Stralci di vita universitaria

di Nihal
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ***
Capitolo 2: *** Come motivare uno studente universitario, il manuale che non esiste ***
Capitolo 3: *** Gli spostamenti ***
Capitolo 4: *** Lo studente saccente. Insomma, il so-tutto-io. ***
Capitolo 5: *** Lo studio pre-esame. Quando ci saranno solo i libri a farvi compagnia. E, soprattutto, l’esame. ***
Capitolo 6: *** La segreteria, il sito di facoltà e la burocrazia. Rimpiangerete di esservi iscritti. ***
Capitolo 7: *** La tesi ***
Capitolo 8: *** La laurea ***



Capitolo 1
*** L'inizio ***


STRALCI DI VITA UNIVERSITARIA
Deliri di onnipotenza di una studentessa semiseria: manuale di ingresso nel magico mondo dell’università




1. L’inizio

«Vai un po’ più indietro… ora un po’ più a destra, no, no, a sinistra!»
Facciamo il balletto?
«Ora sorridi… Perfetto!»
Guardo la foto sul libretto con aria scettica. A tre anni dall’immatricolazione ancora non riesco a capire cosa ci sia di perfetto: sembro fatta di qualcosa di pesante, almeno per la parte che non si confonde con lo sfondo. Insomma, se guardi la mia foto vedi cinquanta (uno) sfumature di grigio, tra cui puoi distinguere una faccia. Se fai attenzione.
E con questo faccio il mio ingresso nel favoloso mondo universitario. Un avviso: liceali che non vedete l’ora di immatricolarvi (ne esistono?), preparatevi spiritualmente e fisicamente, non fate come me, che sono entrata in questo nuovo universo con un’ingenuità disarmante.
È per voi che sto raccontando la mia esperienza, per mettervi in guardia.
Dovreste essermi grati.



Salve!:) Allora, partiamo con le precisazioni: ovviamente questa storia è scritta per scherzare, molte cose sono esagerate (altre purtroppo no!XD) anche se buona parte comunque si basa sulle mie esperienze personali.
Spero che nessuno in queste righe riconosca il proprio ateneo o peggio il proprio professore, ma caso mai succedesse, per favore non indagate sulla mia identità e non andate a dirglielo almeno finché non mi sono laureata, grazie!:)
La storia avrà probabilmente non più di otto capitoletti, di cui almeno sei sono già stati scritti, quindi pubblicherò abbastanza regolarmente!:)
Detto ciò, vi saluto!:)

Nihal

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Capitolo 2
*** Come motivare uno studente universitario, il manuale che non esiste ***


2. Come motivare uno studente universitario, il manuale che non esiste

Prima lezione di giapponese I, aula sovraffollata. È già il secondo corso che frequento, l’altro è iniziato un mese prima. Insomma, sono una veterana, dovrei sapere cosa aspettarmi. Niente di male, comunque: letteratura italiana è in un’aula grande e pulita e il professore spiegava normalmente. Insomma, un liceo in grande stile, se non meglio visto che il muro della mia classe al liceo aveva crepe profonde come il mio pollice.
Cosa potrà mai cambiare?
Niente, dite voi? Ingenui!
Il primo cambiamento che noto è nell’ambiente. L’aula, che si trova a circa ventordici chilometri dall’altra – non vi spaventate, parleremo anche degli spostamenti! – ha una capienza di circa centocinquanta posti. Di cui circa il venti percento inutilizzabili, ma questi sono dettagli irrilevanti.
Dopo essermi procacciata un posto – perché sì, all’università bisogna procacciarsi i posti, è tutto allenamento per la durezza della vita futura! – mi guardo intorno con aria sconsolata. Le pareti verde-non-riesco-a-cogliere-la-sfumatura hanno seriamente bisogno di essere ridipinte, ma quello non è il problema maggiore. Mi concentro sul brusio eccitato degli studenti, che non vedono l’ora di iniziare la loro prima lezione di giapponese. È un modo come un altro per cercare di non notare lo squallore dell’aula.
Ma l’ambiente conta poco quando c’è l’entusiasmo per lo studio, direte voi! Beh, lo dicevo anche io.
Con almeno un quarto d’ora di ritardo – perché i professori possono – l’insegnante mette piede nell’aula. Non so come descrivere la mia prima impressione. Avete presente Homer Simpson quando è vestito con un maglia a collo alto e una giaccia con le toppe? Ecco, quella è la prima cosa che mi viene in mente. Si sistema alla cattedra, si toglie gli occhiali da sole – sì, è autunno e siamo in un’aula in cui il sole non entra neanche lontanamente – e poggia la sua cartella da professore universitario. Che non è diversa da quella dei professori del liceo, ma la sua è da professore universitario.
L’aula cala in un silenzio carico di attesa. Il mio è carico di isteria: mi sono resa conto di essermi dimenticata il libro a casa. E guardate che la sento fin qui la vostra risposta, ma ricredetevi. I libri all’università servono. Anche a lezione.
«Siete tanti, eh?»
Beh, un commento come un altro, ma io quel sorrisetto lo eviterei. Insomma, non fa una buona impressione sugli studenti. Poi io prima saluterei, ma sono di una vecchia scuola.
«Vedo qualche faccia conosciuta…»
I ripetenti dell’università?
«… siete venuti per riascoltare la lezione del terrore?»
E basta con questo sorrisetto!
Il silenzio di prima si fa ancora più silenzioso. Insomma, il nome della lezione non è che invogli a parlare, eh. Il professore lascia perdere gli studenti ripetenti e si concentra di nuovo sulle facce nuove.
«Adesso siete un centinaio» inizia.
L’aula è da centocinquanta posti ed è piena. Forse siamo un po’ di più, ma siamo a lingue, non siamo puntigliosi sulla matematica.
«Entro un mese sarete la metà.»
Ma… ma… e dirlo con un po’ più di tatto?
Dove sono finiti i professori che ti motivano e ti fanno amare la loro materia?
Comunque non mi perdo d’animo: ho il cinquanta percento di probabilità di resistere!
«Entro gennaio il venticinque percento.»
Allora, puoi evitare di darci già per ritirati?
«Al terzo anno rimarrete una decina.»
Meno concorrenza sul lavoro? E comunque, secondo questi calcoli, alla specialistica si troverà a fare lezione ai banchi. Non sono una persona ottimista, ma per quel giorno tentai con tutte le mie forze di esserlo.
Non sono stupida, voglio imparare, quindi sarò una di quelli che ce la faranno! Dopo tutto lui parla di quelli che si sono iscritti senza una reale voglia di studiare, non di me, giusto?
«E sappiate che per studiare il giapponese bisogna osare!»
Eh? Suona male.
«I timidi non andranno avanti.»
Bene, vado a zappare la terra, forse mi si addice di più.
«Sapete, io la faccio ogni anno questa lezione del terrore»
E ancora ci chiediamo perché la percentuale di iscritti alle università cala drasticamente di anno in anno?



Bene, alla fine ho aggiornato stasera, visto che sono venuta su EFP!:)
Di nuovo, se riconoscete la situazione siate così gentili da non fiatare finché non mi laureo, grazie!XDXD
C'è da dire che le lezioni intimidatorie a quanto ho sentito non sono così rare, ma quando ho sentito la prima sono rimasta sconvolta! Ovviamente adesso mi faccio due risate, ma non posso dire di aver fatto la stessa cosa in quel momento!:(
Tutta questa pappardella per dirvi solo una cosa: anche se vi ritroverete a sentire una prima lezione demotivante, non demoralizzatevi!:)
Detto ciò, vi saluto!:)

Nihal

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Capitolo 3
*** Gli spostamenti ***


3. Gli spostamenti

No, suvvia, non scoraggiatevi. Io sono qui perché voglio che arriviate preparati al grande passo – non il matrimonio, eh – mica voglio che rinunciate in partenza.
Come dicevano gli antichi, meglio arrivare preparati.
Comunque, passiamo al prossimo argomento, gli spostamenti.
Quante volte, al liceo, vi siete detti: perché dobbiamo sempre stare nella stessa aula? Se ci spostassimo almeno perderemmo un po’ di tempo!
Oh, su, non fate i timidi, sono sicura che è successo. E ora rimpiangerete quel desiderio, sappiatelo.
È esattamente quello che ho fatto io comunque. Finite le superiori, ciò che mi ero aspettata di trovare all’università era un liceo in grande. Insomma, un maestoso edificio pieno di universitari che invece di andare a lezione sorseggiavano il caffè e giocavano a bubble witch saga nel tempo libero – ovvero sempre – seguendo una lezione tra una pausa e l’altra.
Mi sono trovata quindi un po’ spiazzata quando ho scoperto che dopo la lezione che terminava alle dieci precise ne avevo una che iniziava alle dieci precise. È normale che sia così, direte voi. Beh, non avete contato che l’altra lezione è a venti minuti di tram – che non passa mai – dall’altra parte della città.
Va beh, ci provo, dopotutto non posso fare altro.
Torniamo un po’ indietro, al primo giorno di università.
Il giorno prestabilito mi presento a lezione piena di forza e vigore, pronta a balzare dalla sedia non appena il professore finisca di parlare.
Dopo presentazioni e ammonimenti vari (‘l’università non è il liceo!’ ‘Non mi interessa se frequentate o no, non faccio favoritismi, comunque ricordo ai non frequentanti di consultare la mia pagina per vedere i venti testi in più che devono studiare a memoria’), sento qualcosa di interessante.
«Ragazzi, sicuramente dopo di questa avrete un’altra lezione, ma non preoccupatevi, esiste il quarto d’ora accademico»
Il quarto d’ora accademico. Concetto nuovo ai più, forse la migliore invenzione mai sfruttata di sempre.
Le teste dei ragazzi si voltano tutte all’unisono verso l’insegnante, che si sorprende per la rinnovata attenzione. Il concetto di quarto d’ora accademico, anche se sconosciuto, è insito nel cervello umano. Ogni studente che lo sente nominare, automaticamente in cuor suo esulta. Neanche voi sfuggirete a questo fenomeno, fidatevi.
«Solitamente nell’università le lezioni iniziano un quarto d’ora dopo e finiscono un quarto d’ora prima. Per permettere a voi studenti di spostarvi.»
Notai una certa espressione di disgusto sulla faccia del professore, ma decisi di essermela immaginata. Chi non amerebbe il quarto d’ora accademico?
Inizia la lezione e io inizio a guardare freneticamente l’orologio. Questo è il momento in cui il mio nuovo metodo di ascolto si evolve: prendo appunti con una mano guardando il foglio con un occhio e l’altro occhio lo conservo per guardare l’orologio. Non fate quella faccia, imparerete anche voi!
Nove e quarantaquattro.
Dai, tra un minuto posso uscire! Ho mezz’ora, sono sicura che riuscirò a prendere il tram in tempo e ad arrivare all’altra lezione.
Smettetela di sghignazzare voi, altrimenti fate spoiler e rovinate il finale a chi ancora non ha capito cosa succederà.
Nove e quarantasette.
Beh, il mio orologio andrà avanti.
Nove e cinquantanove.
«D’accordo, per oggi la lezione è finita!»
Dieci e zero zero.
Il mio ottimismo si è dissolto come neve al sole. Mi alzo come una furia e cerco di sorpassare quelli che ancora stanno prendendo appunti. Sì, all’università i banchi sono tutti attaccati, così se c’è un incendio possono ucciderci meglio.
Corro fuori dall’edificio – ah, ah, all’università nessuno ti dice niente se corri nei corridoi! – per poter prendere il tram.
Fuori piove. E io non ho l’ombrello – fatevene una ragione, neanche voi ce l’avrete. L’ombrello sarà l’ultimo dei vostri pensieri!
Quando arrivo alla fermata – alle dieci e zero cinque – penso di avercela quasi fatta. Suvvia, la lezione inizia alle dieci e un quarto – sì, credo ancora nel quarto d’ora accademico, d’accordo? E non ridete! – quindi mal che vada arriverò con dieci minuti di ritardo.
Dieci e un quarto.
Un ammasso di ferraglia arancione che in quanto a vecchiaia se la gioca alla pari con Matusalemme arriva arrancando. Le persone – ventordici studenti e qualche incauto abitante locale – si ammassano sul marciapiede, smaniose di salire. Ovviamente io non faccio eccezione: dopo una lotta all’ultimo sangue riesco a guadagnare l’ingresso. Venti posti a sedere. Circa cinquanta persone. Sembra un’aula universitaria su ruote, insomma.
Dopo venti minuti di ondeggiante viaggio arrivo a destinazione.
Corro come mai avevo corso in vita mia – va beh, accelero il passo, per terra è bagnato, non voglio mica scivolare! – e seguo la massa di studenti che si riversa nell’edificio che mi si trova di fronte.
Aula 2, secondo piano. È tutto quello che mi serve sapere.
Prendo le scale e in men che non si dica arrivo al secondo piano, che non sembra neanche tanto grande. Camminando osservo i numeri sopra le porta delle aule. Trentanove, trentotto… a trentatré il corridoio finisce. C’è qualcosa che non va.
Riguardo il mio foglietto.
Aula 2, secondo piano. IT.
Ah, mi ero persa il IT, ovvio.
Un attimo, cos’è un IT?
Corro al piano di sotto, cercando disperata qualcuno che non avesse la faccia di una matricola. Tutto intorno a me vedo solo ragazzi disperati che gironzolano.
D’accordo, torniamo di sopra.
Mi giro di nuovo tutto il secondo piano.
Finalmente scovo un’auletta IT.
Aula di informatica. Per una lezione non di informatica. D’accordo.
Vedo all’incirca una trentina di studenti accampati nel corridoio.
«Scusate, è qui che c’è didattica?» chiedo a quello che mi sembra più sano di mente.
Lui annuisce e io sporgo la testa dentro. L’aula da circa quaranta posti è occupata da una settantina di persone. Esclusi i campeggiatori in corridoio.
Godetevi i vostri banchi fissi, liceali. Dormiteci, scriveteci, mangiateci, usateli per prendervi a botte, quello che volete. Createvi dei ricordi dei vostri banchi, perché all’università vi resteranno solo quelli.
Cos’è, voi due che ridevate prima, perché ora siete ammutoliti? E non piangete, femminucce! Potete sempre tornare al liceo a trovarli, i vostri banchi! Non che io l’abbia mai fatto, sia ben chiaro.
Comunque, ormai la lezione è persa. Ho affrontato condizioni meteorologiche avverse e tram strapieni per accamparmi in corridoio. Vado a prendermi una cioccolata alle macchinette, ho bisogno di forze per rifare tutto il percorso inverso.
Dimenticavo una cosa importante: il vostro primo giorno pioverà e suppongo che questo l’avrete intuito. E non fate quelle facce da io porto sempre l’ombrello!. Si romperà. E se ne porterete due, uno ve lo fregheranno. E se ne porterete tre non vi staranno più i libri… e magari finirebbe anche per fare bel tempo. Insomma, avete capito l’antifona.


Dai che vi sto facendo passare la voglia di andare all'università!XDXD
Comunque, mi scuso per le note corte, ma purtroppo sono di corsa!:(
Spero che apprezziate il capitolo!:)

Nihal

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Capitolo 4
*** Lo studente saccente. Insomma, il so-tutto-io. ***


4. Lo studente saccente. Insomma, il so-tutto-io.

E qui, miei cari liceali, sono sicura che l’argomento vi sia più che familiare. Chi non ha mai avuto, all’interno della propria classe, il classico sapientone?
Facciamo una distinzione: non parlo di quegli studenti che, per un motivo o per l’altro, hanno voti molto alti. Parlo di quell’altra categoria, quelli che devono sputarti in faccia il loro sapere, perché loro hanno la conoscenza e tu dovresti essere grato solo per il fatto che decidono di condividerne una minima parte con te.
Sì, sì, non tutti insieme. So che avete le vostre esperienze da raccontare, ma qui stiamo parlando dell’università non delle superiori. Magari speravate, per qualche miracolo divino, che al vostro ingresso nel nuovo mondo, questa categoria di individui sparisse per diventare solo un brutto ricordo.
Dopotutto le persone che vanno all’università sono talmente tante che probabilmente non ne conoscerete neanche la metà e se tra di loro c’è qualche saccente, sicuramente non potrà mettere in mostra la sua conoscenza: a lezione parlano i professori, gli studenti ascoltano.
Ammettetelo che anche voi la pensate così! Sì? Ecco, toglietevi questa malsana idea dalla testa.
Esistono anche all’università e probabilmente, per qualche legge ai più sconosciuta, si siederanno sempre nel posto davanti a voi se vi va bene e di fianco se siete proprio sfigati.
Ma adesso passiamo ad un esempio pratico. Vi racconterò la mia esperienza.
Per fare questo bisogna fare un salto avanti nel tempo, quindi al mio secondo anno. Ormai mi sono abituata al funzionamento dell’università, quindi alla mia prima lezione di settembre mi avvio serena, convinta che non potrà succedere nulla di sgradevole.
Ehi, voi due, sì, voi che stavate piangendo per i banchi, smettetela di ridere! Un po’ di ingenuità me la potrò concedere anche io, giusto?
Partiamo dall’inizio. Il luogo è l’aula in cui si svolge la prima lezione di giapponese II. La selezione naturale ha fatto il suo corso, siamo rimasti la metà. I sopravvissuti, insomma.
Metto piede nell’aula, individuo qualche conoscente e mi siedo. All’inizio non lo noto. Si siede di fianco a me, ma io sono intenta a lamentarmi delle lezioni, degli esami, della decadenza del paese, del fatto che non sia ancora riuscita a dominare il mondo, dell’universo… insomma, dei soliti argomenti, quindi non ci faccio particolarmente caso.
Poi parla. Non si sa bene con chi, ma ad un certo punto inizio a pensare di essere io l’interlocutore visto che in giro non c’è nessun altro. Non bisogna darlo per scontato, comunque: questi individui parlano con qualsiasi cosa, all’evenienza anche oggetti inanimati. Appurato che né il banco né la carta di caramella lì per terra sono i suoi interlocutori, mi giro.
«Come va?»
«Bene.»
Non lo conosco neanche, il mio cervello sta cercando di individuare i possibili motivi per cui mi stia parlando.
Non riesce ad individuarne, ma presto suo malgrado li scoprirà.
«Siamo rimasti in pochi, eh?»
Che occhio.
«Eh, già.»
La mia abilità retorica va oltre i confini dell’immaginabile. Mi chiedo perché non abbia fatto l’avvocato a questo punto.
«Comunque ti ho visto. Tu hai dato l’esame prima di me, a giugno.»
«Ah, boh, sì, può darsi.»
Memoria fotografica?
«Alla fine se uno studia si vede.»
Eh?
La sua brillante conversazione mi confonde sempre di più. Immagino che voglia dirmi che ha preso un voto stratosferico, comunque.
Mi guarda speranzoso. Io lo guardo di rimando, vagamente terrorizzata. Se vuole che gli chieda il voto, non succederà.
Per fortuna l’arrivo dell’insegnante mi salva da quella discussione.
Tiro un sospiro di sollievo, perché non so cosa mi aspetterà dopo. Io non sono mai stata una persona particolarmente paziente, ma sono sicura che nessuno di voi, quando si troverà nella mia stessa situazione – e ci passerete, fidatevi – riuscirà a mantenersi neutro. Proprio non si può, è fisiologico. Ci deve essere qualcosa nei geni umani che porta all’odio di questo tipo di persone.
La professoressa parla. Frasi di rito: come sono andate le vacanze? Avete dato tanti esami? È andato bene quello di giapponese? No, perché sappiate che quest’anno sarà il doppio più difficile… D’accordo, forse l’ultima non è proprio una frase di rito, ma che ci volete fare.
Il saccente senza nome di fianco a me annuisce compunto.
A cosa?
Non ci è dato saperlo. Poi lo fa, inizia a parlare da solo. Bene. «Sì, io quest’estate non sono riuscito a fare altro che studiare, ma ne è valsa la pena dopotutto…» il suo monologo si riduce a qualcosa di impercettibile. Non abbastanza da essere considerato una risposta alla domanda – fatta per educazione – sulle vacanze, ma abbastanza da essere percepito da tutti quelli intorno a lui.
«La forma congetturale si fa…»
«Anche se, ora che ci penso avrei potuto prendere la lode anche all’altro esame…»
«… quindi vi basta unire verbo e…»
«… invece alla fine ho preso un misero trenta…»
«… quindi non è così difficile come sembra.»
Non ridete. Non è bello non capire una mazza a lezione. Quindi la forma congetturale si fa con i trenta? O il saccente avrebbe preso trenta e lode se avesse usato la forma congetturale?
Nella mia testa tutto è confuso, tranne l’impulso di prendere il libro e tirarglielo in testa. Ma sono una persona civile, io.
Mi astengo e riprendo a seguire la lezione, dopo aver ritrovato la calma.
«Beh, non è difficile questa lezione, dai. Io mi sono portato avanti durante l’estate.»
Ditemi che non sta parlando con me. Magari si rivolge al niente alla sua sinistra. Questo non spiegherebbe il motivo per cui si trova praticamente steso sul mio banco con la faccia rivolta verso di me, ma mi eviterebbe un attacco isterico.
«Ah.»
Io, povera comune mortale, vorrei seguire. Il libro non l’ho neanche aperto da quando l’ho comprato quindi tutto quello che sto sentendo è nuovo per me. E per il resto dei sopravvissuti, suppongo.
«Magari uso quest’ora per studiare qualcos’altro.»
Prego. La porta è lì, esci e studia cosa vuoi. Meglio se studi un metodo per non presentarti più a lezione, ma suppongo sia chiedere troppo.
Annuisco poco convinta.
«Ragazzi, sentite, non siamo più al liceo. La frequenza non è obbligatoria, quindi se dovete parlare per favore andate a farlo fuori.»
Sta guardando me?
Me?
Io non ho aperto bocca, è stato saccente qui di fianco!
Saccente annuisce con sguardo serio, come se anche lui volesse rimproverarmi per aver disturbato la lezione.
Mi giro dall’altro lato, per quanto mi sia possibile. L’opzione di infilargli la penna su per il naso non è praticabile, quindi tanto vale ignorarlo.
Rimpiango di non aver portato dei tappi per le orecchie: l’effetto collaterale sarebbe stato non sentire la lezione, ma tanto di guadagnato se non avessi sentito neanche lui che mi bisbigliava a fianco.
La professoressa continua a spiegare.
Io continuo a scrivere.
Saccente parla. Spiega al nulla le sue teorie, ci fa sapere che lui già sa tutto.
La lezione finisce e io mi alzo di scatto. Quasi mi dimentico anche di raccattare la mia roba, ma tutto pur di fuggire da lì.
Prendo tutto in fretta e furia e faccio per allontanarmi con in testa un solo pensiero: la prossima volta mi siedo in fondo all’aula, per terra.
«Allora ci vediamo domani, eh?»
Sì, sì continuate a ridere. Sono sicura che vi immaginiate il seguito di questa storia, ma sappiate che capiterà anche a voi. Anche voi avrete un saccente in classe che vi bisbiglierà nelle orecchie, anche voi sentirete il peso dell’ignoranza quando lui vi mostrerà il suo genio.
E allora non riderete più, cari miei.



Saaaalve!:)
Spero che anche questo capitolo vi faccia ridere... la realtà è ilare, vero?+___+
Comunque colgo l'occasione per farvi in anticipo gli auguri per una buona Pasqua! Spero che vi divertiate almeno voi, perché io devo studiare!.__.
Vi saluto!:)

Nihal

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Capitolo 5
*** Lo studio pre-esame. Quando ci saranno solo i libri a farvi compagnia. E, soprattutto, l’esame. ***


5. Lo studio pre-esame. Quando ci saranno solo i libri a farvi compagnia. E, soprattutto, l’esame.

Vi ho raccontato tanti aneddoti, ma ancora non ho parlato degli esami. Adesso penserete che se ne parlo al quinto punto è perché non sono poi così importanti, probabilmente le leggende che dicono che all’università si va solo per giocare a birra pong il sabato sera – e il venerdì e il giovedì e il mercoledì e il martedì e il lunedì. Domenica è giorno di riposo – sono vere e che non dovrete mai più vedere un libro in vita vostra.
Dai che lo sapete già cosa sto per dirvi. Anche Pinco e Pallino amanti dei banchi, lì, hanno smesso di ridere.
Sì, insomma, via questo stereotipo, è palesemente falso.
Mettetevi l’anima in pace, i libri da studiare sono come minimo due – esclusi gli appunti – ed esiste una legge fisica da qualche parte nel mondo che dice che i corsi finiranno sempre meno di una settimana prima dell’esame. Sempre. Non obiettate che non è possibile, che c’è un tempo limite per il termine dei corsi e cose così. Noi non badiamo a queste quisquilie.
Il corollario alla legge di sopra dice che il professore sarà sempre indietro sul programma e che, per quanto abbia già spiegato ore e ore e voi vi siate staccati la mano a forza di prendere appunti, gli serviranno almeno due o tre settimane bonus in cui concludere l’ultima parte.
L’ultima parte si rivelerà essere la seconda metà del programma, che voi dovrete studiate in due o tre giorni netti.
Ma prendiamo un esempio.
Esame di religione. Poco tempo.
Quelle sono le uniche concezioni che ho in testa quando guardo la pila di libri ammucchiata sul tavolo della cucina. Cerco di contarli, ma a metà soggiunge la depressione e decido che per la mia salute mentale è meglio che il numero di testi resti sconosciuto.
Guardo gli appunti. Questi sono di meno, mi dico.
Pinco e Pallino, non ridete che quando vi iscriverete a lingue – e so che lo farete – non vi passo gli appunti.
Ah, ecco, ora siete seri. Continuiamo.
Dicevo. Guardo gli appunti. Gli appunti guardano me. Dopo un gioco di sguardi che dura circa mezzo pomeriggio, mi alzo e vado a prendere i pennarelli. Sì, all’università i colori vi serviranno! Saranno l’unica cosa che preserverà la vostra sanità mentale, cari miei.
Inizio a colorare le frasi più importanti che, secondo un calcolo matematico non meglio identificato, si susseguono a distanza di due righe. Quando metà dei fogli sono diventati color arcobaleno, mi sento soddisfatta.
Almeno non sembrano deprimenti come prima.
Ma è arrivata l’ora di fare una pausa. Mi alzo, facendo bene attenzione a non guardare i libri che altrimenti mi costringerebbero a studiarli – sì, i libri universitari hanno questo potere – e mi dirigo verso la credenza, per un piccolo spuntino.
Ritorno al tavolo circa un’ora più tardi, dopo aver spazzolato tutto quello che sono riuscita a trovare. Ecco, dimenticavo: preparatevi a prendere almeno due chili ad ogni sessione d’esame. Il cibo, insieme ai colori, è una delle poche cose che vi risolleverà il morale.
Comunque, ritorniamo allo studio. Dopo che gli appunti sono sufficientemente colorati, mi ritengo soddisfatta.
Passo ai libri. Prendo il primo dalla pila e lo sfoglio distrattamente. Adesso voi penserete che io non studi sul serio, ma questa è tutta una tattica, fareste bene a prendere nota.
Non fatevi infinocchiare da quelli che all’ingresso dell’edificio universitario cercano di vendervi miracolosi corsi di memorizzazione facile e di studio veloce. Io il mio metodo ve lo rivelo gratis, perché tanto né il mio né il loro funzionerà, quindi sono talmente onesta da non farvelo pagare – casomai voleste fare una donazione ad una povera studentessa universitaria, il numero della mia carta vi sarà comunicato in separata sede.
Quello che sto facendo è leggere parole a caso con la speranza di assimilare i concetti chiave. È un tipico metodo di studio utilizzato dall’universitario medio che è con l’acqua alla gola perché ha cazzeggiato fino al giorno precedente all’esame. Insomma, lo usano tutti.
In meno di due ore ho i concetti chiave di tutti i libri. La parte negativa di questo sistema è che quando guardi le parole chiave della pagina possono sì capitarti ‘buddhismo’, ‘religione’ e cose del genere, ma anche ‘di’, ‘per’ e ‘vedi nota’ e dubito che una di queste parole possa essere utilizzata per costruire una risposta. Comunque si può tentare, eh.
Ormai è tardi, è meglio che vada a dormire. Sì sa che dopo una giornata intensa di studio il cervello ha bisogno di riposo, soprattutto se il giorno dopo è quello dell’esame.
Il mattino successivo mi sveglio all’incirca alle quattro di mattino. L’appello è alle dieci, ma contando i vari spostamenti, le deviazioni stradali, i pastori che porteranno le mucche a passeggiare in città rallentando il traffico proprio quel giorno e le fini del mondo varie sono sicura che arriverò appena in tempo.
Metto gli appunti in borsa con l’intento di fare una bella figura. Se la gente mi vedrà studiare intensamente penserà che sono una persona che vuole prepararsi fino all’ultimo minuto e se sarà proprio il professore ad avere quell’impressione, magari partirà prevenuto in modo positivo.
Sì, sono tutte illusioni. Era solo per farvi capire che è inutile se la penserete così. Se non sapete una cippa, non sapete una cippa. Sperate che il professore sia ubriaco e vi chieda che tempo fa, così magari una risposta giusta gliela date.
Io faccio così, ma nessun professore è mai ubriaco. Comunque, giusto in caso, prima dell’esame guardo le previsioni del tempo, casomai non ci fosse una finestra per vedere se piove o c’è il sole.
Comunque, dicevo. Arrivo nel luogo indicato con un’ora di anticipo: la fine del mondo che prevedevo non si è verificata, così sono arrivata prima. L’aula è già piena di persone che presentano tic isterici di varie entità. Io ovviamente non faccio eccezione. Mi siedo e decido di utilizzare quell’ora di bonus per sembrare impegnata a leggere gli appunti.
Applico il metodo delle parole chiave anche su quelli, ma mi giova a poco.
Alla fine il professore arriva. Chiama gli iscritti e, dopo che la metà – quelli che non si sono ritirati perché credono nel metodo delle parole chiave – risponde, inizia ad interrogare.
In linea di massima è bene ascoltare le domande che vengono poste agli studenti che passano prima di voi. Ma se vi rendete conto che su cinque domande riuscireste a dire qualcosa solo su una – e magari sapete solo una parola chiave e basta – vi consiglio di andare a bervi una cioccolata e aspettare il vostro turno il più lontano possibile dall’aula. Presentarsi all’esame con un principio di depressione non è il massimo, non fate una bella impressione.
Ovviamente io non seguo il mio stesso consiglio e sto a sentire. Dopo mezz’ora vorrei sprofondare nel pavimento. I miei concetti chiave sono inutili e il professore gode nel torturare gli esaminati.
L’ultimo non è neanche andato tanto male, a mio avviso. Almeno qualche parola l’ha detta, al contrario del suo predecessore e non è scoppiato a piangere, al contrario di quella ancora prima.
«Guardi, le consiglierei di presentarsi al prossimo appello. Questa interrogazione non vale più di diciotto.»
Il viso dello studente si illumina. Era chiaro che nelle sue speranze più rosee contava di prendere quindici per pena.
«Lo accetto!»
«No, guardi, non glielo consiglio, se si prepara di più può ottenere un voto più alto.»
Intanto il candidato ha già piazzato il libretto sotto la faccia del professore e visto che questo non si sbriga gli ha anche messo sotto il naso una penna.
Il professore storce il naso mentre scrive il voto.
Io intanto affogo nella disperazione. Probabilmente non arriverò neanche ad un voto a due cifre.
Il mio nome, che sembra pronunciato da molto lontano, mi fa risvegliare dal mio torpore.
È il mio turno. Avrei dovuto ritirarmi. Ma il mondo universitario è anche questo, miei cari liceali: esami che si tentano per fortuna, esami che non si passano per sfortuna e a volte anche esami per cui si è studiato.
Mi siedo davanti a lui, cercando di trattenere un attacco isterico.
«Buongiorno.»
No, neanche un po’. Se fosse un buon giorno sarei ancora nel letto a dormire e non avrei nessun esame da sostenere.
«Buongiorno.»
Ora che i convenevoli sono andati, inizia la tortura vera e propria. Mi fa una domanda, per poi guardarmi con espressione di sfida.
È una cosa del genere: «Secondo quali meccanismi si sviluppa la corrente di pensiero discendente dal cosiddetto Buddha e in quale era storica si può dire che ci sia l’incipit di quest’ultima?»
Io lo guardo con espressione ebete. Sarà l’ansia, ma non ho neanche afferrato quello che vuole chiedermi.
«Mi scusi, potrebbe ripetere la domanda?» cerco di essere gentile, ma purtroppo l’odio si espande a ondate troppo grandi per poterle limitare.
«Cos’è il buddhismo e quando nasce?»
Sorrisetto.
Prendi per il culo?
Faccio riaffiorare alla mente i concetti chiave e gli dico tutto quello che mi ricordo. Stranamente non abbiamo iniziato con una domanda in cui sarei stata costretta a fare scena muta.
«Bene, anche se io non userei il termine ‘corrente’. Mi sembra più adatto ‘movimento’. Bisogna fare attenzione a queste cose.»
Mi guarda con espressione di rimprovero.
Io sono lì lì per rispondere con un scusi, la prossima volta provvederò a munirmi di dizionario dei sinonimi e dei contrari e lo consulterò prima di aver la faccia tosta di darle una risposta con termini non adeguati, ma saggiamente decido che forse è meglio non fare polemica con una persona che ha palesemente il coltello dalla parte del manico.
Mi limito ad annuire.
Il resto dell’interrogazione si svolge in modo stranamente liscio. Più parlo e più le mie speranze si sollevano.
Pinco, non ridere.
Finalmente il professore decide che con me ha finito. Io cerco di nascondere la soddisfazione per essere riuscita a cavarmela, ma lui mi smonta.
«Beh, i concetti ci sono…»
Non è quello l’importante?
«… ma l’esposizione non va molto bene.»
‘Corrente’ al posto di ‘movimento’ non conta come brutta esposizione.
«A volte usa termini non adeguati.»
Ancora con questa corrente?
«Però si vede che ha studiato!»
È un contentino?
«Beh, dai va bene, le do un voto alto.»
Sta parlando da solo, se ne rende conto, vero?
«Avanti il prossimo!»
Ma siamo dal macellaio? Su, ragazzi, se non avete il ticket non potete passare. Mettetevi in fila. Comunque le ali di pollo sono già finite, sappiatelo.
Ridi pure, Pinco. Un giorno toccherà anche a te. E non è detto che ti vada bene, sappilo.
Io, intanto, per questa volta l’ho scampata, mi ritengo già fortunata per quello.



Salve!:) Per la cronaca, sì, il birra pong è spudoratamente preso da 'Greek'!:)
Coooomunque...
Se al telegiornale parlano di nuovo del calo degli iscritti all'università mi dovrò ritenere responsabile?:)
No, suvvia, non prendete alla lettera quello che vi dico. Iscrivetevi all'università con aspettativa, preparatevi una buona dose di prosciutti e un'altra di santa pazienza e forse ce la fate!:) E con questa perla di consiglio, vi saluto!:)

Nihal

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Capitolo 6
*** La segreteria, il sito di facoltà e la burocrazia. Rimpiangerete di esservi iscritti. ***


6. La segreteria, il sito di facoltà e la burocrazia. Rimpiangerete di esservi iscritti.

Ma adesso lasciamo stare gli esami e parliamo di qualcosa che anche se ci interessa solo relativamente, vi accompagnerà per tutti e tre gli anni della vostra triennale, per la specialistica e forse anche oltre.
Al liceo ai miei tempi nessuno si preoccupava di consultare il sito della scuola. Insomma era stato messo online nel 2005, aggiornato nel 2006 e permane ancora, nella sua eternità sempre uguale, nel 2013.
Ma per l’università è tutta un’altra storia. La prima cosa che dovrete imparare a fare, sarà usare il sito internet della vostra facoltà. E non fate quella faccia. Per quanto sappiate usare internet, il sito di facoltà è un’altra cosa. È un mondo a parte, una specie di labirinto di Cnosso. Anzi, peggio. Avete presente il labirinto della prova Tremaghi? Ecco, quello è niente in confronto al sito. Gli schiopodi sparacoda non sono nulla in confronto all’interfaccia intuitiva che vi si presenterà davanti.
Ma ce la potete fare. Il peggio non è quello, miei cari.
Il male sotto forma di ente è la segreteria. La segreteria è il posto che vorreste evitare come la peste, ma in cui vi toccherà andare perché anche se non avrete problemi burocratici per tutti e tre gli anni – ed è impossibile, fidatevi – dovrete comunque andarci per i vari moduli che vi serviranno per la tesi.
Su, su, Pallino, non essere così terrorizzato. Il peggio che può capitarti è fare una coda di tre ore circa e poi essere insultato dall’impiegato di turno che non ha capito cosa gli hai chiesto. Ops, forse ho peggiorato la situazione. Pinco, porta Pallino a bere una cioccolata per calmarsi, offro io.
Ma anche qui, ci va un esempio. Io sono stata una tra i fortunati che al primo anno non hanno avuto bisogno di mettere piede in quel luogo. Di conseguenza giunto il momento non sapevo neanche dove fosse e avevo il livello di esperienza da segreteria di uno studente liceale. Sì, insomma, il livello di Pinco.
Devo far convalidare l’ECDL. Ce l’ho ed è una fortuna, perché posso evitare di fare l’esame di informatica. L’altro lato della medaglia è che devo andare in segreteria e la gente non ne parla bene. Arrivo con un quarto d’ora d’anticipo. La piazzetta antistante la segreteria è piena di gente. Iniziamo bene.
Mi infilo anche io e aspetto che aprano. Come tutte le segreterie che si rispettino, aprono con dieci minuti di ritardo. La gente si fionda verso l’unica entrata e alla fine riusciamo a stiparci tutti dentro. È come una macelleria: prendi il ticket e aspetti il turno di prendere la carne. Cioè, di fare le domande.
Io sono il numero ventidue. Non sono mai stata brava in ginnastica, quindi mi sono fatta sorpassare nell’importante fase del ticket. Guardo il pezzetto di carta tra le mie mani con aria sconsolata.
Tempo medio d’attesa: un’ora.
Non fidatevi mai del tempo medio d’attesa, mente. Quella fu l’ora più lunga della mia vita, perché durò dalle due di pomeriggio alle quattro e mezza. Ma probabilmente era il mio orologio che era impazzito.
Finalmente è il mio turno. Mi alzo, in mano ECDL, copia dell’ECDL, codice fiscale, carta d’identità, numero della carta di credito, prosciutto per corrompere gli impiegati… insomma, tutto quello che potrebbe servire per sbrigarmela in fretta. Dall’altra parte del vetro mi accoglie un uomo con una sguardo annoiato.
«Salve» lo saluto. Perché anche se ho dovuto aspettare un’ora lunga due ore e mezzo, io so cos’è l’educazione.
L’uomo mi fa un cenno con la testa. Va beh, si sarà rotto le scatole anche lui di stare lì a rispondere a tutti i problemi degli studenti mentre la collega continua a passeggiargli dietro bevendosi distrattamente un caffè.
E qui mi sembra giusto menzionarvi un’altra legge incontestabile: le segreterie avranno sempre tre sportelli – e fin qui la legge non vi dispiace, lo so.
Ora passiamo al corollario, che dice: in ogni segreteria due sportelli saranno sempre chiusi.
Fidatevi, fin’ora questa legge non si è mai rivelata falsa.
Comunque, sorvolando sull’entusiasmo del mio interlocutore, gli mostro l’ECDL e la sua copia e gli dico che sul sito c’era scritto che con quelli era possibile non sostenere l’esame di informatica.
«Mh, non so se si può fare» mi dice annoiato.
«Ma c’è scritto sul sito» protesto io.
«Ah, ok… comunque non so se si può fare.»
C’è.scritto.sul.sito. Cazzo.
«Ma sul sito dice che si può…» tento nuovamente.
«Boh, forse bisogna chiedere in consiglio…»
«Ma sul sito c’è scritto che basta andare in segreteria!»
L’isteria inizia a farsi sentire.
«Ah… chiedo alla collega.»
Sparisce anche lui. Tutte le persone dietro di me mi guardano male perché ho fatto scappare l’unico impiegato presente. Io sorrido nervosa.
Dopo una decina di minuti – io lo so che anche lui è andato a bere il caffè. Era geloso della collega! – ritorna.
«Devo vedere l’ECDL e mi serve una copia»
Gli mostro l’ECDL e gli do la copia.
«Ma è il suo?»
No, di mia nonna, me l’ha prestato giusto per l’occasione.
Annuisco stancamente.
«Allora, in teoria dovrebbero convalidarglielo. Lei controlli sul sito, se non contano l’esame al massimo torna qui.»
No, io in segreteria non ci torno. Al massimo sostengo l’esame, grazie.
Purtroppo dentro di me, so che quella non sarà affatto l’ultima volta che ci andrò.
E questo, miei cari, è solo un esempio tra i tanti. Ma sappiate che se andate all’università, la segreteria è inclusa nel pacchetto.


Sssssalve!:) No, non vi siete liberati di me. Sono io che mi sono liberata di un'esame abbastanza ingombrante, quindi adesso posso di nuovo avere una vita sociale - più o meno!:)
Spero che il capitolo vi piaccia e sì, il titolo mi è venuto in mente pensando alle Cronache di Narnia. Suppongo che non ve ne importi particolarmente e probabilmente nessuno lo noterà, ma lo dico comunque per amor di giustizia!:)
Consiglio del giorno: quando andate in segreteria portatevi un prosciutto o qualcosa per corrompere gli impiegati, altrimenti non passate, cari!:)
Buona giornata!^^

Nihal

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Capitolo 7
*** La tesi ***


7. La tesi

Bene, siamo arrivati sani e salvi al terzo anno. Cioè, io sono arrivata sana e salva al terzo anno, voi dovete ancora immatricolarvi, quindi facciamo che è un plurale maiestatis. Adesso si presenta il problema più grande che bisogna affrontare in questi anni di università. La tesi. L’ultimo passo prima della laurea. Il biglietto di uscita dall’inferno. Insomma, chiamatela come vi pare, il concetto non cambia.
Comunque, andiamo per ordine.
Il primo passo è scegliere un argomento per la tesi. E non fate quelle facce come se non fosse chissà che cosa. L’argomento è importante, perché quando avrete voglia di sbattervi di faccia contro la tastiera – e succederà, fidatevi – l’unico pensiero che vi salverà sarà: almeno ho scelto un argomento che mi interessa.
Pensate se vi toccasse scrivere pagine e pagine su, non so, la riproduzione delle amebe ai tempi del colera. Insomma, può anche essere interessante, ma diciamocelo, a nessuno frega mai niente delle amebe.
Ordunque. Dopo aver trovato l’argomento – e potrebbero volerci mesi, se non anni. Chiedetelo allo studente dell’undicesimo anno che si laureerà alla triennale nella prossima sessione – vi serve un relatore.
Ovviamente ci sono molte varianti da tenere in conto. Il professore non deve essere troppo alto né troppo basso né uomo né donna e soprattutto deve essere disponibile.
Ci sono diverse categorie di professore tra cui lo studente si può trovare a scegliere. Da quello che anche se al suo esame siete passati con diciotto e un calcio in culo vi prende come tesista senza problemi a quello che se non avete preso trenta e lode declamandogli il libro in versi non vi fa neanche parlare con il suo assistente.
Ma facciamo finta che i primi due punti siano chiariti e passiamo avanti.
Bisogna presentarsi dal professore e esporre la propria idea.
Lo so che state pensando che quella è la parte più facile, ma ricredetevi. Questo è un momento importantissimo, per cui dovrete prepararvi mentalmente a partire almeno dal mese prima.
Sicuramente, nel caso in cui siate accettati come tesisti, la vostra idea sarà revisionata almeno venti volte. Sarete sicuri dell’argomento della vostra tesi, se vi va bene, il giorno prima della laurea.
Ma sorvoliamo anche su questo. Facciamo finta che abbiate già deciso tutto e che l’unica cosa che vi manchi sia il materiale.
Una frase tipo sarà qualcosa del genere: «Io ti consiglierei di leggere questi sei o sette testi come preparazione, poi dopo vediamo come continuare.»
Voi vi segnate diligentemente i testi consigliati e sprecate il pomeriggio ad andare in giro in tutte le librerie che conoscete – e anche quelle che non conoscete. E anche quelle che non esistono.
Dopo diversi non penso che esista una cosa del genere sulla faccia della terra, iniziate a pensare che ci sia qualcosa che non va. Correte al primo punto con wifi libero – non sognatevi neanche di girare senza computer! – e iniziate a cercare i testi sul web. Quando vi renderete conto che il più recente è stato stampato nel 1700, capite che siete nella merda.
Cercate di procurarvi qualche copia apocrifa e dopo aver speso tutto il vostro patrimonio in un’asta illegale in cui avete gareggiato con un magnate dell’industria cinese, avrete i vostri libri.
Attenti a non rovinare questi reperti, li leggete.
Sono convinta che sapete cosa succederà dopo. No?
Vi do un indizio. Avete letto dei libri per prepararvi, adesso secondo voi cosa dovrete fare?
Esatto, dovrete leggere altri libri. E i libri che vi serviranno saranno molto più vecchi e molto più rari dei precedenti. Forse esistono solo manoscritti, neanche copie stampate.
Vi consiglio di mettere da parte la tesi per qualche mese e trovarvi un lavoro illegale per rimpolpare le vostre finanze. Vi servirà per la prossima asta.
Adesso so che avrete un’obiezione.
E le biblioteche? Come siete divertenti, cari. Le biblioteche sono degli enti mitologici. Casomai vi capitasse di trovare una copia del libro che vi serve in una biblioteca si verificherà uno dei seguenti casi: o il libro è andato distrutto in un incendio del 1600 – anche se è stato stampato nel 1800 – e si sono dimenticati di cancellarlo dal catalogo oppure la copia è stata presa in prestito. Possibilmente da uno studente della Lapponia, che se l’è fatta mandare – si sa che Babbo Natale con tutto il lavoro che ha è molto in ritardo con la tesi. Beh, potete aspettare che torni, giusto?
Sbagliato. Le poste italiane fanno schifo e l’hanno smarrita.
Comunque alla fine riuscirete a racimolare tutte le copie. Adesso viene la parte divertente. Dovete scrivere, scrivere e scrivere! E intanto seguire i corsi. E se lavorate, lavorare. E se avete una vita sociale, vivere.
Ma l’ultima non varrebbe neanche la pena nominarla. Tanto le direte addio il giorno dell’immatricolazione.
La parte positiva è che ad un certo punto la finirete. Il risultato magari sarà di dubbia qualità, ma non c’è niente che una buona rilegatura non possa nascondere. Poi, suvvia, chi crede ancora che la gente la legga davvero, la tesi? Non me la leggerei neanche io, la mia, se non fossi obbligata.
A questo punto, se avete finito tutto, riposatevi. Vi manca solo più la laurea e siete a posto.
Fino alla specialistica.
Ah, qualcuno chiami un’ambulanza, Ippolito lì per terra non ha una bella cera. Se è morto occultate, cari, occultate.



Salve!:) No, non sono morta, ma eviterò di raccontarvi aneddoti vari sul perché ci metto anni a pubblicare una raccolta già scritta, dal momento che non sono interessanti!XD Detto ciò, spero che abbiate apprezzato questo penultimo capitolo! L'ottavo è soltanto una piccola appendice, quindi questo è praticamente l'ultimo in verità. Spero di avervi strappato qualche sorriso, con questa raccolta!:)
Detto ciò, vi saluto e fuggo!:)

Nihal

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Capitolo 8
*** La laurea ***


La laurea

Ormai siamo giunti alla fine della carriera universitaria – non esultate, c’è ancora la specialistica, cari. L’unica cosa che manca è la discussione della tesi e poi potrete considerarvi laureati.
Siete con il fiato sospeso perché volete una dritta, vero? Qualcosa che vi aiuti a non fare una figura di merda, suppongo.
Ed è anche giusto, non ho nulla da obiettare.
Purtroppo, mi dispiace per voi, non sono io quella che vi può aiutare. Se mi fossi già laureata non sarei qui a scrivere questa guida inutile. Non ho la più pallida idea di cosa succederà il giorno di discussione della tesi, ma visto che sono stata così gentile con voi e vi ho aiutato con queste direttive, se conoscete qualcuno che può dare qualche dritta a me, ditegli di scrivermi.
Ogni consiglio è accetto.
Detto ciò io vi saluto, miei cari liceali. Magari dopo che avrete passato l’esame di maturità e vi sarete iscritti all’università ci ritroveremo in qualche corridoio universitario e voi mi riconoscerete, anche se non mi avete mai visto. Io sarò lì ad attendervi. Finché non mi laureo, in quel caso sognatevi che sia lì a dare delle dritte alle matricole. Mica mi pagano.
Sayounara, ragazzi.



Bene!:) Con questa piccola appendice siamo giunti alla fine di questa emozionante (????) raccolta sui momenti più salienti della vista di un universitario medio.
Spero di avervi strappato almeno un sorriso (e qualche insulto per avervi rovinato l'innocenza da liceali!XD)!
Grazie a tutti per le vostre carinissime recensioni, comunque!**
E adesso augurate un enorme buona fortuna a questa studentessa disperata, che mercoledì ha il terzultimo esame della sua carriera universitaria e ha studiato poco o niente!;___;
Bene, adesso vi saluto! Grazie per la compagnia!:)

Nihal

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