Le Avventure di Serena Latini, Sfigata Tassorosso

di LaGraziaViolenta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dove Serena Latini scopre che Scorpius Malfoy non la fila e dove prova un ardente desiderio di mandare a quel paese Albus Potter. ***
Capitolo 2: *** Dove Serena Latini si occupa di pettegolezzi e una merenda le rovinerà la giornata. ***
Capitolo 3: *** Dove Serena Latini cerca di guadagnarsi il suo cutie mark. ***
Capitolo 4: *** Dove si avanza la teoria che la grandezza dei Patroni sia indice di un’altra grandezza. La grandezza morale, ovviamente. ***
Capitolo 5: *** Dove Serena Latini sogna ad occhi aperti durante la lezione. Niente di più, davvero. ***
Capitolo 6: *** Dove si scopre che Jeanie Joy ha torto, la biblioteca non è il posto migliore per studiare, perché lì capita di tutto e si finisce per non studiare mai. ***
Capitolo 7: *** Dove Serena Latini rimpiange il tempo perso in biblioteca e ha un colloquio privato con qualcuno che non si aspettava. ***
Capitolo 8: *** Dove Jeanie Joy ha uno strano incontro con uno strano Tassorosso che le fa strane proposte e dove si fanno strane affermazioni. ***
Capitolo 9: *** Dove si scopre che la mancanza di connessione internet provoca astinenza. ***
Capitolo 10: *** Dove si rischia il diabete per la spropositata quantità di dolci che sommerge questo capitolo. ***
Capitolo 11: *** Dove Serena Latini scopre di non avere un favoloso destino, perché i Tre Manici di Scopa non è il Café des 2 Moulins. Parte 1. ***
Capitolo 12: *** Dove Serena Latini scopre di non avere un favoloso destino, perché i Tre Manici di Scopa non è il Café des 2 Moulins. Parte 2. ***
Capitolo 13: *** Dove Serena Latini scopre di non avere un favoloso destino, perché i Tre Manici di Scopa non è il Café des 2 Moulins. Parte 3. ***
Capitolo 14: *** Dove si cerca di trasformare Jeanie Joy in una bomba sexy e dove Chelsea insegna a traumatizzare i bambini. ***
Capitolo 15: *** Dove Serena Latini scopre che i maghi si considerano degli stalloni il cui unico scopo è procreare un certo tipo di prole. ***
Capitolo 16: *** Dove Serena Latini riceve una dichiarazione. Non d’amore, per fortuna, non è proprio il caso. ***
Capitolo 17: *** Dove Serena Latini segamentalizza, e le sue amiche le vanno dietro. ***
Capitolo 18: *** Dove il fuoco della passione brucia Serena Latini e qualcuno lo spegnerà per lei. ***
Capitolo 19: *** Dove il Malefico Trio dimentica per cinque minuti tutti i propri guai. ***
Capitolo 20: *** Dove Serena Latini scopre che anche a Hogwarts ci sono cose impossibili. E no, il fatto che sia una scuola di magia non è una scusa. ***
Capitolo 21: *** Dove Serena Latini e Jeanie Joy subiscono un’altra volta la Maledizione della Biblioteca. Ovvero, non possono studiare in santa pace. ***
Capitolo 22: *** Dove si scopre che gli elfi domestici farebbero di tutto per soddisfare le voglie della signorina Chelsea e della signorina Serena. ***
Capitolo 23: *** Dove si scopre perché questo Halloween rimarrà per sempre impresso nella memoria di Serena Latini. No, Jack Skellington non darà spettacolo in mezzo alla Sala Grande, mi dispiace. Parte 1. ***
Capitolo 24: *** Dove si scopre perché questo Halloween rimarrà per sempre impresso nella memoria di Serena Latini. No, Jack Skellington non darà spettacolo in mezzo alla Sala Grande, mi dispiace. Parte 2. ***
Capitolo 25: *** Dove si scopre che dubitare di Jeanie Joy è sempre male perché lei ha sempre ragione, e quando ha torto allora ha ragione ad avere torto. ***
Capitolo 26: *** Dove in otto battute (contate!) si bruciano tutte le speranze di Serena Latini. Sì, l’acidità dei Serpeverde ogni tanto ha di questi effetti collaterali. ***
Capitolo 27: *** Dove Chelsea, a Wanna Marchi, fa mangiare la polvere. ***
Capitolo 28: *** Dove ci si imbarazza tanto, troppo, e troppo a lungo. Parte 1. ***
Capitolo 29: *** Dove ci si imbarazza tanto, troppo, e troppo a lungo. Parte 2. ***
Capitolo 30: *** Dove Jeanie nemica usa Fulmisguardo! Difesa di Serena cala! Serena usa Meditazione! Attacco di Serena sale di molto! Chelsea nemica usa Pazienza! Chelsea nemica accumula energia! Serena usa Spalsh! Ma ***
Capitolo 31: *** Dove Serena si sente attanagliare lo stomaco per la gelosia, la vergogna e forse anche la fame. ***
Capitolo 32: *** Dove si scoprono cinquanta sfumature di Albus. ***
Capitolo 33: *** Dove viene fondato l’EmoClub del Bagno di Mirtilla. Che aspetti? Deprimiti con Mirtilla anche tu! ***
Capitolo 34: *** Dove il Malefico Trio non dimentica i propri guai, ma ne causa di nuovi. ***
Capitolo 35: *** Dove il lunedì mattina si manifesta in tutta la sua terrificante malvagità. Forse. ***
Capitolo 36: *** Dove si scopre che la sorella di Chelsea è una piccola strega. La scoperta dell’acqua calda, insomma. ***
Capitolo 37: *** Dove la Maledizione della Biblioteca colpisce ancora e le fantasticherie più proibite prendono vita. ***
Capitolo 38: *** Dove una serie di manipolati eventi fa sì che Serena non abbia un viaggio sereno. ***
Capitolo 39: *** Dove Serena Latini si comporta in modo assolutamente babbano, ma ciò che succede è assolutamente magico. E dove Babbo Natale fa una comparsa, non dimentichiamolo. ***
Capitolo 40: *** Dove una Cioccorana compie il miracolo che sei anni a Hogwarts, un corso di Storia della Magia, due amiche impazienti, uno spasimante e svariati riferimenti non erano ancora riusciti a compiere. ***
Capitolo 41: *** Dove Serena Latini vive un Emomento semiserio ed entra in Modalità Casalinga Disperata. ***
Capitolo 42: *** Dove Serena Latini è scossa da una febbre che non sapeva di avere, un soffio d’aria al posto giusto le fa rischiare lo svenimento e scopre qual è la Casa più sporcacciona di Hogwarts. ***
Capitolo 43: *** Dove in quel pazzo giovedì si fanno congetture su uno gnocco, si leggono schemi sugli gnocchi e una bella gnocca bionda ricompare in scena. ***
Capitolo 44: *** Dove gli unicorni la fanno da padrone, Rarity mostra il suo amore per la moda nonché una certa predilezione per la lana e dove un tè un po’ rustico scioglie l’atmosfera. E non solo quella. Parte 1. ***
Capitolo 45: *** Dove gli unicorni la fanno da padrone, Rarity mostra il suo amore per la moda nonché una certa predilezione per la lana e dove un tè un po’ rustico scioglie l’atmosfera. E non solo quella. Parte 2 ***
Capitolo 46: *** Dove si discute della serpeverdesca essenza e di sexy amanti nascosti nell’armadio. ***
Capitolo 47: *** Dove si impara ad affrontare il trauma della prima lezione, dove si assiste ad una prova di forza e dove si scopre che anche se Serena Latini vede del buono in tutti non tutti vedono del buono in lei. ***
Capitolo 48: *** Dove Rosita mostra di avere un certo talento nel riscaldare l’atmosfera. ***
Capitolo 49: *** Dove si snodano molto approssimative lotte per il potere e dove si conia un nuovo motto con una rima in romano. ***
Capitolo 50: *** Dove Serena spera che la fortuna possa essere sempre a suo favore, perché sa di averne bisogno. ***
Capitolo 51: *** Dove Serena scopre gli stupefacenti effetti dell'alcool. Mi raccomando, bevete con moderazione e abbiate pietà del vostro fegato. ***



Capitolo 1
*** Dove Serena Latini scopre che Scorpius Malfoy non la fila e dove prova un ardente desiderio di mandare a quel paese Albus Potter. ***


Dove Serena Latini scopre che Scorpius Malfoy non la fila e dove prova un ardente desiderio di mandare a quel paese Albus Potter.



Sei anni a Hogwarts e cosa avevo imparato? Assolutamente nulla.
«Avanti, Serena! Prova ad andare a parlarci, almeno! Che ci vuole?» Chelsea mi tirò una gomitata e io sussultai. Che ci vuole, dice lei? E certo, lei è una Grifondoro, se non avesse coraggio lei chi dovrebbe averne? Rivolsi uno sguardo disperato a Jeanie. Lei sospirò e si sistemò gli occhiali.
«Be’, direi che potresti chiedergli, per esempio, se ha avuto i compiti di Pozioni, visto che hai detto che era assente.»
Sgranai gli occhi. «Ma c’è Potter lì con lui!»
«E allora? Siamo in biblioteca, che c’è di strano?» Chelsea si sporse da dietro lo scaffale e spiò i due ragazzi seduti al tavolo. Biondo uguale Malfoy. Moro uguale Potter. Malfoy uguale interessante. Potter uguale scassaballe.
Jeanie sospirò ancora, così rumorosamente che Potter alzò lo sguardo dai libri. Io mi ritrassi dietro lo scaffale, una mano posata sul cuore. «Jeanie!» sibilai, irritata.
«Senti, Serena, se vuoi andare a parlargli vai. Se non vuoi non ha senso stare qui. Mi conviene andare a studiare.»
«No, non andartene!» Afferrai Jeanie per la manica e la guardai con aria implorante.
«E allora vai. Che dopo, veramente, dovrei studiare. Mica posso abbassare la media.»
Chelsea arricciò il naso. «Madame Corvonero pensa che la sua media non valga una consulenza a un’amica? Sii collaborativa, dai.»
Jeanie sollevò le sopracciglia. «”Collaborativa” non significa “perdere il pomeriggio a sospirare dietro a Malfoy”. Che poi, tra l’altro» si girò verso di me, «non riesco a capire cosa ci trovi in lui. Un Serpeverde come un altro, sembrano fatti con lo stampino. Potter invece, anche se è Serpeverde, mi sembra più simpatico.»
«Ma dai, Jeanie, sei fredda come il marmo! Se a lei piace Malfoy…»
«Sssh!» agitai le mani frenetica. Il mio viso era bollente, di certo ero arrossita. «Non così forte, Chelsea!»
«E allora vai, no?»
Chelsea mi diede uno spintone e io barcollai. Mi ritrovai oltre lo scaffale, non più protetta alla vista dei due ragazzi. E ovviamente Potter mi vide.
«Oh, chi si vede! La Tassorosso!»
Scorpius si girò a guardarmi.
Probabilmente ero più rossa della cravatta da Grifondoro di Chelsea.
«C-ciao.» Alzai la mano per salutare, ma i libri che reggevo caddero a terra con gran fracasso. Strabuzzai gli occhi e mi chinai subito a raccoglierli. Potter rise. Malfoy sembrava indifferente. O forse mascherava bene quel che provava. Qualsiasi sentimento di disgusto potesse provare per un’imbranata Tassorosso.
Deglutii, e mi avvicinai al tavolo. Posai i libri, prima di fare altri disastri.
«Vo-vo-volevo chiedere se avevate t-tutti i compiti di Pozioni. Visto che frequentiamo insieme. E visto che, be’, l’altra volta, sicuramente per un buon motivo eh, non ne dubito, Scorpius non c’era…»
«Me li ha passati Potter.»
«Ah…» Cosa significava? Che potevo andarmene? Che dovevo andarmene? «E li hai già fatti tutti?»
«Latini» intervenne Potter. Mi girai, sorpresa che mi chiamasse per cognome anziché “Tassorosso”, come faceva di solito. «Pensi che Scorpius sia così deficiente da non riuscire a fare i compiti? Lo so che è un po’ tardo, però…»
Avvampai.
Risposta istintiva. Fatti i cazzi tuoi, Potter.
Risposta che diedi. «No… Non volevo dire questo. È che… Solo che, sapete, Lumacorno sarà un po’ contrariato se qualcuno arriva senza compiti, così…»
«In ogni caso sono fatti miei, Latini» rispose Scorpius.
La vista mi si offuscò. Mi appoggiai al tavolo con una mano. «Sì, certo… Certamente. Hai ragione.»
Scorpius mi guardò negli occhi e inarcò un sopracciglio biondo. Io abbassai lo sguardo.
«Allora… Vado…»
Mi voltai e corsi dalla parte opposta rispetto a dove erano nascoste Jeanie e Chelsea. Non volevo che mi consolassero. I miei passi echeggiarono nella biblioteca. Sperai che madama Pince non mi vedesse, così avrei evitato un altro episodio spiacevole.
«Ehi, Tasso! I libri!»
Mi fermai e mi voltai. Potter mi stava venendo dietro, coi libri sottobraccio.
«Caspita, come corri! Che fai, li lasci lì?»
Risposta istintiva. Non te ne frega un cazzo, Potter. Fuori dai piedi.
Risposta che diedi. «Non fa nulla.»
«Tieni.»
Mi tese i libri. Ansimava ancora per la corsa. Anche io ansimavo, ma non me ne importava. Guardai i libri, per evitare di guardare Potter in faccia. Chissà se ero ancora rossa. «Scusa il disturbo» dissi. Presi i libri, mi voltai e scappai via.

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Capitolo 2
*** Dove Serena Latini si occupa di pettegolezzi e una merenda le rovinerà la giornata. ***


Dove Serena Latini si occupa di pettegolezzi e una merenda le rovinerà la giornata.



Giravano pruriginose e indecenti voci riguardo ad alcuni festini che si sarebbero tenuti ogni notte nella Casa di Serpeverde. Con la luna nera, fai da te. Con il primo quarto, coppie. Con la mezzaluna, triangoli. Con la luna piena, orge.
Ma era ovvio che si trattassero solo di voci. Voci che screditavano la nobile Casa dei rettili. Qualunque Serpeverde l’avrebbe smentito, no? No?
«Serena, stai sragionando.» Jeanie si portò una mano alla tempia e gli occhiali le scivolarono lungo il naso. Se li rimise a posto con l’indice.
«E non ti dico la Stanza delle Necessità!»
«Ah, sono voci che girano anche a Grifondoro…» fece Chelsea. Io la guardai e annuii risoluta. Era impossibile che tutte quelle voci circolassero se non ce n’era motivo. C’era sempre un fondo di verità nelle voci.
Jeanie sbuffò e scosse il capo. «Ma secondo voi qui, a scuola, dove ci sono addirittura incantesimi che impediscono ai ragazzi di accedere alle stanze delle ragazze, è possibile che si tengano festini del genere?»
Raddrizzai la schiena e proclamai in tono solenne: «Un giorno anche i maghi avranno la connessione internet. E allora quel giorno, quel giorno sapranno la Verità.»
«Cos’è la connessione internet?»
«Non è roba per te, Chelsea. Babbanate» fece Jeanie.
«E conoscerete la religione dei My Little Pony e il Verbo delle fanfiction.»
«Fanfiction?» Chelsea sgranò gli occhi.
«Serena, smettila. O finirà per crederti.»
«Jeanie Joy, anche tu, un giorno!» La afferrai per un braccio e la guardai implorante, ad occhi sgranati. «Un giorno diffonderai il Verbo!»
«Diffonderai il Verbo nel linguaggio dei sordomuti se mi chiami ancora Jeanie Joy» sibilò lei di rimando.
«In effetti, però»  intervenne Chelsea grattandosi il naso, «James Potter parla spesso delle porcate che fanno a Serpeverde.»
«James Potter?» chiesi. «Non si chiamava Albus?»
«Potter bis» chiarì Jeanie.
«Ah! E allora chiamatelo col suo nome!»
«L’ha fatto…»
«Comunque» ci interruppe Chelsea «stavo dicendo che anche a Grifondoro girano queste voci che riguardano i Serpeverde.»
Jeanie spinse gli occhiali alla base del naso. «James Potter non mi pare una delle fonti più attendibili in circolazione. Se ne parlasse Rose Weasley, forse…»
«Chi?»
«Weasley femmina.»
«Ah. Ok.»
«James Potter è un tipo divertente.» Chelsea si strinse nelle spalle.
«Non lo rende attendibile» puntualizzò Jeanie.
«Direi» dissi, e tirai un respiro per fare una pausa ad effetto, «direi che è giunto il momento di indagare di persona.»
Jeanie alzò una mano e iniziò a contare sulle dita. «Non schianto persone. Non faccio rissa. Non occulto cadaveri. Non entro di nascosto in sale comuni altrui. Non faccio da esca vivente. Non preparo pozioni proibite. Non preparo pozioni consentite se non a pagamento.»
«Allora, magari…»
«Non mi travesto da pony.»
Sporsi il labbro inferiore, contrariata.
«Io invece farei tutto questo» disse Chelsea. «Escluso travestirmi da pony. Per un’amica ci sono sempre!»
«Grazie, Chelsea.» La abbracciai. Chelsea ricambiò la stretta, poi mi tirò una gomitata e mi fece l’occhiolino.
«E se scoprissi che con la luna piena ci sono davvero le orge, che faresti?»
Ripensai alle fanfiction. Arrossii. «Niente. Ma qualcuno deve pur difendere la moralità dei Serpeverde. Le voci ci sono per un motivo, no? E se sono vere devo saperlo. E proteggere l’onore serpentesco.»
Jeanie alzò un sopracciglio. «Non ha a che vedere con Scorpius Malfoy tutto questo, vero?»
«Ovvio che no.»
«Menti con la convinzione che ci metterebbe un bambino se venisse scoperto con le mani nel vasetto di marmellata.»
«A me è capitato» disse Chelsea. «I dieci minuti peggiori della mia vita. Anzi, a parlare di marmellata, mi è venuto un certo appetito… Andiamo nelle cucine?»
«Contro le regole» scattò subito Jeanie.
«Tu, Serena, sei con me?»
Mi morsi il labbro. «Ma le regole…»
«Niente ispezione a Serpeverde.»
«Vengo subito.»
Jeanie alzò gli occhi al cielo. «Siete due vandale. Ci vediamo tra mezz’ora in biblioteca.»
Lasciammo Jeanie al suo destino e ci dirigemmo verso i sotterranei. In verità l’idea di infrangere una regola mi stringeva lo stomaco, ma probabilmente anche lo stomaco di  Chelsea era stretto, seppure per la fame. Povera Chelsea. Dimagrire era un sogno ancora lontano.
Dopo aver fatto sghignazzare la pera entrammo nelle cucine. Chelsea si stava già fregando le mani quando udimmo una voce.
«Non esagerare.»
Afferrai Chelsea per una manica e la guardai ad occhi sgranati. Era una voce conosciuta…
«Ma Albus, sei incivile. Guarda Rosemary, lei mica si sbrodola come te.»
Scorpius Malfoy. Malfoy Radar in attivazione.
Potter, Albus. Identificato.
Higgs, Rosemary. Identificata.
Guardai Chelsea e alzai le sopracciglia. Mi portai l’indice davanti alla bocca, per farle segno di tacere. Restammo immobili, nascoste. Tesi le orecchie per ascoltare la conversazione.
«E si vede che Rosemary ne mangia più spesso.» Albus.
Rosemary rise.
«Attento, guarda come cola! Se non lecchi intorno…»
Anni e anni di connessione internet e di fanfiction non solo italiane mi avevano addestrata a recepire qualsiasi significato poco consono. Le voci inglesi, poi, stavano incrementando il mio potenziale.
Questa era sicuramente una Conversazione che Non Avrei Dovuto Udire. Mi venne il batticuore. Strinsi convulsamente la manica di Chelsea.
«Ehi, Serena, tutto bene?» mi sussurrò.
«Ma lo fai colare tutto, così.» Rosemary. «Non puoi stringerlo in quella maniera, vedi come sbrodola? Albus, sei un imbecille patentato.»
«E si vede che voi donne lo fate meglio.»
«Idiota.»
Guardai Chelsea, implorante.
«Chelsea… Non dirmi che…»
«Oh. Sì invece.» Chelsea mi sorrise con un’espressione di beatitudine dipinta sul volto. «Devono essere freschi freschi, fragranti… Si sente il profumo da qui…»
Inorridii. Il profumo? Il profumo?
Mi girai e fuggii. Non c’era neanche la mezzaluna, pensai, era novilunio. Uscii di corsa dal ritratto e mi fiondai in corridoio.
«Ehi!»
Chelsea mi afferrò il braccio e mi costrinse a fermarmi. Mi girai verso di lei e mi scostai.
«Che ti è preso, Serena?»
«Non…» deglutii. «Non riuscivo a sopportarlo! Anni e anni di fanfiction non mi hanno preparata a tutto questo! Yaoi puro! Anzi, no! Misto!»
Chelsea mi fissò preoccupata. «Che è la yaoi? Una crema italiana?»
Scoppiai a ridere, nervosa. «Sì, certo, una crema italiana…»
«Eppure non capisco. Credevo che le brioches appena sfornate ti piacessero. C’era un profumo… A colazione le mangi! Non stai bene, per caso?»
Mi irrigidii. Brioches.
Brioches.
Brioches.
«Credo» mormorai lentamente, «che non mangerò mai più una brioche in vita mia, Chelsea.»

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Capitolo 3
*** Dove Serena Latini cerca di guadagnarsi il suo cutie mark. ***


Dove Serena Latini cerca di guadagnarsi il suo cutie mark.



Credevo fermamente nella religione dei My Little Pony. Come i pony avevano i loro cutie mark, io ero fermamente convinta che ogni persona avesse un talento.
Chelsea Shields era una perfetta Grifondoro. In sovrappeso, in perenne pericolo di rotolare giù dalle scale, ma comunque una perfetta Grifondoro. Se ne infischiava quando la chiamavano porcella, barile e altri nomignoli simili. A mio parere il suo viso rotondo e paffuto stava a meraviglia incorniciato dai suoi capelli scuri e mossi e le sue guance erano sempre rosa, il che le dava un’aria sana. Il suo talento era il canto, quindi se fosse stata un pony avrebbe avuto sulla coscia una bella nota musicale. Mancanza a cui si poteva sopperire con un pennello e un po’ di henné.
Jeanie Joy invece era a Corvonero. Una media scolastica invidiabile, e chi si aspettava il contrario da una Corvonero? I suoi capelli biondo oro erano sempre legati in una treccia che le ricadeva su una spalla e i suoi occhiali dalla montatura spessa e nera le davano un che di serioso. Eppure, a mio parere, era molto carina. Razionale, responsabile, efficiente, a meno che non prendesse un voto inferiore a Oltre Ogni Previsione. Allora si trasformava in un demonio e si gettava in uno studio matto e disperatissimo. Il che in sei anni era accaduto una volta sola. Se fosse stata un pony il suo talento sarebbe stato la botanica, o l’Erbologia. Qualunque cosa toccasse sembrava fiorire spontaneamente, che fosse una cipolla o una mandragola. Aveva sicuramente un futuro nel mercato ortofrutticolo.
Io invece, Serena Latini, ero una sfigatella in Tassorosso, nata babbana, e pure italiana. Quando avevo undici anni mi arrivarono due lettere, una in francese e una in inglese. Decifrato il contenuto pensai ad uno scherzo, finché dei maghi veri non vennero a parlare ai miei genitori. Scelsi la scuola con un criterio impeccabile: la cucina francese era troppo nouvelle per i miei gusti. Non sapevo ancora che orrori mi attendevano con quella inglese. Se fossi stata un pony avrei avuto il vuoto pneumatico sui miei fianchi, perché non avevo nessun talento.
Insieme Chelsea, Jeanie e io facevamo le Tre Case. Ci mancava una Serpeverde. Io speravo sempre che invece a completare la lista fosse un Serpeverde, ma non fa niente.
Mi dondolai sulla punta dei piedi, in attesa che in cima alle scale dell’ingresso comparisse Chelsea. Jeanie incrociò le braccia e prese a battere il piede per terra.
«Sempre in ritardo, masnada di Grifondoro, tutti uguali… Dieci minuti di colazione persi… Al vento… Perché sì…»
«Tranquilla, Jeanie Joy…»
«Non chiamarmi così, lo detesto. Non puoi chiamarmi semplicemente Jeanie?»
«Ma il tuo nome è musicale! Jeanie Joy! Se tu fossi un pony…»
«… avrei una foresta pluviale dipinta sulla coscia. E sarei oggetto di studio a Cura delle Creature Magiche, suppongo.»
«Oh, no. Basterebbe un fiorellino, credo, la foresta pluviale sarebbe un po’ ingombrante.»
Poi arrivò l’orda barbarica dei grifoni. Potter bis, fratello maggiore di Potter serpe, comparve sulle scale, seguito subito da Weasley femmina e Weasley bis. Di corsa dietro di loro arrivò Potter femmina bis. Troppi nomi per essere ricordati, i cognomi erano sufficienti, e le loro brutte facce tutte uguali. Più o meno.
Chelsea comparve subito dopo. Individuò me e Jeanie e agitò la mano nella nostra direzione.
«Arrivo, ragazze!»
Mise un piede sulla scala, ma non afferrò il corrimano. E cadde.
Fece tutta la scala col sedere, travolgendo Weasley bis, subito davanti a lei, e Potter bis, troppo lento per scansarsi. Tutti i maschi furono abbattuti come birilli e trascinati fino in fondo alla scala.
Strike, Chelsea.
Lanciai un’occhiata a Jeanie. «Qualcosa mi dice che la colazione la passeremo in infermeria.»
«Parole sante, Serena.»
Ci avvicinammo alle vittime. Chelsea si massaggiava il sedere, dolorante e rossa in viso. Weasley femmina cercava di aiutare il fratello minore ad alzarsi.
«Tutto bene, Hugo?»
«Foscolo?» borbottai.
«Eh?»
«No, niente.»
Io e Jeanie afferrammo Chelsea ciascuna per un braccio e la trascinammo in piedi. Sentimmo delle risate e vedemmo che i Serpeverde stavano uscendo dai sotterranei e puntavano il dito contro quella massa informe di Grifondoro a terra. Ridevano a crepapelle.
«Forza, Chelsea» dissi. «Niente di rotto? Colazione o infermeria?»
«Colazione per rimetterci in forze. Infermeria per saltare Incantesimi.»
«Ci avrei giurato.»
Feci un debole sorriso. Chelsea stava in piedi, e non sembrava che nessuno si fosse fatto male. Bisognava guardare il lato positivo. Potter serpe non era in vista.
«Ehi, c’è il Tasso!»
L’istinto animalesco di fuga scattò. Mi slanciai in avanti per correre e inciampai nella gamba di Potter bis, che cacciò un grido. Caddi per terra.
«Serena?» Jeanie mi fissò a bocca aperta, poi alzai gli occhi. Seguii il suo sguardo.
Non solo c’era Potter serpe, ma c’era anche Scorpius Malfoy.
La religione dei Pony, in questo momento, non aveva suggerimenti da darmi.
«Ehi, Tasso, volevi azzoppare mio fratello per caso?»
Potter serpe se la rideva, a quando pareva. Sembrava divertito. Scorpius guardò la massa di Grifondoro ammaccati con un sogghigno. Poi guardò me. Io avvampai e posai lo sguardo.
«Lasciala stare» borbottò Chelsea. Mi porse la mano e mi aiutò a rialzarmi. Jeanie mi pulì la gonna con qualche colpo della mano.
Figure di merda con Scorpius: quota due. Forse, se arrivavo a dieci entro la fine della settimana, avrei trovato il mio cutie mark. Anche se iniziavo a sospettare che non l’avrei voluto.

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Capitolo 4
*** Dove si avanza la teoria che la grandezza dei Patroni sia indice di un’altra grandezza. La grandezza morale, ovviamente. ***


Dove si avanza la teoria che la grandezza dei Patroni sia indice di un’altra grandezza. La grandezza morale, ovviamente.



«Io sono convinta» proclamò Jeanie aggiustandosi gli occhiali sul naso, «che le dimensioni di un Patronus non siano importanti. Se è corporeo, è efficace. Se è non-corporeo, non è efficace. Tutto qui.»
Scossi il capo, sconsolata.
«Jeanie ha ragione» disse Chelsea, e posò una mano sulla mia spalla. «Non ti abbattere. Non ha senso stare qui seduti sulle scale. Andiamo fuori, piuttosto, e non pensiamoci più.»
Tirai su col naso, producendo un rumore simile a quello di una spatola che raschia contro una botte. «È che mi sono esercitata tanto. Giovedì a lezione nessuno ci è riuscito, tranne Jeanie Joy, ecco… Però…»
«Oh, quello.» Jeanie si chinò su di me e abbassò la voce: «Ti devo fare una confessione. Una confessione importante. Immaginavo che il professore ci avrebbe chiesto di evocare un Patronus, quindi mi sono esercitata molto, da sola, in un’aula vuota. Per questo lo sapevo evocare. Non l’ho evocato neanche io al primo colpo.»
«Ma va bene» mormorai. «Non è perché non ce l’ho fatta subito. Non è quello il problema.»
Jeanie si raddrizzò e incrociò le braccia. «Allora non capisco. Fregatene della forma, no? Ce l’hai fatta.»
«Usciamo, ragazze vi prego» implorò Chelsea di fianco a me. «Queste scale di marmo stanno uccidendo le mie chiappe.»
Jeanie si coprì il volto con una mano. «Mi porterete alla disperazione, voi due.»
Io tirai ancora su col naso. «È che è così piccolo… Un uccellino così piccolo… Cosa può fare?»
«Hai ragione, Latini, per i grandi lavori servono i grandi uccelli.»
Malfoy radar mode: on.
Sentimmo una sghignazzata di chiara impronta maschile. Mi guardai intorno alla ricerca di Malfoy e lo vidi da attraverso la ringhiera. Era vicino alla porta che conduceva ai sotterranei, e immancabilmente era accompagnato da Potter serpe. Ti pareva. Arrossii. Proprio un discorso equivocabile come quello doveva sentire.
«Squallida battuta, Malfoy. Taci se non sai di cosa stiamo parlando» disse Jeanie, le braccia ancora incrociate.
«Parlavamo di Patroni» aggiunsi io subito. Il mio viso era ancora bollente. Non volevo che Malfoy pensasse che eravamo ragazze sboccate. Inspiegabilmente vidi le spalle di Potter serpe rilassarsi.
«Ah, be’, questo sistema tutto, allora» ghignò Malfoy. «Problemi a evocare i Patroni?»
Vidi Jeanie arricciare il naso, l’espressione severa. Probabilmente si tratteneva per non dirgli quello che pensava. Odiava che le sue capacità venissero messe in dubbio.
«Lo dirò con calma, pacatezza e gentilezza» mormorò Jeanie. Si aprì in un sorriso falsissimo. «Ho problemi a evocare Patroni tanto quanti ne hai tu a fare battute riguardo alle dimensioni dell’organo riproduttivo maschile.»
Rabbrividii. Avrei preferito che Jeanie avesse taciuto, ma vedevo la sua vena pulsare sulla tempia. Per l’incolumità mia e altrui era meglio tacere.
«Vediamo che sai fare. E si aprano le scommesse per la forma, allora, se ci riesci.» Il sogghigno di Malfoy era un puro segnale di sfida.
Jeanie si eresse in tutta la sua statura, aiutata dagli scalini su cui si trovava. Continuò a sorridere. «Non ho bisogno di dimostrarlo a te. Piuttosto mi chiedo se tu ne sia in grado. Su di me non ci sono dubbi, su di te ce ne sono, e di considerevoli. Anche per quanto concerne la cosiddetta grandezza.»
Tutto il sangue che avevo in corpo sembrò che mi stesse affluendo in faccia. Mi coprii il viso con le mani. No, no, no. Non volevo che andasse così. Perché Malfoy era venuto a fare le sue battutine sceme? E perché si stava scadendo così nel volgare? Si sarebbe rifiutato di parlare con noi, d’ora in poi, se l’avessimo impressionato in negativo!
«Mi dispiace, Joy, non mi sembra il caso di dimostrarti che sei in torto. Altrimenti, nel caso volessi a tutti i costi, c’è la Stanza delle Necessità…»
No, non era possibile, Malfoy stava facendo una proposta a Jeanie? O era solo una provocazione? Sbirciai tra le dita. Malfoy aveva ancora il suo ghigno in faccia. Non si capiva se scherzasse o se fosse serio. Potter serpe, accanto a lui, sembrava un po’ rosso in viso. Non riuscivo a vedere la reazione di Jeanie. Percepii un movimento alla mia destra. Chelsea si era alzata in piedi. Vidi che aveva la bacchetta puntata contro Malfoy. Inorridii. Tesi le mani, ma non feci in tempo a bloccarla.
«Expecto Patronum!»
Be’, Chelsea era proprio una Grifondoro perfetta. Il suo Patronus sgorgò dalla bacchetta con un’onda argentata. Un perfetto leone.
Un leone marino. Ma questo è un piccolo, insignificante dettaglio.
L’animale nuotò nell’aria, le zampe si avvicinarono al corpo e come un siluro procedette verso Malfoy. Il ragazzo sussultò. All’ultimo momento il Patronus si impennò evitando l’urto. Alzammo tutti la testa mentre si dirigeva verso il soffitto, poi l’animale abbassò il capo e tornò a nuotare verso il pavimento. Si schiantò sulle piastrelle sollevando schizzi di color argento, e svanì.
«Contano le dimensioni, vero, Malfoy?» ringhiò Chelsea con un sorriso soddisfatto. «Fino a trecento chili di carne, sono sufficienti? E il tuo Patronus qual è, per caso è un porco? Apriamo le scommesse, se vuoi.»
Vidi Potter serpe dondolare da un piede all’altro. «Non so se sia il caso. Alle fine le dimensioni dei Patronus non contano… No?»
Risposta istintiva. Sempre fra le scatole, Potter. Fatti gli affari tuoi.
Risposta che diedi: mi morsi il labbro e tacqui.
«Albus, non so se l’hai capito» disse Malfoy, «questa è una sfida.»
«Ma…»
Risposta istintiva. Potter, fuori dalle balle. Voglio vedere il Patronus di Malfoy. Ora.
Risposta che diedi: continuai a tacere.
«… e va bene.»
Potter serpe era ancora rosso in viso, e guardava in basso. Si grattò la testa con la bacchetta. Sembrava imbarazzato per qualcosa. Malfoy gli diede una lieve gomitata ed ebbi l’impressione che gli avesse lanciato uno sguardo d’intesa.
Malfoy tese la bacchetta davanti a sé. Potter si schiarì la voce, poi fece lo stesso.
«Expecto Patronum!»
Un bagliore argenteo mi accecò, come il flash di una macchina fotografica. Quando riaprii gli occhi quello che vidi me li fece spalancare.
Un enorme albatros stava planando verso di me. Istintivamente tentai di arretrare, ma ero ancora seduta sulle scale. L’uccello arrivò a un soffio dalla mia testa e la sfiorò, poi ricominciò a salire di quota. Dietro di sé lasciò una scia argentea.
Il Patronus di Malfoy… Era un albatros? Un animale così gigantesco?
Già lo amavo. Lo amavo alla follia. Il Patronus, s’intende.
L’albatros volò fino in cima alle scale e mi girai per seguirlo con lo sguardo, finché non svanì.
Allora non ero l’unica ad avere un uccello come Patronus. Non ero l’unica! C’era affinità, questo era un inconfondibile segno di affinità tra noi! In tutte le migliori storie due amanti si riconoscono grazie al fatto di avere qualcosa in comune. Il groppo in gola mi bloccava il respiro. Ma dovevo, dovevo trovare la forza di dire qualcosa.
«Malfoy…» rantolai, incapace di staccare lo sguardo dal punto in cui era sparito il Patronus. «Il… Il tuo è… Un albatros? Hai un uccello anche tu?»
Mi arrivò una gomitata. Vidi Chelsea lanciarmi uno sguardo di avvertimento. «Serena… Non è di Malfoy…»
Mi girai. Ai piedi delle scale c’era un enorme coccodrillo argenteo. Il Patronus aprì lentamente la bocca, che sembrava un enorme ghigno di scherno. Estremamente somigliante all’espressione di Malfoy quel momento.
Il criceto che faceva girare gli ingranaggi del mio cervello smise di correre sulla ruota per qualche secondo. Poi, collegai. Due Patronus, uno di Potter serpe, e uno di Malfoy. Quello di Malfoy era lì, a sogghignare. Quello di Potter serpe era scomparso.
L’albatros era di Potter serpe.
Tossicchiai.
«Be’, Latini, ascolta un consiglio da amico» fece Malfoy alzando un sopracciglio biondo. «Grandi uccelli, grandi lavori. Ricordatelo sempre.»
Potter serpe continuava a guardare in basso. «Oh, piantala, Scorpius.»
Criceto? Criceto? Corri, per l’amor del cielo…
«Be’, anche… Anche il coccodrillo è carino… No? Si potrebbe chiamare…» Guardai il rettile argento sogghignare e repressi un brivido. «… Gummy?»
Chelsea mi rivolse uno sguardo allucinato. «Tu non sei nel pieno delle tue facoltà mentali» dichiarò.
Il coccodrillo sembrò evaporare tutto ad un tratto, dissolvendosi in una nube d’argento. Forse il nome non gli piaceva.
Lo sguardo di Malfoy si posò su di me. «E il tuo Patronus, Latini?»
«Eh?»
No, non potevo evocare il mio Patronus qui.
«Sì, giusto» rincarò Potter serpe. «Due Patroni nostri, due Patroni vostri. Mi sembra corretto.»
Mi morsi il labbro inferiore. Non volevo. Non ce l’avrei mai fatta. Non in quel momento. Non lì. Non davanti a lui. Soprattutto dopo le battute sugli uccelli.
«O forse i Tassorosso non credono più nella virtù della lealtà?» mi punzecchiò Malfoy.
Scossi il capo e sentii i miei capelli sbatacchiare tutt’intorno. Poi mi resi conto che poteva essere una risposta interpretata male. «No, cioè, intendo…» Guardai Chelsea, poi Jeanie. Aiuto. «Intendo dire… No… Certo, sì, lealtà e correttezza, ma il mio Patronus… Lui…»
«Dai, Tasso» fece Potter serpe con un sorriso. Mi resi conto con orrore che cercava di sembrare incoraggiante. «Ti abbiamo sentita, prima. Sei capace. Facci vedere, su.»
Risposta istintiva. Brucia nelle fiamme dell’Inferno, Potter.
Risposta che diedi: rimasi in silenzio.
Jeanie picchiettò il tacco contro il marmo degli scalini. Mi lanciò uno sguardo compassionevole, poi estrasse la bacchetta e con un gesto elegante disse: «Expecto Patronum.»
Una volpe sgorgò dalla punta della sua bacchetta, e corse ad annusare Potter serpe. Il ragazzo arretrò di un passo. «Che… Ce l’ha con me?»
«Non ce l’ha con te» sorrise Jeanie. Un secondo dopo la volpe scomparve. «Due Patroni per due Patroni. A posto così. Fine delle contrattazioni.»
Un moto di immensa gratitudine mi invase. Avrei sommerso Jeanie di gratitudine materiale se solo avessi potuto.
Il sorriso di Potter serpe si trasformò in un mugugno indistinto, mentre invece le labbra sottili e pallide di Malfoy si sollevarono appena. Non capivo se il suo fosse un sorriso di scherno o una smorfia.
Il resto della giornata trascorse pigramente, passeggiando per il giardino visto che, a detta di Chelsea, le sue chiappe erano state torturate a sufficienza dagli scalini. Mi sforzai di non pensare più alla storia dei Patroni, e questo ovviamente significa che non smisi di pensarci nemmeno per un nanosecondo. La speranza di avere qualcosa in comune con Scorpius Malfoy si era infranta.
Peccato che le regole impedissero di andare nella torre di Astronomia, di notte, altrimenti ci avrei fatto volentieri un giro. Seduta su una poltrona nera e gialla, guardavo dalla finestrella rotonda l’erba del cortile, desiderando di poter uscire. Avrei voluto vedere le stelle.
Ormai tutti erano andati a dormire. Il fuoco scoppiettava nel camino, illuminando la sala solo per me. Guardai ancora l’erba oltre la finestra, e sospirai.
Ce l’avrei fatta?
Puntai la bacchetta e mi concentrai. Felicità.
«Expecto Patronum.»
Uno schizzo argenteo uscì dalla punta della bacchetta e prese la forma di un colibrì. L’uccellino rimase sospeso nell’aria a fissarmi, le minuscole ali che sbattevano a più non posso, poi volò verso di me e col minuscolo becco sfiorò il mio naso. Mi fissò ancora per qualche istante, e impallidì fino a scomparire.

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Capitolo 5
*** Dove Serena Latini sogna ad occhi aperti durante la lezione. Niente di più, davvero. ***


Dove Serena Latini sogna ad occhi aperti durante la lezione. Niente di più, davvero.



Babbanologia coi Corvonero era come un elettroencefalogramma piatto. Il criceto smetteva di girare, le rotelle si arrugginivano e il cervello si spegneva. Ma andava tutto bene, finché non iniziavi a sentire un insopportabile ronzio. Fissavi la professoressa con gli occhi vitrei cercando di escludere il ronzio dalla tua testa, fino al momento in cui non ti rendevi conto che era la tua stessa testa a produrlo. Il cervello ha dei meccanismi di autodifesa davvero bizzarri contro la noia.
Studiare la telefonia fissa non era certo la mia passione. Forse le cose sarebbero potute migliorare l’anno prossimo, l’ultimo, quando avremmo studiato le connessioni internet. Allora sì che avrei dimostrato di avere una Cultura.
Lanciai uno sguardo a Jeanie, di fianco a me. Nonostante avesse al suo fianco una nata babbana, prendeva appunti furiosamente.
«Ehi, Jeanie.»
Niente.
«Jeanie.»
Arricciò il naso.
«Jeanie Joy.»
«Oh, ma che vuoi?»
Repressi un brivido. Mi sforzai di sorridere. «Chissà se ci faranno fare le prove pratiche di uso del telefono.»
Jeanie scostò la treccia bionda dalla pergamena su cui prendeva appunti. «Non credo. Le babbanate elettroniche non funzionano, a Hogwarts.»
«Potrei chiamare i miei.» Rimasi pensierosa. «Anche se penso che sarebbe una telefonata costosa. Chi pagherebbe la bolletta?»
«Ti ho detto che a Hogwarts non funzionano.»
Mi persi nei miei pensieri. Usare il telefono cellulare solo per tre mesi all’anno sembrava la cosa più conveniente al mondo, per qualsiasi genitore. Poi tua figlia fa amicizie in Gran Bretagna e scopri che il costo dei messaggi è esorbitante. Allora ci ripensi. E quando scopri che tua figlia potrebbe comunicare via gufo, praticamente gratis, inizi a bollire per il nervoso.
La comunicazione via internet è sempre la più vantaggiosa.
Sospirai. Ricominciai a sentire il ronzio. Dovevo scacciarlo dalla mia testa. Appoggiai il mento sulle mani e fissai la lavagna.
«Sai, Jeanie» mormorai. «Se fossi in Italia, e avessi internet, mi connetterei e leggerei fanfiction. In genere nelle fanfiction le lezioni non sono mai noiose. Gli alunni rispondono a tono ai professori, e i professori sono dei gran figaccioni con cui ti apparteresti volentieri in un’aula vuota. Oppure entrerebbe qualcuno in classe, sicuramente un gran gnocco, e direbbe “Professore, scusi il disturbo, mi manda il professor Tal dei Tali. Avrei bisogno di quella ragazza là, vicino alla finestra. Può uscire cinque minuti per favore?” e il tuo cuore batterebbe a mille…»
«Questa è la dura realtà, Serena.»
Jeanie Joy, la macellaia dei miei sogni.

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Capitolo 6
*** Dove si scopre che Jeanie Joy ha torto, la biblioteca non è il posto migliore per studiare, perché lì capita di tutto e si finisce per non studiare mai. ***


Dove si scopre che Jeanie Joy ha torto, la biblioteca non è il posto migliore per studiare, perché lì capita di tutto e si finisce per non studiare mai.



La biblioteca era il posto migliore per studiare, sosteneva Jeanie.
La biblioteca era il posto migliore per fare la muffa, sosteneva Chelsea.
La biblioteca era il posto migliore per farsi i fatti propri, sostenevo io.
Infatti Jeanie prendeva appunti da un libro, Chelsea russava sul tavolo e io pasticciavo un foglio.
«Serena, il ripasso del professor Paciock non è ancora concluso. Ti conviene rileggerti la parte sul Bubotubero, visto che non la sapevi.»
Aggiunsi un fiorellino all’angolo del foglio. Sprecavo più matita coi disegnini che con gli appunti. «Hai ragione, Jeanie Joy, dovrei farlo.»
Le labbra di Jeanie si strinsero fino a scomparire. «Devo tagliarti la lingua per farti smettere di chiamarmi Jeanie Joy? Chiamami Jeanie e basta, per Merlino…»
«Ma Jeanie Joy è…»
Jeanie sfoderò la bacchetta e la puntò contro di me. «Non ho mai provato l’Incantesimo Testabolla, quindi se esce male…»
Alzai le mani. «Mi arrendo.»
Chelsea, di fianco a Jeanie, grugnì.
Guardammo Chelsea. Alla fine Jeanie alzò le spalle. «Dai, se vuoi ti aiuto. Bubotubero. Quali sono le proprietà curative del pus di Bubotubero?»
Rimasi in silenzio. Ci pensai seriamente. Bubotubero. Era quel coso brutto e puzzolente. A cosa serve una pianta brutta e puzzolente? Certo non in cucina. «Ehm.»
Sentii qualcosa picchiettare contro la mia spalla e sobbalzai. Mi girai di scatto.
Dietro di me stava un ragazzo alto, coi capelli neri, magro come un chiodo.
Potter bis.
Chelsea grugnì ancora. Jeanie le tirò una gomitata. La ragazza sussultò e aprì appena le palpebre.
«Che…»
Appena vide Potter bis, Chelsea si raddrizzò come un fuso e spalancò gli occhi. All’improvviso sembrava sveglissima.
«Oh! Potter! Cosa…»
Potter bis accennò un sorriso. «Avrei bisogno di parlarti cinque minuti… Com’è che ti chiami? Latina?»
Non riuscii a trattenermi. La mia bocca si aprì leggermente, e rimasi a fissarlo inebetita. Parlarmi? Il mio cuore accelerò e sentii il sangue bollirmi nel collo, sulla faccia, nelle orecchie. Parlare con me? Cercai disperatamente di ricordarmi il suo nome.
Potter bis mi sventolò una mano davanti alla faccia. «Ehi?»
Sbattei le palpebre. «Ah… Sì…» Mi girai verso Chelsea e Jeanie, in cerca di aiuto. Jeanie fece un sorriso ambiguo. Chelsea rimase a guardarmi.
Chelsea, almeno tu! Ti prego, dì qualcosa!
Chelsea spostò lo sguardo da me a Potter bis, poi di nuovo su di me. Allungò le mani sulla propria cravatta e la sistemò.
«Allora, andiamo?»
Lanciai un’ultima occhiata implorante a Jeanie, ma lei continuò a sorridere. Anzi, annuì con aria compiaciuta.
Era inutile, dovevo andare. Mi alzai in piedi e mi si oscurò la vista. Appoggiai una mano sul tavolo e cercai di combattere contro la sensazione di vertigine. La sedia grattò contro il pavimento. Potter bis mi fece cenno di seguirlo. Obbedii. Mi sfiorai il petto: il mio cuore batteva a un ritmo sfrenato. Panico. Che caspita voleva Potter bis da me?
Sentii uno scricchiolio che mi sembrava quello delle sedie. Se conoscevo abbastanza bene le mie peppie, probabilmente aspettavano solo di potersi appostare dietro a uno scaffale con le orecchie tese ad ascoltare ogni sillaba. Il fatto che ci tenessero d’occhio mi rilassò. Non poteva succedere niente di male con loro all’erta. No?
Ci fermammo qualche scaffale più in là, vicino a un tavolo vuoto. Potter bis si girò verso di me e e incrociò le braccia. Notai che era tremendamente alto, gli arrivavo sì e no alle spalle. Il suo sguardo vagò dal mio viso, ai miei fianchi, alle mie gambe. Sembrava che mi stesse facendo una radiografia. Deglutii.
«Allora, Latina, il mio è un discorso serio.»
«Latini» lo corressi. Lui agitò una mano con fare noncurante. C’era un che di arrogante nel suo atteggiamento.
«Sei una Tassorosso, esatto?»
Vidi la sua espressione determinata, combattiva, e abbassai lo sguardo. Strinsi le braccia e arretrai di un passo. «Così pare.»
«Quindi, penso, un discorso schietto e leale non dovrebbe essere un problema.»
Risposta istintiva. Potter bis, vieni dall’Inferno come tuo fratello.
Risposta che diedi. «Non credo.»
Potter bis storse il naso. Non sembrava soddisfatto della mia risposta. «La faccio breve. Ti interessa qualcuno?»
Fui costretta ad aggrapparmi a un lato del tavolo per rimanere in piedi. Decisi che non ce la potevo fare. Scostai la sedia e mi sedetti. E se mi avesse presa per maleducata, fatti suoi.
Potter bis non si mosse di un millimetro. «Cosa c’è?»
«Niente…»
«Allora, dimmi. Ti interessa qualcuno?»
Mi balenò in testa l’immagine di Scorpius Malfoy. I suoi capelli biondi, la sua pelle bianca, il suo portamento altezzoso. Da gran signore. Lui non si sarebbe mai permesso di rivolgere una domanda del genere.
Risposta istintiva. Fatti i cazzi tuoi, Potter bis.
Risposta che diedi. «No-no-non vedo il motivo per cui dovrei…» La voce mi uscì roca. La schiarii. «… per cui dovrei parlarne con te.»
Udii un tonfo. Sembrava il suono di un libro che cadeva per terra. Pregai che fosse colpa di Jeanie e Chelsea.
Potter bis si grattò il mento e guardò per aria, pensieroso. «Pensavo che le Tassorosso fossero più sveglie.»
Tacqui e lo fissai.
«Sì, be’, per certi versi è una cosa imbarazzante. Però in realtà è normale.» Il suo sguardo divenne sfuggente. Iniziò a guardarsi in giro. Si passò una mano sulla nuca. «Il punto è che tu…»
«Avis!»
Uno stormo di uccellini apparve intorno a Potter bis, che lanciò un grido e indietreggiò. Scattai in piedi e presi la bacchetta.
Dietro a Potter bis comparve una ragazza dai capelli rossi e ondulati. Impiegai qualche istante per riconoscerla.
«Weasley femmina?»
Weasley femmina puntò la bacchetta contro Potter bis e mormorò qualcosa. Gli uccellini scomparvero. Potter bis guardò la ragazza e ringhiò: «Rose! Sei impazzita per caso?»
«Scusa, scusa.» Weasley femmina si girò verso di me. «Scusa anche a te. Ti ho spaventata, vero? È stato il primo incantesimo a venirmi in mente.»
Aprii la bocca per parlare, ma non avevo più voce. Allora scossi il capo.
Potter bis guardò Weasley femmina, risentito. «Perché, Rose?»
Weasley femmina gli lanciò un’occhiata furente e incrociò le braccia. «Perché? Ma ti sembra il modo di comportarti?»
«Stavo indagando!»
«Hai la stessa sensibilità di uno scarafaggio! È una fortuna che io ti abbia interrotto… E non osare protestare!»
Potter bis si bloccò col dito a mezz’aria, la bacchetta di Weasley femmina puntata contro al naso.
Ecco, così si fa con gli uomini. Brava Weasley femmina.
La ragazza si girò verso di me. Rabbrividii.
«Scusaci. Scommetto che James è stato inopportuno.»
Non potevo dire di no, ma non ce l’avrei fatta ad ammettere che sì, lo era stato. Tacqui. Li fissai.
«Ehm. Sì.» Weasley femmina sembrò imbarazzata. Abbassò la bacchetta e fece un passo verso di me, preoccupata. «Tutto bene?»
Annuii vigorosamente.
Weasley femmina indietreggiò. «Ok. Di nuovo, scusaci.» Si rivolse verso Potter bis. «E tu, vieni con me.»
«Dai, Rosie…»
«Fammi il piacere.»
Weasley femmina girò i tacchi e se ne andò. Potter bis fece una smorfia, ma la seguì.
E io rimasi lì in piedi, inebetita, con la bacchetta ancora in mano, a fissare il punto in cui erano scomparsi. Mentalmente iniziai il conto alla rovescia.
Tre.
Due.
Uno.
La testa di capelli mossi di Chelsea comparve da dietro uno scaffale. Si guardò intorno, poi saltellò verso di me. A passo cadenzato la seguì Jeanie.
«Che figata, che figata! Stasera ne parlerà tutta Grifondoro!»
Jeanie si sistemò gli occhiali. «Non mi sembra il caso, Chelsea. Non fare la pettegola.»
«Uao, Serena, sembri traumatizzata» Chelsea picchiettò il dito contro la mia spalla. Io rimasi inespressiva. Jeanie si mise al mio fianco e con un braccio mi cinse le spalle.
Girai il collo verso di lei. «Ma che voleva da me Potter bis?» sussurrai con voce roca.
«Aha! Allora parli!» fece Chelsea. Sembrava elettrizzata. «Non ti dovevi preoccupare di nulla, di nulla! Era a portata di bacchetta. Nostra, intendo. Ah, Serena stava per ricevere una dichiarazione!»
Deglutii. «Ma io con Potter bis è la prima volta che parlo…»
«Infatti non voleva dichiararsi» intervenne Jeanie. Mi sorrise.
«E allora cosa voleva?» chiesi.
«Già, cosa voleva?» mi fece eco Chelsea.
Jeanie non si tolse dal viso il suo sorriso enigmatico. «Eh, le Case più ingenue di tutta Hogwarts…»

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Capitolo 7
*** Dove Serena Latini rimpiange il tempo perso in biblioteca e ha un colloquio privato con qualcuno che non si aspettava. ***


Dove Serena Latini rimpiange il tempo perso in biblioteca e ha un colloquio privato con qualcuno che non si aspettava.



Il cutie mark di Jeanie, secondo me, aveva qualcosa a che fare con le piante. I suoi voti erano sempre altissimi, ma per l’Erbologia aveva senza dubbio una marcia in più. Il cosiddetto pollice verde. Il che per me era perfettamente irrilevante, considerando che le due ore di Erbologia erano in compresenza coi Serpeverde.
Quello che voglio dire è che il talento di Jeanie era indubbio, ma se avesse frequentato Divinazione allora probabilmente ne avrebbe avuti due, di talenti. Come aveva previsto, Paciock proseguì il ripasso e toccò proprio ai Bubotuberi.
«Allora» iniziò Paciock, «non credo che si debba fare come quelli del quarto anno… Due persone per pianta saranno sufficienti. Se non siete pratici di Schiantesimi sceglietevi un compagno che se la cavi, così evitiamo incidenti.»
Mi guardai intorno, spaurita. Qualunque cosa provocasse schianti non era nelle mie corde. La violenza non faceva per me. Vidi con la coda nell’occhio che i miei compagni Tassorosso si dividevano in coppie. Io lanciai uno sguardo speranzoso dalla parte opposta.
Rosemary Higgs stava vicina a Scorpius Malfoy, che invece sembrava propenso a stare in coppia con Potter serpe. Erano in tre. Quindi Paciock li avrebbe divisi.
Tra i due litiganti, Higgs e Potter, il terzo gode. Il terzo sarei io.
Mi avvicinai.
«Ehm. Scusatemi…»
Rosemary Higgs mi lanciò un’occhiataccia. Trattenni il fiato.
Forse tornare dai Tassorosso non era un’idea troppo cattiva.
«Ti manca il compagno?» chiese Scorpius.
Sentii il calore invadermi le guance. Repressi un sorriso di gioia. Ma era difficile. «Eh… Sì… Direi di sì.» Li guardai. «Il professore ha detto in due…»
«Be’, vai con Potter.» Higgs spinse Potter serpe verso di me e prese Malfoy a braccetto.
«Ehi!» fece Potter serpe.
Malfoy protestò: «Rosemary…»
«Ti prego, Scorpius, sai che con gli Schiantesimi non sono brava…»
Malfoy alzò gli occhi al cielo, poi si avvicinò a una pianta con la Higgs.
Il mondo sembrò crollarmi addosso. Cose che capitano, ogni tanto. Il mondo crolla spesso. Mi avvicinai alla pianta accanto a quella di Malfoy. Se non altro, non volevo stare troppo lontana da lui.
La voce di Potter serpe mi sembrò arrivare da un altro mondo: «E tu come te la cavi con gli Schiantesimi, Tasso?»
Ah, già, ero in coppia con lui, vero. Era troppo facile dimenticarlo. Scossi il capo. Mi rifiutai di guardarlo.
«Bene, tutti in coppia. Perfetto.» Paciock si infilò i guanti. «Non scordate le protezioni. Vi ricordate come si fa, vero? Indossate i guanti in pelle di drago, per favore.»
Sì, certo, non avevo fatto altro che strizzare Bubotuberi per tutta l’estate. Si fidi, prof. Presi i guanti più piccoli dal tavolo e li infilai. Quelle orrendi piante nere e puzzolenti mi stavano rovinando la giornata. Altro che cutie mark.
«Stupeficium!»
Qualche fila più in là, alcuni Tassorosso avevano già iniziato a schiantare le piante. Poco dopo, la serra si riempì di raggi rossi.
«Stupeficium!» esclamò Potter serpe. Sobbalzai. La pianta ebbe un tremito.
«Pronta» fece Potter serpe.
«Grazie» risposi. Non sapevo cosa dire. Cercai di consolarmi pensando che Malfoy era lì vicino a me.
Forse, però, anche se non ero in coppia con lui, potevo lo stesso impressionarlo in positivo. Insomma, non che raccogliere pus di Bubotubero possa essere un’attività sensuale, aromatizzata alla benzina, ma magari…
Strizzai gli occhi, cercando di ricordare cosa mi diceva Jeanie.
«Tutto bene, Tasso?»
«Sì, sì» tagliai corto. Difficile riflettere, con tutto quel caos. Sentii che la Higgs rideva. Riaprii gli occhi. Afferrai il secchio e lo posizionai sotto la pianta. Presi il Bubotubero. Con decisione, diceva Jeanie. Le piante sentono se sei incerta.
«Ehi…» Potter serpe tese le mani verso la pianta. Mi guardò con le sopracciglia corrugate. «Non così forte, la pianta…»
Risposta istintiva. Chiudi il becco, Potter.
Risposta che diedi. Strinsi la pianta con più forza. Il Bubotubero fu percorso da un brivido.
Unire pollice e indice attorno alla pianta. Eseguito, Jeanie. Senza stringere ulteriormente la presa, far scivolare le dita con decisione, in modo da spremere il pus. Forza. Decisione, per una volta nella vita. Uno, due…
Malfoy si sporse verso di me. «Latini, fai tutto tu? Povero Albus. Porta rispetto per il Grande Albatros. Ricordati, grandi uccelli, grandi lavori.»
Avvampai. Strinsi la vescica di Bubotubero così forte che esplose.
Malfoy si scansò di lato, andando a finire contro la Higgs. Potter serpe indietreggiò. Io mi presi tutti gli schizzi di pus in faccia.
Lanciai un grido. Il pus bruciava sulla pelle, la corrodeva. Gli occhi mi bruciavano come fuoco. Cercai di togliermi il pus con le mani. Mi mossi in avanti, cieca, e finii contro il tavolo. Sentii il peso spostarsi, caracollai e persi l’equilibrio. Volai per aria. Udii uno schianto tremendo, poi la mia testa prese un colpo. Dietro le palpebre chiuse vidi mille lucine.
Sentii qualche grido, poi delle braccia mi afferrarono e mi rimisero in piedi.
«Tutto bene? Ehi, Latini!»
Forse era Paciock. Qualcun altro gridò qualcosa, ma non riuscivo a capire niente in tutto quel frastuono. Non vedevo nulla, allungai le braccia e afferrai qualcosa. O qualcuno, mi resi conto quando la cosa si mosse. «Brucia!» urlai.
Sentii qualcosa bagnarmi la faccia. Non ero preparata e ne ingoiai un po’. Tossii. L’acqua mista a pus mi bruciò il naso e la gola.
Delle mani sulla schiena mi spinsero, e la persona a cui mi ero aggrappata si mosse in avanti. La seguii. Forse l’acqua che mi colava dalla faccia impediva di distinguere le mie lacrime. Udii un “la portiamo in infermeria”, ma non capii chi lo aveva pronunciato.
In infermeria Madama Chips mandò via i miei accompagnatori. Mi lavò ancora, poi mi unse la pelle e mi bendò tutto il viso. Quando riuscii a riaprire gli occhi lacrimai ancora, sia per il dolore che per il mio aspetto: sembravo mummificata. Fui costretta da Madama Chips a mettermi a letto. Mi chiesi quando avrei potuto togliere le bende, e quando avrei potuto ricominciare a mangiare.
Iniziai a leggere un libro, per ingannare il tempo e distrarmi. Ero più o meno a pagina sessanta quando Madama Chips mi interruppe.
«Visite» borbottò con evidente disappunto. Si scostò, e vidi la robusta sagoma del professor Paciock.
«Latini.» Paciock prese una sedia e si accomodò accanto al letto. Intrecciò le mani. Chiusi il libro e lo posai sul comodino. «Va meglio, adesso?»
Il professore avrebbe pensato che ero maleducata, se non mi fossi sforzata di parlare. Aprii le labbra, compresse contro le bende. Ebbi la sensazione che fossero gonfie. «Sì, grazie.» La mia voce sembrava ovattata.
«Potevi lasciar fare a Potter, se non te la sentivi di lavorare col Bubotubero. Queste cose succedono, se non si lavora con coscienza.»
Era un rimprovero meritato, ma anche molto mitigato. Forse pensava che la mia punizione fosse sufficiente.
«Mi togli una curiosità?» Paciock mi guardò negli occhi e accennò un sorriso. Sembrava divertito. Non sembrava proprio volermi sgridare. Annuii.
«Hai già pensato alla tua carriera dopo Hogwarts?»
Il mio viso si contrasse e la pelle sfregò contro le bende. Bruciava in maniera tremenda. Non so che espressione avrei assunto se fossi stata libera di muovere i muscoli del viso. Probabilmente sorpresa.
«No… In verità no.»
Paciock si sporse verso di me. «Hai qualche materia che ti piace particolarmente? Qualche mestiere che ti piacerebbe fare?»
Riflettei. Il mio sguardo vagò sui mobili dell’infermeria, i comodini, gli altri letti. Abbassai gli occhi sulle coperte bianche. «No, direi di no. Non ho voti molto alti, e non ci sono lavori particolari che mi attirino.»
«Sei di madrelingua italiana, vero?»
Annuii.
«Potresti prendere in considerazione un impiego al Ministero della Magia, no? Per le relazioni internazionali… Traduttori e mediatori culturali. È una possibilità, o no?»
Annuii ancora. Non staccai gli occhi dalle coperte. In realtà non pensavo di essere adatta a un incarico simile. Non era certo un inglese ricercato, il mio. Se avessi potuto avere un regolare ciclo di studi babbano, in Italia, forse mi sarei potuta cercare un lavoro normale. Ormai però quella possibilità mi sembrava sfumata.
Sentivo che Paciock mi stava scrutando. Mi sentii a disagio. Chissà cosa pensava di me.
«Non c’è niente di male a non avere le idee chiare, a sedici anni.»
Mi voltai verso Paciock, che mi sorrise. Solo in quel momento mi resi conto di quanto, in effetti, fosse giovane. Mi sembrò un controsenso: uno che a trent’anni già insegnava a Hogwarts era di sicuro uno che fin da giovane aveva avuto le idee chiare.
«In realtà…» Mi torsi le mani. Facevo bene a parlare? Dopotutto Paciock era un professore. Forse mi stavo prendendo troppa confidenza. «In realtà penso di non avere grande talento per la magia. Forse sarebbe meglio se tornassi nel mondo dei babbani. In Italia, voglio dire.»
«Non ti sottovalutare. Hai talento, altrimenti non saresti a Hogwarts. Hai fatto grandi progressi da quando sei qui. Mi ricordo di com’eri al primo anno, quando non capivi la metà delle cose che ti si diceva. Ora invece riesci a seguire tutte le lezioni. Direi che questi non si possono chiamare che progressi.»
Annuii. Più per educazione che per altro.
«Se accetti un consiglio» fece Paciock, «tieni in considerazione i tuoi amici. Non metterli mai da parte. Il tuo incidente ha messo in ansia molte persone. Finire il ripasso dei Bubotuberi si è rivelato impegnativo.»
Mi girai verso il professore, commossa. «Davvero?» Non riuscii a trattenere che nella mia voce si udisse una nota di speranza.
«Davvero. Potter e Malfoy sono sembrati preoccupati, a modo loro.»
Forse avere la faccia mummificata non era così male. Mi evitava l’imbarazzo del rossore. Anche se non mi evitava il bruciore del pus di Bubotubero. Malfoy si era preoccupato, allora…
«Mi può togliere una curiosità, professore?» Le parole uscirono ovattate prima che avessi la possibilità di frenarle. Paciock mi guardò incuriosito e me ne pentii.
«Dimmi, Latini.»
«Chi mi ha accompagnato in infermeria?» La mia domanda poteva apparire strana, e me ne resi subito conto. «Sa… Per ringraziarlo, intendo…»
Paciock rifletté. «Eri aggrappata a Cunningham. Ti abbiamo portata io e lui.»
Cunningham. Un mio compagno di Casa, quindi. Dovevo immaginarlo. Nessun Serpeverde avrebbe mai rischiato di sporcarsi con del pus di Bubotubero, tantomeno se era un Malfoy.

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Capitolo 8
*** Dove Jeanie Joy ha uno strano incontro con uno strano Tassorosso che le fa strane proposte e dove si fanno strane affermazioni. ***


Dove Jeanie Joy ha uno strano incontro con uno strano Tassorosso che le fa strane proposte e dove si fanno strane affermazioni.



«Joy… Veramente. Tu non sai quanto ti ho aspettata.»
«Qualche minuto, suppongo. O sei rimasto fuori tutta la lezione? In quel caso mi hai aspettata per un’ora, approssimativamente.»
Chelsea mi tirò una gomitata e ridacchiò. Si grattò uno zigomo con la bacchetta. «Serena, Serena, io questa non me l’aspettavo.» Appoggiò la testa al bordo della porta, sbirciando in corridoio.
«Uhm…» Chelsea tremava per l’emozione. Mi guardai intorno. Banchi vuoti, sedie sparse, un mobile di legno senza un’anta. «Non credo che Jeanie vorrebbe essere spiata.»
«Non la stiamo spiando» obiettò Chelsea. Non riuscii a vedere la sua espressione, talmente era appiccicata alla porta. Mi chiesi se lo spiraglio tra porta e muro le permettesse di vedere tutto. «Stiamo controllando che vada tutto bene, il che è doveroso se si è delle buone amiche.»
Mi avvicinai. «E cosa succede?»
«Sssh, ascolta!»
Mi tirai in punta di piedi. Oltre la robusta spalla di Chelsea intravidi il volto di Cunningham.
«Chelsea, non vedo Jeanie…»
«Lui ha una mano appoggiata al muro. E con la schiena al muro c’è Jeanie!» sibilò Chelsea. Il suo sorriso andava da un orecchio all’altro.
Udii la voce di Cunningham. «Sei tutta la mia vita, adesso.»
Silenzio. Poi Jeanie. «Sì… Ok. Perfetto. Ora potrei andare? O arriverò in ritardo a lezione.»
Riuscii a insinuarmi sotto il braccio di Chelsea, e osservai la scena.
Cunningham, la cravatta nera e gialla di Tassorosso che spenzolava fuori dal maglione, aveva un avambraccio contro il muro, a pochi centimetri dal viso di Jeanie. La mia amica sosteneva in suo sguardo, impassibile, la borsa gonfia di libri appoggiata per terra.
«Ti prego, Joy. Sei come una droga per me. Non riesco a starti lontano.»
«Edward Cunningham, forse non sono stata sufficientemente chiara. Non mi interessa uscire con te, neanche per un giro a Hogsmeade.»
Chelsea si portò la mano sulla bocca. Le sue risatine divennero isteriche. «Lo sta rifiutando, Serena, lo sta rifiutando!»
«Eppure non è poi così brutto… Mi ha aiutata, a Erbologia. E va anche bene a scuola» commentai.
Cunningham si staccò dal muro. «Posso almeno farti un regalo?» Infilò una mano sotto la veste. Non volevo sapere di preciso dove. Chelsea squittì.
«No» rispose Jeanie.
Cunningham si passò una mano tra gli spettinati capelli color rame. «Ti prego… So quanto pesa la certezza di non averti. Non riesco a tollerarlo. Lasciami almeno la consolazione di sapere che tu possiedi qualcosa di mio.»
Da quella distanza non ne ero certa, ma ebbi l’impressione che Jeanie avesse alzato gli occhi al cielo.
Cunningham tirò fuori dalla veste un libro dalla copertina nera. «Per te.»
«Che onore.» Il tono di Jeanie era un misto di sarcasmo e disgusto. Fissò il libro stretto nella mano bianca di Cunningham. Finalmente lo prese. Con la punta delle dita.
«Dai, non ho la peste» sorrise Cunningham.
«No, è lei che ha dei problemi con la lettura…»
Sgranai gli occhi. Sentii Chelsea accanto a me irrigidirsi. Due figure avevano appena girato l’angolo. Una era una ragazza bassa che non conoscevo, con la cravatta di Corvonero, e l’altro era un ragazzo biondo miele con la cravatta di Serpeverde.
«Cosa?» fece Cunnungham.
«È inutile, fratellino.» La ragazza Corvonero si avvicinò a Cunningham. «Non la conquisterai mai con un libro.»
«L’hai mai sentita leggere ad alta voce?» Il ragazzo biondo rivolse a Jeanie un sorriso di scherno. «Io sì… Lascia perdere. Sembra un’analfabeta.»
«Picchiali, Jeanie!» ringhiò Chelsea accanto a me.
Con mia grande sorpresa, Jeanie divenne rossa. Anche vedendo le cose dall’apertura tra una porta e un muro riuscii a distinguere il colore rosso che invase il suo viso. Qualche secondo dopo sembrò riscuotersi.
«Intanto sono una delle migliori della scuola. Quindi avete poco da fare i galletti, voi.»
Biondo Serpe alzò le spalle, ma non perse il ghigno. «Questo dimostra che perfino i menomati con un po’ di aiuto ce la possono fare.»
Jeanie non replicò. Rimase in piedi dritta come un fuso, senza obiettare. Le mie gambe tremarono. Attesi. E attesi ancora.
Jeanie continuò a non rispondere.
Chelsea mi diede una spinta e barcollai di lato. Uscì con la bacchetta sfoderata.
«Ehi» fece, «andate ad offendere da un’altra parte.»
Io rimasi, tremante, dietro la porta. L’ampia schiena di Chelsea mi impediva di vedere Jeanie, ma vidi bene Cunningham. Faceva passare lo sguardo da Chelsea a Biondo Serpe e alla Corvonero bassa. Il ragazzo biondo corrugò le sopracciglia.
«E tu che vuoi? Cerchi rogne?»
Deglutii. Strinsi la bacchetta con tutte le mie forze. Le nocche mi diventarono bianche per lo sforzo.
Spinsi la porta e uscii anche io. I cardini cigolarono.
Biondo Serpe e Corvonero si girarono verso di me.
Fenomenale. Avevo il potere di attirare l’attenzione.
No, ma continuate pure… Non fate caso a me.
Deglutii ancora. Avevo la bocca secca.
«Ehm.» Mi rigirai la bacchetta tra le dita. «Io direi che… Non è il caso… Di fare così. Ecco. Se a Jeanie… Cioè…» Guardai Cunningham, implorante. «Non è questo il modo di comportarsi con una persona, quando ci piace! Non offendetela!»
Lo sguardo che Biondo Serpe mi rivolse era pieno di disgusto.
«E adesso che cosa vuole questa?»
Jeanie tirò fuori la bacchetta. «Su, ragazzi. Abbiamo scherzato, ci siamo divertiti, ma adesso basta.»
La ragazza bassa sbuffò. Si avvicinò a Cunningham e lo prese a braccetto. «Non ci pensare» disse. «Andiamo in mezzo a gente che sa coniugare il verbo avere.»
Jeanie le rivolse uno sguardo pieno d’odio. Biondo Serpe mi lanciò un’altra occhiataccia, poi guardò Chelsea. «Non finisce qui.»
«Quando vuoi» ringhiò Chelsea.
Il terzetto se ne andò. Solo quando non udii più l’eco dei loro passi le mie spalle si rilassarono.
Che ansia. Che stramaledetta, fottutissima ansia. Mi avvicinai a Jeanie.
«Non devi permettere che ti trattino così» sbottò Chelsea. Con mio grande stupore, sembrava ancora arrabbiata. Ma riuscivo a capire il perché.
«Jeanie…» Mi misi al suo fianco e le sfiorai una spalla. «Non ti ho mai vista così. Sei sempre tanto combattiva. Ci siamo preoccupate.»
«Non era il caso» disse Jeanie con voce incolore.
«Erano offese assurde» la consolai. «Gente così non merita la tua attenzione. Come se tu non sapessi scrivere il verbo avere. Hai dei voti strabilianti in tutte le materie!»
Jeanie si sistemò gli occhiali, rimase dritta e rigida, e non disse niente.

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Capitolo 9
*** Dove si scopre che la mancanza di connessione internet provoca astinenza. ***


Dove si scopre che la mancanza di connessione internet provoca astinenza.



«Chelsea Shields, dammela subito.»
«Ma, Jeanie…»
«È mia, quindi vedi di ridarmela.»
«Ma voglio…»
«Dammela subito
Mi coprii il viso con una mano. La scenetta yuri no, vi prego. Risparmiatemela. Avrei voluto allontanarmi da quell’immensa fonte di equivoci che erano le mie amiche.
Giustamente in quel momento passò Scorpius Malfoy. Ci lanciò un’occhiata maliziosa e continuò per la sua strada, verso il castello.
Neppure studiare all’aperto serviva. Le figure di merda, quando vogliono, ti raggiungono ovunque.
«Ho finito, Jeanie. Tieni.»
Jeanie strappò la sua piuma di mano da Chelsea. «Se vuoi le piume degli altri le devi chiedere in prestito, non far che prendere.»
«Sì, sì.»
Alzai gli occhi al cielo e sospirai. Erano le ultime giornate di bel tempo. Presto sarebbe arrivato ottobre. Vedere le foglie rosse e gialle staccarsi dagli alberi e vorticare nel vento era uno spettacolo magnifico, ma a scuola tutto questo acquistava un altro senso. Eravamo prigioniere. Senza alcun contatto col mondo esterno.
«Dobbiamo evadere.»
Jeanie alzò un sopracciglio. «Sì, certo, subito. Fammi sapere quando che non prendo impegni.»
«Jeanie Joy, io… Sono in astinenza! In astinenza, e nessuno lo capisce!» Allungai la mano di fronte al suo viso e la feci tremare. «Guarda! I sintomi dell’astinenza!»
«E da cosa, saresti in astinenza?» chiese Chelsea.
Presi un respiro e raddrizzai la schiena. «Sono in dolorosa e prolungata astinenza da internet. Non è possibile che una scuola non abbia una connessione internet, al giorno d’oggi. Io ho bisogno di leggere ficcyne, ho bisogno di guardare video su YouTube, ho bisogno di vedere i nuovi episodi di My Little Pony. Non sarebbe utile, dico io, avere una connessione internet per quelli che frequentano Babbanologia? Come si fa a studiare la cultura babbana senza internet? I babbani si evolvono! Si è perennemente connessi! Ovunque ci si trovi!»
Jeanie si spinse gli occhiali alla base del naso. «Ed evadere, per così dire, come potrebbe aiutarti?»
«Magari a Hogsmeade internet prende.»
«Cos’è internet?» chiese Chelsea.
Jeanie alzò gli occhi al cielo. «Cribbio, ho un déjà-vu…»
«Internet» mi preparai a dichiarare in tono solenne, «è La Perdizione. È una droga. Quando sei connessa il tuo cervello lo desidera, placa la sua voglia, e quando sei sconnessa ti senti come se ti mancasse un braccio, o una gamba…»
«Sì, certo» mi interruppe Jeanie sarcastica, «e al posto delle orecchie ti crescono dei radar in grado di recepire il segnale, vero?»
Gli occhi di Chelsea brillarono. «Uao, che figata.»
«Chelsea, la sto pigliando per il culo.»
«Ah.»
Mi sporsi verso Chelsea. «Se mai verrai a trovarmi in Italia, un’estate, ti mostrerò un computer connesso a internet. E internet in cambio ti mostrerà un sacco di cose.»
Chelsea si grattò la punta del naso. «Non ho ancora ben capito cosa sia.»
Battei la mano sulla sua spalla. «Vivi felice finché puoi. Una volta iniziato non si può più smettere. Un giorno di questi vi mostrerò Il Catalogo.»
Jeanie mi guardò storto. «Non so perché ma ho un brutto presentimento.»
«No no!» feci. «Il Catalogo è solo una stampa di fanfiction, rilegata ad anelli. Così quando l’astinenza si fa troppo pesante, ecco, posso leggere qualcosa. È in italiano, quindi non credo ci capirete molto, ma magari vi dà un’idea. L’ho preparato quest’estate, in previsione di un lungo, lungo inverno.»
«Io lo vedrei volentieri» sorrise Chelsea.
Jeanie sospirò. «Senti, Serena. Ho un’idea migliore.»
«Spara, Pegasis.»
«Prego?»
«Le ragazze fan di My Little Pony. Si chiamano Pegasister, abbreviato Pegasis. I maschietti invece sono Brony, Brother Pony.»
L’occhiata che mi rivolse Jeanie preannunciava un omicidio. «Perché non chiami Malfoy Brony, allora, la prossima volta che lo vedi?»
«La smetto subito.»
«Posso parlare, ora?»
«Vai, Peg… Jeanie. Vai, Jeanie.»
Jeanie si tolse gli occhiali. I suoi occhi azzurri sembravano minuscoli senza le solite lenti spesse un dito. Li pulì con la manica del maglione. «Se hai voglia di leggere robetta sentimentale, ti do il libro che mi ha sganciato Cunningham. Gli ho dato un’occhiata e non mi piace. Te lo regalo. Io non me ne faccio niente.»
«Oh!» Sbattei le palpebre, sorpresa. Improvvisamente non sapevo che fare. Avrei anche accettato, però mi spiaceva portare via qualcosa che era di Jeanie. Certo per lei non era un bel ricordo, ma mi sentivo in colpa lo stesso.
«Non l’hai ancora annegato nel cesso, quel libro?» sbottò Chelsea. «Io l’avrei dato in pasto a Mirtilla Malcontenta, dopo come ti hanno trattato quelli lì, gli amici del Cunningham.»
«Non ho bisogno di annegarlo nel cesso per sentirmi soddisfatta» replicò Jeanie. «Sto bene lo stesso.»
Che gran signora. Veramente una gran signora.
Jeanie si rimise gli occhiali e mi guardò. «Allora? Lo vuoi?»
Mi torsi le mani, titubante. «Non saprei…»
«Ho capito. Stasera a cena te lo porto.»
«Sicura che non sia un problema?»
«Se lo fosse non te l’avrei proposto.»
Vero. Annuii. «Di cosa parla?»
«Mah. Una storiella d’amore troppo smielata per i miei gusti.»
Chelsea ridacchiò. «Madame Corvonero ha gusti troppo raffinati per sopportare certe porcherie.»
«L’hai detto, Chelsea. Per una volta ti devo dare ragione.»

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Capitolo 10
*** Dove si rischia il diabete per la spropositata quantità di dolci che sommerge questo capitolo. ***


Dove si rischia il diabete per la spropositata quantità di dolci che sommerge questo capitolo.



Tutti odiano il lunedì. Anche i professori odiano il lunedì. Ogni persona sana di mente odia il lunedì.
Anche io odiavo il lunedì. Il Pacco avrebbe dovuto renderlo più piacevole, ma arrivava con la tipica puntualità italiana. Infatti lo ricevevo la domenica. Della settimana successiva.
Anche quella domenica, a colazione, arrivarono tre gufi tutti per me. Il Pacco quindi quella settimana era composto da tre pacchi. L’abbondanza non fa carestia.
Sgombrai il tavolo e i gufi atterrarono. Un gufo grigio tuffò la testa nella ciotola di latte coi cereali. Perfetto, erano da buttare via. La ragazza seduta accanto a me mugugnò qualcosa, ma non commentò. Ormai tutti erano abituati a veder arrivare Il Pacco.
Presi i tre pacchi rivestiti di carta, li impilai uno sopra l’altro e mi avviai fuori dalla Sala Grande.
Una voce trillò alle mie spalle. «Ehi, Serena!»
Pericolo.
Chelsea mi raggiunse, un sorrisone che andava da un orecchio all’altro. «È arrivato, vero?»
Non c’era scampo. Inutile nasconderlo. «Sì, è arrivato.»
«Vuoi una mano a portarlo in sala comune?»
«No, grazie, faccio da me.»
«Ma potrei, come dire… Alleggerirti il carico…»
Accennai un sorriso. «Non ti preoccupare, Chelsea. Te ne darò qualcuna.»
Bastò questa assicurazione. Chelsea mi diede una pacca sulla spalla e tornò al tavolo di Grifondoro. Brava ragazza. Mentre uscivo dalla Sala Grande vidi che Weasley femmina si era avvicinata a parlarle. Be’, dopotutto erano compagne di Casa. Sperai che la notizia di quel che era successo in biblioteca con Potter bis non si fosse diffusa troppo.
In dormitorio, finalmente, esaminai il bottino. Viveri. Viveri italiani, santa polenta, l’unica cosa che non mi faceva morire di inedia in terra anglosassone. Non può che essere un inferno, un luogo dove gli spaghetti li tagliano con forchetta e coltello.
Inventario: tre Kinder Bueno, cinque Kinder Pinguì (quante volte avevo detto a mia madre che non avevamo il frigorifero?), un’intera confezione di Kinder Colazione Più. Ormai non mangiavo più le brioches di Hogwarts. Insomma, pensai valutando il bottino, i  miei avevano saccheggiato la Ferrero. Ah no, c’era anche un pacchetto di patatine. Da mezzo chilo. Avrei venduto il fegato per un piatto di lasagne, ma non rientrava tra i viveri trasportabili. Misi da parte un Kinder Bueno e un paio di Kinder Colazione Più per Chelsea.
In aggiunta c’erano dei libri scritti in italiano, una rivista e cinque quotidiani. Ottimo. Non avrei dimenticato la mia lingua, con quella scorta. In più c’erano un quaderno e una biro. Sembravano un miracolo, a Hogwarts. Ormai non sopportavo più la granulosità della pergamena.
Decisi di rendere la giornata proficua. La media scolastica non era importante, dopotutto. Era più importante non dimenticare l’italiano. Avrei passato la mattina a copiare articoli di giornale. Magari non era l’attività migliore del mondo, ma mi avrebbe rimessa a posto con la coscienza.
Mi diressi in biblioteca, da sola. Mi stupii di non trovare Jeanie. Eppure l’avevo vista nella Sala Grande. Forse quel giorno preferiva studiare in Sala Comune.
Spalancai il quotidiano e lessi l’articolo in prima pagina. Ok, capivo. Aprii il quaderno nuovo e iniziai a copiare.
In una mezz’ora avevo finito l’articolo. Il sole mattutino entrava dalle enormi finestre e illuminava il tavolo di legno. Mi raddrizzai e mi stiracchiai, soddisfatta. Chiusi gli occhi per qualche istante, godendomi il calore del sole sulle guance.
«Ehi?»
Riaprii gli occhi. Davanti a me c’era Weasley femmina.
«Ciao» fece la ragazza con un gran sorriso. «Tutto bene?»
Abbassai lo sguardo sul quotidiano. Qualcosa dava l’impressione che avessi dei problemi?
Sì, be’, non i problemi tipici di Hogwarts, insomma. Non ero ricoperta di pus di Bubotubero, per intenderci.
«Tutto ok» feci.
«Perfetto» cinguettò Weasley femmina. «Volevo chiederti una cosa, se non ti disturbo.»
Scossi il capo. «Chiedi pure…»
«Grazie.» Weasley femmina scostò una sedia e si sedette di fronte a me. «Non so se ci siamo già presentate… Sono Rose Weasley.»
«Piacere» mormorai. Poi ricordai che dovevo dire anche il mio nome. «Serena Latini» mi affrettai ad aggiungere.
«Volevo chiederti se partecipavi alla prossima gita a Hogsmeade, il primo ottobre.» Weasley femmina si sporse verso di me. «Mia cugina è un po’ timida e volevo aiutarla a fare amicizia, quindi ho pensato che Hogsmeade era il posto adatto per conoscere persone nuove. Tu sei amica di Chelsea, vero? Ho chiesto anche a lei se vuole unirsi al gruppo.»
Non avevo presente la cugina di Weasley femmina. Immaginai una Weasley femmina più bassa, coi capelli rossi e le lentiggini. Mi venne in mente Pippi Calzelunghe.
«Non saprei» feci, titubante. Prima di dire di sì volevo essere sicura che anche Chelsea avesse accettato. «Non ho presente tua cugina. In che Casa è?»
«Grifondoro. Si chiama Lily.»
«Lily» cercai di memorizzare. Certo che in famiglia dovevano essere degli ottimi botanici. Una si chiamava Rosa e l’altra Giglio. E poi io dicevo che ad avere il pollice verde era Jeanie.
«Sì, Lily.» Weasley femmina sorrise. «Sicuramente l’hai già vista, è la sorella di James e Albus.»
Ripensai a quel colosso coi capelli neri che era James e mi venne un brivido. «No, non ho avuto l’onore di fare la sua conoscenza.»
Ma quanto avevano procreato i Potter? Ce l’avevano a casa la televisione?
Improvvisamente l’idea di conoscere Lily Potter mi sembrò invitante come il sale sotto le unghie.
«Un’altra cosa» fece Weasley femmina. Mi porse un biglietto dorato. Sembrava il biglietto d’oro di Willy Wonka. «Te lo regalo. È un buono sconto di Mielandia. Con questo c’è lo sconto di un galeone se fai almeno tre galeoni di spesa.»
«Oh.» Tesi la mano, ma all’improvviso mi bloccai. Io avevo già la mia scorta di dolci, in dormitorio. Dolci italiani. Non avevo bisogno di un buono di Mielandia. Mi morsi il labbro e ritrassi la mano. «Grazie, sei molto gentile. Però non voglio approfittarne. Sono già ben fornita di dolci. Tienilo tu.»
«Come?» Weasley femmina mi guardò con aria ferita. Mi sentii in colpa. Dovevo spiegarmi meglio.
«Davvero, grazie. Credimi, è come se lo avessi accettato. Però ogni settimana mi faccio mandare i miei dolci italiani. Tienilo tu, di sicuro mangi più dolci di Mielandia di quanti ne possa mangiare io.»
Weasley femmina strinse le labbra, poi mi tese di nuovo il buono. «Insisto. Io non me ne faccio nulla, ne ho già un altro.»
La fissai, indecisa. Giocherellai con la manica del maglione.
«Se non lo prendi mi offendo.»
Touché.
Tesi la mano e presi il buono. Era di cartoncino rigido, ruvido. A Weasley femmina tornò il sorriso.
«Spero che diventeremo buone amiche.»
Risposta istintiva. Potter e Weasley, venite in ugual modo dall’Inferno.
Risposta che diedi: «Grazie, sei molto gentile.» Misi il buono dorato tra le pagine del quaderno.
Weasley femmina sbirciò il mio quotidiano.
«Certo che le figure sono proprio immobili.» Strinse gli occhi. «Non capisco cosa c’è scritto.»
«È italiano.»
«Deduco che vieni da una famiglia babbana.»
«Già.» Ok, Weasley femmina sembrava in vena di fare amicizia. Mi mossi sulla sedia, a disagio. Fare amicizia con lei era pericoloso, era troppo legata ai Potter. Più stavo lontana da quella gente e meglio era.
«E come mai Hogwarts?»
«Casualità.»
«Mh.»
Rimasi sulla sedia, immobile, senza osare riprendere il mio lavoro di copia. Desideravo che Weasley femmina se ne andasse, però di certo non potevo dirglielo. Fissai le pagine grigiastre del quotidiano.
«E con l’inglese come te la cavi?»
«Così così» feci. «Anche se ormai dopo sei anni capisco molte più cose. Però alcuni libri sono ancora troppo difficili per me.»
«Deve essere faticoso» osservò Weasley femmina. «E l’Italia deve mancarti molto. Purtroppo la Gran Bretagna non ha tutto il sole italiano.»
Alzai lo sguardo e incontrai gli occhi azzurri di Weasley femmina. Forse era la prima volta che qualcuno pensava al mio stato d’animo nei confronti dell’Italia.
«Un po’ mi manca» ammisi. Abbassai di nuovo lo sguardo sul quotidiano e mi misi a giocare con le maniche del maglione. «Però l’Italia non è così piena di sole come tutti credono. Non d’inverno. Dipende da dove vai.»
«Capito.»
Cadde il silenzio. Non sapevo cosa dire. Tirai un filo dalla manica del maglione, e il filo si ruppe con un piccolo schiocco.
«Dai, vado, ti lascio continuare il tuo lavoro.» Weasley femmina si alzò in piedi e la sedia grattò contro il pavimento. «Ti aspetto a Hogsmeade. Bada che ci conto.»
Mi sorrise. Accennai anch’io un sorriso e le feci ciao con la mano. Quando sparì oltre gli scaffali tirai un sospiro di sollievo.
I Potter erano duri da tollerare, ma i Weasley si impegnavano per entrare in competizione. Ficcanaso come Potter serpe. Tutti fatti con lo stampino. Dovevo cambiare il posto dove studiavo. La biblioteca ormai era un luogo pericoloso.
Fissai il biglietto dorato, infilato tra le pagine del quaderno. Conoscevo qualcuno che lo avrebbe apprezzato molto di più.
Chelsea.
 
Nota dell’autrice: se sono arrivata al decimo capitolo, gente, è grazie a voi. Grazie al vostro sostegno. Dieci capitoli a chi legge possono sembrare pochi, specie se sono brevi quanto i miei, ma essendo la prima fanfiction che scrivo per me sono veramente tanti. Quindi grazie a chi legge e non dice nulla, grazie a chi legge e ha dedicato anche solo cinque minuti del suo tempo per lasciarmi la sua opinione, grazie anche a chi passa sopra col cursore e per un solo istante intravede il nome di Serena.
Grazie a tutti.

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Capitolo 11
*** Dove Serena Latini scopre di non avere un favoloso destino, perché i Tre Manici di Scopa non è il Café des 2 Moulins. Parte 1. ***


Dove Serena Latini scopre di non avere un favoloso destino, perché i Tre Manici di Scopa non è il Café des 2 Moulins. Parte 1.



Il primo ottobre era arrivato.
Sognavo di andare a Hogsmeade con sembianze retrò: un vestito scuro con piccoli pois bianchi, la morbida e leggera gonna a ruota, una cintura nera in vita, ballerine di vernice nere. Voilà, sarei stata un giovane angelo del focolare.
E invece faceva un freddo cane. Ero costretta a coprirmi se non volevo rischiare l’assideramento. Dovetti optare per un paio di jeans, una maglia e un cardigan rosso. Quando mi guardai allo specchio mi restituì lo sguardo una sosia di Amélie Poulain, coi capelli neri a caschetto e i grandi occhi castani. Niente da dire ad Amélie, ero io ad essere la versione insipida.
Attraversai il sotterraneo in punta di piedi, attenta a non farmi scoprire. L’appuntamento con Chelsea era all’ingresso. Sperai di non trovare un esercito di Grifondoro.
La verità è che non avevo mai dato una vera risposta a Weasley femmina, quindi temevo ritorsioni.
Raggiunsi l’ingresso illesa. Non osai salire sulle scale e rimasi vicino alla porta dei sotterranei, per spiare dalla ringhiera chi arrivava senza essere subito vista.
Un passo pesante e veloce. Mi sembrò di riconoscerlo. Sporsi la testa. «Chelsea!»
Chelsea sussultò, e pochi istanti dopo stava rotolando giù dalle scale.
«Oddio!» urlai. Chelsea terminò la sua corsa all’ultimo scalino, gemendo. Mi fiondai su di lei.
«Chelsea? Chelsea? Sei tutta intera? Oh santo cielo! Quante dita sono?» Alzai tre dita.
«Ventordici» mugugnò Chelsea. Gemette ancora e si portò una mano al grosso sedere. Fortuna che anche lei aveva i pantaloni. «Ohi ohi… Le mie povere chiappe… Sempre la solita storia…»
«Ventordici?» feci preoccupata. Le piazzai le tre dita a un centimetro dal naso. «Non mi fare preoccupare! Quante sono?»
«Tre, stordita!» esclamò scostando la mia mano. «Non mi devi spaventare così quando sono sulle scale!»
Fu così che il mio piano “Serena passa inosservata” si concluse con un fiasco. In cima alle scale comparve la mandria di Grifondoro.
«Oh! C’è il Tasso!»
Ecco, per l’appunto, magari fossero stati solo i Grifondoro.
Mandria più serpe ci raggiunsero. Aiutai Chelsea a rimettersi in piedi, ormai rassegnata al mio destino. Weasley femmina si avvicinò. «Tutto bene, ragazze?»
«Potrebbe andare meglio» rispose Chelsea.
Weasley femmina sorrise. «Quel che importa è che non ci sia niente di rotto, dai. Ci siamo tutti? Possiamo andare?»
«Manca Jeanie» obiettai.
«Non viene» fece Chelsea. Sbattei le palpebre, incredula, ma non dissi niente. Jeanie non veniva? E perché mai? Mi riproposi di andarla a trovare, quella sera. Se fosse uscita dalla torre di Corvonero.
«Allora andiamo.»
Ci avviammo verso Hogsmeade. L’aria di ottobre era pungente ma il cielo era limpido. Almeno questo ci era concesso, se avesse piovuto sarebbe stato proprio insopportabile.
Weasley femmina tirò vicino a me e Chelsea una ragazzina, anche lei rossa, ma coi capelli lisci e gli occhi scuri. Sembrava più piccola di noi.
«Ragazze, lei è mia cugina Lily.»
«Piacere» fece la ragazzina. Tese la mano e Chelsea la strinse.
«Chelsea Shields.»
Strinse anche la mia mano. Le sue unghie lunghe graffiarono leggermente il mio palmo.
«Serena Latini.»
Dopo un nanosecondo la ragazzina se la svignò per andare a parlare con un ragazzetto, anche lui coi capelli rossi.
Giunsi alla conclusione che i Weasley si maritassero con delle fotocopiatrici. Non era possibile che un cognome fosse una tale garanzia di capelli rossi.
«Vi avevo detto che era timida» sorrise Weasley femmina con indulgenza.
«Senza offesa, Rose, non è che noi siamo troppo grandi per lei?» chiese Chelsea. «Ha quattordici anni, in fin dei conti.»
Quattordici anni? E cosa avevamo da spartire, noi del sesto anno, con gente del quarto? Mistero della fede. Infatti se l’era svignata.
La prima tappa fu, manco a dirlo, il negozio dei Tiri Vispi Weasley. Potter bis e Potter serpe si fiondarono sulla merce e Weasley bis trascinò Potter femmina verso il reparto dei dolcetti. Sembrava che fosse una riunione di famiglia. Io e Chelsea eravamo due estranee.
«Oddio, Serena! Ce l’hanno veramente! L’Annullaforuncoli garantito 10 secondi!»
Ecco come rimanere da sola con Weasley femmina. La ragazza incrociò le braccia e mi rivolse un sorriso complice.
«Non vendono il genere di cose che fa per te, vero?»
Ah, ma allora sei proprio un genio. Mi imposi di lasciare stare le maniche rosse del cardigan. Non volevo rovinarle come succedeva con quelle della divisa. «Diciamo che non sono solita dedicarmi agli scherzi.»
«Serena! I filtri Tumistreghi! Vieni a vedere, vieni a vedere! C’è scritto che sono garantiti per mezz’ora piena!»
Arrossii. Avrei preferito che Chelsea si fosse risparmiata. «Tranquilla, Chelsea, va bene così.»
Weasley femmina ridacchiò. Io mi dondolai da un piede all’altro. Dovevo resistere alla tentazione di rovinare le maniche rosse.
«Rose?» Potter serpe si avvicinò a Weasley femmina. In mano reggeva una confezione con disegnata sopra una bacchetta. «Dici che Scorpius ci casca se gli faccio uno scherzo con questa?»
Altro che arrossire. Al solo udire il nome di Scorpius diventavo un bollitore per il tè.
«Non saprei.» Weasley femmina arricciò il naso. «Sai come la penso riguardo agli scherzi.»
«Dai Rosie, non sono pericolosi.» Potter serpe accennò un sorriso e mi lanciò un’occhiata. «E tu, Tasso, non dirgli che gli voglio fare uno scherzo, capito?»
Risposta istintiva. E allora non dirlo davanti a me, Potter. Levati dai coglioni.
Risposta che diedi: fissai la punta delle mie scarpe bianche e scossi il capo.
La mandria sembrava divertirsi parecchio in quel negozietto. Finalmente uscimmo. Potter bis e Potter serpe erano carichi di sacchetti. L’aria fresca mi sembrò divina, dopo tutto il tempo trascorso in quel locale claustrofobico.
Ci dirigemmo verso i Tre Manici di Scopa. L’idea di rinchiudermi di nuovo in un pub mi faceva mancare l’aria, più che altro perché eravamo in troppi per i miei gusti. Unimmo due tavoli, li occupammo e dopo qualche discussione finalmente furono pronte le ordinazioni.
«Ecco qua ragazzi» fece Madama Rosmerta con un sorriso. «Quattro Burrobirre, un caffè, un’Acquaviola e uno sciroppo di ciliegia.»
La signora mise davanti a Chelsea l’Acquaviola. Il bicchiere lungo e sottile era pieno di una bevanda color lavanda che emanava un profumo dolce. Non l’avevo mai provata prima. Mi pentii di aver preso lo sciroppo di ciliegia. Aprii la bocca per chiedere di farmela assaggiare ma Chelsea mi afferrò il polso. «Vieni un secondo. Scusateci un attimo, per favore.»
«Chelsea, cosa… Ah!»
Chelsea mi strattonò via dal tavolo. Sentii tutti gli occhi puntati su di me e il mio viso iniziò a bollire, fino a quando non fui trascinata in bagno e la porta si chiuse.
«Serena.»
Guardai Chelsea, e quando vidi la sua espressione seria sgranai gli occhi per la sorpresa.
«Cos’ho fatto?»
«Cosa non hai fatto. Ma per fortuna c’è la tua amica qui a rimediare.»
La serietà si trasformò in un sorriso gongolante. Tra pollice e indice reggeva una fialetta contrassegnata con un cuoricino.
«Filtro Tumistreghi, pozione d’amore» dichiarò. «Ora devi andare fuori, convincere Albus Potter a farti dire dov’è Scorpius Malfoy e con questo, stasera…» Agitò una mano per aria, il sorriso da un orecchio all’altro. «Tanta roba!»
«Chelsea!» gemetti. Indietreggiai da un passo, lontana da quella fialetta demoniaca. «Io! Scorpius! Come potrei?»
«Non ti preoccupare, la luna è al primo quarto. Se le voci su Serpeverde sono vere, si sta in coppia.»
La mia temperatura corporea stava vertiginosamente correndo verso i quaranta gradi. «Non intendevo dire questo!» Presi un ampio respiro e mi sforzai: «Voglio dire… Che… Non voglio piacergli col filtro. Mi piacerebbe qualcosa di più… Duraturo. Solido.»
«Ah, fidati, gli uomini vanno presi per la gola. Anzi, per il caz-»
Le tappai la bocca. «Chelsea, una sola volta: no.» Scossi il capo e la guardai negli occhi. «Apprezzo il pensiero, ma ti prego, promettimi che non tenterai di drogare Scorpius di nascosto. Me lo prometti?»
Chelsea arricciò il naso e mugugnò una promessa.
 
 
 
 
 
Nota. I Tiri Vispi Weasley in teoria avrebbero sede a Diagon Alley, ma alcune fonti su internet dicono che l’emporio di Zonko è stato rilevato dai gemelli Weasley. Sinceramente non ricordo questo particolare, ma mi sono fidata e l’ho preso per buono. Nel caso fosse inesatto, perdonatemi.

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Capitolo 12
*** Dove Serena Latini scopre di non avere un favoloso destino, perché i Tre Manici di Scopa non è il Café des 2 Moulins. Parte 2. ***


Dove Serena Latini scopre di non avere un favoloso destino, perché i Tre Manici di Scopa non è il Café des 2 Moulins. Parte 2.



Quando uscimmo dal bagno trovammo Weasley femmina con le braccia incrociate e la fronte corrugata. Potter femmina rideva con Weasley bis, mentre Potter serpe e Potter bis si erano cambiati di posto. Ora erano uno a un capo del tavolo e l’altro dalla parte opposta.
C’era un non so che nell’atmosfera, come se fosse tesa. Io e Chelsea ci sedemmo e presi in mano il mio bicchiere di sciroppo di ciliegia. Weasley bis, di fronte a me, ridacchiò più forte.
L’omonimo di Foscolo, ricordai. Quindi Hugo. E lei, la timida del quarto anno… Il Giglio. Ok. Perciò Lily. E l’altra femmina rossa, cavolo… Mi sforzai. Rose. Quindi Rose, Lily il Giglio e Hugo. Hugo. Mi chiesi con che coraggio avessero potuto chiamarlo così. Ma dopotutto nel mondo dei maghi esisteva gente che chiamava i figli Scorpione, quindi di che mi stupivo…
Un gomito mi finì nelle costole e squittii di dolore.
«Chelsea!» piagnucolai.
«Ti eri incantata» disse lei. «Tutto a posto?» Con la cannuccia tirò su un po’ di Acquaviola.
«Sì…» fissai il suo bicchiere e lo indicai. «Posso assaggiarla?»
Chelsea mi porse il bicchiere e bevvi un sorso. Buonissima. Guardai Chelsea con occhi imploranti e lei sbuffò. «Dai, scema, facciamo cambio.»
«Grazie. Ti devo un favore.» Spinsi verso di lei il bicchiere di sciroppo di ciliegia.
Misi la cannuccia in bocca e iniziai a bere l’Acquaviola. E qualcosa cambiò. Ci misi qualche secondo a capire cosa.
Sul tavolo era calato il silenzio. Anche Hugo e Lily avevano smesso di ridere. Ad un tratto sentii una sedia grattare e Potter serpe si alzò in piedi.
«Scusate, è che… Avevo promesso a Scorpius di… Sì insomma, devo andare. Ci vediamo al castello.»
«Ehi idiota, il conto!» urlò Potter bis, ma Potter serpe gli diede le spalle e si allontanò. I campanelli della porta tintinnarono e lui uscì dal locale.
Mi guardai intorno, continuando a sorseggiare l’Acquaviola. Chelsea alzò le spalle e in un sorso fece fuori mezzo bicchiere di sciroppo di ciliegia.
Quell’atmosfera mi metteva a disagio. Di fianco a me Rose si agitò sulla sedia. Ridacchiai, nervosa. «Ne avevi di sete, eh, Chelsea?»
Potter bis, dall’altra parte del tavolo, si sporse verso di noi, e io istintivamente mi ritrassi. Potter bis sogghignò. «State alla larga da Mielandia voi due, vi conviene.»
«James!»
Sobbalzai. La voce acuta di Rose aveva perforato il mio timpano.
Lily diede uno schiaffo sul braccio di Potter bis. «James» ripeté, ma il suo tono era divertito. Hugo Foscolo ridacchiò ancora.
Non ci stavo capendo niente. Guardai Chelsea, disperata. La mia amica mi restituì lo sguardo e si strinse nelle spalle.
Decisi di riprovare a fare conversazione. Mi voltai verso Rose, a pochi centimetri da me. «Quindi il negozio dei Tiri Vispi Weasley è, tipo, di parenti vostri?»
«Mio zio» rispose Rose secca.
Fine conversazione. Game over.
Finii di bere l’Acquaviola. Era dolce e buona, ma in quel momento la cosa non mi rendeva felice. Mi chiesi cosa fare per riprendere la conversazione ma non mi venne in mente niente. Hugo Foscolo sorrise a labbra strette.
Ultimo tentativo. Sorrisi al ragazzino. «È successo qualcosa di divertente?»
«Oh, molto» scattò James. I suoi occhi scuri incontrarono i miei, e abbassai lo sguardo. «È Rose che non apprezza l’umorismo e rovina tutto… No, Rosie?»
«James, al diavolo» ringhiò Rose.
Be’, dopo questa, i miei punti per Rose schizzarono alle stelle.
«Serena.»
Mi girai verso Chelsea. La sua voce era stranamente bassa. Vidi che era pallida.
«Usciamo, per favore. Non sto troppo bene.»
Non era rimasta nemmeno una goccia di succo di ciliegia nel bicchiere. Che l’avesse bevuto troppo velocemente?
«Cos’hai, Chelsea?»
«Niente di che, un po’ di nausea. Usciamo, per favore. Ho bisogno di una boccata d’aria.»
Lasciò qualche moneta sul tavolo e mi affrettai a fare altrettanto, poi si alzò e si avviò verso la porta.
«Ehm…» guardai la tavolata di capelli rossi, eccetto Potter bis. Accennai un piccolo inchino e unii le mani come in preghiera. «Scusateci, scusateci tanto… Non vogliamo essere scortesi.»
Uscii e trovai Chelsea che camminava avanti e indietro, nervosa.
«Ehi… Tutto ok?»
«Presto.» Le sue dita si strinsero intorno al mio polso e mi tirò lungo la via.
«Ehi!» protestai. «Chelsea, si può sapere…»
«Ti spiego strada facendo» tagliò corto lei. Imbucò una via laterale e mi costrinse a seguirla. «Ho… Ecco… Sono arrivata a una conclusione.»
Il suo viso, ora, era rosso. Non sapevo se era a causa del passo veloce o per altro. «E cioè?»
«Cioè che… Albus Potter… Mi piace. Mi piace da impazzire.»
Piantai i talloni per terra e diedi uno strattone alla mano. Chelsea mi lasciò andare e si fermò.
«Che cavolo combini, Serena? Dobbiamo andare!»
Albus Potter. No. Di tutte le persone che a Chelsea, mia amica fin dal primo anno, di tutti gli studenti fighi e gnocchi e intelligenti che le potevano piacere…
Albus Potter.
«Chelsea… Tu hai fumato.»
«Fumato cosa?»
«Non lo so cosa, ma di certo è roba forte! Cambia spacciatore, per l’amor del cielo!»
Chelsea mi guardò con gli occhi scuri sgranati. «Serena… Cos’ha Albus Potter che non va?»
Mi stava prendendo in giro? «Chelsea… Veramente.» Mi misi le mani nei capelli. Cosa stava succedendo alla mia amica? «Ti piace Potter serpe, e me lo dici così? Lui, che è sempre attaccato a Scorpius, in mezzo alle scatole, arrogante…»
«Arrogante è James. Albus è gentile.»
«Gentile un corno!» sbottai. Mi resi conto di aver alzato la voce, e cercai di abbassarla. «Non ricordi la figuraccia che mi ha fatto fare davanti a Scorpius, in biblioteca, quando gli avevo chiesto se aveva i compiti per Pozioni?»
Chelsea alzò le spalle. «Be’, non è proprio arroganza, quella… E non è colpa mia se mi piace… Mi piace, punto. E se possibile vorrei incontrarlo, e trascorrere quel che resta del pomeriggio con lui.»
Scossi il capo. Non pensavo che Chelsea si sarebbe mai potuta comportare così. Non era da lei. Poteva anche piacerle Potter serpe, questo nessuno lo impediva, ma perché tirava fuori questa cosa proprio adesso? All’improvviso? Quando eravamo stati ai Tiri Vispi Weasley tutti insieme, e anche ai Tre Manici di Scopa, non era sembrata particolarmente interessata a Potter serpe.
Viscida serpe, non gli bastava Scorpius Malfoy, ora voleva portarmi via anche la mia amica. Gli occhi iniziarono a bruciarmi.
«Quindi, mi accompagni o no?»
E che potevo fare? «Dove pensi che sia?»
«A Mielandia. L’allusione di James è stata molto chiara.»
Chelsea si avviò in direzione del negozio e io la seguii. Rimasi di fianco a lei ma la mia testa viaggiava da tutt’altra parte.
L’allusione di James. Di Potter bis. In effetti Rose si era arrabbiata. Io e Chelsea sbucammo nella via principale piena di gente. Ma per quale motivo Rose si doveva arrabbiare? Non c’era nulla di male nel far notare dove si era recato Potter serpe. Intravidi, al lato della strada, l’insegna di Mielandia, e Chelsea accelerò il passo. Eppure Rose se l’era presa, e Lily e Hugo Foscolo ridevano. Che Potter serpe avesse un motivo speciale per recarsi a Mielandia?
D’un tratto ricordai il biglietto. Il biglietto dorato che Rose mi aveva dato. Ormai eravamo davanti al negozio.
«Chelsea, aspetta!»
Chelsea si fermò. «Cosa c’è?»
Frugai in tasca alla ricerca del buono. Lo tirai fuori e qualcosa cadde per terra con un tintinnio. Tesi il buono a Chelsea, poi mi chinai. Raccolsi una fialetta con su un cuoricino.
«Lo vedo, Serena, è dentro, è dentro! Con Malfoy!»
«Sì… Arrivo.»
Entrai nel negozio con la fialetta ancora stretta in mano. Ricordai la gomitata di Chelsea. Me l’aveva infilata in tasca lei, in quel momento? Era l’unica spiegazione possibile. Ma non poteva pianificare di venire a Mielandia, ancora non lo sapeva. Poi avevamo scambiato le bibite, e…
Intravidi Scorpius Malfoy tra la folla e strinsi la fialetta con più forza. Potter serpe era accanto a lui. Io e Chelsea iniziammo ad avanzare, sgomitando tra la folla. Per un momento i miei occhi incontrarono quelli di Potter serpe. Un istante dopo lui si voltò e sparì tra gli scaffali. Chelsea si staccò da me e lo seguì.
Continuai ad andare verso Scorpius Malfoy.

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Capitolo 13
*** Dove Serena Latini scopre di non avere un favoloso destino, perché i Tre Manici di Scopa non è il Café des 2 Moulins. Parte 3. ***


Dove Serena Latini scopre di non avere un favoloso destino, perché i Tre Manici di Scopa non è il Café des 2 Moulins. Parte 3.



Raggiunsi Scorpius alle spalle e lo afferrai per una manica. Lui si girò e mi trovai i suoi occhi grigi piantati addosso. Lo lasciai immediatamente e abbassai lo sguardo.
«Malfoy…» La voce mi uscì come un sussurro.
«Oh, Latini… A Mielandia anche tu? Allora i dolci dei maghi non ti fanno poi così schifo…»
Mi morsi il labbro inferiore. Lanciai un’occhiata alla folla, sperando di vedere Chelsea.
No, questa volta non avrei potuto contare sul suo sostegno morale, né suo né di Jeanie.
Ero sola, in mezzo alla folla, con Malfoy.
E dovevo parlare.
Aprii la bocca. Secca, nonostante un bicchiere di Acquaviola. Ma questa volta c’era in gioco qualcosa di più grosso. «Malfoy… Scusami. Sai dirmi dov’è Potter?»
Non nominare il nome di Potter invano. Un comandamento era stato violato. Magari però questa volta non era da considerarsi una nomina invano.
«Albus?» Malfoy corrugò le sopracciglia bionde, pensieroso.
Cribbio, che zigomi cesellati. Che capelli divini.
No. Frena l’ormone, Serena, non è il momento.
«Era qui con me un attimo fa. Poi ha rantolato qualcosa ed è scomparso.»
Ragionai. Difficile farlo con Scorpius Malfoy al proprio fianco, ma mi impegnai.
L’unica spiegazione possibile era che Potter serpe, o qualcuno tra i suoi parenti serpenti (e dire che erano tutti Grifondoro! Vatti a fidare!), aveva drogato il mio sciroppo di ciliegia con un filtro d’amore. A quel che ne sapevo funzionavano solo con materia organica proveniente da chi doveva essere oggetto d’amore, e non volevo assolutamente sapere cos’avevano usato. Però io e Chelsea ci eravamo scambiate i bicchieri. E Potter serpe, resosi conto del guaio in cui si era cacciato, se l’era data a gambe. Come Casa Serpeverde prescrive, un codardo patentato.
Ma questa volta Potter si era spinto troppo in là con le sue stronzate. Meritava di essere smerdato pubblicamente. Questo era certo. Magari se fossi stata più calma non avrei sentito questa necessità, ma in quel momento era un bisogno viscerale.
«Potter…» La mia voce tremò. Malfoy mi guardò con aria interrogativa. Io presi fiato. «Potter si è comportato molto male. Eravamo fuori tutti insieme, in allegria. Con fiducia. E lui ha messo un filtro d’amore nel mio bicchiere. Che alla fine ha bevuto Chelsea. E questo è il risultato.»
Alzai un palmo per mostrare la mancanza di Chelsea accanto a me. Malfoy mi fissò per qualche secondo, poi sbuffò. «Non pensavo che sarebbe arrivato a tanto.»
«A tanto? A tanto?» La mia voce tremò. Strinsi i pugni e cercai di prendere un respiro profondo. «Voleva drogare me, e invece ha drogato Chelsea. Voglio dire, a Hogsmeade. Cosa diavolo sperava di ottenere?»
Malfoy emise un verso a metà tra una risata e uno sbuffo e incrociò le braccia. «E te lo chiedi ancora?»
Calmai il respiro. Fissai gli occhi grigi di Malfoy. Dopo qualche secondo Malfoy spostò lo sguardo sulla folla e le sue labbra sottili si sollevarono in un sorriso di scherno.
«Davvero, Latini, sei una Tassorosso perfetta. Potter ti muore dietro da una vita. Come fai a non capirlo?»
Continuai a fissare Malfoy. Non incrociai più il suo sguardo. A ogni respiro sentivo la gola chiudersi. Strinsi i pugni talmente forte che le unghie mi si conficcarono nei palmi.
«Dimmi dov’è Potter, per favore.»
Malfoy schioccò la lingua, irritato. «Ti ho detto che non lo so.»
Il suo volto pallido non sembrava più divertito, neanche per scherzo o per scherno. Scossi il capo.
«Non fa niente, grazie lo stesso.»
Mi feci largo tra la folla e mi allontanai. Se trovavo per prima Chelsea, allora Potter serpe aveva ancora qualche speranza di uscirne vivo. Se invece trovavo prima lui mi sarei dichiarata incapace di intendere e di volere. In Italia funzionava.
La gente si affollava attorno agli scaffali e ai tavoli espositivi. Ignorai il profumo di zucchero e biscotti e mi diressi verso la cassa. Scorsi la coda ma non trovai nessuno dei due.
Mi sembrò di sentire un suono familiare. Sembrava la voce di Chelsea, lontana. In tutto quel frastuono di gente vociante?
Ebbi un’intuizione.
Mi diressi verso l’uscita del negozio e mi scontrai contro un paio di ragazzi. Non mi scusai e mi fiondai sulla porta.
In piedi, in mezzo allo spiazzo del negozio, Potter serpe si passava una mano tra i capelli neri spettinati. Chelsea, di fronte a lui, stava cantando una canzone che non conoscevo. Esibì la sua voce potente e allungò una sillaba su più note.
Dovevo zittire la sua prodigiosa voce, altrimenti una volta tornata in sé se ne sarebbe pentita.
«Chelsea!» ruggii.
La nota si spezzò e sia Chelsea che Potter si voltarono verso di me.
«Che c’è?» chiese Chelsea. «Niente d’importante, vero?»
«Sì invece.» Mi avvicinai e la presi sottobraccio. «Jeanie Joy ha bisogno di noi. Non sta bene, dobbiamo rientrare al castello.»
«Oh.» Chelsea sporse in fuori il labbro inferiore, come una bambina delusa.
Sperai con tutto il cuore che Jeanie Joy fosse in grado di rimediare a quel pasticcio.
«Andiamo, Chelsea, per piacere.» Il mio braccio scheletrico non era in grado di trascinare via quello ben tornito della mia amica. Pregai perché non facesse resistenza.
«È proprio necessario?» Mi guardò implorante.
«Vai, Shields.» Era la voce di Potter serpe. «Non ti preoccupare… Sarà per la prossima volta.»
«Mh… Vabbè. Ciao, Potter… Ci si vede. A presto.»
Passammo di fianco a Potter serpe. Incontrai i suoi occhi verdi.
Era di poco più alto di me, ed era magro. Forse quanto me, difficile intuirlo sotto il maglione. Magari, se non avessi saputo di essere debole, in un confronto fisico avrei anche potuto avere la meglio.
Avrei voluto attaccarlo al muro. Prenderlo a cazzotti. Ficcargli la bacchetta su per uno orifizio qualunque, a sua scelta, purché fosse in profondità. Vederlo pieno di sangue come se avesse divorato una scatola di Torrone Sanguinolento. Sarebbe stato il primo uomo al mondo col ciclo mestruale, dopo il mio trattamento.
E invece lo fissai per un secondo, mentre gli passavo di fianco.
Mossi lentamente le labbra senza tirar fuori un briciolo di voce, perché Chelsea non mi sentisse.
Fai schifo.
Ci avviammo lungo la stradina. Le mie scarpe bianche, a furia di correre a destra e a sinistra, erano tutte macchiate.

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Capitolo 14
*** Dove si cerca di trasformare Jeanie Joy in una bomba sexy e dove Chelsea insegna a traumatizzare i bambini. ***


Dove si cerca di trasformare Jeanie Joy in una bomba sexy e dove Chelsea insegna a traumatizzare i bambini.



Di tre cose ero del tutto certa.
Primo, Albus Potter era innamorato di me.
Secondo, una parte di me, e sapevo quale e quanto fosse importante, aveva sete del suo sangue.
Terzo, ero totalmente, incondizionatamente incazzata con lui.
Sì, il libro che mi aveva prestato Jeanie Joy mi aveva un tantino influenzata. In negativo.
Alla fine io e Chelsea andammo da Madama Chips, che risolse il problema con un misterioso infuso. D’altro canto non avevo modo di trovare Jeanie se non era fuori dalla torre di Corvonero. In giro non l’avevo vista e non comparve neanche a cena, quindi smisi di pensare a Potter serpe e iniziai a preoccuparmi.
Il mattino dopo ricevetti Il Pacco e di Jeanie Joy ancora nessuna traccia, neanche nella Sala Grande.
«Qui» fece Chelsea, «le possibilità sono due. O ci sta evitando, o è successo qualcosa.»
«Dai, non farmi preoccupare…» mormorai. Mi mordicchiai l’unghia del pollice. «Magari ha, tipo, l’influenza…»
Chelsea mi guardò male e io mi strinsi nelle spalle.
«Bisogna agire con decisione» proclamò. Batté un pugno sul palmo della mano per dare enfasi. «Oggi faremo un sit-in davanti alla Casa di Corvonero. Prima o poi dovrà uscire, o perlomeno uscirà qualche Corvonero. Possiamo sempre minacciarli e costringerli a portarci Jeanie.»
Ebbi un brivido. Minacciare qualcuno non mi pareva una grande idea, ma piazzarsi di fronte alla Casa di Corvonero poteva essere una maniera pacifica di risolvere la questione. Sperai solo di non incontrare dei Grifondoro nei paraggi. Non avevo più parlato né con Rose né tantomeno con Lily Giglio o Potter bis.
Portai con me alcune Kinder colazione più per evitare che Chelsea avesse dei cali di zuccheri e insieme ci sedemmo di fronte alla porta con l’aquila di bronzo. Dopo dieci minuti di attesa eravamo già stufe e, con la sola gonna e le collant nere tra noi e la pietra, avevamo entrambe il sedere gelato.
«Oh, basta, adesso placco il primo Corvonero che passa.»
«No, Chelsea, per favore… Evitiamo di attirare l’attenzione.»
«Mi prendo tutta la responsabilità.»
«Non è per quello.» Pensai a qualcosa che potesse distrarla. Mi venne un’idea, ma non ero sicura di come l’avrebbe presa. Mi morsi il labbro. «Posso farti una domanda?»
«Vai.»
«Ecco…» Abbassai lo sguardo. Iniziai a tirare un filo della manica grigia del maglione. Il tessuto si arricciò. «Mi dispiace per quel che è successo. Per lo sciroppo di ciliegia. Non pensavo. Ma tu… Sapevi? Di Potter serpe, intendo.»
«Mh.» Chelsea mi guardò, poi si grattò una guancia. «Quel che è successo non è colpa tua, è stato Potter ad essersi comportato da cretino. E no, non lo sapevo, altrimenti te l’avrei detto.»
«Capisco.»
Non avevo nessun motivo per non crederle. Iniziai a sentire il viso caldo, nonostante gambe e sedere fossero gelati. Allentai il nodo della cravatta.
«E, sempre secondo te… Scorpius sapeva che io piacevo a Potter serpe, ma non mi è sembrato che sapesse del filtro. Posso… Ecco, ti sembra che ci sia qualche possibilità? Potrei piacergli lo stesso? A Malfoy?»
Chelsea si afferrò le caviglie e iniziò a dondolarsi avanti e indietro. «Non lo so proprio.»
La risposta mi sembrò troppo vaga. «Secondo te? La tua opinione, schietta.»
«La mia opinione… No. Non ti ci vedo, con Scorpius. Poi, per la gran carità, se a te piace avrai i tuoi buoni motivi.»
La sua risposta sembrò mettermi un peso sul petto. «Perché non mi ci vedi con lui?»
Chelsea storse il naso. «La sua famiglia è un po’… Tradizionalista, diciamo.»
«Ah.» Tradizionalista, dunque. Ci pensai. «Non ho capito.»
«Be’, dai, non mi pare neanche quel gran pezzo di gnocco, alla fin fine.»
Mentalmente mi si presentarono, uno di fianco all’altro, Scorpius Malfoy e Albus Potter.
Scorpius Malfoy, slanciato, sottile, il viso ovale e pallido, gli occhi grigi, i capelli di un biondo platino che in Italia si vedeva solo con le tinte. Un portamento elegante, la schiena diritta, un incedere sicuro, da gran signore.
Albus Potter, magro, arrivava al naso di Malfoy, occhi verdi, capelli neri sempre in disordine, qualche brufolo sulla fronte, neanche quando indossava la divisa da Quidditch sembrava qualcosa di più di un ragazzino. Decisamente poco attraente.
Sospirai. «Probabilmente abbiamo gusti diversi, Chelsea.»
«Sarà. Di certo Malfoy non è il tipo a cui tirerei una sculacciata per potergli palpare il sedere. È troppo ossuto.»
Appoggiai una mano a terra per non perdere l’equilibrio. «C-cosa? Tu, per… Palpare…»
«Ma va, scema, è un modo di dire.»
«Ah…»
«Forse.»
Scese di nuovo il silenzio. Di Jeanie nemmeno l’ombra. Mi alzai in piedi per sgranchirmi le gambe e iniziai a camminare attorno a Chelsea, in tondo. Poi feci avanti e indietro lungo il corridoio. Niente.
Stavo per sedermi di nuovo quando la porta di legno cigolò.
Dalla Casa emerse una ragazzina con le trecce scure.
«Tu!» ruggì Chelsea e scattò in piedi. La ragazzina sussultò e la guardò con occhi sgranati. Chelsea la afferrò per un braccio. La ragazzina emise un rantolo.
«Chelsea, no!» Posai la mano sul braccio di Chelsea. La ragazzina spostò lo sguardo su di me.
«Cosa… Che ho fatto?»
«Niente, cucciola, stai tranquilla… Chelsea, sembra del primo anno, neanche la conoscerà!»
La ragazzina scosse il capo e le trecce scure ondeggiarono. «No, non so cosa, ma non conosco nessuno, ve lo assicuro!»
«Bimbetta, facci un piacere» disse Chelsea. «Torna dentro, vai a cercare una secchiona coi capelli biondi e gli occhiali e non mettere più il naso fuori di qui finché non sei con lei.»
«No, no, no» feci io. Presi due Kinder colazione più e le porsi alla ragazzina. «Ecco, cucciola, te le regalo. Sono dolci italiani. Te ne regalo un’altra se ci fai il piacere di cercare la nostra amica… È del sesto anno, bionda, con gli occhiali spessi. Hai già visto qualcuno così?»
La ragazzina non prese le merendine. Anzi, per la verità aveva un colorito cadaverico.
«Be’, bimba, obbedisci alle tue compagne più grandi, valla a cercare.»
«Per favore, cucciola, facci questa cortesia.»
La ragazzina abbassò gli occhi. «Se… Se mi lasciate il braccio, potrei anche.»
Chelsea le lasciò il braccio e all’istante la ragazzina indietreggiò e ci sbatté il portone in faccia.
Io e Chelsea rimanemmo in piedi, a fissare l’aquila di bronzo.
«Sai, Chelsea… Credo che voi Grifondoro abbiate dei modi un po’ singolari di approcciarvi alle persone.»
«Be’, Serena, voi Tassorosso chiamate cuccioli tutti quelli del primo anno?»
Tornammo a sederci e ci preparammo a una lunga attesa.
Fino a quando il portone non si riaprì di nuovo.
La ragazzina con le trecce fuggì via e scomparve dietro l’angolo. Qualche istante dopo uscì Jeanie.
«Jeanie Joy!»
Mi lanciai verso di lei e l’abbracciai. Chelsea si unì e sentii il suo braccio tornito premermi contro Jeanie.
«Ci hai spaventate, caspita, come ti salta in mente di sparire così?»
«Per Merlino, non ti azzardare mai più!»
Lasciammo andare Jeanie. Feci un passo indietro.
«Ragazze… Non c’è motivo di preoccuparvi. Ho solo da fare, tutto qui.»
Sgranai gli occhi. «Stai scherzando?» Eravamo pronte a darla per dispersa e a chiamare Chi l’ha visto, e lei? Diceva di aver semplicemente avuto da fare?
La osservai. Parecchi capelli uscivano dalla lunga treccia bionda e gli occhi azzurri dietro le lenti erano cerchiati da un inquietante colore violaceo.
«Che cazzo significa “ho da fare”?» fece Chelsea. «Le tue amiche non si meritano un avviso? Dai buca a Hogsmeade, non ti fai vedere neanche per mangiare… Che ti passa per quel cervello biondo?»
Jeanie si portò una mano alla fronte. «Non alzare la voce, per favore, ho mal di testa. Avevo molto da studiare, tutto qui.»
Mi avvicinai a Jeanie, cauta, e le posai una mano sulla spalla. «Ci siamo preoccupate molto, Jeanie. Hai un’aria stanca. Che ne dici di fare un giro?»
«No, grazie. Non ho ancora finito Rune Antiche.»
«Eddai, secchia, stacca» sbottò Chelsea. «Sono giorni che non riemergi dalla tua sala comune e sembri appena tornata dall’oltretomba!»
Come al solito Chelsea era fin troppo schietta. «Non ha torto» dissi con dolcezza. «Staccare ti farà bene, dopo riuscirai di sicuro a studiare con più energia. Dai, Jeanie, una pausa tutte insieme.»
Jeanie chiuse gli occhi. «Va bene… Basta che sia una pausa a bassa voce.»
Presi Jeanie a braccetto e ci avviammo lungo il corridoio. Pensai a dove saremmo potute andare. Forse fuori, a fare due passi nel parco. Faceva freddo, però almeno Jeanie avrebbe preso una boccata d’aria.
«Sembri giù di tono, Jeanie» disse Chelsea. «È successo qualcosa?»
«No, sono in forma come sempre. Non è successo niente di particolare.»
Mi venne in mente quello che era capitato con Cunningham. «E la Corvonero bassa? La sorella di Cunningham, credo che sia…»
Jeanie si irrigidì. «Non l’ho più vista.»
Io e Chelsea ci guardammo. Vero o no, Jeanie non era in forma. Bisognava tirarla su di morale. E come potevo tirare su di morale una ragazza sempre così impegnata? La osservai. La sua lunga treccia sfatta le ballonzolava sulla spalla.
«Aspettate, torniamo indietro. Venite, venite.» Feci dietrofront e tirai Jeanie con me.
«Che fai, Serena? Dove vuoi andare?» chiese Chelsea.
«Aspetta, aspetta.» Raggiungemmo la statua di Barnaba il Babbeo e mi concentrai. «Continuiamo a passeggiare, per favore.»
«La Stanza delle Necessità?» fece Jeanie debolmente.
Chelsea squittì. «I festini erotici di Serpeverde!»
La stanza comparve. Lanciai un’occhiata a Jeanie, che era dubbiosa, e a Chelsea, che era esultante. Sorrisi e aprii la porta. «Dentro, dentro, veloci.»
Chelsea con due balzi saltò dentro e Jeanie la seguì a passi lenti. Entrai anch’io e mi chiusi la porta alle spalle. Il mio sorriso andava da un orecchio all’altro.
«Signore e signore, perché siamo solo ragazze, ecco a voi la Carousel Boutique di Rarity!»
La stanza era ampia e luminosa. In un angolo c’erano due manichini spogli. Un grande tavolo ingombro di cosmetici era sormontato da uno specchio con delle luci sui bordi, mentre per la stanza si vedevano due poltrone, qualche pouf e delle relle piene di vestiti. Una cabina armadio, semiaperta, lasciava intravedere l’interno spazioso. Jeanie e Chelsea si guardarono intorno con aria perplessa.
«C’est ma-gni-fique!» esclamai.
Le labbra piene di Chelsea si schiusero, poi le richiuse. Infine disse: «Serena, più ti conosco, meno ti capisco.»
«Guardate, guardate!» Aprii le braccia per mostrare il locale. «È il negozio di Rarity! Come fate a non capire?»
«Rarity?» Jeanie fece una smorfia.
«L’unicorno! My Little Pony! È la stilista! Quella bianca!»
Jeanie si portò una mano alla testa e scosse il capo. «Chelsea, questa è senza speranza.»
Non mi arresi. «Mi permetta, madame.» Afferrai Jeanie per un polso e la tirai verso lo specchio. «Ogni signora che si rispetti deve avere un aspetto decoroso, prima di presentarsi al pubblico.»
«Un momento…» Nella voce di Jeanie comparve una nota di allarme. «Che cosa vuoi fare?»
«L’unica cosa che tira su di morale qualsiasi ragazza.» Esaminai i cosmetici presenti sul tavolo. Presi una boccetta e lessi l’etichetta. L’idea mi emozionava talmente tanto da farmi venire da ridere. «Ti farò diventare una strafiga!»
«Cosa?» Jeanie sistemò gli occhiali. «No, aspetta! Non è permesso truccarsi a Hogwarts!»
«Non è permesso durante le lezioni.» Posai la boccetta e presi un paio di confezioni e un pennello. «Questo è tempo libero!»
«Chelsea?» fece Jeanie, allarmata. «Chelsea, dì qualcosa, ti prego!»
«State lì!» La voce di Chelsea proveniva dalla cabina armadio. «Io ho trovato qualcosa di stratosferico, della roba che ai festini di Serpeverde se la sognano!»
«Per l’amor del cielo…»
«Rassegnati, Jeanie.» Le sorrisi e tesi verso di lei il pennello. «Fammi provare, per favore. Se non ti piace ti strucchi. Promesso.»
Jeanie sospirò.
«Non cederò. Ti prego, per una volta che ti chiedo un favore… Lasciami giocare.»
«Quindi sono il tuo giocattolo adesso?» borbottò Jeanie, però si tolse gli occhiali.
«Per qualche minuto. Non troppo.»
Feci girare Jeanie per impedirle di vedere la propria immagine allo specchio. Il rumore di Chelsea che rovistava nell’armadio e il respiro lento di Jeanie furono gli unici suoni che udii nei minuti seguenti. Mascherai le occhiaie con correttore e pennello, disegnai una riga nera di eyeliner sulla palpebra superiore e le misi del mascara nero sulle ciglia. Sul viso le spennellai il fondotinta e il blush e alla fine aggiunsi un po’ di lucidalabbra.
«Posso vedere ora che caspita hai combinato?»
«Ancora un attimo, Jeanie.»
Le sciolsi la treccia, presi la spazzola e la pettinai. I lunghi capelli biondi scendevano fino ai fianchi in morbide onde. Era un biondo diverso rispetto a quello chiaro di Malfoy. Il biondo di Jeanie era più carico e caldo, più vicino all’oro che al platino.
«Dovresti smettere di legarli o finiranno per rovinarsi.»
«Legati sono più pratici.»
«Be’, guardati allora.»
Jeanie si girò verso lo specchio, cercò a tentoni gli occhiali e li indossò.
Scrutò la propria immagine.
«I capelli sciolti sono un po’ disordinati.»
Misi il mio viso di fianco a suo e guardai il nostro riflesso. «A me sembri bellissima. Guarda, le occhiaie non si notano quasi più.»
Jeanie aguzzò la vista. «Questo è vero.»
«E adesso, con un po’ di blush, hai un colorito sano. Mi sembra un trucco discreto, no?»
«Per me è sempre troppo.»
«Ma sei bellissima!»
Ci fu un fischio. Ci girammo. Chelsea era uscita dalla cabina armadio.
«Ehi, ragazze, ma questo è un vero e proprio salone di bellezza!»
Le orecchie di Jeanie diventarono rosse. «Non direi.»
«Rischiamo di diventare delle panterone, ragazze, attente!» scherzò Chelsea. «Finiremo per diventare le intrattenitrici più richieste ai festini di Serpeverde…»
«Chelsea, quelle sono voci» puntualizzò Jeanie.
«Perché non hai ancora visto cos’ho trovato nella cabina armadio…»
Chelsea fece ondeggiare i fianchi e piegò le ginocchia. Posò le mani sul bordo della gonna.
Io e Jeanie rimanemmo in attesa. Chelsea sorrise maliziosa e intonò: «Creole lady Marmalade…»
Jeanie mi lanciò un’occhiataccia e io sorrisi, colpevole. «Gliel’ho insegnata io…»
Chelsea fece scivolare le mani sulle gambe, sollevando lentamente la gonna. «E… Olé!»
La gonna scoprì le calze nere, che invece di essere le solite collant della divisa terminavano sulla coscia con un bordo di pizzo nero. Attaccato al pizzo c’era il gancio di un reggicalze.
«Chelsea!» tuonò Jeanie. Io scoppiai a ridere.
«Sono sexy?» Chelsea fece l’occhiolino e ci mandò un bacio.
Risi. «Da morire, Chelsea!»
Jeanie sollevò il dito indice, tremante. «Chelsea, ti sembra l’abbigliamento adatto da indossare per la scuola? Questo è totalmente, totalmente fuori dal regolamento!»
Mi avvicinai a Chelsea e mi misi al suo fianco. Ondeggiai goffamente e iniziai a tirare su la gonna anche io, lasciando scoprire le calze nere della divisa. Chelsea mi imitò.
«Creole lady Marmalade…»
«Basta! Smettetela!»
Risi ancora e tornai da Jeanie. «Dai, provaci anche tu!» La presi per il polso e cercai di tirarla su dalla sedia.
«No! Non se ne parla!» starnazzò Jeanie. Era paonazza. «Questa cosa sta andando assolutamente fuori controllo!»
«Non sarai mica in imbarazzo?» la provocò Chelsea. Ondeggiò ancora e lasciò di nuovo intravedere il reggicalze. Io risi e tirai Jeanie per il polso. «Dai Jeanie! È divertente!»
«No!»
Un cigolio. La porta della Stanza delle Necessità si aprì. Rimasi pietrificata, il sorriso ancora stampato sulle labbra.
Capelli rossi.
Hugo Foscolo.
Spalancai gli occhi. Jeanie rimase bloccata col braccio teso, i lunghi capelli dorati sciolti sulle spalle, il petto ansante. Chelsea restò immobile, la gonna sollevata a mostrare pizzo e reggicalze.
Hugo Foscolo ci fissò. La sua bocca si aprì leggermente. Il suo viso si colorò di rosso. Fu scosso da un tremito.
«Santo cielo» mormorai.
Il ragazzino ci diede le spalle e scappò.
Dopo qualche secondo Chelsea sussurrò: «Mi sa che ne abbiamo combinata una delle nostre.»
«Ne avete combinata una!» Jeanie scattò in piedi. Le lasciai il polso e lei andò a chiudere la porta. Si girò verso di noi con le mani posate sui fianchi e ci guardò con aria astiosa. I suoi capelli dorati ondeggiarono. «Vergognatevi! Avete traumatizzato un ragazzino!»
Chelsea si raddrizzò e alzò le spalle. «Oh, non è un gran danno alla fine. Ai ragazzi piacciono queste cose, le ragazze in queste situazioni li eccitano.»
«Chelsea Shields!»
«Nel peggiore dei casi stanotte avrà la sua prima polluzione notturna. Diventeremo il suo sogno erotico.»
Mi coprii il viso con le mani, travolta dall’imbarazzo. Cazzo, cazzo, cazzo. Non ci voleva! Si sarebbe sparsa la voce che noi eravamo delle ragazze indecenti! Mi maledissi per aver portato avanti quello scherzo.
«No, non si diffonderà mai una voce del genere! Mai!» sbraitò Jeanie. «Non lo permetterò!»
Dietro le mie mani, però, non riuscii a trattenere un sorriso.
Di certo eravamo riuscite a distrarre Jeanie.

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Capitolo 15
*** Dove Serena Latini scopre che i maghi si considerano degli stalloni il cui unico scopo è procreare un certo tipo di prole. ***


Dove Serena Latini scopre che i maghi si considerano degli stalloni il cui unico scopo è procreare un certo tipo di prole.



La cultura dei maghi era qualcosa che non avrei mai compreso.
Chelsea aveva definito tradizionale la famiglia di Malfoy. Mi resi conto di sapere molto poco riguardo alla cultura dei maghi, ad eccezione di quello che avevo imparato a scuola. Decisi di documentarmi.
Scoprii che i maghi avevano una grande considerazione di sé stessi: si consideravano alla stregua di animali. Gli unici Purosangue di cui avessi mai sentito parlare, prima di quel giorno, erano i cavalli. Invece ora per me questa parola aveva assunto un altro significato. Lo appresi da un imponente librone sulle genealogie.
Giunsi all’infelice conclusione di essere una Mezzosangue e di non potermi permettere di pensare a un futuro insieme a Malfoy. Perché gli stalloni Purosangue dovevano sposarsi e procreare solo con allegre giovenche Purosangue. Era una rigida selezione artificiale per ottenere vispi e sani puledri, che a loro volta avrebbero cavalcato solo insieme a vispe e sane puledre.
Mi rintanai nel bagno delle ragazze del secondo piano, ad ascoltare gli ululati di un fantasma depresso. Chiusi la porta del gabinetto e rimasi a fissare la tazza del water.
«Perché?» mormorai a me stessa. Dal muro spuntò il mezzo busto di Mirtilla Malcontenta.
«Oh, siamo tristi? Siamo tristi? L’italianella è depressa!»
Guardai Mirtilla. «Tu sì che lo puoi capire… Lo sai come ci si sente! Non sentirsi adeguati, all’altezza!»
Mirtilla si esibì in un acuto ululato. «Sì, sì! Io sì che lo so! Tu no, invece, nessuno ti ha mai presa in giro per gli occhiali, perché non li hai! Né per i brufoli! Quindi non fare la vittima…»
«E invece lo so, so che il mio amore non ha futuro!»
«E io non sarei morta se non mi fossi rinchiusa in questo stupido bagno per colpa di Olive Hornby!»
«E io non sarei in questo stupido bagno se avessi qualche speranza!»
La tazza del water accolse la mia affermazione con un gorgoglio.
«Sei venuta qui per deprimermi, per caso? Sì, bene, veniamo in bagno a disturbare Mirtilla Malcontenta! Tanto lei è sempre lì! Chi se ne importa di ferire i suoi sentimenti?»
«Tu almeno puoi andare a spiare i ragazzi nel bagno dei prefetti!»
Il colorito di Mirtilla si fece argenteo. La ragazza incassò la testa tra le spalle e comparve un sorriso furbo. «E ho visto cose…»
«Risparmiamele.»
Il volto di Mirtilla si contrasse di nuovo. «Ma certo!» urlò. «Tanto chi è che viene a parlare con me? A chi interessa scambiare due parole con me? Vattene via, vai a deprimerti da un’altra parte!»
«E invece rimango qua, perché voglio deprimermi in un posto deprimente e godermi la mia depressione!»
«Vattene via!»
Presi un respiro profondo e intonai: «Ho dentro me che cosa non so, un vuoto che non capirò…»
Sentii la porta del bagno aprirsi e mi tappai la bocca con le mani. Mi avevano sentita fin da fuori?
«Serena? Sei tu?»
Riconobbi la voce. Girai la serratura e sbirciai fuori.
«Chelsea?»
«Per il cane di Merlino, che stai combinando? Cosa sono questi versi?»
«Si deprime!» squittì Mirtilla Malcontenta.
«Sembrava che stessero sgozzando un animale! Stavi cantando?»
Il mio collo e il mio visto si fecero bollenti, e non risposi.
Chelsea entrò in bagno. «La porto via, Mirtilla.» Mi prese per il polso e mi tirò fuori dal cubicolo.
Appena uscimmo in corridoio respirai tutta un’altra aria, senza umidità né gorgoglii inquietanti.
«Andiamo in un posto appartato» fece Chelsea. Non obiettai.
Entrammo in un’aula vuota. Chelsea mi lasciò accanto a un banco. Proseguì fino in fondo all’aula e si piazzò dietro alla cattedra. «Allora, l’udienza è aperta» proclamò. «Latini Serena, dichiari alla giuria le motivazioni del suo comportamento.»
Sospirai. Mi sedetti e appoggiai il mento sulla mano, il gomito sul banco. «Niente di che.»
«Dai, Serena, ho cercato di buttarla sul ridere.» Chelsea si sporse dalla cattedra. «Non è da tutti mettersi a cantare in bagno con Mirtilla Malcontenta. Deve essere successo qualcosa di veramente grave.»
«Niente di che» ripetei. «Ho solo scoperto che i maghi sono come gli stalloni.»
Le guance piene di Chelsea divennero rosse, tutto il contrario di quelle scavate e trasparenti di Mirtilla. «Come?»
Immediatamente la sua bocca si aprì in un sorriso a trentadue denti. Aggirò la cattedra e mi si avvicinò. Si inginocchiò e mi prese le mani, fissandomi con aria adorante. «Cos’è successo? Cosa? Racconta tutto alla zia Chelsea, avanti…»
Mi scappò un sorriso. «Da quando saresti mia zia?»
«Da quando voglio sapere chi! Dimmi, dimmi, chi è lo stallone in questione?»
Alzai gli occhi al cielo, ancora col sorriso sulle labbra. «Nessuno, Chelsea, nessuno. Davvero. È che…»
Esitai. Forse non era il caso. Volevo rimanere amica di Chelsea e magari così, invece, avrei scoperto che la nostra era un’amicizia destinata a finire. Magari Chelsea era una Purosangue. Magari anche la sua famiglia era tradizionale e non vedeva bene la sua amicizia con me.
«Dimmi tutto.» Chelsea mi strinse più forte le mani.
Avrei voluto farlo. Ma potevo?
«Non voglio che la nostra amicizia finisca.»
«E perché dovrebbe?»
«Perché sono una Mezzosangue.»
Chelsea mi fissò. Il suo viso perse espressione. Sbatté le palpebre e sentii la presa delle sue mani allentarsi. Di rimando io strinsi le sue dita.
All’improvviso ebbi paura. «Chelsea, ti prego, dimmi qualcosa.»
Chelsea aprì la bocca, poi la richiuse. Si schiarì la voce. «Chi ti ha chiamata così?»
«Nessuno.»
«Serena.» Il sorriso era scomparso. «È una cosa seria. Dimmi chi ti ha chiamata così, e non mentire.»
Strinsi ancora più forte le sue dita. «Nessuno… Credimi. Un libro in biblioteca spiegava che ci sono Purosangue e Mezzosangue, e che i Purosangue si sposano tra di loro e non possono sposare i Mezzosangue.»
Chelsea si tirò in piedi. La sua figura alta e robusta torreggiava su di me. Mosse un passo indietro e prese una sedia. «Ascoltami bene.» Si sedette e il legno scricchiolò. «Queste cose sono teorie razziste e superate. Mezzosangue tra i maghi è un insulto pesantissimo. È come dire che non hai diritto ad avere la magia. Che sarebbe come dire che non hai diritto ad avere un braccio o una gamba. È merda. Non gliene frega un cazzo a nessuno se i tuoi genitori sono babbani o maghi, come non gliene frega niente a nessuno se sei mora o bionda.»
«Quel libro…»
«Probabilmente è stato scritto prima della seconda guerra magica. Annegalo nel cesso di Mirtilla Malcontenta, è la fine che merita.»
Con pollice e indice mi pizzicai le labbra. Ci pensai. Non avevo capito che Mezzosangue era un insulto. D’altro canto, era anche la prima volta che sentivo parlare di Purosangue. Non avevo motivo per non credere a Chelsea.
«E quando è stata, questa seconda guerra magica?»
«Uhm.» La fronte di Chelsea si aggrottò. «Presente Longbottom? Ecco, mi pare che lui fosse ancora a scuola quando si è conclusa.»
«Quindi sono teorie recenti?»
«Serena, francamente: sbattitene i coglioni. Nessuno ci crede più. Giuro.»
«Perciò neanche Malfoy ci dà peso?»
Chelsea esitò. «Mettiamola così: non so se ci dà peso, ma se lo fa una persona del genere è meglio perderla che trovarla. A te cambia qualcosa se lui è un Purosangue?»
«Magari cambia qualcosa per lui…»
«Se a lui cambia qualcosa allora che vada al diavolo. Scusa la schiettezza.»
Capivo che quello che voleva fare Chelsea era rassicurarmi. Probabilmente parlava con più buonsenso di me visto che conosceva meglio il mondo dei maghi, eppure mi sentivo inquieta. Il pensiero che Malfoy potesse tenere conto di una cosa del genere mi innervosiva.
«Penso…» Mi morsi il labbro. «Penso… Che dovrei chiedere scusa a Mirtilla Malcontenta.»
Chelsea sbuffò. «Lasciala perdere, quella lì. Neppure la morte è riuscita a calmarla. Se potesse trascinarti con sé nelle tubature del bagno lo farebbe.»
«Però non sono stata… Come dire… Sensibile, nei suoi confronti. Mi accompagni?»
«Se ti fa sentire meglio…»
La risposta che ricevetti da Mirtilla fu eloquente: un ululato seguito da un pianto isterico. Nessuno la capiva, nessuno la rispettava e le scuse non servivano a niente, perché tanto chiunque si comportava così con lei. Ma almeno io ero in pace con la mia coscienza.

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Capitolo 16
*** Dove Serena Latini riceve una dichiarazione. Non d’amore, per fortuna, non è proprio il caso. ***


Dove Serena Latini riceve una dichiarazione. Non d’amore, per fortuna, non è proprio il caso.



Arrivai ad una solenne conclusione.
Non c’era modo di sapere se i festini di Serpeverde fossero realtà o fantasia. Se circolavano alcolici illegali, se si organizzavano partite clandestine di strip poker, se le canne proliferavano nella grande Casa verde (e il colore prometteva), a noi comuni mortali non era dato saperlo.
L’unico modo era intrufolarsi a Serpeverde.
Purtroppo era contro il regolamento. Quindi, infattibile. Entrare illegalmente a Serpeverde e sfasciare con un machete la clessidra dei punti di Tassorosso sarebbero state due azioni equivalenti.
Iniziai a immaginare Scorpius Malfoy e Albus Potter prendere parte a quei festini. Durante la lezione di Babbanologia il mio cervello elaborò l’immagine di loro due con caftano luccicante e capelli lunghi in versione hippy cannaioli. Per nascondere l’eccesso di risatine fui obbligata a piegarmi in due sul banco. Jeanie Joy mi credette in preda alle convulsioni.
La lezione successiva di quel giorno era Storia della Magia. Il mio gruppo di Tassorosso di avviò verso l’aula e, a metà strada, incontrai il gruppo di Grifondoro il cui c’era anche Chelsea. Mi avvicinai alla mia amica.
«Ehilà, pronta ad un’ora di coma?»
«Chelsea, non infierire. Non finirò mai di pentirmi di aver passato il GUFO di Storia…»
Mi sentii afferrare per la spalla e trattenere. Sobbalzai e mi girai di scatto.
Sbattei le palpebre. James Potter.
Mi tornò in mente Hugo Foscolo e la Stanza delle Necessità. Boccheggiai. Scostai la spalla e mi liberai dalla presa. Anche Chelsea si era fermata. Istintivamente balzai dietro di lei.
«Potter!» esclamò Chelsea.
Potter bis annuì. «Cosa c’è, Tasso? Coda di paglia?»
Una vampata di calore salì dal ventre e mi invase collo, viso e orecchie. Mi guardai intorno e vidi che il gruppo di Tassorosso e Grifondoro stava girando l’angolo.
«Problemi, Potter?» chiese Chelsea. «Stiamo andando a lezione, quindi sei pregato di essere sintetico.»
Potter bis incrociò le braccia. Con le gambe ben piantate per terra e la schiena dritta mi ricordava un militare.
«Devo parlare con il Tasso» disse Potter bis.
Cazzo, no. I traumi adolescenziali di suo cugino no. Mi aggrappai alla schiena di Chelsea e strinsi il suo maglione.
«Mi dispiace. Dobbiamo andare a lezione. Ci stai già facendo ritardare, quindi direi che è il caso di chiuderla qui.»
Potter bis incrociò il mio sguardo. Io trattenni il fiato. Abbassai gli occhi sul maglione grigio di Chelsea.
«È che…» Potter bis esitò. Osai lanciargli un’occhiata. Il suo viso era diventato rosso. «È a proposito di Hogsmeade.»
Il respiro mi si bloccò in gola. Allora non era per Hugo Foscolo. Questa era la Vendetta. Era la vendetta del fratello maggiore, che arrivava dopo il bel complimento fatto al fratello minore.
Con mia grande sorpresa, Chelsea scoppiò in una risata. «Hogsmeade! Vuoi invitarmi a uscire, Potter?» Chelsea sorrise e gli fece l’occhiolino. «Bastava chiedere, sai?» Gli mandò un bacio.
Potter bis divenne paonazzo. «Idiota, non è per quello. Hai capito benissimo.»
«Allora se ho capito benissimo possiamo anche andare» fece Chelsea. «Siamo in ritardo per davvero. Alla prossima, Potter.»
Chelsea si girò, mi prese a braccetto e ci avviammo a passo svelto verso l’aula. Non ebbi l’ardire di voltarmi per vedere la reazione di Potter bis. Non credo che ci seguì, perché non sentii i suoi passi.
«Chelsea…» sussurrai. «Tornerà. Tornerà a cercarmi. È venuto per me.»
«Non farti prendere dal panico, Serena» disse Chelsea tranquilla. «Potter è un cane che abbaia ma che morde solo per le cose serie. Hai visto come si è smontato dopo la mia battuta.»
«Però… Non so.» Mi morsi l’unghia del pollice. Non sapevo dire se il mio respiro veloce era dovuto alla camminata rapida o all’ansia.
«Tranquilla. La sua arroganza è tutta di facciata. Fastidiosa ma innocua.»
«E tu come lo sai?»
«Rose Weasley, in Sala Comune, lo comanda a bacchetta. E devi vedere lui come abbassa le orecchie.»
Ripensai a quanto era successo in libreria. In effetti a Rose era bastato poco per rimettere in riga Potter bis.
Arrivammo a lezione già iniziata ma il professore neanche se ne accorse. Per quanto fosse brutto ringraziai la sua debole vista.
Se la lezione di Babbanologia era stata all’insegna dei filmini mentali divertenti, Storia della Magia fu segnata dai filmini mentali paranoici. Immaginai tutte le situazioni in cui potevo essere beccata da sola, senza Jeanie e Chelsea.
In bagno. In biblioteca.
In effetti solo in quelle due occasioni.
C’era da sperare che Potter bis avesse la decenza di non entrare nei bagni femminili. La biblioteca, invece, non sarebbe più stata visitata a meno di non avere dietro una scorta personale.
Perfetto, problema risolto.
Povera illusa che ero.
Storia della Magia era l’ultima lezione della giornata. Uscii dall’aula con Chelsea.
E Potter bis era lì.
La massa di Tassorosso e Grifondoro uscì e si sparse per il corridoio. Qualcuno guardò Potter bis, ma nessuno sembrò dargli importanza. Avrei voluto poter fare anch’io così. Afferrai il braccio di Chelsea per attirare la sua attenzione. Lei mi rivolse uno sguardo interrogativo, poi vide Potter.
«Ancora?» esclamò.
«Era ora» mugugnò lui. «Non uscivate più.»
Risposta istintiva. Allora potevi anche andartene, Potter del cazzo.
Risposta che diedi: tacqui, come al solito.
«Le lezioni sono finite» proclamò. «Adesso posso parlare con Sua Maestà il Tasso o ha bisogno della badante?»
Chelsea mi guardò. Io scossi il capo con forza. Un capello mi finì nell’occhio e dovetti scostarlo con la mano.
Chelsea si rivolse a Potter bis: «Be’, la sua mi sembra una risposta eloquente.» Sogghignò. «Ma tu e tuo fratello volevate uscire con me, o sbaglio? Il tuo fratellino però ha pensato di batterti sul tempo con quel bel trucchetto, eh già…»
Potter bis arrossì. «Non voglio uscire con te, Shields. Non me ne frega niente.»
Il sogghigno di Chelsea sparì. «E allora smamma.»
«Cretina» fece lui.
In quel momento pensai a Rose. Lei teneva testa a Potter bis, come aveva detto Chelsea. E Chelsea stava conducendo la conversazione al posto mio. Non era giusto. Lei era una Grifondoro, come Potter bis. Forse la cosa poteva anche darle dei problemi. Lei a modo suo mi difendeva, e io lasciavo che lo facesse… Ero una codarda.
Deglutii. Presi un respiro profondo. «Non… Non è cretina. È che con te no-non ci voglio parlare. Ecco.»
Lo sguardo di Potter bis saettò su di me e io mi affrettai a guardare per terra. «S-senza offesa, eh.»
Potter bis rimase qualche secondo a osservarmi, poi sbuffò. «Non riesco proprio a capire cosa ci trovi Albus in te. Però… In realtà non è tutta colpa sua. A Hogsmeade l’ho istigato io. Un pochino. Tanto così. Non troppo. Però l’ho fatto.»
Chelsea sgranò gli occhi. «L’hai istigato tu?» Potter bis si passò una mano tra i capelli neri e fissò il pavimento.
Mio malgrado, mi venne da sorridere. Ricordai che Chelsea in bagno aveva fatto la stessa cosa con me. I Grifondoro li facevano proprio con lo stampino, votati all’amicizia in qualsiasi circostanza.
«Mi dispiace.» Non mi venne in mente nient’altro da dire.
«Quindi, visto che un po’ è anche per me, responsabilità mia, torni a parlare con Albus?»
Ci pensai. Strinsi con più forza il braccio di Chelsea. La mia allergia ai Potter poteva diventare un discreto problema.
«Ecco, come dire… Per la verità» mormorai, «non è che io abbia mai veramente parlato con Potter ser… Con lui. Potter… Sì insomma, hai capito.» Il calore del mio viso stava diventando insopportabile.
Potter bis mi guardò con aria di sfida. «E allora inizia a parlarci adesso, no?»
Mi morsi il labbro inferiore.
La verità era che non ne avevo nessuna voglia. Potter serpe non mi piaceva, mi stava antipatico e suo fratello si stava dimostrando ancora più scassaballe. La storia del filtro d’amore aveva solo peggiorato la situazione già pessima dell’opinione che avevo di lui. Non mi si poteva obbligare a farci amicizia se non ne avevo voglia. E non ci avevo mai parlato, a meno che non fosse in compagnia di Scorpius Malfoy.
«Be’?» fece Potter bis.
Esigeva una risposta. «Vedremo» mormorai.
Potter bis storse il naso. Non era la risposta che voleva. «Senti, Tasso bello, te l’ho già detto, gliel’ho suggerito io. Albus sarà un Serpeverde, ma è una persona onesta.»
Non riuscii a trattenermi. Alzai gli occhi al cielo.
«Io ho fatto il mio dovere. Ti ho detto come stavano le cose. Che pretendi, più di così?»
Abbassai gli occhi. «Io non ho chiesto nulla.»
«E allora basta, fine.»
«Allora fine.»
Io e Chelsea rimanemmo lì. Io dondolai, spostando il peso da un piede all’altro. Potter bis rimase immobile.
«E quindi?»
«E quindi smamma, Potter» fece Chelsea.
Io adoravo quella ragazza. La adoravo con tutte le mie forze.
Potter bis sbuffò, storse il naso, emise un grugnito, ma alla fine si allontanò.

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Capitolo 17
*** Dove Serena Latini segamentalizza, e le sue amiche le vanno dietro. ***


Dove Serena Latini segamentalizza, e le sue amiche le vanno dietro.



I prossimi eventi in programma per ottobre erano la prima partita di Quidditch e Halloween.
Non capivo come i calciatori potessero correre dietro un pallone per novanta minuti su un grande prato verde, e allo stesso modo non capivo come i maghi potessero volare non dietro a una, ma a ben quattro palle per un numero indefinito di minuti. A volte ore.
Eppure funzionava allo stesso identico modo dei calciatori italiani. I giocatori di Quidditch, nel periodo pre e post partita, erano circondati da stuoli di ragazzine urlanti, sbavanti, in calore e alla disperata ricerca di attenzione. Sembrava opinione comune che il Quidditch scolpisse gli addominali e i pettorali dei giocatori. In realtà io credevo gli unici ad avere muscoli scolpiti fossero i battitori, a furia di tirar mazzate ai bolidi. E neanche in tutti i casi. A volte si privilegiava la stazza alla muscolatura.
Ecco perché, in occasione del primo incontro di Quidditch della stagione, Serpeverde contro Corvonero, stuoli di ragazzine del terzo, quarto e talvolta anche quinto anno si affollarono intorno a Potter serpe. Il che era male.
Le ragazzine in calore stavano dietro a Potter serpe. Potter serpe era sempre con Scorpius Malfoy. Le ragazzine in calore quindi stavano dietro anche a Malfoy. Molto semplice. E molto male.
«Serena, lascia che te lo dica nel modo più gentile che io conosca: le ragazze se ne sbattono di Malfoy, adesso è Potter ad essere sotto i riflettori.»
«Ma, Jeanie!» protestai. Le tesi un Kinder Pinguì e lei iniziò a scartocciarlo. «È impossibile non vedere Malfoy in tutta la sua gloria!»
Chelsea si sporse sul banco e afferrò un Kinder Bueno. «Serena, se giocassero entrambi a Quidditch ti darei ragione. Ma a Quidditch ci gioca solo Potter. E se riuscisse a segnare una valanga di punti con la Pluffa allora magari il soprannome di Grande Albatros se lo guadagnerebbe per tre motivi.»
Addentai il mio Kinder Pinguì al cocco. «Tre?»
Chelsea sollevò tre dita. «Patronus, Quidditch e grandi genitali.»
Jeanie quasi si strozzò col suo Kinder Pinguì.
Agitai una mano con aria noncurante. «Quella che è una voce.»
Chelsea mi lanciò uno sguardo malizioso. «E tu come lo sai?»
Il mio viso si fece bollente. Raddrizzai la schiena e proclamai: «Potter serpe ha le gambe storte, sembrano due parentesi. E tra due parentesi, si sa, non c’è mai niente di rilevante.»
«Potter non ha le gambe storte» obiettò Jeanie.
«E invece sì» replicai. Non era vero, ma avevo bisogno di una risposta a tutti i costi. Ebbi la sensazione che in quell’aula vuota facesse troppo caldo. Mi slacciai la cravatta nera e gialla. Dovevo cambiare argomento. «Chelsea, mi dai l’altro Kinder Bueno
«No.»
«Dai. Non preferiresti una deliziosa tazza di cereali Cheerios
«E che roba è?»
«Comunque» intervenne Jeanie, «l’avevo capito, io, che piacevi a Potter.»
Beep. Game over.
Ok, se era destino che se ne parlasse, se ne sarebbe parlato.
«E perché allora, Jeanie, non me l’hai detto?»
«Io? No no, sono fatti vostri. Non sono mica una ficcanaso come James Potter, io. Figuriamoci.»
«Sarà.» Chelsea guardò il suo secondo Kinder Bueno, ancora incartato. «James Potter deve avere il naso proprio lungo, per ficcarlo così  bene negli affari altrui. Probabilmente darebbe più piacere a una ragazza se usasse il naso anziché il ca-»
Spiaccicai la mia mano sulla bocca di Chelsea. «Ti prego. Non farmi venire in mente queste orripilanti immagini mentre sto facendo merenda. Almeno mentre mangiamo. Ti prego
«Condivido» annuì Jeanie.
Chelsea strinse le sue dita grassocce intorno al mio polso e tolse la mia mano dal suo viso.
«Allora mettiamola così» disse Chelsea. «Se la mia teoria fosse vera, James Potter sarebbe un ottimo partito. La teoria del naso, intendo. Comunque, ammettiamo che sia invadente e ficcanaso, ok. C’è da dire però che è stato coraggioso. Non credo che in molti avrebbero confessato una cosa del genere per aiutare il proprio fratello.» Scartò il secondo Kinder Bueno e se ne cacciò metà in bocca. Le sue mascelle triturarono il wafer.
«Si chiamano sensi di colpa» puntualizzò Jeanie.
Mi sentii punta nel vivo. «Potter e Weasley è meglio che mi lascino stare, d’ora in avanti.»
Chelsea deglutì. «Ma perché, poi? Vero, la storia del filtro è uno schifo, ma per il resto è brava gente.»
Ci pensai. Perché non li sopportavo? Cercai di analizzare le mie sensazioni.
«È complicato» cominciai. Iniziai a giocare con la lana morbida delle maniche. «Forse sono anche delle brave persone. Non mi sembrano, come dire, avere una cattiva fama. Quindi non penso che siano cattivi. Però sono ficcanaso, questo sì. E arroganti. Non possono pretendere che si realizzi tutto quello che vogliono loro, e degli altri chissenefrega. James Potter viene lì e pretende di parlare con me senza neanche sapere il mio nome, vuole sapere se mi piace qualcuno e vuole che io parli con suo fratello a tutti i costi. Come se fosse scontato che io debba parlarci, con lui. Potter serpe, poi, è sempre in mezzo alle balle quando voglio parlare con Scorpius. Mi fa sempre fare figuracce, come quella volta dei compiti di Pozioni o l’altra volta del Patronus. E Rose Weasley… È inutile che faccia l’ingenua e finga di voler fare amiciziacon me. Non è vero. Lei voleva solo che io uscissi con suo cugino. E far finta di voler essere mia amica è stato un gesto molto sleale. Quindi non mi fido di loro. Sono tutti della stessa pasta.»
«Meglio l’aria di sufficienza di Malfoy, allora?»
Tirai le maniche del maglione grigio fino a coprire la punta delle dita. «Se non altro non mi cerca con un secondo fine.»
Chelsea storse il naso. Jeanie posò la carta del Kinder Pinguì sul banco. «Capisco cosa vuoi dire.»
Tirai un sospiro di sollievo. «Grazie, Jeanie.»
«Però non penso che Albus Potter sia arrogante come suo fratello. Sulla Weasley non posso dire niente, non la conosco di persona. Albus Potter invece mi sembra un ragazzo timido, impacciato, goffo, ma tutto sommato con la testa a posto. Questo non significa che tu debba frequentarlo controvoglia.»
In genere tenevo molto da conto il parere di Jeanie, ma questa volta mi irritò. Tirai talmente forte una manica che udii un piccolo strap e sentii la cucitura della spalla allentarsi.
«Ascolta, Jeanie…»
«Sh!»
Jeanie si portò l’indice al naso e rimase in silenzio. Restò immobile, i suoi occhi si spostarono lentamente a destra e a sinistra. Il suo colorito si era fatto pallido.
«È qui» mormorò. «Lo sento.»
Afferrò la bacchetta. Scattò in piedi e la sedia grattò contro il pavimento. Si fiondò dalla parte opposta dell’aula e si nascose dietro la scrivania.
«Ehi! Cosa…»
La porta dell’aula si aprì. Sbucò una testa di disordinati capelli ramati. Un ragazzo pallido, con le occhiaie, e la cravatta di Tassorosso.
Io e Chelsea lo fissammo. Cercai di ricordarmi il suo nome.
«Ah!» esclamai ad un tratto. «Edward Cunningham!»
Il ragazzo mi guardò, poi si aprì in un ampio sorriso. «Ciao. Mi dispiace disturbarvi… Credevo di aver sentito Joy… Devo essermi sbagliato.»
«Sentito…» fece Chelsea. «Con quale organo senti la sua presenza, scusa?»
Cunningham arricciò il naso. «Non fare domande a cui non posso rispondere, per favore.»
Chelsea borbottò: «Allora l’organo non è il cervello.»
Mi morsi il labbro superiore per non ridere. «In ogni caso Jeanie non è qua» mi affrettai a dire. Cavolo, la voce mi tremava dal ridere. «Se vuoi lasciare un messaggio dopo il segnale acustico…»
«Prego?»
«Sì, ecco, lascia un messaggio e riferiremo.»
Cunningham mi dedicò un sorriso. «Allora, per favore, dite a Joy che la amo. E che la aspetto. Sempre. Lei… No. Non riesce proprio a capire quello che provo per lei.»
Alzai il pollice. «Ok, registrato. Riferiremo.»
«Sì, riferiremo» ghignò Chelsea.
Cunningham alzò una mano bianca. «Arrivederci, allora.»
«Ciao…»
La porta si richiuse. Io guardai verso la scrivania. La testa di Jeanie non si vedeva.
Chelsea ghignò. «Non riesce proprio a capire quello che provo per lei… La amo! Io la amo!»
Una voce si alzò dalla scrivania. «Oh, piantala, Chelsea.»
«Sicura di non aver usato anche tu qualche filtro d’amore? Non fare la furba con noi, Jeanie…»
«Sei inopportuna, te lo devo proprio dire.»
La testa bionda di Jeanie fece capolino. Si tirò in piedi, si pulì le ginocchia e sistemò gli occhiali sul naso.
Sorrisi. «Tu a me dicevi che Potter serpe non ti sembrava un cattivo ragazzo…»
«Scusate tanto. Non mi interessano certe porcherie.»
Chelsea ridacchiò. «Vi sentite a vicenda. Renditi conto.»
Jeanie sbuffò.

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Capitolo 18
*** Dove il fuoco della passione brucia Serena Latini e qualcuno lo spegnerà per lei. ***


Dove il fuoco della passione brucia Serena Latini e qualcuno lo spegnerà per lei.



Quando mi tranquillizzai riflettei su ciò che Jeanie Joy e Chelsea mi avevano detto riguardo a Potter serpe e famiglia. Loro non vedevano in lui l’individuo pessimo che ci vedevo io.
Immaginai il modo in cui un innamorato si poteva comportare.
Numero uno. Scorpius Malfoy innamorato.
Famiglia tradizionale, probabilmente Purosangue. Gran signore. Una di quelle persone che ti mette incinta con lo sguardo, roba che neanche un Basilisco riesce a fare. Difende il suo onore a ogni costo, e allo stesso modo difende quello dell’amata principessa. Probabilmente, preso dalla febbre della passione, l’avrebbe sbattuta contro a un muro e guardata con desiderio, le labbra tremanti dalla voglia di baciarla. Salvo poi ricordarsi che è un gran signore e che prima di certe cose serve il matrimonio. Troppo tardi, però: la bella ormai è stata messa incinta dal suo sguardo serpentesco. Urge matrimonio riparatore.
Mi misi le mani nei capelli e le chiusi a pugno. Oddio, no. Malfoy rischiava di finire la sua vita così, con una persona che non amava.
Un ronzio richiamò la mia attenzione. Un vago odore di bruciato mi infastidì.
Numero due. Albus Potter innamorato.
Famiglia sconosciuta, provenienza ignota. Sfigato cronico. Una di quelle persone che ti fa girar le balle al solo guardarla. Aveva il sex appeal di una banana. Ma non una banana qualsiasi. Una di quelle banane che fanno parte del corteo di Charlie the Unicorn, il Banana King. Tremendamente arrapante, se si aveva carenza di potassio. E come la conquistava, lui, la sua amata? Sbattendola al muro, da buon Serpeverde? No, macché. Mandava avanti il fratello, perché lui le donne non le conquista: schiocca le dita e loro arrivano da lui.
Storsi il naso. L’odore di bruciato si faceva sempre più intenso.
Numero tre. Edward Cunningham innamorato.
Famiglia di dubbie origini e figlio di dubbia natura. Sospettavo che non fosse umano. Forse da bambino era stato morso da un ragno radioattivo. Una di quelle persone che ti stalkera, ti intercetta tra una lezione e l’altra, ti regala dolcezze da diabete, dichiara davanti a tutta la scuola di amarti senza un briciolo di imbarazzo.
E quando arriva la sorella abbassa le orecchie. Perché la cosa non mi giungeva nuova?
L’odore di bruciato mi penetrò nel naso. Tossii.
«Professore! Latini va a fuoco!»
Sussultai. Guardai di fianco a me,e inorridii.
Il contenuto del calderone ribolliva, il liquido sgorgava fuori e le fiamme lambivano il tavolo. Sentivo il calore delle fiamme vicino a me. Panico. Mi alzai di scatto e la sedia cadde a terra. L’eco del sotterraneo fece rimbombare lo schianto. Sentii il braccio bruciare e lanciai un urlo. La manica aveva preso fuoco!
«Aiuto!» Scossi il braccio e lo agitai per aria. Le fiamme lasciarono una scia dietro di loro ma non si spensero. Tentai di togliere il mantello ma la manica non si sfilava.
«Aguamenti
Mi arrivò addosso un getto d’acqua talmente potente che persi l’equilibrio. Il mio sedere cadde contro la fredda pietra e una scarica di dolore mi attraversò la schiena. L’acqua mi arrivò in faccia e boccheggiai alla ricerca di aria. Poi smise.
«Serena! Per Merlino in mutande, stai bene?»
«Latini!» esclamò Lumacorno. Il suo viso era chiazzato di rosso. «Non ha visto il suo calderone? Dieci punti in meno a Tassorosso!»
«Ti sei bruciata? Tutto bene?»
Una mia compagna mi aiutò a tirarmi in piedi. Cunningham si avvicinò e mi aiutò a togliere il mantello. La manica ormai aveva il bordo bruciato e il fuoco l’aveva rosa in più punti.
«Ti sei fatta male? Devi andare in infermeria?»
Non capivo più nulla. Ero travolta dalle domande e dalla gente che mi stava intorno. La vista mi si oscurò e afferrai la mia compagna Tassorosso per rimanere in piedi.
Che vergogna. Che tremenda vergogna.
Sbattei le palpebre e rimisi a fuoco il sotterraneo. A pochi passi da me, in mezzo alla gente, vidi Potter serpe infilare la bacchetta sotto la veste. Di fianco a lui Scorpius Malfoy, le braccia incrociate, mi fissava. Rosemary Higgs lo prese per un braccio.
E io lì, bagnata fradicia, reduce della mia ennesima figuraccia. La gola mi si chiuse, strozzando il respiro. Tirai su col naso.
La mia pozione, ovviamente, era irrecuperabile. Passai il resto della lezione seduta di fianco a Cunningham, l’unico che dopo quel disastro avesse accettato di sedersi vicino a me. Sospettavo che c’entrasse qualcosa la mia amicizia con Jeanie Joy. A fine lezione afferrai la borsa, il mantello e fuggii via dall’aula.
Corsi via per il corridoio. I miei passi rimbombarono per il corridoio di pietra. L’ora successiva era buca, poi c’era il pranzo, poi Storia della Magia coi Grifondoro. Pregai che quel momento arrivasse presto, così mi sarei potuta rifugiare da Chelsea. Continuai a correre a perdifiato verso la Sala Comune.
«Ehi! Il libro!»
Rallentai la corsa. Il ritmo del ticchettio delle mie scarpe si fece più lento, e infine mi fermai.
Albus Potter mi raggiunse, ansante. Aveva il mio libro di Pozioni sottobraccio.
«Sempre di corsa, tu…»
Ebbi un déjà-vu. Dove avevo già vissuto tutto questo?
«Tieni.»
Mi tese il libro. Fissai il volume rilegato. La mia bocca era impastata. Allungai la mano e lo afferrai.
«Senti…» fece Potter serpe. Si passò una mano sulla nuca. Il suo viso assunse un colorito rosato. «Forse non dovrei, ma… Ecco, invece dovrei. Mi dispiace. Per Hogsmeade.»
Tacqui.
«Mi dispiace veramente. Credimi.»
Aprii la bocca per parlare. Ma era inutile. Che avevo da dire? La richiusi.
Potter serpe tacque. Spostò l’equilibrio da un piede all’altro.
Lo fissai. Il mio cuore ormai mi batteva in gola. Il mio respiro era troppo veloce. Strinsi con forza il libro di Pozioni al mio petto.
«Ecco… Allora… Ciao.»
Potter serpe si girò e mi diede le spalle.
«Hai coinvolto Chelsea.»
Potter serpe si girò. I suoi occhi verdi incrociarono i miei e io sostenni il suo sguardo.
«Hai coinvolto Chelsea e… E… Le hai fatto fare una pessima figura. Pessima.»
«Ma no… Non così pessima…»
«E invece sì» ribattei con decisione. Mi stupii di come quelle parole fossero uscite dalle mie labbra. Ormai la mia lingua era sconnessa dal mio cervello. «Chelsea è stata la vittima di quel cavolo di scherzo o quel che era, e tu non hai detto niente. Te ne sei andato. Non hai cercato di rimediare. Ci hai piantato lì. Capisco perché tutti i tuoi parenti sono a Grifondoro mentre tu invece sei a Serpeverde.»
Potter serpe sgranò gli occhi e la sua bocca si aprì. Io sentii una vampata di calore invadermi il viso, la gola ancora chiusa dall’emozione. Ero arrabbiata, ero indignata, e avevo vergogna.
«E se vuoi andare a parlare con la gente, perché pensi di drogare quello che bevono? Devi avere una grande opinione di te stesso se pensi che per piacere alle persone queste debbano avere il cervello annebbiato. Il tuo è stato un gesto imperdonabile. E solo dopo giorni e giorni hai il coraggio di accennare qualcosa. E poi ti ho visto con la bacchetta in mano, a Pozioni, hai spento tu il fuoco, e mi hai pure rincorso per il libro. Se vuoi fare amicizia con me perché non me lo chiedi e basta? Altrimenti lascia pure perdere. Io sono arrabbiata, ma non è con me che ti dovresti scusare, lo sai? È a Chelsea che dovresti chiedere scusa.»
Mi costrinsi a chiudere la bocca. Mi morsi la lingua finché non la sentii bruciare. Probabilmente neanche alle interrogazioni avevo mai parlato così a lungo. Un’altra vampata di calore e vergogna mi invase. Mi vergognai così tanto che sentii gli occhi riempirsi di lacrime. Mi proibii categoricamente di piangere e le ricacciai indietro.
Continuai a fissare Potter serpe.
«Non ti posso dare torto» disse lui a bassa voce. «Però mi dispiace che tu non capisca perché mi sono comportato così.»
In quel momento Albus Potter mi fece pietà. Non potevo continuare a infierire così. Lui e la sua famiglia mi stavano antipatici, ma non per questo avevo il diritto di fargli del male.
Strinsi il libro di Pozioni con tutte le mie forze.
«Forse» mormorai, «lo posso capire.»
Potter sbuffò e fece un sorriso amaro. «No, non lo puoi capire.»
Odioso atteggiamento da primadonna.
Calma. Carina e coccolosa, Serena. Carina e coccolosa.
«Pazienza. Me ne farò una ragione.»
Potter guardò il pavimento. Si grattò la punta del naso. «Quindi… Adesso?»
«Cosa?»
«Cosa siamo, adesso?»
Una fitta di imbarazzo mi attanagliò lo stomaco. Come, cosa eravamo? «Cosa dovremmo essere?»
«Niente, niente.» Potter scosse la mano, come a voler cancellare quello che aveva detto. «Ci si vede. Ciao.»
«Ciao…»
Potter si allontanò e quando girò l’angolo scomparve dalla mia vista.
Rimasi in corridoio, inebetita dall’enorme quantità di emozioni che avevo provato in pochi minuti.
Be’, dopotutto, domani era un altro giorno.

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Capitolo 19
*** Dove il Malefico Trio dimentica per cinque minuti tutti i propri guai. ***


Dove il Malefico Trio dimentica per cinque minuti tutti i propri guai.



Quella notte dormii male. I sensi di colpa si fecero sentire.
Avevo trattato male Potter serpe, e per di più il giorno prima della partita di Quidditch. Sicuramente lui era nervoso a causa della partita, e io non lo avevo aiutato. Probabilmente non avrebbe centrato neanche un anello con la Pluffa, per colpa mia.
Ma, insomma, da quando ero diventata così superba? Di certo non ero così importante nella sua vita da condizionarlo tanto.
Non mi ero comportata bene, comunque.
Passai la notte a girarmi e rigirarmi nel letto come una trottola. La mattina ero talmente avvolta nelle coperte da sembrare un kebab in una piadina.
In realtà del Quidditch non me ne importava niente, quindi andai a far colazione con l’entusiasmo di un bradipo. A rianimarmi fu solo l’incontro con Jeanie e Chelsea.
«Mi dispiace non poter andare in tribuna tutte insieme» mormorai.
«Verrei con te, ma è contro il regolamento» disse Jeanie,
«Madame Corvonero userebbe il campo da Quidditch come latrina, se il regolamento lo imponesse» sghignazzò Chelsea.
Jeanie arricciò il naso e sistemò gli occhiali. «Non vedo perché dovrebbe esserci una regola tanto assurda. Le regole esistono per un motivo, e questa non ne avrebbe nessuno.»
«E se tutti i bagni del castello fossero intasati?»
Jeanie sbatté le palpebre, poi sulla sua fronte comparve una ruga di preoccupazione.
Chelsea sorrise. «Via, tranquilla. In verità ho un’attività più interessante da proporvi.»
Mi grattai la punta del naso. Riflettei. «Non è difficile trovare qualcosa di più interessante del Quidditch.»
«Ma saltare la partita non è permesso» scattò Jeanie.
Chelsea si fregò le mani. «Alla partita ci andremo. È solo nel pre-partita che vi offrirò uno spettacolo gustoso. Vi darà da pensare per molto, molto tempo. Seguitemi, truppa.»
Non sapevo perché, ma prevedevo guai. Io e Jeanie la seguimmo. «Vuoi andare a saccheggiare le cucine per caso?»
«No no» rise Chelsea.
«Ti avverto, Chelsea Shields, se Corvonero perde un solo punto per colpa tua, o peggio, se mi beccherò una punizione…»
«Preferirei avere a che fare con dei Mangiamorte piuttosto che metterti nei guai, Jeanie. Temo le conseguenze.»
Mangiamorte? E che era? Alzai gli occhi al cielo, scavando nella mia memoria. No, mai sentita questa cosa. Forse era un dolce dei maghi, tipo gli Scarafaggi a grappolo. Immaginai un bastoncino di liquirizia scolpito con la simpatica faccina della morte. Avrei potuto provare a chiederlo a Mielandia.
Chelsea si diresse fuori dal castello, seguendo altri studenti che si avviavano già verso gli spalti. Il freddo mi pungeva le narici. Avvolsi più stretta la mia sciarpa.
«Stiamo semplicemente andando in tribuna, Chelsea» fece notare Jeanie. «Per tanto così potevamo restare ancora al castello e digerire al caldo la colazione!»
«Malfidata» rispose Chelsea. «Aspetta e vedrai. Eccome se vedrai, anche senza i tuoi occhiali le vedrai certe cose.»
Entrammo in un corridoio che portava alle tribune. O almeno credevo: questo non aveva le scale. Al contrario, era in piano e sembrava più lungo. Era buio e umido. Vedevo a malapena le sagome di Chelsea e Jeanie. Afferrai Jeanie per un braccio in modo da non perderla e poterla seguire.
«Ecco, fate silenzio adesso, e tendete le orecchie» sussurrò Chelsea. «Tra poco inizierete a sentire qualcosa… Voce bassa, mi raccomando.»
Arrivammo a una porta di legno socchiusa da cui usciva un filo di luce. Tesi la mano per afferrare la maniglia, ma Chelsea l’afferrò e mi fece di no con la testa. Si avvicinò alla porta e sbirciò dentro. Il raggio di luce le illuminò il viso. Il suo sorriso assunse un che di inquietante.
Tesi le orecchie, e ascoltai.
Risate.
Colpi.
Voci maschili.
«Ehi, stai sbagliando. Prima volta?»
«Eh, sì…»
«Va afferrato così. Capito?»
«Mh.»
«Nato babbano, immagino. Ricordi quelle due palle? Ecco, con quelle devi avere paura, oh sì… Ma tu questo non mollarlo mai, altrimenti sono cazzi.» Risata. «Per così dire.»
Il cuore mi balzò il gola. Possibile che fosse…
«La prima volta è sempre complicata, ma vedrai, te la godrai in pieno.»
Una conversazione yaoi!
«E le volte dopo saranno ancora meglio.»
«Jeanie!» pigolai, stringendo il suo braccio. Chelsea si voltò verso di noi e ci fece cenno di avanzare. Cedette il suo posto a Jeanie, così sbirciò anche lei dallo spiraglio della porta.
«Oh!» fece. La luce illuminò il rossore del suo viso.
«Non potrai più farne a meno. Non ti preoccupare, i guai li teniamo lontani noi. Tu pensa a fare centro.»
«Il primo centro non si scorda mai, come la prima volta.»
Una risata roca. Jeanie sussultò e si tolse dalla porta. «Ridicolo» mormorò. Si sistemò di nuovo gli occhiali. Era ancora rossa. «Veramente ridicolo… Chelsea, nemmeno da te mi aspettavo tanto…»
Chelsea ridacchiò e mi spinse verso lo spiraglio di luce.
Il cuore mi batteva a più non posso. Un nodo mi chiudeva la gola e sentivo i palmi delle mani sudati. Mi accostai alla porta.
Delle panche di legno erano ricoperte da maglioni e da pantaloni delle divise. Alcune sciarpe blu e bronzo erano appese a dei ganci. Dei ragazzi a torso nudo, o in mutande, vagavano per la stanza. Uno con gambe lunghe e magre si sedette su una panca e si infilò del calzoni.
Capii. Era lo spogliatoio di Quidditch di Corvonero.
Trattenni il respiro. Un ragazzo con dei gran bei bicipiti entrò nella mia visuale. Sgranai gli occhi.
Il respiro caldo di Chelsea mi sfiorò l’orecchio. «E chi ci pensa a Malfoy dopo una roba del genere, eh?»
Mi morsi le labbra per costringermi a tacere. Rischiavo di essere scoperta. Ripresami dallo shock, guardai ancora il resto della squadra: in realtà, a parte mister bicipite, gli altri erano tutti magrolini. Addirittura c’era un ragazzino del primo anno, un bambino in pratica, che si passava la scopa da una mano all’altra. Un ragazzo più grande col volto butterato gli si avvicinò.
«Ti ho mostrato prima come si tiene.» Prese la propria scopa e ci salì a cavalcioni. «Così.»
«Così» ripeté il ragazzino. Era pallido in viso.
Mi tolsi dalla porta e guardai Chelsea, sconvolta. Nella penombra ebbi l’impressione che stesse sorridendo. Fece cenno di seguirla.
Ripercorremmo il corridoio al contrario e alla fine tornammo all’aria aperta.
«Be’, che ne dite?» fece Chelsea portandosi una mano al petto. «Onore e lode a me per aver scoperto questa meraviglia!»
Jeanie tirò un sospiro. Le sue guance erano ancora rosse. «Dovresti vergognarti, invece… Spiare così una squadra di Quidditch, negli spogliatoi. È roba da maniaci!»
«Non mi sembravi tanto dispiaciuta» disse Chelsea. Il colorito rosso di Jeanie si fece più intenso. «Il battitore più figo di tutto il campionato è quel Corvonero. A furia di dar mazzate ai bolidi! Premio aggiudicato. E poi se la porta dello spogliatoio è difettosa e non si chiude bene non è colpa mia. Hai visto, Serena, che braccia?»
Non ero sicura di riuscire a tirar fuori una voce da persona normale, in quella circostanza. Mi limitai ad annuire.
«Cribbio, i battitori di Grifondoro hanno le braccia flaccide, a confronto…»
«Chelsea!» esclamò Jeanie. «Quindi sei andata a spiare anche i Grifondoro?»
Sorrisi, l’aria fredda di ottobre che mi sferzava il viso. Dopotutto, Chelsea e Mirtilla Malcontenta avevano qualcosa in comune.

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Capitolo 20
*** Dove Serena Latini scopre che anche a Hogwarts ci sono cose impossibili. E no, il fatto che sia una scuola di magia non è una scusa. ***


Dove Serena Latini scopre che anche a Hogwarts ci sono cose impossibili. E no, il fatto che sia una scuola di magia non è una scusa.



Nel profondo del mio cuore, in silenzio, tifai Corvonero. Col fiato sospeso seguii i movimenti di mister bicipite. Tirava certe mazzate che spedivano i bolidi fin dall’altra parte del campo, lungo linee rette e senza curve. Roba allucinante. Si conquistò la mia stima quando fu sul punto di disarcionare Potter serpe. Lui rimase aggrappato alla scopa, ma perse la Pluffa.
E ovviamente, visto che io tifavo Corvonero, vinse Serpeverde. Mi sembra giusto.
Qualche giorno dopo io, Jeanie e Chelsea ci ritrovammo in un’aula vuota a chiacchierare. Mi venne un’idea. «Perché questa scuola non organizza un ballo? Tutte le scuole inglesi organizzano balli. Anche Hogwarts dovrebbe organizzarne uno, almeno per Halloween.»
Jeanie spinse gli occhiali alla base del naso, quasi appiccicando le lenti agli occhi. «Ti confondi coi prom di fine anno americani. Le scuole inglesi sono un po’ diverse, figurati quelle di magia…»
«Invece Serena ha ragione» mugugnò Chelsea. «In questa scuola si fa la muffa. Un ballo rianimerebbe l’atmosfera.»
«Potrebbero chiamarlo Grand Galoping Gala, come quello dei My Little Pony…»
«Non so cosa sia, ma meglio quello di niente.»
«E magari troverei il mio cutie mark finalmente! Speranza! Avrei un talento anche io!»
Jeanie si coprì la faccia con una mano. «Stordite. Siamo qui per studiare, non per fare bisboccia. L’unico ballo possibile, ad Hogwarts, è il Ballo del Ceppo.»
Immaginai un albero segato da due boscaioli.
Chelsea tirò un sospiro. «Allora siamo senza speranza.»
«E perché?» feci io. «Hai voglia a trovarne, di ceppi… Abbiamo un’intera Foresta Proibita.»
Ma poi, mi chiesi, a cosa cavolo serviva un ceppo a un ballo? Immaginai re Luigi XV urlare contro a un servitore: “mettetelo ai ceppi!” Rabbrividii. Hogwarts a volte era inquietante. Però magari era l’atmosfera ideale. «Sono convinta che sarebbe un’ottima idea proporlo ad Halloween.»
Jeanie scosse la testa. «No, no, assolutamente no.»
Chelsea si grattò la punta del naso, pensierosa. «E per il cavaliere come faremmo?»
«Mi hai sentita, Chelsea? Ho detto di no.»
«Dai, Jeanie Joy.» Sorrisi e le posai una mano sulla spalla. «Sarebbe divertente, non credi?»
«No.»
Anche Chelsea sorrise, ma con una punta di malizia. «Jeanie ha paura di essere invitata solo da Edward Cunningham.»
«Non coglierò questa provocazione» sibilò Jeanie.
Lo sguardo di Chelsea si posò su di me. «E Serena sarebbe invitata da Albus Potter serpe.»
Una vampata bollente mi salì dallo stomaco fino in viso. «E io rifiuterei.»
«Anche se fosse la tua unica proposta?»
Mi morsi il labbro inferiore. «Non è neanche detto che mi inviterebbe… E comunque essere l’unico non lo renderebbe, come dire… Più… Più accettabile. Accettare pur di non andare da sola mi metterebbe a disagio.»
Jeanie annuì. «Concordo.»
Chelsea alzò gli occhi al cielo. «E se…» mormorò, gli occhi ancora rivolti verso il soffitto. «E se andassi a chiedere a loro cosa ne pensano?»
Il calore del mio viso si estese al collo e alle orecchie. Jeanie tirò fuori la bacchetta. «Fattura. E spero che i danni siano permanenti.»
Chelsea rise. Jeanie storse il naso. «Ridi, ridi… Intanto io ieri nel mio libro mi sono ritrovata questo biglietto.»
Il viso di Jeanie divenne rosso. Estrasse un bigliettino bianco, di cartoncino rigido, e ce lo porse. Lo presi.
Con inchiostro rosso, in una calligrafia elegante, erano scritte queste parole:
La strada verso il mio letto è cosparsa di petali di rose rosse.
E. C.
Spalancai la bocca e ne uscì un rantolo.
«Merlino!» Chelsea si coprì la bocca e soffocò una risata. Lo sbuffo si trasformò in un colpo di tosse. «Merlino, Jeanie! Questa è una proposta!»
«Inopportuna» ribatté Jeanie, ancora rossa. Scostò la treccia bionda dalla spalla.
«Certo che questo Cunningham ti punta proprio, eh» feci. Fissai ancora il bigliettino con la scritta rossa. Era inequivocabilmente una proposta. Sarebbe stata molto romantico, se fossero stati insieme. Alzai gli occhi verso Jeanie. «Se non altro significa che non ascolta sua sorella, no?»
«A proposito» scattò Chelsea. «Sorella e Serpeverde ti hanno ancora dato fastidio?»
L’espressione di Jeanie si rabbuiò. «No, loro due no.»
Non ero sicura che fosse la verità, ma se Jeanie non voleva parlarne era inutile insistere. Meglio cambiare argomento.
«Quindi, il Ballo?» ricominciai. «Lo possiamo organizzare noi, no? Anche se per una cerchia ristretta, per tutta la scuola sarebbe impensabile.»
Jeanie alzò gli occhi al cielo. «Non contate su di me.»
«Jeanie, finirai per fare la muffa per davvero» borbottò Chelsea.
Mi grattai la punta del naso. Eppure nelle fan fiction del mio Catalogo c’erano molto spesso dei balli. Perché i personaggi delle fan fiction sì e io no? «Allora magari si può organizzare una gara» proposi. Cercai di mettere allegria nella mia voce. «Una gara di travestimenti! Per Halloween va bene, no?»
«E perché mai ad Halloween ci si dovrebbe travestire?» chiese Chelsea.
Ci rimasi male. Feci sporgere il labbro inferiore. «I babbani anglosassoni si travestono e cercano dolci nelle case.»
«E da che cosa ci travestiremmo, sentiamo?» fece Jeanie. «Da strega? Non abbiamo negozi qui, e di certo nessuno gira con maschera e costume nel baule.»
«In effetti…»
Che delusione. E dire che a me sembrava una bella idea. Chiusi gli occhi e mi pizzicai la base del naso. A un certo punto mi illuminai. «Ci sono! Il gioco della bottiglia!»
«Bottiglia?» ripeté Chelsea.
«È un gioco babbano» spiegai. Sorrisi, entusiasta. «Il gioco è quello di far girare una bottiglia. La prima volta il collo della bottiglia si ferma su chi dovrà dare l’ordine, al secondo giro invece si sceglie chi fa penitenza. Chi fa penitenza deve decidere se seguire un Obbligo a scelta della persona che deve dare l’ordine, o se dire la Verità, ovvero chi deve dare l’ordine fa una domanda alla quale si deve rispondere. Lo si può modificare per Halloween…»
«E come» disse Jeanie, «usando le Merendine Marinare come penitenza?»
«Si potrebbe…»
«Ero sarcastica, Serena.»
«Ah.»
Mi mordicchiai l’unghia del pollice. Mi sarebbe piaciuto organizzare una festa di Halloween diversa. Magari a tema The Nightmare Before Christmas, perché no? Immaginai Scorpius Malfoy vestito da Jack Skellington. Forse però il personaggio non sarebbe stato riconoscibile. Chelsea l’aveva definito ossuto, ma fino a quel limite…
Morale della favola, non si sarebbe organizzato né un ballo, né una gara, né una festa. Erano imprese impossibili.
Mentre tornavo nella Sala Comune di Tassorosso, i miei passi ticchettanti nel sotterraneo di pietra, incontrai Scorpius Malfoy.
Solo.
Mi venne in mente Jack Skellington. Soffocai una risata.
«Ehi» fece lui. Mi guardò con la fronte corrugata. «Saluti ridendo in faccia alle persone?»
Sgranai gli occhi. Rendermi conto della mia idiozia mi paralizzò. Ero un’idiota, una perfetta idiota. «No, no!»
Malfoy sbuffò. «Dove vai?»
Rimasi con le labbra socchiuse, boccheggiante, a fissare i suoi occhi grigi e il suo viso pallido. Il criceto del mio cervello iniziò a correre alla massima velocità per far girare la ruota dei miei ingranaggi. Perché mi chiedeva dove andavo?
Voleva invitarmi da qualche parte.
Voleva che andassi con lui.
Voleva sapere chi incontravo.
Voleva parlare con qualche Tassorosso e sperava che lo potessi aiutare.
Voleva fare una domanda di cortesia.
Voleva portarmi da Potter serpe.
Le mie labbra si chiusero e si strinsero.
«Ah, be’… Ecco… In Sala Comune. Pensavo. Ma se hai bisogno…»
Malfoy agitò una mano con aria noncurante. «No, no. Pensavo andassi nelle cucine.»
Nelle cucine! Ripensai alle brioches e mi si strinse lo stomaco. «Se hai bisogno, ripeto…»
«Nessun problema. Vado da solo, grazie.»
«Sicuro?» chiesi, speranzosa. Mannaggia a me per aver detto che andavo in Sala Comune! Avevo perso un’occasione per stare da sola con Malfoy! «Vengo volentieri, se ti scoccia andare da solo…»
«No, davvero, grazie. Nessun problema. Ciao.»
«Ciao…»
Malfoy se ne andò. Lo guardai allontanarsi lungo il corridoio, il mantello nero ondeggiante che ingigantiva la sua schiena. I suoi capelli biondi sulla nuca. Il suo passo deciso. Chiusi gli occhi ed ascoltai la cadenza forte e regolare dei suoi passi finché non si affievolì.
Cunningham era innamorato, e anche se aveva una sorella e un amico stronzi non li ascoltava, tentava lo stesso di parlare con Jeanie, le mandava bigliettini, le faceva regali, la cercava.
Piacevo a Potter, e Potter mandava i suoi parenti a invitarmi fuori, metteva filtri d’amore nel mio bicchiere, mi rincorreva per portarmi i libri e si beccava la mia rabbia senza batter ciglio.
E Malfoy? Quando era solo con me, se ne andava. Evitava di stare con me.
Anche se avesse provato qualcosa non avrebbe fatto un torto a un suo amico. Ma se avesse provato qualcosa avrebbe dato almeno un segno.
Io non piacevo a Scorpius Malfoy.

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Capitolo 21
*** Dove Serena Latini e Jeanie Joy subiscono un’altra volta la Maledizione della Biblioteca. Ovvero, non possono studiare in santa pace. ***


Dove Serena Latini e Jeanie Joy subiscono un’altra volta la Maledizione della Biblioteca. Ovvero, non possono studiare in santa pace.
 
 
 
Le esigenze scolastiche imponevano che, nonostante i miei buoni propositi, io dovessi frequentare regolarmente la biblioteca. Cosa evitabile se dovevo scrivere un tema di Babbanologia. Cosa inevitabile se dovevo fare versioni per Antiche Rune. Immaginai i miei poveri compatrioti italiani a sudare sul Castiglione Mariotti per le versioni di latino. Sinceramente li invidiai. Tradurre da una lingua morta alla propria lingua madre è un conto, tradurre da una lingua morta a una lingua barbara come l’inglese era atroce. Invocai il compatimento della mia patria e con Jeanie mi misi a tradurre.
«Jeanie Joy, come si traduc-»
«Dovrai tradurre dal braille se mi chiami ancora così.»
Mi morsi il labbro inferiore. «È che ho bisogno di…»
«Non mi chiamare Jeanie Joy. Per la millesima volta.»
Arricciai il naso. «Ok…»
Abbassai lo sguardo sulla mia pergamena. Gli occhi mi si offuscarono, ma sbattei le palpebre e rimisi le lettere a fuoco. O Jeanie Joy era in fase premestruale o non mi spiegavo tanto nervosismo.
Sentii la sedia grattare. Jeanie si era alzata. «Vado in bagno. Lascio qui le cose.»
«Tranquilla» risposi. Jeanie si allontanò.
Forse era proprio mestruata. 
Continuai a sfogliare il dizionario di Antiche Rune alla ricerca della traduzione, ma non la trovai. Con la coda nell’occhio intravidi la pergamena di Jeanie.
Be’, una sbirciatina non sarebbe stato proprio copiare. Era un aiutino. Un aiutino piccino picciò.
Tenni la pagina del dizionario aperta, per nascondermi dietro nel caso Jeanie mi avesse vista. Il suo spirito stacanovista Corvonero si sarebbe indignato se lo avesse saputo.
Sbirciai la pergamena. Notai che, a matita, aveva tracciato delle righe da seguire. Non pensavo che fosse concesso.
Mi avvicinai un po’ di più e cercai di leggere. Molte lettere era scritte singolarmente, non attaccate alle altre, e le parole erano molto staccate tra loro. Scorsi il testo, alla ricerca della frase che mi interessava.
Rimasi perplessa. Non mi sarei mai aspettata di trovare degli errori di grammatica in uno scritto di Jeanie. Eppure c’erano, e frequenti. Lei, sempre così precisa e meticolosa. Ripresi a cercare la frase.
Mi accorsi con stupore che, nonostante avesse occupato più pergamena di me, lei era molto più indietro con la traduzione. Sembrava che avesse scritto di più perché scriveva più grosso. Ora capivo perché i suoi temi erano sempre molto lunghi.
Non trovai la frase, così mi misi a cercarla di nuovo sul mio dizionario. In realtà fissavo le parole stampate senza vederle. Il mio cervello vagava altrove.
Ora avevo capito che problema aveva Jeanie. E capii anche perché Biondo Serpe aveva detto che Jeanie aveva difficoltà a leggere ad alta voce. Certo che da parte sua non era stato solo scortese, ma anche vigliacco. Proprio una malignità gratuita.
«Ehi!»
Sobbalzai e mi buttai sulla pergamena di Jeanie, per nasconderla. Solo in un secondo momento alzai gli occhi.
Era Rose Weasley. Mi fissò e sbatté le lunghe ciglia rosse. «Ehm. Tutto ok?»
«Oh…» Boccheggiai. Sentii che il viso mi si faceva accaldato. Chi cavolo avevo pensato che fosse, per dover nascondere le cose di Jeanie? Fissai Rose Weasley e ricordai che dovevo rispondere. «Ehm… Sì. Normale, grazie.»
Sembrava stessi ordinando un caffè. Notai che Rose aveva la borsa a tracolla e un libro in mano.
«Ok. Posso sedermi, per favore? Gli altri tavoli sono tutti occupati.»
Impiegai qualche secondo a registrare le sue parole. «Sì… Sicuro.» Ero ancora stravaccata sulla pergamena di Jeanie. Mi raddrizzai e scostai le mie cose. Rose prese una sedia e si sedette di fronte a me.
«Chelsea? Anche tu qui?»
La Weasley si voltò e io guardai alle sue spalle. Jeanie avanzava, gli occhi ridotti a due fessure. Teneva gli occhiali in mano e li puliva con una manica.
No, se avesse iniziato a parlare pensando che fosse Chelsea avrebbe rischiato di fare una brutta figura. «Jeanie…» iniziai a mezza voce, ma la Weasley in quel momento si alzò in piedi.
«Scusa, c’è un equivoco. Non sono Chelsea.»
Nell’udire una voce nuova Jeanie si rimise gli occhiali. Quando mise a fuoco la Weasley le sue spalle si irrigidirono.
«Sono Rose Weasley.» La Weasley tese la mano.
Senza un sorriso, Jeanie tese la propria. «Jeanie Joy.»
Si strinsero le mani, la Weasley con un sorriso accennato, Jeanie rigida e seria. Lanciò un’occhiata alle cose sul tavolo. «Ti sei messa qui?»
Il tono di Jeanie era inespressivo. Non avrei saputo dire se disapprovava o meno. Sperai che si comportasse in maniera gentile. Più che per riguardo nei confronti della Weasley era perché non avevo voglia di discutere.
«Sì. Gli altri tavoli sono occupati. Spero di non disturbare.»
«No.»
Jeanie fece il giro del tavolo e tornò a sedersi vicino a me. Prese il suo dizionario e non disse più una parola.
La Weasley lanciò un’occhiata a Jeanie, poi aprì il suo libro. Se era rimasta spiazzata, la capivo: io avevo fatto amicizia con Jeanie solo al quarto anno, al corso di Babbanologia. Prima era sempre stata invisibile, come una parte del muro. Mi ci era voluto del tempo per capire che la sua freddezza in realtà era solo timidezza e paura di lasciarsi andare.
Ricominciai a tradurre, ma ora il treno che correva sui binari dei miei viaggi mentali era deragliato. Mi sembrava di avere la testa troppo piena: un emisfero del cervello era in ansia perché di fronte a me c’era Rose Weasley, e l’altro emisfero era in ansia perché avevo capito quale fosse il problema di Jeanie.
Per un arco indefinito di tempo si sentirono solo le pagine che frusciavano e il grattare delle penne.
«Traducete Antiche Rune?»
Alzai gli occhi. La Weasley guardava il dizionario aperto. Jeanie la ignorò e continuò a scrivere.
Mi dondolai sulla sedia. Era ovvio che avessi sentito la domanda della Weasley, e se Jeanie non rispondeva avrei dovuto farlo almeno io. Non volevo essere scortese. «Sì. Abbiamo una versione per domani.»
«Al secondo anno ero indecisa se scegliere Antiche Rune o Artimanzia. Ho scelto la seconda, e un po’ mi pento. È interessante il corso?»
«Abbastanza, se ti piace tradurre.»
Jeanie, di fianco a me, borbottò qualcosa. Si mise un ciuffo di capelli dorati dietro l'orecchio.
«Capisco. Artimanzia non è brutta, però è davvero impegnativa. A mia madre ai tempi la materia piaceva, quindi a casa ho molti libri. Ho provato a leggerne qualcuno da bambina, mi incuriosivano, anche se erano ancora troppo difficili.»
«Ah sì?» risposi. Perché la Weasley aveva tutta questa voglia di chiacchierare? Cercai di ricordare la parola che dovevo tradurre, invano. La ricontrollai.
«Tu come mai hai scelto Antiche Rune?»
Mi accorsi che stavo per sbuffare e trattenni il respiro. «A… A caso, più o meno.»
La Weasley spalancò gli occhi e le sue sopracciglia rosse scomparvero sotto la frangia. «A caso
Mi strinsi nelle spalle e annuii.
«Non c’era qualcosa che ti interessava particolarmente? O qualcosa che pensavi fosse utile per un futuro lavoro?»
Lavoro. Sì, certo. «La mia è una famiglia babbana, non ho mai pensato veramente a trovarmi un lavoro da strega.»
«E allora perché sei a Hogwarts?»
Silenzio.
Abbassai lo sguardo sulla mia pergamena. Strinsi il bordo della gonna, quasi come se avessi bisogno di aggrapparmi a qualcosa. Improvvisamente mi chiesi se Weasley fosse una Purosangue. Mi sentii punta nel vivo.
«Perché, Hogwarts non è per tutti?»
La Weasley si sporse verso di me. «No, non in questo senso. Non che non sia giusto che tu sia a Hogwarts. Sei una strega, è giustissimo così. Avrai pensato a una carriera, a qualcosa per il futuro… No?»
«Prevedo un futuro molto poco roseo» intervenne Jeanie, «se Serena non finirà presto quella versione.»
La Weasley rimase attonita. Dopo qualche secondo disse: «Ah, be’… Hai ragione. Forse è meglio lavorare. Anche io ho qualche compito da fare.»
Ripresi la penna d’oca e la intinsi nell’inchiostro. Non osai guardare Rose Weasley. Sapevo che aveva ragione, non avevo un futuro di strega davanti a me. La stessa cosa che era saltata fuori dalla conversazione con Longbottom. Nonostante l’imbarazzo non potevo non sentirmi grata nei confronti di Jeanie per avermi tolta d’impiccio.
Mi chiesi se il comportamento di Rose Weasley avesse un secondo fine anche questa volta. La nostra mi era sembrata una conversazione normale, un po’ impacciata forse, ma alla fin fine normale.
E allora perché non riuscivo a rilassarmi?
 
 
 
 
Nota dell’autrice: a causa di impegni scolastici da ora in avanti e fino a fine luglio temo che non potrò più garantire un aggiornamento regolare. Mi scuso con tutte le lettrici e tutti i lettori. Farò del mio meglio per aggiornare il più rapidamente possibile! Buon inizio di vacanze a tutti… Se fate vacanza. Se avete esami: condoglianze. Pensatemi, siamo sulla stessa barca.

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Capitolo 22
*** Dove si scopre che gli elfi domestici farebbero di tutto per soddisfare le voglie della signorina Chelsea e della signorina Serena. ***


Dove si scopre che gli elfi domestici farebbero di tutto per soddisfare le voglie della signorina Chelsea e della signorina Serena.
 
 
 
Riuscii a farmi convincere da Chelsea ad andare con lei nelle cucine, per l’ennesima volta. In realtà a convincermi fu anche la mia astinenza da cioccolato: avevo esaurito le scorte di dolci e Il Pacco tardava ad arrivare.
«Sai di cosa avrei voglia?» disse Chelsea. «Di gelato.»
«Gelato?» ripetei, perplessa. Arricciai il naso. «Domani è Halloween, dopodomani inizia novembre e tu vuoi del gelato?»
«Sì.» Chelsea si leccò le labbra e alzò lo sguardo verso il soffitto di pietra, sognante. Passò le dita grassocce sulla pera del quadro ed entrammo nelle cucine.
Gli elfi domestici erano in fermento per Halloween. Correvano, aprivano forni da cui uscivano sbuffi d’aria calda, decoravano cupcakes con le sac-à-poche, impacchettavano biscottini magici. Quando ci videro, impazzirono.
«Signorine, signorine!»
«Attente, signorine, vi scottate, signorine!»
«Volete dolce voi, signorine? Signorina Chelsea vuole sempre i dolci! Abbiamo preparato tanti dolci!»
Mi coprii la bocca per non far vedere che ridevo. Evidentemente Chelsea era di casa. Adesso capivo perfettamente come mai non dimagriva anche se in Sala Grande mangiava con moderazione.
«Si siedano le signorine, si siedano!»
Ci accomodammo su due sgabelli. Si avvicinò un elfo. Era una femminuccia, a giudicare dal fiocchetto rosa che aveva su un orecchio. Ebbi un’illuminazione. La indicai.
«Tu.»
«Eh?» L’elfa sgranò gli occhi. «Io cosa, signorina? Mi ordini signorina, ordini!»
«Puoi avvicinarti, cucciola?»
Chelsea trasformò una risata in uno sbuffo. Io sorrisi. L’elfa si affrettò ad avvicinarsi. Osservai il suo fiocco rosa.
«Uhm… Pinkamena Pie.»
L’elfa si torse le dita, in imbarazzo. «Come, signorina? Io non capisce, essere qui da poco. Che torta essere Pinkamena?»
Le sorrisi ancora, tesi la mano e  le raddrizzai il fiocchetto. «Sei tu, cucciola. Ti chiamerò Pinkamena Pie, o solo Pinkie. Come i My Little Pony
L’elfa spalancò la bocca, poi scosse con forza la testa. «No, no, signorina si sbaglia, signorina, io non essere torta di Pinkamena, io essere Pepper!»
«Pepper?» ripetei. Mi grattai la punta del naso. «Mah, forse Pippin l’avrei capito di più… Però mancano Merry, Sam e Frodo…»
«Io Merry! Merry è qui!» urlò una vocina acuta nella folla.
Chelsea non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere. Subito dopo arrivò un elfo con in testa una papalina col pompon raffigurante una zucca di Halloween. «Merry è qui, signorine!»
Chelsea si sporse verso di lui. «Allora, giovanotto, la signorina Chelsea oggi vuole un bel gelato. Alla fragola. Ma quello buono, eh.»
«Subito Merry, signorina!» L’elfo scomparve in mezzo alla folla, il pompon che rimbalzava contro la schiena.
Pepper mi guardò con occhi scintillanti. «E signorina nuova cosa vuole, signorina? Brava Pepper farà vedere che lei è brava, sì, lei obbedisce!»
Era troppo carina. La sua voce cinguettante sembrava quella di una bambina. E quel fiocchetto rosa! La afferrai e la strinsi in un abbraccio.
«Sei carina, Pepper!» esclamai. «Carina carina! Sembra quasi di avere una sorellina!»
L’elfa si irrigidì. «Oh…»
La lasciai. Il viso di Pepper si era fatto rosso. Si toccò il fiocchetto rosa, come ad assicurarsi che non glielo avessi portato via.
«Pepper non può abbracciare le signorine, signorina…»
«Sono Serena» mi presentai. «Lieta, Pepper Pie.»
«Signorina Serena, non sono una torta di Pepper, solo Pepper, signorina Serena.»
Intravidi Merry con una vaschetta di gelato tra le mani. Invece che portarcelo, però, lo buttò nell’immondizia.
Chelsea corrugò le sopracciglia, delusa. Dovette alzare la voce per farsi sentire in tutto quel baccano. «Merry! Cosa fai? Butti il gelato?»
Anche Merry alzò la voce. «Signorina, è molle signorina, Merry non glielo vuole dare molle! Merry glielo dà duro, signorina!»
Sgranai gli occhi e mi venne da ridere. Diedi una gomitata a Chelsea. «Cielo, Chelsea» sussurrai col sorriso sulle labbra. «Hai conquistato Merry, mi sa…»
«Eh già. Me lo da duro» sghignazzò Chelsea. Scoppiammo a ridere tutte e due.
Il profumo di dolci mi fece gorgogliare la pancia. Tutti quei dolcetti che viaggiavano per la cucina erano un richiamo troppo forte per chiunque. Anche io iniziavo ad avere fame. Sorrisi a Pepper, che mi guardò speranzosa.
«Pepper, cara» le dissi in tono gentile, «avresti per caso della Sachetorte?»
Le labbra di Pepper si strinsero, le sporse a trombetta, si strinsero di nuovo e l’elfa assunse un’espressione concentrata. Era una visione comica ma mi imposi di non ridere.
«Sachertorte non conosce Pepper, signorina Serena. Pepper non conosce neanche Pinkamena torta.»
Le orecchie di Pepper si afflosciarono e gli occhi le si riempirono di lacrime. «Pepper pessima elfa… Pepper si deve punire!»
«No!» scattai. Le afferrai un polso. Era caldo e magro, sentivo le ossa sotto il palmo della mia mano. «No Pepper, senti… Scherzavo. Niente Sachertorte. La Sachertorte è cattiva. Vorrei, se c’è…» Cercai di pensare velocemente. Un dolce qualsiasi, che potessero avere. Magari non qualcosa di italiano. «Un… Un dolce a caso. Al cioccolato, però. Un dolce al cioccolato. La brava Pepper lo trova un dolce al cioccolato per me?»
Pepper si illuminò in viso e le labbra si aprirono in un sorriso. «C’è tanto cioccolato, tutto il cioccolato che la signorina Serena vuole!»
Le lasciai il polso e scomparve in mezzo agli elfi.
Un secondo dopo ricomparve Merry con una vaschetta gelata tra le braccia. Tremava e batteva i denti, ma sorrideva.
«S-s-signorina Chelsea… G-g-gelato duro alla fr-r-r-agola dal fr-r-r-eezer, signorina.»
«Ommioddio» mormorai. Merry aveva della brina sul lungo naso e sulle orecchie. «Ma sei andato a prenderlo al polo sud?»
«M-M-Merry ha detto nel fr-r-reezer, sign-gn-gnorina, Merry ha d-d-detto.»
«Grazie, Merry.» Chelsea prese la vaschetta di gelato. Cercò di affondarci un cucchiaio, ma non riuscì nemmeno a scalfire la superficie rosa. Chelsea mi guardò e sogghignò. «È proprio duro. Bravo Merry, bravo.»
Le restituii un sorriso, sicura di avere le guance rosse. Chelsea iniziò a scavare il gelato.
«Signorina Serena! Fate largo!»
La voce acuta di Pepper mi fece girare. Udii le proteste degli elfi che, con in mano teglie, sacchetti e sac-à-poche erano costretti a spostarsi.
Perché Pepper stava arrivando con una carriola di dolci.
Rimasi scioccata. La ruota cigolava ad ogni giro e Pepper proseguiva, tenendo la carriola alzata con uno sforzo sovrumano dei piccoli muscoli. Un gocciolone di sudore le colava giù dalla tempia.
Mi resi conto di avere la bocca spalancata e la chiusi. In quella carriola c’era tanto di quel cioccolato che perfino a Willy Wonka sarebbe venuto il diabete.
«Pepper brava, Pepper ha portato tutti i dolci al cioccolato della cucina alla signorina Serena!»
«Grazie… Pepper…» balbettai. La carriola cigolante si fermò davanti a me. Pepper esibiva un sorriso che andava da un orecchio all’altro e con la mano si asciugò il sudore. Sembrava un piccolo aiutante di Babbo Natale, solo che era Halloween.
Guardai i dolci nella carriola e mi costrinsi a sorridere. Potevo annegarci, in tutto quel cioccolato. Presi la cosa più piccola che trovai: un brownie. Lo addentai. Il cioccolato si sciolse sulla mia lingua, diffondendo il celestiale sapore. «Buono!»
Pepper applaudì, felice. «Adesso signorina Serena mangia tutto! Pepper stata brava! Pepper ha soddisfatto la signorina Serena, signorina!»
Chelsea, di fianco a me, scoprì i denti rosa di gelato e sogghignò. «Pepper ha soddisfatto benissimo la signorina Serena, meglio di qualunque uomo…»
«Ah be’, Chelsea, non commenterei se fossi in te visto che ora ce l’hai duro…»
Chelsea rise e riprese a mangiare il gelato. Io stiracchiai un altro sorriso. «Ehm… Pepper… Come li porto via, i dolci?»
Pepper si voltò e mostrò la schiena: in spalle aveva quello che aveva tutta l’aria di essere uno zaino da trekking.
«Alla babbana, Serena» ridacchiò Chelsea. «Mia cara, à-la-babbàn… Va di moda adesso, sai?»
«Lascia perdere il francese, guarda… Non fa per te.»
Il pensiero di caricarmi la schiena di cioccolato mi faceva sentire disperata. Guardai l’elfa raggiante. Mi dispiaceva deluderla. Quindi avrei dovuto portare tutto in Sala Comune e trovare il modo di finire tutti i dolci in un tempo ragionevole.
«Pepper» piagnucolai. «Mangio tutto, promesso, ma ci vorrà del tempo… Mi aiuti a trasportare le cose in Sala Comune? Di nascosto però, se i professori mi scoprono mi sgridano.»
E fu così che quella sera io e le mie compagne di dormitorio facemmo indigestione. Giurai a me stessa di non toccare una briciola di cioccolato fino a San Valentino.

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Capitolo 23
*** Dove si scopre perché questo Halloween rimarrà per sempre impresso nella memoria di Serena Latini. No, Jack Skellington non darà spettacolo in mezzo alla Sala Grande, mi dispiace. Parte 1. ***


Dove si scopre perché questo Halloween rimarrà per sempre impresso nella memoria di Serena Latini. No, Jack Skellington non darà spettacolo in mezzo alla Sala Grande, mi dispiace. Parte 1.
 


Arrivò infine il giorno di Halloween e arrivò anche Il Pacco. Con rifornitura doppia, perché sospettavo che ci sarebbero stati molti dolcetti da distribuire. Scesi in Sala Grande di buon mattino, prelevai Il Pacco, lo disfeci in dormitorio e poi tornai a fare colazione.
Siccome in Italia Halloween non si festeggiava per me non era una festività molto sentita, ma a Hogwarts pareva riscuotere un certo successo. Paese che vai, usanza che trovi.
Tollerare un’usanza non mia mi sembrava un gesto di disprezzo: si tollerano le cose che si ritengono sbagliate, quindi dire di tollerare la festività di un’altra cultura mi sembrava offensivo. Io non tolleravo l’usanza, la rispettavo, quindi in segno di rispetto promisi a me stessa che quel giorno non avrei studiato.
Ma al rispetto non potevo unire l’entusiasmo. Avrei voluto davvero organizzare una festa, però Jeanie mi aveva definitivamente convinta che non era possibile. Mi misi il cuore in pace e mi sedetti al tavolo della colazione. Forse però ero stata troppo mattiniera. Colpa del Pacco. C’era ancora poca gente nella Sala Grande e il chiacchiericcio diffuso anziché risultare allegro sembrava un cupo mormorio. In linea con Halloween, dovevo ammetterlo.
«Dolcetto o scherzetto!»
Mi girai, gli occhi ancora impastati di sonno. Tre arzille Tassorosso, una spilla a forma di zucca applicata sulla cravatta, tendevano la mano verso di me.
Ecco, il primo assalto era arrivato.
«’giorno, cucciole» biascicai. Sbadigliai e frugai nella borsa. Diedi a ciascuna un quadretto di Hanuta, dopodiché annegai nel caffelatte.
Avrei trascinato la giornata in attesa del banchetto di Halloween, decisi.
Poi, d’un tratto, mentre bevevo il mio caffelatte, udii la conversazione di alcune mie compagne.
«Sai che oggi è il trentun ottobre, vero?»
«Certo che lo so… E allora?»
La ragazza abbassò la voce. Anche se era accanto a me sentii a stento. «Oggi non è solo Halloween. Oggi è il giorno di una morte.»
Una morte? La morte di Jack, pensai. Immaginai Jack Skellington camminare per la Sala Grande con la zucca in testa. Sarebbe stato uno spettacolo sopraffino.
Anche la voce dell’altra ragazza si fece più bassa. «Quale morte? È morto qualcuno?» Nel suo tono si sentiva una nota preoccupata.
«Sì… James e Lily Potter.»
Sputai a spruzzo il caffelatte nella tazza, che traboccò e mi finì addosso. Le mie compagne sobbalzarono e mi guardarono sconvolte. Io le guardai, sbattei le palpebre, poi tornai a fissare la tazza bianca. Il mio maglione era fradicio. La camicia bagnata attaccata pelle mi fece venire un brivido. Dalle mie dita colava caffelatte. James e Lily Potter… Morti?
Mi alzai in piedi e guardai il tavolo dei Grifondoro. Chelsea non c’era ancora. Ma non vidi neanche nessun Potter e nessun Weasley. Certo, era presto, non è che fossero tutti mattinieri come me… Però…
Morti?
Mi accorsi di avere addosso gli occhi di tutta Tassorosso, e anche le poche persone sedute agli altri tavoli iniziarono a indicarmi. Mi sentii a disagio. Il mio stomaco si contorse.
Prima di fare qualsiasi cosa mi imposi di cambiarmi. Non potevo andare in giro grondando caffelatte. Trascinai i piedi verso i sotterranei e rientrai a Tassorosso. Il mio stomaco non rinunciava a sciogliere il nodo e minacciava di rigettare il suo scarso contenuto.
James e Lily… Morti? A Hogwarts? Possibile? Cosa poteva essere successo?
Mi chiesi se la Signora Grassa mi avrebbe detto qualcosa. Se fosse successo qualcosa di sicuro la famiglia non sarebbe andata a fare colazione con nonchalance, quindi aspettare in Sala Grande era inutile.
Mi cambiai la divisa e iniziai a camminare verso la torre. Strada facendo incontrai un paio di studenti di Grifondoro e Corvonero, nessuno però dava particolari segni di turbamento. Anzi, ridevano e scherzavano.
«Dolcetto o scherzet-»
Mi voltai. Una Corvonero con le trecce scure mi tendeva la mano e mi fissava, la bocca aperta. Sembrava scioccata. La riconobbi: era la ragazzina a cui io e Chelsea avevamo chiesto di cercare Jeanie Joy.
«No, scusa… Non fa niente.» Mi diede le spalle e scappò.
Rimasi immobile a fissare il punto dove un momento prima c’era la ragazzina. Mi sfiorò vagamente il sospetto che avesse paura di me. Non ci feci troppo caso. Dovevo scoprire la verità su James e Lily.
Il mio stomaco si strinse ancora di più e la mia gola si chiuse. Certo, non erano amici miei. Anzi, per la verità non mi ispiravano simpatia. Ma da qui a volerli morti ce ne passava. Se fossero morti veramente… James Potter non l’avevo mai neanche salutato, nei corridoi. Avevo sempre lasciato che lo salutasse Chelsea. Lily il Giglio… Neanche lei la salutavo. Pensai alle mille volte in cui, mentalmente, avevo mandato all'inferno il loro fratello. Un paio di volte anche James Potter, a dire il vero.
Il mio senso di colpa cresceva man mano che camminavo e le mie scarpe ticchettavano sulla pietra. Forse ero stata ingiusta. Quante gentilezze e cortesie avrei potuto fare loro! Non lasciare che il sole tramonti sulla tua ira. Sagge parole, signora Alcott. Era tardi, però. Ora le avrei ricordate per sempre.
Raggiunsi la Signora Grassa. Guardai il ritratto. La stazza era maggiore di quella di Chelsea, ma neanche di troppo. Tossicchiai.
La Signora Grassa mi guardò con aria amorevole. «Sì?»
«Ehm.»
Non sapevo cosa chiedere. Improvvisamente il nodo alla gola mi chiuse il respiro. Boccheggiai. Sentii gli occhi riempirsi di lacrime. «Lei non… Non può farmi entrare, vero?»
La Signora Grassa sembrò dispiaciuta. «Temo di no, cara. Sei una Tassorosso. Mi dispiace. Hai bisogno di aiuto? Oh, aspetta, devo lasciar passare…»
Il ritratto si aprì. Con mio grande sgomento comparvero Rose e Hugo Foscolo. «Oh!» esclamò Rose.
La vista mi si offuscò. Sbattei le palpebre e li rimisi a fuoco. Rose e Hugo Foscolo mi guardarono perplessi, poi finalmente uscirono. Io indietreggiai. «Scusatemi…» mormorai. Mi chiesi perché mi stavo scusando. Non seppi darmi una risposta.
«Hai saputo?» chiese Rose.
Mi sembrò che il mio cuore si fermasse. Allora era vero. Mi morsi il labbro per impedirgli di tremare.
Cosa dovevo dire a Rose? Erano suoi parenti, dopotutto. Condoglianze? Chiederle com’era successo? Offrirle aiuto? Il senso di colpa mi strinse il cuore.
Dietro di lei, Hugo Foscolo tirò su col naso. Mormorò qualcosa, Rose annuì, e poi il ragazzo si avviò lungo il corridoio.
Non reggeva. Probabilmente se n'era andato perché non riusciva a parlarne. Sentii le lacrime spuntare dagli occhi e colarmi sulle guance.
«Settimana prossima… Ma che fai, piangi?»
«James e Lily!» singhiozzai. A ogni respiro sentivo il cuore saltarmi in gola. Faceva su e giù ogni volta che tiravo una boccata d’aria.
«Cosa c’è?» fece Rose preoccupata. Si avvicinò a me e mi posò una mano sulle spalle. La abbracciai. Sentii il suo corpo tiepido e rigido contro il mio.
«Oddio» mormorò Rose. «Senti, se fai così mi preoccupo… James e Lily cosa? Ti hanno fatto qualcosa?»
Mi avevano fatto qualcosa? Certo che no, semmai ero io ad essermi comportata da perfetta stronza con loro. Cosa mi avrebbero mai potuto fare due cadaveri?
Appunto, cosa mi potevano fare? Mi venne il sospetto di aver equivocato qualcosa.
Mi staccai da Rose e la guardai negli occhi azzurri. «Lily e James…» Sentii il naso colare e tirai su. «Lily e James stanno bene?»
Le sopracciglia rosse di Rose, già invisibili sulla sua pelle chiara, scomparvero sotto la frangia. «Certo che stanno bene… Perché non dovrebbero?»
Improvvisamente lo stomaco si sciolse. Un secondo dopo si riannodò, non appena mi resi conto di aver fatto una figura di merda.
«È successo qualcosa, Serena?»
Scossi il capo con energia. I miei capelli corti mi frustarono le guance.
Santa polenta. Ora sì che mi trovavo in un bel guaio. Come cavolo spiegavo la situazione?
Il ritratto si aprì un’altra volta e comparve Chelsea. La fissai sgomenta. Rose seguì il mio sguardo e si voltò.
«Serena?»

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Capitolo 24
*** Dove si scopre perché questo Halloween rimarrà per sempre impresso nella memoria di Serena Latini. No, Jack Skellington non darà spettacolo in mezzo alla Sala Grande, mi dispiace. Parte 2. ***


Dove si scopre perché questo Halloween rimarrà per sempre impresso nella memoria di Serena Latini. No, Jack Skellington non darà spettacolo in mezzo alla Sala Grande, mi dispiace. Parte 2.



Chelsea mi guardò. I suoi occhi saettarono su Rose, poi tornarono su di me. «Ehi ragazze, tutto bene?»
Chelsea, la mia salvatrice! Allungai le braccia verso di lei, la gola roca che mi impediva di parlare.
Chelsea uscì dal buco del ritratto e si avvicinò. Immediatamente mi aggrappai alla sua manica e strinsi con forza la lana grigia del maglione.
«Perché piangi?» Chelsea guardò Rose con aria interrogativa. Rose alzò le spalle.
«Non ne ho idea… L’ho trovata qui davanti al ritratto ed è scoppiata a piangere. Mi ha chiesto di James e Lily…»
«James e Lily?» Chelsea corrugò la fronte. «Serena, stai delirando?»
Provai a parlare, ma uscì un suono roco. Mi schiarii la voce. «Andiamo, per favore.»
Chelsea mi cinse le spalle con un braccio. «Sicura? Non vuoi sederti un attimo?»
Scossi il capo un’altra volta. Rivolsi a Chelsea uno sguardo implorante. Alla fine lei cedette.
«Va bene. Ci penso io, Rose, tranquilla. Ti faccio sapere.»
«Oh… Ok.» Rose mi rivolse un’occhiata preoccupata. «Se avete bisogno fate un fischio, ragazze. Senza problemi.»
«Sì. Grazie.»
Io e Chelsea ci allontanammo. Trovammo posto in un’aula vuota, su due sedie vicine. Sentii la sua pancia gorgogliare e mi sentii in colpa. Le stavo facendo saltare la colazione per colpa delle mie figure da quattro soldi.
«Serena.» Seduta accanto a me, Chelsea mi strinse una mano. Le sue dita grassocce e calde avvolgevano le mie, lunghe e magre. «Mi puoi spiegare cos’è successo?»
Le spiegai di aver udito la conversazione delle mie compagne, di non aver trovato né Potter né Weasley in Sala Grande, di essermi preoccupata e del grande senso di colpa che avevo provato per il mio comportamento. A fine racconto Chelsea sospirò.
«Tu sei troppo emotiva, Serena.»
«Be’…» Mi morsi il labbro inferiore e cercai di pensare a una replica adatta. «Nomi e cognomi coincidevano.»
«Coincidevano!» Chelsea alzò gli occhi al cielo, ma sorrideva. «Sai cosa ti direbbe Jeanie? Serena, sei ridicola, ti pare che a scuola possa succedere una cosa del genere? E la cosa peggiore di tutte è che avrebbe ragione. Non dirle che l’ho detto perché lo negherò finché campo.»
Accennai un sorriso perché sapevo che Chelsea se lo aspettava. Ripensai allo stomaco attorcigliato. E ai vestiti da lavare buttati sul baule del dormitorio. «È che mi sono spaventata veramente.»
«L’ho capito, scema.» Lo stomaco di Chelsea gorgogliò ancora. «Però adesso andiamo a mangiare, altrimenti dovrai piangere la mia morte e mi avrai sulla coscienza per sempre.»
Ci avviammo verso la Sala Grande a braccetto. Quando arrivammo ai tavoli la lasciai andare a mangiare. Intravidi anche Jeanie al tavolo di Corvonero e ci scambiammo un cenno. Quindi erano entrambe a far colazione. Che avrei fatto io?
Decisi che anche a me un altro caffè non avrebbe fatto male. Forse.
Tenni d’occhio Jeanie e quando la vidi alzarsi la raggiunsi. Dovemmo prelevare di forza Chelsea dal tavolo di Grifondoro, prendendola per le braccia e trascinandola via. Se l’avessimo lasciata lì altri dieci minuti si sarebbe mangiata anche la panca.
Quando ci ritrovammo fuori Chelsea diede una gomitata a Jeanie. «Ehi, madame, fatti raccontare da Serena l’ultima cazzata…»
Jeanie si sistemò gli occhiali e corrugò la fronte. «Cos’hai combinato, stavolta?»
«Una delle mie» borbottai. Le raccontai l’equivoco e la figuraccia fatta davanti alla Weasley.
Con mia grande sorpresa, Jeanie rise. La fissai sgomenta mentre rideva di cuore, tanto che gli enormi occhiali dalla montatura nera le scivolarono fin sulla punta del naso. «Senti, facciamo una passeggiata fino alla Sala dei Trofei, così ci sgranchiamo le gambe. E ti faccio vedere una cosa su James Potter.»
«Fin là?» grugnì Chelsea. «È al terzo piano, non ho voglia di fare tutte quelle scale.»
«Ci sgranchiamo per bene» obiettò Jeanie. Io non dissi niente e mi limitai a seguirla. Chelsea esitò, poi si aggrappò al corrimano e iniziò a salire insieme a noi le scale.
«Si vede che sei una nata babbana» disse Jeanie ad un tratto.
Fui colta alla sprovvista. «Chi, io?»
Chelsea sbuffò. «Perché, secondo te potrei esserlo io?»
Be’, no, in effetti no. Domanda scema. «Scusatemi.»
«Il problema» riprese Jeanie, «è che non conosci neanche la storia più elementare del mondo magico.»
«E non conosci nemmeno le celebrità!» aggiunse Chelsea. Si posò le mani sui fianchi e gonfiò il petto. «Scommetto che tu non hai la più pallida idea di chi sia… Che ne so… Boh… Viktor Krum, ecco. Scommetto che non lo conosci.»
Ci pensai. «Nah.»
«Kingsley Shacklebolt…»
«Aha!» Battei un pugno contro il palmo della mano aperto. «Questa è facile! La so! È un capo di partito!»
Jeanie ridacchiò. «Più o meno. È il Ministro della magia.»
Sì, be’, queste erano sottigliezze. Lui l’avevo già sentito, ne ero certa. «Tipo la Thatcher» insistetti.
Chelsea guardò Jeanie, e lei annuì. «Più o meno» concesse.
Chelsea alzò le sopracciglia e sogghignò. «E Harry Potter, sai chi è?»
Sentii una punta di sarcasmo nella voce di Chelsea. La guardai, e il suo sorriso confermò la mia impressione. «Scommetto che te lo sei inventato.»
Jeanie strinse le labbra, ma riconobbi l’ombra di un sorriso. Chelsea invece sghignazzò apertamente.
Mi stavano prendendo in giro. Mi sentii offesa. Io non le prendevo in giro quando scoprivo che non conoscevano le cose babbane. Incrociai le braccia e misi il broncio. «Siete cattive con me.»
«Ma no…» fece Jeanie.
«Sì invece!» esclamò Chelsea. Ridacchiò ancora.
«Non è colpa mia se Potter e Weasley figliano come conigli» borbottai. «Qui basta che chiunque aggiunga il cognome “Potter” o “Weasley” a un nome qualsiasi e questa sembra diventare una persona reale! Voglio dire, il Principe Harry è reale, no? In tutti e due i sensi… Realistico, no?»
Chelsea chiuse la bocca. Le sue labbra però formavano un sorriso e le sue spalle continuavano a sobbalzare. Jeanie si portò una mano alla tempia. «Serena, stai iniziando a sragionare. Che c’entra il principe Harry?»
«Si chiama Harry.» Mi sembrava ovvio.
Jeanie si massaggiò la fronte. «Senti, lascia perdere e ascolta me. Guarda dove siamo.»
Indicò la porta di fronte a noi: eravamo arrivate alla Sala dei Trofei. Jeanie spinse la porta e la tenne aperta per me e Chelsea. Entrammo nel locale. Era male illuminato. La luce entrava dalle grandi finestre ed era bloccata dalle file di scaffali, ripiani e teche.
«Qui c’è un trofeo di James Potter. È stato Cercatore nella squadra di Grifondoro, a scuola.»
«Allora è un giocatore di Quidditch» conclusi. Jeanie e Chelsea tacquero. Avevo sbagliato? Mi morsi il labbro. «È stato, cioè. È morto» aggiunsi.
Jeanie indicò una teca e attraverso il vetro vidi la placca lucida di metallo con inciso il nome di James Potter.
«Cosa ne deduci?»
Mi grattai la punta del naso e osservai la targa. Il nome di James Potter era inciso con precisione. Il nostro riflesso colorava il metallo con macchie scure. «Ne deduco che è stato giocatore di Quidditch… E che i Potter hanno dato al loro primogenito il loro stesso nome.»
«Casualità?» chiese Jeanie.
Chelsea ridacchiò. Arricciai il naso. «A giudicare dall’ilarità di Chelsea direi di no.»
Jeanie inclinò il capo. La treccia bionda ondeggiò lungo il suo fianco. «Era il nonno del James Potter che conosciamo noi. Fu ucciso durante una guerra magica. La stessa cosa vale per sua moglie Lily.»
«Già!»
Sobbalzai. Chelsea aveva parlato a voce molto alta. La vidi fremere, i pugni stretti, un sorriso a trentadue denti e gli occhi sgranati. «È anche il nonno di Albus e di Lily Potter! E il figlio di James….»
Jeanie le tirò una gomitata.
«Ahia! Perché?»
«Sei pettegola» l’ammonì Jeanie alzando il dito indice. «Quelli sono fatti di famiglia.»
«Ma va là, idiota! È storia, altroché!»
Lo sguardo di Jeanie dardeggiò su di me. «Secondo me non è il caso che tu metta strane idee in testa a Serena. Secondo me Albus Potter è contento così.»
A sentire il nome di Albus un gran calore iniziò a salire al mio viso. «Piantala, Jeanie. Non me ne frega niente se lui è contento o no.»
Jeanie si aprì in un sorriso. Non riuscii a capire se mi prendeva in giro o se mi compativa. «Guarda che eri solo tu a non averlo capito… Ah, no, neanche Chelsea. Scusami.»
«Ehi!» protestò Chelsea.
«Secondo me» riprese subito Jeanie, «non sono tante le persone che non conoscono James e Lily Potter. A maggior ragione qui in Gran Bretagna. Albus Potter deve essersene accorto. Io al posto suo avrei pensato che tu, non conoscendo la mia famiglia, mi avresti trattata con schiettezza e sincerità, senza adulazione o pregiudizi. Avrei pensato di essere una persona come un’altra, almeno per te. E visto che Potter ha iniziato a vederti spesso perché tu cercavi di attirare l’attenzione di Scorpius Malfoy hai finito per attirare la sua, di attenzione.»
Osservai di nuovo la targa di metallo. Strinsi gli occhi. «Quindi» iniziai cautamente, «Albus Potter è uno conosciuto… E il mio pregio maggiore quello è essere ignorante?»
«Un po’ brutale come esposizione.» Jeanie si spinse gli occhiali fino alla base del naso. «Ma è la mia teoria.»
Spostai il mio peso da un piede all’altro. Una delle macchie scure sulla targa dondolò. Albus Potter non poteva aver pensato che fossi interessata a lui. Non ci avevo parlato quasi mai. Non io per prima, insomma. Quindi che cavolo poteva aver visto in me a parte l’ignoranza? E perché ero interessante per lui, ma non per Scorpius? Mi venne in mente il suo viso pallido e i suoi capelli biondi. Non avevo nessuna speranza, niente che mi facesse pensare alla possibilità di poterlo avere accanto a me. Chinai il capo. «E c’è qualcosa che dovrei sapere sulla famiglia Potter che ancora non so?»
«Famigliola benestante» scattò Jeanie. «Decisamente benestante. E numerosa da parte Weasley, ma da parte di Potter sono decisamente facoltosi, quindi le due cose si compensano. Potter padre Purosangue, Weasley madre Purosangue. La nonna dei Potter però no, era una nata babbana, quindi non sono Purosangue fatti e finiti.»
Guardai Chelsea interrogativa e lei capì. «Non è gente con pregiudizi, tutt’altro. Non gliene importa un cavolo, a loro, se le persone sono nate babbane o no.»
Mi morsi il labbro inferiore. «Lo sapete, è gente che non mi va tanto giù. Li trovo arroganti. A me piace starmene nel mio brodo, tranquilla.»
«Concordo» disse Jeanie. «Li trovo invadenti quanto basta per risultare irritanti. Mi riferisco ai Grifondoro. L’unica eccezione è, appunto, un’eccezione.»
Chelsea alzò le mani al cielo. «Oh, come siete schizzinose! E invadenti, e arroganti, e irritanti, e il mio brodo… E la bella vita? Su! In Sala Comune sono sempre allegri. Non sono cattiva gente!»
Jeanie storse il naso. «Mai detto che sia cattiva gente. Però la bella vita te la puoi tenere, io sono qua per studiare.»
«Allargate ‘sto giro di amicizie invece! Tutte e due. Orgoglio Grifondoro. Siamo meno precisini di voi, ma ce la tiriamo di meno. Voi, invece!»
Sorrisi a Chelsea. Non potevo darle torto, sapevo che era una persona amichevole. Era stata la mia prima amica a Hogwarts. Era con lei e anche grazie a lei che avevo imparato l’inglese. A ben pensarci anche la Weasley, forse, era semplicemente una persona amichevole, anche se invadente.
«E secondo te» dissi con un sorriso, «i Potter possono conoscere The Nightmare Before Christmas
«E che ne so io?»
«Improbabile» rispose Jeanie. Aprii bocca ma Jeanie mi interruppe. «E neanche le fanfiction, né i My Little Pony, né internet, né le mirabolanti leggende sulle attività clandestine di Serpeverde.»
Mi aveva smontata. Richiusi la bocca.
«Non devi traumatizzarla così, Jeanie, sei insensibile» disse Chelsea.
«Se ne farà una ragione.»
Alzai lo sguardo. Incrociai gli occhi azzurri di Jeanie e quelli scuri di Chelsea. Ripensai a Pepper. Certo che gli inglesi erano proprio un popolo strano. «Almeno la Sachertorte la conoscono?»
«Possibile» concesse Jeanie. Mi sorrise, e io ricambiai.
Avevo scelto la scuola in base alla cucina, potevo anche provare a stringere un’amicizia in base ai gusti dolciari, no?
L’argomento fu chiuso. Gironzolammo un po’ per la Sala dei Trofei. Insistetti per portare gli auguri di Halloween a Mirtilla Malcontenta, la quale maledisse a viva voce i dolci perché l’avevano fatta diventare brufolosa. Riuscii perfino a convincere Chelsea a regalare unquadretto di Hanuta a una piccola Serpeverde che venne a farci dolcetto o scherzetto.
Non organizzammo nessuna festa, ma la giornata trascorse in tranquillità, e tanto mi bastava.
Quella sera, nel salone d’ingresso, attendevo insieme a Jeanie e a Chelsea di entrare nella Sala Grande per il banchetto. Quando vidi scendere dagli scalini Rose Weasley e Hugo Foscolo una vampata di vergogna mi assalì. Non volevo parlarci. Mi ritrassi e mi nascosi dietro a Chelsea.
«Ehi» mi rimproverò lei. «Oggi non abbiamo parlato delle nuove amicizie?»
«Sì» risposi. «Però…»
«Anche tu, Jeanie. Nuove amicizie. Basta passare la vita sui libri.»
La faccia schifata di Jeanie diceva tutto. Non me la sentii di dire la mia. Sapevo che il suo impegno costante aveva come prezzo il doppio della fatica.
Chelsea ignorò il fatto che ci trovassimo in mezzo alla folla. Si scostò, prese per un braccio me e Jeanie e ci trascinò da Rose Weasley. Protestammo e andammo a sbattere contro parecchie persone ma Chelsea non ci lasciò. Quando arrivammo davanti a Rose e Hugo Foscolo Chelsea aveva un sorriso smagliante.
«Buonasera, Rose. Volevamo dirti che si è risolto tutto.»
Il mio viso bolliva. A giudicare dal colorito rosso acceso di Jeanie anche lei doveva provare la mia stessa sensazione. Guardai la Weasley e alle sue spalle intravidi il fratello. Anche Hugo Foscolo era rosso e fissava Chelsea. Borbottò qualcosa e guizzò via. Chelsea rise.
Rose si portò una mano al petto e rise. «Meno male, mi ero davvero preoccupata. Cos’è successo? Ho anche pensato che magari James e Lily ti avessero fatto uno scherzo di cattivo gusto, così ho chiesto a James e…»
Chelsea mi diede uno scossone e una fitta mi attraversò il braccio. Capii. «No no» mormorai. «Nessuno scherzo.» Mannaggia a Chelsea. Se non grondavo sudore probabilmente era perché l’acqua evaporava non appena colava sul mio viso. «C’è stato un equivoco…»
«A proposito di equivoci» mi interruppe Chelsea. «Ho ricevuto le scuse di Albus. Per la faccenda di Hogsmeade, intendo.»
«Davvero?»
«Sì. Non c’era bisogno che ci mettessi lo zampino, Rose, era già a posto così.»
«Ma non ci ho messo lo zampino!» Rose rise e alzò gli occhi al cielo. «Non dirmi che Albus sta mettendo giudizio! Per Merlino! Domani piove!»
Anche Chelsea rise. Io ormai ero in procinto di evaporare.
«Volevamo chiederti una cosa» riprese Chelsea. «Ho visto che settimana prossima hanno organizzato un altro fine settimana a Hogsmeade. Ti andrebbe di andarci insieme? Noi quattro.» Io e Jeanie ricevemmo uno scossone. Potevo vedere la tempia di Jeanie pulsare. Per quell’improvvisata Chelsea avrebbe passato un brutto quarto d’ora.
«Oh!» Rose Weasley ci sorrise. Il suo sguardo indugiò su Jeanie e su di me. Ebbi l’impressione che si di me si fosse fermata un attimo in più. «Ne sarei felice, se non avete altri impegni!»
«Non ti avremmo invitata» rispose Chelsea con un sorriso. Scosse Jeanie. «Vero?»
«Spero di riuscire a venire. Mi sto esercitando con le fatture e ultimamente ho un po’ da fare. Sono impegnative.»
Chelsea rise. «Basta che non ci provi su di me…»
«Non giurarci.»
Cadde il silenzio. Un istante dopo la Weasley riprese a parlare. «Che ne dite di entrare in Sala Grande?»
«Buona idea.» Chelsea lasciò me e Jeanie.
La libertà era una sensazione strana. Probabilmente da quel momento in avanti l’avrei associata a un braccio formicolante.
«Noi andiamo al tavolo.» Chelsea agirò la mano verso di noi e Rose Weasley la imitò. «Ciao ciao!»
Io e Jeanie le guardammo allontanarsi. Chelsea e Rose continuavano a parlare e a sorridere. Mi arrischiai a guardare verso Jeanie.
Rabbrividii. Il suo viso era una maschera. Il che era un pessimo segno. Se avesse potuto avrebbe spruzzato pus di Bubotubero da tutti i pori.
«Ho trovato la cavia volontaria per le mie fatture, Serena.»
Non credevo che il concetto di “cavia” e quello di “volontaria” fossero intercambiabili, ma era meglio non farlo notare.
Lasciai che Jeanie andasse al tavolo di Corvonero e io mi avviai verso quello di Tassorosso. Individuai un posto vuoto di fianco a Edward Cunningham. Meglio che nulla. Mi feci largo tra la folla di persone. Poi qualcosa picchiettò la mia spalla. Mi voltai.
Inorridii. A venti centimetri da me c’era Albus Potter.
Rimasi gelata in mezzo alla folla. La gente mi passò accanto come si passa accanto a un palo in mezzo alla strada.
Che cazzo vuole Potter serpe?
Subito mi ritornò in mente il senso di colpa di quella mattina.
«Ehi» mormorò Potter. Il suo viso chiaro si colorò appena. «Tutto ok?»
Mi imposi di restare calma. Ignorai cuore in gola, nervosismo e qualsiasi altra sensazione che non fosse la stoica calma. Praticamente ignorai tutto.
«Sì…» mormorai. «Sì, è ok.»
«Bene.»
La folla attorno a noi iniziò a ridursi. Di quel passo saremo stati gli unici a restare lì in piedi. Alzai un dito e indicai il mio tavolo. «Senti… Dovrei andare. O tutti i posti saranno occupati. Perciò…»
«Ci metto un secondo» disse in un soffio Potter. Prese un respiro profondo. «Volevo solo chiedere se volevi venire a Hogsmeade con me la prossima settimana visto che ci vanno tutti così potevo anche farmi perdonare quello che è successo la volta scorsa e ho anche chiesto scusa alla tua amica e ha detto che va bene così e quindi magari possiamo anche fare pace.»
Rimasi pietrificata. Sbattei le palpebre, sbigottita.
Non sapevo che i giocatori di Quidditch avessero un fiato simile.
Ma la prospettiva era agghiacciante. Puro terrore. Un’uscita con Albus Potter. Da soli. La cosa era terribilmente simile a un appuntamento. E non avevo mai avuto un appuntamento prima! Perché la prima volta doveva essere con Albus Potter? Ripensai a Chelsea e a Rose.
«Sono già invitata… Da Chelsea e Rose.»
«Oh.» Le spalle di Potter crollarono. «Quindi niente?»
Poverino. Mi sentivo crudele. Non volevo dargli false speranze, però.
Il senso di colpa ricominciò a stringermi lo stomaco. Cosa dovevo fare? Rifiutare seccamente e spingerlo a rinunciare o illuderlo e fare qualcosa che non mi sentivo assolutamente di fare?
 «Ti piace la Sachertorte?»
Albus Potter tentennò. «Non saprei… Cioè, direi di sì… In genere.»
«Mh.» Dondolai da un piede all’altro. «Allora… Ci penso. Te lo dico nei prossimi giorni. Ok?»
«Ok…»
Restammo ancora lì qualche secondo. Ormai erano quasi tutti seduti. Albus Potter di scatto si girò e corse al tavolo di Serpeverde.
Lo imitai e andai a sedermi a Tassorosso.

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Capitolo 25
*** Dove si scopre che dubitare di Jeanie Joy è sempre male perché lei ha sempre ragione, e quando ha torto allora ha ragione ad avere torto. ***


Dove si scopre che dubitare di Jeanie Joy è sempre male perché lei ha sempre ragione, e quando ha torto allora ha ragione ad avere torto.
 


«Non ne voglio sapere assolutamente niente
«Avanti, Jeanie Joy!» Mi aggrappai alla manica del suo maglione e la guardai con occhi imploranti. «Sono sicura, anzi sicurissima, che tu ne sai qualcosa. O che se ti informassi riusciresti a saperne di più!»
«Certo che ne so qualcosa.» Con uno strattone Jeanie liberò il braccio dalla mia presa. «E so che questa è un’emerita sciocchezza.»
Chelsea si mise in bocca un Mikado. «Si dice cazzata, Jeanie.»
Jeanie sbuffò e spinse gli occhiali fino alla base del naso.
«E tu, Chelsea?» Mi voltai verso di lei. Lo sgranocchio dei Mikado mi fece venire l’acquolina in bocca. Allungai la mano e ne presi uno. «Tu cosa ne pensi?»
«Penso…» Chelsea rosicchiò il bastoncino come un criceto finché non sparì completamente fra le sue labbra carnose. «Penso… Che bisognerebbe controllare.»
Repressi un brivido.
«Dammi retta, Serena» fece Jeanie. «Lascia perdere queste… Cazzate. Non ci credo che tutte le notti i Serpeverde vanno a pomiciare sulla torre di Astronomia. È ridicolo. È una voce. E poi, perché proprio i Serpeverde? I Grifondoro non pomiciano mai?»
Corrugai la fronte e strinsi i pugni. «Ma se le voci girano un motivo ci sarà! O no?»
«Sì, certo.» Jeanie alzò gli occhi al cielo. «Come la voce dei festini alcolici e cannaioli a Serpeverde, la voce delle fughe di massa verso le discoteche babbane e la voce che la grandezza dei Patroni è pari alla grandezza dell’organo riproduttivo maschile.»
«L’albatros di Potter…» canticchiò Chelsea.
Una vampata di calore mi investì il viso. «Adesso la smetterete di prendermi in giro. Ho le prove.»
E avrebbero smesso per davvero. Aprii la zip della mia borsa gonfia e ne estrassi un plico di fogli spesso una mano, rilegato ad anelli.
Eccolo, il tesoro aureo, la Bibbia di tutte le fangirl, la dipendenza fatta carta per noi! Lo alzai trionfante verso il soffitto.
«Naaa zivegnaaa
Jeanie nascose il viso tra le mani e la treccia bionda si scosse. «No, ti prego, il Re Leone no!»
Chelsea fissò il mio tesoro. Tirò fuori dalla scatola una manciata di Mikado e se li ficcò tutti in bocca. Iniziò a masticarli. Il rumore delle sue mascelle che frantumavano era perfettamente udibile.
Attesi, i fogli ancora sollevati verso il soffitto.
Chelsea deglutì. «Uhm, Serena? Se doveva succedere qualcosa mi sa che non è successo.»
Le braccia iniziarono a formicolarmi. Le tirai giù. «Ecco» dissi. «Ragazze, prima o poi lo dovevate incontrare. Vi presento Il Catalogo.»
«Oh, quello delle fanfiction?» esclamò Chelsea. Tese le mani e glielo consegnai.
«Attenta a non sporcarlo di cioccolato.»
«Sì, sì…» Chelsea lo sfogliò. La sua espressione si fece scura. «Cazzo, è in italiano. Non ci capisco una mazza.»
Raddrizzai la schiena e sporsi in fuori il petto, orgogliosa. «Sono cose per pochi Eletti. Bisogna essere dei Prescelti per accedere a questa Bibbia sacra…»
Jeanie emise un suono tra la risata e lo sbuffo. Gettò la treccia dietro la spalla. «Prescelti, eh? Attenta, non sia mai che tu ne trovi uno…»
Unii le dita a forma di x. «Impossibile. Fuori questione. Sono l’unica italiana, qui.»
Chelsea sbuffò e mi tese Il Catalogo. «Riprenditelo. È inutile.»
«Siete delle profane, è per questo che non capite.» Ripresi il plico di fogli con entrambe le mani.
Chelsea capovolse la confezione di Mikado. Le briciole rotolarono fuori e ticchettarono sul pavimento. «In ogni caso non capisco cosa c’entri il tuo Catalogo con noi.»
«Eretiche. Voi siete delle eretiche.» Strinsi al petto il Catalogo. La plastica liscia della prima pagina aderì contro le mie dita. «In qualsiasi fanfiction che si rispetti le coppie tubano come piccioni. Quindi significa che succede veramente. Le coppie tubano. La torre è un posto appartato. Le coppie tubano nella torre. Semplice, vero? E io ho bisogno di verificare se questa voce è vera.»
Jeanie posò le mani sui fianchi e mi rivolse uno sguardo severo. «Guarda che non siamo mica in una fanfiction, noi. Siamo a scuola. O per caso vuoi fare ciao ciao ai tuoi fan?»
«Oh, se potessi lo farei!» Strinsi il Catalogo con ancora più forza. Mi vedevo già immersa in mondi da fiaba, alle prese con balli, vestiti luccicanti, corteggiatori strafighi, baldracche che cercavano di portarmi via l’amore della mia vita ma che non l’avrebbero avuta vinta… «Alzerei la mano» ed effettivamente alzai la mano, «e saluterei tutti…» Salutai il soffitto.
La risata amara di Jeanie mi riscosse. «Lascia perdere. Dammi retta.»
«Però Serena ha ragione.» Chelsea staccò le linguette di cartone dalla scatola. Aveva il broncio. «Questa scuola è noiosa. In qualche modo gli studenti dovranno pur divertirsi, no?»
«Di notte, sulla torre di Astronomia» precisai.
«Chissà com’è quando non c’è lezione…»
«Ci saranno le coppiette. E dobbiamo raccogliere informazioni.»
«Giusto. Dobbiamo andare a vedere.» Chelsea piegò il cartone della scatola e sbuffò col naso.
Un momento. Qualcosa non tornava. «Dobbiamo raccogliere informazioni.»
«Dobbiamo andare a vedere.»
Andare a vedere? Di notte? «Oh, no, Chelsea, non se ne parla. Non possiamo andare di notte se non c’è lezione. Ci scopriranno. E ci beccheremo una punizione!»
«Figurati! Non è la prima volta che esco di notte, Serena. Non mi fare ridere! Se ci vanno davvero le coppiette, di cosa devi avere paura tu?»
«Ma io non voglio una punizione!» Rivolsi uno sguardo implorante a Jeanie. Lei sfoggiò un sorrisetto di superiorità. Si tirò via gli occhiali e li pulì con una manica.
«Non guardare me, ti sei cacciata tu in questo pasticcio.»
No, no, no. Tornai a guardare Chelsea. «Ti prego…»
La mia opera di persuasione ebbe lo stesso effetto sia su Chelsea che su Jeanie: un fiasco completo. Chelsea giurò che avrebbe cantato tutta la notte di fronte all’ingresso di Tassorosso se non mi fossi presentata all’appuntamento. Fino a sfasciarsi le corde vocali, se necessario.
Era testarda, lo sapevo. E quel che era peggio, era anche abbastanza pazza per farlo davvero. Jeanie disse solo che lei non voleva avere nulla a che fare con questa storia e ci augurò buon divertimento.
Fu così che alle undici di sera io e Chelsea ci trovammo in cima alla torre di Astronomia.
L’aria fredda della sera mi gelava la pelle. Un soffio di vento mi scompigliò i capelli e mi fece rabbrividire.
«Altro che coppiette» mormorai, «questo è il posto perfetto per prendersi un raffreddore.»
«Non si vedono nemmeno le stelle, è tutto nuvoloso.»
Forse avrei dovuto dare meno ascolto alle voci. Pomiciare in un posto così freddo non aveva molto senso. Di fianco a me, Chelsea starnutì.
Un altro soffio di vento fece ondeggiare le nostre gonne e il freddo mi pizzicò le gambe. La punta del naso iniziò a farmi male. «Che dici, rientriamo?»
«Meglio.»
Tornammo al chiuso e serrammo la porta. La lunga scalinata si stendeva davanti a noi. Mi attendeva un triste ritorno a Tassorosso. Sospirai e mi sedetti su un gradino. Chelsea mi imitò.
«Ci sei rimasta male?»
«Un po’» confessai. Mi grattai la punta del naso. Era fredda ma non aveva perso sensibilità.
Chelsea allungò le gambe grasse e poggiò i talloni sugli scalini più in basso. Dondolò i piedi. «A Grifondoro, in Sala Comune, ci sono spesso coppie che si danno da fare sulle poltrone. Niente più di qualche limonata, però.»
Ripensai a una coppia sdraiata su un divanetto nero e giallo, abbracciata e intenta a baciarsi. Ricordai di aver intravisto la lingua guizzare tra le labbra dei due. «Anche a Tassorosso, direi.»
Chelsea continuò a dondolare i piedi.
Mi venne in mente l’invito ricevuto da Albus Potter ad Halloween. Anche lui intendeva arrivare a quel punto lì, prima o poi? Mi si strinse lo stomaco.
Non era quello che volevo. Non ora. E se a Hogsmeade ci avesse provato? Avrei avuto paura? Lui si sarebbe offeso se avessi rifiutato? Non mi avrebbe più rivolto la parola? E anche Rose Weasley si sarebbe rifiutata di parlare con me?
Nascosi la testa tra le ginocchia.
«Sai…» sussurrai. Nella penombra delle scale, la testa nascosta, vedevo solo il buio. Il nero. Ascoltai il mio respiro uscire dal naso. «Hai… Hai presente Halloween?»
«Certo. Perché?»
Ascoltai ancora il mio respiro. Raggomitolata su me stessa era più semplice pensare con calma. O almeno così sembrava. Ricordai il viso teso di Potter serpe. «Ecco… Dopo che hai invitato la Weasley a uscire con noi. Prima di sederci ai tavoli, Albus Potter ha invitato me.»
Sentii un pigolio acuto e alzai la testa. Chelsea si copriva la bocca con le mani. Tremava, forse per trattenere le risatine.
Lo trovava divertente, lei. Rimisi la testa fra le ginocchia e abbracciai le gambe. La gonna scivolò e lasciò scoperta parte della mia gamba, ma non me ne importava.
«Ti ha invitata a uscire!» squittì Chelsea.
«Sì» risposi. «E non sai quanta ansia mi fa venire.»
«Non devi essere ansiosa!»
 Alzai la testa e mormorai: «Abbassa la voce, o ci sentiranno…»
«Scusa… È che… Uao! Non avrei pensato che si sarebbe fatto avanti così! E dire che l’avevo giudicato un tipo timido!»
Timido? Fissai Chelsea. Se il suo sorriso e il suo tremito erano il segnale di emozioni positive, il mio stomaco stretto mi rimandava solo a emozioni negative. «Non voglio che questo sia un appuntamento. La verità è che Potter non mi piace… Non in quel senso.»
Chelsea agitò una mano con aria noncurante. «Ma tu non devi pensare che sia un appuntamento, scherzi? Devi uscire e pensare a divertirti. Se andate d’accordo, bene, se non andate d’accordo, pazienza. Non è che lo devi sposare, eh.»
«Vero» risposi. Iniziavo ad avere freddo alle gambe, gli scalini di pietra erano troppo duri e gelati. «Però sarebbe un po’ come… Come… Un dire addio. Definitivo. A Scorpius Malfoy.»
Chelsea corrugò le sopracciglia. «Non ho capito.»
«Sarebbe come ammettere che devo guardare da un’altra parte. Perché con Scorpius non ho speranze. Già so che è così, ma non fa nulla. È che… Sarebbe un po’ peggio…»
Chelsea si grattò il mento. Per qualche secondo si sentì solo silenzio. Le scale, immobili, erano illuminate dallo spiraglio della porta della torre e il rosso fiammeggiante delle torce faceva danzare le ombre sui muri.
«Senti» fece Chelsea. Il suo sussurro sembrò rimbombare nel silenzio delle scale. «Non devi uscire con lui perché ti senti obbligata o perché dovete per forza mettervi insieme. Quindi, ammettendo anche il caso che le cose tra te e Scorpius cambino, non è che saresti obbligata a metterti con Potter solo perché siete usciti una volta. Uscite in amicizia. Non hai problemi a uscire con me e Jeanie, perché dovresti averne con lui?»
«E se…» un nodo mi strinse la gola e io abbracciai con più forza le mie gambe. «E se cercasse di… Di… Di farmi fare qualcosa che non voglio? Tipo…» deglutii. «… di baciarmi?»
Il braccio di Chelsea mi cinse le spalle. «Quanti problemi che ti fai… Se vuoi lo baci, se non vuoi ti tiri indietro e dici di no. E se si offende significa che non è in grado di rispettare i tuoi tempi. Fine.»
Non ero del tutto convinta. Sollevai la testa e appoggiai il mento sulle ginocchia. Forse avrei dovuto parlarne anche con Jeanie.
Chelsea strinse le spalle. «Torniamo?»
Annuii e mi alzai in piedi. Chelsea fece la stessa cosa. Tese il piede per scendere lo scalino.
Lo mancò.
Un urlo acuto mi esplose nelle orecchie e sotto i miei occhi Chelsea cadde dalle scale e scivolò di sotto. Rimasi a fissarla inorridita e solo quando arrivò a metà scala ripresi il controllo di me. Le corsi dietro, il cuore che mi batteva all’impazzata e le scarpe che ticchettavano contro i gradini di pietra.
Chelsea si fermò sul pavimento e la raggiunsi. Mi chinai su di lei, il fiato mozzo. Le mie ginocchia sfregarono contro la dura pietra del pavimento.
«Chelsea!» sussurrai. Posai una mano sulla sua spalla e lei gemette. «Oddio… Stai bene? Sei viva? Chel-»
«Sh!»
Restai ammutolita, a bocca ancora spalancata. Chelsea si contorse e io ritrassi le mani.
Nel silenzio udii uno scalpiccio.
Imprecai in italiano. «Porca troia
Chelsea si puntellò sui gomiti e si tirò su. «Dobbiamo andare… O i professori ci beccheranno!»
L’afferrai per un braccio e l’aiutai a tirarsi in piedi. Si appoggiò a me e il suo peso mi fece barcollare. «Dai, veloce…»
In quel momento un bagliore entrò nel mio campo visivo e strinsi gli occhi. «Che…»
Il rumore dei passi fece aumentare i battiti del mio cuore. La figura luminosa avanzava quatta verso di noi. Il muso appuntito, quasi rasoterra, si alzò appena verso di me. Era una volpe.
Mi morsi il labbro. Tirai la manica a Chelsea e le indicai il Patronus. Chelsea spalancò la bocca e si fregò gli occhi, incredula.
«Benedetta ragazza!» sussurrò. «Ci aiuta!»
La volpe di Jeanie ci diede le spalle e con un guizzo della coda argentata scomparve dietro un angolo. La seguimmo in punta di piedi, girammo l’angolo e scoprimmo che ci aveva aspettate.
Lo scalpiccio però si fece più vicino.
Spinsi Chelsea avanti, ormai incurante del rumore dei nostri passi.
«Aspetta!» Chelsea si fermò. «C’è un passaggio segreto qui! La volpe sta andando verso le scale, è più probabile che ci vedano lì, non…»
«Abbi fede!» mormorai in un soffio.
Per tutta risposta le sue dita mi strinsero il polso e mi strattonò verso l’arazzo. Una fitta di dolore mi attraversò il braccio.
Chelsea scostò l’arazzo.
«Aha!»
L’urlo mi fece sobbalzare e il cuore mi balzò in gola. Davanti a noi Longbottom, la bacchetta illuminata, ci guardava con la fronte corrugata.
«Shields, Latini! Dieci punti in meno a Grifondoro e dieci punti in meno a Tassorosso!»
Col cuore pulsante, ancora in gola, il respiro veloce e ansimante, fissai Longbottom. Mi sentivo inebetita. Mi accorsi di tremare.
Game over. Ci aveva scoperte.
«E punizione, anche. E sarà meglio che filiate nei vostri dormitori se non volete che le cose peggiorino.»
Peggiorare? La vedevo dura.

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Capitolo 26
*** Dove in otto battute (contate!) si bruciano tutte le speranze di Serena Latini. Sì, l’acidità dei Serpeverde ogni tanto ha di questi effetti collaterali. ***


Dove in otto battute (contate!) si bruciano tutte le speranze di Serena Latini. Sì, l’acidità dei Serpeverde ogni tanto ha di questi effetti collaterali.


 
Paciock poteva anche essere un professore buono e comprensivo, ma un giretto notturno era una cosa grave per gli standard di Hogwarts. Neppure lui era così tollerante. E neanche così scemo da non capire che dare a me e a Chelsea il medesimo castigo stato come farci un favore.
Accettai la punizione, rassegnata. Sapevo che era meritata. Quando seppi che Paciock aveva bisogno di aiuto per potare alcune piante tirai un sospiro di sollievo. Dopotutto, pensai, me l’ero cavata a buon mercato.
Uscii dal castello con la sciarpa ben avvolta intorno alla gola. La strada da fare verso le serre era poca ma faceva comunque un freddo cane. L’aria mi pizzicava le narici e le guance. Il cielo era grigio. Magari entro poco avrebbe nevicato.
L’unica consolazione era che dentro le serre faceva più caldo. Afferrai la maniglia gelata e un brivido risalì dal braccio e si diffuse in tutto il corpo. No, dentro avrebbe fatto di certo più caldo, quindi forza e coraggio. Girai la maniglia ed entrai.
Scorpius e Rosemary e si girarono verso di me.
Rimasi inebetita, in piedi oltre la soglia. Li fissai.
In mezzo al verde delle piante le loro figure grigie e nere, in contrasto, spiccavano. Scorpius era in piedi, vicinissimo a Rosemary. Il suo sguardo si spostò da Rosemary a me, e poi di nuovo verso Rosemary.
«Che ci fai qui?» sibilò Rosemary. Da brava Serpeverde non poteva che sibilare e sputare veleno ad ogni parola.
La mia bocca si seccò all’improvviso. Fissai Scorpius, allibita. Incontrò il mio sguardo e le sue guance pallide si fecero rosate.
Afferrai il capo della mia sciarpa e lo strinsi finché non ebbi l’impressione che le mie dita stessero affondando nella lana.
«Be’? Ti hanno tagliato la lingua o non capisci l’inglese?»
La voce mi uscì roca: «Sono… In punizione. Con Paciock. Qui.»
Scorpius Malfoy socchiuse gli occhi e si scostò da Rosemary. «Allora tolgo il disturbo, sono di troppo.»
«Ma no…» mormorai istintivamente. Poi colsi l’occhiata d’odio di Rosemary e mi gelai.
Scorpius si sistemò la sciarpa verde e argento e sogghignò all’indirizzo di Rosemary. «Buona punizione allora, fanciulla.»
Avvampai. Anche Rosemary Higgs era in punizione? E perché allora Scorpius era lì con noi?
Aveva accompagnato Rosemary?
Mi sentii piena di vergogna. Quando Scorpius passò accanto a me per uscire mi sentii come attraversare da una scarica elettrica. La porta di chiuse dietro di me e io rimasi immobile, pietrificata, a guardare Rosemary in mezzo alle piante. Mi sembrava di avere le gambe di piombo. Lasciai la sciarpa, ma immediatamente sentii di nuovo il bisogno di stringerla.
Rosemary mi scoccò un’altra occhiataccia. «Puoi anche evitare di guardarlo in quella maniera, sai? Se sei una morta di fame vai a mendicare da un’altra parte.»
Cercai di deglutire. Difficile, quando non si ha salivazione. «Voi… Quindi state…»
Rosemary scosse i lunghi capelli biondi. «Non ho bisogno che tu ti metta tra di noi. Quindi vedi di girare al largo, Tassorosso.»
Lasciai la sciarpa. L’estremità gialla e nera dondolò per qualche secondo e poi si fermò.
Abbassai gli occhi sul pavimento.
La porta dietro di me si aprì e un soffio di aria gelata mi investì la schiena. Mi voltai e vidi il professor Paciock.
«Oh, buongiorno! Benissimo, siete già qui entrambe!»
Mi accennò un sorriso. Io stirai le labbra e cercai di imitarlo. Mi scostai e scoprii di avere le gambe ancora rigide.
«Allora, ci sarebbero le orchidee da sistemare. Dobbiamo applicare del disinfettante sulle foglie.»
Forse non me l’ero cavata così a buon mercato quanto credevo.

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Capitolo 27
*** Dove Chelsea, a Wanna Marchi, fa mangiare la polvere. ***


Dove Chelsea, a Wanna Marchi, fa mangiare la polvere.



Dormii male, molto male.
Abbracciata al cuscino, mi chiesi mille volte perché mi fosse toccato di vedere Scorpius Malfoy insieme a Rosemary Higgs.
Be’, come nelle migliori fanfiction, lei non era una rivale qualsiasi. Era una bella ragazza. Oggettivamente era proprio una bella ragazza, degna di Malfoy, che non poteva che avere un impeccabile buongusto. Ero io ad essere una sfigata. Strinsi con più forza il cuscino, la mia guancia appiccicata al tessuto fresco. Peccato che Rosemary non fosse una baldracca, non potevo nemmeno insultarla nei corridoi.
Anche se conoscendomi non sarei riuscita a insultarla neanche se fosse stata la Cicciolina di Hogwarts.
E dopo quest’ennesima conferma che Scorpius Malfoy mi piaceva, con che coraggio potevo uscire con Albus Potter e fare finta di niente?
Il giorno dopo, rintanate in un’aula vuota, raccontai tutto a Chelsea e a Jeanie.
«Rassegnati, non hai speranze» concluse Jeanie. «Non ci pensare più.»
Mi agitai sulla sedia e iniziai a giocare col bordo della gonna. «Non mi sento neanche in animo di uscire con Potter. Non riuscirei a divertirmi.»
«Questa è un’idea tua» replicò Chelsea. «Il modo migliore per affrontare una delusione è allargare gli orizzonti…»
«La vecchiaia ti fa saggia?» fece Jeanie con un sorrisetto.
«No, è la fame. Spero che Serena mi dia un Kinder
Alzai le spalle, aprii la borsa e le diedi due Kinder Cereali.
Jeanie si sporse verso di me. I suoi occhi azzurri, dietro le lenti spesse, sembravano enormi. «Fregatene di quello che pensa Potter. Tu esci per te stessa, non per fare un piacere a lui. Fatti anche offrire qualcosa, già che ci sei, dopotutto ti ha invitata lui.»
Chelsea scartocciò il Kinder e lo addentò. «Buono… Oh, Jeanie, sei insensibile. Proprio ignorare così i sentimenti altrui mi sembra brutto.»
«A tener conto di tutti si finisce per non accontentare nessuno.» Jeanie tamburellò le dita sul banco. «E tu per prima dovresti tenere la bocca chiusa. Primo, è disgustoso vedere il cibo masticato. Secondo, sarò costretta a venire a Hogsmeade con voi per la tua bella fissa del socializzare e stare insieme e bla bla bla.»
«Cazzo Jeanie, prendila con più tranquillità…»
«La prenderò con più tranquillità quando imparerai a farti i fatti tuoi.»
Chelsea alzò gli occhi al cielo. «Sei un’asociale. Vabbé… Io ho qualcosa da mostrare a Serena, magari la tirerà su di morale.»
Le mie orecchie captarono le parole su di morale. Povera Chelsea, si dava pena per me. Mi sforzai di sorridere. «Cosa?»
Chelsea gonfiò il petto e indicò una pergamena arrotolata che spuntava dalla sua borsa.
Jeanie si sistemò gli occhiali. «Cos’è? Fai vedere.»
«Curiose, eh?» Chelsea srotolò la pergamena. Davanti a noi apparve un disegno. Mi sporsi per guardarlo meglio.
Rappresentava diversi cerchi concentrici con molti segni e linee colorate. Non riuscii a capirne il significato. Mi grattai la punta del naso. «Ehm… Carino. L’hai fatto tu?»
«Sì.» Chelsea si raddrizzò e si posò una mano sul petto. «Il mio traboccante talento astrologico, affinato dalle lezioni di Divinazione, mi ha permesso di compilare questo. È il tuo tema natale, Serena, e c’è anche l’oroscopo del tuo fine settimana.»
«Oh» borbottò Jeanie. Si ritrasse e incrociò le braccia. «Roba inutile.»
«Ignoriamola, Serena. Quella è acidità da menopausa.»
Mi scappò un sorriso. Jeanie sbuffò. «In effetti se vuoi tirarla su di morale questo modo va benone… È una cosa talmente ridicola che può solo far ridere.»
«Velenosa come una serpe.»
Jeanie sogghignò. «Su questo forse ci hai preso… Il Cappello Parlante era indeciso se mandarmi a Serpeverde o a Corvonero.»
«Non fatico a crederlo.» Chelsea arricciò il naso. Tornò a guardare il grafico. «Serena?»
«Sì» scattai.
Osservai il grafico. Sembrava molto complicato. Mi chiesi quanto tempo avesse impiegato per compilarlo e interpretarlo. Sentii una stretta al cuore: era un pensiero davvero dolce e commovente.
Chelsea puntò il dito sul grafico. «Ecco, questa linea e questo simbolo indicano il tuo segno zodiacale, e quest’altro il tuo ascendente. Sei Vergine ascendente Scorpione.»
Il poco che capivo di segni zodiacali mi fece pensare a me stessa come a una piaga ambulante: pignola, timida e puntigliosa come la Vergine e diffidente, orgogliosa e capricciosa come una Scorpione.
«Significa» proseguì Chelsea, «che sei una persona chiusa. Né la Vergine né lo Scorpione sono portati a parlare di sé, a meno che qualche pianeta non influenzi il contrario.»
Jeanie accavallò le gambe, le braccia ancora incrociate. «Quindi l’oroscopo prevede veleno in quantità industriali e asocialità? Serena, prima ha dato dell’asociale a me, e ora lo sta dicendo a te…»
Sorrisi debolmente. In realtà non riuscivo a dar torto a Chelsea, non è che mi circondassi abitualmente di una corte di amici e che mi confidassi con chiunque.
«Inoltre hai Venere in Leone, e sempre Venere in nona casa. Quindi in amore sei orgogliosa e altezzosa, tendi a idealizzare la persona che ami e tuttavia sei capace di provare grande amore. Però Marte in Vergine ti porta ad essere pignola e a impuntarti sulle questioni di principio.»
Mi chiesi come Chelsea potesse leggere tutto questo in quel grafico. Non avrei saputo dire se ci stava azzeccando o no, visti i miei disastri sentimentali.
«Nona casa in Leone, poi, indica viaggi frequenti. Sempre in nona casa il Sole, dunque realizzazione all’estero e talento per le lingue straniere. La seconda casa in Sagittario indica che i guadagni provengono dall’estero. La terza casa in Acquario indica viaggi lontani.»
Quindi dovevo rassegnarmi: Gran Bretagna per sempre. Se non peggio. Ricordai Paciock e il dialogo che avevamo avuto in infermeria. Potresti prendere in considerazione un impiego al Ministero della Magia, no? Per le relazioni internazionali… Traduttori e mediatori culturali. È una possibilità, o no?
Certo che Divinazione sapeva essere una materia terrificante.
«In settima casa invece hai Toro, il che indica un matrimonio stabile, ma Ariete nella quinta casa indica corteggiamenti impegnativi e affetti imprevedibili.» Chelsea alzò lo sguardo e mi fissò. «Commenti?»
Sorrisi, ma strinsi con forza l’orlo della gonna. «Niente da dire.»
«E allora come ultima chicca ho per te l’oroscopo del fine settimana.» Chelsea puntò l’indice contro di me. «Esci con Potter, dimentica Malfoy e smetti di farti problemi, Vergine ascendente Scorpione!»
Ebbi una visione di me stessa come una virginea apparizione, circondata da un alone di luce, solo che da sotto l’abito morbido e bianco spuntava la coda di uno scorpione nero. Rabbrividii. «Chelsea… Ti prego, ‘ste cose poi me le sogno la notte.»
«Ti sogni Potter di notte?»
Il mio viso iniziò a bollire e boccheggiai. Strinsi ancora il bordo della gonna e la stoffa mi si impresse nei palmi. «No… Non sogno Potter di notte. E neanche di giorno.»
Chelsea alzò il dito indice e lo sventolò sotto il mio naso. «Male, male! Altezzosa in amore! Devi correggere i tuoi standard!»
«Morale della favola» intervenne Jeanie, «fai quel che ti pare. Quelle sono baggianate.»
Guardai Jeanie. Le labbra tenute ben strette e il dondolio nervoso della gamba la facevano sembrare imbronciata.
«Non pensare di scamparla, tu» scattò Chelsea. «Farò pure il tuo, di tema natale!»
«Ti aspetto al varco» sussurrò Jeanie. Strinse gli occhi e sulle sue labbra comparve un sorriso di sfida.
«Aspettami, aspettami. Comunque» Chelsea tornò a rivolgersi a me, «dammi retta. Prova a uscire con Potter. Tanto per provare. In amicizia. Che ti costa?»
Ripensai all’espressione delusa di Potter serpe in Sala Grande, la sera di Halloween.
E alla sfuriata dopo Pozioni. Insomma, era stata una sfuriata mite, ma per i miei canoni era stato uno sfogo tremendo.
E alla fin fine Potter aveva detto che la Sachertorte gli piaceva.
«Vabbé… Allora…»
Chelsea sbatté le ciglia e mi guardò piena di speranza. «Allora?»
 
 
Nota dell’autrice: se a qualcuno venisse in mente di obiettare la parentesi astrologica, ecco qui il tema natale di Serena. http://astro.oroscopi.com/cgi-bin/astro/page02?name=&firstname=&birthplace=Torino&lang=it&dformat=1&date=2/9/2006&time=13:32&country=39&state=0&adjust=-2.00&long=-7.42&lat=45.04 Ho ipotizzato come data di nascita il 2 settembre 2006.
E voi, di che segno siete? :)

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Capitolo 28
*** Dove ci si imbarazza tanto, troppo, e troppo a lungo. Parte 1. ***


Dove ci si imbarazza tanto, troppo, e troppo a lungo. Parte 1.



«Se ti va possiamo, tipo… Andare da Madama Piediburro. Se ti piace l’idea, neh.»
Lanciai un’occhiata di sbieco ad Albus Potter. Il suo viso era arrossato, non sapevo dire se per il freddo o per l’imbarazzo. Gli occhi erano fissi a terra. Mi affrettai a guardare anche io il marciapiede grigio e tirai su la sciarpa per affondarci fino al naso.
«Madama Piediburro.» La sala da tè delle coppiette, quindi. Certo che Potter serpe non ci andava troppo per il sottile. Potevo rifiutare, ma ero in grado di proporre un’alternativa decente? Ovvio che no. Però l’idea di rinchiudermi in un locale per coppie mi sembrava imbarazzante all’ennesima potenza. Quindi che fare?
Risposta evasiva, Serena, risposta evasiva. «Non ci sono mai stata.»
«E ci vorresti andare?»
Il freddo mi pungeva le narici anche attraverso la lana della sciarpa, ma questo non mi impedì di sentire le mie guance farsi calde.
Risposta istintiva: e che diamine ti devo dire? Che non vedo l’ora?
Feci un respiro profondo. Le mie vie respiratorie si congelarono. Al diavolo le temperature artiche.
Risposta che diedi: «Non posso sapere se mi piace, se non ci sono mai stata.»
«Ah.» Potter serpe si grattò la nuca. «Be’, è normale… Intendo dire, se non ci sei stata… Non lo puoi sapere, no. Certo che no.»
Potter doveva trovare il marciapiede molto interessante a giudicare da come lo fissava. Forse poteva invitare i sassi a uscire con lui.
Arrivammo al locale e ci fermammo davanti alla porta. Con la faccia ancora nascosta dalla sciarpa sbirciai la finestra. Era piccola e coperta da tendine bianche di pizzo e non si vedeva l’interno. L’unica cosa che trapelava senza possibilità di equivoco era una luce calda che invitava ad entrare. Mi dondolai da un piede all’altro e guardai Potter serpe. Lui arrossì ancora. Sentii che a me stava accadendo lo stesso.
Potter aprì la bocca, esitante, e chiese: «Quindi… Cosa facciamo?»
Uomo senza nervi. Dovevo decidere io? Mi strinsi nelle spalle. «Siamo qui…»
Potter annuì e spinse la porta. Mi accodai dietro di lui ed entrammo.
Il locale era davvero caldo. Tirai fuori il viso dalla sciarpa e un profumo di dolci sfornati e tè caldo mi invase le narici. La sala era ampia, piena di tavolini piccoli e bianchi e distanziati fra loro, rigorosamente con due sedie ciascuno. Un allegro chiacchiericcio animava il locale.
«Dove ti vuoi sedere?»
Mi guardai intorno. Molti tavolini erano occupati. Un paravento decorato con un motivo a fiori divideva un tavolino dal resto della sala e la luce faceva intravedere il profilo di una persona seduta.
Notai un tavolino in un angolo, vicino al muro. Mi sembrava riparato e protetto, anche se non so bene da cosa mi dovessi sentire protetta. Lo indicai. «Ehm… Là va bene?»
Potter annuì e si avviò verso il tavolino. Lo seguii. Passai fra i tavoli. Una ragazza con rossetto e smalto neri, ovviamente in compagnia di un ragazzo, mi sorrise e alzò la mano in segno di saluto.
Fui immediatamente certa di aver assunto un colorito scarlatto. «Ciao, Candice» mormorai in un soffio, e sgusciai via.
Le sedie grattarono contro il pavimento e io e Potter serpe ci sedemmo. Presi subito il menù e lo aprii per leggere l’elenco dei tè che servivano. Quando alzai gli occhi incrociai quelli di Potter serpe. Il mio stomaco fece un sobbalzo. Affondai il naso nel menù, intenzionata a non toglierlo di lì per la prossima mezz’ora.
«Hai già scelto?»
Deglutii. Scorsi la lista. «Non saprei… Per me i tè sono tutti uguali.»
«Ah. Ma no, non lo sono.»
Mi sentii una demente. Presi un respiro e un’altra volta il meraviglioso profumo dei dolci mi invase i polmoni. Forse avrei dovuto cercare di spiegarmi meglio.
«È che… Non capisco queste differenze fra tè, Potter. Voi inglesi avete mille tè e forse, esagerando, cinque sughi per la pasta. Semmai la normalità è il contrario. Cinque tè e mille sughi.»
Potter mi fissò. Il chiacchiericcio intorno a noi faceva da sfondo al nostro silenzio. Rimasi zitta anch’io. Le mie mani iniziarono a sudare. La lista cominciò a scivolarmi dalle dita.
Non avevo bisogno di sentirmi demente. Era evidente, lo ero davvero.
«Mi… Fai un favore?»
Strinsi con più forza la lista. «Se posso.»
«Ecco…» Lo sguardo di Potter serpe si spostò altrove. «Oddio, mi sembra parecchio stupido, in effetti lo è… È che vorrei poter… Come dire… Insomma, chiamami Albus. Non Potter. Io posso chiamarti solo Serena?»
Avvampai. Se non fosse stata plastificata, probabilmente la lista sarebbe andata a fuoco per il mio troppo calore. «Come preferisci…»
«Quindi Albus.»
«Ok.»
Mi sentivo un po’ come se, anziché aver detto posso chiamarti Serena avesse detto finché morte non ci separi. Il mio stomaco ormai era una poltiglia informe, le mie mani sembravano uscite da una sauna, e sulle mie guance si sarebbero potute cuocere le uova.
No, riflettei, seriamente, la cosa stava prendendo una piega ridicola. E che cavolo. Mi sentivo un’idiota.
Si avvicinò una donna robusta e sorridente, coi capelli raccolti e un taccuino. «Siete pronti a ordinare, ragazzi?»
Guardai Potter, indecisa. In realtà non avevo la più pallida idea di cosa ordinare.
«Prima tu.»
Grazie, Potter. Grazie davvero. «Ehm… Avete il tè alla menta?»
«Sicuro, tesoro.» La donna annotò l’ordine con uno svolazzo. «E tu?»
«Tè alla menta anch’io e una fetta di Sachertorte.»
«Va bene. Arrivano subito.»
Chiusi la lista e la posai. La feci scivolare sulla superficie, lentamente, fino a raggiungere il centro esatto del tavolino. Ritrassi le mani. «Hai preso anche il dolce?»
«Mi sembrava… Avevi detto che la Sachertorte ti piaceva.»
Strinsi di nascosto la stoffa dei jeans, sotto il tavolino. Si era ricordato, dunque. «Eh… Già.»
Potter tossicchiò. «Ehm… Serena. Ti trovi bene in Gran Bretagna?»
Alzai la testa di scatto e fissai Potter, che arrossì.
Mi stava chiedendo per davvero come mi trovavo in Gran Bretagna? Dopo sei anni a Hogwarts mi chiedeva come mi trovavo in Gran Bretagna?
Forse il gene Potter-Weasley era portatore di una qualche tara mentale.
Ad ogni modo una domanda di tanta rara intelligenza necessitava di una risposta di intelligenza non rara, ma unica. «Se avessi visto qualcosa della Gran Bretagna a parte King’s Cross e Hogwarts potrei risponderti. Purtroppo i miei orizzonti sono limitati.»
Uno a zero per Capitan Ovvio.
«Ah. Ok. Be’, hai ragione… E col mangiare?»
No, ma sul serio?
Lasciai la stoffa dei jeans. Potter ormai non mi guardava più. Aveva rinunciato al suo amore per il marciapiede in favore di quello per il tavolino. Sembrava rigido.
Povero ragazzo. Mi fece tenerezza. Come potevo infierire? «Fa venire il mal di stomaco.»
Non potevo infierire su Potter, ma sul cibo britannico sì.
Arrivò la nostra teiera e una gigantesca fetta di Sachertorte. Mi imposi di non guardare il dolce. Afferrai il manico caldo della teiera e versai nella tazza l’acqua bollente. Il profumo di menta si alzò ad ondate fino alle mie narici.
Potter, ancora rosso in viso, mi lanciò un’occhiata strana. Posai la teiera e arricciai il naso. Era un’occhiata maliziosa?
«Però la Sachertorte inglese va bene, o no?»
Ah, quindi era sarcasmo? James Potter docet?
«Solo se preparata con la ricetta originale austriaca. Altrimenti è tarocca.»
Mi pentii subito delle mie parole. Da quando ero così autoritaria e supponente? Sfiorai con noncuranza il mio maglione, all’altezza del petto, e sentii il cuore andare a mille.
No, così non andava per niente bene. Aggiunsi dello zucchero al tè e bevvi un sorso. Era bollente. Ebbi la sensazione che la lingua si raggrinzisse. Storsi le labbra e posai la tazza.
Potter prese un pezzo di torta con la forchettina e l’assaggiò. «A me sembra buona. Ne vuoi un po’?»
Spinse il piatto verso di me prima che io potessi rispondere. Alla fetta di torta mancava la punta. La crosta di cioccolato si era rotta lasciando poche briciole, quindi significava che era morbida e cremosa.
Tutta la saliva che ero in grado di produrre si riversò nella mia bocca. Mi costrinsi a tenere le labbra sigillate per non sbavare. Deglutii. Prendere un pezzo di torta dal suo piatto, però, mi sembrava un gesto troppo confidenziale. Anzi, intimo. Alzai lo sguardo verso Potter e scossi il capo.
«Sicura?»
Annuii. Non potevo deglutire ancora, altrimenti sarei sembrata un lama. Presi il tè e in una sorsata feci fuori mezza tazza. Al diavolo la temperatura.
Potter dondolò sulla sedia. Solo allora mi accorsi che anch’io stavo facendo lo stesso. Diavolo, mi stavo trasformando in un’ameba.
Iniziavo a seccarmi. Di che caspita si poteva parlare? Il cricetino nel mio cervello iniziò a correre sulla sua ruota, mettendo in moto gli ingranaggi. Più veloce, Gas Gas, più veloce.
«Cosa ti piace fare nel tempo libero?»
Cribbio, Gas Gas, come sei sveglio! Sembrava una frase preconfezionata dei manuali per imparare l’inglese. Mi vergognai un secondo dopo averla pronunciata.
Potter rigirò la forchettina tra le dita. «Non so… Uhm. Giocare a Quiddich. Mi piace molto, anche a casa ci gioco spesso. Avere tanti cugini in questo caso è un vantaggio.» Accennò un sorriso.
Certo, i cugini. Una banda di ficcanaso patentata. Non a caso le Orecchie Oblunghe erano un’invenzione dei Weasley. Stiracchiai i muscoli della faccia per sforzarmi di sorridere.
«A te invece cosa piace fare?»
La prima cosa che mi vennero in mente furono i My Little Pony. Immaginai Fluttershy raspare per terra con lo zoccolo, a testa bassa, rossa sul muso. Probabilmente era simile a me, visto che sotto al tavolo dondolavo il piede ed ero più concentrata sulla tazza bianca che su Potter.
A proposito, quale sarebbe stato il cutie mark di Potter?
Sussultai. Mi resi conto di essermi immersa nei miei pensieri e di aver esitato troppo.
«Ehm… Mi piace… Non saprei bene…» Sorrisi a mo’ di scusa e mi grattai la punta del naso. «Vediamo… Mi piace leggere, in italiano però, in inglese faccio più fatica… Poi mi piace… Stare con le amiche…»
Una vita piena di interessi. Se avessi potuto sparire inghiottita da un buco nero avrei voluto che accadesse.
Potter prese un altro boccone di torta. «Hai fratelli o sorelle? In Italia o a Hogwarts?»
Scossi il capo. «Sono figlia unica.»
«Sarà stato difficile stare a Hogwarts, allora.»
«Un po’» ammisi. Ricordai i primi giorni e mi venne spontaneo sorridere. «Però sono stata fortunata, ho conosciuto subito Chelsea. Mi ha aiutata tanto con l’inglese e ha avuto molta pazienza con me. Non sono molto sveglia, ci ho messo un po’ imparare la lingua.»
Potter rigirò un pezzo di torta nel piatto. «Ho capito.»
Cadde il silenzio. Mi versai dell’altro tè, tanto per ingannare l’attesa.
Un movimento alla mia destra attirò la mia attenzione. L’ombra dietro al paravento a fiori si mosse. La sagoma si alzò e sporse la testa.
Squittii per la sorpresa.
Era Edward Cunningham.
«Cosa c’è?» Potter si voltò per seguire il mio sguardo.
Cunningham si girò nella nostra direzione e ci vide. Si illuminò, sorrise e lasciò il paravento per dirigersi verso di noi. Il mio stomaco sobbalzò.
Principessa Celestia, se esisti, risparmiami questa figura di merda. Non toccherò più cioccolato per un mese…
Ma evidentemente Celestia o era sorda o era a dieta e riteneva la mia rinuncia per un mese una miseria rispetto al suo sforzo quotidiano.
Cunningham si fermò accanto al nostro tavolo e si aprì in un sorriso radioso. Troppo radioso.
Merda.
«Serena. Non immaginavo di trovarti qui.»
Mi schiarii la voce. «Neanche io.»
Cunningham si girò verso Potter, sorrise anche a lui e si passò una mano tra i capelli.
Se non fossi stata certa della sua eterosessualità avrei giurato che stesse cercando di sedurlo.
A ben pensarci non ne ero certa. Però quello era un infimo dettaglio.
«Credo che non ci conosciamo… Edward Cunningham.» Cunningham tese la mano verso Potter.
Potter abbozzò un sorriso un po’ tirato. «Albus Potter.»
«Oh» fece Cunningham alzando le sopracciglia. Il suo sorriso smagliante però non lo abbandonò. Si girò verso di me. «Serena, ascolta. Ho lasciato un biglietto a Joy per darle appuntamento qui. Però non è ancora arrivata. Sai se l’ha letto?»
Mi strinsi nelle spalle. «Non ne so niente.»
Cunningham inclinò il capo di lato e sorrise ancora. Cribbio, avrebbero dovuto assumerlo per la pubblicità della Mentadent. Quando si passò la mano tra i capelli però presi in considerazione anche la pubblicità della L’Oréal.
Perché io valgo… No, aspetta, cosa sto pensando? Cavolo! Caccialo via senza informazioni. O Jeanie Joy ti ucciderà!
Deglutii. «Ehm. Jeanie è un tipo riservato. Non parla molto dei suoi impegni.»
«Ho capito.» Il viso di Cunningham si fece triste e sospirò. Si portò una mano al petto. «Credo che non verrà, allora.»
Povero Cunningham. Lo capivo. Mi faceva pena, poverino. Lanciai un’occhiata di traverso a Potter, in cerca di un suggerimento su cosa dire. Il suo viso però era impassibile. Tornai a rivolgermi a Cunningham. «Eh. Mi dispiace.»
Ad un tratto lo sguardo di Cunningham si illuminò. Mi sorrise. Di scatto mi afferrò le mani e io squittii. Cercai di indietreggiare ma sbattei contro il muro. Una scossa di dolore mi attraversò la schiena. Fanculo a me e ai tavolini isolati.
«Serena.»
Cunningham pronunciò il mio nome con voce vellutata, lo sguardo brillante di aspettative. Le sue mani fresche strinsero la presa sulle mie.
Cazzo, quanto avrei voluto scalciarlo via con tutte le mie forze! Fissai le nostre mani intrecciate. Mi accorsi di tremare. Le sue dita lunghe e affusolate continuarono a stringermi.
«Serena» ripeté Cunningham. Cercai di ignorare le sue dita fresche sulle mie e incontrai il suo sguardo. Gli occhi color oro erano fissi nei miei.
Peggio.
«Serena…»
«Ehi.»

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Capitolo 29
*** Dove ci si imbarazza tanto, troppo, e troppo a lungo. Parte 2. ***


Dove ci si imbarazza tanto, troppo, e troppo a lungo. Parte 2.
 


A pochi centimetri dal mio viso l’espressione di Cunningham si congelò e il suo respiro si fermò. Una mano con unghie smaltate di nero affondava le dita nella sua spalla.
Le mani di Cunningham scivolarono via dalle mie e il ragazzo si voltò. Con un sussulto del cuore riconobbi la persona dietro di lui.
Candice.
La ragazzina lanciò uno sguardo truce a me, a Cunningham e anche a Potter. Le sue labbra nere e sottili si storsero in una smorfia di disapprovazione.
«Cazzo guardi, tu?» sbottò a Cunningham. «Smamma, se non vuoi che ti faccia un culo così.»
Cunningham rimase spiazzato. Boccheggiò. «Ma… Ma chi sei? Che vuoi?»
Sono una combattente che veste alla marinara… Sono Sailor Moon! E sono qui per punirti in nome della Luna!
«Sono una che ti farà il culo se non sloggi immediatamente.»
Cunningham mi lanciò uno sguardo smarrito, poi tornò a guardare Candice. «Senti… Tu… Che stavo facendo di male? Perché non ti fai i fatti tuoi?»
«Perché questa sogliola» e col pollice smaltato di nero indicò Potter, «non è in grado di mandar via una compagnia sgradita alla sua fidanzata. Uomini castrati!»
Il muro contro la mia schiena era gelato in confronto alla mia temperatura corporea. Lanciai un’occhiata a Potter: era allibito quanto me, e rosso come un peperone.
Cunningham fissò Candice per qualche secondo, poi raddrizzò la schiena. «Non la stavo infastidendo. Volevo solo chiederle aiuto, per sapere come fare ad avvicinare una sua amica. Chiederle consiglio.»
«Sì, bene, gliel’hai chiesto, ora vattene.»
Potter tossicchiò. Tutti e tre ci voltammo verso di lui. Il suo sguardo vagò su di noi e Potter fu scosso da un tremito. «Ehm… Sì, volevo giusto farlo notare. Il tuo comportamento è equivoco. Quindi per favore non fare così. Ecco.»
Minchia, Potter, tu sì che sei un uomo duro! Magari Gas Gas ti batte a braccio di ferro!
Il labbro di Candice si sollevò e lei lo fissò disgustata. Potter arrossì.
Cunningham alzò le mani. «Va bene, ho capito, vado. Mi dispiace per l’equivoco. Non era mia intenzione. Perdonatemi.»
Cunningham fece un sospiro e se ne andò. Per un istante mi fece pena.
L’istante dopo avevo altro su cui concentrarmi.
«Tu» sbottò Candice. Si piazzò le mani sui fianchi e mi guardò truce. «Vedi di darti una svegliata, principessina. Manda a fare in culo la gente quando serve.»
Fui scossa da un brivido. «Sissignora.»
«E tu» fece Candice a Potter «comportati da uomo. Cazzo, devo venire io a mandar via un coglione che infastidisce la tua ragazza?»
O Potter era sotto shock o non mi spiego dove trovò l’ardire di grugnire: «Si poteva tranquillamente gestire la questione in altro modo…»
Candice alzò gli occhi truccati di nero al cielo. «Sì, come no, San Potter!»
«Candy…» mormorai. Candice si voltò verso di me. Accennai un sorriso. «Ehm… Va bene così. Credo. Grazie mille per l’aiuto. Sei stata molto gentile.»
Candice sbuffò. «Un bel vaffanculo la prossima volta, ok?»
«Ok» dissi. Mentivo sapendo di mentire.
Candice fece un cenno della mano e tornò al suo tavolo. La vidi parlare col suo accompagnatore e poco dopo si diressero alla cassa.
Dopo qualche secondo Potter mormorò: «Ma chi era quella?»
Mi sistemai meglio sulla sedia e sbirciai dentro la mia tazza. Decisi di inaugurare il terzo giro e presi la teiera. «Candice.»
Potter aggrottò le sopracciglia. «Dovrei conoscerla?»
Be’, no, forse era possibile che non la conoscesse. La teiera era molto più leggera e dovetti inclinarla di più per versare il tè. «É…»
Esitai. Non sapevo se mi avrebbe creduto. «È la sorellina di Chelsea. Magari Rose la conosce, è a Grifondoro anche lei.»
«Davvero?» Potter cercò Candice nella sala e il suo sguardo si fermò sulla sagoma della ragazzina che scompariva all’uscita del locale. I suoi occhi si ridussero a due fessure. La porta del locale si richiuse. «Sono… Diverse.»
Mi strinsi nelle spalle. In effetti dove Chelsea aveva ciccia Candice aveva muscoli. «Molto.»
«Non mi sembra che abbia un carattere facile.»
Dolce Candy apri il tuo cuore, dolce Candy col buonumore tutto riuscirà… Mi sfuggì un sorriso. Lo nascosi bevendo un sorso di tè. «Ha un carattere gentile, in fondo.»
Potter borbottò qualcosa che non capii e guardò il poco che era rimasto della torta.
Provai un moto di irritazione e il mio sorriso scomparve. Potter aveva poco da fare lo scostante visto che lui a Cunningham non aveva osato dire una parola. Almeno Candice aveva fatto qualcosa. Posai la tazza con un tintinnio e tacqui.
Potter finì la torta in silenzio. Restammo lì qualche minuto a guardarci intorno e alla fine decidemmo di uscire.
«Pago io» fece Potter alla cassa.
L’emozione mi strinse lo stomaco. «Oh… No, dai, facciamo ognuno il suo…»
«Tranquilla» disse lui.
No, non riuscivo ad essere tranquilla. Misi via il portafoglio, reticente.
Uscimmo di nuovo nell’aria fredda di novembre. Di nuovo, senza idea di dove andare. Mi avvolsi la sciarpa attorno alla gola e nascosi il viso. A ben pensarci se nascondevo le labbra Potter non poteva baciarmi. Forse non sarebbe stata una cattiva idea procurarsi un burqa.
«Ehm, scusa, Serena.»
Mi voltai verso Potter e alzai le sopracciglia, interrogativa.
«Dovrei passare dai Tiri Vispi… Ho promesso a mio zio che sarei, ehm, andato a salutarlo. È un problema?»
Un barlume di iniziativa! Mi toglieva dall’imbarazzo di proporre una meta. «Va bene.»
«Ok.»
Ricominciammo a passeggiare, diretti al negozio. Dopotutto passeggiare non era spiacevole. Era il silenzio a rendere tutto più pesante.
Forse era il caso di fare un’opera pia. Lui aveva eliminato l’imbarazzo del dove andare. Io potevo eliminare l’imbarazzo del cosa dire. O almeno riprovarci. Possibilmente in maniera non banale. Ripensai alla conversazione precedente.
«Hai… Se ho capito bene…»
Potter si voltò all’istante verso di me. «Sì?»
All’improvviso ebbi paura di andare troppo sul personale. Mi morsi il labbro. «Hai… Hai… Detto che ti piace il Quidditch. Che ci giochi spesso coi tuoi cugini. Ti piace tanto?»
Le spalle di Potter si rilassarono e sorrise. «Abbastanza. Mia mamma ha giocato con le Holyhead Harpies, sai?»
Non avevo idea di chi fossero. Alzai le spalle e accennai un sorriso imbarazzato. Poi ricordai che non poteva vederlo attraverso la sciarpa. La strinsi più forte. «Non sono molto informata riguardo ai giocatori di Quidditch. Ma se a te piace giocare significa che hai preso da tua mamma, no?»
«Può darsi.» Potter continuava a sorridere. Perché ora sembrava più allegro? Avevo indovinato un argomento che gli piaceva?
Riflettei. Per quel che ne capivo io, Potter era un giocatore di Quidditch nella media. Non era un fenomeno, ma stava nel mazzo. E per il resto? Finora avevo visto il suo aspetto mediocre. Anche la conversazione non era granché, ma magari era colpa dell’imbarazzo. Forse, conoscendolo, sarebbero saltati fuori i suoi lati migliori. Come potevo decidere di uscire con Potter se non sapevo cosa mi poteva piacere di lui? C’era un modo per scoprire subito i suoi lati migliori?
Cercai di immaginarlo con un particolare talento. Non mi venne in mente niente. Se fosse stato un pony che cutie mark avrebbe avuto?
«Senti, io…»
Potter tornò a guardarmi. Strinsi con più forza la sciarpa e deglutii. «Io credo che le persone… Tutte le persone, in fondo, abbiano un talento. Qualcosa che sanno fare molto bene e che fanno con piacere. Tu… Hai un talento?»
Ecco, l’avevo detto. Come ero stata audace.
E invece che orgogliosa di me lo sguardo smarrito che Potter mi rivolse mi fece sentire un'imbecille.
«Talento?»
«T-talento» ripetei.
Un’idiota, ero un’idiota. Dov’era il tanto sbandierato fascino femminile quando serviva? Mi tornò in mente Chelsea con pizzo e reggicalze. L’immagine di Potter si sovrappose, e per un istante ebbi una fugace visione di Potter con pizzo e reggicalze.
Mi morsi un labbro per non ridere. A costo di morderlo a sangue non dovevo ridere.
Creole lady Marmalade… Cribbio, Chelsea, ti odio. Ti prego, non farmi ridere, non farmi ridere…
Lanciai uno sguardo implorante a Potter. «Albus…» mormorai in un soffio, con voce tremante per la risata trattenuta.
In un istante il viso di Potter divenne rosso, talmente rosso che pensai che stesse per collassare. Il suo collo, la sua faccia, le sue orecchie erano rosse.
L’avevo chiamato per nome, per la prima volta… E mi resi conto che, forse, la mia voce tremante era un filino equivoca. Una vampata di calore invase anche me.
Le labbra di Potter si schiusero senza che ne uscisse alcun suono. Boccheggiò.
«Sì, Serena?»
La sua voce carica di aspettativa scacciò l’immagine di lui col reggicalze. Sbattei le palpebre. Mi accorsi che Potter mi fissava, i lucidi occhi verdi puntati su di me, dimentico della conversazione. Pendeva dalle mie labbra.
Ed era ancora tutto rosso.
All’improvviso capii. Quello era il potere delle donne. L’unica arma capace di stendere qualsiasi avversario maschile. L’aspettativa.
E rendeva gli uomini di cinquanta sfumature di rosso. Che figata pazzesca.
In un secondo divenni conscia del fatto che, almeno per quegli istanti, lo avevo in pugno. Mi sentii forte. Sbattei le ciglia e tirai giù la sciarpa. Gli sorrisi nel modo più amabile possibile. «Albus… Hai un talento?»
Potter rimase a bocca aperta ancora per qualche secondo, poi finalmente disse: «Io… Non saprei. Mi piace fare… Tante cose… Ma un talento, proprio non saprei.»
Gli sorrisi, amabile e incoraggiante, e risollevai la sciarpa per coprirmi. Appena fu al riparo il mio sorriso scomparve.
Ricerca vana.
Scoprire il cutie mark di Potter sarebbe stata un’impresa ardua.
Era il momento di parlare con Chelsea e Jeanie.

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Capitolo 30
*** Dove Jeanie nemica usa Fulmisguardo! Difesa di Serena cala! Serena usa Meditazione! Attacco di Serena sale di molto! Chelsea nemica usa Pazienza! Chelsea nemica accumula energia! Serena usa Spalsh! Ma ***


Dove Jeanie nemica usa Fulmisguardo! Difesa di Serena cala! Serena usa Meditazione! Attacco di Serena sale di molto! Chelsea nemica usa Pazienza! Chelsea nemica accumula energia! Serena usa Spalsh! Ma non succede nulla! Chelsea nemica rilascia energia! Serena è esausta!
 


Jeanie chiuse gli occhi e sfoggiò un sorriso di superiorità, con l’aria di chi la sapeva lunga. Scostò la treccia dalla spalla. Iniziò a ridere a labbra strette, le spalle che sussultavano, e con l’indice spinse i grandi occhiali neri fin su alla base del naso.
Deglutii e unii le mani, in un gesto di preghiera. «T-tutto bene?»
«Bene? Altroché. Benissimo.»
Il cuore iniziò a battermi a mille. Strinsi più forte le mani e mi sporsi verso Jeanie. «Mi… Fai preoccupare se fai così…»
La risata sommessa di Jeanie proseguì ancora per qualche secondo, poi si spense.
Chelsea inclinò il capo di lato e increspò la fronte. «Perché ridi?»
«Ah, Serena, Serena, Serena…» Jeanie mi sorrise ancora. Lungo la schiena sentii un brivido. «Piccola, ingenua Serena… Aspettativa, eh? Il potere dell’aspettativa… Certo…»
Jeanie si sporse verso di me. I nostri visi erano vicinissimi. Potevo sentire il profumo di shampoo dei suoi capelli appena lavati. I suoi occhi azzurri luccicarono. «Tu, quello lì, ce l’hai in pugno. È la tua marionetta, ormai. Puoi fare di lui ciò che vuoi. È in tuo potere.»
Un brivido mi percorse la schiena. Gli occhi di Jeanie, attraverso le lenti, avevano un che di inquietante.
«Sì, vabbé, dettagli.» Chelsea sbuffò e agitò la mano con aria annoiata, come se scacciasse una mosca. Si rivolse a me e si morse un labbro per trattenere un sorriso. «Piuttosto, ricordi Candy in compagnia di chi era?»
Riflettei. Aggrottai la fronte e sporsi le labbra in fuori. «Di un ragazzo, direi.»
«Questo è ovvio!» Chelsea mi lanciò uno sguardo avido. «Ma di chi? L’hai già visto? Sai chi è? A quale Casa appartiene?»
Ci pensai. Nei miei ricordi misi a fuoco Candice, il suo trucco nero, il tavolino della sala da tè. Il viso del suo accompagnatore, però, era oscurato da un alone nero.
«Ehm… Non me lo ricordo, Chelsea. Davvero. Mi dispiace molto.» Presi le mani tiepide e morbide di Chelsea e le strinsi tra le mie. «Sei preoccupata per Candice? Pensi che frequenti brutte compagnie?»
Chelsea non riuscì più a trattenersi e liberò un risolino. «Brutte compagnie? Scherzi? Sono solo curiosa! Candy che esce con un ragazzo. Chi può volerla, quella dannata ragazzina dispotica?»
Jeanie tossicchiò e io e Chelsea ci girammo verso di lei. Jeanie gonfiò il petto. «Io direi che ci sono questioni più urgenti. Per esempio, la scalata sociale di Serena.»
«Scalata sociale?» Questa mi giungeva nuova. Lasciai le mani di Chelsea e sbattei le palpebre. «Quale scalata sociale?»
Sulle labbra di Jeanie comparve un sorrisetto allusivo e aggiustò ancora gli occhiali.
Non sapevo perché, ma prevedevo guai.
«Albus Potter non è uno che a parole si esprime con facilità. Sbaglio?»
Si esprimeva con la stessa facilità con cui Gas Gas eseguiva un triplo salto carpiato. «No, non sbagli.»
«Esatto. Io non sbaglio mai.» Jeanie si sistemò gli occhiali, tronfia. «Quindi non è un ragazzo che si esprime molto. Dal fatto che è un Serpeverde ne deduciamo che non è un coraggioso, dunque non è il tipo che si sporca le mani. Però è in tuo potere. Ergo, quando sarà il momento farà mettere a chi di dovere una buona parola dove sa, per un lavoro di tutto rispetto. Ricordi quando ti dicevo che i suoi erano gente facoltosa? Tienitelo buono, Serena, quel ragazzo può diventare una miniera d’oro.»
Chelsea alzò gli occhi al cielo. «In altre parole le stai dicendo di farsi raccomandare? E i tuoi regolamenti, madame Corvonero, li buttiamo nel cesso di Mirtilla?»
Le labbra di Jeanie si curvarono in una smorfia di disapprovazione. «Non vedo nessun regolamento che proibisca a chicchessia di farsi conoscere negli ambienti giusti tramite un colloquio informale.»
Il sorrisetto di Chelsea aveva un che di sarcastico. «Ne riparleremo quando la prima raccomandata di turno ti soffierà il posto…»
Jeanie ricambiò il sorriso con aria di sfida. «Non oserebbero.»
«Oh, sì che oserebbero… Dai retta a me, Serena, esci con Potter se ti fa piacere e non pensare a tutte ‘ste scemenze di Jeanie.»
«Scemenze un corno! Bisogna tenere conto di ogni cosa quando si inizia una relazione! Si deve essere concreti!»
Chelsea sogghignò. «Preparerò anche il tuo tema natale, almeno misureremo il tuo grado di cinismo, madame.»
Jeanie incrociò le braccia e aprì bocca, ma io la interruppi: «Vi prego… Non fate così. Non so nemmeno se… Se ci uscirò ancora, con Potter…»
Chelsea mi guardò a bocca aperta. «Credevo che la vostra uscita fosse andata bene! Hai detto di voler pure scoprire il suo talento!»
Touché. L’avevo detto.
Mi stropicciai le mani. Inutile dire che non sapevo nulla di lui, mi avrebbero detto che per conoscerlo dovevo uscirci. «È che… Mi sembra…» Riflettei, cercando le parole adatte ad esprimermi. Inspirai profondamente ed espirai con lentezza. «Non voglio conoscerlo perché sta bene economicamente. Voi dite che gli piaccio, e ok… Ma…»
«Oh, cavolo, cavolo!»
Sussultai e fissai Chelsea, spaventata. «Che… Che c’è?»
«Certo che gli piaci! Ti ha invitata a uscire, ti ha offerto la merenda, ha cercato di propinarti un filtro amoroso! Hai ancora dei dubbi? Cosa vuoi, un avviso pubblicitario nel campo da Quidditch?»
Orrore. Arrossii al solo pensiero. «Oh, no.»
«E allora piantala! Esci con lui e basta!»
Jeanie alzò gli occhi al cielo. «Parla quella che non l’aveva capito fino a quando non gliel’hanno sbattuto sotto il naso… Non fare tanto la saccente, ragazza mia.»
«Ho ragione o no?»
«Non fare comunque la saccente.»
«Già, quello è compito tuo, vero?»
Chinai il capo di fronte ai loro battibecchi. Era inutile discuterne. Le stavo coinvolgendo in tutti i miei problemi. Il vero problema era che io non ero capace a camminare da sola con le mie gambe. Qualunque cosa dicessero non cambiava la realtà dei fatti. Avevo dato a Potter una possibilità e il risultato non mi aveva entusiasmata. Dopotutto nelle fanfiction era sempre amore folle, anche a prima vista, nonostante le mille difficoltà. Perché non potevo avere un amore così anche io? Perfino nel libro scemo che Cunningham aveva dato a Jeanie i due protagonisti si innamoravano subito.
Perché io no?
«E poi» borbottai tra me e me, «chi ha deciso che io e Potter serpe dobbiamo per forza metterci insieme? È ridicolo, siamo due pianeti diversi, diversi. Non è arrogante come James Potter, glielo concedo, ma non ha nervi, la sua compagnia non fa sentire al sicuro. E perché dobbiamo metterci insieme, scusa? Uffa. Magari potremmo diventare amici, solo amici, mica fa schifo diventare solo amici…»
Mi accorsi che Jeanie e Chelsea mi stavano ascoltando. Mi morsi il labbro.
Chelsea fece una smorfia. «Senti, basta. Esci con lui e basta seghe mentali. Fregatene di quel che capiterà in futuro. Ti invita? Esci. Non ti invita? Al diavolo.»
Jeanie storse il naso. «Non sono d’accordo. Pensa al futuro, invece, un futuro agiato.»
Alzai lo sguardo e fissai Jeanie negli occhi azzurri, attraverso le lenti spesse. «Quindi tu mandi via Cunningham perché non ha futuro, Jeanie Joy?»
Jeanie avvampò. Spinse gli occhiali fino alla base del naso. La sua mano tremava. «Ha una famiglia di gente non proprio a posto. Mi viene male a pensare che dovrei averci a che fare. E in più non mi attira particolarmente.»
«Sei di ghiaccio» borbottò Chelsea.
Intravidi la possibilità di cambiare argomento. «E la vostra uscita coi Weasley e i Potter com’è andata?»
«L’uscita! Non me la ricordare!» ruggì Chelsea. «Questa disgraziata» indicò Jeanie con l’indice, «ci ha dato buca!»
Jeanie raddrizzò la schiena. «Non è colpa mia se Paciock ha deciso che presto faremo una verifica.»
«Mica dovevi studiare per forza quel giorno!»
«Invece sì.»
Mi sorse spontaneo un sorriso indulgente. Capivo il disagio di Jeanie. Forse dovevamo fare entrambe ancora un po’ di strada prima di diventare persone molto socievoli.


Messaggio dell’autrice: nel prossimo episodio svelerò il talento di Albus Potter! :D Ma perché ve lo dico, visto che non do mai anticipazioni? Il perché è che io sono sadica e malvagia e voglio fare un gioco con voi …
No, niente Saw che arriva in triciclo. Il giochino è semplice: indovinate il talento di Albus Potter. ;) Non dico che possiate subodorarlo, perché non ci sono stati veri e propri accenni, ma chissà, magari qualcuno di voi è particolarmente acuto, o particolarmente fortunato. :P Va bene anche un messaggio privato se non volete recensire per dirmi la vostra opinione. Però la recensione è pubblica, quindi sarebbe meglio, almeno si vedrebbe che non favorisco nessuno, non c’è trucco e non c’è inganno. ;)
Chi vince… Boh. Non saprei. ^^” Magari, se al vincitore (o ai vincitori, perché no!) va bene, potrei inserire il recensore/lettore nella fanfiction, oppure un suo personaggio. Ovviamente concorderemo i dettagli insieme. :3 O altrimenti ci metteremo d’accordo per qualcos’altro, non so, vedremo. ^^
Non chiedetemi perché io abbia messo in piedi questo teatrino perché non lo so. ^^” Ma spero che partecipiate! Chiaramente se l’iniziativa non avrà successo non ritenterò, ma spero che a voi quest’idea scema piaccia. :) A presto, spero! ♥ ♥ ♥

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Capitolo 31
*** Dove Serena si sente attanagliare lo stomaco per la gelosia, la vergogna e forse anche la fame. ***


Dove Serena si sente attanagliare lo stomaco per la gelosia, la vergogna e forse anche la fame.
 
 
 
Incantesimi coi Grifondoro fu umiliante. Chelsea si sedette tra me e Rose Weasley. L’Incantesimo Rallentante non sembrò dare problemi alla Weasley: il suo topolino si bloccò, e dopo qualche secondo rincominciò a muoversi a rilento. Sembrava uno stop motion realizzato male, e invece era un incantesimo realizzato bene.
Al contrario, dopo il mio incantesimo il topolino bianco continuò a muoversi in gabbia come se neanche avessi sfiorato la bacchetta. Arricciò il nasino rosa e iniziò a rosicchiare le sbarre.
«Come ci sei riuscita?» Chelsea si grattò la punta del naso e si sporse verso il topolino della Weasley.
«Guarda il movimento.» La Weasley ripeté il gesto.
Jeanie Joy, dove sei quando servi?
Sapere che Rose Weasley aveva guadagnato l’attenzione di Chelsea mi fece provare una fitta di gelosia, e nel contempo mi sentii ingiusta. Non era una colpa essere bravi a scuola. Ero io che mi dovevo impegnare di più. Afferrai la bacchetta e la strinsi fino a farmi diventare le nocche bianche.
«Arresto Momentum
Il topolino arricciò ancora il naso.
Sospirai e posai il mento sul tavolo. Gli occhietti rossi del topolino mi scrutarono, il nasino in continuo movimento.
«Senti, Mignolo, non ti chiedo di aiutarmi a conquistare il mondo. Mi basterebbe un briciolo di collaborazione. Fai il bravo topino.»
Una risatina mi fece irrigidire le spalle. Alzai gli occhi e vidi Chelsea sorridere insieme a Rose Weasley.
«Guarda che non è il topo a fare l’incantesimo.» La Weasley si sporse verso di me. «Vuoi una mano?»
Risposta istintiva: brutta secchiona lentigginosa, chi te l’ha chiesta, la mano?
Risposta che diedi: «Oh… No, tranquilla, è che… Che…» Abbassai gli occhi sul tavolo. «Niente.»
Sollevai il mento dal tavolo e decisi di riprovare.
«Arresto Momentum
Mignolo mi fissò per qualche secondo, poi probabilmente decise che era stufo della mia inettitudine. Mi diede le spalle e salì sulla ruota verde. Iniziò a correre e la gabbia prese a tremare.
La Weasley inclinò il capo. «Guardami… Impugna la bacchetta così, e fai questo movimento. Riprova.»
«Dai Serena, riproviamoci tutte e due.» Chelsea mi rivolse un sorriso caloroso.
Perché mi sentivo trattata come una Bambina Speciale?
Il pensiero di avere un’ora di Babbanologia con Jeanie Joy, dopo pranzo, a confronto sembrava un paradiso. Sennonché dopo avrei avuto un’altra ora coi Grifondoro, a Storia della Magia.
«Oh, ma vaffanculo
«Come?» Chelsea mi rivolse uno sguardo interrogativo. «Se parli italiano non ti capisco, lo sai.»
Storsi il naso. «Ho ringraziato con un’espressione particolarmente gentile. Sai, a volte mi viene spontaneo, in italiano.»
La Weasley rise. «Prego, allora, non c’è di che!»
Certo, Rose, non c’è di che.
Riprovai l’incantesimo con poca convinzione. Mignolo mi ignorò e continuò a girare sulla ruota.
La lezione terminò senza che fossi riuscita ad eseguire il compito. Radunai i libri, presi la borsa e mi accodai a Chelsea, che giustamente stava chiacchierando con la Weasley. Non mi sforzai neanche di ascoltare la conversazione. Ero di cattivo umore.
«Ehi, Terra chiama Serena?»
Sbattei le palpebre e rimisi a fuoco il corridoio. La mano di Chelsea sventolava davanti alla mia faccia.
«Ci venite a fare un giro in cucina prima di pranzo?»
«Oh…»
Chelsea mi aveva presa alla sprovvista. Spostai lo sguardo su Rose Weasley. Le sue labbra ora erano strette. Il suo viso pieno di lentiggini era contratto. «Credo che sia un po’ contro le regole, ragazze. Io eviterei.»
Jeanie la Bionda e Rose la Rossa. Bacchettone a Hogwarts. Non avrei saputo dire se insieme sarebbero state una coppia formidabile o terribili rivali.
Chelsea agitò una mano per aria con noncuranza. «Mica è colpa mia se in questo castello non prevedono spuntini… E poi abbiamo un’ora buca prima del pranzo.»
Rose scosse la testa. Chelsea alzò le spalle e poi mi guardò. «E tu vieni, Serena?»
Vero, si trattava di una violazione del regolamento. Non sarebbe stata la prima volta, però. Incontrai lo sguardo di disapprovazione della Weasley.
«Sì. Certo che vengo.»
Abbassai gli occhi. Sì, lo facevo solo per stare da sola con Chelsea. E allora? Mi sentii sfacciata, ma ero decisa a fregarmene.
Serena, 1. Rose, 0.
«Allora…» Rose Weasley sistemò la borsa sulla spalla. «Ci vediamo a pranzo.»
«Sicuro.» Chelsea sorrise e agitò la mano per salutarla. «A dopo!»
«A dopo» mormorai anch’io a mezza voce.
Sì, a Storia della Magia. Ringraziai di non pranzare al tavolo dei Grifondoro. Per una volta nella mia vita ero contenta di essere a Tassorosso.
Io e Chelsea ci dirigemmo nei sotterranei. L’avevo avuta vinta, ero sola con Chelsea. Ma ora inspiegabilmente mi sentivo a disagio.
«Come sei silenziosa oggi! Hai mica fame?»
«Mh… No.» Mi morsi il labbro. Proseguii a testa bassa, fissando il pavimento di pietra. In realtà avevo un nodo allo stomaco. Cercai di ignorarlo.
«Va tutto bene?»
Risposta istintiva: no, sono gelosa marcia di Rose Weasley. Lei passa il tempo con te in Sala Comune, siete uscite a Hogsmeade insieme e ora vi sedete pure vicine. E a me Rose Weasley non piace.
Risposta che diedi: «Credo di sì.»
Lo stomaco di Chelsea brontolò. «Sbrighiamoci, per favore. Per la gran carità.»
Girammo l’angolo. Dal fondo del corridoio, a passo svelto, ci stava venendo incontro un ragazzo.
Sbarrai gli occhi.
Cribbio, lui no.
Non Cunningham.
Una vampata di calore mi invase e afferrai il braccio di Chelsea. Mi tornò in mente la scena da Madama Piediburro. No, no, perché lo dovevo incontrare? Perché dovevo morire di vergogna?
Chelsea mi rivolse uno sguardo preoccupato. «Che hai?»
Il ragazzo continuò a camminare nella nostra direzione senza dar segno di averci viste. In quel momento notai che aveva la cravatta verde e argento.
Serpeverde?
Passò oltre, ignorandoci. Lo seguii con lo sguardo e Chelsea fece altrettanto.
«Boia.»
Annuii. «Davvero… Non credevo che Cunningham avesse un sosia.»
Chelsea scosse il capo. «Magari sono gemelli.»
In effetti un gemello era più probabile di un sosia. Forse era un bene che Jeanie fosse finita a Corvonero anziché a Serpeverde: convivere col gemello del tuo spasimante indesiderato era un po’ come ingrassare con la Nutella per non mangiare il cioccolato Lindor.
Udii un gorgoglio. Sollevai lo sguardo e Chelsea mi lanciò un’occhiata eloquente. «Tra poco finisce che mi mangio te.»
Strinsi le labbra per trattenere un sorriso. Ci avvicinammo al quadro, solleticammo la pera ed entrammo nelle cucine.
La prima cosa che mi colpì fu l’ondata di cioccolato. Inspirai a fondo il profumo e mi sembrò di sentirne il sapore in bocca. Mi venne l’acquolina.
Chelsea boccheggiò. «Cribbio, hanno sfornato? Senti che roba…»
Dalla massa di elfi ne emerse uno. con una papalina col pompon.
«Signorine! È tornate a trovarci, signorine!»
«Merry!» sorrisi. L’elfo trottò verso di noi e si profuse in una serie di inchini a ripetizione.
«Cosa vuole signorine? Qualcosa da mangiare? Noi ha cose in più, signorine!»
«Bravo, Merry, non ci deludi mai.» Chelsea si massaggiò lo stomaco e si leccò i baffi.
«Cosa prende le signorine?»
Con l’odore di cioccolato nelle narici la scelta era quasi obbligata. Io e Chelsea ci scambiammo un’occhiata complice.
«Merry, carissimo» fece Chelsea con un sorriso a trentadue denti. «Cos’avete preparato di buono al cioccolato? C’è un profumo delizioso.»
Merry scosse la testa talmente forte che il pompon finì per sbattergli sulle guance. «Oh, no signorine, no, ma se voi vuole cioccolato noi abbiamo, abbiamo tanto!»
Inspirai ancora con forza. Niente al cioccolato? Arricciai il naso. Qualcosa non tornava. «E questo profumo, allora?»
«Quello è il signor Potter, signorine!»
Se ci fu un’occasione in cui la mia mascella rischiò seriamente di schiantarsi a terra, ebbene fu quella.
Chelsea squittì. «Potter? Potter davvero?» Lanciò un gridolino acuto e batté le mani entusiasta. «E quale Potter?»
«Signor Albus Potter, signorine! Sapete…» Merry si sporse verso di noi con aria complice, i grandi occhi marroni sgranati. «Signor Albus Potter fa quello che vuole, signorine! Noi ha detto lui, no signor Potter, lei non può preparare qui le cose, dica a noi e noi facciamo, signor Potter, e lui no, ha fatto come voleva, signorine.»
Aprii e richiusi la bocca, cercando di parlare. Non riuscivo ad emettere alcun suono. Chelsea mi prese per un braccio e mi scosse. Mi sembrò di sentire il cervello ballare nella scatola cranica.
«A… Aba…» Chiusi la bocca. Deglutii. La riaprii. «Ma… Potter… È qui? Cioè, adesso?»
«Signorine sì, signorine! Vuole vederlo, signorine?»
Annuii. Chelsea emise un altro squittio deliziato. Mi sentii avvampare, ma cercai di ignorare la sensazione.
Merry sorrise, si inchinò e ci fece strada. Attraversammo il mare di elfi formicolanti finché non entrammo in un altro locale. La parete principale era occupata da giganteschi forni. A un tavolo, con una sac-à-poche in mano, mani e viso chiazzati di cioccolato, c’era inequivocabilmente Albus Potter.
Lo fissai. Mi sembrava una visione incredibile vederlo ricamare su una torta glassata di cioccolato con la sac-à-poche, l’espressione concentrata, la punta della lingua che sporgeva fuori dalle labbra. Era una cosa così… Non avrei saputo come dirlo… Così…
Così babbana.
«Signor Albus Potter, ci sono le signorine, signore!»
La voce acuta di Merry lo fece sobbalzare. Quando si accorse di noi divenne rosso fino alla punta dei capelli.
Chelsea scattò subito in avanti, il sorriso stampato in faccia. «Ciao! Cos’è quella? Una torta?»
Potter la guardò, rossissimo. Forse l’aria famelica di Chelsea lo metteva in soggezione. Poi spostò lo sguardo su di me e abbassò gli occhi.
Ah, no, ero io a metterlo in soggezione.
Forse.
Mi avvicinai. Sul tavolo c’era una piccola torta marrone, lucida. Il ricamo in centro era una S in corsivo.
S come… Serena?
Arrossii.
«Non sapevo… Che foste qui.»
Chelsea sporse le labbra in fuori fingendo di mettere il broncio. «Neanche ciao ci dici? Grazie, ce ne ricorderemo…»
«Ciao» disse subito Potter.
Poverino. Era ancora rosso in viso. Che cavolo gli potevo dire? Guardai la torta sul tavolo.
«Non pensavo…» la voce roca mi morì in gola. La schiarii. «Non pensavo che ti piacesse preparare dolci.»
Chelsea si sporse verso la torta. «Mi sembra perfetta. Hai talento, Potter.» Mi lanciò uno sguardo d’intesa.
Il mio stomaco si strinse. Sarei voluta morire di vergogna. La torta sembrava davvero perfetta. Anche il ricamo era preciso. Probabilmente era riuscito a disegnarlo con mano ferma. Senza contare il profumo divino che emanava.
Potter lasciò la sac-à-poche sul tavolo. Dal beccuccio uscì una punta di cioccolato.
«La ricetta austriaca…»
Rimasi imbambolata qualche secondo, finché non mi si accese la lampadina.
Quella era una Sachertorte? L’aveva preparata lui, quindi? Seguendo la ricetta austriaca?
Ricordai di avergli detto che il cibo britannico faceva venire mal di pancia. Provai un senso di colpa misto a tenerezza.
Non riuscii a guardarlo in faccia. Abbassai di nuovo gli occhi sulla torta. Era una S di Sachertorte, quindi. Mi sentii un’ebete, ma mi venne da sorridere.
«Sono… Sono sicura che è buona.»
 
Nota dell’autrice: no, non sono morta, né scomparsa, né la fan fiction è in punto di morte. Però sono sommersa dallo studio. Perdonatemi. ;___; Sto facendo del mio meglio per passare gli esami della sessione di settembre, giorno e a volte anche notte, quindi scusate per l’attesa sia delle risposte che dei capitoli. Vi garantisco che non rimarrà in sospeso! Scusatemi per l’assenza… Spero che leggerete lo stesso il capitolo!

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Capitolo 32
*** Dove si scoprono cinquanta sfumature di Albus. ***


Dove si scoprono cinquanta sfumature di Albus.
 
 
 
“Mi guardai allo specchio, arrabbiata e delusa. Al diavolo i miei capelli, che non volevano saperne di stare a posto, e al diavolo Jeanie Joy, che si era rotta le balle e mi aveva sottoposta a questa prova. Avrei dovuto studiare per le verifiche che ci sarebbero state la settimana prossima, e invece eccomi qui a cercare di domare questa chioma ribelle.”
Sì, mi ci vedevo proprio in un inizio di giornata del genere. Mi chiesi come diavolo facesse Jeanie Joy a mettere le mani su libri simili, e soprattutto a digerirli. Quel libro era pornografia allo stato puro. E io ero abituata alle fan fiction, rendiamoci conto.
Forse era per questo che dopo un po’ si stufava e li scaricava a me.
Intorno a pagina trecento sbadigliai. La luce del caminetto e delle lampade danzava sulle pagine del libro, colorandole di rosso. Alzai le braccia e mi stiracchiai. I divanetti di Tassorosso erano troppo comodi, rischiavo di addormentarmi.
Le mie due vicine si sporgono in avanti, incantate. In realtà, penso che tutte le donne del pubblico si protendano di qualche centimetro, e persino qualche uomo.
Sticazzi, perfino gli uomini. Un personaggio dal fascino soprannaturale… Era mai possibile che madre natura avesse inventato un tipo di bellezza ammirata e desiderata da tutti, senza eccezione? Cercai di immaginare Albus Potter in versione alternativa. Anziché ragazzo semplice, imbranato e magro come uno stecco lo immaginai palestrato, fiero, con frustino e sguardo seducente.
No, aspetta, frustino?!
Guardai schifata il libro e lo chiusi con uno schiocco. Quella roba danneggiava i neuroni. Lo posai sul tavolino e al suo posto presi il piatto con la fetta di Sachertorte. Stuzzicai la punta con la forchettina e me ne misi in bocca un pezzo. Mangiare la torta nella luce soffusa della Sala Comune era un po’ come mangiarla al lume di candela. Dove ero rimasta?
Palestrato, fiero e con sguardo seducente.
Be’, palestrato… Forse… Boh. Non era il caso di esagerare. Dopotutto aveva sedici anni. Un palestrato ventenne era più realistico. Lui ne aveva sedici. Però poteva ancora crescere.
Fiero e con sguardo seducente.
Ebbi una fugace visione di Scorpius Malfoy che faceva l’occhiolino e si mordeva un labbro.
Andai in iperventilazione. No, così no. Era troppo. Scorpius non poteva diventare un sex symbol. Soprattutto, non doveva diventare il mio sex symbol. Cercai di ricordarmi che era un sedicenne come me. Un sedicenne. Ma poi, cavolo, stavo cercando di immaginare lo sguardo seducente di Albus Potter. Non è che sul dizionario alla voce “seducente” ci fosse una foto di Scorpius…
Se è per questo non c’è neanche la foto di Potter.
Alzai gli occhi al cielo e ringraziai la mia dea interiore per il suo commento acido.
Ma quando guardai verso l’ingresso il cuore mi si fermò per un secondo.
Albus Potter stava con la spalla appoggiata allo stipite, le braccia incrociate, lo sguardo fisso su di me.
Scattai immediatamente su a sedere. La torta volò sul pavimento. Solo metà del mio cervello registrò il clangore della forchetta e del piatto. Tutto il resto del mio corpo, compresa l’altra metà dell’emisfero cerebrale, era rivolto verso Potter.
Allungai l’indice verso di lui, con mano tremante. La mia voce uscì strozzata: «Cosa… Che… Potter? Albus? Cosa… Qui…»
Potter alzò un sopracciglio e accennò un sorriso sghembo. «Puoi chiamarmi Albus, sai.»
Lo stomaco e i muscoli del mio ventre si contrassero. Abbassai la mano.
Sguardo seducente: 10 punti. Porca troia. Uno sguardo che stende.
Di mille pensieri che in testa mi turbinavano furiosi riuscii a selezionarne uno: «Ma… Tu… Sei Serpeverde… Cosa ci fai qui a Tassorosso? Come…»
Albus si portò un indice sulle labbra per invitarmi a fare silenzio e io ammutolii.
«I Serpeverde hanno mille risorse, Serena. Dovresti saperlo… O quantomeno immaginarlo.»
Il mio cuore batteva all’impazzata. Ebbi un brivido. Ma non era di freddo. Non riuscii a capire perché.
Albus si staccò dallo stipite e si diresse verso di me. Il mio cuore accelerò ancora di più. La sua camminata era fluida, il suo incedere sicuro. Il fuoco delle lampade lo illuminò di una luce calda. Sembrava così… Così…
Il mio stomaco annodato fece un balzo verso la gola. Albus sorrise e io ero ancora pietrificata. Appoggiò una mano sul bracciolo del divano e si chinò su di me.
«Volevo vederti ad ogni costo.»
Chiusi la bocca e mi costrinsi ad inspirare con calma, per cercare un ritmo regolare. Ma nelle narici mi entrò un profumo nuovo. Profumo di Albus.
Il mio cuore batteva talmente forte che temevo stesse per sfondarmi il petto. Averlo così vicino… Sembrava meno mingherlino. La cravatta slacciata lasciava che la camicia si aprisse sulla sua gola. Mi sembrava addirittura di intravedere il profilo di qualche muscolo.
«Sorpresa?»
Sussultai. Sbattei le palpebre. Mi resi conto di dover rispondere. Avevo la bocca secca.
«E-ecco… Ma… A Tassorosso… Non dovresti…»
Non dovresti essere qui… Cribbio, Serena, sembri posseduta da Jeanie Joy.
Albus alzò un sopracciglio. «Non dovrei cosa? Essere qui? E dove vorresti che fossi?»
Nel mio letto.
No, cazzo, no!
«Ah… Be’… Non saprei… È che… Che…»
Abbassai gli occhi. Vidi il bacino e le gambe di Albus. No, meglio rialzarli.
Il suo viso. I suoi occhi verdi. I suoi occhi si piantarono nei miei, li presero e non li lasciarono più andare.
«Che… Che…»
«Serena.» Il sorriso di Albus si spense e il suo viso si fece serio.
Cribbio.
«S-Sì?»
Non è che, per caso… Mi voleva baciare?
La sua mano si sollevò appena, la posò sulla mia guancia. Il suo palmo caldo e morbido sulla mia pelle… Il mio respiro rapido ed esitante…
«Hai la bocca sporca di cioccolato.»
Sbattei le palpebre. Fu come se lo stomaco mi cadesse a piombo e all’improvviso mi si fosse sciolto.
«Prego?»
«Hai la bocca sporca di cioccolato» ripeté Albus, serio.
Aprii e chiusi la bocca, incapace di parlare. Sentii la vergogna, ma pochi istanti dopo anche la rabbia. Mi si avvicinava così, con quel fare arrogante, sicuro, fascinoso, voglioso, e poi?
Poi Albus sorrise.
«Te la pulisco io.»
Le sue labbra scesero sulle mie e le avvolsero. Sentii la sua lingua, calda, morbida, seguirne il profilo. Tirò indietro la testa e mi guardò con un mezzo sorriso.
«Devo dire che, quando vuoi, sai proprio essere dolce.»
Lo fissai negli occhi verdi, esterrefatta. Cos’era questa nuova sensazione?
«E voglio che tu sia mia. Mia, e mia soltanto.»
Il mio respiro era affannoso e incontrollabile.
«Serena, diventa la mia Sottomessa.»
«Ehi!»
Sussultai. Un tonfo secco mi fece sussultare un’altra volta. Sbattei le palpebre e rimisi a fuoco la Sala Comune.
Inorridii quando vicino alla porta del dormitorio maschile vidi Edward Cunningham.
No, fermi tutti, cosa stava succedendo? Albus? Lì vicino a me? Lo cercai con lo sguardo. Che fine aveva fatto? E Cunningham cosa ci faceva lì?
Cunningham mi si avvicinò. Con le sue pantofole a forma di pipistrello ciabattò sul pavimento legnoso. «Serena, tutto bene?»
Nel mio cervello Gas Gas schiacciò il pulsante rosso delle emergenze e iniziò a suonare la sirena di allarme.
Cunningham a ore dodici in avvicinamento. Allarme rosso. Allarme rosso.
«Tutto bene.» Deglutii. Avevo la bocca secca. Lanciai un’occhiata intorno a me, alla ricerca di una qualsiasi scusa per defilarmi. Vidi il libro che mi aveva prestato Jeanie per terra. Non c’era nessuna torta né sul pavimento né sul tavolo.
Avevo sognato ogni cosa?
«Sembri scossa. Stavi sognando?»
Lo guardai smarrita. Cunningham inclinò il capo e si passò una mano tra i capelli ramati. «Ero sceso a prendermi un bicchiere d’acqua e ti ho sentita mugugnare.»
Mugugnare? Nel sonno?
Avvampai.
«Mi dispiace di averti disturbata. Non volevo svegliarti.» Cunningham si avvicinò al divano e io subito tirai indietro i piedi. Si sedette. Il pigiama nero era in contrasto con la sua pelle bianca. «E mi dispiace anche per… Per Hogsmeade. È che speravo davvero che tu potessi aiutarmi. Sul serio.»
Nel mezzo del mio disagio si insinuò una vena di tenerezza. Cunningham era incosciente e inopportuno, ma sembrava davvero innamorato di Jeanie. Mi chiesi come fosse possibile, visto che non mi risultava si fossero mai parlati prima che lui iniziasse a corteggiarla.
Mi schiarii la voce e mi abbracciai le ginocchia. «Ascolta… Non voglio essere cattiva, ma Jeanie non ha testa per queste cose.» Ricordai quando diceva di aver già capito che io piacevo a Potter. «Cioè, la testa ce l’ha tutta, beninteso, è una ragazza intelligente e sensibile e schietta e…» No, così non andava bene. Così non aiutavo né lei né Cunningham. «I-intendo dire… Che… Che no.»
Le sopracciglia di Cunningham si unirono. Oddio, si era arrabbiato? «E perché, no? Sei sua amica, dovresti volerla aiutare. Ti assicuro che mi piace sinceramente.»
Corrugai la fronte. Cercai di ripensare a Potter e a tutto quello che mi aveva dato fastidio da quando aveva iniziato ad avvicinarsi. «N-non devi chiedermi aiuto. Non devi coinvolgere altre persone per persuadere lei. Devi avere a che fare con lei, non con me. Non ho peso nelle sue decisioni, lei pensa con la sua testa.»
Le sopracciglia di Cunningham rimasero unite e tese i palmi verso di me. «Appunto! Se io non so cosa le piace, come faccio a conquistarla? Come faccio a capire se una cosa le fa piacere o no?»
Mi tornò in mente quando Biondo Serpe e nana Corvonero prendevano in giro Jeanie, e lui non aveva mosso un dito. Poi mi venne in mente Candice da Madama Piediburro, e Potter che diceva a Cunningham che il suo comportamento era equivoco.  
A Cesare quel che è di Cesare: “equivoco” era la parola più azzeccata. Forse Potter non era poi così scemo.
«Senti…» Mi morsi il labbro e abbassai lo sguardo sul tavolino di legno. Mi strinsi più forte le ginocchia. «Lasciala perdere. È meglio. Oppure parla con lei. Io non…»
«Ma io ho bisogno di aiuto!»
«La finite di fare casino?»
Sobbalzai. All’entrata dei dormitori femminili vidi una ragazza magrissima, in vestaglia e con le mani sui fianchi. «Sono le due di notte, per Merlino, siete impazziti? Vi si sente fin da su!»
Rimasi inebetita, poi mi riscossi. La riconobbi: era una Caposcuola del settimo anno. «Scusa, mi dispiace. Non volevamo disturbare…»
Che figura da quattro soldi. Aveva ragione, era tardi e noi eravamo in Sala Comune a farci i nostri comodi anziché a letto a dormire.
«Sì, scusaci» ripeté Cunningham.
Sotto lo sguardo severo della ragazza recuperai il libro e mi diressi verso di lei, all’entrata dei dormitori. Cunningham, però, rimase seduto sul divanetto.
«E tu?» fece la Caposcuola. «Si usa ancora l'espressione “togliti dai coglioni” o forse ti servirebbe un disegnino? Fila a letto!»
In piedi, di fianco alla ragazza, le lanciai un’occhiata e un brivido mi percorse la schiena. Quella Caposcuola era meglio non farla arrabbiare.
Cunningham sospirò e si alzò in piedi. Mi lanciò un’occhiata implorante. Io abbassai gli occhi sulle mie ciabatte blu e strusciai un piede contro il pavimento. Qualche secondo dopo la voce della Caposcuola mi incitò: «Forza, a letto anche tu.»
Mi avviai verso la mia stanza con un forte senso di colpa.
 
Nota dell’autrice: e qui appare la prima vincitrice del concorso, _Astrea7469_. *u* Congratulazioni! *applauso* A breve concorderò con tutte le vincitrici un pezzettino tutto per loro… Grazie ancora, mi fa molto piacere e mi sostiene vedere che recensite, sia che recensiate spesso (grazie Sarugaki145, grazie VexDominil, grazie Chocolate_pudding, grazie , _Astrea7469_, voi siete veramente le costanti di ogni capitolo! ♥ ) sia che mi lasciate una sola volta il vostro parere… Vi ringrazio per il tempo che spendete con me e con Serena. ♥

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Capitolo 33
*** Dove viene fondato l’EmoClub del Bagno di Mirtilla. Che aspetti? Deprimiti con Mirtilla anche tu! ***


Dove viene fondato l’EmoClub del Bagno di Mirtilla. Che aspetti? Deprimiti con Mirtilla anche tu!
 
 
 
Per quanto la serra di Erbologia fosse più calda rispetto all’ambiente esterno, l’idea di rituffarmi nel vento gelato di fine novembre era comunque agghiacciante. Pensai alla povera squadra di Tassorosso, che a breve sarebbe stata costretta a giocare contro Grifondoro. Poveretti, non li invidiavo. Infilai le mani nelle tasche del montgomery e mi dondolai da un piede all’altro.
«Non mi dici niente, Jeanie Joy?»
Jeanie posò la paletta sul tavolo, e a mani nude schiacciò la terra tutta intorno alla pianta. Come cavolo faceva a sopportare che le sue unghie diventassero così nere?
Mi morsi il labbro inferiore. «Forse ho fatto male a raccontartelo. Non volevo darti altre preoccupazioni.»
«Figurati. Hai fatto bene.» Prese tra le dita una foglia e la sfregò col pollice. La pianta ebbe un fremito. Jeanie la spostò su un altro tavolo, mettendola in fila insieme a quelle che aveva già travasato. Ne prese una con un grosso bocciolo. Non appena la sollevò il bocciolo con un pop si aprì in un grande fiore rosso.
Altro che talento, probabilmente Jeanie era Mosé redivivo e non si accontentava più di far germogliare bastoni. Bagnò la pianta e con la paletta iniziò a lavorare la terra. Sì, ero sempre più convinta che il cutie mark di Jeanie sarebbe stato di sicuro un fiorellino. Ebbi una fugace visione di Albus Potter in versione pony con tre muffin sulla coscia.
Ma ora c’erano problemi più urgenti da affrontare. Scacciai l’immagine di pony Potter dalla mia testa.
«Ehm.» Ricominciai a dondolare da un piede all’altro. «Quindi cosa farai?»
Jeanie afferrò la pianta per il fusto e la tirò fuori dal vaso. Le radici erano rimaste attaccate a un unico blocco di terra. Prese un vaso più grande e ci mise la pianta. Il grosso fiore rosso oscillò un po’.
«Penso» mormorò Jeanie, «che lascerò le cose così come sono.»
Abbassai gli occhi sul pavimento sporco di terra della serra. Cunningham era imbranato, ma ci metteva il suo impegno. Nel modo sbagliato, però lo faceva. «Mi dispiace.»
Jeanie aggiunse terra al vaso finché non lo riempì. La pigiò ben bene intorno alla pianta e la bagnò. «Per Cunningham o per me?»
Col piede accostai un vaso a un tavolo, per toglierlo dal passaggio. La ceramica stridette contro il pavimento. «Per entrambi. Non è giusto che tu dica sì se non ti piace, ma lui sembra tenerci a te.»
Jeanie prese il fiore rosso e lo posò tra le altre piante. Ne prese un’altra, l’ennesima. Probabilmente con quel ritmo avremmo fatto la muffa nella serra.
«Ci tiene così tanto che di fronte a sua sorella e a quel biondo non ha nemmeno detto mezza parola. Siete dovute arrivare tu e Chelsea.»
Touché. Un punto per Jeanie.
Riflettei. «Neanche Potter mi ha difesa davanti a Cunningham, è dovuta intervenire Candice. Eppure voi dite che io piaccio seriamente a Potter.»
Jeanie strinse le labbra e affondò le dita nella terra fino alle nocche. «Cunningham non è timido. Non ha nessun problema a parlare dei propri sentimenti, né a invitarmi fuori, né a regalarmi libri di dubbio gusto.» Jeanie arricciò il naso. «Però ha problemi a impedire alla sua famiglia di parlare male di me? Bella persona. Nessuno di loro si è venuto a scusare con me. Da te invece, per la storia del filtro, è venuto James Potter. Quindi o Rose o Albus devono averlo rimproverato per bene. E poi Albus stesso si è scusato con Chelsea. Il suo comportamento è stato molto più onesto. Preferirei cento Albus Potter impacciati con me piuttosto che un solo Edward Cunningham spigliato e codardo.»
Fui scossa da un brivido, nonostante l’aria calda della serra. Tirai fuori le mani dalle tasche e iniziai a tormentare la mia sciarpa di lana. Infilai le dita tra le maglie. «Mi dispiace» ripetei.
Jeanie alzò le spalle. «Non dispiacerti troppo. Piuttosto, cambiando argomento, volevo chiederti cosa fai a Natale. Rimani a Hogwarts o torni dai tuoi?»
Tornare in Italia per Natale… Treno, aereo, ancora treno, biglietti a manetta e centinaia di euro spesi. «No… Credo che rimarrò a Hogwarts.» Chinai il capo. «Come tutti gli anni.»
Jeanie guardò attentamente il vaso. Lo guardava quasi con affetto. Accennò un sorriso. «Che ne diresti di venire da me?»
Barcollai e mi appoggiai al tavolo di fianco a me. Le mie dita, ancora infilate nelle maglie di lana, tirarono la sciarpa, che si strinse contro il mio collo. Sbattei le palpebre e ripresi il controllo di me stessa. Allentai il cappio al collo. «Da te? Per Natale? Ma è una festa per la famiglia… Non vorrei disturbare…»
«Non disturbi. Mi farebbe piacere averti a casa mia, e ai miei farebbe piacere conoscerti. Torna a casa anche Lowell.»
«Ecco, appunto, torna anche tuo fratello. Non vorrei essere di troppo.»
«Se tu venissi ne sarei felice.»
Mi morsi il labbro, ma mi venne da sorridere. In verità mi sarebbe piaciuto trascorrere il Natale da Jeanie, però l’idea mi metteva in imbarazzo. Dopotutto per me erano sconosciuti, e io lo ero per loro. Jeanie andò a sciacquarsi le mani nel lavello. Quando si rimise cappotto e sciarpa mormorai: «Be’… Mi piacerebbe. In realtà mi piacerebbe molto.»
«E allora vieni. Punto.»
Le sorrisi. Jeanie ricambiò e si sistemò i grandi occhiali sul naso.
Rientrammo nel castello. L’ingresso era vuoto, eccetto per due Corvonero, un ragazzo muscoloso e una ragazza coi capelli castani che stringeva al petto alcuni libri. Lui stava uscendo senza cappotto. Doveva essere un pazzo scatenato. Poi all’improvviso ebbi un flash: lo spogliatoio di Corvonero.
Era l’aitante battitore che Chelsea ci aveva portato a spiare prima della partita di Quidditch.
Le mie guance si fecero bollenti e lanciai un’occhiata a Jeanie. Anche lei era rosso peperone, ma tenne la schiena dritta e fece finta di niente.
Passammo loro di fianco e udii la ragazza mormorare: «Priscus… Dammi ascolto, fa freddo… Fo-forse… Dovresti…»
Il ragazzo sbuffò. «Dai, Amy…»
Non sentii la replica della ragazza. Ero troppo occupata a vergognarmi, e a giudicare dal colorito di Jeanie anche per lei era così.
Decisi di ignorare l’imbarazzo iniziando a parlare di qualcosa di leggero e Jeanie sembrò ben contenta di darmi corda. Chiacchierammo del più e del meno finché al secondo piano non incontrammo Chelsea e Potter femmina. Strinsi gli occhi e fissai i capelli lunghi e rossi della ragazzina. Giglio… Lily.
«Ragazze!» Chelsea ci venne incontro. Senza neanche un sorriso.
Niente sorriso. Nella mia testa iniziò a suonare la sirena dell’allarme rosso.
«Ehi.» Chelsea si fermò di fronte a noi. Una ruga profonda solcava la sua fronte. Di fianco a lei, Lily alzò gli occhi al cielo.
C’era puzza di guai.
«Tutto bene, Chelsea?» chiese Jeanie.
Chelsea scosse la testa. «No, proprio no. Sto andando da Rose… È chiusa nel bagno di Mirtilla Malcontenta da più di un’ora!»
Lily tirò una manica di Chelsea. Intercettai il suo sguardo e la ragazzina arrossì.
Oh. Forse se la Weasley non stava bene non era il caso di intervenire. Io e Jeanie ci scambiammo un’occhiata. Forse era meglio levare le tende.
Tossicchiai. Non sapevo come cavarmi d’impiccio. Tra l’altro avevo ancora addosso il montgomery. Magari doverlo posare in Sala Comune poteva essere una buona scusa. Mi dondolai da un piede all’altro, indecisa su come dirlo. Jeanie sbuffò col naso e incrociò le braccia. «Mi dispiace per lei. E non credo che potremo essere d’aiuto, perciò…»
«No, no, venite anche voi!»
Un istante dopo io e Jeanie ci ritrovammo i polsi chiusi nella morsa letale di Chelsea. Mentre ci trascinava verso il bagno di Mirtilla ebbi la sensazione di vivere un déjà-vu. Inciampai nei miei piedi, ma ripresi subito l’equilibrio. Il mio sguardo cadde su Lily Potter: le sue sopracciglia erano corrugate.
Non ci voleva con loro. In effetti, come potevamo essere d’aiuto?
«Shields Chelsea!» sibilò Jeanie. «Lasciami immediatamente!»
Chelsea la ignorò. La Potter aprì la porta del bagno e Chelsea ci trascinò dentro. Ci lasciò vicino al lavello. Sul mio polso rimase un segno rosso e iniziai a massaggiarlo.
«Shields!» sibilò ancora Jeanie. Ora il suo viso era rosso e i suoi occhi azzurri erano ridotti a due fessure. Alzò l’indice e aprì bocca per parlare.
Un gemito di dolore la interruppe. Jeanie rimase con l’indice sollevato a mezz’aria, colta alla sprovvista. Io sentii un brivido attraversarmi la schiena.
Una risatina acuta echeggiò nel bagno, poi dalla porta chiusa di un bagno emerse Mirtilla Malcontenta. Il suo sorriso aperto mi ricordava lo Stregatto.
«Ecco, ecco, è questo che succede alle secchione! Sempre a secchiare, e poi…»
Mirtilla si portò le mani davanti alla bocca e ridacchiò. Lily Potter la fulminò con lo sguardo. «Taci, Mirtilla.»
Lily e Chelsea andarono ai cubicoli e li aprirono uno ad uno. Io e Jeanie restammo vicine al lavello, mentre Mirtilla aleggiò vicino a noi trattenendo le risatine. Cercai di ignorarla e mi azzardai a lanciare un’occhiata a Jeanie. Era ancora rossa. Mi affrettai a tornare a guardare Chelsea e Lily Potter.
«Aha!» esclamò infine Chelsea.
«Vattene via, anche tu!» Riconobbi distintamente la voce di Rose Weasley.
«Rose, non fare così, ti prego» disse Lily. Fece un passo per entrare nel cubicolo, ma si bloccò.
«Non voglio vedere nessuno! Andatevene, piantatela di seccarmi!»
Dai lavelli era impossibile vedere Rose, ma a giudicare dalla voce sembrava che stesse piangendo. Mi sentii muovere a pietà: cosa le era successo? Mossi un passo, ma Jeanie mi posò una mano sulla spalla e mi trattenne. Mi girai verso di lei e Jeanie scosse il capo.
«Tanto sono sola! Sono una stupida secchiona antipatica, lentigginosa, con dei capelli che mi fanno sembrare una casalinga americana alcolizzata e in più sto sulle palle a tutti! Quindi potete anche smetterla di compatirmi e andarvene!»
Mi sentii immediatamente in colpa perché mi aveva fatto pietà. Certo, chi poteva desiderare di suscitare pietà? Preoccupata guardai di nuovo Jeanie, che alzò un sopracciglio biondo.
«Non è così!» esclamò Chelsea dietro di me. Tornai a guardarla. Si posò una mano sul petto. «Non stai sulle palle a noi, siamo tue amiche! Guarda, qui ci sono io, c’è Lily, e ci sono pure Serena e Jeanie là!»
Jeanie si spiaccicò una mano sulla fronte e se la trascinò giù per il viso. Lasciò il mio polso e si appoggiò al lavello. «Perché finisco sempre in mezzo a queste storie?»
Non capii la risposta della Weasley. Lily Potter si mise le mani sui fianchi e disse: «Rosie, non te la devi prendere così.»
Volevo avvicinarmi e vedere Rose. Lanciai a Jeanie un’altra occhiata implorante e lei sbuffò. Si mise al mio fianco e raggiungemmo Lily Potter e Chelsea.
Sbirciai all’interno del cubicolo. Rose era un rossore unico: occhi rossi, viso rosso, labbra rosse, capelli rossi e gocciolone al naso. Cinquanta sfumature di rosso.
«Rose?» mormorai. Lei mi guardò. Si coprì il viso con le mani e ricominciò a singhiozzare.
Guardai Chelsea, interrogativa, e lei si strinse nelle spalle. Lily Potter corrugò la fronte. «Dai, Rose… Non mi far cercare per il castello anche Roxanne, Molly e tutte le altre. Esci, per favore.»
«Ma io non riesco a reggere le aspettative di tutti! Non resisto!» Rose scosse il capo con forza. Le sue spalle tremavano. «Non ci riesco! Non voglio più! Da me tutti si aspettano voti sempre alti, Eccezionale, Eccezionale, Eccezionale, e se prendo un Accettabile vengo derisa! Studio, studio, studio e basta, metto sempre la scuola davanti a tutti, non ho amici e tutti mi detestano! La mia vita è solo studio! Non ce la faccio più ad andare avanti così!»
Chelsea si batté una mano sul petto prosperoso. «E io, Serena e Jeanie chi siamo?»
«Qui, Quo e Qua» mormorai a mezza voce. Jeanie mi diede una gomitata, ma strinse le labbra per non sorridere.
«Non è così, te lo stiamo ripetendo da mezz’ora» fece Lily. «Nessuno ti detesta, non fai mica nulla di male prendendo buoni voti! E non devi sentire tutta questa pressione, cerca di capirlo!»
Ricordai la mia gelosia quando Chelsea e Rose parlavano insieme a lezione. Non avevo idea del fatto che si sentisse così sola. Probabilmente Chelsea, col suo spirito da crocerossina, l’aveva capito prima di tutte noi e quindi cercava di starle vicina. Mi sentii un’idiota per non esserci arrivata anch’io.
Rose era ancora rossa e continuava a grondare lacrime. Quello era proprio un momento emo, con tanto di sconforto e il bonus per la crisi di nervi.
Jeanie si sistemò gli occhiali sul naso e le sue lenti luccicarono. «E cosa pensi di risolvere stando qua, chiusa in un cubicolo del bagno? Questo sì che è proprio inutile!»
Rose Weasley alzò lo sguardo e fissò Jeanie. Io, Chelsea e Lily Potter le lanciammo un’occhiata sbigottita. Il suo tono duro e inflessibile suonava come una bacchettata sulle dita.
«Innanzitutto i tuoi voti devono essere alti per il tuo orgoglio, non per le aspettative altrui. Se studi per compiacere gli altri allora puoi anche smettere e andartene da scuola domani. In secondo luogo non mi sembri proprio una persona isolata dal mondo, anzi sei sempre circondata da gente, quindi tutta questa disperazione da solitudine mi sembra solo una sceneggiata infantile. In terzo luogo, siamo a scuola, cosa vuoi fare se non studiare? Se non vuoi non lo fare, ma se lo fai non ti lamentare.»
Le parole di Jeanie furono una doccia fredda per tutte e quattro. Rimasi interdetta, senza sapere cosa replicare. Non aveva torto, ma un tono così categorico…
La prima a riprendersi fu Lily Potter. «Senti, bella, e se si rivolgessero a te così quando stai male? Ti sembra il modo?»
Gli occhi di Jeanie brillarono in modo sinistro.
Oddio, no. No. Jeanie la Bionda e Lily la Rossa. Non era il confronto che mi aspettavo, ma di certo non volevo assistervi. Mi coprii la faccia con le mani.
«A sedici anni» fece Jeanie in tono baldanzoso, «bisogna essere in grado di contenersi un minimo. Non mi sembra che lei abbia i problemi che afferma di avere. Lei non sa cosa voglia dire sgobbare giorno e notte per avere un Eccezionale.»
«Come ti permetti!» guaì Rose.
Allargai le dita per sbirciare. Rose non aveva più il viso nascosto e Jeanie era dritta come un fuso, con la treccia bionda che oscillava lungo il fianco.
«Mi permetto eccome» fece Jeanie. Accennò un sorriso sarcastico. «Ti basterebbe studiare il giusto per avere ottimi voti, e potresti dedicare il resto del tempo ad altre attività. Se non lo fai, significa che sei male organizzata. Ma poi, se è per compiacere gli altri non ne vale neanche la pena…»
Abbassai le mani. Sapevo che dietro quel sarcasmo c’era dell’amarezza, ma né Rose né Lily potevano saperlo. Balbettai: «B-Be’, Rose…»
Non appena i suoi occhi castani si spostarono su di me il mio viso prese a bollire. Deglutii e cercai di sostenere il suo sguardo. «R-Rimani una delle studentesse migliori, e… E… Se sei così nervosa p-potresti svagarti un po’ di più. Divertirti. P-parlare con più gente.»
Il che, detto da me, doveva suonare comico.
Rose tirò su rumorosamente col naso. Staccò un pezzo di carta igienica grigiastra e lo soffiò.
Chelsea mostrò il pollice in su. «Forza. Ti aiuteremo a farti nuovi amici! E basta passare le giornate sui libri. Prendila con più rilassatezza!»
Solo io sembrai notare che Jeanie fece un passo indietro.
Cercai di pensare a qualcosa di divertente o appropriato da dire. Mi sforzai.
Rose, sai che ieri ho fatto un sogno quasi erotico con tuo cugino?
Avvampai e indietreggiai al fianco di Jeanie. No, era decisamente meglio che io tacessi.
 
Nota dell’autrice: e qui compare la seconda vincitrice del concorso, Trich! *stringe la mano* Il suo personaggio è Amy, la ragazza che vaga per l’ingresso insieme al battitore di Corvonero. *w* Aggiungo che l’idea di AlbusPony coi tre muffin sulla coscia è sua… Sono un debito. :P Ancora un grazie a tutti voi per il sostegno che mi date! ♥

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Capitolo 34
*** Dove il Malefico Trio non dimentica i propri guai, ma ne causa di nuovi. ***


Dove il Malefico Trio non dimentica i propri guai, ma ne causa di nuovi.
 
 
 
Anche se la prossima partita era Grifondoro contro Tassorosso questo non significava che le altre squadre non si allenassero regolarmente. E questo, disgraziatamente, Chelsea lo sapeva bene.
«Non so per quale cavolo di motivo ho accettato la tua cavolo di proposta di andare in quel cavolo di campo da Quidditch quando so che perderò un sacco di tempo a guardare quei cavolo di giocatori giocare un cavolo di gioco e mi annoierò. Cavolo.»
Jeanie viveva nel mondo dell’ortofrutta. L’avevo sempre saputo. Affondai le mani nelle tasche del montgomery e procedetti a passo svelto. In quel momento desideravo solo una fonte di calore che potesse scaldare le mie povere ossa.
Chelsea sogghignò. «Hai accettato perché speri che ti porti a vedere ancora quel figaccione del battitore Corvonero, vero?»
«Assolutamente no!» esclamò Jeanie. «Ma ti pare?» Tirò la sciarpa fin sotto al naso, ma non riuscì a nascondere il rossore delle guance.
«Aha!» Chelsea batté le mani e alzò un pugno al cielo in segno di vittoria. Accelerò il passo verso lo stadio. «Lo sapevo! Figo Battitore ha fatto colpo!»
Allungai il passo per starle dietro. Il mio fiato corto si condensava in nuvolette bianche.
Jeanie, ancora rossa, alzò gli occhi al cielo. «Piantala Chelsea, sei ridicola. Nessuno ha mai detto una cosa del genere.»
«Quello lì ti attizza da morire! Guardati, sei rossissima!»
«Sono rossa perché fa freddo. È una normale reazione della pelle.»
«Sì, sì, tutte storie!»
Arrivammo allo stadio da Quidditch. Come temevo imboccammo il corridoio buio e senza scale che portava agli spogliatoi. Emisi un gemito di sconforto. Forse era arrivato il momento di dire la mia. «Chelsea… Come dire… Ho… Ho sincero timore di essere scoperta, e… Ehm…»
«Scoperta?» esclamò Chelsea. Nella penombra distinguevo la sua sagoma ben definita, ma anche se fossi stata cieca il suo volume di voce da megaconcerto la rendeva rintracciabilissima. Così ci avrebbero scoperto subito. Iniziai a sudare freddo. «Macché, Serena, che sciocchezza! Saranno tutti impegnatissimi, non ci cagheranno neanche di striscio!»
Il labbro di Jeanie tremò. «Bonjour finesse
«Uh? E da quando parli italiano, tu?»
«È francese, evil overlord
Chelsea accelerò il passo e io iniziai a trotterellare per stare dietro alla sua ampia schiena. «Ti prego, Chelsea, ti prego, non mettermi nei guai…»
«Oh, giovane Tassorosso! Un po’ di ardire! Quando mai ti ho messa nei guai?»
Col fiato corto ansimai: «Vuoi l’elenco in ordine alfabetico o cronologico?»
«Ti faccio ardere io, se mi cacci in qualche casino» bofonchiò Jeanie.
Vidi comparire la porta dello spogliatoio. Il cuore già mi martellava nel petto più veloce che mai. Andavamo così veloci che iniziavo a sentir bruciare i polpacci. «Chelsea… Ti regalo due Kinder cereali… Anzi no, tre… Però ti prego…»
Con mia grande sorpresa Chelsea superò la porta e proseguì dritto.
Cosa caspita stava macchinando la sua mente diabolica?
«Chelsea! Ehi!» fece Jeanie.
No, ora anche Jeanie alzava la voce! Mi aggrappai al suo cappotto. «Jeanie… Se ci sentono…»
Di fronte a noi l’uscita che si affacciava sullo stadio sembrava invasa dalla luce, in confronto all’oscurità del corridoio. Chelsea si fermò un attimo prima di varcare la soglia. Nascosta dalla penombra appoggiò le mani contro lo stipite e guardò fuori. Mi aggrappai alla sua vita e sbirciai oltre la sua spalla. Dietro di me, sentii le mani di Jeanie posarsi sulla mia schiena.
Sbattei le palpebre per abituarmi alla luce dell’esterno. Misi a fuoco le immagini, e li vidi.
Ragazzi e ragazze con divise verdi, a cavalcioni della scopa, ancora in terra, ascoltavano un ragazzo coi capelli scuri che gesticolava. Probabilmente era il capitano. E quella era la squadra di Serpeverde.
Feci scorrere gli occhi su tutti i membri, finché non individuai Albus Potter. Era tra una ragazza più alta di lui, coi capelli castani legati in una coda di cavallo, e un ragazzo col viso rosso butterato dall’acne.
Le mie dita affondarono nella giacca di Chelsea. «Che caspita siamo venute a fare qui?»
«Si allenano» mormorò Jeanie al mio orecchio. Il suo fiato caldo sul collo mi ricordò quanto faceva freddo. Come facevano quelli in campo a non tremare da capo a piedi?
«Mi sembra evidente cosa siamo venute a fare» fece Chelsea. Non potevo vedere il suo viso, ma avrei giurato che stava ridendo.
In mezzo al campo il ragazzo butterato diede una spinta ad Albus, che finì con la spalla contro la ragazza castana. Albus rise e restituì la spinta al ragazzo.
Il capitano della squadra aprì una valigia marrone. Strizzai gli occhi e vidi un bagliore dorato girargli intorno alla testa e poi scomparire. Il ragazzo prese la Pluffa e la lanciò alla ragazza con la coda. Lei, Albus e il ragazzo butterato spiccarono il volo. Il capitano prese una mazza, disse qualcosa alla squadra, liberò i Bolidi, poi con una spinta si levò in aria anche lui.
La ragazza con la coda iniziò a zigzagare per il campo con la Pluffa sottobraccio. Albus la seguiva, a pochi centimetri da lei, appiattito sulla scopa. La ragazza frenò di colpo e cambiò direzione. Albus invertì la rotta, ma la ragazza lanciò la Pluffa al ragazzo butterato e iniziò a inseguirlo. Un istante dopo un Bolide le sfrecciò vicino all’orecchio.
«Clove!» ruggì il capitano. «Stai attenta!»
La ragazza lo ignorò e continuò a sfrecciare all’inseguimento del ragazzo butterato. Lui tirò indietro il braccio, lanciò la Pluffa e Albus la prese al volo.
Strinsi con tutte le mie forze la giacca di Chelsea. Mi sentivo come un sandwich, spiaccicata tra lei e Jeanie, ma almeno mi riscaldavano. I poveretti che volavano invece stavano di sicuro gelando. E se si fossero presi il raffreddore? Seguii con lo sguardo Albus fare il giro del campo mentre veniva inseguito dall’altro ragazzo Cacciatore.
«Ehi, voi.»
Sussultai. Io, Chelsea e Jeanie ci voltammo.
Per un istante il mondo si fermò. Dalla penombra emerse Scorpius Malfoy.
La vista mi si oscurò e non sentii più le gambe. Mi appoggiai a Chelsea. Sbattei le palpebre e cercai di resistere al senso di vertigine. Finalmente rimisi a fuoco ciò che avevo intorno.
Scorpius Malfoy avanzò verso di noi, lento e a schiena dritta, un capo della sciarpa verde e argento ciondolante sul petto. «Cosa ci fate qui?»
La mia bocca era troppo secca per rispondere. Non riuscii a pensare a nessuna scusa plausibile. Da vicino a me sentii provenire, come ovattata, la voce di Chelsea. «Guardiamo, Malfoy. Non è mica proibito.»
Malfoy si fermò. Le sue labbra sottili si sollevarono in un ghigno. «No, certo che non è proibito. Ma quella là fuori è la squadra di Serpeverde, e nessuno di voi tre è Serpeverde, o sbaglio?»
Il suo sguardo scivolò su di noi. Incrociò il mio e mi fissò. Il calore iniziò a invadermi il collo, il viso, le orecchie. Inspiegabilmente sentii gli occhi gonfiarsi e riempirsi di lacrime. Abbassai il capo e fissai la terra battuta.
«Sei razzista per caso? È passato di moda ormai, dovresti saperlo.» La voce sarcastica di Chelsea mi fece rialzare gli occhi. Sbirciai Malfoy. Il suo ghigno era scomparso.
«Battuta fuori luogo, Shields. Volgare come poche.» Afferrò il capo della sciarpa verde e lo gettò dietro la schiena. «Non è proibito guardare anche se non siete Serpeverde, ma ammetterete che non è proprio corretto. Potreste riferire informazioni alle vostre squadre. Quindi, se permettete, giochiamo con onestà. Direi che occorre avvisare la squadra che il loro allenamento è sotto osservazione. Così potrete rimanere qui quanto vorrete.»
Il panico mi strinse lo stomaco e mi aggrappai con tutte le mie forze al braccio di Chelsea. Malfoy avanzò verso l’uscita del campo.
Un secondo dopo Jeanie era davanti a lui. A gambe divaricate e con le mani piantate sui fianchi Jeanie gonfiò il petto. I loro visi erano a pochi centimetri l’uno dall’altro. Malfoy fece un passo di lato ma Jeanie gli sbarrò di nuovo la strada.
Le sopracciglia bionde di Malfoy si unirono. «Joy. Non è nel tuo stile. Su, evitiamo sceneggiate.»
«Sono d’accordo, evitiamo sceneggiate.» La voce di Jeanie era calma e dolce. Non era mai un buon segno.
Gli occhi di Malfoy si ridussero a due fessure. Lui e Jeanie erano viso a viso. Potevo vedere il fiato caldo di Malfoy appannare gli occhiali spessi un dito di Jeanie.
«Non voglio litigare» sibilò Malfoy.
«Neanche noi.» La treccia dorata di Jeanie ondeggiò lungo il suo fianco. «Ti reputavo una persona intelligente fino a dieci minuti fa. Ma se davvero pensi che ce ne importi qualcosa delle squadre di Quidditch, be’, devo ricredermi…»
Mi balenò in testa la frase di Chelsea di poco prima: saranno tutti impegnatissimi, non ci cagheranno neanche di striscio!
Chelsea, T di Troll in Divinazione.
Un angolo della bocca di Malfoy si sollevò. «E allora cosa ci fanno qui una Corvonero, una Tassorosso e una Grifondoro, se non spiare gli allenamenti?»
Il mio cuore batteva talmente forte da sentirlo in gola. Strinsi ancora di più il braccio di Chelsea. Jeanie restò immobile, le mani ancora sui fianchi, a fissare Malfoy.
Un secondo dopo delle sagome verdi entrarono in corridoio e le mie membra si irrigidirono.
«Ehi.»
«Ciao.»
«Bella lì, raga!»
Davanti a noi, sorridenti, sfilarono i giocatori di Serpeverde.
Il capitano della squadra passò accanto a Malfoy e gli diede una pacca sulla spalla. «Ehi, Malfoy, hai cambiato bionda? Per Merlino, come sei monotono…»
Il mio cervello mi mandò un disperato segnale per avvertirmi che avrei dovuto avere paura di qualcosa. Prima che lo capissi, Albus Potter entrò nel corridoio e incrociò il mio sguardo.
Si fermò con la mano a mezz’aria mentre stava per dare una manata al suo compagno con l’acne. Il sorriso gli si congelò in faccia. Abbassò subito la mano.
Le mie labbra si aprirono e si chiusero senza produrre alcun suono. Alla fine con voce roca mormorai: «Ciao.»
«Ciao» ripeté Albus. Sbatté le palpebre e fu scosso da un tremito. Passò oltre me e Chelsea e proseguì insieme al resto della squadra. Guardai la sua schiena allontanarsi finché non scomparve nello spogliatoio. La porta si chiuse con un colpo sordo.
Io, Chelsea, Jeanie e Scorpius Malfoy restammo lì. Un soffio di vento sibilò nel corridoio e scosse la treccia di Jeanie e le nostre sciarpe.
Accanto a me Chelsea scrollò le spalle. «Oh be’, tanto casino per niente.»
Malfoy e Jeanie si voltarono di scatto verso di noi con sguardo omicida.
Cautamente arretrai e scivolai dietro la schiena di Chelsea.
«Casino?» fece Jeanie. La sua voce era più acuta del normale. «Casino?»
Malfoy sbuffò. «Joy, sei rumorosa.»
Afferrai un capo della sciarpa di Chelsea e sbirciai oltre la sua spalla. Malfoy si toccava l’orecchio e guardava male Jeanie. Forse voleva morire giovane. Tossii.
Immediatamente gli sguardi scattarono su di me. Mi sentii assalire dalla vergogna e mi feci piccola piccola dietro Chelsea. «Ehm. Scusatemi. N-non vorrei intromettermi, non sia mai… Ma…»
Cercai freneticamente una scusa qualsiasi che ci permettesse di rientrare.
«Ma…»
Pensa. Pensa. Pensa.
«… Ma fa freddo…»
Se avessi indicato il cielo con l’indice e avessi grugnito E.T. telefono casa probabilmente avrei riscosso più successo. Invece continuarono a fissarmi.
«Su!» esclamò Chelsea alla fine. «Tutto è bene quel che finisce bene, saluti e baci, rientriamo che fa freddo e prendiamoci una cioccolata che è ora di merenda e qui si rischia il calo glicemico.»
Gli sguardi si puntarono su Chelsea. Tirai un sospiro di sollievo e dentro di me una serie di ovazioni la proclamavano santa.
Le mani di Jeanie scivolarono lungo i fianchi e finirono nelle tasche del cappotto. Il suo viso era inespressivo. Sbuffò col naso.
«Andiamo, andiamo!» fece Chelsea con allegria. «Cioccolata, avanti!» Si avviò lungo il corridoio e io trotterellai dietro di lei.
Dopo qualche passo mi voltai verso Jeanie. Lei e Malfoy si guardarono ancora una volta, poi Jeanie passò oltre Malfoy e ci seguì.
«Questa non la dimentico, Joy.»
Non sapevo perché ma un brivido mi percorse la schiena. Non riuscivo a capire se la nota melliflua nella voce di Malfoy suonasse come una minaccia o come una falsa lusinga. Mi voltai un’altra volta e vidi Jeanie camminare dritta come un fuso, sicura e impettita.
Solo quando ci trovammo in Sala Grande per la merenda le sue spalle si rilassarono. Ci separammo e ci immergemmo nella folla di studenti vocianti, ognuna diretta al proprio tavolo. Tutti chiacchieravano, ridevano, scherzavano.
Mi accomodai al tavolo di Tassorosso e presi una tazza di tè con latte. Il tè caldo mi bruciò in gola e subito il calore si diramò dallo stomaco fin dentro le ossa. Lanciai un’occhiata agli altri tavoli. A Grifondoro Chelsea rideva insieme a una ragazza che non conoscevo e aveva già un tramezzino mezzo mangiato in mano. A Corvonero Jeanie sedeva con le gambe accavallate e sorseggiava qualcosa da una tazza bianca. A Serpeverde Albus era già tornato ed era in mezzo a ragazzi che non conoscevo. Indicò qualcosa sul tavolo e rise.
Improvvisamente non avevo più voglia di bere il mio tè. Strinsi la tazza tra le mani e fissai le onde nel liquido color caramello.
Allora era solo con me che sorrideva così poco?
 
Nota dell’autrice: ho mantenuto l’espressione inglese evil overlord anziché tradurre “signore del male” perché temo che in italiano perderebbe molte delle allusioni che invece il termine inglese evoca. Presente la evil overlord list? ;)
Per passare alla nota felice: siccome non c’è due senza tre ecco la terza vincitrice del concorso, chocolate_pudding. :D Il suo personaggio è Clove! ♥ Cara ragazza, ho tante cose per cui ringraziarti, ridurle tutte in una nota mi sembra poco, quindi grazie cento volte e tu sai tutti i perché. TTuTT
E, naturalmente, grazie anche a tutti quelli che leggono/recensiscono/inciampano in Serena. ^^ Vorrei conoscervi tutti e ringraziarvi personalmente (180 recensioni totali e 1610 visualizzazioni del primo capitolo, perdincibacco! °A° ), ma non potendolo fare mi limito a lanciarvi un grande grazie da questa nota. Tutto questo vuol dire molto per me, quindi grazie, grazie, grazie. ♥

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Capitolo 35
*** Dove il lunedì mattina si manifesta in tutta la sua terrificante malvagità. Forse. ***


Dove il lunedì mattina si manifesta in tutta la sua terrificante malvagità. Forse.


 
 
Sbadigliai. Come ogni lunedì rimpiangevo di non veder arrivare Il Pacco. Certo, era arrivato il giorno prima, ma mi avrebbe fatto piacere dare un’impennata alla glicemia del lunedì. Sperai che il caffelatte potesse tenermi sveglia tutta la mattina. Sbadigliai ancora e mi coprii la bocca con una mano. Le premesse erano desolanti. Afferrai il caffelatte e affondai il naso nella tazza. A pochi metri da me Albus e Scorpius arrivarono al tavolo di Serpeverde e si sedettero.
Chissà se tu mi stai pensando ancora di più…
Il sorso mi andò di traverso. Sbuffai e risputai il caffelatte nella tazza. Tossii. Cercai di prendere fiato, ma immediatamente fui presa da un altro attacco di tosse.
«Ehi!»
Una compagna seduta vicino a me mi tolse la tazza dalle mani e mi batté una mano sulla schiena. Mi aggrappai al tavolo di legno e tossii ancora. Ansimai nel tentativo di inspirare. Un altro colpo poderoso sulla schiena mi fece tossire di nuovo.
«Non ti strozzare! Ehi!»
«No, no…» rantolai. Stringevo il tavolo così forte che mi facevano male le dita. Feci dei respiri più ampi possibile. Dopo qualche secondo la paura di restare senza aria scemò e ripresi a respirare normalmente.
«Grazie» mormorai alla mia compagna. Metà del tavolo di Tassorosso stava guardando me. Mi rannicchiai nel mio spazio di panca e ripresi la tazza di caffelatte. Perché non potevo scomparire?
Ma soprattutto: perché il lunedì mattina mi doveva venire in mente proprio la sigla di Piccoli problemi di cuore?
No, Serena, non ci pensare seriamente. Tu non lo vuoi sapere veramente.
Cosa potevo fare per distrarmi? Ecco, se fossi stata un pony con le ali sarei volata via da tutto quell’imbarazzo. Dov’erano le Redbull quando servivano?
Abbassai lo sguardo sulla mia tazza piena di caffelatte sputacchiato. No, francamente non ne avevo più voglia. Presi le mie cose e mi diressi verso l’aula di Pozioni.
Fui scossa da un brivido. I sotterranei erano troppo freddi. Come cavolo potevano pretendere che noi ragazze indossassimo delle gonne e delle calze come divisa? Mi sarei di sicuro beccata un raffreddore. Spinsi la porta ed entrai nell’aula.
Una testa bionda, seduta ad un banco, si girò verso di me.
Mi aggrappai alla porta e trattenni il fiato.
Rosemary mi fissò, strinse gli occhi e poi si girò, dandomi le spalle.
Rimasi pietrificata sulla porta.
Credevo che sarei stata sola nell’aula. Cosa ci faceva lì Rosemary? Fissai i suoi lunghi capelli biondi. Cosa dovevo fare? Tornare in Sala Grande? Andare a fare un giro? Entrare e far finta di niente? Mi morsi l’unghia del pollice. Mi sembrava scortese entrare e non parlarle, ma d’altronde cos’avevo da dirle?
Con uno stac l’unghia si ruppe. Ci passai sopra l’indice e mi grattai il polpastrello. Cosa dovevo fare? Lo stomaco mi si chiuse. Presi un respiro ed entrai. La porta dietro di me si chiuse con un cigolio.
I miei passi rimbombarono nell’aula finché non raggiunsi il piano da lavoro. Posai la mia borsa. Rosemary non si mosse.
Cosa dovevo fare? Riflettei. Se Chelsea fosse stata lì con me probabilmente sarebbe andata a parlarle. Ripensai a Rose Weasley. Mi morsi il labbro. Non c’era niente di male a parlare con una compagna di classe, no?
Forza. Comportiamoci da persone normali.
Rosemary era seduta un paio di file più avanti. Mi avvicinai in punta di piedi.
«Ehm… Rosemary?»
Rosemary si voltò di scatto e mi lanciò un’occhiataccia. Arretrai di un passo.
«Hai bisogno, Latini?»
Il tono acido non lasciava dubbi: era in fase premestruale.
«No, è che…» Mi morsi il labbro. «Niente. Scusami.»
La guardai. Aveva delle occhiaie pesanti e sembrava pallida. Forse non era in fase premestruale. Forse aveva l’influenza. Chinai il capo e tornai al mio posto.
Dopo qualche minuto di silenzio arrivò dai corridoi un vago vociare. La porta si aprì cigolando ed entrarono alcuni Tassorosso. Occuparono i banchi in prima fila. Nessuno si sedette vicino a me.
Forse ricordavano ancora quando ero andata a fuoco. Non potevo dar loro torto. I miei compagni tirarono fuori i libri e continuarono a chiacchierare. Sentii i muscoli delle spalle e della schiena rilassarsi: non mi ero resa conto di essere stata tesa fino a quel momento.
La porta cigolò di nuovo ed entrarono dei Serpeverde. Il mio cuore accelerò i battiti. In mezzo ai ragazzi vidi Scorpius e Albus.
Perché dei giorni tu sei distante più che mai…
Uno schianto mi fece sussultare e tutti si voltarono verso di me. Non capii il perché. Avvampai di vergogna. Abbassai gli occhi e vidi il tomo di Pozioni per terra, spalancato come se avesse voluto spiccare il volo.
Incassai la testa nelle spalle mentre la vergogna mi attanagliava le viscere. «Scusate» sussurrai.
Mi chinai. Avrei regalato il mio Catalogo di fanfiction in cambio del permesso di rimanere per tutta la lezione sotto quel tavolo. Chiusi il libro e riemersi nella triste realtà.
Notai che Scorpius era seduto con Albus nella fila opposta a quella di Rosemary, nell’ultimo banco in fondo. Che strano, avrei scommesso che sarebbe andato a sedersi con lei. Un secondo dopo mi accorsi di non averli neanche salutati.
Avrei voluto sbattere il mio capoccione sul tavolo fino a spaccarlo. Il tavolo, ovviamente.
Arrivarono altri Tassorosso, e rimasi ancora da sola al tavolo. Tutti parlavano fra di loro, allegri. Mi girai per sbirciare Albus e Scorpius. Anche loro chiacchieravano. Quanto era brutto salutarli solo adesso? Era maleducato? Quanto maleducato?
Poi, improvvisamente, ebbi un’idea.
Deglutii. La mia bocca era secca e impastata. Appoggiai le mani sul tavolo e mi tirai in piedi. Rimasi così qualche secondo per essere sicura di non perdere l’equilibrio. Presi un gran respiro. Mi tremavano le gambe. Ma era l’unica cosa fattibile. Sempre che non mi avesse uccisa di vergogna. Mi girai e mi diressi verso Albus e Scorpius.
Arrivai al loro tavolo coi pugni chiusi talmente stretti che le unghie mi affondavano nei palmi. Scorpius e Albus si accorsero di me e smisero di parlare. Scorpius alzò un sopracciglio biondo.
«Che c’è, Latini?»
Appoggiai un fianco al tavolo accanto a me per essere sicura di restare in piedi. Deglutii. Non riuscii a sostenere i loro sguardi e abbassai il capo. Fissai il pavimento di pietra grigia del sotterraneo.
«V-Volevo sapere come stava. Se meglio.»
Tutto intorno a noi la classe continuava a parlare e chiacchierare come se nulla fosse. Non udii nessuna risposta. Alzai gli occhi. Scorpius aveva la fronte corrugata.
«Prego?»
Cribbio, che idiota che ero. «Rose» mi affrettai ad aggiungere.
Albus spalancò gli occhi. «Ah! Rose!» Si passò una mano dietro la nuca e si spettinò i capelli. «Sta meglio… È che… Era un po’ giù, credo… Sai, le solite cose…»
«Le solite cose» ripetei. Era rassicurante avere un fianco contro il tavolo. Non era come avere Chelsea e Jeanie, ma almeno mi sosteneva fisicamente.
Il chiacchiericcio di sottofondo aumentò. Mi morsi il labbro.
Scorpius sbuffò e si dondolò sulla sedia. Rimase in equilibrio solo su due gambe. «Senti, Latini.»
Sussultai e lo fissai. «Sì?»
«Invece che stare là da sola prendi le tue cose e vieni qui con noi. C’è posto.»
Sgranai gli occhi. Lì con loro? Scherzava? O sul serio? Feci saettare gli occhi a destra e a sinistra. Dov’erano le telecamere e Lumacorno a gridare “sorridi, sei su Candid Camera” ?
Mi accorsi di essere andata in iperventilazione. Inspirai ed espirai più lentamente. Guardai Albus. Lui si strinse nelle spalle e inclinò il capo di lato come a dire “be’, se vuoi…”
Sedermi a un banco. Non con un ragazzo, ma con due ragazzi. Due ragazzi in banco con me. Non riuscii a reprimere il tremito. Annuii.
Scorpius sollevò un angolo della bocca e sorrise soddisfatto. «Allora non restare lì, vai a prendere le tue cose.»
Mi voltai all’istante e in due balzi fui di ritorno al mio tavolo.
Mi sembrò di sentire la voce di Scorpius mormorare “che bambini”.
Presi il libro e mi infilai la tracolla della borsa sulla spalla. Oddio, lo stavo facendo veramente, stavo per andare a sedermi al tavolo con loro. Alzai gli occhi, e vidi Rosemary scoccarmi uno sguardo omicida.
Mi sentii avvampare per la vergogna. Mi sembrò di fare un torto a Rosemary. In genere era lei a stare sempre con Albus e Scorpius. A maggior ragione visto che mi sembrava di aver capito che lei e Scorpius stessero insieme.
Mi ero sbagliata?
Strinsi al petto il libro di Pozioni. Mi voltai e mi avvicinai a grandi passi verso il banco di Albus e Scorpius. Albus stava togliendo libro e penne d’oca dal posto di fianco a sé.
Perciò mi chiedo e richiedo se c’è un posticino nel tuo cuore per me…
Inciampai e il pavimento di pietra si avvicinò con un balzo al mio viso.
Caddi lunga distesa. Il libro di Pozioni mi schiacciò il petto e mi tolse il fiato. Un dolore acuto si diramò dallo stomaco in tutto il corpo.
La classe scoppiò a ridere. Mi puntellai con le mani sul pavimento e mi tirai su. Lo stomaco mi faceva male. Stupido libro di Pozioni. Le ginocchia mi bruciavano. Mi rimisi in piedi mentre qualcun altro sghignazzava ancora. Addio, collant nere: erano strappate sulle ginocchia, e in più il ginocchio sinistro era sbucciato.
Fanculo, Candid Camera. Sbattei le palpebre per rimettere a fuoco l’aula e ricacciai indietro le lacrime. Era tremendamente umiliante.
Raccolsi le mie cose dal pavimento. Con la coda nell’occhio vidi Albus in piedi guardare verso di me e torcersi le mani. Mi diressi verso il tavolo a grandi passi, aggirai Scorpius e mi sedetti accanto a lui.
«Tutto a posto?» fece Albus a mezza voce.
Non ero sicura di riuscire a rispondere con voce ferma, la mia gola era ancora stretta. Le lacrime mi premevano alla base degli occhi. Annuii.
Scorpius si sporse sul tavolo per guardarmi. «Che volo, Latini. Come hai fatto?»
Mi strinsi nelle spalle.
La porta cigolò ed entrò Lumacorno. Aprii il libro di Pozioni, contenta di avere una scusa per non rispondere.

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Capitolo 36
*** Dove si scopre che la sorella di Chelsea è una piccola strega. La scoperta dell’acqua calda, insomma. ***


Dove si scopre che la sorella di Chelsea è una piccola strega. La scoperta dell’acqua calda, insomma.


 

«… E così abbiamo parlato, ma parlato seriamente eh, tutti e tre, e Scorpius mi ha chiesto oh ma allora è vero che in Italia avete tutti i capelli scuri e io gli ho risposto no cioè sì scuri rispetto qui ma abbiamo anche i biondi anche se pochi perché siamo vicini alla Germania credo perché se vai in Sicilia di biondi non ne trovi però non lo so perché in Sicilia non sono mai stata e allora Albus ha detto…»
«Per Merlino, sopprimetemi» implorò Chelsea.
«… ha detto che in Sicilia ci vorrebbe andare e ha chiesto quali sono i dolci tipici e io ho detto la cassata e i cannoli però la cassata a me non piace e i cannoli si ma a volte ne trovi di buoni anche nelle bancarelle e non solo nelle pasticcerie e…»
«Serena» fece Jeanie. «O taci un momento oppure ti scaglio un Languelingua.»
Serrai immediatamente le labbra.
«Bene.» Jeanie raddrizzò la schiena e incrociò le braccia.
«Stavo per morire» grugnì Chelsea. «Ancora un po’ e avrei avuto bisogno di quel… Quel coso per l’orecchio… L’apparato sonoro, no… Per sentire… Apparato, apparecchio…»
«L’apparecchio acustico» la corresse Jeanie.
«Sì, quello!»
«Amplifon migliora la vita!» esclamai. Non riuscii a reprimere un sorriso a trentadue denti. «Posso ricom…»
«No!» Chelsea scattò in avanti. La sua mano grassoccia mi arrivò dritta sui denti e il dolore si propagò lungo le gengive e sulle labbra. Mugugnai e afferrai la sua mano, ma Chelsea la tenne premuta con forza sulla mia bocca.
«Serena, per il bene mio e tuo e nostro, se non vuoi pagare a tutta Hogwarts una fornitura di apparecchi sonori, taci.»
Mugugnai il mio consenso, ma credo che Chelsea non lo capì visto che non mi staccò la mano dalla bocca.
Sul viso di Jeanie comparve un sogghigno malvagio. «Piuttosto, ci sono novità.»
«Mfghmf.»
Jeanie alzò gli occhi al cielo. «Chelsea, liberala.»
Chelsea mi tolse la mano di dosso. Decisi di fingermi offesa. Incrociai le braccia, sporsi il labbro in fuori e distanziai la sedia dal banco.
«È inutile che tu faccia il broncio con noi.» Jeanie sghignazzò e con l’indice si spinse gli occhiali alla base del naso. «Tra poco avrai dei motivi migliori per farlo.»
Chelsea arricciò il naso. «Che cattiva che sei, Jeanie Joy. La sua è stata una proposta gentile.»
Jeanie sbuffò e alzò gli occhi al cielo. «Ancora? Non potete chiamarmi semplicemente Jeanie, insomma?»
Iniziai ad essere curiosa. Il discorso però stava pericolosamente cambiando strada. Così le novità non sarebbero saltate fuori.
Tenni le braccia ancora incrociate, ma mi sporsi verso di loro. «E… Quindi?»
Jeanie sorrise e strinse le labbra. «La signorina Weasley Rose ha l’onore di invitare la signorina Latini Serena…»
Trattenni il fiato.
«… ad andare con lei nell’aula vuota del terzo piano ad imparare l’Incantesimo Rallentante.»
Mi crollò il mondo addosso.
«Un uccellino mi ha detto che non ci riesci» ridacchiò Jeanie.
Chelsea storse le labbra. «Ne sembri quasi compiaciuta.»
Jeanie scostò la treccia bionda dietro la spalle e accavallò le gambe. Era impossibile ignorare il suo sorriso soddisfatto.
Chelsea le lanciò un’occhiataccia. «Anzi, senza quasi. Sei compiaciuta.»
«Se lo merita, se avesse chiesto aiuto a me ora non sarebbe in questo guaio.»
Di scatto afferrai le mani di Jeanie. Erano gelate. «Amica mia, luce del mio cuore, mio barlume di speranza nell’oscurità, aiutami.»
Jeanie rise. «Troppo tardi.»
Per un momento valutai la possibilità di confessare a Jeanie, per recuperare consenso, di aver mandato a fanculo Rose Weasley in italiano. Il problema era che in quel momento Chelsea era presente. Poteva pensare che il mio vaffanculo a lezione fosse riferito anche a lei.
Be’, in effetti era riferito un po’ a tutto. Ma quel segreto sarebbe venuto con me nella tomba.
Perché poi non avrei più potuto mandare a fanculo la gente in italiano.
Salvarmi dalle ripetizioni e sacrificare il vaffanculo, o sacrificarmi con le ripetizioni e conservare il vaffanculo?
Ardua scelta.
«Andrai da lei» trillò Jeanie.
Il suo sorriso compiaciuto andava da un orecchio all’altro.
Decisi.
Strinsi più forte le mani fredde di Jeanie e le sorrisi. «Te c’hanno mai mannato a quer paese? Sapessi quanta gente che ce sta’…»
«Oh, questa non la conosco!» squittì Chelsea. «È babbana? In italiano babbano?»
«Er Primo Cittadino è amico mio, tu dije che te c’ho mannato io…»
Jeanie corrugò le sopracciglia bionde. «Non sono sicura che sia una serenata, sai, Chelsea…»
Ritrasse le mani. Io continuai a sorridere e sbattei le ciglia con l’aria più innocente possibile.
«Comunque Rose ti aspetta oggi a pranzo per metterti d’accordo. Dice che ti aiuta molto volentieri» fece Chelsea.
Oh, già. Me n’ero già scordata. La guardai implorante. «Non mi puoi aiutare tu?»
Chelsea mi guardò male.
Incassai la testa nelle spalle. «È che… Non lo devo imparare per forza… No?»
«Dai, Serena… La farà sentire meglio… Così si sentirà utile, no?»
Mi sentii crudele, malvagia e senza pietà. Rividi Rose a piangere in bagno. Di fianco a me, Jeanie si dondolava e sorrideva. Ci stava godendo, la fetente, ci stava godendo.
«E va, e va, va avanti tu che adesso c’ho da fa’…»
La sedia di Chelsea grattò contro il pavimento e lei si alzò. «Certo che potevi portare qualche Kinder, Serena.»
«Si dice “Kinder”, non “più gentile”.»
«Sì, quelli. Hai capito.» Chelsea si avvicinò alla finestra.
Jeanie continuava a sorridere. Si mise a dondolare un piede. «Osserva, Serena, come il senso di colpa porti Chelsea a una forma di ostracismo autonomo.»
Corrugai la fronte. «Senso di colpa per cosa?»
«Lei vuole aiutare Rose Weasley e costringe anche noi a fare le buone samaritane.»
«Oh.»
Riflettei. A me Rose Weasley non stava molto simpatica, è vero. Però vederla piangere in bagno non era stato un gran bello spettacolo. Cercai di immaginarla nella Carousel Boutique della Stanza delle Necessità. Avrei potuto truccarla e renderla bellissima come avevo fatto con Jeanie. Però mi sapeva di cosa molto privata. Probabilmente Rose non avrebbe capito il fascino della Carousel Boutique.
Ma Emo Rose non era poi questo granché. Forse aveva ragione Chelsea, risollevare un po’ la sua autostima facendola sentire utile sarebbe stata una buona azione. Una buona azione da scout, come i giovincelli con la divisa delle Giovani Marmotte che aiutano le vecchiette ad attraversare la strada.
Però se avessi accettato senza insistere con Jeanie forse lei avrebbe creduto che preferivo Rose?
E l’avevo pure mandata a quel paese. Anche se lei non lo sapeva. Il senso di colpa iniziò a serpeggiare nelle mie viscere.
Uno strillo mi fece sobbalzare.
Mi voltai verso Chelsea. Teneva le mani e il viso appiccicati alla finestra. Io e Jeanie ci scambiammo un’occhiata.
«Chelsea, tutto bene?»
«No! Qu-qu-quella strega
La voce acuta di Chelsea mi allarmò. Io e Jeanie ci guardammo ancora. Ci alzammo in piedi e andammo alla finestra.
Dall’aula dove eravamo si vedeva il campo da Quidditch. Nel prato c’erano due figure, una robusta con una sciarpa nera e blu e l’altra più minuta con una sciarpa rossa e gialla.
Strizzai gli occhi. La figura più piccola mi sembrava familiare, ma la cosa strana era che non era in divisa. Sembrava vestita di nero.
«Be’, sì, è una strega… Se no non sarebbe a Hogwarts, no?»
Chelsea si staccò dalla finestra e uscì dall’aula a passo di marcia.
«Chelsea!» Le corsi dietro.
«Dove vai?» fece Jeanie.
Chelsea continuò a marciare in corridoio e raggiunse le scale. Si aggrappò al corrimano e iniziò a scendere.
«Cosa ti prende?» chiesi.
«Quella è Candy» ringhiò Chelsea.
«Candy?» ripeté Jeanie. «E allora?»
Raggiungemmo la fine delle scale e riprendemmo a camminare nel corridoio. Chelsea già ansimava. «Come “e allora”? Era col battitore figo di Corvonero!»
«Oh.» Ripensai alle due figure. Era un’ipotesi plausibile. «E quindi?»
«E quindi!» ruggì Chelsea. «Ha quattordici anni! Che caspita combina con uno di diciassette? E non era neanche in divisa! Aveva addosso quella sua stupida tuta da ginnastica!»
Jeanie mi guardò e corrugò le sopracciglia in un’espressione interrogativa. Io mi strinsi nelle spalle.
«Chelsea, calmati» mormorai. «Non c’è niente di male se parlano… No?»
Chelsea era rossa come un peperone e ansimava per lo sforzo di camminare veloce. Visto il suo peso non c’era da sorprendersi.
Rimasi basita quando la vidi imboccare il portone d’ingresso.
«Pazza!» esclamò Jeanie. «È quasi dicembre, non penserai di uscire senza cappotto!»
Mi aggrappai al braccio di Chelsea e cercai di trattenerla. Puntai i piedi, ma Chelsea riuscì a trascinarmi verso l’ingresso. Jeanie le afferrò l’altro braccio. Chelsea si sporse in avanti e riuscì a trascinarci un passo dopo l’altro. Sembravamo un aratro attaccato a un bue.
«Ragiona!» fece Jeanie. «Non puoi uscire fuori con questo freddo senza niente addosso!»
«Candy sta solo parlando, non è in pericolo!» aggiunsi io. Trattenere Chelsea stava iniziando a farmi venire male alle braccia.
«Ed è fuori dal castello con addosso una tuta da ginnastica! A novembre!» ruggì Chelsea.
Chelsea sembrava avere la forza dell’incredibile Hulk. Non riuscii più a trattenerla. Il suo braccio sfuggì dalla mia presa. Spostai un piede indietro e rimasi in equilibrio. Chelsea ruzzolò in avanti e mulinò il braccio libero in aria, poi cadde a faccia in giù. Jeanie, ancora attaccata al suo braccio, cadde con lei.
Rimasi inorridita. Soffocai un grido e guardai le mie amiche a terra.
«Oh cielo! Scusatemi!»
Corsi da loro. Jeanie si aggrappò al mio braccio e l’aiutai a rialzarsi. Chelsea si tirò in piedi da sola e prima che potessimo trattenerla si fiondò fuori.
Appena misi il naso fuori dal castello ebbi la sensazione di trovarmi nel bel mezzo di una glaciazione. Io e Jeanie raggiungemmo Chelsea, l’erba che scricchiolava sotto le nostre scarpe nere.
«Tutto questo è assurdo, totalmente assurdo» squittì Jeanie. «Fuori! Quasi a dicembre! Senza cappotto!»
«Rientra» fece Chelsea, secca.
Mi aggrappai al maglione di Chelsea e le trotterellai dietro. «Non essere scortese con tua sorella, ti prego» la implorai. «Capisco la tua apprensione ma ti prego, stai tranquilla, non ti scaldare…»
Fui scossa da un brivido. C’era da battere i denti. Altro che scaldarsi.
Raggiungemmo il campo da Quidditch e imboccammo il corridoio che portava agli spogliatoi. In breve sbucammo sul prato all’interno dello stadio.
Vidi Candy. Indossava davvero una tuta da ginnastica nera come aveva detto Chelsea, più la sciarpa di Grifondoro e i capelli neri erano legati in una coda. Correva lungo il perimetro dello stadio a ritmo regolare. Di fianco a lei correva anche il battitore figo di Corvonero.
«Candice!» ruggì Chelsea. Candice ci guardò, poi si girò verso il battitore figo. Anche lui ci lanciò un’occhiata.
Continuarono il loro giro dello stadio finché non arrivarono da noi. Io stavo battendo i denti mentre il freddo mi penetrava nelle ossa.
Candice si fermò davanti a noi, continuando a saltare da un piede all’altro come se continuasse la corsa. Notai che anche per andare a correre si era messa un eyeliner talmente pesante da colorarle mezza palpebra. I nostri respiri si condensavano in nuvolette bianche.
«Chelsea» fece Candice. «Problemi?»
Mister Bicipite ci guardò interrogativo. Jeanie tese le mani verso di lui come se volesse prenderlo per un braccio, poi si ritrasse di scatto. Arrossì e mormorò: «Scusa il disturbo, credo che debbano parlare un momento.»
Il battitore guardò Chelsea e Candice, poi si voltò verso Jeanie. «Qualcosa non va?»
«Un momento» fece ancora Jeanie. «Puoi venire, per cortesia?» Si avviò dentro il corridoio e il battitore la seguì.
Mi voltai verso Jeanie, scomparsa nella penombra, poi verso Chelsea, poi di nuovo verso il corridoio.
Ricordai come Candice mi avesse aiutata con Cunningham.
Decisi di rimanere fuori.
«Che cazzo ci fai in tuta da ginnastica nel campo da Quidditch?»
«Quello che non fai tu, Chelsea» sbottò Candice. «Mi alleno.»
«Devi farti passare questi cazzo di grilli dalla tua testa bacata» ringhiò Chelsea.
«A te danno qualche problema i miei fottuti grilli?»
 Oh, in Italia sì che sapevamo bene cosa potevano combinare i grilli. Scossi il capo per scacciare il pensiero.
«Certo che mi danno problemi» fece Chelsea. «Ti sembra normale uscire in tuta da ginnastica a dicembre e girare come un’idiota per il campo da Quidditch?»
«Priscus lo fa.»
«Chi?»
«Priscus.»
«Chi?»
Da dietro le spalle di Chelsea agitai le braccia per attirare l’attenzione di Candice e feci segno di no con tutte le mie forze.
Candice alzò gli occhi al cielo. Continuava a ballonzolare da un piede all’altro. «Siamo solo amici, Chels, e ogni tanto ci alleniamo insieme. A proposito, stai interrompendo il mio allenamento con le tue fottute chiacchiere. Sarebbe il caso di levarsi dai coglioni, sai.»
«Non permetterti di parlare in questo modo a tua sorella, cazzo.»
«Minchia, dici a me, ma a te dovrebbero lavare la bocca con un fottuto sapone.»
«Cazzi miei, no?»
«Cazzi tuoi tanto quanto questi sono cazzi miei. A meno che tu non voglia allenarti con noi.»
«Le tue babbanate non mi interessano!» ringhiò Chelsea. «Devi levartele dalla testa una volta per tutte! Sei una strega, per Merlino!»
«Una fottutissima strega che un giorno farà saltare le tue chiappe obese, se non alzi il culo e non dimagrisci.»
Chelsea divenne talmente rossa che temetti stesse per scoppiare. «Ti ho già detto di non parlarmi in questo modo! Sono la tua sorella maggiore!»
Candice le fece la linguaccia. «Allora prendimi, sorella maggiore.»
Chelsea scattò in avanti ma con un balzo Candice scartò di lato e continuò a saltellare da un piede all’altro. Chelsea si lanciò un’altra volta su di lei.
Dirò la verità: fu una scena pietosa. Candice correva e Chelsea la inseguiva, poi Candice si fermava, lasciava che Chelsea imbufalita la assalisse, lei la scartava e riprendeva a correre.
Parlando di forma fisica come di taglia la differenza tra le due era abissale.
A metà campo da Quidditch Chelsea si piegò e appoggiò le mani sulle ginocchia, ansimando. Il viso era rossissimo e dalle sue tempie gocciolava sudore. Una calza le era caduta ed ora era arrotolata sulla caviglia.
«Forza, Chels, siamo a metà giro. Già stanca?»
«Piccolo de… monio… Va… all’inf… erno…»
«Se passo da quelle parti ci farò un pensiero.»
Mi si strinse il cuore a vedere Chelsea stremata. Mi avvicinai a lei e le posai una mano sulla spalla. La schiena era sudata e sotto le ascelle il maglione aveva delle chiazze scure. Sotto il palmo della mia mano il suo corpo sussultava ogni volta che inspirava.
«Era il riscaldamento, Chelsea!» Candice le mandò un bacio. Un secondo dopo piegò le gambe e si sbilanciò all’indietro. Per un istante fui presa dal terrore e lanciai un grido, ma Candice anziché cadere spiccò un salto, atterrò sulle mani e ricadde dall’altra parte, in piedi, diritta come un fuso e a braccia aperte.
Candice ci sorrise e riprese a saltare da un piede all’altro. «Io andrei, ora. Merda, avrò perso mezz’ora per starti dietro.»
«Tu e… le tue… boiate…»
«Si chiama flic flac, sorella maggiore.»
Credo che a quel punto l’umiliazione di Chelsea raggiunse il culmine. La sentii tremare, anche se sospetto che il freddo desse il suo contributo.
«Quando vuoi dimagrire seriamente fai un fischio, Chels.» Candice fece un cenno di saluto, ci diede le spalle e riprese a correre.
Sotto il mio mano sentii la schiena di Chelsea gonfiarsi. «Babbanate!» strillò con tutte le sue forze. Ma Candice era già distante.

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Capitolo 37
*** Dove la Maledizione della Biblioteca colpisce ancora e le fantasticherie più proibite prendono vita. ***


Dove la Maledizione della Biblioteca colpisce ancora e le fantasticherie più proibite prendono vita.
 
 
 
Rose insistette per aiutarmi con l’Incantesimo Rallentante. Non voleva che io rimanessi indietro con le lezioni e disse che se poteva aiutare un’amica lo faceva volentieri, senza complimenti.
Quello che non capì era che non stavo facendo complimenti. Non volevo farmi aiutare per davvero.
Girare con lei era come girare con un semaforo rosso: i suoi capelli cespugliosi color carota spiccavano dovunque e ti ricordava sempre di non infrangere le regole. Quando entrammo in biblioteca il Mal di Weasley mi stava facendo salire il malumore.
Carina e coccolosa, Serena, carina e coccolosa. Ricorda perché sei qui.
Ripensai a Emo Rose. Pietà.
Ripensai a Hugo Foscolo traumatizzato da me, Chelsea e Jeanie. Compassione.
Quando Rose mi guardò bruciavo di senso di colpa e trovai addirittura la forza di stiracchiare un sorriso. Rose ricambiò e strinse con più forza il libro di Incantesimi.
«Se si hanno difficoltà con la pratica è meglio prima approfondire la teoria. Possiamo andare dopo a provare l’incantesimo. Per adesso possiamo fare qualche ricerca. Che ne dici?»
Risposta istintiva: no, davvero, era meglio che non ci pensassi seriamente.
Decisi di dare una risposta diplomatica: «Figo.»
Probabilmente risultavo tarocca come una banconota da quindici euro.
La biblioteca era libera e ordinata, eccetto che per una pergamena abbandonata sul bordo del tavolo. Rose la scostò e posò il libro.
«Ci mettiamo qui?»
Annuii.
Rose fece una risatina nervosa. «Ti vedo entusiasta. Dai, non sarà difficile.»
Stiracchiai un altro sorriso. Cordialità. «M-mi chiedevo…»
«Sì?»
Mannaggia alla mia bocca secca. Deglutii, cercando di migliorare la situazione. «Mi chiedevo se tu avessi qualche hobby.»
Rose sbatté le palpebre e mi fissò perplessa. «Hobby?»
Chinai il capo e mi sedetti. «Niente. Scherzavo.»
«Oh… Ma no, qualche hobby ce l’ho.»
Miracolo! Intravidi il miraggio di una conversazione civile. Forse potevamo fare un discorso normale. «Davvero?»
Rose annuì e si sedette. «Per esempio mi piace giocare a scacchi. A casa con mio padre ci gioco spesso.» Rose si sporse verso di me. «Tu ci sai giocare?»
La mia prima e unica partita a scacchi dei maghi, il primo anno, era finita con me che piangevo sulla scacchiera per il massacro di un cavallo. Il mio spirito animalista non aveva retto allo shock. «No… Non gioco.»
«Posso insegnarti, se vuoi.»
«Credo di essere un caso clinico.»
«In che senso?»
Abbassai gli occhi e strinsi le labbra. Iniziai a tormentare le maniche grigie del maglione. I miei istinti violenti stavano ritornando. Il gene Potter-Weasley mi faceva diventare malvagia.
Presi un respiro. «Nel senso che non è un gioco che fa per me.»
«Perché? É divertente. Se tu imparassi potremo giocarci insieme.»
Presi un altro respiro e tirai più forte la manica del maglione. «Non credo di avere molto talento, ma grazie per l’offerta.»
Rose arricciò il naso pieno di lentiggini.
Mi ero già pentita a sufficienza del mio tentativo di cordialità. Presi la pergamena che Rose aveva scostato. Pensai che magari potevo usarlo per prendere appunti, ma poi vidi che era già scritta.
Ad attirare la mia attenzione furono le parole Albus Potter.
«Ehi, cosa…»
«Che c’è?» chiese Rose.
La ignorai e iniziai a leggere.
 
Caro Diario,
in realtà mi sento ridicolo a scrivere così. Mi sembra di fare cose da femmine. Avevo promesso che avrei smesso di scrivere queste cose smielose, ma in qualche modo devo sfogarmi. O scrivendo, o prendendo quel ragazzo e sbattendolo al muro.
 
«Ma che cavolo…»
«Che succede?» fece Rose. Si alzò e aggirò il tavolo per leggere anche lei. I suoi capelli rossi mi solleticarono la guancia.
 
Mi eccita, mi eccita da morire. Ogni volta che vedo passare Albus Potter nei sotterranei mi sento arrapato come un cavallo.
 
«Yaoi!» squittii.
Yaoi a Hogwarts! Yaoi vero! Originale inglese, abbandonato su un tavolo!
«Yaoi?» ripeté Rose. Mi voltai verso di lei e ci ritrovammo coi nasi a un millimetro di distanza. Immediatamente una vampata di calore mi investì il viso. Anche Rose divenne rossa. Mi girai di scatto e tornai a leggere.
 
Quelle spalle in apparenza sottili, ma forti… Quei fianchi stretti che vorrei cingergli con le mie gambe… Quei capelli neri in cui vorrei solo affondare le dita e a cui vorrei aggrapparmi con tutte le mie forze. Ogni volta che lo immagino non posso impedire ai suoi occhi verdi di scrutarmi fin nel profondo della mia anima e devastarmi, come se realmente lui fosse davanti a me. Poi mi ricordo che lo stavo solo immaginando.

Man mano che leggevo il calore sul mio viso diventava sempre più intenso. Entro poco rischiavo di andare in autocombustione. Repressi la tentazione di farmi aria con la pergamena. Dovevo assolutamente continuare a leggere.


E vedere tutte quelle ragazzine ronzargli attorno solo perché gioca a Quidditch, fare le splendide con lui, sollevare le gonne con noncuranza
 
Le labbra presero a tremarmi. «Che… Che…»
 
 e lui che lascivo le accarezza con lo sguardo…

«Che!»
Oddio, ma veramente? Mi ripromisi di farci caso la prossima volta che l’avrei visto.

Vorrei essere guardato io così…
Lo desidero. Lo voglio. Adesso.

E penso che me lo andrò a prendere.
Addio, Diario, finirai nel camino quanto prima.
Tuo per sempre.
 
Scorpius
 
«Che cosa?!» strillai.
«Sssh, non urlare! Siamo in biblioteca!»
Guardai Rose. Le sue guance lentigginose erano ancora rosse. Rose si raddrizzò e si appoggiò al tavolo.
Aprii e chiusi la bocca nel tentativo di dire qualcosa. «È… È …Oh…»
Rose si accarezzò il mento con l’indice. «C’è qualcosa che non mi torna…»
Le mie dita divennero molli e la pergamena scivolò sul tavolo.
Troppi pensieri. Non riuscivo a elaborarli tutti. Tilt. Fu come se il criceto Gas Gas avesse messo un cartello con scritto “sciopero” davanti alla ruota. Mi aggrappai al tavolo di legno.
Scorpius innamorato di Albus!
Peggio: Scorpius che desiderava sbattere Albus al muro e farci fiki fiki!
Ebbi una visione di loro due in divisa di Hogwarts con occhi enormi e luccicanti in stile shojo manga.
«Anch’io ti devo dire una cosa: una rosa è una rosa, che essa sia bianca o rossa.»
«Vorresti dire che una donna resta sempre una donna in ogni caso? Rispondi, mi devi rispondere, André!»
Oscar tirò un ceffone ad André. André rimase impassibile. Afferrò i polsi di Oscar.
«Così mi fai male, André…»
Un secondo dopo André si chinò e la baciò con la forza. Oscar sgranò gli occhi, impietrita per la sorpresa. André ne approfittò, sbatté Oscar sul letto e le stracciò la morbida camicia bianca mettendole a nudo la pelle candida.

«Ti prego, perdonami Oscar… Giuro su Dio che non ti farò mai più una cosa come questa.»
Dalle labbra mi sfuggì uno squittio acuto. «Non può essere! Andr- Cioè, Scorpius!»
«Ti ho detto di non urlare!»
Abbassai gli occhi. Che vergogna! Non riuscivo ad essere padrona di me stessa. Strinsi con più forza il tavolo di legno finché le nocche non divennero bianche. Non sapevo cosa mi facesse agitare di più, se il pensiero di Albus preso con la forza o il fatto che a prenderlo con la forza fosse Scorpius.
Mi passò di nuovo davanti agli occhi l’immagine di Albus shojo manga che reggeva la camicia discinta nel tentativo di coprirsi.
Per carità, tutti liberi di vivere fino in fondo la propria omosessualità. Ma Scorpius? Che fino a ieri si faceva Rosemary Higgs nelle serre di Erbologia, convinto che nessuna sfigata Tassorosso sarebbe arrivata a interromperlo?
Era per questo che Rosemary aveva quelle brutta cera? Aveva scoperto il segreto di Scorpius?
Udii un tonfo, e subito dopo altri tonfi e il suono di pagine sfogliate. Guardai Rose, e lei corrugò le sopracciglia rosse.
«Aspetta un secondo.»
Si staccò dal tavolo scomparve dietro uno scaffale. L’eco del suo passo regolare continuò a farsi sentire. Attesi.
Mi resi conto che mi facevano male le dita. Lasciai il tavolo e mi sfiorai il petto: il cuore mi batteva a mille.
Scorpius omosessuale. Innamorato di Albus. In effetti erano sempre insieme. E Albus lo ricambiava? Poteva ricambiarlo?
Serena… Sì, mi piacevi, però Scorpius non è male… Lui piaceva anche a te, non è vero? E se facessimo una cosa a tre?
«Oddio, non posso! Non potrei mai!» Scossi con forza il capo. Poi mi accorsi che stavo parlando da sola.
Appoggiai i palmi sulle guance: erano bollenti. Così bollenti che sopra avrei potuto farci un uovo al tegamino.
«Aha!»
Il grido di trionfo di Rose mi fece voltare. I suoi passi riecheggiavano nella biblioteca. Ma non erano solo i suoi passi: c’erano anche quelli di qualcun altro. Mi guardai intorno, cercando di capire da dove provenissero.
Da uno scaffale spuntò Jack Skellington, le mani ossute alzate in segno di resa.
Non riuscii a non spalancare la bocca.
Sbattei le palpebre e misi meglio a fuoco l’immagine. Alto, magrissimo, pallido.
James Potter.
Subito dopo da dietro lo scaffale spuntò Lily Potter, con in faccia un gran sorriso. Riapparve Rose, la bacchetta puntata verso i due Potter.
«Lo sapevo, c’erano loro di mezzo!» fece Rose trionfante.
James Potter mi lanciò un’occhiata e io istintivamente mi ritrassi. Deglutii. Non sapevo bene perché ma provavo un ardente desiderio di nascondermi sotto al tavolo.
«Non era niente di serio, Rosie» ridacchiò Lily.
«Fammi il piacere» sbottò Rose.
Incassai la testa tra le spalle e sbirciai da oltre lo schienale della sedia. James Potter sogghignò. «Ci stava cascando, Lily, è questo che le brucia…»
«Non ci sono cascata neanche per un secondo» replicò Rose. Con la bacchetta indicò il tavolo. Io mi rimpicciolii ancora di più dietro la sedia. «Siete cattivi con Albus. Era davvero uno scherzo di pessimo gusto, lo sapete? Quando smetterete di comportarvi da idioti?»
Scherzo?
Gas Gas tolse il cartello “sciopero” e riprese a girare sulla ruota.
Era uno scherzo?
James rise ancora e abbassò le mani. «È sempre insieme a Scorpius, neanche fossero due piccioncini. E Scorpius ha sempre quell’aria da fighetto tutto in tiro…»
Ma era uno scherzo, vero?
Lily mi rivolse un sorrisino malizioso. «Serena ci è cascata di sicuro.»
Davanti ai miei occhi rividi l’immagine di Oscar e André con gli occhi luccicanti. Arrossii.
James rise. «Ci è cascata di brutto!»
Mi morsi il labbro. Ora di sicuro sia Albus che Scorpius lo sarebbero venuti a sapere. «No…» mormorai, il viso in fiamme.
«Oh, sì!»
«Piantala, James» fece Rose. «Ti diverti proprio a provocare Albus, eh?»
James si avvicinò al tavolo e, con mio sommo orrore, prese una sedia e si mise accanto a me.
«Non è colpa mia se ho un fratello scemo.»
E guardò me.
Mi sentii morire. Per qualche secondo non riuscii a respirare e aprii la bocca cercando aria.
Non potevo farcela.
Scattai in piedi. «Ho… Ho dimenticato il mio libro di… Il libro… In Sala Comune. Scusate, vado a prenderlo.»
«Aspetta, ti accompagno» disse Rose.
«Faccio in fretta» mormorai. Presi un respiro profondo e mi sforzai di non correre verso l’uscita. Lentamente oltrepassai gli scaffali della biblioteca uno a uno.
Non ci tornai.

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Capitolo 38
*** Dove una serie di manipolati eventi fa sì che Serena non abbia un viaggio sereno. ***


Dove una serie di manipolati eventi fa sì che Serena non abbia un viaggio sereno.
 
 
 
Iniziavo ad avere dei dubbi. Forse avevo fatto male ad accettare la proposta di Jeanie. Dopotutto non si trattava di un’offerta che non potevo rifiutare.
Ma era un po’ tardi pensarci sull’Espresso di Hogwarts.
Di fronte a me Jeanie accavallò le gambe. La treccia dorata le raggiungeva il fianco e si accasciava sul sedile.
«E quindi cosa sei venuta a fare, qui, pulce?»
Jeanie mi lanciò un’occhiata eloquente. Io non sapevo che dire. Mi strinsi nelle spalle.
«Te l’ho già detto, balena, era solo per avvisarti che vado un paio di vagoni più in là. Spero che a Londra tu non sia tanto deficiente da cercarmi in fondo al treno.»
«Bene, grazie per avviso. Ora pussa via.»
«Oh, stronza, vaffanculo.»
«Quattordici anni di buona educazione buttati nel cesso, Candy! Se parli così davanti a mamma non ti rinnoverà mai l’abbonamento in palestra, puoi giurarci! E quel giorno ti riderò in faccia, puoi starne certa!»
Jeanie alzò gli occhi al cielo. Io non sapevo bene che fare. Interromperle, lasciarle continuare, distrarle, ignorarle? Mi morsi il labbro inferiore.
«Mi alleno anche senza palestra, Chels, non sono pigra come te.»
«Smamma, microbo. E togliti quella pittura dalla faccia.»
Candice le fece la linguaccia. «Si chiama trucco, racchia.»
«A scuola non è permesso, ragazzina.»
«A lezione non lo metto, geniaccio che non sei altro.»
«Vai a fare la vampira da un’altra parte.»
«Si chiama gotico, ignorante. E finché non sbrilluccico direi che non c’è da preoccuparsi.»
«Vattene!» Chelsea scattò in piedi, spinse la sorella fuori dallo scompartimento e con un colpo secco chiuse la porta. Alle nostre orecchie giunse un ovattato “impiccati”. C’era da dire che Candice a volte era originale con gli insulti.
«A scuola non è permesso, ragazzina» la scimmiottò Jeanie. «La signorina Shields sta diventando la signorina Rottenmeier?»
Chelsea incrociò le braccia e mise il broncio. «Non so chi sia.»
«Babbanate» fece Jeanie, e sogghignò. «Presente la McGranitt?»
C’era odore di guerra nell’aria. Era meglio disinnescare subito la bomba. Mi sporsi dal mio posto e mi schiarii la voce. Chelsea si girò verso di me. «Posso chiederti una cosa?»
«Basta che non c’entri mia sorella.»
«Oh.» Spostai lo sguardo sul finestrino, a guardare i campi verdi che scorrevano di fianco a noi. Mi rimisi a sedere composta.
Chelsea sbuffò. «Dai, tanto ormai… Dimmi.»
«Ah. Ehm. Se posso… Ecco. Candice ha proprio la fissa per lo sport. Cioè, va bene, ma non mi sembra, come dire… Che le piaccia lo sport in senso magico… Per dire, il Quidditch…»
Chelsea storse il naso. «No, infatti. Ci dedica troppo tempo.»
«E quindi? Lo sport la distrae dallo studio?» la prese in giro Jeanie.
«Anche» fece Chelsea. Si lasciò scivolare in avanti e finì semisdraiata sul sedile. «Da bambina Candice non riusciva ad usare neanche un briciolo di magia. Mai fatto lievitare un peluche, mai aperto la credenza dei dolci chiusa a chiave, niente. I miei credevano che fosse una Maganò, così l’hanno mandata nelle scuole babbane. Per inserirla, capite. Noi non ne capiamo niente di cose babbane, quindi prima si adattava da sola, meglio era. Ma per mia disgrazia quell’arpia si è appassionata alla ginnastica ritmica e da quel momento non ha più finito di sfottermi per il mio peso. Giusto perché lei nello sport riesce bene.»
«Oh.» Iniziai a tormentarmi l’unghia del pollice.
«Quando Candice però ha manifestato segni di magia i miei erano al settimo cielo e hanno pensato che mandarla ad Hogwarts fosse una scelta scontata. Peccato che il piccolo demonio non fosse d’accordo, così ha iniziato a comportarsi da stronza.»
«Oh» ripetei. Non sapevo bene che dire. «E, ehm, quindi non è una Maganò?»
Chelsea sbuffò. «Certo che no. Ma uno dei pochi momenti in cui ha usato la magia da bambina è stato a una gara di ginnastica ritmica. Aveva un nastro rosso e giallo e lo stava facendo girare, e il nastro ha preso fuoco. Dovevi vedere come si sono spaventati i babbani. Eppure è bastato un semplice incantesimo Idrante…» Chelsea si raddrizzò e ruotò il polso. «Candice muoveva il nastro così, e quello continuava a lasciare scie di fuoco. Poi è scattato il… Come si chiama… Il coso dell’incendio. Quello che fischia come un pazzo…»
Jeanie sistemò gli occhiali. «Suppongo sia l’allarme antincendio.»
«Probabile» fece Chelsea. Sbuffò e scivolò di nuovo sul sedile.
«Caspita» sussurrai. Ora capivo perché Candice si allenasse al freddo e al gelo: era molto motivata. Io di certo non l’avrei mai fatto. Sperai che il rapporto tra Jeanie e Lowell fosse meno conflittuale di quello tra Chelsea e Candice. Mi sarei sentita tremendamente in imbarazzo se si fossero messi a litigare davanti a me.
«Piuttosto» intervenne Jeanie, «parlando di fratelli…»
Guardò me. Arrossii. «Io sono figlia unica.»
Chelsea si raddrizzò e tornò seduta composta. Sorrise. «Non fare l’ingenua.»
Spostai lo sguardo da Chelsea a Jeanie, senza capire. Jeanie alzò gli occhi al cielo e si toccò il lobo dell’orecchio.
Capii a cosa alludeva. «Oh! Ehm…»
«Aspetta, aspetta» fece Jeanie. Alzò una mano in aria e rimase immobile, concentrata.
«Cosa?»
«Aspettate…» Jeanie rimase ferma, le sue labbra si schiusero. Sembrava che stesse ascoltando qualcosa. Poi sollevò tre dita. «Figuraccia tra tre…»
«Eh?»
«Due…»
«Figuraccia?»
«Uno…»
Chelsea soffiò col naso. «Oh, piantala!»
«Ehm, scusatemi.»
Mi voltai di scatto. In piedi sulla porta dello scompartimento c’era Albus Potter.
Come direbbero i francesi? Merde.
Jeanie allargò le braccia e assunse un’espressione soddisfatta. «Jeanie ha sempre ragione. Annotatevelo da qualche parte.»
«Come?» fece Albus. Jeanie scosse la mano con aria noncurante.
Ero rimasta talmente sorpresa da non averlo nemmeno salutato. Albus mi guardò. Arrossii. Era qui per me? No, dai, magari aveva sbagliato scompartimento…
Anche Albus arrossì, dal collo fino alla radice dei capelli. «Volevo… Volevo… Salutare. Ecco. Tipo, salutare. E, ehm, augurare buon Natale, visto che non ci vedremo.»
Cielo. Oh, cielo. Se non ero arrossita anch’io fino alla radice dei capelli allora non riuscivo a interpretare l’improvviso bollore che mi aveva assalita. Dalle mie labbra, senza che io glielo avessi ordinato, uscì un roco: «Grazie.»
Guardai Albus. Mi guardò anche lui. Non resistetti, e abbassai lo sguardo.
«Così mi fai male, André…»
Boccheggiai. Stavo per morire di vergogna. Di sicuro Albus era venuto a sapere dello scherzo di James e Lily, e magari anche Scorpius lo era venuto a sapere. E cosa potevo dirgli ora? Che mi ero immaginata una scena ricalcata su Lady Oscar in cui Scorpius cercava di approfittare di lui? Mi coprii la bocca.
Presi in seria considerazione la possibilità di buttarmi dal finestrino.
Sentii la voce preoccupata di Albus mormorare: «Tutto bene? N-non soffri il mal di treno, vero?»
Sospettai di aver assunto un colorito verdognolo, altrimenti non mi spiegavo la domanda. Subito dopo la voce di Jeanie mi gelò il sangue nelle vene. «Hai bisogno di un supporto logico e razionale, Potter?»
La mia testa scattò su e fissai Jeanie, sconvolta.
«Prego?» Albus sbatté le palpebre.
Jeanie fece il suo miglior sorrisino di superiorità e si sistemò gli occhiali. «Maschi… Non vi rendete conto di quanto sia imbarazzante per una ragazza parlare con voi, quando si è vittima di scherzi così crudeli?»
Se non mi mancò la terra sotto i piedi fu solo perché ero già seduta. La implorai: «Jeanie…»
Albus corrugò la fronte e scosse il capo. «Non capisco di cosa tu stia parlando.»
«Mi sembra ovvio.» Jeanie mi lanciò un’occhiata complice. Io deglutii. «Tuo fratello e tua sorella si divertono a prendere in giro Rose e Serena coi loro scherzi. Si divertono a mettere Serena in imbarazzo, e ce la fanno. Risultato: lei non ha più il coraggio di rivolgerti la parola. Prima il filtro, e adesso…»
Albus fissava Jeanie, come rapito. «Adesso?»
Jeanie alzò un sopracciglio biondo. «Fattelo raccontare da loro.»
«Jeanie!» urlai con tutte le mie forze. In realtà ne uscì solo uno squittio spaventato.
Con mio sommo orrore vidi Chelsea sorridere, eccitata. «Cazzo, sì! Serena non te lo direbbe mai, non è il tipo che viene a fare la lagna, ma… »
«… come fa ad essere tranquilla con te, se deve sempre aspettarsi ritorsioni?» completò Jeanie. «Passi James che tenta di giocare all’investigatore, passi il filtro, ma questo è stato davvero pesante…»
Albus sbatté le palpebre, incredulo. «Si può sapere cos’è successo?»
Jeanie assunse un’aria dispiaciuta. «Mi dispiace, ma questa è stata davvero brutta. Spero che questa volta non ci sia anche il tuo zampino, altrimenti sarebbe davvero crudele da parte tua. Lasciala tranquilla, per favore. Guardala.» Jeanie fece un cenno verso di me.
Stavo morendo di vergogna. Gli occhi iniziarono a bruciarmi. Cos’era saltato in mente, a quelle due? «Mi dispiace, Albus, io…»
Albus mi rivolse uno sguardo che non riuscii a interpretare. «Scusatemi. Non era mia intenzione darvi dei problemi… Scusate. Non capiterà più.»
«Vorrei ben dire» fece Jeanie.
«Scusatemi ancora. Buon Natale, ragazze.»
Quando la porta dello scompartimento si chiuse ero pronta a morire.
Ma dovevo trascinare due vittime sacrificali insieme a me.
Prima che potessi profferir parola, Jeanie si sporse verso di me e mi fece l’occhiolino. «Due piccioni con una fava. Cotto a puntino, e niente più rogne.»
Mi accorsi che le mie mani tremavano. Dentro di me sentivo un misto di rabbia, vergogna e non sapevo bene che altro. «Come hai potuto… Non mi sono mai vergognata tanto… Io…»
«Tu non saresti mai più riuscita a parlare con Albus, se non gli avessi detto tutto io.» Jeanie accavallò le gambe e si incrociò le braccia sul petto. «Ti era tornato in mente lo scherzo di quei due, non è vero?»
Tacqui.
«Scusate, devo andare in bagno» trillò Chelsea, e si alzò in piedi.
«Da quando andare in bagno ti entusiasma così tanto?» feci io, ma Chelsea era già volata fuori dallo scompartimento.
«Non essere arrabbiata» disse Jeanie. «Scommetto un galeone che James Potter da oggi in poi con te si comporterà da gran signore. O per lo meno la smetterà di fare l’idiota.»
«Io non volevo dirlo ad Albus… Sicuramente glielo aveva già detto Rose!» piagnucolai.
«Ne dubito» rispose Jeanie. «Rose Weasley sta lasciando il guinzaglio troppo lungo. Prima James ti avvicina in biblioteca per indagare con atteggiamento discutibile. Poi il filtro d’amore. Ora questo scherzo demenziale. Ma James Potter non ha ancora capito con chi ha a che fare.»
Il luccichio negli occhi azzurri di Jeanie mi ricordò in maniera inquietante quello di Hannibal Lecter. «Davvero, Jeanie. Non ce n’era bisogno.»
«Ricordati che gli uomini sono come i cani. Non importa se sono di razza o meticci. Sono tutti uguali. Più li ignori, più ti faranno feste. Più li gratifichi, più ripeteranno ciò che ha procurato la gratifica. Più sei permissiva, più diventeranno capricciosi. Più sei severa, meglio vivrai.»
Rabbrividii. «Sei inquietante, Jeanie.»
«Sono razionale. Dimostrami che ho torto se ci riesci.»
Una serie di tonfi in corridoio annunciò il ritorno di Chelsea. Quando entrò nello scompartimento le guance rosa tradivano la sua emozione. «Notizie.»
«Già le immagino. Quanti galeoni scommettiamo, Serena, che le indovino?»
Agitai una mano in aria. «Lascio perdere, non c’è partita.»
Chelsea si sedette e intrecciò le dita. Ci sorrise. «Sono passata per caso davanti allo scompartimento dove stavano i Potter…»
«Per caso, certo» grugnii.
«Dai, Serena, senti… Forse è stata la prima volta in sei anni di scuola che ho sentito Albus Potter alzare la voce!»
M i nascosi il viso fra le mani. Ecco, era tutta colpa mia. Ero una sfascia famiglie. «Santo cielo. Era per questo che non volevo…»
«Aspetta, aspetta! Albus stava facendo un culo così a James!»
Jeanie alzò gli occhi al cielo. «Era ora che quel ragazzo mostrasse di avere un po’ di spina dorsale. Finalmente.»
Riemersi dalle mie mani. «Come finalmente?» pigolai.
«Non è che finora abbia fatto sfoggio di un gran coraggio, eh…»
«Non è a Grifondoro» commentò Chelsea orgogliosa.
Mi sentii in colpa. «Non voglio far litigare nessuno… Non era così grave…»
«Ne raccoglierai i frutti» fece Jeanie. «Non è un litigio serio, dopotutto è una sciocchezza, ma Albus Potter non deve permettere alla sua famiglia di metterti i piedi in testa. Non come invece fa certa gente.»
Colsi l’allusione a Cunningham. Improvvisamente mi fu chiaro perché Jeanie si fosse comportata così. Non che fossi d’accordo. Capivo le sue motivazioni, ma forse avrei preferito che avesse tenuto chiuso il suo beccaccio da Corvonero. Ora il senso di colpa mi attanagliava le viscere.
Mi passai la lingua sul labbro. Iniziai a tormentare le maniche grigie del maglione. «Magari… Magari è opportuno che… Che vada a dare spiegazioni.»
«Oh, Serena, sei troppo buona» disse Jeanie. «Nessuno si farà male, fidati. È un normale litigio tra fratelli.»
Non ne ero troppo convinta. «Un proverbio in Italia dice “l’acqua cheta rovina i ponti”. Se Albus è un’acqua cheta, allora James Potter è nei guai. Le persone tranquille quando si arrabbiano sono le peggiori.»
Chelsea sbatté le palpebre. «Cavolo, non ci avevo pensato.»
Jeanie sbuffò. «Allora, Serena, tu dovresti essere Terminator.»
Chelsea corrugò la fronte. «Chi?»
«Lascia perdere.»
Tirai le maniche del maglione. Questo sì che era uno dei nostri peggiori casini. La famiglia Potter divisa da un litigio per una ragazza. Immaginai Lily piangere, impotente di fronte al litigio dei suoi fratelli, e Albus e James rossi di rabbia. Rose che tratteneva Albus. Albus furibondo, che se avesse potuto avrebbe malmenato James. Non dategli una spranga, vi prego. Il ritorno di Albus Cinquanta Sfumature. Mi misi le mani nei capelli. «È orribile.»
«Dai, Serena, sii razionale» disse Jeanie. Spinse gli occhiali fino alla base del naso. «È un litigio, non la fine del mondo. Quante volte Chelsea e Candice litigano, ultimamente? Non è mai morto nessuno.»
Ripensai a Chelsea che inseguiva Candice per il campo. «È stato un caso.»
«Come, un caso? Sei irragionevole.»
Prima che il mio cervello potesse capire cosa stava facendo il mio corpo, mi ritrovai in piedi. «Credo… Che… Che…» Chelsea e Jeanie mi fissarono. Torsi la manica del maglione finché la mia mano non fu impacchettata come una salsiccia. «Che… Non debbano litigare… Ecco. Litigare non va bene.»
Jeanie sollevò le sopracciglia bionde e mi rivolse un sorriso malizioso. «E quindi?»
Dondolai da un piede all’altro. «Quindi… Hai fatto male a dirglielo. Credo. Penso che dovrò… Dovrò spiegargli…»
«E allora cosa fai ancora qui?»
Annuii. A testa bassa uscii dal vagone e mi avviai lungo il corridoio. Il pavimento sembrava instabile, probabilmente a causa del treno in moto. Appoggiai una mano alla parete per non perdere l’equilibrio. Nello scompartimento la sensazione era molto più debole, o forse la differenza era solo che là ero seduta. Mentre camminavo lungo il corridoio, però, fui presa dalla vaga e spiacevole sensazione di essere stata manipolata. Ma Jeanie non l’avrebbe mai fatto, vero?
Ci pensai. Jeanie non l’avrebbe mai fatto con me, vero?
Quando oltre al rumore del treno in corsa iniziai a sentire una voce maschile gridare capii di essere arrivata. Proseguii, man mano che la voce si faceva più forte, e infine raggiunsi quello che il mio udito mi indicava essere lo scompartimento giusto.
«Non ti sopporta nessuno quando fai così!»
«Albus, calmati…»
«Calmati tu, Rose! E piantala di tenergli la parte, per Merlino! Deve capire che non può…»
«No, hai ragione, ma pensaci, era uno scherzo… Non bisogna prendersela così… James, digli qualcosa!»
«Non ho niente da dire, è una cazzata, dai.»
«Farò anch’io così con te, ah, verrà il tuo turno, verrà…»
Fui scossa da un brivido. No, le minacce di ritorsioni no. Non avevo mai sentito Albus gridare così. Anzi, non credevo nemmeno che avesse tutta quella voce. Mi schiarii la gola. Alzai il pugno chiuso. Stavo tremando, o era colpa del treno in movimento? Bussai.
«E smettila di guardare fuori con quell’espressione annoiata!»
Forse non si era sentito. Bussai di nuovo.
La porta si aprì e davanti a me comparve il viso lentigginoso di Rose Weasley.
Ci guardammo sorprese, senza dire una parola. Fissai gli occhi castani di Rose senza sapere che dire.
Pronto, sono Serena, come va? C’è Albus? Me lo puoi passare?
Rose non mi staccò gli occhi di dosso e girò appena la testa verso l’interno dello scompartimento. «Albus, credo che vogliano te.»
Ah, Rose, un momento, ancora una cosa. Vai al diavolo.
Arrossii. Possibile che fosse così ovvio?
«Chi cazzo è che…» Albus si voltò verso di me. La rabbia si trasformò in sorpresa. «Oh, ciao.»
Non ero certa di riuscire ad emettere suoni riconducibili al genere umano. Deglutii e agitai la mano in segno di saluto.
Albus sembrò ammutolire. Non disse una parola e ricambiò il saluto.
«Forse è il caso che tu non la faccia aspettare ancora, vero, Albus?» Rose afferrò Albus per un polso e lo scaraventò fuori dallo scompartimento. Mi scostai appena in tempo per non farmi travolgere. La porta si chiuse con uno schiocco secco.
Avevo il viso bollente. Tirai una manica del maglione. Mi ero già pentita.
Albus si schiarì la voce. «Ehm. Come stai?»
Strano che non riuscisse a trovare niente di meglio da dirmi. Fino a due secondi prima stava per mandare a fanculo anche me. «Ecco, è che…» Affondai le dita nella lana. Dovevo farmi forza. «Non credo che… Cioè… Ci siamo capiti male. N-non ce l’ho con James.»
Bene, ecco fatto. Ora potevo tranquillamente ricevere il premio Pinocchia dell’Anno.
Albus non rispose. Alzai gli occhi e lo sorpresi a fissarmi. Arrossì. «Non… Non ho mai pensato che tu ce l’avessi con James.»
Premio Pinocchia dell’Anno: Serena Latini. Assegnato all’unanimità. Il dondolio del treno e il senso di colpa mi stavano strizzando le viscere e avevo una vaga sensazione di nausea. Mi appoggiai a una parete. «Scusami… Non è che io sia stata qui a sentire, eh, ma… Ti ho sentito parlare con James.» Ecco, magari parlare non era il termine che avrei voluto usare, ma dovevo farlo andare bene. Mi afferrai un gomito. «Non c’è bisogno che… Come dire… Litighiate.» Presi un respiro e fissai Albus negli occhi verdi. «Ok?»
Con mio grande stupore sul viso di Albus comparve una smorfia di disappunto. «Fai sempre così, tu. Se ti fanno un dispetto, non ti opponi. Se sono maleducati con te, non reagisci. Se un professore toglie dieci punti a Tassorosso, tu non sembri neanche accorgertene.»
Mi sentii punta nel vivo. Come ferita. «Non sono una persona competitiva.»
«Neanche io, però James non ha mancato di rispetto a te. Cioè, non solo a te, a te certamente, ma anche a me.»
A lui? La mia fronte si increspò. Non capivo.
«James è in gamba, quando vuole» disse Albus, «ma è anche un insopportabile ficcanaso. Sono stufo che metta il becco nei fatti miei, chiaro?»
Ricordai quando in biblioteca James mi chiese se mi piaceva qualcuno. Tanto ormai non potevo arrossire più di così. «Chiaro.»
Albus sbuffò e incrociò le braccia. Io rimasi ferma. Non sapevo che dire. Aveva ragione, non ero il tipo che a uno sgarbo reagiva prontamente. Preferivo lasciar correre. Solo la Principessa Celestia però sapeva quante volte dentro di me avevo mandato al diavolo James Potter. Be’, anche Albus, ma questo era un dettaglio insignificante. Ma di certo non ero io a dover decidere come Albus doveva gestire i rapporti coi suoi fratelli. Aveva ragione. Un vaffanculo a volte era liberatorio anche per gli inglesi. Forse.
«Be’…»
Alzai subito gli occhi su Albus, speranzosa. Speranzosa di cosa non lo so.
«Mettiamola così: se James fa qualche altra caz… Volevo dire sciocchezza, dimmelo, per favore. Preferirei non venirlo a sapere da Joy.»
Mi sfuggì dalle labbra una risatina nervosa. «Anche io preferirei che tu non lo venissi a sapere da Jeanie.»
Albus arrossì ancora. «Sì, insomma… Non voglio che tu sia in imbarazzo nel parlare con me. Tantomeno per colpa di James.»
All’imbarazzo si mischiò un senso di tenerezza. Non potevo negare che anche poco prima io avessi ripensato allo scherzo di James. Probabilmente Albus ci era rimasto male a sapere che mi ero sentita a disagio con lui per quel motivo. Mi ripromisi di essere meno insensibile. «Bene. Ehm… Per me è tutto ok, ora. A posto così.»
«A posto così, allora» ripeté Albus.
Cosa potevo dire per filarmela in maniera educata? «Allora… Facciamo che…» Qualcosa di intelligente, educato e premuroso. «Scrivimi quest’estate, ok?»
Albus sgranò gli occhi. «Quest’estate?»
Quest’estate? Cribbio, sembrava una presa per il culo. Andai nel panico. «Sì, quest’estate.»
Presa per il culo: secondo giro. Iniziai a sentire caldo in tutto il corpo. Quanto ero demente. Doveva prendermi sul serio, non prendermi per pazza. Stesi la mano verso Albus. «E p-per adesso, buon Natale. E Capodanno. L’Epifania non so se la festeggiate. Credo di no.»
Albus indugiò, poi stese il braccio e afferrò la mia mano. La sua stretta era forte e mi sembrò di sentire il ruvido di un callo. Forse gli era venuto a furia di reggersi sulla scopa da Quidditch. «Buon Natale, allora.»
Non appena le sue dita mi lasciarono ritirai la mano e la chiusi a pugno. «Allora… Ciao.»
Gli diedi le spalle e fuggii, prima di fare qualche altra figura di merda. Il treno fece una curva e andai a sbattere contro una parete. Il dolore sorso alla spalla si propagò lungo tutto il braccio. Chissenefrega.
Quando rientrai nel mio scompartimento avevo il fiatone. Jeanie mi squadrò con un’aria di superiorità, mentre Chelsea mi fece un applauso. Giunsi alla brillante conclusione che quelle due, e una in particolare, mi aveva manipolata meglio di un organismo geneticamente modificato.
«Com’è andata?» trillò Chelsea.
Mi accasciai sul sedile, allo stremo delle forze. Tenevo ancora il pugno chiuso. Jeanie mi guardava con un sorriso soddisfatto e non mi fece una domanda. Sapeva che avrei cantato puntuale come il cucù di un orologio. Presi un ampio respiro. «Ci siamo… Ci siamo…» La voce mi si spense. La schiarii. «Ci siamo…»
«… baciati!» esclamò Chelsea. Lanciò un grido che si trasformò in una nota musicale. «I’ve got the power!»
«No!» strillai. Stesi le mani verso di lei, disperata. «Ci siamo stretti la mano e ci siamo augurati buon Natale!»
Chelsea rimase bloccata con un braccio a mezz’aria steso in un gesto di vittoria. Mi fissò. La fissai. Riabbassò il braccio. «Non ci posso credere…»
Arrossii. «È così.»
Il suo viso assunse un’espressione sconcertata. «Non ci posso credere! Mondo crudele, destino infame! Non ci posso credere!»
Mi riappoggiai al sedile. Forse era il caso che Chelsea sfogasse da sola la sua disillusione, senza la mia collaborazione.
«Porca troia! Non è possibile! Questa qua arriverà illibata al proprio matrimonio!»
Jeanie rivolse a Chelsea uno sguardo disgustato. «Non farlo sapere a tutto il treno, per favore.»
Attesi che Chelsea iniziasse a pianificare il mio matrimonio. Non lo fece, e tutto sommato fu un bene: mi sarei dichiarata incapace di intendere e di volere se mi fossi trovata di fronte una wedding planner in stile Enzo Miccio.
Quando arrivammo alla stazione ormai Chelsea si era sfogata per bene. Recuperammo i nostri bagagli, scendemmo dal treno tranquille e ci ritrovammo al fumoso binario 9 e ¾. Abbracciai Chelsea, anche se facevo fatica a unire le mani dietro la sua schiena. La guardai raggiungere quelli che supponevo essere i suoi genitori. Qualche momento dopo li raggiunse anche Candice. Chelsea si voltò a salutarci, poi scomparve.
Mi alzai in punta di piedi e scrutai la folla. «Sai chi verrà a prenderci, Jeanie?»
«Dovrebbe venire mio fratello» rispose lei. «Forse ci conviene spostarci un po’.»
Iniziammo a spingere i carrelli. Era pesante e sobbalzava continuamente sul terreno irregolare. Con la coda nell’occhio vidi Albus Potter insieme a sua sorella e ad un uomo coi capelli scuri e disordinati, gli occhiali e un po’ di pancia. Vista la somiglianza probabilmente era suo padre. Chissà se anche ad Albus sarebbe venuta la pancetta da birra?
«Eccolo!» esclamò Jeanie. Mi voltai subito verso di lei. «Lowell!» Jeanie alzò una mano e la agitò per farsi vedere. Un ragazzo sorrise e iniziò a venirci incontro.
Quando avevo cercato di immaginare il fratello di Jeanie mi ero trovata davanti un ragazzo dai capelli biondo oro e con gli occhi azzurri come quelli che aveva lei. Insomma, il Lowell di Georgie. Invece scoprii che ad aspettarci era venuto un ragazzone coi capelli neri e ondulati, gli occhiali e il pizzetto. Decisamente poco effeminato.
«Buongiorno, Lowell.»
Lowell sollevò un angolo della bocca in un sorriso sarcastico. «Rapunzel, sciogli i tuoi capelli! Ancora con quella treccia?»
Mi venne spontaneo sorridere.
«Piantala, Lowell, tanto non li taglio» borbottò Jeanie.
Lowell mi guardò. Immediatamente il mio sorriso si spense e arrossii. «Mamma mi aveva detto che sarebbe venuta la tua amica italiana» disse Lowell, «non Amélie Poulain.»
Forse era la prima volta, da quando ero ad Hogwarts, che qualcuno notava la mia seppur vaga somiglianza con Amélie Poulain. Inspiegabilmente mi sentii lusingata. Lowell accennò un sorriso anche per me.
Chissà, forse dopotutto avrei trascorso un piacevole Natale.

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Capitolo 39
*** Dove Serena Latini si comporta in modo assolutamente babbano, ma ciò che succede è assolutamente magico. E dove Babbo Natale fa una comparsa, non dimentichiamolo. ***


Dove Serena Latini si comporta in modo assolutamente babbano, ma ciò che succede è assolutamente magico. E dove Babbo Natale fa una comparsa, non dimentichiamolo.
 
 
 
Lowell assunse un’espressione sorpresa. «Non ti hanno mai detto quanto sei bella in russo? Abituati…»
Mi morsi il labbro. Questa non me l’aspettavo. Era davvero un colpo basso da parte di Lowell. Cos’avrei dovuto rispondere? Strinsi la tazza di tè caldo. Ci pensai. Poi sorrisi. «Howard Wolowitz, The Big Bang Theory
Lowell scoppiò a ridere.
«Ti avevo detto che ne sa una più del diavolo» fece Jeanie.
«Jeanie, non parlare così» disse il signor Joy. Prese la sua tazza di tè e ne bevve un sorso.
«Sì, papà.»
La signora Joy rise. «Oh, andiamo, Edmund!» Diede un colpo sulla spalla del marito e gli occhiali dell’uomo sobbalzarono sul suo naso gobbo. «È con la sua amica, lascia che si rilassi! Perché si sta rilassando, vero Jeanie? Anche Lowell si diverte, e poi siamo sotto Natale, è giusto che a Natale ci si riposi, così potrà tornare a scuola carica e si potrà impegnare al massimo, anche se di sicuro anche a scuola avrà dei momenti per divertirsi e mi sembra anche giusto a sedici anni, e così…»
«Grazie, mamma» la interruppe Jeanie.
Lowell aggiunse dei biscotti al piattino sul tavolo. «Un altro giro?»
Non capii se si riferiva ai biscotti o al gioco delle citazioni. Guardai di sottecchi il signor Joy. Lui mi lanciò un’occhiata di rimando, poi tornò a concentrarsi sulla colazione.
«Ehm… No, grazie. Va bene così.»
La presenza del signor Joy era rassicurante quanto quella di un gerarca nazista. Eppure Jeanie mi aveva assicurato che di mestiere faceva il ragioniere. Mi domandai come Lowell e la signora Joy potessero essere così rilassati in presenza di quell’uomo. Solo Jeanie sembrava un po’ impettita, ma dopotutto era il suo normale modo di essere. Lanciai un’altra occhiata al signor Joy. Be’, da qualcuno doveva pure aver preso.
«Davvero va bene così, Serenity? Non mangi uova? Neanche una salsiccia piccolina? Neanche un panino? Uno scone con il burro?»
Impiegai qualche secondo a capire che la signora Joy non si stava riferendo a Sailor Moon ma a me. Arrossii. «No, grazie, signora. Sì, va bene così.»
«Davvero non vuoi le uova? Forse anziché strapazzate le preferivi all’occhio di bue? È che ho pensato che così potevo prepararle più velocemente per tutti… Oh, ma le cose dolci le mangi, magari invece preferivi il porridge con un po’ di frutta! Ti preparo…»
«Harriet» fece il signor Joy.
«Sì?»
«Se devi per forza finire le uova dalle a me.»
La signora Joy si affrettò a svuotare la padella nel piatto del marito.
Jeanie si sporse verso di me. «Mamma è un po’ logorroica.»
«Va bene così» ripetei per la terza volta. Per quanto fossero gentili, premurosi e preoccupati per le mie abitudini alimentari la colazione inglese rimaneva per me un mattone indigeribile. Se ne sarebbero fatti una ragione, prima o poi.
«Via, a lavare!» La signora Joy aprì la lavastoviglie con un colpo di bacchetta e la padella ci svolazzò dentro. Il signor Joy lanciò uno sguardo truce alla padella, neanche avesse cercato di aggredirlo, poi prese un boccone di uovo. Pensai che per un babbano doveva essere ben difficile abituarsi a vivere con una strega. Forse per la signora Joy era un po’ come per Samantha di Vita da strega. Immaginai la signora Joy arricciare il naso per fare magie.
Jeanie posò la sua tazza vuota sul tavolo. «Lowell?»
«Sì?»
«Ricordi quel favore che ti ho chiesto?»
«Mh…» Lowell corrugò la fronte e si grattò il pizzetto nero. «Mi hai chiesto un favore?»
«Che favore, Jeanie?» chiese la signora Joy.
«Lowell fa lo spiritoso. Sa benissimo quale favore.»
«Che favore?» chiese ancora la signora Joy.
«Ho bisogno di andare al centro commerciale.»
Pensai alla chiavetta usb chiusa nel mio astuccio, al piano di sopra. Grazie al cielo Jeanie aveva una connessione internet. Avevo assolutamente bisogno di una copisteria per stampare e rilegare le mie nuove fanfiction, tutte da leggere nel prossimo semestre. E visto che la sera prima eravamo rimaste sveglie fino alle due a leggerne, potevo verosimilmente ritenere che a Jeanie il nuovo passatempo fosse piaciuto. Il signor Joy aveva dovuto minacciarci di staccare la spina del pc per convincerci ad andare a dormire.
«Non è che io abbia tanta voglia di uscire» disse Lowell.
Crack. Il mio cuoricino di fangirl si spezzò.
«Lowell, devo comprare gli ultimi regali di Natale.»
«Sono stanco…»
«Ma è l’unico favore che ti chiedo. Ne ho bisogno.»
Il signor Joy non staccò lo sguardo dalle proprie uova strapazzate. «Al limite vi accompagno io, se è così necessario.»
Il signor Joy al centro commerciale. Con noi. Immaginarselo rigido come un palo della luce nel suo completo grigiastro in mezzo a uno sfolgorio di luci natalizie era come immaginare una lapide su una torta di compleanno. Nella mia mente pregai in tutte le lingue del mondo che Lowell cedesse.
Lowell ci guardò entrambe, poi le sue labbra si curvarono in un mezzo sorriso. «Lasciamo perdere, ho capito. Vi accompagno.»
Jeanie si raddrizzò sulla sedia e strinse le labbra, forse per reprimere un sorriso soddisfatto.
«Ma dovrai farmi un bel regalo di Natale, sorella viziata che non sei altro» fece Lowell. «Un gran bel regalo, ricordatelo.»
E quel pomeriggio, come promesso, andammo al centro commerciale.
Di sicuro erano già passate un paio d’ore da che eravamo lì, eppure mi sembrava ancora incredibile camminare tra gli alberi di Natale giganteschi e sintetici, tra le lucine colorate intermittenti, vicino al presepe gigante fatto di orsacchiotti, davanti ai dolci confezionati negli scaffali. Mi sembrava tutto così babbano in confronto a Hogwarts, eppure un centro commerciale britannico mi era più familiare dell’atmosfera magica che c’era a scuola. Non che l’atmosfera magica non mi piacesse. Ma questa era la realtà in cui ero cresciuta, e un po’ mi mancava. Udii uno scampanellio e la risata di una voce roca.
«Babbo Natale!» esclamai in italiano quando vidi un uomo rosso e grosso seduto su una sedia. Una fila ordinata di bambini e genitori si stendeva davanti a lui. Al suo fianco aveva un enorme cesto di caramelle. Ci immerse la mano e offrì i dolci al bambino seduto sul suo ginocchio. Bambini fortunati.
Intravidi Lowell inarcare le sopracciglia. Forse mi aveva presa per deficiente. In effetti era strano entusiasmarsi per Babbo Natale a sedici anni. Ma era da quando andavo a Hogwarts che non ne vedevo più uno. Jeanie sussurrò: «Suppongo che abbia detto “Babbo Natale”.»
Intuii da dove venisse la perplessità di Lowell: non aveva capito cosa avevo detto. Era davvero scortese da parte mia parlare una lingua che loro non capivano. «Scusate, mi è venuto spontaneo.»
«Nessun problema» disse Lowell. «È molto diverso il Natale in Italia?»
«Oh.» La domanda mi sorprese. Strinsi con forza il sacchetto rosso che tenevo in mano e alzai gli occhi verso i festoni argentati che decoravano le vetrine. «Non molto… Credo. Nel mondo babbano, per lo meno.» Non era il caso di fare la nostalgica ed elencare in ordine alfabetico tutte le minuscole differenze tra Natale magico, Natale babbano e Natale babbano italiano. Ero già stata maleducata a sufficienza.
Jeanie sogghignò. «Lavori anche a Natale, Lowell?»
«Questo Natale no, Rapunzel, altrimenti non sarei qua.» Si voltò verso una vetrina di giocattoli. «Ehi.» Puntò con l’indice un castello giocattolo tutto rosa. «Per Natale lo vuoi il castello delle fate?»
Jeanie storse il naso. «Mi sento più streghetta che fatina, grazie.»
«Strano, ho un ricordo di te, dieci anni fa, attaccata alla gamba della mamma che strillavi come un’ossessa perché volevi la casa di Barbie.»
Jeanie arrossì. «E io ricordo che quando eri a Hogwarts mamma ti scriveva quasi tutti i giorni, mammone che non sei altro.»
«E allora? Che c’è di male?»
Jeanie arrossì ancora di più. Mi venne da ridere. Affondai il viso nella sciarpa per non farlo notare. Ebbi l’impressione che Lowell fosse l’unico in grado di tenere testa al potere manipolatore di Jeanie. Lui, e forse anche il signor Gerarca Nazista Joy, visto come la sera prima aveva minacciato di levarci internet. Dall’espressione di Jeanie, però, non sembrava che lei lo trovasse altrettanto divertente.
Forse era il caso di smorzare l’atmosfera. E poi c’era una cosa che mi incuriosiva. «Ehm, Lowell, se posso…»
Lowell alzò un sopracciglio. Le mie guance attaccate alla lana divennero caldissime. Lowell fece un sorriso amichevole. «Puoi.»
Sorrisi anch’io, nascosta dalla sciarpa. «Grazie. Ecco… Che lavoro fai?»
«Lavora in agenzia viaggi» scattò subito Jeanie. Sembrava ancora irritata.
Temetti di averla indispettita. Guardai Lowell, e lui dietro Jeanie scosse il capo come a dire “lasciala perdere”. Sorrise ancora. «Sì, più o meno è quello che faccio. Lavoro per un’agenzia viaggi magica. Ultimamente le vacanze alla babbana vanno molto di moda.»
Mi morsi il labbro. Temevo di fare la figura della sciocca. «In che senso “alla babbana”?»
«Significa» rispose Lowell, «che alcuni maghi vogliono fare esperienze nuove, come andare in crociera o nei parchi divertimenti babbani. Le persone sono sempre più interessate a conoscere il mondo non magico. Il mio compito è organizzare il viaggio, dare consigli su come confondersi coi babbani e non far combinare loro guai. Un po’ come se fossi la loro guida turistica. È un bel lavoro, ma sono sempre in viaggio. È un miracolo aver avuto le ferie, questo Natale.»
Passare davanti a un’agenzia viaggi babbana mi fece sorridere. Nella vetrina, accanto a Capodanno a Sharm el Sheik, vidi il riflesso di Lowell, coi capelli scuri, e quello di Jeanie, biondo oro come sua madre. Lowell non le somigliava per niente, eppure non mi sembrava neanche così somigliante al signor Gerarca Nazista Joy. Chissà da chi aveva preso.
«Ma almeno ho potuto vedere la strega Rapunzel.» Lowell sorrise e tirò la treccia bionda di Jeanie.
«Ahi! Fai male! Piantala!»
«La pianterò, musona, quando avrai un taglio di capelli normale. A chi getti la tua treccia dalla torre di Corvonero, eh? Confessa.»
Jeanie non divenne rossa: divenne bordeaux. «A nessuno! Per chi mi hai presa?»
«Andiamo, a sedici anni è normale avere una qualche cotta. E tutto questo mi fa pensare che tu abbia davvero una cotta.»
«Io non ho nessuna cotta!» squittì Jeanie. «Ho ben altro a cui pensare! Pensa per te piuttosto, che se continui così rimarrai scapolo a vita!»
«E anche se fosse?»
Jeanie strappò la treccia di mano al fratello. «Piantala.»
In quel momento si udì un sonoro crack. Sobbalzai. Guardai Jeanie, disorientata. «L’hai sentito?»
Jeanie corrugò la fronte. «Tutti l’hanno sentito.»
Era vero. Molte persone si guardavano intorno e mormoravano. Era stato un rumore forte e udibile. Da dove proveniva? Con la coda nell’occhio vidi Lowell infilare una mano all’interno del cappotto. Aveva preso la bacchetta? Il suo sguardo guardingo mi mise ansia. Il mio cuore batteva a mille. Mi balenarono in mente le scene dei film in cui qualcuno urlava “giù!” e poi c’era sempre un’esplosione o una rapina. Iniziai ad ansimare.
In mezzo al vociare della gente un bambino gridò: «Mamma, un elfo di Babbo Natale! Che brutto!»
Sentii la mano di Lowell posarsi tra le mie scapole e spingerci in avanti. «Ragazze. In fretta, per favore.»
Poi lo vidi anch’io. Mi sfuggì un grido strozzato.
Un elfo domestico stava in piedi su una panchina decorata di rosso, in mezzo al corridoio del centro commerciale. Aveva il naso lungo e uno straccio scuro drappeggiato a mo’ di tunica. Spostava lo sguardo da un babbano all’altro, frenetico, e si torceva le mani.
«Cazzo» mormorò Lowell.
Smise di spingere me e Jeanie e scattò in avanti verso l’elfo. Io e Jeanie lo seguimmo.
L’elfo ci vide avanzare e con uno squittio si aprì in un enorme sorriso. «Signore! Lei è dove Plum l’ha cercata, signore! Plum sa dove sta il signor Lowell…»
«Taci, Plum.» Lowell prese l’elfo sottobraccio come se fosse un sacco di patate e iniziò a camminare a passo di marcia. Per stargli dietro iniziai a trotterellare. Mi accorsi che si stava dirigendo verso i bagni maschili.
«Venite anche voi, non vi voglio perdere di vista.» Guardai Jeanie, ma lei non sembrava minimamente in imbarazzo. Io invece avevo ancora il cuore che mi batteva come un rullo di tamburi.
Ci rinchiudemmo dentro un bagno per disabili, più spazioso dei bagni normali. Lowell posò l’elfo sulla tazza chiusa del cesso. Vedere una creatura magica in una toilette pubblica inglese aveva un non so che di grottesco. L’elfo continuava a torcersi le mani.
«Signor Lowell Elton, signore, Plum è qui per…»
Elton?
«Lo posso immaginare» tagliò corto Lowell. «Ma come puoi comparire in mezzo a un centro commerciale, me lo spieghi? Cosa ti frulla in quella testolina bacata?»
L’elfo sgranò i grandi occhi scuri. Sembrava che volesse strapparsi le dita. «Il signor Lowell Elton lascia parlare Plum, per favore… Plum è qui per augurare buon Natale al signor Lowell Elton, signore…»
«Grazie» disse Lowell secco.
«Prego, signore, e per invitare il signor Lowell Elton al pranzo di Natale dei padroni Elton…»
«Mamma e Jeanie non sono invitate, immagino.»
Plum rabbrividì, come se il pensiero gli facesse orrore. «La padrona ha detto solo Lowell Elton, signore, la padrona dice che è molto contenta se il signor Lowell Elton viene, così tutti gli Elton saranno al pranzo di Natale, signore…»
«Non verrò, e la vecchia lo sa benissimo» disse Lowell.
«A Plum dispiace, signor Lowell Elton.»
«A me no. Ma la nonna ci sta con la testa? Ti ha mandato a cercarmi al centro commerciale, in mezzo ai babbani. Assurdo!»
«Il signor Lowell Elton non deve parlare in modo irrispettoso della padrona» fece Plum. Si avvicinò di un passo a Lowell, arrivando sull’orlo della tazza. «La padrona vuole molto bene al signor Lowell Elton…»
«Sì, bla bla bla, solite cose.» Lowell si passò una mano tra i capelli neri. «Solite cose. Lasciamo perdere. Ringrazia i nonni e dì loro che non verrò.»
Plum si inchinò finché il lungo naso non toccò l’asse del cesso. «Arrivederci, signor Lowell Elton, signore, le auguro un gran buon Natale, signore.»
Con un crack identico a quello con cui era apparso Plum sparì.
Lowell si passò un’altra volta le mani nei capelli. Quando si girò verso di noi il suo sorriso era un po’ tirato. «Avete ancora compere da fare, ragazze?» Ci superò e ci aprì la porta del bagno, indicando l’uscita con un cenno galante della mano. Uscimmo in silenzio.
Quando fummo in corridoio, in mezzo ai babbani, Jeanie mormorò: «Mamma non ne sarà contenta.»
Lowell le diede un buffetto sulla testa. «Non ci pensare. Piuttosto, pensa a fare quel che devi fare.»
Lowell non sembrava felice della visita di Plum, quindi forse era meglio cambiare argomento. Ma cosa potevo fare? Ci pensai, poi tirai una manica di Jeanie. «Ehi, non sarebbe carino prendere un bigliettino di Natale sonoro per Chelsea? Scommetto che si spaventerà quando lo sentirà suonare.»
«Non credo.»
L’espressione di Jeanie non tradiva nessuna emozione. Lanciai di soppiatto un’occhiata a Lowell, che si stava passando la mano sul pizzetto nero. Non ero sicura che per Jeanie andasse tutto bene, e ancor meno per Lowell. Decisi che era il momento di sparire per cinque minuti. Indicai un negozio: «Senti, Jeanie, io entro qui e… Ehm, prendo un paio di biglietti. Mi sembrano carini. Stai pure qui, faccio in un attimo.»
Prima che Jeanie potesse rispondermi ero sgusciata dentro il negozio. Mi misi accanto allo stand dei bigliettini e ne presi uno. Sbirciai fuori dal negozio e vidi Lowell che diceva qualcosa a Jeanie. Forse avevo fatto bene a lasciarli soli.
Volevo lasciar loro tutto il tempo possibile per parlare, ma dopo aver fatto suonare almeno due volte ogni bigliettino sonoro la negoziante mi si avvicinò con sguardo truce e mi disse che spaventavo i clienti. Mi sentii in obbligo di acquistare due biglietti che suonavano “Jingle Bells Rock” e uno che suonava “Santa Claus is coming to town”, sperando di non aver scaricato le pile. Chelsea non poteva spaventarsi veramente: dopotutto i maghi avevano inventato qualcosa di atroce come le Strillettere. Gli altri due biglietti potevo portarli a Pepper e Merry, che servivano me e Chelsea come due signore ogni volta che andavamo nelle cucine. C’era solo da sperare che non si offendessero.
Uscii dal negozio con un sacchettino in più, ma ormai l’atmosfera natalizia era rovinata.
Il ritorno a casa fu un po’ meno deprimente. Lowell ripescò dal cruscotto alcuni depliant dell’agenzia viaggi magica: un viaggio rilassante, economico e magicamente babbano per tutta la famiglia: prenota subito le tue vacanze di Natale e avrai subito uno sconto di cinque Galeoni! Io e Jeanie sghignazzammo un po’ al pensiero di cosa avrebbe fatto una famiglia magica sulle montagne russe, ma lo sghignazzo terminò non appena arrivammo a casa.
«Siete tornati!» esclamò la signora Joy raggiante. Corse sulla soglia a dare un bacio a Jeanie e a Lowell, mentre a me toccò un abbraccio. «Vi ho preparato una sorpresa, ho pensato che vi sarebbe piaciuto mangiare della torta come dolce dopo cena e così…»
«Plum è venuto al centro commerciale per invitarmi a cena dai nonni.»
La signora Joy si bloccò, le chiavi di casa ancora in mano. «Ah.»
«Niente di nuovo, i nonni mandano gli auguri e basta.»
«Ah» ripeté la signora Joy. Vederla ammutolita era una sorpresa. Non potei fare a meno di domandarmi se Elton fosse il suo cognome da nubile.
Sobbalzai quando mi sentii tirare per una manica. «Vieni, Serena, andiamo in camera.»
Mi levai sciarpa e mongomery e salii con Jeanie al piano di sopra. Non appena chiuse la porta Jeanie scalciò via le pantofole, si buttò sul letto e si coprì la testa con un cuscino. Mi guardai intorno e decisi di sedermi alla scrivania. Mi morsi il labbro.
Mi sentivo di troppo. Quella a cui avevo assistito era di sicuro una scena molto, molto privata della famiglia Joy. Privata e non molto allegra, a giudicare dalle facce da funerale che avevano tutti, a dispetto dell’albero di Natale in salotto. Perfino il Natale di Jack Skellington sarebbe stato più allegro. Dovevo pensare a qualcosa di carino da dire. Ci pensai.
No, un momento. Ogni volta che mi riproponevo di dire qualcosa di carino finivo solo per dire stupidate. E di certo non era il momento di infierire. Presi un respiro profondo. Iniziai a giocherellare con la manica della felpa. Se non avevo niente da dire, allora non dovevo dire niente.
Peccato che il silenzio fosse così imbarazzante.
Dal letto di Jeanie, soffocato dal cuscino, arrivò un borbottio: «Non pensavo che Plum sarebbe venuto in un posto pieno di babbani.»
Quindi non era la prima volta che veniva. «Non fa niente. Nessun problema.»
«A me non importa» disse Jeanie. «È mamma che ci resta male.»
Forse, pensai, Jeanie aveva bisogno di un’amica che sapeva affrontare una situazione del genere con tatto e discrezione, non di una ragazzina più imbarazzata di lei che si torceva le mani seduta alla scrivania. Chelsea di sicuro avrebbe saputo cosa fare. Mi dispiaceva vedere Jeanie semisepolta dal cuscino. Magari aveva voglia di stare tranquilla, ma c’ero io. Però non potevo sparire. Che potevo fare?
Mi alzai in piedi e mi sedetti sul bordo del letto, di fianco ai piedi di Jeanie. Era la prima volta che la vedevo con le calze bianche e rosa, anziché quelle nere della divisa.
«Ehm. Coraggio, Jeanie.» Diedi qualche piccola pacca al suo ginocchio. Poi mi venne in mente Leonard Hofstadter che batteva la spalla di qualcuno, forse Penny, dicendo “dai, dai”. No, forse non era il migliore da cui potessi prendere esempio. Scostai la mano dal ginocchio.
Jeanie si tolse il cuscino dalla faccia e lo appoggiò sulla pancia. Dietro le lenti i suoi occhi erano spalancati. «Oh, caspita. Tutto questo è ridicolo.»
Scattò a sedere e io sobbalzai. «Jeanie?»
«Decisamente assurdo» fece lei. «Non è un modo intelligente di affrontare le cose.»
Mi guardò. Abbassai lo sguardo sulle maniche blu della felpa. «Non saprei… Non so bene come stiano le cose, ecco…»
Jeanie incrociò le gambe e spinse gli occhiali fino alla cima del naso. «C’è poco da dire. I nonni di Lowell lo invitano tutti gli anni per Natale, e mamma ci rimane male perché il resto della famiglia non è invitato.»
«Ah.» Forse potevo azzardare una domanda. «Litigato?»
«Più o meno. Non erano d’accordo che mamma si risposasse con mio papà.»
Iniziai a mettere insieme i pezzi. Plum aveva detto Lowell Elton anziché Lowell Joy. «Quindi tu e Lowell non siete, come dire… Fratelli?»
«Siamo fratellastri. Il primo marito di mia mamma era il papà di Lowell, ma è morto durante la seconda guerra magica. Dopo la fine della guerra la mamma si è risposata con mio padre, che però è un babbano, e i genitori del primo marito non l’hanno mai accettato.»
Annuii. Non sapevo cosa dire, quindi tacqui.
«Andiamo, non fare quella faccia.» Jeanie mi diede una spinta sulla spalla. «Sembra molto soap opera raccontata così, ma Lowell lo ricorda a malapena, suo padre, e a me non importa se siamo fratellastri. È per questo che abbiamo dieci anni di differenza. Se solo i nonni di Lowell la smettessero di fare gli altezzosi non ci sarebbe nessun problema.»
«Ho capito.» Mentre mi succhiavo il labbro inferiore cercai di assimilare tutte le informazioni. Ricordai che Chelsea mi aveva detto che il professor Paciock ancora studiava quando era finita la guerra, o qualcosa del genere. Pensare che la famiglia di una mia amica ne aveva subito le conseguenze mi faceva apparire la guerra magica molto più vicina e triste. Però forse senza la guerra la mia amica non sarebbe mai neanche esistita. Che pensieri cupi. Cercai di tornare su un terreno più concreto. «Quindi Lowell di cognome fa Elton, e tu Joy.»
«Esatto. Anzi, a questo proposito, mi sembra scontato ma evita di nominare qualunque Elton. Papà si ricorda ancora di quella volta che Plum è venuto a casa nostra. Non aveva mai visto un elfo domestico e ha pensato di avere le allucinazioni.»
Gli stava bene, vecchio Gerarca Nazista che non era altro, così imparava a minacciare di togliere internet a due povere fanciulle indifese.
«Poverino» dissi.
L’unico avvenimento che ravvivò la nostra serata si verificò dopo cena, quando io e Jeanie ottenemmo dal Gerarca Nazista Joy il permesso di connetterci a internet. Scoprimmo un anime giapponese che si chiamava Axis Powers Hetalia, dove si prendevano allegramente per i fondelli gli stereotipi delle nazioni. L’Italia del Nord era rappresentata da un ragazzo ossessionato dalla pasta ed era sempre in compagnia di Germania, un ragazzone biondo e muscoloso. Sembrava il tipo a cui, quando fanno le analisi, anziché trovare tracce di birra nel sangue trovano tracce di sangue nella birra. Io persi ogni dignità in casa Joy quando mi misi a piangere dal ridere, mentre Jeanie si sforzò di mantenere un briciolo di contegno. Ci riuscì discretamente. La verità è che anche a lei veniva da ridere.
Dopo venti episodi decisi che niente avrebbe mai sostituito i pony nel mio cuore, a parte forse la GerIta.
 
Nota dell'Autrice: buongiorno/buonasera/buon quando leggete a tutti. :) Ebbene,  scrivo per annunciare non tre, il numero perfetto, ma ben quattro Grandi Traguardi raggiunti… Neanche fosse un traguardo per ogni casa di Hogwarts! I Quattro Grandi Traguardi:
1) Abbiamo superato abbondantemente le duecento recensioni! Siamo a quota 235… E dico “abbiamo” e “siamo” perché è grazie a voi che questo succede... Quindi grazie!!!
2) Ci avviciniamo al quarantesimo capitolo, ed è più di quanto io abbia mai scritto in vita mia! Almeno credo.
3) Lo scorso capitolo è quello che ha avuto più recensioni in assoluto, finora sono ben 13! Uno dei miei numeri preferiti, l’autrice è commossa. :’)
4) Il primo capitolo :) Il primo capitolo, nel momento in cui scrivo, ha qualcosa come 2085 (duemilaottantacinque! Che numero infinito da scrivere) visualizzazioni! Sono un’enormità! OAO L’unico capitolo che prova (miseramente) a stargli dietro è il numero 3, con 621 visualizzazioni. L’autrice è felice di essere tanto seguita. ;u; Vi ringrazio, vi ringrazio di tutto cuore!

Perché vi faccio leggere quella scaletta di traguardi? Perché ho spremuto il mio cervellino per cercare un modo di celebrarli a dovere e, complice un video divertente, mi è venuta un'ideuccia. :)
Nelle vostre recensioni a volte trovo frasi come "non trovo le parole adatte" oppure "Serena me la vedevo così", eccetera. Vanno benissimo, eh, non fatevi viaggi mentali. Ma ho pensato: perché non dare, per una volta, la possibilità di esprimersi in un modo alternativo? ;)
Per farla breve: se l'idea vi piace, potere scegliere un personaggio (Serena, Jeanie, Chelsea, Albus, Lowell, Scorpius, Candice, James, Priscus Battitore Figaccione, Potter con la pancetta, insomma chi volete, personaggio o comparsa che sia) e dirmi a quale canzone lo assocereste. :D Non è un concorso, me ne rendo conto. Non si vince niente questa volta. ^^" Ma mi sembra un modo diverso dal solito per comunicare e farmi sapere come vedete la mandria selvaggia che galoppa nella mia fanfiction. ;) Se l'idea vi piace fornirò anch'io, nel prossimo capitolo, il mio elenco di canzoni-associazioni. J Accetto qualsiasi cosa, parodie, cover, strumentali, sigle di cartoni animati, canzoni Disney... Tutto. J Se non volete lasciare un link allora datemi modo di reperire la canzone, perciò scrivete:
Titolo - Autore (se è una cover l'autore della cover) - Eventuale specificazione
es. Mio marito è gay - Saretta - Festival di San Jimmy 2007, Lo Zoo di 105
Sì, per chi non lo sapesse, questa canzone su YouTube c'è veramente.
Spero che l'iniziativa piaccia. ;u; Altrimenti mi sentirò parecchio stupida. ^^"
A presto! :D

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Capitolo 40
*** Dove una Cioccorana compie il miracolo che sei anni a Hogwarts, un corso di Storia della Magia, due amiche impazienti, uno spasimante e svariati riferimenti non erano ancora riusciti a compiere. ***


Dove una Cioccorana compie il miracolo che sei anni a Hogwarts, un corso di Storia della Magia, due amiche impazienti, uno spasimante e svariati riferimenti non erano ancora riusciti a compiere.
 
 
 
La notte della Vigilia, nascosta sotto il piumone, pregai per trovare i regali di Natale sotto l’albero, come quando ero bambina. Chissà, magari a Natale i miracoli potevano accadere.
Non accadde. Trovai il mio cumulo di regali in fondo al letto. Da Jeanie ricevetti una tazza magica che manteneva caldo il latte, mentre io le avevo regalato un braccialetto che indossò subito. Da Chelsea invece ricevetti un set di penne d’oca nuove, dai miei genitori un maglione, un abito e una super apprezzata tonnellata di libri in italiano.
Pranzammo con la nonna di Jeanie, babbana e decisa a farci tornare a scuola ingrassate di dieci chili, e con i suoi zii, babbani anche loro. Per fortuna Lowell ogni tanto faceva qualche battuta, così nonostante l’imbarazzo riuscivo a ridere anch’io. Fu un Natale sereno.
Così sereno che arrivò troppo presto il momento di tornare a scuola. Siccome Lowell sembrava ben poco preoccupato per la puntualità, al contrario di Jeanie che rischiò una crisi di nervi, riuscimmo a prendere al pelo l’Espresso per Hogwarts. Mentre ci trascinavamo bagagli per il corridoio avevo ancora un caldo terribile per quando Lowell mi aveva salutata con un: «Torna presto a trovarci, Amélie.»
La voce di Jeanie mi riscosse: «Questo è vuoto, possiamo metterci qui.»
Sistemammo i bagagli nello scompartimento e ci accasciammo, esauste. O meglio, io mi accasciai sul sedile come una scaricatrice di porto qualunque, mentre Jeanie si sedette composta e appoggiò le spalle contro lo schienale.
Per tornare alla realtà, però, mancava ancora un elemento. «Si dovrebbe cercare Chelsea.»
Jeanie alzò le spalle. «Quando sarà stufa di litigare con Candice ci troverà lei.» Mi lanciò un’occhiata. «Oppure potresti cercarla tu.»
Rabbrividii. Ebbi un brutto presentimento. «Quello sguardo cosa significa?»
Jeanie frugò in tasca e mi tese la mano. Istintivamente allungai la mia, e vi cadde qualche monetina. «Se incontri la strega col carrellino prendi tre Cioccorane, per favore.»
Commissioni, quindi. Dovevo aspettarmelo. Sospirai. «Va bene.»
Mentre uscivo in corridoio mi tornarono in mente le parole di Albus. Fai sempre così, tu. Mi chiesi se fossero queste, secondo lui, le occasioni in cui avrei dovuto dire “no”.
Ma già che cercavo Chelsea potevo ben fare un favore a Jeanie, vero?
Il rumore di una porta che si apriva di scatto mi mise in allarme. Troppo tardi: andai a sbattere contro qualcuno. Un dolore acuto mi esplose dal naso. Persi l’equilibrio. Tesi le mani e mi aggrappai alla persona davanti a me, ma questa cadde in avanti e mi trascinò dietro.
«Vedi cosa succede a uscire troppo in fretta dallo scompartimento?»
Il dolore al naso mi bruciò lungo tutto il viso. Mi portai le mani al naso. Davanti a me avevo chiazze scure e lucine intermittenti. Sbattei le palpebre per rimettere a fuoco il corridoio.
Per terra con me c’era un ragazzo che conoscevo di vista ma di cui non sapevo il nome. Forse era un Corvonero. Un secondo dopo mi sentii afferrare per un braccio e mi si strappò la mano dalla faccia. Una forza disumana mi rimise in piedi. Ci misi qualche secondo a capire chi mi aveva tirata in piedi.
Mister Bicipite. Il Battitore di Corvonero.
Rimasi pietrificata, le mani ancora sul naso, a fissare Mister Bicipite aiutare il suo amico a rimettersi in piedi. Un secondo dopo Mister Bicipite si voltò verso di me. «Ehi, tutto bene?»
Annuii vigorosamente. Pessima scelta. Il corridoio cominciò a offuscarsi. Arretrai di un passo e mi appoggiai contro il finestrino.
L’amico di Mister Bicipite si massaggiò una spalla e mi lanciò un’occhiataccia. «Fai attenzione quando cammini…» Il suo sguardo si posò sulla mia cravatta. «… Tassorosso.»
Annuii ancora, più piano.
Ad osservarlo da vicino, Mister Bicipite doveva avere sì un fisico da paura sotto quel maglione, ma non sembrava granché sveglio. Forse era colpa delle palpebre cadenti e delle labbra piene. Mi venne in mente un Basset Hound. Poi riguardai il maglione teso sopra i muscoli. Be’, chi se ne fregava se aveva le palpebre cadenti.
Mister Bicipite mi fissò. Dopo qualche secondo iniziai a sentirmi a disagio. Pensai fosse per colpa delle mani in faccia. Tastai il naso. Sembrava ancora intero. Le feci scivolare giù dal viso. Ma Mister Bicipite continuò a fissarmi.
«Tu sei quella che gira sempre con la bionda.»
Il mio cervello impiegò qualche istante a collegare le sue parole alla realtà. «Con…» La voce mi si spense. La schiarii e riprovai. «Con Jeanie, vuoi dire?»
Mister Bicipite corrugò la fronte, come se gli avessi fatto una domanda difficile. «Credo che si chiami Jeanie, sì.»
«Ah, forse ho presente chi sia» intervenne il suo amico. «È quella con la treccia e gli occhiali enormi, vero?»
Annuii. Allora erano entrambi Corvonero. Ci fissammo ancora qualche secondo. Non sapevo cosa dire. Mi torsi le mani.
«Sì, be’, noi andiamo» fece l’amico di Mister Bicipite. «Dai, Priscus. Ciao, Tassorosso.»
Mi diedero le spalle e si allontanarono nella direzione opposta alla mia.
Ero ancora appoggiata al finestrino quando aprirono la porta per cambiare vagone.
Be’… Uao. Mister Bicipite si ricordava di me e di Jeanie. Anche noi ci ricordavamo di lui, poteva giurarci.
Ripresi a camminare pian piano, tenendo sempre una mano contro la parete. Non avevo intenzione di farmi travolgere un’altra volta da gente che usciva dagli scompartimenti come bufali avviati al macello. Ce n’erano molti vuoti, ma era logico, visto che non tutti tornavano a casa per Natale. Immaginai Chelsea da sola in uno scompartimento, isolata, triste per non averci trovate. Poverina. Dovevo sbrigarmi.
Quando aprii la porta per entrare nel vagone successivo fui subito travolta da un vociare concitato. La porta del primo scompartimento era aperta, quindi sbirciai dentro.
Pessima scelta.
«Serena!» esclamò Rose. «Cosa ci fai qui?»
Rimasi paralizzata. Lo scompartimento era pieno di gente. Rose si alzò e immediatamente un ragazzino biondo che non conoscevo occupò il suo posto. In piedi contro il finestrino c’era James, l’aria spavalda e le braccia incrociate, e seduti c’erano Lily, Hugo Foscolo e altre due ragazzine coi capelli rossi che non conoscevo. E ovviamente, in piedi accanto a James, c’era Albus. Arrossii. A parte il biondino, non era difficile immaginare quale fosse la famiglia di provenienza di tutte quelle persone.
«Vieni dentro con noi, così scambiamo due chiacchiere!»
«Oh, no.» Arretrai di un passo. «Sto…»
Ma Rose mi prese la mano e mi trascinò dentro lo scompartimento. Qualcuno si alzò e mi fece sedere. «Dai, almeno ci racconti come hai passato il Natale! E Chelsea dov’è?»
Lanciai un’occhiata disperata ad Albus. Lui mi guardò a sua volta, ma non disse niente. Da lui non sarebbe arrivato nessun aiuto. Disgraziato di un Potter. Mi feci coraggio e schiarii la voce. «Chelsea… La sto cercando. Sono in un altro scompartimento con Jeanie, devo…»
«Cioccorana?» fece Lily di fianco a me. Mi mise in mano la confezione prima che potessi rifiutare.
Sbirciai i visi dei ragazzi che non conoscevo. Una famiglia più grande di quella Weasley non esisteva. Credevi di conoscerli tutti, e poi dal nulla ne spuntavano altri, come funghi. Forse nonno Weasley era uno tipo il Padrino, e quando si sedeva alle cene di Natale diceva cose del tipo “siamo tutti una grande famiglia”. Difficile dargli torto di fronte a una tavolata piena di gente.
«Allora, come sono andate le vacanze?» chiese Rose.
Come voleva che fossero andate? Voleva forse che le raccontassi di aver guardato tutti gli episodi di Axis Powers Hetalia? Sbirciai le altre persone nello scompartimento. Le due ragazze di fronte a me stavano parlando tra di loro, e il biondo disse qualcosa a Hugo. Sembravano disinteressati a me. Le mie spalle si rilassarono. Iniziai a giocherellare con la confezione della Cioccorana. «Bene, grazie» risposi.
Lanciai un’altra occhiata ad Albus, ancora in piedi vicino a James. Mi guardava, forse aspettando che parlassi, ma non sembrava intenzionato a parlare a sua volta. Con l’indice grattai la carta che avvolgeva la Cioccorana.
Dopo qualche secondo di silenzio Rose chiese: «Sei riuscita a rispondere a tutte le domande di Storia della Magia? Io ho avuto problemi con la diciassette e la trentadue. Intendo dire, la rivolta Goblin di quegli anni ha avuto molteplici cause, ma la domanda chiedeva di individuarne quattro, solo che io in realtà ne ho trovate sei, quindi…»
«Fai come me, Rose» intervenne James. «Puoi dire al professore che non sei riuscita a finire i compiti perché per tutte le vacanze sei stata impegnata a causa di prolungati e soddisfacenti rapporti sessuali. Dopotutto è abbastanza estenuante…»
Figurarsi se James non interveniva per dire qualcosa di sfacciato. Rose arrossì. «James, non riesci ad essere serio per una volta?»
Odioso come solo i Potter sapevano essere. Veramente odioso. Cosa si poteva dire di fronte a un tale esempio di demenza? «Se è così estenuante puoi sempre scrivere con l’altra mano.»
Non mi resi conto di aver pronunciato davvero quella frase finché non sentii la risata di Albus esplodere. James mi guardò ad occhi sgranati. Rose esclamò: «Serena!»
Una vampata di calore mi fece arrossire e abbassai gli occhi. Non riuscivo a crederci. Come era potuto saltarmi in mente di dire una cosa del genere? A James, poi! Di fronte a tutti!
Lily e Hugo si voltarono verso di noi. «Perché ridete?»
Albus rispose: «Perché Serena ha risposto per le rime a James.»
Mi vergognai ancora di più. Sbirciai James. Si era gonfiato e mi lanciò un’occhiata piena di astio. Abbassai immediatamente gli occhi sul pavimento. «Per tua informazione…»
«Te la sei meritata, James» tagliò corto Albus. Dalla voce si capiva che gli veniva ancora da ridere.
Rose si agitò sul sedile, a disagio. Mi sentii in colpa. Piuttosto che stare a far niente, scartocciai la Cioccorana. Potevo darla a Rose, visto che a me mangiarle faceva impressione. La rana di cioccolato mi saltò in grembo. Tesi il palmo e con un dito la spinsi sopra. La tesi a Rose. «Prendila tu» mormorai a mezza voce.
Lily esclamò: «Oh, guarda! Hai trovato papà!»
Non capii. Lasciai scivolare la rana in mano a Rose. Perché ero sempre io a non capire mai nulla e a dovermi sentire un’idiota? «Prego?»
Lily indicò la confezione della Cioccorana sul mio grembo. «Guarda!»
Corrugai la fronte. Presi la figurina e lessi.
Harry Potter. Il Ragazzo Che è Sopravvissuto, unico superstite dell’Avada Kedavra (l’Anatema che uccide), scagliatogli contro da Lord Voldemort, il quale ne rimase profondamente ferito una prima volta. Lo sconfisse definitivamente nel 1998. Nello stesso anno si unì al Dipartimento degli Auror del nuovo ministro Kingsley Shacklebolt, e nel 2007 ne divenne capo.
Rilessi la didascalia tre volte prima di capirla del tutto.
Harry Potter. Ricordai vagamente una battuta di Chelsea e Jeanie su Kingsley Shacklebolt e su Harry Potter. Qualche allusione alla seconda guerra magica. Lo sconfisse definitivamente nel 1998. Paciock che ancora studiava quando era finita la guerra. Harry Potter risultava nato nel 1980. Quindi era possibile che avesse approssimativamente la stessa età del professore? Nello stesso anno si unì al Dipartimento degli Auror del nuovo ministro Kingsley Shacklebolt, e nel 2007 ne divenne capo. Capo del Dipartimento degli Auror. Ricordai che Jeanie mi disse che Albus avrebbe fatto “mettere a chi di dovere una buona parola dove sa”, o qualcosa del genere, perché i suoi erano “gente facoltosa”. Ricordai suoi consigli poco apprezzati da Chelsea. “Tienitelo buono, Serena, quel ragazzo può diventare una miniera d’oro”.
Sticazzi.
«Serena?»
Mi voltai verso Rose. Non doveva essere la prima volta che mi chiamava, a giudicare dalla sua espressione preoccupata.
Sarei voluta sparire sottoterra.
 
Nota dell’autrice: mi dispiace, ma questa volta le note saranno un po’ lunghe…
Inizio con un ringraziamento alla mia cara amica Marianna: anche se non ha un account su EFP legge comunque la mia ficcy, e l’idea della Cioccorana rivelatrice è sua. ^^
Il secondo punto riguarda le canzoni. Questo è il mio elenco. Allego i link perché alcune sono cover e non sono certa che siano facilmente reperibili. :)

Serena Latini: La Vie en Rose - Melanie Fiona
"Hold me close and hold me fast / The magic spell you cast / This is la vie en rose..."
Motivazione: credo che Serena abbia una visione abbastanza rosea della vita, ingenua ma rosea. E penso che i sentimenti che prova non possano che rendergliela ancora più rosea. :) In più mi piaceva il riferimento agli incantesimi. No, non ho scelto la canzone per il Martini Rosato. :P La canzone ha un testo un po’ diverso da quella originale di Edith Piaf.
Canzone con testo: http://www.youtube.com/watch?v=1ksBanxzjBU

Jeanie Joy: Shut up and let me go - The Ting Things
Motivazione: già il titolo… Jeanie non è il tipo con peli sulla lingua, dice tranquillamente quello che pensa. Il testo della canzone sembra quasi uno sfogo nei confronti di qualcuno, anche con delle punte di malignità, quindi mi sembrava appropriato. ;)
Canzone con testo: http://www.youtube.com/watch?v=eaZc8VJ_2Cc
 
Chelsea Shields: Lady Marmalade - CeCe Frey
Motivazione: la versione di CeCe Frey è cantata da solista, quindi dà un'idea di come si possa interpretare una canzone pensata per più voci. Per la scelta del titolo... Be'... ;)
Canzone live: http://www.youtube.com/watch?v=FIfORvO7b-c


Albus Potter: Why not me - Alexander Rybak
"You're standing right in front of me / With a purpose I can't see / I wish I knew what's on your mind / But that's a key I'll never find / I wanna know what I did wrong / I really waited for so long / To be / alone with you again / I bet your game will never end [...] You wonder who your date would be / I wonder, Katherine, why not me?"
Motivazione: potrei quotare il testo quasi per intero. Lo trovo molto adatto.
Canzone con testo: http://www.youtube.com/watch?v=a6mYJ4xux4g

Scorpius Malfoy: Sono un pirata sono un signore - Julio Iglesias
Motivazione: è un gran signore. Per quanto lo possa essere un sedicenne, e per quanto il filtro "en rose" di Serena lo possa dipingere come tale.
Canzone: http://www.youtube.com/watch?v=V_0muxIMJiA

Rose Weasley: The Big Bang Theory - Barenaked Ladies
Motivazione: un omaggio al cervello suo e della mamma, con la speranza che impari a relazionarsi un pochino meglio di Sheldon Cooper. Il quale, per inciso, fa concorrenza a Mirtilla Malcontenta.
Canzone con testo nelle info: http://www.youtube.com/watch?v=HxDcOxXQI-k

Candice Shields: Stupid girls - Pink
Motivazione: il modello di vita di Candice di certo non è Paris Hilton.
Canzone con testo: http://www.youtube.com/watch?v=fs3bC-snP_w

James Potter: Tik Tok Parody - The Midnight Beast - Feat. ST£FAN
"I'm mad, really bad but don't tell my mom and dad"
Motivazione: è la parodia della canzone di Kesha. James me lo vedo vivace, e penso che il ritmo veloce e il testo ironico siamo adatti a lui. :)
Canzone con video: http://www.youtube.com/watch?v=D4npUdfEmbQ

Lowell Elton: Europe's skies - Alexander Rybak
Motivazione: purtroppo per voi io adoro Alexander Rybak e il suo violino, quindi a lui toccano due canzoni. :) Ho scelto "Europe's skies" perché Lowell viaggia molto. Curiosità: esiste anche la versione in russo.
Canzone con (meraviglioso) video: http://www.youtube.com/watch?v=daqfr6DJsGc

Edward Cunnigham: Claire de lune – Debussy
Motivazione: davvero volete la motivazione ? :P

Per gli altri personaggi… Mi dispiace, non ho una canzone, li ho fatti comparire poco e quindi non ho ben chiare le loro personalità. Se voleste vedere qualche personaggio comparire di più, be’… Ditemelo! :D
 

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Capitolo 41
*** Dove Serena Latini vive un Emomento semiserio ed entra in Modalità Casalinga Disperata. ***


Dove Serena Latini vive un Emomento semiserio ed entra in Modalità Casalinga Disperata.
 
 
 
Non avrei mai creduto Jeanie e Chelsea capaci di nascondermi una cosa del genere. Quando riuscii a tornare nel mio scompartimento e a riprendermi dallo shock quanto bastava per spiegare cos’era successo, Jeanie con aria saccente mi aveva fatto un breve resoconto della seconda guerra magica. Alla domanda “come mai queste cose non me le hai dette prima?” Jeanie aveva risposto “se ci tenevi potevi informarti da sola”.
Non aveva tutti i torti. Ma ero ugualmente irritata, e piuttosto che dirle cose che non pensavo davvero preferii tacere. Morale della favola, non dissi più una parola per tutto il viaggio.
Non potendomi sotterrare e scomparire dalla faccia della terra, o quantomeno tornare in Italia, rimediai con l’elezione della Sala Comune di Tassorosso a mia tomba per tutta la durata del sesto anno. I miei propositi erano fermissimi: non avrei più messo piede fuori da lì. Mi vergognavo troppo della mia ignoranza.
Quella sera mi infilai sotto le coperte preparandomi a una notte insonne di tormenti infernali e sensi di colpa. A voler dare credito alle mie compagne di stanza, dopo dieci minuti russavo.
La mattina dopo mi trovai costretta a prendere una decisione. Mi attendevano due ore di Pozioni coi Serpeverde. Avevo due possibilità: frequentare la lezione, morire di vergogna, andare in depressione e candidarmi per diventare la best friend forever di Mirtilla Malcontenta, oppure marinare. Scelsi di prendermi una giornata di ferie.
Quando le mie compagne uscirono dalla stanza, il sole entrava dalle finestre e faceva brillare la neve di un bianco abbacinante. La mia risposta a quello spettacolo della natura fu girarmi e abbracciare il cuscino.
E quindi Albus era il figlio di un personaggio famoso. Peggio ancora, questo personaggio famoso era una specie di supereroe del mondo magico. Vero, non facevano più i supereroi figaccioni come una volta. Batman era un gran bel pezzo d’uomo, era ricco e aveva pure un maggiordomo. Se il signor Potter era quell’uomo di mezza età con la pancetta che avevo visto in stazione, be’, il buongusto inglese doveva avere dei seri problemi. O forse era la realtà ad essere crudele. In ogni caso il supereroe era lui ed era il padre di Albus.
E io ora cosa avrei dovuto fare? Io e Albus eravamo amici? Forse. Eravamo fidanzati? Ma anche no. Non sapevo nemmeno cosa eravamo, figurarsi sapere come mi dovevo comportare.
Riflettei. A questo tipo di domande la risposta in genere era “come al solito”.
Facile a dirsi. Scopri che il figlio di un eroe ti ha fatto il filo fino al giorno prima e lo devi considerare normale. Tutto ok, fai finta di niente. Era come finire sotto un tir e cercare di immaginarsi su una spiaggia delle Bahamas. Solo un malato di mente ci sarebbe potuto riuscire.
Decisi di prendere in analisi le varie possibilità.
Opzione numero uno. Potevo ignorare Albus. Evitarlo, declinare qualsiasi sua offerta, non rispondergli se mi parlava, rinunciare ai M.A.G.O. in Pozioni ed Erbologia. Nonché alla Sachertorte, ricetta originale austriaca. Affondai i denti nel cuscino. La lingua si appiccicò alla federa insapore. Cribbio, sarebbe stata durissima.
Opzione numero due. Potevo cercare di essere amichevole. Il problema era che non mi veniva naturale. Se fossi diventata tutto all’improvviso socievole come Pinkie Pie di sicuro chiunque avrebbe pensato che ero un’ipocrita. Finché piaci a un ragazzino sedicenne un po’ sfigato non te ne frega niente, quando invece piaci al figlio del Superman locale sei carina e coccolosa. Mi sarei fatta schifo da sola.
Fine delle opzioni. Dovevo decidere tra una vita di rinunce e il farmi schifo. Che magnifica prospettiva.
Nel pomeriggio entrò nel dormitorio una ragazzina per dirmi che una ragazza rotondetta era fuori dalla Sala Comune e voleva vedermi. Immaginai che fosse un modo carino per riferirsi a Chelsea. Le chiesi di dirle che non mi sentivo bene e che preferivo restare a letto.
Non l’avrebbe bevuta. Pazienza. Dopotutto era anche colpa sua se ora mi ritrovavo a dover scegliere.
Quando la ragazzina uscì mi tirai su a sedere. Sentii una fitta di dolore alla schiena. A voler essere onesti no, non era colpa di Chelsea, per quanto fosse dura ammetterlo. E neanche di Jeanie. Ero io ad essere male informata. Non c’erano scuse. Pensai a cosa avrebbe detto Jeanie se mi avesse vista così: stavo fuggendo dai problemi, non mi stavo comportando in modo razionale. Lei non avrebbe reagito così.
«Hai ragione, Jeanie Joy, hai ragione. Come sempre.» Mi ributtai sul letto.
Mi feci più seghe mentali quel giorno che Mirtilla Malcontenta in tutti gli anni della sua morte. Forse potevo fare a gara con Rose Weasley, dopotutto non eravamo tanto diverse.
Purtroppo le seghe mentali non riempivano lo stomaco. Andare in Sala Grande però equivaleva a buttarsi in una fossa di leoni famelici e di corvi affamati di carogne. Con in più il rischio di incontrare serpi velenose. Decisi di sfruttare la mia scorta per le emergenze di cibo mandato dall’Italia: feci fuori un sacchetto di patatine da trecento grammi e metà scatola di merendine Pan di Stelle. Probabilmente, se mi fossi guardata allo specchio, la differenza tra me e una casalinga disperata sarebbe stata minima. Mi mancavano solo i bigodini.
A un certo punto mi ritrovai a fissare la merendina. Ripensai ad Halloween. Alla mia magnifica figuraccia con Rose Weasley. Tutte cose accadute perché io non sapevo.
«Al diavolo» borbottai. Ributtai la merendina nella scatola. Dov’erano a Hogwarts i trafficanti di Whiskey Incendiario illegale quando servivano? Ah, già, se c’erano si trovavano a Serpeverde. Di certo non nell’altissima, purissima, levissima, ignorantissima e sfigatissima Tassorosso.
Il mattino dopo ero decisa a saltare un’altra volta le lezioni. Le rotelle del mio cervello erano troppo arrugginite, e dato che tutte le mie lezioni del martedì erano coi Corvonero non era il caso di fare pubblico sfoggio delle mie doti.
Qualcuno bussò.
Non risposi.
Bussarono ancora.
«Sono in coma» mugugnai. «Siete pregati di lasciare un messaggio dopo il bip, grazie.»
Silenzio.
Attesi.
Ancora silenzio.
«Biiip
La porta si aprì. Entrò una mia compagna di stanza.
«Serena?»
Ero stravaccata sul letto, ancora abbracciata al cuscino. Non mi diedi neanche la pena di tirarmi su. Mannaggia a lei, e io che speravo di deprimermi tutta la mattina in santa pace. «Che c’è, Daisy?»
«Non so come dirtelo… È che…» Daisy si morse un’unghia. «Ehm… Credo… Che tu sia nei guai.»
«Ma davvero?» feci, sarcastica. Questa era bella. Guai! Cosa poteva esserci di peggio rispetto a come stavo?
«Paciock è fuori dalla Sala Comune e vuole parlarti.»
Spalacai gli occhi. Immediatamente mi puntellai sulle braccia per tirarmi su, ma una fitta di dolore alla schiena mi fece lanciare un gemito. La mano posata sul cuscino scivolò. Gridai. Persi l’equilibro e un secondo dopo un dolore lancinante mi si propagò dal sedere ai reni. Quando il dolore si attenuò riaprii gli occhi e mi resi conto di essere a terra, immobile. Gemetti ancora. Stesi la mano e mi aggrappai al bordo del letto.
Daisy tossicchiò, in imbarazzo. «Ehm, sì. Fai con comodo, ha detto che ti aspetta.»
Quindici minuti dopo ero vestita e pettinata, e sperai anche presentabile. Ma far aspettare un professore quindici minuti era qualcosa di estremamente maleducato. Se mia madre avesse saputo una cosa del genere mi avrebbe linciata. Mi avviai verso l’uscita della Sala Comune come una condannata al patibolo. Ora sì che sentivo lo stomaco contorcersi per la tensione.
Sbucai in corridoio. Paciock si ergeva a braccia incrociate nella sua notevole altezza. Notevole per me, almeno, che gli arrivavo alle spalle. Mi sentivo già colpevole.
«Latini» fece. «Allora sei tornata dalle vacanze di Natale. Ti davamo per dispersa.»
Avvampai. «Nossignore.»
Il professore mi fissò per qualche secondo. «Nel mio ufficio.»
Mentre percorrevamo i corridoi incrociammo qualche Serpeverde. Mi vergognai profondamente. Se seguivo il professore a testa bassa era evidente che stavo per essere punita. Sentii una risatina. Avvampai di nuovo. Pubblico martirio. Impossibile essere più umiliati di così. Perché sempre a me?
Non appena il professor Paciock aprì la porta del suo ufficio un forte odore di letame mi pizzicò le narici e istintivamente mi ritrassi. Mi costrinsi a non storcere il naso: l’ultima cosa che volevo era che il professore pensasse che per me il suo ufficio puzzava.
«Oh, non di nuovo» fece Paciock in tono lamentoso.
Sbirciai dentro la stanza. Sembrava un normale ufficio, con cattedra, sedie e piante sparse qua e là. Niente attrezzi per torturare gli studenti. Peccato per quell’odore nauseabondo.
«Povera pianta, deve avere qualcosa che non va, non capisco cosa la disturbi…» Paciock mormorò un incantesimo e la puzza sparì. In piedi sulla soglia, le mani strette al tessuto della gonna, osservai il professore sollevare un vaso con una pianta coperta da grosse bolle.
«Accomodati» disse Paciock. Si rigirò la pianta tra le mani e corrugò la fronte.
Esitai ancora, poi presi un respiro profondo ed entrai. Mi avvicinai alla cattedra. Mi sentivo rigida e impacciata. Aveva detto di accomodarmi, significava che mi dovevo anche sedere?
Finalmente Paciock posò la pianta sulla cattedra e mi guardò. «Siediti, Latini.»
Mi si bloccò il fiato. Scostai la sedia e obbedii.
«Allora.» Paciock si sedette alla cattedra. Unì le mani e si sporse verso di me. «Sono due giorni che non ti presenti a lezione. Assenze ingiustificate, visto che non sei malata. È una cosa grave, te ne rendi conto?»
Lo sguardo serio del professore mi mise in soggezione. Abbassai gli occhi e fissai la punta delle scarpe.
«Per quale motivo l’hai fatto? Non è da te, Latini. Cose del genere ce le possiamo aspettare da altri studenti, non da te. Dovremo scrivere a casa per questo.»
Non mi sembrava il caso di ricordare al professore che i miei genitori non capivano una mazza d’inglese. Non che sperassi di farla franca, sapevo come sarebbe andata: non avrei retto al senso di colpa e avrei tradotto per loro anche la lettera di rimprovero.
Il professor Paciock picchiettò l’indice contro la cattedra. «Latini, guardami in faccia mentre ti parlo.»
Feci forza su me stessa e mi costrinsi ad alzare la testa. Lo sguardo indagatore del professore mi fece arrossire.
«Non sei una cattiva studentessa.» La voce di Paciock si era addolcita. «Non salti mai le lezioni, non disturbi, ti impegni sempre, sei onesta e leale. Sei una vera Tassorosso, e non credo di poterti fare una lode più grande.»
Mi morsi il labbro e cercai di trattenere il respiro per impedirmi di ansimare. Gli occhi mi si riempirono di lacrime.
«È per questo motivo che non mi spiego il tuo comportamento. È successo qualcosa che ti ha turbata?»
Scossi il capo. Non riuscii più a sostenere il suo sguardo e abbassai la testa. Mi vergognavo tremendamente. Gli occhi mi si riempirono di lacrime. Strinsi il tessuto della gonna. Una goccia mi cadde sul dorso della mano.
«Per caso qualcuno ti ha presa di mira?»
Continuai a fissare la mia gonna e scossi ancora la testa. Tirai su col naso. Le spalle sussultavano contro la mia volontà.
«Latini, sappi che non c’è nulla di male a chiedere aiuto se ne hai bisogno. Noi professori siamo qui anche per questo. Oppure, se hai qualche preoccupazione, se ti senti più a tuo agio perché non provi a parlarne con le signorine Shields e Joy?»
Tirai di nuovo su col naso. Chiusi gli occhi e li strinsi per frenare le lacrime. Mi vergognavo, e di certo non potevo dire al professor Paciock che mi comportavo come una bambina per colpa di una figuraccia tra le tante. O che non me la sentivo di parlare con Chelsea e Jeanie.
«Mi sa che ho toccato un tasto dolente» disse Paciock.
Tacqui. Mi morsi il labbro per cercare di frenare i singhiozzi.
«Io di certo non mi devo immischiare nelle faccende tra studenti, ma capisci, Latini, che queste non devono interferire con le lezioni?»
Mi asciugai le lacrime col dorso della mano. Annuii.
«Puoi assicurarmi che non c’è niente di più serio dietro a questo tuo comportamento? Perché se c’è qualche altro motivo oltre a un litigio forse è il caso che io lo sappia.»
Capii che il professor Paciock pensava a qualcosa di molto peggio di un litigio. Non volevo che pensasse che qualche studente mi stesse infastidendo, visto che non era così.
«È che…» La voce mi si spense. La schiarii, ma rimase roca. «È che…»
«Coraggio» mi incitò Paciock.
Mi guardai i piedi. Li incrociai e li feci dondolare. «È un po’ umiliante.»
«Non è molto peggio star male e marinare le lezioni?»
Mi morsi il labbro. Forse era meglio vuotare il sacco. «È che ho scoperto da poco che… Come dire… C’è stata una guerra magica. Che è stata recente. Con storie di pregiudizi razziali, e tutto.»
Sbirciai il professore. Paciock mi guardava attentamente. «Continua.»
Improvvisamente ebbi paura di offenderlo, o di riportargli alla mente brutti ricordi. Come potevo parlarne in maniera tale da non urtare i sentimenti del professore? Mi strinsi nelle spalle. Deglutii. «Non sapevo che… Un mio amico era… Parente di una persona che, insomma, ha vissuto la guerra. È che temo che non riuscirò più a comportarmi con naturalezza. Cioè, non che ci sia qualcosa di male, ma non penso che riuscirei a sentirmi a mio agio sapendo che suo padre… Che…»
Il professore alzò le sopracciglia. «Credo di aver capito il problema» disse. Mi squadrò. Gli restituii uno sguardo imbarazzato. «Scorpius Malfoy?»
Oddio. Una vampata di calore mi bruciò il viso. Mai nominare il nome di Scorpius invano. «N-no!»
Il professore corrugò la fronte. Mi lanciò uno sguardo interrogativo. «No?»
Avevo la bocca secca. Cercai di deglutire. «A… Albus Potter.»
Paciock sgranò gli occhi. Mi sembrò davvero sorpreso. O forse addirittura sbalordito.
Improvvisamente sentii l’esigenza di spiegarmi: «È che mi hanno detto che è grazie a suo padre che io posso frequentare Hogwarts, intendo dire grazie al padre di Albus Potter, perché una volta non si volevano persone nate da famiglie babbane a Hogwarts e quindi in un certo senso siccome sono una nata babbana è come se fossi in debito con lui, con suo padre voglio dire, ma io non saprei mai come estinguere un debito del genere, e Albus Potter comunque è sempre gentile con me e con tutti solo che io già di mio fatico ad avere amici e adesso che so questo non riesco a non pensarci e quindi ora mi sento in debito anche verso Albus Potter ma così non riuscirò ad essere davvero sua amica e allora…»
Paciock alzò la mano. «Alt. Basta. Ora prendi un bel respiro e calmati.»
Come no, ero calmissima. Come dopo una dose di adrenalina in endovena.
«Ora ascoltami bene, Latini. E guardami in faccia, perché quello che sto per dirti voglio che sia ben chiaro.»
Alzai gli occhi. Ero ancora in iperventilazione.
«Per quanto questa cosa abbia potuto tormentarti, problemi di questo genere a Hogwarts non sono considerati dei buoni motivi per saltare le lezioni. Si scriverà ai tuoi genitori per informarli della cosa, come è giusto che sia.»
«Sì.» Me lo sarei dovuta aspettare. Abbassai la testa.
«Non ho finito.»
La rialzai.
«Domani mi aspetto di sentir dire dai miei colleghi che sei stata regolarmente presente a lezione, e giovedì io stesso mi aspetto di vederti in prima fila alla lezione di Erbologia. Chiaro?»
«Sissignore.»
«Questo, parlando da professore ad alunna.»
Non capii. Perché, che cosa eravamo, due pony che viaggiavano sulla scia dell’arcobaleno?
Ripetei: «Da professore ad alunna?»
«Sì. Parlando in modo più informale, ti consiglio di non pensarci troppo.»
Mi sfregai i lati degli occhi. Come facevo a non pensarci troppo?
«Conosco personalmente il padre di Albus Potter.»
Mi bloccai con la mano a mezz’aria e fissai il professore, inebetita. Mi resi conto di avere la bocca aperta e la richiusi.
«È un uomo umile» continuò Paciock, «e sono assolutamente certo del fatto che lui non pensi che né tu né nessun altro nato babbano gli dobbiate qualcosa. Né tantomeno lo pensano i suoi figli.»
Impiegai qualche secondo ad assorbire le parole del professore. Poi d’un tratto mi sentii investire dall’imbarazzo. «Oh!» Avvampai e mi coprii la bocca con la mano. «Non intendevo dire che i Potter sono superbi, no!»
A parte James Potter. Demonio, meritava di farsi corteggiare da Mirtilla Malcontenta.
«Lo so» disse Paciock. «Su Latini, meno ansia. Mi sento di aggiungere questo anche per quanto riguarda i test e gli esami.»
Mi morsi il labbro. Annuii.
«Ora puoi andare.»
Mi alzai. Sussultai quando la sedia grattò contro il pavimento. «Be’, a-allora… Mi scusi ancora. Arrivederci.»
Mi costrinsi a non correre e uscii dall’ufficio a passo svelto. Quando richiusi la porta dell’ufficio mi sentivo come un coniglietto braccato dalle volpi. Mi appoggiai alla porta e inspirai.
Espirai.
Inspirai.
Mi avviai verso la Sala Comune di Tassorosso.
Senza una punizione.
Avrebbero solo scritto una lettera ai miei.
Purché tornassi a frequentare le lezioni.
Ero appena stata graziata.
 

Nota dell’autrice: a seguito di diverse e sensate segnalazioni, nonostante il mio proposito iniziale di fare meno modifiche possibile, vi informo che cambierò il cognome di Longbottom in Paciock, come da versione italiana. Se vedrete cambiamenti, quindi, non allarmatevi. J Grazie a tutti quelli che hanno segnalato l’incoerenza. Cosa farei senza i miei recensori! ♥

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Capitolo 42
*** Dove Serena Latini è scossa da una febbre che non sapeva di avere, un soffio d’aria al posto giusto le fa rischiare lo svenimento e scopre qual è la Casa più sporcacciona di Hogwarts. ***


Dove Serena Latini è scossa da una febbre che non sapeva di avere, un soffio d’aria al posto giusto le fa rischiare lo svenimento e scopre qual è la Casa più sporcacciona di Hogwarts.
 
 
 
Il giorno dopo, volente o nolente, avevo Incantesimi con Grifondoro. Maledissi il professor Paciock circa una ventina di volte da quando mi alzai a quando raggiunsi l’aula. Arrivai puntuale, ma mi si strinse lo stomaco quando vidi le larghe spalle di Chelsea accanto al cespuglio di carote di Rose Weasley.
Avevo il batticuore. Chissà se Chelsea avrebbe ancora voluto parlarmi. Mi sentivo come un’alcolista alle prese con il suo reinserimento nella società. Presi un respiro profondo e mi avvicinai. Rose Weasley si girò e incrociai il suo sguardo.
«Serena!»
Alcool, perché non circoli a Hogwarts?
Un istante dopo una bomba di più di ottanta chili mi investì e mi mozzò il fiato. Chelsea mi strinse con tutte le sue forze. Annaspai cercando di recuperare aria. Agitai le braccia.
La voce di Rose Weasley squittì: «Chelsea, la strozzi! La strozzi!»
Non appena Chelsea mi lasciò ripresi a respirare. Mi si annebbiò la vista. Allungai la mano per appoggiarmi a un banco.
«Per Merlino, sembrava che stessero per schizzarle gli occhi fuori dalle orbite!»
«Sei viva!» esclamò Chelsea. Il suo viso sprizzava gioia da tutti i pori. Le sue mani calde afferrarono la mia e la strinsero. «Sono due giorni che non ti fai più vedere! Ho provato a chiedere a una Tassorosso di te, però…»
«Non stavo granché bene» risposi. Non era il caso di scendere nei dettagli.
«Meno male che sei tornata!» Chelsea si portò una mano al petto e sorrise, sollevata. «E io che credevo che fosse perché avevi scoperto quella cosa di Albus Potter!»
Sgranai gli occhi e una vampata di calore mi salì dallo stomaco fino al viso. Improvvisamente il banco contro la mia mano mi sembrò gelato. «N-no.» Mi sfuggì una risatina nervosa. «No, ma cosa vai a pensare…»
«Scoperto cosa?» chiese Rose.
Chelsea alzò gli occhi al cielo. «La relazione omosessuale di Albus e Scorpius.»
«Oh!» Rose con la mano diede una spinta alla spalla di Chelsea. «Basta scherzare su questa storia! Albus ne ha fatto un dramma, veramente.»
«Sarà per questo che quando si nomina Serena James fa una faccia scura…»
Era fantastico vedere come quelle due potessero chiacchierare allegramente dei fatti miei come se io non fossi neanche stata presente.
«Ma no, Chelsea, Serena non ti ha detto l’ultima? Credevo di sì, caspita. Ha risposto per le rime a James e lui se l’è presa. A dire la verità io per prima non mi aspettavo una risposta del genere da lei, la credevo più controllata.»
Una fitta di vergogna mi attanagliò lo stomaco. «Non volevo, mi dispiace.»
Rose agitò una mano in aria con fare noncurante. «James è stato parecchio inopportuno, anche se tu…»
«Si può sapere che ha detto?» la interruppe Chelsea.
«James ha fatto una battutaccia dicendo che non poteva fare i compiti perché durante le vacanze era impegnato in…» Rose si interruppe e lanciò un’occhiata preoccupata intorno a sé. Accostò una mano alla bocca e abbassò la voce. «… faccende intime. E Serena gli ha risposto di fare i compiti scrivendo con l’altra mano.»
La bocca di Chelsea si spalancò. «No!»
«Sì!»
«Per davvero?»
«Per davvero!»
«Mi è scappato» mormorai a mezza voce.
Chelsea scoppiò a ridere. «Sei un fenomeno! Uno sgorbietto come te che si mette contro uno spilungone come lui!»
Mi raddrizzai in tutta la dignità del mio metro e cinquantasette e scrutai Chelsea con la mia miglior espressione contrariata. «Non l’ho fatto apposta. Non volevo offendere nessuno.»
«Non si è offeso» fece Rose. «Non sul serio, almeno.»
«E se si è offeso gli passerà! Brava Serena, brava!» Chelsea mi pizzicò la guancia e la tirò. Non dissi niente. Pochi istanti dopo entrò il professore e ci sedemmo tutte e tre vicine.
Anziché concentrarmi sulla lezione passai il resto dell’ora a mordicchiarmi un’unghia e a pensare a tutte le soluzioni possibili per zittire Rose Weasley una volta per tutte. Arrivai alla brillante conclusione che il taglio della lingua era il metodo meno brutale, ma in compenso non riuscii ad eseguire decentemente l’incantesimo dell’invisibilità. Mignolo rimase a rosicchiare la sbarra della gabbia, visibile e rumoroso come non mai. Babbanologia coi Corvonero mi sembrava un’oasi nel deserto. Per preferire una lezione con Jeanie dovevo proprio essere disperata.
Pranzai in fretta e mi avviai a lezione. Forse avevo pranzato troppo velocemente visto che avevo mangiato solo una patata bollita e poi mi ero ingozzata di budino di riso. Di fatto non c’era ancora in giro nessuno, erano tutti in Sala Grande a mangiare. Poco male, mi sarei seduta in fondo all’aula e mi sarei fatta i fatti miei per tutta la lezione. Presa da questi edificanti pensieri girai l’angolo, e quel che vidi mi lasciò pietrificata.
Da dietro una statua sbucava una lunga treccia biondo oro, quasi toccava terra, e un maglione grigio. Vicino alla statua c’era invece Mister Bicipite, in viso una smorfia indecifrabile.
«Scusa, ti ho fatto male?» la voce di Jeanie mi raggiunse. Il mio cuore cominciò a battere all’impazzata. Mi nascosi dietro la parete e fissai i mattoni grigi di fronte a me.
«Be’, avrei preferito se non me l’avessi fatto cadere sul piede...» La voce di Mister Bicipite. «Comunque, grazie. Era… Era da un po’ che lo volevo.»
Silenzio. La parete di pietra mi stava congelando la schiena. Trattenni il respiro.
«Non ringraziare. Va bene così.»
Ripresi a respirare, ma ormai ero in iperventilazione.
Jeanie. Mister Bicipite. Seminascosti da una statua. Jeanie china a terra. E Mister Bicipite avrebbe preferito che non gli fosse caduto sul piede.
Non serviva una laurea in fanfiction con specializzazione in yaoi per capire cosa stava succedendo.
Anche se a voler essere fiscali non era proprio yaoi.
«Sicura di tenerlo bene questa volta?»
Con le unghie grattai le pietre della parete gelata. Iniziai a tremare.
«Tranquillo, non mi scappa più.» Jeanie ridacchiò. Una risata leggera.
Improvvisamente mi fu tutto chiaro. Ora sì che capivo. Le voci pruriginose e indecenti che giravano ad Hogwarts sulla Casa di Serpeverde erano solo una copertura. In verità la Casa sporcacciona era quella di Corvonero.
Avrei dovuto immaginarlo. Dopotutto il suo simbolo era un uccello.
Un rumore di passi echeggiò in corridoio.
Bip. Bip. Bip.
«Ehi.»
Malfoy radar in attivazione.
Mi voltai. Dalla stessa direzione da cui ero arrivata io comparve Scorpius Malfoy. Insieme ad Albus Potter.
Il mio tremito divenne incontrollabile.
Scorpius alzò un sopracciglio biondo. «Latini, tutto bene?»
«Bene» ripetei.
Il mio sguardo saettò su Albus Potter.
No, non in quel momento. Potevo incontrarlo comodamente il giorno dopo, ad Erbologia, quando sarei stata costretta ad affrontarlo. In quel momento non ero pronta.
Potevo fuggire. Ma se fossi fuggita Jeanie e Priscus mi avrebbero vista. Peggio, Scorpius e Albus avrebbero visto Jeanie in quell’atteggiamento indecente. Mi tornò in mente Jeanie, al campo da Quidditch, quando aveva sbarrato la strada a Malfoy.
Allungai un piede, cauta. Mi staccai dalla parete. Feci un passo. Un altro. Mi misi davanti a Scorpius e Albus. Tremavo come una foglia.
«Serena, sei sicura che sia tutto ok?» L’espressione di Albus si fece preoccupata. «A Pozioni lunedì non sei venuta, sei ancora malata? Sei rossissima, stai tremando… Hai la febbre?»
Febbre? Febbre? Gas Gas, ti prego, corri sulla tua ruota più veloce che puoi, fai girare questi ingranaggi arrugginiti…
«La febbre…»
Corri, Gas Gas, corri…
«Ecco, io…»
Fottuto criceto, corri!
«Sì, hai la febbre» concluse Albus. Malfoy indietreggiò.
«Andiamo, un po’ di febbre non è mica la peste.»
Quella voce mi fece sobbalzare. Mi voltai.
Jeanie.
Jeanie avanzò, il grosso libro di Babbanologia fra le braccia, e si fermò di fianco a me. Spinse gli occhiali alla base del naso e fece una risata sommessa.
«Cos’è quella risata saccente?» fece Malfoy.
Accanto a me Jeanie scosse la treccia. «Niente che ti riguardi, Malfoy. Non temere, Serena non è contagiosa.»
«Non dovrebbe andare a lezione se non sta bene» obiettò Albus.
«Invece fa bene» disse Jeanie. «Ha già perso due giorni, non può di certo perdere tutta la settimana. Un'altra dose di Pozione Pepata questa sera, e domattina sarà come nuova.»
Scorpius si soffiò via un ciuffo biondo dalla fronte.
Ebbi paura che le gambe potessero cedermi. Mi aggrappai al braccio di Jeanie. Visione celestiale.
«Se è così…» fece Malfoy.
«Puoi sempre fare un gesto da gran gentiluomo, Malfoy.» Jeanie inclinò la testa e un angolo della sua bocca si sollevò in un mezzo sorriso. «Visto che sei così preoccupato per Serena potresti portarle la borsa fino all’aula di Babbanologia.»
Sgranai gli occhi. Jeanie era impazzita. Cercai di tirarle il braccio con più discrezione possibile.
Albus disse: «Se ha…»
«Non credo che sia il caso» lo interruppe Malfoy. «Non posso neanche dire grazie per l’offerta, visto che non mi sono offerto.»
«Oh, che battuta caustica. Be’, noi è meglio che andiamo, visto che abbiamo lezione.»
«Ah, un momento» fece Albus. «Volevo dirvi che…»
I suoi occhi verdi si spostarono su di me. Arrossii.
«… Hagrid è riuscito a prendere alcuni unicorni. Sapete, per Cura delle Creature Magiche. Sono degli animali veramente belli, magari vi farebbe piacere vederli.»
Jeanie mi diede uno scossone. Capii che dovevo rispondere io. «Sì. Certo. La febbre.»
«Quando ti sarà passata la febbre, ovvio» disse Albus.
Serrai le labbra e annuii. Per fortuna Albus aveva confuso la mia deficienza con un’affermazione sensata. Era meglio tacere che dire altre scemenze.
Malfoy alzò le sopracciglia bionde. «A te interessa, Joy?»
«Oh, sì, potrebbero essere carini.»
Sì, in effetti gli unicorni potevano essere carini, se somigliavano ai My Little… Come? Guardai Jeanie, stupefatta. Aveva detto che potevano essere carini?
«Jeanie Joy…» mormorai.
Dire che erano carini quando Albus mi aveva appena invitata a vederli era come accettare di unirsi a noi. Jeanie che si univa a un’uscita di gruppo? Quando aveva sempre cercato scuse per non venire con noi?
«Credo che chiederò a Priscus di accompagnarmi a vederli.»
Gas Gas rimase con una zampina impigliata all’asticella della ruota. Incominciò a girare a velocità vorticosa insieme alla ruota, poi d’un tratto la zampina si sganciò e lui volò via.
A giudicare dalle espressioni di Albus e Scorpius anche nei loro cervelli stava accadendo qualcosa di simile.
«Priscus chi?» chiese Albus.
«Ma sì che lo conoscete, Priscus Belby. Il battitore di Corvonero.» Jeanie fece un sorrisino superiore e agitò la mano con una noncuranza falsissima. «Via, Potter, hai giocato la prima partita dell’anno contro di lui. Visto che mi ha invitata ad uscire potrei proporgli di andare a vedere gli unicorni.»
«Ah, quel Priscus!» Albus batté un pugno contro il palmo della mano. Sorrise. «Ho capito! Scusa, è che l’ho sempre chiamato Belby, non ricordavo il suo nome.»
Gli occhi grigi di Malfoy erano talmente sgranati da sembrare grandi come tazzine da caffè. Gli lanciai un’occhiata interrogativa, e lui fece lo stesso con me.
«Jeanie, la lezione» mormorai meccanicamente.
«Oh già, è vero.»
Oh già, è vero. Jeanie che si dimenticava delle lezioni. Cose dell’altro mondo.
«Ci vediamo, ragazzi.»
«Buona lezione» disse Albus, e agitò la mano in segno di saluto.
Rimasi attaccata al braccio di Jeanie e mi lasciai trascinare in classe. Quando finalmente posai il sedere su una sedia mi aggrappai al banco.
Cribbio, credevo che quel momento orribile non sarebbe mai finito.
Alzai lo sguardo verso Jeanie. Non sapevo da dove cominciare. Così cominciò lei.
«Serena Latini, ti dovresti vergognare.»
Immediatamente abbassai lo sguardo. Jeanie si mise le mani sui fianchi e mi squadrò attraverso le lenti spesse dei suoi occhiali.
«Marinare le lezioni in questa maniera, con tanta leggerezza. Come se fosse successo qualcosa di grave! Perché non credere che io non sappia perché l’hai fatto, eh? L’hai fatto perché avevi paura di incontrare Albus Potter nei corridoi!»
Be’, anche.
«E farti venire a ripescare in dormitorio da un professore! Ne ha parlato tutta la scuola!»
Arrossii. Posai le mani sulle guance bollenti. «Veramente?»
«Come se tu non conoscessi le regole!»
Un terzetto di Corvonero entrò in classe e ci guardò con curiosità. Jeanie lanciò loro un’occhiata assassina. Il terzetto si allontanò.
Jeanie, ti ho vista china per terra nascosta dietro la statua in un atteggiamento assolutamente equivoco con Priscus. No, non era il momento migliore per dirlo.
Entrò un altro gruppo di Tassorosso. Jeanie sbuffò. «Ne parliamo a fine lezione.»
Mi accasciai. Poggiai la guancia sulla fredda superficie del banco. «Pietà per quest’anima peccatrice.»
«La pietà è per i deboli.»
E io chi ero, Xena la principessa guerriera?
Trascorsi la lezione di Babbanologia in coma. Dopotutto il professor Paciock aveva chiesto la presenza, non la partecipazione. Anche perché studiare cose come “i mestieri babbani” per me aveva un che di paradossale. Va bene che mi piaceva vincere facile, ma così era troppo. Al diavolo il M.A.G.O. senza sforzo.
In compenso a fine lezione avevo pronto il mio bel discorsetto.
Non avevo fatto i conti con l’orario.
«Ti conviene sbrigarti, Serena. Hai lezione di Storia della Magia coi Grifondoro, vero? O vuoi che il professor Paciock venga di nuovo a prenderti per le orecchie?»
Boia d’un mondo. Avrei dovuto resistere fino a sera per sapere se Corvonero era veramente una Casa di sporcaccioni.

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Capitolo 43
*** Dove in quel pazzo giovedì si fanno congetture su uno gnocco, si leggono schemi sugli gnocchi e una bella gnocca bionda ricompare in scena. ***


Dove in quel pazzo giovedì si fanno congetture su uno gnocco, si leggono schemi sugli gnocchi e una bella gnocca bionda ricompare in scena.
 
 
 
Non dovetti aspettare fino a sera per scoprire la verità su Jeanie. Dovetti aspettare molto di più.
A cena Jeanie si sedette accanto a Priscus, e lo sconcerto di alcune ragazze Corvonero mi disse che non era una novità solo per me. Una ragazza si mise addirittura a piangere e a metà cena se ne andò con la sua amica.
Poi, il fatto che la causa del pianto fossero Priscus e Jeanie era una congettura mia. Nelle fanfiction succedeva sempre così: il figo di turno si fidanzava, le ammiratrici si rodevano per l’invidia e piangevano, la fortunata ci godeva come un opossum. Salvo poi scoprire che il figaccione voleva solo farci un giro e placare l’ormone, dopodiché scaricava la fortunata per mettersi con il suo Vero Amore. Per una volta, sperai che la realtà fosse un pochino diversa dalle fanfiction.
Era pur vero che nella prossima partita di Quidditch Corvonero e Grifondoro si giocavano il terzo e il quarto posto. Il clima pre-partita rendeva sempre i giocatori di Quidditch molto popolari. Eppure non mi sembrava da Jeanie soccombere così al mero fascino dell’ormone. Non che Priscus non lo stimolasse. Lo stimolava come pochi.
Quando Jeanie arrivò alla lezione di Difesa contro le Arti Oscure entrò in aula insieme al professore. Non era da lei arrivare al pelo. Conoscendola, fu per non subire il mio interrogatorio.
Mi preoccupai inutilmente: ci pensò Chelsea.
A fine lezione la trovammo fuori dall’aula, col fiatone e la borsa che le sbatacchiava contro il fianco. Senza neanche dire una parola afferrò Jeanie per un braccio.
«Ehi!»
«Vi devo parlare» ansimò Chelsea. «Aula vuota.» Indicò con un cenno l’aula di Difesa contro le Arti Oscure. Non appena fu uscito anche l’ultimo studente ci trascinò dentro Jeanie. Le seguii.
«Lasciami!» fece Jeanie. Con uno strattone liberò il braccio.
Chelsea sfoderò la bacchetta e la puntò contro la porta. «Colloportus
«Sei scema per caso? Che ti prende?» ringhiò Jeanie.
Mi misi al fianco di Chelsea. Lei guardò Jeanie, un luccichio sinistro negli occhi. «Madame Corvonero se ne intende, eh, di uccelli… Hai beccato il pollastro più succoso del settimo anno!»
Jeanie arrossì all’istante. «Non sono fatti tuoi.»
«Questo dovresti dirlo a tutto il resto della scuola, sai?»
Jeanie puntò l’indice contro Chelsea e aprì la bocca, ma Chelsea le fece l’occhiolino. «Sai che Serena ha visto quello che stavate combinando, prima di Babbanologia? Dietro una statua… Furbacchiona!»
Jeanie assunse una sfumatura bordeaux e mi lanciò un’occhiata assassina. «Grazie, Serena. E io che ti avevo anche risparmiato la ramanzina seria.»
Quindi quella che mi aveva fatto era stata la ramanzina leggera? Arrossii a mia volta. «Ma Jeanie Joy, potevi almeno… In Sala Comune… O in un bagno… E gliel’hai pure fatto cadere sul piede…»
Chelsea scoppiò in una risata fragorosa. «Merlino! Sul piede! Chissà se riuscirà a smacchiare la scarpa! La tua è proprio la Casa dell’uccello!»
«Pervertite» sibilò Jeanie. Scosse la treccia dorata e iniziò a marciare avanti e indietro per la classe. «Fareste meglio a lasciarmi uscire, voi due, se non volete che sfondi quella porta.»
«Si sa che l’orale è più facile dello scritto, Jeanie… Che voto hai preso, Oltre Ogni Previsione o Eccezionale?»
Jeanie sbatté una mano su un banco. «Piantala! Non è andata così!»
Chelsea le fece un sorrisino malizioso. «E allora com’è andata?»
Jeanie sbuffò. La fissai, intenzionata a non perdermi neppure una parola.
«Siete due pettegole, ecco cosa siete. Due odiose pettegole. Semplicemente Priscus mi ha fermata in corridoio, ha detto che mi aveva notata da un po’ e… Be’, mi ha chiesto se volevo uscire con lui.»
Chelsea emise uno squittio deliziato. Io non riuscii a trattenere un sorriso e feci un piccolo applauso. «Hai un ammiratore, Jeanie Joy! E che ammiratore! Ci credo, bella come sei!»
«Piantala, Serena» disse Jeanie, ma nonostante le guance rosse si sistemò gli occhiali con un’espressione un po’ più compiaciuta.
«E poi?» la incalzò Chelsea.
«E poi gli ho detto che rischiavo di arrivare tardi a Babbanologia.»
Sgranai gli occhi, stupefatta. «Ma era prestissimo! Hai mangiato come un fulmine, sei andata via dalla Sala Grande prima di me!»
«Senti, non avevo tanta voglia di star lì a cincischiare.»
Chelsea scostò una sedia e si sedette. «Vabbé, e quindi?»
«E quindi… Quindi mi è scappato di mano il libro di Babbanologia.» Jeanie sollevò le sopracciglia bionde e mi guardò. «È quello che gli è caduto sul piede, fenomeno che non sei altro. Pensi sempre le cose più indecenti.»
Arrossii. «Ma no…»
Jeanie sogghignò. «Come no. Per tua informazione, ho saputo della battuta a James.»
Fu il mio turno di scoccare un’occhiataccia a Chelsea.
«Piuttosto!» esclamò Chelsea con un po’ troppo entusiasmo. «Ho un regalo per te, Jeanie. Per festeggiare la conquista di quel gran pezzo di gnocco che è Priscus Belby.»
Jeanie sollevò un sopracciglio biondo. «Forse non è più il caso che tu lo chiami pezzo di gnocco davanti a me, non ti pare?»
«Oh, non ti preoccupare, dubito che riuscirai a sciuparlo. E nel caso in cui ti stufassi…»
Jeanie tirò fuori la bacchetta. Un sorriso premeva agli angoli delle sue labbra. «Alla larga, Shields.»
Chelsea alzò le mani in segno di resa. «Un secondo, e arriva il tuo dono di nozze.»
«Non esagerare.»
Chelsea prese dalla borsa una pergamena e la distese su un tavolo. Mi sporsi a guardare. Un grafico.
Jeanie lo fissò per qualche secondo, poi portò una mano alla tempia. «No, no. Non di nuovo gli oroscopi!»
«Priscus Belby» lessi in cima alla pergamena. Strinsi gli occhi per leggere le scritte di inchiostro sbiadito. «21 marzo 2005, ore 7:17, Londra.» Guardai Chelsea. «Come mai la pergamena è così malridotta?»
«L’ho trovato in un armadietto, nell’aula di Divinazione. Deve trattarsi di un vecchio esercizio. In ogni caso ho controllato personalmente, è tutto giusto.»
«Chelsea Shields.» Jeanie incrociò le braccia. «Sai benissimo che io a queste porcherie non ci credo. Sono prive di qualsivoglia supporto razionale. Quindi, fammi il piacere di aprire quella porta e di lasciarmi andare. Avrei anche da fare, sai.»
Chelsea la ignorò e puntò l’indice sul grafico. «Ariete ascendente Toro. Pronto ad affrontare qualunque imprevisto con energia, è forte e resistente e non ha paura di scegliersi una compagna difficile.» Alzò lo sguardo e fissò Jeanie.
«Colgo la tua allusione poco elegante, ma visto che non ci credo non mi tocca.»
«Infatti Venere in Pesci lo porta ad essere ingenuo in amore. Volevo ben dire, povero ragazzo. Non sa in che guaio si è cacciato.»
Ridacchiai.
«Mercurio in Ariete lo rende ingegnoso» continuò Chelsea, «il che potrebbe spiegare perché è a Corvonero.»
«Ehi, cosa significa quel potrebbe spiegare
«Sssh. Anche Marte in Acquario lo indica come ingegnoso, anche se forse un po’ stravagante. Ha bisogno dei suoi spazi e delle sue libertà, quindi non devi essere soffocante con lui. Però potrebbe anche indicare un eccesso di individualismo. Attenta, seconda casa in Gemelli, potrebbe essere uno spendaccione. Quinta casa in Leone, in amore dà tutto sé stesso, ama lo sport… Porca paletta se si vede… E poi, uhm… Plutone in ottava casa dovrebbe conferire un certo talento nella vita sessuale.»
Fissai il grafico, sbalordita. Allungai la mano e strofinai le dita contro la pergamena ruvida. Come faceva Chelsea a leggerci tutte quelle cose? «Perché non ho scelto Divinazione anch’io?»
«Perché è una scemenza, Serena» rispose Jeanie. «Ci credono i babbani, quando vanno a farsi leggere il futuro dalle cartomanti. Perché ci vanno? Perché sono affascinati dalla magia. Ma ti sembra un comportamento razionale per dei maghi?»
«Povero Priscus. Un cuore gelido come il tuo!» Chelsea si portò una mano alla fronte e finse uno svenimento.
«Ma smettila!»
«Giovane Scorpione, dovresti scioglierti di più. Lo so che in realtà sei un camino che aspetta solo di essere acceso.»
Jeanie alzò gli occhi al cielo. «Che metafora zuccherosa, dopo questa battuta rischio il diabete.»
«Sei più Scorpione tu di Scorpius!»
Visualizzai immediatamente Scorpius rinchiuso in una corazza nera e lucida con una lunga coda a uncino. Si scostò un ciuffo biondo con la chela nera e mi fece l’occhiolino. Rabbrividii.
«Bene, Chelsea, questa era scemenza del giovedì mattina. Aspetta domani per dirne un’altra.»
«Ma Priscus…»
«Chiedi a Serena come si sente all’idea di affrontare Potter a Erbologia.»
Il cognome Potter fece svanire la visione di Scorpius lo Scorpione. Sbattei le palpebre e cercai di riconnettere il cervello.
«È vero, per tutti gli elfi del mondo!»
Chelsea sfoderò un sorriso a trentadue denti. Fui scossa da un tremito. Feci un passo indietro. Fu inutile.
Chelsea si mise al mio fianco e mi cinse le spalle. Mi sentii subito come imprigionata. Il suo sorriso era inquietante.
«Serena, sai Jeanie ha ragione?»
«Che novità, io ho sempre ragione.»
«Tu oggi pomeriggio hai lezione di Erbologia, eh?» Chelsea mi fece l’occhiolino.
Avevo la bocca secca. Guardai Jeanie, in cerca di aiuto.
«Oh, Serena, non potrò essere lì ad aiutarti. Lo farei volentieri, ma non posso. Quanto mi dispiace
Promemoria per me: mai scontentare Jeanie.
Forse non era il momento migliore per chiederle di aiutarmi ad imparare l’incantesimo dell’invisibilità prima che si facesse avanti Rose Weasley.
«Quindi, Serena» fece Chelsea, «cosa farai?»
Il peso del braccio di Chelsea mi fece stringere le spalle. «Niente.»
«Ti do un suggerimento» disse Chelsea.
«Ho paura» mormorai.
«Finché non è la tua Venere in Ariete a suggerirti di buttarti dalla Torre di Astronomia direi che non ti devi preoccupare» sghignazzò Jeanie.
«Non succederà, Serena, coraggio.» Chelsea mi strinse con più forza e mi sorrise. «Hai Venere in Leone.»
«Oh, questo che cambia tutto.»
«Tutta invidia, tu uscirai anche con uno stragnocco ma Serena ha a che fare con il figlio di una celebrità.»
Il peso della realtà era più opprimente del braccio di Chelsea. «Ti prego, me lo ricordo già tutti i giorni da sola.»
«Comunque, il mio suggerimento è: salutalo come sempre. Al resto penserà lui. Oppure parlagli degli unicorni. Chiedigli quando andrete a vederli.»
Mi morsi il labbro. Tirai la manica grigia del maglione. «Ehm… Ci proverò.»
Jeanie fece una risatina sommessa. «Se ce la fai a dirgli una cosa del genere ne sarò sinceramente stupita.»
«Eddai, Jeanie» fece Chelsea. «Sii incoraggiante.»
«Se a Natale gli ha detto di scriverti quest’estate, questa volta mi aspetto che tu gli dica “spero di rivederti l’anno prossimo”.»
«Ignorala, Serena.» Chelsea mi lasciò andare e mi diede qualche pacca sulla spalla. «Ignora l’acidità premestruale e concentrati sul tuo obiettivo.»
Il risultato di quell’edificante conversazione fu che quel pomeriggio mi ritrovai a spiare dentro la serra di Erbologia, indecisa se entrare o non entrare, con lo stesso contorcimento di budella con cui un condannato guarda la ghigliottina.
Le spalle e la sciarpa gialla e nera si stavano ricoprendo di fiocchi bianchi. Il mio fiato si condensava in nuvolette e la punta delle dita mi faceva male, ma non volevo ancora entrare. Mi appoggiai alla porta della serra e l’aprii di pochi centimetri. Una folata di aria calda mi investì il viso. Piacevole tepore. Sbirciai dentro.
Scorpius Malfoy si era già tolto il cappotto. Si passò una mano fra i capelli biondi e fece cadere alcuni fiocchi di neve. Le guance e la punta del naso erano arrossati per il freddo.
Guardai a destra, e Albus Potter entrò nella mia visuale. Con una scrollata fece scivolare il cappotto giù dalle spalle. Le labbra di Scorpius si mossero. Non sentii cosa disse, ma Albus sorrise. A vederlo da lì, i suoi denti erano bianchi come i fiocchi di neve che aveva tra i capelli neri. Non aveva mai sorriso in quel modo con me. Il pensiero che potesse fare una cosa del genere fece accelerare il battito del mio cuore.
In effetti, a guardarlo da lontano, Albus non era brutto. Non era al livello di Priscus né tantomeno di Malfoy, ma a ben vedere non è che di per sé fosse inguardabile. Forse.
Era più alto di me, anche se non è che ci volesse molto.
Aveva un po’ di brufoli sulla fronte, ma forse quelli sarebbero spariti. Speravo. Dopotutto, la pelle di seta di Malfoy non era roba per tutti.
Aveva dei begli occhi verdi. Le sue ciglia scure li incorniciavano proprio bene.
Albus si chinò, sollevò una pianta e la posò sul tavolo. Indicò una foglia e sorrise ancora.
Gli si avvicinò Rosemary.
Anche Rosemary sorrise. Alzò le braccia, raccolse i lunghi capelli biondi e li legò in una coda di cavallo. Disse qualcosa. Scorpius alzò le sopracciglia, ma Albus scoppiò a ridere. Il suono della sua risata mi raggiunse fin fuori dalla serra.
Il dolore ai denti che mi provocava il respirare aria gelata mi fece capire che avevo la bocca spalancata da un pezzo. La richiusi. Spinsi la porta ed entrai.
 

Nota dell’autrice: siccome per Serena avevo fornito il tema natale, lo fornisco anche per Priscus “Mister Muscolo” “Battitore Figaccione” Belby. ;) http://astro.oroscopi.com/cgi-bin/astro/natal?member=&recalc=&firstname=&name=&sex=&d1day=21&d1month=3&d1year=2005&d1hour=7&d1min=17&citylist=London+%281%29%2C+United+Kingdom#?refresh_ce

 

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Capitolo 44
*** Dove gli unicorni la fanno da padrone, Rarity mostra il suo amore per la moda nonché una certa predilezione per la lana e dove un tè un po’ rustico scioglie l’atmosfera. E non solo quella. Parte 1. ***


Dove gli unicorni la fanno da padrone, Rarity mostra il suo amore per la moda nonché una certa predilezione per la lana e dove un tè un po’ rustico scioglie l’atmosfera. E non solo quella. Parte 1.
 
 
 
Montgomery: presente.
Nastro per capelli: presente.
Borsa con zuccherini nascosti nella tasca interna sperando che ai quadrupedi non venisse una reazione allergica: presente.
Sciarpa modello Tassorosso: presente.
Mi appoggiai al muro di pietra. Sporsi la testa e sbirciai oltre. Albus e Scorpius erano in piedi in fondo al corridoio, che terminava in un vicolo cieco. Scorpius disse qualcosa e agitò una mano. Albus rise.
Uscire con Albus Potter: non aveva prezzo.
C’erano cose che non si potevano comprare, e per tutto il resto bisognava accendere un mutuo. Ecco perché un’uscita a vedere gli unicorni era così speciale. Era gratis.
Inspirai l’aria fredda e umida dei sotterranei. Quando se ne sarebbe andato Scorpius? Non sapevo bene perché, ma avevo vergogna a farmi vedere tutta in tiro perché stavo per uscire con Albus.
Quando Scorpius rientrò a Serpeverde avevo le dita delle mani rosse e gelate, e probabilmente era rossa anche la punta del naso.
Albus si guardò intorno. Incrociò le braccia e fece qualche passo avanti e indietro.
Oh, andiamo, perché non si dava una mossa?
Pensai a cosa mi avrebbe detto Jeanie: era lui il ragazzo, era lui che doveva muovere le chiappe, se ci teneva.
Be’, forse non avrebbe scelto quelle parole, ma il senso era quello.
Lui era il cane, io ero il padrone, e da che mondo è mondo sono i cani a correre dai padroni.
Ok, questo lo avrebbe detto.
Ma ormai le mie estremità rischiavano la cancrena e l’amputazione. Al diavolo Jeanie. Deglutii, presi un respiro e spuntai da oltre il muro.
Lo sguardo di Albus incrociò il mio. Lui arrossì. Infilò le mani nelle tasche del cappotto e avanzò verso di me.
«Serena.»
Avvampai. Cribbio, che impressione sentir pronunciare il proprio nome. «A-Albus.»
«Andiamo?»
Se avessi parlato la voce mi sarebbe uscita di sicuro roca, così annuii.
Uscimmo dai sotterranei e ci trovammo nel salone d’ingresso. Un gruppetto di studenti rientrò dal cortile. Un ragazzo sciolse la sciarpa e la scrollò. Un mucchietto di neve cadde sul pavimento. Rabbrividii. Sperai che ad Albus non venisse l’insana idea di fare a palle di neve. Un altro gruppo di ragazze stava in piedi vicino alle clessidre. Una di loro indicò quella di Grifondoro.
«Oh, la cocca di Paciock.»
Il mio cuore perse un battito, poi di botto accelerò il ritmo. Mi imposi di fare finta di niente e attraversai il salone al fianco di Albus. Chi aveva parlato? La cocca di Paciock? Mi tornò in mente la ramanzina del professore, la lettera di richiamo ai miei genitori, la scampata punizione. Si era sparsa la voce? Gli occhi mi si riempirono di lacrime.
Albus posò la mano sul portone di legno e lo spinse. «Prego» disse.
Sbattei le palpebre, poi realizzai che mi stava invitando a passare per prima.
Albus corrugò le sopracciglia. «Tutto ok?»
Mi morsi il labbro. «Tutto ok» ripetei. Presi un respiro. L’aria gelida mi bruciò il naso, la gola e mi arrivò fin nei polmoni.
Posai il piede sul gradino di pietra.
La scarpa slittò sul ghiaccio. Lanciai un grido e mulinai le braccia per aria. Le mie dita affondarono nel tessuto e mi sentii afferrare per un braccio.
Sbattei le palpebre, cercando di prendere coscienza della situazione. Ero in piedi. Ero ancora in piedi. Le nuvolette di fiato si condensavano ad ogni mio respiro.
«Ehi!»
La voce di Albus. Lo guardai. Albus mi stava reggendo per il braccio e io ero ancora aggrappata alla sua sciarpa verde e argento.
«Ti sei fatta male?»
Dovetti pensarci seriamente. Allungai la mano e tastai la borsa, il fianco, la coscia.
Un secondo dopo mi sentii una demente.
«Sì… Cioè, no, no, non mi sono fatta male. Figurati.»
Albus annuì. «Allora puoi lasciarmi la sciarpa, per favore?»
Ritrassi la mano di scatto.
«Grazie» disse Albus. Accennò un sorriso. «Pensavo volessi strozzarmi.»
Strozzarlo… Gas Gas incominciò a correre. Il proiettore collegato alla ruota iniziò a mostrare al mio cervello le immagini di Albus Cinquanta Sfumature. I giochini sadomaso.
Serena, diventa la mia Sottomessa.
«Oh, mai nella vita.»
Albus arrossì. Sorrise ancora. «Allora, andiamo?»
Annuii. Allungai il piede e scesi lo scalino.
La neve era stata spianata per formare una strada che serpeggiava per il parco. Ci incamminammo lungo il sentiero gelato. La neve accumulata ai lati in alcuni punti mi arrivava a metà polpaccio, in altri addirittura al ginocchio.
«Scommetto che non sei un tipo da palle di neve, vero?»
Come volevasi dimostrare. Sfilai i guanti dalla borsa e li infilai. «Diciamo che preferisco i pupazzi di neve.» Diedi un calcio a un grumo di neve sul sentiero. La punta del piede affondò nel mucchietto bianco e lo ruppe in tanti pezzettini. Poco più in là un gigantesco pupazzo di neve con un cappello verde sorrideva nella nostra direzione. «Hai mai visto The Nightmare Before Christmas
Albus si passò una mano dietro la nuca. «C’entra con la televisione, per caso?»
Miracolo! Sapeva cos’era la televisione! «Sì, è un film. Avete la tv a casa?»
«In realtà no.»
Mannaggia. Se non avevano la tv, figurarsi il computer. Figurarsi internet. Figurarsi le fanfiction.
Un punto in meno, Albus.
«È che mio nonno è un grande appassionato di cose babbane. Una volta che siamo andati a trovarlo ci ha mostrato un televisore, ma non funzionava.»
«È un peccato. Così deve essere sembrato una banale scatola.»
«Più o meno…»
«Aspetta, io ho pensato ai televisori vecchi. Per caso quello di tuo nonno era con lo schermo al plasma?»
«Ehi, ehi, chiedi troppo.» Albus alzò le mani in segno di resa. «Era un televisore. Non funzionava. È tutto quello che so.»
Ridacchiai. Allungai la gamba e con un salto posai il piede su un’impronta già impressa nella neve.
«Posso farti una domanda?» chiese Albus.
Già immaginavo. Come funziona la televisione? Come sono i film? «Dimmi.»
«Come mai hai tagliato i capelli?»
Fui scossa da un brivido. Che c’entrava con la tv? Mi vergognai. Fui subito assalita da una vampata di calore.
«Intendo dire…» Albus arrossì e fece una risatina nervosa. «Intendo dire, fino all’anno scorso li hai sempre avuti lunghi. Non che tu non stia bene così, eh. Però…»
L’aria fredda mi pizzicava il viso. Sollevai la sciarpa per coprirmi fino al naso. «In verità è una storia ridicola.»
Come tutte quelle che mi riguardavano, d’altronde.
«Mi incuriosisce.»
No, sul serio, che gliene fregava dei miei capelli? «Quest’estate i miei hanno deciso di ridipingere la mia camera. Ne sono stata felice, anche se ormai ci passo ben poco tempo. Hanno steso per terra il telo per non macchiare il pavimento. Così…»
Mi voltai verso Albus e incrociai i suoi occhi verdi. «Così?»
Arrossii. Era strano avere caldo al viso mentre tutto il resto del corpo gelava. Tornai a guardare il sentiero di neve. «Così il telo mi è scappato da sotto i piedi, sono scivolata, ho rovesciato la latta di vernice e mi è finita sui capelli.»
Mi sfiorai i capelli lunghi fino alle orecchie. Le dita dentro i guanti di lana mi facevano male. Ormai eravamo vicini alla capanna del guardiacaccia. Ma aspettavo.
E non lo faceva.
Perché?
Guardai Albus. «Non ridi?»
Albus era ancora rosso, ma probabilmente ora era per il freddo. «Dovrei?»
Restai ammutolita. Dovrei? Come, dovrei? Tutti quelli a cui l’avevo raccontato avevano riso, meno Jeanie che mi aveva dato dell’imbranata.
«Sei contenta di averli così corti, almeno, o li vuoi lasciar crescere di nuovo?»
No. Qualcosa non tornava.
Gas Gas si mise a correre a spron battuto. Perché Albus non rideva? Forse perché i capelli corti non gli piacevano. Un taglio anni venti era molto drastico. Forse gli sembravo un maschio, per questo non ci trovava nulla da ridere.
Poi realizzai che mi aveva posto una domanda.
Non me la ricordavo più.
«Ehm… Non saprei…»
Corrugai la fronte, cercando di ricordare la domanda. I capelli… Ah, già, se volevo lasciarli crescere!
Non che la risposta fosse granché diversa.
Secondo te come starei meglio?
La domanda mi esplose in testa. Mi sembrò civettuola e sciocca. Arrossii.
Che odio. Che odio! Come facevo a non trovare niente di cui parlare? Niente al quadrato, al cubo, niente in assoluto?
«Ah, guarda!» Albus puntò l’indice contro qualcosa. «Da qua si vede già!»
Alla nostra sinistra avevamo la capanna del guardiacaccia, mentre di fronte a noi, alle soglie della Foresta Proibita, un grande unicorno bianco era legato ad un albero. Il suo mantello era più candido della neve. L’animale si voltò verso di noi e scosse la testa. La criniera bianco perlato riluceva alla luce del tiepido sole di gennaio.
Man mano che ci avvicinavamo, un solo pensiero si faceva strada. Mi invadeva. Mi occupava la mente.
«Rarity» mormorai.
«In effetti sono una rarità.» Albus sorrise e si fregò la punta rossa del naso.
No, lui non poteva capire. Un mago qualunque non poteva capire. Rarity. La stilista dei My Little Pony. L’unicorno bianco. Tutto coincideva. Solo lei poteva avere un aspetto così maestoso.
«Non sapevo che fosse… Così.»
«Bello, vero?» disse Albus. Mi sembrò di notare un non so che di compiaciuto nella sua voce.
Ci fermammo a pochi passi dall’unicorno. Da vicino si notava che il corno era ricurvo e brillava. Sembrava metallico. L’animale emise uno sbuffo. Dalle sue narici uscivano ogni pochi secondi delle nuvolette bianche di condensa.
«Può essere che pensavi agli esemplari di unicorno giovani?» fece Albus. «I puledri sono dorati, magari avevi in mente quelli. Hai notato i suoi zoccoli? Ecco, sono di quella tonalità d’oro, più o meno. Il corno invece è d’argento ed è usato in alcune pozioni.»
Continuai a fissare l’unicorno. Una vocina fastidiosa nella mia testa mi avvisava che forse Albus se la stava un po’ tirando per farmi vedere quanto ne sapeva. Vabbé, se voleva essere ammirato poteva sempre cambiare il suo Patronus in un pavone. Affondai i piedi nella neve e girai intorno a Rarity. Albus mi seguì.
«Il sangue di unicorno invece è potentissimo, è un elisir di lunga vita ma ha delle controindicazioni terribili. L’unicorno è una creatura magica e purissima, quindi…»
Mi voltai verso Albus e gli sorrisi. «Dici che mangia gli zuccherini?»
Albus sbatté le palpebre. «Oh, non saprei… Non è che gli zuccherini si trovino in natura…»
«Sì che ce li mangia!»
La voce tonante mi fece sobbalzare. Mi voltai.
Accanto ad Albus stava in piedi il guardiacaccia. O meglio, il guardiacaccia torreggiava su Albus, che gli arrivava si e no a metà torso. La barba folta e grigio scuro impediva di vedere qualsiasi altra cosa oltre agli occhi neri.
«Hagrid!» esclamò Albus. Allargò le braccia e lo strinse in un abbraccio che non riusciva nemmeno a circondarlo. Io spostai lo sguardo dal guardiacaccia all’unicorno. L’unicorno sbuffò e scosse la criniera bianca. Tornai a guardare il guardiacaccia.
«Quanto era che non mi venivi a trovare, eh, ragazzino?» La voce tonante di Hagrid fece sbuffare ancora l’unicorno. «Ci ho detto a tuo padre che era un sacco che non venivi. Lily e Rose vengono molto più spesso!»
Albus sorrise. «Hai ragione Hagrid, scusami. Hai passato un buon Natale?»
Bene, la loro conversazione si stava orientando verso i convenevoli. Sembrava che si conoscessero da anni. Poi pensai che se il padre di Albus era famoso difficilmente qualcuno non lo conosceva da anni.
Per una volta mi distinguevo dalla massa.
Mentre loro parlavano, io magari potevo cercare di socializzare. Mi girai verso l’unicorno. «Rarity, bella…»
Rarity mi guardò e con uno zoccolo dorato raspò la neve.
Mi potevo avvicinare? Temevo che Rarity scalciasse, o peggio, che cercasse di attaccarmi col corno.
Ma no, non poteva farlo, si sarebbe rovinata l’acconciatura alla criniera.
Mossi un passo verso Rarity. L’unicorno mi fissò. Mi venne in mente che gli animali si spaventano se vengono fissati: a fissare sono i predatori, non le prede. Abbassai lo sguardo. Sfilai un guanto, infilai una mano nella borsa e tirai fuori uno zuccherino. Lo tesi.
Rarity allungò il collo e annusò l’aria. Mi avvicinai di un altro passo. Le dita rosse risaltavano accanto al bianco dello zucchero. Attesi. E Rarity si avvicinò. Scoprì i denti e con le labbra afferrò lo zuccherino. Indietreggiò e cominciò a masticare.
«… si chiama Serena.»
«Eh?»
Mi voltai. Albus e Hagrid mi stavano fissando. Immediatamente arrossii.
«E quanto aspettavi a presentarla?» fece Hagrid. Scoppiò in una risata fragorosa.
Mi sentii attanagliare lo stomaco dalla vergogna. Scoccai un’occhiataccia ad Albus.
Albus si schiarì la voce. «Ehm… Lo aspettavi?»
«Sicuro! Ci ho sempre detto a tuo padre che sei uno con la testa sulle spalle, tu, non ci vai in cerca di guai come tuo fratello.»
Mi domandai che parte della conversazione mi fossi persa mentre davo lo zuccherino a Rarity. Hagrid doveva essere uno sveglio, se associava me ai guai. O forse non lo era abbastanza, visto che non mi aveva riconosciuta come un guaio ambulante. O il senso del pericolo di Hagrid era molto relativo. Improbabile, visto che era anche un insegnante.
«Perché non venite a prendere un tè da me? Così vi riscaldate un po’ le ossa.»
Ok, il senso del pericolo di Hagrid era molto relativo.
«Oh… Non saprei se è il caso…» Albus guardò verso di me.
Mi voltai. Alle mie spalle c’era solo Rarity, che scosse il muso. Il corno argentato catturò la luce del sole e luccicò. Mi voltai di nuovo verso Albus.
Dovevo arrendermi all’evidenza, ce l’aveva proprio con me.
Hagrid ridacchiò. «Signorina, ci piaci proprio a quell’unicorno, ma se ci tieni a quel guanto ti conviene riprenderlo.»
Corrugai la fronte. «Il guanto?» Guardai la borsa. Il guanto non era più appoggiato lì su. Mi voltai verso Rarity. Stava masticando il mio guanto.
«No!» pigolai. Tirai subito fuori un altro zuccherino e lo tesi all’unicorno. «Ecco, tieni, mangia questo Rarity…»
«Rarity?» ripeté Hagrid.
«… è più buono di quel guanto di lana, dai… Brava tu, bella tu, su… Non sei Charlie the Unicorn, sei molto più carina…»
«Che sta farneticando?» mormorò Hagrid.
«Quando fa così lasciala fare» rispose Albus a mezza voce. «Assecondala. Lily ha detto che Rose ha detto che la sua amica ha detto di fare così.»
«Non ci sono amuleti magici, c’è solo questo magnifico, succulento, dolcissimo, croccantissimo zuccherino. Vuoi zuccherino? Vuoi zuccherino, Rarity?»
Avvicinai lo zuccherino al muso dell’unicorno. O prendeva quel fottutissimo zuccherino, o presto mi si sarebbero congelate le dita. Cancrena. Tutta la mano. Su per il braccio. Fino al gomito…
«Zuccherino» ringhiai, e lo cacciai davanti a una narice dell’unicorno. Rarity smise di masticare e lasciò cadere il guanto. Prese lo zuccherino.
Mi chinai a prendere il guanto. Lo presi tra pollice e indice e lo sollevai. Era fradicio. Storsi il naso.
Guardai Albus. «Non è che anche la bava di unicorno ha una qualche potenzialità superpotentissima?»
Hagrid scoppiò a ridere. Albus accennò un sorriso.
Lo presi come un no. A testa bassa tornai da lui. Se questa era Rarity, chissà cos’era Spike.
«E quindi, ‘sto tè?»
«Ehm, be’…» Albus storse la bocca e mi lanciò un’occhiata implorante.
Tacqui.
«Ok» disse infine.
Inutile domandarsi cosa c’entrassi io con il guardiacaccia. Era un tè, come nella miglior tradizione inglese, ed ero invitata. Li seguii verso la capanna.



Nota dell’autrice: prevedendo lo sconcerto di alcuni di voi, vi metto qui la mia risposta preconfezionata. Agitare prima dell’uso. Tenere fuori dalla portata dei bambini.

*Nooon conoscete Charlie the Unicorn, l’unico e solo Banana King? °A° Rimedio per voi, comodissimo ed efficacissimo link a video sub ita. Adorate il Banana King. ♥ http://www.youtube.com/watch?v=MOmyIHhew-A *

Inoltre. Siccome il cervello di LaGraziaViolenta corre sempre più in là di dove effettivamente arrivi, vorrei porre a tutti una domanda. Ipotizzando di dover scrivere (in contemporanea o dopo la storia di Serena) un’altra storia, e voi doveste scegliere tra due alternative, ovvero tra una serie di drabble su Narcissa Black/Malfoy e una vera e propria storia a capitoli su Ade e Persefone (ovviamente in versione più ampliata rispetto al mito!) voi cosa preferireste leggere?
Toglietemi questa curiosità, per favore. *u* Se non volete scrivermelo in una recensione mandatemi pure un messaggio privato, senza vergogna. Rispondetemi in tanti! ♥

Un’altra misera postilla e poi prometto di lasciarvi in pace. Volevo festeggiare con voi le 2500 visualizzazioni del primo capitolo (duemilacinquecento, non so se mi spiego!) e ho pure fatto la scan, ma… Nel momento in cui scrivo si è già a 2560. *u* In pochi giorni! Quindi, un ringraziamento supermegaspecialissimo a tutti quelli che spargono il Verbo di Serena. E anche il Verbo dei Pony, ovviamente. Un grande e sentito grazie. ♥

Prossimo traguardo: 300 recensioni! Attualmente 293… Cercherò di festeggiarlo degnamente! :D


 

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Capitolo 45
*** Dove gli unicorni la fanno da padrone, Rarity mostra il suo amore per la moda nonché una certa predilezione per la lana e dove un tè un po’ rustico scioglie l’atmosfera. E non solo quella. Parte 2 ***


Dove gli unicorni la fanno da padrone, Rarity mostra il suo amore per la moda nonché una certa predilezione per la lana e dove un tè un po’ rustico scioglie l’atmosfera. E non solo quella. Parte 2
 
 
Sigla di apertura: http://www.youtube.com/watch?v=xGWFa6k-LlY
 
 
Hagrid spinse la porta di legno, anche se io avrei potuto tranquillamente definirlo portone, ed entrammo nella capanna.
Il calore del fuoco mi scaldò subito il viso. Con un sospiro di sollievo tolsi sciarpa e guanto e li ritirai nella borsa. Il guanto masticato come una cicca decisi di tenerlo appoggiato sopra la borsa, così non avrebbe sporcato tutto il resto.
«Sedetevi pure» disse Hagrid. Da un gancio prese un bollitore.
Mi guardai intorno. Era senza dubbio una capanna, ma le misure erano tutte taglia Hagrid. Albus si sedette su una poltrona e si tirò indietro per appoggiarsi allo schienale. I suoi piedi non toccavano terra. Mi sorrise e con un cenno col mento indicò la poltrona di fronte a lui.
Mi affrettai a sedermi. Cavolo, ora sì che sapevo cosa provava Alice nel Paese delle Meraviglie.
«Ecco… Tra poco sarà pronto il tè. Sì.» Hagrid si sedette su un’altra poltrona. Prese un ciuffo della barba grigia tra le dita e iniziò a rigirarla.
Avevo la vaga sensazione che il guardiacaccia fosse imbarazzato quanto me. Mi guardai la punta dei piedi. Le scarpe erano più scure ai lati e sulla punta c’erano ancora dei pezzetti di neve. Puntellai le mani sul cuscino della poltrona e mi tirai indietro per appoggiarmi anch’io. Tirai indietro la testa e mi accorsi che picchiava contro lo schienale. Era immenso in confronto a me. Abbassai lo sguardo e con l’unghia iniziai a grattare pian piano il tessuto ruvido della poltrona.
«Hai avuto una bella idea, Hagrid, a iniziare il semestre con gli unicorni» disse Albus. «Sono un argomento interessante, piacciono a tutti.»
«Oh, lo so che agli studenti gli unicorni ci piacciono!» disse Hagrid. Si aprì in un ampio sorriso, o almeno così sembrava sotto la barba grigia. «Ho fatto una fatica a pigliarne uno… Il puledro però ho dovuto liberarlo, avevo intravisto la mamma tra gli alberi. Probabilmente era venuta a prenderlo.»
Il caldo nella capanna stava iniziando ad essere soffocante. Slacciai il montgomery e lo feci scivolare giù dalle spalle.
«È un peccato» disse Albus. «I puledri sono davvero dei begli animali. Avresti potuto tenerlo ancora un po’, oppure prendere anche la madre.»
«Mica è facile!» disse Hagrid. «Ho preferito tenere il maschio.»
Mi irrigidii. La mia schiena aderiva perfettamente allo schienale. Sentivo i miei muscoli pietrificati come quelli di una statua… «Il maschio
Hagrid intrecciò le dita grandi come salsicce e rise. «Sì, è amichevole tanto quanto le femmine, e almeno la mamma ha potuto portarsi via il puledro. È una bella bestia anche lui.»
Rarity. O almeno, quello che credevo essere Rarity. Non era Rarity. Era trans Rarity.
L’immagine dell’unicorno nella mia mente fu attraversata da una crepa. Il tintinnio del cristallo rotto. L’immagine tremò, poi esplose in mille pezzi.
«É…» Deglutii. Inspirai. «É… Così…»
«Ci mancano le parole, eh?» fece Hagrid con un sorriso a trentadue denti. «Ma però tu non frequenti Cura delle Creature Magiche, vero?»
Trans Rarity. Questo sì che era uno shock.
Oppure no, magari poteva perfino diventare qualcosa di accettabile. Tipo una versione genderbend.
Male Rarity.
Poteva. O no?
«No, no» mormorai.
«Ah, ecco, mi pareva.»
Gli pareva? Corrugai la fronte. Ah, già, Hagrid aveva fatto una domanda. Aveva preso i miei borbottii come una risposta. Cos’aveva chiesto?
Il bollitore fischiò.
«Oh, deve essere pronto, datemi un attimo.»
Hagrid si alzò.
Di fronte a me Albus si mosse sulla poltrona. Gli lanciai un’occhiata implorante. Lui si strinse nelle spalle. Girai gli occhi verso Hagrid, senza muovere la testa, poi tornai a guardare Albus. Lui mi sorrise.
«Come mai non hai scelto Cura tra le materie opzionali? Mi sembra che gli animali ti piacciano.»
Ah, perciò si stava parlando di Cura delle Creature Magiche. Accennai un sorriso di gratitudine ad Albus. Quant’era difficile sostenere una conversazione.
«Mi piacciono gli animali, sì. Ehm… A casa ho dei pesci rossi. Ma se ne occupa mamma.»
Hagrid appoggiò sul tavolino un vassoio di biscotti e si allontanò di nuovo. Mi sporsi verso il vassoio. I biscotti assomigliavano vagamente alla ghiaia di un vialetto. Guardai Albus. Lui finse di guardarsi intorno e scosse il capo.
Hagrid tornò e posò sul tavolino le tazze di tè, poi prese la propria tazza. La sua aveva le dimensioni del secchio di un pozzo, ma era un dettaglio trascurabile.
«Servitevi pure, niente complimenti.»
Mi staccai dallo schienale e scivolai sul bordo della poltrona. Presi la mia tazza. Era bollente. Il calore cominciò a invadermi le mani.
Cavolo, non c’era il latte da aggiungere. Sperai che fosse già zuccherato, visto che Hagrid aveva dimenticato la zuccheriera. Soffiai sul tè fumante.
«Hai detto che hai pesci rossi?» chiese Hagrid. «E che te ne fai dei pesci rossi?»
Mi strinsi nelle spalle. «ۛEhm… Li guardo?»
«Per una strega non potrebbe essere più interessante avere, chessò, un’Acromantula?»
«Dubito che Serena voglia un ragno gigante in casa sua» intervenne Albus.
Un ragno gigante, eh? Mi morsi un labbro. «C’è sempre il DDT.»
«Come?»
«Niente.» Soffiai sul tè e ne bevvi un sorso. Era bollente e amarissimo. Mi costrinsi a deglutire senza fare smorfie. Fui scossa da un brivido. Imprecai contro il palato criminale degli inglesi.
«Magari se ti piace il corso puoi venire lo stesso a lezione» mi disse Hagrid. «Per interesse personale. C’ho spesso animali molto interessanti, adesso a quelli del quarto anno ci sto mostrando gli Schiopodi Sparacoda.»
Povero Hagrid, sembrava tenerci davvero molto. Non volevo deluderlo. Forse potevo provare ad essere cortese. «Sembrano interessanti.»
«Moltissimo!»
Di fianco ad Hagrid Albus si agitò sulla poltrona. Si schiarì la voce. Se la schiarì un’altra volta. Finalmente lo guardai. Albus mi fissò negli occhi e scosse appena il capo.
«… ma credo che il mio piano di studi sia un po’ troppo fitto. Ho poco tempo libero, purtroppo.»
«Veramente? È un peccato. Che corsi segui?»
Arricciai il naso. Prima Paciock, ora Hagrid. Professori ficcanaso, che si tagliassero la lingua.
«Giusto, Serena, non te l’ho mai chiesto, che corsi segui?»
Ah, già. Albus! Come avevo fatto a non includerlo nella lista! Potevano organizzare gli Hunger Games a Hogwarts, come fascia d’età ci stavamo. Qualche Senza Voce sarebbe tornato utile, ogni tanto.
«Ehm, be’… Seguo Pozioni ed Erbologia.»
«Con Neville!» esclamò Hagrid. «Me lo ricordo a scuola, ci aveva un talento tutto speciale per le piante.»
Un talento tutto speciale? Bene, così Jeanie e il professor Paciock avevano in comune il loro cutie mark. Ma se fosse stata Jeanie a diventare la prossima professoressa di Erbologia, probabilmente piuttosto che affrontare un suo esame gli studenti avrebbero preferito il canto delle Mandragole.
«Poi seguo Rune Antiche, Storia della Magia…»
«Divertente fino alla morte» borbottò Albus.
Sorrisi. «…Incantesimi, Difesa contro le Arti Oscure e Babbanologia.»
Albus sollevò le sopracciglia. «Babbanologia?»
Mi strinsi nelle spalle. «Mi piace vincere facile.»
«Difesa contro le Arti Oscure non è un corso facile» fece Hagrid. «Facci attenzione. E come mai niente Trasfigurazione?»
Strinsi più forte il tè tra le mani. Il calore della tazza mi invadeva le dita e i palmi. «Non ho passato il G.U.F.O.»
«Ah.» Hagrid guardò Albus, poi tornò a guardare me e si stropicciò la barba grigia. Io abbassai lo sguardo e fissai il tè scuro.
«Difesa contro le Arti Oscure è più importante» proclamò Albus.
«Sicuro» gli fece eco Hagrid.
Stavano cercando di non sminuirmi. Era un’impresa difficile visto che vicino a me perfino Mirtilla Malcontenta sembrava Terminator. Erano davvero gentili. Arrossii e accennai un sorriso.
Io e Albus finimmo di bere il tè. Quando mi alzai in piedi urtai il vassoio sul tavolo e un paio di biscotti rotolarono per terra. Il tonfo che produssero mi fecero pensare a delle palle da bowling su una pista. Ringraziai il cielo di non averli mangiati.
Io e Albus uscimmo dalla capanna e ci avviammo verso il castello. Indossavo un solo guanto visto che il suo gemello era ancora fradicio. Se non altro il sentiero ci risparmiava di dover sprofondare nella neve.
Passammo di nuovo davanti al pupazzo col cappello verde. Vederlo in mezzo al giardino, a una distanza che lo faceva apparire grande due dita, lo faceva somigliare alla decorazione di una boccia di neve. Una boccia di neve a tema The Nightmare Before Christmas, s’intende.
Finché non si mosse.
Strabuzzai gli occhi. Strizzai le palpebre per metterlo meglio a fuoco.
Da dietro al pupazzo di neve vidi spuntare una sagoma. Una sagoma rotonda. La sciarpa rossa e gialla. Dietro a questa spuntò un’altra sagoma. Un’altra sciarpa rossa e gialla. Capelli rossi.
Chelsea mi fece ciao ciao con la mano e poi si coprì la bocca. Perfino da quella distanza, da cui mi appariva grande come un dito, potevo vedere come le venisse da ridere. Rose le diede un colpo sulla spalla. Scomparvero di nuovo dietro al pupazzo.
No, cioè. Mi passai la mano sugli occhi. La lana morbida e gelata del guanto sfregò contro la mia pelle.
Come si sarebbe dovuto dire in inglese?
Facepalm.
Albus si schiarì la voce.
Mi voltai verso di lui. «Hai mal di gola?»
O hai visto tua cugina?
«No.» Afferrò la sciarpa verde e argento. Mi fissò. «Volevo chiederti… Se ti va di prendere qualche dolce, in cucina. Un dolce commestibile, intendo. Per scaldarci un po’.»
In cucina? Quindi illegalmente. E con gli elfi. «Oh.» Abbassai lo sguardo sulla neve grigia e pestata.
«Non ti va?»
«No, è che…» Mi portai la mano senza guanto sulla guancia. Era bollente.
«Non ci scopriranno» disse Albus. «Non sono molti gli studenti che sanno dove sono le cucine. Be’, a parte la tua amica Grifondoro…»
La mia amica Grifondoro in questo momento sta sghignazzando insieme alla tua cugina rossa, dietro a quel pupazzo di neve. Dovresti riservare loro lo stesso trattamento che hai riservato a tuo fratello.
Dovetti fare violenza su me stessa per resistere alla tremenda tentazione di dirglielo.
Quindi, le cucine.
Potevo dirgli la verità?
Pillolina rossa o pillolina blu?
Dovevo decidere. Mi morsi il labbro.
Avanti. Gli avrei detto la verità.
«Ho dimenticato di dare a Merry e Pepper… Cioè, intendo dire, ai due elfi domestici…»
«Hai due elfi domestici?» fece Albus.
«No! Ecco, Merry e Pepper sono due… Ovviamente nelle cucine… Quando Chelsea vuole andare nelle cucine loro ci aiutano sempre e ci danno sempre dei dolci in più, perciò avevo preso due biglietti musicali per loro per Natale, ma non sapevo se i gufi portassero la posta agli elfi domestici, così non glieli ho mandati, e… E… Insomma, non glieli ho ancora portati.» Ormai il mio viso era bollente. «E ho vergogna ad andare da loro senza regalo di Natale. Ma ormai sono in ritardissimo, e ho ancora più vergogna a portaglieli.»
La neve continuò a scricchiolare sotto le suole delle nostre scarpe. Albus si grattò la punta del naso. «E li hai qui a Hogwarts, questi biglietti musicali?»
«In dormitorio…»
«Allora non vedo il problema. Valli a prendere, ti aspetto, e poi glieli puoi portare.»
«Dici che non faccio una brutta figura?»
«Figurati. Gli elfi domestici non si aspettano mai dei regali. Noi ne abbiamo uno a casa. Ti assicuro che regali di Natale proprio non se li aspettano. Non se la prenderanno per il ritardo, ne saranno solo contenti.»
«Se lo dici tu…»
Fu un sollievo raggiungere l’atrio d’ingresso. Sulla soglia picchiettai la punta delle scarpe per staccare la neve dalle suole.
«Ti aspetto nelle cucine, allora» disse Albus.
Corsi nel dormitorio dei Tassorosso, presi i biglietti musicali e mi avviai verso le cucine più velocemente che potei. Davanti al quadro di frutta non trovai Albus. Probabilmente era già dentro. Solleticai la pera ed entrai.
Non appena misi piede in cucina fui assalita da un’ondata di calore, profumo di carne e patate arrosto e dal vociare acuto di centinaia di elfi.
«Signorina! È tornata signorina!»
«La signorina Serena è tornata!»
Dal mare di elfi emersero Merry e Pepper. Si inchinarono. Fecero due passi verso di me e si inchinarono ancora. Fecero altri due passi e piegarono di nuovo la schiena.
«Basta, basta inchini!» dissi. Mi avvicinai ai due elfi. Piegai le ginocchia e mi sedetti sui talloni, per poterli guardare in faccia.
«Signorina Serena vuole dolci, signorina?»
«Pepper! Signorina Serena prende sempre dolci, non lo sai ancora? Vero signorina Serena, signorina?»
Mi sfuggì una risatina nervosa. I due elfi mi fissarono con i grandi occhi. Pepper alzò la mano e si sfiorò il fiocco rosa sull’orecchio.
Deglutii. Tesi loro i biglietti di Natale. «Per voi, cuccioli. Scusate il tremendo ritardo… Non sapevo se i gufi vi portassero la posta e questa settimana avevo da fare…»
Questa settimana mi sono depressa, poi sono ritornata forzosamente alla vita per colpa di Paciock, poi ho dovuto fare indagini su Jeanie Joy e poi sono dovuta uscire con Albus, maledizione. Decisamente troppo da fare.
Pepper corrugò la fronte. «Per noi, signorina?»
Annuii. Sentii il calore salirmi al viso, ma non ero sicura che fosse colpa del caldo delle cucine.
Merry e Pepper presero i bigliettini. Li aprirono e le musichette partirono contemporaneamente. Merry sussultò.
«Cos’è?»
«Un bigliettino babbano. Apritene uno per volta…»
Pepper aprì il bigliettino e iniziò a suonare Santa Claus is coming to town.
Fui assalita da un dubbio atroce. «Conoscete le canzoncine di Natale, vero?»
Pepper mi guardò con gli occhi sgranati.
Mi sembrò di sentire una goccia di sudore rotolarmi giù dalla tempia. Stiracchiai un sorriso. «You better watch out, you better not cry, better not pout, I'm telling you why, Santa Claus is coming to town…»
Un secondo dopo ricevetti un colpo in pieno petto. Allungai le mani indietro e i miei palmi trovarono il pavimento di pietra gelata. Mi ritrovai con Pepper in braccio, le braccine magre dell’elfa che mi stringevano il collo.
«Pepper! Vergogna!» esclamò Merry. «Signorina Serena!»
Pepper lanciò un ululato acuto che rischiò di lasciarmi sorda da un orecchio. Oddio, che avevo combinato? Picchiettai una mano sulla spalla scheletrica di Pepper. «Dai, dai…»
Vidi Albus passare in mezzo alla folla degli elfi e arrivare di fianco a me. Gli lanciai uno sguardo disperato. «Cos’ho sbagliato?»
«Nessuno aveva mai fatto un regalo a Pepper, signorina Serena, nessuno!» squittì Pepper in prossimità del mio orecchio. «Pepper è felice! Pepper non merita ricompensa! Pepper fa solo il suo lavoro, signorina Serena, un elfo non vuole ricompensa! Non merita, non merita!»
Albus si strinse nelle spalle e sollevò un sopracciglio come a dirmi “che ti avevo detto?” Però sembrava che gli venisse da ridere.
Mi schiarii la voce. «Oh. Ecco. S-sono contenta che ti sia piaciuto, Pepper. È solo un bigliettino musicale, però. E pure in ritardo.»
Iniziò a risuonare nella cucina anche Jingle Bells rock. Guardai Merry e vidi i suoi occhioni marroni riempirsi di lacrime.
«Dai» fece Albus. Si abbassò verso di me, tese le braccia e le fece passare sotto le ascelle di Pepper. Per un istante il viso di Albus fu vicino al mio, ma il suo sguardo restò basso sull’elfa. Quando la staccò da me e la sollevò mi sembrò che il cuore stesse per uscirmi dalla gola.
«Signorina Serena troppo buona, troppo buona!»
Albus posò Pepper a terra e lei si asciugò gli occhi. Tirò su col naso. Di fianco a lei, Merry mi fissava ancora impietrito.
Temetti di averli traumatizzati.
Mi rimisi in piedi e diedi qualche colpo alla gonna per togliere la polvere.
«Andiamo di là, Serena?»
«Ehm.» Lanciai un’occhiata ai due elfi. Diedi loro un buffetto sulla testa. Non ero più tanto sicura che prender loro un regalo di Natale fosse stata una grande idea.
«Signorina Serena…» mormorò Merry. Pepper si soffiò il naso in uno straccio, il bigliettino di Natale al sicuro sotto l’ascella. «Signorina Serena» mormorò ancora Merry. «Lei è la più buonissima signorina di Hogwarts.»
Avvampai. «G-grazie.» Nascosi le mani dentro le maniche del maglione. «Ah, ehm… Vado un attimo… Con Albus…»
Indietreggiai. I due elfi si inchinarono. Indietreggiai di un altro passo. Merry e Pepper si inchinarono ancora. Diedi loro le spalle e fuggii verso Albus. Lui era appoggiato allo stipite della porta e aveva le labbra sollevate in un sorriso saccente.
«Te l’avevo detto che ne sarebbero stati felici.»
«Lasciamo perdere» mormorai.
Feci per entrare nella sala dei forni, ma mi bloccai sulla soglia.
Al centro del grande tavolo c’era una torta. La lucida glassatura di cioccolato la rendeva riconoscibilissima anche senza muovere un passo di più.
Guardai Albus. Lui si staccò dallo stipite della porta e arrossì. «Ho poca fantasia.»
Arrossii a mia volta. Guardai di nuovo la torta.
Albus si avvicinò al bancone. Lo seguii.
Il cuore ricominciò a martellare nel petto. Potevo sentirlo sobbalzare e chiudermi il respiro ad ogni battito.
Se lo avessi ringraziato poteva sembrare che dessi per scontato che la torta era per me. Sarebbe stato superbo da parte mia. Magari anche ad Albus piaceva la Sachertorte.
Raggiungemmo il bancone. Mi appoggiai sulla superficie fredda e mi sporsi verso la torta. Il piano e il piatto erano immacolati. La glassa era lucida ed omogenea, senza un grumo, e la scritta era perfetta. Il delizioso profumo di cioccolato si spandeva nell’aria.
Albus appoggiò i gomiti sul bancone, accanto a me. «La cosa più difficile è la glassatura. Se la spalmo con la spatola rimangono delle imperfezioni. Se è troppo densa non la ricopre a dovere. Se è troppo liquida la torta l’assorbe e diventa molliccia. Ci ho messo un po’ a capire come farla.»
Ai miei occhi quella glassa era perfetta. Mi sporsi un po’ a destra e un po’ a sinistra per osservarne i lati. «A me sembra… Sembra bella.»
«L’ho preparata stamattina.»
All’improvviso il mio lato destro si irrigidì. Il mio corpo era più consapevole del mio cervello di quanto Albus fosse vicino.
Incrociai il suo sguardo. Non eravamo mai stati così vicini. Neanche da Madama Piediburro. Neanche a Pozioni. Eravamo gomito a gomito.
Se non sentiva il martellare del mio cuore era un miracolo.
Albus era rosso in viso, ma mi sorrise. Non sembrava un sorriso forzato. Sembrava sincero. «Non dirmi che l’ho preparata per niente. La vuoi assaggiare?»
«Sì» risposi subito.
Albus si staccò dal bancone e andò a frugare in un cassetto. Ne approfittai per tirare un ampio respiro. Calma. Dovevo rimanere calma. Mi chiesi se sarebbe tornato vicino a me o se si sarebbe messo in un altro punto del tavolo.
Albus tornò con un coltello e due piattini. Si mise di fianco a me e trascinò il piatto della Sachertorte verso di noi. Puntò il coltello al centro.
«Pronta?» chiese con un sorriso.
«Vai» mormorai.
Il coltello ruppe la glassa e affondò nella torta. Lo sfilò e lo affondò di nuovo dentro, con più decisione. Lo infilò sotto la fetta, la sollevò e la posò sul piattino.
Sperai che non notasse che le mie mani tremavano. «Aspetta… Le forchette.»
Fuggii dal tavolo e andai verso i cassetti. Ne aprii uno e trovai le posate. Al primo colpo, che culo. Presi due forchette e tornai da Albus.
«A te l’onore» disse Albus.
La mia bocca era umida e piena di saliva. Deglutii. Con la forchetta ruppi la punta della torta. L’impasto era morbidissimo. Lo misi in bocca. Il sapore appena aspro della confettura di albicocche fu il primo. Poi il cioccolato amaro della glassatura si sciolse sulla lingua e si mischiò al dolce dell’impasto.
Era divina. Se fossi stata da sola mi sarei messa a piangere per quanto era buona.
Albus mi guardò. «Com’è?»
Mandai giù il boccone. Ruppi un altro pezzo con la forchetta. Punzecchiai la torta. Scossi il capo.
«Non è buona?»
Scossi di nuovo il capo. «Non ho parole.»
Albus sporse la testa in avanti. I suoi occhi verdi mi fissarono. «Non…»
«È buonissima» lo interruppi. «È la torta più buona che io abbia mai mangiato qui in Gran Bretagna. La mangerei tutti i giorni, se potessi.»
Inspirai. Gliel’avevo detto. Credevo che non ci sarei riuscita. E invece gliel’avevo detto. Senza balbettare. Senza mangiarmi le parole. Ce l’avevo fatta.
Le spalle di Albus si rilassarono. E inaspettatamente scoppiò a ridere. «Meno male! Cavolo, avevo capito che non ti era piaciuta!»
«No, no…»
Albus assaggiò un boccone. Arricciò il naso. «Forse c’è troppa marmellata…»
«Smettila di fare il modesto.»
Immediatamente gli occhi verdi di Albus incrociarono i miei. Fui travolta da una vampata di calore ed andai in panico. Ero stata inappropriata? Ero stata maleducata?
«Senti…» Albus abbassò lo sguardo. Ruppe un altro pezzo di torta, poi passò la forchetta sulla glassatura. «Io oggi mi sono divertito. Mi… Mi piace, passare il tempo con te.»
Sbattei le palpebre. Impiegai qualche secondo per capire cosa mi stava dicendo.
Il mio cuore iniziò a battere a velocità sfrenata.
«So che a volte non mi sono comportato in modo… In modo giusto, corretto… Non so come dire.»
«Non fa niente…» mormorai.
«No, davvero. Mi dispiace, perché… Perché vorrei uscire seriamente con te. Non così, ogni tanto, incontrarsi come capita, se capita.»
Trattenni il respiro. Cercai di ragionare.
Se avessi detto no, probabilmente si sarebbe rassegnato.
Se avessi detto sì, sarei diventata la sua ragazza.
Se avessi detto forse, magari si sarebbe arrabbiato. Ormai era impossibile anche per me non capire perché si comportava in quel modo.
E gli dovevo rispondere. Ora. In quel momento.
Albus mi guardò negli occhi. «Se non vuoi… Non fa nulla. Dimmelo, però. Preferisco che tu mi dica di no piuttosto che… Che continuare. Ecco.»
Gli dovevo rispondere.
Sì o no.
Non c’erano alternative.
Inspirai, trattenni il fiato ed espirai. Agitai la mano per liberarla dal polsino del maglione. Non riuscivo a farla smettere di tremare. Afferrai la bacchetta.
Sul volto di Albus comparve un’espressione allarmata. «Serena?»
Con un colpo di tosse mi schiarii la voce. La bacchetta davanti a me tremava. La puntai sulla Sachertorte.
«Sere…»
«Expecto Patronum.»
Dalla punta della bacchetta schizzò fuori un proiettile d’argento. Un secondo dopo il colibrì si librò sopra la Sachertorte, poi schizzò verso Albus. Si fermò a pochi centimetri dal suo viso e rimase sospeso in aria. Svanì in uno sbuffo di fumo argento.
 
 
Sigla di chiusura: http://www.youtube.com/watch?v=ydEUkvwGvTo
 
 
Nota dell’autrice: molto importante, leggete per favore.
Visto che la pubblicazione dei capitoli può subire dei ritardi, non posso mandare messaggi a tutti voi che seguite la storia e i capitoli avviso sono vietati, ho escogitato questo metodo.
Se volete sapere le ultime notizie riguardo al capitolo successivo controllate la pagina dell’autore. Dove c’è la bio d’ora in avanti ci sarà sempre anche la scritta AVVISO, la data di pubblicazione dell’avviso e le previsioni sull’aggiornamento/scrittura del capitolo/eventuali ritardi.
Spero così di riuscire a venirvi incontro. :) Cercherò di tenere aggiornati gli avvisi. :)

L’idea della sigla di inizio e di chiusura la devo a Eljzabeth, che ignara di ciò che le sue innocenti parole avrebbero scatenato ha citato la sigla di Beautiful. Grazie, Eljzabeth! :D

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Capitolo 46
*** Dove si discute della serpeverdesca essenza e di sexy amanti nascosti nell’armadio. ***


Dove si discute della serpeverdesca essenza e di sexy amanti nascosti nell’armadio.
 
 

Inspirai. Il mio petto si gonfiò. Espirai, e l’aria uscì con un sospiro. Inspirai ancora.
Lo sentivo.
Era nell’aria.
Era il profumo del Potere.
Me ne riempii i polmoni. Le mie dita affondarono nel vellutato. Ora sapevo perché i Serpeverde coltivavano l’ambizione, il desiderio di riuscita, di affermazione, il desiderio di raggiungere le vette più alte.
Il Potere aveva un dolcissimo profumo di shampoo.
«Oh, sì…»
«Serena, non goderci troppo. E soprattutto, non farci l’abitudine.»
«Perché no? Se potessi lo farei tutti i giorni… Sì…»
Le mie dita scivolarono nella chioma vellutata. Le sfilai e le infilai di nuovo tra i capelli. Sfiorai la cute con i polpastrelli.
Chelsea si mise le mani sui fianchi, la bacchetta ancora in mano. «Sii collaborativa e tutto questo finirà presto.»
«Vorrei gentilmente renderti partecipe di quello che penso, ma se lo facessi probabilmente non mi rivolgeresti più la parola.»
«Ferma, Jeanie…»
«E tu non tirare.»
Chelsea alzò le sopracciglia e mi lanciò un’occhiata seria. Anzi, serissima. «Ora, Serena, devi mantenere la promessa.»
Spostai la riga dei capelli di Jeanie di lato. Presi i capelli che le spuntavano dalla tempia sinistra e li divisi in ciocche.
«Cosa stai facendo?» sibilò Jeanie.
«Penso che per il tuo appuntamento staresti bene con i capelli sciolti. Li lascerò così, ma ti farò una treccia che andrà da una tempia all’altra. Come un cerchietto.» Guardai Chelsea. «Hai portato quello che ti avevo chiesto?»
Chelsea sorrise e sollevò la bacchetta. «Accio beauty case!»
Dalla scrivania si sollevò un beauty case laccato di nero che svolazzò verso di noi. Si posò sul banco a cui era seduta Jeanie.
«L’ho portato via di nascosto a Candy. Spero che non se ne accorga.»
Una fitta di senso di colpa mi attanagliò il petto. La repressi e iniziai a intrecciare i capelli di Jeanie.
Chelsea strabuzzò gli occhi nella mia direzione. Finsi di non vederla. Chelsea iniziò a battere il piede per terra. Il ticchettio rapido della sua scarpa trasmetteva un certo nervosismo. «E allora?»
Jeanie emise un brontolio cupo dal fondo della gola. «Sentite, mi sta bene passare del tempo insieme e ascoltare gli ultimi aggiornamenti. Mi sta un po’ meno bene che tu, Chelsea, mi interrompa zampettando in biblioteca come un’allegra ubriacona. Non mi sta bene per niente che Serena mi ricatti con una baggianata del genere. E non mi sta bene neanche che tu, Chelsea, mi punti contro la bacchetta per obbligarmi a subire questa tortura ridicola. Oh, è davvero ridicola!»
Continuai a intrecciare i capelli di Jeanie con un sorriso beato sulle labbra. Era una vita che desideravo renderla bella come doveva essere.
«Senti, Jeanie, e se ti mettessi delle margheritine tra le tue morbide onde dorate? Che ne diresti?»
«E se stasera prima di andare a dormire fossi presa da un istinto omicida e piombassi a Tassorosso a tagliarti le dita? Che ne diresti?»
«Basta.» Chelsea appoggiò le mani al banco e si sporse verso di me. Il suo viso grassoccio era a pochi centimetri dal mio. Sentii il suo fiato caldo soffiarmi sulle guance. «E allora
«E allora…»
Una vampata di calore mi esplose dalle viscere e mi invase tutto il corpo. Abbassai lo sguardo sui capelli dorati di Jeanie e presi altre ciocche da unire a quelle già intrecciate. Il respiro di Chelsea continuò ad arrivarmi sulle guance, ma ora mi sembrava più fresco. Smisi di intrecciare i capelli. Trattenni il fiato. «E allora… Stiamo insieme.»
Silenzio.
Poi Chelsea gonfiò il petto, spalancò la bocca e lanciò un grido acutissimo. Jeanie sobbalzò sulla sedia e alcune ciocche mi sfuggirono dalle dita.
«Chelsea!» strillò Jeanie. Non riuscì a sovrastare l’urlo.
Chelsea iniziò a saltellare e applaudire. «Evviva! State insieme! Evviva!»
«Contieniti, ti prego.» Arrossii. Pregai che nessuno avesse sentito quel grido disumano.
«Evviva! Cazzo, Serena, sei fidanzata! E sei fidanzata con nientepopodimeno che con Albus Potter! Sei fidanzata
«Oh, mio Dio.» Iniziai a respirare più velocemente. Presi altre ciocche bionde e le intrecciai con furia.
«Ahi!» fece Jeanie. «Ehi, sfoga la tua frustrazione altrove!»
«Macché frustrazione!» urlò Chelsea. «Serena, non appena liberi Jeanie ti abbraccio! Bisogna festeggiare! Festeggiare! Dobbiamo brindare!»
Il cuore mi martellava nel petto. «Chelsea, ti supplico… Contieniti. Non hai fatto tutte queste storie quando si è fidanzata Jeanie…»
«Punto primo» scattò Jeanie. «Io non sono fidanzata. Io sono felicemente single e ho accettato di uscire con Priscus perché mi va così. Non c’è nulla di ufficiale. Quando avrò deciso che lui fa per me, allora sarò fidanzata. Ma è lui che si è fatto avanti, quindi a decidere devo essere io. Punto secondo, io non ho messo in piedi questo stupido teatrino per dirvelo. Ve l’ho detto e basta. Non mi sarei mai sognata di ricattare un’amica in cambio di informazioni sulla sua vita sentimentale.» Scoccò un’occhiataccia a Chelsea. «E immagino che questa non sia tutta farina del suo sacco.»
Chelsea sgranò gli occhi, poi si riscosse. Sorrise. «Quella di Serena mi sembra una richiesta innocente… Io avrei fatto di meglio!»
«Le richieste innocenti sono cose del tipo “prestami un libro da leggere”. Le richieste deficienti invece ve le potrei infilare su per una narice.»
«Ok, gente, ora arriva il momento delicato.» Bloccai la treccia tenendola schiacciata contro la tempia di Jeanie. «Chelsea, sarai la mia assistente. Forcine.»
Chelsea aprì il beauty case e ci frugò dentro. «Forcine.» Me ne tese una.
La afferrai e la infilai tra i denti per aprirla. La misi tra i capelli di Jeanie e col pollice la spinsi fino in fondo. Peccato che la forcina fosse nera. «Diavolo.»
«Cosa c’è?» chiese Jeanie. «Che hai fatto ai miei capelli?»
«Niente.» Su quei capelli dorati quelle dannate forcine nere risaltavano come un neon. Pazienza, la chioma fluente le avrebbe coperte. «Chelsea, ancora forcine.»
«Quante?»
«Tutte quelle che trovi.»
Continuai finché dietro l’orecchio di Jeanie non si videro più capelli, ma solo forcine nere. Se quella dannata treccia scappava anche così, allora ero proprio incapace. Eventualità, peraltro, da non escludere completamente. «Lacca» proclamai.
«Che?»
«Oh, no signorina, te lo proibisco!» fece Jeanie. «Non ti permetterò mai di mettere quella porcheria nei miei capelli!»
«Ma…»
«Niente ma!» Le guance di Jeanie si chiazzarono di rosso. Aprì la bocca e iniziò a respirare velocemente. Oddio, stava andando in iperventilazione per colpa mia?
«Va bene» cedetti. «Niente lacca. Chelsea, spazzola.»
«Spazzola.»
La passai sulla testa di Jeanie e fino alla nuca, poi infilai le dita tra i capelli ondulati e le feci scorrere per togliere i nodi. «Questa chioma dorata sembra un fiume di Felix Felicis.»
«Esagerata» borbottò Jeanie. «Posso vedermi, ora?»
«Ti devo ancora truccare…»
«Provaci e ti taglio davvero le dita. Credimi, non ho mai provato ma lo saprei fare.»
Sorrisi. Inspiegabilmente fui percorsa da un brivido. «Specchio.»
Chelsea prese uno specchio rotondo dal bordo nero e lo porse a Jeanie. Jeanie lo prese e si scrutò. Strinse gli occhi dietro alle lenti spesse. Girò la testa prima da un lato, poi dall’altro.
«Preferisco la mia solita treccia.»
«Lo so, Rapunzel.»
Dallo specchietto rotondo mi arrivò un’occhiata assassina. Forse avevo parlato troppo. Mi infilai la lingua tra i molari e la strinsi finché non sentii un dolore bruciante.
«Uscirai così con Priscus» proclamò Chelsea. «Sei una gran figa e sei diversa dal solito. Quindi potrai solo fargli una bella impressione. Potrebbe saltarti addosso alla prima occasione, perciò stai attenta.»
«Io non voglio che mi salti addosso» disse Jeanie. Sollevò un sopracciglio biondo e si girò verso di me, a labbra strette e con un sorriso allusivo. «Forse è Serena ad aspettarsi che Albus le salti addosso, ora che sono ufficialmente insieme.»
Liberai la lingua dai molari e una vampata di calore mi invase collo e viso. Aggirai il banco e mi misi a frugare nel beauty case.
«È inutile che fai la sfuggente» sghignazzò Chelsea. Il suo gomito rotondo urtò contro il mio fianco. Alzai gli occhi e la vidi sorridere radiosa. Arrossii fino alla radice dei capelli e tornai a guardare il beauty case. Sollevai un flacone.
«E dopo? Dopo che vi siete messi insieme? Ti ha, tipo… Baciata?»
Il flacone cadde a terra con un clangore metallico e rimbalzò sul pavimento di pietra. Rotolò via.
Jeanie fece una risata sommessa. «La uccidi, Chelsea, se dici così. Vuoi farle venire un attacco di panico?»
«Non mi ha baciata» pigolai.
Incrociai lo sguardo di Chelsea. I suoi occhi nocciola erano avidi di sapere. «Perciò non l’ha fatto? E tu avresti voluto che lo facesse?»
Mi scostai e andai a raccogliere il flacone. Lo rimisi nel beauty case.
Di fronte al mio silenzio Chelsea arricciò il naso. «È un po’ troppo mollaccione, però. Insomma, un bacino piccino picciò poteva anche dartelo.»
Scostai una sedia e ci crollai sopra.
«Ma perché hai evocato un Patrono anziché digli subito di sì?»
«Oh, andiamo» intervenne Jeanie. «Direi che è evidente.»
Sospirai. Mi conveniva far terminare presto quella sofferenza. Dopotutto, Jeanie si era sottomessa ai miei esperimenti di acconciatura. Era giusto che ricambiassi. Dondolai un piede avanti e indietro. «Non ero sicura di riuscire a parlare come volevo. Mi conosco, non sarei riuscita a mostrarmi felice. Però non volevo che pensasse che non lo fossi. Così per dimostrargli che ero felice ho evocato il Patrono. Mi son dovuta sforzare ben poco…»
«… perché eri già felicissima!» Chelsea batté le mani. «Ora ho capito!»
«Non mi sembrava giusto essere troppo fredda» ribadii. Intrecciai le dita e accavallai le gambe. «Però so come sono, non sono certo il tipo che riesce ad esprimere entusiasmo… Devo ammettere che è stato davvero lusinghiero sentirsi dire che voleva uscire seriamente con me.» Mi sorpresi a sorridere. Mi toccai le guance e le sentii calde. «Non so… È un po’ strano, Albus. Non mi sembra molto Serpeverde… Un Serpeverde non si interesserebbe mai a una Tassorosso, no?»
«Scemenze!» fece Chelsea. Scostò una sedia e si sedette accanto a me. La povera sedia scricchiolò. «Per fortuna non tutti i Serpeverde sono dei decerebrati. Questa discriminazione fra Case è una cosa che fa abbastanza schifo.»
Jeanie aprì i palmi delle mani e alzò gli occhi al cielo. «Beata ingenuità…»
Con la treccia e i capelli sciolti era così bella da sembrare una visione mistica. Santa Ingenuità ora pro nobis.
«Perché?» fece Chelsea. «È la verità, no? Queste discriminazioni hanno già fatto abbastanza danni.»
Jeanie si aggiustò gli occhiali e sorrise. «Beata ingenuità perché voi due siete ingenue. Il fatto che Albus sia timido quando è con Serena non significa che non sia un Serpeverde. Volete un elenco in ordine alfabetico o tematico?»
«Tematico» risposi.
Jeanie corrugò la fronte. «Il mio era sarcasmo, Serena.»
«Oh. Ehm. Scusa. Pensavo che dopo aver orchestrato una simpatica burla avresti detto bazinga.»
«Che significa bazinga?» chiese Chelsea.
«Babbanate» disse Jeanie. «Ad ogni modo Albus è un Serpeverde. Il Cappello Parlante non sbaglia mai.»
Chelsea sogghignò. «Secondo me con te un po’ ha sbagliato.»
«Proprio no» fece Jeanie. Si passò una mano sotto i lunghi capelli e li scosse.
Arricciai il naso. «Be’, io non lo vedo così Serpeverde. Lo vedo più… Più come me, più Tassorosso.»
Jeanie scoppiò a ridere. «Tassorosso! Serena, questa è bella… Albus Potter Tassorosso!»
Mi sentii punta nel vivo. «So che per voi siamo una Casa ridicola, ma fino a questo punto…»
«Rido di te, non della tua Casa.»
Alzai le mani in segno di resa. «Ah be’, allora sei scusata.» Attesi un istante. «Bazinga.»
Chelsea si grattò il mento. «Però, sai, adesso che mi ci fai pensare… Vuoi che convivo perennemente con tutti i suoi parenti e non capisco come sia possibile che da quella famiglia lui non sia uscito Grifondoro, vuoi che magari non lo conosco così bene, ma… Non so, in effetti Albus non lo vedo neanch’io così Serpeverde.»
«Povere illuse» fece Jeanie. «È vero che è stato James Potter a suggerirlo, ma voi pensate che lui avrebbe usato un filtro d’amore su una ragazza che gli piace? No, James Potter non l’avrebbe mai fatto. Albus invece l’ha fatto. Con zero senso di colpa, aggiungerei, almeno fino a quando Serena non l’ha sgamato.»
«Però si è scusato» obiettai. «E ha anche mandato James a scusarsi.»
Jeanie alzò un sopracciglio. «E secondo te l’ha fatto per bontà d’animo, pentito del suo gesto, o l’ha fatto perché voleva il suo tornaconto? Prendi anche la sua abilità a preparare dolci: quando è saltata fuori? Quando ha scoperto che a Serena piacciono, perché sapeva di prenderla per la gola. Prima si è ben curato di tenerselo per sé. Vi sembra il tipo che si offre spontaneamente di preparare la torta di compleanno a tutti i suoi amici, parenti e conoscenti solo per il piacere di vederli sorridere e tante belle cose?»
Mi strinsi nelle spalle. «Be’… Perché no?»
Jeanie scosse la testa. «Perché no
Sporsi le labbra in fuori e incrociai le braccia. «Io credo che lo farebbe.»
Jeanie mi scoccò un’occhiataccia. «Il tempo mi darà ragione, Tassorosso di poca fede.»
Mi morsi il labbro. Mi ero sempre immaginata la Casa di Serpeverde come il ritrovo privilegiato per festini di dubbia natura, dove contrabbandieri di alcolici organizzavano le peggio serate pur di trovare mercato alla loro merce. L’unico modo in cui potevo vedere Albus inserito in un contesto del genere era in versione Cinquanta Sfumature. Scossi il capo con forza finché non provai una sensazione di vertigine. Mi fermai e fui presa da una fitta alla testa.
Anche perché Albus in sensuale versione Cinquanta Sfumature mi portava ad un problema ben più grande e ben più sensuale.
Scorpius Malfoy.
Mi agitai sulla sedia. «Ho una perplessità.»
Chelsea appoggiò un gomito sul banco. «Spara.»
Mi morsi il labbro. «Io… Sono contenta di uscire con Albus. Veramente.» L’ansia attanagliò la mia pancia in una stretta. «Ma temo che non riuscirò mai ad essere naturale se nei paraggi c’è Scorpius Malfoy. Temo che non riuscirò mai a liberarmi del tutto del debole che ho per lui.»
Jeanie si spinse gli occhiali alla base del naso. I capelli biondi ondeggiarono. «Non vedo il problema.»
Sgranai gli occhi e la fissai, sconcertata.
Non vedeva il problema.
Mi immaginai sposata, sorridente, fede al dito e grembiule allacciato, di fronte a una tavola con la colazione imbandita. Un bacio sulla guancia di mio marito, che si aggiusta la cravatta. Una carezza sulla testa dei miei pargoli, che prendono lo zaino per la scuola. La perfetta famiglia Mulino Bianco. Mio marito si alza, mi bacia e agita la mano in segno di saluto. Con lui escono anche i bambini. E non appena la porta si chiude slaccio il grembiule, lo getto per terra, corro in camera e spalanco le porte dell’armadio. Dentro c’è Scorpius Malfoy in boxer verdi e argento. Schiude la bocca e si passa la lingua sulle labbra. «Passare la notte qua dentro è stata una delle peggiori esperienze della mia vita. Direi che ora è il momento di ricompensarmi a dovere.»
Gemetti. Mi infilai le mani tra i capelli e li strinsi così forte da farmi male. «Jeanie, come fai a non vedere il problema? È un disastro!»
«In effetti, Jeanie, ha ragione lei» disse Chelsea. Si grattò la punta del naso. «Non è una cosa granché onesta nei confronti di Albus.»
«Ecco!» Tirai i capelli. Sentii qualche piccolo strap.
«Vabbé, dai Serena… Non è il caso di disperarsi così.» Chelsea mi posò una mano sulla spalla. «Non è la situazione ideale, ma quel che importa in fondo è come tu decidi di comportarti. Nessuno ti costringe a far niente, devi comportarti come pensi sia giusto per te, non per fare contenti gli altri.»
«E inoltre» disse Jeanie, «hai un debole per Malfoy, va bene. E quindi? Se vuoi puoi conviverci.»
«A maggior ragione per il fatto che lui non ti ha mai cagata di striscio» aggiunse Chelsea.
Jeanie alzò gli occhi al cielo. «Bonjour finesse, Chelsea.»
Sentii una stretta al petto. Lasciai i capelli. Posai le mani in grembo. «È vero, io non piaccio a Scorpius.» Deglutii. «Ne ho la certezza.»
«E anche se tu dovessi piacergli» disse Jeanie, «non sei mica sposata. Puoi cambiare bandiera quando vuoi.»
«Questo non è molto bello da dire» fece Chelsea.
«Non è più giusto che si senta libera di fare quello che vuole?»
«Ovvio, ma non cambiare le carte in tavola. Per Merlino, se lei ha un debole per Scorpius e sta con Albus…»
«Non è un passatempo» intervenni. Chelsea e Jeanie si girarono verso di me. Afferrai una manica del maglione e iniziai a torcerla intorno alla mano. «Cioè… Adesso, con me, lui si comporta bene. E passare il tempo con lui mi piace.» Mi coprii le mani con le maniche. «È che mi sembra disonesto star bene con lui, e voler passare del tempo con lui…»
«… quando ogni volta che vedi Scorpius vorresti saltargli addosso?» concluse Chelsea.
Guardai Chelsea con aria implorante. «Sei brutale…»
Jeanie spinse gli occhiali fino alla base del naso. Guardò me e Chelsea e incrociò le braccia. «Voi vedete le cose da un punto di vista sbagliato. Serena, a te fa piacere passare del tempo con Potter?»
«Be’, sì…»
«Ti diverti quando esci con lui?»
Mi strinsi nelle spalle. «C’è un po’ di imbarazzo, non so mai bene di cosa parlare…»
«Ti diverti?»
Abbassai gli occhi sulla punta delle mie scarpe nere. «Abbastanza, sì.»
«Allora non farti prendere da istinti animali indegni di te quando c’è Scorpius nei paraggi, e quando è nei paraggi non pendere dalle sue labbra come fai di solito, ed è a posto così.»
«Io non pendo dalle sue labbra…»
Jeanie mi scrutò da dietro le spesse lenti degli occhiali. «Certo che no.» Sollevò le sopracciglia. «Cosa dovevo dire dopo aver usato del sarcasmo? Bazinga?»
Mi sentii stringere il cuore e un nodo mi chiuse la gola. «Non è divertente, Jeanie.»
Jeanie sbuffò. «Senti, stare qui a parlarne per ore è una perdita di tempo. Sei stata contenta quando Potter ti ha chiesto di uscire seriamente. Benissimo. Sappi che puoi fare marcia indietro quando vuoi. Ti senti in colpa a causa di Malfoy? Secondo me non ha senso, perché se tu continuassi a uscire con Potter magari dopo sei mesi non sapresti più nemmeno che faccia ha Malfoy. In caso contrario se uscire con Potter ti sembrerà insopportabile lo puoi lasciare. Fine della storia.»
Chelsea mi diede qualche pacca sulla spalla. «Non sono del tutto d’accordo con Jeanie, ma una cosa vorrei comunque dirtela.»
Alzai gli occhi sul viso grassoccio e roseo di Chelsea. Mi sorrise. Il nodo alla gola si allentò. «Dimmi.»
«È vero che i Potter non ti sono mai stati molto simpatici.» Chelsea strinse con delicatezza la mia spalla. «Ma è anche vero che tu sei una persona che, come dire… Vede del buono in tutti. Forse è anche per questo che non ti scaldi mai e non ti arrabbi mai con nessuno. Albus Potter però è l’unica persona, finora, ad aver suscitato in te reazioni forti. Ci hai mai pensato? Vorrà ben dire qualcosa. Quando ti ha chiesto di mettervi insieme, a quanto hai detto, non hai pensato a Scorpius. Sbaglio?»
Scossi il capo.
«No? Bene. Tu in quel momento hai detto di sì senza pensare a Scorpius, all’essere Tassorosso e Serpeverde, all’essere Purosangue o nati Babbani. Tutte queste cose le hai pensate dopo, a mente fredda. In quel momento hai fatto una scelta d’istinto e l’istinto ha detto sì, perché sentivi che era quello che volevi. Non essere pessimista pensando a problemi che ora non ci sono e che forse neanche ci saranno mai. Magari non è bellissimo che tu abbia un debole per Malfoy, però, insomma, non è giusto che rinunci così a una cosa che in fondo sai che ti fa piacere. No?»
«Stiamo dicendo la stessa cosa con parole diverse» fece Jeanie. «Solo che io l’ho detta meglio.»
Chelsea fece una smorfia e fece la linguaccia a Jeanie.
Mi liberai dalle maniche e presi la mano di Chelsea, ancora sulla mia spalla. Lei mi strinse la mano e mi sorrise. Guardai Jeanie e lei, seria, mi fece un cenno di assenso col capo. I lunghi capelli dorati ondeggiarono intorno alle sue spalle.
Be’, dopotutto, forse ce la potevo fare.

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Capitolo 47
*** Dove si impara ad affrontare il trauma della prima lezione, dove si assiste ad una prova di forza e dove si scopre che anche se Serena Latini vede del buono in tutti non tutti vedono del buono in lei. ***


Dove si impara ad affrontare il trauma della prima lezione, dove si assiste ad una prova di forza e dove si scopre che anche se Serena Latini vede del buono in tutti non tutti vedono del buono in lei.
 
 
 
Quando mai avevo pensato di potercela fare?
Non odiavo il lunedì: lo detestavo con tutta me stessa. Più del Pacco in ritardo. Più dell’odioso tema che Lumacorno ci aveva dato. Più delle interrogazioni a sorpresa. Più delle cinquanta sfumature di Activia che Jeanie mi rifilava da leggere.
E quel lunedì sarebbe stato ancora peggiore, perché ci sarebbe stata la mia prima lezione del mio primo giorno della settimana del mio primo giorno feriale da fidanzata.
A colazione, in un momento in cui mi ero voluta particolarmente male, avevo inciso sul pane tostato una data. 22.01.2022. Quando ero rinsavita ero stata presa dal panico e avevo annegato il pane nel latte.
E ora ero al freddo e al gelo nell’aula di Pozioni, seduta ad un tavolo, pronta a saltare come un grillo nel caso in cui avessi sentito il mio nome. Alcuni Tassorosso erano già entrati in aula. Cunningham mi guardò, poi andò a sedersi in prima fila. Una fitta mi strinse il cuore. Che bello, nel caso in cui l’ansia non mi bastasse avevo pure una buona scorta di senso di colpa, olè. Mi costrinsi ad osservare la lavagna. Coi nervi a fior di pelle aspettavo.
I palmi delle mani sudavano, e aspettavo.
Il cuore batteva veloce, e aspettavo.
«Serena?»
La gola mi si chiuse e rantolai. Mi voltai.
Albus mi fece cenno da un tavolo dell’ultima fila. «Non davanti, qui, qui…»
Raccolsi la borsa e mi diressi verso di lui. Albus si scostò per farmi posto. «Lo sai che ci sediamo sempre dietro.» Mi sorrise. «Non dovrò chiamarti ogni volta, vero?»
Feci un respiro profondo. Mormorai:  «No.»
Albus non smise di sorridermi. Posai la borsa sul tavolo e gli accennai un sorriso anch’io.
Era felice. Albus era davvero felice. Si capiva da lontano un chilometro.
Con la coda nell’occhio notai che qualcun altro entrava in classe.
Scorpius Malfoy.
Dietro di lui intravidi una figura dai lunghi capelli biondi e lo stomaco mi si strinse.
«Oh, si siede anche lei con noi?» fece Rosemary. Si passò una mano sulla tempia e ravvivò i capelli biondi.
«Sì, si siede anche lei con noi» disse Albus.
Rosemary passò oltre Albus, lasciò un posto vuoto e posò la borsa. Era il posto più lontano possibile da me. Ad un tratto si girò verso di me e i lunghi capelli biondi sfiorarono il tavolo. Fece una smorfia che interpretai come un sorriso stiracchiato. «Sei sicura di stare bene qui? Non ti senti a disagio tra noi Serpeverde?»
Ok. Bene. Così scema non lo ero nemmeno io. Era un gentile (si fa per dire) invito ad alzare le chiappe e ad andarmene. Lanciai un’occhiata di sbieco ad Albus, ma lui stava tirando fuori le cose dalla borsa. Non poteva rispondere al posto mio. Mannaggia.
 «Ehm. Credo…» Abbassai gli occhi sul tavolo e col dito seguii una venatura del legno. «Credo che resterò qui, ma grazie mille per la premura.»
Rosemary mi fissò qualche secondo. «Va bene, come vuoi. A me non cambia nulla, lo dicevo per te.»
«Grazie mille» mormorai. «Gentilissima.»
Rosemary si rivolse a Scorpius. «A proposito di gentilezza, grazie ancora per l’aiuto. Certo che Lumacorno poteva risparmiarcelo questo tema… Non mi ero proprio ricordata che la Felix Felicis poteva avere così tante controindicazioni!»
Scorpius tirò fuori dalla borsa calamaio e penna. «A buon rendere, spero.»
Giusto, il tema. Mi affrettai anch’io a tirare fuori le pergamene.
E intanto Gas Gas iniziò a correre sulla ruota. Nel mio cervello calarono le luci. Il videoproiettore si attivò. Rividi il giorno in cui io, Chelsea e Jeanie eravamo andate a vedere gli allenamenti della squadra di Serpeverde. Il capitano dava una pacca sulla spalla di Malfoy. «Ehi, Malfoy, hai cambiato bionda? Per Merlino, come sei monotono…»
L’unica bionda che io avessi mai visto girare attorno a Scorpius era Rosemary. Se aveva “cambiato bionda”, allora a rigor di logica poteva solo significare che lui e Rosemary si erano lasciati.
Sbirciai Rosemary e Scorpius. Rosemary sorrideva, gli occhi dorati fissi su Scorpius, e si passava le dita tra i capelli biondi.  Che fosse quello che la gente normale chiamava civettare?
Forse dovevo provare anch’io a fare conversazione con Albus.
Passai le dita sulla pergamena ruvida. Cosa gli potevo dire? Cosa lo poteva interessare? «Ehm… Albus?»
«Sì?»
Avvampai. «Q-quand’è la prossima partita di Serpeverde?»
Albus raddrizzò la schiena. «Serpeverde contro Tassorosso, dici? La finale? Oh, tra un bel po’, prima ci sarà la Grifondoro-Corvonero, per il terzo posto.» Mi lanciò un’occhiata e sollevò un sopracciglio. «Per chi pensi di tifare, tu? Tassorosso o Serpeverde?»
«Oh.»
Bella domanda. Tassorosso, la mia Casa, o Serpeverde, la Casa del mio…
Il cuore rischiò di saltarmi fuori dalla gola. Trattenni il fiato. Lo lasciai andare pian piano.
Quindi, stavo dicendo: Tassorosso, la mia Casa, o Serpeverde, la Casa del mio ragazzo?
Guarda, la verità è che non me ne frega niente del Quidditch. Era un modo come un altro per far conversazione, sai com’è.
Presi un respiro profondo. «Ecco… Non saprei.» Che risposta scema. «È un bel dilemma» aggiunsi.
Capacità di intrattenere una conversazione: 100%, Serena. Certamente. Credici.
Il brusio in classe si affievolì. La figura rotonda di Lumacorno oltrepassò la porta. Il professore arrancò nello spazio tra i banchi e si diresse verso la cattedra.
«Buongiorno, buongiorno» Lumacorno tossì e dalla sua gola emerse il suono rauco del catarro che si stacca. Storsi il naso. Il prof arrivò alla cattedra e inforcò gli occhiali. «Bene, bene. Cosa c’era per oggi? Un tema di almeno due pergamene e mezzo sui veleni, giusto? Con antidoti, pozioni potenzialmente velenose, eccetera.» Posò la mano sulla gola e si schiarì la voce. Strinse gli occhi dietro le lenti. «Bene, portate qua i temi. In ordine, per favore… Adams? Cunningham? Davies?»
Cunningham, un Tassorosso e una Serpeverde si alzarono. Fissai le pergamente sul tavolo. Chissà se il tema sarebbe andato bene. Lumacorno andò avanti con la lista finché non chiamò anche Rosemary.
«Finch-Fletchley? Higgs? Jarvis?»
Rosemary si alzò e la sua bionda chioma si scosse. Swish.
Era pronta per la pubblicità dello shampoo Pantene.
Rosemary girò intorno al tavolo e si avviò verso la cattedra.
Albus si sporse verso Scorpius. «Quanto durerà stavolta?»
«Finché non trovo di meglio. O finché non mi stufo.»
«Stufati presto, ti prego» sogghignò Albus. Scorpius sbuffò e sorrise con aria superiore.
Rosemary tornò al banco e si sedette di nuovo di fianco a Scorpius.
Spostai lo sguardo da Albus a Scorpius. Tornai a guardare il tavolo.
Finché non trovava di meglio o finché non si stufava? Quindi Rosemary e Scorpius erano ancora insieme? Insomma, almeno finché Scorpius non si stufava…
«Latini? Malfoy? Nott?»
Scattai in piedi come una molla. Afferrai le pergamene e le strinsi. Dovevo fare da aprifila? Dietro di me ci sarebbe stato Scorpius. E se fossi inciampata? Nelle mie orecchie iniziai a sentire un leggero fischio.
Albus mi diede un colpetto sul gomito. «Vai.»
Lo guardai e lui mi restituì un’occhiata rassicurante. Alzai lo sguardo verso Lumacorno e uscii dal banco. Andai a passo di marcia verso la cattedra, posai le pergamene e tornai indietro. Non appena mi sedetti ricominciai a respirare.
Finimmo di consegnare i temi e la lezione iniziò. Stranamente non ci fu alcun incidente. Questo anche per merito di Albus, che mi impedì per ben tre volte di aggiungere ingredienti sbagliati alla mia pozione. Alla fine delle due ore un tremendo senso di colpa mi attanagliava le viscere sia quando guardavo Cunningham che quando guardavo Albus. Albus era un tesoro con me, mentre io sembravo solo una bambina che aveva bisogno di un baby sitter. Raccattai le mie cose e le ritirai alla meno peggio. Sul lato anteriore della borsa comparve un grosso bozzo. Probabilmente avevo infilato male il calamaio. Chissenefrega. Potevo metterlo a posto in Sala Comune visto che avevo un’ora buca prima di pranzo. Afferrai il libro di Pozioni.
«Hai da fare domani mattina?»
Il libro mi sgusciò via dalle dita e con un tonfo sordo si schiantò a terra.
Una cascata di capelli biondi scese sul libro. Incrociai gli occhi dorati di Rosemary. Lei si rialzò e mi tese il volume.
«Fai attenzione, potresti farti male.»
Tesi le mani e afferrai il libro. Sbattei le palpebre. «Sì.»
Rosemary mi aveva raccolto il libro? Per davvero? Era un gesto gentile nei miei confronti. Ripensai alla sua battuta di poco prima, quando mi aveva detto che forse non sarei stata bene tra i Serpeverde. Allora ero paranoica io, visto che la sua era stata solo un’osservazione innocente? Rosemary fece un cenno di saluto, prese a braccetto Scorpius e insieme uscirono dall’aula.
Una mano si posò sulla mia spalla. «Ehi, guarda che se non ti va di uscire puoi dirlo.»
Sussultai. Mi voltai a guardare Albus. «Scusa…» Mi morsi il labbro e strinsi il libro di Pozioni al petto. «Riflettevo.»
In classe eravamo rimasti solo noi, quattro Tassorosso che ridevano insieme e un Serpeverde in prima fila. Albus lanciò un’occhiata all’aula quasi vuota, poi mi guardò negli occhi. «Su cosa?»
Arrossii. Cercai di non abbassare lo sguardo e guardai anch’io Albus negli occhi. Un secondo dopo mi ritrovai a fissare il tavolo. «Pensavo… Che non vedo mai Rosemary con altre ragazze. Non ha amiche a Serpeverde?»
Albus sbatté le palpebre. Sembrava sorpreso. «Non lo so. Non mi sono mai posto il problema.»
«E non ha amiche di altre Case?»
Albus si strinse nelle spalle. «Non ne ho idea. Perché me lo chiedi?»
«È sempre da sola.» Distolsi lo sguardo da Albus e ritirai il libro nella borsa.
«Be’, se sta da sola è perché sta meglio così. Se volesse compagnia la cercherebbe.»
Strinsi le labbra e chiusi la borsa. Ripensai a me stessa al primo anno. Se Chelsea non mi fosse stata sempre appiccicata di sicuro avrei avuto molte più difficoltà a imparare l’inglese. E se non mi fossi ostinata io a sedermi sempre accanto a Jeanie, a Babbanologia, probabilmente non sarei mai riuscita a convincerla che saremmo potute davvero diventare amiche.
«Magari Rosemary ha solo bisogno, ehm… Di un incentivo.»
Albus alzò le spalle. «Magari. Ma allora domani sei libera o no?»
«Oh!» Già, mi aveva chiesto se avevo da fare. Riaprii la borsa e presi il foglietto degli orari. «No, mi dispiace. Mattinata piena di Corvonero. Sono libera nel pomeriggio.»
«Al pomeriggio sono occupato io» fece Albus. In aula entrarono alcuni Grifondoro. Forse ci stavamo attardando troppo. Ci scambiammo uno sguardo e insieme ci avviammo fuori dall’aula.
«E ora, prima di pranzo, hai da fare?» insistette Albus.
Una folla di ragazzini Grifondoro e Corvonero ci veniva incontro. Incassai la testa nelle spalle e mi guardai intorno. Forse conveniva lasciarli passare. Mi avvicinai al muro e Albus mi imitò. «Non saprei, pensavo di andare in biblioteca… Dobbiamo prepararci per un test pratico, così…»
«Se è un test pratico la biblioteca a che ti serve?» replicò Albus. «Dai, facciamoci una passeggiata.»
Annuii, incapace di rifiutare. Al diavolo il test pratico, tanto sarei andata malissimo comunque.
La folla di ragazzini ci oltrepassò. Solo un gruppetto rimase indietro. Una ragazza stava con le spalle al muro. Strinsi gli occhi per mettere meglio a fuoco. Riconobbi la massa di capelli neri e la corporatura esile.
«Quella là non è Candice?»
«Chi?» Albus si tirò in punta di piedi.
«La sorellina di Chelsea.»
«Ah.» Albus arrossì. «Quella che mi ha chiamato sogliola.»
Provai un moto di imbarazzo. Ricordai la scena da Madama Piediburro. No, no, bisognava tornare su un terreno neutro. «Ha l’età di tua sorella, giusto?»
«Credo di sì.»
Candice gesticolò verso i suoi interlocutori. Erano cinque, due ragazze Grifondoro e tre ragazzi, un Grifondoro e due Corvonero. L’espressione truce di Candice mi diceva che qualcosa non andava.
«Perché resti a guardarli?» chiese Albus. «Dai, andiamo…»
Mi morsi il labbro. «Non sono sicura che sia tutto a posto.»
Il ragazzo Grifondoro tese una mano e tutti, eccetto Candice, gli misero qualcosa di luccicante nel palmo.
«Sono ragazzini» insistette Albus. «Abbiamo solo un’ora prima di pranzo e loro sono già in ritardo per la lezione, tra poco entreranno di sicuro in aula…»
Mi girai verso Albus e strinsi il manico della borsa. Era il momento di sfoderare il Fascino Femminile. Gli lanciai uno sguardo implorante. «Per favore…»
Albus arricciò il naso e incrociò le braccia. «Come vuoi.»
I cinque si distanziarono da Candice. Candice si girò in modo da avere il viso rivolto verso la parete. Arretrò di qualche passo e alzò le mani.
«Cosa…»
Candice si piegò e con uno slancio i talloni finirono contro il muro. La gonna scivolò lungo le gambe rivelando le collant nere e le mutande scure.
Dalla gola mi uscì uno squittio acuto. La borsa mi scivolò dalla spalla e atterrò con un tonfo sul pavimento di pietra. I ragazzi si girarono verso di me e mi guardarono male. Candice si piegò di nuovo e tornò coi piedi a terra.
«Oh mio Dio… Albus!» Puntai l’indice nella direzione di Candice e mi girai verso Albus, che in faccia era rossissimo. «Hai visto? Hai…»
«Ma è impazzita per caso?»
«Non lo so, non…»
«Lo rifà!»
Mi girai. Candice era di nuovo in verticale lungo la parete, le gambe in aria. La gonna era scesa lungo la vita e i capelli neri arrivavano fino al pavimento.
I suoi gomiti si piegarono.
«Cade!» gemetti.
Invece Candice raddrizzò i gomiti. Il maglione grigio impediva di vederne le braccia, ma il suo viso era rossissimo. Piegò di nuovo i gomiti, e le sue gambe tremarono. Li raddrizzò. Li piegò ancora.
«Tre» contò Albus.
Si piegarono.
«Quattro.»
Si piegarono.
«Cinque.»
Una gamba di Candice scese a terra e lei tornò in piedi, le braccia tese verso l’alto. Il viso era rosso come un pomodoro e ansimava. Il ragazzo Grifondoro fece una faccia soddisfatta e tese la mano a Candice. Lei aprì la sua e sul palmo scivolarono cinque monete d’oro.
«Fa le flessioni in verticale» mormorai, sconvolta.
«Se me l’avessero detto» fece Albus, «non ci avrei creduto.»
Scossi la testa. «Nemmeno io.»
Candice infilò le monete nella borsa, si passò una mano tra i capelli e iniziò a marciare verso l’aula. Il gruppetto di Grifondoro e Corvonero la seguì. Una Grifondoro coi capelli legati in una coda la fissava con aria adorante. Candice ci venne incontro e ci passò davanti.
«Ciao, eh.»
«Ciao, Candice» la salutai. Albus fece un cenno col capo. Candice e il gruppetto entrarono in aula.
«Posso essere sincero?» fece Albus.
«Dimmi.»
«Preferirei affrontarla in un duello di magia piuttosto che fare a botte con lei.»
Mi sfuggì una risatina nervosa. Diceva questo perché Candice fisicamente era un portento o perché sapeva che non se la cavava bene con la magia? Decisi che preferivo non saperlo. Mi chinai a raccogliere la borsa.
«Aspetta» fece Albus. «Ti è caduto qualcosa.» Raccolse un bigliettino e me lo tese.
«Oh, grazie.» Presi il bigliettino. Non lo riconobbi, così lo lessi.
 
Di Case Hogwarts ne ha ben quattro
ma per tre di loro ci vorrebbe lo sfratto:
in una c’è un’analfabeta biondona,
in un’altra c’è una botte cicciona,
e nella terza… Chi? Ce n’è una ancora?
Una Tassa tappa e piagnucolona.

La cocca di Paciock sta per arrivare,
lei qualunque cosa potrà fare
senza temere la punizione
dello studente che salta la lezione.
 
Il cuore iniziò a battermi all’impazzata, eppure mi sembrò di sentire le dita delle mani diventare gelate. Il respiro mi venne a mancare, così aprii la bocca alla ricerca di aria.
Analfabeta biondona, botte cicciona e tappa piagnucolona. Non mancava niente.
Gli occhi mi si riempirono di lacrime.
«Serena?» La voce di Albus mi raggiunse. «Tutto bene? Stai tremando.»
Fissai il bigliettino. Non riconobbi la calligrafia. Non era stropicciato, quindi non poteva neanche essere nella mia borsa da giorni. Era roba recente.
«Serena?»
Il bigliettino mi si sfilò dalle dita. Albus lo girò e lo lesse. Le sue sopracciglia scure si avvicinarono.
«Queste bambinate» borbottò Albus. «Da quando ti hanno presa di mira?»
Iniziai a sentire il naso tapparsi. Avevo vergogna a cercare un fazzoletto, perché sarebbe stato come ammettere che stavo per scoppiare a piangere. « È il primo…» La mia voce era roca, così la schiarii. «Cioè, è la prima volta. Che mi capita, dico. Ma non so chi…»
Perché scrivere un biglietto per insultare me, Jeanie e Chelsea? Che avevamo fatto di male? Mi accorsi che un luccicone stava per strabordare, così lo asciugai col dorso della mano.
Albus alzò gli occhi dal bigliettino e arrossì. Girai un po’ la testa, sperando che non notasse gli occhi gonfi di lacrime.
Lo sentii tirare un respiro. «Sono scherzi scemi. Non ci devi pensare, o chi ha scritto il bigliettino penserà di essere riuscito nel suo intento.»
Annuii. In realtà non ne ero per nulla convinta. Afferrai una manica del maglione e la torsi. «Non ce l’hanno solo con me. Nel bigliettino…» La voce mi si abbassò. La schiarii di nuovo. «Scusa, nel bigliettino… Si capisce che non sono l’unica. Con cui ce l’hanno.»
Albus guardò ancora il bigliettino. Lo teneva tra pollice e indice, quasi come se non volesse toccarlo più del necessario. «Se sei preoccupata dillo alle tue amiche… La Joy e la Shields.»
«Oh, no!» esclamai. Dalla manica del maglione sentii un piccolo strap.
Albus sbatté le palpebre e mi fissò perplesso. «Come no? Questo è uno scherzo stupido, ma le riguarda. Poni il caso che cerchino di far loro qualche scherzo nei corridoi. Se lo sapessero potrebbero stare attente, no?»
Mi tornò in mente il viso rosso di Jeanie quando i parenti di Cunningham l’avevano insultata. E Chelsea che inseguiva Candice nel campo da Quidditch finché non crollava a terra stremata. Scossi il capo. «Non potrei mai dirglielo.»
Albus sollevò le sopracciglia. Sembrava scettico, così aggiunsi: «Ci rimarrebbero troppo male.»
«Preferisci che glielo dica io al posto tuo?»
«No, per favore. Non dire niente.»
Albus dondolò da un piede all’altro. «Come vuoi» disse. «Ma secondo me sbagli.»
 
 
Nota dell’Autrice: la me maniaca è andata a cercarsi sul calendario del 2022 le date disponibili per il giorno di sabato. Se avessi fatto qualche errore di calcolo fatemelo sapere. ♥ Buon Natale!

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Capitolo 48
*** Dove Rosita mostra di avere un certo talento nel riscaldare l’atmosfera. ***


Dove Rosita mostra di avere un certo talento nel riscaldare l’atmosfera.

 

Inspirai una boccata di aria gelida. Tirai la sciarpa gialla e nera su fino al naso. Mannaggia a me e alla mia paura di arrivare in ritardo. E in particolare alla paura di arrivare in ritardo da Paciock.
Ripensai al bigliettino in rima che avevo trovato con Albus e sentii una stretta allo stomaco. Questa sarebbe stata la nostra seconda lezione insieme. E alla fine non avevo detto nulla a Chelsea e a Jeanie.
La cocca di Paciock. Unii le mani avvolte nei guanti e ci soffiai dentro. Pregai che la lezione si svolgesse senza nessun incidente o scherzo stupido.
Continuai a proseguire lungo il sentiero. Come facevano a pretendere che noi ragazze uscissimo con solo delle calze a coprirci le gambe? Roba da matti. Premetti la sciarpa contro il naso e inspirai l’odore della lana. Almeno quella riusciva a trattenere un po’ di calore. Meno male che le serre di Erbologia erano vicine.
Raggiunsi la porta. Non vedevo nessuno. Ero la prima. Ancora qualche secondo e sarei stata al caldo. Afferrai la maniglia e la girai.
La porta non si aprì.
Come?
La girai ancora e scossi la porta. Rimase chiusa.
Perché? Perché era chiusa? Tirai fuori la bacchetta e la puntai sulla serratura. «Alohomora
La punta della bacchetta brillò, ma la serratura non si aprì.
Battevo i denti. Mi sfregai le braccia avvolte dal cappotto. Diavolo! Perché non funzionava? Avevano incantato la porta per non far imboscare gli studenti? Mi tolsi un guanto e afferrai la bacchetta a mani nude.
«Alohomora
La bacchetta brillò ancora. Afferrai la maniglia gelata e la girai.
Niente.
«Li mortacci loro…» Rimisi il guanto e mi sfregai ancora le braccia. Decisi di fare due passi. Camminare avanti e indietro non era un’alternativa paragonabile al calduccio della serra, ma era meglio che niente. Feci qualche passo. Un movimento alla mia sinistra attirò la mia attenzione.
Mi sfregai gli occhi coi guanti di lana finché non li sentii bruciare. Li riaprii.
Era una gallina.
Sbattei le palpebre. Era proprio una gallina.
La gallina girò la testa di profilo e mi guardò. Fece un passo e la testa scattò in avanti.
Cosa ci faceva una gallina ad Hogwarts? Forse dietro le serre c'era un pollaio e non lo sapevo?
Ci pensai. L’unica gallina con cui io avessi mai avuto a che fare era il pollo che avevo mangiato la sera prima.
Gas Gas nella mia testa fermò la ruota e osservò la gallina. Afferrò un chicco di mais. Ehi coccodè, che ti credi?
Ero perplessa. Mi grattai una guancia. Sì, mi sembrava di sentire il ruvido della lana sulla pelle, quindi potevo ragionevolmente supporre di non star sognando. E anche un certo dolore alle dita gelate di mani e piedi mi dava quel non so che in più che mi permetteva di crederlo.
La gallina fece un altro passo verso di me. Aprì le ali rosse e fu scossa da un fremito.
Povera bestia. Magari aveva freddo. Forse era il caso di portarla da qualche parte. Ma dove? Dal guardiacaccia era troppo lontano. Sarei arrivata in ritardo a lezione. La cosa più semplice da fare era prenderla e abbandonarla nel Salone d’Ingresso. Di certo lì qualcuno l’avrebbe vista.
E quindi si poneva un altro problema. Come avvicinare la gallina?
Mi accucciai per terra e tesi la mano verso di lei. «Rosita... Rosita bella... Sono sicura che le tue uova sono buonissime, uova d’oro, sì, brava gallina… Vieni che ti porto da Banderas…»
La gallina fece scattare in avanti la testa. Raspò il terreno e beccò qualcosa.
«Dai, Rosita, pucci pucci.»
Qualcosa mi diceva che non sarebbe stato così facile prenderla. «Ciapa la galeina, ciapa la galeina, ciapa la galeina, coccodé…»
La gallina mi guardò. Fece un passo in avanti.
«Brava Rosita…»
Aprì il becco e sputò fuoco.
Persi l’equilibrio e finii col sedere nella neve gelata. Scalciai e mi trascinai indietro con le braccia. «Aiuto!» Mi tirai in piedi e arretrai.
La neve intorno alla gallina si era sciolta. Ora il pastrocchio di neve calpestata si era trasformato in una pozzanghera.
Rabbrividii e fissai la gallina lanciafiamme.
Venusaur usa Solarraggio! Solarraggio si sta caricando!
Gallina nemica usa Lanciafiamme! È superefficace! Venusaur è esausto!

«Porco cane» feci.
Tirai fuori la bacchetta. Peccato che il mio braccio tremasse come una foglia.
Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie.
Grazie, Ungaretti. Sempre incoraggiante.
La testa della gallina scattò in avanti. Sobbalzai e feci un passo indietro.
La gallina fece un altro passo. E spalancò il becco.
La vampata di calore mi investì. Lanciai un grido e alzai le braccia per proteggermi.
«Pietrificus Totalus
Il calore scomparve. L'aria fredda mi pizzicò le guance. Riaprii gli occhi e sbirciai. La gallina, ora color grigio pietra, era sdraiata su un fianco. Il becco era ancora spalancato.
Guardai accanto a me e al mio fianco vidi James Potter.
Gli arrivavo sì e no al petto. Avevo la sensazione che incombesse su di me. Mi lanciò uno sguardo severo, le sopracciglia corrucciate. «Cribbio, Latini. Ti fai spaventare da una gallina?»
Il dolore acuto ai denti mi fece capire che stavo respirando con la bocca. Probabilmente stavo fissando come un’ebete James Potter.
James Potter storse la bocca. «Direi che la risposta è sì, ti fai spaventare da una gallina. D’altro canto se tu fossi coraggiosa saresti a Grifondoro.»
Risposta istintiva. Cavolo, che deduzione geniale. Geniale, veramente! Non credevo che fossi capace di tanto!
Risposta che diedi: «Già.» Spostai la lingua e ci affondai un molare.
Taci, Serena. Per l’amor del cielo, taci. Gli hai già dato dell’impotente una volta. Be’, più o meno. “Impotente” sarebbe una buona alternativa… Deglutii. «Be’, grazie... Potter.» Feci violenza su me stessa e aggiunsi: «Ti devo un favore.»
«Figurati.» James fece roteare la bacchetta tra le dita e poi l’afferrò per il manico. «Ho saputo che ti sei messa con mio fratello.»
Mi sentii ribollire e ogni goccia del sangue che avevo in circolo affluì sul viso.
«Sembra che questo sia un sì.»
Bene, James Potter e Candice avevano qualcosa in comune, tipo la delicatezza di una mazzata sui denti. Mi morsi di nuovo la lingua per impedirmi di parlare.
James Potter si passò una mano tra i capelli neri e la sua espressione si fece truce. «Cribbio, è possibile che per cavarti una parola di bocca ci vogliano le tenaglie?»
Si stava arrabbiando? Panico. Tirai la sciarpa gialla e nera su fino al naso per nascondermi il più possibile. «Ehm… Già.» Deglutii e abbassai lo sguardo sulla gallina pietrificata. «Non sono molto brava a farmi degli amici.»
«Eppure tu e il tuo inseparabile trio siete sempre appiccicate. Sempre insieme a ridacchiare per qualcosa. Ah, no, la bionda no, in effetti quella lì è inquietante…»
Sorrisi. Fui contenta che ci fosse la sciarpa a coprirmi.
«E anche la sorella della tua Shields non è troppo a posto. Non avevo mai incontrato una quattordicenne così prima d’ora. E dire che ho ben due cugine con sangue Veela…»
Iniziai a sospettare che non fosse il gene Potter a rendere pettegoli, bensì il gene Weasley. Ora sapevo perché James andava d’accordo con Rose.
Mi schiarii la voce. «Ehm. Della gallina cosa ce ne facciamo?»
James sgranò gli occhi. «Oh! Sai parlare allora! Questa sì che è nuova!»
Avevo provato rimorso per la battuta che gli avevo fatto sull’Espresso di Hogwarts? Davvero? Impossibile...
«Sì, be’» fece James. Si passò una mano tra i capelli neri. «La porterò da Hagrid.»
Si avvicinò alla gallina pietrificata e se la mise sotto il braccio. «Ci si vede.»
Si avviò lungo il sentiero di neve battuta, verso la capanna del guardiacaccia. Osservai la sua schiena allontanarsi.
E io che pensavo di stargli sulle scatole. Invece mi aveva aiutata. Forse era così anche per Rosemary: pensavo di starle antipatica, e invece avevamo qualche possibilità di essere amiche. Oppure era Grifondoro ad essere una strana Casa.

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Capitolo 49
*** Dove si snodano molto approssimative lotte per il potere e dove si conia un nuovo motto con una rima in romano. ***


Dove si snodano molto approssimative lotte per il potere e dove si conia un nuovo motto con una rima in romano.



Passare svariati minuti di fronte ad una serra chiusa a battere i denti dopo aver lottato contro una gallina lanciafiamme mi fece riflettere. Giunsi ad una brillante conclusione: ero ridicola. Nessuna alunna normale arrivava a lezione prima del professore.
Eccetto Jeanie, forse. Ed eccetto Rose Weasley. E magari anche Sheldon Cooper, ma su di lui non ne ero sicura.
Cribbio, che banda di secchione che eravamo.
Ripensai al bigliettino e ai mormorii che avevo sentito in giro. No, non mi conveniva arrivare per prima alle lezioni di Paciock, altrimenti avrei fatto la figura della leccaculo. D'ora in poi sarei arrivata appena prima dell'inizio delle lezioni, a costo di rischiare di arrivare in ritardo.
Quando finalmente Paciock arrivò io ero ancora l'unica scema lì ad aspettare. Il professore aprì la serra e finalmente potei entrare. Sperai che Albus arrivasse presto, almeno non sarei più stata sola. Mi sistemai accanto a un tavolo e mi dondolai sulle punte dei piedi. Il calore che entrava nelle ossa era qualcosa di divino. L’umidità e l'odore del terriccio un po’ meno.
La porta si aprì ed entrò una folata di gelo. Comparvero alcuni Serpeverde e riconobbi Scorpius e Rosemary.
I Serpeverde si sparpagliarono per la serra. Cercai Albus con lo sguardo ma non lo trovai. Strano che non fosse con loro. Ancora più strano che non fosse con Scorpius. Perché?
Mi diressi verso Scorpius e Rosemary. Il mio cuore accelerò. Mi costrinsi a sorridere. Arrivai al tavolo e posai la borsa per terra.
Mi sfilai i guanti. «Ciao.» Sentivo le guance bruciare. Sorrisi ancora. «Albus arriva tra poco, vero?»
Rosemary infilò le mani dentro la propria borsa e abbassò la testa. I capelli biondi le scesero sulle spalle coprendole il viso. Scorpius storse la bocca.
Non mi rispondevano? Mi accorsi che il sorriso mi era rimasto stampato in faccia. Lo feci sparire. Rosemary tirò fuori il libro di Erbologia e lo sbatté sul tavolo. Il cuore mi saltò in gola.
Scorpius sospirò. «Albus arriva tra un attimo.»
Un'altra ventata di aria fredda. Era il gelo di quella conversazione o avevano aperto la porta?
Mi voltai. Un gruppo di ragazzi era entrato nella serra. In mezzo a loro vidi Albus.
Albus incrociò il mio sguardo e corrugò la fronte. Scosse il capo e con la mano mi fece cenno di avvicinarmi.
Non veniva in ultima fila con noi? Guardai Scorpius. Teneva in mano un vaso di fiori e scrutava il tavolo. Non mi degnò di uno sguardo.
Mi morsi il labbro. Forse Albus aveva bisogno di qualcosa. Mi diressi verso di lui. Alzai la mano e sorrisi per salutarlo.
«Oggi stiamo davanti.»
Rimasi gelata, la mano sospesa a mezz'aria. Un'ondata di irritazione mi travolse. Lasciai scivolare la borsa giù dalla spalla e cadde a terra con un tonfo. «Ciao, eh. Anch'io sono contenta di vederti.»
Albus arrossì. In quel momento provai una strana soddisfazione mai provata prima che aveva a che fare con un certo senso di rivincita.
«Scusami. Giornataccia. Stiamo qui oggi, per favore. Preferisco.»
Mi voltai a guardare Rosemary e Scorpius. Ora parlavano tra loro. Rosemary sorrideva e gesticolava con una mano. Tornai a guardare Albus. «È successo qualcosa?»
Albus aprì la borsa e tirò fuori il libro. «No, perché?»
Guardai ancora Rosemary e Scorpius. «È che... Credevo andassimo dietro con Rosemary e Scorpius.»
«Questa lezione è importante.» Albus aprì il libro. «Ci conviene ascoltare bene, altrimenti al prossimo test...»
Mi morsi il labbro. Accarezzai la foglia di una pianta e questa ebbe un fremito. «Mi sembra strano» confessai.
«Cosa c'è di strano?»
Spostai il peso da un piede all'altro. Avevo la sensazione che Albus mi stesse nascondendo qualcosa. Ma se iniziava a nascondermi le cose dopo pochi giorni che stavamo insieme allora eravamo a posto. No, non era possibile. Albus non l'avrebbe mai fatto. Doveva essere una mia impressione.
«Non ti sei mai messo lontano da Scorpius e Rosemary. Sembra che...» Afferrai la manica del maglione e la strinsi. «... che abbiate, tipo, litigato...»
Gli occhi di Albus saettarono su di me e io sussultai.
«No, non abbiamo litigato.»
Lasciai la manica del maglione. L'ennesima ventata di aria gelata mi disse che erano entrati altri studenti. O magari era un'altra volta il gelo della conversazione? «Ok, allora.»
«No, non è vero. Abbiamo litigato.»
Mi appoggiai coi fianchi al tavolo e mi guardai le scarpe. «Ehm... Non voglio essere invadente, ma... Se posso chiedere, per quale motivo?»
Albus sollevò un sopracciglio. «Te la faccio io una domanda.»
Sbattei le palpebre. Appoggiai le mani sul tavolo. «Dimmi.»
«Secondo te qual è il ragazzo che non permette alla propria ragazza di fargli una domanda?»
Una vampata di calore mi assalì. Strinsi il tavolo e sotto le dita sentii i granelli di terra. Ora probabilmente ero rossa come un pomodoro.
«Io e Scorpius non abbiamo proprio litigato. Solo che ci sono cose in cui, come dire... La pensiamo diversamente.»
«Ah.» Lasciai il tavolo e incrociai le braccia. «E cioè?»
Albus passò un dito lungo il margine del libro. «Ecco, lui e Rosemary stanno insieme. Quando non hanno di meglio da fare.»
Mi domandai cosa potesse avere di meglio da fare Scorpius Malfoy. Mi morsi la lingua. «Ok.»
«Solo che Rosemary ogni tanto è un po'... Un po' pesante, ecco.» Albus arrossì e girò una pagina. «E quando l'ho fatto notare... A Rosemary, intendo, lei se l'è presa. Ma Scorpius invece che ammetterlo ha deciso di non prendere le parti né dell'uno né dell'altro, e questo mi ha fatto un tantino incazz... Ehm, incavolare.»
«Ho capito.» Povero Albus. Non doveva essere bello aver litigato col proprio migliore amico. Ora capivo perché erano arrivati a lezione separati.
Abbassai lo sguardo sul libro. La mano di Albus era ancora appoggiata sulle pagine. Mi sentii ribollire. Mi sentii forte come un leone. Mi sentii audace.
Chiusi la mano e tesi l'indice. Con la punta del dito sfiorai l'indice di Albus.
Quando alzai la testa gli occhi verdi di Albus mi fissavano sorpresi.
Avvampai e nascosi la mano dietro la schiena.
Il professor Paciock si schiarì la voce. «Allora, ci siamo tutti? Bene. La scorsa lezione mi è stata fatta una domanda interessante sui legni delle bacchette e quindi ho pensato di spiegarvi alcune cose al riguardo. Prendete nota, fuori penne e pergamene...»
Scrivere sui tavoli delle serre era una tortura e nonostante questo Paciock non ebbe pietà: passammo due ore intere ad appuntare le qualità dei legni delle bacchette. A fine lezione avevo un tremendo mal di schiena.
«Sai cosa dobbiamo fare?» chiese Albus mentre infilava le pergamene dentro la borsa.
Ci pensai. «Non ricordavo avessimo impegni.»
«Ma no!» Albus chiuse la borsa. «Intendo dire, sai cosa ci vorrebbe per concludere bene la giornata?»
«Ah.» Presi il calamaio e osservai l’interno della borsa. «La merenda?»
«Un bel volo in scopa!»
Il calamaio mi sgusciò dalle dita e cadde a terra con un fragore cristallino. L’inchiostro schizzò ovunque.
«Merda!»
Fissai la pozza d’inchiostro. Dalla chiazza partirono mille rivoli neri che si fecero strada sul pavimento. Le mie mani erano ancora sospese in aria. Ma la cosa infinitamente peggiore era che il francesismo non era stato detto dalla mia voce.
Un brivido mi percorse la schiena. Non volevo alzare gli occhi. Ma dovevo. Strinsi i pugni finché non sentii le unghie bruciare nei palmi.
Alzai la testa.
Rosemary era di fronte a me. In quel momento capii cosa significava l’espressione “occhiata assassina”.
«Le mie calze!» Rosemary storse la bocca disgustata. «Si può sapere cosa ti è saltato in mente?»
Mi tirai in piedi. Le gambe mi formicolavano. «Scusa, Rosemary.»
Rosemary scostò i capelli biondi e alzò una gamba per guardarla meglio. «Puoi anche fare attenzione a quello che fai, sai? Guarda che razza di macchie!»
Erano questi i momenti in cui il detersivo Omino Bianco avrebbe fatto la differenza: le avrei potuto lavare la bocca col sapone, così avrebbe cambiato tono. Ma sapevo che aveva ragione. Una fitta di dispiacere mi strinse lo stomaco. Poi mi venne un'idea. Presi la bacchetta. «Se vuoi posso provare a smacchiarle...»
«Scherzi!» Rosemary sollevò le mani e indietreggiò. «Hai già fatto abbastanza per oggi, grazie mille!»
«Stai esagerando, Ros» disse Albus. «Non tirare troppo la corda.»
Rosemary gli scoccò un'occhiataccia. Albus ricambiò. Rosemary sbuffò e guardò Scorpius.
Non so perché, ma avevo la vaga sensazione che la questione fosse sul punto di degenerare. «Albus, ha ragione lei» mormorai ad occhi bassi. I rivoli di inchiostro si erano fermati. «È colpa mia.»
«Avanti» disse Scorpius. Sfiorò il braccio di Rosemary.
Deglutii. «Se vuoi provo lo stesso a pulirle, Rosemary.» Strinsi la bacchetta. «Davvero. È il minimo.»
Rosemary arricciò il naso. «No» disse. «No, non è necessario. Va bene così.»
«Ok. Come vuoi.» Guardai il pavimento. Era meglio pulirlo subito prima che l'inchiostro si seccasse. Puntai la bacchetta sulla pozzanghera d'inchiostro. «Gratta e netta.»
La pozza nera sparì, ma sparì anche l'alone color fango che ricopriva il pavimento della serra. Le piastrelle sotto la ex pozza ora erano bianche e lucide.
Rosemary arrossì. Guardò male Albus, poi prese Scorpius sottobraccio e insieme uscirono dalla serra.
Albus raddrizzò la schiena e sulle labbra comparve un sorriso soddisfatto.
Rimasi allibita. Quella era un'espressione compiaciuta? Ma cosa c'era da compiacersi?
E poi, mai e poi mai avrei pensato di vedere Scorpius trattato come un soprammobile. Quando Rosemary non sentiva diceva che sarebbe stato con lei finché non si fosse stufato, ma poi alla prima occasione si sedeva con lei, lasciava che lei dicesse quel che le pareva e la seguiva quando se ne andava? Cos'era, un chihuahua?
Forse Jeanie aveva in mente un'immagine del genere quando diceva che gli uomini sono come i cani. Jeanie, hai sbagliato tutto. Non credo che Priscus si lascerà trattare così.
«Ragazzi, fuori.» La voce del professor Paciock accanto a me mi fece sussultare. «Devo chiudere la serra, su.»
Ritirai la bacchetta, infilai giacca e guanti e uscii dalla serra con Albus.
«Credo che tu adesso capisca perché Rosemary non ha tante amiche.»
Mi tirai la sciarpa gialla e nera su fino al naso. «Mi dispiace.»
Albus chiuse il cappotto e ci avviammo verso l’ingresso del castello. «A me per niente. E alla facciaccia sua, hai eseguito un gran bell’incantesimo di pulizia. Degno di mia nonna.»
Sorrisi. «Non sono sicura che sia un complimento.» Salii gli scalini gelati con un nodo in gola. Questi giochini di potere tra Serpeverde erano tremendamente ansiogeni.
Fu un sollievo rientrare nel castello dopo il freddo del cortile.
Le lezioni erano finite, dunque. Trattenni il respiro. «Senti, Albus...»
«Mh?»
Schiusi la bocca in cerca di aria. «E se...» Mi aggrappai alla tracolla della borsa. «E se anziché fare un giro in scopa studiassimo insieme?»
Non ricevetti risposta. Alzai gli occhi. Albus era rosso in faccia. Sbatté la punta della scarpa contro lo scalino per scrollarle di dosso la neve. «Be'... Per me è ok.»
In quel momento mi venne talmente caldo che temetti di iniziare a sudare come se fossi febbricitante. «A-allora vado a posare le cose. Ci vediamo in biblioteca.»
Corsi via prima che Albus avesse modo di replicare. Non volevo sentire neanche un'altra parola. Scesi le scale del sotterraneo di corsa, la borsa che sbatteva contro il fianco. Quando entrai nella Sala Comune di Tassorosso schizzai in dormitorio e lanciai la borsa sopra una poltrona. Mi chinai, sollevai le coperte e ficcai la testa sotto il letto. Afferrai la scatola di cartone e la tirai fuori. Infilai le mani tra Kinder Bueno, Kinder Brioss e pacchetti di patatine.
C'era una sola cosa che mancava davvero a Hogwarts. Spostai una confezione di torcetti e la trovai.
Il pacchetto dei Boero. L'unico modo sicuro di mia conoscenza di contrabbandare alcool ad Hogwarts. Alla faccia del contrabbando illegale per i festini di Serpeverde.
Presi la confezione e afferrai i lembi per aprirla.
Ma perché, poi? Per prenderne solo una manciata e fare la tirchia con Albus? Non era il caso. E non rischiavo neanche una cicca, non potevano accusarmi di detenere illegalmente alcool visto che ufficialmente erano cioccolatini.
Recuperai la borsa dalla poltrona, ci ficcai dentro il pacchetto dei Boero e uscii da Tassorosso come un razzo.
Dopo la prima rampa di scale del Salone d'Ingresso avevo già il fiatone. Mi tornò in mente Chelsea nel campo da Quidditch mentre correva dietro a Candice. Ero anch'io così poco allenata? Finora mi era andata bene, ma se avessi iniziato ad ingrassare a dismisura per tutti i dolci che mangiavo? Svoltai l'angolo. Una ragazza era accucciata per terra e raccoglieva dei libri sparpagliati ai piedi delle scale. I polmoni e la gola mi bruciavano. Decisamente ero poco allenata. Rallentai il passo e presi un'ampia boccata d'aria.
Raggiunsi la rampa di scale e scansai un libro per terra. La ragazza non alzò gli occhi. Salii un paio scalini. Poi mi fermai.
Mi voltai. La ragazza prese il libro che avevo scansato, lo chiuse e lo rimise in borsa. Potevo esserci io al posto suo, e invece era toccato a lei. Sentii una fitta di senso di colpa.
Scesi gli scalini e mi chinai a raccogliere i fogli di pergamena.
«Grazie» mormorò la ragazza. Scostò i capelli neri dal viso e mi sorrise.
«Cose che capitano» mormorai. Allineai le pergamene e raccolsi un libro. La ragazza prese una penna d'oca. Il bianco della penna contrastava con la sua carnagione scura. Ad occhio e croce avrei detto che era mulatta. Aveva un'aria familiare, ma non avrei saputo dire chi era. Sbircia la cravatta. «Grifondoro?»
La ragazza si strinse nelle spalle e sorrise. Subito dopo abbassò lo sguardo e si scostò di nuovo i capelli dagli occhi. «Anche ai Grifondoro capita che si rompa la borsa.»
Perché evitava il mio sguardo? Era timida come me o era in imbarazzo? Non riuscivo a capirlo. Distesi le pieghe delle pagine del libro. «È una buona occasione per comprarne una nuova.»
«Già.»
Chiusi il libro e raccolsi un'altra piuma. «Ogni tanto fanno di questi scherzi. Non te la prendere, sono cose che capitano.»
«Oh, no, non è stato uno scherzo. Si è proprio rotta la borsa. Anche perché chi mai farebbe uno scherzo simile?»
Alzai le spalle. Improvvisamente sentivo caldo. Mi sfiorai la guancia e la sentii bollente. Perfetto, come minimo ero arrossita un'altra volta.
«E se invece fosse stato uno scherzo!» La ragazza digrignò i denti e alzò un pugno al cielo. «Dovrebbero pregarmi in tutte le lingue che conoscono per non essere affatturati! Carogne!»
Mi sforzai di sorridere, ma sapevo di essere ancora rossa. «D'altra parte se non fossero stupidi non sarebbero scherzi, no?»
La ragazza mi fissò. Mi venne un brivido. Ok, ricevuto, era meglio non contraddirla. Grifondoro, li mortacci loro. Faceva pure rima, in tema coi bigliettini minatori imboscati nelle borse altrui.
«Vabbé, pazienza, dai. Penso che ci sia un limite alla stupidità.»
Mi sfuggì una risatina nervosa. «Sì, certo.»
«Sei ironica per caso?»
Cos'avevo appena pensato? Grifondoro, li mortacci loro. «Scusa» mi affrettai a dire.
Tesi alla ragazza libro e piuma e lei li infilò nella borsa. «Fatto. Grazie per l'aiuto...» Guardò la mia cravatta. «... Tasso.»
Abbassai gli occhi sul pavimento di pietra grigia. Mi sfuggì un sorriso. «Prego, Grifo.»
Ci tirammo in piedi. La ragazza sporse in fuori le labbra piene e sollevò il pollice. «Stai in gamba, sis.»
Sbattei le palpebre. Sis? Tipo Pegasis? Quindi sister? Mi morsi il labbro, poi sollevai anch'io il pollice. «Ehm... Altrettanto.»
La ragazza mi fece l'occhiolino, poi mi diede le spalle e se ne andò.
E io, dove stavo andando così di fretta fino a poco prima?
Albus!
Mi tirai una manata sulla fronte e ricominciai a correre su per le scale.

Nota dell'Autrice: devo chiedere scusa sia per il ritardo nella pubblicazione del nuovo capitolo che per il ritardo nelle risposte. No, i bagordi di Capodanno non mi hanno stesa. È stato l'esame di latino a farlo. L'ultimo esame, l'ultimo, odioso, impossibile che mi bloccava la laurea.
E ora L'HO PASSATO. Non avete idea di quanto io abbia gioito. Urrààà! ;7;
Ecco, il motivo del ritardo era quell'esame odioso. Ora mi aspetta una tesi ostica e la speranza di laurearmi prima possibile. Ma ce la posso fare. ;u;
Un bacione a tutti!

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Capitolo 50
*** Dove Serena spera che la fortuna possa essere sempre a suo favore, perché sa di averne bisogno. ***


Dove Serena spera che la fortuna possa essere sempre a suo favore, perché sa di averne bisogno.



«Perciò vi dividerete in coppie» disse la professoressa. «Nessuno è mai morto per uno duello. Ricordatelo ai vostri genitori, nel caso venisse loro in mente di denunciarmi. Ricordatevi che questo è un test, voglio sentire forte e chiaro cosa siete in grado di fare, pertanto sono vietati gli incantesimi non verbali. Non verrete giudicati in base all’esito del duello ma in base alla padronanza degli incantesimi, perciò non esagerate. Ma impegnatevi.»
Di fianco a me, Jeanie fece un sorriso inquietante.
Rabbrividii. Sapevo fin dal principio di essere la vittima designata. Io a Difesa contro le Arti Oscure ero paragonabile a una vacca destinata al macello. E Jeanie era paragonabile a una macellaia.
In un attimo spostammo i banchi attaccato ai muri, ci sistemammo in cerchio e la prima coppia andò al centro della stanza.
E possa la fortuna sempre essere a vostro favore.
Mi coprii gli occhi. Udii un “Expelliarmus!”, poi il suono del legno che cade sul pavimento. Le mie palpebre tremarono e le ciglia mi solleticarono le dita. Le allargai appena e sbirciai. Finch-Fletchley fissava il suo avversario, le mani aperte, la bacchetta a terra.
Fine del duello.
«Penoso, Finch-Fletchley, penoso! Non hai nemmeno tentato di reagire! Ora riprovi subito, sia chiaro… Qualcuno che faccia coppia con Finch-Fletchley, avanti!»
I palmi delle mani iniziarono a sudare. Li nascosi dentro le maniche del maglione. «Ricordati i crisantemi per la mia tomba, Jeanie.»
Jeanie fece un’inquietante risatina sommessa. «Forse.»
«Ti prego, non esagerare.» Chiusi i pugni nel tentativo di asciugarli contro la lana. Se continuavo così, la bacchetta mi sarebbe sgusciata via come una buccia di banana.
Incontrai lo sguardo di Jeanie. Il suo viso era una maschera priva di espressione. «E secondo te, sentiamo, che motivi potrei avere per esagerare
Nella mia testa iniziò a tintinnare un campanello di allarme. La mia bocca era secca e impastata. Ripercorsi velocemente gli avvenimenti degli ultimi giorni. «Nessuno.»
«Ne sei sicura?»
Deglutii, ma non avevo neanche una goccia di saliva da mandar giù. Il campanello d'allarme divenne una sirena antiaereo. «Ho fatto qualcosa?»
Jeanie alzò le sopracciglia bionde. Si tolse gli occhiali e pulì una lente con una manica. «Tu pensi di aver fatto qualcosa?»
Un raggio rosso laser schizzò verso di me e mi scansai con uno squittio. L'incantesimo colpì l'armadio e questo prese fuoco.
«Aguamenti! Mannaggia, l'armadio... Era mogano! Finch-Fletchley, avevo detto di non esagerare! Cinque punti in meno a Tassorosso! Basta... Avanti i prossimi!»
Guardai il legno bruciacchiato e fumante. Sarei finita così entro breve? Mossi qualche passo verso Jeanie e tornai al suo fianco. «Sei arrabbiata con me?»
«Io? Figurati. Se fossi arrabbiata con te lo sapresti, perché in quel caso sarei spietata.»
Un immediato crampo alla pancia mi fece piegare in due. Afferrai il bordo di un banco e osservai la coppia di turno spararsi incantesimi finché Cunningham non colpì Ackerly con un Incantesimo della Pastoia.
«Finite Incantatem. Bene, Ackerly, ti sei difeso degnamente. Cunningham, buona mira. I prossimi!»
Una manata si abbatté tra le mie scapole e fui spinta in avanti. Jeanie avanzò al mio fianco con un ampio sorriso.
«Latini e Joy? Bene. In posizione.»
«Ti odio» piagnucolai. Mi fermai e Jeanie passò oltre. Si fermò all'altro capo del cerchio.
Strinsi la bacchetta con tutte le mie forze e mi inchinai.
Forza, Serena. Lasciala colpire. Un colpo solo, non sarà doloroso. Chiudi gli occhi e lasciala fare.
Non riuscivo a tenere la mano ferma. Tremavo.
Jeanie fece scivolare un piede in avanti e alzò la bacchetta sopra la testa. «Incarcerus!»
Un raggio saettò verso di me. Con uno strillo balzai via. Qualcuno rise.
Jeanie si leccò un labbro e fece qualche passo lungo il cerchio. Sembrava una tigre in gabbia, e l'istinto era sfuggirle. Feci qualche passo nella direzione opposta.
«Non ti piace?» mormorò Jeanie.
«Che ti ho fatto?» la implorai.
Jeanie tese il braccio. «Avis!» Una nuvola di uccellini sgorgò dalla bacchetta.
Sobbalzai indietro.
«Oppugno!»
«Impedimenta!» strillai. Lo stormo di uccellini venne verso di me al rallentatore e dopo qualche secondo scomparve.
Jeanie strinse le labbra. Le sue narici si dilatarono.
«Jeanie, ti prego…»
«Incendio!»
«Aguamenti!»
La fiammata divampò verso di me e si scontrò contro il mio getto d'acqua. L'acqua schizzò ovunque e qualcuno strillò.
«Joy, calma!» ruggì la professoressa.
Jeanie sbuffò dal naso. Ormai il suo cervello era programmato per sfondare le mie difese. Mi guardai intorno. I nostri compagni seguivano il duello con attenzione. Nessuno chiacchierava più. «Aiuto» mormorai.
Jeanie si immobilizzò e istintivamente io feci lo stesso. Lei scattò in avanti e io alzai le braccia. Quando mi accorsi che non era successo niente la udii ruggire: «Silencio!»
«Protego!» urlai terrorizzata. L'incantesimo di Jeanie guizzò verso di me e incontrò la barriera invisibile.
Tutto intorno a me si oscurò come se qualcuno avesse abbassato le luci. Le gambe e le braccia mi formicolavano. Abbassai la bacchetta e sbattei le palpebre. Rimisi a fuoco l'aula.
Jeanie, di fronte a me, digrignò i denti. Teneva la bacchetta tesa. Muoveva la bocca. Ma non ne usciva alcun suono.
Senza voce.
«Latini!»
Il ruggito della professoressa mi fece sobbalzare. Mi strinsi la bacchetta al petto e mi guardai attorno. In mezzo ai miei compagni Tassorosso vidi Cunningham alzare il pollice e Daisy sorridere.
«Latini, buoni incantesimi di difesa, ma scarsa in attacco. Joy, ottima in attacco ma carente in difesa. Ferma, Joy... Finite Incantatem. Bene, avanti i prossimi!»
Tornai dai miei compagni e mi feci largo fino all'ultima fila. Mi sedetti su un banco. Il mio cuore batteva forte, ma non volevo far capire né a Jeanie né agli altri quanto mi sentissi in ansia. Dondolai i piedi nel vuoto e abbassai lo sguardo. Dopo qualche secondo una treccia dorata lunga fino all'orlo della gonna comparve nel mio campo visivo.
«Sei arrabbiata con me» sussurrai.
Jeanie non rispose. Ma sapevo che non era per colpa dell'incantesimo del silenzio.
Trascorsi il resto della lezione sul banco, a far dondolare i piedi e a rigirarmi la bacchetta fra le dita. La professoressa alla fine disse che ci avrebbe detto i voti alla prossima lezione. Perfetto, un'ansia in più. Ma non era la più urgente.
Quando Jeanie uscì dalla classe a passo di marcia io la seguii.
«Jeanie...»
«Vai via, che è meglio.»
Le mie gambe si bloccarono e non riuscii più a respirare. Una morsa mi strinse il petto. La schiena e la testa bionda di Jeanie si allontanarono passo dopo passo, nella folla di divise grigie.
Costrinsi le mie gambe a muoversi e la inseguii.
«Jeanie!» La affiancai. Per starle dietro dovevo quasi correre. Il suo viso era una maschera impassibile e lo sguardo era fisso davanti a sé. Un paio di ragazze ci superarono e ci lanciarono occhiate incuriosite. «Jeanie, cos'ho fatto? Non capisco... Dimmi qualcosa, ti prego, non fare così!»
La treccia dondolava ad ogni passo e sfiorava la borsa al suo fianco. «Fatti un esame di coscienza.»
Il passo di marcia mi faceva respirare sempre più velocemente. Il petto cominciò a bruciare. «Non lo so! Davvero! Non ti capisco!»
Le labbra di Jeanie si strinsero. Continuò a guardare fisso davanti a sé. «Be', sai una cosa? Se avessero detto qualcosa di cattivo su di te, io te l'avrei detto subito. E invece io sono venuta a saperlo da Chelsea, che è venuta a saperlo da Rose Weasley, che l'ha saputo dal tuo fidanzato dopo che Roxanne Weasley le ha messo la pulce nell'orecchio. E io, te e Chelsea siamo diventate la chiacchiera dei Grifondoro. Compimenti, Serena, di te sì che ci si può fidare!»
Ormai il petto mi bruciava come se stessi affogando e la trachea fosse invasa dall'acqua. Ansimavo. Il mio cervello cercò disperatamente una spiegazione. «Io non so neanche chi sia Roxanne Weasley, non l'ho mai sentita nominare...»
«Bizzarro, lei sa benissimo chi sei tu. Al tuo dannato ragazzo e ai suoi familiari dovrebbero tagliare la lingua. Ma da loro non posso certo aspettarmi niente, chi sono loro per me? Ma da te, da una mia amica, non mi sarei mai aspettata un comportamento simile.»
Dillo alle tue amiche… La Joy e la Shields. La frase di Albus mi risuonò nel cervello. Afferrai la manica del maglione di Jeanie. «Non sapevo che loro lo sapevano! Che lo sapessero, cioè... Non volevo, Jeanie, credimi, volevo evitare che...»
Jeanie diede uno strattone e il maglione mi sfuggì dalle dita. «Lascia perdere, non ne vale la pena. Tanto io sono l'analfabeta che senza occhiali non distingue un palo da un albero. Figuriamoci le amiche.»
«Jeanie!» Salii i gradini delle scale di corsa. Tra il bruciore al petto, il male alle gambe e il senso di colpa ero tutta un dolore unico.
Mi fermai a metà delle scale e afferrai il corrimano con tutte le mie forze. Volevo andare avanti, seguirla, ma la mia mano mi trattenne ancorata alle scale. Jeanie proseguì, la lunga treccia che ondeggiava al suo fianco, allontanandosi sempre di più, finché non raggiunse la cima delle scale. Lì cambiò direzione e scomparve dalla mia vista.

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Capitolo 51
*** Dove Serena scopre gli stupefacenti effetti dell'alcool. Mi raccomando, bevete con moderazione e abbiate pietà del vostro fegato. ***


Dove Serena scopre gli stupefacenti effetti dell'alcool. Mi raccomando, bevete con moderazione e abbiate pietà del vostro fegato.



Con uno schiocco ruppi il guscio di cioccolato fondente. Sulla lingua si diffuse il sapore dolciastro del liquore e un attimo dopo arrivò anche il caldo. Masticai il boero e la ciliegia si mischiò ai frammenti di cioccolato. Appallottolai la carta con un fruscio e la gettai giù dalle scale.
«Forse stiamo esagerando» bisbigliò Albus.
«Ma figurati.»
«È il secondo sacchetto di cioccolatini che facciamo fuori.»
Guardai la plastica stropicciata dei due sacchetti e i boeri superstiti buttati sul gradino. Poi guardai le carte appallottolate sparse per le scale. In fondo al pianerottolo ce n'era un mucchietto consistente.
Una fitta alla tempia mi riportò alla realtà. Che mi aveva chiesto? Se ne avevamo mangiati troppi? «Naaah. Non sono mai troppi.»
Albus prese un altro boero e lo scartocciò. «Hai ragione.»
«Ah-ha!» Mi sfuggì un sorrisetto. Gli diedi un paio di colpi col gomito. «Vedi che piacciono anche a te?»
«Mai detto il contrario.» Albus sogghignò.
Appoggiai i talloni sul gradino di sotto e stiracchiai le gambe. «La torre di Astronomia è davvero poco frequentata, la sera. Però dopo dovremo comunque tirare su le cartacce, sai? Non credo che voi maghi inglesi facciate fuori boeri tutti i giorni.»
«Ma io ho una ragazza italiana che si fa mandare i cioccolatini alcolici da casa, quindi posso farmeli fuori tutti i giorni.» Albus strinse gli occhi e fissò qualcosa in fondo alle scale, poi il suo viso di distese. «E sono inglese.»
«Che presuntuoso che sei.» Presi un altro boero e lo scartai. «Sei una serpe.» La mia battuta mi parve davvero divertente. Dire serpe a un Serpeverde! Ridacchiai.
«È alla Joy che hanno sbagliato Casa, allora» disse Albus.
Non risposi e mi cacciai in bocca il boero. Anziché morderlo lasciai che il cioccolato amaro si sciogliesse sulla lingua.
«È stata davvero... Be', non posso definirla. Posso dire che è stata un'idiota? Se l’è presa per una scemenza.»
Un certo sentore di ingiustizia misto a irritazione mi bruciò in gola insieme al liquore. «Sono i tuoi parenti ad essere dei ficcanaso. Se ci fosse il G.U.F.O. in Ficcanasaggine l’avrebbero passato tutti con Eccezionale.»
«Esiste un esame che Rose non passi con Eccezionale, per caso?»
«Ecco, appunto.» Piegai le gambe e appoggiai i gomiti sulle ginocchia. Probabilmente se qualcuno fosse arrivato sul pianerottolo e avesse guardato su mi avrebbe visto le mutande. Be', chissenefrega. Jeanie la Macellaia e Serena la Camionista. Suonava bene. Improvvisamente mi venne in mente Lowell e il nostro giochino delle citazioni. Mi venne voglia di cantare. «The Earth began to cool, the autotrophs began to drool, Neanderthals developed tools, we built a wall, math, science, history, unraveling the mysteries, that all started with the big bang! "Since the dawn of man" is really not that long...»
Albus arricciò il naso. «Non sei la Shields, eh. Lei sa cantare.»
Intrecciai le dita e fissai le cartacce sul pianerottolo. Mi balenò in mente il viso di Lowell, capelli neri, pizzetto, occhiali e sorriso. Al centro commerciale non aveva dato peso al malumore di Jeanie, come se fosse poca cosa. Forse dovevo fare così anch'io? La gola mi si strinse e improvvisamente la mia bocca divenne secca. «Non pensavo che Jeanie se la sarebbe presa in quel modo. Cioè, io quel dannato bigliettino gliel'avevo nascosto per non offenderla.» Strinsi le labbra e guardai Albus. «Ma tu, che cavolo vai a dire alle tue cugine che mi è arrivato un bigliettino con insulti in rima? E quella Rossella o come si chiama...»
Albus arrossì. «Roxanne.»
«Sì, quella. Ecco, conoscerò mai tutti i tuoi parenti o dovrò guardarmi le spalle per tutta la vita?»
Albus sorrise e alzò le sopracciglia scure. «Cos'è, vuoi già essere presentata in famiglia?»
«Tanto tutta la tua famiglia sembra già conoscermi. Mancano giusto i tuoi, credo, ma a questo punto non ne sarei più tanto sicura.»
Albus scartocciò un altro boero e lanciò la carta giù nel pianerottolo. «Oh! Ha superato la tua!»
Presi subito un altro boero e lo scartai, giusto solo per non dargli quella soddisfazione. Appallottolai la carta e la lanciai con forza giù dalle scale. Superò la carta di Albus e sbatté contro il muro. «L'orgoglio Tassorosso, gente! Applauso!»
«Ti batterei in un secondo, se non avessimo finito i cioccolatini.»
Feci girare il boero sulla lingua, poi lo ruppi. «La prossima volta ci sarà la rivincita.»
«Spero proprio che la prossima volta non sia in occasione di un altro litigio con una tua amica. Non avrei mai creduto di vederti strafatta di cioccolato e liquore.»
«Neanch'io.» Mandai giù il cioccolatino. Probabilmente quei due sacchetti di boeri erano la più grande quantità di alcool che io avessi mai ingerito. Dicevano che l'alcool rendeva audaci. «Spiegami un po' come fa Rossana a conoscermi, su.»
«Roxanne» mi corresse ancora Albus. Stese una gamba e appoggiò il piede un gradino più sotto. «Non sono io il ficcanaso della famiglia, io mi faccio i fatti miei. É Rose che all'inizio era tutta emozionata per aver trovato nuove amiche. La Shields e te, suppongo.»
Rose doveva sentirsi davvero sola se considerava me già un'amica. Non le avevo mai confidato nessun pensiero, né l'avevo mai cercata. Poverina.
«Be', avrai capito che tipo è Rose, sarà stata tutta entusiasta e ne avrà parlato con le altre cugine...»
Din din din. Campanello d'allarme. «Perché, quante cugine hai?»
Albus si grattò la tempia. «Parliamone in un altro momento, ti prego.»
Strinsi le labbra. Promemoria per me: chiedere delle cugine dopo la mia missione.
«Comunque, ecco, probabilmente lei ne avrà parlato a Roxanne, così quando lei ti ha vista deve averti riconosciuta. Tu le hai detto del bigliettino...»
«Io non ho mai detto a nessuno del bigliettino!»
«Sì, be', deve aver capito che qualcosa non andava e deve aver chiesto informazioni a Rose.» Albus abbassò gli occhi sui gradini di pietra. Tirò su la gamba e appoggiò i gomiti sulle ginocchia. «E quando Rose mi ha chiesto se tra noi andava tutto bene e che eri preoccupata io ho risposto che forse era per la storia del bigliettino...»
Guardai la rampa di scale. Le torce mandavano bagliori aranciati e facevano luccicare le carte di plastica. «E poi l'ha detto a Chelsea, che l'ha detto a Jeanie.»
«Così pare.»
Con la punta del piede diedi un colpetto a una cartaccia. La pallina rotolò giù per qualche gradino. «Pensavo che le cose che dicevamo tra noi, ecco, rimanessero tra noi.»
Assaporai il silenzio pieno di senso di colpa che seguì la mia frase. Di una cosa, almeno, avevo avuto una conferma: Jeanie era una manipolatrice di prima categoria. Alla fin fine lei e l'alcool qualche segno su di me l'avevano lasciato.
«Magari sono stato ingenuo in questa occasione» disse Albus, «ma se tu avessi detto subito alla Shields e alla Joy del bigliettino, tutto questo non sarebbe successo.»
Intrecciai le dita. «Forse dobbiamo ancora imparare a comportarci come si deve.»
«La Shields si è arrabbiata?»
«Non ho ancora avuto occasione di parlare con lei.» Strinsi le dita finché non le sentii farmi male. «E francamente ho paura di quel momento.»
«Secondo me prima lo fai meglio è» disse Albus. Mi appoggiò una mano sulla spalla. «Penso che lei capirà le tue motivazioni.»
«Lo spero.» Guardai la schiera di cartacce sparse sui gradini. Sorrisi. «Sai che una volta io e Chelsea ci siamo rifugiate qui?»
Anche Albus sorrise. «E da chi vi nascondevate, di preciso?»
In realtà è stata un'idea di Chelsea per dimostrare la mia teoria secondo la quale la torre di Astronomia era il luogo preferito per le coppiette per pomiciare ed eventualmente copulare, ma alla fine ci siamo ritrovate a parlare di te e della probabilità che tu mi baciassi. Una vampata di calore mi salì su fino al viso. Serena, la ragazza in fiamme. «Da nessuno, in realtà. Volevamo solo fare una scemenza e l'abbiamo fatta.»
«Mi stai dicendo che tu sei una ragazza da colpi di testa? Non ci crederei nemmeno se me lo dicesse Merlino in persona.»
Il bollore in faccia divenne insopportabile. «Ti dico che è così.»
Il sorriso di Albus divenne un ghigno. «Dai, dimmi la verità.»
Guardai Albus, e nonostante mi sentissi in imbarazzo mi venne da ridere. Ero una pessima bugiarda. «Ti dico che è la verità, questa.»
Un dito di Albus si infilò fra le mie costole e lanciai uno strillo acuto.
«Dì la verità, perché tu e la Shields eravate qui, eh?» Con una manata Albus fece andar giù per qualche gradino le confezioni vuote di boeri e puntò l'indice minaccioso verso di me. «C'era qualche altro motivo, non è vero?»
«Ma no!»
«Sì invece!» Albus mi pungolò ancora e io strillai, ma in realtà mi veniva da ridere. Mi ritrassi e Albus si avvicinò, il dito ancora puntato verso di me. Finii attaccata al muro gelato. «Smettila!»
«Non la smetto finché non mi dici la verità! Dai, le cose che ci diciamo tra noi rimangono tra noi...»
Manipolazione della Mente: c'è qualcuno che la fa meglio di te. O almeno, questo era quello che lui credeva. «Ma io non ho niente da dire!»
«Non mi hai convinto» disse Albus. Mi infilò un altro dito tra le costole.
Strillai. «Ehi, piano! Fa male!» Il muro gelido mi stava congelando la schiena.
«Sai perché non ti credo?» disse Albus. «Perché ho una sorella e una marea di cugine femmine. E so benissimo che quando si rintanano a confabulare è perché stanno per combinare qualche cosa.»
Touché. Albus era più sveglio di quanto sembrava. Nonostante la mia schiena fosse così gelata da farmi quasi male i palmi delle mani erano sudati. Li appoggiai sulla gonna per non farli vedere. «I-io non sono una delle tue cugine, eh!»
«Lo so» fece Albus.
Sbattei le palpebre e fissai Albus. Il suo viso era illuminato dal fuoco delle torce. Abbassai gli occhi sui gradini di pietra. Cosa significava quella frase? Era un'inversione di marcia? Mi credeva? Provai una fitta di senso di colpa unita a un senso di sollievo. Forse era quello che si chiamava “emozioni contrastanti”. Però se mi credeva davvero era ok.
«Senti, Serena...»
Ti crede. Tranquilla. Ti crede. Non ti metterà più quel dannato dito nelle costole. «Dimmi.»
«Posso baciarti?»
Il cuore mi saltò in gola e mi mozzò il fiato. Improvvisamente realizzai che eravamo seduti vicini, soli, su una scalinata isolata dal mondo. E lui era così vicino che potevo contare le ciglia dei suoi occhi.
Mi costrinsi a inspirare. Nella luce soffusa mi sembrò di vedere il rossore invadere il viso di Albus. Abbassò lo sguardo e si tirò indietro.
«Va bene.»
Gli occhi di Albus saettarono verso i miei. Avevo ancora il cuore che batteva a mille e il groppo in gola. Mi accorsi che stavo ansimando.
Ok. Come non detto. Il panico mi invase. Non ne ero in grado. Abbassai gli occhi e strinsi le ginocchia tra le mani. I palmi erano appiccicosi e gelati. «Solo che... Ecco, non l'ho mai fatto con nessuno, non so come si fa, e... Sarei imbranata di sicuro... E...»
«Non fa niente.»
Guardai Albus. Era ancora rosso, ma mi fissava. Scivolò più vicino a me e sentii la sua gamba premere contro la mia. Quando si avvicinò il cuore accelerò il battito. Chiusi gli occhi.
La sua mano gelata si posò sulla mia guancia. Rabbrividii, poi sentii le sue labbra sfiorarmi. Istintivamente tirai la testa indietro, e un secondo dopo le sue labbra tornarono sulle mie. Poi la sua mano scivolò via lasciando il freddo sulla mia guancia.
La prima cosa che rividi furono gli occhi verdi di Albus. Un secondo dopo mi resi conto del suo sorriso appena accennato.
Ok. Così questo era un bacio. Tanta ansia, tanto nervosismo, e poi... Boh. Niente di tremendo. Non mi pareva che stessimo rischiando di rotolare giù dalle scale per l'esplosione di passione senza limiti.
C'era qualcosa che non andava.
Il sorriso di Albus si allargò un po'. «Posso dartene uno serio?»
Mi strinsi nelle spalle e mi morsi un labbro. Be', dopotutto non era un grande sacrificio. Se era questo che i fidanzati volevano dalle fidanzate, non era niente di così terribile e incontrollabile. Se serviva a farlo contento... «Ok.»
Ancora col sorriso sulle labbra Albus si avvicinò a me. Chiusi di nuovo gli occhi.
Le sue mani fredde si posarono sulle mie guance e mi trattennero. Le sue labbra tornarono sulle mie.
Ancora.
E ancora.
Appena le mie labbra si separarono la sua lingua le sfiorò. Scattai indietro, ma le sue dita fredde mi trattennero e dietro di me incontrai solo il muro gelato. Poi capii cosa stavo facendo io e perché Albus mi seguiva anche se io arretravo. Stavo accarezzando la sua lingua con la mia. E sentivo il dolce del liquore nella sua bocca.
Albus allentò la presa e mi lasciò le labbra. Riaprii gli occhi.
Sbattei le palpebre più volte per rimettere tutto a fuoco. Avevo ancora la bocca aperta e non controllavo il mio respiro. Albus sorrideva come prima, ma alla luce delle torce mi sembrò di vedere una vivacità diversa nel suo sguardo. La massima felicità che gli avessi mai visto in faccia. «Questo è un bacio.»
Rimasi a fissarlo. Non riuscivo a far ripartire il cervello. Sbattei le palpebre, ma continuai a vedere il viso felice di Albus. «Sai di liquore.»
Un secondo dopo mi sentii un'idiota. Non ero capace di dire altro?
Albus sollevò le sopracciglia. «Anche tu, sai?»
Strinsi le labbra. Non riuscii a trattenere un sorriso. Forse era per questo il motivo che nei festini dei Serpeverde c'era sempre l'alcool?

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