Il Ricordo di Pulciosa (/viewuser.php?uid=4872)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** * Tramonto ***
Capitolo 2: *** *Alba ***
Capitolo 3: *** *_Meriggio ***
Capitolo 4: *** *Mezzanotte ***
Capitolo 1 *** * Tramonto ***
Ginny si risvegliò all’improvviso.
Era in una stanza dal soffitto basso, buia, senza finestre.
L’aria era pesante, e riusciva a vedere le nuvolette del
proprio respiro condensato. Il pavimento dove giaceva era freddissimo,
quasi una lastra di ghiaccio; fece forza per cercare di alzarsi fino a
riuscire a mettersi a sedere.
Si guardò intorno, impaurita dall’assoluto
silenzio che regnava in quel luogo. Non riusciva a mettere a fuoco
molto, e vedeva solo delle sagome indistinte che la circondavano.
- Ma dove sono?- disse al vuoto, senza riuscire a capire. - Io conosco
questo posto.-
Un fruscio la fece sobbalzare, e battere la testa contro qualcosa di
duro.
Ginny non aveva mai desiderato tanto ardentemente la sua bacchetta;
anche un semplice Lumus in quel momento poteva offrirle un grande
aiuto. Il suo pensiero volò automaticamente a Harry, che
nella sua vita aveva dovuto fronteggiare situazioni ben peggiori, senza
niente che lo spingesse ad andare avanti. Quel pensiero la
rassicurò, e a tentoni, cercò di individuare
qualcosa che le potesse suggerire dove si trovasse. Tutto quello che
riuscì a percepire furono due rialzi freddi di pietra
liscia, forse marmo, di forma apparentemente uguale.
In silenzio scivolò sul pavimento, trattenendo i brividi di
freddo misti a paura nel sentire quella superficie non uniforme a
contatto con la sua pelle, facendo forza con le sue braccia, anche se
mai si era sentita tanto debole.
La sue mani sfiorarono qualcosa di viscido, e si ritirò
immediatamente. Stringeva le pupille più che poteva,
augurandosi di poter intravedere qualcosa, qualunque cosa, per poter
rendersi conto del pericolo.
Ogni sforzo risultò inutile: fu così che si
rassegnò, sospirando debolmente, e allungò le
mani di nuovo.
Questa volta non sentì niente di viscido, ma qualcosa di
molto peggiore.
Una mano la aveva afferrata, una mano molle, fredda, che poteva
appartenere ad un morto se non fosse stato per quella stretta poderosa
e forte, che le stava stritolando le nocche.
Ginny urlò, rompendo quel silenzio infernale.
Urlò con quanto fiato aveva in gola, urlò fino a
sentire un peso ai polmoni, urlò e urlò
ancora…
- Ginny! Ginny! Ginevra!
La mano che la stringeva era calda, e la presa era gentile, non aveva
niente a che fare con quella cosa mostruosa.
Ginny, tremante, si guardò attorno spaurita, non potendo far
sì che il sollievo dello svegliarsi scacciasse del tutto
l’opprimente inquietudine dell’incubo. Si
voltò verso Hermione, che continuava a scuoterla con
dolcezza, tranquillizzandola con brevi tocchi delle sue mani gentili.
- Era un sogno, stai tranquilla. - proseguì la ragazza,
sorridendole amichevolmente. I miti occhi castani scintillavano sul suo
volto affaticato, il volo di una donna, nonostante i suoi scarsi
diciannove anni. Hermione veniva spesso alla Tana, per aiutare la
Signora Weasley nelle faccende, e a trovare Ron, ma aveva deciso di
vivere con i suoi genitori, per sopperire alla loro mancanza in quei
lunghi sette anni di scuola, che si era fatta quasi incolmabile durante
l’ultimo periodo. Durante le brevi e frequenti visite, non
mancava mai di passare qualche momento in compagnia del più
giovane membro della famiglia, che al tempo di Hogwarts era una sua
buona amica, per non dire l’unica. Tuttavia, durante
l’Ultima Guerra, molte cose erano accadute, e la separazione
sembrava aver creato alcune fratture incolmabili: Ginny non aveva mai
perdonato Hermione di non averla resa partecipe della caccia agli
Horcruxes, avendo dato per scontato da sempre il suo appoggio. Poteva
capire suo fratello, per cui sarebbe stata sempre una bambina; poteva
capire Harry, che temeva per lei; non aveva accettato il rifiuto della
ragazza, seppur dettato dai migliori motivi. Si era sempre scontrata
contro la razionalità di Hermione, ma l’ultima
volta qualcosa si era incrinato per sempre.
- Tutto bene… Va tutto bene, Hermione.- sussurrò,
dove aver lanciato uno sguardo intorno a sé: era nella sua
piccola camera di sempre, con il letto addossato alla parete, sotto due
scaffali pieni di cianfrusaglie. Le tendine a fiori velavano la collina
che divideva la Tana da Ottery St. Catchpole ed erano appena mosse da
un alito di gentile brezza estiva.
Hermione sorrise: non era insolito che qualcuno potesse ancora avere
degli incubi. Anche se il pericolo dell’ascesa del Signore
Oscuro era finito, non poteva biasimare nessuno che fosse ancora
angosciato: lei stessa stentava ad abituarsi ad una vita normale, fuori
dall’ottica del pericolo, senza ansie né timori.
Ginny si alzò dal letto, composta, non senza un filo di
tensione: scuotendo la sua folta capigliatura iniziò a
vestirsi, certa che dabbasso sua madre la stesse aspettando per la
solita frugale colazione, come ogni estate.
- Harry e Ron sono già di sotto - spiegò
Hermione, tormentandosi un ricciolo con l’indice - Mentre
Bill e Fleur arriveranno nel pomeriggio, con Victorie.-
- Quella bambina sembra aver preso tutta la bellezza di Fleur, sembra
proprio una Veela! Eppure il sangue dell’antenata magica
dovrebbe essere molto diluito, ormai…-
ribatté Ginny, abbottonandosi una camicetta leggera a righe
verticali bianche e nere.
L’incubo sembrava ormai lontano e dimenticato, tuttavia,
ripensare a quel posto buio e gelido, torturava Ginny quasi
fisicamente, e non riusciva a capire la strana sensazione che la
attanagliava.
Qualcosa di già visto.
Qualcosa di già sentito.
Quando?
E soprattutto, dove?
Non poté far a meno di reprimere un leggero brivido, quando
la brezza estiva le sfiorò il collo, lasciato scoperto dal
molle chignon in cui aveva acconciato i capelli, ricordandosi del tocco
di quella stretta fredda di lei.
Il giardino dei Weasley aveva mantenuto intatto il suo fascino di
piccolo angolo selvaggio d’Inghilterra, con i suoi cespugli
frondosi e gli alberi nodosi e contorti. Anche il piccolo stagno
paludoso accoglieva ancora la rane, il cui gracidio continuo
accompagnava la silenziosa passeggiata dei due ragazzi.
Ginny non poté fare a meno di girarsi ad ammirare il profilo
del ragazzo illuminato dal riverbero del tramonto: non ne aveva mai
abbastanza di guardare Harry, dicendosi che finalmente era suo,
soltanto suo.
Accarezzò con gli occhi la mascella volitiva, mascolina, per
poi risalire lungo le guance glabre, da ragazzo; i capelli neri
scendevano scomposti come sempre, indomabili ed arruffati. Gli occhiali
rotondi completavano il profilo, senza riuscire a nascondere gli
straordinari occhi verde bottiglia del ragazzo.
Loro due non parlavano molto, ma non in senso negativo. Harry era
sempre stato timido, più che timido riservato; non amava
perdersi in chiacchiere quando c’era così tanto da
guardare e considerare. In quel momento le stringeva la mano
debolmente, e fissava il giardino come se fosse la prima volta che lo
vedesse, come se non avesse passato le estati a giocare a Quidditch con
i fratelli Weasley o a cacciare gli gnomi.
Ginny, come stordita, si fermò, posandogli le braccia sulle
spalle. Si alzò in punta di piedi, fino a posare un bacio
sulla sua cicatrice a forma di saetta, quella cicatrice che aveva
condannato tutti loro a quella vita faticosa.
- Grazie, grazie per essere vivo.
Le sue parole si persero tra il gracidio dei rospi: e mentre il sole
tramontava in una nube rosea dietro alla collina, Harry Potter e Ginny
Weasley si baciavano senza fretta non lontano dal capanno delle scope,
mischiando le loro lacrime.
Ginny avvertì un sapore salato in bocca, e si accorse con
sorpresa che anche il ragazzo stava piangendo, e mai, mai aveva visto
Harry abbandonarsi al dolore così.
C’erano troppi morti tra di loro, troppe ingiustizie, e
troppe parole non dette, ma tra tutto ciò che doveva essere
ricostruito, il loro rapporto presentava senza dubbio meno
difficoltà.
Con un sospiro si abbandonò alla presa sicura del ragazzo,
lasciando che i suoi capelli solleticassero il collo di Harry,
lasciando che tutta la sua fragilità venisse ottenebrata da
quegli attimi in cui non pensava più a niente, niente di
quello che era accaduto.
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Capitolo 2 *** *Alba ***
Ginny si risvegliò all’improvviso.
Si trovava di nuovo in quella stanza buia e soffocante, quel
sotterraneo.
Questa volta non batté la testa, e fu più lesta
ad alzarsi. Non aveva la bacchetta con sé.
La solita condensa del suo respiro si formava davanti alla sua bocca, e
poteva percepire gocce di sudore freddo ghiacciarle le spalle. Mosse
qualche passo infermo e malsicuro davanti a sé, per poi
girarsi di scatto. Con le mani andò a tastare ulteriormente,
e percepì dei grandi rilievi di quella pietra liscia e
fredda, forse marmo.
E’ una statua.
Sembrava immensa, e si stagliava ben oltre la statura di Ginny, che non
riuscì a capire che cosa raffigurasse. Nel frattempo, era
scossa da brividi e si strofinò il vestito addosso.
Tastando la stoffa rimase sorpresa dalla sua consistenza, un misto di
seta con elaborati ricami di pizzo, eppure era così leggero
e comodo che le sembrava di essere nuda.
Abbandonò la statua, che la inquietava, per tornare dove
l’altra volta si era sentita afferrare: un misto di paura ed
eccitazione le attanagliava il cuore, ricordava con disgusto
l’effetto di quella stretta, eppure non poteva far a meno di
ricercarla. Doveva sapere.
Non accadde niente. Incontrò nuovamente la cosa viscida per
cui si era spaventata la volta precedente. Tastò
più a lungo, e scoprì trattarsi di un corpo
freddo, inerme.
Sono squame.
Di nuovo un fruscio.
Questa volta non si lasciò spaventare. Senza riuscire a
localizzare la fonte del rumore, come cieca, affrontò il
buio, coraggiosa.
- Dove sei?
Ginny non ottenne risposta.
Sembrava che nessuno venisse a reclamarla questa volta. Nessuna stretta
possente, né i gentili tocchi di Hermione a rassicurarla.
Che senso aveva allora?
- Dove sei?
Questa volta il fruscio si prolungò, quasi a ridere di lei.
Fu allora che la luce la investì. Si riparò gli
occhi con le mani, sicura di non voler vedere: ogni traccia di
spavalderia era scomparsa, e non voleva, non voleva assolutamente
sapere dove si trovava o con chi.
Sollevò infine lo sguardo, fissando con orrore il volto
della statua, un volto antichissimo dove poteva scorgere il passare del
tempo, un volto coriaceo e duro, dalla lunga barba, che arrivava sin
quasi ai piedi.
A quella vista, decise consapevolmente di urlare, così
qualcuno sarebbe andato a svegliarla.
Tuttavia, una mano fredda e molle le strinse la bocca fino a farle
male, con la solita stretta dolorosa, ottenebrante. Ginny non riusciva
a sopportare il dolore: la testa sembrava esploderle, le guance andarle
in fiamme, e alla fine una foschia rossa le appannò la
vista, fino a quando non svenne, o così credette perlomeno,
accasciandosi ai piedi di lui.
- Sembra che tu abbia dimenticato l’aspetto della Camera,
piccola Ginevra.
Ginny aprì gli occhi, ancora quasi priva di conoscenza. Il
ragazzo, chino sopra di lei in una grottesca parodia di preoccupazione
filiale, ghignava non del tutto compiaciuto.
In un attimo, dai capelli nero inchiostro ad incorniciare il volto
perfetto, e dai luminosi occhi blu, lo riconobbe.
- Tu! Tu! Tom, cosa…
Tremante, Ginny aveva tentato di alzarsi, subito bloccata dalla mano
del ragazzo, che ora sogghignava apertamente, senza per questo alterare
la sua bellezza opalescente. La ragazza tremava e i grandi occhi neri
erano incatenati a quelli azzurro cupo che continuavano a fissarla con
aria di scherno, fino a quando non si accorse, senza respiro per il
troppo orrore, che la mano glaciale del ragazzo era scivolata sul suo
collo, per poi scendere fino a carezzarle impalpabile il seno.
Ginny lo allontanò, tentò, ma si ritrovava come
immobile e debilitata.
- Tu non esisti! Tu sei morto! Sei stato sconfitto!-
snocciolò senza fiato, tentando di rendere meno reale quella
visione.
Il ragazzo rise, mettendo in mostra una chiostra di denti bianchi,
simili a quelli di un lupo.
- Certo che lo sono. Non sono più la minaccia che ero un
tempo, Lord Voldemort non esiste più.
Ridacchiò tra sé, continuando a saggiare il corpo
di Ginevra con la sua mano gelida.
- Tuttavia continua ad esistere Tom Riddle nei tuoi ricordi, mia
piccola Ginny, e anche nei tuoi peggiori incubi, come puoi ben notare.-
si chinò a stamparle un bacio sulla guancia, mentre la
ragazza annaspava nel vuoto, completamente fuori di sé.
- Certi ricordi vivono per sempre, non è vero Ginevra? Come
quello che successe qui sette anni fa, nella Camera dei Segreti!
Tom Riddle si stagliava sullo sfondo della stanza segreta, una figura
incredibilmente raffinata contro la polvere e i relitti
dell’antica battaglia.
- E’ un incubo, è solo un incubo! Non
può essere nient’altro, Harry ti ha distrutto anni
fa…- annaspò Ginny, quasi senza respiro,
stritolata dalla presa energica che si abbatteva sulla sua vita, ormai.
- Ovvio che lo è… Non potrebbe essere
nient’altro, mia cara Ginny. Harry, Harry, e ancora Harry!
Possibile che tu non abbia ancora smesso di pensargli!
Il suo sorriso abbagliante aveva un che di lupesco, e Ginny si sorprese
a fissare il volto del ragazzo quasi affascinata.
- Non sei più il mio confidente Tom, e non puoi
più attaccarti a me, sei finto.- rispose sorridendo, quasi
con gusto. Ormai poteva fronteggiarlo, e si mise a sedere, libera dalla
sua mano, fissandolo nelle profondità dei suoi occhi.
- Vedo che conservi con piacere i ricordi della nostra piccola
avventura, altrimenti io non sarei qui…- Tom Riddle le
accarezzava ora una guancia, simile al tocco viscido di un serpente.
Con uno scatto quasi repentino si sporse a baciarla, cogliendola di
sorpresa, finché non allontanò quelle labbra marmoree. Tom,
ridendo, la afferrò e riprese il bacio, passandole una mano
tra i capelli rossi, facendole male.
- Amore, amore, amore… Che cosa avrà mai di
speciale, questo amore che continuate a rinfacciarmi… Ho
deciso di provarlo, anche se per ora, Ginevra cara, non sembra
granché…
- Questo è perché non sei
corrisposto…- Ginny si sentiva spavalda, come se avesse il
suo nemico nel palmo della mano.
Tom si fermò a riflettere, volgendo pensieroso lo sguardo al
cielo.
- Ne sei proprio sicura?- i suoi occhi scintillavano divertiti. Poteva
apparire quasi bello. Quasi reale.
Ginny spalancò gli occhi in confusione, e si
sentì strappare via dalle profondità del sonno,
mentre Tom rideva apertamente di lei, e il suono risuonava nella
profondità della Camera dei Segreti.
Era l’alba.
Il canto del gallo l’aveva riportata di scatto alla
realtà.
Il canto del gallo gli è fatale…
C’erano tante cose che Ginny non voleva ricordare del suo
passato, ma erano ricordi strettamente intrecciati alle sue memorie
più felici, e non poteva liberarsene.
Non poteva dimenticare l’orrore di trovarsi sporca di sangue
di pollo e di non avere il minimo ricordo delle ultime ore, per poi
passare un’estate splendidamente monotona nella calura della
Tana, lo scherno per i suoi vecchi vestiti usati, che impallidiva di
fronte alla sua grande vittoria a Quidditch, l’amore di Harry
e dei suoi fratelli.
Le morti dell’ultima guerra erano ancora troppo fresche per
poter essere guardate con distacco e rassegnazione, ferite ancora
aperte, dure a rimarginarsi.
La Tana viveva nel silenzio oramai: la grande nidiata Weasley si era
allontanata dalle cure materne e, chi a vivere per proprio conto, chi
morto in battaglia; e Ginny si era resa conto di quanto amasse
teneramente la sua vecchia vita, sino a quando tutto non era cambiato.
Ma fintano che rimaneva nel suo letto stretto, avviluppata come in un
bozzo nella coperta scolorita e protetta dal caldo, poteva chiudere gli
occhi: e allora tutto scompariva, e poteva fingere di essere ancora
quella ragazzina che sognava di raggiungere i suoi fratelli ad
Hogwarts.
Se soltanto non fosse arrivato lui, a turbarla.
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Capitolo 3 *** *_Meriggio ***
Faceva caldo quel giorno, un caldo pazzesco: era una di quelle estati
torride che si ripetevano ogni cinquant’anni, quando si
doveva restare rintanati in casa durante i pomeriggi cocenti, e lo
stagno delle rane diventava una piccola palude morente. Ginny ne era
quasi ossessionata, e passava le ore, specialmente quelle
più calde, nei pressi dell’acqua stagnante, nel
silenzio rotto solo dal ronzio di qualche insetto solitario. La aiutava
a non pensare.
Quel pomeriggio, in piena canicola, bollente e implacabile, sedeva ai
piedi di un vecchio tronco, a piedi nudi.
Era arrivata al punto di dover fare chiarezza nella sua vita: avrebbe
finito gli studi e poi? Accarezzava con piacere la carriera di
Guaritore: poteva dedicare la sua vita ad una monotona routine, salda e
affidabile, sconvolgendosi di tanto in tanto per qualche grave
patologia? Sì, poteva.
Magari avrebbe smesso di sognare. Sarebbe stata troppo stanca persino
per quello.
Carezzò col dorso della mano l’acqua tiepida,
quasi controvoglia, pervasa da un senso di fastidio improvviso e non
motivato, che la portò quasi al tremito.
Smise di fissare il fondo dello stagno, la terra motosa e scura, e
sorrise a Harry, che era poco più in là, sudato
nella sua maglietta a righe troppo grande.
Non si sentiva più la ragazzina spaccona e vivace che era
stata fino a pochissimo tempo fa, né la tigre combattiva
dell’Ultima Guerra; la sua stanchezza la ottenebrava e
detestava dover dare spiegazioni della sua indolenza a chiunque, solo
con lui poteva permettersi di non parlare, sicura di essere capita.
Ti amo.
Aveva la certezza che i grandi occhi verdi le leggessero dentro, che
Harry sapesse, quasi vivesse con lei: il loro sentimento era
semplicemente troppo vasto, per poter essere dimenticato. Lui aveva
avuto la vita peggiore che si potesse immaginare, e Ginny non lo
avrebbe mai deluso, mai. Non poteva, non avrebbe mai potuto.
Era troppo facile poter appoggiare la testa sulla sua spalla, a fissare
il riverbero del sole sul paesaggio, che sembrava più bello,
quasi nobilitato, mentre la sua mano si posava leggera sul suo fianco.
Loro non parlavano, non ne avevano bisogno.
Questa volta, nello svegliarsi nella Camera dei Segreti, Ginny non si
lasciò cogliere di sorpresa. Sapeva dove si trovava, sapeva
che era ai piedi della statua di Salazar Serpeverde. Se fosse avanzata
avrebbe incontrato la pelle del Basilisco, che Harry aveva ucciso quel
giorno, e se non si fosse mossa, allora forse lui le si sarebbe
fatto incontro.
Immobile, trattene quasi il respiro, tra ansia e paura; si torceva le
mani, e le sentiva gelate.
- Sei così impaziente?- la apostrofò Tom,
comparso all’improvviso d’innanzi a lei. Era sempre
stato alto e la sovrastava ampiamente: le porse una mano, in una sorta
di buffa parodia di cortesia, snudando i denti in un sorriso maligno.
Ginny era impavida, e rimase ferma, guardandolo da sotto le ciglia,
come indispettita.
- Sei finito, vattene da dove sei venuto. Io appartengo a qualcun
altro, ormai.
- Piccola, stupida Ginevra… Se avessi lottato per te, mi
saresti appartenuta? Che piccola traditrice del suo sangue…
Ginny era scattata in piedi, rabbiosa, e si era avvicinata a Tom,
fronteggiandolo, e tentando di schiaffeggiarlo, con un attimo di
esitazione. Ne ricevette un colpo al viso, in cambio, e il suo labbro
iniziò a sanguinare: si leccò la ferita,
assaporando il sentore del sangue davanti al ragazzo.
- Sempre più degna di me, dunque- fu derisa, col tono
cantilenante degli scherzi infantili. - Sei sicura di appartenere ad un
altro, tu? Hai avuto infine il tuo bel Harry?-
Ginny, senza muovere un muscolo, continuò a fissarlo, per
poi ridergli apertamente in faccia, con quanta più
cattiveria possibile.
Tom Riddle carezzò suadente la sua mascella, saggiando la
morbidezza della sua pelle, prima di abbattersi lentamente sulle sue
clavicole, mordicchiandole con i suoi denti aguzzi. Ginny era inerme
contro di lui, che la stava stringendo senza forza: non poteva muoversi.
Una vampata le colorì le guance, e diede in un gemito, di
rabbia e dolore, e piacere. Sentiva di spogliarsi volontariamente a
poco a poco, aveva lasciato cadere la maglietta a terra non senza aver
indugiato nel toglierla, fissando il ragazzo in tralice. Si
adagiò sinuosa nell’incavo del suo petto, lei
così magra, nervosa e palpitante, per niente sorpresa nel
trovarlo freddo come il marmo della statua che li fissava.
Non era certo quella la via da seguire, lo comprese in un attimo.
Fu così che si staccò da Tom, schermandosi il
volto con le braccia, raccogliendo la maglietta per coprirsi
imbarazzata. Riuscì persino a lasciarsi andare ad un piccolo
pianto, di innocenze rubate e labbra tumefatte.
Scappò via, andando a sedersi ai piedi della statua,
tremando nella penombra.
Tuttavia, aveva fatto in tempo a gettare un’occhiata al
ragazzo, che era in piedi, fermo dove l’aveva lasciato, e
aveva intravisto il suo sguardo, famelico e come sopito, eccitato.
Aveva la chiave, ormai.
Tom, silenzioso, l’aveva raggiunta, e mentre Ginny invocava a
vuoto e piangeva, sorrise, divaricandole le gambe con la forza.
- Sei proprio un grazioso animaletto da compagnia, quasi meglio della
mia amata Nagini, sai?
- Il grande Tom Riddle che si fa manipolare da una donna in questo
modo…- Ginny, a metà tra l’euforico e
il vittorioso, parlava con un tono di voce sicuro, quasi mondano.
- E la futura moglie di Harry Potter che si dà al Signore
Oscuro in preda a bassi istinti, chi l’avrebbe mai pensato?-
sorrise tristemente Tom, fissando l’orrore crescente della
ragazza nei suoi occhi sbarrati.
Cosa ho fatto,
cosa… Perché, dimmi, perché…
- Ma alla fine cosa ti aspettavi? Tu sei la mia sposa bambina!
- No, no! Io non ho più undici anni, devi smetterla!
Vattene, lasciami in pace!
- Ma sì che hai undici anni, non vedi?
E fu così che Ginny si fissò inorridita nello
specchio che lui le porgeva, venuto dal nulla.
E fu così che una Ginevra Weasley undicenne le sorrise di
rimando dallo specchio, facendole ciao con la mano sinistra, mentre con
l’altra stringeva quella di Tom Riddle.
E fu così che Ginny urlò e si
risvegliò, il cuore in gola, nella sua camera alla Tana.
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Capitolo 4 *** *Mezzanotte ***
- Ginny, Ginevra, Ginevra…
Era semplicemente un vortice di indecenza, non sentiva più
il gelo di quella Camera che l’aveva perseguitata per anni,
anni lunghi ed estenuanti, in cui i timori più orrendi e
segreti combattevano nei suoi pensieri, si rincorrevano forzatamente in
un imbarazzante gioco di chiaroscuri. Non aveva mai visto eleganza in
certi pensieri, non li riteneva neanche naturali, e sentiva il disagio
crescere, ingigantirsi fino a farla esplodere: solo
allora provava una sorta di ingenua libidine, che non mortificava ma
sublimava.
- Ginevra, Ginevra…
La schiacciava, la consapevolezza la turbava, ma sentiva di non poter
far a meno di assaggiare con la punta della lingua
quell’aspro sapore di limone, che aumentava di minuto in
minuto. O, quanto le piaceva il limone, così aspro, e acido,
lo leccava per poi scostarsi, quasi ferita da quel sentore. Per non
parlare del profumo: odore di agrumi, forte, intenso, esotico,
impossibile!
- Oh, Ginevra!
Non vedeva nel buio, ma mai si era sentita così consapevole.
Era come avere acquisito d’improvviso un lumicino personale,
che rischiarava le sue tenebre, nel bene e nel male. Soprattutto nel
male.
Non riusciva a saziarsi di quei momenti, di quegli attacchi violenti,
di quelle scosse e di quelle percosse: ne usciva sanguinante, ferita,
ansimante. Faceva appena in tempo a leccarsi qua e là per
poi continuare la lotta. Graffiava, mordeva, per poi leccare e baciare,
seguiva il flusso degli eventi, trascinata, senza perdersi a pensare,
se non cose prive di senso.
- Ginevra!
Inarcava la schiena, quasi a spaccarsi, a recidersi in due di netto:
alle volte se lo augurava,
senza vivacità. Intorno a sé, il buio, le
tenebre: non c’era spazio per sentimenti, non c’era
mai stato. Vedeva solo le fiamme quando chiudeva gli occhi, le fiamme
che la facevano sentire così colpevole e la bruciavano, la
marchiavano e non importava.
- Ginevra…
Arrivava a sussurrare il suo nome, quasi masticandolo, come se fosse
qualcosa di vile, vergognoso, e forse per lui lo era. Tuttavia sentiva
tutta la debolezza investirla, in quei momenti rubati, a
metà tra la veglia e l’incubo più nero,
quando desiderava apparentemente svegliarsi ma non si sarebbe mai
allontanata dal suo torace liscio, viscido, soffocante su di lei.
- Tom…- sussurrava, infine, prima di svegliarsi.
In genere si svegliava a mezzanotte. Ansimava, come paralizzata, senza
muoversi di un millimetro, attentissima. Solo dopo qualche minuto
riusciva a scuotere la testa, piano, per scacciare gli ultimi barlumi
del sogno,ricevendo in cambio fortissime fitte alle tempie e qualche
immagine casuale.
Lui aveva quegli occhi
blu che sarebbero stati bellissimi su chiunque altro, a lei facevano
solo pena. Sentiva la rabbia esploderle dentro mentre lui riusciva a
comandarla a bacchetta, non esistevano opposizioni.
Un corpo che contrastava
nel buio nero della Camera, bianco e snello sul fondo di morte.
Probabilmente cercava di
farle più male possibile, e solo così riusciva
veramente a godere.
In silenzio, piangente, scivolava via dal letto, camminando silenziosa
fino allo specchio, dove si osservava a lungo alla luce della luna. Non
vedeva che capelli vermigli e scarmigliati, obliqui occhi gatteschi e
la sua magrezza che andava accentuandosi di giorno in giorno. Poi
chiudeva gli occhi, e distingueva con chiarezza tutte le tracce del suo
passaggio, vivaci scie luminose color sangue. Spesso tentava di lavarsi
a fondo, di eliminare per sempre le tracce di quel passaggio
inesistente, ma era impossibile, e non di rado aveva finito per
scorticarsi la carne viva, volontariamente.
Una di quelle sere, dopo aver pianto ed essersi agitata per un bel
po’, Ginny sgattaiolò in silenzio fuori dalla sua
camera, facendo attenzione a tutti i gradini sbilenchi che avrebbero
potuto tradire la sua presenza con scricchiolii molesti. Le girava la
testa, come nelle lunghe veglie di festa ad Hogwarts complice
l’abbondante Burrobirra e si sentiva euforica, trionfante.
Scalza e mezza nuda, abbasso la maniglia della vecchia camera di Fred e
George, in cui ancora ristagnava l’odore di polvere da sparo
delle loro invenzioni.
Là, in uno dei due letti gemelli, giaceva Harry,
profondamente addormentato, con la luce della luna che sembrava
illuminare la sua cicatrice. Ginny si inginocchiò, fissando
il ragazzo dormiente, carezzandogli i capelli scomposti.
D’un tratto di calmò: non c’era
più Tom Riddle a mangiarsela piano piano, straziando le sue
carni nel gioco della Camera, non c’era più la
consapevolezza di aver ceduto, di non essere stata abbastanza forte,
non c’era più incertezza.
Harry sbatté le ciglia, per poi stropicciarsi gli occhi,
confuso dalla strana visione sfocata.
Ma non disse niente, la accolse semplicemente tra le sue braccia,
scaldando il corpo magro di Ginny che rabbrividiva vistosamente.
Fu così che si addormentò, tranquilla e
soddisfatta, stretta tra le braccia di Harry Potter.
- Io sono più forte di te fuori dal sogno, non mi
vinci…
Successe infine, che lui decise di trattenerla.
I cupi occhi azzurri di Tom Riddle splendevano vivaci nel buio della
Camera. Ginny si sentiva in trappola, e poteva quasi palpare con mano
la rabbia crescente del ragazzo. Qualcosa doveva averlo contrariato
ultimamente, e ora stava a lei pagarne lo scotto: già
sentiva aprirsi profonde piaghe invisibili nelle sue carni, e sentiva
nascere dentro di sé un desiderio quasi viscerale di dargli
modo di sfogarsi.
Tutto questo la schifava, ma in parte non poteva fare a meno di
compiacersi intimamente di essere ridotta in quello stato, decadenza e
orrore.
- Allora Tom, non siamo in forma stasera? Stai forse per abbandonarmi?
Oh che peccato!- gioì maligna, tentando di scatenare la sua
furia. Forse lui stava per abbandonarla. Poteva essere
l’ultimo dei loro incontri e non ne avrebbe sofferto troppo.
Stava per liberarsi per sempre di Tom Riddle, l’unico rimasto
tra i fantasmi del passato, avrebbe dormito notti serene,
l’avrebbe sconfitto.
- No, piccola Traditrice del sangue, ti sbagli… Sono un mero
ricordo è vero, ma ho le mie risorse…
Sorrise, stringendole la gola pulsante, così viva sotto il
suo tocco viscido.
- Sai bene che attraverso di te potrei riuscire ad arrivare persino a
Harry Potter, se tu dovessi passare il resto della vita con
lui… O certo, nessun danno, solo un po’ di sano
tormento…- ammiccò a Ginny, ben cosciente di
ciò che intendeva.
- La domanda a questo punto è, mia piccola traditrice, se
ami abbastanza
Harry Potter da rinunciare a lui!
Il giorno seguente, Harry Potter, vincitore del Signore Oscuro, chiese
a Ginny Weasley di sposarlo.
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