welcome to the hell.

di ashtonssmile
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** welcome, ginger, it's briarcliff. ***
Capitolo 2: *** i don't (l)ove you, (i) don't c(a)(r)e. ***
Capitolo 3: *** don't let me go. ***
Capitolo 4: *** somewhere out there. ***
Capitolo 5: *** ups, is it a final? ***
Capitolo 6: *** thank you! ***



Capitolo 1
*** welcome, ginger, it's briarcliff. ***


Primavera 1965. Quel manicomio ormai era un andirivieni, anche se forse erano più le persone che morivano di quelle che cominciavano il loro inferno lì dentro. Kit ormai c'era quasi abituato. Quasi. Ma quell'accaduto, ciò che era successo a Grace, non sapeva ancora spiegarselo. Entrambe le donne della sua vita erano morte, entrambe, inoltre era considerato colpevole per l'omicidio di Alma, ma lui sapeva che non c'entrava nulla, Lana lo sapeva, Suor Jude lo sapeva, il Monsignor lo sapeva. Insomma tutta Briarcliff lo sapeva. Ma quanti sapevano realmente il colpevole? Quel mostro, quel Dr. Thredson, aveva violentato anche Lana e finché lei fosse stata lì, in quella merda di manicomio, avrebbe dovuto portare quel feto dentro di sè, che nemmeno riusciva a chiamare bambino, era un sottoprodotto di Bloody Face, dell'uomo che l’ha stuprata. Tutto questo lo sapevano solo Thredson, Kit e Lana. Stop. Ah, e quelle ragazze morte, a causa sua. Usate. Come fossero giocattoli. Kit era innocente, ma a nessuno sembrava importare e lui era costretto a starsene lì, a subire tutto quello. Ormai era tutto un sogno. No. Un incubo. Viveva in un incubo e doveva continuare a farlo. E ogni mattina, ogni pomeriggio, ogni sera, si tormentava con ogni suo pensiero, con ogni suo ricordo, ad Alma, a Grace, a quei momenti che aveva trascorso prima di essere portato in quell'illusione.
 
«Ecco che ne arriva un'altra» disse Lana aspirando il suo ultimo tiro di sigaretta. Indicò la nuova arrivata. Il suo sguardo era imperscrutabile, gli occhi marroni come la terra bagnata. Portava i suoi capelli -certamente tinti- color mogano sciolti. Non sembrava spaesata, nemmeno preoccupata, era solamente indifferente a tutto quello. «Chissà perché è qui» osservò Kit. «Beh. Scopriamolo». Lana si alzò, gettando il mozzicone nel portacenere. Entrambi si avvicinarono a quella ragazza, lei li guardò, un filo perplessa. «Ciao. Sono Lana Winters» «Io Kit Walker» continuò Kit, allungando la mano. «Ginger Conrott» annunciò, stringendo la mano a Kit. «Un secondo. Lana Winters? La reporter?» chiese, leggermente imbarazzata. «Sì, sono io». Lana sorrise e si accomodò nella poltrona di fronte alla sua, mentre Kit si limitò a star in piedi, di fianco a Lana, le mani lungo i fianchi. «Come mai sei qui?» chiese quest'ultimo indiscretamente. «Avete mai sentito parlare di una certa 'Suzy Soup'?» chiese Ginger, accendendosi la metà di una sigaretta. «Vagamente, qualcosa ho sentito» intervenne Lana. «Quella che ha ucciso sette uomini, riducendo gli organi ad una zuppa?» Ginger alzò la mano, aspirando profondamente dal filtro. «Bene. Eccomi». I due la guardarono e, prima che potessero replicare, lei cominciò a parlare. «Lo so. Perché? Cosa volevi fare? Bla bla bla. Le solite domande. Evito che voi sprechiate fiato e vi racconto subito tutto. Quegli uomini avevano qualcosa in comune. Ovvero erano tutti maniaci schifosi. Avevano stuprato delle bambine e delle donne, porca puttana! Beh. Anche io venni stuprata. Da un amico dei miei genitori. Loro non mi credettero. Fu il primo di una lunga serie. Quel bastardo. Purtroppo per la società sono solo una fottuta psicopatica, incapace d'intendere e di volere. Quindi boom. Mi hanno mandato qui. Nessuno ha realmente capito la mia intenzione. Volevo pulire il mondo da queste belve, coloro che non hanno un minimo di ritegno. Ecco tutto». Kit e Lana rimasero a fissarla, finché uno dei due si decise a dire qualcosa. «Porca puttana» disse Kit. «Una nobile causa» convenne Lana. Il gruppo rise un poco. «Kit, dicono che tu sia Bloody Face. Se così fosse, stammi lontano» «Ti assicuro ch'io non c'entro niente con lui» «Lo immagino, ti conosco da cinque minuti, ma non ti credo capace di fare cose simili» «Beh. Grazie, Ginger» «Le cose le capisco al volo». Lana si avvicinò lentamente a lei. «Che impressione ti ha fatto questa merda?» le sussurrò. «Lana, quando sono entrata in questo buco, da ogni parte mi girassi vedevo veri pazzi. C'è una donna che tiene una bambola come se fosse un bambino vero, c'è un uomo che tiene la mano nei pantaloni, a masturbarsi allegramente, c'è quel..la persona, con la testa a punta e le orecchie che fanno provincia, ma credo che nessuno di questi sia schizzato quanto siano schizzati quelli che ancora sono là fuori». Kit e Lana capirono di aver trovato una nuova persona con cui parlare, con cui stare durante la solita monotonia e crudeltà di Briarcliff. 
 
Quella mattinata pareva interminabile. Ginger se ne stava nella sua stanza che odorava di chiuso e di marcio, sdraiata su quel lurido materasso e la sua sigaretta tra le labbra. Certo, che quel Kit è veramente carino. -pensava. L'importante è non pensare a lui in quel modo, Ginger, altrimenti. Lei non sapeva, però, che Kit, dall’altra parte dell’istituto, nella stanza identica alla sua, pensava proprio alla stessa cosa. Sembrava che non appena le avesse rivolto la parola i pensieri di Alma e di Grace fossero spariti, ma non aveva intenzione di rifarlo, mai più. Era stufo di tutto quel dolore, era stanco della morte, e, forse, era anche colpa sua, ma non sapeva il perché e si tormentava, ma quelle cose in quel momento erano sparite, non aveva più la testa talmente tanto contorta da tirar pugni al muro, come spesso faceva. No. In quel momento era tranquillo, appoggiato alla parete, seduto a terra. Sembrava indifferente a tutto quello, per una volta. Non ci rifletteva proprio, ed era un bene. Ma no. Non avrebbe pensato a Ginger in quel modo, ci avrebbe provato almeno.
 
Si svegliò, la fronte impregnata di sudore. La sua prima nottata in quell'inferno. Si mise seduta, le gambe conserte al petto, il mento incastrato tra le ginocchia. Aspettava di poter uscire da quella stanzetta, di raggiungere Lana. Kit. Sì. Soprattutto Kit. Si alzò e raggiunse la 'zona svago'. Con gli occhi roteanti per la stanza, cercava quei due. Quando li trovò, si avvicinò lentamente, quasi imbarazzata. «Ciao Ginger» la salutò Kit, con un cenno. Lana le fece spazio sul vecchio divano, proprio in mezzo a loro due. «Com'è andata la nottata?» chiese Lana. «A meraviglia, direi» «Le prossime non andranno meglio» disse Kit. «Beh, grazie Kit. Mi sei davvero d'aiuto» «Almeno t'ho detto la verità». Il ragazzo sorrise. Ginger lo scrutò e si sforzò con tutta sè stessa di non pensare a lui in quel modo, anche se pareva difficile. Venne interrotta, fortunatamente, da quei pensieri. Lana la guardò e le strinse una gamba. «Benvenuta a Briarcliff, Ginger. Il manicomio del diavolo».

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Capitolo 2
*** i don't (l)ove you, (i) don't c(a)(r)e. ***


Maggio 1965. Le notti traviagliate, il corpo pieno di spasmi, le immagini rattoppate di tutti gli uomini che aveva ucciso. Si svegliava, in preda all'ansia, nel bel mezzo della notte. Non era mai successo. Da quando era in quel posto tutto per Ginger era cambiato, da quando aveva conosciuto Kit. Prima di addormentarsi pensava sempre. Alle sue labbra, che leggermente si sfioravano quando parlava. Ai suoi occhi, così neri, così tristi. Alla sua voce, ogni volta che pronunciava il suo insignificante nome. Poi, riprendeva sonno. Riusciva a tenere incollati gli occhi all'interno delle palpebre, finché uno di quegl'uomini le urlasse di alzarsi. Allora si alzava e raggiungeva Lana e Kit. Parlavano, parlavano e parlavano. Lana diceva sempre che voleva chiudere quel posto, continuava a ripetersi che è stata colpa sua se Wendy era morta, continuava a maledirsi e a maledire la creatura dentro di sè. Kit raccontava che volesse mettere su famiglia, prima con Alma, poi con Grace, ma non ci riuscì e cominciava a credere che non era suo destino farlo. Ginger si limitava a sorridere, a prendere la mano a Lana se cominciava a delirare, nulla di più. La maggior parte del tempo stava con gli occhi fissi su Kit, fermi come due fanali di un auto. Solo le domande che le ponevano la facevano rinascere. «Stai bene, Ginger?» chiese infine Kit, preoccupato. «Sì, tutto apposto. Non preoccupatevi» disse, massacrandosi le mani. «Ti vedo un po' stanca» aggiunse Lana. «Beh, non dormo molto ultimamente, quindi ho solo un po' di sonno». Abbassò gli occhi a terra. «Vuoi tornare nella tua stanza?» la guardò Kit. «No!». Quasi urlò. «Scusa, ho solo chiesto» rise. Ginger divenne paonazza in volto. Kit si alzò dal divano. «Torno subito, vado a vedere se posso mettere qualcosa dal jukebox». Si allontanò, mentre Lana si avvicinava a Ginger e le fece segno di fare lo stesso. «Ho visto tante espressioni» cominciò lei. «Ma questa, non è semplice trovarla. L'avevo vista poche volte, l'avevo provata solo una. Con Wendy. La tua, è così intensa, Ginger» «Lana, non capisco». Le prese la mano. «L'espressione di una persona innamorata, Ginger. Lo vedo, quando guardi Kit, quando ti parla, ogni volta che, casualmente, qualcuno lo nomina» «Ti sbagli» disse, agitata. «Lo vedi? Se non lo fossi, non ti prenderebbe l'ansia». Ginger le tirò un colpetto sulla gamba, segno che Kit stava tornando e di troncare lì il discorso. Kit si riaccomodò tra le due donne. «Di che chiacchieravate?» «Di te!» si affrettò a dire Lana. «Di me? Che centro io?». Ginger lanciò una frecciata a Lana, ma a lei sembrò non interessare. «Di te, di Ginger, sareste così carini insieme..» «Scusate, sono stanca. Torno a provare a dormire». Si alzò e si voltò, fin troppo veloce. La testa cominciò a girarle, ma preferì andar a sbattere contro le sedie piuttosto che fermarsi e continuare quel discorso. Sbagliato. Perse l'equilibrio e cadde. Sia Lana che Kit corsero da lei per assicurarsi che stesse bene. «Ginger..» «Sto bene!». Si alzò, ma faticava a reggersi sulle gambe. Kit la tenne per un braccio. «Ginger?» enfatizzò Kit. «Kit» disse Ginger, voltandosi. «Lana» scherzò la stessa. «Sto bene, davvero. Sono solo stanca, ho bisogno di dormire un po'». Cercò di liberarsi dalla presa di Kit e si avviò per la sua 'stanza'. «Che le prende?» chiese Kit. «L'amore» sognò Lana. «Ma che stai dicendo? Ti sei fatta di qualcosa?» «Kit! Cristo, è possibile che tu sia così cieco?» «Mi vuoi spiegare, simpatia?» «La fai facile tu» «Perché? E' così difficile spiegarmi che cazzo stai dicendo?» «Oh Kit. Non fare il coglione. Posso dirti questo». Kit rimase bloccato a fissarla e poi cominciò a pensare a Ginger, a per quale motivo fosse così. Si era promesso di non farlo. Ma lei lo rendeva difficile. Quanto avrebbe voluto accarezzarle i capelli in quel momento in cui lei era caduta. Quanto avrebbe voluto stringerle la mano nel momento in cui aveva abbassato lo sguardo, imbarazzata. Si era promesso, due mesi prima, che non avrebbe riprovato ad amare nessuna, soprattutto dopo tutto ciò che era successo. Aveva paura, ma non era così semplice. Non poteva dire al suo cuore di non provare sentimenti, non ne era capace. Se ci fosse stato un modo, avrebbe voluto saperlo. «Ed ecco di nuovo quell'espressione!» urlò Lana, distogliendolo da quel labirinto. «Che espressione?» «Quella di una persona innamorata!» «LANA, OGGI SEI DAVVERO STRANA! PIU' DEL SOLITO!» «Kit, spiegami perché stai facendo quella faccia, cazzo?» «Sono preoccupato» «Per Ginger?» «Beh, certo» «Ecco, lo sapevo! Sei innamorato di Ginger!» «Ma cosa dici, Lana? Tu sei pazza» «Beh, se non lo fossi, non mi troverei qui. E probabilmente, nemmeno tu» «Io non sono pazzo» «Qui dentro siamo tutti pazzi» «Va beh. Fatto sta che tu non sai niente» «Conosco quel visino da cucciolo bastonato e abbandonato in strada. E' lo stesso che avevi quando c'era ancora Grace, se non più forte». Kit era sorpreso da quanto Lana lo conoscesse, non riuscì a dire una parola. Se ne stava zitto. Tutto qui. E zitto com'era, tornò nella sua stanza e cominciò a vagare ancora nella sua testa. Era stanco. Dalla sua fronte scendevano piccole gocce di sudore, seguiti a tremori di freddo, proprio come se avesse la febbre. Si toccò leggermente la fronte, sentendola gelida. La mano tremava e si creavano voci attorno a lui. Sempre più confuse. Più dissolte. Distorte dalla realtà. Non capiva cos’era tutto quello. Sentì un colpo allo stomaco. Si voltò, come se lui non volesse, e si avviò, senza destare troppi sospetti, verso la stanza di Ginger. Non sapeva che cosa voleva fare, che cosa stesse cercando. Davanti alla porta, se così si può chiamare, bussò leggermente. Ginger aprì. La vista cominciò a scurirsi, una leggera stretta allo stomaco. Non capì più nulla. Ginger cominciò ad avere paura, lo prese per le gambe e cercò di trascinarlo, il più delicatamente possibile, dentro. «E ora come faccio? » si chiese. «Come si fa a far rinsanire una persona svenuta? Porca puttana». Parlava da sola, in preda al panico. Cominciò con piccoli colpetti sulle guance, sussurrando il suo nome, seguito da parole imploranti. «Per favore, per favore, per favore, Kit, svegliati! ». Con una mano cercava di far aria, sperando di farlo risvegliare. Il corpo di Kit alternava leggeri spasmi dovuti ai brividi di freddo, ma non esitò ad aprire gli occhi. «Santo Cristo, cosa cazzo faccio? ». Se avesse chiesto soccorso, sarebbe finita nei guai, perché Kit non poteva essere lì. E se fosse corsa a chiamare Lana? Sì, ma avrebbe lasciato Kit da solo nella sua stanza. L’unica soluzione era provare la respirazione bocca a bocca, ma se ne sarebbe vergognata a vita. Se lui si fosse svegliato? Come avrebbe reagito? Era una confusione sola. Ogni sua decisione pareva sbagliata. Ma doveva fare qualcosa. Subito. Tirò un lungo respiro e si spostò i capelli da una sola parte. Prese coraggio ed avvicinò le sue labbra alle sue. Le tremavano, ma lo fece. Cominciò a soffiare, forte, sperando che potesse servire. Continuò, ad intervalli regolari. Poi si alzò e sollevò le sue gambe. Finalmente vide muovere qualcosa sul suo viso. Posò delicatamente le gambe di Kit a terra e si affrettò ad andare di fronte a lui. «Kit! Kit, svegliati! Stai bene? Kit! ». Cominciò a dar dei piccoli schiaffi sul volto di Kit. Lui cominciava ad aprire leggermente gli occhi, lentamente. «Oddio, Kit, ti prego! ». Cominciava a respirare regolarmente, il colorito sul suo volto cominciava a prendere il colore naturale. «Kit, svegliati! ». Kit aprì gli occhi e la sua vista cominciò a schiarirsi. «Ginger.. » «Kit, menomale! Sei svenuto e non sapevo più cosa fare! » «Ma dove sono? » «In camera mia, Kit. Se ci beccano siamo nella merda» «Oddio, Ginger, scusa.. E’ il caso che me ne vada» «Stai attento, Kit». Kit si alzò e fece un grosso respiro. Non si sentiva ancora molto bene. «Kit, riprenditi. Mi hai fatto prendere una paura». Ginger lo abbracciò. Uno strano impulso. Non se lo spiegava, ma le piaceva. Quanto tempo non abbracciava un ragazzo, anzi, quanto tempo non abbracciava qualsiasi persona. Kit ricambiò l’abbraccio, confuso come al solito, ma anche a lui piaceva. Il profumo dei suoi capelli gli filtrava attraverso le narici e il suo cuore cominciò a sembrare un martello contro un chiodo. Per la paura che Ginger potesse capire qualcosa, si staccò dall’abbraccio e si dileguò, con un ‘ciao Ginger’ leggermente sussurrato. Ginger rimase di fronte alla porta, sempre più rossa in volta, ma si gettò sul materasso, le mani di fronte al viso. Era completamente persa. «Non di nuovo, non di nuovo. Basta. Non voglio» si ripeteva. Non voleva più sentirsi come qualsiasi ragazza che stava lì fuori. Lei era diversa dalle altre, non poteva sentirsi così. Allora prese una sigaretta e l’accese. Fece un lungo tiro e ancora si ripeteva che non doveva accadere. Intanto Kit cercava di non farsi scoprire nel corridoio del manicomio. Raggiuse la stanza e, come fece Ginger, si gettò sul materasso e sperava di far sparire quel calore che l’abbraccio di lei le aveva lasciato. Sperava che quel profumo che le era rimasto sotto il naso svanisse, così come sperava che quello stesso sentimento, forse più forte, che aveva provato sia per Alma che per Grace svanisse. Perché aveva paura. Aveva paura che non fosse stato suo destino innamorarsi e metter su famiglia. Aveva paura per Ginger, dopo tutto quello che gli era successo. Non voleva che succedesse qualcosa anche a lei, perché, nonostante fosse un’assassina, era una ragazza meravigliosa e poi ciò che aveva fatto, l’aveva fatto per buone ragioni. Se lei non avesse ucciso quegli uomini, sarebbero state stuprate molte altre persone e non era il caso. Poi lei aveva capito subito che non era lui Bloody Face, come tutto il mondo sospettava. L’aveva capito subito, rivolgendole poco più di due parole. Si stese sul materasso e chiuse gli occhi, trasportandosi nei suoi incomprensibili sogni. Prese subito sonno, quasi fosse preda di sonniferi. Il suo sogno, quel vero sogno, era così reale. Non c’era sangue, non c’era disperazione. Per la prima volta c’era solamente tanta felicità. Perché quel sogno rappresentava tutto quello che desiderava. Una vera famiglia, con dei bambini, con una moglie e quella era proprio lei, Ginger. I bambini avevano i tratti della madre, così delicati e innocenti, avevano occhi scuri e avevano quel sorriso che solo lei ha. Quel sorriso che per Kit era il mondo intero. Si svegliò solo per i colpi che provenivano al di fuori della sua stanza. Si svegliò, con entrambe le guance bagnate di lacrime. Quelle lacrime che esprimevano emozioni così contrastanti tra di loro. Nemmeno lui sapeva che cosa stesse provando, non dava spiegazioni a quelle goccioline che cadevano dai suoi occhi, ma per la prima volta, il vuoto dentro di sé si era colmato, la sua sensazione d’eterna ansia scomparsa e il suo corpo stava davvero bene, tanto bene che per un attimo pensò d’esser morto. Si riempì i polmoni di quell’aria marcia e si alzò lentamente, evitando che potesse succedere come le ore precedenti. La testa faceva ancora male e le mani tremavano un poco, ma non sapeva se era per la bassa pressione o perché di lì a poco avrebbe visto Ginger. Aprì la porta di ferro e si diresse verso la saletta. Appena varcata la soglia vide Lana che discuteva con il Dr. Thredson, ma non fece in tempo a raggiungerli e intervenire che quest’ultimo alzò i tacchi. Lana si gettò a peso morto sul vecchio divano con quell’aria stanca che sempre presentava. Kit girò un attimo lo sguardo su tutta la sala, in cerca di quegli occhi che tanto adorava, senza trovarli. Si sedette accanto a Lana, che cominciò a raccontare quello piccolo scontro con Oliver, ma Kit non riusciva a seguirla, tanta era l’ansia in corpo in attesa di Ginger. Le uniche parole che aveva compreso erano state “rivoltante”, “bambino”, “ricatto”, “Wendy”, “inutile”. Nulla di più. Non fece caso nemmeno a quando Lana disse che c’erano elefanti rosa in giacca e cravatta che giocavano a carte, proprio perché l’unica cosa che faceva era tirare su il collo e cercare Ginger per la stanza. «KIT! » urlò, infine Lana, stanca di parlare al muro. «Lo so che non mi stai ascoltando perché pensi a Ginger» disse lei, incrociando le braccia al petto e appoggiando la schiena al divano. «Ma no! Non è così! » si difese Kit. «Pensi che non me ne sia accorta? Stai aspettando Ginger! » «Non è così. Ma anche se fosse? » «Sono l’unica tua vera amica qui dentro, Kit. Esigo saperlo» «D’accordo, Lana. E’ vero. Sto aspettando Ginger» «Oh! Ci voleva tanto a dirlo? » «Non volevo ammetterlo, Lana, non volevo ammetterlo a me stesso» «E perché, Kit? » «Ho paura» «Hai paura? Di che? » «Dopo tutto quello che è successo, ho paura che possa succedere qualcosa a Ginger» «Kit, non farti fisse mentali che non esistono» «Hai ragione» «Ho sempre ragione». Intanto Kit pensava a quei mesi prima, i mesi subito seguenti all’arrivo di Ginger nel manicomio. Non facevano altro che parlare. Si vedevano nello stesso punto, allo stesso orario, almeno così si presumeva. Insomma, nulla di che, ed è proprio per quello che quelle vicende sono saltate nel racconto di tutto questo. Cresceva solo il sentimento che Kit provava. Diventava sempre più grande e più diffuso. Nella sua mente. Nel suo stomaco. Nel suo cuore. In quei mesi non faceva altro che aspettare e aspettare. Sperare di non provar nulla. Sperare che tutto quello potesse passare. Ma nulla. Tutto ciò non poteva perdersi. E lui lo sapeva benissimo. Anche in quell’istante in cui cercava lei in tutta quella stanza, sperava che tutto potesse svanire, ma non era così semplice, soprattutto dopo quello che era successo parecchi attimi prima, quando era svenuto in camera sua. Non sapeva che ci faceva lì, ma aveva visto benissimo che Ginger aveva provato con la respirazione bocca a bocca, perché aveva provato una sensazione strana. Di liberazione. Stava bene. E poi, l’aveva osservata staccarsi da lui, aveva intravisto i suoi occhi pieni di panico, in quella vista ancora parecchio annebbiata. E quell’abbraccio. Quell’abbraccio aveva complicato tutto. Ancora sentiva il calore di lei sui suoi fianchi, il profumo dei suoi capelli. Solo quel colpo al braccio lo distolse da quei ricordi vivi. Lana gli aveva appena tirato un pugno. «Sta arrivando Ginger, Kit. Che hai intenzione di fare? ».

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Capitolo 3
*** don't let me go. ***


Ginger si avvicinò lentamente ai due, ancora con l’immagine impressa del viso di Kit inerme. Lui ancora imbarazzato dalla strana situazione successa pochi istanti prima, il suo volto si abbassò, i suoi occhi si fissarono al pavimento, ripercorrendo quei secondi di cui ancora cerca spiegazioni. «Come stai ora? » chiese lei, ancora preoccupata. «Ora sto bene, ancora un po’ debole, ma sto bene, grazie» disse lui, sorridendo appena, visibile nel suo imbarazzo. «Che mi son persa? » chiese Lana, intromettendosi come sempre nelle loro conversazioni. «Ho avuto un mancamento, forse è perché dormo e mangio poco» disse Kit. «E tu, Ginger, come fai a saperlo? Cioè, fino a pochi minuti fa eravate qua assieme» chiese la mora, sospetta. «Ha bussato alla mia porta ed è svenuto. Non pensavo d’esser così brutta, Kit» «Ma no! No! » Il gruppo rise. «Ma perché proprio nella sua stanza, Kit?» disse Lana, quasi sforzando una risposta che lui non avrebbe mai dato. «Non lo so, Lana. Forse perché è stata la prima che in quel momento mi è saltata in testa. Lo trovi così strano?» «No, figurati. Proprio per niente» disse lei con il filo di ironia che la contraddistingueva. «Non fare la sarcastica, Lana. E’ veramente così ». Lana si zittì, con quel sorriso beffardo sul viso. Prima o poi lo avrebbe fatto cantare.  Kit non fece a meno di sorridere e Ginger fece lo stesso. Pochi istanti di silenzio si susseguirono tra i tre, nonostante le frasi incompiute, insensate, gridolini proveniente da tutta la sala piena zeppa di altre persone rinchiuse lì dentro. «Ragazzi, vado in stanza, sono stanca» e uno sbadiglio forzato. Sapeva cosa stava facendo e voleva riuscire una volta per tutte. Dopo quella frase, Lana si dileguò. I due ragazzi si guardarono un secondo perplessi. Beh, allora.. » cominciò Kit. «Kit, posso farti una domanda? » chiese Ginger titubante. «Chiedi, rossa». Lei sorrise imbarazzata, per poi farsi seria in un millesimo di secondo. «Lana mi ha detto che periodo stavi passando non appena sono arrivata. So che eri sposato con quella ragazza, Alma, so cosa le è successo e mi dispiace. Mi ha anche accennato ad una certa Grace e mi ha raccontato anche di lei e anche qui, mi dispiace tanto. Prima di Grace ti hanno accusato di essere Bloody Face. Ma perché? Perché il mondo ti sta facendo questo? ». Kit rimase sorpreso dalla sua domanda. «Ginger, se lo sapessi, forse non sarei nemmeno qui dentro. So che non riesco, anzi, non voglio più provare qualcosa per qualsiasi donna. Non per Alma, né per Grace, ma perché ho paura che possa succedere qualcosa anche a lei. E’ un rifiuto che ho fatto a me stesso, anche se da quattro mesi a questa parte mi risulta difficile, anzi, è un vero e proprio suicidio. Sono in conflitto con tutto me stesso. Non posso desiderare di non innamorarmi e basta? No, perché nessuno può farlo e nessuno può comandarlo. L’amore è una percezione dell’animo che piano piano ti logora, soprattutto se ti ha fatto così tanto male, soprattutto se ti ha portato via due persone che erano la vita per te. Hai paura di farlo, è una vera e propria fobia». Ginger meditava le sue parole, le analizzava una per volta, constatando che nessuno potesse avere più ragione di lui. «Ti capisco, sai? Anche io penso che l’amore sia così. Alcuni pensano che sia dolce e generoso, altri come me e te, pensano solamente che possa indurti a una tale follia mentale. Pensiamo che possa solo distruggerti, perché è questo quello che fa. Prima ti compone per bene, sei stabile, in piedi, e questo è l’amore che i genitori ti danno. Poi un colpo e ti disfa, come un puzzle, tanto che arrivi a provare a raccoglierne pian piano i pezzi che ne sono sparsi. Ma se l’amore che i genitori dovrebbero dare, non era altro che un bene sforzato, beh, allora sei costruito male e non ci vuole niente per distruggerti. Proprio come nella Seconda Guerra Mondiale. Tutto distrutto. Ecco cosa sei. Un edificio caduto in pezzi dopo un bombardamento». Ginger si massacrava le mani a ogni parola, parlò a perdifiato, convinta di ogni sillaba che fuoriusciva dalla sua bocca. E anche Kit era d’accordo e sapeva cosa voleva dire tutto quello. Poggiò una mano sulla gamba di lei, per calmarla. Aveva preso a tremare, brevi e irrequieti tremori che le percorrevano il corpo. Si fissarono un secondo per poi sentir un grido. «Eccoli! » urlarono quegli uomini in divisa. «Signorina Conrott, Signor Walker, siete in un mare di guai» disse sorella Mary Eunice, con lo stesso sorriso beffardo che Lana aveva prima di dileguarsi. «Per quale motivo? » chiese Ginger, incrociando le braccia, seria. Già immaginava di cosa si trattasse. La paura cominciava a scorrerle nel sangue.  «Una nostra guardia ha visto il signor Walker avvicinarsi ed entrare nella sua stanza». Entrambi si guardarono una seconda volta, in preda al panico. «Beh, sì.. in effetti.. » Kit fu interrotto. «E’ colpa mia. Solo colpa mia. Gli avevo chiesto se poteva venire nella mia stanza perché non stavo bene. E’ corso ad aiutarmi» si affrettò a dire Ginger. «Non.. ». Kit fu interrotto nuovamente. «Bene, signorina Conrott. Esigono estremi rimedi» disse Mary Eunice, ancora più soddisfatta. La presero per un braccio, con meno delicatezza possibile, come se si strattonasse un qualcosa di incastrato. La spinsero. Kit le prese l’altro braccio, tirandola a sé. «E’ colpa mia! » urlò. «Solo colpa mia! Non c’entra nulla lei! » «Signorina? » «Non è andata così, è colpa mia» «No, Ginger! ». La presa si sciolse e Ginger fu portata via. Kit rimase lì, lo sguardo fisso su di lei, il rimorso nel suo stomaco. Ecco cosa intendeva Ginger. ‘Siamo come edifici distrutti dopo un bombardamento’. Continuò a fissarla, gli occhi pieni di paura, osservando le sue labbra muoversi in un ‘andrà tutto bene’ e la sua magnifica figura scomparire dietro la porta.
 
Quasi correvano lungo quei corridoi stretti e maleodoranti. Alcuni di quei poveretti rinchiusi guardavano Ginger osservarsi attorno, la preoccupazione in tutti i suoi nervi.  La spinsero dentro quella stanza che a tutti faceva terrore. Chiusero la porta a chiave e la gettarono sul lettino, scomodo più del suo materasso, scomodo più di una roccia. La legarono. Ai polsi e alle caviglie. «Qui dobbiamo insegnarle le buone maniere, signorina Conrott. Non si chiamano gli uomini nelle proprie stanze, è un divieto dell’istituto» disse Mary Eunice, quasi soddisfatta. «Mi scuso per il mio comportamento» «Non basta! » disse lei. E’ tardi per le scuse» le urlò. Le misero quello strano aggeggio che premeva sulle tempie. Paura negli occhi di lei, lo stomaco si chiuse ed ogni pensiero svanì, come in una nuvola di fumo. Cominciarono con piccole scosse elettriche. Il suo corpo cominciava ad incurvarsi. Una sofferenza leggera.  Ma quelle scariche divennero sempre più forti. Il dolore lancinante  prima vagava nella testa, poi si espanse per tutto il corpo,  facendola tremare ed incurvar ancor di più la sua schiena, quasi fosse impossessata dal demonio. Le scosse le percorrevano tutto il busto e un urlo s’impadronì della stanza. Ginger stava provando le pene dell’inferno. Poi quelle scariche cessarono. Il suo corpo ancora si muoveva a spasmi e quel dolore ancora predominava. Ma per un secondo, si chiese se non fosse morta. L’alzarono da quel lettino, barcollante, nemmeno si reggeva sulle sue gambe. Cadde più e più volte, ma almeno aveva salvato Kit da quella sofferenza. Intanto, quest’ultimo nell’altra stanza, vagava per il perimetro di essa, tirando pugni qua e là. Si ripeteva che era colpa sua. Di ciò che era successo e perché l’amava. Non doveva amarla, perché lei sarebbe stata male. Insomma, il destino non voleva ciò, non desiderava che Kit provasse amore per una donna, ecco perché le donne della sua vita eran morte. Non poteva succedere anche a Ginger, non se lo sarebbe mai perdonato. Il discorso di poco prima cominciò ad aver ancora più senso. I suoi occhi rotearono verso la porta, speranzoso nel vederla uscire tranquilla, un desidero troppo azzardato e troppo surreale. Poi una presenza verso la soglia. Non sembrava vivere, pareva morta. E cadde, un’ennesima volta. I suoi occhi erano spenti, vaganti per il vuoto. Kit corse verso quell’anima spenta. «Ginger! » urlò. «Che ti hanno fatto?! ». Non parlava, non riusciva. Quelle scosse le avevano tolto anche la sensibilità della lingua. Kit le scostò i capelli dalle tempie e quei segni violacei definivano quest’ultime. Kit non poté far nulla, perché la sua vista si annebbiò di lacrime e strinse Ginger a sé. «Ti prometto che la pagheranno, Ginger. E’ solo colpa mia». Le gambe di lei sembravano inermi. Se ne stava a peso morto tra le braccia di Kit. Le prese le gambe, portandola tra le sue braccia verso il divano. Lana. Aveva bisogno di lei. Aveva bisogno di aiuto. Stese Ginger sull’ammasso di polvere e imbottitura, il suo corpo dava ancora leggeri tremori. Il viso di Kit segnava ancora lacrime. «E’ solo colpa mia!». Si sedette accanto a lei, accarezzandole i capelli, che attutivano la caduta delle sue lacrime. Ginger aprì leggermente gli occhi. «Ginger! » enfatizzò Kit. Ma poi richiuse gli occhi e quei tremori svanivano. Lui sbiancò, la sua paura non doveva diventare realtà. Lei non poteva morire, non doveva morire. Ancora doveva dirle molte cose. Il pugno di Ginger, prima serrato tanto da lasciare i segni delle unghie sui palmi, si rilassarono, come le sue spalle, sembrava dormire. Ma non era così semplice. Lei doveva stare lì, con lui, perché l’avrebbe fatta uscire, a costo di rimaner lui al manicomio una vita. La sua anima e lei stessa non dovevano stare lì. Non doveva morire.
 

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Capitolo 4
*** somewhere out there. ***


Movimenti rapidi e regolari. Gocce d'acqua cadevano sul viso di Ginger. Le labbra che si incontrano diventando un tutt'uno. Soffi decisi e leggeri. Kit stava facendo di tutto per riportarla da lui. Ad un certo punto lei smise di respirare e tutti gli incubi che poteva immaginarsi gli slittarono davanti agli occhi. Quanto era passato? Una mezz'ora? Un'ora? Un'eternità. Kit non sapeva più cosa fare, le guardie l'avevano già data per morta, tanto che corsero dal Monsignore a riferire le novità e lui scrisse, con l'aiuto del dottor Arden, un certificato di morte della giovane. L'unico che non si dava per vinto era proprio lui, non l'avrebbe mai lasciata andare, non poteva farlo e la sua anima non sarebbe rimasta chiusa là dentro. Le guardie dietro di lui lo illudevano dicendo che non si sarebbe risvegliata, che di là il certificato della sua morte era già stato confermato. Era tutta un’illusione. Fino a quando.. il barlume della speranza illuminò Kit. Piccoli respiri fuoriuscivano dalla bocca di Ginger, leggeri battiti balzavano sul petto. Con colpi decisi, si asciugò le guance e il suo volto divenne serio, cauto negli ultimi movimenti. Un grosso respiro della ragazza e il mondo di Kit trovò una ragione. Il cuore batté forte per una decina di minuti, per poi prendere il battito regolare. Respiri veloci, come se avesse un attacco di panico, poi un unico sospiro e tutto tornò normale. I suoi occhi divennero una fessura, la vista ancora annebbiata, strappata via dalla morte. «Ginger!». Nulla di controllato e Kit si ritrovò abbracciato a lei, con ancora le lacrime che gli rigavano il volto, un sorriso, mai stato così vero. Non se lo sarebbe mai aspettato. Ginger lo spinse via, si alzò velocemente, rimanendo seduta sull'ammasso di muffa. Piangeva. Kit era ancora sconvolto. L'aveva salvata. E lei? L'aveva spinto via da un abbraccio che pensava potesse rassicurarla. «Che hai fatto?!» urlò lei, con quel filo di voce. «Che cosa hai fatto, Kit?!». Sbarrò gli occhi, confuso, senza trovare una risposta. «Ti..ho..salvato, Ginger» disse lui, insicuro. «No! Mi hai fatto tornare in un incubo! Sto male qui! Odio questo posto! Preferirei morire! Nessuno qui mi vuole! Nessuno nel mondo! Sarei più gradita una volta morta! Non posso stare qui! Non con te!» gridò tra un singhiozzo e l'altro. Kit le prese la mano, che lei ritirò subito. «Perché? Perché non puoi stare qui con me? Ti ho salvata perché ho intenzione di farti uscire di qui, costi quel che costi! Pur di prolungare il mio soggiorno qui dentro da questo punto a tutta la vita, Ginger!». Scattò in piedi e lei sprofondò all'indietro, impaurita da qualsiasi sua futura azione. «Non posso stare qui con te, Kit. Punto e basta!» «Ma perché?! Perché, Ginger?!». Pur di non dirgli la verità, si sarebbe tagliata la lingua o avrebbe deciso di fare il voto del silenzio eterno. Quindi, si alzò. Non fece più di due passi che le gambe cedettero. Kit cercò di prenderla al volo piazzandosi di fronte a lei. Due dita li dividevano. «Perché?» un piccolo sussurro uscì dalla bocca di lui. «Non posso e basta». Il forte degluttio di Ginger e Kit replicò la domanda. «Perché, Ginger? Cos'ho fatto?» Nessuno dei due si spostò di un centimetro. Lei era ancora a peso morto tra le sue braccia. Forse era la poca forza o forse la poca buona volontà di levarsi dalle morbide mani di Kit. «Non posso dirlo» «Ti ho fatto qualcosa?» «No» «Allora perché?» «Non posso dirlo» «Non puoi?» «Non voglio» «Perché?» «Ho paura» «Di che?» «Di star male di nuovo, e di nuovo, e di nuovo, fino all'eternità» «Non ti capisco» «Meglio». Kit la posò sul divano e gli si piazzò davanti al viso. «Ti prego. Perché? Perché non puoi stare qua assieme a me? Perché non puoi aspettare che io ti faccia uscire? Potrei farti uscire oggi stesso, sai? C'è un certificato di morte di là, nell'ufficio del Monsignore, tu sei morta legalmente. Potresti uscire di qui». Ginger si zittì, come in preda all'ansia. «Ma ti prego, dimmi perché. Qualche mese, forse qualche settimana e potrei esser già morto. Nessun altro conosce la verità, per tutti l'unico stupratore assassino sono io. Voglio solo saperlo». Nessuna parola uscì dalla bocca di Ginger. Altre lacrime rigavano il volto di Kit, che si abbassò in una frazione di secondo. Si alzò. «Ora vado a parlare con il Monsignore per farti uscire da quest'inferno, Ginger». Si voltò, rassegnato. Passi lenti verso le guardie, quasi striscianti. Non capiva. «Kit!» urlò Ginger dall'altra parte della stanza. «Non posso stare qui perché ho paura, perché ho paura dell'amore, perché questa paura è diventata realtà. Sono innamorata di te, Kit, e non posso rimanere qui». Kit, che fino a quel momento non si era voltato verso di lei, non ci mise nulla a raggiungerla, quasi avesse volato per la stanza. «E tu perché credi che stia facendo tutto questo? Perché ti avevo detto che avevo paura che potesse succedere qualcosa anche a 'lei'? Perché ti avevo detto che da quattro mesi a questa parte non era più così semplice non provare qualcosa per una ragazza? Ginger, sei qui da quattro mesi. Te l'ho detto. Indirettamente, ma l'ho fatto. Sono completamente pazzo. Forse è il luogo. Ma non ho nessuno malattia mentale o qualcosa del genere. Sono solamente innamorato, un altro dei tanti edifici che hanno ricostruito che ha paura di essere distrutto di nuovo». Ginger non riusciva a parlare, come se la lingua le se fosse atrofizzata. Inerme, rimase a fissare Kit negli occhi con un sorriso ebete, ma con la stessa paura di soffrire. Non ci mise nulla Kit ad avvicinarsi a lei e prenderle una mano. Quei pochi centimetri che prima li separavano, si ripresentarono. Questa volta, però, nessuno cercava di nascondere tutto ciò che provava, poiché finalmente entrambi sapevano la verità. Ginger abbassò lo sguardo, imbarazzata. Restarono ambedue in silenzio, senza dire una parola, per un tempo indeterminato. Lei giocava con la mano di Kit, per poi incrociare le dite perfettamente, come se fossero state fatte l’una per l’altra. Ginger lo guardò, fisso negli occhi, cercando di capire i suoi occhi che ancora erano pieni di sofferenza, ma per la prima volta ci vide una piccola scintilla, quasi fosse una luce in mezzo a tanta oscurità. Le sue mani tremavano ancora, per via di quelle scosse ricevute ora prima, non tanto forti da toglierle i ricordi e le memorie. Ogni pochi minuti un frenetico giramento di testa, ma non ci fece molto caso, poiché le loro mani erano ancora incastrate insieme. Per lei, quel ragazzo, rappresentava la salvezza. Non le era mai capitato nulla di così bello. Finalmente Kit si decise. Un lungo e consumato incontro fra le loro labbra, il loro dolce sapore che si univa creando un tutt’uno. E come per un istante, ogni incertezza, ogni incubo sembrava andarsene, spazzato via da un vento passeggero. Non appena entrambi si divisero, Ginger appoggiò delicatamente la sua testa appesantita sulla sua spalla e le prese un braccio, stringendolo a sè. Kit le stampò un piccolo ed innocente bacio sulla fronte. Ma sapevano bene che non potevano stare così bene, perché era ciò che il mondo voleva. Infatti, dopo pochi minuti, quelle guardie si avvicinarono ai due, alzando Ginger bruscamente, tirandola da un braccio, ciò le fece girare la testa. Le tramavano le gambe, tanto al punto di cadere a terra. Le guardie la stavano strattonando, quando Kit si mise in mezzo. Spinse entrambi gli uomini. «Lasciatela stare! » urlò loro. Tre. Due. Uno. Se lo aspettava, ma nonostante ciò l’aveva comunque sorpreso. Uno di quegli uomini non esitò un secondo e gli tirò un pugno in pieno volto, facendolo cadere. Si stavano avvicinando per alzare Ginger, ma Kit si parò comunque davanti, seduto a terra, strisciandole di fronte. «Non la porterete via da me, non lo farete di nuovo». La determinazione si leggeva chiaramente nei suoi occhi e non avrebbe realmente lasciato andare Ginger via con loro. Non l’avrebbe fatto, ne in quell’istante ne mai. L’aveva fatto una volta, poche ore prima, ed era finito con lei quasi morta, non lo avrebbe permesso di nuovo. La rabbia nei suoi occhi verso quegli uomini in uniforme, verso ogni persona all’interno di quel manicomio. «Devo parlare con il Monsignore, subito, e non vi azzardate a toccarla» disse Kit, mentre il sangue usciva dal suo naso. Sapeva cosa fare.

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Capitolo 5
*** ups, is it a final? ***


Kit si muoveva veloce nel corridoio, scortato da quelle due guardie che ghignavano e si prendevano gioco di lui. Era distrutto al pensiero di aver lasciato Ginger, stesa a terra, così debole, così gracile alla forza di quel manicomio. Entrò nell'ufficio del Monsignore bruscamente. «Lei! Lei deve lasciare andare Ginger!» urlò Kit, in preda ad un attacco d'ira. «Ginger? Non rammendo questo nome, signor Walker» disse il Monsignore alzando lievemente gli occhi sopra gli occhiali posti alla punta del naso. «Oh, aspetti!» retificò Timothy tirando su un dito. Si voltò verso gli ampi cassettoni carichi di documenti. Kit  serrava i pugni, tremanti, impazienti e vogliosi di voler sferrarsi contro il viso di quel individuo, carismatico, affascinante, ma quasi demoniaco. Aprì un cassetto e ne levò una cartella tutta ordinata beige, impresse lettere cubitali nere che dicevano 'CONROTT, GINGER'. Aprì il fascicolo e Kit notò subito la piccola foto di Ginger. Sembrava molto più sicura di come ora la vedeva, molto più certa, molto più..sorridente. Il Mosignore faceva scorrere il dito, memorizzando le informazioni su Ginger. «Mhh. Portata qui dai genitori, omicida, sociopatica. Non capisco cosa ci trova in lei, signor Walker. Oh, un momento. Dimentico che lei è Bloody Face» disse con un sorriso malizioso. Kit continuava a stringere i pugni, le nocche erano diventate bianche. Anche le gambe gli tremavano. La bocca arricciata dall'ira. «Monsignore, non sono qua per me o per cercare giudizio nelle mie relazioni. Sono qua per Ginger. Solo ed esclusivamente per..». Il Monsignore lo bloccò con un dito, gli occhi fissi sul fascicolo. «Qui dice che la sua amica è morta proprio oggi, in seguito ad un trattamento di elettroshok a cui non poteva reggere, all'insaputa di tutti i componenti di Briarcliff. Se è morta». A quel punto guardò negli occhi Kit. «Che cosa ci fa lei qua? Di che cosa avrebbe bisogno?». Kit a quel punto riprese il controllo di sè, si sedette e prese una sigaretta dal contenitore del Monsignore. L'accese e cominciò. «Deve sapere, grandissimo coglione, che Ginger è ancora viva. Mentre le sue guardie di turno correvano da lei a dirle che una paziente era appena morta, io l'ho salvata. Poi quelle superbe teste di cazzo si sono accorti che Ginger non era morta, allora sono venuti da noi, l'hanno strattonata, mi hanno tirato un pugno ed ora sono qua a raccontarle questa fantastica storiella». Aspirò la sigaretta e fece un piccolo buffetto, facendo alzare il fumo. Il Monsignore, comodamente appoggiato allo schienale, si era sporto verso Kit, poggiando le mani sulla grande scrivania. «Ed io come potrei esserti utile, caro il mio Walker? Qui sono l'autorità, stai venendo contro la persona sbagliata» A«nche lei. Ora, se vuole vivere felice e contento in questo inferno, senza scocciature, deve fare quello che le dirò, senza eccezioni» «Altrimenti? Che farà? Mi picchierà? Mi ucciderà?» «Oh, no. Non ha idea di quello che potrei fare. Potrei davvero rovinarle la vita» «Avanti» disse il Monsignore, appoggiandosi nuovamente allo schienale. «Mi dica che dovrei fare» «Liberi Ginger. Tanto lei è 'morta'. Le dirò di cambiare nome, di non farsi trovare. Nessuno può disturbarla se lei fa uscire una persona morta» concluse Kit, spegnendo nel portacenere il residuo di tabacco che restava nella sigaretta. «Molto bene. Ad una sola condizione». Il Monsignore si sporse in avanti e sussurrò la sua condizione a Kit. Annuì. Abbassò la testa, come se stesse per piangere. «Per Ginger morirei, quindi lo farò».

Ginger, ancora a terra, le gambe tremanti. Cercò di far peso sulle braccia, per poter rialzarsi. Tentativo inutile. Intanto compariva Lana sulla soglia. Vide Ginger e le corse incontro. «Ginger!» urlò. «Ginger, tesoro». L'aiutò a rialzarsi e la fece sedere sul divano. «Kit. Dov'è Kit?» disse, con la voce spezzata dal nodo in gola. «Non lo so, Ginger. Stai bene?». Ginger scosse la testa. «Senti, ho una buona notizia» cominciò Lana. Si avvicinò e cercò di stare bene attenta a non essere ascoltata. Posso uscire di qui. Posso incolpare chi deve essere incolpato. Posso far uscire Kit e farò uscire anche te». Gli occhi di Ginger si rianimarono e, con quella poca forza che aveva in corpo, la abbracciò. «Lana, grazie. Fai uscire Kit. Non m'importa di me. Fai uscire Kit, ti prego» «D'accordo» disse Lana guardandola. «Ascolta. Ora devo andare. Ti prometto che vi farò uscire. Dammi tempo per una giornata. Sarete fuori». Prese la mano di Ginger e la strinse, sorridendole. «Ma cosa succede tra te e Kit?». Ginger scosse nuovamente la testa. «Non lo so, non ho nemmeno avuto il tempo di godermi quel momento che mi hanno scaraventata a terra» «Andrà tutto bene, d'ora in poi». Ginger alzò il viso e vide avvicinarsi Kit, con l'occhio che stava diventando violaceo e un fazzoletto portato al naso. Si alzò velocemente per potergli correre incontro, ma le gambe, ancora troppo deboli, tremolarono e cadde. Kit si avvicinò correndo. La prese per le braccia e la strinse a sè, Ginger cercò debolmente di stringersi al suo corpo. «Kit, non sapevo dove fossi. Ti ho visto andare via con quei due» «Tutto bene, Ginger, davvero». La guardò negli occhi e le sorrise. «Ho una buona notizia» le disse, facendola sedere sul divano. Si mise accanto a lei e le strinse una mano, intrecciandola alla sua. «Uscirai. Ho convinto il Monsignore a farti uscire» «Davvero?» «Sì, sei libera. Puoi andare» «Aspetta..Fermo. Ci deve essere qualcosa sotto» «Sì, c'era una condizione che ho accettato, ma non posso dirti di che si tratta». Ginger gli prese il volto tra le mani tremolanti. «Kit Walker, sei il mio eroe. Ma non uscirò senza di te». Kit le strinse una mano appoggiata al suo volto. «Tu uscirai» «Lana sa come farti uscire». Gli occhi di Kit balenarono sulla figura snella di Lana, che nel frattempo si alzò e lasciò la stanza. I suoi occhi tornarono su quelli di Ginger. «Può farmi uscire?» «Sì, ma non posso dirti come, perché nemmeno io lo so». Kit la strinse a sè. Ginger cercò di stringerlo ancora più forte. Aveva aspettato abbastanza ed ora poteva godersi quel momento, poteva sentire il cuore di Kit martellargli il petto, poteva sentire il suo sguardo fisso su di sè, poteva sentire tutto in quel momento. «Ginger, ora dovresti andare» «No. Non hai capito che senza di te non vado da nessuna parte?» «Devi andare. Però devi fare alcune cose appena fuori di qua» «Del tipo?» «Devi cambiare il tuo nome» «E come dovrei chiamarmi scusa?» «Non lo so, non ho potuto pensare a tutto» «Appena saremo fuori di qua ci penseremo» «No, Ginger. Tu vai, ora. Ti prego» «Non voglio lasciarti qua» «Ho bisogno che tu invece lo faccia» «Dimmi qual è la condizione del Monsignore» «Non posso» «Kit, ti prego». Kit fece un lungo sospiro. «Devo ammettere chi sono. Devo confessare che sono Bloody Face» «Ma non sei..». Kit la interruppe subito. «Già, non lo sono. Ma hanno bisogno di un colpevole e l'unico sospettato sono io e solo io posso diventare il colpevole» «Ti ammazzeranno!» «Ne vale la pena se vedrò te libera» «No! Kit, ci deve essere una soluzione» «Mi dispiace, Ginger». Kit cercò di abbracciarla, ma lei lo respinse. «Smettila di pensare a me» «Ginger, morirei per te» «Anche io, ma ho bisogno di te!». Ginger scoppiò in lacrime, quelle tante lacrime rimaste troppo a lungo segregate. Kit le prese una mano e la tirò a sè, la fece sedere e si accucciò di fronte a lei. Non parlò, si limitò a guardarla, a memorizzare il suo viso. Con le dita cercò di asciugarle le lacrime, anche se ricadevano imperterrite e numerose. Le diede un bacio sulla fronte e la alzò, intanto due guardie giungevano con le poche cose di Ginger. Lei li guardò e voltò il suo viso verso Kit, con gli occhi sgranati, pieni di lacrime. «Non posso lasciarti» disse Ginger, le parole rotte dal pianto. «Fallo». Kit si avvicinò alle due guardie e prese la piccola valigia di Ginger. Le porse la giacca, che lei mise controvoglia. La accompagnò per tutto il corridoio che portava all'ingresso, lì la aspettava un piccolo taxi nero. «Dove dovrei andare?» disse Ginger stringendo la mano di Kit. «Vai a casa mia. Ci sarà parecchio disordine, ma puoi andare lì» «Come mi chiamerò?» «Trova un nome, qualsiasi» «Non potrei cambiare solo il cognome?» «Stai cercando di prolungare questo discorso?» «Forse» «Ciao, Ginger». Ginger stava per girarsi, a testa bassa, ma Kit la tirò a sè e le stampò un grosso bacio sulle labbra, poi si staccò. «Rimani vivo, ti prego. Uscirai di qui» «Non ci spero». Kit fece un lungo sospiro. Pensò che tanto non l'avrebbe più rivista, quindi che senso aveva non dirglielo, anche se era mezza giornata che stavano insieme. «Ti amo, Ginger. Davvero». Ginger lo guardò, piena di sorpresa. «Ti amo, Kit Walker». Ginger salì sull'auto e Kit la guardò come se fosse l'ultima volta.

Passò esattamente una giornata. Lana era fuori, Kit stava per 'confessare il falso', quando è scoppiato tutto. C'era un colpevole, anche se non era un buon segno per Briarcliff. Kit era libero di andare, era libero e basta. Non vedeva l'ora di tornare da Ginger o da come si sarebbe chiamata. Era passato solo un giorno, ma l'aveva mandata via come se fosse stata l'ultima volta. Invece l'ultima volta non la era. Sperava di poter entrare in casa sua e farle una sorpresa. In verità Ginger era già fuori che lo aspettava, con un sorriso che andava da orecchio a orecchio. Kit la guardò e si rese conto di quanto fosse bella. Le corse incontrò, si guardarono un secondo, immobili, poi lei gli gettò le braccia al collo, con le lacrime che le rigavano il volto. Per la prima volta in vita sua, lacrime di gioia. Kit la strinse forte, chiudendo gli occhi e l'immagine di una vita che si protraeva davanti a lui. Salirono sul piccolo taxi nero ed arrivarono nella dolce casa di Kit Walker. «Ho provato a sistemarla un po', ma è ancora in preda ad un uragano» «Non preoccuparti» sorrise Kit. «La metteremo apposto assieme». Ginger prese la sua mano e la intrecciò. Si accorse di quanto combaciassero, di quanto si completassero e le scappò un sorriso, mentre scendevano dal taxi e prendevano quella piccola valigia di Kit. Lui la guardò. Non l'aveva mai vista senza gli abiti del manicomio. Aveva un vestito a fiori, stretto in vita, i capelli raccolti in una coda. Era bellissima. Kit la prese in braccio e le fece attraversare la soglia di casa, anche se lei fosse già passata di lì. Appena entrato Kit vide subito che gran parte della casa era pulita. C'era una scopa appoggiata alla parete e subito la paletta per raccogliere la polvere sotto. Mille stracci sul piccolo tavolo di fronte alla cucina, ma i mobili erano tutti tirati su, stabili, appoggiati al muro. Kit si chiedeva come fosse possibile che una donna così piccola sia riuscita a tirare su tutti quei mobili. Guardò la camera da letto, era completamente pulita, le lenzuola nuove, il letto rifatto, tutti i quadri appesi. Si voltò verso Ginger. «Qual è il tuo nome ora?». Ginger si avvicinò e gli prese una mano. «Mi chiamo Rebecca Walker. Rebecca era la seconda scelta, poi i miei genitori hanno deciso Ginger, ma avrei dovuto chiamarmi Rebecca. E Walker, be', mi pare palese». Kit le prese i fianchi. «Quindi ora ti dovrei chiamare Rebecca o Ginger?» «Come preferisci» «Io mi sono innamorato di una ragazza che si chiama Ginger» «Chiamami come vuoi, andrà sempre bene». Si alzò sulle punte e gli stampò un piccolo bacio. «Viviamoci questa vita come avremmo dovuto fare». Ginger si voltò verso il resto della casa e riprese a pulire, Kit prese un cambio veloce di abiti, convinto e sicuro di non voler mai più indossare quelli che teneva in quell'istante. Si avvicinò al tavolo e prese uno straccio e cominciò a pulire. Vide il sorriso di Ginger, lo stesso sorriso che scorse sulla foto del fascicolo nell'ufficio del Monsignore. In qualche ora la casa si ritrovò come un tempo. I due la guardarono, sfiniti. Ho seriamente bisogno di una doccia» disse Ginger. Kit l'attirò a sè e la baciò, sfinito. 

Kit si svegliò, sudato, in preda a tremiti in tutto il corpo, si alzò dal vecchio materasso putrito. Era tutto un sogno» si disse. Tutto un dannato sogno». Raggiunse la stanza 'svago', Lana seduta sul divano, come al solito, con una sigaretta tra le dita. Quel sogno sembrava così nitido, così reale. Era piuttosto sotto shock. Si sedette accanto a Lana che lo guardò, poi distolse subito lo sguardo ed indicò una piccola ragazza che entrava nella soglia. «Ecco che ne arriva un'altra» disse. Kit sgranò gli occhi, si alzò di scatto e si rese conto che quella ragazza era proprio quella Ginger del sogno.

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Capitolo 6
*** thank you! ***


Ciao a tutti, sono l'autrice di questo spaventoso racconto. Volevo dire alcune cose. La prima: ringrazio tutti coloro che hanno avuto la pazienza e la gentilezza di leggere il mio racconto. Ovviamente lo stile della scrittura è leggermente variato da capitolo a capitolo. Mi rendo conto di quanto sia frettolosa questa piccola storia, ma spesso mi ritrovavo senza idee e senza ispirazione, quindi ho deciso di chiuderla. Mi dispiace se siete rimasti delusi da qualsiasi cosa, a questo punto anche dal finale, suggeritomi da una mia cara amica, ovviamente l'ho modificato un po'. La seconda: American Horror Story è la mia serie tv preferita e mi rendo conto di quello che ho fatto modificandone eventi e personaggi. Sono contenta di quello che ne è uscito, anche se è un tantino contorto, ma alla fine anche io sono così. Spero che sia di vostro gradimento e sembrerà strano, ma voglio ringraziare la mia nonna paterna per questo, perché senza di lei avrei mollato tanto tempo fa. Sono contenta di tutto quello che ho fatto, delle scelte stilistiche, delle scelte lessicali. Scrivere è sempre stato parte di me, anche se da un pezzo l'ho abbandonato. Sono orgogliosa di me in questo aspetto, negli altri, purtroppo, pecco un po'. Mi hanno sempre spronato a fare ciò che faccio meglio e penso che non me la cavi male nella scrittura (uso i congiuntivi, un punto a mio favore). Questa non è una delle classiche storie che si trovano su EFP, anche se parla d'amore ed è un tantino smielenso. MA ANDIAMO! Chi si aspettava un finale del genere. Volevo lasciarvi a bocca aperta e spero di averlo fatto, perché questo è quello che mi sono predisposta a fare. Vi sto annoiando forse, ma voglio dirvi ancora una cosa. A fine scuola, tempo fa, avrei voluto scegliere l'università di lettere, ma è tecnicamente ed economicamente impossibile per me, allora ho deciso che andrò all'università di criminologia a studiare psicologia criminale. Ma questo non vuol dire che smetterò di scrivere, anzi, tanti scrittori non erano scrittori, allora perché abbandonare la mia natura quando posso farlo anche senza essermi laureata in lettere? Grazie di cuore per tutto quello che avete fatto, con pazienza e con coerenza avete recensito la mia inutile storia, incastrata in un sito di fan fiction. Siete fantastici e spero che siate soddisfatti quanto io lo sono.



Sinceramente vostra, 
Nicole.

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