You are my sunshine di millyray (/viewuser.php?uid=69746)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici ***
Capitolo 1 *** Capitolo uno ***
A
Stefan, ancora in
cerca del vero amore.
YOU ARE MY SUNSHINE
CAPITOLO UNO
Kelly,
con uno svolazzo della bionda chioma, portò
la cornetta del telefono all’orecchio sinistro per lasciar
riposare quello
destro, diventato bollente dopo tutto quel tempo che aveva passato a
chiacchierare con la sorella.
“Kelly,
dovresti pensarci sul serio”. Le ripeté
Amanda, forse per la milionesima volta. La bionda sospirò un
po’ scocciata, non
le piaceva tornare sull’argomento, soprattutto
perché sapeva che l’altra aveva
ragione.
“D’accordo,
Mandy. Non escluderò l’idea”.
“Secondo
me è una buona idea. Sia per te che per
Tyler. Dovete staccare un po’, cambiare aria. Vedrai che qui
vi troverete bene,
ne sono sicura, e anche per Ty sarebbe più facile”.
Kelly
mise sul fuoco il caffè che aveva appena
preparato. Sì, doveva ammetterlo, Amanda aveva dannatamente
ragione.
“A
pochi chilometri da casa mia c’è una bellissima
casa che danno in affitto. Secondo me vi ci trovereste bene, ha anche
un bel
giardino. E io posso trovarti anche un lavoro”.
Certo
che quando sua sorella si impuntava su
qualcosa era impossibile farle cambiare idea. Ma lei ormai era stanca
di
sentire sempre la solita storia.
“Non
lo so, cara. Forse per Tyler sarà un po’
difficile abituarsi al nuovo ambiente, orientarsi con
l’esterno…”.
“Ma
ci riuscirà, ne sono sicura. E poi ci sarò anche
io a dargli una mano”.
“D’accordo,
ci penserò”.
Dopo
aver salutato frettolosamente la sorella, Kelly
chiuse la comunicazione e si versò in una tazza il suo
caffè finalmente pronto.
Lo sorseggiò pensierosa. Aveva iniziato a pensare alla
proposta di Amanda già
la prima volta che gliel’aveva fatta, ma inizialmente
l’aveva scacciata via
subito. C’erano troppe cose che la legavano a quel posto, a
quella casa. Ma
erano stati proprio questi legami a convincerla che, invece, doveva
prenderla
sul serio quell’idea, l’idea di trasferirsi.
Nonostante fossero passati ormai due anni, delle volte, di notte, si
ritrovava
ancora a piangere col viso affondato nel cuscino per non farsi sentire
e
qualsiasi cosa vedesse o toccasse le ricordava il marito scomparso.
E poi c’era Ty. Anche lui soffriva e forse persino
più di lei.
C’erano
troppi ricordi in quella casa ed era stanca
di ritrovarsi ogni volta con le lacrime agli occhi e di sentirsi
colpevole ogni
volta che provava a sorridere perché pensava al fatto di non
poter più
condividere le piccole gioie con Richard.
A
destarla da tutti i suoi malinconici pensieri, fu
un rumore di qualcosa che cadeva, proveniente dal piano superiore.
Sporse la testa oltre il tavolo della cucina per poter dare una
sbirciatina in
corridoio, ma non vide niente oltre alle scale.
“Tyler,
tesoro, tutto bene?”
“Dannazione!
Cosa sono queste cose che hai messo
vicino alle scale?” le chiese la voce di suo figlio, un
po’ arrabbiata e
frustrata.
Kelly
fece una smorfia con la faccia, dispiaciuta.
“Sono
degli scatoloni con delle cose che devo
portare via. Scusami. Non dovevo lasciarle lì”.
Accidenti,
a volte si dimenticava ancora. Ma
d’altronde, era una sbadata, fin da quando era piccola
lasciava sempre le cose
in giro, dimenticandosi di metterle via.
Ora avrebbe dovuto togliersi di dosso questa brutta abitudine.
“Ti
serve una mano?” chiese, sempre rivolta al
figlio.
“No.
Devo solo andare in bagno”.
La
bionda spostò lo sguardo sul suo caffè che
iniziava a raffreddarsi ormai. Tyler era cambiato molto in quei due
anni, dopo
l’incidente. Dal ragazzino allegro e solare che era stato un
tempo, era
diventato molto più chiuso e scorbutico. Non sorrideva mai e
parlava solo se
costretto.
Ma d’altronde, non c’era da biasimarlo. Lei aveva
tentato in tutti i modi di
aiutarlo e di stargli vicino, ma non ne era stata pienamente in grado.
Certo,
poi c’erano stati anche i cocci del suo cuore da raccogliere
e così aveva
dovuto pensare sia a se stessa che a lui. Oltre all’aiuto di
Amanda, non aveva
trovato molto altro e la sorella non abitava certo a due passi da casa
sua.
Eh
sì, Amanda aveva ragione: doveva riprendere in
mano la sua vita e ricominciare da capo.
E
poi, Miami non era così male.
***
“Dai,
tesoro, ci fermiamo un attimo qui per mangiare
un boccone e poi andiamo a casa”.
Tyler
sospirò per la milionesima volta. Dopo venti
ore passate in macchina a stare seduto il suo culo ormai era diventato
insensibile e non aveva voglia di passare altro tempo su una sedia,
tanto meno
su una panca di legno, il suo stomaco era chiuso per il nervosismo e
sentiva
che non sarebbe riuscito a mangiare niente senza rimettere e,
oltretutto, non
conosceva affatto quel posto e odiava i posti di cui non sapeva un bel
niente
come, ad esempio, dove fossero i bagni. Almeno avevano trovato un
tavolo vicino
alla finestra, così non si sarebbe sentito troppo esposto.
“D’accordo”.
Sbuffò, alla fine, accasciandosi sulla
sedia. “Dimmi che cosa c’è nel
menù”.
Madre
e figlio passarono qualche minuto a decidere
che cosa avrebbero mangiato, quando arrivò un giovane
cameriere, molto
probabilmente ancora uno studente, con una matita e un taccuino in
mano.
“Che
cosa vi porto, signori?” chiese in tono
cordiale, come si addiceva a un cameriere.
“Per
me un’insalata di riso e per lui un…
cheesburger con patatine”. Rispose Kelly con un sorriso.
Il
ragazzo scrisse sul suo bloc-notes ma, quando
alzò la testa per dire che il cibo sarebbe arrivato presto,
si bloccò a fissare
Tyler come se vedesse una strana creatura magica. Era rimasto con la
matita a
mezz’aria e la bocca semiaperta, in un atteggiamento per
niente gentile.
Tyler,
sentendosi il suo sguardo addosso, si voltò
verso il cameriere con sguardo chiaramente cupo e scettico, anche se i
suoi
occhi erano celati da un paio di occhiali da sole scuri.
Rimasero
così per qualche secondo, quando finalmente
il ragazzo del ristorante riuscì a disincantarsi, arrossendo
per l’imbarazzo.
“Ehm…
scusatemi… sì, il vostro cibo sarà
pronto tra
qualche minuto”. E se ne andò via di corsa,
parendo ancora un po’ sconvolto.
Kelly
lanciò un’occhiata comprensiva al figlio,
mentre questi voltava di nuovo lo sguardo alla finestra.
***
Blake
entrò nella cucina tutto trafelato, come se
avesse appena finito di correre una maratona.
“Calmati,
Boy Scout o ti verrà un colpo così!”
esclamò il suo amico Ken, battendogli un colpo sulla schiena
per fargli
riprendere il respiro e cercando di non scoppiare a ridere nel vedere
il suo
volto paonazzo e arrossato. “Che è successo?
Sembra che tu sia appena stato
rincorso da una mandria di bufali inferociti”.
“No…”.
Esalò Blake, provando a respirare
normalmente. “No, Ken. Di là
c’è un ragazzo. Ed è il ragazzo
più bello che io
abbia mai visto”.
Ken
ridacchiò sotto i baffi, scuotendo il capo. “Ci
risiamo”. Sospirò, andando al lavello per lavare
del sedano.
Blake
consegnò il foglietto con l’ordinazione ad uno
dei cuochi e si diresse di nuovo dall’amico.
“No,
Ken. Questo è… questo
è…”. nemmeno lui riusciva
a trovare delle parole per descriverlo.
“Senti,
se non è uno di quei modelli muscolosi e con
dei bei culi che ci sono su Playboy non credo possa essere molto
bello”. Cercò
di tagliare corto l’amico. Sapeva, infatti, che si sarebbe
dovuto sorbire i
soliti farneticamenti di Blake su quanto bello fosse il ragazzo che
aveva
appena visto, descrivendolo come il David di Donatello o un angelo
caduto dal
cielo, come d’altronde succedeva ormai da anni, e lui
francamente non ne aveva
voglia, di starlo a sentire.
Ma a Blake naturalmente non interessava. Con sguardo perso e sognante,
guardando fisso in un punto che finiva chissà dove,
cominciò a parlare con tono
quasi onirico.
“Lui
ha tanti capelli, scuri come una notte senza
stelle, morbidi e setosi, delle labbra color pesca, grosse e fatte per
essere
baciate, con un piccolo neo sopra come quello di Marilyn Monroe, un
viso dai
lineamenti fieri e così virili. E quei vestiti che indossava
sembrano stati
fatti su di lui, la camicia bianca che si poggia sul suo petto celando
i
muscoli che lo rendono così attraente
e…”.
“Ok,
ok, basta! Sembra che tu abbia appena visto
John Travolta ai tempi di Grease”. Ridacchiò Ken.
Ah, Blake poteva essere
noioso quanto voleva, ma certe volte era così divertente. E
poi, dopo quella
descrizione, veniva voglia anche a lui di conoscere questo famoso
ragazzo da
copertina di Playboy. “E sembra anche che tu lo abbia
osservato molto bene”.
Be’, certo, a Blake non sfuggiva mai un dettaglio.
“Certo,
ci siamo guardati”.
“Oh,
amore a prima vista, allora. Tu lo hai
guardato, lui ti ha guardato, vi siete guardati ed è
scoccata la scintilla”.
“NO!”
esclamò Blake guardando l’amico come se avesse
appena detto una bestemmia.
“No?”
“No”.
“Ok”.
Ken
cominciò a lavare l’insalata, sperando di
togliersi l’amico dalle palle al più presto.
“Senti,
Blake… sarà una delle tue solite cotte. Tu
ti innamori, ci vai a letto e alla fine lui ti spezza il cuore.
Oltretutto
siamo in estate, la stagione degli amori”.
“No,
questa volta sarà diverso”.
“Diverso?
E perché? Cristo, amico, l’hai appena
visto, cosa ne sai? Magari non gli piacciono neanche gli
uomini”.
Blake
si rabbuiò tutto d’un colpo. Non ci aveva
pensato, come sempre. Era bravo a parlare e ad agire, ma di certo non a
pensare.
“Blake!
Porta questi al tavolo quattro”. Gli ordinò
uno dei cuochi, mettendogli in mano una ciotola con
dell’insalata di riso e un
piatto con cheesburger e patatine.
“Ah!”
urlò il ragazzo, buttando sul tavolino i due
piatti come se ci avesse appena visto dei scarafaggi.
“Che
c’è adesso?” gli chiese
l’amico, alzando gli occhi
al cielo.
“Non
posso portare queste cose a quel tavolo.
Rivedrei il ragazzo!” spalancò gli occhi e
afferrò Ken per le spalle,
guardandolo come fosse spiritato. “Ti prego, portali
tu”.
“No,
Blake, lo farai tu”. gli rispose l’altro
parlandogli in tono deciso e autoritario e sottraendosi alla sua presa.
“Sei un
cameriere qui dentro e devi lavorare lasciando da parte le questioni
personali.
E poi, non ti facevo così vigliacco”.
Blake
si voltò verso i due piatti, li guardò per un
po’ e finalmente si decise a prenderli e ad uscire da
lì.
“E
magari scrivigli il numero sullo scontrino!”
aggiunse Ken divertito prima di vederlo sparire.
Continuò
a sorridere
sotto i baffi prendendo a tagliare i pomodori. Ci voleva poco per
convincere
Blake a fare qualcosa, quel tipo era tutto un paradosso. Ed era anche
totalmente fuori di testa, delle volte faceva paura.
MILLY’S SPACE
Hola
chicos y chicas !! xD ebbene, Milly attacca
ancora!!! Nonostante io abbia già un bel po’ di
fanfic da mandare avanti ho
deciso di cimentarmi anche in questa.
Eh ragazzi, quando l’ispirazione arriva non ci si
può far niente…
Comunque,
non mi dilungo in troppe parole, è piuttosto
tardi (quasi le due di notte ^^) e qui da me stanno già
tutti dormendo, per cui…
Allora, questa mia ideuzza doveva nascere come one shot ma, ebbene, la
mia
mente quando partorisce una storia la vuole fare in grande,
perciò eccola qua,
una piccola fanfiction tutta per voi.
Che
ne pensate? Posso mandarla avanti o è meglio che mi
ritiri?
Fatemelo sapere con una piccola recensione, non vi cadono le dita ^^.
Se
volete, mi trovate anche su facebook, una pagina
dedicata alle mie storie:
http://www.facebook.com/MillysSpace
potete
lasciarmi qua i commenti e vedere tutte le altre storie in programma ^^
e anche
le foto dei personaggi (quando le avrò messe) ^^.
Fatevi
sentire, mi raccomando.
Buona
notte e sogni d’oro.
La
vostra Millyray.
|
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Capitolo 2 *** Capitolo due ***
YOU ARE MY SUNSHINE
CAPITOLO DUE
Tyler
aprì la portiera dell’auto piuttosto
pigramente e si sistemò gli occhiali sul naso, mentre sua
madre arrivava ad
aiutarlo.
“Ragazzi!”
esclamò una voce allegra e squillante.
Amanda,
ferma sotto il portico della casa, non
appena li vide, corse da loro e li strinse in un abbraccio spaccaossa
che per
poco non li soffocò. Amanda somigliava molto alla sorella
Kelly, nonostante
avessero sette anni di differenza. Erano alte uguali, avevano la stessa
corporatura, più o meno, lo stesso viso ovale e gli stessi
occhi azzurri. A
volte, assumevano pure gli stessi atteggiamenti e gli stessi tic.
L’unica cosa
che le distingueva, alla fine, erano i capelli: la più
giovane, ovvero Amanda,
li aveva castani, l’altra, invece, biondi.
Il
ragazzo dovette resistere un po’ di più
nell’abbraccio da orsi della zia e, quando finalmente si
liberò, lei rimase un attimo
a guardarlo e gli scompigliò i capelli.
“Wow!
Certo che sei diventato proprio un bel
ragazzo”. Constatò lei, senza togliersi il sorriso
dalle labbra. “L’ultima
volta che ti ho visto non eri così alto e nemmeno
così figo”.
Tyler
sorrise alla spontaneità e sincerità della
zia.
“L’ultima
volta che mi hai visto è stato due anni
fa”.
“Be’,
certo che in due anni si cambia tanto”.
“Ah,
non te lo so dire. È da un po’ che non mi
guardo allo specchio”.
Mandy
ridacchiò divertita e si rivolse alla sorella.
“Kelly,
ti va di entrare? Vi faccio vedere la casa,
vi riposate un po’ e dopo vi aiuto a sistemare le vostre
cose”.
“D’accordo.
Ho preso delle cose da mangiare. Le
prendo ed entro, voi intanto andate”.
“Va
bene. vieni, Tyler”. La sorella mora prese il nipote
per le spalle e lo condusse in casa, continuando a chiacchierare delle
cose più
inutili, esuberante come sempre.
I
due entrarono dentro e, quando vennero raggiunti
anche da Kelly, Amanda fece fare loro il tour
dell’abitazione. Era abbastanza
modesta, con due camere da letto e un bagno al primo piano, al quale si
accedeva tramite una comoda scala a chiocciola. Una cucina abbastanza
spaziosa
e un salotto accogliente erano, invece, al piano terra. Era anche
abbastanza
luminosa, aveva un portico all’entrata e un bel giardino sia
dietro che davanti
dove si poteva piantare qualcosa. L’affitto non era nemmeno
alto per una casa
del genere, prima ci abitava un’anziana signora che, dopo la
morte del marito,
aveva deciso di trasferirsi.
Un po’ come i nuovi abitanti.
“E’
carina la tua stanza”. Commentò Kelly,
osservando la nuova camera da letto del figlio. “E’
spaziosa. Lì hai il letto,
un comodino accanto, davanti una finestra e sotto alla finestra una
scrivania”.
“E
l’armadio dove sta?”
“Accanto
alla finestra. E sopra al letto ci sono
delle mensole, così puoi metterci i libri”.
Tyler,
semplicemente, annuì col capo e abbassò lo
sguardo.
Con un sospiro, la madre si sedette accanto a lui sul letto e gli prese
una
mano fra le sue.
“Vedrai
che staremo bene qui”. Cercò di confortarlo,
capendo la sua preoccupazione.
“Lo
spero”.
“Non
essere sempre pessimista”.
Tyler
voltò il capo verso di lei, puntando gli occhi
chiari sul suo braccio.
Kelly, allora, lo abbracciò accarezzandolo sui capelli.
“Dai,
tu ora riposati un po’ mentre io scambio
quattro chiacchiere con la zia. Poi verrò ad aiutarti a
sistemare la tua
camera”.
Non
appena la madre lasciò la stanza, il ragazzo si
distese sul letto comodo e chiuse gli occhi, cercando di svuotare la
mente.
***
“Come
sta?” chiese Amanda, togliendo il caffè dal
fuoco, non appena vide la sorella entrare in cucina.
“E’
solo un po’ stanco”. Rispose l’altra,
sedendosi
al tavolo rotondo.
La
mora afferrò due tazze e servì il
caffè ancora
bollente sia a sé che alla sorella, accomodandosi, poi, di
fronte a lei.
“Avete
fatto bene a venire qui”.
“Me
lo auguro. Sai, crescere un figlio
diciassettenne e non vedente non è proprio
semplice”.
“Lo
posso immaginare. Senza Richard, inoltre, sarà
ancora più dura”.
“Già.
E Tyler sta ancora soffrendo molto”. Kelly
strinse forte tra le mani la sua tazza, come se fosse l’unico
appiglio a cui
poteva tenersi attaccata per non cadere di nuovo nel baratro della
tristezza e
della malinconia.
“Vedrai
che si riprenderà e tornerà ad essere il Ty
di una volta. In fondo, sono passati solo due anni. Lui non ha perso
solo il
padre”. Amanda provava in tutti i modi a consolarla, sapendo
che l’unica cosa
che bisognava fare in momenti come quelli era essere fiduciosi.
“Sì,
ma mi chiedo quanto dovrò ancora aspettare per
vederlo sorridere di nuovo”.
***
“Questo
dove lo vuoi mettere?” chiese Tyler, tirando
fuori da un’enorme scatola di cartone un oggetto che non
riuscì ad identificare
ad un primo impatto. Se lo rigirò fra le mani, constatando
solo che era
qualcosa di duro, freddo, forse fatto di un qualche metallo, e con
delle forme
spigolose. Molto probabilmente una statuina, ma non gli veniva in mente
quale
potesse essere. Sicuramente si trattava, quindi, di un acquisto recente.
“Oh,
questo me lo ha portato la mia amica Bezzy
dall’India. Lo mettiamo sulla mensola sopra la TV”.
Tyler
infilò di nuovo la mano nello scatolone
trovandola quasi vuota. Sua madre aveva deciso di portarsi dietro tutta
la
casa, buttando negli scatoloni qualsiasi cianfrusaglia trovasse e per
poco non
aveva fatto esplodere il bagagliaio. Meno male che avevano
un’auto abbastanza
spaziosa se no avrebbero dovuto ricorrere ai camion dei traslochi,
nonostante
non dovessero trascinarsi dietro i mobili.
Ma c’erano ancora una ventina di scatole da svuotare e quindi
non era ancora il
momento di tirare alcun sospiro di sollievo.
“Allora,
ti piace la nuova casa?” chiese Kelly, mentre
riponeva in una credenza il servizio di porcellane che le aveva
regalato la
madre di Richard per il matrimonio.
“Oh
sì, è stupenda. Penso che la vista sia
fantastica”. Le rispose il figlio con un tono sarcastico.
Kelly
sospirò. Effettivamente la sua era stata una
domanda stupida, ma non l’aveva di certo fatto apposta. Si
dimenticava ancora
che il figlio non poteva vedere e che, quindi, era meglio evitare
domande che
lo potessero mettere a disagio.
“Be’,
c’è una bella vista effettivamente. Le case
qui non sono brutte come nella nostra vecchia
città”.
“Se
lo dici tu”.
Improvvisamente
qualcuno suonò alla porta e la donna
corse immediatamente ad aprire, per tirarsi fuori da quella situazione
un po’
ostile in cui si era ritrovata col figlio.
Si trovò davanti una signora con un sorriso a trentadue
denti dipinto in faccia
che inquietava un po’, con un orribile caschetto che sembrava
più una parrucca.
Era alta la metà di Kelly. Non sembrava nemmeno essere
più vecchia di lei,
anche se tutto quel trucco attorno agli occhi e il fondotinta che
sembrava
essersi semplicemente schiaffeggiata in faccia rendevano la sua
età impossibile
da definire.
“Buongiorno,
voi dovete essere i Bennett…”. esclamò
questa, con una voce che a Kelly ricordò tanto quella della
venditrice
ambulante del film Edward mani di forbice. Effettivamente le somigliava
anche e
solo in quel momento si accorse che la donna teneva tra le mani una
torta
chiusa in una teca di vetro. “… i nostri nuovi
vicini di casa”.
“Oh
sì!” esclamò Kelly, presa un
po’ alla
sprovvista. Poi si spostò per farla entrare.
“Prego, si accomodi”.
La
donna non si fece pregare due volte e si diresse
immediatamente in cucina, come se già sapesse dove si
trovasse.
“Io
sono Corinne Tanen, ma potete chiamarmi Cory. Abito
nella casa qui di fronte”. Si presentò la donna,
tenendo ancora la torta in
mano e senza togliersi quel sorriso dalla faccia.
Kelly,
allora, gliela prese e l’appoggiò sul tavolo.
“Io
sono Kelly e lui, invece, è mio figlio Tyler”.
La
signora Tanen sembrò accorgersi del ragazzo
soltanto quando l’altra glielo indicò e, non
appena lo vide, le si illuminarono
gli occhi e gli andò incontro.
“Oh,
ma che bel ragazzo! Sai, ho una figlia della
tua stessa età, si chiama Emily, sono sicura che andrete
d’accordo”.
Tyler
inarcò le sopracciglia chiedendosi come
diavolo facesse quella signora a sapere la sua età, ma non
si era di certo
accorto che questa gli aveva offerto la mano aspettandosi che lui
gliela
prendesse. Per la verità non sapeva nemmeno da che parte
fosse, la sua voce era
talmente squillante ed echeggiava in tutta la casa che non riusciva ad
orientarsi in base a quella.
Così, lui se ne stava semplicemente a fissare la parete
dietro la donna senza
che lei avesse ancora capito che lui era cieco.
Infatti,
quando Corinne si voltò verso Kelly, la
bionda le indicò coi gesti che lui non poteva vederla.
“Oh!”
esclamò la vicina di casa un po’ in imbarazzo.
“Sì… dicevo che abito nella casa di
fronte”. Continuò allontanandosi da Tyler e
facendo finta che non fosse successo niente, ma era chiaramente in
imbarazzo.
“La 24G. Io e mio marito siamo soliti organizzare dei
barbecue quando arriva un
nuovo vicino di casa, così mi chiedevo se foste liberi per
questo fine settimana,
così ci troviamo a casa nostra e ci conosciamo un
po’. Che ne dite?”
La
signora Tanen mostrava talmente tanto entusiasmo
che era impossibile dirle di no, così Kelly si
trovò semplicemente ad annuire,
pentendosene immediatamente.
“Oh
perfetto!” esclamò l’altra, battendo le
mani e
per poco non si mise anche a saltare.
Quando
finalmente se ne andò, Kelly guardò un attimo
il figlio e poi entrambi, come se si fossero letti nella mente,
scoppiarono a
ridere.
***
“Tesoro,
abbiamo finito le provviste della zia.
Dobbiamo fare la spesa”. Disse Kelly, ferma di fronte al
frigorifero quasi
vuoto.
“D’accordo.
Tu vai, io ti aspetto qui”. Le rispose
Tyler, con le cuffie dell’Ipod nelle orecchie, completamente
disinteressato al
fatto che in casa non ci fosse più cibo.
La
donna richiuse l’anta del frigo e si sedette sul
divano accanto al figlio, stringendo un cuscino contro il petto.
“Io
però vorrei che tu venissi con me”. Aggiunse,
assumendo un tono da bambina capricciosa, come faceva sempre quando
voleva
convincerlo a fare qualcosa.
Tyler
appoggiò la testa allo schienale e chiuse gli
occhi.
“E
perché? Non ti servo io per fare la spesa”.
Kelly,
allora, si decise a non tergiversare più dato
che non era molto brava con i giri di parole e sbottò con
tono deciso.
“Voglio
che vieni con me, Ty, così esci un po’.
È da
una settimana che sei chiuso qui dentro, dovresti cominciare ad
abituarti…”.
“Non
voglio abituarmi a un bel niente, mamma!” la
interruppe lui bruscamente.
“Eddaaaaiii!
Ti prego, fallo per tua madre”.
Il
ragazzo sospirò frustrato. Detestava quando sua
madre faceva così, si comportava peggio di una bambina e
alla fine lo
convinceva sempre, un po’ perché non voleva
sentirla fare i capricci e un po’
perché gli dispiaceva non accontentarla.
“D’accordo.
Ma non voglio stare in giro troppo”.
“Perfetto!
E magari andiamo anche in una videoteca a
prendere un film horror, così stasera ce lo
guardiamo”.
Tyler
ridacchiò. Sua madre sarà anche una bimba
troppo cresciuta, ma era anche per questo che l’adorava, per
questo suo modo di
essere, libero e spensierato, di chi cerca di affrontare tutto con un
sorriso
sulle labbra senza mai abbattersi. Anche lei ha sofferto molto,
però, dopo
quell’incidente, ma ha saputo risollevarsi e anche meglio di
quanto non abbia
fatto lui. Sua madre era una donna forte, molto più forte di
lui.
Aveva fatto molto per lui, in tutti i modi aveva cercato di farlo
ridere, di
stargli vicina, anche quando si vedeva chiaramente che avrebbe solo
preferito
scoppiare in lacrime pure lei.
Cercò,
però, di scacciare via tutti questi brutti
pensieri non appena montarono in macchina e partì a tutto
volume la musica dei
Beatles, accompagnati dalla voce un po’ stonata di Kelly.
Erano il gruppo
preferito di entrambi, nonostante ormai non fossero più in
attività già da un
bel po’. Ma i Beatles sono i Beatles.
“Che
cosa devi prendere?” chiese Tyler, non appena
sentì che la madre aveva spento l’auto.
“Un
po’ di cose. Penso che prenderò tanta
cioccolata. E i pop corn per stasera”.
Smontarono
dalla macchina e, a braccetto, si
diressero all’interno del supermercato in cui, per fortuna,
non c’era molta
folla, essendo forse il pomeriggio di un giorno lavorativo.
Vagarono
tra gli scomparti per un bel po’ di tempo.
Siccome non lo conoscevano ed essendo il negozio anche piuttosto
grande,
faticarono un po’ ad orientarsi. Kelly dovette impegnarsi a
leggere i cartelli
sopra ad ogni scaffale e quando trovavano ciò che cercavano
da una parte,
dovevano tornare indietro per prendere le altre perché si
trovavano dall’altra
parte del negozio.
In
pratica, dopo aver fatto circa una ventina di
giri su e giù, si ritrovarono a dirigersi alla cassa sfiniti
solo per aver
fatto la spesa.
“Oh
no!” esclamò ad un tratto la donna, battendosi
una mano in fronte.
“Che
c’è?”
“Ho
dimenticato la carta igienica!”
Tyler
sbuffò.
“Senti,
non ti preoccupare. Tu aspettami qui, vado
io a prenderla. Non ci metterò molto”.
“Ma…”.
“Aspettami
qui vicino a questo scaffale, col
carello. Io arrivo subito, promesso”.
Non
gli lasciò nemmeno
il tempo di fiatare che corse via, lasciando il figlio interdetto ad
ascoltare
solo il rumore delle sue scarpe da ginnastica che si allontanavano.
Alla fine, resosi conto che non c’era nessuno attorno a lui,
si rilassò,
appoggiando una mano al manico del carello e l’altra stretta
attorno al bastone
bianco.
MILLY’S
SPACE
Ma
ehi! Eccomi di nuovo qui!
Volevo
regalarvi questo aggiornamento per consolarvi dopo
il primo giorno di scuola (per quelli che l’hanno avuto,
insomma, come me ^^).
Allora?
Che ne pensate?
Si scopre qualcosa di più su Tyler…
Ebbene,
non mi trattengo molto, vi invito solo a visitare
un’altra pagina su Facebook che abbiamo creato io e la mia
amica ed è dedicata
a Queer as Folk ma anche a tutto ciò che riguarda il mondo
lgbt. http://www.facebook.com/ZiaLula
Spero anche che mi lascerete qualche recensione.
Un
mega bacione a todos ^^
Milly.
fede15498:
ehi, potrei
denunciarti per stalking ^^ ahaha no, scherzo xD mi fa tantissimo
piacere che
mi segui ovunque, sei la mia lettrice più assidua mi sa.
Bene, spero che Tyler
continui ancora a piacerti e spero di sentirti presto… un
bacione. M.
roxy_black:
bene, sono contenta che la
storia ti piaccia, amiga!! Devo dirti che i personaggi mi son venuti
molto
spontanei, non ho dovuto rifletterci molto. Spero che ti piaceranno
anche gli
altri. E continua a seguirmi : ) un bacione, Milly.
Stefanmn:
EHI!! In verità pensavo a te
quando scrivevo di Blake, non di Tyler ^^. Ma va
be’… a me questa fic piace
molto, a dirti il vero, è piuttosto semplice e non
succederà niente di particolare
ma mi sono affezionata ai personaggi.
Spero sia così anche per te… un bacione, M.
|
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Capitolo 3 *** Capitolo tre ***
YOU ARE MY SUNSHINE
CAPITOLO TRE
Blake
detestava fare la spesa, come detestava fare
shopping. Provava una specie di repulsione per tutti i tipi di negozi,
che non
fossero quelli di dvd, di dischi o di elettronica.
E sua madre, nonostante lo sapesse perfettamente, lo aveva mandato
comunque a
comprare quelle dannate patate per fare il purè.
C’era di buono che almeno
avrebbero mangiato purè a cena, visto che lui lo adorava.
Ad
un tratto però, dirigendosi di malavoglia verso
la cassa, passò accanto allo scaffale della pasta e
sgranò di colpo gli occhi
sentendo il cuore fare le capriole nel suo petto.
Dannazione!
Quello era il ragazzo del locale.
Velocemente,
si nascose dietro allo scaffale vicino
e restò lì per recuperare un attimo il fiato.
Sperava
tanto che non lo avesse notato, ci avrebbe
fatto proprio una pessima figura. Adesso doveva soltanto prendere
un’altra
strada per andare alla cassa senza passare accanto a lui.
Ma, non appena fece per andarsene, si bloccò di colpo e
ritornò su suoi passi.
Sicuramente il suo amico Ken gli avrebbe dato del coglione, non poteva
comportarsi come un coniglio spaurito. Avrebbe almeno potuto
presentarsi, era
solo un ragazzo, non l’avrebbe mica mangiato. E poi era
curioso di sentire la
sua voce.
E
così, facendosi coraggio e stringendo forte il
sacco con le patate, attraversò lo scaffale di pasta e
andò incontro al suo
ignaro principe azzurro.
“Ciao!”
lo salutò, non appena gli fu davanti. Era
esattamente come se lo ricordava, bello da mozzare il fiato,
più alto di lui di
una ventina di centimetri, i capelli tirati un po’ indietro
con un paio di
ciuffi che gli cadevano sulla fronte spaziosa e gli occhiali scuri a
dargli
un’aria un po’ misteriosa.
“Ciao”.
Ricambiò l’altro con un tono stranito,
alzando il capo nella sua direzione.
“Ehm…
forse non ti ricordi… sono quello del locale,
vi ho servito il cibo”.
L’altro
inarcò le sopracciglia nel tentativo di
ricordarsi a che cosa alludesse il tipo che gli si era piazzato
davanti, ma poi
gli venne finalmente l’illuminazione.
“Ah
sì, ora mi ricordo!” esclamò, portando
una mano
a scompigliarsi i capelli. “Certo che hai una bella memoria
tu, per ricordarti
ancora di me”. Aggiunse mostrando un sorriso sghembo e Blake
per poco non
svenne.
Certo
che mi ricordo di te. Mi hai colpito al cuore.
“Sì,
be’… ho una buona memoria”. Si
giustificò, sorridendo
imbarazzato. Sentì improvvisamente caldo, significava che
era diventato rosso.
Maledizione! Sperò che l’altro non se ne
accorgesse. “Comunque, non ti
preoccupare se tu non ti ricordi di me, non mi offendo mica e poi
sembro un
altro senza la divisa, sai, un po’ come quelle persone che
senza i vestiti che
portano di solito sembrano irriconoscibili…”.
Aveva iniziato a blaterare cose
senza senso, se ne rendeva conto anche da solo, ma era come se avesse
inserito
l’automatico, ormai non riusciva a bloccarsi.
“Tranquillo,
ho capito cosa intendi”. Lo interruppe
il moro, senza smettere di sorridere. “Ma anche se avessi
voluto…”. Sollevò il
bastone bianco per farglielo vedere. “Sai, ho un piccolo
problemino alla
vista”.
Blake
sgranò gli occhi scioccato. “Oh, cazzo…
tu
sei…”.
“Eh
sì”.
“Accidenti,
non me n’ero neanche accorto. M… mi
dispiace”.
“Ti
dispiace di non essertene accorto o perché sono
cieco?”
“Non
lo so, per tutte due credo”.
L’altro
ridacchiò. “Non dispiacerti, meglio che non
te ne sia accorto. Di solito è la prima cosa che le persone
notano in me quando
mi guardano”.
“Oh
davvero?”
Non
è possibile. Come fanno? Sei talmente bello che non si
potrebbe notare
nient’altro oltre la tua bellezza.
Però
adesso si spiegavano un bel po’ di cose: ad
esempio, perché portasse gli occhiali da sole anche nei
luoghi al chiuso e
perché non lo stesse guardando in viso mentre gli parlava.
Certo che era stato un idiota a non essersene accorto prima. E dire che
l’aveva
osservato bene quando l’aveva visto la prima volta.
“Comunque,
non mi sono neanche presentato. Io sono
Blake”. Disse alla fine, per cambiare discorso visto che
quello era diventato
un po’ ostico. Fece per porgergli la mano, ma alla fine ci
ripensò,
ritrovandosi a scrollarla in aria come se stesse scacciando via i
moscerini.
Tanto l’altro non l’avrebbe vista.
“E
io Tyler”.
“Piacere,
Tyler”.
Improvvisamente,
un tizio grosso quanto un barile
gli passò dietro col carello e Blake si dovette spostare per
farlo passare in
quello stretto spazio. Ma facendo questo, si ritrovò quasi
addosso a Tyler. Non
appena alzò lo sguardo si accorse di quanto erano vicini,
talmente vicini che
riusciva a sfiorargli le converse con le proprie e, se si fosse
sollevato sulle
punte, avrebbe potuto anche baciarlo. E ne fu terribilmente tentato, fu
terribilmente tentato di prendere possesso di quelle labbra color
pesca, così
perfette e così morbide.
“Tyler!”
Entrambi
voltarono la testa nella direzione da cui
proveniva quella voce e Blake vide una donna piuttosto giovane, dai
capelli
biondi raccolti in una coda di cavallo e un pacco di carta igienica
sotto
braccio venire loro incontro.
“Scusa
se ci ho messo tanto, ma questo posto sembra
un labirinto”.
“Ehm…
mamma”. Fece Tyler, guardando per terra.
“Questo è Blake”.
La
donna spostò lo sguardo sul ragazzo accanto a suo
figlio, curiosa. Era un tipo parecchio più basso di suo
figlio, magro e senza
muscoli particolari, addirittura la maglietta che aveva addosso gli
stava
abbastanza larga. Aveva i capelli biondo rossicci, gli occhi verdi e
qualche
lentiggine sparsa sul viso. Ma tutto sommato era carino, aveva uno
sguardo da
cucciolo bisognoso di coccole.
“Ciao,
Blake. Io sono Kelly, la madre di Ty”. Si
presentò lei, porgendogli la mano.
“Sua
madre? Wow, avrei detto che fosse sua sorella”.
Kelly
rise divertita. “Oh caro, lo prendo per un
complimento”.
“Certo!”
“Comunque,
noi ora dobbiamo andare”. Aggiunse,
riponendo la carta igienica nel carello.
“Sì.
Ehm… pure io. Mia madre mi aspetta. Ci vediamo
Tyler”.
Li
salutò entrambi frettolosamente, per l’ennesima
volta in imbarazzo, e corse via, sorridendo allegro fra sé e
sé.
***
Ken
si stava preparando un succulento panino alla
mortadella e, proprio mentre stava abbondando con il ketchup e la
mostarda,
sentì dei forti ed insistenti colpi alla porta.
Volle, però, prima finire di preparare il panino, ma quello
che bussava
sembrava avere particolarmente fretta, visto che non smetteva un attimo
di
schiaffeggiare la porta.
“Arrivo!”
gridò dalla cucina, asciugandosi le mani
in uno strofinaccio.
Lasciò
di malavoglia il suo panino e, attraversando
il salotto, arrivò alla porta d’ingresso e
l’aprì, sperando tanto che fosse
qualcosa di veramente importante, visto che aveva dovuto mollare la sua
cena.
“Oh
Blake”. Disse con tono un po’ deluso, trovandosi
davanti la solita faccia da schiaffi dell’amico.
Spalancò la porta per farlo entrare e gli voltò
le spalle per tornare in
cucina.
Blake
lo seguì fedele come un cagnolino, anzi, per
poco non si mise addirittura a sbavare da quanto contento era in quel
momento.
“Non
sai cosa mi è appena successo”. sbottò,
dietro
le spalle di Ken che finalmente poteva finirsi il suo tanto agognato
panino. Ma
l’altro sembrava proprio che non vedesse l’ora di
confidargli quello che gli
era appena successo e l’amico seppe subito che non si sarebbe
liberato tanto
facilmente.
“Ricky
Martin è venuto a bussare alla tua porta?”
ipotizzò Ken ironico, ma usando un tono indifferente, come
di chi è leggermente
annoiato. In realtà, però, doveva ammettere che
si divertiva ad ascoltare le
storie di Blake e a volte le ascoltava con piacere.
“Ehm,
quasi”.
“Wow.
Allora non tenermi sulle spine”.
Kenny
prese il suo panino dal piatto e cominciò
finalmente a mangiarlo, gustandoselo e assaporando tutti gli
ingredienti. Con
gli occhi cercò di prestare attenzione all’amico.
“Hai
presente il bellissimo ragazzo del locale che
ho visto la settimana scorsa?”
“Quello
che hai descritto come se fosse Patrick
Sweyze in Dirty Dancing?”
“Sì,
proprio lui. Ebbene, l’ho visto al supermercato
poco fa”.
Il
ragazzo del panino sgranò gli occhi e per poco
non si strozzò con la mortadella per la sorpresa.
“Dici…
dici sul serio?”
“Sììììì!”
gridò Blake tutto contento, battendo le
mani e saltellando.
“E...?”
fece l’altro, affinché l’amico
continuasse.
Intanto diede un altro morso al panino.
“Ho
scoperto che si chiama Tyler, che è parecchio
più alto di me e che la donna che sembrava sua sorella
è in realtà sua madre e
si chiama Kelly”.
“Wow!
E ci hai parlato?”
“Sì,
e ha una voce stupenda. Forte, profonda…”.
Ken
si aspettò di sentire una lista di aggettivi,
tutti positivi, che descrivessero solo la voce di questo misterioso
ragazzo, ma
Blake si zittì di colpo e sembrò rabbuiarsi.
“E
adesso che c’è?”
“Ho
scoperto un’altra cosa su di lui”.
“Cioè?”
“Be’…
è… cieco”.
Ken
lo guardò con una faccia confusa. “Che intendi
per… cieco?”
“Intendo
che è cieco. Cos’altro dovrebbe voler
dire?”
“Oh!
Quindi, non… non ci vede”.
“Eh
già”.
“Accidenti”.
Finì di mangiarsi il suo panino in
silenzio, per poi aggiungere. “Senti, secondo me dovresti
lasciarlo perdere.
Con tutta probabilità sarà etero e comunque sia,
se anche dovesse succedere
qualcosa tra voi, non è facile stare accanto ad una persona
che ha un
handicap…”.
“Ma
non posso lasciarlo perdere, Ken. Io mi sono
innamorato e adesso che ho scoperto di questo suo problema…
sento di amarlo
ancora di più”.
L’amico
sospirò. “Ci soffrirai e basta, Blaky”.
“Questo
lo dici tu. Comunque ora devo andare, mia
madre sta aspettando le sue patate”.
“Quali
patate?”
Non
fece nemmeno in tempo a finire la domanda che
Blake se n’era già andato. Quel ragazzo era
totalmente matto, ma aveva anche un
filo di masochismo dentro le vene. Insomma, doveva volersi veramente
male per
innamorarsi della prima persona che vedeva. Quindi, o era masochista o
stupido.
Ma Blake non era stupido. Era un grande sognatore, terribilmente
romantico e
lunatico, un po’ imbranato e sbadato, con la testa
perennemente tra le nuvole.
Era rimasto un po’ bambino, credeva facilmente in tutto
ciò che gli si diceva.
Il suo più grande difetto era, forse, che si fidava troppo
delle persone.
E credeva nell’amore, in quello a prima vista.
Non era certo una persona superficiale, anche se la maggior parte dei
ragazzi
di cui si era innamorato avevano un bell’aspetto. Lui diceva
di sentire una
specie di segnale, come una freccia o un fulmine che gli attraversa gli
occhi,
per poi colpirlo dritto al cuore e all’anima, percuotendolo
come vengono
percossi gli alberi dal vento.
Molto
poetico, sì.
Ma
non era più poetico, né romantico quando poi,
riceveva il due di picche da tutti quelli che lui aveva vanamente, ma
veramente
creduto veri amori, scoprendo che, invece, l’avevano solo
usato per portarselo
a letto o ingelosire qualcun altro.
E lui ci rimaneva male, terribilmente male, ogni volta che lo
lasciavano
pensava fosse colpa sua e si tormentava, si rintanava nel letto e non
mangiava
per giorni. Così toccava a lui e
Lucy
cercare di tirarlo su di morale. Per
fortuna che a Blake ci voleva poco per riprendersi, ma allo stesso
tempo
soffriva di sbalzi d’umore peggio di una donna incinta.
Eh
sì, era proprio
unico nel suo genere.
MILLY’S
SPACE
Buonsalve…
finalmente riesco ad aggiornare qualcosa…
questa è stata una settimana da delirio, la scuola
è appena iniziata e già mi
son fatta la gobba sui libri.
Ma
non voglio annoiarvi coi miei problemi.
Che
ne pensate di questo capitolo?
Blake ha scoperto che Tyler è cieco ma sembra averla presa
piuttosto bene… e
cosa ne pensa Tyler del bel rossino?
Leggete il prossimo capitolo per scoprirlo ^^.
ROXY_BLACK:
be’,
sembra che tu abbia indovinato ^^ comunque no, non sei scema se non te
ne sei
accorta. Non ho voluto svelare subito questo lato, quindi, meglio ^^.
Un
bacione grande grande… alla prossima, M. : )
FEDE15498:
Tyler: cosa? Sarebbe una figata il fatto che io sia cieco??!! *le
sbatte il
bastone in testa in preda a una rabbia feroce* Milly: a cuccia, tu!!
Hola chica
^^ appena ho letto la tua recensione mi sono guardata intorno
sentendomi
osservata, sai, un po’ come se ci fossero le telecamere del
Grande Fratello (e
sì, conosco anche Friends, ma non l’ho mai
guardato ^^). Ma dovrei sentirmi in
colpa per averti fatta diventare sadica? O.O Però son
contenta che la storia ti
piaccia, continua a seguirmi e sarai ricompensata… non so da
cosa, ma va be’ ^^.
Un bacione, Milly.
|
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Capitolo 4 *** Capitolo quattro ***
YOU ARE MY SUNSHINE
CAPITOLO QUATTRO
Blake
si sedette sulla spiaggia, di fronte al mare,
a fissare le onde che si infrangevano contro la bianca sabbia e gli
scogli.
Osservò alcuni ragazzi che surfavano e riconobbe fra essi
Lucy, la sua migliore
amica. Era una delle surfiste più brave, le estati
precedenti aveva partecipato
ad un paio di concorsi e si era guadagnata una medaglia d’oro
e una d’argento.
Lei
amava il mare; sapeva nuotare, guidare una barca
e un motoscafo, fare immersioni e riusciva a restare
sott’acqua per quasi due
minuti.
Ma
d’altronde, anche i suoi genitori vivevano in
simbiosi con quest’elemento: sua madre era una veterinaria di
animali acquatici
e suo padre era proprietario di un acquario che, praticamente tutti i giorni era pieno di
gente e vivevano nella
casa di fronte al mare praticamente da quando Lucy era nata.
Ed era anche una bella casa, o per meglio dire una villetta con tanto
di
piscina e una piccola palestra all’interno, nella quale la
ragazza si allenava
spesso per tenere in forma il proprio fisico. Perciò non si
poteva dire che
fosse una brutta ragazza, anzi, in molti desideravano uscire con lei,
anche se
Lucy non si lasciava toccare tanto facilmente.
Il
ragazzo vide l’amica uscire dall’acqua e correre
nella sua direzione con la tavola da surf sotto il braccio.
“Ciao!”
lo salutò lei con un sorriso allegro,
sedendosi accanto a lui sulla sabbia.
“Ciao,
Lucy”.
“Cosa
ti porta qui al mare, baby?”
“Avevo
voglia di un po’ di sole”. Blake osservò
il
profilo di Lucy, seguendo la linea del suo corpo abbronzato nascosto
leggermente dalla muta che, però, metteva ancora
più in risalto le sue forme e
il seno piccolo.
“E’
da un po’ che non ti vedo. Raccontami che ti è
successo, dai”. Lo spronò, raccogliendo i capelli
castani in una coda bassa.
“Mah,
sai, niente di che… diciamo che… ho conosciuto
un ragazzo…”. Cominciò
l’amico, facendo un po’ il vago, ma in
realtà stava solo
aspettando che la ragazza gli chiedesse di più.
Lucy,
allora, si voltò a guardarlo con gli occhi
sgranati e gli mollò un pugno scherzoso sul braccio.
“Ehi,
birbante! Racconta!”
Blake,
allora, le raccontò di Tyler, di come lo
avesse conosciuto e tutto il resto, mentre lei lo ascoltava,
interessata molto
di più di quanto non lo fosse stato Ken. Forse
perché lei non aveva ancora
preso tutta questa familiarità con le cotte
dell’amico, come invece aveva fatto
l’altro.
“E
adesso che cosa hai intenzione di fare?” gli
chiese, alla fine del racconto.
“Be’,
non saprei. Intanto voglio conoscerlo, poi
chissà… non so, forse sarà come le
altre volte, magari non mi porterà a niente
e soffrirò come sempre… però, in
qualche modo sento che sarà diverso, lui ha
qualcosa… non so come spiegartelo, Lucy”.
La
ragazza rimase a fissare la sabbia ai suoi piedi
con sguardo perso e sognante.
“Che
romantico”. Sospirò. “Chissà
perché voi ragazzi
perfetti dovete sempre essere così impossibili”.
“Io
perfetto?” fece lui con tono stupito.
“Sì,
tu saresti praticamente il sogno di ogni
ragazza. Sei così romantico, dolce, gentile con tutti,
comprensivo, non pensi
sempre e solo al sesso come fanno la maggior parte dei ragazzi. E poi,
sei
anche carino”. Gli spiegò lei.
“Davvero?”
“Certo.
E sei anche molto modesto”.
“Ma…
sarei perfetto anche per una come te?” le
chiese allora Blake, in tono malizioso.
“Questo
te lo puoi scordare”. Lucy gli mollò un
altro spintone scherzoso che diede inizio ad una gara di spintoni, di
pugni,
finché non si misero a rincorrersi sulla sabbia e a buttarsi
l’un l’altro in
acqua.
Quando
si stava in compagnia di Lucy era
praticamente impossibile fare qualcosa di calmo e tranquillo, come
stare seduti
a guardare un film davanti alla Tv, oppure giocare una partita a
monopoli.
Non era certo una ragazza da ricami o lavori a maglia e riviste di moda
lei,
preferiva di gran lunga giocare una partita a calcio o a qualsiasi
altro tipo
di sport.
Se
Blake era il ragazzo perfetto per ogni ragazza,
lei, allora, era la ragazza perfetta per ogni ragazzo.
***
“Mamma,
ti prego, dimmi perché siamo qui”.
“Perché
siamo stati gentilmente invitati e perché,
se non vogliamo fare la figura degli associali, dobbiamo quanto meno
conoscere
i nostri vicini”.
Tyler
sbuffò frustrato e seguì la madre fino al
cancello dei Tanen.
Kelly
premette il campanello e il suono squillante
si sentì fin fuori casa, arrivando alle orecchie dei due che
rabbrividirono
leggermente.
Arrivò
ad aprirgli una Corinne Tanen tutta in
ghingheri, ancora più truccata di quanto non lo fosse stata
l’ultima volta che
l’avevano vista e con un vestitino a pois lungo fino alle
ginocchia. Peccato
che i pois ormai non andassero più di moda già da
un bel po’ e che quel trucco
non le donasse affatto, troppo pesante per una donna della sua
età.
“Ragazzi!
Aspettavamo proprio che arrivaste voi!
Venite, prego, entrate”.
La
Signora Tanen aprì la porta per farli entrare in
casa propria, ma non li fece accomodare come i due si aspettavano. Li
trascinò,
invece, fino alla porta sul retro che li condusse in un ampio giardino
dove
altre persone erano già accomodate attorno ad una tavola.
“Vi
presento i miei figli Jacob ed Emily”. Corinne
indicò i due ragazzi, seduti uno accanto
all’altro. Jacob era un ragazzino sui
dodici anni, un po’ grassottello e dall’aria
viziata. Emily, invece, era una
ragazzina piuttosto carina e per fortuna non somigliava troppo alla
madre,
anche se aveva i capelli scuri come lei e sembrava piacerle mettere in
mostra
le parti migliori del suo corpo con una magliettina un po’
stretta che le
evidenziava il seno e una minigonna che scopriva le gambe lunghe.
“Loro,
invece, sono mio marito Scott…”
Continuò la
signora Tanen. “…e i nostri amici,
nonché vicini di casa, abitano qui di
fianco. Lei è Anne Peterson e suo marito Rupert”.
I
presenti li salutarono con un coro di Salve,
mentre i signori Peterson vennero
a porgere loro la mano. Il marito di Corinne, invece, si
scusò che non poteva
abbandonare il barbecue e la carne che aveva già messo sul
fuoco.
Anche
Kelly e Tyler, allora, si accomodarono a
tavola e vennero serviti di un aperitivo ciascuno prima che il pranzo
fosse
pronto, mentre la padrona di casa faceva avanti e indietro per portare
ancora
alcune cose che non aveva messo in tavola.
Si
parlò del più e del meno, si
spettegolò di come
la zitella che abitava in fondo alla via avesse piantato dei nuovi
fiori che
emanavano un odore tremendo, di come al signore vedovo
dall’altra parte della
strada avessero rotto il finestrino della macchina per rubargli
l’autoradio e,
solo quando finalmente la carne venne servita, si entrò nel
vivo dei discorsi.
Rupert
Peterson parlò del suo lavoro e di come tutti
avessero paura del capo per la faccia inquietante che aveva e alcuni
ipotizzavano addirittura che avesse una doppia vita e che facesse il
mafioso.
Sua moglie Anne, invece, fece le lodi al figlio ventenne che
frequentava un
college a New York, non mancando di inserire aggettivi come
intelligente,
bello, brillante e un ottimo atleta, avendo vinto pure alcune medaglie
partecipando a gare di atletica leggera.
Corinne Tanen, invece, si vantò della sua bravura in cucina
descrivendo
minuziosamente i biscotti che aveva cucinato qualche giorno fa,
prodigandosi,
ovviamente, ad elencare anche gli ingredienti della ricetta ai quali
aveva
inserito dei condimenti di sua iniziativa, mentre Scott
raccontò di come l’altro
giorno avesse portato il figlio al campo da baseball insegnandogli a
colpire la
palla con la mazza.
Kelly
parlò poco, mentre gli altri tre ragazzi non
dissero praticamente niente, a parte Jacob che ogni tanto grugniva
mentre il
padre parlava dell’allenamento a baseball. Quando,
però, le chiesero perché lei
e Tyler si fossero trasferiti lì e dove fosse il signor
Bennett, l’aria intorno
si fece più pesante non appena la bionda rispose che era
morto un paio di anni
fa e Corinne provvide subito a cambiare discorso.
Tyler,
con la testa ciondolante sullo schienale
della sedia, stava per addormentarsi, quando, ad un tratto,
sentì toccarsi il
braccio e qualcuno che si chinava di fianco a lui.
“Scusa,
penso di non essere l’unica a trovare questi
discorsi tremendamente noiosi ed inutili”. Gli
sussurrò all’orecchio una voce
da ragazza, probabilmente Emily. “Ti va se fuggiamo e ci
andiamo a fare un
giro?”
Tyler
ci pensò un attimo su, forse non era una buona
idea abbandonare lì sua madre e andare via con qualcuno che
neanche conosceva.
Ma decise di mandare tutte le sue insicurezze a fanculo e si
alzò dalla sedia
seguendo Emily fuori dal cortile di casa, anche perché
avrebbe seriamente
rischiato di cadere addormentato e quello non gli sembrava il caso.
“Scusa,
mia madre a volte tende ad essere molto
esuberante e non è capace di tenere la bocca
chiusa”. Disse Emily, una volta
che si furono allontanati da casa per ritrovarsi a passeggiare lungo il
marciapiede della loro via.
“Oh,
tranquilla. Anche mia madre è piuttosto
espansiva come persona, pensa che a volte sembra tornare bambina e
tocca a me
fare l’adulto della situazione”.
“Davvero?”
“Sì,
non sto scherzando”.
Emily
scoppiò a ridere divertita, senza che però
Tyler la imitasse. Ormai erano molto poche le cose che lo facevano
ridere.
“Senti
un po’, anche tu frequenterai la scuola che
c’è qua vicino, dopo
l’estate?” gli chiese la ragazza, quando si fu di
nuovo
calmata.
“Sì,
penso di sì, mia zia ha già pensato ad
iscrivermi da qualche parte”. Le rispose il ragazzo,
sistemandosi gli occhiali
sul naso.
“Posso
farti una domanda?”
Tyler
assentì, ma iniziò a temere la domanda che gli
avrebbe fatto perché di solito, quando uno ti chiedeva il
permesso di
porgertela, voleva dire che era seria e che voleva una risposta seria.
“Com’è
che sei diventato… sì, insomma, da quando
sei…”.
“Da
due anni”. La interruppe lui, risparmiandole la
fatica e l’imbarazzo di concludere la frase, anche
perché si immaginava che gli
avrebbe chiesto questo. “Sono diventato cieco due anni fa per
un incidente. Ma
se non ti dispiace, preferirei non parlarne”.
“Oh
sì, certo, non ti preoccupare. Mi dispiace per
avertelo chiesto”. Cercò di scusarsi lei, per
paura di essere apparsa troppo
indiscreta. “Immagino che la ferita sia ancora aperta, in
fondo è successo poco
tempo fa e deve essere stato terribile…”.
Tyler
sospirò. Emily aveva ragione, la ferita era
ancora piuttosto aperta e ancora preferiva non parlare
dell’argomento, ancora
gli faceva troppo male.
“Sì,
è stato brutto, ma… mi ci sono abituato. Ho
dovuto abituarmici”.
“Certo.
Comunque, spero che possiamo diventare
amici, visto anche che frequenteremo la stessa scuola. Se avrai bisogno
di
qualcosa, non esitare a chiedermelo”.
Continuarono
a passeggiare, arrivando fin quasi nel
centro della città e durante il percorso parlarono delle
cazzate più stupide ed
inutili, alternandole con momenti di silenzio.
Forse, se fosse stato per Tyler, sarebbero stati in silenzio per tutto
il tempo,
era Emily quella che cercava di trascinare il ragazzo in discorsi che a
lui
stavano totalmente indifferenti, come se il silenzio le desse fastidio.
Be’,
forse era più
simile alla madre di ciò che sembrava.
MILLY’S
SPACE
Non
so, ultimamente ho la tendenza ad aggiornare di
notte, quando tutto il mondo è infilato sotto le coperte. E
anche io vorrei
essere a letto ora, ma ci tenevo ad aggiornare. Eh, non potete dire che
non vi
voglio bene : )
Allora,
in questo capitolo non succede nulla di che, solo
un paio di conoscenze… abbiamo visto chi è Lucy,
già nominata nel capitolo
precedente, e conosciuto Emily, la classica troietta che non si
leverà dai
piedi tanto facilmente ^^.
Be’,
non mi dilungo in troppe parole, solo ricordatevi di
lasciarmi qualche recensione (altrimenti i miei sforzi potrebbero
sembrare
inutili ç__ç sigh sigh) e di mettere un Mi
piace alla mia pagina Facebook.
http://www.facebook.com/MillysSpace
dove
posterò anche le foto dei personaggi, più avanti.
Inoltre, ho pubblicato una raccolta di One Shot ^^
Andate a dare un’occhiata qui http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1287119&i=1
se
volete sapere di cosa si tratta ^^.
Bene,
ho finito di rompere…
Buonanotte
a tutti,
vostra,
Milly.
FEDE15498:
carissima, non ti preoccupare, Tyler è andato a dormire
perciò non ti minaccerà
per il momento ^^ *Blake cerca di infiltrarsi nella camera da letto di
Ty.
Milly: ehi, tu, dove vai?! >.< Blake: i…io? Ma
da nessuna parte. Milly
*lo infila in un cassetto* ^^ bene, stavo dicendo: Tyler è a
letto e presto lo
sarò anche io ^^ comunque sono molto contenta e pure onorata
di avere questo
potere, mi stimola molto sapere che ci sono lettori che non vedono
l’ora di
leggere i miei scritti. Sono molto contenta che i personaggi ti
piacciano,
diciamo che ciascuno di loro ha una caratterizzazione particolare e qui
hai
conosciuto anche Lucy, spero ti piaccia pure lei ^^.
Bene, ho finito. Alla prossima e… buonanotte <3
|
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Capitolo 5 *** Capitolo cinque ***
YOU ARE MY SUNSHINE
CAPITOLO CINQUE
“Be’,
sono contenta che tu abbia deciso di uscire e
questa volta di tua spontanea volontà”.
Confessò Kelly, afferrando il menù e
mettendosi a leggerlo, forse più per fare qualcosa che per
decidere che cosa
mangiare. “Ma mi dici che cosa te lo ha fatto
decidere?”
“Niente.
È solo che a casa mi annoiavo, tutto qua”.
Le rispose il figlio, il più innocentemente e
indifferentemente possibile. In
realtà un motivo preciso per cui era venuto lì
c’era, ma non lo capiva nemmeno
lui del tutto.
E per non pensare ad altro, tese le orecchie per captare qualche
interessante
discorso proveniente da altri clienti. Lo faceva spesso quando andava
da
qualche parte. Se non poteva guardare la gente che passava, almeno
poteva
ascoltarla.
Nonostante
fosse orario di pranzo, non sembravano
esserci molte persone e loro erano riusciti a trovare un tavolo anche
abbastanza isolato.
“Toh’,
ma chi si rivede!” esclamò, improvvisamente,
una voce giovane e maschile.
“Blake?”
fece Tyler riconoscendola.
“Hai
indovinato, baby! Ti meriti un premio”.
Kelly
ridacchiò e guardò il figlio con
un’espressione strana, ma lui ovviamente non se ne accorse.
“Vi
porto la stessa cosa della volta scorsa?” chiese
allora Blake, afferrando la matita da dietro l’orecchio e
stringendo il
bloc-notes.
“Se
ti ricordi che cos’era per me sì”. Lo
sfidò il
moro.
“Certo
che mi ricordo. Ho una buona memoria io”.
Ribatté deciso l’altro ragazzo, puntandosi la
matita contro il petto. “Anche
per lei, giovane madre di Tyler?”
“Certo!”
esclamò la donna con un sorriso, sia per il
complimento sia per la simpatia del ragazzo.
Blake
si allontanò dal loro tavolo piuttosto
velocemente, lasciandoli di nuovo soli.
Kelly
si protese verso il figlio e gli sussurrò: “Ma
sapevi che Blake lavorava qui oggi?”
“No,
non ne avevo la più pallida idea”. Le rispose
il figlio facendo finta di niente. In realtà dentro di
sé sapeva che tra i
motivi che l’avevano trascinato fin lì
c’era anche il desiderio di incontrare
di nuovo Blake.
Quel ragazzo l’aveva colpito, in un certo qual modo, ma non
sapeva perché.
Forse erano la sua simpatia o la sua spontaneità o
magari… il suo profumo?
Blake
ritornò quasi subito con i loro due piatti
stretti tra le mani e li servì come un bravo cameriere sa
fare. Poi, anziché
tornare in cucina come avrebbe dovuto fare, si sedette accanto a Tyler
e
allungò le gambe sotto al tavolo per stiracchiarsi un
po’.
“Scusate,
se non vi dispiace vorrei sedermi un
attimo. È tutta la mattina che corro avanti e
indietro”. Disse, massaggiandosi
il collo.
“Ma
non hai dei clienti da servire?” gli chiese
Tyler, sgranocchiando una patatina. In realtà,
però, non poteva dire che gli
dispiacesse che Blake si fosse seduto con loro.
“Oh
no, son già tutti soddisfatti, se no mi
chiameranno”. Rispose il rosso, rubando una patatina dal
piatto del moro.
“Comunque, non vi ho mai visti in questo quartiere. Siete
appena arrivati?”
“Sì,
ci siamo trasferiti dall’Indiana da quasi due
settimane”. disse Kelly che, come sempre, non perdeva
occasione di
chiacchierare un po’.
“Indiana,
eh? Ho sentito dire che ci sono dei bei
paesaggi”. Commentò Blake, fregando
un’altra patatina dal piatto di Tyler.
“Non
ti sei perso niente”.
“Ah
sì?” e allungò di nuovo le mani sul
piatto
dell’altro.
“Ma
la smetti di fregarmi le patatine?” sbottò a
quel punto il moro, puntando gli occhi sul rossino.
“Come
hai fatto ad accorgertene?”
“Sono
cieco non deficiente”.
Kelly,
allora, scoppiò a ridere, mentre Tyler
grugniva scontento e Blake gli rubava altre patatine, ridendo anche
lui.
Quando
la situazione si fu nuovamente calmata e
tutti tornarono seri, il cameriere decise di continuare ancora la
conversazione.
“Abitate
qua vicino per caso?”
“Sì,
abbastanza. Nella Sleepy Avenue, dove abitava
un’anziana signora che ci ha dato la sua casa in
affitto”. Rispose Kelly.
“Ah,
forse ho capito quale. E tu Tyler, andrai nella
St. James High School?”
“Ah
ah”.
“Davvero?!”
esclamò allora Blake con gli occhi che
gli si erano illuminati tutto d’un colpo. “Allora
saremo compagni di scuola!”
“Sul
serio? Io credevo che tu andassi ancora alle
elementari”. Lo provocò, invece, Tyler.
“Spiritoso”.
“Ma questa
è
una bella notizia!” pure Kelly mostrò parecchio
entusiasmo a quella notizia,
l’unico che invece sembrava totalmente indifferente era il
moro. “L’altro
giorno abbiamo conosciuto un’altra ragazza che frequenta
quella scuola”.
“E
chi è?”
“Emily
Tanen. La figlia dei nostri vicini di casa”.
“Ah”.
“La
conosci?” chiese la bionda, curiosa.
“Sì,
diciamo che nella nostra scuola è molto
conosciuta. E’ nella squadra delle Cheerleader, ma non
è questo il punto… è un
po’… come dire, sì ecco… un
po’ troietta”.
“Ah,
ho capito il tipo”.
“Sì,
ecco. Ci prova con tutti i ragazzi della
scuola. Con quelli più belli ci sta insieme per un paio di
mesi e invece quelli
un po’ più brutti se li porta soltanto a letto.
È che fa anche delle scommesse
con le amiche e poi, sa di essere bella. Alcuni ragazzi cascano
facilmente ai
suoi piedi”.
“Ci
aveva provato anche con te?” gli chiese Tyler
che adesso sembrava un po’ più interessato al
discorso.
“Sì,
una volta. Ma quando le ho detto che sono…”.
Blake, improvvisamente si bloccò, rimanendo con la bocca
aperta. Forse non era
ancora il caso di dire che era gay.
“Che
sei?” insisté il moro.
“Che
sono… che non sono interessato, ha lasciato
perdere. Ma Emily ti piace?”
“Oh
no!” esclamò Tyler sorpreso per la domanda e
Blake tirò un sospiro di sollievo senza farsi notare.
“No, l’ho vista solo una
volta. Non mi è parsa niente di speciale”.
Non
aveva certamente pensato ad Emily in quel modo.
In realtà, era da un po’ che non pensava ad una
ragazza in quel senso. Aveva
avuto molti altri pensieri per la testa, per preoccuparsi di trovare
anche una
ragazza.
***
Kelly
e Tyler stavano tornando dalla loro
passeggiata fino alla videoteca che avevano deciso di fare quel tardo
pomeriggio, quando, improvvisamente, la donna avvistò una
figura familiare che
passava davanti a casa loro.
“Ehi!
Blake!” gridò, sbracciandosi per salutarlo.
Il
ragazzo ricambiò e in poco tempo se li ritrovò
davanti, Kelly con un sorriso e Tyler perplesso.
“Blake,
che ci fai qui?” gli chiese il ragazzo.
“Ho
portato a spasso Lula e mi sono ritrovato qui
per caso”. Rispose lui fintamente innocente. In
realtà era da almeno mezz’ora
che faceva avanti e indietro davanti a casa dei due con la scusa di
beccare
Tyler. Sua madre l’aveva mandato fuori a portare a spasso il
cane, così ne
aveva approfittato per cercare la casa in cui abitava.
“Lula?”
chiese il moro, curioso.
“La
barboncina che ora ti sta annusando i piedi”.
Gli rispose il rossino, riferendosi alla piccola cagnolina ai piedi di
Tyler.
Sia
Kelly che Blake capirono immediatamente che gli
si erano illuminati gli occhi, nonostante portasse gli occhiali scuri,
perché
tutto il suo viso aveva assunto un’espressione diversa,
più radiosa si poteva
quasi dire.
“Oh
mio Dio! Hai un cane!” esclamò e,
immediatamente, si inginocchiò lì, in mezzo al
marciapiede, mollando il bastone
ai suoi piedi e prendendo in braccio la piccola barboncina per
coccolarla. Lei
non sembrava affatto dispiaciuta di tutte quelle attenzioni, ma anzi,
prese
anche a leccare la faccia al ragazzo e a scodinzolare tutta contenta.
La
madre e Blake rimasero a guardarlo increduli,
soprattutto quest’ultimo che, anche se lo conosceva soltanto
da pochi giorni,
aveva capito che Tyler non era tipo da lasciarsi andare ai
sentimentalismi e a
cose del genere, anzi, gli era sembrato piuttosto duro e serio.
Però, vedendolo
lì con Lula, si intenerì immediatamente e non
riuscì a togliergli gli occhi di
dosso e capì che in realtà Tyler non era
così come cercava di apparire.
“Ty
adora i cani”. Specificò Kelly al ragazzo di
fronte a lei come se non lo avesse già capito.
“Te
la lascerei volentieri, ma mia madre mi
ucciderebbe. È troppo affezionata a Lula”.
Il
moro, allora, resosi improvvisamente conto che
forse stava dando spettacolo in mezzo alla strada, lasciò
andare la cagnolina e
si rialzò in piedi spolverandosi i pantaloni.
“No
no, riportatela pure a
casa”. Gli disse, tornando di nuovo il
ragazzo serio di prima.
“D’accordo,
infatti dovrei anche andare”. Concluse
infine l’altro, guardando l’orologio che aveva sul
polso sottile. “Però, visto
che ci siamo incontrati, volevo… volevo
chiederti…” cominciò, imbarazzandosi
subito.
Ma perché doveva essere così difficile? In fondo,
mica doveva chiedergli di
uscire. “La mia amica Lucy compie gli anni questo sabato e
organizza una festa
sulla spiaggia. Ci saranno anche alcuni compagni di scuola. Ti andrebbe
di
venire?”
Tyler
sembrò piuttosto perplesso. “Ahem…
veramente,
non saprei”.
“E
dai, Ty! Che ci sarà di male? Così potrai
conoscere qualche tuo nuovo futuro compagno di scuola”.
Insisté la madre con,
di nuovo, il tono da bimba.
Il
ragazzo sembrò pensarci un attimo e, alla fine,
con un sospiro di rassegnazione, acconsentì.
“Perfetto!
Allora passerò a prenderti in moto, alle
nove. Ok?”
E
senza neanche
aspettare la risposta dell’altro, Blake afferrò il
guinzaglio di Lula e corse
via salutando i due con la mano, intanto che il sole,
all’orizzonte, cominciava
a tramontare.
MILLY’S
SPACE
Hola!!
: ) Ho deciso di regalarvi un altro aggiornamento
questa settimana, ma non so se ve lo siete tanto meritato u.u insomma,
ragazzi,
qualche recensione in più è gradita, eh u.u
Va
be’, ovviamente non costringo nessuno, lo so che
spesso è una palla star lì a scrivere e pensare a
che cosa scrivere, però non
sapete quanta gioia potete dare a qualche scrittore in esordio con
anche solo
qualche piccola parola messa in croce.
Detto
questo, non ho altri commenti da fare. Spero vi sia
piaciuto il capitolo e spero veramente che vi facciate sentire.
Un
bacio grande grande.
Milly
: )
P.S.
e venite a visitare la mia pagina facebook (Milly’s
Space) per avere informazioni
su altri aggiornamenti o altre storie… ^^
|
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Capitolo 6 *** Capitolo sei ***
YOU ARE MY SUNSHINE
CAPITOLO SEI
Tyler
arrivò in cucina dove la madre stava finendo
di lavare i piatti e si appoggiò al tavolo.
“Wow,
tesoro! Che sexy!” esclamò Kelly, non appena
lo vide vestito tutto pronto per la festa alla quale lo aveva invitato
Blake. Indossava
una camicia nera a maniche corte, con i primi due bottoni aperti alla
quale,
poi, aveva abbinato un paio di jeans scuri e strappati. I capelli li
aveva
pettinati all’indietro con un po’ di gel.
In realtà i vestiti glieli aveva scelti sua madre, purtroppo
al tatto non
poteva certo percepire i colori, ma almeno era ancora in grado di
vestirsi da
solo.
Il
ragazzo, per tutta risposta, si diresse al
frigorifero per prendersi qualcosa da bere.
“Dov’è
l’acqua?” chiese alla madre, puntando gli
occhi dentro il frigo.
“Alla
tua destra. Tra dieci minuti Blake dovrebbe
arrivare, no?”
“Sì”.
“Chiamami
se c’è qualche problema, ok?”
“Ok”.
“E
non fare l’associale”.
Tyler
sbuffò ma non disse niente. Non era che faceva
l’associale, era solo che di solito non trovava nessuno con
cui andare
d’accordo, in quei due anni per lo meno.
Si buttò sul divano sorseggiando il suo bicchiere
d’acqua, finché pochi minuti
dopo, il campanello della porta non gli trapassò le
orecchie.
Sua
madre corse ad aprire, sicura che si trattava di
Blake.
Infatti, non appena spalancò la porta, si trovò
il ragazzo lentigginoso davanti
e immediatamente chiamò il figlio perché si
muovesse ad uscire.
Tyler
si alzò dal divano, afferrò il bastone bianco
e si calò gli occhiali sul naso, raggiungendo Blake alla
porta. Questi, appena
lo vide, per poco non tirò un fischio di compiacimento, ma
riuscì a limitarsi a
restare solamente ad occhi spalancati, cosa che, molto probabilmente,
Kelly
aveva notato visto che gli stava davanti. Il rossino gli sarebbe
volentieri
saltato addosso in quell’istante, da quanto lo trovava figo.
“Andiamo?”
fece allora il moro, notando che nessuno
dei due sembrava voler dire o fare niente.
“Eh?
Ah sì, sì… andiamo”.
La
madre di Ty augurò loro di divertirsi e li
congedò alla porta, mentre i due ragazzi si dirigevano alla
moto.
“Reggiti
forte”. Disse Blake, una volta che furono
montati in sella entrambi.
Tyler
circondò la vita di Blake con le braccia e si
strinse forte a lui per non cadere. Non aveva paura di andare in moto,
ci era
stato un paio di volte con il padre, però…
però doveva ammettere che gli
piaceva sentire la consistenza dei muscoli del rossino sotto le dita.
Così le
premette ancora di più, stropicciandogli la maglietta, senza
neanche
accorgersene.
Blake, dal canto suo, cercava di tenere gli occhi fissi sulla strada e
di
concentrarsi su quello che stava facendo, ma era difficile con il
ragazzo per
il quale sbavava da giorni ormai attaccato praticamente alla sua
schiena.
Sentiva le sue braccia muscolose stringergli la vita e
desiderò tanto
intrecciare le sue dita con quelle dell’altro,
desiderò ricambiare la stretta
e… forse fare anche molto di più e il pensiero di
tutto quello che avrebbe
voluto fargli cominciò a fargli indurire ciò che
aveva tra le gambe.
E questo non andava affatto bene, non in quel momento.
Per
fortuna il viaggio durò poco e gli ultimi minuti
li passò a canticchiare mentalmente le canzoni dei Jonas
Brothers che ascoltava
sua sorella per non fare troppi pensieri sconci.
Parcheggiarono
la moto vicino alla spiaggia, dove ce
n’erano molte altre e scesero in spiaggia sulla quale era
già stato acceso un
grande falò attorno al quale molti ragazzi ballavano al
ritmo di una musica
piuttosto orecchiabile, non il solito tunz
tunz da discoteca. La notte era già scesa e con
essa qualche stella si
intravedeva in cielo.
Non
appena Lucy vide arrivare i due ragazzi, corse
loro incontro con un sorriso smagliante e quasi saltò
addosso a Blake per
abbracciarlo.
“Wow!
Sei bellissima stasera, baby”. Le disse il
ragazzo osservandola e notando com’era vestita. Una maglietta
scollata ma non
troppo esagerata con una scritta particolare in centro, dei jeans
lunghi e
attillati. Sarebbe stato troppo chiederle di mettersi una gonna corta,
anche se
si trattava della sua festa, però aveva deciso di rinunciare
alla solita coda
di cavallo almeno per quella sera e si era lasciata i capelli sciolti,
così ora
le arrivavano fin quasi al sedere.
“Grazie,
caro. Nemmeno tu sei malaccio”.
“Ehi,
Lu… ti presento Tyler”. Blake le indicò
il
moro che se ne stava un po’ in disparte dietro di loro.
La
ragazza lo salutò con un sorriso e un bacio su
ogni guancia. “E così sei tu il famoso
Tyler”. All’occhiataccia dell’amico,
però, si corresse. “Famoso nel senso che Blake mi
ha parlato di te un paio di
volte”.
“Ah
sì?” fece Tyler perplesso.
“Sì,
ma non ti preoccupare, Blake non è uno che
sparla degli altri”. Lo tranquillizzò lei.
“Comunque, volete venire un attimo
nella mia baita che vi mostro una cosa?”
Lucy
li precedette per condurli fino ad una piccola
casetta di legno ed evitò di farli passare per la folla di
gente che si
dimenava sulla sabbia.
La baita era di proprietà della sua famiglia, si trovava a
poca distanza dalla
casa in cui abitavano e di solito la usavano per riporci qualche
attrezzo o
altro oggetto che li serviva per il mare.
Quando
entrarono, la prima cosa che saltò loro agli
occhi, almeno a quelli di Blake e Lucy, fu un oggetto piuttosto lungo
posto al
centro della stanza e coperto da un telo arancione.
La ragazza gli si avvicinò e, con un tadan,
buttò giù il lenzuolo e scoprì una
tavola da surf con dei disegni piuttosto
raffinati ed eleganti che la decoravano.
Blake
rimase ad occhi sgranati per lo stupore. “Ma
questa non è la tavola da surf che desideravi?” le
chiese, ricordandosi bene la
prima volta che erano andati in giro per i negozi e lei
l’aveva vista. Da quel
momento, non aveva fatto altro che parlare di quella tavola e di quanto
la
desiderasse e, molto probabilmente, l’aveva elogiata anche
davanti ai suoi
genitori, sebbene non fosse una ragazza troppo esigente o viziata che
voleva a
tutti i costi quello che le piaceva.
“Sì,
è proprio questa!” esclamò lei tutta
contenta.
Blake
si avvicinò per ammirarla meglio e ci passò le
dita per sentire com’era al tatto. Lui non era un
appassionato di surf e
non si intendeva con le tavole. Sapeva
nuotare al massimo in stile ranocchio, figurarsi fare cose spericolate
tra le
onde.
“Vieni,
Tyler. Senti com’è”.
Il
moro, rimasto vicino alla porta fino a quel
momento, si avvicinò ai due orientandosi con le loro voci e
i rumori dei piedi
sul pavimento. Blake gli afferrò una mano per fargliela
poggiare sulla tavola.
“E’
molto leggera, quindi sarà un po’ come volare
sulle onde”. Aggiunse Lucy che, si capiva bene, stravedeva
per quella tavola da
surf. Sembrava felice soltanto per quella e non per la festa che aveva
organizzato.
Improvvisamente,
la porta della baita si aprì come
se qualcuno avesse voluto sprangarla e un ragazzo dai capelli castani e
un po’
spettinati entrò nella stanza tutto trafelato.
“Oh
ragazzi! Siete qui!”
“E
dove pensavi che fossimo?”
“E
io cosa ne so?!”.
“Kenny!”
esclamò Blake, allora. “Ehm… ti
presento
Tyler”.
Il
nuovo arrivato spostò lo sguardo sul ragazzo in
questione e lo squadrò da cima a fondo.
“Tyler…
e così sei tu. Piacere, io sono Kenneth”.
Gli si avvicinò e gli strinse la mano con una stretta
abbastanza forte, alla
quale però, Ty riuscì a rispondere senza esitare.
“Ma puoi chiamarmi Ken”.
“E
tu puoi chiamarmi semplicemente Tyler”.
Ken
ridacchiò.
“Senti,
Blake. Verresti un attimo fuori con me? Devo
farti vedere una cosa”.
Il
rossino esitò un attimo, non gli andava di
lasciare da solo Tyler, ma alla fine decise di accontentare
l’amico. In fondo,
con il moro poteva restarci Lucy.
“Torno
fra poco, ragazzi”.
Quando
gli altri due rimasero da soli nella baita,
calò un silenzio di piombo, si udivano solo le risate e le
chiacchiere dei
ragazzi che stavano fuori.
“Ehm…
vuoi accomodarti? Lì c’è un
divano”. Disse
allora Lucy, indicando il divano con un cenno della mano.
Improvvisamente,
però, si ricordò che lui non poteva vederla,
così cercò di correggersi subito,
un po’ imbarazzata. “E’ dietro di te, un
po’ disordinato ma non badarci”.
“E’
da un po’ che non bado all’aspetto estetico
delle cose”. Cercò di sdrammatizzare il ragazzo,
raggiungendo con cautela il
divano.
“Certo,
immagino. Posso offrirti qualcosa da bere?”
“No,
grazie”. Le rispose semplicemente. Quando,
però, calò di nuovo il silenzio, si
sentì leggermente in imbarazzo anche lui e
disse la prima cosa che gli capitò a mente, sebbene non
fosse molto incline
alle chiacchiere. “E così ti piace
surfare?”
“Sì,
pratico surf praticamente da quando avevo dieci
anni. Ho vinto anche un paio di medaglie. In realtà mi
piacciono tutti gli
sport d’acqua, so anche andare in vela e fare immersioni. Una
volta ho persino
fatto scii nautico”.
“Sei
fortunata a vivere vicino al mare, allora”.
“Sì,
il mare è come se lo avessi nel sangue. E tu?
Pratichi qualcosa?”
“Mi
piaceva il basket”. Tyler aveva preso a
tormentare uno strappo nei jeans, ancora leggermente in imbarazzo.
“Ti
piaceva? Significa che non ti piace più?”
“No,
è solo che… diciamo che non lo pratico
più da
un po’”. Il ragazzo non volle addentrarsi in altre
spiegazioni e Lucy sembrò
capirlo, visto che non insistette.
“Capisco”.
Disse semplicemente.
In
quel momento si riaprì la porta della casetta e
Blake rientrò di nuovo dentro.
“Rieccomi,
scusate l’assenza”.
“Che
voleva Kenny?”
“Oh,
niente, semplicemente mostrarmi le nuove canne
che suo cugino gli ha procurato”.
“E’
fissato col fumo quel tipo”.
“Lascia
stare, Lu”.
Decisero
di uscire perché lì dentro cominciava a
fare parecchio caldo e si riemersero nella folla di giovani corpi pieni
di
ormoni che ballavano e si divertivano.
Blake rimase un altro po’ con Tyler, chiacchierarono del
più e del meno, o
meglio, fu Blake a parlare soprattutto, commentando la festa e le
persone
presenti, assaggiarono vari tipi di drink e di snack.
Quando
il rossino si allontanò, Tyler rimase un po’
con Ken e un po’ con Lucy che cercarono di tenergli
compagnia, farlo sentire a
suo agio e conoscerlo un po’ di più per capire che
cosa ci fosse in lui che
attirava Blake così tanto, oltre all’aspetto
fisico naturalmente.
Ma
Lucy doveva spesso correre tra i vari invitati
che le chiedevano sempre qualcosa oppure controllare che tutto andasse
bene,
visto che era la festeggiata, mentre Ken non era molto capace di stare
sempre
fermo nello stesso posto e ogni due minuti veniva qualcuno a salutarlo
e a
scambiare quattro chiacchiere con lui.
Così,
dopo un po’, il moro si ritrovò da solo,
appoggiato al tavolo delle bibite e sorseggiando una bottiglia di
birra. E per
passare un po’ il tempo, nell’attesa che tornasse
Blake, aveva allungato le
orecchie per captare qualche discorso interessante proveniente dagli
adolescenti che lo circondavano. Ok, in realtà non
c’era niente di
interessante, solo un gruppetto di ragazze che spettegolavano su un
tipo della
scuola che si era messo con un’altra tipa e alcuni ragazzi
che continuavano a
ridere perché qualcuno doveva aver fatto una qualche
battuta.
“Quegli
occhiali ti servono per proteggerti dalla
luna o dal fuoco del falò?” chiese improvvisamente
una voce maschile che non
conosceva.
Gli
ci volle un po’ per capire che si stava
rivolgendo a lui, però alla fine rispose, senza cambiare
l’espressione
indifferente. “Solo per non farmi vedere le brutte
facce”.
Tyler continuò a sorseggiare la birra sperando che il tipo
se ne andasse, ma
questi non sembrava affatto intenzionato a farlo, ma anzi, si
appoggiò anche
lui al tavolo, molto vicino al moro.
“E
fino ad ora ne hai viste molte?”
“Qualcuna
sì”. Ridacchiò Tyler, ma per cosa non
lo
sapeva nemmeno lui. Di facce non ne aveva proprio viste neanche una, ma
il
nuovo arrivato non sembrava essersi accorto che era cieco.
“Sei
un amico di Lucy? O magari un parente?” chiese
allora l’altro in vena di conversazione.
“Lucy
l’ho conosciuta soltanto oggi”.
“Ah,
avrei giurato che fossi un suo parente. Sei un
po’ scorbutico come lei”.
“Non
mi sembra scorbutica lei”.
“A
volte lo è con le persone che non le piacciono”.
Il
moro ridacchiò di nuovo.
“Comunque,
come ci sei arrivato qui allora?”
“Mi
ci ha portato Blake”.
“Ah,
Blake”.
“Lo
conosci?”
“Lo
conoscono quasi tutti a scuola. Dicono che sia
gay”.
“E
chi lo dice?”
“Be’,
tutti”. Lo sconosciuto stava iniziando
leggermente a stupirsi della continua indifferenza di Tyler, sembrava
completamente disinteressato a qualsiasi cosa gli dicesse.
“Ma poi se lo vedi
capisci subito che lo è. Si veste sempre con vestiti che
andrebbero bene anche
ad una ragazza, gesticola quando parla e a volte sembra che saltelli
quando
cammina”.
Il
moro stava iniziando a stufarsi di quei discorsi.
Aveva capito che tipo di persona era quel ragazzo e non gli piaceva per
niente.
Uno che giudicava senza neanche conoscere, soltanto guardando le
apparenze e
gli piaceva sparlare un po’ troppo.
“Non
tutti i gay sono così. E poi, anche se lo
fosse, chi se ne frega”.
Non
gli importava se Blake era gay. Non aveva niente
contro di loro, ognuno era libero di vivere la propria vita come
più gli
piaceva. Chi era lui per giudicare?
“Ehi,
Tyler!” si sentì chiamare proprio dalla voce
del rossino che raggiunse l’amico e gli si piazzò
di fronte.
“Scusa
se ti ho lasciato solo. Tutto a posto?”
“Sì,
sì, è tutto ok”.
Dopo
un po’ Blake si accorse anche dell’altro
ragazzo vicino a loro e storse leggermente il naso non appena lo vide.
“Oh
ciao, Johnatan”. Lo salutò, più per
educazione
che simpatia. Johnatan gli rispose con un cenno della testa, ma non
disse
niente. Blake, invece, tornò a rivolgersi a Tyler.
“Perché
te ne stai qua in disparte?”
“E’
che c’è… un po’ troppa
confusione per me”.
Il
rossino si guardò un attimo attorno.
“Sì, hai
ragione effettivamente. Vieni con me”.
E,
senza lasciare all’altro il tempo di dire niente,
lo afferrò per mano senza neanche accorgersene e lo
trascinò via dalla folla.
Arrivarono in una zona più aperta, dove la musica arrivava
più attutita e dove
nessuno rischiava di pestarli i piedi ballando.
“Ti
va se ci sediamo qui, sulla sabbia?” chiese
Blake e Tyler semplicemente annuì. Così si
sedettero per terra, uno vicino
all’altro, rivolti verso il mare che, per fortuna, quella
sera era piuttosto
tranquillo. La sabbia non era appiccicosa, quindi non rischiavano di
sporcarsi
i pantaloni e il venticello fresco rinfrescava loro i visi e
accarezzava i
capelli di entrambi.
“Mi
piace stare seduto sulla spiaggia, di notte.
Guardare le stelle, ascoltare il rumore del mare che si infrange sulla
riva… ce
ne sono tante stasera, di stelle intendo”.
Tyler
sorrise debolmente. Anche a lui piaceva
guardare le stelle, gli piaceva guardare molte cose a dire la
verità.
“Preferisco
limitarmi ad ascoltare il mare”. Gli
disse.
“Immagino”.
Tyler
si stupì un po’ del fatto che Blake non gli
chiedesse niente, che non fosse curioso di sapere come fosse diventato
cieco o
cose del genere. Però questo contribuì a fargli
crescere ancora di più la
simpatia nei suoi confronti.
Blake, dal canto suo, era curioso di saperlo, ma non voleva chiedergli
niente.
Non si sarebbe guadagnato la sua fiducia né la sua simpatia
se ficcanasava
troppo. Preferiva che fosse l’altro a decidere se e quando
parlargliene.
Così,
rimasero entrambi lì seduti, in silenzio,
senza dire neanche una parola. Ma non era un silenzio pieno di
imbarazzo o
tensione, anzi, ci stavano bene. Ascoltavano il fruscio del mare, si
godevano
il vento che li accarezzava, Blake si beava della presenza di Tyler
accanto a
lui e Tyler si gustava l’odore che emanava la pelle di Blake.
Non capiva perché
gli piacesse così tanto il suo odore, era un odore del tutto
naturale, si
capiva, non quello artificiale di un profumo, eppure lo attirava e
molto anche.
“Ehi!
Che ci fate qui soli soletti?” esclamò la voce
di Lucy, interrompendo il silenzio e la tranquillità nei
quali erano
sprofondati.
I
due ragazzi si riscossero di colpo, quasi
addormentati.
“Possiamo
unirci a voi?” chiese la voce di Kenny.
Senza
attendere una risposta, gli appena arrivati si
sedettero sulla sabbia accanto agli altri due e sospirarono.
“Ragazzi!
Vi va di provare le canne che mi ha dato
mio cugino?” chiese ad un certo punto Ken, illuminandosi al
solo pensiero.
“Non
lo so, forse non è una buona idea…”.
Soffiò
Lucy, un po’ pensierosa.
“Eddai,
Lu! Non ti succederà nulla”. Insistette
l’amico, estraendo già le sigarette. “E
poi, è il tuo compleanno. Dobbiamo
inaugurarli in qualche modo questi diciassette anni”.
Alla
fine tutti e tre si decisero ad assentire e
poco dopo si ritrovarono con una canna accesa in bocca, a fumare sulla
sabbia,
lontani dagli occhi indiscreti di tutti.
“Hai
già fumato prima d’ora, Tyler?” chiese
Lucy
dopo un po’, rivolta al ragazzo moro.
Il
ragazzo negò, espirando una ventata di fumo
trasparente.
“Allora
è la prima volta di tutti e due”.
“Ma
Lucy, non dovresti stare con gli altri
invitati?” le chiese Blake anche se non sembrava molto
interessato alla
risposta che gli avrebbe dato, aveva lo sguardo perso a fissare un
punto
impreciso nell’oceano, gli occhi leggermente appannati.
Sembrava già leggermente fatto, come lo erano anche gli
altri tre.
“Oh,
loro si possono arrangiare anche senza di me.
Francamente non so neanche perché li ho invitati. La maggior
parte di loro mi
sta indifferente”. Rispose la ragazza, rigirando fra le dita
la sua canna.
Non
aggiunse altro e nemmeno gli altri dissero più
niente, così piombarono di nuovo in silenzio, si udivano
solo i loro respiri
più pesanti per il fumo e le onde del mare, mentre sopra le
loro teste le stelle
si stavano facendo sempre più luminose nel cielo scuro.
“Sapete,
io a volte non capisco mia madre”. Sbottò
improvvisamente Ken, facendo sobbalzare Blake. “Ho la patente
da un anno ma lei
non mi lascia ancora guidare l’auto. Così devo
sempre prendere la moto”.
“Tua
madre si preoccupa anche per cose inutili,
Kenny. Se starnutisci pensa subito che tu abbia il
raffreddore”. Disse il
rossino, come se lui conoscesse meglio la madre dell’amico.
“Sì,
ma mi chiedo se un giorno me la farà guidare,
sta maledetta auto”. Sospirò l’altro,
espirando un anello di fumo.
“Da’
retta a tua madre”. Si aggiunse, allora, Tyler,
sdraiato sulla sabbia con un braccio piegato sotto la testa.
“Le macchine sono
pericolose, non sai mai cosa ti può capitare quando ti metti
alla guida. Magari
ti vai a schiantare contro un’altra auto e in un attimo non
ci sei più. Oppure
peggio, magari rimani paralizzato o perdi un braccio, una gamba. O la
vista”.
Aveva fatto tutto quel discorso con tono annoiato, indifferente,
tenendo sempre
gli occhi puntati al cielo, ma i ragazzi capirono benissimo che in
realtà lo
riguardava, che quelle parole non gli erano venute per caso.
Blake
gli lanciò un’occhiata, un po’ stupito
perché
era la prima volta che lo sentiva dire più di cinque parole
insieme e un po’
sperando che desse qualche spiegazione in più. Voleva tanto
sapere come aveva
perso la vista, ma non si azzardava a chiederglielo.
E del resto, nemmeno gli altri.
“Nella
vita può succederti di tutto”. sospirò,
allora, Lucy. “Non sai mai cosa aspettarti”.
Calò
di nuovo il silenzio, per altri cinque minuti e
poi fu Blake a interromperlo per primo.
“Ma
che ti ha detto Johnatan quando è venuto da te?”
“Hai
conosciuto Johnatan?!” esclamò Ken.
“Non
mi ricordo neanche che cosa mi abbia detto”.
Rispose Tyler, rimettendosi a sedere.
“Lascialo
perdere quello. È un idiota che si crede
chissà chi”. Aggiunse Lucy e se lo diceva lei
allora voleva dire che era vero.
Non era una ragazza che amava parlare male degli altri o criticarli,
quindi se
lo faceva c’era sempre un buon motivo.
Restarono
lì per un
altro po’, anche quando finirono di fumarsi le canne, ma non
sprecarono più
altre parole.
MILLY’S
SPACE
Rieccoci
qui : ) capito un po’ più lungo del solito, ma
non abituatevi troppo, è successo solo perché non
volevo dividere la festa in
due parti ^^. Se no non si va più avanti…
Be’,
non ho molte cose da dirvi, spero lo facciate voi
lasciandomi una recensione, anche striminzita va bene… mi
piacerebbe sapere che
cosa ne pensate, è importanti per gli autori…
Inoltre,
vi invito ancora una volta a mettere un mi
piace alla mia pagina Facebook sulla
quale, col prossimo capitolo probabilmente, vedrete le foto dei
personaggi ^^
questo è il link
http://www.facebook.com/MillysSpace
E
date un’occhiatina alla mia pagina di EFP per vedere le
recenti storie che ho pubblicato.
Un
bacio a tutti e buon sabato : )
FEDE15498: ehi,
ragazza!!! Eh no, mia cara, non va bene u.u non puoi dimenticarti le
cose u.u ahah no, dai scherzo : ) lo so che tu mi segui
sempre, anche quando non recensisci ^^. Comunque, eccola qua la tanto
attesa festa di Lucy... cosa ne pensi? Si cominciano a scoprire delle
cose su Tyler e... aspetta e vedrai come evolverà la cosa :
)
Spero di risentirti e un
bacione grande grande... M.
|
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Capitolo 7 *** Capitolo sette ***
YOU ARE MY SUNSHINE
CAPITOLO SETTE
Blake
si buttò di peso sul divano accanto alla
sorella e sbuffò di noia. Osservò che cosa
stavano facendo alla tv e inorridì
non appena si accorse che era uno dei film di High School Musical.
Sua sorella si era vista quei film almeno un centinaio di volte e
ancora non si
era stufata di guardarli. Non capiva come facesse, era una cazzata
tremenda, i
personaggi non facevano altro che cantare, ballare e pensare ai vestiti
e alla
moda. Oltretutto, un film pieno di cliché.
“Come
fai a guardarti sempre questo stupido film?”
le chiese, osservando come Troy Bolton stava giocando a golf nel campo
del
padre della bionda Sharpay.
“Non
è un film stupido!” rispose lei indispettita,
senza togliere gli occhi dallo schermo.
“Se
lo dici tu”.
Il
ragazzo avrebbe tanto voluto cambiare canale, ma
se si azzardava a farlo la sorella si sarebbe incazzata di brutto e
l’avrebbe
pure picchiato. In realtà non aveva niente da guardare alla
tv, anzi, non aveva
proprio niente da fare, ma piuttosto che guardarsi High School Musical
preferiva andare già a dormire.
“Blake!
Susy!” si sentirono chiamare dalla voce
della madre. “E’ pronta la cena”.
Il
rossino si alzò subito senza farselo ripetere due
volte e si diresse in cucina, mentre la ragazzina stoppò il
registratore e lo
seguì un po’ pigramente.
Quando
si sedettero, la madre li servì e tutta la
famiglia cominciò a mangiare e a parlare, come facevano
sempre durante la cena.
Il padre si dilungò in discorsi di quello che gli succedeva
a lavoro, mentre la
dodicenne Susy raccontava di quello che avevano fatto lei e la sua
amica
Sharon. La madre, invece, stava ad ascoltarli anche piuttosto
interessata.
L’unico che non sembrava minimamente interessato e che non
disse neanche una
parola fu Blake. Continuava a mangiare quello che aveva nel piatto
quasi
controvoglia, senza neanche accorgersene, gli occhi fissi in un punto
impreciso
della tavola e la mente persa in chissà quali pensieri.
“Che
cos’hai, Blake?” gli chiese il padre in tono
gentile, notando che era piuttosto pensieroso. “Mi sembri un
po’ sulle nuvole”.
Il
figlio sollevò lo sguardo a guardarlo, ma non
fece in tempo a rispondere che la sorella intervenne.
“E’
innamorato”. Cantilenò.
“Stai
zitta, tu!” la sgridò, allora, il fratello,
girandosi per lanciarle un’occhiata minacciosa.
La
ragazzina, però, per tuta risposta, scoppiò a
ridere rischiando di rovesciarsi il succo addosso e, in quel momento,
anche la
madre spostò gli occhi sul figlio interessata.
“Davvero,
tesoro?” gli chiese.
“E
anche se fosse?” fece Blake, abbassando lo
sguardo nel piatto, imbarazzato. Era un pessimo bugiardo, se provava a
mentire
sua madre se ne sarebbe sicuramente accorta e poi, in genere, non
c’erano molte
cose che le nascondeva.
I suoi genitori sapevano quasi tutto di lui, persino che era gay e non
si erano
fatti molti problemi su questo. All’inizio erano rimasti un
po’ scioccati,
certo, ma gli volevano bene lo stesso. A loro bastava che fosse felice.
“E
dimmi, chi è?” domandò ancora la donna
che amava
molto i pettegolezzi. “E’ figo?”
“Be’,
abbastanza”. Si decise a parlare finalmente il
figlio. “Si chiama Tyler, abita nella Sleepy
Avenue…”.
“Ah,
forse ho capito chi è”. lo interruppe il padre,
servendosi altri spaghetti al pomodoro. “Si tratta mica di
Tyler Bennet, quello
che si è trasferito insieme alla madre nella casa della
vecchia Signora Pegg?”
“Sì,
proprio lui”.
“Ah.
Ma quel ragazzo non è mica… cieco?”
“Sì,
lo è”.
“Davvero?!”
esclamò la madre sorpresa.
“Ma
tu come fai a sapere chi è, papà?”
“Me
ne ha parlato il signor Tanen, sono stati a
pranzo da loro. Effettivamente mi ha anche detto che sua figlia Emily
non ha
fatto altro che ripetere quanto fosse attraente”.
Il
ragazzo scrollò le spalle. Il padre di Emily
lavorava con il suo
e andavano anche
parecchio d’accordo, perciò era normale che si
raccontassero alcune cose l’un
l’altro.
“Mi
ha anche detto che ha saputo che il padre di
Tyler è morto in un incidente”. Aggiunse
l’uomo.
Questa
volta fu il turno di Blake di sgranare gli
occhi per la sorpresa. “Davvero?!”
“Non
lo sapevi?”
Il
ragazzo negò col capo. No, non ne aveva idea.
Effettivamente, aveva conosciuto solo sua madre, un presunto padre non
l’aveva
mai visto e il ragazzo non gliene aveva mai parlato. Ma non si era di
sicuro
immaginato che potesse essere morto.
Poi rimase un attimo a pensare e provò a fare due
più due. Il padre di Tyler
era morto in un incidente, poteva essere stato un incidente
d’auto, il ragazzo,
inoltre, alla festa aveva detto che in auto si potevano fare degli
incidenti e
che si poteva morire e poi aveva fatto un allusione che lui aveva perso
la
vista proprio in un incidente…
Non poteva essere che…
“Ma
dimmi qualcosa di più di questo Tyler”.
Insistè
allora la madre, distraendolo dai suoi pensieri.
“E
che cosa vuoi sapere?”
“Be’,
che rapporto avete, ad esempio. Siete amici?”
“Sì,
credo di sì”.
“Ma
anche lui è gay?”
“Non
lo so, non credo”.
“E
lo sa che tu lo sei?”
“No,
non gliel’ho detto”.
“Dovresti
dirglielo”.
Il
ragazzo annuì debolmente. Non aveva molti
problemi a dire di essere gay, né a negarlo se glielo
chiedevano, però non gli
era mai capitato di doverlo proprio specificare. Di solito la gente lo
capiva o
almeno lo sospettava quando lo vedeva.
Quando lo vedeva, appunto, ma Tyler non lo poteva vedere.
Quando
la cena fu terminata e anche l’interrogatorio
da parte della madre, Blake si alzò dalla sedia e
andò in camera sua,
buttandosi di schiena sul letto.
Rimase un attimo ad ammirare il soffitto e a pensare ancora a Tyler e a
come
poteva dirgli che era gay, soprattutto a come avrebbe reagito a quella
notizia.
Improvvisamente,
sentì il cellulare vibrare e trovò
due messaggi, uno di Lucy e l’altro di Ken.
Lucy:
ehi,
grazie ancora per il regalo, mi è piaciuto molto. Tu
sì che hai gusto, sei il
mio amico gay preferito xD. Ci vediamo presto, vienimi a trovare quando
vuoi.
P.S. Tyler è proprio figo, adesso capisco perché
ti sei innamorato di lui.
Ken:
alla
festa di Lu ci siamo divertiti, vero? E tutto per merito delle canne.
Domani ci
vediamo? Spero di sì. E magari porta anche Tyler, me lo
scoperei volentieri.
Cerca di scoprire se anche lui è gay.
Blake
sorrise tra sé e sé. Lucy e Ken erano degli
amici fantastici, non sapeva che avrebbe fatto senza di loro.
Ma decise di rispondere più tardi ai messaggi, in quel
momento si sentiva
abbastanza stanco e non aveva voglia di far niente, nemmeno di muovere
un
muscolo.
***
La
madre di Tyler continuava a correre in giro per
la casa, ogni volta dimenticandosi qualcosa. Riporre il portafoglio in
borsa,
indossare la maglietta, mettere il profumo...
Era
il suo primo giorno di lavoro come segretaria
nel museo d’arte dove lavorava anche la sorella ed era
piuttosto agitata.
Chiedeva al figlio se magari aveva messo troppo profumo, se indossava
una
maglietta troppo scollata, dimenticandosi pure che lui non la vedeva, e
il
figlio le rispondeva con un sei perfetta,
mamma come un disco rotto, tenendo gli occhi fissi alla tv
sul quale stava
guardando, o meglio, ascoltando un programma di cucina su Real Time.
“Più
tardi arriverà la zia Mandy, così non starai
tutto il tempo da solo, ok?”
“Ok”.
“Se
hai bisogno di qualcosa, chiamami. Basta che
schiacci in basso del tasto grande del telefono, va bene?”
“Va
bene”.
Kelly
sistemò un’ultima volta la borsa e
indossò la
giacca.
“Sei
sicuro che ce la farai a stare da solo?”
“Sì,
mamma, non ti preoccupare. Non è la prima
volta”. Le rispose Tyler, leggermente frustrato.
“Ok,
ti voglio bene”. gli sussurrò, dandogli un
bacio sulla guancia.
“Anche
io, mamma”.
La
donna uscì velocemente e il ragazzo rimase
finalmente solo, nel silenzio che circondava la casa.
Appoggiò la testa allo schienale del divano e chiuse gli
occhi, concentrandosi
per ascoltare il programma che stavano trasmettendo in Tv, ma
improvvisamente,
una certa fiacchezza lo colse e sentì di star cominciando
pian piano ad entrare
nel mondo dei sogni.
Quando
le braccia di Morfeo stavano per coglierlo,
il campanello della porta lo destò di colpo e per poco non
lo fece balzare fino
al soffitto.
Maledisse
la zia Mandy che era già arrivata, se la
aspettava molto più tardi.
Si
alzò lentamente dal divano e andò alla porta,
sbattendo contro il tavolino di vetro e tirando imprecazioni.
“Entra
pure, Mandy”. Disse non appena aprì la porta,
girandosi subito dall’altra parte per tornare in salotto.
“Non
so chi sia questa Mandy, ma di sicuro io non
sono lei”. Disse, invece, una voce maschile dietro di lui.
“Blake?!”
esclamò Tyler sorpreso.
“Indovinato,
baby”.
“Scusa,
credevo fossi mia zia”.
“Sei
rimasto deluso?”
“No,
affatto!” esclamò il moro, sincero. In
realtà,
era contento che Blake fosse venuto. “Accomodati”.
Gli disse, tornando a
dirigersi in salotto. Qui inciampò di nuovo nel tavolino di
poco prima,
sbattendo forte il ginocchio. Questa volta, però, il mobile
l’aveva fatto
sbilanciare e così si era ritrovato a mulinare con le
braccia in avanti,
sentendo di stare per cadere.
Ciò però non successe perché Blake lo
aveva afferrato da dietro con le braccia
magre, circondandolo per la vita.
Riuscì
a rimettersi dritto e poi si girò verso il
rossino per ringraziarlo. Ma questi, non appena lo vide in volto,
sgranò gli
occhi ed esclamò: “Oh mio Dio!”
“Che
c’è?” chiese Tyler un po’
preoccupato.
“Tu…
tu hai degli occhi stupendi”.
“Eh?”
Blake
rimase imbambolato a fissare gli occhi
dell’altro, come incantato. Non aveva mai visto degli occhi
come quelli di
Tyler, erano azzurri, ma non un azzurro semplice. Erano come il cielo
in
estate, un cielo sereno e senza nuvole, mentre attorno alla pupilla
diventavano
sempre più chiari, assumendo tonalità di grigio.
Cristo,
Tyler, perché devi essere così bello?
“Davvero,
Tyler. Tu hai dei bellissimi occhi”.
Il
moro li abbassò leggermente, sentendosi in
imbarazzo. Blake, allora, lo lasciò andare, anche se avrebbe
voluto stringerlo
ancora tra le proprie braccia e magari baciarlo, ammirare ancora i suoi
occhi
che finalmente riusciva a vedere.
“Dovresti
farli vedere più spesso, anziché metterti
sempre gli occhiali. Sono davvero belli”.
“Ma
tanto non mi servono a niente”.
Tyler
sembrava essere diventato improvvisamente
malinconico, forse anche sul punto di piangere, ma in poco tempo
riuscì a
riscuotersi e a tornare come era di solito: duro e impenetrabile.
“Comunque,
posso offrirti qualcosa? Da bere? Da
mangiare?”
“No,
grazie. Piuttosto, vorrei vedere la tua stanza,
se posso”.
“Certo.
È di sopra”.
Il
moro lo condusse su per le scale a chiocciola,
mentre Blake gli stette dietro, attento che non si facesse male di
nuovo.
“Wow!
Non è male!” esclamò il rossino non
appena fu
entrato dentro. Tyler si buttò sul letto e vi si sedette
sopra a gambe
incrociate, aspettando che l’altro finisse di ammirare
l’ambiente.
Blake fu attirato da una fotografia incorniciata e appoggiata ad uno
scaffale
che rappresentava il moro da piccolo, più o meno doveva
avere dieci anni e lo
riconobbe per quei particolari occhi azzurri, abbracciato ad un uomo
piuttosto
alto, ma ancora abbastanza giovane. Erano seduti per terra, in un
giardino dal
prato verde e ben curato ed entrambi sorridevano
all’obbiettivo, anche il ragazzo
aveva un sorriso radioso, come Blake non gliel’aveva mai
visto fare.
“Chi
è quest’uomo che è con te nella
foto?” chiese a
Tyler, quello in versione più grande seduto sul letto.
“Mio
padre”. Rispose l’altro.
Blake
rimase ancora un po’ ad ammirare la foto, come
se fosse la cosa più bella o più straordinaria
che avesse mai visto. Ma,
improvvisamente, sentì una certa tristezza assalirlo.
“Ti somiglia. Avete gli
stessi occhi”.
“Mia
madre si ostina a tenermela in camera anche se
non posso vederla”.
“Be’,
è un bel gesto”.
Piombarono
entrambi in silenzio, Tyler perché non
sembrava voler aggiungere altro e Blake mettendosi a scorrere i titoli
dei
libri che riempivano le mensole sopra la scrivania. Ne prese uno in
mano e
cominciò a scorrere le pagine incuriosito.
“Che
strani questi libri”. Commentò, per poi
esclamare subito dopo. “Ma sono scritti in brail?!”
“Sì”.
“Wow!
Non ne avevo mai visto uno”.
“Adesso
puoi dire di averlo visto”.
“Li
hai letti tutti?”
“Alcuni
sì”.
“Chi
te lo ha insegnato?”
“Sono
andato in una scuola”.
“Scusa,
forse sto facendo troppe domande”. Disse poi
Blake, notando che Tyler sembrava rispondergli un po’
controvoglia, come se
fosse obbligato.
“No,
è tutto ok. Solo che… non mi piace parlare di
questo, tutto qui”. Fece l’altro, abbassando lo
sguardo.
Blake
ripose il libro e si appoggiò alla scrivania
guardandosi intorno, come se volesse evitare lo sguardo del moro.
“Senti,
Ty, ma io e te… siamo amici?” gli chiese un
po’ imbarazzato.
Tyler
assunse un’espressione perplessa. “Sì,
direi
di sì”.
Il
rossino, allora, sorrise a quella risposta. Se
non potevano stare insieme, almeno sarebbero stati amici. Anche se,
doveva
ammettere, non gli sarebbe stato semplice essere amico di qualcuno che
amava.
“E
ci possiamo raccontare tutto, quindi?”
“Blake,
se vuoi sapere qualcosa da me, basta che me
lo chiedi. Non servono tutti questi giri di parole”.
Sbottò, infine, Tyler che
aveva l’impressione di aver capito dove l’altro
volesse andare a parare.
“No,
no!” si affrettò a rispondergli Blake.
“E’ solo
che io… ti devo dire una cosa”.
“Dimmi”.
“Io
sono… ecco, io sono… sono…
gay”.
Tyler
rimase con gli occhi fissi al muro di fronte a
lui, senza cambiare espressione.
“Ok”.
Disse infine.
Blake
spalancò gli occhi. “Ok? Tutto qui?”
“Be’,
che altro dovrei dire? Se ti piacciono gli
uomini sono affari tuoi”.
“Ma
non ti dà fastidio?” Il rossino era leggermente
stupito, ma anche piuttosto sollevato.
“Perché
dovrebbe darmi fastidio? Mica mi salterai
addosso come un maniaco pervertito”.
Non
sai quanto ti sbagli, Tyler. Non faccio altro che desiderare di farlo
fin dal
primo momento che t’ho visto.
Il
rossino, allora, si sedette sul letto accanto al
moro e, senza che l’altro se lo fosse assolutamente
aspettato, lo abbracciò
forte.
“Blake!”
esclamò l’altro, trovandosi a soffocare
nella sua morsa d’acciaio.
“Grazie,
grazie, grazie…”. Cominciò a dire
l’altro,
senza lasciarlo andare. Tyler si ritrovò sdraiato sul letto
sotto il peso del
corpo di Blake che gli stava quasi sopra.
“E
per cosa?”
“Be’,
per avermi accettato per quello che sono”.
“E
come ti dovrei accettare se no? E
poi, anche tu mi stai accanto nonostante io
sia cieco”.
“La
cecità non è mica trasmissibile”.
“Nemmeno
la gaiezza”.
(NDA:
sei sicuro? ^^)
Blake
ridacchiò divertito e si rimise seduto. “Sai,
Tyler, sei divertente a volte”.
“Davvero?
Sei il primo che me lo dice”.
“Be’,
è vero”.
“Ma
i tuoi lo sanno? Che sei gay, intendo”.
“Sì,
lo sanno. All’inizio, quando gliel’ho detto,
erano rimasti un po’ scioccati, ma poi lo hanno
accettato”.
“E
i tuoi amici?”
“Lucy
è stata la prima a saperlo, praticamente
quando l’ho scoperto anche io. Ci conosciamo dalla prima
liceo. Ken, invece…
be’, diciamo che l’abbiamo scoperto insieme, di
essere gay”.
“Anche
lui è gay?!” questa volta sì che Tyler
parve
un po’ sorpreso.
“Sì.
Io e lui ci conosciamo da quando avevamo nove
anni”.
“Ma…
fra voi due c’è qualcosa?”
“Oh
no, no. Siamo solo amici, anzi, a volte è come
se fossimo gemelli, praticamente ci piacciono le stesse cose e ci
intendiamo
anche senza parole”.
“E’
bello avere un amico così”. Sospirò il
moro, un
po’ malinconicamente.
“E
tu? Ce l’hai?” gli chiese Blake con cautela,
temendo di fare un’altra domanda inappropriata.
Tyler
fece una smorfia. “No. Ho avuto parecchi amici
una volta, ma… diciamo che le persone ti stanno accanto solo
quando fa comodo a
loro. Le persone preferiscono non avere molto a che fare con me
perché pensano
che poi dovranno sempre starmi appresso e quelli che mi stanno vicini
di loro
spontanea volontà lo fanno perché li faccio
pena”.
Era
la prima volta che il ragazzo diceva qualcosa di
più su se stesso senza allusioni o giri di parole e Blake ne
rimase un po’
stupito. Però gli fece anche piacere che si stesse aprendo
con lui, da un lato
almeno, dall’altro, invece, venne di nuovo assalito dalla
tristezza.
Non era giusto, Tyler era un ragazzo fantastico che meritava di essere
accettato e di essere felice.
Perché felice non lo era, Blake l’aveva capito in
quel momento.
“Sai,
anche per me è difficile essere accettato
dagli altri. Oltre Ken, Lucy, i miei genitori e mia sorella
nessun’altro sa che
sono gay. I compagni a scuola credo lo sospettino perché io
sono uno di quelli
che si capisce subito che sono dell’altra sponda. Quindi,
preferiscono starmi alla
larga”.
Il
moro sospirò. “Non serve circondarsi di molte
persone. Ne bastano pochi, purché siano buoni”.
“Già”.
Cadde
di nuovo il silenzio, ma solo per pochi
secondi, poi fu Tyler il primo a interromperlo, cambiando totalmente
argomento.
“Hai una sorella?”
“Sì,
si chiama Susan, ha dodici anni ed è una
rompiscatole. Pensa che si guarda ancora High School Musical e le
piacciono i
Jonas Brothers”.
Il
moro ridacchiò. “Se le piacciono i musical le
consiglio di vedersi Mamma mia o Grease. Sono decisamente
meglio”.
“Tu
li hai visti?”
“Praticamente
guardo solo quelli o gli horror, visto
che mettono parecchie musiche e posso capire qualcosa”.
“Oh
già, immagino”. Disse Blake. “Io,
invece, gli
horror non li sopporto, mi mettono paura. Lucy li adora e a volte mi
costringe
a guardarli, ma poi sto sempre con la faccia coperta”.
“Basta
solo che pensi che si tratta soltanto di un
film”.
“E’
facile dirlo”. Il rossino si mise ad osservare
lo scaffale sopra il letto, notando che c’erano un sacco di
CD. “Ti piace
ascoltare la musica?”
“E’
praticamente una delle poche cose che riesco
ancora a fare”.
“Ti
piacciono tanto i Queen”.
“Già”.
“Oh
mio Dio!” esclamò Blake, improvvisamente,
saltando in piedi.
“Che
c’è adesso?”
“Non
ci credo! Anche tu leggi la saga di Connor
Jempsy?”
“Be’,
la leggevo. Non dirmi che piace anche a te?”
“Io
l’adoro! Me li sono riletti non so quante
volte”.
“Oh,
io sono arrivato al quarto libro e a metà del
quinto. Poi, sai… ho avuto questo piccolo problemino alla
vista e non sono più
potuto andare avanti. Mi hanno raccontato la storia, ma non nei minimi
dettagli”.
“Se
vuoi posso leggertelo io”. Si offrì Blake tutto
contento.
“Adesso?”
fece l’altro stupito.
“Sì,
a me non dispiace leggerli di nuovo e poi gli
ultimi sono quelli più belli”.
“Be’,
se hai così tanta voglia, va bene”.
Blake
si sdraiò nel
letto accanto al moro. “Abbiamo trovato una cosa in
comune”. Gli disse il
rossino prima di iniziare a leggere e l’altro sorrise,
preparandosi ad
ascoltare.
MILLY’S
SPACE
Ed
eccomi di nuovo qui con un altro capitolo bello lungo,
per compensare l’attesa.
Allora: nemmeno qui succede nulla d’interessante, a parte
Blake che svela a
Tyler di essere gay. E meno male che Ty l’ha presa bene ^^.
Una
piccola precisazione: la saga di Connor Jempsey l’ho
inventata io. In realtà inizialmente avevo pensato a Harry
Potter ma siccome la
storia è ambientata più o meno nel nostro periodo
e Tyler è rimasto cieco due
anni fa, avrebbe fatto a tempo benissimo a
finire di leggere tutta la saga ^^.
Dettaglio insignificante ma ci tenevo a dirvelo.
Scommetto però che
vi starete chiedendo
dove sono le foto che ho promesso l’altra volta ^^
ehehe… sì sì ci sono… se
andate sulla mia pagina Facebook
http://www.facebook.com/MillysSpace
sull’album
You are my sunshine le troverete : )
E
ricordatevi di lasciarmi qualche commentino.
Baci,
baci,
M.
FEDE15498:
secondo me le fotuzze sono belle, ma poi i gusti son gusti ^^ ma
preparati a
sbavare su Tyler ^^ Spero che ti sia piaciuto anche questo cappy e
fatti
risentire ^^.
E, mi raccomando, non sgobbare troppo sui libri o diventi gobba e cieca
come
Leopardi ^^
Un bacione, Milly.
|
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Capitolo 8 *** Capitolo otto ***
YOU ARE MY SUNSHINE
CAPITOLO OTTO
In
quelle ultime due settimane Blake era venuto
praticamente tutti i giorni a casa di Tyler, mattina, pomeriggio, sera,
poco
importava quando, tutte le volte che aveva del tempo libero, dopo il
lavoro e se
non doveva fare niente di importante, veniva a trovarlo e si mettevano
sempre
sul letto del moro a leggere il libro.
E stavano lì come minimo per un paio di ore, durante le
quali il rossino
riusciva a leggergli anche cinquanta pagine, mentre l’altro
stava ad ascoltarlo
sempre attento, preso sia dalla storia che dalla voce tranquilla e
pacata
dell’amico.
E dopo la lettura, capitava anche che uscissero a fare un giro, una
passeggiata
fino a qualche bar e un paio di volte era capitato pure che Blake si
fermasse a
cenare insieme a Tyler e Kelly.
Anche
quel pomeriggio, mentre il sole fuori
splendeva parecchio e faceva abbastanza caldo da trattenere tutti
quanti a casa
oppure da farli correre al mare, i due ragazzi se ne stavano nella
stanza del
moro, sdraiati sul letto, Blake a pancia in giù col sesto
libro della saga di Connor
Ramsey stretto tra le mani e Tyler disteso a pancia in su, le braccia
sotto la
testa e gli occhi chiusi come se dormisse, anche se in
realtà ascoltava.
Ad
un tratto, però, arrivato ad un punto, Blake
spostò un attimo lo sguardo dal libro e lo posò
sul ragazzo accanto a lui. E
rimase a fissarlo, con un sorrisetto e un’espressione
sognanti, soddisfacendo i
suoi occhi che forse non si sarebbero mai abituati alla sua bellezza.
Le gambe
lunghe che arrivavano fin quasi in fondo al letto, coperti da un paio
di jeans
scuri, la maglietta leggermente scollata che lasciava intravedere
qualche pettorale
e che scopriva le braccia forti, una mano poggiata sulla pancia che si
sollevava
e abbassava al ritmo del respiro, il viso dall’espressione
dura, le labbra
piene e morbide e il naso un po’ all’in su e alcune
ciocche di capelli che gli
scivolavano sugli occhi chiusi.
“Perché
ti sei fermato?” chiese improvvisamente
proprio il moro, senza aprire gli occhi né spostare un
muscolo. Probabilmente
aveva notato che Blake aveva smesso di leggere da un po’, ma
di certo non si
era accorto che l’aveva fatto per poter ammirare lui.
Il
rossino, dal canto suo, non disse niente,
sembrava essere talmente incantato che non si rendeva nemmeno conto di
dove si
trovasse, né che stesse facendo.
Si sollevò sulle ginocchia, si avvicinò al viso
di Tyler e, senza neanche
pensare alle conseguenze, probabilmente non era nemmeno del tutto
cosciente di
quello che stava per fare, posò le sue labbra sopra quelle
dell’altro,
catturandole in un bacio che non era assolutamente niente di
pretenzioso, ma
che fece per un attimo dimenticare a tutti e due dove si trovassero,
soprattutto a Blake.
Tyler, però, non lo respinse, forse era stato talmente colto
alla sprovvista
che non riusciva neanche a farlo o forse non aveva ben capito che
cos’era
successo.
Quando
poi Blake si staccò, restò a guardare
l’altro
dritto negli occhi azzurri che in quel momento erano spalancati, forse
per la
sorpresa.
Soltanto in quel momento si rese conto di quello che aveva
effettivamente fatto
e avvampò immediatamente di vergogna. Se avesse potuto, in
quel momento si
sarebbe scavato una fossa da solo e si sarebbe seppellito per uscirci
soltanto
fra qualche anno.
“Tyler,
io… io”. Iniziò il ragazzo, non sapendo
bene
né che dire né che fare. “Io devo
andare”. Concluse infine, con la cosa che gli
sembrava più ovvia. Si alzò frettolosamente dal
letto e si diresse alla porta.
“Blake!
Aspetta!” cercò di fermarlo l’altro,
messosi
seduto.
“Non
posso, Tyler, sul serio devo andare. Mi
dispiace”. E lanciando un’ultima occhiata ai suoi
occhi azzurri pieni di
confusione, uscì dalla stanza, chiedendosi pure lui se quel mi dispiace era per il fatto che se ne
doveva andare o per il bacio.
Forse
scappare a quel modo lasciando l’altro nella
confusione più totale non era stata una buona idea,
però… però doveva ammettere
che in quel momento non avrebbe avuto il coraggio di affrontarlo e fare
finta
di niente sarebbe stato ancora peggio.
In quel momento troppe cose gli vorticavano nella testa ed era troppo
agitato
per poter dire qualche cosa di sensato.
***
“Blake!
Ti vuoi dare una calmata?!” sbottò Lucy, ad
un tratto, perdendo tutta la sua pazienza. E se qualcuno riusciva a far
perdere
la pazienza alla calma e tranquilla Lucy, allora era veramente un caso
disperato.
Erano quattro giorni che Blake non faceva altro che piangersi addosso e
ripetersi quanto era stupido e tonto.
“Ma,
Lucy, come faccio? Ho combinato un casino
madornale!” Blake sbatté la testa contro il tavolo
e se la coprì con le
braccia.
“Be’,
l’hai solo baciato”.
“E
ti par poco?”
“Non
mi sembra che tu abbia commesso un reato
grave”.
Blake
sospirò pesantemente, forse presto si sarebbe
messo anche a piangere, mentre Lucy e Ken si sedevano accanto a lui,
uno da una
parte e l’altro dall’altra.
“Ascolta”.
Iniziò Ken, allora. “Sono già passati
quattro giorni e magari lui se ne è pure
dimenticato…”.
“Non
credo”. Lo contraddisse Blake con tono
sconsolato e rassegnato.
“Comunque
sia…”. Continuò a quel punto Lucy.
“Sono
passati quattro giorni senza che vi siate più sentiti e non
credi che si meriti
almeno una spiegazione?”
“E
che dovrei dirgli?”
“A
questo punto digli la verità. Digli che sei
innamorato di lui”. concluse Kenny.
“Ma
non posso! Rovinerei la nostra amicizia se gli
dicessi una cosa del genere. A lui non piacciono i maschi, tanto meno
gli
piaccio io”. Il rossino sembrava sempre più
disperato.
“E
cosa ne sai?!” provò a farlo ragionare
l’amica.
“Hai detto che non ti ha respinto. Magari il bacio gli
è piaciuto e di sicuro
questo non lo potrà ignorare”.
“Tu
dici?”
“Sì,
tesoro. Dovresti parlargli, chiarire la
situazione. Al limite, se lui non prova niente per te, potrete comunque
continuare ad essere amici. Sono sicura che col tempo la cotta per lui
ti
passerà”.
“Io
non credo. Lui è… lui è diverso da
tutti gli
altri con cui sono stato. È così… non
lo so, però… non mi piace solo perché
è
bello. Sento che in lui c’è molto di
più di quello che cerca di far apparire e…
vorrei conoscerlo, io vorrei che lui fosse mio”.
Lucy
gli sorrise teneramente e Ken gli spettinò i
capelli. Blake era proprio innamorato perso.
***
Tyler
si alzò lentamente dal letto e si trascinò
alla finestra per prendere un po’ d’aria.
Non
riusciva a dormire quella notte, anzi, erano già
circa quattro notti che non riusciva a dormire e quattro giorni che non
vedeva
e non sentiva Blake. Persino sua madre si era accorta che il ragazzo
era
sparito, ormai veniva talmente spesso a casa loro che era diventato
quasi uno di
famiglia. Quando, poi, gli aveva chiesto che fine avesse fatto, lui
aveva
dissimulato solo con un “Sarà
impegnato”.
E
in tutto quel tempo Tyler non aveva fatto altro
che pensare a lui e a quel bacio che si erano scambiati.
Perché sì, se lo erano
scambiati: Blake aveva preso l’iniziativa, ma lui non lo
aveva di certo
respinto e non perché fosse stato colto alla sprovvista, ma
perché non aveva
proprio voluto respingerlo. Gli aveva creato delle sensazioni
piacevoli, gli
aveva provocato brividi sulla schiena, gli aveva fatto battere forte il
cuore e
sentire le farfalle nello stomaco, il dolce sapore delle labbra di
Blake
l’aveva inebriato e, doveva ammetterlo, l’aveva
pure eccitato.
Quindi,
sì, quel bacio gli era piaciuto. E non poco.
Si
sedette sul davanzale della finestra ed inspirò
l’aria fresca dell’estate.
Aveva
un terribile bisogno di parlare con Blake, ma
non sapeva dove trovarlo né come contattarlo. Forse sarebbe
potuto andare al
locale dove lavorava.
Continuava
a pensarci in modo quasi maniacale e,
come se non bastasse, sentiva di avere bisogno di lui. E non poteva
ignorare
questi sentimenti, anche se era qualcosa di nuovo e strano per lui. Non
aveva
mai pensato che potesse essere gay, e forse non lo era, però
per Blake qualcosa
lo provava e non era semplice amicizia.
Inoltre, in qualche modo lo attraeva, l’odore della sua
pelle, per esempio, gli
era piaciuto quando lo aveva abbracciato quelle poche volte e in quel
momento
avrebbe tanto voluto trovarsi stretto fra le sue braccia. Questo doveva
pur
significare qualcosa, no?
In
realtà, poi, Blake lo aveva attratto fin
dall’inizio, per quel suo carattere così spontaneo
e sincero, allegro e
disponibile. Era un po’ l’opposto di lui e, se
n’era accorto soltanto in quegli
ultimi tempi, lo faceva stare bene come ormai non era stato
più dopo
l’incidente. Forse con lui avrebbe potuto ritrovare quella
felicità che aveva
perso.
Ma
in quel momento aveva una tale confusione in
testa che, se non riusciva a capire i propri sentimenti, figuriamoci se
avrebbe
potuto sapere che cosa voleva.
Voleva Blake, di questo ne era certo, ma… in che modo?
Amico
o amante?
***
Blake
prese un grosso respiro e si avvicinò alla
casa di Tyler.
Alla fine Lucy e Ken lo avevano convinto ad andare a parlargli, ma loro
non
potevano immaginarsi quanto coraggio gli ci era voluto.
Il
piccolo cancello di ferro era aperto, così il
ragazzo lo varcò quasi con cautela e il cuore gli
andò in gola non appena si
accorse che Tyler era proprio lì, a pochi passi da lui,
seduto sulla panchina
sotto al portico, le ginocchia piegate sul petto e i piedi scalzi, le
braccia
che circondavano le gambe e lo sguardo rivolto verso un punto di fronte
a lui
che non riusciva a vedere. Ma sembrava piuttosto triste, o forse solo
pensieroso.
Doveva anche essersi appena fatto una doccia, visto che indossava solo
dei
semplici pantaloni di una tuta e una canotta blu scuro e aveva i
capelli scuri
un po’ umidi.
Il
rossino si incamminò con passo felpato, come se
non volesse svegliare qualcuno che dormiva e raggiunse il portico,
rimanendo
sulla soglia. Tyler sembrava non averlo sentito, visto che non si mosse
né
disse niente.
“Tyler?”
lo chiamò allora, cercando di tenere la
voce il più ferma possibile.
L’altro
sobbalzò. “Blake?”
Blake
salì i due scalini che aveva davanti e fece
cigolare le scarpe sul pavimento di legno.
“Dove
sei?” gli chiese il moro, senza spostare lo
sguardo.
“Qui”.
Gli rispose l’altro, sedendosi immediatamente
sulla panchina, accanto a lui. “Ascolta, Tyler”.
Disse allora, raccogliendo
tutto il coraggio che riuscì a trovare. “Non so
che mi sia successo quando ti
ho baciato, mi sono semplicemente lasciato guidare
dall’istinto. È solo che…
che tu mi piaci e tanto, mi sei piaciuto fin dal primo momento che ti
ho
visto”. Gli prese la mano e lo guardò dritto in
viso, mentre Tyler continuò a
tenere gli occhi puntati davanti a sé. “Io sono
innamorato di te e… e ora non
so che fare. Non so che fare perché sicuramente ho rovinato
la nostra amicizia
e questo mi dispiace un sacco…”.
“Baciami!”
lo interruppe, allora, l’altro.
Blake
spalancò gli occhi. Forse non aveva capito
bene. “Che cosa?”
“Baciami”.
Ripeté Tyler, girando finalmente il volto
nella sua direzione. “Voglio che mi baci, di
nuovo”.
“Ma…”.
“Stai
zitto e baciami”.
Non
se lo fece ripetere un’altra volta. Gli prese il
viso tra le mani e lo baciò. E questa volta fu un bacio
vero, dato con la
lingua e con passione. Nessuno dei due si tirò indietro,
rimasero lì a baciarsi
finché non ebbero bisogno di riprendere fiato. E anche
allora continuarono a
coccolarsi, ad accarezzarsi, Tyler scivolò con la lingua sul
collo di Blake,
forse per assaporare meglio il suo odore, mentre Blake si spinse contro
il
corpo di Tyler cercando di averne un maggior contatto. E poi ripresero
di nuovo
a baciarsi.
Continuarono
così per un po’, finché non si
calmarono e rimasero semplicemente seduti, Tyler appoggiato al petto di
Blake e
Blake con un braccio attorno alle spalle di Tyler.
“E
adesso?” fece il rossino, interrompendo il
silenzio nel quale erano precipitati.
“E
adesso voglio soltanto godermi questo momento”.
“Ma
anche tu sei… sì, insomma, sei gay?”
“No”.
Rispose il moro in un primo impulso, ma
immediatamente dopo cercò di correggersi.
“Cioè… non lo ero prima di conoscerti.
Insomma, non lo so nemmeno io. Il fatto è che anche tu mi
piaci, credo e… non
lo so. Mi fai star bene”.
“Ma
quando mi hai baciato…”.
“Era
perché ti volevo baciare”.
“Ma
noi adesso siamo… cioè… stiamo
insieme?”
“Se
tu lo vuoi sì”.
“E
tu lo vuoi?”
“Be’…
perché no?”
Blake
sorrise felice e diede un altro bacio a Tyler.
Questi si lasciò andare contro di lui, rilassato e con una
piacevole sensazione
addosso.
Non aveva idea di come le cose sarebbero andate da lì in
poi, non sapeva se
tutta quella storia aveva un senso o se avrebbe avuto un futuro, per le
coppie
omosessuali non era mai facile, ma… in quel momento tutti
quei se e quei ma
non gli interessavano. Sapeva solo che stava bene e che Blake
era ciò che voleva.
E questo gli bastava.
Al
diavolo tutto il
resto.
MILLY’S
SPACE
Eccovi
un nuovo aggiornamento, finché ho tempo ne
approfitto ^^
Sono
però un po’ delusa, insomma, neanche un recensione
:
( mi rendete triste, ragazzi. Almeno le foto potevate commentarle o
quantomeno
mettere mi piace.
Le recensioni servono molto, sapete? U.U
Va
be’, non sto a rompervi tanto.
Vi
rinvito a mettere mi piace alla mia pagina facebook e
se avete tempo e voglia date un’occhiata al nuovo forum che
ho creato: http://111.forumcommunity.net/
Baci
: )
M.
|
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Capitolo 9 *** Capitolo nove ***
YOU ARE MY SUNSHINE
CAPITOLO NOVE
“Ehi!
Ti va se andiamo a farci un giro sulla
spiaggia?” propose Blake ad un certo punto, con voce
squillante, girandosi
verso Tyler.
Il
moro sbadigliò. “D’accordo. Anche
perché qui
rischio di addormentarmi”.
I
due ragazzi si alzarono dal letto, Blake ripose il
libro che fino a quel momento stava leggendo e Tyler fece per prendere
il suo
bastone bianco ma, non appena lo afferrò, l’altro
gli bloccò la mano.
“Aspetta.
Ti fidi di me?”
“Sì”.
Rispose il moro senza neanche pensarci.
“Allora
lascialo a casa. Ti guido io”.
Tyler
sorrise fra sé e sé. Non poteva negare che la
cosa gli faceva molto piacere.
Arrivati
al piano di sotto, avvisarono Kelly e si
fiondarono subito fuori per salire sulla moto di Blake e partire in
direzione
della spiaggia, Tyler abbracciato al rossino proprio come quella volta
che
erano andati alla festa di Lucy. Solo che questa volta poté
godersi la
consistenza del suo
corpo senza doversi
preoccupare di trattenere i propri impulsi.
Quando
raggiunsero la spiaggia, Blake spense la moto
e subito dopo si girò verso Tyler.
“Ti
andrebbe di fare una cosa?” gli chiese.
“Che
cosa?”
“Hai
mai guidato una moto?”
“Sì,
quando avevo quattordici anni”.
“E
ti andrebbe di riprovare?”
Il
moro strabuzzò gli occhi. “Qui? Adesso?”
“Sì”.
Gli rispose Blake come se avesse detto la cosa
più ovvia del mondo.
“Ma,
Blake, io…”. Tyler non capiva come una cosa del
genere potesse essergli saltata alla mente. O era uno che amava il
rischio, ma
non gli dava proprio questa impressione, oppure era terribilmente
masochista.
Insomma, far guidare lui…
“Non
c’è nessuno qui, la strada è quasi del
tutto
dritta e io ti dirò dove andare. Ci facciamo solo un giro
sulla spiaggia,
niente di più”.
Tyler
parve un po’ perplesso e rimase un attimo a
pensare. Era un po’ pericoloso, forse,
però… non era così impossibile. E gli
sarebbe piaciuto poter guidare di nuovo. Ma perché Blake lo
faceva? Per farlo
sentire normale almeno per un po’? O per
qualcos’altro che lui non riusciva a
capire?
“Sei
sicuro di volerlo fare?” gli chiese, poi.
“Certo.
Per te farei qualsiasi cosa”. Rispose Blake
sinceramente e con una voce assolutamente naturale, come se avesse
appena detto
che per cena voleva mangiare gli spaghetti.
Al
moro, allora, iniziò a battere forte il cuore, ma
alla fine si convinse anche lui e, con un po’ di agitazione,
salì davanti sulla
moto e mise le mani sul manubrio.
Fece partire la moto, all’inizio piuttosto lentamente, ma
poi, acquisita più
pratica e anche più coraggio, aumentò la
velocità e cominciò ad andare
abbastanza spedito.
Blake gli disse solo un paio di volte di girare il manubrio
perché non
finissero in acqua, era lui chiaramente che teneva gli occhi fissi alla
strada,
ma era anche abbastanza rilassato. Voleva soltanto che Tyler si
sentisse normale
per un po’, voleva fare tutto ciò che poteva per
renderlo felice.
Fecero
un paio di giri e, quando finalmente si
fermarono, Tyler si scoprì a tremare ancora leggermente, sia
per l’emozione che
per l’agitazione, ma un po’anche per
l’adrenalina che ormai stava andando via.
“Allora,
ti è piaciuto?” chiese Blake, voltandosi verso
il suo ragazzo.
“E
come potrebbe non essermi piaciuto? Grazie
Blake”. Gli rispose l’altro con un sorrisino
sghembo a decorargli le labbra.
Il rossino, allora, si sollevò sulle punte delle scarpe da
ginnastiche per
raggiungere le labbra di Tyler e gli diede un bacio a sorpresa,
circondandogli
il collo con le braccia. Il moro, invece, abbassò
leggermente il capo per
colmare quella evidente differenza di altezza e ricambiò il
bacio, stringendo
forte a sé il ragazzo e facendolo cozzare contro il proprio
petto.
Non c’era nessuno che poteva vederli, erano solo loro due, ma
probabilmente,
anche se ci fosse stato qualcun altro, se ne sarebbero fregati.
Quando
si staccarono, con un po’ di malavoglia, si
avvicinarono alla riva tenendosi per mano e si sedettero sulla sabbia,
Blake
appoggiato alla spalla di Tyler e l’altro a circondargli la
vita con un
braccio, proprio di fronte al mare, col sole che tramontava e dipingeva
il
cielo coi colori del fuoco.
Era
proprio un panorama stupendo, a Blake dispiacque
che Tyler non se lo potesse godere, perciò non fece alcun
commento.
“Sai,
quando ero piccolo…”. Iniziò il moro ad
un
tratto e l’altro
sobbalzò leggermente.
“… mio padre mi portava tutte le estati in
campeggio al lago. Partivamo la
mattina presto, ci portavamo qualcosa da mangiare, i sacchi a pelo e la
tenda.
Facevamo il bagno, pescavamo anche per ore e poi, la sera, mangiavamo
il pesce
che avevamo preso. La notte, invece, prima di andare a dormire, ci
sdraiavamo
per terra e ci mettevamo a guardare le stelle. Facevamo sempre a gare
su chi
riusciva a contarne di più, oppure a chi riusciva a vedere
più stelle cadenti.
Mi ricordo che una volta io ero riuscito a catturare un pesce enorme,
ma era
talmente pesante e grande che lui mi aveva dovuto aiutare a tirare la
canna e
per poco non eravamo finiti entrambi in acqua”. Blake
ridacchiò immaginandosi
la scena, ma immediatamente si accorse che, invece, Tyler sembrava
piuttosto
malinconico e continuava a tenere gli occhi fissi sul mare.
“Alla fine, però,
siamo riusciti a prenderlo e l’abbiamo arrostito sul fuoco.
Non ne avevamo
avanzato neanche un pezzo. E quello era stato l’ultimo
campeggio che abbiamo fatto”.
Smise
di parlare e cadde un silenzio un po’ pesante,
piuttosto malinconico. Passò qualche secondo e Blake
pensò che l’altro non
avrebbe aggiunto più niente. Forse avrebbe dovuto dire lui
qualcosa, ma non
trovava le parole, magari quello era uno di quei momenti in cui si
doveva
restare semplicemente in silenzio.
“Lo
so che muori dalla voglia di chiedermelo”. Fece
di nuovo Tyler. Forse pure lui cominciava ad essere stanco di stare
sempre in
silenzio, forse aveva bisogno di sfogarsi ma per tutto quel tempo aveva
soltanto cercato la persona giusta con cui farlo.
“Che
cosa?”
“Lo
sai benissimo che cosa”.
Sì,
Blake lo sapeva benissimo. C’erano un po’ di
cose che voleva chiedergli e già da parecchio, ma fino a
quel momento si era
sempre trattenuto. Adesso, magari, poteva soddisfare la sua
curiosità. Che,
poi, non era semplice curiosità, ma anche desiderio di
conoscere di più Tyler,
il suo ragazzo.
“Che
è successo a tuo padre?”
Il
moro attese un attimo prima di rispondere, come
se dovesse trovare il coraggio. “E’ morto in un
incidente esattamente due anni
fa, lo stesso incidente d’auto in cui io ho perso la
vista”.
Blake,
allora, si staccò dalla sua spalla e si mise
seduto, voltando lo sguardo verso di lui e guardandolo quasi scioccato.
Era
successo solo due anni fa?
“Quel
giorno eravamo andati a vedere una partita di
basket in un posto che era ad un’ora di distanza da casa
nostra. Quando stavamo
tornando, era già notte fonda, però noi due non
eravamo stanchi. In macchina ci
siamo divertiti a commentare la partita e a raccontarci altre cose
divertenti.
Eravamo in una strada poco illuminata, ma ad un certo punto abbiamo
visto dei
fari piuttosto forti venirci incontro. Mio padre aveva capito che si
trattava
di un’altra macchina che guidava in senso opposto, ma quando
aveva tentato di
sterzare ormai era troppo tardi. L’altra auto ci è
venuta addosso e io e mio
padre ci siamo praticamente trovati a testa in giù. Lui era
svenuto, io,
invece… io ero sveglio, ma non capivo bene che cosa fosse
successo. Avevo un
terribile mal di testa e volevo soltanto poter dormire. E
poi… l’ultima cosa
che ricordo furono le sirene dell’ambulanza che venivano a
soccorrerci”.
Durante
tutto il discorso non aveva assolutamente
spostato lo sguardo e aveva praticamente parlato con un tono talmente
inespressivo che sembrava stesse raccontando la storia di qualcun
altro.
Ma Blake aveva capito che invece stava soffrendo molto di
più di quanto non volesse
dare a vedere. Se non avesse avuto quel carattere così
orgoglioso e duro,
probabilmente avrebbe anche lasciato andare le lacrime che gli
rendevano lucidi
gli occhi.
“In
seguito ho scoperto che il tizio che ci era
venuto addosso con l’auto era ubriaco e che mio padre era
morto sul colpo. Io,
invece, ero stato in coma per qualche giorno e quando mi sono
svegliato… non
vedevo più niente a causa di un’emorragia
cerebrale. E quando ho scoperto che
non ci avrei mai più rivisto e che non avrei più
avuto accanto mio padre ho
sentito come se l’intero mondo mi fosse crollato addosso.
Quando, poi, sono
tornato a casa dall’ospedale sono stato a letto per un mese,
una parte del
tempo la passavo a dormire e l’altra a piangere. Non volevo
né mangiare né
alzarmi se non per andare in bagno. Continuavo a sperare che fosse
tutto
soltanto un brutto incubo, che mi sarei risvegliato e che avrei
scoperto di
vederci ancora e che mio padre mi avrebbe aspettato a tavola con la
colazione.
E quando, poi, mi accorgevo che, invece, non sarebbe stato
così mai più, avevo
voglia di spaccare tutto e davo la colpa a lui per
quell’incidente, perché era
morto e perché io ero rimasto cieco. Ma sapevo che in
realtà non era stato lui,
che quel tizio ubriaco ci era venuto addosso, allora mi sentivo in
colpa io per
averla data a mio padre e desideravo soltanto che lui fosse ancora
accanto a
me. Non m’importava se io ero rimasto cieco, volevo soltanto
che lui fosse
ancora vivo”.
Adesso
era Blake che si stava per mettere a
piangere. Aveva ascoltato tutto quel discorso senza emettere fiato,
sentendosi
sempre più peggio. Capiva quanto male doveva essersi sentito
Tyler, quanto
aveva sofferto.
Se fosse stato al posto suo… oddio, non riusciva nemmeno ad
immaginare che
avrebbe fatto.
“Allora
ho anche desiderato raggiungerlo, ho
desiderato morire pure io e non sai quante volte ci ho pensato, al
suicidio. Una
volta ci ho pure provato: ho preso delle forbici e volevo tagliarmi le
vene. Ti
giuro, ero lì… Ma mia madre mi ha beccato. Credo
di averle fatto perdere
vent’anni di vita. E ancora oggi ho gli incubi su quella
notte, mi risveglio di
colpo sudato e con un’incredibile voglia di piangere. Oppure
sogno
qualcos’altro, sogni in cui riesco ancora a vedere
e… quando mi risveglio ho
voglia di piangere ancora di più”.
Quando
finì di parlare, abbassò lo sguardo e si
passò una mano sugli occhi.
Blake, invece, si sforzava di non scoppiare a piangere.
“Dio,
Tyler… mi… mi dispiace.
Io…”. Bofonchiò, ma
non aveva idea di che cosa poteva dire.
“Fa
niente. Ormai è passato. È andata così
e ora è
inutile piangersi addosso”.
“Sì,
ma…”.
“Possiamo
tornare a casa?” lo interruppe il ragazzo,
alzandosi di scatto in piedi. A quanto pareva, non voleva sentire alcun
commento su quella storia. Era già stato doloroso per lui
riviverla.
Blake,
allora, non aggiunse altro. Si alzò anche lui
e insieme raggiunsero la moto per tornare a casa di Tyler.
Una
volta arrivati, il rossino accompagnò il ragazzo
fin nella sua stanza, anche perché aveva dimenticato di
prendere il libro e
decise che era ora che lui tornasse a casa.
“Ty,
io dovrei andare adesso”.
Tyler
però non gli rispose. Era rimasto appoggiato al
muro accanto al letto, con la testa piegata in avanti, così
l’altro non
riusciva a vedergli bene il viso. Riusciva, però, a vedere
che stava tremando,
come se fosse scosso da… dei singhiozzi?
“Tyler?”
lo chiamò, avvicinandoglisi. In quel
momento, allora, si accorse che stava piangendo. Il suo volto era
rigato di copiose
lacrime che non si preoccupava nemmeno di nascondere.
“Oddio!
Vieni qui, tesoro”. gli sussurrò il rossino,
abbracciandolo e sedendosi sul letto.
Il
moro affondò il viso nella sua maglietta e si
lasciò andare ad un pianto quasi disperato. Blake lo strinse
forte a sé e prese
ad accarezzarlo e coccolarlo, lasciandolo sfogare. Aveva capito che il
ragazzo
aveva bisogno soltanto di sfogarsi, probabilmente non aveva ancora
finito di
versare tutte le lacrime dopo quell’incidente. Aveva capito
che quel suo
carattere così duro e impenetrabile era soltanto una corazza
che si era
costruito per non apparire debole o vulnerabile. Voleva mostrare agli
altri che
non gli importava, che gli andava bene così.
Ma,
in realtà, dentro di lui soffriva… troppo.
“E’
successo oggi. Oggi
è l’anniversario della morte di mio
padre”.
MILLY’S
SPACE
Eh
lo so, è da un po’ che non aggiorno… ma
i giorni prima
delle vacanze di Natale sono state un delirio…
l’altro giorno comunque, sulla
mia pagina, vi avevo promesso che aggiornavo qualcosa… ed
eccomi qui, alle 4 di
mattina davanti al pc a soddisfare i miei lettori ^^ ditemi che non
sono una
fantastica scrittrice ^^
Ahaha,
no ok, è che semplicemente non riesco a dormire… mi succede sempre durante
le vacanze: mi alzo
alle dodici e mi addormento alle cinque…
Va
be’, che ci possiamo fare??
Comunque,
una piccola precisazione sul capitolo: la scena
in cui Blake fa guidare la moto a Ty in realtà lo fregata a
un’altra mia
storiella (La luce dei miei occhi). Se qualcuno di voi l’ha
letta probabilmente
se ne sarà accorto ^^.
Detto
questo vi lascio, sicuramente non vi interessano i
miei sproloqui…
Vi
invito però a lasciarmi qualche recensione, anche
piccola piccola, così da sapere che cosa ne pensate di
questa storia e di
questo capitolo un po’ malinconico rispetto agli
altri…
Nei
prossimi giorni dovrebbe arrivare anche l’aggiornamento
di qualche altra fic…
Oh
e naturalmente non dimenticatevi di cliccare un mi
piace alla mia pagina facebook dove potrete vedere anche le foto dei
personaggi
di questa storia : )
Un
bacione,
Milly.
P.S.
e non abbuffatevi troppo coi panettoni, mi
raccomando ; )
Link
alla pagina : http://www.facebook.com/MillysSpace
STEFANMN:
eehi
: ) ho letto tutte le tue recensioni… grazie mille, sei
sempre fedelissimo…
come un cagnolino ^^ sono contenta che ti sia piaciuto lo scorso
capitolo… cosa
ne pensi di questo, invece?? Comunque non ti preoccupare…
sì, sono piuttosto
sadica perché mi piace far soffrire i miei pg ma penso che
Tyler abbia già
sofferto abbastanza… direi che un po’ di
felicità gliela possiamo regalare, no?
Bene dai, fatti risentire, mi raccomando : ) un bacione e vai a vederti
le foto
^^
FEDE15498:
ehi bella : ) grazie mille per la recensione, mi è piaciuta
un sacco… e scusami
se ti ho fatta attendere molto, spero mi potrai perdonare…
concerto degli one
direction?? No, mia cara, Milly non approva u.u e nemmeno Tyler e no,
neanche
Blake u.u ahaha, no scherzo ^^ allora, tornando alla storia…
oddio, non so,
pure io ho adorato la parte in cui Tyler dice a Blake: “Stai
zitto e baciami”. Lo
trovo così… così… boh, non
so… dolce ^^ ahaha, mi faccio i complimenti da
sola…
eh, sarà per l’ora credo, sto
delirando… figurati che non so più nemmeno che
cosa sto scrivendo… ok, la smetto di romperti che
è meglio… fammi magari sapere
che cosa ne pensi di questo capitolo e cerca di non
dimenticartelo… e guarda
che non ti cadono le dita se recensisci subito ^^
Un bacione, Milly.
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Capitolo 10 *** Capitolo dieci ***
YOU ARE MY SUNSHINE
CAPITOLO DIECI
Tyler
non riusciva a dormire. Era da un po’ ormai
che se ne stava disteso sul letto, gli occhi aperti fissi ad un
soffitto che
non poteva vedere.
Continuava a ripensare alla giornata appena trascorsa in spiaggia con
Blake.
Era stata bellissima, gli aveva fatto guidare la moto, aveva potuto
sentire di
nuovo il vento scorrergli tra i capelli, sentirsi di nuovo normale
almeno per
un po’.
Il fatto di essere cieco gli pesava un sacco, non lo faceva vedere ma
era così.
Aveva dovuto rinunciare a molte cose, al basket ad esempio: era sempre
stato il
suo sport preferito, con suo padre ci giocava fin da quando era piccolo
e gli
ripeteva spesso che era un campione. E Tyler si sentiva un campione,
era bravo
e lo sapeva bene. Gli piaceva anche leggere, da bambino sua madre gli
regalava
spesso dei libri e lui li divorava in poco tempo. E ora aveva dovuto
rinunciare
anche a quello. I libri in breil
non
gli piacevano e men che meno gli audiolibri.
Per non parlare, poi, che per alcune cose aveva ancora bisogno di
aiuto.
Tutto
per colpa di quel giorno, quel giorno in cui
era andato tutto a puttane.
E lui di certo non poteva cambiare le cose.
Aveva
pregato tutti gli dei del mondo, di tutte le
religioni, aveva supplicato anche il suo angelo custode nel quale non
credeva,
ci aveva messo di mezzo pure i santi, madre natura e qualsiasi cosa gli
fosse
venuta in mente ma non era servito niente.
Cieco
era diventato e cieco sarebbe rimasto. E aveva
tanta voglia di spaccare il muro.
Sua
madre pensava che lì le cose sarebbero un po’
migliorate, che magari lui si sarebbe sentito meglio, che si sarebbe
aperto un
po’ di più. Non glielo aveva detto ma lui
l’aveva capito.
Ma Tyler ormai si era rassegnato. Niente sarebbe più tornato
come una volta.
Però
c’era Blake adesso. Blake era un ragazzo così
carino, simpatico, dolce, spontaneo e sincero. Aveva accettato il suo
problema
senza farne drammi, come se si fosse trattato di una cosa di poco
conto.
Ma non era certo una cosa di poco conto, non per Tyler almeno.
E,
quindi, non poteva fare a meno di pensare che
Blake fosse quel piccolo barlume di luce di cui aveva bisogno.
Ed era il suo ragazzo. Brividi strani lo percorsero a questo pensiero.
Era
strano, non credeva si sarebbe mai messo con un ragazzo. Anzi, in
verità non
aveva mai pensato molto a questo, non era uno a cui interessavano molto
nemmeno
le ragazze.
Però era bello, gli piaceva farsi coccolare da Blake,
baciarlo, sentire le sue
mani su di lui…
Non
sapeva quanto sarebbe durata, ma sperava che
durasse.
Improvvisamente
sentì la porta della sua stanza
cigolare e dei leggeri passi muoversi sulla moquette.
“Tesoro,
sei sveglio?”
“Sì,
mamma”.
“Stai
bene?”
“Certo”.
“Non
riesco a dormire”.
“Nemmeno
io”.
Nel
buio della stanza la donna si avvicinò al letto
di Tyler e si sdraiò accanto a lui. Lui le
circondò le spalle con un braccio e
lei appoggiò la testa sul suo petto muscoloso. Sembrava che
fosse lei la bimba
piccola e lui il padre che la doveva proteggere.
“Ho
raccontato tutto a Blake”. Sbottò ad un certo
punto il ragazzo.
Kelly
alzò lo sguardo osservando il suo viso duro e
serio.
“Proprio
tutto?”
“Sì”.
Non le disse che però si era messo a piangere
come un bambino. Un po’ iniziava a turbarlo questo fatto e
cominciava a credere
che non fosse stata una buona idea aver raccontato tutto a Blake. Forse
era
troppo presto.
Ma lui aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno e Blake…
be’, Blake gli sembrava
la persona giusta.
“Mamma,
ti ricordi quella volta che… che ho tentato
di… sì, insomma…”.
“Sì,
me lo ricordo”. Lo interruppe la donna, capendo
che cosa Tyler non riusciva a dire. Quella era una cosa che non avrebbe
mai
dimenticato, aveva ancora impressa nella mente l’immagine di
Tyler che, con un
paio di forbici, si incideva i polsi.
“Non
ti ho mai chiesto scusa”. Le disse lui.
“Non
mi devi chiedere scusa”.
“Sì,
invece… ti ho spaventata. Mi dispiace, non
dovevo farlo… tu…”.
“Ho
capito, tesoro. Posso capire come ti sentivi,
avevi solo quindici anni e… anch’io se fossi stata
al tuo posto credo che…”.
Tyler
sospirò. Voleva un immenso bene a sua madre,
lei aveva fatto tutto ciò che aveva potuto per lui in quegli
ultimi due anni,
sebbene non sia stato facile nemmeno per lei.
“Ti
voglio bene, mamma”.
“Anche
io, Ty. Anche io”.
E,
abbracciati così, si addormentarono.
***
Quel
giorno Tyler e Blake avevano deciso di andare a
vedere gli allenamenti di tennis di Lucy. Oltre a tutti gli sport
acquatici che
praticava, aveva aggiunto pure quello. Non si poteva certo dire che non
si
tenesse in forma.
Si
stava allenando insieme ad Emily Tanen, nel
momento in cui i due ragazzi arrivarono, ed era proprio la bionda ad
avere la
meglio.
La divisa di Emily non la tradiva di certo, con una gonnellina bianca
corta e
una magliettina piuttosto attillata, i capelli raccolti in due lunghe
trecce
che le scendevano ai lati. Invece Lucy era decisamente più
pratica, con dei
pantaloncini aderenti e corti, una semplice maglietta a maniche corte e
una
fascia e tenerle lontani i capelli dal viso.
Di certo lei non avrebbe mai indossato una gonna, tanto meno mentre
praticava
uno sport.
Non
appena finirono, le due ragazze vennero loro
incontro e li salutarono. Emily era felicissima di vedere Tyler, un
po’ meno
nel vedere Blake, però.
Decisero
di farsi una passeggiata lungo il campo, ma
alla fine si sedettero su una panchina di fronte a quello da basket.
Era un
piccolo campetto con due canestri ai lati, creato per i ragazzi che
volevano
farsi qualche partitina o allenarsi un po’. Nel mezzo
c’era una palla
abbandonata.
Rimasero
lì qualche minuto a chiacchierare e a
ridere, poi Blake si alzò per andare nel campo.
Afferrò la palla e prese a
palleggiarla, ma non era molto esperto. Provò a tirare a
canestro ma fallì
miseramente, la palla non lo sfiorò nemmeno.
Emily
e Lucy lo fischiarono divertite.
Il
ragazzo mostrò loro una boccaccia e ci riprovò.
“Rinuncia,
Blake, non riuscirai mai a fare
canestro”.
“Questo
lo dici tu”.
Al
terzo tentativo fallito, il rossino sbuffò.
“Devi
tenere gli occhi sul canestro finché tiri la
palla”. Gli disse allora Tyler dalla panchina.
“Anzi, concentra lo sguardo sul
quadrato che c’è sopra e fai un piccolo salto
quando tiri la palla”.
Blake
lo ascoltò attentamente, ma non era convinto
che ci sarebbe riuscito. Lui e l’attività fisica
non andavano molto d’accordo.
“Perché
non me lo fai vedere tu?” chiese al moro
allora, avvicinandoglisi.
“Cosa?”
“Dai!”
il rossino lo prese per una mano e lo
trascinò in campo senza che l’altro avesse il
tempo di dire qualcosa. Lo piazzò
di fronte al canestro e gli diede la palla. “Forza fammi
vedere!”
Tyler
sospirò ma alla fine si arrese. “Allora, le
gambe devono essere un po’ distanziate l’una
dall’altra, le ginocchia
leggermente piegate e le mani con le dita ben aperte sulla palla. Gli
occhi
fissi al canestro. Quando tiri la palla allunghi le ginocchia per fare
un
piccolo saltello”.
Il
ragazzo fece tutto quello che aveva detto e tirò
la palla, confidando già che non avrebbe centrato il
canestro.
Gli altri, però, rimasero zitti.
“Che
è successo?” chiese, allora, Tyler scettico.
“Succede
che hai fatto canestro”.
“Davvero?!”
esclamò sorpreso con un piccolo
sorrisetto sulle labbra.
Allora
anche le due ragazze sedute sulla panchina
cominciarono ad applaudire e a gridare “Bravo,
Tyler!”
“Giocavi
a basket?” chiese all’improvviso Emily, non
sapendo che andava a toccare un tasto dolente.
“Sì,
ci giocavo quando ero piccolo con mio padre. A
quattordici anni ero entrato nella squadra della scuola, ma
poi… be’, ho dovuto
mollare”.
Blake
abbassò lo sguardo, capendo benissimo perché
Tyler aveva dovuto mollare lo sport che gli piaceva.
“Eri
bravo?” chiese ancora Emily. Ma perché non
stava mai zitta quella ragazza?
“Ero
uno dei migliori”.
Blake,
non volendo che il ragazzo ricordasse momenti
tristi, prese in mano la situazione e gli rubò la palla
dalle mani.
“Prova
a prenderla!” gridò divertito al moro. Tyler
non se lo fece ripetere due volte e si aggrappò alla sua
maglietta,
sovrastandolo con la sua altezza. Ma Blake teneva la palla stretta al
petto e
non la mollava.
Alla
fine cascarono entrambi per terra, distesi
sull’asfalto del campo a tenersi la pancia dal ridere. Quando
si calmarono,
Blake salì cavalcioni
sopra a Tyler e
rimase un attimo a guardarlo negli occhi azzurri.
Infine lo baciò e rimasero a baciarsi per un po’,
ignari del fatto che potesse
vederli qualcuno.
Come
Emily, ad esempio: seduta sulla panchina un po’
più distante da loro non capì subito che cosa
stessero facendo, ma quando lo
realizzò, sgranò gli occhi.
Lucy,
accanto a lei, ridacchiò.
“Be’,
di che ti stupisci?” le chiese.
“Ma
io… non… io…”. Non sapeva
che dire. Era
sorpresa, sì. Sapeva che Blake era gay, glielo aveva detto
lui stesso, ma non
si aspettava che lo fosse anche Tyler. Lui era così figo,
così forte… era uno
spreco. E poi, come poteva stare con uno come Blake? Certo Blake non
era
brutto, ma era così… così…
effeminato.
Forse
era più delusa che sorpresa.
***
Blake
parcheggiò la moto nel cortile di casa sua e
aiutò Tyler a scendere.
“Benvenuto
nella mia modesta dimora”. Disse il
rossino sorridendo.
“Wow!
E’ meravigliosa!” scherzò Tyler, senza
lasciare la mano dell’altro.
I
due fecero per avviarsi, quando, improvvisamente,
una voce squillante e spaccatimpani si mise ad urlare.
“Blaaaaaaaakeeeeeee!!!”
Il
ragazzo si voltò nella direzione dalla quale
proveniva la voce e, non appena vide una ragazzina un po’
bassetta con un
vestitino svolazzante corrergli incontro, esalò un sospiro
di frustrazione e
rassegnazione.
“Preparati
a sorbirti l’uragano di mia sorella”.
Tyler
ridacchiò e subito dopo percepì una presenza
davanti a loro.
“Ciao,
Blake!” salutò Susan, non appena li
raggiunse. Poi spostò lo sguardo sul moro che teneva la mano
a suo fratello. “Tu
sei il nuovo fidanzato di mio fratello?”
gli chiese e Blake arrossì fino alla radice dei capelli. Non
capiva perché ma
gli faceva ancora strano concepire Tyler come il suo fidanzato.
Il
moro, dal canto suo, mostrò un sorriso sghembo e
del tutto rilassato alla ragazzina e rispose senza problemi:
“Certo!”
“Non
capisco come fai a sopportarlo. È un
rompiscatole”.
“Ehi,
ragazzina maleducata! Ritira quello che hai
detto!” le gridò il fratello, sporgendosi per
saltarle addosso ma Tyler lo
trattenne tirandolo per un braccio e scoppiando a ridere.
Così
Susan fece una pernacchia in direzione del
rossino, per poi tornare a rivolgersi di nuovo a Tyler: “Ma
è vero che sei
cieco?”
Questa
volta Blake desiderò ardentemente prenderla
per tirarle il collo, ma si limitò a sgridarla.
“Susy, certo che potresti anche
frenare la lingua. Non si trattano così le
persone”.
“No,
va bene”. cercò di calmarlo il moro che non si
sentiva affatto infastidito. “Sì, è
vero”. Aggiunse, rivolto alla ragazzina.
“Posso
vedere i tuoi occhi?” chiese ancora la
dodicenne, senza fare assolutamente caso a quello che le aveva detto il
fratello.
Blake
si conficcò le unghie nel palmi per
trattenersi.
“D’accordo”.
Tyler
si abbassò per essere alla sua altezza e
alzò gli occhiali sul capo per mostrare gli
occhi azzurri.
Susan sgranò leggermente occhi e bocca ma non disse niente.
Rimase per un po’
ad osservarli e poi, come se qualcuno gliel’avesse ordinato,
corse via facendo
cozzare i suoi sandaletti contro la ghiaia del vialetto.
Il
moro inarcò le sopracciglia.
“Credo
che sia rimasta affascinata… o scioccata”.
Gli rispose Blake, guardando la sorella andare via. Prese di nuovo la
mano al
suo ragazzo e lo condusse in casa.
Raggiunsero
la stanza del rossino e si accomodarono
entrambi sul letto, Tyler appoggiato ai cuscini e le gambe incrociate e
Blake
contro il muro con le gambe a penzoloni.
“Posso
farti una domanda?”
“Tipo?”
“Hai
mai… sì, insomma… avuto una ragazza
o… fatto
qualche esperienza… di quel tipo?”
Il
moro ridacchiò. “Sì,
be’… ragazza fissa proprio
no. A tredici anni ho dato il mio primo bacio”.
“Ah
sì? Raccontami!” Blake era sinceramente curioso
e si mise comodo per ascoltare.
“Be’,
non c’è molto da dire. È successo ad
una
festa, lei aveva una cotta per me e così mi ha chiesto se
potevamo darci un
bacio. Chiaramente era imbarazzatissima, ma io ho accettato
perché volevo
provare. Così ci siamo ritirati in una stanza e
niente… ci siamo dati un
bacio”.
“Ma
con la lingua?”
“Sì,
sì”.
“E
come si chiamava lei?”
“Claire.
Eravamo compagni di scuola anche alle
superiori e mi hanno detto che poi è diventata molto
bella”.
Tyler
abbassò lo sguardo e si appoggiò del tutto
contro i cuscini, mentre Blake prese a tormentare un lembo del
lenzuolo,
leggermente in imbarazzo.
“E
poi… cos’altro hai fatto?”
Il
moro scoppiò a ridere. “Certo che sei
curioso”.
L’altro
arrossì e ringraziò il cielo che Ty non lo
potesse vedere. “Non devi dirmelo se non vuoi”.
“No,
no, tranquillo. Te lo dico”. Tornò serio e si
mise di nuovo comodo. “A quattordici anni mi sono fatto fare
un… pompino”.
“Coooosa?!”
“Sì.
È successo dopo gli allenamenti di basket. Gli
allenamenti erano finiti, ma io mi ero trattenuto ad esercitarmi ancora
un po’,
così i miei compagni erano già andati a casa.
Alla fine sono andato a fare una
doccia negli spogliatoi, ma poi è entrata una tipa. A quei
tempi era la ragazza
di uno dei miei compagni di squadra e aveva un anno più di
me. Io non avevo
niente addosso, nemmeno l’asciugamano… inutile
dire quello che è successo
dopo”.
Anche
Blake stavolta scoppiò a ridere ma, quando
tornò serio, guardò il suo ragazzo con aria
maliziosa e prese ad avvicinarglisi
gattonando. “Ma quindi eri figo già a quattordici
anni”.
“Hmm…
può darsi”. Rispose Tyler con voce maliziosa.
“E
anche ben dotato”. Aggiunse il rossino, facendo
scivolare una mano tra le cosce del fidanzato.
Il
moro gli mostrò un sorrisetto malizioso ma gli
bloccò la mano.
“Aspetta.
Adesso tocca a te raccontare”.
Blake
si bloccò e rimase un attimo a fissare
l’altro. Poi si riscosse e si mise seduto di fronte a lui a
gambe incrociate e
prese a raccontare, non proprio allegro.
“Io
ho avuto qualche ragazzo, ma diciamo che le mie
storie non sono durate molto. Ma non certo per colpa mia, io sono
sempre stato
un ragazzo molto romantico che crede nel vero amore e quando conosco
qualcuno
finisco sempre per innamorarmene. Non lo faccio apposta, semplicemente
accade.
Però gli altri non mi ricambiano mai o semplicemente lo
fanno solo per portarmi
a letto. Almeno i ragazzi che ho incontrato io”.
Calò
un attimo di silenzio nella stanza, ma poi
Tyler sussurrò: “Mi dispiace”.
“Be’
sì, ma pazienza. In fondo, sono io che devo
stare più attento. E tu che mi dici? L’hai
mai… fatto?”
“No,
io non l’ho mai fatto. Dopo… dopo
l’incidente
non ho più nemmeno pensato alle ragazze e alcuni dei vecchi
amici si sono allontanati”.
Non
era un argomento di cui Tyler parlava facilmente
o volentieri, però con Blake non gli riusciva
così difficile. E poi lui aveva
il diritto di saperlo, essendo il suo ragazzo.
“D’accordo,
non parliamone più”. concluse il
rossino, avvicinandosi di nuovo all’altro. “Adesso
stiamo insieme e non conta
ciò che abbiamo fatto nel passato”.
Eliminò
tutte le distanze tra loro due e appoggiò le
sue labbra su quelle del moro per trascinarlo in un bacio lento e
passionale.
Le mani di Tyler scivolarono sulla schiena di Blake, accarezzandolo
sotto la
maglietta.
Sarebbero
andati avanti così per un bel po’ se ad un
certo punto la porta non si fosse spalancata di colpo facendo
sobbalzare i due
ragazzi che si staccarono immediatamente, voltandosi verso
l’ingresso della
stanza.
“Mamma!”
esclamò il rossino, divenuto bordeaux per
l’imbarazzo. “Ma quante volte ti devo dire di
bussare!?”
“Ops,
scusa, tesoro”. ridacchiò la donna che non
sembrava minimamente dispiaciuta. “Non pensavo fossi
impegnato”.
Blake
si batté una mano in fronte, mentre Tyler
cercava di non scoppiare a ridere. Quella giornata era diventata
parecchio
divertente. Ma, d’altronde, con Blake si divertiva sempre un
sacco.
“Tu
devi essere Tyler, vero?” disse poi la signora,
rivolgendosi al moro con un ampio sorriso che lui purtroppo non
riusciva a
vedere. Voltò il capo nella sua direzione ma
abbassò gli occhi.
“Ehm…
sì, piacere signora”.
“Oh,
chiamami Mel. Non mi piacciono tutti questi convenevoli”.
“D’accordo”.
“Ma
sai che sei anche più bello di come Blake ti ha
descritto?”
“Mamma!”
gridò il figlio, trattenendosi dal
lanciarle una scarpa in faccia. Sua madre gli faceva sempre fare delle
pessime
figure. Adesso capiva da dove Susy avesse preso quel carattere.
“Oh,
che c’è? Sto solo dicendo un dato di
fatto”.
“Puoi
anche startene zitta ogni tanto”.
“Va
bene, va bene”. sospirò la donna, alzando le
mani in segno di resa. “E comunque sono solo venuta a vedere
se avevi della
roba da lavare”. Afferrò il cesto con i vestiti
sporchi e si diresse alla
porta. “Vi lascio in pace. Se avete bisogno di qualcosa
chiamatemi”.
Blake
tirò un sospiro di sollievo e ringraziò il
cielo che non fosse rimasta troppo a lungo. Ma dovette ritirare tutto
quando la
madre, prima di richiudere del tutto la porta dietro di sé,
sporse di nuovo la
testa dentro e, con un sorriso malizioso, esclamò:
“E mi raccomando, non fate
troppe porcate che i vicini vi sentono”.
Il
rossino per poco non si strozzò con la sua stessa
saliva ma, con una prontezza di riflessi, afferrò il cuscino
dal letto e lo
tirò in faccia alla madre che, però, se
n’era già andata.
Tyler,
intanto, se la rideva come un deficiente.
“Che
hai tu da ridere?!” lo sgridò il fidanzato.
“Dai,
tua madre è simpatica”.
“Troveresti
più piacevole un palo ficcato su per il
culo”.
“Hmm…
be’, chissà…”.
Rispose il moro con uno sguardo malizioso e questa volta nemmeno Blake
riuscì a
non sorridere.
MILLY’S
SPACE
Buooooonaaaaseraaaa!!!
Lo
so, sono imperdonabile e ormai non ho più scuse…
da
quant’è che non aggiorno una fanfic?? Da tanto,
troppo tempo… ma ormai lo
sapete com’è, non sto a ripetervi mille volte gli
impegni che mi assillano. Troppe
cose da fare e poco tempo per farle.
Che
mi dite di questo capitolo? La scena tra Tyler e Susy
l’ho presa da un film di cui non ricordo il nome
però l’ho trovata piuttosto
simpatica, quindi l’ho voluta inserire anche qui : ) e che mi
dite della madre
di Blake? Forte, eh? XD
Cercherò
di aggiornare qualcos’altro in questi giorni,
anche perché poi parto per la Spagna. Però non
prometto niente, come al solito,
perché la settimana prossima, oltre alle valigie da
preparare, ho tre compiti
-.-‘’ ma chi me l’ha fatto fare di andare
in un liceo… va be’.
Dai,
vi lascio… ma voi recensitemi (ditemi pure che siete
arrabbiati per questo mega ritardo) e mettete un po’ di mi
piace alla mia
pagina face: http://www.facebook.com/MillysSpace
Baci
: )
FEDE15498:
ma
che auguri speciali (e sto parlando di quelli che mi hai fatto per
Capodanno
^^), grazie mille cara anche se sono un po’ in ritardo, ma
sai com’è… eh sì, Ty
ha fatto uscire il suo lato tenero nello scorso capitolo ma adesso che
la sua
vita ha iniziato a prendere una piega positiva, abbandonerà
un po’ la corazza
da duro che lo ha contraddistinto fin dall’inizio. Bene, che
altro dire? Spero ti
sia piaciuto anche questo capitolo e, soprattutto, spero che ti ricordi
ancora
della storia. Un bacio, cara. Che farei io senza le tue
bellissimissimissimissime recensioni : ) <3
|
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Capitolo 11 *** Capitolo undici ***
YOU ARE MY SUNSHINE
CAPITOLO UNDICI
Blake,
Ken e Lucy erano seduti sulla veranda della
casa di quest’ultima a mangiare ciascuno una fetta di torta
preparata l’altro
giorno dalla madre della ragazza.
“Allora,
Blake, raccontaci come va la tua storia con
Tyler”. Esclamò Ken ad un certo punto, poggiando
il piattino vuoto sul tavolo
di fronte a lui.
“Oh,
fantasticamente!” rispose l’altro con un
sorriso che gli illuminò pure gli occhi.
“E
si vede, mi sembra che tu sia più felice da
quando stai con lui”. aggiunse Lucy, terminando anche lei la
sua torta.
Blake
arrossì e abbassò lo sguardo imbarazzato.
Era vero, da quando stava con Tyler si sentiva più felice ed
era sempre pronto
ad iniziare una nuova giornata. Be’, era stato
così anche tutte le altre volte
che si era innamorato, ma questa volta di più…
sentiva che con Tyler non
sarebbe stato un totale fallimento.
Ma era così evidente la sua felicità?
“Be’,
è vero…”. Mormorò.
“Ma vorrei fare qualcosa
per rendere felice anche lui”.
I
due amici lo guardarono perplessi.
“Perché?
Non è felice di stare con te?” gli chiese
Ken.
Blake
rialzò il capo di scatto, facendo sì che il
sole gli illuminasse le lentiggini che aveva sparse per il viso.
“Oh
no, non intendevo quello. Nel senso che… lo vedo
sorridere raramente, la maggior parte del tempo mi sembra sempre un
po’ cupo e
giù di morale”.
“Oh
be’, credo dipenda dal fatto…”.
Iniziò Lucy.
“…
che è cieco, sì”. La interruppe il
rossino. “Mi
ha raccontato com’è successo. Anche se forse non
dovrei dirvelo…”.
“Non
ti preoccupare, lo sai che noi sappiamo tenere
le bocche chiuse”. Cercò di rassicurarlo Ken che
era sempre curioso di sapere i
fatti degli altri.
“E’
successo due anni fa”. Si convinse alla fine
Blake. In fondo, erano suoi amici e di loro si fidava.
“… in un incidente
d’auto in cui suo padre ha perso la vita”.
Gli
altri due si guardarono dispiaciuti.
“Lui
ci sta ancora male”.
“Be’,
certo. È passato poco tempo”.
“Stavano
tornando dallo stadio, era notte e un tizio
ubriaco è venuto loro addosso con l’auto. Suo
padre è morto sul colpo, invece
Tyler era ancora cosciente. In ospedale, però, ha avuto
un’emorragia cerebrale
ed è stata questa a fargli perdere la vista”.
“Oh
mio Dio”. Sussurrò Ken sconvolto.
“Deve
essere stato terribile”. Aggiunse Lucy.
“Dopo
che me lo ha raccontato è scoppiato a
piangere”.
Gli
altri due sgranarono gli occhi. Nessuno riusciva
ad immaginarsi che un ragazzo come Tyler, all’apparenza duro
e insensibile,
potesse in realtà piangere come un qualsiasi altro essere
umano.
“E
tu che hai fatto?”
“Ho
cercato di consolarlo. Che potevo fare se no? Ma
non sapevo che dirgli”.
“Nessuno
l’avrebbe saputo. Ci sono certe situazioni
che non hanno bisogno di parole”. Cercò di
rassicurarlo Lucy.
Blake
sospirò. Gli si era stretto il cuore quando
aveva visto Tyler in quello stato, temeva di fare o dire qualcosa che
avrebbe
potuto peggiorare la situazione. Non era abituato a consolare la gente,
di
solito era lui quello che aveva bisogno di una spalla su cui piangere.
Però
doveva assolutamente fare qualcosa per rendere
felice il suo ragazzo. E forse aveva già mente
un’idea.
***
“Ciao,
Tyler!” esclamò Blake non appena il moro gli
comparve di fronte, dopo aver aperto la porta.
Non gli lasciò il tempo di dire niente che gli diede un
veloce bacio a stampo
sulle labbra.
“Vieni
con me, devo farti vedere una cosa”. Aggiunse
poi, prendendolo per una mano.
Tyler
strabuzzò gli occhi, ma non si fece trascinare
come l’altro avrebbe voluto.
“Dove
andiamo?”
“Qui
nel giardino”.
Il
moro sbuffò frustrato ma lo seguì senza opporre
lamentele.
“Allora?”
chiese quando si furono fermati e aveva
sentito che l’altro gli aveva lasciato la mano.
All’improvviso
sentì il sonoro abbaiare di un cane
che doveva essere nelle vicinanze, ovvero lì davanti a lui.
“Hai
portato il tuo cane?” chiese a Blake inarcando
le sopracciglia.
“Non
è il mio cane. È il tuo”.
“Cosa?”
Il
cane a quel punto, si mise su due zampe e quelle
anteriori le poggiò sulla pancia di Tyler che
indietreggiò un po’ per lo spavento.
Ma subito gli portò le mani al muso e prese ad accarezzarlo
e coccolarlo. L’animale
sembrava gradire parecchio visto che tirò fuori la lingua
cominciando a
scodinzolare.
“Sembra
che gli piaci” ridacchiò Blake.
Tyler
si inginocchiò per terra per coccolarlo meglio
e il cane si distese con le zampe in aria.
“Ma
dove l’hai trovato?”
“In
un canile” rispose il rossino. “E’ un
labrador. Era
il cane di un anziano signore cieco e questo cane gli faceva da guida.
Il signore
è morto qualche settimana fa e siccome nessuno poteva
prendersi cura di lui è
finito in un canile. È un cane piuttosto vivace, mi ha detto
la tipa del
canile, però è bravo e affidabile”.
Il
moro alzò lo sguardo in direzione del rossino e
gli mostrò un sorriso un po’ sorpreso.
“E tu l’hai preso per me?”
“Be’…
sì. Siccome ti piacciono i cani pensavo…
sì,
insomma, mi pareva che fosse strano che non ne avessi uno
per…”.
“Oh,
Blake, ti adoro!”
E
senza che Blake se lo aspettasse, Tyler si slanciò
per stringerlo in un forte abbraccio. Entrambi si ritrovarono a
rotolare nell’erba,
ridendo e baciandosi con il cane che correva loro intorno, volendo
anche lui,
probabilmente, essere coinvolto nell’abbraccio.
“Grazie”
sussurrò il moro all’altro, appoggiando la testa
sul suo petto.
“E
di che? Sei il mio ragazzo, volevo solo renderti
felice”.
“Sono
felice. Da quando sto con te”.
Blake,
a quelle parole, si sentì sciogliere e non
poté far altro che avvicinare il viso a quello del moro e
dargli un
appassionato bacio sulle labbra.
Il labrador si arrampicò di nuovo con le zampe anteriori
sulla schiena di Tyler
e abbaiò ai due ragazzi che a quel punto si staccarono e
scoppiarono a ridere.
“Mi
sa che qualcuno cui è geloso” commentò
Blake,
mettendosi seduto e accarezzando l’animale.
“Rientriamo
in casa, che dici?” propose Tyler,
passandosi una mano tra i capelli.
“Sì,
andiamo”.
Si
alzarono entrambi da terra e cominciarono a
dirigersi verso la porta di casa, seguiti dal cane.
“Ah,
per la cronaca, il cane si chiama Freddie”
esclamò Blake prima che varcassero la soglia.
“Come
Freddie Mercury?”
“Sì,
come Freddie Mercury”.
Appena
raggiunsero il salotto Freddie si accucciò
accanto al divano come se quella fosse la sua postazione ormai da anni
e chiuse
gli occhi. Sembrava già perfettamente a suo agio,
probabilmente sentiva che non
doveva temere quei due ragazzi e che in quella casa sarebbe stato
trattato
benissimo.
“Mia
madre non c’è. Saliamo in camera?”
chiese
Tyler, dirigendosi già verso le scale.
Blake
assentì e prese a seguirlo. Ma prima di salire
in cima il moro gridò in direzione del labrador.
“E
tu, Freddie, non fare casini”.
Freddie,
per tutta risposta, alzò il muso nella sua
direzione ed emise un basso uggiolio, forse per dire che aveva capito.
Non
appena entrarono, Blake si chiuse la porta alle
spalle e con le braccia circondò la vita di Tyler che gli
dava le spalle. Poi,
salendo sulle punte, gli diede un bacio sul collo.
Tyler, a cui solo quel contatto non bastava, si girò verso
di lui e cominciò a
baciarlo facendo attorcigliare le loro lingue.
Continuando a baciarsi indietreggiarono fino al letto e Blake
finì a sbattere
con le gambe contro il bordo perdendo l’equilibrio. Cadde
sulle coperte e Tyler
lo seguì salendogli sopra a cavalcioni. Non smise
però di baciarlo, ma questa
volta scese più in giù, andando sul collo, sulla
clavicola…
“Hmmm,
Tyler” mugolò il rossino, infilandogli le
mani sotto la maglietta. Allora il moro smise di baciarlo e si tolse la
maglietta. Poi fece lo stesso con quella di Blake e, facendone un
mucchio, le
lanciò entrambe contro il muro.
Si
chinò di nuovo per riprendere a baciarlo. Questa
volta scese fino ai capezzoli. Prese a morderli e leccarli. Intanto,
Blake
sotto di lui restava a subire senza dire niente. Soltanto dei bassi
mugolii che
ogni tanto gli uscivano dalle labbra facevano capire che la cosa gli
piaceva. Chiuse
gli occhi e sentì la pelle d’oca che gli cresceva
per il piacere.
“Blake?”
lo chiamò ad un tratto Tyler.
“Sì”
rispose l’altro con voce roca.
“Sono
eccitato” gli sussurrò all’orecchio, per
poi
leccargli il lobo con la punta della lingua.
“Anche
io”.
“Bene”.
Il
moro questa volta prese ad armeggiare con i
pantaloni del rosso. Slacciò prima la cintura poi il bottone
e infine glieli
sfilò senza che l’altro opponesse alcuna
resistenza. Erano rimasti però i
boxer. Ostentando un po’ di incertezza Tyler tolse anche
quelli, liberando il
sesso di Blake che dimostrava che non aveva mentito quando aveva detto
di
essere eccitato. Peccato solo che Tyler non potesse vederlo. Poteva
però
toccarlo.
Lentamente
prese il membro del rossino con la mano
destra e cominciò a muoverla su e giù con fare
piuttosto esperto.
“Ty”
lo chiamò l’altro. “Scopami”.
Tyler
mostrò un sorrisetto sghembo e malizioso e portò
le mani sui suoi pantaloni per toglierglieli.
“Aspetta!”
lo bloccò Blake, però. “Faccio
io”.
Si
mise seduto e con mani un po’ tremanti tolse il
bottone dall’asola dei jeans e glieli sfilò come
prima aveva fatto Tyler coi
suoi. Fece lo stesso coi boxer e rimase per qualche secondo a guardare
il sesso
del suo ragazzo leggermente sorpreso. Probabilmente non se lo aspettava
così
dotato.
Con
le gambe nude circondò la vita di Tyler per
mettersi comodo e il moro fece lo stesso.
“Scopami!”
gli ordinò di nuovo il rossino all’orecchio.
Era eccitato, parecchio eccitato, ma allo stesso tempo anche emozionato
e un po’
spaventato. Chissà come sarebbe stato fare l’amore
con Tyler.
Il moro, nonostante fosse la sua prima volta, sembrava ostentare
così tanta
sicurezza come se ne fosse già esperto. Avvicinò
il proprio membro all’apertura
di Blake e, lentamente, si fece spazio e lo penetrò.
Blake
si morse la lingua per non tirare un urlo e
affondò le unghie nella spalla di Ty. La parte iniziale era
sempre la più
terribile.
Sempre
lentamente Tyler cominciò a muoversi dentro
al rossino chiudendo gli occhi e lasciandosi pervadere
dall’eccitazione e dal
piacere. Entrambi i ragazzi presero a mugolare e gemere di piacere,
finché
Blake non poggiò le labbra sul collo del moro prendendo a
mordergli e leccargli
la pelle.
Andarono
così per un po’, scordandosi di tutto il
resto, scordando dove erano, non pensando più a niente,
nemmeno al fatto che la
madre di Tyler sarebbe potuta tornare da un momento
all’altro. O forse non li
importava.
Continuarono
semplicemente a fare l’amore, stretti
uno all’altro, i bacini a contatto, i corpi uniti.
Finché
non arrivò l’orgasmo.
***
“Sai
perché non ho un cane?” sbottò ad un
tratto
Tyler, dopo alcuni minuti di silenzio nel quale i due ragazzi erano
piombati
dopo aver finito di fare l’amore.
“Perché?”
chiese Blake senza smettere di accarezzare
i capelli all’altro che gli teneva la testa poggiata sul
petto nudo.
Erano entrambi nudi, sprofondati sotto le coperte e ancora abbracciati.
“Perché
vivevamo in un condominio e la signora che
abitava di fronte a noi era allergica al pelo degli animali. In
realtà era
allergica a tutto quella donna ed era una maniaca della pulizia. Puliva
casa
sua tutti i giorni. Quando mia madre, dopo che tornai
dall’ospedale, tornò a
casa con un Collie la signora per poco non ci denunciò.
Così l’abbiamo dovuto
dare via”.
“Che
stronza!” fu il commento di Blake.
“Già.
La odiavano tutti nel palazzo”.
Dopo
quel breve scambio di battute, tra i due cadde
di nuovo il silenzio nel quale rimasero a coccolarsi ripensando a
quello che
avevano appena fatto.
La seconda volta fu Blake a infrangerlo.
“Sai,
Ty, per essere la tua prima volta sei stato
bravo”.
Tyler
alzò lo sguardo nella direzione del rossino. “Solo
bravo”.
Blake
lo guardò serio per qualche secondo, ma poi
non resistette e scoppiò a ridere.
“D’accordo,
sei stato fantastico”.
Gli
salì sopra appoggiando le braccia ai lati del
letto per non pesargli troppo e lo guardò dritto negli occhi
azzurri. “Mi
piace, Tyler. Mi piace tutto di te, il tuo corpo, il tuo viso, i tuoi
occhi, la
tua risata…”.
“Anche
tu mi piaci, Blake” rispose il moro, portando
una mano al suo viso per accarezzarlo delicatamente. “Di che
colore hai gli
occhi?” gli chiese.
“Verde
chiaro”.
“E
i capelli?”
“Biondo
rossicci”.
“Hmm…
e scommetto che hai anche le lentiggini”.
Blake
sbuffò. “Uff, sì”
bofonchiò. “Soprattutto in
estate. Sembra che abbia la varicella permanente”.
Tyler
ridacchiò.
“Non
c’è niente da ridere” si
lamentò l’altro
dandogli un buffetto sulla fronte,
“Che
c’è di male? Sono carine le lentiggini”.
“Lo
dici solo perché non le puoi vedere. Scommetto che
se mi vedessi mi lasceresti all’istante”.
Il
moro tornò immediatamente serio.
“Ehi”
lo chiamò. “Non dire stupidaggini. Non mi
interessa il tuo aspetto, tu mi piaci per ciò che sei. Sei
un ragazzo
fantastico, Blake, indipendentemente dal tuo aspetto. E mi piacerai
sempre”.
Blake
non poté far altro che sorridere a quella che,
sotto sotto, voleva essere una dichiarazione d’amore.
Sì, aveva ragione: Tyler non era come tutti gli altri
ragazzi con cui era
stato, non era superficiale, né un arrogante presuntuoso. E
sotto quella
corazza dura e impenetrabile si nascondeva un ragazzo dolce che aveva
voglia di
amare e di essere amato.
“Ti
amo, Ty” gli sussurrò prima di chinarsi a dargli
un bacio.
Ad
un tratto, però, mentre si baciavano, sentirono
il rumore di una macchina che parcheggiava davanti al vialetto di casa
e subito
dopo uno sbattere di portiere.
“Cazzo,
mia madre!” esclamò il moro.
Senza
attendere altro tempo, entrambi i ragazzi
saltarono fuori dal letto e si misero alla ricerca dei propri vestiti.
“Muoviti,
che se ci scopre siamo morti!” lo esortò
Tyler, afferrando una maglietta che aveva trovato per terra.
“Ty”.
“Che
c’è?”
“Quella
è la mia maglietta”.
“Oh”
il moro la tirò nella direzione del rossino. Questi
gli passò la sua insieme ai jeans e in fretta si rivestirono
e si misero un po’
in ordine.
“Tyler?”
si sentì la voce chiara della donna
chiamare dal piano di sotto.
“Arrivo,
mamma!” le gridò il figlio di rimando.
Si
diedero un’ultima occhiata, o meglio, Blake la
diede a tutti e due, e poi aprirono piano la porta e cominciarono a
scendere le
scale.
“Ciao,
mamma, sei tornata” esclamò Tyler con voce
più innocente possibile, non appena lui e il rossino
arrivarono in salotto.
“Cosa
ci fa questo cane qua?” chiese la donna
voltandosi in direzione dei due.
“Chi,
Freddie?”
“Ehm,
signora, l’ho portato io. Un regalo per Tyler”
rispose Blake
“Oh”
fece Kelly leggermente sbigottita.
“E,
a proposito, dovremmo portarlo a spasso, anche”
aggiunse il ragazzo avvicinandosi al cane. Era leggermente imbarazzante
parlare
con la madre del proprio ragazzo dopo averci appena fatto sesso. E lui
non era
bravo a mentire.
“Sì,
mamma. Noi usciamo, eh” aggiunse il moro
prendendo il guinzaglio che l’altro gli stava passando.
“D’accordo,
ma…”.
Non
lasciarono neanche il tempo alla donna di
concludere che si fiondarono fuori dalla porta.
Kelly
rimase un po’ interdetta a guardare la porta
dalla quale suo figlio e il suo amico erano appena scomparsi, ma poi
decise di
lasciar perdere e andò di sopra a cambiarsi.
Ah,
i giovani e i loro
misteri.
MILLY’S
SPACE
Buongiorno.
Ce l’ho fatta ad aggiornare : ) purtroppo i numerosi impegni,
scolastici e non,
mi impediscono di aggiornare le mie storie con regolarità
come vorrei. Mi scuso
per questi numerosi ritardi, mi scuso anche con quelli che stanno
seguendo le
altre mie fanfiction, dovete solo avere un po’ di pazienza.
Anche se con
ritardo, gli aggiornamenti arrivano, non sono solita abbandonare le
storie che
ho iniziato.
E,
siccome anche adesso ho poco tempo, non sto qui a
rileggere il capitolo. Perdonate eventuali errori, perciò e
se ce ne sono di
gravi ditemelo che provvederò a correggere.
Intanto,
spero che il capitolo vi sia piaciuto e spero
che continuerete a seguire questa storia. Lasciatemi anche qualche
recensione,
è importante per me perché questo mi stimola a
continuare più in fretta : )
Grazie
mille, ora vi lascio, ma non prima di avervi ricordate
di venirmi a trovare anche sulla mia pagina f acebook. Se volete potete
recensirmi anche lì, darmi dei consigli e dirmi quello che
vi piacerebbe
leggere.
http://www.facebook.com/MillysSpace
Un
bacio,
M.
FEDE15498:
ehi,
carissima : ) eh, lo so che tu non mi deludi mai!!!! Sei la mia
fedelissima
lettrice e recensitrice. Alloraaaa che dire?? Be’, spero ti
sia piaciuto anche
questo capitolo un po’ hot e un po’ romantico.
Sì, sono stata in Spagna e…. che dirti? La Spagna
è meravigliosa, ci devi
andare un giorno. E non ti preoccupare, nemmeno io sono una che viaggia
molto. Se
non ci fossero le gite scolastiche andrei fuori dall’Italia
solo in estate, in
Croazia, dove ho la mia casuccia e i miei parenti. Tu stai a Milano?
Che bello
*__* Io invece abito in una cittadina sperduta dove abitano solo
vecchietti (la
casa di riposo all’aperto la chiamano). Ma sai che a Milano
ci abita pure
Tiziano Ferro che è il mio cantante preferito? Ok,
probabilmente non te ne
frega niente.
Va be’, dai, ti lascio. Fatti sentire, mi raccomando ^^
Un bacio,
M.
P.S. ma domani è il tuo compleanno? Ok, ti farò
gli auguri su face… ciau
|
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Capitolo 12 *** Capitolo dodici ***
YOU ARE MY SUNSHINE
CAPITOLO DODICI
Blake
e Tyler arrivarono al parco vicino a casa di
quest’ultimo praticamente correndo, senza mai lasciarsi la
mano, con il cane
che correva davanti a loro, la lingua fuori, agitando la coda.
Non appena ci entrarono, si sedettero sulla prima panchina libera che
trovarono, il fiato grosso per la corsa appena fatta e le labbra ancora
piegate
in un sorriso divertito.
“Oh,
Santo cielo, che imbarazzo!” esclamò Blake
quando i battiti del suo cuore furono tornati a un ritmo abbastanza
normale. “Credo
di essere diventato completamente rosso in faccia”.
“Oh
sì, sembri un peperone!” lo prese in giro
l’altro.
Blake
gli lanciò un’occhiata obliqua, ma poi,
rendendosi conto che era soltanto uno scherzo, gli mollò un
pugno sul braccio. “Idiota!”
Freddie,
accucciato per terra davanti alla panchina,
abbaiò per reclamare la sua attenzione. Blake si
chinò per togliergli il
guinzaglio, così che potesse correre nel parco, cosa che il
cane fece subito.
“Lasciamolo
divertirsi un po’”, disse il rossino al
suo ragazzo. Poi si voltò per dargli un veloce bacio a
sorpresa.
I
due ragazzi rimasero seduti, in silenzio, Blake
con la testa appoggiata sulla spalla di Tyler, una mano intrecciata con
quella
del moro, come se da ciò dipendesse la loro vita.
“Non
hai ancora detto a tua madre di noi due?” chiese
il rossino dopo un po’, lo sguardo fisso a terra.
Tyler
esitò un attimo prima di rispondere. Sentiva quella
domanda come una specie di accusa, sebbene il ragazzo
gliel’avesse fatta in
tono normale, senza particolare enfasi o interesse per la risposta.
“No,
ancora non gliel’ho detto. Ma cercherò di farlo
al più presto”.
“Oh
no, non devi. Non è un problema, era solo per
sapere. Una volta frequentavo un tipo che aveva dei genitori molto
omofobi, non
potevamo nemmeno tenerci per mano nel parco come facciamo io e
te”.
“Mia
madre non è così, almeno credo. In
realtà coi
miei non ho mai parlato di queste cose, non era una cosa a cui pensavo.
Però non
penso… non penso sia omofoba”. Non ne era molto
sicuro, ormai non era più
sicuro di molte cose. Sua madre non si era mai espressa in merito.
Aveva una
mentalità abbastanza aperta, certo,
però… però chissà. Di certo
non si
aspettava di avere un figlio omosessuale. Nemmeno lui sapeva di esserlo.
“E’ strano, però”,
sospirò infine.
“Che
cosa?”
“Quello
che è successo tra noi due. Insomma… non ho
mai pensato che un giorno mi sarei innamorato di un ragazzo. Non ho mai
pensato…
sì, insomma, di essere gay”.
“Non
è detto che tu sia gay. È solo
un’etichetta. La
sessualità è una cosa che alle volte
può cambiare. Chissà, magari un giorno ti
stufi di me e poi ti metti insieme ad una ragazza”.
L’aveva detta in tono
scherzoso, l’ultima frase, però dentro cuor suo
temeva seriamente che Tyler si
stufasse prima o poi. Succedeva sempre.
Il
moro si voltò verso di lui puntandogli gli occhi
azzurri addosso e lo guardò seriamente. “Non credo
mi potrò mai stufare di te”.
“Davvero?”
esclamò Blake sorpreso. Se avessero
potuto i suoi occhi avrebbero assunto la forma di due cuoricini rosa.
“Chi
altri potrei trovare che mi sopporta e mi porge
una spalla su cui piangere”.
“Credo
ci sia una fila di persone che lo farebbe, sai?”
“Ma
non dire idiozie”.
“Non
le dico mica. Nessuno ti ha mai detto che sei
figo?”
“Ah,
quindi ti sei innamorato solo del mio bel
faccino!” Il moro assunse un finto broncio offeso incrociando
le braccia e
tornando a volgere lo sguardo davanti a sé.
“Ma
lo sai che non è vero!” rispose Blake,
aggrappandosi al suo braccio. “Mi piace tutto di te, anche
quando facevi il
tipo misterioso e serio”.
Tyler
non poté non scoppiare a ridere e Blake lo seguì
a ruota. Lo adorava quando rideva, aveva un sorriso bellissimo, lo
eccitava da
morire. E quei denti bianchi e perfetti. Quelle labbra carnose color
pesca…
Basta,
Blake, o rischi di saltargli addosso in un luogo pubblico, il che non
è tanto
consigliabile.
“Che
ne dici se torniamo a casa? O mia mamma si
preoccuperà”.
“D’accordo”.
Richiamarono
Freddie e gli misero il guinzaglio
attorno al collo così che Tyler potesse tenerlo.
Raggiunsero la casa del moro in poco tempo, ma si fermarono davanti
alla porta
d’ingresso.
“Ti
va di entrare?”
“No,
potrei imbarazzarmi di nuovo davanti a tua
madre”.
Tyler
ridacchiò.
“D’accordo,
allora… grazie per…”.
“Ti
va di uscire domani sera?” lo interruppe Blake.
“Solo
io e te”. Aveva uno sguardo incredibilmente speranzoso.
“Potremmo andare a
mangiarci una pizza o al cinem… o dove vuoi tu”.
“Stavi
per dire cinema”.
“No,
non è vero”.
“Sì
che è vero”. Il moro stava cercando di non
scoppiare a ridere in faccia all’altro. Il rossino stava
negando l’evidenza,
era chiaro.
“Sì
ok, è vero”, ammise l’altro infine.
“Ma…”.
“Se
vuoi ci andiamo”.
“Ma
tu come fai?”
“Ascolterò
i suoni. E poi tu mi descriverai le
immagini”.
“Va
bene”. Blake si era avvicinato di più al suo
ragazzo, mettendogli le mani sui fianchi.
“Scegli
un bel film, mi raccomando”.
“Certo”.
Il rossino avvicinò il viso a quello dell’altro
e gli diede un veloce bacio a stampo. Poi se ne andò.
Tyler
si sedette a tavola e la madre servì la cena
accomodandosi anche lei. I due cominciarono a mangiare in silenzio,
l’unico
rumore che si sentiva erano i respiri di Freddie. Anche lui si godeva
il suo
cibo da una grande ciotola posta in un angolo della cucina.
“Domani
sera viene a cena la zia Mandy”, disse Kelly
ad un certo punto, mettendo in bocca una forchettata di purè.
“Domani
sera esco con Blake”, le rispose il figlio.
“Di
nuovo? Ma vi vedete tutti i giorni!”
“Sì,
perché?”
“Be’,
niente… solo che… sembrate molto legati. Ti ha
pure regalato un cane”.
“Voleva
solo essere gentile”. Tyler continuò a mangiare,
sperando che la madre non indagasse troppo. Probabilmente aveva
cominciato a
sospettare qualcosa e
magari sarebbe
stato il momento di dirle della sua relazione con Blake. Ma non si
sentiva
ancora pronto, doveva prima prepararsi psicologicamente e poi pensare
anche a
un discorso.
“E’
anche troppo gentile. Dovremmo ricambiare in
qualche modo”.
“Non
credo che lui mi frequenti per ricevere
qualcosa in cambio”.
“Certo
che no, però… insomma, ogni tanto fagli anche
tu un regalo”.
“Per
il suo compleanno glielo farò”.
Kelly
sospirò, ma alla fine decise di lasciar
perdere il discorso. Però aveva come l’impressione
che il figlio le nascondesse
qualcosa, lui era bravo a farlo. Però almeno lo vedeva
più sereno, più
tranquillo, sorrideva più spesso e parlava di
più. Amanda aveva avuto ragione,
quel posto sta facendo bene a tutti quanti.
Mandy,
con un colpo di reni, salì sul tavolo della
cucina e afferrò il sacchetto di patatine che vi era
appoggiato sopra,
cominciando a mangiarle.
“Non
dovresti mangiarle adesso o dopo non riuscirai
a cenare”, la avvertì Kelly, impegnata ai
fornelli. Aveva proprio l’aspetto da
cuoca quella sera, con i capelli raccolti in cima alla testa in una
crocchia
disordinata che sembrava tanto un nido d’uccelli e il
grembiule legato attorno
alla vita.
“Ma
lo sai che il mio stomaco può contenere di
tutto, non ti preoccupare”, la tranquillizzò la
sorella, continuando ad
abbuffarsi di patatine. “E poi non posso stare senza tenere
le mani occupate. Tu
non mi lasci cucinare”.
“Perché
fai sempre disastri quando cucini. Come minimo
mi faresti saltare in aria la cucina, se non l’intera
casa”.
“Spiritosa”.
Amanda le lanciò un’occhiataccia che
però Kelly, girata di schiena, non notò.
“Tyler
cena con noi?” chiese, allora, la mora per
cambiare argomento.
“No,
lui esce con Blake”.
“Quel
ragazzo di cui mi avevi parlato?”
“Sì,
ormai si vedono tutti i giorni”.
“E
che c’è di male?” chiese la mora notando
un tono strano
nella voce di Kelly.
“Niente
è solo che… mi sembra un po’ strano,
tutto
qui. Nemmeno io uscivo così spesso con le mie
amiche”.
“Sono
ragazzi, sai com’è. Magari vanno a visitare un
club a luci rosse”. L’ultima frase
l’aveva detta con voce maliziosa.
“Tyler?”
fece Kelly guardandola come se avesse detto
che aveva visto un coniglio volare dentro ad una calza.
“Guarda
che ci sono anche quelli dove puoi toccare
non solo guardare”, rispose l’altra, allargando le
braccia.
Kelly
bofonchiò qualcosa che Amanda non capì e che
non volle neanche capire. Si limitò a mangiare le sue
patatine.
In
quel momento la porta della cucina si spalancò e
Tyler fece il suo ingresso seguito da Freddie. La zia, non appena lo
vide, fece
un fischio. “Vai a rimorchiare?”
“No,
perché?”
“Be’,
sei tutto in tiro”.
Il
ragazzo scrollò le spalle come a dire che non
sapeva di che cosa la zia stesse parlando, e raggiunse il frigo.
Effettivamente aveva cercato di vestirsi bene, gli piaceva sentirsi
guardato da
Blake. Si era pure tirato indietro i capelli con del gel, sperando di
aver
fatto una cosa decente. Non potendo vedersi era un po’ dura
pettinarsi.
“Ti
viene a prendere Blake?” gli chiese la madre.
“Sì”.
“E
ti riporta anche a casa?”
“Sì”.
“A
che ora tornate?”
“Non
lo so. Non aspettarmi alzata”.
Il
ragazzo uscì dalla
cucina, seguito sempre da Freddie come fosse la sua guardia del corpo,
e andò
in salotto.
Le due sorelle rimaste si guardarono l’un l’altra,
poi sentirono il campanello
suonare.
MILLY’S
SPACE
Arrivo
un po’ tardi con l’aggiornamento, ma questo
capitolo non l’avevo pronto e l’ho scritto tutto
stamattina.
Spero vi piaccia e spero che non ce l’abbiate troppo con me
^^.
Allora,
vi avviso che la storia è ormai agli sgoccioli. Non
so esattamente quanti capitoli mi mancano, dipenderà dalla
mia ispirazione, ma
non sono tanti.
Detto
questo, non ho altre precisazioni da fare. Spero mi
lascerete qualche recensione, anche per criticare o consigliare. Non mi
offendo
: )
E venite a visitare anche la mia pagina face (https://www.facebook.com/MillysSpace)
ci
trovate le foto dei personaggi.
Baci,
M.
CESCA81:
grazie mille per la recensione e i complimenti. Sì, Freddie
è un cane guida per
ciechi : ) spero
che ti sia piaciuto
anche questo capitolo e spero di risentirti.
Un bacione,
Milly.
|
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Capitolo 13 *** Capitolo tredici ***
YOU ARE MY SUNSHINE
CAPITOLO TREDICI
“Adesso
che sta succedendo?”
“Si
stanno sparando a vicenda”.
“Oddio,
perché?”
“E
che ne so! Sono nemici!”
Tyler
e Blake
non si poterono impedire di scoppiare a ridere,
così si portarono una
mano alla bocca per cercare di non fare troppo rumore. Erano chiusi in
una sala
del cinema da quasi due ore a guardare un film. O meglio, Blake
guardava e
Tyler seguiva i suoni chiedendo ogni due minuti al suo ragazzo che cosa
stesse
succedendo.
“Oh
no! Hanno sparato al cane!” esclamò Blake ad un
certo punto, smettendo di ridere.
“Quale
cane? C’era un cane?”
“Sì,
era il cane di Hugh. No, non voglio più
guardare. Povero cane. Oh, adesso Hugh si è
incazzato”.
“Perché
gli hanno ucciso il cane?”
“Sì.
Oh, l’altro è morto”.
“E’
morto?”
“Sì
be’, sta per morire”.
I
due ragazzi si zittirono quando i due attori nel
film presero a parlare, al che poi seguirono i titoli di coda e una
dolce
musica che segnarono il termine del film.
Gli spettatori cominciarono pian piano ad alzarsi e ad andarsene, ma
Tyler e
Blake rimasero seduti ancora un po’, sprofondati nelle
poltrone.
“Che
film assurdo”, commentò il rossino.
“L’unica
cosa che ho sentito sono stati i colpi di
pistola”.
“Non
hanno fatto altro che spararsi per tutto il
tempo, effettivamente”.
“Dai,
usciamo”.
Alla
fine anche i due ragazzi decisero di
abbandonare la sala, ridacchiando ad ogni commento del film che
facevano.
***
“Certo
che il film era proprio pessimo”. Blake bevve
un sorso della sua Coca Cola e si guardò attorno. La
pizzeria nella quale erano
venuti per cenare era piuttosto affollata quella sera e non avevano
potuto
avere un tavolo più appartato, così si trovavano
quasi nel mezzo della sala.
“Non andrò più a vedere un film
d’azione”.
“Forse
è meglio evitare del tutto il cinema”,
aggiunse Tyler.
“Hai
ragione. Tutte le volte che ti raccontavo le
scene la signora accanto mi guardava male”.
“Davvero?
Non mi sono accorto di nulla”, scherzò il
moro. Blake gli prese delicatamente una mano e intrecciò le
loro dita.
“Vorrei
che quest’estate non finisse mai”,
sospirò
il rossino, tornato improvvisamente serio.
“Come
mai?”
“Perché
sto così bene. Siamo solo tu e io, senza
altri pensieri”.
“Be’,
continuerà ad essere così”.
Blake
alzò lo sguardo negli occhi azzurri del
compagno e rimase ad osservarlo intensamente.
“Sì,
ma poi ci sarà la scuola. E ciò implica
che…
che ci saranno dei problemi”.
“Ti
riferisci a qualcosa in particolare?” Tyler
inarcò le sopracciglia, curioso e attento.
“No…
però, ho paura che magari certi eventi possano
allontanarci”.
“Intendi
per quello che penseranno i nostri compagni
o gli insegnanti se sanno che stiamo insieme?”
Il
rossino sospirò e attese un po’ prima di
rispondere. “Anche. Per me in realtà non
è mai stato un problema quello che
pensano gli altri. Lo sa tutta la scuola che sono gay. Però
tu…”.
“Neanche
a me importa…”, lo interruppe il moro.
“Ho
smesso di interessarmi a ciò che pensa la gente. Se
avrò voglia di baciarti nel
corridoio o vicino all’armadietto lo
farò”.
Blake
sorrise felice, ma poi si ricordò che l’altro
non poteva vederlo. Così esclamò:
“Davvero?!”
“Certo!”
“Ti
amo”.
“Anch’io
ti amo”.
Si
allungarono sul tavolo per potersi baciare, ma in
quel momento arrivarono le loro pizze.
***
Blake
parcheggiò la moto di fronte al cancello della
casa del suo ragazzo, poi lo prese per mano e lo accompagnò
fino alla porta.
Lì si fermarono, uno di fronte all’altro, il moro
appoggiato al muro e il
rossino di fronte a lui, con lo sguardo fisso nei suoi occhi. Poi prese
a
giocherellare con un bottone della sua camicia bianca.
“Vuoi…
vuoi entrare?” gli chiese Tyler.
“No,
è tardi ed è meglio se torno a casa”.
Fece scivolare
il bottone nell’asola e gli allargò la camicia sul
petto, scoprendo i suoi
pettorali. Con due dita glieli accarezzò. Poi si
alzò in punta di piedi e lo
baciò. L’altro ricambiò il bacio e
cominciarono a giocherellare con le lingue,
pieni di passione e desiderio.
Tyler con una mano avvicinò il ragazzo a sé
premendogli sulla schiena, mentre
l’altra affondava tra i suoi folti capelli. Blake, invece,
teneva ancora una
mano sul suo petto, ma con l’altra aveva circondato il collo
del moro.
Erano talmente presi che non si accorsero nemmeno della porta di casa
che si
apriva.
Soltanto
quando si furono staccati per riprendere
fiato, Blake si voltò trovando la madre di Tyler sulla
soglia che li guardava
come se avesse di fronte due alieni.
“Ehm…
salve, signora”, borbottò con
l’espressione di
un bambino colto con le mani nella Nutella prima di cena.
Anche
Tyler si voltò verso la madre, di colpo
diventato bianco come un cadavere.
“Mamma?!”
esclamò, ingurgitando la saliva.
La
donna, però, non disse niente e il figlio in quel
momento avrebbe dato qualsiasi cosa per poter vedere la sua
espressione. E sprofondare
nel terreno, anche.
Dopo un po’, però, sentì la porta
richiudersi e capì che era rientrata in casa.
“Ty…”,
iniziò Blake con tono basso. “Mi dispiace.
Veramente, io…”.
“Non
importa”, lo interruppe Tyler. “Prima o poi
gliel’avrei dovuto dire. Così almeno mi facilito
le cose”.
“Ora
è meglio che vada. Vorrei poterti aiutare, ma
non saprei che dire”. Il rossino si staccò e mise un piede giù
dallo scalino.
L’altro avrebbe voluto che rimanesse, almeno per dargli il
sostegno morale. Ma
sapeva anche lui che era meglio così, se Blake restava forse
la situazione
sarebbe peggiorata.
Si
diedero un ultimo bacio veloce e poi Blake si
allontanò verso la sua moto.
Tyler
raccolse il coraggio nel cuore che gli batteva
fortissimo e aprì la porta. Oltrepassò la soglia
e richiuse l’uscio subito
dietro di sé, appoggiandosi di schiena alla porta, il capo
chino.
“Mamma?”
chiamò, cercando di mantenere la voce il
più ferma possibile.
“Sono
qui”, rispose la donna. Il ragazzo rialzò
immediatamente la testa senza puntare lo sguardo da nessuna parte in
particolare. Nemmeno dal suo tono riusciva a capire di che umore fosse
la madre
e non sapeva come comportarsi, né che dire. Così
rimase lì fermo, in silenzio,
il cuore che gli batteva fortissimo.
“Siediti!”
sbottò allora sua madre con voce ferma. Tyler
obbedì subito e si staccò dalla porta, andando
verso il divano. Si sedette e
incrociò le gambe. Poco dopo anche Kelly lo raggiunse e gli
si sedette accanto,
sospirando. “Quando avevi pensato di dirmelo?”
“Ecco
io…”, borbottò il figlio, lo sguardo
puntato
di fronte a sé. “Io… te
l’avrei detto. Cercavo solo… solo il momento
giusto”.
“Da
quanto tempo… da quanto tempo va avanti questa
storia?” Ancora Tyler non riusciva a capire se la madre era
triste, arrabbiata
o altro. La sua voce era ferma, impassibile. Sembrava quasi che gli
stesse
facendo un interrogatorio.
“Da
quasi un mese”.
“E
perché non me l’hai detto subito?”
Il
ragazzo attese un attimo prima di rispondere,
come se stesse cercando le parole giuste.
“Perché… perché avevo paura,
credo”.
“Di
cosa?” Finalmente nel tono della donna era
cambiato qualcosa, sembrava celare curiosità e questo era un
buon segno.
“Non
lo so… paura che tu non volessi, che ti
arrabbiassi o…”.
Kelly
capì immediatamente che cosa il figlio
intendesse dire e immediatamente si protese verso di lui per
abbracciarlo.
Tyler, che non se lo era minimamente aspettato, sobbalzò, ma
si ritrovò a
sorridere un poco più sollevato.
“Tesoro,
tu sei mio figlio e puoi dirmi qualsiasi
cosa, non devi avere paura. Non potrei mai cacciarti di casa o cose
simili,
tantomeno per una stupidaggine come questa”.
“Davvero?”
Voltò il capo verso di lei, quasi
commosso.
“Certo.
Non mi importa di chi sei innamorato. Mi basta
solo che tu sia felice”, disse guardandolo dritto negli
occhi.
Tyler,
allora, sentendo come se un grosso macigno
gli fosse appena scivolato di dosso, l’abbracciò e
affondò il viso nell’incavo
del suo collo. La madre ricambiò la stretta, massaggiandogli
la schiena
delicatamente.
“Ti
voglio così tanto bene”.
“Anch’io
mamma”.
***
Kelly,
Tyler e Amanda avevano deciso di andare sulla
spiaggia quella mattina, a rilassarsi un po’ e godersi il
sole.
Si trovavano seduti su un paio di asciugamani, proprio davanti al mare,
in
costume da bagno, a parlare del più e del meno
sgranocchiando patatine.
“Dai,
Ty, raccontami di te e Blake”, sbottò ad un
tratto la zia, mollando una leggera gomitata al nipote e facendo un
occhiolino
alla sorella.
“Ahem…
che vuoi sapere?” Il ragazzo si passò una
mano tra i capelli, sicurissimo che gli avrebbe chiesto qualcosa di
imbarazzante.
“Dai,
non fare il finto tono. L’avete già
fatto?”
Ecco,
come non detto.
“Mandy!”
esclamò lui avvampando, ma divertito. “Questi
non sono affari tuoi”. Pure Kelly era scoppiata a ridere.
“Uff,
sono tua zia”.
“Appunto!”
Amanda
aprì bocca per aggiungere qualcos’altro, ma
improvvisamente vide il nipote cadere sulla sabbia sotto la spinta di
un altro
ragazzo che gli si era lanciato addosso come per abbracciarlo. Tyler
lanciò un
grido completamente colto alla sprovvista e si trovò a
rotolare sulla spiaggia.
“Ciao,
tesoro!”
“Blake,
cazzo! Mi hai appena sfracellato un paio di
costole e perforato un polmone”.
“Eh,
esagerato”. Il rossino premette le labbra
contro quelle dell’altro che le dischiuse leggermente,
ricambiando il bacio.
Qualcuno dietro di loro tossicchiò e i due si staccarono.
“Ciao,
Blake”, salutò la madre di Tyler divertita.
“Ehm…
signore”, ricambiò lui con un sorriso a
trentadue denti, un po’ imbarazzato. Le sue lentiggini
spiccavano molto sotto
il sole.
In
quel momento anche Lucy e Ken li raggiusero, lei
con la tavola da surf sotto il braccio e lui con indosso una maglietta
dei
Rolling Stones.
“Così
lo soffochi, Blake!” rise la ragazza.
Blake
si voltò di nuovo verso Tyler che si era messo
seduto, il sole a illuminargli il viso.
“Toglili,
questi non ti servono”, gli disse il
rossino, portandogli gli occhiali da sole sopra la testa.
“Sì
che mi servono!” si lamentò l’altro,
riposizionandoli davanti agli occhi.
“No!”
“Sì!”
“No!”
E per non farglieli rimettere, Blake lo baciò
sugli occhi e lo spinse di nuovo con la schiena sulla sabbia, dandogli
un altro
bacio sulla bocca.
“Andiamo
a nuotare?” gli chiese poi.
“Va
bene”.
Gli
altri rimasti sulla spiaggia guardarono i due allontanarsi
nel mare, illuminati dal sole che splendeva alto, rendendo calda quella
giornata.
“Comunque
piacere, io sono Lucy e lui è Ken”, disse
allora Lucy, presentandosi alla madre e alla zia di Tyler.
“Piacere,
ragazzi. Siete amici di Blake?” chiese
Kelly.
“Sì,
purtroppo”, scherzò il ragazzo.
“Sedetevi
pure qui, teneteci compagnia”, li invitò
Amanda. I due ragazzi non fecero complimenti e accettarono pure le
patatine che
li vennero offerte.
“Sono
proprio una bella coppia”, disse Lucy dopo un
po’, indicando con un cenno del capo Tyler e Blake.
“Sì,
decisamente”, concordò Mandy.
“Che
fortuna che ha avuto Blake”, iniziò Ken.
“Anche
io lo voglio un ragazzo come Tyler. Cioè, guardate che culo,
che corpo…”.
“Ehi,
non farti
fantasie su mio figlio!” lo redarguì Kelly, ma
aveva un sorrisetto divertito
dipinto in volto per cui non venne presa sul serio da nessuno.
Lucy scoppiò a ridere e diede uno scherzoso spintone
all’amico.
MILLY’S
SPACE
Ebbene,
signori e signore, eccomi qua ad aggiornare
questa fanfiction : )
Credo che il prossimo capitolo sarà
l’ultimo…
Be’, che mi dite? Spero vi sia piaciuto. Finalmente Tyler
è riuscito a fare
coming out con la madre.
Fatemi
sapere con una recensione e venitemi anche a
trovare sul sito di Milly’s
Space. I commenti
me li potete anche lasciare lì o darmi qualche suggerimento
o dirmi se c’è
qualcosa in particolare che vorreste leggere su questa fanfic. Inoltre
ho
pubblicato un paio di nuove foto con Ty e Blake e alcune citazioni.
Dai
dai, non fate i preziosi : )
Baci,
Milly.
FEDE15498:
eh, la fine della scuola è una benedizione per tutti ^^
Ebbene, a quanto pare
Kelly non ci ha delusi e ha accettato l’amore fantastico dei
nostri due eroi. Ehehe,
Mandy l’adoro anche io. Be’,
c’è ancora da attendere un po’ prima di
dire addio
a questa storia, ma sappi che di Millyray non ti libererai mai xD
muahah.
Ok, la smetto di blaterare. Spero di risentirti, un bacione.
|
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Capitolo 14 *** Capitolo quattordici ***
YOU ARE MY SUNSHINE
CAPITOLO QUATTORDICI
Amanda
e Ken si stavano praticamente rotolando sul
tavolo dalle risate e probabilmente non avrebbero smesso
finché il ragazzo che
era salito sul palco non avesse smesso di cantare. Anzi, forse
avrebbero
continuato anche dopo.
Per la verità tutti al loro tavolo erano scoppiati a ridere,
ma almeno gli
altri avevano avuto la decenza di darsi un contegno. Loro invece non si
preoccupavano nemmeno delle teste che si giravano per guardarli storto.
“Non
dovreste ridere così”, li ammonì Kelly,
lanciando un’occhiataccia soprattutto alla sorella. Ken lo
poteva capire, ma
lei era un’adulta. “Ha avuto coraggio a salire sul
palco e dedicare una canzone
alla sua ragazza”.
“Sì,
ma era meglio se non lo avesse fatto”, la
contraddisse Tyler, nascondendo un sorrisetto. “Si sarebbe
risparmiato una
figuraccia”.
Blake ridacchiò e strinse la mano al proprio ragazzo mentre
Freddie, ai loro
piedi, abbaiò la sua approvazione.
Kelly,
invece, alzò gli occhi al cielo ma non
aggiunse altro. Kenneth, che finalmente era riuscito a calmarsi e si
stava asciugando
gli occhi per le lacrime, esclamò: “Lucy, hai
avuto un’idea geniale a venire
qui. Era da tanto che non mi divertivo così”.
“Dovremmo
trascorrerle più spesso le serate al
karaoke”, aggiunse Amanda, sulle labbra ancora evidenti le
risatine che l’avevano
scossa prima. Mandò in gola un sorso di birra, sperando
forse di riuscire a
darsi un minimo di aspetto da persona adulta.
Finalmente
il ragazzo stonato che aveva cantato sul
palco tutto quel tempo e per cui Mandy e Kenny avevano riso
così tanto aveva
abbandonato la scena tornando al suo tavolo e il presentatore aveva
ripreso in
mano il microfono, cercando di convincere qualcun altro a salire e
cantare
qualcosa.
“Ehi,
Blake!”
Il
biondino voltò il capo verso l’amico che lo aveva
chiamato, curioso di sapere che cosa volesse.
“Ma
quello non è il ragazzo con cui uscivi un paio
di anni fa?” gli chiese Ken.
Blake si protese per vedere a chi si riferisse, ma non vide nessuno di
interessante. “Dove?”
“Quello vicino all’uscita di emergenza”.
Il ragazzo guardò stavolta nella direzione indicatagli e
subito dopo spalancò
la bocca per la sorpresa. “E’
vero! E’
lui!”
Anche
Lucy e Amanda, curiose, guardarono vicino alle
porte di emergenza. “E’ quello con la maglietta
rossa?” chiese la donna.
“Sì”,
le rispose la ragazza. “Ma non lo ricordavo
così… grasso?” Storse la bocca in
un’espressione un po’ schifata.
“E’
vero, è ingrassato”, concordò Blake.
“Una volta
era molto più figo. Ma chi è quello insieme a
lui?”
All’improvviso,
però, sentì qualcuno tossicchiare
accanto a lui e, voltandosi, vide Tyler con lo sguardo rivolto verso di
lui,
gli occhi assottigliati, come se lo stesse minacciando mentalmente.
Immediatamente, fece un sorriso molto innocente.
“Ehm… non che la cosa mi interessi. Ero
solo… curioso”.
“Oh
Dio, Blake!” esclamò di nuovo Ken, facendo fare
un balzo a tutti quanti. “Ti ricordi il pizzaiolo
dell’anno scorso? Quello sì
che era figo!”
“Eh,
come scordarselo”, sospirò il biondino.
“Ordinavi
la pizza tutte le sere solo per fartele
portare a casa da lui”.
“Quale
pizzaiolo? Di quale pizzeria?” chiese Tyler
in tono piuttosto acido. Blake si voltò di nuovo verso di
lui, mettendogli una
mano sul petto. “Niente, tesoro. Non era nessuno”.
“E
allora perché ordinavi la pizza tutte le sere?”
“Perché…
perché mi piace la pizza. E comunque quella
è una storia vecchia”. E per far cessare ogni
protesta, si protese verso le sue
labbra e lo baciò, senza preoccuparsi di chi li stava
guardando.
Lucy li guardò sognante, Amanda e Kelly si lanciarono
un’occhiata maliziosa e Ken
finì di bere la sua Coca Cola.
Quando
si staccarono, Tyler si passò la lingua sulle
labbra come per assaggiare il sapore di Blake e il biondino sorrise
contento,
specchiandosi nel riflesso degli occhiali scuri del compagno.
“Ehi,
Ty!” chiamò ad un tratto Mandy. Il moro
voltò
il capo nella direzione da cui proveniva la sua voce. “Ho
avuto un’idea!”
“Cioè?”
le chiese il nipote, ma già immaginava che
non doveva essere chissà che idea.
“Perché
non vai anche tu a
cantare?”
Il
ragazzo strabuzzò gli occhi dietro le lenti.
“Cosa?!”
“Dai,
tu sei molto più bravo di tutti loro messi
insieme. Farai un figurone”.
“No,
io non canto”.
“Davvero
sai cantare?” gli chiese Blake guardandolo
con occhi luccicanti.
“No,
che non so cantare”.
“Sì
che lo sa, è solo troppo modesto”.
“Dai,
Tyler, potresti farlo”, cercò di convincerlo
anche la madre.
“Ti
ci metti pure tu?” si lamentò il ragazzo che
sperava, probabilmente, di poter sprofondare sotto terra.
“Se
non vuoi cantare da solo canto io con te”, disse
Amanda allora. Sembrava che farlo cantare quella sera fosse diventata
una
questione di vita o di morte per lei. “Possiamo cantare The last time. Conosci il testo a
memoria”.
“Ma
io…”.
“Oh,
Ty, sarebbe carino sentirti cantare”, si
aggiunse Lucy e, se avesse potuto, il moro l’avrebbe
sicuramente guardata
malissimo.
“Dai,
fallo per me”, gli sussurrò allora Blake,
circondandogli il collo con le braccia e guardandolo con
un’espressione da
cucciolo supplicante che l’altro non poteva vedere ma che
poteva benissimo
immaginare.
Tyler,
alla fine, sospirò rassegnato e sbottò:
“E va
bene! Ma me la farai pagare, Mandy!”
“Ah
sì!” esclamò la zia battendo le mani
come una
bimba contenta, senza fare per niente caso all’ultima
affermazione del ragazzo.
I
due si alzarono e, camminando a braccetto, si
avvicinarono al palco. Lì vennero presentati e subito dopo
si posizionarono
davanti al microfono.
Poco dopo partì la musica, una musica di pianoforte
piuttosto lenta. In sala
era calato il silenzio, si udiva solo qualche basso mormorio da parte
del
pubblico trepidante. La
prima ad attaccare con la prima strofa fu Amanda: “I found
myself at your door,
just like all those times before. But I’m not sure how I got
there […] and you
open your eyes into mine and everything feels better”.
Poi
fu il turno del ritornello che cantarono
insieme, in tono basso e melodioso. “Right before your eyes I’m
breaking and fast, no reasons why just you
and me”. Tyler
stava ben attento a non sovrapporre la sua
voce con quella di Amanda. Dopo però cominciarono ad
aumentare sempre più
d’intensità il tono della voce, perfettamente in
accordo l’uno con l’altra,
senza coprirsi mai. “This is
the last time I’m asking you this. Put my name at the top of
your lips. This is
the last time I’m asking you why, you break my heart in the
blink of an eye,
eye, eye”.
Amanda
cantò da sola un altro paio di strofe e dopo
fu il turno di Tyler, finché non arrivarono ad alternarsi i
versi. “This is the last time you tell me
I’ve got it wrong. This
is the last time I say it’s been you all along. This is the
last time I let you
at my door. This is the last time, I won’t hurt you anymore,
ooh”.
Quando
arrivarono all’ultima strofa cantarono di
nuovo insieme, questa volta sovrapponendo le loro voci, sempre
più forte,
sempre di un tono più alto. “This
is the last time I’m asking you this, last time I’m
asking you this, last time I’m
asking you this”.
E
finalmente terminarono, lasciando il pubblico
completamente incantato. L’applauso partì solo
dopo qualche secondo, un vero
applauso e i fischi che qualcuno lanciavo loro erano di soddisfazione.
Anche il presentatore fece loro i complimenti. Tutti avrebbero voluto
un bis,
ma i due decisero di lasciare il palco per tornare al loro tavolo.
Nel passare in mezzo alla gente, si trovarono a dover sorridere e
ringraziare
tutte le persone che facevano loro i complimenti. Non che ad Amanda
questo
dispiacesse.
“Wow!
Non sapevo cantaste così bene”,
commentò Ken
una volta che Tyler e Amanda riuscirono a tornare al sicuro.
“Be’,
adesso lo sai”, gli rispose lei con un
sorrisetto soddisfatto.
“Perché
non mi hai detto che sapevi cantare?” chiese
Blake, prendendo la mano del proprio ragazzo.
“Perché
non è così importante”.
“Potresti
avere successo”.
“Ma
figurati! Non ho intenzione di fare il
cantante”.
Anche
Freddie pareva contento. Con un balzo mise le
zampe anteriori sulle ginocchia del suo padrone che gli
accarezzò il capo.
Blake invece gli si strinse più forte, notando tutte quelle
ragazze che stavano
lanciando occhiatine maliziose al suo ragazzo, sicuramente attratte dal
suo
bell’aspetto e ora anche dalla sua voce.
***
“Tyler
da piccolo usava sempre lo stesso cuccio”,
iniziò a raccontare Kelly seduta nella sala da pranzo della
casa di Blake a
chiacchierare con i genitori del ragazzo dopo aver pranzato
abbondantemente e
aver tracannato qualche bicchiere di vino di troppo.
Forse per questo ora era così esagitata e parlava come una
macchinetta,
raccontando anche cose che forse non avrebbe mai osato raccontare.
“Non voleva
mai cambiarlo. Quando cercavo di dargli un altro ciuccio si metteva a
piangere.
Ma il brutto è che il suo era diventato completamente nero,
era persino brutto
da guardare. Non capisco come facesse lui”.
La
madre di Blake scoppiò a ridere divertita, ma il
padre rimase impassibile a sorseggiare
il suo bicchiere di vino rosso. Ormai aveva rinunciato a cercare di
intromettersi nei discorsi delle due donne, partite per la tangente a
raccontarsi i più succulenti pettegolezzi.
“Mamma,
ti prego!” esclamò Tyler esasperato. Aveva
già sentito troppo e non gli andava che si mettesse a
parlare anche degli
affari suoi.
“Che
c’è?” gli chiese la donna che non
sembrava
nemmeno essersi resa conto di quello che stava dicendo.
“Non
puoi raccontare queste cose!”
“Be’,
perché no? Non sto mica raccontando chi sa
che”.
Il
ragazzo sospirò ma non aggiunse altro. Tanto era
inutile.
Blake, allora, con un mezzo sorriso, poggiò il suo piatto
del dessert sul
tavolo e prese la mano al proprio ragazzo. “Dai, Ty,
andiamocene. E’ meglio non
stare qui”. Lanciò un’occhiata obliqua
alla madre.
Prima di varcare la porta, però, vide il padre che lo
guardava con espressione
supplicante, come a volergli chiedere di portarlo via da lì.
Ma il figlio gli
rispose semplicemente con una scrollata di spalle a mo’ di
scusa e trascinò
Tyler verso le scale.
Quando
entrarono, il moro richiuse la porta dietro
di sé e vi si appoggiò sopra. E prima che Blake
si allontanasse, gli afferrò il
polso per bloccarlo. Il ragazzo si voltò di scatto,
leggermente sorpreso, e
vide negli occhi dell’altro una strana luce, una luce di
desiderio.
Tyler cominciò a risalire con le mani lungo le sue braccia,
arrivando fino alle
spalle, poi al collo, al viso. Con i pollici gli accarezzò
delicatamente i
zigomi, scendendo sulle sue labbra e infine, abbassò il capo
per baciarlo, un
bacio pieno di passione e urgenza, come se lo baciasse per la prima
volta dopo
tanto tempo.
Blake ricambiò, cercando di reggere la passione
dell’altro, ma ben presto si
trovò a essere sottomesso
dalla lingua
prepotente del compagno. Era rimasto piuttosto sorpreso da quel bacio,
Tyler
non aveva mai preso l’iniziativa prima di allora.
Si
staccarono solo quando si accorsero di dover
riprendere fiato, ma subito dopo il moro assalì di nuovo le
labbra dell’altro.
Con un colpo di reni scambiò le loro posizioni, sbattendo
Blake contro il muro
e inchiodandogli le braccia sopra la testa. Il biondino lo
lasciò fare, preso
alla sprovvista, ma anche dal piacere.
Poi Tyler spostò le sue mani sui fianchi del ragazzo e,
prendendogli i lembi
della maglietta tra le dita, gliela sfilò. Blake non oppose
resistenza neanche
stavolta.
“Tyler,
che ti prende?” chiese soltanto, con voce
roca, una volta che le sue labbra furono di nuovo libere.
“Ho
voglia”, gli sussurrò il moro, mordendogli il
lobo dell’orecchio. “Il cioccolato è un
afrodisiaco, lo sapevi?” chiese,
riferendosi alla torta al cioccolato che avevano mangiato poco fa.
Blake
ridacchiò e lo spinse sul letto, slacciandogli
la cintura dei jeans, completamente dimentico che non aveva chiuso la
porta a
chiave. Si tolse anche lui i pantaloni, alzandosi poi per prendere un
preservativo dal cassetto.
Quando si risedette sul letto, prese una mano di Tyler e glielo diede.
“Dai,
mettilo”.
“No”,
rispose il ragazzo. “Voglio che sia tu a
farlo”.
“Cosa?!”
Il biondino strabuzzò gli occhi.
“Voglio
che sia tu a farlo stavolta”. E gli mise
davanti il preservativo.
“Sei
sicuro?”
“Sì”.
Blake
non aggiunse altro e fece come il ragazzo gli
aveva chiesto. “Guarda che ti farà
male”, lo avvertì.
“Lo
so”.
Lo
fece sdraiare a pancia in giù e gli si mise
sopra. Cominciò a leccargli la zona della spina dorsale,
dall’alto in basso,
facendolo eccitare parecchio. A quel punto, gli infilò il
medio nell’apertura e
Tyler, che non se lo aspettava proprio, emise un singulto di dolore.
Blake andò
più in profondità e vide l’altro
inarcare la schiena.
“Shhh,
rilassati”.
Poi
infilò anche l’indice e a quel punto il moro si
morse la lingua per non urlare.
“Posso
smettere se vuoi”.
“No,
vai avanti”, gli ordinò, ma Blake poté
sentire
nel tono della sua voce il dolore che provava. Fece però
come Tyler gli aveva
chiesto, anche perché era parecchio eccitato e non gli
sarebbe piaciuto tornare
indietro.
Avvicinò il proprio sesso all’apertura
dell’altro e lo penetrò pian piano,
cercando di fagli meno male possibile, benché la cosa fosse
impossibile.
Tyler, che non voleva di certo staccarsi la lingua, morse il cuscino e
lasciò
andare qualche lacrima, cercando in tutti i modi di trattenere i
singhiozzi.
Sentiva l’altro spingersi dentro di lui, ma faceva
dannatamente male e non
provava alcun piacere.
Quando lo ebbe penetrato del tutto, cominciò a muoversi su e
giù, sempre
lentamente, seguendo un ritmo cadenzato. Improvvisamente,
però, sembrò che
fosse andato a toccargli un punto delicato, perché una pura
ondata di piacere
andò a pervadere il moro, facendogli mollare il cuscino e
desiderare ancora di
più.
Allora cominciò anche lui a muoversi, facendo capire a Blake
che gli andava
bene. Il biondino aumentò la velocità delle
spinte, aggrappandosi ai fianchi di
Tyler. E poco dopo vennero, insieme, con un gran sospiro di piacere.
Blake
si buttò di fianco sul letto, accanto al
proprio ragazzo che se ne stava ancora a pancia in giù, il
viso affondato nel
cuscino.
“Wow,
Tyler. È stato molto bello”, sospirò il
biondino, accarezzandogli delicatamente la schiena
con le dita. Ma l’altro parve non reagire.
“Tyler?” lo chiamò allora, preoccupato.
Soltanto in quel momento il moro si scosse un poco, voltando il capo
verso di
lui e aprendo gli occhi azzurri e leggermente umidi. Blake si accorse
delle
lacrime che avevano solcato il suo viso e assunse
un’espressione mortificata.
“Oh Dio, Ty! Ti ho fatto male, mi dispiace!”
esclamò, puntellandosi sul gomito
per sollevarsi.
“No,
no!” cercò di tranquillizzarlo allora
l’altro,
sorridendogli dolcemente. “Non mi hai fatto male”.
“Sì,
invece!”
Tyler
socchiuse gli occhi e sospirò. Era inutile
negare l’evidenza. “Ok, un po’ mi ha
fatto male. Però è stato bellissimo”.
Il
biondino gli accarezzò i capelli con una mano,
asciugandogli le lacrime che vedeva sul bordo dei suoi occhi con il
pollice, e
poi gli depositò un piccolo bacio sulla palpebra. Lo faceva
spesso e a Tyler
piaceva moltissimo, lo trovava terribilmente dolce.
Il moro invece gli poggiò una mano sul petto, spingendosi di
più verso di lui.
Poi affondò il viso nell’incavo del suo collo,
lasciando che l’altro gli
circondasse la schiena con un braccio.
“Che
cosa c’è?” chiese Blake in tono dolce.
“Niente”,
mormorò il moro contro la sua spalla.
“Voglio solo che mi abbracci”.
Il
biondino esaudì il suo desiderio e lo strinse
forte a sé.
“Ti
amo tanto, Blake. Non lasciarmi mai”.
“Mai
e poi mai”.
Poco
dopo, quando si furono addormentati, la madre
di Blake aprì piano la porta per chiedere loro se volevano
altro da mangiare.
Ma quando sbucò con la testa oltre la soglia,
trovò i due ragazzi stretti l’uno
all’altro sul letto, completamente nudi, eccetto un lenzuolo
leggero che
copriva loro solo le gambe.
Non riuscì a trattenersi dal sorridere a
dell’estrarre il suo cellulare dalla
tasca per fare una foto.
***
Tyler
sedeva sul letto nella propria stanza, un
libro in breil poggiato sulle gambe e le cuffie dell’ipod
nelle orecchie.
Improvvisamente, però, sentì bussare alla porta,
seguito dal solito cigolio che
questa emetteva quando veniva aperta.
“Ciao,
tesoro!” lo salutò sua madre allegramente.
“Posso farti un po’ di compagnia?”
“Certo!”
Il ragazzo si spostò un poco per farle
spazio e la donna si sedette accanto a lui, ponendo in mezzo una
ciotola con i
pop corn. “Ho portato qualcosa da sgranocchiare”.
Tyler
allungò una mano e incontrò i pop corn.
“Hai
ripreso a leggere!” notò Kelly con piacere.
“Sì”.
“Sono
stati gentili i genitori di Blake ad averci
invitati a pranzo”.
“Sì,
è vero”, concordò il figlio, gli occhi
fissi
sul muro davanti. “E sua madre cucina molto bene”.
“Penso
che tu e lui siate una bella coppia”.
“Lo
penso anche io”.
Cadde
un momento di silenzio, interrotto solo dallo
sgranocchiare dei pop corn.
“Sei
felice?” chiese Kelly, in tono serio. Era
chiaro che la risposta a quella domanda le importava molto.
“Sì”.
La
donna sorrise. Era stata una risposta
monosillabica ma era tutto ciò di cui aveva bisogno. Tyler
non aveva aspettato
troppo prima di rispondere, non aveva tentennato. Ciò
significava che era
veramente felice. Finalmente, dopo tanto tempo.
“Anche
io”.
“Pensi
che lo sia anche papà?”
Kelly
lanciò un’occhiata alla foto di suo marito
e suo figlio che il
ragazzo teneva sulla
scrivania. Poi riportò lo sguardo su Tyler.
“Certo. E penso che sia orgoglioso
di te”.
Il
moro, senza aggiungere altro, si protese verso di
lei e l’abbracciò, saltandole al collo come faceva
da piccolo. La madre
ricambiò l’abbracciò, il naso
solleticato dai capelli del figlio che sapevano
lo stesso odore di quelli di Richard. Avevano anche la stessa
consistenza.
Tyler era molto simile a Richard.
Suo marito le mancava immensamente, la vita che avevano prima di
quell’incidente le mancava immensamente. Ma adesso un
po’ meno. Adesso le cose
stavano cambiando, si stavano a poco a poco aggiustando, anche se non
sarebbe
mai tornato tutto come prima.
Però, almeno, stavano uscendo da quel brutto periodo.
La
felicità c’era ancora, non li aveva abbandonati
come avevano pensato.
E
tutto stava andando bene.
MILLY’S
SPACE
È
sempre strano concludere una storia. Da un lato si
prova una soddisfazione pazzesca e anche un pizzico di sollievo, ma da
un altro
è sempre un peccato. È come lasciare una parte di
sé. Ma le cose non possono
durare in eterno, specialmente quelle belle, come spero sia stata
questa
fanfiction. So che non ci sono stati grandi colpi di scena
né i personaggi hanno
vissuto delle avventure particolari, però questa storia
è nata col puro intento
di essere qualcosa di molto innocente e molto dolce. E spero ci sia
riuscita.
Bene,
non voglio dilungarmi in troppe parole, non l’ho
mai amato particolarmente. Ci tengo solo a precisare alcune cose su
questo
capitolo: la canzone cantata da Amanda e Tyler si intitola appunto The last time ed è cantata da Taylor Swift e Gary
Lightbody (del gruppo dei Snow
Patrol). In verità sono stata molto indecisa tra
questa e Everything has changed
(sempre di Taylor Swift e Ed Sheeran). Alla fine ho scelto la prima
perché musicalmente mi
piaceva di più.
La storia, invece, del ciuccio è una cosa vera ^^ da piccola
avevo un cuccio
che non volevo mai cambiare ed era diventato completamente nero. Quando
i miei
provavano a darmene un altro lo buttavo via XD
Bene,
e ora passo ai ringraziamenti. Be’, innanzitutto
ringrazio tutti quelli che hanno seguito questa storia, che
l’hanno letta, che
l’hanno amata, che hanno aspettato con trepidazione
l’aggiornamento. E ringrazio
anche quelli che l’hanno solo aperta e abbandonata dopo il
primo capitolo. Ringrazio
in particolare quelli che mi hanno recensito fedelmente ogni capitolo e
anche
quelli che l’hanno fatto saltuariamente. Non sto a nominarvi
uno per uno perché
non finirei più, io so già chi siete e vi adoro
tutti quanti.
Infine, ringrazio anche i lettori silenziosi e vi sprono a non essere
timidi e
a recensire più spesso. Agli scrittori fa sempre bene
ricevere commenti, non
tanto per mostrare qualcosa agli altri, quanto più invece
per sapere se la
storia piace, per avere delle soddisfazioni, per essere invogliati a
scrivere.
Pure le critiche vanno bene e anche i consigli. Quindi, non abbiate
paura ^^. Almeno
con me, io non mordo, lo sapete…
Ed
ecco, al solito ho scritto un papiro. Be’, spero di
non avervi annoiati.
Spero
che mi seguirete ancora anche nelle altre storie. Mi
trovate anche su facebook, su Milly’s
Space. Cliccate mi piace e, se volete lasciarmi messaggi,
potete farlo lì :
) ditemi anche se c’è qualcosa che vi piacerebbe
che io scriva, cercherò di
accontentarvi.
Questo
penso sia tutto.
Un
bacione,
la vostra fedelissima Millyray.
FEDE15498:
crisi d’astinenza da Milly? Addirittura?? Ahah, che bello **
sono contenta che
le mie storie riescano a prenderti così tanto.
Be’, che dire, anche secondo me
Ty e Blake sono troppo dolci, ma lasciamoli fare. Non chiamiamo la
polizia, dai
^^. Kelly è una madre fantastica, me la sposerei pure io ^^
o forse preferirei
Amanda, non so ^^ ahaha.
Già, la storia è conclusa, ma come ben sai il
sito di EFP non si libererà tanto
presto di me.
Ti ringrazio molto perché tu sei una di quelle che mi ha
sempre seguito e
recensito. Lo apprezzo.
A presto, Milly.
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