L'inferno degli dei di MAMMAESME (/viewuser.php?uid=187306)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Duomo di notte ***
Capitolo 2: *** E venne il nulla ***
Capitolo 3: *** Solo per quegli occhi ***
Capitolo 4: *** Tutto normale ***
Capitolo 5: *** Schegge di ricordi ***
Capitolo 6: *** Un'altra notte ***
Capitolo 7: *** Black holes and revelations ***
Capitolo 8: *** Incontro ***
Capitolo 9: *** Hotel California ***
Capitolo 10: *** Un bacio ***
Capitolo 11: *** Ora e per sempre ***
Capitolo 12: *** Spaccacuore ***
Capitolo 13: *** Tu ed io ***
Capitolo 14: *** Donne e motori ***
Capitolo 15: *** Risveglio ***
Capitolo 16: *** Father figure ***
Capitolo 17: *** Dreams ***
Capitolo 18: *** Streets of life ***
Capitolo 19: *** Ipotesi ***
Capitolo 20: *** Pausa ***
Capitolo 21: *** Resistance ***
Capitolo 22: *** Uprising ***
Capitolo 23: *** Time is running out ***
Capitolo 24: *** Paura ***
Capitolo 25: *** Il rito ***
Capitolo 26: *** L'ospite ***
Capitolo 27: *** In transito ***
Capitolo 28: *** Guiding light ***
Capitolo 29: *** Il bivio ***
Capitolo 30: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Il Duomo di notte ***
Premessa.
Io non so tessere trame complesse, non so intrecciare i fili dell’ordito con il filato che vi passa attraverso e disegnare con essi splendidi arazzi.
La mia storia è più un leggero filo di nylon dove infilare pensieri … emozioni … e qualche pezzetto di storie già viste, nomi conosciuti, parole già dette.
Ho mischiato tanti frammenti per formale una semplice collana: piccole conchiglie forate, perline colorate, perle preziose, ed un unico, scintillante diamante …
Il cuore di Damon.
Dedicato a tutte voi …
Ma un po’ di più a Vera.
La vostra Mammaesme.
Capitolo 1
IL DUOMO DI NOTTE
La nebbia di Milano mi penetrava nelle ossa. La piazza del Duomo, di notte, era semi deserta: solo qualche senzatetto, nascosto tra gli anfratti delle colonne esterne di quel monumento bianco come il ghiaccio, dormiva sonni di freddo coperto da miseri cartoni.
Mi guardai attorno, e con un balzo salii sulla terrazza sotto la Madonnina.
Ero tornato in Italia qualche tempo prima, seguendo l'eco di un nome latino. Mi ero fermato a Firenze un paio d'anni, ascoltando una lingua che mi portavo scritta in un D.N.A. di migranti lontani, a cercare qualcosa che non potevo trovare.
L'autunno e il freddo mi avevano spinto più a nord, in una città in cui l'anonimato era più facile ... dove tutti si mischiano a tutto per diventare una miscellanea di dialetti e nuovi idiomi.
Dall'alto della mia postazione la nebbia era meno fitta, un semplice velo che copriva le luci di vie mai del tutto addormentate.
Le valigie erano già pronte nella mia camera all'hotel Gallia, il biglietto per Washington appoggiato sulla scrivania, insieme ad una promessa fatta a mio fratello venticinque anni prima.
La bara con il corpo di Klaus era nel portabagagli del S.U.V. nero; io e Stefan avevamo progettato di seppellirla nel bel mezzo del nulla in un bosco del Kansans. Certo, l'idea di buttarlo nel bel mezzo dell'oceano Atlantico, magari proprio al centro del triangolo delle Bermuda, l'avrei preferita ... ma con i fratelli originali ancora in giro, era meglio tenersi della merce di scambio. Avevo barattato del tempo con Alaric: se noi avessimo sistemato Klaus, lui sarebbe andato alla ricerca di Kol. Avrebbe cominciato la sua missione contro i vampiri dal minore degli Originali, e con Klaus imbalsamato, noi avremmo avuto un po' di tempo: quanto … dipendeva dalla sua volontà di uccidere anche il nostro " originale" o di lasciarlo in uno stato di non morte, concedendo a noi di continuare ad esistere. Il tempo avrebbe pronunciato la sua sentenza.
Per il momento il patto avrebbe retto e la scomparsa del corpo di Klaus ci lasciava qualche margine: finchè Alaric non lo avesse trovato, la nostra linea di sangue sarebbe stata risparmiata.
Pronti per partire, ci dirigemmo a casa di Elena per aggiornarla sui nostri spostamenti e assicurarci che avesse preso tutte le precauzioni che le avevamo raccomandato.
Quando bussammo alla porta, venne ad aprirci un’Elena dal volto sfatto ... nere occhiaie sotto gli occhi arrossati.
- Stai bene? - domandò mio fratello.
- Che domanda del ... è ovvio che non sta bene! Cosa...? –
Quella faccia sconvolta non portava buone notizie di sicuro.
- Potete entrare un attimo? Non ci vorrà molto ... devo parlarvi. – mormorò.
Un brivido di puro terrore mi attraversò la spina dorsale: qualunque cosa stesse per dirci, non sarebbe stata una buona notizia.
Cedetti il passo a Stefan, che entrò per primo; io lo seguii, guardandomi alle spalle prima di chiudere la porta.
Elena ci fece accomodare in soggiorno: noi sul divano e lei seduta sul tavolino di fronte.
- Dobbiamo andare prima che qualcuno indovini le nostre mosse: nessuno degli originali è nei paraggi e Alaric è chissà dove. Dobbiamo portare la bara di Klaus al sicuro... - le spiegai in tono leggermente impaziente.
C'erano cose da fare … piani da attuare per la sua sicurezza ... per la sua sopravvivenza.
- Damon ... è importante. Io ... io vi devo ... io devo lasciarvi liberi ...- disse guardandosi nervosa le mani.
- Liberi da cosa? - chiese sorpreso Stefan.
Io cominciai ad avere un pessimopresentimento:la sua voce, il suo tono roco, da pianto trattenuto, erano i segnali di un addio.
L'impazienza di prima si stava trasformando in ansia.
- Liberi da me ... liberi di rifarvi una vita lontano da qui ... liberi di non amarmi più ... di non dover badare oltre alla mia incolumità. –
Ecco la stoccata ...
Ecco la pugnalata ...
- Che cosa stai blaterando? Hai preso forse una dose eccessiva di Prozac per dormire ieri sera? Stai vaneggiando, dici cose assurde. Ascoltami bene: noi adesso andiamo a parcheggiare la salma a fanculandia, poi torniamo e cerchiamo studiare una via d'uscita a questo incubo. Bonnie dovrà fare i compiti a case e ... -.
Vomitavo parole per non sentire il dolore, inevitabile epilogo di una tale premessa.
Lei ci stava lasciano ... lei mi stava allontanando.
Lei, lo scopo della mia esistenza negli ultimi due anni ... dell'intero futuro immaginabile.
- Damon, lasciami parlare: accantona i problemi per un attimo, li ritroverai ad aspettarti tra cinque minuti. Io devo parlare, vi devo spiegare: vi amo troppo per continuare a lasciarvi in sospeso, per non restituirvi la possibilità di andare oltre ... oltre Mystic Falls. Oltre l'attesa. Oltre me. –
Una lacrima rotolò lenta sulla sua guancia, cadendo sulle dita che aveva intrecciate in grembo, ma la sua voce rimase ferma.
Stefan tentò di obiettare, ma lei lo zittì scuotendo la testa.
- Vi amo. Vi amo entrambi per motivi diametralmente opposti. Vi amo per come mi amate. Vi amo per quello che siete. Il mio cuore non è spaccato in due, al contrario: nel mio petto è come se ne battessero due ... come se in me ci fossero due ragazze pazzamente innamorate di due persone meravigliose. –
Deglutì e si voltò a guardare mio fratello impietrito.
- Stefan, come potrei mai vivere senza la tua dolcezza, senza la tua indulgenza, il calore dei tuoi abbracci, la certezza della tua comprensione: tu mi capisci e mi accetti come nessun altro sa fare. Anche nel tuo periodo più nero hai capito le mie ragioni, hai accettato le mie decisioni... hai avuto bisogno di me! E tu non puoi immaginare quanto riempia la vita sapere che sei importante per la salvezza di qualcuno ... sapere di essere l'àncora di salvezza per chi sta andando alla deriva, il faro per chi si è perso. Ricolma la vita di significato ... dà ai tuoi giorni uno scopo. Tu eri il mio rifugio ma, più importante, riportarti alla luce era la mia sfida. ... lo scopo che ha riempito di significato la mia esistenza, altrimenti colma di vuoti. –
Gli occhi di mio fratello si riempirono di lacrime, vagando nel ricordo della sua perdizione, agganciandosi allo sguardo tristemente sorridente che Elena gli stava regalando.
- Damon ... - accennò, ma la zittii subito.
- Stai zitta. Non dire una parola di più ... non voglio sentire, non voglio ascoltare... -
Nella mia testa ronzavano le parole “innamorata pazza” ...
Innamorata? Di me? Mi stava confessando che una parte di lei aveva ammesso di amarmi, aveva accettato di amarmi e ... Finiva tutto lì ?
- Damon, ti prego ... -
- Ti prego io! –risposi con una rabbia che stava sfondando gli argini della mia pazienza.
- Ci stai cacciando, ci stai dicendo che non ci vuoi più nella tua vita, che dobbiamo lasciarti ... che dobbiamo andarcene da casa nostra … e vorresti addolcirmi la pillola raccontandomi di sentimenti mai espressi, di un amore mai confessato ... che mi ami?! Quanto mi ami, io posso solo immaginarlo o illudermi di saperlo. ... ma sentirtelo dire un minuto prima di non vederti mai più non lo posso tollerare. Tieniti la tua coscienza sporca ... io mi terrò i miei dubbi e li butterò fuori dal finestrino non appena sarò abbastanza lontano da qui. –
- Damon ... non posso scegliere... egoisticamente non posso spezzarmi e non voglio spezzare voi due... Se scegliessi uno, l'altro ne sarebbe distrutto ... Io sarei distrutta! Non sono Katherine per “godervi” entrambi o per oscillare come un pendolo a seconda della stagione. Siamo perfetti insieme, ma insieme non possiamo stare ... a questo punto meglio separati, che uniti a soffrire ... –
- Hai pensato a tutto vero ... ? Bene, se è questo che vuoi ... eccoti il mio cellulare ... - dissi lanciando il mio smartphone ai suoi piedi ... - Cancella il mio recapito dalla tua memoria ... dalla tua rubrica ... Dal tuo cuore. –
Ero completamente accecato della furia che nascondeva il mio dolore.
Stefan mi prese per le spalle con gli occhi ancora colmi di quell'acqua salata che non si decideva a scendere.
- Calmati, se lei vuole così, dobbiamo rispettare la sua scelta. Solo mi domando …- disse rivolgendosi ad Elena - Chi ti proteggerà? Chi verrà in tuo aiuto? Elijah e Rebekah non rimarranno lontani a lungo, Kol non è detto che sarà catturato e anche quando Alaric tornerà ... –
- Finche tutti gli originali non saranno morti io sarò al sicuro. Poi, se e quando … ci penserò. Nel frattempo Bonnie studierà qualcosa, interrogherà le streghe e cercherà di capire come combattere Esther nell'aldilà. Sarò al sicuro ... –
Lei al sicuro non lo sarebbe mai stata, nemmeno se rinchiusa in una buca profonda mille metri in un'isola deserta nel bel mezzo dell'oceano Pacifico: la sfortuna, la magia, l'occulto l'avrebbero trovata anche in capo al mondo.
- Elena, sei sicura? - Insistette Stefan.
- Sicura di cosa? Sicura di non volerci intorno. Sicura di liquidarci come stracci vecchi da mandare al macero: non le serviamo più, le siamo d'impiccio ... – ringhiai.
- Come puoi dire questo? Come puoi solo insinuare che non tengo a voi due? È proprio perché vi amo che vi devo lasciar andare ... - mentre pronunciava questa sentenza di ergastolo, si avvicinò a Stefan ...
- Addio, Stefan ... ti ho amato sempre, nella luce e nel buio ... –
Si protese verso di lui e lo abbracciò piangendo lacrime silenziose. Separandosi dalle sue spalle curve, lo guardò negli occhi e gli sfiorò la guancia con una carezza lieve.
- Lasciami sola con tuo fratello ... - gli chiese asciugandosi le lacrime, - abbiamo bisogno di un attimo da soli ... –
Io mi voltai verso Stefan e lo invitai con uno sguardo truce ad ascoltarla.
Lui diede un ultimo bacio a quella che era stata la sua ragazza, e si volto.
Osservai le sue spalle scuotersi in un singulto e uscire dalla porta di quella casa colma di ricordi e dolore .... speranze e illusioni infrante.
Lei mi prese il volto tra le mani e mi fissò dritta negli occhi.
- Damon ... - sussurrò a pochi centimetri dalla mia bocca.
- Te lo ripeto: stai zitta! –
Con un gesto brusco delle mani le afferrai i polsi e allontanai quelle dita che mi bruciavano le guance.
La rabbia che ingabbiava la mia sofferenza cominciava a cedere e a lasciar fuoriuscire quella sensazione densa e rovente come lava.
Incapace di contenermi oltre, la spinsi contro il muro alle sue spalle, attorcigliando le mie dita attorno al suo fragile collo, lasciato scoperto da una maglia nera leggermente scollata.
Il suo seno cominciò a sollevarsi in profondi sospiri, dettati forse dalla paura o, più probabilmente, dallo stesso dolore che spezzava il mio respiro.
- Cosa ne sarà di te? e di me ... che cosa ne sarà di noi? - le soffiai sul viso ... – Che cosa farai domani, quando non sarò con te … e il giorno dopo … e poi per sempre? -
La mia mano sciolse la presa e, tremante scivolò in mezzo al suo petto, dove il cuore batteva all'impazzata.
- A chi affiderai la tua vita? Chi ti verrà in soccorso? Chi sopporterà le tue ferite … i tuoi innumerevoli casini ? Dimmi: chi lo farà meglio di me? -
Salii di nuovo sul suo volto e feci scivolate le mie dita sulle sue labbra morbide, torturandole impietoso...
- Non mi hai dato nessuna possibilità ... non mi hai permesso di entrare … -
- Tu SEI parte di me ...-
- Una parte che hai castrato ... una parte che stai strappando via come si estirpa un tumore maligno! –
Mi avvicinai pericolosamente alla sua bocca.
- Non hai lasciato che ti amassi ... non ti sei permessa di amarmi ... -
Il mio corpo la schiacciò ancora di più contro il muro.
- Chi potrà mai amarti così? Chi ti accenderà come solo io so fare?-
Le sfiorai la bocca senza baciarla, facendole solo sentire il calore del mio respiro.
- A chi darai i tuoi baci? Per chi saranno i tuoi sospiri …? Io ho dovuto rubarli … accontentarmi … farmi bastare le briciole … e adesso più nulla? –
Lei rabbrividì, le ginocchia cominciavano a cederle: il desiderio la faceva tremare insieme alla disperazione.
- Damon, ti prego ... -
- Ti prego cosa? Damon vattene? Non ci credo: tutto il tuo corpo mi grida di amarti, le tue labbra urlano di baciarle ... la tua pelle supplica il sollievo delle mie carezze ... -
Lei chiuse gli occhi e due grosse lacrime bagnarono le mie dita, ancora incollate alle sue gote, il pollice a stuzzicarle la bocca semiaperta.
- Ora tocca a te bruciare nell'inferno in cui io sono arso in questi mesi, consumarti nelle fiamme che mi hanno arroventato ogni volta che posavo lo sguardo su di te. Io adesso uscirò da quella porta, come Sua Signoria ha ordinato. Uscirò e l'ultimo ricordo che avrai di me sarà la mia schiena eretta: non mi volterò per guardarti crollare ... non verrò a raccoglierti, e ... - la mia bocca si avvicinò languida al suo orecchio, - non ti lascerò nemmeno un bacio d'addio.-
Mi staccai da lei, mentre spalancava incredula gli occhi.
La guardai un'ultima volta, e deformai la bocca in un ghigno sarcastico.
- Addio, dolce Elena ... ti lascio al tuo destino, che non sarà più il mio. -
Mi voltai e, in un batter di ciglia, scomparvi dalla sua vista.
La porta che si chiuse alle mie spalle ebbe lo stesso peso di una pietra tombale sul mio cuore già morto: ne fui schiacciato e le ginocchia mi cedettero, facendomi accucciare per un attimo sulla soglia.
Sarei voluto tornare da lei ... abbracciarla ... dirle che andava tutto bene ...
Ma non andava tutto bene, nulla sarebbe mai più andato bene!
Un leggero lamento mi fece alzare lo sguardo appannato: mio fratello era nel viale di fronte a casa, con le braccia incrociate sopra il finestrino del SUV, la testa immersa nel giubbotto e piangeva come un bambino, sfogando con le lacrime quel dolore che la sua mente non poteva accettare.
Lo fissai un attimo, con la voglia pazza di penderlo a calci nel culo ma , ... ma tutto era cominciato con un morso di licantropo ... con uno scambio di vite ... un patto che lo aveva portato lontano da lei per salvare me, lontano dal suo amore per amore mio.
Raccolsi le ultime forze che la rabbia ancora mi forniva e, appoggiando le mani sulle ginocchia, mi alzai.
Senza voltarmi, appoggiai la mano sulla porta alle mie spalle, quasi a sentire ancora il calore della donna che si stava sciogliendo in lacrime a qualche metro di distanza sussurrando il mio nome e, con i piedi pesanti, m’incamminai verso Stefan.
- Andiamo, fratello ... - lo esortai. - Dobbiamo raccogliere le nostre cose, chiudere la casa e partire. Abbiamo ancora una missione da compiere prima di dire addio a tutto questo. -
- Perché Damon? - mi chiese in un singhiozzo.
- L'hai sentita: perché ti ama, perché senza di noi, probabilmente è più al sicuro ... perché è giunto il momento che lei pensi ad una vita vera, con uomini veri ... vivi ... fecondi...-
- Damon ... Ma io la amo, io non sono niente senza di lei... -
- Stefan, guardami ... - lo feci girare per poterlo fissare negli occhi. - Lei non vuole diventare un vampiro, giusto?-
- Giusto, ma ... -
- Quanto pensi potesse durare ancora? Il college? E poi? Poi si ritroverebbe sola, con un ex fidanzato troppo giovane e un futuro da costruire dal principio... –
Mentre la mia mente elaborava stupide consolazioni per quell'eterno ragazzino che mi stava di fronte, capii che, forse, quello era veramente il momento giusto per toglierci dalla vita di Elena per lasciarle vivere quella vita che tanto tentavamo di difendere.
Spinsi mio fratello in macchina e, mettendomi alla guida, mi diressi verso casa nostra.
- Fatti una doccia e prendi le tue cose... – lo esortai quando arrivammo sulla soglia.
- Non ho nemmeno del tempo di .... -
- Non hai nulla da fare se non prepararti a partire: qui tra mezz'ora. - gli ordinai prima di spingerlo su per le scale.
Con la velocità di chi non vuole fermarsi a pensare troppo, coprii i mobili e sbarrai le finestre. Salii in camera, cercando di non soffermarmi su tutte le immagini di Elena che si materializzavano negli angoli delle stanze dove lei era stata, mi aveva parlato, sorriso, sgridato.
Arrivato in camera, buttai il trolley sul letto e per una frazione di secondo mi rividi moribondo e febbricitante tra quelle lenzuola, con lei al mio fianco. Sentii di nuovo le sue parole di perdono... quelle che mi confessavano che le piacevo per quello che ero ... per com’ero; sulle mie labbra si materializzò il sapore del suo bacio leggero, un bacio d'addio ... il bacio che non le avevo voluto lasciare qualche minuto prima.
La consapevolezza che non l'avrei rivista mai più mi colse improvvisa, come un paletto in mezzo al cuore. Soffocai un urlo e cominciai a riempire la valigia, cercando di lasciar fuori i ricordi molesti. Questi, però, si stavano già accumulando nella mia memoria, in un fardello molto più pesante della valigia che stavo preparando.
Quando sentii che Stefan era pronto, afferrai i bagagli e uscii da quella stanza buia.
Quei ricordi si proiettavano tra le guglie gotiche, che avevano l’ardire di voler raggiungere il cielo e che il cielo avvolgeva con le sue nuvole basse e umide.
Rividi il volto giovane e sorridente di una fanciulla che aveva litigato col fidanzato, l'ultima sera di una vita spensierata ...
Mi apparve lo sguardo severo di una ragazza che voleva redimermi a tutti i costi ...
Della giovane donna che, colta dalla passione, mi si avventò addosso una notte, sul balcone di un motel ...
Ogni immagine era acqua salata sul mio cuore ormai arrugginito ...
Com’era diventato quel volto? Era quello di una splendida quarantenne, madre e moglie?
Non avevo visto un suo libro in vetrina in nessuna parte del mondo: per quanto avessi privilegiato la vita notturna, certo avrei notato il suo nome su una copertina; lo avrei sentito pronunciare da qualche giornalista, letto su qualche rivista sfogliata nei mille aeroporti in cui avevo transitato.
Forse si era arresa ...
Forse aveva nascosto nel cassetto i suoi sogni per dedicarsi a qualcos'altro … ad una famiglia ... ad un uomo. Ogni volta mi sentivo morire immaginando Elena muoversi dentro un abbraccio estraneo, mani di chissà chi violare la sua pelle candida … ogni volta il dolore era incommensurabile.
Cercai di figurarmela più adulta, il corpo meno esile, con qualche ruga intorno agli occhi, ma l'unica fotografia che riuscivo a mettere a fuoco nella nebbia del passato era quella della ragazzina che era riuscita a ricomporre il puzzle della mia anima in pezzi, per poi ridurla in cenere.
Forse, il giorno dopo, avrei avuto una risposta al mio identikit …
Forse, il giorno dopo, avrei cancellato una persona che non esisteva più, se non infilata nelle pieghe della mia memoria.
Forse, il giorno dopo, …
Dissi a Stefan di caricare le sue cose sull’auto nera.
- Io ti precedo con la mia macchina e ci dirigeremo dove abbiamo deciso di riporre la bara ...
- E poi ...? - mi chiese Stefan ancora evidentemente scosso.
- Poi andremo in un bar con un planisfero ... prenderemo due freccette e le lanceremo dietro le spalle: quelle saranno le nostre mete-
- Mi lascerai ancora solo? Anche tu ...- si lagnò.
- Tu starai meglio senza di me ...-
- Sei mio fratello: non abbiamo più nulla se non l'un l'atro ... -
- In questo momento non potrei far altro che trascinarti nel mio lato più nero; non potrei esserti d'aiuto. È giunto il momento che tu faccia un viaggio con te stesso, in te stesso: non squartatore ... non principe consorte ... non più il fratello buono. Solo Stefan.Trova la tua strada … cerca la tua vita ...- “mentre io distruggerò la mia”, pensai.
- Dammi il tuo telefono, Stefan - gli chiesi. - Dammelo o distruggilo tu stesso. Nessuna tentazione; una rubrica con nomi e numeri nuovi: senza di me, senza Elena ... senza la possibilità di rintracciarmi se non quella del caso... - sentenziai mentre mi porgeva il suo Iphon.
- Venticinque anni ... - mormorò
- Venticinque cosa? - domandai, non capendo a cosa si riferisse.
- Qui ... davanti a questa porta ... tra venticinque anni ... il primo di novembre del 2034 ... prima di mezzanotte -
L'idea di avere un appuntamento col destino, aveva risvegliato in me il giocatore d'azzardo. Venticinque anni ... non troppo pochi per influire sul futuro di Elena ... non troppi per avere la certezza di ritrovarla morta … giusto il tempo per una vaga speranza di vederla felice.
- Ok. Qui. Tra venticinque anni ... - dissi, quasi scommettendo col fato.
Mio fratello allungò la mano per salutarmi. Io la afferrai, trascinando l’unica persona che potevo definire " famiglia" in un abbraccio senza più rancore.
Forse, il giorno dopo, avrei riabbracciato anche lui …
Il giorno dopo: primo novembre 2034.
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Capitolo 2 *** E venne il nulla ***
CAPITOLO 2
… E VENNE IL NULLA …
Il volo verso l’aeroporto di Washington non fu abbastanza lungo per immaginare tutti gli eventuali scenari che avrei trovato a Mystic Falls.
Avevo lasciato la mia Camaro parcheggiata in un garage che avevo acquistato poco lontano dal terminal circa dieci anni fa, prima di partire per l’Europa. Frugai nella tasca della mia valigia per trovarne le chiavi. Alzai la saracinesca e tolsi il telo che copriva la mia auto azzurra. La accarezzai come si fa con una donna trascurata per troppo tempo. Mi sedetti al posto di guida, infilando le chiavi nell’accensione.
“Dai piccola mia … fammi sentire la tua voce …”
Al primo giro di chiave la Camaro rispose con il suo rombo familiare, dolce musica per le mie orecchie. Feci retromarcia e uscii da quelle quattro mura che per troppo tempo avevano imprigionato la mia compagna selvaggia. Non mi preoccupai nemmeno di chiudere il garage: non che avessi fretta di tornare a quella che, per abitudine, continuavo a chiamare casa, ma volevo togliermi quell’incombenza il più velocemente possibile; volevo smorzare l’ansia che mi aveva infastidito all’avvicinarsi della data stabilita per l’appuntamento con Stefan che, ne ero certo, non si sarebbe accontentato di una semplice rimpatriata tra fratelli, di una bevuta e una di pacca sulle spalle. Conoscendolo, avrebbe posto domande che io cercavo di evitare, voluto risposte che non ero pronto ad ascoltare:
“Come starà Elena? Come sarà diventata? Cosa avrà fatto? …. Andiamo a cercarla, giusto per vedere se sta bene, giusto per capire …”
Domande e risposte che avevo combattuto per tutti quegli anni, che avevo soffocato in un unico lunghissimo oblio.
NO … sarei tornato alla vecchia villa, avrei guardato in faccia mio fratello, mi sarei assicurato che stesse bene e poi sarei ripartito … dovevo ripartire: non potevo indugiare su ricordi che mi avrebbero riaperto ferite ancora non completamente rimarginate.
Forse, però, sarebbe stato più terapeutico guardare in faccia la realtà presente, vedere la nuova vita di una splendida quarantenne, irraggiungibile, ormai persa per sempre. Forse, in questo modo, sarei riuscito a voltare pagina una volte per tutte …
Forse così avrei potuto mettere una benda sul mio cuore sanguinante e lasciarlo guarire … Forse … o forse no.
Mentre guidavo, riflettevo … come avevo fatto in aereo … in cima al Duomo … ma non arrivavo mai ad una conclusione definitiva: il rischio era veramente troppo alto, la posta il gioco era il mio equilibrio precario tra la follia e il delirio.
Eppure non mi ero mai sottratto ad una sfida, non mi ero mai tirato indietro davanti ad una prova: avevo sempre preferito pentirmi piuttosto che avere rimpianti … ma questa volta era dura … troppo!
Forse non volevo trovare una soluzione definitiva ai miei tormenti, probabilmente volevo rimanere attaccato a un’illusione.
Se non l’avessi vista, avrei potuto continuare a sperare di poter ritrovare, un giorno, la ragazza che avevo lasciato piangente; avrei potuto prenderla tra le mie braccia, chiederle perdono e riceverne in cambio quell’amore che non mi era stato concesso, quell’abbandono che si era preclusa.
Venticinque anni, per chi non invecchia mai, possono essere un lungo tunnel o un battito di ciglia. Guardandomi allo specchio, conservavo l’illusione che lo stesso potesse essere accaduto anche ad Elena: immutata … umana … fragile e stupenda.
Il piede premette violento sul pedale del freno, a pochi centimetri dall’auto che mi precedeva. Appoggiai la fronte sul volante, maledicendo le mie elucubrazioni inutili. Ero diventato l’ombra di me stesso, un vigliacco che non sapeva affrontare la realtà, un inutile vuoto a perdere che galleggiava nel mare della malinconia. Un moto di dignità mi fece rialzare la testa: era venuta l’ora della verità ed io l’avrei affrontata da uomo!
Quando arrivai a Mystic Falls era già buio
“Il primo di novembre entro mezzanotte …”
Parcheggiai nel vialetto di fronte a casa. Nessuna luce traspariva dalle finestre, ancora completamente sigillate. Scesi dall’auto e m’incamminai verso l’entrata. Abbassai la maniglia nella speranza che fosse già aperta, che Stefan fosse già arrivato, ma non fui accontentato. Tornai alla macchina e recuperai le chiavi che avevo lasciato nel bauletto portaoggetti. Quei pezzi di ferro pesavano nella mia mano. Aprire quella casa significava farsi risommergere dai ricordi: strano come due anni pesassero nella mia memoria più dei centocinquanta che li avevano preceduti, molto di più dei venticinque che li avevano seguiti …
Erano le dieci.
Entrai e trovai la casa deserta e fredda … disabitata.
I teli erano nella stessa posizione in cui li avevo messi prima di partire, coperti da uno spesso strato di polvere. Tutto sembrava inalterato, tutto perfettamente uguale a come lo avevo lasciato … eppure …
Un brivido mi percorse la schiena … un presentimento strano … come una piccola macchia su un quadro, un graffio su una fotografia. Non riuscivo a spiegarmi quella sensazione, a mettere a fuoco il particolare distorto.
Mi diressi verso la vetrina che conteneva i liquori, afferrai una bottiglia di bourbon ancora sigillata.
“Ulteriori venticinque anni d’invecchiamento: o sarà ottimo o sarà pessimo”pensai, prima di trangugiare una sorsata di quel fuoco liquido. I bicchieri erano improponibili, oltre che superflui …
Un bicchiere …
Mi voltai verso camino e vidi un bicchiere appoggiato sul telo bianco che copriva tavolino di fronte. Mi avvicinai per osservarlo meglio: qualcuno era arrivato in casa prima di me. Presi il bicchiere per indovinarvi il contenuto: sangue. Una patina rossa e secca sporcava il fondo del bicchiere.
Mi guardai rapidamente intorno e notai che nessuna delle finestre era stata forzata. Feci un giro veloce del piano terra e tutto mi sembrò intatto.
Stefan … ma quando?
Tornai al bicchiere: la polvere copriva il sangue secco e attorno al bicchiere si era formata un’ulteriore aurea di sporcizia.
Da sotto il tavolino sbucava una cannuccia. L’afferrai e trovai la sacca di sangue da cui si era versato da bere: l’etichetta diceva “Ospedale di Atlanta marzo 2019” … quindici anni prima … quindici anni troppo presto!
Corsi in camera sua e trovai la sua valigia aperta sul letto, un cambio di vestiti sparso sul pavimento … il tutto ricoperto dalla stessa polvere che opacizzava il resto della stanza.
Stefan era tornato lì quindici anni fa.
Stefan era venuto a casa … si era cambiato … aveva bevuto del sangue umano ed era uscito, richiudendo la porta a chiave.
Stefan non era più rientrato.
Un’altra frase s’insinuava fastidiosa tra le varie, preoccupate ipotesi: Stefan non aveva rispettato il patto!
Lanciai la sacca vuota sul pavimento e mi appoggiai allo stipite della porta. Dove poteva essere andato, era una domanda scontata: sicuramente in cerca di Elena, ma … perché non era tornato a casa? Perché non era lì, dove avrebbe dovuto essere?
Guardai l’orologio e mi accorsi che era trascorsa quasi un’ora.
Aspettare fino a mezzanotte sarebbe stata un’inutile perdita di tempo: Stefan non sarebbe arrivato. Il presentimento era ormai una certezza. Era successo qualcosa a mio fratello … quindici anni fa … quindici anni troppo presto.
Perché era tornato? Perché non aveva aspettato?
Perché cazzo mi ero fidato di lui?
Dov’era? Cosa gli poteva essere successo?
Troppe domande affollavano la mia mente, e nessuna risposta poteva venirmi da quelle pareti disabitate da troppo tempo, nessuna spiegazione da quei mobili in disuso.
Tornai sulla soglia di casa. Guardai la notte silenziosa, ma nemmeno il vento leggero sapeva suggermi quale direzione prendere, da che parte dirigermi.
Era trascorsa solo una manciata di minuti dal mio ritorno in quella cittadina velenosa e già ero invischiato in un problema da risolvere … lo volevo risolvere?
In fondo Stefan mi aveva tradito … aveva disatteso il patto … o forse no? Forse era venuto a sapere che Elena era in pericolo … ed io, per mia scelta ero irrintracciabile.
Forse un incontro casuale … forse il destino … o semplicemente la sua incapacità di starle lontano, di vederla, la voglia di bruciarmi sul tempo!
Ero diviso tra dubbi e gelosia, timori e rabbia.
Mille domande che si riducevano a due: perché era tornato? Perché era scomparso?
In quell’istante decisi che non potevo più vivere nell’ignavia … che non potevo più passare le notti a cercare il buio e abbandonandomi alla vacuità di pensieri malamente resettati.
Venticinque anni di niente non avevano cancellato dolore e frustrazione … al contrario avevano alimentato “se” e “ma” che non avevano soluzione.
Era tornato il tempo di agire, di trovare nuove immagini e nuovi scopi, per andare avanti o per chiudere … per vivere o morire.
Avrei cominciato cercando mio fratello … sicuramente avrei trovato anche tutto il resto.
… e lo avrei affrontato.
A quell'ora della notte forse avrei trovato aperto il Mystic Grill ... se ancora esisteva.
Lasciando l'auto dove l'aveva parcheggiata, mi fiondai verso il locale che spesso avevo frequentato durante ... durante quel breve periodo ... quel periodo lontano ma ancora troppo recente per poter essere dimenticato, archiviato nella categoria: " secoli fa ..."
Dovevo stare attento, non era passato abbastanza tempo perché tutti quelli che avevo conosciuto fossero abbastanza vecchi o tutti morti: incontrandomi mi avrebbero riconosciuto domandandosi perche il tempo non aveva lasciato segni sul mio volto.
Il tempo era scivolato su di me … anni come perle nere infilate in un cordoncino senza un nodo alla fine … rotolati via senza diventare una collana di ricordi … lasciando il vuoto dentro e fuori.
Giunto davanti al locale, mi alzai il bavero del giubbotto, abbastanza per non dare in pasto agli astanti il mio viso. M’infilai in un angolo nella penombra: a quell'ora il bar era frequentato da adulti poco desiderosi di tornare a casa da mogli sfatte o da figli insonni. L'alcool aiutava a stordire quel senso d’inutilità che spesso prendeva chi aveva sognato una vita eccezionale e si era ritrovato a subire la fatica quotidiana del fallimento e dei sogni infranti.
Rivolsi lo sguardo al bancone del bar.
Una donna era seduta su uno degli sgabelli, con le gambe elegantemente accavallate, parlando amichevolmente con il barman, che le voltava le spalle per riporre le bottiglie sulle mensole.
Quelle spalle possenti e squadrate mi ricordavano un quarteback ... quel quarteback.
I capelli erano dello stesso biondo dorato, leggermente mossi e striati da qualche filo bianco. Quando si voltò, riconobbi lo sguardo bonario ed il sorriso cordiale:
Matt ...
-
Quando mi porti Eleanor per un controllo? La spalla lussata deve essere ricontrollata ... sai che potrebbe essere necessaria un'operazione per fissarla meglio, altrimenti la sua carriera di running back finirà prima di cominciare. –
Riconobbi anche quella voce, rimasta fresca e conciliante nonostante il passare degli anni: Meredith era ancora una gran bella donna, una cinquantenne affascinante, da quello che potevo vedere dalla mia postazione.
Una perfetta donna in carriera, un medico che forse doveva affrontare il turno di notte all'ospedale ... o che, forse, lo aveva appena terminato.
Matt ... Meredith ...
Che cosa avrebbero potuto dirmi di Stefan?
Cosa mi avrebbero raccontato di Elena?
Sicuramente, se mi fossi avvicinato, mi avrebbero riconosciuto: come avrebbero preso il mio ritorno?
Ancora una volta volsi il mio sguardo al locale. L’arredamento, pur essendo stato sobriamente rinnovato, non aveva subito stravolgimenti. Il legno riscaldava l’ambiente, con i suoi toni morbidi, e le luci soffuse regalavano un'atmosfera accogliente ma abbastanza velata da potervisi rifugiare per sfuggire alla banalità del paese, sognando di essere chissà dove ... chissà quanto lontano.
La musica si diffondeva discreta, permettendo di colloquiare facilmente, senza però lasciar solo chi sedeva con la sola compagnia di un bicchiere di liquido ambrato.
Incurvando le spalle mi diressi verso il bancone, lasciando i tentennamenti nell'angolo semibuio.
Mi sedetti accanto a Mer ... nella stessa posizione in cui, anni prima, mi accomodavo per fare una bevuta o uno scambio di battute con il mio vecchio amico Rick ... altra persona di cui avrei dovuto scoprire il destino.
Gli sguardi delle mie due vecchie conoscenze si posarono su di me, che continuavo a mantenere la testa china, affondata nel giubbotto.
-
Cosa le servo? – mi chiese Matt, che cercava di guardarmi in viso.
-
Comincerei con un bicchiere di bourbon ... poi vediamo come volge la serata – gli risposi.
-
Mi dispiace ... ma la sua serata sarà molto breve: alle 11.45 chiudiamo. -
-
Mi piacerebbe trattenermi un po' più a lungo ... fare due chiacchiere con due vecchi amici che non vedo da ... -
-
Damon ...? – Meredith aveva riconosciuto la mia voce.
Matt quasi fece cadere la bottiglia da cui mi stava versando da bere.
Quante domande avrei voluto porre ... di quante risposte avevo bisogno.
Guardai con un sorriso tirato prima l’affascinante dottoressa che sedeva alla mia sinistra, e poi il quarantaduenne che mi stava di fronte. I suoi occhi azzurri avevano la stessa umana bontà che ricordavo; sul suo volto il tempo era passato clemente, donandogli una maturità serena, un fascino discreto di uomo adulto, nel pieno della sua virilità.
-
Ragazzi … vorrei veramente poter scambiare ricordi e battute con voi … vorrei chiedervi mille cose ma … tagliamo i convenevoli: avete notizie riguardo a Stefan?
Di proposito mi trattenni dal pronunciare il nome di Elena.
-
Sì, grazie Damon, anch’io sto bene … - ironizzò Meredith.
Inclinai la testa per osservarla di sbieco, con un sorriso tirato sulle labbra.
-
Davvero Meredith – dissi, posandole la mia mano sulla sua. – desidero ardentemente conoscere la storia degli ultimi venticinque anni qui a Mystic Falls, ma qualcosa mi dice che non ho tempo per le chiacchiere … Matt, lavori ancora qui? – mi venne spontaneo domandare.
-
Adesso il locale è mio … ma come dicevi tu: bando alle ciance. Cosa ci fai qui?-
Il suo tono non era né arrabbiato né scocciato … solo un leggero tremore delle mani rivelava la sua preoccupazione.
-
Una vecchia promessa fatta a mio fratello, che però non si è presentato all’appuntamento. Quindi, prima di scoprire la storia di questi ultimi decenni, vorrei sapere se l’avete incontrato, se è stato qui. –
-
Io non lo vedo da quando ve ne siete andati – asserì Meredith.
-
Matt? – insistetti, vedendo un lieve imbarazzo attraversare il suo volto.
-
È stato qui … - sussurrò.
Sia io che la dottoressa ci voltammo a guardarlo.
-
Quando? – lo incalzai.
-
Anni fa … dieci … forse dodici … - rispose.
-
Quindici … è possibile? –
-
Forse sì … anzi, sono proprio quindici! …. Beth era incinta di Elly … giusto quindici anni fa! –
Non volli approfondire chi fossero Beth ed Elly … probabilmente la moglie e la figlia.
-
E… -
-
E, come te, entrò furtivo …-
-
Ovviamente ti chiese di Elena … -
Nel pronunciare quel nome, mi ferii le labbra.
-
Sì … senza troppi giri di parole. Voleva sapere le solite cose … come stava … dove fosse … -
A quelle parole la voce si spezzò. Rivolsi lo sguardo a Meredith, che lo abbassò. Tornai, con l’espressione inquisitoria, a fissare Matt. Lui mi voltò le spalle, fingendo di risistemare le bottiglie alle sue spalle.
-
Ok … sputa il rospo … che fine ha fatto mio fratello? Cosa sai? –
-
Di lui non ho più avuto nessuna notizia da quella sera … non l’ho più rivisto. –
Mi rispose Matt.
-
Per favore: non fatti tirar fuori le parole con le tenaglie … cosa mi stai nascondendo? –
Il dubbio e l’ansia mi stavano facendo perdere la pazienza.
Senza voltarsi, Matt si sforzò di parlare.
-
Siete spariti … ve ne siete andati … -
-
Che cosa stai blaterando? – mi stavano per saltare i nervi.
-
Ci avete lasciati soli … l’avete lasciata sola … -
-
MATT … cazzo, parla chiaro!! – sbraitai, facendo voltare gli altri pochi clienti presenti.
-
Dico a te quello che dissi a lui: fatti un giro al cimitero! –
Ancora una volta cercai la conferma a quelle parole negli occhi della dottoressa, e la tristezza che vi trovai fu l’atroce conferma al terribile significato di quell’invito a … morte.
Il bicchiere che avevo tra le mani finì in frantumi sul pavimento, mentre veloce come un respiro uscii dal locale.
Non so come, mi ritrovai davanti ai cancelli del cimitero, dove riposavano mio padre, mia madre, e alcune vittime di quella battaglia sovrannaturale che da sempre minacciava l’esistenza di quello strano piccolo paese.
Andai a sbattere contro i cancelli chiusi con un nodo che mi chiudeva lo stomaco e la disperazione che mi appannava gli occhi.
Matt aveva detto a Stefan di andare al cimitero …
Il motivo poteva essere uno e uno solo.
Con un salto superai quella barriera inutile e mi diressi verso la tomba dove erano sepolti i genitori adottivi di Elena, Jenna e John: una famiglia decimata …
Mi avvicinai alla lapide da dietro: non avevo né il coraggio né la forza di leggere quel nome inciso sulla pietra, segno eterno di una vita troncata.
Appoggiai le mani sul marmo freddo e umido, cercando un sostegno.
Inspirando la nebbia che cominciava a scendere nella notte, mi spostai per cercare conferma ai miei atroci sospetti.
Nonostante il buio, riuscii a leggere quei graffiti lasciati a memoria di vite passate in un batter d’occhio e finite in modo tragico. Il nome di Elena non c’era. Per un breve istante il sollievo che provai fu talmente intenso che rivolsi lo sguardo al cielo, quasi a ringraziare un Dio di cui avevo quasi dimenticato l’esistenza.
Non feci in tempo a formulare un pensiero: la mia attenzione fu catturata dalla statua di un angelo con le ali spezzate a guardia di una cappella molto simile alla tomba di famiglia dei Salvatore. La costruzione era molto più recente e, ne ero sicuro, non l’avevo mai vista prima.
Mi avvicinai sentendo il panico crescere e invadere le mie vene.
L’angelo aveva il volto dolce di una donna con l’espressione triste ma non disperata. Le ali spezzate ricadevano ai lati del corpo esile e lo sguardo era rivolto verso il basso. Cercai il nome della famiglia a cui il sepolcro apparteneva, ma il piccolo timpano, posto sopra l’entrata, non aveva inciso alcun cognome.
Appoggiai le mani alla porta, e con un lieve sforzo la spalancai. All’interno candele di cera illuminavano pareti di marmo rosa. Al centro, una panca rotonda invitava a sedersi per dialogare con il nulla.
Mi guardai attorno fino a quando i miei occhi trovarono un’epigrafe. Quasi trascinandomi mi avvicinai abbastanza per leggere. L’incisione, semplice ed elegante, riportava un nome e due date:
Elena Gilbert Mikealson
1992 – 2017
La prima reazione a quella scritta fu stranamente fredda e razionale.
"Mikealson?" pensai " perché quel cognome era associato a ..."
Ricacciai in gola quel nome.
Cercai tracce di Stefan, ma era ovvio che dopo quindici anni non poteva essere rimasto nulla del suo passaggio, nemmeno una lieve traccia di cenere ...
Cenere ...
Polvere ...
Improvvisa come un treno incorsa, la consapevolezza di quello che avevo letto mi travolse: tutti i particolari incoerenti si fusero in un unico nome, "quel” nome inciso su una lapide ... una tomba ...
Mi voltai ancora una volta verso quello che realizzai essere il sepolcro di Elena.
Quelle lettere scolpite mi trafissero gli occhi e mi dilaniarono il cuore che, in quell'istante … per un istante … sembrò riprendere vita per poi bloccarsi di nuovo.
Elena ... morta ...
Elena era più ... non respirava più ... non viveva più!
Non era possibile!
Io ancora esistevo, e sapevo che la cosa era inconciliabile con la scomparsa da ciò che gli umani chiamano vita, di colei che dava un senso al mio vagare nel buio.
Elena non poteva avermi lasciato solo su questa misera Terra ... non poteva essersene andata senza di me.
Gli occhi si chiusero su lacrime che non volevano scendere.
Mi sedetti di peso su quella panca al centro della cappella, circondato da un silenzio che sbraitava il suo nome, e mi accartocciai su me stesso.
Inconsapevolmente cominciai ad ansimare ... respiri inutili per il mio corpo da parassita.
Non sentivo né rabbia né dolore: ero annientato, come risucchiato dal nulla per tornare al nulla a cui appartenevo.
Non mi feci nessuna domanda … nessuna risposta mi avrebbe ridato Elena, nessuna spiegazione poteva giustificare la sua morte.
Il nulla.
Sui miei occhi scesero le tenebre ... sulla mia anima perduta la notte eterna.
Nessuna reazione violenta, nessuna disperazione …
Il nulla.
Annientato, appoggiai i gomiti alle mie cosce, incrociando le mani.
Senza guardare, afferrai l'anello e lo sfilai, gettandolo ai piedi della parete in cui Lei giaceva ... dove le sue ossa giacevano ...
Scacciai quelle immagini lugubri e mi focalizzai sul suo volto ... il volto che ricordavo.
Rimasi immobile come una statua, come l'angelo guardiano che presidiava l’entrata di quel luogo per me surreale: Io non avevo le ali spezzate ... ero io ad essere irrimediabilmente spezzato, annientato da una bomba al napalm che aveva raso al suolo ogni cellula del mio essere.
Smisi di respirare ... di pensare ... di ricordare ... di immaginare … e mi immersi nel nulla, in attesa del primo raggio di sole che, da statua di ghiaccio, mi avrebbe ridotto in cenere.
Io ero già morto una volta ...l’alba avrebbe reso definitiva quella condizione, che una scelta aberrante aveva tenuto in sospeso per quasi duecento anni.
In quell'assenza di stimoli e vita, un ultimo pensiero attraversò la mia mente svuotata:
Stefan ...
Probabilmente le sue ceneri erano state soffiate via dal vento quindici anni prima ... Probabilmente anche lui aveva concluso quell’esistenza che rinnegava da quasi due secoli ...
Probabilmente ...
Ma non mi interessava più.
Anche l'ultima scintilla si spense.
… e venne il nulla …
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Capitolo 3 *** Solo per quegli occhi ***
Capitolo 3
… SOLO PER QUEGLI OCCHI …
“Rimettiti l’anello”
Una voce sconosciuta mi pervase la mente.
“Rimettiti l’anello: non posso rimanere fermo sulla soglia tutto il giorno per impedire che i raggi del sole ti riducano in cenere”.
Le mie orecchie non percepivano alcun suono; sentivo quelle parole echeggiare nel mio cervello, ma non arrivavano dall’esterno: erano dentro di me.
A fatica riaprii gli occhi e mi voltai verso l’entrata della cripta: controluce, la sagoma di un ragazzo campeggiava nella cornice della porta.
-
Tu devi essere l’altro fratello … - disse l’essere misterioso, questa volta a voce alta.
L’altro fratello … conosceva Stefan? Mi conosceva?
Era a conoscenza dell’anello e della sua funzione, quindi sapeva che ero un vampiro.
-
Tu chi sei? – chiesi, cercando di mettere a fuoco il suo volto.
-
Se ti rimetti l’anello, potremo avere una conversazione meno “scomoda” – rispose.
Nonostante il dolore per la scoperta della morte di Elena fosse ancora atroce, cercai di rialzarmi per capire cosa volesse da me quel giovane.
Strisciando sulle ginocchia, tastai il pavimento alla ricerca dell’anello, che ritrovai vicino alla parete … quella parete … quel sepolcro.
Il desiderio di rimanere sdraiato a terra per l’eternità venne sconfitto dalla voce dello sconosciuto che mi esortava di sbrigarmi.
-
Non ho molto tempo prima che mi vengano a cercare … datti una mossa. Pensavo che tu fossi quello “tosto” … mah … -
-
Chi ti ha parlato di me? Chi sei tu? Come mi hai trovato? –
Le domande, che si erano annullate la sera prima, sciolte nell’acido di un dolore al di sopra della follia, riemersero come lava da un vulcano in eruzione.
-
Ascolta, … Damon, vero? Ti chiami Damon, giusto? –
-
Giusto … ed io … con chi ho il piacere di parlare? –
Con un enorme sforzo, cercai di dare una priorità alle domande, di prepararmi alle risposte, cercando in qualche angolo della mia coscienza un minimo di autocontrollo.
Quando indossai l’anello, lo sconosciuto si spostò dalla porta e la luce soffusa dell’alba illuminò i tratti del suo viso. Non doveva avere più di diciotto, vent’anni. Il suo volto mi lascò attonito: i capelli castani, gli occhi scuri, contrastavano con tratti somatici appartenenti a qualcuno che conoscevo. Era come una foto modificata … pezzi di ricordi ricomposti in modo casuale, che fornivano un insieme sconosciuto ma familiare.
Mi voltai verso l’incisione sulla pietra: “Gilbert Mikealson”.
Poi lo guardai di nuovo, e questa volta la domanda uscì urlando, graffiando la mia gola:
-
TU CHI SEI? –
-
Penso che tu l’abbia capito … due più due … - sorrise, senza ombra di cinismo o cattiveria.
Conoscevo quel sorriso …
Un languore mi prese allo stomaco.
Conoscevo quel sorriso!
-
Sei suo figlio … - dissi, appoggiando la schiena alla fredda parete di marmo. – Suo e di … ? –
Lui si avvicinò e si sedette accanto a me.
-
La storia è lunga … molto lunga … quasi vent’anni … e adesso non ho tempo di raccontartela … - disse, guardandomi con quegli occhi color caffè che sapevano di lei. – Mi chiamo Phoebus Mikealson … Pheeb e ... sì, sono figlio di Elena Gilbert e di … -
Quale degli originali aveva osato metterle le mani addosso? E com’era possibile che fosse riuscito a procreare?
Il mondo si era capovolto, e quella città si trovava al centro esatto dell’inferno.
-
… Klaus Mikealson – concluse il giovane.
Quindi Klaus era stato ritrovato … Klaus aveva avuto un figlio … da Elena!
Un’altra valanga di domande mi sommerse, stordendomi.
-
Capisco che tu ti senta confuso, ma non posso farti il riassunto dei venticinque anni che hai trascorso lontano da Mystic Falls in pochi minuti. Se mi permetti di toccarti, vorrei farti vedere qualcosa … qualcuno … -
Misi a tacere l’orda di emozioni che mi stava bistrattando e lo guardai dritto in faccia. Incapace di proferire parola annuii.
Era strano vedere le espressioni più dolci di Elena dipinte sulla tela del volto di Klaus, strano riconoscere i suoi lineamenti mischiati a quelli del suo peggior nemico, che avrebbe dovuto giacere in una fossa nel bel mezzo di un bosco lontano …
“Non essere impaziente … avrai una risposta per tutto.”
La voce di Pheeb riverberò dentro la mia testa, mentre lui mi sorrideva con le mani alzate.
Scossi la testa e lo guardai incredulo: ero impazzito o mi avevano scaraventato dentro un romanzo fantasy di bassa lega?
-
Posso? – mi chiese ancora, mostrandomi le mani nude.
Sbalordito, accennai un sì con la testa.
-
Prima che tu conosca gli eventi, è giusto che tu veda questo. –
Mi posò i polpastrelli sulle tempie e mi fece cenno di chiudere gli occhi. Inspirò profondamente.
Immagini si formarono nella mia mente, nitide come se le vedessi ad occhi aperti. Fui introdotto in una stanza illuminata da mille candele, al cui centro si trovava un letto bianco, ricoperto da veli di lino candido. Come se io stesso stessi camminando in quel luogo sconosciuto, la visione mi portò accanto a quel giaciglio. Le tende vennero scostate da mani invisibile, lasciandomi intravvedere la persona distesa sulle lenzuola di seta chiara.
Quando misi a fuoco “quel” volto, tranquillamente addormentato, un grosso nodo di lacrime bloccò la mia gola.
Elena giaceva su quel letto … addormentata.
Non so come, con le immagini mi arrivò la consapevolezza che non era un sogno o un’illusione: erano immagini di un recente passato … di poche ore prima … reali, veritiere.
Mi soffermai su quel volto ancora giovane, su quel corpo avvolto in un lieve abito bianco, e una sola certezza mi colmò di sollievo e gioia immensi: Elena era viva.
Il resto erano solo dettagli.
La visione svanì. Pheeb staccò le mani dalle mie tempie e le posò sulle mie spalle.
-
Ha bisogno di te … abbiamo bisogno di te: sei la nostra unica speranza per salvarla, per salvarci! –
-
E’ una vampira? – chiesi, vedendo che il tempo passato non aveva lasciato traccia sul suo viso di giovane donna.
-
No … semplicemente dorme da quasi vent’anni … diciassette per la precisione. –
Indubbiamente Matt mi aveva servito del bourbon avariato o con sostanze allucinogene.
-
Damon … proprio tu che sei una creatura sovrannaturale sei incredulo davanti ad eventi sovrannaturali? Ogni cosa ha una spiegazione nella logica della mitologia e della magia, ogni fatto una sua posizione ben precisa nel quadro degli eventi a cui manca un ultimo, nefasto tassello. –
Era come leggere un libro in codice scritto in una lingua incomprensibile.
-
Mio padre ha dei progetti per me, per mia sorella e per mia madre che io non voglio portare a termine: non voglio seguire il suo delirio … realizzare il suo folle sogno. -
Ascoltavo … percepivo il pericolo … ma non capivo … non capivo …
-
Hai ragione … non puoi capire … - rispose Pheeb ai miei pensieri. – Non puoi capire la trama cominciando dalla fine. Ascoltami bene: se mi assento per troppo tempo, mio padre mi manderà a cercare. Tu torna a casa tua e non farti vedere troppo in giro. Questa notte, appena riesco ad eludere la sorveglianza, verrò a casa tua e ti spiegherò … non fuggire, per favore. –
Pronunciando le ultime parole, mi strinse una mano e quel contatto mi trasmise un senso di fiducia: quel ragazzo, il figlio di Elena, non mi stava mentendo … non mi avrebbe tradito ed era inequivocabilmente spaventato.
Si alzò e, porgendomi la mano, mi aiutò ad alzarmi.
Puntai i miei occhi dritti dentro i suoi per cercarvi una spiegazione, ma l’unica cosa che trovai era il calore familiare di quel colore scuro e intenso.
-
Questa notte … a casa mia … e preparati a dirmi tutto! – lo minacciai senza cattiveria.
-
Questa notte … ora lascia che io vada … altrimenti … -
-
Altrimenti? –
Non mi rispose. Con un sorriso teso mi fece un cenno di saluto e uscì dalla cripta, attraversando il cimitero di corsa … una corsa “umana”.
Seguii la sua sagoma fino a quando non scomparve dalla mia vista.
Scosso e incredulo tornai a sedermi sulla panca. Alzai lo sguardo verso la lapide: Elena non era lì. Elena non era morta. Elena …dormiva.
Nel giro di mezz’ora ero stato portato dall’inferno al paradiso, e ora giacevo in un purgatorio di domande, alle quali non sapevo dare una logica.
Passai le dita tra i capelli e mi concentrai sull’unica cosa che avesse veramente importanza: quella tomba era vuota.
Cercai di fissare nella mia mente l’immagine di Elena addormentata, e questo mi diede la forza di alzarmi ed uscire da quella inutile finzione.
All’aperto, volsi lo sguardo verso quel sole che avrebbe dovuto uccidermi.
Ero tornato a Mystic Falls e, come sempre, c’era qualche casino da risolvere!
Da dove partire?
Avevo venticinque anni da ricostruire, e quel ragazzo non poteva certo fornirmi tutte le informazione di cui avevo un disperato bisogno.
Il tempo che mi separava dall’incontro era troppo lungo per passarlo a guardare la mia casa impolverata. Dovevo mettere ordine in quei pochi indizi che mi aveva fornito, cercarne di altri, e incominciare a farmi un’idea d’insieme.
Non sarebbe stato facile.
Affondai le mani nelle tasche di miei jeans neri e m’incamminai senza fretta verso l’uscita del cimitero. Questa volta il cancello era socchiuso.
Erano solo le sette di mattina e la città si stava svegliando lentamente.
Con fatica resistetti alla tentazione di seguire la scia del giovane: aveva parlato di guardie, di una stretta sorveglianza.
Avevo percepito la sua ansia di essere scoperto, la sua tensione.
Lui era il mio unico collegamento con Elena, non avrei messo a rischio la mia sola possibilità di capire cosa fosse veramente accaduto … non avrei agito impulsivamente … non questa volta, non dopo aver provato la sensazione devastante di sapere Elena morta: non l’avrei retta una seconda volta.
Se quello che avevo visto era reale, se quello che mi aveva affermato Pheeb era verità … allora dovevo stare calmo e lucido. Mi aveva chiesto di salvarli … salvarli da cosa, non riuscivo nemmeno ad immaginarlo, ma potevo ipotizzare da chi: Klaus!
I miei passi mi condussero davanti a quella che, una volta, era casa Glibert. Alzando lo sguardo, mi ritrovai di fronte quel portico, quei gradini, quella porta che avevano visto momenti tra i più intensi della mia vita con Elena: le nostre parole erano ancora lì sospese, il nostro addio bussava ancora alla porta per uscire insieme al mio nome sussurrato tra le sue lacrime.
Nell’aria c’era il sapore del bacio dato a Kath credendo fosse Elena e ancora sapeva di amaro.
Sentivo vive le sensazioni del “nostro” primo, vero bacio, atteso ed improvviso ... rubato e donato … una finestra socchiusa sui suoi sentimenti mai rivelati, mai chiariti, che però trasparivano dalle sue labbra socchiuse, dai suoi sguardi alla mia bocca, dal suo respiro trattenuto. Fedele ad un amore mai compiuto, non voleva abbandonarsi alla passione che le offrivo. Eppure quel bacio era rimasto tra noi, come una promessa mai mantenuta ... un fiore mai sbocciato.
Trascinato dai ricordi, mi sedetti sui gradini. La casa non era in rovina, quindi qualcuno la abitava: forse Jeremy...
Alzando gli occhi, vidi la finestra della camera che era stata di Elena: quante volte l'avevo osservata di nascosto, mentre sedeva sul davanzale e scriveva il suo diario, quante volte avevo superato quei vetri per un saluto, per un ultimo chiarimento ... per godere ancora per qualche istante della sua compagnia.
Mentre scriveva, spesso si soffermava a pensare, e i suoi occhi si perdevano nel nulla a rincorrere pensieri ed immagini da fissare sulle pagine bianche.
Il ricordo era talmente intenso che mi sembrò di intravvederla dietro le tende ancora tirate.
Illusione ...
Forse era quello che mi aveva indotto il giovane Mikealson: un'illusione.
Questo era un potere di noi vampiri … ma lui era umano: avevo sentito il suo calore, il suo cuore pulsare.
Sapevo come funzionava il potere di suggestione: lo avevo usato con Rose per donarle un ultimo sogno … un'illusione, appunto.
Mi stavo aggrappando ad una mera illusione?
Era figlio di Klaus e sul suo volto erano scolpite le sue fattezze ... ma in quella cornice erano dipinti due occhi che conoscevo bene.
Due occhi che erano riusciti ad ammaliarmi, a mentirmi, a tradirmi un'infinità di volte, quando li avevo adorati sul volto di Kath ...
Due occhi che, cesellati sullo stesso viso 150 anni dopo, mi avevano conquistato, scavato … scoperto ... spogliato.
Quegli occhi, dopo venticinque anni mi chiedevano ancora di fidarmi.
Ed io volevo fidarmi ... dovevo.
In fondo, cosa avevo da perdere?
La notte precedente avevo capito che, in ogni caso, non avrei potuto nemmeno immaginare di vivere sapendo Elena morta.
La notte precedente avevo compreso che, persa lei, nulla avrebbe avuto mai più senso.
Quindi, qualunque cosa avessi visto o immaginato, qualunque tranello o patto quel ragazzo mi avrebbe proposto, avrei tentato di scoprire la verità … a qualunque prezzo!
In fondo, nessun prezzo è troppo alto per chi non ha più nulla da perdere.
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P.S. : Giuro … giuro … giuro … che questo capitolo è stato scritto PRIMA che vedessi il pilot di TO!
Mammaesme.
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Capitolo 4 *** Tutto normale ***
CAPITOLO 4
… TUTTO NORMALE …
Sentii la porta alle mie spalle scricchiolare. Non mi voltai.
Volevo immaginare che quei passi fossero di quella ragazzina che venticinque anni fa mi aveva ammaliato ... fatto innamorare … allontanato.
... e proprio una ragazzina si sedette accanto a me.
- Tu chi sei? Perché sei seduto su gradini di casa mia? - domandò seria.
La guardai incuriosito: un po’ per volta stavo incontrando la generazione successiva a quella che avevo lasciato.
- Sei un maniaco? – incalzò.
La guardai trattenendo un sorriso.
- Se lo fossi, pensi che ti risponderei di sì? - le dissi serio.
- Mmm non mi sembri un maniaco ... ma ancora non mi hai detto perché sei seduto davanti alla nostra porta. - insistette.
- Ero stanco di camminare ... - risposi con lieve ironia.
- Come ti chiami? – continuò, curiosa.
- Damon ... E tu? -
- Vicky ... Victoria Donovan. -
Un altro nome dal passato, un altro volto modificato da un miscuglio di gonadi.
- Scusa se sono indiscreto - chiesi con gentilezza. - ma tua padre è .... ? -
Non finii la domanda: una voce maschile, già risentita qualche ora prima, mi rispose per lei.
- Sì, Damon ... sono io suo padre. -
Senza che mi voltassi a guardare, sentii Matt che si avvicinava, per sedersi accanto a sua figlia.
- Vicky ... la mamma ti cerca: credo che tu debba finire di prepararti. Tua sorella è già pronta: non farle aspettare. –
La ragazzina si alzò sbuffando.
- Sei un amico di papà? Non ti ho mai visto in giro … e poi sei tanto più giovane … -
- Vicky, non essere impertinente …-
- Va beh … Ciao Damon … Spero di rivederti. –
- Ciao Vicky … stai lontana dai maniaci … - la schernii bonariamente.
Rimasti soli, voltai lo sguardo verso Matt.
- Vicky? Spero che non abbia ereditato dalla zia la predilezione per i guai ... - ironizzai.
- No ... ma è veramente curiosa e senza il senso del pericolo ... -
- Moglie ... figlie ... -
- Una vita normale ... - disse con un sospiro.
- E da quando a Mystic Falls si può vivere una vita normale? -
- Da quando Elena è morta e Klaus ha rapito e rinchiuso tutti gli esseri che avevano un minimo di essenza sovrannaturale nel sangue ... -
Le parole “Elena” e “morta” nella stessa frase erano come unghie sulla lavagna per le mie orecchie.
Cercai di andare oltre quella sensazione.
-
Rinchiusi? –
-
È una lunga storia … -
-
Io ho tutto il giorno a disposizione … -
-
Allora vieni con me al Mystic grill: devo sistemare le scorte di birra nel retro … potremo parlare.-
-
Matt …? – la voce di una donna ci fece voltare.
-
Beth … questo è Damon … un vecchio amico … - mi presentò, mentre ci alzavamo.
-
Tanto vecchio non direi … piacere Damon, Elizabeth … -
La moglie di Matt era una donna molto bella, di quelle bellezze semplici e immutabili. I capelli castani erano raccolti con una matita dietro la nuca, il trucco intorno agli occhi nocciola era leggero ma curato; l’abbigliamento sportivo la rendeva giovanile, senza però farla confondere con le ragazzine che le schiamazzavano accanto.
-
Il piacere è mio, Elizabeth … complimenti Matt: una donna splendida - un apprezzamento ad una donna sposata è meno equivoco se rivolto al marito …
-
Se volete entrare, ho lasciato del caffè sul tavolo … spero di rivederla presto, Damon … non conosco molto amici di Matt, se non quelli che abbiamo in comune. -
-
Ci sarà occasione, spero. – risposi, per educazione.
-
Amore … vado a scuola … ci vediamo per pranzo? Magari passo al locale … - disse, rivolgendosi al marito.
-
Non credo ci siano problemi … ci vediamo direttamente al Mystic Grill – le rispose, prendendola per la vita e abbracciandola teneramente.
Beth gli diede un bacio leggero e si diresse vero l’auto parcheggiata nel vialetto.
-
Ragazze … - le esortò
-
Ciao, pa’- disse Vicky.
L’altra giovane, Elly, mi fissava.
-
Elly … devi andare … - la esortò Matt.
-
Damon … sai giocare a football? – mi chiese seria.
-
Me la cavavo … tanti anni fa … - risposi.
-
Tanti … sei vecchio, ma non tanto quanto mio padre. Sai: sono una running back…-
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ELLY … - urlò la madre.
-
Appena mi guarisce la spalla, ti sfido … - mi gridò, correndo verso la portiera aperta dell’auto.
Elly aveva i colori del padre: un biondo leggero sfumava i suoi capelli appena mossi, portato corti come un vero maschiaccio … ma gli occhi cerulei lasciavano trasparire una bontà ed una lealtà che rispecchiavano quella del padre.
-
Una bella famiglia, Matt … - mi venne da dire, spontaneamente.
-
Sì … una famiglia normale … una vita normale … - mi disse con un tono che nascondeva altre parole.
-
Lo guardai per capire.
-
Hai paura che la mia ricomparsa possa creare casini? – fu la mia domanda schietta.
-
Tu porti casini … sempre … ma ci sono cose che devo capire … e forse solo tu mi potresti aiutare a farlo …-
Non mi sfuggì la nota triste che accompagnò la sua frase.
Lo fissai, interrogandolo con gli occhi.
-
Non è rimasto più nessuno, Damon … solo io e Meredith … nessun altro. –
Quindi, l’apparente normalità non era altro che il frutto di qualche macabro piano ordito dagli originali: la cittadina aveva ottenuto di vivere un’esistenza umana, ma il prezzo doveva essere stato alto … molto alto.
-
Andiamo … ti racconterò strada facendo. – mi disse Matt, mentre mi faceva cenno di seguirlo.
Insieme ci dirigemmo verso il suo pick up.
- Penso che dovremmo ridefinire la definizione di " vecchio amico" - gli dissi per alleggerire il clima tra di noi e metterlo a suo agio.
- Vecchio sei vecchio ... -
- Ma ancora in splendida forma. ...-
- Tu bari ... –
Sorrisi mentre guardavo fuori dal finestrino.
Mystic Falls, esteriormente, non era cambiata molto. Le case erano ancora le stesse ... qualcuna aveva semplicemente cambiato colore. I giardini ben curati e le tendine alle finestre dimostravano che il cambio generazionale non aveva modificato le antiche abitudini, inculcate e tramandate da madre in figlia ... da padre in figlio. Il parco macchine si era adeguato ai tempi, e i ragazzini che si recavano a scuola indossavano abiti alla moda ... per il resto il tempo sembrava non aver mutato la misteriosa cittadina.
- Quindi questa normalità è dovuta al fatto che tutti gli essere sovrannaturali sono stati ...
- Sono stati tolti dalla circolazione dopo la morte di Elena ... ma già da quando aveva avuto i gemelli … si vedevano molto meno in giro. -
- Meglio se mi racconti tutto dall'inizio. –
All’idea di Elena madre … moglie di Klaus … un brivido di rabbia mi percorse la schiena.
Arrivato al locale, Matt si diresse nel retro, dove un certo numero di casse di birra aspettavano di essere portate all'interno.
- Ehi, superman, aiutami a portare dentro queste casse ... – disse, indicandomi il carico.
- Io ti aiuto, ma intanto tu parla ... – patteggiai.
Ero impaziente di aggiungere un altro pezzo al puzzle che si stava componendo nella mia mente.
- Dovrei cominciare da quando tu sei partito ... voi siete partiti, ma la storia si farebbe troppo lunga: per cui riassumo e tralascio i particolari. Dalla vostra scomparsa, per un po' sembrò che tutto filasse sui binari della quotidianità: scuola ... attività normali per normali adolescenti. Dopo il diploma, siamo andati al Whilmore college ... tutto il gruppo: io, Elena, Bonnie, Car ...Tyler ... insieme a guardarci le spalle ... insieme in attesa della tempesta che sarebbe sicuramente seguita alla calma apparente. Alaric era a caccia chissà dove e gli Originali sembravano scomparsi. Ci sforzavamo di dimenticare la vita assurda che avevamo vissuto e cercavamo di costruirci una vita ... tentavamo, perlomeno. La prima ad essere richiamata dal fascino del mistero fu Bonnie, ammaliata da un professore: si chiamava Shane. Da quando lo incontrò, la si vide sempre meno e le rare volte che usciva da quello studio esoterico, si notava la sua trasformazione: i suoi occhi erano sempre più neri, profondi, immersi in qualcosa di oscuro e potente. A parte Bonnie, però, tutto sembrava procedere come se i vampiri non fossero mai entrati nella nostra vita. Anche Car e Ty sembravano una coppia normale ... vivevano una vita normale ...-
Il racconto era scandito al ritmo delle casse che venivano impilate nel magazzino. Una vita normale... Cosa aveva significato questo per Elena? College ... amici ... E qualche storia. Quante mani avevano accarezzato la sua pelle? Quanti occhi si erano posati sul quel corpo perfetto? Chi aveva osato?
A queste immagini le mani si strinsero sul legno della cassa che stavo trasportando, sbriciolandolo.
-
Se volevi una birra, bastava chiederla ... - si interruppe Matt.
-
Continua, per favore. – lo incitai, cercando di non divagare.
-
Verso la metà dell’ultimo anno di college … Klaus è riapparso … e con lui i Kol, Reb, Elijah e … Alaric.-
-
Alaric? … -
-
Sì … Alaric … spento. Non era più il cacciatore infallibile creato da Esther … era un vampiro … come te. –
-
Ma … come? – domandai stupito.
-
C’entra la magia … streghe … non me lo chiedere … so solo che con la loro apparizione l’esistenza di Elena e di tutte le creature sovrannaturali è cambiata … tutte sono state catturate come in una ragnatela: non so se soggiogate o asservite … ma tutte, prima o dopo, venivano risucchiate nella sua cerchia, nella sua casa e … sparivano. –
-
Ma … Elena? – Dio come’era difficile formulare quella domanda. – l’ha sposato … perché? … Come? –
-
Ti stavo dicendo: quando è riapparso, al college, non l’ha fatto, come al suo solito, in modo eclatante e sanguinario. Appariva ogni tanto … presentandosi ad ognuno di noi singolarmente … quando è venuto da me mi ha solo detto che presto avrei avuto la vita che desideravo, che avrebbe lasciato che i mortali vivessero in pace senza la sua interferenza … se non avessimo interferito. In quel periodo avevo conosciuto Beth … Elena era inaccessibile … e m’innamorai di lei. Tutto quello che desideravo era tornare a casa e vivere lasciandomi alle spalle problemi più grandi di me, anche se la curiosità, il timore per il destino degli altri, di Elena, non mi era indifferente.
-
Non mi hai risposto … - ringhiai.
-
Tutto è accaduto dopo la laurea … tornati a casa le attenzioni di Klaus verso Elena si fecero più pressanti … Bonnie era stata già “rapita”: viveva praticamente rinchiusa nella villa dei Mikealson … Car e Ty vivevano per i fatti loro in un appartamento fuori città, Jeremy era ancora al college ed il resto della famiglia, Alaric compreso, erano relegati in quella specie di gabbia dorata. -
-
Elena, Matt … Elena! – odiavo tutte quelle premesse … non m’importava molto degli altri.
Avevamo finalmente sistemato tutta la birra, e Matt m’invitò ad entrare e a sedermi, mentre lui beveva un caffè.
-
Tu cosa prendi? – mi chiese.
-
Dammi del bourbon … e vai avanti! – stavo diventando scortese.
-
Beh … lui era venuto al college qualche volta, come ti dicevo. L’ho visto avvicinarsi al lei … parlarle sottovoce, ma quando chiedevo ad Elena cosa stesse accadendo, mi dava solo risposte vaghe. Elena era cambiata … molto … soprattutto dopo il diploma. Era sempre più assente … più chiusa. Comunque: le poche volte che li ho visti insieme ho avuto l’impressione che lui la corteggiasse. I suoi modi di fare, falsamente cortesi, affettati, mi davano l’idea del serpente che corteggiava Eva. Non so con quali motivazioni l’abbia convinta, ma fatto sta che qualche mese dopo la laurea avevano spedito gli inviti per il loro matrimonio. Nessuno di noi poteva crederci, tranne Bonnie, forse, ma chiunque ponesse domande al riguardo, riceveva in risposta un’alzata di spalle ed uno sguardo assente. Non c’era compulsione … solo una strana rassegnazione. La cerimonia si svolse nel salone delle feste della loro villa: era presente tutta la popolazione sovrannaturale che conoscevo, più qualche altro personaggio che mi giungeva nuovo … streghe, per lo più. Gli unici umani, chiamati a testimoniare il suggello di un patto di non belligeranza, più che un matrimonio, eravamo solo io, Meredith, Liz e la madre di Ty. Non ci fu il solito sfarzo: una cerimonia semplice … un semplice rinfresco … e, soprattutto un gran silenzio. Pochi parlavano, increduli per quello che stava accadendo, tranne gli Originali che, credo conoscessero le motivazioni per quell’unione improbabile. Il volto di Elena, mentre pronunciava il fatidico sì era una maschera di orgogliosa rassegnazione … l’agnello sacrificale che va consciamente verso il suo destino infame … -
-
Perché? – un urlo trattenuto si trasformò in questa domanda lacerante.
-
Elena non lo ha mai detto, nessuno di quelli che sapevano lo ha mai rivelato; sicuramente sotto c’era una specie di scambio: la sua resa per la pace di Mystic Falls, firmata con i loro nomi sul contratto matrimoniale, con lo sceriffo ed il sindaco come testimoni. Prima di lasciare il ricevimento l’ho presa da parte, un attimo … solo un attimo e le ho fatto la stessa domanda che tu hai fatto a me “Perché?” Abbassando la testa mi rispose: “ Perché no? In fondo uno vale l’altro … una vita vale l’altra … sola … sposata … che differenza fa quando sei consapevole di aver perso l’unico vero amore della tua vita? –
-
Stefan … - sospirai.
-
Aspetta qui … - mi disse.
Matt si diresse ancora nel retro del locale, lasciandomi solo ed incredulo davanti al bicchiere vuoto.
Elena annientata … Elena ricattata … Elena sottomessa al suo aguzzino …
Cercai di immaginarla vestita di bianco, pronunciare quel sì che l’avrebbe condannata… quel sì che avrebbe dovuto sussurrare ad un uomo con il dovere di renderla felice … che avrebbe dovuto proferire con gioia a colui che l’avesse veramente meritata.
E dopo quello … aveva pronunciato anche "l’altro" sì?
Aveva compiuto fino in fondo il suo ruolo di moglie?
Beh la prova l’avevo avuta la notte scorsa: suo figlio …
Il bicchiere mi si sbriciolò tra le mani.
-
Adesso ripulisci … - mi schernì Matt.
Ebbi paura a rivolgere lo sguardo verso di lui, paura di fulminarlo con tutta rabbia che mi bruciava in corpo … paura di riversare su di lui tutta la mia furiosa frustrazione.
-
Poco prima di lasciare il college, Elena venne da me un pomeriggio, mentre preparavo le valigie per tornare a casa. Non fu di molte parole … ma ormai ero abituato i suoi silenzi, e non ci feci molto caso. Aveva tra le mani una scatola … questa scatola chiusa. “Se mai dovesse tornare, dalla a Damon” mi disse. Sentirla pronunciare il tuo nome mi fece uno strano effetto. Non aveva più parlato di voi, dopo averci spiegato il motivo della vostra partenza. Ancora più strano fu vederla versare una lacrima mentre mi consegnava quello che, mi disse, era lo scrigno dei suoi diari … la sua vita: voleva che lo consegnassi a te. –
Mi porse quella scatola come se contenesse una reliquia … e in un certo senso era proprio così.
Presi la scatola e la appoggiai sul bancone … come se avesse contenuto verbena … come se fosse acido puro.
Non volevo pensare al contenuto … alle risposte che vi avrei trovato … alle sue confessioni su pagine fitte d’inchiostro …
Il racconto di Matt non era ancora finito.
-
C’è dell’altro? – non volevo dirgli che avevo incontrato il figlio di Elena … non volevo dargli l’illusione che fosse ancora viva, prima di conoscere tutto il diabolico disegno di Klaus.
-
Verso Natale dello stesso anno nacquero i gemelli … -
Finsi uno sguardo stupito.
-
Non chiedermi come … sapevo che voi vampiri eravate sterili, quindi la cosa sorprese un po’ tutti. Anche i piccoli si videro ben poco in giro ed Elena era sempre un’apparizione più rara. Nel frattempo anche Jeremy fu inghiottito dalle trame dell’ibrido, insieme a Caroline e Tyler. Dopo circa tre anni, l’annuncio della morte di Elena. Ero incredulo: lui che poteva salvare tutti aveva lasciato morire la madre dei suoi figli … -
-
E la motivazione ufficiale? – chiesi, curioso di capire come fossero riusciti a ingannare tutti con un falso decesso.
-
Malattia … depressione … si era lasciata consumare dall’apatia ... nemmeno i figli le avevano ridato la voglia di vivere. Dopo hanno costruito quella tomba ... un angelo dalle ali spezzate: nessuna icona poteva essere più azzeccata. Elena non volava più da tempo … tanto … troppo: il perché, forse lo troverai tra questi diari … ma io l’avevo letto nei suoi occhi. Le mancava l’amore … le mancavi tu! –
A quelle parole, non trattenni una smorfia di disappunto.
-
Ha sbagliato fratello: non ero io il suo grande amore … era Stefan … sarebbe sempre stato Stefan … - dissi con amarezza.
-
Mah … non credo … non ne sarei così certo. Le rare volte che era in sé … le poche volte che ci siamo abbandonati ai ricordi, ai “se fosse” … ai “chissà” … lei parlava di Stefan nello stesso modo in cui parlava di me: un ex fidanzato … un amore trasformato in affetto, trasfigurato in amicizia. Quando si pronunciava il tuo nome, il respiro le si fermava un attimo, si stringeva le braccia contro il petto e smetteva di parlare. -
-
Mi odiava, probabilmente … - insinuai.
-
Gli mancavi talmente tanto che, col tempo, ha spento ogni forma di amore … prima di tutto quello per se stessa. Ha buttato acqua sui tizzoni che ardevano sotto la cenere del vostro amore mai compiuto, fino a spegnere ogni speranza di riaccendere quel fuoco … di riaccendere il suo cuore soffocato. -
Il pensiero di Elena consumata dal rimpianto non mi dava quel gusto dolce di una vendetta tardiva per il suo addio. Saperla annientata da un sentimento che non aveva mai voluto ammettere, mi sembrava improbabile … incredibile. Certamente Matt si sbagliava … sicuramente aveva equivocato.
-
Cosa farai, ora. – mi chiese.
-
Hai paura che resti a combinare qualche casino? – ironizzai.
-
No … anzi … questa pace mi è sempre sembrata un po’ irreale … immeritata. Il prezzo pagato è stato troppo alto. Non fraintendermi: amo mia moglie e adoro la mia famiglia e non vorrei certo che vivessero nella paura in cui ho vissuto io ai tempi del liceo. Però, oltre a loro non mi è rimasto nessuno; ho nuovi amici, ovviamente, ma “loro” mi mancano … non so che fine hanno fatto … non li vedo da allora … non so nulla di loro … -
-
Vorresti che io andassi a smuovere le acque? Che m’infilassi nella tana del lupo? –
-
Lo faresti? –
-
Non lo so … non ancora … - tentennai.
Non potevo scoprire il mio gioco, anche perché non avevo ancora una strategia … non avevo tutte le carte … non potevo nemmeno accennare ad un bluff.
-
Ti fermerai ancora un po’ di tempo o sparirai come ha fatto tuo fratello? –
-
Non so che fine abbia fatto Stefan: avevamo un appuntamento e lui ha barato sul tempo. Non lo vedo né lo sento da venticinque anni … non so che fine abbia fatto… ma, sì, mi fermerò per qualche tempo … giusto per … - conclusi.
Matt trattenne un sorriso e mi versò ancora da bere.
Prima di tornare a casa, mi fermai da Meredith per chiederle delle sacche di sangue. Non me la sentivo di andare fuori città, né per rubare in un ospedale, né per ...
Dopo aver ascoltato il racconto di Matt, non mi soffermai a chiacchierare con la dottoressa, che vedendo il mio volto serio non osò farmi domande.
Consegnandomi le sacche di sangue, mi disse solo poche parole.
- La convivenza pacifica non è valsa il sacrificio di Elena ...-
Le feci una domanda, la stessa che posi a Matt per capire, come avevano coperto la finta morte di Elena.
- Hai redatto tu il certificato di morte?-
- No ... Klaus ha voluto che fosse un luminare di Atlanta a seguire la " malattia" di Elena ... lo stesso che ha redatto il certificato. Perché me lo chiedi? - domandò sospettosa.
- Perché non era da Elena lasciarsi morire così ... -
- lo pensavo anch'io, ma ... quando sono andata a vedere la salma ... prima che fosse tumulata, le ho toccato il polso, fingendo un ultimo saluto. Ti assicuro che non c'erano segni vitali.-
- Non avrebbe potuto essere in transizione? - domandai, anche se il corpo che mi era apparso in visione era umano.
- Non penso. E’ stata sepolta prima con i suoi genitori, in attesa che la tomba “di famiglia” fosse completata ... poi la bara è stata spostata: a che pro tutta quella messa in scena, se si fosse trasformata? Quale vantaggio poteva ricavarne Klaus a mantenere nascosta un'Elena vampira? No ... era veramente depressa, apatica ... E credo che questo l'abbia resa facile vittima di qualche una malattia incurabile. -
- Matt parlava solo di depressione ...-
- Nessuno ha mai letto il certificato di morte ... nessuno sa Il vero morivo del decesso. Da come l'ho vista io, poteva essere inedia o cancro, tanto era consumata ... come se qualcosa l'avesse fagocitata dall'interno ...-
Ancora una volta quelle immagini di sofferenza mi attanagliarono il cervello, anche se sapevo essere solo una parentesi ... solo il momento che aveva preceduto quella specie di sospensione della vita, di cui ero stato testimone.
Quella sera, forse, avrei avuto delle risposte.
Tornato a casa, appoggiai la scatola dei diari di Elena sul tavolo e mi guardai attorno.
Afferrai il lenzuolo che copriva il divano davanti al camino spento e mi domandai se fosse il caso di togliere gli scuri alle finestre. Pheeb mi aveva chiesto di non farmi notare molto in giro; probabilmente voleva tenere suo padre all'oscuro del mio ritorno. Il perché me lo avrebbe svelato quella sera ... sperai.
Aprii appena la porta. Il pomeriggio si preparava al tramonto, il che stava a significare che mancavano ancora ore alla sua visita.
Mi appoggiai allo stipite della porta semichiusa e osservai il cortile, che portava i segni dell'abbandono.
Le erbacce avevano insinuato le loro radici tra le fessure delle pietre che lastricavano il viale di accesso. Le piante erano cresciute a dismisura: qualche ramo secco penzolava pericolosamente e le foglie morte stavano marcendo sulle loro radici. Se fossi rimasto, avrei dovuto chiamare in giardiniere ... se fossi rimasto, avrei dovuto pensare ad assumere un custode per non far andare la casa in rovina ... oppure venderla per farla tornare un pensionato ... oppure ...
Perché la nostra mente si rifugia nei piccoli problemi quando non vuole tormentarsi con l'immensità del dubbio e dell'ignoranza? Non sapere era ciò che mi dava più fastidio ... Notai che la Camaro era ancora parcheggiata dove l’avevo lasciata la sera prima: sperai che nessun “nemico” l’avesse notata, e mi affrettai a riporla in garage; nemmeno per un istante venni sfiorato dal pensiero di una fuga.
Chiudendo la porta, rientrai nel buio della sala. Senza accendere alcuna luce, presi un bicchiere impolverato e mischiai sangue e bourbon, per cercare un po' di pace dal ronzio dei miei pensieri sconnessi.
Lasciai che il miscuglio mi scendesse lento in gola, mentre mi sedevo sul divano. Come accadeva da quasi venticinque anni, chiusi gli occhi nell'attesa dell'oblio che ne sarebbe seguito ... l'assenza di pensieri ... il vuoto di sensazioni.
Stavo per ingurgitare il secondo sorso, ma qualcosa mi fermò. Il ronzio che avevo in testa si trasformò in silenzio ... il silenzio in mormorio ... il mormorio in parole: "Non lasciarmi, Damon, non lasciarmi ancora ..."
Riconobbi quella voce che echeggiava nella mia testa, ma non seppi capire se fosse un'allucinazione dovuta al liquore troppo invecchiato e se fosse invece un trucco di Pheeb.
Avevo bevuto da Matt ... stavo bevendo ancora ... e non sapevo distinguere realtà e desiderio, tra magia e allucinazione. Quella voce era indubbiamente quella di Elena ... ma era qualcosa che avevo sentito o che avrei voluto sentire? Io volevo sentire il suo bisogno di me ... sentirla chiamare il mio nome ... sentirla.
Scossi la testa e capii che se avessi voluto trovare il bandolo di quella matassa aggrovigliata, avrei dovuto rimanere assolutamente lucido.
Con il bicchiere ancora stretto in mano, presi la bottiglia e mi alzai, dirigendomi verso il camino. Guardai il vetro antico di quel contenitore di effimere illusioni e, con un sorriso involontario, cominciai a spargere alcool sulle pareti e sul fondo del camino. Bevvi un ultimo sorso di quel sangue inquinato e buttai il bicchiere. Era una strana sensazione ... quella bottiglia era come una simpatica e disponibile prostituta, di quelle che per pochi soldi non ti danno solo qualche minuto di sesso, ma anche il calore di un momento di illusorio affetto, di compagnia, nel vuoto di un'esistenza solitaria.
Guardai il bourbon colare sulle pareti annerite del vecchio camino e, istintivamente, cercai i lunghi fiammiferi di legno che di solito usavo per accenderlo. Li trovai proprio dove erano sempre stati: ne tolsi uno dalla scatola finemente cesellata, con al centro lo stemma della famiglia Salvatore, e lo sfregai contro la striscia ruvida posta sul fianco. Aspettai che la fiammella prendesse vigore e lo lanciai nella bocca del focolare. In un attimo la cavità fu invasa da fiamme bluastre che evaporarono velocemente come l'alcool che le alimentava, bruciando in un fuoco senza fumo e senza cenere, così come erano evaporati i venticinque anni che avevo trascorso lontano da casa.
Presi la sacca di sangue e mi nutrii: qualunque cosa mi si prospettava, dovevo essere pronto, presente a me stesso e forte ... nel corpo e nello spirito.
Voltandomi per andare a risedermi, vidi la scatola con i diari di Elena ... sigillata ... con una lettera infilata sotto i cordoncini che la chiudevano. Sulla lettera il mio nome ... scritto a mano con una grafia che ben conoscevo: quella grafia ... la sua.
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Capitolo 5 *** Schegge di ricordi ***
CAPITOLO 5
… SCHEGGE DI RICORDI …
"Damon ...
So di non avere il diritto di rivolgermi a te ...
So di aver perso qualsiasi possibilità quando, anni fa, ti ho imposto di andartene, illudendomi di poterti strappare dal cuore.
Ma tu non eri nel mio cuore ... non solo: tu eri in me ... sotto la pelle, dentro il sangue ... nelle viscere ... e niente, nessuno, ha potuto guarire la tua assenza, perché con te non se n'era andata una parte di me ...
semplicemente era venuto a mancare ossigeno per le mie cellule ...
Semplicemente non " ero" più.
Ma richiamando quell'amore che ho letto in ogni tuo gesto ... quel senso di appartenenza reciproca che mi ha sempre sconvolta e spaventata, ti chiedo un ultimo favore.
Non ti spiego perché ... non ti racconterò motivi e scusanti: ti scrivo solo che domani tornerò a casa e presto legherò il guscio vuoto che sono diventata a un essere innominabile.
Se leggerai questa lettera, significa che sarai tornato ... se hai la scatola, sarà perché avrai incontrato Matt ...
Affido a te la mia anima trasposta in poche parole come ti affidavo la mia vita quando eri con me ... come ti affiderei me stessa se tu fossi ancora qui.
Fanne ciò che vuoi: leggi ... conserva ... brucia.
La mia esistenza ha perso di significato quando tu hai chiuso quella porta: vivo in un eterno crepuscolo grigio, ammorbata da una sofferenza senza tregua.
Il mio cuore è avvizzito, avvilito dalla consapevolezza che non tornerai … non presto … mai abbastanza presto.
Il mio futuro è nelle mani del nemico che abbiamo combattuto insieme.
Non so cosa ne sarà di me ... e non m’importa.
La tua assenza è un’ombra che oscura ogni minuto … ogni pensiero.
Potevo essere … non sono stata … non sono … non sarò mai …
Tua.
Elena.
Ripiegai la lettera.
Quelle parole, quella confessione tardiva era come calce viva e, insieme, unguento per i miei sentimenti. Ogni parola bruciava e leniva ferite antiche … ogni frase mi ridava aria per poi spingere la mia testa ancora più a fondo nell’acqua torbida della mia sofferenza.
La vita ci aveva donato un sentimento unico ed immenso … e lo avevamo ucciso: lei per vigliaccheria, io per troppo orgoglio. Non le avevo mai dato retta … non l’avevo mai ascoltata, eppure, quando mi ha lasciato, ho creduto subito che non mi amasse abbastanza, che non ero degno del suo amore. Mi ero arreso. E lei si era perduta.
Guardai i suoi diari, e nonostante l’angoscia crescente, sorrisi.
Quante volte avevo letto di nascoste quelle confidenze segrete, quante volte, vegliando su di lei, avevo spiato i suoi pensieri.
Certo, leggere del suo amore per Stefan non era piacevole, ma tra quelle righe avevo trovato spesso la forza di perseverare, perché, a un occhio adulto, quelle parole mostravano un amore dolce e adolescenziale, destinato ad occupare un posto nei ricordi tra il liceo ed il college.
Di me non scriveva se non per sfogare la rabbia per una mia pazzia, per un litigio o una discussione: mascherava con la frustrazione la passione che sentiva crescere tra di noi.
Dopo Denver non avevo più avuto modo di leggere oltre: Alaric, Klaus, il ritorno di Stefan dal lato oscuro mi avevano tenuto lontano da quel piccolo piacere.
Non sapevo nemmeno se avesse scritto qualcosa su quella notte … su quel bacio … oddio … ”quel” bacio.
Guardai l'orologio ... il tempo passava lento e non sapevo a che ora il ragazzo sarebbe arrivato; questo rendeva ancora più stressante l'attesa: non potevo fare nulla, andare da nessuna parte, per non rischiare di non essere presente quando fosse arrivato.
Con un colpo deciso recisi lo spago e la mia indecisione, togliendo il coperchio alla scatola.
I diari erano impilati; le copertine erano scevre di un qualsiasi riferimento agli anni raccontati nelle loro pagine.
Riconobbi quello con la copertina di pelle verde, quello su cui stava scrivendo prima di … quello contenente i momenti che avevamo condiviso, quello che avrebbe dovuto raccogliere le lacrime del nostro addio o il sollievo per la mia scomparsa.
Sopra la pila giaceva un diario dalla copertina nera: il cuoio era stato malamente graffiato con una punta metallica per incidere la parola "College". Una tale incuria non era da Elena, ma, seppur abbozzata, la grafia era indubbiamente la sua.
Ero indeciso se iniziare da dov'era finita, o se partire dalle ultime pagine, per avere qualche risposta alle mie infinite domande.
Se il cuore m’imponeva di scoprire come avesse continuato la sua vita Elena dopo la mia partenza ... il cervello mi richiamava alla fretta di aggiungere tasselli al mosaico di un presente altrettanto ignoto.
Presi il diario nero, rimandando la soddisfazione dei sentimenti ad un altro momento; slacciai la sottile stinga che lo chiudeva e feci scorrere le pagine con il pollice. Come in una roulette russa non diedi una logica alla mia ricerca, ma lasciai che fosse il fato a decidere cosa sapere e quando.
La prima pagina che si aprì ai miei occhi, circa a metà del quaderno, presentava una serie di scarabocchi senza senso: piccole spirali si alternavano a incroci insensati di linee nere. Tornai indietro di qualche pagina, e le date, poche anche quelle, indicavano il 2012, circa il secondo anno al college ... tutte piene di inutili graffiti.
Sfogliai il diario a ritroso, per cercare qualche annotazione. La prima frase sensata che trovai era un'intestazione: "Secondo anno al Whitmore" e subito sotto "... E non m’importa nulla ... di niente e di nessuno."
Da lì in poi, solo carta imbrattata.
Ero indeciso se ricominciare dal primo anno o se andare oltre, e sperando di avvicinarmi all'incontro con Klaus, che Matt mi aveva detto essere avvenuto intorno all'ultimo anno. Ricominciai a giocare con le pagine, superando il punto da dove ero partito.
Su una di esse l'inchiostro era colato, come se qualcosa di bagnato vi fosse scivolato sopra. La data era ben visibile al centro della pagina e un nome, il mio, riempiva tutti gli spazi bianchi attorno ad esso: era il giorno del mio compleanno. Una data ... il mio nome e ... lacrime.
Accarezzai quel foglio come se il tocco potesse trasmettermi i pensieri di Elena. Fermai le mie dita sulla carta un po' ondulata, cercando di afferrare le lacrime che aveva assorbito.
Non volevo illudermi, ma non potei fare a meno di domandarmi il perché di quel pianto, del mio nome scritto mille volte.
Passai oltre per non rimanere invischiato in inutili malinconie.
Feci scorrere ancora le pagine ... velocemente questa volta, finchè, finalmente, non ne trovai una fitta di parole.
Le prime mi colpirono come un pugno in pieno stomaco.
"Oggi ho incontrato un ragazzo ..."
Chiusi il diario sbattendolo e trattenni l’istinto di scaraventarlo lontano.
Ma quanto ero imbecille? Cosa mi aspettavo: che diventasse monaca di clausura?
Deglutii la mia insensata gelosia e ricominciai a leggere.
“Oggi ho incontrato un ragazzo. O meglio … ho creduto di incontrare un ragazzo …
Ok: dall’inizio.
Andando a lezione di letteratura inglese, questo pomeriggio, la mia attenzione è stata attirata da un giubbotto nero. Dopo anni, il mio cuore ha avuto un sussulto. Quei capelli neri appena mossi, quelle spalle, quel suo modo di porsi hanno risvegliato in me un barlume di emozione, una tiepida speranza. Mi sono fermata ad osservarlo: era solo, appoggiato alla colonna posta alla base della scalinata, all’entrata del dipartimento dove si tenevano le lezioni del professor Taylor.
- Non può essere lui- continuavo a ripetermi.
- È tornato- continuavo a sperare.
Le mie gambe si rifiutavano di fare un solo altro passo. Se era Damon, sarei morta di felicità … se non fosse stato lui, mio buio sarebbe diventato un po’ più denso.
Come richiamato dai miei pensieri, il ragazzo si voltò: due occhi azzurri illuminavano un volto sbagliato. Non era Damon … non era lui … ma prima che il mio cuore tornasse in letargo, il ragazzo si avvicinò, sfoggiando uno strano sorriso demoniaco.
- Sono settimane che ti giro attorno con le sembianze di un ragazzo che assomiglia a Stefan, e tu non mi hai mai notato … ma, quando hai visto questo “esemplare”, la tua reazione è stata inequivocabile. Dopo tutti questi anni, non lo hai ancora dimenticato. -
Klaus …”
Le mani mi tremavano e la mia mente vagava in due direzioni opposte.
Lei aveva reagito pensando di vedermi.
Klaus era arrivato ad importunarla, sotto false sembianze.
Il primo pensiero mi strappava un sorriso … il secondo un ghigno di rabbia.
Klaus si avvicinò ancora di più, con la sua camminata insolente, il suo sguardo impertinente: anche quando invadeva altri corpi, non perdeva le sue caratteristiche peculiari.
- Sai, cara Elena ... sono più di due anni che bazzico da queste parti e ho potuto osservare molto da vicino te ed i tuoi amichetti ...non che abbia un particolare interesse per tutti loro, ma devo dire che voi ragazze di Mystic Falls avete tutte un fascino particolare. Sono stati anni molto educativi e chiarificatori, ricchi di nuove ed impreviste scoperte. Una ci riguarda da vicino ... molto da vicino ... –
Il suo respiro mi scaldava la guancia, provocandomi un intollerabile fastidio.
Tentai di domandare come la sua essenza potesse vagare per il college, di corpo in corpo, chi lo stesse aiutando, ma lui mi zittì, posandomi l'indice sulle labbra.
- Da quando sei al college mi sembri molto spenta ... depressa credo che sia la definizione più appropriata. Ho saputo che hai lasciato andare i Salvatore: brava la mia ragazza. Avrebbero solo intralciato i miei piani … -
- Che cosa vuoi da me? – gli ho domandato a fatica, buttando fuori il fiato in un unico respiro.
- Avrai tutte le risposte a tempo debito. In questi anni ho messo in ordine molte cose ... ho colmato tutte le lacune ... mi sono trovato i complici giusti ... i poteri giusti. Ho un progetto molto più ambizioso di quatto ibridi asserviti. -
- Quindi il mio sangue non ti serve più? - chiesi stupita.
- Mi serve molto di più del tuo sangue, molto di più. Ma non dobbiamo avere fretta, tu non devi averne ... io non posso averne: questa volta non farò errori! Ho calcolato tutto... ho previsto e fatto prevedere tutto. Pochi accorgimenti, gli ultimi, e potremo cominciare -
- Qual è il mio ruolo? E cosa ti fa pensare che starò al tuo gioco? -
- Come al solito, cara Elena ... ti farò un'offerta che non potrai rifiutare: nessuno potrà sottrarsi al suo destino ... nessuno rifiuterà la mia proposta. -
Il sangue tornò a scorrere caldo di rabbia nelle mie vene, dopo anni si gelo assoluto.
Il pericolo era tornato a cercarmi.
Credevo di aver rivisto la mia unica ragione di vita, invece mi sono ritrovata a faccia a faccia con un nemico peggiore della morte.
- Se mi hai osservata attentamente, saprai che ultimamente della mia vita non mi importa molto – dissi.
- Beh, se ricordo bene, della tua vita non ti è mai importato molto. Avevi la vocazione della martire, ma c'erano i fratelli Salvatore a guastare i miei piani ... ora che anche loro sono lontani, nessuno mi metterà più i bastoni tra le ruote. -
- E se dovessero tornare ? -
- Sarò pronto ad accoglierli ... sarò pronto per qualsiasi nemico, previsto e imprevisto. Dunque … cominciamo subito a vedere quanto sei ubbidiente: non dire a nessuno che mi sono rivelato a te, altrimenti comincerò dal tuo caro amico Matt ... passando per il tuo amato fratellino Jeremy. Poi ... vediamo ... tutti i ragazzi del college, uno dopo l'altro. In fondo mi dovresti ringraziare: sono qui per dare alla tua vita uno scopo ... e non puoi immaginare quanto grande!-
Detto questo, ha posato la sua mano sulla mia guancia e, inaspettata, vi ha lasciato una carezza.
Ho percepito quel contatto come una violenza, un'affermazione d’imperio sulla mia persona.
Fissandomi negli occhi, con quegli occhi così perfetti, così sbagliati su un volto estraneo e stravolto da un'anima perversa, ha accennato un sorriso sarcastico.
- A presto, mia cara ... – mi ha sussurrato.
Ed è scomparso.
Chiusi un attimo il diario e strinsi i denti.
Quale piano diabolico aveva architettato Klaus?
Cosa doveva accadere, vent’anni dopo, affinché si potesse compiere?
Come una spugna su una lavagna colma di parole di gesso, il racconto di Elena cancellò ogni supposizione per sostituirvi una flebile illusione.
Le lacrime versate sul mio nome, il risveglio dei sentimenti credendo di avermi visto, la rassegnazione nelle parole dette a Matt, la lettera ... tutto mi portava a illudermi che contassi qualcosa per lei, che avessi contato un po’ più di qualcosa.
Mi sentivo smembrato tra un animalesco istinto di distruzione e il più umano e fragile dei sentimenti: la speranza.
Speranza o illusione?
Come distinguerle?
La prima è una porta aperta a riposte che, entrando nella tua anima, ti danno la forza per guardare avanti … è un raggio di sole che si infiltra tra le fessure delle tue finestre chiuse per illuminare il buio da cui sei avvolto … è il futuro che ti viene a cercare … che sa dove trovarti.
La seconda è un’infida creatura della tua mente … una larva annidata nella tua disperazione, che di essa si nutre e con essa si gonfia. Continuare a nutrire quel parassita divora la tua razionalità, offusca la tua vista … rende inutile la tua vita.
Cosa stavo facendo io?
Mi stavo facendo illuminare dalla speranza o imbrogliare dall’illusione?
"Ma quale speranza! Possibile che io sia sempre il solido idiota? Quattro parole, due frasi scritte in un momento di disperazione ed io m’illudo. M’illudo di avere cosa? Chi? Lei? Dorme chissà dove, prigioniera di Klaus, circondata da chissà quali misure di sicurezza ... ed io? invece di capire come salvarla, mi crogiolo nell'idea che possa avermi amato ... che possa amarmi ancora! Se anche si risvegliasse … se anche fosse qui con me … dopo tutto questo tempo sarei solo un vago ricordo, un passato da dimenticare … dimenticato. Inutile: sono proprio un coglione!”
- Non sei un coglione ... sei solo innamorato di lei -
La voce di Pheeb mi fece sobbalzare.
- Magari un “permesso” per entrare in casa mia e nella mia testa sarebbe gradito! - ringhiai.
- Che cosa hai tra le mani? - mi chiese, curioso, entrando nel salone.
- I diari di tua madre ... - risposi, riponendo nella scatola quello che stavo leggendo.
- I diari di Elena? Pensavo li avesse bruciati … - ripeté una voce dal passato ... l'ennesima eco che mi riportava indietro nel tempo, come se gli anni non fossero mai trascorsi.
- Bonnie? - le sorprese sembravano non finire mai.
- Sì, Bonnie è l'unica che può spiegarti fino in fondo cosa è accaduto ... l'unica che può tentare di trovare una soluzione. È tutto in mano alla magia ... è sempre dipeso tutto dalla magia, e con la magia deve finire ...- affermò serio Pheeb.
- Damon ... – mi salutò Bonnie, entrando nel mio raggio visivo
Era molto più magra di quanto la ricordassi, molto più adulta. Anche lei non era invecchiata di molto: aveva solo perso i tratti adolescenziali per acquisire le espressioni e le movenze di una donna nello splendore degli anni. Il viso era più affilato e il colore ambrato della sua pelle la rendeva affascinante, misteriosamente affascinante. La serietà caratterizzava l'espressione dei suoi occhi, accentuata da una ruga leggera proprio in mezzo alle sopracciglia, segno di una preoccupazione, di una tensione costante. I lunghi capelli corvini che ricordavo, erano stati tagliati cortissimi, rendendola ancora più sofisticatamente dark, come l'abbigliamento: rigorosamente nero.
Guardandola, capii che ci aspettava una lunga notte.
- Mi dispiace, ma non ho nulla da offrirvi ... è un po' che manco da casa e oggi non ho avuto tempo di fare la spesa ... -
- Non hai bisogno di fare l'idiota con me, Damon ... - disse severa.
- Non sto facendo l'idiota, sto solo cercando di essere ospitale. Volete accomodarvi? - li invitai, togliendo in un solo gesto il telo che copriva l'altro divano che occupava il salotto.
- Non beccatevi come due vecchie comari ... Damon, ti avevo promesso delle spiegazioni, e Bonnie è la persona giusta ...-
- Cenerentola deve rientrare per mezzanotte, o puoi rimanere un po' più a lungo? - chiesi a Pheeb.
- Beh ... visto che una delle mie guardiane è con me, forse potrò rimanere assente qualche ora in più ... -
- Pheeb ... non possiamo alimentare sospetti ... – lo rimproverò Bonnie.
- Avevo capito guardie... – mi intromisi.
- Sorveglianza, Damon, una stretta sorveglianza con le migliori guardiane: streghe! –
La parola streghe si ripeteva in maniera imbarazzante. Magia ... poteri occulti contro i quali era difficile combattere: non si poteva strappare il cuore ad un incantesimo.
- Preferisci che cominci dalla fine o dall'inizio? - mi domandò Bonnie, con una voce forzatamente paziente. - O vuoi pormi tu delle domande e accontentarti di frammenti da ricomporre? -
- Prima di ogni altra cosa, il ragazzo mi ha detto che Elena è in pericolo: cosa significa? -
- Sempre magia, Damon ... rituali ... vittime sacrificali. -
-Ancora un sacrificio rituale? Che cosa avete inventato questa volta, voi fastidiose sacerdotesse di dee sadiche?
- Non abbiamo inventato o programmato nulla. Il primo sacrificio doveva limitare il potere di Klaus: renderlo vulnerabile per un attimo, prima di trasformarlo in un essere immortale. Eliminare la doppelganger aveva lo scopo di impedirgli di creare abomini, lasciarlo solo e vulnerabile. Ma, quella volta, il nostro intervento ha vanificato tale conclusione. Non siamo noi streghe, ma è la natura che crea antidoti ai propri veleni. Un nuovo rituale … una nuova esca … ma questa volta il rischio è immenso, le perdite troppo dolorose e il risultato potenzialmente devastante. Bisogna fermarlo ... fermare Klaus ... di nuovo. -
- E l’agnello sull’altare dovrà essere Elena? – la sola idea mi pietrificò.
- Non lei … non subito … - rispose Bonnie.
- Mio padre ha un delirio di onnipotenza – intervenne Pheeb, - ed è vicinissimo ad ottenerla: è disposto a sacrificare mia sorella per raggiungere il suo scopo e potrebbe sacrificare anche me e mia madre, se servisse. -
- Fermi ... se questo è il finale, datemi qualche dato di partenza ... comincio a perdermi. –
Mi alzai di scatto e cominciai a camminare avanti e indietro sul tappeto intriso di polvere.
Possibile che Klaus stesse architettando un nuovo rituale? Come allora, era rimasto un mostro assetato di potere e affamato di controllo.
Pheeb sedeva accanto a Bonnie, gli occhi fissi sulle mie mosse, come a studiarmi … come a capire se potesse trovare in me un valido combattente o un pericoloso Don Chisciotte. Sentendo su di me lo sguardo severo che fu di Elena, non potei fare a meno di contenere la mia inutile ipercineticità, sintomo di una debolezza emotiva che non giocava a mio vantaggio.
-Ok Bonnie … sputa il rospo … fammi capire - la esortai, tornando a sedere.
- Prima di tutto devo dirti che … se Klaus non è morto è per colpa mia. Avevo un patto con lui: il suo spirito avrebbe vagato da un corpo all'altro, fino a quando non saremmo riusciti a fermare Alaric ... fino a quando non avremmo fermato sua madre. Vi abbiamo lasciato l'illusione di essere gli unici a sapere dove fosse nascosto il suo corpo, ma ... ho sempre seguito i vostri spostamenti, e ho sempre saputo dove fosse la bara. -
- Tu e i tuoi incantesimi ... – sbuffai.
- No ... per quello è bastato un GPS e un cellulare ... più efficace e preciso di un incantesimo di localizzazione. -
- Matt mi ha detto che al college eri in contatto con uno strano professore ... c'entra qualcosa?-
- Klaus, con l’aiuto di Elijah, voleva annientare il potere di Alaric, e per riuscirci, doveva far ritornare la madre e convincerla a sciogliere l'incantesimo. Non voleva che Elena morisse, non voleva risolvere il problema nel modo più semplice, voleva risolverlo in modo definitivo: bloccare i poteri della madre e le sue connessioni con le streghe nell'aldilà. I fratelli avevano sentito parlare di un certo professor Shane, titolare della cattedra di scienze dell’occulto al Whitmore.
Il prof Shane era, ed è ancora, sposato con una strega potente, Caitlin, discendente da una linea di sangue diversa dalla mia. Deriva direttamente dai druidi celti e conosce una magia molto antica, crudele. Non solo. Le donne della famiglia di Shane avevano poteri particolari: erano veggenti … -
- La stai prendendo troppo alla larga ... imbocca una scorciatoia ... – la interruppi.
- Vuoi capirci qualcosa o no? Allora pazienta e ascolta. Tutta la famiglia Shane, lui la moglie e una figlia, Cassidy, vivevano vicino al College, a pochi km da Mystic Falls, un paese che, come ben sai, sembra avere una particolare predilezione per l'occulto e per creature mitologiche. Atticus era ossessionato dallo studio delle forze misteriose che si concentrano nella zona. -
- Quindi? – friggevo d’impazienza.
- Quindi, sotto mentite spoglie, Klaus cominciò a frequentare con me le sue lezioni e Elijah riuscì a diventare un assiduo frequentatore del professore e della moglie. Catturò la sua attenzione con un adattamento della storia della sua famiglia e gli confessò che sua madre era stata una potente strega vichinga. L'interesse di Shane si elevò all'ennesima potenza. Cominciò a fare ricerche e .... scoprì la vera natura della famiglia Mikaelson. I suoi studi in tema di creature immortali si erano intensificati molto tempo prima, quando suo figlio, Sam, morì in un incidente, senza che nessuna magia o nessun incantesimo potessero riportarlo in vita. Guarigioni magiche. ... vampiri ... streghe … tutte le sue indagini si concentravano sulla ricerca non tanto dell’ immortalità, ma di una certa invulnerabilità: voleva arrivare dove la medicina e la magia avevano fallito. Avere in famiglia una strega e una madre veggente non avevano impedito alla morte di portargli via il figlio. Quindi, quella che era una passione dovuta alla particolarità delle donne di casa sua, era diventata un’ossessione. Aveva già approfondito la mitologia dei vampiri, e questo lo aveva portato a scoprire l'esistenza della maledizione del sole e della luna, che Klaus aveva diffuso. Inoltre, alla morte della madre, Atticus aveva trovato molti appunti sparsi e disordinati, squarci di visioni sporadiche apparentemente insignificanti. Nascosto in un cassetto giaceva cilindro di legno, contenente una pergamena … –
Invece di schiarirmi le idee, la storia di Bonnie mi stava mandando sempre più in confusione.
- Un cilindro? … Una pergamena? … Bonnie ... dove vuoi arrivare? ... – la interruppi.
- Voglio arrivare qua, dove siamo ora ... a dove potremmo trovarci tra qualche giorno … all’inizio della fine. –
P.S. : La storia di Shane è stata adattata alla trama della mia storia: ho preso in prestito il personaggio e l’ho plasmato alle mie esigenze. Chiedo scusa alle puriste della mitologia …
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Capitolo 6 *** Un'altra notte ***
Capitolo 6
… UN’ALTRA NOTTE …
Quando Pheeb e Bonnie se ne furono andati, rimasi per un attimo incredulo.
Tutta la storia appariva come un’accozzaglia di mitologia e assurdità.
L’unica cosa che contasse era che bisognava liberare Elena … dovevo liberare Elena.
Era notte fonda, ma non avevo nessuna voglia di andare a dormire: ero sfinito e non avevo la lucidità di analizzare le pergamene che mi aveva lasciato Bonnie … o di leggere i diari di Elena.
Un’altra notte …
Decisi di farmi una doccia per togliermi la sensazione d’impotenza che mi stava attanagliando: e se non ce l’avessi fatta?
Salii in camera mia e gettai le scarpe in mezzo alla stanza.
Un’altra notte …
Venticinque anni …9125 notti … altrettanti anelli d’acciaio di una catena che mi aveva da sempre tenuto legato a questo posto maledetto … ad una donna mai completamente mia.
Ogni ora di quelle notti era sale sulle ferite del mio cuore che cercavo di lavare con l’alcool, il sangue, l’odore di altre donne … inutilmente.
Affondavo le mie labbra in un bicchiere, i miei denti nelle vene, il mio corpo tra cosce sconosciute … ma nulla … solo il senso di nausea il giorno dopo … e un altro anello alla catena … un altro giro di filo spinato attorno al mio cuore.
… e vagavo come un cane randagio, preso a calci dalla vita, ignorato dall’amore; cercavo la pace nell’oblio che cancellava quel tempo vuoto dalla mia memoria, lasciando solo il sapore amaro dell’inutilità di un’esistenza votata al nulla … per non sentire più nulla.
E dopo tutte quelle notti di piombo … quei giorni di sonno … eccomi di nuovo al punto di partenza, come se non fossi mai partito, come se quel tempo non fosse mai passato.
Sarebbe stata quella la prima notte senza buio?
Guardai il vapore offuscare il vetro della doccia e mi spogliai senza guardarmi allo specchio.
Lasciai che l’acqua scivolasse sul mio corpo nudo … gocce calde come dita leggere risvegliarono la mia pelle.
Chiusi gli occhi e il suo volto si stagliò sull’interno delle mie palpebre abbassate: sorrideva imbarazzata … un invito sottinteso … negli occhi la luce del desiderio … sulle labbra dolci promesse.
Immaginai il suo corpo mai visto … lo immaginai svestito e bagnato accanto a me … sotto quella lieve cascata d’acqua.
Il mio corpo reagì …
Appoggiai le spalle al muro, lasciando scorrere le mie mani lungo il torace … il disegno dei miei addominali … immaginando altre mani … altre labbra.
Di colpo aprii gli occhi, e come sempre mi ritrovai solo, con una mano appoggiata sul basso ventre.
La frustrazione arrivò a limiti intollerabili: la follia mi prese e cominciai ad urlare il suo nome, ma nemmeno l’eco della mia voce mi rispose.
All’improvviso, dal profondo del pozzo in cui giacevano, affondate nell’acqua stagnante, le mie antiche emozioni risalirono scaraventandosi sulla mia carne … gocce di acido a corrodere mia pelle insoddisfatta.
Mi scaraventai contro il vetro appannato e sferrai un pugno contro il fantasma che mi aveva ammaliato.
Dio come la volevo … lì … in quel momento.
Per un attimo il mio sangue colò insieme all’acqua: lo guardai scivolare nello scarico insieme alla mia rabbia.
L’urlo divenne un ringhio … il ringhio un sospiro …
“Elena …”
Mi lasciai scivolare tra i frammenti di vetro … scheggia tra le schegge. Infilai le mie mani tra i capelli bagnati.
Sarei voluto uscire … prendere la mia auto e volare via … o semplicemente cercare il conforto di una bottiglia … del sangue pulsante … del nulla in cui ero solito rifugiarmi.
Perché la sua mancanza faceva male … cazzo se faceva male … tanto … troppo!
Mollai un calcio al muro, lanciando un altro urlo al soffitto, ormai al limite della sopportazione.
“Non rinunciare proprio adesso … non quando mi hai ritrovata … non quando sei vicino a riprendermi.”
Indubbiamente stavo impazzendo, ma quella voce ebbe il potere di calmarmi, almeno un po’.
Alzai il volto verso il getto della doccia, lasciando che lavasse via una lacrima.
“Arrivo, Elena … fosse l’ultima cosa che farò … anche se dovessi morirne … ti salverò … ma tu aspettami, per favore … o manda qualcuno ad uccidermi se dovessi fallire …”
Aggrappato a quell’illusione, mi alzai e, chiudendo il rubinetto, camminai sui vetri infranti. Non mi preoccupai di asciugarmi … non mi preoccupai delle orme di sangue che lasciavo dietro di me.
Arrivai al bordo del letto e non feci altro che togliere il copriletto impolverato. Le lenzuola di lino bianco erano leggermente ingiallite … ma non m’importava.
Ancora gocciolante mi sdraiai su quei vecchi materassi, a pancia in giù … la testa affondata nel cuscino che puzzava di chiuso.
Abbandonai le mie membra stanche, ignorai l’ennesima richiesta di appagamento che proveniva dal mio essere uomo, e trovai pace in un sonno senza sogni.
La mattina mi svegliai nel buio delle finestre sbarrate.
Bonnie mi aveva chiesto di lasciar credere che la casa fosse ancora disabitata. Uscendo aveva ricomposto i sigilli che impedivano ai vampiri di entrare in una casa senza essere invitati, in modo che nessun ospite indesiderato potesse intrufolarsi.
Senza accendere alcuna luce, rovistai nella valigia che avevo preso dalla Camaro la sera prima. Ne tirai fuori un maglione nero di lana e lo infilai sulla pelle nuda. Afferrai un paio di boxer e i primi jeans neri che trovai. Mi vestii, passai le dita tra i capelli scarmigliati e mi diressi, scalzo, al piano di sotto.
La doccia e lo sfogo della notte mi avevano lasciato un senso di pulizia: avevo buttato fuori tutto il rimosso di anni di dolore soffocato, e ora lo sentivo camminare al mio fianco, vicino, ma non più dentro di me a rodermi come un tarlo.
Non avevo voglia di sangue, non avevo voglia di nutrirmi … magari un caffè …
Realizzai che avrei dovuto trovare il modo di fare delle provviste, di cercare qualcuno che mi sistemasse la casa senza destare sospetti: se doveva diventare un rifugio … il “suo” rifugio, andava ripulita, rifornita di generi alimentari … per umani e vampiri.
Entrando nel salone, vidi le carte che Bonnie mi aveva lasciato, copie di una sentenza di morte.
Rimandai i problemi pratici di cibo e pulizie e mi sedetti alla scrivania; disposi le carte sul piano di legno antico e cercai di mettere ordine tra le informazioni che la strega mi aveva fornito la sera prima.
Shane aveva trovato un rotolo di pergamena nello studio di sua madre. La pagina, scritta a mano, non era antica, e dalla grafia il professore non aveva avuto dubbi che fosse stata scritta dalla madre la sera prima di morire, una morte avvenuta senza un apparente motivo.
Quando Bonnie me la mostrò, non riuscii a trattenere una battuta.
-
Questo che cosa significa? Dobbiamo organizzare una spedizione sull’isola del tesoro? –
-
Possibile che tu sprechi ogni buona occasione per stare zitto? – mi rimbrottò.
La mappa indicava una breve serie di numeri, tre per la precisione, posti sopra a quella che sembrava la topografia di un luogo misterioso.
-
Vedi Damon … questa mappa è stata l’inizio di tutti i problemi. Una sera Atticus la mostrò a sua moglie, cercando di capire di cosa si trattasse … che luogo rappresentasse. La didascalia citava “L’inferno degli dei”… -
-
E … -
-
Caitlin studiò la posizione dei numeri … la forma di quella che, in effetti, sembra un’isola. Nessun luogo … nessun posto sembrava coincidere con i confini riportati sulla pergamena. La morte della madre risaliva circa ad un paio d’anni prima del nostro arrivo al college … prima che Shane incontrasse Klaus ed Elijah … prima di incontrare me. Il mistero della mappa rimase irrisolto per molto tempo. Una sera, dopo aver scoperto la vera natura di Elijah, Shane lo invitò a casa sua. Elijah si presentò con me al suo fianco. Incontrare una strega come Caitlin era interessante, e l’originale preferiva avermi al suo fianco, per prevedere le mosse della mogli di Atticus. L’invito era stato posto per mettere le carte in tavola … per dirci che aveva capito tutto del vampiro originario e della mia natura magica. Era interessato alla maledizione spezzata … all’immortalità dell’ibrido e alle sue capacità curative. Elijah, a sua volta, spiegò a Shane i suoi scopi … la necessità di raccogliere più magia possibile attorno alla sua famiglia per bloccare la madre e liberarsi della maledizione del cacciatore immortale. La serata si protrasse tra scambi di notizie e nozioni, domande e risposte … fino a quando, parlando del rituale che aveva spezzato la maledizione, a Shane venne un colpo: la notte del “sacrificio” era la notte in cui sua madre era morta … la stessa data riportata sulla mappa. –
-
Quindi la mappa è legata a Klaus … ? – intuii.
-
La veggente voleva lasciare un messaggio al figlio … alla nuora. Il problema era che nessuno riusciva a capire quale.-
-
L’inferno degli dei … a quale luogo si riferisce? – domandai.
-
L’inferno degli dei non è un luogo … ma l’antidoto ad un veleno … il rimedio ad uno sbaglio … o queste erano le intenzioni di una natura che mirava a mantenere l’equilibrio a qualsiasi costo … con qualsiasi mezzo …-
-
E scommetto che questo mezzo è Elena … ? – dissi con voce resa roca dall’ira.
-
Elena è uno degli elementi … ma lasciami finire … -
Avevo ascoltato il resto della storia in un forzato mutismo. Ogni parola … ogni nota che veniva aggiunta era una spina nel mio cuore. Sfilai gli altri fogli che Bonnie mi aveva dato, scritti in momenti diversi … casuali … brani di una strana filastrocca …
-
Quando il professore capì il collegamento, andò a prendere la pergamena. Con noi c’era anche la figlia, Cassidy, una studentessa dello stesso anno di Jeremy. Non appena il padre distese la pergamena sul tavolo della cucina e noi tutti vi posammo le mani sopra, Cassidy iniziò a parlare in modo strano.” Io conosco quel luogo … io so dove si trova … so che cos’è!” Tutti ci voltammo a guardarla, i genitori oltremodo stupiti … Cassidy non aveva ancora manifestato in modo evidente le sue doti di veggente, nessuno l’aveva messa alla prova. In quel momento, però, la nostra catena involontaria sulla mappa e la concentrazione di magia apportata da me e da sua madre, avevano innescato la sua prima visione: ”Quella non è un’isola o un luogo misterioso: quello è il giardino della nonna!” urlò. -
La mappa che avevo tra le mani non era altro che il nascondiglio di una serie di visioni che la madre di Shane aveva avuto prima della sua morte … una serie di strani versi apparentemente senza senso … versi che avevo davanti agli occhi … versi che contenevano una profezia.
-
La nonna di Cassidy aveva diviso la profezia in tre parti, così come le erano apparse … ma vi era una quarta parte, nascosta in un luogo non indicato dalla mappa, un luogo che sarebbe apparso alla veggente successiva, una volta trovate le prime tre … una parte che non è tutt’ora a conoscenza di Klaus … la parte che sta ponendo gravi problemi di coscienza a me e a Caitlin. –
Presi i fogli che portavano scritti i versi, la profezia che aveva scatenato la follia di Klaus e cominciai a leggere la copia della prima parte.
L’essere che nascerà dall’abominio,
unito al sangue che lo ha creato,
sarà perfetto, angelo o demonio.
Maschio e femmina originato,
unito, tra i mortali, immortale
ma vulnerabile se separato,
magico... e potente … e letale,
sana e rinnova il sangue che scorre
non morte ma vita lui dona, leale.
Era ovvio che parlasse dei gemelli … maschio e femmina … Pheeb e Cinthia, e dei loro poteri. Al lato dei versi, c’erano alcune annotazioni di Bonnie e, forse di altri che cercavano di capire cosa potesse nascere dall’unione dell’abominio, Klaus, e dal sangue che lo aveva creato, Elena. Le ipotesi erano molteplici ma una cosa era certa: insieme i figli di Elena creavano qualcosa di potente, e nel loro sangue scorreva la magia.
Quali fossero i loro reali poteri, ancora non mi era stato spiegato. Il tempo, la notte precedente era stato troppo poco per chiarire tutte le implicazioni della profezia: Pheeb doveva essere a casa prima che il padre si accorgesse della sua assenza e Bonnie aveva percepito un fremito che le aveva imposto di ritornare prima di finire il suo racconto.
-
Pheeb … tuo padre è rientrato: ora è da tua sorella … dobbiamo ritornare immediatamente o comincerà a porci domande. Le tue passeggiate notturne cominciano a destare i suoi sospetti e la scusa della luna piena comincia a fare acqua. Damon … leggi queste carte, comincia a capire cosa sta accadendo, cosa accadrà e cosa potrebbe accadere. Ti lascio anche la pianta di villa Mikaelson con segnata la camera dove dorme Elena … dobbiamo liberarla al più presto, e non posso contare su molto aiuto degli ospiti della “reggia”-
-
Quando tornerete? – domandai, impaziente di saperne di più.
-
Appena troverò una scappatoia, mi metterò in contato con te. – mi disse Pheeb, agitato.
-
Pheeb … non puoi … - lo riprese Bonnie.
-
Devo … dobbiamo! Sta torchiando Cassidy perché tutto sia perfetto e ho paura che presto lei non potrà più controllarsi e gli rivelerà l’ultima parte della profezia … non dobbiamo permettere che ciò avvenga … non possiamo permettergli di cominciare qualcosa che potrebbe significare la fine per noi … - implorò il giovane.
-
O per lui … - aggiunse la strega, tristemente.
Dopo avermi consegnato i documenti, Bonnie e Pheeb si diressero verso la porta.
Tentennai … fu un attimo, ma tentennai … poi la richiamai per porgli un’ultima, difficile domanda.
Lei si voltò con il suo sguardo rassegnato e, abbassando gli occhi scuri, rispose:
E scomparve nella notte da dove era venuta.
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Capitolo 7 *** Black holes and revelations ***
Capitolo sette
… BLACK HOLES AND REVELATIONS …
Avevo volontariamente accantonato il pensiero di Stefan: era alla villa ... era " vivo" e questo mi bastava, per il momento.
Mi concentrai sulla seconda parte della profezia.
Nato nel giorno di inverno solstizio
che tenebra spazio alla luce cede,
tra buio e luce equilibrio fittizio.
Venti giri gli dei in loro sede,
attorno al Sole poi tracceranno,
fino ad unirsi in un'unica fede.
Se il potere mantenere vorranno,
bevendo della madre il sangue
in uno i due confluire dovranno.
Fatti due conti, la data di nascita dei gemelli avrebbe dovuto essere il 21 dicembre 2014 e presumibilmente qualcosa sarebbe dovuta accadere dopo vent’anni, in una notte in cui tutti “gli dei” sarebbero stati “uniti”.
Bonnie aveva annotato una data:
11.11.2034 – luna nuova –
Cercai qualche spiegazione che potesse chiarirmi quell’infantile poesia; trovai un’altra annotazione:
“Solstizio d'Inverno: passaggio dalle Tenebre alla Luce,profondi messaggi iniziatici ed esoterici. Il solstizio stesso è chiamato "la porta", simbolo di una contemporanea esistenza di due dimensioni, che durante i solstizi si congiungono: le porte sono aperte ed è permesso il varco.”
ma la spiegazione non mi dava elementi chiari, se non che la loro nascita era legata ad un equilibrio sovrannaturale.
L’unico verso inequivocabile era quello riferito al sangue della madre … il sangue di Elena. “In uno i due”? I gemelli dovevano unirsi, ma in che modo? Pheeb mi aveva accennato al sacrificio di Cinthia …
Quella mattina il calendario segnava il tre di novembre: se la data scritta da Bonnie si riferiva al rito, questo sarebbe dovuto avvenire da lì a qualche giorno, troppo presto per un piano perfetto. Va beh … quando mai i miei piani erano perfetti?
La priorità era rapire e svegliare Elena: il suo sangue era determinante ... ma per cosa?
“In uno i due”… questa frase rimbalzava nella mia mente.
La morte della femmina doveva avere a che fare con l'accrescimento del potere di Pheeb, … ma quale potere?
Stanco di farmi domande, cominciai a leggere la terza parte della profezia, impaziente di conoscere il finale di un giallo, di cui già conoscevo l'assassino.
Il potere di Zeus l’uno otterrà
Di ogni limite mortale libero
dai mortali limiti libererà
Il suo sangue sarà vita senza morte
Non più sete … non più brama
Di male e bene deciderà la sorte
Se la notte trascorre senza inferno
Lei solo la magia avrà in dote, lui
demone schiavo, precariamente eterno.
Il potere di Zeus?
Mi misi a riflettere, ma quest’ultima parte era veramente senza un senso logico. Stranamente vi erano molte meno annotazioni, come se le streghe, o chiunque l’avesse letta e compresa, non volessero lasciarne traccia.
Il fulcro era la fusione dei gemelli in un unico essere, che, intuivo, avrebbe avuto poteri infiniti.
Bonnie non mi aveva lasciato la quarta parte: non doveva essere divulgata, mi disse, soprattutto non doveva assolutamente arrivare a Klaus. In quel momento solo lei, Caitlin, Cassidy e Pheeb ne conoscevano il contenuto.
Di tutta quella miserrima letteratura una cosa sola era chiara: Elena era in potenziale pericolo, e a me questo bastava per sentire i polsi tremare, i piedi scalpitare, il respiro affannarsi. Avrei voluto fare un'irruzione alla villa, strappare cuori e correre a rapirla, ma ancora non sapevo nulla della situazione delle creature segregate nella fortezza magica. Non conoscevo il loro ruolo nella realizzazione della visione, quanti e quanto complici erano al fianco di Klaus … non sapevo nulla del reale destino di Stefan.
Conoscevo la mia impazienza ... sapevo quanto potesse essere pericolosa. Questa volta, però, dovevo assecondare i ritmi che gli eventi passati e futuri m’imponevano, dovevo misurare la mia pazienza con l'attesa di altre risposte, con l'incertezza del finale, la mancanza di una soluzione radicale che azzerasse tutto e mi riportasse indietro di venticinque anni.
Purtroppo per la mia voglia di agire, il mio desiderio di averla accanto, di accertarmi che stesse bene, che fosse al sicuro, l'idea di dover aspettare passivamente mi faceva friggere.
Tempo ... ancora il vecchio nemico amico.
Tempo da far passare, da riempire, da svuotare ... da perdere e ritrovare ...
Il tempo dell'attesa, che si dilata a dismisura...
il tempo dell'azione, frenetico e insufficiente ...
Il tempo della gioia, ancora lontano da venire.
Chiedevo tempo ... vendevo tempo ...
L'eternità era precaria davanti all'urgenza ...
Il tempo perso e perduto, irrecuperabile e necessario, mi sfuggiva tra le dita come una bolla d'aria, che non lascia traccia ... non sporca ... non bagna ... e se ne va.
Concentrai la mia attenzione sulla pianta di villa Mikaelson; le vecchie abitazioni avevano da sempre delle vie di fuga sotterranee: l’aveva la mia ... le aveva la villa dei Fell, lontani parenti di Meredith, che Klaus aveva ristrutturato. Ovviamente non erano segnate su nessuna mappa o piantina, ma io le conoscevo ... le conoscevo bene. Cercai di scoprire se le streghe e gli originali avessero scoperto quel vecchio tunnel che io e la pro zia della dottoressa usavamo da ragazzini per scappare nel bosco o per nasconderci da occhi indiscreti: una ragazzina sveglia la piccola Dorothy!
Tra i vari segni e modifiche al progetto del 1880, nessuno aveva evidenziato quel passaggio. Se non era crollato, avrebbe potuto diventare un’efficace via di fuga, o di entrata che mi avrebbe permesso di intrufolami inaspettato per compiere la mia missione.
Guardai i fogli sparsi sul tavolo con una crescente irritazione: me ne sfuggiva il significato, la logica, la visione d’insieme. Ero totalmente cieco.
Dovevo uscire a schiarirmi le idee o non ne sarei mai venuto a capo.
Lasciando porte e finestre sbarrate, mi recai in uno di quei passaggi segreti scavati subito dopo la costruzione del pensionato che aveva sostituito la dimora dei Salvatore, andata distrutta dopo la morte di mio padre. Lo avevano scavato i nostri “nipoti", più per un'abitudine alle precauzioni che per una vera necessità, così come avevano mantenuto le celle sotterranee … nel caso gli “zii” fossero divenuti troppo pericolosi.
M’infilai un paio di scarpe e un giubbotto acquistato a Milano: il morbido cuoio nero fece aderire la lana del maglione alla mia pelle, procurandomi un piacevole senso di calore.
Scesi nello scantinato e cercai la porta nascosta dietro ad un vecchio archivio. I cardini erano ossidati, segno che il passaggio non era usato da decenni. Senza troppo sforzo, la scardinai e mi infilai in un cunicolo angusto, umido e maleodorante, ma ancora praticabile. Percorsi il tunnel cercando di ricordare dove fosse l’entrata dell’altro, quello della villa … quello che avrebbe potuto condurmi da Elena.
Uscendo allo scoperto, fui avvolto da una lieve nebbiolina: era novembre e l'autunno aveva vestito i suoi colori, sfumandoli con quel velo impalpabile.
Il sole cercava una strada tra la penombra di foglie e nuvole; i raggi disegnavano lame che tagliavano la coltre di nebbia e fendevano il terreno bruno. Lo spettacolo della natura non riusciva, però, a distrarmi dai miei pensieri.
Il mistero dei gemelli mi ossessionava e quell'inutile filastrocca non aveva fatto altro che proporre più domande che riposte: mi domandai perché la signora Shane non avesse scritto le cose come stavano ... che bisogno c'era di esprimersi in modo tanto criptico?
Infilai le mani a fondo nelle tasche dei jeans e m’incamminai tra le foglie fradice, lasciando dietro di me solo un leggero fruscio.
Da ragazzo avevo giocato in quei boschi, rifugio segreto mio e di mia madre, quando volevamo scappare dall'austerità di casa Salvatore. Amava quei luoghi ancora inviolati, adorava perdersi nei sentieri non ancora segnati, prendendomi per mano e raccontandomi di avventurose spedizioni, incitandomi a tentare nuove e fantastiche esplorazioni.
Per un attimo mi sembrò di sentire ancora la sua risata allegra e spontanea, il suo essere uno spirito indomito ... unico suo dono lasciatomi in eredità.
La prima donna che avevo amato ... la prima che avevo perso ... che non ero riuscito a salvare.
Sapeva di rischiare molto con la seconda gravidanza e, anche se ero solo un bambino, mi rendevo conto di quanto la debolezza la stesse consumando. Ogni giorno, in quei lunghi mesi, mi sedevo accanto sul suo letto, rallegrandola con racconti di bambino, di sogni di un domani da vivere insieme. Volevo salvarla, ma mi sentivo impotente … inutile. Alla fine perse la vita per darla a mio fratello: morì al suono del suo primo vagito.
La sua immagine sorridente pareva prendere forma tra il gioco delle particelle di polvere sospese a mezz’aria con le gocce di rugiada, prismi di rifrazione di una luce rubata al mattino. Allungai la mano per mischiare quel pulviscolo ingannatore, lasciando al passato quel volto sfocato.
Mi fermai a riflettere, sedendomi su un tronco sradicato: ero indeciso se tornare da Matt o lasciargli credere che me ne fossi andato, se recarmi in uno store a Mystic Falls o se sceglierne uno fuori città … se andare a spiare la villa o tornare a casa a cercare di capire quegli scritti misteriosi.
Vinse la curiosità … la sfida più pericolosa: decisi di andare a dare un’occhiata alla vecchia dimora, per capire come si presentasse dall’esterno.
Ero quasi arrivato in un punto del bosco da cui potevo intravvedere i muri dell’antica villa restaurata, quando una voce mi richiamò:
- Fossi in te, non proseguirei! –
Era una donna.
- Fossi in te mi farei vedere - le risposi a tono.
- Sono alle tue spalle, non mi sto nascondendo … “signor” Salvatore! -
Mi voltai, stupito di non aver percepito il benché minimo rumore.
- E tu chi saresti? - le domandai sulla difensiva.
- Io sono l'altra parte della magia ... sono Caitlin! -
Non avevo mai visto quella donna dai lunghi capelli rossi, dalla pelle diafana spruzzata di pallide efelidi. Immaginai che fosse una delle streghe che gli originali avevano chiamato attorno a loro per combattere il potere di Esther.
- Quante parti ha la magia? – chiesi, cercando di mantenere un tono ironico e sprezzante.
- Vuoi una storia sulla radici della magia? Troppo lunga da discutere in una fredda mattina d’autunno con la nebbia che infradicia i vestiti. Sappi solo che per bloccare Esther e liberare il tuo amico Alaric, Elijah ha dovuto radunare almeno quattro stirpi di famiglie magiche … le più antiche, quelle legate agli elementi fondamentali.
Avevamo una Bennett, parte in causa nella creazione dei vampiri, le cui radici sono nella terra madre di ogni popolo: l’Africa.
Ci serviva una strega nata dal potere dell’acqua, per purificare la terra, una che venisse direttamente dagli dei greci: trovammo Medea, esperta della “goetèia”, estremamente astuta e scaltra, molto utile per tenere a bada l’infamia di Esther e la furbizia di Klaus.
Il potere nato dal fuoco è l’unico che non si tramanda per via matriarcale … è l’unico che nasce da un uomo da un uomo deve essere esercitato: direttamente da dio Ra egiziano prende la sua forza dal sole e dalla luce. Ash-shams, venne in nostro aiuto, ma non riuscì ad accettare di convivere con tutte le creature delle tenebre e, dopo aver bloccato i poteri di Esther, se ne tornò in Egitto.
Esther appartiene alla linea delle stelle, la più rara … mentre io discendo direttamente dalle sacerdotesse di Avalon, devote alla Madre, alla donna come fonte di vita … di vita e non di morte!
Quando Elijah riuscì a riunirci, un rappresentante per ogni linea magica, riuscimmo a richiamare Esther e, contro la sua volontà, la costringemmo a completare il pentacolo. La bloccammo in uno stato di sospensione, togliendole ogni potere e assoggettandola al nostro volere: prima di addormentarla inerme, la obbligammo a sciogliere il legame che univa Alaric ad Elena, annullando anche il suo potere di cacciatore. Ora è un normale vampiro … -
“Bene” pensai “anche Alaric è ancora ‘vivo’…”
Reprimendo un sorriso, cercai di saperne di più sui progetti che si celavano dietro a tante inutili parole.
- La tua storiella di maghi e di streghe è molto meno interessante di molti libri che ho già letto sull’argomento. Non ho bisogno di una favola per addormentarmi in pieno giorno … voglio sapere cosa sta per succedere ! –
- Perché ti vuoi intromettere? Non puoi cambiare il destino o il destino cambierà ancora e ancora. -
- Non m’importa del destino: io voglio Elena ... –
- Elena è parte del destino. Questa volta lei non deve per forza morire, ma ci serve il suo sangue per chiudere il cerchio iniziato migliaia di anni fa ... e questa volta il cerchio deve definitivamente chiudersi. –
- Ma se vi serve solo il suo sangue, perché non lo prelevate e non la lasciate libera? - domandai, scorgendo un sottile spiraglio tra sue parole.
- Abbiamo già il suo sangue: pensi che Klaus non abbia un piano di riserva? Non pensi che se la profezia non fosse chiara ... non fosse ben interpretata e dovesse fallire, lui non abbia previsto di ricominciare con i suoi ibridi? –
- La profezia ...? - finsi di cadere dalle nuvole per non mettere Bonnie nei guai.
- Non fare il finto tonto! So benissimo che Bonnie e Pheeb sono venuti da te ieri notte. Nulla sfugge al cerchio magico che abbiamo posto a protezione della casa. Pheeb ha accampato la scusa del richiamo della luna piena, ma era ovvio che stesse mentendo. Nessuno ha avvisato Klaus del suo tentativo di boicottarlo ... ma non voglio che rovini il nostro piano: la profezia deve completarsi ... e il mondo conoscerà meno crudeltà ... meno brama di sangue ... meno morte … meno sofferenza ... –
- Non capisco ... non ho capito una parola di quella maledetta profezia … i gemelli … due in uno … uno diviso in due … - finsi di irritarmi.
- Quando Klaus si è nutrito del sangue di Elena, nella notte in cui è diventato immortale, si è innescato un nuovo ciclo … una nuova ricerca di equilibrio. Sbloccare la sua natura di licantropo lo ha reso di nuovo fertile, ma … solo con una donna … solo una volta. E quella donna doveva essere Elena. Dalla loro unione, suggellata dalla magia, sarebbe nato l’essere perfetto. Questa era la sola cosa che avevamo intuito … questo era quella che ha spinto Klaus a sposare Elena: l’idea di avere come figlio un essere praticamente invulnerabile. Decifrata la profezia, si esaltò: già si vedeva in cima ad un Olimpo al fianco di suo figlio, “magico … potente … letale …” , a dominare il mondo. –
- Unito … separato … immortale tra i mortali … - recitai a memoria, tentando di non soffermarmi sul fatto che Elena e Klaus si fossero “uniti” …
- Cinthia e Phoebus … l’essere perfetto … mortale ma invulnerabile. Lui è un potenziale licantropo, con dei poteri che si manifestano man mano che cresce: riesce a creare dei campi di forza, a spostare oggetti, lanciarli per difendersi … blocca le persone … ma nemmeno lui conosce appieno il suo potenziale. Lei è una strega potente: ha ereditato i poteri della nonna … ma non solo. Sa canalizzare il potere magico che la circonda a suo vantaggio; riesce a neutralizzare la magia che viene rivolta contro di lei. Questo separati. Uniti … insieme … sono invulnerabili. I loro poteri si fondono e nulla e nessuno può sconfiggerli. Solo una volta abbiamo potuto assistere al loro potere, ed è stato stupefacente: erano solo bambini eppure hanno messo fuori gioco chiunque tentasse di avvicinarli. Da allora Klaus li tiene separati … –
Ad ogni parola mi ritrovavo più incredulo … ad ogni spiegazione sempre più confuso.
- La profezia parla del loro sangue? –
- Il potere di guarigione del sangue di Klaus … del sangue dei vampiri … in loro è molto più potente: se si mescolano gocce del loro sangue si ottiene la cura per ogni male o malattia … si ferma l’invecchiamento … si placa la sete di sangue dei vampiri … -
- E che cazzo è: l’elisir di lunga vita? – sbottai.
Decisi che Caitlin era completamente pazza.
“Non è pazza Damon, come credi che mia madre sia riuscita a non invecchiare, a non morire per tutto questo tempo? Lei non è un originale che può essere pugnalato e rimesso in vita o un vampiro che si mummifica e poi torna ad essere quello di prima … Lei è umana … dormiente e ancora giovane grazie al sangue mio e di mia sorella …”
“Pheeb? Dove sei?”
“Sono nella villa … ma abbastanza vicino da sentirti. Non far capire che ti sto parlando: lei non conosce il mio potere telepatico … lascia parlare lei … non ti scoprire troppo!”
- Se tutta questa perfezione è già nelle vostre mani, cosa vi spaventa? A cosa serve il rito? – chiesi, per prendere tempo.
- Allo scadere dei vent’anni, nella notte in cui tutti i pianeti, gli dei, si allineeranno, i due dovranno riunirsi … essere uno. Solo in questo modo si avrà la perfezione: un dio in terra … il nuovo Zeus … umano ma immortale, senza vincoli di sangue … poteri immensi e illimitati, senza bisogno della magia … e il suo sangue … il suo sangue sarà fonte di vita eterna … la fine della sofferenza … -
Gli occhi della strega entrarono in una visione delirante: sembrava stesse guardando il paradiso … saggiando l’ambrosia …
- Tu sei una pazza. Come puoi pensare che un essere con tanti poteri abbia a cuore il benessere degli altri ... in fondo è il figlio di Klaus ... –
- ... e figlio di Elena! Te lo dimostra il fatto che si stia rifiutando, che stia cercando una scappatoia ... che non voglia sacrificare la sorella ... perché Klaus ha deciso che sarà lei a dover cedere i suoi poteri al fratello. –
- E per un’illusione, forse un equivoco, tu saresti disposta a lasciar morire una ragazza di vent’anni? Dov’è la tua compassione? Dov’è la tua filantropia? -
- Voi siete miopi e preferita la felicità di uno a discapito del benessere più generale. Sareste disposti a sacrificarne cento per uno solo ... a cercare un effimero presente senza guardare oltre, verso un futuro migliore. – sproloquiava.
- E se il rito non fosse completato? – azzardai.
- Lei rimarrebbe una strega ... potente come la nonna, ma pur sempre una semplice strega ... mentre lui perderebbe ogni potere e diventerebbe un licantropo non conclamato, fino al primo assassinio. Il problema sta nel fatto che il padre ha già deciso che, nell’eventualità, lui si dovrà trasformare in un ibrido: se non potrà avere un figlio onnipotente, allora avrà un figlio immortale ... suo simile. –
- Pheeb cosa ne pensa? –
- Pheeb sta combattendo contro il tempo, cercando una scappatoia: non vuole uccidere sua sorella … non desidera trasformarsi! Ma io non gli permetterò di arrendersi: lui deve diventare quella creatura potente che è destinata a diventare, per il bene di tutti, per il bene del genere umano e sovrannaturale. –
- Ok … pur ammettendo che il suo sangue sarà la cura per ogni male ... che toglierà la brama di sangue a noi vampiri ... permetterà di invecchiare lentamente. Che cosa avete intenzione di fare? Di trasformarlo in una specie di fonte magica a cui andare a bere ogni volta che una malattia o una ferita necessiteranno del suo intervento? Cosa volete farlo diventare ? Un santone a cui la gente si rivolge per ottenere un miracolo? Organizzerete dei pellegrinaggi come a Lourdes? – ghignai.
- Lui sarà sovrano di se stesso. Lui deciderà, accanto a suo padre, come gestire tanto potere. Klaus vuole trasformare la sua casa in un Olimpo, in cui dei e semidei possano vivere come una ... –
- … famiglia! La sua ossessione ... la sua eterna mancanza! - conclusi per lei.
Tutto quello che mi stava rivelando appariva come un insensato delirio. La cosa che mi lasciava più perplesso era la ferma convinzione della strega che fosse la cosa giusta, che stesse agendo per il bene della comunità ... dell'intera umanità, forse.
- In ogni caso … c’è sempre la quarta parte della profezia … quella sconosciuta a Klaus … quella ancora equivoca … quella che potrebbe distruggere o risolvere tutto … quella che non rivelerò nemmeno a te! – rise.
- Non mi fotte nulla della profezia … degli dei … della panacea di tutti i mali: io voglio Elena … mi interessa solo lei: avete il suo sangue … lasciatemi il resto! –
- Potremmo aver bisogno della sua vita … la profezia non è precisa … potrebbe essere necessario il suo sacrificio … e tu non lo impedirai. –
All’improvviso lo sguardo di Caitlin si fece minaccioso, gli occhi si ridussero a due fessure. Le sue mani si tesero verso di me e dalla sua bocca cominciò a fluire una litania incomprensibile. Appena il flusso della sua magia mi raggiunse, sentii il mio corpo raffreddarsi, dalla pelle verso il centro: potevo sentire la necrosi raggiungere ogni mia singola cellula … percepivo il freddo penetrare ogni molecola … lentamente e inesorabilmente.
Pensai ad Elena … la vidi sola e perduta.
Cercai di combattere … di sfuggire a quell’incantesimo … ma non potevo muovere un muscolo … nemmeno sbattere le palpebre: un inutile blocco di ghiaccio … mi stava trasformando in un inutile cubetto di ghiaccio.
Ancora una volta impotente …
Ancora una volta inutile.
Un pensiero … un solo ultimo pensiero:
“Pheeb … salva tua madre … chiedi a Stefan di aiutarti: salva tua madre!”
Gelo.
Scusate il titolo … ma dopo il concerto, non potevo non dedicare un tributo ai fantastici MUSE.
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Capitolo 8 *** Incontro ***
Capitolo 8
… INCONTRO …
-Fermati! –
Una voce tonante riecheggiò nella radura dove stavo per essere ibernato.
- Non lascerò che lui rovini i nostri piani – urlò Caitlin.
- I tuoi piani … i piani di mio padre … non nostri … non miei! –
La voce di Pheeb risuonava alterata: sembrava amplificata e ritrasmessa da antichi megafoni.
Improvvisamente ebbi la sensazione di riemergere da un lago ghiacciato.
Appena riuscii a riaprire gli occhi, vidi la sagoma del giovane Mikaelson sovrastare il mio corpo, che ancora giaceva nel muschio. Caitlin continuava ad inviare onde magiche al mio indirizzo, ma una forza contraria le deviava oltre.
- Caitlin fermati! Sai che non controllo ancora bene i miei poteri … potrei farti del male senza volerlo, e non voglio! Interrompi immediatamente il tuo incantesimo e lascia Damon libero. –
- Dov’è tuo padre? – domandò la strega, interrompendo l’incantesimo ormai inutile.
- Mio padre non è in casa … e anche se lo fosse, non m’importerebbe … -
- Come hai superato il cerchio magico? Non ho percepito nessuna frattura … -
- Come sono arrivato qua non ti riguarda. Lascialo andare o … - la minacciò Pheeb, determinato.
- Oppure cosa? Pensi di potermi sconfiggere? Mi combatteresti? Ti ho visto nascere, moccioso e oseresti sfidarmi? Sai bene quanto sia potente la mia magia mentre tu non ha nessuna consapevolezza dei tuoi poteri, di come gestire le tue doti – lo derise.
All’improvviso fu come se tutta l’elettricità presente nell’aria si stesse concentrando in un unico punto. Sentii le vibrazioni penetrare il terreno e risalire verso il corpo di Pheeb. Poggiai le mani a terra per tentare di rialzarmi, e sentii un pizzicore pervadermi i palmi.
- Non ci provare, ragazzino, - rise Caitlin. – Potresti rimanerne ucciso. –
- Tu credi? Non sei che una misera strega … -
Improvviso, un lampo di luce squarciò la nebbia. Dalle mani di Pheeb uscirono due scie bluastre che, come corde di fuoco freddo, avvolsero la strega facendola sussultare.
Completamente ripresomi dalla paralisi, mi alzai e mi spostai in modo da vedere meglio la scena.
Il volto del giovane era trasfigurato; l’energia lo stava attraversando sempre più intensamente, tanto che egli stesso cominciava a subirla, piuttosto che dominarla: rischiava di rimanere folgorato dal suo stesso potere.
-Basta, Pheeb! – urlai. – Fermati o ti ucciderai! –
Le mie urla vennero inghiottite dal fragore della corrente che attraversava lo spazio tra lui e Caitlin, la quale cercava di sopravvivere all’attacco salmodiando qualche incantesimo, ormai allo stremo delle forze.
Di lei non m’importava; ero preoccupato per il figlio di Elena, evidentemente sopraffatto dall’energia che aveva richiamato a sé.
Maledicendo il dolore che stavo per sentire, mi buttai con tutto il mio peso contro il ragazzo, cercando di staccarlo dal terreno, da dove attingeva il flusso di elettroni.
Appena entrai in contatto con lui, mi sentii attraversare da mille spilli roventi: ogni muscolo iniziò a contrarsi e gli spasmi bloccarono i miei movimenti. Fortunatamente l’impatto riuscì a scollegare Pheeb il tempo sufficiente per interrompere la corrente e far cessare la tempesta di fulmini.
-Basta Pheeb – gli dissi a un millimetro dal viso. – Così non risolverai nulla. –
- Per una volta Damon ha ragione … - la voce di Bonnie venne in mio aiuto.
Ancora debole, mi lasciai rotolare sul terreno, di fianco al giovane: leggere convulsioni rivelavano la presenza di scosse elettriche nel suo corpo.
Bonnie si avvicinò, per assicurarsi che lui stesse bene.
-Pheeb … non serve a nulla combattere Caitlin … non serve a nulla mettere in gioco la tua vita. Damon … tu come stai? – mi domandò nascondendo, dietro un tono distratto, una reale preoccupazione.
- Elettrizzato …? –
- Chissà mai che un piccolo elettroshock non ti sistemi i neuroni difettosi che ti ritrovi nel cervello. –
- Chissà mai che un bel calcio nel culo non spezzi il bastone di boria che ti porti infilato -
- Quando mai voi due riuscirete ad andare d’accordo? –
Quella voce … quella voce …
Quella voce che si avvicinava alle mie spalle … quella voce dal passato … calda, profonda … inconfondibile.
Non mi voltai a guardare da chi provenisse, non ne avevo bisogno.
-Stefan … ti ho aspettato l’altra sera … - riuscii a dire, trattenendo un sorriso, un pugno … la voglia di abbracciarlo e di spaccargli il collo.
-Io penso a Pheeb … credo che a Caitlin serva un po’ di tempo per di riprendersi: manderò Shane a curarsi di lei. Stef … riporta a casa tuo fratello … dagli due dritte prima che combini casini irreparabili … - comandò Bonnie.
-Signorina “sotuttoio” … mi lasci quattro cartacce e una pessima poesiuncola da tradurre e pensi che io possa starmene buono buono a fare i compiti a casa? –
-Damon ha ragione! Bonnie, noi non abbiamo un piano chiaro … non sappiamo cosa aspettarci, come agire … ma mi sono bastate un paio di sbirciatine nella sua testa e ho trovato un passaggio segreto che ha messo fuori gioco il vostro cerchio magico … ho trovato la voglia di salvare mia madre … la forza di lottare. Sono stufo della vostra rassegnata inerzia … - esplose Pheeb.
-Non siamo inerti, e lo sai … - aggiunse la strega, – solo non sappiamo come agire senza mettere in pericolo tutti … senza incorrere nella vendetta di tuo padre … -
- Quale vendetta??? – grugnii. Possibile che non ci fosse mai fine al peggio?
- Stai zitto un secondo, per favore! –
“Possibile che le streghe siano tutte tanto acide?” pensai.
- Pheeb … - intervenne mio fratello, - sai che lotteremo … sai che non sei solo … ma Bonnie ha ragione: mille volte abbiamo sbagliato … mille volte fallito. Questa volta la posta in gioco è troppo alta. Klaus ci ha promesso la pace … e per vent’anni ha mantenuto la sua promessa; ci ha promesso più “umanità” … e per vent’anni abbiamo vissuto in una bolla di pseudo normalità; ha promesso di non infierire sulla popolazione umana … e l’ha fatto. Ci ha dato una famiglia … -
- Di quale famiglia parli, stolto! – urlò il giovane. –Ah certo! Tu e Beks avete giocato a fare gli zii amorevoli, mentre mia madre dormiva un sonno pieno di incubi. Mio padre mi ha dato il mondo … ma mi ha separato da mia sorella … da mia madre! Tutti in quella casa vivono in un Eden fatto d’inganni … di eterna gioventù, senza lutti … senza perdite … ma quale vita è toccata a me e a Cinthia … quale vita ci aspetta? Quale morte! –
- Tesoro … risolveremo tutto … - tentò di rassicurarlo Bonnie.
- Come? Come! Tu ti sta facendo ancora troppe domande … ancora sei indecisa se salvare noi o salvare il mondo … hai mille dubbi … speri ancora nell’ultima parte della profezia. Sarebbe molto meglio se io morissi qui e adesso … - Pheeb era in preda alla disperazione più buia.
Avevo mio fratello a un metro di distanza, un fratello che non vedevo da venticinque anni e non avevo la forza di alzarmi, di staccare lo sguardo dalla diatriba in corso. Quel ragazzo mi stava colpendo al cuore: la stessa passione di sua madre … lo stesso desiderio di giustizia … lo stesso spirito di sacrificio.
-Pheeb … - mormorai –Dimmi cosa devo fare … dimmi come vuoi che agisca. Sai che sacrificherei la mia vita per tua madre … sai che farei tutto il necessario: dimmi come vuoi che ti aiuti.–
-Aspetta Damon … non partire con la lancia in resta … non questa volta! – mi rimproverò Stefan.
-Aspettare cosa? Dimmelo e aspetterò … ma dammi una buona ragione … anzi più di una buona ragione! – finalmente mi alzai e mi posi a un palmo dal suo volto. - Dammi una buona ragione per capire come mai vivi sotto lo stesso tetto di Klaus. Dammi una buona ragione per comprendere perché non hai ancora salvato Elena … Dammi una più che ottima ragione perché io non debba andare lì subito a portarla via. Spiegami perché non hai rispettato il patto … perché non sei venuto tu l’altra sera … perché non sei morto sulla tomba di Elena … perché, con una veggente e un esercito di streghe al tuo servizio, non hai trovato il modo di rintracciarmi e avvisarmi dell’apocalisse imminente … Perché Stefan … PERCHE’? –
Lui affrontò il mio sfogo con gli occhi fissi sul terreno, senza proferire parola.
Il sollievo di averlo ritrovato si trasformò in frustrazione. Mi aggrappai al bavero del suo giubbotto e cominciai a scuoterlo per fargli sputare qualche parola.
Lui alzò lo sguardo, con la testa inclinata sulla spalla destra … come faceva sempre quando si sentiva in colpa … come quando da piccolo rompeva qualche mio giocattolo … come quando era consapevole di avermi fatto infuriare.
-Andiamo a casa, Damon … abbiamo molto di cui parlare … troppo e troppo poco tempo. –
Mi rivolsi a Pheeb.
-Vuoi che resti con te? Vuoi venire via con me? –
Visibilmente più calmo, ma non meno disperato, mi fissò con gli occhi di Elena e scosse la testa.
-Per ora io sono al sicuro … ma verrò … verrò da te appena possibile e troveremo un modo per fermare questo branco di folli visionari … - promise.
- Quando vuoi … - lo rassicurai.
-Pheeb … ti prego … - lo implorò Bonnie.
-Con te o senza di te, Bonnie … metterò fine a tutto questo, e lo sai! – disse deciso.
Stefan gli si avvicinò, paterno e gli mise una mano sulla spalla: non lo avevo mai visto tanto adulto.
-Per niente al mondo vorrei perdere te o tua sorella … per nulla al mondo metterei a rischio la tua vita o la sua … ma sai anche tu che non possiamo sbagliare … e abbiamo pochissimo margine di azione. Damon è il nostro unico Jolly … l’unica carta che ancora Klaus non ha considerato e ancora non sappiamo come giocarla … se basterà a battere il poker nelle mani di tuo padre. -
Bonnie, china sul corpo addormentato di Caitlin, si voltò a guardare Pheeb.
-Da quando la definizione di Zeus ti calza tanto a pennello: fulmini? – chiese sorpresa.
-Da quando questo vampiro mi ha rivelato la vera passione … da quando la pazienza si sta trasformando in rabbia … la rabbia in furia … da qualche istante fa … - rispose, indeciso se esserne orgoglioso o spaventato.
- Ok … adesso torniamo alla villa … dalla porta principale. Stef … dirò a Klaus che sei andato a caccia: l’anno sta per finire e posso fargli credere che ricominci a sentire i morsi della sete … sbrigati. E tu, corvo maledetto, ormai il tuo segreto non è più tale: non far capire che sei tornato a casa tua. Cercherò di creare delle protezioni in modo che rimanga un rifugio sicuro … nel caso decidessimo di liberare Elena … -
- Nel caso? QUANDO decideremo … - rimarcai.
- Adesso sparite! –
Lanciai un’ultima occhiata al ragazzo, al quel pezzo di Elena che si stava insinuando nella mia mente, e m’incamminai nel bosco, sicuro che Stefan mi avrebbe seguito.
Arrivammo a casa con il sole allo zenit: un disco bianco come una luna diurna, impallidito dalle nuvole che non si decidevano a lasciare il cielo libero dal loro velo lattiginoso.
Ero uscito dal tunnel senza prendere le chiavi e avevo lasciato le porte chiuse.
-Mi dispiace, fratello … ma dovremo tornare nel bosco …-
- Lascia stare. Bonnie mi ha detto di aver rimesso il sigillo. Meglio se non mi fai entrare: Klaus potrebbe sempre chiedermi di fare cose che non vorrei … serve in posto sicuro … per te … per Elena … -
Ci sedemmo sui gradini nel retro, incuranti dell’umidità che penetrava la stoffa dei pantaloni, entrambi con gli occhi fissi sul gradino sotto i nostri piedi.
Venticinque anni: avere tutto da dirsi e non sapere da dove cominciare.
-Sei ancora soggiogato a lui? –
- No, ma non c’è verbena e tu sai che, se si sente minacciato, Klaus non guarda in faccia a nessuno: userebbe chiunque … farebbe qualunque cosa per finire quello che sta costruendo da più di vent’ anni … da quando lo abbiamo sepolto nel bosco … da quando ha scoperto il suo nuovo destino. Soggiogarmi per entrare in casa nostra sarebbe un’opzione, se tu decidessi di portare qui Elena o di dare rifugio ai disertori … - spiegò.
- Ti offrirei un drink da Matt … ma non credo si opportuno farci vedere in giro insieme. – buttai lì.
- Noi “ospiti” non posiamo avere contatti con gli umani: fa parte del patto suggellato da Klaus con le autorità … con il consiglio. Loro non cacciano … noi non cacciamo: nessuna relazione, nessun pericolo. –
-Come hai potuto, Stefan? Come hai potuto lasciare che Elena rimanesse addormentata tutto questo tempo? Come hai potuto non salvarla … accettare di convivere con quel mostro? E poi … cosa ha detto Pheeb? Tu e “zia” Rebekah? –
- Quando mi hai lasciato, Damon … quando te ne sei andato … beh … ho cominciato un viaggio … un viaggio dentro e fuori di me. Tu mi avevi scaricato all’aeroporto ed io … io non ho preso nessun aereo. Ho semplicemente cominciato a camminare verso sud, guardando solo i piedi, uno di fronte all’altro, con la mente vuota. Non sentivo la sete … non sentivo la stanchezza … camminavo cercando solo di non scontrarmi contro muri o persone, di non schiantarmi contro il dolore, di non cadere nel vuoto che avevo dentro. Ero solo … per la prima volta veramente solo. Non c’era Lexi a guidarmi, Elena a darmi uno scopo … Klaus a soggiogarmi … tu a proteggermi o a provocarmi. Ero solo con me stesso: nessuno mi spingeva verso il bene, nessuno mi trascinava verso la luce. Per la prima volta non dovevo fuggire o soddisfare le aspettative di qualcuno … adattarmi a fattezze che altri avevano plasmato per me.
Da ragazzo mi sentivo in dovere di ripagare nostro padre: a causa mia aveva perso sua moglie, ed io dovevo essere il figlio perfetto che da sempre desiderava. Avevo la sua integerrima figura da copiare e la tua ribellione da invidiare, senza lo sguardo dolce di una madre comprensiva, il conforto di un sorriso d’amore incondizionato.
Dal giorno della trasformazione … l’edipico giorno in cui uccisi nostro padre, ho cercato me stesso negli occhi di chi amavo, ho sempre voluto incarnare l’immagine che altri dipingevano per me; non potendo più essere il figlio perfetto, il fratello migliore, mi rimaneva solo il nulla, il buio di un’anima mostruosa. Uccidevo per non sentire il vuoto, e riempivo quel vuoto di sangue e sensi di colpa … fino allo stordimento … all’annullamento.
Poi Lexi … Elena … gli amici … il mio ruolo di vampiro buono … malato … da compatire … da aiutare: ancora foto scattate da altri.
Dopo aver perso tutto, mi ritrovai solo … solo in mezzo al mondo … e nel mondo ricominciai a camminare.
Decisi di scavarmi dentro per cercare lo Stefan che ero e non quello che gli altri si figuravano. Dovevo riconoscermi in quel ragazzo eternamente giovane che vedevo allo specchio e che non sapevo chi fosse.
E vagai, Damon … ho vagato dentro la mia mente, il mio cuore, la mia anima, ricordando quello che avrei voluto essere prima di trasformarmi … prima di incontrare Katherine.
Avevo dei sogni?
Avevo dei valori che non fossero quelli di nostro padre?
Vagai …
Solo le luci di New York ebbero il potere di farmi alzare gli occhi verso un cielo a scacchi, che cerca spazio tra le guglie di un’infinita cattedrale gotica, che invidia il cielo agli dei.
Lì mi fermai.
Vi rimasi dieci anni a vincere le mie battaglie … a combattere i miei mostri … a trovare una felicità alternativa ad Elena.
Tu lo sai bene, Damon: se cerchi qualcosa, qualsiasi cosa, a New York la puoi trovare … ed io vi trovai una nuova vita. –
-Come hai fatto? Quella città non abbonda di conigli … – lo schernii per spezzare l’emozione del racconto.
Colui che stava parlando era una versione più matura del ragazzino spaurito che avevo lasciato anni prima.
-In Central Park vive una quantità enorme di scoiattoli, se è per questo … ma non mi servivano. Le sacche di sangue abbondavano negli ospedali. Cominciai a gestire quella “dipendenza”, a nutrirmi di sangue umano, dosandolo … dividendolo in dosi giornaliere … senza esagerare … senza rinunciarvi.
Mi rassegnai al fatto di non essere umano, ma accettai la mia umanità. Non potevo vivere una vita normale, ma potevo “vivere”, accettare i miei errori … imparare da essi per ricominciare. E ricominciai. –
- Nonostante ciò tornasti qui … quindici anni prima del previsto. Quindici anni prima di me … - sottolineai.
-Dopo dieci anni avevo trovato un equilibrio. Sapevo di non poter vivere da essere umano, ma potevo condurre un’esistenza molto simile a quella delle persone normali. Ricominciai a frequentare l’università: alla NYU potevo mimetizzarmi. Potevo sembrare uno studente come tanti. Pur consapevole di quello che ero, non volevo rinunciare a ciò che desideravo diventare. Mi laureai in Letteratura e, visto la mia passione per lo scrivere, cominciai a pubblicare qualche articolo come free lance per alcune riviste di narrativa; iniziai a trasformare i miei diari in racconti dell’orrore: esorcizzavo la nostra condizione e mi creavo uno scopo. Conscio di non poter rimanere nello stesso posto per più di dieci anni, decisi di trasferirmi. Ormai sapevo quale strada percorrere, ma volevo mettermi alla prova, capire se era solo un’illusione o realmente mi ero lascito tutto dietro le spalle. –
-Uno scrittore … ti ci vedo proprio! – dissi senza sarcasmo.
-Nuova vita … nuovi amici, sia umani che vampiri; tu mi insegni … a NY puoi ricostruirti o distruggerti: io mi sono ritrovato. Le persone che avevo lasciato qui, la vita che avevo vissuto qui, non erano però finite nel dimenticatoio. Volevo vedere come procedeva la loro vita … come stava Elena, ovviamente … e tutti gli altri. Sapevo che sarebbero stati tutti laureati, a quell’epoca, e volevo essere certo che anche loro … che anche lei … avessero trovato la strada per una vita vera … piena ed appagante. –
- Incontrasti Matt? – se aveva seguito il mio stesso iter …
-Andai a casa, giusto per vedere come fosse ridotta e per passarvi la notte. Lasciai la borsa in camera, mi cambiai e bevvi un sorso di sangue … la mia dose quotidiana. Pensai che avrei potuto incontrare qualcuno al vecchio punto di ritrovo, qualcuno che conoscevo e che mi avrebbe riconosciuto … qualcuno con cui parlare, da salutare … a cui dire addio. –
- E Matt ti disse di andare al cimitero … - conclusi per lui.
- Volai … dimenticare è un conto … accantonare … ma sapere che la ragazza che avevo amato più di me stesso giaceva in una fredda tomba di marmo, mi distrusse di dolore. Un dolore atroce … un dolore straziante … un dolore a cui, però, sapevo di poter sopravvivere. Piansi e maledissi il cielo: mi sentivo distrutto … ma non annientato, a pezzi … ma non finito. Era morto l’amore più bello della mia vita … l’amore perfetto e idealizzato … l’amore dei libri e delle canzoni … l’amore che mi aveva strappato della tenebre … l’amore di un passato che non inficiava il futuro … un futuro da ricostruire altrove, senza di lei … comunque, senza di lei … -
- Cosa ti ha trattenuto, allora? – chiesi, stupito dalla sua reazione alla notizia della morte di Elena … così diversa dalla mia … così consapevole, matura …
- Non confondere la mia rassegnazione con indifferenza: avevo amato Elena, e vedere il suo nome su quella lapide mi fece impazzire … come leggere il nome di una sorella … come se avessi letto il tuo nome. Quel cognome affiancato al suo mi fece infuriare e, dato sfogo alla mia angoscia, mi diressi, furibondo, verso la villa degli originali. Volevo spiegazioni … volevo sapere chi avesse sposato … per quale motivo e, soprattutto come e perché fosse morta. –
- E trovasti ciò che cercavi? … beh qualcosa trovasti, visto che da allora non te ne sei più andato … o mi sbaglio?- lo rimproverai.
- Quando arrivai alla vecchia dimora dei Fell, tentai di varcare il cancello, ma una barriera invisibile m’impediva l’accesso. Provai ad accedere da tutti i lati … saltando, spingendo quel vetro invisibile, ma ad ogni assalto venivo respinto. Iniziai ad urlare, imprecando contro chiunque abitasse quella casa … sfidandolo ad uscire … a farsi vedere. Ero quasi sicuro che Klaus avesse trovato il modo di ritornare, ma non potevo esserne certo … magari c’era solo Elijah: lui aveva sempre avuto un debole per Elena. Poi il velo cadde e lo stesso Klaus apparve sulla porta, facendomi cenno di entrare. Dall’ultima volta che lo avevo visto, aveva cambiato completamente espressione. Aveva l’aria di una persona che aveva raggiunto il Nirvana … che aveva tra le mani la risposta a tutti i suoi desideri. Il sorriso non era sarcastico, il tono pacato, lo sguardo soddisfatto. Non appena mi avvicinai per interrogarlo, mi fermò con un gesto e, semplicemente mi disse: “parliamone con calma” … -
“Parliamone con calma …? Klaus e la calma non avevano mai convissuto nella stessa stanza per più di trenta secondi.” Pensai, incredulo.
-Entrando in quella reggia, mi resi subito conto che vi regnava qualcosa d’innaturale L’interno era stranamente luminoso e il salone non era lo stesso che ricordavo: più grande, forse … più spazioso. Ebbi la sensazione di trovarmi in una dimensione irreale … diversa da quella all’esterno. Klaus mi fece sedere su un divano enorme che campeggiava al centro: un quadrato di pelle bianca con tre lati che fronteggiavano un’enorme poltrona, ricoperta della stessa pelle. Anche il tappeto aveva i toni del bianco, in tutte le sue sfumature, e un’infinità di cuscini che ne richiamavano le nuances, lo copriva quasi totalmente. Tutto in quel salone era bianco … luminoso … accecante. Ovviamente Klaus prese posto sulla poltrona, mentre mi faceva cenno di accomodarmi dove preferivo. –
-Adoro parlare di arredamento … ma per questa volta preferirei che tu arrivassi al sodo: cosa si nasconde in quella trappola? – lo spronai.
- Si nasconde una bolla temporale … un luogo fuori dal tempo e dallo spazio, dove tutto, o quasi tutto, è possibile … un assaggio di quello che vuole fare Klaus una volta trasformato Pheeb: l’Olimpo … il regno degli dei. –
Mentre pronunciava quelle assurde parole, sul volto apparve un sorriso malinconico, l’espressione di qualcuno che sta per rinunciare a un sogno, per dire addio a qualcosa di prezioso.
-Stefan … Elena? – domandai a bruciapelo.
-Elena è il motivo per cui sono qui, la ragione per cui sto tradendo Klaus, ingannando Rebekah: Elena … i suoi figli … tu …- disse sottovoce.
- Tu e Rebekah …? – riformulai la domanda.
- Lei è il motivo per cui non sono mai fuggito … lei è la ragione per cui sono rimasto qui. Lei: mia moglie. –
- Tua cosa? –
- Mia moglie, Damon … tua cognata. –
- Complimenti … bella coppia: Ken e Barbie! Ironia a parte … com’è stato possibile? –
- Tu non ci crederai, ma in quella casa si vive in una specie di limbo idilliaco. Chi non si ribella a Klaus, che accetta le sue poche regole, ha la possibilità di sperimentare un’esistenza senza sete … senza omicidi. Quando lui cominciò a spiegare, lo presi per pazzo. Mi raccontò della profezia, dei suoi figli … della possibilità di vivere in una grande famiglia allargata, senza violenza … senza brama. Quando gli domandai di Elena, il suo sguardo si fece torvo.
“Possibile che quella donna sia in cima ai pensieri di ogni essere che l’abbia incontrata” mi rispose. “Possibile che io ti stia offrendo la vita senza rimorsi che hai sempre sognato, l’esistenza senza più sensi di colpa, senza dipendenza, senza lotta, a cui aspiri da oltre un secolo, e l’unica cosa che ti preme è Elena. Elena è dove deve essere … dove non potrà fermare il destino.”
Ovviamente interpretai quella frase come la conferma che Elena fosse morta. Compresi che non avrei potuto fare più nulla per lei e, rassegnato, feci per andarmene. Klaus mi fermò.
“Mi dispiace, Stefan … ma una delle poche regole di questa casa è che, una volta entrati, non si possa più uscirne senza il mio consenso.” –
-Altrimenti? Che cosa avresti rischiato? –
- L’alternativa era un sonno vigile … uno stato di immobilità cosciente che permettesse al prigioniero di apprezzare l’utopia di Klaus per poi aderirvi. Rimasi in quello stato per quasi un anno, un anno in cui Rebekah venne ogni giorno a parlarmi … a spiegarmi quanto fosse felice di non dover più vivere senza frustrazioni.
Inoltre, la nascita dei nipoti le aveva dato uno scopo e l’aveva avvicinata a quell’umanità che, come me, non aveva mai smesso di cercare. I suoi discorsi, la sua nuova serenità, me la mostrarono sotto una luce nuova: non più una ragazzina viziata, ma una donna maestosa con una nuova, fortissima motivazione. Non potevo parlare o muovere nessuna parte del mio corpo, ma qualcosa le fece capire che stavo cambiando. Chiese a suo fratello di permettermi almeno di parlare, di lasciarci comunicare. La cosa andò avanti qualche mese: lei veniva dopo aver messo a letto i bambini e mi raccontava di loro … di come si sentiva “umana” … di quando li amasse. Io le narrai la mia esperienza a New York, del fatto che avessi iniziato a scrivere, a vivere in modo diverso rispetto al passato. Passavamo le notti a parlare … da amici, all’inizio … poi i discorsi si fecero più profondi … più intimi … fino a quando mi scoprii follemente innamorato di lei … scoprendola profondamente innamorata di me. –
- ... che dolci, i miei pipistrellini … - mi stava venendo il diabete!
- Non fare lo stronzo. Klaus mi concesse di essere libero dall’incantesimo a patto che mi unissi a sua sorella in modo solenne, con un matrimonio magico che mi legasse a lei indissolubilmente. Accettai e da allora io e lei condividiamo una vita e una felicità che va oltre ogni aspettativa … fino a qualche settimana fa, almeno … quando la consapevolezza dell’imminente rituale ci ha spezzato il cuore: Cinthia e Pheeb sono parte di noi e non possiamo accettare di perdere anche solo uno di loro. –
-Quando hai saputo di Elena? – riportai il discorso su l’unica cosa per me veramente importante.
-Dopo il matrimonio, accettai di essere nutrito dal sangue dei gemelli: per quasi un anno non si sente la sete, non si ha bisogno di sangue. Fu Pheeb a dire che loro facevano la stessa cosa per la loro mamma, che dormiva in una stanza segreta. Interrogai Beks, e lei mi confermò le parole del piccolo. –
- E tu …? –
- Elena era stata addormentata perché aveva deciso di lasciarsi morire, per non partecipare al rito, per non donare il proprio sangue, per impedire che uno dei suoi figli fosse sacrificato. Klaus non poteva, non voleva imprevisti e, conoscendo la caparbietà Elena, domandò alle streghe di addormentarla. Grazie al sangue dei gemelli, venne mantenuta in vita … immutata. –
- E tu …? - insistetti.
- Io la lasciai dormire … al sicuro dalle ire del marito … vicina alle sue creature che poteva vedere una volta l’anno, la notte del loro compleanno. Durante il solstizio i due possono stare insieme, unica eccezione al divieto di Klaus, e possono svegliare Elena per qualche ora. Non correva pericoli … non fino ad ora … non fino alla prossima settimana. –
Intrecciai le mani tra i capelli: la testa mi pulsava … gli occhi mi bruciavano.
-So quanto la ami, Damon … ora capisco quanto il tuo amore sia intenso, quanto sia profondo … lo so perché amo Rebekah nello stesso modo: incondizionatamente. –
Quando mi voltai verso di lui, incontrai i suoi occhi … gli occhi di un uomo … di un uomo finalmente appagato … nonostante i casini … nonostante il disastro imminente … nonostante tutto.
“la tristezza poi ci avvolse come miele per il tempo scivolato su noi due.
Il sole che calava già rosseggiava la città
già nostra e ora straniera e incredibile e fredda:
come un istante "deja vu", ombra della gioventù, ci circondava la nebbia...”
F.G.
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Capitolo 9 *** Hotel California ***
CAPITOLO 9
… HOTEL CALIFORNIA …
Erano trascorse ore, non so quante …
-Stefan … come posso liberare Elena? Non dirmi che ti sei arreso … non dirmi che vi siete tutti arresi a quest’utopia? –
- Sarebbe facile arrendervisi, Damon … veramente facile … ma no. Per quanto la visione di Klaus sembri idilliaca, lui la mantiene viva col ricatto … ci tiene tutti legati con la minaccia … -
- Ovvero? –
- Gli ospiti, più o meno tutti, sono stati obbligati a “sposarsi”: ogni essere è unito al suo compagno da un legame magico, da una connessione tale che, se si tenta di scappare, l’altro ne soffre … se io adesso tentassi di andarmene, di allontanarmi troppo o per troppo tempo, Beks comincerebbe ad essere colta da dolori atroci. Le coppie non possono mai uscire insieme … il cerchio magico lo impedisce. –
- Coppie? –
- Bonnie, ad esempio, è legata a Jeremy … Car a Tyler … -
- E Klaus accetta di avere sotto gli occhi i due piccioncini …? – incredibile …
- Non proprio: Ty non ha accettato le regole … si è ribellato fino a quando, un po’ per non averlo più tra i piedi, un po’ perché non facesse troppo casino, è stato “bloccato” … ma è pur sempre legato a Car … quindi nemmeno lei può allontanarsi senza che lui non ne subisca le conseguenze. L’apparente calma e pace è mantenuta con terrore … e il momento non era ancora maturo per la ribellione. –
- Chi sono i suoi complici più fedeli? – indagai.
- Caitlin è la sua fan più accanita … e il marito è con lei. Elijah non condivide i metodi, ma adora la faccenda della famiglia allargata, della famiglia in generale … adora i nipoti, Pheeb in modo particolare è il suo pupillo … -
- Adora i nipoti ma è disposto a sacrificarne uno …? -
- Beh, sai com’è … tutto pur di acquisire un potere tale da rendere l’illusione una realtà invincibile. Sono tutti convinti che il ragazzo si rassegnerà a porre il proprio potere al servizio della famiglia … dell’Olimpo. Comunque, anche Elijah ha il suo punto debole … anche lui è “ legato” … -
- E chi sarebbe la principessa? –
- Katherine … lui la ama da sempre e ha chiesto al fratello, che gioca a fare il magnanimo, di perdonarla e di legarla a lui … lei non aspettava altro: non dover più scappare e vivere in un mondo di immortali. Ma non è cambiata di molto, è sempre in allerta per sfruttare qualsiasi situazione a sua vantaggio. –
- Che bella ammucchiata … e il mio amico Alaric? … Con chi lo avete accoppiato? -
- Alaric tiene compagnia a Ty … indomabile … -
- Chi manca all’appello? –
- Cassidy, la figlia di Shane e Kol. Quest’ultimo è diventato il braccio destro di Klaus, visto la troppa “delicatezza” di Elijah. Ha un debole per Medea, ma strega è concentrata sulla profezia ed è il vertice ignoto del triangolo magico che è rimasto alla villa. È enigmatica, impossibile capire da che parte potrebbe stare … a chi darebbe la sua lealtà … -
- E Barbie Klaus … a chi darebbe la sua fedeltà? A te o al fratello? … -
- Credo che darebbe la sua fedeltà ai ragazzi: non vuole combattere il fratello, non vuole perdere la sua “nuova” vita … ma rinuncerebbe a tutto pur di salvare Cinthia e Pheeb. Per ora non sa che sei tornato … che io, Bonnie e Pheeb stiamo pianificando di liberare Elena … di mettere al sicuro i suoi figli …
Non mi ero dimenticato dell’appuntamento: sapevo che saresti tornato, che non mi avresti mai lasciato ad aspettare invano … ma era meglio che tu vedessi prima Pheeb … che ti rendessi subito conto della situazione. Solo lui poteva mostrarti Elena, poteva darti quella certezza che ti avrebbe evitato di impazzire di dolore … che ti avrebbe convinto a combattere. Il suo potere telepatico è strepitoso e molto utile per la congiura: non tutti ne sono a conoscenza. Lui sa sondare le menti e leggerne le intenzioni … l’affidabilità. Aveva circa dodici anni quando scoprì questa facoltà, e da allora si era svelato solo a Bonnie, alla sorella e … alla madre. Ha mantenuto la mente di Elena viva … ha cancellato i suoi incubi … le ha regalato una vita da sognare: la sua vita e quella della sorella. A me si è rivelato solo qualche settimana fa … quando ho cominciato a pensare a te. Sapeva che Bonnie stava pianificando di far fallire il rito, e le ha detto che sarei stato disponibile … ma il mio legame con sua zia non gli permetteva di esporsi con me. Adora Reb, ma conosce il suo punto debole … è consapevole del potere che Klaus ha su di lei. Solo quando è stato necessario mettermi in contatto stretto con Bonnie, avvisarla che avremmo potuto contare sul tuo aiuto esterno ha deciso di potersi fidare. –
-Con me non ha fatto tante storie …. – sorrisi.
- Doveva mostrarti Elena … doveva comunicare e… sì: lo hai conquistato. – ammise, con una punta di gelosia.
Il volto di Stefan si contorse improvvisamente, come se qualcosa gli stesse maciullando il cervello. Preoccupato, mi avvicinai.
-Sono fuori da troppo tempo … l’incantesimo mi sta avvisando delle conseguenze, me ne dà un piccolo assaggio. Devo tornare … ma credo che presto arriverà Bonnie, se Caitlin non farà qualche casino. –
- Farle dimenticare tutto …? – proposi.
- E’ molto potente … e nessuna delle tre streghe può essere soggiogata: solo Cinthia potrebbe farlo … se solo volesse … se solo non fosse così … ahhhh-
Da un momento all’altro Stefan scomparve. La sua corsa verso la gabbia che lo imprigionava fu talmente veloce che sembrò di assistere ad un trucco di Houdini.
Più scoprivo particolari su quella situazione, più la trovavo assurda. Non riuscivo proprio a credere a quello che avevo ascoltato, non potevo rassegnarmi all’idea che in quasi vent’anni nessuno avesse mai tentato di ribellarsi a Klaus, di fuggire … di salvare Elena. Una vecchia canzone mi si presentò alla mente, una canzone che mi ricordava villa Mikaelson:
Mirrors on the ceiling,
The pink champagne on ice
And she said, 'we are all just prisoners here, of our own device'
“Impossibile scappare … impossibile liberarsi … impossibile uccidere la bestia … Cosa potrebbe essere cambiato, ora? Cosa potrebbe permettermi di liberare Elena, se nessuno ci ha nemmeno mai provato?”
Mi alzai di scatto, stanco di aspettare segnali, di attendere un piano che tardava a disegnarsi.
Come entrare in quella fortezza magica?
Come trovare Elena?
Come svegliarla?
Troppe questioni in sospeso … troppe incognite.
Una certezza: in un modo o in un altro l’avrei portata via da quella gabbia di matti.
Lentamente raggiunsi il tunnel segreto e rientrai in casa.
Avrei aspettato ancora qualche ora … qualche risposta e poi mi sarei inventato un modo per andare da lei. Non potevo resistere ancora molto nell’inedia!
Tolsi il giubbotto, lo lanciai sul divano e mi trovai di nuovo avvolto dal gelo di una casa da troppo tempo disabitata. Odiavo tutti quei mobili impolverati, ancora ricoperti da lenzuola ingrigite … odiavo il buio che vi regnava … il vuoto.
Con rabbia, cominciai a togliere tutti i teli consunti, come a voler rimuovere il vecchiume, la desolazione di una casa senza vita … di un castello senza regina!
Gli antichi tappeti persiani avevano assorbito polvere e le ragnatele avevano preso possesso dei lampadari … la stessa polvere, le stesse ragnatele che sentivo sulla mia anima, vuota come quella casa e che, come quella casa, aspettava il ritorno della sua regina.
Cercai di rendere presentabile lo spazio di fronte al camino spento, pensando a lei seduta su quei divani.
Andai in cucina e riallacciai il quadro elettrico. Accesi le luci per osservare meglio la desolazione che mi circondava, e ne fui accecato. Non sarebbe bastato passare un piumino per eliminare venticinque anni di solitudine … non sarebbe bastato un aspirapolvere per togliere la sporcizia accumulata sulla mia coscienza.
No! Non mi sarei auto commiserato … non mi sarei fermato a piangere sul passato. Avrei bruciato la casa se non fosse stata degna del suo ritorno … mi sarei lasciato consumare dalle fiamme se non fossi stato degno di lei.
Non ero bravo a fare pulizia; in genere tendevo a nascondere la sporcizia sotto al tappeto … a scioglierla dentro litri di bourbon … ma dovevo tenermi occupato in attesa che qualcuno arrivasse a darmi qualche indizio.
Sempre che qualcuno fosse stato libero di venire …
Verso il tramonto sentii bussare alla porta.
Ero incerto … una trappola?
Se fosse stato Pheeb, si sarebbe presentato prima nella mia mente …
-Bonnie…? – sussurrai.
- No … sono Matt … -
- Matt, ma che …. – mormorai sorpreso. – Cosa ci fai qui? –
- Qualcuno mi ha incaricato di fare da postino … qualcuno che non vedevo da quasi vent’anni. –
Aprii la porta con cautela, attento che la persona alla porta non fosse un impostore … magari Klaus nei panni del quarterback …
Lo fissai negli occhi.
-Sono io … non sono posseduto: tu se venuto da me l’altro giorno e ti ho dato i diari di … -
-Ok ... ok .. entra … in fretta! –
Lo trascinai dentro e chiusi di nuovo la porta.
-Postino? –
- Jer … un’ora fa. Stavo per uscire per andare a dare il cambio al ragazzo che si occupa del locale di pomeriggio, quando sento qualcuno che mi chiama. Era lui … era Jer … non potevo crederci … Che cosa hai fatto? Hai aperto la prigione? Stai facendo uscire i topi dalla tana? Prima mi hai chiamato Bonnie … ? –
- Che cosa ti ha detto? – lo spronai.
- Beh … sono rimasto incredulo: assolutamente immutato dall’ultima volta che lo avevo visto, dopo la nascita dei gemelli. Volevo sommergerlo di domande … volevo che mi raccontasse cos’era accaduto in questi anni, ma mi ha zittito.
“Ho pochissimi tempo, Matt … mi dispiace. Devi farmi un favore enorme: porta questa busta a Damon. È sicuramente a casa sua … prima che puoi, ti prego … digli che deve leggere attentamente quello che c’è scritto e poi bruciare la lettera … è veramente importante, Matt …”
In un attimo scomparve, lasciandomi questa busta e un’immensa frustrazione.
Cosa sta accadendo, Damon? … Devi dirmelo! –
-Non so cosa sta accadendo … non so cosa accadrà: fammi leggere la lettera. Siediti … - gli feci cenno di sedersi sul divano … ma lui cominciò a camminare nervosamente.
Strappai il lembo della busta e ne estrassi un foglio scritto a mano.
Damon,
questa sera io, Caitlin, Medea, Cassidy e Jer dovremo recarci alla vecchia casa delle streghe: Klaus vuole indurre Cassidy ad avere una visione sul rito … manca solo una settimana e lui non vuole sorprese. Jer, probabilmente dovrà richiamare lo spirito di qualche strega, se la visione non dovesse essere chiara.
Le difese saranno rinforzate e nessuno potrà uscire dalla villa. Kol verrà a fare la guardia fuori dalla casa magica ed Elijah assisterà alla seduta dell’oracolo. La difesa della villa sarà affidata al cerchio magico, estremamente potenziato, e al rafforzamento del legame tra gli abitanti.
Pheeb ha vagato nella mente del padre: lui non sa del passaggio segreto, quindi quella sarà la tua entrata. Pheeb e Cinthia non potranno uscire fino al ritorno del padre … per cui li troverai ad aspettarti. Cinthia può revocare l’incantesimo che ha addormentato Elena e Pheeb ti farà da guida verso la sua camera.
Aspetta mezzanotte, l’ora in cui cominceremo la seduta magica e agisci velocemente, ma con cautela.
Non tentare di salvare nessun altro … lascia perdere Alaric e Stefan … se riusciamo a boicottare Klaus, saranno liberi comunque … se falliremo, non oso pensare alle conseguenze.
Prendi Elena e portala a casa tua. Ho potenziato le difese magiche … Cinthia mi sta dando una mano … e nessuno può spezzare un suo incantesimo. Per sicurezza continua a far credere che sia disabitata e che tu te ne sia andato. Ho mandato Jer da Matt: non coinvolgerlo, ma fatti aiutare da lui per depistare Klaus … per quanto si possa depistare.
Questa notte ci giochiamo tutto: se Cassidy riuscirà a fingere una visione falsa, avremo qualche speranza … se saranno più forti “loro”, allora rischieremo che Klaus scopra l’ultima parte della profezia … che scopra la fuga di Elena … il nostro tentativo di far saltare i suoi piani … e saremo finiti.
Tu libera Elena … ti farò sapere, se potrò, come si evolverà la situazione.
Salva Elena!
Bonnie.
Finalmente un segnale … finalmente potevo andare da lei.
Guardai l’orologio: erano solo le otto … e mezzanotte sembrava lontana anni luce.
-Allora mi dici cosa sta accadendo? – insistette Matt.
Teneva tra le mani i fogli che avevo lasciato sul vecchio scrittoio.
-Non sono mai stato bravo in letteratura, e le poesie non sono mai state il mio forte … ma qui si parla di dei, di un essere smisuratamente potente … -
-E’ complicato, Matt … - cercai di liquidarlo.
-Sono prigionieri …? – mi chiese, serio e determinato a non farsi abbindolare.
- Più o meno … - rimasi vago.
- La lettera: cosa c’entra Jer? Cosa c’entri tu? …-
- Non chiedere se non vuoi sapere … se non vuoi essere coinvolto - lo rimproverai.
- Se posso aiutarti a salvarli … se posso fare qualcosa … in memoria di Elena … -
Non sapevo se dirgli o meno la verità. Lo avrei messo in pericolo, lo avrei coinvolto in qualcosa di troppo rischioso … ma avevo bisogno di lui, avevo bisogno di un diversivo, e lui poteva essere la persona giusta per creare una breve illusione.
Decisi di rischiare.
-Matt, adesso siediti, per favore. – il mio tono si fece basso e intenso: doveva capire bene l’importanza di quello che stavo per rivelargli.
-Matt … Elena non è in quella tomba … Elena non è morta: è stata addormentata dalle streghe che vivono in quella maledetta villa e … -
- Viva? Addormentata? Cosa …? - balbettò sbigottito.
- Sì, viva … la storia è davvero lunga e complessa: ti basti sapere che questa notte andrò a liberarla … la porterò via da quella prigione … -
- Klaus? … -
-Beh … credo che s’incazzerà parecchio … ma ci penserò a tempo debito. Sei disposto a farmi un piccolo favore? –
Matt tentennò solo un attimo. Sicuramente pensò alla moglie … alle figlie … alla loro sicurezza che stava vacillando …
-In un modo o nell’altro, entro una settimana questa bolla di apparente calma scoppierà … ed io voglio mettere al sicuro Elena … anzi … dovresti pensare di mettere al sicuro anche la tua famiglia: chiudi il bar o lascialo a qualcuno e vai a farti un viaggio fino a quando le cose non si saranno sistemate … -
-Scappare come un codardo? Non l’ho mai fatto … -
- Hai una famiglia a cui pensare: non è più il tempo della Scooby gang … -
- Dimmi cosa devo fare! –
- Elena è ancora umana: ho bisogno di cibo, qualche vestito … un paio di sacche per me… chiedi aiuto Meredith. Queste sono le chiavi della mia Camaro. Lascia tutte le provviste in un punto del bosco che ti indicherò. Mi troverai lì con la macchina: portala alla casa al lago e parcheggiala in modo non troppo sospetto. Fai in modo che la casa sembri abitata, senza strafare … come se io ed Elena fossimo nascosti là. Poi organizzati e vattene per un paio di settimane; lasciami il tuo numero … appena le cose saranno sistemate ti richiamerò. Dì a Meredith di fare lo stesso … vi prego: non voglio preoccuparmi anche per voi … -
-Tutto qui? Cibo … vestiti e … depistaggio? –
- E fuga … - sottolineai.
- Ho sempre sognato di guidare la tua Camaro … - si sforzo di sorridere.
- Se le fai un solo graffio, giuro che ti spezzerò il collo! Non perdere tempo: entro un paio d’ore vieni nel punto indicato. Lascerò l’auto sul sentiero e ti consegnerò le chiavi … per favore … -
- Alle dieci: ci sarò …- mi rassicurò.
-Adesso vattene … ah … se dovessi trovare una bottiglia di champagne … -
-Damon … -
Lo spinsi letteralmente fuori dalla porta.
Quando mi trovai solo ripresi in mano la lettera, per essere sicuro di aver letto con esattezza:
“Libera Elena …”
Non aspettavo altro … non volevo altro.
Avevo quattro ore di tempo … infinite e pochissime.
Purtroppo non potevo fare nessuna previsione di quello che mi avrebbe aspettato una volta dentro la villa: mi dovevo affidare a Pheeb, e per quanto mi fidassi di quel ragazzo, non avere il controllo della situazione mi rendeva nervoso.
Avevo ancora tra le mani le chiavi della Camaro: decisi di uscire da casa e di fare un’ultima corsa con la mia “bambina”, per allentare la tensione e prepararmi alla notte lunghissima che mi aspettava.
Afferrai al volo il giubbotto e mi diressi nel garage. Feci scivolare la mia mano sulla carrozzeria azzurra, quasi a domare una tigre impaziente, afferrai la maniglia e mi infilai nell’abitacolo.
Misi in moto e mi buttai nella nebbia che ancora impregnava l’aria.
Uscii dal vialetto facendo sgommare i pneumatici e mi diressi sulla provinciale che costeggiava il bosco.
Abbandonai i miei pensieri sulla striscia d’asfalto e lasciai che la velocità eccitasse i miei sensi, allertati dalla missione che mi aspettava … dall’idea che l’avrei finalmente rivista.
Lanciai la belva, assecondando i suoi movimenti, spronandola e domandola, sentendo che rispondeva alle carezze sul volante, ai graffi del cambio … alla pressione sui pedali … era un gioco, quasi un amplesso … e lei, docile e scalpitante ricambiava le mie attenzioni, donandomi vibrazioni che mi scuotevano fin nel profondo.
Arrivato al limite, lasciai l’acceleratore, lasciando che l’auto planasse, tranquilla, verso un’andatura più calma … come il respiro si placa dopo un orgasmo.
Acuendo la mia vista, cercai l’imbocco del sentiero, dove avevo appuntamento con Matt. I fari, che si scontravano con il muro biancastro, individuarono la sagoma di un’automobile mai vista; dall’interno, le sagome di due teste occupavano lo spazio buio del lunotto posteriore: Matt era già arrivato e aveva portato qualcuno con sé.
Spensi il motore e lascia che la Camaro finisse silenziosamente la sua corsa. Accostai al bordo della strada e scesi quasi con dolore, stringendo possessivo le chiavi. Sentendo la portiera chiudersi, anche Matt uscì dall’abitacolo, raggiungendomi nel buio. Dal lato del passeggero vidi uscire Meredith: avrei potuto scommettere sul fatto che sarebbe venuta anche lei, una volta saputo di Elena.
-Elena … viva? – esclamò appena mi vide.
-Viva ... ma addormentata da quasi diciassette anni … - precisai.
- E questa notte …? –
- Questa notte il principe delle tenebre andrà a svegliarla con un bacio … - mi pavoneggiai.
- Divertente … Vengo a casa tua! Voglio visitarla, vedere se sta bene … com’è sopravvissuta? – Meredith era davvero preoccupata.
- Sembra che le abbiano dato l’elisir di lunga vita e che non abbia bisogno di nessun tipo di cura. Credo anzi che stia molto meglio di come tu l’abbia vista l’ultima volta. –
- E tu come puoi saperlo? – indagò Matt.
- Matt, meno sai e meglio è … ma Bonnie mi ha detto che sta bene. In ogni caso tra qualche ora ne avrò conferma. –
- Voglio vederla. – insistette la dottoressa.
- Meredith … stai alla larga da Mystic Falls per un po’ … Elena starà bene … dovrà star bene …- cercai di rassicurarla.
- Ascolta: Matt mi ha detto che dobbiamo partire … che stai per scatenare l’inferno … ma credo che sia meglio che io resti … ci fosse bisogno di un medico che “sa” … ci fosse bisogno di cure “umane” … -
- Dott … se si scatenerà l’inferno, le cure umane servirebbero a ben poco; vattene appena puoi. Klaus verrà da voi, appena non troverà Elena a casa, sareste le prime persone da cui verrebbe a cercarla …-
- Rimarrò in ospedale fino a domani mattina … chiamami se Elena ne avrà bisogno … chiamami per qualsiasi cosa … - si offrì.
- Non ce ne sarà bisogno … - le sorrisi.
- Ti abbiamo portato le provviste per Elena e … per te. Non so se Elena ha la mia taglia, ma ti ho preso un paio di vestiti dal mio armadio: un maglione, dei jeans … - iniziò ad elencare.
- Non stare a farmi l’inventario … grazie. –
Matt era stranamente silenzioso, sul volto i segni inequivocabili di una tensione trattenuta. Mi avvicinai e gli misi una mano sulla spalla.
-La porterò via da quella tomba … la porterò via da Klaus … tu metti in salvo la tua famiglia e lascia fare a me-
- L’inferno …? – domandò con gli occhi lucidi.
- Forse … o forse semplicemente una nuova normalità … o la solita vita incasinata … la vita, Matt. Sai, pensavo fosse una puttana, ma mi sono reso conto che non puoi pagare per averla … non puoi retribuire i suoi servigi: è solo donna che devi sedurre, assecondare e che, probabilmente… nonostante tutto… non te la darà mai. – ironizzai.
- Una gran bella donna … -
- O una gran bella stronza … -
- Filosofi da strapazzo, dobbiamo rimanere qui tutta notte a meditare sulle vostre metafore maschiliste sulla natura femminea della vita? Damon, concentrati sulla tua missione e non andare fuori di testa … -
La guardai e alzai le spalle: non riuscivo nemmeno a pensare che qualcosa potesse andar male …
Afferrai la mano di Matt e vi posai le chiavi della Camaro.
-Trattala bene … e prepara il teatrino … anche se dubito servirà … -
Matt, afferrando le chiavi, strinse per un attimo le mie dita e mi fissò, poi si diresse verso il blu del mio bolide.
-Da ragazzo non ho mai avuto il coraggio di chiederti di farmela guidare …-
- Maschi … donne e motori … - sbuffò Meredith, salendo sulla sua auto, grigia come la nebbia che la inghiottì.
Sentii il rombo familiare echeggiare e le ruote mordere il terreno; con un ultimo sguardo alla targa che si allontanava, afferrai le borse con le provviste e mi infilai tra gli alberi per raggiungere l’imboccatura del tunnel segreto.
Entrai in casa e appoggiai le borse sul tavolo della cucina. Buttai le provviste nella dispensa e le buste di sangue in un angolo freddo della casa, visto che sia il frigorifero e il congelatore erano guasti: dopo tutto quel tempo si rifiutavano di ripartire.
Afferrai i vestiti di Meredith e salii al piano superiore.
Nel corridoio guardai la porta delle varie camere, indeciso su dove dirigermi: camera mia o …
Non volevo bruciare le tappe … non potevo dare nulla per scontato.
Elena era già stata nostra ospite, prima in camera di Stefan e poi nella camera accanto alla mia … la camera azzurra.
Mi diressi verso quella porta e la spalancai, sperando quasi di ritrovarla lì, mentre si asciugava i capelli o leggeva un libro … invece era desolatamente vuota.
Accesi le luci, e con mia meraviglia, le vecchie lampadine riflettevano ancora la loro luce giallognola sulle pareti tinteggiate di un azzurro pallido, ormai ingrigito.
Appoggiai i vestiti sulla cassettiera impolverata e mi diressi vero il letto. Scostai la trapunta e trovai il letto disfatto, senza lenzuola … nudo.
Cercai negli armadi qualcosa per coprire quei materassi e trovai delle lenzuola pulite, ancora avvolte nella carta della lavanderia, probabilmente messe lì da Elena stessa.
Spiegandolo, feci volare uno dei teli azzurri per farlo planare sul vecchio letto di noce antica, essenziale … quasi spartano … con una semplice testata al cui centro era incisa una rosa.
Rozzamente, tirai il lenzuolo per farlo aderire ai materassi. Lo sguardo si fissò sul quel piano teso e la mente cominciò a giocarmi uno dei suoi scherzi crudeli.
La sagoma di un corpo … di “quel” corpo, si stava imprimendo sul letto, come se un’entità invisibile vi si stesse sdraiando. Come ipnotizzato da quella visione, incapace di scuotermi, mi avvicinai e iniziai a seguire con le dita quel profilo immaginario, illudendomi di sentire con i polpastrelli la grana della sua pelle … il tatto mi restituì solo la fredda trama del cotone.
Assestai un pugno violento dove prima avevo visto l’impronta di Elena.
Dovevo smetterla.
Dovevo finirla di torturarmi … ma i pensieri faticavano ad ancorarsi alla realtà ed io non riuscivo più a conciliare i ricordi con i sogni … con il desiderio spasmodico di averla accanto a me.
Ancora un paio d’ore … solo una manciata di minuti … e l’agonia sarebbe finita …
In un modo o nell’altro, sarebbe finita.
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Capitolo 10 *** Un bacio ***
CAPITOLO 10
CAPITOLO
10
…
UN BACIO …
Le undici e mezza.
Ero già davanti all’imbocco del tunnel che portava
alla vecchia villa dei Fell. Io e Dorothy usavamo quella via di fuga
per le nostre scappatelle … per sfuggire a suo padre: se mi
avesse trovato tra le lenzuola della figlia, si sarebbe infuriato
parecchio … cose da ragazzini … molte vite fa.
Il tunnel partiva da una vecchia porta nella cantina della villa,
nascosta dietro le botti di rovere, dove la famiglia dei fondatori
teneva il vino, prodotto con le uve del vitigno che coltivava sulle
colline fuori città. Purtroppo quel favoloso liquido color
rubino era andato perso quando, durante la guerra, le viti erano state
bruciate e nessuno si era premurato di ripiantarle. L’uscita
era celata all’interno di una falsa grotta, costruita con
mattoni di tufo e ricoperta di terra, sulla quale aveva messo radici
una folta vegetazione. Ad uno sguardo ignaro appariva solo un mucchio
di terra, ma ad un occhio esperto non sarebbe sfuggito un varco tra i
cespugli, abilmente posti davanti all’entrata.
Mi guardai attorno. La nebbia si era momentaneamente diradata, andando
ad accumularsi in dense nuvole nere che rendevano il buio della notte
ancora più tetro. Nessuna stella, non la porzione di luna
che avrebbe dovuto rischiarare il cielo erano visibili. Solo tenebre.
Mi avvicinai all’entrata e spostai leggermente i rami per
infilarmi nella piccola galleria, quando una voce nota
risuonò nella mia mente.
“Hai bisogno
di un invito ufficiale o ti muovi ad entrare?”
mi richiamò Pheeb,
- La lettera diceva mezzanotte …. – rimarcai.
“ Sono
già usciti tutti … datti una mossa: segui il
cunicolo … tanto sai già dove arriverai
… carina la ragazzina … quanti anni
aveva?”
- Fatti i fatti tuoi! Posso entrare tranquillamente? Dove sei tu?
– domandai, mentre mi incamminavo nell’angusta
galleria.
“Ti sto
aspettando in cantina …”
-Sei sicuro … ? –
“Quante
paranoie … mio padre e i miei zii sono usciti più
di mezz’ora fa, portandosi tutta la squadra magica. Stefan
sta tenendo occupata zia Reb e gli altri dormono un sonno profondo
…”
Arrivato dietro la botte, strisciai contro il muro per poter passare ed
entrare nel locale. Pheeb mi aspettava con le braccia conserte e in
piade che batteva impaziente contro il pavimento.
-Perché tanta fretta? Non credo che la seduta spiritica
durerà pochi minuti … anzi … non
è ancora cominciata … -
- Ecco, appunto … datti una mossa perché voglio
raggiungere l’allegra brigata … -
- Sei impazzito? – chiesi stupito. – Sono venuto a
liberare tua madre …e tu mi dici che vuoi darti in pasto ai
leoni? Pensavo saresti venuto con me … che mi avresti
aiutato quando si sarebbe svegliata … perché tu
sai quale sarà la sua reazione appena aprirà gli
occhi, vero? –
Conoscendo Elena, la sua prima preoccupazione sarebbe stata la sorte
degli abitanti di quel falso Eden … la salute dei suoi
figli, dei suoi amici … -
-Le ho già “parlato”. Io devo andare
… devo aiutare Cassidy a non mollare … devo
aiutarla a non rivelare troppo a Klaus … devo vedere come
salta fuori … devo! –
- Se tuo padre o tuo zio Kol di trovano … -
- Farò in modo di non essere beccato … ma devo
esserci … devo capire, intervenire … -
- Tu non sei del tutto sano di mente! Verrei con te, ma questa notte ho
un appuntamento a cui non posso mancare … -
- Attento a come pensi a mia madre … - disse, con
un’espressione di finta collera sul volto.-Vieni, ma fai
attenzione: la villa non è del tutto deserta.
C’è qualche ibrido di mio padre a fare la guardia,
nonostante il cerchio magico … -
- Ok … dov’è tua madre? –
Non potevo aspettare un minuto di più …
Non potevo ritardare oltre.
-Seguimi … in silenzio. –
Pheeb si incamminò sulle scale che, una volta, portavano
nella grande dispensa. Anche quella notte, come accadeva decine di anni
prima, sentii l’odore del cibo penetrare nelle mie narici,
segno che quel locale era ancora colmo di provviste per i pochi umani
residenti.
Con circospezione, entrò in cucina: il locale non aveva
più nulla degli antichi arredi che ricordavo, tranne
l’enorme camino che occupava l’intera parete nord.
Sapevo che la porta sulla destra portava nel salone: ricordavo ancora
la cena con Elijah e Klaus … il giorno che andammo a salvare
Elena … il momento in cui Stefan fermò il cuore
dell’ibrido, dandoci l’illusione di essercene
liberati.
Le stanze erano buie e nel camino ardeva piano la brace di un fuoco che
stava lentamente per esaurirsi.
L’udito mi rimandava solo il rumore di respiri addormentati.
Credetti di dirigermi verso le scale che portavano al piano di sopra,
quando Pheeb mi afferrò per un gomito.
-Non è di sopra … - mi disse, facendo cenno di
seguirlo.
Si diresse verso un lungo corridoio, costruito di recente, che
sbucò nell’atrio di una dependance,
sulla quale si affacciavano delle porte chiuse.
-Qui ci sono gli “addormentati” … - mi
informò.
- Qui? Non nel profondo delle cantine? – chiesi sorpreso.
- No … mio padre ha deciso che chi è
“vigile” debba capire cosa si sta perdendo
… mentre a mia madre ha riservato una camera dove io e mia
sorella possiamo venire a salutarla ogni volta che lo desideriamo. In
un certo senso non ha mai voluto che ci sentissimo orfani …
a modo suo è …-
- Sadico! Ma quale crudeltà mentale … -
intervenni.
All’improvviso qualcosa bloccò Pheeb, come se
avesse sbattuto contro una lastra di vetro.
-Ma che diavolo …? – esclamai.
- Cinthia è vicina … sai che non possiamo
avvicinarci troppo … dobbiamo rimanere a distanza di
sicurezza … -
- Sicurezza per chi? – … domanda
retorica …
Mi guardai attorno per cogliere la presenza della sorella, ma non vidi
nulla.
-E’ nella camera con la mamma … la sta preparando
… - affermò Pheeb.
- Cinthia … - la chiamò.
Dalla porta sulla mia sinistra uscì un’esile
donna, completamente vestita di blu scuro. Le gambe erano fasciate da
stretti jeans e su di essi portava una semplice maglia a maniche lunghe
con un cappuccio che le cadeva sulle spalle, dello stesso intenso
colore della notte. Il volto era di un’ingenuità
spiazzante: la piega della labbra, che curvava leggermente verso il
basso, le donava il tipico broncio adolescenziale che contrastava con
il forte cipiglio dello sguardo, pieno di orgoglio:
l’orgoglio di sua madre. I suoi occhi avevano un colore
ipnotizzante, una tavolozza che partiva dal verde per sfumare in un
azzurro che tendeva al grigio. Avevano una dignità che avevo
visto solo in Elijah e, nonostante la strepitosa somiglianza col padre,
non ne colsi la natura dispotica, l’anima corrotta. I capelli
biondo ramato, leggermente mossi, erano raccolti in una coda bassa, che
la ringiovaniva ulteriormente: appariva più giovane dei suoi
vent’anni ma, al contempo, sembrava molto più
matura.
Mi guardò con un’espressione enigmatica,
diffidente.
-E questo sarebbe il fratello di zio Stefan? –
domandò quasi seccata.
- Sì, Cinthia … - le rispose Pheeb a distanza.
– E’ venuto a prendere la mamma …
è pronta? –
- Sei sicuro che stiamo facendo la cosa giusta? Papà si
arrabbierà … -
- Non mi interessa … -
- A me sì … non voglio che si arrabbi
… sai che ci sta male … poi fa cose che non
vorrebbe fare … -
Di chi stava parlando quella ragazza? Non certo di Klaus!
-Possibile che tu abbia ancora una visione idilliaca di nostro padre?
Anche a una settimana dal tuo probabile sacrificio? – si
alterò Pheeb.
- Lo farei per te … lo farei per lui …
perché contrastare il destino, Pheeb? –
- Perché nostro padre è un pazzo
visionario! E va fermato! –
- Non parlare così do papà! Ci ha amati
… ci ha dato tutto il meglio … -
- Sei cieca o pazza? Ci ha tolto nostra madre … non possiamo
avvicinarci … vuole sacrificarti. –
- Lo fa per noi … lo fa per te … Pheeb: sarai un
dio … -
- Io non voglio essere un dio … io voglio essere normale:
voglio che nostra madre viva … che tu viva …
voglio poter amare come un normale ragazzo di vent’anni
… come nostra madre ha amato quest’uomo
… - la sua voce si fece un sussurro.
- Sto scegliendo di aiutarti contro nostro padre … mi hai
costretta a scegliere e ho scelto te … ma so che me ne
pentirò per sempre … non voglio perderlo
… non voglio che smetta di amarmi … -
- Cinthia … ti prego … - la supplicò.
- Ragazzi … potreste rimandare le vostre discussioni a data
da destinarsi? Mia cara fanciulla, lasciami prendere tua madre
… portami da lei … poi penserai a tuo padre: sono
sicuro che perdonerà una figlia tanto amorevole …
- ero teso come una corda di violino.
- Non mi prendere in giro: tu non conosci mio padre! – disse,
risentita.
-Lo conosco eccome … da prima e meglio di te … e
non capisco il tuo amore filiale per un essere tanto spregevole
… -
All’improvviso fu come se del filo spinato mi avvolgesse le
viscere: dolori atroci mi dilaniarono e non riuscii a reggermi in
piedi. Mai avevo provato un dolore tanto intenso, mai mi ero sentito
tanto impotente.
-Cinthia, per favore … non ho tempo … mi avevi
promesso … me lo avevi giurato … -
- Se insulta ancora nostro padre gli sfilo il cuore e me lo mangio a
colazione! –
Il dolore cessò improvvisamente come era cominciato.
-Damon … - mi supplicò Pheeb.
- Farò il bravo … non dirò
più nulla che possa urtare a sensibilità di
questa piccola spaventosa strega … - promisi.
- Vuoi salutarla, Pheeb? – gli chiese, ignorandomi.
- Andrò dopo da lei … prima devo capire cosa sta
succedendo alla casa delle streghe. Damon … Cinthia ti
porterà dalla mamma. Non sarà sveglia:
rimarrà addormentata fino a quando non sarete al sicuro a
casa tua. –
- Come … ? –
- Scioglierò l’incantesimo che Caitlin ha fatto
alla mamma e ne formulerò uno nuovo: lei rimarrà
addormentata fino a quando tu non la sveglierai. Vuoi che sia un bacio
risvegliarla? … - ironizzò la ragazza.
- Non fare la spiritosa … - la ripresi.
- Perché …? Quando sarete al sicuro, tu la
bacerai e lei si risveglierà … carino e
romantico, no? – disse con la stessa dolcezza di un bicchiere
di fiele.
- Smettetela di bisticciare! Qualcuno potrebbe svegliarsi …
io devo andarmene. Cinthia … per favore … - la
supplico il fratello.
- Tranquillo … dormono tutti sogni profondi. –
disse lei, strizzando l’occhio Pheeb. - Una sicurezza in
più non guasta mai! Vai dalla tua Cassidy, alla mamma e a
questo “bel” tenebroso ci penso io … -
Pheeb la guardò da lontano … lo sguardo di un
fratello in ansia … uno sguardo che conoscevo bene.
-Vampiro … – mi invitò Cinthia, con un
falso inchino.
Mi fece cenno di andare nella stanza che avevo visto in sogno.
Entrai dopo di lei.
Non guardai subito verso il letto, ma percepii la
“sua” presenza. Tentai di concentrare la mia
attenzione sulla ragazza, su quello che stava per fare …
sulla stanza dagli arredi chiari. Tutto pur di non correre da lei come
un folle.
Nonostante i miei sforzi, lo sguardo corse verso il letto, cercando di
individuare il suo profilo e … involontaria, la memoria
corse all’ultima volta che l’avevo vista, inondata
dalla lacrime che lei stessa aveva provocato, con lo sguardo pieno di
emozioni contrastanti di cui sapevo essere la causa.
Cosa era accaduto a quegli occhi?
Avremmo ricominciato dalle lacrime?
Saremmo stati estranei o ci saremmo ritrovati nel punto in cui ci
eravamo persi?
Non appena Cinthia scostò il velo che circondava il
baldacchino in cui dormiva Elena, il mio sguardo si diresse
sul suo viso e lì si incollò.
La fissavo e ne traevo un piacere acuto, sublime ma atroce …
un piacere tanto intenso da far male.
La sua bellezza immutata dominava la mia stessa volontà e,
se il mio amore non era mai morto, davanti ai suoi occhi chiusi,
risorgeva al suo antico splendore.
Anche silente ed addormentata, mi costringeva ad amarla oltre ogni
ragionevole limite.
Ero indissolubilmente legato a lei.
-Ti sei imbambolato? – mi scosse Cinthia.
- Cosa devo fare? – le risposi senza staccare gli occhi da
Elena, quasi che la visione potesse svanire se avessi tolto il contatto.
- Dammi la mano sinistra e posa la destra sopra la mia, sulla fronte di
mia madre - mi ordinò.
Feci quello che mi chiese.
Le sue mani erano fredde, piccole … le mani di Elena.
Lei guardò la madre con dolcezza e cominciò a
parlare streghese …
Per un attimo gli occhi di Elena ebbero un lieve movimento.
Poi tornarono immobili … il respiro regolare dopo un breve
sospiro.
-Dormi ancora un po’, mamma … presto ti
sveglierai. – le sussurrò.
Staccò le sue mani dalle mie, rompendo la catena.
-Pheeb mi ha detto che la mamma è innamorata di te
… - accennò.
- Forse … o forse non più: ma non è
importante. Voglio solo portarla al sicuro … lontano da
questa follia … -
- Un sogno, non una follia … dipende dai punti di vista
… -
- Anche per Hitler il suo era un sogno … -
- Non …. – mi minacciò.
- Era solo un esempio … non t’inalberare subito
…- la calmai.
- Va bene. La mamma dormirà finchè tu non le
darai un bacio … - sorrise divertita.
- Scherzi, vero? – non era possibile che l’avesse
fatto davvero.
- Ti dispiacerebbe baciarla? Basta un casto bacio sulla fronte
… non la devi violentare … - sogghignò.
- Hai letto troppi libri di fiabe … - sbuffai.
- … e tu non sei il principe azzurro … ma mi
piaceva l’idea di ricreare “la bella addormentata e
la bestia … -
- Ci conosciamo da quanto? Dieci minuti e già mi stai sulle
… come tutte le streghe sei supponente e molto str
…. –
- Molto str …ega … quindi non ti
conviene provocarmi! Fatti una foto mentre la baci e mandamela
… -
- Si mandano ancora foto con i cellulari? –
- Qualche volta … con un troglodita come te, farò
lo sforzo di non usare le ultime tecnologie.-
- La finiamo qua? Posso prenderla? – fremetti.
Lei le posò un bacio lieve sulle guance e prese una coperta.
-Avvolgila in questa coperta e seguimi . –
Spostai il lenzuolo che la copriva. Senza soffermarmi troppo ad
ammirarla, le buttai addosso la coperta e gliela feci aderire, in modo
che non prendesse freddo. Il suo corpo era rilassato, leggero come una
piuma tra le mie braccia.
Quante volte, in “quel” passato, l’avevo
portata via dai pericoli in quello stesso modo: totalmente abbandonata
contro il mio petto.
Cinthia mi seguì fino alla cantina, e quando mi introdussi
nel tunnel, mi fermò.
-Non provare a farle del male altrimenti, da questa parte o
dall’altra, te la dovrai vedere con me. –
- Piccola … cerca di non farle del male tu: salvati e salva
tuo fratello. Solo così io potrò farla felice.
–
Non so come … se per la fretta di lasciare quel posto
sinistro o per un inaspettato aiuto da parte di Cinthia … in
un attimo troppo veloce anche per un vampiro, mi ritrovai davanti alla
porta di casa.
Fortunatamente, nella fretta, non l’avevo chiusa a chiave.
Armeggiai qualche secondo con la maniglia e finalmente entrai.
Delicatamente appoggiai Elena sul divano e tornai alla porta per
chiuderla a chiave.
Non accesi le luci. Presi qualche candela e le appoggiai sulla mensola
del camino, lasciando che la loro aura calda illuminasse delicatamente
il salone.
“Un bacio
… quella ragazza è proprio una
…”
Non era tanto la faccenda del bacio a disturbarmi
… in effetti desideravo baciarla come un bambino desidera la
mattina di Natale … ma odiavo l’idea che avesse
lasciato a me decidere il momento in cui risvegliarla.
Mi sedetti sul pavimento, accanto al suo viso che, anche nel sonno,
rivelava tensione. Due piccole rughe le segnavano la fronte, proprio in
mezzo alla sopracciglia.
Provai a passare il pollice in quel punto, per cacciare
l’incubo che la stava tormentando. Calamitato, feci
scivolare il dorso delle dita sulla sua guancia … lungo la
linea del mento, contornando con l’indice le labbra morbide.
Raccolsi le ginocchia contro al petto ed afferrai la sua mano tra le
mie.
Sarei rimasto a guardarla finchè i miei occhi non si fossero
essiccati … avrei voluto fermare l’attimo per
rimanere per sempre in quel momento …
Ma ….
Inconsapevoli, le mie labbra si posarono sulle sue dita fredde, per
rubare una carezza; le aprii il palmo e lo posai contro la mia guancia,
cercando di rivedere i suoi occhi dietro le palpebre chiuse.
Annusai il profumo della sua pelle … ascoltai il lento
pulsare del suo polso … e, senza veramente volerlo, posai un
bacio al centro della sua mano.
Stupito del mio stesso gesto, riappoggiai la mano di Elena sulla
coperta che la avvolgeva e attesi.
La testa si mosse appena, strusciando contro il cuscino, e dalla gola
le uscì un flebile lamento … come le fusa di un
gattino disturbato nel sonno …
Mi alzai e mi sedetti sul bordo del divano per esserle più
vicino: la vidi combattere contro la pesantezza delle palpebre che non
volevano alzarsi, alzare la mano scoperta e portarla agli occhi, per
sfregare via anni di sonno … come a cancellare gli incubi
che l’avevano tormentata.
-Non avere fretta … sei al sicuro … svegliati
lentamente. – le sussurrai.
Elena stava tornando.
Lentamente aprì gli occhi e, stupita, si guardò
attorno.
Il suo sguardo mi scivolò addosso, quasi fossi invisibile e
andò a posarsi in un punto indefinito.
Sentii le pulsazioni accelerare … il respiro fermarsi.
Probabilmente non capiva se quello che stava vedendo era vero o un
altro dei suoi sogni.
Si raggomitolò nella coperta e volse lentamente il viso
verso di me, quasi spaventata.
Aveva bisogno di qualche minuto per riaversi … di qualche
attimo per realizzare dove fosse e perché.
-Prenditi tutto il tempo che ti serve … vada prepararti
qualcosa di caldo. – mormorai.
Mi diressi in cucina … scappai quasi.
Misi a scaldare dell’acqua per prepararle un tè e
mi appoggiai al piano della cucina, fissando il liquido freddo nel
bollitore.
Non riuscivo ad immaginare quale tempesta di emozioni stesse vorticando
nella testa di Elena … quale miriade di sensazioni si
stessero risvegliando con lei.
Era come quell’acqua: presto avrebbe cominciato a muoversi
… ad esplodere in mille bolle … che dal
profondo avrebbero portato ogni dolore in superficie.
Quando fu pronto, versai il tè un una tazza e tornai dove
ancora regnava il silenzio.
Entrando nella stanza e la vidi in piedi davanti al camino spento. Non
avevo ancora acceso il fuoco per lasciar credere che non fossimo
lì, che la casa fosse disabitata, che ci fossimo nascosti
altrove.
Guardai la sua sagoma nella penombra delle luci soffuse. Appoggia la
tazza sul tavolino e mi avvicinai alle sue spalle, abbastanza vicino da
diventare la sua ombra, senza però sfiorarla.
Mi sentivo un elefante in un negozio di cristalli. Temevo che, se solo
l'avessi sfiorata con un respiro, lei si sarebbe infranta davanti ai
mie occhi ... volatilizzandosi come una voluta di fumo bianco.
Le parole che avevo nel cuore si aggrovigliavano, bloccandosi in gola
prima di arrivare alle labbra.
Lei era immobile e fissava il camino vuoto.
Quali pensieri attraversavano la sua mente?
Io ero uno di quei pensieri?
Avvicinai il volto ai suoi capelli, sempre senza toccarla, trattenendo
il respiro per non disturbare il suo silenzio ...
Eravamo sospesi nel tempo e nello spazio, in uno di quei momenti che
sembrano non avere epilogo ...
Attendevo un suo cenno ... un accenno ... un respiro che mi indicasse
quale direzione prendere ... cosa osare ... se osare.
La vidi stringersi un po' di più nella coperta, e inclinare
il capo verso il basso.
- Senti freddo? -
Dopo venticinque anni le prime parole furono una banale preoccupazione.
- Ti ho preparato del tè ... È ancora caldo ... -
Sembrava che i suoi piedi fossero inchiodati al pavimento.
Poi, finalmente la sua voce ... un sussurro.
- Mi ha rubato vent'anni ... mi ha fatto dormire per diciassette lunghi
anni, strappandomi alla vita dei miei figli! Sì, ho freddo
... ho il cuore ghiacciato, eppure il sangue mi ribolle di rabbia ...
ho il gelo nella testa e il fuoco nelle vene. Sono sveglia …
per cosa? Per assistere all'assassinio di mia figlia? E adesso che ti
rivedo ... adesso che sei qui come nei miei sogni più belli
... non riesco a pensare ad altro che è stata tutta colpa
mia ... che ti ho cacciato per rimpiangerti ... che ti ho ritrovato per
perderti, per mettere in pericolo la tua vita … -
Stava crollando: ne percepivo gli scricchiolii, il rumore delle crepe
in una sottile lastra di ghiaccio ... quel crepitio che precede il
crollo, il boato ...
Lentamente, mi avvicinai ancora di un passo ... posai le mani sulla
coperta e le feci scivolare attorno alle sue spalle, per contenere
quell'esplosione, per non permetterle di schiantarsi contro quel muro
di dolore.
Un urlo stridulo uscì dalla sua gola, e le ginocchia le
cedettero, insieme alla barriera che conteneva il fiume delle sue
lacrime.
- Andrà tutto bene … - le sussurrai, mentre il
lamento che usciva dal suo cuore si attorcigliava al mio, per unirli
nella stessa disperazione.
- Andrà tutto bene … - le ripetei, mentre le
lacrime che scendevano sui nostri volti si addensavano come gocce di
cera su una candela consumata.
- Andrà tutto bene … – le urlai, mentre
ci ritrovammo sul pavimento, sciolti in una pozzanghera di frustrazione.
In ginocchio, la stringevo … trattenendo il mio grido tra i
denti, lasciando che lei gridasse anche per me.
-Andrà tutto bene ...-
Le sue mani cercarono una via d'uscita dalla coperta e dal mio
abbraccio, per aggrapparsi disperate alla manica del mio maglione.
Voltandosi, mi porse il suo viso sfatto di pianto. Le spostai i capelli
che le lacrime avevano incollato alle sue guance, cercando di infilare,
nel groviglio di occhi e ciglia, uno sguardo, nel tentativo di
incontrare il suo.
Le mie dita raccoglievano le sue lacrime, come gocce di veleno da
succhiare per mettere a tacere ogni strazio ...
Le sue dita asciugavano le mie lacrime, come gocce di veleno da
succhiare per mettere a tacere ogni senso di colpa ...
... e la stingevo e la lasciavo per guardarla ... stringerla
... guardarla ... e poi stingerla ancora ... cercando nei suoi singulti
un varco per infilarci i miei, per inspirare il suo dolore e
farlo implodere dentro di me.
L’alba ci trovò sul pavimento ... un groviglio di
braccia e coperte ... di dita intrecciate ... aggrappati
l’uno all’altra.
Aspettai ...
Aspettai che i singhiozzi si trasformassero in sospiri ...
Aspettai che i lamenti diventassero silenzi ...
Aspettai che tornasse dal buio ... dal lungo sonno che l'aveva spenta
per troppo tempo.
Aspettai ...
Lentamente i singhiozzi diventarono sospiri ...
I lamenti silenzio ...
Elena continuava a tenere il viso affondato nel mio petto, sciogliendo
in calme lacrime il macigno che sfondava il suo torace.
Con la disperazione, dal suo cuore evaporò anche la coltre
di fumo che intossicava i suoi pensieri ... offuscava le sue emozioni
... accecava i suoi sentimenti.
Alla fine, il suo respiro si fece regolare, gli occhi si asciugarono e,
finalmente, si alzarono ad incontrare i miei.
Incominciammo un muto dialogo ... cercando qualcosa che
entrambe temevamo fosse perso ...
Ci scavammo negli occhi ... alla ricerca spasmodica di un segnale, di
una scintilla che riportasse la luce.
Io cercava quella ragazza letta in un diario ... racchiusa in
un'illusione ... conservata in un sogno.
Lei cercava ... cosa?
Un amico?
Il suo servo devoto?
O l'uomo descritto in un diario ... racchiuso in un ricordo ...
conservato in un angolo del suo cuore?
Restammo immobili, per la paura di scoprirci … con la voglia
di scoprirci ... di confessare, di raccontare ... di dichiararci e
nasconderci l'uno nell'altra.
Improvvisamente suoi occhi si concentrarono su qualcos'altro, si fecero
attenti, allertati, come se una voce l'avesse chiamata. Si
voltò a cercare qualcuno che non sentivo, qualcuno che ebbe
il potere di accendere il suo sguardo e disegnare un lieve sorriso
sulle sue labbra.
Capii ... capii ancora prima che quel nome uscisse dalle sue labbra ...
- Pheeb .... –
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Capitolo 11 *** Ora e per sempre ***
CAPITOLO
11
… ORA E PER SEMPRE …
"Damon
... posso entrare?" mi chiese Pheeb con il
suo potere telepatico.
- Da quando
chiedi il permesso? - risposi ad alta voce.
“Da
quando le porte sono chiuse e l’ingresso è
precluso a chiunque non sia invitato ogni volta che si presenta, me
incluso: questa volta Bonnie ha fatto le cose in grande!”
Malvolentieri
mi slegai da Elena per andare ad aprire la porta.
Elena si
alzò dal pavimento, asciugandosi il viso nella coperta, come
una bambina si pulisce il naso sporco.
"Sei
solo?"
domandai senza voce.
-Sì
… mia madre? –
Appena Pheeb
varcò l'entrata, puntò lo sguardo oltre le mie
spalle. Elena era in piedi, appoggiata alla parete del corridoio, con
gli occhi pieni di un sentimento assoluto, totale ed incondizionato ...
un sentimento che non conoscevo ... o che conservavo gelosamente in uno
squarcio di memoria troppo breve per lasciare traccia.
Pheeb mi spinse
da parte e si proiettò verso sua madre.
Elena lo
accolse tra le sue braccia, le mani ad afferrargli il volto per
osservarlo, berlo avidamente.
Quale amore
poteva essere più immenso di quello che traspariva dai suoi
occhi?
Staccai
imbarazzato lo sguardo da quella scena, da quelle sensazioni
sconosciute ... da quel legame assoluto e inscindibile.
- Mamma ... stai bene?
- le chiese Pheeb.
- Dove sei
stato? Perché non sei a casa al sicuro ...? Tuo padre ... ? -
- Eccola:
appena sveglia e cominci subito a fare la madre ansiosa! - le rispose
sorridendo.
Pheeb si
guardò attorno, cercandomi.
"Che
cosa sa?"
mi domandò.
Alzai le spalle
scuotendo la testa.
- Mamma ...
cosa ti ricordi di quello che ti ho " raccontato"? -
- Ricordo
tutto, Pheeb! Ogni cosa che mi hai mostrato, ogni parola che mi hai
sussurrato … Il rito … il sacrificio …
e tua sorella? Lei come sta? Dov'è ...? – chiese,
sempre più ansiosa.
Mi avvicinai
lentamente ai due, invitandoli a rientrare in salotto.
- Elena ... non fare la
rompi ... calmati e andiamoci a sedere. Pheeb ci spiegherà
… vero Pheeb? - lo interrogai con lo sguardo.
"Non
vorrei farla agitare ... ma deve sapere ... non voglio e non posso
nasconderle nulla!"
"
Tutto e subito?"
"
Non vedo altra soluzione: deve ... dovete essere pronti a qualsiasi
eventualità ..."
- Voi due, la smettete
di comunicare telepaticamente? Damon, per favore, non cominciare a
tenermi all'oscuro: voglio sapere tutto ciò che
riguarda i miei figli, me stessa o chiunque altro! E tu non
farti influenzare dalla sua mania di proteggermi a qualunque costo!-
esclamò, con il tono petulante di una madre mentre
rimprovera i figli complici di un danno.
- Pheeb ...
come la riaddormento?-
- Posso
chiedere a Cinthia o a Bonnie ... -
- Smettetela e
raccontatemi tutto! – il suo tono era esasperato.
- Partiamo
dalla fine, - proposi. - Che cosa è accaduto questa notte?
Klaus ha scoperto qualcosa di più? Ci sono
novità? -
- Per fortuna
mi trovavo nei paraggi, - esordì. – Sembra proprio
che qualcuno voglia far conoscere a Klaus la quarta parte della
profezia. Durante la trance, ho percepito nella mente di Cassidy una
forte presenza che voleva costringerla rivelarne il contenuto. Sono
riuscito a influenzare le visioni dell'oracolo, ma non sono stato
abbastanza forte da impedirle di urlare un nome ... -
- Un nome?
– si ricominciava con i quiz.
- Mentre
cercavo di interferire con la visione indotta dalla magia ultraterrena,
sono stato colpito da una specie di black out di pochi secondi,
sufficienti per interrompere la connessione e far urlare a Cassidy il
nome di Cronos ... -
- Cronos? -
domandammo in coro Elena ed io.
-
Cos'è? Un altro rebus mitologico? -
- E’
il protagonista del pezzo mancante, l'ultima metafora ... la chiusura
del cerchio. - rispose rassegnato.
- E quando
avresti intenzione di rivelarmi questo maledetto pezzo mancante?
– sbottai.
- Insomma ...
cosa rappresenta Cronos? E come un nome potrebbe mettere Klaus su una
strada ancora più pericolosa di quella che ha già
tracciato? - inveì Elena.
- Ascoltate ...
da quello che ho potuto percepire, Klaus ha notato qualcosa
d’insolito: Cassidy, durante la seduta, ha dovuto nascondere
la battaglia interiore tra me e le streghe, tra Bonnie e Caitlin che
salmodiavano incantesimi opposti, con Medea che forzava le barriere
della sua mente; tutto questo le ha procurato delle forti convulsioni
fino al grido che l'ha fatta svenire. Klaus ha cominciato a porsi delle
domande, a riflettere sull’accaduto. Lui ama la mitologia e
se connette Cronos alla profezia, scoprirà il collegamento.
Per ora non so ancora a quali conclusioni sia giunto: non appena
tornerò a casa, indagherò. Il vero pericolo
arriva da zio Elijah: lui ha approfondito i rituali magici e ha capito
che la mancata visione di Cassidy era dovuta a
un’interferenza esterna. Pur non sapendo dell'esistenza della
quarta parte, entrambi hanno fiutato odore d’imbroglio e sono
sulla difensiva.
Adesso,
però, devo correre a casa per vedere la reazione di mio
padre e degli altri alla tua fuga, mamma: devo capire chi e cosa
sospettano ... con chi se la prenderanno... come... -
- Pheeb ... la
profezia! - insistetti.
- Mitologia,
Damon ... ma nessuna certezza sull'interpretazione. Davvero, vorrei, ma
non posso fermarmi più a lungo. Non so cosa
accadrà quando scopriranno che le loro difese hanno delle
falle. Voglio provare ad influenzare le loro menti e far
credere loro che tu, mamma, sia ancora a casa, ma non so per quanto
potrò sostenere la finzione. Vi prometto che appena qualcuno
sarà in grado di venire, vi diremo tutto ... -
- Pheeb ...
resta ... mettiti in salvo ... almeno tu, nasconditi con noi: senza di
te il rito non sarebbe fattibile ... sareste salvi entrambi. - lo
supplicò la madre.
- No, mamma:
Cinthia e Cassidy sono ancora in quella casa maledetta. Non posso
lasciarle in balia di Klaus, della sua ira, del suo potere. Devo
proprio andare. La affido a te, Damon ... -
Elena ci
guardò scuotendo la testa.
- Non bastava
un maschio testosteronico testardo ed incosciente, - si
lamentò indicandomi con un gesto della mano. - Adesso anche
tu ti metti a fare l'eroe! –
- Beh ...
è figlio tuo Elena ... e se non ricordo male, la sindrome
dell'agnello sacrificale viene dal tuo DNA ... - le rinfacciai.
- Bene ... vedo
che non vi annoierete. –
- Pheeb ... -
lo implorò Elena.
Lui le
posò un bacio sulla guancia e si diresse verso la porta.
- Meglio se usi il
tunnel, è meno esposto. Mandaci qualcuno al più
presto. - lo esortai.
- Mamma ...
Damon … c’è ancora qualche giorno per
capire come agire ... abbiamo aspettato anni, un'ora più o
meno non farà la differenza. Per favore, prendetevi del
tempo per voi: presto non ne avrete ... tra poco arriverà il
tempo delle decisioni ... vita o morte! Nessuno vi
disturberà fino a domattina ... ventiquattr'ore ... e poi,
in un modo e nell'altro bisognerà organizzare la rivolta,
boicottare Klaus …-
Elena ed io ci
guardammo: ventiquattr'ore per recuperare venticinque anni …
utopia.
- Aspettami qui ... -
le dissi, accarezzandole un braccio, - accompagno Pheeb al tunnel e poi
... –
E poi, cosa?
Senza cercare una
risposta, feci strada al ragazzo, mentre sua madre lo guardava
allontanarsi: sul viso la sofferenza, come se le stessero strappando le
viscere.
Arrivati nei
sotterranei, Pheeb mi guardò un'ultima volta.
-Falla felice ...
regalale qualche ora di vita che sia veramente
“vita” ... – mi comandò.
- Non hai
bisogno di chiedermerlo, lo sai … Poi tu, però,
non venire a spiarmi nella memoria: potrebbe essere imbarazzante ...
– sdrammatizzai.
- Tu rendila
felice, a tutto il resto penserò io ... -
- Tu e Cassidy
...? - domandai a bruciapelo.
- Io e basta.
Non c'è nessun " io e Cassidy" ... ci sono solo io.... ma
non è questo il momento di confidenze intime. Domani
farò in modo che abbiate notizie. –
Lo vidi scomparire
oltre la vecchia porta.
Guardai verso
l'alto: al piano di sopra c'era Elena ed io avrei dovuto regalarle una
giornata di felicità! Probabilmente sarebbe stato
più facile fare irruzione nella villa e ammazzare tutti gli
originali e le streghe ... ibridi compresi!
Tornai in soggiorno e
guardai sul divano ma, ovviamente, lei non era rimasta ad aspettarmi.
Trattenendo il
respiro, cominciai a cercarla.
Entrai in
cucina e notai che la porta sul retro era socchiusa: era uscita! Pazza
ed incosciente non aveva ascoltato nemmeno una parola sulla sua
sicurezza … sulla segretezza … sul fatto che
nessuno dovesse sapere che noi eravamo nascosti in casa mia.
Affacciandomi,
la vidi ai piedi delle scale.
Aveva il volto
rivolto verso il cielo plumbeo.
Pioveva.
La pioggia di
novembre … la pioggia che prepara il letargo … la
morte della natura … il freddo. La pioggia che
cade sulle foglie morte, che crea fango e non ha un arcobaleno
… la pioggia inutile dell’autunno, che spalanca le
porte all’inverno.
Quella pioggia
fredda cadeva sul suo corpo, coperto solo da quel velo bianco che
ancora non si era cambiata, come un legame, una zavorra a ricordarle il
tempo perso, un tempo che non sarebbe tornato.
-Ti
raffredderai – dissi, scendendo le scale per raggiungerla.
- Sono stata
rinchiusa diciassette anni … ho vissuto in un mondo onirico
fatto di incubi e ricordi … di immagini e buio. Lasciami
respirare quest’aria umida, vera … lasciami
respirare la terra … la vita. -
- Qui non posso
proteggerti: vieni dentro … sarai al sicuro … -
- Non voglio
stare al sicuro … voglio andare a salvare i miei figli. -
- Se ti
verrà una polmonite, non potrai fare molto. Vieni dentro
… ne parliamo, vieni con me - ero a pochi passi da
lei, ma ancora non osavo andarle troppo vicino.
“Vieni
da me …” la supplicai in silenzio.
In tutta
risposta, lei alzò lo sguardo verso le nuvole grigie,
lasciando che le gocce di pioggia le accarezzassero il volto. I capelli
fradici le si incollavano alle spalle, e il leggero tessuto bianco le
aderiva alla pelle, lasciando trasparire la sagoma del suo corpo.
Mi avvicinai
lentamente. Sfilai il maglione che ancora indossavo e glielo posai
attorno alle spalle, avvolgendola con le mie braccia nude.
-Adesso sei tu
a prendere freddo … - mi sussurrò.
- Io non posso
ammalarmi … o meglio … non posso raffreddarmi
… - precisai, sfregandole le braccia per riscaldarla.
Io ero
già irrimediabilmente malato, ammorbato da un amore che mi
consumava da anni e che adesso non sapeva se sbocciare o sfiorire
… se osare o aspettare.
-Anche questa
volta non mi lascerai scegliere, vero Damon? –
-Scegliere
cosa? –
- Scegliere se
andare o restare … se combattere o arrendermi …
se vivere o morire … -
- Se muori non
potrai più fare nulla per nessuno … se combatti,
perderai … se andrai, non potrai tornare. Puoi scegliere
… ma non ti lascerò morire, questo mai. -
- Io sono
già morta … quando ho sposato Klaus … -
- Quel
matrimonio non conta nulla … -
- Sono morta la
notte che mi sono data a lui … -
- Non ti
avrà mai più … -
Un paletto nel
cuore mi avrebbe fatto meno male del pensiero delle mani di quella
bestia sulla pelle di Elena.
-Sono morta
quando ti ho cacciato … -
- Ora sono qui.
Ora e per sempre. -
Lentamente lei
si voltò verso di me, appoggiando la sua mano aperta sulla
mia guancia bagnata.
-Bentornato
Damon … - disse con un sorriso che sembrò
cancellare la disperazione.
- Bentornata
Elena … - le feci eco, ricambiando il gesto.
Eravamo
infinito … la sua mano sul mio viso, la mia sul suo
… formavamo un cerchio senza soluzione di
continuità.
Nudo fino alla
cintura, lasciai che la pioggia cadesse tra noi per un breve istante.
Abbassai lo sguardo per incontrare i suoi occhi, nascosti
nell’intreccio dei capelli bagnati.
Feci scivolare
la mano dalla guancia alle tempie … fin sulla fronte per
liberarle il viso.
I suoi occhi
trafissero i miei ed ebbi l’impressione che mi vedesse per la
prima volta: c’era stupore in quel lago di caldo cioccolato
che si stava sciogliendo, mischiandosi a una spruzzata di gioia e una
goccia di paura. Assorbii ogni sfumatura di quella calda bevanda che
liquefaceva il ghiaccio nel mio sguardo, penetrando nelle mie pupille,
per fondersi col mio sangue.
Mi accorsi in
quel preciso istante che la mia anima aveva un buco proprio nel centro,
il foro d’uscita di un proiettile che Elena stessa aveva
sparato il giorno che mi aveva detto addio. Quella miscellanea di
misteriosi ingredienti, quel fluido denso lo stava colmando: la mia
anima si stava rimarginando.
Era uno di quei momenti
in cui la vita sembra ancora un’esperienza possibile.
Il desiderio di lei mi
colse bruciante tra le gocce di pioggia che scivolavano sul mio torace
nudo, accarezzato dallo sguardo di lei che ne seguiva il percorso.
-Elena
… rientriamo. –
Il suo vestito sempre
più trasparente, rivelava la sua nudità, coperta
solo da candida biancheria intima.
Lei si accorse del mio
sguardo penetrante … lo stesso sguardo che, tanti anni
prima, l’aveva fatta fuggire fuori dalla stanza di un motel.
Prima che
potesse dire o fare qualunque cosa, la avvolsi ancora di più
nel mio maglione, e le posai un bacio sulla fronte, incapace
di tenere lontane le mie labbra da lei.
-Rientriamo
… - cercai di convincerla.
Elena mi
guardò con un’espressione che non le avevo mai
visto.
Non
voltò il viso … non si nascose dietro le palpebre
abbassate … semplicemente, inclinò la testa e mi
fissò.
-Sembra assurdo
… - disse, indicando la pioggia, - ma vorrei tanto
farmi una doccia. –
La sua mano
scivolò sulla mia pelle bagnata e, voltandomi le spalle, si
diresse verso casa.
Guardai la scia che era
rimasta sulla mia pelle al passaggio delle sue dita, incredulo.
La seguii a distanza
…
“Non
adesso … non qui …” m’imposi a
fatica.
-Ti ho preparato la
stanza azzurra … - le dissi, vedendola salire le scale.
– Meredith mi ha dato dei vestiti per te … se vuoi
cambiarti … -
Lei mi
guardò senza rispondere.
Proseguì il
suo percorso, dirigendosi verso camera mia.
-Ti dispiace se uso la
tua vasca? Sono quasi diciassette anni che non mi lavo e vorrei godermi
un lunghissimo bagno … ho bisogno … sai
… cose da donne … -
Lo sguardo era ironico.
Il dolore
… l’ansia … l’angoscia,
sembravano essere stati lavati via dalla pioggia.
-Non sono impazzita,
Damon … Pheeb ha detto ventiquattr’ore
… voglio vivere prima di ricominciare a morire … -
Senza dire altro, si
diresse verso il bagno e cominciò a far scorrere
l’acqua nella vasca.
-Elena … -
la chiamai senza raggiungerla, per lasciarle qualche istante di privacy
… - mi dispiace … ma la casa è stata
disabitata per molto tempo … posso offrirti solo il mio
bagnoschiuma … è nella doccia … gli
asciugamani … -
-So dove sono gli
asciugamani … e il tuo bagnoschiuma andrà
benissimo … -
La sentii armeggiare
con ante e cassetti.
-Posso usare il tuo
spazzolino? Non riesco a trovarne di nuovi … - mi
urlò.
-E’
nella pochette, col dentifricio … -
-Ok
… trovato … tranquillo: ho tutto quello che mi
serve … asciugati anche tu e rilassati … ci
metterò un po’ … - annunciò.
Rilassarmi
…
Saperla nuda
… immersa nella schiuma … dentro la mia vasca da
bagno, era un pensiero tutt’altro che rilassante.
-Se hai bisogno che ti
lavi la schiena … -
-Magari
un’altra volta … rilassati … -
I pantaloni bagnati
cominciavano ad infastidirmi.
Cercai
nell’armadio qualche vecchio telo di spugna per asciugarmi
dalla pioggia. Mi sfilai i vestiti fradici e li lanciai in un angolo
della camera, scuotendo la testa per sgocciolare i capelli.
Passai
l’asciugamano ruvido sul torace e lo appoggiai intorno al
collo, per assorbire l’acqua che ancora colava dalla testa.
Presi un'altra
salvietta e la avvolsi attorno ai fianchi, mi diressi verso il letto e
mi sedetti sulle stesse lenzuola sciupate in cui avevo dormito
… Quando? Da quanto tempo non dormivo? Troppe ore per essere
ancora lucido.
Passai le mani tra i
capelli bagnati e ascoltai i rumori che venivano dal bagno.
Lei era lì
… in casa mia … nella mia vasca …
Il suo profumo
aveva già preso il posto dell’odore di stantio che
regnava in quella stanza chiusa da troppo tempo … nei miei
sensi, spenti da troppi anni.
Saperla a pochi passi
da me mi riempì di sollievo, di una sensazione leggera
… una sensazione dimenticata … qualcosa che mi
spinse a sorridere … qualcosa che, forse, si chiamava gioia.
Invaso da un calore
nuovo, appoggiai la testa sul cuscino e mi sdraiai sul letto, cullato
dal lieve sciabordio dell’acqua che seguiva i movimenti di
Elena.
Lei era lì
… non importava nient’altro.
Sentii
l’adrenalina fluire fuori dalle mie vene … gli
occhi farsi pesanti e la mente leggera.
Mi lasciai
scivolare nel sonno, cullato dalla stanchezza.
-Solo
cinque minuti – pensai … - non posso
perdere altro tempo dormendo … non oggi … non
… -
Un’insolita
sensazione mi fece riemergere dal sonno profondo.
La percepivo.
Lei era
sdraiata dietro di me … nessun contatto … nessun
rumore … ma la sentivo.
Lentamente,
senza aprire gli occhi, mi voltai e, guidato solo dal profumo, mi
avvicinai al suo cuscino.
Avrei dovuto spalancare
gli occhi, avrei dovuto alzarmi … avrei dovuto parlare,
ascoltare … ma ero immobilizzato nel momento, dal timore che
fosse un altro dei miei sogni … un altro dei miei deliri.
Sentii le
lenzuola frusciare, la sua mano scivolare sulla federa e raggiungere i
miei capelli. Le sue dita s’insinuarono tra le ciocche
scomposte e iniziarono a giocare.
Gustai
quell’attimo … indugiai nell’attesa ...
nel languore di una dolcezza sconosciuta, nel tepore che presagiva
l’incendio imminente.
L’aspettavo
da tutta una vita … viaggiavo verso di lei da sempre,
contrastato da vaticini avversi e tempeste. Avevo trascorso anni a
sognare di poterla toccare, eppure rimanevo immobile, lasciando che il
piacere lento e penetrante fluisse dalle sue dita, attraverso
di me.
La sua mano si
liberò dai capelli per scendere dietro le orecchie, lungo il
mio collo, per raggiungere il mento … le labbra …
ed io le baciai i polpastrelli soffici come batuffoli di nuvole.
La desideravo
così intensamente …
-Proprio non ti
vuoi svegliare … - mi sussurrò
nell’orecchio.
Lentamente
aprii gli occhi e incontrai la sua pelle.
Si era infilata
sotto le coperte per ripararsi dal freddo della casa non riscaldata;
aveva un gomito appoggiato al cuscino e, con la mano libera, stuzzicava
le mie spalle.
Il mio viso era
a pochi centimetri dal suo collo, pulsante di vita.
Alzai appena il
mento per poterla guardare: stava sorridendo … un sorriso
pigro … languido … profondamente sensuale.
Le passai
l’indice alla base del collo, fermandomi in quella piccola
conca morbida al centro, tra sue fragili ossa.
Mossi le labbra
per dirle quanto fosse bella … quando l’avessi
aspettata … ma le frasi si bloccavano tra i denti.
Non esistevano
parole degne per esprimere quello che stavo provando …
quello che avevo provato in tutti quegli anni di solitudine, svaniti in
un battito delle sue lunghe ciglia.
Presi,
speculare, la sua stessa posizione, per poterla ammirare …
per leggere nei suoi occhi quello che le parole non potevano
descrivere.
La vecchia
lampadina dell’abat-jour riscaldava l’immagine del
suo viso, nascondendo il lieve rossore ed accentuando il tono caldo dei
suoi occhi.
Davvero: non
l’avevo mai vista così bella.
Feci scivolare
la mano libera sopra le coperte che l’avvolgevano e mi
avvicinai. Appoggiai la mia fronte alla sua, per scavare nei suoi
pensieri, per leggere i suoi desideri. Non fu la sua mente a dirmi
ciò che voleva, ma il suo respiro, leggermente trattenuto al
contatto dei nostri visi.
Lasciò
scivolare il braccio che le sosteneva la testa e si
abbandonò sul cuscino.
Il movimento
scostò il lenzuolo dal suo petto, rivelandomi che non
indossava nulla.
Insinuai le
dita sotto la stoffa che faceva da barriera tra i nostri corpi, e le
feci scorrere lungo la sua schiena: nulla … nessun ostacolo.
Un brivido la
scosse … e fece divampare la mia passione troppo a lungo
imbavagliata.
La mia bocca
avida si avvicinò alla sua e attesi solo il tempo di un
respiro …
Appoggiai
appena le mie labbra, in attesa di una risposta.
… e
lei rispose.
Rispose al
bacio, all’abbraccio, al richiamo antico di un amore
finalmente libero.
Affondai le mie
mani nella sua schiena, nel timore che qualcosa o qualcuno me la
portasse via … ancora una volta …
Incollai le mie
labbra alle sue, sigillando il suo respiro al mio … la sua
vita alla mia.
Quanto
…? Troppo tempo avevamo rimandato … troppo a
lungo ci eravamo negati di vivere, accontentandoci di attraversare la
vita.
Chiusi gli
occhi, incredulo: tutto ciò stava realmente accadendo? Lei
era lì, in quella stanza, con me, per me?
La strinsi
ancora di più: i nostri corpi non sarebbero mai stati
abbastanza vicini, le nostre bocche sazie abbastanza.
“Dio
…” pregai. “Non me la portare via
… non adesso … non …”
Le sue mani che
accarezzavano il mio viso, le sue braccia allacciate al mio collo,
risposero alle mie preghiere.
Tutti gli
ostacoli si sciolsero al calore della nostra pelle, e la passione
esplose.
La dolce
ragazzina si era trasformata in una donna, e quella donna mi voleva.
Per una
frazione di secondo ci guardammo negli occhi, giusto il tempo per
leggervi la stessa voglia, la stessa bramosia.
Subito le
labbra tornarono ad allacciarsi, incapaci di stare lontane.
La forza
magnetica che ci aveva sempre separati, ora aveva cambiato segno e ci
attraeva inesorabilmente.
La sua forza mi
stupiva, la sua irruenza mi accendeva.
Scostai
violentemente le coperte e scoprii il suo corpo nudo.
La guardai
estasiato e spensi i pensieri.
Tutto era
già stato detto … tutto era ancora da dire
… ma non quel pomeriggio.
I nostri corpi
parlavano per noi un linguaggio inequivocabile.
Sul cielo della
sua pelle avevo trovato una strada di stelle che portava diritta alla
felicità, una felicità mai provata, mai nemmeno
immaginata …
Sentii il mio
corpo sciogliersi, fino a diventare acqua che rotolava sulla sua pelle,
mille gocce la accarezzavano … s’insinuavano in
ogni angolo del suo corpo fragile … lo ristoravano
… lo accendevano.
Mi sentivo
parte di lei ancora prima di essere in lei: ero già in lei e
lei in me! Mi era dentro, nel profondo … scorreva nelle mie
vene, mi aveva invaso il cuore, innescandolo come una bomba a mano: le
sarebbe bastato un gesto per farmelo scoppiare … per farlo
esplodere … per ridurmi in poltiglia.
Invece venne a
prendermi … si lasciò prendere. Mi
agganciò con le labbra, mi legò con carezze di
velluto, m’imprigionò nei suoi occhi inebriandomi
con il suo profumo.
Ero un marinaio
che navigava nel suo corpo, attento ad ogni brivido … ad
ogni onda che preludeva alla burrasca, ad ogni sospiro che, come alito
di vento, mi indicava la rotta … ogni suo movimento guidava
i miei … ogni reazione manovrava le mie mani …
Finalmente
mollai gli ormeggi e presi il largo in quell’oceano
inesplorato.
-Non pensare a
nulla, amore mio – le sussurrai roco. – Sei mia. Ci
penso io a te. Abbandonati … affonda … liberati
... ovunque vorrai andare, ti seguirò … non
potrai perderti perché io ti verrò a cercare
ovunque … e ti prenderò … ti
afferrerò prima che tu possa cadere e farti male
… io ci sono … ti tengo: librati con me
… –
- Sono tua!
Guardami: ho la gola scoperta … puoi affondarci i denti, se
vuoi … o affondare in me … ovunque vorrai
portarmi, ti seguirò … sono creta nelle tue mani:
plasmami sulla tua anima … afferrami con le tue mani
possenti e fai di me la tua donna … -
A
quell’invito, il corpo si staccò dalla ragione
…
Il comando si
fece una supplica:
-Sei mia?
– le domandai direttamente dentro la bocca.
- Ora e per
sempre … -
I suoi occhi
scuri di ardore mi scrutavano.
Il bisogno era
visibile … palpabile.
Mi prese le
mani, intrecciando le dita alle mie … alzò le
braccia dietro la testa, donandomi tutta se stessa, le labbra
socchiuse, il corpo invitante …
Mia …
Suo …
Ora e per
sempre.
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Capitolo 12 *** Spaccacuore ***
CAPITOLO 12
…
SPACCACUORE …
4 novembre (notte)
Soundtrack:
http://www.youtube.com/watch?v=p52SqtcCN4s
Le finestre
sbarrate non lasciavano intuire che ore fossero.
Sdraiato tra le
sue gambe, la guancia sopra al suo ombelico, fluttuavo in un momento
senza tempo.
Ascoltavo il
battito tranquillo del suo cuore, che pochi istanti prima aveva
galoppato come un cavallo selvaggio, finalmente libero nella prateria.
Le mie mani
erano saldamente ancorate ai suoi fianchi, ed il profumo della nostra
passione inebriava l'aria, ricordo indelebile dei nostri corpi uniti in
un intreccio di carne e anime ... epilogo di un bisogno estremo di
aversi.
Ancora,
distrattamente, Elena intrecciava le dita tra i miei capelli spettinati.
Nel silenzio
echeggiavano i nostri sospiri, i nostri nomi erano incisi sui muri, a
testimoniare le nostre invocazioni, il nostro cercarci per non perderci.
I suoi fianchi,
accogliendomi, mi avevano partorito, dandomi alla luce …
donando luce alla mia anima nera.
Nudo, come ogni
nuovo nato, ero completamente dipendente dal suo respiro, fragile e
vulnerabile, indifeso e ... onnipotente.
Lì,
in quell'angolo di mondo, avevo il mondo tra le braccia e l'infinito
dentro me.
“Sì, ti amo”,
ansimai, urlandolo quasi ... ma solo nella mia mente. Le lacrime mi
pungevano negli occhi e il mio cuore era pieno di sentimenti che non
potevo controllare, di parole che avrei desiderato pronunciare.
“Ti amo”
pensai ancora più intensamente.
Tutto
ciò che potevo fare era amarla.
Era lo stesso
per lei?
Come se mi
avesse letto nei pensieri le sentii sussurrare:
-
Sì, Damon. –
Sprofondai
ancora più a fondo le dite nei suoi fianchi, mi lasciai
scivolare sulla sua pelle vellutata e mi sdraiai sopra di lei,
sostenendomi con un braccio per non pesarle troppo addosso.
Sentivo la
morbidezza del suo corpo sotto i miei muscoli tesi.
- Qual era la
domanda? - le sussurrai, con il viso immerso nei suoi capelli
scarmigliati.
-
Sì, Damon ...-
- Sì
... cosa? -
Volevo quella
risposta.
Temevo quella
risposta.
-
Sì, Damon ... ti amo. -
Quelle parole
tanto attese quanto inaspettate, mi causarono una felicita
così dolorosa da ferirmi nel profondo ... da spaventarmi
fino alla paura.
-
Sì, Damon ... ti amo. -
Vita ...
- Ti amo, Damon
... -
Morte ...
- Ti amo ... -
Ferita profonda
...
Avevo vissuto
per averla ...
Da quel momento
sarei morto nel terrore di perderla.
- Damon ... -
Feci forza sul
braccio appoggiato al materasso e mi alzai sopra di lei, sovrastandola.
- Mi stai
facendo male ... - le dissi minaccioso.
- Ti ho solo
detto che ... –
Le misi una
mano attorno alla gola.
- Non mentirmi
...
- Non potrei,
io ti ... –
Strinsi le dita
un po' più forte.
- FA TROPPO
MALE ... - urlai.
La mano
premette più a fondo nella sua pelle fragile.
Nei suoi occhi
non c'era ombra di paura.
Mi avvicinai
alla sua bocca e la voce mi uscì in un ringhio feroce.
- Non dirlo se
non è per ME ... non dirlo se non è per sempre
... non dirlo se poi te ne andrai! -
- Sono qui ...
ora e per … -
Il pollice
premette a fondo sulla sua giugulare ...
Lei non si
mosse, non reagì: sorrise.
Da dove veniva
quella donna che mi guardava tranquilla e innamorata mentre ero a un
passo dall’ucciderla?
Dove era finita
la ragazzina impaurita, spaventata dalla forza del mio amore ... del
suo amore per un uomo troppo appassionato?
Non volevo
abbandonarmi a quell'illusione ... ma ero già perso.
Non volevo
arrendermi a quell'ebbrezza ... ma ne ero già ubriaco.
La mia mano
trasformò la morsa mortale in una carezza ruvida, che scese
a graffiarla in mezzo al petto.
Il mio corpo si
muoveva contro il suo … lo cercava … lo
pretendeva.
Mi sentivo come
un bicchiere colmo di bourbon: fuoco liquido, forte e bruciante
… ma pronto ad infrangermi come il vetro che lo conteneva, a
disperdermi sul pavimento, ad evaporare per scomparire nel nulla.
Questa
sensazione di effimero mi rese prepotente … impaziente
… rude.
Avevo bisogno
di sapere che mi avrebbe amato comunque, che mi voleva me per quello
che ero e non la brutta copia di un uomo immaginato per troppo tempo.
Entrai
in lei senza i preamboli e i gesti di un amante dolce ed esperto.
Scavai in lei,
cercando conferme nella sua carne, risposte sulla sua pelle.
Rimasi
immobile, nascondendo il mio volto in mezzo al suo seno, cercando di
decifrare i messaggi in codice che mi mandava il suo cuore.
Sferrai un
colpo, il primo affondo di un duellante che parte all’attacco.
Attesi la sua
reazione.
Le sue dita
scivolarono sulle mie braccia tese, gli occhi spalancati e fermi per
non celarmi nessuna emozione, per permettermi di leggerle dentro.
Sfidai la sua
fiducia con un’altra stoccata, cercando il punto
più vulnerabile, in attesa di vedere una crepa incrinare la
sua espressione fulgida e tranquilla.
Le
contrattaccò sciogliendosi in un sorriso e adeguando il suo
corpo alla mia brama.
Mi riabbassai
su di lei, rabbioso.
-Io sono anche
questo … - ringhiai, mentre assestavo un altro duro colpo.
-Lo so
… ti conosco … ti voglio per quello che sei
… ti desidero per come sei … ti amo per come mi
ami tu … - rispose lei, raccogliendo la mia furia per
trasformarla in gemiti di puro piacere.
Assuefatto alle
tenebre della mia bieca esistenza, la luce del suo amore senza limiti
mi accecava, rendendomi vulnerabile.
Attento a non
permetterle di sfondare del tutto le mie barricate, attaccai di nuovo,
più forte, più a fondo.
Elena si morse
il labbro, segno di un dolorante piacere.
-Mi detesti,
vero? – gemetti, sfuggendo al suo sguardo.
-Ti amo
… e non potrai fare nulla per cambiare questo sentimento.
– ribatté, affondando un colpo dritto nella mia
anima.
Consapevole
della mia battaglia interiore, tra ciò che desideravo e
ciò che pensavo di non meritare, conscia che non stavo
combattendo contro di lei, ma contro i fantasmi del mio passato, Elena
mi prese la testa tra le mani e mi penetrò con violenza
dentro gli occhi, nella mente ... seria … imperturbabile.
-Basta, Damon!
– disse, incollando i suoi fianchi al mio bacino, per non
permettermi di slegarmi da lei. – Smettila di scappare nei
labirinti oscuri delle tue inutili difese. Basta con questo senso
d’inadeguatezza. Io amo te … voglio te
… quello che eri e quello che sei diventato.
Voglio che sia
tu ad amarmi … voglio ricucire il tuo cuore a brandelli
usando pezze del mio per ricomporre gli strappi.
Voglio che sia
tu a colmare la mia anima sfibrata da anni di nulla, anoressica e
scarnita.
Amami e ti
amerò senza se e senza ma.
Odiami, e ti
amerò ancora di più.
Arrenditi e
vincerai. –
Agganciandosi
ancora più forte al mio corpo, fu lei ad assestare il colpo
finale, quello che sganciò la mia corazza e fece cadere la
spada dalle mie mani, ormai colme della sua carne vibrante.
La guardai
un’ultima volta per scoprire nelle pieghe del suo sguardo un
segno di debolezza ... di menzogna.
Dopo tanto
tempo mi stupii delle infinite sfumature che dipingono il volto di una
donna ...
Elena era
l'immagine di una sicurezza serena, data dalla certezza di un
sentimento profondo, instillato nel cuore e nella pelle ...
inalienabile ... indistruttibile.
Come potevo
ancora dubitarne?
Come potevo
ancora non accettare quell'amore che lei mi offriva ... che mi regalava
senza indugi?
Incredulità
....
Scoperta ...
Emozione ...
Improvvisamente
mi domandai se non fosse una pretesa eccessiva ambire a una vita
completa dove amore, emozioni, passione potessero convivere in uno
spazio armonico. La risposta nacque nella sinuosità dei suoi
fianchi, nella luce dei suoi occhi: no, non era eccessiva!
Non volevo
più pagare con la solitudine e l'incompletezza un sentimento
che credevo colpevole, di cercare gratificazioni con qualcosa che alla
fine mi lascia vuoto.
Volevo sentirmi
completo con lei!
Ero stanco di
desideri inespressi, di proiettare me stesso in lei senza avere nulla
in cambio, sfiancato da antichi pregiudizi e sensi
d’inadeguatezza: volevo occupare il posto che mi spettava al
suo fianco, nella sua vita.
Quella storia ci riguardava intimamente, anima e corpo, e il momento ci
esortava a viverla interamente, in ogni sua sfumatura, senza ulteriori
tagli e sacrifici inutili. Non potevo più rimandare! Tutta
la mia esistenza, il suo percorso, ci avevano fatto convergere in
questo istante irripetibile.
La fissai,
finalmente libero da timori … libero dalle paure del
passato: le uniche catene erano ormai quelle che mi legavano
indissolubilmente a lei.
Accettai la mia
fragilità … accettai di affidarle la mia vita, di
prendere in custodia la sua, di lasciarle libero accesso agli anfratti
del mio essere.
Accettai di
morire in lei per rinascere ogni volta.
Consapevole del
suo potere, ma ignara della sua forza devastante, fece in gesto che
scardinò le ultime remore: appoggiò l'indice
della mano destra sulle mie labbra, come a zittire i miei pensieri
tormentati ... lo lasciò scivolare lento verso il
basso, spostandomi il labbro inferiore ... seguendo la linea del mento
... della gola ...
La risposta fu
immediata, riverberò nel suo corpo e nel mio ... sentii il
cuore mancarle un battito, le sue mani raggiungere le mie, la pelle
alzarsi in un brivido; dalle sue labbra sfuggì un sospiro,
tanto leggero da non essere quasi percepito.
Persi il
controllo dei miei pensieri e ricominciai ad amarla.
-o-o-o-o-o-
5 novembre (mattina)
Per chi ha i
sensi affinati come quelli di un vampiro, l’alba ha un odore
tutto particolare: l’odore dell’allerta, delle mani
di Aurora che toglie la nera coperta bucata, permettendo alla luce di
inondare la terra … ed incenerire noi, creature della notte.
Ostinatamente,
né io né Elena ci rassegnavamo a guardare
l’orologio, tentando, tenacemente di tenere il tempo fuori da
quelle quattro pareti.
Eravamo seduti,
le gambe dell’uno attorno alla vita dell’altro,
intrecciati in un languore denso.
Elena
…
Averla tra le
braccia era un sogno mai neppure vagheggiato: mi provocava
un’emozione che non immaginavo si potesse provare
… lei era qualcosa che non credevo nemmeno potesse esistere.
La notte
insonne non aveva lasciato segni di stanchezza, nessun bisogno di
chiudere gli occhi per sognare.
Nudi,
intrecciati alle lenzuola, ascoltavamo il respiro del nostro amore.
-Damon
… -
Perché
aveva spezzato il silenzio?
-Damon
…? –
-Mmmm
… - risposi, le labbra incollate alla pelle del suo collo.
-Non dovremmo
… -
-No!non
dobbiamo! -
-Ma
… -
-Shhh
…. – le dita salirono sulla sua bocca, per
zittirla.
Si arrese e
piegò la testa di lato, per lasciare spazio ad una lenta
serie di baci.
Le mordicchiai
delicatamente il lobo prima di afferrarle il mento e catturarle le
labbra. L’inizio, lento e pigro, lasciava presagire un bacio
dolce, breve … poi qualcosa cambiò. La sua mano
mi afferrò alla base della nuca, mentre l’altra si
aggrappava alle mie spalle; alzando leggermente il bacino,
s’incollò al mio petto, gemendo contro le mie
labbra. I suoi movimenti si fecero quasi disperati, come se il mondo
non avesse un futuro, come se quello fosse l’ultimo bacio.
Intrecciai le
dita nei suoi capelli e risposi a quel bacio con la stessa frenesia,
con lo stesso timore: e se quella fosse stata veramente la nostra unica
occasione per essere felici?
Staccai le
labbra ed incollai la fronte alla sua.
La tensione fu
spezzata da un gorgoglio proveniente dal suo stomaco.
-Affamata?
– domandai, sfiorandole la pancia col dorso della mano.
-Non essere
più costretta a dormire risveglia tutte le mie funzioni
vitali … - disse, con un lieve imbarazzo.
-Pensavo fosse
per la notte appena trascorsa … anzi, al contrario, pensavo
proprio di averti saziata … - ironizzai.
-Non cercare di
rovinare tutto con il tuo cinismo … - mi
rimproverò. Poi, avvicinandosi alla mia bocca,
sussurrò: - Non sarò mai sazia di te …
-
La strinsi
spasmodico, baciandola in mezzo al petto.
-Non mi basti
mai … mi basterai per sempre. – le dissi, morendo
un po’ sul suo seno.
Lo stomaco
ripeté il suo richiamo.
-Meredith mi ha
portato qualche provvista … vuoi fare una doccia prima di
scendere a mangiare qualcosa? – le chiesi, staccandomi a
fatica dal suo corpo.
-Magari dopo.
– rispose, scivolando sulle lenzuola per slegarsi da me e
scendere dal letto. Nuda e magnifica, si guardò intorno,
rabbrividendo per il freddo. Sul pavimento giaceva il maglione che mi
ero tolto la sera prima: si chinò per raccoglierlo, lo
strinse tra le mani e lo portò al naso, inspirando il mio
profumo, prima di infilarselo.
Dalla mia
valigia spuntava l’elastico di un paio di boxer di Armani: li
afferrò e li indossò. Si diede una ravvivata ai
capelli scompigliati e mi guardò con aria
interrogativa.
Sarei rimasto a
guardarla a tempo indeterminato.
-Vuoi farmi
morire di fame o mi prepari qualcosa in cucina? –
Senza inutili
pudori, mi alzai per andare a rovistare nella valigia. Ne tirai fuori
una maglia nera a maniche lunghe che infilai sulla pelle che sapeva di
lei.
-Non credo che
potrei mettermi il tuo vestito bianco … - scherzai, alzando
appena le maniche fin sotto ai gomiti.
Presi da terra
i miei jeans neri e finii di vestirmi. Le aprii la porta della camera,
quasi con dolore, invitandola ad uscire.
Cercando di non
dare un ultimo sguardo al letto, mi chiusi la porta alle spalle.
L’attimo
sospeso si era concluso.
Dovevamo
affrontare la realtà.
Arrivata a meta
corridoio Elena, con una smorfia, fece cenno di voler tornare in camera.
Al mio sguardo
interdetto, rispose incrociando le ginocchia:
- Ho bisogno
del bagno ... - mi sorrise.
- Non sia mai
che mi rovini in persiano in salotto ...-
Mostrandomi la
lingua, fece ritorno in camera mentre io, di rimando, mi morsicai il
labbro inferiore.
Scesi in cucina
e accesi le luci lungo il percorso, in modo che lei avesse la via
illuminata e non rischiasse di inciampare nel buio.
Mi diressi in
cucina per verificare di quali cibarie mi aveva provvisto Meredith. La
sera prima le avevo semplicemente stivate nella credenza, senza far
caso a cosa mettessi via.
Riaprii gli
sportelli in cerca di qualcosa da offrire ad Elena per riempirle lo
stomaco: trovai dei cereali per la colazione, delle fette biscottate,
marmellata ...
Nel frigorifero
c’era del latte a lunga conservazione, un pacco di uova e due
sacche di sangue.
Ne afferrai una
e la stappai in fretta, in modo da potermi nutrire lontano dalla vista
di Elena. Non volevo turbarla, anche se non era nuova alla "dieta del
vampiro."
Misi a scaldare
del latte, e preparai un vassoio con delle fette tostate e della
marmellata, una bustina di caffè solubile, due tazze. Mi
resi conto di aver preparato la tipica colazione italiana; sentendo i
suoi passi sulle scale, le urlai:
-
Caffellatte va bene o preferisci delle uova strapazzate? -
Affacciandosi
alla porta, con i capelli raccolti in una coda improvvisata, mi rispose
con una smorfia.
-
Sono anni che non mangio, se non qualche goccia di sangue. Meglio che
inizi con calma: direi che quello che vedo sul vassoio va
più che bene ... per cominciare. Magari eviterei lo zero
positivo che hai lasciato sul lavandino ... -
- Preferisci B
negativo? - scherzai. - Mangiamo qui in cucina o in salotto?-
- In cucina va
bene .... chiamami quando è pronto. - disse, scomparendo
nella stanza accanto.
Incuriosito, la
seguii.
La
trovai con le mani appoggiate al tavolo dove c'erano le carte di
Bonnie, le braccia tese ed il corpo leggermente flesso in avanti,
assorta nella lettura.
Il maglione era
sollevato al limite delle gambe, lasciando intravvedere il bordo dei
boxer.
Mi appoggiai
allo stipite della porta e rimasi ad ammirarla.
Nella notte, la
foga e l'impazienza mi avevano negato il piacere di ammirare il suo
corpo: mi ripromisi di colmare quell'imperdonabile lacuna al
più presto.
-
Non è fissandolo che il maglione scomparirà
improvvisamente ... - mi canzonò.
Mi
avvicinai, felpato come un felino in agguato, e aderii a lei,
adeguandomi alla posizione del suo corpo.
-
Così, per queste quattro stronzate, la vita di tutti noi
potrebbe svanire nel giro di una notte - domandò
più a se stessa che a me.
-
Così dicono... - le risposi, posandole le mani sul ventre
morbido e facendola aderire ancora di più ai miei jeans.
- Dobbiamo
trovare una soluzione, Damon ... -
- Dobbiamo
correre in cucina! - risposi, sentendo il latte strabordare dal
pentolino in cui stava bollendo.
Insieme
ci precipitammo ai fornelli, dove la schiuma bianca si stava
carbonizzando sul piano di cottura.
Ridendo come
due ragazzini, guardammo la nostra colazione andare in fumo.
-
E’ rimasto un po' di latte nel frigo ... - le dissi,
guardando sconsolato il fondo del pentolino.
- Me lo
farò bastare! Preparo il caffè. - rispose pratica.
Mi
sedetti e cominciai a spalmare della marmellata sulle fette tostate.
Lei
versò il caffè nelle tazze e sedendosi, mi
posò piedi in grembo.
Afferrò
una fetta biscottata e cominciò a sgranocchiarla,
sbriciolando il mio maglione.
Sembrava che il
tempo tra di noi avesse ricominciato a battere il suo ticchettio,
iniziando da dove c’eravamo lasciati, a prima di lasciarci.
Era stata la
nostra prima volta insieme, la nostra prima notte … eppure
riuscivamo già a condividere
un’intimità che non era soltanto carnale.
Era
semplicemente bello vederla sorridere.
Lì,
con lei, in quella cucina, ero felice per la prima volta …
per la prima volta, la parola “felice” aveva un
significato.
Mentre si
leccava le dita sporche di marmellata, mi guardò con stupore.
-Signor
Salvatore … ha una faccia strana … deve dirmi
qualcosa? – il tono era malizioso.
-Direi di no
… salvo che il maglione mi è costato un
patrimonio e non vorrei indossarlo sporco di marmellata … -
- Costato
…? Non hai ammaliato la cassiera? –
Notai che non
aveva usato la parola "soggiogato".
-No, mia cara
… denaro contante … - mi pavoneggiai.
-Guadagnato
… come?-
- Noi Salvatore
godiamo di rendite anonime ed antichissime … che continuano
a fruttarci parecchi dollari depositati in varie banche in giro per il
mondo. – spiegai.
- Allora direi
soldi ereditati … non guadagnati! –
pignoleggiò.
- La mia cara
precisina … -
Per il gusto di
provocarmi, si tolse le dita dalle labbra e le pulì sul
maglione.
-La signorina
gradisce essere sculacciata? – domandai, spostando i suoi
piedi, per potermi avvicinare a lei.
-Anche no
… - rispose lei, sfregando la bocca sporca di
caffè sulla manica.
- Devo proprio
insegnarle la buona educazione … -
- Ma
… potrebbe un’educanda farle questo …
mio saccente maestro? –
Spostandosi un
po’ indietro, cominciò ad accarezzarmi le cosce
con la punta dei piedi, dondolando sulle gambe posteriori della sedia.
Presi in
ostaggio uno dei suoi piedi scalzi e cominciai ad accarezzarlo
lentamente, per poi cominciare a farle il solletico, impedendole di
scappare.
-Allora,
misteriosa seduttrice … che fine ha fatto la piccola,
angelica Elena che arrossiva ad ogni sguardo un
po’più che amichevole?. –
- Morta e
risorta nel tuo letto … - rispose ammiccante. – Mi
preferivi prima? – domandò con un finto broncio.
- Dovrei
pensarci un attimo … - risposi, puntando l’indice
all’angolo della mia bocca.
Lei
incrociò le braccia con un movimento che le fece perdere
l’equilibrio.
In un batter
d’occhio le fui dietro e le afferrai la testa, prima che
andasse a sbattere contro il pavimento.
-Te
l’ho detto questa notte … te lo ripeto ora: io
sarò sempre pronto a prenderti ogni volta che cadrai
… -
Il suo respiro
era troppo vicino per resistere alla tentazione di baciarla.
Nell’istante
in cui posai le mie labbra sulle sue, ancora tese in una risatina
trattenuta, una voce esplose nella mia testa.
“Zitto … non dire
nulla … fai star zitta mia madre e scappa nel tunnel: mio
padre sta arrivando!”
Nota: da questo
capitolo troverete le date degli eventi narrati. Le ho messe per non
perdermi … le lascio per dare anche a voi l’idea
dell’incedere del tempo.
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Capitolo 13 *** Tu ed io ***
CAPITOLO 14
… TU
ED IO …
5 novembre, sera.
Parcheggiammo
tra gli alberi, in cima a una collina che si affacciava sul lago.
A
est l’oscurità cominciava ad accendere le prime
stelle, mentre il sole tinteggiava di rosso le nuvole che veleggiavano
all’orizzonte.
Quel
pomeriggio avevamo mangiato patatine fritte in un fast food lungo la
strada.
La birra fredda
aveva scaldato i nostri animi e risate stupide avevano riempito di
spensieratezza un paio d’ore. Uscendo, avevo pagato, lasciato
una mancia e soggiogato la cameriera che ci aveva serviti. Se
nessuno sapeva … nessuno avrebbe potuto rintracciarci.
Con
il crepuscolo era tornato il freddo e con esso la malinconia negli
occhi di Elena.
-Non potremo
scappare per sempre … - sospirò.
-Perché
no? Cosa ci impedisce di prendere un aereo e volare su una spiaggia di
un’isola del Pacifico? Tu ed io … la sabbia bianca
e il blu infinito davanti a noi. Elena … tu ed io
…- cercai di convincerla.
-Un sogno
… -
- Basta un tuo
sì, e tra un’ora saremo all’aeroporto
… -
- Non possiamo,
e lo sai. -
-
Perché no,Elena? Tutto quella che voglio, tutto quello di
cui abbiamo bisogno è in quest’auto: tu ed io
… d’ora in poi solo tu ed io.- la supplicai,
guardandola mentre fissava fuori dal parabrezza.
- Vorrei che
fosse vero … vorrei che potesse essere così
… ma non ci siamo solo tu ed io: ci sono i miei
figli … tuo fratello … gli amici …
un’apocalisse imminente. –
- Forse, se tu
sarai lontano, se non sarai presente, il sacrificio non ci
sarà … forse … -
- Ma ci
sarà l’ira di Klaus, la sua vendetta! Non posso
rischiare … non possiamo! –
Mi rivolse lo
sguardo.
-Damon
… dobbiamo trovare un modo per salvarli, per salvarli tutti!
-
-Nessuno ha
mosso un dito per salvare te. – sbottai. - Nessuno si
è scomodato a trovare una soluzione, e
l’allineamento dei pianeti sarà tra poco meno di
sei giorni. Che cosa potremmo escogitare che non abbiano già
pensato la tua amica strega o Stefan? Cosa potremmo fare tu ed io?
– cercai di farla ragionare.
-Pheeb
è dalla nostra parte … Bonnie si
opporrà alla magia … magari Cinthia …
- vaneggiava.
- Abbiamo sei
giorni, Elena … solo sei giorni e nessun potere, nessuna
certezza … nulla. – mormorai, consapevole della
nostra impotenza.
- Aiutami a
capire: la notte dell’allineamento dei pianeti Cinthia e
Pheeb dovrebbero “unirsi” in qualche modo
… bevendo il mio sangue … -
- Sì
… Klaus sta cercando di far confluire il flusso magico del
rituale su Pheeb, e Cinthia pare d’accordo. Il punto sul tuo
sangue rimane ancora un dubbio: lui ha delle sacche, quelle che
utilizza per gli ibridi; non è chiaro, però, se
possano bastare o se è fondamentale la tua
presenza. -
- Pheeb
diventerebbe l’essere perfetto e potentissimo: ma a quale
scopo? –
- Credo che
Klaus pensi di costruire attorno a lui una specie di Olimpo: il potere
del sangue dei gemelli, quello che ti ha tenuta in vita, giovane e
… bellissima, si travaserebbe nel sangue di
“Zeus” permettendo di creare esseri potenzialmente
invulnerabili ed eternamente giovani, di placare la brama di sete di
quelli della mia razza, e chissà cos’altro
… -
- Che cosa fa
credere a Klaus che Pheeb agirebbe sotto i suoi ordini? –
- Credo il
senso della famiglia … il richiamo del legame di sangue e la
brama di potere …-
- A Pheeb non
interessa … io lo so … - sbottò Elena.
- Non cedo che
Klaus lo reputi possibile. - pensai ad alta voce.
-
Perché? E’ già invulnerabile, immortale
… perché ancora più potere?
- non si dava pace.
-
Perché è insaziabile e … eternamente
insicuro. Purtroppo solo lui potrebbe darti “LA”
risposta. Non te l’ha spiegato quando ti ha chiesto di
sposarti? Quando ti ha chiesto di dargli dei figli? – quelle
domande mi riempirono di fiele la bocca.
- Mi
raccontò di una visione … di un progetto
… ma non m’interessava: volevo solo che non
facesse del male a Jeremy e agli altri. La mia vita era vuota, inutile
quindi … -
- Ho spulciato
il tuo diario … - confessai.
- Allora saprai
perché ero disperatamente apatica, senza voglia di
vivere. -
Un
velo le offuscò lo sguardo.
-Tu
non c’eri … non tornavi … tu
… -
Lacrime di
angoscia le rigarono le guance.
-Io
sono qui … sono tornato … io … -
Baciai
quelle lacrime per spegnere il suo dolore.
-Non
m’importava di morire … non m’importava
di essere uno strumento nelle sue mani, ma se non avevo a cuore la mia
vita, non potevo lasciare che spegnesse quella di altri. Stringemmo un
patto: gli avrei dato me stessa se avesse protetto tutti coloro che
amavo. Accettò … -
- …
e tu gli hai detto sì … - mormorai tra i denti
che trattennero a stento un urlo di rabbia e dolore.
- …
gli ho detto sì, davanti ad una sacerdotessa magica
… gli ho detto sì davanti ai nostri amici per
metterli al sicuro … -
- …
gli hai detto sì nel suo letto … -
Lei
chiuse gli occhi, deglutendo le lacrime che ancora volevano sgorgare.
-Ti
ha violentata? … - domandai chiudendo gli occhi.
Aspettai
quella risposta con misto di terrore e speranza: non potevo sopportare
che lui le avesse fatto del male … non potevo sopportare
l’idea che lei fosse consenziente.
Lei scosse la
tesa.
-No,
Damon … nel patto era previsto che io gli dessi dei figli
… la prima parte della profezia mi era stata mostrata: io e
lui avremmo potuto procreare, una volta sola … una notte
sola. Caitlin era riuscita a scoprire quale fosse la notte e, quella
notte, sarei sicuramente rimasta incinta. Il matrimonio fu programmato
per quella data, e la mattina che ne sarebbe seguita io avrei avuto in
grembo i suoi … i miei figli. –
Non
potevo immaginare lo sguardo di quel mostro scivolare sul corpo nudo di
Elena, sapere che le sue mani avevano intrecciato le sue, sentito la
sua pelle … che le sue labbra avevano saggiato il sapore che
mi aveva inebriato la notte prima … che lei rispondesse alle
sue carezze, sospirasse ai suoi baci: era qualcosa che il mio cuore non
poteva sopportare, che la mia mente non poteva tollerare.
Era
gelosia stolta: era passato … era qualcosa che non potevo
cancellare … era una sensazione di furia straziante che non
riuscivo a scacciare … che non potevo combattere.
Strinsi
le mani attorno al volante, cercando di non esternare il tumulto che mi
stava tormentando i pensieri.
La
mano di Elena raggiunse la mia: slacciò le mie dita e le
prese tra le sue …
-Gli
chiesi un regalo di nozze, quella sera … - mi
confessò a voce bassissima.
- Quanto poteva
valere “quello” che gli stavi offrendo? Che cosa
poteva ripagarti di una violazione tanto intima e spregevole?
– risposi altrettanto sottovoce.
- Doveva farmi
dimenticare tutto. Non volevo avere nessuna immagine di noi due
… nessun ricordo … nulla: solo le creature che
avremmo generato mi avrebbero ricordato che era esistita quella notte
… nient’altro. Non avrei potuto
sopportare di convivere con quelle sensazioni … sapere che
le mani che mi avevano accarezzato non erano le tue … che
non erano le tue labbra ad avermi baciata … che non il tuo
il corpo sopra il mio … sarei impazzita, nel senso
più vero del termine e non volevo dare ai miei figli una
madre pazza. Lui mi accontentò e mi soggiogò
addirittura “prima” … ma dentro, mi
sentii comunque morire … non avrei ricordato, ma avrei
sempre saputo che era accaduto. Damon … guardami, ti prego
… sarai sempre l’unico e il solo … -
Posò
la sua guancia sulla mia mano e il calore della sua pelle
passò attraverso la mia per inondarmi le vene.
Quanto
avrei voluto vivere un'esistenza parallela nella quale Klaus e le
penose traversie di quella situazione non esistevano.
Avrei voluto
offrire ad Elena una vita senza brutture, senza quel passato, senza le
traversia del prossimo futuro.
Non le spettava
forse un risarcimento per tutte le sofferenze che il destino le aveva
procurato?
Quello che
avevamo condiviso, quello che avremmo potuto condividere, era talmente
perfetto che avrei voluto poter rinchiudere tutto in un forziere
così da impedire a chiunque di strapparmelo dalle mani.
L'unica
certezza che avevo era che non avrei mai rinunciato a lei.
Per questo
dovevo accantonare quella sensazione infantile e patetica e
ingegnarmi a cercare una soluzione che ci consentisse di
stare insieme in un futuro ancora nebuloso.
Gli ostacoli
non mi avevano mai spaventato e non mi sarei mai accontentato di una
manciata di ore: Elena era il mio presente ed il mio orizzonte ... era
colei che dava senso e sostanza alla mia vita.
Assecondai il
movimento del suo viso contro la mia mano e continuai la carezza che
aveva iniziato.
Il sole era
ormai oltre le colline di fronte, a bruciare un’altra notte
… riducendo in cenere un'inutile gelosia per qualcosa che
non lei non aveva voluto, che non aveva potuto rifiutare …
che non aveva nulla a che fare con i sentimenti … con la
passione … con quello che rendeva unico il nostro essere
insieme.
Staccai anche
l’altra mano dal volante e la posai sulle sue gambe fasciate
da un vecchio paio di jeans trovati in casa.
Mi chinai verso
di lei e le presi il mento sollevandole il volto per avvicinarlo al mio.
-Soffrirò
se ne soffri tu … - le mormorai.
- E’
solo un graffio sulla mia anima, una piccola cicatrice … -
rispose, accarezzandomi con dolcezza.
-
L’unica e la sola: tu … nulla importa …
nient’altro è importante … -
-
L’unico e il solo: tu … con il tuo modo pazzesco
di amare, di amarmi, ti sei scavato una nicchia nella mia anima e vi ci
sei insediato da padrone, incatenandomi a te. –
A quelle
parole, il mio corpo ebbe un fremito che partì dal profondo
e salì ad arricciarmi i capelli.
La attirai a me
nell’angusto spazio dell’abitacolo e in un secondo
me la ritrovai tra le braccia. Le tenevo una mano dietro la schiena
mentre con l’altra le afferravo la vita e la spostavo sulle
mie ginocchia, mentre prendevo il suo posto sul sedile del passeggero.
Le fissai le
labbra, proprio mentre lei, inconsapevolmente, le accarezzava con la
punta della lingua per inumidirle.
-Lo sai che mi
fai impazzire, vero? – le dissi in un gemito.
Mi
guardò, ma non c’era malizia … non
c’era ombra di seduzione: solo il disperato bisogno
avvinghiarsi più stretta alle mie spalle.
-Baciami, Damon
… con amore … con tutto l’amore che
puoi! –
-Elena….
– mormorai con voce rotta dall’emozione.
Poi la mia
bocca fu sulla sua, spinta da un bisogno incolmabile … per
colmare il suo bisogno d’amore.
Non cercavo la
sua pelle … non cercavo il suo piacere,
né tantomeno il mio.
Cercavo la sua
anima per portarla dentro di me, al sicuro.
Cercavo il suo
cuore, per incidervi il mio amore.
Cercavo le sue
sensazioni per fonderle alle mie.
E mi stupii di
come un suo bacio potesse suscitarmi emozioni e reazioni
così profonde ed intense.
Era come
sciogliermi, per fondermi con la sua essenza più intima.
-Non provare
nemmeno a pensare che io non possa amarti più della mia
vita. – sussurrai nella sua bocca.
Lei si
staccò da me, ed io mi sentii lacerare.
Le afferrai la
nuca e m’impadronii ancora delle sue labbra morbide.
Le sue dita
scivolarono lungo la mia mascella per arrivare sotto le mie spalle;
s’insinuarono tra la mia schiena e il sedile, per avvicinarmi
ancora di più al suo petto, che incontrò il mio.
Staccandosi
ancora una volta dalle mie labbra, buttò la testa
all’indietro, accarezzandomi le mani che la sostenevano con
la morbidezza dei suoi capelli.
-Non provare ad
amarmi meno … - mi minaccio. – Non provare a
lasciarmi sola … mai più. –
Afferrandomi il
viso, mi guardò intensamente.
-Tu ed io,
Damon … -
Ricominciò
a baciarmi, lentamente, muovendosi sinuosa sopra di me.
La stoffa
accarezzava altra stoffa … ma non avevo bisogno di
spogliarla per sentire la sua pelle.
Non avevo
bisogno di possederla per sentirla mia.
Ci baciammo,
tracciando i contorni delle nostre anime con le labbra gonfie
… seguendo le nostre menti in un mondo senza antiche
gelosie, senza quelle inutili paure che inquinano i cuori ed uccidono i
sentimenti.
Eravamo,
finalmente, affrancati dai nostri timori, liberi da inutili paranoie.
Eravamo,
finalmente, insieme e sradicati da un passato che, come una zavorra, ci
impediva di vivere i nostri sentimenti.
Ero morto ogni
giorno un po’ lontano da lei … da quel momento
volevo solo ricominciare a vivere, e volevo farlo per lei, con lei
… attraverso lei.
-Elena
… starei tutta la notte a rivivere emozioni adolescenziali
… ma credo che tu cominci ad essere scomoda. Torniamo?
– le domandai, baciandole il dorso della mano.
-Promettimi
solo che non permetteremo a nessuno, umano o demone, persona o destino,
di spegnerci … - pregò, stringendomi al suo seno
morbido.
-Ci
sarà da lottare … scappare … rischiare
… se vuoi rimanere per combattere, devi essere disposta a
perdere … se vuoi duellare, devi essere disposta a morire.
Purtroppo so che tu lo sei, ma non so se lo sono io: io non sono
disposto a perderti, non sono disposto a lasciarti morire. –
-Allora
preparati a vincere! – mi sfidò.
-La solita
caparbia … - sbuffai.
-Il solito
despota … - brontolò.
Inarrestabile,
una risata spezzò la tensione.
Scovolai da
sotto il suo corpo e tornai al posto di guida.
Guidai
lentamente nella sera, godendo del panorama e della vicinanza di Elena.
-Cronos
… - rifletté ad alta voce.
-Cronos
… i miei studi di mitologia greca risalgono … -
abbozzai
-Alla scuola di
Atene? –
- Certo,
è Aristippo era il mio professore preferito, la mia cara
cariatide. Vogliamo parlare di Cronos o preferisci disquisire sulla mia
età … tu sei “ferma” ai tuoi
venticinque anni, se non sbaglio, io a 23 … adesso chi
è “vecchio”? –
- Cronos
… il tempo che tutto divora … - asserì
Elena.
- Non solo
… la sua storia somiglia a quella di molti maschi.
Cronos era il figlio più piccolo di Gea e Urano.
Quest’ultimo non accettava i suoi figli, per paura di perdere
la signoria sull’universo, e quindi li nascondeva in grotte
sotterranee per impedire loro di vedere la luce. Gea non poteva
tollerare che i propri figli fossero relegati nelle tenebre e quindi
chiese loro di vendicarsi. Cronos decise di aiutare la madre, e con una
falce evirò Urano, mentre si apprestava a giacere con lei.
Fin qui il parallelismo Klaus/Michael ci può stare. Quindi
Cronos si riferisce a Klaus, odiato dal padre che egli uccide con le
proprie mani … ma manca tutto il resto della profezia per
poter capire la connessione. –
- Cronos non
potrebbe essere Pheeb? –
- Nella prima
parte della profezia Pheeb ... o il nuovo essere …
è paragonato a Zeus, e quanto a fulmini e saette tuo figlio
non scherza! –
Lei
mi guardò stupita.
-Zeus
è figlio di Cronos … - mi ricordai. – e
se non sbaglio, è proprio quello che lo spodesta
definitivamente. –
Vedevo Elena
armeggiare con il mio telefono.
-Esiste
qualcosa di simile a Google in questa era? –
borbottò esasperata.
-Con calma
…- le dissi, collegando il telefono con l’ultima
generazione di motori di ricerca. – Che cosa vorresti
trovare? –
-Proverei con
Zeus e Cronos … -
Digitò
i nomi sulla tastiera e cominciò a navigare tra i vari siti
che le apparvero.
-Trovato
qualcosa? – le chiesi, vedendola totalmente assorbita nella
ricerca.
-Più
o meno le stesse cose che mi hai raccontato … il mito
prosegue con la storia di Crono.
“Poiché
sua madre gli aveva predetto che sarebbe stato detronizzato da un
figlio, adottò il sistema di divorare appena nati i figli
avuti dal matrimonio con Rea: così inghiottì uno
dopo l’altro Estia, Demètra, Era, Ade, Poseidone.
Non però Zeus (il sesto figlio): Rea ebbe
l’astuzia di darlo alla luce segretamente in una grotta del
monte Ida, a Creta, e di sostituirlo con una pietra avvolta in fasce.
Una volta adulto Zeus fece bere al padre una bevanda che lo costrinse a
vomitare” … che schifo … “i
fratelli. Scoppiò allora una guerra terribile tra i figli di
Crono e i Titani che durò oltre dieci anni e che si concluse
con la vittoria di Zeus.”
A quale parte
di tutta questa mitologia si potrebbe riferire la profezia? Pheeb
sconfiggerà Klaus e gli Originali? Klaus divorerà
i suoi figli? Ci sarà una guerra? –
domandò agitando con impazienza il telefono, quasi a
volergli strappare risposte che non si potevano trovare sul moderno
Google.
-Non abbiamo
elementi sufficienti per fare un parallelismo tra la mitologia e la
profezia. Purtroppo Pheeb si ostina a non rivelarmi nulla …
e nemmeno Bonnie: entrambi affermano che se Klaus scoprisse il responso
dell’oracolo ci sarebbero conseguenze devastanti …
ma non è chiaro per chi, visto che le interpretazioni
potrebbero essere diverse, e nell’ambiente delle streghe
saccenti, sembra che ci sia discordia. In ogni caso il futuro dipende
dal rito: da lì tutto parte, lì tutto potrebbe
concludersi … ma non saprei come e a vantaggio di chi.
– conclusi, parcheggiando la Camaro tra gli alberi di fronte
alla casa.
–L’unica
cosa di cui sono sicuro è che questa notte non potremo fare
altre supposizioni, perché sarebbero solo energie sprecate.
Aspettiamo di conoscere quelle maledette quattro righe e potremo
spremerci le meningi. Sei ancora dell’idea di farmi dormire
in macchina o mi ospiti in casa tua? Potrei sempre dormire sul divano
… - sorrisi.
-Perché?
C’è la camera di Jeremy … - rispose
alla mia provocazione.
Scendemmo dalla
macchina e ci incamminammo verso il portico di legno ormai scurito
dalle intemperie e scheggiato dalla furia dell’ibrido.
Lei mi si
avvicinò e, come se fosse una cosa usuale, mi
afferrò per mano, intrecciando le sue dita alle mie.
Guardai le
finestre, che senza vetri e persiane, apparivano come occhi spalancati,
bui, senza riposo.
-Mi sa che
farà un po’ freddo stanotte, se non ripariamo
qualche spiffero … - le feci notare.
-E’
troppo tardi per chiodi e martello … potremmo riparare le
persiane di camera mia, chiudere la porta e cercare un modo per
riscaldarci. – propose.
-Ma non dovevo
dormire nella camera di Jeremy? – le ricordai.
-Qui, Jeremy ed
io condividevamo la stessa camera … - mi rivelò,
sbattendo gli occhi.
Arrivati sulla
soglia lei mi lasciò la mano ed entrò.
Voltandosi, mi
guardò seria ed intensa.
-Sei entrato
senza invito nel mio cuore. Hai invaso senza permesso la mia anima. Hai
abitato la mia mente … dormito nel mio petto. Vorresti ora
condividere questa piccola casa? Vorresti mescolare la tua vita con la
mia? – mi domandò, solennemente.
-Ovunque mi
vorrai, ci sarò … in ogni momento …
sempre. – le risposi, prendendola tra le braccia. -
… e adesso andiamo a riparare quella finestra. –
Tra le coperte,
quella notte, scoprimmo il piacere intimo di stare insieme: parlammo
… ridemmo … ci amammo … da innamorati
… da amanti.
Alla fine mi
avvolsi attorno a lei come una cartina attorno ad una caramella.
…e
mi addormentai, sognando stupende isole tropicali, spiagge deserte e
… le vette nuvolose dell’Olimpo.
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Capitolo 14 *** Donne e motori ***
CAPITOLO
13
… DONNE E MOTORI …
5
NOVEMBRE GIORNO.
Il gelo di una cascata di ghiaccio si riversò nelle mie
vene. Separai le mie labbra dalle sue e le sostituii con la mia mano,
fecendole cenno di stare in silenzio.
La
voce di Pheeb tuonava nella mia testa.
“So
che non può entrare … ma voi scappate!
E’ appena tornato dalla casa al lago e ha visto che non siete
lì. Quello, per questa notte, potrebbe essere un posto
più sicuro del pensionato. Non so cosa potrebbe fare, come
potrebbe reagire trovandovi … porta la mamma al sicuro
…ORA!”
Senza
darle il tempo di proferire parola, presi Elena e la trascinai nel
tunnel, mimando con le labbra il nome del nostro nemico.
Dovevamo
andare abbastanza lontano per non far percepire a Klaus i nostri
respiri, i battiti del cuore.
Arrivati
all’uscita del tunnel, feci cenno ad Elena di aspettare.
L’aria
della mattina era ancora umida e fredda, e la rugiada aveva lasciato il
posto alla brina.
Acuii i miei
sensi, ma né con la vista né con
l’udito riuscivo a percepire la presenza di Klaus, o di
chiunque altro.
Avevo
bisogno di sapere se la zona era libera, di conoscere la via di fuga
migliore …
Salii su un
albero non lontano dal tunnel: nessuno in vista.
Tornai da Elena.
-Pheeb
mi ha avvisato dell’arrivo di Klaus: è stato a
cercarci alla casa a lago. Avevo chiesto a Matt di creare false tracce
e, a quanto pare, le spie del nostro ibrido sono cadute nella trappola.
– sussurrai.
- In casa non
saremmo al sicuro? C'e il sigillo: nessuno può entrare
– mi domandò, inquieta.
-Pheeb dice che
è meglio se ce andiamo: se Klaus non ci
“sente” può credere che siamo altrove.
Meglio se lasciamo la casa deserta per una notte o due, in modo da
deviare le sue ricerche … -
- Quindi
… ? –
- Quindi, il
posto più sicuro, per ora, è la casa al lago, -
le spiegai.
Rannicchiata,
con le ginocchia tra le braccia, era scossa da brividi di freddo e
paura.
L’abbracciai,
cercando di ripararla dal gelo che penetrava dall’apertura
del tunnel.
-Non
preoccuparti … sopravvivrò a un po’ di
freddo … - cercò di rassicurarmi.
- Non chiedermi
l’impossibile: non potrò mai smettere di
preoccuparmi per te. – le dichiarai, baciandole le mani
intirizzite.
- Ascolta, -
continuai, slacciandomi i jeans.
- Ti sembra il
momento?- mi rimproverò, equivocando il mio gesto.
- Beh, sarebbe
un’ottima soluzione per riscaldarti il sangue …
ma, no … non è proprio il momento! Infilati i
miei pantaloni e mettiti la mia maglia attorno al collo: fuori il
freddo è pungente e non vorrei che ti prendessi un accidente
… -
- …
e tu? –
- Io non mi
ammalo … e se anche capitasse, guarirei molto in fretta, se
fossi tu a farmi da infermiera … - sorrisi, rendendomi conto
di non aver indossato biancheria intima.
- Facciamo uno
scambio, - proposi. – I miei pantaloni per i MIEI boxer che
indossi tu. –
Senza
commentare, si sfilò l’indumento che le avevo
richiesto.
Per una
frazione di secondo rimanemmo a fissarci con i vestiti tra le mani
…
No, non era
proprio il momento!
Indossati
i boxer, mi sfilai la maglia, e prima di porgliela, strappai le
maniche, in modo da improvvisare un paio di calze.
-Elena
… adesso ho bisogno di uscire … non
andrò lontano … ma prima di cercare di
raggiungere il lago, voglio controllare qual è la via
più sicura. –
- Se ti vede
… -
- Non mi
vedrà … ma io vedrò lui! –
asserii.
- Come?
–
- Devo
ricorrere a un trucco che non faccio più da anni
… decenni. La mia ultima performance risale al nostro primo
incontro … al cimitero di Mystic Falls … -
- Non ricordo
… -
- Io
sì … sedevi sulla tomba dei tuoi, scrivevi sul
tuo diario e .. mi cacciasti via, poco prima che arrivasse Stefan
… -
- Ricordo
vagamente della nebbia … e un corvo impertinente
… TU? –
- Non proprio
… io posso “usare” un corvo,
comandargli di fare quello che voglio: posso vedere attraverso i suoi
occhi. Ai tempi mi piaceva utilizzarli come biglietto da visita, per
un’entrata ad effetto. Adesso voglio richiamarne uno per fare
una ricognizione … per vedere dov’e Klaus e andare
esattamente dalla parte opposta. Tu resta qui e cerca di scaldarti
… arriverò al più presto, –
la rassicurai.
Uscii
dal nostro momentaneo rifugio e tornai a ripararmi
sull’albero di prima, un Cipresso di Monterey alto circa
dieci metri, le cui foglie, ridotte a scaglie e di colore verde
brillante, mi ascondevano alla vista di eventuali passanti
indesiderati. L’aroma di limone aleggiava nella chioma ancora
florida, emanato dai rametti involontariamente strofinati durante la
mia veloce arrampicata.
Sicuro
di non essere visto, cercai con la mente di richiamare a me un corvo.
In meno di un
minuto, un bellissimo esemplare dalle piume nerissime e lucide si
posò vicino al ramo su cui ero seduto.
Senza alcun
timore rimase a fissarmi; allungai la mano e lui si aggrappò
alle mie dita. Accarezzandogli ipnoticamente la piccola schiena,
stabilii un contatto con la sua mente.
“Adesso,
cucciolo, stai tranquillo: prenderò in prestito le tue ali e
i tuoi occhi per un po’…”
Chiusi
gli occhi e fui un tutt’uno con l’animale.
Attraverso di lui spiccai il volo e cominciai la ricognizione. Pur
rimanendo immobile, potevo percepire l’aria soffiarmi tra le
piume, accompagnarmi sulle correnti ascensionali per poi lasciare che
un battito d’ali cambiasse la rotta e dominasse gli elementi.
La
sensazione del volo era inebriante … il senso di
libertà esaltante … l’illusione di
potere assoluta.
Superai
in fretta il bosco e raggiunsi Villa Salvatore; aguzzai la vista e
individuai subito ciò che stavo cercando. Planai dolcemente
sul il tetto, e le zampe si posarono sulle vecchie tegole.
Sotto di me,
Klaus e Pheeb discutevano alla presenza di due ibridi.
-Klaus
… non sono qui … - sembrava insistere Pheeb.
- Come puoi
esserne sicuro? – chiese l’ibrido,
sospettoso.
- Non ne sono
sicuro … ma non vedo segni di presenze recenti. –
tentò di spiegare il ragazzo.
Klaus
sembrò concentrarsi. Sicuramente cercava di percepire
qualche suono che gli confermasse la nostra presenza.
-Padre
… - lo supplicò quasi Pheeb.
- Non possono
essere scomparsi! – l’urlo di frustrazione era
trattenuto a stento.
-
Chissà dove l’avrà portata, ormai
… sono parecchie ore che manca … magari hanno
preso il primo aereo … -
- Conosco tua
madre: lei non vi lascerebbe mai … non rischierebbe la
vostra vita o quella dei suoi amici per una fuga romantica …
- affermò Klaus con aria di disprezzo per quella che
considerava una debolezza.
- Forse il
rapitore l’ha costretta … magari, ancora
addormentata, non si rendeva conto …-
- Alla loro
residenza al lago ho visto l’auto di Damon: il rapitore non
può essere che lui … e giuro che lo
troverò e gli farò pagare
quest’affronto! – minacciò.
“Percepisco la tua presenza
… dove caspita sei?”
m’interrogò Pheeb.
“Sono in cima al
tetto, in penne e piume …” risposi.
“Non siete ancora
fuggiti??” mi gridò allarmato.
“Tua
madre è al sicuro in fondo al tunnel, abbastanza lontano
perché Klaus non la percepisca … io dovevo capire
quanto tempo avevo e che direzione prendere, prima di fuggire alla
cieca.”
-Pheeb?
– Klaus si accorse dell’aria assente del
figlio. – A cosa stai pensando? –
- A come
abbiano potuto raggirare il cerchio magico senza lasciare traccia. -
finse Pheeb.
- Qui stiamo
solo perdendo tempo. – concluse l’ibrido.
–Voi due: rimanete a piantonare questa catapecchia. Sensi
allerta e non lasciatevi sfuggire il minimo fruscio. Domani mattina a
rapporto. Pheeb … andiamo. –
“Non
rientrate … andate al lago …”
“Klaus ha lasciato
qualcuno a guardia anche là?”
domandai, per non trovare sorprese sgradite.
“Non
credo … io non sono andato con lui: Cinthia mi ha detto del
blitz ed io sono venuto ad avvisarvi, fingendo di cercare la mamma
…”
-Pheeb
… non ti preoccupare: la troveremo in tempo per la notte del
rito … nessuno t’impedirà di diventare
ciò che sei destinato ad essere. – lo scosse Klaus.
- Non
è per quello che sono preoccupato … non vorrei
che le fosse accaduto qualche incidente: dopo tutto quel tempo a
dormire, sarà debole … -
“Debole
non direi …”
“Sono
sempre suo figlio: evitami i dettagli piccanti!”
All’improvviso
mi trovai a “immaginare” la casa delle vacanze dei
Gilbert. La prospettiva era quella di Klaus in persona. Pheeb stava
scavando nei suoi ricordi.
“Maledizione
… questa è una trappola” lo sentii
imprecare. “Qui non c’è … non
c’è mai stato nessuno!”
Con
lui solo i due ibridi che lo avevano seguito e che ora erano delegati a
fare da cani da guardia a casa mia.
“Se loro sono qui
… il cottage è sicuro.”
concluse Pheeb.
“Ok. Mi dirigo là.
Fammi avere notizie … non credo che potrò tenere
calma tua madre ancora a lungo: vorrà sapere …
vorrà intervenire. Mi dispiace ammetterlo, ma tuo padre ha
ragione: nessuno può tenere calma Elena se chi ama
è in pericolo.”
Incapace
di rinunciare a un’uscita di scena spettacolare, spiccai il
volo e gracchiai con potenza proprio sopra la testa di Klaus.
Dietro
la schiena, Pheeb mi mostrò il dito medio.
Liberai
la mente del corvo e scesi dall’albero per raggiungere Elena.
Il
sole era ormai alto, e le rigide temperature della notte si stavano
stemperando in tepore.
Elena era
ancora rannicchiata all’interno del tunnel … gli
occhi chiusi.
-Hei,
bella addormentata … sei sveglia o fingi per avere
un altro bacio? – le sussurrai.
- Avrei bisogno
di scuse? – mi rispose, socchiudendo appena gli occhi per
mettermi a fuoco nella penombra.
- Mai: basta
chiedere … - le risposi, posandole un bacio sulla fronte.
–Ho visto Pheeb, era con Klaus: ha messo due ibridi a guardia
del pensionato, ma la tua casa al lago è libera ed
è già stata controllata. Per ora sembrerebbe
davvero il rifugio più sicuro. – la aggiornai.
- Pheeb stava
bene? –
- Sì
… stava bene … cercava di darla a bere a suo
padre: è bravo a mentire. Chissà a chi
assomiglia?-
Le
porsi le mani per aiutarla a uscire dal suo nascondiglio.
-Dobbiamo
andare là prima che Klaus decida di ampliare le ricerche
… ce la fai? –
- Non
c’è problema … ma tu, rimani in
mutande? – mi disse, squadrandomi.
- Beh
… se dovessimo fare l’autostop, ho buone
probabilità di rimorchiare qualche bella biondina
… -
-
Cos’hai da ridire sulle more? – mi
rimbeccò.
- Troppo
… ammalianti. Una, in particolare, mi ha soggiogato pur non
essendo una vampira … - le confessai, prendendola per la
vita e attirandola contro il mio petto, incapace di resistere oltre
senza darle un bacio.
-
Troverò dei vestiti. Fermerò qualche
automobilista per un “passaggio” … ne
sceglierò uno della mia taglia.-
- Basta che poi
non te lo mangi … -
- Con un bel
bocconcino come te sotto gli occhi, chiunque altro mi risulterebbe
indigesto, oggi. –
La
feci girare e, con una lieve pacca sulle sue parti …
morbide, la spinsi verso la strada che costeggiava il bosco.
Fortunatamente,
la pioggia del giorno prima aveva lasciato il posto a una giornata
serena, con poche nuvole a sporcare un cielo decisamente azzurro.
Ci mettemmo sul
bordo della strada e aspettammo che passasse qualcuno.
-Di
solito io mi sdraio in mezzo alla strada … - le rivelai.
- Ti sdrai per
…? -
- Lascia
perdere … mostri tu il tuo bel
faccino o io il mio corpo statuario? Non sono ancore in grado di
soggiogare persone sedute su auto in corsa … –
- Io dovrei
essere morta … e tu sembreresti un pazzo che va in giro nudo
a violentare le donne … Chi si fermerebbe? –
- Vediamo cosa
succede … - dissi, dirigendomi deciso verso il centro della
strada.
Mi
misi in piedi nel mezzo della carreggiata in attesa del prossimo
automobilista. Non appena percepii il rumore di un motore, aprii le
braccia e chiusi gli occhi in attesa del rumore di una frenata
… o di un impatto.
Grazie al
cielo, arrivò la prima. Ciò che non mi aspettavo
era di sentire la voce di Matt.
-Ma
ti ha dato di volta il cervello!! – urlò dal
finestrino abbassato.
- Anche a me fa
piacere rivederti … ma tu non dovresti essere molto lontano
da qui? -
- Mi hanno
chiamato dal Grill per alcuni problemi che richiedono la mia presenza.
–
- Quando?
–
- Ieri sera
… perché? … e perché sei in
mutande? – domandò, scendendo dal pick up,
accostato al bordo della strada.
-
Perché una certa signora di nostra conoscenza sentiva freddo
… -
Elena
sbucò fuori dai cespugli in cui si era nascosta e corse
verso Matt, abbracciandolo convulsamente.
-Matt
… - gli gridò tra lacrime di gioia.
Lui accolse la
sua più cara amica a braccia spalancate, incredulo e
incapace di richiuderle attorno a lei.
-Elena
… ma allora … sei viva … sei
… - le parole svanirono nei suoi capelli, quando lui
riuscì finalmente a ricambiare il suo abbraccio.
- Credo che la
telefonata abbia a che fare con la sua liberazione: Klaus la sta
cercando, e credo che stia scandagliando le case ed i luoghi dove
vivono i suoi vecchi amici … quindi ti consiglio di non
tornare in città– gli dissi, leggermente
infastidito dal protrarsi dell’abbraccio.
Lui
si staccò appena e, ignorando completamente la mia presenza
e quello che gli avevo appena rivelato, fissò intensamente
Elena in volto.
-Credevo
che non ti avrei ai più rivista … invece sei qui,
bellissima e … giovane come quando ti avevo lasciata. Come
stai?-
- Direi bene
… - affermò, prendendo il volto di Matt tra le
mani per osservarlo meglio. – Tu sei quasi più
affascinante di allora … -
- Se volete, me
ne vado e vi lascio soli … - sbottai.
Entrambi
si voltarono a guardarmi.
-Sempre
il solito? – domandò lui.
- Sempre
… - ammiccò lei.
- Comunque
… sembri guarita … felice. – disse con
stupore.
- Si
può essere felici e presi dalla paura più nera
nello stesso tempo? – rispose.
Matt
tornò a guardarmi.
-Dove
avevate intenzione di nascondervi? –
- Klaus
è già stato al lago … la tua trappola
ha funzionato con le sue spie. – dissi.
- Quindi vi
rifugereste là? –
- Per il
momento sembra la soluzione più sicura … poi
vedremo. –
- Veloci,
allora: salite che vi ci porto. – ci invitò Matt.
Elena
gli pose un bacio sulla guancia, in segno di ringraziamento.
-Non
è che hai qualcosa da prestarmi? – domandai,
ricordandogli con un gesto che non indossavo nulla.
- Guarda sul
sedile posteriore di pick up … -
Elena,
prendendo posto tra di noi, mi passò un giubbotto di jeans.
-Non
è proprio il mio genere, ma mi accontenterò
… - brontolai.
Durante
il viaggio raccontammo a Matt della fuga e dei progetti macabri di
Klaus.
-Devi
tornare dalla tua famiglia, Matt. – lo supplicò
Elena.
- Devi! - feci
eco ad Elena. – E Meredith? – domandai
per assicurarmi che anche lei fosse partita.
- Ha preso una
vacanza a tempo indeterminato e … si è unita a
noi. Ci siamo trasferiti in sull’Oceano, in una casa presa in
affitto in modo da non essere facilmente ritracciabili. Pensiamo di
spostarci, con la scusa di mostrare alle ragazze la costa, e di
risalire fino a New York, persi nella folla … -
- Perfetto
– conclusi.
Arrivammo
nei pressi del lago all’ora di pranzo.
-Avete
da mangiare? - Domandò premuroso. – Se avete
bisogno, mi fermo allo store per prendere qualche provvista
… -
- Sei un
tesoro, Matt. – lo elogiò Elena.
- Credi di
trovare anche un po’ di sangue alla spina …
invecchiato massimo vent’anni … -
Elena
sbuffò, mentre Matt parcheggiava davanti ad un piccolo
negozio di generi alimentari.
Fatto
rifornimento, raggiungemmo la nostra destinazione.
-Ti
inviterei a restare per pranzo, Matt … ma è
proprio il caso che tu te ne vada subito: prima metti distanza tra te e
noi, prima ti sapremo al sicuro. – si scusò Elena.
- E poi non ho
voglia di pasteggiare com un “maschio americano”
… - lo canzonai. – Corri, Matt … vai
via dia qui. – aggiunsi, senza ombra di burla.
Matt
diede un ultimo abbraccio ad Elena e se ne andò, lanciandomi
le chiavi di casa dal finestrino.
-Non
penso vi serviranno per entrare … - disse, lanciando
un’occhiata alla porta divelta –Ah … il
giubbotto me lo restituirai la prossima volta che ci vedremo
… spero. -
La
visita di Klaus aveva lasciato i segni della devastazione: non
riuscendo ad entrare, aveva scardinato porte e finestre per poter
guardare all’interno.
Elena
osservò la sua casa, sconsolata.
-Possibile
che debba distruggere ogni cosa? – fu la sua domanda retorica.
- Se non posso
avere, distruggo … tipico di noi maschi dominanti
… - risposi acido, pensando a quale furia doveva aver arso
in Klaus, non trovando le sue prede dove credeva che fossero.
Elena
s’incamminò lentamente sui gradini di legno.
-Hai
intenzione di rimanere in mutande tutto il giorno o rivuoi i tuoi
pantaloni? – disse, facendomi cenno di seguirla.
- Fosse per me,
potremmo rimanere in mutande tutto il giorno … o anche
senza. -
Lei
oltrepassò la soglia di casa, voltandosi per aspettarmi.
Feci
per raggiungerla, quando il mio sguardo fu attirato da un riflesso
azzurro: la mia Camaro era parcheggiata di fianco alla casa.
Era ancora
intatta?
Spinto da un
sottile senso di panico, corsi verso quel riflesso: la macchina
sembrava non aver subito danni! Controllai meglio: la carrozzeria non
aveva ammaccature evidenti e tutti i vetri erano intatti.
Poggiai le mani
sulla capotte e sospirai di sollievo: beh … anche Klaus era
un maschio e quale maschio sano di testosterone poteva fare del male
alla mia piccola?
-Elena
… - gridai, per farmi sentire. – Vedi le chiavi
della mia macchina da qualche parte? Vorrei controllare se non ha
problemi al motore … -
-Vieni a
prendertele … - mi urlo in risposta.
Tornai
vero la porta la vidi in piedi nella cornice degli infissi …
i miei jeans in una mano e le chiavi della Camaro nell’altra.
-Vieni
a prenderle … - ripeté ammiccante.
Le
sue gambe spuntavano nude da sotto il maglione nero, ai piedi ancora le
maniche della mia maglia … e negli occhi la scintilla di una
sfida.
Con un unico
balzo, superai gradini e portico per … andare a sbattere
contro un muro invisibile.
-Ops
…. tu non eri mai stato qui? – finse di domandarmi.
-
Evidentemente …-
- Ah
… ma allora non puoi entrare? –
- Ovviamente
… -
- Mmm potresti
sempre dormire sulla tua amata automobile … -
- Dormire?
… sono solo le due del pomeriggio. -
Con
l’anello del portachiavi infilato nell’indice,
Elena faceva girare le chiavi come se fossero un giocattolino da
lanciare chissà dove.
Cercai
inutilmente di forzare il sigillo.
-Elena,
per favore … -
- Pantaloni o
chiavi? –
- Tu
… -
Si
avvicinò lentamente alla porta, portando indietro le mani e
sporgendo il viso oltre gli stipiti …
-Io
o la Camaro? –
-Tu sulla
Camaro,– proposi. – Andiamo a farci un giro. Tu sei
stata “sepolta” troppo a lungo ed io ho passato
troppo tempo in casa. Un giro attorno al lago: io, tu e il mio
gioiellino? –
Elena
inclinò la testa e mi lanciò i jeans.
-Ci
sto … ma guido io! –
Voltandosi,
sfilò il maglione e me lo buttò, rimanendo nuda,
con solo i capelli a coprirle la schiena. La mano destra continuava a
far volteggiare le chiavi: mai visione fu più eccitante.
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Capitolo 15 *** Risveglio ***
CAPITOLO
15
… RISVEGLIO …
6
novembre, mattina.
Il
mare era una tavolozza con mille sfumature di blu; calmo e pacifico
accarezzava il bagnasciuga con onde delicate, lasciando ricami di
sabbia e piccoli frammenti di conchiglie. Il suo canto era un leggero
mormorio, un sussurro morbido, un invito ad abbandonarsi tra le sue
braccia liquide, a fluttuare nel suo grembo accogliente come quello di
una madre.
L’acqua
cristallina donava l’immagine dell’immenso
sconfinato oltre l’orizzonte, che evocava pensieri positivi,
di viaggi e immensi mondi oltre quella linea immaginaria.
Ma
il mare è mutevole … il mare è
volubile … irascibile.
Basta
un attimo, una forza invisibile, un vento capriccioso e si trasforma in
una belva ruggente che scava con i suoi artigli e porta a galla i suoi
veleni, rigurgitando sulla riva rifiuti e alghe scure, divelte da una
rabbia improvvisa e devastante che ti travolge … ti
sommerge. Le dolci acque che prima cullavano, ora bistrattano i relitti
e trascinano le anime in abissi bui e colmi di tetri presagi.
Mi
ero addormentato su una spiaggia tropicale e risvegliato nel mezzo di
una tempesta.
Ero
ancora abbracciato ad Elena, quando venni svegliato dal suo sommesso
tossicchiare.
Immediatamente
il mio olfatto registrò un intenso odore di fumo che
proveniva dall’esterno.
Contemporaneamente
un urlo squarciò il silenzio.
-ELENA!
So che te la sei spassata con il tuo bellimbusto … so che
sei ancora nel tuo letto con lui … ti sento respirare
… ti sento tossire … affacciati alla finestra,
mia dolce metà … affacciati e guarda i bagliori
dell’alba. –
Quell’urlo
fece sobbalzare Elena che, respirando profondamente l’aria
che si stava saturando di fumo, incominciò a tossire
convulsamente.
Avvolsi Elena
nelle lenzuola, ponendole davanti alla bocca un lembo della loro stoffa
e infilai i jeans che giacevano ai piedi del letto.
Facendole cenno
di stare sdraiata sul pavimento, dove il fumo non era ancora arrivato,
scardinai le persiane che avevo inchiodato la sera prima, per riparaci
dal freddo della notte.
Il
freddo … la notte … ci avevano comunque raggiunti
sottoforma di un ibrido pazzo e furioso.
Rimanendo
nascosto al lato della finestra, guardai di sotto: vidi Klaus
in piedi di fronte alla casa, mentre guardava le fiamme che aveva
appiccato al portico con un misto di orgoglio e divertimento. Stava
dando la casa alle fiamme per stanarci, per costringerci ad uscire dal
nostro rifugio.
Ci aveva
trovati.
Accanto
a lui, Kol giocava con benzina e fiammiferi, mentre alcuni ibridi
controllavano il perimetro.
Elijah
osservava in disparte, lo sguardo annoiato, quasi disgustato.
Era
lampante che non ci fosse una via di fuga: eravamo spacciati.
Il
mio nemico era il fuoco … quello di Elena il fumo: dovevamo
uscire, ma fuori ci aspettava un nemico ben più crudele,
imprevedibile e impietoso.
-Cosa
facciamo? – mi domandò Elena ansimante per la
mancanza di aria pulita.
Non
fece in tempo a formulare una risposta, che il ghigno di Klaus si
rivolse verso l’alto; sul suo volto si dipinse una maschera
di fastidio e sfida.
-Ehi,
principe dagli occhi azzurri, abbi il coraggio di affacciarti! Credo
proprio che tu abbia qualcosa che mi appartiene … ed io la
rivoglio … ORA! –
Aveva
appiccato un incendio sotto il patio e il fumo stava impregnando la
casa, raggiungendo il piano superiore dove avevamo dormito.
Ci
aveva teso una trappola mortale.
Io
non avrei avuto problemi col fumo, potendo smettere di respirare per un
tempo abbastanza lungo, ma Elena sì; viceversa ero
particolarmente vulnerabile al fuoco, che fortunatamente non avevano
ancora raggiunto l’interno della casa.
Corsi
verso il bagno e mi accertai che il fumo non fosse ancora giunto fin
lì. Quella stanza aveva un piccolo lucernario e un
aspiratore, che mi affrettai a mettere in funzione. Tornai a prendere
Elena.
-Rimani
qui. – le dissi, mentre inzuppavo d’acqua alcuni
asciugamani. – Sigilla le fessure della porta con questi e
cerca di restare vicina al pavimento. Rimani lontana dal fumo il
più possibile. Nel frattempo cercherò una via di
fuga … una scappatoia. Magari qualcuno arriverà
in nostro aiuto … -
La
voce di Kol ci fece sobbalzare.
-Ehi,
lassù: non arriverà nessuno! Vi conviene
arrendervi senza fare troppe storie! –
Guardai
Elena: entrambi sapevamo che aveva ragione, ma non mi sarei arreso
senza lottare.
Le presi il
volto tra le mani e le diedi un bacio disperato, prima di uscire
chiudendo la porta alle mie spalle.
Non avrei
permesso a Klaus di trascinarla via senza oppormi, senza tentare anche
l’impossibile.
Mi misi alla
finestra della camera e lo sfidai.
-Tu
non puoi entrare, nessuno di voi può … -
Kol
mostrò alcune tanniche di benzina con cui
cominciò a tracciare il perimetro della casa e ad inzuppare
degli stracco appallottolati.
-Uscirete
voi, – sogghignò, – altrimenti tu
morirai tra le fiamme e lei soffocata dal fumo. –
Con
una risata sadica, infiammò una di quelle torce improvvisate
e la lanciò attraverso la finestra del soggiorno.
Klaus guardava
il fratello minore con compiacimento, mentre Elijah continuava a
rimanere indifferente.
-Cosa
vuoi? – urlai a Klaus. – Hai il suo sangue
… hai i tuoi figli … cosa vuoi da lei? Perche
vuoi Elena? –
Mentre
parlavo, cercavo di far funzionare il mio cervello a mille per trovare
il modo di salvarla, di tenerla con me.
-La
rivoglio perché mia moglie … è roba
mia! –
-Non
c’è più niente di tuo … non
c’è mai stato nulla di veramente tuo! –
-Illuso: una
notte di sesso non annulla un matrimonio. -
-Un matrimonio
bianco è già nullo, ed io ho avuto una notte
più di te … e non la dimenticherà mai
… nemmeno se soggiogata. Il divorzio è stato
firmato …è già effettivo! –
-Cane
… cagna! – ringhiò.
-Chi
è il cane, qui, ibrido bastardo? Non osare insultarla! - la
rabbia mi faceva tremare le mani, la voce.
-E’
solo una puttana … ma è la madre dei miei figli,
e la rivoglio … magari per punirla … magari per
vedere se può rimanere ancora gravida … -
Non
vidi più nulla, non sentii più nulla: un panno
rosso mi aveva avvolto la vista e un istinto primordiale di distruzione
si era impadronito della mia razionalità.
Nessuno poteva
rivolgere alla donna che amavo tali insulti senza pagarla …
a costo della mia vita … a qualsiasi costo!
Con un salto
fui davanti a Klaus, folle di rabbia.
-Ti
strappo quella lingua blasfema e te la faccio ingoiare, - lo minacciai.
Inaspettatamente,
mi sentii scaraventare via da due braccia possenti: Kol mi stava
placcando.
Gemendo di
dolore e piegandomi su me stesso, assorbii il colpo che Kol mi aveva
assestato, ma un solo pensiero echeggiava nella mia testa: nessuno
avrebbe toccato Elena … nessuno le avrebbe fatto del male.
Klaus guardava
divertitola lotta, lasciando il lavoro sporco al fratello.
-So
che Elena è ancora in casa … presto
comincerà a soffocare e allora uscirà
… – affermò tronfio.
Lo
guardai con un sorriso sghembo.
Kol
si spostò, lasciando lo spazio per rialzarmi e rispondere.
Appoggiai le
mani alle ginocchia e presi fiato.
-Nonostante
tutto il tuo potere, ancora non puoi entrare in una casa in cui non sei
stato invitato … ancora non sei un Dio … e non lo
sarai mai. Rimarrai per sempre null’altro che un abominio!
Elena è al sicuro … per ora. – lo
schernii.
Con
il capo fece in cenno al fratello, che mi venne di nuovo incontro con
ghigno minaccioso.
Questa volta
non aspettai il suo attacco: mi lanciai addosso al più
piccolo dei Mikaelson e ingaggiai un violento quanto ridicolo corpo a
corpo, cercando con tutte le mie forza di prendere tempo …
di cercare una soluzione per salvare Elena. Ovviamente Kol mi superava
in forza, ma io non cedetti ai sotto i suoi colpi.
-Elena
… - la voce di Klaus si fece profonda e potente. –
Lascerai che il tuo amante purghi anche le tue colpe, moglie fedifraga?
Torna a casa, torna da tuo marito e dai tuoi figli … e forse
gli risparmierò una lunga e tormentata agonia: gli
concederò una morte veloce se ti consegnerai
volontariamente. –
-Stai
zitto, porco!- gridai, mentre Kol mi bloccava le braccia dietro la
schiena.
Mi
ribellai alla sua stretta e riuscii con l’inganno a fargli
perdere l’equilibrio: cominciammo a rotolare
sull’erba ingiallita che circondava la casa in fiamme,
lottando senza esclusione di colpi.
Ero
stato uno stolto a lasciare Elena in casa da sola e ad iniziare una
lotta impari; come sempre la mia impulsività mi si stava
ritorcendo contro.
Che cosa avrei
potuto fare da solo contro tre originali? Ne avessi anche sconfitto
momentaneamente uno (senza il pugnale o il paletto di quercia bianca
erano immortali…), gli altri sarebbero stati
pronti a neutralizzarmi.
Resomi conto
della mia ovvia inferiorità, cercai di sfuggire alla presa
di Kol.
Lui era molto
più veloce di me e, schiacciandomi sul terreno, mi mise
fuori gioco un’altra volta.
-Fratello
– disse, puntandomi la mano sul cuore. – Il gioco
mi sta annoiando … posso strappargli il cuore? Questo
Salvatore è proprio un essere fastidioso, bisogna
schiacciarlo come un insetto, una volta per tutte. –
-Vorrei avere
l’onore e il piacere di strappargli il cuore con le mie
stesse mani, visto che mi ha disonorato, portando la mia donna nel suo
letto … -
- Tecnicamente
era il suo … - risi, sputando sangue dalla bocca.
- Vedremo come
e quanto riderai quando avrò in mano quell’inutile
orpello che hai tra le costole. – rispose ironico Klaus,
accennando al fratello di farmi alzare.
-Elena
… - urlò ancora, lacerandomi la mente.
– Se non ti affacci, comincerò a staccargli
qualche pezzettino e te lo lancerò a dimostrazione che non
sto scherzando. Da dove preferisci che cominci? Le dita? Un orecchio?
Un piede …? Posso costringerti a venire da me …
lo sai … ma voglio che tu obbedisca di tua
“spontanea” volontà. –
Udimmo
un gemito provenire dal rifugio dov’era Elena.
-So
che mi puoi sentire, Klaus: non fargli del male … ti prego
… non … - supplicò.
-Zitta, Elena!
– le gridai. – Non ti muovere
… rimani al sicuro … -
-Non voglio che
ti torturino … non voglio che ti uccidano! – la
voce rivelava la sua disperazione.
Kol
aveva infilato una mano tra le mie costole, e solleticava il mio cuore
con le dita.
-Eccolo,
il cuoricino innamorato … - mi provocò.
Il
dolore era insopportabile, ma strinsi i denti per non gridare la mia
sofferenza: Elena doveva rimanere al sicuro.
Klaus
mi si avvicinò, alzandomi il viso per sfidarmi con lo
sguardo.
-Dimmi,
brutto bastardo, quale regalino mandiamo alla tua concubina? Ti lascio
l’onore di scegliere l’omaggio
“carnale” da inviarle per primo. –
Con
un sorriso sadico, mi afferrò la mano destra.
-Dimmi:
dove hai toccato mia moglie con questa mano? Mi sembra di sentirne
ancora l’odore osceno sulle dita … -
Senza
interrompere il contatto visivo, rinchiuse in una morsa ferrea le mie
dita, e cominciò a stringere fino a quando le mie ossa
cominciarono a sbriciolarsi.
-Quale
dito ha osato dove nemmeno io, suo marito, ho osato? –
Mi
costrinse ad aprire la mano ormai deforme, e
s’impadronì del mio dito indice.
Chiusi gli
occhi, in attesa di sentire la mia carne lacerarsi, mentre mi veniva
strappata una parte della mia mano quando, una forza potente ed
inaspettata, mi scaraventò lontano dalla scena della lotta,
facendomi volare dritto attraverso la finestra da cui mi ero lanciato.
Prima che
potessi capire cosa stesse accadendo, senti una voce tuonare
nell’aria, quasi che il cielo si fosse squarciato e Dio
stesso stesse urlando dall’alto dei cieli:
-ADESSO
BASTA! –
Pheeb
apparve dal nulla.
Il
suo volto era una maschera terrificante: gli occhi rivelavano una furia
trattenuta a stento. Imponente e minaccioso si
posò davanti alla porta d’ingresso, e con un ampio
movimento delle braccia spense il fuoco con la stessa
facilità con cui si soffia su un fiammifero.
Senza dire una
parola, raccolse il fumo in una bolla e lo scaraventò in
cielo, a formare una nube grigia ed evanescente.
Sbalordito,
osservavo la scena dalla finestra, mentre mi accertavo che il respiro
di Elena fosse ancora regolare.
Gli
originali si schierarono compatti e fissarono i loro sguardi su Pheeb,
allibiti.
-Lasciali
in pace! Giuro che non torcerai un capello a mia madre … non
oserai! – lo minacciò con voce tonante.
-Oh…
senti che voce grossa … e contro tuo padre! Il padre che hai
ingannato per anni. Come ci si sente con la mente invasa? Come ci si
sente a non avere segreti? È bastato che ti addormentassi ed
ho carpito tutto ciò che mi avevi nascosto in questi giorni,
i questi mesi, anni forse … il tuo potere ti si
è ritorto contro. -
Ecco
come aveva scoperto il nostro rifugio: aveva letto la mente di Pheeb
mentre dormiva.
Padre e figlio
si fronteggiavano sui gradini bruciati del portico.
-Beh,
Klaus … alla buon ora! – lo schernì.
– Sono anni che ti tengo in scacco e non te ne sei mai
accorto. Tu hai dovuto aspetta che mi addormentassi per
“leggermi” … io poteri farlo anche
adesso. –
-Piccolo
arrogante: sono tuo padre, non chiamarmi per nome –
inveì.
-Ho avuto un
ottimo maestro in fatto di arroganza … e come chiamarti, lo
decido io! –
Klaus
fece per avvicinarsi, ma Pheeb lo scaraventò di nuovo a
terra, alzando semplicemente il mento.
Il volto
dell’ibrido si aprì in un sorriso pieno
d’orgoglio.
-Pheeb
… il mio Apollo … il mio potente figlio! Insieme,
tu ed io, potremmo … potremo … -
- Non ci
sarà nessun “tu ed io” … non
ci sarà nessun rito … BASTA! –
-E come pensi
di impedirmelo? Nonostante il tuo immenso potere, non puoi uccidermi,
mentre io ho la facoltà di mietere vite quando voglio
… a chi voglio … potrei prendere anche la tua, se
lo desiderassi. –
Kol
fece per avvicinarsi al nipote, con l’evidente intenzione di
immobilizzarlo e renderlo inoffensivo: con un lieve cenno della mano di
Pheeb, l’originale si ritrovò appeso ad un
albero, il moncone di un ramo spezzato infilato nella schiena.
Klaus sembrava
ancora più divertito.
-Bella
mossa … ma, ti ripeto, non puoi ucciderci … non
puoi uccidere, non vuoi: il gene della licantropia ti minaccia, e tu
non vuoi farlo scattare, vero? -
- No, non
voglio uccidere … non voglio diventare un assassino
… ma posso tenervi lontani da mia madre, lontani da Damon
… -
- Difendi
quell’essere immondo? Quel viscido moscerino? –
m’insultò Klaus.
-Difendo
l’uomo che ama mia madre … l’uomo che la
rende felice … la persona che sarei onorato fosse mio padre.
–
A
quella frase, gli occhi di Klaus persero ogni allegria.
-Piccolo
bastardo … -
-Tale padre
… –
- Non vorrei
intervenire in questa faida familiare … - urlai.
- E allora
tienitene fuori. – Elijah aveva finalmente ritrovato la voce.
-Vorrei solo
capire … -
-Non
c’è nulla da capire: rivoglio Elena e,
né tu né mio figlio, mi impedirete di
riprendermela. Fino ad ora sono stato gentile, ma adesso mi sono
stufato. –
Pheeb
incrociò le braccia in attesa della mossa del padre, mentre
Elijah andava a liberare il fratello impalettato all’albero.
Elena,
sentendo la voce di Pheeb, mi raggiunse nella camera, ormai libera dal
fumo.
Le feci cenno
di rimanere lontana dalla finestra, fuori dalla vista del sadico che la
reclamava.
Quale minaccia
poteva costringere Elena a seguirlo?
Lui la voleva
viva, almeno fino al rito.
-Elena
… questo è l’ultimo avvertimento. O mi
segui o … -
O
cosa?
-Tu
non la porterai via! – gridò Pheeb.
-Quanto
scommetti? – lo sfidò il padre.
Klaus
si toccò un anello che portava al dito: lo fece girare
attorno all’anulare e, contemporaneamente cominciò
a pronunciare parole incomprensibili.
-Richiamo
la magia che ci ha uniti. – sentenziò. –
Richiamo il magico legame. Qui e adesso ritorna da me, mia sposa.
–
Pronunciate
queste parole, spasmi atroci colsero Elena.
La vidi
contorcersi su pavimento.
Mi buttai al
suo fianco, cercando di capire da dove provenisse il dolore, ma vidi
solo il suo volto deformato dalla sofferenza, gli occhi bianchi,
rivoltati e la bocca digrignata.
-Elena
… - invocai, ma non ottenni nessuna risposta.
La
presi tra le braccia, la strinsi al mio petto, accarezzandole i capelli.
-
Elena … dimmi cosa devo fare … dimmi come
aiutarti – implorai.
Pheeb
mi fu accanto in un attimo.
Lo guardai,
sconfitto dalla mia impotenza, straziato dalla sofferenza della fragile
donna che agonizzava tra le mie braccia.
Lui si
chinò su di lei, la osservò impietrito, scuotendo
la testa.
-E’
il legame magico. Per loro è più potente che per
ogni altra coppia, e a senso unico. Klaus decide come attivarlo
… come farla soffrire … quanta distanza
porre tra lei e se stesso. Nessuno può fare nulla. Solo la
strega che lo ha creato potrebbe scioglierlo … e in questo
caso le streghe erano tre: impossibile. –
Elena
non aveva pace: gemiti di dolore uscivano dalle sue labbra tirate in
una smorfia, i muscoli contratti, le mani chiuse in pugni serrati
… le unghie a incidere i palmi.
-Fallo
smettere, Pheeb … fallo smettere! – imprecai.
-Non ho il
potere per fare ciò … lei deve andare da lui, con
lui … -
Affondai
il volto nei capelli di Elena, che si stavano inzuppando di sudore.
-Non
posso lasciarla … non posso darla in pasto a quel mostro
… non posso vivere senza di lei! –
- Damon
… non c’è altra soluzione. Lui non la
ucciderà, ma potrebbe protrarre questa tortura
all’infinito, senza tregua … -
-Fai soffrire
me – gridai. – Lasciala in pace e fai soffrire me.
–
Improvvisamente
sentii uno scricchiolio: il braccio di Elena prese una stana
angolazione ... le stava spezzando le ossa.
-FERMATI
… - urlammo insieme Pheeb ed io.
-Damon, dammela
… gliela porto. – disse, affranto. “Poi troverò una
soluzione … la salveremo ancora …”
mi sussurrò nella mente.
-Troverò
il modo, amore mio … verrò a riprenderti e
staremo insieme, qui o in un’altra dimensione … tu
ed io … ora e per sempre. –
La
strinsi ancora un po’ più forte, incapace di
separarmi da lei, dalla vita stessa.
-Damon
… - mi supplicò Pheeb.
Aprii
le braccia per lasciare che prendesse Elena: fu come se mi venisse
strappato il cuore e fatto a brandelli … come se tutta la
luce fosse riassorbita da un immenso buco nero … come se
l’intero universo implodesse.
Rimasi
spezzato, in ginocchio sul pavimento, mentre Pheeb
s’incamminò verso la porta.
Improvvisamente
si bloccò, come accadde la notte che andai a prendere Elena
… come se una mano invisibile gli impedisse di proseguire.
Lo
guardai senza proferire parola, ma la domanda trapelò dal
mio sguardo.
“Cosa aspetti? Cosa succede,
ancora?”
-Cinthia
… - mormorò, incredulo. – Lei
è qui. -
|
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Capitolo 16 *** Father figure ***
CAPITOLO
16
…
FATHER FIGURE …
6
novembre, mattina.
Anche
Cinthia era arrivata: una
riunione di famiglia non programmata.
Pheeb
aveva Elena tra le
braccia, ancora agonizzante, anche se la crudeltà di Klaus
sembrava in pausa.
Mi alzai
a fatica e mi affacciai
di nuovo alla finestra.
-Quanto
lontani dovete
rimanere? – domandai a Pheeb, vedendo la sua gemella in piedi
vicino al padre.
-Abbastanza
affinché i nostri
poteri non possano fondersi. Le streghe hanno creato una
polarità dello spesso
segno: più i nostri poteri sono forti, più si
respingono. In questo momento non
posso nemmeno oltrepassare questa porta. Dov’è?
Posso vederla attraverso di
te?-
-Da
quando mi chiedi il
permesso di invadermi la mente? –
Sotto di
noi, Cinthia stava
parlando animatamente con Klaus.
Il suo
corpo esile
contrastava con l’imponenza che il padre ostentava.
La
strega potente che avevo
conosciuto, colei che avrebbe potuto piegare gli originali con la
semplice
forza del pensiero, appariva come una ragazzina fragile davanti
all’uomo che
l’aveva generata, per il quale continuava a provare
un’innegabile venerazione.
-Papà,
per favore, lascia
perdere. Hai me … avrai Pheeb … a cosa ti serve
la mamma? Perché la rivuoi? –
Quella
domanda rimbalzava di
bocca in bocca … e la risposta era sempre la medesima:
-Perché
è mia! Io decido se
liberarla o tenerla in letargo: non tuo fratello … non tu,
piccola traditrice.
–
-No! Non
ti ho tradito! Ti ho
solo liberato da un problema. Finchè avrai lei, avrai quel
vampiro tra i piedi
… -
-Damon
non è altro che un
essere miserrimo, una macchia sul mio mignolo da cancellare con uno
sputo … non
è nulla … non è nessuno! –
-Un
"nulla" che ha
sempre creato problemi, che riesce sempre ad interferire con i tuoi
piani.
Potrebbe far saltare la notte del rito. Abbiamo il sangue della mamma
… Pheeb
avrà me … tu avrai noi! Papà, ti
supplico, non sopporto di vederti perdere il
controllo … non sopporto di vederti arrabbiato con me! Zio
Elijah, diglielo
anche tu … torniamo a casa insieme. -
-Non
senza Elena … non senza
tuo fratello! – mormorò paurosamente Klaus.
Cinthia
posò le mani sul viso
dell’ibrido e lo fissò negli occhi.
-Principessa
… questa volta
non posso darti quel che mi chiedi … non posso
accontentarti. – la voce si fece
melensa: troppo dolce, nauseabonda … artefatta …
come qualcosa di disgustoso
che cerca di apparire buono.
-Non
è un capriccio, papà …
voglio solo che torniamo a casa e continuiamo la nostra vita di sempre:
tu ..
io … gli zii. Se vorrai, mi sacrificherò per
Pheeb ma, per favore, ritorna ad
essere il padre che sei sempre stato per me: dolce e protettivo.
Partiamo …
portami in uno di quei viaggi stupendi che mi regalavi ogni anno:
andiamo a
visitare qualche fantastico museo … non hai ancora finito il
mio ritratto … non
ho ancora visto i gli Uffizi … ancora quattro giorni
… regalami quattro giorni
ed io ti regalerò la mia vita. –
Le
parole di Cinthia erano
una supplica, ma in lei non c’era non un accenno di lacrime
… non un
piagnisteo.
-Non
c’è più tempo per i
viaggi … e finirò il tuo ritratto con una
fotografia. Ora rivoglio Elena. –
Un urlo
straziante uscì dalla
gola di Elena, che si contorse tra le braccia di Pheeb.
-Non
l’hai mai amata, - gridò
Cinthia. – Dicevi di amarmi al dis opra di ogni cosa, che mi
avresti amata fino
al giorno del sacrificio … e adesso mi metti da parte per
una futile ripicca! –
-Bimba
mia … è ora che le
pedine occupino il loro posto sulla scacchiera: nessuno può
ribellarsi al
volere del re .-
-Bene
… ma non sottovalutare
il potere della regina! O lei o me! Non potrai averci entrambe!
– lo minacciò.
Klaus la
guardò con
condiscendenza, come si guarda una bambina che fa i capricci.
-Entrambe
… ?-
Cinthia
rivolse lo sguardo al
cielo, mentre le urla d Elena mi ghiacciavano il sangue. Chiuse gli
occhi, come
a pregare.
Quando
riaprì gli occhi, la
sua espressione si fece solenne.
-Se
avrai lei … non potrai
avere me! Da questo momento ogni passo che lei farà verso di
te, da te mi
allontanerà di un passo; ogni metro che la
allontanerà da Damon mi farà
avvicinare a lui. Io mi lego a quell’uomo tanto quanto Elena
è legata a te …
sciogli lei ed io sarò sciolta … prendi lei, ed
io apparterrò a lui … se
ucciderai lui o lei, morirò. La mia vita per la sua
… o vive entrambe … o
entrambe morte. Pheeb, incamminati verso l’esterno
… -
Stringendo
la madre al petto,
Pheeb si incamminò vero la porta.
“Ti ho lasciato un messaggio nella
memoria” fu l’ultimo pensiero che
mi rivolse.
“Proteggila finchè non tornerò
a riprendermela” gli comandai.
Il
blocco alla porta sembrò
scomparire.
Guardai
Cinthia: ad ogni
passo del fratello era come trascinata indietro. Seguii Pheeb
giù per le scale
e sotto il portico. Cinthia si avvicinava a dispetto degli ostacoli
posti ai
loro incontri … si avvicinava a me tanto quanto Elena si
avvicinava a Klaus, e
più lei si avvicinava a lui e meno il dolore sembrava
attanagliarla.
Pheeb
arrivò di fronte al
padre ma non depose il corpo della madre, che sembrò
abbandonarsi senza vita. Elena
era svenuta, esausta.
-CINTHIA!
– sbraitò Klaus –
Non puoi farmi questo: sciogli il legame, ora! –
-Non
posso, padre … - disse,
mentre mi prese la mano e, senza che avessi il tempo di reagire, mi
tagliò il
polso con il semplice potere del pensiero. Dal suo già
sgorgava sangue. Unì le
due ferite, mischiando quel liquido di vita e potere.
–
Il legame è suggellato:
solo uno scambio potrà scioglierlo, il suo sangue per il mio
… - proferì,
indicando la madre.
-Chiederò
a Caitlin …
chiederò a Medea … ucciderò
… -
-Chi
ucciderai, papà … chi?
Non c’è nessuno che io ami più di te
… non c’è vita per me più
importante della
tua … non hai armi … non hai ostaggi abbastanza
importanti … solo tu puoi
spezzare l’incantesimo ribaltandolo: legami a te e libera la
mamma … non hai
altra scelta. –
-Non mi
farò ricattare da una
ragazzina … tu non hai ostaggi, ma lui sì
… vedremo: quattro giorni … quattro
notti … lo obbligherò a portarti al rito
… lo costringerò a riportarti da me. –
Ero
completamente stordito:
mi aveva portato via Elena e avrei dovuto fare da baby sitter ad una
strega che
poteva friggermi il cervello ad ogni parola sbagliata? Il mondo aveva
spostato
il suo asse ed io mi ritrovavo in piena Antartide.
Il
paradiso era in fiamme,
l’inferno si era ghiacciato.
Il mio
cuore era una stanza
vuota in cui riecheggiava il nome di Elena, scomparsa una frazione di
secondo,
insieme agli uomini che l’avevano rapita …
strappata alla mia pelle.
-Non
vorrai passare il resto
della giornata a piangerti addosso: Pheeb mi ha detto che ti ha
lasciato un
messaggio … che dobbiamo interpretarlo … capire
… Ehi – le sue dita
schioccarono davanti ai miei occhi che fissavano l’erba
bruciata. – Sveglia …
non è qui che troverai la soluzione ai tuoi problemi
… non sarà un filo d’erba
a riportarti mia madre. Andiamocene: torniamo a casa tua e vediamo come
ristabilire l’equilibrio. –
Cinthia
aveva ragione.
Klaus ci
stava piegando per
forgiarci, per imporci forme diverse, adatte alla sua follia. Se lo
avessimo
lasciato fare, non saremmo mai più stati noi stessi
… non avremmo potuto
tornare come prima. Dovevamo fermarlo … ostacolarlo, per lo
meno, prima che
fossimo perduti … prima che fosse troppo tardi.
Raccolsi
i cocci di me stesso
e guardai Cinthia, i suoi occhi misteriosi e cupi, il suo sguardo
impenetrabile
e la domanda nacque spontanea:
-Come
puoi amarlo tanto? –
-Prima
di tutto è mio padre …
un padre dolcissimo e crudele … oltremodo potente e fragile.
Sono sua figlia,
ma potrei essere sua madre, tanto è infantile a volte. Con
nessuno mi sento al
sicuro come quando sono con lui. È un artista sensibile e
uno spietato
assassino, però le sue mani mi hanno riservato solo carezze
e sorprese. Mi ha
mostrato un mondo fatto di pura bellezza nei brevi sprazzi di
libertà dalla
gabbia dorata in cui mi ha rinchiusa. Potrei … dovrei
odiarlo … ma non ci
riesco. –
-Ne stai
parlando quasi come
un’innamorata: la classica figlia femmina che adora il padre.
Hai mai
conosciuto un ragazzo che ti facesse distogliere lo sguardo da lui?
–
-Mai
conosciuti altri
ragazzi, se non quelli che vivono alla villa: uno è mo
fratello … gli altri
sono miei zii. Non ho mai messo piede in una scuola, non sono mai
uscita, se
non con lui … e mai per un periodo di tempo sufficiente per
far conoscenza. La
villa è il mio universo … mio padre è
il mio mondo … anche se … -
-Anche
se …? –
-Mio
fratello: per lui sarei
disposta a tutto, per lui sacrificherei tutto. Lui è parte
di me come io lo
sono di lui … una parte che non potrei ma tradire
… una parte che va oltre
l’amore…-
La
osservai mentre cercava
parole che non riuscivano a spiegare i suoi sentimenti in contrasto, la
sua
lotta interiore, il suo essere divisa tra il padre ed il fratello,
unici
oggetti d’amore per una donna che non conosceva
l’innamoramento. C’era, nei
suoi occhi scintillanti, una sorta di freddezza, appena ingentilita da
una
sconcertante ingenuità data dal fatto di non aver mai
provato passione …
desiderio … amore non filiale.
Come
un’onda inaspettata,
sentii arrivarmi addosso la sua solitudine … la solitudine
di chi condivide
vent’anni una reclusione fatta dei soliti visi, di coppie che
restituiscono l’immagine
di qualcosa che si può solo immaginare, se non si ha
qualcuno con cui provare
un legame tanto profondo e intimo.
I suoi
modelli maschili erano
persone eternamente giovani, potenti … immortali: modelli
inarrivabili per
qualsiasi umano; modelli che non aveva mai potuto confrontare con
nessuno,
perché nessun altro aveva varcato i confini della sua
conoscenza.
-Perché
mi stai fissando? –
mi rimproverò, sentendo la mia attenzione indagare sulla sua
persona.
-Perché
vorrei capire cosa ti
ha spinto a scambiarti con tua madre, a legarti a lei e a me contro tuo
padre …
-
-Papà
è completamente
assorbito dal rito, dalla sua idea di Olimpo, potente ed invincibile,
tanto da
perdersi il vero senso di tutto il suo affannarsi: la famiglia.
–
- Mi
domando se lui voglia
una famiglia potente per poter condividere la sua esistenza con le
persone che
ama … se sa amare … o se la famiglia che intende
costruire sia funzionale al
suo voler essere invincibile, inattaccabile … -
-Potere
e paura, Damon, spesso
vanno di pari passo. Guarda Pheeb: il suo potere è immenso,
ma non gli importa;
lui lo usa per difesa, per proteggere chi ama … non ha paura
per sé … non vuole
il potere per sé, anzi … per lui tutto questo
è una condanna. Lui vuole una
vita … conoscere la vita … viverla. Non vuole
guidare un esercito di immortali,
non vuole diventare un dio … non gli importa: la sua forza
è dentro di lui,
nell’amore che lo spinge … nella consapevolezza
che nulla ha senso se non è
speso per gli altri. Lui assomiglia molto alla mamma … Lui
non ha paura, e
quindi non gli importa del potere, ma papà …-
-E tu
… a chi assomigli? –
-Solo a
me stessa. -
Improvvisamente,
come se
qualcosa l’avesse punta, si alzò. Sul volto si
disegnò uno scudo intriso d’orgoglio,
una difesa per tornare impenetrabile.
-Vuoi
starmi a psicanalizzare
o ci concentriamo su come risolvere tutto questo immenso casino?
–
Alzandomi,
fui ad un palmo
dal suo viso: avrei protetto quella piccola strega …
l’avrei fatto per Elena,
l’avrei fatto per l’immensa tenerezza che Cinthia
aveva suscitato dentro di me.
Se Pheeb
era il figlio che
avrei potuto volere, lei sarebbe stata la figlia che poteva spezzarmi
il cuore.
Due
perle, due preziosi
tesori che Klaus voleva cesellare a suo piacimento … che
voleva distruggere per
la sua follia.
Trattenni
la mano che stava
per tracciare una carezza sulla sua guancia candida.
M’incamminai
verso la casa
semidistrutta.
-Lascia
che trovi qualcosa
per coprirmi: comincia a salire in macchina.-
Quella
casa, quasi del tutto
carbonizzata, mi rappresentava alla perfezione: macerie … mi
sentivo come un
cumulo di macerie.
Guardai
nel guardaroba e
trovai una vecchia camicia del padre di Elena: la infilai senza badarci
molto e
uscii da quella stanza che puzzava di acre e panico.
Cercai
le chiavi della Camaro
in mezzo alla fuliggine e mi fiondai verso la macchina, ancora una
volta
sopravvissuta alle ire di Klaus e dei suoi fratelli.
Cinthia
era già seduta sul
sedile del passeggero, con le gambe rannicchiate contro il petto e a
testa
rivolta al finestrino chiuso.
Guidai
in silenzio mentre un
cumulo di nuvole autunnali celava il sole, che stava raggiungendo il
mezzogiorno.
-Hai
fame? – chiesi quasi
spazientito alla figlia di Elena.
-Non
molta … ho solo voglia
di arrivare a casa tua e togliermi questi vestiti che puzzano di fumo:
credi
che possa trovare un cambio a casa tua? –
-Forse
… se vuoi, mi fermo in
uno store. – proposi.
-Anche
no. Spero tu abbia una
vasca . –
-Non
vivo in una tenda … hai
visto la villa: era un vecchio pensionato, quindi …
sì … forse potrai trovare
una vasca, ma non shampoo e bagnoschiuma. –
Senza
preavviso, sterzai
violentemente verso il parcheggio di un negozio che incrociai lungo la
strada.
Infilai
le mani nelle tasche
dei miei jeans ormai indecentemente sudici, e vi trovai qualche
banconota.
-Scendi
e comprati quello che
ti serve … cibo … cose da donne … -
Lei mi
guardò di sbieco, con
uno sguardo quasi disgustato.
-Quello
che mi serve … -
Con un
ghigno di sufficienza,
mi fissò negli occhi e rivolse i palmi verso
l’alto; tra le sue mani apparve
una busta di carta del supermercato.
La
guardai stupefatto.
-Quello
che mi serve lo posso
evocare … quello che voglio me lo posso creare. Metti in
moto e guida: ho
voglia di un bagno caldo. Tu devi evocare il ricordo di Pheeb. Quando
mi sarò
ripresa, ne potremo parlare. –
Piccola
stronza saccente …
-Quindi
tu sei in grado di
evocare oggetti? –
-Io
creo, Pheeb distrugge. –
-In che
senso? –
Avevo
visto il potere del
giovane Mikaelson, ma non riuscivo a dargli una denotazione negativa.
-Nel
senso che il suo potere
è “difensivo”: lui attacca e distrugge
… io evoco e creo. Prova ad immaginarci
insieme. – sorrise, pensando al fratello. –
L’unica volta che abbiamo unito le
nostre forze è stato un portento. Eravamo ancora bambini,
Ricordo che volevamo
rimanere in giardino a giocare, mentre papà e zia Reb ci
intimavano di
rientrare. Entrambi eravamo parecchio seccati da questa imposizione,
quindi
cominciammo a fare i capricci. Mio
padre
venne verso di noi con il suo solito modo un po’ imponente ed
autoritario, ma
proprio non volevamo sentire ragioni. Improvvisamente, come se una
forza
magnetica ci richiamasse, ci mettemmo spalle contro spalle: le nostre
menti
entrarono in connessione e un immenso potere ci pervase. Pheeb
cominciò a
scatenare un vento simile ad una tromba d’aria, di cui noi
eravamo il centro
perfetto, rendendo impossibile a chiunque di avvicinarsi a noi. Senza
che me lo
domandasse, cominciai ad evocare oggetti che lui lanciava oltre la
barriera
d’aria: quello che era cominciato come un capriccio si stava
trasformando in un
assaggio delle nostre forze. La cosa cominciò a divertirci.
Ci vollero ore e il
potere di ben tre streghe per fermarci. Da allora non possiamo
avvicinarci,
tranne la notte del nostro compleanno: durante il solstizio. –
Mentre
raccontava questa
storia, nella sua voce si alternavano nostalgia e rassegnazione, forza
e
fragilità.
-E in
tutti questi anni come
sei riuscita a controllare il tuo potere? Perche poi non
l’hai usato per
liberare tua madre, per fermare tuo padre … -
-Mi
sembrava di essere stata
chiara: io non disapprovo del tutto quello che vuole fare mio padre.
Quello che
a te sembra un abominio, io lo vedo come la possibilità di
dare a mio fratello
tutto il potere necessario per ristabilire l’equilibrio: lui
potrebbe essere
quello che salverà il mondo da voi vampiri …
quello che potrebbe tenere sottocontrollo
mio padre … permettere che i mortali vivano senza
più lo spettro di mostri
sanguinari che girano a bucare giugulari. Purtroppo adesso conosce la
quarta
parte della profezia, e questo cambia molte cose … cambia
tutto!
- Questa
maledetta profezia …
questo maledetto pezzo mancante … -
- Cerca
nella tua mente:
Pheeb te l’ha “scritta”…
sempre che abbia trovato abbastanza materia cerebrale
per “scrivere” qualcosa … -
Strinsi
le mani attorno al
volante, ma in un attimo la rabbia si trasformò in un
sorriso nascosto: mi era
simpatica quella giovane, piccola, antipatica strega …
Lei
voltò lo sguardo oltre il
finestrino, appoggiando i piedi sul cruscotto.
-La mia
macchina … - la
rimproverai, indicando le scarpe sporche.
-Che
palle … non sono una
ragazzina … anzi … sono più vecchia di
quanto non fosse la mamma quando la
conoscesti … -
-Ma sei
molto più … immatura.
A lei erano toccate tragedie che l’avevano costretta a
crescere prima del
dovuto … tu hai avuto un’adolescenza che non ti ha
permesso di maturare: sei
ancora una ragazzina! –
-Una
ragazzina che potrebbe
friggerti il cervello … -
-A che
scopo: siamo legati,
ricordi? Ah … a proposito: geniale! E adesso? Tua madre
è tra le grinfie di
quel sadico di tuo padre ed io devo badare a te … -
-Sciocco,
superficiale di un
vampiro testosteronico! Con me accanto hai sottocontrollo la situazione
di
mamma: se lei sta male, io sto male … se vuole me per il
rito, te la deve
restituire. Ho guadagnato tempo. Per mamma … per te
… per tutti! –
Aveva
ragione, purtroppo.
Arrivammo
al pensionato nel
primo pomeriggio.
Cinthia
scese dall’auto
impettita e s’incamminò verso la porta principale,
fermandosi sulla soglia.
Si
voltò con il pacchetto
stretto tra le mani e lo sguardo nascosto dietro un velo di falsa
stizza.
-Entra,
cosa aspetti … un mio
invito? – domandai ironico.
-In
teoria potrei spezzare il
sigillo … ma l’ho creato con zia Bonnie
… ci dovrebbe essere anche lei per
ricostruirlo con la stessa potenza … e poi non ho voglia di
sprecare altre
energie per incantesimi futili. –
-La
potente, suprema strega è
stanca? – mi finsi meravigliato, mentre le aprivo la porta.
-Annoiata
… scocciata e, sì, anche
un po’ stanca: l’incantesimo per il legame mi
è costato parecchia energia,
magica ed emotiva … -
-Entra
pure, allora … le
stanze sono al piano di sopra. Ti mostro la tua …
l’avevo preparata per Elena,
ma …
- Evita
particolari scabrosi,
per favore …-
-
Giusto: la verginella …
ahhhhiaaaa.-
-Chiamami
ancora verginella e
ti riduco impotente! –
Inginocchiato
per il dolore,
la vidi superare la porta della stanza azzurra e sbattere la porta.
La
nostra convivenza forzata
non sarebbe stata noiosa, questo era sicuro.
|
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Capitolo 17 *** Dreams ***
CAPITOLO 17
…
DREAMS …
6 novembre tardo
pomeriggio.
Sono accasciato a terra, le mani
sopra la testa per evitare le macerie che cadono dal soffitto.
Cadono.
E
non possono fermarle ...
Cadono.
Mi
schiacciano.
Mi
graffiano.
I
calcinacci imbiancano l'aria e la povere si infila nei miei polmoni,
facendomi tossire.
Mi
riparo la testa ... cerco di strisciare in un angolo sicuro ma, attorno
a me tutto sta crollando.
Non
so dove mi trovo.
Non
é casa mia ... non é nemmeno una casa.
Sembra
che il cielo stesso stia raggiungendo il suolo in frammenti di stelle e
stracci di nuvole.
Tutto
crolla ed io non so come ripararmi.
Mi
sento sommerso dai detriti, schiacciato da un peso enorme.
Non
riesco a scuotermi ... non riesco a liberarmi.
Il
boato della deflagrazione mi fa ronzare le orecchie.
Sono
accecato ...
Sono
stordito …
Sono
ferito …
Non
sono.
Ansimante mi
svegliai.
Allungai la
mano là, dove avrei dovuto, avrei voluto, trovare il corpo
di Elena.
Afferrai il
cuscino e respirai il suo profumo.
- Ti riavrò, Elena ...
fosse l'ultima cosa che faccio: dovessi anche stingere un patto col
diavolo, ti riavrò. -
Mi ero
addormentato.
Mi ero
semplicemente buttato sul letto e gli occhi si erano chiusi, il
cervello spento.
Mi guardai:
indossavo da giorni gli stessi jeans, che adesso puzzavano di fumo; la
camicia del padre di Elena mi cadeva addosso scompostamente.
Avevo
decisamente bisogno di lavarmi.
Appoggiai il
cuscino con delicatezza e mi alzai svogliatamente.
Guardai di
sfuggita l'orologio: avevo dormito un paio d'ore.
Scossi la testa
per cercare di levare l’ovatta che appannava la mia mente,
come dopo una sbornia.
Mi diressi
verso la finestra e la spalancai.
Tolsi gli scuri
che avevo fissato anni prima e appoggiai i gomiti al davanzale: il
cielo si preparava al tramonto e l'aria stava rinfrescando.
Mi misi in
ascolto, ma non sentii alcun rumore arrivare dalla stanza accanto:
Cinthia era al piano di sotto, silenziosa e apparentemente tranquilla.
Rinchiusi la
finestra ed entrai in bagno, inciampando nel vestito bianco che avevo
sfilato ad Elena qualche notte prima, solo due notti prima …
un’eternità fa.
Lo raccolsi e
lo lanciai sul letto, insieme al cuscino, unici custodi del profumo di
una notte d'amore.
Mi tolsi i
vestiti e decisi di concedermi in un bagno caldo.
Avevo addosso
troppa rabbia, troppi odori, troppa ansia , nella pelle, negli anfratti
del cervello: una doccia non sarebbe bastata a lavare via tutto.
Buttai i
vestiti ai piedi della vasca, che si stava riempiendo di acqua e
schiuma; le volute di vapore incominciavano ad appannare gli specchi,
la mia mente, i miei occhi.
M’immersi
lentamente nell'acqua bollente e lasciai che mi avvolgesse con le sue
mille braccia invisibili.
Scivolai
sott’acqua per bagnare i capelli e rimasi immobile per
qualche secondo.
Sentii
i muscoli rilassarsi grazie al calore, i pori dilatarsi e il sangue
salire in superficie. Cercai di non pensare a nulla, se non
alle sensazioni che il mio corpo mi trasmetteva. Volevo depurarmi per
poi affrontare la situazione pulito da ogni inutile zavorra, da
preconcetti o rancori.
Lasciai
galleggiare le mie braccia e i miei pensieri, desiderando un attimo di
vuoto.
Quando
arrivò, fu come un fulmine a ciel sereno.
Dietro le
palpebre si stagliarono, a lettere di fuoco, linee di parole ... frasi.
Sapevo di cosa
si trattava.
Sapevo cosa mi
si stava rivelando.
Il pezzo
mancante, il tassello finale di un mistero, del disegno di un
burattinaio sadico: l'ultima parte della profezia.
Riemersi
dall'acqua, portando indietro i capelli fradici con le mani tremanti.
Come al solito,
il significato di quella profezia non era inequivocabile, le
interpretazioni diverse e divergenti, le conseguenze molteplici.
Dovevo parlarne
con Cinthia, capire perché le streghe erano tanto
preoccupate che Klaus la scoprisse.
Cosa sarebbe
potuto accadere ora che, sicuramente, l'avrebbe letta nella mente di
Pheeb?
Uscii dalla
vasca e mi avvolsi in un vecchio asciugamano ingiallito: lo guardai
disgustato e conclusi che quella casa aveva bisogno di biancheria nuova!
Guardai
velocemente nell'armadio; i vestiti erano assolutamente immettibili:
troppo impolverati ... troppo pregni di odore di stantio ... di vecchio.
Scavai nella
valigia alla ricerca di qualcosa di decente; sfilai un paio di
pantaloni e una camicia un po' troppo stropicciata.
Infilai il
tutto sulla pelle ancora umida e mi diressi verso il salotto, dove
avrei tovato Cinthia.
Scesi le scale
e sentii odore di caffè, mischiato ad un profumo
indefinibile ... profumo di pulito .
Entrando nel
locale, notai che ogni cosa risplendeva: Cinthia aveva fatto pulizia?
Dal salotto
proveniva la luce soffusa delle fiamme del camino.
Mi avvicinai
silenzioso e vidi Cinthia accovacciata sul divano, intenta a sfogliare
un diario di Elena.
-
Ti sei data ai lavori domestici? – chiesi, spezzando il
silenzio.
- Odio vivere
nella sporcizia ... e questa casa ne aveva accumulata parecchia ... -
- Non ti ci
vedo con scopa e ramazza. -
- Secondo te
... ? – fece un cenno con la mano, come ad imitare il roteare
di una bacchetta immaginaria.
- Salagadula
magicabula....- canticchiai.
- Idiota: mi
è bastato uno schiocco di dita. -
- Sai che
più ti conosco e più mi ricordi Hermione Granger?
-
- Hermione chi?
...
- Mai letto
Harry Potter?-
- Harry chi
...? -
- Una strega
come te non ha mai letto Harry Potter? Cosa vi leggevano da bambini?
Direttamente John Polidori? -
- Diciamo che
mio padre preferisce i classici ... e io sono una strega, non un
vampiro! -
-E adesso, che
cosa stai leggendo? –
Ero curioso di
sapere in quale parte della vita di Elena si stesse infilando.
- Sai che certi
segreti non andrebbero violati, vero? Cosa diresti se fosse tua madre a
leggere uno dei tuoi diari? –
- Io non tengo
un diario. - rispose, senza staccare gli occhi dalla pagina.
- Solo grimori,
immagino … -
- Nemmeno
quelli: io non ho bisogno di incantesimi … non sempre, per
lo meno. -
- Vorresti
condividere quella pagina con me?-
- Chi
è l’indiscreto, adesso?-
- Tua madre li
aveva esplicitamente lasciati a me e questo presuppone il diritto di
poterli leggere. Parla di me? –
- Egocentrico!
No … di un sogno, credo. –
Mentre
sedevo accanto a lei, non riuscii a fare a meno di pensare a quanto
volessi che al suo posto ci fosse Elena, a quanto già mi
mancasse e a quanto poco mi ci fosse voluto per abituarmi a vederla
abitare la mia casa, la mia vita. Ero già assuefatto al
suono della sua presenza nelle stanze, ora vuote, della mia dimora,
della mia anima.
Ero sicuro di
non volere, di non potere, rinunciare di nuovo a lei, nonostante gli
eventi, nonostante la sua assenza fosse stata una costante negli ultimi
venticinque anni.
Era
strano avere accanto un’altra giovane donna, tanto simile e
tanto diversa. Guardai il suo profilo, assorto nella lettura, i capelli
rosseggianti alla luce del fuoco che, ne ero certo, lei stessa aveva
acceso con chissà quale magia. Aveva una bellezza ancora
acerba, una rosa che mostrava solo le sue spine, ostinatamente chiusa
nella sua gemma, senza nessuna possibilità di sbocciare.
Conoscevo
la sua potenza, la sua determinazione, la sua forza, eppure non
riuscivo a proiettare tutto ciò su quel gomitolo di lana
appallottolato nell’angolo del divano di pelle.
Ora
che avevo il pezzo mancante, non vedevo l’ora di confrontarmi
con lei e capire quale importanza avesse in tutta la storia ma, vederla
così intensamente concentrata su una pagina del diario di
Elena, su parole che raccontavano una parte di lei, mi fece desistere
dall’indagare.
Volevo
condividere con Cinthia quel brano di chissà quale momento
della vita della donna che era la mia vita.
-Cosa
racconta? Qualche particolare piccante? – insinuai per
attirare la sua attenzione.
Cinthia
sbuffò e cominciò a leggere ad alta voce.
“Ho fatto un sogno strano questa
notte … incomprensibile.
Questa
sera devo andare alla festa, dire a Matt di noi … o meglio,
che non dovrebbe più esserci un noi … e invece di
avere visioni tormentate di lui disperato, di me lacerata dai sensi di
colpa, il mio subconscio mi proietta questa favoletta onirica
… mah … -
Chiesi
a Cinthia di leggermi la data. Come immaginavo, era il giorno
dell’incidente, l’ultima notte di
un’Elena spensierata: quella sera sarebbe finita nel Wickery
… quella sera l’avrei incontrata per la prima
volta.
-Posso
proseguire? –
Voltandomi
verso le fiamme, accennai un sì con la testa.
Il nostro
incontro non sarebbe stato immortalato su quelle pagine, lei lo aveva
dimenticato: lo avevo cancellato dalla sua mente, ma era ancora
impresso nella mia memoria.
Cinthia
proseguì.
“Mi
trovavo sul molo di un porto e dovevo attraversare un mare misterioso.
Qualcosa di importante mi aspettava al di là di quelle acque
buie, qualcosa che non conoscevo ma che dovevo raggiungere.
Due
imbarcazioni erano ormeggiate una accanto all’altra.
La
prima era uno yacht meraviglioso, bianco, con le cromature lucenti,
risplendente alla luce della luna: era bellissimo e sembrava
confortevole, solido, sicuro.
Il
capitano, un uomo dal fascino magnetico, mi fissava dal ponte con i
suoi occhi verdi.
-Dove
deve andare, signorina? - mi chiese con modi gentili ma non affettati,
mentre scendeva dalla sua barca, camminando elegantemente sulla
passerella che la collegava al molo.
Quando
fu di fronte a me, non riuscii a non notare lo sguardo intenso e
indagatore: era come se volesse leggermi nell’anima.
-Non
lo so di preciso … - balbettai. – So solo che devo
attraversare questo tratto di mare: qualcosa o qualcuno mi attende al
di là, ma non so cosa e non so chi. So solo che devo andare.
–
-Attraversare
l’ignoto per andare verso l’ignoto.
Perché? – il suo sguardo stupito mi sfiorava il
volto e la sua voce era una carezza lieve, dolce.
-Sempre
con le tue domande inutili: se deve andare, un motivo ci
sarà. –
Un’altra
voce, più profonda ed ammaliante mi fece voltare.
Un
piccolo veliero, poco più grande di un guscio di noce,
galleggiava nella scia della luna. Le onde lo facevano dondolare, come
le mani di una mamma fanno dondolare una culla. Ogni movimento del mare
era amplificato in rollii e beccheggi e l’albero maestro
scricchiolava, facendo oscillare il boma.
Il
legno scuro portava i segni di molte traversate ed emanava odore di
salsedine e di centinaia di porti diversi ed esotici.
La
voce apparteneva ad un uomo che si cullava appeso ad una sartia. Il suo
abbigliamento e il suo sguardo ironico mi fecero pensare immediatamente
ad un pirata.
Tutto
il lui era scuro come la notte, tranne gli occhi: due zaffiri
intensamente blu, incastonati in un volto scolpito dal mistero.
Non
c’erano altre navi al porto, nessun altro mezzo per
raggiungere la mia meta.
Non
sapevo perché, non sapevo come, ma sapevo che dovevo partire.
Il
capitano dagli occhi verdi ignorò il pirata.
-Ovunque
voglia andare, sarò lieto di accompagnarla. Non
dovrà fare altro che accomodarsi con me in cabina di
pilotaggio ed indicarmi la rotta: io e la mia modesta nave seguiremo le
sue indicazioni. –
-
Io non conosco le rotte marine: come mi orienterò? Come
posso guidarla se io stessa non so dove dirigermi? – obiettai
-Signorina
… il suo istinto l’ha guidata fin qui e le sta
dicendo che deve raggiungere un luogo ben preciso per un ben preciso
motivo: lo stesso istinto le indicherà la rotta e le
darà tutte le risposte che cerca. – mi
rassicurò.
-Sì,
certo … l’istinto … - disse il pirata.
– Ma di cosa stiamo parlando! Mi scusi ... signorina
…?-
-Elena
… -
-Elena
… solo vedendo la meta potrà riconoscerla. Io le
metto a disposizione la mia esperienza e le mie conoscenze:
attraverseremo il mare ed esploreremo le terre al di là
dell’orizzonte. Quando vedrà la sua isola, sono
sicuro che la riconoscerà … non prima! –
Osservai
gli uomini che ora erano entrambi accanto a me.
-La
mia nave è sicura e maneggevole …
aggirerà tutte le tempeste e seguirà docilmente i
suoi comandi … - mi spiegò il capitano dello
yacht.
-La
mia ha superato mille tempeste: io le so attraversare, raggirare,
aspettare e sfidare. Sono pronto per ogni intemperia, per ogni
imprevisto e questo vecchio legno è parte di me e con me sa
affrontare ogni onda ed ogni vento… -
-Viaggeremo
in acque tranquille … -
-Affronteremo
ogni mareggiata …-
-Punteremo
all’orizzonte tenendo le nostre mani sul timone, insieme
… -
-Io
manovrerò la barra e tu isserai le vele … -
Guardavo
incredula i due marinai: mi stavano prospettando due viaggi diversi
… opposti … verso una meta sconosciuta.
Entrambi
mi tendevano la mano offrendomi alternative agli antipodi: una
confortevole crociera apparentemente sicura ed un’avventura
sicuramente rischiosa.
Ma
anche il Titanic era affondato nella superbia della sua sicurezza, e
mille galeoni avevano affrontato rotte impervie, ritornando un
po’ acciaccati ma indenni.
I
due uomini risalirono sulle loro imbarcazioni, attendendo una mia
decisione.
Li
fissai entrambi, per entrambi provai attrazione, curiosità,
fascino …
Non
riuscivo a decidere, mentre le ancore venivano issate …
Non
riuscivo a decidere, mentre gli ormeggi venivano slegati ad uno ad uno
…
Non
riuscivo a decidere, mentre l’urgenza di partire si faceva
panico …
Non
riuscivo a scegliere.
A
questo punto mi sono svegliata di soprassalto, in preda
all’angoscia.
Che
cosa significava tutto ciò?
Forse
che il vero viaggio incomincerà adesso, verso una nuova
giornata, verso una serata che deciderà del mio futuro,
verso un domani diverso … diverso da quello già
programmato da Matt, da Car … da generazioni di abitanti di
questo piccolo villaggio dove non succede mai nulla?” -
Quel
viaggio l’avrebbe portata nelle acque del Wickery, alla fine
della sua adolescenza…
Quel viaggio
l’avrebbe portata da me, poco prima della tragedia
… mille vite fa.
-Strani
sogni … - commentò Cinthia.
- Strani e
premonitori. – dissi tra me e me.
- Tu e zio
Stefan … ? –
- Forse ... ma
ancora non ci conosceva. O forse non rappresenta che le due facce del
destino, i due aspetti di ogni scelta. Certo è che
è stato l’ultimo giorno di una vita spensierata.
Il successivo sarebbe stato il primo di un inferno. –
- Un inferno
che l’ha portata a te … -
- E a tuo padre
… -
- A me e mio
fratello … -
- E sta per
perdervi. Ho ricordato la profezia. – buttai lì,
senza preamboli.
Cinthia
staccò gli occhi dal diario e li rivolse verso di me.
-Finalmente
… -
-
Perché, semplicemente, nessuno me l’ha riferita
prima? –
-
Perché così non la dimenticherai: ripetimela.
–
Chiusi gli
occhi, e le fiamme riscrissero quelle parole maledette, marchiandole
nella mia mente.
Non due capi, mai due re.
Il figlio
darà equilibrio,
e
l’equilibrio pace,
se, da solo sul
trono, potrà governare.
Ma, se come
Cronos
il padre
fagociterà il figlio,
un altro
equilibrio,
un’altra
pace…
e ciò
che ogni dio desidera,
egli
potrà trovare.
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Capitolo 18 *** Streets of life ***
CAPITOLO 19
…
STREETS OF LIFE …
7 novembre,
primo pomeriggio.
Mi ritrovai a percorrere strade già vissute molti anni
addietro.
Tutto mi era ancora familiare, soprattutto Bourbon Street.
Nulla sembrava essere cambiato, in particolar modo i profumi: i
ristoranti continuavano ad emanare odore di cibo speziato e spazzatura
… e di alcool … tanto alcool.
Le voci mischiavano francese con il tipico accento americano del
profondo sud.
Le viuzze costeggiate da case in stile coloniale diventavano sempre
più strette e malfamate: il quartiere verso il quale ci
stavamo dirigendo non era certo tra i più lussuosi.
Anche in questa città avevo lasciato un pezzo della mia
vita, anche qui avevo conosciuto persone appartenenti ad un universo
parallelo.
Tra queste Miriam, una ciarlatana con un’incredibile
abilità nell’azzeccare il futuro. Non era una
profetessa come Cassidy … non era una strega …
solo una che giocava con i tarocchi e strappava al futuro qualcuno dei
suoi misteri.
Il sovrannaturale aveva fatto le sue valutazioni, la superstizione
avrebbe azzardato le proprie.
Cinthia camminava silenziosa al mio fianco, osservando con
un’espressione disgustata gli infimi passaggi tra una casa e
l’altra.
-Quanto manca? – mi chiese spazientita.
- Non molto … credo. Sono veramente molti anni che non torno
in questa città, dopo averla lasciata prima della seconda
guerra mondiale … qualche scappatina … qualche
bevuta, ma non mi sono mai più fermato a lungo dopo quegli
anni. –
- Perché credi che anche mio padre sia venuto qua?
–
- Per trovare nuove streghe o avere punti di vista diversi da quello
delle “fatine” che frequentano casa tua
… -
- E perché noi non stiamo andando da qualcuna di queste
potenti streghe? –
- Primo, perché potrebbero essere in contatto con tuo padre
o con tuo zio; secondo, perché loro ci darebbero le stesse
risposte imprecise che abbiamo già … -
- E pensi che … -
- Non penso nulla: solo non voglio lasciare nulla
d’intentato. -
Nonostante fosse novembre, il cielo era sereno; l’aria era
ancora calda, ma non umida come d’estate.
Le case, ricostruite dopo l’uragano Katrina, avevano ancora
l’antico aspetto decadente e la città, pur non
avendo dimenticato l’atroce ferita, era tornata ad essere
“'The City That Care Forgot”.
Miriam prestava la sua attività nel retro di uno di quei
negozi che promettevano bambole voodoo e pozioni d’amore.
Non feci in tempo a toccare la porta per bussare, quando una voce
melensa, sibilante come un serpente a sonagli,
m’invitò ad entrare.
La stanza, alla luce delle lampade a olio, appariva tetra, squallida e
maleodorante. Le pareti erano piene di orrenda chincaglieria e
inquietanti reliquie; sul pavimento giaceva un vecchio tappeto logoro.
-Damon, vieni pure – disse la “chiromante”
-Wow … non hai perso il tocco – le risposi,
introducendomi nella sua sala da “lettura”.
Miriam non era cambiata di un secondo da quando l’avevo
incontrata tantissimi anni prima.
Sedeva dietro ad un tavolino rotondo, traballante. Aveva il volto
sorridente di una giovane donna, la pelle ambrata, riflesso delle
fiammelle tremolanti. Gli occhi erano due pozze nere, vivaci e
maliziosi e mi fissavano con una certa ironia.
I capelli, quasi rasati, erano macchiati di mille colori e alcune di
treccine le scendevano dietro l’orecchio sinistro.
Le sue dita, le sue unghie lunghe e nere, tamburellavano ai lati di un
mazzo di tarocchi antico quanto il mondo.
Non si alzò, non si mosse dalla sedia per porgermi un
saluto; mi guardò e lesse nel mio sguardo lo stupore di
trovarla ancora lì, immutata.
-So cosa ti stai chiedendo: non sono una strega, ma ho
anch’io i miei trucchi per non invecchiare, - disse
ammiccando. - … e questa sarebbe la figlia
dell’ibrido? –
- Se sai già tutto, perche dovrei parlare? –
sorrisi, sedendomi sulla sedia sgangherata di fronte al suo tavolo da
tarocchi.
- Suo padre e suo zio hanno gironzolato qui per parecchio tempo, in
passato e recentemente. Volevano risposte, assicurazioni …
certezze per compiere un certo rito … -
- Tu cosa sai del rito? – chiese ansiosa Cinthia.
- So quello che sai tu, so quello che anche voi avete
scoperto. -
- Che cosa farà Klaus? Quali saranno le conseguenze?
– la mia voce cominciò a tremare per
l’ansia trattenuta.
- Dovresti saperlo, mio bellissimo vampiro, io non sono una veggente
… io non prevedo il futuro, io lo vedo per quello che
potrebbe essere … per quello che sarà e per come
potrebbe cambiare. –
- E cosa prevedi? –
Afferrò il mazzo di carte e lo gettò a terra:
diede uno sguardo veloce alla composizione disordinata dei tarocchi sul
pavimento e chiuse gli occhi.
-Una famiglia sull’altare … sangue mischiato che
si rimescola: la vergine per la magia, il principe per il potere, il re
per il dominio e la madre per legarli in un unico essere. –
-Questo lo sappiamo. Per fortuna che non avrebbe parlato per enigmi
… - mi disse Cinthia con sarcasmo.
- Io non parlo per enigmi … quello è il rito
… quello è il sangue! Klaus non ha ancora deciso,
ma è scontato che vorrà per sé il
potere, lo ha sempre voluto, ha sempre voluto dominare e controllare.
Tutte le risposte stanno nel sangue. L’unica soluzione
è nessuna soluzione: mantenere lo status quo. Le streghe non
vogliono perdere quest’occasione per eliminare i vampiri dal
mondo degli umani. Se Klaus ucciderà il gemello,
sarà vulnerabile e facilmente eliminabile … e con
lui tutta la sua stirpe, verticale e orizzontale. -
- Non voglio che questo accada. - mugolò Cinthia.
– Non voglio perdere tutta la mia famiglia. -
- Per non perdere nulla, nulla deve cambiare. Il rito non deve
funzionare. Tu non devi morire. Nulla deve andare per il verso giusto
… e poi continuerete come sempre … lotta e morte,
sangue e vendetta. Sicuri che è questo che volete?
Un’eternità di fuga e vani tentativi di
neutralizzarlo? Tutto potrebbe finire: quattro vite per un futuro di
pace. Quante altre vite dovremo sacrificare per i vostri futili legami
sentimentali? –
Lo sguardo di Miriam si posò dritto dentro la mia anima.
-A me interessa solo una vita … in una vita … per
la vita. Il resto sono solo necessarie conseguenze. Devo salvare i suoi
figli? Ok … devo salvare mio fratello? Va bene …
ma nulla ha senso se non salverò Elena … -
- Per cosa? Per vivere con lei qualche decennio? Ne vale la pena? Ne
sei sicuro? –
- Tra qualche decennio le streghe troveranno altri stratagemmi
… a me non importa … io voglio vivere quanto
più tempo possibile con Elena … e poi il mondo
potrebbe anche finire: non m’importerebbe. –
- Cinthia? –
Miriam si sporse sul tavolino, coperto da un’orribile
tovaglia di ciniglia blu con disegni damascati.
-Cinthia? – la richiamò.
- Io ero pronta a morire per mio fratello, per rendere felice mio padre
… ma se tutto deve finire … Pheeb? –
- Sarebbe potente e potrebbe controllare tuo padre, ma basterebbe una
distrazione, e Klaus potrebbe dissanguarlo in un attimo, nel sonno, con
l’inganno. L’onnipotenza di tuo fratello ha quel
solo tallone di Achille: sarebbero sempre padre contro figlio
… ma sappiamo che Pheeb non potrebbe ucciderlo, mentre Klaus
sì. –
- Ma, così perderebbe la sua
immortalità, - obiettò la ragazza.
- Non l’ha ancora capito, non vuole leggerla in questo modo.
Lui crede che diventerà onnipotente al posto di suo figlio
… -
- Tu sei sicura che la vera interpretazione sia quella che lui
…. – domandai perplesso.
- Siamo a un crocevia: ogni strada porta ad una diversa destinazione.
Io non so quale strada prenderete, ma vedo dove vi poterà
… e se Klaus decide di riunire dentro di sé tutto
il sangue coinvolto nel rito, diventerà vulnerabile e
mortale. –
- … e il mondo sarà mondato dal male …
- sospirò Cinthia.
- Esatto. – concluse Miriam.
- Mettiamo che non me ne fotta nulla del mondo? Come possiamo fermarlo?
Se Pheeb non può ucciderlo, il sacrificio di Cinthia sarebbe
inutile. Inoltre, se Klaus morisse, molti di noi ne seguirebbero la
sorte. – fissai Miriam in attesa di una sua risposta
… di una nuova strada da percorrere, come un bambino fissa
la porta di casa, in attesa che la madre rientri per prenderlo tra le
braccia.
- Status quo … -
- Nulla cambia … nulla si distrugge … -
sussurrò Cinthia.
- Come? Nulla impedirà a Klaus e a quei fanatici dei suoi
fratelli di attuare il rito. Hanno ostaggi … hanno Elena
… potere … forza … – un velo
nero stava oscurando la mia speranza.
- Sporcate il sangue … sporcate il sangue! –
urlò Miriam prima di svenire.
Sul volo di ritorno non feci altro che pensare a quella frase:
“Sporcate il
sangue”
Avevo aiutato Miriam a riprendersi; Cinthia le aveva preparato uno
degli intrugli che teneva sugli scaffali impolverati.
Mentre sorseggiava la bevanda calda, non disse una parola, come se lo
sforzo di quella visione le avesse fulminato le corde vocali, i
pensieri stessi.
Quando cercai di porle altre domande, fece un gesto definitivo,
inequivocabile: non avrebbe proferito parola; c’era qualcosa
di oscuro che la minacciava e non avrebbe rischiato la propria vita per
rivelarci altro.
“Sporcate il
sangue”
Sporcarlo … non riuscivo a pensare ad altro che mischiare il
sangue delle vittime con sangue di vampiro … infettarli per
impedire il rito, per fermarne la morte.
Poteva essere così facile?
Poteva essere tanto ignobile?
Cinthia dormiva sul sedile accanto, la testa appoggiata alla mia
spalla, involontariamente.
Dal finestrino si vedeva la linea rossa dell’orizzonte al
tramonto.
Dovevamo pensare in fretta … capire in fretta …
agire in fretta.
Quel volo era una pausa tra il presente e il futuro, quella testa
abbandonata sulla mia spalla un tuffo nel passato.
Mi ricordava quanto mi piacesse vedere Elena addormentata, sdraiarmi
accanto a lei nel suo letto e ascoltarla respirare.
Il respiro regolare di Cinthia dava un ritmo leggero al mio cuore.
Non mi era mai capitato di provare un sentimento di dolce tenerezza per
una ragazza.
Le donne erano o amore o passione … odio o divertimento
… sesso o sangue.
Lei non era nulla di tutto questo.
Aveva quasi vent’anni, ma sembrava una bambina.
Aveva quasi vent’anni ma ne dimostrava cento.
Cinthia ed Elena.
Gioventù sovrapposte come fotografie, corpi caldi e vivi che
sfidano implacabili una sorte avversa.
Trasformarle entrambe in vampire sembrava l’unica soluzione
per bloccare un disegno mostruoso: creare nuovi mostri per fermare il
più atroce.
Elena, davanti al “suo” rito, davanti alla
“sua”morte, non volle diventare come me;
rifiutò l’eternità, la salvezza, per
rimanere umana.
Cinthia cosa avrebbe scelto?
Elena cosa avrebbe deciso, ora?
Chiusi gli occhi, accogliendo con nostalgia il tepore della guancia
della giovane che attraversava la stoffa della mia camicia.
Un’altra pelle mi apparve dietro la palpebre, un altro calore
accese i mie pensieri, un altro viaggio era stampato indelebile nei
miei ricordi.
Denver.
Un altro aereo … lei, impettita nel suo sedile, manteneva
una certa distanza di sicurezza.
Mi guardava sottecchi, intimidita da mille domande che celava nelle
mani, convulsamente strette in grembo.
Mi guardava e scuoteva la testa, quella testa fiera e testarda, che
osava sfidarmi e schiaffeggiarmi, compatirmi e consolarmi.
Era partita per una missione … per suo fratello …
per Rose … ma qualcosa la tormentava, capii più
tardi cosa, capii troppo tardi chi.
La ragazzina impavida, dal cuore forte e colmo di buoni principi, stava
per sporcarsi con dei sentimenti indecenti.
E non voleva cedere, non voleva credere, non voleva sentire.
Eppure, quella notte saremmo scivolati nello stesso letto, fermi,
l’uno accanto all’altra, dita tra le dita.
Per una volta fu lei a sorridere, mentre il mio sguardo rimase chiuso,
incredulo e impaurito.
Per una volta fu lei a volarmi tra le braccia.
Aprii gli occhi, incapace di sopportare quel ricordo.
L’aereo stava per atterrare.
Scossi Cinthia con delicatezza, per risvegliarla.
Lei si stropicciò gli occhi e mi guardò intontita.
Poi riprese il suo ghigno serio, amaro … perso.
-Mi ha chiamato “la vergine”, - sospirò.
- Beh, lo sei … -
- Non “la strega” … non “la
figlia”: la vergine”!- ribadì.
- E la cosa ti disturba? –
- Non ha guardato al mio potere, solo alla mia ingenuità, la
mia debolezza: ha visto in me solo una ragazzina inesperta e non la
strega invincibile – era incredula.
- Quindi? –
- Che cosa conta affinché il rito funzioni? Il mio sangue di
strega o il mio corpo inviolato? … e se non fossi
più vergine? –
-Pheeb avrebbe dovuto assorbire il tuo potere, non il tuo corpo
… ricordi? Ha detto “la vergine per la
magia” … la tua magia è fondamentale! -
-Anche Pheeb non è mai stato con una donna, eppure lo ha
chiamato “principe” … non vergine!
– inveì.
- Credo che, semplicemente …. –
- Niente è semplice, Damon! Niente! –
Le ruote dell’aereo toccarono rumorosamente a terra, e la
forza d’inerzia ci fece sporgere in avanti.
-Non credo che basti che tu ti conceda al primo che passa per rendere
vana la “messa nera” che tuo padre sta preparando
… bisogna sporcare il sangue, non le lenzuola! –
Slacciò la cintura di sicurezza e si alzò,
afferrando rabbiosa la sua borsa.
La notte che ci aspettava sarebbe stata un’altra notte di
domande e ipotesi.
La guardai infilarsi tra i sedili e scivolare tra i passeggeri in
attesa di sbarcare.
Le sue spalle si curvarono leggermente, come se portasse il peso del
destino del mondo. Quelle spalle fragili erano piene di domande senza
risposte, di sofferenza e rabbia, di un futuro senza speranza. Troppo
fragili per sopportare il tutto … fin troppo forti per
sostenere il macigno che le appesantivano.
Miriam aveva parlato di un crocevia, di strade affacciate a strapiombi,
di sentieri che conducono alla vetta, di lastricati che ci avrebbero
portato alla vita … o alla morte.
Mi alzai per seguire Cinthia sulla strada che ci avrebbe condotti verso
casa.
|
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Capitolo 19 *** Ipotesi ***
Capitolo
18
… IPOTESI …
6
novembre, sera.
-Spiegami!
–
Cinthia mi
guardò, come presa alla sprovvista.
-Cosa ti dovrei
spiegare? Mi sembra tutto abbastanza chiaro. – rispose
spazientita.
- Chiaro? Per
chi? Per me o per voi? Che cosa significa? Quali implicazioni avete
previsto? Come influirà sul rito … su di te
… su tuo fratello … sul mondo … su
Elena? –
Notai un
tentennamento appena percepibile, poi Cinthia mi guardò, lo
sguardo tra il torvo e il rassegnato.
-Letteralmente
è ovvio che significhi che entrambi non possono sedere sul
“trono”: se Pheeb diventerà quel dio che
la profezia prevede, potrà attuare il suo scopo solo se
allontanerà nostro padre. Dovrà decidere da solo
… dovrà regnare solo …
dovrà allontanarsi dalle mire egemoniche di Klaus per poter
attuare quell’equilibrio di pace ed armonia tra le varie
fazioni del mondo sovrannaturale. Vampiri senza sete …
licantropi senza trasformazione, magia … tutto in
equilibrio. Pace … una pace che avrà sempre
l’ombra del padre sopra di essa … che
avrà sempre la paura del ritorno del genitore cattivo
… del capostipite crudele … ma pace.
- E fin qui ci
ero arrivato anch’io …-
- Attento
però: tra le righe è scritto che Pheeb non
potrà macchiarsi della morte del padre, come Zeus non ha
ucciso Cronos; la nuova pace dovrà basarsi su nuovi
presupposti, il nuovo equilibrio non dovrà affondare le
proprie radici nel sangue … nessuno deve morire …
tranne me, forse … nessuno deve subire vendette o iniziare
faide.-
- Opzione B
…? – il dubbio mi rodeva dentro come acido in gola.
-
L’opzione B è sicuramente più
definitiva, ma ha anche due spiegazioni contrastanti … -
- Klaus
dovrebbe “fagocitare” suo figlio … -
- Molto
probabilmente berne il sangue fino ad ucciderlo … il nuovo
sangue … quello che comprende anche il mio. –
- Un altro
equilibrio … un’altra pace … quella del
tiranno. –
- La visione di
mio padre non è una vera e propria tirannia: lui vuole poter
avere il controllo prevedere le mosse altrui, difendersi … -
- Da chi e da
cosa, se è immortale e inattaccabile? –
- Da quelli
come suo padre … da possibili attacchi esterni …
da chi minaccia ciò che è suo: possesso e
controllo sono le due uniche forme d’amore che egli conosce,
le uniche forme di potere che gli interessano. –
- Dici poco
… - sospirai.
- Dico quello
che è … -
- Sotto il suo
controllo tutto dovrebbe “girare” come lui desidera
… come lui comanda … Perfetto, direi! –
l’acido si stava riversando sulla mia lingua.
Mi alzai di
scatto e cominciai a ad attraversare la stanza con lunghe falcate
nervose.
-Ma
… - la voce di Cinthia si fece un sussurro.
- Ma
…? – la incalzai.
- La frase
finale della profezia: “Ciò che ogni dio desidera,
egli potrà trovare” … -
- Che cosa
può desiderare un dio che già non abbia o che non
possa ottenere? – che assurdità, pensai
- Appunto. Che
cosa può volere? Il potere? Già ce
l’ha. Immortalità? Idem … Che cosa
allora? Questo punto ha messo in subbuglio le streghe al di qua e al di
là del cielo. –
- Conclusione?
– chiesi, ponendomi imperioso di fronte a Cinthia.
- Onnipotenza o
… umanità. Quello che gli dei greci invidiavano
agli umani era la loro mortalità, la loro
fragilità umana. Ogni dio desidera quello che non
può avere: una vita resa preziosa dalla
precarietà … -
- Cazzate!
– grugnii, ricominciando a camminare. – La mia
eternità mi calza a pennello! –
- …
e se mia madre …? –
- …
e se cosa? – il sottinteso di quella domanda mi
ferì con ferocia.
- …
e se mia madre morisse? –
- Io sono
potenzialmente eterno, ma posso decidere di porre fine alla mia
esistenza buttando quest’anello e lasciandomi bruciare
… un paletto nel cuore … -
- Un dio
è immortale senza rimedio. La profezia fa riferimento alla
mitologia greca, non a Klaus in modo specifico: è una
metafora per farci capire le probabili conseguenze nel caso in cui
tutti i poteri si concentrassero in mio padre. E le interpretazioni
portano e due conclusioni opposte: potere assoluto e inattaccabile o
ritorno a una mortale umanità. –
- La
più probabile? – le mie mani erano serrate.
- Per ora
entrambe sembrano essere plausibili nello stesso modo. –
rispose stancamente.
- Tu cosa
credi? –
Mi abbassai
sulle ginocchia per fissarla dritto negli occhi, che si riempirono di
lacrime; inghiottì il nodo che le serrava la gola, alzando
il mento nel suo modo orgoglioso di nascondere il dolore.
-Io non voglio
perderlo … - sussurrò con la voce strozzata.
- Tu cosa
credi? – insistetti, ormai senza più un barlume di
pazienza.
- Io credo che
diventerebbe umano, vulnerabile … e per questo facilmente
eliminabile. –
- Scusa tesoro
… ma sarebbe fantastico! – quasi esultai.
- La sua
umanità si trasmetterebbe a tutta la sua
“bloodline”, non solo in linea verticale, ma anche
orizzontale. Come un’onda magnetica, tutti i vampiri e tutti
i licantropi diventerebbero umani … il nuovo equilibrio
… la nuova pace … - concluse.
- E questo dove
sta scritto? – domandai, colto da una nuova apprensione.
- Nella mia
mente … nella logica delle cose: o convivenza o estinzione
…-
- Ma ... che
lui schiatti e basta, no? –
- Vuoi un
elettroshock gratuito? –
- No grazie
… ma capisci che non c’è mai nulla di
facile … nulla di chiaro … nulla che non comporti
una qualche tragedia! – sbottai.
- Il fatto
è - proseguì Cinthia, - che, finchè
Klaus non ne sapeva nulla, Pheeb avrebbe avuto una speranza, avrebbe
potuto studiare la situazione, gestire le conseguenze … ma
ora... cosa farà mio padre? –
- Sta di fatto
che tuo fratello non vorrebbe nemmeno arrivare al rito, per te
… per tua madre … -
- Non credo
abbia scelta: la magia che Klaus ha messo in gioco, unita alla mia, non
gli lascia via di scampo. Lui è l’unico che
può arginare mio padre senza ucciderlo, l’unico
che può creare uno status quo dove nessuno muore e tutti
riceverebbero dei vantaggi. Ogni altra scelta sarebbe deleteria
… ogni altra opzione tragica. Alcune delle streghe,
però, spingono per la soluzione finale … per
l’estinzione delle vostre razze … per
l’ecatombe della vostra specie … e adesso che la
profezia è rivelata, ne saranno felici! –
Cinthia nascose
il viso tra le braccia incrociate sul cuscino del divano.
-Tutte le
persone che amo sono sovrannaturali … tutti quelli che
conosco sono di una qualche specie non umana: perderei tutto
… perderei tutti … - la sua voce come un respiro
strozzato dal nodo che le si gonfiava in gola.
- Tranne tuo
fratello e tua madre … -
- Lei
perderebbe te. –
- Quindi
… adesso? – domandai, solenne.
- Quindi
… adesso … non lo so! –
singhiozzò, lasciando finalmente libero sfogo alle lacrime.
6
novembre, notte
Un’altra
notte.
Cinthia si
rigirava agitata nel letto della camera accanto.
Il nostro
progetto non la convinceva … ma non avevamo nulla da
perdere, o meglio, avremmo perso tutto comunque.
Le lenzuola
m’infastidivano, il loro tocco sulla mia pelle nuda mi
procurava irritazione.
Cercavo di
rimanere concentrato sul viaggio a New Orleans, al nostro estremo e
folle tentativo di capire, di fermare Klaus: non volevo pensare alle
urla di Elena, al fatto che fosse ancora sua prigioniera.
Inutilmente.
Le immagini che
cercavo di non visualizzare, le parole che tentavo di non ascoltare, la
paura che non volevo provare invadevano comunque i miei pensieri.
Ero solo nella
mia stanza, solo nel mio letto, dove avevo vissuto un sogno.
Solo, con i
miei ricordi e la mia vulnerabilità.
I sogni
finiscono: ci si sveglia e svaniscono.
Lei mi aveva
regalato un sogno da vivere ogni giorno.
Il nostro stare
insieme, il nostro modo di fare l’amore, non sarebbero
finiti, non potevano aver fine.
Senza di lei
ero solo un viandante, un seme nel vento che non voleva mettere radici.
Ora le mie
radici sono nel suo cuore, la mia linfa vitale è sulle sue
labbra.
Con lei avevo
ricomposto i frantumi della mia esistenza: li avevo incollati attorno
alla sua anima nel momento in cui mi aveva detto ti amo, quando si era
donata a me senza remore o ripensamenti.
Il nostro
legame aveva superato la prova del tempo, sfidando il destino in un
modo che sembrava impossibile.
Ci eravamo
ritrovati, innamorati, appartenuti.
Tutto questo
non poteva finire per una profezia malata.
Non poteva
avere termine per il progetto di un pazzo.
Il destino non
poteva essere tanto crudele, non poteva giocare con le nostre vita come
un gatto con il topo … non poteva … non glielo
avrei permesso! Avrei salvato Elena, o sarei morto nel tentativo di
smontare quest’assurda pantomima di streghe e fato, di parche
impazzite e divinità capricciose.
Sarei partito
con Cinthia … avrei cercato una possibilità
nell’impossibile … una goccia di pioggia nel
ventre di un vulcano … un ultimo, estremo tentativo prima di
immolarmi all’altare dell’inevitabile.
Niente magia
bianca o nera … niente stregoni o maghe isteriche: solo
superstizione, giochi di carte e visioni oniriche a combattere un
potere superiore.
La rivoluzione
viene dal basso, i grandi sono sconfitti dagli umili … da
chi meno te lo aspetti, da chi è debole, e per questo non
considerato.
Avrei
combattuto il deus maximus con la plebaglia più infima, la
magia ai massimi livelli con la cialtroneria.
Balzai a sedere
sul letto, invaso da adrenalina nuova.
Cinthia si era
calmata, e il suo respiro era regolare: finalmente dormiva.
Avrei dovuto
aspettare l’alba.
Altro tempo
… altro ore vuote, piene di ipotesi e speranze …
di timori e impotenza.
Mi presi la
testa tra le mani e i pensieri di poco prima si trasformarono in rabbia
cieca.
Il pensiero di
Elena prigioniera non mi abbandonava un attimo e questo, a volte
rallentava il tempo in maniera esasperante.
Il suo viso, il
suo corpo erano un ologramma costantemente davanti ai miei occhi,
inciso nella mia testa, un’immagine che non avrei potuto
cancellare nemmeno se ci avessi provato con tutta la mia
volontà … ed io non volevo provarci!
La sua assenza
bruciava come ferro rovente.
Avevo bisogno
di sollievo, di un breve momento di amnesia.
Avevo voglia di
bourbon e sangue, di una giugulare su cui sfogare la mia frustrazione.
Avevo bisogno
di fare a pugni come quando, da ragazzini, si cerca la rissa con i
fratelli o con gli amici del cortile: non esisteva una ragione
plausibile, ma solo un pretesto per sfogare una rabbia repressa, una
voglia impellente di colpire, ferire … essere colpito e
ferito per esternare, finalmente, un dolore che non può
più essere contenuto nel limitato e fragile involucro di un
corpo di carne e sangue.
Le eventuali
complicazioni si moltiplicavano nella mia mente e nelle tempie si
stavano concretizzando idee che temevo non si potessero concretizzare,
ipotesi di fallimenti devastanti.
Una sola idea
era chiara e inconfutabile: avrei salvato Elena, ancora e per sempre, e
poi avrei sciolto gli incubi nell’acido della vendetta.
7
novembre, mattina
Seduta
sul sedile accanto a me, Cinthia teneva le gambe rannicchiate e la
fronte appoggiata al finestrino. Ci stavamo dirigendo verso
l’aeroporto: non volevo trascorrere in automobile quattordici
ore all’andata e quattordici al ritorno tra Mystic Falls e
New Orleans. Non avevamo tutto quel tempo e non volevo comunque
sprecarlo in macchina. Con l’aria assente di chi è
costretto a fare qualcosa di noioso, lei ascoltava la musica che usciva
dalle casse della Camaro con fastidio.
Se non fosse
stato per il diverso colore dei capelli, avrei potuto sovrapporre quel
momento a quello di molti anni prima, quando Elena ed io viaggiavamo
verso la Georgia, contro la sua volontà. La prima volta
insieme per più di cinque minuti. La prima volta che la vidi
veramente per quello che era: la ragazza di cui mi sarei innamorata.
Sua figlia
aveva un accenno del suo modo di atteggiarsi ma, mentre Elena era
sempre pronta a scavarti l‘anima con il suo sguardo
indagatore, Cinthia era una conchiglia chiusa, ignara della
varietà di animi che vagavano nel mondo.
Lei non aveva
con sé alcun documento: come sempre sarei dovuto ricorrere
alle mie doti di ammaliatore per farle passare il check in.
-Elena
risentirà della tua partenza? – le avevo chiesto
prima di partire.
-Non
è quel tipo di legame – mi spiegò.
– le non si accorgerà nemmeno che siamo partiti, e
nemmeno mio padre, se non ci verrà a cercare. –
- E se lo
facesse? – mi preoccupai.
-Probabilmente
torturerebbe mia madre per costringerci a tornare. Credo
però che voglia farci friggere per un po’
… conoscendolo non si abbasserà a cercarci
finchè non temerà per il rito. –
concluse, scendendo dalla Camaro parcheggiata in un silos presso
l’aeroporto.
-Strano che non
si sia fatto vivo tuo fratello? –
-Credo che stia
studiando la situazione a casa … e che Klaus stia studiando
lui, o meglio la sua mente. Dovrò insegnargli qualche trucco
per evitare che gli legga nel pensiero, perlomeno quando è
cosciente … Le difese e i controlli saranno stati rinforzati
di sicuro. –
Entrammo in
aeroporto ed io mi recai immediatamente alla biglietteria.
A detta di
Cinthia, anche Klaus ed Elijah si erano recati spesso a New Orleans
nell’ultimo anno e la cosa mi incuriosiva, pur non
stupendomi: se si voleva trovare magia e occulto, quella era la
città perfetta.
Appoggiato al
desk, mi voltai per assicurarmi che Cinthia non si allontanasse troppo:
la vidi seduta sulle scomode poltroncine della zona d’attesa
che si guardava attorno attonita.
Non era la
prima volta che viaggiava, così mi aveva detto, ma sembrava
intimorita dalle persone che la circondavano, quasi soffrisse di
agorafobia, o di demofobia: le osservava con gli occhi sgranati di chi
teme un’aggressione o, più semplicemente, che
qualcuno possa rivolgerle la parola.
Una potente
strega intimorita da comuni mortali … la figlia
dell’ibrido più crudele e potente, schiacciata dal
timore di normali relazioni umane.
Era come una
prigioniera rimasta troppo lungo con il suo aguzzino, una reclusa
spaventata dagli spazi infiniti attorno a lei.
Nessuno
è nato solo per morire … nessuno deve essere solo
uno strumento per i piani altrui. Cinthia avrebbe dovuto conoscere la
vita prima di sacrificarla … avrebbe dovuto vivere, prima di
morire … non avrebbe dovuto morire affatto!
Un pensiero si
formulò, inaspettato nella mia mente: non avrei salvato solo
Elena … avrei salvato anche quella giovane strega
… a qualsiasi costo.
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Capitolo 20 *** Pausa ***
CAPITOLO 20
…
PAUSA …
7 novembre, notte.
Guidavo nella notte, mentre Cinthia giocava nervosa con i suoi capelli.
Il suo sguardo non riusciva a fermarsi su un punto fisso, non riusciva
a perdersi dietro al buio del parabrezza.
- Cosa ti tormenta? I nostri piccoli problemi quotidiani? Ancora la
storia della vergine? -
Lei non rispose. Mordendosi l'unghia del pollice, si voltò
verso il finestrino.
La strada era un nastro nero verso un mistero altrettanto nero, e la
luce di quel bar sembrava il miraggio di un mattino artificiale.
Arrivato di fronte al locale, sterzai di colpo e sistemai la Camaro nel
parcheggio pieno di auto sportive e Harley cromate.
Scesi dalla macchina e in un secondo fui dall'altra parte ad aprire lo
sportello alla piccola principessa triste.
- Scendi ... - la esortai.
- Vorrei andare a casa - rispose incrociando le braccia.
- Scendi, dai ... solo una birra ... avremo tutto il tempo per
tormentarci. -
Sbuffando scocciata, Cinthia appoggiò i piedi sull'asfalto e
si diresse spedita verso la porta del locale.
All'interno le luci più forti erano focalizzate sui tavoli
da bigliardo, mentre, tutto attorno, le lampade diffondevano una
luminosità più soffusa. La musica usciva stonata
da un vecchio juke boxe, che ancora non aveva scoperto l'avvento delle
nuove tecnologie. I biker facevano gruppo attorno al bancone, con i
loro giubbotti di pelle, uguali a quelli che ricordavo più
di trent'anni prima, mentre un gruppo di neo maggiorenni si sfidavano a
bere tequila.
La vita dei bar di periferia non era cambiata di molto da quando me ne
ero andato.
Giovani che si ubriacavano per sentirsi adulti, adulti che si
ubriacavano per sentirsi giovani ... ed io che avrei voluto ubriacarmi
per dimenticare quel dolore che continuava a graffiarmi la pelle come
sottili artigli di un gatto.
Cinthia fece una panoramica con lo sguardo, attonita e un po' schifata.
- Mai stata in un bar? - le domandai, appoggiandole una mano sulla
schiena per farle attraversare il locale.
Ci dirigemmo verso un tavolino rotondo, in un angolo isolato della sala.
- A Parigi era stata in un Buddha bar. In una stamberga come questa
mai: andiamocene!
Fece per voltarsi, ma con la mano la bloccai.
-Solo una birra ... per favore -
- Io non bevo alcolici! –
- Sarebbe anche ora che cominciassi: hai quasi vent'anni e potresti non
raggiungere i ventuno … -
- Non é una questione di età: non mi piacciono
gli alcolici. -
- Sentila la piccola moralista - le urlai nelle orecchie; la musica si
era alzata di qualche tono, per permettere a una coppia di ballare nel
piccolo spazio lasciato libero in mezzo al locale.
Lei si voltò fulminandomi con lo sguardo e con una piccola
scossa direttamente al cervello.
- Non è una questione di età o di moralismo:
semplicemente non mi piacciono gli alcolici e non mi piace l'idea di
stare male dopo un'ubriacatura. Mi é concesso il
diritto di avere dei gusti miei o mi devo omologare per forza alla
massa per sentirmi normale? Ah … se non te ne fossi accorto:
non sono normale! - gridò, facendomi sentire un'altra
scarica di energia dolorosa, dritta al centro del petto.
Ci sedemmo e una cameriera, vestita come una ragazzina del vecchio
west, venne a prendere le ordinazioni.
Birra e tè freddo.
-Non senti la mancanza di tutto questo? – le domandai.
- Di questo …? Sinceramente no. – disse, indicando
il bar pieno di gente brilla e sguaiata.
- E cosa ti manca, allora? Non ti manca l’avere degli amici
coetanei … un ragazzo di cui innamorarti … una
vita con un futuro … una madre che hai visto solo dormire?
–
Nominare Elena mi procurò una fitta al petto, molto
più dolorosa della scarica che Cinthia mi aveva inferto
qualche minuto prima.
-Come posso sentire la mancanza di ciò che non conosco,
desiderare qualcosa che non potrò mai avere? Domande
inutili, risposte senza senso, ipotesi irrealizzabili. Non posso
permettermi angosce che non hanno uno sbocco, problemi che non posso
risolvere. –
Cinthia sapeva come mettere drasticamente fine a una conversazione.
La cameriera portò la birra e il tè che avevamo
ordinato.
Cinthia afferrò il bicchiere e cominciò a
sorseggiare distrattamente la sua bevanda. Si sistemò sulla
sedia scomoda, allungando le gambe oltre il tavolino, e
ricominciò a guardarsi intorno annoiata.
Era come osservare un istrice chiuso nei suoi aculei.
Distolsi lo sguardo da lei per posarli sui clienti del bar,
sorseggiando la birra un po’ troppo fredda.
Ricordavo un tempo lontano in cui la mia vita si svolgeva tra bar e
donne … tra sangue e divertimento allo stato puro e, con
sorpresa, mi accorsi che non provavo nessuna nostalgia.
Avevo saggiato la felicità, e quel surrogato non mi attirava
più.
Nulla mi sembrava attraente se non avevo Elena accanto per condividerlo.
Quella gioia fittizia mi sembrava noiosa: forse, davvero non si
può essere giovani per sempre!
La birra prese un sapore acido.
Ero entrato il quel bar per prendere fiato, un’ultima boccata
d’ossigeno prima di affondare di nuovo, ma in gola bruciava
il sapore acre di quell’aria viziata.
-Che senso ha tutto questo? – sussurrò Cinthia.
- Che cosa vorresti dire?
- Perché siamo entrati qui? – il suo scetticismo
era evidente.
- Per prenderci una breve pausa … per respirare prima di
tornare in apnea. -
- A cosa serve riprendere fiato, se tanto siamo destinati ad affogare?
– affermò con un cinismo rassegnato.
Mi resi conto che non aveva tutti i torti: se dovevo affogare, sarebbe
stato assurdo prolungare l’agonia, se dovevo nuotare, in quel
posto non avrei certo trovato bombole d’ossigeno.
Le sue riflessioni erano un misto di amaro scetticismo e velata
malinconia.
Quella che, a pelle, poteva sembrare arroganza, non era altro che
rassegnazione e rifiuto di provare qualcosa solo per averne nostalgia,
per perderlo da lì a qualche giorno.
Eppure mi pareva inaccettabile che lei non provasse il sapore di una
serata di puro e illogico divertimento.
- Riesci, ogni tanto, a smettere di pensare?- le chiesi.
Lei mi porse uno dei suoi sguardi taglienti che stavo imparando a
riconoscere.
Niente da fare: non riusciva proprio a prendersi una pausa da se stessa.
Un bellimbusto, con un giubbotto nero, la pelle tatuata e l'alito che
puzzava di tequila, si avvicinò a Cinthia, ignorando la mia
presenza.
- Ehi biondina, cosa ne dici di dire ciao a questo manichino e venire a
ballare con me? –
Il sorriso era ebete e le gambe instabili.
Lei lo guardò, senza nascondere un'espressione schifata.
Scosse appena la testa e lo ignorò.
Che cosa voleva quella bestia da Cinthia?
L'istinto di protezione mi fece tendere i muscoli: ero pronto a
scattare per spezzare il collo a quel troglodita, se solo avesse osato
sfiorarla.
Fui pervaso da un sentimento nuovo, diverso dalla gelosia; un istinto
che mi aveva permeato in passato quando Elena era in pericolo, quando
non potevo far altro che porre il mio corpo davanti a lei, come uno
scudo.
Non c'entrava l'amore ...
Andava oltre.
Era mettere la vita di qualcuno prima della propria.
Il ragazzetto si protese sul tavolino, facendo sobbalzare Cinthia che,
inavvertitamente, lasciò cadere il bicchiere.
Il liquido zuccherato andò a sporcare un pavimento
già sporco.
Non feci in tempo a scattare che tutto si fermò: le persone
nel locale s’immobilizzarono mentre l'aria fluttuava
evanescente.
Mi guardai attorno: tutti i presenti erano fissi come statue e il
ragazzo davanti a noi era sospeso a mezz'aria, come se una forza
invisibile lo stesse alzando a un metro dal pavimento.
Cinthia era concentrata sul bicchiere rotto.
-Cinthia, cosa succede? Perché ...?-
- Ho messo un attimo in pausa ... troppo casino ... troppo tutto.
Usciamo! -
Si alzò impettita e con il suo passo da culodritto si
diresse verso la porta.
Non appena varcammo la soglia, con un gesto annoiato liberò
il vincolo e tutto ricomincio come se nulla fosse accaduto; il giovane
biker crollo pesantemente sul pavimento, guardandosi attorno
attonito e stordito.
Raggiungemmo l’auto e vi salimmo in fretta, come per fuggire
da un incubo.
Quella che doveva essere una pausa divenne un’inutile perdita
di tempo.
Misi in moto ma, mentre stavo per inserire la marcia, la mano di
Cinthia mi bloccò, posandosi ferma sul mio braccio.
Il suo sguardo non era più assente, ma intensamente
concentrato.
- Damon ... la tua amica ha detto di sporcare il sangue. Pensavo
… il mio sangue, quello di Pheeb ... quello di mio padre
sono già un cocktail di generi diversi: tutti abbiamo ogni
tipo di DNA nelle vene: vampiro, licantropo, magia, doppelganger. Il
nostro sangue non é puro, come potremmo sporcarlo
ulteriormente? –
La guardai e fu come inciampare nell’ennesimo buco sulla
strada, nell’ennesima corda tesa dal destino.
Sbattei il palmo della mano libera sul volate e vi posai la fronte.
-L’unico sangue “puro” potrebbe essere
quello di mia madre … il collante, l’ingrediente
fondamentale per ogni incantesimo riguardante le varie specie.
–
Possibile che, ad ogni illusorio passo in avanti, non trovavo altro che
nuovi ostacoli o dubbi. Ogni nodo che si presentava da sciogliere
nascondeva altri fili ingarbugliati, prima ancora che il nodo stesso
fosse districato.
Mi liberai gentilmente della sua mano e inserii la marcia.
Era assolutamente inutile procrastinare, inutile cercare momentanee vie
di fuga.
Dovevo, volevo solo tornare a casa e mettermi a dipanare la matassa con
Cinthia, che rivelava, ogni momento di più, di avere una
mente lucida e analitica.
Mentre guidavo, le immagini ipotetiche di un rituale satanico si
srotolavano nella mia mente.
-Come avverrà il rito? Come? Pheeb come si
“impossesserà” di te? Come dovrebbe bere
il tuo sangue, il sangue di Klaus e di Elena?-
- Cassidy non ha mai “visto” il rito, e non
dimenticare che c’è sempre una vaga
possibilità che l’essere possa essere
io… cosa che tutti stiamo cercando di evitare …
mio padre vuole che sia Pheeb … e la profezia parla di Zeus
e non di Demetra.-
- Se lei non ha mai visto il rito, cosa farete? Cosa fareste?
–
- Shane ha fatto delle ricerche, e sia mio padre sia i miei zii hanno
interrogato molte streghe. C’è sempre la
possibilità che Cassidy abbia una visione
dell’ultimo momento.-
- Se ciò non avvenisse? –
- Caitlin ha localizzato il centro di alcune linee di flusso magnetico
… magico … potere allo stato puro che
attraversano il territorio di Mystic Falls. Ha trovato un punto in cui
tutte s’incrociano. –
- Dove? – domandai impaziente.
- Dove l’acqua incontra la terra e il vento alimenta il
fuoco. Una sorgente … un promontorio … il fuoco.
Caitlin e Bonnie hanno trovato un sito … una roccia sopra la
sorgente di un ruscello, dove stranamente soffia sempre il vento. La
roccia sembra un altare e la percezione di una concentrazione di
energia, che fluisce in modo straordinariamente intenso, è
innegabile. Sembra che in quel sito si siano spesso radunate antiche
streghe per attingere potere, per fare offerte … per
elevarsi oltre la condizione umana. –
- E come procederebbe il rito? – non veniva al dunque.
- L’idea era di versare il nostro sangue in una coppa, la
coppa che mia nonna usò per trasformare i suoi figli,
ritrovata da Shane nella grotta con i nomi dei miei zii,
inspiegabilmente riapparsa dopo le visioni della madre di Caitlin.
–
- E poi? Pheeb berrà? Berrete tutti? Che cazzo farete?
–
- Aspetteremo l’allineamento dei pianeti e che la magia
faccia il suo corso. Credo che in quel momento saremo guidati da forze
sovrannaturali: io sono una strega … Cassidy sarà
lì con noi e per questo Klaus vuole che ci sia anche la
mamma, non sabbiamo se basterà il suo sangue o se
servirà anche il suo sacrificio … non sappiamo
come la magia guiderà le nostre mani. Ci devono essere tutti
gli elementi: la magia farà il resto. –
- Complimenti per il piano infallibile! –
- Hai letto anche tu la profezia: dice il tempo e cosa
accadrà … ma non il come. Possiamo solo
immaginare, solo lasciarci guidare … o opporci. –
- Preferirei la seconda ipotesi! –
Poteva il tunnel essere ancora più buio?
Poteva il problema complicarsi ulteriormente?
Arrivati a casa, parcheggiali la macchia nel viale e scesi sbattendo la
portiera. Era notte fonda e sia io che Cinthia eravamo sfiniti.
-Finalmente siete tornati –
Mi bloccai all’istante, mettendomi sulla difensiva.
Mi bastò un attimo per riconoscere quella voce calma e
profonda.
-Elijah …? –
- Zio … ? –
- Tesoro … stai bene? Dove l’hai portata?
– il suo tono rivelava un’intensa preoccupazione.
- Avevamo bisogno di una vacanza … – ironizzai.
- Non fare lo spiritoso! Ti ha toccata? – domandò
alla nipote, i denti scoperti.
-NO! – rispondemmo in coro Cinthia ed io.
- Zio … pensi che potrebbe solo sfiorarmi se io non lo
volessi? Gli friggerei mani e cervello con un solo pensiero. –
I suoi discorsi da parente preoccupato mi davano sui nervi; cercai di
deviare il discorso su un argomento che mi stava molto più a
cuore.
-Come sta Elena? – tagliai corto.
- Sta bene, fisicamente … –
- Fisicamente …? –
Guardi Cinthia per avere conferma che a Elena non fosse accaduto nulla
di male.
Lei mi restituì lo sguardo, aprendo le braccia.
-Zio, come sta papà? … Pheeb? –
- Posso entrare? Non credo di poter sostenere una discussione civile
qui fuori. – disse Elijah con il suo solito aplomb.
-Mi credi così idiota da rompere il sigillo solo
perché tu possa parlare comodamente seduto in poltrona? Se
ha qualcosa da dire, fallo e basta! Qui e ora. –
Elijah mi fissò e per la prima volta, nel buio, i suoi occhi
tremarono.
Non avevo mai visto i suoi occhi tremare.
-Cinthia, se lo lascio entrare …? –
- Il sigillo si ripristinerà non appena uscirà.
– mi rassicurò.
- Non ho intenzione di trascinare qui i miei fratelli. –
disse serio.
- Che adesso sono …? – chiesi, mentre mi dirigevo
verso la porta.
- Klaus è a casa a studiare delle carte con Shane. Kol sta
intensificando la sorveglianza e organizzando la sicurezza per la sera
del rito. Io dovrei avere il compito di contrattare lo scambio. Damon,
non ho tempo da perdere, e nemmeno tu. Le speranze di uscire illesi da
questa follia sono minime. Dobbiamo parlare. –
La tensione nella voce dell’originario era palpabile.
Cosa stava per accadere?
Cosa stava per propormi?
La fedeltà di Elijah verso la sua famiglia, verso suo
fratello, era sempre stata inossidabile, ma qualcosa, nel suo
comportamento stranamente agitato, mi suggeriva che una crepa si stava
allargando in quell’anima severa.
Aprii la porta per far passare i due Michaelson. L’adrenalina
di quella visita inaspettata aveva spazzato via la stanchezza. Ne avrei
pagato il prezzo il giorno dopo, ma non importava.
Al passaggio di Cinthia le lampadine si accesero illuminando i nostri
passi fino al soggiorno.
-Mi dispiace, Elijah, ma posso offrirti solo del bourbon moooolto
invecchiato … o preferirci del tè? –
l’ironia spruzzava gocce di vetriolo nella stanza.
- Non sono qui per i convenevoli, Damon, né per sopportare
la tua stupidità: il momento è delicato e
decisivo per il destino di noi tutti. Siediti. –
Il suo tono da vecchio docente di storia m’irritava
parecchio, ma aveva ragione: dovevo scoprire cosa aveva da propormi,
quali motivazioni lo avevano messo contro il fratello.
-Non per sembrare un bambino capriccioso, ma preferisco stare in piedi.
–
L’idea di sedermi mi dava la sensazione di avere le formiche
nelle mutande.
-Elijah … - la voce di Cinthia s’inserì
con un sussurro tra il nostro battibecco. – Che cosa sta
combinando papà? Come ha reagito alla profezia? –
Appoggiai il gomito al camino spento e rimasi in attesa della risposta,
cercando di mantenere la calma.
-Ti rivuole a casa, Cinthia … io ti rivoglio a casa.
–
- Beh, è semplice: se lascia libera la mamma
… -
- Lasciami finire: la profezia … -
Incapace di fermare le parole, lo interruppi di nuovo:
-Cosa hanno detto le “vostre” streghe? Come pensano
di agire? – lo incalzai.
- Se mi lasciaste parlare, forse arriveremmo a una conclusione. Bonnie
non si pronuncia, ma credo che sia dell’idea che, una volta
che Klaus avrà riunito su di sé tutti i poteri,
diventerà vulnerabile. Caitlin vuole che al potere rimanga
Pheeb, per il sangue, per il potere curativo … altre streghe
… -
- Altre streghe …? Quali streghe? –
domandai stupito.
- Una strega che abbiamo consultato insieme a New Orleans propende per
la versione più favorevole a Klaus ovvero, se egli
assorbirà il tutto il potere diventerà
“IL” dio … e il desiderio di cui parla
la profezia sarebbe essere l’unico, avere un Olimpo
monoteista: ogni altra creatura gli sarebbe inferiore, i poteri di
tutti dipenderebbero dalla sua volontà. Controllo totale su
ogni essere vivente, umano e sovrannaturale. –
Questa interpretazione era coerente, ma sentivo che non era quella
esatta. Continuavo a propendere per la vulnerabilità
… a sperarci, forse.
-Tu cosa pensi? – chiese Cinthia, precedendomi.
- Io non amo formulare ipotesi senza avere elementi sufficienti. Sono
andato a Salem e mi sono messo in contatto alcune streghe collegate a
mia madre e alle antenate delle Bennet, il grande summit magico che, ne
sono convinto, sia il fautore di tutta questa storia, e … -
-E...? – le formiche si erano spostate dalle mutande alle mie
mani … nel mio stomaco.
- E non hanno voluto rispondermi. –
- Stronze! – grugnii.
- Spesso si può intuire molto più da una risposta
non data che da mille spiegazioni. Sono secoli che le streghe
vorrebbero riparare al danno fatto quando ci hanno creato. Sono secoli
che lanciano maledizioni e contro maledizioni per fermarci, usano
escamotage per eliminarci. Se non vogliono darci spiegazioni, la
spiegazione è una sola: la nostra estinzione … o
il controllo tramite Pheeb. Una possibilità di redenzione o
la certezza della nostra fine: tutti umani … tutti
eliminabili … tutti finiti nel giro di qualche decennio, se
non addirittura morti non appena Klaus muore. –
- Un’ecatombe … da qualunque parte la si guardi.
– conclusi.
- O lo status quo … - aggiunse Cinthia.
Elijah la guardò con lo sguardo stupito.
-Anche noi abbiamole nostre fonti … - sorrisi sarcastico.
Ignorando la mia frecciata, Elijah si avvicinò a Cinthia e
le afferrò le mani.
-Tesoro … Io non ho mai voluto sacrificarti, mai. La cosa
più difficile, da quando sei nata, è stato tener
nascosto a tuo padre il fatto che io non gli avrei mai permesso di
lasciati morire. Purtroppo, in tutti questi anni, non ho mai trovato il
modo … un piano sicuro per salvare te e tuo fratello. Klaus
non sospetta nulla: ho chiesto a una strega … a Medea
… di rendere la mia mente impenetrabile. Io mi accorgo
quando lui tenta di leggermi e posso ingannarlo, comunicargli pensieri
ad hoc. L’idea di dare il controllo a Pheeb era idilliaca, il
fatto che il suo sangue potesse controllare la nostra brama, potesse
controllare Klaus … era la soluzione perfetta …
ma non al prezzo della tua vita. –
La voce di Elijah era un misto di dolcezza e dolore. Amava sua nipote
… come non avrebbe potuto? Era la figlia che non avrebbe mai
potuto avere … la sua progenie … la sua famiglia.
-Ok … abbiamo aggiunto altri pezzi al puzzle, e
l’apocalisse è completa. Ora … come la
fermiamo? Perché sei qui? Che cosa volevi propormi?
–
- Dobbiamo prendere tempo, ancora non è chiaro come agire.
L’idea è di immobilizzare Klaus come aveva fatto
Bonnie, ma con tutta la magia che lo circonda sembra impossibile
… il vero problema è Klaus. Sembra aver
sviluppato un’aura attorno e nessuno gli si può
avvicinare senza che lui se ne accorga in anticipo e reagisca
prontamente. Nessuno sembra poterlo toccare da qualche tempo a questa
parte. Nessuno tranne …-
- Tranne me … - finì Cinthia.
Entrambi posammo lo sguardo su di lei.
Aveva la testa tra le mani e le spalle erano scosse da violenti
… silenziosi singhiozzi.
Chiusi gli occhi assorbendo quell’angoscia.
Se avessimo trovato il modo … Cinthia avrebbe avuto il
coraggio di fermare cuore del padre?
Sporcare il sangue sembrava ancora l’ipotesi più
realizzabile … se solo avessimo capito il sangue di chi
… e come.
Guardai Elijah.
-Eri venuto per proporre uno scambio, se non sbaglio. Bene: quando e
dove? –
- Domani mattina … davanti alla villa … alle
prime luci dell’alba. -
- Cinthia? – la richiamai.
Lei annuì.
-Riavrai la mamma … - sospirò.
- Ne sei sicura? – ero sinceramente preoccupato per lei.
- Troveremo il modo di uscirne. Zio, sei con noi? –
- Ti proteggerò ad ogni costo. – la
rassicurò.
- Va bene. Stravolgerò i piani di papà
… cercherò di capire come bloccare il rito
… come bloccare lui … come mantenere lo status
quo. Ricominciamo da capo. Rivediamo tutti i dati e cerchiamo una
soluzione al problema. Una volta per tutte. -
|
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Capitolo 21 *** Resistance ***
Premessa.
Nel capitolo precedente avevo inserito un grosso fail: il pugnale non
può fermare Klaus! Su di lui non funziona. Il capitolo
è stato modificato di conseguenza. Chiedo umilmente scusa
…
Capitolo 21
…RESISTANCE…
“If we live our life in fear
I’ll wait a
thousand years
Just to see you smile
again”
Muse
8 novembre
Alle prime luci
dell’alba camminavo con Cinthia verso Villa Michaelson.
Avevamo
trascorso buona parte della notte a sviscerare ogni elemento a nostra
disposizione, ogni possibile soluzione e ogni motivo di fallimento.
Elijah ci aveva
lasciati subito dopo mezzanotte, per non insospettire il fratello e per
non mettere a rischio Katherine. Prima di andarsene ci aveva assicurato
che avrebbe fatto tutto il possibile per fermare il piano del fratello,
anche se non era riuscito a nascondere lo scetticismo per quella
promessa.
L’unica
cosa certa, l’unico punto in cui erano confluite le poche,
flebili certezze, fu che la sola via di scampo fosse di impedire il
rito: bloccarlo, inficiarlo, renderlo inutile … in qualsiasi
modo.
Cinthia si era
rassegnata, non senza dolore, a fare il doppio gioco con il padre:
messi sul piatto della bilancia il “sogno” del
padre e le vite di tutti gli altri, l’evidente squilibrio
l’aveva convinta a fare la cosa giusta.
In ogni caso,
sia un’egemonia demoniaca di Klaus sia la sua
vulnerabilità, avrebbero messo a rischio la sopravvivenza di
molti esseri con cui lei era cresciuta, che lei amava.
Presa la
decisione, Cinthia si era messa a pensare nuovi e potenti incantesimi
di protezione.
Aveva
ricostruito per se stessa e per me un incantesimo come quello che
proteggeva la mente di Elijah: Klaus non avrebbe potuto leggere i
nostri pensieri, nemmeno mentre dormivamo o eravamo indeboliti; se ci
avesse provato, ce ne saremmo accorti e avremmo potuto ingannarlo.
-Perché
tutto adesso? Perché tanta fretta? – le avevo
chiesto, vedendola tanto indaffarata e ansiosa.
-Perché
qui posso agire. Per quanto io sia potente, là dentro ci
sono altre streghe, coesistono altri poteri: potrei non essere in grado
di agire … potrei essere scoperta. Loro non possono disfare
quello che faccio, ma potrebbero impedirmi di fare altro, ricattarmi,
minacciarmi …-
Benché
pallidi raggi di un sole freddo cominciassero a filtrare tra i rami, mi
sentivo indicibilmente oppresso dalla tenebrosa atmosfera che era scesa
tra me e Cinthia: sentivamo una grande responsabilità
… intuivamo di essere gli unici a poter fermare Klaus.
Man mano che ci
avvicinavamo al momento dell’incontro, la pelle mi si
accapponava: non ero mai stato un tipo impressionabile, eppure, per
quanto mi sembrasse assurdo e paranoico, percepivo intorno a me
l’agghiacciante aleggiare di misteriose presenze. Sentivo
onde di potere attraversare i confini della proprietà dei
Michaelson, una sorta di alone mistico. Dalla terra provenivano
vibrazioni così intense che persino le pietre sembravano
essere possedute da entità malefiche.
La percezione di
così tanta energia negativa, così tanta
ostilità, mi aveva colmato di un senso di afflizione che mi
faceva dolere il cuore: come avrei potuto combattere contro un muro di
magia? Come avrei potuto vincere avendo l’intera natura
contro?
Mi voltai per
guardare Cinthia e mi accorsi che anche lei era in preda
all’angoscia.
Nessuno di noi
due parlò, ma era chiaro che condividevamo le stesse
sensazioni, gli stessi dubbi, il medesimo timore.
Arrivammo ai
cancelli della villa. Lo spazio antistante era deserto; nessuno
sembrava essersi accorto del nostro arrivo.
-Damon ...?
– la voce di Cinthia era un sospiro.
Mi limitai a
guardarla: i suoi occhi erano fissi sulle inferiate che circondavano
quella che era stata casa sua … quella che sarebbe potuta
diventare la sua prigione … la sua tomba.
-Grazie, Damon
… - i suoi occhi si girarono verso i miei.
Ancora senza
parole, aggrottai le sopracciglia, muta domanda si spiegazioni.
-Grazie per
questi giorni … grazie per amare tanto la mamma …
per avermi mostrato che esiste un’altra vita … una
speranza nella disperazione … per essere lo stronzo che sei
… -
- Figurati
… - le risposi, piegando le labbra in un sorriso sghembo.
–Pronta? –
I suoi capelli
dorati ondeggiarono quando annuì.
Incapace di
controllare i miei movimenti, mi avvicinai a lei e, prendendole il
volto tra le mani, le posai un bacio lieve sulla fronte.
-Promettimi che,
se sopravvivremo a tutto questo, non cambierai di molto: sei una
ragazza speciale, Cinthia … -
-Se
sopravvivrò a tutto questo, mi porterai ad ubriacarmi? -
-Tua madre mi
ucciderebbe … -
-Mia madre
pagherebbe il primo giro … -
Con una carezza
leggera mi separai da lei per concentrarmi sulla porta da cui sarebbe
dovuto uscire Klaus … dalla quale sarebbe dovuta uscire
Elena.
Passarono solo
pochi istanti e la porta bianca si aprì lentamente.
Klaus
uscì per primo e si guardò intorno con
circospezione, cercando la nostra presenza oltre il cancello.
Cinthia fece per
esporsi alla vista del padre, ma la fermai: finchè non
avessi visto anche Elena, non mi sarei mostrato a lui.
-Damon
… - urlò l’ibrido. –Dove ti
sei nascosto? Esci vigliacco e restituiscimi mia figlia. –
La voce
innaturalmente amplificata di Cinthia rispose per me.
-Dov’è
la mamma? –
Klaus si
voltò e fece un cenno.
Dalla porta
uscì Pheeb, tenendo per mano Elena, seguito da Elijah.
Il volto di
Elena era pallido, più scavato di quanto mi ricordassi. La
sua mano era convulsamente stretta a quella del figlio, quasi fosse
l’ultimo appiglio prima di cadere in un burrone.
Cinthia ed io ci
scambiammo uno sguardo d’intesa, quindi uscimmo allo scoperto.
Vedendoci, il
quartetto scese le scale e si avvicinò al cancello, che si
stava aprendo lentamente.
Arrivammo a
pochi metri dall’entrata, quando Cinthia mi fermò.
-Il cerchio di
protezione è ancora attivo … non avvicinarti
oltre. – mi avvertì.
Klaus era fermo
all’interno, il suo solito ghigno stampato sul volto, che si
addolcì appena quando gli occhi si posarono sul volto della
figlia.
Senza
più alcuna ombra d’ironia si rivolse a me:
-Mi auguro per
te che tu non l’abbia sfiorata nemmeno col pensiero.
– ringhiò.
-Non capisco
perché mi prendiate tutti per un maniaco sessuale
… - risposi fingendomi offeso. – … e
visto che siamo in tema: spero che tu non abbia sfiorato Elena nemmeno
col pensiero … -
Ci misurammo in
silenzio per alcuni istanti, quasi che né io né
lui volessimo prendere l’iniziativa di superare il muro di
ostilità che si frapponeva tra noi. Nessuno rispose alle
accuse … nessuno diede una spiegazione
Trattenendo il
respiro, voltai lo sguardo verso Elena: occhiaie scure contornavano i
suoi occhi, più grandi sul viso scarno.
Guardandomi,
l’ombra di un sorriso apparve sulle sue labbra pallide,
sorriso che si allargò quando i suoi occhi incontrarono
quelli della figlia.
Le sue gambe
ebbero un attimo di cedimento e Pheeb fu pronto a sostenerla.
“Sta
bene … è solo debole: non è riuscita a
mangiare molto” mi rassicurò Pheeb, rispondendo
alla mia evidente preoccupazione.
-Pheeb, non
esagerare … - lo riprese Klaus.
“Sa
quando sto comunicando con qualcuno … poi
controllerà quello che ti ho detto … -
Bastardo.
Il sole
disegnava una linea sul pavimento del cortile, cadendo sui capelli di
Elena e facendoli scintillare di caldi riflessi ramati.
La voce aspra di
Klaus mi fece riprendere dalla mia contemplazione.
-Dovrei cavarti
gli occhi per come guardi mia moglie … la madre dei miei
figli … ma farò finta di nulla. Lascia andare mia
figlia e ti restituirò colei che credi tua. Ma lei
dovrà essere presente la notte del rito. Questa condizione
non è discutibile. È l’ultima
concessione che ti faccio, poi dovrai e potrai solo ubbidire!
–
-Apri i cancelli
e lascia uscire Elena … - non volevo altro … non
volevo discutere di altro, in quel momento.
Cinthia era
immobile, in attesa.
Improvvisamente
i cancelli si aprirono senza un cigolio, spezzando quel raggio che
annunciava il giorno imminente.
Klaus
afferrò bruscamente Elena per una spalla, strappandola dalla
presa di Pheeb, e la avvicinò a sé. Senza
togliermi gli occhi di dosso, avvicinò le labbra ai suoi
capelli, all’altezza dell’orecchio.
-Vai,
mogliettina fedifraga … ci vediamo tra un paio di giorni:
cerca di non mancare. Sai cosa potrebbe accadere … sai cosa
potrei fare … -
Vederlo
atteggiarsi a despota con Elena mi fece ribollire il sangue.
Cinthia si stava
massaggiando la spalla, proprio nello stesso punto in cui Klaus
stingeva Elena: le stava facendo male!
Un velo rosso di
rabbia calò sui miei occhi, ma cercai di trattenere la mia
furia: non avrei permesso a me stesso di mandare a puttane lo scambio.
Imprecai
mentalmente contro quel sadico che stava infierendo contro Elena e
contro sua figlia. Mi costrinsi a distogliere gli occhi dal suo sorriso
sarcastico.
Con una spinta
poco meno che brutale, Klaus spinse via Elena.
Non appena lei
fece i primi, deboli passi verso di me, vidi Cinthia muoversi in modo
speculare.
Le due donne si
muovevano in sincronia e più Elena si avvicinava,
più Cinthia si allontanava da me.
Giunte al
cancello, una di fronte all’altra, Elena si fermò
a fissare il volto della figlia. Le loro mani si allungarono per
raggiungersi, le dita s’intrecciarono, finchè
entrambe non si avvolsero in un abbraccio.
Rimasero legate
per qualche secondo, il tempo di sentire l’una
l’amore dell’altra fino a quando, improvvisamente,
sia madre che figlia si accasciarono sul terreno, in preda ad un
terribile mal di testa.
-Non pensare di
non rispettare l’accordo Elena … non pensare di
potermi sfuggire. Non c’è solo la tua vita in
gioco … lo sai! –
Rialzandosi a
fatica, Cinthia si allontanò da Elena e
oltrepassò il confine della villa. Quando fu nel cortile, si
voltò, guardandomi di sottecchi e, con un sorriso stanco, mi
regalò il cenno di un saluto.
Giunta davanti
al padre si limitò a guardarlo solo per un attimo, poi con
lo sguardo cercò il fratello; Pheeb si era allontanato a
causa della loro condanna a non poter star troppo vicini, ma dalla
finestra del piano di sopra le stava mandando il più dolce
dei sorrisi. Assistetti alla scena con la coda dell’occhio,
perché la mia attenzione era tutta per la donna che stata
barcollando verso di me.
Feci un passo
verso di lei e la afferrai proprio mentre stava per scivolare a terra.
Era esausta e affranta.
-Cosa ti ha
fatto, Elena? Che cosa ha osato farti? – chiesi, rimanendo in
ginocchio sulla terra umida e sostenendole la testa con il mio braccio,
accarezzandole il volto stanco con la mano libera.
-Portami a casa
Damon … voglio solo andare a casa … con te.
– disse in un sussurro.
Delicatamente la
presi tra le braccia e, prima di allontanarmi, voltai lo sguardo verso
il cortile della villa alle mie spalle ormai vuoto. Solo
l’eco di una voce s’insinuò tra i miei
pensieri.
“Guarda
nella tasca di Elena …”
“Perché?”
domandai ansioso.
“Non
mi ricordo … non lo so … perché
cosa?”
Il messaggio era
strano, ma intuii che Elijah stava probabilmente costringendo Pheeb a
dimenticare quello che mi aveva detto, in modo che Klaus non potesse
accorgesi del messaggio.
Sentii la testa
di Elena diventare pesante e cadere oltre il mio braccio: la stanchezza
e la sofferenza le avevano tolto le forze ed era svenuta.
La strinsi
maledicendo quel posto, maledicendo Klaus, e volai via.
Entrai in casa,
mentre Elena riprendeva lentamente i sensi.
-Damon
… -
-Siamo a casa,
Elena. –
Appena dentro,
mi diressi direttamente verso la mia camera … la nostra
camera … e adagiai Elena sul letto.
Mi sedetti
accanto a lei e la guardai.
-Come ti senti?
– le domandai, anche se si vedeva benissimo che era stravolta.
-Sono distrutta
… sfiancata. Damon: Klaus è folle …
Klaus li ha imprigionati tutti: vuole ucciderli tutti! –
-Shh
… mi racconterai tutto dopo … adesso devi
riprenderti, mangiare qualcosa … -
-Da quando ci
siamo separati, non riesco a deglutire nulla … -
-Vedo
… in questi pochi giorni sei quasi deperita … -
-Sono sazia
d’angoscia: la data del rito si avvicina e, in un modo o in
un altro, qualcuno che amo dovrà morire! –
-E’
vero, ma non ora … non adesso … e tu non morirai
certo di stenti. Non ti reggi quasi in piedi! –
-Come posso
mangiare? Come posso solo pensare di … -
-Ora sei qui con
me … penso io a te. Oggi non potremo risolvere nulla. Adesso
ti faccio un bagno, poi scendiamo a mangiare qualcosa: tua figlia deve
aver fatto provviste con il suo bancomat magico, e sono sicuro che
riuscirai a bere una tazza di tè con qualche biscotto
… per cominciare. –
- Ma
… Damon … -
-Qui e ora,
Elena … poi mi racconterai tutto … poi penseremo
a tutto. Adesso tu rimani qui sul letto … io vado a
prepararti la vasca. –
Elena
appoggiò rassegnata la testa sul cuscino e gli occhi le si
chiusero ancora una volta: da quanto tempo non dormiva? Da quanto tempo
non mangiava?
Le appoggiai una
coperta sulle spalle e mi diressi verso il bagno.
Aprii i
rubinetti e foci scorrere l’acqua calda, versando un
po’ del mio bagnoschiuma nella vasca.
Il profumo di
sandalo si diffuse per tutto il bagno.
Cercai delle
vecchie candele e le accesi, ponendole ai bordi della vasca e sulle
mensole del bagno.
Scesi in cantina
velocemente e cercai una bottiglia di vino rosso, per tentare di
riscaldare il sangue di Elena.
Trovai una
vecchia bottiglia di Sassicaia che non aspettava altro di essere
aperta: afferrai due bicchieri in cucina e un decanter, per far
respirare un vino vecchio di oltre trent’anni.
Tornai in
camera: Elena era ancora appisolata.
Entrai in bagno
e vidi che la vasca era piena di schiuma; il vapore aveva appannato gli
specchi e l’ambiente si era fatto caldo …
avvolgente.
Appoggiai i
bicchieri e il decanter sulla mensola accanto al lavandino poi aprii la
bottiglia con un colpo secco al collo, facendo attenzione di non
spargere schegge di vetro sul pavimento. Versai il liquido color rubino
per farlo respirate, anche se l’ambiente umido non era
ottimale.
Tornai di sotto
e aprii il frigorifero: c’era del formaggio e trovai dei
cracker nella dispensa. Cinthia aveva provveduto proprio a tutto:
probabilmente aveva pensato a rifornire la cucina la mattina stessa,
certa che la madre avrebbe avuto bisogno di cibo. Che avesse percepito
la sua fame, la sua debolezza?
Preparai un
piatto e ritornai di sopra, appoggiando il tutto accanto al vino.
Sollevai Elena
dal letto e la spogliai mentre ancora sonnecchiava.
-Damon
… -
-Tranquilla, non
abuserò di te in questo stato: voglio solo immergerti nella
vasca e non credo ti servano i vestiti. -
Lei
abbozzò un sorriso e si lasciò spogliare.
Vederla tanto
debole mi faceva stringere il cuore di tenerezza e di rabbia.
Come poteva
ridursi così?
Come aveva
potuto ridurla così?
La vista del suo
corpo nudo mi suscitò un languore ben noto, subito
ammortizzato da un’urgenza diversa: la immersi nella schiuma
soffice e lasciai che l’acqua svolgesse il suo compito.
Mi accostai per
accertarmi che non svenisse.
Il viso si stava
rilassando e la tensione si scioglieva al calore del bagno.
Presi un
bicchiere e vi versai un goccio di vino, e facendolo roteare ne annusai
l’aroma. Gli anni non lo avevano ridotto in aceto. Accostai
le labbra al vetro e ne assaggiai il contenuto: il Sassicaia mi
regalò un’alchimia unica di sapori che mi
riportarono all’Italia, al suo sole … alle sue
colline dolci e al profumo del mare. Riconobbi i boschi della Toscana,
l’asprezza della macchia, il sale del Mediterraneo. Elena
doveva vedere lo splendore della terra dei miei antenati …
Elena doveva vivere abbastanza da conoscere il calore di quel popolo, i
sapori di quella terra … i colori di quel mare.
Riempii entrambi
i bicchieri, presi il piatto e, togliendomi pantaloni e camicia,
m’infilai nella vasca alle spalle di Elena, la sua schiena
appoggiata al mio petto.
Cibo e vino
erano appoggiati ai piedi della vasca.
Afferrai il
sapone liquido ne versai un po’ sulle mani, creando nuova
schiuma.
Passai le mie
dita sulle spalle di Elena, per scioglierne la tensione, massaggiandole
il collo e scendendo lungo le braccia.
Sentivo il suo
corpo rilassarsi contro il mio, mentre i miei palmi scendevano sul suo
petto, sul suo ventre.
Non avrei fatto
l’amore con lei, non finchè non si fosse ripresa.
Esploravo la sua
pelle, la accarezzavo con dolcezza, cercando di lavar via i cattivi
pensieri, le angosce, il dolore.
La feci
scivolare un po’ più in basso, in modo che potesse
immergere la testa nell’acqua: i suoi capelli mi
accarezzarono il petto, sfiorando le corde più profonde dei
miei sensi.
Presi lo shampoo
e cominciai a lavarle la testa.
Accudirla mi
faceva sentire più uomo che possederla: avere i suoi capelli
tra le dita, percepire il suo abbandono, la sua fiducia mi
esaltava … mi rendeva importante.
Continuai a
massaggiarle la testa con movimenti delicati, lenti e profondi: volevo
che si sentisse protetta … che si sentisse al sicuro.
Lei mosse appena
il capo per incontrare i miei movimenti … e gemette di un
piacere lento.
-Ti senti
meglio? – le sussurrai.
-Sì,
meglio … non smettere … non smettere di
coccolarmi … non smettere di amarmi. –
Mi chinai per
sfiorarle il collo con un bacio leggero.
Sentendola
più tranquilla, mi permisi di giocare con i suoi capelli
insaponati, componendoli in forme strane.
Allungai la mano
per afferrare il doccino; regolai l’acqua e le staccai
la sua schiena dal mio petto.
-Reclina la
testa all’indietro. – le ordinai.
Lei si lasciava
fare … si lasciava guidare … e mentre
l’acqua faceva scivolare via la schiuma, lavava via, come una
cascata sulle rocce, anche le nostre preoccupazioni.
Allungai una
mano verso un telo di spugna che avevo lasciato accanto alla vasca e le
avvolsi i capelli.
Lei si
appoggiò ancora contro di me, mentre prendevo il vino e un
pezzo di formaggio.
-Lasciati
imboccare … -
Lei sorrise e
voltò appena la testa per afferrare il cibo dalle mie dita.
-Buono
… - disse, gustando la morbida consistenza del boccone.
Bevvi un sorso
di quel vino delizioso e porsi lo stesso bicchiere alla sua bocca.
Lei si
alzò appena per poter sorseggiare quell’inebriante
bevanda; le gote le si colorarono di un pallido rosa e gli occhi le si
accesero di nuova vitalità.
Riecco Elena
… riecco la mia Elena.
Uscimmo dal
bagno avvolti nei nostri accappatoi.
Elena aveva
ritrovato un po’delle sue forze ed io un po’ della
mia lucidità.
-Scendo ad
accendere il camino … - le dissi accarezzandole una guancia.
Lei si
chinò a raccogliere i suoi vestiti per posarli sulla sedia
di fronte al letto; un biglietto cadde silenziosamente sul pavimento di
noce antica: il messaggio di cui parlava Pheeb.
Elena lo
raccolse stupita e mi guardò.
-In effetti,
Pheeb mi ha detto di guardare nelle tue tasche … ma aspetta,
lo leggeremo di sotto. Vuoi vestirti mentre scaldo la sala? –
Il suo sorriso
si tramutò in una smorfia di preoccupazione: i problemi non
si erano sciolti col vapore … avevano solo aspettato fuori,
per assalirci non appena fossimo tornati.
La guardai
attendendo un altro crollo nervoso, ma nei suoi occhi trovai una forza
che prima non c’era.
Senza parlare,
lei mi si avvicinò e mi prese la mano per condurmi fuori
dalla porta.
-Tranquillo,
Damon … era solo debolezza. Sono pronta. Scendiamo e
affrontiamo insieme questo ennesimo enigma …
l’ennesima battaglia … insieme … questa
volta insieme. –
Scendemmo le
scale senza fretta, scalzi.
Mentre Elena si
sedeva sul tappeto del soggiorno, io mi avvicinai al camino. Qualche
giorno prima avevo ritrovato qualche vecchio pezzo di legna nella
legnaia. Non avevo mai voluto trasformare il vecchio focolare in un
asettico fornello a gas: mi piaceva il profumo della corteccia mentre
arde, lo scoppiettare della resina che lancia contro la cappa piccole
faville incandescenti.
Il calore delle
fiamme, sulla pelle, dentro gli occhi, è ineguagliabile:
potrei rimanere a guardarlo ipnotizzato per ore.
Il fuoco
è mio nemico … ma non riesco a non amarlo.
Appena la legna
attecchì, tornai accanto ad Elena e le strinsi
l’accappatoio intorno alle spalle.
-Aspetta
… - le sussurrai.
Tornai di sopra
a recuperare il vino, e lo appoggiai sul tavolino di fronte a noi, mi
sedetti, togliendo il pezzo di carta che stingeva convulsamente tra le
dita.
Il messaggio,
indubbiamente scritto da Elijah, cominciava senza preamboli:
“Damon, la situazione
è questa: ci sono degli ostaggi … chiedi ad Elena
spiegazioni al riguardo. Bonnie chiederà l’aiuto
di Cinthia per ripetere lo stesso incantesimo che aveva tentato
venticinque anni fa, questa volta senza trucchetti. Il problema
è che nessuno può avvicinare mio fratello
… spero che continui a fidarsi di Cinthia e che lei sia
convinta di volerlo fermare. Pheeb si è offerto di essere la
vittima che permetterà a Bonnie di compiere
l’incantesimo, convinto che con il sangue della sorella
potrebbe tornare in vita subito dopo. Potrebbe essere una soluzione, ma
non siamo sicuri che funzioni … per ora gli ho fatto
dimenticare tutto. L’altra vittima potrebbe essere Elena. In
questo caso dovresti essere tu a donarle parte del tuo sangue in modo
che possa poi tornare vampira: parlane con lei e poi decidete
… l’ultima alternativa, suggeritami da una strega
di Salem, sarebbe quella di sacrificare un vampiro
… tu, nello specifico. Il problema è che,
perché l’equilibrio sia ristabilito, occorre che
il cuore di un vampiro sia letteralmente strappato dal suo petto
… non basta che si fermi definitivamente. Il che significa
che tu non avresti alcuna possibilità di ritornare in vita.
Quindi bisogna decidere a chi fermare il cuore … e
in fretta: non ci resta molto tempo e Bonnie ha paura di essere
scoperta da Caitlin, che continua ad essere fedele a Klaus. Qui io
posso contare solo su Bonnie e Pheeb … spero anche su
Cinthia: Kol non tradirebbe mai nostro fratello e Stefan è
tra i prigionieri, quindi Reb non può essere coinvolta.
Shane è stato imprigionato anch’egli, giusto per
non far cambiare idea a Caitlin e a Cassidy … rimanete solo
tu ed Elena … Fammi sapere cosa decidete: domani mattina
lascia un biglietto all’entrata del tunnel segreto, dietro i
cespugli … poi farò in modo di mettermi in
contatto. Sto lavorando anche sulla faccenda del “sangue
sporco”, ma aspetto Cinthia per capire meglio. Decidete in
fretta. E.M.”
Appallottolai il
foglio di carta con un moto di stizza.
Elena fissava il
fuoco, col volto bloccato in un’espressione glaciale.
-Elena
… -
-Klaus mi ha
portato in quella stanza … mi ha portata a vedere i
prigionieri … gli ostaggi. Sono tutti immobilizzati come
statue, muti … ma vigili. –
-Dobbiamo
liberarli … Alaric, Stefan, potrebbero aiutarci a bloccare
Klaus prima rito. Pheeb potrebbe farmi entrare, … -
-Se un ostaggio
viene liberato senza che l’incantesimo di Caitlin venga
rimosso, incenerisce. Dei raggi di sole, veri di giorno, magici di
notte, attraversano la camera come le linee di tanti laser, simili
quelle che si vedono nei film a protezione di preziosi gioielli. Se un
ostaggio è liberato, viene automaticamente incenerito.
Nessuno porta un gioiello diurno … nessuno può
uscire … nessuno può essere liberato: Stefan,
Alaric. Caroline … sono tutti in grave pericolo, e molti di
loro sono anche molto affamati … e lui li ucciderebbe
all’istante, uno alla volta, se scoprisse che lo stiamo per
tradire …-
-Jeremy?... Lui
non è un vampiro … -
- Il calore di
quei raggi lo ustionerebbe … non sopravvivrebbe comunque.-
Costernato dal
racconto di Elena, non proferii parola per qualche minuto: se avessi
aperto bocca, avrei cominciato ad urlare improperi verso
quell’essere tanto spregevole che osava tenere in ostaggio
tutti le persone ad Elena più care, attuando un ricatto
morale più crudele di ogni tortura.
-Rimanere in
quella casa era una vera angoscia – proseguì
Elena. – Vedere l’arroganza di Klaus e la sua
mancanza di ogni pietà era allucinante. Purtroppo adesso
è estremamente diffidente, non si fida di nessuno dopo aver
scoperto che qualcuno tramava per far saltare il rito. Ha preso una
marea di precauzioni e non si lascia avvicinare da nessuno. Pheeb
è un sorvegliato speciale, Kol è
l’unico che non ha destato sospetti, mentre nutre qualche
dubbio su Elijah, anche se non ha prove concrete contro di lui. Ma gli
altri … noi … siamo tutti sotto scacco. Siamo
tutti prigionieri della sua follia. In quella casa si respira solo
rassegnazione per una sopraffazione che sembra impossibile da
combattere. Klaus dispone e comanda i suoi
“sudditi” come fossero una muta di cani: sono tutti
alla catena, tutti alla sua mercé … e sembra
davvero che nessun aiuto esterno potrebbe cambiare lo stato delle cose
senza rischiare la vita o l’incolumità degli
ostaggi. -
-Elena
… - L’angoscia delle sue parole mi commosse nel
profondo: per quanto avessi accanto l’unico essere di cui
m’importava, non potevo non pensare che dentro quelle mura
maledette ci fosse anche mio fratello … i suoi figli
… suo fratello … e tante altre persone la cui
perdita avrebbe significato la distruzione di Elena, il suo crollo
nervoso … la sua morte.
-Pensi davvero
che avrebbe il coraggio di eliminarli tutti? Ricominciare da capo a
ricostruirsi una reggia, una corte di seguaci? Credi davvero che Elijah
non abbia speranze? Bonnie? Pheeb e Cinthia … dovresti
vedere quanto potere ha tua figlia … e sono certo che ora lo
userebbe per salvare la sua famiglia, suo fratello … te.
–
- Klaus
è un raffinato tormentatore … un pazzo empatico:
sa, dove colpire, dove assestare la stoccata fatale. Se non fosse stato
per la convinzione che ti avrei rivisto … che avresti fatto
di tutto per me, per i miei figli, non mi sarei mai riscossa
dall’apatia che mi stava sommergendo, da un abbattimento che
mi avrebbe uccisa, forse ancor prima che ciò possa avvenire
per mano di Klaus stesso. –
-Non lo
permetterò … non lo permetterò mai!
– le sussurrai tra i capelli ancora umidi.
Elena
abbandonò la sua testa sulla mia spalla, con un sospiro
rassegnato.
-Resisteremo,
Elena … faremo di tutto per resistere, perche non accada
nulla di grave a nessuno … -
-Come?
–
-Elijah
è con noi, Pheeb anche … Bonnie e Cinthia
romperanno gli incantesimi … un modo lo troveremo
-Damon
… -
-Ripetilo ancora
… per favore … -
-Cosa?
–
-Ripetilo
… il mio nome … -
Sentii il suo
respiro fermarsi per un breve istante, poi i suoi polmoni si
svuotarono, espirando il mio nome:
-Damon
… -
Chiusi gli occhi
e capii che in quel momento non potevamo che dimenticare tutto: il mio
nome assumeva un significato ben preciso tra le sue labbra. Ero,
perché lei mi chiamava, esistevo perché lei mi
amava.
L’amai
fin dal primo, breve incontro … mi innamoravo di lei ad ogni
sguardo timido da ragazzina … ad ogni battibecco
… ad ogni bacio di donna che mi regalava.
E, anche in quel
momento disperato, mi stavo innamorando ancora di lei …
totalmente … perdutamente!
La guardai come
se fosse la prima volta … come se fosse l’ultima.
I suoi capelli
dai mille toni caldi, la curva dolce del suo viso,
l’intensità del suo sguardo, i battiti del suo
cuore e la sua bocca … così vicina che mi sarebbe
bastato un sussurro per sfiorarla.
Mi spostai per
poterle afferrare il volto tra le mani: la voglia di baciarla
cancellò ogni pensiero … il bisogno di toccarla
era più disperato della disperazione che ci stava divorando.
Elena non oppose
resistenza: i suoi occhi si chiusero mentre si abbandonava contro di me
con estrema naturalezza, poi sollevò il mento offrendomi la
morbidezza delle sue labbra.
-Elena
… tu non sai quello che riesci a farmi … -
mormorai, mentre le mie mani cercavano la sua pelle.
-Esattamente
quello che tu fai a me … - rispose con un sorriso tirato ma
pieno di aspettative.
-Il mondo
potrebbe infrangersi ai miei piedi … e non mi importerebbe
… solo tu importi … solo tu esisti …
solo tu. –
Come potevo
pensare di fare l’amore con lei, quando erano a rischio la
vita di amici, fratelli …? Come potevo abbandonarmi alla
passione, quando dovevo pensare a come salvarli, a come salvare Elena
stessa?
In
quell’istante sarei dovuto balzare in piedi e allontanarmi da
lei, sedermi ad un tavolo ed elaborare un piano … ma si
può pretendere razionalità da un uomo che aveva
smesso di ragionare, inebriato dal profumo del respiro della sua donna?
Desideravo
quella donna come se non esistesse altro per cui valesse la pena vivere
… desideravo quel corpo come se da esso dipendesse la mia
esistenza.
Ed era
così!
Mi aggrappai
alle sue labbra e lei rispose audace al mio bacio: e non esistemmo che
noi due … due esseri senza passato o futuro, immemori di
tutto e di tutti. Eravamo passati, nel tempo di un respiro, da un
abisso di desolazione a uno stato di estasi assoluta.
In quella palude
di odio, in quel pantano di ansia e rabbia, lei era il ramo teso verso
la salvezza … verso la speranza … verso
l’oblio, perlomeno.
Volevo baciarla
fino a farla impazzire di desiderio …
Volevo
esplorarla, fino a farla urlare di passione …
Volevo fare
l’amore con lei, fino alla fine dei giorni … fino
all’ultimo respiro.
Elena fu scossa
da un gemito ... un gemito di piacere che mi trafisse le viscere,
inequivocabile segnale di un desiderio altrettanto spasmodico,
altrettanto devastante.
Mi staccai da
lei solo per leggere sul suo viso tutta quella gamma di emozioni che
portano ad un solo, immenso sentimento.
Tremavamo
… e non di freddo.
Tremavamo
… per l’urgenza di appartenerci.
Tremavamo
… perché non potevamo rimanere separati oltre.
La strinsi per
placarla … per placarmi …
Con brevi,
sublimi gesti, ci liberammo di tutto quello che non ci serviva e ci
sdraiammo sul tappeto.
Ricominciai a
baciarla … e lei rispondeva, spontanea e disinibita, dolce e
frenetica.
Fui io a gemere,
questa volta … fui io ad impazzire sul suo petto
… ad esaltarmi nel vedere sul suo volto acceso da una
passione che io avevo scatenato, che apparteneva solo a me.
Affondai in lei,
anima e corpo … fino al limite … altre tutti i
limiti … per la vita.
Per quel che
restava del giorno, forse l’unica vita che ci rimaneva.
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Capitolo 22 *** Uprising ***
CAPITOLO
22
…
UPRISING…
…We should
never be afraid to die.
Muse.
9
novembre
Dormimmo,
quella
notte.
Dormimmo
nudi e
abbracciati, con le unghie infilzate nella pelle per non lasciarci
andare, per
non scivolarci via.
Mi
sentivo un uomo
nuovo, trasformato profondamente dall'amore e mi crogiolavo in un
bozzolo che m’illudevo
inviolabile, cercando di non farmi toccare dalle preoccupazioni. Come
Romeo,
non volevo riaprire gli occhi, non volevo ascoltare il canto
dell’allodola,
“messaggera del mattino”.
Ero
permeato dal
calore del suo corpo: la sua vicinanza era una tale consolazione che
potevo
dimenticare ogni istante passato in solitudine.
Il
distacco forzato
di quei giorni mi aveva riportato alla mente il periodo infernale
passato in
giro per il mondo, senza l’illusione di essere amato.
Dormimmo,
quella
notte.
Dormimmo
per non
sentire la precarietà del domani, la stessa
precarietà che ci aveva spinti a
cogliere ogni attimo concessoci per poterci amare.
La
nostra
sopravvivenza era in bilico su un filo sottilissimo che oscillava
pericolosamente, nelle mani tremanti di tre vecchiette petulanti.
Senza
svegliarsi, Elena
si voltò, appoggiando la schiena al mio torace, in posizione
fetale, ancora
profondamente addormentata.
Avvolsi
le mie
braccia attorno al suo petto, assumendo la sua stessa posizione,
aderendo a lei
come una seconda pelle.
Il mio
corpo trovò
la strada: senza volerlo, senza nemmeno pensarlo mi ritrovai immerso
nella sua
carne.
Rimasi
fermo a
godere del suo calore, della sua morbidezza.
Fermo,
con il naso
contro nell’incavo del suo collo, le mani ancorate ai suoi
seni.
Immobile,
illudendomi che potesse durare per sempre.
Ascoltai
il suo
respiro cambiare, passare dal sonno profondo a un languido dormiveglia.
Posai
una mano sul suo ventre per tenerla ferma contro di me, mentre tentava
di
cambiare posizione, di trovare una via per tornare dai suoi sogni.
Rimasi
in silenzio,
aspettando il suo risveglio.
Lei
tentò di
stirarsi, ma il mio abbraccio le impediva ogni movimento.
Inconsapevole,
incominciò a ondeggiare con la schiena, per liberarsi dalla
mia morsa. L’onda
scese fino ai fianchi, sensuale.
Assecondai
i suoi
movimenti, lentamente … finchè lei non si accorse
di me.
Sentii
le sue
labbra stirarsi in un sorriso contro il braccio a cui era appoggiata.
Ripeté
lo stesso
movimento, lo stesso ondeggiare calmo di un giunco alla lieve brezza
del
mattino.
Ad ogni
movimento
del suo bacino corrispondeva una vibrazione di puro piacere.
Volevo
godere di
ogni fibra del suo essere donna, volevo fondermi indissolubilmente con
lei, per
sempre.
Rimasi
immobile,
cullato dal suo ancheggiare dolce, fino a limite … fino a al
momento in cui il
mio corpo non poté sopportare oltre di rimanere passivo e
cominciò a muoversi
per andarle incontro, nel profondo …
Era
quasi
mezzogiorno quando preparai un brunch per Elena e glielo portai a letto.
La notte
e le sue
illusioni si erano dissolte nella grigia luce che filtrava dalle tende
appena
scostate. Fuori pioveva a dirotto: una pioggia stranamente abbondante
per
essere novembre, tanto che sembrava più un acquazzone estivo.
Grosse
gocce
sbattevano contro i vetri chiusi, creando un ritmo irregolare che
teneva il
tempo alla musica dell’acqua che scrosciava incessantemente.
Addentando
una
mela, Elena mi chiese cosa significasse la frase “sporcare il
sangue” che aveva
letto in fondo alla lettera di Elijah.
Le
raccontai del
viaggio a New Orleans e della strana visione di Miriam.
-In
effetti, trasformarmi
in vampiro sembrerebbe la cosa più logica. –
concluse Elena.
-Non
credo sia una
buona idea: ti ricordi cosa accadde a Kath? Quando si fece trasformare
per
sfuggire al rito, Klaus sterminò la sua famiglia
… e lo farebbe ancora se tu ti
presentassi non umana. -
-Il
sangue da
sporcare è sicuramente il mio … -
-Sì,
è molto
probabile, ma una tua trasformazione metterebbe a rischio gli ostaggi.
–
-Forse
basterebbe
che lo bevessi, senza morire …-
-Forse
… -
Ogni
ipotesi finiva
con quella terribile parola: forse.
Mai come
in quel
momento, però, era necessario evitare di compiere mosse
sbagliate.
Mai,
come allora,
la parola “forse” era deleteria.
-Passiamo
all’altra
ipotesi: se Cinthia accetta di mummificare Klaus, io dovrei bere il tuo
sangue
comunque, così, una volta che il mio cuore si
fermerà, potrei tornare da
vampira.-
-Tu non
hai mai
voluto essere una vampira … -
-Sono
passati
venticinque anni, Damon: ho due figli da salvare … quasi
tutti i miei amici
sono esseri sovrannaturali … tu sei un vampiro. Allora avevo
una vita davanti,
delle decisioni da prendere, delle possibilità. Adesso ho un
presente da
salvare … una famiglia, ho te … -
Mi
avvicinai le
posai un bacio sulle labbra imbronciate per la tensione.
-Elena
… se
l’incantesimo non funzionasse, tu ti presenteresti a rito
trasformata in una
vampira e saremmo punto e a capo. –
-Damon
… quali
alternative abbiamo? Pheeb potrebbe non tornare, e strapparti il cuore
non è
un’opzione. Fermare il cuore di Klaus è rischioso
… sono convinta che sia
meglio capire il vero significato di “sporcare il
sangue” e bloccare il rito,
invece.-
-Non
abbiamo tempo,
Elena … non possiamo rischiare di arrivare a dopodomani
senza un’idea di come
inficiarlo. Dobbiamo fermare Klaus e dobbiamo farlo al più
presto. L’altra
volta, tuo fratello è tornato in vita grazie ad un
“banale” massaggio cardiaco
… Se Cinthia sarà quella a posare la mano sul
cuore di suo padre, Bonnie
potrebbe fare la stessa manovra su …-
-Su chi,
Damon?
Sono tutti prigionieri tranne Pheeb ed io non metterò a
rischio la vita di mio
figlio. Se non possono stare vicini, come riuscirebbe eventualmente
Cinthia
salvarlo? Magari su di lui il suo sangue non funziona: bisogna bere il
sangue
di entrambi … non so cosa potrebbe accadrebbe se uno bevesse
il sangue dell’altra
… non so cosa potrebbe accadere se mischiassero il sangue
prima del rito. Non lo
sappiamo, Damon … e non voglio scoprirlo mettendo a rischio
le loro vite. –
-Va bene
… tu non
vuoi rischiare la vita di tuo figlio, e ti capisco … io non
voglio rischiare la
tua … quindi … -
-Quindi
non se ne
parla nemmeno: tu non ti farai strappare il cuore da Bonnie. Tu non ti
sacrificherai … no … tu … -
-Calmati
Elena … -
-Non
posso perderti
ancora … non posso pensare di vivere senza di te, Damon
… per favore … non fare
l’eroe … non immolarti … non lasciarmi
ancora! –
Le
parole uscivano
a stento dalla sua bocca: era in iperventilazione.
La
abbracciai,
stringendomela al petto.
-Shh
… non vado da
nessuna parte. Non mi farò strappare il cuore, se non sarai
tu stessa a volerlo
… se non saranno le tue mani a farlo. –
-Cosa
diremo ad
Elijah? –
- Non
gli direte
nulla! –
La voce
di Pheeb
risuonò nella stanza.
-Pheeb?
Dove sei? –
urlò Elena non vedendolo.
-Sono
qui fuori,
Damon … devi farmi entrare: il sigillo vale anche per me!
–
Mi
precipitai alla
porta e vidi Pheeb aggrappato agli stipiti.
-Cosa
…? –
Elena
gli corse
incontro e lo abbracciò.
-Non ce
la faccio,
mamma … non posso farcela.-
Non
capivo: cosa ci
faceva Pheeb a casa mia? Com’era potuto scappare?
-Pheeb
… tuo padre
… ?- Domandò Elena – Non mi
fraintendere: sono felice di vederti, ma cosa farà
tuo padre ora? –
-Mamma
… sono
stanco di aspettare, sono stanco di attendere l’inevitabile.
Non posso
abbracciare mia sorella, non posso vedere mia madre … le
persone che amo sono prigioniere
e ora Cassidy! Damon … non sono solo … fuori
c’è Cassidy … per favore, falla
entrare. –
-Ma tu
sei pazzo …
ma come avete fatto a superare il cerchio magico? Come avete fatto ad
eludere
la sorveglianza?-
-I miei
poteri …
Damon, non sono mai stato tanto potente come ora. Klaus voleva
imprigionare
anche Cassidy, renderla
un ostaggio per
incatenare Caitlin. Non ho potuto controllare la mia rabbia:
l’ho semplicemente
afferrata e mi sono fiondato in cortile. Cinthia guardava dalla
terrazza e … mi
sono sentito potente, invulnerabile: ho allungato le mani e ho divelto
il
cancello. Io e Cassidy abbiamo attraversato il cerchio di protezione
senza
conseguenze: io ho assorbito l’energia negativa e lei
è rimasta indenne.-
Mentre
Pheeb
parlava, Elena si diresse di nuovo verso la porta e fece entrare
Cassidy.
-Quindi
… adesso tuo
padre sarà incazzato nero … -
-Non
m’importa,
Damon … non mi importa più! –
- Tesoro
… -
intervenne Elena, - adesso cosa credi che farà? –
- Non lo
so … ma
non m’importa! –
-
Potrebbe torturare
gli ostaggi, uccidere qualcuno … Pheeb, come hai potuto
essere tanto azzardato?
– gli chiese Elena.
- Mamma
… Sarei
impazzito là dentro … zio Elijah continuava a
farmi il lavaggio del cervello …
Klaus non smetteva di leggermi dentro come se fossi un romanzo a
puntate … e ha
scavato … e ha scoperto di Cassidy, ha scoperto quanto ne
sono innamorato …
nonostante lei mi abbia visto bambino … nonostante lei non
sapesse nulla fino
ad ora. Sono pazzo di lei … sono pazzo di te, Cassidy!
–
La
piccola veggente
guardò Pheeb per nulla sorpresa: certe cose le donne le
capiscono.
-Sapevo
che provavi
dei sentimenti per me … sapevo che ti eri preso una cotta
… ma ti ho visto
nascere … ti ho visto crescere … ti ho fatto da
baby sitter … da maestrina ...
–
- Tu non
sei mai
cambiata, ma i miei sentimenti per te sì …
Cassidy … e posso capire che tu non
corrisponda, ma non posso permettere a mio padre di farti del male.-
Guardai
i due
ragazzi spazientito.
-Ok
… adesso che le
dichiarazioni d’amore sono finite, ditemi: che cosa pensate
di fare? Scappare
per il mondo? Nascondervi qui in attesa che Klaus rada al suolo questa
casa con
voi due dentro? Hai un piano Pheeb? No, perché io e tua
madre ci stiamo
scervellando per tentare di salvarvi tutti, e tu stai mandando tutto a
puttane!
-
-Adesso
calmati
Damon. Vieni, Cassidy. Vuoi qualcosa da mangiare? – disse
Elena, posandomi una
mano sul braccio.
- No
grazie, Elena.
Vorrei solo potermi sedere. –
Ci
dirigemmo tutti
verso il salotto: il fuoco stava morendo nel camino.
Persi un
ciocco e
lo buttai sulle braci ardenti; appoggiando il gomito sulla mensola,
rimasi a
fissare il legno che lentamente prendeva fuoco.
-Visto
che sei qui
… leggi questo biglietto. –
Porsi a
Pheeb il
messaggio di Elijah.
-Tuo zio
aspetta
una risposta, anche se credo che, con la tua fuga, i fratelli Mikaelson
abbiano
problemi più urgenti da risolvere.-
-Fermare
il cuore a
Klaus? Bonnie saprebbe farlo? Cinthia … -
-Lo ha
già fatto
venticinque anni fa … imbrogliando. –
Raccontai
a Pheeb
quello che accadde, come Bonnie riuscì a mummificare Klaus
grazie ad un potente
incantesimo insegnatole da sua madre.
Pheeb
lesse più
volte il biglietto stropicciato.
-Quindi,
se non ho
capito male, per fermare il cuore di Klaus occorre che anche un altro
cuore si
fermi … e l’altra volta Bonnie usò zio
Jeremy … e gli fece ripartire il cuore …
-
-Sì,
– rispose
Elena. – Ma il rischio fu altissimo … e tu non ti
azzardare a prendere il suo
posto. Troveremo un altro modo … troveremo
un’altra soluzione. Adesso bisogna
solo capire come reagirà tuo padre alla tua fuga. –
La
risposta non si
fece attendere al lungo.
Elena si
portò
improvvisamente le mani al collo, emettendo un lamento e accasciandosi
sul
divano.
Tutti ci
voltammo
verso di lei per capire cosa le stesse accadendo. Quando si tolse le
mani dalla
gola, vidi una sottile linea rossa che le circondava la base del collo,
come
una collana: un rivolo di sangue scendeva al centro del suo petto e i
suoi
occhi si chiusero per chissà quale altra sofferenza.
Cassidy
si chinò su
di lei per soccorrerla, mentre Pheeb imprecava contro il padre.
-Cinthia
… -
sussurrò Elena con un filo di voce.
In un
secondo fui
accanto a lei. Ovviamente la ferita non era mortale ma sufficiente a
far
arrivare la minaccia, a trasmettere il messaggio di Klaus: ecco come
aveva
reagito alla fuga di suo figlio e di Cassidy.
-Maledetto!
– urlò
Pheeb. – Sta infierendo su Cinthia … sta facendo
male alla mamma: avremo mai
pace finchè quell’essere rimarrà in
vita? –
Non
volli
rispondere alle domande retoriche di Pheeb e continuai ad occuparmi di
Elena.
La perdita di sangue non era abbondante ma sufficiente per indebolirla.
In
ginocchio accanto
a lei, mi tolsi la maglia che indossavo per tamponare la ferita.
Pheeb ci
guardava
con gli occhi pieni di rabbia e frustrazione.
I
lampadari
cominciarono a tremare quando strinse i pugni per fermare la furia che
lo stava
possedendo. Aveva il volto intensamente concentrato e la sua energia si
stava
trasmettendo al terreno, che tremava come scosso da un leggero
terremoto.
-Cosa
credi di fare?
Non sarà radendo al suolo questa casa che salverai tua madre
e tua sorella! –
gli urlai.
-Col
potere che mi
ritrovo dentro in questo momento potrei radere al suolo
l’intera città … ma sto
solo cercando di convogliarlo nella mia capacità telepatica.
Sto comunicando
con mio padre … gli sto chiedendo di smetterla di torturare
Cinthia. –
Improvvisamente
ebbi
l’impressione che tutto cominciasse a muoversi a rallentatore.
Cassidy
si stava
guardando le mani sporche del sangue di Elena e, un attimo dopo, i suoi
occhi
si rivoltarono all’indietro. Dalla gola le uscì
uno strano lamento: un coro di
voci parlò dalla sua bocca spalancata e immobile.
“Nella coppa
antica
il sangue deve essere versato,
e ogni gemello con esso marchiato:
una stella sulla
fronte e una croce sulla mano
ed in parte
sull’altare
versato.
Il figlio e il
padre il polso destro incideranno
Per unire futuro
e
passato.
A nord e sud si
disporranno.
Dalla sinistra
stilleranno
il sangue madre e figlia,
perché
dal cuore
arriva e per amore lo doneranno.
Poi a est e a
ovest
faranno veglia.
Il sangue
donato,
raccolto e versato
Indicherà
il
prescelto e colui che è condannato.
Dalla coppa
l’umano
berrà
e come un dio,
nuovo e potente resusciterà.
Una vita per una
morte …
un cuore fermato
dalla sorte …
Ed il re a
guardare, immobile, l’alba del nuovo regno
Di cui lui non
sarà
mai più degno.
E per suggellare
il
nuovo patto
La madre il
cuore
si strapperà dal petto.
Che nessuno osi
sporcare ciò che puro dovrà restare,
che nessuno osi
sangue estraneo mescolare
nessuno osi la magia con liquidi
impuri lordare.
Ora o mai
più
l’equilibrio sarà stabilito
Ora o mai
più il
potere controllato.
Ora o mai
più il
male fermato.”
Tutti
noi rimanemmo
pietrificati ad ascoltare quelle parole spettrali che echeggiavano nel
petto di
Cassidy; poi, dal nulla, apparve una pergamena, con incisa a fuoco la
profezia
Pheeb
era bloccato,
con lo sguardo fisso sulla sibilla, mentre Elena, ripresasi dalla
ferita, cercava
di farla reagire dalla trance che l’aveva lasciata esausta
sul tappeto.
Dopo
quella che mi
parve un’eternità, Pheeb ruppe il silenzio.
-Klaus
era connesso
con la mia mente … per colpa mia ha sentito tutto. Ora sa
della profezia
finale, ora sa cosa
gli serve e come
procedere. Sta venendo a prendermi. Sta venendo qui. –
La testa
gli
ciondolò sul petto: nonostante tutto il suo potere, si
sentì sconfitto.
Mi alzai
e andai da
lui.
-Pensa e
pensa in
fretta: dovremo fermare il rito, ad ogni costo. Pheeb, torna lucido e
pensa, prima
che tuo padre arrivi, prima che si rimetta in contatto con te!
–
Pheeb,
riscossosi
dallo shock, raccolse la pergamena dal pavimento.
-Ok
… la storia del
sangue è vecchia
… la prima parte è solo
una questione rituale: anche la morte di uno di noi due, io o Cinthia
è
scontata … ma il cuore della mamma strappato …
mio padre immobile … il sangue
che deve rimanere puro … cose che sapevamo …
azioni che non sappiamo come
capovolgere. -
-
Dobbiamo fermare
tuo padre senza ucciderlo … dobbiamo bloccarlo senza che
… immobile hai detto?
Forse …. –
Non feci
in tempo a
fissare l’intuizione che si era affacciata nella mia mente,
che l’urlo di Klaus
invase le pareti di casa, come se la sua stessa presenza si fosse
improvvisamente materializzata nel soggiorno.
-Ehi,
voi della
casa … la finiamo di giocare a nascondino? Sono stanco di
inseguirvi da una
casa all’altra. Pheeb, smettila di fare il bambino
capriccioso. Affacciati alla
finestra e porta con te quel ridicolo vampiro che vi ospita.-
Rassicurandoci
che
le ragazze stessero bene, ci dirigemmo verso la finestra che dava
sull’entrata
principale.
Aveva
smesso di
piovere e la terra bagnata aveva creato uno strato di sottile
fanghiglia sul
viale d’entrata.
Klaus
era fermo a
pochi metri dalla finestra. Dietro di lui alcuni dei suoi scagnozzi
ibridi
tenevano per le braccia Stefan e Jeremy, i loro polsi legati dietro la
schiena
e i volti sofferenti.
Kol
chiudeva la
macabra processione e non c’era traccia di Elijah.
-Cosa
devo fare per
convincervi che faccio sul serio? Quale punizione esemplare devo
attuare per
farvi stare buoni ancora per un paio di giorni? E su … tutto
tranquillo per
vent’anni e poi arriva quel bellimbusto e tutti tirate fuori
pretese di
affrancamento, di ammutinamento? –
Ad un
impercettibile cenno di Klaus, uno degli ibridi sembrò
rispondere ad un ordine nel suo capo e
infilò la mano tra le costole di Stefan, con
l’evidente intento di afferrargli
il cuore.
Con un
calcio ruppi
i vetri della finestra e, se Pheeb non mi avesse fermato, mi sarei
fiondato a
salvare mio fratello, compromettendone per sempre la vita.
-La
regina deposta
.. dov’è? – chiese sarcastico Klaus.
Elena,
sentendosi
presa in causa, si affiancò a suo figlio nella cornice della
finestra in
frantumi.
-Sono
qui … dimmi
cosa vuoi che faccia. – disse rassegnata.
-Tieni a
bada gli
ormoni del tuo amante, mia cara … o suo fratello, e il tuo,
ne pagheranno le
conseguenze. Questo è l’ultimo avvertimento.
Questa è la vostra ultima
occasione. State al vostro posto e non pianificate alcuna sovversione.
Tra
poche ore tutto sarà finito … Pheeb
avrà tutto il potere e governeremo insieme
un nuovo mondo. –
-Io non
ti voglio
al mio fianco … io non voglio il potere … -
gridò Pheeb.
-Tu non
puoi
ribellarti al tuo destino, puoi solo compierlo: solo io
potrò decidere come …
solo io potrò decidere se governerai a lungo o se
… -
-Non
voglio che
Cinthia muoia … non voglio sacrificarla! E nemmeno la mamma!
– era il volto
della disperazione.
-O lei o
tutti gli
altri … o tu o lei … - sogghignò
Klaus. – E adesso esci con la tua
“amichetta”
… Ma che gusti, figlio mio: vista la differenza
d’età potrebbe essere una milf
per te! Sbrigati, dobbiamo disporre il necessario per il rito. Tu, mia
cara
Elena potrai rimanere a dire addio al tuo cavaliere nero …
tanto sono sicuro
che al momento opportuno ti presenterai, altrimenti … -
Ad un
altro cenno
di Klaus, gl’ibridi che trattenevano Jeremy afferrarono la
sua gola e vi
affondarono i denti, bevendone avidamente il sangue.
-Ci
sarò … ci sarò
… ma adesso basta, per favore … Klaus, non
ucciderlo … -
Pheeb
saltò dalla
finestra e con un gesto della mano allontanò le bocche degli
ibridi assetati
dalla gola dello zio, lanciando i due servitori lontano nel giardino.
Poi
liberò anche Stefan dalla morsa dei suoi aguzzini.
Era
evidente che
mio i due prigionieri erano ancora sotto l’effetto
dell’incantesimo che li
rendeva immobili, anche se vigili, senza nessuna possibilità
di reagire.
Lo
sguardo di
Stefan si posò su di me: i suoi occhi erano una muta
preghiera … non per la sua
salvezza ma per quella di tutti gli ostaggi … per quella di
Elena e dei suoi
figli: era una supplica perché fermassi quel pazzo, a tutti
i costi, anche a
costo della sua vita … della nostra vita.
Cassidy
raggiunse
Pheeb e lo prese per mano, per calmarlo.
-Klaus
… la nuova
profezia … - balbettò, intimorita dalla presenza
dell’ibrido immortale.
-Ho
sentito tutto.
Ho tutto stampato nella mia memoria. A casa la riscriveremo insieme a
tua madre.
–
-Mio
padre …? –
-Sta
riposando …
insieme agli altri “ospiti” … Pheeb?
–
Il
richiamo del
padre fece voltare Pheeb, che ancora stava tenendo lontano gli ibridi
dagli
ostaggi.
-Ti
seguirò, padre
… farò quello che vorrai … ma
… -
-Non hai
moneta per
contrattare, figlio mio. Vieni e basta, senza condizioni, senza ma
… Ah, miei
cari piccioncini, - disse, rivolgendosi a me e a Elena,
– non pensate di programmare strani
escamotage per inficiare il rito. Quella sera Kol sarà a
capo di un buon numero
di nuovi ibridi, i quali avranno l’ordine di uccidere tutti
gli ostaggi se
qualcosa non dovesse andare per il verso giusto. Tutti i prigionieri
saranno
presenti, tutti assisteranno alla nascita di una nuova era …
tutti saranno sacrificabili
se tu o il tuo stallone … o chiunque altro …
tentaste di fermarmi … di fermare
l’inevitabile. –
Elena si
appoggiò
al mio braccio, mentre nelle mie vene il sangue si ghiacciava e
ribolliva a
fasi alterne.
Guardai
Pheeb che s’incamminava
dietro al padre, seguito da Kol che sghignazzava e dagli ibridi che
trascinavano Stefan e Jeremy inermi.
Il
tramonto
infiammava le nuvole ancora grigie che incombevano sulle nostre teste.
Una voce
tremò
nella mia mente.
“E’
finita, Damon …
è finita.”
Pheeb
aveva abbandonato
le speranze.
La testa
di Elena
si abbandonò sulla mia spalla.
Voltandomi,
credetti di trovarla in lacrime, in preda allo sconforto.
Invece
vidi il suo
volto scolpito da una determinazione nuova.
-Se devo
morire …
se tutti dovremo morire … allora tenteremo anche
l’impossibile. Se Pheeb ha
perso le speranze, io le ho ritrovate tutte. Mai potrò
scegliere tra i miei
figli … mai poteri scegliere chi salvare e chi no.
Combatteremo, Damon … o
moriremo provandoci. Io non mi arrendo. Sei con me? –
La sua
nuova
energia spazzò via le nuvole dalla mia determinazione.
-Non
c’è altro
posto dove vorrei essere. Con te ... per te … per sempre.
– le risposi, pronto
a lottare fino alla fine, fino alle estreme conseguenze.
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Capitolo 23 *** Time is running out ***
CAPITOLO
23
…
TIME IS RUNNING OUT …
10
novembre
Eravamo
seduti con le gambe
che ciondolavano otre il muretto che fungeva da parapetto del Wickery
Bridge.
In
silenzio guardavamo le
acque, che riflettevano il grigio del cielo, scorrere lente sotto di
noi … e di
acqua, sotto quel ponte, ne era trascorsa davvero tanta.
Tanta
… da quel primo giorno
in cui l’avevo incontrata.
-o-o-o-
Elena
... il suo vero
nome.
Per
un
attimo, solo per un attimo, ho pensato fosse Kath.
Come
ho
potuto fare un errore tanto grossolano?
Confondere
una ragazzina alle prese con i tormenti del primo amore con una donna
che i
tormenti d'amore li sapeva dispensare a piene mani...
Certo
che la
somiglianza era strepitosa: identica.
Che colpo al cuore vederla
lì, in mezzo alla
strada, e pensare che fosse la mia Kath.
Anni
a
tentare di vivere nell'attesa di poterla liberare …
Anni
spesi a
spegnere e riaccendere i miei sentimenti, giorni colorati di nero
disperato e
rosso furia.
Finalmente
adesso sono vicino alla soluzione: tra qualche mese
ripasserà la cometa ed io
riavrò la mia fiamma ardente, l'unica ... inimitabile.
Certo
che
quella ragazzina era... non saprei ...
Affascinante?
No, troppo giovane ...
Intrigante?
Nemmeno, troppo ingenua.
Un
diamante
grezzo pronto per essere cesellato per farlo risplendere nelle sue
mille
sfaccettature ... ed io sarei un orefice perfetto.
Non
fosse
che il mio cuore appartiene alla sua ... gemella?
Non
fosse
che ho dedicato la mia vita a trovare il modo di riavere la mia gemma
già
perfetta e preziosa.
Camminavo
nella notte perso nelle mie riflessioni, cercando di capire quella
strana
tenerezza che mi aveva preso dopo aver incontrato Elena ...
Languore ...
e fame.
In fondo mi
ero sdraiato in mezzo alla strada proprio per sfamarmi.
Passeggiavo
e non riuscivo a dimenticare il suo sorrisetto appena timido, la sua
sfrontatezza nel chiamarmi "sconosciuto misterioso”, la sua
incoscienza
nell'affermare che a Mystic Falls
non
accade mai nulla.
Le mani
affondate nelle tasche, mettevo un piede dopo l'altro, indolente: avevo
uno
strano sorriso sulle labbra, per una volta senza cinismo, senza il
desiderio di
strappare quella morbida pelle e affondare i denti nella sua giugulare.
"Voglio
che tu trovi tutto quello che stai cercando."
Perché
le ho
detto questo?
Perché
non
mi sono limitato a soggiogarla?
Le
donne
sono per il piacere, per il sangue. Solo Kath è per l'amore.
Eppure
questa ragazzina...
Da
dove
viene questa spina che mi si é infilata dritta nel cuore?
Da
dove
viene questa " gentilezza" che non é mia ... che non
è da me?
Camminavo
verso il Wickery Bridge, inconsapevole della direzione che stavano
prendendo le
mie gambe e i miei pensieri.
Camminavo,
cercando di tornare sui miei passi ... di tornare in me.
Avevo un
progetto.
Avevo uno
scopo.
Ero tornato
per quello, non certo per farmi intenerire da un'adolescente in cerca
di
brividi e amore sdolcinato, di pericolo e passeggiate mano nella mano.
Rivoglio
la
mia donna.
Rivoglio
la
mia vampira, colei che sa accendermi e ridurmi in cenere, ammaliarmi e
imprigionarmi tra le sue braccia.
Colei
che ha
dato uno scopo alla mia esistenza eterna.
Colei
che
darà nuovo vigore alle mie giornate altrimenti senza scopo.
Mentre
affiancavo i due volti nella mia mente, per confrontare due immagini
non
identiche ma speculari, sentii una frenata ... uno schianto: qualcosa
di
pesante che cadeva nel fiume.
Corsi nella
direzione da dove era giunto il rumore.
Corsi
pensando a quella ragazzina dagli occhi innocenti ed il volto della mia
passione.
Corsi, e
arrivai appena in tempo per vedere la figura di un ragazzo che si
tuffava dal
ponte, un ragazzo che conoscevo bene, un ragazzo che non vedevo da 15
anni: mio
fratello.
Lui non
doveva sapere che ero tornato ...
Ma ... Elena
era in pericolo, ed io non potevo rimanere a guardare mentre affogava
Avrei atteso
solo qualche istante e poi ...
E poi cosa?
Non ero
nemmeno sicuro che l'auto che era caduta nel fiume era quella dei
genitori di
...
Non feci in tempo a
finire il pensiero che
vidi riemergere Stefan dall'acqua, portando tra le braccia un corpo
inanimato
... il corpo di una
ragazzina.
Per un attimo mi
mancò il respiro, ma poi
riuscii a percepire il suo cuore che batteva ancora.
Stefan
l'adagiò sulla riva del fiume e si
rituffò, probabilmente per recuperare i genitori.
Io mi avvicinai per
accertarmi che lei stesse
bene. Il suo volto pallido e bagnato mi rinnovò quella
sensazione di tenerezza
che aveva scaldato il mio cuore poco prima.
Era debole, il
respiro ridotto ad un rantolo:
non ero sicuro che avrebbe potuto farcela. Non esitai. Prima che mio
fratello
riemergesse dalle acque limacciose di quell’angolo di fiume,
mi morsi il poso e
le diedi un po’ del mio sangue.
Le pulii con cura le
labbra e, sentendo
l’acqua muoversi attorno al corpo di Stefan che riemergeva,
scomparvi.
-o-o-o-
-A cosa
stai pensando, Damon?
– mi chiese Elena, riportandomi al presente.
-Alla
prima volta che ti ho
vista … - risposi sinceramente.
-Mi
ricordo … e ricordo che
mi stavi molto antipatico … -
-No, non
ti ricordi … e non
ti stavo antipatico … ma ti racconterò tutto
un’altra volta.-
-
Se
ci sarà un’altra volta … -
mi rispose, fissando il fiume. –Se domani sera non andasse
come abbiamo
programmato … -
- Non
posso prometterti che
andrà tutto bene, Elena … non questa volta. Ma ci
proveremo e se tutto andrà
come speriamo forse non salveremo il mondo, ma salveremo noi stessi. In
fondo,
fino ad oggi il mondo è sopravvissuto a noi vampiri
… credo che potrà
continuare a girare ancora per un po’, anche se continueremo
ad abitarlo … -
- Sono
pronta a tutto, Damon,
anche a morire … ma dobbiamo impedire a Klaus di portare a
termine il suo piano
… dobbiamo riuscirci! –
-
Speriamo che Elijah e
Bonnie abbiano ricevuto il messaggio che gli abbiamo lasciato questa
mattina …
sempre che Klaus non l’abbia intercettato. -
Il piano
che Elena ed io
avevamo elaborato durante la notte era un estremo tentativo suicida,
con una
percentuale di successo minima … ma era l’unico
possibile, l’unico che poteva
darci una speranza.
L’idea
avrebbe potuto
funzionare anche senza l’intervento di Elijah e Bonnie ma se
avessero
collaborato, forse avremmo potuto salvare qualche vita in
più.
Saltai
dal muretto sulla
strada; afferrai Elena ponendo le mie mani attorno alla sua esile vita
per
aiutarla a scendere. Quando poggiò i piedi
sull’asfalto, la avvolsi tra le mie
braccia e le posai un bacio sulla fronte.
-Che ne
dici di un ultimo
viaggio nel passato, prima di buttarcelo alle spalle? – le
proposi.
-Dove
vorresti portarmi? –
-Ti fidi
di me? –
- Sempre
… - mi sorrise.
Entrammo
insieme al Mystic
Grill.
I vetri
oscurati e le luci
diffuse davano ai clienti l’illusione che fosse sempre tarda
sera, e non quasi
l’ora di pranzo.
Elena mi
guardò e negli occhi
le lessi una domanda inespressa.
L’avevo
portata dove eravamo
stati mille volta, in quella che ormai era un’altra vita.
Qui
aveva passato ore
spensierate e momenti di pura preoccupazione insieme alle sue amiche,
ai suoi
amici … con me.
Un
angolo di ricordi che
altre persone, altri giovani studenti avevano occupato.
Se mi
concentravo, riuscivo a
vedere Stefan che giocava a bigliardo con Matt … Jeremy che
beveva di nascosto
da sua sorella, Caroline che progettava l’ennesima festa a
tema e lei, Elena,
che mi veniva incontro per rimproverarmi per una delle mie bravate, per
uno
sguardo troppo audace … per l’ennesima giugulare
squarciata.
Vidi lo
stesso sguardo, pieno
di cartoline dal passato, scorrere negli occhi di Elena.
Qualche
ragazzo, sicuramente,
si stava nascondendo nel bagno perché aveva fatto sega a
scuola e seduta in uno
dei tavoli più nascosti, forse qualche coppietta si stava
scambiando un timido
bacio …
Accompagnai
Elena al bancone
e ci sedemmo sugli sgabelli che di solito condividevo con Alaric.
Chissà
se avrei condiviso
ancora qualche bottiglia di bourbon col mio vecchio amico di bevute,
chissà se
avrei potuto spezzargli di nuovo il collo, ora che anche lui era un
vampiro.
- Hai
fame? – le chiesi per
scuotermi da quei ricordi.
-Non
molta … ho lo stomaco
chiuso: puoi biasimarmi? – mi rispose con un sorriso
malinconico.
Le note
di una vecchia
canzone riempivano l’aria.
- Elena
… lo sai … abbiamo
ballato insieme solo … -
- Solo
due volte:
all’elezione di Miss Mystic Falls e alla festa anni settanta
… -
- Te lo
ricordi? – le
sorrisi.
- Mi
sono … ci siamo persi
così tante cose per la mia testardaggine e, in questi anni
non ho potuto fare
altro che aggrapparmi ai pochi momenti che ci siamo concessi
… che ti eri preso
e che mi hai lasciato incisi nella memoria. –
-
Vorresti concedermi questo
ballo? Potrebbe essere l’ultima occasione … o la
prima d’infinite altre. –
Lei
appoggiò il gomito al
bancone e posò il mento nel palmo della mano.
L’espressione
del suo volto
era un misto tra il rimprovero e l’esasperazione.
-Ballare?
Potremmo morire
domani e tu vorresti ballare? –
-Proprio
perché potremmo
morire domani voglio poter ballare con te … e non un ballo
in cui non ci si può
toccare o in rock and roll acrobatico … un ballo
… con te. Per favore … - la
implorai fingendo un broncio infantile.
-Ma
… qui? Di fronte a tutte
queste persone? – la sua voce si fece squillante
d’imbarazzo.
- Quali
persone? Ci siamo
solo tu ed io … siamo solo noi e la musica. – le
sussurrai nell’orecchio mentre
le facevo scivolare in braccio intorno alla vita.
Lei
scese dallo sgabello
nelle mie braccia, senza mai staccare il suo sguardo dal mio.
Ci
fissammo per un attimo,
quasi timidamente, come a un primo appuntamento … e quello
era, in qualche
modo, il nostro primo appuntamento … l’ultimo,
forse.
La
accompagnai al centro del
locale, dove c’era un po’ di spazio libero e le
afferrai la mano ancora libera.
La
strinsi al mio corpo e
cominciai ad ondeggiare lentamente, seguendo la melodia della canzone.
Lei
adeguava i suoi movimenti ai miei, lasciandosi guidare docile,
finchè non fummo
altro che musica e onde leggere. Appoggiò la sua guancia al
mio collo: il suo
calore mi pervase sciogliendo, per l’illusoria durata di
pochi attimi, i nodi
che attorcigliavano la mia anima tormentata dal pensiero del domani.
La
musica fluiva: lasciammo
che ci invadesse e ci adeguammo al comando del suo ritmo lento,
permettendo
alle note di guidare i nostri movimenti, alle righe di un pentagramma
di
legarci.
Affondai
il mio volto nei
suoi capelli, chiusi gli occhi per immergermi completamente nel suo
profumo,
per sentire le onde sonore entrare più in
profondità e risvegliare
quell’istinto primordiale che coordina il corpo con musica
… che fonde due
corpi in uno in un’unione sensuale, in un amplesso lento e sublimato.
Solo
dopo … solo in un
secondo tempo mi accorsi delle parole che accompagnavano la melodia.
My
love
There's only you in my life
The only thing that's bright
My
first love
You're every breath that I take
You're every step I make
Endless
love ...
Un
amore senza fine che aveva le ore contate.
Two
hearts
Two hearts that beat as one
Our lives have just begun
Forever
I'll hold you close in my arms
I can't resist your charms
And
love
I'll be a fool
For you I'm sure
You know I don't mind
Oh, you know I don't mind
'Cause
you, you mean the world to me
...
Lei
era il mondo ... l’essenza stessa della vita … ed
io non
ero disposto a perderla … non ancora … non
così.
La
strinsi a me ancora più forte, ancora più a fondo
…
mischiando rabbia e amore … disperazione e violenza
… voglia di distruggere e
desiderio di fuggire.
Spostai
il mio viso per poterla fissare in volto.
Tutte
le certezze della notte precedente, il nostro piano …
la battaglia … tutto stava svanendo nel terrore che quelle
potessero essere
davvero le nostre ultime ore.
Io non
volevo
ricadere nel baratro di abbrutimento in cui ero piombato quando ero
senza di
lei e da cui ero riemerso grazie alla sua sola presenza. Elena mi aveva
restituito la voglia di esistere e non riuscivo nemmeno a concepire
l'idea di
rinunciare a lei.
Lei mi
aveva
convinto che avevo diritto ad essere felice.
Quando
le ultime note sfumarono nell’aria, la presi per mano
e, in silenzio la portai fuori dal locale, nel pomeriggio uggioso
d’autunno inoltrato.
Tornammo
a casa senza dire una parola, persi nei ricordi o
nel futuro, ad ascoltare il rumore dei nostri passi
sull’asfalto e tra i nostri
pensieri.
Entrammo
in casa … la bloccai contro la porta chiusa e la
schiacciai contro il legno con il peso del mio corpo.
Non
la baciai subito: fissai lo sguardo sulle sue labbra …
volevo aspettare, desiderarla fino a provare dolore.
Poi
la baciai, intensamente … violentemente …
avidamente.
E
mi resi conto che la vita passata non mi sarebbe bastata,
non mi sarebbero bastate le poche ore che avevamo davanti.
Volevo
raccontarle la mia vita prima di lei … la mia vita
senza di lei … per farle capire che senza di lei non avrei
potuto esistere.
Il
nostro tempo stava per finire ed io avevo un bisogno
smodato di tempo … di un tempo che non finisce con il
tramonto, ma che continua
nel buio della notte per poi rinascere all’alba e proseguire
in un’infinità di
giorni, ore … sere e altre notti … minuti
… secondi … mesi … anni …
istanti.
Avevo
bisogno di eterno … o di oblio.
Avevo
bisogno di sapere che non l’avrei persa.
Avevo
bisogno di lei.
In
un attimo la portai in camera e le tolsi la giacca. Sotto
portava una camicetta di seta blu … una delle mie preferite.
Ancora
la guardai … ancora fui travolto dal bisogno di lei.
-Non
voglio perderti. – le sussurrai sulle labbra, dentro la
bocca.
-Allora
dammi il tuo sangue … -
Tutta
la passione si gelò al vento delle sue parole.
Cosa
mi stava chiedendo?
-Elena
… avevamo deciso che era inutile che tu bevessi il
mio sangue … - le ricordai.
-Non
voglio berlo per sporcare il rito … non voglio berlo
per fermare Klaus. Lo voglio perche se dovessi morire, potrei tornare
da te …
perché se tutto andrà per il meglio,
vorrò essere come te. –
Le
sue parole mi scossero nel profondo.
Voleva
diventare una vampira? Voleva condividere la mia
condizione?
Era
sconvolta, irragionevole … tentatrice.
Non
poteva essere lucida!
Una
decisione del genere non si può prendere in uno stato
d’animo di ansia e disperazione … è una
decisione che non si può prendere e
basta!
-Non
voglio
discuterne ora … - le dissi in tono fermo, per farla tornare
in sé.
-
È proprio questo
il momento ... quando altrimenti? Quando sarà troppo tardi?
Chiudere gli occhi
su quello che ci aspetta è un lusso che non ci possiamo
permettere. Per quel
che mi riguarda, non intendo rimandare oltre. -
Elena mi
guardò con
un’intensità nuova.
In quel
momento non c’era
spazio per le incertezze, eppure ne ero colmo … non
c’era tempo per inciampare,
per cadere … per rialzarsi.
Non
potevano esserci dubbi …
ma la mia unica certezza era che non volevo perderla …
Non
potevano esserci ombre …
ma il pensiero di rischiare la sua vita mi riempiva di tenebre.
-Domani
sera avverrà il
sacrificio … e tu sa che dobbiamo fermarlo … per
salvare Cinthia … per salvare
il mondo da quel pazzo furioso … -
- Per
salvare te … - risposi,
consapevole che per me lei era ancora l’unica ragione per
lottare … per me lei
rimaneva la prima … l’unica scelta. Salvare gli
altri serviva solo a salvare
lei.
-Saresti
disposto a fare
qualunque cosa … per me? –
-Sempre
… ma abbiamo già
pianificato tutto la scorsa notte … -
-
Rispondimi: saresti
disposto a concedermi qualunque cosa ti chiederò?
– insistette.
- No
… sono disposto a fare qualunque
cosa per salvarti: quello che mi hai chiesto in passato non sempre
coincideva
con la tua salvezza … non sempre corrispondeva alla tua
incolumità … questa
volta non mi freghi: ti ho promesso che
rischieremo … cos’altro vuoi?– intuivo
la risposta, ma non volevo aggiungere
tragedia a tragedia.
- Damon
… -
- Elena
… -
- Damon
… in tutto questo
tempo mi ero preparata a morire: ero disposta a dare la vita per i miei
figli …
ora sono disposta a vivere per poter stare con te … per
sempre … dammi una
possibilità di tornare -
- Cosa
mi stai chiedendo,
Elena?
Senza
staccare il contatto
con i miei occhi, cominciò a slacciarsi la camicetta sottile
che copriva il suo
seno.
-Il
discorso sta cambiando
rapidamente … - le dissi, guardando le sue dita che
scorrevano sui bottoni,
ipnotizzato.
Mi
avvicinai e le fermai la
mano.
-Non hai
bisogno di sedurmi …
sai che sono in tuo potere.-
Senza
dire una parola, si
sfilò quel sottile pezzo di seta blu.
La sua
bocca si avvicinò
pericolosamente alla mia e una mano si infilò tra i miei
capelli.
-Tua
… per sempre … e anche
oltre … -
Non
capivo … non volevo
capire … non potevo credere a quello che mi stava chiedendo.
-Elena,
non ripeterò
quell’errore … non un’altra volta
… non con te! – le sussurrai, mentre la sua
mano scivolava sulla mia nuca, mi sfiorava la mandibola e si fermava
sulle mie
labbra.
-Tua
… ogni notte … per
l’eternità … -
Il tocco
delle sue dita sulla
pelle sensibile, sulle labbra, era quasi insostenibile … le
afferrai l’indice
tra i denti e cominciai a stuzzicarlo con la punta della lingua.
-Usi il
sesso per farmi
cambiare idea … piccola ammaliatrice … -
La sua
pelle era così
invitante: come potevo sostenere una conversazione sensata se lei era
mezza
nuda davanti a me … con suo seno a sfiorare la mia maglia.
-Mordimi
il dito … bucalo …
fallo sanguinare! – mi chiese, languida, in un respiro.
-Elena
… fermati. – la
supplicai.
-
Mordimi, ti prego ... –
Ancora
titubante, lasciai che
i canini facessero il loro lavoro, e con tutta la delicatezza di cui
ero
capace, le lasciai un piccolo forellino sul polpastrello.
Succhiai
per un attimo il suo
sapore … la sua linfa vitale. Il sapore era delizioso e
rispecchiava la
splendida donna che avevo davanti: intenso … non troppo
dolce … non troppo
salato. Mi ricordava un miscuglio di spezie e cioccolato fuso: caldo e
avvolgente, con un tocco di rum che accende i sensi.
Stordito
da quell’elisir
chiusi gli occhi per gustarne fino in fondo il piacere, ma lei tolse
dalle mie
labbra la fonte di quella delizia, mentre con l’altra mano mi
allontanò da lei.
-Guardami.
– mi ordinò
seducente.
Aprii
gli occhi sempre più
incredulo, incapace di immaginare cosa stesse per fare la donna che
avevo
davanti … una donna che conoscevo ma che sapeva ancora
sorprendermi.
Restai
sospeso
mentre i miei occhi vagavano sul corpo che si offriva al mio sguardo,
pregustando l'attimo che sarebbe stata mia.
Stringendosi
il dito, Elena
fece uscire qualche goccia di sangue. Poi, fissandomi,
cominciò a tracciare una
linea rossa sulla sua pelle: appoggiò il polpastrello
gocciolante alla base del
collo e scese lentamente … sulla congiunzione delle
clavicole … in mezzo al
seno … sul plesso solare …
nell’ombelico. Lì si fermo, lasciando che quel
piccolo calice si riempisse di ambrosia che, tracimando,
continuò il suo
viaggio sempre più a valle, sempre più
giù.
Quelle
linee vermiglie
avevano tracciato sul suo corpo una mappa del tesoro, un tesoro che non
vedevo
l’ora di conquistare.
Lentamente
si mise a
camminare e, superandomi, raggiunse il letto.
-Non
lasciare che si asciughi
… è tutto per te … -
m’invitò, passandosi il dito ferito sulle labbra.
Incapace
di formulare un
pensiero coerente, mi avvicinai con tutto l’istinto del
predatore, del pirata
che vuole infilare le mani in quello scrigno e godere dei gioielli che
vi erano
celati.
Le mie
labbra seguirono la
traccia rossa, succhiando avidamente ogni goccia di sangue che la sua
pelle e il
suo calore, esaltavano in modo esponenziale.
Mentre
mi nutrivo di lei, su
di lei, sentii le sue mani scendere sulla mia schiena, afferrare il
bordo della
maglia e sollevarlo per sfilarmela. Io ero perso nel suo sapore
… estasiato dal
profumo di sangue e pelle, potente afrodisiaco.
Mentre
la mia bocca
continuava il suo pasto, le mie mani si adoperavano per toglierle tutti
quegli
orpelli inutili che ancora imbrattavano il suo corpo: la volevo nuda
… novella
Eva, abile tentatrice per la quale avrei affrontato le pene eterne
dell’inferno.
Mi
trasformai in un
grumo di pulsioni incontrollabili che m’inchiodavano a lei,
intriso in un
desiderio tanto violento quando ineluttabile. Non potevo fare altro che
perdermi nella sua bocca e arrendermi a un piacere tanto intenso da
mozzarmi il
respiro.
Entrambi
eravamo
prede di una passione che pareva non concedere tregua.
Tra i
sospiri lei
invocava il mio nome.
-Damon
… ti voglio …
voglio il tuo corpo … voglio il tuo sangue …
voglio essere con te, come te …
fino a domani sera o per l’eternità. –
Solo
l’immenso
amore che provavo per lei mi stava fermando dall' affondare i miei
canini nella
sua giugulare, solo il poterla possedere mi impediva di divorarla.
Capii
che non mi
sarei mai accontentato di poche ore o di pochi anni.
Non
avrei mai
potuto guardarla ammalarsi … perdere forze …
consumarsi … morire lentamente.
Alzai il
mio petto
senza staccarmi da lei e la fissai negli occhi, liquidi di passione e
non
esitai … non tentennai un attimo di più: afferrai
il mio polso, lo squarciai con
i miei denti affilati e lo portai alla sua bocca.
-Bevimi
… -
Elena
posò le sue
labbra sulla ferita e cominciò a succhiare, mentre mi
porgeva il suo polso e
inarcava la sua schiena.
Tra
vampiri e umani
il bloodsharing non è così intenso come tra
vampiri, ma con lei era estasi
pura.
Bevevamo
l’uno il sangue
dell’altra mentre i nostri corpi si possedevano.
Sentivo
il mio
sangue fluire nella sua bocca, sulla sua lingua, mentre il suo
m’incendiava le
vene.
Con la
bocca ancora
colma ci baciammo, scambiandoci il sapore, confondendo gli odori,
fondendo la
carne, mischiandoci le ossa.
E quando
il piacere
ci venne a cercare, trovò un solo essere, un solo corpo
… una sola anima.
Si
addormentò, ma
io non potevo seguirla nel suo viaggio onirico, così mi
limitai a guardarla. Com'era
bella quando dormiva: il suo viso si faceva più dolce e
più sensuale. A
colpirmi era il contrasto tra la sua espressione angelica e la
voluttà di un
corpo che sembrava creato per il piacere, per l’amore.
La
stanza era
avvolta da una penombra che sfumava i contorni e la notte cominciava a
far
sentire il suo gelo.
Afferrai
le coperte
e le posai sulla sua pelle, avvolgendola con il mio abbraccio.
L’ultima
notte?
Le
ultime ore?
Nel
silenzio del
crepuscolo, i miei pensieri formularono una promessa, un giuramento.
Da
questo
momento non sarai mai più sola. Mi avrai al tuo fianco come
amico, fratello,
amante, o semplicemente come la tua ombra sul muro. Non voglio perdermi
più
nulla, non voglio perderti ancora. Se dovrai morire, morirò
con te, trascinando
all’inferno l’anima dannata di colui che,
uccidendoti, avrà reso insignificante
il paradiso. Adesso riposa, dormi se vuoi e affidati a me. Domani
lotteremo
insieme vinceremo insieme o insieme moriremo, ma questa notte voglio
che tu dorma
un sonno vero … qui, tra le mie braccia che solo ora trovano
uno scopo per
esistere.
|
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Capitolo 24 *** Paura ***
CAPITOLO 24
…PAURA...
11 novembre
Ero ancora
completamente immerso in lei.
Seduto
sul letto, appoggiato alla testata, accarezzavo i capelli di Elena, che
giaceva con la testa posata contro il mio petto.
Regnava un
silenzio carico di sospesi che non volevano diventare parole.
Fluttuavo in
quella pace precaria, nel languore che si prova dopo una notte
d’amore, consapevole della tempesta che stava per travolgerci.
Un raggio di
sole squarciò le tende, prima di essere catturato da una
densa nuvola nera: era l’alba di un nuovo giorno …
l’inizio di un giorno senza fine, con presagi di morte a
farci da sveglia. Ancora poche fugaci ore e le nostre esistenze
avrebbero preso una svolta decisiva … vita o morte
… come sempre.
Guardai Elena
ancora assonnata … ascoltai il suo respiro, rimanendo
intrappolato tra le ciglia del suo sguardo che muto mi chiamava.
Immobili, ci
rifiutavamo di compiere gesti che avrebbero dato il via al cronometro,
al conto alla rovescia che ci avrebbe condotti verso sera.
Muti, vibravamo
per non scinderci, nello sforzo di rimanere in simbiosi, di dilatarci
per fagocitarci ancora.
Avevo affondato
le mie radici nella sua carne, e la carne si era legata
all’anima.
Mi ero nutrito
del suo nettare, mi ero avventato sul nostro amore, mi ero sfamato
della sua passione e avevo cercato rifugio sotto la sua pelle
… impazzito … per non impazzire … e
non volevo uscire da lei … essere altro da lei.
Sentii una
sensazione quasi dimenticata, una sensazione che avevo provato una
volta sola nella mia lunga vita e che mi ero ripromesso di non provare
mai più … quella sensazione che mi aveva legato
per settimane al letto di mia madre, implorando il cielo che non me la
portasse via … la stessa sensazione che mi aveva paralizzato
davanti al suo corpo inanimato.
Paura.
Avevo paura.
Paura di non
farcela …
Paura di dover
affrontare ancora quel dolore, quel vuoto, quella disperazione che mi
aveva già spezzato, reso affamato d’amore e di
piena e incondizionata accettazione.
Solo ma madre mi
aveva amato così …
Solo Elena dopo
di lei.
Nessuna dopo
Elena.
Avvolsi una
ciocca della sua chioma morbida attorno alle dita, quasi ad ancorarmi a
quel letto, a quel corpo.
Nel silenzio
della stanza, mentre fuori si stava preparando l’inferno per
quegli dei rinchiusi in un olimpo di follia, io giocavo con i suoi
capelli, focalizzando lo sguardo sul presente, cercando di non far
entrare in quell’istante i ricatti, le manipolazioni e i
giochi di potere di Klaus.
Quella notte
sarebbe soffiato furioso un vento di cambiamento ed io volevo solo
godere del caldo alito di ogni respiro.
Ero consapevole
di dover fare quello che doveva essere fatto, ma mi ostinavo a
preservare quello spazio libero da dubbi e conflitti.
Fare quello che
avevamo progettato era essenziale, vitale … a prescindere
dalle sensazioni, da quell’avvertire qualcosa di sinistro
… dalla paura che mi attanagliava le viscere.
La paura di non
essere abbastanza scaltro … abbastanza abile …
abbastanza … mi faceva sentire azzoppato, monco …
inutile.
Dovevo
scrollarmi di dosso la mia inadeguatezza ed essere
all’altezza della situazione, dovevo … avrei
dovuto …
Tra un attimo …
ancora un momento …
Elena si mosse
per prima, percependo i miei tormenti e la mia innaturale
staticità. Senza dire nulla, mi mise la mano sul cuore e,
accanto alle sue dita leggere, posò un bacio sulla mia
pelle, senza staccare gli occhi di miei.
Mi resi conto,
ancora una volta, ancora di più, che era inutile rimpiangere
quello che non avevamo avuto.
Dovevo
concentrarmi su quello che avevamo adesso … dovevo
concentrarmi sul futuro.
Era inutile che
mi lamentassi per quel che non potevo recuperare: dovevo concentrarmi
su quello che potevo salvare, e con esso, focalizzarmi su quanto potevo
ancora costruire.
Anche per quella
sera … anche per quella notte … non dovevo
pensare per rimanenze, ma sul come sfruttare al meglio quello che avevo
a disposizione, su chi e su cosa potevo contare, non come un ripiego ma
come preziosa risorsa.
Avevo Elena
… avevo il mio coraggio amplificato dalla disperazione,
dalla determinazione … avevo un’idea, in piano, e
forse qualche complice.
Mi era stata
data una mano di carte: dovevo giocare al meglio, bleffare se fosse
stato necessario e puntare alla posta in palio.
Avevo ancora
qualche ora da passare con lei.
E con
quest’ultimo pensiero, la presi e la trascinai sopra di me,
per non perdermi nulla di quello che c’era … per
non sprecare un attimo di più in compagnia della mia peggior
nemica: la paura.
In cucina Elena
beveva, assorta, il suo caffè.
Aveva indossato
un paio di jeans che aveva lasciato Cinthia e un morbido maglione blu,
in cui aveva infilato le ginocchia per raggomitolarsi meglio sulla
sedia.
-Tu non
… mangi? – mi chiese, guardandosi inconsciamente
il polso.
-No …
il tuo sangue ha soddisfatto la mia sete: anche per quello sei
ineguagliabile! –
Il ricordo del
suo sapore ancora mi pizzicava la lingua e mi procurava brividi di
piacere.
Ci guardavamo
centellinando le parole.
Non potevamo far
altro che aspettare.
Dalla finestra
giungeva il canto di un vento leggero, che aveva spazzato via le nubi
dell’alba.
Le tolsi la
tazza dalle mani e gliele afferrai, facendola alzare. Ci dirigemmo
verso la finestra ancora in frantumi: respirammo insieme la nebbia che
si alzava dal terreno gelato, mentre la circondavo con le mie braccia
perché non si raffreddasse.
Il vento tra i
rami ormai spogli sembrava portare con sé voci e lamenti
lontani.
Uno stridio di
gomme sul selciato attirò la nostra attenzione: chi stava
guidando nel viale d’entrata del pensionato?
Riconobbi il
vecchio SUV di Matt.
Matt?
Avrebbe dovuto
essere a New York con sua moglie … con le sue figlie
… perché era qui?
L’auto
si arrestò davanti alla porta d’entrata, frenando
bruscamente; lo sportello si spalancò e vidi qualcuno
scendere, qualcuno che non mi aspettavo di vedere: Meredith.
Elena ed io ci
sciogliemmo dall’abbraccio e andammo ad aprirle la porta.
-Meredith
… - gridammo all’unisono. – Cosa ci fai
qui … oggi … adesso? –
-Anch’io
sono contenta di vedervi! – rispose con un sorriso, facendosi
largo tra di noi per entrare in casa.
Guardandoci
stupiti e preoccupati, la seguimmo.
-Caffè?-
disse annusando l’aria. - Potrei uccidere per una tazza di
caffè! – esclamò, dirigendosi verso la
cucina.
-Tra un
po’ ti ucciderò io, se non mi dici
perché sei qui! – le ringhiai.
-Qualcuno mi ha
fatto una telefonata … senza usare il telefono! Ho ricevuto
un messaggio da Bonnie: diceva che c’era bisogno di me
… che forse questa notte avreste potuto aver bisogno di un
medico che non si faccia troppe domande, che non si stupisca davanti ai
“vostri” misteri. Ok? Bene: adesso le domande le
faccio io: che cosa sta per accadere? Cosa accadrà questa
notte? –
Era possibile
che Bonnie avesse “chiamato” Meredith per
soccorrere i pochi umani in ostaggio? Era solo questo il motivo che
aveva spinto la strega a fare quella strana
“telefonata”?
-Meredith,
– continuò Elena, - qui sei in pericolo;
perché non sei rimasta con Matt? Perché non sei
rimasta al sicuro? –
-
Perché se c’è bisogno di me, io non mi
tiro indietro. Raccontatemi tutto e vediamo come potrei esservi utile.
–
Elena
cominciò a raccontare per sommi capi tutta la storia del
rito e delle varie profezie. Alzandosi, si diresse verso il tavolo dove
vi era posata la pergamena che conteneva l’ultima visione di
Cassidy e la porse all’altra donna.
-E voi due come
avreste pensato di fermare quel pazzo? Come pensate di cambiare un
destino che sembrerebbe ormai segnato? – domandò
la dottoressa, senza ombra d’ironia.
Fu sempre Elena
a rispondere.
-L’idea
è di inquinare il sangue in modo che il rito non si possa
compiere, prendere Klaus alla sprovvista e cercare di ripetere
l’incantesimo che gli bloccò il cuore venticinque
anni fa. –
Elena si
addentrò nei particolari del nostro piano, e più
parlava più mi rendevo conto che era pura follia sperare che
potesse funzionare.
-Quindi, se non
ho capito male, vorreste mischiare il sangue di Damon nella coppa per
impedire l’unione dei gemelli e tentare di bloccare il cuore
di Mr “comando io”, mentre Bonnie
fermerà quello di qualcun altro.- Il suo volto si
illuminò, come raggiunto da una rivelazione. - Ecco
perché mi ha chiamata: probabilmente vorrà che mi
tenga pronta con un defibrillatore nel caso lei non riuscisse a
rianimare la “vittima”. –
Ascoltavo le due
donne parlare mentre i miei pensieri vagavano nel nulla. Avevamo
lasciato il messaggio con definite le nostre intenzioni nel punto del
bosco che ci aveva indicato Elijah, il quale doveva aver progettato
l’altra parte della ribellione, l’altra
metà della nostra speranza; il fatto che Meredith fosse
lì in seguito ad una richiesta di Bonnie mi dava la certezza
che la nostra lettera era arrivata a destinazione.
-Dunque, -
continuò Meredith, - il sangue di Damon perché
estraneo … ma credo che andreste ancora più sul
sicuro se, insieme, mischiaste anche qualche goccia di sangue umano
“puro” … l’unico a non essere
presente … l’unico che non ha poteri. –
La teoria della
dottoressa non faceva una piega: sangue umano, linfa vitale per noi
vampiri, ma assolutamente estraneo ad ogni potere o maledizione.
Geniale.
-Bene
… come pensi portare il sangue di Damon … e il
mio … all’altare? – chiese Meredith.
La guardammo
… ci guardammo … e con un sospiro rassegnato
Elena rispose:
-Pensavamo ad
una fiala nascosta addosso a me … il punto è come
e quando tirarla fuori per romperla nella coppa di nascosto. –
-Diciamo che
questa è la parte debole del piano: ovviamente Elena
avrà gli occhi di tutti puntati addosso e non le
sarà facile eseguire la “manovra”
… - intervenni.
-Esatto.
Leggendo qui vedo che ti dovranno incidere il polso sinistro
…-
-Sì
… e credo che sarà Caitlin a farlo: data la sua
devozione a Klaus e all’idea della cura universale, penso che
sarà proprio lei ad officiare il rito, mentre tutte le altre
streghe si preoccuperanno degli incantesimi … e Bonnie
sarà con loro per non destare sospetti, per non mettere a
rischio la vita di Jeremy, degli ostaggi. Bonnie aspetterà
che il rito salti e, credo con l’aiuto di Elijah,
tenterà l’altro incantesimo … -
Mentre parlava,
la voce di Elena si riempiva d’ansia: il piano, ripetuto a
una terza persona, a poche ore dall’ora X, sembrava molto
più complicato, per non dire impossibile.
-Allora bisogna
proprio che tu riesca ad inquinare quella maledetta coppa …
è l’unica speranza … -
sottolineò Meredith.
-L’unica
… e poi è tutto nelle mani di Bonnie, Elijah
… Cinthia …- rispose Elena, sempre più
sfiduciata.
-Ok …
Credi che ti perquisiranno? A fondo, intendo.–
-No, credo
piuttosto che Klaus tenterà di leggermi nella mente per
capire se sto barando, ma per questo siamo protetti: Cinthia ha fatto
in modo che la mia mente e quella di Damon non possano essere lette
senza che ce ne rendiamo conto, in questo modo possiamo modificare i
nostri ricordi e i pensieri. –
- Perfetto! -
-Perfetto cosa?
– esclamai. – Niente mi sembra perfetto!
Cos’hai in mente? –
-Un piccolo
intervento chirurgico … piccolo ma efficace! –
sorrise.
Elena
impallidì.
-Lasciate che
vada in ospedale a prendere un paio di strumenti … stai
tranquilla, non sentirai male, non molto almeno … meno del
morso che ti sei fatta dare da Damon sul collo …
bisognerà mimetizzarlo … -
-Fermati un
secondo! – mi misi davanti a lei per bloccarle il passaggio.
– Intervento chirurgico? –
-Uff
… fidarsi, ogni tanto? Ho pensato di inserire una piccola
canula nel braccio di Elena che termini nel suo polso … una
canula morbida, in modo che possa mimetizzarsi con una vena
… le ultime scoperte mediche hanno … -
-Lascia perdere
i trattati di medicina: una canula nel braccio di Elena? –
-Sì
… e, fissata sotto l’ascella, una piccola sacca
con il nostro sangue. Quando il polso di Elena verrà
tagliato, oltre al suo sangue uscirà anche il nostro,
perfettamente mimetizzato!-
-Ma …
-
-Smettila Damon!
– mi zittì Elena. –E’
un’ottima idea … perfetta direi! Non se ne
accorgeranno, vero? –
-No se non ti
perquisiranno sotto le maniche. Questi ultimi ritrovati per i trapianti
di vene e arterie sono del tutto simili ai vasi sanguigni veri. Noi
faremo in modo che l’ultimo tratto sia occluso,
così il sangue non ti entrerà in circolo e non
sarà perso. Solo l 'incisione farà iniziare il
flusso e svuoterà la piccola sacca … -
Era
un’idea fantastica, anche se ero molto preoccupato per Elena:
avrebbe sofferto?
Sentii la sua
voce precedere la mia.
-Vai Meredith
… facciamo presto! –
L’idea
di avere una speranza supplementare mi diede un attimo di respiro.
-Mantieni un
profilo basso … non fari riconoscere … potrebbero
esserci in giro spie … - mi raccomandai.
-Non ti
preoccupare. Farò in modo che nessuno sospetti di me
… sarò di ritorna tra circa un’ora
… Elena, tu stai tranquilla: non mangiare nulla e cerca di
rilassarti … non ti voglio agitata sotto i ferri
… - sorrise.
Elena
appoggiò pesantemente la schiena contro al divano e chiuse
gli occhi.
Io accompagnai
la dottoressa alla porte, andai a sedermi accanto a lei, e le afferrai
la mano.
-Sei sicura di
volerlo fare? – le domandai a bassa voce.
-Hai
un’alternativa? –
-Ne avrei
diverse, ma implicherebbero una nostra fuga, con annesso omicidio di
massa. –
-Appunto
… non hai un’alternativa … e, grazie al
cielo, Meredith ce ne ha data una! –
Ero stanco di
quest’altalena di speranze e delusioni, di dubbi e certezze.
Appoggiai la mia
testa sulle sue gambe e lasciai che lei mi accarezzasse la testa.
Quelle dita tra
i miei capelli, quel modo di giocare con le mie ciocche ribelli, mi
riportava alla memoria il tocco di mia madre …
Perché
continuavo a pensare a lei?
Avrei perso
anche Elena come avevo perduto lei?
-Elena
… ? –
-Sono qui.
–
-Ho paura
… -
-Lo so
… -
-Non riuscirei a
sopportarlo se ti accadesse qualcosa di definitivo … -
-Ho il tuo
sangue in corpo … non mi succederà nulla
… tu sarai lì con me … -
-Elena
… non voglio lasciarti … non posso permetterti di
andare dove non potrei raggiungerti. –
-Ce la faremo!
–
-E se non
… -
Rimase in
silenzio.
Non aggiunse
altro.
Continuò
lentamente ad accarezzarmi la testa … la schiena
… le spalle rigide.
La lasciai fare,
e per qualche minuto mi concessi di essere fragile … di
tornare bambino … e di far uscire un paio di lacrime che
trattenevo da troppo tempo, imprigionate dietro sbarre di rabbia e
determinazione.
Due lacrime
… versarne di più sarebbe stato inutile
… poi sarei tornato il cavaliere nero che combatte per
… con … la sua principessa guerriera.
Nei pochi giorni
che avevamo condiviso, mi ero reso conto che Elena ed io eravamo capaci
di stare in silenzio, vicini … immobili per minuti che
sembravano dilatati … a respirarci … a svuotare
la mente dai pensieri per riempirla di emozioni, sensazioni
… sentimenti.
Insieme davamo
un senso a una vita che non ne aveva alcuno, regalavamo un significato
allo scorrere altrimenti vuoto del tempo.
Quella sera
avremmo potuto attraversare la soglia del nulla, o costruire un futuro
fatto di mille presenti.
Eravamo sospesi
ad un passo dall’inferno … o dal paradiso
…
Non
m’importava dove saremmo finiti: io volevo solo viverle
accanto … calpestare la sua stessa polvere, respirare la sua
stessa aria.
Ed ecco, di
nuovo, arrivare la mia peggior nemica, insidiosa come un cobra,
velenosa come il suo morso, a togliermi il respiro
Strinsi le
ginocchia di Elena e vi affondai il volto.
“Cosa
ti faranno, Elena?”
Non volevo
sentire ancora quella sensazione, non volevo diventarne schiavo, non
volevo che mi indebolisse.
Non volevo avere
paura, ma la bestia si stava insinuando nelle mie insicurezze,
facendomi tremare le vene dei polsi.
Elena
allungò le gambe e si lasciò scivolare sul
tappeto, trascinandomi con lei.
Prese il mio
volto tra le mani e mi costrinse a fissarla negli occhi, confine di un
mondo da esplorare, di un’immensità sconfinata
d’amore.
-Promettimi che,
qualunque cosa mi accadrà tu … -
sussurrò.
-Non ti prometto
nulla … promettimi tu che … -
-Non posso
prometterti nulla, ma tu …-
-Non facci
promesse che non posso mantenere … non chiedermi
l’impossibile, Elena … non chiedermi di vivere
senza di te. –
-Allora baciami
fino a quando arriverà Meredith … baciami e
perditi in me ancora una volta.-
E
così feci.
-o-o-o-
Il terreno era
umido e il tramonto si era portato via l’unica fonte di
tepore.
Klaus aveva
mandato Kol a prenderci, insieme a due ibridi: lui ci precedeva sul
sentiero, mentre i due lecchini erano alle nostre spalle.
Per fortuna
Meredith non era stata rintracciata: sarebbe rimasta al limitare dl
bosco in attesa dell’oscurità. Ci avrebbe
raggiunti più tardi, quando tutti sarebbero stati
concentrati sul rito, quando nessuno avrebbe guardato oltre
l’altare.
Elena aveva
ancor addosso lo stesso paio di jeans del mattino e lo stesso maglione
che le nascondeva la piccola sacca di sangue impiantatale da
Meredith. Non aveva voluto cambiarsi, non avrebbe accolto la morte in
abito da sera.
Una serie di
lucciole “magiche” segnava la via verso il sito
prescelto.
Kol lanciava
battutine che non volevo ascoltare, sguardi sarcastici che non volevo
vedere.
Non avrebbe
potuto provocarmi con nulla: ero come anestetizzato, concentrato nel
frenare la mia rabbia, la mia voglia di scappare, di lanciare una bomba
su quel maledetto altare e andare lontano … via
dall’odore di morte e di follia.
Avevo la mano di
Elena stretta nella mia, le dita intrecciate in una calma apparente, in
una rassegnazione fasulla.
Ci addentrammo
nel bosco che sembrava fungere da corridoio, un’infinita
navata che conduceva all’ara che avrebbe accolto il
sangue della mia donna … della mia vita.
I tronchi ai
lati del sentiero sdrucciolevole erano macabre colonne che innalzavano
guglie di rami spogli verso un cielo blu scuro, sempre più
prossimo al nero.
Quando
l’alone di diversi falò fece arrossire una radura
ancora lontana, il fiato m’inciampò tra i denti.
Il canto delle
streghe echeggiava, rimbalzando sulle pietre, accompagnato dallo
scorrere del fiume sottostante.
Si stava
preparando una messa: il suono di rosario blasfemo era
nell’aria a richiamare poteri oscuri, a fungere da guida per
l’angelo che sarebbe arrivato ad avvolgere, con le sue nere
ali, l’anima dell’agnello sacrificale.
Volute di fumo
giocavano a rincorrersi nel cielo, sempre più buio ad ogni
minuto che passava; il crepitare del fuoco richiamava un calore
devastante.
Un’ombra
si stagliava su questo sfondo infernale: era in piedi su una roccia, un
gradino naturale verso un’altra pietra, che a malapena
intravvedevo, alle sue spalle.
Non vedevo il
suo volto, ma ne riconobbi le fattezze, le spalle, il portamento
arrogante anche da fermo.
Klaus ci stava
aspettando per darci il suo personale benvenuto.
Elena smise di
camminare e si voltò per scrutarmi negli occhi, quasi a
leggermi dentro per trovare qual coraggio che avevamo costruito
insieme, quella forza e quella convinzione che avevamo messo insieme,
incollando i pezzi del nostro amore con brandelli di speranza e schegge
di disperazione.
Senza lasciare i
miei occhi, slegò la sua mano dalle mie dita e la pose sulla
mia guancia, accennando un sorriso. Avvicinandosi, si alzò
sulle punte dei piedi per sussurrarmi qualcosa nelle orecchie:
-Ci vediamo
più tardi … su questa terra o altrove: non ti
libererai di me tanto facilmente. –
-Ti
aspetterò … o ti raggiungerò
… su questo pianeta o altrove: non ti lascerò
scappare tanto facilmente. –
Presi il suo
viso con entrambe le mie mani e le nostre labbra si sfiorarono.
Sentii la sua
bocca sciogliersi sulla mia e, anche in quel momento,
l’attrazione inspiegabile e inconfutabile che avevo sentito
fin dalla prima volta, annullò il tempo e lo spazio.
Fu la voce di
Klaus a rompere la bolla in cui ci eravamo rifugiati.
-Benvenuta,
mogliettina … pronta a donarmi il tuo cuore ancora una
volta? -
|
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Capitolo 25 *** Il rito ***
CAPITOLO 25
…IL
RITO…
11 novembre, notte.
La notte aveva
steso il suo manto scuro.
L’assenza
di luna e i cumulonembi intrisi di pioggia rendevano il cielo
profondamente nero.
L’unica
luce che rischiarava l’aria era quella dei fuochi attorno
all’altare, i quali cambiavano
d’intensità al cambiare dell’intonazione
della cantilenante nenia che usciva dalla bocca delle streghe.
L’atmosfera
era tetra, spettrale.
Gli ostaggi
erano allineati in ginocchio, a qualche metro alla sinistra
dell’altare, sempre fissi nel loro stato di sonno vigile;
accanto ad ognuno di loro era appostato un ibrido, pronto a strappare
il loro cuore ad un cenno del loro capo.
Le streghe
formavano un pentacolo attorno all’altare, dove i quattro
“protagonisti” avevano occupato la postazione in
corrispondenza dei quattro punti cardinali indicati dalla profezia.
Bonnie occupava il vertice ad est e dava le spalle agli ostaggi.
Dietro Klaus,
in corrispondenza della punta a nord del pentacolo, si era posizionata
Caitlin, vestita con un lungo abito dello stesso colore delle nebbie di
Avalon; la sacerdotessa aveva lo sguardo fisso al cielo … in
attesa.
Non conoscevo
le altre streghe, ma non m’importava sapere i loro nomi:
erano lì per rubare la vita di Elena, la vita di uno dei
gemelli, e questo bastava a farmele odiare
Sulla pietra di
un bianco irreale, che fungeva da altare, era incisa una rosa dei venti
al centro della quale faceva bella mostra di sé il calice
che avrebbe dovuto raccogliere il sangue necessario al rito.
Elijah e
Rebekah erano in piedi a sud dell’altare, fuori dal
pentacolo, immobili … padrino e madrina di quella malefica
consacrazione.
Cassidy era su
uno spuntone di roccia che si protendeva a strapiombo sopra il fiume,
seduta nella posizione del loto, con gli occhi vacui e fissi
sull’altare, le mani abbandonate sulle ginocchia, avvolta in
un vecchio mantello dello stesso colore indefinito che indossava sua
madre.
Io ero al
limitare della radura, esattamente dietro ad Elena, con Kol al mio
fianco.
Klaus doveva
proprio temere che combinassi qualche casino se mi aveva affidato al
fratello a lui più fedele, al fratello più
stronzo, in effetti.
Nessuno, tranne
le streghe che salmodiavano, proferiva parola.
Nessuno osava
muovere un muscolo.
Pheeb e Cinthia
si fissavano negli occhi, il volto scolpito in un’espressione
seria e tirata. Elena mi voltava le spalle, ma la sua testa era eretta
e lo sguardo si rivolgeva alternativamente ai figli.
La tensione era
densa, palpabile: tutta la scena sembrava immersa in una vasca di colla
liquida e ogni movimento sembrava inibito dai fili di una ragnatela che
ci avvolgeva invisibile, rendendoci inermi.
All’improvviso
ogni alito di vento cessò e la terrà
sembrò fermare il suo moto di rotazione, come se
l’asse, che la attraversa dalla Stella Polare in
giù, si fosse inceppato.
Anche le fiamme
dei falò sembrarono indebolirsi per mancanza di ossigeno.
Poi la terra
tremò, attraversata da uno scossone talmente forte che molti
dei presenti, me compreso, si ritrovarono accasciati sulle proprie
ginocchia.
Le streghe si
zittirono, allertate da un urlo quasi disumano.
Con le mani
appoggiate sul terreno, mi voltai verso Cassidy, la quale aveva la
testa rivolta verso il cielo e la bocca spalancata.
I pianeti erano
allineati.
Un fulmine
squarciò l’aria, illuminò la radura a
giorno per qualche secondo e andò a cadere al centro
dell’altare, assordandoci con il suo potente fragore.
Quando la calma
sembrò tornare, Caitlin si fece avanti.
L’essere che
nascerà dall’abominio,
Unito al sangue
che lo ha creato,
Sarà
perfetto, angelo o demonio.
Maschio e femmina
originato,
unito,
tra i mortali, immortale
ma
vulnerabile se separato,
magico... e
potente … e letale,
sana e rinnova il
sangue che scorre
non morte ma vita
lui dona, leale.
La
sacerdotessa, ripetendo la profezia, si avvicinò Pheeb, gli
afferrò il polso e lo incise con un pugnale molto sottile e
affilato, ponendo la coppa sotto il sangue che gocciolava.
Poi si
voltò verso Klaus e ripeté la stessa operazione.
Nato nel giorno
d’inverno solstizio
che tenebra
spazio alla luce cede,
tra buio e luce
equilibrio fittizio.
Venti giri gli
dei in loro sede,
attorno al Sole
poi tracceranno,
fino ad unirsi in
un'unica fede.
Se il potere
mantenere vorranno,
bevendo della
madre il sangue
in uno i due
confluire dovranno.
Quando
pronunciò la parola “madre”, prese il
polso sinistro di Elena e lo tagliò: smisi di respirare. Il
trucco di Meredith avrebbe funzionato?
Mentre il
sangue fluiva nella coppa, nulla di strano sembrò
interrompere la cerimonia, che cominciava ad assumere i colori del
macabro.
Il potere di Zeus
l’uno otterrà
Di
ogni limite mortale libero
dai
mortali limiti libererà
Il
suo sangue sarà vita senza morte
Non
più sete … non più brama
Di
male e bene deciderà la sorte
Se la
notte trascorre senza inferno
Lei
solo la magia avrà in dote, lui
demone
schiavo, precariamente eterno.
Anche il sangue
di Cinthia era nella coppa.
Come nella
visione di Cassidy, Caitlin intinse il proprio indice destro nel sangue
mischiato e disegnò una stella sulla fronte dei gemelli e
una croce sulla loro mano destra.
I due fratelli
avvicinarono le mani e unirono i palmi segnati, mentre la strega
versava parte del sangue al centro dell’altare.
Ancora il
silenzio scese pesante.
L’aria
si fece di piombo.
Tutti gli
sguardi erano puntati sul sangue che, scorrendo, avrebbe dovuto
indicare a chi dei due sarebbe stato scelto … chi dei due
avrebbe dovuto morire.
Klaus dominava
la scena: il suo sguardo era teso, per la prima volta notai un velo di
preoccupazione nei suoi occhi; guardava la strada che percorreva
lentamente il sangue versato … lo fissava come a tentare di
dominarne la direzione.
Sangue
per il sangue,
morte per la rinascita
una vita per mille vite
sangue per il sangue
un mortale per un dio
un dio per
l’umanità.
La voce di
Caitlin divenne un urlo … l’urlo si fece silenzio.
Il sangue, come
guidato da una forza superiore, s’incanalò nelle
cesellature della pietra, nelle linee che formavano la rosa dei venti.
Le mani dei
gemelli sembrarono diventare eteree, quasi a fondersi in una sola. Come
sollevati da corde invisibili, i loro piedi si staccarono dal terreno e
i loro corpi iniziarono a fluttuare, avvicinandosi l’uno
all’altro.
Il sangue aveva
colorato di rosso la stella sull’altare mentre i due corpi
sembravano fondersi in uno.
La loro
immagine era quasi sfuocata e quasi non si riuscivano a distinguere i
tratti di Cinthia da quelli di Pheeb.
Era come se i
loro corpi li avessero abbandonati e le loro anime fossero state
attratte inesorabilmente in una danza di veli, che giocavano ad
intrecciarsi e a sciogliersi.
Caitlin
afferrò la coppa e versò dell’altro
sangue al centro dell’incisione.
Indicaci la strada
Indicaci
l’essere
Che la fine abbia
inizio
Che il sacrificio
cominci.
Come richiamato
dal nuovo sangue versato, il liquido che colorava l’altare si
radunò al centro, unendosi ad esso.
Nel cielo, una
strana aurora boreale faceva volare i suoi colori sulla tela nera, come
se un pittore impazzito stesse gettando pennellate di vernice.
Gli astanti
erano come pietrificati, torturati da un’attesa spasmodica,
da un senso ineluttabile di fatalità: era come se
l’Olimpo si fosse davvero trasferito sulla terra …
che il Fato stesso si fosse impossessato dell’aria che
stavamo respirando.
Io stesso
dovetti scuotermi più volte per rimanere presente a me
stesso, per non abbandonare la mia volontà ad una forza
ipnotica che stava incatenando ogni singolo essere affacciato su quel
presbiterio a cielo aperto.
Il sangue
ricominciò a fluire, a prendere la strada che avrebbe
indicato quale di gemelli era designato a innalzarsi su
quell’altare come nuovo dio, e quale avrebbe lasciato in
offerta la sia vita, insieme al cuore di Elena.
L’inganno
non aveva funzionato … stava accadendo tutto quello che
avevamo previsto: il destino si stava compiendo e nessuno era in grado
di fermarlo.
All’improvviso
accadde tutto.
Lo scenario
mutò velocemente … ma ai miei occhi fu come
assistere ad una scena a rallentatore.
Il sangue,
invece di scivolare verso uno dei due gemelli, incominciò
formare bolle, a raggrumarsi e, così facendo,
formò una sfera che aleggiò sopra
l’altare per qualche istante prima di esplodere in minuscole
particelle impalpabili.
Un fragore
assordante fece tremare il terreno: anche l’altare si
spezzò, frantumandosi ai piedi di Klaus.
I corpi dei
gemelli si “slegarono” e tornarono ad essere
distinti e distinguibili.
Klaus si
guardò attorno attonito, incapace di reagire.
In un attimo le
pedine si trasformarono in cavalieri e la scacchiera prese vita.
Elijah e
Rebecca si fiondarono sugli ibridi, estirpando i loro cuori e
lanciandoli lontano, mentre Bonnie liberava gli ostaggi
dall’incantesimo che li rendeva inermi.
Pheeb si eresse
sopra la radura, mandando scosse di potere verso gli ibridi che
tentavano di difendersi, mentre Cinthia addormentava tutte le altre
streghe presenti.
-Elena!
– urlai, cercando di superare il frastuono della battaglia
che si stava svolgendo davanti ai miei occhi, ma lei non
riuscì a sentire la mia invocazione.
Kol sembrava
scomparso, assorbito dalla lotta.
Stefan si era
schierato al fianco di Rebekah, affiancato da Alaric, il quale mi aveva
lanciato uno sguardo stupito e compiaciuto, prima di cominciare a
combattere l’esercito di ibridi che tentava di riportare
l’ordine.
Caroline e
Tyler si avvicinarono a Bonnie per tenerla al sicuro e per cercare di
coprirla mentre catturava Shane, l’essere umano prescelto per
praticare l’incantesimo che avrebbe fermato il cuore di Klaus.
Evidentemente,
il fatto che gli ostaggi fossero “vigili” aveva
permesso a Bonnie di far sapere loro cosa fare, una volta sbloccato il
maleficio che li manteneva immobili. Klaus non aveva controllato le
loro menti … non aveva immaginato … o, forse,
Cinthia era riuscita a proteggere anche loro.
Non sapevo cosa
o come, ma una volta liberi, gli ostaggi sembravano muoversi secondo
uno schema ben definito: ognuno aveva un obiettivo da colpire o da
proteggere … ognuno con un compito preciso. Anche Kath
combatteva al fianco di Elijah, anche lei aveva deciso che schierarsi
era meglio che fuggire.
Il mio
obiettivo era uno solo ed era di fronte a me, all’interno di
un cerchio di potere che Pheeb aveva innalzato tra loro e il resto dei
presenti: chiunque cercasse di avvicinarsi all’altare in
frantumi veniva scaraventato a metri di distanza e tramortito.
Io non mi
allontanai molto dalla mia postazione: non volevo perdere di vista
Elena. Mi limitavo a rimanere pronto ad intervenire, nel caso in cui
Stefan o Bonnie o qualcun altro degli ostaggi fosse in reale pericolo e
a strappare il cuore a qualche malcapitato ibrido che si trovava a
passare troppo vicino ai miei artigli.
Avevo una
voglia pazza di buttarmi nella mischia, ma non volevo lasciare Elena
… non volevo perderla di vista.
Klaus
continuava a guardarsi intorno, ad osservare il suo Olimpo crollare,
gli dei che avrebbero dovuto affiancarlo, ribellarsi … i
suoi semidei sterminati. Anche lui non si muoveva dalla sua posizione,
probabilmente bloccato all’interno dei confini dettati da
quel figlio che ora era veramente un dio: Zeus che guidava la rivolta
degli dei contro un padre sanguinario e crudele. Poi la sua rabbia
esplose in un grido raccapricciante, pieno di una nuova debolezza, di
un nuovo timore: essere sconfitto.
Cinthia si
voltò e lo fisso in volto. Doveva agire e doveva farlo in
quell’istante: Ty aveva afferrato Shane e Bonnie aveva
cominciato a recitare il suo incantesimo.
Ma
esitò … esitò solo una frazione di
secondo … un tempo inferiore ad un battito di ciglia.
Klaus
capì le sue intenzioni ed evitò la mano
di sua figlia diretta al suo petto.
-Anche tu,
Cinthia? – ruggì.
Il suo
movimento fulmineo venne proiettato a rallentatore nei miei occhi, come
se il mio cervello avesse azionato una moviola: lo vidi scansare
Cinthia, dirigersi verso Elena e, prima che potessi espirare
l’aria che trattenevo nei polmoni, vidi la sua mano infilarsi
tra le costole di lei, impietrita dall’imprevista manovra
dell’ibrido.
NO!
Uno
…
Volevo correre,
ma i miei piedi sembravano di cemento.
-No, Elena ...
– urlai, cercando di raggiungerla per fermare la mano di quel
pazzo.
Pheeb si
voltò verso la madre, mentre la sorella alzò le
mani per rivolgerle verso il padre.
Erano tutti
salvi … perché Elena avrebbe dovuto essere
l’unica vittima?
Era andato
tutto come avevamo programmato, meglio di quanto avremmo potuto
prevedere … eppure il suo cuore era ostaggio delle grinfie
di Klaus.
-Elena!
– non riuscivo a pensare ad altro … non riuscivo a
dire altro.
Elena,
ti amo … resisti …
Elena,
amore mio, arrivo …
Elena
… non posso vivere senza di te.
Quanti
pensieri si possono formulare in un decimo di secondo?
Quando dolore
si può provare tra una sistole e una diastole, prima che il
cuore si frantumi?
I fuochi si
erano spenti e non c’era luce nella radura: solo attorno a
Cinthia si era formato un alone pallido di luce blu, che illuminava
debolmente l’area “sacra”.
La battaglia
continuava: nessuno si era accorto di quanto era accaduto ad Elena,
nessuno al di fuori del cerchio magico era conscio della tragedia.
Due
…
I miei piedi si
scollarono dalla terra e tentarono un passo, provarono spiccare il volo
per raggiungere Elena alla velocità della luce.
Sasso in una
fionda … proiettile in una pistola …
Lanciarmi
… colpire … salvare.
Elena
eccomi …
Elena
sono qui …
Elena
…
La
disperazione divenne l’elastico.
La rabbia
polvere da sparo.
Attraversai
l’aria per raggiungerla.
Attraversai il
buio per ritrovare la sua luce.
Tre
…
Sentii prima il
rumore … come di rami spezzati.
Poi
arrivò il dolore.
Una mano si era
infilata nella mia schiena, mi aveva spezzato le costole e aveva
afferrato il mio cuore, prima che riuscissi ad avvicinarmi
all’altare … prima che potessi raggiungere Elena.
Kol era apparso
misteriosamente alle mie spalle e aveva fermato il mio volo
…
Elena
…
Elena
…
Elena
…
Quattro
…
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Capitolo 26 *** L'ospite ***
CAPITOLO 26
…L’OSPITE…
21 dicembre, sera.
Li
osservavo dalla finestra del pensionato … la stessa che
avevo ridotto in frantumi: probabilmente Stefan l’aveva fatta
sistemare.
Nel
salone, illuminato dalla fiamma del camino, fervevano i preparativi per
il compleanno dei gemelli, il loro ventesimo compleanno, quello che li
avrebbe portati nel mondo dei normali … per modo di dire.
In alcuni
angoli della casa aveva fatto la sua apparizione qualche decorazione
natalizia: una stella di natale sulla scrivania … la
ghirlanda sulla porta principale … piccole luci bianche e
scintillanti sui rami degli alberi che si affacciavano sul viale
d’ingresso.
Natale
… non ricordavo l’ultima volta che avevo celebrato
quella ricorrenza … forse ero ancora bambino.
Istintivamente
cercai Stefan, l’ultimo con cui avevo festeggiato un Natale
allegro e spensierato, l’unico con cui avevo trascorso quella
giornata con un senso di appartenenza e di famiglia, dopo la morte di
mia madre.
Il
centro della sala non era ancora addobbato: il Natale non avrebbe
dovuto togliere la scena a qualcosa di altrettanto importante per la
famiglia: protagonisti della serata di festa dovevano essere i ragazzi;
quello sarebbe stato il loro primo compleanno fuori dalla gabbia, il
loro ultimo da esseri oltre il sovrannaturale.
Stefan
e Reb stavano parlando con Cinthia: la giovane strega, nonostante
tutto, non aveva perso la sua aria imbronciata, ma negli occhi un
sorriso si sforzava di non raggiungere le labbra, mentre la zia le
sistemava una ciocca di capelli dietro le orecchie.
Jeremy
riattizzava il fuoco nel camino, affiancato da Elijah, mentre Kath era
sprofondata nella poltrona: la gamba destra scompostamente appoggiata
al bracciolo, una limetta per unghie tra le mani,
l’atteggiamento fintamente annoiato e un lampo di luce nello
sguardo malizioso rivolto al suo uomo, che si era voltato a guardarla,
paziente e innamorato.
Oltre
la porta della cucina s’intravvedevano Elizabeth e Bonnie,
intente a mettere degli stuzzichini nei vassoi, mentre le figlie di
Matt, decoravano la tavola con bianchi piatti di porcellana.
Alaric
chiacchierava con Meredith mentre preparava uno dei suoi cocktail
micidiali: stava mischiando liquori a caso, mostrandosi sicuro quanto
Tom Cruise nell’omonimo film.
Per
un attimo il respiro mi morì in gola: non riuscivo a trovare
Elena.
Alaric
fece un’acrobazia con la bottiglia di bourbon, che
riuscì a riafferrare solo grazie alle sue
capacità di vampiro e, spostandosi di un passo, mi permise
di vederla.
Era
accovacciata sul divano, con le gambe piegate sotto di lei, la testa
sostenuta dalla mano sinistra, gli occhi velati da una dolce tristezza:
stava leggendo … sorrideva malinconica. Riconobbi uno dei
suoi diari ... sorrisi di riflesso: quale ricordo le stava accarezzando
il cuore?
Era bellissima
… anche da vampira era bellissima … tanto bella
da farmi male.
-o-o-o-o-
11 novembre, notte
(Pheeb)
Le loro urla mi
ferirono le orecchie, mi sconvolsero la mente: mia madre …
Damon …
Senza
pensare, senza riflettere, senza nemmeno accorgermene, assorbii ogni
minima onda di potere che riuscii a percepire e fermai il tempo
all’interno del perimetro della radura.
Cinthia
mi guardò senza stupore; eravamo connessi, legati a doppio
filo, e sapeva bene cosa le avevo fatto fare.
Tutto
intorno a noi si era immobilizzato.
Il braccio di
mio padre era ancora tra le costole di mia madre, mentre il cuore
pulsante di Damon era tra le mani sanguinanti di mio zio Kol.
La
battaglia si era trasformata in un quadro, un’immagine immota
di combattenti e vittime, di corpi lacerati sul terreno e soldati in
assetto da guerra.
Avevo
solo pochi istanti a disposizione, non sarei riuscito a tenere bloccato
il tempo per molto: non eravamo mai stati tanto potenti, non lo saremmo
stati mai più, ma bloccare il tempo richiedeva un dispendio
di energie immane, troppe anche per me e mia sorella.
Vidi
Cinthia dirigersi verso i nostri genitori e togliere la mano di mio
padre dal corpo straziato di mia madre.
-Il cuore
è fermo … - mi comunicò con lo sguardo
preoccupato.
No,
non poteva essere troppo tardi, non poteva averla già
uccisa: se fosse morta, nemmeno il nostro sangue avrebbe potuto
riportarla in vita. Le mani cominciarono a tremarmi per la rabbia e un
grido mi morì in gola … avvertii potente il
desiderio di staccare la testa a quello che, esclusivamente per una
legge della genetica, avrei dovuto chiamare padre.
Una
voce sconosciuta arrivò dal limitare della radura.
-Mi chiamo
Meredith … sono un’amica di vostra madre ... sono
un medico …-
Mi
voltai perplesso: lei non era bloccata perché era fuori
dalla portata dell’incantesimo.
-Elena
ha in corpo il sangue di Damon … se è morta
... entrerà in transizione: ha buone speranze di
salvarsi… pensate a Damon. –
Come
avremmo potuto salvare Damon? Il suo cuore era separato dal suo corpo,
evento letale per un vampiro: non appena il tempo avesse ricominciato a
scorrere, si sarebbe accasciato al suolo, essiccandosi.
Capendo i miei
dubbi, la dottoressa mi chiese di poter entrare nella bolla temporale.
-Cosa
vorresti fare? Sappi che non abbiamo molto tempo, – le disse
Cinthia mentre correva verso il corpo di Damon.
-Vuole
rimettergli il cuore al suo posto … vuole farlo vivere!
– le gridai, capendo le intenzioni di Meredith.
Con
uno sforzo non indifferente cercammo di farla entrare
all’interno del perimetro che delimitava lo spazio
“senza tempo”. La fatica era tale che rischiavamo
di perdere il controllo e di vanificare i nostri sforzi: una frattura
avrebbe potuto disgregare lo scudo che avevamo creato contro il
ticchettio degli orologi e far ricominciare la battaglia.
Percepii
la fatica di Cinthia, la vidi tendersi e finire in ginocchio accanto a
Kol, nell’esatto istante in cui Meredith superava la
barriera; aveva il fiato corto e i miei battiti erano notevolmente
accelerati: questo calo di energie non ci avrebbe permesso di mantenere
fermo il tempo ancora per molto.
-State
bene? - ci domandò la dottoressa.
-Sì,
ma non resisteremo ancora a lungo. – le spiegai.
-Basterà!
Mi hanno detto che il vostro sangue ha doti curative …-
-Sì,
- le risposi.
-Bene. Per
sicurezza, fatene bere un po’ a vostra madre non appena si
sveglia: non la riporterà in vita, ma la aiuterà
durante la transizione, la guarirà più
velocemente … -
- …
e non avrà brama di sangue … - concluse Cinthia.
-Ok ragazzi
… spostate Elena fuori dalla portata di Klaus …
intanto vedo se posso riaggiustare questo vampiro … -
Senza
perdere tempo con altre domande, presi tra le braccia il corpo esanime
di mia madre e lo portai al limitare della radura, cercando
di tamponare la ferita che le aveva provocato mio padre. Dopo averla
posata su un cumulo di foglie, mi guardai le mani lorde di sangue e
maledii colui che mi aveva generato.
Nel
frattempo, la dottoressa aveva riposizionato il cuore di Damon nella
sua cassa toracica, la capacità di guarigione dei vampiri
avrebbe fatto il resto: il cuore pulsava, forse c’era una
speranza.
-Datemi
un po’ del vostro sangue … lo aiuterà a
rimettersi in sesto. E' un vampiro: se le arterie si ricongiungeranno,
dovrebbe guarire abbastanza in fretta, ma non abbastanza velocemente
per difendersi da Kol. Aiutatemi a spostare anche lui … -
Cinthia
si alzò in piedi, la faccia stravolta: impose le mani sul
corpo di Damon per spostarlo, io le urlai di fermarsi.
-Hai
bisogno di energie per fermare il cuore di Klaus … non
sprecarle! –
Con
un gesto della mano scaraventai il corpo di Damon dalla parte opposta
della radura, mentre Meredith si appostava vicino ad Elena.
Recuperai
la coppa rovesciata ai piedi dell’altare in frantumi:
bastò una lieve pressione sul taglio appena rimarginato e il
sangue ricominciò a fluire in quel calice maledetto. Cinthia
fece altrettanto e affidammo il tutto a Meredith.
Il
dispendio di potere stava allentando la presa sul tempo che stava
lentamente ricominciando a scorrere.
Le persone
cominciarono a muoversi come in una scena alla moviola.
-Corri
vicino a Klaus, – urlai a Cinthia - e tieniti pronta.-
Tornai
da mio zio Kol e lo misi fuori combattimento spaccandogli il collo: per
un po’ non lo avremmo avuto in mezzo ai piedi.
Cercai
Bonnie e la vidi accanto a Shane, con Car e Ty a farle da guardie del
corpo.
Mi
posi accanto a Cinthia nel momento esatto in cui tutti ricominciarono a
muoversi a velocità normale.
Le mani di mia
sorella erano saldamente ancorate al petto di Klaus che, incredulo, si
ritrovò in una posizione ben diversa da quella in cui era,
nella sua percezione, solo qualche secondo prima.
Cinthia,
con le lacrime agli occhi, aveva cominciato a premergli la mano sul
cuore, mentre Bonnie pronunciava il suo incantesimo, riversa sul corpo
di Shane.
Dal
canto mio, cercavo di proteggere mia sorella dall’attacco
degli ultimi ibridi rimasti e, nel contempo, tentavo di dare una mano a
chi continuava a combattere.
Sia
Elijah sia Stefan si erano accorti che qualcosa era cambiato, nello
spazio di un battito di ciglia. Entrambi i miei zii mi fissarono
attoniti e poi rivolsero i loro sguardi all’altare.
Klaus
si stava piegando su se stesso mentre il suo cuore rallentava i battiti
… lo sguardo fisso negli occhi di mia sorella in una muta
preghiera e una sorda minaccia.
-Sei
potente ma sei giovane … troppo giovane e troppo ingenua
… - le disse con un ghigno.
Nemmeno
davanti all’evidente sconfitta si era arreso …
nemmeno davanti alla ribellione e all’abbandono di chi lo
aveva amato più di ogni altro essere al mondo, si dichiarava
sconfitto.
Con
la coda dell’occhio guardai in direzione di mia madre: era
ancora priva di sensi. Dalla parte opposta anche Damon giaceva immobile
… mi domandai se si sarebbe ripreso … se fossimo
intervenuti in tempo.
Indicai il corpo di Kol a Elijah, che corse verso di lui.
“Portalo
lontano” gli dissi telepaticamente. “Penseremo a lui
più tardi”
Zia
Reb ebbe un sussulto nel vedere il fratello esanime: scosse la testa
rassegnata e si rimise in guardia per respingere l’attacco di
uno degli ultimi ibridi rimasti a combattere. Molti, sentendo il legame
di asservimento che si stava affievolendo, avevano già
abbandonato la battaglia.
Stefan
seguì i movimenti di Elijah: il suo volto diventò
una maschera d’orrore nel vedere che Damon non era dove lo
ricordava.
Si
voltò verso di me, con lo sguardo inquisitore.
“Di
là” indicai. “abbiamo tentato
…”
Stefan
si fiondò verso suo fratello,
s’inginocchiò accanto a lui e raccolse la sua
testa per mettersela sulle ginocchia.
La camicia di
Damon era intrisa di sangue e ancora non dava cenni di ripresa.
Un
guaito feroce sferzò l’aria. Tutti ci voltammo
verso Klaus: il suo volto si trasfigurò e perse le sembianze
umane per assumere quelle di un cadavere.
Il
suo cuore, come quello di Shane, aveva smesso di battere.
-o-o-o-
Data ignota.
(Damon)
Alzare
le palpebre non era mai stato tanto faticoso: sembravano sigillate col
cemento, pesanti come piombo.
Annusai
l’aria: l’odore che percepii non mi era nuovo, ma
non riuscivo a trovare un’immagine corrispondente nei miei
ricordi.
Non
era odore di terra … non era odore di muschio …
quindi non ero nella radura.
Avevo
le mani bloccate; cercai di muovermi, ma ero come paralizzato.
Il
cuore batteva lento e regolare … Kol non era riuscito a
strapparmelo, alla fine …
Kol
… la radura …
Elena!
Gli
occhi si aprirono, strappando quel sigillo appiccicoso, con un colpo
secco.
Elena!
Ero
spaesato: mi trovavo in una stanza luminosa … troppo
luminosa; sottili raggi di sole l’attraversavano in tutte le
direzioni.
Mi
resi conto di essere sospeso, come legato ad un palo immaginario
… l’unica cosa che riuscivo a muovere erano gli
occhi e, per quello che mi era permesso vedere, ero solo.
Ma
i miei sensi mi dicevano qualcosa di diverso.
“Shh …
calmo …”
Una
voce rimbombava nella mia testa, una voce che conoscevo fin troppo bene
… una voce che odiavo con tutto me stesso.
Tentai di
parlare, di urlare quel nome, ma anche questo mi era impedito.
“Klaus
…”
“E
chi altri?”
“Dove
sei? … Dove sono …?”
Non appena
formulata la domanda, nella mia mente si visualizzò la
risposta: ero nella camera degli ostaggi, bloccato dallo stesso
incantesimo … prigioniero di Klaus.
Elena
…
L’ultimo
ricordo che avevo era la visione di lei sul quel maledetto altare, con
la mano di quell’infido infilata nel suo petto.
“Dov’è
Elena? Tu, brutto bastardo di nome e di fatto, l’hai
ammazzata? Ed io … io perché sono ancora vivo?
Perche mi tieni prigioniero?”
“Non
so dove sia la tua … mia moglie … non so se
è viva o morta e, sinceramente, non mi importa
…”
“E
tu dove sei …? Abbi il coraggio di guardarmi in faccia
mentre ti parlo … spiegami il perché di tutto
questo … perché non mi hai lasciato
morire?Perché questa tortura?”
Un
sogghigno echeggiò nella mia mente.
“In
effetti, tu non dovresti essere vigile … non dovesti poter
pensare o sentirmi … tu non dovresti essere
…”
“Ma
che cazzo dici? Dove sei? Esci dalla mia testa e vieni dove ti possa
vedere e parlare con la mia voce …”
“Se è la
tua voce che vuoi sentire, ti accontento subito, ma non credo che ti
piacerà quello che sentirai …”
-Sono
dentro di te … ho preso in prestito il tuo corpo: i miei
figli e i miei fratelli mi … ti … ci ...tengono
prigionieri per poterti liberare … per potermi ingabbiare in
qualche mondo diverso da questo … -
Sentivo
le mie labbra muoversi, il respiro uscire dai miei polmoni, la mia voce
riempire la stanza vuota … ma non ero io a parlare
… non ero io a formulare le frasi, a scandire parole.
“Come
posso …?”
-Esatto:
come puoi? È la prima volta che un mio
“ospite” si risveglia e condivide il corpo che
possiedo … la mente che occupo … sei un
rompicoglioni anche in questo, Salvatore! -
“Quando?”
-Quando
mia figlia mi ha fermato il cuore. Credevate forse che non avrei
previsto un’eventualità del genere? Ho progettato
quel rito per venticinque anni e pensi che non mi sia preparato delle
vie di fuga? Quando Bonnie aveva fatto l’incantesimo la prima
volta, le avevo chiesto, imposto, di trasferire la mia anima nel corpo
di Tyler … beh, questa volta ho chiesto a Caitlin di fare un
incantesimo che mi predisponesse a trasferirmi in un altro corpo senza
bisogno che qualcuno pronunciasse un contro incantesimo: bastava avere
abbastanza magia attorno e la mia anima avrebbe avuto il tempo
necessario per trovare un’altra sistemazione … e
tu eri il più debole, non avresti opposto resistenza.
Peccato che mio figlio sappia entrare nella mente altrui: si
è accorto subito, quando il tuo corpo si è
risvegliato, che non eri tu … ed ecco perché
siamo prigionieri, legati da quello stesso incantesimo che bloccava tuo
fratello …-
-Con
chi stai parlando, Klaus? –
Sulla
porta della prigione si affacciò Pheeb, accompagnato da
Elijah e Stefan.
-Uh
… guarda Damon … un comitato di benvenuto:
carissimi … salutate Damon. – rise Klaus.
-Nemmeno
da prigioniero ci risparmi le tue cazzate … - si
arrabbiò Pheeb.
-Mmm
frequenti gentaccia, figlio mio … senti che linguaggio da
osteria … -
-E
tu mi irriti notevolmente … devo dire a Bonnie di zittirti
… gli ostaggi non parlavano … non capisco
perché abbiamo deciso che tu possa avere questo privilegio
…-
-Pheeb,
calmati … - lo esortò Stefan. –
Cos’è questa storia di Damon? – chiese.
-Si
è stranamente risvegliato e scalpita per avere un
po’ di spazio: stiamo strettini qui dentro … -
-Non
è possibile, fratello, - intervenne Elijah.
-Lo
credevo anch’io … ma questo testardo di un vampiro
non rispetta le regole … mai! –
Il
tono divertito aveva lasciato il posto a una rabbia repressa a fatica.
“Damon?”
mi venne a cercare Pheeb.
“Sono
qui … toglietemi questo stronzo dalla pelle …
Elena?”
“Sta
bene … insomma … meglio …”
-Lalalalalala
smettetela di parlare voi due: mi state facendo venire mal di testa.
– ci interruppe Klaus. – Avevo sentito il suo cuore
fermarsi tra le mie dita … prima che Merlino e Morgana
fermassero il tempo … -
Elena
era morta … ma stava bene … “insomma
… meglio”: che cosa voleva dire?
Stefan
mi si avvicinò.
-Sì,
Damon Elena è … il tuo sangue … -
balbettò.
Si
era trasformata … era una vampira … ed io non
potevo starle accanto, aiutarla … vederla.
Era
viva, in qualche modo: non trattenni un sospiro di sollievo.
-La
dolce Elena ora è una sadica vampira … peccato
non poter saggiare le sue nuove doti amatorie … - le parole
di Klaus erano ciniche, corrosive come vetriolo.
“Non
osare … non osare, maledetto!”
“Altrimenti
cosa farai? Ti ucciderai?”
“Ringrazia
il cielo che siamo bloccati qui, altrimenti avresti dovuto cercarti un
altro corpo … o agonizzare con me in questo!”
-Damon
… - Stefan mi cercò dentro gli occhi che non
erano più solo miei. – Siamo venuti per portare
via Klaus … dobbiamo metterlo fuori gioco finchè
i non troveremo un modo per liberare te e imprigionare lui
definitivamente … mi dispiace … -
Le
sue mani si posarono sulle mie guance. La tristezza velò i
suoi occhi.
Sentii
le mie ossa sbriciolarsi: il mio collo non ebbe più la forza
di sostenermi la testa.
E,
ancora una volta, scese il buio.
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Capitolo 27 *** In transito ***
CAPITOLO 27
… IN
TRANSITO …
Data ignota.
Qui fa
freddo …
Ho voglia
d’estate.
Di pomeriggi assolati,
lunghi e pigri, con lei sdraiata al mio fianco, geloso del sole che le
accarezza la pelle.
Un’estate di
giorni vuoti, pieni solo di noi, di carezze languide e baci per caso.
Un’estate di
notti roventi di caldo e di passione.
Avremo mai
un’estate per noi?
Vestiti leggeri, piedi
scalzi, nulla da fare se non cullarci all’ombra di un pino
marittimo, bevendo birra gelata l’uno dalle labbra
dell’altro …
Qui fa freddo
… non so dov’è qui.
… e allora
la cerco ancora nelle ipotesi, in quell’angolo
dell’anima dove siamo insieme, da sempre, anche
prima di esserlo davvero.
È un luogo
magico, quello: lì ho imparato che l’amore non
è qualcosa che ti consuma, ma qualcosa che ti completa.
Lì Elena
è venuta a prendermi, mi ha spogliato dagli stacci di una
vita inutile, mi ha guardato nudo e senza difese … e mi ha
amato.
Io, ferito dalla
tragicità del rifiuto, sono stato guarito dalle bende
dell’accettazione, dal balsamo del suo amore … ora
incondizionato.
Io, finalmente
ricostruito, sarei pronto a rimettere a repentaglio ogni cosa per lei
… sarei disposto a ridurmi ancora in brandelli per un suo
sorriso … per un’estate con lei.
Un’estate di
pace senza noia, di ozio senza tedio … di me e di lei che
non ci annulliamo dentro un noi …
Un’estate
… non chiedo che un’estate …
Un’estate
che forse non sarà mai nemmeno primavera, perché
il mio inverno non è ancora finito … e, forse,
non finirà mai.
Dove sei, Elena?
Dove sono?
Vieni a prendermi
…
Qui fa freddo
…
“Ma
come siamo nostalgici …”
La
voce di Klaus mi fece riprendere coscienza del presente.
“Mi
devi rompere i coglioni anche mentre penso?”
“Siamo
bloccati in uno stato di torpore, senza nulla da fare e cercavo un modo
divertente per passare il tempo. Un suggerimento per rendere
più liete queste ore: pensa a qualcosa di divertente
… o di piccante … così mi
stai facendo venire la carie ai canini … e non è
bello!”
Provai
ad aprire gli occhi, ma non ci riuscii.
“Se
stiamo dormendo come posso sentirti? Come posso essere
cosciente?”
“Il
sonno è indotto dall’incantesimo: il tuo corpo
dorme, ma la tua mente vaga tra mondo onirico e mondo reale, tra sogni
e pensieri, tra raziocino e follia …”
“…
e tu sei nella parte folle …”
“Io
sono prigioniero come te … in te … non riesco a
guardare fuori della tua mente. Credo che stiano studiando un piano per
separarci e imprigionarmi chissà dove, come al solito:
banali e monotoni.”
“Visto
che dobbiamo sopportare una convivenza non desiderata …
potresti perlomeno non invadere la mia privacy?”
“Mi
annoio …”
“Perché
io non posso invadere la tua mente …”
“Perché
io possiedo te, non viceversa … “
“Beh,
allora ricordati che sono io il padrone di questa baracca!”
“…
disse l’oppresso all’oppressore: io sono
più forte, amico …”
“Non
chiamarmi amico, non sarò mai tuo amico. Ti è
andata bene perché mi hai colto mentre ero mezzo morto,
altrimenti col cavolo che ti facevo entrare! Vedremo quanto
durerà ancora la tua fortuna: tua figlia è in
gamba … troverà il modo di fermarti!”
“Magari
sarà necessario ucciderti per sfrattarmi
…”
“Non
m’importa di morire, purchè tu sia ingabbiato
lontano da tutto e da tutti.”
“Sei
diventato un buon samaritano? L’amor gioca brutti scherzi: ti
ha rammollito!”
“No
… mi ha dato uno scopo, per vivere o per morire …
e non mi sono mai sentito tanto forte, tanto motivato … ma
tu non puoi capire … tu non capirai mai
…”
“Se
anche mia figlia mi tradisce, cosa rimane da capire?”
“Devi
capire perché è arrivata a tanto; comprendere che
il tuo affetto non era che la minima parte dell’amore che lei
provava per te, che non c’è delusione
più bruciante del non essere il primo pensiero per un padre,
non essere mai abbastanza, non brillare mai a sufficienza …
“
“E
tu cosa ne sai? Tu cosa puoi capire? Mio padre …”
“Tuo
padre era un bastardo e tu hai scelto di essere come lui. Io ho scelto
di non essere come mio padre mi voleva, a costo del rifiuto, a costo
dell’abbandono … e così ha fatto
Cinthia.”
“Non
paragonare mia figlia a te!”
“Mai!
Lei è migliore di me … è migliore di
te … solo che ancora non lo sa.”
-o-o-o-o-
21 dicembre, tramonto.
(Cinthia)
Il
corpo di Damon giace nella stessa area in cui Klaus ne ha preso
possesso la notte … "quella" notte …
accanto alla bara che contiene la “salma” di mio
padre.
È
da allora che io e Bonnie cerchiamo un incantesimo per liberare Damon e
mettere in stand by Klaus, ma non è semplice, non senza
rischiare di perdere anche lui.
In
tutto questo tempo abbiamo faticato per tenere mia madre lontana dal
suo grande amore (che non è ovviamente chi ha fornito
l’altra metà dei miei geni), ma abbiamo dovuto.
Dopo la trasformazione è molto nervosa, nonostante il sangue
mio e di mio fratello tenga a bada la sua brama di sangue: le manca
Damon e ha il terrore di non rivederlo, di non poterlo riavere.
Incontrarlo, posseduto da Klaus, le avrebbe scatenato
l’inferno nell’anima. Il corpo di chi
più ami al mondo posseduto dall’essere che
più odi: scombussolerebbe la sanità mentale di
chiunque, figuriamoci quella di una neovampira.
Purtroppo
la persona che lei più odia è quella che io ho
amato di più, è quella che mi si chiede di
addormentare … per sempre.
Capisco
le loro ragioni, le condivido, ma questo non fa meno male.
Mia
madre soffre per la mancanza di Damon, io soffrirò per la
mancanza di mio padre: la sua felicità al prezzo della mia.
E'
vero, non possiamo ucciderlo, ma non possiamo nemmeno permettere che
ritorni … non a breve … non con me e Pheeb ancora
vivi, quindi non
potrò più vederlo, sentirlo parlare di arte e di
luoghi fiabeschi; non vedrò mai più il suo
sguardo benevolo, a volte adorante.
L’ultima volta che mi ha posato gli occhi addosso, lo ha
fatto con astio, colmo di scherno per coprire la sofferenza del
tradimento che avevo perpetrato.
Adoravo mio
padre … ed ora non mi rimangono che le briciole del suo odio.
Certo, lui mi
avrebbe sacrificata per poter salire a quel trono celeste a cui anelava
da tempo immemore, lui mi avrebbe scambiata con un potere
più grande dell’amore, con una forza maggiore
della venerazione di una figlia … ma è mio padre
… ed io non riesco a smettere di amarlo.
E
ora siamo qui … dove tutto avrebbe dovuto finire
… dove tutto è ricominciato e dove tutto
dovrà trovare una conclusione.
Per
bloccare l’anima di mio padre servirebbe un incantesimo
simile a quello che avevano usato per mia nonna. Simile, non uguale:
lei era una strega mentre mio padre non ha nessun seme di magia in lui.
Ricostruire un
incantesimo, che riporti l’essenza di mio padre nel suo corpo
essiccato, non è stato facile, anche perché tutte
le formule trovate nei vari grimori prevedevano l’uccisione
dell’ospitante, cosa che, ovviamente, vogliamo evitare.
-Cinthia
… -
Bonnie
mi sta richiamando al presente.
-Cinthia
… non manca molto al crepuscolo … -
Il
crepuscolo …
È
oltre un mese che io e Bonnie cerchiamo un modo per risolvere la
questione. Abbiamo letto grimori, pergamene e, ad una prima lettura,
sembrava non ci fosse nessun tipo di magia abbastanza forte.
Certo, io ho
ancora i miei poteri, posso ancora “inventare”
… ma il difficile è stanare mio padre senza
uccidere Damon.
L’ispirazione
mi è venuta leggendo i fogli che contenevano le profezie; in
una vi era un’annotazione rivelatrice:
Solstizio
d'Inverno: passaggio dalle Tenebre alla Luce, profondi messaggi
iniziatici ed esoterici. Il solstizio stesso è
chiamato "la porta", simbolo di una contemporanea esistenza di due
dimensioni, che durante i solstizi si congiungono: le porte sono aperte
ed è permesso il varco.
Due
dimensioni … un varco.
L’unica
via d’uscita.
Il giorno
più breve … la notte più lunga
…
Alle
17.17 il giorno più breve sarebbe entrato nella notte
più lunga dell’anno: le porte si sarebbero aperte
…
Nella religione
degli antichi greci, i solstizi erano chiamati
“porte”, simboli di passaggio tra il mondo dello
spazio-tempo e una dimensione senza tempo e senza confini ma dove, per
poche ore l’uomo ha il privilegio di tornare ad essere anima
nella sua naturale dimora.
In quella
dimensione avremmo dovuto mandare l’anima di Damon per
liberare il suo corpo dalla presenza di mio padre … e da
quel luogo avremmo dovuto richiamarlo, una volta imprigionato Klaus
nella sua bara.
Io
e Bonnie abbiamo dovuto studiare l’incantesimo da sole:
nessun aiuto ci è venuto dalle streghe che manovrano i fili
dall’aldilà; nessun suggerimento da quelle vive,
tradite durante il rito.
Tutto
si sarebbe giocato sul filo dei minuti e delle parole: il destino era
rinchiuso in una bolla di sapone, effimera come la magia che
l’aveva creata.
Non
avevamo voluto che nessuno fosse presente: solo Pheeb, io e Bonnie.
Pheeb
mi avrebbe dato l’iniezione di energia di cui necessitavo per
combattere la morte che avrebbe potuto innamorarsi di Damon, per
combattere i miei sentimenti irrazionali verso un essere che mi aveva
scritto nel suo cuore come l’ultimo prodotto sulla lista
della spesa.
Nessuno
doveva interferire.
Nessuno doveva
presenziare.
Abbiamo
circondato il corpo di Damon di vischio che, stando ai libri di magia,
è una pianta sacra, simbolo di eternità, di
rinascita e d’immortalità. Il vischio è
una pianta parassita che affonda le sue radici nella forza altrui,
adatta a proteggere chi in vita fa lo stesso: una succhia linfa per
salvare un succhiasangue … contrappasso perfetto.
L’unico
incantesimo che eravamo riuscite a “comporre”,
mischiando la tradizione con il mio potere di inventarne di nuovi, era
un incantesimo di rinascita.
Avevo voluto
attingere solo alla magia: niente scambi di sangue … niente
miscugli di menti o anime. Pura magia.
Io
e Bonnie avremmo dovuto solo pronunciare l’incantesimo nel
preciso istante in cui la luce avrebbe lasciato il posto alle tenebre.
L’incantesimo
è semplice, primordiale: chiunque fosse morto
nell’area sotto l’influsso della magia si sarebbe
risvegliato dopo un’ora all’interno del proprio
corpo, ripulito da qualsiasi malattia o possessione.
Il problema
è che dovremmo applicarlo ad entrambi, in modo da slegare le
due anime e riportarle nei rispettivi corpi … guariti.
Rischiamo,
dunque, di risvegliare anche mio padre.
C’è
un altro quesito irrisolto: il vampirismo si può considerare
una malattia? Damon si sarebbe risvegliato vampiro o umano?
Come
sempre nessuna soluzione è semplice o lineare, senza danni
collaterali.
Pheeb
ed io siamo ancora all’apice della potenza, almeno fino al
sorgere del sole, e ciò ci permetterà di
immobilizzare mio padre e ripetere l’incantesimo di Bonnie,
che avevo perfezionato: nessun altro cuore da fermare e
l’anima sigillata per sempre nel suo corpo mummificato.
Damon
umano non è un problema impellente: ci avremmo pensato al
momento opportuno, se fosse accaduto.
-Cinthia:
è ora. –
Pheeb
è dietro di me e mi sta abbracciando.
-Non
credere che non mi dispiaccia per nostro padre: ma non ci ha dato altra
scelta. Ha minacciato tutto coloro che amiamo, l’intera
umanità sarebbe stata potenzialmente il pericolo. –
-Saperlo
non mi fa soffrire meno … - sussurrai, - ma so che dobbiamo
farlo, e andrò fino in fondo. Non ti preoccupare: questa
volta non tentennerò.-
Bonnie
si avvicina: indossa una tunica leggera, bianca come la luce della
luna, che contrasta con la sua pelle ambrata e i suoi corti capelli
neri.
Il mio vestito
è blu come la notte, blu come il mio umore, semplicemente
blu.
Pheeb
si posiziona alla testa dei due corpi immobili, una mano sulla fronte
di Damon l’altra sul cofano della bara: lui mi
darà il potere e terrà sotto controllo le loro
menti per capire cosa accadrà, quando
“torneranno” … se torneranno.
Bonnie
ed io ci poniamo una di fronte all’altra ai lati del vampiro
ed entrambe imponiamo le mani sul suo petto.
L’incantesimo
è stampato nelle nostre menti, le nostre voci
s’intonano e cominciano a pronunciarlo all’unisono.
Chiamiamo la Luna dal
profondo della notte,
la Dea
che porta la luce nel suo grembo
perché
dalla notte risorga la vita
dalle tenebre il
Sole.
Il corpo di
Damon s’irrigidisce, gli occhi si spalancano vuoti.
L’incantesimo
è iniziato … ed io, solo io, posso portarlo a
termine.
Io sono la porta:
da me escono gli
uomini
ed entrano gli
dei.
Che lo scambio
cominci:
che gli
uomini popolino i cieli
e gli dei il mondo
per poi tornare,
incolumi
ognuno nel
proprio regno.
-o-o-o-o-
(Damon)
Guardo
la distesa d’erba che fluttua davanti ai miei occhi.
È
immensa e non ci sono alberi a fermare il mio sguardo prima
dell’orizzonte.
Il
sole è allo zenit … è lì da
ore, da quando mi sono ritrovato qui: non si muove e diffonde la sua
luce bianca senza un attimo di tregua.
Sono
solo, un filo d’erba tra gli infiniti fili d’erba
immobili: non soffia nemmeno un alito di vento.
Mi
giro a trecentosessanta gradi: nulla … solo erba e cielo
… bianco e verde …
Già,
perché il cielo non è azzurro … o blu
… o nero: è bianco, senza macchie, senza voli
d’uccelli o nuvole grigie a sporcarne il candore.
Muovo
un passo, ma non so verso quale orizzonte dirigermi: cercherei
l’ovest, il tramonto … il sollievo del buio della
notte … ma il sole è immobile al centro del cielo
e non accenna a calare.
Dovrei sentire
caldo, bruciare, invece non sento nulla: gli unici a soffrire sono i
miei occhi, persi in un vuoto che non trova confini.
Decido
di sedermi, di pensare, di mantenermi ancorato a me stesso.
Chiudo
gli occhi, calo il sipario su questo presente che mi ricorda la scena
di un film … non ricordo quale.
Ricordi
…
Strano: so chi
sono … ricordo il mio nome … ma se cerco altre
immagini, non trovo nulla.
Non ricordo il
volto di mia madre, se mai ho avuto un padre … fratelli
… sorelle …
La mia memoria
è resettata, bianca come il cielo … pulita
…
Eppure devo
aver avuto una vita prima di questo … devo aver camminato
strade, abitato case, amato.
Un’immagine,
più veloce di un flash, percorre le mie palpebre abbassate:
duo occhi scuri, caldi e poi il nulla, ancora e sempre il nulla.
Silenzio
…
In
questo silenzio irreale potrei sentire il mio cuore battere
… se battesse.
Ma è
fermo, come l’erba … come il sole.
L’unica
cosa che si muove sono i miei pensieri, ma anche quelli non sanno dove
dirigersi, cosa cercare, cosa pensare.
Sono
morto, credo … oppure questo è il peggior incubo
che io abbia mai sognato.
Perché
tutto, anche il dolore, è meglio del nulla.
Mi
sdraio e offro il volto al cielo.
Muovo le
braccia e le mie mani incontrano l’erba … la
sentono.
La pelle ha
mantenuto il senso del tatto e i fili tra le dita mi riportano
sensazioni piacevoli, come di altre dita incrociate alle mie,
polpastrelli che giocano sulle mie nocche; nessuna immagine
… solo sensi accesi … ricordi inconsci
… che svaniscono appena cerco di incasellarli nella rete
della consapevolezza.
Tiro
un pugno sul terreno: rabbia.
Cerco di
ricordare: frustrazione.
Anche le
emozioni funzionano.
Sensazioni
… emozioni …
Respiro
un respiro inutile …
Mi
passo la lingua sulle labbra: non ho sete, né fame
… abitudine.
Mi
passo anche le dita sulle labbra … le mani sul viso
… scendo sul collo; apro il primo bottone della camicia e
lascio che il dorso della mano prosegua il suo lavoro di esplorazione.
Spengo
la coscienza e accendo l’istinto.
Annuso
l’aria: l’erba ha un buon odore, ma non
è quello che vorrei sentire. Inspiro più a fondo.
Mi porto la mano al naso … ed eccolo il profumo che cercavo.
Il
profumo di un’altra pelle, di un altro respiro. Apro il palmo
e lo schiaccio contro le narici: pelle bianca, labbra rosa …
e ancora quegli occhi caldi come cioccolata fusa.
Non
cerco risposte, nomi, volti … questa volta no …
lascio solo vagare la mia memoria sensoriale … le permetto
di avvolgermi, di penetrarmi fin nel punto più profondo del
mio inconscio, come una trivella in cerca di oro nero …
Io
ero oro nero!
Fluido
… denso … infiammabile … tossico.
Lei
no.
Lei chi?
Balzo
in piedi … trattengo un respiro che non sa di ossigeno e
urlo …
Urlo un nome
che è tutti i nomi, l‘unico che cercavo,
l’unico che volevo …
Urlo contro il
bianco, contro il silenzio, in faccia all’oblio.
Urlo, ma sono
muto.
ELENA.
-No, sbagliato:
sono ancora e sempre io … - mi risponde una voce che
riconosco … la mia memoria ritorna, risvegliata da in incubo.
Avvolto
da un’aura scura, Klaus appare alle mie spalle.
-Se
ci sei anche tu devo essere finito all’inferno …-
rispondo.
-No,
è solo l’anticamera, la sala d’attesa:
é ovvio che entrambi dobbiamo tornare indietro, altrimenti
tutti i vampiri della mia bloodline morirebbero, e nessuno vuole
questo. Quindi, la domanda sorge spontanea: chi torna nella bara e chi
va a confortare la vedova inconsolabile? –
-Non
oserai … non puoi … non … -
-Oserò
… e tu non potrai impedirmelo! Anche qui sono il
più forte, il più preparato: nel momento in cui
ci chiameranno indietro … e so che lo faranno …
io prenderò il tuo posto, e questa volta per sempre!
–
-Non
te lo permetterò. –
Mi
fiondo verso di lui ma, le braccia, che tentano di afferrarlo, mi
ricadono sul petto.
-Siamo
eterei … non te ne sei accorto? –
Eterei?
Prima “sentivo” …
-Illusioni.
È solo la mente che compensa la mancanza di un corpo solido.
Non mi puoi colpire, non mi puoi fermare: io conosco il percorso
… tu no, ed è per questo che
raggiungerò il tuo corpo per primo e me lo terrò
finchè non troverò di meglio, mentre tu sarai
segregato in una bara. –
-Cinthia
non lo permetterà! –
-Cinthia
non può fare nulla … -
-Che
tu sia maledetto! –
-Sono
stato maledetto più di mille anni fa: come vedi non funziona
… sono sempre un passo avanti a tutti … mille
miglia avanti a te, misera iena. Pensavi forse che ti bastasse pisciare
nel mio territorio di caccia per potermi mettere fuori combattimento?
Una iena non sconfiggerà mai un leone! Nessuno
può battermi o distogliermi dal mio obiettivo: io
tornerò e ricomincerò ancora ed ancora
finchè non otterrò il potere … nel mio
corpo o nel tuo … o in quello di chiunque altro …
adesso tra altri mille anni: modellerò la storia
dell’umanità a mio vantaggio, avrò il
controllo … sarò un dio, il dio! –
Lo
guardo come si guarda un pazzo … un pazzo potente
… un pazzo pericoloso.
Eppure
i suoi vaneggiamenti sono plausibili, considerando le sue conoscenze,
il suo potere, la sua spregiudicatezza. Tutta la natura primordiale
delle pulsioni animalesche che ancora abitano l’uomo, la fame
insaziabile di dominio, erano tutte nel suo sguardo, reso ancora
più inquietante dall’evanescenza del suo volto.
Sono
impotente e furioso.
Chiudo
gli occhi e cerco qualcuno o qualcosa da pregare: non può
finire qui … non così!
All’improvviso
la luce abbagliante si spegne: non vedo più Klaus
… non vedo più nulla.
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Capitolo 28 *** Guiding light ***
CAPITOLO 28
…
GUIDING LIGHT ...
(Elena)
Dieci
giorni.
La mia vita era
cambiata, io ero cambiata e Damon non era Damon.
Mi ero
trasformata, grazie a lui e per lui, ma erano passati dieci giorni e
non l’avevo ancora visto, non ero ancora riuscita a
riabbracciarlo.
Mi spiegarono
che avrebbero dovuto liberarlo dalla possessione prima di farmelo
incontrare di nuovo: doveva essere di nuovo lui, prima che potessi
rivederlo.
Bonnie
e i miei figli avevano aspettato il solstizio, avevano eseguito il
rito, ma Damon non era ancora rientrato a casa … e mi
mancava … più del sangue …
più della stessa vita, persa e ritrovata quella notte di
dieci giorni fa.
Mi avevano
raccontato che era andato tutto come avrebbe dovuto: Klaus era
finalmente bloccato nel suo corpo, nella sua bara. Pheeb e Damon erano
andati a seppellirla in fondo a qualche burrone, o mille metri sotto il
mare, e sarebbero tornati in tempo per il compleanno dei gemelli.
Tutti
intorno a me stavano sorridendo di sollievo e di gioia, per la
ritrovata libertà o per un amico che non si rivedeva da
tempo; tutti si stavano dando da fare per preparare una serata di festa
per i miei figli, per l’arrivo del Natale, per la vita
riconquistata dopo oltre vent’anni di angherie.
Se non fosse
stato per Matt e Meredith, questa sarebbe sembrata una serata di tanti
anni fa: una rimpatriata tra amici adolescenti, studenti del college.
Volti che il tempo non aveva segnato si mescolavano a giovani anime che
avevano dovuto conoscere troppo presto il tormento della scelta, il
dolore della battaglia.
Dal
giorno dopo qualcuno avrebbe ricominciato ad invecchiare.
Io non sarei
stata quel qualcuno.
Dopo
la doccia mi ero osservata a lungo nello specchio. Avevo guardato quel
volto uguale a vent’anni prima, che sarebbe rimasto uguale
per tutti i vent’anni a venire. Lo guardai e non vi trovai i
segni del tempo trascorso a piangere, a dormire, a disperarmi. Non
lessi la mia vita tra le pieghe del tempo, non ritrovai le cicatrici di
una battaglia infinita contro Klaus, contro me stessa. La mia pelle era
una pagina bianca che nessun inchiostro, graffio o ferita avrebbe mai
più potuto marchiare.
Avrei visto i
miei figli andare avanti, i miei amici morire, le ere evolversi e
l’unica cosa che avrei potuto cambiare sarebbe stato il
taglio dei capelli o lo stile dei vestiti.
Tutto
ciò mi sarebbe sembrato intollerabile, sarebbe stato
insopportabile, se non avessi avuto la consapevolezza che Damon sarebbe
stato con me … ma ancora non era con me.
Ero
scesa in salotto nella speranza di trovarmelo davanti, bello,
strafottente, trionfante. Invece inciampai nella scatola con i miei
diari. Ne afferrai uno, quello con la copertina verde, e andai a
sedermi sul divano accanto al camino.
Quelle pagine,
lo ricordavo perfettamente, raccontavano gli ultimi giorni della mia
vita, gli ultimi istanti prima di annullarmi per rinascere, venticinque
anni dopo, tra le sue braccia.
Le nostre liti.
Il nostro addio.
Il bacio in
quel motel, a Denver.
Caro diario
…
Che cosa mi accade?
Cosa mi è
preso?
Chi era quella
ragazza, su quel balcone, in quel motel?
Il ricordo non mi
abbandona, le sensazioni sono ancora sulla mia pelle, dentro la mia
pancia … in un angolo del mio cuore.
Se chiudo gli occhi,
sono ancora lì e riesco a rivivere ogni secondo, ogni
più piccola sensazione, ancora e ancora.
Il rumore della doccia
non mi fa dormire.
Mi sono sdraiata in
attesa che tornasse Jeremy mentre Damon è sotto la doccia.
Perché
avevo accettato quel viaggio con lui?
“Sentimenti
irrisolti”
No … io
sono un caso irrisolto … io non riesco a districarmi tra i
miei vorrei e il mio voglio, tra ragione e istinto, ciò che
sono e ciò che vorrei essere.
Lo sento
trafficare. Sento, attraverso le pareti sottili, lo strusciare della
stoffa dei pantaloni sulle sue gambe, i suoi piedi sbattere a terra
mentre s’infila le scarpe, la sua mano impugnare la maniglia.
Chiudo gli occhi
… inutile. Li riapro subito, incapace di resistere alla
tentazione di spiarlo mentre pensa che nessuno lo stia guardando.
Cammina
per la camera, afferra la bottiglia, si infila svogliato la camicia:
guardo le sue spalle possenti e vengo invasa dalla consapevolezza che
quello che sto vedendo è un uomo, non un adolescente, non un
ragazzino, ma un uomo … vero … completo
… pericolosamente attraente.
Il suo
volto non ha la solita sfrontatezza mentre si versa da bere, con la
camicia buttata addosso e il bicchiere tra le mani: è
pensieroso, assorto inconsapevole del mio sguardo su di lui. Una
piccola ruga in mezzo alla fronte, quei sospiri mentre si siede, i
piedi appoggiati sulla sedia, gli occhi sul fondo del bicchiere prima
di cominciare a bere … a che cosa sta pensando? A
chi sta pensando?
Mi rendo
conto che starei a guardarlo per ore, che vorrei scoprire tutto di lui,
andare oltre quegli occhi di ghiaccio e scoprire cosa lo tormenta,
perché è innegabile: quello che ho davanti
è un uomo tormentato, un uomo dalle molteplici
sfaccettature, un uomo magnetico e sexy … indicibilmente
sexy.
Mentre la
mia mente continua a porsi domande, il mio corpo comincia a lanciarmi
segnali, richiami che non voglio ascoltare, risposte che non voglio
sentire. Fatico a mantenere la respirazione a un ritmo regolare, ma
è impossibile ignorare quella sottile agitazione che mi
attraversa la pelle, che mi blocca lo stomaco e mi scioglie il sangue.
Mi
guarda, mi coglie in flagrante.
Fuggo
abbassando le palpebre, ma quella barriera è troppo sottile
perche lui non riesca a perforarla.
Niente: i miei occhi
non riescono a stare chiusi e, appena li riapro, ritrovo il suo
sguardo, intenso e ammaliante, fisso su di me.
Lo seguo mentre mi si
avvicina, lo scruto mentre mi si sdraia accanto, ancora crucciato,
ancora con quella sottile piega tra le sopracciglia.
Gli occhi
non lasciano gli occhi.
Ci sfioriamo senza
toccarci.
Gli
chiedo di Rose, ma lui mi taglia fuori.
Gli chiedo di lui: mi
risponde torvo che non vuole vivere secondo le aspettative di nessuno.
Di nessuno …
Prendere o lasciare.
E quegli
occhi che mi scavano dentro sanno che prenderei tutto, anche se da quel
tutto vorrei scappare.
Perché
è tutto troppo: troppo intenso, troppo profondo, troppo
pericoloso.
È prendere
l’anima e rovesciarla come una maglietta sfilata in fretta
dalla testa …
È
spogliarsi e rimanere nuda, senza difese, davanti alle mie
più profonde e sconosciute pulsioni …
È
abbandonarsi alla passione, alle leggi di un cuore impazzito che sta
per esplodermi nel petto.
Mi volto
perché non riesco a reggere quella sua invasione, quel suo
prendermi il respiro, togliermi l’aria, annebbiarmi i
pensieri.
Annaspo.
Sento che
mi accarezza con lo sguardo, che scivola sulla mia pelle con i suoi
occhi chiari, ghiaccio bollente che mi ustiona ogni centimetro
… la carne … l’anima …
dentro e fuori.
E non
sono le dita che s’intrecciano per un misterioso magnetismo
…
E non è la
sua pelle contro la mia …
È
per come mi guarda, come aspetta, come mi sprona rimanendo immobile,
come mi bacia le labbra solo fissandole, come mi disarma semplicemente
respirandomi accanto.
Ogni
difesa è in briciole, ogni paura è
all’ennesima potenza.
Mi sento
Amleto al bivio: essere quell’Elena che tutti conoscono o
l’Elena che lui sta scoprendo? Essere una ragazza che vive
delle sue regole o colei che fa vivere i propri desideri più
reconditi, le passioni più cocenti?
Rimorsi o
rimpianti?
L’eco
dei pensieri si fa sempre più flebile, la ragione mi sta
abbandonando assordata dal mio cuore che batte come un tamburo africano
che scandisce quel ritmo primordiale, annullata dall’impeto
del richiamo animale che mi urla di essere donna.
Ho paura.
Mi alzo.
Scappo
lontano da lui, da me stessa, dal quel desiderio devastante, dalla
sensazione di essere sull’orlo di un precipizio e di volermi
buttare, perche so, ne sono convinta, Damon mi afferrerebbe per
portarmi o nel più azzurro dei cieli o nel più
rovente degli inferni.
Nemmeno
il vento che mi porta il suo profumo riesce a schiarirmi le idee, a
raffreddarmi il sangue che gira bollente.
Nemmeno il
distributore è un’ancora abbastanza forte cui
aggrapparmi per non farmi travolgere dalle emozioni.
La sua
voce.
La sua
domanda … nessuna risposta.
Perché
non c’è un perché al mio no, mille
ragioni, ma nessun vero perché, niente … non
trovo un appiglio, un motivo.
“Perché
no? … Elena”
Eppure
sapevo la risposta, ne avevo a centinaia … ma non ne trovo
una valida, nessuna veramente valida.
L’ultima
barriera cade, l’ultimo baluardo, l’ultima difesa.
Volo tra
le sue braccia, dove voglio essere, dove avrei dovuto essere da sempre
e non ho voluto mai …
Dove
tutto trova una risposta, dove una risposta non è necessaria.
Dove tutto quello che
sembrava sbagliato trova la sua ragione d’essere ed io mi
sento viva, vera, mentre muoio sulle sue labbra che mi regalano la vita.
Il mo
cuore non sa se continuare a battere contro il suo petto o fermarsi una
volta per tutte contro quel muro, tra le sue mani che mi plasmano come
cera, facendomi sentire sua succube e sua padrona.
E poi
tutti si ferma per un attimo, il mondo smette di girare, e sono ancora
gli occhi nei suoi occhi, nei miei occhi …
Qualunque
cosa accadrà, io sarò sua per sempre.
Qualunque cosa
accadrà lui sarà in me, fino alla fine.
Lo
avevo capito allora, ma mi ero rifiutata di accettarlo.
Lo avevo capito
e gli avevo chiesto di andarsene.
E adesso lo
aspettavo, perché avevo l’eternità
davanti e lui era l’unico motivo valido per viverla.
Lo stridio dei
freni sul vialetto di fronte a casa mi riportò alla
realtà. Il botto delle portiere che si chiudevano mi fece
alzare dal divano.
I passi
… la porta che si spalanca.
Pheeb
entrò tenendo per mano Cassidy e, dietro di lui, finalmente
apparve Damon.
-o-o-o-o-
(Damon)
“Pronto
Damon?”
“Sempre.”
Prima di aprire la porta, Pheeb mi mise in allerta.
Elena si alzò dal divano, gli occhi in ansia, le mani
intrecciate e il diario sul pavimento. Vedendo Pheeb le si
addolcì il sorriso, mentre i suoi occhi correvano oltre le
sue spalle, oltre Cassidy, per cercare il mio volto.
Non appena mi vide, dimenticò la gente che aveva attorno e
mi corse incontro.
La guardai volarmi tra le braccia, allacciarsi attorno al mio collo,
posare le sue labbra sulle mie e ... bruciai di gelosia.
Perche non c’ero io dentro quel corpo a sentire il calore del
suo bacio, il bisogno dentro il suo abbraccio, il desiderio sulla sua
pelle.
Io ero invisibile, ancora celato alla sua vista, spettatore passivo di
uno spettacolo che doveva essere anche il mio, ma che mi era stato
rubato, ancora una volta, da Klaus. Come aveva minacciato, lui era
stato molto più scaltro di me e, alla fine, aveva
riconquistato il mio corpo.
Fortunatamente, attraverso la sua connessione con le nostre menti,
Pheeb si era accorto di quello che stava per accadere e, prima che
Klaus si riprendesse, avvisò Cinthia, la quale era riuscita
a bloccare la mia essenza nel limbo, in modo che lo scambio di corpi
non fosse definitivo, lasciandomi a vagare nel nulla, legato solo alla
mente di Pheeb.
Il corpo di Klaus era ancora nella bara, vuoto, in attesa di accogliere
l’anima di quel pazzo … se di anima si poteva
parlare.
L’unica consolazione era che, grazie ai
“filtri” messi in atto dai gemelli, Klaus non
sapeva che io non ero nel suo corpo, in quella bara che aveva aiutato a
nascondere, in un posto sicuro ma non inaccessibile, perché
non aveva rinunciato a se stesso: aveva solo preso il mio corpo in
prestito per insinuarsi nella famiglia e ricominciare a spargere il suo
veleno
.
Guardavo Elena abbracciata a me … a lui … e mi si
strinse il cuore.
Era così felice.
Era così sollevata nel vedermi ancora vivo.
Mi sembrava impossibile che mi amasse tanto, eppure sapevo che il suo
cuore era mio, che il suo corpo era mio, che lei era mia e mi era
intollerabile il pensiero che lui avrebbe potuto approfittarne.
Lo avrei fermato, a costo … letteralmente … di
perdere la mia anima.
Richiamato da un’attrazione magnetica, mi ritrovai dietro ad
Elena, a faccia a faccia con la mia immagine, davanti ad uno specchio
che modificava il mio volto senza che io potessi comandarne le
espressioni.
Klaus sfuggiva allo sguardo innamorato di Elena: i miei occhi non erano
mai stati tanto pieni di arroganza e di superbia … il che
è tutto dire!
Elena mi fissava, cercando qualcosa che non trovava. Le sue mani
scivolarono sulle maniche del giubbotto guidando le braccia lungo i
fianchi, dove rimasero abbandonate.
Trattenne il respiro un solo attimo, prima di abbassare gli occhi e
fingere un sorriso.
Il legame tra due corpi è una questione chimica, un insieme
di odori e sensazioni, di brividi e reazioni incontrollabili.
La connessione tra due anime va oltre: accentua ogni sfumatura, ogni
tocco, ogni carezza arriva dritta al cuore; la chimica
s’innalza a simbiosi, le reazioni toccano corde profonde e a
scuotersi non sono solo i sensi accesi, ma qualcosa di ben
più profondo sotto e oltre la pelle.
Elena lo aveva capito, lo aveva percepito chiaramente: quello che la
stava baciando non ero io.
Klaus la scansò appena un po’ troppo bruscamente e
si diresse verso il salone, dove gli invitati si erano radunati per
accogliere l’altro festeggiato. Andò
immediatamente verso Cinthia e le pose un bacio sulla fronte, mentre la
mano disegnava una lieve carezza sulla sua guancia appena arrossata.
Erano passate le dieci e il fatidico compleanno stava per diventare un
altro ieri da catalogare nei ricordi.
Cinthia fissò il mio volto in cerca di quello che sapeva
essere sua padre. Afferrò la mano che la stava toccando e vi
posò la testa, in modo da sentirne il tocco, da gustarne la
dolcezza.
Pheeb le andò accanto e mise il braccio attorno alle spalle
del padre, in un gesto che doveva apparire cameratesco, un virile
abbraccio tra amici, compagni di battaglia. Poi afferrò la
mano della sorella e tutto si fermò.
Ancora una volta i gemelli avevano fermato il tempo, ancora una volta
avevano messo il loro potere al servizio della mia salvezza, contro la
prepotenza del padre.
Come un’eco selvaggia, il ruggito dell’anima di
Klaus si espanse nell’aria, mentre il mio corpo cadde a
terra, scosso da violente convulsioni.
Dal gruppo immobile vidi Bonnie che si avvicinava a quelle membra
sconquassate: prese la testa tra le mani e cominciò a
salmodiare.
Uno strano vortice di luce si formò davanti alle fiamme del
camino: una luce accecante si mischiava a nere striature, nuvole di
tempesta mischiate a lampi di cielo.
Bonnie sanguinava dal naso mentre Pheeb rimaneva concentrato, mani
nelle mani con sua sorella.
L’anima di Klaus combatteva per non lasciarsi estirpare,
mentre la sofferenza della mia carne cominciava a giungermi, come se
fossi ancora in me.
Con un ultimo grido bestiale, Klaus si ritrovò di fronte a
me, evanescente quanto lo ero io, impotente come me.
Il vortice si calmò e, al posto del camino, vi era una
strana finestra, al di là della quale si poteva scorgere la
bara di Klaus, esattamente dove lui l’aveva lasciata insieme
a Pheeb.
- Siamo ancora noi due, l'uno contro
l'altro … - mi sfidò.
- Per l’ultima volta, - risposi.
- Illuso … se non
prenderò te, entrerò in uno chiunque dei
presenti. Vediamo: potrei cominciare dal tuo amico Matt, è
invecchiato bene … per un paio di giorni potrei anche
adattarmicisi. Oppure Jeremy: immagina come sarà contenta
Elena quando mi sarò stancato del fratellino e
andrò a sfracellarmi contro un muro per liberarmi del suo
corpo inutile … magari proprio con la tua Camaro. A pensarci
bene, però … non sono mai stato nel corpo di una
donna … una neovampira … La scoperesti ugualmente
sapendo che sarei io a sentire tutta la tua passione? –
La sua risata sadica mi scosse di rabbia, ma non avevo tempo da
perdere: il portale non sarebbe rimasto aperto a lungo e i gemelli non
avrebbero potuto aprirne un altro. Era la loro ultima magia, il loro
ultimo sprazzo di potere.
L’aria immobile fu scossa da un tuono assordante e tutti
scomparvero.
Nella stanza non vi era più nessuno: eravamo rimasti solo io
e Klaus. Il portale illuminava lo spazio vuoto e la bara campeggiava
oltre la superficie tremolante.
L’unico aggancio con il presente era la voce di Pheeb che mi
sussurrava nella mente.
“C’è
un solo pensiero che può riportarti indietro, una sola forza
… solo tu sai cos’è … solo
tu ti ci puoi aggrappare. C’è un solo richiamo,
per uno solo di voi: seguilo o sarai perduto, seguilo o
morirai”
- Non ti lascerò
scappare: in quella bara ci finirai tu! – ruggì
Klaus.
“Un solo
pensiero, un solo richiamo …”
- Questa volta non mi
fregherete: ucciderò quel mio figlio bastardo,
ucciderò tutti quanti con le tue mani e lascerò
Elena per ultima … e mi supplicherà di possederla
… e mi supplicherà di ucciderla …
urlando il tuo nome, odiandoti … disprezzandoti-
continuò per distrarmi, per togliermi dal cuore
l’unica possibilità di salvezza.
“Una sola
voce, una sola certezza …”
Se avessi ceduto alla rabbia, avrei perso.
Avevo un solo pensiero possibile, e quel pensiero mi avrebbe salvato:
se Klaus fosse riuscito a distrarmi, mi sarei perduto per sempre.
“Damon”
La voce di Elena riempì il vuoto della stanza: il mio
richiamo … il mio unico pensiero.
“Damon, non
lasciarmi, non un’altra volta … non per
sempre!”
Il ghigno di Klaus cerò di sovrastare quel
suono, quella traccia, quell’unico filo di speranza che
avrebbe potuto portarmi indietro.
- Sentila, ti chiama. Immagina quanto
sarà disperata quando vedrà il tuo corpo
essiccarsi, morire … -
Non dovevo ascoltarlo … non potevo perdere la concentrazione
o avrebbe vinto.
“Damon
… per favore … torna qui, torna da me!”
La finestra del portale si stava rimpicciolendo: rimaneva
poco tempo.
Cercai di fissare la mia attenzione sulla voce di Elena, sul suo volto
che immaginavo reclinato sul mio, a quegli occhi caldi e innamorati che
mi avrebbero accolto quando avrei riaperto i miei.
- Non la rivedrai … non la
riavrai. Ascolta: ha smesso di chiamarti. La sua speranza sta morendo,
e tu con essa. Povero illuso. Povero piccolo bastardo …
nessuno ti ama mai abbastanza. Nessuno sprecherà
più di cinque minuti a piangerti. –
sghignazzò.
- Nessuno ha sprecato un filo di voce per
chiamare il tuo nome: non uno dei tuoi fratelli, non una donna
… nemmeno tua figlia! –
Le parole mi uscirono dalla bocca ancora prima di passarmi per il
cervello, prima ancora di essere pensieri.
Il volto di Klaus rimase attonito per un breve istante, un secondo
solo, il tempo di farsi trafiggere da un dolore antico quanto lui,
feroce quanto la sua rabbia, atroce quanto la sua cattiveria
… un secondo di troppo, e il suo autocontrollo si
frantumò contro la sua immensa solitudine.
Una forza invisibile lo attirò oltre il portale. Vidi la sua
essenza svanire silenziosamente dentro la bara. La luce del portale si
affievolì fino a spegnersi, lasciandomi al buio.
Klaus era finalmente sconfitto.
Il sollievo per quel pensiero si girò in panico.
Avevo perso la concentrazione, avevo perso il mio pensiero guida
… avevo perso l’attimo.
La stanza si stava rimpicciolendo, come se le tenebre volessero
fagocitarmi, come se volessero penetrarmi e spegnermi.
Dovevo tornare … volevo tornare …
Ma non sapevo come.
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Capitolo 29 *** Il bivio ***
CAPITOLO 29
…
IL BIVIO …
(Elena)
Il
portale si era chiuso, ma Damon ancora non riapriva gli
occhi.
Il
suo volto era immobile e incominciava ad assumere un lieve colorito
grigiastro.
Lo stavo
perdendo.
Quel pensiero
mi colpì come una frustata sul cuore.
Non potevo
lasciarlo andare.
Non gli avrei
permesso di lasciarmi.
Ovunque fosse
bloccato, sarei andata a prenderlo, lo avrei raggiunto per riportarlo a
casa … o per restare con lui: non vi era altra opzione nel
mio futuro.
Mi
sdraiai sul suo corpo, sui suoi vestiti appena riscaldati dal fuoco del
camino. Bonnie continuava a sostenergli la testa, mentre Cinthia e
Pheeb rimanevano legati, nello sforzo immane di tenere aperta una via
per premettere a Damon di tornare.
Cercai le sue
mani e le intrecciai alle mie.
Non m’imbarazzava creare un contatto più intimo
con il mio uomo davanti ai miei figli, non m’importava che mi
vedessero tanto disperatamente irremovibile nel mio proposito di
riaverlo: avrei riportato Damon tra le mie braccia e per fare
ciò avrei anche affrontato l’inferno …
o all’inferno sarei finita.
Aderendo
perfettamente al suo corpo, posai le labbra accanto al suo orecchio;
non pensai a cosa dire, non cercai le parole: semplicemente diedi voce
ai miei sentimenti, ad una speranza che non voleva estinguersi e si
faceva forte al pensiero di riuscire nel suo intento.
“Non ti
dirò addio, Damon, né ora né mai.
Abbiamo avuto troppo poco tempo, siamo stati insieme per un periodo
troppo breve. So cosa significa vivere senza di te. So bene cosa
significa la tua assenza … e non potrò dormire
per altri vent’anni, non potrò abbandonarmi
all’oblio per l’eternità …
quindi, se non vuoi che venga io da te, torna qui, torna da me.
Non puoi aver legato la mia anima alla tua, la mia eternità
alla tua, per poi lasciarmi sola: io sono incatenata a te e non ho
nessuna voglia di liberarmi, perche tutta la sofferenza che abbiamo
subito non può essere inutile, non può rendere
assurdo il tempo che abbiamo sprecato combattendoci, aspettandoci,
amandoci.
Torna e dimmi che il nostro legame sarà immortale come le
nostre vite, che non abbiamo lottato invano.
Ho bisogno del tuo amore, fondamenta della mia stessa esistenza,
strazio e delizia delle mie giornate, senso e follia di ogni mia notte.
Tu non sei solo il mio uomo … non sei solo il mio compagno
… il mio complice … il mio tormento: tu sei
l’unica ragione che mi permette di immaginare un qualsiasi
futuro in una vita qualunque, ovunque nello spazio e nel tempo.
Non voglio cedere alla tentazione di accasciarmi su me stessa, di
arrendermi per poi raggiungerti nel nulla: voglio lottare per te fino
alla fine, fino a consumarmi sul tuo corpo e diventare cenere con te.
Vivevo di te, del tuo amore …
Vivrò di te, del nostro amore …
O morirò aspettandoti.”
-o-o-o-o-
(Damon)
Il buio scivolava su di
me.
Cercavo la voce di
Elena, tentavo di ritrovarla nella mia testa, nello spazio angusto di
quel luogo che mi stava intrappolando.
Il silenzio era totale,
assordante quanto un boato.
Eppure ero sicuro che
non si sarebbe arresa, perché sapeva che nemmeno io mi sarei
dato per vinto.
Ero
un niente che vagava nel nulla e solo il suo richiamo avrebbe dato
sostanza alla mia anima persa.
Cercai
uno spiraglio nel buio, un sospiro nel silenzio, ma la mia disperazione
infittiva la già tetra oscurità.
Non volevo rassegnarmi,
ma mi resi conto che, se avessi voluto cogliere un segno, avrei dovuto
tranquillizzarmi e permettere ai segnali di raggiungermi, piuttosto che
inseguire qualcosa che non c’era con gli occhi accecati
dall’angoscia.
Come potevo
tranquillizzare la mia essenza impalpabile?
Poteva
un’anima sospirare? Poteva regolare il respiro che non aveva?
Ci
provai comunque.
Lasciai che la mia
mente fluttuasse tra immagini spontanee, indefinite, reali, fittizie,
sognate …
Mi
abbandonai a ricordi di sensazioni, a memorie inconsce, permettendo al
mio “essere” di agganciare spontaneamente il filo
che mi avrebbe ricondotto da lei.
Il buio si
riempì di figure e di voci indistinte: una tempesta di
colori mescolati a formare un’immagine astratta, mutevole,
sfuocata.
Resistetti alla
tentazione di mettere a fuoco un punto definito, di sforzarmi per
riconoscere qualcosa o qualcuno, di imporre la mia volontà
al caos.
“Vienimi a
prendere, ovunque tu sia,” pensai.
“Indicami
la via e ti raggiungerò,” la invocai.
Dal caos di luci e
suoni emersero due immagini distinte, due voci uguali come
un’eco.
Elena prese forma in
quelle proiezioni: in entrambe invocava il mio nome.
In
una era stesa sul mio corpo esanime e mi parlava con determinata
dolcezza, disperata ma determinata nel rivolermi accanto.
Nell’altra
era sola, accasciata al suolo e affranta, lo sguardo incollato ad una
porta chiusa, la voce ridotta ad un lamento sofferente, negli occhi le
tenebre della disperazione.
Presente e passato
avevano aperto le porte per farmi tornare.
Passato
e presente mi richiamavano.
Quale sadico regista
stava dirigendo il mio destino, lasciando a me la decisione se
riavvolgere il nastro o ricominciare dall’ultimo ciack?
Potevo
scegliere e sentivo di non avere molto tempo … potevo
scegliere e non avrei mai voluto doverlo fare.
Guardai
l’Elena di venticinque anni prima: tornando da lei avrei
potuto risparmiarle inutili patimenti; avrei potuto evitarle anni di
straziante oblio, un ricatto indecente, decenni di letargo.
Se
fossi tornato a quel momento, sono certo che avrei riaperto quella
porta, che mi sarei fiondato da lei e l’avrei risollevata,
rassicurata, protetta.
La
mia vita sarebbe cominciata con un bacio, con un suo sì
… con lei.
In
venticinque anni avevamo perso un’infinità di
momenti insieme, istanti che non avremmo potuto riprenderci,
ore che non sarebbero tornate: avevamo perso baci, mancato
appuntamenti; non l’avevo vista ridere, non avevo potuto
consolarla mentre piangeva. Non avevo potuto fare l’amore con
lei ogni notte … migliaia di notti perdute, che nessuno
avrebbe potuto mai restituirci,
Anche se tornando non
avessi avuto i miei ricordi, anche se mi avessero cancellato quegli
anni dalla memoria, non avrei ripetuto i miei errori! Non potevano
rimandarmi indietro per farmi rivivere gli stessi tormenti, gli stessi
inutili anni vuoti.
Eppure quel dubbio mi
tormentava: avrei avuto memoria di ciò che era accaduto,
delle mie sofferenze, di quelle di Elena?
E lei? Senza i suoi
ricordi avrebbe accettato di amarmi o, avendomi accanto, non avrebbe
mai capito che non poteva vivermi lontana?
Cancellare ogni
sofferenza e ricominciare o ripartire dal presente con il bagaglio del
passato a ricordarci i nostri errori, per non ripeterli, per non
sbagliare ancora?
Inoltre, avremmo dovuto
combatterebbe di nuovo quella battaglia ormai vinta contro Klaus,
contro il destino avverso: come ci avrebbe ingannati? Come ci avrebbe
ricattati in quel nuovo futuro?
Pheeb e Cinthia
sarebbero mai nati?
Stefan
avrebbe trovato la sua strada, la sua nuova vita?
Gli
originali avrebbero raggiunto una tregua, firmato la pace?
Tornare
indietro era un rischio immenso: valeva la pena correrlo?
Il tempo che scorreva
era una guaina stretta contro la pelle, le lacrime e i lamenti di Elena
mi laceravano, strattonandomi da una parta e dall’altra.
Passato o futuro?
Ricostruire un futuro nel passato o partire dal presente per immaginare
un futuro nuovo?
Ricucire
lo strappo o tessere una nuova tela?
In fondo avevo davanti
a me l’eternità da trascorrere con lei: era
ciò che avevo agognato da sempre, era l’unica cosa
che ancora desideravo … per tutto il sempre possibile
Quei venticinque anni
sarebbero stati solo una breve parentesi, una ferita cicatrizzata sul
cuore, lì a ricordarmi che non avrei mai potuto vivere senza
di lei, che lei non tollerava di vivere senza di me.
Scambiare
domani con ieri o tornare ad oggi e da lì ripartire?
“Damon …”
Quella
voce … quel richiamo.
Che
cosa stavo aspettando?
Di
quali altre inutili risposte avevo bisogno?
“Ti guardo
piangere, e ancora mi stupisco che quelle lacrime siano per me.
Ti guardo,
lusingato e incredulo davanti all’innegabile
immensità del tuo amore,
tutto
quell’amore per me.
Troppo
… e non ne avrò mai abbastanza.
Tanto
… solo io ti amo di più.
Ora …
qui … dove tu non mi vedi, dove non puoi denudarmi
l’anima,
posso lasciarmi
investire dal tuo amore, senza il timore di rimanerne sopraffatto,
posso accettare i
tuoi sentimenti, senza l’ansia di sporcare la tua anima,
conscio che se
una donna come te mi ha scelto …. forse posso meritarla,
se un essere
speciale, come tu sola sei, mi ama … forse posso accettare
di essere amato.
E se io non torno
chi si
prenderà cura di te come solo io saprei fare?
Chi
raccoglierà le tue lacrime, chi ascolterà le tue
risate?
Chi …
alla fine di ogni singolo giorno … si accerterà
che tu sia felice?
Anima mia,
fiore
d’acciaio,
chi
t’impedirà di raggiungermi nell’unico
posto in cui non ti voglio accanto a me?
Chi …
se non io?
Chi …
amore mio?
Tranquilla, non
piangere un’altra lacrima.
Arrivo, Elena
… e non dovrai aspettarmi mai più!”
EPILOGO
(coming soon)
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Capitolo 30 *** Epilogo ***
EPILOGO
I colori
dell’alba, che filtravano tra le fessure delle persiane
socchiuse, disegnavano figure astratte all’interno
delle mie palpebre chiuse.
Lo
sciabordio delle onde sul bagnasciuga cullava il mio dormiveglia.
Sfilai
il braccio da sotto la testa di Elena, che dormiva girandomi la schiena
fino a poco prima premuta contro la mia pancia, e mi stiracchiai
pigramente. Allungai la mano e la appoggiai sulle sue spalle, incapace
di rimanere troppo a lungo senza un contatto con la sua pelle. Era
inebriante potermi addormentare con lei tra le braccia e risvegliarmi
con il profumo della sua pelle, ogni notte … ogni mattino.
Il
caldo di quell’isola tropicale mi avvolse, rendendo ancora
più difficile svegliarmi. Mi voltai verso di lei e mi
accartocciai contro il suo corpo, coperto solo dalla stoffa leggera del
lenzuolo.
Immersi
naso nei suoi capelli e cominciai a far vagare le mie mani sulla sua
pelle calda, languidamente, sempre mezzo addormentato, mezzo eccitato,
solo mezzo … se non ci fosse stata lei a completarmi.
C’erano
mattine in cui non volevo riaprire gli occhi, non desideravo scoprire
se quello che stavo vivendo fosse un sogno magnifico o una
realtà incredibile.
Se
fosse stato solo un sogno, svegliarmi sarebbe stato come morire di
nuovo.
Strinsi
Elena più vicino a me, affondando i polpastrelli nella sua
carne, in modo che le immagini prendessero consistenza, diventassero
carne e sangue, odori e sospiri.
Spostai le
labbra sulla sua spalla e la “assaggiai”; il suo
sapore, unico e inconfondibile, eccitante sulla mia lingua e dolce al
mio palato, mi confermò che quella non era
un’immagine onirica: lei era lì, in quel letto
stropicciato, tra le lenzuola che profumavano di noi.
Il
desiderio crebbe lento ma inesorabile e non avrei aspettato il suo
risveglio: si sarebbe ridestata con la forza del mio amore dentro di
lei … come ogni mattina, da quella notte in poi.
Ma
… il mio cellulare incominciò a vibrare sul
comodino alle mie spalle. Avrei voluto non dargli retta e continuare a
giocare con il suo seno, con le dita tra i suoi capelli, ma la
vibrazione era cambiata in suoneria e riconobbi il motivo che avevo
assegnato a Pheeb.
Con
gli occhi che ancora si rifiutavano di aprirsi, mi sedetti sul letto e
afferrai quello strumento infernale.
-Pheeb
… spero ti renda conto che qui è mattina presto
… e tu sai che alla mattina certe prestazioni … -
dissi con la voce impastata dal sonno e dalla passione che ancora mi
arrochiva la gola.
-Buongiorno
anche a te Damon. Tu e la mamma state bene? – rispose
allegramente.
-Probabilmente
staremo molto meglio tra un po’… –
Pigramente
Elena si voltò a guardarmi, col volto assonnato e
l’espressione interrogativa.
Le sorrisi e le
mimai con la bocca il nome di suo figlio.
Lei si
girò, lasciando la testa sul cuscino, i capelli
aggrovigliati e una ciocca tra le labbra.
Le posai un
lieve bacio sulla fronte mentre le toglievo i capelli dalla bocca.
-Damon
ci sei? Mi stai ascoltando? – mi richiamò Pheeb.
-Dimmi.
–
-Ho
chiamato per ricordarvi la presentazione del nuovo libro di Stefan a
New York, il prossimo fine settimana: non osate disertare! –
-Ho
già prenotato i biglietti per il ritorno: come potrei
mancare all’ennesimo discorso del mio logorroico fratellino?
– risposi con un sorriso sghembo rivolto ad Elena che mi
aveva appena dato una gomitata.
-Chiedigli
se ci sarà anche Cinthia … ho voglia di rivederla
… - mi sussurrò Elena.
-Cinthia?
– riportai la domanda a Pheeb.
-Cinthia
è a Parigi: aveva una pausa dalla scuola d’arte di
Firenze e ha fatto una fermata per visitare il Louvre per studiare non
so quale dipinto … sarà a New York in tempo per
la presentazione. –
-Tu
stai bene? – urlò Elena in modo da farsi sentire
dal figlio.
-Tutto
bene, mamma. La facoltà di medicina è molto
impegnativa, ma non riesco ad immaginare altro campo di studi
più stimolante e affascinante. Mi piace Boston, mi sono
ambientato benissimo e ho fatto nuove conoscenze … normali
… -
-Cassidy?
– domandai.
-Lei
è rimasta al Whitmore con suo padre, da quando sua madre
è fuggita. Credo che voglia imparare a gestire i suoi poteri
ed usarli per tenere sotto controllo l’attività
sovrannaturale della zona. Sai, alla fine abbiamo deciso di rimanere
amici, separati, per capire … conoscere: entrambi abbiamo
trascorso troppo tempo in quella gabbia, senza scelte, senza crescere
veramente, e abbiamo bisogno di vivere nel mondo prima di prendere una
qualsiasi decisione definitiva. –
-Bravo
ragazzo … a New York andremo fuori per una serata per soli
uomini: ti mostrerò cosa vuol dire vivere la vita! Sai sa ci
sarà anche Alaric? Una serata alcolica non avrebbe senso
senza di lui! – risi allo sguardo sarcastico di Elena che
accompagnava il dito medio bene in vista.
-
Credo che verrà con Meredith, che ci raggiungerà
con la famiglia di Matt. Rick è appena tornato da un viaggio
in Perù con zia Reb per non so quale zona archeologica
… quei due hanno preso sul serio l’incarico di
ricercatori alla facoltà di storia della CUNY. -
- E
l’altra parte della famiglia … come sta?
–
- Zio Elijah e
Kath sono a New Orleans: conosci la sua fissazione per
l’occulto: lì ha materiale a sufficienza per
approfondire quel poco che ancora non conosce. Mi ha detto che sarebbe
venuto anche a lui alla presentazione del libro: “riunione di
famiglia” … sai che ci tiene a queste cose!
–
-Altre
notizie? –
-Dal
mondo degli addormentati nulla, grazie al cielo: papà e zio
Kol continuano a rimanere tranquilli nelle loro bare …
lontani dal mondo, lontani da noi. –
-Bene,
allora ci vediamo sabato sera … tua madre ti saluta .
– dissi, mentre Elena faceva cenni disperati
affinché le passassi il telefono.
-Ciao
Damon, dalle un bacio da parte mia … -
La
comunicazione s’interruppe mentre Elena riempiva di pugni la
mia spalla.
Lanciai
il telefono oltre il letto e, afferrandola per le spalle, fui sopra di
lei.
Non
potevo aspettare ... avevo aspettato troppo.
Posai
le mie labbra sulla sua bocca, inizio e fine di ogni mi respiro, e
lasciai che il giorno sorgesse oltre le tende di lino.
L’ennesimo
giorno d’infiniti giorni.
Per
lei, con lei, attraverso di lei.
Insieme.
The end ... a new
beginning
Nda:
solo e semplicemente grazie.
Mammaesme.
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