Isabelle. L'amore è il punto di congiunzione tra l'inferno e il paradiso.

di Aetherios
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Niente potrà farti così tanto male come il dolore di chi non c'è più. ***
Capitolo 2: *** I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta. ***



Capitolo 1
*** Niente potrà farti così tanto male come il dolore di chi non c'è più. ***


10 giugno 2003.

 

Era l'ultimo giorno di scuola.
Il sole e il caldo oramai avevano inondato la città e io e la mamma ci eravamo trasferite nella casa di campagna.
La vegetazione intorno a quella specie di cottage ci permetteva di vivere le giornata al fresco senza soffocare per il calore, ovviamente c'era il solito inconveniente di quegli stupidi insetti di cui io avevo la maledetta fobia. ''Sono animali anche loro'' diceva sempre la mamma e io rispondevo con un ''Si, animali brutti e schifosi'' sussurrato per non farmi sentire da lei, non amava che usassi questo tipo di linguaggio.
Le campagne francesi erano uno spettacolo, non eravamo così distanti dalla città, forse solo un paio di ore di macchina ma nonostante questo eravamo ben lontane dallo stress tipico cittadino e io sapevo che era ciò di cui lei aveva bisogno. Rotolai sul letto evitando stavolta di cadere e sbattere come al mio solito la fronte sul pavimento di legno, oramai avevo fatto l'abitudine ai cerotti che coprivano ogni mia piccola ferita provocata dalla mia distrazione. Poggiai i piedi a terra e subito percepii quel brivido freddo che ricevevo ogni volta che toccavo il pavimento con i piedi nudi, ma nonostante questo e nonostante fossi una bambina davvero freddolosa, continuavo imperterrita a rinunciare a scarpe e calzini per godermi quel meraviglioso pavimento di legno naturale. Scesi dal letto con un balzo e velocemente mi diressi verso la cucina, a differenza della nostra casa di Parigi, questa era tutta su un piano quindi i miei passi corti ma veloci risuonarono come eco fra le pareti. Mi ero svegliata piana di energie, l'ultimo giorno di scuola era sempre quello che preferivo, primo perché la scuola era finalmente finita e secondo perché organizzavamo sempre una piccola festa con tanti dolci buoni. Mi ero dovuta alzare molto presto ma Maddalena era già pronta ad accompagnarmi, lei era la mia tata e aiutava mamma nelle faccende di casa. Mamma era una dottoressa, la famosa Michelle Gauthier, i miei compagni di classe la conoscevano tutti, lei era sempre così gentile quando veniva a farci i vaccini a scuola
-Maman j'ai faim..
Dissi in francese e lei mi guardò scuotendo la testa, non voleva che parlassi sempre e solo francese, mi stava insegnando anche le altre lingue quindi voleva che per esercizio le usassi
-Maman je continue à ressentir la faim
Dissi capricciosa poggiando la fronte sulla lastra di marmo che copriva la cucina di legno, lo stomaco brontolava e io già sapevo che sarei stata due ore in viaggio senza toccare nulla.
-Quando arriverai a scuola mangerai di tutto e di più.
Disse lei rimproverandomi per i miei capricci.
-E poi sei sicura che vuoi andarci? E' l'ultimo giorno di scuola puoi anche rimanere a casa.
Spalancai gli occhi guardandola, sapeva quanto ci tenevo alla festa quindi aggrottai la fronte e incrociai le braccia al petto
.-Ma mamma... voglio andarci eccome, è l'ultimo giorno e poi la mamma di Arlene mi ha promesso che avrebbe portato quella fantastica torta al cioccolato che amo tanto.
Da vera golosona non potevo rinunciare ad una cosa del genere. Lei scosse la testa oramai arrendendosi a suo figlia troppo testarda da far ragionare e io sorrisi maleficamente pensando a quella gustosa torta.
In dieci minuti riuscii a prepararmi, indossai la divisa ufficiale della scuola e legai i capelli in una coda alta raccogliendoli tutto, l'ultima mansione però non le feci da sola ma mi aiutò Maddalena, lei adorava pettinarmi i capelli e io adoravo ricevere questo tipo di attenzioni.
Presi lo zaino e corsi di nuovo in cucina dalla mamma.
-Prometto che ti porterò un po' di torta se non me la mangio per strada.
Dissi sorridendo e le diedi un bacio sulla guancia per poi allontanarmi per avviarmi verso l'uscita.
Lei mi bloccò per un braccio mi attirò a se abbracciandomi forte, allungai le mani al suo collo stringendola con altrettanta forza, per quanto potevo averne visto che ero solo una bambina di dieci anni.
-Tu lo sai che ti voglio bene vero?
Dissi guardandomi negli occhi e io sentii un groppo in gola che mi impediva di deglutire correttamente, annuii alla sua domanda senza riuscir a proferire parole e lei incalzò con il discorso.
-Devi sempre essere sicura di questo, qualunque cosa succeda.
Se un giorno non ti starò più accanto tu devi proseguire la tua vita come hai sempre desiderato, lo capisci questo?
Ti ho educata per crescere forte e non cambiare mai ciò che sei, per nessuno, neanche per tuo padre.

L'ultima frase sembrava quasi un avvertimento ma io non riuscivo ancora a capirlo, ero ancora troppo piccola per comprendere le parole di mia madre.
Annuii ancora mentre lei mi schioccava un bacio sulla fronte, guardai i suoi occhi azzurri, quasi quanto i miei ed erano lucidi, come se da lì a poco potesse scoppiare a piangere.
Quel groppo in gola continuava a crescere e diventava più grande quasi facendomi respirare a fatica. Uscii dalla casa mano nella mano di Maddalena e salii in macchina, lei mi mise la cintura e dopo qualche minuto partimmo verso la città.
Durante le dure ore di viaggio non facevo altro che pensare alle parole di mia madre, sembrava così triste e piena di rabbia, eppure ultimamente stava meglio no?
L'avevo vista sorridere così tante volte durante la permanenza in campagna che mi ero illusa stesse bene.
Sospirai abbassando lo sguardo verso i miei piedi che non toccavano terra mentre Maddalena cantava qualche canzone in italiano, sua lingua madre, neanche lei riusciva a farmi tornare il buon umore.
Arrivammo davanti alla scuola con un leggero ritardo per il traffico intenso di Parigi e io scesi dall'auto salutando velocemente Maddalena, lei mi disse che avrebbe fatto alcune compere per la città e poi all'uscita di scuola mi sarebbe venuta a prendere.
Annuii in silenzio e passai la strada per raggiungere le altre bambine.

[...]

Fu una mattinata divertente, ovviamente la mia prima attività era stata mangiare ogni tipo di dolce che c'era sul buffet e poi mi ero dedicata ai giochi che avevano organizzato le maestre, loro erano così simpatiche e sempre dolci con me.
Ero riuscita anche avere una seconda porzione di torta al cioccolato della madre di Arlene, la mia felicità era alle stelle e il discorso di mia madre non mi aveva più turbato.
Evitavo semplicemente di pensarci.
All'improvviso l'ultima campanella suonò in tutto l'edificio e fu la fine di quell'anno scolasti.
Saltai di gioia abbracciando i miei compagni di classe e subito uscii verso la porta principale contenta di potermi godere l'estate fra giochi e spensieratezza.
Ritrovai Maddalena ad aspettarmi all'uscita e corsi verso di lei abbracciandola. *
-E' finita, è finita.
Saltellai felice, adoravo andare a scuola solo per i miei compagni ma studiare non mi andava molto a genio anche se portavo sempre pagelle eccellenti.
Salii in macchina iniziando a riversare parole su parole addosso a Maddalena spiegandole ciò che era successo in tutti i minimi particolari, raccontando anche la caduta rovinosa della maestra nella piccola fontana in mezzo al giardino dietro la scuola.
Le due ore, a differenza di quelle dell'andata, passarono molto veloci e non vedevo l'ora di tornare a casa per dare la torta a mamma, ero riuscita a rubarne un pezzettino.
Maddalena parcheggiò davanti la casa e io scesi subito correndo verso la porta. *
-Mamma, mamma, la scuola è finita.
Dissi saltellando, aprii la porta con un po' di forza ed entrai in casa correndo subito verso la cucina dove mi aspettava sempre lei ma lei non c'era. 
-Mamma, c'è la torta....
Dissi guardandomi attorno e mi diressi verso il piccolo salotto correndo, neanche lì c'era. La casa sembrava così stranamente silenziosa e inquietante, deglutii a fatica facendo un passo verso le tre camere da letto, forse mamma non si era sentita bene e si era adagiata un po' sul letto. Aprii di scatto la porta e saltai all'interno della stanza con un sorriso birbantello credendo di trovarla sul letto ma lei non c'era.
Mi grattai la testa spazientita da quel nascondino che non mi piaceva affatto.
Uscii di nuovo di casa e quasi non mi scontrai con Maddalena che stava rientrando in quel momento con le buste della spesa nelle mani. 
-Maddalena mamma non c'è.
Lei mi guardò stupefatta, come se le avessi raccontato una bugia.
-Vai in cucina e metti la torta in frigo, io cerco la signora Michelle.
Annuii semplicemente e mi diressi in cucina poggiando il piccolo pezzo di torta nel frigorifero come mi aveva detto lei.
Mi sedetti sullo sgabello con molta fatica e lasciai che le mie gambe dondolassero nel vuoto dando qualche calcio all'aria mentre la noia si faceva sentire.
All'improvviso un urlo straziante arrivò dal fondo della casa, balzai dallo sgabello rischiando di cadere e di farmi molto male.
Corsi verso Maddalena che mi bloccò all'istante spingendomi verso l'uscita.
Riuscii a spingerla via correndo più veloce che potevo....

 

 

 

Dopo quell'evento, dopo la morte di mia madre, la mia vita cambiò completamente.
Le modalità di quella perdita furono ciò che mi condizionarono nella mia crescita, nei miei sbagli ma questo è ancora tutto da raccontare.

 




P.S. Questo è solo il primo capitolo di una lunga storia dedicata a questa ragazza di nome Isabelle.

L'amore che ha caratterizzato la sua vita la porterà spesso a soffrire e questo è stato solo il primo passo.

P.S.S Se ci sono errori di vario genere vi prego di farmeli notare, sono una ragazza molto molto distratta.  

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Capitolo 2
*** I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta. ***


12 Giugno 2003

 

Isabelle era nella sua stanza. Nessuno le aveva spiegato realmente cosa era successo ma non aveva bisogno di sapere, lei aveva visto. Neanche la persona con la più fervida fantasia poteva immaginare una cosa del genere, eppure lei, aveva visto tutto. La sua tata, Maddalena, le aveva fatto indossare un vestito nero, uno di quelli che Isabelle odiava. Troppo stretto, troppo nero, troppo triste, ma, come avevano detto loro, era adatto all'occasione. Un funerale. Il primo a cui Isabelle partecipava ed era proprio quello della madre. Strano il destino, il giorno prima la piccola Isa non sapeva minimamente cosa fosse la morte, invece in quel momento ne era completamente impregnata, ne poteva percepire l'odore, un odore acre e spiacevole, un odore di fiori, bianchi, che riempivano la casa. Era seduta sul suo letto, era già pronta, aveva persino un nastro di raso nero fra i capelli, doveva essere perfetta, quindi non doveva essere se stessa. La porta della stanza si aprì e Maddalena entrò nella stanza e annunciò semplicemente ''E' ora di andare''. Aveva le lacrime agli occhi, quella donna, la sua secondo mamma, non aveva smesso di piangere, invece Isabelle non aveva versato una lacrima, persino sua fratello Sebastien, che non piangeva mai, neanche quando si era rotto un braccio, era in lacrime in camera sua. Con un piccolo balzo Isabelle scese dal letto e prese la mano di Maddalena.

-Dov'è papà?

Chiese semplicemente ma la donna non disse nulla, il silenzio era rotto solo dai suoi singhiozzi disperati. Isabelle si sentiva male, lei non riusciva a piangere, perché? Era una bambina cattiva?

Uscirono dalla casa ed entrarono in auto, stranamente guidava Bernard, il padre, anch'esso vestito di nero, in un elegante completo con una camicia candida e una cravatta nera. Vestito come lui, seduto accanto al padre, c'era Sebastien. Aveva gli occhi lucidi, rossi, segnati da ore di pianto. Lui si voltò verso di lei e Isabelle non riuscì a tenere il suo sguardo così abbassò gli occhi, non riusciva a guardare suo fratello in quelle condizioni. Arrivarono in chiesa, c'era un sacco di gente, gente che Isabelle non conosceva. Si sedettero ai primi banchi, davanti a loro c'era una bara ricoperta completamente di rose bianche con una sola rosa rossa, in mezzo e la foto di Michelle, la mamma, di fronte ad essa. Dietro di lei si udivano persone che parlucchiavano, altre piangevano, altre rimanevano in silenzio ascoltando il parroco che parlava di morte, di rinascita, di perdono e di compassione. Isabelle lo ascoltò poco o niente, fissa sulla fotografia della mamma, lei si ricordava bene quando era stata scattata quella foto, erano nelle campagne parigine, l'estate di un anno fa o forse due, Bernard aveva chiesto alla moglie di girarsi e a sorpresa le aveva scattato una foto. Nonostante tutto fosse stato improvviso, quella fotografia era la preferita di Isabelle, mostrava davvero la sua mamma. Dopo quasi un'ora uscirono dalla chiesa, lei non aveva mai lasciato la mano di Maddalena e suo padre non le aveva degnato di uno sguardo, neanche quando la bara fu portata al cimitero e sepolta sotto un cumulo di terra. La gente si avvicinava a lei, sconosciuti che dicevano di aver conosciuto sua madre, lei dicevano ''Condoglianze'', ''Mi dispiace'', ''Fatti forza'', parole per Isa quasi inutili, neanche le loro lacrime erano utili, non l'avrebbero portata indietro, quindi perché piangere? ''Maddalena, accompagna a casa Isabelle''.

-Papà....

Disse semplicemente la bambina ma il padre di nuovo, nonostante avesse udito tutto, non la degnò di uno sguardo. Isabelle si sentì responsabile, Bernard la ignorava ogni qual volta lei faceva qualcosa di male finché la bambina non si arrendeva e diceva ''Scusami, ho sbagliato'' e tutto tornava alla normalità, ma stavolta cosa aveva fatto di male?

Maddalena la portò a casa, le preparò la cena e le rimboccò le coperte con la promessa che tutto sarebbe andato per il meglio ma Isabelle sapeva che non era così, nulla sarebbe stato più lo stesso, neanche lei.

 

Quattro mesi dopo.

 

L'estate era passata velocemente, la casa si era riempita di persone che volevano dare una mano ma Bernard aveva cacciato tutti dicendo che tutto andava per il meglio. Il giorno dopo il funerale lui era già tornato nel suo ospedale invece Sebastien era sempre arrabbiato, se la prendeva con tutto e con tutti, persino con Isabelle che cercava di capire suo fratello ma non ci riusciva. Maddalena l'aiutava a far tutto ma lei era caduta in un silenzio doloroso, Isabelle, la logorroica della casa, quella bambina che non si teneva un fagiolo in bocca neanche a pagarla, non parlava più, se non interpellata e le risposte erano brevi, spesso con un semplice ''Si'' o un semplice '' No'', niente più di questo. Bernard sperava che con l'inizio della scuola tutto sarebbe tornato come prima ma come poteva pensare una cosa del genere? Possibile che non capiva ciò che provasse la figlia?

C'era un nuovo arrivo a casa Rousseau, alcuni amici avevano consigliato a Bernard di comprare un cucciolo a Isabelle, e quel piccolo cane, Shiba, ora le faceva compagnia.

-Perché devo tenerlo io? Non lo puoi dare a Seb?

Aveva protestato la bambina, non voleva occuparsi di un cane, doveva pensare a studiare, doveva iniziare la quarta elementare. ''Ma è così carina. Non ti piace? Sicuramente diventerete ottime amiche'', l'aveva incalzata Maddalena.

-Non mi piace.

Dopo un mese dall'inizio della scuola le cose non erano cambiate, anzi, forse erano peggiorate. Isabelle non usciva più di casa, con la scusa dei compiti non faceva altro che passare interi giorni nella sua stanza, scendendo solo per il pranzo o per la cena che consumava quasi sempre sola con Maddalena, Bernard e Sebastien non c'erano quasi mai.

''Dobbiamo fare qualcosa'' ''Non tocca neanche il pianoforte'' ''Forse dovremmo portarla da un medico'', erano questi i discorsi che ascoltava Isabelle quando si nascondeva dietro le porte. Aveva una malattia? Cosa stava facendo di sbagliato? Eppure era sempre un'allieva modello e non disubidiva mai ne al padre ne a Maddalena. ''Domani la porto da un mio amico, tutto tornerà come prima''. Isabelle odiava quella frase, nulla sarebbe mai tornato come prima, tanto meno lei.

Il giorno dopo Maddalena le fece indossare un nuovo vestito, Isabelle avrebbe dovuto parlare con un signore, un dottore della testa, che l'avrebbe aiutata ma lei non si sentiva bisognosa d'aiuto? Lei era così, semplicemente. Per la prima volta, dopo mesi, Bernard e sua figlia si ritrovarono da soli, nel tragitto in macchina fra la loro casa e l'ufficio del dottore. Non proferirono una singola parola, Isabelle percepiva solo i loro respiri e il battito del proprio cuore, nulla di più.

Dopo quasi una mezz'ora di strada, finalmente arrivarono dal dottor. Conrad, un esperto di psicologia infantile, così c'era scritto sulla targhetta appesa alla porta. Il dottore era uno strano tipo, leggermente panciuto, con due baffoni grigi sotto il naso che nascondevano un leggero sorriso, sempre stampato in faccia, ad Isabelle quell'uomo faceva simpatia. La bambina si sedette sulla poltrona di fronte al medico ed esso iniziò a farle delle domande, tante domande, a cui Isabelle rispose sempre, con lo sguardo fisso su di lui, senza tradire la minima emozione. Per un attimo il sorriso sul volto del dottor Conrad scomparve e le chiese di andare nella camera affianco a giocare con delle bambole. ''E' molto più grave di quanto pensassi, non è una reazione normale per una bambina di dieci anni''. Furono queste le uniche parole che riuscì a percepire, poi il vuoto. Isabelle si sedette sulla sedia ma non toccò quelle bambole poggiate sul tavolo di fronte ad essa. Passarono dieci minuti, forse un quarto d'ora, e Bernard e il dottore entrarono nella stanza e si avvicinarono a lei. ''Piccola, che ne dici di fare amicizia con altri bambini?'', non era Bernard a parlare ma il dottore, neanche in quel caso il padre aveva rivolto la parola a sua figlia. Isabelle annuì senza neanche sapere a cosa andasse incontro. Prese la mano del dottore ed entrarono in un'altra sala, un po' più grande e con molti più giocattoli. C'erano cinque bambini, tre maschi e due femmine, giocavano fra loro. ''Perché non provi a far amicizia? Anche loro sono come te.'' Disse il dottore la lasciarono da soli, lì. Perché erano come lei? Ecco ciò che si chiedeva Isabelle. Le due bambine giocavano a prendere il thè, lei le guardò con una faccia schifata, altri due bambini invece combattevano, si picchiavano e nessuno arrivava a separarli. Seduto su una sedia, in fondo, c'era l'ultimo bambino, piangeva in silenzio e guardava il pavimento oramai bagnato dalle sue lacrime. Isabelle curiosa si avvicinò.

-Perché piangi?

Il bambino alzò la testa verso di lei, il suo volto era bagnato di lacrime, singhiozzò un'altra volta e poi finalmente si decise a parlare ''La mia mamma, lei è morta''. Isabelle si sedette accanto a lui, pensò subito che anche la sua mamma era morta ma lei non stava piangendo, forse era quello il comportamento sbagliato per cui il padre non le parlava, forse doveva piangere. Isabelle abbassò il viso e chiuse gli occhi stringendoli con forza, doveva piangere, doveva riuscirci, così il padre le avrebbe rivolto di nuovo la parola. Strinse i pugni con forza, cercò di concentrarsi ma quello che ottenne fu solo un ''Sembri un pomodoro'' dal bambino al suo fianco. Era diventata rossa in viso e aveva gli occhi lucidi ma per la rabbia.

-Sei solo uno stupido, anche la mia mamma è morta ma io non frigno come un neonato.

Disse Isabelle alzando la voce e il sorriso di presa in giro che il bambino aveva sul volto, scomparì in meno di un secondo lasciando lo spazio ad un nuovo pianto, ancora più insopportabile.

Sembrava più grande di lei, forse di due o tre anni, forse andava già alle scuole medie, eppure era lì, a piangere davanti ad Isabelle. Lei si sentì subito responsabile, in fondo con quella faccia da ''pomodoro'' l'aveva fatto anche sorridere.

-Io mi chiamo Isabelle...

Disse la bambina strusciando i piedi sul pavimento, le scarpe nuove le provocavano fastidio. ''Io mi chiamo PIERRE'', disse lui asciugandosi le lacrime con la manica della felpa.

-Fai le scuole medie?

Chiese curiosa Isabelle, per lei era un sogno cambiare scuola. ''La seconda media'', disse lui, ora orgoglioso, con un sorriso sul viso, un sorriso ancora bagnato da quelle lacrime che incontrollate non smettevano di scendere.

-La seconda media? Hai 13 anni quindi, io ne ho 10.

Disse sorridendo Isabelle e lui l'apostrofò ''Sei una bambina''. Venne infastidita da ciò che disse il ragazzino così con una spinta improvvisa lo fece cadere a terra.

-Tu sei un bambino, tu piangi come un bambino, tu ti fai buttare a terra da una bambina di 10 anni.

Isabelle si sentì per un attimo forte ma quel momento fu interrotto dal dottor Conrad che entrò nella stanza prendendo in braccio la bambina e portandola via. Isabelle si poggiò sulla spalla dell'uomo guardando indietro, vedendo ancora quel ragazzino a terra che la guardava con gli occhi spalancati, color nocciola, illuminati da qualcosa di nuovo ma ancora scosso per la reazione della bambina. Isabelle aveva avuto una reazione, negativa, ma pur sempre una reazione. I due dottori capirono che quella nuova tecnica avrebbe potuto aiutarla a tornare di nuovo alla normalità. Quella di della bambina non fu la prima visita, ce ne furono altre, così come gli incontri fra Isabelle e Pierre. I due bambini avevano trovato qualcosa, qualcosa che non riuscivano ancora a definire ma sicuramente avrebbe aiutato sia l'uno che l'altro ad attraversare il dolore oramai radicato dentro di loro.

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