Hurts.

di Writer98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione. ***
Capitolo 2: *** 1 Capitolo. ***
Capitolo 3: *** 2. ***
Capitolo 4: *** 3. ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5. ***
Capitolo 7: *** 6. ***
Capitolo 8: *** 7. ***
Capitolo 9: *** 8. ***



Capitolo 1
*** Introduzione. ***



 

 

saas


 

TRAILER YOUTUBE:    http://www.youtube.com/watch?v=RYfTYy9ZGYU  (guardatelo, è importante che lo facciate, così potete capire meglio il contenuto e il significato della storia, grazie mille!)



 

INTRODUZIONE.

 

Continuava a tagliare sul suo esile polso, cercando di sfogare tutta la sua rabbia. Le sue lacrime si mescolavano al sangue caduto a terra nella sua camera.
Si chiamava Jillian Parker, ma per tutti era semplicemente Jill. Diciott'anni, due dei quali passati a tagliarsi, alcolizzarsi e drogarsi. Forse vi chiederete,come mai questa fine? una ragazza così bella, rimasta in solitudine.
Sua madre, Mary, morì tre anni fa in una lite con suo padre, John Parker, aveva sempre alzato le mani su di lei, ma quella volta bastò poco per toglierle le vita.
Suo fratello Jack, morì investito da una macchina guidata da un uomo ubriaco. E suo padre venne arrestato durante una rissa. Successivamente si tolse la vita in carcere.
Non ha mai avuto nessuno che la capisse, che l'aiutasse, nessuno che la salvasse da tutto ciò. Solo i ''compagni'' con la quale divideva droga e alcool.  Da tre mesi era stata sfrattata dalla casa nella quale viveva con i suoi, perché non pagava l'affitto, e viveva nel ghetto di New York.

 

Sette Dicembre 2O12.

 

«Quanti grammi?» fece con tono discreto lo 'spacciatore personale' di Jill.
«Dammene... venti.» disse la ragazza mentre, dopo essersi guardata alle spalle, cacciava cinquanta dollari dalla tasca della sua felpa.
«Tieni» mise quei venti grammi, conservati in una bustina, nella tasca, al posto dei cinquanta dollari e scappò via.
Sapeva che tutto ciò le faceva solo male, ma non riusciva a smettere, perché quando si tagliava sfogava tutta la sua rabbia, quando si drogava riusciva a dimenticare tutto. Ogni volta che le persone l'avevano disprezzata, ogni lacrima versata, ogni sofferenza causata da qualcuno a cui lei teneva, ogni volta che aveva passato il natale da sola piangendo e guardando dalla finestra la neve ,per poi correre in bagno e tagliarsi ancora, aspettando che tutto finisse. E anche quest'anno, Natale stava arrivando e lei era ancora sola. 
Sola con le sue pasticche, con la sua marjiuana, con la sua cocaina. Sola con il suo wisky. Sola con se stessa. Come lo era sempre stata.

Continua con il Primo Capitolo.

________________________________________________________________

 

SPAZIO AUTRICE.

Oh yeaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah, I'm back Babes!

Sono tornataaaaaaa, con una nuovissima e freschissima storia.

Ci tengo a dire che però, questa l'avevo già pubblicata su Facebook,

non ero ancora iscritta ad EFP, l'avevano letta poche persone.

Spero che ora abbia il successo meritato!

Che dire...anche se è solo l'introduzione penso che dal TRAILER YOUTUBE
 ( http://www.youtube.com/watch?v=RYfTYy9ZGYU&feature=youtu.be ) 


e dalla foto di copertina sopra, si possa capire più o meno la storia. La ragazza che vedere nel trailer e nella foto è Jill, mentre Zayn beh...lo conoscete. LOL

Beh, beh. Spero vi piaccia e...RECENSITE °-°.


Lots of love, Writer xx.

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Capitolo 2
*** 1 Capitolo. ***


 

sassaassaasraining

 
  ewweew  Jill  Jill Parker.                                                                                                            asassa weew  Zayn Malik.
 


1.
 



 
Quella mattina a New York faceva freddissimo, e Jill, non aveva voglia di alzarsi. Anche se l'avrebbe fatto, non avrebbe avuto una meta nella quale dirigersi, una meta nella quale andare. Non avrebbe avuto nessuno con cui bere un caffé allo Starbucks, mentre camminavano per la strada, ridendo di qualsiasi cosa, anche dellla più insulsa. Non avrebbe avuto nessuno che l'avrebbe accompagnata sotto casa e che le avrebbe detto 'Ci vediamo staera!', o magari 'Ci sentiamo!'. Niente di niente. Ma doveva alzarsi, affrontare un'altra di quelle inutili giornate che ormai, passava senza ricordare neppure la data, anche se era difficile, perché Natale, si stava avvicinando e a New York, il clima era proprio natalizio.

«Buongiorno.» disse Jill, dando un bacio sulla foto di sua madre e di suo fratello. Ce l'aveva proprio lì, accanto a lei, sul comodino. Così, ogni volta che si girava e rigirava nel letto, perché non riusciva a dormire, perché aveva paura di affrontare quella vita oscura nella quale si era nascosta da sola, l'avrebbe guardata e si sarebbe sentita sicura, perché era come averli accanto, anche se non fisicamente.

Si alzò dal letto, scoprendosi di quelle vecchie coperte che le permettevano di dare  un po' di calore al suo corpo che ormai, sembrava diventato così freddo. L'alito le puzzava di wisky, ma ormai era una cosa normale. Beveva per dimenticare, ma in realtà, i problemi erano sempre lì, davanti a lei, che aspettavano la soluzione giusta per essere risolti. Si diresse verso il bagno e dopo aver lavato il viso e i denti, si vestì. Sempre con gli stessi abiti. Jill non aveva soldi, non lavorava, non aveva nessuno che glieli prestava, che l'aiutava. Le poche cose che aveva erano state comprate nel passato, quando aveva ancora una famiglia, qualcuno su cui contare.

«Ma dove l'ho messa...» mormorò, continuando a frugare nelle tasche della sua felpa, finché non si arrese avendo trovato ciò che cercava. Cominciò a sniffare fino a tre grammi di quella polvere bianca che tutti chiamavano 'cocaina'. Ripulì la punta del naso con il palmo della mano, e, dopo aver rimesso quella bustina nella sua borsa uscì, senza una meta, come sempre.

Era l'Otto Dicembre, Natale era sempre più vicino, guardava le strade, dove cominciavano a scendere i primi fiocchi di neve, e dove dopo a poco a poco ne sarebbe caduta sempre di più fino a divenire una distesa bianca. Guardava i bambini, i ragazzi, con i propri genitori e li invidiava profondamente perché lei non aveva più nessuno, nessuno con cui addobbare l'albero, nessuno con cui scartare i regali la mattina del 25 Dicembre, nessuno con cui festeggiare, ridere, scherzare, nessuno.
E mentre i suoi pensieri vagavano in tutto quello che poteva essere triste e malinconico, cominciarono a scendere alcune lacrime sul suo viso, coperto dal cappuccio della sua felpa nera. E come se le lacrime non bastassero, un lampo, seguito da un tuono diedero inizio a un temporale.

''Almeno c'è qualcuno che piange con me, il cielo.'', pensò Jill fermandosi a guardare le nuvole grigie sparse sopra la sua testa, erano un gruppo di batuffoli grigi, tutti uguali, tutti raggruppati, non erano soli. Persino le nuvole erano più in compagnia di lei. Era lì, ferma, lasciando che la pioggia le scivolasse addosso, immaginando che quelle gocce, fossero i suoi problemi, fossero gli avvenimenti più brutti della sua vita a scivolare addosso, come un temporale, una tempesta. All'inizio è così violento, ma poi si calma, smette e va via. I suoi problemi erano così, c'era solo una differenza, non adavano via, restavano lì.
Cominciò a correre cercando un posto dove ripararsi, solo dopo essere diventata fradicia. Correva, come aveva sempre fatto nella sua vita. Correva via dai debiti che si faceva per la cocaina, per l'alcool, correva via dai tre mesi di affitto arretrati. Correva via da se stessa, dalla sua inutile vita.
Alla fine, trovò un''portoncino'' dove potersi riparare, ma, metà dello spazio era già occupato da un'altra persona. Sarebbe andata via, se non fosse stato per i lampi e i fulmini che aumentavano nel cielo. Non amava, anzi odiava, il contatto con qualcun'altro. Odiava che qualcuno la guardasse, che solo la sfiorasse. Era sempre sulla difensiva, perché ormai non si fidava più di nessuno, nemmeno di se stessa, della sua ombra.
«Mi fai spazio?!?» esclamò Jill  con indifferenza, spingendolo per non farsi toccare, per non farlo avvicinare.
«Certo, non c'è bisogno di fare così.» ribatté quel ragazzo spostandosi per farle un po' di spazio in più. 
Jill aveva lo sguardo abbassato, fissava il pavimento. Non voleva più guardare nessuno negli occhi, perché sono proprio gli occhi in una persona che ti fregano, e lei non poteva più permetterselo. La sua vita era stata rovinata, nessuno l'aveva aiutata, l'avevano solo presa in giro. Promesse, promesse fatte al vento e dopo averla portata a letto, scaricata, lasciata lì, in lacrime, perché si era fidata dell'ennesima persona sbagliata. E non voleva cadere più in quello sbaglio. Si sentiva agitata, al sol pensiero che quello sguardo sconosciuto le cadesse addosso, anche solo per caso. Voleva andare via, ma la pioggia non glielo permetteva.
«Uffa,ne avrà ancora per molto?» mormorò tra sé Jill sbuffando, sporgendosi per guardare fuori.  Il cielo piangeva ancora, chissà per quale motivo. Magari piangeva per non farla sentire sola, per farle compagnia. Magari era sua madre che, dal cielo, piangeva. Piangeva perché non voleva vedere sua figlia in quello stato. Le braccia piene di tagli, l'alito che sapeva di wisky e le tasche piene di cocaina. 
«Credo di sì.» rispose lui, intromettendosi nei suoi pensieri, «Beh, mentre aspettiamo, anche se sei stata maleducata a spingermi e dovresti presentarmi per prima...io sono Zayn, Zayn Malik», le disse facendo una bel sorriso, che scaldò quasi l'ormai gelido cuore di Jillian Parker.
«Punto Primo...» disse Jill facendo un gesto con il pollice, per indicare il numero uno, «Tratto le persone come mi pare, punto secondo,» fece un'altro gesto con l'indice, «non ridere perché non c'è nulla da ridere e punto terzo,» cacciò il dito medio, per indicare il numero tre, «Mi chiamo Jill, Jill Parker» disse fissando le sue dita, per non guardare il suo volto. Zayn rise di nuovo, «Scusami, comunque, piacere Jill.»  disse porgendole la mano, lei non gliela strinse, semplicemente lo ignorò. Lui la ritrasse indietro, senza parole. 
C'era silenzio, nessuno dei due parlava. Lei si era voltata dall'altra parte, fissando il cielo, ancora grigio e nuvoloso. La pioggia non smetteva ancora di cadere e si chiedeva per quanto ancora sarebbe durata quella tortura.

«Perché sei così scorbutica?, io non ti ho fatto niente» disse fissandola. Quegli occhi su di lei la facevano sentire a disagio, e voleva andare via, scappare perché odiava essere fissata dalla gente.
«Non ti conosco! Ma cosa vuoi?!?» esclamò Jill, sospirando, scocciata dall'insistenza di quel ragazzo.
«Niente, niente!» disse, rivolgendo il suo sguardo da un'altra parte.

Le nuvole cominciavano a sparire, dirigendosi chissà dove. La pioggia era cessata, e con essa i lampi e i tuoni. 
«Oh ma guarda un po'!» esclamò Jill guardando il cielo, «Non piove più, e io me ne vado, ciao Zayn!» Jill lo salutò con un gesto, al quale Zayn ricambiò e si allontanò per la sua strada. Nella sua solitudine, nella sua freddezza. Nella sua vita infelice e irrequieta.

Continua.



SPAZIO AUTRICE.

Ciaaaaaaaaaaaao!
Allora bellezze? che ne dite di questo primo capitolo? c:
Io spero che vi piaccia!
Quelle delle due icons è Jill c:! 
Ho preferito mettere icons questa volta, perché
le immagini si prendevano troppo spazio!
Spero non vi dispiaccia.
Detto questo...grazie mille, spero recensiate.
Lots of love, Writer xx.

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Capitolo 3
*** 2. ***




dssdsddssdasasasas


dss Ivy.   saasas
 Jessie.   asasas Sam.                                                  ssaas Alex.   asasas Perrie Edwards (fidanzata di Zayn).




2.

Jill era in piedi, fissando dalla finestra dai vetri appannati, la neve che cadeva su New York. Faceva così freddo in quella casa. Lei non poteva permettersi i riscaldamenti. Ma aveva dimenticato qualcosa, qualcosa di molto importante perché, proprio quell'oggi, sarebbe passato il padrone di casa a ritirare i tre mesi arretrati dell'affitto. Non aveva un soldo, nemmeno un dollaro per pagarlo. Tutto quello che le rimanevano erano venti dollari, ma le servivano per comprare altri dieci grammi di cocaina.  

La sagoma di un uomo vestito di nero apparì sfocata dai vetri appannati, era quasi irriconoscibile, ma Jill ormai, lo conosceva molto bene. Era il padrone di quella catapecchia che cadeva a pezzi. Aprì la porta, facendosi coraggio, cercando di trovare un'altra buona scusa per rimandare di un altro mese.

 
«Te lo dico per l'ultima volta, se non ti decidi a pagare l'affitto ti caccio, mi devi tre mesi di arretrata» disse il padrone di casa. Nonostante vivesse nel ghetto, l'affitto doveva pagarlo, anche se non era abbastanza caro.
«Si, si, ho capito. Sono tre mesi che torni qui a dirmelo, ti ho detto che ho capito! Appena trovo un lavoro ti pago» disse Jill sbuffando, mentre cercava di trattenersi per non dirgli parolacce. Lo odiava, era così odioso e di solito, i mesi di affitto glieli faceva pagare portandola a letto.
«Beh, allora sarà meglio che ti sbrighi, se entro il mese prossimo non mi paghi, ti caccio! Anche se devo dire che...mi dispiace perdere una ragazza come te. Se non hai i soldi per pagare...possiamo sempre usare l'altro metodo» disse ancora l'uomo, mentre rimetteva la giacca. Jill lo fissò impaurita, quell'uomo le faceva schifo e non vedeva l'ora di pagargli tutto così, non sarebbe più tornato.
«Al prossimo mese, allora» concluse uscendo dalla porta.
«Porca puttana!» esclamò Jill coprendosi il viso con le mani, era esasperata esasperata. Era arrabbiata. Arrabbiata con il mondo, con se stessa, arrabbiata con Dio. Se Dio è così buono allora perché capitavano tutte a lei? perché le aveva tolto la famiglia, gli amici, la dingnità, perché le aveva tolto tutto?.
Doveva trovarsi un lavoro, altrimenti sarebbe dovuta andare avanti a scopate, e quando era stanco, l'avrebbe mandata a dormire sotto i ponti. Non le piaceva l'idea di dover collaborare con altre persone. Sbuffò ancora una volta, e dopo averci pensato e ripensato, uscì per cercarsi un lavoro.

Cominciò a passeggiare per le strade che ormai, erano una distesa bianca sulla quale camminare. Il freddo le faceva bruciare i tagli sui polsi, che con l'aiuto delle maniche dell'unica felpa che aveva, cercava di coprire, ma senza risultato. Così dovette lasciar bruciare le ferite che lei stessa si procurava ogni giorno. Sfogando tutto il suo dolore sulle sue esili braccia, sui suoi polsi ormai coperti di tagli. E una volta che aveva finito, una volta che si era sfogata, realizzava che non c'era ancora nessuno lì con lei. A parte una lametta sporca di sangue. E continuare a camminare,  in cerca di un cartello con su scritto 'Cercasi commessa'.
«Scusi lei cerca qualcuno che le dia una mano in negozio?.» domandò entrando in una boutique. Una di quelle boutique dove entrano solo le persone ricche, che possono permettersi abiti costosi. Non avrebbero di certo dato il lavoro a una pezzente di quell'aspetto, come Jill.
«No, mi dispiace», questa fu la risposta che ricevette Jill, in qualunque negozio entrasse, non cercavano alcuna commessa o aiutante. O almeno, nessuna che avesse vestiti sgualciti e capelli in disordine. Cercavano una ragazza bella, in tiro, con capelli lisci che cadevano lungo la schiena, ordinati. Mentre lei, i suoi capelli lisci non erano affatto stati pettinati da un parrucchiere, ma dalla sua vecchia spazzola, in bagno.
Dopo aver fatto tanto cammino,  entrò in un ristorante italiano, l'ultima speranza che le era rimasta era proprio quel piccolo locale in cui era appena entrata.
«Buonasera, cerca per caso una cameriera? o lavapiatti, boh, mi va bene tutto!.» disse tutto d'un fiato Jill, con un tono che quasi supplicava. Supplicava di darle quel lavoro perché era stanca di elemosinare, di pagare in un'altro modo il padrone di casa, per farlo stare buono anche solo per una settimana, un mese.
«Sei arrivata in tempo mia cara!» disse la signora dietro il bancone, la quale portava una targhetta attaccata al maglione rosso sul quale c'era scritto il suo nome, 'Amelia'. Jill lesse per poi sorridere a quella donna che continuò il suo discorso dopo essersi schiarita la voce, «Da poco si è licenziata la cameriera, il ristorante è grande, abbiamo bisogno di un'altra persona che ci aiuti, e tu sei capitata proprio al momento adatto!» Amelia sorrise, Jill ricambiò.
«La ringrazio! Allora sono assunta?» disse Jill, facendo quasi i salti di gioia. 
«Certo, oh, per la paga non preoccuparti, trecento dollari a settimana, vanno bene?.» domandò Amelia a Jill, mentre la faceva passare dietro il bancone.
«Certo, va benissimo! Quando posso iniziare?» Jill sorrise soddisfatta, finalmente avrebbe potuto pagare l'affitto. Quei soldi non erano nemmeno la metà dell'affitto che gli doveva,  e magari se le sarebbe rimasto qualcosa, avrebbe anche potuto comprare più cocaina, alcool e sigarette.
«Beh, sono le otto e mezza, tra poco apriamo, arrivano anche le altre ragazze, inizi da ora! Su, su, metti questa!.» esclamò la donna dandole una divisa dal colore bianco e nero, Jill la indossò, aspettando con ansia dietro il bancone di iniziare il suo primo giorno di lavoro. Dopo mezz'ora, arrivò 'lo staff'.
«Ragazzi, lei è nuova, servirà ai tavoli assieme a Jessie e Sam, Jill, loro sono i tuoi 'colleghi'» disse Amelia facendo una risata sull'ultima parola, poi scappò nel suo ufficio a sbrigare chissà quali faccende.
«Ciao, io sono Sam!» esclamò una voce radiosa e squillante alle spalle di Jill, che balzò voltandosi verso di lei.
«Oh, io sono Jill» disse sorridendo, un po' a disagio. Sam le porse la mano, mentre Jill cercò di nascondere i tagli che arrivavano fino ai polsi, e per fortuna lei,  non fece caso a quelli.
«Oh, io sono Jessie! poi c'è Alex, che prende le ordinazioni, adesso è impegnata in cucina, poi te la presenterò meglio... poi c'è Ivy, che è alla cassa, non sopporta nessuno, è antipatica, snob, e viziata, in pratica...una puttana.» disse Jessie con sarcasmo e poi, presentò tutti a Jill, che però in quel momento aveva bisogno solo di strafarsi di cocaina, erano ore che non si faceva. 
«Ragazze, io vado un secondo in bagno.» disse Jill cercando di nascondere la bustina contenente cocaina dietro la schiena, poi corse in bagno. Chiuse la porta, lasciandosi scivolare lungo di essa. Era agitata, tremava con le mani e sudava freddo. Aprì velocemente la bustina e cominciò a farsi fino a sentirsi ''bene'', fino a far smettere il tremolio alle sue mani, fino a far cessare la caduta del sudore sulla sua fronte. Dopo che l'effetto smise, Jill ritornò in sala, facendo finta di nulla.
«Eccomi, allora qual'è il primo tavolo?» domandò Jill a Sam, che scriveva su di un taccuino alcune ordinazioni.
«Quello, ehm...il numero quattro!» disse indicando il quarto tavolo a sinistra della sala, quello più isolato da tutti.
«Okay» disse Jill prendendo il vassoio, contenente cibo per due persone, pollo, pasta e roba varia, poi si avvicinò al tavolo, cercando di non far cadere il vassoio. Era tesa e aveva paura di sbagliare tutto
«Ecco a voi.», sorrise incerta, quando il ragazzo, che teneva la mano a un'altra ragazza dai capelli biondi, si voltò, era lo stesso ragazzo con la quale aveva condiviso il riparo dalla pioggia. La guardò e le sorrise, probabilmente quella ragazza con i capelli biondi era la sua fidanzata. In ogni caso a Jill non importava. Non le importava come non le importava del resto del mondo che ormai, stava andando a rotoli. Non le importava come non le importava della sua inutile vita. Non le importava come non le importava di nulla. E così, si voltò con il vassoio vuoto e continuò a servire agli altri tavoli. 

 
Continua.
 

SPAZIO AUTRICE.


Beeene, questo è il 2° capitolo!
Che cosa ne dite? c: Spero vi piaccia! 
Anche perché è un genere diverso da 'Dangerous Past', 
e lo capirete se andrete avanti leggendo questa storia!
Grazie mille per le recensioni, spero che aumenteranno.
Penso che abbiate capito che la ragazza con cui pranzava Zayn,
era la sua fidanzata Perrie. Le icons, sono le immagini delle ragazze! c:
E appunto, c'è anche Perrie LOL.
Nel primo capitolo ci sono Jill e Zayn.
Beh...ora mi dileguo. Byeeeeeeeeeee!
Fatemi pubbliciààà, vi prego :3.
Lots of love, Writer xx.

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Capitolo 4
*** 3. ***




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sads  sdsdds
assa  dsdsd
dsss



3.




Una Settimana Dopo.


I clienti stavano andando via, mettendo fine al chiacchiericcio che si era creato in quella sala che sembrava troppo piccola per tute quelle parole. E Jill odiava tutto ciò. Odiava vederli sorridere, sentirli parlare, sentire la loro risata, ma soprattutto odiava vederli felici con la loro famiglia. Perché lei ormai non aveva niente e più vedeva gli altri felici e più lei odiava quella vita inutile che viveva. Anche se quella non era una vita, era una tortura. Una tortura che aumentava giorno per giorno, dandole i tormenti, distruggendola. E si sentiva così a disagio quando, con un vassoio in mano, era al centro di quella sala, con tutti gli occhi puntati addosso. Sarebbe voluta scappare, correre via, sparire e non ritornare mai più. Abbandonandosi ad una vita che non le apparteneva più.

Jill stava pulendo l'utlimo tavolo, con un panno più sporco che pulito. Imprecando che quella tortura finisse presto. Le mani le si bagnavano, e i tagli sui suoi polsi bruciavano sempre di più. Erano dieci, venti, trenta...non ne aveva più il conto. Erano troppo per contarli. Troppo profondi, troppo solcati. Lasciò scivolare il panno sul tavolo per l'ultima volta e poi, lo ripose nel secchio.
«Jill, quando chiudiamo vieni a casa mia?, ci sono anche loro» Disse Sam indicando Alex e Jessie.
«Oh, veramente...io non so se posso venire» mormorò con insicurezza Jill, che deglutì, pronunciando tutto con un tono nervoso.
«Dai, così possiamo conoscerci anche un po' meglio, poi magari dopo andiamo anche a comprare regali per Natale, sai quelle cose carine da mettere sotto l'albero. Ho molte cose da comprare, e vengono alcuni amici da Londra a trovarci a Natale» disse con entusiasmo Sam, con un sorriso smagliante sul volto. Jill invece non sorrideva, non sorrideva mai. Perché solo chi era davvero felice, poteva permettersi un sorriso. Jill si arrabbiava, piangeva, ma non sorrideva. 
«No!», esclamò Jill, lei non poteva fare compere, ne' tanto meno voleva. Non aveva nessuno a cui fare un regalo, non aveva un albero sotto la quale mettere anche un pacchetto, non aveva nulla di tutto ciò. Solo una lametta per tagliarsi, cocaina per drogarsi e alcool per ubriacarsi. Questi erano i suoi amici con la quale aveva condiviso tutta la sua vita. Poi continuò il discorso. «Mi dispiace, io...io non posso venire».
«Dai, ti prego, ti prego, ti prego» Sam continuò a pregarla, e, nonostante continuasse a dirle di no, continuava, fino a convincerla.
«Ci vediamo oggi allora!» esclamarono tutte salutandosi.

Aveva accettato, e quella era la prima volta che sarebbe uscita con qualcuno.  Non aveva amiche, non aveva nessuno. Non sapeva come comportarsi, cosa dire, cosa fare.  Solo di una cosa era certa: non doveva raccontare la verità su se stessa. Quella era la sua unica certezza. Doveva mentire.


 
Tre Ore Dopo.
 
 

Jill bussò alla porta della casa di Sam. Le sembrava una casa così di bell'aspetto, dove potevano viverci solamente persone per bene, nella quale lei non era degna di entrare. Perché lei sapeva che se avrebbero saputo la verità, l'avrebbero abbandonata, come avevano sempre fatto tutti nella sua vita. Ma la porta le fu aperta, dalla stessa Sam, che la accolse in casa sua con un sorriso a trentadue denti.
«Vieni, entra pure» disse con tono ospitale. Jill entrò. La casa era bella, arredata con gusto. C'era persino un camino. Jill non aveva mai visto nulla di simile. La sua casa era una catapecchia senza nemmeno un termosifone, mentre lì, c'era un camino. "Pazzesco!". Pensò Jill, che si guardò attorno con stupore, cavolo era davvero una bella casa! E probabilmente, Sam aveva dei genitori. Date le foto esposte sul comodino in soggiorno. Tutti insieme, uniti da un abbraccio, da un sorriso. Mentre niente univa più a Jill con la sua famiglia. Non c'era più nessuno. Solo lei.
«Le ragazze stanno arrivando, aspettiamo qui, intanto» disse Sam, sedendo sulla poltrona in pelle in soggiorno. Jill non parlava, fissava il pavimento, sbattendoci velocemente i piedi sopra, creando un rumore sommesso. Incrociava le dita nervosamente, mentre Sam le sorrideva, senza capire il perché di quell'atteggiamento così agitato. E, mentre stava per dirle qualcosa, quando suonarono al campanello, erano le altre.
Salutarono Jill, baciandole entrambe le guance. Mettendola ancor più a disagio. 
«Andiamo?» domandò Jessie, sporgendosi verso la porta. Sam prese le chiavi di casa, mettendole in borsa e poi le sorrise. «Certo!», esclamò, aprendo la porta.

Alex aveva la macchina. Gliel'avevano regalata i genitori per i suoi 18 anni, grazie a lei avevano risparmiato il cammino verso il centro. Così, dopo circa mezz'ora, si trovarono nel bel mezzo del centro commerciale.
Tutte cominciarono a correre e spargersi per i vari negozi. Kiko, D&G, Louis Vuitton, e qualsiasi altra Boutique fosse griffata. Mentre Jill non comprò e non fece nulla. Seguiva  la sua nuova amica Sam in tutti i negozi, reggendole le borse, ogni volta che entrava in camerino. Sopportare tutta quella gente, quella folla, che faceva quasi a cazzotti per beccarsi l'ultimo paia di scarpe della collezione della Vuitton. A lei invece, non importava nulla, né delle scarpe, né di fare compere. Non le importava nulla di lei, della sua vita. Jessie la trascinò nel negozio della Kiko, fermandosi a guardare ombretti e rossetti. Guardava le decine, centinaia di persone ammassate che, portavano chissà quante borse dalle fantasie natalizie, comprare sempre più roba, per regalarle chissà a chi. Tutto ciò le faceva pensare all'ultimo Natale, di quattro anni fa, passato con la sua famiglia. Non erano i più ricchi del mondo, ma almeno erano felici, e lei, aveva qualcuno a cui regalare qualcosa. Aveva un albero da addobbare, qualcuno con cui addobbarlo, per il quale metterci sotto del regali, aveva una famiglia, una semplice e comune famiglia.

Erano passati ormai quasi dieci minuti, e Alex comprava ancora. E lei,  era ancora ferma fuori a guardarla, a fissare con quanto entusiasmo comprava di qua e di là, regali per tutti, senza badare a quanto spendesse. Anche se a lei, non interessava comprare fino a sentirsi male, lei voleva semplicemente una famiglia, una vita diversa. Ma non c'era nessuno, nessuno disposto ad aiutarla, che l'ascoltasse, perché lei urlava, ma nessuno la sentiva. Andava avanti e indietro, quando ad un certo punto qualcuno che stava per entrare in quel negozio, le urtò la spalla.
«Oh, scusami» esclamò una ragazza dai capelli biondi, che Jill riconobbe subito. Era la fidanzata di Zayn. Le buste che reggeva erano interminabili, ognuna con una griffa diversa dall'altra e a quella fila di buste, se ne sarebbe aggiunta un'altra, firmata Kiko. Aveva rischiato di cadere per entrare lì dentro, e aveva ottenuto l'ultimo paia di scarpe della Vuitton, prima di tutti. La guardò, i suoi abiti erano così nuovi e costosi. Tutti scelti con cura. Entrò correndo, cominciando a svuotarlo di quasi tutto quello che c'era.  E Alex non usciva più da lì. Jill sbuffò, abbassando le maniche della felpa, che avevano mostrato per un attimo i tagli.
«Anche tu qui?!» esclamò una voce alle spalle di Jill, che dopo aver balzato dalla paura, si voltò, riconoscendo il volto di chi le aveva appena parlato. Era Zayn.
«Perché? devo dirti anche dove vado?» rispose Jill infastidita, cercando di evitare quello sguardo fisso su di lei. 
«Ma no, era per dire, e...come mai non hai comprato nulla?, non regali niente a nessuno?» domandò curioso il ragazzo, con un bellissimo sorriso, mentre aspettava che la sua fidanzata, dal nome ancora sconosciuto da Jill, uscisse con un altro carico di buste.
«Non voglio comprare niente, problemi? sono affari miei, tu piuttosto, pensa alla tua fidanzata, che si è comprata tutto il centro commerciale!» esclamò concludendo quella conversazione in fretta, lasciandolo senza parole. Poi si allontanò, andando verso le sue amiche.

«Sam, io vado a casa, non mi sento molto bene, ci vediamo domani okay?» disse Jill, cercando di inventare una buona scusa per scappare subito da lì. Aveva gli occhi umidi, stavano per esplodere dal pianto.
«Oh, mi dispiace, vuoi che ti dia un passaggio?.» domandò dispiaciuta Alex, avvicinandosi a lei.
«No, andrò a piedi, da qui a casa mia sono cinque minuti», disse Jill salutando tutte e poi, velocemente, scappò a casa.
Appena aprì la porta corse in bagno e cominciò a piangere, era come se avesse avuto un vuoto dentro, che solo le lacrime avrebbero potuto colmare.
Prese la lametta e cominciò a tagliarsi fino a riempire il bagno di sangue. Poi si lasciò cadere vicino al muro piangendo sempre di più.

Continua.
  

 

SPAZIO AUTRICE.


Welcome back with another chapitle! 
Spero che vi piaccia! Ho cercato avidamente gif sullo shopping,
ma non ne ho trovato, quindi...a male in cuore, dovrete accontentarvi delle immagini. C:
E...che dire...spero che continuerete a leggere e recensire. 
Questo è solo l'inizio. <33
Grazie mille.
Lots of love, Writer xx.

 

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Capitolo 5
*** 4 ***




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4.


 

Jill se ne stava stesa sul suo letto, con il sudore freddo che continuava a cadergli sulla fronte e le mani che le tremavano. Aveva appena sniffato della cocaina dopo aver bevuto una bottiglia di wiskey, e si sentiva quasi male per aver mescolato tutta quella roba in una sola volta. La luce, i rumori, tutto le sembrava  troppo forte da sopportare e si copriva gli occhi con le mani perché le sembrava che anche in pieno inverno, il sole le si fosse piantato davanti agli occhi. Il suo cellulare continuava  a squillare, e quel rumore sembrava spaccarle i timpani. "Cazzo, fatelo smettere!" urlò Jill, coprendosi con il cuscino il viso. Era insopportabile, l'effetto le sembrava troppo forte e doveva stare lì, ferma, aspettando che svanisse.

Era passata un'ora e finalmente Jill era tornata quella di prima. Si asciugò il sudore dalla fronte e si alzò dal letto, prendendo il cellulare che era sul comodino accanto a lei. Tre chiamate perse da Sam. Decise di chiamarla lei, aspettò dopo vari squilli finché la ragazza non si decise a rispondere.

«Pronto?» rispose Sam, mentre Jill si massaggiava le tempie, per il mal di testa. 
«Hei Sam, sono Jill, ho visto che prima mi avevi chiamata, cosa volevi dirmi?» le domandò Jill, cercando di trovare una scusa plausibile per nascondere il vero motivo per il quale non aveva risposto. 
«Io e le ragazze volevamo chiederti se potevi venire con noi in centro, visto che oggi è Domenica e siamo chiusi» disse Sam, con la sua voce squillante e allegra. Quanto avrebbe voluto avere un tono così allegro Jill, che sembrava piangesse in ogni sua parola, che sembrava urlasse a bassa voce, ma nessuno la sentiva.
«Oh, ehm...quando?» mormorò Jill, con indecisione. Avrebbe preferito restarsene a casa a tagliarsi, deprimersi per la sua vita che era andata via troppo in fretta, lasciandola sola, senza l'aiuto di nessuno, solo con se stessa. 
«Adesso Jill, per favore, ti aspettiamo! Muoviti!» esclamò Sam e poi riattaccò. Jill sbuffò, lasciando cadere il cellulare e indossò la solita maglietta nera e il suo paio di jeans neri, lavò il viso e denti, l'alito le puzzava di alcool e se non li avrebbe lavati, si sarebbero accorte che qualcosa non andava. L'avrebbero tempestata di domande alle quali Jill non avrebbe risposto, perché non voleva svelare la sua identità, non voleva farlo perché se l'avrebbe fatto l'avrebbero abbandonata anche loro, le uniche persone che aveva.

Le strade erano cosparse di neve, sulla quale camminavano centinana di persone e nei negozi c'era ancora più gente. C'erano luci natalizie ovunque, persone che indossavano un costume da Santa Claus (Babbo Natale) e i soliti canti di Natale che venivano emanati da alcuni bambini e adulti che cantavano in coro. Jill detestava tutto ciò, perché ormai non poteva più averlo, a tal punto da odiare il Natale, anche se nel suo cuore, che continuava a spezzarsi, ricomporsi e spezzarsi ancora di nuovo, avrebbe voluto tornare a festeggiarlo, anche se senza la sua famiglia, perché ormai non avrebbe avuto più speranza che tornassero, avrebbe voluto festeggiarlo con le sue amiche, se ne avesse avuta qualcuna vera, magari con il ragazzo che l'avrebbe amata, accettata per quella che era, ma di questo ne dubitava tanto, nessuno si sarebbe mai messo con una tossico dipendente, con un'alcolizzata e un'autolesionista. Così lasciava scorrere gli anni, diventando sempre più fredda, distaccata dalle persone, abbandonandosi al suo crudele destino. Ma mentre pensava, distratta, si era accorse di aver perso di vista la sua amica Sam.
«Sam, dove sei?!» esclamò Jill cominciando a cercarla tra le persone, ma l'aveva completamente persa. Si era sicuramente rintanata in qualche negozio, spendendo la carte di credito, rubata furtivamente dal portafogli del padre. Così, ndopo aver perso la speranza di trovarla, cominciò a camminare tra le fredde strade di New York.
«Hei, ciao!» esclamò una voce a Jill familiare, alle sue spalle. 
«Zayn, vero?» disse lei sarcastica, senza nemmeno voltarsi verso di lui.
«Oh, si» disse il ragazzo ridendo, per poi girarle intorno e mettersi davanti a lei, «Sei sola?» le domandò scrutandole ogni particolare del viso.
«Per la verità ero con delle amiche, ma le ho perse di vista, tu sei solo?» rispose Jill, con il solito tono freddo e distaccato, a disagio sotto gli occhi color cioccolato di quel ragazzo, che la fissavano.
«Si, beh, devo comprare un regalo ad un amico, avevo pensato ad una chitarra, visto che la sua si è rotta, sai, quest'anno festeggiamo il Natale tutti insieme. Poi c'è anche Perrie, la mia fidanzata, la sua famiglia e la mia, quindi siamo davvero in tanti!» esclamò Zayn sorridendole, mentre le faceva segno di fare una passeggiata, cercando un negozio dove vendessero strumenti musicali.
«Beh, non m'interessa» disse con tono duro Jill, tenendo lo sguardo basso, per non incrociare il suo.
«Oh, va bene, era per dire...e tu?» le domandò Zayn un po' turbato dalla risposta fredda della ragazza.
«Fatti gli affari tuoi, per caso lo passiamo insieme? ci conosciamo bene? abbiamo confidenza? no quindi sono affari miei» rispose nervosa Jill, facendo un lungo sospiro.
«Okay, scusami...»mormorò Zayn, che  si scusò, anche se era sconvolto, dalla risposta aggressiva della ragazza.

Continuarono a camminare e alla fine entrarono in un negozio. Zayn scelse la chitarra più bella e più costosa. Jill si meravigliò, era ricco, quel ragazzo era davvero ricco e lo si poteva vedere dal modo in cui si comportava, in cui parlava, in cui comprava, dal modo in cui vestiva e dal profumo che emanava. Uscirono e si diressero verso l'auto. Era una macchina bella, costosa, una di quella macchine sportive che vedeva solo nei film, che giudavano solo persone ricche e senza problemi. Era una Lamborghini nera, l'auto che probabilmente ogni ragazzo dai diciotto anni in su sognava di avere.  Poggiò la chitarra dentro il porta bagagli e si voltò verso di lei.
«Facciamo un giro?» le domandò Zayn, avvicinandosi allo sportello.
«Se Perrie lo sa si arrabbia?» disse Jill sarcastica, Zayn rise.
«Non ho intenzione di violentarti in macchina mia, voglio solo fare un giro, tutto qui» rispose con tono innocente il ragazzo.
«Okay, va bene!» esclamò Jill, mentre Zayn le apriva la portiera. Subito dopo salì. I sedili erano comodi, rivestiti in pelle e l'auto era pulita, profumata, le sembrava che da poco l'avesse lavata. Poggiò la testa sullo schienale e Zayn salì subito dopo. Accese i motori e finalmente partì.
«Tu sei fidanzata?» le domandò curioso Zayn, fissandola.
«No, no» rispose turbata Jill, fissando il panorama innevato dal vetro dei finestrini.
«Come mai, una bella ragazza come te non è fidanzata?» disse ancora, incuriosito dal "mistero" di quella ragazza.
«Sono affari miei!» esclamà infastidita Jill, alzando il tono di voce.
«Scusami, avevo solo fatto una domanda, come sei sgarbata» disse lui, ironico, facendo una smorfia con il viso.
«Okay, il viaggio è finito, fammi scendere!» esclamò Jill,  facendo fermare l'auto di scatto. Scese velocemente e chiuse lo sportello con forza. Zayn rise. Rise perché pensava di non aver detto nulla di male, non sapeva che ogni parola sbagliata era come una lancia che le trafiggeva il cuore. Scese dall'auto seguendola e la fermò per un braccio.
«Arrivederci allora Jill» disse, baciandole la guancia. Jill gli sorrise timidamente, abbassando lo sguardo ma, subito dopo scuoté la testa, affrettandosi a chiamare Sam, che aveva passato tutto il tempo chiusa nei negozi.

Continua.


 

SPAZIO AUTRICE.


Heeeeeeeei! I'm Back :3!
Cosa ne dite di questo capitolo quaa?
Hahahahha, sono fuori di testa. LOL!
Per l'auto la Lamborghini è la prima che mi è venuta in mente (?)
penso che costi parecchio :').
Coooooooooomunque, io non ho più nulla da dire >. Al prossimo capitolo, spero che questo vi piaccia.
Lots of love, Writer xx.

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Capitolo 6
*** 5. ***



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5.


 
10 Giorni dopo.
 
 

Jill continuava a lavorare in quel locale che sembrava le avesse ridato una speranza. I rapporti con le ragazze miglioravano sempre di più, tranne che con Ivy, lei la detestava. Ormai quelle tre ragazze erano diventate le uniche amiche che Jill aveva, le uniche persone nella quale poteva confidare, anche se non del tutto. Ma non le davano comunque la forza di smetterla con l'alcool e la droga, di smetterla di tagliarsi, ogni giorno, infatti, peggiorava sempre di più.
«Quanto mi odio» si ripeteva guardandosi allo specchio. E più si specchiava e più odiava quella figura minuta, piena di tagli, con gli occhi arrossati per la droga e lo sguardo sommesso, più odiava le sue mani, le sue braccia, le sue gambe, più odiava se stessa. Era stanca di vivere in quel modo, di piangere stesa sul pavimento con le braccia sanguinanti e l'alito che sapeva di alcool.
Un lato ''positivo'' però c'era, in un mese aveva riuscito a mettere da parte tutti i soldi che le servivano per pagare l'affitto, così, non venne cacciata. Così non sarebbe più dovuta andare a letto con quell'uomo che approfittava così facilmente di lei e lo odiava, lo odiava così tanto perché a modo suo le aveva rovinato la vita.

Quel giorno Jill aveva la giornata libera così decise di uscire. Senza una meta, senza un perché. Indossò il suo vecchio cappotto nero, e uscì.
Cominciò a camminare per la strada, raggomitolandosi nel cappotto per il freddo e il gelo che la neve portava. Continuava a camminare a camminare,  senza sapere dove andare, ritrovandosi in centro. Le strade erano affollatissime, si guardava intorno e realizzava che non desiderava tanto. Non desiderava essere ricca, fare shopping a Parigi e vivere in una villa, ma una semplice cosa. Una cosa che ognuno vuole, ma che non si poteva comprare. Lei voleva solo essere amata da qualcuno, avere qualcuno che tenesse a lei per quella che era davvero, non per quella che volevano che fosse. Voleva essere desiderata, voleva che qualcuno le regalasse il suo sorriso senza volere nulla in cambio, che le regalasse un bacio, una carezza, uno sguardo. 
«Chi non muore si rivede!» esclamò qualcuno alle spalle di Jill, facendola balzare dalla paura.
«Cazzo, mi hai fatto prendere un colpo!» esclamò Jill voltandosi verso di lui. Zayn, «Per caso mi segui?» gli domandò infastidita. Zayn rise alla sua domanda.
«Sarà il destino che continua a farci incontrare» rispose con un sorriso sul volto. Jill sorrise abbassando lo sguardo. Era proprio quel sorriso che le scaldava il cuore a sconvolgere tutto, perché era proprio quel sorriso che lei desiderava con tutta se stessa, che avrebbe voluto fosse per lei. 
«Non credo in questi stupidi scherzi del destino!» esclamò lei con tono scettico,  scuotendo la testa per scacciare quei pensieri dalla sua testa.
«E Perrie? dov'è?» gli domandò ancora Jill, fissando il suo volto. Accorgendosi che era perfetto, lo era talmente tanto da farle mancare il fiato. Era bellissimo. E le sembrava così strano che un ragazzo tanto bello quanto ricco le si avvicinasse così facilmente, senza scappare.
«E' a casa, si è ammalata» disse Zayn, mentre le prendeva la mano. Jill alzò lo sguardo, fissandolo meravigliata. Sentiva il calore di quella mano attraversarle tutto il corpo, e la sua stretta era forte e rassicurante. Sorrise di sottecchi, fissando le loro mani incrociate. 
«Capisco» rispose poi, guardando il suo viso dalla pelle ambrata, coperto da una velatura di barba che sembrava essere ispida, che lo faceva sembrare più uomo, più adulto e ancora più bello.
«Facciamo un giro assieme?» le propose Zayn sorridendole. La sua mano non lasciava quella di Jill, che si era abituata al calore di quella pelle che si strofinava contro la sua, fredda e tagliata. «Solo per stasera, dai!»
«Credo di no, non posso...» mormorò Jill, deglutendo.
«Dai, oerché sei sempre così diffidente?» disse il ragazzo facendo una smorfia strana, «E' solo un'uscita tra amici, tutto qui» sorrise di nuovo e quel sorriso la rassicurò così tanto da farla accettare il suo invito. 
«Va bene, ma non venire a casa mia, ci vediamo qui, okay?» disse frettolosamente Jill, cercando di nascondere a tutto e a tutti il posto squallido in cui abitava.  Il posto squallido in cui ogni sera si ritirava, in cui ogni mattina si svegliava, il posto squallido che chiamava "casa".
«Okay, alle otto qui» disse Zayn e le sorrise ancora una volta. Poi si avvicinò, le baciò la guancia e andò via.

«Che cazzo mi metto?!?» esclamò Jill lanciando per aria i pochi abiti che aveva. E di certo non aveva nulla per un appuntamento con un ragazzo così bello, ricco, che guidava una Lamborghini. Poteva indossare qualsiasi cosa, ma doveva essere con le maniche lunghe, doveva coprirle le braccia o si sarebbero visti i tagli segnati e solcati che ormai aveva da un vita, ma che non smetteva di disegnare con una lametta o qualsiasi cosa di tagliente. Quei tagli che sanguinavano anche dopo anni, che bruciavano di più ogni singolo giorno, sempre, senza mai fermare quella sofferenza.

Una felpa grigia, un paio di jeans neri e un paio di Converse nere era tutto quello che Jill aveva riuscito a trovare per un appuntamento con il ragazzo più ricco che aveva mai conosciuto nella sua vita. Prese una bustina di pasticche dalla sua borsa e dopo essersi fatta e aver aspettato che l'effetto fosse svanito uscì. Non aveva più cocaina, l'aveva finita tutta e doveva comprarla. Ma aveva finito i soldi e doveva aspettare la prossima paga. 
Camminò, fino ad arrivare al posto stabilito. Non c'era nessuno così rimase ad aspettare finché arrivò un ragazzo davanti a lei. Era Zayn. 

Continua.
 

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Capitolo 7
*** 6. ***




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6.


Zayn le sorrise. Quel sorriso sembrava qualcosa di ultra terreno, era da mozzare il fiato. E a Jill mozzava il fiato, e si meravigliava perché era una delle poche cose, forse l'unica che riusciva a lasciarla senza parole. Ma era troppo orgogliosa per ammetterlo, perché aveva smesso di innamorarsi, di fidarsi delle persone. Perché solo le persone perfette potevano permettersi di amare, perché per amore si soffre e lei era stanca di soffrire. Era stanca di piangere sul suo letto disperandosi per l'ennesima delusione, per l'ennesimo tradimento o maltrattamento. Ma era stanca anche di ritirarsi e non trovare nessuno in casa che l'accoglieva, che le sorrideva come le sorrideva quel ragazzo. 
«Buonasera Jill!» esclamò Zayn. Avvicinò le labbra al suo viso e le baciò la guancia. Lei ricambiò fredda, sfiorando appena con le labbra la sua guancia sinistra,dove cresceva quel velo di barba ispida che le solleticò le labbra. In quel momento le vennero in mente le poche volte che suo padre riusciva ad essere affettuoso con lei. Quando lei era felice e gli saltava addosso pungendosi con la sua barba tendente al grigio. Sorrise fissando il vuoto, quando capì che ormai tutto quello era solo il passato, era solo uno dei pochi bei ricordi che le rimanevano, che avrebbe portato sempre con sé. 
«Ciao Zayn» disse Jill, alzando lo sguardo. Notò che quegli occhi color cioccolato erano fissi su di lei e la ipnotizzavano. Erano due occhi troppo belli per essere veri e brillavano come diamanti. Nessuno sapeva ancora se era Jill ad illuminare quello sguardo o era semplicemente il chiarore della luna a renderli così splendenti.
«Ti dispiace se non ho preso la macchina? volevo camminare un po' accanto a te, mano nella mano» disse Zayn, sorridendole ancora una volta. Jill aveva l'impressione che con quel sorriso avesse voluto imbarazzarla, perché ci era riuscito. Arrossì e abbassò lo sguardo verso il pavimento che scorreva sotto il loro piedi. E ebbe l'impressione che la sua vita era come quella terra che stava calpestando, perché lei la sua vita la stava distruggendo. Le scorreva davanti regalandole i suoi migliori anni che lei rovinava con la droga e con l'alcool, che lei rovinava sfreggiando il suo corpo, che rovinava pensando al passato, a quei ricordi ormai spenti ma accesi ancora nella sua mente. Zayn le aveva tenuto la mano durante tutto il tragitto e qualche volta si voltava verso di lei e le sorrideva, lasciando il suo cuore distrutto sempre più colpito da quei sorrisi e dal modo in cui le accarezzava il palmo e le dita. Lo fissava e si domandava perché comportarsi così con lei quando aveva una fidanzata bella e ricca con la quale avrebbe potuto passare quelle ore che stava passando con lei. Entrarono in un pub, dirigendosi verso i tavoli rotondi stile moderno sparsi per la sala. Zayn ordinò due cocktail. La fissava durante l'attesa senza dire nulla e quello sguardo la metteva in soggezione. E nonostante lui le stesse accanto si sentiva a disagio tra quelle persone che sembravano così diverse da lei.
«Chi si rivede!» esclamarono alcuni ragazzi che spuntarono alle spalle di Zayn, che si voltò sorpreso dalla loro presenza. Erano tre bei ragazzi e ricchi. Lo si poteva vedere dal modo in cui erano vestiti e poi erano suoi amici, non potevano non avere una macchina costosa e una fidanzata vizita che svuotava le carte di credito come fossero niente.
«Hei ragazzi, ciao!» esclamò Zayn dandogli una pacca sulla spalla. Si sedettero con loro, mettendo ancor più a disagio Jill, che si era pentito di aver accettato l'invito di quel ragazzo del ceto sociale opposto.
«E questa ragazza chi è? Zayn Jawaad Malik, non mi dire che stai tradendo la tua fidanzata» disse un ragazzo con gli occhi azzurri, seduto accanto a Zayn. Si voltò verso di lui e lo guardò male, poi mascherò quello guardo con il suo sorriso regalando un'altro sospiro di sollievo a Jill, che ogni volta che lo vedeva sorridere stava meglio, stava miracolosamente meglio.
«No! Lei è Jill un'amica. Jill loro sono Edward, William e James» disse lasciando che si stringessero la mano. 

Quei tre ragazzi erano così diversi da Jill, ma anche così diversi da Zayn. Parlavano, non facevano altro che parlare di ville e auto costose, di viaggi e serate passate a spendere soldi, passate a buttare bigliettoni da cento. Jill annuiva reggendo il suo bicchiere di vodka, Zayn invece sorrideva ascoltando il lungo racconto del viaggio a Madrid di James e sul prossimo viaggio che stava organizzando.
«Ehm...scusate, ho bisogno di una boccata d'aria» mormorò Jill, cercando di trovare una scusa accettabile per scappare da quelle chiacchiere che le riempivano la testa, facendola scoppiare in frantumi. Si alzò e andò fuori. Fece un lungo respiro e si senti sollevata perché era sola come lo era in ogni momento della sua vita. E odiava il fatto che quando era sola, la sua unica compagnia era la solitudine. E odiava ancora di più il fatto che a farla felice erano una bottiglia di wiskey una dose di cocaina e una lametta piuttosto che un sorriso del ragazzo che amava. Si coprì il viso con le mani, trattenendo le lacrime che volevano cadere. Il fatto era che aveva paura anche di piangere, perché le lacrime sarebbero state talmente tante da non cessare più. Mentre fissava il cielo sentì due mani cingerle i fianchi, si voltò e vide gli occhi color cioccolato di Zayn dentro i suoi. Rabbrividì vedendo quello sguardo dentro il suo, percependo il calore delle sue mani su di lei.
«Che ci fai qui? Perché non sei dentro con i tuoi amici?» disse Jill, staccandosi di scatto dalla sua presa. Distolse lo sguardo, allontanò i loro corpi e ritornò nel suo nido di ghiaccio, circondato da sangue, droga, alcool, delusioni, pianti e rancore.
«I loro discorsi non mi appartengono» disse Zayn, facendo notare a Jill una panchina a pochi isolati da lì. Arrivarono lì e si sedettero l'uno accanto all'altra. Zayn cercava un contatto visivo con lei, ma Jill glielo negava, perché in quegli occhi c'era qualcosa di più importante della droga, di più importante dell'alcool e di una lametta, qualcosa più importante di tutto.
«Allora Jill, perché non mi racconti un po' di te? infondo conosco solo il tuo nome» mormorò lui incuriosito, con un sorriso sghembo sul viso. Lei deglutì, pensando alle bugie che avrebbe dovuto raccontargli ancora una volta. Era stanca di mentire, era stanca di tutto e avrebbe voluto mettere fine alle sue sofferenze, sarebbe voluta sparire per sempre. Lui aspettava una sua risposta fissandola con quello sguardo illuminato dalla luna e quella luce fioca lo rendeva ancora più bello.
«Beh...il mio cognome è Parker, ho diciotto anni, e...niente, cosa vuoi che ti dica?!?» esclamò Jill, mentre la tensione cresceva sempre di più. Perché quelle assurde domande? voleva metterla a disagio? lui non poteva saperemla sua storia, lui conosceva il suo nome, non conosceva la vera Jill, la sua vita, le sue sofferenze, non conosceva ancora nulla.
«E i tuoi genitori? hai un fratello? dove vivi? che fai nella vita?» continuava a domandarle, cercando di farle dire qualche altra cosa sul suo conto. Era così affascinato da quella ragazza dalla pelle di porcellana e dagli occhi azzurri, perché non sapeva ancora chi era lei davvero.
«Beh, i miei...i miei genitori sono in viaggio, e sono figlia unica, non voglio dirti dove vivo! Non sei il mio stalker» disse Jill, cacciando tutta d'un fiato la prima bugia che le venne in mente. Non avrebbe voluto mentirgli, era stanca di farlo, ma era l'unico modo che aveva per non farsi abbandonare almeno da lui, era l'unica persona che aveva.
«Oh, capisco, anche i miei sono in viaggio, ma tornano domani, erano a Londra per una settimana, nella nostra seconda casa!» esclamò il ragazzo sorridendole in modo mozzafiato. Jill tossì. Aveva una seconda casa e chissà quanti altri appartamenti in giro per il mondo.
«Okay» rispose Jill fissando la luna. Aveva sempre amato fissare il cielo di notte. Le stelle, ma soprattutto la luna. Lei pensava che ovunque fosse la sua famiglia, stava fissando il cielo nello stesso modo in cui lo fissava lei, perché le stelle e la luna erano sempre lì, pronte a splendere sul cielo buio, pronte ad illuminare anche l'anima più scura.
«Hai dei bellissimi occhi» mormorò Zayn, fissando le iridi azzurre di Jill, che arrossì inconsapevolmente sotto il suo sguardo.
«Grazie...» mormorò lei sorridendogli. Un soffio li vento li travolse e Jill rabbrividì, da poco aveva ricominciato a fioccare.
«Hai freddo?» sussurrò Zayn al suo orecchio, avvicinandosi a lei.
«Sì, ehm...un po'» rispose Jill imbarazzata, abbassando lo sguardo verso il pavimento.
«Vieni qui» disse lui sorridendole. La attirò a sé e la strinse tra le sue braccia, dandole tutto il suo calore. Per un attimo Jill chiuse gli occhi, abbandonandosi a quella sensazione divina che le donava il suo corpo. Appoggiò la testa sulla sua spalla, dimenticando per qualche minuto tutte le delusioni, la droga, le lamette e l'alcool. Lui continuava a fissare la sua bellezza, paragonandola a quella di una Dea. Era bellissima e adorava il modo in cui cercava di fare la dura mentre arrossiva perché le stava sorridendo. Lei aveva bisogno di affetto, tanto affetto. Le accarezzava il viso con le dita, lasciandole scorrere sulla sua pelle liscia.
«Sai Jill? se non fossi fidanzato con Perrie....» mormorò, ma mentre cercava di concludere il discorso arrivò William ad interrompere quella magia che si era creata tra i due.

Continua.

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Capitolo 8
*** 7. ***




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sassas


7.



La sveglia di Jill suonò alle otto e trenta precise. Non aveva dormito quella notte, perché nei suoi pensieri c'erano sempre quegli occhi color cioccolato lì a fissarla, pronti a metterla in imbarazzo, pronti a farla arrossire e a strapparle un sorriso. Aveva messo la sveglia in anticipo perché prima di uscire aveva bisogno di strafarsi di coca per stare meglio. Ne aveva bisogno perché doveva dimenticare e se non lo faceva quei brutti ricordi erano sempre lì che non le permettevano di affrontare quella vita che stava a poco a poco distruggendo. L'effetto doveva svanire in tempo perché se Amelia avesse saputo che era una drogata, che beveva e che si tagliava l'avrebbe di sicuro licenziata. E lei non poteva permetterselo proprio in quel momento, non poteva perché anche se non voleva ammetterlo quel lavoro le aveva ridato la speranza di vivere. Aveva trovato delle amiche e i debiti stavano sparendo. Dopo un'ora uscì, arrivando miracolosamente puntuale a lavoro. Le altre già erano lì, che servivano ai tavoli.
«Ma buongiorno» disse Ivy, fissandola con il suo solito sguardo da cane da guardia. 
«Ciao Ivy» rispose Jill con indifferenza, mentre scriveva un ordine sul taccuino bianco.
«Come mai sembri strafatta di coca?» le domandò incuriosita. Tentava sempre di scoprire qualcosa per farla licenziare. Non sopportava che lavorasse lì, non sopportava che tutti i clienti si fermavano a guardarla e non si curavano invece di lei, che voleva essere sempre al centro dell'attenzione. Sotto gli occhi di chiunque, circondata dal suo egoismo e dalla sua presunzione.
«Non ho dormito Ivy, ma tu impara a farti gli affari tuoi» Disse Jill, passandosi le mani sulla faccia, si sentiva stanca e debole.
«Non mi faccio gli affari miei se si tratta di una drogata» rispose impertinentemente Ivy, oltrepassando il bancone per raggiungere Jill.
«Non sono una drogata okay? non ti permettere mai più di dire una cosa del genere!» esclamò Jill, fissandola a disagio. Aveva mentito per l'ennesima volta, aveva mentito ad una ragazza che non sopportava ma mentiva a tutti. Jill era una drogata e la risposta che aveva dato a Ivy era l'esatto contrario
«Va bene, alzo le mani» sussurrò con il suo tono fastidiosamente ironico, per poi allontanarsi e sparire tra i tavoli. Jill tirò un sospiro di sollievo, l'aveva scampata anche quella volta e sperava di scamparla altre cento volte. Se Daysen l'avesse saputo per lei sarebbe stata finita.

Il rumore della porta del locale fece distogliere lo sguardo a Jill, che stava pulendo un tavolo. Avevano appena varcato l'entrata Zayn e Perrie. Lei spalancò gli occhi, non si aspettava che dopo il loro "appuntamento segreto" Zayn avrebbe avuto il coraggio di portare lì la sua ragazza. Sospirò e continuò il suo lavoro, quando sentì una mano toccarle la spalla, si voltò ed era Zayn ma c'era Perrie accanto a lui.
«Ti dispiace se ci sediamo?» mormorò Zayn, indicando il tavolo che Jill stava lucidando da ormai troppo tempo. Lei annuì, facendoli sedere. Prese il taccuino dalla tasca della sua divisa e scrisse la loro ordinazione.
«Vi conoscete?» disse Perrie, alzando sorpresa il sopracciglio.
«Ehm...Sì, è una conoscente» mormorò Zayn, facendo una smorfia non convinta di ciò che aveva appena detto. Perrie la squadrò dalla testa ai piedi, mettendo la ragazza che secondo lei era inferiore, in imbarazzo. La fissò con disprezzo, non pensava che il suo fidanzato fosse caduto così in basso. Un'amica come cameriera era davvero troppo per lei. Figlia di un ricchissimo imprenditore, viziata fino alla punta dei capelli.
«Ciao ehm...a dopo» mormorò Jill a disagio, davanti agli occhi azzurri perquisitori di Perrie Edwards. Si allontanò velocemente in cucina poggiando l'ordine sul bancone. Poggiò una mano sul petto, poteva percepire il suo cuore rotto che batteva all'impazzata per l'ansia. Era l'ennesima persona che l'aveva disprezzata con lo sguardo, con una sola parola l'aveva quasi umiliata. Era stanca di tutto ciò, perché aveva sofferto già troppo e non poteva soffrire ancora. Aveva solo bisogno d'amore, di tanto affetto. Aveva bisogno di baci di abbracci, di carezze. Aveva bisogno di un ragazzo che l'aiutasse, che le facesse capire che ciò che faceva, il modo in cui si trattava, ciò che pensava era sbagliato. Doveva lasciare andare il passato e non tenerlo sempre lì, pronto a farla esplodere in lacrime. Dopo una manciata di minuti tornò in sala, continuando a servire agli altri tavoli. Aveva quegli occhi cioccolato addosso che non smettevano di fissarla e si meravigliava del fatto che Perrie non si fosse avvicinato per prenderlo a schiaffi. "Cameriera!" esclamava continuamente Perrie, facendola sentire inferiore, facendole capire che il suo posto era quel ristorante italiano dove lei andava a mangiare con il suo ragazzo, mentre Jill lì dentro ci serviva. Ed era proprio questo quello che Jill odiava della gente, la superiorità, l'egoismo. Ma in un certo senso anche lei era egoista, perché nonostante c'erano persone accanto a lei che l'amavano come le sue nuove amiche e poi c'era Zayn, che in un modo o nell'altro la faceva impazzire, continuava a pensare solo a se stessa e tagliarsi, drogarsi, pensava solo a bere e a come farsi del male. 
«Sam sostituiscimi per un po', vado fuori» mormorò Jill, sgattaiolando fuori. Aveva bisogno di stare da sola, di non avere quegli occhi addosso che la distraevano e non voleva sentire niente e nessuno che le parlasse, non voleva nessuno che le desse ordini, voleva stare da sola con se stessa. Chiuse gli occhi, quando sentì due mani accarezzarle i fianchi. Si voltò di scatto, trovando quegli occhi color cioccolato dentro i suoi. Fece un sospiro, poi scuoté la testa.
«Perché te ne sei andata? era così bello guardarti mentre camminavi per la sala» disse Zayn, che era scappato dalle grinfie di Perrie facendole credere che andasse a fumare una sigaretta mentre parlava al cellulare con un suo amico.
«Perché mi guardi? sei con la tua fidanzata, guarda lei non me, Zayn!» esclamò Jill, scostando le mani calde del ragazzo dal suo corpo freddo e tagliato, che non desiderava altro che il calore di quelle mani, ma lo respingeva perché lo desiderava troppo.
«Sei bellissima Jill, come posso non guardarti?» disse Zayn prendendole la mano, facendo avere una scossa al cuore di Jill, che per un attimo si ricompose. Sembrava quasi che la chiave per rimettere insieme quei pezzi sparsi senza nessun ordine fossero proprio le sue mani. Così rassicuranti e calde.
«Smettila, devi smetterla...» mormorò Jill, scuotendo la testa con lo sguardo rivolto verso il pavimento. Lui le alzò il mento fissandola negli occhi, quando la voce di Perrie che stava uscendo interruppe tutto ciò che Zayn Malik stava creando.
«Posso rivederti?» mormorò lui velocemente, staccandosi dal suo corpo.
«Beh, io....» mormorò Jill, ma mentre stava per concludere la sua risposta arrivò Perrie, che prese sotto braccio il suo ragazzo.
«Zayn, tesoro andiamo?» esclamò fissando in cagnesco Jill, che deglutì. Il suo cuore era tornato di nuovo in mille pezzi, come lo era sempre stato.

Continua. 

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Capitolo 9
*** 8. ***



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8.


Quindici giorni al Natale.


Ormai mancavano quindici giorni e di natalizio nella casa di Jill non c’era altro che un minuscolo albero di natale posto sul comodino accanto al letto. Ogni giorno che passava le braccia erano sempre più segnate dai profondi tagli che quella lametta vi lasciava, le dosi di cocaina aumentavano e il suo cuore era sempre più distrutto, era sempre più lacerato e anche se nessuno poteva vederlo sanguinare, le gocce cadevano invisibili dentro il suo animo che scompariva sempre di più, fino a non esistere. Quando andava a casa di quelle poche amiche che aveva notava sempre quegli alberi giganteschi piazzati in salone, addobbati con luci e decorazioni di ogni colore, tutte appese con cura. Di sicuro tutta la famiglia si era riunita intorno ad esso e lo avevano addobbato insieme, come qualche anno prima aveva fatto anche lei con i suoi genitori e suo fratello. Non chiedeva molto, non lo chiedeva esplicitamente, ma voleva soltanto un po' d'amore, voleva soltanto essere apprezzata. Si sentiva inutile, si sentiva uno straccio, un oggetto che veniva usato per i bisogni degli altri. Una volta soddisfatti quell'oggetto veniva rimesso a posto, nella sua valle di lacrime.


Il turno di Jill terminò alle sei in punto. Tolse la divisa e indossò il suo cappotto.
«Ragazze io vado, a domani» disse Jill, prima di uscire.
Il cielo era già oscurato e la neve aveva appena spesso di fioccare sulla Grande Mela. Deglutì e aprì la porta del locale poi uscì, raggomitolandosi in quel tessuto ormai vecchio che copriva ogni giorno il suo corpo dal freddo e dal gelo.
Una figura alta e possente le comparve davanti, era di spalle e dalla sua bocca usciva del fumo di una sigaretta che lanciò per terra, schiacciandola con la punta dei suoi stivali di pelle. Si voltò verso di lei lasciando che lo guardasse. Era Zayn ed era bellissimo, era troppo bello per essere vero. Jill sbatté le palpebre alcune volte per prendere contatto con la realtà, ma lui era lì davanti a lei e non se ne sarebbe andato così facilmente. Portava una giacca nera in pelle che copriva la sua t-shirt sempre nera abbinata ad un paio di pantaloni neri attillati.
«Finalmente» disse Zayn incrociando le braccia. Sul volto c'era un sorriso mozzafiato, un sorriso che aveva solo quando guardava il suo volto diafano. Non era il solito sorrisetto falso che regalava a Perrie per accontentarla, quello era un sorriso vero, pieno di amore. I suoi occhi brillarono quando Jill accennò un sorriso.
«Tu che ci fai qui?» mormorò Jill sorpresa. Non voleva che lo notasse ma era felice che lui fosse andato a prenderla. Lui sorrise con lo sguardo facendo battere il cuore della ragazza che non sapeva come frenare quei battiti che accelleravano sempre di più.
«Volevo solo vederti» sussurrò al suo orecchio, facendole salire brividi per tutto il corpo. Fece un respiro profondo e lo allontanò da lei. Aveva paura. Paura di tutte le sensazioni che provava quando era con lui, quando le parlava. Non le provava da un pezzo ed erano troppo forti per il suo animo lacerato.
«Capisco, beh, qualcosa di meglio avresti potuto fare, stare con la tua ragazza ad esempio, perché perdere tempo con me?.» Jill iniziò a camminare.
«No l'ho vista questa mattina» disse facendo una smorfia, «Sai Jill, io non sono mai stato innamorato di lei...Perrie è innamorata di me, ma...io no! E' stata colpa dei nostri genitori, soprattutto i miei... Lei è viziata, è...tutto ciò che a me non piace» disse abbassando lo sguardo. Jill poté capire dal suo sguardo, dalla sua voce che tutto ciò che le stava dicendo era la verità. Lui era sincero con lei, lo era sempre stato.
«Se non sei innamorato di lei perché non la lasci?» chiese incuriosita.
«Non posso, i miei genitori hanno bisogno che io stia con Perrie. Le nostre famiglie sono molto ricche e sono socie in un progetto mondiale che coinvolge entrambe le aziende e...è tutto un casino» disse tutto d'un fiato fissandola.
«Quanto odio le persone che fanno così, tutto per soldi, non capisco, davvero non capisco!» esclamò Jill infastidita da ciò che aveva appena detto Zayn.
«Jill, se fosse stato per me l'avrei già lasciata...a me piace un'altra ragazza ma non so come farglielo capire...» disse bloccandola e mettendosi difronte a lei.
«Allora lascia Perrie, va da lei e baciala! Fai qualcosa per farglielo capire al posto di perdere tempo con me!» esclamò Jill fissandolo, senza capire.
«Hai ragione, lo farò» disse Zayn sorridendole.
«Grazie Jill» mormorò guardandola negli occhi. Era bellissima. Sospirò e si avvicinò di più al suo viso fino a sfiorarle le labbra dandole un bacio stampo, che stava per trasformarsi in qualcosa di più profondo ma Jill lo spinse via.
«No Zayn!» esclamò guardandolo. Zayn la guardò interrogativo. Jill scosse la testa e corse via lasciandolo lì.

Continua. 

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