Loved you first

di larrysharmony
(/viewuser.php?uid=456422)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 ***
Capitolo 3: *** Chapter 3 ***
Capitolo 4: *** Chapter 4 ***
Capitolo 5: *** Chapter 5 ***
Capitolo 6: *** Chapter 6 ***
Capitolo 7: *** Chapter 7 ***



Capitolo 1
*** Chapter 1 ***


Il suono insistente della sveglia interruppe il mio riposo.
Ancora con gli occhi chiusi e mezza addormentata annaspai con una mano sopra il comodino alla disperata ricerca di quel dannato aggeggio.
La spensi con un gesto brusco tornando poi a rifugiarmi tra le coperte calde.
«Diamine Taylor, si può sapere cosa ci fai ancora a letto?» gracchiò una voce, quella che appunto apparteneva a mia madre.
La sentii camminare per la stanza, consapevole di cosa stesse per fare di lì a poco.
Pochi secondi dopo infatti un forte raggio di luce naturale si posò dritto dritto sul mio viso costringendomi a strizzare gli occhi.
Irritata scostai le coperte e mi misi a sedere puntellando i gomiti sul materasso.
«Sono già le 7.10. Sarà meglio che ti alzi, non vorrai mica arrivare in ritardo il tuo primo giorno di scuola» continuò lei atona.
Mi voltai a guardarla. Ma come diavolo faceva a essere tutta bella pimpante di prima mattina?
Alzai gli occhi al cielo prima di issarmi in piedi. Infilai le pantofole ai piedi e mi trascinai stancamente in bagno.
Mi parai di fronte allo specchio contemplando con riluttanza la figura riflessa in esso. Avevo gli occhi gonfi, parecchio.
Mi maledissi mentalmente per non essermi addormentata prima la notte precedente.
Sbuffando chinai il viso all’altezza del rubinetto aprendo l’acqua calda, per poi sciacquarmi velocemente il viso cercando di eliminare ogni piccolo residuo di trucco del giorno prima.
Sorrisi compiaciuta prima di sciogliermi i lunghi capelli biondi dalla crocchia ormai disordinata che mi ero accuratamente fatta la sera prima di dormire.
Questi ricaddero selvaggiamente sulle spalle, gli scossi leggermente dando loro un po’ di volume.
Una volta ottenuto l’effetto desiderato mi alzai sulle punte e aprii uno dei tanti scaffali disposti ordinatamente attorno al lavabo alla disperata ricerca della mia pochette porta trucchi.
Tracciai due perfette linee di eyeliner sopra gli occhi. Un blush color pesca a rimporporare le guance e un semplice lucidalabbra alla fragola.
Soddisfatta del risultato tornai nella mia stanza. Evitai leggiadramente gli innumerevoli capi buttati qua e là per la stanza e mi catapultai contro l’armadio.
Una volta spalancate le enormi ante in legno massiccio annaspai alla ricerca di qualcosa di decente da indossare. Infine optai per una semplice felpa bianca e un paio di leggins scuri.
Mi vestii in fretta e furia, raggiunsi il comodino, afferrai il cellulare e per poco non lanciai un urlo.
Ero parecchio in ritardo.
Non mi accorsi nemmeno di mia madre, appoggiata allo stipite della porta, con le braccia incrociate all’altezza del petto e un’espressione indecifrabile stampata in faccia.
«Te l’avevo detto io» mi schernì.
Grugnii nervosamente, ci mancava solo lei.
Decisi tuttavia di non rispondere alla sua provocazione. Non volevo litigare con lei di prima mattina e poi temevo che se le avessi risposto, questa per ripicca decidesse di non accompagnarmi a scuola.
Decisamente no. Meglio stare zitta.
Infilai le mie immancabili converse bianche ai piedi, afferrai la borsa e il cellulare e uscii dalla stanza seguita da mia madre che continuava a borbottare parole incomprensibili, o meglio, che io non avevo la minima intenzione di ascoltare.
Lottai con tutte le mie forze per non cadere rovinosamente per le scale.
Fortunatamente arrivai intatta.
«Non c’è tempo per fare colazione, Taylor» disse mia madre interrompendo i miei propositi di iniziare la mattinata con una bella colazione ricca di zuccheri.
«Ma io ho fame» mi lamentai ricordandomi che in effetti il giorno prima non avevo nemmeno cenato.
Mia madre scosse la testa, ravviandosi i capelli.
«Tesoro è tardi. Mangerai qualcosa a scuola. I soldi ce gli hai, no?» si accertò.
La liquidai con un flebile «sì» sussurrato a labbra serrate prima di raggiungere la porta d’ingresso.
Uscii di casa raggiungendo l’auto.
Una Bmw x6 nera, con i sedili beige. Una vera chicca.
Presi posto nel sedile del passeggero accanto a mia madre che mi raggiunse subito dopo.
Dopo essersi accertata che mi fossi allacciata la cintura -è sempre piuttosto pignola quando l’argomento principale era la mia incolumità- mise in moto l’auto.
La scuola distava appena qualche isolato da casa mia perciò l’incubo sarebbe cominciato presto, molto presto.
Non che avessi paura, affatto. Non era da me. Semplicemente mi sentivo leggermente a disagio.
Io e mia madre ci eravamo trasferite solo due mesi prima a Londra, in seguito all’abbandono di mio padre.
Oh no, non era morto. Semplicemente ci aveva abbandonate, così da un giorno all’altro.
Che gesto vile.
Certo io e mamma avevamo sofferto parecchio ma piano piano ci stavamo riappropriando della nostra vita.
Devo ammettere però che tutto ciò mi è costato molto. Mi ero lasciata alle spalle la mia vecchia vita a Lancaster, avevo abbandonato i miei amici, la mia scuola, George.
Scossi energicamente la testa per scacciare il mio ultimo pensiero.
Appoggiai la testa al finestrino lasciandomi cullare dalla leggera vibrazione provocata dall’auto in movimento.
«Eccoci arrivate» sentenziò mia madre ridestandomi dai pensieri di poco prima.
Allarmata alzai la testa guardando nella direzione che la donna mi indicava con lo sguardo.
Avvampai alla vista dell’enorme edificio che si stagliava davanti ai nostri occhi.
«Cazzo…» sussurrai flebilmente, ricevendo un’occhiataccia da mia madre.
«London High School. Certo che ne hanno di fantasia» commentai ironicamente suscitando una risatina divertita da parte di mia madre.
Posteggiò l’auto per poi avvicinarsi al mio viso.
Posò un leggero bacio sulla mia guancia e mi accarezzò i capelli.
«Fai la brava piccola» disse sfoggiando un dolcissimo sorriso, uno di quelli che dedicava solo a me e che tempo addietro anche a mio padre.
Ricambiai il sorriso prima di uscire dall’auto.
Percepii l’agitazione fremere nel mio corpo non appena mise in moto sparendo dietro l’angolo.
Rabbrividii notando che quella più che una scuola sembrava un insieme di più edifici messi insieme, per quando grande era.
Varcai la soglia del cancello bloccandomi all’istante. Non si riusciva nemmeno a notare l’entrata per quanti ragazzi c’erano.
Si preannunciava una giornata molto lunga.
Presi coraggio e tra uno spintone e l’altro scorsi finalmente quella che doveva essere l’ingresso.
Aprii la porta pentendomene subito dopo. Se fuori c’era tantissima gente, dentro era anche peggio.
Mi balenò nella mente la pessima idea di saltare il mio primo giorno di scuola. Lo ricacciai velocemente prima che potesse concretizzarsi.
Fortunatamente alla mia destra, dietro a un minuscolo banchetto scorsi una donna paffuta con i capelli corti, rossicci e due enormi occhiali appoggiati sulla punta del naso.
Tirai un sospiro di sollievo e la raggiunsi velocemente.
«Ehm… Scusi…» dissi timidamente.
Questa alzò lo sguardo sorridendo e intimandomi a parlare.
Cercai di formulare una frase consona alla situazione.
«Sono nuova, è il mio primo giorno di scuola» dissi troppo in fretta, gesticolando nervosamente con le mani.
La donna scoppiò in una risatina.
«È il primo giorno per tutti del resto» disse con tono strascicato, facendomi l’occhiolino, come per sdrammatizzare la situazione.
Diamine, che sbadata. Me lo ero proprio dimenticata.
La donna notò il mio evidente e ormai sempre più crescente imbarazzo.
«Taylor Swift. Giusto? Ecco il foglio con gli orari e le lezioni» disse in fretta senza neanche lasciarmi il tempo di replicare di rimando.
Mi porse il foglio che afferrai contemplandolo per alcuni secondi.
Successivamente alzai la testa interrogativa.
La donna sorrise voltandosi poi a chiamare un ragazzo dietro di me.
Questo la raggiunse in un battibaleno.
«Niall, fammi un favore caro, da una mano a questa fanciulla. È nuova e non sa dove sono le classi» disse senza smettere di sorridere.
Osservai il ragazzo biondo che si limitò ad annuire prima di raggiungermi.
Più basso di me di qualche centimetro, con i capelli biondi ossigenati, gli occhi azzurri e un viso dolcissimo.
Sfoggiò un bellissimo sorriso intimandomi a seguirlo.
«E così sei nuova» disse trascinandomi per l’immenso corridoio ormai gremito di studenti.
«Già» risposi forzando un sorriso.
Si fermò improvvisamente per poi sbirciare nel foglio che tenevo in mano.
«Scienze. Fantastico, siamo in classe insieme. Vieni» disse senza neanche lasciarmi il tempo di ribattere.
Mi afferrò per il polso trascinandomi per i numerosi corridoi, che detto francamente, sembravano non finire mai.
Mi trascinò poi all’interno di un’ampia classe.
-Eccoci arrivati- aggiunse prima di accaparrarsi i posti in fondo alla classe, accanto alla finestra e intimandomi a raggiungerlo.
Presi posto prima di guardami intorno.
La classe era per lo più vuota. Ceravamo solo io, il biondino, accanto a noi tre ragazze intente a discutere fittamente, sicuramente di pettegolezzi.
I minuti successi gli passai a parlare del più e del meno con Niall. Gli spiegai il motivo per cui mi trovavo in quella classe e il biondo non mi interruppe, tranne per fare qualche domanda di tanto in tanto.
La classe nel frattempo si riempì di almeno una ventina di persone che giravano tranquillamente per la classe.
«Arriva il prof» sussurrò Niall.
Lo guardai interrogativa e infatti un minuto dopo fece il suo ingresso un uomo alto, ben vestito, con un paio di occhiali da vista e un enorme borsone.
«Buongiorno ragazzi» disse prendendo posto davanti alla cattedra e sorridendoci complice.
«Buongiorno» rispondemmo all’unisono.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Chapter 2 ***


Nella classe cadde un  silenzio quasi inquietante non appena il professore si accomodò dietro la cattedra e aprii il suo registro. Infine incrociò le braccia e ci rivolse un sorriso amichevole, un sorriso sincero, non come quello di altri professori con cui avevo avuto a che fare precedentemente, a Lancaster.
«Allora ragazzi. Spero che abbiate passato delle vacanze piacevoli e che vi siate riposati abbastanza perché il programma di quest’anno non è neanche lontanamente simile a quello dell’anno scorso» disse spostando lo sguardo da un lato all’altro dell’aula.
Si alzò un leggero chiacchiericcio che faceva da sottofondo. C’era chi parlottava fittamente con il compagno di banco e chi entusiasta raccontava al professore per filo e per segno ogni avvenimento speciale dell’estate. Io mi limitai ad appoggiare la testa sul banco, posando gli occhi sul viso tenero del biondino accanto a me.
Questo a sua volta, sentendosi osservato, si volt a guardarmi incuriosito per poi aprirsi in un dolce sorriso. Notai che portava l’apparecchio.
«E tu? Come hai passato l’estate?» prese l’iniziativa cercando così di coinvolgermi in una qualsiasi conversazioni.
Con un cenno della mano lo feci zittire. Certo, non volevo allontanare da me l’unica persona che aveva avuto il coraggio di conoscermi ma allo stesso tempo non volevo raccontargli la mia vita passata, lo conoscevo a malapena, di lui sapevo solo il nome.
Il biondo, contro ogni mia aspettativa sorrise timidamente prima di sfilarsi il cellulare di tasca per poggiarlo all’interno del suo astuccio.
«Mi dai il tuo numero?» sussurrò prima di allungarmi il cellulare.
Lo afferrai, digitai velocemente le cifre che componevano il mio numero di telefono, lo salvai nella rubrica per poi passare nuovamente il telefono al proprietario che mi rivolse un altro sorriso radioso.
“Probabilmente il centesimo sorriso” pensai. È sorprendente la dolcezza di questo ragazzo.
L’ora passò velocemente, quasi non me ne accorsi.
Il professor Smith uscii dall’aula trascinandosi dietro il suo ridicolo borsone nero, che ricordava più un borsone da viaggio che da lavoro.
Scossi la testa divertita, suscitando una risata divertita dal biondo alla mia destra.
Annoiava mi voltai ad ispezionare con occhio critico l’intero ambiente circostante. Non che fossero tutti antipatici, semplicemente non volevo avere a che fare con nessuno di loro, tranne Niall.
Scorsi un gruppetto composto da quattro ragazze molto carine e dall’aria simpatica che parlottavano tra loro.
Due file davanti a loro vi erano due ragazze, anch’esse molto carine che sfogliavano una rivista parlottando fittamente. Una delle due, con i capelli lunghi e castani, boccolosi, gli occhi nocciole e il fisico da modella alzò la testa, illuminandosi in un sorriso radioso subito dopo.
Spostai infine lo sguardo alla porta. Due ragazzi fecero il loro ingresso.
Gli analizzai attentamente.
Il primo doveva avere più o meno la mia età. Alto, parecchio alto, fisico asciutto ma scorsi che sotto la maglietta aderente nascondeva degli addominali per niente male, una massa informe di capelli ricci e castani che ricadevano morbidi sulla fronte, gli occhio verdi, non un verde qualunque ma un verde vivo, e infine, per terminare in bellezze delle labbra carnose che il ragazzo bagnò con la lingua suscitando risolini e sospiri da tutto il pubblico femminile presente nell’aula, tranne me ovviamente.
Avvampai per non so quale motivo, abbassai lo sguardo per poi rialzarlo subito dopo.
Parecchio carino, oserei aggiungere.
Scossi la testa per riprendermi dal mio momentaneo stato di shock.
Spostai lo sguardo sul ragazzo accanto al riccio.
Qualche centimetro più basso del riccio, i capelli castano chiaro tirati su in una cresta, gli occhi azzurri, molto simili a quelli di Niall solo leggermente più scuri e le labbra sottili. Indossava una semplice maglietta a righe e dei pantaloni rossi, con un buffo risvolto appena sopra le caviglie.
Anche lui molto carino.
I due ragazzi fecero il loro maestoso ingresso.
Niall e la ragazza mora si alzarono correndo nella loro direzione.
“Fanculo Niall, abbandonami pure” parlottai tra me e me.
La mora intanto si fiondò tra le braccia del castano gridando quello probabilmente era il suo nome.
«Lou» starnazzò prima di unire le sue labbra con quelle del ragazzo mostrandoci il magnifico spettacolo che erano le loro lingue unite.
«Bleah» dissi disgustata, sperando vivamente che nessuno mi avesse sentito, non volevo certo crearmi inimicizie il mio primo giorno di scuola, assolutamente.
Inutile. La ragazza bionda che fino a poco prima era intenta a parlare con le sue tre amiche si trovava ora  a meno di un metro da me.
«Posso sedermi qui?» chiede indicandomi il posto vuoto accanto al mio, di cui a dire il vero non mi ero minimamente accorta.
Senza neanche guardarla in faccia annuii, cercando di mimetizzarmi dietro al mio zaino.
La bionda tuttavia non sembrava voler mollare.
Sentendomi osservata alzai la testa trovandola intenta a sorridermi.
«Piacere, Perrie» esclamò allegramente allungando una mano nella mia direzione.
Diffidente allungai a mia volta la mano stringendo la sua.
«Taylor» borbottai a bassa voce. Probabilmente non mi aveva nemmeno sentita.
Era molto bella, i capelli biondi come i miei ma leggermente mossi, gli occhi azzurri e un sorriso capace di mettere di buon umore chiunque.
Ispirava tenerezza.
Ricambiai il sorriso prima di voltarmi nuovamente a guardare verso la porta.
«Il ragazzo riccio si chiama Harry, quello accanto è Louis e quella specie di polipo avvinghiata a lui è Eleanor, la sua fidanzata» disse, probabilmente accortasi della mia strana espressione.
Ridacchiai in seguito alla sua ultima affermazione.
Polipo gigante. Non aveva tutti i torti in fin dei conti.
«È da tanto che sei a Londra?» chiese subito dopo. Curiosa la ragazza.
«No, da qualche settimana» risposi forzando un sorriso.
La ragazza si limitò ad annuire senza aggiungere altro.
In quel preciso istante Niall mi affiancò mettendosi a sedere.
«Scusa, sono andato a salutare…» «Louis e Harry. Tranquillo, è tutto ok» lo interruppi.
Il ragazzo sembrò rilassarsi. Mi rivolse un sorriso per poi voltarsi a guardare la professoressa che aveva appena fatto il suo ingresso.
Intanto tutti gli altri alunni presero posto in quelle che erano le rispettive postazioni.
L’insegnante intanto sorrise prima di presentarsi.
«Allora ragazzi. Sono la professoressa Perkins e insegnerò matematica per i successi tre anni» disse a gran voce, un tono sicuro e autorevole.
Non ascoltai il resto del discorso, troppo intenta a cercare di dormire e recuperare il mio meritato sonno. Impresa ardua dato che Niall non smetteva di punzecchiarmi ogni qualvolta che chiudevo gli occhi. Ci rinunciai per poi tornare a voltare lo sguardo verso Perrie.
Quest’ultima mi intimò con un cenno del capo a guardare davanti a me.
I tre banchi davanti a noi infatti erano stati occupati da Eleanor, Louis e Harry.
Il ricciolino sembrava leggermente annoiato, la testa poggiata sul palmo della mano e lo sguardo perso a fissare intensamente il muro bianco della parete opposta.
Sorrisi divertita cercando poi una posizione comoda da assumere, allungai le gambe sfiorando distrattamente la sedia di Louis e attirando erroneamente la sua attenzione.
Pregai in tutte le lingue che non si voltasse.
Inutilmente, il castano infatti si voltò a guardarmi con un’espressione indecifrabile in viso, un misto tra il curioso e l’irritato.
«Scusa» mi giustificai gesticolando un po’ troppo velocemente con le mani. Dannato nervosismo.
Il castano mi rivolse un sorriso sincero, un sorriso bellissimo, oserei aggiungere.
Abbassai la testa imbarazzata sperando che il ragazzo si voltasse. Cosa che fece subito dopo.
Sospirai sollevata prima di sfilare il cellulare dalla tasca dello zaino.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Chapter 3 ***


«Taylor, andiamo» disse Niall in un sussurro, interrompendo quell’impresa impossibile che era quel gioco molto simile  a Sudoku.
Alzai la testa allarmata.
«È appena suonata la campanella, non te ne sei nemmeno accorta» precisò poi il biondo.
Mi guardai attorno, in effetti tutti si accingevano ad abbandonare l’aula.
Mi limitai ad annuire e velocemente infilai il quaderno inutilizzato per gli appunti e l’astuccio dentro lo zaino e seguii Niall che intanto si era allontanato da me raggiungendo poi i suoi due amichetti.
Decisi di stare il più lontana possibile, non volevo avere niente a che fare con quei tizi, e tenermi a debita distanza era sicuramente la scelta giusta.
«Ehi» sussurrò qualcuno alle mie spalle. Mi voltai di scatto rischiando quasi di far cadere la bionda a terra.
«Oddio che imbranata che sono. Scusa Pez. Posso chiamarti Pez, vero? Che stupida che sono, mi dispiace» dissi velocemente. E come se non bastasse le ultime persone presenti nell’aula compresi Niall e company si voltarono a guardarci divertiti.
Dannazione a me, combino solo guai.
In quel momento non desideravo altro che sparire, allontanarmi da tutti loro.
Tra tutte quelle risate riconobbi quella cristallina, leggermente sguaiata di Niall.
Mi voltai nella sua direzione fulminandolo con lo sguardo. Il biondo avvampò zittendosi quasi subito e abbassando lo sguardo a terra.
Sorrisi soddisfatta seguendo poi Perrie fuori dall’aula.
«Vieni, andiamo» sussurrò trascinandomi dietro di sé.
Attraversammo due corridoi pressochè identici.
«Dove stiamo andando?» azzardai. «Non è che ci siamo perse?» aggiunsi scherzosamente.
La ragazza scosse la testa scoppiando a ridere.
«È una scorciatoia» rispose poi con un’alzata di spalle.
«scorciatoia dici?» chiesi ridendo e fermandomi al centro del corridoio.
Lei accorgendosi di non avermi più al suo fianco tornò indietro, mi afferrò saldamente per il poso trascinandomi poi in mezzo ai corridoi gremiti di studenti. Mi sorprese non poco trovare tutte quelle persone all’ora di pranzo.
«Perrie» un grido.
Entrambe ci voltammo in quella che doveva essere la posizione precisa di chi aveva gridato il nome della ragazza che nel frattempo alzò  la mano in segno di saluto correndo poi verso il ragazzo, o meglio, i due ragazzi appoggiati con la schiena al muro.
La affiancai arrancando.
Mi sentivo un peso morto, ma perché diavolo mi ero lasciata trascinare da Perrie? Perché non avevo semplicemente seguito Niall in mensa? E per giunta stavo letteralmente morendo di fame.
«Ragazzi lei è Taylor, è il suo primo anno in questa scuola» mi presentò la bionda.
«Taylor, loro sono Liam» allungai la mano stringendo quella del ragazzo castano «e lui è... Zayn» aggiunse calcando l’ultima parola, sospirando.
Allungai nuovamente la mano stringendo quella calde del moro dagli occhi ambrati.
Sobbalzai. La sua mano calda contro la mia perennemente fredda. Biondo contro nero pece, azzurro contro il cioccolato fuso che erano i suoi occhi.
Si morse il labbro mostrando una fila di denti perfettamente bianchi e facendomi arrossire.
“Tay, che diavolo ti prende? Sei per caso impazzita. Riprenditi” gracchiò la vocina della mia coscienza.
La ignorai completamente tornando a bearmi del sorriso del moro di fronte a me.
Riluttante lasciai la sua mano sentendo subito una sferzata di freddo attraversare la mia schiena.
Abbassai di colpo la testa.
“Non devo arrossire! Non devo arrossire!” mi ripetei.
«Allora? Che ne dite di andare a pranzare?» mi venne in soccorso Perrie che non aveva fiatato fino ad allora.
Io, Zayn e Liam annuimmo all’unisono.
Imbarazzata, presi coraggio e guardai con la coda dell’occhio il moro.
Dire che è bello era parecchio riduttivo, non era esattamente l’aggettivo che gli si addiceva maggiormente.
Era come dire, perfetto.
Abbastanza alto, il fisico asciutto anche se si potevano notare degli addominali niente male sopra la maglietta aderente, la pelle leggermente ambrata, quasi olivastra. I capelli color pece tirati su in una cresta perfetta e gli occhi, i suoi occhi, belli, bellissimi, di una bellezza indescrivibile, un misto tra l’ambra e il cioccolato. Mix micidiale oserei aggiungere.
Perrie fortunatamente mi salvò dal mio stato di trance, prendendomi a braccetto e trascinandomi per il corridoio dietro ai due ragazzi.
Voltammo a destra ritrovandoci in uno spazio enorme che doveva essere quasi sicuramente la mensa, un locale grande almeno quanto la scuola che frequentavo precedentemente, costellato da un vasto numero di tavoli enormi, dalla forma allungata.
Afferrammo un vassoio a testa piazzandoci in fila dietro a Niall, Harry e Louis.
«Dove ti eri cacciata?» mi chiese Niall scambiandosi di postazione con Louise buttandomi le braccia al collo, quasi stritolandomi.
Harry si voltò a guardarci e sorrise.
Ricambiai volgendo poi lo sguardo verso il suo amico Louis che stranamente non aveva appresso la sua fidanzata polipo.
Tentai di trattenere una risata, inutilmente. Il castano infatti si voltò a guardarmi infastidito. Una sua occhiataccia infatti bastò a farmi avvampare. Che ragazzo inquietante. Per non parlare dei suoi occhi.
Nonostante fossero molto simili a quelli di Niall erano nel contempo diversi, non che non fossero belli, anzi, semplicemente erano micidiali e glaciali.
Scossi la testa, riempii il mio vassoio e mi incamminai insieme a Perrie alla ricerca di un tavolo, possibilmente libero.
«Taylor» mi sentii chiamare. Riconobbi la voce di Niall. Il biondo infatti mi invitò a raggiungerlo.
Sentii il sangue raggelarsi nelle vene non appena mi accorsi che al suo stesso tavolo vi erano anche Harry, Louis e Eleanor.
Girai i tacchi, decisa ad allontanarmi dal tavolo, ma Perrie mi costrinse a raggiungerlo.
Il mio tentativo di tenermi a debita distanza da quei soggetti era risultato vano.
Timidamente presi posto accanto a Niall affiancata da Perrie che salutò tutta l’allegra compagnia con un  cenno. Tutti ricambiarono, eccetto Louis. Che problemi aveva quel ragazzo?
Io a mia volta non osai alzare la testa dal vassoio. Non volevo certo ritrovarmi a sostenere gli sguardi divertiti dei tre sconosciuti.
«Allora» fece il castano, spezzando l’innocuo, se così si poteva definire, silenzio
Dopo quelli che mi sembravano interminabili minuti continuò. «Ti piace la nuova scuola?».
In quel momento capii che si rivolgeva proprio a me.
Chi altro poteva essere nuovo in quella scuola oltre a me seduto a quel tavolo? Nessuno ovviamente.
Lentamente alzai la testa puntando i miei occhi sui suoi.
Abbozzai un timido sorriso annuendo e abbassando subito la testa.
Percepii cinque paia di occhi addosso e temetti che qualcuno potesse anche solo minimamente accorgersi del mio evidente disagio nell’affrontare quell’assurda e strana situazione.
Non avevo nessuna intenzione di rispondergli.
Nessuno fiatò per i successivi dieci minuti, cosa molto positiva per me.
Sospirai sollevata spazzolando tutto il contenuto del mio piatto che consisteva in un sandwich ultra calorico e una piccola insalata, insipida e poco condita.
Alzai la testa incrociando gli occhi di Harry perennemente puntati contro di me.
Avvampai. Possibile che in quella scuola avessero tutti degli occhi così, così, perfetti?
Questi però erano in assoluto gli occhi più belli che avessi mai visto in vita mia.
Grandi, profondi e verdi.
Non un verde qualunque, ma un verde smeraldo acceso con delle sottili pagliuzze dorate alle prossimità delle pupille e che andavano schiarendosi piano piano fino ad arrivare a un azzurro tenue.
Il ragazzo strizzò l’occhio nella mia direzione beccandosi un’occhiataccia con tanto di gomitata alle costole dall’amico che subito dopo scoppiò a ridere.
«Possibile che devi provarci con tutte Haz? Tanto lo sappiamo tutti che poi fai loro le corna e chissà cos’altro ancora» sbottò fingendo disappunto senza smettere di ridacchiare.
Fastidioso. Che soggetto fastidioso.
La situazione si era leggermente alterata negli ultimi cinque minuti, non mancavano infatti allusioni di tipo sessuale e quant’altro, dovevo allontanarmi e alla svelta.
Sussurrai un flebile «scusate» appena udibile prima di issarmi in piedi. Niall fece per alzarsi a sua volta ma lo fermai con un gesto.
«Sinceramente non mi interessa. Voi mi siete antipatici, e come avrete ben notato non mi trovo a mio agio accanto a soggetti come voi. Ora se permettete vorrei allontanarmi il più possibile. Specialmente da te» dissi con furore indicando con gli occhi Louis. Il castano sbarrò gli occhi, scoppiando a ridere un istante dopo.
Scossi la testa irritata, girai i tacchi allontanandomi dal gruppo. Attraversai a passo svelto il corridoio con lo sguardo di mezza scuola puntato contro. Chi ridacchiava divertito, chi scuoteva la testa, chi mi sorrideva.
Ignorai tutti uscendo finalmente dalla sala, percorsi poi velocemente il corridoio ormai vuoto e raggiunsi il giardino.
Mi guardai intorno trovando un luogo appartato dal sole.
Mi sedette a gambe incrociate sull’erba soffice, sospirando.
Strappa un filo d’erba e presi ad attorcigliarlo attorno alle dita.
Non mi accorsi della presenza di qualcuno fino a quando non scorsi un’ombra femminile sull’erba.
Perrie.
Alazi gli occhi dedicando un sorriso alla ragazza e incitandola ad affiancarmi.
La bionda non se lo fece ripetere due volte, si sedette accanto a me guardandomi incuriosita.
«Tutto ok?» chiese.
Alzai la testa, sembrava visibilmente preoccupata.
«Certo» la rassicurai con un po’ troppa veemenza.
Lei si aprii in un sorriso, spostò dietro l’orecchio una ciocca di capelli ribelli e continuò.
«Sarò sincera. Nemmeno a me sono mai andati a genio quelli, tranne Niall ovviamente. È per questo che passo più tempo con Liam e Zayn».
Sorrisi.
«Niall è un angelo» aggiunsi intervenendo.
«Puoi dirlo forte» esordì la bionda sorridendo.
Dopo dieci minuti buoni passati a parlare del più e del meno e a raccontarci a vicenda situazioni imbarazzanti, «Tra qualche minuto suona la campanella. Andiamo» disse lei issandosi in piedi e tendendomi la mano.
La afferra alzandomi completamente.
Abbozzai un timido sorriso e stringendomi sulle spalle la seguii all’interno dell’edificio.
Mi afferrò per un polso trascinandomi su per le scale, senza neanche lasciarmi il tempo di respirare.
«Muoviti o arriviamo tardi» gracchiò.
Roteai gli occhi stupita.
«Io ho matematica adesso» dissi ansimante.
«Anch’io» rispose con ovvietà.
Ci ritrovammo in classe in un battibaleno.
Scorsi Niall in lontananza accasciato sul banco. Non appena mi vide mi fece cenno di raggiungerlo.
Ubbidii affiancandolo subito dopo. Appoggiai lo zaino nel pavimento e infine volsi lo sguardo verso Niall.
Questo mi sorrise entusiasta.
«Dov’eri finita?» chiese appoggiando il viso sul palmo della mano e fissandomi incuriosito.
Scossi la testa.
«A prendere una boccata d’aria» risposi sfoggiando il primo sorriso sincero della giornata.
Il biondo sospirò sollevato.
«Pensavo te la fossi presa per ciò che ti ha detto Louis. È fatto così, lascialo perdere, non sa ciò che dice» disse.
Annuii.
«Figurati. Non sono il tipo di persona che bada alle critiche della gente» risposi alzando leggermente il tono di voce in modo da far sentire la mia risposta anche al castano seduto davanti a noi che si voltò lanciandoci un’occhiata e soffermandosi un po’ troppo a lungo a sostenere il mio sguardo deciso.
Gli rivolsi una risata di scherno, che il ragazzo ignorò totalmente decidendo comunque di voltarsi e privarmi fortunatamente della vista dei suoi occhi color ghiaccio.
Per tutto il resto dell’ora Niall non mi rivolse neanche una parola, cosa alquanto positiva per me. Era pur sempre uno sconosciuto, non sarei sicuramente riuscita ad affrontare argomenti troppo personali riguardanti la mia vita precedente, almeno non per il momento.
Sfilai il cellulare dal taschino dello zaino e lo avvicinai agli occhi, non preoccupandomi minimamente di essere scoperta dalla professoressa, che nel frattempo era intenta a sostenere un argomento totalmente sconosciuto al mio cervello.
Mancavano appena cinque minuti al suono della campanella, ovvero alla fine delle lezioni.
Lanciai un’occhiata veloce al resto della classe notando con stupore che tutti, o quasi, avevano già iniziato a infilare il tutto nei rispettivi zaini.
Gli imitai a mia volta per poi voltarmi verso la finestra.
Il sole che brillava nel cielo poche ore prima si era dileguato lasciando spazio a grossi e minacciosi nuvoloni grigi, avrebbe piovuto di lì a poco.
Velocemente digitai un messaggio indirizzandolo a mia madre chiedendole di venirmi a prende all’uscita da scuola.
Premetti invio nel momento stesso in cui trillò insistentemente la campanella segnalando la fine della giornata scolastica.
Sospirai di sollievo, mi alzai e mi diressi fuori dalla classe, affiancata da Niall che si passò una mano tra i capelli biondi ossigenati.
Attraversammo i corridoi spintonandoci a vicenda per poi uscire da scuola.
Molti studenti aprivano gli ombrelli, mentre altri imprecavano a voce alta.
Alzai gli occhi al cielo sbuffando per poi abbassarli subito dopo.
Dannata pioggia.
Alzai sulla testa il cappuccio della felpa stringendomi sulle spalle.
«Ti scrivo dopo» disse Niall alzando la mano in segno di saluto.
Sorrisi annuendo.
Non appena il biondo sparì dalla mia visuale allungai il collo alla ricerca della Bmw x6 nera di mia madre.
Sorrisi scorgendola alla mia destra, a pochi metri di distanza.
Il sorriso non durò a lungo quando mi accorsi che accanto alla mia auto nascosti sotto il portico della scuola c’erano Louis e Harry. Quest’ultimo ammiccò nella mia direzione.
Lo ignorai e proseguii risoluta a passo spedito verso la macchina.
A neanche cinque metri di distanza mi sentii chiamare da una voce che avrei riconosciuto tra mille, nonostante fossi in quella scuola da neanche… Cinque ore?
Sbuffai roteando gli occhi e voltandomi verso i due ragazzi.
Il primo si morse il labbro infilando le mani in tasca. Harry invece sorrise mettendo in risalto due adorabili fossette.
«Idiota» bisbigliai a denti stretti.
Feci per voltarmi quando mi sentii chiamare nuovamente.
«Angelo, ci puoi dare un passaggio? Sai com’è, piove e noi…»
«Oh no, scordatelo» dissi forzando un sorriso.
Il riccio si morse il labbro inferiore facendolo tremare leggermente.
«Eddai, non vorrai mica lasciarci qui, indifesi, sotto la pioggia..» continuò interperrito il riccio.
«Sinceramente, non mi interessa. Ci si vede» risposi girando i tacchi.
Raggiunsi l’auto, aprii la portiera e ignorando le petulanti lamentele del riccio entrai in auto.
«Ciao mamma» esordii allegramente schioccandole un bacio sulla guancia.
La donna sorrise riconoscente mettendo in moto.
«Allora? Com’è stato il tuo primo giorno di scuola?» chiese lanciandomi un’occhiata.
Sorrisi.
Ad essere sincera non era stato malaccio come primo giorno di scuola. Avevo conosciuto Niall e Perrie, la scuola era grande forse un po’ troppo, i professori non erano male. Tutto sommato nel complesso non era affatto male.
«Bene» esclamai infine sorridendo.
La donna ricambiò soddisfatta imboccando la strada principale.
Lanciai un’occhiata allo specchietto retrovisore senza farmi notare da mia madre.
Piano piano le figure di Louis e Harry divennero sempre più sfocate fino a scomparire del tutto quando fummo abbastanza lontane.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Chapter 4 ***


A quel punto sospirai adagiandomi comodamente sul sedile volgendo poi lo sguardo alla mia destra.
Un’anziana signora era intenta a trasportare due enormi sacchi della spesa che ogni tanto appoggiava a terra per riposarsi, due ragazze più piccole di me di qualche anno occupavano una panchina ridacchiando tra loro e indicando delle figure maschili stampate su una rivista famosa, un signore d’affari sulla trentina con gli occhiali da nerd tacchignava continuamente nel suo palmare di ultima generazione.
Nel frattempo non mi accorsi che eravamo appena arrivate a casa.
Mia madre posteggiò l’auto fuori dal garage per poi arrestare il motore.
Scesi dall’auto richiudendo la portiera un po’ troppo energicamente beccandomi un’occhiataccia inquietante dalla donna che scosse la testa con disappunto entrando in casa.
La raggiunsi, chiusi la porta d’ingresso e lanciai lo zaino sul divano del salotto per poi raggiungere mia madre in cucina.
La trovai intenta ad apparecchiare la tavola.
«Potresti anche darmi una mano, no?» soffiò offesa, asciugandosi le mani sul ridicolo grembiule a fiori che le avvolgeva la vita.
La ignorai appoggiandomi allo stipite della porta in legno massiccio e la guardai.
Le volevo bene, davvero.
È sempre stata una mamma eccezionale. Mi meravigliava non poco il fatto che fosse riuscita a crescermi da sola, si era sempre presa cura di me, cosa che non posso dire di mio padre, perennemente assente, troppo occupato a darsi da fare con donne diverse ogni sera.
Ricordo ancora tutto, nonostante all’epoca avessi appena 12 anni. Ero giovane, ma non stupida. Mi ero resa conto che la famiglia perfetta era mutata improvvisamente.
Spesso accucciata sul mio letto con le ginocchia strette al petto sentivo le urla strazianti di mia madre provenire dal salotto, urla che mi facevano attorcigliare le budella, urla che mi facevano paura.
Litigi su litigi, ogni sera lui incurante tornava a casa ubriaco fradicio, mia madre lo rimproverava e lui incosciente alzata le mani e lì partivano le lacrime.
Sobbalzai ricordando quel giorno in cui mio padre preparò in fretta e furia le valigie e senza fiatare, senza neanche salutarmi era uscito da quella porta sbattendola con violenza. Da quel giorno non avevo più avuto sue notizie. Non un messaggio, non una chiamata, non un augurio di buon compleanno, niente di tutto ciò.
Poi erano arrivati i miei disturbi alimentari, dovuti alla sofferenza e alla mancanza di una figura paterna. Avevo passato la mia adolescenza con la convinzione di essere una persona cattiva, una persona che non meritava di essere felice, avevo bisogno di farmi del male. Più volte ero corsa in bagno, afferrato un rasoio e dopo aver estratto la lametta mi ero seduta a terra con la lametta sul polso, le lacrime abbondanti e il sangue che scendeva dalle ferite rigandomi l’intero braccio.
Mia madre disperata aveva provato a farmi rinchiudere in un centro dove curavano i disturbi alimentari, ma ogni volta mi rifiutavo categoricamente. Lei allora non potette fare altro che rinunciarci.
Piansi per parecchi mesi, abbracciata a mia madre. Ci siamo consolate a vicenda, insieme, e insieme siamo riuscite a riappropriarci delle nostre vite rialzandoci più forti di prima.
Due mesi prima la notizia del trasferimento. “Non possiamo rimanere qui, amore” aveva sussurrato mia madre mentre preparava le valigie.
Rabbrividii risvegliandomi dai ricordi.
Alzai gli occhi accorgendomi che mia madre mi fissava immobile, riuscii a leggere la preoccupazione nei suoi occhi color cielo.
Aveva capito.
«Amore, tutto bene?» chiese inutilmente, sapeva che non avrebbe ricevuto alcuna risposta. Mi venne incontro, stringendomi in un confortante abbraccio materno.
«Tranquilla, sto bene» risposi con la voce rotta dai singhiozzi che scuotevano il mio petto con una violenza tale da farmi male.
Ci staccammo dall’abbraccio e ci mettemmo a tavola, nonostante mi mancasse l’appetito.
Infilai a fatica in bocca un boccone di pasta poi masticai lentamente, molto lentamente.
Mi sforzai di finire la porzione, dovevo farlo per mia madre, aveva sofferto abbastanza. Le avevo causato fin troppe sofferenze in precedenza e mi ero ripromessa che non le avrei più fatto passare altri giorni d’inferno.
«Amore» disse quasi in un sussurro.
Alzai gli occhi dal mio piatto puntandoli sui suoi.
«Oggi viene Mark, vorrebbe conoscerti» continuò allungando una mano e afferrando la mia accarezzando dolcemente il dorso.
Mark era il suo nuovo fidanzato, uno dei motivi per cui mia madre aveva deciso di trasferirsi a Londra, non potevano vivere a più di 100 chilometri di distanza. Ma non ne feci mai un dramma, del resto io stessa l’avevo incoraggiata a rifarsi una nuova vita, era ancora giovane e bella e se lo meritava.
Certo, avrei sicuramente preferito che si trovasse qualcuno a Lancaster, ma se lei era felice lo ero anch’io.
Sorrisi.
«Certo mamma» risposi stringendo forte la sua mano.
La donna sorrise esultante, non l’avevo mai vista così felice.
«Vado a prepararmi» esclamò raggiante, sorridendo come una ragazzina alle prese con la sua prima cotta.
Si alzò saltellando fuori dalla cucina.
Sorrisi scuotendo la testa.
Mi alzai a mia volta, infilai i piatti nella lavastoviglie brancollai fuori dalla cucina, raggiunsi il salotto e mi buttai di peso sul divano accendendo poi la televisione.
«Quale mi sta meglio?» chiese mia madre giungendo raggiante in salotto con due capi tra le mani.
Il primo era un semplice outfit comodo, composto da dei semplici leggins e una camicetta leggermente scollata. Sorrisi, gliela regalai l’anno prima in occasione del suo 36esimo compleanno.
Il secondo era un semplice abitino a tinta unita.
Storsi il naso alla vista del vestito e le indicai il primo outfit.
«Decisamente quello» esclamai regalandole un sorriso.
La donna ricambiò trotterellando su per le scale.
Scossi la testa divertita, erano anni che non la vedevo così felice.
Scorsi velocemente i canali non trovando comunque niente di interessante o che perlomeno potesse attirare anche minimamente la mia attenzione.
“Possibile che tra quasi mille canali non ce ne sia uno che trasmetta qualcosa di decente?” chiesi a me stessa imprecando contro il telecomando che aveva deciso di incepparsi sul canale sbagliato e nel momento sbagliato.
Alzai la testa avvampando.
Due giovani erano intenti a fare allegramente sesso, e ovviamente questi bravi ragazzi avevano deciso di fare un bel filmato e condividere la loro meravigliosa avventura con centinaia di persone.
«Tesoro, vengo giù e ti faccio vedere come sto» gridò dal piano superiore.
«Oh cazzo» dissi a voce alta sbattendo più volte il telecomando sul palmo della mano.
«Coglione vuoi partire o no?» gridai nuovamente rivolta a quest’ultimo.
«Tesoro, ma con chi stai parlando?» chiese mia madre.
Sentii dei passi per le scale, segno che stava scendendo e che di lì a poco avrebbe fatto il suo ingresso nel salotto.
Senza pensarci due volte mi alzai catapultandomi verso il televisore e spegnendolo bruscamente giusto in tempo per vedere mia madre scendere gli ultimi gradini ancheggiando su dei trampoli che lei definiva tacchi.
«Come sto?» chiese facendo una piroetta su sé stessa e atteggiandosi.
Scoppiai a ridere buttando la testa all’indietro e appoggiando una mano sul fianco per poi fissarla dolcemente.
«Stai benissimo. Mark impazzirà» risposi infine facendole l’occhiolino.
Le si morse le labbra scostandosi dietro l’orecchio una ciocca biondo cenere di capelli.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Chapter 5 ***


POV LOUIS

«E così LouLou oggi conoscerà la sua nuova matrigna» mi canzonò malignamente il riccio.
Sbuffai mostrandomi infastidito dall’insopportabile nomigliolo che il mio migliore amico mi aveva affibiato anni prima.
«Oh non lo permetterò, stanne certo» risposi poi a tono alzandomi sulle punte dei piedi per raggiungere il muretto.
Una volta riuscitoci, mi sedetti notando con sommo stupore che il riccio sogghignava al mio fianco. Lo spinsi scherzosamente, questo però continuò a ridacchiare alzando per giunta il tono di quell’insopportabile risata.
Improvvisamente, il riccio smise di ridere assumendo in volto un’espressione decisa, espressione che mi fece sobbalzare sul posto.
«L..Lou, ti devo dire una cosa» sussurrò flebilmente, con un filo di voce quasi impercettibile, cosa che mi fece preoccupare ulteriormente.
Con un gesto della mano lo intimai a parlare.
Il riccio mi fissò mordendosi nervosamente il labbro inferiore, come era solito fare ogni qualvolta che era nervoso o turbato da qualcosa.
Spalancò la bocca come per ribattere, richiudendola subito dopo.
Alzai gli occhi al cielo prima di riabbassarli innervosito non appena sentii vibrare insistentemente il telefono.
«È lei?» chiese il riccio rabbuiandosi in volto, cercando di non incrociare il mio sguardo. Non la chiamava mai per nome, non aveva mai accettato la nostra relazione, “tu meriti di meglio, Lou. Lei non fa per te” mi aveva detto più volte con il volto cupo, gli occhi velati da un leggero strato di lacrime e senza l’accenno di un sorriso.
Non risposi, non avevo nessuna intenzione di turbarlo.
Ignorai l’insistente vibrazione proveniente dalla tasca destra e tornai a contemplare il profilo del mio amico.
«Lou. Tu mi vuoi bene?» chiese improvvisamente alzando gli occhi smeraldini e puntadoli sulle mie labbra. Mi colse di sorpresa, non era certo da Harry pormi domande del genere.
Inarcai le sopracciglia incuriosito dalla sua bizzarra domanda, domanda che mi aveva posto con uno sguardo talmente serio che non potette certo essere uno scherzo.
Tuttavia non mi scomposi e dopo interminabili secondi «Noi siamo uomini, Harreh. I veri uomini non si vogliono bene» esclamai con ovvietà, con un’espressione fiera dipinta in volto.
Non potetti dire lo stesso per Harry. Il riccio infatti prese a mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore e a torturarsi le mani.
«Come non detto» sussurrò, e senza nemmeno guardarmi balzò agilmente dal muretto.
Ma che diavolo gli era preso?
«Harry» lo richiamai a gran voce nonostante fosse a soli pochi metri di distanza da me.
Il riccio non si voltò, anzi accellerò ulteriormente il passo come a volersi allontanare proprio da me.
Balzai a mia volta giù dal muretto e dopo aver afferrato lo zaino mi incamminai nella direzione opposta a quella che aveva imboccato il riccio.
Certo che quando ci si metteva era peggio di una donna con il ciclo. Cos’avevo detto di male? I veri uomini non si vogliono bene. Non avevo tutti i torti in fondo.
Scossi la testa con disappunto.
L’indomani sarebbe corso da me a implorarmi di perdonarlo, del resto nessuno poteva resistere un giorno solo senza avere l’onore di parlare con Louis William Tomlinson.
Il cielo tuonò minaccioso costringendomi così ad accellerare il passo per non inzupparmi da capo a piedi.
Mi maledissi mentalmente per non essermi preso la briga di infilare nello zaino l’ombrello che mio padre mi aveva gentilmente porso la mattina.
Finalmente, dopo quasi cinque minuti mi ritrovai nel lussuoso quartiere a Nord di Londra.
Scorsi l’enorme villa moderna posta su due piani.
La mia umile dimora, come mi piace definirla.
Allungai ulteriormente il passo ritrovandomi sotto il portico in un battibaleno.
Annaspai nel taschino dello zaino alla ricerca delle chiavi, trovandole dopo interminabili secondi.
Mi avvicinai cautamente alla serratura e girai la chiave facendo leggermente pressione sul pomello.
La porta si aprii con un leggero cigolio.
Venni travolto da un inebriante profumo costoso, leggermente dolciastro.
«Papà» chiamai a gran voce appoggiando lo zaino sul pavimento e incamminandomi verso il salotto.
Feci capolino trovando mio padre seduto composto sul divano color panna intento a bisticciare con il telecomando.
Non appena si accorse della mia presenza alzò la testa dedicandomi un sorriso a 32 denti.
«Oh Louis, sei tornato finalmente» esclamò.
«A quanto pare» risposi con ovvietà, alzando le spalle.
L’uomo tuttavia non si scompose.
«Andiamo? Non vedo l’ora di farti conoscere Carol» continuò abbassando di una nota la voce mentre pronunciava il nome dell’amata.
Vidi un leggero sorriso farsi spazio tra le sue labbra.
Un sorriso che sparì subito dopo, non appena sussurrai un ironico «Yuppi, non vedo l’ora».
«Louis. Lo sai quanto è importante per me» disse l’uomo alzando la testa e puntando i suoi occhi azzurri sui miei.
«Sì certo, come Alison, Hannah, Ashley, Mary…» dissi contando sulle dita i nomi delle donne frequentate in passato da mio padre.
L’uomo si incupì.
«Tu non capisci» sussurrò scuotendo la testa.
Mi sentii leggermente in colpa non appena scorsi sul suo volto un’espressione addolorata e leggermente delusa.
«Scusa» borbottai infilandomi le mani in tasca e dondolandomi avanti e indietro sui piedi.
L’uomo non risposi, mi aveva già perdonato. Era da sempre in grado di perdonare chiunque, anche per errori madornali.
Mi dedicò un sorriso prima di raggiungere l’ingresso.
Lo seguii velocemente non prima di essermi sistemato a dovere il ciuffo scompigliato dal vento di poco prima.
Sentii mio padre tamburellare impaziente sul ciglio della porta.
«Sei impaziente di vedere la tua fidanzata eh?» chiesi forzando un sorriso, cosa che mi riuscii piuttosto bene.
L’uomo non rispose, abbassò la testa imbarazzato, si grattò la nuca e optò per la fuga incamminandosi deciso verso la Range Rover posteggiata fuori casa.
Lo seguii indispettito verso l’auto. Spalancai la portiera e lo affiancai subito dopo.
Soffiai violentemente cercando di attirare la sua attenzione, cosa che mi riuscii alla perfezione. L’uomo infatti mi lanciò un’occhiata prima di mettere in moto l’auto.
«Dove abita?» chiesi incuriosito appoggiando la mano sul cruscotto e pulendo la polvere inesistente o che perlomeno un momento prima era praticamente irrilevante.
Lui inspirò a fondo prima di rispondere con un flebile «Regent Street, 5 minuti da qui».
«E non potevamo andarci a piedi?» risposi allargando le braccia.
Lui scosse la testa.
«Lou, gli hai visti quei nuvoloni almeno?» rispose con ovvietà accellerando.
In effetti aveva ragione.
Il telegiornale della mattina aveva previsto pioggia per tutto il giorno e non era certo conveniente uscire di casa a piedi.
A dir la verità, io nemmeno volevo uscire con mio padre, tantomeno per conoscere la sua nuova fidanzata. Non doveva essere diversa da tutte le altre, in fondo.
Non volevo conoscere una nuova donna che lo avrebbe frequentato per un paio di settimane per poi abbandonarlo per colpa mia. Mica lo facevo apposta a trattarle male, non mi andavano bene a pelle, perciò ritenevo opportuno farle sentire a disagio il più possibile fino a quando queste, non riuscendo a reggere la situazione in alcun modo, sarebbero scappate a gambe levate.
Sbuffai. Glielo avevo promesso di fare il bravo.
In fondo, dovevo solo sorridere alla donna, fingere di essere felice di conoscerla, trovare una scusa per defilarmi dalla cena, salutare educatamente per poi catapultarmi a casa.
«Papà per caso ti sei messo il profumo che mi ha regalato Harry l’anno scorso?» chiesi sospettoso dopo aver riconosciuto la fragranza dolciastra che il riccio mi aveva regalato. “È frutto dei risparmi di un anno Lou, spero ti piaccia” aveva detto il riccio mentre mi porgeva il pacchetto. Avevo sorriso semplicemente, niente abbracci, niente smancerie.
«Ne ho usato solo un goccio, giuro» si giustificò l’uomo.
Scossi la testa divertito.
«Eccoci arrivati» esultò mio padre, più euforico che mai.
Aprii la portiera e alzai la testa in direzione di quella che doveva essere la dimora della fantomatica fidanzata di papà.
La casa era di grandezza media, su due piani, leggermente elevata rispetto a quelle vicine, i mattoni rossi e un piccolo giardino ben curato.
Non male per essere una delle proprietà più antiche della zona.
Mio padre mi fece cenno di raggiungerlo.
Suonò il campanello trattenendo il respiro.
Sghignazzai divertito, mi ricordava me qualche anno prima alle prese con la mia prima cotta.
La porta si aprii lentamente.
Avvampai di botto.
Una donna, di media statura, con i capelli biondi e gli occhi azzurro cielo ci sorrise cordiale.
No, non poteva essere lei la fidanzata di papà.
«Ciao amore» disse papà, fiondandosi sulle labbra della donna senza neanche lasciarle il tempo di salutare.
Dovevo ammetterlo, questa volta papà l’aveva scelta proprio bene.
Dopo interminabili secondi finalmente si staccarono.
La donna volse lo sguardo verso di me.
«Tu devi essere Louis» chiese gentilmente tendendomi la mano, che afferrai senza tanti complimenti.
«Già..» borbottai infine beccandomi un’occhiataccia da mio padre, che però non si scompose, continuò infatti a fissare con aria sognante la donna mentre si spostava un ciuffo di capelli dietro l’orecchio.
«Prego, accomodatevi» disse poi, spostandosi di lato in modo da permetterci di entrare.
Mi guardai intorno.
La casa era abbastanza accogliente all’interno.
Scorsi il salone e una scala che portava al secondo piano in fondo al corridoio, alla nostra destra si affacciava un’enorme cucina con tanto di isola al centro. Alla destra, c’erano due porte chiuse “probabilmente il bagno e la lavanderia” supposi sentendo il rumore della lavatrice che faceva da sottofondo.
La donna intanto ci fece strada verso il salotto. Notai mio padre arrossire.
Ridacchiai divertito da quell’assurda situazione.
«Prego» disse nuovamente la donna sedendosi su una delle poltrone ai lati del divano.
Io e papà ci impadronimmo del divano al centro.
Mentre i due chiacchieravano allegramente lanciandosi frecciatine maliziose, io ne approfittai per ispezionare a fondo il salotto, nei minimi particolare.
«Dov’è tua figlia?» chiese poi mio padre.
Figlia? Questa bellissima donna aveva pure una figlia?
Alzai la testa allarmato in direzione dei due.
«Oh sì giusto, adesso la chiamo» disse alzandosi e sparendo fuori dal salotto.
Una volta rimasti soli mi voltai a guardare mio padre.
«E questa dove l’hai trovata? È una bomba» esclamai stando bene attento a mantenere il tono di voce basso.
Papà mi intimò a stare in silenzio, per poi dedicarmi un sorriso.
«Già, è meravigliosa» rispose. «E dovresti vedere la figlia, è la sua fotocopia» aggiunse sussurrando.
Non risposi. Mi limitai a sorridere, entusiasta all’idea di conoscere la figlia di Carol.
La donna ritornò nel salotto.
«Adesso arriva» disse timidamente dedicandoci un tenero sorriso.
Annuimmo all’unisono.
I successivi dieci minuti nessuno fiatò, si sentiva solo come sottofondo lo scrosciare ormai divenuto fastidioso della pioggia.
Decisi così di rompere il ghiaccio.
Questa donna mi piaceva, e papà ne era cotto così: «Papà è pazzo di te, Carol» dissi osservando la donna che inizialmente parve sorpresa per poi chinare il capo e arrossire visibilmente. Le guance si imporporarono di un rosa acceso.
Voltai poi lo sguardo verso mio padre che chinò il capo arrossendo a sua volta.
“Ottimo lavoro, Louis. Sei un vero Cupido” mi complimentai con me stesso.
Improvvisamente fummo tutti interrotti da dei passi leggeri, passi che si facevano via via più rumorosi, ovvero più vicini.
Finalmente avrei conosciuto la mia nuova sorellastra.
Sfoggiai un sorriso raggiante verso la porta, sorriso che morì non appena realizzai che la mia nuova sorellastra non era proprio quella che mi aspettavo.
La ragazza, accortasi della mia presenza sbattè più volte le palpebre, spalancò la bocca per poi richiuderla subito dopo.
Evidentemente nemmeno lei si aspettava di trovare proprio me.
«Tesoro, vieni» disse poi la madre facendole cenno di raggiungerla.
La ragazzo finalmente si ricordò di staccarmi gli occhi di dosso, raggiungendo poi la madre che intanto si alternava a guardare una volta me, una volta la figlia. Sembrava vagamente confusa, e come biasimarla?
«Taylor tesoro,  lui è Mark» cercò di rompere il ghiaccio Carol, leggermente in imbarazzo.
Si poteva percepire l’aria di tensione presente nel salotto.
La ragazza allungò il braccio stringendo dolcemente la mano a mio padre e forzando un sorriso, che dovetti ammettere, le riuscì egregiamente.
«E lui è…»
«Louis, lo so» la interruppe prima di sedersi sulla poltrona accanto alla madre.
«Vi conoscete?» si intromise mio padre, sgranando gli occhi per la sorpresa.
«Andiamo a scuola insieme» mi affrettai a rispondere sorridendo poi alla bionda che mi squadrò con aria altezzosa.
«Volete qualcosa da bere» chiese sua madre cercando di cambiare discorso.
«Siamo a posto così, grazie amore» rispose precipitosamente mio padre. Gli lanciai un’occhiata stizzita, in effetti un bicchiere d’acqua in quel momento mi avrebbe fatto solo bene.
Che situazione imbarazzante, proprio lei doveva capitarmi? Assurdo.
Appoggiai il gomito sul bracciolo del divano per poi appoggiare il capo sul palmo della mano.
Però dovevo ammetterlo, papà aveva proprio ragione, Taylor era davvero molto bella.
I capelli biondi, come quelli della madre, gli occhi azzurri, le labbra morbide e carnose, il nasino leggermente all’insù. Forse era un po’ troppo magra ma era semplicemente stupenda.
Carol e papà si erano lanciati in una discussione di cui non avevo carpito proprio nulla, Taylor invece si limitava ad intervenire di tanto in tanto con qualche commento.
Sbuffai prima di sfilare il telefono di tasca, tracciai il segno di sblocco e non mi sorpresi affatto nel non trovare alcun messaggio proveniente da Harry.
Harry, ma che diavolo mi era preso, perché l’avevo trattato così? In fondo mi aveva solo chiesto se gli volessi bene, una persona normale lo avrebbe degnato di una risposta, ma non me, Louis Tomlinson. L’avevo trattato male, e ne ero totalmente conscio.
Presi coraggio e digitai un veloce “Sei arrabbiato con me?” indirizzandolo poi al riccio.
Per pochi istanti fui tentato dall’eliminare il messaggio, fortunatamente il lato buono che si nascondeva al mio interno, mi convinse ad inviarlo.
Mi morsi il labbro con ferocia.
E se non mi rispondesse? E se non avesse più nessuna intenzione di essermi amico? E se mi avesse già rimpiazzato con un nuovo amico? E se Harry in questo preciso momento stesse soffrendo a causa mia?
L’ultima domanda in particolare mi fece sobbalzare sul posto.
Troppe domande, davvero troppe. Domande che non avrebbero avuto risposta fino a quando il riccio non avesse aperto il messaggio, messo da parte la rabbia e si fosse deciso a rispondermi.
La mia richiesta venne soddisfatta pochi istanti dopo, quando una busta lampeggiante interruppe i miei pensieri.
Mi si dipinse un sorriso sghembo nel leggere il suo nome seguito da una simpatica emoticon sorridente.
“Come potrei mai arrabbiarmi con te, Lou?” recitava il messaggio. Sorriso inconsapevolmente. Mi aveva già perdonato, come sempre. Come ogni volta che lo trattavo male. Harry tornava sempre con il sorriso in volto.
“Vengo da te, Haz. Dieci minuti e sono da te” digitai velocemente.
Bloccai poi il telefono, alzandomi in piedi, improvvisamente euforico.
Il mio migliore amico mi aveva perdonato, ed era tutto ciò che mi importava in quel momento.
«Scusate, ma ho un impegno. È stato un piacere conoscervi» dissi sorridendo alle due donne soffermandomi un po’ troppo a lungo a fissare Taylor.
«Tesoro, accompagna Louis alla porta» ordinò la donna.
La bionda si alzò sospirando e alzando gli occhi al cielo per poi intimarmi con un cenno della mano a seguirla.
Aprì la porta posizionandosi dietro ad essa ed aspettando che me ne andassi.
«È stato un piacere conoscerti meglio. Sorellina» esclamai stando ben attento a calcare leggermente sull’ultima parola.
La ragazze scosse la testa sorridendo, un sorriso di scherno, quasi un ghigno.
«Per me no. Ci si rivede, Louis» rispose sforzandosi di apparire fredda, cosa che non le riuscì affatto.
Cacciai le mani in tasca.
Attraversai il vialetto per poi voltarmi a destra.
Fortunatamente la casa di Harry distava a meno di un isolato da lì.
Inspirai a fondo l’aria fresca di quel pomeriggio. Aveva appena smesso di piovere, lasciando spazio al profumo fresco tipico di una giornata piovosa.
Sorrisi d’istinto alla vista di casa Styles.
Entusiasta, la raggiunsi soffermandomi a fissare il campanello. Sopra di esso vi era un pezzetto di carta plastificata nella quale aleggiavano due cognomi “Styles/Cox”.
Allungai il collo verso la finestra. Le luci erano accese, segno che tutta la famiglia era sveglia.
Inspirai a fondo l’aria fresca che mi solleticò le narici, prima di suonare al campanello. Successivamente appoggiai il braccio alla porta e aspettai che la porta venisse aperta.
Neanche cinque secondi dopo infatti questa si spalancò lasciando spazio alla figura alta di Harry, che non parve affatto sorpreso di vedermi, anzi, mi dedicò un sorriso a trentadue denti e senza dire una parola si scostò di lato lasciandomi spazio e permettendomi così di fare il mio ingresso.
Ubbidii e mentre il riccio chiudeva la porta d’ingresso frugai all’interno della mia mente alla disperata ricerca di una qualsiasi frase di scuse. Gliele dovevo.
Infine optai per il modo più semplice.
«Scusa per prima, Haz» sussurrai flebilmente, convinto che il riccio non mi avesse sentito.
Tuttavia contro ogni mia aspettativa il riccio incurvò le labbra verso l’alto.
Sollevò poi il capo illuminando la stanza leggermente in penombra con i suoi occhi verdi, che ora sembravano più brillanti del solito.
«Scuse accettate, LouLou» rispose in un sussurrò. «Che ne dici di una partita a Pes?» propose poi con un sorrisino furbo tra le labbra.
Soddisfatto della proposta lo raggiunsi in salotto.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Chapter 6 ***


POV TAYLOR
 
Portai alla bocca l’ultimo boccone di cibo prima di alzarmi da tavola.
Mia madre mi guardò con un’espressione di stupore stampata in viso e un sorriso forzato fece capolino dalle labbra di Mark.
«Sono sazia» sentenziai voltandomi verso Mark e dedicandoli a mia volta un sorriso sincero. L’uomo infine ricambiò, questa volta con un sorriso naturalissimo, automatico, per poi tornare a dedicare tutta la sua attenzione a mia madre.
Rimasi sul ciglio della porta ad osservarli intenerita.
Era da parecchi anni che non la vedevo così felice con un uomo. Certo aveva avuto vari fidanzati gli anni precedenti ma il tutto durava sì e o no qualche mese, per questo ero molto grata a Mark per ciò che faceva a mia madre. La rendeva felice, in fondo era quello ciò che contava.
Mark strinse la mano di mia madre, incatenandola dolcemente con la sua per poi infilzare un paio di maccheroni e avvicinare la forchetta alla bocca di mia madre.
Sospirai stranamente allegra prima di girare i tacchi e salire le scale a passi veloci.
Mi rifugiai nella mia stanza chiudendomi piano la porta dietro.
Ispezionai con gli occhi l’ambiente tiepido della stanza da letto alla disperata ricerca di un elastico per capelli.
Sollevata lo scorsi accanto alla sveglia, sul comodino accanto al letto.
Lo afferrai soddisfatta e mi legai i capelli in una crocchia disordinata.
Mi trascinai verso il bagno, e una volta inforcato lo spazzolino tracciai una linea di dentifricio nel tentativo di imitare le pubblicità che passavano ogni tanto in televisione. Fallì miserabilmente.
Ci rinunciai, mi lavai con cura i denti per poi tornare nuovamente in camera mia.
Mi sedetti sul bordo del letto sospirando rumorosamente.
“E se tua madre decidesse di sposare Mark un giorno?” gracchiò una vocina dentro di me.
Scossi la testa scacciando quel pensiero assurdo ma non del tutto improbabile.
Io e Louis potremmo diventare.. Fratelli? Oh no, assolutamente no.
È inconcepibile, mi rifiuto categoricamente.
Dannazione, mia madre non poteva trovarsi qualcun altro, magari un uomo senza figli.
Sbuffai prima di infilarmi tra le coperte calde. Appoggiai la guancia destra sul cuscino candido e infilai la mano destra sotto il cuscino com’ero solita fare prima di coricarmi. Infine chiusi gli occhi abbandonandomi tra le braccia di Morfeo.
 
8 ore dopo.
 
Un raggio di sole mi centrò in pieno viso.
Sbuffai, maledicendomi per non aver pensato di abbassare le persiane e annotandomi poi mentalmente di ricordarmi di farlo la notte seguente.
Girai la testa dal lato opposto notando che il telefono si era illuminato.
Sbadigliando e con gli occhi ancora socchiusi allungai il braccio verso il comodino.
Fortunatamente riuscii ad afferrare il telefono senza farlo cadere rovinosamente a terra.
Lo avvicinai al viso ma a causa della luce ancora fioca che mi impediva di vedere lucidamente mi ci vollero alcuni secondi per mettere a fuoco e riconoscere un messaggio.
La busta giallognola continuava insistentemente ad aprirsi e chiudersi.
Premetti sull’icona e lessi il messaggio proveniente da Niall.
“Bionda, tra mezz’ora passo a prenderti a casa” recitavo questo.
Inarcai le sopracciglia per la sorpresa.
“Ma se non sai nemmeno dove abito” digitai infine prima di inviarlo.
Non ebbi neanche il tempo di sbadigliare nuovamente che arrivò fulminea la risposta.
Incredibile, questo ragazzo era proprio un grande amante dei telefoni cellulari.
“Oh si giusto. Dove abiti?” chiedeva questo.
Scoppiai a ridere di gusto.
Risposi velocemente al messaggio indicandoli la via e lanciai un’occhiata all’ora.
Le 7.10.
Puntellai i gomiti sul materasso per poi sgusciare dal letto.
Scavalcai per un soffio lo zaino senza inciampare e seppur con qualche difficoltà raggiunsi il bagno che collegava la mia stanza con quella di mia madre.
Una volta chiusa la porta a chiave aprii la doccia e mi infilai sotto, lasciandomi cullare dal getto caldo dell’acqua.
Niente pensieri, per la prima volta mi sentivo stranamente tranquilla, nessun pensiero ad ingombrare la mia mente, solo calma e tranquillità, esattamente ciò di cui avevo bisogno la mattina appena sveglia.
Rabbrividii non appena il mio corpo bollente entrò in contatto con l’aria fresca che penetrava dalla finestra semichiusa.
Mi asciugai velocemente tornando poi in camera mia senza preoccuparmi minimamente di asciugarmi i capelli, non ci sarebbe stato comunque il tempo di farlo.
Raccolsi da terra giusto qualche maglietta buttandola sulla sedia accanto alla finestra.
Mamma sicuramente mi avrebbe costretta a sistemare quel casino una volta tornata da scuola.
Sbuffai facendo sollevare dalla fronte un ciuffo ribelle di capelli e a passi veloci, ancora in accappatoio, raggiunsi l’armadio spalancandolo e facendo in modo, involontariamente, che l’anta sbattesse rumorosamente contro il muro provocando un tonfo assordante che probabilmente si era sentito in tutto il vicinato.
Alzai le spalle e ficcai la testa all’interno di esso alla ricerca della camicetta bianca comprata l’estate precedente in Francia.
Da piccola ero solita infilarmi nella stanza dei miei genitori, per poi raggiungere l’armadio e infilarmici dentro. Non ne uscivo più, passavo spesso ore e ore a fingere di trovarmi nella fantomatica Narnia, fino a quando mi addormentavo sopra i vestiti accuratamente piegati. Mamma la mattina successiva trovava tutti i vestiti sparsi per l’armadio ma non ne aveva mai intuito la causa, o forse faceva solo finta.
La trovai in fondo all’armadio.
Soddisfatta la afferrai, mi vestii in fretta, presi al volo lo zaino e scesi le scale velocemente rischiando di inciampare per l’ennesima volta e cadere rovinosamente di faccia.
Feci capolino in cucina trovando mia madre intenta a parlare al telefono e dal modo in cui si mordicchiava il labbro inferiore sorridendo come un’ebete intuii che stesse parlando con Mark.
Non appena si accorse della mia presenza allontanò la cornetta dall’orecchio appoggiandoci sopra il palmo della mano e abbozzando un sorriso che avrebbe sicuramente fatto invidia a una di quelle attrici famose di Hollywood.
Le sorrisi di rimando rimanendo estasiata dal suo sorriso raggiante dovuto sicuramente alla conversazione che avevo interrotto inconsciamente.
«Tesoro, vuoi che ti accompagni a scuola?» chiese a bassa voce.
Scossi la testa sorridendole riconoscente.
«Non ce n’è bisogno, viene a prendermi un amico» risposi sorridendo al pensiero che mi ero fatta un amico in neanche un giorno di scuola.
Girai poi i tacchi raggiungendo la porta d’ingresso.
Mi fermai di colpo sentendo una frase appena bisbigliata.
«Amore, vuoi venire a pranzo da noi oggi? Taylor ne sarà entusiasta».
Quelle parole giunsero attutite alle mie orecchie ma ciò bastò a farmi irrigidire dalla mascella in poi.
Deglutii mordendomi con violenza inaudita il labbro inferiore pentendomene non appena percepii tra i denti il sapore metallico del sangue.
Scossi la testa rinvenendo dai miei pensieri contorti.
“Mamma non sposerà mai Mark Tomlinson, si amano ma per lei sono più importante io” cercai di rassicurarmi.
Mi sentii improvvisamente vuota ed egoista a pensare a ciò. Chi ero io per negare la felicità a mia madre? Non potevo farle questo solo per un mio capriccio.
Ricacciai le lacrime che minacciavano di rigarmi il viso da un momento all’altro e uscii di casa facendo bene attenzione a chiudere cautamente la porta.
Mi guardai intorno inspirando a fondo l’aria fresca di quella mattinata.
«Taylor» mi sentii chiamare.
Mi voltai trovandomi davanti una Audi A3 un po’ malandata.
Scorsi poi una massa di capelli biondi fare capolino dall’auto.
Niall.
Sorrisi correndo nella sua direzione.
Spalancai la portiera prendendo posto accanto al biondo, poi finalmente mi voltai a guardarlo trovandomi davanti il suo viso paonazzo.
Mi sporsi verso la sua guancia schioccandoli un tenero bacio.
Il biondo soddisfatto prese il volante tra le mani e mise in moto.
Dopo qualche sbuffo, l’auto finalmente partì.
Mentre Niall era intento a superare una donna anziana in bici guardai dallo specchietto retrovisore il retro dell’auto.
I sedili posteriori erano un po’ sgualciti e scuciti, segno che l’auto aveva qualche anno in più rispetto a ciò che immaginavo io, tuttavia le davano un tocco di.. come dire “vissuto”.
«Ehi, tutto ok?» chiese Niall improvvisamente ridestandomi dal mio momentaneo silenzio.
Annuii debolmente, non avevo intenzione di parlare.
Il biondo infatti capii al volo e scosse la testa tornando a fissare la strada.
«Non proprio» dissi finalmente, sospirando, con qualche secondo di ritardo.
Il biondo sorpreso mi  lanciò un’occhiata leggermente preoccupata.
Mi incupii involontariamente.
Lui appoggiò una mano sul mio ginocchio facendomi rilassare.
«Ehi ehi ehi donna. Dimmi un po’ cosa affligge il tuo animo buono come quello di un angelo» disse sorridendo.
Alzai la testa sospirando. Adesso si era per caso dato alla poesia?
«C’è che mia madre sta con un uomo e la cosa sembra parecchio seria, c’è che mi vergogno di me stessa perché dovrei essere felice per lei e invece non lo sono neppure se mi sforzo, c’è che ho appena scoperto che questo uomo meraviglioso non mi andrà mai a genio perché fa di cognome Tomlinson» dissi tutto d’un fiato. Sentii improvvisamente di essermi come dire.. sfogata.
Mi voltai poi a vedere ‘espressione del biondo scoprendo che non era solo sorpreso, il suo viso infatti era contratto in una smorfia alquanto strana, quasi buffa, che nonostante l’atmosfera seria che si era creata all’interno dell’auto mi fece sorridere.
«M..Mark Tomlinson?» chiese il biondo dopo aver posteggiato l’auto sul retro della scuola, nel parcheggio dedicato interamente a noi studenti.
Tornò poi a riposizionare gli occhi sui miei aspettando la mia tanto agoniata risposta.
Cosa potevo dirgli? Ero quasi più sconvoltadi lui.
Mi limitai a muovere lentamente la testa dall’alto verso il basso.
«Quindi tu e Louis diventerete…»
«Fratelli? Oh no, neanche tra 40 anni. Non lo permetterò mai» risposi interrompendolo e scuotendo la testa come a cercare di convincere me stessa oltre a lui.
Per i successivi 20 secondi nessuno dei due fiatò.
«Dai, non sarà così male» disse il biondo aprendo la portiera e uscendo dall’auto.
Lo imitai affiancandolo, lo spintonai costringendolo a ricorrere a tutte le sue forze per tenersi in piedi.
«Ma sei impazzita per caso?» sbottò rosso in viso.
Risposi con un’alzata di spalle.
Il biondo grugnì qualcosa di incomprensibile, parole strane, tra le quali riconobbi anche una bestemmia.
Non ebbi neanche il tempo di rispondergli a tono che una ragazza con i capelli neri e boccolosi, gli occhi scuri e un visino tenerissimo da eterna ragazzina ci venne incontro.
Tutta sorridente si fiondò addosso a Niall buttandogli le braccia attorno al collo.
«Nialler» gridò raggiante.
Il biondo arrossì violentemente, si liberò dall’abbraccio della mora e curvò teneramente le spalle in avanti risultando ancora più dolce e indifeso.
«Selena, ti presento Taylor» disse indicandomi e lanciando ogni tanto qualche occhiatina alla mora.
Allungai la mano verso la mora che la strinse con veemenza dedicandomi un tenerissimo sorriso e mostrando una fila perfetta di denti bianchissimi.
«Taylor, ti presento Selena» continuò Niall, chinando il capo mentre pronunciava il suo nome.
Lo guardai leggermente confusa.
«Niall, stai bene?» chiesi aggrottando le sopracciglia.
«Eh? Sì sì, sto bene» rispose con un sottile filo di voce mentre si grattava nervosamente la nuca.
Annuii poco convinta decisa ad indagare non appena la mora si fosse allontanata da noi.
«Io devo andare, è stato un piacere conoscerti Taylor» disse la ragazza dedicandomi un sorriso bellissimo.
Una volta che fù abbastanza lontana mi fermai appoggiando le mani sui fianchi e con un sorriso sornione stampato in faccia guardai il biondo.
«Dì un po’, quella Selena ti piace eh?» chiesi facendo attenzione a non alzare la voce.
Il biondo avvampò aprendo la bocca alla disperata ricerca di ossigeno e torturandosi le mani.
«N..no. Scherzi?» rispose fissando le sue scarpe che in quel momento sembravano più interessanti di me.
«Oh certo, è per questo che te la mangiavi con gli occhi?» chiesi stuzzicandolo.
«È bellissima e sembra anche molto simpatica» continuai suscitando una risatina tenerissima del biondo.
Sussultò poi scuotendo la testa.
Proprio mentre stava per rispondere, una voce squillante e riconoscibile tra mille mi perforò il timpano costringendomi quasi a portare le mani alle orecchie.
«Sorellinaaa».
Alzai gli occhi al cielo, passai una mano tra i capelli spostandoli dal viso per poi voltarmi sbuffando.
«Che vuoi Louis?» chiesi risultando palesemente annoiata, cosa che desideravo appunto.
Il castano mi si avvicinò ulteriormente seguito da suo amico ricciolo che nel frattempo gli lanciava occhiatine di idolazione e si mordicchiava il labbro.
«Ma come? Tratti male il tuo fratellone?» continuò Louis irritandomi più del solito.
Lo schernì con una risatina per poi alzare gli occhi e puntarli sui suoi occhi che nel frattempo avevano cambiato colore passando dall’azzurro cielo a un blu cupo che mi fece sussultare.
Aprii la bocca per rispondergli atona ma  non uscii alcun suono.
Ci rinunciai congedandolo con un «Ci si rivede Tomlinson».
Ingoiai un groppo che mi si era formato in gola ricordandomi poi della presenza di Niall.
Questo infatti mi raggiunse, sembrava leggermente preoccupato, ma fortunatamente non disse una parola e gliene fui estremamente grata.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Chapter 7 ***


Feci il mio ingresso nell’aula spoglia raggiunta da Niall che arrancante continuava a raccontarmi la fine del suo gattino Irwin morto due mesi prima.
Sempre ignorandolo, presi posto nei banchi in fondo alla classe e mi accasciai sul banco.
Niall mi affiancò mentre ridacchiava divertito alla battuta di un ragazzo moro, con la pelle leggermente ambrata, gli occhi scuri e profondi come due pozzi, le labbra carnose e un sorriso a dir poco spettacolare, un sorriso raro.
Lo riconobbi all’istante, in fondo come si faceva a dimenticare il sorriso di Zayn?
Arrossii violentemente quando Zayn si accorse che lo fissavo come fa un cane quando si ritrova davanti dei prelibati bocconcini.
«Taylor» disse con la sua voce sensuale e allo stesso tempo suadente.
Incapace di formulare una frase sensata mi limitai a boccheggiare suscitando le risate di Niall che nel frattempo fissava divertito la scena.
Dannazione, il finto biondo me l’avrebbe pagata.
Mi voltai a guardarlo per poi lanciargli un’occhiataccia. Il biondo si zittì per pochi secondi prima di accasciarsi completamente sulla sedia e ridere.
Irritata gli tirai una gomitata che lo fece gemere e attorcigliarsi per il dolore.
Soddisfatta della mia impresa riportai finalmente l’attenzione su Zayn.
Puntellai il braccio sul banco per poi appoggiarci sopra il mento beandomi così della spettacolare visione che era il viso perfetto di Zayn.
«Quanto siete carini voi due» azzardò Niall per poi voltarsi dalla parte opposta fingendosi particolarmente interessato alla sequoia in giardino.
Zayn sorrise chinando la testa e mordendosi il labbro inferiore, provocandomi così una miriade di capogiri.
“Taylor, calmati! È solo un fottuto ragazzo. Bello da morire, ma pur sempre un ragazzo” gracchiò l’irritante vocina della mia coscienza.
Sbuffai controvoglia, aveva pur sempre ragione. Ma Zayn aveva un che di spettacolare.
«Taylor?» sussurrò scuotendo una mano proprio in prossimità dei miei occhi.
Mi risvegliai dal mio momentaneo torpore e «Dimmi perfezione. Ehm, volevo dire, Zayn» risposi di rimando allungando il braccio verso Niall e stringendo il suo braccio con una forza inaudita. Il biondo nel frattempo cercava di divincolarsi dalla mia morsa ferrea, infine si arrese e mi supplicò con lo sguardo di lasciarlo in pace.
«Ti va di uscire con me, questo pomeriggio?» chiese senza un minimo di imbarazzo, e come se non bastasse mi fissò sicuro di sé stesso.
Diretto il ragazzo.
Abbozzai un sorriso annuendo con un po’ troppa irruenza.
«Certo, a che ora?» chiesi poi senza rendermi conto che ormai era troppo tardi per cambiare idea, e non ci sarei riuscita comunque con Zayn che mi fissava con un sorriso come quello. In quel momento non ero in possesso delle mie facoltà cognitive, non riuscivo a pensare ad altro che non fosse il suo sorriso.
Me ne sarei pentita non appena Zayn si sarebbe allontanato.
Il moro socchiuse leggermente gli occhi appoggiando la mano sul mento per poi «Alle 5 va bene?» chiedere, sorpreso del fatto che avessi accettato senza obiezioni.
A dire il vero la cosa sorprendeva anche me, e non poco.
«Certo» risposi cercando di contenermi per non sembrare troppo invadente ed entusiasta.
Il moro sorrise prima di voltarsi verso la cattedra.
La professoressa di psicologia fece il suo ingresso, e dopo aver appoggiato la borsa scura nel pavimento si appostò sopra la cattedra incrociando le gambe.
«Allora ragazzi, so che siamo appena ai primi giorni di scuola ma il programma di quest’anno è piuttosto ricco e temo che il tempo ci proibirà di terminarlo entro giugno» gracchiò con un’irritante vocina ricevendo in risposta gesti e suoni d’assenso dai miei compagni di classe.
«Cominciamo dalla teoria psicosessuale di Freud» continuò suscitando un lieve ma comunque irritante vociare e una sorta di sbadiglio da parte di Niall.
La lezione annoiava pure lui.
Mi voltai a guardarlo mentre si adagiava comodamente sul banco con le braccia incrociate tra loro come a fargli da cuscino.
«Perché hai accettato di uscire con Zayn?» sussurrò indicandomi il moro seduto davanti a noi.
«Insomma non lo conosci nemmeno» continuò sempre senza scomporsi dalla sua attuale postazione.
«È a questo che servono gli appuntamenti no?» risposi scuotendo la testa per la frase priva di senso, o quasi, che avevo appena pronunciato.
«Stai cercando di convincere me o te stessa?» fece infatti il biondo scoppiando a ridere silenziosamente.
Gli lanciai un’occhiataccia stizzita.
«Tzè non sai ciò che dici, Nialler. Sta zitto e segui la lezione» ribattei dopo qualche secondo.
Meglio la fuga no? Di certo non avevo intenzione di rispondere alle domande curiose di Nialler, e tantomeno a quelle a cui non sapevo rispondere neppure io.
Detto ciò sfilai il cellulare dalla tasca e con cautela, stando ben attenta a non farmi notare dalla professoressa che continuava a lanciare occhiatine vigili qua e là per la classe.
Lentamente lo posizionai all’interno dell’astuccio, ottimo nascondiglio.
Lo sbloccai e scorsi le numerose icone e appena trovai l’icona di “Twitter la schiacciai.
La mia timeline era praticamente morta, nessuna menzione, nessun nuovo follower, niente di niente.
Lasciai andare il cellulare e alzai la testa accorgendomi che Louis e Harry nella fila davanti alla nostra stavano tranquillamente conversando, ignari dell’esistenza della professoressa.
Stando ben attenta a non farmi notare dai due, con la coda dell’occhio scrutai i loro profili soffermandomi particolarmente su quello delicato di Louis.
Il viso leggermente spigoloso gli donava un’aria leggermente mascolina, il naso dritto con la punta leggermente all’insù e i suoi occhi, quegli occhi in grado di cambiare tonalità a seconda del suo stato d’umore.
Improvvisamente Harry fece una battuta e Louis scoppiò in una fragorosa risata, una risata cristallina e contagiosa.
Cacciò la testa all’indietro per poi voltarsi completamente nella mia direzione.
«Oh ciao sorellina» sussurrò alzando la mano in segno di saluto.
«Voltati Tomlinson. La tua faccia mi fa venire il voltastomaco» risposi atona dedicandoli poi un sorriso falsissimo.
Ciò bastò a cancellare il suo sorriso, lasciando spazio a un ghigno colmo di disprezzo.
Harry intanto continuava a spostare gli occhi da Louis a me, in continuazione, ridacchiando e mettendo in mostra quelle adorabili fossette, che lo rendevano quasi tenero.
Dopo interminabili scambi di occhiatacce, l’aria si era impregnata di tensione, Louis e Harry si voltarono tornando a conversare allegramente.
Inspirai a fondo cercando di mantenere così la calma. Mi ero ripromessa di tenermi alla larga dai guai e da tutti una volta arrivata in quella scuola e invece mi ritrovavo a scambiare battutine di scherno con quello che era niente di meno che il figlio del fidanzato di mia madre.
Tornai a fissare lo schermo luminoso del mio cellulare.
Lo bloccai con cautela e mi stravaccai sul banco con tutto l’intento di continuare il sonno ristoratore che quella maledetta sveglia mi aveva privato.
Ne avevo l’intento appunto ma Niall continuai interperrito a giocherellare con una ciocca dei miei capelli rendendo così l’impresa decisamente impossibile.
Alzai gli occhi verso il biondo e dedicandogli uno dei miei sguardo più letali e penetranti che ebbe il giusto effetto, il biondo infatti rabbrividì ritirando la mano verso di sé.
«Niall si può sapere che ti prende?» esclamai allargando le braccia.
Lui mi fissò scuotendo la testa.
«Niente, mi annoio» rispose con un’alzata di spalle.
Grugnii innervosita ma prima di bestemmiargli in faccia venni interrotta, per sua fortuna, dal suono insistente della campanella che per giunta era situata proprio fuori dalla nostra classe.
«Horan, salvato dalla campanella» disse Perrie avvicinandosi a me e schioccandomi un bacio affettuoso sulla guancia. Non la allontanai, mi limitai a sorriderle teneramente. Quella ragazza era la dolcezza.
«Chiese la bionda dando un buffetto sulla guandia paffuta di Niall che la fulminò con lo sguardo tornando a chiacchierare con Zayn.
«Ehi, pianeta Terra chiama Taylor» continuò Perrie scuotendo una mano davanti al mio viso vedendo che non le rispondevo.
Era già la seconda volta in un giorno che me lo facevano.
Mi ridestai dal mio momentaneo assopimento che consisteva nel fissare estasiata quell’essere perfetto che era Zayn e volsi lo sguardo verso la ragazza.
«Non male. Ho solo un po’ di mal di testa» mentii.
La ragazza annuii poi d’improvviso illuminata da un pensiero «Che ne dici di firmarci i permessi e uscire da scuola adesso?» propose sorridendo.
Aggrottai le sopracciglia storcendo il naso.
La ragazza vedendo che non mi aveva ancora convinta continuò.
«Andiamo a fare colazione e ci facciamo un bel giro per Londra. Che ne dici?».
«Proposta allietante Perrie Louise Edwards. Mi hai convinta» risposi infilando la mano nello zaino e estraendone fuori il libretto scolastico.
La bionda battè le mani soddisfatta.
«Ehi, dove diavolo hai intenzione di andare tu?» chiese Niall in tono accusatorio e puntandomi il dito contro.
«Fuori da scuola» risposi tranquillamente spostando i capelli di lato.
«Non puoi abbandonarmi Tay» esclamò supplicante.
Scossi la testa.
«Mi dispiace Nialler, ma io non ho la minima intenzione di stare qui altre due ore» risposi infine alzandomi e posizionandomi lo zaino sulle spalle.
«Allora portami con te» disse sistemandosi a sua volta lo zaino.
Più che una proposta sembrava quasi un ordine, tuttavia non potevo abbandonarlo al triste destino di affrontare due asfissianti ore di matematica.
Sbuffai e «E va bene Niall. Seguici» gli intimai.
«Ciao Taylor. A dopo» si intromise Zayn che nel frattempo aveva assistito all’intera conversazione senza fiatare.
Avvampai dedicandogli un sorriso per poi seguire Niall e Perrie fuori dalla classe.
Arrancai dietro ai due che ingiustamente non ne volevano sapere di rallentare il passo.
«Pez» chiamai a gran voce ignorando l’occhiataccia lanciatomi dalla bidella.
La ragazza si voltò muovendo la massa di capelli chiari e si fermò aspettando che gli affiancassi.
«Dove andiamo?» chiesi incuriosita, non appena abbandonammo l’edificio.
«A mangiare, è ovvio» constatò esasperato Niall, allargando le braccia e scuotendo la testa.
Soffocai una risata mentre Perrie gli lanciò un’occhiata divertita.
«Possibile che tu pensi sempre e solo al cibo?» chiese rivolta a quest’ultimo che si illuminò in un fantastico sorriso per poi inarcare le sopracciglia.
«Donna, stai scherzando? Io mangio, vivo, respiro cibo» rispose poi superandoci e accelerando il passo non appena notò un piccolo bar a pochi passi da noi.
Questa volta non riuscii a trattenere le risate, seguita a ruota da Perrie che senza smettere di ridere arrancò dietro a Niall.
«Vi muovete? Io ho fame» esclamò Niall entrando nel bar e piazzandosi dietro alla porta tenendola aperta.
Rabbrividii al brusco cambiamento di temperatura, prima freddo e pungendo e poi caldo e accogliente.
Inspirai a fondo l’inebriante profumo di caffè mattutino seguendo i due che nel frattempo avevano adocchiato proprio un tavolino accanto alla finestra.
Presi posto cercando di sedermi composta, appoggiai la borsa sul pavimento dato che Niall mi aveva battuta sul tempo appropriandosi della quarta sedia.
«Non c’è nessuno qui. Che noia» sbuffò Perrie limandosi l’unghia del pollice già perfettamente curata.
Sorrisi prima di guardarmi intorno.
In effetti aveva proprio ragione, non c’era nessuno oltre a noi e a un ragazzo che doveva avere sì e no la nostra età intento ad annotare scrupolosamente delle scritte su un taccuino e una donna sulla trentina dietro all’esteso bancone che non appena ci vide, afferrò un blocchetto e una penna venendoci incontro con un sorriso professionale stampato in faccia.
«Ciao ragazzi, cosa vi porto?» chiese educatamente mostrando comunque un sorriso simpatico.
Niall guardò prima me e Perrie per poi parlare.
«Per me due cupcake e una cioccolata calda» esclamò fiero della scelta fatta.
Mi voltai a guardare vero il bancone. C’era una vastissima scelta di dolci e brioches appena sfornate. Riportai gli occhi verso la donna che continuai ad aspettare pazientemente le altre ordinazioni.
«Per me un cappucino» risposi infine abbozzando un sorriso di gratitudine.
«Lo stesso per me» aggiunse Perrie.
La donna annuii prima di congedarsi con un sorriso.
«Ma, ma, ma. Ma non mangiate nulla?» chiese Niall esasperato guardando prima me e poi Perrie.
Noi di tutta risposta ci guardammo sorridendo e alzando contemporaneamente le spalle.
Niall scosse la testa sussurrando un «incredibile» e sfilando poi il cellulare di tasca prendendo a digitare velocemente qualcosa su di esso.
Appoggiai il mento sul palmo della mano e mi voltai a guardare fuori dalla finestra.
Numerosi nuvoloni scuri e gremiti di pioggia costellavano il cielo di quella mattinata già fredda di suo.
Battei una mano sulla fronte ricordandomi che sbadatamente mi ero dimenticata di portare l’ombrello, non per pigrizia o altro, ma per semplice dimenticanza.
«Ecco a voi ragazzi» disse la donna con in mano un enorme vassoio contenente le nostre ordinazioni.
Poggiò il tutto sul tavolino per poi sparire nuovamente dietro al bancone a servire due nuovi cluenti che avevano appena fatto il loro ingresso ridacchiando.
Riconoscendo una delle due voci mi voltai di scatto per accertare le mie paure.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1898886