Destino...

di shinya_00
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Mi chiamo Eleonora Andersen. Ho sedici anni, tra poche settimane è il mio compleanno.

Nel mondo reale, quello sensato, sono stata adottata da Brigitte Hagen e Dimitrij Andersen quindici anni fa, avevo solo un anno allora. Mi presero in una casa per orfanelli a Oslo, ma non si sapeva chi fossero i miei genitori perché mi avevano lasciato davanti alla porta.

Era il 31 dicembre 1996, fu proprio quella sera che mi trovarono. Mirta era una delle donne che dirigeva la casa, un po' bassa e cicciottella, guance rosse come due pomodori, essendo già sulla via della vecchiaia aveva i capelli grigi sempre raccolti in uno chinion. Portava gli occhiali, sulla testa aveva sempre una cuffietta e non metteva mai i pantaloni come noi bambini o come Asa e Ursula, le sue sorelle. Mirta era la più grande delle tre, Ursula le somigliava molto preché anche lei si stava avvicinando all'anzianità mentre Asa era ancora giovane, nel fiore dei suoi anni. Io, da bambina, volevo essere come lei. Era tanto bella e io gli volevo tanto bene. Aveva i capelli più rossi del fuoco, occhi verde acceso come l'erba, alta, magra e metteva poco la gonna, solo nelle occasioni speciali.

Mi dissero che il nome che mi diedero, Eleonora, significa “luce”. Solo perché assomigliavo a un raggio di sole, i capelli rossi, gli occhi azzurri e il sorriso che mi accendeva il viso hanno contribuito tutti a darmi il mio nome.

Dimitrij e Brigitte facevano in volontariato per gli orfani della Norvegia e perciò giravano tutti gli orfanotrofi più poveri, ed essendo insegnanti andavano a insegnare, in quelli che non potevano dare un'istruzione ai bambini. Dov'ero io non era questo il problema, almeno credo, ma quel che so è che Asa era amica d'infanzia di Brigitte e così mentre erano di passaggio gli aveva invitati a venire da loro a prendere un caffè e, magari, fare la conoscenza dei bambini. I due furono molto gentili, mi dissero, ma rimasero particolarmente colpiti dalla bambina nella culla, la più piccola, cioè io. Mi dissero anche che Brigitte non poteva avere figli poiché aveva fatto una terapia da bambina. Restarono a lungo, circa tre ore, e si informarono riguardo me, chiesero se per caso potevo essere adottata e mi portarono via, all'istante. Io ho sempre saputo di essere adottata perché ero in buoni rapporti con Mirta, Ursula e Asa, mi piaceva andare a giocare con loro e con i miei coetanei perché anche dopo l'incidente loro rimasero miei amici. L'incidente. Se ancora ci penso, sto male. Successe tutto così in fretta, troppo. Ero tranquilla, tornavo a casa da scuola in prima media e ricordo che c'erano tre ragazze a cui non piacevo, Jasmine, Ingrid e Isolde. Mi avevano seguita, quando mi ero girata e le avevo viste lì, alle mie spalle, iniziai a correre. Corsero anche loro. Io non capii dove stavo andando perché ero presa dalla corsa e sbagliai strada. Ero veloce, troppo per loro che avevano appena la sufficienza in ginnastica. Arrivai ad un vicolo cieco ma pensavo di averle seminate. Mi sbagliavo. Non ebbi i riflessi pronti, non scappai ma restai ferma come pietrificata. Mi raggiunsero. Iniziarono a insultarmi, a tirarmi delle pietre. Una pietra mi ferì sulla fronte e quando vidi il sangue mi spaventai tantissimo. Iniziai a scottare. Vidi le mie mani avvolte da fuoco e poco dopo l'intero corpo. Urlarono contro i miei tentativi di richiesta di aiuto, mi chiamavano “mostro”, ma io avevo paura. Finché non vidi tanta luce e poi... il buio. Mi svegliai in ospedale, vicino avevo mia madre. La prima cosa che feci fu raccontare a mia madre dell'allucinazione che avevo avuto, mentre tornavo a casa, nel vicolo. Lei rispose che mi avevano trovato priva di sensi subito dopo una grossa esplosione avvenuta pochi minuti prima proprio in quel vicolo. Capii subito che quel' allucinazione non era stata una vera allucinazione ma qualcosa di reale. Avevo ucciso io Jasmine, Ingrid e Isolde. Prima di morire, mi avevano chiamato “mostro”, lo ero davvero?. Credo di sì. Le ho uccise io, sono morte a causa mia.

Ci vollero due anni di psicologo e psichiatra per rimettermi in riga. Le vedevo, vedevo i loro volti, sentivo le loro parole. Quando fui a posto cercai di rifarmi una vita. Nessuno sapeva che la causa dell'esplosione ero io ma, forse, era meglio così. I miei cambiarono casa perché i giornalisti non mi lasciavano in pace. Odiavo essere al centro dell'attenzione. Così ci trasferimmo in campagna. Adoravo casa mia, era tutta in legno, dentro c'era un'atmosfera serena e non mi importava se era a kilometri di distanza da qualsiasi posto animato o se non c'era campo per il cellulare, ero con mia madre e mio padre e questo mi bastava. Dietro casa c'era un boschetto e se andavi un po' più avanti trovavi una radura fantastica, in questa radura vi era un lago alimentato da una piccola cascata, io passavo lì il mio tempo libero a leggere o a disegnare...

 

Eleonora scriveva sul suo diario nella sua stanza. Era emozionata, non riusciva a dormire. Il giorno dopo la madre l'avrebbe fatta principessa delle Terre del Fuoco, avrebbe assunto il ruolo in modo fiero e avrebbe fatto felice la regina sua madre, l'avrebbe resa fiera di lei...

 

Ma prima di arrivare all'incoronazione dobbiamo tornare un po' indietro... all'inizio...

 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Eleonora si svegliò il primo giorno di vacanza, aveva appena fatto l'esame di terza media, era stata promossa con un bel 10 e ora era finalmente finita. Poteva godersi la vacanza. Si alzò e scese per la colazione. Si fermò a metà scala e gustò la solita scena: suo padre che leggeva il giornale, sua madre che sfornava le ciambelle. Prese posto come al solito a capo tavola. --Giorno'--. --Ciao, tesoro, dormito bene?-- disse sua madre, come al solito. --Sì, sì--. --Già, si direbbe da come sei riposata...-- fece suo padre --... oggi sei più attiva del solito. Il primo giorno di vacanza ti fa quest'effetto?--. Sorrise e scoppiò a ridere. --Papà questo non è il solito primo giorno di vacanza. E' il primo giorno di vacanza della terza media-- Risero tutti e tre. --Proposito di scuola...-- sua madre rovinava sempre la festa ---... vorrei solo ricordarti che il 25 agosto partirai per l'Inghilterra e perciò ho intenzione di passare il più tempo possibile con te quest'estate. Vero Dimitrij?-- --Sono d'accordo con te--. --Mamma...-- Eleonora si alzò e andò ad abbracciare sua madre --... ti voglio bene--. --E io? Non conto niente?--. Eleonora sorrise. --Voglio bene anche a te, papà--. Quando ebbero finito la colazione Eleonora aiutò la madre a sparecchiare. --Allora... cosa ti andrebbe di fare oggi?-- gli chiese la madre. --Non saprei... vorrei fare shopping-- rispose lei sorridendo. --Giusto... hai ragione, andiamo a fare shopping--. --Io resto a casa, divertitevi voi due-- fece il padre senza alzare il gli occhi dal giornale. --Giusto, sono cose da donne...-- Eleonora sorrise --... mi vado a cambiare-- Eleonora e Brigitte andarono a Oslo in un ipermercato, avevano girato tutta Trondheim dove c'erano sempre le stesse cose. Appena entrate si diressero subito nei negozi di abbigliamento. Finito il giro di negozi si fermarono ad un bar. Mentre la madre era ad ordinare Eleonora notò un ragazzo nel tavolo vicino. Lo guardò a lungo, come pietrificata la cosa le sembrò strana, non era il primo ragazzo che vedeva. Ma non era male: doveva essere abbastanza alto, capelli neri rasati da una parte e morbidi dall'altra, occhi celesti come il cielo di una giornata serena, pelle chiara. Poi lui alzò lo sguardo e la guardò, lei istintivamente abbassò lo sguardo e arrossì. Per tutto il tempo lei non ebbe il coraggio di guardare verso di lui ma quando si alzò si girò ancora una volta, incrociò i suoi occhi che non la lasciavano un secondo, lui le sorrise e lei non abbassò lo sguardo, non arrossì perché sentiva che lo avrebbe rivisto.

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Capitolo 3
*** 3 ***


Eleonora si sentiva stupida. Anche in macchina non riusciva a non pensare a quel ragazzo. Era strano, prima di alzarsi aveva sentito che lo avrebbe rivisto e per questo era riuscita a guardarlo e poi il sorriso... era bellissimo, le aveva rubato il cuore. ^Come faccio a essere così stupida! Neanche so il suo nome... è impossibile che mi sia innamorata. No non è possibile!^ cercò di auto convincersi. Ma quel sorriso, quegli occhi... per un momento le sembrò di sentire le sue mani sfiorarla, la pressione delle sue labbra... Si sentiva osservata, si girò istintivamente ma (ovviamente) nessuno la guardava. Appena arrivate a casa Eleonora acchiappò il primo libro che aveva trovato ed era andata alla cascata a leggere solo che quando arrivò trovò una sorpresa inaspettata. Il ragazzo era seduto su una roccia e guadava l'acqua scorrere dalla cascata. Era più bello di quanto si ricordasse. Comunque lo ignorò e si andò a sedere sotto a un salice. Lui quando la vide si alzò pulì i jeans e le si avvicinò, si appoggiò al salice. Lei lo senti avvicinarsi, avrebbe voluto alzarsi e passargli la mano fra i capelli, toccargli il viso, ma lo ignorò facendo finta che lui fosse solo immaginazione ce non esistesse, invece era più vero di quanto pensasse. --Ciao-- fece lui. --Ciao-- Eleonora alzò lo sguardo dal libro e lo guardò. Indossava jeans e una camicia a quadri stile country blue e nera. Gli occhi si impigliarono nei suoi, non riusciva a fare a meno di guardarli. --Mi posso sedere-- chiese. --Certo...-- disse lei --... vieni-- e si spostò per fargli posto. Lui si sedette accanto a lei, un brivido percorse Eleonora quando il suo braccio la sfiorò. --Cosa leggi?-- chiese lui. --Sogno di una notte di mezza estate-- disse lei, sorridendogli. --Shakespeare...-- ricambiò il sorriso --... gran bel libro--. --Già, è la terza volta che lo leggo e devo dire che non mi dispiace-- rispose. --Io lo già letto sei o sette volte... credo di aver perso il conto-- sorrise. Lei ricambiò il sorriso. --Oggi ti ho visto, sai?--. --Ti ho vista anch'io, eri con tua madre?-- chiese lui. --Sì... io ero andata a fare shopping, sto per partire--. --Dove vai?-- chiese. --Al college-- rispose Eleonora, sorridendogli. --Dove?-- chiese ancora. Eleonora sorrise di nuovo. I due iniziarono a parlare, Eleonora non era diffidente nei suoi confronti anzi era più aperta che con molti altri. Ma il tempo scorre e arrivarono e sette di sera, ciò voleva dire ora di cena. Eleonora guardò l'orologio. --Oh, è tardi sarà già pronto-- e si alzò. Fece per fare il passo ma lui la fermò. --Posso sapere il tuo nome?-- chiese lui sorridendogli. --Mi chiamo Eleonora--. Si alzò anche lui, era tutta la testa più alto di lei. --Eleonora... io sono William o semplicemente Will-- Lei sorrise. --Ci... possiamo rivedere domani?--. --Ok...-- lei gli toccò la mano con fare dolce --... a domani... Will-- Si sorrisero e poi lei sparì nel bosco. A cena Eleonora parlò di continuo, non si fermò un secondo. Era felice. Poi aiutò sua madre a sparecchiare e scappò di sopra. Entrata nella sua camera si buttò sul letto e rimase a pensare, ma l'unica cosa a cui riusciva a pensare era Will. Il giorno dopo, alla stessa ora, andò alla cascata e, come patuito, trovò Will ad aspettarla. Era bellissimo, era vestito come il giorno prima, forse l'unica cosa diversa era che il giorno prima aveva sotto la camicia una maglietta bianca e oggi non ce l'aveva. Eleonora fu colta dall'emozione, ma senza badarci si avvicinò. --Ciao-- fece lui. Eleonora si sedette. --Ciao--. Will sorrise. --Ti ho pensata ieri sera e a quanto pare non sono stato solo io a pensarti--. --T-tu c-come fai a sapere che ti ho pensato?-- domandò sbalordita. --Non ti sei accorta che vivo dietro casa tua e che la finestra in camera tua è enorme--. Rise. Aveva una voce stupenda. --No, quindi tu abiti nella casetta lassù-- Eleonora indicò sopra la cascata. --Proprio così--. --Quindi non siamo soli...-- pensò ad alta voce --... vivi con i tuoi genitori?-- domandò --Sì... ma loro non sono proprio i miei genitori, sono stato adottato-- e il sorriso abbandonò il suo volto. --M-mi dispiace...-- Eleonora fece una pausa --... ma se ti fa sentire meglio, anch'io sono stata adottata-- allungò una mano e strinse quella di Will. Will sorrise. --Grazie--. Rimasero in silenzio un paio di minuti, era un silenzio imbarazzante. Fu Will a parlare. --Allora... quanti anni hai?-- chiese. --Tredici-- rispose. --Un anno in meno di me, io ne ho quattordici. Quando sei nata?--. --Il 25 dicembre, sono del Capricorno e non chiedermi dove sono nata perché è l'unica domanda a cui non so rispondere-- Eleonora scoppiò a ridere. --Io invece ti dico che sono nato il 24 dicembre, sono anch'io del Capricorno e anche tu non chiedermi dove sono nato perché anche per me è una domanda senza risposta.-- Risero tutti e due di gusto. ^Forse non è così strano che mi sia innamorata di lui... abbiamo in comune più di quanto pensassi ^.

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Capitolo 4
*** 4 ***


I giorni passavano e i due ragazzi si vedevano sempre anche se pioveva, ma il tempo non si può fermare e, anche se Eleonora avrebbe voluto fermarli, i mesi passarono e così finì giugno, finì luglio e inizio agosto. Mancavano venticinque giorni ed Eleonora sarebbe andata all'Armony College, avrebbe perso Will. Odiava anche solo pensare di doverlo passare e non gli importava se lui magari non l'amava, lei lo amava più di ogni altra cosa al mondo e non voleva lasciarlo, ma doveva guardare in faccia la realtà. ^Ci devo riuscire, ce la devo fare... sono obbligata^ per quel giorno Eleonora si era fatta un piano, voleva dirglielo. Era al limite. Sembrava stesse per scoppiargli la testa, era una giornata caldissima (quasi trenta gradi!) e il pensiero di Will non facilitava le cose. Si era messa le cose più leggere che aveva, shorts, canottiera bianca, scarpe da ginnastica e i capelli di fuoco erano legati in una coda alta. All'improvviso le sembrò che il tragitto fosse più corto perché invece di metterci il soliti dieci minuti ce ne mise la metà (almeno, le parve così). Will era seduto ai piedi dell'albero, l'aspettava. --Ehm... ciao-- disse sedendosi vicino a lui. --Ciao-- disse Will. Con un gesto naturale le strinse una mano. Eleonora arrossì, ma lui non lo notò. --Questi sono gli ultimi giorni, il mio tempo sta per scadere-- Eleonora era triste. Stava soffrendo. --No... non devi dire così il tuo tempo non sta scadendo, devi semplicemente partire per andare a scuola. Non ti devi abbattere, ok?-- chiese. Era così dolce. --Ok...-- Eleonora ricacciò indietro le lacrime --... ieri sera cosa hai fatto? Mi hai di nuovo spiata?--. Will rise, ora che l'atmosfera si era fatta felice. --No, non ti ho spiata. Ti ho fatto questo-- si alzò e andò dietro l'albero. Spuntò da dietro l'albero mezzo secondo (o neanche) dopo. In mano aveva una copertina blu di cartoncino. Gliela porse. --Cos'è?-- chiese lei, un po' sbalordita perché non era il suo compleanno. --Aprila-- fu l'unica risposta. Quando Eleonora l'aprì vi trovò dentro un disegno. Il suo ritratto. --E'-è bellissimo. Grazie-- sorrise, ma non riuscì a trattenersi e pianse. --Non piangere...-- Will allungò una mano e asciugo con un gesto delicato la sua lacrima e poi guardò il disegno --... ne ho fatto una copia da portarmi dietro, al college--. Parlarono tutto il giorno e sempre alle sette Eleonora se ne andò. Andò a casa triste, non ce l'aveva fatta. Aveva avuto paura, era stata una codarda. Ma ripensandoci forse era meglio così, magari lui non ricambiava e se glielo avesse detto avrebbe fatto la figura della stupida. Meglio così. A cena non parlò quasi per niente. Non ne aveva voglia, immaginava cosa sarebbe successo se glielo avesse detto, magari lui l'avrebbe baciata o (nei peggiori dei casi) gli avrebbe detto che lui non ricambiava. L'indomani si svegliò stranamente tranquilla, come se il giorno prima non fosse successo niente, ma poi si ricordò e le lacrime tornarono. Non pianse si sforzò di essere forte. Scese sotto a colazione, ma era sola. Mangiò una ciambella e bevve una tazza di caffè. Era tentata di chiamare sua madre per chiederle dov'erano andati ma resistette e andò nel salotto. Squillò il telefono. Rispose. --Ciao...--. Will. La sua voce fu interrotta da un colpo di tosse. --... tutto bene?--. --Will che hai?...-- si tirò su a sedere -.-.. cosa ti succede? Stai male? Vuoi che venga da te?--. --No, non venire. Non sono in piena forma--. --C-cosa ti è successo?--. --Ieri sera ho fatto un bagno nel lago e mi sono preso l'influenza, il problema è che quando mi ammalo sto davvero male perché sono debole--. Sorrideva. Eleonora era tesa.--S-senti per oggi non fa niente, oggi ti devi riposare--. --Ma-magari riesco a venire...-- Will discuteva sempre. --No niente discussioni...--lo interruppe lei --... ti devi riposare Will--. --Ok, ok-- accettò lui. --Ci sentiamo stasera?-- chiese lei. --Certo--. Chiusero la comunicazione. Eleonora iniziò a piangere, pianse per ore. Pianse tutte le lacrime che aveva finché non ne rimasero più. Will. Will stava male. Avrebbe voluto stargli vicina, dirgli che sarebbe guarito presto ma, in fondo, lei non era nulla per lui. Un'amica, ecco cos'era lei voleva essere di più ma non poteva, non voleva imporgli il suo amore. Poi si addormentò.

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Capitolo 5
*** 5 ***


Eleonora, quel mattino si alzò sapendo a cosa andava incontro, sapendo che quello sarebbe stato il giorno più brutto di tutta la sua vita. Era il giorno della partenza. Era tutto pronto, di sotto le valigie aspettavano, mancava solo lei. Si preparò lentamente, cercando di prolungare al massimo ogni suo singolo movimento. Mise i vestiti che aveva scelto il giorno prima: maglietta bianca con una stampa rossa, pantaloni rossi, giacca di pelle rossa, anfibi. Quando scese non trovò la scena che lei amava definire “tipicamente Andersen” ma sua madre guardava la tv (la sua soap opera preferita) e suo padre non c'era, forse era fuori ad aspettarla in macchina. --Ciao-- Eleonora si fermò sull'ultimo gradino della scala. --Ciao-- rispose semplicemente la madre. --Ci siamo-- fece lei. --E già...-- disse la madre, visibilmente triste, poi si alzò e andò ad abbracciarla --... mi raccomando: fai attenzione e fai la brava. Ti voglio bene lucciola-- e le sorrise. --Sì certo...-- rispose lei arrossendo leggermente --... ti voglio bene anch'io, mami--. Anche se a malincuore, Eleonora uscì senza tante cerimonie dalla sua calda e accogliente casa, tutta di legno, dove potevi trovare sempre un fuoco acceso per andare a Blackraven, città che non conosceva. Se ci pensava le veniva quasi da ridere, lei aveva sempre vissuto in nord Europa, non conosceva Oxford, figuriamoci se sapeva come orientarsi in Inghilterra! Ma si sarebbe fatta coraggio comunque e sarebbe partita a testa alta. Quando arrivarono all' aereoporto Eleonora si sentiva stranamente tranquilla, come se tutta la tensione di prima fosse sparita all'improvviso. Ma commise uno sbaglio. Era ferma al check-in quando si guardò indietro e vide il padre. In quel preciso momento dovette farsi una forza immane per rimanere ferma al suo posto e non andare dal padre, per dirgli che non voleva più partire. Ultima chiamata per i passeggeri del volo 91 per la California disse la voce di donna al microfono. Era ora. Con un cenno saluto un ultima volta il padre, si girò e si diresse verso l'uscita. Prese porto su quell'aero, allacciò la cintura e prese il volo. Un lacrima le rigò la guancia mentre la sua mente ritornava a casa, dai suoi genitori e da quei pochi amici che aveva a scuola, ripercorrendo i bei momenti, quelli felici. Un'altra lacrima le rigò la guancia mentre ripensava a lui, a quegli occhi che molto probabilmente non avrebbe ma i più rivisto, a quelle labbra; si maledisse mentalmente per non essere riuscita a digli cosa provava. ^Ora basta! Si può sapere cosa mi sta succedendo? Devo smetterla di pensare al passato! Ora importa il presente...^ pensò. Prese il suo inseparabile i-Pod, dal suo repertorio scelse “Don't jump”, gli autori di quella canzone erano gli unici che riuscivano a farla sentire bene. ^Menomale che ci sono loro^ pensò lasciandosi cullare dalle note di quella stupenda canzone. Erano le due del pomeriggio quando l'aereo atterrò.

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