Cade la neve

di Dani85
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Holly, jolly Christmas ***
Capitolo 2: *** It's Christmas once more ***
Capitolo 3: *** Via da questo inverno ***
Capitolo 4: *** Amore surreale ***



Capitolo 1
*** Holly, jolly Christmas ***


Titolo: Holly, jolly Christmas
Autore: Dani85
Fandom: Distretto di Polizia
Personaggi: Luca Benvenuto, Anna Gori, Nuovi personaggi
Paring: Luca/Anna
Genere: Generale, Sentimentale, Fluff
Rating: Verde
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Taodue srl che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in Distretto di Polizia, appartengono solo a me.
Word: 4.594
Tabella: Inverno
Prompt: 2. Regalo
Note: Post DdP9 – Titolo da Holly, jolly Christmas di Michael Bublé – Storia scritta per la Fluff Challenge di Contest & Mania Challange. Qui la mia tabella.
Un non tanto piccolo avvertimento prima di lasciarvi alla lettura: in questa shot vedrete due personaggi completamente nuovi, di cui non si è mai parlato prima. Sono due ragazzini, lei è la sorella di Anna - con cui condivide l'infelice infanzia rovinata da quello che era il padre -, lui il suo fidanzatino. Tanti trascorsi e storie loro perfettamente delineate (qui), creati dalla mente contorta di una mia amica (Fellik92) per una sua ff sui Lucanna e Distretto, ma resi talmente scemi che mi sono innamorata di loro, al punto da venire a creare delle ff di una ff!

Holly, Jolly Christmas

Angelica scalciò le coperte nel bel mezzo di un grande sbadiglio mentre Abel, dal centro del suo bozzolo di coperte, ficcava la testa sotto al cuscino mugugnando qualcosa di incomprensibile. Era una mattina di vacanza ed era presto – tanto tanto presto, a suo dire -, perché doveva alzarsi a quell'ora? Ovviamente tutta questa articolata e interessante questione era rimasta interamente nella sua testolina, persa nel mugolio assonnato con cui aveva protestato all'entrata di Anna in camera e ai movimenti di Angelica nel letto accanto al suo. La ragazzina lo aveva ignorato e, dopo aver infilato un paio di calze ad occhi chiusi, aveva scavalcato il letto del bambino per raggiungere la finestra ed alzare la persiana quel tanto che bastava per rischiarare la stanza. Abel si mosse infastidito nel suo fortino di coperte, braccia e cuscini mentre lei gli assestava una piccola pacca su quella che doveva essere una gamba.
«Muoviti dormiglione! È Natale!» gli bisbigliò piano per non urtarlo ancora di più, mentre scendeva dal suo letto e usciva dalla stanza con un'indistinta macchia nera al seguito.
Abel interruppe a metà il suo ennesimo borbottio, improvvisamente consapevole del perché dovesse alzarsi così presto: era Natale e c'erano i regali da aprire. Sveglissimo ed impaziente, calciò via le coperte e si tuffò fuori dal letto. Come un piccolo tornado – riccio e rosso – si precipitò in corridoio urlando esaltato.
«I regali, i regali, i regali, i re-»
Gli strepiti eccitati però, tutto ad un tratto, si mischiarono a delle urla confuse e dallo strano tono acuto. Allarmata, Anna uscì di corsa dalla cucina con ancora le due metà della moka in mano. Un'unica rapida occhiata le bastò a capire cosa fosse successo e dovette faticare per mantenersi seria. Angelica era schiacciata contro il muro, la bocca aperta in una comica o di stupore mentre Abel era a terra, accartocciato su sé stesso in un ingarbugliato groviglio di arti. E a completamento del quadretto c'era Investigattore, il gattino di casa, – l'indistinta macchia nera che faceva sempre da ombra ad Angelica – che soffiava minaccioso verso il bambino. Era evidente che nella sua frenesia natalizia, Abel era inciampato nel gatto e, conseguentemente, era ruzzolato per terra investendo anche il povero e incolpevole micio. Incolpevole questa volta perché, di solito, era lui che ti trotterellava tra i piedi rischiando di farti cadere. Anna infatti, era quasi sicura che la tremenda ginocchiata che Luca aveva dato una volta al tavolino del salotto nel disperato tentativo di non calpestare Investigattore, fosse alla base del leggero astio con cui lui lo guardava.
A distogliere la donna da quelle considerazioni fu proprio la voce di Luca, la cui sola testa spuntava oltre lo stipite della cucina.
«E poi dite che non è vero che la palla di pelo è pericolosa!» esclamò l'uomo scoccando un'occhiataccia al gatto, ancora immobile nella sua posizione di attacco.
«Investigattore non ha fatto niente!» protestò Angelica facendogli una linguaccia, «È stato Abel che l'ha travolto!» aggiunse mentre passava una mano sotto la pancia del micio e lo tirava su stringendoselo contro e accarezzandolo.
«Ahi, non l'ho fatto apposta!» si lamentò il bambino, prima di rialzarsi massaggiandosi il fondo schiena.
«Vuol dire che la prossima volta eviterai di correre in corridoio!» lo blandì Anna, la caffettiera ancora tra le mani, e poi gli scoccò un sonoro bacio su una guancia. «Buon Natale, amore!» gli sussurrò all'orecchio e il piccolo le restituì il bacio mentre le allacciava le braccia al collo.
«Buon Natale anche a te!» le biascicò nell'abbraccio per poi scivolare via a fare gli auguri sia ad Angelica che a Luca. Un attimo dopo era già saltellato in direzione dei regali che facevano bella mostra di sé esposti in un largo semicerchio, ai piedi dell'albero addobbato.
Ridacchiando, Angelica si avvicinò alla sorella per abbracciarla e poi fece lo stesso con Luca, mentre Investigattore si agitava tra le braccia della padroncina per assestare a Luca una piccola e umida leccata sul polso, a cui era arrivato intanto che lui ricambiava la stretta della ragazzina cingendole le spalle.
«Oh, vedi? Ti vuole bene e ti dà i bacini!» cinguettò Angi mentre Luca strofinava vagamente schifato il polso sulla stoffa ruvida dei jeans.
Aveva appena alzato un dito puntandolo minaccioso contro il gatto quando il campanello che trillava insistente mandò all'aria tutti i suoi propositi omicidi.
Anna abbandonò la moka sul tavolo ed aprì la porta. Si ritrovò davanti un enorme e strapieno cesto di vimini incellophanato sostenuto da un paio di mani da cui pendevano alcune buste colorate.
«Rocco!» esclamò lei, divertita e sorpresa tutt'insieme, quando riconobbe i capelli scuri e gli occhi verdi del fidanzatino di Angelica far capolino dietro il fiocco dorato che decorava il cesto.
«Rocco?» esclamarono in coro Angelica e Luca, Investigattore che miagolava piano alla stretta un po' più vigorosa della ragazza.
«E adesso lui che ci fa qui?» borbottò Luca con la chiara intenzione di fare un passo in avanti e probabilmente mandarlo via, ma Angi lo bloccò piantandogli un sottile ed ossuto dito dritto dritto nel petto.
«Non fare come al solito, tu!» lo rimproverò sibilando e senza troppe cerimonie gli scaraventò il micio tra le mani. «Comportati bene, Luca! E per una volta, per favore, una volta soltanto, non guardarlo male!» aggiunse perentoria. Un secondo dopo aveva piroettato su sé stessa ed era comparsa alle spalle di Anna, sulle labbra il più bello dei suoi sorrisi.
«Ciao!» esclamò dolcemente e Rocco sorrise mentre tentava a colpi di naso, un po' goffamente per la verità, di togliersi il cellophane infiocchettato da davanti agli occhi.
«Ciao! Io... io sono venuto a fare gli auguri!» spiegò Rocco avanzando di un passo dentro l'appartamento, con Anna che richiudeva la porta alle sue spalle.
«Sei stato molto carino!» gli sorrise lei mentre Angi inclinava la testa prima da una parte e poi dall'altra buttando lo sguardo oltre l'enorme cesto che il ragazzo teneva ancora saldamente tra le braccia. Il carico doveva cominciare a pesargli però, visto che si affrettò ad allungare il dono verso Anna con un certo ed evidente sollievo.
«Questo è per voi! Buon Natale!» borbottò imbarazzato, lo sguardo che per un istante saettava anche su Luca. Un'occhiata brevissima che gli bastò per incrociare il consueto sospetto con cui l'uomo lo fissava ogni volta. Ormai doveva ammettere che aveva fatto l'abitudine a quello sguardo che si sforzava di essere sempre disapprovante ed indagatore. Qualche volta pensava anche che in fondo fosse divertente. Mmm no ok, ad esser sinceri, forse ciò che trovava divertente era Angelica che bisticciava con Luca per difenderlo.
«Ehi, ma mi stai ascoltando?»
Rocco sussultò sorpreso al suono della voce della ragazzina e allo schiocco delle sue dita davanti agli occhi. Oddio, da quanto gli stava parlando? E da quanto lui se ne stava fermo lì, imbambolato come uno scemo? Perfetto, comportarsi come un idiota era proprio il modo migliore per tentare di entrare nelle grazie di Luca. Sospirò.
«Scusami, mi ero distratto! Stavi dicendo?»
Angi ridacchiò al pari di Anna ma, in mezzo al crepitio della carta di plastica che veniva aperta, il ragazzo captò anche un sonoro e scocciato sbuffo. E non c'erano dubbi su a chi appartenesse.
«Ti stavo chiedendo, visto che sei già qui, se ti va di venire in soggiorno a prendere il tuo regalo!» ripeté Angelica, accompagnando le parole con ampi gesti delle mani.
«Oh sì, certo! Certo che mi va!» rispose il giovane forse con un po' troppo entusiasmo, visto che Luca era subito scattato verso i due con un'aria non troppo accondiscendente. Qualunque cosa avesse intenzione di dire, questa si arenò contro Anna e l'amaretto che a tradimento lei gli aveva infilato in bocca.
«Non trovi che siano buonissimi questi biscotti!?» cicalò scartandone uno per sé stessa, mentre con gli occhi riprendeva ad ispezionare il cesto-regalo.
«Voi andate pure in soggiorno, su!» liquidò poi i ragazzi con un pigro cenno della mano, prima di addentare il suo morbido dolcetto e osservare Luca che quasi si stava strozzando con la bocca ancora piena della pasta farinosa ed amarognola del biscotto.

 
***

Abel aveva già individuato tutti i suoi regali e se li era sistemati tutti intorno, dando vita ad un cerchio di vivaci colori in cui risaltavano il rosso, il verde e l'oro delle lucide carte da pacchi e dei vaporosi ed elaborati fiocchi. Quasi non si accorse di Angelica e Rocco quando si accovacciarono sul pavimento accanto a lui, concentrato com'era ad adorare la grande scatola che era emersa da una carta rossa piena zeppa di piccole renne.
«Uao!» soffiò fuori, ammirando la pista da corsa che si annodava in un rotondo otto sul coperchio della scatola. Si ripromise di ringraziare Elena con un gigantesco bacio per quel regalo non appena l'avesse vista e, mentre appoggiava la scatola sul divano concedendole un'ultima ed affettuosa carezza lungo tutto il coperchio, aveva già puntato con la coda dell'occhio l'alto e stretto pacchetto al cui fiocco era agganciato un bigliettino firmato “Luca”. L'aveva già afferrato con entrambe le mani quando Rocco gli fece penzolare davanti al viso una piccola busta verde e lucidissima.
«Buon Natale, Abel!» gli augurò lasciandogli cadere la busta in grembo.
«Grazie Rocco!» saltò su il bambino e poi strisciò sui gomiti sotto i rami più bassi dell'albero e afferrò un involto dorato piuttosto grande.
«Auguri anche a te! Questo è da parte mia, di Anna e di Luca!» gli annunciò allegro posandoglielo poi davanti alle gambe che teneva incrociate.
Rocco era un po' titubante a credere che il regalo fosse davvero anche da parte di Luca ma, quando lo aprì, dovette rimangiarsi tutti i suoi dubbi. Nella scatola rettangolare che aveva aperto c'era una tuta completa ed ufficiale della AS Roma Calcio e solo Luca poteva sapere quanto gli sarebbe piaciuto averne una. Solo Luca infatti, lo aveva sentito commentare entusiasticamente quella che lo stesso poliziotto aveva regalato ad Abel per i suoi 11 anni.
Oh, ma allora non lo odiava: gli stava solo antipatico. Era un gran passo avanti quello!
Intanto, Abel aveva già accolto con un urletto divertito i due nuovi videogiochi per la Play che Rocco gli aveva regalato ed era passato ad aggredire impaziente il regalo che gli aveva fatto Luca.
Sotto le mani distruttrici del bambino, la carta che avvolgeva il pacchetto si dissolse in una manciata di grossi coriandoli color oro e lasciò il posto ad una scatola rettangolare, alta e stretta. Abel spalancò gli occhi talmente tanto che finirono per assomigliare a due palline da tennis, luccicanti di meraviglia: sei piccole macchine, perfette riproduzioni di altrettanti splendidi esemplari di storiche auto da corsa, facevano sfoggio di sé impilate a due a due in tre ordinate file.
«Guarda!» esclamò incredulo alzando la scatola davanti agli occhi di Angelica. La ragazza la osservò per qualche istante per poi restituire al piccolo uno sguardo sorridente.
«Le macchinine che volevi!» constatò liberandogli la fronte da un paio di riccioli ribelli.
«Macchinine? Macchinine? Queste non sono semplici macchinine!» gracchiò Abel come se fosse appena stato offeso a morte.
«Voi femmine non capite proprio niente!» borbottò indignato, mentre quasi cullava tra le braccia la scatola, come per consolare quelle piccole meraviglie a quattro ruote dall'onta di essere state paragonate a delle semplice e banali macchinine giocattolo. Eh no, non lo erano affatto: loro erano un piccolo tesoro! E Angelica non ne capiva proprio niente. Con aria offesa ciondolò la testa sconsolato e, dopo un'occhiataccia alla ragazza, decise che era molto meglio affrontare il discorso con qualcuno che lo capisse davvero.
«Luca!?» chiamò a gran voce zigzagando tra il divano e il tavolo per uscire fuori dal soggiorno.
«È uscito proprio fuori di testa per le macchine da corsa!» ridacchiò Angelica sporgendo un po' il collo fino a che Abel non fu sparito in una scia rossa oltre la porta della cucina.
«Uh uh!» mugugnò Rocco, seduto ancora a gambe incrociate accanto a lei.
«Mmm direi che non è l'unico fissato!» esclamò sarcastica notando lo sguardo sognate del suo fidanzatino accarezzare devotamente lo stemma giallo-rosso ricamato sul giubbino della tuta. Fortunatamente, in lui sopravviveva ancora un barlume di lucidità tra la massa di neuroni che stava cantando a squarciagola Grazie Roma e riuscì a cogliere la frecciatina sarcastica di Angi.
«Ah-ehm scusa!» ridacchiò arrossendo mentre ricopriva la scatola e la faceva scivolare giù dalle gambe. Angelica accolse quelle scuse imbarazzate con un appena accennata scrollata di spalle, apparentemente interessatissima ad uno strano pacco avvolto in un'altrettanta strana e buffa carta con gli elfi. In realtà, l'attenzione della ragazzina era puntata su un grazioso pacchettino che scintillava nell'ombra nella sua bella carta blu notte. Fece un mezzo giro sulle ginocchia e lo afferrò per un angolo. Quando si girò per allungarlo a Rocco, trovò il ragazzo nella sua stessa posizione che reggeva tra le mani un busta dorata su cui spiccava una larga coccarda dello stesso colore. Si scambiarono uno sguardo divertito, colorato del delizioso rossore che era apparso sulle guance di entrambi.

 
***

Abel aveva aggirato Anna, piantata come una sentinella sull'ingresso della cucina e si era schiantato contro Luca, la confezione con le macchinine tenuta bene in vista al di sopra dell'ingarbugliata massa dei suoi capelli.
«Grazie, grazie, grazie!»
Il bambino lo ripeteva come un mantra in mezzo ad un mucchio di altre cose che Anna nemmeno capiva, a differenza di Luca che gli sorrideva assecondando ognuno degli innumerevoli progetti che stava architettando a velocità folle per quei giocattoli. Anna dubitava che l'uomo avesse davvero afferrato tutto il fiume di parole in cui si era profuso Abel, impegnato com'era a tenere d'occhio il soggiorno e i ragazzi ancora accucciati davanti all'albero. A nulla era servito che lei provasse a stordirlo di chiacchiere su tutto quello che avevano trovato nel cesto, proponendogli continuamente di assaggiare qualcosa. No, Luca era rimasto fisso con lo sguardo oltre di lei, a sbirciare la scena che si stava svolgendo nell'altra stanza.
«Sì, è proprio buono!» le aveva concesso ad un certo punto, interrompendola a metà di quello che gli era sembrato fosse un elogio a dei cioccolatini. Per guadagnare anche qualche prezioso secondo di silenzio le aveva perfino stampato un bacio sulle labbra ma non aveva sentito nulla se non gli urletti eccitati di Abel ai regali e il ridacchiare di Angelica. In compenso, aveva pensato che quel cioccolato che Anna stava tanto accoratamente decantando, fosse davvero buono. O per lo meno, gli era sembrato delizioso mischiato al sapore di lei, in quel bacio - nemmeno troppo casto - che le aveva rubato per zittirla.
Con Abel non poteva certo usare la stessa tattica per ridurlo al silenzio e dargli corda nelle sue fantasie non sembrava essere stata un'idea particolarmente geniale, visto che invece di tranquillizzarsi si era esaltato ancora di più. Risultato? Lui non stava capendo niente di quello che stava accadendo nell'altra stanza e questa non era affatto una cosa buona: primo, perché non aveva il controllo della situazione e secondo, perché in questo modo il rischio di morte per Rocco aumentava di minuto in minuto. Era un bravo ragazzo tutto sommato e in fondo un po' gli dispiaceva doverlo fare fuori ma se la stava cercando. Appartarsi con Angelica lontano dai suoi occhi era una vera e propria provocazione. Non perché fosse geloso eh, le sue erano solo normali apprensioni nei confronti di un'adolescente.
Sì, bravo Luca! si complimentò con sé stesso: messa così le continue accuse di gelosia di Anna e Angelica perdevano ogni senso.
«Le proviamo con la pista che mi ha regalato Elena?» chiese saltellando Abel, ancora con una mano di Luca premuta sulla testa che si arrotolava i suoi riccioli tra le dita. L'uomo portò tutta la sua attenzione sul bambino, gli occhi accesi di un bagliore non proprio rassicurante.
«La pista è di là in soggiorno?» gli domandò interessato.
«Sul divano!» annuì il piccolo e il sorriso di Luca si aprì da orecchio ad orecchio.
«Oh ma certo che le proviamo con la pista! Andiamo!» chiocciò in un tono fastidiosamente zuccheroso. Anna capì immediatamente che il vero obiettivo del compagno era andare ad infastidire Angelica e Rocco, altro che pista e macchinine. Doveva fermarlo!
«Ehi, aspetta!»
Con una mano lo bloccò per un braccio tirandoselo contro e con l'altra afferrò la prima cosa che le capitò a tiro dal cesto sul tavolo.
«Perché non assaggi questo?» gli propose sbattendo languidamente le ciglia, sventolandogli sotto il naso quella che scoprì essere una confezione di salmone affumicato. Luca la guardò a sopracciglia inarcate.
«Non starai dicendo sul serio, vero?»
«Sì sì, invece! In Finlandia ci fanno colazione, non lo sai? Deve essere ottimo accompagnato al caffè!" continuò lei, intanto che con due dita tirava il lembo per aprire la confezione.
«Toh, assaggia Lu'!» chiocciò poi, zuccherosa esattamente come era stato lui prima, mentre gli avvinava alla bocca mezzo filetto di salmone.
«Non ci provare! Stai lontana da me!»
Luca scattò immediatamente all'indietro, tirando Abel davanti a sé a mo' di scudo. «Trova qualcosa per difenderci, avanti!» mormorò al bambino scrollandolo per le spalle.
Abel si ritrovò ad essere una cosa tremolante e ridacchiante, mentre si guardava intorno alla ricerca di qualcosa con cui respingere l'avanzata di Anna armata di salmone. Di usare la sua scatola di macchinine ovviamente non se ne parlava e quindi allungò la mano a prendere la confezione argentata che sporgeva da un lato del cesto e la passò a Luca.
«Il cotechino, Abel? Davvero?» fece Luca perplesso e il bambino si strinse nelle spalle.
«Questo c'era!»
Anna scoppiò a ridere, indecisa se complimentarsi coi due o rifilare uno scappellotto ad entrambi per quel ridicolo spettacolino. Alla fine ne venne fuori una via di mezzo e quando Luca le puntò contro il cotechino, atteggiandolo a mo' di arma, lei lo colpì con un manrovescio su una spalla.
«Idiota!» esclamò, ancora scossa dalla risate.
«Ehi, attenta a come parli: siamo armati!» ribatté lui, il tono da poliziotto marcato all'eccesso, mentre Abel si nascondeva dietro la sua inseparabile confezione di macchinine a ridacchiare.
«Oh... Mi scusi commissario!»
A quel punto, Anna aveva pensato che tanto valeva stare al gioco e divertirsi un po' anche lei. Così, si era calata nel ruolo del delinquentello colto in flagrante e aveva lasciato cadere il salmone sul tavolo per poter alzare le mani in aria.
«Sono disarmata, vede? Cosa vuole che faccia?» pigolò arrendevole mentre avanzava di un paio di passi, gli occhi bassi che lo spiavano da sotto i ciuffi indisciplinati.
A Luca non sfuggì la scintilla di malizia nel tono e nello sguardo e per un attimo fu tentato di risponderle a tono. Gli era balenata per la testa un'immagine - incredibilmente nitida - che comprendeva loro due, i cioccolatini di qualche minuto prima e la loro camera da letto. Poi una nuvola rossa che saltellava all'estremità del suo campo visivo gli riportò alla mente il dove erano e con chi. Sospirò con un pizzico di delusione: non era uno di quei momenti di privatissima intimità in cui potevano provocarsi e quindi dovette accettare che la sua idea si sgonfiasse come un palloncino bucato.
«Andiamo a giocare con la pista! Andiamo a giocare con la pista!» stava intanto proponendo Abel, esagitato. Luca sospirò di nuovo. Non gli sembrava per nulla esaltante come quello che la sua immaginazione gli aveva proposto solo pochi istanti prima. Di contro, doveva ammettere che almeno gli dava la possibilità di andare in soggiorno a controllare quei due. Il suo piano iniziale si stava finalmente compiendo.
«Sì, andiamo a giocare con la pista!» approvò, gli occhi ancora puntati in quelli di Anna, mentre con un mezzo inchino le lasciava il passo verso il soggiorno.

 
***

I ragazzi se ne stavano ancora lì, seduti a gambe incrociate davanti all'albero addobbato, stracci di carta colorata a circondarli. Rocco si stava lasciando scivolare tra le dita un braccialettino di cuoio nero, un sottile delfino d'argento a dividerlo in due perfette metà. Angelica, invece, stava passando ammaliata le dita su un paio di luccicanti orecchini, due piccole sfere – di fili d'argento – lucide, intrecciate come a ricordare vagamente due minuscoli gomitoli.
«Sono bellissimi!» esclamò Angi, inclinando la scatolina affinché le luci dell'albero si riflettessero in un bagliore multicolor sulla superficie degli orecchini.
«Sono proprio una scemenza!» si schernì Rocco, un'alzata di spalle a sottolineare le sue parole. «Mi sono piaciuti perché sono piccoli e non ingombranti o vistosi... così puoi metterli sempre! ...sempre se vuoi metterli eh!» aggiunse in fretta al suo discorso, la testa che si incassava ancora di più nelle spalle. Angi sorrise mentre si affrettava a staccare dal loro supporto prima un orecchino e poi l'altro. Li osservò per un'ultima volta specchiare le luci dell'albero, al centro della sua mano, e poi con un paio di rapidi gesti se li appuntò alle orecchie.
«Li adoro!» chiocciò emozionata mentre tirava indietro i capelli, gli orecchini che spiccavano come gocce di metallo fuso in mezzo a tutto quel nero.
«Ti stanno benissimo!» commentò Rocco, un sorriso un po' ebete sulle labbra. Si era mentalmente complimentato con sé stesso per il regalo, azzeccato ed apprezzato, e poi aveva realizzato che le stavano decisamente meglio di quanto avesse immaginato. I bagliori freddi dell'argento le illuminavano il viso e lei era ancora più bella del solito, anche lì con le gambe ormai addormentate per la scomoda posizione e il suo assurdo pigiama costellato di gattini ancora addosso. Rocco distolse finalmente lo sguardo da lei, che aveva abbassato gli occhi a tormentare la scatolina vuota degli orecchini, forse imbarazzata per le sue insistenti attenzioni. Si era così accorto di avere ancora tra le mani il braccialetto che lei gli aveva regalato.
«Me lo metti?» le domandò allungandole il braccio sinistro perché glielo agganciasse al polso. Le mani piccole e calde di Angelica litigarono per qualche istante con il gancetto, poi il delicato delfino d'argento scivolò leggero al suo polso.
«Sai perché ho scelto il delfino?» chiese lei, il tono di voce che era un pigolio.
«Perché sai che mi piacciono?» provò Rocco, di slancio. E in effetti era così, si poteva tranquillamente dire che i delfini erano i suoi animali preferiti e che, se avesse potuto, sarebbe rinato proprio delfino. Esattamente come Angelica sarebbe rinata gatto, se ce ne fosse stata la possibilità.
«No!» negò però la ragazzina, «Cioè sì, anche perché ti piacciono... ma non solo per quello! Sai qual è uno dei tanti significati simbolici del delfino?» domandò, più a sé stessa che a lui. «Significa protezione!» si rispose infatti da sola, subito dopo. «E io mi sento protetta con te, e sto bene con te e... e ancora non ci credo che tu abbia scelto me!" ridacchiò alla fine, le guance così rosse e calde che ci si sarebbe potuto friggere un uovo.
«Oh Angi...» iniziò lui, colpito dalle sue parole.
«Non devi dire niente, Ro'! Il regalo era solo un pretesto perché IO riuscissi a dirti quanto sono felice di stare con te!» lo bloccò Angelica, gli occhi lucidi e un enorme sorriso a scolpirle il viso.
Quello incredulo adesso era lui, però. Non poteva credere di avere davvero qualche merito per quel sorriso, per quello sguardo allegro, per quell'ombra di paura che scivolava via dai suoi occhi un po' di più ad ogni giorno che stavano insieme. Sapeva che gli artefici maggiori di tutto quello erano i membri dell'improvvisata famiglia in cui era stata catapultata ormai più di anno fa, il loro amore, le loro attenzioni, le loro preoccupazioni. Eppure una vocina sfacciata nella sua testa gli sussurrava che era anche merito suo, che anche lui aveva fatto qualcosa di buono per Angelica, che con il suo amore da adolescente le aveva restituito la sua età con i suoi piccoli problemi da aggirare e le sue scoperte da fare, che la stava aiutando a relegare il suo orrendo passato in un angolino da cui non potesse più farle male. Rocco comprese immediatamente che voleva davvero essere per lei tutto ciò che il delfino rappresentava. Voleva proteggerla, voleva farla stare bene, voleva divertirla. Voleva amarla e non per lo spazio di un'adolescenza ma per qualcosa che durasse di più, tipo per una vita intera.
Oh, Angelica tutto questo doveva saperlo, doveva sentirselo dire!
Gli si era tutto affollato sulla punta della lingua, gli bastava un bel respiro profondo e le parole sarebbero tutte defluite da sole, una dopo l'altra. Il borbottio misto a risa che gli arrivò alle orecchie proveniente da qualche parte alle sue spalle, ruppe però la bolla di magia in cui tutte quelle parole si erano organizzate e gli si impantanarono sul fondo della gola, improvvisamente schiantate dagli occhi intensi di Angi e dalle sue mani strette alle proprie. Era impensabile ora parlarle con Luca che metteva su il suo solito sguardo affilato e glielo puntava addosso, perché lui si figurasse gli altrettanto soliti scenari di morte che lo attendevano a stare troppo vicino ad Angelica.
«Dai, giochiamo!» sentì dire ad Abel e lo vide strappare il cartone della pista da corsa, entusiasta e impaziente. E per non perdere le vecchie abitudini intercettò anche l'occhiataccia di Luca a fulminare le loro mani ancora intrecciate. Ok, era il momento di filarsela e salvarsi la pelle anche quella volta: la dichiarazione ad Angelica avrebbe dovuto aspettare un momento più favorevole.
«È meglio che vada! Mia mamma dovrebbe essere qui a momenti!» annunciò guardando di sfuggita l'orologio e rendendosi conto che davvero sua madre sarebbe passata a recuperarlo di lì a poco.
«Ti accompagno alla porta!» saltò su Luca, divincolandosi dall'accerchiamento di Anna e Abel.
«Lo accompagna Angelica! Tu-stai-qui!» gli sibilò in risposta Anna, con uno spaventoso e minaccioso sorriso.
«Andiamo!»
Angelica non se lo fece ripetere due volte e si alzò tirandosi dietro Rocco. Si ritrovarono schiacciati contro la porta, al riparo da sguardi indiscreti.
«Ci sentiamo dopo?» chiese Angelica e Rocco annuì, solo vagamente consapevole che la ragazza gli si stava avvicinando.
«A più tardi, allora!» lo salutò annullando le distanze e stampandogli un leggero bacio sulle labbra. Rocco la incoraggiò ad approfondire il bacio e, senza neanche sapere come, si scoprì a stringerla a sé per la vita, le braccia di lei incrociate attorno al suo collo.
«Ti amo!» le disse di impulso, un soffio proprio contro il suo orecchio.
«Anche io!» replicò Angelica, un tono di istintività che stupì entrambi. Lei che centellinava le parole e le dimostrazioni d'affetto, lui che cercava di negare almeno a parole quanto si fosse fritto il cervello per quella ragazza. E forse proprio per questo, per loro, quel Ti amo nascosto tra un bacio e un abbraccio strillava proprio come la montagna di parole che galleggiava nella mente di Rocco. In fin dei conti, pensò lui stringendola un'ultima volta, quel saluto si era rivelato un piacevole surrogato a quello che non era riuscito a dirle. Si staccarono di malavoglia e Angelica restò a guardarlo finché non scomparve per le scale. Si richiuse la porta alla spalle col cuore che le batteva affannato come dopo una corsa e con la certezza di avere stampato in faccia un sorriso stupido. Tornò in salotto e si incantò a guardare Anna che cercava di strappare dalle mani di Luca la piccola scatolina di velluto rosso che era il suo regalo di Natale. La sorella aveva sulle labbra lo stesso incontenibile sorriso che sentiva di avere anche lei e non era stupido, era innamorato.
«Buon Natale a tutti!» mormorò tra sé, mentre Investigattore attentava alle macchinine di Abel e Anna conquistava il suo regalo che era una promessa d'amore.
«Buon Natale!» si ripeté e poi si buttò nella mischia di quella sua strana famiglia che sapeva di amore e di certezze.

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Capitolo 2
*** It's Christmas once more ***


Titolo: It's Christmas once more
Autore: Dani
Fandom: Distretto di Polizia
Personaggi: Luca Benvenuto, Anna Gori
Paring: Luca/Anna
Genere: Generale, Sentimentale, Fluff
Rating: Verde
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Taodue srl che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in Distretto di Polizia, appartengono solo a me.
Word: 2.038
Tabella: Inverno
Prompt: 3. “Buon Natale, idiota!”
Note: Post DdP9 – Titolo da It's beginning to look a lot Like Christmas di Michael Bublé – Storia scritta per la Fluff Challenge di Contest & Mania Challange . Qui la mia tabella.

 
It's Christmas once more

Luca dovrebbe togliersi il vizio di camminare scalzo per casa, davvero. Non sempre eh, magari solo in mattinate come quelle, nel bel mezzo del Natale più freddo che Roma ricordi da anni. E non è piacevole ritrovarsi i piedi congelati appena sveglio, per niente.
In realtà, quella mattina avrebbe volentieri stravolto un'altra delle sue abitudini, ovvero quella di alzarsi alle 7 di mattina. E che cavolo, mica doveva andare al lavoro: era Natale! E invece, con una puntualità frustrante, anche quella mattina si era trascinato in cucina alla solita ora. Non che ne avesse voglia, sia chiaro. È che ci era stato costretto dal finimondo che proveniva dalla camera di Anna.
E così, mentre l'orologio appeso alla parete segna le 7:15 del 25 dicembre, lui se ne sta nel cucinino a fissare con aria adorante la macchinetta del caffè. Se ne è appena versato una quantità generosa nella tazzina quando, da un punto imprecisato della casa, lo raggiunge un tramestio di mobili.
«Dio, cosa si sarà messa a spostare ora!?» sospira lui affondando il cucchiaino nel barattolo dello zucchero. Una serie di piccoli tonfi, l'uno di seguito all'altro, lo blocca e gli fa cambiare idea: meglio amaro il caffè, così si sveglia di più. Lo butta giù tutto d'un fiato, scottandosi la lingua, la gola e lo stomaco ma almeno, quando il rumore di qualcosa di delicato che si infrange sul pavimento gli arriva alle orecchie, lui si sente perfettamente sveglio. Sbuffa un po', indeciso se ridere o no di tutto quel trambusto, con l'amaro del caffè che ancora gli arriccia le labbra. Per buona misura si concede un sorriso storto, mentre riempie un'altra tazzina e ci butta dentro due bei cucchiaini di zucchero. Meglio dolce, per lei! Quando mette il naso fuori dalla cucina, sa già dove la troverà. La porta in fondo al corridoio è aperta ed è evidente che, dopo la sua camera, Anna è passata a rivoluzionare la stanzetta in cui da sempre tengono il computer.
Luca la trova accucciata a terra mentre raccoglie i grossi pezzi di vetro in cui ora è ridotta la foto che è precipitata dal ripiano più alto della libreria. Tutto intorno è un caos di libri sparsi per la stanza e un variegato assortimento di detersivi e stracci abbandonati in punti strategici: sulla scrivania, vicino alla porta, sotto alla finestra. Anna borbotta qualcosa mentre si rialza con i resti della foto tra le mani e quasi sobbalza quando si accorge di lui.
«Oh, Luca... ciao!» lo saluta con tono vagamente isterico e lui, Luca, pensa che forse sarebbe stata meglio portarle una camomilla ma be', ormai è lì, e quindi le sorride e le allunga comunque la tazzina di caffè.
«Buongiorno!» replica appoggiandosi allo stipite della porta, ben attento a non travolgere il detersivo di un'inquietante viola che adocchia accanto ai suoi piedi.
«Che ci fai già sveglio?» e la domanda di Anna pare sinceramente stupita. Poi Luca inarca un sopracciglio, lanciando una pigra ma eloquente occhiata alla stanza e lei si morde le labbra colpevole. Che domanda stupida! Ha fatto un sacco di rumore da quando si è alzata – e si è alzata presto, purtroppo -, ovvio che è sveglio per colpa sua.
«Scusa! Andiamo di là, dai!» mastica tra i denti e lui scuote la testa divertito mentre la segue nella sua camera. Sul letto ci sono montagne di vestiti che – ad occhio e croce – gli sembrano ordinati per colore e i cassetti del comò sono tirati in fuori per prendere aria. Anna si lascia cadere ai piedi del letto, sul tappeto morbido, e prima che faccia in tempo a dire a Luca di spostare pure quei cumuli di abiti colorati, lui le si è già seduto accanto, le gambe incrociate. Forse si aspetta che la rimproveri: per aver messo a soqquadro la casa, per averlo tirato giù dal letto uno dei pochi giorni in cui avrebbe potuto dormire, per un miliardo di altre cose che ha fatto e non doveva. Invece Luca se ne sta in silenzio e non dice nulla. D'altronde la conosce e sa che lei è così. Quando è felice passa le ore a cucinare, almeno ci prova, e quando è nervosa o arrabbiata rivoluziona casa, pulisce l'impossibile, svuota e riempie gli armadi almeno tre volte di fila. E stavolta ha un motivo valido per essere arrabbiata. Lo sanno entrambi. Era tornata a Roma per poter finalmente prendere Abel con sé e invece all'ultimo, da nemmeno sapeva dove, era spuntata una zia materna e l'affidamento era saltato.
«Mi dispiace! ...per Abel, intendo!» esclama Luca e Anna sa che è sincero.
«Anche a me! Era già tutto pronto ed eravamo già abituati all'idea di stare insieme per sempre e poi...» inizia lei ma si ferma, poggia la tazzina vuota sul comodino, sospira e scuote la testa. «Io ero già abituata all'idea che saremmo stati insieme per sempre e ora, non ho più niente! È da egoisti lo so, perché dovrei semplicemente pensare che lui starà bene – e io lo so che starà bene con la zia – ma mi sento così svuotata...»
«Resta!» la interrompe Luca e suona deciso, dolce e irremovibile tutto insieme, tanto che lei si gira di scatto a fissarlo. Non crede di aver capito bene: nemmeno due mesi fa ha lasciato che andasse a Trieste senza dire nulla e ora le dice di restare?
«Resta!» le ripete e gli occhioni spalancati di Anna hanno un qualcosa di estremamente divertente. «Sì be', se resti potrai comunque fare parte della vita di Abel visto che la zia abita qui a Roma. E non penso che ti farebbe storie impedendoti di vederlo. Senza contare che se resti noi...»
Stavolta è Luca a sgranare gli occhi, quel noi è tutto ciò che non avrebbe dovuto dire e se n’è reso conto. Ha giurato a sé stesso che non avrebbe condizionato mai e in alcun modo le scelte di Anna, ma adesso lei lo guarda curiosa e impaziente e dire quello che davvero pensa gli pare la cosa più giusta del mondo. E poi, se lei decidesse davvero di restare nella Capitale, quanto potrebbe resistere trincerato dietro la scusa del bambino senza dichiararsi? Poco, lo sa! E allora prende un bel respiro, inchioda gli occhi nei suoi e riprende da dove si è interrotto.
«...e se resti noi be', forse potremmo darci una seconda occasione! Perché ecco, io non lo so se tu provi ancora qualcosa per me ma so quello che io provo per te! Ed è bastato starti lontano per capirlo: io ti amo e ti amo davvero, come un uomo ama una donna. E voglio provarci… vorrei provarci… se tu vuoi ancora… se tu torni… se tu riuscissi a dimenticare quanto sono stato stupido e codardo e... Dio, sto parlando a vanvera!» si ferma Luca, la faccia nascosta tra le mani lievemente tremanti.
Anna vorrebbe prenderlo a pugni, seriamente. E, altrettanto seriamente, vorrebbe anche abbracciarlo fino a fargli mancare l'aria e poi baciarlo e baciarlo ancora. Perché lei ha passato mesi orribili rincorrendo il suo amore ed è finita a fare una stronzata dietro l'altra per toglierselo dalla testa, lui e i suoi occhi da cucciolo abbandonato. Vorrebbe urlargli contro che non è così semplice. Vorrebbe farglielo sudare un po' di più quell'amore che non è mai riuscita a mettere davvero da parte. Vorrebbe farsi pregare ancora un po', ecco. E invece scoppia a ridere e piangere nello stesso momento. Luca riemerge allarmato dal nascondiglio delle sue mani e lei ne approfitta per farsi spazio tra le sue braccia e gli si stringe al collo, così forte che davvero quasi lo soffoca.
«Certo che voglio ancora!» biascica sulla sua pelle. «Non voglio altro da mesi! Sei tu che non volevi!» gli fa notare e lui ricambia la stretta sospirando di sollievo e di felicità contro la sua spalla.
«Quanto ci abbiamo messo e quanto male ci siamo fatti per arrivare a questo, eh?» mormora Luca mentre Anna scivola a sedere tra le sue gambe.
«Già, abbiamo fatto un sacco di cazzate: siamo stati degli idioti!» ridacchia lei.
«Dei grandissimi idioti!» precisa lui, una mano tra i capelli della ragazza.
Lei gli si stringe di nuovo addosso e, oltre le pile di vestiti sul letto, nota la sveglia sul comò. Segna le 8:03 e sotto l'ora lampeggia la data. Come ha fatto a dimenticarsene? Soffoca a fatica una risatina allegra e si sposta da Luca quanto basta per guardarlo negli occhi, lucidi e brillanti come poche volte li ha visti.
«Buon Natale, idiota!» gli dice con una vocina da bambina e stavolta è lui a scoppiare in una risatina un po' sciocca.
«Buon Natale, anche a te!» le risponde lui ed un attimo dopo la sta già baciando.
Un bacio che sa di caffè e di tempo da recuperare mentre, ancora incastrati in una posizione assurda sul pavimento, Luca si appoggia all'indietro contro il letto e se la trascina appresso. All'improvviso non c'è altro posto in cui vorrebbe essere e si spinge ad approfondire il bacio. Lei risponde con entusiasmo, fino a quando il suo stomaco non la tradisce in un borbottio molto poco dignitoso.
«Si direbbe che tu abbia fame!» la prende in giro lui staccandosi e rifilandole un pizzicotto su un fianco.
«Uff, sono sveglia dalle 6 e non ho mangiato nulla!» si difende lei restituendogli il pizzicotto, questa volta su una gamba.
«Certo, eri troppo impegnata con le grandi pulizie per mangiare!» la punzecchia e intanto le scocca un altro bacio sulle labbra. Anna ride, e pensa che ha già riso più negli ultimi cinque minuti che nelle ultime cinque settimane. E ama l’effetto che le fa Luca. Sa che dovranno parlare di cose che preferirebbero dimenticare ma, davvero, in quel momento non le importa per nulla. È Natale, è tra le sue braccia ed è felice. Le basta.
Striscia un po’ all’indietro e si alza, la sua mano subito afferrata da quella di Luca.
«Andiamo a fare colazione, su!» esclama e se lo tira dietro, fuori da quella camera che sembra un campo di battaglia. O almeno lo sembra in confronto alla cucina, dove si trascinano ancora per mano. Lì, l’unica cosa fuori posto è la moka abbandonata su un fornello. Con un enorme sorriso che le va da orecchio ad orecchio, Anna si separa da Luca e spalanca il frigorifero. Le sono sufficienti due secondi e ne viene fuori con le braccia cariche di roba. Latte, uova, burro, qualcosa che Luca pensa debba essere bacon e succo di frutta finiscono sul tavolo, dove li raggiungono almeno tre tipi di biscotti diversi, la torta di noci regalata loro dalla vicina di casa e persino il pane.
«Anna? Ti ricordo che siamo solo io e te: chi la deve mangiare tutta questa roba?» ride Luca mentre accenna con la testa alla montagna di cibo e lei riemerge dalla credenza con marmellate varie e barattoli enormi di cioccolata da spalmare.
«Io ho fame! E poi è Natale: deve esserci un sacco di roba a tavola!» risponde lei con un’alzata di spalle e lui fa finta che sia una giustificazione valida.
«E proprio perché è Natale, questo non può mancare!» aggiunge un attimo dopo quando, serissima, gli sventola sotto il naso un panettone pieno zeppo di uvette e canditi.
Luca scuote la testa e ride ancora, più forte, di cuore. «Pazza!» le sussurra e la tira a sé strattonandola leggermente per un polso.
«E tu sei un idiota!» lo rimbecca lei mentre praticamente gli si schianta addosso.
«Sì, me lo hai già detto!» ricorda a mezza bocca Luca.
«Veramente prima ho detto “Buon Natale, idiota!”. Per essere precisi, ecco!» e il suo tono da saputella si spegne nell’ennesimo bacio.
E mentre lui si gode il suo sapore sulle labbra, Anna fugge di nuovo a trafficare tra cibo e stoviglie.
D’altronde Luca la conosce. È felice e lo sa che adesso passera ore a cucinare, nemmeno dovesse sfamare un esercito intero. Ma gli va bene. È felice anche lui. È innamorato.
E si innamora di lei un po’ di più ad ogni istante. E si innamora di lei anche in quel preciso momento quando si gira a guardarlo e muovendo solo le labbra glielo dice.
Ti amo, Luca!

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Capitolo 3
*** Via da questo inverno ***


Titolo: Via da questo inverno [Cade la neve]
Autore: Dani
Fandom: Distretto di Polizia
Capitoli: 3 / 6 – Raccolta di One Shot
Personaggi: Luca Benvenuto, Anna Gori, nuovo personaggio
Paring: Luca/Anna
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale
Rating: Gialla
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Taodue srl che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in Distretto di Polizia, appartengono solo a me.
Word: 1.962
Note: Post DdP11, What if (enorme what if, visto che pressuppone che Luca non sia morto XD) – Titolo da “Inverno” di Annalisa – Storia scritta per la Fluff Challenge di Contest & Mania Challange. Qui la mia tabella (Tabella: inverno; Prompt: 6. labbra fredde) – Pubblicata la prima volta il 23/08/2013

Via da questo inverno
cammino nella pioggia
cammino contro vento
cammino cammino e fuggo
via da questo inverno

[Inverno - Annalisa]

Un'altra nottata era sbiadita nel solito incubo, malmostoso e confuso, e Luca si era svegliato con gli ormai familiari tre spari a rimbombargli nelle orecchie. Gli era servita la solita manciata di secondi per prendere coscienza della realtà e di quei tre colpi che ancora sopravvivevano nella sua testa e nel suo corpo a formare uno strambo triangolo di cicatrici, contemporaneamente fisiche e psicologiche.
Sospirò piano contro le coperte che gli arrivavano al mento, per calmare l'affanno e il dolore sottile del brusco risveglio.
Ad occhi chiusi, i pugni che si aprivano esausti sul materasso, Luca si lasciò di nuovo sprofondare contro il cuscino e percepì appena la porta che si apriva disegnando un cono di luce sul pavimento in ombra.
Anche quello si ripeteva tutte le mattine, parte inconsapevole di quella routine che segnava adesso le sue notti, avvelenandogli il sonno e i sogni. L'ultimo atto di quello spettacolo aveva il profumo di Anna, la sua mano delicata a sviargli i capelli sudati dalla fronte e le sue labbra fredde - sempre così d'inverno, sempre fredde - a sfiorarlo a metà tra un bacio e un buffetto da bambini, tra la confidenza di prima e la semplice attenzione da infermiera, tra il tutto e il niente. E mattina dopo mattina, quella specie di bacio durava un po' di più mentre Luca si sforzava di restare immobile, improvvisamente così tanto vigliacco da fingere di dormire. Perché aprire gli occhi ed ammettere di essere sveglio avrebbe reso inopportuna anche quella piccolissima intimità che si consumava nella penombra della stanza. Perché c'erano mesi di lontananza e di silenzi e di pagine voltate troppo in fretta a riempire adesso il loro rapporto, a rendere scomoda quella ritrovata convivenza, a costruire un muro di domande che lui affogava in un nervoso orgoglio.
Anna sfilò con lentezza la mano ancora intrecciata ai suoi capelli e Luca ne avvertì il tepore ad un soffio dalla sua guancia: la premessa di una carezza che non sarebbe arrivata neanche quella volta.
La sentì uscire dalla stanza con un sospiro pesante e il passo solo un po' troppo veloce, come il principio di una fuga. Nel buio di nuovo vuoto della sua stanza, Luca si chiese a cosa li avrebbe portati quella ridicola vigliaccheria fatta di silenzi troppi lunghi e comodi, di sonni finti e baci rubati, ad occhi chiusi e labbra fredde.
*

La pioggia rotolava in stretti e rapidi rivoli lungo i vetri delle finestre e il grigio di quella mattina di fine inverno sporcava il bianco accecante della casa.
La cucina annegava in una bolla di luce smorta, così triste e livida da essere perfettamente in linea con lo stato d'animo di Luca. Eh sì che essendo praticamente vivo per miracolo, il suo umore sarebbe dovuto essere decisamente diverso.
«Col cazzo...» borbottò all'aria, una fetta biscottata che finiva sbriciolata senza troppi complimenti in quella brodaglia deteinata che gli spacciavano per tè. Ci pensava tutte le mattine e ogni volta che guardava le tre garze bianche che lo attraversavano formando un'irregolare linea obliqua. Spalla sinistra, torace, stomaco. Tre fori circolari sotto le garze che erano cicatrici, promemoria e ostacoli tutto insieme. Coperti dalla maglietta poteva fingere fossero poca cosa. Non li vedeva lui e non li vedevano gli altri. Ma c'erano e lo sapeva lui e lo sapevano gli altri.
Luca guardò sconsolato la tazza di tè diventata una disgustosa poltiglia tremolante, buona solo per essere lavata via da un generoso scroscio d'acqua.
Con i movimenti lenti ed affaticati di quei giorni, si avvicinò al lavandino e svuotò la tazza sotto il getto freddo del rubinetto, mentre la finestra accanto gli rimandava l'immagine della strada sferzata dalla pioggia e una rumorosa processione di auto. Un po' invidiava la gente che continuava la propria vita come niente fosse mentre lui, invece, aveva visto il suo trasferimento a Torino sfiorire in una lunga e faticosa convalescenza in una casa piena di scatoloni, inospitale come mai gli era apparsa. Tutto nello spazio di una notte, del luogo sbagliato al momento sbagliato.
«Ohi, se vai un po' in salotto vado a sistemarti la camera!»
Anna era comparsa inaspettata sulla soglia della cucina e Luca era sobbalzato, quasi spaventato.
E lei se ne era accorta. Lei si era accorta di tutto in quei giorni ma non sapeva cosa fare, cosa osare, cosa pretendere o imporre. Non sapeva nemmeno più cosa era per lui.
«Scusami Lu', non volevo...» spaventarti, andarmene, sparire, ferirti.
«Fa niente, ero sovrappensiero!» e il suo sorriso sapeva di bugia, di cuore in gola, di respiro trattenuto.
Si erano sorrisi mentre Luca allungava una mano a sfiorarle il viso, a concederle quella carezza che lei invece gli negava nel limbo delle loro mattine senza voce. Solo la parodia di un bacio a labbra fredde e niente altro. Tutto il resto ammazzato dalle loro paure.
*

Anna era sparita nella sua camera, le lenzuola pulite sottobraccio, e Luca era rimasto lì, allungato scompostamente sul divano, a riflettere sulla stranissima situazione in cui si trovavano. C'erano momenti in cui era tentato di attribuire anche quello a Corallo e ai suoi tre colpi di pistola e, in parte, era vero. Era vero perché era stato quello a riportare Anna a Roma, a riportarla da lui, nella sua casa, a prendersi cura di lui. Luca rise da solo, la testa abbandonata all'indietro. Era quasi dovuto morire perché lei annullasse le distanze - almeno quelle fisiche -, perché si ricordasse cosa li aveva legati.
L'improvvisa e disordinata melodia di un gioco da bambini lo fece scattare all'erta e, in quell'istante di occhi sbarrati, Luca ricordò una manciata di parole ben precise. Le aveva sentite la prima volta, ancora intontito di anestesia, medicinali e dolori, nella confusione dei tanti che lo circondavano.
Possibile disturbo da stress post traumatico.
Le aveva pronunciate Anita, forte della sua laurea in psicologia, a pronosticare una conseguenza che suonava inevitabile. Luca aveva relegato tutto in un angolino della sua memoria, cosa poco importante, cosa senza futuro. Poi, una porta sbattuta di colpo, a sorpresa, e lui era saltato a sedere di scatto, le ferite a tirare dannatamente come se succedesse tutto daccapo, come se ogni sparo esplodesse di nuovo. Spalla sinistra, torace, stomaco. Elena, il lavoro messo in pausa a Genova senza particolari rimorsi, lo aveva stretto per le braccia e gli aveva parlato con calma. E quella manciata di parole era tornata.
Possibile disturbo da stress post traumatico.
E nel tono dell'amica, nelle sue spiegazioni chiare e dettagliate, tutto era diventato ineluttabile. Luca ne era diventato consapevole. Aveva capito che quei tre spari sarebbero diventati un incubo, che qualunque rumore inatteso lo sarebbe diventato, che anche riprendere in mano la sua pistola - la sua pistola - sarebbe diventato un traguardo per cui lottare. Una normalità interrotta.
La melodia riprese in un secondo giro e stavolta Luca non sobbalzò. Sorrise. Abbassò lo sguardo sul pavimento e si soffermò sulla piccolina che sedeva appallottolata tra i cuscini troppo grandi del divano. Ogni volta che si ritrovavano da soli nella stessa stanza, Luca ne approfittava per studiarla un po'; la guardava cercando neppure lui sapeva bene cosa. Forse cercava semplicemente Anna: la cercava negli occhi scuri di Marta, nelle sue guanciotte rotonde, nelle labbra a forma di cuore e in quelle manine minuscole. E qualcosa dentro di lui tirava il fiato ad ogni somiglianza che trovava, felice di non dovere ricondurre niente a quel misterioso uomo di cui nemmeno sapeva il nome. Anna non glielo aveva detto e lui non lo aveva chiesto. A volte l'ignoranza è una buona cosa e, certe cose, a quel punto, Luca preferiva non saperle.
La bambina, un anno da compiere a breve, sbatteva a tempo i piedini a terra, le manine affondate nel pelo dell'orsetto di pezza. Quando la musichetta si spense per la seconda volta, Marta si girò sulle ginocchia e prese a spingere l'orsetto sul divano. Quando finalmente ci riuscì, tornò a sedersi con un soffice plop, e puntò gli occhioni scuri su Luca mentre batteva contenta le manine e un sorriso sdentato le si apriva dietro il ciuccio. Lui ricambiò il sorriso d'istinto, mentre Marta afferrava un altro pupazzo. A Luca parve una dinoccolata ranocchia verde, gli occhi giganteschi e le zampe lunghissime, che sembrava enorme stretta tra le minute braccia della bimba più interessata a lui che al giocattolo. Come Luca studiava Marta, Marta sembrava studiare Luca. Ed era una cosa strana e divertente insieme. Facevano sempre uno strano effetto le occhiate che gli riservava Marta, la testa inclinata da un lato, come se stesse cercando di capire chi era lui e che posto avesse nel suo mondo di bambina. Ed era divertente vederla poi gattonargli incontro e tentare la scalata alle sue gambe, segno che qualunque posto avesse, Luca le piaceva.
Il copione aveva seguito fedele l'abituale schema e, dopo qualche secondo di intensa osservazione, Marta aveva gattonato tra i giocattoli e i cuscini e aveva artigliato con una manina la gamba di Luca. Senza Anna a fermarla, troppo preoccupata che potesse fargli involontariamente male, la piccola rinsaldò la presa sulla stoffa dei pantaloni di Luca e si tirò su, la ranocchia di pezza ancora incastrata sotto un braccino. Instabile, traballò un po' sulle gambe mentre lui la tirava con delicatezza sul divano.
«E adesso che vuoi fare?» chiese alla bimba, due perfetti dentini bianchi visibili dietro il ciuccio mentre si accoccolava al suo fianco.
Marta lo guardò di nuovo, i suoi occhioni da cerbiatto fissi in quelli malinconici di Luca, così tanto agitati e tormentati da non parere veri.
La bambina strinse il peluche a pieni mani, lo guardò per un momento e poi lo alzò verso di lui spingendoglielo contro finché non lo prese. Luca se lo rigirò in mano, pensieroso.
«Grazie piccola, ma non basta a risolvere la questione!»
Le paure, le cose non dette, i sentimenti in stand-by.
Un peluche non risolveva le cose dei grandi. Ma Luca apprezzava il gesto. Oh, se lo apprezzava. Sorridendo fece scorrere una mano tra i riccioli neri di Marta che tornò a fissarlo, gli occhi attenti di chi cerca una soluzione. A modo suo. Col sorriso più bello che Luca avesse mai visto - così da Anna, così di Anna - la bambina si tolse il ciucciotto dalla bocca con un ridacchiante schiocco e glielo offrì, il braccino teso appoggiato contro di lui.
«Oh, amore!» mormorò Luca mentre avvolgeva con la sua la mano con cui lei reggeva il ciuccio. Marta era così piccola eppure aveva capito comunque che lui non stava bene.
Certo, non poteva capire di cosa si trattava ma la tristezza dei suoi occhi l'aveva percepita. Nella sua ingenuità di bambina bastava un peluche o il suo adorato ciucciotto a mandar via gli occhi tristi e pazienza se a lui serviva altro; lei non poteva offrirgli che quello.
«Grazie tesoro, davvero!» rise Luca, gli occhi finalmente allegri, intanto che le portava il ciuccio di nuovo alla bocca e le scoccava un bacio tra i capelli. Marta riprese a ciucciare  entusiasta mentre gli agguantava una mano tra le sue e prendeva a giocarci, soddisfatta di quelle improvvisate coccole.
Le spalle appoggiate allo schienale del divano, Luca si sentì stringere da un paio di braccia sottili e nervose.
«Ti prometto che troverò un modo per risolvere tutto, Lu'! Risolveremo tutto!»
Le tue paure, le cose non dette, i nostri sentimenti in stand-by.
E Luca sorrise, mille domande che ballavano sulla punta della lingua, la pioggia che ancora scrosciava sui vetri, due piccole bollenti manine a giocare con la sua e un bacio a labbra piene.
Labbra delicate, quelle di Anna; labbra fredde, quelle di Anna, come sempre d'inverno; labbra di nuovo sue, quelle di Anna, non più ladre nel buio di una stanza silenziosa. Ad occhi aperti, a risolvere le cose.
Fine

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Capitolo 4
*** Amore surreale ***


Titolo: Amore surreale [Cade la neve]
Autore: Dani
Fandom: Distretto di Polizia
Capitoli: [3] 4-5-6 / 6 – Raccolta di One Shot
Personaggi: Luca Benvenuto, Anna Gori
Paring: Luca/Anna
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale
Rating: Giallo
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Taodue srl che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in Distretto di Polizia, appartengono solo a me.
Word: 1.174 - 1.494 - 1.607
Note: Post DdP11, What if – Titoli e versi da “Ovest”, "Ed è per sempre", "Resta come sei" di Antonino – Storia scritta per la Fluff Challenge di Contest & Mania Challange. Qui la mia tabella (Tabella: inverno; Prompt: 5. capelli spettinati; 4. neve; 1. maglione di lana) – Pubblicata la prima volta il 24/11/2013


Amore surreale


 
...un attimo
 
dammi ancora un attimo per guarire
prima che io possa dire che tutto è finito
[Ovest – Antonino]

C'era qualcosa di profondamente sbagliato in quello, Luca lo sapeva. E più fissava la scena che aveva davanti e più se ne convinceva, come una consapevolezza che risaliva piano attraverso le vene e i muscoli e l'aria che respirava. Era una sensazione, ingombrante come una certezza, che si faceva spazio tra i resti del sonno e gli faceva pensare che sì, tutto quello era sbagliato.
Era sbagliato che lui se ne stesse piantato sulla soglia della porta, scalzo e in pigiama, ed era sbagliato – sbagliatissimo – che dall'altra parte ci fosse lei, così concreta e irreale tutto insieme. Era sbagliato in un modo assurdo che Anna fosse lì, semplicemente quello.
E lo era così tanto che Luca fu tentato di considerarlo uno scherzo della sua mente, ecco; era così sottile la differenza tra sogno e incubo in quel momento che non ebbe il coraggio di definirla in altro modo nemmeno nella sua testa. Poi fu tutto un attimo: un tuono oltre le finestre, nel grigio sporco di quella mattina d'inverno, il pavimento freddo sotto i piedi nudi e il piagnucolio spaventato di un bambino. Fu come se qualcuno avesse acceso la luce, il torpore del sonno che restava solo negli occhi appesantiti e nei capelli spettinati, tutto il resto che esplodeva di limpida lucidità.
Anna era lì, sulla soglia di casa sua, sbagliata e giusta, consolante e dolorosa, salvezza e condanna.
«Che ci fai qui?» chiese Luca, un filo di voce mischiato al brontolio cupo dei tuoni di dicembre.
«Non lo so, Lu'! Ma immagino che “per farmi perdonare” sia l'unica cosa da dire che abbia un senso!» mormorò Anna, stringendosi nelle spalle e dondolando sui piedi, il piagnucolio lamentoso del bambino soffocato contro il suo collo.
Luca scosse la testa, entrambe le mani tra i capelli.
«Che cosa ci fai davvero qui, Anna?» chiese di nuovo, e altre mille domande gli volteggiarono attorno, gelide come gli spifferi di vento che arrivavano dalla porta aperta e da chissà quale finestra si era scordato di chiudere bene.
«Per farmi perdonare!» ripeté lei, niente di più e niente di meno. Tutto il resto sparito all'improvviso da qualche parte; il tempo passato, i silenzi, le porte chiuse in faccia, le vite nuove, le mancanze, tutto improvvisamente cancellato, dissolto chissà come in quel “per farmi perdonare”. Come se potesse bastare, davvero, a risolvere tutto quanto.
Luca si abbandonò contro la porta, stanco come chi aveva appena perso una sfiancante battaglia con il proprio orgoglio e la propria dignità.
«Vuoi entrare?» sospirò e lei sorrise e lui si ritrovò tutto ad un tratto il bambino tra le braccia.
Imbacuccato in un piumino blu, le guanciotte tonde e rosse, il piccolo lo guardava con un paio di occhioni scuri grandi e curiosi, come se lo stesse studiando, come se stesse decidendo, proprio lì e ora, se gli andava a genio o no. E qualcosa dentro Luca protestò violentemente, un moto di orgoglio distrutto che si sforzava con tutte le sue forze di inculcargli in quella testolina fatta male che si ritrovava che tutta quella situazione non era giusta e che era ancora in tempo per uscirne, per starne fuori sì, lì dove lei lo aveva sbattuto senza troppi complimenti. E invece, il bambino tese le manine verso di lui e gli afferrò qualche ciocca di capelli disordinati, tirando piano e mostrando una fila di perfetti dentini in un sorriso da bambolotto.
E quel che restava del suo orgoglio morì definitivamente ed era assurdo, assolutamente, e sbagliato. E contemporaneamente giustissimo, e Luca sarebbe impazzito, o forse lo era già, a starsene lì fermo, calmo e immobile come se niente fosse. Come se Anna non fosse piombata lì con la delicatezza di uno tsunami, con le valigie piene di tutta la sua vita e il figlio di un uomo di cui non gli aveva neanche voluto dire il nome. Come se non fosse ricomparsa da due anni e più di totale silenzio e assenza. Come se non si fossero mai interrotti.
Anna si avvicinò a loro ridacchiando, le valigie accanto ai loro piedi e la porta finalmente chiusa, e sfilò dalla testa del bambino il cappellino a forma di orsetto, due piccole e morbide orecchie che spuntavano sulla sommità.
«Credo che abbiate entrambi bisogno di un pettine!» si lasciò sfuggire, mentre il piccolo portava una manina tra i suoi capelli, nerissimi e scompigliati, e con l'altra tirava ancora quelli di Luca, ugualmente spettinati, ugualmente un gran casino. E anche lui rise, o almeno sembrò qualcosa di simile quel gorgoglio sbuffato a mezza bocca, gli occhi che incrociavano agitati quelli di Anna.
«Luca...» lo chiamò esitante, le mani ferme su quelle dell'uomo strette intorno al suo bambino. «Io...» tentò ma lui le sfuggì, un passo indietro sul pavimento freddo che ormai gli aveva congelato i piedi e uno sguardo allarmato che sembrava dire “aspetta, non sono pronto, dammi un attimo, lasciami capire”.
E lei lasciò perdere, strinse le mani lasciate vuote e sospese sul cappellino del figlio e gli sorrise incoraggiante, annuendo appena, come per dire che lei quello sguardo lo aveva capito, che lei i suoi sguardi li capiva ancora, nonostante tutto, come sempre.
«Be', allora, vogliamo andare a prenderlo questo pettine?» propose Luca, la voce un po' incerta e balbettante, mentre copriva la mano del bambino con la sua e gli faceva mollare la presa sui suoi capelli.
«Oh sì, se ci fai strada io e Mattia ti seguiamo volentieri!» ridacchiò ancora Anna, nervosa e un filo forzata.
Luca annuì a se stesso, registrando il nome del bambino che aveva ancora in braccio e lo imitò passandogli una mano tra i capelli. Glieli spettinò ancora di più, per negare ad Anna e soprattutto a sé come quella fosse in realtà una carezza, a ciò che sarebbe potuto essere, forse, uguale e diverso, se le cose fossero andate in un altro modo, se avessero fatto scelte diverse, se avessero avuto più tempo e meno fretta. Ma era andata così, in quel modo lì fatto di lontananza e perdite, e amen, insomma.
«Tieni!» esclamò Luca, le orecchie ronzanti dei suoi stessi pensieri, mentre la precedeva in bagno e le passava il pettine.
Lei gli fece un gran sorriso, le dita che sfiorarono le sue quando lo prese.
Assurdo, pensò di nuovo Luca. Assurdo che Anna fosse lì, nel suo bagno, a fare smorfie buffe al suo bambino, con un pettine in mano e l'inverno di Torino che si incrudeliva fuori da quelle quattro mura. Assurdo tutto.
«Nooo!» si lamentò Mattia, voce sottile e risata acuta che lo strapparono con violenza ai suoi ragionamenti, le manine agitate contro la mamma e il pettine e il faccino nascosto contro il suo collo.
«È inutile che ti nascondi contro di lui, sai? Tanto ti pettino comunque, e dopo pettino anche Luca!» lo minacciò Anna e Luca rise, stavolta davvero, schiacciato tra il lavandino e Mattia, che gli si agitava addosso e si arrampicava e si nascondeva.
Assurdo, pensò.
Assurdo ma bello, si corresse, con buona pace del suo orgoglio o di quello che ne restava.

 
...nella mia mente
 
ma la verità nascosta
è che manchi solo tu
ed è per sempre
nella mia mente
[Ed è per sempre – Antonino]

Ad un certo punto, Luca doveva aver perso il controllo. Sì, ad un certo punto, le sue azioni e i suoi pensieri e un po' tutto dovevano essergli sfuggiti di mano. Non riusciva a spiegarsi in nessun altro modo tutte quelle cose che aveva fatto e che aveva giurato a se stesso che mai e poi mai – assolutamente mai – avrebbe fatto. O fatto più. Mai subire le scelte degli altri, mai farsi usare, mai andarsene in giro con un cielo che prometteva neve. E credeva di essere inamovibile e, invece, aveva tenuto botta il tempo di un sospiro, così tanto volubile da volersi prendere a schiaffi. Che diamine c'era che non andava in lui? Ce l'aveva o no un briciolo di amor proprio?
Luca si strinse nel cappotto e si aggiustò contro la panchina, la testa piegata all'indietro e gli occhi a studiare il cielo grigio. La neve sarebbe arrivata di lì a poco, premeva già sul fondo delle nuvole e nell'aria meno rigida, e lui avrebbe voluto essere a casa, ad aspettarla dietro le finestre chiuse e lontano dal caos della città che si imbiancava. Lo avrebbe voluto, già, ma non lo avrebbe avuto. La neve lo avrebbe trovato lì, su quella panchina, a maledire un po' se stesso e un po' Anna. Perché lui non aveva avuto forza di volontà, ma lei gli era precipitata tra capo e collo a rivoluzionare tutto. Gli era piombata in casa un paio di settimane prima, a tirarlo giù dal letto più efficace della sveglia, a cancellare con un colpo di spugna tutto quello che c'era stato prima, tutto il silenzio, tutto il distacco, tutto il nulla che erano diventati. Luca sospirò e tornò a guardare davanti a sé, il parco brulicante di bambini e le luminarie di Natale a spiccare vivaci nel grigiore di quel pomeriggio. Tutto così normale e strano nello stesso momento, un po' piacevole e un po' allucinante, quello starsene lì a osservare e pensare e rimuginare su come Anna lo avesse sconvolto. Di nuovo, come quando si erano conosciuti.
Seduta sulle altalene, Anna lo salutò con una mano, il piccolo Mattia che la imitava con le manine infagottate nelle manopole. Luca sorrise suo malgrado, la sensazione che non avrebbe dovuto farlo che premeva in fondo alla gola.
Dio, doveva essersi davvero fritto il cervello! E doveva essere successo all'incirca due secondi dopo che l'aveva sentita parlare, fermi sulla porta, col pavimento freddo sotto i piedi e l'orgoglio calpestato. Gli era veramente mancata così tanto da far finta che non fosse successo nulla? Così tanto da ignorare le scelte che aveva preso anche per lui? Così tanto da farsi usare come e quando pareva a lei? Prima buon amico e confidente, poi quasi amore e all'improvviso più niente; un ripiego tornato utile solo adesso, perché magari le serviva, perché magari tutto il resto era andato male. E lui non avrebbe dovuto farsi coinvolgere di nuovo, no, davvero. Doveva esserci un limite anche al suo essere masochista, no?
Luca sbuffò, rassegnato. Evidentemente, lo spirito di conservazione doveva essere andato a farsi benedire insieme all'orgoglio e all'amor proprio. E a quel punto, visto che speranze di uscirne indenne non ce n'erano, forse avrebbe dovuto trovare il coraggio di fare qualche domanda. Tipo “Cosa è successo, Anna?” e “Cosa vuoi da me?”, solo quelle, sarebbero bastate per capire in cosa si era cacciato. E se valeva davvero la pena di ricominciare tutto, con lei accampata dentro casa sua e quel bambino di un altro uomo, tutto sorrisi e occhioni e un'altra vita che sarebbe stata anche la sua.
I primi fiocchi di neve arrivarono e furono inconsistenti come aria, sparuti come coriandolini. Luca tese la mano e ne raccolse uno nel palmo e lo guardò dissolversi in una minuscola gocciolina d'acqua, mentre raccattava almeno un pizzico di tutto il suo decantato coraggio da poliziotto. Chiuse il pugno e quando lo riaprì, la gocciolina nemmeno c'era più. In compenso, sentiva di avere coraggio sufficiente per far svoltare le cose.
Anna era ancora sulle altalene e dondolava piano facendo perno sui piedi, il bambino seduto sulle ginocchia e stretto tra le braccia. Luca si avvicinò lentamente, con le mani in tasca e la ghiaia del parco che scricchiolava sotto le scarpe.
«Ehi!» lo salutò lei, inclinando la testa sulla spalla destra per guardarlo, i piedi puntati a terra e l'altalena bloccata. Mattia, sommerso nel suo piumino blu, si lamentò dietro la sciarpa che gli copriva la bocca, per nulla contento di non dondolare più. Luca lasciò perdere tutti i suoi pensieri e il pantano di autocommiserazione in cui si era invischiato e, semplicemente, fece quello che gli andava di fare, senza chiedersi più se fosse giusto o sbagliato. Afferrò le catene dell'altalena, tirando piano verso di sé, e poi la spinse delicatamente e Anna e Mattia dondolarono di nuovo, un po' più in alto e un po' più velocemente di prima. Il bambino rise, i fiocchi di neve che si allontanavano e si avvicinavano mentre lui volava avanti e indietro, ed era più divertente di come lo aveva fatto volare prima la mamma. Luca lo guardò stendere le manine e agitarle, coloratissimi mulinelli nella neve che si infittiva, mentre Anna rafforzava la stretta intorno al suo corpicino. E in fondo, pensò, spingendo di nuovo l'altalena, non era così brutto che lei fosse ricomparsa nella sua vita. Era qualcosa che aveva a che fare con il suo profumo in giro per casa, con le cene un po' bruciacchiate, con la TV guardata dal divano, con la buonanotte ogni sera e la luce della stanza che si spegneva prima della sua. Per quanto si sforzasse di convincersi che quel prendersi e lasciarsi fosse un po' malato, era qualcosa che non riusciva a fare presa nella sua testa, troppo piena di lei e di quanto erano stati felici, troppo impegnata a fantasticare su quanto avrebbero potuto esserlo di nuovo. Ed era una cosa un po' da adolescenti, quel fantasticare, ma aveva il sapore dolce di una nuova primavera, arrivata dopo un inverno che non finiva più. E andava bene così, perché forse l'unica cosa sbagliata lì era che lui si faceva troppi problemi, pensava troppo e agiva troppo poco.
«È bello averti qui!» esclamò, chinandosi un po' quando la parabola dell'altalena gli riportò vicina Anna. Ed era la prima volta che glielo diceva e fu come un bentornata, dentro la sua casa, dentro la sua vita, dentro la sua testa. Fu come rimettere insieme i pezzi, ricucire i fili, tappare i buchi.
Anna puntò un'altra volta i piedi e il dondolio dell'altalena si fermò, esaurito in tante piccole oscillazioni, Mattia troppo distratto dai fiocchi di neve per accorgersene e lamentarsene.
«Davvero, Lu'? Non mi è sembrato che tu ne fossi molto convinto in questi giorni!» esitò lei, gli occhi grandi di chi aveva smesso di sperare di sentirsi dire una cosa del genere.
«No, hai ragione, non ne ero molto convinto, ma avevo i miei motivi, non credi?» rispose lui con un'alzata di spalle. Anna non poté che annuire, consapevole che di motivi per sbatterle la porta in faccia ne avrebbe avuti un sacco.
«Ok, parliamone! Che è successo a Trieste, Anna? Perché sei qui? Cosa vuoi da me?» sospirò Luca, senza più scappare, senza più chissà quali viaggi mentali a ingolfargli i pensieri. Si sedette sul sedile vuoto dell'altalena e puntò i gomiti sulle ginocchia, in attesa. Finalmente disposto ad ascoltare qualunque cosa lei avesse da dire, qualunque spiegazione, qualunque giustificazione. E mentre Anna si girava a fronteggiarlo, lui già sapeva che si sarebbe fatto andare bene tutto, fosse anche l'essere solamente un ripiego. Perché lei era lì e lui non voleva più tornare a farne a meno, lo aveva finalmente ammesso.
Anna annuì a se stessa e intanto organizzava tutto quello che aveva da dire, come se stesse decidendo da dove incominciare, mentre Mattia si muoveva tra le sue braccia. Il piccolo allungò le mani verso Luca, mostrando i palmi guantati e i tanti eterei fiocchi di neve che vi scioglievano sopra.
Luca sorrise e lo imitò, alzando una mano in aria a raccogliere a sua volta la neve e poi la tese al bambino. E facevano uno strano effetto quelle due mani affiancate, così diverse l'una dall'altra, una grande e l'altra piccola, con la neve sopra e tutto intorno. Mattia si sporse sulle ginocchia della mamma e batté le manine su quella di Luca, come una curiosa e impacciata carezza di lana, come un fuocherello tiepido che si era acceso da qualche parte tra di loro. Come l'incendio che diventò quando la vera carezza fu quella di Anna, le sue dita affusolate tra i capelli umidi e sulla guancia fredda.
«A Trieste è successo un gran casino!» iniziò lei, la mano ancora sul suo viso e gli occhi fissi nei suoi.
E a Luca, tenuto insieme dalle carezze di Anna e Mattia, in fondo in fondo neppure importava davvero di tutto il casino di Trieste.

 
...come Tu solo sei
 
e sei dentro di me
come tu solo sei
qualcosa sulla pelle di indelebile
[Resta come sei – Antonino]

Ormai Luca ci si era rassegnato e il fare il contrario di quello che avrebbe dovuto non era più chissà quale grande sconvolgimento. Lo era stato sì, roba da diventarci scemo, ma alla fine ci si era arreso. E anche con una certa serena facilità, doveva ammetterlo. Le sue guerre interiori erano state violente ma si erano esaurite tutte con la placidità di una candela che si consumava, così silenziose da far ridere rispetto al fragore che le aveva generate. E non lo sapeva se era una cosa positiva o no, quel seguire l'onda dei suoi sentimenti, col cervello che protestava e che cercava invano di riportare a galla la ragione, affogata negli occhi e nel profumo di Anna, persa per sempre in una carezza sotto la neve. E sapeva di spensieratezza quel bacio, di regole infrante, di convinzioni buttate all'aria e con tanti saluti a quello che non avrebbe dovuto fare e che stava facendo. Perché non avrebbe dovuto baciare Anna, davvero, farla rientrare nella sua vita non significava inguaiarsi di nuovo in quella loro complicata storia. Non avrebbe dovuto, davvero. E invece era quello che stava capitando, proprio lì e in quel momento, premuti contro il muro del corridoio, a baciarsi come due ragazzini, con la buonanotte che gli era sfuggita di mano.
Luca si sentiva la testa leggera, vuota come nel bel mezzo della sbornia più gloriosa di tutta la sua vita, tutto il mondo intorno a lui che gli martellava nelle orecchie al ritmo frenetico del suo cuore. Sembrava un tamburo che batteva in crescendo, quel battito contro i timpani, e che gli scivolava nelle vene, sotto la pelle pallida dei polsi, con le mani strette attorno ai fianchi di Anna. E non sapeva bene come ci erano arrivati a quel bacio sbagliato, che doveva essere labbra e guancia e invece era stato labbra e labbra. Era stato lui a peccare di mira o lei che si era girata al momento sbagliato? Sembrava una questione di grandissima importanza e contemporaneamente niente altro che una sciocchezza, un dettaglio di poco conto, mentre Anna si sporgeva verso di lui e cercava un altro bacio, lo pretendeva, lo otteneva. E fu come spegnere definitivamente la luce e sbattere la porta in faccia a tutti gli sforzi del suo cervello, a quell'ostinato cercare di ricordarsi come lei – lei – lo aveva trattato, a come lo aveva messo ai margini, a come lo aveva cacciato fuori, a come lo aveva cancellato. Ma, d'altronde, l'orgoglio e l'amor proprio e lo spirito di conservazione, Luca, se li era già giocati da un pezzo, infranti sotto il cielo ghiacciato di Torino, lì dove la ragione non era arrivata.
E il buio in cui Luca aveva lasciato scivolare i pensieri, esplose di colori dietro le palpebre chiuse, contro il profilo di Anna premuto contro di lui, attorno alle dita intrecciate tra i suoi capelli. E si riempì degli occhi enormi di Anna, liquidi e sgranati, quando lui riaprì i propri e la fissò, da sotto in su, fronte contro fronte. I respiri affannati si riflettevano tiepidi sulle labbra l'uno dell'altro, come dopo una corsa infinita, come se fosse durata secoli e li avesse stancati così tanto da bloccargli i muscoli, il cervello e i polmoni. Luca si tirò fuori a fatica da quella densa immobilità, i contorni della casa che tornavano nitidi ai confini del suo campo visivo, e mosse un passo indietro, le mani che dai fianchi percorsero le braccia di Anna, dai gomiti ai palmi. Intrecciarono le dita e per Luca equivalse a spiccare il volo, un salto senza paracadute. Tutto quello per cui aveva lottato, tutto quello per cui aveva passato una vita a giustificarsi, tutto quello che era stato sarebbe andato a morire tra le braccia di Anna, contro le sue curve morbide, in quello che sarebbe dovuto essere già da un mucchio di tempo.
E a Luca andava bene, checché ne dicesse la sua testa, gli andava dannatamente bene: tutti i dubbi, le paure e i turbamenti di una notte così simile a quella, riemersa dai ricordi come un sogno in bianco e nero, si dissolsero fatui come bolle di sapone quando si ritrovarono sul letto, il suo viso seppellito tra il collo e la spalla di Anna e il maglione di lana sfilato con urgenza. Perché non avevano più tempo da perdere, perché avevano aspettato anche troppo, perché l'attesa li aveva già feriti abbastanza.
*
L'alba di Torino, al di là delle tapparelle lasciate alzate, aveva i toni polverosi di un blu stinto che si sarebbero presto trasformati in quelli plumbei del grigio che già colorava le nuvole all'orizzonte, basse e compatte. L'aria gelida di quell'inizio di gennaio sembrava essere riuscita a infiltrarsi nella stanza, riflessa dai vetri nudi, e tutto il calore che era sopravvissuto era in quel letto e in chi lo occupava.
Sotto le coperte pesanti, Luca si stiracchiò rotolando prima sulla schiena e poi sul fianco. Ad occhi chiusi le sue braccia trovarono il corpo sottile di Anna, la sua schiena liscia e le sue mani calde che ricambiavano la stretta. E quell'abbraccio aveva il sapore di una vecchia abitudine, di una cosa fatta già così tante volte da averla imparata ormai a memoria, come se fossero fatti apposta per quello, per quello spicchio di letto, per quelle coperte condivise, per quelle braccia che si erano riempite d'amore.
Il pensiero si formò coi contorni indistinti del sonno e fu una specie di rassicurazione per Luca, che si era addormentato fissando tutto il suo scombussolato mondo sul fondo degli occhi lucidi di Anna. Occhi che avevano popolato tutto il sonno di quella notte, come fiamme accese dietro le palpebre chiuse, anche ora che le mani disegnavano pigre il suo profilo, gli spigoli dei gomiti e delle ginocchia, la curva dei fianchi e l'incavo della spalla sfiorato dai capelli. Il suo mondo era ritornato a posto, pensò Luca, mentre lei gli si strofinava addosso e poi scivolava fuori dal letto, il nome di Mattia mormorato in uno sbadiglio. Luca la immaginò attraversare il corridoio a piedi nudi, magari i vestiti della sera prima infilati al contrario, e poi entrare nella sua camera ad affacciarsi sul lettino del bambino, forse una mano passata tra i capelli neri e le copertine rimboccate per bene. Sorrise d'istinto, le braccia incrociate sotto il cuscino e il sonno che se ne andava del tutto.
Una manciata di secondi dopo, la porta cigolò appena mentre veniva socchiusa e Luca si girò, stiracchiando le braccia fuori dalle coperte. Se ne pentì quasi subito, con la pelle d'oca per il freddo della stanza e Anna che lo fissava sorridente appoggiata contro lo stipite.
«Freddo!» ridacchiò Luca, rimettendo le braccia al caldo, lo sguardo che scivolava come una carezza lungo la figura in penombra di Anna.
Nella poca luce della stanza, con l'alba che si faceva faticosamente strada tra le nuvole grigie, Anna sembrava perdersi nel maglione di Luca, troppo grande per lei, con le maniche troppo lunghe e l'orlo che le arrivava a metà cosce e lo scollo che le lasciava scoperta una spalla.
«Bel maglione!» commentò lui.
Anna allargò le braccia e il maglione si tese sul suo corpo scoprendole un po' di più le gambe. «Oh, non ti dispiace che io l'abbia preso, vero?» chiese con un'aria dubbiosa che era palesemente finta.
Luca si tirò su puntellandosi su un gomito e stette al gioco, finse di pensarci con un sopracciglio inarcato e un labbro masticato tra i denti.
«Mmm, no!» concesse alla fine, un'altra lunga occhiata scivolata sulla lana fitta e le gambe nude.
«Sicuro? Perché se no, puoi sempre venire qui a riprendertelo...» propose Anna, tirando l'orlo da un lato.
Luca neanche finse di ragionarci su, solo si lasciò cadere sul cuscino e rise.
«Non pensarci nemmeno! Non ho nessuna intenzione di uscire dal letto alle...» e si sporse per guardare la sveglia sul comodino, «...alle 6 del mattino per riprendermi un maglione. Però, se proprio ci tieni a restituirmelo, puoi sempre venire tu qui...»
Lasciò il discorso in sospeso e le coperte frusciarono piano al suo fianco, mentre ne spingeva un lembo in basso a scoprire le lenzuola sgualcite. Stavolta fu Anna a fingere di pensarci, come se lo stipite della porta e il pavimento freddo sotto i piedi potessero davvero essere un'alternativa allettante rispetto al letto e le coperte e il corpo caldo di Luca.
E Luca sorrise soddisfatto quando se la ritrovò accanto, le gambe fredde e il maglione morbido contro la pelle, mentre si lasciava baciare lentamente, con una calma che quella notte non avevano avuto. Le mani esigenti e impazienti di qualche ora prima, ora erano tenere e dispensavano carezze al ritmo voluttuoso dei loro baci.
E mentre si intrufolava sotto il maglione di lana, Luca si chiese distrattamente che senso aveva avuto aspettare così tanto, farsi così tanti problemi e così tanto del male, a negare e rifiutare e sbagliare. Dovevano finire così, lo avevano sempre saputo, a condividere una casa, un letto, una vita, la stessa famiglia e quell'amore a cui prima o poi avrebbero dovuto cedere. Perché lei era qualcosa scivolata sotto pelle e nello stomaco e nel cervello, più o meno da quando si erano incontrati; perché lei era sopravvissuta a tutto, indelebile come una cicatrice o un tatuaggio del cuore; perché lei era indispensabile e lui lo aveva ammesso. Il suo orgoglio e l'amor proprio e lo spirito di conservazione se ne sarebbero fatti una ragione e, mentre le sue mani si facevano strada sotto il maglione di lana e scorrevano innamorate lungo la schiena di Anna, Luca sapeva che sarebbe stata la cosa più semplice del mondo.

 
Fine

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