parole a lungo.

Non poteva crederci: suo figlio era il capo degli Osservatori.

Cosa diavolo era successo? Perché aveva fatto invadere il loro mondo? E, soprattutto, come aveva fatto a tornare, se quando era scomparso era solo un neonato?

Queste e altre domande invasero la mente di Peter nel poco tempo che trascorse tra la lettura di quel telegramma di sua figlia e il momento in cui Lincoln gli prese il foglio dalle mani per leggere a sua volta quelle parole.

L’uomo sospirò e lanciò uno sguardo indeciso verso la moglie, che si era rivestita ed era seduta sulla brandina dove poco prima aveva fatto l’ecografia.

“Tyrone, che succede? Cosa dicono Etta e Tony?” domandò, guardandolo preoccupata.

L’uomo la fissò indeciso. Non voleva farla agitare ma, d’altronde, prima o poi avrebbe saputo tutto; sospirò e lanciò uno sguardo a Peter, il quale si fece avanti e fece sedere meglio la donna, prima di parlarle, guardandola negli occhi.

“Olivia, il capo degli Osservatori è nostro figlio. Henrietta e Tony lo hanno appena incontrato.” le rispose, calmo, mentre Lincoln si sedeva accanto a lei, prevedendo una reazione emotiva della moglie.

La donna sospirò, fissando prima Peter e poi Lincoln. Stava per rispondere, quando sentirono una sonora esplosione proveniente dall’esterno del TARDIS.

Tutti quanti scattarono e corsero verso l’ingresso; Peter, Lincoln e Olivia afferrarono le loro armi, pronti a sparare.

Appena furono fuori, videro che anche buona parte degli uomini della Resistenza presenti nel laboratorio avevano estratto le loro armi e le puntavano contro una persona al centro della sala.

Si trattava di una donna, circa 35 anni, con dei boccoli biondi che ricadevano sparsi sulla fronte, incorniciando due occhi verdi dall’espressione vispa e un sorriso furbo. Teneva le mani alzate e, appena arrivò il Dottore con gli altri, li guardò.

Il Dottore e John si fissarono per qualche secondo: l’avevano riconosciuta. L’alieno si fece avanti, superando sua figlia, Jack e Charlie, che non accennavano ad abbassare le armi, e guardò la nuova arrivata negli occhi.

“Come diavolo sei arrivata qui?” le domandò, senza mostrare alcuna emozione.

“Anche per me è un piacere vederti, dolcezza.” rispose la donna, continuando a sorridere “Ero sicura di trovarti qui.”

“Rispondi alla domanda!” esclamò l’altro, irritato.

“Sono venuta a dare una mano alla Resistenza.” continuò lei, abbassando le mani “Che anno siamo?”

“E’ appena passato il Natale del 2036.” riferì John, avvicinandosi e affiancando il suo doppio.

La donna sospirò e prese dalla tasca del suo cappotto un libricino di colore blu TARDIS, lo aprì e lo sfogliò.

“Natale 2036…” mormorò “Santo cielo, sono arrivata tardi!” esclamò, guardandosi intorno “Ditemi che Etta e Tony sono ancora qui, per favore…”

“No, li ho mandati in missione e abbiamo appena scoperto che sono stati catturati dagli Osservatori.” rispose il Dottore, sempre serio “Allora che ci fai qui?”

“Sono qui…” cercò di rispondere la donna “Ero venuta qui per avvertirti, ma sono arrivata tardi…”

Il Dottore sospirò e guardò gli altri. Peter si avvicinò, affiancando la compagna, e fissò la nuova arrivata con fare indagatore.

“Tu devi essere Peter Bishop, vero, pasticcino?” domandò, la donna, continuando a sorridere.

“Mh… tu chi saresti? Come conosci il Dottore? E come fai a sapere chi siamo noi?” chiese Peter, di rimando, sempre più sospettoso.

“Diciamo che vengo dal vostro futuro. Il resto, per ora, è spoiler.”

Nel frattempo, nella base operativa degli Osservatori, i due giovani erano in attesa nella loro prigione.

Tony era seduto sul davanzale, e guardava distrattamente fuori dalla finestra, in direzione della zona cementificata di Central Park, mentre Etta camminava per la stanza, con l’aria di una fiera in gabbia.

“Henrietta, stai calma, andrà tutto bene!” esclamò il ragazzo, dopo qualche minuto. La ragazza si fermò di fronte a lui, fissandolo; era nervosa e preoccupata.

“Come faccio a stare calma? Quello è mio fratello, e da quello che ho visto è pericoloso!” si sfogò “E se il messaggio non fosse arrivato? Magari i nostri non sanno nulla… e lui ci ucciderà…”

Tony si alzò, avvicinandosi alla giovane; doveva cercare di calmarla, se perdeva la lucidità che aveva mantenuto fino a quel momento avrebbe perso tutte le sue difese. Le prese il volto con entrambe le mani, inducendola a guardarlo negli occhi.

“Etta, tranquilla. Ho fiducia nel Dottore, troverà il modo di tirarci fuori di qui. Ma intanto che aspettiamo dobbiamo stare calmi, ok?” domandò. Etta era ancora agitata, ma annuì, senza togliere gli occhi dai suoi. Il ragazzo sospirò e la strinse. Dovevano sostenersi a vicenda, se volevano sopravvivere.

Senza mollarla, si sedette nuovamente sul davanzale e tornò a guardare Central Park in lontananza.

“Vedere Central Park cementificato mette una tristezza assurda…” commentò, cercando di cambiare argomento per mantenere un minimo di lucidità.

“Prima dell’invasione, mamma e papà mi ci hanno portato spesso. Mi piaceva correre sull’erba, era la cosa più bella del mondo per me…” disse la giovane, guardando anche lei fuori dalla finestra.

“Quando la guerra finirà, voglio prendere una casa in campagna. I miei figli devono avere la possibilità che non ho potuto avere io di crescere in mezzo al verde…” continuò l’altro, soprappensiero. Henrietta si girò nuovamente verso di lui, senza dire nulla; Tony sospirò, guardandola sconfortato “Sempre se questa guerra finirà mai…” concluse.

“Io non ho mai pensato davvero al futuro. Combatto praticamente da sempre, il mio unico pensiero è sempre stato solo sopravvivere.” si giustificò lei. Tony annuì e la strinse ancora, riprendendo a parlare.

“Dobbiamo sopravvivere tutti, e la speranza aiuta a farlo. La mia speranza per il futuro è quello di riuscire a vivere in pace, crearmi una famiglia ed avere dei figli. Mi piacerebbe una femmina, sai?”

“Una femmina? Come mai?”

“Non lo so… le femmine sono generalmente più tranquille… non tutte, ma in genere lo sono.” rispose, sovrappensiero “Mi piacerebbe chiamarla River… River Song.”

“E’ un bel nome. Il canto del fiume. Indica grazia e forza, allo stesso tempo.” sorrise Etta. Tony annuì e le tirò indietro una ciocca di capelli che le cadeva sulla fronte, quindi tornò a guardarla negli occhi.

“Ora stiamo calmi e aspettiamo, ok, biondina?” domandò; Henrietta annuì e Tony la strinse ancora. Era più tranquilla. Senza dire altro le sfiorò le labbra con le proprie.

Etta chiuse gli occhi e lo lasciò fare. Si sentiva al sicuro, di nuovo, e aver vicino il suo amico la rilassava.

Tony approfondì. Fu un gesto istintivo, e altrettanto istintiva fu la risposta della ragazza. Sentirono l’energia passare attraverso di loro; era potente, quasi una droga. Il battito dei loro cuori si sincronizzò, la respirazione rallentò e tutto sparì attorno a loro.

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Capitolo 42
*** 42 ***


Olivia si fece avanti, affiancando il compagno, abbassando l’arma. Chi diavolo era quella donna? Perché aveva chiamato Peter in quel modo?

“Scusa, tu chi saresti? Come hai fatto ad arrivare qui?” la aggredì, nervosa. Non le piaceva che una sconosciuta usasse certi nomignoli sul suo compagno.

“Lei si chiama River Song. L’ho conosciuta un po’ di tempo fa. È una viaggiatrice del tempo.” rispose il Dottore, cercando di mantenere la calma. L’ultima volta che l’aveva incontrata avevano rischiato di finire divorati dalle ombre, e la sua compagna di viaggio, Donna, era stata inglobata in un computer.

Olivia squadrò la donna, ostile. River sorrise e si avvicinò.

“Stai tranquilla, non ho intenzione di rubarti il tuo uomo, anche se… me lo ricordavo più grasso.” la rassicurò, squadrando poi l’uomo da capo a piedi. Peter sospirò e fissò Walter, che stava in disparte, protetto dal resto dei ribelli, i quali erano ancora tesi, con le armi puntate contro la donna.

“Va bene, abbiamo fatto le presentazioni!” li interruppe il Dottore “Ora, River, dicci che cosa sai della cattura di Henrietta e Tony.”

River sospirò. Doveva pesare bene le parole, prima di parlare. Se avesse detto troppo avrebbe potuto cambiare irrimediabilmente il futuro di tutti quanti, compreso il suo.

“So che li hanno catturati gli Osservatori e che li tengono prigionieri in una stanza del cinquantacinquesimo piano del One World Trade Center. Se incontrano il Grande Capo degli Invasori saranno cavoli amari, perché li ucciderà.” rispose la donna.

“Troppo tardi anche per questo, River. Hanno già incontrato anche il Grande Capo. Sappiamo chi è.” la informò il Dottore, serio.

“Dannazione, io…” imprecò la donna, ma non fece in tempo a completare la frase che Peter fece un passo verso Jack, gli afferrò il braccio e, puntando il cacciavite sonico cedutogli dal Dottore, lo impostò e, senza preavviso, entrambi gli uomini scomparvero.

“Ecco, lo sapevo…” si lamentò il Dottore “Ora anche Peter e Jack si metteranno nei guai!”

Intanto Etta e Tony erano ancora fermi vicino alla finestra, in silenzio, in attesa di qualunque cosa fosse successa.

Improvvisamente sentirono della confusione nei corridoi. Etta si allontanò di un passo da Tony e fissò la porta, incerta su cosa fare. Il ragazzo si tirò su, mettendosi sulla difensiva, pronto a reagire a qualunque cosa fosse successa.

Improvvisamente la porta si spalancò. Tony si gettò addosso alla prima persona che entrò nella stanza, cercando di metterlo al tappeto, ma venne bloccato e messo al tappeto dal secondo uomo che entrò.

“Papà! Jack!” esclamò la ragazza, correndo loro incontro, mentre Jack si tirava su, tenendo ben fermo Tony.

“Abbiamo ricevuto il vostro messaggio e siamo venuti a prendervi.” spiegò Bishop “Dobbiamo fare in fretta ora. Jack, attiva il teletrasporto!” ordinò.

“Il teletrasporto è inutile al momento, Peter! Lo hai scaricato con il tuo colpo di testa! Dovremo aspettare un bel po’ prima di poterlo riutilizzare.”

L’altro sospirò e uscì di corsa dalla stanza, con la pistola in una mano e il cacciavite sonico nell’altra. Dovevano uscire dall’edificio più in fretta che potevano e dileguarsi nelle vie di Manhattan, in attesa che il teletrasporto fosse di nuovo carico.

Gli altri tre lo seguirono senza fiatare. Anche Jack prese in mano la sua pistola, passando quella di riserva a Tony, in modo da potersi proteggere meglio.

Presero una rampa di scale e scesero di qualche piano, finchè non si trovarono la strada sbarrata da un gruppo di guardie lealiste, richiamate dall’allarme che era scattato poco prima.

Si infilarono nella prima porta, correndo lungo i corridoi del piano, in cerca di un’altra via di fuga.

Ben presto si resero conto di essere circondati. Peter si fermò, guardando uno per uno i lealisti che erano sopraggiunti e che sbarravano loro ogni via di fuga.

Nessuno di loro abbassò le armi, né i lealisti né i fuggiaschi; improvvisamente, in risposta a qualche segnale, il muro di Lealisti si aprì, facendo passare Windmark e Henry Bishop.

Peter abbassò l’arma, fissando negli occhi l’uomo che sapeva essere suo figlio. C’era odio in quello sguardo… e follia.

Si rese conto che doveva fermarlo con tutti i mezzi necessari, mettere da parte i legami di sangue e fare qualunque cosa per fermare quell’uomo. Alzò di nuovo l’arma e la puntò contro l’uomo, ma esitava. Henry era suo figlio, e il suo cervello stava facendo a botte con il suo cuore.

I due si guardarono a lungo, studiandosi a vicenda, poi si sentì un suono simile a quello di una sveglia elettronica, Jack guardò il suo dispositivo di trasporto, lanciò uno sguardo ai due giovani, che subito si aggrapparono alla sua spalla, quindi afferrò la spalla di Peter e insieme si smaterializzarono.

Si rimaterializzarono a Boston, a pochi chilometri dall’università.

Peter si guardò intorno, confuso: non si aspettava di venire teletrasportato in quel momento, e ritrovarsi in un posto completamente diverso nel giro di pochi secondi lo aveva destabilizzato. Jack gli diede una pacca sulla spalla e fece strada verso la loro base.

Dopo un po’ rientrarono al laboratorio. Erano ancora tutti raccolti attorno a River, e quando i quattro entrarono, la donna si alzò e fissò i due ragazzi, con un sorriso indecifrabile in volto.

I due giovani la fissarono confusi, indecisi su cosa fare, cercando con lo sguardo un aiuto dal resto del gruppo. Nessuno degli altri sembrava sapere cosa stesse per succedere, e li fissarono in attesa.

River, improvvisamente, abbracciò Henrietta, quindi si avvicinò e le parlò, tenendole le mani.

“Sono così felice di vedervi sani e salvi…” confessò.

Etta la fissò per qualche secondo, poi si voltò verso il Dottore.

“Nonno, chi è lei?” domandò.

“Una mia conoscente. Viaggia nel tempo. Si chiama River Song.” rispose l’alieno.

La giovane annuì, voltandosi contemporaneamente verso Tony, il quale era stato appena abbracciato da River.

La sua espressione era indecifrabile, così come quella della donna.

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Capitolo 43
*** 43 ***


Appena fu ristabilita la calma, il Dottore fece una breve riunione di famiglia, per conoscere i dettagli della prigionia dei due giovani.

La riunione non durò a lungo, quindi furono presto liberi di tornare ai propri compiti.

Olivia era seduta sul divano, accanto al TARDIS, e si carezzava la pancia, ormai visibile dopo qualche giorno dall’inizio della somministrazione del Cortexiphan. Certo, il tutto stava accelerando la gravidanza, e avrebbe permesso al bambino e a lei stessa di superare il momento del parto, ma la stava sfiancando, e inoltre non poteva rendersi utile in nessun modo.

Lincoln si sedette accanto a lei, porgendole una tazza di tè. La donna la prese e ne sorseggiò un po’, prima di risistemarsi con aria stanca e poggiare la testa sulla spalla del marito.

“Tesoro, stai bene?” le domandò preoccupato, tirandole indietro i capelli.

“Sì, Tyrone… ho solo un po’ di mal di testa…” rispose la donna, chiudendo gli occhi.

“Mal di testa? Chiamo Walter? Magari può darti qualcosa…” continuò l’uomo, preoccupato per la salute della moglie.

“No, davvero… ora passa…” si lamentò lei, adagiandosi meglio sulla spalla del compagno. Lincoln la strinse, preoccupato, ma non disse altro.

Olivia, intanto, aveva assistito da lontano alla conversazione tra i due coniugi, e vedendo che la sua doppia era particolarmente pallida, decise di avvicinarsi per vedere come stava.

“Olivia, è tutto a posto? Hai bisogno di qualcosa?” chiese, premurosa.

“Dice che ha mal di testa.” rispose Lincoln, continuando a stringere la moglie.

Olivia si inchinò davanti a loro, guardando l’altra Olivia in volto. Effettivamente non se la stava passando benissimo.

“Deve essere un effetto collaterale del Cortexiphan.” spiegò “Ricordo che anche a me era venuta una forte emicrania, i primi tempi. Cerca di stare tranquilla, ok? Ormai manca poco.”

La donna annuì, carezzandosi la pancia con aria stanca. L’altra sorrise e si rivolse a Lincoln, alzandosi nuovamente in piedi.

“Stai con tua moglie, Linc, non preoccuparti di altro per il momento. siamo in tanti, ci divideremo il lavoro, non cadrà il mondo se tu per qualche giorno non fai la tua parte. Hai cose più importanti di cui occuparti.”

Lincoln annuì e la guardò allontanarsi, continuando a tenere stretta la moglie.

“Tyrone, piantala di radiografarmi da magra!” esclamò, scherzosa, la donna.

Lincoln sorrise divertito, posandole un bacio sulla fronte.

Intanto Tony stava aiutando alcuni commilitoni a fare ordine nel magazzino della Resistenza.

Mentre trasportava delle scatole all’interno del locale scelto per lo scopo, vide uscire nei corridoi nei pressi del laboratorio River Song.

Quella donna era un vero mistero per tutti quanti, compreso il Dottore, che sapeva solo che era una viaggiatrice del tempo e proveniva da qualche punto del futuro. Quale punto non era dato saperlo, e sul futuro delle persone che lei conosceva era particolarmente criptica; ma Tony aveva un sospetto, e aveva bisogno di conferme. Decise che doveva parlare a quattrocchi con lei e doveva avere delle risposte chiare.

Dopo aver depositato gli scatoloni al loro posto, uscì dal magazzino e raggiunse la donna, che era seduta su una delle panche del corridoio.

La fissò per qualche secondo, quindi si sedette accanto a lei, respirando profondamente.

“River… vorrei chiederti una cosa.” esordì.

“Se stai per chiedermi quale sarà il tuo futuro, ti dirò ciò che ho detto agli altri: spoiler.” Lo interruppe la donna, sorridendo e guardandolo negli occhi.

“No, non è questo. O almeno non direttamente.” spiegò l’altro, cercando di trovare le parole giuste per chiederle ciò che aveva in mente. River annuì, incoraggiandolo a parlare, quindi Tony continuò “Metterò su famiglia, prima o poi?”

“Spoiler!” esclamò l’altra, prima ancora che Tony terminasse la domanda. Il giovane sospirò, cercando di riformulare la domanda.

“Io ho solo 26 anni, però ho sempre pensato che prima o poi mi sarei sposato e avrei messo su famiglia, come hanno fatto i miei genitori e mia sorella… quello che mi chiedo è: accadrà?”

“Spoiler!” ripetè River, sorridendo.

“Ok… riformulo…” sospirò, esasperato “A me piacerebbe avere una figlia femmina… ho già scelto il nome, sai?”

La donna si voltò verso di lui, sorpresa.

“Davvero? Questo non lo sapevo…” commentò “non me l’hai…” continuò, ma si bloccò di nuovo: non voleva dire troppo.

“Tuo padre non ti ha mai detto di aver scelto quel nome molto tempo prima che tu nascessi, vero, River?” domandò, cogliendo l’occasione, grazie alla sorpresa della bionda. Attese qualche secondo, per far riprendere lucidità alla donna, quindi continuò “Non ti chiedo altro, solo… sarò un buon padre?”

River annuì, guardando lontano, di fronte a sé.

“Un buon padre e un buon compagno per mia madre. Da quando mi ricordo io, siete sempre stati molto uniti.”

Tony sorrise e si alzò nuovamente. Aveva avuto le sue risposte.

Salutò la donna e andò alla camera che condivideva con Henrietta. La ragazza stava sistemando uno dei due letti che erano stati portati lì dalla zona alloggi del campus, apposta per loro. Quando lo vide entrare gli sorrise, avvicinandosi.

“Tutto bene, Tony?” domandò. Tony annuì, sospirando. Si avvicinò a lei e la guardò negli occhi.

“River è mia figlia… me l’ha confermato lei.” confessò.

“Oh…” commentò Etta, passandogli amichevolmente una mano sul braccio “Come ti senti?”

“E’… strano, o meglio, paradossale: avrà dieci anni più di me…”

“Proviene dal futuro, è normale. Non la trovo una cosa poi così strana. Ti ha detto nulla della madre?”

“Non gliel’ho chiesto. Non voglio rovinarmi la sorpresa. Quando sarà il momento lo saprò.” disse il giovane, passandole una mano nei capelli.

La ragazza restò in silenzio e sorrise. Tony si avvicinò di mezzo passo, continuando a passarle la mano sui capelli. In quei giorni di prigionia si erano sostenuti a vicenda, e la loro amicizia era diventata più forte. Avevano creato dei piccoli rituali, per farsi forza, ed erano riusciti a restare uniti, grazie a questo.

Il giovane le posò un bacio sulla fronte, affettuosamente, e la strinse. Stava bene con lei, forse perché erano coetanei, ed entrambi erano figli di due mondi.

Etta lo lasciò fare, gli passò le braccia attorno alle spalle e lo fissò negli occhi. Tony vi si perse per un tempo che sembrò eterno. Anche la ragazza si perse nello sguardo dell’amico.

Nessuno dei due parlò. Il tempo sembrò fermarsi.

Quando ritrovarono la ragione si stavano baciando, ma nessuno dei due osò interrompere quel momento.

Avevano bisogno l’uno dell’altra.

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Capitolo 44
*** 44 ***


La mattina seguente, la vita ad Harvard tornò alla normalità.

La Rossa era vicina al parto, grazie al Cortexiphan, e Lincoln le stava vicino il più possibile.

Il Dottore, per tenerla al sicuro, l’aveva fatta trasferire all’interno del TARDIS, dove avrebbe trovato tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno. L’altra Olivia le faceva compagnia, ogni tanto, cercando di distrarla dagli effetti collaterali della sostanza che le era stata iniettata, soprattutto nei momenti in cui Lincoln si assentava.

Intanto, all’esterno, Charlie stava controllando una mappa olografica della Freedom Tower. Accanto a lui, River apportava delle modifiche alla stessa, colmando i vuoti lasciati dalle descrizioni fatte da Tony, Henrietta, Peter e Jack, gli unici che, al momento, erano riusciti a entrare.

“Come sarebbe che non ci sono vie d’accesso all’ultimo piano che non siano sorvegliate da meno di due Lealisti?” domandò l’uomo fissando l’ologramma “E’ impossibile, non possono avere così tante guardie! Ci saranno almeno una decina di punti di accesso, tra ascensori e scale antincendio!”

“Dolcezza, credimi, è così.” rispose la riccia, sorridendo “Credi davvero che la fuga di Tony e Etta non abbia allarmato gli Osservatori? Senza contare che il loro capo li ha incontrati.”

Charlie sospirò e dovette ammettere che la donna aveva ragione. Inoltre ci sarebbero sicuramente state delle trappole, per impedire loro di entrare, e doveva tenerne conto.

Peter si avvicinò, tenendo una tazza di tè fra le mani, per osservare i progressi. Prese una matita e indicò l’ultimo piano dell’ologramma.

“Su questo piano cosa c’è?” domandò.

“Quello… in teoria dovrebbe essere l’ufficio di Henry. In pratica non so esattamente come è fatto, non sono mai riuscita ad arrivare fin lassù.” commentò River.

Peter annuì, fissando l’ologramma, concentrato, mentre la donna giocherellava con una piccola moneta d’argento, facendola girare sulle mani e sparire a piacimento, con piccoli giochi di prestigio. L’uomo venne attirato da quelle manipolazioni e le osservò per qualche minuto, prima di afferrare la moneta e analizzarla attentamente.

“Mezzo dollaro d’argento. Sembra pure vecchia…” disse, rigirandosela e facendo gli stessi giochi che faceva la riccia poco prima “dove l’hai trovata?”

“E’ un cimelio di famiglia. Apparteneva a mio nonno. Mi ha anche insegnato qualche gioco di prestigio quando ero bambina.”

Peter bloccò la mano, alzando gli occhi sul viso di River, sorpreso e confuso allo stesso tempo.

“Come si chiamava tuo nonno?” chiese.

“Entrambi i miei nonni avevano lo stesso nome, ma è spoiler, mi dispiace.” rispose, cripticamente, River.

L’uomo sospirò. Già i giorni precedenti aveva ripetuto più di una volta a tutti coloro che le facevano una qualsiasi domanda per il futuro quella parola: spoiler. Era frustrante non avere risposte complete; si guardò intorno, osservando gli altri ribelli, indaffarati nei loro compiti. Lo sguardo si fermò sulla figlia, impegnata nell’immagazzinamento di alcune provviste, che in quel momento si stava concedendo una breve pausa in compagnia del fratello di Rose. I due ragazzi sembravano essersi legati molto nel periodo di prigionia; osservò quel gioco di sguardi e i movimenti dei due. A Peter sembrò di vedere sé stesso e Olivia anni prima, prima che lui conoscesse la verità sulla sua provenienza, prima di Jacksonville. Sorrise tra sé quando Jack si avvicinò e li divise, con la scusa di far portare a Tony uno scatolone nel magazzino, e si ritrovò a pensare a come erano cresciuti i due ragazzi.

Due figli dei due mondi, con un genitore di un lato e uno dell’altro, cresciuti in un mondo in guerra, dove hanno dovuto imparare a sopravvivere. Si chiese che tipi fossero i genitori di Tony, ma dalle descrizioni di John e Rose aveva capito che la madre doveva essere stata una donna forte, così come il padre doveva essere un uomo forte, Peter Tyler, uno dei capi della Resistenza inglese.

La mente di Peter prese a lavorare vorticosamente, appena focalizzò il nome del padre di Tony. Spalancò gli occhi e tornò a fissare la riccia di fronte a lui. le sue parole rimbombarono nella sua testa: i miei due nonni avevano lo stesso nome. Senza dire una parola allungò la mano e la poggiò sulla guancia di River, in una leggera carezza.

La donna non si mosse, fece un leggero sorriso e lasciò che la mano dell’uomo sfiorasse la sua guancia.

“Tu…” sussurrò Peter, guardandola negli occhi “hai detto che i tuoi nonni… non può essere… tu sei…”

Non fece in tempo a metter voce ai suoi pensieri che Olivia corse fuori dal TARDIS, guardandosi intorno, preoccupata e allarmata, quindi la bionda corse verso Lincoln e gli disse qualche parola in privato.

Subito l’uomo corse nella cabina, trafelato, mentre Olivia si avvicinava a Peter, preoccupata.

“Peter, dov’è tuo padre?” domandò “C’è bisogno di lui nel TARDIS: il bambino di Olivia sta per nascere.”

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Capitolo 45
*** 45 ***


Lincoln si diresse trafelato verso la stanza del TARDIS in cui stava sua moglie.

Era preoccupato sia per Olivia, che per il bambino; rischiava di perderli entrambi da un momento all'altro a causa della VPE. Nonostante le rassicurazioni della donna, aveva comunque paura.

Entrò nella stanza di corsa, fermandosi vicino al letto su cui era stesa la moglie.

"Tesoro... Olivia mi ha detto tutto. Come ti senti?" domandò, preoccupato.

Olivia sembrava tranquilla. Si carezzava la pancia, respirando profondamente; si voltò verso il compagno e gli sorrise.

"Sto bene, Tyrone... il bambino sta per nascere." sussurrò. Era visibilmente affaticata, ma non voleva che il marito si preoccupasse.

Lincoln le carezzò i capelli, posandole un bacio sulla fronte, quindi si sedette sul letto, facendola sistemare meglio per farla stare più comoda.

"Andrà tutto bene." la rassicurò "Olivia è andata a cercare Walter. Tra poco saranno qui, tieni duro."

La donna annuì, guardandolo in volto. Le tornarono alla mente le immagini di un ricordo lontano, mai realmente avvenuto, ma che era parte della sua vita.

"L'altra volta c'eri anche tu." sussurrò.

"Quando? Di che parli?" chiese l'uomo, confuso.

"Quando è nato Henry. C'eri anche tu."

"Olivia... non è possibile..."

"In realtà non eri tu, ma l'altro Lincoln... lui mi ha detto..." si bloccò, ripensando a quei terribili momenti nel quartiere cinese. Era presente anche il suo migliore amico, la teneva tra le braccia mentre lei dava alla luce il suo bambino; non la mollava, e la incitava a tenere duro. Lei si aggrappava a lui, alle sue parole, cercando di mantenere un po' di lucidità. Ad un certo punto, però, aveva perso i sensi, le parole di Lincoln parevano lontane, ma nella poca lucidità di quel momento le era sembrato di sentire tre parole.

Tornò a guardare il marito, l'altro Lincoln, così simile, eppure così diverso dal suo migliore amico, morto per mano di un terrorista.

Il suo migliore amico la amava, glielo aveva detto quel giorno, ma lei non ricambiava, era solo un amico, nient'altro.

"Lui mi amava... me lo ha detto quel giorno..." confessò "Ma io non..." non fece in tempo a completare la frase che una contrazione le mozzò il fiato.Lincoln la strinse rassicurante, era l'unica cosa che poteva fare, almeno finché non fosse arrivato Walter.

Olivia chiuse gli occhi, respirando lentamente e cercando di rilassarsi. La sua mente vagava, libera da ogni vincolo, riportando a galla ricordi passati.

Erano tutti momenti passati col suo Lincoln, dal momento in cui si erano incontrati al ponte quel giorno di 25 anni prima, quando lui aveva quell'adorabile aria da pesce fuor d'acqua, fino alla chiusura del ponte stesso, quando lui aveva deciso di restare con lei, e poi i momenti passati insieme dopo.

Uno, in particolare, era ancora nitido nella sua mente.

Era una bella giornata di marzo, e da qualche settimana non c'erano stati Eventi Fringe; era il loro giorno libero, così avevano deciso di uscire, approfittando del pomeriggio di sole, dopo tre giorni ininterrotti di pioggia.

Camminavano mano nella mano lungo Broadway, fermandosi a guardare vetrine e le locandine degli spettacoli dei vari teatri della via. Stavano insieme da un anno e convivevano da due, era una giornata come ne avevano passate tante.

Si fermarono in un bar, sedendosi su uno dei tavolini disposti all'aperto e ordinando due bibite fresche.

Mentre aspettavano le ordinazioni, Olivia ascoltava i racconti del compagno riguardanti la vita nell'altro universo. Le piaceva ascoltare i suoi racconti, e sapeva che per lui era un modo per non sentirne troppo la mancanza, quindi lo lasciava parlare, senza interromperlo.

Lincoln le teneva delicatamente la mano, guardandola negli occhi, quando una coppia con un bambino di circa un anno passò accanto a loro. Il piccolo camminava da solo, di fronte ai suoi genitori, traballò e cadde proprio accanto a Olivia; la donna fu pronta subito a prenderlo al volo e lo restituì alla madre, prima di tornare a sedersi al suo posto. Si accorse subito che lo sguardo dell'uomo era cambiato, come avesse avuto una rivelazione improvvisa.

"Tutto bene, Tyrone?" domandò, usando il suo secondo nome, come ormai era abituata a chiamarlo quando erano soli.

L'uomo scoppiò improvvisamente a ridere. Rideva di gusto, come non lo aveva mai sentito.

"Tyrone? Che succede? Che hai?" domandò la donna, stranita.

Lee fece un respiro profondo, cercando di riprendere il controllo delle proprie azioni.

"Quanto dura la luna di miele da questo lato, Liv?" domandò, incuriosito, scrutandola da dietro i suoi occhiali, con il sorriso sulle labbra. La Rossa lo fissò allibita, senza rispondere, quindi Lincoln si affrettò a specificare "È per curiosità... volevo sapere quanto tempo saremmo stati via per il viaggio di nozze."

Olivia arrossì, sorridendo e abbassando lo sguardo sulle loro mani intrecciate sopra il tavolo.

"Mi... mi stai chiedendo quello che penso?" domandò.

"Livvy, una volta una persona mi disse che la propria casa è dove si trova il cuore, ed è in giornate come queste, in cui passo il tempo libero con te, che mi rendo conto di quanto avesse avuto ragione. Per questo io ti chiedo, vuoi..."

Non riuscì a completare la frase: il bambino che poco prima Olivia aveva aiutato a rimettersi in piedi fece un urlò.

Senza pensarci due volte, entrambi si alzarono, pronti a reagire. Si voltarono nella direzione in cui avevano sentito il bambino e restarono stupiti dallo spettacolo che avevano davanti: un luminoso arcobaleno era comparso in direzione dell'Empire State Building, tra i dirigibili attraccati.

Olivia rimase a guardarlo per lunghi minuti: erano anni che non vedeva un arcobaleno nel suo mondo.

Lincoln sorrise, passandole dolcemente un braccio attorno ai fianchi e le posò un bacio sulla tempia.

"Sposami, Rossa" le sussurrò, dolcemente, all'orecchio. La donna restò in silenzio e si strinse al compagno, continuando a guardare l'arcobaleno.

Una contrazione la riportò alla realtà.

"Questa era più vicina..."sussurrò, appena il suo respiro tornò ad essere regolare. Lincoln la strinse, preoccupato, senza dire nulla.

In quel momento l'altra Olivia rientrò, accompagnata da suo nipote Eddie e da Astrid, che reggevano Walter, il quale sembrava tutto fuori che lucido.

"Okay, lo abbiamo trovato." disse la bionda, avvicinandosi al letto "c'è solo un problema: ha assunto qualche stupefacente trovato in giro per l'edificio, per cui non è in grado di fare nulla ora."

La partoriente ascoltò in silenzio,quindi il suo sguardo passò dal suo doppio, a Walter, al marito, per poi tornare su Olivia. Annuì.

"Mi fido di te, Olivia." disse.

Nel frattempo, all'esterno la voce dell'imminente parto della Rossa era girata, ed erano tutti in trepidante attesa, nonostante cercassero di mantenere un certo controllo e continuassero ad eseguire i loro compiti.

Rose camminava per la stanza, cullando il suo bambino, il quale si guardava intorno incuriosito;aveva capito anche lui che stava per succedere qualcosa.

River si avvicinò e fece una carezza al bambino, il quale le afferrò la mano e la esaminò con cura e curiosità. Rose sospirò e la guardò negli occhi.

"John dice che vi siete già incontrati una volta." esordì la bionda.

"Se il Dottore lo ha detto, allora devi credergli." rispose l'altra, sorridendo e continuando a guardare il piccolo Peter.

"Starà bene Olivia? Lo so che non vuoi rispondere alle domande sul futuro, ma Olivia è una mia amica..."

"Staranno bene sia lei, sia il piccolo Lincoln Oliver." la rassicurò, prima di guardarsi intorno, cercando qualcuno "Per caso sai dov'è tuo fratello?"

"Credo sia in giro con Etta. Passano molto tempo insieme, ultimamente. Perché?"

"Semplice curiosità... tuo fratello sarà un uomo importante nella mia vita, quindi se gli succedesse qualcosa sarebbe un disastro."

"Un uomo importante? In che senso?"

"Spoiler!" esclamò la riccia, prima di allontanarsi nuovamente.

I due ragazzi, nel frattempo, erano usciti nel cortile dell'università. Erano i primi giorni di gennaio del 2037, e l'aria era fredda e pungente.

Henrietta camminava, stretta nel suo cappotto, mentre Tony le stava accanto, in silenzio. La giovane era pensierosa e preoccupata.

"Qualcosa ti preoccupa, biondina?" chiese il giovane, passandole un braccio attorno ai fianchi.

"Sono solo preoccupata per Olivia. È stata una seconda madre per me, dopo che la mamma ha deciso di rinchiudersi nell'Ambra..." confessò la giovane.

Tony la strinse rassicurante, baciandole la tempia.

"Andrà bene,vedrai. Se la caveranno entrambi."

Etta sorrise, stringendosi al compagno. Il ragazzo la abbracciò meglio, e restarono in quella posizione per qualche minuto, finché non sentirono qualcuno avvicinarsi alle loro spalle; si voltarono e si trovarono di fronte il vecchio Charlie.

"Signore? Tutto bene? Hai bisogno di me?" chiese Tony, allontanandosi leggermente da Etta.

"Tranquillo, Tony, tutto bene. Solo fossi in te non mi farei vedere così vicino a Henrietta in presenza di Jack. Sai quanto è geloso." rispose l'altro "Comunque sono venuto ad avvisarvi che è appena nato il bambino di Olivia. Se volete potete andare a vederlo."

I due ragazzi si fissarono, poi Henrietta annuì e tornò nel vecchio laboratorio, seguita dai due uomini.

Entrarono insieme nel TARDIS. C'era silenzio; entrarono nella stanza della Rossa e si guardarono intorno.

Walter era seduto in un angolo, Henrietta dedusse che doveva essere completamente fatto, visto il modo in cui fissava il palmare di Eddie, collegato via wireless alla rete della Cabina Blu. Astrid e la madre di Etta erano indaffarate a rimettere in ordine attorno al letto, dove c'erano i coniugi Lee.

Olivia era stesa sul letto, tra le braccia stringeva un fagottino azzurro, e lo fissava attenta, ignorando tutto ciò che le succedeva intorno. Lincoln le carezzava i capelli, fissando anche lui il fagottino e sorridendo.

Henrietta si avvicinò ai due, in silenzio. Non voleva disturbare quel momento di intimità, ma nello stesso tempo voleva conoscere il nuovo membro della sua famiglia allargata. La neomamma alzò gli occhi e le fece cenno di avvicinarsi ancora; quando la giovane fu vicina, i due neogenitori si fissarono intensamente, quindi Lincoln prese il fagottino con delicatezza, si alzò dal letto e si avvicinò a Henrietta.

"È un maschio?" domandò la giovane, guardando il piccolo, addormentato tra le braccia del padre.

"Sì. Lincoln Oliver Lee. Vuoi prenderlo? In un certo senso è tuo fratello, è giusto che vi conosciate."

La giovane sorrise, guardando il bambino. Il piccolo aprì gli occhi, assonnato, fissandola corrucciato per qualche secondo. Aveva gli occhi chiari, non si capiva bene se erano quelli del padre o della madre. Gli diede un bacio sulla fronte.

"Benvenuto al mondo, fratellino." disse, prima di restituirlo a Lincoln e allontanarsi, affiancando Tony.

In quel momento entrarono nella stanza anche il Dottore e Peter. Quest'ultimo, appena entrò, lanciò un'occhiata al padre, ancora seduto nell'angolo, perso nei suoi pensieri, quindi si voltò verso la compagna.

"Ha passato il tempo a parlare di cibo." spiegò la bionda "E non era affatto concentrato. Per lo meno è stato tranquillo."

peter annuì e si voltò verso il letto. Il Dottore si era già fatto avanti e teneva in braccio il piccolo; sorrideva, e in quel momento sembrava più vecchio di quanto apparisse di solito. Forse erano tornati alla sua mente vecchi ricordi di 900 anni prima, quando aveva tenuto per la prima volta in braccio Olivia e Rachel; forse aveva appena realizzato di essere diventato nonno, e il peso degli anni che aveva sulle spalle si era fatto sentire.

Bishop li guardò a lungo. Era concentrato su di loro quando una voce gli sussurrò nella sua mente.

-Peter...- sussurrava -È quasi giunto il momento. Tieniti pronto.-

Alzò gli occhi, in trance, guardandosi intorno alla ricerca della fonte della voce, e il suo sguardo fu nuovamente catturato dall'orologio da taschino di Lincoln, che quest'ultimo, in quel momento, teneva tra le mani.

Tutti si accorsero del repentino cambio di espressione dell'uomo. Olivia e Etta gli si avvicinarono, guardandolo preoccupate, mentre il Dottore scambiava uno sguardo eloquente a Lincoln e, dopo aver restituito il bambino alla madre, si avvicinò al genero, facendolo sedere su una sedia vicino al letto.

"Credo che dobbiamo parlare." esordì "tutti quanti."

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