Just a little, sweet, harmless baby.

di ChaosReign_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 3: *** Capitolo due. ***
Capitolo 4: *** Capitolo Tre. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


 

Just a little, sweet, harmless baby.

 

Prologo.

 

'E anche Harvey Dent è sistemato', questo è il pensiero del Joker, finalmente può fare scoppiare quel piccolo e dolce ospedale di Gotham city.

Una piccola esplosione, niente di che... Solo uno spettacolino per ringraziare tutte le persone del grande divertimento che gli stanno fornendo.

Cammina tranquillo per i corridoi della struttura, con addosso ancora la divisa bianca con i bordini rosa, da infermiera.

Si rigira tra le mani il telecomando che farà saltare in aria l'intero edificio mentre fischietta felice un motivetto della canzone del momento, ogni tanto interrompendosi per dar sfogo a una risata e per poi riprendere a saltellare fischiettando.

Ma la sua esilarante uscita di scena viene interrotta da un piccolo, quasi insignificante rumorino, proveniente da una delle stanze del piano.

Subito Joker si ferma ad ascoltare attentamente, potrebbe essere Batman e se così fosse dovrebbe restare pronto per eventuali attacchi, potrebbe essere anche un comune malato lasciato nel dimenticatoio dell'ospedale... Oppure un topo, un semplice topo.

'Ma no, è impossibile trovare dei topi in ospedale' così, dopo aver riflettuto per i cinque secondi necessari a formulare questa frase si catapulta verso il lieve rumore che man mano aumenta a ogni passo che il clown muove verso le stanze dell'ala.

Riprende a fischiettare, questa volta però estraendo il coltello e brandendolo davanti a sé, dalla tasca della divisa dove invece ci mette il telecomando.

Il suo istinto lo porta ad aprire una stanza e il rumore, che si scopre essere un pianto, si intensifica fino a diventare perfino assordante.

-Oh santo Dio, un bambino... Solo un piccolo, dolce, innocuo... BAMBINO!-

Mormora tra sé, calcando l'ultima parola, avvicinandosi all'incubatrice contenente una piccola figura vestita di rosa.

Una neonata.

-Ah. Ah. Ah. Una piccola e dolce bambina nelle grinfie del Principe del crimine di Gotham. Molto, molto divertente.-

Esclama osservando la creatura indifesa piangere.

Dal canto suo, la piccola, molto probabilmente nata da meno di due mesi, appena ode la voce squillante del clown smette di piangere e tende le mani verso di lui.

Ovviamente lei non sa a cosa va incontro, non sa chi ha di fronte... Per lei è solo una fonte di protezione, perché per ogni piccolo bambino la cosa peggiore è rimanere soli.

Ed è quando questa, Sasha recita la targhetta adornata con fiori e farfalle, tende le sue piccole mani verso il mostro che lui si accorge di un particolare che lo fa inorridire.

Non se la sono dimenticati, non è stata una svista... L'hanno abbandonata.

L'hanno abbandonata perché aveva il mignolo sinistro e l'anulare e il mignolo destri mancanti. L'hanno abbandonata perché, a modo suo, risultava essere un mostro per gli stereotipi della società moderna, proprio come lui.

È stata abbandonata da tutti, abbandonata alla morte, o peggio, abbandonata a lui. Proprio come lui è stato abbandonato da tutti.

E questo gli fa gelare il sangue nelle vene, a lui,a Joker! Al criminale più crudele, malvagio, senza pietà e sentimenti di tutto il mondo.

Questo è davvero troppo mostruoso anche per lui, non dare nemmeno la possibilità di vivere (anche da mostro) la propria miserabile vita.

-Tranquilla, finirà presto. Tra poco mangerai roastbeef insieme al Signore... O forse berrai latte. Ah ah, ah ah.-

E nel mentre della sua risata qualcosa lo blocca, non lo fa uscire da quella stanza.

Una risata, limpida, pulita... Fanciullesca. Non ironica, vera. Non la sua, un'altra che si mischia alla sua.

Sasha, un nome che pensa sia orrendo tra l'altro, ride insieme a lui mentre continua ad allungare le sue braccia deformi verso il suo vestito da infermiera.

Allora punta il suo sguardo sul faccino sorridente e sdentato della bimba, sui suoi grandi occhioni azzurri, pieni di speranza e simpatia.

Alla fine, se non l'ha ancora uccisa, è solo perché prova simpatia per quella neonata.

Gli ricorda lui appena dopo la nascita del Joker, era proprio come essere tornato un bimbo in fasce.Quel piccolo mostro di neonata.

-Allora... Siamo legati dallo stesso destino, mhm? Che mi dici Sasha, vuoi venire con me?... Ci divertiremo.-

Dopotutto quella bambina è il primo essere umano che non inorridisce davanti alle sue cicatrici, forse non le vede, ma di sicuro non ha paura di lui.

E questo è un punto a suo favore.

Forse perché pensa davvero che siano legati dallo stesso destino, forse perché pensa che sia solo una fonte di divertimento, forse semplicemente perché gli va di farlo, lui apre l'incubatrice e preleva la neonata prima di proseguire verso l'uscita e far scoppiare l'ospedale.

Appena fuori dall'edificio, mentre tutto esplode e il fumo sale denso verso il cielo, Joker scoppia a ridere, insieme a lui Sasha che strizza gli occhi felice e stringe la manina senza un dito intorno al tessuto leggero indossato dal criminale.

-Davvero E-S-I-L-A-R-A-N-T-E! Non è vero... Sasha? No, da oggi ti chiamerai... Norrie. È un bel nome Norrie, vero?-

Stringe la presa attorno alla vita della bambina e se ne va.

Consapevole di aver fatto un'azione che mai si sarebbe sognato, salvare una vita.

E mai si sarebbe immaginato che quella piccola bambina gli avrebbe cambiato la sua, di vita.

Chiudendosi la porta del pullman alle spalle, mentre si siede e appoggia il corpicino dell'altra sul sedile di fronte al suo, esclama:

-Mica starò diventando troppo dolce, mhm? Non mi staranno mica cadendo le palle?! Tu che dici, Norrie?-

E ride come un pazzo, seguito a ruota dall'inconsapevole neonata.

Ascoltando curioso quella risata argentina che non l'avrebbe più abbandonato.














Angolino autrice:
Ciao a tutti, questo è il prologo della prima storia a capitoli che pubblico qui.
Non so come uscirà e non so nemmeno se questa idea l'hanno già avuta altri, è un esperimento nato quest'oggi in classe durante un'ora buca.
Ovviamente la storia inizia dalla scena in cui Joker esce dall'ospedale dopo il discorso sul caos ad Harvey.
Detto questo... Fatemi sapere cosa ve ne pare, se non vi piace la cancello, non esitate a dirmelo!
Infine ringrazio chiunque legga questa storia, grazie mille a tutti!
Bacioni.
Alis.




 

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Capitolo 2
*** Capitolo uno. ***


  

Capitolo uno. - Tre anni dopo.

 

 

È rimasta sola, ancora.

Dopo tre anni che è sotto la tutela del clown, la piccola Norrie rimane ancora sola, questa volta in un lussuoso hotel appartenente a un mafioso di alto rango della città.

In verità non è proprio sola, ci sono sempre quei due, tre uomini che la tengono sott'occhio, ovviamente una bambina di tre anni, sola in un albergo, non può fare niente. Ha bisogno di qualcuno che la metta a letto, le dia da mangiare, che la cambi e tutte queste cose che dovrebbero fare i genitori.

Ma lei non ha dei genitori, loro sono scappati appena ne hanno avuto la possibilità, lei ha un unica persona a cui tiene, se così si può dire, il suo “Okel” come lo chiama lei con quella vocina alta e senza gran parte delle consonanti.

Di solito è lui che si occupa di tutto, nessuno dei suoi scagnozzi sa come viene trattata e curata dal pazzo criminale, ma stanno bene attenti ad accontentarlo quando viene rinchiuso all'Archam Asylum. Perché il suo unico desiderio, o ordine sarebbero meglio dire, è che la bambina non sia lasciata a morire.

Certe volte rimane rinchiuso lì dentro per mesi, e in quei mesi chi si cura della bambina è Harry, è il più giovane tra gli uomini del capo, avrà massimo vent'anni e ha subito amato quella bambina. È cattivo, sicuro, ha bisogno di soldi, certo, si è messo in affari con il più spregevole uomo (mostro) di Gotham, ma ha sempre avuto un debole per i bambini, sono così sorprendentemente inconsapevoli e puri. Forse trova, curare la piccola Norrie, un modo per riscattarsi dal male che fa ogni giorno e appena può se ne occupa lui.

Questa volta Occhio Blu, come la chiama lui, è felicemente alloggiata in questo hotel da una sola settimana. Harry, coperto dalla sua fedele maschera da pagliaccio triste, la scruta preoccupato, spera solo che Joker non tardi a evadere perché è già successo molte volte che la bambina si mettesse a piangere urlando “Okel”.

'Forse è ancora troppo piccola per capire chi sta cercando, forse è solo l'unica persona che si è presa cura di lei quando tutti le hanno voltato le spalle, per questo la cerca. Molto probabilmente è quello che avrei fatto anche io...', pensa quell'appena più che adolescente mentre cammina avanti e indietro per l'elegante suite, aspettando che il suo collega rientri.

Ora la bambina sembra essersi addormentata e Harry, un ragazzo alto e ben piazzato, con i capelli rossi e un accenno di barba sul mento, si lascia cadere accanto alla piccola, prendendo in mano il telecomando e accendendo il televisore su GCN, il telegiornale di Gotham.

Quello che vede è una parete crollata, fumo che si dirama in tutte le direzioni impedendo una buona visuale alla polizia appena arrivata.

Alza il volume.

-La città affonda di nuovo nel terrore, l'evasione del clown, denominato Joker, il pazzo e maniaco criminale, è stata inattesa e a dir poco distruttiva, ha fatto saltare in aria la parete ovest della sua cella, che dava sul corridoio principale del manicomio, uccidendo due guardie e lo psichiatra con cui doveva avere una seduta poco fa, dopodiché fa scoppiare un altro esplosivo contro la parete che da sulla strada, la possiamo vedere inquadrata, in pezzi. Non si sa ancora che metodo, il criminale, abbia usato per evadere. L'unica cosa sicura è che di lui non ci sono tracce. Se non delle carte bruciate di diversi... Joker, appunto.-

-Okel!-

Esclama lo scricciolo e si rigira nel letto per vedere il suo... Beh, cosa sarà per lei? Un papà.

-Ehi, piccola, ti sei svegliata, eh? Chi c'è, il tuo papà, vero? Ti manca...-

Lei lo scruta con gli occhioni spalancati e un dito in bocca, intenta a succhiarlo. Appena sente la parola, nuova e sconosciuta, “papà”, toglie la mano e si volge verso la televisione.

-Apà?-

E sposta l'indice verso lo schermo che, ora, mostra la foto del pluriassassino truccato con cerone bianco, rossetto rosso che copre tutte le cicatrici e gli occhi coperti di trucco nero.

-Apà.-

Ripete più convinta.

-Si, quello è il tuo papà che torna a prenderti.-

La sollevo e inizio a cullarla tra le braccia mentre lei inizia un coro di “Apà! Apà!” indicando il televisore.

Mi viene da piangere e sorridere nello stesso tempo, penso a come potrebbe essere stata la sua vita in una famiglia normale, con degli amici, forse un fidanzatino, la scuola, l'oratorio... Cose che non potrà mai avere.

Vivrà nel dolore, nella solitudine e nel massacro.

Vivrà nell'ombra di una città corrotta, dove per vivere deve imparare a uccidere e a non farsi ammazzare a sua volta.

-Si, il tuo papà sta arrivando e quando sarà qui andrà tutto bene.-

Dopo nemmeno dieci minuti che le parole sono uscite dalla bocca del più grande, la porta si spalanca sbattendo contro il muro con tale potenza da far tremare tutto l'appartamento.

-Bene, bene, bene... Bene! Vi sono mancato?-

Il clown, con ancora addosso una sottospecie di divisa (o forse è una camicia di forza?), brandisce una mitragliatrice come se fosse una bella foto di famiglia.

Avanza di qualche passo verso i due fino a distare pochi passi dalla bambina.

-E tu, hai fatto la brava, brutta bestiaccia?-

Lei ride felice, tendendo, come quella prima volta in ospedale, le braccia verso il suo... Papà.

-Apà!-

Joker, nel preciso istante in cui sente pronunciare quella parola, si irrigidisce e il suo sorriso, già mostruoso di suo agli occhi delle altre persone, si trasforma in un ghigno perfido.

-Harry... Giusto? Ti chiami Harry?... Sapresti dirmi, precisamente, cosa ha appena detto quella... Bambina?-

L'ultima parola la sputa, come potrebbe sputare una foglia d'insalata andata a male.

-Ehm... Beh, io... Io credo abbia detto papà.-

La voce del ragazzo è bassissima, quasi un sussurro, anzi uno squittio. Sa che non dovrebbe nemmeno perdere tempo a provare a mentire al boss. Sarebbe tutto inutile.

Ecco, sembra un topo braccato dal gatto e messo al muro, in un angolino. Senza via di scampo.

-Ah, così... Così a te sembra che abbia detto proprio, proprio papà. Sai che lo è sembrato anche a me?-

Il pazzo muove un passo verso Harry. E un altro, con la mitragliatrice in bella mostra, la sicura sembra non essere gradita dall'evaso, che continua il suo monologo.

-Solo, mi chiedo da dove... O da chi possa averla imparata. Perché sai, tu sai la storia delle mie cicatrici, vero Harry? Tu sai che io odio mio padre, vero Harry?-

Ora il rosso arretra a ogni passo di Joker, incastrandosi tra l'angolo di parete tra la cucina e il bagno.

-Io, oh, ti prego, non sono stato io! Lasciami in pace!-

Esclama rannicchiandosi su se stesso, forse per sentirsi un po' più protetto nonostante sappia che con il clown intorno nessun nascondiglio è sicuro.

-Ah, non è colpa tua... Allora questa POPPANTE ha imparato da sola a chiamare PAPÀ la gente, no? Ma sarò buono, ti lascerò in pace... Eterna.-

E fa fuoco.

Preme il grilletto e punta l'arma da fuoco verso il povero malcapitato, i proiettili iniziano a volare all'impazzata e tutti centrano il bersaglio con fin troppa precisione, con la precisione che solo un assassino veterano ha.

E ride, lui ride fino a farsi venire le lacrime agli occhi mentre preme il grilletto.

Dopodiché si siede sulla poltrona e sospira, soddisfatto.

La bambina, sul letto, inizia a mugugnare e strisciare fino al bordo per avvicinarsi al suo papà, o quello che crede essere tale.

-Oh, stai zitta. Almeno un momento. Zitta. Non farmi pentire di averti portato con me. Mi stai facendo venire il mal di testa.-

La bambina, come se capisse tutta la frustrazione dell'uomo si zittisce e lo osserva, lui dal canto suo si passa una mano in faccia togliendosi gran parte del cerone sudaticcio e appiccicato sulla guancia sinistra e sulla fronte.

Poi, sempre sotto lo sguardo indagatore della bimba, si dirige in bagno dove si sciacqua la faccia da quella maschera che indossa ogni giorno e, molte volte, anche diverse notti.

E quegli occhioni blu continuano a fissarlo con curiosità, lo fissano con curiosità mentre si lava (lo intravedono solo per metà dalla porta) e lo vedono quando torna nella stanza (formata da un letto, dove si trova ora la neonata, una poltrona, un angolino cucina e la televisione, più un armadio e la terrazza) con il viso pulito, le cicatrici non più rosse ma di un color carne bruciata. La fronte di un colore olivastro, pallido. Solo i capelli hanno mantenuto quel colore verde sporco.

In quel preciso istante, quando lui si piazza davanti a lei, con il viso scoperto, capisce che non l'avrebbe potuta lasciare andare.

Perché? Perché è diventata parte della sua “normalità”, perché è l'unica creatura a cui si è esposto volontariamente e che è sopravvissuta almeno tre minuti per poterlo raccontare... Nonostante abbia solo tre anni.

Ed è in quel preciso istante che i suoi occhioni diventano due pozzi profondi, in cui non si può far altro che perdercisi. Due pozzi innaturalmente azzurri, troppo azzurri per essere normali.

-Oh, vedo un grande futuro in te, piccola mocciosetta.-

Esclama in tono dolce.

-Potresti benissimo diventare una grande... Allieva, però sappi che non mi dovrai mai, mai e poi mai chiamare papà. MAI! Io non sono tuo padre, tu non sei mia figlia...-

Detto questo le da un buffetto sulla guancia e si alza, prima di uscire dalla camera d'albergo si ferma sulla soglia e sussurra:

-Tu non sei nessuno. Nessuno.-

Cercando di convincere più se stesso che la bambina che ancora non capisce quelle parole, ma che, più tardi negli anni si ricorderà.

Oh, eccome se le ricorderà...








Ciao a tutti!
Sono tornata, la volta scorsa mi sono scordata di dire che i capitoli ora sono un po' corti, ma con il tempo si allungheranno e per ora sto scrivendo in terza persona, ma i POV molto probabilmente cambieranno nel corso della storia.
E, ovviamente, i personaggi qui descritti non mi appartengono.
Ora voglio ringraziare le quattro persone che hanno recensito il prologo, le cinque che hanno messo la storia nelle seguite, la persona che l'ha messa nelle preferite e le due che l'hanno messa nelle ricordate.
Grazie anche a tutte le persone che hanno letto e che leggeranno!
Spero che anche questo primo capitolo vi piaccia, mi farebbe tanto piacere avere un vostro parere.
Bacioni.
Alis.

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Capitolo 3
*** Capitolo due. ***


Capitolo due. -

Una zavorra insostenibile.

 

 

Papà sto male.” è stata la frase che tanto l'ha fatto infuriare, la frase che ha causato il segno di cinque grandi dita sulla pallida e morbida guancia della bambina.

Per lui è stato strano, non come giocare con delle persone impaurite, già pronte a morire, non è stato come quell'emozione che prova durante un combattimento contro il topo volante, è stato più un gesto incontrollato. Un vero e proprio scatto d'ira e di frustrazione.

Ora Joker guarda Norrie dormire, se così si può chiamare quell'insieme di gemiti e tremiti, nel suo letto. Lei è piccola e si chiude ancora di più in una posizione fetale, con un dito in bocca e l'altra mano appoggiata sotto l'orecchio. I lunghi capelli neri fanno contrasto con la pelle bianca e gli occhi chiari, ora chiusi. Anche le lenzuola nere di cotone pesante sembrano risaltare sopra quella figura tanto minuta quanto fragile.

Il pazzo si avvicina e copre fino al collo Norrie, a cui scappa un tremito più forte degli altri quando la sua pelle entra in contatto con il tessuto, ma che, però sembra rilassarsi quando è totalmente coperta.

Papà” mi ha chiamato, ancora.

È il pensiero di Joker mentre lancia un'ultima occhiata alla stanza buia.

Papà. Papà. Papà.” quella parola continua a ronzargli nella testa. Lui non è suo padre e questo deve farglielo capire, men che meno suo amico.

Lui è... Cos'è? Quella bambina cosa può vedere in lui se non un genitore, un genitore che la mette a letto, le da da mangiare e le insegna delle cose?

-Papà...-

Sussurra tra sé e sé. Lui odiava suo padre, o almeno così crede, in verità, anche se non vuole ammetterlo, quella parola gli suscita un sentimento di paura, ha paura del legame che quella parola possa instaurare tra di loro.

E poi, è troppo giovane per fare il padre.

Si chiude alle spalle la porta di legno e si incammina verso quello che potrebbe essere una sorta di soggiorno, lì un uomo lo aspetta seduto in una posizione tipica degli assidui frequentatori di bar.

-Allora, che succede, clown? Ti sono cadute le palle? Quella bambina ti ha fatto fare un'indigestione di zucchero?-

L'uomo sulla quarantina, basso e tozzo, con dei corti capelli brizzolati, scoppia in una fragorosa risata, seguito a ruota dal pagliaccio.

-Ah ah ah. Eh eh eh. Ih ih...-

Subito l'uomo si blocca, Joker no, lui continua a ridere imperterrito, incurante dello sguardo attonito del suo ospite.

Non si sta divertendo, per niente, ma come diceva un detto...

Com'è che diceva?

Ah, si: “Un giorno senza sorriso è un giorno perso.”

Allora lui ride e ride, senza rendersene conto si è seduto al tavolo e ci ha appoggiato sopra un coltello da cucina, in ceramica, bianchissimo.

L'uomo, o cliente, o datore di lavoro, si allarga il colletto della camicia e tossisce due volte, per poi tornare serio.

-Ora, parlando seriamente, quella bambina diventerà una zavorra insostenibile. Dovrai mandarla a scuola, curarla, mantenerla, aiutarla a fare i compiti... Dovrai fare il genitore. Joker, parliamoci chiaro, tu non sei un genitore, non lo potrai essere e non lo sarai mai. Con te proverà solo dolore, falla finita, anche ora, nel sonno. Non farla soffrire.-

Joker ora lo guarda interessato, con le mani unite come a pregare e gli indici appoggiati alle labbra.

Poi, dopo aver trascorso qualche minuto in silenzio, a pensare, solleva una delle due dita appoggiate alle labbra, sciogliendola dall'altra, e muovendola avanti e indietro.

-Sai, non hai tutti i torti, ma... Sai, io ho sempre odiato le persone che mi dicono cosa fare. Vedi, credo di riuscire a valutare le situazioni. Io non sono un pazzo. Non lo sono. E non me ne fotte un cazzo di quello che tu potresti pensare di quella bambina. Mi diverte, okay? E finché io lo voglio, quella bambina resta con me. E, francamente, i tuoi consigli... -

Il clown prende il coltello per il manico, la punta è rivolta verso il basso, incide il tavolo e con un dito sul manico lo fa girare come se fosse una trottola.

Poi lo appoggia e con un alzata di spalle e un'apertura di mani, con i palmi rivolti verso l'alto come nel Padre Nostro fa intendere al suo compare cosa pensa davvero dei suoi consigli.

E poi, come per contraddire il suo tono serio, posato, scoppia in una risata.

-Pensi di farmi paura? Con questi tuoi trucchetti da fenomeno da baraccone, questa tua aria spavalda? Sei fuori strada, amico.-

L'uomo si sporge verso il tavolo e si sfrega le mani, temporaneamente soddisfatto del suo affronto al clown.

Quest'ultimo non perde il suo ghigno malefico e continua a fissare l'ospite divertito.

-Ohh, ma io non voglio assolutamente farti paura. Io non voglio farti paura, no... Voglio solo fare un... Giochetto.-

Allora sorride dolcemente, come un ragazzo sorriderebbe alla battuta più squallida di del suo migliore amico, solo per non farlo sfigurare.

-Solo un gioco, Ronald.-

Ora Ronald non sorride più, si siede composto sulla sedia, improvvisamente a disagio. Si porta una mano alla tasca della giacca bruna, dove porta una piccola pistola “per le occasioni speciali”, come la chiama lui.

-Oh no, Ronald, non farlo. Moriresti.-

-Perché? Non morirei comunque?-

Il clown ride. Ride e ride.

Si porta una mano, quella armata, alla pancia e a momenti, per le crisi di risa, si taglia il panciotto verde.

-Bella battuta. Peccato sia l'ultima.-

Detto ciò si avventa sulla sua vittima senza nemmeno dargli il tempo di estrarre la propria arma, lo butta a terra, facendo ribaltare la sedia sotto di esso e immobilizzando l'uomo, mettendosi a cavalcioni su di lui.

Con le mani gli blocca le braccia, il coltello in bocca.

Nonostante tutta la forza che Ronald metta per dimenarsi e liberarsi, non ce la fa, il corpo del suo carnefice è il corpo di un assassino, tonico, muscoloso, agile. In pratica non è più un uomo è lui stesso la propria prima arma.

Joker gli lega le mani in poco più di trenta secondi e ansante, ma non per la stanchezza, per l'eccitazione di un nuovo assassino, riprende in mano il coltello.

La figura sotto di lui si agita terrorizzata, cerca di urlare senza farcela, le parole gli muoiono in gola o forse sono bloccate dal suo cuore che batte così forte da frastornarlo.

-No, ti prego, no...-

Joker alza la mano armata alla luce fioca della lampada e subito dopo la appoggia dolcemente sul petto del povero malcapitato.

Gli taglia un bottone, poi un altro fino a riuscire a vedere il petto nudo dell'altro.

-No, no, no. Sempre a dire di no quando non vi conviene. Ahahahah, ma che cos'è quell'espressione seria? Sorridi un po'.-

E detto questo fa una leggera pressione sul petto dell'uomo, la lama penetra superficialmente nella pelle lasciando dei tagli dritti incidenti in un vertice, il clown continua con questo supplizio per un po' e alla fine del suo lavoro ghigna soddisfatto, quello che c'è sul petto dell'uomo è una scritta.

AHAH PERCHÉ COSÌ SERIO? AHAH

I tagli che formano la scritta iniziano a sanguinare violentemente e Joker, per una volta senza guanti, si imbratta le mani di sangue e ride.

Si passa la lingua sulle labbra scarlatte. Una volta, due volte, tre... Lo fa quasi ossessivamente prima di proferire la formula che preferisce usare prima di ammazzare le sue vittime.

-Sai, tu sai come mi sono fatto queste cicatrici?-

Chiede al suo amico mentre gli infila il coltello in bocca.

Ma non spreca nemmeno tempo a raccontargli una delle sue storielle su quelle cicatrici che gli trancia una guancia sperando in qualche urlo di dolore per poi fare lo stesso con l'altra.

Ma l'uomo non urla, non ne ha la forza, vuole solo che tutto questo finisca e Joker non tarda ad accontentarlo.

Gli spezza l'osso del collo, che ruota in una posa disumana e quando fa per alzarsi, appoggiandosi al petto sanguinolento del pover uomo, sente un rumore come un guaito, un lamento, che nel corso degli anni ha imparato a riconoscere.

Una volta in piedi si volta di scatto, ritrovandosi davanti una bambina vestita di azzurro, con una mano appoggiata alla maniglia della porta, tutta la parte destra appoggiata allo stipite della porta, l'altra mano al naso e agli occhi, con la manica cerca di asciugarsi le lacrime.

La frangetta scura, troppo lunga e poco curata, le copre quei pozzi azzurri che ora stanno disperdendo lacrime gelide. È tutta un tremito e quando il pazzo la guarda lei fa un passo indietro.

Ma lui sorride sornione, ha sul volto uno sguardo animale, aggressivo... Indomabile. Da assassino.

Questo lo capisce anche la bambina di cinque anni.

-Cosa ci fai qui?! Nessuno ti ha insegnato che origliare è maleducazione?!-

E si avvicina, un passo dopo l'altro, aggirando il tavolo, annulla la distanza che li divide e prende tra le mani il viso della bambina, avvicinandolo al suo.

-S-scu-scusa...-

-Non avresti dovuto vedere. Non lo avresti dovuto vedere, non è vero? Non ti è piaciuto, non ti può essere piaciuto e non sarebbe dovuta andare così. Perché sei uscita?-

In un sussurro, con le mani sporche di sangue strette sulle guace della bambina, gli pone queste domande, ma non è un sussurro dolce, anzi, tutt'altro: esprime minacce in ogni singola lettera.

-Io... Io ho sentito le voci e mi sono svegliata... Ero, ero lì da sola... Al buio... Ho avuto paura.-

Allora l'uomo, con una strana scintilla negli occhi, la afferra per un braccio e la porta nella stanza buia, chiudendosi la porta alle spalle.

La bambina sobbalza e si lascia andare a un gemito di terrore quando la porta sbatte rinchiudendola in quel piccolo angolo di inferno.

-Devi imparare a sopravvivere!-

(diventerà una zavorra)

-Se il buio è una condizione, tu devi adattarti, devi imparare a lottare contro le tue paure, a sconfiggerle, a usarle. Il buio può essere il tuo migliore amico... Se solo tu lo volessi.-

(… Un peso insostenibile. Soffrirà.)

-Dovrai imparare a procurarti le cose, in un modo o nell'altro. Il bene e il male ora sono relativi, il caos è padrone. Se vuoi restare in vita ti serve allenamento. Se vuoi restare con me dovrai diventare abile, resistente... Addestrata. Dovrai imparare a rubare, se è necessario. A uccidere.-

(Falla finita.)

No.

Non l'avrebbe fatta finita, non avrebbe tolto la vita di quella piccola bestiola per il semplice fatto di non cadere succube di parole pronunciate da un altro uomo.

Lui che vede molto distintamente la faccia irrisoluta della piccola nonostante il buio, sorride amorevolmente.

-Ora dormi, domani inizia l'allenamento.-

E fa per andarsene, ma una frase pronunciata con tutta la sicurezza possibile in quel momento da una bambina di sei anni, lo blocca a metà strada con un sorriso, questa volta vero, sul volto.

-E se io non voglio?-

Una domanda, fatta con la semplicità di un bambino.

Senza voler stuzzicare o altro, si crede.

Ma che mette addosso al clown un'allegria delle migliori. Anche migliore di quella provata mentre affondava la lama nel corpo della vittima di quella sera.

-Se non vuoi puoi sempre prendere un coltello e infilartelo in tutti e due gli occhi, sperando che colpisca subito il cervello e che la morte sia indolore. Questa è l'unica alternativa, se non hai il coraggio sai benissimo che posso farlo io. E sai che lo farei. Devi crescere: o con me o... Morta.-

Joker sa che una mocciosa non dovrebbe ascoltare discorsi come quelli, non capirebbe la gran parte del discorso. Ma non riesce a trattenersi, si diverte troppo.

Ha sempre voluto fare un discorso del genere e ora ne ha avuto l'occasione.

Non le lascia nemmeno il tempo di metabolizzare che è già fuori, uscito dalla sua visuale, lei da canto suo prende un fazzoletto trovato sul comodino e cerca di ripulirsi dal sangue ancora fresco, non senza provare disgusto nel farlo, nel vedere il pezzo di carta tingersi di rosso.

E solo dopo diverse ore, passate stesa sul letto con lo sguardo rivolto alla finestra semi aperta, da dove filtra un po' di luce, riesce a cadere addormentata.

I giorni successivi sarebbero stati duri, anche una bambina di cinque anni l'avrebbe capito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Okay, questo capitolo non sarebbe dovuto esistere, ma mi sono sognata ad occhi aperti la scena dove lui, con le mani insanguinate, “carezza” la faccia di Norrie.
Okay, la smetto, spero, però, che non vi faccia proprio così schifo.
Spero che non ci siano errori, se no ditemelo pure, anzi fatemi sapere cosa ne pensate, mi farebbe tanto piacere.
Ora voglio ringraziare tutte quelle anime pie che passano a leggere i miei scritti:
Chi ha messo la storia nelle seguite:

1 - ary_cocca88
2 - charlotte lewis
3 - daisy _
4 - lalla_JH
5 - Margherita Dolcevita

Chi nelle preferite:

1 - daisy _
2 - Mokita

E Chihiro che la ricorda.

Grazie mille a tutti, spero non vi deluda.
Al prossimo capitolo.
Alis.

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Capitolo 4
*** Capitolo Tre. ***


  Scusate per il ritardo.
Sapete: "Maggio, studente fatti coraggio" è stato un periodo molto... Intenso e lo stato della revisione non è completo, se ci sono errori vi prego di dirmelo.
Se la storia non vi piace mi dispiace molto, se, al contrario, vi piace sono davvero felice!
Ringrazio tutte le persone che leggono, recensiscono e inseriscono la storia nelle liste.
Grazie di cuore.
Beh, vi lascio alla storia, fatemi sapere che ne pensate.
Bacioni.
Alis.
e...
Buona lettura.



Capitolo tre. -

Sì, J. Sono pronta J.”

 

 

Ormai da due ore Norrie è sottoposta a sforzi incredibili, senza sosta continua a correre da una parte all'altra del boschetto, schivando vari oggetti affilati o pesanti.

Senza alcuna protezione affronta questa specie di suicidio, dopotutto è l'unico modo per sopravvivere.

Una carta da gioco, ovviamente in metallo, lanciata da Joker, le sfiora una spalla e con un fruscio simile a un sibilo strappa la maglietta di cotone, procurandole un altro taglio.

-Devi essere più veloce, dai, non dirmi che sei già stanca. Così mi deludi. Sei pronta?-

Norrie davanti alla faccia sorridente del suo mentore, stringe i denti e si rialza, pronta a un nuovo esercizio mortale.

-Sì, J.-

E detto questo inizia di nuovo a correre, a usare gli alberi per ripararsi da sassi, coltelli e quant'altro.

Le loro discussioni, più che altro i rimproveri del criminale finiscono sempre così, con uno squillante “sì,J.”

Norrie lo pronuncia spesso, le piace il suono di quella formula, è come se così gli appartenesse, le piace sentirsi parte di qualcosa, anche se inesistente per uno dei due.

Le piace credere che sarà sempre così, che per sempre ci sarà il suo... J. che la porta con sé e che non la abbandona, ma che, anzi, le insegna un sacco di cose nuove.

Lui, dal canto suo, si diverte a vedere quello scricciolo di bambina che corre trafelata per il bosco cercando in tutti modi di scampare a morte quasi certa.

Questa volta estrae dalla giacca una matita con la punta, ovviamente, in ferro e la scaglia contro la piccola malcapitata. Scivolata sul fango e ansante, ormai sfinita, rimane a terra finché non vede sfrecciare verso di lei quel piccolo cilindro rosso e grigio.

Lo schiva per un pelo, accucciandosi al momento giusto, pochi secondi prima che la matita potesse spappolarle le cervella.

Norrie rimane stesa a terra, con le braccia e le gambe aperte, a posizione di stella, respirando rumorosamente e lasciandosi andare ad un sospiro quando vede passarsi a pochi centimetri dal viso quell'arma letale che può essere una matita.

-Bene. Come inizio non è male, ah ah ah, devi rinforzarti, diventare più agile e veloce. Ora entra.-

-Sì, J.-

Questa volta la risposta è un po' più tirata, ma sempre pronta e squillante.

La bambina si alza a fatica e, un po' zoppicante, si dirige all'interno della casa di Joker.

È una grande casa a vecchio stampo, quasi antica, con i muri grigi con dei dettagli bianchi.

È composta da un porticato con degli archi e una torre che sale per circa otto metri dal tetto.

L'edera si arrampica lungo l'intera parete a ovest, quella visibile dal sentiero nel bosco. Norrie esce spesso nel cortile davanti all'arcata quando è sola, le piace sedersi sull'erba e guardare il bosco, certe volte le capita di vedere qualche uccello che si avvicina, le piacciono gli animali.

Le volte in cui è più triste si guarda le mani e si immagina con tutte e cinque le dita, due genitori e una vita normale, come quella che vede in televisione.

Passa sospirando sotto i portici e entra nell'atrio, sempre da sola si dirige nel bagno del primo piano, trattato malissimo come il resto della casa.

Appena entra nella piccola stanza, davanti a lei si staglia l'immagine di un armadio con le ante semi aperte per tutta la spazzatura che ci sta dentro.

Norrie, prima di aprire, valuta attentamente quali potrebbero essere le conseguenze e quasi rinuncia a disinfettarsi le ferite.

Tuttavia ci ripensa quando, per sbaglio, sfiora il muro con la spalla e lo macchia con il sangue del taglio, che inizia a bruciare ancora di più.

Non si preoccupa tanto del muro, tanto è già lercio di suo, ma piuttosto di non far rumore così da non far arrabbiare il suo J.

Avanza lentamente, senza fretta, misurando tutti i suoi movimenti e quando è sicura di riuscire a non far cadere niente da quell'armadio, che assomiglia più a una pattumiera, con la parte esterna della mano urta un contenitore e tutto le crolla addosso procurandole dolore e bruciore nelle ferite, oltre alla rabbia di aver commesso quel piccolo errore.

Secondo lei anche queste piccole cose sono allenamento. E ha fallito.

-Arrgh.-

Esclama rialzandosi.

-Allora, cosa sta succ... Sei proprio un disastro.-

Il più grande rimane appoggiato all'entrata, con le braccia conserte e un'espressione divertita sul volto.

-Cosa volevi fare, me lo spieghi?-

La mora abbassa lo sguardo sui suoi piedi, vestiti di un paio di scarpe tutte rotte e rovinate.

-Volevo medicarmi senza disturbarti. Volevo riuscire a farlo da me.-

Una lacrima le scorre lungo la guancia, ha paura di quello che il suo “maestro” può pensare di lei, ha paura di sembrare debole ai suoi occhi.

Lui invece arride e, afferrandola per la vita, la solleva da quel cumulo di oggetti sporchi e la prende in braccio. Norrie felice, felicissima, di quel gesto si aggrappa al suo collo coperto di cerone bianco, circondandolo con le braccia e stringendosi a lui il più possibile.

Appoggia la testa nell'incavo tra la spalla e il collo del più grande e inspira il suo odore, un misto tra il profumo della terra, fumo (non di sigaretta, ma proprio odore di bruciato) e quell'effluvio particolare di, beh, di lui... Di casa.

Joker cammina lentamente, le braccia circondano il corpo della bambina, la postura è rigida.

La porta nella propria stanza dove la lascia ricadere sul suo letto matrimoniale, con le coperte chiare tutte arruffate e tirate indietro, sul ciglio del letto, dove stanno i piedi.

Norrie si decide a sciogliere il suo abbraccio solo quando la sua schiena è definitivamente contro il materasso e sta buona e zitta quando vede l'altro uscire dalla stanza senza dire niente.

Non si muove, anzi, chiude gli occhi perché pensa che l'abbia lasciata lì, da sola, nel migliore dei suoi pensieri, lui vuole che si riposi, per questo non torna.

Invece, a differenza dei pensieri di Norrie, il Joker torna con l'occorrente per medicarla.

Tiene in mano una bottiglietta verdastra di disinfettante, garze, un paio di forbici, cerotti e cotone.

-Co-cosa fai?-

Lui guarda atterrito la piccola ferita, mai si sarebbe aspettato quella domanda. Tira le labbra in un sorriso forzato e, trattenendo la voglia di uscire da quella stanza, prende uno sgabello vicino alla porta e si siede accanto a lei.

-Ti medico, che altro dovrei fare?!-

Detto questo prende in mano le forbici e ci infila in mezzo il tessuto che copre la parte superiore della ragazza, le taglia la maglia e le lascia il petto nudo.

Per un po' il silenzio fa da padrone nella stanza, per poi venire interrotto dalla stessa medicata.

-Perché?-

-Perché cosa?-

-Perché mi curi?-

Lui rimane in silenzio, al posto di una risposta appoggia le dita, libere dai guanti, sulla pelle tumefatta della sua protetta.

Quest'ultima ha un tremito sotto il tocco freddo dell'assassino.

Norrie aspetta ancora un responso, ma l'omertà di Joker persiste, invece lui passa le mani sul corpo della piccola, con gesti esperti e veloci.

Disinfetta i tagli e ci posa sopra i cerotti e le garze con una freddezza quasi disumana, l'espressione, per la prima volta, seria anche sotto quel falso sorriso.

Appena finisce la medicazione fa per alzarsi, però gli occhi blu della ragazzina lo fanno restare interdetto al suo posto, lo incatenano seduto.

-Perché ti ho portato via? Perché ti ho tenuto con me per tutto questo tempo? Perché ti nutro, ti insegno e ti alleno? Perché ti insegno a vivere?! Perché ne ho voglia. E, sicuramente, non devo dare spiegazioni a te.-

Norrie ci crede, infatti abbassa lo sguardo e si gira su un lato, soffocando una fitta di dolore alla spalla e chiudendo gli occhi per evitare di piangere, non le piace essere trattata così dall'unica persona che si è interessata a lei in tutti questi anni.

Joker, invece, sa perfettamente che non è così, precisamente non sa cosa di preciso l'ha spinto in questi cinque anni a non disfarsi di quella bambina, però sa che non è stato semplicemente “per la voglia di farlo” e questo lo spaventa molto.

Lascia la stanza senza chiudere la porta e ritorna ai suoi affari.

 

* * *

 

Passano giorni, settimane, mesi e l'allenamento va avanti, ogni giorno è sempre più duro, ogni giorno Norrie ha una ferita peggiore di quella precedente, ogni giorno diventa più agile, flessibile e muscolosa.

Man mano che cresce, Joker le presta sempre meno attenzioni, la allena, le insegna quello che avrebbe potuto apprendere a scuola, le procura tutto ciò di cui ha bisogno, ma ora la fa medicare ai suoi scagnozzi, certe volte si medica da sola.

Due anni passano tranquilli, con Joker sempre meno presente, sempre più sue immagini in televisione e sempre più interviste agli psichiatri dell'Arkham che cercano di curarlo.

Norrie vive le settimane d'assenza di quello che ormai chiama Maestro come vacanze: passa interi giorni nel cortile a leggere libri per lo più di chimica e di botanica, questi trova sui grandi scaffali della casa.

Diversamente da quello che penserebbero altri bambini vedendo quei libri, lei ama la botanica, le piacciono le piante e, a causa delle influenze... “alternative” che Joker ha esercitato su di lei, si interessa di veleni, le piace creare quel liquido mortale con solo delle foglie o delle bacche.

Qando lui non c'è lei è libera, libera di girare per la città, di osservare la gente, pensare che una volta ha anche incontrato una bambina come lei, con indosso un grande zaino rosa, con disegnate delle fatine.

Questa è una cosa che non capisce, perché fanno portare a scuola quei grandi borsoni colorati ai bambini?

Lei, ovviamente non si lamenta, lei è felice della vita che fa, anche perché non conosce altri “tipi” di vita e le va bene così. Si accontenta, anzi è contentissima di vivere con Joker.

Ora, a sette anni, però ha delle necessità che nemmeno il criminale più intelligente di Gotham potrà mai capire, Norrie ha le necessità di una bambina di sette anni che guarda (ameno questo lo fa) la televisione come tutti gli altri bambini della sua età.

Nonostante i suoi interessi siano diversi da quelli dei “normali”, anche lei vuole delle cose, le desidera.

Vuole dei libri da leggere, vuole dei giochi, dei pennarelli per disegnare, vuole dei dischi.

Li desidera, desidera questi oggetti come mai ha desiderato qualcosa, solo che ha timore di chiedere al suo maestro di comprarle qualcosa. Ha paura perfino di chiedergli una pausa durante l'allenamento, figuriamoci qualcosa di così inutile.

Non che abbia paura di lui, questo no, i sentimenti che prova per quell'uomo non li capirebbe nessuno, però sa anche che l'umore del suo maestro cambia come il tempo.

E come il tempo influisce su tutto quello che tocca.

Norrie è seduta davanti al televisore, con la testa tra le mani e un'aria annoiata, l'uomo che le fa da tutore è seduto sul divano vicino a lei, ha in mano il telecomando e gira su un canale di cronaca.

Joker è evaso, ancora, per l'ennesima volta.

Questa volta non ha provocato nessun danno alla struttura, si è accontentato solo di vite umane e, da quel che dicono, è già scomparso da diciassette ore, dalle nove della sera prima.

Sarà qui a momenti, a meno che non si sia fermato a fare affari con i suoi uomini.

E quando sarà qui inizierà di nuovo tutta la solita routine.

 

* * *

 

-Buon pomeriggio a tutti! Sono a casa.-

A Norrie basta sentire quella voce per perdere un battito.

Poi, come ogni volta, lui si presenta nella stanza a braccia aperte, come a voler ricevere un abbraccio.

La bambina sa che non si deve alzare, non deve corrergli incontro urlando “Papà sei tornato! Mi sei mancato!” semplicemente la ucciderebbe.

Ma questa volta è diverso.

-Allora, ragazzi vi vedo spenti, nemmeno un minimo di accoglienza. Mi deludete.-

Avanza verso i due seduti sul divano e subito lo scagnozzo si alza e balbetta qualche parola di saluto.

-Oh, santo, santissimo Batman. Norrie, Norrie, vieni qui, dai.-

Lei si alza e lo raggiunge, senza aspettare che la guardi in faccia, lui la stringe in un abbraccio stritolante.

Ed è in quel momento che Norrie partorisce l'idea.

È in quel momento, quando la sua pancia entra in contatto con la tasca anteriore dei pantaloni di Joker, dove tiene il portafogli, che le balena nella mente l'idea di “prendersi ciò che vuole”, come le dice sempre lui.

È in quel momento, durante quel gesto così inatteso e ben ricambiato che decide di entrare in azione, di auto-iniziarsi alla sua futura vita.

Decide di commettere il suo primo furto.

 

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