Fallin' from Cloud nine

di Giulz95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


-Jack, avanti ti prego, sono due settimane che non ti fai vedere, come pensi che mi senta?-
 
La rossa avvicinò la mano verso il petto dello spacciatore, sperando che avrebbe funzionato come l’ultima volta.
 
-Penny, ti hanno beccata. Io di roba non te ne do più nemmeno un grammo, se parli mi fanno fuori.- L’uomo le scostò la mano e si voltò per andarsene.
 
-Non puoi! Ehi! Dai!-
 
Troppo tardi. Penelope si lasciò cadere a terra e si strofinò gli occhi, liberandosi delle lacrime. Ma dove era finita la Penny dell’anno prima? La ragazza brava a scuola, soprano nel coro del liceo, che faceva il filo con le amiche al capitano della squadra di football? Adesso era in un vicolo di Miami, e aveva appena proposto allo spacciatore di quartiere di passare qualche ora in intimità pur di avere quello che voleva. Quei maledettissimi trenta giorni di prigione non erano serviti a farle mettere la testa a posto. Se avesse visto il giudice che li avevi sentenziati per ‘affronto a pubblico ufficiale’ gli avrebbe dato un pugno così forte sul naso che l’affronto del dito medio gli sarebbe parso una sciocchezzuola in confronto alla sua faccia grassa coperta di sangue. Sorrise sotto il cappuccio della felpa. Si era rialzata e ora era appoggiata ad un muro sulla via principale. ‘PTX on tour!’: lesse il cartello davanti a lei con disinteresse. Un altro gruppo di babbei che si faceva abbindolare dalla bella Miami.
 
-Io ce l’ho la roba. E sono ben disposto a vendertela…-
 
Penny si voltò. Viper gli si stava avvicinando, il labbro pieno di piercing distorto in un sorriso. Trent’anni, la metà di essi spesi a fare di tutto per guadagnarsi una certa reputazione. Una brutta reputazione, specialmente tra le ragazze.
 
-Sparisci Vip, non la voglio la tua roba.-
 
-Oh, ma la mia è buona quanto quella di Jack D… Il mio prezzo è un po’ più alto, ma se stavi per offrire quello che penso a quel ricchione, scommetto che non avrai problemi…-
 
Nelle ultime parole si era avvicinato pericolosamente al suo fianco sinistro e stava tendendo una mano verso il suo seno. Penny scattò bloccandogli il polso con una mano e schiaffeggiandolo con l’altra. Viper  incassò voltandosi di lato ma quando tornò a guardarla stava ghignando. Le saltò di fronte e le bloccò i polsi contro il muro e dietro la schiena.
 
-Ho sempre saputo che i tuoi capelli non erano l’unica cosa che andava a fuoco… Mi chiedo se anche la sotto sei rossa… Perché non mi lasci…-
 
-Ehi!- Una voce maschile arrivò a dietro Viper. –Cosa succede qui?-
 
-Perché non ti fai gli affari tuoi, sfigato?- Viper si voltò e sputò a terra. Penny guardò il ragazzo che si era intromesso: doveva avere una ventina d’anni, forse qualcosa di più. Non aveva l’aspetto minaccioso, quindi molto probabilmente le avrebbe prese. Ben gli sta. La prossima volta impara.
 
-Va tutto bene?- L’aveva chiesto a lei, ignorando Viper, che era sicuramente il suo problema principale al momento.
 
-Ho detto di farti i cazzi tuoi, sei sordo o ritardato?-
 
-Vattene e potresti anche non dormire in una cella stanotte.- Lui era serio, ma Viper scoppiò in una risata.
 
-Oh, e mi ci porterai tu? Ahah! Conterò fino a tre. Ti consiglio di girare i tacchi e andare a chiedere i soldi all’incapace che ti ha tagliato i capelli alla Disney Channel, prima di ritrovarti senza denti.-
 
L’uomo rimase immobile.
 
-Uno…- ‘Si mette male.’ Pensò Penny.
 
-Viper, lascia perdere…-
 
-Due…-
 
Ci fu un momento di silenzio, poi Viper scattò con il pugno teso in avanti, colpendo l’uomo dritto alla mascella. Penny era immobilizzata ‘Scappa, scema!’, si disse, ma non riusciva a muoversi. Intanto i due uomini ruzzolavano per terra. ‘Vattene!’. Fece un passo in avanti e provò a staccare Viper dal suolo, tirandolo all’indietro. Lui si alzò, si voltò e la colpì in pieno volto a mano chiusa.
 
-Stanne fuori, puttana!-
 
Fu un attimo: Penny cadde di schiena sul marciapiede, Viper si girò e un pugno scagliato con violenza lo mandò al tappetto, con la fronte sanguinante.
 
Penny guardò prima l’uomo in piedi che si teneva la mano con cui aveva colpito: si voltò verso di lei e poté vedere i segni che Viper aveva lasciato sul suo zigomo, poco più in alto del bordo della barba curata.
 
-Stai bene?-
 
Penny spostò lo sguardo su Viper e quando si accorse del sangue sulla sua fronte sgranò gli occhi e si buttò verso di lui.
 
-Cazzo, Vip!- Lo voltò sulla schiena e premette sul taglio. –Vip!-
 
Il ragazzo guardava senza capire.
 
-Aiutami!-
 
-Ti ho aiutata! Ora la logica imporrebbe di andarsene prima che si svegli e che ci pesti a sangue!-
 
-Tu l’hai pestato a sangue! Ed è incosciente, devi aiutarmi a farlo svegliare!-
 
-Ma ti stava…!-
-Grazie, non me ne ero accorta!- Penny tornò a guardare Viper, che socchiuse gli occhi roteandoli all’indietro. –Merda, qualcosa non va. Hai una macchina?-
 
La guardò incredulo.
 
-Stai scherzando, vero?-
 
-Ti prego, devo portarlo al pronto soccorso ed è dall’altra parte della città! Poi potrai andartene ed evitare che ti ammazzi.-
 
‘Questa è la prima e l’ultima volta che salvo qualcuno da un tatuato con i piercing.’ Guardò la ragazza ancora per qualche secondo.
 
-O-Okay…-.
 
Si inginocchiò e fece passare un braccio del tizio che aveva appena finito di pestarlo sulle spalle, mentre l’altra ragazza faceva lo stesso.
 





Penelope: http://assets.nydailynews.com/polopoly_fs/1.1256105.1360101713!/img/httpImage/image.jpg_gen/derivatives/landscape_635/judge6n-1-web.jpg

Avriel: http://userserve-ak.last.fm/serve/_/82485207/Avi+Kaplan+avi2.jpg

Viper: http://24.media.tumblr.com/tumblr_lk5qsiGoq21qjsb8eo1_400.jpg

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


La sala d’aspetto del pronto soccorso era poco affollata. Evidentemente alle due del mattino Miami era una città molto sicura. Le sedie di plastica erano scomodissime, gli faceva male la schiena dopo nemmeno un quarto d’ora che ci era seduto sopra. C’era un forte odore di disinfettante che gli ricordava lo studio del signor Coifmann, il suo dentista d’infanzia, e la cosa non lo faceva sentire proprio a suo agio. Si voltò verso la ragazza seduta due posti più in là del suo. Si mangiava le unghie insistentemente e non aveva spiaccicato una parola da quando erano saliti in macchina.
 
-M-Mi chiamo Avriel…- Provò a dirle ad un tratto. Lei si voltò per un secondo e aggrottò le sopracciglia.
 
-Che razza di nome è?-
 
-E’ russo.-
 
-…Non sembri russo.-
 
-Non lo sono… Beh, mio padre lo è…-
 
-Penelope.-
 
-Bel nome…- Per lo meno ora sapeva il suo nome. –Puoi… Pensi di potermi spiegare perché siamo qui ora?-
 
-Perché hai pestato a sangue un mio…. amico?-
 
-Non l’ho pestato a sangue. Mi ero dimenticato dell’anello, non avevo mai dato un cazzotto in vita mia… Ma poi scusa, non mi sembrava fosse molto amichevole.-
 
-Abbiamo un rapporto particolare, diciamo così…-
 
-Non sono mica idiota.-
 
Penny lo guardò e sorrise.
 
-Beh, hai rischiato la pelle per me e fino a cinque minuti fa nemmeno sapevi come mi chiamo. Non sei molto intelligente, scusami.-
 
-Non c’è nulla da ridere. Chiunque si sarebbe fermato.-
 
-No, non è vero…- Penny distolse lo sguardo, guardando avanti e Avi decise di non replicare.
 
-Signorina?- Penelope si alzò davanti al medico. –E’ tutto a posto, abbiamo cucito il taglio, era una ferita superficiale. Comunque lo terremo qui per stasera, per stare più sicuri. Se vuole andare a ved…-
 
-Posso andarmene?-
 
-Certo.- Il dottore sorrise, tirò fuori una penna dal taschino e le mise davanti un foglio di carta. –Firmi qui.-
 
Penelope prese la penna e scarabocchiò velocemente il suo nome sul documento.
 
-Arrivederci.-
 
Si voltò, prese la felpa dalla sedia accanto ad Avi e si incamminò verso l’uscita.
 
-Ehi, aspetta!-
 
Penny non si voltò nemmeno. Sperava non l’avesse seguita. Maledetti documenti liberatori per i parenti.
 
-Non è tuo amico vero?- Le camminava accanto. –Se fosse stato tuo amico non avresti dovuto firmare niente, giusto?-
 
-Vuoi una caramella ora?-
 
-No, ma in effetti ho fame. Ti va di mangiare qualcosa?-
 
Penelope lo guardò negli occhi. Stava scherzando? Stava per ridergli in faccia, ma poi il suo stomaco le ricordò che erano passate quarantotto ore dal suo ultimo pasto.
 
-Solo se offri tu.- Gli passò davanti superandolo, senza accorgersi del sorriso che aveva increspato le labbra dell’uomo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


-Cugino?-
 
-Fratello.-
 
Avi rimase con il suo cheeseburger a mezz’aria mentre lei beveva rumorosamente dalla cannuccia. La fissò fino a quando lei alzò lo sguardo, incontrando il suo.
 
-Non guardarmi così o ti rompo tutti i denti.-
 
-Così come?-
 
-Così. Non ti ho chiesto di farti gli affari miei, non mi piace che mi guardi come un disastro sociale.-
 
-Ma i tuoi lo sanno?-
 
-E cosa ne so. Non li vedo da dieci anni.-
 
-Scusami ma sei un disastro sociale.-
 
-Come ti permetti?- Penelope era considerevolmente incazzata. –Chi sei tu per giudiarmi?-
 
-Non ti sto giudicando, sto solo dicendo quello che penso.-
 
-Beh, tienitelo per te.-
 
-Ok…-
 
Passarono qualche minuto in silenzio prima che Penelope parlasse di nuovo.
 
-Sei di fuori, vero? Sei un turista?-
 
-Sono qui per lavoro.-
 
-E che lavoro fai?- Sorrise. –Di notte supereroe e di giorno giacca e cravatta?-
 
Avi sorrise.
 
-No, io… Sono un musicista. Sono qui con degli amici per un concerto.-
 
Penelope si ricordò del cartello sulla via principale.
 
-PTX?-
 
-Pentatonix. Abbiamo vinto il Sing-off, l’anno scorso, è uno show abbastanza famoso.-
 
-Mai sentito. Cosa suoni?-
 
-Canto. E’ un gruppo acappella.-
 
-Wow… E quindi sei un cantante famoso in tour, che mangia da MacDonald alle tre del mattino, che non ha mai dato un cazzotto in vita sua, russo e con dei sani principi cavallereschi. Ci sono come profilo?-
 
Avi sorrise nuovamente e arrossì.
 
-Non sono così famoso e ho mangiato di peggio, ad ore peggiori.-
 
-Si vede…- Penny accennò all’addome poco tonico del ragazzo.
 
-Come scusa?-
 
-Nulla…-
 
Finirono di mangiare chiacchierando. Si alzarono dopo circa un’ora e uscirono dal fast food ridendo.
 
-Ti riaccompagno a casa.-
 
-No, non serve…-
 
-Scusami se te lo dico, ma se tuo fratello è riuscito a fare quello che ha fatto non mi fido a lasciarti andare in giro da sola.-
 
-So badare a me stessa.-
 
-No, non è vero. Ti accompagno a casa e sparisco, promesso.-
 
-Non è necessario, davvero…-
 
Ma Avi era già arrivato alla macchina e aveva aperto la portiera dal lato del passeggero.
Penny sbuffò e salì in macchina, allacciandosi la cintura. Avi mise in moto l’auto e uscì dal parcheggio.
 
-Dove vado?-
 
Penny sentì il panico salirle come un liquido rovente fino agli occhi.
 
-La ventunesima, sulla Terrace…-
 
-Ok.- Avi iniziò a guidare. –Quanti anni hai?-
 
-Diciannove. Tu?-
 
-Ventiquattro. Sei latino americana vero?-
 
-Non ti sfugge niente, eh…?-
 
-Era per fare due chiacchiere… Non serve scaldarsi.-
 
Rimasero in silenzio per un po’ fino a quando non furono sulla Terrace.
 
-Dimmi quando fermarmi.- Avi rallentò. Dopo due isolati Penelope gli fece segno di accostare.
 
-Abiti lì?- L’uomo guardò la villetta gialla dall’altra parte della strada. Il giardino ben curato davanti era recintato da una staccionata con cancelletto di legno. Le luci erano spente, ma avrebbe messo la mano sul fuoco: non era casa sua.
 
-Sì, puoi andare. Ciao e grazie per la cena.- Uscì sorridendo e si incamminò verso la staccionata. Spinse il cancelletto e sospirò. Era aperto. Si voltò notando che la macchina di Avi era ancora parcheggiata.
 
-Ho detto che puoi andare.-
 
-Aspetto che entri, mi sentirò più sicuro.-
 
Penny gli diede le spalle e camminò lungo il sentiero fino al porticato. Poi si fermò e rimase immobile. Tremava e non sapeva assolutamente come tirarsi fuori da quella situazione.
 
Avi la guardò dalla macchina. Lo sapeva. Ma che cosa succedeva con questa ragazzina? Diciannove anni, niente casa, un fratello socialmente instabile e i genitori chissà dove: non poteva lasciarla lì.
 
-Non è casa tua vero?-
 
-Nessuno ha chiesto il tuo aiuto.- Esclamò lei con voce rotta. –Che cosa vuoi da me? Non ti ho chiesto di aiutarmi!-
 
-No, non l’hai fatto.- Sentì le lacrime pungergli gli occhi, ma le inghiottì con quel poco di buonsenso. –Sali in macchina.-
 
-No.-
 
-Non ti lascio per strada tutta notte.- E dove l’avrebbe portata? Nella sua stanza d’albergo c’era sua sorella Esther, e non sarebbe stato facile spiegarle la situazione l’indomani mattina. Non poteva piombare nel cuore della notte nella stanza di uno dei ragazzi e mollare lì una perfetta sconosciuta e la hall dell’albergo era chiusa, non poteva prenotarle una stanza.
 
-Ma sai quante volte l’ho fatto?! Ti ringrazio davvero di tutto ma ora ognuno per la sua strada.- Stava piangendo. –Per favore.-
 
-Per favore lo dico io! Sali in macchina. Stanotte stai da me e domani mattina puoi andartene.-
Ok, era impazzito.
 
-Non posso darti nulla in cambio.-
 
-Non voglio nulla in cambio. Voglio solo svegliarmi domani mattina e sapere che non sei morta proprio stanotte, perché non potrei convivere con questa cosa. Ora sali in macchina e non fare storie.-
 
Penelope lo guardò per un po’, poi abbassò il viso e si asciugò le lacrime con la manica della felpa. Fece il giro dell’auto, aprì la portiera e si sedette accanto ad Avi, chiudendola sonoramente. Non lo guardò. Rimase imbronciata a braccia conserte, guardando in avanti.
Lui sospirò.
 
-Grazie.- Disse infine Penny, senza incontrare il suo sguardo.
 
Avi annuì e mise in moto l’auto verso l’albergo. Guidò in silenzio. L’avrebbe spiegato ad Esther, lei avrebbe capito. E con un po’ di fortuna Mitch, Scott, Kevin e Kirstie non l’avrebbero nemmeno vista. Avrebbe passato una notte sulla moquette puzzolente dell’albergo, ma almeno lei l’avrebbe passata in un letto. Cominciava ad essere esausto. Quando uscirono dall’auto il suo orologio segnava le cinque meno venti. Era in piedi da ventidue ore, e aveva tenuto un show di un’ora e mezza. Fortunatamente avevano due giorni di pausa proprio a Miami, e l’indomani poteva rimanere in camera con la scusa di un malanno a dormire tutto il giorno, con eventuali pause per il cibo.
 
-Ok, puoi stare in camera da me, ma mia sorella dorme nella stessa stanza, quindi non fare rumore.-
 
Penny annuì. Non riusciva a parlare per via delle lacrime, pronte ad uscire. Le porte dell’ascensore si aprirono e percorse il corridoio dietro ad Avi, fino a quando lui si fermò, estrasse una scheda dalla tasca dei jeans e aprì la porta sulla sinistra. Il buio le impediva di vedere con chiarezza, ma poteva vedere due letti singoli, uno in fondo alla stanza e uno dal lato opposto, dove qualcuno, probabilmente la sorella di Avi, pensò, stava già dormendo. Il ragazzo le fece segno di aspettare, poi arrivò fino al bagno, socchiuse la porta e accese la luce. Nella penombra riuscì a vedere il ragazzo armeggiare con le valige aperte a terra. Tirò fuori una maglietta polo nera e gliela passò.
 
-Metti questa… E puoi stare nel mio letto.- Sussurrò quasi impercettibilmente.
 
-E tu?- Chiese lei.
 
-La moquette è morbida, dormirò a terra, non preoccuparti.- Le sorrise, poi andò in bagno. Penny decise di non dirgli nulla. Si sfilò la felpa grigia, i jeans e gli anfibi e si infilò la polo nera. Le arrivava a più di metà coscia, poco sopra il ginocchio. Appallottolò la sua felpa e lasciò il cuscino a terra, per il ragazzo. Si infilò sotto le coperte e si addormentò prima che lui uscisse dal bagno.

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