Angelus Dominus - Il Bene - di zippo (/viewuser.php?uid=36831)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'incubo ***
Capitolo 2: *** Oltre la mia immaginazione ***
Capitolo 3: *** L'angelo del bene ***
Capitolo 4: *** Un passo silenzioso ***
Capitolo 5: *** Un nuovo mondo ***
Capitolo 6: *** Un posto chiamato casa ***
Capitolo 7: *** La minaccia ***
Capitolo 8: *** Vicini e lontani ***
Capitolo 9: *** L'origine della magia ***
Capitolo 10: *** Cadendo dalle stelle ***
Capitolo 11: *** Come un uragano ***
Capitolo 12: *** Pronta per combattere ***
Capitolo 13: *** C'è qualcosa nel cielo ***
Capitolo 14: *** Testarda è dir poco ***
Capitolo 15: *** Ti ho mai colpito nel cuore? ***
Capitolo 16: *** Non ti credo ***
Capitolo 17: *** Un rifugio sicuro ***
Capitolo 18: *** L'urlo che uccide ***
Capitolo 19: *** Faccia a faccia con il dolore ***
Capitolo 20: *** A testa alta ***
Capitolo 21: *** Amandoti ***
Capitolo 22: *** Il diafano crepuscolo ***
Capitolo 23: *** Le tattiche degli angeli ***
Capitolo 24: *** Gli albori della guerra ***
Capitolo 25: *** Il lusso di un respiro ***
Capitolo 26: *** L'alba degli eroi ***
Capitolo 1 *** L'incubo ***
Cap. 1 -
L’INCUBO -
Ombre.
Scuro.
La ragazza
vedeva una luce in lontananza…ma era troppo distante. Faceva
freddo e intorno a lei molti alberi oscillavano al vento. Doveva
trovarsi in un bosco o in una di quelle riserve dove la vegetazione era
l’unica fonte di vita. Con la testa, spaventata, guardava le
sagome che si muovevano fra gli alberi. La luce si avvicinava. Ancora.
Sempre più vicina. Come la luce si avvicinava a lei
così anche le ombre sembravano riunirsi a cerchio e
raggiungerla.
Ombre e luce.
Ormai erano
un tutt’uno e la ragazza, non sapendo cosa fare,
andò incontro alla luce, che rappresentava la salvezza da
quelle tenebre, e non potè non intravedere, in quel
bagliore, dei capelli biondi e due occhi azzurri…poi, tutto
si fece confuso e solo la luce, ora, la invadeva.
Rebecca si
svegliò di soprassalto, inarcando la schiena si sedette sul
suo letto, la fronte sudata e il fiato corto. I capelli color
cioccolato le ricadevano leggermente in avanti e il suo ciuffo,
spostato verso destra, le copriva gran parte della visuale, sopra
quegli occhi scuri che erano sbarrati per l’ansia e il
terrore. Con un movimento scattoso diede un’occhiata alla
sveglia sopra il suo comodino: le sei di mattina. Mezzora e si sarebbe
alzata per andare a scuola.
Con calma,
Rebecca, si ridistese sul letto e tirò il copriletto fin
sotto il collo, come per proteggersi e sentire più caldo,
dopotutto era ottobre e il gelo si faceva sempre più vicino.
Sentì dei passi al piano di sotto, probabilmente era sua
mamma che si era alzata e stava preparando la colazione. Rebecca
alzò gli occhi al cielo e con uno sbuffo si alzò,
si mise le ciabatte fucsia che erano ai bordi del letto e con un passo
assonnato uscì dalla sua camera. Le luci in corridoio erano
tutte spente, solo un bagliore la raggiungeva, e proveniva dalla
cucina. Con fatica scese le scale in legno, percorse la sala buia ed
entrò in cucina, dove sua madre, Marta, trafficava con due
panini appena sfornati.
“Ciao, mamma”
La donna, sentendo la voce melodiosa di sua figlia si girò
sorridente verso di lei e Rebecca si ritrovò a pensare che
sua madre, nonostante i suoi quarant’anni, rimaneva comunque
una donna stupenda: con quei capelli biondo scuro che ricadevano in
boccoli e con quegli occhi verde-acqua che tanto sperava di aver
ereditato.
“Ciao, Bec. Come mai già in piedi? Non
è che ti senti male? Di solito ti vengo a chiamare
io” disse Marta, allarmata con il suo sorriso splendente
ancora stampato in viso. Rebecca alzò le spalle.
“Ho avuto un incubo e non sono più riuscita a
dormire. Lo sai, vero, che quando sogni è come se stessi
realmente vivendo quel momento e quel momento è stato
particolarmente angoscioso” disse, percorrendo la cucina e
andandosi a sedere su uno dei quattro sgabelli che circondavano il
bancone. Il caffelatte era pronto e Marta le porse un toast, sedendosi
vicina a lei.
“Immagino. Oggi a scuola hai qualche compito o
interrogazione?” chiese sua madre, ricevendo
un’occhiataccia dalla figlia che ora la guardava esterrefatta.
“Ma mamma! Come hai potuto dimenticartene?! Oggi vado in
gita, te l’avevo detto la settimana scorsa, non te lo
ricordi?”
“Ah! Me n’ero dimenticata. Scusa, Bec”
“Di niente”
“A questo punto sarebbe meglio che ti preparassi i panini per
il pranzo al sacco”
“Non importa, mamma. Vai pure a lavorare, chiamerò
papà”
“Ok, e dì anche al papà che oggi,
probabilmente, tornerò a casa tardi”
“Come mai?”
“All’ospedale hanno bisogno di me e non posso
negare il mio aiuto”
“Che bravo chirurgo…” disse Rebecca,
ironica con degli occhi da finta ammirata.
“Sempre gentile tu, eh?”
Marta si alzò aggraziata dal bancone e baciò la
figlia sulla fronte. Prese il cappotto appoggiato ad una sedia del
grande tavolo da pranzo e con disinvoltura lo indossò.
“Io vado, tesoro. Chiama papà e buona
gita”
“Ciao, mamma”
La donna le rivolse un ultimo sorriso prima di aprire la porta di casa
e di uscire percorrendo il lungo vialetto di villa Burton. Rebecca
rimase da sola a rigirarsi tra le mani il toast, pensierosa e
irrequieta, aveva addosso ancora quella sensazione di disagio provata
nel sogno. Per quanto terrore potessero aver suscitato le ombre e quel
senso di vuoto, di oscuro, di freddo, non riusciva a togliersi dalla
testa quegli azzurri, così diversi dai suoi, e per un
momento ebbe paura.
***
“Papà!
Papà, alzati!” Rebecca continuava a scrollare la
figura di suo padre, che era comodamente arrotolato su un fianco. Dopo
parecchi scossoni l’uomo aprì gli occhi e con un
grande sbadiglio si girò verso la fonte della sua
scocciatura.
“Che c’è, Bec? Hai visto un
fantasma?”
“Papà, devi farmi i panini per la gita. La mamma
si è dimenticata”
“Dov’è ora?”
“A lavoro. Ha detto di dirti che tornerà
tardi…dai alzati!”
“Arrivo! Arrivo!”
Jonathan si alzò contro voglia, sovrastando in altezza la
figlia. Jonathan era un uomo di quarantacinque anni, con un fisico
perfetto (merito delle numerose corse mattutine), due occhi scuri e i
capelli castani, con qualche presenza di ciocche bianche. Aveva un
lavoro invidiabile, infatti era lo scrittore più ambito di
tutta America, e faceva vivere meglio che poteva la sua bella famiglia.
“Coraggio, andiamo a prepararti lo zaino”
Scesero le scale in assoluto silenzio e solo quando furono in cucina,
Rebecca, non si trattenne e parlò a suo padre in modo
arrogante e provocatorio.
“Ma dimmi te! Mi tocca anche andare in gita in
montagna…odio la montagna. E tutto perché siamo
andati a vivere in uno stupido paesino di montagna. Spero solo che se
cadrò in un pendio e mi romperò la gamba tu abbia
i rimorsi, papà”
“Tesoro, lo so quanto adoravi vivere a Phoenix
però non ci possiamo fare niente. Tua madre è
stata entusiasta e lo eri anche tu di venire a vivere qua” la
accusò suo padre, con un grugnito.
“Infatti. Lo ero. Ora non più”
“Perché, scusa?”
“Perché? Uhm…lasciami
pensare…ah si! Allora, a Phoenix c’era il sole e
il mare, avevamo una bella casa e abbiamo
lasciato anche tutti parenti, avevo delle amiche e mi ero affezionata.
E qui? Solo montagne! È sempre nuvolo, il cielo è
coperto, la scuola è vecchia e decadente e, soprattutto,
sono sempre sola!” Rebecca si fermò per respirare,
guardava suo padre in cagnesco e mai, mai, per quanto bene gli volesse,
poteva perdonarlo per averle trascinate di punto in bianco in un posto
dimenticato da Dio, con la scusa di dover scrivere un libro
ambientalistico.
“Odio questo posto” ripetè,
più a sé stessa che a Jonathan che la guardava
apprensivo e con un moto di sofferenza.
“Mi dispiace. Appena finirò il libro ritorneremo a
casa. Te lo prometto”
“Ma non mi importa di quando finirai il libro! È
ora che io sto male, lo sai quanto detesto le escursioni e sono
obbligata anche a farci una gita di tre giorni!”
“Bec, hai iniziato scuola solo da un mese, è
normale che ti senti a disagio non conoscendo nessuno. Ma tu sei forte,
e so che ce la farai. Tieni duro. E poi, cosa vuoi che succeda su
là, tra i monti?”
“Uhm,
magari un orso mi porta via”
“Ti verrò a riprendere”
“E se questo orso è armato?”
“Sono antiproiettile”
“Questo è quello che credi
tu…”
“Dai, è quasi ora e ho finito di farti i
panini” disse suo padre, mostrando fiero quattro panini
incartati.
“Ne bastavano due, papà”
“Ah si?”
“Si, sono uno per la merenda dell’andata e uno per
il ritorno. Poi, quando sono nell’
“accampamento” avrò da
mangiare”
“Meglio essere previdenti, sai, se l’orso ti
rapisce”
“Giusta osservazione”
“Suvvia, brunetta. Accendo la macchina, ti aspetto fuori.
Muoviti a prepararti”
“Corro a cambiarmi!”
Rebecca prese con fretta i quattro panini e li ficcò alla
bell’e meglio nello zaino della Napapijri marrone assieme al
pigiama, occorrente per lavarsi, un paio di ciabatte, di calze, due
cambi pesanti e tutto il kit medico datogli da Marta. Con uno sbuffo
chiuse la zip e se lo caricò in spalla, mentre con la mano
libera afferrava il sacco a pelo. Uscì dal garage e
trovò ad aspettarla suo padre, con una sigaretta in bocca, e
un sorriso di incoraggiamento. Corse fino alla macchina ed
entrò imprecando.
“Spero proprio di essere assicurata per gli
infortuni”
***
Alle otto di
mattina la piccola Aguila si presentava ancora più
terrificante, il sole tardava a sorgere e il vento continuava,
insistente, a sbattere contro gli alberi, con ululati e tonfi. Se non
era per il semplice fatto che era così per la posizione
geografica, Rebecca, quel posto, l’avrebbe paragonato
all’inferno, non era degno di appartenere alla bella e
soleggiata Arizona. No, proprio no.
La loro
bella villa (e unica villa) distava dalla scuola dieci minuti di
macchina e in quei minuti Rebecca implorava ogni giorno il Signore
affinché sprigionasse un cataclisma sulla scuola, almeno non
sarebbe stata costretta ad andarci e avrebbe fatto in tempo a ritornare
alla “High School” di Phoenix. Solo allora, sarebbe
stata salva e finalmente a casa. Ma come ogni giorno, dalla macchina,
girata la curva, le compariva la bella visuale della sua nuova scuola.
Un sorriso schifato le riempiva il viso a quella vista. Suo padre, come
ogni volta, parcheggiava la macchina nello stesso posto e subito
spiccava come un faro a confronto delle altre macchine. Di sicuro, ad
Aguila, nessuno aveva una Porsche. Smontò impacciata
dall’auto, beccandosi molti sguardi ammirati.
“Non guardano me, guardano te e la macchina” disse
Rebecca a suo padre prima di chiudere la portiera, dato che Jonathan
era rimasto perplesso dalla moltitudine di facce che erano rivolte a
fissarli.
“E io che credevo che fossero amici…”
“Te l’ho detto, papà” Rebecca,
con uno spintone chiuse la portiera e si avvicinò al
finestrino abbassato. “Io non ho amici”
***
Ecco, se
c’era una cosa, una sola cosa che Rebecca non sopportava in
quella scuola era l’appello. Nella sua scuola precedente gli
alunni non venivano mai chiamati a inizio lezione, semmai chiedevano i
nomi degli assenti e scrivevano quelli. Ma ad Aguila tutto era rimasto
ai tempi della seconda guerra mondiale, e l’appello portava
via ben sette minuti, minuti che intanto passava a ciondolarsi sul
posto. Il ritrovo era stata fissato davanti la scuola, nel parchetto, e
circa una quarantina di studenti stavano in piedi ad aspettare che
venisse chiamato il loro nome, con gli zaini in spalla e le bocche
tirate in continui sbadigli. Di certo il tempo non aiutava a sentirsi
più svegli, ti metteva ancora più sonno.
“Rebecca Burton” disse a voce alta la professoressa
di biologia, Millie Lorenz, donna deliziosa se non avesse avuto una
voce talmente acuta da spaccare i timpani ogni qual volta dava fiato ai
propri pensieri.
“Ci sono”
“Prego, salga in pulman e prenda posto”
Rebecca non se lo fece ripetere, afferrò saldamente il suo
sacco a pelo e salì sul bus già occupato dai
pochi studenti che per ordine alfabetico la precedevano e che erano
perciò saliti per primi.
Due ragazze
avevano preso i posti nella penultima fila a destra e un ragazzo si era
invece accaparrato i posti infondo. Senza neanche pensarci Rebecca
prese il primo posto a portata di mano: terza fila a sinistra.
***
Il viaggio
in pulman era previsto con due ore di andata, la strada era
continuamente susseguita da curve e Rebecca si ritenne fortunata di
aver scelto uno dei posti davanti altrimenti la colazione della mattina
si sarebbe fatta sentire come meglio poteva. L’unica rogna di
quel viaggio in corriera era la presenza, alquanto indesiderata, della
sua vicina di posto, Judi Marconi: ragazza svogliata, di origini
italiane, dalla parlantina facile e con due occhiali rotondi che le
facevano risultare ancor più ovale il suo viso paffuto. Judi
non lo faceva apposta, ma da quando erano partiti fino al momento
dell’arrivo non aveva smesso un attimo di parlare, parlava di
lei, della sua famiglia, del suo cane, del suo gatto, del suo ragazzo
(ma come faceva ad avere il ragazzo?) e di altre cose che a un certo
punto Rebecca si era rifiutata psicologicamente di ascoltare, facendo
cenni con la testa come a mostrarsi interessata di quei discorsi.
Finalmente il motore si fermò. Rebecca, disorientata,
spostò la testa verso il finestrino, il paesaggio era come
se l’aspettava: si trovavano in uno spiazzo fangoso
circondato da alberi e, dritto davanti a lei, c’era il
sentiero che gli avrebbe portati al campo. La ragazza, decisasi
finalmente a smontare, si trovava ancora a percorrere gli scalini
dell’autobus quando non potè non notare,
nell’altro pulman dietro al suo, un ragazzo che, in
contemporanea a lei, stava scendendo con un’aria alquanto
contrariata dal suo bus. Il fiato le morì in gola.
***
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Capitolo 2 *** Oltre la mia immaginazione ***
Cap. 2 - OLTRE LA
MIA IMMAGINAZIONE -
Bec scese
dal pulman e rimase ancora qualche istante a fissare quel ragazzo
sconosciuto, non perché non avesse mai visto un ragazzo
così bello ma perché era talmente stupendo
dall’essere più simile ad un alieno che ad un
normale adolescente. Sembrava una sorta di miracolo…ci
mancava solo l’aureola. Bec si perse nell’osservare
la sua pelle così bianca, il suo corpo marmoreo e muscoloso,
i capelli biondi: leggermente scompigliati che ricadevano avanti e gli
occhi azzurri come il cielo dall’assenza di nuvole. Sembrava
indifferente a tutte le persone che in quel momento lo stavano
osservando, si muoveva sicuro di sé e con eleganza anche se
alcuni ciuffi ribelli davano a intendere che non doveva essere
così angelico come sembrava. Percorse con pochi passi
l’intero spiazzo e raggiunse quello che doveva essere il suo
gruppo di amici, anche loro, come lui, erano di una bellezza
sovrannaturale: c’erano due ragazze e due ragazzi. Le due
ragazze sembravano a quelle modelle che si trovano solo sui cartelloni
pubblicitari, una (la più bassa) era mora, con lineamenti
molto femminili e due occhi scuri a mandorla…deliziosa; la
seconda ragazza era bionda, con gli occhi chiari…una
bellezza aggressiva, niente a che vedere con la dolcezza
dell’altra. I ragazzi erano…beh, divini,
bellissimi, accattivanti e tenebrosi: due perfetti esemplari di genere
umano. Bec rimase sconvolta quando si sentì strattonare da
due braccetti esili. Judi.
Ma
porca miseria…
“Che
c’è?” chiese un po’
sgarbatamente.
“Oh,
scusa se ti ho toccata ma tentavo di chiamarti da più o meno
cinque minuti”
“Che
vuoi?”
“Volevo
dirti che ci hanno assegnate nella stessa tenda. È la numero
7, ricordatelo”
“Si,
si…”
Judi
scrutò attentamente il viso di Rebecca e quando
capì la direzione che stava prendendo tirò un
sospiro di rassegnazione nel vedere il magnifico gruppo di cinque
ragazzi che chiacchieravano tranquilli a pochi metri di distanza.
“Lo
immaginavo”
Bec si
girò di scatto verso la ragazza senza capire realmente a
cosa alludeva.
“Cosa?”
“Il
magico gruppo ha incantato anche te, a quanto pare”
“Ma
chi sono? Non gli ho mai visti a scuola, da dove sbucano
fuori?”
“Beh,
non gli vedi spesso nei corridoi, stanno sempre nella loro classe e non
si separano mai. Nessuno sa il motivo ma succede spesso che per lunghi
periodi non vengono n’anche a scuola, forse è per
quello che non gli hai mai incontrati. Comunque sono fatti
così. Anch’io la prima volta che gli ho visti sono
rimasta a corto di fiato…tanto, tanto tempo fa”
“Più
che altro il fiato se n’è andato”
“Già,
ti capisco”
“Ma
come si chiamano?”
“La
bionda è Rosalie mentre l’altra ragazza
è Delia. Poi ci sono Denali, Kevin e infine
Gabriel”
“Ma…”
“Dai!
Andiamo, che dobbiamo prenderci il posto e aprire la tenda!”
Judi, con uno scatto felino prese per il braccio Bec e la
trascinò via. Via dallo spiazzo. Via da quei ragazzi.
***
“Io
proprio non riesco a capire cosa ci può essere di
così istruttivo nel fare un’uscita in montagna. Fa
freddo, ho fame, stanotte dormirò per terra e terribili,
raccapriccianti, mostruosi insetti si aggirano nel bosco mentre sono
incosciente”
“Poi
và a finire che ti diverti”
Bec
lanciò un’occhiataccia alla sua compagna di
“camera”. Era da venti minuti che Rebecca cercava
di sistemare le sue cose nella minuta tenda verde, dalla forma di un
triangolo un po’ sbilenco…alquanto orribile.
Continuava a lamentarsi su qualsiasi cosa centrasse con le piante e
l’erba, sfumando quello che doveva essere lo spirito
avventuriero di una giovane ragazza che doveva provare nuove esperienze.
“Oh,
certo che mi divertirò. Come no. Magari dopo chiedo a Cip e
Ciop di giocare a “chi indovina la ghianda di
chi””
“Fa
come ti pare. Io esco” Judi si alzò dalla sua
posizione “gambe incrociate” e uscì
dalla tenda, lasciando Bec a disperarsi da sola.
Probabilmente
era stata troppo pesante, troppo antipatica e si stava, in effetti,
lamentando troppo. Avrebbe fatto scoppiare la sua compagna entro la
notte se avesse continuato così. Ma che ci poteva fare se
odiava con tutta sé stessa la montagna? Dopotutto lamentarsi
l’aiutava a sfogarsi e sperava ardentemente di continuare a
farlo. Del vento freddo entrò nella tenda come tanti
spifferi taglienti e gelarono sul posto la ragazza che ne rimase
totalmente paralizzata. Era come se le fosse passato qualcuno di
striscio e le avesse sfiorato la schiena. La sensazione era la stessa.
Bec si massaggiò frettolosamente la schiena, come a voler
scacciare un’oscura presenza. Con la mente ritornò
a poche ore prima, quando aveva visto per la prima volta quello strano
gruppo di ragazzi, tutti troppo belli per essere veri. Sembravano dei
divi, dei personaggi appena usciti da una rivista di moda, ma sotto
sotto era come se nascondessero un lato inumano, irreale,
spaventosamente fuori dall’immaginabile.
Erano
persone comuni, nate da famiglie anch’esse comuni eppure
attiravano la gente come se fossero dei burattini da circo, ammirati da
tutti perché semplicemente sensazionali. Ma Bec non sarebbe
cascata nella loro trappola, magari i ragazzi della sua età
avrebbero giocato carte false solo per poter rivolgere la parola ad uno
di loro ma lei non si sarebbe lasciata intimidire, non correva dietro
la moda e non le piaceva seguire la massa. Se quel gruppo le avrebbe
creato dei problemi durante il suo soggiorno alpino lei comunque si
sarebbe fatta valere, non avrebbe chiuso un occhio solo
perché erano loro. Odiava quando le persone si facevano
mettere i piedi in testa dagli altri solo perché avevano
paura di andare contro coloro che erano più potenti,
più in alto, superiori o più belli di loro.
***
Judi quel
pomeriggio si trovava lungo le rive del lago che costeggiava il centro
del bosco, era indifferente a tutto, silenziosa e come al suo solito
era seduta con un tomo sulle ginocchia, i capelli raccolti e gli
occhiali circolari che ricadevano leggermente sul naso. Bec si
avvicinò lentamente, come a non voler interrompere
quell’atmosfera saggia e pacifica. Appena Judi si accorse
della sua presenza si portò gli occhiali sulla fronte e la
guardò come si guarda una persona per la quale si prova
molta, ma molta compassione.
“Allora,
hai deciso di abbassare l’ascia di guerra?”
Bec fece un
sorriso tirato, colpevole.
“Sai,
credo che in fondo ci potrei anche provare”
Il sorriso
della ragazza si ampliò.
“Oh,
questa è una magnifica notizia. Sai, stavo pensando che ho
proprio fame, mi accompagni a prendere qualcosa?”
***
Il sole
iniziava ad andarsene quando Bec e Judi raggiunsero la mensa. Sotto un
enorme tendone bianco c’erano tavoli e posti per tutti, un
bancone con il self-service e dietro ad un separé si
trovavano le cucine. Appena Bec entrò, scostando la tenda,
diede subito un’occhiata alle persone che erano presenti:
come si immaginava quella era un’ora di punta, la maggior
parte dei ragazzi del campeggio avevano preso posto insieme formando
vari gruppi. Bec seguì Judi che, essendo più
sicura, la portò dritta al bancone del self-service.
“Uhm,
tortino ai carciofi…buono!” disse Judi, facendo
due occhi desiderosi.
“Ah,
io credo che questa sera non andrò giù pesante.
Penso che prenderò…” Bec
spostò la visuale facendola scorrere su tutto il buffet.
“…pasta al ragù”
“Sai,
stavo pensando che sarebbe bello se questa sera prima di andare a letto
andassimo a guardare le stelle in riva al lago. Là
c’è una vista fantastica e credo che non saremo le
uniche ad andarci, a quanto ho sentito viene anche Gabriel”
disse Judi, contenta e speranzosa. Alzò lo sguardo per
guardare la reazione di Rebecca alla sua notizia ma la ragazza non si
scompose di una virgola.
“Gabriel…chi
è dei cinque?”
“È
quello biondo che è sceso per primo dal bus”
“Ah.
Beh, per vedere le stelle ci sto, basta che non sia troppo
freddo”
“Oh,
che paranoica che sei!”
Le due
ragazze percorsero il bancone e presero posto nel primo tavolo libero
che trovarono. Era una tavolata per dieci persone ed era occupata da
tre ragazze che non fecero storie quando Bec chiese loro se si potevano
sedere. Judi si posizionò di fronte a lei e addentando il
tortino e le patate guardò disgustata il piatto della sua
amica.
“Ma
come fai a mangiare così poco e male?!”
“Non
mangio male, mi piace il ragù e poi non sono mai stata
abituata ad abbuffarmi” disse con un’alzata di
spalle.
“Si
vede, sei uno stecco”
“Non
sono uno stecco!”
“Come
vuoi, io ti ho avvertita, se poi stasera la tua pancia brontola affari
tuoi”
“Ma
chi hai detto che viene stasera a vedere le stelle?” chiese
Bec, fingendosi indifferente.
“Viene
un po’ di gente, ho sentito che è un bellissimo
posto dove si possono vedere benissimo e in più
c’è il lago davanti perciò è
ancora più romantico”
“Ma
chi te l’ha detto?”
“Oh,
nessuno. Ho sentito dire da Ben…”
“Ben?”
chiese Bec, interrompendola, con cipiglio alzato.
“Il
ragazzo che do ripetizioni di matematica” si
giustificò prontamente Judi, arrossendo leggermente sulle
gote.
“Ah,
non avevi il ragazzo?”
“No!
Chi te l’ha detta una cosa del genere?! Comunque, lui ha
detto che stasera, come prima sera quassù, si sarebbe tenuto
un incontro segreto sulle rive del lago e mi ha detto di spargere la
voce” disse, tutta elettrizzata.
“E
naturalmente i professori non ne sanno niente, no?”
“Ovviamente”
Bec si
lasciò sfuggire un sorriso sconfitto e scrollando la testa
finì di mangiare le ultime paste.
***
“Allora?
Quanto manca?”
Dopo cena
Bec e Judi si erano rintanate nella loro tenda e, non essendoci
corrente elettrica, erano sedute una di fronte all’altra con
una pila in mano per dare un po’ di luce allo spazio tetro e
poco illuminato. Da quando erano tornate e si erano cambiate per la
fuga notturna, Judi non faceva altro che chiedere l’ora ad
una alquanto stressata Rebecca, che rispondeva sempre nella speranza di
farla tacere.
“Ti
ho detto che erano le otto e undici un minuto fa perciò fa i
calcoli e trovati l’ora!”
“Oddio,
manca poco. Allora, ricapitolando, dobbiamo farci trovare alle nove
nello spiazzo dove siamo arrivate con la corriera”
“Farci
trovare? Non è che per caso hai dato appuntamento a qualcuno
e io n’anche lo sapevo?”
“Oh,
beh…avevo detto a Ben che ci saremmo trovati
lì”
“Ti
detesto, sai?” disse Bec, fingendo un broncio.
“Perché
mai?” chiese Judi, presa alla sprovvista.
“Perché
poi quando arriveremo là tu starai sempre con il tuo grande
amore e andrà a finire che starò da sola dato che
non voglio essere la terza in comodo…grazie tante”
“Oh,
suvvia, non prendertela. Magari trovi qualcuno anche tu”
disse, rivolgendole un sorriso malizioso.
“Come
no”
“Dai
dai! Non essere pessimista! Il tuo angelo busserà alla porta
quando meno te lo aspetti”
***
La tenda dei
Jonhson era più grande rispetto alle altre, forse
perché doveva contenere cinque persone al suo interno o
forse solo perché a queste persone piaceva
sentirsi liberi anche dentro una prigione. Avevano ricevuto
anche loro l’invito di andare a vedere le stelle e avevano
accettato solo per gentile cortesia verso i loro annunciatori, e non
perché realmente ci tenessero. Loro, a differenza dei
campeggiatori erano lì per un altro motivo, ma far finta di
essere come tutti gli altri era un loro compito che dovevano svolgere
alla perfezione. Rosalie era supina lungo il suo sacco a pelo e
puntellava con la punta delle dita la sua pancia perfetta, aspettando
che qualcuno del gruppo prendesse l’iniziativa di parlare per
primo. Diede una sbirciatina a quello che stavano facendo: Denali che
si ripuliva il suo coltellino svizzero, Kevin che leggeva, Delia che
controllava il suo vestiario e Gabriel…Gabriel che aveva lo
sguardo perso nel vuoto.
“Gabriel…Ehi,
Gabriel! Sveglia!”
Il ragazzo,
sentendosi chiamare per nome, ebbe come un risveglio improvviso e la
guardò negli occhi non accennando nessuna parola o nessun
movimento brusco.
“Che
vuoi, Rosalie” la sua voce bassa e profonda fece smettere
agli altri quello che stavano facendo. E l’attenzione fu su
di lui.
“Solo
riportarti alla realtà”
Tutti
sapevano quanto era pericoloso infastidire Gabriel, solo Rosalie non
aveva paura di farlo.
“Non
ero in questa realtà e tu hai scollegato la comunicazione
riportandomi qui”
“Scusa,
non lo sapevo, è che sei sempre così perso in te
stesso che è come se non fossi mai con noi” disse
la bellissima bionda, puntandoli un dito contro.
“È
che non mi sento a mio agio qui. Voglio tornare a casa” disse
Gabriel, abbassando la testa per nascondere la sua espressione sofferta.
“Prima
finiamo il nostro compito e prima ce ne torneremo” disse
rassicurante Delia, smettendo di cercare vestiti e guardando il suo
compagno con compassione e tenerezza. Gabriel la guardò per
qualche secondo e la frase che disse aveva un che di autoritario, che
non ammetteva repliche.
“E
allora muoviamoci a trovare l’angelo”
***
L’orologio
di Bec batteva le nove meno cinque.
“Judi,
è ora. Andiamo”
Judi rimase
senza fiato e dovette prendere una grossa boccata d’aria per
regolarizzare il respiro, era inconcepibile che l’incontro
con un ragazzo qualunque potesse farla stare così in
agitazione. Si alzò con uno scatto repentino e
uscì silenziosamente dalla tenda, controllando che anche Bec
la seguisse.
“Ci
sono, ci sono!” disse lei, vedendo la faccia sospettosa della
ragazza.
Le due
ragazze si avviarono furtivamente verso lo spiazzo delle corriere, in
completa tensione e silenzio, se solo uno dei professori si fosse
accorto delle scappatelle notturne degli studenti avrebbero ricevuto
come minimo una sospensione temporanea. Il paesaggio era tetro e il
vento faceva oscillare i pini e i cespugli in modo molto inquietante.
Non c’erano luci a illuminare il sentiero e loro non potevano
certo usare la pila in quel momento o avrebbero catturato
l’attenzione delle persone sbagliate. L’aria sapeva
di fresco con un profumo di menta piperita, e la luna era alta nel
cielo, completamente sferica e circolare: nella sua completa pienezza.
Dopo soli cinque minuti di camminata Bec e Judi arrivarono nello
spiazzo buio. Accendendo allora le pile controllarono se Ben era
arrivato ma non c’era nessuno ad aspettarle. La pista era
ancora più sinistra di notte, terra scura formava il centro
mentre attorno piante e vegetazione racchiudevano il cerchio, sembrava
di essere all’interno di una base segreta o chissà
cos’altro. Bec si accasciò su una roccia alta
quasi un metro e guardando attorno a lei non aspettava altro che la
figura di questo Ben spuntasse da uno dei sentieri.
“È
in ritardo” disse Rebecca, mettendo il dito nella piega.
“Si
sarà preso male” aggiunse prontamente Judi,
cercando di giustificare la mancata educazione del ragazzo.
Dopo pochi
minuti di assoluta contemplazione Judi notò
un’ombra venire avanti verso di loro. Si mise apposto i
capelli e corse incontro al misterioso ragazzo che ora era ben visibile
sotto lo sguardo assorto di Bec. Come tipo non era male: alto, magro
(anche troppo), capelli scuri e mossi e occhi neri, non era il massimo
ma ci si poteva anche accontentare. Certo, dopo aver visto Gabriel,
Kevin o Denali tutti gli altri ragazzi sembravano mosche in confronto
però per Judi poteva andare bene. Si salutarono con un bacio
sulla guancia e Ben rivolse un saluto con la mano a Bec che
rispose con un sorriso tirato. Insieme si avviarono verso il lago,
ovviamente Bec stava dietro di qualche metro mentre Judi e il suo quasi ragazzo erano
davanti che chiacchieravano come se non esistesse nient’altro
al di fuori di loro due. Naturalmente Bec non ci faceva caso, in quelle
situazioni era meglio non essere notati, però una strana
sensazione si impadronì di lei in quel momento, una fitta
chiamata gelosia. Lei, di ragazzi, non ne aveva avuti molti, alcune
storie finite male e incontri di una sera avevano caratterizzato il suo
rapporto con l’altro sesso. Rebecca in amore pretendeva il
massimo, per lei non c’erano le sfumature: o era tutto bianco
o era tutto nero, quando amava qualcuno o si dava completamente a
quella persona o preferiva troncare la storia sul nascere. Non aveva
mai avuto problemi a conoscere ragazzi quando era a Phoenix, era una
bella ragazza, di sani principi, divertente e intelligente, attirava i
ragazzi grazie al suo fascino e alla sua grazia pari a quelli di una
ballerina, era una persona veramente particolare e questa sua
unicità l’aveva sempre resa popolare
all’interno della sua scuola e veniva apprezzata da tutti.
Tutto questo prima che diventasse una scorbutica, lamentevole persona
che aveva dovuto subire il trasloco dalla sua amata città.
Il cambiamento l’aveva cambiata, ora portava rabbia dentro di
sé, ce l’aveva con i suoi genitori
perché l’avevano strappata dalla sua meravigliosa
vita di ragazza ricca e ammirata, ce l’aveva con tutti i suoi
compagni che la guardavano come se fosse una specie di alieno nato male
quando invece era semplicemente la nuova arrivata nella scuola, ce
l’aveva con gli “amici” perché
non la capivano. E lei la sentiva la rabbia, era in lei e gridava
perché la facesse uscire. In un modo o nell’altro
doveva svuotare la sua agonia, la sua inquietudine, la sua ira per la
vita che stava conducendo e che odiava con tutta sé stessa.
Persa a rivedere il film della sua vita Bec non si accorse
n’anche quando arrivarono al lago e si riscosse solo quando
sbattè la faccia contro la schiena di qualcuno.
Alzò lo sguardo scioccata. Un ciuffo di capelli biondi fu
l’unica cosa che vide. Accortasi della sua colpevolezza di
allontanò mortificata.
“S-Scusa,
non ti ho visto” disse incerta, cercando di capire chi era il
ragazzo. Appena questo si girò e i suoi occhi furono
illuminati dai raggi della luna Bec deglutì.
“Non
fa niente” disse Gabriel, il viso impassibile non lasciava
trapelare nessuna emozione. Bec, non sapendo che dire, fece dietrofront
e stava per andarsene quando la voce profonda e sensuale del ragazzo la
fermò e la ghiacciò sul posto.
“Non
dovresti far finta che tutto vada bene, questo mondo non è
fatto per te come non lo è per me”
“Come,
prego?” chiese, tornando a fissarlo, non capendo a cosa si
riferisse.
“Esattamente
quello che ho detto. Capisco cosa provi”
“Ma
se n’anche mi conosci?!” affermò,
scandalizzata.
E va bene,
era bello da far paura ma le sue rotelle erano tutte svitate. Non la
conosceva nemmeno! Ci era andata a sbattere contro e ora lui era
lì che le parlava come se la frequentasse da anni. La
facilità con cui socializzava doveva essere la stessa con la
quale catturava l’attenzione delle persone che lo
circondavano.
“Io
ti leggo dentro” disse semplicemente, sorridendo falsamente
ma nel suo sguardo c’era un’incredulità
per qualcosa.
“Questo
è completamente schizzato da…” Rebecca,
parlando a bassa voce più a sé stessa che a lui,
fu interrotta da una voce alle sue spalle.
“Bec!
Dove sei?”
Bec si
girò e dietro di lei Judi la stava chiamando passando in
rassegna tutte le persone presenti cercando di trovare la sua figura in
mezzo a loro. Rebecca non si girò nemmeno una volta verso
Gabriel, corse incontro alla ragazza e le sventolò una mano
davanti agli occhi sormontati da un paio di occhiali che avrebbero
fatto invidia a Harry Potter.
“Son
qui, ci sono. Dove vi eravate cacciati? Ad un certo punto vi ho
persi!” disse tutto d’un fiato, ancora scossa
dall’incontro con il “ragazzo pazzo”.
“Si,
ci siamo accorti che non eri più con noi. Ben ha trovato un
bel posticino libero, vieni con noi!”
“Ok,
va bene”
Bec, prima
di iniziare a seguire Judi, si voltò a guardare il posto
dove pochi secondi prima si trovava Gabriel. Lui non c’era
più e un moto di dispiacere la invase. Certo, essersene
andata via in quel modo non l’aveva aiutata ad acquistare
punti in suo favore ma anche lui si era comunque dimostrato ostile nei
suoi confronti…invadendo la sua coscienza l’aveva
sconvolta e lasciarlo in quel modo le era sembrata l’unica
soluzione plausibile. Tanto non avrebbe più avuto modo di
rivederlo perciò tanto valeva farsi una bella figura ai suoi
occhi.
Il posticino
che Ben aveva trovato era effettivamente molto carino, sulla sua
sinistra iniziava il lago che con leggere onde s’increspava
nei sassolini sulla riva, alla sua destra un telo era sistemato per
terra e le piante facevano da sfondo. Preso posto vicino a Judi che era
in mezzo tra lei e Ben, naturalmente era più vicina al
ragazzo che non alla sua amica. Ma questo non le importava. Bec si
stese completamente nel telo e portò le braccia sopra la
testa, non aveva mai visto a Phoenix un cielo così carico di
stelle. Sembrava quasi che fossero più vicine alla terra,
lì, in quel posto dimenticato da Dio. Alzò un
attimo la testa per vedere quante persone c’erano (arrivando,
sbattendo la testa e fuggendo con Judi, non aveva avuto tempo di
constatare in quanti erano). Pochi ragazzi circondavano il piccolo
lago, più che altro erano coppiette o gruppi da tre persone,
saranno stati una ventina, tutti distesi e con il corpo rivolto verso
l’alto. Anche in mezzo a quello scenario Bec non
potè non notare il gruppo più numeroso persone,
erano in cinque, nella riva opposta alla loro, composto esclusivamente
da ragazzi bellissimi. Bec sbuffò e ritornò a
stendersi e ad ammirare la volta celeste, che in quel momento, era la
cosa più bella che avesse mai visto.
***
Gabriel se
ne stava comodamente sdraiato insieme ai suoi amici ma non ascoltava
realmente ciò che dicevano, la sua mente viaggiava in un
altro spazio, in un’altra dimensione, in un altro luogo
chiamato “casa”. Aveva anche passato del tempo a
pensare a quella ragazza che gli era andata addosso, la sua faccia
perplessa e il suo punto interrogativo stampato sulla fronte. Non era
mai successo che una ragazza scappasse da lui. Tutte le ragazze che
aveva avuto il piacere di conoscere facevano carte false solo per stare
nel suo stesso tavolo in mensa. Da tempo Gabriel aveva capito il vero
interesse di queste ragazze. Non si era mai reputato
“bello” ma questo era l’aggettivo che
tutte gli davano e solo per questo era amato da loro. Ma lui non dava
peso alla bellezza in sé, odiava quelle sottospecie di oche
starnazzanti che lo circondavano e per la prima volta, da quando era
arrivato ad Aquila, una ragazza era scappata da lui. Buffo, ma non gli
dispiaceva quel rifiuto. Lo faceva sentire più normale,
più umano di quanto non lo fosse. Lui e quella ragazza
avevano molte cose in comune, lo sapeva, l’aveva letto in
lei. Aveva scorto la stessa malinconia che lo perseguitava, la stessa
voglia di evadere che era diventata una forza fondamentale del suo
essere.
Non poteva
che ammettere di essere stato “fulminato” da quella
brunetta, totalmente preso in contro piede e pericolosamente attratto
da una parte di lei che non era riuscito a leggere. Gabriel era fatto
così, aveva la capacità di sentire i pensieri
delle persone, poteva vederne l’anima e contemplarne ogni
singolo stato d’animo, lo faceva spesso con tutti, era
diventato una sorta di passatempo, a volte era curioso ascoltare nella
mente della gente. Ma con lei…con lei non ci era riuscito
completamente. Era come se avesse avuto uno scudo. Tutti i segreti, i
pensieri, i ricordi, le emozioni, erano fumo e vapore. Sì,
la cosa si stava facendo interessante. Da un lato questa situazione lo
innervosiva perché non riuscire a leggere in maniera
assoluta ciò che provava una singola persona quando con
tutte le altre del pianeta ci riusciva era veramente frustrante, ma da
un lato lo affascinava ancor di più. C’era la
possibilità che anche lei fosse…
Un rumore
frusciante alle sue spalle lo destò dai suoi pensieri. Di
portò seduto di scatto. Le orecchie tese e la mente aperta a
cogliere ogni singolo movimento.
“Hai
sentito qualcosa?” chiese la voce preoccupata di Delia.
Tutti e
quattro i ragazzi, che prima ridevano e parlavano tra loro, fissavano
preoccupati il volto contratto di Gabriel e aspettavano ansiosi che
rispondesse alla domanda.
“Sono
qui” disse Gabriel, teso.
“Vuol
dire che l’hanno trovata?” disse con un filo di
voce Kevin.
“Ed
è vicino a noi”
***
Rebecca
aveva lasciato ormai dalla notte dei tempi il giacinto dei due
innamorati, stufa delle loro continue effusioni in aperta montagna, gli
aveva lasciati a pomiciare lungo le rive del lago mentre lei aveva
intrapreso un sentiero che portava dentro il folto bosco, dietro a dove
Judi e Ben si trovavano. Ovviamente non conosceva quel percorso ma si
era promessa di non addentrarsi troppo e di non perdere di vista il
lago che riusciva ancora a scorgere alle sue spalle. La sua attenzione
era stata catturata da una lucciola che, anche se non era la stagione
delle lucciole, volava pigra da una foglia all’altra. Avendo
sempre abitato in una città caotica come Phoenix non aveva
mai visto una lucciola, quella era la prima volta e rimase stupefatta
nel vedere quanta luce poteva emanare un insetto così
insulso e piccolo.
Senza
n’anche rendersene conto aveva iniziato a seguire la
bestiolina che intanto aveva cambiato fiore e si addentrava sempre di
più nel cuore della boscaglia. Bec era come ipnotizzata da
quella luce e non ritornò in sé finchè
non sentì dei rami spezzarsi davanti a lei. Sbattendo gli
occhi come dopo una seduta psichiatrica si bloccò di colpo e
con voce tremula sussurrò spaventata:
“C’è
nessuno?”
Appena
Rebecca mosse un piede, un altro rumore sinistro la raggiunse. Si
girò troppo velocemente verso quella direzione e il collo le
scricchiolò, paralizzandole per qualche secondo tutta la
testa. Il suo respiro iniziava a farsi sempre più irregolare
e i rumori sempre più frequenti, più vicini.
Presa dalla
paura iniziò a correre ma invece che seguire il sentiero
verso il lago proseguì dritta nella parte opposta. Lontana
dalla sua unica via d’uscita.
Mentre
correva strane ombre correvano di fianco a lei, ombre nere
che…volavano?! Come potevano delle persone volare?!
Evidentemente il termine “persone” non si addiceva
a quelle strane creature che appena si fecero più vicine a
lei indossavano un lungo mantello che sembrava fatto di fumo e che
arrivava a coprirne ogni centimetro della pelle. E fluttuavano. Non
correvano. Fluttuavano. Appena Rebecca si rese conto che tutto
ciò andava contro la logica umana cacciò un urlo
di terrore e, continuando a correre, non si rese nemmeno conto di
iniziare a piangere. Si passò una mano sugli occhi e con
l’altra si teneva premuta la pancia, da un paio di secondi le
era venuta una fitta terribile allo stomaco e quelle ombre non davano
segno di voler arrendersi. Le stavano dietro e non aspettavano altro se
non il momento in cui si fosse arresa. Ma lei non si sarebbe fermata,
era troppo spaventata per chiedersi cosa sarebbe successo se solo
l’avessero presa.
L’avrebbero
mangiata? Risucchiata? Torturata? No, non si sarebbe arresa per nessuna
ragi…
Oh
no.
Oh-oh.
Quando
l’unica via di fuga diventa la tua morte, solo allora ti
accorgi veramente di essere in trappola.
“No!”
Davanti a
lei una parete di roccia percorreva una montagna che toccava il cielo.
Rebecca dovette fermarsi e con il terrore negli occhi si
preparò ad affrontare quei mostri. Aveva praticato difesa
personale a scuola, sapeva come agire e come muoversi in caso di
aggressioni ma quando vide quelle ombre che la circondavano (quante
erano? Sei? Sette?) capì che la difesa personale non sarebbe
servita a niente. Provò con la diplomazia e la supplica.
“Vi
prego, possiamo parlarne da persone civili. Non penso sia il caso di
precipitare le cose…” ma non riuscì a
continuare. Una delle ombre stava avanzando minacciosamente, due occhi
rossi come il sangue erano ben visibili da sotto il cappuccio.
“Cosa…?”
Proprio
mentre la creatura stava tendendo una mano verso di lei una luce
abbagliante l’accecò e Rebecca, coprendosi il
volto con le mani, si accasciò a terra crollando sul suolo e
ascoltando le voci disperate delle ombre che imploravano in una strana
lingua di non morire.
***
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Capitolo 3 *** L'angelo del bene ***
Cap.
3 - L’ANGELO DEL BENE -
“Non sai
cos’è la morte finchè non ci vai a
sbattere contro” questo pensò Bec,
quando arrivò a non vedere più nulla.
Le mani erano protese verso il suolo e il naso sfiorava la terra
fredda.
Gli uomini, crescendo, mettono in preventivo che la vita si concluda
con la morte e che tutto, prima o poi, finisca per sempre. Ma la
prospettiva della morte la vedi lontana, al compimento della
vecchiaia…è nei casi in cui ti colpisce quando
meno te l’aspetti che un uomo capisce veramente cosa vuol
dire: “morire”. Fino a pochi minuti prima pensava
che per lei fosse veramente giunta la sua ora, ma poi, ecco che
qualcuno ti salva, che qualcuno sente il tuo grido, qualcuno che ti
protegge senza che tu te ne accorga.
Con molta calma, Bec, spostò il gomito che le oscurava
l’intera faccia e alzò gli occhi dove prima
stavano le sagome incappucciate pronte a farle
chissà cosa. Non poteva crederci.
Sbattè le palpebre un paio di volte ma quando
capì che la scena non sarebbe cambiata cercò di
giustificare il fatto che tutte le ombre fossero sparite dal luogo in
cui si trovavano prima e che ci fosse Gabriel, in piedi, pietrificato e
con gli occhi che inchiodavano quelli della ragazza, che rispondeva al
suo sguardo con un’espressione meravigliata e confusa. Appena
ritrovò la voce chiese balbettando:
“Co-Cosa è…? Successo?”
Il ragazzo, se prima era rimasto completamente immobile e rigido su
sé stesso, ora aveva iniziato a fare dei passi in avanti
verso di lei, si abbassò per arrivare all’altezza
della sua testa, dato che lei era ancora per terra, distesa e tremante.
“Non puoi essere tu”
“Come?”
Gabriel la stava fissando con un’intensità tale
che alla ragazza vennero le vertigini.
“Non posso credere che tu sia la persona che cerco”
“Io non riesco a capire quello che stai dicendo!”
esclamò, e trovando un po’ di forza,
cercò di alzarsi finchè non si trovò
in piedi. “Chi erano quelle creature? Come hai fatto a
sbarazzartene? Perché volevano me? Da dove vengono? Chi sei
tu?” il fiume di domande le uscì prima che
riuscisse a fermarlo.
“Non è il momento né il posto per
metterti al corrente di questa situazione. Ovviamente, ora come ora non
ho intenzione di lasciarti andare, ti terrò
sott’occhio e farò in modo che momenti come questi
non si ripetano più fino a che non ritorneremo a
scuola”
“Ma perché dovresti proteggermi? Sei una specie di
spia dei servizi segreti?”
“Devo proteggerti perché sei la cosa
più importante per noi e non puoi correre il rischio di
essere di nuovo attaccata, non ora che so chi sei”
“Quindi da ora in avanti sarò sotto il tuo
controllo ovunque vada?”
“Si”
“M-Ma io voglio delle risposte! Perché non me lo
puoi dire ora?” domandò, disperata.
“Perché svelare un segreto quando sei osservato e
ascoltato dai nemici non rientra nei miei piani”
“Ma se siamo soli”
“Questo perché vedi ma non osservi”
disse Gabriel, duro e inaffondabile come sempre.
“Tze, ti piacerebbe…”
borbottò, incrociando le braccia al petto.
“Sarà meglio andare”
Gabriel fu il primo a muoversi di un passo, controllò che
anche lei lo seguisse e insieme si addentrarono nel fitto buio del
bosco senza proferire parola. Rebecca, a modo suo, era ancora sconvolta
ma cercava di non darlo a vedere, voleva apparire fredda e razionale
agli occhi del ragazzo. Gabriel, invece, sotto la dura corazza che
portava si sentiva il cuore martellare come non mai; non solo
l’aveva trovata ma era anche riuscito a salvarla proprio un
attimo prima che le ombre la prendessero, il tutto, naturalmente,
evitando di dire chi lui veramente fosse. Aveva compiuto la missione
per la quale era arrivato inizialmente sulla terra due anni prima e ora
poteva tornare a casa.
Là non avrebbe dovuto nascondere la sua vera natura.
Più i minuti passavano, più Bec si sentiva a
disagio in presenza del ragazzo che, come se niente fosse, camminava
elegantemente davanti a lei spostando lo sguardo di tanto in tanto per
controllare che niente si muovesse tra gli alberi. Avrebbe voluto
dirgli qualcosa giusto per spezzare quell’atmosfera formale
che si stava creando ma appena aprì bocca per prendere fiato
lui la precedette:
“Non credo che dovresti farne parola con nessuno”
disse, non voltandosi nemmeno a guardarla in faccia finchè
parlava.
“È così pericolosa la storia in cui mi
sono cacciata?”
Gabriel si fermò e si girò a guardarla negli
occhi. Lei sussultò appena, non era abituata a tanta
bellezza.
“Sconvolgerà la tua intera esistenza se non saprai
accettare il tuo vero essere”
“Il mio vero essere?”
“È ancora presto per le domande e lo è
ancora di più per le risposte”
“Ma non ce la farò a sopportare altri due giorni
senza sapere niente del perché sono stata presa di mira da
dei morti col mantello!”
“Morti col mantello…?!”
ripetè Gabriel, con un ghigno divertito.
“Beh, quello che siano”
“Senti, abbi pazienza e tutto ti verrà
spiegato”
“Sei un ladro?”
“No”
“Hai intenzione di prendermi in ostaggio e di ricattare i
miei genitori?”
“No”
“Sei un assassino?”
“No!”
“Ho capito! Sei un evaso di prigione!”
“Ma per favore!”
“Uhm, allora chi sei?”
“Certo che quando parlo non ascolti, eh ragazza? Ti ho detto:
non ora”
Gabriel stava iniziando a scaldarsi e fu allora, quando lei assunse
un’aria pensierosa, che provò di nuovo a leggerle
nella mente.
Niente.
Perché con lei non ci riusciva? Perché veniva
respinto? Perché poteva vedere i suoi stati
d’animo come nebbia mentre i suoi pensieri rimanevano segreti?
“Dai, muoviamoci a tornare” disse, infastidito.
La strada per raggiungere il lago sembrava lontanissima, e pensare che
all’andata l’aveva fatta di corsa e sembravano
essere passati pochi minuti…
Bec controllò l’ora nel suo orologio: le 23:40. Il
tempo era volato, non si capacitava del fatto che era da più
di due ore fuori dispersa nella boscaglia…chissà
che avrà pensato Judi non vedendola rientrare. Rebecca
sperò vivamente che non avesse chiamato soccorsi e squadre
di ricerca. Anche perché i professori l’avrebbero
punita per essere uscita di notte invece di rimanere nella sua tenda, e
i suoi genitori le avrebbero dato un anno di reclusione forzata. Stava
pensando a quanto quell’idea fosse oggettivamente spaventosa
quando la voce del ragazzo parlò dopo tanto tempo.
“Come hai detto che ti chiami?” chiese, camminando
sempre e non voltandosi mai.
“Non l’ho detto”
Bec si aspettava una battutina o una risata sprezzante ma quando
capì che con quel silenzio non sarebbe arrivata nessuna
risposta si affrettò ad aggiungere:
“Mi chiamo Rebecca Burton, ma chiamami Bec, ti
prego”
“Perché, Rebecca non ti piace?”
“Si, ma Bec è più carino”
“Io comunque sono Gabriel. Gabriel Jonhson”
“Lo so chi sei”
Gabriel si arrestò e aspettò che lei lo
raggiungesse da dietro per poter camminare insieme, fianco a fianco.
Naturalmente nella sua faccia aleggiava un punto interrogativo.
“Ah, non passi inosservato, mi è arrivato
all’orecchio il tuo nome da una ragazza”
spiegò Bec, vedendo la sua faccia.
“È sempre bello essere al centro
dell’attenzione” disse Gabriel, e nella sua
esclamazione c’era una nota di ironia.
“Beh, non puoi dare la colpa agli altri se ti guardano. Sei
così diverso…” la frase
restò sospirata fino alla fine.
“Anche tu credi che io sia diverso?” chiese,
curioso.
“All’inizio mi sei balzato agli occhi ma poi basta,
ho capito che oltre l’apparenza sei ancora più
speciale di quanto dai a vedere fuori”
Zac.
Aveva centrato.
“In che senso?”
“È difficile da spiegare ma…il tuo modo
di fare, di parlare, di dire sempre le cose giuste al momento giusto,
il modo in cui guardi le persone, come se le stessi esaminando
costantemente, ti rendono più interessante di quanto tu non
lo sia già”
Appena Rebecca ebbe finito alzò gli occhi per poter
decifrare la sua espressione, ovviamente lui era freddo e impassibile e
non riuscì a capire cosa stesse provando in quel momento.
“E comunque è una mia impressione!”
disse, cercando di salvarsi.
“La tua impressione conta più delle altre, questo
è sicuro”
“Appena mi spiegherai tutto, spero di poter anche capire il
perché di tanto rispetto nei miei confronti”
“Appena lo capirai saprai che è giusto
così”
“Come se fossi una sottospecie di angelo da salvare”
A Gabriel scappò una risata.
Ci sei molto vicina,
Aidel.
“Interessante osservazione. E secondo la tua teoria io chi
sarei?” domandò il ragazzo.
Bec parve pensarci su, e quello che disse turbò
profondamente Gabriel.
“Un angelo in incognito”
***
La sponda del lago era limpida e l’acqua brillava sotto la
luna e le stelle. La riva era vuota, non c’era più
nessuno e questo fece preoccupare ancora di più Rebecca. Era
proprio tardi. Diede una rapida occhiata controllando che non ci fosse
nessuno e quando capì che loro due erano le uniche persone
rimaste pensò che era proprio ora di andare a letto.
“Io dovrei tornare”
Gabriel la scrutò dall’alto del suo metro e
ottanta e sorrise.
“Hai paura di stare da sola con me, Rebecca?”
“No. È tardi e ho sonno. E non chiamarmi
così”
“Bec, allora ti lascio qui”
“Ma come scusa?! Hai detto che non mi avresti
abbandonata?” chiese, scherzosa.
“Oh, ma per controllarti non mi occorre starti
vicino”
“Quando arriverò a capire questi enigmi
riderò di te” disse, e con un sorriso radioso lo
salutò con la mano e pian piano di avviò verso la
sua tenda.
Gabriel, con un cenno del capo, le sorrise a sua volta e
sparì nel bosco, prendendo una direzione diversa.
Rebecca era veramente riconoscente a quel ragazzo strano, pensava che
non avrebbe mai smesso di ringraziarlo per averle salvato la vita.
C’era ancora qualcosa per la quale valeva la pena di vivere.
***
Quando Gabriel rientrò trovò tutti che lo stavano
aspettando seduti e avvolti nel loro sacco a pelo, appena chiuse la
lampo della tenda Kevin fu il primo a parlare.
“L’hai trovato, non è
così?”
“L’ho trovata”
“Trovata?”
chiese stupita, Rosalie.
“È una ragazza?” domandò
Denali, ancora più scioccato.
“Qualcosa contro le ragazze?” intervenne
minacciosa, Delia.
“Allora?”
Gabriel guardò Kevin, tutto agitato e contento, e gli
rispose seriamente.
“Sono riuscito a trovarla perché i Sentori
l’aveva presa”
“Cosa?!”
urlarono, in coro.
“Proprio così, quando ho fiutato nel lago il loro
odore, ho immaginato che dovevano averla intercettata perciò
sono sempre rimasto in ascolto dei loro pensieri, se così si
possono chiamare, ed è stato nella mente di uno loro che ho
sentito la loro postazione e la postazione della ragazza. Quando sono
corso da lei la stavano riportando a Chenzo”
“Secondo te è Dark Threat che la vuole?”
“Sì, e sicuramente non perché le vuole
bene”
“Dobbiamo portarla via da qui il prima possibile, da noi
sarà al sicuro e potrà apprendere
l’insegnamento adeguato ad una come lei” disse
saggiamente, Kevin.
“Dovremo lasciare la scuola, però”
Rosalie sembrava dispiaciuta.
“Sì, e dovremo anche modificare la memoria a tutte
le persone che hanno avuto un contatto con noi” aggiunse,
Denali.
“Dopo due anni che siamo stati sulla terra sarà
difficile trovare tutte le persone che ci hanno conosciuti per
rimuoverle i ricordi”
“Dobbiamo farcela, dobbiamo tornare al più
presto” disse, Gabriel.
“E quando pensi di partire?” parlò la
bella Rosalie, malinconica.
“Non appena torniamo da questa gita avremo tempo di ritornare
a scuola solo un giorno, giusto il tempo di spiegarle le nostre regole
e quello che la riguarda. Poi, ce ne andremo per sempre”
“Come si chiama, la ragazza?”
“Rebecca Burton”
***
Cercando di fare meno rumore possibile Rebecca sgattaiolò
dentro il suo sacco a pelo ma proprio quando stava per stendersi
sbattè la testa contro uno dei pali che reggevano la tenda e
cacciò un urlo. Judi si destò di colpo,
spaventata e confusa. Sbattè gli occhi e quando si
trovò la figura di una ragazza con i capelli scuri
pensò subito che doveva essere Rebecca. Era comunque meglio
accertarsene dato che senza occhiali era paragonabile ad un elefante
grigio.
“Bec? Sei tu?”
“Certo che sono io! Chi vuoi che sia?
Ahia…” disse, massaggiandosi il punto della testa
in cui era andata a sbattere.
“Ma dov’eri? Quando io e Ben non ti abbiamo trovata
pensavamo che te ne fossi ritornata per dormire ma poi quando ci siamo
accorti che non eri n’anche qua sono stata presa
dall’ansia! Insomma, non potevo chiamare i professori, non
potevo avvertire nessuno! Dove diavolo…?”
“Ero fuori con…” Rebecca non
lasciò che Judi finisse la frase ma poi si
ritrovò titubante. Non poteva di certo dirle come aveva
passato la serata!
“Con...?” la incalzò.
“…con Gabriel”
Beh, tanto valeva dirle un po’ di verità.
“Gabriel?! Uau!” esclamò Judi, sorpresa
e con la faccia da ebete.
“Uau cosa?! È stato orribile!” e infatti
era stata una notte terrificante.
“Cosa c’è di orribile in Gabriel?
È la perfezione fatta in persona!” Judi era
offesa.
Come faceva la sua amica a non capire quanto in quel momento fosse
fortunata?! Gabriel stava sempre con i suoi amici e non si lasciava
avvicinare da nessuna, da quando lo conosceva non lo aveva mai visto in
compagnia di una ragazza che non fosse Rosalie o Delia, ma ovviamente
loro non contavano. Bec doveva essere stata la prima ragazza ad avere
avuto l’onore di trascorrere una serata con lui, e ora lei
andava a dire che era stato orribile?!
“Non è perfetto, è alquanto inquietante
e misterioso”
“Ma come ti ha avvicinata?” chiese, ignorando la
sua affermazione.
“Beh, lui…lui è venuto mentre stavo
osservando…una lucciola!” disse con troppa enfasi
sull’ultima parola.
“Una lucciola” ripetè Judi, allibita.
“Si, quell’insetto luminoso
che…”
“So cos’è una lucciola!”
“Ah”
“Ma che ti ha detto? Dai, racconta!”
Rebecca non capiva tutta quella curiosità verso
l’incontro-scontro che aveva avuto con Gabriel quella sera.
Bello com’era, sicuramente ne avrà avute e ne
poteva avere cento di ragazze, lei che aveva di così
speciale da rendere la sua storia interessante? Nonostante tutto,
continuò il teatrino.
“Mi ha detto che devo stare attenta, che di notte il bosco
è pericoloso e poi mi ha raccontato un po’ di
sé, ma poco”
“E che ti ha detto? Gli hai chiesto come fa ad essere
così bello?” Judi non si conteneva più
dalla curiosità.
“Ma che dici?! Ah! Io ora dormo, buonanotte”
Bec si girò nel sacco a pelo e diede le spalle alla sua
compagna di tenda che, stizzita, borbottò qualcosa che
assomigliava ad un’offesa e il silenziò
calò tra di loro.
Gli spogliatoi della
palestra non erano mai stati belli ma erano grandi e sembrava di essere
in un labirinto, questo aiutava molto chi, per esempio, doveva fare
qualcosa di segreto durante le ore di lezione. Rebecca quel giorno ci
era andata perché Gabriel le aveva detto di aspettarlo
là. Quando arrivò lui non c’era ancora
e si appoggiò ad un armadietto facendo sbattere la portiera.
Il suono echeggiò rumoroso lungo tutto gli spogliatoi. Poi,
dei passi, la fecero svegliare dai suoi pensieri e guardò
lungo la fila degli armadietti. Dalla curva però non apparve
Gabriel. Un uomo, con una veste nera e lunga, veniva avanti e parlava
una lingua che lei non conosceva. Presa dal panico fece dei passi
indietro ma si trovò contro la schiena il freddo muro
grigio. L’uomo la stava raggiungendo e stranamente smise di
parlare nella sua lingua per rivolgersi a lei sapendo che
l’avrebbe capita.
“So chi sei,
Aidel. È solo questione di tempo”
Rebecca sentì
il sangue gelarsi nelle vene e prese un profondo respiro per parlare
cercando di apparire forte e sicura di sé, ma quello che le
uscì sembrava più un gridolino isterico.
“Che vuoi da
me? Dimmelo”
Non fece a tempo a
ricevere una risposta che la stessa luce bianca che l’aveva
invasa nel bosco la notte precedente, la stessa che l’aveva
accecata nel sogno che aveva fatto prima di partire,
illuminò gli spogliatoi e come nelle altre volte chiuse gli
occhi e si accucciò. Solamente quando ritornò
l’assoluto silenzio si alzò lentamente e
inquadrò la persona che, davanti a lei, la guardava come
dire: “sempre a cacciarti nei guai, tu?”.
Non aveva parole.
Gabriel era davanti a lei e l’uomo era scomparso.
L’aveva salvata una seconda volta e con un tempismo
impaccabile. Bec si concesse una risata. Non le importava niente che
quel ragazzo fosse in realtà un angelo bianco. Era buono e
la proteggeva, a lui doveva molto, chi se ne importava che fosse di un
altro mondo. Continuando a ridere serena rimase per un attimo a fissare
la schiena del ragazzo: un paio di ali candide e luminose spuntavano
fuori dalla sua maglietta azzurra e le piume vibravano leggere
nell’afoso vento d’autunno.
Quando si svegliò il sudore le impregnava la fronte e dei
brividi la percuotevano ancora, sebbene si fosse svegliata.
Fece mente locale del sogno che aveva fatto e si ricordò di
un uomo che la voleva portare via con sé e di Gabriel che
era arrivato a salvarla, ancora una volta. Si asciugò con il
braccio la fronte calda e umida e pensò che finalmente
domani sarebbe tornata a casa.
In tutto il giorno non incrociò nemmeno una volta Gabriel o
i suoi quattro amici, era come se si fossero volatilizzati, come se,
dopo aver compiuto una missione, avessero fatto sparire le loro tracce.
La giornata passò nella tensione più totale da
parte di Rebecca, che non faceva altro se non guardarsi in giro come se
si aspettasse che comparisse un mostro da dietro gli alberi in
qualsiasi momento. Certo, anche la non presenza di Gabriel la faceva
impazzire, aveva paura che se ne fosse andato e che non
l’avrebbe rivisto per quando sarebbero tornati a scuola. Judi
aveva detto che i cinque ragazzi alcune volte, inspiegabilmente, se ne
stavano via per parecchio tempo.
E se non fosse riuscita a scoprire quello che voleva sapere? Se
l’avesse abbandonata perché non voleva
più svelarle il segreto?
Certamente questa possibilità la mandava fuori dai gangheri.
Come faceva a star calma come se niente fosse quando temeva
costantemente per la sua stessa vita?
La mattina la trascorse a rigirarsi nel sacco a pelo, mangiò
una semplice colazione e se ne ritornò a letto. Nel
pomeriggio, invece, partecipò alla camminata di due ore su
per i monti e quando tornò, tempo di cambiarsi, ebbe
l’incontro con i professori che tennero una lezione di
biologia all’aperto.
Il momento più duro fu la sera. Se, durante il resto del
giorno, aveva avuto qualche speranza di rivedere Gabriel, questa
speranza si frantumò quando ebbe la conferma che non
l’avrebbe rivisto, dato che ormai tutto stava finendo. Con
una camminata strascinata si portò nella sua tenda e
crollò nel suo mitico sacco a pelo, con
l’intenzione di dormire subito in modo da non dare spazio ai
pensieri che stavano arrivando con domande troppo forti da poterle
ignorare. Judi era stata poco con lei, da quel che le aveva detto
(anche se era stata del tutto assente) lei e Ben erano diventati una
specie di coppia. Si conoscevano da tempo, lei gli dava ripetizioni di
trigonometria e durante la loro amicizia era nato qualcosa di
più, che si era sicuramente rafforzato durante la notte
delle stelle.
Rebecca era veramente contenta per lei, almeno non sarebbe stata tra i
piedi nel momento in cui avrebbe avuto bisogno di rivedere Gabriel che,
ne era sicura, le avrebbe stravolto la vita. Non che non si fosse
affezionata a lei ma voleva affrontare il suo destino rimanendo sola,
non poteva coinvolgere altre persone. Non ne avrebbe fatto parola
n’anche con i suoi genitori, non poteva dirgli che durante la
gita era stata attaccata da delle ombre e che un ragazzo-angelo
l’aveva salvata.
Nessuno le avrebbe creduto e lei non voleva essere presa per pazza.
Doveva arrangiarsi e affidare tutta sé stessa nelle mani di
quei cinque ragazzi misteriosi.
Il sonno arrivò presto, prima di quanto sperasse, e nella
dormiveglia giurò di aver visto un’ombra che da
fuori rimaneva immobile accucciata.
Si assicurava che tutto andasse bene.
***
Il ritorno non fu tragico come Rebecca si aspettava, quando arrivarono
alla stazione davanti alla loro scuola, i suoi genitori erano fuori
dalla macchina che, appoggiati alle portiere, l’aspettavano
ansiosi di rivederla. Erano le tre di pomeriggio e il sole era nascosto
dietro ad un’enorme nuvola grigia, probabilmente avrebbe
iniziato a piovere di lì a qualche secondo. Judi era seduta
qualche posto più indietro con Ben, e Bec aveva accettato
l’idea di passare l’intero viaggio di fianco a
Matt, il ragazzo più strano e impacciato che avesse mai
incontrato. Quando scese dalla corriera, sua madre, Marta, le corse
incontro abbracciandola forte.
“Oh, Bec! Come stai? Hai mangiato? Come è andata?
Oddio, che bello rivederti!”
Sua madre aveva sempre avuto una protezione nei suoi confronti
paragonabile a quella che aveva un gioielliere per il suo tesoro
più grande, stravedeva per lei e si preoccupava per ogni
cosa. Rebecca rispose gentilmente, non lasciandosi troppo trascinare
dall’abbraccio.
“Sto benissimo, mamma. È
stato…uhm…bello” disse, non troppo
convinta.
“Quando dici così vuol dire che infondo non
è vero” la guardò apprensiva, Marta.
“Beh, lo sai quanto odio la montagna. Non dopo aver sempre
abitato in una città affollata e puzzolente. Questo, si
può dire, è stato il mio primo contatto con la
natura nel suo habitat naturale”
Marta sorrise, lasciando andare la figlia.
“Papà dov’è?”
domandò, Rebecca.
“Dovrebbe essere andato a prenderti il sacco. Era molto in
pensiero per te. Comportati bene con lui” la
rimproverò.
Marta sapeva quanto ce l’avesse con suo padre, e questo
perché le aveva costrette, per lavoro, a trasferirsi da
Phoenix ad Aquila. Anche se lei non aveva subito grandi danni o perdite
trasferendosi in quel paesino, immaginava come per la figlia dovesse
essere stato uno shock tutto quello.
Dopo pochi secondi, infatti, suo padre Jonathan spuntò dalla
folla di genitori e alunni con un sacco a pelo in una mano e un pesante
zaino da montagna nelle spalle. Quando vide sua figlia sana e
salva…e contenta, gli si riempì il cuore. Sperava
ardentemente che si fosse divertita in quella gita, almeno avrebbe
dimenticato le ostilità nei suoi confronti.
“Ciao, Bec. Tutto ok?”
Bec gli andò incontro e lo abbracciò, passandoli
le braccia attorni ai fianchi. Doveva essere arrabbiata con lui ma in
quel momento non riuscì ad essere dura come si aspettava.
Era in una sorta di debito con suo padre.
“Ciao papà, tutto
bene”
***
Dopo aver passato dieci minuti in macchina a raccontare tutto quello
che aveva fatto, Rebecca evitò accuratamente di parlare
della notte in cui si imbatté nelle ombre e i suoi genitori
intuirono che doveva essersi divertita parecchio. Parlò
della sua nuova amica che era stata anche la prima da quando era
arrivata ad Aquila. Jonathan parve contento. Evidentemente, ora che
aveva trovato qualcuno con cui fare amicizia, la scuola e i sabati sera
non sarebbero più stati pesanti e impossibili da vivere.
Quando la macchina si fermò a “villa
Burton” Bec fu felice di ritrovarsi di nuovo a casa, pensare
di dormire in un vero letto e di mangiare a merenda quelle brioche al
cioccolato che tanto adorava e che purtroppo le era stato vietare di
portare con sé nell’uscita.
Buttò la sua roba per terra nell’entrata poco
illuminata e dallo zaino provenì un sonoro crac, come se
all’interno ci fosse stato qualcosa di prezioso che era stato
sbattuto. Mentre i suoi genitori non si erano accorti di nulla e
stavano andando in cucina, Rebecca si inginocchiò e
aprì lo zaino. Dal rumore sembrava che qualcosa come una
collana, una scatolina d’argento o qualcosa di fragile,
avesse urtato il pavimento provocando quel rumore.
Strano, perché, che lei sapesse, la sua sacca doveva
contenere solo vestiti e accessori come spazzolino, dentifricio,
cellulare…ma niente a che vedere con oggetti di latta o
metallo. Cercando nello zaino dovette arrivare fino al fondo per
sentire, sotto le sue mani, qualcosa di duro e allungato.
Con le mani tremanti tirò fuori il pesante oggetto dalla
borsa e ne venne fuori un lungo pugnale. La lama era candida e
l’impugnatura formava una croce con sopra una scrittura a
caratteri cubitali, scritta in una lingua che lei non conosceva.
Sconvolta nel ritrovare nel suo zaino un’arma del genere la
rimise subito nella sacca e corse al piano superiore con il fiatone.
Dalle scale sentì suo padre che le gridava:
“Non vieni giù a mangiare qualcosa?”
Con voce tremante Rebecca rispose:
“No, dopo. Ora voglio stare in camera mia. Ci sono delle cose
che devo…controllare”
Buttata nel letto continuò a rigirarsi tra le dita il
pugnale che, diciamocelo, era bellissimo. Tanta bellezza poteva solo
essere paragonata a Gabriel, ed era per questo che subito, quando si
chiese di chi potesse essere, pensò a lui.
Anzi, era sicura che quel coltello appartenesse a lui, non poteva
essere di nessun altro. Dopotutto era stato Gabriel ad aver lottato,
per salvarla, contro delle creature mostruose, e per farlo bisognava
che avesse avuto un’arma. Passò tutto il tempo in
camera, solo alle sette di sera scese in cucina per sgranocchiare
qualcosa. Lì, trovò sua madre ai fornelli e un
lieve profumo di carne le invase le narici.
“Uhm, carne?” chiese, già con
l’acquolina.
“Sì, questa sera ho fatto carne, spinaci e
insalata. Spero ti vada bene”
“Più che bene!”
Marta sorrise ma poi ritornò seria.
“Un giorno di questi dobbiamo parlare, Bec”
Il tono di voce con cui sua madre disse quelle parole spaventarono la
ragazza.
“Ok, riguarda la scuola?”
“No, riguarda te, noi, la nostra famiglia”
“Devo preoccuparmi, mamma?” chiese, tesa.
“No, non è una cosa grave”
“D’accordo”
Il silenzio cadde nella stanza e Rebecca ebbe l’impulso di
allontanarsi da quei fornelli. Andò in salotto e suo padre
era seduto in una poltrona, al buio e con gli occhi inespressivi che
fissavano il vuoto.
Stava succedendo qualcosa, qualcosa che non potevano controllare e che
non potevano evitare. Bec ritornò in camera e si chiuse
dentro. Non aveva più fame.
***
La sveglia suonò quando arrivò a contare le sei e
mezza. Il sole era sempre coperto da nuvoloni scuri e il presagio che
qualcosa di orribile stesse arrivando era sempre più forte.
Bec si alzò con molta fatica dal suo letto comodo a due
piazze e dovette stiracchiarsi parecchie volte prima di prendere
coraggio e cambiarsi. Alle otto arrivò a scuola accompagnata
da suo padre e il cuore iniziò a martellarle nel petto.
Gabriel ci sarebbe stato?
Gli conviene, a quel
depravato.
Smontò dall’auto e camminò verso
l’entrata, piccole gocce di pioggia stavano iniziando a
scendere quando attraversò la porta principale. Il corridoio
era affollato di ragazzi che, agitati, correvano e camminavano veloci
da una parte all’altra, probabilmente preoccupati
perché dovevano ancora finire dei compiti o avevano
un’interrogazione la prima ora. Per Rebecca quella era una
giornata leggera: storia, due ore di matematica, ricreazione,
religione, inglese, mensa e due ore di educazione fisica.
Arrivò in classe e tutti i suoi compagni erano
già presenti e seduti nei propri banchi, le lanciarono
un’occhiata e solo in pochi la salutarono, una di questi era
Judi che appena la vide le corse incontro, felice come una pasqua.
Chissà poi per cosa.
“Ciao! Pensavo non venissi a scuola”
“Perché?” domandò Rebecca,
presa in contropiede.
“Dicevi che la montagna ti avrebbe fatto male. A quanto pare
Gabriel ha proprio fatto un bel lavoro con te”
“Sai se c’è?”
L’agitazione iniziò ad impadronirsi di lei.
“Si, l’ho visto arrivare presto
stamattina”
Rebecca liberò, con uno sbuffo, tanta di
quell’aria che ne parve per un attimo prosciugata. Il peggio
era passato, non poteva scapparle, non finchè erano a
scuola, a due passi dal trovarsi. Il professore di storia
entrò nell’aula sbattendo la porta, la lezione era
cominciata.
***
Nel piano superiore, nell’aula infondo al corridoio,
c’era la classe di Gabriel, Denali, Kevin, Delia e Rosalie.
Il perché avessero messo nella stessa classe i cinque
ragazzi rimaneva un mistero, di solito gli amici delle medie
difficilmente riuscivano a rimanere insieme alle superiori. In
quell’ora la professoressa di francese stava cercando di
spiegare l’uso degli articoli partitivi, ma gli alunni erano
svogliati, distratti, assonnati e la quinta ora che precedeva la mensa,
era sempre stata la più dura da sopportare.
L’orologio appeso sopra la lavagna segnava l’una e
cinque, mancavano cinque minuti. Gabriel, seduto in una fila centrale a
metà della stanza, si sentì strattonare il
braccio dalla persona che sedeva alla sua destra: Denali.
“Che c’è?”
“Dobbiamo parlarle dopo” sussurrando Denali si
avvicinò verso Gabriel con il corpo che comunque rimaneva
incollato sulla scomoda sedia di legno.
“No, voi non venite, le parlerò io”
disse Gabriel, in un tono che non ammetteva repliche.
Denali barcollò ma non disse nulla, tornò
composto nel suo banco e fece finta di ascoltare la lezione. Dopo tre
minuti la campanella suonò, annunciando la pausa pranzo.
Tutti gli studenti, a gruppi, uscirono dalle aule e come una grande
mandria si precipitarono nella mensa scolastica al piano terra. I
posti, nella mensa, erano già stati occupati dalle varie
persone che arrivavano per prime a prenderseli, quando i cinque
entrarono andarono subito a sedersi ai loro soliti posti che nessuno
osava rubare e che anche in quel momento erano liberi. Il loro tavolo
era circolare con cinque sedie, era in fondo alla sala, davanti alla
vetrata della mensa. Sicuramente era il posto più bello dove
poter mangiare e nessuno poteva occuparlo se non loro, belli quanto il
valore che quel tavolo rappresentava: fama e popolarità.
Si sedettero contemporaneamente e Gabriel, la prima cosa che fece, fu
di perlustrare l’intera mensa con una tale
intensità che era difficile capirne le sue motivazioni.
Mentre gli altri andavano a prendersi da mangiare, lui rimase
lì, in attesa di vederla entrare.
Rebecca, accompagnata da Judi e Ben (i due erano per mano) percorreva
la strada per arrivare alla mensa, era piuttosto nervosa ma era
normale, si ripeteva. Quando entrarono nella mensa era quasi piena e
con enorme sforzo tentò di non cercare con lo sguardo il
ragazzo che in quel momento le interessava trovare. Si diede
mentalmente della stupida quando invece lo cercò tra i primi
tavoli.
Prendendo un profondo respiro si inoltrò nella stanza e
dietro a Judi e Ben stava proseguendo quando si sentì
afferrare per il polso da una mano grande e morbida. Girò se
sé stessa e si lasciò tirare da Gabriel che,
senza fiatare, la stava portando via.
Non conosceva molto la scuola ma giurò che stavano andando
dritti in palestra. Lui, da davanti, camminava e la tirava rimanendo
silenzioso, lei lo seguiva e cercava di tenere il suo passo veloce.
Stavano andando verso gli spogliatoi.
Flash.
Un flash le riportò le immagini del sogno che aveva fatto.
Un flash le fece venire i brividi. Un flash bastò a farle
capire che stava succedendo quello che aveva già visto. La
pioggia scendeva fitta e pesante, la si poteva sentire che batteva sul
tetto in legno della palestra e degli spogliatoi, che erano una
struttura a parte della scuola. Quando Gabriel si fermò
erano in un corridoio fra due file di armadietti e si guardava intorno
con circospezione.
La cosa non le piacque. Bec attese che il ragazzo iniziasse a parlare e
intanto lo guardava e si sentiva ancora più indifesa.
Gabriel, dal canto suo, era fermo e immobile mentre la fissava con uno
sguardo profondo, così profondo che Rebecca ebbe la
sensazione che le stesse leggendo fin dentro l’anima,
notò un barlume nei suoi occhi ma poi questo si spense e lui
parlò.
“Sono qui”
“Ti ascolto” la voce che le uscì era un
sussurro teso ed emozionato.
“Cosa vuoi sapere? Una domanda alla volta”
“Chi erano quei mostri che mi hanno assalita nel
bosco?”
“Si chiamano Sentori, e sono delle vere e proprie ombre di
fumo, ti possono toccare e ferire ma tu non puoi toccare loro
perché è come se tentassi di afferrare
l’aria”
“Da dove vengono?”
“Da un pianeta chiamato Chenzo, molto diverso dalla Terra,
là c’è magia e tutte quelle creature
mitologiche che qui hanno trovato l’estinzione moltissimi
secoli fa”
“Tu vieni da questo pianeta?”
“Sì”
“E dove si trova?”
“Ti posso solo dire che non è rintracciabile nella
vostra galassia dato che si trova in altro universo parallelo”
“Che differenza c’è tra questi
universi?”
“Che l’universo dove si trova il vostro mondo
è reale mentre il nostro è come un sogno: aleggia
la magia e l’impossibile non esiste”
“Perché mi volevano?”
“Ti hanno fiutata. Loro hanno il compito di servire un uomo
che passò, molto tempo fa, dal lato oscuro e che da allora
ha sempre cercato di eliminare creature come te perché teme
uno scontro diretto e la possibilità di una sconfitta. Ora
è lui a Chenzo che comanda, abusando del suo enorme
potere”
“E chi sono io?”
“Un angelo”
Rebecca mosse impercettibilmente le labbra, non riusciva a collegare
niente di quello che Gabriel le stava dicendo.
“Come posso fidarmi di te? Chi mi assicura che non mi stai
mentendo? Insomma, la questione che la magia esiste, che ci sia un
mondo parallelo, che angeli volino nel cielo…non
è frutto della tua fantasia?”
“No”
“Quindi non scherzi. È tutto vero”
“Si, e comunque le ombre che hai visto dovrebbero farti
capire che non mento”
“Come può…come può
essere?”
“È così, è per quello che ti
cercavano: volevano portarti da Mortimer in modo che lui potesse
liberarsi facilmente di te, visto che ora non sei una grande
minaccia”
“Ora?”
“Finchè rimani sulla Terra i tuoi poteri non
possono essere utilizzati, ma se tu venissi a Chenzo e imparassi ad
usarli potresti aiutarci a liberarci da Mortimer”
“Ma tu puoi usare i tuoi poteri, gli hai usati per
me”
“La mia storia ora non è questione di
domande”
“Ma anche tu sei come me! Lo so, ti ho visto nei miei sogni,
sei un angelo!” nella sua voce c’era un che di
disperato.
“Io…cos’hai visto nel tuo
sogno?”
“Nel mio sogno me lo dicevi, eri un angelo bianco!”
“Ero” disse Gabriel, abbassando lo sguardo. Rebecca
non gli aveva mai visto uno sguardo così triste.
“Perché lo eri?”
“Ora non più, mi è stato tolto il
diritto di essere un angelo bianco”
“Lo possono fare?”
“Sì”
“Chi?”
“Sono gli angeli bianchi per eccellenza, addestrano gli altri
angeli iniziati e la loro sembianza è luce pura, non hanno
forma, sono perfetti e non mancano di nulla”
“E perché ti hanno fatto questo?”
“Non sono venuto per parlarti di me”
“Oh, beh. Allora, che differenza c’è tra
un angelo e un angelo bianco?”
“Un angelo iniziato è praticamente un apprendista,
una creatura che deve imparare la magia per poter diventare un angelo
completo. Un angelo quando finisce il suo addestramento riceve il
titolo e l’investitura, ma prima deve decidere da che parte
stare”
“Non ti capisco”
“Un angelo iniziato è un angelo incompleto. Le due
grandi forze che dividono gli angeli tra loro sono il Bene e il Male,
ogni angelo iniziato contiene in esso entrambe le due forze, sia il
Male che il Bene lo padroneggiano. Normalmente la magia che gli viene
insegnata è quella indirizzata al Bene ma quando
l’angelo diventa maestro e fautore del suo
destino…può succedere che alcune volte uno di
loro passi dalla parte oscura perché ne rimangono
attratti”
“Come può, una persona, passare una vita dalla
parte del Bene e poi passare al Male?”
“Perché queste due forze mentre sono in te non
rimangono assopite, continuano, giorno dopo giorno, a combattere tra di
loro per impadronirsi e avere la meglio sul tuo corpo e sulla tua
mente. Dato che all’inizio ti viene insegnata
nell’addestramento solo la magia bianca, questa
risulterà molto più potente e forte, tanto da
calmare e riuscire a reprimere il Male. Ma quando finisci la tua
istruzione le due forze si ritrovano su uno stesso livello dato che la
magia buona non preme più sull’altra, e dalla
notte dei tempi si sa che l’oscuro è sempre stato
più forte e ingannevole rispetto il Bene”
“E che succede?” Rebecca ascoltava impietrita il
racconto.
“Succede che il Male mette a dura prova la tua forza di
resistenza. Quando non ti trovi più con il tuo maestro e
rimani sola, il Male ti prende e cerca di farti perdere in esso, tu
devi lottare e solo quando l’avrai sconfitto la forza del
Male si cancellerà dalla tua anima e tu sarai completamente
invasa dal Bene e solo allora diventerai un angelo bianco
completo”
“E sennò?”
“Diventerai quello che è diventato Mortimer: un
angelo del male”
“E tu eri un angelo del bene”
“Sì”
“E ora? Che si fa?”
“Devi venire con me, altrimenti se rimani qui ti prenderanno.
Sei un bersaglio facile e innocuo”
“E chi sarà il mio maestro?”
“Io”
“E gli altri? Denali, Kevin, Rosalie e Delia? Anche loro
sono…?”
“No, loro sono amici che mi hanno accompagnato. Denali e
Kevin sono fratelli nel mio mondo,
Delia è la figlia del capo villaggio dove noi abitiamo e
dove andremo appena torniamo, mentre Rosalie,
lei…è mia sorella”
“Allora anche lei è…”
“Devi capire che le persone che possono diventare angeli sono
davvero pochissime”
“Quanti angeli iniziati ci sono a Chenzo, oltre a
me?”
“Ci sei solo tu”
“Quando hai detto che siamo in pochi non credevo
così pochi!”
“Beh, io lo ero, ora ci sei tu che sei un’iniziata,
gli angeli bianchi del consiglio sono sette e Mortimer è
l’unico angelo del male”
“Uau, e come facciamo a raggiungere questo posto?”
“Entreremo in un campo interspaziale e sfrutteremo la
velocità della luce”
“Ok, ma poi come torno a casa, una volta finito il mio
allenamento?”
Lo sguardo serio di Gabriel la fece vacillare.
“Quanto dura l’allenamento, Gabriel?”
chiese, notando la sua incertezza.
“Dura un anno” ammise, profondamente dispiaciuto.
“Un anno?! E io dovrei tornare tra un anno?!”
urlò Rebecca.
“Bec, tu…tu non tornerai a casa”
“Cosa?!”
Non poteva crederci. L’aveva detto sul serio.
“Una volta che diventi un angelo completo non puoi
ritornare”
“Perché?” sbraitò lanciando
le braccia in aria.
“Perché apparterrai a quel mondo, diventerai una
sua creatura. Dopotutto, non hai mai avuto nulla a che fare con la
Terra”
“Ma io…la scuola, mamma, papà,
io…” ma all’improvviso si
fermò. Una folle paura la invase e
il dubbio divenne certezza.
“Gabriel, i miei genitori? Come posso essere nata in questo
mondo se appartengo al tuo”
“Tu…” Gabriel iniziava a sentirsi
profondamente a disagio, non avrebbe voluto dar voce a quello
che stava per dire ma lei, come sempre, arrivò prima di lui.
“Sono stata adottata”
***
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Capitolo 4 *** Un passo silenzioso ***
Cap. 4 - UN PASSO
SILENZIOSO -
E tutto
divenne sfuocato, indefinito…come se attorno a lei una fitta
nebbiolina lievitasse nell’aria.
“Loro
sanno che io sono…?”
“No,
e non devono saperlo”
Digerire
quello che aveva appena scoperto sulla sua vita era troppo difficile
per far finta di niente, Bec era pallida e bianca come un fantasma e
teneva le mani chiuse a pugno.
“Ma
da dove vengo?” chiese, supplicandolo.
“Vieni
dal mio pianeta”
“Non
capisco!”
Rebecca si
tappò le orecchie come per cercare di alleviare un
fastidiosissimo mal di testa. Strizzò gli occhi e fece una
smorfia di dolore.
“Ti
spiegherò tutto, ora devi solo fidarti di me”
“Dove
mi porti?”
“In
un luogo più sicuro”
Gabriel le
prese forte la mano e con un gesto protettivo camminò con
lei non lasciandola, tenendola stretta, passando un braccio attorno ai
suoi fianchi. Uscirono dagli spogliatoi e attraversarono la mensa
vuota, probabilmente la pausa pranzo era terminata da un pezzo. Se ne
andarono dalla porta di sicurezza e percorsero il vialetto della
scuola. Gabriel si fermò davanti ad una macchina: una mini
cooper rossa sfiammante con il tettuccio bianco. Rebecca avrebbe voluto
fare i suoi più sinceri complimenti sul bellissimo gusto del
ragazzo in fatto di macchine ma in quel momento non aveva proprio
voglia di aprire la bocca, era come se le costasse fatica parlare.
Gabriel
montò al posto del guidatore e le aprì la porta
del passeggero. Lei salì e meccanicamente si
allacciò la cintura, aspettando che lui partisse. Appena la
macchina girò la prima curva, la scuola era già
lontana.
“Non
hai niente da chiedermi?” domandò Gabriel,
lanciando un’occhiata veloce alla ragazza, per poi ritornare
a guardare la strada.
“C’è
molto che avrei da chiedere” rispose lei, come un automa.
Lui non
rispose, tanto sapeva che lei avrebbe comunque parlato.
“Come
mai, se sono nata a Chenzo sono stata portata sulla Terra? Con quale
scopo?”
“Al
momento della tua nascita si conoscevano i tuoi poteri
perché dimostravi il comune simbolo
che lega
tutti gli angeli”
“Io
non ho simboli!”
“Ah
no?” chiese lui, guardandola di sottecchi.
“Beh,
ora che ci penso ho qualcosa di strano. Sul braccio sinistro ho una
serie di nei che formano
una
croce…ma non vuol dire niente!”
“Ecco.
Visto? Cosa ti avevo detto?”
“Sarebbe
quello il simbolo?” sbottò, perplessa.
“Sì,
un simbolo sacro che al tempo stesso non da
nell’occhio”
“E
perché sono stata allontanata?”
“Perché
qualcuno ha sparso la voce che era nato un angelo e Mortimer ti avrebbe
trovata nel giro di pochi giorni. Dovevi essere portata via subito, e
la Terra era l’unico posto che a noi è sembrato
più giusto per far crescere una come te”
“Tu
eri già nato?”
“Sì”
“E
poi?”
“Sono
prematuramente diventato un angelo”
“Sei
immortale?”
“Tutti
gli angeli lo sono, sia i bianchi che non. Io però
non lo sono più”
“Ma
allora come si fa ad ammazzare questo Mortimer?!”
“Un
angelo è immune al tempo ma non ad una spada”
“Sono
stata adottata”
“Già”
“E
come sono, voglio dire, i miei genitori…quelli veri,
intendo”
“Sono
morti” tagliò corto, Gabriel.
Rebecca si
pentì di aver fatto quella domanda, era ancora sconvolta per
il fatto di essere stata adottata, non era pronta a scoprire anche che
i suoi genitori biologici erano morti.
“E
come sono morti?”
“Questo
non centra niente”
“Che
stronzata” sbottò.
“Fammi
domande intelligenti, per l’altro c’è
tempo”
Bec
lanciò uno sguardo inceneritore al ragazzo che prontamente
evitò di incontrare i suoi occhi.
“Fammi
capire: finchè ero piccola e indifesa sono stata portata al
sicuro e ora, che sono grande e vaccinata, devo tornare per salvarvi
tutti? Ma chi diavolo sono io per far questo? Non puoi dirmi queste
cose! Non ho mai combattuto contro nessuno!”
“Imparerai,
la battaglia ce l’hai nel sangue”
“Ma
aspetta! C’è un problema più grande! Se
devo venire via come faremo a far sparire le mie tracce? I miei
genitori non mi lasceranno andare!”
“Infatti
dobbiamo cancellarli la memoria prima di partire”
“Oh”
l’unico suono emesso dalla sua voce fece capire molte cose:
tristezza, rimpianti, sorpresa, sconfitta, orrore…
“Sarà
come se non fossi mai esistita”
L’auto
viaggiava dolcemente lungo le dritte strade di Aquila, come uno
sciatore percorre una discesa: leggera e silenziosa. Bec non voleva
dire addio alla sua famiglia ma doveva. Doveva andare su un altro mondo
perché aveva appena scoperto di non essere umana. Doveva
combattere e apprendere la magia perché non poteva
più fingere la sua identità…ora che
l’aveva scoperta. Aveva un milione di motivi validi per
andarsene e solo uno per restare: i suoi genitori le sarebbero mancati,
anche se era stata adottata loro avevano saputo darle tutto
l’amore e tutta la felicità che un qualsiasi
genitore biologico avrebbe dato al suo figlio biologico.
“Vi
occuperete voi della cancellazione della memoria?”
domandò lei, tornando distaccata, come se la questione non
la toccasse nemmeno.
“Sì,
ci arrangeremo noi. Sarà un lavoro lungo, ci
occorrerà un intero giorno, le persone che devono
dimenticare sono tutte quelle che hanno avuto rapporti sia con noi che
con te. In quel giorno tu, intanto, potresti andare a salutare la tua
famiglia”
“Non credo. Credo che mi comporterò come ho sempre
fatto. Tanto, una volta che avrò tagliato la corda non si
ricorderanno neanche chi era Rebecca Burton” sospirando
appoggiò la testa nel finestrino e un deserto rosso era
l’unico paesaggio che li accompagnava in quella carreggiata.
Poi, come un fulmine a ciel sereno, si drizzò nel sedile e
facendo un verso stupito chiese a voce alta, quasi isterica:
“Come
diavolo ti è saltato in testa di mettermi un pugnale dentro
lo zaino?! Se i miei genitori l’avessero trovato?!”
“Cos…?
Ah! Quello! Sì beh, ti piace?”
Gabriel
aveva iniziato a passare la mano libera dal volante sui suoi capelli e
a mo di scuse tentò di far esaltare la bellezza raffinata di
quell’arma.
“Non
mi importa sapere che cavolo di pugnale è! Perché
l’hai dato a me? A che mi serve?”
“Beh,
ho pensato che regalarti un’arma ti avesse fatta contenta.
Non lo sei?”
“Sì,
come no…ho sempre sognato un’arma per il mio
compleanno”
“Quella
è speciale. Era di tuo padre, era giusto dartela”
“Anche
mio padre era un angelo?”
La
curiosità stava iniziando a invaderle il corpo e voleva
avere subito delle risposte. Ma Gabriel, come sempre, la
guardò malissimo e rimase zitto.
“Eh
dai! Dimmi almeno se era o no un angelo come me”
Dopo vari
tentennamenti Gabriel non resistette alla faccia supplichevole della
graziosa ragazza che, come una gatta, lo stava implorando con quegli
occhi dolci e caldi.
“Sì.
Ma ora basta!” tagliò corto.
Era meglio,
altrimenti avrebbe continuato a parlare sotto l’effetto di
quello sguardo ammaliatore.
Gabriel
notò che Rebecca era incredibilmente bella. Non aveva mai
fatto caso al suo aspetto fisico “in quel senso” ma
ora che la guardava meglio doveva ammettere che era proprio carina.
Non aveva
una di quelle bellezze provocanti o appariscenti, possedeva
un qualcosa che le altre ragazze non avevano, diversa dai soliti canoni
di “bella e perfetta”. E lei di difetti ne aveva,
eppure erano così carini e teneri che sembravano incarnare
una bellezza tutta loro in quel corpo così grazioso ed
elegante. Certamente, le altre non potevano competerle.
Accortosi
che stava fissando un po’ troppo il corpo della ragazza,
Gabriel tornò con i piedi per terra e riprese la sua guida,
chiudendo e bloccando altri pensieri.
La macchina
si fermò davanti ad una grande casa, bellissima. I muri
erano bianchi e aveva delle enormi finestre con dei balconi azzurri, un
enorme portico con una sedia a dondolo occupava l’intera
facciata dell’abitazione. Sembrava una di quelle case country
adatta solamente alle ricche famiglie benestanti.
L’abitazione, infatti, era completamente circondata dal verde
e un vialetto in erba battuta attraversava il giardino, assomigliava
tantissimo ad una locanda o ad un posto di villeggiatura per sole
coppiette di innamorati.
Quando
Rebecca vide che la macchina, ormai, si era arrestata e che Gabriel era
sceso, aprì la portiera e una leggera brezza calda e
profumata la invase.
“Dove
siamo?” chiese, estasiata da quell’aroma
afrodisiaco che sapeva di fiori ed erba appena tagliata.
Il ragazzo
si coprì con una mano la fronte, in modo da guardare la casa
senza che i raggi del sole accecassero i suoi occhi. Un sorriso
soddisfatto s’impadronì del suo bellissimo volto.
“Questa
angelo, è casa mia”
***
Dopo
l’iniziale sorpresa, Gabriel, fece strada a Rebecca verso
l’ingresso. Non doveva esserci nessuno in casa
perché il silenzio era disarmante e la quiete era assoluta.
Anche all’interno i muri erano chiari, con delle rifiniture e
delle greche in alto. Il colore che predominava era il bianco e il
verde acqua. Davanti all’ingresso, delle scale in legno scuro
portavano a quello che doveva essere per certo il secondo piano, mentre
di fronte a loro si poteva scorgere una cucina in fondo al piano e un
salotto alla sinistra. C’erano poi altre due porte che
però Rebecca non ebbe la sfacciataggine di domandare dove
portassero. Le piaceva quella casa, sembrava uno scenario che
utilizzavano per i film western, con sfarzose ed eleganti case arredate
in stile inglese.
“Non
vivi con i tuoi genitori, vero?”
“No.
Vivo con gli altri: Denali, Kevin, Delia e Rosalie. Sono, diciamo, la
mia famiglia, e dato che Denali è il più grande
fa lui da responsabile e da padre a tutti noi”
“Ah,
ho capito”
Gabriel la
fece accomodare in un divano pomposo e gonfio, con
un’infinità di cuscini ai lati e il tutto molto
azzeccato nei colori e nei minimi particolari. Nel sedersi Rebecca si
sentì sprofondare dalla morbidezza del divano.
“Uhm…cosa
ci facciamo qui?” urlò, dato che Gabriel era
sparito in cucina.
“Aspettiamo
gli altri” gridò lui, in risposta.
“E
fra quanto arrivano?”
“Tra
pochi minuti dovrebbero essere qua”
Gabriel
tornò in salotto con un vassoio di thè e biscotti
al cioccolato. Posò il tutto su un tavolino in legno al
centro dei divani e si accasciò in una poltrona, gemella
anch’essa della coppia di sofà.
“Grazie” disse Bec, allungando un braccio verso una
tazza di fumante thè caldo, prendendo anche un biscotto che
aveva tutta l’aria di essere buonissimo.
“In
che modo possono aiutarci?”
Gabriel, che
non aveva toccato cibo, era rimasto a guardarla e rispose in maniera
calma e pacata anche se l’ansia lo stava attanagliando.
“Loro
ritorneranno con noi a Chenzo. Mi aiuteranno a cancellare la memoria a
tutte le persone, appena arriveranno inizieremo subito. Prima finiamo
meglio è”
N’anche
il tempo di ribattere che la porta d’entrata si
aprì, provocando un rumore secco di chiavi che giravano
dentro la serratura. Bec si voltò per vedere le figure
bellissime dei quattro ragazzi che erano appena arrivati,
probabilmente, da scuola. Si aspettava un’accoglienza
sgarbata e distaccata da tutti e quattro ma appena la videro seduta
accanto a Gabriel fecero un enorme sorriso di benvenuto, solo Rosalie
era la più triste ma anche lei, almeno, si sforzò
di fare un cenno del capo.
“Oh,
era ora! Finalmente!” Kevin, l’ultimo ad essere
entrato dalla porta era stato il primo a saltarle addosso. Le tese la
mano e la gioia gli sprizzava da tutti i pori.
“Smettila
Kevin, non vedi che la spaventi?!” quello che aveva appena
parlato doveva essere Denali, nascosto in angolo del sottoscala, e
subito si fece riconoscere per la sua serietà, il suo volto
era marchiato da una vita più lunga e sofferta rispetto agli
altri e sembrava molto più grande di quanto non lo fosse.
Certamente l’esperienza gli aveva anche conferito un tono
autoritario che solo i capi, i leader, potevano avere.
Le due
ragazze non le avevano dato un’accoglienza calda come Kevin
ma erano comunque contente e un po’ agitate.
Rebecca non
riusciva a spiegarsi Rosalie. Appariva contenta ma lei sapeva che
quella era solo una maschera usata per non svelare i veri sentimenti
che provava. Scacciò quei pensieri e ritornò a
prestare attenzione a Kevin che era ancora in piedi davanti a lei e
sembrava la stesse studiando, come se si aspettasse che un paio di ali
bianche spuntassero dalla sua schiena.
Bec
salutò timidamente tutti, passando lo sguardo uno ad uno e
rivolgendo sorrisi sinceramente grati.
“Ora
che ci siamo tutti direi di iniziare” disse Gabriel,
interrompendo i faccia a faccia tra Bec e i quattro ragazzi.
“Ok.
Gabriel, tu che sai intercettarli dovrai darci le loro coordinate
precise, dopodichè noi interveniremo sulla loro
memoria”
Tutti fecero
un cenno di assenso a Denali.
“Ehi!
Aspettate!” Rebecca si era alzata in piedi, presa in contro
piede. Sperava che non se ne fossero dimenticati.
“Cosa
c’è?” domandò Gabriel,
allarmato.
“I
miei genitori. Avevi detto che potevo salutarli prima di
partire” disse, rivolta verso il ragazzo biondo che
ritornò calmo dopo l’agitazione improvvisa.
“Infatti”
“Non
ti seguo. Spiegati”
“Loro
sono già qua”
***
Denali,
Kevin, Delia e Rosalie stavano aspettando Gabriel fuori in giardino,
attorno alla mini cooper rossa sgargiante.
In casa
invece Gabriel stava accompagnando Rebecca dai suoi genitori. Le aveva
spiegato che era andato a prenderli dopo che lei era partita per
scuola, che gli aveva portati in casa sua e che adesso era arrivato il
momento per lei di dirli addio. Aveva anche aggiunto che era stato
obbligato a portarli lì, perché la cancellazione
della loro memoria avrebbe richiesto più tempo ed energia
rispetto alle altre persone, i loro ricordi con Bec erano certamente
maggiori e più intensi.
Rebecca
voleva chiedergli come aveva fatto a rapirli senza scioccarli
più di tanto ma se l’era risparmiata, non era
ancora pronta per scoprire quali tipi di magie Gabriel era in grado di
fare o in quali era immischiato. Si aspettava comunque di non trovare i
suoi genitori in perfetta coscienza di quello che era accaduto.
“Sono
in quella stanza. Io devo andare, ti vengo a prendere dopo”
E se
n’era andato. Così. Senza aggiungere altro.
Lasciandola in casa sua senza la minima protezione.
Lo stanzino
dov’erano racchiusi i suoi genitori era al piano superiore,
all’interno della sua camera da letto, le aveva detto
Gabriel. Quando arrivò a toccare con il palmo la maniglia
della porta il cuore iniziò a battere fortissimo nel suo
petto. Con un movimento deciso fece scattare la serratura e
aprì la porta accompagnandola, finchè non ebbe
l’intera visuale della stanza davanti ai suoi occhi. I
balconi erano chiusi, il buio oscurava la camera ma tutte le sagome
erano ben distinte grazie ai raggi del sole che riuscivano a filtrare
dal legno dei balconi nonostante tutto fosse chiuso. Con il cuore che
rischiava di scoppiarle in gola, Rebecca li chiamò.
“Mamma,
papà, dove siete?”
Entrò
completamente nella stanza e accese la luce grazie
all’interruttore che si trovava subito dopo i cardini della
porta. La scena che si presentò davanti a lei le
provocò un forte senso di nausea.
Non sarebbe
riuscita a dirli addio.
Marta e
Jonathan dormivano beatamente nel grande letto matrimoniale di Gabriel,
erano abbracciati anche nel sonno e il loro volto era rilassato, come
se niente in quel momento potesse turbarli. Rebecca capì che
i suoi genitori non dovevano essersi ancora accorti di
dov’erano stati portati, pensavano ancora di essere a casa
loro, nel loro letto, nella loro camera. Vederli dormire in quel modo,
così ignari, così beati…fu una dura
prova per il suo autocontrollo.
Perché
ora lei doveva venire lì e distruggere tutto? Rovinare la
sua famiglia, cancellare la sua vita, far dimenticare a tutti la sua
esistenza?
Un enorme
vuoto pressava dentro di lei e la voglia di scappare e mettersi a
piangere era tanta. Fece un passo verso il letto e scosse sua madre che
aveva il volto interamente coperto dai suoi bei riccioli biondi.
Marta
aprì a fatica gli occhi, esaminò sua figlia e
quando osservò davanti a lei un quadro appeso al muro che
non aveva mai visto in camera sua capì di non essere nel suo
letto. Quel muro e quel quadro erano sconosciuti. Alzandosi di colpo
fece svegliare anche il marito che, anche se non subito, si accorse che
c’era qualcosa di strano che non andava.
“Bec!
Ma dove siamo?!” chiese Marta, spaventata. Prima che anche
suo padre iniziasse a parlare la ragazza disse le prime cose che le
vennero in mente.
“Siamo
a casa di un mio amico. Quando sono tornata da scuola vi ho trovato
svenuti in cucina, era saltato il gas e vi ho portati qui”
Anche se la
risposta era del tutto improvvisata fu piuttosto convincente, dato che
si calmarono e non s’insospettirono.
“E
la casa? Non è saltato in aria tutto, vero?” sua
madre, la solita che si preoccupava dell’integrità
fisica della sua amata casa, anzi, villa.
“Ora
il gas è chiuso, giusto?” intervenne Jonathan.
“Sì,
sì, ho fatto tutto, solo…dovrete restare qui per
un po’ perché stanno ancora controllando, insomma,
non vogliono che corriamo rischi se dovessimo tornare”
I due si
guardarono in faccia e annuirono contemporaneamente.
Il
più era fatto.
“Bene”
annunciò serafica Rebecca, contenta che i suoi se la fossero
bevuta. “Ora se non vi dispiace vorrei salutarvi prima di
andare” la frase avrebbe dovuto concludersi con un:
“andarmene per sempre” ma non riuscì a
pronunciare quelle parole. Era meglio pensare al loro distacco non come
ad un addio ma come ad un arrivederci.
“Bec,
tesoro, sei sicura di non aver preso una botta in testa?”
chiese Marta, mentre la ragazza si faceva spazio in mezzo a loro nel
bel letto matrimoniale.
Rebecca non
era mai stata una ragazza che amava farsi coccolare e quindi
risultò strano, per loro, quello slancio improvviso di
affetto.
“Tutto
bene, mamma”
Rebecca si
sistemò sotto alle coperte, con una mano prendeva quella del
padre e con l’altra quella della madre. Le tenne strette,
finchè suo padre non spense la luce e lei potè
dar sfogo all’agonia che portava dentro.
“Appena
torniamo a casa, Bec, dobbiamo parlare”
Lei non vide
la faccia della madre ma giurò che stesse guardando suo
padre e delle lacrime iniziarono a bagnarle gli occhi.
Quel momento
non sarebbe mai arrivato, i suoi genitori non avrebbero mai potuto
confessarle quella sera, appena arrivati a casa, che non era figlia
loro. Entro il pomeriggio avrebbero addirittura dimenticato di avere
una figlia. Bec si godette quei pochi attimi che le restavano da
passare con i suoi genitori, stringendoseli a sé come quando
era bambina e aveva paura dei temporali. Era da moltissimi anni che non
dormiva con loro, da quando aveva smesso di avere paura della notte. Ma
ora, un’altra paura l’aveva portata ad unirsi con
loro nel letto, una paura più spietata e più
crudele.
Una paura
più difficile da superare.
***
Facendo
attenzione che tutti e due dormissero Rebecca si alzò pian
piano dal letto e camminando in punta di piedi uscì dalla
stanza, il volto ancora rigato dalle calde lacrime. Andò
giù in salotto, gli altri non erano ancora arrivati.
Approfittando della loro assenza marciò verso la cucina e
aprì il frigorifero alla ricerca di qualcosa di
commestibile, lo stomaco le sembrava vuoto e aveva bisogno di riempirlo
con qualcosa. A Gabriel non sarebbe dispiaciuta la sua inflazione nel
suo frigorifero.
Prese, con
le mani che ancora le tremavano, una tavoletta di cioccolata bianca e
quando chiuse l’anta del frigorifero aveva già
cacciato un urlo trovandosi davanti Gabriel che la fissava beato con
uno strano sorrisino stampato in faccia.
“Ma
sei scemo?!” esclamò, cercando di riportare il
battito del cuore al suo ritmo naturale.
“Semmai
sei tu la scema che fruga nel mio frigo” disse, con un
sorriso furbetto e vispo.
“Come
mai già di ritorno?” gli domandò con
gli occhi ridotti a due fessure.
“Abbiamo
fatto”
“Quindi
partiamo?”
“Esatto.
Hai salutato i tuoi genitori?”
“Si”
fu l’unica, vera, risposta.
“Allora,
io dovrei andare da loro…sai, per la memoria, devo
modificarla e…ehm…”
“Sì,
sì, ok” sbottò e la sua irritazione non
passò inosservata al ragazzo.
“Mi dispiace” disse, e sembrava profondamente
dispiaciuto.
Forse anche
lui, come lei, aveva dovuto passare un momento simile, ma la sua
acidità non diminuì.
“Per
cosa ti dispiace? In fondo, non erano neanche i miei veri
genitori”
Gabriel
socchiuse gli occhi, sorvolando su quella battuta poco carina che
Rebecca aveva appena fatto.
Fece
dietro-front e si avviò al piano superiore.
Lei rimase
in cucina, in ascolto, all’erta, cercando di captare un
qualsiasi segnale che le facesse capire cosa stesse succedendo nella
camera di Gabriel. Forse i suoi genitori erano svegli e vedendo entrare
un estraneo avrebbero preso paura? E se Gabriel fosse entrato mostrando
le sue ali, i suoi genitori non avrebbero cercato di scappare davanti a
tanta assurdità? Avrebbero fatto resistenza?
Nello
specifico, com’è che funzionava la cancellazione
della memoria? Bec non poteva saperlo dato che nessuno
l’aveva informata sull’argomento. Sarebbe stato
doloroso? Avrebbero sofferto lentamente oppure era una cosa veloce?
Dal silenzio
che albeggiava in casa i suoi genitori dovevano ancora essere
addormentati e se tutto andava bene, non si sarebbero n’anche
accorti del bellissimo ragazzo biondo che, di soppiatto, avrebbe
strappato loro ogni bel ricordo della figlia adottata.
Dei passi la
riscossero e le fecero capire che Gabriel aveva finito e che stava
tornando dopo aver concluso la sua ultima missione.
Iniziò
a piangere. Ancora. E quando tentò di smettere due braccia
possenti l’abbracciarono da dietro e il freno che la
tratteneva dalla disperazione si spezzò e il suo pianto
silenzioso cominciò a diventare un gemito soffocato.
Solamente
quando ogni lacrima fu esaurita e ogni singhiozzo finito Rebecca si
calmò, sempre sorretta da Gabriel che l’aveva
tenuta stretta non aprendo bocca neppure un momento.
Voleva
aspettare a parlarle, aspettare che lei si riprendesse dalla
consapevolezza di una perdita. La sua prima perdita. Quante ce ne
sarebbero state a Chenzo? Niente era sicuro. Nessuno poteva essere
sicuro di sopravvivere.
Chi
ha paura del domani?
Solo chi non
sa se ce l’avrà.
Gabriel
prese in braccio Rebecca e la posò delicatamente sul divano
pomposo, in modo da farla star comoda, aspettando che anche gli altri
arrivassero.
Ora che
avevano tolto ogni ricordo a tutte quelle persone erano veramente
pronti per partire. Prima però avrebbero dovuto spiegarle
come funzionava il passaggio da una dimensione all’altra.
Solo i nati a Chenzo potevano, da un mondo all’altro,
tornarvici. Lei non era un’eccezione e avrebbe dovuto
imparare le regole del gioco. Doveva capire una volta per tutte a quale
mondo apparteneva.
La Terra
diverrà allora un bel ricordo lontano, un posto che non
verrà più preso in considerazione.
Gabriel
toccò con le sue mani fredde la guancia arrossata di Rebecca
e lei, istintivamente, gliela schiaffeggiò. Il ragazzo si
ritrasse e scocciato dal suo comportamento si alzò.
“Dovrebbero
essere arrivati. Asciugati gli occhi” le disse con durezza.
La ragazza
si passò entrambe le mani sulla faccia, cercando di non far
notare ai quattro ragazzi che stavano arrivando, il suo stato
d’animo catatonico e un po’ pietoso. Si mise in
piedi e approfittò di uno specchio attaccato al muro per
mettere apposto anche i capelli che erano tutti spettinati con qualche
ciuffo ribelle che andava in su.
Appena ebbe
finito di aggiustarsi la porta d’entrata si aprì,
sbattendo contro il muro e facendo vibrare alcuni quadri lungo il muro.
Entrò per primo Denali che si sistemò il lungo
cappotto (inadatto alla temperatura esterna) dandosi una spazzolata con
le mani. Gli altri entrarono successivamente, arrossati e molto
agitati.
“Dobbiamo
andare, presto!” l’esclamazione di Denali
lasciò interdetta Rebecca, che non capiva tanta fretta come
gli altri.
“Non
possiamo andarcene senza averle spiegato come superare il
passaggio” lo corresse Gabriel.
Denali
indugiò su di lei, squadrandola da capo a piedi. Il suo
battito accellerò.
“Bene.
Ma lo faremo mentre siamo in macchina” disse Denali, con lo
sguardo ancora posato sulla ragazza. “Ci hanno
trovati”
Bec lesse il
terrore negli occhi freddi di Gabriel e l’irrequietezza negli
altri. Capì a cosa si stavano riferendo: i Sentori dovevano
averla captata. È così che funzionava: loro
imparano a distinguere il tuo odore e quando ti trovano…beh,
è meglio darsela a gambe.
In un modo o
nell’altro Rebecca si ritrovò con gli altri nel
giardino della casa, tutti stavano correndo verso la macchina e la
paura era impressa nei loro volti come un marchio indelebile. Le parve
che tutto stesse andando a rallentatore, come nei film: lei che
raggiungeva la macchina e il vento le muoveva i capelli coprendole la
visuale, Gabriel che da dietro le teneva un gomito e la spingeva in
macchina. L’auto che, lentamente, inevitabilmente, iniziava a
partire.
***
Un passo
silenzioso.
Ecco
cos’avevano fatto.
Mentre la
macchina andava lungo una strada sconosciuta Rebecca stava pensando
alla loro fuga.
L’intero
mondo non si sarebbe neppure accorto della loro scomparsa: lenti e
attenti se ne stavano andando senza lasciare tracce, ricordi,
immagini…
Un passo
silenzioso che gli avrebbe portati via, per sempre. Un passo che
nessuno si sarebbe accorto di aver sentito, visto,
udito…stavano diventando invisibili al resto del pianeta.
Tra pochi minuti Rebecca Burton, per la Terra, non sarebbe mai
esistita.
Ripensò
con ansia al campeggio, ai Sentori e alla paura che aveva provato
nell’essere attaccata da loro. Le amiche che aveva dovuto
lasciare, anche Judi. Nonostante si conoscessero appena Bec ne era
convinta: sarebbero potute diventare ottime amiche. Ma purtroppo quella
era un’utopia.
Una curva
presa male fece sbattere Rebecca contro Gabriel, che lo
schiacciò contro il finestrino.
“Scusa”
“Non
fa niente”
“Allora…”
disse Denali, che alla guida della macchina ora guardava i due ragazzi
che stavano dietro attraverso lo specchietto. “Gabriel, ti
decidi a dirle come funziona il passaggio o devo far tutto
io?”
“Ora
lo faccio” disse l’angelo, spazientendosi.
“Aspetta!”
I conti non
tornavano. Sbaglio o in macchina eravamo in quattro?
“Dove
sono Delia e Rosalie?” chiese la ragazza.
“Loro
vengono con la macchina di Delia. Non ci stavano anche loro, dopotutto
è pur sempre una mini cooper” un sorriso
amichevole le arrivò da Kevin, che stava seduto davanti
vicino a Denali.
Anche lei
sorrise di rimando.
Si
voltò verso Gabriel, aspettando che il ragazzo si decidesse
a spiegarle come cavolo doveva fare per attraversare il confine umano.
Il ragazzo alzò le spalle.
“È
semplice, devi appoggiare la tua mano destra su una pietra”
“Una
pietra?” Bec strabuzzò gli occhi.
“È
una pietra molto particolare, riconosce solamente i provenienti di
Chenzo e nessun altro. Perciò si attiva esclusivamente con
noi”
“Perfetto”
Fu un gesto
automatico, Rebecca iniziò a sfregolarsi le mani e la
consapevolezza che si stavano avvicinando al grande salto ebbe il
sopravvento.
Gabriel
notò la sua inquietudine e con tenerezza le prese le mani
tra le sue massaggiandole in movimenti fluidi e leggeri, tanto che lei
dovette sbattere le palpebre per evitare di dar vita al senso di
piacere e benessere che si stava impossessando di lei.
Scansò immediatamente la mano da quelle morbide del ragazzo,
maledicendosi e imprecando.
La macchina
si fermò dopo pochi minuti. Scesero tutti e quattro e
Rebecca dovette esaminare più volte l’enorme
colosso marmoreo che aveva davanti agli occhi prima di capire che aveva
la forma di una mano aperta con il palmo rivolto verso
l’alto. Sembrava una montagna di rocce di un rosso scuro ma
la sua figura era proprio quella di una mano, la dimostrazione che
ciò che Gabriel aveva detto era vero e che come in un libro
la soluzione di quell’enigma era racchiusa nella sua forma
estetica.
Pian piano
si avvicinarono alla struttura di sassi e nel basso, quello che doveva
essere il polso della mano, c’era una caverna, una rientranza
che sicuramente portava nell’interno della montagna.
Miracoloso,
pensò Rebecca quando entrarono.
Le pareti
erano levigate, non come all’esterno dove le rocce apparivano
tozze e irregolari. Era buio pesto ma Denali reggeva una pila e,
davanti che conduceva la fila, faceva strada nelle tenebre di quella
grotta.
Appena lo
stretto corridoio finì si aprì una grandissima
stanza circolare con una colonna alta circa un metro nel centro. La
ragazza, presa dalla curiosità, si avvicinò alla
colonna bianca e nel mezzo stava disegnata una sagoma che, rientrando
nel marmo, formava una mano. Non era una mano qualunque. Gabriel le
aveva detto che per accedere al passaggio bisognava appoggiare la mano
destra sulla roccia ma era come se mano destra e mano sinistra si
sovrapponessero a formare un’unica mano con le dita rivolte
verso una parte e verso l’altra, come a simboleggiare la
presenza di entrambe e non solo di una: la destra.
“Gabriel”
lo chiamò.
N’anche
il tempo di assicurarsi che il ragazzo fosse arrivato che lui era
già al suo fianco.
“Come
mai sono raffigurate entrambe le mani? Non avevi detto bisognava
metterci solo la destra? Perché devo appoggiare anche la
sinistra?”
Gabriel
rimase a fissare in silenzio la figura nella roccia e il suo volto
divenne una smorfia di orrore, impallidendo a vista d’occhio.
Quando parlò, la sua voce era incrinata e non del tutto
sicura.
“Rebecca,
qui c’è raffigurata solo la mano destra”
“Prego?”
“N-Non
c’è la sinistra, non la vedo. Per accedere
è la mano destra che devi appoggiare, la sinistra non centra
niente”
“Ma
io le vedo tutte e due, Gabriel”
“Non
può essere, non…”
“Cosa?
Cosa c’è?”
“Ecco,
vedi…”
Denali e
Kevin li raggiunsero insieme a Delia e Rosalie.
“Noi
andiamo”
Denali mise
la sua mano destra nella sagoma sopra la roccia e con uno sguardo
apprensivo sparì. Letteralmente sparì,
perché poco prima si trovava al centro insieme agli altri e
dopo…niente! Volatilizzato, scomparso, non c’era
più.
Accadde
tutto in pochi secondi.
Anche
Rosalie, Delia e Kevin (uno alla volta) passarono davanti al blocco di
marmo e scomparvero.
Erano
rimasti solamente Gabriel e Rebecca. Lei era terrorizzata mentre
Gabriel aveva ancora quello sguardo assorto e pensieroso.
“Devo
andare prima io?” gli domandò, cercando di
rimanere il più calma possibile.
“Sì,
sarebbe meglio”
“Ma
quale mano devo mettere?”
“Prova
a mettere la sinistra”
Rebecca
alzò il braccio e con l’arto che tremava
appoggiò la mano sinistra sopra la colonna bianca facendola
aderire completamente e facendo prendere alla sagoma la forma della sua
mano. Un lampo di luce rossa invase la stanza e anche lei
sparì. La sensazione era quella di essere risucchiati, come
se il tuo corpo si stesse restringendo, schiacciato da due pareti.
L’ultima
cosa che vide fu lo sguardo di Gabriel e non le piacque per niente come
la stava guardando. Sembrava che avesse paura di lei e i suoi occhi
erano sbarrati, vuoti, spaventati per qualcosa che aveva appena
scoperto.
***
|
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Capitolo 5 *** Un nuovo mondo ***
Cap. 5 - UN NUOVO
MONDO -
Il nuovo
mondo si presentò a Rebecca senza che lei se ne rendesse
conto.
Atterrata in
una radura si ritrovò sola. Gli altri non c’erano
e guardandosi intorno ebbe la piena conferma che quel posto era
più simile ad un favola che non alla realtà. Era
notte ma non era buio, anzi, una strana luce illuminava tutta la radura
sebbene in cielo non ci fossero né stelle né
luna, il cielo sembrava semplicemente irradiare una luce tutta sua,
brillava di essenza propria e quel mondo ne traeva vantaggio per poter
anch’esso risplendere.
Nella
radura, tutt’attorno, volavano delle lucciole che come fate
sembravano danzare un motivetto classico su una musica appena
percepibile. Dietro di lei c’era una piccola montagna di
rocce dalla quale, nell’esatto centro, dei fiotti
d’acqua uscivano zampillando, formando una rumorosa cascata
con attorno uno specchio d’acqua nel quale si riflettevano
varie gradazioni di blu. La pace e la magia aleggiavano
nell’aria e tutto era decisamente diverso dalla Terra.
Non faceva
freddo, sebbene fosse notte inoltrata una lieve arietta vaporosa
scaldava i corpi degli esseri viventi. Tutto, era in movimento.
Come guidate
da una forza misteriosa tutte le lucciole che prima volavano
indispettite sembrarono riunirsi in gruppo e accerchiare la ragazza.
Non erano lucciole quelle fonti luminose. Ora che Rebecca le osserva da
vicino capì che la sua prima intuizione non era sbagliata:
quelle erano veramente delle fate che, con una grazia e una bellezza
sovrannaturale, con quei capelli biondi a boccoli, quella pelle gialla
e luminosa e quelle tenere ali fatte di rugiada, ora la fissavano
spaesate e incuriosite. Alcune iniziarono addirittura a tirarle alcune
ciocche di capelli.
“No!
Cosa fate? Ferme!”
La ragazza
cominciò a buttare le mani in aria per far andare via quelle
piccole fate che iniziavano, se vogliamo essere sinceri, a romperle le
scatole, e quando Rebecca Burton s’irritava sapeva essere
molto devastante.
Le fate non
parvero capire quello che la ragazza stava a loro tentando di dire
perciò continuarono i loro giri di ispezione sul suo corpo.
Nonostante tutto, si lasciò trasportare da quella danza e
ridendo chiuse gli occhi continuando a percepire lo sbattere delle ali
attorno a lei.
I pensieri
iniziarono a prendere forma ma un silenzio tombale riempì la
radura. Se prima il rumore delle ali la rilassava ora, non sentendo
più nessun movimento, dovette riaprire gli occhi per capire
cos’era successo.
Le fate non
c’erano più e il cielo si era fatto nero, scuro,
freddo. Non c’era più la bellezza fantastica di
poco prima, persino il vento parve tagliare quel tepore per portare
delle ondate di gelo.
Rebecca
iniziò a spaventarsi sul serio e la conferma che era da sola
in un posto sconosciuto parve affiorarle alla mente.
Corse, corse
e corse.
Non sapeva
dove stava andando né tantomeno aveva idea di che tipo di
creature o mostri potevano abitare in quel bosco. Sicuramente non
avrebbe più incontrato cerbiattini o coniglietti in
quell’intrico di alberi, almeno non in
quell’incubo.
Stava ormai
perdendo ogni speranza di uscire da quel labirinto quando una voce le
arrivò ben distinta tra gli alberi. Gabriel la stava
chiamando e lei cercò di andare incontro alla sua voce.
Quando scorse il ragazzo in un punto poco lontano da lei gli corse
disperatamente in contro.
Gabriel non
era al massimo del suo aspetto: i capelli erano spettinati e
un’ansia gli attanagliava il viso perfetto. Appena si accorse
della ragazza la raggiunse con passi veloci.
Rebecca si
fermò non appena fu abbastanza vicina da vederlo a pochi
metri di distanza ma Gabriel, spinto da una forza improvvisa, non si
fermò e le saltò addosso ferocemente.
L’abbracciò energicamente nascondendo il viso
nell’incavo del suo collo.
Aveva avuto
paura, paura per lei e per l’inspiegabile senso di ansia che
l’avevo preso fin dentro le ossa.
Bec rimase
stupita da quel gesto così spontaneo e ossessivamente
preoccupato, con gli occhi sbarrati aveva lasciato che le braccia le
penzolassero lungo i fianchi come se avesse dimenticato come fare ad
abbracciare.
Gabriel non
era certo il tipo che abbracciava spesso le persone perché
da come la teneva stretta poteva sentire il suo corpo tremare. Lui non
sapeva abbracciare perché non aveva mai avuto occasione di
manifestare i suoi sentimenti o le sue emozioni a nessuno prima
d’allora.
Gabriel in
vita sua non aveva mai dovuto dare a vedere niente a nessuno, si faceva
la sua vita e anche se aveva una famiglia e delle persone a cui si era
affezionato non aveva mai detto una volta “ti voglio
bene”. Nemmeno a Rosalie.
Era freddo e
glaciale e i suoi occhi azzurri erano la dimostrazione che in lui
c’era un cuore di ghiaccio.
Forse,
l’unico modo per far battere ancora quel cuore era quello di
dargli un enorme calore e, in quell’abbraccio, un
po’ di affetto era passato dal corpo di lei al suo.
Con enorme
imbarazzo Gabriel si staccò da lei e la guardò
smarrito. L’intensità del suo sguardo, la sua
bocca semichiusa e perplessa, gli occhi persi e sbarrati e un punto
interrogativo scritto in fronte fecero accendere un fuoco in Rebecca
che subito diventò distaccata per evitare di avvampare.
Gabriel
notò quel cambiamento, fece in modo che si creasse un
divario tra di loro, cercando di recuperare un po’ di
lucidità e tappando il carico di emozioni che stavano
arrivando.
“Vieni”
Come una
calamita Rebecca lo seguì addentrandosi nella vegetazione,
il suo respiro era ancora sconnesso ma almeno ora si sentiva sicura.
“Ci
sono città vicine?”
Gabriel si
voltò solo per un secondo, giusto il tempo di verificare se
la ragazza vaneggiava o aveva sul serio qualche problema psicologico.
“Hai
mai visto un regno incantato con dei grattacieli come
sfondo?”
Bec si
morsicò il labbro inferiore, era stata una domanda
inadeguata però voleva almeno togliersi quel dubbio e sapere
di più su quel posto.
“Naturalmente
non ci sono né grandi città né piccole
città. Questo pianeta è molto piccolo e la
maggior parte del territorio è formato da lande desolate,
foreste allo stato brado e deserti rocciosi ideali per le battaglie. Ci
sono pochi villaggi abitati e civilizzati, villaggi dove gli esseri
umani vivono pacificamente, lavorando ancora la terra. Poi
c’è il regno di Mortimer che è
un’area morta, sempre buia, il sole non
c’è, ne vedi solo qualche spicchio di luce durante
il giorno. Senza contare le varie tribù di depravati che
vivono selvaggiamente dove capita”
Non poteva
crederci. Sembrava uno di quei film ambientati
nell’ottocento, dove le case dei villaggi erano ancora in
legno e dove, per guadagnarsi da vivere, bisognava zappare il terreno
umido.
“Scioccata?”
domandò il ragazzo.
“Un
po’. Credo che per abituarmi mi ci vorrà un bel
po’ di tempo”
Dopo aver
camminato per quella che sembrò
un’eternità s’iniziò a
intravedere al di là del bosco uno spiraglio di luce
artificiale, sembravano dei lampioni, quelli che vanno ad olio e che la
loro luce appare fioca e arancione nella notte. Un grosso vociare di
persone attirò la sua attenzione.
Ormai pochi
alberi erano rimasti davanti a loro e la visuale del piccolo villaggio
con strade battute e case di legno si presentava nitida e vicina. Una
grande folla si stava riunendo nei confini del bosco, sicuramente erano
gli abitanti del villaggio. I loro vestiti antichi sfiguravano in
confronto ai jeans e alla maglietta aderente e alla moda che la ragazza
portava addosso in quel momento. La maggior parte delle donne avevano i
capelli raccolti dietro la nuca e le loro ampie gonne toccavano il
terreno. Gli uomini invece brandivano armi in mano (che alla fine si
trattava di zappe e accette) e il loro look era quello tipico e
paragonabile dei contadini. Anche Gabriel era vestito in jeans e felpa
ma, tanto era bello, non stava per niente male.
“Sono
Gabriel” urlò il ragazzo, creando attorno a loro
un leggero eco.
A quel nome
gli uomini gettarono le armi e le donne sorrisero lanciando urletti di
gioia e attesa.
Finalmente i
due ragazzi uscirono dal bosco e Rebecca si sentì subito
tutti gli sguardi dei presenti puntati su di lei.
Il sorriso
suoi loro volti si spense tanto velocemente che sembrava non fosse mai
arrivato, ora l’avrebbero presa a botte.
Rebecca si
nascose timidamente dietro la possente schiena di Gabriel, sperando che
nessuno si accorgesse di lei e che dimenticassero la sua presenza.
Tutti la stavano esaminando con la bocca aperta e gli occhi spalancati,
il corpo leggermente proteso in avanti e lo sguardo che passava da lei
al ragazzo.
Perché
la fissavano in quel modo? Cosa si aspettavano? Che arrivasse un uomo
con tanto di muscoli e ponente?
Beh, si
sbagliavano. Purtroppo per loro gli era capitata una donna, anzi, una
ragazza senza un minino di esperienza e senza muscoli attorno alle
braccia o lungo le gambe.
A vederla
così sembrava più un pulcino spaventato che non
al più grande angelo mai esistito, il primo a far continuare
la stirpe reale dopo la sua estinzione. La ragazza immaginava come
tutti si stessero sentendo e non potè biasimarli. Il loro
mondo era minacciato da un potentissimo angelo nero e loro, pieni di
speranza, si vedevano arrivare come nemico di Mortimer una ragazza nel
pieno dell’adolescenza.
Chissà
che duro colpo avevano dovuto incassare.
Ma non tutto
andò come la ragazza aveva previsto: gli insulti e le urla
di disapprovazione non arrivarono e la gente, dapprima paralizzata,
iniziò ad avanzare entusiasta verso di lei. Il primo a
stringerle la mano era un uomo sulla quarantina con i capelli
brizzolati e gli enormi occhi scuri, aveva un fisico ben piantato e
Gabriel, sussurrandole all’orecchio, le disse che quello era
il capo-villaggio: Bastian.
Dopo Bastian
una serie di uomini, donne e bambini si fecero spazio attorno a lei per
poterla toccare, baciare, lodare. Alcune donne con le lacrime agli
occhi la benedivano e altre la guardavano ammirate. Gli uomini invece
non facevano altro che complimentarsi e le davano cordialmente il ben
venuto.
“È
da tanto che ti aspettavamo”
“Non
sai quanto siamo felici di averti con noi”
“Sei
il dono più grande che potessimo ricevere”
“Un
angelo! È un miracolo!”
Rebecca
rispose con dei sorrisi perplessi e venne strattonata da tutti fino a
che si ritrovò a camminare in una delle strade del
villaggio. Le luci all’interno delle case erano tutte accese
da lumi e le persone che non si erano precipitate ad accogliere i due
ragazzi ora aprivano rumorosamente le porte d’ingresso e si
catapultavano in strada. Bec fu portata da Bastian e da Gabriel, che la
teneva sempre stretta per il gomito, in una capanna più
grande rispetto le altre case, doveva essere il punto zero, il punto
d’incontro di riunioni paesane e di discussioni,
nonché la casa del capo-villaggio.
Il
capo-villaggio e Gabriel la trascinarono all’interno di una
stanza e si chiusero dietro le porte in modo che i concittadini non
potessero entrare. La ragazza vide Gabriel sussurrare qualcosa alla
porta e poi, questa, emise un rumore ferroso. Enormi lucchetti
comparvero a bloccarla.
***
Bec poteva
sentire ancora le urla e le esaltazioni dall’esterno della
porta. Si trovava in una stanza quadrata, chiusa e senza finestre. Le
pareti erano di legno solido dando un senso di accoglienza e di calore.
C’era un’enorme scrivania al centro e delle
librerie circondavano i muri tutt’attorno. La luce era data
da dei candelabri appesi alle pareti e tutto era decisamente antico.
Si sentiva
trasportata all’interno di una storia medievale dove tutto
era ambientato all’età della pietra.
Ispezionò la stanza e accortasi che mancavano sia telefono
che elettricità si sentì straziare dalla mancanza
di casa. Gabriel era appoggiato ad una libreria e nella penombra della
stanza sembrava ancora più misterioso e inquietante. Bastian
invece camminava su e giù per la stanza senza darsi pace.
Rebecca, come uno stoccafisso, se ne stava giusto al centro dello
studio e non sapeva che fare, semplicemente aspettava che qualcuno
iniziasse a parlare.
Alla fine
Bastian si fermò e puntò i suoi rotondi occhi
acquosi verso la ragazza, lasciando trasparire un profondo rispetto e
un’immensa paura.
“È
inutile girarci attorno. Tu sai del motivo per cui sei qua,
giusto?”
La ragazza
cercò lo sguardo di Gabriel ma il ragazzo non si era mosso
dalla sua postazione e aveva gli occhi chiusi, anche se era ovvio che
stava ascoltando tutto, i nervi erano tesi e il corpo proteso in avanti.
“Sì”
rispose Rebecca al’uomo.
“Ottimo.
Per il resto ci sono io, ora” disse con un sorrisetto tenero
che diede a Bec l’idea di essere finalmente in mano sicure.
“Gabriel,
ti dispiacerebbe lasciarci soli?” chiese Bastian, gentilmente.
Il ragazzo,
quasi infastidito, si staccò dalla parete su cui era
appoggiato e con passi silenziosi, senza dire niente, uscì
dalla porta che poco prima sembrava blindata da chissà quale
magia oscura.
Bastian si
sedette sulla scrivania e fece cenno alla ragazza di fare altrettanto
in una delle due sedie che si trovavano davanti a lui. Una volta preso
posto il capo-villaggio iniziò a parlare.
“Come
avrai visto eravamo tutti molto ansiosi del tuo arrivo. Per noi sei la
nostra salvezza, era scritto che un angelo sarebbe ritornato per
salvare il mondo dalla tirannia del Male. Abbiamo mandato una squadra a
prenderti una volta compiuti gli anni giusti per
l’apprendimento della magia, come saprai Gabriel era un
angelo e io di lui mi fido ciecamente”
“Aspetta,
dove stà scritto che io devo aiutarvi con
Mortimer?”
“È
un libro antico, è il libro sacro degli angeli.
Lì dentro c’è scritta la storia di
tutti gli angeli che hanno volato su questi cieli e naturalmente
c’era anche un accenno a te, Aidel”
“Aidel?”
chiese sorpresa la ragazza, sentendosi chiamare con un nome sconosciuto.
“Aidel
era il nome di tua madre…un grande angelo” disse
Bastian, lasciandosi andare allo schienale della sedia come preso dai
ricordi.
“Mia
madre era un angelo? Anche lei?” domandò,
stupefatta.
“Oh
si, e anche tuo padre. Non lo sapevi?”
“No,
decisamente no” disse, delusa che Gabriel le avesse omesso
dettagli importanti come quelli.
“Beh,
ora non parliamo di loro, piuttosto…”
“Perché
a Gabriel sono state tolte le ali?”
A quella
domanda l’uomo sbiancò visibilmente e con un tono
basso rispose seriamente:
“Non
sarò certo io a dirtelo Rebecca, sarà lui a farlo
quando vorrà. Non è facile convivere con un peso
così grande come quello che ha lui, mia cara. Al momento
opportuno, se lo riterrà utile, farà in modo di
metterti a conoscenza del perché, molto tempo fa, gli sono
state tolte le ali e con quelle, il titolo pieno di angelo”
Rebecca ebbe
una sgradevole sensazione, si sentiva a disagio. Non capiva cosa
potesse aver fatto Gabriel di così orrendo per essere stato
esiliato. Ciò nonostante continuò ad ascoltare
l’uomo, con una certa fretta di andarsene.
“Domani
stesso inizieremo il tuo addestramento, imparerai ad usare la spada,
l’arco, il bastone, qualsiasi arma e ti verranno insegnati
anche gli scontri corpo a corpo e le arti marziali che poi ti verranno
più facili da praticare quando imparerai a volare”
La
curiosità della ragazza si accese come una lampadina in una
stanza buia.
“Imparerò
a volare! Quando?” chiese impaziente, non vedendo
l’ora di poterlo fare, immaginando già di
sfrecciare in un cielo azzurro sopra a delle dense nuvole.
Da piccola
faceva spesso dei sogni nei quali sapeva volare. Poi, quando si
svegliava la mattina dopo rimpiangeva la notte appena trascorsa e ogni
volta chiedeva disperata alla madre perché non era nata un
uccello.
Già.
Sua madre.
Suo padre.
Chissà
come stavano…
L’eccitante
notizia appena appresa lasciò il posto ad una sofferenza
soffocante. Bastian dovette aver capito lo stato d’animo
della ragazza, perché rispose alla sua domanda con un
po’ troppo entusiasmo, gesticolando e sorridendo.
“La
comparsa delle ali avverrà nel tuo corpo quando ci
sarà una sufficiente concentrazione di magia per cui potrai
permetterti uno sforzo tale per farle nascere”
“Nascere?”
“Oh
sì, invocare per la prima volta le tue ali costa molto
impegno, e molta magia deve scorrere nelle tue vene. Appena ti sentirai
pronta loro compariranno magicamente. Ora sulla tua schiena non
c’è nessuna traccia che ti faccia capire la loro
presenza, nel momento in cui le chiamerai per la prima volta, quando
dovrai richiuderle perché non ti serviranno più,
formeranno una specie di involucro dove, in un certo senso, si
raggomitolano”
“Si
raggomitolano?”
“Sì,
se ne staranno racchiuse in una sfera e poi saranno pronte per un nuovo
utilizzo” sorrise sornione, soddisfatto della sua spiegazione.
“Capito.
Io comunque inizio volentieri questo percorso di magia,
apprenderò tutto quello di cui avrò bisogno, poi
però mi dovrai spiegare un altro po’ di
cose”
“Ad
esempio?”
“Beh,
per esempio io non ho mai ammazzato nessuno. Non sono capace di
strategie né di mantenere il sangue freddo in certe
situazioni. Sono stata sbattuta in questo posto che, fra virgolette,
è anche il mio posto natale
però…insomma, devo ancora abituarmi.
Finchè si tratta di imparare da un maestro ok, poi
però quando subentrerà la guerra vera e propria
avrò bisogno di aiuto da tutti voi. Almeno dovrete farmi
capire perché metto in gioco la mia vita, perché
senza un motivo logico io non mi butto in pasto ai cani. Devo ancora
capire perché sono qui”
“Lo
capirai, Aidel”
“Perché
mi chiami così? Il mio nome è Rebecca”
disse, ringhiando.
“Perché
è così che ti chiami”
“Avevo
capito che si chiamava mia madre in quel modo”
“Anche”
Dopo un
minuto di assoluto silenzio Bastian si alzò dalla sedia.
“Ora
vai, Gabriel ti aspetterà fuori da questa porta”
Anche lei si
alzò e strinse la mano grande e callosa dell’uomo.
Stava per lasciare la stanza quando si bloccò con una mano
sulla maniglia della porta.
“Chi
mi addestrerà?”
Bastian
alzò gli occhi da alcuni fogli che stava frettolosamente
osservando.
“Gabriel”
“Ma
non dovrebbe addestrarmi un angelo?” chiese, con un
soppraciglio inarcato.
“Oh,
è come se lo fosse. È come se lo
fosse…”
***
Quando
Rebecca uscì dalla porta si trovò in un piccolo
corridoio in quella che doveva essere la più grande casa di
tutto il villaggio, sempre e comunque molto piccola rispetto alle case
che c’erano sulla Terra. I muri erano di legno scuro e
dall’ufficio di Bastian aveva intravisto un’altra
porta con una camera da letto.
Nel
corridoio c’erano altre due porte.
Sicuramente un bagno e una
cucina, pensò.
Anche se non
era scontato che ci fossero i bagni all’interno delle
abitazioni. Come di comune accordo, Gabriel l’aspettava
appoggiato alla soglia dell’uscita e appena la vide le fece
cenno di uscire con lui.
Fuori il
cielo era ancora scuro.
“Anche
voi avete
fate uso degli orologi? Esistono le ore, le settimane, i
mesi?” domandò la ragazza, chiedendosi in quel
momento che ora potesse essere.
“Parli
come se non avessi niente a che a fare con noi” disse lui,
serio e inespressivo.
“Beh,
sicuramente meno di quanto tu pensi. Dovrò farci
l’abitudine prima di poter chiamare questo posto
casa”
“Comunque sì, abbiamo le ore che corrispondono
alle stesse della Terra, dato che Chenzo è una proiezione
del tuo pianeta gli orari e le stagioni non cambiano più di
tanto”
“Ma
qui non ci sono né stelle né luna, e scommetto
che neppure il sole sorge su questo mondo”
“Invece
ti sbagli, le stelle raramente non compaiono, di lune ne abbiamo
più di una ma appaiono solo in presenza delle stelle e il
sole sorge e tramonta durante l’arco di una
giornata”
“Che
sfortuna però non poter vedere le stelle, ho beccato proprio
la notte in cui non ci sono”
“Di
solito le stelle splendono sempre. Solamente quando accade qualcosa di
brutto non si presentano nel cielo”
Stavano
camminando a zonzo nel villaggio quando Rebecca si bloccò.
“Vorresti
dire che il mio arrivo è una cosa brutta? Porto
sfortuna?” chiese, dimostrandosi offesa e imbronciata.
“Non
intendevo dire questo” disse il ragazzo, guardandola stupito.
“Beh,
l’hai detto. E pensare che devo anche sacrificarmi per
voi…”
“Non
ci sei solo tu su questo mondo, può anche essere che
Mortimer abbia fatto qualcosa di orribile proprio questa
notte”
“Beh,
sarebbe più sensato” disse, e riprese a camminare
fianco a fianco a Gabriel che le lanciava occhiate preoccupate.
***
“Dove
stiamo andando?”
“Ti
porto a casa” rispose impaziente Gabriel.
Era da
più di dieci minuti che proseguivano a piedi e lei,
continuamente come una macchinetta, non faceva altro che chiedere dove
stavano andando. Forse lo faceva apposta, voleva vendicarsi e non
aspettava un momento per torturare il ragazzo che ogni volta le
rispondeva che stavano andando a casa.
“Dove
stiamo andando?”
“A
casa”
“Ma
a casa dove? Io non ho una casa qui” ribatteva lei.
Vedeva che
Gabriel non ne poteva più di lei e questo, in un certo
senso, le dava una profonda soddisfazione. Ammirava Gabriel ma alcune
volte non lo reggeva: troppo misterioso e calmo.
Proprio
quando il ragazzo stava ormai per perdere la pazienza e risponderle
male, arrivarono a destinazione.
“Siamo
arrivati, rompi palle” disse Gabriel, incrociando le braccia
al petto e restando fermo, guardando di sottecchi la ragazza che invece
lo superò.
Rebecca non
poteva crederci.
Aveva visto
quasi tutto il villaggio (in quindici minuti lo giri tutto) e tutte le
case che aveva osservato erano piccole, vecchie e antiquate. Tutte
apparte quella del capo-villaggio che era invece la più
grande e spaziosa. Ma quella…quella era troppo bella.
Un
po’ fuori dal centro del villaggio la sua casa era grande, su
due piani ed era così graziosa con la staccionata e i fiori
bassi che non si meravigliò quando vide uscire dalla porta
d’entrata la bella Rosalie.
“Ti
piace, Rebecca? È la tua casa”
***
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Capitolo 6 *** Un posto chiamato casa ***
Cap. 6 - UN POSTO
CHIAMATO CASA -
Superato lo
stupore iniziale Rebecca ebbe il coraggio di avvicinarsi alla casa.
Sulla soglia, Rosalie, l’attendeva stranamente allegra e
gioiosa, indossava un completo assai curioso, doveva aver buttato i
suoi bei jeans e averli sostituiti con una specie di tutina aderente
alla mo di Lara Croft. Sembrava una guerriera coinvolta in un possibile
attacco.
Bec la
squadrò da capo a piedi e non solo perché quella
tutina le metteva in risalto le forme perfette ma perché le
rendeva più chiaro il motivo per cui era lì, quel
vestito poteva benissimo essere usato per un carnevale a Phoenix ma in
quel contesto non era un costume di scena, bensì di vita
reale. Ora come ora la presenza della guerra si sentiva
nell’aria e nelle persone, presente e instancabile.
Avrebbe
dovuto indossare anche lei una cosa del genere? Come si sarebbe
sentita? Consapevole che andava a combattere?
“Vieni”
disse cordiale Rosalie, facendo entrare in casa la ragazza e
schiacciandosi sullo stipite della porta per farla passare.
Mentre
entrava Rosalie diede un’occhiata fugace al fratello che da
quando era arrivato non aveva neppure per un secondo staccato gli occhi
dalla figura della sorella.
“Entra,
dai” lo intimò Rosalie, con meno vigore.
Quando
Gabriel entrò non si aspettava che la casa fosse
così luminosa, era rimasto nelle tenebre della notte allungo
e ora la luce gli faceva male agli occhi, le pupille si restrinsero per
permettere l’adattamento al nuovo ambiente.
Appena
Gabriel posò lo sguardo impassibile su Rebecca, la
trovò di schiena ferma in cucina. Da quella posizione poteva
vedere le labbra della ragazza dischiuse per lo stupore.
“Chiudi
la bocca” le disse, sgridandola.
Con un gesto
non del tutto consapevole, chiuse la bocca.
Non si
aspettava niente di tutto ciò, la casa non era grandissima,
una cucina, un salottino, un bagno e una camera da letto dovevano
essere le uniche stanze. Naturalmente nel piano terra c’erano
solo la cucina e la sala con il bagno. Ovunque, mobili, muri, finestre,
porte erano in legno scuro e i colori della tovaglia e dei divani erano
chiari e coordinati all’arredamento. Lì
c’era corrente elettrica e acqua calda, probabilmente avevano
fatto di tutto pur rendere l’abitazione adatta a lei.
“Di
solito le case a Chenzo non possiedono dei salotti ma per te abbiamo
voluto qualcosa di speciale, così ti saresti sentita
più a tuo agio in una casa che assomigliasse a quella che
avevi prima” disse Rosalie, non capendo lo stato brado in cui
Rebecca si era ridotta a forza di scrutare la stanza.
“Posso
andare di sopra?” domandò la ragazza, curiosa di
sapere come Rosalie avesse arredato le camere da letto.
“Fai
pure, è casa tua” disse Gabriel, passandole
davanti, prendendo posto in una sedia sulla tavola e addentando un
pezzo di pane con un po’ troppa confidenza
dell’ambiente.
La ragazza
lasciò i due e con una curiosità allucinante
percorse le scale scricchiolanti. Il piano superiore era grande come
quello inferiore ma quando, nel corridoio, notò due porte a
destra e due porte a sinistra le sorse un dubbio.
Come mai
tutte quelle stanze per una persona sola?
Pian piano,
aprì la prima porta e man mano che andava avanti a scoprire
le stanze impallidì.
***
Rebecca
percorse le scale correndo e il legno sfogava la sua furia facendo
scricchiolare i gradini così forte che si sarebbero potuti
rompere come carta.
Non fece in
tempo a trovarsi a metà scala che sentì la voce
nitida di Rosalie urlare qualcosa verso Gabriel.
Nel sentire
la voce della ragazza alzarsi di tono, rallentò,
bloccandosi, in attesa di capire il motivo di quella lite
così accesa. La scena che le si presentò davanti
era quella di una Rosalie furiosa, in piedi, che aggrediva un Gabriel
seduto sul divano del tutto indifferente e annoiato.
“…e
ora è tutta colpa tua! Te ne rendi conto?! Sei arrivato
troppo tardi, accidenti!”
La cosa
stava degenerando, decisamente. Appena un movimento falso
provocò un altro scricchiolio nei gradini la scena
s’interruppe e i volti dei due fratelli si posarono
velocissimi sulla figura immobile sulle scale.
“Che
succede?” chiese la ragazza, intimidita dai toni aggressivi
che Rosalie aveva usato.
Gabriel
ovviamente se ne stava zitto e fermo, fissandola in silenzio.
“Niente.
Niente” disse Rosalie, gesticolando con le mani come se
stesse scacciando una mosca invisibile. “Hai bisogno di
aiuto?” le chiese, con un sorriso teso, ignorando lo sbuffo
di Gabriel.
“Sì,
ecco, io volevo sapere come mai ci sono due camere da letto. Non hai
detto che la casa è mia?”
“E
quando mai! Certo che è tua, è anche tua”
“Anche? Chi
è l’anche?”
Rosalie
ammutolì e il suo sguardo indugiò un
po’ troppo allungo su Gabriel, che teneva gli occhi bassi e
sembrava molto concentrato su un’unghia delle mani.
“Cosa?!
Rosalie, mi stai per caso dicendo che…?!”
“Sorpresa!”
cantilenò Gabriel, fingendosi entusiasta e roteando gli
occhi.
“No.
No. Non può essere, non lui. No”
mormorò Rebecca, e picchiettò il palmo sulla
fronte.
Quello
sicuramente era un incubo.
***
L’idea
della convivenza era un peso schiacciante e opprimente. Dopo aver
reagito negativamente alla notizia, Rebecca, si accasciò sul
divano arrendevole.
Tutto era
lontanamente diverso da come lei se l’era immaginato. Non
voleva condividere la casa con Gabriel, lui era una sorta di
protettore, di maestro, una guida da seguire. Di certo non pensava che
avrebbe dovuto convivere con lui sotto lo stesso tetto. Dopotutto,
sebbene fosse così austero, era pur sempre un ragazzo di
diciannove anni con tanto di ormoni adolescenziali. Lui una volta le
aveva parlato di immortalità, del fatto che da quando si
diventa angeli si acquisisce automaticamente l’eterna
giovinezza ma l’idea di diventare immortale non
l’attirava granchè ora come ora.
Una
vita eterna con Gabriel.
Rebecca
rabbrividì al solo pensiero.
Lei non era
di certo una ragazza che puntava sulla bellezza o che ogni mattina si
guardava allo specchio per scoprire se le erano spuntate delle rughe!
Lei voleva crescere, invecchiare ma soprattutto voleva sposarsi e avere
dei figli…tutto questo finchè era sulla Terra.
Chissà se anche a Chenzo il matrimonio veniva concepito come
un sacramento di unione religiosa. Senza contare il fatto che se fosse
diventata immortale automaticamente non avrebbe potuto diventare madre,
in quanto non si può far nascere un bambino di per
sé immortale.
Un pensiero
però, più di tutti, le metteva paura: Gabriel era
pur sempre un ragazzo.
E
che schianto di ragazzo, porca miseria.
La
probabilità di un amore non doveva esserci, anche
perché Rebecca contava che prima finiva quella cavolo di
guerra, prima se ne poteva tornare a casa.
Solo
restando a Chenzo avrebbe imparato l’uso della magia e una
volta tornata sulla Terra avrebbe saputo come trovare i suoi genitori,
ridarli la loro memoria e infine costruirsi un futuro.
Bec
spostò lo sguardo verso Gabriel che, anche lui seduto sul
divano, continuava a guardarsi le mani. Questo la mandò in
bestia. Lo irritava, non sopportava il suo modo da
“chi-se-ne-frega-del-mondo-intorno-a-me” che aveva,
la sua arroganza e le sue frasi fatte. Il menefreghismo che aveva
quando si parlava di qualcosa d’importante e la sua
impassibilità ai sentimenti umani. Il suo estraniarsi da
tutto e da tutti facendoti sentire sempre inadeguata a lui, come se
solamente i più forti potessero entrare nel suo mondo
immaginario e capirlo mentre i comuni mortali restavano a guardarlo
così: assorto nei suoi pensieri.
Si mise
seduta con la schiena dritta e lo fulminò con gli occhi.
“Tu
non dici niente a riguardo o sei troppo impegnato a mangiarti le
unghie?”
Il ragazzo
alzò lentamente, molto lentamente, gli occhi e la
guardò scoccandole uno sguardo irritato.
“Che
c’è da dire? Mi sembra che non ci sia niente da
capire sul fatto che abiteremo insieme” disse, altezzoso.
Rebecca
ringhiò e Rosalie, che fino ad allora era rimasta in piedi,
riuscì ad attirare l’attenzione dei ragazzi.
“Io
vado. È notte fonda e sinceramente ho sonno. Buona notte, ci
vediamo domani mattina per il tuo allenamento, Rebecca”
“Subito
inizio? Così, di pacca?”
“Oh
si, prima finiamo meglio è”
Rosalie
scomparve dalla porta con un sorriso amaro e il silenzio
calò nella casa. Bec si rigirava nervosa le mani in grembo,
lanciando occhiate nervose alla stanza.
La ragazza
non si aspettava certo che la convivenza forzata andasse bene, ma lei
avrebbe cercato in tutti le maniere di comportarsi nel miglior modo
possibile.
Se si fosse
arrabbiata avrebbe cercato di tenere a bada il suo pessimo sarcasmo, le
frecciatine e la sua impulsività.
La ragazza
era sempre stata irascibile, e con la scusa che era figlia unica e i
suoi genitori lavoravano praticamente tutto il giorno, aveva imparato
ad essere indipendente e aveva creato una sorta di
impulsività dovuta all’enorme rancore che provava
e alla mancanza d’affetto.
Lei era
fatta così, quando succedeva qualcosa di poca rilevanza se
ne stava zitta e tutta la rabbia l’accumulava dentro di
sé, n’anche avesse un serbatoio di
aggressività, ma quando il serbatoio era pieno e una sola
goccia entrava nel vaso…lei poteva esplodere, ma non con
scenate da ragazzina capricciosa bensì con insulti e
attacchi piuttosto mirati e controllati.
Pochi anni
prima aveva praticato difesa personale e molti movimenti le erano pure
tornati utili quando doveva sfogarsi sul suo sacco da boxe. Aveva poi
preso parte a delle lezioni di karate e quando tutto diventata astioso
e difficile lei si sentiva ugualmente forte. Forse era vero che avrebbe
imparato in fretta a combattere, si sentiva carica e potente come se
nelle sue vene scorresse un’elettricità esplosiva.
Prese un
respiro e si alzò.
“Posso
andare in giro come se fosse casa mia, no?”
“Certo.
È casa tua”
Anche
Gabriel si era alzato e stava andando di sopra con il suo solito passo
silenzioso.
Certo che il
ragazzo poteva dimostrarsi anche un pochino più presente! La
trattava come un’estranea, lo stesso comportamento che un
insegnante assume con un suo allievo: diplomatico e carente di parole
carine.
Rebecca
andò in cucina tenendo le orecchie ben aperte cercando di
capire dove potesse essere Gabriel.
Iniziò
ad aprire ante e scaffali a caso finchè non trovò
una dispensa che conteneva qualcosa che assomigliava lontanamente a del
cibo. Più che altro sembrava a del cibo in scatola,
solamente che la scatola era di legno ed era morbida. Sulla Terra non
esisteva del legno morbido.
Rebecca
scrollo un paio di volte le spalle e decise di andare al piano
superiore, la curiosità la stava uccidendo. Aveva sempre
vissuto con i suoi genitori e trovarsi a condividere la casa con un
ragazzo estraneo la faceva sentire irrequieta, necessitava di sapere
ogni suo spostamento.
Stava
diventando una specie di comportamento ossessivo compulsivo?
Sì,
può essere.
Il corridoio
era sempre buio e una luce illuminava la sua fine. La porta era
spalancata e Gabriel era seduto dando le spalle alla porta. Era un
piccolo studio con una scrivania e delle librerie, molto simile a
quello di Bastian. Bec entrò tranquillamente e si
andò a sedere su una poltrona rossa di fianco alla scrivania.
Più
che sedersi la ragazza si accasciò in una maniera assai poco
carina, il termine corretto sarebbe: “si lanciò
sul divano come un paracadutista si butta nel vuoto”: schiena
supina e gambe in aria appoggiate allo schienale, tipica posizione
pre-dormita.
Gabriel
alzò lo sguardo da un libro enorme e la guardò
con aria di dissenso.
“Non
si bussa prima di entrare?” chiese, stizzito, non approvando
quella posizione così scomposta e inadatta ad una ragazza.
“La
porta era aperta” disse distrattamente Rebecca, osservando il
soffitto.
“Almeno
avverti”
“Non
hai detto che è anche casa mia? Io a casa mia mica busso
quando devo spostarmi…beh, apparte quando vado in
bagno” disse, e subito rimase con il fiato sospeso.
Non ci aveva
pensato al fatto che avrebbero dovuto anche avere un unico bagno in
comune.
L’immagine
di lei che apriva la porta senza bussare e di Gabriel mezzo nudo in
bagno le arrivò chiara e nitida nel cervello e
avvampò del tutto.
“Che
c’hai?” chiese Gabriel, che aveva notato il
cambiamento di colore sulle sue gote pallide.
“Niente”
rispose lei, presa dal panico.
Sarebbe molto più
facile se la smettessi di guardarmi così,
pensò Bec irritata.
Gabriel
provò a leggerle nel pensiero e sentì che la
rabbia stava aumentando inspiegabilmente quando non ci
riuscì.
Odiava,
odiava, odiava non riuscire a leggerle i pensieri.
Anche in
quel momento, che stava provando? Perché arrossiva? Aveva
detto qualcosa che l’aveva messa a disagio?
Stanco e
annoiato chiuse il grosso tomo e annunciò che lui se ne
andava a letto.
***
Silenziosamente,
camminando in punta di piedi, Rebecca uscì dallo studio e si
diresse verso la camera da letto. Durante il giro di ispezione appena
arrivata aveva notato due camere da letto, una aveva i muri con le
pareti in legno azzurro (esisteva il legno azzurro?) mentre
l’altra era sui colori tenui del bianco. Bec optò
la seconda stanza, trovando la prima troppo…maschile, ecco.
I muri azzurri, il letto squadrato e l’arredamento spoglio si
addiceva di più ad un ragazzo che non ad una giovane
signorina.
Entrò
nella stanza sempre senza fare rumore e decidendo che non occorreva
accendere la luce dato che uno spiraglio illuminava comunque si diresse
dritta a letto. Proprio mentre si trovava nelle sponde del grande letto
a baldacchino si rese conto che era ancora vestita in jeans e
maglietta.
Cavolo,
il pigiama.
E ora che m’invento?
Nella fretta
funesta aveva ovviamente dimenticato cose tipiche come il pigiama,
necessario se devi fare un viaggio, se poi bisogna anche trasferirsi
peggio che peggio.
Ora che ci
pensava non aveva portato niente con sé e l’idea
di dover stare per tutta la vita con i soliti jeans e t-shirt addosso
le mise agitazione. Lei, abituata al lusso e ai vestiti costosi, allo
shopping settimanale con la madre, come poteva concepire un solo capo
d’abbigliamento forever? Senza contare alla biancheria, le
scarpe, i calzini…
Oddio…
Il panico
totale s’impadronì di lei. Ma non aveva voglia di
star lì a rimuginarci sopra alla questione,
l’indomani avrebbe chiesto aiuto a Rosalie, bella
com’era avrebbe certamente avuto un decente corredo di
vestiti. Però una cosa non avrebbe mai indossato, nemmeno
una volta, quegli orridi vestiti lunghi stile ottocento. Di questo ne
era certa.
Si
allontanò dal letto per vedere se per caso, dentro
all’enorme armadio beige, ci fossero indumenti che
assomigliassero ad un pigiama, si sarebbe sennò accontentata
di una tuta…ma purtroppo il mobile era vuoto. Non stette a
pensare a nient’altro e in meno di dieci secondi si
spogliò dei jeans e della maglietta, rimanendo in slip e
canottiera. Cercò di lisciarsi i capelli e si
coricò a letto.
Non era
abituata ad avere un letto così grande, cioè, lei
dormiva nei letti a due piazze ma quello sembrava ne avesse quattro!
Sentendosi persa in quella stanza si tirò le coperte fin
sotto al mento e si accucciò nella sponda, che per poco non
rischiò di cadere fuori. Il buio era innaturale, ci vedeva e
non ci vedeva. Aveva visto l’armadio e la sponda del letto ma
non era riuscita ad inquadrare bene tutta la stanza.
Con le
palpebre che ormai erano diventate pesanti come due mattoni decise di
abbandonarsi ad un sonno che fosse il più lungo possibile.
***
La serie di
rumori che si susseguirono avvennero sempre durante quella notte.
Rebecca non era ancora certa di essere del tutto sveglia ma giurava,
nella dormiveglia, di sentire qualcosa muoversi nel letto. Era troppo
stanca e forse stava sognando. Non erano poi dei rumori che lei avrebbe
definito pericolosi, sembrava piuttosto che qualcosa o qualcuno stesse
strisciando sulle coperte, nella sponda opposta a dove lei stava
rannicchiata.
Nonostante
lei cercasse di rilassarsi, giustificando i fruscii con il vento o con
qualche animaletto, non riuscì a riprendere sonno, anzi,
stava iniziando ad agitarsi. Si stava autoconvincendo che tutto andava
bene finchè non sentì qualcosa sfiorarle la gamba
nuda.
La cosa era
dentro al letto ed era pericolosamente vicina a lei. Era paralizzata,
non osava muoversi per la paura che le mordesse un piede.
Per
illuminare la stanza avrebbe dovuto accendere l’interruttore
ma era troppo distante e rischioso. Bisognava che facesse qualcosa di
scattoso, veloce ma che al tempo stesso ci vedesse e non corresse il
rischio di trovarsi sbattuta contro un tavolino o un comodino che
ignorava l’esistenza.
Le coperte
si alzarono improvvisamente, animate, come se stessero fluttuando.
Entrò nel letto un’ondata di gelo e poi le coperte
si riabbassarono. La cosa si mosse ancora e il letto cigolò.
Ok, non era
il momento di fare la fifona. Dopotutto avrebbe dovuto affrontare il
Male fatto in persona, non doveva intimidirsi di fronte a qualche
piccola bestiolina.
Con
un’attenzione fenomenale scese dal letto senza fare nessun
tipo di rumore che facesse capire la sua presenza in quella stanza. Con
le mani che le tremavano tastò se per caso c’era
un comodino accanto.
Le sue mani
toccarono un tavolo molto piccolo che doveva avere la forma circolare.
Eccoti!
Una volta
trovato cercò qualcosa di abbastanza duro per buttarlo
addosso alla cosa, possibilmente facendole del male, molto male.
N'anche
dormire posso.
Le sue dita
si trovarono a sorreggere un palo con in cima due biforcazioni.
Un
candelabro.
Sempre
meglio.
Ora, oltre
ad aver trovato qualcosa di appuntito, aveva trovato la luce. Avrebbe
acceso, velocissima, l’interruttore, giusto il tempo di
vedere cosa c’era nel letto e poi, senza il minimo dubbio a
riguardo, gli avrebbe scaraventato addosso il candelabro. Sicuramente
l’avrebbe tramortito.
Te
le faccio vedere io le stelle…
Appena
Rebecca prese saldamente il candelabro, appoggiò le dita
sull’interruttore.
Beh,
premesso che il piano era ottimo…dalla fretta e dalla paura
folle la ragazza non fece n’anche in tempo ad accendere la
luce che non ebbe il coraggio di guardare cos’era la cosa
schifosa sul suo letto e si era messa a lanciare, con tutta la sua
forza, la candela contro la parte in fondo del letto.
Seppe di
aver centrato il suo bersaglio dall’urlo disumano che
sentì. Con la luce che aleggiava nella camera vide una
figura che scattò in piedi e che iniziò a
massaggiarsi la testa, ma non riusciva bene a capire chi fosse.
Riusciva solo a intravedere immagini nell’effetto di
luce-ombra.
Capì
che qualcosa non andava quando le parve di riconoscere la voce.
La luce
saltò e la camera piombò nel buio più
totale. Tirò fuori dalla tasca dei suoi jeans a terra un
accendino e con uno strano nodo in gola puntò la luce verso
il letto. La scena che vide la impietrì, lasciandola a bocca
aperta. Gabriel era schizzato in piedi e una smorfia di puro dolore gli
trapassava il bellissimo viso. Con una mano si massaggiava un punto
indefinito della testa, dove probabilmente era stato colpito dal
candelabro.
Rebecca era
in piedi dall’altra parte del letto e con
l’accendino ancora in mano. Uno sguardo da ebete stampato in
faccia.
“Ma che diavolo credevi di fare? Sei pazza?!”
urlò, fuori di sé il ragazzo.
“Oddio…”
L’enorme
groppo che aveva in gola, e che lei credeva fosse un pianto nervoso,
uscì come una fragorosa risata.
Rebecca
cominciò a ridere, piegata in due e non riusciva
più a fermarsi davanti alla faccia stupita e furiosa di
Gabriel. Si portò una mano allo stomaco e i dolori alla
pancia cominciarono ad essere insopportabili.
“Che
cavolo ridi?!” il volto contratto dalla rabbia.
“Scusa…è
solo che…ti avevo scambiato per un bruco gigante!”
Bec gli
puntò un dito contro e ormai aveva le lacrime agli occhi.
Il ragazzo
la prese come un’offesa personale, rimase serio e
aspettò che lei si calmasse. Ci volle un bel po’
prima che Rebecca riprendesse il controllo. Non aveva mai riso tanto e
ora che l’aveva fatto provava una sensazione di liberazione e
di spensieratezza che la fecero sentire bene.
Quando si
calmò aveva comunque ancora degli scossoni post-risata.
“Hai
finito?” domandò Gabriel, in una maschera di odio.
“S-Sì”
balbettò, non del tutto sicura che la sua calma apparente
potesse durare ancora per molto.
“Perché
eri nel mio letto? Dico, non hai visto che c’ero
io?”
“Sinceramente
non sapevo che era la tua camera e poi con questo buio non ho visto
proprio niente. È solo che…”
“Solo
che…?”
“È
solo che mi ricordavo che l’altra stanza era azzurra e quindi
avevo dedotto che ci fossi tu, visto che ai ragazzi
piace…quel…colore…”
Ecco, stava
per arrivare un altro attacco.
“Smettila!”
sbraitò, incavolato.
“Che
vuoi?!” chiese Rebecca fingendo di non capire, anche se si
vedeva benissimo il suo sforzo nel cercare di non riderli
un’altra volta in faccia.
“Continui
a ridere come una bambina!” disse lui, scuro in volto.
“Non…ci
posso…fare niente…”
E ancora che
riparte, ma questa volta la risata fu molto più breve dato
che lo sguardo omicida del ragazzo le spense il sorriso.
“Vedi
di darti una calmata”
Ovvio, si
era offeso.
“Scusa”
e questa volta era sincera.
Gabriel si
rilassò.
“Allora,
ti decidi ad andare via?” chiese il ragazzo, spazientito
dall’aspettare in piedi (che, tra parentesi, era con solo i
boxer addosso).
La ragazza
spalancò gli occhi.
“Non
ci penso nemmeno, sei tu l’uomo e a te tocca la camera
azzurra!”
“Cos…?
Ok, allora me ne vado”
Stava
già percorrendo il letto aggirandolo quando lei lo
bloccò con le parole.
“N’anche
per sogno, me ne vado io!”
I due si
guardarono malissimo, nessuno dei due voleva darla vinta
all’altro.
“Allora
io resto” afferma Gabriel.
“Non
è giusto! Questa camera mi spetta di diritto!”
Gabriel e
Rebecca si guardarono allibiti.
Alla fine
dormirono nella stessa camera con le adeguate distante di sicurezza.
***
Il giorno
seguente fu parecchio difficile per Rebecca, la sveglia era prestissimo
e la colazione che aveva preparato Gabriel era orrenda.
“La
tua cucina è pessima!” lo aveva sgridato.
Gabriel si
era subito infervorato, sentendosi punzecchiare nel profondo.
Dopo aver
mangiato i due erano usciti e alla luce del sole il villaggio era
ancora più bello, immerso nella natura e nel verde dei
boschi, l’unica pecca era che tutti i passanti appena la
vedevano passare per le strade smettevano di fare quello che stavano
facendo e si mettevano a guardarla insistentemente.
“Ehm,
dove stiamo andando?” domandò la ragazza, dando
continue occhiate alla gente.
“Da
Rosalie” rispose, secco.
Forse ce
l’aveva ancora con lei per l’offesa recatagli
durante la colazione, o per via dell’incidente del letto.
A quel
ricordo rise di nuovo. Era una cosa troppo ridicola e stupida per non
ridere. Dovette mettersi una mano sulla bocca per tappare il sorriso
smagliante che aveva stampato in faccia, altrimenti se il ragazzo se ne
fosse accorto l’avrebbe ammazzata facendolo passare per un
incidente.
Infatti se
ne accorse.
“Quando
fai così mi irriti” disse, continuando a
camminarle accanto, senza degnarla di uno sguardo, se non di occhiate
veloci e intimidatorie.
“Mi
scusi, maestro”
Ovviamente
Bec scherzava. Da quando aveva perso i genitori, lasciato la Terra e
dimenticato parte della sua vita aveva sviluppato un senso
dell’umorismo formidabile. Dopo tanto dispiacere e tante
lacrime, lei stessa sentiva la necessità di sentirsi felice
in modo da renderle ancora piacevole la vita.
“E
non chiamarmi maestro, non sono il tuo maestro e nemmeno voglio
esserlo”
Oh,
ma non gli va bene niente!
“Allora
come vuoi che ti chiami? Gabri?”
Capì
di aver detto la cosa sbagliata quando gli occhi glaciali di Gabriel la
scrutarono con fastidio.
“Tu
come chiami gli amici?” disse, e un lieve sorriso si distese
sulle sue labbra.
“Con
i loro nomi…” non era sicura di dove il ragazzo
volesse andare a parare ma tutto un tratto si sentiva più
allegra.
“Allora
chiamami con il mio nome”
Beh, almeno
era stato tenero.
Finchè
erano sulla Terra le veniva spontaneo chiamarlo con il suo nome ma da
quando aveva scoperto che sarebbe stato il suo maestro e aveva capito
che lui, del ragazzo normale non aveva niente, aveva iniziato a vederlo
come un vero e proprio insegnate, dimenticandosi che, nonostante la sua
saggezza rimaneva comunque un giovane. Ma in fondo era anche dolce.
Spiazzata
dalla sua risposta e dall’intimità che si stava
creando Rebecca rispose esitante e imbarazzata.
“Ok,
Gabri…”
“Gabriel!
No Gabri!” sbraitò.
Ok,
io lo ammazzo.
***
La casa di
Rosalie era…beh, era come la padrona: semplice, decorata con
eleganza e incredibilmente bella. La sua era però
più piccola, solo più tardi Rebecca
scoprì che la ragazza condivideva la casa con
un’altra donna, che poteva avere sulla quarantina.
“Come
mai Rosalie vive con una donna che non è di
famiglia?” bisbigliò Rebecca,
all’orecchio teso di Gabriel.
“È
la donna che ha cresciuto me e Rosalie quando i nostri genitori sono
morti” le spiegò il ragazzo.
Da quello
che aveva capito Gabriel e Rosalie, fratelli di sangue, erano rimasti
orfani dalla nascita e solamente questa signora: Adele, aveva avuto il
fegato di portarli a casa sua e di crescerli come figli suoi, dato che
lei di figli non ne aveva. E non era n’anche sposata, sempre
che il matrimonio esistesse.
Allora la
casa non era di Rosalie ma di quella signora. Bec non vide quel giorno
Adele perché entrambi i fratelli dissero che era via ma
qualcosa di incredibilmente losco stuzzicava la sua
curiosità su quella donna. L’istinto le diceva che
avrebbe dovuto fare la sua conoscenza non appena questa fosse tornata.
“Quando
torna?” chiese, Rebecca.
“Non
lo sappiamo. Ogni tanto parte, non dice niente a nessuno e poi torno
stanca e più vecchia di prima” disse Gabriel, in
pensiero.
Ormai i tre
erano già in casa e comodamente seduti in cucina. Il sole,
fuori, batteva e scottata.
“Andiamo”
annunciò Rosalie. “Che devi iniziare
l’allenamento, no Gabriel?”
Rosalie
chiese la conferma al fratello che, prontamente, le fece segno di
sì con la testa.
“Ah!
Prima che mi dimentichi…Rosalie, per caso non hai un vestito
per me? Non posso starmene con i jeans e maglietta”
Sapeva
quanto Rosalie la capisse in fatto di moda. La ragazza si
sbattè una mano in fronte e sorridendo ripetè
continuamente:
“Me
ne stavo dimenticando…me ne stavo
dimenticando…”
Rosalie
scattò dalla sua sedia e per due buoni minuti
sparì dalla stanza. Quando tornò, per
l’orrore di Rebecca, teneva in mano una tuta simile alla sua.
Faceva tanto eroina, paladina…o semplicemente faceva
Carnevale.
***
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Capitolo 7 *** La minaccia ***
Cap.
7 - LA MINACCIA -
“Rosalie! Te lo puoi pure scordare che io indossi quella
specie di…di…di calza!”
“Cosa?! Non è una calza! È una tuta da
guerra, un’uniforme, credo che dovresti iniziare a
comprendere in che situazione ti trovi!”
“Ma non con addosso quella roba! Non devo andare mica sulla
luna! Oddio, ti prego! Non farmi questo, mi vergognerei
troppo!”
“Non se ne parla”
“Ma…ma non conta quello che voglio io?!”
“Smettila di fare la bambina viziata”
“Non dirmi cosa devo fare, Gabriel!”
“Io ti dico cosa devi fare dato che
sono…”
“Smettila! Non ti voglio ascoltare!” Rebecca si
tappò le orecchie e iniziò a cantilenare
un’assurda canzone per non ascoltare i due ragazzi.
Vaneggiano.
Tutti vaneggiano in
questo posto!
“Rebecca, è solo un’uniforme!”
esclamò esasperata, Rosalie.
“È un carciofo gigante!”
“Io me ne vado” disse Gabriel, stufo del casino che
si stava creando, uscì dalla stanza con le mani in tasca e
un’aria frustrata.
“Bravo, scappa!” gli urlò dietro la
ragazza, ma lui non le diede nemmeno retta e tralasciò tutta
la sua serie di imprecazioni.
Rimase solo Rosalie, guardandola con aria affranta.
“Cosa devo fare con te?” sussurrò,
demoralizzata.
“Non farmi indossare quel coso, è
semplice”
“Ma tu ti rendi conto che non puoi addestrarti con addosso i
jeans, vero? Lo sai che dovrai lavorare col fuoco, maneggiare gli
elementi della natura, uccidere, affrontare mostri e sopportare
l’apnea sott’acqua. Non puoi farlo se non hai i
vestiti adeguati. Vuoi morire mentre ti alleni perché invece
di interagire con le fiamme ti si bruciano i pantaloni? Io se fossi in
te non avrei nemmeno il coraggio di correre con i jeans, se ci fosse
una creatura che t’insegue verresti annientata subito,
brutalmente, lentamente…per la tua scarsa agilità
e competenza. Sarai ostacolata in tutto e rischierai di
morire”
“Ok, mi hai convinta”
***
“Che stiamo aspettando?” domandò
Gabriel, spazientendosi.
“Che esca” disse Rosalie, freddamente.
Aveva ancora una questione in sospeso con suo fratello.
La tendina che separava Bec dagli altri si scostò e la
ragazza uscì dal separé con gli occhi bassi per
la vergogna. Si sforzò comunque di fare un sorriso, anche se
non molto convincente.
“Allora, come sto?”
Beh, non si poteva dire che la ragazza non avesse avuto un bel fisico
ma con quella tuta stretta tutte le sue curve erano messe in estrema
evidenzia. L’uniforme era bianca, sintetica ed era intera, si
allacciava da dietro con una zip e la vita, caviglie e polsi erano
disegnate da delle righe nere, in pieno contrasto con il colore candido.
“Beh, secondo me è perfetta” disse
Gabriel, fiero della ragazza, ammirandola sbalordito.
Rosalie aggrottò le soppraciglia lanciando uno sguardo
divertito verso il fratello.
“Già…”
Gabriel mise il broncio.
“Che vuoi, tu?” sbottò rivolto a
Rosalie, che se la rideva tra sé e sé.
“È la verità”
“Si, certo certo”
Fortuna volle che Rebecca non avesse seguito i battibecchi dei due
fratelli e continuava, come un’ossessa, ad ammirarsi. Quel
vestito era senza dubbio troppo attillato per i suoi gusti e anche se
aveva un bel fisico magrolino e ben proporzionato si sentiva
ugualmente a disagio. Le sembrava di essere nuda, forse
perché l’effetto che quell’indumento
dava era quello di sentirsi totalmente libera, come se avesse avuto una
seconda pelle, come se addosso non avesse niente. I movimenti potevano
essere compiuti in maniera fluida e del tutto agiata.
Almeno quella era una bella cosa, basta jeans che stringevano e
magliette troppo corte.
Rebecca si portò le mani al ventre e toccò la
stoffa della tuta.
Doveva essere super resistente perché provò a
pizzicarne la superficie ma le sembrò di tastare una solida
roccia.
“Ok, ora che l’ho provata posso
toglierla?” chiese, più rivolta a Rosalie che non
al ragazzo.
“Naturalmente, sappi che questa tuta ti servirà
nei combattimenti, nelle missioni e nelle prove di addestramento. Per
quanto riguarda il tuo look nel tempo
libero…seguimi”
Le due ragazze arrivarono nella camera da letto di Rosalie e quando lei
aprì l’anta del suo bellissimo armadio
tirò fuori una scatola rosa con dentro dei vestiti.
“Tienili, c’è un po’ di
tutto” disse, sorridendole.
“Grazie, ma non avresti dovuto”
“Di niente, Rebecca! Sempre che anche a te vadano
bene”
“Beh, avrò all’incirca la tua taglia,
dovrebbero per forza andarmi bene”
“Non sono miei”
“Ah no?” Rebecca ne fu sorpresa.
Certo,
di Gabriel non sono.
“Sono di Adele”
***
Dopo aver ringraziato Rosalie, Bec ritornò con Gabriel alle
calcagna verso il villaggio. Il centro del villaggio consisteva in una
misera piazza, spoglia e circondata dalle altre case, l’unica
cosa che rendeva quella piazza il vero e proprio centro del paese era
la presenza di una deliziosa fontana circolare. L’acqua
sgorgava e mandava degli spruzzi che, vivaci, zampillavano di qua e di
là.
Gabriel si fermò.
“Perché ti sei fermato?”
“Dobbiamo aspettare Bastian, anche lui viene con
noi”
“Per cosa?”
“Per assistere al grande evento”
“Quale evento?”
La ragazza iniziava a scaldarsi mentre il ragazzo continuava a parlare
con la stessa, insolita calma.
“Il tuo addestramento. Bastian dovrà pur vedere a
che livelli è la nostra nuova eroina”
“Oh no! Io non so proprio arrivare a nessun livello!
Farò una pessima figura, perché non me
l’hai detto prima?! Oddio, che vergogna…”
“Smettila di lamentarti” disse il ragazzo, che
ormai si era seduto sulla sponda della fontana e i suoi profondi occhi
azzurri osservavano un punto indefinito dietro l’agitatissima
ragazza.
Rebecca era scioccata, spalancò la bocca ed emise un sospiro
offeso. Decise di dargli le spalle e come se niente fosse si
allontanò da sola.
“Dove credi di andare?” chiese Gabriel, annoiato.
“In un posto che sia più lontano possibile da te,
razza di ghiacciolo senza cuor…”
Continuando ad imprecare contro il ragazzo andò a sbattere
contro il petto muscoloso di un uomo.
“Aidel, attenta a dove metti i piedi” disse
affettuosamente Bastian. “Stavo giusto venendo per il mio
primo appuntamento con una certa guerriera di grande fama”
Ancora mortificata per quello che era successo Rebecca tentò
di scusarsi dell’orribile figura fatta con il capo-villaggio.
Gabriel si alzò dalla sponda malvolentieri e raggiunse i due
poco più avanti, quando fu vicino a Rebecca e abbastanza
lontano per non essere sentito da Bastian le sussurrò in
tono canzonatorio:
“A quanto pare ti riesce bene andare addosso alla
gente”
“Andiamo!” urlò Bastian, con una grande
sorriso stampato in faccia.
Rebecca osservò la scena: Bastian davanti a lei che si
sbracciava per attirare la sua attenzione, un sorriso enorme e tanta,
tanta voglia di fare.
Dietro a Bastian, Gabriel, aveva le mani in tasca e anche lui la
guardava ma nessun sorriso solcava le sue guance, semmai uno sguardo
molto più profondo e voglioso.
***
Il campo di addestramento consisteva in una distesa di erba verde,
arrivavi tramite il bosco che circondava il villaggio che con la sua
fitta vegetazione e i suoi alberi che rendevano l’ambiente
ombroso e magico. Davanti a loro un altro bosco si estendeva, mentre a
sinistra c’era una ripida parete rocciosa. A destra
invece…l’infinito.
L’infinito nel vero senso della parola, perché
quella distesa di erba si perdeva all’orizzonte, dove il sole
sorgeva e tramontava e non c’era né un solo albero
né niente di niente, solo erba e terra per chilometri e
chilometri.
“Uau…” Rebecca ne rimase estasiata, non
aveva visto mai nulla simile a quello. Si sentiva selvaggia, indomata,
libera.
In quell’occasione Rebecca indossava un paio di pantaloni
marroni, lunghi e resistenti e un bustino sempre marrone con maniche a
¾. I capelli erano sciolti e svolazzavano al vento. Rimase
ferma mentre Gabriel le si parava davanti. Bastian invece si sedette
per terra con la schiena appoggiata alla parete rocciosa.
“Tieni” disse Gabriel alla ragazza, lanciandole un
bastone che lei, prontamente, prese al volo.
Bastian sembrava agitato e non vedeva l’ora di constatare la
forza fisica della ragazza.
La ragazza, vedendo che anche Gabriel aveva magicamente fatto spuntare
per sé un bastone e si stava mettendo in posizione
d’attacco, gli chiese piano per non farsi sentire:
“Ma che devo fare?”
Lanciava occhiate nervose al capo-villaggio, sperava che non
l’avesse sentita chiedere aiuto al ragazzo. Trovarsi
impreparata e inadeguata già dal primo giorno di
addestramento non era una bella presentazione di sé stessa.
Ne sarebbe andato della sua dignità.
Gabriel mandò a quel paese la sua dignità nel
momento in cui le disse:
“Stupiscimi”
Cosa?
Che vuol dire
“stupiscimi”?!
Prima che Bec se ne potesse rendere conto il ragazzo, velocissimo, si
era slanciato in avanti, il bastone impugnato saldamente, pronto ad
attaccare.
La paura e lo stupore improvviso fecero azionare qualcosa di
inaspettato in lei. Gabriel le era a pochissimi centimetri quando,
inaspettatamente, tutto iniziò ad andare a rallentatore. Le
sue pupille di dilatarono e l’occhio divenne una sfera nera.
Approfittando della sua nuova vista Rebecca evitò facilmente
il colpo del ragazzo. Con una faccia stupita continuava a guardare la
scena che si muoveva a scatti lenti e ben definiti, poteva persino
sentire il respiro di Gabriel e lo scalpitare delle foglie sotto i suoi
piedi.
La situazione a suo favore purtroppo durò poco, la vista
tornò normale e la scena riprese a scorrere normalmente.
“Brava” disse Gabriel, che aveva capito
cos’era successo e che forse le avrebbe anche potuto spiegare
il come.
Il ragazzo non si fermò in chiacchiere. Riprese
più aggressivo di prima e Rebecca notò che era
veramente forte quel biondino dagli occhi di ghiaccio.
Com’era successo prima, anche in quel momento Rebecca ebbe la
capacità di fermare il tempo e di rendere tutti i movimenti
lenti e rallentati. Scivolò via ed evitò anche
tutta una serie di colpi che il ragazzo cercò di
infliggerle.
Gabriel stava iniziando ad innervosirsi e anche se gli sarebbe piaciuto
andarci giù pesante doveva comunque contenere la sua forza
per non ferire troppo la ragazza. Se Gabriel perdeva il controllo o
s’impegnava seriamente poteva essere distruttivo.
Era l’angelo più forte che ci fosse, subito dopo
Mortimer.
Cercò quindi di reprimere l’impulso che aveva nel
saltarle letteralmente addosso o di scagliarle contro un incantesimo,
anche se il suo orgoglio maschile reclamava vendetta.
Rebecca non osava attaccare Gabriel, cercava semmai di difendersi o di
evitare i colpi. Le riusciva molto bene la difesa e non capiva
perché avrebbe dovuto aggredirlo non sapendo come fare.
Avrebbe rischiato di fare solamente una figuraccia.
Il gioco, nonostante fosse interessante, stava cominciando ad essere
ripetitivo e noioso per i due giocatori in gara. Fu allora che Gabriel,
sebbene non avesse dovuto approfittare della sua esperienza in fatto di
magia, scagliò contro la ragazza un potente incantesimo.
Un fascio di luce dorata uscì dal suo palmo aperto della
mano destra e si andò a schiantare contro Rebecca che,
trovandosi del tutto impreparata a quello, cadde rigorosamente a terra
sbattendo la testa contro l’umido terreno.
Un dolore allucinante le invase la testa e per un paio di secondi non
ebbe la forza e la volontà di rialzarsi, era come se il suo
corpo si fosse intorpidito tutto un colpo.
Con gli occhi tremanti puntati verso la parete vide che Bastian non era
più seduto a guardarli, se n’era andato. Con lo
sguardo ancora incollato al precipizio sentì dei passi
correre verso di lei e delle mani che, amorevolmente, la stavano
tirando a sedere.
Fu allora che riprese conoscenza del suo corpo.
Gabriel, inginocchiato su di lei, la guardava come se fosse morta.
“Lasciami” sussurrò la ragazza,
divincolandosi dalla sua presa e alzandosi in piedi con fatica.
“Scusa, non avevo idea…non pensavo
che…mi sono lasciato prendere dalla situazione e mi sono
dimenticato che tu…”
“Smettila” ruggì Rebecca, e,
massaggiandosi il punto in cui la testa le pareva stesse scoppiando, si
allontanò dal campo di addestramento.
La prima prova era andata male e la sua dignità era andata a
farsi friggere.
***
Si trovava da Rosalie, non aveva per niente voglia di tornare a casa
con Gabriel che le girava attorno in continuazione. Si era scusato ma
questo non bastava.
La sera precedente avevano deciso insieme che il loro primo allenamento
si sarebbe svolto con un incontro corpo a corpo o con
un’unica arma in mano disponibile. Alla fine avevano scelto
il bastone, visto che la ragazza non era ancora pronta per maneggiare
armi pericolose come spade o lance. Quando Rebecca gli chiese se lui
avrebbe fatto uso dei suoi poteri magici lui le rispose che non si
sarebbe mai permesso di attaccarla con la magia, dato che lei, non
conoscendola ancora, ne sarebbe stata svantaggiata.
Stupido orgoglio
maschile.
“Allora, com’è andato
l’addestramento? Hai steso Gabriel su due piedi?”
chiese, speranzosa Rosalie.
“Preferirei non parlare di oggi” disse Rebecca, con
una faccia così avvilita che neppure Rosalie ebbe coraggio
di continuare con quell’argomento.
Immaginava come suo fratello, preso dalla voglia di far vedere tutta la
sua bravura si fosse del tutto dimenticato che aveva di fronte una
giovane apprendista e non un mostro da trofeo.
“Che fratello immondo che devo avere, senza un briciolo di
umanità”
“Concordo” rispose Bec, imbronciata.
Rebecca passò la notte a casa di Rosalie e dormì
comodamente sul divano. La casa era silenziosa e Adele non era ancora
tornata, questo rallegrò la ragazza perché se ci
fosse stata la madre adottiva di Gabriel e Rosalie probabilmente non
avrebbe avuto il coraggio di chiedere ospitalità per la
notte.
Rosalie doveva averla capita e senza chiedere nulla aveva accettato di
ospitarla a casa sua per una notte. Prima di andare a letto le aveva
anche spalmato sulla testa una pomata alle erbe per alleviare il
dolore, dato che le era spuntato un enorme bernoccolo.
***
Quando il sole fece la sua comparsa sul villaggio doveva essere
prestissimo, Rebecca era in dormiveglia e si stava lentamente
coccolando nelle coperte, stiracchiandosi di quando in quando. Non
voleva alzarsi ma aveva dormito talmente tanto bene quella notte che
nel momento in cui aveva aperto gli occhi non era stata più
capace di riaddormentarsi. Il bernoccolo alla testa le dava un fastidio
tremendo ma cercava di non pensarci.
La sua prima ferita di guerra.
Rebecca stava fissando assonnata la stanza attorno, illuminata
solamente dai fiochi raggi del sole. L’alba era incantevole a
Chenzo e il tramonto non era da meno, Bec non sapeva decidersi se era
più bella l’alba o il tramonto. Fatto
sta’ che erano entrambi due spettacoli da mozzare il fiato.
Improvvisamente la porta d’entrata si aprì di
colpo e Gabriel fece la sua comparsa di prima mattina, stupendo persino
la ragazza che mai si sarebbe aspettata di trovarselo a
quell’ora.
“Ma tu non dormi mai?!” chiese stizzita, mettendosi
a sedere e coprendosi con la coperta.
“Dove sei stata?” urlò.
“Sono sempre stata qui” sussurrò lei,
con fare innocente.
“Ma ti rendi conto di quello che hai fatto?! Sono tornato a
casa e tu non c’eri! Ti ho aspettata tutta la notte alzato!
Ti ho cercata dappertutto! Diamine, non potevi avvertirmi?!”
“Non c’è motivo che ti aggiorni in
continuazione dei miei spostamenti, Gabriel” disse duramente.
“Ero preoccupato! Pensavo fossi stata rapita!”
“Calmati! Sto bene, sto benissimo!”
gridò in risposta, cercando di sovrastare la voce del
ragazzo.
Gabriel parve per un attimo calmarsi e rimase a guardarla con il viso
livido dalla rabbia.
“Non farlo mai più”
Uscì, sbattendo la porta.
L’ultimo rumore che Rebecca sentì fu lo sfrusciare
del suo mantello contro la porta.
“Cos’era quel casino?!”
domandò a per di fiato Rosalie, correndo in sala con un
misero pigiamino e i capelli tutti arruffati dalla corsa.
Puntò gli occhi indagatori su Rebecca che stava facendo
finta di dormire sperando che la ragazza la smettesse di urlare.
Rosalie, molto preoccupata, era sicura di aver sentito suo fratello
Gabriel inveire contro Bec per qualcosa che non le era ancora chiaro,
si era svegliata di soprassalto non appena la porta
d’ingresso sbattè rumorosamente e
ricordò di aver sentito anche delle urla. Gabriel se
n’era andato da n’anche due minuti ed era
impossibile che Rebecca si fosse di nuovo addormentata.
Rosalie le fu vicina e le diede uno scrollone.
“Rebecca! Lo so che non stai dormendo!”
Bec, ovviamente, cercò di continuare con la recita.
“Uhm…che vuoi, Rosalie? Non vedi che sto
dormendo?” il tutto lo disse con una perfetta imitazione di
una voce impastata da sonno.
“Ma fammi il piacere! Se fino a due minuti fa ti ho sentita
urlare!”
Rebecca non ne poteva più. Le faceva male la testa ed era
distrutta dalla conversazione avuta con Gabriel. Decise di darla vinta
alla ragazza.
“Va bene! Mi alzo!” disse, esasperata.
“Oh, bene. Che voleva mio fratello di così urgente
da venire qui a svegliare tutti alle cinque di mattina?”
“Le cinque di mattina?! Sono davvero le cinque di
mattina?!” non poteva crederci, era veramente molto presto e
il suo ritmo normale richiedeva un sonno fino a mattina inoltrata.
“Che hai?!”
“È prestissimo!”
“Non ti distrarre!”
“Appena torno a casa mi sente quella specie
di…”
“Rebecca!”
“Eh?!”
“Cosa voleva Gabriel?”
“Sgridarmi!”
“Eh?”
“Quando stanotte mi sono fermata a dormire non l’ho
avvisato e lui ha passato la notte a cercarmi in lungo e in largo
perché credeva che mi avessero rapita. Che
assurdità…”
“Davvero?” Rosalie era sbalordita.
Al cenno del capo di Rebecca, rimase interdetta.
“Nascerà un nuovo amore…?”
“Ma non farmi ridere!”
Bec si alzò gesticolando e lanciando in giro la coperta nel
tentativo di slegarsela dal corpo, lasciò la stanza con
un’aria a dir poco infastidita.
Rimase fino a pomeriggio a casa di Rosalie, con una breve sosta fece un
giro per il villaggio prima di tornare a casa, era quasi sera e il buio
si faceva avanti pian piano. Non era entusiasta di tornare a casa,
cercò più che poteva di allungare la via del
ritorno fermandosi ogni tanto davanti qualche casa o fabbro.
Passò via la piazza principale con la fontana che, in
quell’ora, il rumore dell’acqua era il solo a farsi
sentire. Se Bec incontrava qualche passante lo salutava educatamente,
mentre l’altro si esaltava per attirare al massimo la sua
attenzione. Girovagava con una lentezza e una pesantezza
imparagonabili, indossando una delle tutine che le aveva dato Rosalie e
che appartenevano, un tempo, ad Adele.
Rebecca si chiese se avrebbe mai visto quella donna al villaggio, da
quel che aveva sentito era una girovaga e per troppo poco tempo si
fermava a casa. Chiese a Rosalie se era davvero necessario che usasse
tutti i vestiti di Adele, si sentiva una ladra a dover abusare di cose
altrui senza che gli altri lo sapessero ma la ragazza aveva riso alla
sua domanda, dicendole che non doveva preoccuparsi, che se non avesse
accettato i vestiti sarebbero finiti sul fuoco al primo freddo.
Per quanta strada aveva voglia di fare, ad un certo punto si
trovò davanti casa. Le luci erano tutte spente, apparte
quelle della cucina. Attraversò il vialetto e
aprì la porta (a Chenzo, serrature e chiavi non erano usate,
ognuno poteva entrare in casa tua quando voleva).
“Sono tornata” disse, urlando a casaccio.
Non sentendo risposta del ragazzo si affrettò a raggiungere
l’entrata e lo vide in cucina mentre stava mangiando qualcosa
di identificabile.
“Mi domandavo se avrei dovuto anche questa notte venire a
cercarti. Ti sei stufata di scappare” disse Gabriel, non
prestando attenzione alla ragazza in piedi davanti a lui ma sfogliando
distrattamente un libro.
“In realtà non ho mai voluto scappare”
esclamò Rebecca un po’ offesa.
Ma per chi la prendeva?! Per una bambina viziata che alla prima
difficoltà se la dava a gambe levate?
“Come va la testa?”
“Cosa?”
“La testa. Ho sentito che ti è venuto un bel
bernoccolo” disse, e sembrava quasi divertito.
“Tutto bene, sopravviverò. Anche perché
non ti darò mai la soddisfazione di farmi vedere
debole” disse la ragazza, sedendosi davanti a Gabriel con uno
sguardo provocatorio.
“Sono veramente contento per te, anche perché
domani abbiamo un altro addestramento, stesso posto, stessa ora. Ci
stai, vero? O devi ancora riprenderti?” a quel punto Gabriel
aveva smesso di leggere il libro e la guardava con aria di sfida.
“Non sai in che guaio che ti sei
cacciato…” disse, con un sorriso malizioso.
“Perfetto, non vedo l’ora di battermi come si deve.
Useremo sempre i bastoni, per le spade è presto e vedi di
non montarti la testa troppo in fretta”
“Ah-Ah, e tu vedi di mantenere le promesse: niente magia.
Troppo facile sennò vincere!” lo accusò.
“Non ho mai detto che sarei stato leale fino in
fondo” disse Gabriel, portandosi in avanti per fronteggiarla
meglio.
“Sei un angelo bianco! Il bene per il prossimo e la
lealtà dovrebbero far parte del tuo corredo
genetico!”
“Ero un
angelo bianco” e qui, una vena di nostalgia dipinse il suo
bel volto.
“Beh, fa lo stesso. Comunque sappi che hai imbrogliato e da
ora in poi non fido più di te!”
“Che cosa?! Tu sei completamente partita. Quando ti ho
salvata dai Sentori nella foresta pensavo fossi più timida e
indifesa, invece ora che imparo a conoscerti scopro che sei
completamente pazza”
“Pensala come vuoi, io invece con te ho imbroccato da subito.
Si vede che ho occhio, io,
per queste cose” sbottò la ragazza, indicandosi
prima l’occhio e poi sé stessa.
In tutta risposta il ragazzo indicò prima lei e poi si
picchiettò la tempia.
Inutile dire che risero entrambi.
“Io vado a letto” annunciò Gabriel,
appena smise di ridere.
Si alzò, posò sul bancone il libro e si diresse
verso le scale. Si fermò nel primo scalino e
guardò Rebecca ancora seduta sulla sedia.
“Non vieni?”
“No, aspetterò che una colomba venga da me e mi
porti un fuscello d’ulivo, che si metta a ballare la mazurca
e che mi canti tanti auguri, anche se oggi non è il mio
compleanno”
Il ragazzo inarcò le sopracciglia.
“Scherzavo! Ovvio che vengo! Cosa vuoi che rimanga a fare in
cucina che ormai è buio?!”
Si alzò e con passo felpato raggiunse Gabriel, arrivando a
sorpassarlo mettendosi nel terzo gradino. In quel momento era
più alta di lui e non le dispiaceva per niente vederlo
dall’alto.
“Tu proprio le battute non le capisci, eh?”
Gabriel la guardava ancora come se fosse una matta appena scappata dal
manicomio.
“Ah, che tristezza di ragazzo che sei” e percorse
le scale trascinando i piedi dal sonno.
Gabriel non ci mise molto a raggiungerla e, dopo averle augurato la
buona notte, entrò nella sua stanza.
***
Il mattino dopo Rebecca aveva talmente tanto sonno che decise di
saltare la colazione per rimanere a sgranchirsi nel letto. Aveva
sentito dei passi poche ore prima, doveva essere Gabriel che, con una
sveglia al posto del cervello, si era alzato per andare a correre.
Rebecca non capiva che senso avesse, per un ragazzo con un fisico
perfetto come quello di Gabriel, alzarsi alle sei di mattina per
mantenersi ancora più in forma di quanto non lo fosse
già. Senza contare che anche durante il pomeriggio e la sera
si allenava.
“Quello è schizzato” mormorò
sbadigliando, aprendo la bocca al massimo delle sue capacità
estensive.
Ancora in pigiama scese le scale e con una mano continuava a sfregarsi
il viso cercando di far svegliare gli occhi e di abituarli alla luce
del sole. I capelli spettinati e il pigiama corto la rendevano una
specie di campeggiatrice.
Solamente nominare “campeggio” le metteva ansia.
Brutti ricordi e
spiacevoli conoscenze.
Arrivò in cucina e aprì le ante, prese del latte
e mentre se lo stava versando in una tazzina scolorita qualcuno le
piombò alle spalle, afferrandola per le spalle.
“Buh!”
Dopo aver cacciato un urlo e aver fatto spandere il resto del latte
rimasto nella confezione si girò sconvolta.
Gabriel era lì, davanti a lei, in una tuta da ginnastica blu
scuro, i capelli sudati gli ricadevano nel viso e sugli occhi, quella
mattina, erano ancora più azzurri. Per non parlare dei
capelli. Erano, con i riflessi del sole, di un biondo dorato e che
parevano pagliuzze d’oro.
La bellissima visione e lo stupore provato scomparvero subito
dall’anticamera del cervello di Rebecca. Certi impulsi e
pensieri erano meglio evitarli.
“Gabriel! Mi hai prendere un colpo! Ti è esploso
il cervello?! Guarda che casino che mi hai fatto
combinare…” disse lamentandosi, mentre afferrava
uno straccio.
Gabriel non pareva averla sentita, stava ancora sorridendo e lo
scherzetto gli era parecchio piaciuto. Rebecca quando si arrabbiava era
veramente carina.
“Sei stato a correre?” chiese, mentre strizzava il
panno in un bacile di legno.
“Sì, una bella corsa, non c’è
che dire. Vado a farmi la doccia”
“Posso chiederti una cosa?”
Il ragazzo, un po’ sorpreso, annuì.
“Fa preparare a me la doccia, sono un esperta in queste cose,
ho una capacità innata di trovare la giusta
quantità di acqua calda e acqua fredda”
Gabriel acconsentì, guardandola dirigersi verso il bagno.
Dopo cinque minuti lo chiamò dal bagno. Lui la raggiunse,
entrò in bagno, la fece uscire, chiuse la porta e
iniziò a spogliarsi. Entrò, aprì la
doccia e un fiotto d’acqua uscì prorompente.
Rebecca intanto stava attraversando il corridoio e con
un’aria fiera non aspettava altro se non il momento di
sentire l’acqua aprirsi.
Un ghigno compiaciuto le attraversò il viso nel momento in
cui sentì Gabriel gridare di dolore.
“Dannazione!!! L’acqua è
bollente!!!”
***
Nel pomeriggio Gabriel e Rebecca erano pronti per il secondo
addestramento. Gabriel non le aveva perdonato lo scherzetto della
doccia, lei si era giustificata con la scusa che anche lui le aveva
fatto prendere un colpo.
“Non è la stessa cosa! Potevo lasciarci le
ali!” aveva urlato, correndo fuori dalla doccia, con un
asciugamano legato in vita e tutto il corpo arrossato.
“Ma se non le hai n’anche le ali!”
Dopo quello spiacevole incidente Gabriel rimase indisposto nei
confronti di Rebecca, si sentiva preso in giro mentre la ragazza
continuava a ridere sguainatamene alla vista della sua pelle rossa.
Sembrava un fungo!
Le cose andarono senza dubbio meglio nel pomeriggio, dato che dovevano
lavorare insieme avevano deciso di fare una piccola tregua anche se
Gabriel l’aveva minacciata di vendicarsi.
Rebecca in risposta aveva fatto una finta faccia spaventata.
Si posizionarono come l’altra volta uno di fronte
all’altra e Bec attese il segnale di Gabriel.
Quel giorno decisero di cambiare il posto in cui si sarebbero
addestrati: abbandonato il circolo d’erba si sistemarono in
un terreno erboso con quale sasso, sulla sponda di un piccolo torrente.
In sottofondo non mancavano comunque i boschi e il sole scottava nel
cielo.
Gabriel sorrise furbescamente, guardò la ragazza con un
ghigno, gli occhi tirati per l’accecamento del sole.
“Non so perché ma so che mi divertirò
un mondo questa volta”
In tutta risposta Rebecca sorrise compiaciuta. “Sei sempre
stato un pessimo indovino Gabriel, chissà che anche ora tu
non debba ricrederti”
“Vedremo”
“E niente trucchetti, imbroglione che non sei
altro”
“Paura?” la sfidò, con piacere.
“Di vincere?”
Stava iniziando un confronto psicologico a chi prendeva
l’ultima parola.
Anche in quella giornata combatterono con due bastoni e Rebecca, prima
di iniziare, inspirò profondamente sentendo dentro di
sé un’immensa forza crescere.
Si sentì per la prima volta forte.
Hai la guerra nel sangue,
le avevano detto.
Gabriel diede il via e come un leone che accerchia la sua preda
attorniò la ragazza, che calma e tranquilla teneva tutta la
situazione sotto controllo prestando attenzione ai movimenti del
ragazzo.
Gabriel attaccò dall’alto e lei parò il
colpo con il bastone sopra la testa, il ragazzo si ritirò
per riattaccare e non appena si allontanò Rebecca ne
approfittò per andargli addosso.
Prima un colpo basso, poi roteò su sé stessa e
infierì a Gabriel un colpo sulla schiena.
Rebecca si stava mentalmente domandando come diavolo faceva ad essere
così veloce e brava, era come se tutti i movimenti e i passi
li sapesse già. Come se avesse già imparato a
combattere, le veniva piuttosto facile e spontaneo attaccare, schivare
e anche quando fece un balzo indietro rimase sospesa in aria
fluttuando.
Era perplessa, una nuova persona, una nuova forza stavano nascendo in
lei conferendole riflessi pronti ed elasticità. Sicuramente
nella Terra non avrebbe potuto fare niente di tutto ciò, ma
lì, a Chenzo, la forza di gravità non esisteva
per chi lo credeva possibile e le creature magiche potevano utilizzare
le loro potenzialità come se fosse la cosa più
normale da fare.
Nel momento in cui Rebecca abbassò la guardia, spaventata
dalla sua stessa bravura, Gabriel, da dietro,
l’attaccò.
Sarebbe stato un colpo vincente se non fosse per il fatto che Bec,
all’ultimo secondo, ebbe la perfetta percezione di quello che
stava accadendo, a rallentatore vide tutto come se avesse avuto gli
occhi anche per dietro.
Si girò di scatto sorprendendo il ragazzo che, in aria dopo
aver saltato, ricevette in pieno petto il bastone della ragazza che
ebbe la capacità di farlo cadere per terra con un solo
movimento del braccio.
Appena Gabriel si ritrovò disteso al suolo, Rebecca si
posizionò sopra di lui a cavalcioni. Il bastone era a pochi
centimetri dagli occhi del ragazzo, glieli avrebbe perforati se solo lo
avesse voluto.
Comprendendo di aver ormai vinto, Rebecca, si tolse dal corpo di
Gabriel e lo aiutò ad alzarsi.
“Avrei dovuto puntare qualcosa sulla mia vittoria”
disse orgogliosa.
La vittoria la rendeva ancora più felice.
Gabriel la osservava sbalordito, non riusciva a credere che dopo
così poco tempo fosse riuscita a batterlo. Senza contare che
era agli inizi, doveva ancora arrivare ad apprendere la magia e il vero
combattimento.
L’allenamento, che si presentava una facile vittoria per il
ragazzo, si rivelò invece un’amara sconfitta.
Con fare indifferente Gabriel si complimentò con lei,
sebbene si sentisse demoralizzato.
“Complimenti, non c’è che
dire”
“Finalmente ho dimostrato che sono degna di stare
qua”
“Su questo non c’è dubbio”
“E ora che si fa?”
“In che senso?”
“Si, dai…insomma…voglio provare a farlo
con le spade, corpo a corpo, imparare a fare i salti mortali e le
capriole in aria e…”
“Si, ok. Ho capito, è inutile che gli
mimi”
Gabriel aveva interrotto Rebecca nel momento in cui la ragazza stava
mimando con ardore una strana mossa di karate, sembrava un orso.
Penoso.
“Sai Gabriel, perdere ti rende peggio di un riccio con gli
aculei” gli fece notare Rebecca, con il cipiglio alzato.
“Continueremo ad allenarci con le armi e ti
insegnerò ad usare il tuo corpo negli scontri, poi, la
prossima settimana, sarai pronta per imparare qualcosa di
diverso”
“Che cosa?”
“La magia”
“Veramente?!”
Bec era a dir poco euforica.
“Sì, ma se continui a rompere faccio presto a
tirarmi indietro e a darmi per disperso” disse con
severità.
Gabriel aveva preso le sue cose e si era allontanato dal ruscello.
“Antipatico…” brontolò
Rebecca, sottovoce.
“Ti ho sentita!” le urlò lui, qualche
metro più avanti.
***
Il castello del signore del Male era situato in una roccaforte in cima
ad una montagna di rocce scure e precipizi. Tutt’attorno si
estendevano lande desolate, non una sola forma di vita prosperava in
quelle terre: solo il deserto, con la sua sabbia chiara, ricopriva quel
posto dannato.
Il castello di Dark Threat era scuro e al suo interno sembrava
disabitato, era silenzioso e ombroso. L’oscurità
era l’unica cosa che ancora si muoveva in quelle mura di
morte. Pochissime finestre illuminavano i corridoi e le fioche torce
appese alle pareti conferivano ai passanti la sensazione di essere in
prigione.
Qualcuno bussò alla porta.
La camera da letto di Dark Threat era tanto enorme quanto spoglia,
tutta in sassi e con una gigantesca finestra ad arco senza vetri che
dava sull’immenso deserto dove era facile e comodo vedere la
presenza di nemici.
“Avanti” disse una voce, scura e profonda come
quella del demonio.
Un uomo, una sentinella a guardia del palazzo, si fece avanti timoroso,
si poteva notare come le sue gambe stessero tremando dalla paura.
“Signore, mi ha fatto chiamare?”
Dark Threat era di spalle, guardava fuori dalla finestra e indossava un
mantello con il cappuccio alzato che ricadeva sul suo viso, nascondendo
la malvagità che si celata dietro.
“Vezzen, ho una perplessità”
“A che proposito, mio Signore?”
“Chiudi la porta”
Vezzen, servo privato e fedele, fece come gli era stato detto. Rimase
in silenzio, aspettando che il suo padrone parlasse.
“Non mi è piaciuto per niente alzarmi stamattina e
sentire un odore nuovo in questo mondo” Mortimer
spostò leggermente la testa, come a voler controllare che il
suo servitore fosse realmente nella sua stanza.
“Sento che è arrivato, ed è una
ragazza. Giovane, per di più. Una perfetta preda per il tuo
Signore”
“Cosa vorreste fare in proposito?”
domandò Vezzen, con una calma apparente…in
realtà non vedeva l’ora di lasciare quella camera.
“Voglio che tu invii delle spie al villaggio, dille di
controllare la nuova arrivata. Voglio quante più
informazioni possibili su di lei”
“Ok, mio Signore. C’è altro?”
Mortimer girò su sé stesso e un orribile ghigno
dipinse il suo volto. Vezzen indietreggiò
impercettibilmente.
“Oh, sì. Non fallire, non deludermi”
Vezzen ingoiò a fatica e rimase ipnotizzato quando gli occhi
di Mortimer indugiarono su di lui, scoperti dal cappuccio lo fissavano
duramente.
Erano rossi come la sabbia del deserto.
Erano un pozzo di malignità.
Erano l’inferno.
***
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Capitolo 8 *** Vicini e lontani ***
Cap. 8 - VICINI E
LONTANI -
Erano
passate tre settimane da quando Rebecca era arrivata a Chenzo, tre
settimane faticose e piene di impegni. Ogni mattina, come
d’abitudine, la ragazza si alzava, aspettava che Gabriel
tornasse dalla corsa mattutina, facevano addestramento, pranzavano e
poi ritornavano a casa per dormire.
Il resto
della giornata lo passavano insieme, loro due, vagando e imparando.
Gabriel si stava dimostrando un ottimo maestro, le aveva insegnato di
tutto: dalle piante che vivevano a Chenzo, alle proprietà
curative dei fiori e delle erbe, a come orientarsi con la volta celeste
che era molto diversa da quella terrestre. Le ordinava costantemente di
leggere dei tomi che avevano a che fare con tecniche di combattimento e
ogni volta che assimilava i concetti, lui l’aiutava a
metterli in pratica.
Gabriel
aveva promesso, ancora tre settimane prima, che le avrebbe insegnato ad
usare la magia ma per una cosa o per l’altra aveva fatto
slittare a più avanti quella lezione.
Secondo
Gabriel, la ragazza era ancora troppo indietro nel combattimento ad
armi per imparare così presto la magia ma Bec non ci
credeva, era solo una scusa per non correre troppo con i tempi.
In
realtà Rebecca era diventata bravissima nella lotta, era
arrivata ad un livello tale di meditazione che, con la sola forza del
pensiero, poteva arrivare a far tutto. Bastava che pensasse a voler
fare un doppio salto mortale sopra un tronco per riuscire in pratica a
farlo.
Era veloce e
agile, e aveva quella percezione dei sensi così accurata che
riusciva, concentrandosi, a captare ogni singola forma di vita in un
fascio d’erba.
Gabriel
ammirava compiaciuto tutti i progressi che lei portava a termine,
domandandosi in continuazione come dannazione facesse quella ragazza
così impacciata e snervante ad essere
un’insopportabile macchina per la guerra.
Gabriel
ricordava con ardore i tempi in cui era stato un apprendista e gli dava
non poco fastidio quando pensava a Rebecca che in tre settimane aveva
quasi completato l’addestramento, mentre a lui, per arrivare
a quei livelli, gli ci erano voluti anni.
Senza dubbio
era degna di essere la figlia dei due angeli più potenti mai
esistiti, evidentemente la loro forza si era trasmessa in quella
ragazzina.
I loro
rapporti erano migliorati, se prima battibeccavano spesso e non si
sopportavano a vicenda ora erano riusciti a ridurre al minimo gli
scherzetti e le prese in giro. Mantenevano uno stato di decenza.
Portarono la loro forzata convivenza ad un piacevole livello.
Sia Rebecca
che Gabriel comunque si divertivano un mondo a fare i dispetti
all’altro, di sera qualche volta facevano la lotta nel divano
per accaparrarsi il diritto di andare in doccia per primi oppure la
mattina facevano a gara per chi riusciva a prepararsi la colazione
prima dell’altro, e così dicendo…
Ogni scusa
era buona per scherzare e ridere con l’altro, arrivavano
anche alle mani in alcuni casi ma non si facevano mai male sul serio,
lo facevano con ironia e per puro divertimento.
Grazie
all’improvvisa forza che era cresciuta in lei, la ragazza era
anche diventata più spensierata, autosufficiente e
riuscì ad avere una forte autostima di sé stessa,
giusto quel tanto per osare dove gli altri si fermavano prima.
Esempio
della sua spavalderia era quello di disturbare continuamente Gabriel
mentre, la sera, leggeva sul divano.
Rebecca
sapeva quanto a Gabriel desse fastidio essere interrotto mentre leggeva
o mentre era concentrato, e lei ci provava gusto nel fargli perdere le
staffe.
Erano vivaci
ma non cattivi, e stavano diventando molto uniti.
***
“Sei
lento, Gabriel!” gli urlò mentre correva, veloce
come una gazzella lungo la pendenza di un monte.
Il ragazzo
non rispose, continuò con fatica a correre, con il fiatone e
i capelli sudati che gli ricadevano scomposti sulla fronte. Rebecca era
più avanti di lui, all’inizio era riuscito a
seminarla ma poi lei con uno scatto lo aveva superato, e ora la storia
andava avanti così da più di un’ora.
La corsa era
fondamentale per allenare il corpo e Gabriel, grazie al suo continuo
footing mattutino, credeva di essere insuperabile.
Peccato che
non avesse tenuto conto degli stupefacenti miglioramenti della ragazza,
e ora si ritrovava ultimo in una piccola gara a due persone.
E lei non
perdeva tempo per deriderlo.
“Ti
muovi come un orso, Gabriel!” continuava a strillare, venti
metri più avanti.
“Giuro
che se non ti tappi quella boccaccia ti faccio del male!”
disse il giovane, con una voce così roca e il fiato
così irregolare che sembrava stesse avendo
l’ultimo spasmo di vita.
Rebecca
rideva di gusto.
“Sì,
sì…come no…”
Rebecca non
si era mai sentita più libera come in quel momento: con il
tramonto ad est e i monti verdi su cui correre, l’aria che sa
di pulito e il cielo arancione. Non un grattacielo, non una macchina,
niente di sporco, solamente la natura, incontaminata e selvaggia.
L’odore
del legno e di pino le arrivava chiaro e distinto attraverso le narici
e l’ossigeno continuava ad entrarle in corpo, si riciclava e
le permetteva di continuare a correre. Instancabile.
Era da ore
che correvano e lei si era ripromessa che non si sarebbe fermata
finchè Gabriel non si fosse arreso, voleva vedersi
vittoriosa.
Era
consapevole dei suoi miglioramenti e delle sue capacità.
Controllava
ogni tanto che Gabriel fosse sempre dietro di lei e quando ne aveva la
certezza si lasciava portare dalle sue gambe, con gli occhi chiusi si
faceva cullare dall’erba.
Gabriel, che
non ne poteva più di essere secondo, decise che era arrivato
il momento di cambiare i ruoli. Caricò il peso sulle gambe e
con le ultime forze che gli restavano in corpo aumento la
velocità protraendosi in uno scatto.
I metri che
lo separavano da lei erano sempre meno.
Diciotto.
Dodici.
Dieci.
“Ehi,
Rebecca! La facciamo finita?”
“Solo
quando mi avrai superata, lumaca!”
Otto.
Cinque.
“Sicura?”
“Quando
mai scherzo?!”
Quattro.
Tre.
Due.
Uno…
“Vinto!”
urlò Gabriel, l’aveva superata e lei neppure se
n’era accorta.
Il ragazzo
saltava dall’euforia, rideva e si gustava quel momento.
C’era mancato poco perché il suo orgoglio andasse
ancora una volta calpestato, era lui l’uomo, era lui il
maestro e il giorno in cui la sua allieva l’avrebbe superato
nella corsa era lontano anni luce.
Bec invece
non rideva per niente, lo guardava storto e con il fiato veloce.
“Non
vale” disse senza voce, ora doveva pensare a ritrovare
l’ossigeno perduto.
“Sì
che vale, signorina tartarugona”
Rebecca
incassò il colpo e abbassò la cresta, non
c’era niente di male ad essere battuti dal proprio
insegnante.
“Ok,
ho perso, hai vinto tu. Tanto io rimango comunque più bella
di te” esclamò fiera, dandosi delle arie da gran
donna.
Bugia,
ma in qualcosa doveva pur sempre superarlo.
Non era vero che lei era più bella di Gabriel, poteva
passare con un: “carina” ma lui senza dubbio era
bellissimo. Ma che importava?! Meglio riderci su, in qualcosa doveva
farsi vedere migliore: tanto valeva puntare sull’aspetto
fisico.
Era partito
tutto come un semplice scherzo, un’autopresa in giro, peccato
che qualcosa non andò come aveva programmato.
“Non
dovresti dire queste cose”
“Eh?
Cosa?”
“Tu
sei bella” la corresse, come si corregge di solito un errore
madornale.
Gabriel non
intendeva certo essere carino con lei ma quel doppio senso lo disse
senza nemmeno rendersene conto.
Questo, lo
lasciò di stucco. Si stava già rimangiando
ciò che aveva detto. Alzò gli occhi al cielo,
nervoso, sperando che lei non fraintendesse o travisasse le sue parole.
Ci mancava solo che un’adolescente alle prime armi
s’invaghisse di lui, sarebbe stato imbarazzante e impossibile
da gestire.
Cercò
di porre rimedio.
“È
un dato di fatto, non parlo personalmente, lo sanno tutti, compresa te,
che sei carina!”
Forse fu dal
modo convincente in cui lo disse oppure dalla bravura
nell’aver mascherato l’errore, che Rebecca
cacciò dalla mente l’idea che si era fatta di lui
in quell’attimo.
Appena
sentì Gabriel pronunciare quella frase si stupì
di trovarlo così schietto, senza n’anche pensarci
aveva detto una cosa ed era convinto. Poi, due secondi dopo, le aveva
chiaramente fatto capire che lui non intendeva farle un complimento,
voleva mettere in chiaro le cose come stavano: lui
l’insegnante e l’amico; lei l’allieva e
l’amica.
“Sei
morta?”
Gabriel si
era avvicinato a lei e le sventolava la mano davanti alla faccia per
controllare che non fosse andata in trance.
Bec si
scosse bruscamente.
“Sembravi
una statua di cera” scherzò il ragazzo, che un
po’ alla volta rideva sempre di più.
“Senti
chi parla! Mister Muso Lungo…”
“Alcune
volte non ti sopporto” disse Gabriel, con
semplicità, scuotendo la testa.
“Sei
così misterioso…” sillabò la
ragazza, seguendo un filo logico tutto suo. Era rimasta indietro con i
pensieri.
“Che
cosa centra, adesso? Ti sto parlando di una cosa e tu te ne salti fuori
con quest’affermazione.
L’ho
sempre sospettato che ci arrivi sempre dopo rispetto alla
media”
Gabriel la
guardava come di solito si guarda un paziente malato di una strana
patologia mentale.
“Sei un caso perso, dai retta al maestro”
“Guarda
che le interconnessioni dei miei neuroni stanno benissimo!”
sbraitò Rebecca, cercando di difendersi dalle sue accuse.
“E
allora che vuoi?” domandò Gabriel, esasperato.
“Stavo
solo pensando a quanto tu sia maledettamente freddo! Ghiacciolo, che
non sei altro!”
“Io?
Freddo?”
“Sì,
tu! Sei la persona più misera di sentimenti che abbia mai
conosciuto! Non mi meraviglio che non sei mai riuscito a dire a nessuno
“ti voglio bene”.”
“Ma
come ti permetti?! Non è vero!”
La
conversazione stava prendendo una brutta piega. Entrambi erano molto
orgogliosi e nessuno avrebbe ceduto per primo.
“Dimmi
Gabriel, è così difficile mostrare a qualcuno i
tuoi sentimenti?!”
“No,
ma non trovo l’utilità di spargerli
ovunque!”
“Ma
io sono tua amica” disse Rebecca, improvvisamente calma e
dolce.
“Non
centra niente” sbottò, frustrato.
“Con
me puoi parlare se vuoi”
“Mai”
“E
allora resta solo”
Il loro
rapporto era così: un giorno erano come cane e gatto mentre
il giorno dopo ridevano insieme, come due veri amici. Era da quasi un
mese che si conoscevano e sebbene Gabriel si ostentasse a voler
rimanere estraneo ai rapporti di amicizia ci cascava ogni volta,
trovando sempre piacevole la compagnia di Rebecca.
Gabriel
iniziava ad adorare i momenti in cui, quando tornava a casa dalla corsa
mattutina, trovava la casa in ordine, la colazione pronta e Bec che
girovagava con un tomo in mano in pigiama, con i capelli scomposti e
l’aria assente.
Trovava
confortevole la sera quando prima di andare a letto, controllando che
tutto fosse apposto, lei continuava a sgridarlo per le sue manie da
femminuccia.
Ma mai
avrebbe dichiarato i suoi sentimenti.
Represse i
suoi impulsi e decise di accontentarsi di rimanere per lei un lupo
solitario.
“Sono
sempre stato solo” disse, con una faccia da cane bastonato ma
dura allo stesso tempo.
Lei
ammutolì all’istante. Stava provando pena per lui
e per la prima volta avrebbe voluto andargli vicino e abbracciarlo
forte. S’impose di rimanere ferma al suo posto e chiuse forte
il palmo della mano per dare un freno alla serie di emozioni
contrastanti che la stavano distruggendo.
Gabriel
notò il suo irrigidimento e decise che era meglio andare via
da lì il prima possibile.
“Rientriamo”
Bec lo
seguì con il capo chino, sfregandosi le mani nervosamente.
“Scusa”
disse la ragazza, dopo un po’ di tempo.
Gabriel
mantenne la sua camminata composta ma dentro ebbe un tuffo al cuore.
Nessuno, che non fosse stato della famiglia, era mai stato con lui
così dolce.
Si
trovò ad essere in imbarazzo anche se la sua maschera di
cemento copriva tutto.
“Lascia
stare, fa niente”
Rebecca
s’illuminò. Con enorme gioia gli corse accanto.
“Comunque,
secondo me, sarebbe meglio insegnarti qualche tecnica di approccio per
un futuro, sei troppo noioso. Cosa farai se qualche ragazza volesse
avvicinarsi a te e tu…?”
“Taci”
Anche se
Gabriel tentò di fermarla prima che lei iniziasse uno dei
suoi tanti monologhi, non riuscì a farla smettere, la sua
carica esplosiva e la sua vivacità erano troppo contagiose e
alla fine cedette.
La
lasciò parlare.
***
Mortimer era
impaziente. Restava fermo, immobile, con lo sguardo che si perdeva
oltre il tramonto, verso l’infinito, ma era impaziente.
“Signore,
la spia è stata informata dei vostri piani. È
pronta per partire” disse la vocina di Vezzen, dal fondo
della stanza.
“Bene”
Mortimer
rilassò i muscoli e, impercettibilmente, sospirò
sollevato.
***
Era sera, il
piccolo villaggio circolare emanava sprazzi di luce dalle lanterne
accese fuori dalle abitazioni. Era quello il momento ideale per farsi
una camminata di riflessione. Rebecca si sentiva molto meglio se prima
di andare a letto faceva un giro per rinfrescarsi le idee. La pace e la
quiete della notte l’aiutavano molto, e lei doveva pensare.
Pensava a
quanto strano era il destino: mai avrebbe detto che in quel posto si
sarebbe trovata bene, all’inizio la prospettiva di essere
stata separata dai genitori l’aveva traumatizzata mai
poi…
Erano poche
le volte ormai che ricordava Marta e Jonathan Burton, brutto a dirsi ma
era così.
Non si
aspettava nemmeno che la convivenza con Gabriel andasse così
bene, l’aveva irritata da subito la presenza del ragazzo che
andava in giro per casa senza il minimo riguardo ma se si fermava a
pensarci avrebbe scoperto che ora era diventato
l’incontrario: l’avrebbe dispiaciuta una
separazione da Gabriel.
Rebecca non
aveva avuto amici maschi, semmai con loro aveva avuto storie
d’amore, brevi ed intense ma non era mai riuscita ad
installare con l’altro sesso un rapporto che non andasse
oltre l’amicizia. Si stupì nel constatare a quanto
bello fosse avere un amico maschio, protettivo e così
diverso da lei da andare persino d’accordo. Era un
completarsi a vicenda.
Rebecca non
credeva agli amori che nascevano da antiche amicizie, e lo ripeteva
anche un famoso detto:
“Da
una grande amicizia non potrà che esserci un debole
amore”
E lei quando
conosceva un ragazzo si faceva già mille castelli in testa,
lo vedeva da subito come un ipotetico ragazzo e perciò non
era mai riuscita ad avere un amico sincero, non era mai stata capace di
non sognare l’amore. Perché accontentarsi con un
ragazzo dell’amicizia? Per quello ci sono le amiche.
Però
ora poteva affermare di aver trovato il suo primo, vero, amico. Non
provava per Gabriel né interesse fisico (anche se le cose
erano com’erano e la bellezza del ragazzo non si poteva
negare) né interesse in una presunta storia amorosa. A mala
pena lo sopportava in certe occasioni, figurarsi starci insieme per
tutta la vita.
E alla
consapevolezza di questo si sentì felice.
Il villaggio
era deserto e non si udiva nessuno. La ragazza era appena uscita da un
vicolo quando si ritrovò davanti alla fontana inattiva.
Puntò
dritta verso la sua casa quando un rumore attirò la sua
attenzione. Si arrestò di colpo e cercò di
tendere le orecchie per capire la fonte di quello scricchiolio. Aveva
un che di minaccioso, altrimenti perché nascondersi dietro
ai cespugli?
E Rebecca
era sicura di due cose: la posizione e la persona.
Era un uomo.
Era dietro i
cespugli.
Strinse con
forza l’elsa della sua spada legata alla cintura che portava
in vita e mantenne la presa come per paura che l’arma le
scappasse via proprio quando ne avrebbe avuto bisogno.
Decise di
far finta di niente e proseguì, per dare l’idea
all’uomo della sua ignoranza. Naturalmente tutto il suo corpo
era rigido e contratto, pronto a ricevere l’attacco.
Procedette
di pochi passi quando una figura in nero spuntò fuori dalle
siepi, con un balzo le atterrò di fianco. Era un uomo alto,
con una lunga veste e il volto era coperto da un cappuccio scuro.
Rebecca
ringhiò e capì chi era.
Alcuni
giorni prima Gabriel l’aveva messa in guardia dai Nim,
creature umane con una grandissima abilità per le arti
marziali, in poche parole dei perfetti ninja da combattimento.
Servivano Mortimer e assecondavano le sue richieste da bravi burattini.
Rebecca non
era in grado di affrontarlo, almeno, non per il momento. Nelle arti
marziali era ancora troppo scarsa, dato che erano collegate al sapere
magico.
Si chiese a
che le serviva avere un maestro quando si trovava in quei casi ad
essere sempre impreparata.
Era la prima
volta che si trovava a combattere con un vero nemico, aveva sempre
lavorato a coppia con Gabriel e ormai non c’era
n’anche più gusto a torturarlo.
All’improvviso
la prese un’enorme paura.
Non aveva il
coraggio di uccidere. Non era preparata per quello.
Bec
cominciò a tremare e decise che la fuga era la miglior cosa
da fare in quel momento. Iniziò a correre, cercando di
seminare il Nim che aveva iniziato a muoversi.
Con grande
agilità la ragazza corse lungo le mura di una casa e si
aggrappò alle sue sporgenze finchè non si
trovò inginocchiata sopra al tetto. Controllò
dove fosse il Nim e lo vide in basso, che armeggiava con qualcosa.
Capì nel momento in cui una serie di lame si mossero nella
sua direzione. Con i riflessi pronti schivò tutti i pugnali.
Fece un balzo sul posto e roteando su sé stessa
sferrò un pugno all’ultima lama rotante mentre
questa era in movimento, ricacciandola indietro verso il suo
proprietario che la scansò senza problemi.
Veloce
Rebecca si fece di corsa tutti i tetti delle abitazioni, saltando da
uno all’altro e facendo attenzione a non essere intercettata
da uno dei pugnali che in quel momento volavano in tanti con una
precisione formidabile. La sua pelle era diventata dura come
l’acciaio e per fortuna le lame che la colpivano di striscio
non le facevano nulla. Il Nim, non avendo nessuna intenzione di
raggiungerla, si limitava semplicemente a seguirla da terra sperando di
colpirla prima o dopo.
Ma i suoi
pugnali o venivano deviati oppure rimbalzavano sulla pelle della
ragazza, tanto era forte la magia che scorreva nelle sue vene. Il suo
maestro, chiunque fosse, l’aveva protetta a dovere.
Con un balzo
Rebecca abbandonò i tetti. Fece una capriola in aria e
atterrò senza nessuna difficoltà sul terreno
umido. Dietro a lei il Nim aveva osservato il suo spostamento con
particolare interesse, ora non era più tanto distante da
lui.
Bec
continuò a correre come una guerriera nel campo di battaglia
e con rapidità, tutto avvenne nel giro di due secondi, prese
un bastone che era appoggiato lungo le pareti di una casa e lo
scagliò con tutta la forza che aveva in corpo verso il
nemico.
La
velocità del gesto non permisero al Nim di proteggersi dal
bastone che gli piombò addosso tramortendolo. Cadde a terra
privo di sensi.
Non
è morto.
La ragazza,
come una furia, si precipitò a casa e spalancò la
porta d’entrata con un tale chiasso che Gabriel, il quale
stava bevendo un thè sul divano, si ritrovò a
sputarlo fuori dallo spavento.
“C-C’è
u-un Ni-Ni…” faceva fatica a parlare, non aveva
fiato ed era ancora tremante.
Il ragazzo
la guardava furibondo.
“Spero
per te che sia una cosa grave”
“I-Io
ho co-comb…”
“Vuoi
un thè che poi te lo rovescio addosso io?”
“Un
Nim” disse, tutto d’un fiato.
Gabriel si
alzò come scottato e si avvicinò a lei
prendendola per le spalle.
“Dov’è?”
“È
poco distante dalla casa di Bastian, è svenuto…io
non sapevo che fare e l’ho lasciato là,
io…” le lacrime iniziarono a sgorgare lente dai
suoi occhi.
“Non
ti preoccupare, ci vado subito. Sei stata bravissima” disse
con tenerezza, raggiungendo la sua guancia umida e posandole le fredde
labbra.
Rebecca
smise di piangere immediatamente, il bacio di Gabriel doveva essere
stato un tocca-sano. Si sentì all’istante
tranquilla e si calmò.
Il ragazzo
uscì dalla porta ancora aperta e la richiuse.
***
Tornò
dopo due ore. Rebecca era rimasta alzata per aspettarlo, avvolta in una
coperta e in pigiama, nell’oscurità del suo
salotto.
Aveva gli
occhi persi e fissava il vuoto. Le era andata bene. Anche
perché non si era trovata nella condizione di doverlo
uccidere, grazie al cielo aveva trovato un bastone con cui colpirlo.
Si strinse
ancor di più alle sue ginocchia quando fu percossa da alcuni
brividi.
Gabriel
entrò e si meravigliò di trovare tutto buio. La
chiamò.
“Rebecca?”
“Sono
qui” disse lei, alzando una mano e sventolandola.
Il ragazzo
si spostò vicino a lei e la guardò per accertarsi
che stesse bene.
“L’abbiamo
preso, ora non c’è niente che tu debba temere.
Probabilmente era una spia mandata da Mortimer per farti fuori
ma…non aveva fatto i conti della tua bravura”
“L’avete
ucciso?” chiese in un sussurro appena percettibile.
Il mutismo
di Gabriel diede la conferma ai suoi timori.
“Gabriel,
io ho un enorme problema”
“Cos’hai?”
domandò il ragazzo, facendosi avanti.
“Io
non riesco ad uccidere” disse, vergognandosi a morte.
Gabriel
rimase per qualche secondo stupito. Pensava fosse qualcosa di peggiore.
“Ora
non è un problema. Bec, sei alle prime armi e trovo giusto
che tu non ti senta ancora pronta ad uccidere un uomo ma devi capire
che se non lo farai tu, lo faranno loro senza pensarci due volte. La
tua sopravvivenza è fondamentale, non devi permetterli di
farti del male, meglio loro che te. Non credo che tu preferisca morire
per salvare loro”
“Mi
piace quando mi chiami con il mio soprannome”
Un sorriso
tirato solcò i suoi zigomi e fece ridere anche Gabriel. La
vergogna era svanita e l’allegria era pronta a tornare in
quella casa.
“Però
Gabriel, ora devi per forza insegnarmi la magia altrimenti rischio
grosso la prossima volta” era di nuovo a suo agio e la
vitalità stava tornando.
“Domani.
Te lo prometto” disse, e andò verso la cucina,
facendo un po’ di luce.
“Davvero?
Giurin-giurello? Lo sai che di te non mi fido più
molto”
“Te
lo giuro, potessi morire” affermò convinto,
disegnandosi con il pollice una croce sul petto.
“Non
è divertente”
“Sei
tu la fifona, io della morte non ho paura”
“Io
invece vorrei vivere per sempre”
Rebecca
ironizzava ma Gabriel non si lasciò sfuggire uno strano
bagliore accendersi nello sguardo della ragazza, una luce nuova nei
suoi occhi era appena nata.
***
Nello stesso
momento in cui Rebecca si addormentò, Gabriel
uscì di casa. Camminava ma sembrava che fluttuasse, tanta
era la sua grazia.
Bussò
alla porta, il silenzio era palpabile. Una ragazza bionda gli
aprì la porta, era la ragazza più bella che
avesse mai visto e ogni volta si stupiva davanti alla sua
femminilità.
Con voce
impastata dal sonno la ragazza gli disse, cordiale:
“Entra”
Gabriel non
se lo fece ripetere due volte, varcò la soglia e la ragazza
chiuse con aria assorta la porta, girandone la chiave.
***
Vezzen
correva lungo gli oscuri corridoi del palazzo. Affannava e arrancava
nel buio, la sua bassa e grossa statura lo faceva sembrare ad uno gnomo
goffo e impacciato, pronto a ribaltarsi sulle sue stesse, corte, gambe.
Aveva fretta
di portare la notizia al suo Signore e il ritardo non era mai perdonato.
Bussò
con un po’ troppa forza alla porta della sua camera da letto
e subito si pentì di aver usato quei modi così
poco decorosi.
La porta si
aprì da sola con un sonoro crack.
“Perché
mi disturbi, Vezzen?”
Dark Threat
mantenne un tono calmo e pacato ma si notava dalle sue occhiate
infuocate che era scocciato dell’intrusione.
“Signore,
il Nim che aveva assegnato per l’incarico è morto,
mio Signore. A quanto pare Gabriel l’ha ucciso”
“Gabriel…”
ripetere quel nome gli fece tornare in mente molti ricordi.
“Sì
Signore, l’ex angelo bianco” aggiunse Vezzen,
cercando di mostrare la sua acutezza nelle conoscenze.
“Tanto bianco non è stato” disse
Mortimer, quasi divertito.
Ci fu un
momento di silenzio, Vezzen era teso più che mai mentre Dark
Threat era in preda ad alcuni pensieri riguardanti il passato. Poi
Mortimer parlò.
“Il
Nim è stato ucciso. Ma che peccato…”
disse, e non sembrava per niente dispiaciuto, anzi, sembrava ci stesse
provando gusto.
“E
siamo sicuri che l’abbia finito il caro Gabriel?”
“L’ha
ucciso lui, sì, ma era stato precedentemente colpito
dall’angelo” aggiunse.
“L’angelo?”
Mortimer si stupì, Vezzen non aveva parlato
dell’angelo precedentemente.
“Sì,
mio Signore. Gli ha fatto perdere i sensi e poi è stato
Gabriel a dargli il colpo di grazia” disse Vezzen, con un
mezzo inchino.
“Però…”
“Dispiace
anche a me, Signore, per la morte di un nostro alleato”
“Dispiacersi?
Nient’affatto. Io trovo che tutto stia andando alla
perfezione”
E rise.
Mortimer rise a lungo, una risata isterica e crudele.
***
Rebecca si
svegliò quella mattina con un gran mal di testa, con le
braccia stenche sopra la testa si stava preparando a scendere dal
letto. Diede una rapida occhiata al suo orologio che era ancora
regolato con l’orario della Terra.
Le 11:00.
“COSA?!”
Bec
schiattò in piedi e come una saetta tentò di
togliersi dai piedi le lenzuola che erano cadute. Dopo vari
tentennamenti uscì dalla camera e corse giù per
le scale con tanta pesantezza che sembrava ci fosse in casa una mandria
di elefanti.
“È
tardi!” urlò, in preda al panico.
Scese in
cucina e chiamò Gabriel, ma non le arrivò nessuna
risposta e si bloccò sull’entrata. Rimase
impampalata con le braccia ancora alzate dopo aversi fatto la coda ai
capelli ed ebbe un dubbio mega-gigante.
Che fine
aveva fatto il ragazzo?!
Si
portò la mano sotto il mento ed entrò in una fase
contemplativa.
Allora,
Gabriel avrebbe dovuta svegliarla alle nove non appena fosse tornato
dalla corsa mattutina, alle dieci e mezza avrebbero dovuto avere
l’addestramento e…
Ma che ci
faceva ancora a casa?
E,
soprattutto, dove diavolo era Gabriel?!
Non era da
lui saltare le lezioni! Semmai era lei quella lavativa…
Arrivò
un altro dubbio.
Corse come
una papera al piano superiore, percorse il corridoio ed
entrò nella camera da letto di Gabriel.
Ordinato
com’era la mattina appena si svegliava la prima cosa che
faceva era il letto. Poi, per tutto il giorno, raramente ritornava
nella sua stanza. Soltanto la sera, quando leggeva, si accasciava sulle
lenzuola.
La cosa che
meravigliò la ragazza fu di trovare ancora le pieghe nelle
lenzuola della sera precedente. Era una prova schiacciante: Gabriel
aveva passato la notte fuori.
Ma con chi?
“Chi…”
sussurrò Bec, e per uno strano motivo a lei sconosciuto si
sentì infastidita.
Riprese in
fretta il comando delle proprie azioni e fece un lungo respiro.
La yoga le
aveva insegnato molto.
In fin dei
conti, a chi importava con chi era stato Gabriel?
A
me per niente!
Era grande
abbastanza per poter fare quello che più desiderava, lei non
gli avrebbe di certo detto niente, avrebbe fatto finta di non sapere
nulla. Appena fosse tornato a casa lo avrebbe accolto come sempre,
né una domanda né un’accusa. Non era
certo sua madre! Era la sua amica e gli amici non dovrebbero
comportarsi come persone gelose.
Si sedette
al tavolo della cucina e animalescamente addentò un pezzo di
pane.
“Non
m’importa…” ripetè, con la
bocca piena, cercando di convincere sé stessa.
Dopo dieci
minuti, il tempo che Rebecca finisse di mangiare, la porta si
aprì.
Gabriel
entrò, era visibilmente stanco, aveva le occhiaie e doveva
aver dormito sì e no tre ore in tutta la notte.
Chissà
perché, pensò con gli occhi ridotti
a due fessure.
I cattivi
pensieri di Bec vagavano, tormentandola.
Gabriel si
accorse di lei e vedendola corrucciata e con le braccia incrociate,
sospirò.
“Scusa,
mi sono completamente dimenticato dell’allenamento. Mi
dispiace ma io…”
Niente
domande, non sei sua madre.
Sei
sua madre?
No!
Ecco,
e allora stai zitta!
“Dove
cavolo sei stato tutta la notte, eh?!” era arrabbiata e
glielo si poteva benissimo leggere dalla sua espressione.
Il ragazzo
inarcò le sopraciglia.
“Sono
stato fuori, ecco tutto” disse tranquillamente, lasciando
intendere che non aveva voglia di parlarne.
“No,
tu adesso me lo dici!” il suo tono di voce non lasciava
scampo.
“Toretto,
non vorrei essere scortese con te ma…” Gabriel si
avvicinò alla ragazza che era rimasta ancora ferma al suo
posto, incollata al pavimento. “…sono fattacci
miei”
Rebecca gli
diede una leggera spinta che lo mandò indietro.
“Saranno
pure fattacci tuoi ma tu hai anche delle
responsabilità!”
Sembrava
ferita e Gabriel non capiva il perché.
“Ma
che ho fatto?!” chiese disperato, vedendo che la ragazza era
sull’orlo delle lacrime.
“Me
l’avevi promesso!”
Una scossa
accese la mente di Gabriel. Ora sì che si sentiva un verme.
“Dovevo
insegnarti la magia…” la sua voce era appena
udibile.
“Potessi
morire” e lei riportò
l’identica frase che il ragazzo le aveva detto.
Gabriel
rimase zitto, sapeva quanto Rebecca ci tenesse a quel tipo di
addestramento e capiva perché lei avesse smesso ormai da
tempo di credergli.
“Ora
dovrei ucciderti” sussurrò la ragazza, e nel suo
sguardo era dipinta un’enorme delusione.
Gli
passò davanti e si diresse verso la porta.
“Dove
vai?” gli chiese Gabriel preoccupato.
“Affaracci miei” gli fece l’eco, e poi
scomparve.
***
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Capitolo 9 *** L'origine della magia ***
Cap. 9 -
L’ORIGINE DELLA MAGIA-
Gabriel non
si dava pace. Stava percorrendo la stanza da cima a fondo da
più o meno due ore, in poche parole, da quando Rebecca se
n’era andata sbattendo la porta.
Non appena
fosse tornata a casa sicuramente quel suo comportamento tanto
deplorevole sarebbe stato punito. Non si faceva così: se
aveva qualche problema con lui avrebbe dovuto risolverlo a
quattr’occhi, senza troppe cerimonie, non comportandosi come
una bambina viziata e maleducata.
Ma
ciò che a Gabriel bruciava di più non era, come
lui stesso si convinceva, il mancato rispetto della ragazza, quanto
piuttosto non gli era chiaro il motivo che l’aveva spinta ad
agire in quel modo così poco decoroso senza dare nessuna
motivazione.
Un’idea
in testa il ragazzo ce l’aveva ma gli sembrava improponibile
come soluzione. Decise di aspettare il ritorno della ragazza, anche se
quel momento apparve tardare sempre di più.
Nel primo
pomeriggio, la casa non godeva ancora della presenza di Rebecca e
Gabriel, infastidito, prese il mantello che aveva appoggiato poche ore
prima sul divano e se lo fece passare sulla schiena.
Arrivò
alla porta che era particolarmente slanciato, tanta era la voglia di
uscire a cercarla, e l’aprì con forza. Fece per
mettere piede sul primo gradino quando una figura seduta sulle
gradinate lo fece inciampare. Gabriel si ritrovò con il
sedere a terra e il cappuccio che durante il volo gli si era portato
sugli occhi, nascondendoli la vista.
Lanciando
una serie di insulti il ragazzo si tolse il cappuccio dal volto.
Bec,
accucciata, con le braccia che le circondavano le gambe, era seduta sul
primo scalino e lo guardava sconvolta. Aveva sentito la porta aprirsi
ma non aveva fatto in tempo a scansarsi che si era sentita qualcosa
batterle la schiena e poi aveva visto Gabriel volarle a mo di tuffo
sopra la testa.
Il ragazzo,
troppo imbarazzato, finse un’aria freddamente composta.
“Sei
la persona più pericolosa che io abbia mai
conosciuto!”
Rebecca si
rabbuiò e gli rispose a tono.
“Senti
da che pulpito viene la predica!”
“Dimmi
Rebecca, non è che per caso sei sempre stata qui
fuori?!”
“Ottima
intuizione Gabriel, mi sorprende solamente che i tuoi sensi ci abbiamo
messo molto a capirlo!” disse, con un tono talmente gelido
che il ragazzo stesso rimase interdetto per qualche secondo.
“Ma no! Non mi dire…n’anche ti eri
accorto che ero qui fuori!” lo derise Bec, centrando in pieno.
“Finiscila.
Solo perché non mi sono accorto non vuol dire che non ero in
pensiero”
“C’hai
messo due ore per capire che eri in pensiero”
Gabriel si
rialzò e con una manata si ripulì il lungo
mantello, dandosi un’austera compostezza.
Camminò
fino alla ragazza e si sedette vicino a lei. Nessuno dei due
parlò.
Gabriel
fissava lontano.
Rebecca si
sorprese più volte a fissarlo di profilo. Tossicò
nervosamente, sentendosi a disagio messa in quella situazione.
“Beh,
io entro” disse alla fine, non trovando un motivo valido per
rimanere.
“Aspetta”
con una sola parola Gabriel la zittì e lei si rimise seduta.
“Io…questa
notte sono stato da…”
“No!
Non lo voglio sapere!” Rebecca si tappò
le orecchie e fece una smorfia disgustata.
Gabriel la
guardò strizzando gli occhi.
“Mi
hai fatto una scenata perché volevi sapere dov’ero
stato! E ora ti tappi le orecchie?! Ma che cosa sei?!”
“Sono
una persona!”
“Allora
mi senti anche se hai le orecchie tappate…”
sorrise.
“Non
m’interessa sapere con chi sei stato!”
“COSA?!”
Gabriel
scoppiò a ridere in faccia alla ragazza, che si stava
agitando nel suo posto per non starlo a sentire, per non sentire il
nome di qualche ragazza che avrebbe potuto conoscere o aver intravisto
nel villaggio. Alla vista del ragazzo piegato in due dalle risate
Rebecca si bloccò e lentamente liberò le orecchie
dalle mani che lasciò sospese in aria, tanto era confusa.
“Se
ti faccio tanto ridere potevi dirmelo subito…”
disse altezzosa, passandosi un dito fra le ciocche dei lisci capelli
color cioccolato.
Gabriel
parve calmarsi, riuscì a parlare con qualche
difficoltà.
“T-Tu…credevi
che…” e riprese a ridere.
Ma
che ci trova da ridere?
“Guarda
che di solito si ride perché qualcosa ti fa ridere! Non mi
pare che io abbia fatto una battuta e neppure che io sia una
barzelletta vivente!”
“Tu
pensavi che io fossi stato con una ragazza, stanotte?”
domandò, Gabriel.
“Beh,
veramente io…” iniziò ad essere timida
e impacciata. Capendo che doveva aver frainteso tutto,
arrossì violentemente.
“No”
“Eh?!”
“Non
sono stato con nessuna” disse Gabriel, e smise di ridere,
tornando a fissare serio in volto lo stesso punto nel vuoto.
“Non
prendermi in giro, bugiardo che non sei altro”
scattò tutt’un tratto Rebecca, che dopo essere
stata zitta a lungo spaventò Gabriel, che si stava abituando
alla pace e al silenzio.
“Smettila
di irritarmi!” le saltò su il ragazzo, arrabbiato
per lo sclero improvviso.
“Se
i tuoi sensi sono ad uno stadio primitivo i miei sicuramente non lo
sono! Sento il tuo odore! Odore di femmina!”
“Femmina?!
E che roba è? Semmai ragazza, impiastro che non sei
altro…”
Bec, per
tutta risposta all’offesa recatagli, gli sferrò un
pugno sullo stomaco. Gabriel si piegò in due dal dolore.
“Grazie”
disse Rebecca, distendendo un lieve sorriso, guardando con un ghigno
malefico il ragazzo che ancora si lamentava come un lattante.
“D-Di
cosa?!” chiese, con una nota di sarcasmo nella voce.
“Mi
sono sfogata” rispose a tono, beata, portandosi le braccia
sopra la testa e abbandonando la schiena contro la porta.
“Ma
prego, fai pure…” esclamò con enfasi il
ragazzo.
“Ok”
e detto ciò la ragazza gli sferrò un altro pugno
nello stesso punto di prima, facendo aumentare ancor di più
al ragazzo il dolore al ventre.
“Non
ti ammazzo adesso perché rischierei l’esilio, ma
aspetta che tu finisca la tua missione…” disse
Gabriel minacciandola, offuscato dal dolore.
“Tremo
di paura…” lo prese in giro lei.
“Comunque
sono stato da Rosalie” disse Gabriel, seguendo un filo di
pensiero tutto suo.
Rebecca ne
fu contenta e, stando bene attenta a contenere la gioia,
domandò, come se la cosa nemmeno la toccasse:
“E
come mai?” si guardava le unghie delle mani con fare
schizzinoso e dimostrava disinteresse.
Gabriel fece
un ghigno, che comparve sul suo lato destro della bocca.
“Dovevo…parlarle”
Vedendolo
incerto non se la diede a bere.
“E
di cosa?” punse, fastidiosamente la ragazza.
“Affari
personali. Se permetti è mia sorella e avevo
delle…cose da chiarire con lei”
“Ma
io sono la tua unica amica!” protestò, mettendosi
addosso una faccia supplichevole.
“Smettila!”
la sgridò, e borbottando rientrò in casa.
Rebecca si
sentiva addosso un magone in meno, soffiò sulla fronte per
scostare la frangetta e seguì spedita il ragazzo dentro
casa. Dopo due ore che era rimasta fuori, la sorprese
l’oscurità che era calata.
“Uhm,
si vede che il padrone di casa era arrabbiato”
azzardò, con una battuta che non piacque per niente a
Gabriel.
“Finalmente
posso mangiare” disse Rebecca, stravaccandosi in una sedia e
mordendo una fetta di torta che Delia aveva gentilmente portato loro il
giorno prima.
Se con
Rosalie, Bec, era riuscita ad instaurare un buon rapporto di amicizia
con gli altri non ne era stata capace, specialmente con
Denali…quel ragazzo le metteva paura. Quando passeggiava per
strada e gli incontrava, gli salutava cordialmente ma raramente
venivano a trovare lei e Gabriel.
Questo
perché loro, a differenza di Rosalie, non avevano nulla a
che fare né con Gabriel né con Rebecca.
Se Rosalie
era legata ai due ragazzi e li vedeva una volta al giorno, gli altri
tre, non avendo nessun motivo per venire a trovarli, se ne stavano a
casa propria. Denali, Kevin e Delia erano state solo delle reclute
ingaggiate a tenere compagnia a Gabriel durante il suo alloggio sulla
Terra, finita la missione divennero come degli sconosciuti.
Difficilmente
Bec si sarebbe fidata di loro in caso di pericolo.
“Quando
ritorna Adele?” domandò la ragazza, meravigliando
il ragazzo che non si aspettava una simile domanda.
“Io…non
lo so. Una volta che parte non si sa mai quando
tornerà” disse, risoluto.
“Ah”
“Non
ti conviene, dato che oggi non ti sei allenata, approfittare della
giornata e andare a farti una corsa?”
Rebecca
parve pensarci su, l’offerta era allettante.
“Uhm…si
dai! Così almeno mi distraggo. Stare a casa con te
è una noia…” esclamò,
suscitando un’irritazione in Gabriel.
“Io
sarei noioso?!” chiese Gabriel, indicandosi con il dito per
accertarsi che fosse veramente lui la persona in questione.
“Si,
proprio tu. E ora me ne vado”
Rebecca si
chiuse la porta alle spalle ridendo della faccia che aveva visto sul
viso di Gabriel. Adorava farlo arrabbiare e dopo essersi
“chiariti” si sentiva sempre meglio. Il sole
brillava in cielo e l’aria era frizzante, le era proprio
venuta voglia di fare una corsetta liberatoria, poi sarebbe ritornata a
casa e avrebbe passato una piacevole notte.
In men che
non si dica Rebecca si ritrovò a correre senza soste lungo
tutto il villaggio, salutando gli abitanti e facendo qualche deviazione
per i viottoli delle case. Non poteva immaginare quante nuove case
c’erano all’interno dei vicoletti, paralleli alle
strade principali, non ci aveva mai fatto caso e per un momento le
parve di percorrere una strada di Phoenix, con i grandi caseggiati e
grattaceli di fianco e gli squallidi appartamenti al di sopra.
Corse per il
vicolo e quando fece una curva si trovò davanti a
sé un alto muro, che annunciava la fine del passaggio.
Avrebbe potuto facilmente saltarlo via ma la prima cosa che fece fu di
fare dietrofront con l’intenzione di ritornare, il prima
possibile, lungo la via principale.
Si
girò di scatto e già pronta per correre quando si
ritrovò a terra, scaraventata da qualcosa che le si era
parato d’innanzi.
Un ragazzo
alto, ben piazzato e con i capelli scuri la guardava
dall’alto al basso.
Rebecca si
alzò, scansando la mano che il giovane le aveva offerto per
aiutarla a rialzarsi.
Ora che ebbe
il tempo di guardarlo meglio notò due profondi e glaciali
occhi grigi, una pelle talmente abbronzata e perfetta che per qualche
istante rimase a contemplarlo. Non aveva mai visto quel ragazzo nel
villaggio e, se l’avesse visto, sicuramente se lo sarebbe
ricordato.
Alto, fiero
e prorompente aveva tutta l’aria di essere un guerriero,
orgoglioso e vivace fin dentro l’anima. I suoi muscoli si
tesero nel momento in cui allungò il braccio verso la
ragazza.
Con un
sorrisino furbo le diede la mano, sfoderando una schiera di bellissimi
denti bianchi. Con l’altra mano si scansò
allegramente i ciuffi dalla fronte.
“Piacere,
Rebecca. Speravo proprio di conoscerti, guarda caso non in questa
circostanza” disse, con una voce fanciullesca ed entusiasta.
Bec strinse
la sua mano morbida e con un sorriso imbarazzato ricambiò la
stretta.
“Come
fai a conoscermi?” chiese, venendo completamente contagiata
dal sorriso del ragazzo.
“Mio
zio, Bastian, mi ha parlato subito di te…e delle
tue…doti” disse, con fascino.
“Bastian
è tuo zio? Non ti ho mai visto a Chenzo” ammise
lei, a proprio agio in quella conversazione.
“Sono
arrivato da poco al villaggio, rimarrò qui per un
po’, finchè non si saranno calmate le acque nel
mio paese” disse e un improvvisa ombra di tristezza gli
attraversò il volto abbronzato.
“Sei
scappato da Mortimer?”
“Dark
Threat…” la corresse, duramente.
“…ha attaccato la mia casa e io sono
l’unico che è riuscito a scappare.
Tornerò non appena mi sentirò di nuovo al
sicuro”
“Come
ti chiami?” domandò, curiosa e totalmente presa
dal giovane, dimenticandosi per un momento che proprio quel ragazzo
poco prima l’aveva sbattuta a terra.
“Atreius”
disse fiero, come se quel nome rappresentasse un’invincibile
garanzia.
“Nome…alquanto
originale”
“Ti
prego, mi daresti l’onore di accompagnarti a fare un giro?
M’interessa molto quello che potresti raccontarmi”
Rebecca
sbattè gli occhi un paio di volte.
Di certo
quell’Atreius non si dava problemi a rimorchiare una ragazza
sola e indifesa.
“Ma
certo” disse, e si fece condurre dalla sua nuova conoscenza
al di fuori del vicolo buio.
***
Quella che
doveva essere una semplice e formale camminata divenne ben presto una
formidabile intesa tra i due ragazzi, tanto che passarono
l’intero pomeriggio a parlare.
Si stesero
su un prato verde e ammirarono il cielo confidandosi di tutto, da tempo
Bec non si sentiva così serena e a suo agio con qualcuno.
Sebbene la presenza di Gabriel la confortasse, con lui non faceva altro
che scontrarsi, non poteva dire di aver avuto in quel periodo una vita
sociale molto attiva. Ma con Atreius era tutto diverso, si capirono
all’istante, legarono da subito e avevano molte cose in
comune.
Atreius, da
quello che le aveva detto, veniva da una povera famiglia di contadini
al confine tra la terra magica e il regno delle tenebre. Sua madre,
Magdala, era scomparsa quando lui era molto piccolo e solo il padre si
era preso cura di lui. Era cresciuto in quelle verdeggianti vallate,
libero e ribelle, fino al giorno in cui Mortimer non attaccò
il suo villaggio, distruggendo tutto quello che a lui era
più caro: suo padre non riuscì a sopravvivere e
nemmeno il resto degli abitanti. Le case, le calde e accoglienti
taverne, i campi coltivati…tutto bruciato. Il fuoco fu una
piaga per quella gente. Il fuoco, marchio del potere maligno. Marchio
di un mostro senza pietà.
Rebecca nel
sentire quel racconto così triste, non potè non
provare una forte rabbia dentro di sé, voglia di vendetta e
di giustizia.
Senza farsi
notare ammirò il profilo marcato di Atreius e vi vide i
segni della devastazione, il mento e gli occhi erano rigidi, induriti.
Il ragazzo parve per un momento scialbo, più vecchio dei
suoi vent’anni e Rebecca ne rimase colpita. Profondamente.
Allungò
la mano verso di lui e con un gesto tenero gliela posò sulla
spalla, confortandolo. Atreius all’inizio sussultò
al tocco leggero di lei ma poi, rilassandosi, si lasciò
toccare.
In quel
preciso instante seppe che tra lei e Atreius si era instaurato
qualcosa, che fosse amicizia o un affetto più profondo
questo ancora non lo sapeva. Sapeva solo che voleva aiutarlo,
accoraglielo e dargli tutto il suo appoggio.
“Vieni
a trovarmi quando vuoi, mi piace parlare con te” disse Bec,
amorevolmente.
Atreius fece
un cenno con il capo.
“Grazie,
sei gentile. Davvero” disse, in un sussurro, tanto che la
ragazza dovette avvicinarsi ancor di più a lui per poter
capire quello che aveva appena detto.
Il ragazzo,
approfittandosi della vicinanza, preso da un improvviso impulso,
spostò velocissimo la testa verso quella di Rebecca e le
loro bocche s’incontrarono.
Bec
spalancò gli occhi non riuscendo a concepire quello che
stava accadendo. L’unica cosa che sentiva era la bocca calda
e sensuale di Atreius muoversi sulla sua, la sua lingua che cercava la
sua. Atreius approfondì con una certa urgenza il bacio,
coinvolgendo alla fine anche Rebecca che si lasciò andare
totalmente a lui. Portò le sue fragili braccia a circondare
il collo abbronzato del ragazzo mentre Atreius, possessivamente, le
circondò i fianchi.
Qualcuno
dietro di loro tossì.
“Scusate…”
A Rebecca
partì un colpo al cuore.
Ecco.
Il
mio primo infarto.
Una voce
profonda e calma con una vibrante nota di fastidio.
La ragazza,
staccandosi dal corpo proteso di Atreius, con calma…molta,
molta calma si girò per accogliere Gabriel.
Vedendo il
viso tirato e freddo del ragazzo, pensò che questa volta
l’avrebbe uccisa sul serio ma niente di tutto ciò
avvenne: Gabriel, galante come sempre, riuscì comunque a
mantenere un tono autoritario e menefreghista. Squadrò con
occhiate gelide prima il ragazzo moro poi la sua allieva, le mani
appoggiate ai fianchi gli permettevano di trattenersi.
“Vieni
subito a casa” con queste poche parole Rebecca
scattò in piedi e in preda all’imbarazzo si tolse
nervosamente dei fili d’erba dall’uniforme, corse
di fianco a Gabriel e mantenne gli occhi bassi dalla vergogna
finchè Gabriel parlava con Atreius.
“Non
ti ho mai visto qui. Chi sei?” domandò, diventando
improvvisamente ostile e maleducato, come se stesse guardando un
eretico.
“Sono
Atreius, nipote di Bastian” disse il ragazzo, sostenendo alla
meglio lo sguardo di Gabriel.
“Che
diavolo ci fai nel nostro villaggio?” un’altra
domanda rivolta bruscamente.
A quel punto Bec intervenne in difesa di Atreius.
“Gabriel,
non mi sembra il caso di essere così scortese con un
ospite…” gli sussurrò
all’orecchio.
Gabriel non
disse niente, strinse i pugni e se ne andò. Lei lo
seguì con sguardo avvilito e capendo che era arrabbiato
decise di tornare a casa con lui.
“Io
vado” disse rivolta ad Atreius, salutandolo con la mano.
Atreius le
rivolse uno dei suoi sorrisi più belli e con un fascino
enigmatico la congedò con poche parole.
“Tanto
non mi scappi”
***
Tornati a
casa Rebecca si aspettava da parte di Gabriel una scenata, una di
quelle che non finivano più. E invece lui…che
fece? Se ne stette zitto. Entrò in casa, buttò il
mantello nel divano, andò in cucina e poi in bagno,
ignorando completamente Rebecca che lo osservava con sospetto come se
non aspettasse altro se non il momento in cui avrebbe dato di matto.
Quel momento sarebbe arrivato ma non quella sera.
Cenarono in
silenzio e le poche parole che si dissero furono frasi sbrigative o dei
monosillabi. La tensione era alle stelle e Bec capì che la
cosa non poteva andare avanti ancora per molto, non avrebbe sopportato
quell’ostilità anche l’indomani. Prese
un bel respiro e decise che, per il momento, era meglio lasciar
perdere, gli avrebbe parlato quando sarebbe stato più calmo.
Perché, anche se Gabriel dava l’impressione della
persona matura che non se l’era presa, a lei non
scappò l’occhiata di fuoco che le diede sulla
collina e anche i suoi silenzi significavano che era arrabbiato e che
preferiva starsene zitto.
Non le diede
n’anche la buonanotte, non giocarono nemmeno alla prova dei
riflessi e, con orrore di Rebecca, non si erano nemmeno azzuffati nel
divano. La situazione stava precipitando, avrebbe preferito che
l’avesse presa a pugni piuttosto che evitarla
così, come se fosse invisibile.
***
“Stamattina
ti insegno la magia” annunciò entusiasta Gabriel,
scendendo tutto trafelato in cucina, dove Rebecca stava facendo
colazione ancora in pigiama.
La ragazza,
vedendolo così di buon umore, aggrottò le
sopraciglia.
“Che
c’è?” chiese Gabriel, alzando le spalle
dinnanzi alla perplessità di Rebecca.
Lei
scrollò la testa come a voler scacciare un fastidioso
pensiero.
“Niente,
niente. È solo che oggi ti vedo
così…” disse, e inclinò la
testa per guardarlo meglio. “…felice”
concluse, non potendo trovare un termine più adatto.
“Perché,
ieri com’ero?”
Rebecca
spalancò la bocca.
Possibile
che non si ricordava più cos’era successo ieri?
Gabriel non aveva fatto scenate ma lei poteva giurare che un
po’ si era arrabbiato…ma da come si comportava
quella mattina sembrava aver rimosso tutto.
“Un
po’ silenzioso” rispose la ragazza con
l’angolo destro della bocca inarcato.
“Ieri
avevo la luna storta per via di una litigata avuta con
Denali” disse, piegandosi in due per far stare nello zaino
più provviste possibili, poi continuò:
“Che per fortuna abbiamo risolto. Poi, come se non bastasse,
te ne sei stata via tutta la giornata e quando ti trovo…cosa
fai? Ti baci con un merluzzo fritto sulle colline come se niente fosse!
Dovevi darmi il tempo di riprendermi! Non che la cosa mi importi
comunque, se vuoi stare con quell’Atroi…”
“Atreius”
lo corresse lei, seguendo con interesse il ragazzo, come se non
credesse alle proprie orecchie.
“Atreiucometipare…cioè,
se vuoi passare del tempo con lui fa pure! Ma sappi che tu, qui, hai
una missione da compiere e se fossi in te non m’impegnerei in
relazione serie, non avresti né il tempo né la
garanzia di portarle avanti”
Gabriel
finì di parlare nel momento stesso in cui riuscì
a chiudere la cerniera dello zaino, si rimise dritto con le braccia sui
fianchi e le regalò un generoso sorriso.
“Non
è troppo capiente, quello zaino?”
domandò Rebecca, indicando l’enorme massa di
stoffa che stava al centro della stanza.
“Che
t’importa? Tanto lo devo portare io” disse il
ragazzo, muovendosi avanti e indietro.
“Muoviti
a mangiare Rebecca, che ho voglia di partire”
esclamò, continuando a fare una corsetta sul posto,
impaziente di andarsene.
***
Rebecca
lasciò cadere pesantemente lo zaino a terra e lo
seguì stendendosi sull’erba, esausta. Con
difficoltà aprì gli occhi verso il cielo, il sole
le permise solamente di tenerli socchiusi ma a lei andava bene
comunque. Dei passi le fecero capire che Gabriel era dietro di lei.
“Per
fortuna che lo zaino dovevi portarlo tu!”
Anche
Gabriel imitò la ragazza e si accasciò sul
morbido prato, guardando Rebecca che, completamente stesa, sembrava
stesse dormendo.
“Sembri
un morto” scherzò, ridendo della sua battuta.
Bec finse un
risata lodatrice e tre secondo dopo fu addosso al ragazzo. Gli si
buttò contro, cercando di farli il solletico, mentre Gabriel
tentava di scrollarsela di dosso ridendo come un pazzo.
Rotolarono
insieme sul pendio travolgendosi a vicenda e dandosi lievi pizzicotti.
I loro corpi, avvinghiati e intrecciati, aderivano completamente.
Perfettamente.
Fu Bec, che
alla fine della corsa, si ritrovò vittoriosa sopra a
Gabriel. Frenò con i piedi e riuscì a mettersi
sopra al ragazzo gridando un: “ho vinto” mentre lui
rimase accondiscendente sotto di lei con le braccia e le gambe
rilassate, stese lungo il corpo.
Rebecca
aveva le braccia che andavano a racchiudere la testa di Gabriel, il
petto che aderiva completamente al suo e le gambe di lato che
però imprigionavano saldamente la gamba sinistra del ragazzo.
Avevano
entrambi il fiato corto e la fronte leggermente sudata, smisero di
ridere e i loro sguardi si incatenarono.
I loro volti
erano seri e nel modo in cui si stavano guardando sembrava che si
stessero scoprendo per la prima volta, gli occhi dell’uno su
quelli dell’altra erano profondi e attenti a studiare ogni
piccolo particolare.
Ansimavano e
da quanto erano presi in quel momento l’uno
dall’altra non riuscirono nemmeno a riprendere il fiato, il
respiro era veloce e con un ritmo martellante nel petto.
Potevano
sentire le scariche che attraversavano i loro corpi in fermento e una
lampadina si accese nella testa di Rebecca, dandoli un brusco
avvertimento.
Come
scottata la ragazza si tolse dal corpo proteso di Gabriel e
rotolò su un fianco per allontanarsi il più
possibile da lui.
Gabriel, in
lotta con sé stesso, rimase fermo in quella posizione e
chiuse gli occhi, facendo uno dei suoi esercizi respiratori.
“Sarebbe
meglio cominciare, maestro”
disse Bec, sottolineando l’ultima parola con
l’intenzione di mettere in chiaro la sua posizione di
allieva.
Gabriel, dal
tono così formale e distaccato di lei, aprì
improvvisamente gli occhi. Visibilmente infastidito si rimise in piedi.
Raggiunsero
il posto dove avevano lasciato lo zaino e solo allora Rebecca si
accorse di dov’erano. Cioè, non che non se ne
fosse accorta anche prima…semplicemente ora aveva il tempo
di ammirare quel paesaggio.
Dietro a lei
c’era una folta foresta di alberi mai visti: sembravano a dei
pini…se non fosse stato per il fatto che avevano dei
bellissimi fiori rosa.
Dopo la
foresta iniziava la collina di erba battuta, verde e con il tipico
odore di fresco.
Da dove si
trovavano loro era presente un sentiero non molto visibile che
affiancava l’intera vegetazione, curvandosi poi verso di
essa.
Davanti a
lei invece, dove il sentiero finiva, la collina iniziava con un ripido
tratto, fino a quando non si concludeva dando vita ad un precipizio
roccioso. Al di là del precipizio si innalzavo delle vette
assurdamente giganti, spoglie di qualsiasi vita e di una roccia chiara,
quasi azzurra. La punta di quelle montagne era appunta e la parete era
pericolosamente scivolosa.
Il
precipizio (che da quanto era profondo non si scorgeva la fine) non
faceva altro che separare da un lato le catene montuose e
dall’altro la collina con la foresta.
“Perché
mi hai portata qui?” chiese in un sussurro Bec, facendosi
inquietare dalla mostruosità delle montagne; avevano un che
di oscuro, di minaccioso.
“Perché,
che tu ci creda o no, questo è il posto in cui scorre
più magia in assoluto. E dato che a te, te ne serve molta di
magia, ho trovato opportuno portarti qui”
“Che
devo fare?” domandò, mostrandosi impaziente.
“Non
pensare che imparerai oggi tutto quello che c’è da
sapere sulle arti magiche. In questo giorno ti limiterai a farti carico
della magia, essa dimorerà in te grazie alla nascita delle
tue ali”
“Avrò
le ali? Oggi?!” esclamò, lanciando dei gridolini
eccitati.
Gabriel,
contento della sua euforia, le fece cenno di sì.
***
“Sapete
dov’è Gabriel?” chiese Denali, entrando
in casa di Rosalie e trovandosi tutti davanti.
“Penso
che sia andato nella collina di Arabek” rispose sbadigliando,
Kevin.
“E
tu come lo sai?”
“Rosalie,
anche se Gabriel è tuo fratello, dimentichi che è
il mio migliore amico”
Rosalie
parve offesa e cercò, con lo sguardo, l’appoggio
di Delia che però non parve accontentarla. Si
giustificò con una semplice alzata di spalle che Rosalie
capì all’istante.
“Delia,
solamente perché tu e Kevin state insieme
questo…questo non vuol dire che gliela devi dare sempre
vinta”
“Calmati,
non voglio prendere posizioni per delle sciocchezze come
questa” disse Delia, osservandosi il colletto della camicia
semi-aperto e ricevendo un’occhiata amorevole da parte di
Kevin.
Denali, che
era rimasto nell’entrata, raggiunse il trio accomodandosi nel
divano accanto a Rosalie. Al contatto con la pelle di lei, Denali, fu
in preda ad un bisogno improvviso di baciarla, strinse i pugni forte
per impedire che ciò accadesse. Rosalie se ne accorse e con
un’aria afflitta portò lo sguardo a terra.
Nessuno,
apparte Kevin e Delia, era a conoscenza della profonda infatuazione che
coinvolgeva Denali e Rosalie, un’attrazione così
forte che difficilmente i due riuscivano a frenare. Si trattava
solamente di puri bisogni e piaceri sessuali che non andavano oltre a
degli incontri fuggenti che avvenivano durante la notte.
Non era
iniziata da molto questa loro relazione segreta, diversamente da Kevin
e Delia che stavano insieme da anni, si era avviata pochi giorni dopo
il loro ritorno nel pianeta, dopo che avevano portato a casa
l’angelo.
La
brutalità e la virilità di Denali e la bellezza
accattivante e l’indole combattiva di Rosalie si erano
scontrate in una pericolosa relazione amorosa che a fatica riuscivano
ad evitare.
Non sapevano
n’anche loro se si amavano davvero o se era solo sesso, ma
pertanto che nessuno si poneva la domanda, nessuno ci pensava.
Con uno
scatto, che non passò inosservato a Kevin e Delia, Denali
ritirò la mano che quasi toccava la gamba lunga e snella di
Rosalie. La ragazza, sentendosi rifiutata, si alzò con
grazia e cambiò posto, sedendosi in una poltrona di fianco a
Kevin, sotto lo sguardo severo di Denali.
“Comunque,
perché cercavi Gabriel?” chiese, Delia.
“Ieri
abbiamo avuto una pesante discussione riguardo alla ragazza. A quanto
pare abbiamo idee diverse su ciò che è
convenevole e cosa no”
“Anche
a me ne ha parlato, subito dopo che abbiamo fatto ritorno dalla Terra.
Devo dire che ne sono rimasta totalmente sorpresa, è venuto
a trovarmi diverse volte…di notte” disse Rosalie,
rammentando quei spiacevoli ricordi.
“Ragazzi,
ma di che state parlando?” domandò Kevin, posando
lo sguardo prima su Denali e poi su Rosalie.
Delia fece
un cenno del capo, d’accordo con il suo ragazzo.
Rosalie e
Denali si guardarono per decidere chi tra i due avrebbe dovuto parlare
in rappresentanza dell’altro. Alla fine, prese la parola la
ragazza.
“Vedete,
Gabriel ha parlato a me e a Denali riguardo a delle sue
perplessità sulla ragazza. Ecco, lei…”
Rosalie si voltò verso Denali, in cerca di un aiuto che
però non arrivò. Perciò
continuò, più infastidita che mai.
“Secondo noi c’è la
possibilità che Rebecca abbia o avrà una tendenza
al lato oscuro una volta maturati i suoi poteri. Non dobbiamo scordarci
chi sono i suoi genitori e cosa hanno fatto alla sua età,
dobbiamo mettere in preventivo cosa farà suo padre quando
verrà a sapere che lei è sua figlia. Non
è da escludere che la voglia con sé, dalla sua
parte. Senza contare che durante la sua permanenza a Chenzo Rebecca ha dimostrato
preferenze verso quel lato della forza. Ricordate quando ci siamo
trasportati dalla Terra a Chenzo? Beh, Gabriel mi ha confidato che,
mentre a tutti noi era visibile il palmo destro della mano, a lei erano
raffigurati entrambi. Sapete cosa vuol dire tutto questo, vero? La mano
destra rappresenta il Bene, opposta è invece la mano
sinistra che da sempre rappresenta il Male. Il fatto che le si siano
presentate entrambe le possibilità ci dà da
pensare. Significa che la ragazza viaggia tra le due forze e che basta
poco a farle cambiare idea, nel bene e nel male, ma data la sua giovane
età, la sua ribellione alle regole, la smania di
potere…non farebbe altro che indirizzare la sua scelta verso
il lato oscuro. Gabriel si ostina a credere che tutto questo sia
solamente il frutto del suo DNA, che non siano comportamenti voluti
come uccidere o combattere, nei quali è la tua mente a
ragionare. Secondo Gabriel il fatto che a Rebecca compaiono entrambe le
mani è dovuto semplicemente al sangue che scorre nelle sue
vene e che lei non condividerebbe. Questo fino a
quando…”
“Fino
a quando lei non ha detto una frase molto insolita per un angelo
bianco” Concluse Denali, interrompendo Rosalie, che ora lo
guardava con astio.
“Se
volevi raccontarla tu la storia, bastava che me lo dicessi”
disse con durezza Rosalie, facendo rivoltare lo stomaco a Denali, che
però non si scompose e la lasciò continuare.
“A
quanti pare la frase circospetta che Rebecca avrebbe detto
è: “io vorrei vivere per
sempre”.”
Non appena
Kevin e Delia sentirono quelle parole fecero una faccia sconvolta.
“Non
può essere” disse debolmente Delia, portandosi una
mano alla bocca.
“Quella
ragazza va tenuta sotto controllo!” scattò Kevin,
preso da una paura improvvisa. “Non possiamo permettere che
riaccada!”
Tutti gli
altri nella stanza dinnanzi l’ira di Kevin, abbassarono
rispettosi lo sguardo. Prima che il signore delle tenebre prendesse il
nome e l’aspetto di Dark Threat altri non era che un giovane
angelo del bene: Mortimer. Un ragazzo prodigio che rovinò
tutte le aspettative e i sogni dei suoi maestri nel momento in cui
scoprì di essere il più grande e potente angelo
del Male. La famiglia di Kevin fu una delle tante famiglie che perse la
vita nel momento in cui Mortimer scappò dal villaggio. Preso
da un momento di follia uccise moltissime persone. Poi
scappò e si nascose in quelle lande desolate dove ora
sorgeva il suo castello. Quel giorno Kevin non solo perse suo padre e
sua madre, ma anche sua moglie e sua figlia.
Nonostante
la giovane età del ragazzo Kevin si era sposato prestissimo
con una ragazza che lui amava più della sua stessa vita, e
qualche anno dopo, all’età di vent’anni,
nacque sua figlia, una deliziosa bambina dagli occhi azzurri e i lunghi
capelli biondi del padre. Dopo la loro scomparsa tentò
più volte il suicidio, voleva morire, la vita non lo
appagava più e il solo camminare in quelle strade dove era
cresciuto gli si strappava il cuore.
Tutta
quest’autodistruzione nei suoi confronti durò
finchè non conobbe Delia, di qualche anno più
piccola di lui, figlia della locandiera del villaggio, era di una tale
bellezza e dolcezza che egli ne rimase colpito profondamente. Delia sin
da subito s’innamorò di lui ma, essendo stata
messa in guardia della sua tragica storia, mantenne sempre una certa
distanza, timorosa di potergli provocare altro dolore. Kevin smise di
resisterle un anno dopo che si erano conosciuti e con un impeto tale da
sorprendere entrambi si dichiarò. Spiritato da una nuova
voglia di vivere, Kevin, concentrò tutto sé
stesso nell’amore per Delia, diventando possessivo nei suoi
confronti e aggressivo se la sapeva in pericolo.
Ora, la
prospettiva che un altro angelo del Male circolasse per Chenzo
mandò in allarme Kevin, che, Delia lo sapeva, non ce
l’avrebbe fatta a sopportare un’altra perdita.
“Non
ti preoccupare, abbiamo tutto sotto controllo” disse Delia,
racchiudendo tra le sue tenere mani quella grande e callosa di Kevin.
Kevin,
ricordandosi quanto l’amava, la strinse a sé e le
baciò la fronte, ringraziandola mentalmente per la sua
comprensione.
“Ma
è così brutta come può sembrare
quest’affermazione?” chiese Delia, con un barlume
di speranza.
“Non
voglio dare troppo peso a questa cosa ma semplicemente mettervi al
corrente dei rischi che corriamo, in maniera che non vi trovino del
tutto impreparati” la confortò con apprensione,
Rosalie.
“Ma voglio anche farvi capire il peso di quelle parole, un
vero angelo bianco non potrebbe mai essere tanto attratto da una simile
opportunità di potere. Solo chi brama la fama e
l’invincibilità dell’anima
può volere tanto; l’immortalità
è una conseguenza dell’essere angeli, gli angeli
bianchi la accettano con disinvoltura e con scontata maniera mentre gli
angeli del male non fanno altro che ricercarla e anche se ce
l’hanno già, vogliono di più, sempre di
più. L’ultima cosa che ci disse Mortimer prima di
scappare fu: “io vivrò per sempre”. Ora,
certamente la frase in sé fa paura, ma non dobbiamo partire
prevenuti nei suoi confronti, non sarebbe giusto”
“Le
staremo vicini” disse Denali, con carattere.
“Certo”
“Ok”
“Va
bene”
***
Gabriel era
assai contento dei miglioramenti che aveva fatto come maestro, oltre ad
essere maturato aveva fatto maturare anche un’altra persona:
Rebecca. Era orgoglioso di quanto l’aveva potuta aiutare e di
quanto lui stesso avesse contribuito nella sua crescita, si sentiva
oramai parte di lei…come lei aveva preso una parte di lui.
Ora, mentre
la guardava da dietro, appoggiato ad un tronco sulla soglia della
foresta, non poteva che essere fiero di lei, Rebecca non immaginava
n’anche quanto lo appagava vederla così
migliorata.
Mentre lui
aspettava, lei, al limite del pendio, si stava preparando. Gli dava le
spalle e per questo non poteva sapere che faccia stava facendo il
ragazzo, la turbava saperlo dietro di lei e non avere idea di come la
stesse valutando.
Quello che
Gabriel le aveva detto di fare era a parole semplice: sfruttare la
magia presente nell’aria per irradiare il suo corpo, sentire
l’energia nuova scorrerle nelle vene, rilassarsi e al momento
opportuno liberarsi da qualsiasi peso. Solo allora le ali avrebbero
fatto la loro comparsa.
Il problema
era la pratica: era da venti minuti che Bec attendeva di essere colta
dalla sensazione di avere finalmente in sé la magia.
E Gabriel,
senza battere ciglio, attendeva. Paziente e bramoso allo stesso tempo.
Proprio
quando le forze la stavano abbandonando Rebecca si sentì,
tutto un colpo, come se il suo corpo si stesse spaccando, una scossa la
paralizzò, bloccandole qualsiasi movimento. Sembrava morta,
la sensazione era quella, eppure non lo era. La sensazione era quella
di essere lontana dal proprio corpo, leggera e talmente libera da poter
volare senza nessun peso.
Fu allora
che ne approfittò.
Prese un
profondo respiro e rilassandosi completamente unì le mani a
preghiera e quando le aprì insieme, come a creare uno spazio
sempre più grande, la sua schiena si illuminò.
Gabriel, che
dapprima fu preso da un improvviso colpo al cuore, ritornò a
fare l’indifferente, appoggiato al tronco, anche se non
potè impedire alla sua espressione di essere del tutto
ammirata.
Nel momento
in cui le ali di Rebecca si aprirono in tutta la loro bellezza Gabriel
ne rimase incantato, la guardava con fare possessivo e passionale.
Le ali,
intanto, candide e abbaglianti, erano appena sbocciate.
***
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Capitolo 10 *** Cadendo dalle stelle ***
Cap. 10 - CADENDO
DALLE STELLE -
Il sole
quella mattina picchiava parecchio e nel cielo uno squarcio di luce
invase Chenzo, nel momento stesso in cui Bec aprì le ali per
la prima volta nella sua vita. Provò un lieve bruciore
all’inizio, le parve, per un momento, che un profondo taglio
si stesse aprendo nella sua schiena, ma poi il senso di completezza la
rilassò completamente.
Poteva dirsi
soddisfatta di sé stessa. Con un sorriso a
trecentosessantacinque denti si voltò verso Gabriel che si
era tenuto in disparte per non fare da intruso in quel magico momento.
Il ragazzo si limitò (la sua vita era fatta di continui
limiti) a sorriderle discretamente, con un cenno del capo ma a Rebecca
non sfuggì quella nuova luce nei suoi occhi.
Sembrava che
Gabriel fosse…
Uhm,
interessato?
A lei.
Bec si diede
mentalmente della stupida solo per averci pensato. Non credeva le fosse
permesso avere certi pensieri riguardo…
E
poi, voglio dire, è di Gabriel che stiamo parlando!
Bec fece uno
strano gesto, come a voler scacciare una mosca fastidiosa, e, raggiante
come il sole, corse verso Gabriel che aveva mantenuto la sua
compostezza.
“Allora,
maestro, sono stata brava?” chiese, con malizia.
“Direi che un “discreto” vada
bene”
“Si,
certo…” disse, dandogli una pacca sulla spalla.
“Tanto lo so che pensi che io sia stata fantastica. Sai,
alcune volte vorrei vederti un po’ più
spontaneo”
Il ragazzo
la guardò malissimo.
“Per
prima cosa abbassa le mani. E poi, diavolo, non potresti richiudere le
ali?! Le tue piume mi stanno soffocando!” abbaiò,
ed effettivamente aveva ingoiato parecchie piume.
“Non
ci penso nemmeno!”
“Eh?”
“Ora
voglio proprio vedere com’è volare”
disse concitata, beccandosi un’occhiata di rimprovero da
Gabriel.
“Tu
non ti farai mai mettere i piedi in testa da nessuno, vero?”
le domandò Gabriel, e non sembrava per niente arrabbiato.
“Proprio
così” disse fiera, prima di farli
l’occhiolino.
Lui sorrise
con un’alzata di spalle, arrendendosi.
“Hai
imparato a combattere con le armi, impari a volare…ora ti
manca solamente saper usare la magia negli scontri” disse
scrutando il terreno, facendo un breve riepilogo più a
sé stesso che alla ragazza.
“Prima
di passare al punto due, io direi di iniziare con il punto
secondo”
“E
il punto primo?” domandò Gabriel, con una leggera
nota di derisione.
“Ah,
in quello sono praticamente perfetta” disse tranquillamente,
ciondolando la testa.
Gabriel si
lasciò scappare un ghigno contrariato.
È
ambiziosa…
È
fiero…
“Direi
quindi che Miss Perfezione potrebbe farci vedere una dimostrazione,
visto che è così spigliata e capace”
Bec colse la
sfida, ora si sentiva talmente sicura di sé stessa che non
prese nemmeno in considerazione la possibilità di fallire.
“Sta
a guardare…” disse, iniziando a correre lungo la
collina. “…pivello” e a quel nomignolo
il ragazzo inarcò il sopracciglio, sbuffando.
Bec corse
lungo il pendio, davanti a lei il precipizio annunciava la fine della
verde montagna. Non si fece assolutamente intimidire,
aumentò il passo e quando capì che la corsa era
finita seguì il suo istinto.
Si
slanciò in aria con le braccia aperte e il corpo teso, le
ali, unite alla volontà della ragazza di volare,
cominciarono a sbattere.
Non aveva
ancora preso coscienza del fatto che stava volando, che già
sapeva di saperlo fare. Con un’innata eleganza
volò in alto, sempre più in alto.
Arrivò in un punto che doveva toccare gli ottanta metri di
altezza (una cosa inaudita per un principiante), inarcò la
schiena e con una ribaltata indietro tornò a puntare verso
terra.
Toccò
il suolo freddo e le sue gambe tremavano per l’agitazione, fu
un miracolo che riuscirono a sorreggerla. Con un gesto automatico
pensò di voler chiudere le sue ali, e queste si chiusero.
Dipendevano dai suoi voleri, se avesse saputo che era così
facile richiamare le ali ci avrebbe provato prima, anche se era conscia
del fatto che ora, in effetti, era e si sentiva molto più
forte.
La magia può far rinvigorire.
Sorrise tra
sé e sé, non prestando attenzione a Gabriel che,
mani in tasca, se ne stava tornando al villaggio.
“Non
mi dici neppure “brava”?!” gli chiese
Bec, rincorrendolo con un po’ di fatica.
Gabriel
dovette far conto di tutta la sua buona volontà per andare
via dritto e non prestarle attenzione ma quando lei lo raggiunse si
fermò e, con uno sguardo deciso, la fissò. Bec,
tutto un tratto, si sentì imbarazzata sotto quello sguardo.
Perché
doveva sempre guardarla così?
Con quegli
occhi.
Gli
occhi…
Quella bocca.
La
bocca…
“Sei
perfetta” le disse e sembrava stupito di sè.
Sicuramente
non si era riferito solamente a quell’occasione.
***
Erano sulla
strada del ritorno, Bec (come sempre nella sua vita) non faceva altro
che parlare con Gabriel, gli stava praticamente facendo un
confessionale. Lui le faceva di tanto in tanto un cenno del capo,
alcune volte interveniva in prima persona, sennò era sempre
lei a parlare, gesticolava, scalpitava per qualcosa con cui non era
d’accordo e ovviamente il linguaggio era leggermente
scurrile. Gabriel aveva smesso di guardarla storto ogni volta che lei
si lasciava scappare qualche parola di troppo. Anche ora, tornando a
casa, non faceva altro che inveire contro qualcuno. Da quanto Gabriel
aveva capito, Bastian l’aveva rimproverata per non aver preso
parte alle consuete riunioni del giovedì notte nella piazza,
secondo lui la presenza di Rebecca poteva giovare lo spirito dei
compaesani. Ma tra una cosa e l’altra, Bec, non era mai
potuta andare, e odiò Bastian con tutta sé stessa
per non averla capita.
Ma cosa
credevano che fosse, lei? Un baraccone da circo? Una bella statuina da
mettere in mostra, con l’unico obbiettivo di dire sempre:
“va tutto bene”?!
“Al
diavolo!” sbraitò, lanciando le braccia in aria.
“Cerca
di darti una calmata, non vorrei che…” e qui si
mise a ridere. “…non vorrei che Atrois
s’ingozzasse con una fetta di carne nel sentirti
urlare”
“Ah-Ah,
spiritoso. Veramente. Si dà il caso, Gabriel, che Atreius, e
sottolineo Atreius,
non potrebbe mai ingozzarsi con una fetta di carne. E sai
perché?” domandò, con una punta di
isteria nella voce.
“P-Perché?”
domandò Gabriel, trattenendo una risata.
“Perché
lui non mangia la carne” disse semplicemente, sbollendosi.
Gabriel
trattenne con decisione un sorriso, tanto che la bocca si
gonfiò di aria.
Stava per
risponderle con qualche battuta poco carina su Atreius quando il
diavolo mise le corna. La voce gli si smorzò nel momento
stesso in cui vide Atreius sullo stipite della sua porta, della sua casa.
Dal modo in
cui teneva le braccia conserte e il corpo appoggiato al muro, si capiva
benissimo che stava aspettando qualcuno. Gabriel non fece fatica a fare
due più due.
Chissà
perché quel tipo non gli piaceva più di tanto.
Sbuffò,
leggermente infastidito e con una scusa liquidò Bec al suo
fianco. Fece dei passi veloci verso la porta e con un cenno del capo
salutò frettolosamente Atreius, nascondendosi in casa.
Rebecca, titubante e (ovviamente!) imbarazzata, si avvicinò
lentamente ad Atreius.
“Ciao”
le disse il ragazzo, con dolcezza.
Chissà
perché tutto un tratto faceva freddo…
“Ciao!”
disse Bec, con un po’ troppa enfasi. “Co-Cosa ci
fai davanti a casa mia?” gli domandò, e sembrava
scocciata.
Per un breve
istante lo sguardo di Atreius parve vacillare.
“Sono
venuto a salutarti! Non sapevo che fare, mi annoiavo, e allora ho
pensato…perché non andare a trovare la persona
più speciale che esista?! Mi sono catapultato a casa tua
ancora una vita fa ma tu non c’eri, allora sono rimasto ad
aspettarti e, questa te la devo dire, per intrattenere il tempo ho
inventato di tutto: ho rincorso un coniglio bianco e ho fatto lo
scivolo negli scalini, finchè non mi si sono tagliati i
pantaloni” si girò e mostrò a Bec il
suo sedere coperto da dei pantaloni scuri che, in effetti, presentavano
un grosso buco al centro e la pelle era ben visibile.
A Bec
scappò un sorriso meravigliato, non era da tutti i giorni
trovare persone così strane che ti facessero ridere per le
loro stravaganze.
“Sono
venuto principalmente per due motivi: il primo, voglio farti le mie
più sincere scuse per quello che è successo tra
noi. Quel bacio che ti ho dato è stato dovuto da un blackout
momentaneo, non che non lo rifarei, però forse sono stato
troppo frettoloso, visto che ci conosciamo da
poco…”
Ma come
diavolo faceva?!
Come faceva
a passare da un discorso all’altro con una tale
tranquillità, senza nessun tipo di imbarazzo o di titubanza?
“…ma
confido che ciò non abbia in alcun modo intaccato la nostra
amicizia. Mi piaci Bec, dico sul serio, come amica sei fantastica anche
se ho cominciato ad apprezzarti da ieri”
Quando
finì di parlare, Rebecca non sapeva che dire.
Che gli dici
ad uno così?
“E
il secondo punto?” domandò, deviando il punto uno
più per imbarazzo che per maleducazione.
Atreius
parve rimanere stupito ma poi riprese a parlare, anche se si capiva che
era deluso.
“Il
punto secondo è piuttosto semplice: domani sera ti porto a
mangiare fuori” disse con orgoglio, alzandosi quasi in
altezza.
Ovviamente
non accettava un “no” come risposta, Rebecca non
era stupida.
“Ma
se non ci sono neanche i ristoranti!”
“Che
importa?! Mica ti porto in un bar o in locale! Sarà una
sorpresa”
“Beh,
penso che…”
Incertezza…
“Oh,
non dirmi che il tuo personal-trainer non ti lascia uscire di
casa!” chiese, fingendo una smorfia schifata.
Perché
non provare…
“In
fondo io credo che…”
…a
vivere?
“…si
potrebbe fare”
***
Mentre Bec
rientrava in casa si soffermò a pensare a quanti nomi
terrestri conoscesse Atreius, sapeva dei bar, dei locali, dei
personal-trainer e nel pomeriggio di quando si sono conosciuti le
parlò addirittura della televisione. Lì per
lì lei non ci fece caso, le sembravano discorsi normalissimi
da fare ma poi, ripensandosi, non erano così adatti alla
situazione. Che lei sapesse solamente Gabriel, Rosalie, Delia, Kevin e
Denali avevano passato un periodo di vita sulla Terra…non le
era giunta voce che vi avesse preso parte anche Atreius.
“Gabriel!”
lo chiamò.
Lui
arrivò di corsa, un po’ trafelato da
chissà che impegni domestici.
“Chi
c’è?!” domandò con
preoccupazione, guardandosi attorno cercando chissà che
losca figura.
La ragazza
dovette sbatterli le mani davanti perché capisse che in
quella stanza c’era solo lei.
“Nessuno…ma
che ti prende?! Hai le manie di persecuzione?”
“Tze…”
disse, come se fosse l’affermazione più stupida
che avesse mai sentito.
“Gabriel,
che tu ne sappia, i Nim sono persone o sono spiriti?”
“Mocciosa,
i Nim appaiono come figure incappucciate, fatte di fumo ma in
realtà non sono altro che guerrieri ben addestrati che
combattono dietro quelle vesti. Ovviamente, i Nim, non sono persone a
caso, sono macchine distruttive con un’immensa magia oscura.
Praticamente non ti sarà mai possibile vederne il volto,
guai a te se li tocchi”
Bec ebbe una
brutta, bruttissima sensazione.
***
Il giorno
seguente fu piuttosto monotono, stessa sveglia, stessa colazione,
stesso solito addestramento (con l’unica differenza che
usarono gli incantesimi), stesso di tutto. Per fortuna, si
ricordò Bec, la sera sarebbe andata via con Atreius: un
motivo in più per perdersi via. Non che Gabriel non fosse
ironico o allegro come Atreius ma l’ex angelo la metteva
sempre in uno stato di soggezione.
Salutò,
quella sera, Gabriel che era in salotto, impegnato in una lettura
alquanto corposa.
Ma quando
mai i suoi libri non avevano un minimo di ottocento pagine?
“Gabriel,
io vado. Non so a che ora ritornerò stanotte,
perciò non aspettarmi sveglio, va a dormire e se puoi bevi
molta camomilla” gli disse, mentre raccoglieva un elegante
maglioncino da terra che le era cascato.
Gabriel la fissò per scrutarla. Doveva ammettere che
all’inizio, vedersela arrivare giù dalle scale con
un paio di jeans e una graziosa camicia rosa-pesca, aveva pensato che,
in fin dei conti, non era niente male come ragazza. Poi si
ricordò che aveva un appuntamento con Atreius e subito si
adombrò, anche se al momento il motivo non era chiaro.
“Tranquilla,
non ho nessuna intenzione di aspettarti sveglio mentre tu vai a fare
chissà cosa con un ragazzo a mio parere losco, ti
dirò che berrò la camomilla anche se sai
già che probabilmente non lo farò
e…ah! Per l’orario, se entro le due di notte non
sei a casa giuro che da qualsiasi parte tu sia ti vengo a prendere e
userò anche la forza se necessario. Tieniti il tuo orologio
terrestre che anche noi ci orientiamo con quello, perciò non
avrai nessun tipo di problema a guardare l’ora e tantomeno
nessuna giustificazione per un presunto ritardo. Sono stato
chiaro?”
Rebecca
aprì e chiuse la bocca a intermittenza.
“Che
cosa?! Mai chi sei? Mia madre?! Non è giusto! Mi stai
parlando come se io fossi una ragazzina sprovveduta che ha bisogno di
molta protezione! Diamine, so pure difendermi!” gli
urlò contro.
Non aveva
nessuna intenzione di stare fuori con Atreius per più di
mezzanotte, ma non accettava tutte quelle imposizioni.
“Non
mi preoccupi te, mi preoccupa lui” il suo sguardo era
penetrante ed estremamente serio.
Un altro
crampo allo stomaco.
Anche lui,
come lei, aveva avuto gli stessi suoi pensieri.
Ma questo
non voleva dire che…che…
Giusto?
***
Atreius le
aveva fatto proprio una bella sorpresa, l’aveva portata in un
posto stupendo, magnifico…arrivati, si ritrovarono in una
radura illuminata da tante piccole lucciole e per terra una coperta
fungeva da tappeto, diversi cibi erano posati su di essa. La notte,
quella notte, era più bella del solito.
Una
carezza…
Atreius la
fece sedere con un invito della mano, lei accolse il gesto
meccanicamente e fece come lui le aveva detto. Sebbene il posto fosse
incantevole l’aria era abbastanza tesa.
“Allora,
cosa pensa Bastian di me? Tu sicuramente sarai il suo
confidente…” disse, tentando di introdurre una
conversazione tranquilla.
Atreius
sorrise, spiazzato dalla domanda.
“Sinceramente, cosa vuoi che pensa? Pensa che tu sia
fantastica e potenzialmente capace” le disse, facendole
l’occhiolino.
Bec
maledì il suo improvviso arrossamento.
“Oh,
suvvia…non esageriamo che non mi piace essere
sopravvalutata” esclamò infervorata Bec, anche se
sperava che il ragazzo le dicesse ciò.
“Beh,
sicuramente sei più unica che rara” aggiunse
distrattamente Atreius, spalmando elegantemente “un non so
che” su di una fetta di pane.
“Vuoi?”
le chiese, porgendole lo strano intruglio.
Non aveva
né l’aria di essere buono né
l’odore di essere gustoso.
“No,
grazie, non ho fame” disse, tossendo apposta.
“Come
vuoi” e il ragazzo addentò animalescamente il
panino. “Comunque, non hai idea di quanti angeli bianchi ci
siano nel villaggio?”
“No,
penso di essere l’unica” affermò, con
disapprovazione.
“Davvero?!”
disse Atreius, spalancando la bocca. “Ma scusa, il tuo
amico-nemico non è per caso un angelo bianco?”
“Era”
lo corresse, Rebecca.
“Come
“era”?” fece il ragazzo, facendosi sempre
più curioso.
A Rebecca
parve di commettere un reato nel dare delle informazioni non opportune
e delicate come quelle ad un estraneo ma non ci vedeva nulla di male a
dirle ad Atreius, un povero ragazzo di campagna.
“Non
lo so. Il fatto che Gabriel abbia perso il suo titolo di angelo rimane
per me un mistero. Le uniche cose che so è che è
riuscito a tenersi stretta l’immortalità, e che ha
commesso qualcosa di talmente spaventoso da essere brutalmente
punito”
Quando
finì sentì un freddo improvviso e si costrinse a
racchiudersi di più all’interno del suo maglione.
“Come
fu punito?”
Bec lo
guardò come se stesse vaneggiando.
“È
ovvio, la punizione per un angelo che deve essere esiliato dalla sua
carica consiste nel bruciarli le sue ali. Perse le sue ali un angelo
perde la sua credibilità e la magia stessa”
Atreius
sembrava orripilato dal racconto.
“Non
sapevo che ti bruciassero le ali. Fa male?”
domandò, e a Bec, in quel momento, parve di avere di fronte
un piccolo e tenero bambino, alla soglia dei suoi primi
“perché”.
“Gabriel non mi parla molto di quella sua fase di vita, per
lui è un capitolo da dimenticare…ma, una sera, mi
ha detto che quando gli hanno bruciato le ali ha provato talmente tanto
male che…” s’interruppe, incapace di
trovare una parola talmente forte da far capire
l’intensità del gesto.
“Che…?”
Atreius pendeva dalle sue labbra.
“Fu
come se la sua anima si fosse rotta in due parti, il male era
così forte che non ebbe neppure la forza di aprire gli
occhi. Indescrivibile”
“Chissà
cos’ha fatto per meritarsi tutto questo”
“Una
cosa orribile a mio giudizio. Ogni giorno lo conosco sempre di
più e ogni maledetto giorno della mia vita mi riesce
impossibile pensare cos’abbia fatto di così
tremendo per meritarsi una simile condanna. Non lo vedo una persona
cattiva, non riesco ad immaginarmelo a far del male.
Io…” la voce s’incrinò e fu
costretta a smettere, un groppo alla gola le impediva di proseguire.
“Quindi
sei l’unico angelo a Chenzo, beh, apparte Dark Threat, ma lui
è un caso apparte” disse, sforzando un sorriso che
non contagiò la faccia preoccupata di Rebecca.
“Anche
Gabriel, che io sappia, ha la possibilità di tornare angelo
bianco, ma deve dimostrare la sua lealtà e la sua nuova
maturazione. I suoi nuovi propositi devono convincere gli
anziani”
“Gli
anziani?! Vuoi dire gli angeli bianchi per eccellenza?”
“Si,
loro. Ovviamente solo gli angeli bianchi hanno un consiglio di anziani
perché gli angeli neri si ammazzano ancor prima di toccare
l’inferno. Per fortuna nel paradiso non ci sono questi
problemi”
“Si,
ma…Bec, sono morti! Comunicate ancora con loro, sebbene si
trovino in cielo?”
“Io
non ci ho mai comunicato, ma penso che Gabriel l’abbia fatto
più di una volta” ammise, con una leggera nota
d’invidia.
“Comunque
non ti devi preoccupare. Sai, ho sentito, da fonti segrete, che, a
quanto pare, c’è un altro angelo a
Chenzo” disse Atreius, sapendo di aver creato nella
curiosità di Rebecca un alone di mistero.
“Chi?”
domandò con voce flebile Bec, fissando le labbra carnose del
ragazzo aspettando che dicessero quel nome.
Atreius,
scambiando la vicinanza della ragazza dovuta a curiosità,
con un desiderio ardente di baciarlo, fece lo stesso, facendosi
più vicino a lei finchè non arrivò a
sfiorarle con i ciuffi dei capelli la fronte.
Non fece in
tempo a colmare la distanza che gli separava, che un sonoro
“crack” di materializzazione gli fece sussultare.
Si alzarono si scatto e dal fondo della radura venne loro incontro
Gabriel.
Non stava
affatto bene.
“Cos’è
quella faccia da ebete che ti ritrovi?!” le
domandò con poca grazia Rebecca, notando la faccia alquanto
persa di Gabriel.
A dire il vero sembrava che avesse visto la Madonna, tanto era felice.
“Sempre
gentile tu, eh?” disse, con il sorriso che si spense.
Bec
alzò le spalle e schioccò la lingua.
“Che
vuoi?” domandò, scocciata
dell’interruzione. A dire il vero stava ancora pensando al
nome del terzo angelo.
“Adele
è tornata”
***
Rebecca era
basita. Fino ad un attimo prima era così tranquilla con
Atreius e il ragazzo era riuscito persino a stuzzicarla nei punti
giusti…e un attimo dopo, veniva trascinata via da Gabriel,
sotto lo sguardo vigile di Atreius.
Gabriel e
Rebecca arrivarono di corsa a casa di Rosalie che, stranamente, aveva
tutte le luci del primo piano accese. Bec si tenne dietro la schiena di
Gabriel mentre il ragazzo, con una certa famigliarità,
apriva la porta d’ingresso.
Sin da
quando misero piede all’interno dell’abitazione si
sentirono dei chiacchiericci e dei brusii di sottofondo.
Rosalie
sedeva sul divano ed era piuttosto nervosa, aveva un sorriso
incantevole. Davanti a Rosalie prendeva posto un’altra donna
che dava la schiena all’ingresso. L’unica cosa che
vide per prima furono i suoi lunghi capelli castani, molto simili ai
suoi.
La
bellissima ragazza bionda, non appena si accorse dei due nuovi
arrivati, si alzò di scatto dal divano e come una furia si
lanciò tra le braccia del fratello.
“Hai
visto, Gabriel? È tornata! È tornata!”
Bec
all’iniziò non capì tutta
quell’euforia nel vedere una persona ritornare dopo un
viaggio di pochi mesi, senza contare che Adele era spesso fuori casa.
Era come assistere ad una scena di un soldato che dopo tanti anni di
servizio militare, torna a casa dalla guerra. La sensazione era la
stessa. Spesso, i suoi genitori, viaggiavano all’estero e
lei, troppo pigra per seguirli, rimaneva a casa e si faceva ospitare
dalla cugina. Erano viaggi che potevano durare anche due mesi, la
nostalgia nel rivederli era tanta, ma non aveva mai fatto una scenata
come quella che stava facendo Rosalie.
Gabriel,
uomo di ristretti sentimenti, si limitava ad accarezzare la schiena
della sorella e a lanciare occhiate in direzione del divano.
Pochi
secondi dopo, la donna si girò.
Rebecca
dovette trattenere il fiato, non aveva mai visto una donna
più bella. I suoi capelli castani le andavano ad
incorniciare il viso perfetto, con una carnagione di pesca e due grandi
occhi scuri a mandorla. La bocca era piena e carnosa, le guance accese
e il corpo era simile a quello di una top-model, con qualche chilo in
più.
Ora capiva
come Gabriel e Rosalie fossero così belli, avendo una tale
madre…
Un
momento.
Ma
che dico…Adele non è la vera madre dei due
fratelli. Sono stati anche loro adottati.
Anche se
Adele non era la madre biologica di Gabriel e Rosalie, aveva comunque
molte cose in comune con loro, la prima: riusciva anche lei a mettere
in soggezione chiunque la guardasse. Se li guardavi, tutti e tre
insieme, ti sentivi una schifezza in confronto, avevano la
capacità di farti sentire inferiore, modesta e semplice.
Questo per quanto riguardava il fattore estetico, perché Bec
sapeva molto bene quanto in realtà, lei, fosse
più furba e scaltra di Gabriel.
Ma
d’altronde, non era forse la prima impressione quella che
contava davvero?
La donna,
che poteva avere sui trentacinque/quarant’anni, si
avvicinò armoniosa e fiera verso i figli. Spostò
leggermente Rosalie che con abbraccio soffocatorio tempestava Gabriel,
e arrivò finalmente a baciare il ragazzo sulla guancia.
“È
bello essere di nuovo a casa, ragazzi. Ti vedo cresciuto, Gabriel. Tua
sorella invece diventa ogni giorno più bella, ma questo
credo che lo sappia anche lei” e diede un’occhiata
di rimprovero alla figlia che se la rideva sotto sotto.
Adele,
abbandonando la guancia del figlio, dedicò, con orrore di
Rebecca, l’attenzione su di lei e si fece subito imbarazzata.
Era un quadretto famigliare nel quale si sentiva completamente
estranea.
Adele
posò i suoi occhi indagatori su Rebecca e per un lungo
istante rimase seria.
Oddio…
La stava
guardando in maniera strana, totalmente fuori luogo. Avrebbe dovuto
presentarsi ed essere cortese con la nuova ospite e invece la fissava
meravigliata.
Adele si
portò una mano al cuore, il ritmo del battito cardiaco era
incontrollabile, cercò di mantenere un contegno ma la vista
di quella ragazza l’aveva sconvolta. Dopo lo schok iniziale
si imbambolò a guardarla, il volto serio e perplesso.
Che
diavolo ci faceva, lì?
Alla
fine tutto il suo sforzo era stato inutile se lei si presentava ai suoi
occhi.
Gabriel,
notando l’aria glaciale che aveva invaso la stanza, si
avvicinò alla donna e la prese per le spalle.
“Vieni
mamma, ti preparo un thè”
La
portò con sé verso la cucina e mentre se ne
andava sillabò a Rebecca un furioso: “Ma che le
hai fatto?!”
Bec
alzò le spalle e sgranò gli occhi.
Già.
Che
aveva fatto?
Che
aveva fatto per sconvolgerla così tanto?
Tutt’un
tratto l’idea di conoscere la madre di Gabriel non era
più una bella prospettiva.
***
Ben presto
si ritrovarono tutti e quattro seduti a cerchio nel divano, sembrava
molto ad un confessionale ma l’atmosfera era molto
più allegra. L’unica intrusa era Rebecca che,
apparte qualche intervento o battuta, rimaneva zitta sul suo posto,
lasciando ampie conversazioni tra madre e figli. Adele
ritornò ad avere il solito, smagliante sorriso e ben presto
nessuno pensò più alla brutta faccenda di poco
prima. Gabriel rideva, sorseggiando un thè e Rosalie si
lasciava cadere sul divano con le lacrime agli occhi. A quanto pareva
Adele stava raccontando la misera figura che un giovane uomo aveva
fatto nel dichiararlesi, e la stroncata che lei gli aveva dato.
“Ragazzi,
dovevate vedere la faccia che ha fatto! Penso che se un albero gli si
fosse schiantato addosso avrebbe fatto meno male! Senza contare
che…”
La porta,
nel bel mezzo della frase, si spalancò e la figura
inquietante di Denali comparve zittendo tutti.
I sorrisi
sui loro quattro volti si smorzarono.
“Gabriel,
Bastian ti vuole subito” Denali posò lo sguardo su
Rebecca. “È urgente”
Gabriel si
alzò, colto dal panico.
“Anche
io voglio venire” disse Rosalie, alzandosi dal divano.
Denali la
guardò con disapprovazione.
“Non
credo sia il caso…”
“Lascia
decidere a me cosa è meglio e cosa no, Denali”
affermò la bionda, facendo infastidire il ragazzo per i suoi
modi bruschi.
Rebecca,
vedendo che stavano andando via tutti, bloccò per un braccio
Gabriel.
“Posso…?”
“No,
tu rimani qui con Adele. Aspettami”
Rebecca,
ghiacciata dalla risposta, si sedette meccanicamente al suo posto e con
una certa preoccupazione dipinta in volto gli vide andare via.
Ecco, ora la
cosa si faceva molto complicata.
Adele la
stava guardando con profonda curiosità.
“Da
quanto conosci mio figlio?” domandò la donna,
giusto per rompere il ghiaccio.
“Oh,
solo da pochi mesi. Viviamo insieme…” Bec si
fermò, comprendendo quello che aveva appena detto.
“Cioè, non deve credere che io e
lui…non siamo…siamo amici, io sono la sua
protetta, non…”
Era
imbarazzatissima e divenne subito rossa come un peperone.
Adele non
prestò caso a ciò.
“Non
importa, avevo capito che era una situazione più di comodo
che resto. Solo…non mi aspettavo di trovarti qui
così presto”
Bec non
capiva di che stesse parlando.
“È
spesso fuori casa?”
“Si
certo, ho incarichi molto importanti che mi permettono di trattenermi
qui solo tre volte all’anno. Non vado fiera come madre
però è l’aiuto minimo che posso dare al
villaggio”
“Oh,
no! Non creda, Gabriel mi ha sempre parlato benissimo di lei, non deve
pensare di essere stata una cattiva madre. Tutti abbiamo degli impegni,
lei…diciamo che lei ne ha un po’ di più
rispetto agli altri”
Rebecca le
regalò un sorriso incoraggiante e Adele si sentì
molto meglio.
Il ghiaccio
si era rotto.
“Scommetto
che non ti racconta molto della sua vita”
“No,
ora che ci penso non so niente di lui” Bec, per un attimo, si
sentì persa. Sentiva che le mancavano dei tasselli e che
qualcosa non tornava.
“Capibile,
Gabriel ha avuta un’infanzia molto difficile e
sofferta” disse Adele, portandosi una mano alla bocca come a
voler trattenere un singhiozzo.
“Perché
non me ne parla?” buttò lì la ragazza,
sperando che la donna accettasse il suo invito e le svelasse un
racconto fatto di dolore e di molte vicissitudini. Forse, dopo aver
compreso appieno la vita di Gabriel, si sarebbe sentita più
vicina a lui. Forse, avrebbe iniziato a comprenderlo.
Adele la
fissò insistentemente, valutava se era il caso di parlarle
della vita di suo figlio oppure no. Alla fine, il bisogno di dare una
valvola di sfogo ai suoi ricordi ebbe il sopravvento.
“Ok
ragazzina, mettiti comoda e ascolta. Molto tempo fa, quando tu eri
ancora i fasce, successe che a Chenzo un bambino scoprì di
essere nato angelo. Ora, normalmente angeli si diventa ma lui alla
nascita aveva già le ali che si aprirono nel momento stesso
in cui compì solamente un anno. Naturalmente
l’intero villaggio era meravigliato da un simile miracolo,
tutti, anche io, ne rimanemmo incantati da quel bambino. A quel tempo
io era una giovane donna, legata ad un uomo che amavo. Vivevamo felici,
accanto alla casa della famiglia di Gabriel e anche loro, come noi,
vivevano nell’armonia, in pace con sé stessi e con
il mondo intero. Gabriel aveva una sorella appena nata, di un anno
più piccola: Rosalie, che però non aveva
acquisito nessun tipo di potere magico e che perciò non
aveva attirato l’attenzione di nessuno, tutti erano troppo
presi dal piccolo prodigio per badare ad una bambina
“normale”. Erano bei tempi, Rebecca,
l’uomo poteva sentirsi protetto e al sicuro nella sua piccola
dimora in un misero villaggio. Ma le cose cambiano, anche per noi,
quando Mortimer salì al potere sconvolse tutte le nostre
vite. Anche la famiglia di Gabriel si sgretolò: morirono i
suoi genitori, soltanto lui e sua sorella sopravvissero. Nel momento in
cui rimasero orfani decisi di occuparmene io di loro, divenni la loro
madre adottiva e gli amai come fossero stati miei, riuscendo
così a colmare la grande perdita che portavo dentro. Tu
forse non lo sai ma anche io, quando ero una ragazza della tua
età, fui un angelo bianco ma il mio titolo mi fu tolto per
essermi legata alla persona sbagliata. Venivo vista come una
traditrice, una poco di buono, con una figlia illegittima marchiata dal
male. Per riacquistare la fiducia del villaggio mi proposi come spia di
Bastian, che da quando ricordo è sempre stato il
capo-villaggio, e costantemente, missione dopo missione, sono stata
costretta ad assentarmi per lunghi periodi da casa, con i miei figli
che crescevano da soli. Mi faccio vedere nel villaggio per due o tre
volte all’anno, i miei viaggi sono interminabili e
pericolosissimi, raccatto seguaci ed estorco informazioni su Mortimer.
Ormai non sono più un angelo bianco ma ogni tanto mi piace
farlo ricordare alle persone del villaggio, mi fa sentire me stessa, mi
fa sentire importante. Quando mi bruciarono le ali fu
come…fu come se una parte di me fosse morta: la parte
più audace, avventuriera, temeraria e coraggiosa.
All’inizio risultavo spenta e nessun tipo di calore umano mi
poteva riscaldare. Fu lo stesso che passò anche Gabriel,
quando anche a lui fu tolto il titolo di angelo. Mi ricordo tutto, sai?
L’udienza, le accuse e infine il fuoco che gli
rubò le ali. Povero figlio, da quel giorno non fu
più lo stesso”
Rebecca
aveva ascoltato il racconto di Adele totalmente rapita, non si era
persa niente, aveva seguito per filo e per segno tutto quello che le
era stato detto. Ora, solo una domanda bruciava più delle
altre.
“Perché
Gabriel non è più un angelo?”
Adele si
bloccò, Rebecca potè notare i suoi muscoli
contrarsi.
“Per
lo stesso mio motivo. Entrambi tradimmo la stessa gente per la stessa
persona”
***
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Capitolo 11 *** Come un uragano ***
Cap. 11 - COME UN
URAGANO -
Ok. Ora
aveva capito come mai il ragazzo era cresciuto complessato e con dei
problemi psicologici che lei reputava dovuti a mancanze
d’affetto.
Un passo
verso di lui era un passo che si allontanava dalla ragione.
Dopo aver
ascoltato la sua storia, le sue radici, non potè non
accorgersi di quanto si sentisse attaccata a lui, di quanto gli volesse
bene. Si fermò a riflettere sul tempo che avevano passato
insieme, quanto era stato? Un anno? Mesi? Ormai non teneva
più conto del tempo, come se dove fosse non avesse
importanza.
Era
sbagliato?
Era
sbagliato ammettere che stava iniziando a trovarsi così bene
in mezzo a quella gente, tanto da non sentire più il peso
del tempo scorrere sui suoi giorni? E Gabriel, che la faceva ridere,
arrabbiare, emozionare, infastidire, non si accorgeva di niente?
Come si fa a
capire quando una persona ha oltrepassato la linea invisibile che
divide l’amicizia dall’amore?
E,
soprattutto, come si fa ad ammetterlo?
Rebecca si
ritrovò ad interrogarsi su ciò che provava per il
ragazzo. Era amore? O amicizia? O magari qualcos’altro?
Faticava ad accettare il fatto di poter essersene innamorata. Lei, che
era sempre stata attenta a non lasciarsi affascinare e abbindolare dai
suoi occhi glaciali, dalle sue labbra carnose…ne era forse
rimasta vittima?
Probabile
come no. Ma era meglio non pensarci, sicuramente si sarebbe scervellata
per niente: Gabriel, freddo e acido com’era, non poteva certo
provare qualcosa di simile per lei, sarebbe stato un sentimento non
corrisposto: inutile e doloroso. Tanto valeva far finta di niente, e
poi non era nemmeno sicura che quello che provava era
un’infatuazione, poteva benissimo sbagliarsi, aver preso un
abbaglio.
Non era
niente.
***
“Ne
sei sicuro, Bastian?” disse Gabriel, a denti serrati.
“Purtroppo
sì, grazie alle informazioni che Adele ci ha dato non credo
ci siano rimasti dubbi in proposito. La ragazza va tenuta sotto
controllo, e mi aspetto che tu, Gabriel, le faccia da
protettore”
“Puoi
starne certo” ruggì, con le labbra ridotte a due
fessure.
Questa non
ci voleva. Una spia, nel villaggio. Una spia di Mortimer nel villaggio
era incaricata di seguire Rebecca.
Poteva
essere chiunque, chiunque a cui era stato fatto un lavaggio del
cervello, oppure un nuovo infiltrato. Gabriel scartava
l’ipotesi dell’infiltrato, l’unica
persona nuova nel villaggio era Atreius, ma lui, tutti lo sapevano, era
il nipote del capo-villaggio. Non era un estraneo.
Allora
doveva essere per forza qualcuno che abitava nel villaggio da anni,
qualcuno al quale Mortimer aveva imposto il lavoro con un controllo sul
corpo. Mortimer era famoso per i suoi poteri di saper controllare
l’animo umano.
Gli umani
erano così deboli in confronto a lui, si piegavano e
venivano sottomessi da uno qualsiasi dei suoi tanti poteri.
Non
c’era da stupirsi se avesse approfittato di una persona e
fosse riuscito a manipolarla.
Doveva
tornare a casa, aveva lasciato Rebecca con sua madre, a casa di
Rosalie, che anche lei, come gli altri componenti del gruppo, erano a
fianco a lui in quel momento di riunione.
Gabriel
uscì dalla stanza percorrendola a falcate e gli altri non
riuscirono a stargli dietro. L’avrebbero raggiunto da Rebecca
dieci minuti dopo il suo arrivo.
Si
stupì di trovare in casa solamente la ragazza.
“Ciao,
straniero” lo accolse Rebecca, che stranamente stava leggendo
nel divano.
Gabriel la
guardò scioccato.
“Tu?!
Che leggi?!”
Lei parve
offendersi.
“Che
c’è?! Guarda che so leggere! Ti ricordi tutti quei
volumi che mi hai dato da leggere quando…”
“Sì,
sì, ok” la fermò prima che fosse troppo
tardi per i suoi poveri nervi. Stava dimenticando il perché
si trovava lì ma un’altra domanda lo colse.
“Dov’è Adele?”
La ragazza
con un cenno della testa gli indicò il soffitto.
“È
di sopra, ha detto che si sentiva stanca e che andava a buttarsi a
letto. Come mai sei qui? Che volevano da voi?”
“Ah,
niente di che, ora è meglio che andiamo a casa”
Bec
biascicò un “ok” e chiuse il libro,
lanciando qualche occhiata al ragazzo mentre lui non la guardava.
Gabriel
sentì i suoi occhi puntati addosso e la sorprese a fissarlo.
“Che
hai da fissarmi?” chiese ad un certo punto, iniziando a
sentirsi a disagio.
Rebecca
diventò rossissima e distolse lo sguardo.
“N-Niente,
mi ero imbambolata, tutto qui. Lascia perdere. Andiamo?”
domandò con una certa urgenza.
Gabriel la
guardava con il volto aggrottato come se la stesse studiando.
“Sei
strana oggi”
“Strana?!
Io?! Oh, cosa vuoi che sia…chi lo sa! Io non sono strana!
Non lo sono mai stata, forse sono pazza…ma strana
mai!”
Parlava che
era tutta accaldata, la voce le tremava e stava urlando come
un’isterica.
Sì,
forse era pazza, non strana.
“Ma
che ti prende? Sembra che tu sia…”
“…innamorata!”
Oddio!
No!
Che aveva detto?!
Gabriel
spalancò la bocca e lei si tappò le labbra con le
mani, sconvolta. Si sentiva la fronte scottare per
l’imbarazzo. Forse poteva far passare la sua stupida gaffe
come qualcosa dettato dalla febbre che in quel momento, ne era sicura,
era a quaranta.
Ma
perché?! Perché bastava che lei avesse dei
pensieri che riguardassero una presunta relazione con lui per farla
sgamare e agitare in quel modo?! Ora non sarebbe più
riuscita a guardare Gabriel in faccia, non dopo aver fantasticato o
pensato a lui in quel
modo.
La reazione
di Gabriel non tardò ad arrivare. Stranamente, parve
infuriato.
“Alla
fine ce l’ha fatta” il suo era un ringhio
soffocato, strinse forte i pugni finchè non sentì
un leggero formicolio alle mani.
Rebecca, che
era tutta un movimento, si bloccò.
“Eh?”
Gabriel
ricambiò il suo sguardo.
“Ma
scusa…” iniziò, il ragazzo.
“Tu
di chi stai parlando?” conclusero insieme, puntandosi un dito
a vicenda.
Gabriel
scattò indietro portandosi le braccia al petto.
“Mi
pare ovvio, parlo di Atreius, il principe azzurro che farebbe
innamorare qualsiasi adolescente” disse cattivo, con un
ghigno perfido.
“Mi
stai dando dell’adolescente rimbambita, per caso?”
lo provocò lei, mettendosi le mani sui fianchi.
Il suo
sorrisetto bastò a far capire la risposta.
“Mettiamo
in chiaro due cose, signor Scassapalle: la prima, non provo nessun tipo
di attrazione ne tantomeno amore verso Atreius. Secondo, non sono
innamorata di nessuno. Comprendi?”
“Ma
se poco fa hai detto che…”
“Lo
so, cos’ho detto! E ti posso dire che è stata
un’affermazione…ehm, dettata da un blackout
momentaneo…dovuto…ad una confusione
mentale”
“Tu
mi prendi in giro”
“Smettila!
O giuro che è la volta buona che il libro te lo tiro in
testa!” urlò, infastidita.
“Che
fai? Mi minacci pure?” la stuzzicò, con fare
divertito.
“Vedi?!
Io di indole sarei contro la violenza fisica ma ogni volta che mi fai
innervosire in questo modo, con i tuoi stupidi
giochetti…giuro che ti strozzerei!”
Gabriel
ridacchiò. Trovava la cosa estremamente eccitante e
divertente.
“Devi
solo provarci”
Dava tutto
per scontato, l’idiota.
“Tu.
Non osare sfidarmi” disse, il dito puntato contro il petto
del ragazzo e uno sguardo folle in volto.
“Tu.
Non osare minacciarmi” le disse, con gli occhi ridotti a
fessure.
Rebecca si
era avvicinata pericolosamente al ragazzo e quando lui
valutò la loro lontananza capì che era minima.
Non tenne più conto delle sue azioni.
La
baciò. Con rabbia. Era una continua lotta con lei e diede
sfogo alla sua rabbia in quel bacio. Non che avesse premeditato di
baciarla, l’aveva deciso in quel momento, quando era troppo
vicina per pensare lucidamente, quando il suo corpo lo spinse con forza
verso il corpo di lei.
Rebecca
quando sentì le labbra fredde di Gabriel muoversi sulle sue,
spalancò gli occhi, agghiacciata dalla sorpresa.
Tentò di allontanarlo ma era impossibile. Senza
n’anche rendersene conto andò a finire contro lo
scaffale dei libri, il corpo di Gabriel che premeva contro il suo.
Erano completamente e meravigliosamente allacciati l’uno
all’altra, e poteva sentire il cuore del ragazzo battere
all’impazzata contro il suo petto.
Non sapendo
più che fare (ma non volendo per quello mollare)
lasciò vagare una mano in alto, alla ricerca di qualcosa per
colpirlo.
Le mani di
Gabriel andavano ad imprigionarla sui fianchi e sul collo
perciò non fu difficile per la sua mano andare sopra la
testa. Trovò quello che cercava: un pesante libro.
Lo prese, e
con forza lo sbattè in testa al ragazzo. Non fu difficile
vedere la sua reazione né tantomeno il bersaglio da colpire
dato che aveva tenuto gli occhi aperti per tutto il tempo.
Gabriel
lanciò un urlo di dolore e si portò le mani in
testa, allontanandosi da lei. Bec ne approfittò per prendere
in mano altri libri. Ne aveva accumulati in braccio una decina e
aspettò che il ragazzo la smettesse di stare piegato in
avanti e si rialzasse.
Il volto di
Gabriel esprimeva puro dolore. Era intontito e la testa gli rendeva la
vista della stanza sfuocata, ma non fece fatica a notare la figura
infuriata che, appoggiata alla libreria, lo guardava con una pila di
libri in mano.
“Ma
sei impazzita?! Mi potevi tramortire!” le urlò
addosso, cercando di rimettersi dritto.
Rebecca fece
una faccia sconvolta.
“Sei
tu quello uscito di cranio!” e nel dirlo lanciò un
libro cercando di colpirlo.
Gabriel lo
scansò senza problemi.
“Non
mi pare, visto che l’hai voluto anche tu!”
“Che
cosa?!”
Le
partì dalle mani un altro libro che andò a
colpire il suo gomito sinistro, sebbene Gabriel avesse fatto una strana
contorsione per cercare di evitarlo.
Si
andò a nascondere dietro al divano mentre un altro libro
lanciato gli sfiorò la testa.
“Ok,
parliamone” biascicò Gabriel, capendo che la
ragazza con in mano quei libri poteva essere pericolosa.
Alzò
un mano in segno di resa ma la vista della mano che oscillava da dietro
il divano non parve fermare Rebecca.
“Col
cavolo!”
Le urla e il
movimento che i due ragazzi avevano creato fecero svegliare Adele che,
allarmata, corse in salotto per vedere cos’era tutto quel
trambusto.
Vi
trovò Rebecca rossa dalla testa ai piedi che stava lanciando
dei libri addosso a Gabriel che era nascosto dietro al divano e che
strisciava da una parte all’altra per non essere colpito.
“Ehi!
Ragazzi! Che state combinando?!”
Adele si
mise tra la ragazza e suo figlio con le braccia aperte. Guardava il
figlio in cerca di una risposta soddisfacente ma lui non la stava
neppure degnando di uno sguardo…era completamente perso a
fissare Rebecca che, a sua volta, restituiva lo sguardo con la mascella
contratta e il respiro che le alzava e abbassava il petto in maniera
spaventosa.
“Qualcuno
mi potrebbe spiegare che diavolo è successo qui in salotto?
Non so voi, ma io non ci arrivo da sola perciò se qualcuno
me ne volesse parlare…” cercò con lo
sguardo Rebecca ma lei non sembrava essere sul quel pianeta.
Spostò l’attenzione sul figlio che intanto si era
alzato e le stava prestando attenzione.
“Non
è successo niente, mamma. Rebecca ha trovato divertente
l’idea di affogarmi con i libri ma per fortuna non mi sono
fatto male” parlava e non era del tutto convinto.
“Perché
avrebbe dovuto trovare divertente l’idea di tirarti dei libri
addosso, Gabriel? Non è che tu l’hai fatta
arrabbiare, vero?”
“Eh,
dai! Spiegale perché mi sono arrabbiata!”
intervenne la ragazza, pronta a tirargli un altro tomo addosso.
Per una
questione di riflessi, Gabriel indietreggiò alla vista
minacciosa della ragazza.
“Beh,
mamma, sai com’è…”
“No.
Non voglio saperlo, risolvetevi le vostre faccende private fuori da
casa mia. Ho sonno e ora, se non vi dispiace, ritorno a letto. Ti
chiederei gentilmente di andare, Rebecca. Mentre tu…fa un
altro passo falso e alla prossima missione che mi assegnano ti ci porto
di peso con me!”
Detto
ciò, la madre comprensiva, con passi assonnati
salutò i due e scomparve.
Rebecca
gettò i libri nella biblioteca in malo modo e, senza degnare
di una parola Gabriel, uscì di casa sbuffando.
Gabriel
provò a correrle dietro ma si trovò per terra
prima che potesse fermarla. Maledì il tappetto che
l’aveva fatto inciampare e si precipitò verso la
porta.
Quando
l’aprì si trovò davanti Rosalie con la
mano sospesa in aria, pronta per afferrare la maniglia.
Con lei,
c’era Delia.
“Che
ti è successo, Gabriel? Sembri
sconvolto…” lo prese in giro, la sorella.
Gabriel le
rivolse un sorriso tirato. “Un giorno ti
racconterò una storia che parla di libri
volanti…”
“Se
cerchi Rebecca l’abbiamo incrociata prima di arrivare qua,
sembrava molto arrabbiata. Pensa, non ci ha neanche viste, continuava a
parlare da sola…più che parlare,
urlava” disse Delia, ridendo e portandosi una mano alla
bocca. “Che buffa”
“E
che diceva?”
“Oh,
a me è sembrato di capire che stesse dicendo:
“appena lo rivedo lo ammazzo”. Molto inquietante,
davvero. Non vorrei essere lo sfortunato di cui stava
parlando”
Gabriel
deglutì sonoramente.
“Ora
sarò meglio se io vado a casa. Ciao”
Le
salutò velocemente e corse via.
Rimaste
sole, le due ragazze, si sorrisero a vicenda, complici di un segreto
comune.
“Qui
gatta ci cova”
“Mi sa tanto che me la ritroverò come
cognata…”
***
Arrivata a
casa Rebecca si buttò disperata nel divano. Si
coprì gli occhi e iniziò a scalciare con le gambe
all’aria.
Perché
se l’era presa così tanto?!
Quando
Atreius l’aveva baciata non aveva reagito in quel modo,
facendo la pazza, senza nessun controllo. Quando Atreius
l’aveva baciata ne era rimasta semplicemente sorpresa ma non
sconvolta. Un bacio non aveva mai fatto male a nessuno!
Perché non poteva rimanere indifferente anche a Gabriel?
Perché con lui si era sentita bruciare così tanto
da perdere il lume della ragione? Non si sarebbe mai aspettata un gesto
del genere da lui, ma non per quello avrebbe dovuto sorprendersi
così tanto.
Il fatto era
che proprio non riusciva a concepire quel gesto.
Non
così all’improvviso, non da lui!
Lui, che non
le aveva mai mostrato nessun tipo d’interessamento. Lui, che
appariva freddo e incapace di poter provare sentimenti così
forti. Lui, che si era proclamato niente di più che un
amico.
Che stava
succedendo al mondo intero?!
E lei
sicuramente non aiutava a calmare la situazione. Avrebbe dovuto essere
intelligente, razionale, decidere che era stata una mossa da parte sua
avventata e sbagliata quella di baciarla; chiudere la questione
mettendoci una pietra sopra. Ma in quel momento era tutto
fuorché razionale. Non poteva impedire a sé
stessa di ripensare a quella scena.
E ora, che
sarebbe cambiato tra loro due?
Cioè,
avrebbe dovuto far finta di niente e aspettare che lui le desse
spiegazioni o andare per prima persona a fondo in quella storia.
Oddio…
Era
diventata una storia?
I suoi
pensieri vennero interrotti quando sentì Gabriel entrare
tutto trafelato in casa.
Lo
sentì prendere posto nel divano accanto a lei.
Sentì la sua schiena sfiorarle le gambe che, distese,
occupavano tutto lo spazio.
Stava zitto
ma lei era sicura che fosse teso. Non per questo, si scoprì
gli occhi. Gli stava dando la possibilità di spiegarsi, di
giustificare quel suo gesto avventato ma preferì non vederlo
altrimenti sarebbe andata a fuoco.
Percepì
un fruscio da dove si trovava Gabriel e capì che si stava
muovendo, anche se ignorava verso dove.
Sentì
una lieve pressione sul divano all’altezza della sua spalla
destra. Sbirciò nella penombra e vide che era una mano.
Ritornò a coprirsi gli occhi, intuendo quello che Gabriel
stava cercando di fare.
E
chissà perchè, sul momento, lo
lasciò fare.
Vedeva
solamente buio attorno a lei. Fu per quello che, quando
sentì le labbra di Gabriel cercare le sue,
sussultò, colta di sorpresa.
La stava
baciando di nuovo, come se quello che era successo prima non gli
bastasse ancora.
Diversamente
da prima il bacio era dolce, leggero…non era violento e
prepotente. Era dannatamente piacevole e rilassante, tanto da farle
piegare la testa di lato.
Non rispose
neppure a quel bacio. Proprio mentre Gabriel stava approfondendo il
bacio, irritato dalla sua impassibilità, cercando in tutti i
modi di coinvolgerla, ritornò in lei.
Si
tirò in su di scatto dal divano e andò a sbattere
la fronte contro quella di Gabriel. La botta le provocò un
annebbiamento totale mentre il ragazzo cadde dal divano.
Lo
sentì mugugnare tra sé e sé.
“Ogni
volta che provo a baciarla mi ritrovo scaraventato a
terra…”
“Finiscila,
non lo trovo divertente!”
“Guarda
che io mi sono fatto male sul serio”
“Ben
ti sta!” gli disse, dandogli una sberla sulla schiena mentre
cercava di rialzarsi aiutandosi col tavolino.
“La
smetti di picchiarmi?!”
Era
infastidito, lo si vedeva benissimo dalla sua espressione.
“Non
capisco perché te la prendi tanto” disse,
girandole le spalle per non farsi vedere. “Non te
l’eri presa poi tanto quando era stato Atreius a
farlo” c’era cattiveria nella sua voce,
un’irritante cattiveria.
“Beh,
perché Atreius è Atreius! Con lui non ha
significato niente! Ma tu…sei tu!” stava portando
avanti un discorso che faceva acqua da tutte le parti. A quanto pare,
in quel giorno, non era capace di formulare una frase decente.
“E
perché, come me com’è?”
domandò, aggressivo e curioso allo stesso tempo.
“Diverso! Insomma, tu sei il mio insegnante! Sei mio amico!
Non puoi aspettarti che rimanessi compiaciuta e stupidamente
contenta!”
“Smettila
con questa storia dell’insegnante, sono pur sempre un ragazzo
della tua età”
Fu tagliente
in quella risposta. Rebecca rimase ghiacciata sul posto.
“Ehm,
scusate, è permesso?” la voce di Atreius giunse
dall’entrata. La porta doveva essere rimasta aperta.
Rebecca
abbassò subito gli occhi e sospirò. Una volta
tanto la presenza di Atreius fu miracolosa. Non la pensava
però allo stesso modo Gabriel, che le parve di sentirlo
ringhiare.
“Nessuno
ti ha insegnato che ad una certa ora della sera una persona dovrebbe
andarsene a letto?” lo attaccò Gabriel, troppo
preso dalla conversazione di prima per ragionare correttamente.
Il fatto
è che ce l’aveva a morte con quel ragazzo e con
lei.
“Zitto,
Gabriel. Me ne occupo io”
Con uno
sguardo mortificato Rebecca spinse Atreius verso la porta mentre
Gabriel gli osservava uscire.
“Scusalo”
disse la ragazza, quando chiuse la porta e si trovarono soli sulle
scalette.
“Non
deve aver passata una bella giornata, no?” domandò
Atreius, assorto.
Bec scosse
la testa.
“Non
l’ho mai visto così arrabbiato. Ho sempre pensato
che Gabriel fosse quel genere di persona controllata e sulle
sue…ma dopo stanotte giuro che sembrava pronto ad ammazzare
qualcuno. Che gli hai fatto per renderlo così?”
Lei non
seppe che dire.
“Non
lo so. Proprio non lo so”
***
I raggi del
sole entravano nella sua stanza e la irradiavano di calore, il profumo
di fiori e grano era talmente forte che per un attimo le
sembrò di essersi addormentata all’aperto invece
che nel suo letto. Quella doveva essere per forza una splendida
giornata, con gli occhi chiusi e le palpebre abbassate vedeva tutto
arancione. Aveva sorriso per il meraviglioso risveglio quando qualcosa
fatto di stoffa le coprì tutta la testa e il volto.
Si tolse
velocemente l’oggetto e vide che era una tuta da
combattimento. Non fece fatica a capire chi gliel’aveva
tirata addosso facendole prendere un colpo.
Girò
la testa e guardò la porta aperta che dava sul corridoio. La
chiudeva sempre la porta quando andava a dormire.
Il solo
fatto di pensare a Gabriel che gironzola nella sua camera mentre ancora
lei dorme ignara, le mise i brividi.
Si
alzò mal volentieri e si costrinse a scendere per la
colazione.
Lo
trovò seduto a tavola, da solo, a mangiarsi la sua parte di
colazione. Di solito l’aspettava, per mangiare assieme.
“Come
mai stamattina hai pensato bene di tirarmi in testa una tuta? La mia
non andava bene?” gli si sedette di fronte come se niente
fosse.
Il ragazzo
rimase per un attimo allibito, poi cercò di risponderle alla
bell’e meglio.
“Oggi
ho pensato di fare un percorso ad ostacoli, per quello ho trovato
più saggio sostituire la tua vecchia tuta con una di
più resistente”
“Sì,
è capibile. E poi l’altra era anche un
po’ consumata sul ginocchio, tutte le volte che sono
caduta…” disse, iniziando a sghignazzare tra
sé e sé.
Il sorriso
le morì sulle labbra non appena incrociò Gabriel
che la guardava basito.
In effetti,
dopo quello che era successo ieri, si stava comportando da perfetta
idiota.
Doveva darsi
un contegno. Tossicchiò e riprese a mangiare in silenzio.
“Sai,
non credo che oggi ti annoierai” le disse improvvisamente il
ragazzo, con un’ombra di un sorrisetto sul viso.
Chissà
perché, quel ghigno non le piacque per niente.
***
“Ah,
ecco perché! Vuoi farmela pagare, vero?!”
Aveva
ripreso ad urlargli addosso, ma non aveva tutti i torti: il campo di
addestramento dove Gabriel l’aveva portata era assurdo ed
estremamente rischioso.
Una volta
lei gli aveva confidato che aveva una specie di paura ossessiva per i
ragni ma non pensava che poi lui se ne sarebbe ricordato! Né
tantomeno che avesse usato la sua grande debolezza per abbatterla in
quel modo!
Il percorso
consisteva in una serie di buche e cerchi di fuoco che bisognava
superare per arrivare in fondo e prendere la bandiera bianca di
vittoria. Peccato però che nelle buche (obbligatorie da
saltarci dentro) ci fossero delle colonie di ragni e che i cerchi di
fuoco (nei quali dovevi passarci attraverso senza incenerirti) fossero
alimentati da fiamme magiche che bruciavano il doppio rispetto quelle
normali.
Senza
contare gli altri ostacoli come lame che ti si scagliavano contro e che
dovevi evitare; uomini impagliati con una spada in mano e braccia di
terra che se ti prendevano le caviglie ti risucchiavano.
“Non
dire sciocchezze. Questo è un semplice percorso ad
ostacoli”
“Semplice?!
Semplice?! Per come la vedo io, un semplice
percorso ad ostacoli non prevede creature schifose come ragni grandi
due metri!” urlò, presa dalla paura folle di
quelle creature.
Poteva
vedere, da dove si trovava, le loro grosse zampe pelose muoversi
all’interno delle buche.
“Mica
devi farteli amici, ti ci devi solo buttare dentro e ammazzarli. Ci
sono tre buche: nella prima troverai tre ragni; nella seconda sei e
nell’ultima dodici”
“Dodici
ragni giganti?!”
“Pronta?”
chiese, con quell’aria da strafottente.
“No.
Credo che sverrò nella prima buca”
Gabriel le
diede una piccola spinta in avanti e le sussurrò
all’orecchio:
“Se
ti ritiri o muori sappi che dovrai scontare una punizione”
Bec non
trovò la cosa divertente quanto il ragazzo. Mai come ora
avrebbe voluto avere tra le mani un libro di ottocento pagine.
“Difficile
scontare una punizione se muoio” disse, cercando di risultare
ironica.
“Beh,
in ogni caso in bocca al lupo. Io ti aspetterò
nell’altra sponda, alla fine del percorso e ti conviene fare
in fretta perché non ho intenzione di aspettarti troppo
tenendo in mano la bandierina”
La ragazza
lo incenerì con gli occhi, poi lo fermò quando lo
vide allontanarsi.
“Ah,
Gabriel?” lo chiamò.
Lui si
girò a vedere che cavolo voleva da lui.
Con un giro
del polso, come se stesse maneggiando una palla invisibile, Rebecca
fece comparire dal terreno in cui poggiava i piedi Gabriel una radice
che andò ad attorcigliarsi alla caviglia del ragazzo a sua
insaputa.
Con uno
scatto tirò indietro la mano e così pure la
radice che, come mossa da un filo invisibile, si ritirò
facendo ribaltare il ragazzo. Cadde con il sedere procurandosi una
fitta mostruosa all’osso sacro.
“Scusa
Gabriel, ma questa non volevo assolutamente perdermela. Ah, dimenticavo
di dirti, se invece vinco sappi che in punizione ci andrai tu”
Il ragazzo
non disse nulla e barcollando, con una mano a massaggiarsi il sedere,
raggiunse la sua postazione.
Vendetta…
Tremenda
vendetta.
***
Gabriel non
poteva crederci. Rebecca aveva vinto e lui ora era in punizione.
Punizione, lui? Non si era mai sentita una cosa simile.
Era assurdo!
Si stava
facendo sottomettere da una sua allieva, una femmina per di
più!
“Così
Gabriel, dai! Dai, che ce la fai!” lo canzonò lei,
mentre leggeva un libro stravaccata nel divano e lui, con una traversa
a fiori rosa, una cuffietta gialla in testa con una papera disegnata e
la scopa in mano, era costretto a pulire tutta casa.
Ormai era da
due ore che lavorava. Non si era mai sentito così deriso in
tutta la sua vita. La sentiva ridere alle sue spalle, faceva finta di
leggere un libro e con un pretesto lo teneva sott’occhio. Era
alla stessa pagina da due ore.
“Finito!”
disse, con un sospiro di sollievo mezzora dopo. Si lanciò
contro l’altro divano non occupato da Rebecca e
restò a pancia in giù fingendo di dormire.
Bec, che lo
controllava con il libro davanti alla faccia (solo gli occhi spuntavano
fuori), fece un sorriso sornione e falsamente smielato.
“Oh,
tesoro, mi dispiace”
Gabriel si
voltò di scatto verso di lei quando si sentì
chiamare “tesoro”.
“La
cena. Non l’hai preparata. Và a fare il tacchino
come mi avevi promesso” disse, facendo un sorriso tirato e
scoprendo i denti.
“Io
non ti avevo promesso niente!” l’attaccò
di colpo, spaventato all’idea di dover fare altro duro
lavoro.
“Come
no, tesoro? Avevamo fatto un patto, se non ricordo male” si
finse dubbiosa, come se stesse ripensando alla promesse che si erano
scambiati quel pomeriggio.
“Ricordi
male”
“No,
no. Aspetta…ah, si! Avevamo concordato che se non ci restavo
secca o non mi ritiravo dal percorso tu avresti sopportato una piccola
punizione per me. Ricordi, tesoro?”
Gabriel sbuffò, contrariato al fatto che lei continuasse a
chiamarlo così.
“Ora
su, da bravo. Vai a cuocermi il tacchino”
“Tacchino?!
Non ci sono tacchini a Chenzo! Dove te lo trovo?”
domandò, disperato.
“Stupiscimi”
gli disse, con quella faccia fatta di sorrisi finti e di finte
gentilezze.
Gli
provocò i brividi di freddo.
***
“Ah…squisito!”
disse raggiante Rebecca, pulendosi con un tovagliolo la bocca. Due
piatti vuoti ai lati della tavola.
Gabriel
invece era meno entusiasta della ragazza. Per scovare quello stupido
tacchino aveva dovuto barattare con il macellaio del villaggio e la
merce del baratto non gli pareva per niente equa. Perché
doveva vendere il suo orologio da polso per prendersi un animale che
avrebbe mangiato in serata? La giustificazione del macellaio fu che
quel tacchino, non trovandosene a Chenzo, era stato importato dalla
Terra e che quindi valeva di più.
“Sai,
ieri sera ho parlato con Adele prima che tu arrivassi. Mi ha raccontato
un po’ della tua vita”
Gabriel, che
fino a poco prima aveva tenuto un irresistibile broncio, parve scattare
sull’attenti.
“Che
stupidaggine, lo sa quanto io odia che se ne parli”
“Io
non direi che è una stupidaggine, voleva parlarmene e io ho
trovato interessante l’argomento”
“Perché?”
domandò Gabriel, guardandola dall’alto al basso.
“Perché
m’incuriosiva la tua storia, anche se non ho ben capito una
cosa”
“Cosa?”
“Non
ho capito come mai sia a te che a tua madre fu tolto il titolo di
angeli”
Gabriel
s’irrigidì sul posto. Rimase in silenzio e
abbassò gli occhi, alcuni ciuffi biondi rendevano invisibili
i tratti della fronte.
“Me
lo dirai mai?” gli chiese, dolcemente. Nella sua domanda non
c’era né curiosità né
ostilità.
Come
si fa a rimanere arrabbiati con lei?
“Dipende”
disse, e la sua voce non era più un lascito di ira. Anche
lui si era calmato.
“Da
cosa?”
“Da te”
La reazione
di Rebecca fu una smorfia deliziosa che le andò ad
incorniciare il viso. Gabriel rimase stordito a fissare quel volto.
Ecco, ora
avrebbe voluto baciarla.
Ma
questo…questo non significava niente, vero?
Vero.
***
Rosalie non
ne era del tutto sicura ma le parve di aver sentito un rumore fuori
dalla sua finestra. Con uno sbuffo scocciato si alzò dal
letto e lasciò il libro che stava leggendo sopra le coperte,
aperto. La corrente d’aria, provocata dalla finestra aperta,
faceva voltare le pagine al libro.
Si sporse
oltre la balconata per vedere se c’era qualcuno, proprio
mentre stava guardando verso sinistra vi trovò una losca
figura in nero che, appesa alla parete, le tappò la bocca,
impedendole di urlare.
Cercò
di regolarizzare il respiro quando capì chi era. Il ragazzo,
avvicinandosi alla luce della stanza, mostrò un paio di
profondi occhi neri che parvero subito calmare la ragazza.
Mollò
la presa sulle sue labbra e con un balzo entrò nella camera.
“Denali…”
sussurrò Rosalie, spaventata.
Il ragazzo,
affascinante e superbo, la squadrò con aria passionale.
“Stupita
di vedermi?” le domandò, soffiandole sul collo.
Lei lo
respinse e lo fece indietreggiare.
“È
solo che non mi aspettavo di vederti qui, stanotte”
“Sai
com’è, non sapevo che fare, ero a letto e non
prendevo sonno. Mi manchi” le disse, con una certa angoscia.
“Sinceramente
Denali, non vedo perché tu debba rimanere, mia madre
è nella stanza accanto. Ne abbiamo già parlato,
non puoi stare in questa casa. Se Gabriel ti trova ti
ammazza!”
“Eddai
Rose, tua madre dorme e non ricominciare con la scusa
dell’iperprotettività di tuo fratello. Se ne
farà una ragione”
“Non
sarà necessario che se ne faccia una ragione
perché tra noi non succederà niente, niente che
vada oltre al rapporto fisico che già abbiamo! Quando
abbiamo iniziato la nostra relazione, quali erano i patti,
Denali?”
Il ragazzo fece finta di non sentirla e girò la testa da
un’altra parte.
“Di
non innamorarsi. Io non amo te, e tu non ami me. Non dobbiamo lasciarci
andare a stupidi sentimentalismi. Avevamo bisogno di conforto, ci siamo
trovati insieme per puro bisogno fisico. Veramente Denali, non ti
capisco. Che altro vuoi da me?” domandò disperata
la ragazza.
“Voglio
di più” rispose secco il ragazzo.
“Voglio te”
Rosalie
tentennò e il cuore partì a batterle
all’impazzata.
“E
mi hai, ma non posso darmi più di così. Io non
credo di sopportarlo” disse, incupendosi.
“Perché?
Hai paura che tu ti possa veramente innamorare di me, come io di te?
È questo il tuo timore? Perché se è
così, direi che un po’ tardi”
Rosalie
trattenne il fiato, non pensava di farcela a parlare. Il fatto era
che…sì! Non voleva innamorarsi di lui e lui aveva
promesso! Ma a quanto pare era così testardo e
cocciuto…
“Ti
amo”
“No!
No, Denali. Non dire così! Rendi tutto più
complicato!” Rosalie si coprì il volto e scosse la
testa, come una bambina alla quale era stato fatto un dispetto.
“Se
non mi vuoi, stanotte, basta che tu me lo dica. Cacciami e io
sparirò”
Rosalie
trattenne a stento le lacrime, si sentiva un enorme groppo in gola.
Senz’altro quell’idiota stava rendendo tutto
più difficile, metteva a dura prova la sua stessa
volontà.
Lasciò
cadere le braccia sui fianchi e tornò a fronteggiarlo con
tutta l’autorità che possedeva.
“Vattene”
“No,
non lo puoi pensare davvero” le disse Denali, facendosi
più vicino e prendendola per le spalle, scrollandola.
A quel punto
le lacrime iniziarono a sgorgare copiose sul bel volto della ragazza.
“Io
non voglio innamorarmi di te” lo disse in un
sussurrò appena udibile.
“Non
sei obbligata a farlo. Anche se penso che ci sei dentro tanto quanto me
in questa situazione”
“Tutte,
tutte le persone che io ho amato, dalla prima all’ultima, la
guerra me le ha portate via. Come puoi pretende che io ritorni ad amare
quando so già che l’amore dovrà
morire?”
Denali ebbe
un sussulto, ora finalmente capiva il motivo per il quale Rosalie non
aveva mai voluto che tra loro s’instaurasse una relazione
seria. Aveva paura. Non voleva più soffrire.
Il ragazzo
cercò di farsi coraggio e di parlare il più
dolcemente possibile, anche se la sua voce rimase comunque dura.
“Ti
sbagli, Gabriel e Adele ci sono. Ci saranno sempre per te, e anche io
non me ne vado da nessuna parte. Sono troppo giovane per
morire” concluse con un sorriso. “Allora, vuoi che
me ne vada?”
Dopo
parecchi secondi la ragazza gli rispose.
“No”
I muscoli
del ragazzo si rilassarono e le sue labbra cercarono subito quelle di
lei. La travolse in un bacio passionale, fatto di tante emozioni che si
susseguivano tra loro. La distese con attenzione sul grande letto
matrimoniale e subito le fu sopra. Arrivò a baciarle il
collo e la sentì ridere. Alzò la testa per
guardarla e non aveva mai visto due occhi azzurri così
luminosi.
“Credo
che ora sia decisamente troppo tardi per mandarti via” disse,
asciugandosi frettolosamente le lacrime con la manica e ridendo
spensierata come non si concedeva da tempo.
Denali
ghignò, gli occhi scuriti e incupititi dal desiderio.
“Lo
è. Decisamente”
***
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Capitolo 12 *** Pronta per combattere ***
Cap.
12 - PRONTA PER COMBATTERE -
Gabriel non era mai stato un ragazzo emotivamente affidabile. Il suo
temperamento freddo e glaciale gli avevano creato la fama di
“uomo senza cuore”. Lui non se ne vantava di certo,
ma non poteva neanche biasimare la gente del villaggio che lo vedeva
come un intruso nelle loro feste e divertimenti quotidiani.
Ecco perché, mentre guardava Rebecca pulire i piatti in
cucina, comprese che stava diventando un sentimentalone senza speranza.
Insomma, il vero Gabriel non avrebbe mai sprecato ore preziose del suo
tempo libero per spiare una ragazza qualsiasi mentre questa lavava dei
piatti, ignara della sua presenza alle spalle.
Rebecca strofinava il panno e canticchiava tra sé e
sé, persa in un mondo tutto suo e lui restava in disparte e
la contemplava pensieroso.
Quando la porta bussò si riscosse dai suoi pensieri e
andò ad aprire.
“Che vuoi?” domandò alla sorella, che
entrò comodamente in casa senza che lui l’avesse
invitata.
Quella mattina era ancora più bella del solito.
Lei lo fulminò con lo sguardo. “Un perfetto
gentiluomo tu, eh? E si può sapere perché mi
guardi così?”
Gabriel aggrottò la fronte. “Conosco quello
sguardo”
“Ok, dove hai sbattuto la testa?”
domandò Rosalie, un po’ infastidita dai modi
sgarbati del fratello. In realtà temeva che lui avesse
capito perfettamente.
Infatti Gabriel parlò con uno stupore tutto nuovo.
“Oddio, non anche tu…ti sei innamorata!”
Rosalie sussultò, presa in contro-piede, ma poi
scattò sorpresa. “Che vuol dire “anche
tu”? Non è che per caso…?”
anche lei, come il fratello, spalancò gli occhi.
“Ti sei preso una cotta per…”
Prima che potesse dire altro Gabriel volò su di lei e le
tappò la bocca impedendole di finire la frase.
“Ehm, che succede?”
Una voce nel corridoio li fece voltare tutti e due. Rebecca, con uno
straccio in mano, li stava guardando come se li vedesse per la prima
volta. Non li aveva mai visti farsi a botte prima d’ora.
Alle proteste di Rosalie di essere liberata, Gabriel mollò
la presa come scottato.
“Niente! Mia sorella mi ha chiesto un favore!”
Bec lo guardò poco convinta e avanzò di un passo,
non interrompendo il contatto visivo con il ragazzo.
“Ti ha chiesto di soffocarla?”
A Rosalie scappò una risata mentre Gabriel iniziava a sudare
freddo.
“Ma no! Che ti salta in mente…e comunque non sono
affari tuoi” disse e poi, infuriato, lasciò la
stanza per sparire al piano di sopra, correndo per le scale.
Rebecca alzò gli occhi al cielo. “Quel ragazzo
è una malattia per il mio stato di salute” poi si
voltò verso la ragazza che se stava ancora immobile
nell’entrata, e con una sorriso divertito le
domandò: “E tu come mai sei qui?”
Tutt’un tratto Rebecca vide Rosalie andare a fuoco, si stava
contorcendo le mani in grembo e i suoi occhi non erano mai stati
così luminosi.
All’inizio dovette preoccuparsi. “Ehi, che ti
prende? Rosalie, vai a fuoco!”
“In realtà avrei preferito parlarne prima con
Gabriel ma credo che arrivati a questo punto possa saperlo anche tu,
ormai sei una di famiglia”
“Ehi! Alt. Stop. Frena. Con “una di
famiglia” non intenderai affermare che io e
Gabriel…? Perché se è così
sappi pure che dovrai vedermi sposata ad un troll basso e puzzolente
prima che possa stare con uno come tuo fratello. Quel giorno mi vedrai
come una donna che guarda l’ultimo uomo sulla faccia della
terra. E questo
avverrà…vediamo…mai!”
“Non dovresti dire queste cose se non ne sei
sicura” la rimproverò saggiamente la ragazza.
Bec parve vacillare, poi, battendo le mani come per scacciare una
mosca, domandò: “Allora, che vuoi
dirmi?”
***
Gabriel stava cercando di portare la sua attenzione verso un brano che
stava leggendo, ma proprio mentre richiudeva il libro un urlo eccitato
invase la casa.
Preso da un colpo improvviso per poco non cadeva dalla sedia e correndo
fuori dallo studio si precipitò ansante verso il salotto da
dov’era provenuto il grido.
Rimase stupito nel vedere che in salotto c’erano solo le due
ragazze. Entrò cautamente nella stanza perforando con lo
sguardo ogni angoletto buio o spazio vuoto.
“Ecco, ora so cosa sono i deficienti” disse
sarcasticamente Rebecca, guadagnandosi uno sguardo perplesso dal
ragazzo.
“Nessuna di voi ha gridato?”
Rebecca alzò le spalle. “Sì, io.
Problemi, per caso?”
“No, no. Niente” se ne stava andando quando il viso
della sorella lo bloccò sul posto. “Rosalie, devi
dirmi qualcosa?”
Il viso già arrossato della ragazza divenne di un bel rosso
corallo, tanto che Rebecca, al suo fianco, lanciava occhiate da lei a
Gabriel come se stesse assistendo ad un film d’azione.
“Sono incinta”
Crollò nella stanza il silenzio più totale. Il
bel sorriso scomparve dalla faccia sconvolta di Rebecca che
boccheggiò un paio di volte prima di parlare.
“M-Ma prima mi hai detto che tu e Denali stavate insieme!
Doveva essere quella la notizia bomba! Non mi hai detto che
eri…cosa?!”
Rosalie le sorrise. “Scusami, ma te l’avevo detto
che avrei preferito parlarne prima con mio fratello”
Gabriel, che fino ad allora era rimasto immobile e bianco come un
fantasma, esplose non appena sentì su di sé gli
sguardi delle due ragazze.
“Denali? Denali ti ha messa incinta?! Ok, non ti preoccupare,
Rose” la chiamava sempre con il suo nomignolo quando si
comportava da fratello maggiore. “Tu adesso stai qua con
Rebecca finchè io vado da lui e lo ammazzo. Poi quando torno
ne riparliamo, dobbiamo decidere e organizzarci come fare per la tua
gravidanza, non potrai vivere da sola d’ora in poi. Adele tra
un po’ ripartirà e…”
“No!” urlò Rosalie, alzandosi come una
molla dal divano.
Gabriel la guardò come se fosse pazza.
“Cosa?” poi, notando Rebecca mordersi il labbro e
ricordando quello che poco prima aveva detto, capì.
“Tu non ammazzerai proprio nessuno! Denali non mi ha messa
incinta, non è un maniaco né un pervertito che si
è approfittato di me. Se è successo è
perché ci amiamo. Stiamo insieme, ora”
“Ora?! Vuol dire che questa storia va avanti da tempo! Da
quanto, Rose?”
“Da quando siamo tornati a Chenzo dopo aver portato con noi
Rebecca”
Gabriel, preso dallo sconforto, si sedette sul divano. Non sapeva
più che fare. Sua sorella, la sua adorata sorellina era
stata messa incinta dal suo migliore amico.
“Senti, non so più che altro dirti. Se vi amate
è bene che cresciate questo bambino insieme. È
solo che averlo saputo così è stato un
po’ spiazzante. Ma me ne farò una ragione.
Dopotutto non credo che diventare zio sia una brutta cosa”
disse, sospirando e chiudendo gli occhi per far riposare le palpebre.
Si sentiva di colpo così stanco…
“No, Gabriel. Non dev’essere male”
intervenne Bec, dolcemente.
Gabriel aprì gli occhi e li puntò verso di lei
che lo stava confortando con le parole.
Sorrise pigramente e si grattò la nuca.
Cavolo.
Che cambiamento.
***
Quando Rosalie uscì dalla casa di suo fratello portava
addosso una maschera di pura felicità. Mancava poco che al
posto di camminare iniziasse anche lei a volare, come quegli angeli che
tanto da piccola aveva invidiato.
Arrivò davanti alla casa di Denali tutta accaldata, il manto
marrone che la ricopriva svolazzava ai lati delle sue caviglie mentre i
capelli ondeggiavano a destra e a sinistra come dei fili
d’erba.
Bussò a tempo di musica e non appena venne ad aprirle Denali
il suo sorriso contagiò ogni fibra del suo corpo. Anche
Denali, vedendola, sorrise, appoggiando la testa allo stipite della
porta.
“Posso entrare?”
Il ragazzo diede una fugace occhiata all’interno.
“Ma certo, entra”
Non appena mise piede dentro notò subito due figure
accomodate.
Rosalie, voltandosi verso il ragazzo e in contemporanea togliendosi il
mantello, bisbigliò al suo orecchio. “Non sapevo
avessi invitato Kevin e Delia”
Denali arricciò le labbra, contrariato. “In
realtà si sono presentati senza avvisare”
“Rosalie!” disse con un urletto eccitato Delia,
balzandole addosso per abbracciarla. L’altra, tra lo
spaventato e il sorpreso, ricambiò l’abbraccio
goffamente, lanciando occhiate interrogative verso Denali.
“Gli ho detto tutto” disse il ragazzo, e sorrise.
Rosalie amava
quel sorriso furbo. La prima volta che si era resa conto di essere
innamorata di lui (mettendo poi tutto segretamente a tacere) fu quando
le riservò un tale sorriso: carico d’ambizione e
adorante.
“Già” intervenne Kevin. “Ci ha
detto tutto è…cavolo, un bambino!”
“Infatti, è tutto così inaspettato
anche per noi” poi, stando attenta che Delia non la sentisse,
sussurrò verso Denali, con labbra serrate. “Non
potevi trattenerti prima di urlarlo a tutto il villaggio?!”
Denali, in risposta, le diede un bacio sulla fronte.
“Perché avrei dovuto mettere a tacere una
così bella cosa?”
“Per fortuna che io e te dovevamo avere un rapporto usa e
getta…” ringhiò Rosalie, in direzione
del ragazzo moro.
“Come l’ha presa Gabriel?”
A quel nome, Denali, mandò giù un groppo in gola.
Rosalie si accomodò in cucina, seguita dagli sguardi
impazienti degli altri. “Come volete che l’abbia
presa? Mi ha diseredata, ha giurato di ammazzare Denali e quando il
bambino sarà nato lo spedirà in una casa per
giovani orfani”
A quel punto si potè benissimo vedere la faccia di Denali
passare dal bianco al viola, dal verde al rosso.
Prima che facesse lo scoppio la ragazza lo calmò.
“Sto scherzando. L’ha presa bene, secondo me non
è poi così scontento all’idea di
diventare zio. Devo ammetterlo, da quando abbiamo qui con noi Rebecca
lo vedo molto più…”
“…comprensivo” disse Kevin, con
ovvietà.
“…romantico” squittì Delia,
battendo le mani e sognando ad occhi aperti.
“…maturo” confermò Denali,
con le braccia incrociate al petto in fase di riflessione.
Rosalie li guardò tutti e tre e poi scoppiò a
ridere. “Avete riassunto alla perfezione quello che volevo
dire!”
“Ma dicci, come l’avete presa quando
l’avete saputo?” chiese Delia, poggiando una mano
calda sulla gamba di Rosalie.
Denali, avvicinandosi alla ragazza, le passò un braccio
attorno alle spalle e lei, alzando lo sguardo su di lui, strinse la sua
mano.
***
Era da più di
mezzora che gli aveva detto di raggiungerla a casa sua. Adele non
c’era e sarebbe tornata a momenti, non voleva che tornasse e
lo trovasse lì. Andava avanti e indietro, camminando come
una pazza nel corridoio, strofinandosi istericamente le mani e fissando
il pavimento.
Quando alla porta
sentì dei colpi battere capì che era arrivato il
momento.
Rimase parecchi secondi
a fissare la porta chiusa, spaventata. Poteva sentire la voce del
ragazzo chiamarla.
“Rosalie! Sei
in casa? Apri!”
Con un coraggio
sovrumano aprì la porta e lo fece accomodare.
Denali entrò
preoccupato e la prese per le spalle.
“Tutto bene?
Mi ha mandato a chiamarmi un ragazzo dicendomi che mi volevi ed era
urgente. Ti prego, non dirmi che è successo qualcosa di
grave”
La ragazza prese un
forte respiro prima di sputare in faccia a Denali il motivo della sua
chiamata. Se non lo faceva subito e alla svelta non avrebbe
più avuto la prontezza di dirglielo.
“Aspetto un
bambino”
Vide la faccia del
ragazzo ingrandirsi e gli occhi diventare due palline da golf.
“Come, scusa?!”
Rosalie socchiuse gli
occhi e si morse il labbro. “Sono incin…”
“Sì!
Ho capito cosa sei! È solo che…”
La ragazza, non osando
guardare in faccia Denali, concluse il peggio. “Ok, ho
capito. So cosa vuoi dirmi” disse e si voltò, non
dando a vedere le lacrime che avevano iniziato a scenderle copiose.
“È sicuramente il momento sbagliato: tu non ti
senti pronto e io neppure. Siamo stati degli incoscienti a fare
l’amore quella sera in camera mia e sarebbe stato meglio se
quella volta ti avessi scacciato. Darai tutta la colpa a me, urlerai e
dirai che non vuoi avere nessun bambino. Per essere carino e fare una
bella figura ti offrirai aiutarmi e io dovrò crescerlo da
sola. Non sono stupida, ti conosco. Non sei affatto un uomo di casa, un
uomo al quale piace avere una famiglia. Sei un nomade, un
arrogante, orgoglioso, indipendente. Sicuramente questo problema
intralcerà la tua libertà, ti sentirai in gabbia,
vorrai andartene. Infondo, chi di noi è pronto?”
“Hai
finito?”
Rosalie, dandogli le
spalle, annuì con un cenno della testa. Si sentiva troppo
male, non ce la faceva a girarsi e ad affrontarlo.
Si sentì
afferrare da due possenti mani e girare su sé stessa.
Sbarrò gli occhi, piacevolmente sorpresa, nel sentire le
labbra di Denali sulle sue.
Quando si staccarono,
ansanti ed euforici, la ragazza cercò con lo sguardo gli
occhi profondi del ragazzo.
Lui le baciò
la fronte, dolcemente. “È solo che non credevo
esistessero i miracoli”
***
“Sai, non ho mai trovato nessuno che mi dia sui nervi tanto
quanto te in questo momento” disse Rebecca svogliatamente,
passando una pagina del libro che stava leggendo.
Ultimamente non faceva altro che leggere libri sull’arte
della guerra.
Posò lo sguardo su Gabriel che la guardava
dall’altro divano, come se la stesse analizzando: braccia
conserte e cipiglio innalzato.
“È che stavo pensando. Devo ancora capire come mai
non riesco a leggerti nel pensiero. È stato un chiodo fisso,
una domanda che mi ha ossessionato per tutto il primo periodo in cui ci
siamo conosciuti. Con gli altri ci riesco benissimo quando voglio ma
con te…” lasciò in sospeso la frase.
“Boh, me la metterò via”
“Quando saprò il perché di questa cosa
stanne certo che verrò a dirtelo ma nel frattempo smettila
di fissarmi come se stessi per mangiarmi!” sbottò,
con cipiglio severo.
Gabriel portò le mani in alto in segno di resa e
spostò la sua attenzione su un quadro appeso al muro che
raffigurava una spada nella roccia. Con un sonoro botto la ragazza
chiuse il libro e si sistemò meglio nel divano, arrivando a
fronteggiare il ragazzo.
“Posso farti una domanda?”
Gabriel inarcò il sopraciglio. “Se ti dico di no
me la farai lo stesso. Cosa cambia?”
“Come funziona l’immortalità? Voglio
dire, gli angeli bianchi godono di un’immortalità
nel vero senso della parola ma noi che siamo: io un angelo iniziato e
tu un ex angelo, che tipo di immortalità abbiamo? Una volta
tu mi hai detto che eri immortale però allo stesso tempo
Rosalie e gli altri hanno la tua stessa età sebbene
dovrebbero avere ormai…beh, dovrebbero essere sicuramente
più grandi di te!”
“Questo perché non ti ho detto tutto” il
suo tono sarcastico lasciò di stucco la ragazza.
Rebecca, senza un apparente motivo, rimase ferita dalle parole di
Gabriel. Le aveva omesso delle cose importanti.
Cercò di ignorare il gran caldo che le era montato addosso e
gli chiese di spiegarsi.
“Vedi, solamente gli angeli bianchi o neri completi diventano
immortali e vivono per sempre. Per quanto riguarda gli angeli come te,
quelli iniziati, gli apprendisti, siete mortali. Nel mio caso invece,
dato che sono stato per un breve periodo un angelo a tutti gli effetti,
ho convissuto con l’immortalità in quegli attimi.
Poi, quando sono stato esiliato mi è stata tolta.
C’è comunque la possibilità che ritorni
ad averla”
“Diventando di nuovo un angelo bianco. Devi conquistarti quel
titolo, se non mi sbaglio”
“No, non funziona solo così. Io posso chiedere che
mi sia data l’immortalità pur non essendo un
angelo completo, l’importante è che almeno lo sia
stato. Nel momento in cui inizi ad avere una certa
famigliarità con essa è come se
s’insinuasse dentro di te e ti alimentasse. Anche quando ti
viene tolta, ti rimane la cicatrice in un certo senso”
Rebecca non capiva. “E perché hai rifiutato
quest’opportunità?”
“Beh, perché non voglio sprecarla. Se mai
arriverà un’occasione giusta domanderò
io stesso che mi venga data, farò richiesta agli anziani.
Anche se da come la penso io non me la daranno prima che sia ritornato
un angelo”
“Perché mi hai mentito?”
“Non lo so” disse Gabriel, non sapendo che altro
inventarsi. “Mi dispiace”
“Non fa niente” poi Gabriel la vide contorcersi nel
suo posto, agitata e ansiosa. “Posso dirti una cosa, senza
che ti arrabbi?”
“Chissà perché non mi
piace…”
“Beh, prima ho fatto il conto esatto del tempo che sono qua a
Chenzo. Sono quattro mesi che vivo in questa casa, in questo posto, e
io ho preso una decisione drastica”
“Drastica? Quanto drastica?” domandò, in
tono preoccupato.
“Mi hai insegnato tutto quello che dovevo sapere
e…Gabriel, io mi sento pronta per combattere. Ogni giorno,
in ogni istante, vedo la faccia spaventata delle persone quando passo
per strada e i loro ricordo, la loro memoria di quei giorni mi hanno
fatto riflettere. Io sono qui per un motivo ben preciso: salvarvi. Ma
da quando sono arrivata non ho fatto niente di concreto!
Io…io mi sento in dovere di fare qualcosa, seppur
minima!”
Gabriel le prese le mani tra le sue e annuii. “Non
è certo colpa tua se prima hai dovuto addestrarti, imparare,
ma posso capire la tua voglia di agire. Senz’altro Mortimer
avrà capito che è arrivato un angelo nel
villaggio, per quello ha mandato delle spie, sarà pronto per
muoversi, attaccarci…e sono contento che tu finalmente ti
senta preparata abbastanza per affrontarlo”
“Sarà una bella prova, peggio che affrontare i
ragni giganti” disse, lanciando un sorriso sicuro.
Gabriel però non sembrava poi tanto contento.
“Sappi che io ti sono vicino”
“E vorrei vedere! Ti ammezzerei se solo ti azzardassi a
lasciarmi in un momento critico come questo” Gabriel
sospirò, ghignando impercettibilmente. “Dobbiamo
aspettare finchè non si fa vivo, no?”
“Sì” le rispose il ragazzo. “E
non penso lo faccia tra molto. Cercherà sicuramente un modo
per scontrarsi con te e farti fuori. Ora come ora tu per lui presenti
un enorme pericolo, potresti compromettere i suoi piani per arrivare
alla scala del successo. È normale che voglia
toglierti di mezzo”
Rebecca sembrava borbottare tra sé e sé,
contraria all’uso della parola “normale”
in quel contesto.
Poi lui continuò: “Senza contare che fino a poco
tempo fa una spia circolava liberamente nel villaggio mentre adesso
sembra che si sia dileguata” disse, pensieroso.
“Avrà concluso la sua missione e non è
una bella cosa”
“Chi pensi che possa essere?”
“Non ne ho idea”
“Bastian non lo sa?”
“No, non è semplice come sembra scovare una spia.
Contando che noi ci fidiamo di tutte le persone del villaggio, le
conosciamo da quando siamo nati” poi, il ragazzo, come
bloccato, spalancò gli occhi. “Beh,
apparte…”
“Atreius!” quasi urlò Rebecca, come
colta da un’illuminazione mistica.
Gabriel aveva la stessa faccia di una persona che finalmente aveva
trovato la risposta a tutte le sue domande.
“È da un po’ che non si vede
più Atreius in giro…”
Uno sguardo di puro terrore balenò su Rebecca.
***
“Fatelo entrare” disse Dark Threat, in tono
glaciale.
Una porta si aprì, cigolando pigramente. Un ragazzo alto e
moro, con due incredibili occhi grigi, entrò nella sala con
un un’andatura sicura di sé e per niente
impacciata.
Sapeva muoversi, lui, in quei corridoi.
Gli occhi dell’uomo si posarono e incontrarono quelli del
ragazzo in segno di sfida. “Hai fatto un ottimo lavoro,
Atreius. Ti avevo chiesto di tenermi d’occhio la mocciosa e
così hai fatto, dandomi delle utili informazioni sul suo
conto e sulla sua vita privata. Mai avrei potuto chiedere di
più…si è persino innamorata”
disse, iniziando a ridere. “Senza dubbio sapremo dove
colpirla. I sentimenti umani e gli attaccamenti tra persone diventano
molto pericolosi in guerra, possono diventare armi letali in mano ad un
nemico astuto e crudele. Pensa a come starebbe male la ragazzina se le
venisse tolto Gabriel o sua sorella…sarebbe vulnerabile!
Debole!”
Atreius, soddisfatto, annuii al suo signore.
“È forte mi hai detto…e in gamba.
Dovrò muovermi il prima possibile. Tolta di mezzo lei, non
avrò più niente da temere. Con lei se ne andranno
per sempre gli angeli bianchi”
“Signore?” lo chiamò il ragazzo, per
niente intimorito dall’occhiata di fuoco che Dark Threat gli
riservò. “Cosa devo fare io, ora?”
“Resta al castello, va nella tua stanza, fa quel che ti pare.
La tua missione è stata eseguita in maniera ottima,
direi” e qui, un ghigno gli dipinse il volto.
“Dopotutto, sei pur sempre mio figlio”
***
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Capitolo 13 *** C'è qualcosa nel cielo ***
Cap. 13 -
C’È QUALCOSA NEL CIELO -
[Non
dovrei amarti ma voglio farlo.
Posso
solo voltarmi, non dovrei vederti
ma
non riesco a muovermi,
non
riesco a guardare altrove.
E
non so come fare a stare bene
quando
non sto bene, perché non so
come
fermare questa emozione.
Solo
per fartelo sapere,
queste
emozioni stanno prendendo il controllo di me
e
non posso farci niente]
Jesse
McCartney - Just so you Know -
***
Rebecca non
faceva che andare su e giù per la stanza, torturandosi le
mani in grembo, mentre Gabriel, esterrefatto, rimuginava seduto nel
divano.
“Come
ho fatto a non arrivarci prima?!” mormorò tra
sé e sé la ragazza, con vocina stridula.
La voce di
Gabriel invece arrivò roca e con una nota di sarcasmo.
“A quanto pare non era poi tanto innamorato”
“Ti
pare discorsi da fare?” lo rimproverò Rebecca,
fissandolo con ostentata disapprovazione. Con uno sbuffo si
buttò nel divano e mise il broncio. “Se
l’avessi saputo prima…”
“…gli
avrei spaccato la faccia” concluse Gabriel, portandosi le
mani sotto il mento e fissando il vuoto davanti a sé.
Rebecca gli
scoccò un’occhiata di fuoco.
“L’avrei fatto prima io! Come ha potuto prendersi
gioco di me in quel modo? Io di certo non ero persa per lui ma in ogni
caso essere ingannata e circuita così non è
piacevole!”
Gabriel si
ritrovò suo malgrado a darle ragione, anche se
l’idea di avere Atreius fuori dai piedi non gli dispiaceva
affatto…
“Che
si fa ora?” disse la ragazza, sistemandosi meglio nel divano,
in attesa di una risposta.
Gabriel si
leccò le labbra. “Io credo che la cosa migliore da
fare sia aspettare e vedere che succede”
Rebecca
spalancò gli occhi, mettendosi immediatamente dritta.
“Mi stai usando come esca?!”
“Mi
duole ammetterlo ma è così. Ormai Mortimer
saprà quasi tutto di te: dove vivi, con chi, dove vai di
giorno, dove ti alleni…non aspetta altro se non il momento
migliore”
“Ad
esempio quando sono da sola?”
“Sì”
disse Gabriel, socchiudendo gli occhi in un gesto sofferente. Quando
gli riaprì erano vuoti e tristi.
Vedendolo in
quelle condizioni Rebecca si sentì impotente. Dopotutto, che
speranze aveva lei per sconfiggere il signore del Male?
L’amarezza e la tristezza se ne andarono immediatamente nel
momento in cui Rebecca arrivò ad una, clamorosa,
conclusione: lei era forte e doveva avere fiducia in sé
stessa. Si sentì subito pervadere da una strana sensazione
di piacere. Poteva farcela. Ce l’avrebbe fatta.
Tornò
a guardare Gabriel che si stava crogiolando nel divano e, come quando
si tira fuori una persona dal baratro del “non
ritorno”, così lei lo aiutò ad uscire
da quel pozzo senza fondo in cui era pietosamente caduto. Lo
abbracciò con tutto il calore e il trasporto di cui era
capace finchè non sentì le mani del ragazzo
posarsi sui suoi fianchi e stringerla a sé.
“Credo
che dovremmo parlare a Bastian riguardo suo nipote” disse
Rebecca, poggiando il mento sulla spalla del ragazzo e soffiandoli
nell’orecchio.
Lo
sentì annuire con la testa.
Dieci minuti
dopo erano da Bastian.
***
Quando
Bastian venne ad aprire alla porta si poterono benissimo notare i
solchi e i segni neri attorno ai suoi occhi e la pelle bianca tendeva
ad un colore olivastro. Aveva un’aria assorta e leggermente
addormentata. Stava da schifo, in poche parole. Dopo aver percorso con
lo sguardo i loro volti si grattò la testa e
sbadigliò sonoramente.
“Che
ci fate qui a quest’ora?”
Rebecca e Gabriel si lanciarono uno sguardo preoccupato.
“È
pomeriggio” gli fece notare la ragazza, inarcando le
sopraciglia e squadrandolo come per accertarsi che stesse bene.
Bastian si
lasciò sfuggire un “oh” sorpreso.
“Beh, entrate! Accomodatevi”
Fece loro
spazio per fargli passare e poi, dando un’occhiata fuori
casa, richiuse la porta. Fece accomodare i due ragazzi e trascinandosi
verso una sedia vi prese posto con una stanchezza spaventosa.
“Dormito
male?” gli domandò Rebecca.
Bastian fece
un altro sbadiglio. “A dire la verità non ricordo
l’ultima volta che ho toccato il mio letto e, non so come
mai, ho dei ricordi sfuocati di questi giorni, come se fino ad ora
avessi vissuto in uno stato di ubriacatezza. Non sono ubriaco, vero? O
magari ho la febbre!” domandò, allarmato.
“No,
ma temo di aver capito cosa ti è successo” disse
Gabriel, gravemente. “La tua mente è stata
controllata da Atreius”
“Chi?”
Rebecca
posò subito la sua attenzione verso Gabriel. “Non
si ricorda nemmeno chi è!”
Bastian
alzò le mani in segno di resa, perplesso. “Cosa
state cercando di dirmi, voi due?”
“Vedi…”
cominciò il ragazzo, cercando uno sguardo
d’appoggio verso Rebecca prima di continuare. “Ho
la certezza nell’affermare che tu sia stato temporaneamente
controllato da una spia di Mortimer. Sicuramente avrà usato
te perché avrà saputo della tua forte influenza
sul villaggio e della tua posizione di capo perciò il suo
arrivo, presentandosi come tuo nipote, non avrebbe destato
né sospetti né pettegolezzi tra la
gente”
Bastian, che
aveva ascoltato attentamente, spalancò la bocca inorridito.
“Non ci posso credere! Sono stato usato da una spia
affinché questa avesse una sistemazione nel mio villaggio e
controllasse Rebecca?!” sembrava veramente arrabbiato.
“Mi dispiace, Aidel” le disse poco dopo, con una
faccia da cane bastonato che spezzò il cuore alla ragazza.
“Non
fa niente, saprò cavarmela. Non è colpa
tua” lo rassicurò, prendendogli una mano tra le
sue.
“Nessuno
di noi avrebbe voluto finire in questa situazione e devo ammettere che
un po’ è stata anche colpa mia”
“Che
pensate di fare?” domandò, con uno sguardo
mortificato.
Gabriel,
incrociando le mani al petto e si lasciò andare contro lo
schienale della sedia. “Ci difendiamo”
Rebecca
annuì con vigore e anche Bastian fu d’accordo.
“Se vi posso essere d’aiuto…”
mormorò il capo-villaggio, squadrando i due ragazzi.
“…fatemi un fischio”
***
Quando
tornarono a casa Gabriel, al massimo della frustrazione, diede un pugno
alla porta rimanendo con la fronte incollata al legno freddo della
trave. Rebecca, scossa dal rumore e dal gemito di dolore del ragazzo,
si voltò verso di lui e lo trovò nella
più totale disperazione, appoggiato, con il pugno alzato,
alla porta chiusa.
Con timore
gli si avvicinò e allacciò le braccia al suo
torace, facendolo voltare. Non lo aveva mai visto tanto disperato e la
cosa la colpì moltissimo. Senza rendersene conto gli
passò una mano tra i biondi capelli e gli scansò
qualche ciuffo dalla fronte, i suoi occhi azzurri si erano scuriti e il
mento era più spigoloso del solito. La sua mano non
abbandonò la faccia di Gabriel che si posò
delicatamente sulla sua guancia. Lentamente, molto lentamente, Gabriel
aprì gli occhi e puntò le sue iridi glaciali
dritte in quelle scure di lei. Le gambe di Rebecca cominciarono
improvvisamente a tremare e il cuore iniziò a batterle
all’impazzata. Se qualcuno non l’avesse fermata,
non sarebbe più stata cosciente delle sue azioni,
perciò tentò di parlare nella speranza che la
situazione si smorzasse.
“Non
è colpa tua”
Gabriel fece
un lungo sospiro prima di parlare. “Mia sorella è
incinta e tu ora rischi di morire. Non sarò in grado di
proteggervi, se Mortimer dovesse attaccare il villaggio non ce la
farò mai a garantirvi la massima protezione. Nella
situazione in cui è Rosalie poi…sarò
troppo debole e vulnerabile”
“Gabriel,
non hai mai pensato che: uno, Rosalie abbia già Denali che
la protegge e che farà di tutto pur di salvarla e numero
due, io sono abbastanza forte. Ti ho battuto molte volte durante gli
allenamenti, e dire che tu non sei una schiappa” disse con un
sorriso.
“Non
vedo come la cosa possa avere un lieto fine”
“Sai,
Gabriel…” mormorò la ragazza, con il
batticuore in gola. “…tu parli decisamente
troppo” e lo baciò.
La mano che
prima teneva posata sulla sua guancia la usò per avvicinare
il volto del ragazzo al suo e nel momento in cui le loro labbra si
unirono gli allacciò le braccia intorno al collo, alzandosi
in punta di piedi e permettendo a Gabriel di cingerle i fianchi.
Approfondirono immediatamente il bacio e con trasporto finirono, in un
modo o nell’altro, distesi sul divano. Non appena Gabriel le
fu sopra fece scorrere le sue mani lungo il ventre della ragazza,
massaggiandoglielo con tenerezza. Le loro bocche, incollate, si
staccarono quando Gabriel decise di andare a baciarle il collo,
provocando una serie di mugolii da parte di Rebecca.
Rebecca,
volendo essere più audace, infilò le mani sotto
la maglietta di Gabriel mentre lui ritornava a baciarla sulle labbra,
le dita al contatto con i suoi muscoli tesi, le provocò un
senso di piacere e di vittoria.
Era bello
baciarlo.
Avevano
perso troppo tempo a parlare, quel “passatempo” era
decisamente migliore.
Si chiesero
entrambi come mai avevano aspettato tanto tempo quando bastava
così poco per trovarsi uniti ed essere d’accordo
su qualcosa.
Ma quando la
mano di Gabriel si posò sulla sua coscia, lei immediatamente
si scostò.
“Scusa”
sussurrò Gabriel, nascondendo il viso nell’incavo
del suo collo.
Il respiro
irregolare del ragazzo sulla sua spalla le provocò diversi
brividi. Aveva la bocca socchiusa e gli occhi erano aperti in maniera
confusa. “Và meglio?”
Stupida,
pensò subito dopo aver formulato la domanda. Ti sembrano cose da chiedere in
un tale momento?
Si morse
nervosamente il labbro inferiore e rabbrividì quando
l’alito fresco del ragazzo le solleticò la pelle.
“Direi di sì” disse con una risata.
Dato che
Gabriel si trovava ancora sopra di lei e il peso del ragazzo iniziava a
farsi sentire, Rebecca spinse il bacino contro quello del ragazzo,
invitandolo a scostarsi. E infatti, tempo di reazione pochi secondi, il
ragazzo si tolse bruscamente.
Rimase
seduto nel divano e quando Rebecca si alzò e si
sistemò la maglietta che le era salita lasciandole scoperta
la pancia, notò che la stava fissando seriamente.
Arrossì leggermente sotto lo sguardo di lui, e
girò in fretta la testa.
Poi lui
parlò. “Io credo che, insomma, se
vogliamo…qualche volta potremmo anche…”
Capendo a
cosa alludeva, Rebecca diventò bordeaux e
farfugliò, imbarazzata: “Certo, lo credo anche io.
Beh, se capitasse che siamo giù di morale
potremmo…”
“Infatti,
era quello…”
“Quello…”
“Che
intendevo” conclusero insieme.
“Bene”
disse, con una strana calma il ragazzo. “Io direi di andare
ad allenarci”
Rebecca
scattò in piedi e con impacciati movimenti tentò
di recuperare il bagaglio delle armi. “Oh, sì! Era
quello che stavo per chiederti io”
“Allora,
quello che è successo…quando avremmo voglia va
bene ma…ma non vuol dire niente” disse Gabriel,
trovandosi seriamente in guerra con i suoi sentimenti che lo stavano
facendo impazzire.
Bec lo
rassicurò sventolando le mani aperte. “Oh, no! Non
vuol dire niente!”
“Insomma,
io non sono innamorato di…”
“Neppure
io!”
“Bene”
“Bene”
***
Le montagne
di Chenzo e i suoi paesaggi erano meravigliosi. Le capitava sempre di
seguire i profili delle cime, di contare i petali dei trifogli, di
ammirare uno strano uccello…
Ma quel
pomeriggio, tesa com’era, Rebecca non aveva ancora prestato
nessun tipo di attenzione al paesaggio. Stavano correndo da due ore ma
era come se avesse sempre avuto la testa svuotata e i pensieri lontani.
Se Gabriel le faceva una domanda rispondeva con il minimo necessario,
beccandosi torve occhiate da parte del ragazzo che non apprezzava
appieno il mutismo in cui si era chiusa.
Non si era
neppure accorta di essere in quel momento nel luogo in cui per la prima
volta aprì le ali. Saltò via insieme a Gabriel un
grosso tronco caduto che bloccava la strada e fu allora che
sentì un boato nel cielo, come uno squarcio tra le nuvole.
Entrambi,
colti di sorpresa, di arrestarono e alzarono la testa verso il cielo
dove un enorme macchia nera troneggiava coprendo il sole.
Gabriel
smise di respirare.
“C’è
qualcosa nel cielo” disse Rebecca, indicandoglielo col dito e
ritraendolo subito quando capì di aver indicato la figura di
un uomo. “È…”
cominciò la frase ma non riuscì a finirla
poiché un groppo in gola le bloccò il flusso di
parole.
“Sì,
è lui”
Rebecca
prese forza e con ostentata audacia scrollò le spalle.
“Era ora che si facesse vivo” disse, a denti
stretti.
Non sapeva
perché ma odiava quell’uomo.
Una strana
forza, che più tardi avrebbe identificato con
l’odio, si impossessò di lei dandole coraggio e
sfrontatezza.
Sotto lo
sguardo sconvolto di Gabriel aprì le ali e sfilò
dalla fodera legata alla cintura la sua spada che luccicò
lanciando scintille di fuoco. Un generoso dono di Bastian, la
chiamavano: “la spada degli eroi” e veniva
tramandata a tutti gli angeli bianchi. Aveva il potere di generare
vigore e potenza a chi la impugnava. Ecco perché in quel
momento, piacevolmente sorpresa, si sentì invincibile.
Fece un
passo in avanti ma venne bloccata dal ragazzo.
“Sta
attenta”
Paura,
amore, terrore, ansia, colpa…nel viso di Gabriel, Rebecca,
colse una miriade di emozioni diverse e tutte erano per lei.
“Lo
sarò” disse con convinzione e ardore.
Non
fallirò.
Si
voltò, preparata per affrontare il suo nemico che
dall’alto, con un ghigno divertito, non aspettava altro se
non il momento in cui lei si fosse presentata a lui pronta per
combattere. Ghignò a sua volta, conscia di essere in
quell’istante arrogante e sfrontata.
Corse
velocemente verso il pendio, pochi metri più avanti
c’era il baratro. Quando il terreno sotto di lei
finì si diede un enorme spinta con il piede e, librandosi in
aria, volò verso il signore del Male.
***
|
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Capitolo 14 *** Testarda è dir poco ***
Cap. 14 - TESTARDA
È DIR POCO -
[È
bello sapere che c’eri.
Grazie
per aver finto che ti importasse
e
per avermi fatta sentire come se io fossi stata l’unica,
è
bello sapere che
abbiamo
avuto tutto.
Grazie
per stare a guardare mentre cado
e
per avermi fatto sapere che era finita]
Avril
Lavigne - My happy ending -
***
Il volto di
Mortimer era esattamente come Rebecca l’aveva immaginato:
stempiato e dai duri lineamenti. Si stupì, in un attimo di
lucidità, di quanto però in realtà
quell’uomo fosse attraente. Per mesi la ragazza si era creata
nella sua mente un suo prototipo di bellezza che era lungi
dall’essere normale. Per quanto Mortimer trasmettesse
comunque terrore e panico se l’era immaginato più
mostruoso. A vederlo così, librato in aria in una sorta di
potenza, sembrava un uomo qualunque.
Male e Bene.
Chi vince?
Rebecca, con
le sue ali bianche e la sua divisa bianca, era in netto contrasto con
le ali nere e il mantello scuro che ricopriva Mortimer, i capelli un
po’ lunghi e neri e gli occhi infuocati.
Bec
strabuzzò gli occhi. Il colore degli occhi era il rosso.
Non appena
lei arrivò a fronteggiarlo, lui ghignò.
“E
così saresti tu il miracolo della gente?”
scherzò, deridendola. Con gli occhi la scrutò e
un segno di disapprovazione guizzò sul suo volto demoniaco.
Rebecca non
si fece intimidire. Si zittì proprio quando stava per
risponderli a tono.
Con un gesto
deciso tolse la spada dalla fodera e gliela puntò contro con
entrambe le mani impugnate nell’elsa.
Era un
invito a combattere e impercettibilmente lui avanzò di pochi
centimetri, come attratto dal campo di forza racchiuso tra loro.
“Spiacente di deluderti ragazzina, ma non ho nessuna
intenzione di farti fuori così presto” alla faccia
perplessa di Bec, lui continuò. “Prima bisogna
torturarti. Se ti uccido subito…” rise.
“…non c’è più
gusto”
Rebecca,
sentendosi profondamente offesa e ridicolizzata, attaccò
senza pensarci due volte. Innalzò la spada e andò
a colpirlo con l’intento di ferirlo sulla spalla ma lui, dal
nulla, fece spuntare una spada che usò come protezione su di
sé. Bloccò con mossa decisa la spada di Rebecca e
con una spinta l’allontanò da lui facendola volare
indietro.
Mortimer, a
quel punto, fece scomparire la spada in una nuvola di fumo e
unì le braccia al petto formando una X. Quando
riaprì le braccia delle schegge blu volarono velocissime
sulla ragazza che lei, con uno scudo protettivo, incenerì
all’istante.
“È
questo tutto quello che sai fare? Ti hanno insegnato solamente come
difenderti?”
Rebecca
sussultò improvvisamente. I suoi pensieri andarono a Gabriel
e quando posò lo sguardo verso terra lo vide in piedi,
all’inizio del pendio, con una spada in mano pronto ad
intervenire nel caso in cui lei avesse fallito. Nonostante fosse lei a
parecchi metri d’altezza poteva benissimo percepire
l’ansia e il terrore dilaniare nel corpo del ragazzo.
Non fece in
tempo a riprendersi che si vide arrivare addosso una lama. La
scansò senza problemi facendo una piroetta con
l’aiuto delle sue ali.
La faccia
strafottente di Mortimer le fece ricordare per un attimo quella di
Atreius e la rabbia le ribollì dentro. Si protese in avanti
e ruotando la spada in alto tentò di nuovo di colpire il
nemico al cuore ma questa volta le cose andarono diversamente e lei si
ritrovò le mani possenti dell’uomo prenderla per
le spalle.
Mortimer con
una salda stretta la fece voltare fino ad avere la schiena della
ragazza incollata al suo petto e la bloccò passandole un
braccio sul collo e l’altra mano racchiudendole i polsi.
Rebecca, sentendosi in trappola, cominciò a scalciare nel
tentativo di sciogliere la presa. Vide Gabriel in basso avanzare
preoccupato.
Con un altro
strattone Mortimer la inchiodò ben salda a lui e, ridendo,
le disse nell’orecchio con voce melliflua: “I sogni
finiscono nel momento in cui ti risvegli. Ci penserò io a
farti aprire gli occhi” Rebecca sentì il rumore
della lama farsi sempre più vicino. Sentì il
respiro affannato di Gabriel che le stava disperatamente urlando
qualcosa. “Dì addio ai tuoi sogni, dolcezza.
Questo è il mondo reale”
Rebecca
sbarrò gli occhi e la bocca dal dolore. Si
ritrovò impossibilitata ad urlare. Percepiva solamente
l’urlo di Gabriel, la risata sfrontata di Mortimer e la spada
che, trapassandole l’ala destra, le provocava un dolore
immenso.
La ragazza
si afflosciò tra le braccia di Mortimer, inerme, e lui
mollò la presa che reggeva la ragazza. Rebecca
scivolò e si allontanò dal corpo
dell’uomo, precipitando verso terra.
Nella caduta
i suoi occhi guardavano verso l’alto e, conscia di quello che
stava accadendo nonostante la ferita le annebbiasse la vista, vide
Mortimer farle l’occhiolino e sparire nel nulla, avvolto da
una cortina di fumo grigio.
Mentre
precipitava girò il suo corpo in posizione eretta e con lo
sguardo cercò Gabriel. Lo vide correre lungo la discesa.
Dietro di lei, le montagne rocciose, scorrevano immutabili e davanti a
lei c’era l’immagine della collina verde.
Abbassò gli occhi e vide che stava precipitando in un
baratro scuro e senza fine. Di fronte, il pendio della collina finiva
in un precipizio e si stava pian piano sempre più
avvicinando alla sua sponda.
Vedeva
Gabriel correre come un pazzo e molto sicuro di sé verso il
precipizio dove lei stava cadendo e non capì cosa diavolo
volesse fare.
***
In effetti
per Gabriel le cose da fare erano soltanto due: trovare un modo per
salvarla e metterlo in pratica. Nel momento in cui Mortimer
l’aveva afferrata, l’aveva preso il panico e quando
vide ciò che le stava facendo credeva d’impazzire.
La vista delle ali di Rebecca tingersi di rosso l’aveva
sbiancato e gelato sul posto. L’unico pensiero razionale era:
è ancora viva e ha bisogno di me. Senza pensarci due volte
aveva iniziato a correre lungo la discesa e man mano che lui si
avvicinava al precipizio Rebecca, dall’alto, si abbassava
sempre di più.
Non ci
voleva molto affinché sia lui che lei si ritrovassero sullo
stesso piano.
L’eleganza
e la bellezza di Rebecca erano incontenibili. Anche il
quell’istante, per esempio, mentre cadeva in piedi, aveva il
potere di metterlo in soggezione come pochi sapevano fare. Si sentiva
per lei il suo punto di riferimento e l’unica speranza, e la
paura di sbagliare lo stavano uccidendo.
Erano
passati gli anni in cui lui era un angelo bianco…allora era
tutto molto più semplice, i poteri e la forza fisica
aiutavano a compiere qualsiasi impresa. Ma il fatto di essere tornato
umano lo faceva sentire impotente e vulnerabile. Se avesse fallito
avrebbe incolpato sè stesso per l’accaduto, troppo
debole e limitato.
Proprio
quando lei stava per essere alla sua stessa altezza, Gabriel
tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un rampino e lo fece
roteare sopra la sua testa.
Quando Bec
intuì quello che aveva in mente sorrise, sinceramente
sollevata dell’aiuto che le stava arrivando. Aprì
le braccia pronta per accoglierlo.
Con uno
slancio Gabriel saltò oltre il precipizio e trovandosi il
vuoto sotto di lui, raggiunse la ragazza. La prese tra le braccia e
l’impatto fu fortissimo. La tenne stretta con un braccio
mentre con l’altro faceva incastrare la punta del rampino in
una roccia della montagna, in modo da usarlo come corda e appiglio,
evitando la discesa nel baratro. Il rampino trovò su cui
incastrarsi ed entrambi si trovarono sbattuti nella parete rocciosa.
Gabriel, che si trovava la parete rocciosa a pochi centimetri dal viso
e con Rebecca in mezzo tra le sue braccia, piegò le gambe e
le distese con forza in modo da ondeggiare verso la sponda opposta.
Riuscirono a
salvarsi nel momento in cui Gabriel toccò per primo terra e
trascinando con sé la ragazza che sembrava improvvisamente
essersi addormentata. Sentire l’erba fresca della collina
solleticarli il collo era la cosa più confortante che
Gabriel potesse provare.
Erano salvi.
Portò
la sua attenzione su Rebecca che giaceva priva di sensi poco lontana da
lui. La vista della sua ala rossa e perforata fu un pugno nello
stomaco. Con urgenza e terrore si avvicinò a lei e
iniziò a scuoterla.
Chiamò
invano il suo nome, sembrava morta e per un istante ebbe il timore che
lo fosse per davvero.
***
L’odore
di medicinali era talmente forte e insopportabile che la obbligarono ad
aprire un occhio. Nel compiere quel solo, piccolo movimento
sentì tutto il corpo indolenzirsi. Si lasciò
sfuggire un lamento e sbirciando capì di essere sdraiata in
un letto d’ospedale. Capì di aver ragionato male
nel ricordare che a Chenzo non c’erano ospedali.
Con molta
fatica si alzò fino ad avere lo schienale del letto a
sorreggerle la schiena e rilassandosi fece mente locale di quello che
era successo.
Si
ricordò tutto in meno di dieci secondi.
Ecco
perché tutto quel male.
Toccò
la schiena con un dito e la sentì tutta fasciata da delle
bende che passavano anche per il torace. Si chiese cosa ne era stato
delle sue ali e in che condizioni erano, racchiuse
nell’involucro sulla schiena, premute e ferite. Se le
avessero detto che non poteva più volare sarebbe morta dal
dispiacere, ricordava bene cosa le disse Gabriel a proposito
dell’importanza della ali per un angelo. Fanno praticamente
da seconda pelle. Quando le perdi o ti vengono sottratte è
come perdere una parte di te stessa. Aveva provato quella sensazione
lottando con Mortimer e non le era per niente piaciuta.
La porta in
quel momento bussò.
Una ciocca
di capelli biondi comparve prima di presentare la faccia stanca e
incavata di Gabriel.
Rebecca si
mise più dritta nel letto e spalancò un enorme
sorriso. “È bello vedere delle facce
amiche”
Gabriel
rimase serio, sulle sue. “Ho appena parlato con il medico,
hai riportato solo una ferita grazie al cielo. Le tue ali sono salve,
avrai solamente bisogno di dormire, mangiare e star tranquilla in modo
che si possano rigenerare”
“Non
pensavo avessimo anche i medici” disse, alquanto stupita.
Gabriel fece
una smorfia. “Non abbiamo proprio gli ospedali che ha la
Terra ma dei luoghi in cui curare la gente con il personale
addetto”
“Beh,
allora non mi è andata così male se ho riportato
solo una ferita”
Il volto di
Gabriel s’incupì e distolse lo sguardo dal suo.
“Non scherzare, Rebecca. Ho temuto il peggio ieri”
“Gabriel,
sto bene…”
“Si,
lo so!” urlò quasi. “Ma ieri non stavi
bene, Rebecca! Ti ho salvata che potevi morire pochi minuti dopo averti
portata qui! Tu non ti rendi conto di com’ero in ansia,
aspettavo fuori dalla porta che il medico finisse di curarti e intanto
avevo il terrore che uscisse e che mi potesse dire
che…basta! Non c’era più speranza!
Morta!”
Lei stette
in silenzio e aspettò che finisse di parlare.
“Tu
ora non stai bene! Ho visto che tipo di ferita ti ha fatto e credimi se
ti dico che è un miracolo che tu ti sia salvata. Insomma,
che avrei fatto io se tu te ne fossi andata? Tu non hai idea delle
conseguenze che causeresti andandotene e io non posso
permettertelo”
“Non
vado da nessuna parte” disse, stringendo la mano di Gabriel
tra le sue.
Gabriel la
guardò, scettico. “Mai essere troppo sicuri sulla
propria morte” chiuse gli occhi e sospirò.
“Una cosa è sicura”
“Cosa?”
domandò, allontanando le mani e congiungendole sopra il
proprio ventre.
“Non
permetterò mai più che accada una cosa del
genere”
La ragazza
portò indietro la testa e alzò gli occhi al
cielo. “Gabriel, non sei mia madre…”
Lui parve
offendersi. “Ehi, mica devo essere tua madre! Ti sto solo
dicendo che voglio proteggerti”
“Tante
grazie”
“Non
vuoi?”
“Non
voglio essere trattata come una bambina”
“Ma
tu ti rendi conto vero che ti ha risparmiata! Se Mortimer avesse avuto
intenzione di ucciderti subito l’avrebbe fatto senza tanti
problemi! Ecco cosa mi spaventa! Questa volta non aveva
l’intenzione e perciò ti è andata bene,
ma cosa farai la prossima volta quando te lo troverai davanti con il
solo scopo di ucciderti?!”
“Lo
uccido per prima”
Il ragazzo
grugnì. “Ma fammi il piacere…”
“Se
non hai fiducia in me allora alzati ed esci!”
“Non
dire cavolate”
Bec
s’infiammò e divenne tutta rossa. “Vai
via!”
Gabriel si
accomodò nello schienale della sedia accanto al letto e
scosse la testa, guardandola a mo di sfida. “Non ci penso
nemmeno”
“Vai”
“No”
“Esci!”
“No”
“Senti,
ho capito che ti sei preoccupato per me e ti ringrazio anche per avermi
salvata ma…” si morsicò con un gesto
nervoso il labbro inferiore. “Cavolo, questo è il
mio destino! La ragione per cui vivo, per cui sono venuta qui! Non puoi
tenermi rinchiusa in una campana di vetro sperando che io sia al
sicuro. È vero, per poco non ci restavo secca ma pensi
davvero che la soluzione migliore sia quella di tenermi lontana dalla
mia missione? Tutte quelle persone là fuori pregano ogni
notte prima di andare a letto e hanno fede in me, come la prenderebbero
se li dicessi che mi ritiro perché ho paura di farmi male?
Gabriel, io mi sento il carico addosso di questa
responsabilità e non m’importa se è
rischioso, io devo almeno provarci, combattere! Mi aiuterai, ci
aiuteremo! Mi allenerò di più e più
duramente se sarà necessario ma non voglio mollare
ora!”
Gabriel
strizzò gli occhi. “Hai ragione, scusa. Non so
cosa mi sia preso”
“Volevi
vedermi sotto una campana di vetro” ripetè la
ragazza, cercando di sorridere.
La tensione
si allentò subito e anche Gabriel fece una risata.
“Sì, in effetti…”
Lo sguardo
di Rebecca si fece improvvisamente dolce. “Ti preoccupi per
me, è giusto. Anche se hai il cuore duro e freddo come
quello di una roccia d’alta montagna…in fondo ce
l’hai un cuore che batte”
Gabriel non
riuscì a staccare gli occhi da Rebecca, si sentiva
profondamente vicino alla ragazza e la sua frase fece una piccola
breccia nel suo cuore ghiacciato. “Potrebbe
scalfirsi” sussurrò.
“Sai
che guaio! Non riesco nemmeno lontanamente ad immaginarti un
romanticone! Sarebbe lo scoop del secolo: “Gabriel lascia le
sue vesti dell’orso per prendere quelle di un gattino
indifeso”
Gabriel
allontanò immediatamente dalla sua testa
l’immagine di lui sottoforma di gatto che faceva le fusa sul
grembo di una vecchietta. “Questo mai, non sperare di potermi
cambiare” disse, fingendosi serio.
La ragazza
inarcò le sopraciglia. “Che c’entro io,
scusa?”
Gabriel
dovette mordersi la lingua per non parlare. Mantenne un comportamento
duro e distaccato nonostante il suo stomaco avesse fatto una capriola.
“Era per dire, idiota. Non metterti in testa strane
idee”
Sul volto di
Rebecca spuntò un sorrisino per niente rassicurante.
“Diciamo che le idee in testa me le mette qualcun
altro…”
Gabriel
sentì corrergli sulla schiena un brivido e
deglutì. “Io mai”
Rebecca
incrociò le braccia al petto e lo guardò di
sottecchi. “Ah, no? Signore dei ghiacci, mi dica, non ti
ricorda niente un libro che vola?”
“Uhm,
fammi pensare…” mentre faceva finta di pensare
pian piano si era avvicinato alla sponda del letto e con la mano
racchiuse il mento della ragazza alzandole la testa. “Penso
di ricordarmelo, sì”
Rebecca
rise, seguita a ruota dal ragazzo, poi si baciarono. Rimasero per
alcuni minuti a baciarsi, il tempo sembrava essersi fermato e
l’unico rumore nella stanza era provocato dalle loro labbra
che si incontravano e si allontanavano per poi ritrovarsi. Proprio
quando Gabriel la stava spingendo indietro per stenderla e farsi largo
nel letto sopra di lei, la porta si aprì rivelando un
giovane medico con gli occhiali.
I due si
staccarono immediatamente. Rebecca era rossa in faccia e dalla sorpresa
anche abbastanza confusa, Gabriel invece scrutò il giovane
con disapprovazione.
“Non
sei tu il medico di Rebecca”
C’era
irritazione nella voce del ragazzo e il medico, sentendosi a disagio,
strette forte nelle mani la cartella clinica di Rebecca. “Io
sono l’assistente, mi occupo di assistere i pazienti. Ho il
compito di tenerla sottocontrollo”
Gabriel
sbuffò, contrariato. “Quanti anni hai?”
Il giovane,
preso in contropiede, indietreggiò. “Ehm,
ventidue”
Rebecca
fischiò in segno di approvazione e subito Gabriel si
voltò di scatto verso di lei. “Ti pare il
caso?” domandò, perplesso.
Con
un’alzata di spalle lei chiuse il discorso.
“Lo
so che posso sembrare molto giovane e inesperto ma non è
così. Posso assicurare alla ragazza le massime cure e
attenzioni” disse il medico, sistemandosi gli occhiali sul
naso e guardando con professionalità il ragazzo.
“Sulle
cure ci sto. Per quanto riguarda le attenzioni…”
s’incamminò verso di lui e quando
arrivò a fiancheggiarlo gli sussurrò
nell’orecchio, senza essere sentito dalla ragazza:
“…non ci provare”
Gabriel prese la direzione verso la porta e sentì Rebecca
bisbigliare al medico una frase simile a: “che ha detto quel
pazzo?”. Si arrestò, con la mano che impugnava la
maniglia.
“Ho
detto di andarci piano con te perché conoscendoti appena me
ne andrò gli domanderai di farti dimettere” si
girò per vedere la reazione della ragazza e sorrise
soddisfatto vedendo che metteva il broncio.
“Non
ho voglia di stare qua dentro un altro giorno di
più” disse in un tono che non ammetteva repliche.
“Signorina,
forse è meglio se la teniamo un altro giorno in
osservazione”
“Non
occorre, non abito lontano da qui e se mai dovessi sentirmi male ho la
mia guardia del corpo” disse, indicando Gabriel.
“Ma
vede…” il medico provò a parlare ma
venne interrotto dalla ragazza.
“Niente
ma. Sto bene e stasera torno a casa. Non mi sono mai piaciuti gli
ospedali”
“Ma…”
Il medico,
non sapendo più che altro dire, si voltò
disperato verso Gabriel in cerca di un aiuto ma questo si
limitò a scrollare le spalle. “Testarda
è dir poco”
***
|
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Capitolo 15 *** Ti ho mai colpito nel cuore? ***
Cap.
15 - TI HO MAI COLPITO NEL CUORE? -
[È
in questo modo
che
sto imparando a respirare.
Sto
imparando a muovermi in silenzio.
Sto
scoprendo che tu e soltanto tu sai spezzare la mia caduta.
Sto
vivendo di nuovo, vivo e cosciente,
sto
morendo dalla voglia di respirare in questi cieli immensi]
Switchfoot - Learning to breathe
-
***
Rebecca,
dopo una notte trascorsa in un lettino
d’“ospedale”, fece ritorno a casa. La
disapprovazione dei curatori e le suppliche di Gabriel di restare non
la toccarono minimante. Non aveva nessuna intenzione di starsene un
giorno di più in quel posto così macabro e
triste.
La miglior
cura (diceva sua madre) erano gli amici e la loro allegria.
Peccato che
quando arrivò a casa non trovò altro che un
imbronciato Gabriel che l’attendeva. Vicino a lui
c’era Rosalie che, grazie a Dio, era raggiante e solare. Il
suo ventre era sempre più gonfio e arrotondato, la
gravidanza non si poteva più nascondere. Le venne incontro e
l’abbracciò calorosamente, piangendo come una
fontana.
“Sbalzi
d’umore” disse Gabriel, vedendo la faccia sconvolta
di Rebecca.
Rosalie si
tirò indietro e si asciugò alla bene e meglio le
lacrime sul volto, arrossendo leggermente.
Fulminò
Gabriel con lo sguardo. “Non ho sbalzi
d’umore!”
“Sorellina
cara, sei incinta. Ti sei forse dimenticata di ieri sera?”
Rosalie
s’immusonì e divenne sempre più scura
in volto. “Che cosa mi sono persa?”
domandò Bec, con un sorriso.
“Domandaglielo
a lei” sbottò Gabriel, indicando la sorella come
se la stesse incolpando.
La ragazza
bionda alzò le spalle e tirò su col naso.
“Beh, ecco…gli ho tirato i piatti addosso
perché mi aveva preparato un piatto di verdure! Oddio, io
odio le verdure!”
“Sbalzi
d’umore” dissero in coro Gabriel e Rebecca, ridendo
di gusto.
“Allora…”
disse Rosalie, sedendosi nel divano e tenendosi una mano nel pancione.
“…come ti senti, Rebecca?”
Rebecca,
dopo aver dato un’occhiata fugace a Gabriel che era
improvvisamente scomparso, le rispose cordiale: “Sto a
meraviglia! Ho la pelle dura e una notte di riabilitazione mi
è servita anche troppo! Ma dimmi tu piuttosto, come procede
la gravidanza?”
“Oh,
oramai lo sanno tutti nel villaggio…ho avvisato mia madre,
spero solo che il messaggio arrivi in tempo ovunque lei sia, vorrei
tanto che fosse presente alla nascita di suo nipote”
“E
Denali?”
Rosalie
rise, con lo sguardo perso. “Lui
è…è fantastico. Sai, detto tra noi,
non pensavo che fosse così carino e protettivo, e invece mi
ricopre di attenzioni! E pensare che era iniziato tutto per un fatto di
sesso! Chi l’avrebbe mai detto che saremo diventati due bravi
genitori?!”
“Sì,
in effetti pensare a Denali come ad un padre fa senso”
“Già…”
“E
pensate di sposarvi?”
Rosalie
strabuzzò gli occhi a dismisura e spalancò la
bocca. “Non lo sai?!”
“No,
cosa?”
“A
Chenzo non esistono i matrimoni!”
“Oh…oh!
Che peccato però…” disse Rebecca,
piuttosto delusa.
“Non
esiste il matrimonio come sulla Terra, però
c’è. Non c’è bisogno di
cerimonie, abiti bianchi o smoking, e non serve neppure un prete che
dà la sua benedizione. Se una coppia vuole sposarsi lo fa e
basta, ma sono in pochi a farlo”
“E
come si fa?”
“Beh,
ci sono le fedi. Sono delle fedi speciali, sono magiche. I due che
hanno intenzione di sposarsi devono recuperare questi fedi e nel
momento in cui se le mettono al dito queste li uniscono per sempre.
Formano un legame magico e non si possono più togliere,
perciò tu rimani sposata con il tuo uomo finchè
morte non ti separa”
“Dove
si trovano le fedi?”
“Uhm…penso
che tu debba fartele fare da un certo Ares, che è il
folletto idiota del fuoco. Lui plasma e ha il potere di controllare i
metalli, è lui l’artefice delle fedi. Lo trovi
all’interno dei vulcani, nelle profondità delle
montagne. Non esce mai, non lo vedi in giro”
“E
tu non vuoi avere questi fedi per sposarti?”
“Sei
pazza?! Per ottenere le fedi, dato che sono magiche ed incarnano
l’amore eterno, devi superare delle prove altrettanto magiche
e insidiose. Ecco perché non tutti lo fanno. Ecco
perché non voglio rischiare di ammazzare il futuro padre di
mio figlio”
“Non
è giusto…”
“Te
l’ho detto che è diverso rispetto la
Terra”
“È
tutto così dannatamente magico qui…”
commentò Rebecca, immaginando due fedi bellissime, candide e
luminose.
“Solamente
chi è magico ha il potere di far tutto. Noi comuni mortali
dobbiamo rinunciare a molte cose, queste cose sono per noi
irraggiungibili perché sono fatte apposta per essere
raggiunte dai più forti, e chi è più
forte se non un essere con poteri sovrannaturali? Per voi è
tutto così semplice…”
Rebecca
avvertì un nodo in gola e distolse lo sguardo dalla ragazza.
“Non tutti hanno una vita facile”
“No,
è vero” disse Rosalie, puntando i suoi occhi
chiari su Rebecca. “Ecco perché tu sei un
miracolo”
Non appena
Rosalie finì di parlare, Gabriel entrò con il suo
solito menefreghismo, accompagnato da un libro. Non prestò
nessun tipo di attenzione alle due ragazze, né tantomeno si
scusò di averle interrotte.
“Io
vado!” esclamò tutt’un tratto Rebecca,
facendo cadere di mano il libro a Gabriel che la guardò
interrogativo.
“E
dove vai di preciso, se mi è dato sapere?”
C’era
un che di preoccupato nello sguardo del ragazzo. Lei gli
battè una mano sulla spalla e con infinita tenerezza gli
stampò un bacio sulla guancia, rimproverandolo con simpatia
di non preoccuparsi, che sarebbe tornata presto.
Salutò
con la mano Rosalie che, divertita, ricambiò il saluto.
Gabriel,
immobile come uno stoccafisso, teneva premuta una mano sulla guancia,
nel punto in cui Rebecca l’aveva baciato. Sentì il
suo corpo infiammarsi improvvisamente e i battiti del suo cuore
accelerare.
Rosalie
guardava la scena divertita, con un esperto occhio vigile.
“Eh sì…questa volta sei fregato,
fratellino”
“Oh
sta’ zitta!” le urlò il ragazzo,
avvampando.
***
“È
permesso?” domandò la ragazza, entrando
timidamente.
Un uomo
girato di schiena le fece cenno di entrare senza troppi problemi,
dopotutto era stato lui a chiamarla.
“Allora
ti è arrivato il mio messaggio!” disse, voltandosi
e mostrando un sorriso smagliante.
Rebecca
alzò le spalle. “I curatori me l’hanno
più che altro riferito la mattina stessa in cui mi sono
dimessa, me l’hanno detto a voce”
“Ah,
questi medici!” sospirò, facendole segno di
accomodarsi. “Per fortuna tu stai bene!”
“È
per questo che mi hai chiamata, Bastian?”
“Sento
aria di impazienza nella tua voce, Aidel...comunque no. Non ti ho
chiamata solo per sapere come stavi. In realtà ho una
proposta da farti”
“Spara”
“Beh,
c’è poco da dire! Vengo subito il punto. Ora che
hai avuto finalmente uno scontro con Mortimer vorrei che tu
partecipassi alle nostre spedizioni” disse schiettamente,
senza tanti giri di parole. “Vedi, non te ne ho mai parlato
prima perché temevo non fossi abbastanza pronta per
affrontarlo apertamente ma ora che hai provato cosa significa
combattere contro di lui vorrei che partecipassi a queste missioni. Si
tratta di vere e proprie spedizioni che il villaggio compie con alcune
reclute per attaccare dei territori di Mortimer, il nostro scopo
è quello di indebolirlo. Come avrai sicuramente capito io
sono il capo e decido anche i giorni e gli spostamenti. Vorrei molto
averti al mio fianco, ci saresti molto utile per neutralizzare le
difese del nemico. Ovviamente non voglio obbligarti, prendila
più come una proposta a fin di bene”
“Accetto”
disse d’un fiato, dopo essere rimasta in silenzio ad
ascoltare Bastian con crescente interesse.
Finalmente
aveva una missione concreta. Finalmente poteva rendersi veramente utile
per il villaggio e dimostrare a tutti quanto valeva…
“Gabriel
non ne sa niente, vero?”
Bastian
scosse la testa, mortificato. “No, non ho voluto dirglielo
perché so come lui la pensa e fidati se ti dico che se la
decisione spettasse a lui ti terrebbe segregata in casa. Ma la
decisione, ahimè, non spetta né a me,
né a Gabriel né a nessun altro. Spetta a te e
soltanto a te. Sappi che in queste spedizioni metà degli
uomini che prendo non fanno ritorno a casa, sono rischiose e pericolose
ma loro dopotutto non sono degli angeli. Per questo penso che tu ce la
possa fare ma non devi farti condizionare da nessuno. Cerca di
comprendere perché non ho voluto parlarne con Gabriel, lui
ti avrebbe sicuramente dissuaso a non partire e questo, inconsciamente,
è un obbligo che ti fa contro la tua
volontà”
“Capisco
e te ne sono grata. Gli parlerò io stessa il prima
possibile”
“Ti
conviene fare in fretta perché noi partiamo fra sette giorni
e attaccheremo uno degli avamposti di Darth Threat: la roccaforte di
Detron. Partiremo all’alba, il ritrovo è nel
bosco, vicino alla sorgente”
“Il
posto dove sono atterrata venendo qui”
“Esatto”
“E
Mortimer prenderà parte a questi combattimenti?”
“No,
no! Mortimer se ne starà bello e tranquillo nel suo
castello! Non sospetta minimanente degli attacchi che noi progettiamo.
Avremo a che fare con troll, spettri e altre creature demoniache.
Niente di che…”
Rebecca
deglutì. “C-Certo, una
scampagnata…”
“Non
farne parola con nessuno, mi raccomando. Questi sono affari
segretissimi! Parlane soltanto con Gabriel che è il tuo
maestro, lui ha la precedenza su tutti”
“È
da molto tempo che esistono queste spedizioni segrete?”
“Non
da molto, saranno due o tre anni”
“E
gli uomini che prendete sono del villaggio?”
“No,
assolutamente. Desterebbe troppi sospetti! Cosa direbbe la gente del
villaggio se da un giorno all’altro vedesse sparire degli
uomini e non gli vedrebbe più tornare? No, no. Gli uomini
che faccio venire con me provengono da altri villaggi amici e sono ben
disposti ad unirsi a questa causa contro il Male”
“Ci
sarò, non ti preoccupare”
“Allenati,
nel frattempo”
Rebecca si
alzò e gli diede una pacca sulla spalla prima di
allontanarsi. “È quello che sto facendo ogni
giorno”
***
Rebecca non
aveva voglia di tornare a casa. Da quando aveva lasciato la casa di
Bastian si stava portando dentro un peso indescrivibile, si sentiva
vuota e irrequieta. Sapeva di doverne parlare con Gabriel e la sua
reazione la spaventava. Temeva che lui la potesse considerare stolta,
superficiale, o peggio, un’incosciente.
Sapeva che
se fosse ritornata a casa avrebbe dovuto dirglielo, ecco
perché cercava in ogni modo di prolungare quel momento.
Andò
sulla collina dove aveva combattuto contro Mortimer. Aprì le
ali e volò senza meta fino a sera, sorvolando montagne,
laghi e distese di erba verde. Chiunque la vedesse passare sopra la
propria testa ne avrebbe percepito l’eleganza e la forza che
inquietava, ma vedeva anche uno sguardo condannato con degli occhi
sofferenti.
Decise di
tornare a casa quando ormai era il tramonto. Percorse il vialetto senza
fretta ma non appena alzò una mano per bussare la
tirò immediatamente indietro e se andò. Aveva
sentito il rumore dei piatti, dell’acqua scrosciante e dei
passi di Gabriel.
Il coraggio
le venne meno e si allontanò.
***
Dalla
finestra della casa, Gabriel, aveva intravisto Rebecca avvicinarsi alla
porta. La vide indugiare sulla soglia e, col cuore in gola,
aspettò che bussasse.
Quando la
vide tirare indietro la mano gli mancò il respiro.
Poi lei si
allontanò e lui si scostò la tendina.
***
Rebecca
aveva sempre considerato la collina magica come il posto più
bello di tutto il villaggio ma dovette ricredersi nel momento in cui
scoprì che, poco lontano, al di là del bosco, si
estendeva il mare.
Quando aveva
bisogno di pensare, di riflettere o solo per starsene tranquilla,
veniva lì. Il sentiero che percorreva attraverso il bosco
era ondulato e s’infiltrava in una massa di alberi che
riflettevano un gioco di luci e ombre fantastico. Nonostante ci fosse
il tramonto, mentre Bec camminava nel bosco, scostando dei rametti
davanti a lei, il sole non raggiungeva quella fitta prigione e il buio
regnava sovrano.
Poco
più avanti la luce invadeva il bosco: i raggi di un sole
ormai spento squarciavano gli alberi: il bosco finiva.
La ragazza
uscì dall’ingorgo di alberi per trovarsi su una
rupe rocciosa. Lunga e stretta, la rupe, permetteva di vedere il mare
in ogni sua angolazione. Si estendeva fino l’infinito ed era
una tavola piatta dove il sole che ne toccava le acque in lontananza
gli conferiva dei riflessi dorati.
Percorse la
rupe fino in fondo. Abbassò la testa e sorrise. Sotto di lei
il mare si schiantava rabbioso contro la scogliera.
Non era poi
così calmo come appariva.
Rialzò
la testa e inspirò profondamente, chiudendo gli occhi.
Ascoltò il rumore del vento e delle onde che si infrangevano
nella roccia, assaporò l’odore di salsedine e di
pino.
Aprì
le braccia, totalmente libera di pensieri. Sentiva solamente la
sensazione di un infinito benessere.
Si
lasciò cadere in avanti.
I suoi piedi
si staccarono da terra e tenendo le braccia aperte come un uccello si
lasciò cadere verso il basso. Non aprì mai gli
occhi.
Solamente un
attimo prima che si scontrasse contro gli scogli gli aprì e
con essi anche le ali. Restò sospesa in aria e
affondò un piede nell’acqua.
Rise
divertita e poi volò verso l’alto, tornando sulla
rupe.
Rimase
ancora parecchi minuti con lo sguardo perso verso il mare, la brezza
calda del sole la fece rabbrividire.
“Non
sapevo di trovarti qui” disse una voce alle sue spalle.
Non si
voltò nemmeno. Sapeva benissimo a chi apparteneva quella
voce.
“Non
ti ho mai detto che venivo qui”
Sentì
che si stava avvicinando. Si fermò pochi passi dietro di
lei, poteva sentire il peso del suo sguardo sulla schiena.
Lo
sentì sospirare.
“C’è
qualcosa che devi dirmi?”
Rebecca
sentì i suoi muscoli irrigidirsi.
Maledizione,
perché avvertiva sempre tutto?! Non poteva nascondergli
niente, le leggeva ogni espressione del viso e del corpo. A volte
Rebecca si domandava come sarebbero andate le cose se lui fosse stato
in grado di leggerle la mente.
Probabilmente
si sarebbe trovata a non aver nessun segreto per lui.
“Ero
tornata a casa”
“Sì,
lo so. Ti ho vista, e ho anche visto che poi te ne sei andata”
“Avevo
bisogno di pensare”
Gabriel fece
un passo in avanti, il suo viso era una maschera carica di tensione.
“A cosa?”
“A
quello che ci sta succedendo”
“Parli
riguardo a noi?”
“Sì”
Rebecca
sentì la mano del ragazzo sfiorarle la spalla. Poi
capì che l’aveva riabbassata.
“Io
non posso prometterti niente Rebecca, non posso darti le sicurezze che
cerchi. L’unica cosa che so è che quando ti ho
conosciuta ti ho trovata arrogante, piena di sé e testarda.
Quando sono venuto a sapere da Bastian che dovevo farti da maestro e
vivere con te nella stessa casa credevo di impazzire, non ti
sopportavo…forse perché in realtà
siamo molto simili”
“Su
questo punto concordo in pieno. Tu non mi hai reso la convivenza una
passeggiata”
“Lo
so, eppure mentre vivevo con te mi sono sentito vivo. Mi facevi
arrabbiare, mi stuzzicavi con le tue battutine, lottavamo nel divano
quando tu non volevi cucinare o fare le pulizie…devo
ammettere che in quei momenti ti odiavo ma se ci penso
ora…mi sono molto affezionato a te, Rebecca.
Davvero”
“Pure
io. Abbiamo condiviso molte esperienze e momenti felici insieme. Era
bello litigare con te” disse, portandosi una mano alla bocca
e sorridendo. “Sei stato molto di più di un
maestro, sei stato un amico…”
“No,
no. Alt! Fermati!” l’aggredì il ragazzo,
divincolando le mani.
Rebecca si
voltò verso di lui, incuriosita e al tempo stesso perplessa.
Il vento le scompigliava i capelli, portandole alcuni ciuffi davanti
agli occhi. Vide il volto duro e arrabbiato di Gabriel e fece un passo
indietro.
“Che…?”
“Non
sono bravo a parlare con le persone perciò ascoltami! Non
capisci che con te finalmente sono riuscito ad essere me stesso? Non
capisci cosa ha significato il tuo arrivo qui? Cosa sia potuto nascere
giorno dopo giorno a forza di vivere con te?”
Rebecca
provò a parlare, invano. “Ma…”
“Quello
che sto cercando di dirti è che…”
La ragazza
prese quell’espressione terrorizzata, e fece per tappargli la
bocca, ma troppo tardi.
“…credo
di essermi innamorato di te”
Rebecca
rimase paralizzata con le braccia a mezz’aria. Si
tirò indietro e lo guardò con aria spaventata.
Il fatto era
che improvvisamente la sua mente si era svuotata.
Pure lei si
era accorta di provare qualcosa di molto profondo per il ragazzo, che
andava ben oltre la semplice infatuazione o attrazione fisica, ma aveva
sempre cercato di non farci caso. Non voleva trovarsi coinvolta in
qualcosa che non poteva né prevedere né
controllare.
Perché
la storia con Gabriel era così, tutto fuorché
prevedibile o razionale. E lei era una persona con i piedi per terra,
lui era un ragazzo con il cuore di ghiaccio. Sapevano entrambi quanto
pericolosa era l’irrazionalità in due caratteri
come i loro, per quello aveva sempre cercato di scappare per non
affrontare l’argomento.
Bec non
avrebbe mai immaginato che lui potesse farle una tale dichiarazione. A
quanto pareva aveva sul serio fatto una breccia nel suo cuore, e ora
lui dipendeva totalmente anima e corpo da lei.
Non avrebbe
mai dovuto permetterlo.
Cercò
di parlare ma riuscì solo a farfugliare quattro vocaboli.
“I-Io…non so! Io…”
“Dì
di sì”
La timidezza
scomparve subito e lei si trovò a fissarlo sbalordita.
“Che cosa?!” urlò.
“Dì
di sì” ripetè con lui.
“Cosa
vuoi che faccia?!”
“Rimani
con me” sussurrò Gabriel, il suo volto era
traboccante di tenerezza.
Rebecca
lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e
ricambiò lo sguardo. “Io non me vado,
idiota!”
Fu allora
che Gabriel, incapace di trattenersi, con poche falcate la prese per le
spalle e l’attirò verso di sé. La
baciò con passione e desiderio, premendo il suo corpo a
quello della ragazza e passandole le braccia attorno la schiena. Lei
ricambiò subito e accontentò Gabriel seguendo i
suoi movimenti con le labbra, gli circondò il collo con le
braccia e lasciò che una mano indugiasse sul suo collo
freddo.
Potè
sentire i muscoli del ragazzo irrigidirsi sotto il suo tocco e questo
la rese molto felice e appagata.
Gabriel
posò le mani sui fianchi di Rebecca e lei
appoggiò le sue mani con il palmo aperto sul petto del
ragazzo.
Si sentiva
talmente completa ed eccitata che non si accorse neppure di aver aperto
le ali.
Quando si
staccarono rimasero fronte contro fronte, con il respiro pesante e
affannato. Lui le baciò il naso e poi la fronte, rimanendo
appoggiato con il mento e socchiudendo gli occhi.
Rebecca lo
sentì ridere. Scostò la guancia dal suo collo per
osservarlo meglio. “Che hai da ridere?”
Lui tenne
gli occhi chiusi, beato e birichino. “Le tue ali”
disse. “Sono aperte”
La ragazza
arrossì violentemente e cercò di nascondersi sul
suo petto. “Che imbarazzante…”
“Stai
scherzando?! Questo è il tuo modo per dirmi che sei
eccitata, a me pare un bene!”
Rebecca
diventò ancor più rossa e senza pensarci due
volte gli sferrò un pugno sulla schiena, allontanandosi
indignata. “Ma guarda te…”
brontolò, tornando verso il bosco.
Si
sentì trattenere da due forti mani che la fecero voltare.
Gabriel
rideva. “Non devi vergognarti!”
Rebecca si
divincolò e tentò un’altra volta di
schiaffeggiarlo ma lui le bloccò la mano prendendola per il
polso. La spinse contro di sé e
l’abbracciò. Bec sbuffò ma poi si
lasciò andare ricambiando l’abbraccio.
***
Gabriel
passò con Rebecca i sei giorni più fantastici
della sua vita. Se prima credeva
di essere innamorato di lei, ora lo sapeva per certo. Era come se la
paura di perderla, le regole e gli obblighi che lo vincolavano non
fossero mai esistiti.
Cominciava a
vivere giorno per giorno, con sentimento e non con la testa: si
svegliava grintoso e con molte iniziative per organizzare la giornata,
fin quando non rientrava a letto la sera con il sorriso da ebete
stampato in faccia. Si divertiva un mondo con lei: ridevano come due
ragazzini, si concedevano lunghe passeggiate e spericolate cavalcate a
dorso di due magnifici unicorni bianchi (un regalo di Gabriel).
Tornavano a casa la sera che erano sfiniti. Si buttavano nel divano
spingendosi a vicenda e restavano abbracciati finchè uno dei
due non annunciava di voler andare a letto.
Certo, i
bisticci e le lotte erano cosa quotidiana ma ora avevano il sapore
dell’affetto, non più
dell’ostilità.
Gabriel era
molto protettivo con lei, non la considerava una bimba indifesa da
proteggere ma la sua
ragazza che non doveva essere per nulla al mondo toccata. Diventava
geloso se qualche ragazzo del villaggio si fermava a parlare con lei
durante i giorni del mercato, e faceva delle vere e proprie scenate
quando un altro sciagurato le metteva una mano sul fianco.
Arrivò persino alle mani quando un giorno, un idiota
dall’aria bellicosa, le aveva urlato dietro che se voleva il
suo letto era libero.
Rebecca, dal
canto suo, non ci faceva caso e anzi, quando Gabriel
l’accusava di essere troppo ingenua lo zittiva seduta stante
fulminandolo con gli occhi. Lei naturalmente non si aspettava che
Gabriel fosse così ossessivo e geloso nei suoi confronti ma
ogni gesto che la inducesse a capire i suoi sentimenti era ben accetto
e non protestava.
Gabriel con
lei riusciva ad aprirsi e ad amarla, non più come il
ghiaccio ama la neve ma come il ghiaccio, sciogliendosi, ringrazia il
sole.
Alcune sere,
quando c’erano le stelle, uscivano al buio per starsene tutta
la notte distesi in un prato ad ammirare il cielo. Chiacchieravano,
litigavano, si baciavano, facevano pace e poi ricominciavano tutto di
nuovo.
Gabriel
ricordava una notte in particolare quando lui e Rebecca si erano
ritrovato a guardare le stelle sulla collina magica anche se nel cielo
non ce ne fosse stata neppure una. Rebecca, con la fronte corrucciata,
se ne stava con il mento alzato verso la volta celeste. Gabriel
contemplava il suo profilo con divertito interesse.
“Aspetti
che le stelle spuntano dal cielo come fanno le margherite?”
domandò, con le sopraciglia inarcate e un sorriso beffardo.
Rebecca non
distolse lo sguardo dal cielo e rimase seria. “No, stavo
pensando che se una cosa non c’è la si
può creare, laddove essa non esiste” disse poi,
distendendo un sorriso di chi la sapeva lunga.
Unì
le mani a coppa e lasciandosi cadere sull’erba umida le
buttò in aria. Dalle sue mani uscì luminosa una
polvere dorata dalla forma mutevole che si andò a depositare
nel cielo formando tante piccole stelle scintillanti.
Gabriel,
rimasto di stucco, si unì alla risata di Rebecca con fare
ammirevole. Si adagiò sopra di lei e la baciò.
È
in questo modo che sto imparando a respirare.
***
Erano
passati i sei giorni della scadenza.
Diversamente
dalle altre notti quella sera Rebecca non riuscì a prendere
sonno. L’irrealtà nella quale aveva vissuto un
bellissimo sogno era stata improvvisamente spazzata via da
un’ondata di terrore che l’aveva catapultata con
brutalità nella vita reale. L’impatto fu
angosciante e la ragazza, continuando a rigirarsi nel letto, si
chiedeva dove diavolo avrebbe trovato il coraggio di dire a Gabriel che
il giorno dopo sarebbe partita.
***
Quando
Gabriel scese in cucina per fare colazione, con addosso solo un paio di
boxer, si allarmò non vedendo Rebecca solita a prepararli la
colazione con puntualità. La chiamò e la
cercò in tutte le stanze ma di lei non c’era
traccia. Prese una felpa grigia e s’infilò
frettolosamente un paio di pantaloni scoloriti. Uscì di
corsa a cercarla con un brutto presentimento.
La
trovò nel solito posto, il luogo dove lei di norma andava
per meditare: la scogliera. Quel mattino il sole non scaldava e alcune
nubi nere avanzavano verso di loro dalla lontananza del mare. Le
circondò la vita con le sue braccia scolpite e
affondò il viso nell’incavo del suo collo,
assaporando il profumo della sua pelle: né troppo dolce,
né troppo forte. Rebecca si abbandonò con la
schiena sul petto del ragazzo e si morsicò la lingua per non
parlare.
“Che
succede?” le chiese il ragazzo, completamente preso a
baciarle il collo e il lobo dell’orecchio.
“C’è
una cosa che devo dirti”
Forse fu il
tono distaccato e freddo o forse la repulsione che emanava il suo corpo
se lui la toccava, che di fatto Gabriel si scostò da lei
lievemente ferito.
“Ti
ascolto” sussurrò, cercando di non dar retta al
suo istinto che lo avvertiva al peggio.
La ragazza
si voltò verso di lui e lo guardò negli occhi con
una sicurezza disarmante. Sputò fuori quello che voleva dire
senza il minimo tatto o titubanza.
“Oggi
parto con Bastian e il suo esercito per occupare Detron”
Per Gabriel
quelle parole furono una doccia fredda che lo paralizzarono. Eresse su
di sé di nuovo il muro dell’indifferenza.
Riacquistò la freddezza e
l’insensibilità che tanto lo distinguevano. Quando
Gabriel si trovava di fronte a problemi troppo importanti per essere
affrontati razionalmente alzava la sua famosa barriera di ghiaccio. Era
una forma di difesa, un modo per non essere preda dei sentimenti umani.
“Come
vuoi. Se hai deciso che partire sia l’unica cosa sensata da
fare per aiutare gli abitanti…”
“Lo
è” lo interruppe aggressivamente la ragazza,
sentendosi offesa per la facilità con la quale Gabriel
parlava della sua partenza.
“Bene”
disse con compostezza e tranquillità. “Suppongo
che tu parta nel pomeriggio?”
“Ma
come fai?!” lo assalì Rebecca, sconvolta dalla sua
freddezza. “Come fai a parlare di queste cose con
così tanta tranquillità?! Come ci riesci?! Come
riesci ad essere così insensibile?!”
Incassato il
colpo, Gabriel la squadrò e nei suoi occhi Rebecca vi lesse
la durezza che tanto la terrorizzò quando lo
conobbe.
“C’è
un modo per impedirti di non andare?”
“No”
disse Bec a denti stretti.
“Quindi
non vale la pena di arrabbiarsi o di fare una scenata”
“Per
quello che ti importa…” lo provocò con
occhi furiosi.
Gli occhi di
Gabriel ebbero un lampo e con ferocia le puntò un dito
contro. “Non dubitare mai di quello che provo per
te”
“La
tua razionalità mi dà la nausea. Sei talmente
misero di sentimenti che non ti rendi nemmeno conto del fatto che
potrei non tornare viva”
“Tu
tornerai. Rebecca, tu tornerai. È un obbligo, non una
promessa. Guai a te se non lo fai”
“Perché
cavolo dovevo innamorarmi di te?” disse, cercando di
sorridere mentre una lacrima le solcava la guancia.
Gabriel fece
un ghigno. “Sono o non sono il ragazzo più sexy di
tutto l’universo?” disse, riuscendo a farla ridere.
Se non torni,
pensò il ragazzo mentre la guardava sorridere serenamente, ti seguirò non appena
mi sarà possibile.
***
Quel
pomeriggio Rebecca si fece trovare nel bosco lungo le rive del
laghetto. Bastian arrivò poco dopo spuntando da dietro un
albero. Dietro di lui una trentina di uomini stavano avanzando verso lo
specchio d’acqua, tutti armati.
Gabriel non
venne a salutarla. Non sopportava gli addii. Temeva che,
nell’attimo in cui l’avrebbe vista allontanarsi,
non sarebbe riuscito a lasciarla andare.
***
I
"THANKS":
OASIS: già,
mancava poco che Rebecca ci lasciasse le penne!!! come sempre Gabriel
è lì per lei, son contenta che ti piaccia Gabriel
come ragazzo perchè ho deciso di dargli queste
caratteristiche pensando che alla fine a tutte piacciano i ragazzi
così. spero che avendo aggiornato anche questo capitolo tu
lo trova interessante come l'altro, soprattutto per il fatto che
finalmente è sprofondata nelle braccia del suo
fustacchiotto!! ehehehe...e comunque è vero che Rebecca si
dà arie da super donna però secondo me
è giusta per uno come Gabriel!!! fammi sapere che ne
pensi...bacioni!!!
CHICCA90:
grazie per l'interessamento che presti alle mie storie!!! fammi sapere
com'è questo capitolo.
NIKKITH:
davvero non credevi che Rebecca ce la facesse??!!
eheheh...no no, per il momento non ho intenzione di far morire
nessuno!! più avanti si vedrà...muaaahhh!! fammi
saper...bacioni
BELLA4:
ti ringrazio molto per come la pensi sia sulla storia sia sul modo di
scrivere. fammi sapere con una recensione che ne pensi di questo, mi fa
sempre piacere. kiss
BACIONI, FEDERICA
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Capitolo 16 *** Non ti credo ***
Cap.
16 - NON TI CREDO -
[Sono
appeso alla tua corda,
mi
tieni sospeso a tre metri dal suolo,
sto
ascoltando quello che dici
ma
non riesco ad emettere alcun suono.
Dici
che hai bisogno di me
poi
vai via e mi stronchi.
È
troppo tardi per chiedere scusa, è troppo tardi.
Ho
detto che è troppo tardi per chiedere scusa, è
troppo tardi.
Ti
darei un’altra possibilità, cadrei, prenderei
colpi per te
e
ho bisogno di te come un cuore ha bisogno di battere
ma
questo non è niente di nuovo.
Ti
amavo con una passione rossa,
ma
ora è diventata blu
e
tu hai chiesto scusa come un angelo,
nonostante
il cielo non sia adatto a te
ma
ho paura che sia
troppo
tardi per scusarsi]
Timbaland - Apologie -
***
Rebecca viaggiò per cinque giorni a piedi, non un momento di
riposo, non un attimo per mangiare qualcosa. Per cinque maledetti
giorni non fecero altro che camminare e camminare, nel silenzio
più assoluto.
Bastian marciava davanti a tutti e mostrava la strada. Rebecca invece
chiudeva la fila e, un po’ lontana dal gruppo compatto di
uomini, se ne stava per i fatti suoi.
Sapeva che sarebbe stato difficoltoso il tragitto ma mai avrebbe
creduto possibile di poter resistere così tanto a lungo
senza dormire e mangiare. Non capiva a che gioco stesse giocando
Bastian.
Era pazzo a farli stancare così tanto! Non avrebbero avuto
la forza necessaria per combattere in quelle condizioni. Non era
così che si immaginava il grande condottiero Bastian. Lei
sicuramente avrebbe permesso i ristori e gli spuntini. Che
probabilità avevano di vincere se si fossero presentati
così stanchi, affamati e privi di forze?
Rebecca fece una smorfia, il caldo la stava letteralmente sciogliendo.
Aveva gli occhi socchiusi, accecati dal sole, e la sua armatura, seppur
leggera ed elastica, le ricopriva tutto il corpo provocandole dei
fortissimi pruriti.
La situazione non cambiò neanche tre giorni dopo. Credeva di
morire di fame e di sete, aveva bisogno di una bella dormita e iniziava
ad avere le allucinazioni. Faceva fatica a mantenere la camminata
perciò si trascinava, a volte anche a carponi, senza che
Bastian la vedesse. Notò che anche gli altri erano stanchi e
abbattuti, un giorno in più e Bastian si sarebbe trovato
l’esercito dimezzato! Stavano percorrendo un sentiero a
ridosso di una montagna, il clima era torrido e l’aria era
secca. Il paesaggio era simile a quello del Gran Canyon: deserto, rocce
e cactus.
L’istinto di sopravvivenza la fece intervenire.
Con le poche energie che le rimasero aprì le ali e
volò da Bastian, sotto lo sguardo allarmato e stupito
dell’esercito. Gli arrivò alle spalle di soppiatto
e lo prese per il colletto, obbligandolo a voltarsi.
L’esercito ammutolì e si bloccò.
“Non ti sembra che sia arrivato il momento di fare una
pausa?” ruggì, incapace di trattenersi, accecata
dal desiderio insaziabile di mangiare.
Bastian strizzò gli occhi. “È da una
settimana che siamo in viaggio, avrei dato io stesso l’ordine
entro la sera”
“Se entro stasera non ci farai riposare e mangiare giuro sul
mio onore che me ne vado e li porto con me, questi
poveretti!” disse, indicando gli uomini alle sue spalle con
il volto pallido e la fronte imperlata di sudore.
Bastian spostò lo sguardo dai suoi uomini a Rebecca.
“Ok, come vuoi, Aidel. Potete fermarvi”
Rebecca mollò la presa e sospirò.
“Per fortuna…non ce l’avrei fatta fino a
sera!”
La ragazza, come molti altri, si lasciò cadere
all’ombra di una roccia e aspettò con impazienza
il suo turno.
***
Dopo la partenza di Rebecca, Gabriel non aveva più una vita.
Da quando se n’era andata non aveva fatto altro se non
dormire, mangiucchiare qualcosa di tanto in tanto, e trascinarsi come
un morto verso il divano. Non era più uscito e da quindici
giorni non vedeva la luce del sole. Era come se la voglia di vivere che
tanto l’aveva animato tempo prima se ne fosse di colpo
andata.
Si rigirava i pollici delle mani e sbadigliava da mattina a sera.
Devo reagire,
pensò. Peccato che la teoria era ben diversa dalla pratica e
ogni volta che tentava di alzarsi dal divano ricadeva indietro come un
ubriaco.
Non avendo nulla da fare passava ore e ore a pensare.
Si chiedeva quando Rebecca sarebbe tornata, che faceva in quel momento,
se avevano già attaccato Detron…e via dicendo.
Sapeva che Detron era distante, ma quanto?
Facendo leva sulle mani Gabriel si diede una spinta e si
alzò dal divano. Raggiunse la biblioteca al secondo piano e
prese tra le mani un vecchio atlante. L’atlante di Chenzo.
Cercò con gli occhi sull’indice il nome di Detron
e quando lo trovò andò alla pagina suggerita e
calcolò la distanza dal villaggio.
Perfetto,
pensò annoiato, richiudendo il libro, sono tre settimane di viaggio
solo andata.
***
Dopo tre settimane di viaggio la truppa di Bastian raggiunse la
roccaforte di Detron. La struttura era circondata da una fitta
vegetazione di alberi e cespugli, intorno ad essa un fossato era stato
riempito di una strana sostanza gialla che spruzzava bolle e il ponte
levatoio era ben chiuso da grossissimi catenacci.
Bastian decise di attaccare di giorno: le creature della notte odiavano
il sole e quello era un punto in favore per loro. Diede
l’ordine al suo esercito di rimanere nascosti nella foresta:
alle prime luci dell’alba avrebbero assalito la roccaforte.
Mentre tutti gli uomini farfugliavano tra loro, sospiravano, aprivano
le tende e mangiavano, Bastian cercò con lo sguardo Rebecca.
La trovò seduta su una roccia, sovrappensiero, con la sua
tenda già montata. Si avvicinò e prese posto
vicino a lei.
I suoi occhi fissavano la roccaforte di Detron. “Ogni volta
che mi ritrovo a dover attaccare dei territori di Mortimer la sera
prima ho paura. Adesso, qui con te, sento che possiamo farcela e non ho
più paura”
“Lo sai che sono con voi” disse la ragazza, con
voce neutra.
“Quello che voglio è che nessuno si faccia
male”
Rebecca lo guardò come se fosse pazzo. “Non dire
cavolate Bastian, metà della gente che è qui
morirà domani”
“È un’orribile realtà ma io
cerco sempre di non pensarci”
“Quante roccaforti avete abbattuto?”
“Abbiamo compiuto tredici spedizioni e ne abbiamo vinte
tre”
“Un po’ poco come numero” disse Rebecca
gravemente, sentendo una fitta di panico.
Bastian sospirò. “Noi ci proviamo, ma abbiamo
sempre saputo di essere inferiori rispetto a loro. Loro sono creature
magiche, per quanto stupide e selvagge siano sono pur sempre forti. E
noi siamo dei semplici esseri umani. L’intelligenza sembra
non contare in questo mondo…”
“Io non sono umana”
“Spero vivamente che la tua presenza domani ci
permetterà di aggiudicarci la vittoria”
“Spiegami che cosa devo fare”
Bastian le illustrò il piano e parlarono per tutta la notte.
Quando Rebecca iniziò a sbadigliare sonoramente Bastian le
disse che era ora di andare a dormire, si congedò con un
saluto affettuoso e se ne andò a letto.
Rebecca entrò nella sua tenda che, rispetto alle altre, era
più in alto. Si tolse la divisa e dormì con
addosso solo la canottiera e le mutande. Il sonno arrivò
dopo tanto e in quel tanto la ragazza pensò a Gabriel.
Sentiva una sofferenza straziante nel pensare a lui e avrebbe voluto
essere a casa sua, nel suo letto, con lui. La missione si presentava
sempre più difficile e insopportabile, si sentiva straniata
e stufa, non aveva niente voglia di combattere l’indomani. Si
sentiva le ossa a pezzi.
Si rigirò nelle coperte e diede un pugno
all’ammasso di stoffa che le faceva da cuscino.
***
Era mattina, Gabriel aprì prima un occhio e quando la luce
del sole lo colpì lo richiuse. Si tirò le coperte
fino in cima e vi seppellì il viso, lamentandosi.
Con uno strattone le coperte gli volarono via dal corpo e si
trovò a rabbrividire, completamente scoperto.
Aprì lentamente gli occhi fulminando la sorella che reggeva
in mano il copriletto.
“Si può sapere che vuoi da me?!”
sbraitò, nascondendo il viso tra i cuscini alla disperata
ricerca dell’ombra.
La ragazza, per nulla intimorita dal suo tono, gli andò
vicino e lo tirò per le gambe fino a farlo cadere dal letto.
Gabriel si rialzò massaggiandosi le natiche e
puntò il suo sguardo assassino sulla sorella.
“Non hai altri a cui rompere le scatole?!”
Rosalie assunse un cipiglio severo e camuffò un sorrisino.
“Io adoro
rompere le scatole a mio fratello! Fin da quando ero piccola. Non
crederai che lo faccia a Denali?! Con lui ho altro di meglio da
fare…”
Uno sguardo di puro orrore comparve sulla faccia del ragazzo.
“Oh, no! No, ti prego! Non voglio sapere che fate insieme!
Non credo di sopportarlo” piagnucolò, tappandosi
le orecchie. “Maledizione, altro mi tocca sentire! Le
prestazioni di mia sorella con il mio migliore amico!”
Rosalie fece finta di non aver sentito e gli passò accanto
dicendogli di scendere a far colazione. Stava per uscire quando Gabriel
la richiamò.
Il suo tono era serio e per nulla ironico. “Perché
lo fai?”
“Perché è da un mese che non ti vedo
sorridere”
Gabriel abbassò gli occhi, mortificato. “Mi
dispiace, non so cosa mi sia preso”
“Ti manca. Posso capire come tu ti debba sentire ma non
è così che dovresti affrontare la
situazione”
“Grazie” disse il ragazzo, con sguardo basso come
se si stesse vergognando.
“A che servono altrimenti le sorelle?”
“Ehi, Rose…” la richiamò
Gabriel. Un fastidioso quanto adorabile sorrisino gli
incorniciò il viso. “Non è vero che mi
farai diventare zio di due gemelli!”
Rosalie avvampò. “Tu credi?!”
Gabriel scosse la testa. “La tua pancia è enorme
per essere quasi al terzo mese!”
“Vuoi dire che sono grossa?!” urlò con
vocetta stridula. “Mi stai per caso dicendo che sono
grossa?”
Vedendo il viso allarmato della sorella Gabriel non riuscì a
trattenere un sorriso.
“Cafone!” disse Rosalie, dandoli una pacca.
“Preparati che tra un po’ arrivano anche gli
altri”
“Chi?!”
“Ma come “chi”? I nostri amici! Denali,
Delia e Kevin. Oggi ti porto fuori!”
***
“Basta! Sono pieno!” annunciò Gabriel,
lasciandosi cadere sull’erba.
Sua sorella aveva avuto un’ottima idea a organizzare un
pick-nick all’aperto, la compagnia e i sorrisi dei suoi amici
aiutarono Gabriel a non pensare a Rebecca. Finalmente era felice. Dopo
tre settimane era felice.
C’erano però alcuni momenti che lo rattristavano,
ad esempio quando vedeva Kevin abbracciare appassionatamente Delia, o
quando Denali, con infinita premura, premeva una mano contro la pancia
di Rosalie. Erano visioni di persone innamorate e felici insieme, che
non avevano bisogno di nulla al mondo all’infuori del loro
amore.
Il loro cuore non era lontano miglia e miglia ma era lì, con
loro. Tra loro.
Era allora che Gabriel pensava a Rebecca e un crampo allo stomaco gli
faceva capire che purtroppo il suo cuore era distante.
“…non è così,
Gabriel?”
Gabriel interruppe i suoi pensieri e fissò Delia con la
fronte corrucciata. “Come?”
“Ti avevo fatto una domanda”
Gabriel si mise seduto e si strofinò il naso.
“Scusa, ero sovrappensiero. Dicevi?”
Gabriel non vide lo sguardo preoccupato che i tre amici si lanciarono
ma immaginò che stavano pensando a quanto dovesse sentirsi
solo.
Delia si schiarì la voce, per nulla turbata. “Ti
avevo chiesto quando secondo te Rebecca sarebbe tornata”
Ahia Delia, tasto
dolente.
Gabriel aprì e richiuse gli occhi continuando a fissare
Delia.
Possibile che certe persone dovevano sempre mettere il dito nella
piega?! Non un attimo di pace che qualcuno doveva sempre ricordargli il
peggio.
Cercò comunque di apparire gentile. “Non ne ho
idea. Solamente ad andare ci metteranno tre settimane, quindi un mese e
mezzo solo per il viaggio. La battaglia può durare una
settimana come un giorno!”
Rosalie intervenne prontamente, cercando di salvare il fratello.
“Beh, è passato quasi un mese! Tra poche settimane
sarà di nuovo con noi!”
“Se
torna” disse Denali, sibilando.
Rosalie lo incenerì con gli occhi. “Non sei di
aiuto così, sai?!”
“No, ha ragione” disse Gabriel, sentendosi
improvvisamente a disagio. “Me ne vado”
“No! Aspetta! Io…” Rosalie, un
po’ goffamente e troppo lentamente, cercò di
alzarsi per raggiungerlo ma quando lei fu in piedi il fratello era
già sparito. “Dannazione!”
***
Tutti gli uomini, alle prime luci dell’alba, presero la loro
postazione. Aspettavano con ansia e paura il segnale di Bastian.
Bastian, davanti, girava le spalle ai soldati e il suo corpo era
talmente rigido da sembrare una statua. Rebecca, dall’alto
delle rocce, osservava i suoi compagni con sguardo vigile.
Ho paura,
aveva detto Bastian la notte prima. Ora non più.
La ragazza prese un profondo respiro, non era agitata e neppure
impaurita, la cosa che la turbava era la stessa che tormentava tutti
gli uomini.
Chi riuscirà
a sopravvivere?
Chi tornerà?
Quando Bastian diede il via una centinaia di uomini cominciarono ad
avanzare verso la roccaforte: correvano esibendo le loro armi, urlando
come dei disperati. Rebecca aprì le ali e volò
anche lei verso la roccaforte superando i suoi compagni, che sotto di
lei erano piccoli come formiche.
Sapeva cosa doveva fare.
Bastian le aveva detto: “Noi pensiamo alle creature, tu pensa
al loro generale”
Così, quando atterrò in un corridoio buio e cupo
entrando dalla finestra a cerchio, non ci mise molto ad afferrare
violentemente una guardia e a strappargli le informazioni che
indicavano l’alloggio del padrone. Non appena ebbe quello che
voleva con un sol colpo tramortì la guardia, la sua spada si
tinse per la prima volta di sangue.
Nessun rimpianto, nessun
ripensamento.
Uccise con facilità e rapidità tutti coloro che
le si opponevano lungo il tragitto, quando raggiunse gli alloggi del
generale girò con la magia la chiave che bloccava la porta e
la spalancò rivelando una camera da letto.
Il generale si svegliò di soprassalto. “Che
cosa…? Chi sei tu?!” domandò con voce
cattiva e prepotente alla vista della ragazza.
Rebecca sorrise, il suo ghigno aveva un che di sinistro ed inquietante.
Puntò la spada contro l’uomo e la rimise nella
cinghia. Aveva pensato ad un modo molto più signorile e
veloce per ucciderlo.
Bastò un colpo di mani e l’uomo cadde a terra
morto. Il suo cuore aveva smesso di battere. Si trattava di una magia
facile e sicura: permetteva di creare un’emorragia
all’interno del cuore, grazie alla rottura di una vena.
La ragazza tornò indietro correndo e andò ad
aiutare i suoi compagni, brandendo una bellissima spada rossa che
lanciava scintille di fuoco nel momento in cui attraversava la carne di
un corpo.
“Dove l’hai presa?!” domandò
Bastian notando il bellissimo gioiellino che stava impugnando Rebecca.
“L’ho presa al generale, non credo che lui abbia
niente in contrario!” urlò per farsi sentire,
mentre affrontava una strana bestia e tre teste.
“L’hai ucciso?!” domandò
sconvolto Bastian. All’assenso della ragazza, il
capo-villaggio la guardò sbalordito e con un misto di
rispetto. “Porca miseria…”
“Ora muoviamoci ad ammazzare questi! Ho voglia di tornare a
casa!” disse, gettandosi con eleganza nella mischia al centro
del salone.
***
Erano passati due mesi e il giorno prima Adele era tornata a casa. Con
sua grande sorpresa Gabriel se la trovò a bussare alla sua
porta e le aveva gettato le braccia al collo. Era invecchiata
dall’ultima volta che l’aveva vista ma era pur
sempre una donna stupenda. Non appena fu dentro gli fece un resoconto
di dov’era stata, parlò concitatamente dei posti
che aveva visto e sprofondò nella felicità quando
affrontò il discorso della gravidanza della figlia. Domando
anche di Rebecca e quando Gabriel le ripose scuro in volto che era
partita da due mesi, Adele si adombrò.
“Senti Gabriel, ho intenzione di rimanere fino a quando tua
sorella non partorirà. Spero che per voi non sia un
problema!”
“Stai scherzando?! Vuoi venire a vivere qui per il momento?
È una barba stare solo in questa casa enorme!”
Adele scosse la testa, raggiante. “Magari! Ma tua sorella ti
ha preceduto! Avrei preferito a questo punto far compagnia a te visto
che sei a casa da solo ma dopotutto è di una donna incinta
che stiamo parlando e non credo che al momento delle doglie Denali sia
di grande aiuto”
Gabriel sorrise, divertito al solo pensiero di vedere Denali in preda
all’agitazione, lui che era sempre così
impeccabile e controllato! Avrebbe pagato oro per assistere a quella
scena!
“Non ti preoccupare, passa a trovarmi quando vuoi,
mamma”
“Ovvio! Ma ascolta…di preciso, sai dove sia
Rebecca?” domandò, cercando di nascondere la
morbosa curiosità che l’assaliva.
“Spiacente ma si tratta di spedizioni top secret, non posso
parlarne con nessuno, neppure con te”
“Capisco. Per lo meno sai se è viva?”
“Mamma!” la rimproverò Gabriel,
infervorandosi.
“Che ho detto?”
“Ti pare domande da fare?! È ovvio che
è viva!”
“Sì, ma potrebbe anche essere ferita o magari
avere bisogno di aiut…”
“Cambiamo discordo, ok?” la interruppe il ragazzo
bruscamente.
“Ti fa così male la sua assenza?” chiese
sua madre, compiangendo il figlio e provando un’infinita pena
per lui. Le faceva male vederlo in quello stato e anche lei, sotto
sotto, si sentiva triste quanto Gabriel.
“Tornerà” disse per rassicurarlo.
***
Gabriel si svegliò stranamente di buon’ora.
Spostò le coperte e rimase a contemplare stranito il cielo:
enormi nuvole nere s’imbattevano all’orizzonte e
oscuravano la giornata. Il sole, nascosto, non riusciva a scaldare il
pianeta, e pensare che ce ne sarebbero stati più di uno.
Era tutto come quando Rebecca partì, pensò con
nostalgia il ragazzo. Quando se ne andò successe in una
giornata nuvolosa e grigia in piena estate. Una speranza gli
balenò in testa ma non l’ascoltò per
paura di illudersi di nuovo. Ormai stava imparando a vivere senza di
lei.
Ma quella che faceva era vita?
“No” si disse.
Si vestì in fretta e uscì. Andò a
salutare la sorella, parlò volentieri con lei e Denali, e fu
presente quel giorno quando per la prima volta il bambino
calciò. Poi andò ad allenarsi al fiume e dopo tre
ore che si allenava tornò a casa per farsi una doccia
fredda. Mangiò un misero piatto di carne e uscì
di nuovo. Cercava di tenersi occupato e l’unica soluzione era
di vedere altra gente. Si recò alla locanda e bevve qualcosa
in compagnia di Kevin e di due ragazzi molto simpatici.
Tornò a casa che era ormai notte ed era talmente stanco che
vedeva doppio.
Accese le luci del piano terra e si recò in bagno. Quando
uscì sentì un rumore al piano di sopra. Il suo
corpo rimase per qualche secondo paralizzato dalla sorpresa e
capì che il rumore era dato da dei passi.
C’era qualcuno. E stava scendendo.
Le scale scricchiolavano sotto il suo peso e la persona stava per
essere identificata.
Ancora pochi passi e…
“Bastian?!” esclamò Gabriel sconvolto.
“Che ci fai qui?” non aspettò che lui
rispondesse, collegò la figura di Bastian ad
un’altra figura che comparve nitida nei suoi pensieri e un
dolore lo colpì al petto.
Il volto di Bastian era addolorato, disperato. Tentò di
parlare ma poi richiuse la bocca, troppo sconvolto per unire delle
parole.
Rebecca…
Gabriel cadde a terra quando le sue gambe smisero di sostenerlo. Poi fu
tutto buio.
***
Gabriel si svegliò grazie ad un forte dolore alle guance.
Quando vide Bastian sopra di lui prenderlo a schiaffi capì
di essere svenuto. Non appena aprì gli occhi si fece aiutare
dall’uomo a rialzarsi e barcollando si mise seduto in una
sedia. Ancora troppo debole si racchiuse le mani sulla faccia e si
lasciò andare sul tavolo della cucina. Bastian al suo fianco
se ne stava zitto e aveva ancora addosso quell’odiosa faccia
da funerale.
Non appena Gabriel trovò la forza di parlare
domandò, con voce bassa: “È morta, non
è vero?”
Aspettò con il cuore in gola che Bastian parlasse.
“Tutti abbiamo perso in questa battaglia delle persone a noi
care. Purtroppo non tutti ce la fanno. Lo so quanto dura possa essere
Gabriel, il dolore ti dilania e ti uccide. Non era mia intenzione
procurare tutta questa sofferenza…” fece una
pausa, nella quale Gabriel aveva già smesso da tempo di
respirare. “…per fortuna non è successo
a te” concluse con un sorriso.
Il ragazzo alzò la testa e lo guardò confuso.
Quando sentì dei passi correre lungo le scale si
voltò e vide Rebecca entrare in cucina più in
forma che mai.
Non ci pensò due volte a catapultarsi su di lei che lo
aspettava a braccia aperte. La strinse contro di sé e
cominciò a baciarla con foga.
“Ehm, io me ne andrei…” disse Bastian,
facendo intendere il suo ruolo da terzo in comodo. Diede
un’ultima occhiata ai due ragazzi e, scuotendo la testa
divertito, se ne andò.
Gabriel, che non credeva ancora ai suoi occhi, cominciò con
frenesia a toccarla, baciarla, osservarla…come per
assicurarsi che stesse bene, che fosse veramente lei. La ragazza di
sempre. Non avrebbe mai potuto descrivere la gioia che provò
in quel momento.
Rebecca si fece coccolare, si lasciò andare alle sue dolci
premure, contenta che ormai fosse tutto finito.
Gabriel controllò inoltre che non avesse riportato ferite e
quando si accertò che stava benissimo aumentò la
presa dell’abbraccio.
“Sei svenuto! Non ci posso credere!” lo prese in
giro la ragazza, sorridente.
“Andate al diavolo tutti e due! Mi avete fatto prendere un
colpo…”
Rebecca rise e gli diede dei colpetti sulla spalla. “Dal
diavolo non ci vado, ti dico solo che sono appena tornata
dall’inferno! Una gran brutto posto!”
Gabriel rise contro la sua spalla e la prese in braccio portandola al
piano di sopra. Si buttò con lei nella vecchia poltrona del
suo studio e le accarezzò una guancia tracciandole dei
piccoli cerchi col pollice. Sembrava incantato da quella pelle
così morbida e non potè trattenersi nel chinarsi
a baciarla.
“Qualche novità finchè sono stata
via?”
Gabriel inarcò un sopraciglio e fissò il
soffitto, pensieroso. “Uhm…Rosalie ha intenzione
di rendermi due volte zio!”
“No! Non ci posso credere! Aspetta un altro figlio?! M-Ma
com’è possibile?!” esclamò
sbalordita. “Scientificamente parlando non può
essere che…!”
Gabriel la fece tacere posandole un dito sulla bocca.
“È probabile che aspetti due gemelli! Devo sempre
spiegarti tutto?! Ti facevo più
intelligente…”
Rebecca schiaffeggiò il dito che il ragazzo teneva sulle sue
labbra e parlò con ostentata tranquillità.
“La mia intelligenza rientra nella norma, Gabriel. Tu,
piuttosto, come sei stato in queste settimane?”
“Mi sono molto divertito”
“Quanto sei bugiardo!” disse la ragazza, ridendo di
fronte allo sguardo imbarazzato di Gabriel. “Non è
vero che ti sei divertito! Scommetto che ti mancavo!”
Il ragazzo assunse un’aria altezzosa e molto distaccata.
“Non ci sperare, carina!”
“Ormai ti conosco”
“Non è vero”
“Sì che è vero”
“Come vuoi”
“Allora lo ammetti!” esclamò tutta
eccitata Rebecca, che cercava in tutti i modi possibili di far
ammettere al ragazzo la sua mancanza per lei.
“Ma falla finita!” sbraitò Gabriel,
diventando rosso come un peperone e cercando di evitare la ragazza.
“Sai Gabriel, non fa male alcune volte dimostrare i propri
sentimenti” lo rimproverò Rebecca, senza
però arrabbiarsi.
Rebecca sapeva com’era fatto Gabriel e aveva capito da tempo
la sua freddezza nei legami sentimentali. Sapeva quanto gli costava
ammettere di aver bisogno di qualcuno oppure dimostrare quanto volesse
bene ad una persona. Aveva visto nella sua vita cose molto brutte e
violente e il suo cuore aveva innalzato una formidabile barriera contro
il dolore. Non lo rimproverava, semmai lo compativa.
“Scusami” disse il ragazzo a disagio.
“Per cosa?”
“Per essere un eguagliabile insensibile”
“Tranquillo, Gabriel” lo rassicurò la
ragazza diventando improvvisamente molto dolce. “Non
m’importa che tu me lo dica ogni giorno quanto mi vuoi
bene…l’importante è sapere che tu lo
pensa”
“Lo penso” confermò Gabriel, in un
impeto di amore per lei. Era la ragazza migliore che avesse mai
conosciuto.
Che avrebbe fatto senza di lei?
“Hai ucciso molte persone?” domandò
all’improvviso il ragazzo, guardandola di sottecchi.
Rebecca rise alla sua provocazione e iniziò a raccontarli,
per filo e per segno, tutto quello che aveva passato durante quella
missione. Gli parlò del viaggio, di quanto fosse stato
insopportabile Bastian e di quanto faticoso fosse stato il sentiero
sotto il caldo torrido del deserto. Gli raccontò di quando
arrivarono alla roccaforte e di quando poi la espugnarono. Quando poi
gli disse di come aveva facilmente ucciso il generale, Gabriel si
complimentò con lei, soprattutto per la bellissima spada che
grazie alla sua morte aveva preso con sé.
Parlarono per ore e ore, Rebecca veniva interrotta solamente dai
commenti di Gabriel o dalle sue battute poco simpatiche. Ricevette
inoltre dal ragazzo vari consigli e tattiche di combattimento quando si
aveva a che fare con più di una persona da uccidere nello
stesso momento.
Smisero di chiacchierare quando fu notte. Rebecca finì di
parlare e rimase con lo sguardo fisso sugli occhi del ragazzo. Gabriel
potè sentire la profondità di quello sguardo e ne
rimase colpito per la sua intensità. I loro occhi si
intrecciarono e i loro volti cominciarono ad avvicinarsi poco alla
volta per congiungersi in un bacio.
Le loro labbra erano distanti pochissimi centimetri quando un urlo
disumano rimbombò per tutto il villaggio, seguito da altri
gridi di terrore e rumori di sparo.
I due ragazzi sbarrarono gli occhi, fissandosi con aria interrogativa e
terrorizzata.
“Ci attaccano!” urlò Rebecca.
Gabriel scese velocissimo dal divano e si precipitò verso il
baule nel quale riponeva le armi. Passò un arco alla ragazza
e lui si prese una spada.
Tutte le persone che amava, in quel momento, erano in pericolo. Con la
mente andò al ricordo di quando, da piccolo, la sua intera
famiglia rimase uccisa durante un attacco al villaggio. Gabriel si
sentì a quel punto pervadere dalla paura e le mani
iniziarono a tremargli.
Cercò Rebecca con lo sguardo e vi lesse tutta la sua ferocia.
“Non preoccuparti, Gabriel. Non andrà come
l’ultima volta. Io
non lo permetterò”
***
La situazione fuori, nelle strade, era tragica. L’esercito di
Mortimer era ovunque: nelle case, lungo i viali e nelle piazze.
Uccidevano le persone che li capitavano davanti senza la minima
pietà. Donne, bambini, vecchi, perivano al taglio delle lame
e si accasciavano al suolo in una pozza di sangue.
Rebecca non poteva crederci. Davanti a lei, fuori dalla porta di casa
sua, c’era in atto un massacro e per un momento la forza le
venne meno. Per fortuna che, dietro di lei, la mano calda di Gabriel la
rassicurò.
Decisero di dividersi: Gabriel avrebbe combattuto nel lato ovest mentre
Rebecca nella zona est del villaggio. Sapevano con certezza che Bastian
si sarebbe trovato a nord e Denali con Kevin a sud, verso la piazzetta
con la fontana.
Corse più veloce che potè per raggiungere la sua
zona e fu contenta di non trovarsi da sola a combattere: quasi tutti
gli uomini rispondevano agli estranei con armi e fuoco. La sua presenza
non passò inosservata e si sentì afferrare alle
spalle.
Si voltò con la spada alzata, pronta ad uccidere ma la
riabbassò quando vide Adele dietro di sé.
“Io ti copro, d’accordo?”
Rebecca scosse la testa. “No! Adele, no! Io ce la faccio, tu
devi aiutarmi a farne fuori il più possibile, ok?!”
Adele annuì. Lanciò un’occhiata
preoccupata alla ragazza e brandì la spada verso un gruppo
di soldati che stavano avendo la meglio su un povero contadino con in
mano una misera zappa.
Dopo aver visto Adele andarsene, Rebecca fece un resoconto della
situazione: nella zona est non c’erano molti nemici e con
ogni probabilità ci avrebbe impiegato dieci minuti a
sbarazzarsi di tutti. Quello che non capiva era che: com’era
possibile che Mortimer avesse mandato così pochi uomini da
lei quando era proprio lei la persona che voleva morta?
Si preparò a combattere, all’erta e pronta a
scattare al minimo segnale.
Aveva un brutto, bruttissimo presentimento.
In quella battaglia diede il meglio di sé stessa,
combatté con disciplina e ferocia. Uccideva i suoi nemici
come il suo maestro le aveva insegnato: se sono vicini usa le armi o il
corpo, se sono lontani fai uso della magia. Gabriel più di
una volta però le aveva sconsigliato di usare troppo la
magia durante uno scontro perché, sebbene fosse
più potente e distruttiva, prosciugava le forze al corpo
più in fretta. Alcuni incantesimi, se non si era pronti,
potevano portare addirittura alla morte. Ecco perché Rebecca
cercava il più possibile di non ricorrere alla magia. Si
accontentava di uccidere i soldati con la sua potentissima spada:
leggera e precisa, era un gioiellino della guerra.
Rebecca era riuscita a farne fuori la metà in cinque minuti,
contava di uccidere gli altri nello stesso tempo. Con una mano si
scostò i ciuffi che le ricadevano sulla fronte, iniziava a
sentirsi stanca e i movimenti che faceva non erano più agili
e fluidi come all’inizio ma pesanti e affannati. Adele era
ancora al suo fianco che combatteva come una furia selvaggia e Rebecca
la ringraziò mentalmente per quel suo aiuto.
Riportò l’attenzione davanti a lei e
notò come quattro uomini di Mortimer l’avevano
accerchiata senza che lei se ne accorgesse.
Ghignò.
Che idioti,
pensò. Non
hanno la minima possibilità di battermi. Sarò
pure stanca ma non sono debole.
Fece un passo in avanti per attaccare l’uomo che aveva di
fronte quando sentì il peso di un corpo stremato aderire
alla sua schiena.
Si voltò allarmata e vide Gabriel.
“Ti copro” disse con fatica, respirava velocemente
ed era tutto sudato.
“Anche tu come tua madre! Ce la faccio! Piuttosto pensa a
te!” lo ammonì la ragazza, preoccupata per la sua
salute.
Gabriel non ne volle sapere di abbandonarla. “Io ho finito
con la zona ovest perciò ti aiuto, che tu voglia o no. Io ne
faccio fuori due, tu pensa agli altri” disse con affanno.
“Ok” mormorò Rebecca, stringendo
l’elsa della spada.
I quattro uomini si lanciarono verso i due ragazzi che erano al centro
del cerchio con sguardo folle e aggressivo, pronti ad eseguire gli
ordini di Darth Threat. Rebecca e Gabriel si presero per mano e,
facendo leva sulla mano dell’altro, fecero contemporaneamente
una piroetta orizzontale in modo da cambiare lato e da dare un calcio
in faccia a due dei quattro uomini.
Toccarono terra e mentre i due uomini erano ancora sdraiati al suolo
rimbambiti dal colpo, uccisero gli altri due in piedi. Poi pensarono a
quelli per terra: Rebecca piantò la spada sul petto di uno
mentre Gabriel tagliò la gola all’altro.
Non fecero in tempo a complimentarsi per le loro prestazioni che un
botto molto simile ad un tuono squarciò il cielo.
Rebecca vide tutti gli abitanti del villaggio piegarsi sulle ginocchia
e con una smorfia di dolore tentavano di tapparsi le orecchie per non
sentire quel suono penetrante. Anche per lei il suono era
insopportabile ma non sentiva l’impulso di tapparsi le
orecchie come stavano facendo tutti quanti. Sì, proprio
tutti quanti, perché anche i soldati di Mortimer erano
accucciati e si contorcevano sul terreno per il dolore al timpano.
La ragazza mandò uno sguardo interrogativo a Gabriel ma lui
non la stava guardando, fissava un punto indefinito nel cielo e si
vedeva lontano un miglio che era terrorizzato. Rebecca
osservò la piazzetta e notò con stupore che anche
Adele era in piedi, per nulla toccata dal devastante suono.
Fu allora che Rebecca lo vide per la seconda volta.
Nel cielo comparve una nuvola di vapore grigia e un uomo ricoperto
interamente da un manto nero.
Il vestito era una tunica nera come l’ebano, con un mantello
che toccava il suolo e un cappuccio che ricopriva il viso. Ma a Rebecca
non occorreva vedere il suo viso per capire chi fosse
quell’essere.
“Mortimer…” disse, in un sussurro
impercettibile.
Era proprio lui. Sentì gli abitanti del villaggio
tutt’attorno a lei che avevano iniziato a piangere o a gemere
in modo disperato, alcuni si stavano trascinando al riparo, altri
cercavano di coprirsi gli occhi per non dover vedere.
Darth Threat si tolse il cappuccio, rivelando la sua forma umana di
giovane uomo.
Rebecca sentì Gabriel smettere di respirare e Adele
sussultare.
L’attenzione di Mortimer non era di nessuno se non per lei.
La squadrò da capo a piedi, tenendo le braccia giunte sotto
il mantello, e posò i suoi occhi rossi sul suo volto in
cerca di qualche segno di paura. Rebecca non battè ciglio e
sostenne come meglio potè il suo sguardo, camuffando la
paura e il senso di panico che la stavano dilaniando. Mortimer parve
contento di lei perché emise una risatina che
risuonò come un ghigno strozzato.
“Sei molto coraggiosa, ragazza mia” le disse, con
quel volto duro e impassibile. Con una calma sconvolgente e la sua voce
profonda.
Rebecca si impose di stare calma. “Non vedo perché
dovrei essere spaventata” lo sfidò con gli occhi e
con le parole.
In quei casi dimostrarsi il più debole era vivamente
sconsigliato.
Mortimer serrò le labbra, apparentemente divertito.
“È un vero peccato che tu non stia dalla mia
parte…percepisco molta forza oscura in te, ragazzina. Mi
saresti molto utile se…”
“Non provare a toccarla!” ruggì Gabriel,
parandosi con aria minacciosa tra lei e Mortimer.
“Farmi da scudo non ti salverà la vita!”
bisbigliò Rebecca al suo orecchio, con voce sibilante.
“Non ci posso credere…”
sussurrò Mortimer e sembrava veramente stupito.
“Gabriel! Da quanto tempo!”
Rebecca sentì gelarsi il sangue nelle vene e socchiuse la
bocca in una smorfia interrogativa. Gabriel non disse nulla ma
fulminando Mortimer gli intimò di starsene zitto.
Darth Threat, parecchio divertito, commentò con voce aspra:
“È da molto che non mi fai un favore.
L’ultima volta mi sei stato di grande aiuto” disse
lanciando rapide occhiate a Rebecca e ad Adele.
Rebecca, sempre più confusa, sentì
l’impulso di allontanarsi da Gabriel.
Ne voleva sapere di più.
“Che stà dicendo, Gabriel?” chiese, con
voce spaventata.
Gabriel si voltò verso di lei e fece per parlare ma le
parole gli morirono in gola: vedere Rebecca in quello stato gli
ferì il cuore. Se ne stava in piedi con i pugni chiusi,
sembrava ad un pulcino impaurito, bisognoso di carezze e di affetto.
Appariva tremante e intimorita. Non gli piacque per niente il modo in
cui lo stava fissando, come se stesse avendo paura di lui.
“Rebecca, io…” provò a dire,
tentando di rassicurarla in qualche modo.
“Non gliel’hai ancora detto?!”
domandò Mortimer, fingendosi sorpreso. “E quando
aspettavi a dirglielo?!”
“Stai zitto!” lo assalì Gabriel.
“Non fiatare!”
“Non hai pensato di dirle prima la verità su di
te? Prima che
v’innamoraste?”
“Dirmi la verità su cosa, Gabriel? Che cosa centro
io?”
Gabriel tentò di trovare una scusa buona per salvare quel
momento ma anche questa volta il signore del Male lo precedette:
“È stato lui a tradire la tua famiglia. Sono morti
per colpa sua!” disse con odio puntando il dito contro il
ragazzo.
Venire a sapere la verità su Gabriel in quel modo
così violento e brutale fu un duro colpo per Rebecca.
Tutt’un tratto le parve di non riconoscere più
quel ragazzo che tanto aveva amato, l’unico sentimento che
ora provava per lui era l’odio più nero.
Lo odiava per averle mentito ma soprattutto per essersi preso gioco di
lei facendola innamorare di lui dopo aver ucciso i suoi genitori.
Tutto avvenne a rallentatore: Gabriel che cercava di dirle qualcosa e
lei che lo allontanava, il viso sofferente di chi la sapeva lunga di
Adele e il sorriso compiaciuto di Mortimer. Quando Rebecca
riuscì a sbloccarsi da Gabriel corse incontro a Mortimer,
voleva che fosse lui a dirle tutta la verità
perché sapeva che lui non le avrebbe nascosto niente.
“Spiegati meglio” disse, digrignando i denti.
Gabriel, che aveva smesso di lottare, se ne stette in piedi ad
ascoltare Mortimer con sguardo arreso.
“C’è poco da dire, te lo dirò
in modo molto sintetico: non appena Gabriel divenne un angelo bianco
m’incontrò poco dopo la sua investitura. A quel
tempo ero da poco diventato Darth Threat e, visto che quel ragazzo era
un angelo potente e promettente, gli chiesi un favore. Non volevo che
ci fossero altri angeli a Chenzo, c’ero io e volevo tenermi
il potere tutto per me senza il timore che qualche paladino della
giustizia me lo portasse via. Sapevo che c’erano altri due
angeli, lui e tua madre Aidel. Lui mi rivelò il nome di tua
madre e mi condusse a casa sua. La uccisi nel giro di pochi minuti. Tu
non c’eri nella culla e non valeva la pena di perdere altro
tempo a cercarti, anche perché se tua madre era un angelo
bianco non era detto che lo fossi diventata anche tu. Gabriel non lo
uccisi neppure, sapevo che per l’accusa di tradimento il
consiglio gli avrebbe tolto le ali e quindi sarei stato
l’unico angelo su tutto il pianeta” prese una pausa
e poi fece un cenno della testa verso Adele. “Vedi quella
donna? Lei è la sorella di tua madre che ebbe una relazione
con me, per questo la esiliarono. Fu lei a prendersi cura di te duranti
i tuoi primi mesi di vita ma poi decise di spedirti sulla Terra.
Presumo che l’abbia fatto non appena scoprì la tua
vera natura”
Rebecca rimase ferma. Cercava di trattenersi dall’urlare,
avrebbe voluto spaccare la faccia a Gabriel per tutto il male che le
stava procurando. Il suo corpo era scosso da singulti e gli occhi
cominciarono a pungerle.
Con tutta la dignità che aveva si rivolse a Mortimer.
“Grazie”
“Io vivo per questo” le disse il signore del Male
poco prima di scomparire, dissolvendosi in una nuvola di fumo.
“La prossima volta che ci vedremo sarà per
ucciderti”
Con Mortimer se ne andò anche l’odioso rumore
rimbombante e il suo esercito. Mentre gli abitanti del villaggio
cercavano a fatica di rimettersi in piedi, Gabriel e Adele rimasero ai
loro posti, troppo sconvolti per compiere un movimento. Avevano
entrambi gli occhi vuoti e spenti, gli occhi di Gabriel non lasciavano
quelli di Rebecca e provavano disperatamente a far capire alla ragazza
il suo dispiacere.
Non appena il ragazzo fece un passo in avanti con una mano tesa verso
di lei, Rebecca scappò nel bosco, troppo sconvolta per poter
affrontare il ragazzo. Si lasciò dietro di sé il
villaggio e sentì i suoi abitanti che domandavano,
perplessi: “ma che succede?”,
“dov’è Darth Threat?”,
“perché la ragazza scappa?”,
“che ne sarà di noi ora?”
Che ne sarà
di noi?
Noi.
Tu ed io.
Che faremo ora?
Rebecca stava correndo più veloce che poteva, voleva
scappare! Non aveva il coraggio di tornare da Gabriel, non dopo aver
scoperto la verità. Non subito almeno. Lo odiava, provava
un’infinita vergogna per lui e non l’avrebbe mai
perdonato per non averglielo detto prima.
Si sentì bloccare il polso da una mano che strinse la presa
saldamente, facendola fermare. Non osava voltarsi, sapeva chi era.
Era buio ma lei non era cieca.
“Vattene” ringhiò la ragazza, con tono
minaccioso.
Le sembrava, in quel momento, di non provare neanche più
affetto per lui. Quello che Gabriel aveva fatto di così
orrendo le era stato sbattuto in faccia e aveva oscurato anche il
più dolce e innocente sentimento quale l’amore. Il
suo cuore era stato sporcato e spremuto con forza, come poteva avere
ancora la capacità di amare?
“No”
Rebecca si girò ad affrontarlo. Le faceva male solamente
rivedere quel viso.
“O te ne vai o ti ci mando via io”
Gabriel vacillò sapendo che non scherzava ma era troppo
disperato per lasciarla scappare.
“Ti prego, torna a casa e riparliamone”
“Io a casa tua non ci torno, assassino!”
Gabriel sentì una fitta al cuore e si lasciò
scappare un gemito di dolore. “Ho sbagliato, è
vero, ma io ho pagato per i miei errori e ora sono un’altra
persona! Mortimer mi aveva ingannato! Non mi aveva detto che voleva
uccidere Aidel, come potevo saperlo che era così
malvagio?!”
“È inutile che cerchi di giustificarti per
sentirti la coscienza apposto! Mi fai schifo…”
“No, ti prego…Rebecca, non dire
così” la prese per un gomito e
l’attirò verso di sé ma lei gli
rifilò un pugno che lo colpì in pieno viso.
“Non toccarmi, non ti permetterò mai
più di farlo!”
Rebecca corse via nella fitta foresta lasciando Gabriel in balia dei
suoi rimpianti. Il ragazzo, con la faccia voltata per via del pugno,
cominciava a perdere sangue da un labbro. Si tastò la ferita
e deglutì.
Non può
essere finita davvero…
***
Non so
perchè ma quando ho finito di scrivere il capitolo precedente
ho
avuto la smania di finire anche questo!!
avevo
tutto in testa e non potevo aspettare troppo tempo per aggiornare...
Spero
vivamente che questo capitolo vi sia piaciuto come è
piaciuto a me mentre lo scrivevo!!!
Ogni
recensione è ben gradita...
Il
prossimo capitolo si intitolerà: "UN RIFUGIO
SICURO"
e
vedremo come Rebecca, accecata dall'ira, combinerà un paio
di pasticci...dove troverà un rifugio sicuro e con chi!!!!
Alla
prossima!!!
***
I "THANKS":
"BELLA4":
ehehehe, Rebecca come vedi è tornata, ma non so se in questo
caso sia stato un bene o un male!! Soprattutto per quello che
è venuta a sapere riguardo a Gabriel!! Recensisci presto!!
bacioni
"CHICCA90":
eccola, sempre tu!!! Hai proprio ragione sai riguardo le frasi
all'inizio di ogni capitolo, mi ascolto le canzoni e immagino la
storia, quindi vado in internet a vedermi la traduzione e se vedo che
le frasi della canzone combaciano perfettamente con quello che succede
nel capitolo è ancor meglio!!! Comunque avevi ragione
riguardo al fatto che tornava e si sarebbe trovata un gran figo ad
aspettarla...ma cosa mi dici ora che non lo vuole più
vedere?????!!!!! hihihihi....
"OASIS":
eh già...pure io avevo pensato di mandare Gabriel in guerra
però mi sembrava molto più romantico che lui
stesse a casa ad aspettarla!! Così non appena lei fosse
tornata.......FUOCHI D'ARTIFICIO!!! Eheh..fammi sapere come trovi
questo capitolo...kiss kiss
"NIKKITH":
eh ma cara mia!!! Gabriel è sì proprio stronzo ma
almeno a me piace proprio per quello. Fortuna vuole che abbia trovato
una ragazza stronza come lui così si equilibrano!! Gabriel
ha una mente fredda e razionale e ho pensato che al momento della
dichiarazione della sua partenza lui dovesse rimanere fermo e
imperturbabile. Spero di avere azzeccato!!! :-)
Bacioni
FEDERICA...
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Capitolo 17 *** Un rifugio sicuro ***
Cap. 17 - UN RIFUGIO
SICURO -
[A
un passo dal possibile,
a
un passo da te.
Paura
di decidere,
paura
di me.
Eppure
sentire
nei
fiori tra l’asfalto,
nei
cieli di cobalto.
Eppure
sentire
nei
sogni in fondo a un pianto,
nei
giorni di silenzio]
Elisa
- Eppure sentire -
***
Rebecca
correva, aveva perso il sentiero che stava seguendo e ora andava alla
ceca schivando i rigidi tronchi degli alberi. Era notte fonda e
inquietanti rumori aleggiavano nella foresta ma lei, presa
com’era dall’andarsene il più distante
possibile, non ci faceva caso. Il paesaggio davanti a lei era sempre lo
stesso e il buio della notte oscurava tutto, non una luce, non una
scintilla di chiarore.
Era come in
quei poemi epici dove la natura del paesaggio rispecchiava i sentimenti
del cavaliere errante; così, la cupa e spoglia foresta
rispecchiava l’animo ferito e svuotato di Rebecca.
Aveva il
fiatone e si sentiva spremere i polmoni nella cassa toracica ma non
voleva a tutti costi smettere di correre. Più distante
avrebbe trovato riparo, meno probabile era che un segugio come Gabriel
la trovasse.
Le
tornò in mente lo sguardo disperato di Gabriel e la sua
faccia così addolorata…per un momento fu tentata
di lanciarli le braccia al collo ma per fortuna la sua
razionalità gliel’aveva impedito, altrimenti
sarebbe stato troppo tardi e avrebbe dovuto perdonarlo. Il problema era
che Rebecca non voleva perdonarlo, voleva fargliela pagare.
Si sentiva
così in collera…così arrabbiata!
Doveva stare
attenta. Una volta Gabriel le disse che quando un angelo era accecato
dall’ira poteva succedere che, senza rendersene conto,
scagliasse la sua magia in un impeto di violenza distruttiva.
L’odio porta al Male e allontana l’angelo dal Bene.
L’angelo accecato dall’ira perde il controllo e
potrebbe arrivare ad uccidere con un gesto addirittura il suo migliore
amico. E infatti Rebecca la sentiva, sentiva la forza provocata
dall’odio scorrerle nelle vene delle mani, nel petto, nelle
braccia…ogni fibra del suo corpo bolliva e si chiese se per
caso, peggiorando, non sarebbe saltata in aria come un fuoco
d’artificio. Perché era così che si
sentiva: una mina vagante.
***
Dopo
l’attacco di Darth Threat i paesani si stavano dando da fare
per rimettere in ordine il villaggio: ripulivano le case sporche di
cenere, la strada in sassi macchiata di sangue e i cadaveri venivano
gettati in una fossa comune. Sebbene fosse notte e tutti fossero
stanchi e doloranti non intendevano fermarsi prima di aver ripulito dal
disastro le loro case.
Bastian
fissava impietrito la scena da una finestra di casa sua che, per
fortuna, non era ridotta a pezzi come la maggior parte delle altre
abitazioni. Si struggeva per ciò che vedeva: madri che
piangevano disperate sui corpicini privi di vita dei loro figli oppure
uomini che non accettavano la perdita della loro compagna.
Bastian
sospirò e chiuse fortemente gli occhi come a voler scacciare
quelle immagini. Ma quando gli riaprì vide sempre la stessa
scena.
Aveva spento
tutte le luci in casa ed era stato nelle tenebre più buie
che lui aveva trovato pace.
La porta si
aprì e andò a sbattere violentemente contro la
parete provocando un enorme fracasso, tanto che Bastian
sentì alcuni pezzi di muro cadere sul pavimento come macerie.
Sentì
dei passi pesanti venire verso di lui e due mani feroci lo afferrarono
per le spalle facendolo voltare.
Il volto di
Gabriel era minaccioso e i suoi occhi vibravano di rabbia.
“Dobbiamo trovarla, Rebecca è scappata. Manda
tutti gli uomini che puoi nel bosco e riportala a casa!”
Bastian non
disse nulla e parlò dopo averlo scrutato a lungo, valutando
ciò che lui gli stava chiedendo. “Molti dei nostri
uomini sono morti stanotte. Come pensi che la prenderebbero se gli
dicessi ora di andare a trovare una ragazza nel bosco?”
Bastian vide Gabriel morsicarsi il labbro e continuò:
“Non puoi raggiungerla tu?” domandò con
voce spenta, dimostrando dieci anni di più.
Gabriel
mollò la presa e cominciò a camminare su e
giù per la stanza, furibondo. “Se vado io non
tornerà mai! Non vuole n’anche vedermi! Mi serve
qualcuno, tutti ma non io!”
“Calmati
Gabriel, dopotutto cosa vuoi che le succeda? Rebecca ha la testa sulle
spalle, non si trova in uno stato confusionario perciò
sarà lei stessa a tornare quando si sentirà
meglio”
Il ragazzo
si fermò davanti a Bastian e inarcò il
sopraciglio. Bastian si lasciò scappare un lungo e sospirato
“oh” e raggiunse la porta. “Vado a
cercare qualcuno. Tu aspettami qui, non ti muovere”
***
Dopo quella
che a Gabriel parve un’eternità, Bastian
rientrò in casa, scortato da due uomini che si rivelarono
essere Denali e Kevin.
“Soltanto
loro due hai trovato?!”
“Ehi,
meglio noi due che cento uomini” disse Kevin strizzandogli
l’occhio.
Gabriel,
dall’irritazione, si sbattè una mano sulla fronte
e si abbandonò su una sedia. “Sono
perduto”
“Senti,
o accetti il nostro aiuto o noi ce ne andiamo. Decidi tu”
disse Denali, con la sua solita autorità.
Gabriel lo
guardò a lungo. “Ok…va bene!”
“Conta
su di noi” disse raggiante Kevin, avvicinandosi al ragazzo e
dandogli una pacca affettuosa sulla spalla.
“Ci
vediamo” disse Denali, facendo un cenno del capo prima a
Bastian e poi a Gabriel.
Quando se ne
andarono Bastian fissò il ragazzo con sguardo
compassionevole, si sedette vicino a lui che si teneva ancora la mano
sulla fronte e gli prestò attenzione. “Beh,
dopotutto non sono poi così male quei due”
Gabriel,
sentendo Bastian sparare quelle cavolate, alzò il viso e lo
guardò come per dire: “stai scherzando,
vero?”
***
Rebecca
stava correndo quando tutt’un tratto si bloccò,
stupita e interessata. Aveva il fiatone e le gambe le tremavano ma
aveva ancora la forza necessaria per proseguire fino al mattino.
Nonostante tutto si fermò. Davanti a lei, in mezzo alle
radure della foresta e circondata da bassi cespugli, c’era
una casetta di legno, molto simile a quelle di montagna con un piccolo
pergolo sul davanti e finestrelle con balconi. Doveva avere una sola
stanza all’interno, era davvero minuscola…
Con passo
deciso raggiunse la dimora e fece per aprire la porta quando
dall’interno si accese una luce.
Rebecca
sussultò e si chiese chi mai potesse abitare in una casina
tanto piccola. Per lei poteva essere l’ideale rifugio in cui
sistemarsi per un po’ di tempo, peccato che ci fosse
già qualcuno. Peggio per lui, l’avrebbe buttato
fuori e costretto alla fuga, non aveva certo paura di intimidire con le
minacce qualcuno.
Ma quando la
porta si aprì e venne ad accoglierla un ragazzo, Rebecca
potè sentire il suo cuore smettere di battere. Gli diede un
pugno in faccia con tutta la forza che aveva. Voleva che sentisse il
suo stesso dolore, il bastardo.
Rebecca fece
una risatina ironica. “È sempre un piacere
rivederti, Atreius”
***
“Si
può sapere che cos’ho fatto per meritarmi un gesto
simile?” domandò Atreius, dandosi compostezza e
massaggiandosi la guancia colpita.
Rebecca
sbuffò e avanzò minacciosa verso di lui che,
prontamente, fece un balzo indietro. “Ok,
parliamone!” disse il ragazzo, facendosi scudo con le
braccia.
“E
di che cosa, eh?! Di come, ad esempio, hai ingannato tutto il villaggio
spacciandoti per il ragazzo sperduto e indifeso quando il tuo unico
scopo era quello di spiarmi?!” urlò, sbattendo
violentemente un piede per terra. “Dio! Odio tutti voi
uomini!”
“Ehi,
paladina! Sono nel tuo stesso casino, ok?! È vero, lo
ammetto! Mortimer, che tra parentesi è mio padre, mi aveva
incaricato di spiarti per dargli informazioni utili sul tuo conto
ma…” si passò nervosamente una mano tra
i capelli. “…poi, stando con te, ho iniziato ad
affezionarmi e quando ho capito che non potevo portare a termine la mia
missione sono scappato facendo credere a Mortimer di essere morto! Sono
mesi che me ne sto nascosto in questa baracca e dovresti solo
ringraziarmi!”
“Ma
che blateri?!”
“È
la verità, non potevo tradirti, non dopo essermi innamorato
di te” le disse seriamente e in quello sguardo Rebecca vi
lesse tutta la sua sincerità.
Rimase per
alcuni secondi ammutolita, poi scrollò le spalle e chiese:
“Allora, mi fai entrare o no?”
“Che
ti serve?”
“Un
rifugio sicuro in cui stare finchè non potrò
tornare al villaggio”
“Entra”
la intimò il ragazzo, facendola passare per prima e
accompagnando il gesto posandole protettivamente una mano sulla
schiena. “Qui nessuno ti troverà”
“È
così…” disse Rebecca con un labbro
innalzato, vedendo la casa.
“…piccola”
Atreius
chiuse la porta e osservò con lei la piccola stanza quadrata
con pochissimi mobili: un letto matrimoniale, un tavolo con tre sedie,
un cucinino e un armadio. “Beh, è casa”
sospirò, gonfiando il petto e portandosi le mani ai fianchi.
Atreius vide
la ragazza avvicinarsi al letto e stendervi sopra senza il minimo
accenno al fatto che volesse dormire. “Che fai?”
domandò il ragazzo.
Rebecca gli
lanciò un’occhiata torva. “Mi pare
ovvio: dormo! Sono sfinita, evita di svegliarmi prima che sia
giorno”
“Ti
dimentichi, tesoro, che in quel letto ci dormo io”
Rebecca,
già mezza addormentata, si coccolò tra le
lenzuola e sbadigliò con piacere. “Vieni,
l’altra metà del letto è
libera”
Il ragazzo
fece come le disse e quando tutti e due furono addormentati in quel
grande letto…ci volle poco perché venisse
mattina.
***
Gabriel
corse ad aprire alla porta dato che da dieci minuti qualcuno continuava
a bussare insistentemente. Denali e Kevin, con due facce stravolte dal
sonno, gli si presentarono davanti. Il volto riposato di Gabriel era
niente in confronto alle profonde occhiaie che ai due ragazzi scavavano
la faccia.
Gabriel
arrivò all’amara conclusione che non avevano
trovato Rebecca, la cercò con lo sguardo ma non vedendo
nessun altro si appoggiò abbattuto alla porta.
“Non
l’avete trovata” non era una domanda ma
bensì una scomoda verità.
Denali
scosse la testa, pensieroso con una mano sotto la mento. “Il
problema è che non c’è stata nessuna
traccia che ci abbia fatto risalire a lei. È come se fosse
scomparsa…”
Gabriel si
drizzò, allarmato. “Non è scomparsa nel
nulla, ok?! Se voi non siete riusciti a trovarla lo farò
io”
“Io
se fossi in te eviterei di farmi vedere da lei” disse Kevin,
scrutandolo con aria da rimprovero.
“Bastian
vi ha detto perché se n’è
andata”
Denali
schioccò la lingua. “Ce l’ha detto tua
madre, che l’ha detto a Bastian a Rosalie e a Delia. Era
talmente sconvolta che ha iniziato a raccontare tutta la storiella
incurante che ci fossero sei persone ad ascoltarla. Fidati Gabriel, io
me ne starei accuccia, almeno non correrei il rischio di essere ucciso
in un suo momento di follia vendicativa”
“Lei
non lo farebbe mai” sibilò il ragazzo, guardando
Denali dritto negli occhi.
Denali emise
una risatina roca. “Tu dici? Eppure da quello che mi hanno
detto non c’è essere più pericoloso di
un angelo accecato dall’ira, potrebbe farlo senza rendersene
conto”
“Io
non credo proprio”
Ormai i
volti dei due ragazzi erano a pochi centimetri l’uno
dall’altro e la tensione era palpabile, avevano tutta
l’aria di volersela dare a botte.
“Rebecca
è confusa e arrabbiata! Le basterà pochissimo per
avvicinarsi al lato oscuro, fragile
com’è!”
“Ehi,
ragazzi…” provò ad intervenire Kevin,
tentando di allontanarli.
“Motivo
in più per cercarla. Non me ne starò con le mani
in mano!” ruggì Gabriel, andandosene e lasciando i
due ragazzi sull’uscio di casa.
Sentì
Denali chiamarlo. “Gabriel?”
“Che
c’è?”
“Rosalie
partorirà tra poche settimane, non voglio essere il solito
guastafeste ma cerca di non fare casini per allora”
“Certo,
datemi il tempo di riportarla qui e a costo di legarla contro una
parete mi assicurerò che non scappi più”
***
Nonostante
fuori fosse giorno, il sole era troppo lontano e fiacco per riscaldare
il pianeta, Rebecca guardava il cielo sentendosi un enorme vuoto
dentro. La rabbia incontenibile e l’ira accecante erano
sparite ma al loro posto un tremendo rancore e un disprezzo soffocante
s’impadronivano lentamente del suo corpo.
Il giorno
prima voleva farla pagare a Gabriel con urla e insulti incontrollati,
ora desiderava solamente pregustarsi la vendetta lentamente, con
freddezza e impassibilità. Il giorno prima
l’avrebbe ucciso volentieri ma poi aveva capito che questo
non era possibile, non solo perché era ancora innamorata di
lui, ma perché non avrebbe mai potuto essere la fautrice
della sua morte. Gli voleva purtroppo troppo bene e sapeva con certezza
che entro breve avrebbe ceduto: troppo vogliosa dei suoi baci e delle
sue carezze sarebbe stata lei stessa a correre da lui.
Nonostante
tutto gli mancava tremendamente. Nonostante gli sbagli e gli errori
imperdonabili che aveva fatto lei non riusciva a staccarsi
definitivamente da lui.
Lo avrebbe
perdonato, ne era certa, ma non ora. Ora voleva fargliela pagare con la
sua lontanaza. Sapeva quanto Gabriel si preoccupasse per lei e il solo
pensarla dispersa e sola nel bosco l’avrebbe fatto impazzire.
Stravedeva per lei ed era questo il suo punto debole.
Sarebbe
tornata a tempo debito, anche lei doveva riprendersi dopo il colpo
subìto.
Sentiva dei
rumori di pentole dalla cucina e intuì che Atreius stesse
preparando il pranzo.
Che
situazione strana.
Mai e poi
mai avrebbe creduto di poter rivedere Atreius, e di essere anche
così magnanima con lui! Era stato in un momento di bisogno
per un riparo che aveva accettato la compagnia del ragazzo, dopotutto,
almeno lui, non era un bugiardo.
“Rebecca!
È pronto!” la chiamò con voce
squillante.
La ragazza
si alzò malvolentieri ed entrò in casa
assaporando il profumo di funghi freschi e patate. Lanciò
un’occhiata ammirata verso il ragazzo e alla tavola
preparata.
“Uau…chi
l’avrebbe mai detto? Sei pure un ottimo cuoco”
“Per
così poco?!” esclamò Atreius,
fingendosi sorpreso. In realtà gli era costata molta fatica
trovare tutti quei funghi. Per non parlare delle patate…
Rebecca
rise, sentendosi improvvisamente a proprio agio. “Hai fatto
tanto, invece. Senza di te, non solo sarei ancora arrabbiata nera, ma
sarei anche affamata e senza un tetto su cui dormire” disse,
con l’intento di ringraziarlo di cuore.
Atreius, che
non la perdeva un secondo con gli occhi, la guardò
intensamente. Poi borbottò qualcosa, in evidente imbarazzo.
“Non ringraziarmi, è un piacere avere qualcuno con
cui parlare. Mangiamo?”
“Oh,
si! Ho una fame…!” esclamò eccitata
Rebecca, prendendo posto in una delle tre sedie e mangiando con gli
occhi la pietanza che aveva davanti.
“Buon
appetito”
“Buon
appetito!”
***
I soli
uomini che Gabriel aveva trovato erano due ubriaconi che frequentavano
la locanda del paese. Fortuna volle che quella mattina non fossero
sbronzi ma del tutto sobri. Quando Gabriel propose loro di andare a
trovare Rebecca, i due uomini furono ben contenti di aiutarlo dato che
la ragazza aveva salvato dall’attacco della notte precedente
il figlio di uno e la madre dell’altro.
Sebbene
Gabriel fosse titubante a portarseli dietro non fece proteste.
Non appena
arrivarono ai margini del bosco disse loro che dovevano separarsi in
due diverse direzioni. Lui sarebbe andato ad ovest mentre Gustav e Ben
ad est. Per poter comunicare tra loro, Gabriel li aveva dato uno strano
aggeggio a forma di tubo con una leva: se mai avessero avuto bisogno di
aiuto bastava tirare la leva e Gabriel sarebbe corso in loro aiuto,
dato che l’oggetto del ragazzo, diverso dal loro, era rotondo
e con un monitor specifico per localizzarli.
Si divisero
e Gabriel controllò la sua zona correndo come un matto,
chiamando il nome della ragazza e cercando ovunque. Sperò in
cuor suo che, se non fosse stato fortunato nel ritrovarla, almeno Ben e
Gustav lo fossero stati per lui.
***
“Mamma
come sono sazia!” disse Rebecca, massaggiandosi la pancia e
visibilmente contenta.
Atreius si
era alzato e aveva iniziato a sparecchiare la tavola.
“Lascia,
faccio io” si offrì di aiutarlo ma lui
rifiutò.
“Non
importa, tu stai seduta e riposati che con tutto quello che hai
mangiato mi meraviglio che non ti sia venuta un’indigestione
di funghi!”
“Sto
benissimo!” bofonchiò la ragazza, trattenendo un
singhiozzò. “È solo che mi sento
così grossa…!” disse, scoppiando in una
risata.
Anche il
ragazzo rise e posò con delicatezza i piatti vuoti nel
lavabo. Gli avrebbe puliti più tardi.
“Devo
darti una mano ad alzarti?”
Rebecca fece
finta di pensarci su ma poi tese la mano verso il ragazzo, con un
sorriso smagliante che accecò Atreius, lasciandolo per
qualche secondo inebetito.
Proprio
quando le loro dita si toccarono successe qualcosa di veramente
incredibile: il cielo divenne improvvisamente grigio e dai cespugli
provenivano dei rumori sinistri.
I due
ragazzi si precipitarono fuori, allarmati.
“È
un’eclissi” disse la ragazza, indicando nel cielo
la palla nera che copriva il sole.
“E
che mi dici di quelli?” domandò Atreius prendendo
una spada dalla cintura.
Dal
cespuglio infatti comparvero due figure umane, due tizi che Rebecca
aveva più volte incrociato nel villaggio.
“Non
ci posso credere!” disse, infervorandosi. “Mi hanno
trovata!”
“Di
che parli?” domandò Atreius, non sapendo se
attaccarli o meno.
“Gli
avrà sicuramente mandati Gabriel!”
sibilò nel dire quel nome e un’antica rabbia
repressa iniziava a rifarsi sentire. “Non voglio tornare al
villaggio! Non ora!” disse con voce supplichevole ad Atreius
che la guardava impotente.
“Non
ti preoccupare, se sarà necessario gli
ucciderò”
Rebecca
s’irrigidì. “Che cosa?”
“Preferisci
che ti riportano al villaggio e che ti tengano chiusa in gabbia come un
animale? O gli uccidi o saranno loro ad avere la meglio!”
“Non
posso!” urlò, sentendosi improvvisamente meschina.
“Non
vedi cos’hanno in mano?! È un gingillo di
locazione, se lo premono il tuo Gabriel sarà qui in meno di
dieci secondi!”
La
prospettiva di rivederlo provocò in Rebecca una paura folle.
Dopotutto non le importava se quelli erano uomini del villaggio,
avevano avuto l’incarico di stanarla e lei doveva fare quello
che più conveniva per la sua integrità.
Prese con
sicurezza la spada e, vedendo Atreius scagliarsi contro uno di loro,
decise di attaccare l’altro.
Atreius, che
combatteva con la ferocia di un leone, non ci mise molto a far fuori il
primo uomo, ora aspettava che anche Rebecca finisse il suo e intanto la
guardava muoversi con visibile interesse.
Gustav
tentò meglio che potè di difendersi ma quando la
lama rosso sangue della ragazza incontrò la sua misera spada
questa si spezzò in due pezzi. Trovandosi disarmato si
gettò a terra cominciando a supplicarla di lasciarlo vivo.
Rebecca abbassò la spada e fece per rimetterla via quando la
voce di Atreius la fece scattare: “Ha in mano
l’oggetto! Uccidilo prima che azioni la leva!”
Rebecca
osservò l’uomo a terra ai suoi piedi e
notò con seccatura che si era accucciato apposta per poter
tirar fuori dalla tasca dei pantaloni uno strano affare.
Alzò
la spada sopra la propria testa.
Gustav
avvicinò le dita alla levetta.
Con forza
fece scivolare la spada verso il basso.
Le dita
arrivarono a toccare la superficie lunga e affusolata della leva.
La spada
penetrò nella carne dell’uomo trapassandogli la
spina dorsale.
Era riuscito
a spostare la leva.
“L’ha
azionata!” disse Rebecca in preda al panico, tirando fuori la
spada dal corpo morto dell’uomo.
“Non
abbiamo che da aspettare che il tuo uomo arrivi”
Rebecca
strabuzzò gli occhi. “Magari non verrà
lui ma qualcun altro”
“Tu
dici?” domandò Atreius con ovvietà,
guardando verso il fitto del bosco dove una figura stava camminando
verso di loro.
Anche
Rebecca, seguendo il suo sguardo, capì che quella figura era
proprio Gabriel. Emise un rantolo soffocato e il suo cuore smise di
battere.
Il ragazzo
uscì dal bosco e si potè benissimo leggere la sua
espressione stupita nel trovarsi di fronte a Rebecca e Atreius.
Digrignò i denti e sembrò persino che ruggisse.
“Le
spie non dovrebbero morire?” domandò a Rebecca,
lanciando occhiate di ghiaccio al ragazzo moro.
Rebecca si
parò davanti ad Atreius e allargò le braccia.
“Non tutte le spie meritano di morire, non se si sono pentite
prima di
fare quello che dovevano fare”
Gabriel
incassò il colpo, poi osservò i suoi due uomini a
terra e provò un odio irrefrenabile.
“A
chi devo il merito di ciò?” chiese, alludendo ai
due giovani per terra privi di vita.
Fu Atreius a
parlare e per un secondo Gabriel non credette alle proprie orecchie.
“Io e lei. Non crederai mica che abbia fatto tutto da
solo?”
“Non
ci credo!” sbraitò.
“Ah
no?” lo sfidò il ragazzo, poi gli fece cenno di
guardare la spada che Rebecca teneva ancora in mano: era sporca di
sangue. Sangue fresco che gocciolava sulla punta della lama.
Gabriel si
sentì soffocare. Faticò a parlare.
“C-Che ci facevate insieme in quella casa?”
L’occhiata
maliziosa che gli lanciò Atreius non piacque per niente a
Gabriel che si sentì improvvisamente scottare.
Rebecca era
immobile e incapace di reagire, solo ora aveva compreso ciò
che aveva fatto: aveva ucciso un uomo a sangue freddo. Non aveva
nessuna scusante, volevano solamente che tornasse a casa. Anche ora, in
quel momento, il tradimento di Gabriel dovuto ad un inganno non pareva
nulla in confronto a quello che aveva fatto lei. Improvvisamente aveva
una voglia matta di correre da Gabriel per abbracciarlo, per sentirsi
sicura tra le sue braccia.
Ho
paura di me stessa.
Che
cos’ho fatto?!
Lasciò
che la presa sulla sua spada venisse meno e questa cadde a terra in un
rumore metallico. Aveva le mani che le tremavano e tutto il corpo era
scosso da brividi.
Guardò
Gabriel con occhi imploranti e cercò il suo sguardo
finchè non lo incrociò. Il ragazzo, vedendo il
suo volto sconvolto e impaurito, corse da lei.
Non appena
le fu davanti l’abbracciò con trasporto. Rebecca
si aggrappò convulsamente alla sua schiena, alle sue spalle,
al suo collo…mentre lui la teneva stretta facendo aderire i
loro corpi avvinghiati.
“Ti
amo” le disse per la prima volta, all’orecchio.
La ragazza
sbarrò gli occhi e poi si lasciò andare ad un
pianto di gioia. “Anch’io ti amo”
sussurrò contro il suo collo, nascondendo poi il viso nel
suo petto.
Un tuono
squarciò il cielo.
Tutti e tre
alzarono le teste in alto e quello che videro li ghiacciarono sul
posto. Mortimer scese a terra a pochi metri da loro, con il cipiglio
innalzato per la contentezza. Il suo sangue freddo e la sua potenza
erano disarmanti.
Gabriel
cercò di nascondere dietro di sé la ragazza per
paura che la potesse vedere e far del male. “Sei uno contro
tre Mortimer, non ti conviene farti sotto”
Mortimer lo
perforò con i suoi profondi occhi rossi. “Hai
sbagliato a fare i conti, angelo Gabriele. Siamo due contro
due”
Gabriel non
capì subito a cosa Mortimer si riferisse. Lì
c’erano solamente lui, Rebecca e…
Il suo cuore
ebbe un sobbalzo. Atreius stava lasciando la sua posizione per andare
ad affiancare Darth Threat.
“Tu”
ringhiò. “Avrei dovuto saperlo”
“Mi
hai imbrogliata!” proruppe Rebecca vedendo fuori dalla
schiena del ragazzo, ricevendo un’occhiata allarmata da parte
di questo. “Perché?! Io mi ero fidata di te e
invece…”
“…invece
non era altro che una trappola. Piaciuto lo scherzo?” la
schernì Atreius. “È bastato confidarti
il mio amore per farti cadere ai miei piedi come una povera
scema”
“Io
mi fidavo di te, non ho mai smesso di sperare che fossi
buono” ribadì Rebecca, lasciando libero sfogo alle
sue lacrime.
Che
ingenua che sono stata…
Ora per colpa mia anche Gabriel
rischia la vita.
“Ora
basta!” la aggredì Atreius, facendola tacere.
“Ho un compito da portare a termine”
“Voglio
la ragazza” disse Mortimer, che dal cappuccio calato sulla
fronte solo gli occhi rossi erano visibili.
“Non
ti azzardare!” lo minacciò Gabriel, sfoderando la
sua spada azzurra.
“Avanti,
fatti sotto” lo intimò Atreius, facendosi avanti.
Le coppie in
quel duello erano state fatte: Atreius contro Gabriel e Rebecca contro
Mortimer. Caso volle che Rebecca, ancora troppo sconvolta, non
riuscì ad attaccare per prima e nel giro di due secondi si
trovò catapultata con forza addosso al tronco di un albero.
Sentì la sua schiena piegarsi in due e credette di essersela
rotta.
Mentre i due
ragazzi combattevano ad armi pari, Darth Threat usava la magia. Peccato
che la ragazza fosse stata troppo debole per usarla correttamente.
Tentò qualche incantesimo per bloccarlo e pietrificarlo ma
il suo stato emotivo era talmente fragile che non le riuscì
niente. Con un movimento della mano Mortimer la scagliò di
nuovo in aria e Rebecca andò a finire contro la ringhiera
del pergoletto, aveva tutta la faccia graffiata dalle schegge di legno
e la schiena le doleva in maniera assurda.
Sarebbe
stato molto più facile chiudere gli occhi e dormire per
sempre.
Cercò
Gabriel con lo sguardo e vide che anche lui era finito a terra, aveva
sbattuto la testa contro un sasso lì vicino e non lo vide
rialzarsi.
Gabriel…
Vide il
sorrisino vittorioso di Atreius sopra di lui e, credendo che fosse
veramente la fine, decise di dormire per non vedere.
“È
svenuta” disse Atreius, raggiungendo il suo signore.
“Che devo fare con l’altro?” chiese,
riferendosi a Gabriel.
Mortimer
sospirò da sotto il cappuccio. “Prendi la ragazza
e portala al castello. Per quanto riguarda al ragazzo lascialo qui,
quando si sveglierà avrà un gran mal di
testa”
***
Sì,
sì lo so!!! ho fatto super presto!! prestissimo ad
aggiornare ma avevo tutto in testa ed era come se
non
potessi aspettare!!!
che
ne pensate???? Ho fatto correre un po' gli eventi, non volevo che si
perdesse
troppo
tempo a trovare rebecca!!
Il
prossimo capitolo s'intitolerà: "L'URLO
CHE UCCIDE" e vedremo che fine
avrà
fatto quella povera ragazza...
ehehehe
Recensite,
mi raccomando!!!
Ho una richiesta di aiuto da
fare!!! qualcuno sa come fare per inserire in un capitolo
delle immagini???
Please,
se qualcuno sa mi faccia sapere!!
Bacioni...
PS: grazie per tutte le
recensioni, scusate se non ho potuto rispondervi ma non ho avuto
tempo!!!!
|
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Capitolo 18 *** L'urlo che uccide ***
Cap. 18 -
L’URLO CHE UCCIDE -
[Chiudo
gli occhi e trovo la strada,
non
ho bisogno di pregare.
Ho
camminato così lontano,
ho
combattuto così duramente…
Non
ho più niente da spiegare,
conosco
tutto ciò che rimane
ed
è un pianoforte che suona]
Lara
Fabian - Adagio -
***
Quando
Rebecca aprì gli occhi si sentì colpire da un
violento freddo che la fece rabbrividire. Sentiva qualcosa
picchiettarle la pelle di tutto il corpo, era bagnata e quando si
leccò le labbra sapevano di sale e acqua. Staccò
la guancia dal duro pavimento in pietra e si guardò intorno:
era prigioniera in una cella con tre pareti di freddo sasso e una
sbarra che dava su un corridoio buio con altre celle. Alzò
gli occhi e venne accecata da un getto d’acqua tiepida che
fuoriusciva da una parete. Era tutta inzuppata e quando
tentò di alzarsi aggrappandosi alle sporgenze
osservò meglio il fiotto d’acqua. Notò
che anche nella cella davanti alla sua le pareti perdevano acqua e
delle piccole nuvolette di vapore aleggiavano sul soffitto umido.
Cercò
di ricordare quello che era successo e una fitta di nausea la
colpì quando provò a camminare. Debole e sfinita
si accasciò a terra e credette di vomitare fuori
l’anima, i giramenti di testa erano fortissimi e non vedeva
con chiarezza.
Si
portò una mano sulla fronte per sentire se aveva la febbre
ma era difficile dirlo con precisione dato che il getto
d’acqua la faceva sudare e accaldare ancor di più.
Era disorientata e cercò di trascinarsi verso il fondo della
cella dove si sistemò con la schiena contro il muro e
posò la testa fra le ginocchia.
Fece
l’unica cosa che le sembrò giusta da fare in quel
momento: pianse. Pianse per Gabriel, per la ferita infertale da Atreius
e per la situazione in cui si era cacciata. Si sentiva una bambina
impaurita che non aveva più nulla, una ragazzina alla quale
avevano rubato tutto.
Alzò
lo sguardo e fissò la persona che era nella cella davanti
alla sua. Era una sagoma distesa e sembrava che stesse dormendo dato
che il suo corpo si alzava e si abbassava in respiri regolari.
L’umidità di quel posto le dava il voltastomaco e
l’acqua che continuava a bagnarla la irritava, sembrava di
essere in doccia!
Dopo
parecchi minuti Rebecca riacquistò la lucidità e
il senso di nausea era passato, come anche il mal di testa ma era
ancora troppo fragile per mettersi in piedi. L’importante,
per lo meno, era di aver recuperato la vista. Ora poteva concentrarsi
su come fare per squagliarsela di lì il più in
fretta possibile. Notò con disappunto che le mancava la
spada e con essa qualsiasi cosa che avesse avuto nelle tasche.
Avrebbe
dovuto ricorrere alla magia, sebbene non fosse abbastanza forte per
praticarla. Non le importava, voleva andarsene e tornare al villaggio
per sapere come stava Gabriel. Quando era rimasta a terra in una sorta
di catalessi aveva visto il ragazzo privo di sensi poco distante da
lei, non era morto benché avesse preso una brutta botta in
testa. Prima di perdere completamente i sensi aveva sentito Mortimer
parlare riguardo a Gabriel e al fatto che l’avrebbero
lasciato lì dov’era. Non era morto, ragion per cui
doveva tornare da lui.
Camminò
a carponi fino alle sbarre della cella e vi si aggrappò con
forza. Emise un fischio e cercò di ottenere
l’attenzione dell’altro prigioniero. Quello
continuava a dormire beato e, dopo aver provato tutti i tipi di
richiami, Rebecca lo chiamò. “Ehi, tu!
Svegliati!”
L’uomo
ebbe un sussulto e si voltò spaesato verso di lei.
Aveva un
volto molto famigliare…
“Chi
sei tu? Non ti ho mai vista” disse, con voce impastata dal
sonno. Aveva i capelli castani e una lunga barba folta, doveva avere
sui quarant’anni.
Rebecca
tartagliò, incapace di respirare. “M-Mi serve il
t-tuo aiuto per uscire, per favore”
L’uomo
scoppiò in una risata fragorosa e la guardò come
se fosse impazzita. “Stai scherzando, vero?”
Rebecca, confusa, scrollò la testa e l’uomo
continuò dicendo: “Ragazzina, sono anni che mi
trovo in questa cella. Tu credi che non abbia tentato di tutto per
scappare? È inutile, non puoi farci niente, accetta il tuo
destino” disse e fece per tornare a dormire quando lei lo
richiamò.
“Ti
sbagli, nonnetto! Questo non è il mio destino e io scommetto
che posso aiutarti a scappare se mi aiuti!”
L’uomo
si voltò e questa volta sembrava molto interessato.
“Che vorresti dire? Sei forse una maga?”
Rebecca fece
un ghigno, si vedeva lontano un miglio che era orgogliosa di quello che
stava per dire. “Meglio. Io sono un angelo”
L’uomo
sbarrò gli occhi come due palline da golf e si mise dritto.
“Che mi venga un colpo…questo è il mio
giorno fortunato!”
“Allora,
mi puoi aiutare? Non ho molto tempo da perdere”
L’uomo
annuì con enfasi, i suoi occhi scintillavano per
l’eccitazione. “Certo che ti aiuto, io di certo non
posso far nulla ma se mettiamo insieme la mia testa e i tuoi poteri
abbiamo qualche speranza”
“Non
mi serve una qualche speranza, mi servono certezze”
“Ehi
ragazzina, siamo in guerra, niente è assicurato!”
“Dimmi
quello che sai” disse Rebecca, sentendosi improvvisamente
prosciugare le forze. Forse aveva sprecato troppe energie per parlare.
“Allora…”
cominciò l’uomo, facendosi vicino e parlando tra
due sbarre. “Per prima cosa devi sapere che noi non ci
troviamo nei sotterranei come ti vogliono far credere, ma
bensì nell’ultimo piano del castello. Ci sono due
porte, una in fondo al corridoio a destra e una a sinistra, e ogni
porta è sorvegliata da due guardie. Le guardie non sono
così astute come pensi, di notte sono stanche e il
più delle volte si addormentano in piedi. Quello che
dobbiamo fare è superare la sorveglianza della porta in
fondo al corridoio alla tua sinistra, una volta fatte fuori le guardie
bisognerà procedere per un corridoio in discesa nel buio
più completo. Percorri un chilometro a piedi e ti troverai
nello stesso corridoio circondato però da enormi finestroni,
vola fuori e portami con te…e il gioco è
fatto”
Rebecca si
morse il labbro. “Uhm, mi sembra fin troppo facile”
“Scherzi?!”
esclamò l’uomo. “Queste prigioni non
sono state certamente progettate per rinchiudere degli angeli! Noi
comuni mortali non avremmo potuto scappare perché una volta
usciti e percorso il corridoio avremmo dovuto continuare ad andare
avanti dritti e ci avrebbero trovati gli altri della sorveglianza ma ad
un essere speciale come te basta una finestra o uno sprazzo di cielo
per volare via!”
“È
vecchio questo castello?”
“No,
assolutamente! Però quando Darth Threat l’ha fatto
costruire era l’unico angelo in circolazione e non poteva
certo prevedere che ne sarebbe arrivato un altro!”
“Io
ho sentito che ce n’è un altro” disse la
ragazza, ricordando una conversazione che aveva avuto tempo prima con
Atreius, durante un “premeditato” pick-nick.
“No,
che io sappia c’era Gabriel e una donna…Aidel, se
non sbaglio, ma ora lei è morta e lui è un
traditore. Ah, e tu e Mortimer, ovviamente”
Rebecca
abbassò lo sguardo, intristendosi.
“Già…”
“Sai
cosa sono i Nim, vero?”
“Certo,
una volta mi sono imbattuta in uno di loro ma è stato molto
tempo fa. Perché?”
“Perché
siamo nel castello di Darth Threat e sappi che qua dentro o ti troverai
a combattere contro il suo esercito di uomini o contro i suoi fidati
Nim”
“Ce
ne sono molti di Nim?”
L’uomo
sbuffò, fissando il pavimento come se gli stesse contando
mentalmente. “Non saprei dirti ma non ce ne sono molti, sono
molto fedeli e forti ma il loro temperamento aggressivo gli fa tenere
alla larga da Mortimer. Comunque fa conto che ce ne saranno una
decina”
“Così
pochi?”
“Sì,
sono una razza ormai estinta e dato che sono tutti uomini non possono
riprodursi, ti pare?”
“Ma
Nim non si diventa?”
“Certo,
si può diventare ma devi avere una certa dote genetica, una
prestazione fisica innata che ti renda superiore altri esseri
umani”
“E
che mi dici dei Sentori?”
“Ah,
quelli vanno e vengono…non li vedi mai in giro, sono spettri
e sono incaricati di scovare delle persone, hanno un fiuto incredibile
e un senso dell’orientamento formidabile”
“Quindi,
escludendo i Nim e i Sentori, avrò a che fare con semplici
uomini!”
“Semplici
non direi, sono comunque forti e ben addestrati, anche se la maggior
parte di loro hanno un cervello grande quanto quello di una
gallina!”
Rebecca rise
alla sua battuta e poi gli domandò, più per
curiosità che non per interesse: “Come ti
chiami?”
L’uomo
la scrutò a lungo prima di rispondere. Che
l’avesse riconosciuto? “Mi chiamo Alan”
“Non
ci posso credere!” esclamò sorpresa la ragazza,
spalancando la bocca. “Ecco dove ti ho visto! In un ritratto
a casa di Bastian! Tu sei suo fratello! Il fratello che Mortimer aveva
fatto prigioniero durante l’ultimo attaccato al villaggio
circa dieci anni fa!”
L’uomo
si complimentò con lei con sarcasmo. “Denoto con
piacere che sono diventato famoso”
Tutto
tornava: dieci anni prima Gabriel e Rosalie avevano otto anni ed era
stato quando Mortimer aveva ucciso la loro famiglia e, prima che Adele
ne diventasse la madre adottiva, avevano passato un breve periodo sotto
la protezione di Bastian e di suo fratello Alan. Lei era già
stata portata sulla Terra da Adele e aveva sette anni. Sette anni prima
Mortimer era diventato malvagio e Adele, dopo la morte della sorella,
l’aveva messa al sicuro in quel mondo di umani nel giorno in
cui aveva compiuto il suo primo anno di vita.
Ma come?
C’era una cosa però che non tornava…
Se lei aveva
un anno quando Gabriel aveva tradito sua madre, questo voleva dire che
Gabriel ne aveva due?!
“Alan,
quanti aveva Gabriel quando gli sono state tolte le ali?”
“Oh,
povero ragazzo! Era piccolo, molto piccolo. Avrà avuto due o
tre anni”
“Che
cosa?! Ma non è possibile!”
“Eppure
è così, Gabriel è sempre stato un
bambino prodigio e molto precoce, all’età di due
anni sapeva già parlare correttamente, era intelligente e si
era scoperto da poco un angelo. Per Mortimer è stato facile
estorcergli le informazioni che gli servivano per trovare
Aidel”
“Ecco
perché l’ha risparmiato mentre ha ucciso Aidel!
Perché infondo era solo un bambino! Era Aidel la vera
minaccia dato che era grande!” ora tutto combaciava.
“Ed ecco perché a Gabriel sono state tolte le ali,
non per l’atto di tradimento in sé ma
perché essendo stato così forte e precoce fin da
bambino era pericoloso se avesse deciso di aiutare ancora Mortimer! E
Adele, essendo stata l’amante di Mortimer aveva ricevuto
l’esilio e ora aiuta il villaggio per riscattarsi e per
Gabriel il suo riscatto consiste nel dimostrare che vale come
maestro!” concluse a corto di fiato, la gola era divenuta
improvvisamente secca ed era tutta rossa dallo sforzo. “Oddio
che cos’ho fatto!” disse tra le lacrime, sentendosi
un’idiota per averlo colpevolizzato. “Era solo un
bambino…” singhiozzò tra le lacrime.
Alan, che
era rimasto in disparte a guardare il suo sfogo, decise che era meglio
lasciarla finire. Sembrava veramente a pezzi quella povera ragazza, e
infatti non si poteva certo spiegare a parole quello che Rebecca stava
provando. Aveva odiato Gabriel per quello che aveva fatto e
l’aveva trattato male, come se fosse stato un assassino che
non meritava di vivere. Ma come poteva sapere che era successo quando
lui aveva due anni?! Era solo un bambino e non poteva certo aver capito
l’inganno di Mortimer o le sue intenzioni di morte! Quando si
è bambini non si pensa mai che ci possano essere persone
cattive, ecco perché si è così
ingenui.
Ma lei non
lo poteva sapere e Gabriel non gliel’aveva detto, malgrado
lei gli avesse urlato dietro di tutto e lo aveva accusato di omicidio
lui se n’era rimasto zitto.
È un ragazzo
meraviglioso, pensò. Nonostante avesse potuto
salvarsi dalle accuse con quella rivelazione aveva preferito essere
incolpato.
Quando
Rebecca finì di piangere si asciugò gli occhi
arrossati. “Scusa”
“Non
ti preoccupare, sono cose che capitano” la
rassicurò Alan, molto premuroso.
La ragazza
emise un profondo respiro per calmarsi e scacciò per un
attimo tutti quei problemi. “Allora, come esco di
qui?”
Alan si
alzò in piedi e anche lei, un po’ a fatica, lo
fece. “Io ho una spada, te la posso passare. Tu non devi fare
altro che tagliare le tue sbarre e poi le mie”
“E
scusa, non potevi farlo tu?!”
“Sono
un uomo ma non sono così forte da spezzare queste
sbarre!”
Rebecca si
lasciò scappare una risatina isterica, non era pronta. Ma
doveva farlo.
Proprio
quando Alan stava per tirare fuori da sotto il mantello una spada
scintillante, la porta infondo al corridoio a destra si
spalancò. Alan rimise in fretta la spada al suo posto e
Rebecca balzò indietro andando a finire contro la parete
rocciosa. Sentiva dei passi percorrere il corridoio e, non sapendo che
fare, si buttò per terra e finse di dormire.
Aveva gli
occhi chiusi ma sentì con chiarezza che i passi si erano
fermati proprio davanti alla sua cella.
“È
strano ma…pensavo che fossi sveglia”
Rebecca,
sentendosi avvampare, scattò in piedi e guardò
con puro odio la figura terrea davanti a lei. “Strano ma
speravo che fossi morto!”
Atreius
rise. “Non scherzavo quando dicevo che mi piacevi, Rebecca!
Sei davvero una ragazza davvero tosta, peccato che tu debba
morire”
“Preferisco
morire pur di stare con uno come te”
“Ah,
si? No perché quando ti baciavo eri del parere
contrario…”
“Basta!”
lo interruppe la ragazza, arrossendo per la rabbia.
Atreius
schioccò la lingua con aria indifferente.
“Potresti farci un pensierino…”
“Muori”
sibilò con disgusto tanto che Atreius assunse una faccia
offesa.
“Come
ti pare, vorrà dire che domani morirai!
Intanto…devi seguirmi”
“Non
ci penso nemmeno”
Un lampo
balenò negli occhi del ragazzo e Rebecca si sentì
d’un tratto molto debole, stanca e confusa.
Cominciò a vacillare e si piegò in due finendo
per terra. “Che mi stai facendo?!” urlò,
in preda al panico e alla stessa nausea di poco prima.
Il ragazzo
non le rispose ma lei sapeva che doveva averla drogata. Chiuse gli
occhi e non sentì neppure i richiami disperati di Alan che
la incitava a restare sveglia.
***
Diversamente
dal castello di Mortimer, dove il sole non splendeva mai troppo e
l’aria puzzava di morte, il bosco che circondava il villaggio
era illuminato da una luce accecante e un’arietta fresca che
sapeva di pulito aleggiava tra gli alberi.
Gabriel,
svegliato da un improvviso mal di testa, si sentì soffocare
dal caldo. Il sole picchiava nel cielo e capì che era
passato un giorno da quando aveva sbattuto la testa, non aveva fatto
altro che dormire per ventiquattro ore. Accecato dal male si
rialzò goffamente e si sgranchì la schiena. Non
fece in tempo a chiedersi che cosa era successo quando vide la spada di
Rebecca a terra e i due corpi di Gustav e Ben.
Ebbe un
tonfo al cuore quando arrivò alla conclusione che dovevano
averla rapita. Prese la spada della ragazza e, sebbene fosse ancora
molto spossato e intorpidito, cominciò a correre come un
disperato verso il villaggio. Passò via la strada che aveva
percorso il giorno prima e pregò con tutto il cuore che
Rebecca stesse bene. Gli avrebbe ammazzati tutti se avessero osato solo
toccarle un capello!
Doveva fare
in fretta.
Arrivò
al villaggio in un bagno di sudore e sotto gli sguardi curiosi e
preoccupati degli abitanti corse dritto senza fermarsi verso la casa di
Bastian, lui era l’unico che poteva aiutarlo e mobilitare
abbastanza uomini affinché lo seguissero in
quell’impresa. Senza chiedere il permesso né
bussare si precipitò dentro e lo sguardo che Bastian gli
rivolse fu impagabile.
“Che
ti è successo?” domandò, alludendo al
suo volto disastrato e al taglio che aveva sulla fronte.
“Mortimer
ha rapito Rebecca, ho bisogno del tuo aiuto, non ci metterà
molto ad ucciderla se non interveniamo!”
Bastian gli
corse incontro, molto spaventato. “Oh no, non ci voleva,
dannazione!”
“È
stato Atreius, io credo che l’abbia raggirata”
disse Gabriel, sputando fuori quel nome come se fosse stata immondizia.
“Quel
ragazzo avrebbe dovuto essere morto da tempo!”
protestò l’uomo, infervorandosi. Non si era certo
dimenticato che quel ragazzo gli aveva posseduto la mente.
“Che
facciamo?”
“Mi
pare ovvio: andiamo a salvarla”
“Vuoi
dichiarare guerra?”
“No,
semmai voglio organizzare una spedizione per riportarla a casa. Quando
Rebecca sarà di nuovo sana e salva con noi allora
cominceremo a prepararci per la guerra, ragazzo mio. Abbiamo aspettato
troppo allungo per ribellarci, affronteremo una volta per tutte Darth
Threat e il suo esercito ma lo faremo quando anche lei sarà
presente”
Gabriel, che
non si era ancora calmato, chiese: “Quando
partiamo?”
“Sei
sicuro di star bene? Quel taglio sembra profondo…non vuoi
che aspettiamo un giorno o due?”
“No”
disse, digrignando i denti. “Partiamo domattina, al tramonto
saremmo arrivati al castello di Mortimer”
“Sei
sicuro che l’abbia portata lì?”
“Sicurissimo”
“Ok,
io penso a tutto ma tu, per favore, và a farti una dormita e
a disinfettare quel taglio! Ti aspetto all’alba”
Gabriel
assentì con il capo e tornò a casa. Rosalie lo
aspettava ansiosa sulla soglia di casa e quando lo vide arrivare gli
saltellò incontro e lo abbracciò.
Cominciò a piangere sulla sua spalla come una bambina,
sbalzi d’umore o no, Rosalie amava suo fratello e si
preoccupava per lui, diventava matta se aveva il minimo sospetto che
fosse in pericolo. Gabriel l’abbracciò a sua volta
e rise quando sentì il pancione di Rosalie contro il suo
ventre piatto.
“Sei
ingombrante, sorellina”
“Oh
stà zitto! Sei qui che mi prendi in giro mentre Rebecca
è tenuta prigioniera chissà dove! Come ti
senti?”
“Bene
fino a quando non mi hai fatto ricordare che fine ha fatto
Rebecca!” borbottò con cipiglio severo.
Rosalie
parve non capire. “Ma come? Non andate a salvarla?”
“Parto
domani all’alba, vuoi venire?” domandò,
con una sfrecciatina sarcastica.
Nonostante
tutto la ragazza rise e sciolse l’abbraccio. “Mi
sembrava piuttosto ovvio che fossi incinta”
“Già,
e non ricordarmi chi è stato a farlo…”
Rosalie gli
diede uno scappellotto e lo seguì in casa. “Sono
riuscita a far rimanere la mamma per il periodo del parto, spero di
fare altrettanto con voi due!”
“Non
è certo colpa mia se Rebecca non è qui”
disse gravemente, anche se sapeva che un po’ di colpa ce
l’aveva.
“Non
ho detto questo, è naturale che vorrei avervi tutti con
me”
“Sì,
scusami, posso capirlo”
“Domani
verrà con te anche Denali”
Il ragazzo
la fissò del tutto impreparato. “A-Ah si? Non
sarebbe meglio che stesse a casa con te?”
“Ha
voluto a tutti i costi arruolarsi in questa impresa eroica”
disse la ragazza, portandosi un dito sulla bocca per trattenere una
risata, non nascondeva però la sua preoccupazione.
“Ti chiedo solo di tenermelo d’occhio”
“Non
ti preoccupare, Rose. Te lo riporterò a casa”
Rosalie
ricominciò a piangere. “Oh no! Non di nuovo, per
favore!” la pregò Gabriel, lanciando le braccia in
aria.
“B-Beh,
s-scusa ma io sono t-triste!” balbettò la ragazza,
sussultando per i singhiozzi.
***
“Dove
mi state portando?!” sbraitò la ragazza, cercando
di liberarsi dalla stretta di due soldati che le bloccavano le braccia.
I due uomini
non risposero e lei si sentì invadere dalla frustrazione.
Dopo che si era svegliata si era trovata in una barella trascinata da
quattro uomini, quando videro che era sveglia la fecero scendere e due
di loro le bloccarono le braccia mentre gli altri due le puntarono una
spada nella schiena.
“Fa’
un passo falso e ti ammazziamo!” la minacciarono.
Se fossi più forte
gli farei fuori tutti e quattro in una volta sola,
pensò. Peccato che Atreius l’aveva drogata per
bene e tutti i suoi sensi erano scombinati e inefficaci.
Doveva
ancora capire dove diavolo la stavano portando, sicuramente al cospetto
di Mortimer.
Non era la
morte che temeva ma il fatto di ignorare come sarebbe avvenuta.
Tentò
un’altra volta di divincolarsi per scappare ma
fallì.
E
bravo Atreius, solo questo sai fare: rendere idiote le persone!
La portarono
lungo un corridoio privo di finestre e porte. Alan non diceva bugie
quando le aveva raccontato che erano al piano superiore, man mano che
proseguivano era sempre più fresco e si muovevano in
discesa. Rebecca scorse un enorme porta scalfita con strani simboli
infondo al corridoio.
Chissà
perché non le piaceva affatto…
Gli uomini
la fecero fermare davanti al portone e uno dei due che stavano dietro
si sporse verso il muro per prendere un bastone che era appeso alla
parete e lo battè per terra una, due, tre volte. Sembrava
molto ad un richiamo o ad un segnale lasciapassare. Fatto
stà che le porte si aprirono rivelando la sala del trono.
Enormi
finestre corniciavano il soffitto altissimo, una luce fioca penetrava
illuminando a fasce la sala. Davanti a Rebecca un tappeto nero
proseguiva dritto fino ad una pedana dove al di sopra di essa
c’era un grande trono nero con l’inconfondibile
Mortimer seduto sopra.
L’intera
sala inquietava timore ed era talmente macabra da apparire perfetta per
un essere potente come Darth Threat, la stanza stessa sembrava incutere
potere.
Mortimer
stette fermo al suo posto e Rebecca venne trascinata in avanti
finchè non si trovò al suo cospetto. La fecero
inchinare e la sua testa non toccò per poco il tappetino
nero.
“È
sempre un piacere vederti” commentò Mortimer,
incrociando le mani con i gomiti appoggiati ai bracciali.
“Mi
dispiace non contraccambiare, io stavo meglio non vedendoti”
disse a mo di sfida e beccandosi uno schiaffo fortissimo da parte di
una delle guardie. Il colpo le fece volare in aria i capelli e il collo
le scricchiolò per la velocità con il quale
l’aveva girato.
Mortimer
ghignò, sempre contento di vedere un po’ di
violenza. Sospirò e ripetè il suo nome come una
cantilena. “Rebecca, Rebecca, Rebecca…che devo
fare con te?”
La ragazza
posò i suoi occhi su quelli di lui e per un momento Mortimer
vacillò. “Con che odio che mi
guardi…” disse, profondamente ammirato e per
niente intimorito.
Rebecca
tornò a fronteggiarlo nonostante la sua guancia arrossata e
il livido viola sul labbro superiore. “È il
minimo. Vuoi che ti faccia la festa, Mortimer?”
Ricevette un
altro schiaffo, questa volta la fece sanguinare. “Come osi
chiamarlo per nome?” disse la guardia con tono minaccioso.
Mortimer
fece cenno alla sua guardia di calmarsi. “Lascia stare, non
m’importa come mi chiama. Lei è la sola che
può permettersi di farlo”
Rebecca
strizzò gli occhi, per pochi secondi aveva smesso di vedere.
Possibile
che dovevano trattarla così? Erano passati i bei tempi
dov’era una ragazza come tutte le altre che andava in
discoteca e conosceva ragazzi carini di altre scuole…
“Domani
ho intenzione di dare un bello spettacolo per gli abitanti del tuo
villaggio” Rebecca lo guardò, intimandolo di
andare avanti. “So già che hanno mobilitato un
piccolo esercito per venire a salvarti, dovrebbero partire domani
mattina all’alba. Per arrivare al mio castello devono passare
per la scogliera che fiancheggia il mare…” Rebecca
ricordava bene quella scogliera, la rupe oltre il bosco del villaggio
era il suo posto preferito. Intendevano forse ucciderla là?
“…e sarà in quel posto dove tu ti farai
trovare”
“Intendi
ammazzarmi ed esibirmi al loro passaggio? È questo che
vuoi?”
“Oh,
no…sarà molto, molto peggio”
Rebecca
colse una nota di squallore in tutto quel discorso e temette per la
propria vita. Che cosa aveva in serbo Mortimer per lei di
così disgustoso?
La ragazza
deglutì. “Devo dedurre che la cosa peggiore
all’uccidermi sia quella di tenermi in vita?”
“Ti
basti sapere che preferirai morire”
“Facciamo
una cosa, dato che non vedo l’ora di andarmene da questo
posto perché non mi ammazzate ora?”
“Scherzi
con la tua vita?”
“È
una cosa che mi riesce bene in effetti” una delle guardie
minacciò di tirare fuori la spada e
l’avvertì con lo sguardo. Rebecca le fece una
smorfia.
“Vedo
che ti piace prendere in giro le mie guardie”
osservò Mortimer, pregustandosi altra violenza. Non avrebbe
di certo fermato il suo uomo se avesse voluto punire la ragazza per la
sua sfrontatezza.
Rebecca
rispose con voce calma e provocatoria. “Prendo in giro solo
le persone stupide”
A quel punto
la guardia tirò fuori la spada e gliela puntò
alla gola. “Ora basta”
Mortimer
battè due volte le mani e il soldato ripose l’arma
con disappunto.
“Portatela
via e chiamatemi Atreius”
Le quattro
guardie fecero fare a Rebecca un altro inchino e la trascinarono via,
prima di uscire dal portone la ragazza si sentì chiamare da
Darth Threat. Si voltò con il volto cupo e gli occhi ridotti
a due fessure.
“Un
ultimo desiderio prima di morire?”
Rebecca
finse di pensarci su. “Sì, vorrei che andassi al
diavolo”
Le guardie
imprecarono e con una spinta la buttarono fuori dalla sala del trono,
Rebecca sentì la risata di Mortimer prima che il portone si
richiudesse.
Beh, almeno
si era fatta valere.
Almeno
credo.
***
Quella sera
Mortimer chiamò per la terza volta Atreius perché
drogasse la ragazza. Atreius accettò senza batter ciglio la
richiesta di suo padre e le fece bere una strana sostanza mentre
dormiva nella sua cella, incurante di quello che le stava accadendo.
“È
in gamba la ragazza, non teme la morte e sento che è molto
potente”
Atreius
contemplò il profilo dell’uomo allungo.
“E questo è un bene o un male?”
“Se
fosse dalla nostra parte ti direi che è un bene ma essendo
nostra nemica non posso che temerla”
Il ragazzo
rimase interdetto. “Ma come? Voi, padre, che avete paura di
una ragazzina inesperta?”
Mortimer
posò gli occhi sul figlio, disapprovava il fatto che lo
chiamasse “padre” ma glielo concedeva quando erano
soli. “Il punto è che una ragazzina cresce e
diventa una donna. Lei ha qualcosa di più, è come
se fosse completamente un angelo”
“State
dicendo che secondo voi i suoi genitori sono entrambi degli
angeli?”
“Ho
paura di sì”
“Ma
se questo che dite è vero potrebbe diventare addirittura
più forte di voi! Dopotutto voi siete un angelo a
metà dato che solo vostro padre lo era”
Darth Threat
lo fulminò. “Non mi vanto certo della mia
metà umana. Quella ragazza và eliminata prima che
possa diventare una minaccia. Non deve sapere delle sue metà
angeliche, scommetto che ignora l’entità del
padre, sicuramente penserà che sia stato un semplice
contadino” Mortimer guardò fuori dalla finestra e
vide il sole tramontare. “Andiamo, forza, basta
parlare”
Atreius
seguì il padre lungo i corridoi del castello. Atreius era
nato dall’unione di Mortimer con una ninfa del fuoco:
Magdala, ma non era mai diventato un angelo, per la scontentezza del
padre, che invece bramava un erede altrettanto potente. Atreius
però si accontentava di essere un Nim.
Trasportarono
il corpo addormentato della ragazza su una barella grazie a cinque
uomini e c’erano inoltre Atreius e Mortimer; pochi ma buoni.
Camminarono
per tutta la notte e arrivarono alla rupe proprio quando stava per
sorgere l’alba. I cinque uomini apparivano affaticati e
assonnati mentre Mortimer e Atreius erano arzilli come se la notte
passata a camminare non gli avesse per nulla toccati.
“Mettetela
lì” ordinò Darth Threat, e i cinque
uomini adagiarono la barella per terra nel punto indicatogli dal loro
padrone.
“Che
intendete fare?” domandò Atreius, che lasciava
facilmente capire la sua morbosa curiosità.
“Ora
vedrai”
Mortimer
aprì il mantello che gli teneva nascoste le mani e
cominciò a recitare un’antica e potente magia. In
men che non si dica tutto si compì e Atreius rimase
stupefatto.
“Incredibile…”
***
Cioè,
sono una bomba ad orologieria!!! Finito pure questo!!!
Sarò
mitica!!
Recensite!!!
Il
prossimo capitolo s'intitolerà: "FACCIA A FACCIA CON IL DOLORE"
Ci
sentiamo al prossimo aggiornamento, baci!!!
I
"THANKS":
"OASIS": ed
ecco il seguito!! spero che ti piaccia, fammi sapere mi raccomando.
grazie del complimento per come scrivo, son contenta che mi segui
sempre nei capitoli!! baci
"NIKKITH":
Atreius è vero, è proprio stronzo ma
vedrai più avanti come la storia tra rebecca e atreius
prenderà un risvolto!!!! ti stupirà...
"KICICI":
sono veramente contenta che ti sia piaciuta, aggiornando ogni capitolo
non è che rileggo ogni volta quelli precedenti e se mi dici
che nell'insieme è molto scorrevole e ben costruita posso
stare tranquilla!! aspetto una tua recensione per sapere che ne pensi
di questo o dei capitoli futuri, grazie.
"BELLA4":
eheheh, contenta???? gabriel sta benone apparte qualche
dolorino alla testa, quella messa male poveretta è rebecca
ma non ti preoccupare che il bell'imbusto la salverà!!!!
"CHICCA90":
ehehehehe, angeli e demoni deve ancora venirmi lo spunto giusto per
continuare il capitolo!!! aggiornerò quando mi
inventerò qualcosa di bello!!! comunque Atreius aveva fin
dall'inizio pensato a farlo così stronzo perchè
è figlio di mortimer e perchè deve esserci
qualche antagonista oltre a quello principale!! lui è
più un aiutante!! fammi sapere come trovi questo capitolo
che ho aggiornato presto prestissimo!!!!
"ANGEL_OF_DARKNESS":
proprio!!! gabriel è un arcangelo proprio niente male!!
spero che ora seguirai e recensirai la mia storia!! fammi sapere, baci
"DEMETRA85":
grazie per la recensione e perchè hai seguito finora la
storia, recensisci per farmi sapere come trovi il capitolo!!!
BACIONI,
FEDERICA...
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Capitolo 19 *** Faccia a faccia con il dolore ***
Cap. 19 - FACCIA A
FACCIA CON IL DOLORE -
[Parole
come “violenza”
rompono
il silenzio,
fanno
irruzione
nel
mio piccolo mondo,
sono
dolorose per me:
riescono
a penetrarmi.
Le
promesse sono dette
per
essere infrante,
i
sentimenti sono intensi,
le
parole sono insignificanti,
i
piaceri rimangono
così
come il dolore.
Le
parole non hanno significato
e
sono dimenticabili.
Goditi
il silenzio]
Lacuna
Coil - Enjoy the silence -
***
Era la notte
più buia che Gabriel avesse mai visto, non una stella, non
una nuvola…niente di niente, solo il nero pece che
confondeva l’inizio del cielo e la fine della terra. Andava
sempre a finire così, la notte prima di un giorno importante
lui non riusciva a dormire, preferiva starsene davanti ad una finestra
o a leggere.
Come si
poteva biasimarlo, dopotutto?
La sorte
della ragazza gli stava troppo a cuore e Gabriel non si era mai sentito
tanto preoccupato per una persona, neppure con Rosalie. Rosalie era sua
sorella e l’amava in quel modo in cui si amano i famigliari:
con affetto e dedizione. Ma Rebecca cos’era?
L’amava diversamente, con passione, con desiderio, con
fisicità…
Gabriel
rise.
Era forse
innamorato?
“Era
ora che succedesse!” poteva sentire la vocetta eccitata e
contenta della sorella se glielo avesse detto.
Come si era
trovato immischiato in cose più grandi di lui?
Che lui
sapesse l’amore non dura mai per sempre e prima o poi tutti
se ne vanno. Lei sarebbe diventata un angelo bianco e avrebbe di
conseguenza ricevuto l’immortalità. Lui non
l’aveva voluta ed ora era un semplice essere umano, mortale e
inferiore.
Lei avrebbe
avuto per sempre diciotto anni. Lui i suoi diciannove anni non se gli
sarebbe tenuti.
Lei sempre
giovane e bella. Lui un vecchio senza più prospettive nella
vita.
Gabriel si
passò una mano sul viso, frustrato. Se solo fosse anche lui
un angelo! Come sarebbero diverse le cose!
Si
picchiettò un dito nella tempia e cercò di non
pensarci. Finchè potevano era giusto che stessero insieme.
Nel momento in cui lui sarebbe diventato troppo grande e vecchio per
lei l’avrebbe lasciata. L’immortalità
poteva essere un bellissimo dono ma per alcuni era una condanna
peggiore della morte.
Gabriel
sentì bussare alla porta. Guardò l’ora
e scese ad aprire. Si stupì di trovarsi di fronte Denali.
“Non
riuscivi a dormire?” chiese il ragazzo.
Denali
socchiuse gli occhi. “Non sono l’unico, per lo
meno”
“Entra”
Denali
entrò in casa e si tolse il cappotto che tenne sotto il
braccio, seguì Gabriel in cucina e si sedettero in due
sedie.
“A
che cosa devo la tua visita alle…” Gabriel
ricontrollò l’ora. “…due di
notte?”
“Te
l’ho detto, non riuscivo a dormire”
“Come
facevi a sapere che non dormivo neppure io?”
Denali lo
guardò con ovvietà. “Scherzi, vero?
Secondo te io dormirei se al posto di Rebecca ci fosse
Rosalie?”
“Parlando
di mia sorella…” disse, con sguardo indagatore.
“…cos’è questa storia che la
vuoi sposare?”
Denali per
poco non si soffocò. “Ma di che parli?”
“Non
fare il finto tonto! Rosalie ieri è venuta a casa mia e dopo
essersi scolata bicchieri d’acqua e aver smesso di piangere
mi ha detto, accidentalmente, che tu volevi procurarti le fedi da
Ares”
“Beh,
sarebbe un idea…”
“È
pericoloso, Denali. Ti pare che sia normale con un bambino in arrivo
andare a fare l’eroe in cerca di due pezzi di
ferretto?”
Il volto di
Denali s’incupì. “Non vado a fare
l’eroe” scandì bene le parole.
“Ma tanto tua sorella non me lo permette, minaccia la
separazione” borbottò con l’espressione
da cane bastonato.
“Fai
sul serio con lei, no?”
“Ti
dirò la verità, all’inizio era
cominciato tutto come una bella storia senza tanti impegni ma poi devo
ammettere, sfortuna mia, che mi ci sono trovato dentro fino al collo!
Ora è troppo tardi per sbarazzarmi di lei,
ahimè…” sospirò.
Gabriel si
adombrò. “Stai dicendo che se non fosse rimasta
incinta l’avresti lasciata?”
Denali
assunse un’aria sconvolta. “No! Intendevo dire che
ora è troppo tardi per farlo perché
l’amo e il bambino è una benedizione, anche se con
questi tempi sarà dura crescer…”
“Non
appena Rebecca sarà salvata attaccheremo una volta per tutte
il castello di Mortimer”
“Oh”
Il silenzio
calò nella stanza, interrotto solo dallo scricchiolio
dell’acqua nel lavabo. “Non lo sapevo”
“Parteciperanno
tutti gli uomini”
Vedendo la
faccia triste di Denali, Gabriel fu costretto a dire: “Non
voglio che tu venga”
Denali lo
guardò con un misto di gratitudine.
“Perché?”
“Per
il bambino, Rosalie mi renderà la vita un inferno se ti
porto con me in questo periodo”
“Grazie!”
disse il ragazzo saltandoli addosso e abbracciandolo fraternamente.
“Così tua sorella non mi ammazza!”
Quando
Denali se ne andò, Gabriel potè finalmente
dormire. Si convinse che tutto sarebbe andato bene.
Tutto era
sottocontrollo.
***
L’aria
della mattina pizzicava la pelle. Gabriel, assonnato, si
passò una mano sul viso e si grattò le guancie
sbadigliando apertamente. Avrebbe dovuto trovarsi già da un
pezzo al punto di incontro per la spedizione ma non appena era riuscito
a chiudere occhio la sveglia era suonata un’ora dopo.
L’aveva scaraventata addosso al muro e aveva ripreso a
dormire. Quarantacinque minuti dopo era scattato a sedere con uno
sguardo di puro panico. Aveva buttato in aria le coperte ed era sceso a
cambiarsi.
Chissà
perché era convinto che Rebecca fosse a casa e che fosse
scesa a far colazione. Si era completamente dimenticato della missione,
come se avesse scambiato la realtà con i sogni.
Quando
Bastian lo vide arrivare si mise le mani sui fianchi, il suo cipiglio
severo garantiva solo un rimprovero.
“Ecco
il Bello Addormentato” disse con aria boriosa, suscitando dei
cori di risate tra gli uomini intorno. Poi si fece vicino a Gabriel e
gli sussurrò all’orecchio: “Pensavo che
questa missione ti stesse a cuore. Devo aver frainteso tutto”
Gabriel
rimase fermo e lo fulminò con gli occhi. “Andiamo
o dobbiamo aspettare ancora allungo?”
“Noi
aspettavamo te”
“Non
credo che un paio di minuti possano cambiare la missione”
“Pochi
minuti no, ma se sono quasi sessanta allora può essere.
Parlo più che altro per Rebecca, a lei sì che
peserà il tuo ritardo”
Gabriel fece
per ribattere ma Bastian lo zittì con un’alzata di
mano. Diede il segnale di partire e si mise davanti al gruppo. Gabriel
lo raggiunse e Bastian sbuffò contrariato.
“Mi
serve che qualcuno serri i ranghi di dietro”
Il ragazzo
lanciò un’occhiata all’ultimo della fila
e vedendo che era un buon soggetto, ribattè con insistenza:
“Non credo che serva il mio aiuto, ho deciso che
passerò il tempo a chiacchierare con te qui
davanti”
Bastian fece
finta di non notare la nota ironica e procedette dritto senza indugi.
Nonostante l’età era un ottimo soldato.
“È meglio che tu non stia alla mia destra
perché se passiamo a ridosso della scogliera potrei
accidentalmente buttarti giù” voleva essere una
battuta ma Gabriel non rise. “Scherzavo!”
esclamò Bastian strabuzzando gli occhi.
Gabriel
scrollò la testa. “Scusami, è solo che
tutta questa situazione non fa che mettermi addosso una paura folle. E
se arrivassimo e lei…?”
“Mortimer
non la ucciderà subito”
“Tu
dici? Io penso invece che gli piacerebbe molto farlo”
Bastian fece
una smorfia come se avesse voluto scacciare una mosca fastidiosa.
Stavano
percorrendo a piedi il bosco e non mancava molto affinché
arrivassero alla scogliera.
“Dovremmo
arrivare tra un po’…” disse Bastian,
parlando tra sé e sé.
Il ragazzo
lo guardò con aria interrogativa e l’uomo si
spiegò meglio: “Dovremmo arrivare nel sentiero che
fiancheggia la scogliera. È abbastanza pericoloso quel
tratto di strada perché se Mortimer ci volesse attaccare gli
basterebbe poco farci cadere tutti in mare”
“Arriviamo
alla rupe?”
“Ne
parli come se la frequentassi da sempre” osservò
il capo-villaggio con aria assente, intento a perlustrare il perimetro
della zona e a seguire la conversazione.
“Beh,
a Rebecca piaceva andarci spesso” disse con una leggera nota
di malinconia. Tutt’un tratto non aveva più tanta
voglia di parlare.
“Bene,
vorrà dire che quando tornerà a casa la porterai
là per un pick-nick”
“Mi
piacerebbe ma appena torna dovremo organizzare la battaglia
finale”
“Sì,
ma ci vorranno giorni, anche una settimana per preparare tutto. Ci
servirà un piano, un esercito corposo, delle armi e delle
istruzioni da dare agli uomini. Nel frattempo vale il detto:
“la quiete prima della tempesta”.”
“La
quiete…” ripetè il ragazzo.
“Non ho mai capito bene che cosa sia”
“Lo
capirai, ti basterà solamente non pensare ai tuoi doveri ma
ai tuoi desideri e viverli con calma”
Gabriel
rise. “E quando mai ho potuto? Sono inesperto di queste
cose”
“Beh,
tutti gli eroi lo sono”
“Mi
stai considerando un eroe?”
“Lo
sei stato, dipende da te ora tornare ad esserlo oppure no”
“A
me piaceva esserlo”
“Allora
dovrai essere pronto a soffrire. Non è quello che fanno
tutti gli eroi?”
Gabriel
osservò l’amico vicino a lui e provò
per Bastian un immenso affetto. “Anche tu lo sei,
Bastian”
Bastian
sbuffò. “Io sono solo un umano”
“Sì,
ma l’umano più forte di tutti!”
“Quello
sei tu”
“Ah,
giusto”
“Apprezzo
comunque i tuoi tentativi di elogio, sono rari e molto
confusionari”
Entrambi
risero ma poi si fecero subito seri quando notarono, in lontananza, la
fine del bosco. Erano trascorse due ore e, parlando del più
e del meno, non si erano neppure accorti del tempo che passava. Si
potè sentire come improvvisamente la tensione degli uomini
salì alle stelle, ma mai come quella di Gabriel che
iniziò a correre.
“Che
fai?!” gli gridò dietro Bastian.
Gabriel si
voltò indietro mentre correva, il respiro era pesante e la
fronte sudata. “Magia! Percepisco un enorme campo di magia
oscura!”
Bastian
s’inorridì. “Oh Signore
salvaci…”
“Dobbiamo
procedere, signore?” domandò il primo soldato
della fila.
Bastian
assentì, deglutendo, e disse di stare attenti: probabilmente
Darth Threat era a pochi passi da loro.
Gabriel fu
il primo ad uscire dal bosco e rimase paralizzato da quello che vide.
Credette che il suo cuore avesse smesso di battere e il fiato gli
morì in gola. Fu scosso da brividi in tutto il corpo che lo
fecero sussultare come percorso da potenti scosse elettriche. Si
accasciò al suolo con le ginocchia e tentò di
parlare, ma invano.
Rebecca era
stata crocifissa e messa infondo alla rupe. Sembrava addormentata,
priva di conoscenza…le braccia erano aperte ed erano
inchiodate, come pure i piedi, alle assi di legno che formavano una
grande “più”.
Il sole
stava sorgendo e il cielo dietro di lei era di un colore arancio,
giallo e rosa. In altri momenti sarebbe stato piacevole osservarlo.
Quando gli
altri arrivarono si bloccarono alla vista della ragazza, sembrava
morta. Forse lo era per davvero.
Gabriel le
andò vicino ma non appena provò a raggiungerla un
campo di forza lo scaraventò con forza indietro e
finì per sbattere la schiena ai piedi di Bastian.
“Una
barriera non ci permette di raggiungerla” disse Bastian con
ostentato controllo.
Il ragazzo
si rialzò ed era disperato. “Dobbiamo tirarla
giù di lì! La barriera che la protegge si sta
nutrendo di lei! La troveremo morta se aspettiamo che le succhi ancora
forza!”
Bastian
cercò di ragionare su cosa fare. “Allora, tenendo
presente la situazione io direi di rimandare indietro
l’esercito dato che non occorrerà attaccare il
castello, lei è qui ed è l’unica cosa
che ci interessa. Le sole persone che possono aiutarla e che si
intendono di magia siamo io e te Gabriel, perciò
finchè riporterò gli uomini al villaggio e gli
darò istruzioni valide tu aspettami qui e vedi che possiamo
fare, ok?”
Gabriel non
rispose, si sentiva svuotato. Vide i suoi amici e Bastian tornarsene
indietro e prendendo un bel respiro si voltò verso Rebecca.
Costringendosi il massimo autocontrollo si avvicinò allo
scudo magico e, come un medico che esamina un paziente,
analizzò di che tipo di magia si trattasse. Lanciava delle
rapide occhiate alla ragazza per verificare le sue condizioni:
stazionarie.
Prese un bel
respiro e provò a toccare la barriera. Ricevette una scossa
blu che lo spostò appena. Si trattava di un semplice campo
energetico, Mortimer non doveva aver sprecato molte delle sue forze per
innalzarlo. Dopotutto al villaggio erano tutti umani e non valeva la
pena di usare una magia tanto potente, quando alla fine anche quella
più debole non sarebbero stati in grado di annientarla.
Darth Threat, in poche parole, aveva dato il minimo di sé
stesso, convinto che dei semplici esseri umani non avrebbero comunque
potuto niente contro la magia che era dei
“superiori”. Solo Rebecca e Mortimer potevano
distruggerla ma Mortimer era fuori discussione che lo facesse di sua
spontanea volontà mentre la ragazza non era al momento in
grado.
Arrivò
Bastian, di corsa e tutto trafelato. Si posò sulle ginocchia
per riprendere fiato. “Non ho più la resistenza di
un tempo…allora, cos’hai scoperto,
Gabriel?”
“Mortimer
ha innalzato una semplice barriera impenetrabile di base, se si fosse
un essere magico ci si metterebbe pochissimo a distruggerla ma penso
che l’abbia fatto apposta a renderla così debole
dato che qui siamo tutti umani. Per concludere: non possiamo fare
nulla” disse con voce mesta e addolorata.
“Non
c’è un modo per risvegliare Rebecca?”
“No,
temo che sia in un sonno perenne”
“Questa
non ci voleva…se solo tu fossi un angelo a questo
punto…”
“…a
questo punto la barriera sarebbe più forte e
indistruttibile” concluse, gravemente. “E io forse
io sarei già morto da un pezzo”
“Devo
tornare al villaggio subito! Non preoccuparti Gabriel, troveremo
qualche stregone, qualche mago o…qualsiasi essere che sia
disposto ad aiutarci! Tu intanto…”
“Ti
aspetto qui” disse Gabriel, con tono irremovibile.
Bastian lo
scrutò preoccupato. “Forse
dovresti…”
“Ho
detto che rimango qui e da qui non mi muovo”
***
Era il
tramonto, i colori erano tornati quelli dell’arancio, del
giallo e questa volta anche del rosso. Gabriel se ne stava seduto per
terra con le ginocchia racchiuse e con lo sguardo rivolto verso
l’alto. Non sapeva di preciso cosa stesse aspettando, forse
voleva solamente vederla aprire gli occhi.
Come
esaudita un preghiera, Gabriel vide Rebecca strizzare gli occhi con
dolore. Si alzò di scatto in piedi, colmo di
speranza.
Lentamente
la ragazza aprì gli occhi e fece cadere la testa in avanti,
tanto che i capelli le nascosero il viso. La sua faccia era una smorfia
di un dolore insopportabile.
“Rebecca…”
provò a chiamarla il ragazzo timidamente.
Lei
alzò il viso e quando lo vide distese le labbra in un
sorriso sereno, nonostante il male le deformasse i lineamenti.
“Vattene”
Gabriel non
credette di aver sentito bene. “Come?”
“Vattene”
ripetè la ragazza con voce impastata.
Per Gabriel
fu un duro colpo, le speranze si frantumarono. “Non capisco,
io…”
“Non
voglio che tu mi veda morire” sussurrò Rebecca,
facendo cadere la testa. “Per favore…”
Gabriel
ingoiò il vuoto per non mettersi a piangere e
cominciò a grattarsi le mani nervosamente. “Non
dire stupidaggini, tu non morirai, tu…”
“Questa
barriera può essere dissolta solo da chi ha poteri di
angelo. Io non posso, sono troppo debole, non ho più
forza…” soffocò un gemito e strinse i
denti per non urlare dal male.
Si stava
pian piano spegnendo.
“Che
devo fare? Dimmelo…” gemette il ragazzo,
sull’orlo delle lacrime.
Rebecca
sorrise. “Voglio che tu ricorda…”
Gabriel cominciò a scuotere insistentemente la testa non
volendo accettare la realtà. “…e voglio
che tu prenda il mio posto in questa battaglia”
“No…”
mormorò Gabriel in una maschera di disperazione.
“Ti supplico…”
Poi, come
illuminato, le parole di Bastian e di Rebecca lo colpirono alla testa
velocissime.
Se
solo tu fossi un angelo…
Voglio
che tu prenda il mio posto in questa battaglia.
Chi
ha poteri di angelo.
“So
che cosa devo fare”
Rebecca lo
guardò, con una strana e incantevole luce di
vitalità negli occhi. “Che intendi fare?”
Gabriel
sembrò valutare se era il caso oppure no di dirglielo. Beh,
tanto l’avrebbe saputo entro breve.
“Ho
intenzione di chiedere al Consiglio che mi ridiano i poteri”
La ragazza
non mosse un muscolo, parve in un certo senso approvare
l’idea di Gabriel.
***
Gabriel
illustrò il suo piano a Bastian e lui ne fu prima felice e
sorpreso, poi sgomento e allarmato.
“Uhm…quello
che dici è fantastico ma…tu credi, insomma, che
ti ridaranno i tuoi poteri così? A loro non interessano le
situazioni, vogliono i risultati”
“Posso
convincerli” tentò Gabriel, con voce speranzosa.
“Quindi
vuoi proprio avere un colloquio con loro”
“Sì,
assolutamente. Solo così posso salvare facilmente
Rebecca”
“Ok,
non sarò io a fermarti. Sai dove trovarli?”
“E
che ci vuole! Se gli chiamo scommetto che mi si presentano davanti in
meno di due secondi”
“Allora
fa in fretta” lo avvertì l’uomo,
ciondolando una mano. “Prima agiamo meglio sarà
per tutti”
Gabriel
respirò piano, controllandone il ritmo perché si
stava agitando. “Voglio davvero salvarle la vita, ora sento
che abbiamo una possibilità!”
“Ora
vado a farmi un giro e finchè son via voglio che tu chiama
gli angeli superiori. Quando torno voglio vederti quello di una
volta”
Bastian gli
fece l’occhiolino e per Gabriel tutta la paura, lo sconforto
e il senso di perdita che l’avevano divorato parvero cedere
il posto alla speranza, alla lucidità e alla gioia.
Finalmente
tutto sarebbe andato come doveva andare e lui si sarebbe riscattato.
Ogni angelo
conosce il codice per chiamare il Consiglio, egli stesso agli inizi del
suo insegnamento con Rebecca gliel’aveva con pazienza fatto
imparare. Recitò la formula in una strana lingua,
né scritta né parlata. Una lingua magica, con
vibranti “s” e parole dure, che non si
può apprenderla se non si è magici abbastanza da
poterla intendere.
Finì
di recitare l’ultima frase quando dal soffitto della casa
comparve un raggio luminoso di una luce argentata. Una strana scia di
vapore acqueo diede la forma di un uomo che parlò al ragazzo
da sotto il bianco mantello coprente. “Sappiamo
perché ci hai chiamati, Gabriele”
“Bene,
allora saprai anche cosa devi fare ora”
Susseguì
un minuto di silenzio nel quale Gabriel percepì
dell’ostilità nei suoi confronti. Le sue sicurezze
vacillarono.
“Noi
non abbiamo intenzione di ridarti tutti i tuoi poteri, non hai ancora
superato il tuo esame” disse la figura ambigua in tono
imperioso, e il ragazzo si afflosciò nello sconforto.
“Tuttavia vogliamo aiutarti. Ti ridaremo soltanto i tuoi
poteri magici, non ritornerai angelo e non riavrai le
ali…per ora”
La nuvola di
vapore si dissolve e con essa pure il fascio di luce abbagliante.
“Tutto
qui?” domandò il ragazzo sarcasticamente,
aggrottando le sopraciglia.
Non appena
finì di parlare una lama di luce dorata trapassò
il soffitto e lo colpì in pieno petto, perforandolo. Gabriel
aprì le braccia e si lasciò andare alla
bellissima sensazione che lo stava invadendo. Si sentiva veramente
bene, come se quel fascio di luce lo stesse rigenerando. Quando tutto
finì il ragazzo si tastò incerto le mani e le
braccia. Ammirò compiaciuto il suo corpo, era lo stesso,
certo, ma lui sapeva che c’era di più.
Ora era
magico.
Tanto per
provare puntò il palmo aperto della mano su una sedia e
questa schizzò come colpita fuori dalla finestra, rompendosi
in mille pezzi quando sbattè contro il tronco di un albero.
La puntò di nuovo contro un vaso e questo si
spezzò diventando tre colombe che volarono indispettite alla
rinfusa.
Non si era
dimenticato come funzionava la magia e non aveva scordato tutto quello
che aveva imparato, sebbene fosse successo nei suoi primi due anni di
vita.
***
Arrivò
da Rebecca con un’agilità e una
velocità fuori dalla comune normalità. La ragazza
posò i suoi occhi su di lui e che capì che il
cambiamento era avvenuto.
I lineamenti
di Gabriel, la sua tonicità muscolare, erano cambiati in
maniera impressionante. Appariva più vivo e il suo corpo
trasudava potenza magica. Quando si avvicinò a lei
però non vide quel rotondo rigonfiamento sulla schiena che
indicava l’involucro contenenti le ali. Era magico ma non era
ancora tornato un angelo.
Lo vide
venire più vicino, tanto che il suo corpo sfiorava la
barriera che la racchiudeva. Trattenne il respiro quando lo vide alzare
una mano per toccare lo scudo.
Gabriel
toccò con la mano aperta la barriera e sembrò
quasi che la stesse accarezzando, ma Rebecca sapeva che stava usando un
incantesimo.
Gabriel era
concentratissimo, quando era arrivato non aveva neppure parlato con
lei, si era precipitato verso la barriera, desideroso di distruggerla.
Poteva sentire le sue forze prosciugarsi man mano che usava la magia
per abbattere la protezione.
Alzò
gli occhi per guardarla e vide il suo volto stanco e angosciato.
“Non
ti preoccupare” le sussurrò con convinzione.
“Fidati di me”
Rebecca gli
fece un cenno del capo e aspettò.
Poco dopo
potè sentire la barriera cederle sotto gli occhi,
potè sentire la fine della forza che le prosciugava le forze
e la vivacità tornò a dominarla. Mentre il
ragazzo la fissava in attesa, lei con uno strattone si
liberò dei chiodi che le tenevano prigioniere le mani e le
gambe. Cadde in avanti con tutto il peso e Gabriel la prese prontamente
tra le sue braccia.
Si era
macchiata di sangue dappertutto e il ragazzo la guardò
malissimo. “Non potevi usare la magia per toglierti di
lì?”
Lei lo
guardò con severità. “Mi pareva di
averti detto che non sono in grado di usarla momentaneamente”
“Potevi
chiedermelo”
“Stà
zitto e baciami”
“Ok”
La
baciò con tutto l’amore di cui era capace e
Rebecca ne rimase piacevolmente coinvolta, stupefatta di sentire tanto
sentimento da parte di lui. Gli posò una mano sul collo e
lui aumentò la prese sui suoi fianchi. Quando si staccarono
rimasero a guardarsi negli occhi.
Il volto di
Gabriel era serio e sereno allo stesso tempo.
“Sarà meglio che ti riporti a casa, domani abbiamo
una guerra”
Il movimento
brusco della ragazza tra le sue braccia lo costrinse a fermarsi
bruscamente.
“Che
cosa?!”
***
Ho deciso di postare
questo capitolo proprio oggi!!! Eh già...oggi
perchè domani si ricomincia scuola!!!! Provate ad indovinare
la mia faccia...
Ho
concluso il capitolo velocemente e spero che vi sia piaciuto comunque!!
Mi
scuso se non ringrazio le precendenti recensioni ma sappiate che le
leggo
e
che ne sono contenta!!!!
Fatemi
sapere con i vostri commenti!!!
Al
prossimo capitolo: "A
TESTA ALTA"
BaCiOnI FeDeRiCa...
|
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Capitolo 20 *** A testa alta ***
Cap. 20 - A TESTA
ALTA -
[Mi
prenderò il mio tempo,
lei
si sta prendendo il suo tempo prima di me.
Lo
prenderò lentamente,
non
mi affretterò per passeggiare]
Snoop
Dogg - Sensual seduction -
***
Senza fare
deviazioni né soste, Gabriel portò Rebecca in
braccio fino a casa. Aprì a fatica la porta e percorse le
scale traballando con lei aggrappata alle spalle molto simile ad un
koala ridente. La fece stendere sul grande letto della sua camera e le
accarezzò pigramente una guancia. Si stese sopra di lei e
rimase per qualche secondo ipnotizzato dal suo volto, con quegli occhi
che lo fissavano insistentemente. Era stanca, si vedeva benissimo ma
lui non riusciva a fermarsi perché ormai era troppo tardi.
La baciò sull’angolo sinistro della bocca, scese
verso il mento e poi sul collo. Risalì per baciarle la
guancia, il naso e più in su, verso la fronte.
Ritornò dove voleva arrivare fin dall’inizio: le
labbra.
La
baciò con una tale passione che Rebecca gemette contro la
sua bocca. Le mani del ragazzo cominciarono a vagare sul suo corpo,
scendendo fino a posarsi sui suoi fianchi e lì rimasero fin
quando Rebecca, con un movimento del bacino, lo invitò ad
andare avanti. Gabriel ebbe un fremito di eccitazione, si fece
più audace e scese fino a massaggiarle la coscia. Rebecca si
mosse convulsamente sotto di lui e strizzò gli occhi che si
erano improvvisamente appannati. Gabriel affondò il viso
nell’incavo del suo collo e inspirò il profumo
della sua pelle.
Tornò
a guardarla con gli occhi scuriti dal desiderio e quando vide che lei
non era per niente spaventata cominciò a slacciarsi i
bottoni della camicia. Lei rimase a guardarlo, incantata, perfettamente
conscia di quello che stava succedendo e desiderosa affinché
avvenisse.
Gabriel
lasciò cadere indietro la sua bianca camicia, rivelando un
petto scolpito e muscoloso con spalle larghe e solidi addominali.
Rebecca posò le mani sul suo petto e lui ritornò
su di lei per fare altrettanto con la sua uniforme. Era arrivato al
secondo bottone quando la porta della camera si aprì di
colpo.
“Che
bello averv…” la faccia di Rosalie
passò dall’euforia all’orrore
più totale. “Oh mio Dio!” si
coprì gli occhi immediatamente e arrancò alla
ricerca della maniglia per uscire.
Gabriel si
rivestì in fretta e altrettanto fece Rebecca, dandosi una
lisciata ai capelli e abbottonandosi i due bottoni.
Il ragazzo
raggiunse la sorella che era scandalizzata. “Senti, non
andare, posso offrirti qualcosa? Un thè? Un po’ di
acqua?” domandò con voce mortificata.
Rebecca era
dietro di lui, rossa come un peperone. “Sì, dai
Rosalie, non andartene” la pregò incrociando le
braccia al petto.
“Che
imbarazzante…”
Tutti e tre
i ragazzi evitarono di guardarsi in faccia e fissavano il vuoto a caso.
“Ho
saputo che ti hanno ridato i poteri!” intervenì
Rosalie, rompendo il ghiaccio.
Gabriel
sussultò, probabilmente era caduto in uno stato di
semi-incoscienza. “Oh sì! Alla fine hanno fatto
qualcosa di buono”
“Non
vaneggiare, loro sanno sempre cosa fare”
“Scusa…”
Rebecca ottenne l’attenzione del ragazzo e alquanto perplessa
gli chiese: “Io non capisco una cosa: quando abbiamo fatto
uno dei primi addestramenti e io non sapevo ancora usare la
magia…io…io mi ricordo, Gabriel, che tu avevi
usato un incantesimo su di me per stendermi. Com’è
possibile se non avevi i poteri?”
“È
vero, non avevo i miei poteri
ma…diciamo che alcuni incantesimi si possono praticare anche
senza essere degli angeli, basta sapere il rito o la formula, sono
talmente semplici che un essere umano è in grado benissimo
di usarli”
“In
poche parole sono delle filastrocche che ti impari a memoria e poi
reciti ad alta voce” disse Rosalie, a mo di chiarezza.
“Non
potevi insegnarmeli?” domandò la ragazza a Gabriel
con cipiglio severo.
Gabriel
indietreggiò. Lo metteva sempre in soggezione quando lo
guardava in quel modo. “Beh, non è meglio
ora?”
Rebecca
emise un ghigno tutt’altro che simpatico. “Sono
molto tentata di farti volare fuori dalla finestra”
“Tu
devi solo provarci” la minacciò lui, puntandole un
dito contro.
Rebecca si
mise le mani nei fianchi, paonazza. “Si può sapere
perché devi sempre farci litigare?”
“Beh,
prima però non mi sembra che stavamo
litigando…” si fermò giusto in tempo
per vedere la faccia della ragazza cambiare colore e diventare pallida
come un cencio.
Rebecca lo
incenerì con gli occhi e lo superò uscendo dalla
camera con il mento alzato in un comportamento alquanto altezzoso.
Gabriel la
seguì con lo sguardo e poi si rivolse alla sorella con occhi
da folle. “Ecco vedi! Và a finire che è
sempre colpa mia!”
“Beh,
anche tu però…tirare fuori il discorso di quello
che stavate facendo prima che io arrivassi!”
“Non
era premeditato”
“Ma
dimmi fratello, se non fossi arrivata…”
cominciò Rosalie, sporgendosi verso il ragazzo alquanto
divertita. “…non è che…?
Insomma, voi due lo avreste davvero…?”
Gabriel
andò letteralmente a fuoco e con uno scossone la
spostò per passare.
“Allora,
non mi rispondi?” lo incitò la ragazza che se la
rideva a più non posso.
Intanto, dal
piano di sotto, la voce incazzata di Rebecca raggiunse i due fratelli
al piano di sopra. “Gabriel! Scendi
immediatamente!”
Il ragazzo
alzò gli occhi al cielo e facendosi il segno della croce la
raggiunse con aria truce, come se stesse andando al patibolo.
“È
inutile che fai quella faccia, tanto non mi incanti” disse
Rebecca gelidamente, poi il suo viso si trasformò in un
sorriso malizioso. “Però potremmo continuare
quello che abbiamo lasciato in sospeso”
Con passo
elegante la ragazza si avvicinò a Gabriel che era rimasto
fermo e immobile come uno stoccafisso. Gli appoggiò le mani
al petto e le fece scorrere fino all’ombelico, senza smettere
per un secondo il suo contatto con gli occhi. Si avvicinò e
lo baciò sulle labbra, morsicandoli il labbro inferiore.
Gabriel spalancò gli occhi ma poi gli richiuse per
rispondere al bacio. Stava perdendo la testa.
Rosalie,
intervieni altrimenti qui si mette male!
Come
invocata, Rosalie, apparve e con un fischio di approvazione gli fece
staccare. “Ehi Gabriel, attento! Non vorrei diventare zia
entro breve!”
Rebecca
imbiancò e Gabriel balbettò qualcosa, decisamente
turbato. “M-Ma no! Che vai a pensare?!”
Rosalie
scrollò le spalle e con un cenno di saluto raggiunse la
porta. “Io parlo a nome dei vostri ormoni”
“Rose!”
sbraitò il ragazzo. “Stai esagerando!
Vattene!”
“Ok,
ok! Volevo solo scherzare! Ci vediamo, ragazzi”
Quando la
porta si fu richiusa e la ragazza sparita, Rebecca chiese:
“Non pensi di aver esagerato con lei?”
“Troppo
poco” borbottò con la fronte corrucciata.
***
Atreius
correva a più non posso verso gli alloggi di Mortimer, le
notizie che portava erano scottanti e del tutto impreviste.
Bussò con impazienza alla sua porta ed entrò
senza aspettare l’invito. Darth Threat era (come sempre) in
piedi accanto all’enorme finestra e dava le spalle al
ragazzo.
Un giorno
gli sarebbe piaciuto sapere che ci trovava di bello a restare tutto il
giorno incollato ad un paesaggio.
“Che
notizie mi porti?”
Atreius
riprese il respiro e si drizzò. “La ragazza. Pare
che a Gabriel abbiano ridato i poteri…ma non è
tornato angelo, nel caso volevate saperlo. L’ha liberata
stamattina, gli uomini hanno trovato le sue tracce e le croce
vuota”
“Questa
non ci voleva”
“È
stato del tutto inaspettato, mio Signore”
“Quel
ragazzo mi sorprende sempre. Ma ho imparato una cosa”
“Cosa?”
“Mai
fare di un angelo un prigioniero, semmai un morto”
“Quali
sono le sue prossime mosse?”
“Aspettiamo”
“Prego?”
“Saranno
loro stessi, stupidi umani, a venire da noi. Prepara le armate,
Atreius. Mai sottovalutare la mia chiaroveggenza”
***
Rebecca era
sdraiata nel divano e faceva ciondolare i piedi oltre i braccioli. Si
passava nervosamente le dita fra i capelli e creava dei ricci che poi
si scioglievano in una lisciatura perfetta. Teneva gli occhi fissi su
Gabriel che era tutto preso nell’aggiustare un candeliere.
“Veramente
andiamo in guerra?” domandò con vocetta da
bambina.
Gabriel
puntò contrariato i suoi occhi su quelli della ragazza,
visibilmente irritato dall’interruzione. “Certo.
Bastian stasera terrà una riunione nella piazza”
“Embè!
Me lo dici così?”
Gabriel la
fissò perplesso. “Embè?”
La ragazza
alzò gli occhi al cielo con fare romantico e lui la
squadrò preoccupato dalla reazione.
“Ho
avuto un ex fidanzato che diceva sempre quella parola” disse,
con la testa sulle nuvole.
A Gabriel
venne uno strano tic nell’occhio che gli fece alzare il
sopraciglio in modo innaturale. “Ah, sì? E come si
chiama?”
“Vincent.
Oh, aspetta…forse no, non era lui. No, no, si chiamava Alex!
No, quella era un altro. Come diavolo si chiamava?! Joshua non diceva
cose del genere, ma allora chi…?”
Gabriel
ridusse gli occhi a due fessure. “Vedo che ne hai
avuti” rispose con voce tagliente.
“Ci
sono! Era Michael!” esclamò, mettendosi dritta e
incrociando le gambe nel divano.
“Uhm,
Michael…che nome da idiota”
“Non
è vero! A me piace molto, invece”
“Certo!
A te piacciono tutti quelli che respirano!”
sbraitò, sbattendo il candeliere per terra.
“Ma
che dici?! Non dire cavolate, per favore!”
“Logico!
Tanto io sono solo l’imbecille di turno, no? Il prossimo chi
sarà, Rebecca? Hai già adocchiato qualcuno nella
piazza? Qualche bel ragazzo?”
Rebecca
fissò un punto nel vuoto, quelle domande non si meritavano
una risposta. Rimase zitta con il labbro tremante a fissare il tappeto
dov’era caduto il candeliere. Sapeva che se gli avesse dato
corda non avrebbero più finito di litigare, alcune volte era
meglio farsi da parte e lasciar cadere il discorso. O, almeno,
aspettare che la bestia si calmasse.
“Non
dici niente?” disse il ragazzo con un’orrenda
faccia da schiaffi.
Rebecca
avvampò. “Cretino! Io lo dicevo solamente per
vedere se eri geloso! Possibile che tu debba essere sempre
così paranoico?!”
“A
quanto pare il tuo test ha funzionato” sbottò,
nero in volto.
“Nel
dimostrare che sei cretino?”
“No
stupida, nel dimostrare che sono geloso” disse, con la faccia
da cane bastonato. Poi sospirò e raccolse il candeliere da
terra per rimettersi al lavoro.
Gabriel la
vide alzarsi e sedersi accanto a lui. La vide torturarsi le mani in
grembo e poi avvicinarsi al suo corpo. Rebecca gli passò le
braccia attorno ai fianchi e appoggiò la testa sulla sua
spalla, socchiudendo gli occhi.
“Ti
amo, che altre paure hai?” chiese la ragazza con un leggero
accenno di sorriso.
Gabriel si
strinse nelle spalle. “Boh, forse che qualcuno migliore di me
ti porti via. Mi viene naturale essere così possessivo,
forse perché non mi ero mai innamorato prima”
Rebecca
aumentò la presa e lo strinse forte, baciandogli il maglione
nella spalla. “Gabriel, solo perché ho avuto delle
storie poco serie…questo non vuol dire che non sia capace di
tenermi un ragazzo fisso. Probabilmente quelle storie erano finite
presto proprio perché nessuno di loro era giusto per
me”
“Quanti
ragazzi hai avuto?”
La ragazza
fece un rapido conto e stava per rispondere quando lui la interruppe.
“No, non voglio saperlo”
“Meglio”
***
Era sera,
stavano camminando fianco a fianco nelle strade del villaggio, diretti
verso la piazza dove Bastian avrebbe ottenuto la sua riunione e come
sempre stavano litigando.
“Che
cosa voleva dire “meglio”?”
“Che
è meglio per te non sapere quanti ragazzi ho
avuto!”
Gabriel
imprecò. “Sì, ma allora sono
tanti!”
“Dipende
dai punti di vista, dipende da quante ragazze hai avuto te”
Gabriel
vacillò e la guardò con attenzione.
“Vanno incluse anche quelle da una botta e via?”
Rebecca si
bloccò e spalancò la bocca, pallida come non mai.
Diventò immediatamente rossa sulle guancie e i suoi occhi
divennero due palline rotonde.
“Mi
stai dicendo che tu…? Hai già fatto…?
Non sei…?”
“No,
non lo sono”
Rebecca
credette di svenire sul posto. Si sentiva tutt’un tratto un
gran caldo in tutto il corpo.
“E
io che ti credevo Mister Ghiacciolo! Scommetto che invece te la
spassavi a tenere caldo ad una…prima io arrivassi
spero!” non riuscì a terminare la frase
perché un’orrenda immagine di Gabriel con una
misteriosa donna che si strofinavano nel letto le provocò un
fortissimo giramento di testa.
“Beh,
perché tu, con Atreius?!”
Si riferiva
al bacio che c’era stato fra loro. Rebecca aveva avuto molti
ragazzi ed erano state tutte storie di poca importanza,
certo, ma lei non era mai stata a letto con nessuno di loro e
sperava di poterlo fare con Gabriel, sperava che anche per lui fosse
stata la prima volta.
Ma non era
andata come sperava.
Forse fu la
rabbia, forse fu la gelosia o semplicemente la voglia di fargliela
pagare, di farlo soffrire, che Rebecca pronunciò le
fatidiche parole che ferirono Gabriel.
“In
effetti Atreius fa’ l’amore divinamente”
disse con tutto il fiato che aveva in gola, poi si portò una
mano a coprirsi la bocca, subito pentita di ciò che aveva
appena detto.
Gabriel si
paralizzò. La guardò con un’espressione
profondamente ferita e sconvolta. Probabilmente una spada in pieno
petto avrebbe fatto meno male.
***
La figura di
Bastian era elevata da una piattaforma in legno circolare,
tutt’attorno a lui la folla di abitanti lo guardava con un
misto di ammirazione e spavento. Bastian illustrava loro i piani per la
guerra che avrebbe finalmente determinato il vincitore tra Bene e Male
e la gente lo seguivano senza perdere il filo del discorso.
Quando
Rebecca arrivò da sola, parecchi minuti dopo che la riunione
era cominciata, ricevette parecchi sguardi di disapprovazione. Fece un
cenno del capo per scusarsi e nonostante il suo volto era triste e
abbattuto era riuscita a far cessare le lacrime e i suoi occhi non
erano più lucidi.
Bastian,
sentendo il mormorio della folla, si fermò e
cercò tra essa la fonte del brusio. Quando vide che tutti i
volti delle persone erano rivolti verso le ultime file seguì
la traiettoria dei loro sguardi e arrivò a notare Rebecca.
Un
po’ spaesato, Bastian, ciondolò sul posto.
“Rebecca, non pensavo che fossi arrivata ora. Pensavo che
fossi già qui ad ascoltare i miei piani”
Rebecca si
sentì improvvisamente molto mortificata. Lanciò
occhiate dispiaciute alla gente, non che loro ce l’avessero
con lei ma era chiaro che in quel momento non era stata il massimo
dell’esempio.
“Mi
dispiace, ho avuto dei…contrattempi. Continua pure, mi
farò illustrare da qualcuno quello che mi sono
persa”
“Ok,
ora però ascolta. Non vuoi venire qui davanti con
me?” domandò il capo-villaggio facendole segno di
salire sul palchetto.
Rebecca
mosse un piede verso la pedana ma quando vide una testa bionda voltarsi
rabbiosamente verso di lei poco più avanti, tornò
indietro.
“No,
me ne starò buona qui, grazie”
Non si era
accorta che Gabriel era così vicino! Le persone davanti
l’avevano nascosto e di certo lei non l’aveva
cercato tra la folla. L’aveva lasciata da sola e poi non
l’aveva più visto arrivare.
Si sentiva
irrequieta. Aveva detto un’enorme bugia a Gabriel ed era
convinta che se lei gli avesse spiegato tutto lui avrebbe capito
e…tutto come prima! Amici di sempre!
Il problema
era che non voleva dirgli la verità. Si sentiva rodere dalla
gelosia al pensiero di Gabriel con delle altre ragazze alle quali aveva
dato tutto, compreso il suo corpo. Il fatto di ammettere che lei era
ancora vergine significava dimostrarsi immatura e ancora molto
inesperta. Lei invece voleva apparire ai suoi occhi una ragazza forte e
decisa, che non temeva nulla, in poche parole: una donna vissuta,
giusta per lui.
Però,
mentre lo guardava e lo vedeva così avvilito e triste,
capì che non sarebbe servito a niente spingersi tanto oltre
per uno stupido orgoglio.
Il problema
era più che altro riuscire a parlargli.
Basta
che non mi faccia saltare la posta al naso perché
sennò è la volta buona che lo ammazzo!
Ed ecco che
divagava con i pensieri. Bastian parlava, parlava, parlava…e
lei non lo ascoltava, contemplava la figura di Gabriel e a come fare
per beccarlo da solo che non fosse stato a casa altrimenti sarebbero
volati altri libri. La gente attorno a lei seguiva interessata i
discorsi del capo-villaggio da paladino della giustizia e Rebecca, in
un altro momento, avrebbe trovato tutto molto interessante ma quella
non era proprio serata.
Perché
mai si era dovuta innamorare?
È più
facile vivere senza l’amore che con l’amore…o
almeno, questo era quello che lei pensava.
Dopo tre ore
che Bastian parlava era notte fonda. Molte persone, soprattutto vecchi
e bambini, tiravano la bocca dal sonno e pian piano tutti se ne
tornarono contenti a casa. Gli unici a rimanere ancora ai propri posti
erano Bastian, Rebecca e Gabriel. Rebecca vide Gabriel, che non
l’aveva più degnata di uno sguardo, avvicinarsi al
capo-villaggio. Li vide parlare tra loro animatamente e non potendo
resistere alla tentazione li raggiunse per origliare meglio.
“Non
posso spostarti di gruppo e lo sai!” stava dicendo Bastian,
ovviamente contrariato.
Gabriel
parlava con le labbra serrate, probabilmente era per contenere la
rabbia. “Ti ho detto che non voglio più far parte
di quel gruppo!”
“E
come mai? Di punto in bianco trovi la presenza di Atreius
insopportabile? Ti ho messo in quel gruppo di uomini in modo tale da
farti fronteggiare contro Atreius, così tu uccidi il figlio
e Rebecca il padre. Non puoi venirmi a dire ora che non lo vuoi
più fare!”
“Non
lo voglio fare” era irremovibile.
Bastian
lasciò vagare gli occhi in giro dalla frustrazione e si
accorse che la ragazza era lì.
Camuffò
un sorriso. “Oh, Rebecca! Vieni, vieni subito! Urge la tua
presenza” disse, strizzandole l’occhio.
Rebecca
potè benissimo vedere la schiena di Gabriel irrigidirsi. Si
vedeva lontano un chilometro che era scocciato.
“No,
io devo andare” tentò di scusarsi e si
mostrò molto a disagio, tanto che Bastian se ne
stupì.
“Scappi?
Ma come? Dove vai da sola a quest’ora della notte?”
Gabriel
tirò su col naso e incrociò le braccia al petto
guardando un punto in lontananza.
“D-Devo
andare da una parte”
“Dove?”
E
che cavolo! Chi sei, mio padre?
“Da
una parte”
“Sì,
ma dove?”
Oddio,
finiscila!
“Da
una persona” disse la prima cosa che le venne in mente e
capì di aver detto la cosa sbagliata quando vide il ragazzo
fulminarla con gli occhi.
Che
pensa? Che vada a far chissà ché con uno?
Sempre
Bastian: “Oh, qualche ragazzo in vista?”
Ok,
il bello è che lui si stava anche divertendo!
La ragazza
arrossì e Bastian scambio quell’atteggiamento per
un sì. “È molto fortunato quel ragazzo,
Rebecca. Continua così!” disse tutto eccitato
alzandole i pollici. “Non trovi, Gabriel?”
Rebecca
avrebbe tanto voluto sprofondare. Si diede uno schiaffo sulla fronte e
sospirò per la frustrazione. Gabriel non guardava nessuno
dei due.
“Penso
che possa anche andare”
Che
cosa?! Questo vuole che lo picchi!
“La
lasci fuori anche tutta la notte?” domandò
stupefatto Bastian, dimostrandosi del tutto sorpreso. “Ed
è già successo?”
Ehi,
parlate della mia vita come se io non ci fossi!
“No,
che io sappia”
Eh
certo, perché io di notte vado a farmi i giri a trovare
ragazzi!
Da quanto
Rebecca si stava innervosendo non si accorse neppure che la sua mano
stava andando a fuoco, letteralmente a fuoco. Quando Bastian se ne
accorse aprì e chiuse gli occhi a intermittenza e Gabriel
corrucciò la fronte.
Rebecca
invocò mentalmente un incantesimo di riparo e fece sparire
il fuoco che aveva tramutato la sua mano in una fiamma calda e
infuocata.
“Scusate,
ho perso il controllo” disse, brandendo la mano bruciata,
tutta nera, con enormi lividi e con del sangue che colava lungo il
braccio fino al gomito.
Bastian la
fissava inorridito, non aveva per niente la faccia di una che stava
bene, era come se le fosse capitato qualcosa di molto brutto.
“Sarà
meglio che io vada” sussurrò scioccato il
capo-villaggio e con una calma disarmante si allontanò da
loro.
Rebecca
provò a dire qualcosa a Gabriel ma venne interrotta.
“Io…”
“Vado
a dormire. Quando hai…finito con lui…torna a
casa”
***
Finito,
finito, finito...
Il prossimo capitolo s'intitolerà: "AMANDOTI" e
vedremo con molta
attenzione come il loro amore
si rimetterà apposto!!!
Ringrazio tutti per le recensioni che mi fate e anche
se non vi rispondo sempre sappiate che le leggo tutte con
curiosità e felicità!!!
Recensite, mi raccomando!!!
BACIONI,
FEDERICA...
|
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Capitolo 21 *** Amandoti ***
Cap. 21 - AMANDOTI -
[Trovo
pace quando sono confuso,
trovo
speranza quando mi lascio andare
non
in me,
in
te.
È
in te.
Spero
di perdermi
per
sempre
e
spero di ritrovarmi alla fine
non
in me,
in
te]
Switchfoot
- You -
***
Rebecca
rimase nel freddo della notte in piedi, la sua mente e il suo cervello
erano sconnessi al resto del corpo. Si era cacciata in un brutto guaio,
il suo corpo tremava e cercava inutilmente di farsi caldo strofinandosi
le mani sulle braccia.
La piazza
era vuota e la pedana che poco prima aveva retto Bastian era deserta e
inquietante come tutto il paesaggio intorno. Da quando anche Gabriel se
n’era andato, Rebecca aveva proprio toccato il fondo della
disperazione.
Voleva
smuovere i suoi piedi e correre da lui ma c’era quel qualcosa
chiamato “orgoglio” che non glielo permetteva.
Sentì
dei passi raggiungerla e non ebbe nemmeno la voglia di vedere chi era.
“L’ho
capito, sai?” era Bastian.
“Che
cosa?” domandò con voce incolore la ragazza.
“Quello
che c’è tra te e Gabriel” disse con voce
solenne.
Rebecca
sospirò. “Che cosa vuoi dirmi? Che non approvi?
Che è una sciocchezza, che siamo due stupidi? Che se fossimo
stati a scuola probabilmente sarei stata punita per essere andata con
l’insegnante? Che cosa?”
“Che
dovreste riporre le armi e far pace, sembrate sempre in guerra tra voi
pur amandovi, forse perché non ammettete che vi siete
davvero per la prima volta innamorati”
Rebecca si
voltò con sguardo cupo verso il capo-villaggio che la stava
guardando con aria sofferta. I loro occhi s’incrociarono e
Bastian gli abbassò con soggezione.
“Conosco
Gabriel da quando era un neonato, mi sono preso cura di lui finora e
fidati se ti dico che anche per me è stato veramente
difficile stargli accanto” portò gli occhi verso
il cielo con fare malinconico e sognante come quando si riporta al
presente dei ricordi passati. “Gabriel è sempre
stato un ragazzo molto problematico, nel senso che non riusciva a farsi
voler bene da nessuno…beh, apparte dai suoi famigliari e da
me. Mentre tutti i bambini della sua età giocavano e si
rincorrevano ridacchiando, lui era sempre sulle sue, se ne stava da
solo, immusonito e privo di reazioni alla vita. Veniva visto in maniera
diversa e incuteva una certa paura nei genitori degli altri bambini che
lo consideravano cattivo, maligno. Gabriel ha avuto
un’infanzia molto difficile, ha avuto pochi e veri amici e
non ha mai amato nessuna ragazza sebbene ne avesse potute avere a
dozzine. Ora, Rebecca, con questo non voglio dirti che lo scuso per i
suoi modi scorbutici o i suoi modi freddi, ma ti sto dicendo che voglio
che tu lo capisca e che gli sia vicino il più possibile. Non
lo dà a vedere ma soffre molto quando litigate, quando tu
non ci sei o quando sei in pericolo. Lo so che è un rompi
palle e un insensibile ma penso, anzi, sono convinto che lui ti ami
davvero. Cerca di riportarlo in vita regalandogli un sorriso invece di
mettere alla prova i suoi sentimenti”
Quando
Bastian finì di parlare, Rebecca stava piangendo
silenziosamente.
“Vai
da lui” le mormorò Bastian incitandola.
“Grazie,
Bastian” singhiozzò la ragazza e corse ad
abbracciarlo.
Lo
abbracciò velocemente e poi partì come una
scheggia verso casa.
Al diavolo
l’orgoglio, non l’aveva mai amato tanto come in
quel momento.
***
Aprì
la porta in uno scatto violento e la richiuse facendola sbattere, si
precipitò su per le scale facendo gli scalini due a due.
Passò via velocemente il corridoio e spalancò la
porta della sua camera da letto. Nonostante la penombra vide benissimo
la figura del ragazzo sdraiata sul letto.
Rimase
qualche secondo sulla soglia della porta con il fiatone e il respiro
pesante, i capelli tutti scompigliati e le braccia lasciate cadere
pesantemente lungo il corpo. Gabriel, disturbato dal rumore di porte
che sbattevano, di passi nelle scale e di respiri pesanti,
aprì gli occhi confusamente. Le sue spalle davano verso la
porta e si girò col corpo per vedere chi c’era. Si
voltò cambiando lato e corrucciò le sopraciglia
quando vide Rebecca.
Rebecca
provò a dire qualcosa ma era come se i battiti del suo cuore
martellante le avessero rubato l’uso della parola.
Gabriel si
alzò dal letto e camminò verso di lei, quando la
raggiunse fece quasi sfiorare i loro corpi e mantenne
quell’espressione seria e imperturbabile.
Nonostante
Gabriel tentasse di apparire freddo e distaccato agli occhi della
ragazza, Rebecca vide nei suoi occhi tutta la sua trepidante
preoccupazione e il suo affetto angosciante. Con le dita le
sfiorò il gomito mentre i suoi occhi non la perdevano
neppure per un secondo. Rebecca si trovava in uno stato confusionario e
avrebbe tanto voluto urlare per sfogare tutta la sua ansia.
“Ti
ho detto una bugia, Gabriel” riuscì a dire con
voce malferma. “Non sono mai stata con Atreius, né
con nessun altro”
Rebecca
potè giurare di aver visto il lampo di un sorriso nello
sguardo del ragazzo. Gabriel prese le mani della ragazza tra le sue e
sentì che erano ghiacciate.
“Non
stavo dormendo in realtà, ti aspettavo. Se questa notte non
fossi tornata mi sarei alzato dal letto e a costo di setacciare tutto
il villaggio ti avrei trovata e riportata a casa con la forza”
“Io
non nessun ragazzo, voglio che tu lo sappia”
“È
la verità?”
“Certo
che è la verità, non ti sto mentendo. Non
c’è nessun altro all’infuori di
te”
“Stavo
impazzendo all’idea di te, questa notte, con un altro.
Credevo di morire e avrei tanto voluto sapere dov’eri per
poter ammazzare quell’idiota che aveva avuto il coraggio di
toccarti”
Rebecca rise
e si sentì più tranquilla. Protetta. Gabriel non
rideva e la scrutava ancora con quegli occhi azzurri che sembravano
quasi grigi.
“Non
sto scherzando. Tu sei mia”
Il sorriso
di Rebecca si spense pian piano e alla fine smise di respirare.
Provò a dire qualcosa ma come sempre lui glielo
impedì e le tappò la bocca con un bacio
mozzafiato. A Rebecca parve di essere stata derubata di tutto
l’ossigeno e si aggrappò al ragazzo come una barca
che affonda si aggrappa ad un solido scoglio. Si trascinarono sul letto
di Gabriel andando alla cieca, continuando a baciarsi.
Gabriel si
stese sulle coperte e Rebecca vi si sdraiò sopra, trascinata
dalla caduta. Con un gesto improvviso Gabriel invertì i
ruoli e, rotolando, finì sopra la ragazza che lo accolse
facendogli spazio fra le gambe e tirandolo giù per il
colletto del pigiama.
Poco prima
che Gabriel perdesse tutto il suo autocontrollo si fermò e,
con ogni minima disapprovazione da parte di Rebecca, si
staccò da lei per guardarla negli occhi. Le labbra erano
rosse e gonfie.
“Sei
sicura?”
La ragazza
socchiuse gli occhi per capire come si sentiva in quel momento: non era
mai stata tanto felice in vita sua. Non sentiva paura. Fece di
sì con la testa, per nulla spaventata o intimidita.
Gabriel,
ancora incerto, rimase a fissarla dubbioso. “Se ti faccio
male fermarmi, ok?”
Rebecca rise
spensierata e gli diede un leggero bacio sulla punta del naso.
“Ok”
“Ti
amo” disse Gabriel, cominciando ad aprirle i bottoni della
divisa sentendosi improvvisamente impacciato, timoroso di farle male o
di sbagliare tutto.
In pochi
secondi tutti i loro indumenti finirono a terra e quando il corpo nudo
di Gabriel toccò la pelle fredda di Rebecca lei ebbe un
brivido, il contatto dei loro corpi la fece impazzire e
sussurrò un “ti amo” poco prima che
Gabriel, con infinita tenerezza, affondasse in lei.
***
Il primo ad
aprire gli occhi fu Gabriel, si svegliò con una strana
sensazione di piacere e fiacchezza e stiracchiandosi bellamente
assaporò i caldi raggi del sole che penetravano dalla
finestra aperta. Toccò con la gamba qualcosa di morbido e
caldo. Si voltò e vide che Rebecca dormiva beatamente
accanto a lui, gli dava la schiena nuda e il lenzuolo la copriva dal
seno in giù. Il respiro era lento e regolare e il ragazzo
capì che stava ancora dormendo. Si fece un po’
più vicino a lei e le baciò la spalla scoperta
lasciando indugiare le labbra, con delicatezza. Non appena la bocca del
ragazzo sfiorò la pelle di Rebecca, questa aprì
gli occhi e si lasciò andare ad un pigro sorriso. Si strinse
nelle spalle e sbadigliò.
Gabriel fece
un enorme sorriso. “Era ora che ti svegliassi! Certo che
dormi pesante!”
“Non
dire cavolate, tanto lo so che ti sei appena svegliato”
Gabriel rise
e appoggiò il mento sulla sua spalla, circondandole i
fianchi con le braccia e attirandola verso di sé. Rebecca si
lasciò andare alle sue coccole e piegò la testa
di lato in modo da permettere al ragazzo di baciarle il collo.
“Come
ti senti?” le domandò tra un bacio e
l’altro, risalendo lentamente fino all’orecchio.
“Benissimo”
mormorò la ragazza richiudendo gli occhi. Poi, tenendosi con
una mano il lenzuolo, si mise a pancia in su con la testa rivolta verso
Gabriel che, di fianco a lei, aveva osservato i suoi movimenti
completamente ipnotizzato. Il ragazzo, appoggiandosi su di lei con i
gomiti, le baciò la bocca teneramente. Rebecca rimase a
contemplare per qualche secondo il petto nudo di Gabriel e
arrossì al pensiero che quella notte, quel corpo, era stato
solo e unicamente suo.
Gabriel,
vedendola arrossire, fece uno sguardo malizioso. “Ti sto
forse imbarazzando?” alludeva alla sua nudità.
“Ripensavo”
sottolineò la ragazza con cipiglio severo.
“A
cosa?” domandò il ragazzo, scostandosi con uno
sbuffo i ciuffi biondi che gli ricadevano sulla fronte.
Rebecca
avvampò e si fece piccola piccola sotto di lui.
“Sai a cosa”
Gabriel si
morsicò il labbro inferiore per trattenere una risata.
Aveva voglia
di fare di nuovo l’amore con lei ma, temendo di poterla
spaventare dalle sue voglie improvvise, si limitò a baciarla
accarezzandola di tanto in tanto. Quando interruppero il bacio Rebecca
cercò di alzarsi rimanendo coperta dal lenzuolo, andando a
cercare a tastoni i suoi indumenti ammucchiati per terra alla rinfusa.
“Dove
vai?” chiese Gabriel allarmato, mettendosi dritto.
Rebecca, che
intanto si stava rivestendo, gli rispose: “Vado a preparare
la colazione, voglio portartela a letto perciò rimani
lì”
Gabriel si
lasciò andare contro la testiera del letto permettendo che
il lenzuolo arrivasse a coprirlo giusto dall’ombelico in
giù. “Agli ordini, capo”
Rebecca
indossò il pigiama e andò verso la porta,
l’aprì e si voltò a guardarlo: aveva
portato le braccia dietro la testa e i suoi occhi erano socchiusi. Era
una visione, era davvero bellissimo. La ragazza seguì il
profilo del suo petto scolpito e andò letteralmente a fuoco
quando vide dove il lenzuolo aveva cominciato a coprirlo.
Inciampò sui suoi stessi piedi e chiuse la porta della
camera, rossa come un peperone.
Accidenti
a lui.
Mentre
scendeva al piano inferiore ripensava con felicità alla
notte passata. La migliore della sua vita e Gabriel…Gabriel
era stato semplicemente fantastico. Non le aveva messo né
fretta né ansia, era stato tenero e dolce fino alla fine,
anche se la ragazza aveva capito che si era trattenuto per tutto il
tempo. Era stato controllato e attento perché sapeva che per
lei era la prima volta e non voleva scioccarla con gesti troppo carnali
e passionali. Quando Gabriel amava, amava fino in fondo. Ma Rebecca non
se ne preoccupava, avrebbe concesso a Gabriel di amarla come lui
desiderava, un piccolo regalo in cambio di quello che lui le aveva
donato e portato via così lentamente.
Mise del
latte in due tazze e delle fette di pane con della marmellata in un
vassoio. Ripose il tutto con cura nel vassoio e con
un’andatura da papera camminò fino al piano di
sopra. Cercò con attenzione di aprire la porta con una mano
mentre teneva con l’altra il vassoio che oscillava
pericolosamente. Accompagnò la porta con il bacino e sorrise
vittoriosamente per non aver spanto o rotto niente.
“Non
potevi portare il vassoio tenendolo sospeso con la magia?”
domandò il ragazzo da un angolo della camera.
Rebecca vide
che lui non era nel letto e lo cercò con lo sguardo. Lo
trovò davanti all’armadio con le ante aperte, si
era cambiato e ora indossava una maglia azzurra tinta unita che
risaltava ancor di più il colore dei suoi occhi e dei
pantaloncini che gli arrivavano fino al ginocchio color beige.
Eh
già, era proprio bello.
Chiuse le
ante dell’armadio e si buttò sul letto aspettando
impaziente la sua colazione. Rebecca si sentì tanto come una
di quelle mogli gentili e premurose che portano la colazione a letto al
marito e che lo assistono con mille attenzioni. Si sedette anche lei
nel letto e trangugiò allegramente la sua parte di colazione
lasciando il vassoio al ragazzo.
“Sai,
stavo pensando ad una cosa” disse Gabriel tutto su un colpo.
“Che ne dici se ti trasferissi qui da me?”
“In
che senso?”
“Nel
senso di dormire con me, nella mia camera”
Per poco
Rebecca non si soffocò con il pane, si diede dei colpetti
sul petto tossendo sonoramente. “Mi stai chiedendo di
condividere la tua camera?! Cioè, di dormire nello stesso
letto?!”
Gabriel si
adombrò impercettibilmente vedendo la sua reazione
esageratamente spaventata. “Questo ti fa tanto
orrore?”
“No!
No! È solo che detto così sembra una cosa molto
seria!” esclamò, arrossendo.
“Beh,
non lo è?” domandò il ragazzo,
sentendosi improvvisamente irrequieto.
Rebecca lo
baciò colpendolo alla sprovvista. “Infondo credo
che si possa fare”
Gabriel si
lasciò cadere indietro nascondendosi gli occhi con una mano
e ridendo. “Tu mi renderai pazzo, lo so
già!”
In tutta
risposta la ragazza gli tirò una cuscinata in testa e con
aria beffarda gli disse, mettendosi in ginocchio nel materasso:
“Io ti renderò pazzo?! Gabriel, non occorre che lo
diventi, tu lo sei!”
“Ah,
si?” la sfidò il ragazzo andando a colpirla al
ventre con un cuscino e tirandola giù con le braccia.
Rebecca
emise degli urletti e quando si trovò sotterrata e bloccata
dal peso di Gabriel non fece poi molto per liberarsi, stava benissimo
così com’era: con il corpo di lui pressato contro
di lei. Gabriel infatti le aveva bloccato le gambe e le braccia con le
sue gambe e le sue mani. I loro corpi aderivano alla perfezione e
quando Rebecca, per mimare una fuga, mosse il bacino contro quello di
Gabriel, il ragazzo rimase spiazzato dalla reazione del suo corpo.
La voleva.
Rebecca lo
capì dal suo sguardo e non fece nulla per impedirglielo. Si
lasciò baciare quasi con ferocia dal ragazzo e quando
Gabriel premette ancor di più il suo corpo contro quello
della ragazza una fitta di piacere la colpì al ventre.
Fecero l’amore in quel letto duro e disordinato e quando
tutto finì rimasero abbracciati fino a tardo pomeriggio,
completamente esausti. Era avvenuto il cambiamento, la dolcezza e la
calma con il quale l’avevano fatto la prima volta se
n’erano andate. Gabriel non si era più trattenuto
e Rebecca, nel momento più alto e bello, credette di morire.
***
Rebecca
stava dormendo quando si sentì strattonare da una parte e
l’altra.
“Ancora
cinque minuti…” mugugnò nel sonno.
“Muoviti!
Mocciosa, svegliati!” era la voce squillante di Gabriel.
Squillante?
Da quando Gabriel aveva la voce squillante? Beh, quando era in preda al
panico…oddio!
La ragazza
si svegliò di soprassalto con uno sguardo di puro terrore in
viso. Incrociò gli occhi esasperati di Gabriel e poi si
guardò: era nuda. Nuda nel letto di Gabriel con Gabriel
nudo.
Ma da quanto
tempo non metteva piede fuori casa…?
“Bastian
ci aspetta da tre ore!” esclamò Gabriel concitato,
scendendo dal letto e cominciando a vestirsi con i primi indumenti che
gli capitavano sottomano.
“Oh,
cavolo!” imprecò Rebecca seguendo Gabriel e
tastando in giro alla disperata ricerca dei suoi pantaloni.
“Quanto siamo stati rinchiusi in casa?!”
domandò alquanto infuriata prendendo il primo paio di jeans
che gli era capitato a tiro.
“Tre
giorni” disse il ragazzo a fatica, cercando di far passare
uno stretto maglione dalla testa.
Rebecca
spalancò inorridita gli occhi e i pantaloni le caddero dalle
mani. Si riabbassò e gli riprese in mano con un gesto
scattoso, rossa in volto. “Stiamo facendo sesso da tre
giorni?!”
Gabriel, il
quale maglione non passava per la testa, era nel frattempo inciampato
per terra con le lenzuola attorcigliate ai piedi. “Non ci
vedo niente!” si lamentò.
Rebecca, con
addosso dei vestiti stropicciati, lo aiutò a mettersi il
maglione che si era incastrato sul naso e gli oscurava la vista.
Peccato che, nell’aiutarlo, finì pure lei per
inciampare e gli cadde addosso con tutto il peso. Gabriel
urlò dal dolore. “Porca miseria, Rebecca! Vuoi
vedermi morto?!”
“Siamo
alquanto agitati o sbaglio?!” disse istericamente la ragazza,
correndo verso la porta.
Gabriel, con
una smorfia simile ad un rantolo soffocato, si rialzò
massaggiandosi il sedere e afferrò al volo i pantaloni che
la ragazza gli aveva buttato dal corridoio. Si grattò la
testa e le indicò i pantaloni con aria interrogativa.
Rebecca lo
guardò malissimo. “Non vorrai uscire in boxer,
no?”
Gabriel si
squadrò.
Eh
sì, in effetti era in boxer.
“No,
direi proprio di no”
***
Corsero come
due matti verso la casa di Bastian, tutta la gente del villaggio che
gli vedeva passare gli seguiva con uno sguardo sconvolto, sembravano
appena usciti da un cartone animato: erano incredibilmente buffi e
disordinati. Bussarono alla porta del capo-villaggio ansanti e con i
capelli sparati in aria.
“Se
domanda qualcosa è colpa tua” lo
avvertì Rebecca cercando di regolarizzare il respiro.
Gabriel
strabuzzò gli occhi. “Perché?!
Perché deve essere sempre colpa mia?! Mica facevo
l’amore da solo!” le rispose affannosamente.
Quando
Bastian venne ad aprire alla porta i due si sforzarono di mostrare un
sorriso che apparve ovviamente finto.
Il
capo-villaggio incrociò le braccia con sguardo severo.
“Mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro riguardo
l’orario quando ti ho parlato” disse, rivolto al
ragazzo.
“Lo
so, è che…”
“È
colpa sua!” esclamò Rebecca indicando il ragazzo
che la guardò come se non credesse alle sue parole.
“Grazie
Rebecca, ora ci penso io a dirgliene quattro…”
“Sto
prendendo in seria considerazione la possibilità di farti
del male fisico” le bisbigliò
all’orecchio Gabriel, fulminandola con gli occhi.
“Seguitemi”
gli ammonì Bastian, ordinandoli di entrare.
Intimoriti i
due ragazzi entrarono in casa e si sedettero attorno ad un tavolo dove
tre tazze fumanti erano state posizionate davanti a ciascuna delle tre
sedie.
“Le
avevo preparate tre ore fa ma non vedendovi arrivare le ho lasciate in
caldo”
“Scusaci
tanto, Bastian” disse Rebecca facendo quel suo visino
dispiaciuto e tenero che avrebbe intenerito persino Darth Threat.
Gabriel la
squadrò con cipiglio innalzato mentre beveva dalla tazza.
Bastian
sospirò. “Tre giorni di sesso di sfrenato non sono
una scusante, Rebecca”
Rebecca
impallidì mentre Gabriel s’ingozzò con
quello che stava bevendo e lo sputò fuori in un getto
inzuppando la ragazza che gli era davanti.
“Gabriel,
che schifo!” si lamentò lei cercando di
asciugarsi.
Gabriel
divenne bianco come un lenzuolo e non sapeva più dove
guardare, faceva vagare gli occhi a caso non incrociando nessuno dei
presenti. Bastian invece trovava la situazione alquanto divertente.
Rebecca, controllata come sempre, salvò in tempo la
situazione, prima che Gabriel andasse in iperventilazione.
“Dov’eravamo
rimasti?” domandò camuffando un’insolita
diplomazia.
“Ad
essere sinceri non siamo mai partiti” disse Bastian
gravemente. “Avevo parlato con Gabriel nella sera della mia
riunione riguardo ad una sua proposta piuttosto fuori luogo che mi
aveva lasciato interdetto. Poi mi ha fatto sapere che ci aveva
ripensato e che ora vuole di nuovo combattere contro Atreius. Quello
che m’interessava chiederti, Rebecca, è se ti
andava bene partire per prima”
“Che
cosa?! Ma è una follia!” sbraitò il
ragazzo, drizzandosi sulla sedia.
“Non
capisco” mormorò Rebecca.
“Vuole
che tu vada ad attaccare Mortimer da sola e che l’esercito ti
raggiunga solo dopo che tu l’abbia ucciso” disse a
denti stretti Gabriel guardando Bastian con tutta la disapprovazione
possibile.
“A
me sembra un buon piano” disse Rebecca scrollando le spalle.
“Che
cosa?!”
“Pensaci
Gabriel, se io dovessi fallire è naturale che Mortimer
dominerebbe su tutta Chenzo ed ovvio che in tal caso Bastian preferisca
evitare di sacrificare inutilmente il suo esercito mandandolo a
combattere una guerra già persa dall’inizio senza
di me. Viceversa, se vinco io sarà l’esercito di
Mortimer ad arrendersi dato che senza il loro comandante si sentiranno
persi. Questa mossa serve comunque per evitare le perdite del nostro
esercito”
Bastian
annuii completamente d’accordo con l’esposizione
della ragazza. Gabriel, che si era calmato, suo malgrado si
ritrovò ad approvare quel piano. Non gli piaceva per niente
l’idea che Rebecca se la fosse dovuta vedere da sola ma se
questi erano i piani non poteva interferire.
“Ok,
va bene. E io quando dovrò vedermela con
l’idiota?”
“Mentre
Rebecca combatte contro Darth Threat. Se Mortimer dovesse morire
avrebbe comunque un erede a piede libero, nessuno ci assicura che alla
sua morte Atreius si farà sottomettere senza crearci
problemi. Potrebbe continuare l’opera del padre”
“Per
quando è prevista la battaglia finale?” chiese la
ragazza.
“Fra
due settimane. Tempo di riunire l’esercito, armarlo,
infliggere gli ordini e mobilitarci…ci vorranno quindici
giorni scarsi”
“Dove
ci fermeremo per la notte?”
“Nei
pressi del castello di Mortimer. Il castello è accerchiato
da lande desolate ma a nord è presente in lontananza una
boscaglia verde e abbastanza fitta per ripararci. Passeremo
là la notte e all’alba attaccheremo.
Cioè, tu attaccherai”
“Ma
allora perché, Bastian, ci portiamo dietro un esercito se
non serve?”
“Ma
serve, cara. Il mio esercito ho intenzione di dividerlo in due parti:
la prima attaccherà con te ma rimarrà
all’esterno mentre tu combatterai all’interno del
castello, e l’altra metà raggiungerà te
o Gabriel nel caso aveste bisogno di aiuto dentro. Gabriel
verrà con te all’interno ma attaccherete in due
ale opposte del castello”
“Quindi
una metà è per l’interno mentre
l’altra per l’esterno del castello?”
“Esatto”
“La
prima metà parte con noi ad attaccare l’esterno
mentre io e Gabriel siamo all’interno e l’altra
metà stà in attesa nel caso le cose si dovessero
mettere male per noi due”
“Infatti”
“Mi
sembra un buon piano. Non appena tutto sarà pronto facci
sapere qualche giorno prima che ho tutta l’intenzione di
allenarmi come si deve, no Gabriel? Ti va, vero, di addestrarmi ancora
un po’?”
Gabriel
assentì con la testa. “Contaci”
“Bene
ragazzi, ora che abbiamo chiarito tutto mi potreste anche dire come
siete finiti a rinchiudervi in casa per tre giorni”
Un silenzio
pesante invase la stanza. Rebecca, troppo imbarazzata per parlare,
abbassò gli occhi.
L’unico
rumore fu lo schiocco secco della lingua di Gabriel.
“Sinceramente
Bastian, che te ne frega?”
***
Dopo essersi
gentilmente e con mascherata fretta congedati dalla casa di Bastian, i
due ragazzi decisero di andare a trovare Rosalie e Denali. Ormai la
ragazza era agli sgoccioli della gravidanza e dopo la visita di Denali
a casa di Gabriel si erano visti raramente. Rosalie se ne stava da
qualche tempo sempre in casa, lamentandosi per lancinanti dolori e
nausee. Denali, inaspettatamente molto premuroso e devoto, le stava
costantemente accanto.
La faccia
che Rosalie fece quando venne ad aprirli fu impagabile. Forse
perché non riceveva più molte visite era sempre
ben accetta a far entrare gente in casa.
“La
mamma non c’è?” domandò
Gabriel vedendo la casa vuota.
“È
andata con Denali a prendere qualcosa da mangiare per la cena, sono
così carini con me…” disse
sovrappensiero.
Rebecca,
incantata dall’enorme pancione di Rosalie, la
seguì con interesse fino alla cucina. “Che bello
Rosalie, tra poco sarai mamma” disse con fare sognante e
invidioso, tanto che Gabriel ebbe un campanello d’allarme nel
cervello.
Rosalie le
sorrise orgogliosa mentre si accarezzava il ventre gonfio.
“Non vedo l’ora di sapere se è un
maschio o una femmina. Secondo Denali è un maschio, per
me…sono tutti e due!” concluse con un gridolino
eccitato.
Rebecca
aveva un sorriso da ebete stampato in faccia, guardava Rosalie e
sembrava che condividesse con lei ogni sua gioia. “Che
bello…”
“Che
c’è, Rebecca?” disse Rosalie con un
sorrisetto poco rassicurante. “Non sarai per caso gelosa,
no?”
Gabriel si
gelò sul posto mentre Rebecca si lasciò andare ad
una risata divertita. “No, no! È solo che mi
piacerebbe in un futuro avere dei bambini, e molti anche!”
“Vuole
diventare mamma, capito Gabriel?” scherzò la
ragazza lanciando uno sguardo al fratello che era fermo e cadaverico.
“Beh,
chi non lo vorrebbe?” esclamò Rebecca che,
ignorando le reazioni di Gabriel dietro di lei, parlava con naturalezza
ed euforia. “Ma dimmi, come pensi di chiamarlo?”
“Allora,
se è una femmina Emma e se invece è un maschietto
ci piacerebbe molto Ian”
“Ian…”
mormorò Rebecca tra sé e sé con aria
pensosa, puntandosi un dito sotto il mento.
“Non
dirmi che è il nome di uno dei tuoi ex ragazzi
perché se è così, Rosalie, ti
proibisco di chiamarlo con quel nome!” sbottò il
ragazzo che si era improvvisamente risvegliato dal suo stato di apatia.
Rebecca
ridusse gli occhi a due fessure. “Ian è un
bellissimo nome, punto e basta”
“E
tu, Rebecca, come gli chiameresti i tuoi figli?”
domandò Rosalie sinceramente curiosa.
A Gabriel, a
disagio come non mai, iniziarono a prudere le mani. “Bec,
perché non ce ne andiamo?”
Rebecca
voltò la testa e lo guardò perplessa.
“O-Ok, va bene” si adombrò ma si
sforzò subito di sorridere. “Andiamo. Ciao
Rosalie, verremmo a trovarti il prima possibile”
La ragazza
gli salutò con un leggero velo di fastidio stampato in
faccia e quando se ne furono andati, Rebecca aspettò di
essere a casa per parlare a Gabriel.
“Ti
da fastidio il pensiero di avere dei bambini!” non era una
domanda bensì un’affermazione.
“Non
mi da fastidio, è solo che ora non mi ci vedo a fare il
padre”
Io ti vedrei invece,
pensò la ragazza e dovette mordersi il labbro per non
parlare.
“E
qui si mette male” disse Rebecca tristemente.
“Perché?”
“Perché
io invece ne vorrò” sospirò
stancamente, facendo cadere sul divano la sua giacca.
Gabriel
ingoiò il vuoto. “Pure io ma non ora”
Rebecca
dovette cacciare indietro le lacrime che minacciavano di uscirle.
Quando facevano l’amore non usavano di certo delle
precauzioni abbastanza efficienti da evitare il rischio di una
gravidanza. C’era sempre quella remota possibilità
e la ragazza inorridì al pensiero di poter rimanere incinta.
Lei, che aveva sempre sognato di esserlo.
Cominciò
a piangere silenziosamente e fu quando ebbe un sussulto che Gabriel si
accorse che era in lacrime. La vista della ragazza in quelle condizioni
gli spezzarono il cuore. L’abbracciò e la tenne
stretta cullandola contro il suo petto.
“Non
piangere, ti prego”
“Scusa
ma non posso farci niente, non lo so neppure io perché sto
piangendo, mi viene automatico!”
Gabriel
prese un bel respiro. “Senti, se dovesse capitare a me
andrebbe più che bene avere un bambino però
è naturale che non lo vada apposta a cercare. Se dovesse
capitare…non voglio che mio figlio diventi un incidente di
percorso, voglio che sia desiderato”
“Magari
più avanti”
“Sì,
più avanti lo voglio avere un figlio da te”
Rebecca
rise. “Te lo immagini un figlio nostro?”
“Intendi
dire che sarà bellissimo?” disse Gabriel gonfiando
il petto in un impeto di orgoglio paterno.
Rebecca gli
tirò un pugnetto sul petto. “No scemo, intendo
dire che sarà magico. Molto magico…e
bello”
“Su
questo sono d’accordo”
Rebecca
strofinò il viso sul maglione del ragazzo e poi lo
baciò. “Ti amo”
“Idem
per me”
“Che
ne dici se…?” Rebecca gli strizzò
l’occhio e con un cenno del capo indicò il piano
di sopra.
Gabriel si
finse sorpreso e mostrò un sorriso smagliante.
“Letto tuo o mio?”
“Ma
come? Non avevi detto che restavo in camera tua?”
“Ah!
Giusto. Allora letto mio” disse il ragazzo e con una mossa
fenomenale si caricò Rebecca in groppa e
trotterellò con lei su per le scale.
Direzione:
camera da letto.
***
Evvai!!!
Finito, finito e finito!!!
Oh, ma sono una mitica girl ad aggiornare così presto i
capitoli...
mi sono presa indietro con l'altra storia ma prometto di aggiornarla il
prima possibile.
è solo che siccome questa storia l'ho presto finita
(mancano 4
capitoli!!!)
volevo concludere questa così poi posso dedicarmi all'altra.
Il prossimo capitolo sarà: "IL DIAFANO CREPUSCOLO"
e praticamente è una "quiete prima della tempesta"
Recensite,
mi raccomando!!!!!!
I
THANKS:
"CHICCA90": ehehe...Gabriel
geloso vale una fortuna!!!! nel senso che è secondo me
è troppo caro un ragazzo così e io lo pagherei
oro per averne uno così!!!! fammi sapere che ne pensi di
questo capitolo che sicuramente è il più
scottante fra tutti. bacioni...
ps: per
angeli e demoni volevo appunto finire questa storia così poi
potrò dedicarmi con tranquillità a quella
perchè con due storie in contemporanea è un po'
difficile con la scuola e tutto il resto. fa conto che
l'aggiornerò fra due mesetti scarsi, ok???? pensi di
resistere??? eeheheh...
"BELLA4":
ehm..dicevi che avevi paura che non facessero pace??? ihihih...l'hanno
fatta eccome!!!!! spero che con questo capitolo tu ti sia messa il
cuore in pace e che finalmente tu possa vederli insieme. comunque
tranquilla, anche nei prossimi saranno sempre insieme felici e
tranquilli perciò si può dire che (per ora!!!) il
peggio è passato.
"NIKKITH":
eh
beh, è vero, hai ragione. povero gabriel o povera rebecca???
pure io avrei fatto come lei, in questo caso avrei spaccato la faccia a
lui per la gelosia. dopotutto è stato lui ad andare con
altre ragazze prima di lei mentre rebecca era ancora inesperta in quel
campo. però vabbè, diciamo che con questo
capitolo ho sistemato a tutto!!!
RECENSITE,
bacioni
FEDERICA...
|
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Capitolo 22 *** Il diafano crepuscolo ***
Cap.
22 - IL DIAFANO CREPUSCOLO -
[La
luce del sole riempie i miei capelli
e
i sogni sono appesi all’aria.
I
gabbiani sono in cielo e nei miei occhi blu.
Il
sole è nei tuoi occhi,
il
calore è nei tuoi capelli.
Sembra
che ti odiano perché tu sei lì
e
ho bisogno di un amico
che
mi renda felice
e
non di restare qui da solo.
Guardami
mentre sto qui da solo di nuovo
rivolto
proprio verso la luce del sole.
Non
ho bisogno di ridere e piangere,
è
una meravigliosa vita]
Zucchero
- Wonderful life -
***
Quando si dice:
“La quiete prima della tempesta”
s’intende affermare un momento della propria esistenza che
viene vissuto con tranquillità, pace e felicità
prima che il dolore, la sofferenza e la violenza distruggano tutto.
È un periodo che può essere breve oppure lungo
una vita, ma non importa…perché quando la guerra
spazza via ciò che si era costruito non si ricorda mai il
quanto ma il come. Il tempo non esiste, esistono solo le persone che
vivono nel tempo. Anche se si può vivere solo un giorno di
quiete questo giorno deve essere intenso.
***
“Non pensi che ci debba essere qualcosa di più di
tutto questo?” domandò Rebecca a Gabriel che era
steso al suo fianco.
Gabriel, che non smetteva di accarezzarle i capelli, la
fissò perplesso. “Che vorresti dire? Che non sei
felice?”
Rebecca si strinse al suo fianco e rabbrividì. Forse non era
stata una buona idea uscire quella notte a guardare le stelle cadenti.
L’erba fredda e umida le provocava dei fortissimi pruriti e
il solletico.
Guardò Gabriel e incrociò il suo sguardo
preoccupato. “Non ho detto questo” ci tenne a
puntualizzare. “Parlavo della guerra e della condizione in
cui ci siamo ritrovati a vivere”
“Spiegati meglio”
La ragazza era titubante. “Non so come fare per
spiegarti…”
“Provaci” le disse il ragazzo che sembrava
volersela mangiare con gli occhi.
“È la guerra. È come se ogni momento
fosse l’ultimo. Ho questa sensazione orribile, ho paura che
la guerra possa cambiare tutto questo, che possa arrivare proprio ora e
distruggere persino l’amore o, peggio ancora, la tua
vita”
“Cosa dici? Saremo noi ad attaccare, non corriamo il rischio
di ricevere un attacco a sorpresa”
“Lo so ma questa sensazione di ansia non mi abbandona. Temo
che possa arrivare da un momento all’altro, io non credo di
essere pronta” prese un po’ di fiato.
“Non voglio morire” e si coprì gli occhi
con le mani. “Non ora che ho trovato te”
Gabriel le scostò le mani per guardarle il viso.
“Non morirai, non pensarlo nemmeno”
“Non voglio che tu muoia”
Rebecca era partita. Era partita e ora le sue più grandi
paure erano venute a galla con una forza e
un’intensità disarmante.
“Smettila di dire queste cose, ti agiti per nulla”
Rebecca sbuffò, frustrata. “E come faccio?! Non ho
mica il tuo cuore di pietra!”
Gabriel rise e la strinse a sé. “Non vado in giro
a vantarmene infatti”
Le si finse offesa e si divincolò dal suo abbraccio.
“Io sto qui a raccontarti tutte le mie paure ossessive e tu
mi prendi in giro. Ti odio”
Gabriel strofinò il viso tra i suoi capelli profumati e ne
inspirò il profumo. “Il sentimento è
reciproco” disse, baciandole la clavicola.
Rebecca, che non voleva cedere così in fretta al suo tocco,
si staccò da lui facendo accostare il suo viso a pochi
centimetri da quello del ragazzo che la guardava con un misto di
meraviglia e stupore. Lasciò, apposta, che le sue labbra
sfiorassero quelle di Gabriel e quando lui provò a baciarla
lei si tirò indietro con un sorrisetto. Più lui
le si avvicinava per baciarla, più lei ricadeva indietro.
“Giochi sporco” le disse il ragazzo che dopo aver
perso la pazienza si mise a sedere. “Non vale puntare sulle
debolezze del nemico”
Rebecca, stendendosi sull’erba, lo guardò dal
basso e ghignò. “Non è forse
così che si vince una guerra, Gabriele?”
Al suono di quel nome il ragazzo si voltò di scatto verso di
lei.
“È questo il tuo vero nome, vero?” gli
chiese la ragazza, diventando seria.
Ora nessuno rideva più.
Gabriel aprì e richiuse la bocca un paio di volte.
“Come fai a…?”
“Bastian” disse lei semplicemente. “Vi ho
sentiti parlare pochi giorni fa. Come mai non ti fai chiamare
così?”
Gabriel parve vacillare e per un momento se ne stette zitto prima di
rispondere. “Io ero l’Angelo Gabriele, non ho
più avuto il coraggio di tenere quel nome dopo la mia
condanna. Quel nome significava potenza, gloria,
immortalità, maestosità, magia…da
quando divenni un semplice umano mi vergognai di portarlo, non mi
sentivo all’altezza di quel nome”
“Posso chiamarti Gabriel?”
Gabriel emise una risata sarcastica. “Preferisci chiamarmi
Gabriel perché hai capito che Gabriele non è alla
mia altezza, giusto? Beh, non ti rimprovero”
“No, preferisco Gabriel perché penso che tu sia
migliore di Gabriele”
“Non dire sciocchezze, per favore. Una volta ero il massimo,
ora…non sono nessuno”
“Non è vero, restando umano hai imparato molte
più cose di quando non eri un angelo bianco. Ti sei fatto
valere come persona e hai dimostrato di saper amare un’altra
persona. Io mi sono innamorata di te, non del mitico Angelo
Gabriele” disse Rebecca, e senza rendersene conto
lanciò un’occhiata alla sua spalla nuda. I nei che
formavano una grande croce erano più grandi che mai.
“In effetti non ero un granchè” disse
Gabriel, sforzandosi di non ridere.
“Sei meglio ora che hai imparato a condividere con i
sentimenti umani, se fossi sempre stato l’invincibile
Gabriele ora non sapresti n’anche cos’è
l’amore, o l’amicizia, o il dolore. Saresti
solamente un robot senza cuore”
“Sai cosa mi piace di te?”
“Cosa?” domandò lei, stupita e divertita
allo stesso tempo.
“Che non dici mai mezze verità”
“Sono famosa per i miei modi schietti e sinceri”
“Ecco perché io e te litighiamo”
“Ecco perché ci ammazzeremo a vicenda”
disse lei, nel bel mezzo di una risata che la stava facendo sussultare.
Gabriel si sporse su di lei e posò le mani ai lati della sua
testa racchiudendola sotto di sé. Soffiò sulle
sue labbra e le sfiorò il naso con il proprio naso,
solleticandole la fronte con i suoi ciuffi biondi. “Sei
meravigliosa” mormorò con voce roca. Poi la
baciò passionalmente, con ardore. Piegò le
braccia e si ritrovò con il corpo pressato a quello di lei.
Rebecca posò le mani sui suoi fianchi e si lasciò
baciare rispondendo al bacio con tutta sé stessa.
I loro corpi avvinghiati rotolarono sull’erba e risero come
due bambini finendo uno ammassato all’altra.
“Tu mi farai morire!” disse Gabriel tra una risata
e l’altra, tentando di farle il solletico anche se lei non lo
soffriva.
Rebecca gli si stese sopra e spinse i fianchi contro quelli di Gabriel.
Il ragazzo spalancò gli occhi, incredulo, lei
ricambiò lo sguardo con una risata. “Hai detto che
vuoi morire…”
Gabriel cercò di scivolare dalla sua presa. “Non
penserai di farlo qui?” era inorridito.
Rebecca rise e alzò le spalle al cielo.
“Mah…”
“Tu sei pazza…se ci beccano poi è
sempre colpa mia. Col cavolo che ci rimetto le ossa, piuttosto andiamo
a casa”
La ragazza sbuffò leggermente delusa. Scese dal corpo di
Gabriel e si stese sull’erba. Si stava benissimo fuori col
caldo afoso della notte e l’idea di ritornare dentro quelle
quattro mura calde e opprimenti la faceva inorridire.
“No, stiamo qui” disse alla fine a Gabriel, che
aspettava accanto a lei una risposta. Lui parve sollevato
perché la strinse contro di sé e
cominciò allegramente a baciarle i capelli.
“Sei fantastica” le sussurrò ad un certo
punto Gabriel.
Rebecca incrociò i suoi occhi.
“Perché?”
“Probabilmente non sarei mai stato capace di amare
nessun’altra che non fossi tu”
“Neppure io, Gabriel”
Lui la baciò e la strinse possessivamente salendole sopra e
schiacciandola sotto di lui. La guardò incantato.
“Ti amo davvero”
Lei rise forte e lo baciò a sua volta.
***
Rebecca aveva pregato così allungo Gabriel perché
l’allenasse che alla fine lui aveva, a malincuore, accettato.
“Ma se sei perfetta! Che altro allenamento vuoi
fare?!” le diceva sempre non appena lei provava ad entrare
nel discorso.
Il fatto era che il ragazzo aveva tutta l’intenzione di
addestrarla ma non subito. Prima voleva stare e passare con lei tutti
quei bellissimi momenti di intimità che li restavano. Le
ripeteva che l’avrebbe allenata più tardi, poco
prima che la guerra iniziasse, ma lei contestava sempre tutto quello
che le diceva e per forza doveva farlo anche quella volta.
Alla fine Gabriel, stremato e rassegnato, si era arreso.
L’aveva portata in un caseggiato disabitato in mezzo ai
campi, all’interno il capannone era in disuso e non
c’era altro che polvere, oscurità, travi di legno
abbandonate e accatastate, e raggi di luce che filtravano dalle
finestre strette e lunghe in cima alle pareti logore.
Gabriel non metteva piede in quel posto da anni, che però
sembravano secoli visto com’era ridotto. Guardò
con stizza l’unico stanzone interno mentre Rebecca ne parve
soddisfatta.
“Mi piace questo posto” disse con convinzione
guardandosi intorno.
Gabriel fece una smorfia. “Se non sei allergica alla
polvere”
Rebecca gli diede un’occhiataccia e si fermò al
centro della stanza. “Che facciamo? Aspettiamo che faccia
buio?”
Gabriel inforcò la sua spada e la puntò contro la
ragazza. “Io direi di iniziare” la
sfidò.
Rebecca gli lanciò uno sguardo malizioso e lo
squadrò da cima a fondo, ondeggiando sul posto. Gabriel
inarcò le soppraciglia con uno sguardo divertito. In men che
non si dica la ragazza corse a balzi verso di lui mostrando la spada
che portava nella cinghia della cintura. Le due lame si scontarono in
un rumore penetrante. Entrambe si spezzarono.
Lanciarono da una parte le else con le lame spezzate a metà.
Passarono al corpo a corpo. Era Rebecca che attaccava, Gabriel si
difendeva dai suoi pugni ben assestati con le braccia alzate,
indietreggiando sempre di più. Fu quando Rebecca fece una
sforbiciata in aria, e lo colpì in faccia, che invertirono
le posizioni: ora era lei con le spalle al muro. Gabriel la
guardò soddisfatto mentre si massaggiava la guancia colpita.
Rebecca fece una piroetta indietro e finì contro il muro,
cominciò a correre sulla parete aggirando il ragazzo che la
guardava dal basso muoversi sul muro. La ragazza scese dalla parete e
gli piombò addosso con un calcio pronto. Lui
deviò il colpo del suo piede andando indietro con la schiena
e finendo a ponte, fece un salto indietro e rimase in posizione di
difesa senza lasciare su quel viso un sorrisino divertito.
Rebecca, stufa di giocare, gli andò incontro correndo.
Gabriel non aveva nessuna intenzione di spostarsi. Erano al centro
della stanza. La ragazza prese la rincorsa. Gabriel piegò il
corpo in avanti. Rebecca saltò: premette i palmi delle mani
sul petto del ragazzo facendo una verticale perfetta sul suo petto con
Gabriel in posizione leggermente piegata indietro. I loro volti erano
vicinissimi e sottosopra. Rebecca cambiò lato aiutandosi con
le mani e portandole sulle spalle del ragazzo mentre era ancora in
verticale. Girò il corpo, lo baciò e con un salto
toccò terra. La sua testa era rossa grazie al sangue che nel
frattempo era affluito al cervello.
Gabriel si voltò verso di lei che gli era alle spalle,
tirò fuori da uno stivale un coltellino e, velocissimo,
glielo lanciò addosso all’altezza del cuore.
Rebecca lo fermò col solo pensiero, con un movimento della
mano invertì la direzione del coltello e questo
partì alla carica verso il ragazzo che lo bloccò
trasformandolo in petali rossi.
“Ho come la sensazione che non finiremo mai” disse
la ragazza col fiatone.
“Continua” sibilò il ragazzo.
“Non abbiamo finito”
Combatterono per un’ora ancora, se la diedero di santa
ragione con tanto di armi, corpo a corpo e magie. Nessuno dei due
perdeva, nessuna dei due vinceva. Era come se si fossero trovati sullo
stesso piano. Alla fine, stremati ed esausti, caddero l’uno
sopra l’altra.
“Non ce la faccio più…”
ansimò la ragazza, cercando di prendere un bel respiro. Il
cuore le martellava fortissimo nel petto.
“Secondo me ti è rimasta ancora un po’
di forza”
“Per cosa?” domandò guardando il ragazzo
che le stava praticamente sopra. Conosceva quello sguardo. Sorrise
forte e annuì, cominciando a sbottonare i calzoni di
Gabriel.
***
Gabriel provò più volte a svegliare la ragazza
che, ronfando, non si decideva a muoversi dal letto. Le andò
vicino all’orecchio e, soffiandole l’alito caldo
sulla guancia, sussurrò con ostentata calma: “Bec,
non è che mi faresti un favore e ti sveglieresti?”
La ragazza si strinse tra le coperte sentendo freddo.
“Mmh”
“Dai” le disse lui, sempre dolcemente.
“Mmh…”
“Ora”
Rebecca aprì gli occhi e gli sbattè un paio di
volte, si stiracchiò bellamente e con cipiglio severo si
voltò verso Gabriel che era ancora nudo nonostante la
temperatura si fosse abbassata durante la notte.
“Perché quella volta non sei nato con il gene
della pazienza?”
Gabriel la guardò deluso. “A dir la
verità ho una sorpresa per te”
“Gabriel, tra pochi giorni andremo in guerra, ti pare il
momento per festeggiare compleanni?”
“Non è una festa!” sbottò
irritato. “Vieni e vedrai di che si tratta”
“Uhm…devo proprio?” domandò
lei in tono di supplica. “Abbi pietà di
me”
Il ragazzo si appoggiò al gomito e la fissò
severamente. “Da quando ci siamo allenati al vecchio
caseggiato non abbiamo più fatto niente di concreto. Lascia
almeno che oggi sia l’ultima giornata spensierata, ti
prometto che da domani ci impegneremo seriamente nella guerra ma ti
prego, oggi viviamocela all’insegna della
spensieratezza”
Rebecca chiuse gli occhi e inspirò profondamente,
ammorbidendo le labbra in un pigro sorriso. Da quando lei e Gabriel si
erano addestrati parecchi giorni prima avevano passato le seguenti
giornate senza far niente. Non toccarono mai discorsi come la guerra,
non facevano altro se non lunghe passeggiate, nuotate lungo i fiumi,
remavano con delle canoe lungo le rapide o scoscese cascate e andavano
a caccia insieme di qualche drago di piccole dimensioni o di centauri
(animali che catturavano ma che mai ammazzavano). Facevano
l’amore più e più volte durante il
giorno, tanto che alcune volte alla sera, sfiniti, si buttavano sul
letto e chiudevano subito gli occhi addormentandosi ancora vestiti.
Erano state due settimane splendide ma ora era il caso di dedicarsi
alla guerra che, sempre più vicina, iniziava a farsi
sentire.
Alla fine la ragazza riaprì gli occhi. “Va bene,
ma poi ci impegniamo seriamente, capito Gabriel?”
Il volto del ragazzo si fece improvvisamente raggiante e splendido.
“Oh, si! Non ti deluderò, mio dolce
amore”
“Bravo, pensi di conquistarmi con le parole?” disse
Rebecca storcendo il naso.
Gabriel le diede un bacino nel naso. “Che strano, pensavo di
averti già conquistata”
***
“Sarebbe questa la grande sorpresa di cui mi
parlavi?!” esclamò la ragazza per niente contenta.
“Un campo d’erba all’alba?!”
“Beh…” Gabriel diede
un’occhiata intorno a loro. In effetti si trovavano nel bel
mezzo di una distesa verde con nient’altro.
“…vista così non è
granchè”
Rebecca si impose di star calma, ripensò con rimpianto al
letto caldo e comodo che aveva abbandonato a casa. Strinse i pugni e
digrignò i denti. “Ho una gran voglia di
strozzarti…”
Gabriel fece un fischio e lei lo guardò confusa.
“Gabriel, che stai facendo?”
Lui le fece cenno di aspettare. In lontananza, che correvano verso di
loro con il sole alle spalle, due fantastici unicorni, bianchi e puri
come il latte, si rincorrevano tra loro nell’umido campo
d’erba. Si fermarono davanti ai due ragazzi e con un nitrito
fecero un profondo inchino. Uno dei due, quello che era corso da
Gabriel, doveva essere il maschio: era più grande e
più possente, il suo corno splendeva di bianco.
L’unicorno che invece si era trovata d’innanzi
Rebecca era sicuramente la femmina: aggraziata, leggermente
più piccola e fragile, e con il corno che tendeva ad un
colore rosato.
Rebecca aveva la bocca aperta di fronte a quella meraviglia e
guardò Gabriel con una tale gioia che quasi quasi si metteva
a piangere. Non aveva mai visto niente di più bello.
“Gabriel, è…” non riusciva a
trovare le parole per esprimere la sua contentezza.
“È bellissimo! Non ho mai…io non
pensavo di vederne mai un esemplare in tutta la mia vita! Credevo
fossero leggende, fiabe da bambini ma ora che…”
ammirò con rispetto i due unicorni.
“Inconcepibile”
Gabriel, visibilmente soddisfatto e compiaciuto, le fece segno di
montare in groppa. “Forza, sali!” le disse.
Non appena furono entrambi montati in groppa gli unicorni iniziarono a
correre verso l’orizzonte, verso la fine del mondo, dove il
sole toccava la terra. I due ragazzi si tenerono come meglio poterono
alla criniera degli animali e con il vento che li spettinava i capelli
si lasciarono portare da quelle bellissime creature. Fu una cavalcata
indimenticabile, Rebecca appariva aggraziata, elegante e bellissima,
Gabriel invece somigliava molto ad un guerriero virile e potente con il
suo destriero. Guidarono gli animali per tutta la distesa
finchè questi non furono esausti e si fermarono con un
nitrito. L’unicorno di Rebecca, che era ancora in forze,
scalciò indietro e s’impennò, Gabriel
fece un salto dal suo unicorno per finire in groppa dietro a Rebecca.
Le circondò i fianchi e si strinse a lei. Rebecca
incitò la cavalla di partire e questa nitrendo
ricominciò a correre lasciando indietro il vecchio e stanco
maschio. Viaggiarono tranquilli e felici per altri chilometri
dopodichè anche quell’unicorno si
stancò e si accasciò a terra.
Rebecca rotolò sopra a Gabriel. “Era il regalo
più bello che potessi farmi!”
Lui le baciò la punta del naso. “Sono contento che
ti sia piaciuto”
“Se mi è piaciuto?! È stato
fenomenale!”
Gabriel rise forte e l’aiuto ad alzarsi. “Forza
principessa, torniamo a casa”
Le piaceva quando la chiamava così, era come se la
coccolasse con le parole. “Cosa facciamo stasera?”
“Ma come? Io pensavo che cucinassi qualcosa per me”
Rebecca storse il naso. “Non mi piace molto come
idea”
Gabriel l’abbracciò e camminarono mano nella mano.
“Quando torneremo da questa guerra voglio sposarti e avere
tanti bambini dai capelli biondi come i miei e gli occhi scuri come i
tuoi. Dovrai saper cucinare per nutrire tuo marito”
Rebecca gli pizzicò il fianco e lui fece un saltino.
“Hai davvero intenzione di sposarmi? Non sai in che pasticcio
ti sei cacciato…”
“Sì” era serio.
Lei lo guardò negli occhi e vide che non scherzava.
Deglutì. “Quindi andrai a prendere le fedi da
Ares?”
“Un piccolo inconveniente che però posso
facilmente superare ora che ho i miei poteri”
“E così vuoi sposarmi”
ripetè.
Lui la fissò come se fosse ritardata. “Mi sembrava
di avertelo appena detto, sì”
“Mi sposo” sussurrò, incapace di credere
alle sue stesse parole. “Con te”
“C’è qualche passaggio che ti
è sfuggito?”
“Non mi hai neanche fatto la proposta come si deve”
“Perché? In tal caso mi diresti di no?”
“Non so, tu prova a farmela” gli disse.
Si erano entrambi fermati e si guardavano con distacco.
Gabriel era impassibile. “Tu mi sposerai, non voglio un no
come risposta”
“Ma così mi stai obbligando!”
esclamò Rebecca, ridendo e portandosi le mani alla bocca.
Il volto di Gabriel si rilassò. “Non hai altra
scelta” la canzonò facendosi più
vicino. “Ormai ti sei data a me e io ora non ti lascio
andare”
“Comunque il mio era un sì”
“Ci avrei scommesso” disse, baciandola.
Ripreso a camminare fianco a fianco, i loro corpi si sfioravano mentre
procedevano verso il villaggio. Era ormai pomeriggio inoltrato.
Rebecca scoppiò a ridere tutto su un colpo. Gabriel la
guardò come se fosse impazzita, aveva le sopracciglia
inarcate e il labbro innalzato. “Che hai da
ridere?”
Rebecca si portò di nuovo una mano alla bocca.
“Stavo solo pensando…”
“A cosa?”
“A come sarebbe la nostra vita da coppia sposata”
Gabriel distese un sorriso e puntò i suoi occhi ribelli
sulla ragazza. “Sicuramente non sarà per niente
noiosa”
“Prevedo molti litigi”
“E libri che volano”
“Porte che sbattono”
“Marmocchi che corrono nei corridoi”
“Ma se non ne volevi di figli!”
“Ho sempre detto non ora, più avanti”
“Ma quanto sei falso…!”
“Vedi?”
“Cosa?”
“Ci stiamo già comportando come una coppia di
novelli sposi”
***
Nel cuore della notte Gabriel si alzò dal letto,
spostò le lenzuola che lo ricoprivano e andò un
attimo al bagno. Era nudo con solo i boxer addosso ma di certo nessuno
poteva vederlo perciò tanto valeva farsi problemi in casa
propria. Il bagno era silenzioso, emanava un leggero profumo di pulito
misto a lavanda e disinfettante. Avevano imitato ed esportato molti
prodotti della Terra, come lo specchio, la vasca, il lavandino e la
maggior parte dei mobili di quella casa, più moderna
rispetto le altre del villaggio. Gabriel voleva che Rebecca si sentisse
a proprio agio come se fosse stata nella sua casa in America.
Ecco perché loro avevano un water mentre gli altri no.
Quando ebbe finito tirò l’acqua e tornò
in camera da letto. Rebecca dormiva a pancia in giù, la
schiena era scoperta e respirava forte. Si grattò la testa e
con gli occhi lucidi dal sonno aggirò il letto per
raggiungere il suo lato. Vide che Rebecca si stava muovendo. La
osservò con attenzione e lei mugugnò qualcosa nel
sonno. La osservò meglio e capì che si stava
svegliando. Cercò di fare il minimo rumore ma poi lei
aprì un po’ alla volta gli occhi.
“Dove sei stato?” chiese, con la voce impastata dal
sonno e sbadigliando.
“Al bagno” Gabriel si fermò e rimase per
qualche secondo in piedi ciondolando accanto al letto.
“Senti, visto che ti sei svegliata non è che mi
andresti a fare una tisana?”
Rebecca, che aveva richiuso gli occhi, ne aprì uno solo e
fissò il ragazzo. “Perché?”
c’era irritazione nella sua voce.
“Perché ne ho voglia e tu fai delle tisane che
sono divine”
“Finchè dormi mezzo nudo…”
“Togliamoci pure il “mezzo”.”
La ragazza lo guardò e poi si mise in piedi buttando le
coperte in fondo al letto. Sbuffò e indossò una
leggera vestaglia in raso viola.
Andò al piano di sotto praticamente arrancando, non riusciva
a vedere con lucidità perché il sonno e i
continui sbadigli le annebbiavano gli occhi. Si strofinò gli
occhi con la manica della vestaglia e fece bollire in un pentolino un
po’ d’acqua. Mise dentro ad una tazza delle erbe
aromatiche e profumate e aspettò nella sedia con il volto
nel tavolo che l’acqua diventasse calda abbastanza per
sciogliere le erbe. Non appena l’acqua bollente
riempì la tazza le foglioline salirono a galla e un
po’ alla volta si sgretolarono fino a sciogliersi
completamente. Aggiunse due cucchiaiate di miele e ritornò
di sopra. Il corridoio era buio e silenzioso. Con l’altra
mano fermò il nodo della vestaglia così forte che
si sentì schiacciare la pancia.
Aprì la porta della camera da letto che prima, ne era
sicura, era rimasta aperta. Dentro regnava il buio totale, accese la
luce e vide Gabriel inginocchiato ai suoi piedi. Sussultò e
pose la tazza fumante nel suo comodino.
Conosceva quella posizione, l’aveva vista un milione di volte
nei film. Non capiva se il ragazzo stesse scherzando o se faceva sul
serio.
Il suo volto era tutto fuorché scherzoso. Lei
ammutolì e si portò una mano sul petto come per
fermare i battiti incessanti del suo cuore.
“Mi vuoi sposare?” le domandò con voce
carezzevole Gabriel.
Non poteva parlare. Ci provò ma niente.
“Dovresti dire qualcosa”
Rimasero a guardarsi allibiti.
I metri che lo
separavano da lei erano sempre meno.
Diciotto…
Dodici…
Dieci…
“Ehi, Rebecca!
La facciamo finita?”
“Solo quando
mi avrai superata, lumaca!”
Otto…
Cinque…
“Sicura?”
“Quando mai
scherzo?!”
Quattro…
Tre…
Due…
Uno…
“Vinto!”
urlò Gabriel, l’aveva superata e lei neppure se
n’era accorta.
Il ragazzo saltava
dall’euforia, rideva e si gustava quel momento.
C’era mancato poco perché il suo orgoglio andasse
ancora una volta calpestato, era lui l’uomo, era lui il
maestro e il giorno in cui la sua allieva l’avrebbe superato
nella corsa era lontano anni luce.
Bec invece non rideva
per niente, lo guardava storto e con il fiato veloce.
“Non
vale” disse senza voce, ora doveva pensare a ritrovare
l’ossigeno perduto.
“Si che vale,
signorina tartarugona”
Rebecca
incassò il colpo e abbassò la cresta, non
c’era niente di male ad essere battuti dal proprio
insegnante.
“Ok, ho perso,
hai vinto tu. Tanto io rimango comunque più bella di
te” esclamò fiera Bec, dandosi delle arie da gran
donna.
“Non dovresti
dire queste cose”
“Eh?!
Cosa?”
“Tu sei
bella” la corresse, come si corregge di solito un errore
madornale.
Gabriel non intendeva
certo essere carino con lei ma quel doppio senso lo disse senza nemmeno
accorgersene.
Questo, lo
lasciò di stucco. Si stava già rimangiando
ciò che aveva detto. Alzò gli occhi al cielo,
nervoso, sperando che lei non fraintendesse o travisasse le sue parole.
Ci mancava solo che un’adolescente alle prime armi
s’invaghisse di lui, sarebbe stato imbarazzante e impossibile
da gestire.
Cercò di
porre rimedio.
“È
un dato di fatto, non parlo personalmente, lo sanno tutti, compresa te,
che sei carina!”
Forse fu dal modo
convincente in cui lo disse oppure dalla bravura nell’aver
mascherato l’errore, che Bec cacciò dalla mente
l’idea che si era fatta di lui in quell’attimo.
Appena ebbe sentito
pronunciare quella frase da Gabriel si stupì di trovarlo
così schietto, senza neanche pensarci aveva detto una cosa
ed era convinto. Poi, due secondi dopo, le aveva chiaramente fatto
capire che lui non intendeva farle un complimento, voleva mettere in
chiaro le cose come stavano: lui l’insegnante e
l’amico; lei l’allieva e l’amica.
“Sei
morta?”
Bec si scosse
bruscamente.
“Sembravi una
statua di cera” scherzò il ragazzo, che un
po’ alla volta rideva sempre di più.
“Senti chi
parla! Mister Muso Lungo…”
“Alcune volte
non ti sopporto” disse Gabriel, con semplicità,
scuotendo la testa.
“Sei
così misterioso…” sillabò Bec
“Che cosa
centra, adesso? Ti sto parlando di una cosa e tu te ne salti fuori con
quest’affermazione. L’ho sempre sospettato che ci
arrivi sempre dopo rispetto alla media”
Gabriel la guardava come
di solito si guarda un paziente malato di una strana patologia mentale.
“Sei un caso
perso, dai retta al tuo maestro”
“Guarda che le
interconnessioni dei miei neuroni stanno benissimo!”
esclamò Bec, cercando di difendersi dalle accuse fattegli.
“E allora che
vuoi?!” domandò Gabriel, esasperato.
“Stavo solo
pensando a quanto tu sia maledettamente freddo! Ghiacciolo, che non sei
altro!”
“Io?
Freddo?”
“Si, tu! Sei
la persona più misera di sentimenti che abbia mai
conosciuto! Non mi meraviglio che non sei mai riuscito a dire a nessuno
“ti voglio bene”!”
“Ma come ti
permetti?! Non è vero!”
“Dimmi
Gabriel, è così difficile mostrare a qualcuno i
tuoi sentimenti?!”
“No, ma non
trovo l’utilità di spargerli ovunque!”
“Ma io sono
tua amica” disse Bec, improvvisamente calma e dolce.
“Non centra
niente” sbottò, frustrato.
“Con me puoi
parlare se vuoi”
“Mai”
“E allora
resta solo”
“Non ti lascio solo” disse Rebecca, travolta dai
ricordi e sull’orlo delle lacrime.
Se avesse saputo che sarebbero arrivati fin quel punto avrebbe cambiato
volentieri qualcosa del suo passato con lui? Qualche parola, qualche
accusa, qualche supporto, qualche tocco…
Gabriel si alzò e la baciò travolgendola
completamente. Era come se si stesse nutrendo di lei, la baciava e da
quel bacio trovava la forza per continuare a vivere. Le
passò le mani tra i lunghi capelli setosi e con le labbra
quasi la divorò. Tolse le mani dal suo corpo e si
concentrò su qualcos’altro. Slegò il
nodo della sua camicia da notte e la fece stendere sul letto.
“Era un sì” mormorò Rebecca
tra un bacio e l’altro, completamente inebriata dal suo
profumo.
Gabriel scese a baciarle il collo. “Non avrei accettato un
no”
“Sono tua” gli disse circondandogli il collo e
aiutandolo a disfarsi dei pantaloni.
“Sei mia” ripetè prima di essere dentro
di lei.
***
“Gabriel, hai sentito?” Rebecca parlava sottovoce
al ragazzo che si era da poco svegliato per i suoi strattoni.
Gabriel la guardò confuso e poi fece come gli aveva detto:
tese le orecchie. “Non sento niente”
“Io sì” sibilò la ragazza
guardando la porta chiusa della loro camera.
Gabriel seguì il suo sguardo e balzò in piedi.
“Era aperta la porta prima” esclamò
allarmato.
Rebecca gli fece cenno di parlare a bassa voce e gli indicò
l’armadio. Si mossero dal letto all’armadio.
Aprirono con calma e in silenzio le ante, e in un batter
d’occhio si vestirono con due tute che usavano per allenarsi.
Rebecca ne indossava una bianca e aderente mentre Gabriel portava una
divisa blu scuro che s’intonava perfettamente ai suoi colori.
Cautamente uscirono in corridoio.
“C’è
troppo silenzio” disse Rebecca intrufolandosi
nella mente di Gabriel che spalancò gli occhi nel sentire la
voce della ragazza dentro la sua testa.
“Mi leggi i
pensieri?!” le sue labbra rimasero ferme ma il
suo volto si trasformò in una smorfia interrogativa.
“No, quando
è necessario posso parlare telepaticamente”
“Perché
io non ci riesco con te?”
“Questo non lo
so, penso faccia parte solo dei miei di poteri. Ora muoviamoci, direi
di andare in cucina, è da là che ho sentito un
rumore”
Gabriel annuì con la testa e la seguì. Si
fermarono sulle scale e videro che in cucina due uomini mascherati
stavano mettendo sottoquadro la biblioteca.
“Nim…”
pensò a denti stretti la ragazza.
“Attacchiamoli”
Gli piombarono alle spalle. I due Nim non si accorsero di niente
finchè non sentirono il tipico rumore di una lama che
infrange l’aria, un leggero sibilo sfrusciante. Entrambi
fecero un balzo indietro, finendo rannicchiati sulla parete.
Gabriel si mosse verso il Nim che aveva di fronte, confidando che
Rebecca si occupasse dell’altro. Fece roteare la spada
intorno al proprio corpo e cercò di colpire il Nim che nel
frattempo aveva tirato fuori una sciabola.
Rebecca guardò Gabriel che stava combattendo ad armi pari
con il Nim. “Sei pazzo?!” gli urlò
dietro. “Usa la magia!”
Gabriel fece finta di non averla sentita e continuò ad
attaccare in maniera impeccabile, i suoi movimenti erano velocissimi e
gran parte dei suoi salti sembravano fatti a rallentatore nonostante
andasse alla massima velocità. A Rebecca sarebbe piaciuto
restare a guardarlo…gettò a terra la spada. Era
disarmata ed era troppo vicina al Nim. Fece una serie di ruote,
capriole e salti indietro finchè non finì nella
parte opposta della stanza.
Il Nim non perse tempo e, capendo quello che stava per fare, corse
velocissimo verso di lei. Rebecca abbassò la testa e chiuse
gli occhi, quando rialzò la testa di scatto e
aprì gli occhi il colore delle sue pupille era nero, erano
completamente neri.
Vedeva a rallentatore.
Alzò il palmo aperto della mano e da esso fece partire una
serie di palline rotonde di colore azzurro che si scagliarono contro il
Nim con il solo scopo di congelarlo. I Nim non erano stupidi e tanto
meno sprovveduti, scansò la maggior parte delle sfere ma
una, l’ultima, lo beccò in pieno petto.
Rebecca aveva deviato con il pensiero la traiettoria
dell’ultima sfera rallentando ancora di più, con
uno sforzo enorme, il tempo e i movimenti.
Il Nim venne scagliato dall’altra parte della stanza e sbatte
la schiena contro la parete, si accasciò a terra, si
alzò a fatica e non appena puntò i suoi occhi
colmi di odio sulla ragazza il suo corpo si congelò,
trasformandolo in una statua di ghiaccio.
Gabriel stava ancora combattendo, si vedeva lontano un miglio che era
stanco e sudato, nessuno dei due voleva cedere: il prezzo da pagare era
la morte.
Senza che il ragazzo se ne accorgesse Rebecca prese la sciabola che era
caduta al Nim congelato e con una mira perfetta la lanciò,
facendola roteare su sé stessa, contro il secondo Nim che
riuscì a colpirlo proprio dritto al cuore. Lei non si
sbagliava mai.
Gabriel si voltò a guardarla allibito, poi vide che fine
aveva fatto l’altro Nim e ne rimase sconvolto.
Rebecca, i cui occhi erano tornati normali, di un bel colore
cioccolata, richiamò la sciabola dal corpo del secondo Nim a
terra. Questa, come posseduta, si estrasse dal cadavere e
volò giusta nelle mani protese della ragazza che
ammirò con approvazione il gioiellino.
Gabriel la fissava incredulo e con la gola secca. “Non avrei
mai pensato che potessi essere così spietata”
Rebecca corrucciò la fronte. “Non
capisco”
“Gli hai uccisi a sangue freddo”
“Era così che dovevamo sbarazzarcene”
“Sì, ma contando che fino a poco tempo fa il solo
pensiero di uccidere una persona ti dava
ribrezzo…”
“Nella mia nuova vita mi sono adattata” disse con
noncuranza pulendo il sangue dalla sciabola con la manica della sua
divisa pulita. Il bianco della tuta si macchiò di rosso.
Gabriel impallidì.
Rebecca si avvicinò alla statua di ghiaccio. “Tra
poche ore si scongelerà”
“Che intendi fare?”
Un colpo secco di quella spada mandò in frantumi la statua
che una volta era stata un Nim, una moltitudine di cubetti di ghiaccio
si sparsero sul pavimento.
“Ecco fatto, ora non credo che riuscirà mai a
ricomporsi” disse la ragazza saltellando verso Gabriel e
scoccandogli un bacio sulle labbra.
Gabriel era pietrificato.
***
- 3 alla fine
del primo capitolo!!!
Il prossimo capitolo sarà: "LE TATTICHE DEGLI ANGELI"
RECENSITE!!!!
Mi raccomando...mi fa sempre piacere ricevere commenti!!!..da ognuno!!!
|
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Capitolo 23 *** Le tattiche degli angeli ***
Cap.
23 - LE TATTICHE DEGLI ANGELI -
[Devi
tenere la tua mente bene aperta,
ogni
possibilità,
devi
vivere con gli occhi ben aperti,
credere
in quello che vedi]
AnnaSophia
Robb - Keep your mind wide open -
***
Erano tornati a dormire, Gabriel aveva sentito Rebecca dirgli qualcosa
ma non l’aveva ascoltata, le parole erano entrate per un
orecchio ed erano uscite dall’altro. Cadde pesantemente sul
materasso e non si mosse. La sentì mentre si toglieva
l’uniforme e indossava il pigiama, quando entrò
anche lei a letto Gabriel sentì l’aria passare
dalle coperte che si erano alzate. Fece finta di dormire. In effetti
era quello che avrebbe voluto ma non riusciva a prendere sonno. Rimase
sempre nella stessa posizione e non appena cominciò a
sentire la gamba destra addormentarsi sbuffò sonoramente e
si mise supino. Lanciò un’occhiata torva alla
ragazza che dormiva bellamente alla sua sinistra, sotto alle coperte si
scaldava col lenzuolo.
Gabriel si passò nervosamente le mani sulla faccia e si
premette gli occhi con le dita. Gli bruciavano. Senza contare che in
quel momento qualcos’altro stava andando a fuoco: era la
testa. La testa proprio perché a forza di pensare a quanto
era successo gli era venuto un terribile mal di testa.
Era sempre stato il primo a dire a Rebecca di imparare a difendersi dai
nemici, di saper attaccare e affondare. Aveva cercato di insegnarle la
diplomazia e la capacità di saper tenere in ogni circostanza
il sangue freddo e la mente ben aperta. Era stato proprio lui a dirle
di uccidere senza esitazioni.
Nessun rimpianto, nessun
ripensamento, nessuna pietà.
Ma ora che aveva visto con i suoi occhi ciò di cui Rebecca
era capace provò un forte senso di inadeguatezza e di
impotenza. Averla vista così spietata e crudele, e al tempo
stesso indifferente e controllata, l’aveva pietrificato. Era
abituato ad avere con lei ben altri rapporti. Non invidiava, ora come
ora, i suoi nemici. Gabriel era forte e aveva i suoi poteri ma temeva
che con uno scontro potesse perdere. Se si fossero trovati in un campo
di battaglia come nemici la sua vittoria non era certa.
Rebecca era diventata molto potente e questo dava timore al ragazzo che
da sempre aveva avuto qualche sospetto sull’uso della sua
mano sinistra e di frasi circospette che lei gli aveva detto riguardo
l’immortalità e la voglia di potere. Pure i suoi
nei sulla spalla che formavano una croce erano diventati più
scuri e accentuati. Ma Gabriel confidava sempre sulla bontà
delle persone e mai e poi mai avrebbe creduto che Rebecca fosse stata
capace di passare dalla parte del Male.
Dopotutto, che motivo avrebbe avuto?
***
Il mattino dopo Rebecca e Gabriel trovarono soltanto un corpo a terra.
Del secondo Nim non c’era traccia.
***
Il Nim era riuscito a scappare. Se la ragazza fosse stata
più accorta avrebbe saputo che non bastava conficcare una
spada nel cuore per uccidere un Nim. E infatti era riuscito a salvarsi.
Non appena l’angelo lo aveva trapassato con la sua stessa
sciabola era rimasto a terra in una sorte di morte apparente,
aspettando il momento di vederli andare a letto per potersene tornare
al castello. Stava per andarsene quando non potè non notare
uno strano luccichio provenire da uno scaffale della biblioteca sopra
la propria testa.
Allungò una mano e strinse un pugnale. Il più bel
pugnale che avesse mai visto. Lo rigirò tra le mani con la
strana sensazione di averlo già visto da qualche parte.
Osservò meglio l’elsa e vide che era stato
disegnato un marchio. Avvicinò gli occhi, era buio e voleva
essere sicuro di quello che aveva visto. Infatti non si era sbagliato.
Il pugnale portava lo stemma dei Douglas, i genitori di Darth Threat.
Il Nim non poteva giurarlo con sicurezza ma con ogni
probabilità quel pugnale apparteneva all’intera
discendenza di quella stirpe magica.
Strano,
pensò, non
capisco perché ce l’abbia quella ragazza.
Il Nim nascose il pugnale dentro il suo mantello e corse fuori nella
notte. Non aveva nessuna intenzione di ridarlo a Darth Threat. Che lo
punissero pure, quell’arma valeva una fortuna.
***
Bastian, compresa la notizia che i due giovani erano stati attaccati
durante la notte, aveva deciso di mobilitare le truppe. Dovevano
sbrigarsi a concludere quella guerra, con ogni probabilità
Mortimer era venuto a conoscenza dei loro piani e questo gli
svantaggiava. Dovevano attaccare il prima possibile altrimenti sarebbe
stata l’armata di Mortimer a muoversi per prima attaccando
loro.
Bastian aveva raccolto a rapporto Gabriel e Rebecca che aveva nominato
capitani dei due battaglioni. Il primo era sotto il comando di Rebecca
mentre il secondo di Gabriel. Aveva inoltre reclutato più
uomini possibili per la guerra: giovani, vecchi volenterosi e uomini,
che si sarebbero aggiunti alla schiera dei soldati. Non erano un numero
altissimo, Bastian aveva chiamato gente da tutti i villaggi e in molte
persone erano giunti al villaggio, desiderosi di unirsi per quella
causa ma non erano comunque abbastanza numerosi. Bastian contava molto
sulla bravura dei suoi soldati e sulla volontà dei volontari
del villaggio, nonostante tutto, grazie a Rebecca, era convinto che
avrebbero vinto. Aveva assistito in prima persona ai cambiamenti e al
progresso che la ragazza aveva fatto nell’arte della guerra
ed era pressoché invincibile. Soltanto Rebecca poteva far
fuori mezza armata, ecco perché
l’inferiorità numerica dei suoi uomini non lo
preoccupava più di tanto.
Quella mattina stessa Bastian aveva riunito tutto l’esercito
ed erano partiti di buon’ora verso l’accampamento,
l’ultimo avamposto prima del nemico. Erano muniti di armi,
tende, cibi e vestiario, si sarebbero fermati a pochi chilometri dal
castello di Mortimer, dentro il bosco.
“La maggior parte degli uomini che hai fatto reclutare sono
bambini” gli disse Rebecca mentre marciavano lungo un
sentiero. Le truppe erano a piedi, Rebecca, Gabriel e Bastian avevano
tre cavalli. Il cavallo della ragazza era un unicorno bianco.
Bastian la scrutò con attenzione e abbassò gli
occhi per poi rivolgere lo sguardo altrove. “Lo sapevano a
cosa andavano incontro, non possono avere un’età
inferiore ai sedici anni. Se un ragazzo non è un soldato
arruolato ma un semplice contadino che però vuole combattere
per la propria terra, è giusto che anche a lui venga data la
possibilità di combattere per quello in cui crede”
“Non vedo donne” disse la ragazza con occhio
critico.
“Le donne del villaggio non sono esattamente quelle che tu
definisci eroine. A quanto pare sei tu l’eccezione”
“Sulla Terra anche le donne possono arruolarsi”
“Beh, qua no. A Chenzo le donne non sono ancora fisicamente
portate per la guerra”
Rebecca rimase in silenzio e osservò il cavallo marrone di
Bastian. “È vecchio”
Bastian la guardò interrogativamente.
“Chi?”
“Il tuo cavallo. È vecchio. Morirà
durante la battaglia, ti consiglio di cambiarlo”
“E tu come lo sai?”
“Fidati” gli disse lei lanciando
un’occhiata al cavallo nero di Gabriel poco dietro di lei.
“Quello di Gabriel è giovane, dovresti prenderne
uno così”
“Grazie dell’informazione”
“Di niente”
“Ti dispiace se vado avanti da solo?”
domandò Bastian spronando il cavallo e superando la ragazza
che con un cenno d’assenso rimase al suo posto.
Gabriel l’affiancò.
In quell’occasione Gabriel indossava una divisa nera, nera
come il suo cavallo. Era veramente bello e i suoi capelli biondi
risplendevano intorno a tutto quel nero. I suoi occhi erano due pozzi
azzurri senza fine. Era in completa opposizione con lei, che invece
vestiva una divisa bianca.
“Come va?” le chiese.
Rebecca strinse tra le mani le redini dell’unicorno.
“Per essere la mia prima battaglia non sono poi tanto
agitata”
“La prima e ultima si spera”
“Già” sussurrò a bassa voce.
“Vedrai che andrà tutto bene, alla fine devi far
conto sulle tue capacità e applicare tutto quello che ti ho
insegnato”
Rebecca lo guardò malissimo. “Non per offenderti
Gabriel, ma uccidere Mortimer non è come allenarsi con
te”
Gabriel incassò il colpo e si morse il labbro. La ragazza
continuò: “Sarà anche la mia prima e
ultima battaglia ma è decisamente troppo per me. Me ne sto
proprio accorgendo ora! Perché non posso semplicemente
uccidere i soldati dell’esercito invece che affrontarmi con
Mortimer?”
“Perché noi speriamo che tu lo possa
uccidere”
“Sarà uno scontro alla pari ma rimane comunque
troppo forte”
“Tu sei forte, smettila di sottovalutarti”
“Ho paura. Ho paura che appena sarò di fronte a
lui possa deludervi”
“In che modo potresti deluderci? Sei un miracolo, e non lo
dico solo a nome di tutti”
“Come mai Adele non c’è?”
“È a casa con mia sorella”
“Se siamo fortunati quando torneremo a casa diventerai
zio”
Gabriel rise e Rebecca lo seguì. Rebecca diede uno sguardo
alla fila di soldati dietro di lei e vide che erano in molti.
Tornò con le mani a prendere le redini e cercò di
calmare il suo cuore che da quando erano partiti non la smetteva di
battere all’impazzata. Si portò una mano sul cuore
e la premette sul petto. A Gabriel il gesto non sfuggì e in
quel momento si sentì molto depresso.
Non si poteva tornare indietro nel tempo a quei giorni bellissimi
appena trascorsi?
Non si poteva fare dietro-front e tornarsene a casa sotto le coperte?
Non potevano essere in qualsiasi posto all’infuori che essere
lì, in procinto di morire?
Se mai ne usciremmo
entrambi vivi voglio davvero sposarla, pensò
Gabriel in un impeto d’affetto. Avrebbe tanto voluto
abbracciarla ma non poteva, erano in guerra. In guerra persino
l’amore deve essere posto in secondo piano.
“Quanto distante è la roccaforte di
Mortimer?” gli domandò la ragazza.
“È a tre giorni dal villaggio”
“Oddio, siamo messi bene…”
Gabriel ghignò, apparentemente divertito all’idea.
“Cosa vuoi che siano tre giorni! Passeranno in fretta. Prima
che tu possa dire “a” siamo già
arrivati”
“A”
Gabriel fece una smorfia. “Era un modo di
dire…”
“Non posso volare e aspettarvi là?”
“No”
“Perché?”
“Siamo un gruppo e stiamo insieme compatti. Non mi piace
l’idea che tu vada in giro a ronzare da sola quando siamo nel
bel mezzo di una guerra” disse severamente il ragazzo.
“Ti voglio fuori dai pericoli, d’accordo?”
“D’accordo”
***
Passarono due giorni, al terzo arrivarono all’accampamento. I
soldati e i volontari, che avevano dovuto farsi la strada a piedi, non
appena toccarono il suolo si buttarono a terra e cominciarono chi a
dormire chi a riprendere fiato. Nel giro di poche ore tutti montarono
le loro tende di un verde scuro che si mimetizzava perfettamente con il
paesaggio. Le tende erano a forma di triangolo ed erano ammassate
l’una con l’altra. Ogni tenda conteneva due o tre
persone. Bastian aveva una tenda tutta per sé, Rebecca e
Gabriel ne condividevano una insieme e si erano messi leggermente
distaccati dal resto del gruppo, in una posizione elevata. Non temevano
niente e non trovarono utile stare attaccati agli altri per sentirsi
difesi e protetti. Non appena finirono di sistemare la maggior parte
degli uomini andò a letto, il resto si tenne racchiuso in un
cerchio e parlavano del più e del meno, fumavano strane erbe
e alcuni apparivano già ubriachi.
Rebecca guardava la scena da distante.
Che
si divertano finchè hanno vita.
Rebecca osservava con occhio vigile e attento gli uomini, provava
un’infinita pena per loro…dopotutto, erano solo
dei semplici esseri umani. Sebbene lei dovesse confrontarsi con
Mortimer poteva comunque fare appoggio sulle sue doti ma quelle
persone, così vulnerabili,
così…normali. Quanti sarebbero morti
già nei primi cinque minuti di battaglia?
Socchiuse gli occhi e inspirò profondamente.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva messo
piede in una scuola? Quand’è stata
l’ultima volta che ha visto una strada, un grattacelo, un
semaforo, una metropolitana, un bar, un centro commerciale…
Quando?
Da quanto era lì? Aveva perso il conto dei giorni, contava
le settimane ma mai i mesi. Provò a fare una somma e
pensò tra sé e sé che doveva ormai
essere passato un anno. La vita che aveva vissuto sulla Terra sembrava
appartenere ad un’altra persona, diversa e molto lontana da
lei. Lì non aveva visto né grattaceli
né tantomeno semafori, ma aveva visto persone morire, aveva
ucciso e maneggiava le armi per uccidere. Era maturata, era diventata
una persona nuova, diversa, importante. Aveva abbandonato i suoi
problemi e le sue fantasticherie da adolescente, basta cellulari, basta
discoteche, basta trucchi, vestiti firmati e belle serate. Ora,
l’unica cosa veramente importante era la vita. Rimanere in
vita il più allungo possibile.
Sopravvivere.
Era diventata un’arma contro il Male, era un angelo. Se mai
gliel’avessero detto un anno prima sarebbe scoppiata a
ridere. Eppure era tutto reale, la guerra era reale, Mortimer era
reale, Gabriel era reale.
Rebecca guardò Gabriel, intento ad aprire le coperte
arrotolate nella tenda.
Se fossero stati sulla Terra, se avessero avuto un’esistenza
normale, Gabriel avrebbe sicuramente rappresentato il tipico ragazzo
bello e impossibile da avere, gettonato, il classico giocatore famoso
della scuola corteggiato da ragazze altrettanto importanti e popolari.
Lei avrebbe continuato ad essere la Rebecca Burton che era sempre
stata: la secchiona della classe con genitori ricchi, esclusa dal
gruppo perché troppo complicata da capire.
E invece Gabriel, in quel mondo, aveva scelto lei che era tanto
importante quanto una cheerleader sulla Terra.
Gabriel le si avvicinò e l’abbracciò da
dietro, nascondendo il suo visto sulla sua spalla. Le
circondò i fianchi con le braccia e la cullò.
“Vieni a dormire?” le chiese.
“Gabriel, lo sai vero che ti amo?”
Gabriel si scansò, sciolse l’abbraccio e gli si
parò di fronte. Il suo volto era contratto dalla rabbia. La
ragazza indietreggiò.
“Non voglio nemmeno sentire questi discorsi apocalittici,
Rebecca! Se stai tentando di farmi capire quanto bene mi hai voluto
quando sarai morta non attacca”
Rebecca smise di respirare. “Volevo
solamente…”
“Ti prego” la interruppe il ragazzo con
disperazione. “Vieni dentro e fa finta che domani non ci sia
nessuna guerra. Non voglio sentirti dire addii, non voglio che tu pensa
che domani possa finire tutto”
Una lacrima solcò la guancia della ragazza, e prontamente
venne ricacciata indietro. “Come puoi dirmi una cosa del
genere quando sai pure tu che ogni cosa è fatta per
rompersi?”
Gabriel aprì le braccia e imprecò.
“Smettila! Non ti senti?! Sembri una persona che è
convinta che domani morirà! Sii un po’
più ottimista, non essere così
catastrofica!”
“Mi riesce bene pensare sempre al peggio” disse
Rebecca tirando su col naso.
Gabriel stava perdendo la pazienza. “Per favore, andiamo
dentro. Giurami che non ci penserai a domani”
Rebecca scosse il capo.
“Giuramelo” disse Gabriel a denti stretti con un
tono di voce che non ammetteva repliche.
Questa volta la ragazza annuì. Si diede della stupida
mentalmente, avrebbe voluto punirsi! Doveva essere lei il punto di
riferimento per tutti e invece era stata la prima a mettersi a
piangere! Doveva essere forte, doveva stringere i denti e credere di
potercela fare.
Grazie, Gabriel.
Lo prese per mano e lo condusse dentro la tenda, lo fece sedere sopra
le coperte mentre lei chiudeva la tenda.
S’inginocchiò davanti a lui e gli passò
una mano sul viso.
Ti amo,
avrebbe voluto urlarli, ma si limitò a baciarlo.
***
Rebecca si stava
mimetizzando dietro ad un albero. Era notte e la foresta era buia e
sinistra, il vento faceva danzare i rami degli alberi e
l’aria era secca e pungente. Rebecca spiava e poi si
rinascondeva appiattendosi contro il tronco. Lo sentiva, anche lui si
stava nascondendo e sapeva che lei era lì. Rebecca premette
forte le dita sulla spada, riposta al sicuro nella cinghia.
Silenziosamente aggirò l’albero per nascondersi
dentro un cespuglio: una gamba era lunga distesa mentre
l’altra era sostenuta in ginocchio, le mani in avanti, i
palmi aperti toccavano la fredda terra.
C’era qualcosa
che non andava.
Rebecca si sentiva
un’altra persona, avvertiva molto più potere e
forza nel suo corpo. C’era un continuo sentimento di odio che
la dilaniava, gli occhi le bruciavano ma era come se bruciassero da
dentro. Una rabbia incontenibile le faceva battere il cuore ma
nell’apparenza era controllata e fredda. La sua
impassibilità nascondeva una voglia di uccidere primitiva,
irrazionale, violenta.
Sentì un
rumore provenire dalla radura davanti a lei.
Anche lui la stava
osservando. Non attaccava per primo, forse aveva paura di lei. Forse
perché lui non era in grado di distruggerla mentre lei
poteva benissimo ucciderlo. Lui non sarebbe mai stato capace di
affondare la sua spada nel petto della ragazza, non ne aveva il
coraggio. Sarebbe morto anche lui. Ma lei aveva abbandonato da tempo
quella realtà e aveva abbracciato un nuovo tipo di vita, un
modo di vivere che non le consentiva e non la rendeva capace di amare
nessuno. Né tantomeno di risparmiare qualcuno.
Fece un balzo e
uscì dal cespuglio.
Contemporaneamente anche
lui era balzato fuori dalla radura.
Rebecca puntò
le due spade contro il ragazzo e rimase immobile, a studiarlo,
impassibile.
Lui impugnò
la sua spada leggendaria e gliela puntò contro, il volto
deformato da uno sforzo incontenibile, una rassegnazione troppo
difficile d’accettare.
Si guardarono in un
tacito silenzio, pronti ad attaccare.
Rebecca
ghignò, vide nel riflesso della lama della sua spada che i
suoi occhi erano rossi. “Era da tempo che aspettavo questo
momento, Gabriele”
Rebecca si svegliò con la fronte imperlata di sudore,
scattò a sedere con la bocca spalancata in una ricerca
disperata di ossigeno. Si toccò il viso, il collo, le
braccia…era completamente bagnata. Scacciò via le
coperte di lana che le procuravano un caldo asfissiante. Vide Gabriel
svegliarsi, scombussolato e allarmato. Era quasi sicura di aver urlato
nel sonno.
“Che succede?!” esclamò preoccupato,
circondandole le spalle con le sue braccia nude vedendola in uno stato
di schok.
Rebecca provò a parlare ma non ci riuscì. Il
sogno era stato così reale…poteva sentirsi
addosso tutta la tensione e l’ansia dove poco prima vagava
l’odio e la vendetta. Si portò una mano sul cuore:
batteva velocissimo.
Emise un rantolo soffocato, di dolore, e si buttò tra le
braccia del ragazzo.
“Che è successo?” ripetè
Gabriel, accarezzandole la testa.
Gabriel era a conoscenza dell’importanza dei sogni di un
angelo e non erano da sottovalutare.
“Un incubo” mormorò lei con voce roca.
Gabriel socchiuse gli occhi e per un attimo smise di respirare.
“Raccontamelo”
“Non credo che tu voglia ascoltarlo”
“Coraggio…”
Rebecca scosse la testa insistentemente e si mosse convulsamente, come
per staccarsi, anche se Gabriel la teneva stretta e non la lasciava
andare. “Non vuoi parlarmene?” le chiese
dolcemente.
“No”
Gabriel inspirò profondamente e si sdraiò,
tenendo la ragazza sul suo petto. Coprì tutti e due con le
coperte e le disse di dormire un altro po’, che era troppo
presto. Rebecca lo ringraziò e gli baciò il
torace. Cercò di chiudere gli occhi ma non riuscì
a riprendere sonno.
Due occhi rossi continuavano a guardarla nei suoi sogni.
E intanto gli occhi le bruciavano.
***
Mortimer fece chiamare al suo cospetto il Nim sopravvissuto. Era seduto
nella sala del trono e si ammirava le dita giallastre nella cupezza del
salone. Le due guardie che aveva incaricato erano sparite. Tornarono
poco dopo con il Nim in mezzo a loro, trattenuto per le braccia mentre
scalciava e si dibatteva, ripetendo continuamente la stessa frase:
“io non ho fatto niente”
Ma come si poteva riuscire ad aggirare Mortimer?
Le due guardie gettarono ai piedi di Mortimer il Nim che non fece
niente per ribellarsi, poteva solo imprecare. Sapeva che se avesse
tentato di scappare il suo signore non ci avrebbe messo molto ad
ucciderlo seduta stante.
Mortimer tenne i suoi occhi vuoti immobili sulla creatura.
“Dovresti sapere a cosa vai incontro nascondendo degli
oggetti preziosi” lo canzonò.
Il Nim spalancò la bocca e gli mancò il respiro.
Non si poteva fare niente che non passasse inosservato a Darth Threat.
Le gambe cominciarono a tremargli. Si alzò lentamente
tenendo lo sguardo basso.
“Chiedo perdono, mio signore”
“Dammi immediatamente il pugnale che hai trovato”
sibilò.
Con mani tremanti il Nim prese dal mantello il pugnale e lo porse a
Mortimer che attendeva con le braccia tese. Non appena fu nelle sue
mani lo rigirò e lo ammirò con il volto
meravigliato.
“Dove lo hai trovato?”
“Appartiene alla ragazza, l’angelo Aidel”
Sentire quel nome provocò in Mortimer un senso di vuoto mai
colmato. Tenne lo sguardo sull’arma con aria assente.
“Questo è mio, perché ce
l’aveva lei?”
Il Nim scosse la testa, disperato. “Non lo so!”
“È della mia famiglia. È passato nelle
mie mani e mi è stato portato via molto tempo fa, proprio
dall’angelo Gabriele, durante uno dei nostri
scontri” il Nim e le guardie lo fissarono senza capire.
“Perché Gabriel avrebbe dovuto dare questo pugnale
proprio a Rebecca?”
Nessuno dei tre rispose e Darth Threat si chiuse in un muto silenzio.
Era riuscito a sbarazzarsi di Aidel molto tempo fa, aveva fatto
rinnegare Adele e aveva fatto sì che a Gabriel venisse tolto
il titolo di angelo. Possibile che quella ragazza gli dovesse creare
così tanti problemi? Aveva avuto una relazione con Adele,
sua zia, ma non era concesso a Rebecca di tenere il pugnale.
Il pugnale era magico ed era destinato solamente agli eredi della
casata.
Non poteva essere.
Rebecca non poteva tenerlo in custodia, non era la figlia di Adele
anche perché lui era sicuro di non aver avuto figli da lei.
Era a conoscenza del fatto che il pugnale si ribellava contro il
proprietario che non era il suo vero padrone. Perché alla
ragazza era rimasto fedele e devoto per tutto quel tempo? Un orrendo
dubbio gli pervase la mente.
Che Rebecca fosse sua figlia?
Mortimer scosse la testa.
Impossibile. Adele non era mai stata incinta. Rebecca era figlia di
Aidel e non c’erano dubbi. Ma che centrava Aidel in tutto
questo? E Rebecca? Com’era possibile che a quella ragazzina
venisse riconosciuto dal suo pugnale il titolo di erede? Darth Threat
aveva un solo figlio: Atreius, avuto dalla ninfa del fuoco Magdala. Non
aveva figli dispersi sul pianeta, era da escludere.
Puntò i suoi occhi freddi sui tre uomini ancora davanti a
lui. Era scontrosamente nervoso.
Riprese il controllo della situazione e con uno scatto si mise il
pugnale al sicuro dentro il suo mantello nero. Poi, rivolto alle
guardie indicò il Nim: “Uccidetelo”
Il Nim sbarrò gli occhi. “No! Non ho fatto niente!
No! Pietà!”
Le due guardie presero con forza la creatura e la portarono di peso
fuori dalla sala. Le sue urla si sentirono rimbombare per tutto il
castello.
***
E venne la mattina. L’alba, i cui pallidi raggi del sole
accecarono gli uomini, svegliò i guerrieri dormienti. Mentre
tutti i soldati si alzavano, mangiavano, si lavavano e indossavano
l’armatura, Bastian raggiunse la tenda dei due ragazzi.
Non chiese il permesso, entrò e quello che vide gli fece
chiudere gli occhi all’istante.
“Mio Dio, neppure in guerra sapete trattenervi?!”
domandò con una nota isterica nella voce, vedendo i due
guerrieri nudi avvolti da una coperta che li ricopriva appena.
Gabriel si svegliò per primo, teneva ancora Rebecca poggiata
sul suo petto. Fulminò con lo sguardo il capo-villaggio e
sembrò quasi che sputasse fumo dalle orecchie. Strinse a
sé la ragazza e cercò di coprirla. Non gli andava
il fatto che Bastian potesse vederla. “Scusa Bastian, ci dai
due minuti?!”
“Vi aspetto fuori” disse con calma, cercando di non
guardare la giovane ragazza ancora addormentata.
Aspettò fuori dalla tenda, in piedi e con le braccia
incrociate al petto. Sentì dei rumori provenire da dentro la
tenda e poi la voce perplessa e assonnata della ragazza che si
svegliava. Uscirono dopo pochi minuti ed erano già vestiti
con le divise da guerra. Rebecca sembrava proprio ad un angelo.
“Che cosa volevi?” domandò in tono
scontroso il ragazzo parandosi di fronte all’uomo.
Rebecca si tenne indietro e si appoggiò con aria assonnata
al palo della tenda.
Bastian schioccò la lingua. “Volevo rivedere con
voi il piano”
“Oh si, le tattiche…” lo prese in giro
la ragazza con una cantilena.
“Non è il caso di essere spiritosi in un momento
come questo” disse severamente Bastian.
Rebecca si morse il labbro per non ridere. “Ok,
scusa”
“Oggi andiamo in guerra, lo sapete spero, no?” i
due ragazzi rimasero zitti e Bastian continuò:
“Rebecca, mi servi subito in postazione, partirai per prima
con il tuo gruppo di uomini, vieni con me che ti faccio vedere dove
partire. Tu, Gabriel, mi segui e quando te lo dirò io andrai
anche tu ad attaccare con il secondo gruppo. Sono stato
chiaro?”
Rebecca e Gabriel si drizzarono e si portarono una mano sulla fronte
imitando il saluto militare. “Agli ordini,
signore!”
***
Salve a
tutti!!! manca poco alla fine del primo "libro"
(libro???..beh,
come diavolo si chiama)
-
2 capitolo!!!!
RECENSITE,
mi raccomando!!!!
"I
THANKS":
OASIS:
grazie per la recensione, spero che anche questo capitolo ti sia
piaciuto. fammi sapere!!! bacioni
CHICCA90:
allora cara mia, mancano due capitoli: COME FUOCO VIVO SI ACCENDE e
L'ALBA DEGLI EROI. dopodichè è finito il primo
capitolo della saga!!!! contenta??? eheh, mi sa no tanti, giusto????
recensisci presto!!! kissolo
NIKKITH:
anche se la guerra è iniziata ti posso assicurare che non
durerà interi capitoli. non mi piace scrivere pagine di
guerra, ma siccome mi tocca farlo sennò non completo bene la
storia...sopportiamo insieme!!!!! a presto, baci
VALEVRE:
eh infatti vedrai come andrà a finire questa
storia....eheh..continua a seguirmi e fammi sapere che ne pensi,
bacioni.
STRAWBERRY_FLAVOUR483:
ehi elena, guarda che ti tendo!!!!..fammi sapere come trovi i seguenti
capitoli..ormai finisco la storia che tu hai appena iniziato a leggere
il primo capitolo!! bella comunque la tua storia, recensirò
e fallo anche tu con me!!! baci bella, ci si vede in corriera...ehehehehe!!!
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Capitolo 24 *** Gli albori della guerra ***
Cap. 24 - GLI ALBORI
DELLA GUERRA -
[Il
tempo prenderà la mia mente
e
la porterà via lontano, lì dove posso volare.
Non
tornerò indietro ma abbasserò
lo
sguardo per nasconderlo dai tuoi occhi
perché
quel che provo è così dolce e sono
così
spaventata
che addirittura il mio stesso respiro
potrebbe
scoppiare se fosse una bolla
e
farei meglio a sognare invece di combattere]
Elisa
- Dancing -
***
L’esercito
era pronto. Una linea perfetta e impeccabile di soldati era allineata
in prima fila mentre dietro di essi un gruppo ammassato e scomposto
formava lo squadrone dei volontari. I volontari erano divisi in due
gruppi, come anche i guerrieri. Il primo seguiva l’angelo, il
secondo l’arcangelo. Gabriel era distante da Rebecca, era a
dorso del suo bellissimo destriero e la vedeva lontana, a piedi e senza
armi in mano, davanti a tutti. Gli dava le spalle, i suoi occhi
guardavano il cielo. Ci fu un solo istante in cui lei si
voltò per guardarlo, poi ritornò al suo posto
osservando il castello. Un brivido gli percorse la schiena, lasciandolo
senza fiato. Era così preoccupato che se fosse stato per lui
l’avrebbe lasciata a casa, l’avrebbe tenuta al
riparo.
Devo imparare ad amarla un
po’ meno, pensò fissandola, incapace
di staccarle gli occhi di dosso. Come
quando eravamo ancora amici, ancora estranei.
***
L’aria
fredda gli pungeva il viso.
“Perché
diavolo dobbiamo andare nel bosco a queste ore della notte?!”
sbottò irritato Gabriel, osservando Rebecca che camminava
tutta euforica ed emozionata accanto a lui.
Lei gli
rivolse un sorriso smagliante. “Kevin mi ha detto che di
notte, vicino al portale tra Chenzo e la Terra, nel laghetto, si
possono vedere le sirene!”
“E
tu credi a tutto quello che ti dice Kevin?! Lo conosco da molto tempo e
ti posso giurare che se di Denali ci si può fidare di Kevin
no!”
Lei non
riusciva a contenere la sua gioia e lui abbassò
immediatamente lo sguardo, incapace di vedere tanta bellezza.
“Ma Gabriel, che pessimista che sei!” disse con una
risata.
“Sono
realistico, non pessimistico”
“È
la stessa cosa! E comunque aspetta prima di sputare sentenze, magari ci
sono nel laghetto!”
Gabriel
alzò gli occhi al cielo. “Le sirene, anche se
fosse, vivono nel mare, negli oceani, non in un laghetto grande tre
metri!”
Lei non
voleva sentire ragioni e con forza lo tirò dietro di
sé. Camminarono a passo spedito e Rebecca scostava per lei e
per Gabriel i rami degli alberi che, all’altezza del viso,
ostruivano il passaggio. Arrivarono alla radura e videro lo specchio
d’acqua, luminoso, brillante, la cui cascata provocava un
tranquillo rumore. La pace era la regina assoluta di
quell’angolo di paradiso terreno.
Gabriel si
fermò e si mollò dalla presa delle mani della
ragazza, incrociandole al petto. Il suo cipiglio era innalzato e
severo.
Rebecca
proseguì e si lasciò cadere sulle sponde del
laghetto, i palmi in avanti e il corpo proteso verso lo specchio
d’acqua. Scrutava attenta la superficie ma non vide nulla.
Provò a chiamare le sirene. Sentì Gabriel ridere
dietro di lei. Lo fulminò con gli occhi.
Gabriel era
piegato in due dal ridere.
“Che
c’hai?!” chiese la ragazza alquanto irritata.
Gabriel si
fermò e riprese fiato. “No, è
che…” riprese a ridere. “Le sirene non
parlano la nostra lingua e vedere te, lì, che le chiami
aspettando che ti rispondano…mi fai pena, povera ragazza
sprovveduta”
Rebecca
ridusse gli occhi a due fessure. “Sprovveduta a chi?!
Ripetilo se hai il coraggio!”
Il ragazzo
mise le mani in tasca e si appoggiò al tronco con aria
annoiata. “Tesoro, non per offenderti, ma hai a malapena
imparato ad impugnare un’arma”
Lei si
alzò e si mise le mani sui fianchi. “Con questo
non vuol dire che io sia impedita!”
“Ho
solo detto che sei sprovveduta, indifesa, innocua…come vuoi
tu, insomma”
“Ti
prometto che un giorno sarò così forte e potente
che niente potrà sconfiggermi”
Il volto di
Gabriel s’incupì. “Questi sono discorsi
egoistici. Io non voglio che tu diventa forte solo per farti un favore,
ti sto allentando e sono il tuo maestro perché tu possa un
giorno salvarci dal Male”
“E
io ti ho detto e ti ripeto che diventerò il più
grande angelo mai esistito così potrò aiutarvi
tutti”
Gabriel
ghignò. “Ora smettiamola con questi discorsi,
ritorna a cercare i tuoi pesci e lasciami in pace”
Rebecca
lottò contro tutta la sua buona forza di volontà
per non attaccarlo e spaccargli la faccia. Strinse i pugni e
ritornò ad accucciarsi sulla sponda con l’umore a
terra.
Con aria
assorta ammirava l’acqua muoversi lentamente. Poi,
all’improvviso, qualcosa si mosse nelle
profondità. Chiamò Gabriel a gran voce e lo
spinse a terra con lei, costringendolo ad inginocchiarsi. Entrambi
avvicinarono il viso allo specchio d’acqua, le bocche
spalancate e gli occhi sbarrati.
“Hai
visto?” domandò la ragazza con un filo di voce.
Gabriel
annuì con la testa, non aveva mai visto una sirena.
Videro che
la figura stava venendo a galla. Incollarono (se così si
può dire) ancor di più le facce contro lo
specchio d’acqua finchè una ninfa dispettosa non
sbucò con la testa fuori in superficie e li
spruzzò d’acqua il viso per poi dissolversi nel
nulla. Gabriel scattò indietro e alzandosi si
scrollò l’acqua di dosso, imprecando e lanciando
minacce alla ninfa. Rebecca rimase a terra e scoppiò a
ridere.
“Ti
avevo detto o no che le sirene non ci sono nei laghetti di
bosco?!” sbraitò il ragazzo. “Kevin
è capace solo di…smettila di ridere,
Rebecca!”
“Non
ci posso fare niente!” disse lei, tra una risata e
l’altra. “Dovevi vedere la tua faccia, Gabriel! Era
come quella di un bambino che guardava una vetrina di
Natale!”
Gabriel
perse la pazienza e si avventò su di lei. La prese con
rabbia per il polso e la strattonò con violenza
perché smettesse di prenderlo in giro. Rebecca si
alzò in piedi e, per niente impaurita dal ragazzo, lo
abbracciò.
Le mani di
Gabriel rimasero sospese a mezz’aria mentre sentì
il corpo della ragazza premersi contro il suo. La mano che poco prima
le aveva afferrato il polso era a pochi centimetri dal suo braccio
nudo. Rimase fermo dov’era, il cervello andò in
tilt. Aspettò che lei si allontanasse per riprendere a
respirare. Quando tornarono indietro verso casa lei rideva ancora di
tanto in tanto, cercando di non farsi sentire.
“Per
quello che è successo prima…” disse
Gabriel.
“Lo
so, io sono l’alunna, tu sei il mio maestro”
“Infatti,
non deve succedere ancora. Niente abbracci, né coccole,
né carezze. Intesi?”
“Lo
prendi molto seriamente il tuo lavoro…”
“Intesi?”
Rebecca
brontolò qualcosa e poi rispose, con voce tirata e falsa:
“Ti giuro che non succederà più.
Né coccole, né abbracci, né carezze,
né baci…niente di niente!”
“E
neppure l’amore” disse seriamente.
La ragazza
lo guardò con i suoi occhi scuri e profondi.
“Niente amore”
***
Gabriel
scacciò l’ondata di ricordi che lo stava
assalendo, riprese a respirare regolarmente e si caricò
sulle spalle uno zainetto che diede al medico lì vicino.
Raggiunse l’uomo con la tunica bianca e rossa e gli diede i
medicinali.
“Come
siamo messi con i farmaci?” domandò Gabriel
all’uomo che apparve dapprima impaurito e poi timoroso della
sua presenza.
“Ne
abbiamo abbastanza ma non bastano per tutti gli uomini”
Gabriel
prese una boccata d’aria. “Speriamo che non servano
a tutti gli uomini, sarebbe grave se tutti i nostri soldati si
ferissero gravemente”
Il medico
alzò le spalle e armeggiò dentro lo zainetto.
Gabriel continuò: “Ci sono altri medici,
giusto?”
“Si,
si! Siamo in otto, quattro ai lati e due al centro”
“State
pure tranquilli, siete neutrali, non vi attaccheranno”
Un lampo di
paura pervase gli occhi del giovane medico. “Signore, sta
scherzando, vero? Lei pensa che quelle bestie selvagge e assassine si
fermeranno quando vedranno che porto la divisa medica?”
Gabriel
rimase in silenzio, interdetto. “Lo spero per lei, a questo
punto”
Il medico
sbarrò gli occhi e il suo mento cominciò a
tremare. Gabriel se ne andò, deciso a farsi un giretto prima
di prendere posto nel suo gruppo di uomini. Rebecca stava parlando
animatamente con un soldato. Gabriel rise tra sé e
sé. Probabilmente quel povero sfortunato aveva disubbidito
ad un suo ordine e lei prontamente lo sgridava.
Come si fa ad amare un
po’ meno?
***
Avevano
appena fatto l’amore e lei si era addormentata tra le sue
braccia. Gabriel non riusciva a prendere sonno e trovò molto
più bello rimanere a guardarla mentre dormiva. La strinse
ancor di più a lui e intrecciò le gambe con le
sue. Le baciò la fronte sudata e appoggiò la
testa contro la testiera del letto.
Che cosa
poteva volere di più dalla vita?
Aveva lei
sdraiata sul suo corpo, addormentata e perfetta, come sempre. Lo amava
e gli aveva dato tutta sé stessa. Gli aveva donato un regalo
che a nessun altro ragazzo aveva mai fatto. Si sentiva in quel momento
più geloso che mai.
Dovette
averla stretta troppo forte perché lei si
svegliò. Puntò i suoi occhi color cioccolata su
quelli azzurri del ragazzo, con uno sguardo assorto e confuso.
“Scusa”
le disse Gabriel, baciandole i capelli. “Ti ho
svegliata”
Rebecca
toccò con le mani i fianchi scolpiti del ragazzo e poi gli
accarezzò la pancia piatta, perfetta e muscolosa. Lo
baciò all’altezza del cuore e sentì che
batteva fortissimo. “Non importa, non avevo poi tanto
sonno”
“Non
riuscivo a dormire, ero troppo preso a guardarti”
La ragazza
distese un pigro sorriso e si coccolò contro di lui.
“Ti ricordi quella notte quando siamo andati a vedere se
c’erano le sirene del laghetto?”
“Quella
notte ti ho odiata” disse Gabriel con un sorrisino.
“Ti
ricordi quando ti ho detto che sarei diventata forte e
brava?”
“Sì”
“Sei
contento ora che lo sono diventata?”
“Sono
orgoglioso di te, se è questo che vuoi sapere”
Rimasero
qualche secondo in silenzio dopodichè Gabriel si
chinò a baciarla. Si baciarono a lungo e con passione.
“Gabriel?”
lo chiamò la ragazza con voce pensosa.
“Dimmi”
“Perché
non hai voluto l’immortalità?”
“Ero
piccolo, mi ero già macchiato di tradimento e non volevo
più essere così fuori dal comune, volevo essere
come tutti gli altri, avevo paura della mia anormalità. A
quell’età ero molto precoce e feci la scelta
giusta, nonostante tutto”
“Ma
non vorresti averla, ora?”
Gabriel si
sistemò meglio le coperte. “Non so, non penso.
Perché?”
“Quando
il consiglio mi nominerà un angelo bianco, con tanto di
titolo e nominativo, mi daranno
l’immortalità?”
“Sì,
un angelo iniziato che diventa un angelo a tutti gli effetti riceve
automaticamente l’immortalità”
“Non
posso rifiutarla?”
“No”
disse Gabriel, teso.
“È
per questo che all’inizio non volevi stare con me, non
è vero?” domandò lei, con voce
malferma.
Gabriel
socchiuse gli occhi e rimase immobile.
“Rebecca…”
Lei si
tirò su in ginocchio, si coprì con le lenzuola, i
suoi occhi erano freddi e addolorati. Non rideva più.
“È per questo motivo che ti era tanto impossibile
stare con me! Sapevi fin dall’inizio che io avrei ricevuto
l’immortalità, io sarei rimasta giovane per sempre
mentre tu saresti invecchiato, saresti morto! Era un rapporto
impossibile da portare avanti!”
“Non
volevo stare con te perché non volevo che arrivassi ad
assistere alla mia morte. Inoltre, sii ragionevole, tu rimarrai bella,
giovane, con la tua pelle morbida e il tuo corpo fresco mentre io
diventerò vecchio. Per quanto tu possa amarmi non saresti
mai in grado di stare con me tra cinquant’anni. So come
finirà, te ne andrai via con un altro giovane ragazzo e mi
lascerai morire di solitudine e rimpianti”
Rebecca
scosse la testa, sconvolta. “Non è
vero…”
“Sapevo
a cosa andavo incontro nel momento in cui ho deciso di baciarti per la
prima volta. Però, finchè siamo entrambi giovani
e mortali possiamo stare insieme, senza contare che io sono
più grande di te”
Rebecca
tolse le mani del ragazzo dal suo corpo, inorridita. “Come
puoi dire una cosa simile?! Finchè
siamo giovani stiamo insieme?! E dopo? E dopo, quando io
avrò l’immortalità e tu no, cosa farai?
Cosa faremo?!”
Gabriel
distolse lo sguardo e i suoi occhi divennero due lame di ghiaccio.
“Ti lascerò andare”
La ragazza
gli sferrò un pugno sul petto. “Non ci provare
nemmeno! Non mi lascerai, capito?!” esclamò,
emanando un rantolo di dolore che la portò a piangere.
“È
sempre stato un rapporto impossibile il nostro, Rebecca. Te
l’avevo detto fin dall’inizio, ti avevo avvertita
di non innamorarti”
Rebecca
scosse con la testa tutto il corpo, mentre lacrime copiose le
scendevano sul viso e bagnavano le coperte. “Ma tu puoi
chiedere l’immortalità! Gabriel, te la
daranno!”
“Posso
riprendermela, è vero, ma devo ritornare un angelo bianco
per averla”
La ragazza
si coprì il volto con le mani e pianse disperatamente.
Gabriel, per quanto volesse stringerla tra le sue braccia, rimase
immobile al suo posto. Dopo qualche minuto Rebecca smise di piangere e
si asciugò il viso, puntò i suoi occhi contro
quelli del ragazzo e Gabriel vi lesse tutta la sua rabbia e la sua
disperazione.
“Ti
odio” gli disse a denti stretti.
Gabriel si
paralizzò, potè benissimo sentire tutti i suoi
muscoli tendersi e bloccarsi.
Vide Rebecca
tirarsi appresso la coperta e uscire dalla camera sbattendo la porta.
Non
riuscì a muoversi per parecchie ore. Teneva la bocca
semichiusa nella disperata ricerca di ossigeno, il suo cuore era a
pezzi. Si sentiva spaccato a metà, gli occhi gli bruciavano
e la gola era secca.
Si
alzò dal letto, si mise i boxer e come un cadavere raggiunse
la porta. Uscì in corridoio e sentì un singhiozzo
provenire dalla camera di Rebecca. Entrò e la vide distesa
nel suo letto, con le coperte che la racchiudevano completamente e il
corpo scosso dai singulti.
Con la morte
nel cuore salì nel letto e si distese di fianco e lei.
L’abbracciò raccogliendola sotto di sé.
Le diede un bacio sulla guancia e subito lei si pulì con la
mano.
Provò
a parlare ma gli riuscì difficile. “Ti prometto
che riuscirò a tornare un angelo bianco, così
avremmo tutti e due l’immortalità, ok? E quando ne
avremmo abbastanza dell’immortalità la ridaremo al
consiglio e passeremo il resto della nostra vita da angeli mortali,
invecchieremo e metteremo su famiglia, va bene?”
Rebecca
smise di piangere ma rimase comunque silenziosa.
“Bec,
per favore, non farmi questo…”
“Non
ti sto facendo niente, sei tu che mi hai spezzato il cuore. Mentre
stavamo insieme, mentre facevamo l’amore, tu stavi
progettando il giorno in cui mi avresti lasciata”
“Non
dire così”
Rebecca
tentò di allontanarlo da sè, invano.
“Perché? Sapevi che era una storia impossibile,
che ci saremmo dovuti separare, perché hai voluto
iniziarla?!”
Gabriel
corrucciò la fronte, perplesso. “Avresti preferito
non essere mai stata con me?”
“Sì!
Se avessi saputo fin dall’inizio che poi ci saremmo dovuti
lasciare non avrei mai voluto iniziare questa storia! È
un’assurdità!”
Gabriel si
arrabbiò, la prese per le spalle e la fece voltare.
“Guardami! Guardami negli occhi e ripeti quello che mi hai
appena detto!” era fuori di sé, era violento e
distaccato.
Rebecca,
incontrando i suoi occhi, riprese a piangere. Non parlò e
Gabriel si calmò, la lasciò andare e si
tirò indietro. “Io volevo solo provare
l’emozione di stare con te” disse con voce
soffocata.
Fece per
andarsene ma venne trattenuto dalla mano dolce e calda di lei che lo
bloccò.
“Non
andartene” gli disse Rebecca che, avvicinandosi, gli
sfiorò l’orecchio con le labbra. Premette il suo
corpo contro la schiena del ragazzo e gli passò le mani sul
petto.
Gabriel
cercò di controllare il respiro che era diventato
improvvisamente affannato. “Mi odi?”
“No”
“Mi
ami?”
“Sì”
“Questa
che ti ho fatto è una promessa, staremo insieme, da
immortali. La prima tra noi due ad esserlo sarai tu”
“E
quando mi seguirai?”
“Non
appena mi sarà possibile”
Rebecca
emise uno sbuffo. “E se non ti daranno
l’immortalità? E se non riuscirai a riscattarti e
a riavere il tuo riconoscimento?”
“Allora
dovrai imparare a vivere senza di me”
Rebecca
ricacciò indietro le lacrime e aprì la bocca in
un urlo silenzioso. Quello era il prezzo da pagare per essere un eroe.
Se Gabriel non sarebbe stato capace di ritornare angelo lei avrebbe
dovuto restare immortale e l’avrebbe visto morire.
“Non
posso diventare un angelo bianco e rinunciare subito
all’immortalità?” domandò con
una nota di speranza nella voce.
“No,
per rinunciare all’immortalità devi essere
abbastanza potente e avere un certo grado di importanza, e questo non
avviene nei primi cinquant’anni” concluse con voce
strozzata.
Rebecca lo
fece voltare e rimasero a guardarsi negli occhi, uno di fronte
all’altra. “Suppongo che tu voglia che io sia
forte”
“Assolutamente”
“Mi
riesce difficile pensare che un giorno tu non possa più
camminare su questo mondo”
“Andrai
avanti benissimo anche senza di me”
“Da
come parli sembra che non ci sia speranza nel riavere indietro la tua
immortalità”
“Bisogna
prendere in eventualità entrambe le opzioni”
Rebecca
cercò di sorridere ma le venne fuori una risata spenta,
vuota, lamentosa. “Allora speriamo che vada tutto bene,
speriamo che il consiglio ti ridia il titolo di angelo bianco una volta
che avrò sconfitto Mortimer, così passeremo
un’eternità insieme”
“Esatto”
“E
nel caso andasse tutto storto, dovrò farmene una ragione:
continuerò la mia vita senza di te e non appena
riceverò quel grado di importanza domanderò la
mortalità e ti seguirò nella morte”
Gabriel
accostò il viso a quello della ragazza e la
baciò. Le accarezzò una guancia e si mise sopra
di lei. Le scostò le lenzuola che la coprivano e si
sfilò i boxer. Muovendosi, facendosi spazio tra le sue gambe
entrò in lei e gemette. La sentì aggrapparsi alle
sue spalle e si spinse ancora più dentro, affondò
con forza in lei e le sussurrò all’orecchio,
ansimando: “Vedrai, l’immortalità non
è poi così male. Questo è solo
l’inizio della tua vita Rebecca, tra trecento milioni di anni
sarai ancora in piedi”
“Sì,
Gabriel” sussurra lei. “Ma non con te”
***
Devo amarla un
po’ meno.
Gabriel era
sul punto di abbandonare la guerra, sarebbero stati bene insieme, lei
non avrebbe mai ricevuto l’immortalità. Persino
gli eroi non possono arrivare dappertutto, non possono compiere
miracoli. Ma forse lei sì, lei è diversa, lei
è un eroe.
Gabriel
sentì Bastian urlare a squarciagola discorsi patriottici e
incoraggianti all’esercito e tutti i soldati, carichi ed
eccitati, alzavano le mani al cielo e seguivano Bastian con entusiasmo
e coraggio. Rebecca era da sola, davanti a tutti, le braccia incrociate
al petto, le gambe divaricate. Lo stava fissando, il suo sguardo era
triste e al tempo stesso amorevole.
Ora o mai
più.
Facendosi
largo tra la folla Gabriel la raggiunse di corsa e prima che lei
potessi solamente fiatare o dire qualcosa la baciò davanti a
tutti. Incuranti della gente, incuranti del fatto che Bastian gli
stesse guardando si baciarono. Si baciarono con rabbia, disperazione,
bisogno…come se potesse essere il loro ultimo bacio. Quando
si staccarono Gabriel si allontanò e ritornò
indietro, affiancando il suo gruppo di guerrieri.
Bastian
storse il naso e affiancò Rebecca.
“Pronta?”
le chiese.
“Ora
o mai più”
L’alba
era appena finita e il sole iniziava ad innalzarsi da dietro i monti,
il buio rimaneva comunque il signore indiscusso di quelle terre aride e
morte.
Bastian
alzò la spada affinché tutti potessero vederlo.
La spronò in aria e la puntò contro il castello
di Darth Threat. “Questo è il segnale uomini,
andate!” urlò all’esercito.
La guerra
iniziò.
Iniziò
nel momento in cui gli uomini del primo gruppo cominciarono a correre
brandendo le armi verso il castello, nel momento in cui Bastian gli
guidò correndo davanti a tutti, nel momento in cui Rebecca
aprì le ali e volò dentro una finestra del
castello, nel momento in cui il volto di Gabriel divenne pallido.
***
“Signore!
Signore!” la guardia corse dentro la sala del trono urlando a
più non posso. “Signore, ci attaccano!”
Mortimer,
apparentemente addormentato nel suo trono, aprì un occhio.
Non sembrava né preoccupato né tantomeno sorpreso
della notizia. Scrutò il suo uomo con calma e diffidenza.
“Raduna
l’esercito, dà l’ordine di difendere il
castello. Fà partecipare tutti, tutti devono combattere,
nessuno deve sopravvivere, non voglio fare prigionieri. Ora
và”
La guardia
se ne andò in tutta fretta e lasciò la sala del
trono nella semioscurità.
“Padre…”
disse Atreius facendo la sua comparsa da dietro il trono di Darth
Threat. “Cosa vuoi che faccia?”
“L’angelo
verrà da me. Voglio che tu pensa
all’altro”
“A
Gabriel?”
“Sì,
proprio a lui”
Atreius
scomparve e Mortimer rimase finalmente da solo. Congiunse le mani sotto
il mento e aspettò che lei arrivasse. C’era
già stata nella sala del trono e sapeva come arrivarci. Non
vedeva l’ora di ucciderla una volta per tutte. Con lei
sarebbe finita la discendenza degli angeli.
L’esercito
di Mortimer stava dormendo quando gli venne dato l’ordine di
alzarsi e di attaccare, si creò immediatamente il caos
generale, le truppe non sapevano come muoversi e non ricevevano ordini
precisi dalle guardie che poco sapevano più di loro.
Mortimer non si preoccupava affatto dei suoi uomini, quello che gli
importava era di uccidere Rebecca, perciò non si mosse di un
centimetro dal suo trono e si disinteressò completamente di
come procedevano le reclute nel campo esterno del castello. Si
fidò del giudizio delle sue guardie, confidava che sarebbero
state in grado di guidare l’esercito alla difesa della
fortezza. In caso contrario, peggio per loro, gli avrebbe uccisi per la
loro incapacità.
Tirò
fuori il pugnale della sua famiglia dal mantello e se lo
rigirò tra le mani. Sospirò pesantemente e
divaricò le narici del naso quando sentì il suo
profumo farsi sempre più vicino.
***
Rosalie era
affaticata. Era tutto il giorno che si sentiva gonfia e incredibilmente
esausta, le doleva il ventre e la schiena. Emise dei piccoli lamenti
quando dovette riporre una terrina in cima alla credenza, protese il
corpo in alto, si mise in punta di piedi e allungò le mani
per poi richiudere l’anta. Quando i piedi ritoccarono terra
la ragazza si bloccò. Spalancò gli occhi a
dismisura.
Adele, che
passava in quel momento con aria assorta e spensierata, si
fermò alla vista della figlia.
“Oh
mio Dio…”
Rosalie
stava strizzando gli occhi dal dolore e la bocca era ricurva in una
smorfia, il corpo era piegato in avanti e con una mano pressava il
pancione. Sotto di lei una pozzetta d’acqua bagnava il
pavimento e i suoi piedi.
“Oh
mio Dio…” ripetè la donna.
Senza
perdere tempo Adele le corse incontro, le circondò le spalle
e l’accompagnò a piccoli passi fino al divano. La
fece sdraiare supina e la guardò terrorizzata. Era pronta a
tutto ma non a quello!
“Ok,
tesoro, stai per partorire. Ti si sono appena rotte le acque. Come ti
senti?” era una domanda stupida, Adele lo sapeva, e infatti
la ragazza la fulminò con uno sguardo paonazzo.
“Come
vuoi che mi senta?!” sbraitò. “Come una
che sta per avere un maledetto bambino!”
Adele non
aveva mai avuto figli, non aveva mai avuto una gravidanza e
naturalmente non aveva mai dovuto partorire. Si sentiva impreparata,
impacciata e goffa. Non sapeva come comportarsi con la figlia, non
aveva mai fatto nascere nessuno né tantomeno aveva assistito
ad un parto. “Vado a chiamarti Denali” disse in
preda al panico.
Corse fuori
lasciando la figlia in uno stato catatonico, pregò
perché Denali si trovasse lì vicino. E infatti lo
vide, poco distante, intento a tagliare la legna con un’ascia
in mano. Adele lo chiamò, anzi, se si può dire,
fece il suo nome urlando come una pazza. Denali si voltò e
vedendo il viso sudato, preoccupato e agitato della donna
mollò l’ascia a terra e le corse incontro.
“Che
succede?!” domandò allarmato. “Rosalie
è…?”
“Sta
partorendo, porca miseria!”
Denali
sbiancò e Adele lo prese per mano fino a condurlo in sala,
dove la figlia si contorceva in preda al dolore. Denali si
accovacciò di fianco a lei e le prese la mano, tremava ed
era bianco come un lenzuolo. La salivazione era aumentata e aveva un
senso di vomito fortissimo. Cominciò a non vederci bene e
non appena Adele lo affiancò credette di svenire dalla
paura.
Rosalie,
più isterica che mai, prese il ragazzo per il colletto della
camicia e lo attirò a sé con violenza.
“Tu! È tutta colpa tua se mi trovo in questa
situazione!”
Denali non
sapeva che dire. “Rose, io…”
“Rose
un corno! Aspetta che mi alzi e ti ammazzo Denali, ti ammazzo con
queste mani!” gli mise un pugno davanti agli occhi mentre con
l’altra mano lo teneva ancora per la camicia.
Denali
fissò inorridito il pugno che la ragazza gli parò
davanti al viso e guardò con aria supplichevole Adele che
aveva iniziato a bagnare la fronte di Rosalie con delle pezzette di
acqua fredda. Adele scrollò le spalle. “Non ti
preoccupare Denali, non fare caso a quello che dice. È in
uno stato di schok, è il dolore che non la fa ragionare
bene”
Denali
deglutì, si sentiva impotente. “Forza,
procediamo”
Rosalie
gettò la testa indietro e urlò. “Per
favore, vi prego, fate in fretta. Non ne posso
più!”
Denali vide
Adele rimboccarsi le maniche e fece altrettanto. “Che devo
fare?” sussurrò.
Adele lo
guardò e gli indicò la ragazza.
“Tienile forte le mani, dalle un supporto, consolala, fa
quello che ti pare basta che la conforti”
Il ragazzo
annuì con vigore e prese con forza le mani di Rosalie tra le
sue.
Tutto
avvenne troppo in fretta perché Denali se ne rendesse conto.
Adele, nonostante la sua ignoranza nel far partorire, riuscì
ad essere controllata e lucida. Sollevò la maglia della
figlia e le scoprì la pancia, poi le tolse i pantaloni e le
divaricò le gambe. Non era sicura di quello che stava
facendo ma cercò di tranquillizzare la ragazza.
“Ok
tesoro, ora comincia a spingere”
Rosalie
spalancò la sua bocca in una O. “Fa
male!”
“Spingi
più forte che puoi, io sarò qui e
aiuterò il bambino a venir fuori”
Lo sguardo
di Denali passava da una donna all’altra, la bocca aperta e
la fronte corrucciata. Rosalie cominciò a spingere sotto
consiglio della madre, spinse più forte che potè
finchè non si sentì lacerata in due.
Avvertì una fitta intensa al basso ventre e tentò
di gridare ma la voce le si spezzò e non emise alcun suono.
“Vedo
la testa!” esclamò la donna eccitata.
Denali
cominciò a prendere colore e con un sorriso smagliante si
rivolse alla ragazza: “Dai tesoro, un’altra
spinta”
Dopo un
altro paio di spinte un pianto di bambino echeggiò in tutta
la casa. Adele lo afferrò con cura e lo mostrò ai
due giovani. Rosalie si accasciò nel divano ed
espirò profondamente, Denali prese in braccio il bambino con
il viso illuminato dalla felicità.
“È
un maschio, ha i tuoi capelli biondi, Rose” disse il ragazzo
in un moto di orgoglio paterno, stringendosi al petto il neonato.
Lo
cullò tra le braccia e lo fece per dare a Rosalie quando
vide il volto della ragazza cambiare da un sorriso compiaciuto ad uno
sguardo terrorizzato. Il fiato gli si mozzò in gola e con
voce impercettibile mormorò: “Che succede,
Rose?”
Adele la
guardò allibita e rispose al suo posto. “Ce
n’è un altro”
Fortuna
volle che Denali fece in tempo a dare a Rosalie il figlio prima di
svenire e cadere pesantemente sul pavimento duro.
Quando si
svegliò il ragazzo aveva un forte mal di testa. Era disteso
nel suo letto e scattò in piedi, corse giù per le
scale con una tale furia che quasi non travolse Adele che stava
salendo. La guardò e lei gli sorrise, gli fece cenno di
andare al piano inferiore.
Quasi con
timore Denali scese al pian terreno. Vide Rosalie in cucina, bellissima
e già in piedi che camminava avanti e indietro. Non si
direbbe che avesse appena partorito. Tra le sue braccia, che dormivano,
c’erano due bambini. Uno era moro come il padre,
l’altro biondo come la madre.
Denali si
avvicinò a lei e accarezzò i figli, commosso.
“Sono due maschietti?”
Rosalie
scosse la testa, fiera e allegra. “Un maschio e una femmina.
La femmina ha i tuoi capelli scuri, il maschio è biondo.
Prima avevano gli occhi aperti, è presto per dirlo ma il
maschio ha gli occhi grigi e la femmina ha gli occhi verdi”
Denali
distese un sorriso appagato. “Hanno preso un po’ da
uno e un po’ dall’altra, insomma”
“Esatto”
“Come
gli chiamiamo?” domandò, senza staccare gli occhi
dai due bambini.
“A
me piacerebbe chiamarli Ian ed Emma. Se a te stà bene,
naturalmente”
“Ian
ed Emma…uhm…sì, mi piace!”
disse tutto convinto. “Ti dispiace se ne tengo uno in
braccio?”
“Se
vuoi te li do tutti e due”
“Sì,
grazie. Sarebbe fantastico”
***
Le celle
delle prigioni del castello erano quasi vuote. Mortimer non faceva
prigionieri, i pochi ad essere stati rinchiusi erano casi speciali.
Rebecca sapeva che in una di quelle celle c’era un suo caro
amico. Entrò con prepotenza nelle prigioni e uccise con la
magia le guardie che custodivano le segrete. Rubò il
mazzetto di chiavi dal corpo inerme di una di queste e si
avvicinò alla cella di Alan. L’uomo era ancora
rinchiuso e stava dormendo con le braccia intorno alle ginocchia, la
testa era appoggiata alle mani. Rebecca non trovava le chiavi giuste e
non aveva molto tempo da perdere. Perse la pazienza. Si
allontanò dalle grate e puntò il palmo aperto
della mano contro la cella. Mormorò un incantesimo e le
grate saltarono in aria. Prima che le sbarre cadessero a terra
provocando un rumore assordante la ragazza con il pensiero le tenne
bloccate in aria e le appoggiò al terreno piano e con calma.
Entrò
nella cella e scrollò l’uomo.
Non dava
segni di vita e questo la preoccupò non poco. Allora gli
controllò il battito cardiaco e la respirazione. Era vivo.
Lo prese, se lo caricò in spalla e andò fuori
dalle prigioni. Davanti a lei un’enorme finestra ad arco dava
sul campo del castello dove stava avvenendo il combattimento, vedeva il
suo gruppo scontrarsi con gli uomini di Mortimer e il gruppo di Gabriel
che stava indietro, in disparte, pronto ad intervenire in caso di
bisogno. Aguzzando la vista la ragazza non riuscì a trovare
Gabriel.
Doveva
essere andato da Atreius.
Vide Bastian
a dorso di un nuovo cavallo (l’altro era morto il giorno
prima, come lei aveva predetto) e stava attaccando il nemico. Per
fortuna era salvo.
Rebecca
corse con Alan sulle spalle lungo la scalinata e aprì una
porta a caso trovandosi in una sala vuota con un solo tavolo in legno
al centro e delle sedie intorno. Non c’erano finestre, era
buio e c’era un grande camino incastrato nel muro alla sua
sinistra. Appoggiò con cura e attenzione Alan facendogli
aderire la schiena contro la parete grigia in sassi. Lo pose vicino al
caminetto e, notando che c’erano già delle stele,
lo accese con una vampata di fuoco che partì dai suoi occhi.
Uscì
dalla stanzetta e focalizzò il numero che era riposto in
alto della porta e che indicava il numero della sala nel castello.
137.
Con la magia
bloccò la serratura in modo che nessuno potesse entrare
né uscire. Proseguì lungo il corridoio cercando
di ricordare dove si trovava la sala del trono.
Accellerò
quando cominciò a riconoscere quei corridoi.
***
Gabriel non
aveva idea da dove partire per cercare Atreius. Aveva abbandonato il
campo di battaglia per entrare nel covo del nemico, nel vivo del
castello. Lottò contro le proteste di Bastian che era
contrario a lasciarlo entrare così presto, dopotutto lui era
il capo del secondo gruppo di soldati e sarebbe stato più
saggio aspettare a dare loro il via prima di abbandonarli. Ma a Gabriel
poco importava, c’era Bastian con loro e al suo gruppo non
avrebbe fatto differenza. A lui importava soltanto entrare e combattere
con Atreius, finire e correre da lei.
Da lei che,
ne era sicuro, avrebbe avuto bisogno di lui. Sarebbe corso
immediatamente da Rebecca ma aveva degli ordini da portare a termine e
il primo di questi era quello di uccidere l’erede al trono di
Darth Threat.
Percorse con
il fiatone quegli che gli sembrarono una decina di corridoi diversi,
apriva tutte le porte che incontrava e ne controllava le stanze
all’interno. Come faceva a sapere dov’erano situati
gli alloggi?
Stava
cominciando a perdere sul serio la pazienza.
Era stato
fortunato, non aveva trovato molti nemici lungo i corridoi e quelli che
aveva trovato ci aveva messo poco ad ucciderli. La magia era micidiale
e impeccabile, dove non arrivava la magia usava la sua spada.
Si trovava
lungo un cunicolo, le finestre al lato sinistro erano state sbarrate e
sul soffitto pendevano dei candelabri che illuminavano il vicolo
altrimenti oscuro. Non volava una mosca e non c’era il minimo
rumore. Gabriel cominciò a rallentare mantenendo una
corsetta, impugnò con forza l’elsa della spada
facendo scricchiolare le ossa delle dita. Vedeva che infondo al
corridoio c’erano due strade, si trovava in una biforcazione.
Quale strada era giusta? Destra o sinistra? Decise che ci avrebbe
pensato quando si sarebbe trovato di fronte al bivio.
Sentì
un rumore. Si fermò. Il corpo teso e il fiato pesante. No,
non era un rumore.
Era una
risata.
Era dietro
di lui.
***
Bastian
aveva appena atterrato un Nim, non si capacitava del fatto che quelle
creature così indipendenti e orgogliose avessero partecipato
alle guerra e che, soprattutto, stessero mettendo a repentaglio la
propria vita in un signore che neppure credevano.
Si
asciugò la fronte sudata con la mano sporca e ricoperta di
sangue. Cercò di riprende fiato, non aveva più il
fisico asciutto e allenato di un tempo. Fece roteare la spada un paio
di volte e riprese la carica. Provocò la morte di altri tre
uomini, poi si voltò e guardò il suo esercito.
Da bravi
soldati quelli del gruppo numero due aspettavano indietro in ranghi
composti, quelli del gruppo numero uno erano stati decisamente
decimati. La maggior parte dei suoi uomini erano stesi a terra privi di
vita, gli altri combattevano in piedi o strisciando sul suolo. Erano
comunque in inferiorità numerica. I primi a morire erano
stati i volontari, i soldati addestrati avevano avuto maggior successo
di riuscita.
Bastian
puntò lo sguardo al castello. Le persone più
importanti, quelle che non dovevano morire ad ogni costo erano
là dentro. Si chiese come stessero procedendo le cose per
Rebecca e Gabriel.
***
L’eroe
non è colui che non cade mai ma colui che una volta caduto
trova il coraggio di rialzarsi.
Questa era
la frase che più fra tutte aveva colpito Rebecca ai tempi
del liceo, quando l’aveva letta per la prima volta. Jim
Morrison ci aveva azzeccato in pieno, come sempre. Aveva pensato a
quanto bello e fantastico doveva essere stato essere un eroe, si era
immaginata lei come ad un eroina. Ora che lo era davvero stentava a
credere a quanto quella frase fosse in simbiosi con quello che le era
capitato. Lei si sentiva un eroe.
Fu quando
vide la maniglia della porta che apriva la sala del trono che
ripensò ai suoi anni felici, dove l’immaginazione
accompagnava la realtà e gli aforismi dei grandi autori
valevano per la propria vita.
Aprì
la porta e quei sogni, quei giorni, quelle speranze scomparvero.
***
Come ho scritto nelle
recensioni ho deciso di aggiungere un altro capitolo
alla storia!!! non
riesco a fare capitolo TROPPO
lunghi (30 o 40 pagine), preferisco fare una ventina di pagine
alla volta. Dato
che ho visto che
questo capitolo
stava venendo
troppo lungo (mancano ancora gli scontri) ne aggiungo uno in
più!!!
Voglio ringraziare
tutti quelli che recensiscono e che mi seguono!!!
Un bacioni a tutti
e tanti GRAZIE!!!
-2
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Capitolo 25 *** Il lusso di un respiro ***
Cap. 25 - IL LUSSO
DI UN RESPIRO -
[Spazi
vuoti…per cosa stiamo vivendo?
Luoghi
abbandonati…suppongo che noi conosciamo il risultato.
Senza
sosta, qualcuno sa cosa stiamo cercando?
Un
altro eroe…]
Queen
- The show must go on -
***
Non
c’era tempo. Rebecca lo sapeva. Poteva persino sentire il
ticchettio dei secondi che passavano. Avvenne tutto a rallentatore, il
tempo che ci voleva per aprire una porta parve essere interminabile. Il
cuore che batte irregolarmente, il respiro che si blocca, il corpo che
suda e trema. Le mani scivolose e la gola secca. Pensieri su pensieri
che annebbiano il tuo cervello. Flashback, ricordi, lettere, cartoline,
messaggi, baci, carezze, risate…tutto sembrava distante,
appartenente ad un’altra vita. Rebecca credette di aver
sentito una lacrima solcarle le guance ma subito scacciò il
pensiero. Non era in vena di piangere e per nulla al mondo sarebbe
entrata nella sala con la faccia bagnata di lacrime. Eppure le lacrime
erano lì, impazienti di uscire.
La ragazza
chiuse per un attimo gli occhi, respirò a fondo, come se
quello fosse stato il suo ultimo respiro prima di andare in apnea.
Quando gli riaprì, i suoi occhi, erano duri, freddi,
imperscrutabili. Le lacrime erano scomparse, il cuore batteva lento e
il respiro era regolare se non assente.
La scena che
prima andava a rallentatore ritornò ad essere normale e in
tre secondi Rebecca aprì il portone. Dovette mettere a fuoco
la stanza strizzando gli occhi, tanto era buia. Il gioco di luci e
ombre sembrava fatto apposta per disorientare le persone. Fortuna volle
che Rebecca rimanesse immune a certe debolezze umane. I suoi sensi
erano sviluppati all’inverosimile e non si fece intimidire,
proseguì con passo deciso non appena riacquistò
padronanza e mise a fuoco la stanza. Vide che Mortimer era comodamente
seduto sul suo trono, forse aveva voglia di farsi una bella
chiacchierata a quattr’occhi prima di ucciderla.
O almeno, tentare di
ucciderla. Non era detto che doveva
per forza morire lei.
Non sapeva
cosa dire. Cosa si diceva al mostro che voleva farti a pezzi?
Così, tanto per incutere timore con delle battute? Non le
venne in mente niente e rimase zitta, la mascella contratta per lo
sforzo e la tensione. Rimase all’erta, non avanzò
di un passo ma rimase di fianco al portone a debita distanza. Lo
scrutava con i suoi occhi color cioccolato, in netto contrasto con
quelli rossi di lui.
Balzò
indietro con un salto non appena vide Mortimer muovere una mano verso
di lei. La sua schiena si schiacciò contro il portone, il
volto tirato per la concentrazione. Rilassò i muscoli e
ricominciò a respirare quando notò che Mortimer,
con quel suo ghigno beffardo, bruscava nelle sue tasche. Le si
mozzò il fiato in gola quando notò che
tirò fuori dal mantello il pugnale dei suoi genitori.
Della sua
famiglia.
La sua adorata famiglia.
“Cosa
ci fa il mio
pugnale nelle tue mani?”
ruggì a denti stretti, mentre la rabbia cominciava ad
invadere tutto il corpo.
Mortimer
parve accigliato ma fu una sfumatura minima sul suo volto di pietra.
“È tuo?! O…è mio?”
Rebecca si
mise in posizione di attacco. “È mio! Come hai
osato rubarmelo?! Non ti appartiene, appartiene a me, alla mia
famiglia!” sputò tutto d’un fiato.
Rebecca
giurò di aver visto Mortimer impallidire.
“Impossibile” sussurrò con voce atona.
Rebecca
ringhiò e sfoderò la sua spada, con tutta
l’intenzione, una volta ucciso Mortimer, di riprendersi il
pugnale di suo padre.
Mortimer,
più strano che mai, vacillò e con uno scatto si
alzò in piedi disfandosi del mantello che fece cadere
pesantemente a terra. Indossava un’uniforme nera, semplice e
inquietante al tempo stesso. Le braccia erano nude e scoperte, il cuore
della ragazza mancò di un battito quando vide la
combinazione di nei che formavano una croce, uguale alla sua, nello
stesso punto del braccio sinistro.
Proprio
sotto la spalla, come lei.
Cercò
di non preoccuparsene, non significava nulla. Dopotutto, tutti gli
angeli avevano la pelle marchiata da una croce benedetta, che fosse
sottoforma di nei, di piaghe, di voglie o di macchie. Ma la croce che
Mortimer portava in corpo era un qualcosa di vivo e famigliare. Rebecca
aveva visto mille volte la croce di Gabriel, una voglia color rubino
sotto l’ombelico, ma mai le aveva suscitato come ora un senso
di calore e appartenenza.
Darth Threat
puntò i suoi occhi rossi sulla croce di nei che aveva nel
braccio sinistro. Ammirò con curiosità lo sguardo
che la ragazza aveva su di lui. Come attratto dalla bramosia di sapere
guardò a sua volta le braccia nude di Rebecca. Vide che
anche lei aveva la stessa sequenza di nei.
Rebecca,
frastornata e confusa, decise di farsi avanti prima che fosse troppo
tardi e il coraggio le venisse meno. Non voleva sapere né
vedere altro, altrimenti la missione sarebbe diventata troppo difficile
da compiere. Doveva sbrigarsi ad ucciderlo, prima che potesse scoprire
altre verità.
Mortimer
gettò il pugnale sul cuscinetto morbido del trono, questo
rimbalzò nell’imbottitura e poi si
adagiò. Prese e tenne tra le mani la sua spada, il suo volto
non esprimeva nessun tipo di emozione. Era davvero degno di essere un
signore delle tenebre, non perdeva mai le staffe, il suo sguardo aveva
la capacità di pietrificarti e la sua voce era una lama
tagliente che ti squarciava la gola. Il suo viso freddo, duro e
penetrante marcava il fatto che in lui non battesse nessun cuore. Il
suo cuore si era fermato, così come la capacità
di provare sentimenti. Nessun tipo di emozione poteva coinvolgerlo a
tal punto da renderlo vulnerabile. In questo, Rebecca, ne provava
invidia.
“È
un vero peccato che tu non sia passata dalla parte del Male”
le disse Mortimer con voce incolore. “Pensaci. Io e te. Al
potere. Sentire come il tuo corpo ceda alle tenebre, lasciarsi
sopraffare dagli istinti, dal potere, dalla bramosa consapevolezza di
essere al di sopra di tutti. Dimmi Rebecca, prima che io ti uccida, non
ti piacerebbe sentirti così? Indomata, forte, selvaggia,
indistruttibile e immune alle sofferenze umane. Immaginati una vita
ricca di soddisfazioni e di vittorie”
Rebecca non
si era accorta di aver indietreggiato. Vacillò e il suo tono
di voce non risultò così sicuro. “Non
potrei mai. Io non sono come te”
Il
sopraciglio di Mortimer si inarcò. “Ne sei
sicura?”
Gli occhi
della ragazza si spalancarono a dismisura. Avvertì dei
brividi di piacere al pensiero di poter essere come Mortimer:
invincibile e potente. Dei tremiti le percorsero tutto il corpo, quasi
volessero invitarla ad unirsi a lui. Qualcosa di invisibile e
incorruttibile la legava a Darth Threat, qualcosa di antico e di molto
pericoloso.
Si
ricordò improvvisamente del sogno che aveva fatto la notte
precedente, nella sua mente si proiettò l’immagine
di lei, bianca, con gli occhi rossi, il cuore che non batteva e i denti
scoperti in un ringhio silenzioso. In quel momento non le parve di
ricordare un sogno, piuttosto le sembrò di assistere ad una
premonizione.
Si
spaventò a morte e la spada le scivolò dalle
mani.
Il ghigno
compiaciuto di Mortimer echeggiò nella sala buia e
silenziosa.
Una
premonizione. Poteva avverarsi una cosa come quella nel suo futuro?
Non era
più sicura di niente.
Con un gesto
disperato (bisognosa di farla finita) prese la spada da terra e
puntò la lama contro Mortimer. Darth Threat parve sul
momento deluso ma poi un lampo di eccitazione gli pervase gli occhi.
Che
la morte decida una volta per tutte chi prendersi tra noi due.
***
Gabriel si
voltò e con un sorriso beffardo guardò Atreius
davanti a lui. Il ragazzo non era cambiato per nulla, aveva sempre
quell’odioso ghigno stampato in faccia che Gabriel avrebbe
tanto voluto far andar via a suon di botte.
“Guarda
un po’ chi è uscito dal suo ovetto” lo
canzonò Gabriel con l’intenzione di ferirlo.
Atreius
sorrise sbuffando. “Sei sempre stato molto simpatico Gabriel,
non mi stupisco che tu sia diventato ancora più divertente
con il passare del tempo. Le stupidaggini che dici farebbero ridere
anche mio padre”
“Lo
prendo come un complimento. Detto da te, che non sei altro se non un
ripiego” sibilò fra i denti, la mascella contratta
dall’odio che provava. Si riferiva naturalmente a Rebecca.
Atreius
scosse la testa e lo guardò con aria divertita.
“Povero Gabriel che non sospetta nulla…”
“Di
cosa parli?”
“Ho
visto il pugnale che aveva Rebecca”
“E
allora?!” sbraitò Gabriel scattando in avanti
quasi volesse attaccare Atreius azzannandogli la gola. “Era
di suo padre! Possibile che voi non abbiate niente di meglio da fare se
non distruggere la vita delle persone?!”
“Appunto.
Era di suo padre” disse il ragazzo con soddisfazione,
pregustandosi il momento in cui avrebbe sparato la notizia bomba che
avrebbe ferito Gabriel a morte.
“Non
ti seguo, bastardo” sussurrò Gabriel con gli occhi
ridotti a due fessure.
“Il
pugnale, a dir la verità, è di Darth
Threat”
Silenzio.
Il cuore di
Gabriel prese un ritmo accelerato e incontrollabile. Sbiancò
e strinse i pugni con forza, provando un moto di dolore e svenimento.
Il cuore non accennava a rallentare i battiti, sembrava quasi che
potesse uscirgli dal petto. Il labbro inferiore cominciò a
tremargli, tutto il suo corpo si paralizzò.
“Non
può essere vero!” esclamò.
Ora Rebecca
era insieme a lui, nella sala del trono e chissà se le era
stato detto qualcosa…ma non era possibile!
Perché? Ma soprattutto…come?!
“Rebecca
è figlia di Mortimer e di Aidel”
“Mortimer
aveva una relazione con Adele, non ha mai avuto modo di avvicinarsi a
Aidel! Ciò che mi dici è
un’assurdità!”
“Ah
sì?” disse ironico Atreius, assaporando il sapore
della vittoria. “Forse tu non l’hai mai saputo ma
Aidel aveva una cotta per Mortimer, fin da quando erano giovani! Aveva
sempre saputo dell’amore che la sorella nutriva per lui e per
questo non si era mai dichiarata, era vissuta tra loro come
un’ombra, in disparte e infelice. Pensava che la cotta
sarebbe passata con l’avanzare del tempo, degli anni. Si era
addirittura proposta come volontaria per andare in missioni che la
tenessero via di casa il più allungo possibile, ma ogni
volta che tornava al villaggio e lo rivedeva l’amore che
nutriva per lui riemergeva a galla con una velocità
sorprendente. Non appena venne a conoscenza della punizione data alla
sorella e del tradimento di Mortimer capì che quello sarebbe
stato l’ultimo giorno in cui l’avrebbe rivisto.
Disperata, andò da una maga per farsi dare una pozione
d’amore, era convinta che facendo innamorare Mortimer di lei,
non solo l’avrebbe convinto a restare ma l’avrebbe
anche salvato dal Male. La pozione durò un giorno soltanto,
una notte sola. Il potere oscuro di Mortimer era talmente forte e
protetto che la pozione non ebbe il soppravvento su di lui. Nonostante
tutto Aidel era riuscita ad averlo per sé per una notte
soltanto e da quella notte rimase incinta. La sorella Adele era
esiliata e per anni non le sarebbe stato dato il permesso di tornare al
villaggio, Mortimer era scappato. Non avrebbero assistito alla sua
gravidanza e per questo nessuno lo seppe. Aidel si trasferì
in una baita all’interno del bosco, non voleva che la gente
la vedesse altrimenti avrebbero compreso il danno delle sue azioni.
Partorì nove mesi più tardi e qualche mese dopo
Mortimer, che non aveva ricordi della notte con Aidel, andò
a trovarla nel bosco e la uccise. Naturalmente non si era accorto della
bambina che, protetta dalla madre, era racchiusa dentro ad una barriera
magica”
Gabriel
seguì il racconto senza mai perdere il filo del discorso.
Man mano che Atreius parlava, lui si faceva sempre più
incredulo e sconvolto. Non riusciva più a parlare, si
sentiva svuotato e frastornato.
Trovò
le parole per chiedere: “Tu come fai a saperlo?”
“Mia
madre” disse Atreius. “Mia madre è una
creatura del fuoco, è stata lei a dare la pozione
d’amore all’angelo Aidel”
Gabriel
colpì la parete di fianco a lui con un pugno furioso, le
nocche bianche si sbucciarono e del sangue cominciò a
colargli fino al polso. “Mortimer lo sa?!”
“No,
ma credo che dopo questo incontro l’abbia capito. Spero solo
che riesca a convincerla a passare dalla parte del Male. Sarebbe un
vantaggio per noi avere un angelo forte e portato come Rebecca. Senza
contare che la famigliola si riunirebbe: padre, figlia e figlio. Molto
unita, non trovi?”
Gabriel lo
fulminò con gli occhi e digrignò i denti.
Atreius
disse: “E poi trovo anche un lato positivo e assai pagante in
tutto ciò”
“E
cioè? Che Rebecca trapassi la tua inutile testa con un palo
di ferro?”
“No,
tutt’altro direi. Posso portarmi a letto Rebecca tutte le
volte che voglio, dopotutto non siamo veri fratelli”
Prima ancora
che terminasse la frase Gabriel gli si avvicinò
prepotentemente. L’ultima cosa che Atreius vide fu lo sguardo
feroce di Gabriel a pochi centimetri dal suo. “Queste cose
non avresti dovuto dirmele”
***
Rebecca era
riuscita fino a quel momento a mantenere un atteggiamento controllato
ma da quando la rabbia crescente aveva fatto cadere l’ultima
goccia, era esplosa. La sua spada venne stretta saldamente tra le sue
mani ferme e sicure. In un secondo aveva attraversato la sala del trono
ad una velocità disumana.
Si
creò in quel momento una situazione contraddittoria: mentre
correva alla velocità della luce, vedeva tutto a
rallentatore. Vedeva in movimenti bloccati e lenti la figura di
Mortimer che restava ferma al suo posto, non c’era nessun
accenno al fatto che volesse smuoversi di lì. Quando gli fu
a pochi metri di distanza Rebecca fece un balzo e contemporaneamente
alzò la spada sopra la propria testa, pronta per colpire.
All’ultimo secondo, prima che la lama si infrangesse contro
di lui, Mortimer prese la sua spada e la fece scontrare contro quella
della ragazza in un boato.
Rebecca
venne scagliata indietro e prima di cadere a terra girò su
sé stessa per finire con i piedi saldi al pavimento. Sapeva,
anzi ne era sicura, che per uccidere Mortimer avrebbe dovuto piantargli
il pugnale della sua famiglia dritto al cuore. L’unica cosa
che doveva fare era raggiungere il trono e prenderlo. Poi per il resto
ci avrebbe pensato al momento, non era il caso di fermarsi a riflettere
punto per punto, anche perché Darth Threat le aveva appena
scagliato contro un incantesimo che la ragazza ebbe giusto il tempo di
schivare.
Rebecca si
alzò e con un movimento scattoso fletté il
braccio in avanti, il movimento del braccio sembrò quello di
un’onda, dal gomito partì una scarica azzurra
molto simile ad una corda che andò a colpire in pieno petto
Mortimer. Mortimer volò indietro e andò a
sbattere la schiena contro la parete, a diversi metri di altezza dal
suolo.
Rimase fermo
contro il muro a venti metri dal suolo guardando la sua nemica con odio
e profonda irritazione. Rebecca non accennava a fermarsi,
provò a colpirlo dal basso, questa volta lame di ghiaccio
dure come metallo fuoriuscirono dai suoi occhi. Mortimer le
schivò con una semplice barriera neutralizzante. Si
lasciò cadere a terra e corse verso di lei, era talmente
veloce che quasi Rebecca non lo vide arrivare, nonostante avesse usato
la vista a rallentatore. Si accorse troppo tardi che gli era
praticamente davanti, spalancò gli occhi e girò
su sé stessa per colpirlo con le gambe ma lui, con il solo
pensiero, la bloccò e la fece volare dall’altra
parte.
Rebecca
cadde sul pavimento scivoloso che la fece finire contro la
porta-finestre che dava ad un piccolo terrazzetto. Cercò di
alzarsi ma un dolore allucinante le paralizzò la schiena.
Tastò con le mani dove le faceva male e si accorse di aver
piantata nella pelle un pezzo di mattonella, probabilmente
l’aveva staccata quand’era caduta sul pavimento.
Poteva sentire il sangue scorrerle lungo la spina dorsale in un liquido
caldo e denso. Se la tirò via con un unico disperato gesto
ed emise un gemito soffocato.
Mortimer
intanto l’aveva raggiunta e con un piede la fece voltare
supina. Rebecca si alzò con uno scatto addominale e
provò a colpirlo in faccia con una serie di pugni.
Cercò
di tenerlo occupato mentre si concentrava a richiamare con la mente il
pugnale ancora appoggiato sul trono. Fece una piroetta in aria e con
entrambe le gambe gli ponderò una serie di calci che lo
buttarono a terra. Aprì il palmo della mano e Mortimer venne
buttato in fondo alla sala da una forza invisibile.
Un ghigno
divertito gli dipinse il volto. “Sei forte, ragazza. Molto
forte…”
Rebecca
osservò con concentrazione il portone della sala, questo si
staccò dalle travi e andò a sbattere
violentissimo contro la figura stesa al suolo di Mortimer. Mortimer si
chiuse a riccio e quando la porta gli cadde addosso, a contatto con il
suo corpo, andò in mille pezzi. Alcuni pezzi volarono come
scaglie affilate verso Rebecca che neutralizzò
trasformandoli in petali di rosa.
“Facciamo
anche i trucchetti di magia?” la prese in giro Darth Threat.
I suoi occhi erano di un rosso cremisi e non rideva più.
“Ora basta giocare, mi sono stufato”
Mortimer
congiunse le mani, sembrava che stesse pregando ma la ragazza sapeva
che in realtà stava mormorando un incantesimo. Quando, per
invocare una determinata magia, si faceva ricorso ad un incantesimo
verbale, questo…beh, voleva dire grossi guai. Infatti,
quando Mortimer aprì lentamente le mani comparve al centro
una palla di fuoco che ruotava su sé stessa e che si faceva
sempre più grande man mano che lui apriva le mani.
Quando la
palla di fuoco divenne talmente grande da riuscire a toccare il
soffitto, Darth Threat la lanciò con un urlo disumano in
direzione di Rebecca che, pur sapendo che le cause di
quell’impatto sarebbero state disastrose, strinse i pugni e
si preparò a difendersi.
***
Un altro
pugno di Gabriel colpì Atreius in pieno viso. Ormai il volto
del ragazzo era chiazzato da una moltitudine di lividi violacei.
“Non
ho ancora finito con te” sibilò Gabriel, mosso da
un impulso assassino e da una voglia scottante che aveva di ridurre a
pezzi quell’idiota.
Atreius per
lui era sempre stata una spina sul fianco.
Da sempre.
Da quando
aveva puntato per la prima volta i suoi occhi su Rebecca.
Un altro
pugno in faccia.
Da quando
aveva osato baciarla sulla collina.
Un pugno
nello stomaco.
Da quando
l’aveva accolta nella sua casa nel bosco e aveva passato con
lei la notte.
Un pugno lo
colpì sullo zigomo destro, spaccandoglielo.
Da quando
aveva scoperto che era un traditore.
Gabriel
ruotò su sé stesso e con una sforbiciata in aria
lo fece catapultare contro la finestra sbarrata del corridoio. Atreius
rideva, cosa che a Gabriel dava molto fastidio. Si fermò un
attimo per riprendere fiato e lo guardò con arroganza.
“Tanto
per fartelo sapere, lo sai vero che non hai nessuna
possibilità contro di me? Ora ho di nuovo i miei poteri.
Devo ancora usarli ma ora che mi ci fai pensare…”
Gabriel non terminò la frase e con uno strano sorrisino
inquietante fece contorcere in maniera anormale Atreius che
gridò dal dolore.
Le braccia,
le gambe e la testa erano spostate in modo inconcepibile e impossibile
da compiere normalmente, sembrava un pupazzo di pezza, il suo corpo
prendeva la posizione che più piaceva alla mente di Gabriel.
Nonostante tutto, nonostante lo stesso Atreius fosse conscio del fatto
che non aveva speranze (sebbene fosse un Nim nulla poteva contro la
magia) non si era mai lamentato, non aveva mai pregato Gabriel di
smettere con quella tortura.
Le urla del
ragazzo vibrarono lungo lo stretto passaggio e cessarono quando Gabriel
smise di possedere il suo corpo. Drizzò la schiena e lo
guardò dall’alto al basso.
“Mi
aspettavo di più da te, Atreius. Sembra che tu ti stia
lasciando ammazzare”
Atreius
sorrise. “Forse è quello che sto
facendo”
Gabriel
rimase per un attimo interdetto ma poi si chinò su di lui e
lo afferrò con forza per il colletto. Atreius gemette per lo
scatto improvviso che il suo corpo fu costretto a subire. Gli occhi di
Gabriel erano due fiamme che ardevano.
“E
allora ti accontento, dormirò meglio sapendo che un
traditore è morto per mano mia”
Gabriel fece
per prendere la spada dalla sua fodera legata in vita ma Atreius, con
una forza che il ragazzo non trovava possibile avesse in quel momento,
balzò indietro e si buttò giù dalla
finestra rompendo il vetro in mille pezzi.
Atreius
saltò coprendosi la testa e si lanciò fuori dalla
finestra, ad almeno trecento metri di altezza. Si lasciò
cadere nel vuoto.
Gabriel
corse verso la finestra e fissò in basso la figura del
ragazzo che precipitava dimenando le braccia.
Battè
con la mano sul muro e corse via.
Doveva
andare immediatamente da Rebecca.
***
Atreius vide
il volto di Gabriel sporgersi dal cornicione, il suo sguardo era un
misto di stupore e incredulità. Non appena la sua testa
bionda scomparve dentro il castello, Atreius emise un fischio.
Mancava
ancora molto prima che toccasse terra, la fortezza era imponente ed era
caduto da uno dei piani più alti.
Al suono del
suo fischio un possente drago comparve da una delle torri del castello.
Fece rotta verso il ragazzo e lo salvò facendolo sedere
sulla sua sella rossa di pelle.
***
Mentre
Gabriel stava correndo un’esplosione devastante fece tremare
l’intero castello. Andò a sbattere con forza
contro il muro del corridoio, le luci che erano accese sopra il
soffitto si spensero con una folata di vento caldo. L’odore
di bruciato era insopportabile. Il rumore doveva aver raggiunto ogni
angolo della roccaforte.
Gabriel
premette le mani sulla parete e si massaggiò le orecchie con
un sospiro, aveva l’udito disturbato e il corpo gli tremava
ancora. Si fece coraggio e proseguì, il suo cuore era
pesante, le speranze cominciavano a sgretolarsi man mano che si
avvicinava alla verità.
***
Mortimer
sorrideva divertito per la scena catastrofica che gli si presentava
davanti agli occhi: metà del soffitto era crollato, cumoli
di pietre giacevano lungo tutto il pavimento spaccato, un polverone
grigio si librava nell’aria verso l’alto.
L’impatto era stato micidiale, la ragazza dopo essere stata
colpita in pieno dalla sfera era stata sotterrata dai massi che erano
crollati da tutte le parti.
Per
precauzione Mortimer usò il suo udito infallibile: nessun
cuore batteva più in quella stanza. Non sentiva nessun
battito, né respiro, né vita sotto quel cumulo.
Rebecca era
morta.
Neppure lei
era stata in grado di sopportare tanta magia oscura, la palla di fuoco
era riuscita a spegnere la sua giovane vita.
Darth Threat
se ne compiacque.
In
quell’istante il portone della sala si aprì e
Gabriel fece il suo ingresso, era scombussolato e il suo volto era una
maschera di tensione mista a paura. Il ragazzo guardò
Mortimer e quando notò le sue labbra piegate in un sorrisino
esultante cercò, nel panico più totale, la figura
di Rebecca. I suoi occhi si fermarono sul cumolo di macerie infondo
alla stanza e Mortimer giurò di aver sentito il fiato del
ragazzo fermarsi in gola. Aveva smesso di respirare. Probabilmente era
concentrato a captare qualche segnale di vita in mezzo a quel macello.
“È
finita, Gabriel” mormorò in tono vacuo, anche se
Gabriel percepì una nota di piacere nella sua voce.
Il labbro
inferiore del ragazzo cominciò a tremare. Si
lasciò cadere a terra e nascose il viso tra le mani. Non
pianse ma si fece travolgere da spasmi di dolore che lo fecero
sussultare, era una visione raccapricciante e straziante da guardare.
Darth Threat
si avvicinò al ragazzo ormai innocuo con passo silenzioso e
acquattato, era come se stesse fluttuando.
Fece per
aprir bocca e dire le ultime parole a Gabriel prima di ucciderlo quando
sentì il rumore improvviso di un cuore che
cominciò a battere debolmente. Sia Mortimer che Gabriel
alzarono di scatto la testa sbarrando gli occhi, il primo con orrore e
il secondo con incredulità. La figura sfrontata di Rebecca
apparve da dietro il trono. In mano teneva il pugnale della sua
famiglia che faceva rigirare giocosamente tra le dita.
Darth Threat
non ebbe neppure il tempo di registrare la cosa che la ragazza
aprì le ali bianche e volò verso di lui
piantandogli il pugnale dritto al cuore. Il contatto dei due corpi fu
simile a quello di due rocce, Rebecca gli saltò addosso
facendo volare entrambi indietro, l’arma ben premuta dentro
il suo petto. Mortimer cadde a terra supino, Rebecca gli era sopra e
non accennava a togliere il pugnale dal suo cuore, anzi, lo fece
penetrare ancora più affondo nella carne.
Darth Threat
aveva gli occhi spalancati e vuoti, la bocca aperta in una O muta, in
un urlo silenzioso.
Guardò
la ragazza sopra di lui con immensa venerazione. “Come hai
fatto?” sussurrò con voce roca, poi
tossì e sputò sangue.
“Distorsione
della realtà. Hai percepito quello che io volevo che
percepissi. Un trucchetto di magia, come hai detto tu” disse
la ragazza debolmente, la voce incrinata dal dispiacere.
Mio padre…
“Ci
rincontreremo, figlia mia. Questo non è il mio ultimo
viaggio” disse Mortimer, annaspando alla ricerca di ossigeno.
Si lasciò andare ad un debole sorriso e ribaltò
gli occhi. Prese un’ultima boccata d’aria
dopodichè il suo corpo si afflosciò, privo di
vita.
“È
finita” sibilò Rebecca estraendo con un colpo
secco il pugnale. “Anche per te, padre”
***
Oddio,
non ci posso credere...
finito anche questo capitolo!!!! Non vedo l'ora di chiudere con questo
primo capitolo
della saga...
cioè, bello quanto volete ma mi snerva troppo!!!
E poi non è che sia bravissima a scrivere parti di guerra,
io ci provo ma neppure a me piace poi molto.
Magari mi perfezionerò andando avanti con gli altri due
seguiti,
dove SICURAMENTE ci
sarà molta più guerra!!!
Fatemi
sapere che vi è sembrato del capitolo, le recensioni
sono sempre
ben accette!!!
Il prossimo e ultimo capitolo si intitolerà: "L'ALBA
DEGLI EROI"
Alla prossima!!
PS:
non ho tempo di rispondere alle recensioni che mi avete fatto ma non
per questo non vi ringrazio!! le leggo sempre e siete troppo cari!!! grazie
a tutti coloro che mi seguono.
|
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Capitolo 26 *** L'alba degli eroi ***
Cap. 26 -
L’ALBA DEGLI EROI -
[La
guardo e mi rende fiero,
è
un tipo di donna che non ha nemmeno bisogno del mio aiuto.
Ha
qualcosa di unico,
è
per questo che la amo.
Per
sempre]
Ne-Yo
- Miss independent -
***
Rebecca
rimase a guardare il corpo privo di vita di suo padre. Non riusciva a
capire se quello che stava provando era gioia, felicità
oppure tristezza e riluttanza. Sì, riluttanza. Riluttanza
perché in quel momento si sentiva una bestia, un mostro
assassino che era stato capace di ammazzare a sangue freddo persino suo
padre. Chiunque avrebbe provato un minimo di pietà e
titubanza ma lei no, non ebbe nessun tipo di riguardo, non
un’indecisione. Nel momento in cui decise di trapassargli il
cuore con un pugnale non aveva avuto nessun fremito di esitazione. Si
sentiva svuotata, sconvolta per la sua brutalità.
Gabriel era
di fianco a lei e la osservava da lontano, quasi volesse mantenere una
distanza di sicurezza, Rebecca s’immaginava già la
faccia del ragazzo perplessa e inorridita. Si voltò
lentamente con un sospiro, in cerca del suo sostegno, paurosa per
quello che avrebbe potuto vedere sul suo volto.
Gli occhi di
Gabriel erano puntati sul corpo di Dark Threat, la ragazza si
accigliò nel constatare che non era lei la fonte della sua
attenzione. Lo sguardo di Gabriel era fisso e vacuo, non si capiva se
stesse soffrendo oppure se era contento. Sembrava una statua di marmo
bianco. Rebecca si mosse impercettibilmente verso di lui ma poi ci
ripensò e tornò al suo posto. Il gesto
però non passò inosservato al ragazzo che subito
la guardò. La guardò come se la vedesse per la
prima volta.
“Gabriel…”
lo provò a chiamare, non riusciva a capirlo in quel momento.
Sembrava sorpreso, pronto ad urlare qualcosa, sull’orlo di
una crisi isterica.
“Non
ci posso credere” sussurrò, poi il suo volto si
aprì in un sorriso. Rebecca si rilassò e rise con
lui. Le corse incontro e l’abbracciò con
trasporto. “Ce l’abbiamo fatta! Siamo salvi,
è finita! Finita! Te ne rendi conto?!”
La ragazza
passò le mani sulla sua schiena e si lasciò
stritolare dal ragazzo che sembrava incapace di contenere le proprie
emozioni. “Sì, finalmente è finita.
Finalmente potremmo vivere in pace” mormorò lei,
rischiando di piangere per la felicità.
Rimasero
abbracciati allungo, poi Gabriel si staccò e il suo viso era
bello e raggiante come il sole. Faceva persino male a guardarlo troppo.
“Ogni giorno della mia vita da quando ti ho incontrata ho
temuto questo giorno. Ogni giorno vivevo nel terrore che tu potessi
morire per mano sua. La paura, l’ansia, le
battaglie…si è concluso tutto. Tutto”
era incredulo, forse non se ne rendeva ancora conto.
“Per
il meglio anche, direi” sorrise soddisfatta.
“Il
Male ha perso, insieme faremo in modo che il Bene rimanga sovrano su
questo mondo”
“Cosa
succederà ai seguaci di Mortimer?”
domandò Rebecca.
Gabriel le
scansò dal viso dei ciuffi che le erano caduti sulla fronte,
poi posò la mano sulla sua guancia, assaporando quel
contatto caldo e vicino. “Si arrenderanno. Non ci
sarà più nessuno tanto potente quanto Dark
Threat, non avranno più nessuno che possa guidarli come ha
fatto lui. Scapperanno, si rifugeranno e un po’ alla volta
gli staneremo tutti, oppure si faranno la guerra tra loro,
dipende”
Rebecca
guardò alla sua destra il cumolo di macerie che era rimasto
come un’ombra nel pavimento della sala. Della polvere grigia
albeggiava ancora nell’aria. Gabriel seguì
incuriosito il suo sguardo concentrato e subito
s’incupì. La guardò negli occhi e
Rebecca vide che era addolorato.
“Che
c’è?” chiese, il cipiglio innalzato.
“Niente,
stavo ripensando al colpo che mi hai fatto prendere. Ti credevo
morta”
“Mi
dispiace, non avevo n’anche visto che eri entrato nella sala
altrimenti a te avrei risparmiato quel trucchetto illusorio”
“Mi
hai fatto morire, in effetti” disse con voce roca. Non rideva
più. “Sei veramente cattiva quando ti ci
metti”
Nonostante
tutto lei si sforzò di sorridere. “Penso che
l’abbia pensato anche mio padre” la risata le
morì in gola.
Mio
padre.
Distolse lo
sguardo da Gabriel.
Il ragazzo
le prese dolcemente il mento con le dita e le fece voltare la testa
perché potesse vederlo. Il volto di Rebecca era imbronciato
in una maniera squisitamente tenera. Gabriel distese un sorriso.
“Facciamo
che non ci pensiamo più per un po’?”
Rebecca
aggrottò la fronte facendo avvicinare le sopracciglia.
“Se fosse per me vorrei dimenticare tutto” rispose,
con voce piccola, da bambina.
“E
lo faremo, insieme, te lo prometto. Ora però sarebbe meglio
se andassimo ad avvertire gli altri”
“C’è
una persona che dobbiamo aiutare ad uscire dal castello,
Gabriel”
Gabriel
serrò i pugni. “Non starai parlando di Atreius,
vero?” domandò, minaccioso, facendo un passo in
avanti. “Anche perché temo che sia troppo
tardi”
“No,
si tratta del fratello di Bastian: Alan. Credo che Bastian ne sarebbe
davvero contento se lo riportassi da lui”
Il volto di
Gabriel s’illuminò. Improvvisamente divenne
desideroso di muoversi, di lasciare quella stanza, di darsi da fare. Si
agitò sul posto, gli occhi scintillanti per
l’eccitazione. Le prese le mani e
l’avvicinò con uno strattone al suo viso.
“Sarebbe il regalo più bello che tu potessi
fargli. È da anni che non vedo Alan, mi piacerebbe poterlo
abbracciare di nuovo”
“E
lo farai, ma ora dobbiamo andare. Alan era l’unico
prigioniero nella torre, l’ho nascosto in una stanza e
l’ho bloccato all’interno”
“Ti
ricordi dov’è la stanza?”
La ragazza
annuì convinta e lui si rilassò. La prese per il
gomito e la tirò verso la porta, correndo per raggiungere
più in fretta possibile l’uscita. Stavano per
avvicinarsi al portone quando Rebecca lo bloccò. Gabriel,
sentendosi tirare della parte opposta dove stava andando, si
voltò perplesso verso la ragazza che, ferma davanti a lui,
lo guardava in un modo che lui conosceva fin troppo bene.
Rebecca lo
prese per il colletto della divisa e lo attirò a
sé. Non ce la faceva più ad aspettare, aveva
voglia di sentire le sue labbra sulle sue, il suo corpo premuto in una
morsa contro il suo. Si baciarono con urgenza, con furia, nulla a che
vedere con quei dolci e casti baci che si davano normalmente. La paura
iniziale e la gioia che avevano provato nel ritrovarsi entrambi vivi
alla fine della battaglia avevano creato un mix di desiderio e
passione. Se non fosse stato per il poco tempo che avevano a
disposizione di sicuro Gabriel non si sarebbe risparmiato nel
strapparle i vestiti di dosso. Dovette interrompere il bacio e quasi
provò una fitta al cuore a quel distacco. Sbirciò
con gli occhi e ciò che vide lo fece intenerire: il volto di
Rebecca era ancora proteso verso di lui, le palpebre abbassate e le
labbra sporgenti, pronte a ricominciare. Gabriel le diede un bacio sul
naso e lei riaprì gli occhi tornando con i talloni dei piedi
ben saldi a terra.
Storse il
naso facendo capire che non approvava quel suo allontanamento da lei.
“Andiamocene
mocciosa, prima che sia troppo tardi, altrimenti potrei perdere il
controllo e violentarti qui, su questo pavimento freddo”
Rebecca si
portò una mano alla bocca per reprimere una risata,
cercò di darsi un’aria composta e seria.
“E se ti dicessi che non aspetto altro, angelo?” lo
prese in giro.
In risposta
alla sua provocazione il ragazzo andò letteralmente a fuoco.
“Avremo
tempo per quello”
sbottò, cercando di acquistare un tono di voce che
risultasse duro e autoritario.
Peccato che
per dire quattro parole aveva balbettato un po’ troppo.
***
Non appena i
due ragazzi uscirono dalla sala del trono percorsero correndo i
corridoio del castello. La notizia della morte di Dark Threat si era
sparsa in tutta la roccaforte e ora persino il castello sembrava morire
con lui. Le mura e le pareti si stavano sgretolando. Cadevano a terra
grossi e pesanti blocchi di marmo, le scale si stavano rompendo e
dividendo. Tutto stava cedendo.
Ebbero
appena il tempo di salvare Alan, ancora mezzo moribondo, prima che il
soffitto crollasse e seppellisse la stanza in una pioggia di pietra.
Gabriel e Rebecca aiutarono Alan ad uscire dal castello, procedevano
veloci e irrequieti. Avevano paura di incontrare qualcuno in quei
corridoi, oltre ad essere stanchi per la battaglia avevano il timore di
non essere in grado di proteggere Alan se si fossero trovati davanti un
gruppo di soldati. Fortuna volle che non s’imbatterono in
nessun nemico durante la loro uscita, sembrava che
dell’esercito di Mortimer e dei suoi fedeli non fosse rimasto
più nessuno.
Erano appena
usciti nel cortile e Gabriel sentì Rebecca gemere al suo
fianco. Quando la guardò vide che il suo volto era contratto
dal dolore.
Cercò
di incrociare il suo sguardo da sopra la testa di Alan. “Che
succede, Rebecca? Stai bene?” domandò preoccupato.
La ragazza
cercò di sorridere ma non riuscì a nascondere una
smorfia. “Penso di essermi fatta male quando mio padre mi ha
seppellita sotto a quei sassi” voleva essere simpatica e
ironica ma la sofferenza le aleggiava il contorno degli occhi.
Gabriel le
squadrò il corpo martoriato da lividi e piccole ferite.
Sbarrò gli occhi quando vide nella sua schiena una chiazza
enorme di sangue.
La
guardò allibito e sconvolto, fece per parlare ma lei lo mise
a tacere. “Dopo” sibilò senza nemmeno
guardarlo in faccia.
Cercò
di camminare il più veloce possibile dato che a correre non
ce la faceva più. Avrebbe tanto voluto fermarsi e riposare,
medicarsi la ferita e fermare il sangue che continuava sentir colare.
Ma non poteva. Doveva prima essere al sicuro e portare Alan al riparo
con sé. Cacciava dei piccoli gemiti ogni volta che il taglio
nella schiena le bruciava o le faceva male, beccandosi ogni volta delle
occhiate allarmate da parte del ragazzo che la guardava con profonda
commozione.
“Fermiamoci”
le disse il ragazzo con disperazione quando la sentì gemere
per l’ennesima volta. Era pronto a mollare la presa su Alan
nel caso la ragazza avesse avuto un mancamento.
“Non
devi preoccuparti per me, procediamo. Dobbiamo uscire dal castello, sta
cadendo a pezzi” rantolò, la voce spezzata e roca.
Gabriel
alzò gli occhi al cielo, non sapeva che fare per aiutarla.
Aumentò la camminata per arrivare nel loro accampamento.
Rebecca
camminava e, mentre con un braccio sosteneva Alan di fianco a lei, con
l’altro tentava di tenersi premuta la ferita sulla schiena.
Cercava di tamponare con la stoffa della divisa il taglio per fermare
la fuoriuscita del sangue. Doveva aver perso molto sangue in effetti,
cominciava a vederci sempre di meno, iniziava a sentirsi man mano
sempre più debole e fiacca. Strizzò gli occhi un
paio di volte prima di rendersi conto che vedeva tutto buio. Perse
l’uso della vista e inciampò in un masso. Cadde
per terra e sbattè la testa contro il sasso.
Sentì Alan scivolare dalla sua presa, sentì la
voce di Gabriel rincorrerla quasi volesse prenderla.
Rimase
qualche secondo distesa al suolo prima che Gabriel la prendesse. Si
sentì alzare e afferrare saldamente per i fianchi. Seppe per
certo di essere tra le sue braccia. Lui stava correndo.
Cercò di aprire gli occhi. Voleva sgridarlo, ordinargli di
metterla a terra e di aiutare Alan invece che lei, ma non ne
trovò la forza né la volontà, era come
se il suo corpo si fosse intorpidito. Rimase con la testa appoggiata al
suo petto muscoloso e un terribile sonno la invase.
Stava per
chiudere gli occhi e addormentarsi, sopraffatta da quella sensazione di
pace e tranquillità, quando sentì il ragazzo
urlarle di restare sveglia. “Non ti addormentare, Rebecca!
Non ci provare nemmeno se non vuoi che ti riempia di
schiaffi!”
La ragazza
mugulò tra le sue braccia e cercò di non dormire.
Sebbene avesse gli occhi aperti non ci vedeva niente.
“Siamo
arrivati, tesoro. Un altro piccolo sforzo” le
mormorò dandole un bacio sulla testa. Rebecca si
tranquillizzò nel sentire le labbra del ragazzo premerle
forte la fronte.
Gabriel si
fermò e la posò a terra, distendendola con cura e
devozione. Le passò una mano sulla guancia e a gran voce
cominciò a chiamare Bastian affinché gli
procurasse un curatore alla svelta. Rebecca fu contenta di sentire la
voce di Bastian, temeva che fosse rimasto ucciso durante la battaglia.
Cercò di alzare la testa ma una mano la spinse indietro.
Era Gabriel
che vegliava su di lei. “Non fare stupidaggini, scema. Rimani
ferma e tieni duro. Sta arrivando un medico”
“La
battaglia?” domandò la ragazza con un filo di voce.
“Abbiamo
vinto, non abbiamo riportato molte perdite nell’esercito. Le
truppe di Mortimer sono state decimate e il resto dei soldati hanno
fatto fuga” sorrise, non smettendo di accarezzarle le
guancie, i capelli, la fronte, le labbra…
Si
chinò e la baciò.
“Alan?”
sussurrò Rebecca.
“Sei
fortunata che il tuo ragazzo abbia avuto i suoi poteri con
sé” disse. “L’ho trasportato
con la magia”
Non fece in
tempo a parlare che lui le premette un dito sulle labbra, zittendola.
“Ora basta parlare, dormi”
Rebecca
finse una faccia adirata. “Ma come? Prima mi hai detto di
star sveglia!”
“Smettila
di rompere, signorina. Ora arriva il curatore” era Bastian
che aveva parlato. Lo sentì chinarsi su di lei e tastarle il
polso. Anche se non ci vedeva non era stupida, sentì il
cuore di Bastian accelerare nel suo petto e le parve di vederlo
lanciare un’occhiata significativa a Gabriel che
impallidì. Sentì che il cuore di Gabriel invece
aveva smesso di battere.
Rebecca
scrollò la testa da tutte la parti. “Che
succede?” domandò con agitazione.
Gabriel le
tenne ferme le spalle per non farle fare movimenti troppo pericolosi.
Quando le parlò la sua voce era incrinata e malferma.
“Niente, non succede niente” cercò di
tranquillizzarla ma inutilmente.
“Sarebbe
meglio se tu mi dicessi che sto per morire piuttosto che girarci
intorno sperando che abbocchi” disse duramente.
Gabriel
chiuse gli occhi ed emise un gemito. Bastian sospirò
frustrato, guardando il ragazzo con compassione.
Il curatore
arrivò dopo pochi minuti e frettolosamente si fece spiegare
la situazione. Fu Gabriel a parlagli. “Ha un taglio profondo
nella schiena, ha perso molto sangue e la vista è
già sparita”
Rebecca
ascoltò con attenzione il curatore che spiegò sia
a Gabriel che a Bastian in cosa avrebbe consistito la sua operazione.
Si presentò abbastanza complessa e dolorosa. Da come parlava
sembrava che la possibilità di salvarsi era molto scarsa.
Disse ad entrambi di pregare e di attendere che finisse.
“Che
Dio prego?” Rebecca sentì Gabriel sussurrare.
Poi il
curatore prese una siringa e fece l’anestesia alla ragazza.
Pian piano Rebecca si addormentò.
***
Vezzen,
l’umile servitore di Dark Threat, vagava come un pazzo lungo
i corridoi distrutti del castello. Ammirava con dolore e rimpianto le
mura crollate e la sua dimora cadere a pezzi. Non sapeva dove andare
ora che il suo Signore era morto.
Morto!
Com’era
possibile? Come aveva fatto quella ragazza a sconfiggere il Male?
Andò
nelle dimore di Mortimer e si lasciò scappare un singhiozzo
vedendo il suo letto spaccato a metà. Ridusse gli occhi a
due fessure, in quel momento un odio profondo e incontrollato verso
quella ragazza lo stava prosciugando.
“Non
ti preoccupare, Vezzen” disse una voce calma e melliflua alle
sue spalle.
Vezzen si
voltò perplesso e cacciò un singulto nel vedere
la figura di Mortimer dietro di lui. Si buttò per terra per
prostrarsi ai suoi piedi, elogiandolo. Non appena si tolse il cappuccio
dalla testa e mostrò il suo volto, Vezzen sbarrò
gli occhi e serrò la mascella. Si alzò in piedi e
serrò i pugni, profondamente dispiaciuto.
Atreius lo
fissava con uno strano sorrisino stampato in faccia. Gli abiti di suo
padre gli calzavano alla perfezione. “Non ti
preoccupare” ripetè. “Avranno tutti la
loro bella sorpresa. Avranno ciò che si meritano”
Vezzen non
capiva a cosa il ragazzo si riferisse con quella frase ma
annuì comunque con la testa e fece un piccolo inchino. A
quanto pareva era lui, ora, il suo nuovo padrone.
***
Gabriel
andava avanti e indietro lungo il corridoio. Era passata più
di un’ora da quando avevano portato Rebecca al villaggio.
Dopo l’operazione fatta direttamente sul campo di battaglia
era stata trasportata su una barella fino al villaggio, per poi essere
condotta nell’edificio sanitario che era un po’
simile agli ospedali della Terra. L’avevano adagiata su un
lettino e avevano chiesto a Gabriel di uscire e aspettare che finissero
di darle i punti sulla ferita. Gabriel aveva insistito per rimanere al
suo fianco ma i curatori gli avevano fatto ben capire che se non fosse
uscito immediatamente dalla stanza si sarebbero rifiutati di guarirla.
Dopo averli
urlato dietro una serie di imprecazioni e di aver sbattuto la porta
prima di uscire, si sistemò fuori nel corridoio. Incapace di
restare fermo continuava a camminare su e giù, lo sguardo
fisso a terra e le mani tenute dietro la schiena.
Sentiva un
istinto omicida verso quei curatori. Mandò giù il
groppo che aveva in gola e cercò civilmente di aspettare che
qualcuno venisse fuori per dargli qualche notizia. Ma dopo
un’ora che attendeva cercare di rimanere calmo e pacifico era
pressoché impossibile.
In quel
momento vide sua sorella corrergli incontro, tutta indaffarata e
preoccupata. Si lanciò addosso al fratello e lo
abbracciò forte. Gli chiese come stava, come stava Rebecca,
se sapeva qualcosa, se era viva, se era guarita…
“Non
lo so” rispose il ragazzo con voce incolore. Era svuotato,
gli sembrava di vivere un incubo.
Stava ancora
tenendo la sorella tra le braccia quando spalancò gli occhi
dalla sorpresa. La prese per le spalle e la tirò indietro in
modo da guardarla meglio. Non aveva sentito il suo pancione contro il
suo ventre quando l’aveva abbracciato, e ora che la vedeva
bene notò che la sua pancia era tornata piatta
e…vuota!
Credette di
svenire. “Rose! La tua pancia! N-Non sei più
incinta!” Rosalie fece un enorme sorriso. “Hai
partorito!” esclamò il fratello con gli occhi
fuori dalle orbite.
“Sì,
ho partorito mentre voi eravate a farvi ammazzare”
sospirò, lanciando un’occhiata preoccupata alla
porta chiusa davanti a lei.
“E
non mi dici niente?! Sono diventato zio, porca miseria! Dimmi almeno se
è andato tutto bene!”
“Sei
diventato zio di due gemelli, caro mio! Un maschio e una femmina. Oh
Gabriel, sono così piccoli e belli! Non vedo l’ora
che tu possa vederli!”
Il ragazzo
era al culmine della felicità. “Due nipoti! E come
li hai chiamati?”
“Ian
ed Emma. Ti piaceranno, ne sono sicura”
“Ora
sono a casa con il papà?”
“Per
forza, non volevo lasciarli ma non potevo neppure non venire. Posso
capire quanto tu ti senta solo e impotente in questo momento. Lascia
che ti faccia un po’ di compagnia”
“Vorrei
solo che lei si svegliasse” disse con una faccia talmente
addolorata e disperata che Rosalie sentì una fitta al cuore.
Non aveva mai visto suo fratello in quello stato. Sembrava spacciato,
morto dentro. Lo strinse a sé e insieme si sedettero in una
sedia tenendosi sempre stretti l’uno con l’altra.
Quando
finalmente la porta di aprì Gabriel scattò in
piedi rischiando di far cadere la sorella che gli era seduta sopra. Si
catapultò verso il curatore che indossava ancora la
mascherina sul viso.
Gabriel lo
prese per il colletto della divisa. “Me lo dica, dottore.
Come sta?” il suo tono era minaccioso.
“Si
è ripresa, è dentro. Potete entrare anche
se…”
Il ragazzo
non diede il tempo al curatore di finire la frase. Mollò la
presa su di lui e corse dentro la stanza come una furia. Non appena
vide davanti a sé il lettino con la ragazza sdraiata sopra
che lo guardava sorridente le andò incontro con un sorriso a
trecentosessantacinque denti.
Rebecca era
appoggiata contro lo schienale del letto ed era coperta da un lenzuolo
azzurro, le braccia erano scoperte e le mani congiunte. Nonostante
avesse appena subito un’operazione era bellissima. Non aveva
n’anche un capello fuori posto. Appariva sollevata e
tranquilla. Nel vederla in quello stato, così serena e
affettuosa, Gabriel ricevette una scossa elettrica. Qualcosa si smosse
e si accese dentro di lui, fu come se un fuoco l’avesse
invaso. La guardava e non vedeva più la ragazza di cui si
era innamorato, bensì vide la sua vita attraverso i suoi
occhi. Arrivò alla consapevolezza che di essere arrivato al
limite massimo con cui si può amare una persona. Ebbe un
tale impulso di possessività che quasi gli mancò
il fiato. Era una sensazione straziante e soffocante quella che provava
per lei.
Quando vide
che il giovane medico le stava toccando il seno per sentire i battiti
del cuore emise un basso e minaccioso ringhio. Il ragazzo si
voltò verso di lui e sbiancò nel vedere la sua
faccia. Tolse immediatamente le mani dal corpo dalla ragazza e gli
cadde la cartella medica dalle mani. La raccolse goffamente e
uscì di corsa dalla stanza. Gabriel diede uno spintone alla
porta e la chiuse.
Rebecca
scuoteva la testa. “Guarda che non mi freghi. Ti sembra
normale fare queste scenate di gelosia?”
Il ragazzo
scrollò le spalle con fare innocente. “Non
avercela con me, era lui che ti toccava in tutte le parti possibili e
immaginabili. Io gli solo fatto capire che sei di mia
proprietà”
“Io.
Non. Sono. Di. Tua. Proprietà” scandì
bene parole.
Gabriel
salì sul lettino con un ginocchio e la sovrastò.
Cominciò a baciarla con insistenza prima sulle labbra e poi
sul collo. “Sì, sì, dicono tutte
così”
Lei lo
urtò indietro, fingendosi offesa. “Ti pare che io
sia come tutte le altre?”
“Sai
cosa intendevo” rispose, poi tornò a baciarla.
“Non vedo l’ora di sposarti” le
sussurrò all’orecchio.
Il suo alito
caldo e sensuale provocò un brivido di eccitazione in
Rebecca. Il respiro cominciò a farsi irregolare.
“Prima dammi il tempo di riprendermi”
“Bastian
ti ringrazia” le disse Gabriel tra un bacio e
l’altro.
Rimanere
lucidi in un momento come quello era molto difficile. “Ah
sì?”
“Gli
hai ridato il fratello che aveva perso, chi non potrebbe esserti
grato?”
Con
gentilezza Rebecca scostò Gabriel.
“Che
fai?” domandò il ragazzo, vedendosi respingere.
L’occhiata
dolce della ragazza lo tranquillizzò. “Non mi
sembra il caso di farci vedere in queste condizioni dai
medici”
Gabriel
inarcò le sopracciglia. “Rebecca, ti rendi vero
conto che in questo momento il giudizio dei medici non me ne sbatte
proprio niente”
“Beh,
non voglio che ci vedano amoreggiare, penseranno che siamo due animali
assatanati di sesso”
Gabriel
innalzò ancora di più le sopracciglia.
“Mi sono preso uno spavento sapendoti tra la vita e la morte,
e ora mi vieni a dire che devo trattenermi? Beh, mi dispiace, non
c’è niente che io voglia di
più”
Rebecca
deglutì. Lo sguardo del ragazzo la mise in soggezione.
Sapeva che poco poteva contro il suo volere. Forse perché
anche lei, infondo, lo voleva.
Gabriel le
fece l’occhiolino, lei scosse la testa come per chiedergli
che avesse in mente. Con una mossa della mano il ragazzo
bloccò la serratura della porta e oscurò i vetri.
Rebecca alzò gli occhi al cielo e sorrise.
***
Era passato
un mese da quando la guerra era finita.
Rebecca era
stata dimessa, non aveva riportato problemi dopo
l’operazione. La ferita un po’ alla volta si era
richiusa anche se era rimasta la cicatrice. Gabriel l’aiutava
in ogni modo, le cambiava la garza e le disinfettava la ferita,
l’aiutava a cambiarsi e con cura la metteva pure a letto la
sera. All’inizio la ragazza aveva problemi a camminare e il
più delle volte era Gabriel a portarla in spalla
fregandosene delle sue lamentele. Festeggiarono in quei giorni il
compleanno di Rebecca che dopo un anno compiva diciotto anni. Il suo
primo anno da eroe, il suo primo anno a Chenzo.
“Io
sono comunque due anni più grande di te perciò
cerca di non metterti in testa strane idee di
superiorità” le aveva ribadito Gabriel, beccandosi
un pugno in testa da parte della ragazza.
“Ma
sei rimasto scemo uguale” aveva esclamato incrociando le
braccia al petto con un broncio adorabile stampato in faccia.
Non appena
tornarono a casa andarono a trovare Rosalie e Denali che avevano
già la fama di essere i migliori genitori del villaggio.
Rebecca era stata entusiasta di tenere in braccio Ian ed Emma e Gabriel
si era addirittura commosso, sebbene lui l’avesse negato. Gli
sguardi fieri di Denali e Rosalie mentre guardavano i loro figli
crescere erano un qualcosa di fantastico e unico.
Kevin e
Delia avevano deciso, dopo tanto tempo, di andare a vivere insieme.
Kevin si era beccato un vaso in testa dopo che ebbe parlato con il
padre di Delia, a quanto pareva l’uomo non vedeva di buon
occhio il ragazzo della figlia. Dopotutto Kevin non era quello che si
poteva definire un ragazzo responsabile. Ma il padre di Delia chiuse un
occhio quando vide l’amore che lui nutriva per la ragazza. Si
presero una casa vicino al centro del villaggio e parlavano di mettere
su famiglia.
Rebecca,
scherzando, buttò lì la frase:
“Gabriel, potremmo mettere su famiglia anche noi,
no?”
Rise come
una matta nel vedere la faccia del ragazzo irrigidirsi e sbiancare.
Aveva cominciato a balbettare e dopo aver ripreso colorito era
diventato rosso come un peperone. Si era giustificato dicendo:
“Sono troppo giovane per fare il padre”
Ma lei
sapeva che lui sarebbe stato un padre perfetto.
I risultati
della loro vittoria avevano contribuito a migliorare il mondo, i
villaggi si erano ripopolati, le famiglie si erano ricongiunte e la
natura stessa era più prosperosa e verde. Bastian lo si
vedeva sempre in giro per il villaggio con il fratello a seguito mentre
gli indicava e gli spiegava i cambiamenti che aveva riportato al paese
negli anni in cui lui era mancato. Si era anche tenuta una festa, una
delle prime sere da quando Rebecca era tornata a casa, ovviamente era
in suo onore.
La gente la
adorava, la ringraziò e la definì la loro eroina.
Il tema di quella festa era appunto: “L’alba degli
eroi” e, in un certo senso, era riferito a tutti i cittadini,
perché tutti in quel momento potessero sentirsi utili e
importanti per il villaggio. Perché tutti dovevano sentirsi
dentro un po’ eroi.
La vita
riprese ad essere quella di sempre. Ora che non dovevano più
combattere Rebecca e Gabriel passavano le loro giornate viaggiando e
visitando posti fantastici. Ogni giorno erano in un posto diverso,
Gabriel voleva farle vedere tutto il pianeta. Quando tornarono a casa
dopo il viaggio era passato un mese. Si potè benissimo
immaginare le facce costernate della gente.
“Come
avete fatto a visitare Chenzo in un mese?”
Gabriel
sorrise orgoglioso e abbracciò Rebecca cingendole i fianchi,
attento a non urtarle la ferita che si stava rimarginando.
“Ehi, state pur sempre parlando con due angeli”
Chenzo era
magnifica e Rebecca fu contenta di averla vista con Gabriel.
Fu mentre
erano nella famosa rupe che dava sul mare che alla ragazza comparve un
alone di tristezza per la prima volta dopo quel mese di vittoria.
Gabriel se ne accorse e si fece più vicino a lei. Stavano
entrambi guardando l’orizzonte infinito, era il tramonto e
faceva caldo. Era estate. Il mare era tinto di rosso e di arancione,
gli scogli erano macchiati di sfumature grigie e nere.
“A
che pensi?” le domandò timoroso. Non pensava di
essere pronto ad affrontare un discorso serio che comportasse
dell’altro dolore.
Lei
sospirò, alzando e abbassando il petto. “Pensavo a
quello che mi ero ripromessa di fare un anno fa”
“E
cioè?”
“Che
una volta finito il mio compito su questo pianeta sarei ritornata a
casa, sulla Terra, e avrei ridato ai miei genitori la memoria”
Rebecca
potè sentire Gabriel irrigidirsi al suo fianco.
Sbirciò per guardarlo e vide che il suo volto era contratto
e rigido.
“È
questo che vuoi?” le domandò con un filo di voce.
La ragazza
rimase allungo in silenzio. Si voltò disperato verso di lei
e ammirò il suo profilo cupo e pensieroso. Strinse i pugni
lungo i fianchi e si morse la lingua per non urlarle addosso. In quel
momento rimanere zitto gli costò un sacrificio immenso.
Avrebbe voluto gridarle che no, non poteva andarsene. Era impazzita?!
Lei doveva rimanere con lui, stare con lui, per sempre. Ma non voleva
dimostrarsi egoista, se andarsene era quello che veramente desiderava
di più avrebbe saputo accettarlo il tempo necessario per
vederla partire. Dopodichè si sarebbe ucciso con le sue
mani. Non avrebbe sopportato l’idea di saperla sulla Terra,
con una vita normale distante da lui, continuamente attorniata da
ragazzi insistenti che la volevano tutta per sé.
L’immagine di lei con un altro che si abbracciavano,
innamorati e felici, gli mandò il sangue al cervello.
Inspirò profondamente e attese che lei parlasse.
“Questo
era quello che volevo, Gabriel. Ora però non penso di
riuscire ad andarmene”
Gabriel
sorrise e prese la sua mano tra la sua. “Era quello che
speravo dicessi”
“Sii
serio Gabriel, pensavi davvero che ti avrei lasciato qui mentre io me
ne sarei andata via a farmi una nuova vita?” sembrava
sorpresa. “Avresti una bassa fiducia di me”
Il ragazzo
alzò le spalle, guardava il mare dritto davanti a
sé. “Non l’ho mai pensato”
Rebecca
ghignò. “Ah no? Bugiardo…”
“Te
l’ho detto, Bec. Ci sposeremo, avremo dei figli e diventeremo
immortali. Passeremo il resto della nostra vita insieme, per
l’eternità”
Rebecca si
voltò verso di lui, lo guardò e sorrise.
“Sai cos’è un lieto fine?”
chiese abbassando lo sguardo. “Quando l’eroe, alla
fine della storia, comprende finalmente il motivo della sua
sofferenza”
Gabriel
piegò la testa per cercare di vedere l’espressione
del suo volto. Rebecca alzò il viso verso di lui. Gabriel si
appoggiò con il mento sulla sua fronte e poi si
chinò a baciarle le labbra.
“Fra
il Bene e il Male c’è una porta, qualcuno potrebbe
aprirla…”
.Continua.
***
Ehi ragazzi, è
finita sul serio la storia...vi aspetto con il sequel!!!
"Angelus Dominus - Alone in the dark -"
Grazie di tutto, grazie
perchè mi avete seguita, grazie per le vostre recensioni.
Bacioni, Federica.
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