If you love me, why you won't let me know?

di Clarrie Chase
(/viewuser.php?uid=35631)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lost ***
Capitolo 2: *** Cold ***
Capitolo 3: *** Fast ***
Capitolo 5: *** Memories ***



Capitolo 1
*** Lost ***


Ciao a tutti! Sì, so che alcuni di voi si aspettavano l'aggiornamento de "L'incanto de buio", ma visto che non sembra essere stato apprezzato per il momento rimane in cantiere ^^ Questa è una nuova avventura in cui mi sono lanciata, la mia storia continua dal capitolo 176 del manga (SPOILER!), quando Mikan viene costretta a lasciare l'Accademia perchè non è più un Alice. E' ambientata 13 anni dopo quanto raccontato nel 176esimo capitolo. Tratterò tematiche alquanto delicate, e spero di esserne all'altezza. Supportatemi ^^

LOST


I guess you really did it this time 
Left yourself in your warpath 
Lost your balance on a tightrope 

Lost your mind tryin’ to get it back*


Natsume provava una strana sensazione, vagando nei corridoi dell’Accademia poco dopo la fine della cerimonia di laurea. Era qualcosa di simile alla nostalgia ma anche all’amarezza; volente o nolente, era cresciuto tra quelle mura. Aveva trovato l’amore nell’Accademia, e lo aveva anche perso.
Strinse i pugni, cercando di scacciare via il ricordo degli ultimi 13 anni trascorsi senza Mikan, tentando di avere in mente solo le cose buone che aveva vissuto con Ruka, Hotaru e il resto degli amici. Non poteva fare a meno di pensare alle cose che Mikan si era persa, sacrificando i suoi Alice per lui. Il ragazzo dai capelli corvini si diresse verso l’atrio, uscendo alla luce calda del sole: ad aspettarlo c’erano Ruka e Hotaru, ancora con la toga della cerimonia appena conclusa.
<< Dov’eri finito? >>, gli chiese Ruka, sorridendo mentre si schermava gli occhi per guardarlo meglio e ripararsi dalla luce. Hotaru, con i suoi penetranti occhi viola, lo scrutò silenziosa senza aggiungere niente: questo non impedì al suo sguardo di trapassarlo da parte a parte, quasi spogliandolo dei suoi pensieri più intimi. << Ero a cambiarmi. Non mi va che i miei mi vedano con il vestito. >> affermò Natsume con disinvoltura, storcendo appena il naso. Ruka rise, gettando indietro la testa. << E’ una toga, non un vestito! Sono sicuro che tuo padre sarebbe felice di vederti con questo vestito addosso. >> disse il biondino, alzando il mento con aria orgogliosa.
<< Suo padre sarà felice di vederlo a prescindere. >>, rispose Hotaru con voce pratica.
Natsume annuì con approvazione e Ruka non aggiunse altro, così insieme si diressero verso l’entrata della Sezione Superiore Universitaria, dove varie limousine attendevano l’arrivo degli studenti per condurli finalmente alle loro case. In realtà, era solo un’inutile sfoggio di ricchezza, in quanto tutti i parenti dei neo laureati erano in attesa dei figli appena dopo il grande e austero cancello d’entrata dell’Accademia. La folla di genitori frementi aveva intasato l’ingresso dell’Accademia a poco a poco, fin dalla settimana prima della cerimonia di laurea. Pian piano, erano arrivati tutti.
<< Si entra in scena! >> esclamò Natsume con sarcasmo, mentre si dirigeva verso una delle limousine. << Quando ci rivediamo? >> chiese Ruka, improvvisamente ansioso.
<< Tra due settimane. >> risposero Hotaru e Natsume all’unisono, ma senza guardarsi.
 
*** Due settimane dopo – Natsume.
 
Aoi aprì appena un po’ la porta della camera del fratello, sbirciando all’interno: Natsume era in piedi di fronte al letto, dandole le spalle mentre riponeva con cura i suoi vestiti in una piccola valigia, la stessa che si era portato dall’Accademia due settimane prima.
<< Come sei ordinato, Niisan*. >> mormorò ammirata la ragazza, chiudendosi la porta alle spalle.
Natsume si voltò a guardarla, concedendole uno dei suoi rari sorrisi, ma continuando a dedicarsi alla sua valigia. Aoi attraversò la stanza a grandi passi e si sedette sul letto, accanto alla valigia di Natsume; osservò la camera di suo fratello. << Sembra che tu non sia mai stato qui. Non hai spostato niente, non hai aggiunto niente di tuo. >> commentò tristemente la ragazzina, mettendo su un piccolo broncio. << Andiamo, Aoi. – disse Natsume, dandole un piccolo pizzicotto sul braccio – Sapevi che dovevo partire presto. Ma tornerò. Presto. >>, la rassicurò, sicuro.
Aoi gli sorrise, suo malgrado. << Porterai anche Mikanchan con te? >>, gli domandò lei, mordicchiandosi il labbro inferiore mentre cercava di decifrare l’espressione sofferente del fratello.
Lui si portò una mano al petto, all’altezza del cuore, e per alcuni secondi rimase in silenzio: << Certo. Devo restituirle qualcosa di importante che le appartiene. >>
La ragazza gettò indietro la testa, i capelli neri le ricaddero dolcemente dietro la schiena: << Il tuo cuore? >> rise, prendendolo in giro. Lui scosse la testa imbarazzato, lanciandole in viso la maglietta che stava piegando in valigia. << Ma stai zitta! >>
 
*** Ruka.
 
Era strano, per Ruka, guardare il paesaggio fuori dalla finestra della sua stanza che non comprendeva le inferriate nere tipiche dell’Accademia. Passare dal paesaggio visto attraverso le sbarre ad un paesaggio suggestivo tipicamente parigino era un gran bel passo. In realtà non era esattamente la Torre Eiffel ad attirare l’attenzione del biondino verso la finestra, ma il suo stesso riflesso: Mikan l’avrebbe riconosciuto? Scosse la testa impercettibilmente; come poteva riconoscerlo? Aveva perso la memoria. No, non l’aveva persa. Le chiavi della macchina si possono perdere, ma non la memoria. Non quella dei momenti migliori della sua vita. La memoria di Mikan era stata cancellata da un Alice, poco dopo che lei ebbe rinunciato ai suoi Alice per salvare Natsume.
Ruka sospirò, appannando il vetro; la porta della sua camera si aprì all’improvviso, rivelando la presenza di sua madre. Che bella, sua madre. Esattamente come la ricordava. Una nube di tristezza rabbuiò lo sguardo azzurrino del ragazzo, al pensiero che Mikan aveva perso anche le memorie di sua madre, dopo tutta la fatica che aveva fatto per ritrovarla e conoscerla. Tutto quello che avevano passato insieme, fin dall’inizio, aveva azionato un meccanismo che li aveva inevitabilmente divisi.
Natsume in particolare, ne era uscito devastato.
<< Caro, ho stampato i biglietti dell’aereo per Tokyo e ho parlato con un agenzia di taxi: domattina alle 6 verranno a prenderti. Le valigie sono nell’ingresso. >> pronunciò tutto con lentezza, come se ancora dovesse accettare l’idea che il bambino che aveva l’Accademia le aveva strappato via era diventato un uomo che prendeva sue decisioni e aveva i suoi obiettivi. Lo aveva sempre guardato con orgoglio, sua madre; ma questa volta, nel suo sguardo c’era qualcosa in più. Timore, forse.
Ruka supponeva che questa fosse una di quelle cose che capisci solo dopo che diventi genitore; poiché era quasi del tutto digiuno di questioni femminili si astenne dall’indagare ulteriormente, e salutò l’entrata di sua madre con un sorriso mesto.
<< Grazie mille, mamma. >>
 
*** Hotaru.
 
Erano state due settimane intense, per Hotaru. Inutile dire che tutte le cose che si era portata dall’Accademia, tutte le sue invenzioni, non avevano trovato posto nella modesta casa dei genitori. Così, i primi giorni della ragazza nella sua città natale erano trascorsi sfacchinando su e giù per la collina, per regalare le sue invenzioni più utili ai concittadini che a malapena riusciva a ricordare.
Aveva lasciato come ultimo oggetto un album di foto, il dono più prezioso che aveva, per il suo ultimo giorno in quel piccolo paesino.
<< Un regalo speciale come questo, andrebbe sprecato per chiunque altro. >> commentò Hotaru, posando l’album di foto nell’erba appena bagnata di rugiada del cimitero.
L’epitaffio risaltava per la sua lunghezza: “Quelli che ci hanno lasciato non sono assenti, sono invisibili, tengono i loro occhi pieni di gloria fissi nei nostri pieni di lacrime.
<< Sant’Agostino. Esattamente come lei, anche tu sei in grado di sorprendermi. >>
Le parole di Hotaru si persero nel vento. Non faceva freddo, era un’assolata mattina di giugno, eppure la ragazza aveva i brividi. Tutta colpa di quel posto. In realtà, era colpa di un pensiero pungente che si insinuava insistente nella sua mente: Mikan sapeva che suo nonno era morto? Quali parti della sua memoria erano state cancellate?
Ma quello che più le dava i brividi, era la consapevolezza che in quel momento era più vicina a Mikan di quanto lo era stata negli ultimi 13 anni. E l’idea che non si sarebbe mai avvicinata di più la terrorizzava.
<< Tesoro. >>
Sua madre, che l’aveva accompagnata in auto, l’aveva raggiunta. Indossava un vestito candido che non sembrava per nulla fuori luogo, nelle sfumature funeree del paesaggio circostante.
<< Si? >>, rispose Hotaru, voltandosi.
<< Dobbiamo andare in aeroporto. L’aereo parte tra un’ora, devi fare il check-in. >> la ricordò a malincuore la madre, stringendo le labbra. La ragazza dai capelli corvini annuì, allontanandosi a piccoli passi dal luogo di riposo del nonno. << Giusto. >>, rispose, con gli occhi bassi.
La donna guardò la figlia evitare il suo sguardo e fece un passo avanti, cingendole le spalle con le braccia. Hotaru si irrigidì in un primo istante, ma poi inspirò il profumo di mamma che ricordava fin da bambina e si abbandonò all’abbraccio. << Mamma…>> sospirò, affondando il volto nell’incavo del collo di sua madre. << Ti voglio tanto bene. >>

 

Suppongo che tu l'abbia fatto davvero stavolta
Hai lasciato te stesso nel tuo sentiero di guerra
Hai perso il tuo equilibrio su una fune
Hai perso la tua testa cercando di riprendertela

***
 

*Niisan=Fratellone
*Mikanchan= onorifico usato per definire un'amica molto intima. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Cold ***


Ecco il nuovo capitolo ^^ Spero sinceramente che sia il più lungo che scriverò, perchè la stesura è stata estenuante xD Okay... Vi lascio alla lettura ^^ E se lasciate una recensione, ve ne sarò grata e sicuramente aggiornerò prima ^^ 

***


Somebody made you cold
But the cycle ends right now
Cause you can’t lead me down that road
And you don’t know, what you don’t know
 
 
Il primo viaggio in aereo per Natsume era andato parecchio meglio di quello di Ruka, che aveva attraversato un ora e mezzo di turbolenza sorvolando il mare; ora, i due attendevano l’arrivo di Hotaru, seduti sulle confortevoli poltroncine riservate a coloro che aspettavano i voli.
« Credo di avere lo stomaco in gola. » mormorò Ruka, mentre il viso gli si colorava di una strana sfumatura di viola. Natsume, seduto di fianco a lui, gli mise una mano dietro la nuca e gli spinse la testa tra le ginocchia. « Rimani così per un po’. » gli suggerì il ragazzo dagli occhi rossi, vagamente divertito ed altrettanto preoccupato.
« Non ti scoraggia niente, eh, Natsume? » domandò Ruka, prima di chiudere la bocca con un verso gutturale. Natsume scosse la testa allegro, e si sistemò più comodamente sulla poltroncina: « Non parlare. ». « Devo alzarmi, non voglio che Hotaru mi veda in queste condizioni… »
Mormorò sconsolato il ragazzo, prima di tapparsi la bocca con entrambe le mani.
« Hotaru non si impressionerà, lo sai. Non la impressiona niente. » disse con disinvoltura, la mente già rivolta altrove. L’altoparlante si attivò mentre Ruka stava per protestare, coprendo la sua voce: « Il volo 375 è in arrivo. »
Natsume balzò su dalla poltroncina e si stiracchiò pigramente; lanciò uno sguardo all’amico, ancora con la testa fra le ginocchia e sorrise incoraggiante: « Forza Romeo, Miss Due di picche sta arrivando. ». Ruka alzò lo sguardo solo per lanciargli un occhiataccia, pentendosene subito dopo.
« Dov’è il bagno? » borbottò, offeso. Natsume si guardò intorno, cercando l’indicazione per il bagno sulla segnaletica sparsa in aeroporto. « Non lo so. Non si capisce niente, questo posto è un labirinto. » commentò, sbuffando. « Vado a cercarlo. » lo avvisò Ruka, alzandosi e dirigendosi in una direzione a caso.
 
***
 
Venne fuori che Ruka aveva un intossicazione alimentare dovuta al sushi che aveva mangiato in aereo; Hotaru, una volta arrivata, non perse tempo né si fece scrupoli per la salute del fidanzato, trascinando i due in un taxi che li stava aspettando appena fuori dall’aeroporto.
Scesero in un quartiere residenziale ai piedi di una costruzione moderna, in marmo bianco, che aveva un che di solenne, circondata da un immenso giardino verde.
Hotaru pagò in contanti il tassista, che si offrì di portar loro le valigie fino al loro nuovo appartamento e poi se ne andò.
« Ripetimi per quale motivo devo vivere con voi. » chiese per l’ennesima volta Natsume, dando un’occhiata alla grande sala d’ingresso del loro nuovo appartamento.
Hotaru era troppo impegnata a disfare la sua valigia nella sua stanza – quella con la finestra più grande – per rispondere all’amico. Ruka si era fermato in sala, invece, ad ammirare il fantastico schermo piatto che impegnava il muro principale del salone. « Oh, non farti convincere in questo modo. » disse sconsolato Natsume, resosi conto dello sguardo ammaliato che l’amico riservava al maxi schermo.
« C-certo. », lo rassicurò il biondino, distogliendo lo sguardo da quel favoloso parto della tecnologia moderna. In quel momento la porta della stanza di Hotaru si aprì, e lei venne fuori con un corto asciugamano che avvolgeva a mala pena le sue grazie e delle strane –stranissime – ciabbatte rosa a forma di coniglio. Così com’era apparsa, scomparve dietro quella che doveva essere la porta del bagno.
« Io me ne vado. » comunciò Natsume scuotendo la testa scandalizzato e alzando le mani in segno di resa, mentre afferrava la sua valigia e si dirigeva nuovamente verso la porta d’ingresso. Ruka era ancora più scandalizzato di Natsume e non riusciva a trovare le parole, così giunse la voce di Hotaru, ovattata dal suono dello scroscio dell’acqua nella doccia.
« Non andrai da nessuna parte. Hai idea di quanto costano gli  affitti a Tokyo? Non avete nemmeno un lavoro. ».
Non che Natsume non ci avesse mai pensato, ma quelle parole lo riscossero dal suo proposito. « Come hai intenzione di pagare questo appartamento? » chiese incredulo, cercando di contare a mena dito i metri quadrati di ciascuna stanza. La testa di Hotaru fece capolino dalla soglia, avvolta da un asciugamano bianco che le dava un’aria buffa. « Vi ho già fissato dei colloqui, presto andrete in contro al vostro futuro lavorativo! »
Natsume inarcò un sopracciglio e guardò scettico verso Ruka, che nel frattempo si era steso sul divani stringendosi le braccia intorno alla pancia con aria dolorante.
« Come sarebbe a dire? Che tipo di colloqui? », chiese il ragazzo dagli occhi rossi, infastidito.
« Ruka andrà a parlare in un ambulatorio veterinario, per te ho contattato un Agenzia di Taxi. »
Prima che Natsume potesse ribattere, la ragazza si chiuse la porta alle spalle con grazia.
« Un agenzia di Taxi. », ripeté lentamente, cercando di capire il senso di quelle parole, ma soprattutto di quell’azione.
Com’era venuto in mente ad Hotaru che lui potesse mai voler guidare un taxi come lavoro? Per l’amore del cielo, non aveva neanche la patente!
 
***
 
Le ricerche iniziarono la mattina dopo: Hotaru aveva stillato una lista di tutte le Mikan Sakura di 23 anni che si trovavano a Tokyo, escludendo quelle di colore, con problemi di droga, alcool e affini, quelle in prigione, quelle sposate e quelle divorziate.
Dopo ciò, la lista era stata divisa per quartieri: Natsume sapeva che Tokyo era una grande città, ma non si era mai reso conto di quanto lo fosse in realtà. Era un casino: più di trecento quartieri solamente nei dintorni del loro appartamento. E meno male che avevano iniziato la ricerca da lì!
I mezzi pubblici costavano un occhio della testa.
La prima Mikan Sakura della sua lista aveva - ovviamente – 23 anni e lavorava in un Discount nella zona industriale poco lontano dal suo quartiere. Natsume era esattamente fuori dal Discount, quasi paralizzato dalla possibilità concreta di incontrare Mikan. Che cosa le avrebbe detto?
Senza pensarci troppo – non sapendo cosa pensare in realtà – Natsume entrò nel Discount: l’aria condizionata lo colse di sorpresa all’ingresso, facendolo rabbrividire dal freddo. Passò di fianco alle casse dando uno sguardo alle cassiere: una donna sulla 40ina, una ragazza di colore all’incirca della sua età, ed un ragazzo altrettanto giovane. Cercò di reprimere la delusione che provava – aveva già messo in conto l’altissima probabilità di non trovare Mikan al primo tentativo.
Comunque, non aveva ancora visto tutti i commessi di quel Discount, così, con rinnovata fiducia, prese a girare tra i vari scaffali: incontro altri due commessi, entrambi uomini, che aggiustavano alcune confezioni di farina su dei ripiani. Arrivò al bancone dei salumi, ma non c’era nessuno: gli impiegati erano nel retro, Natsume si sporse appena un po’ per dare un’occhiata dalla finestrina rotonda sulla porta. Colse indistintamente un groviglio di braccia, spalle e capelli, sentì una risata del tutto femminile. Senza accorgersene, il ragazzo si ritrovò a trattenere il respiro: proprio in quel momento il tremore che aveva nel petto si spense in un respiro, quando una ragazza emerse dall’abbraccio e vedendolo da oltre lo specchietto corse fuori per servirlo.
« Salve, cosa desidera? » chiese imbarazzata, con le guance rosse e gli occhi lucidi. Aveva capelli biondi cortissimi e dei vivaci occhi castani. Le spalle di Natsume si rilassarono:anche se la targhetta posta sul suo grembiule portava il nome  “Mikan Sakura”, quella ragazza non era la sua Mikan.
Una volta uscito dal discount con un etto di mortadella – che nemmeno aveva mai assaggiato – depennò dalla lista il nome di quel primo fiasco.
 
***
 
Hotaru e Ruka non furono più fortunati di Natsume, quel primo giorno di ricerca; nonostante ciò, furono i primi a tornare a casa. Soli, dopo due settimane di distanza, si lasciarono a piccoli accenni di coccole, accortezze che davanti a Natsume – ma anche di fronte a chiunque altro – tenevano nascoste.
« Mi sei mancata tanto. » le sussurrò il ragazzo all’orecchio, mentre guardavano un film sul divano, abbracciati.
« Natsume non è ancora tornato. » ribatté invece Hotaru, tenendo gli occhi fissi sullo schermo.
Ruka trattenne un sospiro: « Sono solo le undici. E poi, non siamo i suoi genitori. »
« La nostra casa non è un albergo! » esclamò Hotaru contrariata, incontrando gli occhi tristi di Ruka per un solo istante, prima di distogliere nuovamente lo sguardo.
« Beh, la nostra casa non è casa nostra. E’ anche casa di Natsume. », affermò il ragazzo, imitando il tono indifferente di lei.
Prima che Hotaru potesse rispondere, la serratura della porta scattò e Natsume entrò in casa a testa basse, senza fare troppo rumore: quasi cadde all’indietro, nell’intravedere i profili dei volti dei due ragazzi seduti sul divano rivolti verso di lui.
« Dove sei stato? E’ tardi. », chiese Ruka, dando un’occhiata al suo orologio da polso. Natsume fece spallucce: « Una delle ragazze della mia lista, oggi aveva il turno di notte nella farmacia in Borgo Novo. Non era lei. Sono sfinito, vado a letto. Buonanotte. » disse, defilandosi nella sua stanza.
Quando i due sul divano sentirono la serratura della stanza di Natsume scattare, Hotaru si voltò verso Ruka e gli fece il verso, scocciata: « “Sono appena le undici, non siamo i suoi genitori.” ».
Ruka si alzò dal divano bruscamente, infastidito. « Sono preoccupato per lui. », disse, indietreggiando verso il corridoio. La giacca nera di Natsume, giaceva malamente abbandonata per terra, probabilmente era scivolata dall’appendiabiti. Ruka la raccolse e la rimise al suo posto, e nel farlo notò un foglio bianco, la lista, scivolare nuovamente sul pavimento. La raccolse, e nel leggerla rimase parecchio sorpreso. « Ha finito la lista. » affermò incredulo, a bassa voce.
Hotaru si voltò a guardarlo dal divano, senza alzarsi. « Non mi aspettavo niente di diverso, da lui. In effetti, la sua lista era anche più lunga della nostra, così da compensare il nostro lavoro mancato. ». Ruka rimise la lista nella tasca della giacca e indicò Hotaru con indice accusatore: « Lo hai fatto di proposito? Non capisco. Credevo volessi trovare Mikan prima di tutti noi. »
Hotaru abbandonò la testa sulla spalliera del divano, fissando il soffitto candido: « L’importante è trovarla. ».
« Ma tu eri la sua migliore amica. » insistette Ruka, senza capire. La ragazza dai capelli neri non negò, ma quando aprì nuovamente bocca le sue parole sembravano stanche: « Mikan credeva che Natsume fosse morto, Ruka. Se n’è andata via prima che io riuscissi a riportarlo indietro. In un certo senso, non ho mantenuto la promessa che le ho fatto. Per questo, credo di doverglielo. Deve vedere prima Natsume. Deve vederlo prima di vedere tutti noi. Solo così, potrà ricordare e perdonarmi. »
« Ma Mikan era sicura che tu ce l’avresti fatta, Hotaru. Io ero con lei, il giorno in cui l’hanno portata via dall’Accademia, e lei credeva fermamente che tu avresti riportato indietro Natsume. »
Ribattè il biondino, incredibilmente dispiaciuto. Hotaru era così convinta, a volte era proprio impossibile farle cambiare idea. Era sempre troppo severa con se stessa, anche quando si trattava del suo stesso Alice.
 
***
 
La mattina dopo, Natsume si svegliò tardi: erano le 11 e nell’appartamento non c’era nessuno. Probabilmente, Hotaru e Ruka si erano svegliati prima ed erano già usciti per continuare le ricerche. Si sentiva incredibilmente strano, come se le ore che aveva trascorso dormendo gli fossero state del tutto inutili. Entrò in bagno, e guardandosi allo specchio quasi si spaventò: aveva il volto stravolto. Uscì dalla doccia poco dopo, e dopo essersi rivestito, finalmente era pronto. Hotaru aveva lasciato la sua lista per quella giornata sul tavolo della cucina, all’ingresso. Il ragazzo se la infilò in tasca, lasciando sul tavolo la lista vecchia, e si diresse all’ingresso per uscire.
Quella mattina, così come quel pomeriggio, non produssero risultati, esattamente come le ricerche di Ruka e Hotaru.
« Non dobbiamo perderci d’animo », stava dicendo il ragazzo dai capelli biondi due settimane dopo, seduto al tavolo di fronte a un Natsume ormai caffeinomane  e ad un Hotaru incredibilmente scoraggiata. « Basta allargare le ricerche. Il Giappone è pieno di grandi città. Mikan è lì fuori, da qualche parte. ». Anche se i due non avevano l’aria di stare ascoltando, Hotaru rispose a voce bassa, coprendosi gli occhi con le mani. « Potrebbe non essere più in Giappone. »
Natsume gemette frustrato, e scalciò allontanandosi con la sedia dal tavolo.
« Potrebbe essere ovunque. ». Ruka non ne poteva più di quella tensione: anche lui voleva trovare Mikan, ed era motivato allo stesso modo dei suoi amici, eppure non perdeva la speranza di ritrovarla. Natsume e Hotaru, invece, sembravano quasi rassegnati.
 Natsume in particolare, era sfinito. Aveva passato più tempo a cercare Mikan di lui e Hotaru messi insieme, e tutto questo inutilmente. In più, aveva smesso di dormire e il suo amico non ricordava più l’ultima volta che lo aveva visto consumare un pasto decente. Anzi, lo ricordava bene: in Accademia, il giorno prima della cerimonia di laurea.
Ruka poteva capire bene la delusione che provava. Anche Hotaru era visibilmente provata.
Natsume si alzò dalla sedia con tanta violenza da far tremare il pavimento, iniziò a girare intorno al tavolo come un lupo affamato. Hotaru sembrava sull’orlo delle lacrime, e Ruka non sapeva come consolarla in presenza di Natsume.
« D’accordo. », disse all’improvviso Hotaru, strofinandosi gli occhi con ritrovata determinazione. Ruka si sporse verso di lei, sorpreso, e Natsume si fermò nel mezzo della stanza, guardandoli. « Fate le valigie. Domani ce ne andiamo. Ci rivediamo di nuovo la prossima settimana, a Kyoto. », affermò la ragazza, incrociando le braccia al petto.
« Che cosa?? Ma domani io e Natsume abbiamo i colloqui di lavoro. » obiettò debolmente Ruka, accigliandosi. « Lo so che ci tenevi a lavorare in un ambulatorio, ma dobbiamo trovare Mikan. »
Mormorò Hotaru con gli occhi chiusi, massaggiandosi le tempie con le dita. « Non è per il lavoro, Hotaru. Le ricerche a Tokyo non sono ancora finite. Mikan potrebbe essere qui. Dobbiamo allargare il campo d’indagine e sono sicuro che… »
« Di cosa sei sicuro?? », lo interruppe la ragazza, battendo un pugno sul tavolo. « Mikan non è qui, me lo sento. », affermò lei sconsolata, le mani tremanti.
Natsume sospirò rumorosamente, stressato: « Piano, Hotaru. » disse, con voce impassibile: « Ruka ha ragione. Dobbiamo restare qui, almeno finchè non avremo terminato la lista. »
Il suo tono non ammetteva repliche, era di nuovo l’abile stratega delle Abilità Pericolose tra le mani di Persona. Nel guardarlo nei suoi occhi rossi, incredibilmente freddi per la prima volta dopo anni, l’amico rabbrividì: frustrato, Natsume tirò un calcio al tavolino su cui erano soliti lasciare le chiavi.
Una grande busta gialla cadde giù dal tavolo, facendo un paio di giravolte.
Natsume la raccolse da terra: « E’ vostra? », chiese agli amici seduti al tavolo, mostrandogliela.
Non c’era scritto niente, nessun nome e neppure l’indirizzo. Non c’era neanche un francobollo.
Hotaru e Ruka scossero la testa all’unisono, indicandosi l’un l’altro: « E’ lì da una settimana, almeno. Credevo fosse vostra: siete così disordinati! » disse Hotaru, facendo spallucce.
Natsume sbuffò, imbarazzato: « Io sono stato a casa così poco tempo che non avevo mai visto questa busta. » disse, stizzito. Ruka alzò gli occhi al cielo, vedendo quelli dei suoi amici puntati contro di lui: « Non sapevo di chi fosse e non l’ho mai chiesto, d’accordo? » sbottò esasperato.
Natsume e Hotaru si lanciarono uno sguardo d’intesa, e il ragazzo tornò a sedersi al tavolo con i suoi amici, posando al centro la busta gialla e aprendola lentamente: fece scivolare il suo contenuto sulla liscia superficie in legno. Dentro, c’erano fogli e foto: il primo foglio, era giallo ed estremamente fino. Ruka lesse: « E’… un certificato di incarcerazione? » domandò, stranito, cercando conferma negli occhi confusi di Natsume, seduto davanti a lui. « Che cosa? » domandò Hotaru, l’incredulità ben visibile sul suo viso: allungò la mano per prendere il foglio dal tavolo, scoprendo una foto agghiacciante. Una ragazza giovanissima, i capelli arruffati intorno al visto, gli occhi lucidi e il viso macchiato di mascara sugli zigomi. La foto la ritraeva a mezzo busto, e tra le mani reggeva un cartello con un numero sopra. Gli occhi castani di Mikan li guardavano da quella foto, la sua espressione era a metà tra la vergogna più pura e la disperazione più nera.
« Che diamine significa questo? » ringhiò Natsume, il petto che gli si alzava e gli si abbassava velocemente, in iperventilazione. Hotaru tirò via quella foto per scrutarla da più vicino: era davvero Mikan? Ruka si sporse verso di lei per poter guardare anche lui quella foto tanto strana.
« E’ lei. », disse il biondino incredulo, scuotendo la testa. « Che cosa le è accaduto? » chiese Hotaru, spaventata. Natsume prese il foglio sotto la foto: era un certificato di scarcerazione.
« La custodia della signorina Akari Miho viene affidata al centro di tossico dipendenza del Tokyo Hospital. » lesse a voce bassa il ragazzo, passando il documento a Ruka.
« Mi sento male. » annunciò Hotaru, allontanando la sedia dal tavolo con uno scatto improvviso. Ruka le prese la mano, ma con l’altra continuò a scorrere i documenti sul tavolo: altre foto, par lo più parti del corpo. Segni di morsi sulle spalle, lividi sulla schiena, i segni violacei di più siringhe sulle braccia. Ancora, nuove foto di Mikan, il suo volto da bambina appena riconoscibile sotto fitti strati di tristezza e dolore: altri documenti, varie riabilitazioni, cartelle cliniche a non finire.  
Nonostante Natsume sentisse il suo corpo che si ribellava a quella vista, tenne gli occhi fissi sui fogli sul tavolo, scrutandoli uno per uno, finchè non gli capitarono tra le mani due fogli uniti da una graffetta: il primo era giallo e molto fino, scritto a macchina: « 1 Gennaio 2010. Akari Miho. 19 anni. Suicidio. » lesse a tratti, come se quelle parole insieme non avessero alcun senso. Dietro il primo foglio, una foto: una giovane ragazza stesa innaturalmente sul tetto di un’auto, il volto circondato dai capelli scuri e il corpo pieno di tagli e pezzi di vetro. A giudicare da come era accartocciata l’auto sotto di lei, doveva essere caduta da un’altezza indicibile. Doveva essersibuttata da un’altezza indicibile. Mikan.
« No. No… Nonononononono! »
Natsume si alzò nuovamente dalla sedia, le mani sulla testa che gli doleva e gli girava.
Prese a tirare calci al muro, e poi le gambe non lo ressero più e cadde in ginocchio, con un tonfo.
Ruka era pietrificato sulla sedia, sembrava quasi avesse smesso di respirare. Hotaru, invece, si riscosse nel notare l’ultima foto della risma.
Mikan era ritratta al centro di un mirino, mentre addentava con voracità una ciambella, seduta al tavolo di un bar su una terrazza da cui si vedeva la torre di Tokyo. Portava i capelli sciolti ad incorniciarle il volto roseo e appena un po’ abbronzato; guardava verso il basso, con la stessa espressione che aveva quando da bambina non riusciva a risolvere un complesso problema di geometria.
« Guardate qui. ». La foto era datata a quattro settimane prima.
 
 

Qualcuno ti ha reso così freddo
Ma il ciclo si conclude ora
Perchè tu non puoi condurmi su questa strada
E tu non sai, quello che non sai…

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Fast ***


FAST




All this time I was wasting hoping you would come around
I’ve been giving out chances everytime and all you do is let me down
And its taking me this long but baby I figured you out
And you think it will be fine again but not this time around
 
 
Fosse stato per lui, Natsume non avrebbe mai preso l’ascensore in un gratta cielo solo per andare in un bar. In unbar in cui si pagava il coperto , per giunta. Eppure, a Mikan doveva piacere. Beh, in effetti da quell’altezza – circa 27 piani – si poteva vedere tutta Tokyo.
Le porte dell’ascensore si aprirono nuovamente con un tintinnio, e Ruka ed Hotaru fecero la loro entrata al Season Tokyo Bar in silenzio, frugando con lo sguardo i volti di tutti i presenti in cerca di un viso conosciuto. Natsume alzò la mano in alto, facendosi notare: era seduto davanti alla finestra del balcone, dove vi erano varie altre file di tavolini occupati da aitanti giovani gioiosi.
I ragazzi presero posto accanto all’amico, e immediatamente si voltarono verso l’ultimo tavolo nell’angolo sinistro del balcone, da dove era ben visibile la torre di Tokyo.
Hotaru tirò fuori la foto dal taschino interno della giacca blu che indossava, ponendola al centro del tavolo: Natsume rabbrividì nel rivedere ancora una volta Mikan, la sua Mikan, al centro di un mirino. Non c’erano dubbi però, chiunque avesse scattato quella foto alla ragazza, aveva occupato proprio il tavolino che occupavano adesso i tre amici.
« Che cosa facciamo adesso? » chiese Ruka, visibilmente accaldato da quell’afosa giornata di giugno. Nel frattempo un cameriere molto alto e magrolino si avvicinò per chiedere le ordinazioni: « Un frappé alla fragola per me, grazie. » chiese cortesemente Hotaru, un po’ scocciata. Natsume sollevò l’indice in alto: « Per me un caffè macchiato. ».
« Può indicarci il titolare? » domandò Ruka, speranzoso. Il cameriere scosse la testa imbarazzato: « Non viene a lavoro prima di mezzogiorno, mi spiace! » e si allontanò verso il bancone, prima che il biondino potesse fare la sua ordinazione.
« Che cosa vuoi dal titolare? » gli chiese Hotaru incuriosita, mentre Natsume li guardava di sottecchi, un po’ distratto.
« Potremmo mostrargli la foto, e lui potrebbe indicarci chi l’ha scattata. » propose il ragazzo dagli occhi azzurri, con ottimismo. T     roppo ottimismo. « La foto è stata scattata di mattina, il titolare non c’era. » lo liquidò Natsume, osservando ancora il viso buffo di Mikan nella fotografia sul tavolo. « Ma ci sono le telecamere! » affermò Ruka, indicando con un cenno della testa la telecamera posta sul muro dietro al bancone, verso la cassa.
« Sicuramente non terranno le registrazioni di quattro settimane fa. », disse con altrettanta sicurezza Hotaru, sbuffando.
Nel frattempo, il cameriere tornò indietro con le ordinazioni dei ragazzi, ma neanche in quel momento Ruka ebbe modo di chiedere un bicchiere d’acqua perché il ragazzo si defilò deponendo sul tavolo il loro scontrino.
« A proposito di soldi, come sono andati i vostri colloqui? » domandò Hotaru, prendendo a succhiare rumorosamente il frappé dalla cannuccia, guardando i ragazzi a turno.
Ruka fece un gran sorriso: « Inizio lunedì. ». Natsume roteò gli occhi al cielo. « Io sono venuto qui in taxi. Per forza non serve avere la patente, si va in giro a 20 all’ora. Le strade di Tokyo sono super trafficate. Il parchimetro va a tempo, non a kilometri, quindi l’agenzia ci guadagna lo stesso. ». « Non credo che sia legale… » mormorò Ruka, un po’ in pensiero. « Certo che non lo è! » ribatterono Natsume e Hotaru all’unisono, con le sopracciglia inarcate.
« Beh, l’importante è avere uno stipendio. Questo schifosissimo caffè costa 3000 yen. Incredibile! ». « La cosa incredibile – lo contraddisse Ruka – è che tu sei fuori dall’Accademia da appena un mese e sei già caffè dipendente. ». Hotaru rise appena, ma il suo sorriso si spense non appena i suoi occhi si posarono nuovamente sulla foto, facendole tornare in mente il certificato di Rehab di Mikan. O di Akari. Non era ancora molto chiara quella faccenda.
Era evidentemente che Ruka si era reso conto con altrettanta velocità dell’infelice scelta di parole, ma né lui né Natsume aggiunsero nulla.
« Che cosa facciamo? » domandò Natsume, scrutando l’interno della sua tazzina sperando quasi di leggervi una qualche mappa speciale che lo avrebbe guidato da Mikan.
« Direi di fare il punto della situazione. » iniziò Hotaru col suo solito tono pratico, giocherellando con la cannuccia nel frappè. « Sappiamo che qualcuno ha evidentemente spiato Mikan, e che ha necessariamente spiato anche noi. Avete notato qualcuno di sospetto vicino a voi, nei giorni scorsi? Siete stati seguiti da qualcuno? »
Natsume scosse la testa con sicurezza: se qualcuno lo avesse seguito se ne sarebbe accorto.
Ruka non sembrava altrettanto sicuro, ma scosse la testa anche lui: « Non mi sono accorto di nulla. » disse, sconfortato.
« Nonostante siamo qui, e abbiamo certezza che Mikan fosse qui 4 settimane fa, siamo del tutto punto e a capo. Come possiamo farla a trovare? Non ci cadrà tra le braccia da un momento all’altro. » commentò la ragazza dai capelli scuri, scostando da sé il bicchiere col frappé ormai terminato.
« E allora che dobbiamo fare? » chiese Ruka, un po’ contrariato.
« Dobbiamo continuare a cercarla. » affermò Natsume, lasciando cadere alcune banconote sullo scontrino. « D’accordo. » , disse Ruka docilmente, tenendo gli occhi fissi su quel tavolo all’angolo sinistro del balcone, immaginando Mikan, la Mikan che si ricordava, che gli sorrideva fiduciosa. « Bene. », disse Hotaru, seguendo lo sguardo del biondino, « Andiamocene. »
Si alzarono dal tavolo insieme, avviandosi nuovamente verso l’ascensore.
« Tu che fai, adesso? », chiese Ruka a Natsume, mentre premeva il bottone per chiamare l’ascensore. « Beh, in teoria sto lavorando. Credo che il mio turno duri fino a mezzo giorno. Terrò gli occhi aperti, e procederò a passo di tartaruga. » borbottò il ragazzo dagli occhi cremisi, sospirando. « Allora, noi possiamo dividerci e continuare a cercare in giro. » propose Hotaru, riponendo la fotografia nel taschino della sua giacca, mentre le porte dell’ascensore si spalancavano di fronte a loro . « D’accordo. », approvò Ruka, mentre entravano tutti nell’ascensore.
 
***
 
Dopo che Ruka e Hotaru se n’erano andati, Natsume inizialmente era rimasto nel suo taxi in attesa di clienti. Dopo 43 minuti trascorsi seduto al posto di guida, parcheggiato sotto il sole, aveva deciso di uscire dall’auto e salire al bar a prendersi un altro caffè. Ruka aveva decisamente ragione riguardo alla sua mania. Ma il caffè era così buono, e sembrava renderlo più lucido.
Era ormai quasi mezzo giorno, e il traffico stava finalmente calando: peccato però che nessuno dei passanti sembrasse aver bisogno di un taxi.
Natsume chiuse la macchina premendo il tasto automatico sulla chiave, e si stiracchiò pigramente: in lontananza, sentì delle esclamazioni confuse e degli urletti. Qualcuno stava correndo nella sua direzione, urtando le altre persone sul marciapiede con incuranza.
Quanta gente strana a Tokyo, pensò Natsume, mentre riponendo la chiave nella tasca dei jeans fece un primo passo avanti per rientrare nel grattacielo.
« Attenzione! » gridò Mikan, che stava correndo verso Natsume a passo spedito e superandolo in un batter d’occhio. Natsume in un primo momento si arrestò sospeso, seguendo con lo sguardo la ragazza che lo aveva superato e che, inaspettatamente, si era fermata piegandosi sulle ginocchia per riprendere fiato, rivolta verso di lui.
 Era Mikan. Indossava una gonna rosa lunga fino al ginocchio e una maglietta gialla su cui pareva fosse stato asciugato un pennello nero: i suoi capelli castani erano lunghi e sciolti, e le circondavano il viso un po’ in disordine per la corsa.
« Tu… » disse Mikan, col fiato corto, cercando di rimettersi in piedi.
Era Mikan, e lo aveva riconosciuto.
« Tu sei… in servizio? » gli domandò la ragazza, implorandolo con gli occhi di dire sì. Oh, Natsume non era decisamente pronto a quegli occhi castani che si rispecchiavano nei suoi, senza riconoscerlo. In quelle molte notti insonni trascorse a Tokyo aveva pensato mille volte al modo in cui avrebbe incontrato Mikan, e quello scenario non gli si era mai presentato.
« Sì. » confermò un po’ col fiato corto anche lui.
Mikan gli sorrise timidamente: « Puoi portarmi a Kabukicho il più velocemente possibile? », domandò, mentre il suo volto si animava di nuovo di apprensione.
Anche se Natsume non aveva idea di dove si trovasse il quartiere a cui Mikan alludeva, lui annuì e riaprì la macchina, facendole cenno di entrare. Entrò in macchina e non appena ebbe inserito la chiave nel quadro, partirono. Mikan si era seduta nel sedile posteriore di mezzo, in modo da avere una visuale completa della strada.
« Ma… non dovresti mettere la cintura? » gli domandò imbarazzata e altrettanto preoccupata, mentre se la allacciava anche lei. Natsume la guardò dallo specchietto retrovisore ed ebbe un colpo al cuore. « C-certo. » disse, mentre se la allacciava e prendeva la sinistra, guidato dall’intuito.
Guidato dall’intuito in una strada con divieto d’accesso. Natsume imprecò a mezza voce e si maledì mentalmente nel vedere Mikan che lo guardava preoccupata, tenendosi saldamente al sedile posteriore. « Ma.. dove mi stai portando? » gli chiese Mikan con una nota di preoccupazione ben udibile nella voce: « Guarda che se stai facendo la strada più lunga per far camminare il parchimetro puoi farmi scendere subito, non ho molti soldi con me. » confessò risentita, cercando di capire se lo strambo autista di quel taxi avesse un secondo fine nello scarrozzarla in macchina per strade sbagliate. « Che cosa? Certo che no! » dichiarò Natsume, rispondendo istintivamente come non gli capitava da tempo.  « Dov’è Kabukicho?? » si costrinse a chiedere, mentre svoltava nuovamente nella strada in cui era parcheggiato poco prima.
Dovette frenare bruscamente, per evitare un enorme camion dei pompieri che aveva attivato la sirena proprio in quel momento: Natsume sospirò di sollievo e strinse le mani sudate intorno al volante più saldamente. Che spavento!
« Oh, no! » strillò Mikan, portandosi una mano alla bocca con aria disperata. « Segui quel camion dei pompieri! » gli ordinò pallida, scuotendo la testa in preda ad una preoccupazione solo sua. Natsume sbuffò, premendo sull’acceleratore per cercare di raggiungere il camion che si allontanava velocemente da loro. Già da 7 isolati prima della loro meta, nel cielo si vedeva il fumo nero che caratterizzava un incendio doloso.
Mikan si sporse verso il parabrezza per osservare meglio: in pochi secondi gli occhi le si inondarono di lacrime. Natsume si morse la lingua: per quale motivo non riusciva a trovare niente da dirle? Aveva aspettato 13 anni per rivederla. Anche se non era più lei. Sembrava così diversa… a guardarla così da vicino, era estremamente magra. Sembrava fosse intera per miracolo.
Seguendo il camion dei pompieri, Natsume svoltò a sinistra e vide una folla enorme aprirsi a ventaglio per lasciar passare il camion il più vicino possibile all’edificio che stava andando in fiamme: un condominio dall’aria veramente vecchia e precaria. Prima che Natsume spegnesse la macchina Mikan schizzò fuori, tremante ed estremamente pallida. Natsume uscì dall’auto e guardò verso l’alto, valutando la gravità della situazione: Mikan, al suo fianco, sarebbe caduta in ginocchio a momenti se lui non l’avesse prontamente sostenuta. La ragazza, sentendo le braccia forti di Natsume sostenerla, lo guardò negli occhi sorpresa: « Ti sei fatta male? » le chiese lui, apprensivo, lasciandola andare subito dopo. Lei scosse la testa, guardandolo come se lo stesse vedendo per la prima volta, dimentica dell’incendio che abbracciava l’intera facciata dell’edificio solo per un istante. Una finestra andò in frantumi, e mille piccoli pezzi di vetro caddero sulla folla: i pompieri si alternavano fuori e dentro il camion montando la pompa, mentre altri cercavano di indirizzare la calca lontano dal potenziale raggio d’azione delle fiamme.
« Devo… devo trovare Yuka. » disse quasi a mo’ di scusa, scostandosi da Natsume e dirigendosi verso le persone che si erano riunite per guardare.
« Non ti lascio… » mormorò Natsume, seguendola immediatamente. La vide spingersi nel mezzo della folla alla ricerca di qualcuno: intanto arrivò anche l’ambulanza, e una squadra di paramedici scese andando in contro alla folla per rendersi utile.
« Hana! » chiamò Mikan, rivolgendosi ad una giovane donna dai capelli biondi che teneva in braccio un bambino che poteva avere al massimo 2 anni, e fissava le fiamme inebetito ma affascinato, come se stesse guardando un cartone animato particolarmente colorato.
La ragazza si voltò verso Mikan, e le due si abbracciarono: « Mikan! » la chiamò Hana, con enorme sorpresa di Natsume. « Per fortuna sei qui! Pensavo che fossi ancora lì dentro! ».
Mikan scosse la testa ansiosa e si separò da Hana tremante: « Dov’è Yuka? Non è con te? ».
Natsume trattenne il fiato, tenendosi a distanza, cercando di dare un senso alla conversazione a cui stava assistendo. « No! Pensavo fosse con te! Oddio, Mikan, se avessi saputo… ».
Prima che Hana potesse finire la frase Mikan si allontanò da lei, dirigendosi verso l’entrata del condominio in fiamme. Natsume l’afferrò per il polso, sorprendendosi di quanto fosse fino:
«Che hai intenzione di fare? » le chiese, chiaro e conciso. Lei lo guardò sorpresa, e chiuse gli occhi un istante come se la vista del ragazzo le provocasse dolore. « Devo entrare! Yuka è ancora dentro! ». Yuka? Non era possibile. La madre di Mikan era morta nell’Accademia, 13 anni prima. Ma a chi altro poteva riferirsi?  Gli occhi di Mikan si inondarono nuovamente di lacrime e di nuovo traballò, come se stesse per cadere.  Natsume la tenne stretta e alzò nuovamente lo sguardo su quelle fiamme: erano troppo alte e troppo estese perché lui, con il suo Alice, ruscisse a domarle. Senza contare il fatto che, 13 anni prima, dopo aver accettato finalmente il dono di Mikan, aveva promesso a se stesso che non avrebbe mai più usato l’Alice del Fuoco.
Maledizione!, imprecò mentalmente, sentendosi impotente; un altro vetro esplose, e Mikan, spaventata, si scagliò contro il suo petto. Se solo non ci fosse stata tutta quella puzza di fumo, Natsume avrebbe potuto sentire di nuovo il suo profumo.
 « S-scusami! » disse Mikan dopo pochi secondi, separandosi da lui. « Non capisci, Yuka è narcolettica! Potrebbe dormire adesso e non accorgersi di nulla! ». Natsume scosse la testa e la spinse verso di sé, impedendole di andare: « Vado io. Dimmi il numero del piano. » le ordinò con voce sicura, inchiodando i suoi occhi cremisi in quelli castani di lei. « No! », gridò lei, sciogliendo la stretta che la teneva al suo petto. « Non ti conosco nemmeno! Come posso affidarti una cosa così importante per me? » gli domandò lei, confusa, in viso ancora l’espressione dolorante di prima. « Perché l’hai già fatto! » le rispose Natsume, sorpassandola e correndo verso l’edificio. Ebbe appena il tempo di scrivere un sms a Ruka facendogli sapere dove si trovava, e poi si tuffò nelle fiamme all’ingresso: sentì uno dei pompieri ancora all’esterno gridargli di stare lontano dall’edificio, ma lo ignorò. Era già dentro a respirare con la stoffa della maglietta davanti al naso, quando si rese conto che non aveva idea del piano a cui si trovasse Yuka.
« Yuka! », iniziò a gridare invano, salendo su per le scale per salire ai piani alti.
« AL NONO PIANO! YUKA SI TROVA AL NONO PIANO! ». La voce metallica di Mikan traslata da un alto parlante lo raggiunse fin dentro l’edificio, guidandolo.
Le fiamme erano sulle scale già al secondo piano, e più saliva meno riusciva a vedere a causa del fumo nero che riempiva l’aria. Con il suo Alice tentò di arginare le fiamme intorno a lui, in modo da poter procedere fino al nono piano: arrivò a destinazione, sfondò la porta dell’unico appartamento presente in quel piano e si trovò di fronte ad un salottino modesto e decisamente arso dalle fiamme. Il lato esterno della sala, quella che un tempo doveva essere la cucina, era esplosa: vi era un enorme varco da cui era possibile vedere il cielo.  Sembrava che l’incendio avesse avuto origine da lì. Era per quello che quando aveva incontrato Mikan, lei era così di fretta?  
Non c’era tempo per pensare: « Yuka! » iniziò a gridare a gran voce, tentando di attirare l’attenzione della persona ancora intrappolata nell’appartamento. Niente.
« Yuka! », chiamò ancora, mentre il fiato iniziava a venirgli a mancare, insieme al respiro.
All’improvviso, perse il controllo del suo Alice: le fiamme si alzarono fino ad ostruirgli la strada per il corridoio. Cadde in ginocchio, tentando di riprendere il monopolio sulle fiamme: dopotutto, considerando gli anni che aveva passato senza usarlo, doveva ritenersi fortunato ad averne mantenuto il controllo abbastanza da arrivare al nono piano di quel condominio.
Aveva trovato Mikan, per poi morire tra le fiamme di un incendio. E pensare che aveva sempre creduto che sarebbe stato il suo stesso Alice, ad ucciderlo. C’era una sorta di giustizia divina, in tutto quello che gli era accaduto da quando aveva finalmente lasciato l’Accademia.
Ma qualcuno stava seguendo Mikan; doveva proteggerla.
Si rimise in piedi con difficoltà, ma con rinnovata volontà: doveva tornare giù con Yuka, per Mikan.
Alzò nuovamente gli occhi verso le fiamme che ostruivano il corridoio e alzò una mano verso di loro, tentando di abbassarle quel tanto che bastava a lasciarlo passare: le fiamme danzarono sotto il controllo di Natsume e s’inchinarono, rivelando la presenza di una bambina. Indossava un pigiama rosa a fiorellini, aveva lunghi capelli castani legati in due codini ai lati della testa, i suoi occhi color miele lo scrutavano con curiosità: era la copia in miniatura della Mikan bambina che aveva conosciuto in Accademia. Stava avendo forse un’allucinazione? Aveva respirato troppo fumo.
Le fiamme gli sfuggirono nuovamente di mano, e la sua allucinazione strillò un grido e saltò all’indietro, iniziando a piangere. « Yuka?? » domandò allora Natsume, incredulo.
Il cuore gli si fece pesante come un masso e collassò, ma il ragazzo cercò di farsi forza e tentò nuovamente di possedere le fiamme che divampavano sulla soglia del corridoio: non si era mai sforzato così tanto in vita sua per controllare il fuoco. Sentiva come una nota di disturbo al suo potere… Che trascurandolo, lo avesse perso? Ridicolo.
Aveva trascorso così tanto tempo a rinnegare il suo Alice, che perderlo a quel modo era del tutto assurdo. Così come lo era, per lui, morire bruciato. Una sorta di giustizia divina?
Con uno sforzo di volontà, Natsume si protese verso le fiamme in un ultimo, disperato tentativo di diradare le fiamme e liberare la bambina. Poi accadde l’impensato: le fiamme intorno a Yuka persero vigore e scomparirono, lasciandosi alle spalle solo un po’ di fumo nero. La bambina cadde per terra come un birillo, e Natsume in quell’istante ebbe paura sul serio. Si slanciò verso di lei ritrovandosi immediatamente a corto di fiato, sentiva i muri del palazzo stridere e quasi stringersi intorno a loro, pronti ad inglobarli. Prese Yuka tra le braccia e si tuffò verso la porta: ormai l’aria era satura di fumo e gli occhi gli bruciavano nel tentativo di vedere le scale, di trovare una via di fuga. L’uso dell’Alice del Fuoco lo aveva stremato.
 
***
Quando Ruka ricevette l’sms di Natsume, si trovava per le strade di Tokyo a vari isolati di distanza dal loro appartamento, dove invece si trovava Hotaru.
La chiamò immediatamente al telefono:
« Hotaru! »
«… Ruka? Che succede? »
« L’ha trovata! Natsume l’ha trovata! »
« … Dove? »
« A Kabukicho. »
« Cosa?? Ma è… »
« Sì, lo so cos’è, ma sbrigiamoci! C’è un incendio! »
« Chiamo un taxi. Sbrigati a venire a casa! »
Chiuse la conversazione e iniziò a correre verso casa; arrivò un quarto d’ora dopo, il taxi era già sotto casa ad aspettare lui. Entrò e il tassista partì, evidentemente Hotaru gli aveva già comunicato la destinazione: « Che cosa vuol dire che c’è un incendio? » chiese Hotaru a Ruka, mentre lui si metteva la cintura di sicurezza. « Non ne ho idea! », ribatté il biondino, porgendo il suo telefono alla ragazza perché leggesse l’sms di Natsume.
Arrivarono in una zona bloccata al traffico, nelle immediate vicinanze del palazzo in fiamme, così pagarono il tassista e continuarono a piedi fino al luogo dell’incendio. Si era radunata lì intorno talmente tanta gente, come avrebbero fatto a vedere Mikan?
« La vedi?? » chiese Ruka ad Hotaru, nervosamente, mentre tentava di mettersi sulle punte per riuscire a individuare la cara amica tra la folla.
Hotaru scosse la testa frustrata, facendosi strada in mezzo alla gente a spintoni e tirandosi dietro il ragazzo. « Se è qui che vive, probabilmente sarà tra le prime file! » gridò Hotaru, per sovrastare il frastuono di mille voci preoccupate o solo incuriosite che riempivano l’aria.
Arrivarono al punto che la gente si apriva davanti a loro come un ventaglio per farli passare, perché la loro espressione preoccupata li induceva a pensare che abitassero in quel povero, vecchio edificio divorato dalle fiamme. Udirono uno spiraglio di conversazione da due ragazze allarmate che parlavano accanto a loro: « E adesso dove andremo a vivere? » si chiese una delle due, preoccupata. « Oh, spero non di nuovo con le suore! », si lamentò l’altra, mentre si puntellava in avanti per vedere meglio il rogo. « E dire che dovevano ristrutturarla il mese prossimo. La nostra casa famiglia. Ancora non ci credo. Era l’unica riservata alle madri giovani con figli a carico… dove andremo a vivere?».
I due si irrigidirono. « Chiamo Natsume al telefono. » affermò Ruka, mentre tirava fuori il cellulare e componeva velocemente il numero dell’amico. « Ok. » rispose Hotaru, continuando a cercare tra i volti sconosciuti il viso di Mikan. Oh, ma dov’erano?
Ormai erano tra le prime file. Si udì un suono sinistro  provenire dal palazzo davanti a loro, e immediatamente i vigili del fuoco che non erano occupati a tentare di spegnere l’incendio spinsero indietro la folla: « Il palazzo sta per crollare! ».
« C’è ancora qualcuno dentro! », strillò una ragazza seduta su una barella circondata dai paramedici, che le stavano misurando la pressione. « Si calmi, signorina! » tentò di rabbonirla il paramedico che le contava i battiti, un po’ preoccupato.
« Ruka… » mormorò Hotaru, voltando la testa verso la ragazza che aveva parlato poco prima. Il ragazzo seguì lo sguardo di lei e… eccola, Mikan: i suoi capelli castani sciolti intorno al viso, i suoi occhi determinati e… il volto scarno. Era magra da morire.
Visto che Hotaru sembrava essersi pietrificata, Ruka la prese per il polso e fu il suo turno di spintonare la gente fino a giungere vicino a Mikan.
Lei, si accorse Hotaru con un sospiro affranto, non si era nemmeno accorta che si erano avvicinati: era troppo impegnata a scrutare attenta l’ingresso, nonché l’ultima via d’uscita di quel palazzo.
« E’ sicura che c’è ancora qualcuno dentro? » le chiese preoccupato il paramedico, che sembrava essere l’unico ad averle prestato attenzione, mentre riponeva lo sfigmomanometroin un astuccio sulla barella.  « Sì. » rispose Mikan risoluta e anche all’apparenza un po’ confusa, scendendo dalla barella: « è il tassista che mi ha portato a casa. E’ entrato per colpa mia, sarei dovuta entrare al posto suo… ». Mikan iniziò nuovamente a singhiozzare; oh, Hotaru detestava vederla piangere.
« Sei la solita piagnucolona. » sbottò infatti, attirandosi gli sguardi straniti sia di Ruka che del paramedico, ma non di Mikan. Lei la guardava… esattamente come se la vedesse per la prima volta in vita sua. Non ribatté, e si asciugò le lacrime con i palmi delle mani.
« Ci… ci conosciamo? » le chiese, tirando su col naso.
Hotaru trattenne il fiato: « No. Ma c’è un mio amico, lì dentro l’edificio in fiamme. » mormorò la ragazza dai capelli neri, prendendo la mano di Ruka e stringendogliela. Il biondino era veramente stupito, che Hotaru manifestasse i suoi sentimenti in pubblico a quel modo, ma non disse nulla, ricambiando semplicemente la stretta.
Mikan fece per dire qualcosa, ma il palazzo brontolò rumorosamente, sollevando un polverone pazzesco intorno a loro: alcuni enormi massi si staccarono dall’edificio ed iniziarono a cadere. Era uno spettacolo bizzarro. La folla si fece indietro in modo confusionario,le persone  inciampavano l’uno sull’altro. « Dobbiamo spostarci! » gridò il paramedico, cercando di fare strada ai tre ragazzi ora in piedi vicino a lui. Protestarono immediatamente: « Non se ne parla nemmeno! », « Assolutamente no! ». Il paramedico ci rinunciò subito,allontanandosi da loro.
« Voi tre, là! » gridò uno dei vigili del fuoco, indicandoli da lontano.
Hotaru e Ruka si voltarono verso l’uomo, ma Mikan tenne lo sguardo sull’ingresso, in attesa: uscì un'altra ondata di fumo, proprio da lì.
E all’improvviso eccolo: Natsume, con in braccio un fagottino rosa, che correva verso l’esterno proprio mentre un ultimo, enorme masso stava per cadere su di lui.
« NATSUME!!! », urlò Mikan a pieni polmoni, slanciandosi verso di lui per raggiungerlo esattamente mentre intorno al suo sterno si chiudevano le braccia fasciate in arancione fosforescente del vigile che li aveva richiamati poco prima.
Hotaru e Ruka si guardarono sconvolti, mentre il masso cadeva dove pochi attimi prima si trovava il ragazzo dagli occhi rossi che, a sua volta, li guardava sconvolto, la bocca semi aperta dalla sorpresa.
« Si tolga immediatamente da lì, è pericoloso! ».
Un piccolo gruppo di paramedici raggiunse Natsume, e faticarono per togliergli dalle braccia quella che si dimostrò essere una bambina piccolissima, svenuta.
« L’hai sentita anche tu? » sussurrò Ruka a bassa voce, tutta i suoi sensi rivolti ad Hotaru.
Lei gli lasciò la mano, e si voltò a guardarlo negli occhi: stava piangendo.
« Signorina?? Mi servono dei paramedici! » gridò il vigile dietro di loro, che stringeva tra le braccia una Mikan mogia mogia, priva di sensi.
 
 
Ho sprecato tutto questo tempo sperando che ti saresti fatto vivo
Ho rinunciato a molte possibilità ogni volta e tutto quello che fai tu è buttarmi a terra
E mi ci è volute molto, piccolo, ma ho capito
E tu pensi che andrà di nuovo bene ma non questa volta
 
 
***
 
Ed ecco il terzo capitolo, che mi è venuto persino più lungo del secondo XD E’ che non riuscivo a trovare un modo per spezzarlo senza interromperlo xD Dal prossimo capitolo mi conterrò, ve lo giuro ^^ La canzone che ho usato in questo capitolo è “You’re not sorry” di Taylor Swift.
Lasciate una recensione piccina picciò? Andiamo, non fatemi sentire sola, se no poi mi scoraggio e perdo l’ispirazione per il prossimo capitolo ^^””
Come vi è sembrato questo capitolo? Sorpresi? O vi aspettavate qualcosa? ^^
Ringrazio tantissimo Sailorm, che con le sue recensioni mi da sempre la carica per portare avanti la storia ^^
 
*Kabukicho, è il famoso quartiere a luci rosse di Tokyo, e si trova nel centralissimo quartiere di Shinjuku. Questa zona è piena di club privati, salotti rosa, strip club ecc ecc. E’ vero che a Tokyo, Kabukicho è considerato il quartiere più malfamato della città, visto anche l’alto numero di membri della Yakuza che ovviamente gestiscono tutti i locali a luci rosse, ma siamo pur sempre a Tokyo. Quindi sentitevi liberi di vagare attraverso il quartiere in qualsiasi momento della giornata, noterete gente un pò strana e particolare, ma nessuno vi creerà alcun tipo di problema, a meno che non vi imbattiate in un salarymen particolarmente ubriaco e molesto.
 
Alla prossima ^^All this time I was wasting hoping you would come around
I’ve been giving out chances everytime and all you do is let me down
And its taking me this long but baby I figured you out
And you think it will be fine again but not this time around
 
 
Fosse stato per lui, Natsume non avrebbe mai preso l’ascensore in un gratta cielo solo per andare in un bar. In unbar in cui si pagava il coperto , per giunta. Eppure, a Mikan doveva piacere. Beh, in effetti da quell’altezza – circa 27 piani – si poteva vedere tutta Tokyo.
Le porte dell’ascensore si aprirono nuovamente con un tintinnio, e Ruka ed Hotaru fecero la loro entrata al Season Tokyo Bar in silenzio, frugando con lo sguardo i volti di tutti i presenti in cerca di un viso conosciuto. Natsume alzò la mano in alto, facendosi notare: era seduto davanti alla finestra del balcone, dove vi erano varie altre file di tavolini occupati da aitanti giovani gioiosi.
I ragazzi presero posto accanto all’amico, e immediatamente si voltarono verso l’ultimo tavolo nell’angolo sinistro del balcone, da dove era ben visibile la torre di Tokyo.
Hotaru tirò fuori la foto dal taschino interno della giacca blu che indossava, ponendola al centro del tavolo: Natsume rabbrividì nel rivedere ancora una volta Mikan, la sua Mikan, al centro di un mirino. Non c’erano dubbi però, chiunque avesse scattato quella foto alla ragazza, aveva occupato proprio il tavolino che occupavano adesso i tre amici.
« Che cosa facciamo adesso? » chiese Ruka, visibilmente accaldato da quell’afosa giornata di giugno. Nel frattempo un cameriere molto alto e magrolino si avvicinò per chiedere le ordinazioni: « Un frappé alla fragola per me, grazie. » chiese cortesemente Hotaru, un po’ scocciata. Natsume sollevò l’indice in alto: « Per me un caffè macchiato. ».
« Può indicarci il titolare? » domandò Ruka, speranzoso. Il cameriere scosse la testa imbarazzato: « Non viene a lavoro prima di mezzogiorno, mi spiace! » e si allontanò verso il bancone, prima che il biondino potesse fare la sua ordinazione.
« Che cosa vuoi dal titolare? » gli chiese Hotaru incuriosita, mentre Natsume li guardava di sottecchi, un po’ distratto.
« Potremmo mostrargli la foto, e lui potrebbe indicarci chi l’ha scattata. » propose il ragazzo dagli occhi azzurri, con ottimismo. T     roppo ottimismo. « La foto è stata scattata di mattina, il titolare non c’era. » lo liquidò Natsume, osservando ancora il viso buffo di Mikan nella fotografia sul tavolo. « Ma ci sono le telecamere! » affermò Ruka, indicando con un cenno della testa la telecamera posta sul muro dietro al bancone, verso la cassa.
« Sicuramente non terranno le registrazioni di quattro settimane fa. », disse con altrettanta sicurezza Hotaru, sbuffando.
Nel frattempo, il cameriere tornò indietro con le ordinazioni dei ragazzi, ma neanche in quel momento Ruka ebbe modo di chiedere un bicchiere d’acqua perché il ragazzo si defilò deponendo sul tavolo il loro scontrino.
« A proposito di soldi, come sono andati i vostri colloqui? » domandò Hotaru, prendendo a succhiare rumorosamente il frappé dalla cannuccia, guardando i ragazzi a turno.
Ruka fece un gran sorriso: « Inizio lunedì. ». Natsume roteò gli occhi al cielo. « Io sono venuto qui in taxi. Per forza non serve avere la patente, si va in giro a 20 all’ora. Le strade di Tokyo sono super trafficate. Il parchimetro va a tempo, non a kilometri, quindi l’agenzia ci guadagna lo stesso. ». « Non credo che sia legale… » mormorò Ruka, un po’ in pensiero. « Certo che non lo è! » ribatterono Natsume e Hotaru all’unisono, con le sopracciglia inarcate.
« Beh, l’importante è avere uno stipendio. Questo schifosissimo caffè costa 3000 yen. Incredibile! ». « La cosa incredibile – lo contraddisse Ruka – è che tu sei fuori dall’Accademia da appena un mese e sei già caffè dipendente. ». Hotaru rise appena, ma il suo sorriso si spense non appena i suoi occhi si posarono nuovamente sulla foto, facendole tornare in mente il certificato di Rehab di Mikan. O di Akari. Non era ancora molto chiara quella faccenda.
Era evidentemente che Ruka si era reso conto con altrettanta velocità dell’infelice scelta di parole, ma né lui né Natsume aggiunsero nulla.
« Che cosa facciamo? » domandò Natsume, scrutando l’interno della sua tazzina sperando quasi di leggervi una qualche mappa speciale che lo avrebbe guidato da Mikan.
« Direi di fare il punto della situazione. » iniziò Hotaru col suo solito tono pratico, giocherellando con la cannuccia nel frappè. « Sappiamo che qualcuno ha evidentemente spiato Mikan, e che ha necessariamente spiato anche noi. Avete notato qualcuno di sospetto vicino a voi, nei giorni scorsi? Siete stati seguiti da qualcuno? »
Natsume scosse la testa con sicurezza: se qualcuno lo avesse seguito se ne sarebbe accorto.
Ruka non sembrava altrettanto sicuro, ma scosse la testa anche lui: « Non mi sono accorto di nulla. » disse, sconfortato.
« Nonostante siamo qui, e abbiamo certezza che Mikan fosse qui 4 settimane fa, siamo del tutto punto e a capo. Come possiamo farla a trovare? Non ci cadrà tra le braccia da un momento all’altro. » commentò la ragazza dai capelli scuri, scostando da sé il bicchiere col frappé ormai terminato.
« E allora che dobbiamo fare? » chiese Ruka, un po’ contrariato.
« Dobbiamo continuare a cercarla. » affermò Natsume, lasciando cadere alcune banconote sullo scontrino. « D’accordo. » , disse Ruka docilmente, tenendo gli occhi fissi su quel tavolo all’angolo sinistro del balcone, immaginando Mikan, la Mikan che si ricordava, che gli sorrideva fiduciosa. « Bene. », disse Hotaru, seguendo lo sguardo del biondino, « Andiamocene. »
Si alzarono dal tavolo insieme, avviandosi nuovamente verso l’ascensore.
« Tu che fai, adesso? », chiese Ruka a Natsume, mentre premeva il bottone per chiamare l’ascensore. « Beh, in teoria sto lavorando. Credo che il mio turno duri fino a mezzo giorno. Terrò gli occhi aperti, e procederò a passo di tartaruga. » borbottò il ragazzo dagli occhi cremisi, sospirando. « Allora, noi possiamo dividerci e continuare a cercare in giro. » propose Hotaru, riponendo la fotografia nel taschino della sua giacca, mentre le porte dell’ascensore si spalancavano di fronte a loro . « D’accordo. », approvò Ruka, mentre entravano tutti nell’ascensore.
 
***
 
Dopo che Ruka e Hotaru se n’erano andati, Natsume inizialmente era rimasto nel suo taxi in attesa di clienti. Dopo 43 minuti trascorsi seduto al posto di guida, parcheggiato sotto il sole, aveva deciso di uscire dall’auto e salire al bar a prendersi un altro caffè. Ruka aveva decisamente ragione riguardo alla sua mania. Ma il caffè era così buono, e sembrava renderlo più lucido.
Era ormai quasi mezzo giorno, e il traffico stava finalmente calando: peccato però che nessuno dei passanti sembrasse aver bisogno di un taxi.
Natsume chiuse la macchina premendo il tasto automatico sulla chiave, e si stiracchiò pigramente: in lontananza, sentì delle esclamazioni confuse e degli urletti. Qualcuno stava correndo nella sua direzione, urtando le altre persone sul marciapiede con incuranza.
Quanta gente strana a Tokyo, pensò Natsume, mentre riponendo la chiave nella tasca dei jeans fece un primo passo avanti per rientrare nel grattacielo.
« Attenzione! » gridò Mikan, che stava correndo verso Natsume a passo spedito e superandolo in un batter d’occhio. Natsume in un primo momento si arrestò sospeso, seguendo con lo sguardo la ragazza che lo aveva superato e che, inaspettatamente, si era fermata piegandosi sulle ginocchia per riprendere fiato, rivolta verso di lui.
 Era Mikan. Indossava una gonna rosa lunga fino al ginocchio e una maglietta gialla su cui pareva fosse stato asciugato un pennello nero: i suoi capelli castani erano lunghi e sciolti, e le circondavano il viso un po’ in disordine per la corsa.
« Tu… » disse Mikan, col fiato corto, cercando di rimettersi in piedi.
Era Mikan, e lo aveva riconosciuto.
« Tu sei… in servizio? » gli domandò la ragazza, implorandolo con gli occhi di dire sì. Oh, Natsume non era decisamente pronto a quegli occhi castani che si rispecchiavano nei suoi, senza riconoscerlo. In quelle molte notti insonni trascorse a Tokyo aveva pensato mille volte al modo in cui avrebbe incontrato Mikan, e quello scenario non gli si era mai presentato.
« Sì. » confermò un po’ col fiato corto anche lui.
Mikan gli sorrise timidamente: « Puoi portarmi a Kabukicho il più velocemente possibile? », domandò, mentre il suo volto si animava di nuovo di apprensione.
Anche se Natsume non aveva idea di dove si trovasse il quartiere a cui Mikan alludeva, lui annuì e riaprì la macchina, facendole cenno di entrare. Entrò in macchina e non appena ebbe inserito la chiave nel quadro, partirono. Mikan si era seduta nel sedile posteriore di mezzo, in modo da avere una visuale completa della strada.
« Ma… non dovresti mettere la cintura? » gli domandò imbarazzata e altrettanto preoccupata, mentre se la allacciava anche lei. Natsume la guardò dallo specchietto retrovisore ed ebbe un colpo al cuore. « C-certo. » disse, mentre se la allacciava e prendeva la sinistra, guidato dall’intuito.
Guidato dall’intuito in una strada con divieto d’accesso. Natsume imprecò a mezza voce e si maledì mentalmente nel vedere Mikan che lo guardava preoccupata, tenendosi saldamente al sedile posteriore. « Ma.. dove mi stai portando? » gli chiese Mikan con una nota di preoccupazione ben udibile nella voce: « Guarda che se stai facendo la strada più lunga per far camminare il parchimetro puoi farmi scendere subito, non ho molti soldi con me. » confessò risentita, cercando di capire se lo strambo autista di quel taxi avesse un secondo fine nello scarrozzarla in macchina per strade sbagliate. « Che cosa? Certo che no! » dichiarò Natsume, rispondendo istintivamente come non gli capitava da tempo.  « Dov’è Kabukicho?? » si costrinse a chiedere, mentre svoltava nuovamente nella strada in cui era parcheggiato poco prima.
Dovette frenare bruscamente, per evitare un enorme camion dei pompieri che aveva attivato la sirena proprio in quel momento: Natsume sospirò di sollievo e strinse le mani sudate intorno al volante più saldamente. Che spavento!
« Oh, no! » strillò Mikan, portandosi una mano alla bocca con aria disperata. « Segui quel camion dei pompieri! » gli ordinò pallida, scuotendo la testa in preda ad una preoccupazione solo sua. Natsume sbuffò, premendo sull’acceleratore per cercare di raggiungere il camion che si allontanava velocemente da loro. Già da 7 isolati prima della loro meta, nel cielo si vedeva il fumo nero che caratterizzava un incendio doloso.
Mikan si sporse verso il parabrezza per osservare meglio: in pochi secondi gli occhi le si inondarono di lacrime. Natsume si morse la lingua: per quale motivo non riusciva a trovare niente da dirle? Aveva aspettato 13 anni per rivederla. Anche se non era più lei. Sembrava così diversa… a guardarla così da vicino, era estremamente magra. Sembrava fosse intera per miracolo.
Seguendo il camion dei pompieri, Natsume svoltò a sinistra e vide una folla enorme aprirsi a ventaglio per lasciar passare il camion il più vicino possibile all’edificio che stava andando in fiamme: un condominio dall’aria veramente vecchia e precaria. Prima che Natsume spegnesse la macchina Mikan schizzò fuori, tremante ed estremamente pallida. Natsume uscì dall’auto e guardò verso l’alto, valutando la gravità della situazione: Mikan, al suo fianco, sarebbe caduta in ginocchio a momenti se lui non l’avesse prontamente sostenuta. La ragazza, sentendo le braccia forti di Natsume sostenerla, lo guardò negli occhi sorpresa: « Ti sei fatta male? » le chiese lui, apprensivo, lasciandola andare subito dopo. Lei scosse la testa, guardandolo come se lo stesse vedendo per la prima volta, dimentica dell’incendio che abbracciava l’intera facciata dell’edificio solo per un istante. Una finestra andò in frantumi, e mille piccoli pezzi di vetro caddero sulla folla: i pompieri si alternavano fuori e dentro il camion montando la pompa, mentre altri cercavano di indirizzare la calca lontano dal potenziale raggio d’azione delle fiamme.
« Devo… devo trovare Yuka. » disse quasi a mo’ di scusa, scostandosi da Natsume e dirigendosi verso le persone che si erano riunite per guardare.
« Non ti lascio… » mormorò Natsume, seguendola immediatamente. La vide spingersi nel mezzo della folla alla ricerca di qualcuno: intanto arrivò anche l’ambulanza, e una squadra di paramedici scese andando in contro alla folla per rendersi utile.
« Hana! » chiamò Mikan, rivolgendosi ad una giovane donna dai capelli biondi che teneva in braccio un bambino che poteva avere al massimo 2 anni, e fissava le fiamme inebetito ma affascinato, come se stesse guardando un cartone animato particolarmente colorato.
La ragazza si voltò verso Mikan, e le due si abbracciarono: « Mikan! » la chiamò Hana, con enorme sorpresa di Natsume. « Per fortuna sei qui! Pensavo che fossi ancora lì dentro! ».
Mikan scosse la testa ansiosa e si separò da Hana tremante: « Dov’è Yuka? Non è con te? ».
Natsume trattenne il fiato, tenendosi a distanza, cercando di dare un senso alla conversazione a cui stava assistendo. « No! Pensavo fosse con te! Oddio, Mikan, se avessi saputo… ».
Prima che Hana potesse finire la frase Mikan si allontanò da lei, dirigendosi verso l’entrata del condominio in fiamme. Natsume l’afferrò per il polso, sorprendendosi di quanto fosse fino:
«Che hai intenzione di fare? » le chiese, chiaro e conciso. Lei lo guardò sorpresa, e chiuse gli occhi un istante come se la vista del ragazzo le provocasse dolore. « Devo entrare! Yuka è ancora dentro! ». Yuka? Non era possibile. La madre di Mikan era morta nell’Accademia, 13 anni prima. Ma a chi altro poteva riferirsi?  Gli occhi di Mikan si inondarono nuovamente di lacrime e di nuovo traballò, come se stesse per cadere.  Natsume la tenne stretta e alzò nuovamente lo sguardo su quelle fiamme: erano troppo alte e troppo estese perché lui, con il suo Alice, ruscisse a domarle. Senza contare il fatto che, 13 anni prima, dopo aver accettato finalmente il dono di Mikan, aveva promesso a se stesso che non avrebbe mai più usato l’Alice del Fuoco.
Maledizione!, imprecò mentalmente, sentendosi impotente; un altro vetro esplose, e Mikan, spaventata, si scagliò contro il suo petto. Se solo non ci fosse stata tutta quella puzza di fumo, Natsume avrebbe potuto sentire di nuovo il suo profumo.
 « S-scusami! » disse Mikan dopo pochi secondi, separandosi da lui. « Non capisci, Yuka è narcolettica! Potrebbe dormire adesso e non accorgersi di nulla! ». Natsume scosse la testa e la spinse verso di sé, impedendole di andare: « Vado io. Dimmi il numero del piano. » le ordinò con voce sicura, inchiodando i suoi occhi cremisi in quelli castani di lei. « No! », gridò lei, sciogliendo la stretta che la teneva al suo petto. « Non ti conosco nemmeno! Come posso affidarti una cosa così importante per me? » gli domandò lei, confusa, in viso ancora l’espressione dolorante di prima. « Perché l’hai già fatto! » le rispose Natsume, sorpassandola e correndo verso l’edificio. Ebbe appena il tempo di scrivere un sms a Ruka facendogli sapere dove si trovava, e poi si tuffò nelle fiamme all’ingresso: sentì uno dei pompieri ancora all’esterno gridargli di stare lontano dall’edificio, ma lo ignorò. Era già dentro a respirare con la stoffa della maglietta davanti al naso, quando si rese conto che non aveva idea del piano a cui si trovasse Yuka.
« Yuka! », iniziò a gridare invano, salendo su per le scale per salire ai piani alti.
« AL NONO PIANO! YUKA SI TROVA AL NONO PIANO! ». La voce metallica di Mikan traslata da un alto parlante lo raggiunse fin dentro l’edificio, guidandolo.
Le fiamme erano sulle scale già al secondo piano, e più saliva meno riusciva a vedere a causa del fumo nero che riempiva l’aria. Con il suo Alice tentò di arginare le fiamme intorno a lui, in modo da poter procedere fino al nono piano: arrivò a destinazione, sfondò la porta dell’unico appartamento presente in quel piano e si trovò di fronte ad un salottino modesto e decisamente arso dalle fiamme. Il lato esterno della sala, quella che un tempo doveva essere la cucina, era esplosa: vi era un enorme varco da cui era possibile vedere il cielo.  Sembrava che l’incendio avesse avuto origine da lì. Era per quello che quando aveva incontrato Mikan, lei era così di fretta?  
Non c’era tempo per pensare: « Yuka! » iniziò a gridare a gran voce, tentando di attirare l’attenzione della persona ancora intrappolata nell’appartamento. Niente.
« Yuka! », chiamò ancora, mentre il fiato iniziava a venirgli a mancare, insieme al respiro.
All’improvviso, perse il controllo del suo Alice: le fiamme si alzarono fino ad ostruirgli la strada per il corridoio. Cadde in ginocchio, tentando di riprendere il monopolio sulle fiamme: dopotutto, considerando gli anni che aveva passato senza usarlo, doveva ritenersi fortunato ad averne mantenuto il controllo abbastanza da arrivare al nono piano di quel condominio.
Aveva trovato Mikan, per poi morire tra le fiamme di un incendio. E pensare che aveva sempre creduto che sarebbe stato il suo stesso Alice, ad ucciderlo. C’era una sorta di giustizia divina, in tutto quello che gli era accaduto da quando aveva finalmente lasciato l’Accademia.
Ma qualcuno stava seguendo Mikan; doveva proteggerla.
Si rimise in piedi con difficoltà, ma con rinnovata volontà: doveva tornare giù con Yuka, per Mikan.
Alzò nuovamente gli occhi verso le fiamme che ostruivano il corridoio e alzò una mano verso di loro, tentando di abbassarle quel tanto che bastava a lasciarlo passare: le fiamme danzarono sotto il controllo di Natsume e s’inchinarono, rivelando la presenza di una bambina. Indossava un pigiama rosa a fiorellini, aveva lunghi capelli castani legati in due codini ai lati della testa, i suoi occhi color miele lo scrutavano con curiosità: era la copia in miniatura della Mikan bambina che aveva conosciuto in Accademia. Stava avendo forse un’allucinazione? Aveva respirato troppo fumo.
Le fiamme gli sfuggirono nuovamente di mano, e la sua allucinazione strillò un grido e saltò all’indietro, iniziando a piangere. « Yuka?? » domandò allora Natsume, incredulo.
Il cuore gli si fece pesante come un masso e collassò, ma il ragazzo cercò di farsi forza e tentò nuovamente di possedere le fiamme che divampavano sulla soglia del corridoio: non si era mai sforzato così tanto in vita sua per controllare il fuoco. Sentiva come una nota di disturbo al suo potere… Che trascurandolo, lo avesse perso? Ridicolo.
Aveva trascorso così tanto tempo a rinnegare il suo Alice, che perderlo a quel modo era del tutto assurdo. Così come lo era, per lui, morire bruciato. Una sorta di giustizia divina?
Con uno sforzo di volontà, Natsume si protese verso le fiamme in un ultimo, disperato tentativo di diradare le fiamme e liberare la bambina. Poi accadde l’impensato: le fiamme intorno a Yuka persero vigore e scomparirono, lasciandosi alle spalle solo un po’ di fumo nero. La bambina cadde per terra come un birillo, e Natsume in quell’istante ebbe paura sul serio. Si slanciò verso di lei ritrovandosi immediatamente a corto di fiato, sentiva i muri del palazzo stridere e quasi stringersi intorno a loro, pronti ad inglobarli. Prese Yuka tra le braccia e si tuffò verso la porta: ormai l’aria era satura di fumo e gli occhi gli bruciavano nel tentativo di vedere le scale, di trovare una via di fuga. L’uso dell’Alice del Fuoco lo aveva stremato.
 
***
Quando Ruka ricevette l’sms di Natsume, si trovava per le strade di Tokyo a vari isolati di distanza dal loro appartamento, dove invece si trovava Hotaru.
La chiamò immediatamente al telefono:
« Hotaru! »
«… Ruka? Che succede? »
« L’ha trovata! Natsume l’ha trovata! »
« … Dove? »
« A Kabukicho. »
« Cosa?? Ma è… »
« Sì, lo so cos’è, ma sbrigiamoci! C’è un incendio! »
« Chiamo un taxi. Sbrigati a venire a casa! »
Chiuse la conversazione e iniziò a correre verso casa; arrivò un quarto d’ora dopo, il taxi era già sotto casa ad aspettare lui. Entrò e il tassista partì, evidentemente Hotaru gli aveva già comunicato la destinazione: « Che cosa vuol dire che c’è un incendio? » chiese Hotaru a Ruka, mentre lui si metteva la cintura di sicurezza. « Non ne ho idea! », ribatté il biondino, porgendo il suo telefono alla ragazza perché leggesse l’sms di Natsume.
Arrivarono in una zona bloccata al traffico, nelle immediate vicinanze del palazzo in fiamme, così pagarono il tassista e continuarono a piedi fino al luogo dell’incendio. Si era radunata lì intorno talmente tanta gente, come avrebbero fatto a vedere Mikan?
« La vedi?? » chiese Ruka ad Hotaru, nervosamente, mentre tentava di mettersi sulle punte per riuscire a individuare la cara amica tra la folla.
Hotaru scosse la testa frustrata, facendosi strada in mezzo alla gente a spintoni e tirandosi dietro il ragazzo. « Se è qui che vive, probabilmente sarà tra le prime file! » gridò Hotaru, per sovrastare il frastuono di mille voci preoccupate o solo incuriosite che riempivano l’aria.
Arrivarono al punto che la gente si apriva davanti a loro come un ventaglio per farli passare, perché la loro espressione preoccupata li induceva a pensare che abitassero in quel povero, vecchio edificio divorato dalle fiamme. Udirono uno spiraglio di conversazione da due ragazze allarmate che parlavano accanto a loro: « E adesso dove andremo a vivere? » si chiese una delle due, preoccupata. « Oh, spero non di nuovo con le suore! », si lamentò l’altra, mentre si puntellava in avanti per vedere meglio il rogo. « E dire che dovevano ristrutturarla il mese prossimo. La nostra casa famiglia. Ancora non ci credo. Era l’unica riservata alle madri giovani con figli a carico… dove andremo a vivere?».
I due si irrigidirono. « Chiamo Natsume al telefono. » affermò Ruka, mentre tirava fuori il cellulare e componeva velocemente il numero dell’amico. « Ok. » rispose Hotaru, continuando a cercare tra i volti sconosciuti il viso di Mikan. Oh, ma dov’erano?
Ormai erano tra le prime file. Si udì un suono sinistro  provenire dal palazzo davanti a loro, e immediatamente i vigili del fuoco che non erano occupati a tentare di spegnere l’incendio spinsero indietro la folla: « Il palazzo sta per crollare! ».
« C’è ancora qualcuno dentro! », strillò una ragazza seduta su una barella circondata dai paramedici, che le stavano misurando la pressione. « Si calmi, signorina! » tentò di rabbonirla il paramedico che le contava i battiti, un po’ preoccupato.
« Ruka… » mormorò Hotaru, voltando la testa verso la ragazza che aveva parlato poco prima. Il ragazzo seguì lo sguardo di lei e… eccola, Mikan: i suoi capelli castani sciolti intorno al viso, i suoi occhi determinati e… il volto scarno. Era magra da morire.
Visto che Hotaru sembrava essersi pietrificata, Ruka la prese per il polso e fu il suo turno di spintonare la gente fino a giungere vicino a Mikan.
Lei, si accorse Hotaru con un sospiro affranto, non si era nemmeno accorta che si erano avvicinati: era troppo impegnata a scrutare attenta l’ingresso, nonché l’ultima via d’uscita di quel palazzo.
« E’ sicura che c’è ancora qualcuno dentro? » le chiese preoccupato il paramedico, che sembrava essere l’unico ad averle prestato attenzione, mentre riponeva lo sfigmomanometroin un astuccio sulla barella.  « Sì. » rispose Mikan risoluta e anche all’apparenza un po’ confusa, scendendo dalla barella: « è il tassista che mi ha portato a casa. E’ entrato per colpa mia, sarei dovuta entrare al posto suo… ». Mikan iniziò nuovamente a singhiozzare; oh, Hotaru detestava vederla piangere.
« Sei la solita piagnucolona. » sbottò infatti, attirandosi gli sguardi straniti sia di Ruka che del paramedico, ma non di Mikan. Lei la guardava… esattamente come se la vedesse per la prima volta in vita sua. Non ribatté, e si asciugò le lacrime con i palmi delle mani.
« Ci… ci conosciamo? » le chiese, tirando su col naso.
Hotaru trattenne il fiato: « No. Ma c’è un mio amico, lì dentro l’edificio in fiamme. » mormorò la ragazza dai capelli neri, prendendo la mano di Ruka e stringendogliela. Il biondino era veramente stupito, che Hotaru manifestasse i suoi sentimenti in pubblico a quel modo, ma non disse nulla, ricambiando semplicemente la stretta.
Mikan fece per dire qualcosa, ma il palazzo brontolò rumorosamente, sollevando un polverone pazzesco intorno a loro: alcuni enormi massi si staccarono dall’edificio ed iniziarono a cadere. Era uno spettacolo bizzarro. La folla si fece indietro in modo confusionario,le persone  inciampavano l’uno sull’altro. « Dobbiamo spostarci! » gridò il paramedico, cercando di fare strada ai tre ragazzi ora in piedi vicino a lui. Protestarono immediatamente: « Non se ne parla nemmeno! », « Assolutamente no! ». Il paramedico ci rinunciò subito,allontanandosi da loro.
« Voi tre, là! » gridò uno dei vigili del fuoco, indicandoli da lontano.
Hotaru e Ruka si voltarono verso l’uomo, ma Mikan tenne lo sguardo sull’ingresso, in attesa: uscì un'altra ondata di fumo, proprio da lì.
E all’improvviso eccolo: Natsume, con in braccio un fagottino rosa, che correva verso l’esterno proprio mentre un ultimo, enorme masso stava per cadere su di lui.
« NATSUME!!! », urlò Mikan a pieni polmoni, slanciandosi verso di lui per raggiungerlo esattamente mentre intorno al suo sterno si chiudevano le braccia fasciate in arancione fosforescente del vigile che li aveva richiamati poco prima.
Hotaru e Ruka si guardarono sconvolti, mentre il masso cadeva dove pochi attimi prima si trovava il ragazzo dagli occhi rossi che, a sua volta, li guardava sconvolto, la bocca semi aperta dalla sorpresa.
« Si tolga immediatamente da lì, è pericoloso! ».
Un piccolo gruppo di paramedici raggiunse Natsume, e faticarono per togliergli dalle braccia quella che si dimostrò essere una bambina piccolissima, svenuta.
« L’hai sentita anche tu? » sussurrò Ruka a bassa voce, tutta i suoi sensi rivolti ad Hotaru.
Lei gli lasciò la mano, e si voltò a guardarlo negli occhi: stava piangendo.
« Signorina?? Mi servono dei paramedici! » gridò il vigile dietro di loro, che stringeva tra le braccia una Mikan mogia mogia, priva di sensi.
 
 
Ho sprecato tutto questo tempo sperando che ti saresti fatto vivo
Ho rinunciato a molte possibilità ogni volta e tutto quello che fai tu è buttarmi a terra
E mi ci è volute molto, piccolo, ma ho capito
E tu pensi che andrà di nuovo bene ma non questa volta
 
 
***
 
Ed ecco il terzo capitolo, che mi è venuto persino più lungo del secondo XD E’ che non riuscivo a trovare un modo per spezzarlo senza interromperlo xD Dal prossimo capitolo mi conterrò, ve lo giuro ^^ La canzone che ho usato in questo capitolo è “You’re not sorry” di Taylor Swift.
Lasciate una recensione piccina picciò? Andiamo, non fatemi sentire sola, se no poi mi scoraggio e perdo l’ispirazione per il prossimo capitolo ^^””
Come vi è sembrato questo capitolo? Sorpresi? O vi aspettavate qualcosa? ^^
Ringrazio tantissimo Sailorm, che con le sue recensioni mi da sempre la carica per portare avanti la storia ^^
 
*Kabukicho, è il famoso quartiere a luci rosse di Tokyo, e si trova nel centralissimo quartiere di Shinjuku. Questa zona è piena di club privati, salotti rosa, strip club ecc ecc. E’ vero che a Tokyo, Kabukicho è considerato il quartiere più malfamato della città, visto anche l’alto numero di membri della Yakuza che ovviamente gestiscono tutti i locali a luci rosse, ma siamo pur sempre a Tokyo. Quindi sentitevi liberi di vagare attraverso il quartiere in qualsiasi momento della giornata, noterete gente un pò strana e particolare, ma nessuno vi creerà alcun tipo di problema, a meno che non vi imbattiate in un salarymen particolarmente ubriaco e molesto.
 
Alla prossima ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Memories ***


Feels like I’m waken from the dead
And everyone’s been waitin’ on me
‘Least now I’ll never have to wonder
What it’s like to sleep a year away
 
 
« Signore… signore, si svegli. »
Natsume sobbalzò, aprendo gli occhi sul fagottino rosa che stringeva ancora tra le braccia: rinsaldò la presa, ed alzò lo sguardo sull’infermiera a pochi passi da lui.
« … Mi dica. » disse, con la voce un po’ impastata dal sonno. « Dovrebbe andare a casa. Non può dormire in pronto soccorso. » sussurrò a bassa voce la donna, un po’ dispiaciuta.
Quella frase bastò a far rinsavire del tutto Natsume, che nuovamente strinse le braccia attorno a Yuka, e poi guardò Mikan, addormentata nel letto di fronte a lui, del tutto inconsapevole della sua vicinanza. Da addormentate, Yuka e Mikan avevano la stessa espressione distrutta.
« … Non posso andare a casa. Questa bambina… è sua figlia. Non posso portarla a casa con me. E non voglio lasciare sola lei. ». Ogni singola parola gli era costato uno sforzo immenso. Anche lui, dopo aver passato 9 ore seduto su quella rigidissima sedia, era distrutto. Anche se, a distruggerlo, erano state le troppe scoperte delle ultime ore.
« Potrete tornare domattina alle 8, non appena la signorina si sarà svegliata. Se adesso non se ne va da solo, sarò costretta a chiedere alle autorità di scortarla. » insistette l’infermiera.
« D’accordo. » sbuffò Natsume, alzando gli occhi al cielo. L’infermiera annuì con approvazione e si allontanò nuovamente, uscendo dalla saletta dove si trovava Mikan.
Natsume si alzò lentamente, facendo attenzione a non fare troppo rumore, e nuovamente lasciò che i suoi occhi si posassero sul profilo di Mikan: i suoi capelli castani erano sparsi sul cuscino intorno al suo viso estremamente pallido, le sue labbra erano rosse e sotto gli occhi aveva delle scure occhiaie violacee. Tenendo Yuka con un braccio solo, Natsume abbassò l’altro fino a sfiorare con la punta delle dita quelle di Mikan; quanto gli faceva male il braccio! Se l’era addormentato, a tenerlo fermo per così tante ore. Il ragazzo fece scorrere le dita lungo l’avambraccio di Mikan, fino a giungere ad alcune cicatrici traslucide, che risaltavano sulla sua pelle chiara.
Yuka si mosse tra le sue braccia, sistemando la testa tra il suo gomito e il suo petto, senza emettere un suono. Quante cose da accettare, in così poco tempo.
Con la mano ancora libera, Natsume si sfilò il cellulare dalla tasca e scrisse un sms a Ruka, che venne a prenderlo poco dopo. Nonostante fossero le 10, per strada c’era ancora tanto traffico.
Natsume iniziava ad odiare sinceramente Tokyo.
 
***
 
Non appena varcarono la soglia di casa, Yuka iniziò a lamentarsi tra le braccia di Natsume.
« Ruka… tu che lavori in un ambulatorio veterinario, secondo te che cos’ha? », chiese all’amico, guardando un po’ spaventato la bambina lanciargli un’occhiataccia, senza fiatare.
Ruka rise: « Un ambulatorio veterinario, non pediatrico! ».
Hotaru li raggiunse in soggiorno pochi secondi dopo, gli occhi un po’ arrossati e lo sguardo fisso sulla bambina. « Deve andare in bagno. » sentenziò poco dopo, guardando Natsume con fare accigliato. Natsume la guardò con ammirazione: « Come fai a dirlo? ».
La bambina si portò una mano alla bocca, con fare annoiato, incurante dell’attenzione che aveva su di sé: ed ecco che Natsume avvertì una sensazione strana, si sentiva… bagnato. E caldo.
« Non-è-vero. » sillabò, mettendo le mani sotto le ascelle della bambina ed allontanandola da sé: dai suoi pantaloni sgocciolava ancora pipì.
Ruka fece un piccolo passo indietro, tappandosi il naso, mentre Hotaru a stento tratteneva un sorriso. « Portala immediatamente in bagno! » lo ammonì poi, facendosi da parte per far passare Natsume.
Portò la bambina in bagno e la fece sedere nella vasca da bagno. Si tolse la maglietta imprecando a gran voce, per poi zittirsi nel vedere dallo specchio che la bambina si era messa in piedi e lo osservava interessata dal bordo vasca.
« Tu!  - le disse, indicandola – perché non mi hai detto che dovevi fare pipì?? », le domandò, incredulo. Udendo Ruka e Hotaru ridere sommessamente al di la della porta, il ragazzo dagli occhi cremisi si zittì, mordendosi le labbra.
Persino Yuka rise, in un modo quasi fastidiosamente squillante. Guardando il suo sorriso, nella mente di Natsume fece inevitabilmente capolino quello di Mikan.
Mikan. Quante cose avrebbe voluto domandarle.
Dopo essersi messo una baglietta pulita – ed aver bruciato quella che indossava poco fa, tornò a dedicarsi alla bambina nella vasca.
Oltre ad avere il pigiama bagnato dalla vita in giù, aveva una mano immersa in un barattolo di balsamo al cocco e un'altra in bocca. Gli occhi rossi di Natsume di dilatarono dalla sorpresa: «
Ferma lì! » la bloccò lui, tentando di imitare la voce severa di suo padre. La tirò fuori dalla vasca e la tenne ferma al suo fianco con un braccio, mentre con l’altro la sporse verso il lavandino, lavandole le mani. La piccola Yuka si lamentò a gran voce dell’acqua fredda, e poi dell’acqua bollente. Natsume era esasperato, e la bambina era sull’orlo delle lacrime.
Lo guardava con la stessa espressione offesa di Mikan. Quanto era difficile guardarla negli occhi.
Anche dopo averla lavata e cambiata – in realtà indossava la maglietta più piccola che Hotaru riuscì a trovare -  Yuka non smise di piangere.
« Che cosa devo fare?? », chiese Natsume disperato, agli amici. Ruka e Hotaru non erano più preparati di lui in materia bambini, ma tentarono di calmare la bambina giocando con lei. E funzionò, per circa un quarto d’ora. Poco dopo erano di nuovo punto a capo.
In quel breve tempo che avevano trascorso insieme da quando si era svegliata, Natsume aveva capito un po’ di cose di lei: non parlava, non camminava, voleva stare sempre tra le braccia di qualcuno.
Ce l’aveva Hotaru tra le braccia, quando la vide sporgersi verso Ruka, che stava addentando con voracità una mela verde.
« Ma certo! » sbottò Natsume, in contemporanea con Hotaru: « Ha fame! ».
Hotaru strappò la mela dalle mani del ragazzo e la piazzò di fronte alla bambina: Yuka la afferrò con le sue piccole manine grassottelle, e quasi le cadde per terra. Natsume giunse in suo soccorso sostenendole la mela ed avvicinandogliela alla bocca. Il risultato? Una mela morsa da Ruka da un lato e sbavata dall’altro. Ben presto persino Yuka manifestò la sua frustrazione, riprendendo a piangere copiosamente. « Ragazzi, non credo che sia in grado di mangiare qualcosa di così solido. », ipotizzò Ruka, guardando la bambina allontanare la mela dal viso e mettersi un ditino in bocca.
« No, cattiva Yuka! » disse Natsume, con la voce più strana che Hotaru e Ruka gli avessero mai sentito usare. Lo guardarono basiti, e lui quasi arrossì, prendendo la bambina dalle braccia di Hotaru. Ad ogni modo, l’ammonimento ebbe l’effetto desiderato perché la bambina si tolse le dita dalla bocca e prese a piagnucolare a bassa voce, soffiando tra le labbra piccole bollicine di saliva.
« Ci penso io a te. »
 
***
 
« Akari Miho? Sono venuti a prenderti. »
Mikan alzò lo sguardo lentamente, tenendo la testa bassa: dall’altro lato delle sbarre, oltre la scrivania del poliziotto, un ragazzo dai capelli rossi e gli occhi viola la guardava con aria abbattuta. Oh, com’era stanca di essere guardata in quel modo, da tutti.
Cercò di alzarsi, ma la cella intorno a lei prese a girare e ricadde nuovamente sul materasso spoglio per terra. Il poliziotto disse qualcosa tipo “è troppo fatta per parlare”, e aprì la porta di inferriate, che battè contro il muro. Che rumoraccio!
Mikan si portò le mani alle orecchie, cercando di scacciare dalla testa quel rumore stridente, e quando le dita grassocce dell’uomo si strinsero attorno al suo avambraccio iniziò a gridare e scalciare. Il ragazzo dai capelli rossi venne in aiuto del poliziotto e la immobilizzò contro il suo petto, mentre lei continuava imperterrita a battergli i pugni sulla schiena.
« E’ una micetta arrabbiata! » esclamò l’odioso poliziotto, come se ci trovasse qualcosa di divertente in quella situazione.
Il ragazzo che teneva Mikan non rise, mentre le sussurrava all’orecchio qualcosa per farla calmare invano.
« La cauzione è sulla scrivania. Grazie per averla tenuta dentro fino al mio arrivo. », disse lui, uscendo dalla stazione di polizia con la ragazza che ancora si ribellava tra le sue braccia.
Entrarono in un taxi, che li lasciò nelle vicinanze dell’appartamento di lui; a quel punto Mikan aveva smesso ormai da un po’ di ribellarsi, e camminava un po’ fiaccamente al fianco del ragazzo. Salirono le scale fino al suo appartamento ed entrarono, nonostante le luci spente Mikan seppe raggiungere il divano letto in salotto e si stese lì sopra.
Il ragazzo la raggiunse, in piedi accanto al letto.
« Akari. »
Mikan non disse niente, il volto nascosto tra le braccia. « Andiamo… Devo visitarti. ».
« Perché? », domandò lei, con voce soffocata.
Anche lui non aveva un’espressione troppo felice. « … Mikan. ».
Lei, a sentirsi chiamare per nome, sbirciò verso di lui: era in piedi di fronte al letto, la guardava tristemente. La ragazza sbuffò e si alzò in piedi, prendendo la mano di lui, che la condusse in cucina, dove la fece sedere sul tavolo.
« Come stai? » le chiese, mentre la sua voce riprendeva il solito suono pratico che aveva sempre. « Ho mal di testa. Mi fa così male che non riesco a pensare. » si lamentò lei, mentre il ragazzo le illuminava gli occhi con una piccola torcia che aveva appesa al porta chiavi.
« Evidentemente hai bevuto troppo. » la ammonì il ragazzo, sospirando.
« Bere mi fa passare il mal di testa. » ribatté lei, testarda. « Anche quando ti passa la sbronza? » le domandò retoricamente il ragazzo dai capelli rossi, mentre le contava le pulsazioni. « Per questo non vorrei smettere di bere. », disse Mikan, con gli occhi bassi.
« Come sei finita dentro stavolta? », le chiese lui, prendendola per le spalle senza finire di contarle le pulsazioni. Mikan sobbalzò sorpresa,di solito lui evitava di toccarla quando non era costretto. « Io… non te lo dico. » si ribellò lei, stringendo i denti.
Allora lui fece qualcosa che la spaventò: dette un calcio alla gamba del tavolo su cui era seduta.
« Perché ti comporti da bambina?? », le gridò contro, ormai privo di pazienza.
« Perché non so nemmeno il tuo nome, e questo non è giusto perché tu sai il mio! » gridò altrettanto forte lei, scendendo dal tavolo. Il ragazzo fece l’espressione più strana che Mikan gli aveva mai visto assumere: sembrava che lo avessero schiaffeggiato. A vederlo così spiazzato, lei si pentì immediatamente di avergli gridato contro in quel modo, nonostante lui lo avesse fatto con lei. « Mikan… io ti ho già detto il mio nome. » mormorò lui, stupito.
« Che cosa? Non è vero! » negò lei, spaventata. Il ragazzo si fece serio: « Come sei finita dentro stavolta? », le chiese nuovamente.
Mikan iniziò a piangere: « Io… non me lo ricordo. »
 
***
 
Mikan aprì gli occhi lentamente; intorno a sé vedeva solo contorni sfocati.
« Si sta svegliando. » sentì dire da una voce femminile. « Che facciamo con lui, lo svegliamo? » disse ancora la voce di poco fa. « No, lascialo dormire. La bambina lo ha tenuto sveglio tutta la notte. », rispose a bassa voce un ragazzo. « Guardali… dormono come bambini. Anche lui, cioè. ».
Finalmente fu capace di mettere a fuoco la stanza, e i suoi sensi si riattivarono uno alla volta: udì il rumore in lontananza di un ventilatore da parete, sulla pelle il sentore ruvido delle coperte e negli avambracci la fastidiosa presenza di aghi. Poi un  bip bip bip che si faceva sempre più frequente.
Aprì gli occhi spaventata, e la prima cosa che vide fu Yuka, la sua bambina, tra le braccia di uno sconosciuto, un ragazzo della sua età dai capelli neri e le spalle grandi.
Eppure, non aveva l’aspetto di uno sconosciuto.
 
 
Mi sento come se mi fossi svegliata dal mondo dei morti
E tutti mi stessero aspettando
Almeno adesso so come ci si sente
Ad aver dormito per un anno intero
 
***
 
Ciaooo! Questa volta mi ci è voluto di più per l’aggiornamento xD Ho deciso di fare questo capitolo il più piccolo possibile, perciò questo è quel che mi è venuto fuori ^^
Grazie mille delle recensioni! Continuate a seguirmi e commentare supportandomi, perché sto perdendo l’ispirazione ^^””” 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1818987