Lux ferre

di Swish_
(/viewuser.php?uid=257801)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Capire che qualcosa sta cambiando. Che tutto riesce a prendere una piega anche se essenzialmente non c’è senso logico che prenda. Quando l’impossibile si realizza, l’impensabile ti accade... E finisci per farci l’abitudine, ai cambiamenti.
Lei non sapeva se fosse giusto o meno tutto questo, ma qualcosa di certo c’era. Lui la guardava. Ogni giorno, ogni momento, ogni attimo passato a pensare alla sua testardaggine, la sua forza d’animo...  Il suo sorriso, lo cambiava. Era tutto ciò che lui non avrebbe mai potuto immaginare di poter desiderare, ma l’aspetto più preoccupante era il fatto stesso che anche solo pensare a lei lo cambiava. Ogni volta avveniva come un terremoto all’interno del suo animo. Un terremoto così devastante da abbattere ogni barriera psicofisica; era più forte di lui, lo sconvolgeva, ed era qualcosa di inaccettabile. Niente e nessuno era mai riuscito a metterlo in dubbio, lui era la forza stessa fatta persona, lui non si inceppava in cose del genere. Lui amava solo sé stesso... Prima di incontrare lei. E ora invece guardarla sembrava come una tentazione... Un vizio incessante che non faceva altro che picchiargli nella testa dall’alba al crepuscolo; per non parlare delle notti che col tempo lui affrontava sempre più con difficoltà. Era incredibile, un punto fisso, e lui l’aveva finalmente capito. Lo stava accettando. Ma come affrontare questa malsana ossessione? Come accettare il fatto che non sarebbe mai stato davvero possibile lasciarsi andare a questi insensati imprevisti banalmente umani?
Prima lei era innamorata. Ora solo ferita. Amava pensare spesso di avere qualcuno accanto, anche quando era sola. Almeno fino al tradimento. Ora ignorava ogni aspetto sentimentale, si limitava a sorridere. Viveva delle gioie altrui, lei. Viveva soprattutto del sorriso che riusciva a provocare. La ricaricava, le dava la forza necessaria per continuare. E proprio quando uno di quei suoi stessi sorrisi incontrò gli occhi suoi, non ci fu più barriera che tenesse.
Spesso si paragona l’essenzialità della persona amata all’aria, ma per lui non era così. Lui amava paragonarla alla brezza leggera che gli sfiorava il viso appena scorte le acque salate del mare. Il colore della sabbia al tramonto gli ricordava il vivo riflesso dei suoi capelli alla luce del sole.
O meglio, lui cercava almeno di paragonarla al vento, o alla brezza, o alla sabbia, o al tramonto... Ma il paragone in sé gli sembrava inconcepibile. Col tempo si rese conto che nulla poteva rendere la sua bellezza, più che altro, il mare al tramonto glie la ricordava e questo bastava a consolare la sua anima dannata, almeno per un po’.
E per l’ennesima volta, per l’ennesimo giorno, lei lo vide.
I suoi occhi equivalevano ogni qual volta ad un tonfo al cuore; quel suo atteggiamento così spavaldo ed allegro... Con lui prendeva una piega diversa.
Ed anche quel giorno preferì evitarlo. Uscendo dalla sua classe si voltò verso il fondo del corridoio... E fu un ennesimo tonfo verso l’abisso del proprio essere. Sentiva addosso i suoi occhi oceanici seguirla fino all’uscita. Il peso orribilmente pressante del suo sguardo... Era così snervante.
Ma tanto lui l’aspettava, appoggiato al muro con le braccia conserte e lo sguardo penetrante; l’aspettava come tutti gli altri giorni. Forse come tutta una vita. Una vita eterna e dannata, ma pur sempre una vita dopotutto.
Sì, l’aveva capito.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo II ***


- Quando pensi di cambiare tattica? -
Era un cupo pomeriggio di fine autunno, Andrea era abbandonata sul letto stanca e sfinita, tanto che anche solo tenere la cornetta del telefono con la mano vicino l’orecchio le risultava uno sforzo sovrumano.
-  In che senso?  -
-  Intendo dire quando ti deciderai a riconcedere il tuo oneroso saluto al ragazzo più bello e impossibile di tutto il paese! -
Gli occhi terrosi di Andrea salirono per un istante al cielo, a formare un’evidente smorfia di scontento:
- Ti sbagli, è semplicemente un caso. Fuori scuola ci sono centinaia di ragazzi. Se non mi accorgo di lui non è di certo una mia colpa! -
- Beh, è un po’ difficile accorgersi di una persona se non gli dai il tempo di avvicinarsi… -
- Abito lontano e voglio risparmiare più tempo possibile. Caso chiuso. - concluse infine Andrea, col tono di una che non ne voleva più parlare.
- Okay Andrea…  Se lo dici tu… - rispose Nives dall’altra parte della cornetta, con tono arreso.
- Nives, secondo te il professore di greco mi ucciderà domani se mi giustifico? -
Nives era la sua amica più stretta da tantissimi anni ormai, quando però Andrea incontrò Cesare e nacque l’amore tra di loro, ci fu un lungo periodo di distacco. La fiaba romantica poi però subì la sua trasformazione, e l’incubo procreatosi finì con bugie sorte allo scoperto e tante lacrime versate… E lì Nives ricomparve, pronta a sorreggere i suoi crolli nervosi e ridarle la forza necessaria per superare un anno e mezzo di relazione andata in fumo, nonché la terribile e sovrastante bulimia che le aveva procurato quella improvvisa rottura.
Dopo tre mesi duri ed intensi di tentativi e di frequenti alti e bassi però, Andrea ritrovò la forza di uscirne, e da allora lei e Nives erano più unite che mai. In fondo l’amicizia era questo, esserci anche quando non ci si vedeva o sentiva per parecchio.
 In fondo, bastava sapere che lì c’era e ci sarebbe stato qualcuno solo per te, sempre. Che fosse per ridere o per piangere.
- Probabilmente sì, ma tanto tu hai sette vite. Te la caverai! - rispose Nives divertita.
- Sono una miciaaa! - esclamò Andrea, ridendo.
E risero parecchio, quella sera. Un po’ com’era loro abitudine. Una volta salutatesi Andrea trovò la forza di alzarsi, di cambiarsi e infilare il suo corpo snello e formoso in una maglia di lana tre taglie più grandi di lei… Adorava dormire in quello stato, le suscitava un forte senso di leggerezza. Così, conciatasi in “modalità dormita” si stese sul letto, ma proprio non riusciva a distogliere la mente dalle parole di Nives.
“…Beh, è un po’ difficile accorgersi di una persona se non gli dai il tempo di avvicinarsi…”
In effetti era vero, Andrea lo stava evitando. Oramai era passato poco più di un anno da quel periodo buio di tre mesi… Ora era andata avanti, ne era certa. Ciò non toglieva il fatto che lei sull’argomento “ragazzi” avesse sovrapposto un’enorme croce nera per un lutto a tempo indeterminato.
Non che non avesse amici maschi, anzi ne aveva parecchi, ma lui… Era diverso. Ogni volta che le parlava, le veniva dentro una sensazione simile a quella di un paracadutista nell’istante in cui realizza di non avere più i piedi ben saldi sul pavimento dell’elicottero. Come se cadesse in un precipizio; la sua presenza col passare del tempo si rendeva sempre più irritante. Andrea odiava mostrarsi in difficoltà. Una persona socievole come lei non era fatta per sentirsi a disagio, anche se nell’ultimo periodo le capitava spesso. Preferiva stare bene lei, e far stare altrettanto a proprio agio le persone in sua compagnia. Eppure con Alex proprio non ci riusciva.

Si erano conosciuti per caso, un sabato sera. Andrea si stava recando a casa di Cesare, al tempo in cui regnava ancora il “periodo d’oro” tra loro due… O almeno, il periodo in cui Cesare continuava ancora a fingere che andasse tutto bene.
 Andrea attraversò un incrocio col suo fare da ragazza indaffarata a passo svelto, quando voltandosi si rese conto che una moto possente, e sicuramente molto pesante, stava per investirla. Il conducente (ovviamente senza casco) aveva accelerato porgendo per quel breve ma fatale istante lo sguardo  alle sue spalle, verso una macchina dietro di lui, senza preoccuparsi di chi potesse passargli davanti… Il caso volle però che Andrea fosse lì, salvata per un soffio. Sarà forse stato per le sue doti canore?
- Deficiente! - gli urlò sbigottita.
E fu così che Alessandro Conte si voltò e porse le sue attenzioni su una ragazza dall’aria sconvolta, ma con uno sguardo furioso che, Alex non riuscì mai a spiegarsi il perché, gli ricordava lo sguardo scaltro ma furibondo di una tigre che si contendeva la sua preda e marcava il suo territorio.
Era bellissima.
 Alex frenò giusto in tempo, e Andrea dopo avergli comunicato tutta la sua furia con il suo solo sguardo si voltò e riprese a camminare, con fare ancora più marcato. Ma Alex voleva di più:
- Ti ho spaventata? - le chiese Alex, proseguendo al suo fianco a passo d’uomo con una motocicletta capace di raggiungere i 300 km/h.
- Vattene. - rispose Andrea che, dal canto suo, non lo guardava neanche; continuava a camminare sperando semplicemente che se ne andasse.
- Fermati… - le disse.
 C’era qualcosa nel suo tono… Andrea esitò, rallentando il passo.
 Che fosse…
- …Per favore. - …dispiacere?
 Andrea si fermò contro ogni sua aspettativa, e voltandosi verso di lui colse l’occasione per guardarlo meglio: occhi di un blu intenso, contrasto perfetto con le sue ciocche lisce con le punte ribelli e nere come il carbone che gli ricadevano sul viso. Quell’insieme di contrasti le fece saltare alla mente la visione strana di una pioggia d’inchiostro nero che si estendeva sull’infinita distesa di un oceano in tempesta. Aveva delle belle labbra, una carnagione chiara, ma non sbiadita… Le ricordò un angelo sin da subito.
 Il forte senso di vittoria che invase l’animo di Alex per essersi guadagnato l’attenzione di lei, si manifestò subito con un sorriso beffardo che mandò Andrea su tutti i nervi.
- Allora? Ti ho spaventata? -
- Beh, sicuramente non sto facendo i salti di gioia! - Andrea esitò ancora a guardarlo, non sapendo precisamente il perché. E allora Alex colse la sua occasione per guardarla meglio: occhi dal colore delle foglie in autunno, castani come l’arbusto di un albero fiero e rigoglioso, in perfetta armonia con la sua chioma folta e ribelle dallo stesso colore. Non si era sbagliato, era davvero bellissima.
- Mi devi perdonare, tutta colpa di quei ragazzi sconsiderati che avevo dietro di me… - le rispose, indicando la macchina che prima era alle sue spalle, e che ora si trovava poco più avanti.
- Sì, certo… -
- Come ti chiami? -
- Eh!?-
- Non ti ho mai vista in giro… Sei nuova di qui? -
- No. Ci vivo da quasi dieci anni se può interessarti… E comunque, per la cronaca, neanche io ti ho mai visto. -
- E quindi com’è che ti chiami? -
- Beh, di solito prima di chiedere il nome ad una persona sconosciuta, l’educazione vuole che ci si presenti e si dica prima il proprio… -
- Perdonami, sono proprio un maleducato. Io mi chiamo Alessandro Fabrizio Conte, chi ho il piacere di conoscere? - chiese Alex accennandole un inchino  giusto con un cenno del capo, mentre quegli occhi non smettevano mai di guardarla. Erano incantati… Come ipnotizzati.
- Andrea Pietrosa. Piacere tutto mio, guarda… -
Se c’era qualcosa che inaspettatamente le riuscisse bene, oltre socializzare, era il sarcasmo: le donava molto quando voleva.
Di lì poi, nacque una conversazione lunga mezz’ora, dove si conobbero meglio. O meglio Alex si interessò di conoscere meglio Andrea.
E quel ritardo Andrea non riuscì mai a giustificarlo con sincerità a Cesare. Senza capirne il preciso motivo, preferì così.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo III ***


I vestiti stavano a pennello, i capelli erano solitamente scompigliati a modo loro, e il trucco era perfetto: Andrea era pronta per andare a scuola.
 L’aria fresca di prima mattina sembrava quasi donarle un giorno in più di vita ad ogni respiro che emanava. Era quasi gelida, ma ad Andrea non dava affatto fastidio. Forse per il passo svelto, o forse per l’abitudine.
 La notte prima si era insolitamente addormentata tardi, aveva problemi a prendere sonno… Probabilmente pensava troppo.
“Stupidaggini, era uno stupido ed insignificante flashback” pensò, ed in effetti fu solo per questo che si addormentò rammentando il colore dell’oceano e si risvegliò con lo stesso pensiero di quella pioggia d’inchiostro nero.
 “Passiamo avanti e cambiamo discorso.”: era arrivata fuori scuola. Nives era già lì ad aspettarla, come ogni mattina.
- Come va micia? -
- Male, ho dormito poco… -
Seguì subito una risata della compagna, che riempì nuovamente di gioia l’animo di Andrea che per qualche momento le era sembrato quasi vuoto. Per lei Nives aveva una gioia di vivere invidiabile e bellissima; aveva una corporatura gracilina, ma lì dentro serbava una forza d’animo spaventosa.
Nives scostò una delle sue ciocche di capelli nere e lisce, e con sguardo intrigante indicò con una mano la camicetta che indossava sotto la felpa nera e aperta: ricordava molto una di quelle camicie da notte estremamente larghe di fine ottocento, con la differenza che quella di Nives si fermava alla vita, o poco più giù, per poi dar sfoggio ai jeans super-brillantinati (tipicamente nel suo stile) che lei amava tanto.
Andrea, visto il nuovo acquisto, sbarrò gli occhi e rise anche lei:
- Wow! Stasera me la presterai? - le chiese, ridendo di gusto.
 Quella mattina tirava un vento leggero, che immersosi nella folta chioma castana di Andrea, creò una specie d’armonia visiva che ricordava molto le corde danzanti di un’arpa all’apice della sua esibizione.  Non sapeva lei che l’immagine di quel preciso istante fu fatto tesoro da fotografici occhi oceanici, poco distanti. Come oramai ogni mattina.
E così, tra una battuta e l’altra, le due compagne s’incamminarono verso l’entrata tetra della loro scuola, nonché verso la loro gabbia-pseudo-aula che le attendeva. Era la stessa da quattro anni ormai… Quel banco che le accoglieva ogni giorno poteva riconoscersi tra mille: custodiva un grande ed intenso pezzo della loro vita, soprattutto la parte destra, quella di Andrea che durante le lezioni non riusciva mai a star ferma, e trascriveva puntualmente qualsiasi cosa le venisse in mente.
 Sedendosi rivide per l’ennesima volta la data che trascrisse più di un anno fa. Quella non andava via col tempo, Andrea la trascrisse apposta con un pennarello indelebile: 22/03/10, la data del giorno in cui Cesare si dichiarò ad Andrea.

 In realtà era cominciato tutto come un gioco. Si conobbero tramite alcune amicizie comuni all’interno della scuola, e ci fu subito una forte intesa fra loro due. Già dai primi giorni di conoscenza riuscirono a trovare quell’armonia che tra alcune persone riusciva a nascere dopo anni. Dopo qualche settimana finsero di essersi fidanzati l’uno con l’altro per allontanare alcuni amori non corrisposti, e dopo un mese esatto dal finto fidanzamento, ci fu quello vero… E la data di quel giorno era lì, su quel banco. Il 22 Marzo 2010 Cesare le disse per la prima volta “Ti amo”… Da lì in poi per loro sembrò tutto in discesa, Andrea conobbe la famiglia di lui e Cesare quella di lei, e quell’anno e mezzo sembrò quasi volare.
 Andrea la ricordava ancora molto bene, quella sera. Quel ragazzo splendido, dai capelli color del sole di prima mattina, e uno sguardo profondo e tenero dal color dell’ambra. Erano usciti a cena fuori per la prima volta, e anche se ancora non stavano realmente insieme, Cesare non si preoccupò di comportarsi da vero fidanzato facendole trovare una rosa rossa sul tavolo e, dopo aver mangiato, avendole porto un cofanetto con un anello d’oro all’interno. Fu in quel momento che le strinse la mano, calzò l’anello al suo dito, e guardandola negli occhi le disse di amarla in segreto dal primo istante in cui l’aveva vista.

 Andrea ritornò alla realtà: erano le nove meno venti di una inqualificabile mattinata d’autunno… E lei era lì. Già, era ancora lì, nonostante tutto. Perché a volte, quando una persona qualsiasi diventa essenzialmente una propria abitudine, capita di non riuscire ad immaginarsi la vita senza. Eppure continua. Eppure, c’è.
C’è ancora una vita, proprio così, tutta una vita che ti aspetta… Con o senza di lei. Con qualcuno o con nessuno, la vita non smetterà mai di avanzare. Cambierà, quello sarà inevitabile. Ma nella vita tutto ha un senso. I cambiamenti, belli o brutti che siano, servono a farti crescere. E se avvengono, significa che urge il bisogno di maturare, per affrontare magari un avvenimento che sta lì aspettandoti poco più in là, poco dopo quel piccolo ed insulso cambiamento che però, al momento giusto, capirai che sarà stato paurosamente utile ed essenziale. Accade solo ciò che è necessario, un po’ come nell’ecosistema: la catena dell’esperienza di vita d’ogni singola persona è, consciamente o no, indissolubilmente legata ad un’altra, e così via.
- Ehiii, sei tra noi? - Nives aveva posto tutto sul banco e già era pronta con la penna in mano per prendere appunti; Andrea aveva ancora tra le mani il suo zaino:
- Sì, ci sono… Ho avuto un tu per tu con Gandhi. - rispose tranquilla, accennandole un sorriso di cortesia.
- Dovresti coprire quella scritta. -
“…bene, ha capito tutto.”
- Quale scritta? –
- Quella che stai fissando da quando sei entrata. - “Ecco, appunto.”
- Oh, quella? Nah, pensavo ad altro… -
- Credi che Cesare si sia pentito? - a quelle parole Andrea sentì morire:
- Come? - quella domanda l’aveva presa completamente alla sprovvista. Quando un anno prima Andrea riuscì a riprendere peso, decise con Nives di parlare il meno possibile di Cesare, se non per niente.
- So che avevamo deciso di non parlarne più… Ma ormai è passato un anno… E lui dopo aver chiuso la storia con te, ha interrotto i rapporti con chiunque… Anche con quell’altra putt… -
- Non mi interessa. - gli occhi di Andrea fissavano il vuoto, gelidi.
- Lo so, ma non vorresti sapere cosa abbia potuto portare Cesare a non fidanzarsi più con nessuna dopo tutto questo tempo? Addirittura lasciare l’amante… -
- Beh, se ti dispiace… -
- Non intendo dir… -
- Basta, Nives. Potranno passare cent’anni, ma una pugnalata alle spalle rimane una pugnalata alle spalle. Una cosa giusta l’ha fatta, lasciando anche quella… - soppresse gli insulti tenendo strette le labbra per qualche secondo:
- … Sì, probabilmente l’avrà fatto per me. Ma dopo più di un anno, cosa dici, un minimo di rispetto lo merito? Se non valeva nulla per lui, doveva farlo. E se l’avesse fatto per riconquistarmi, se fosse stato davvero così…  Ai miei occhi non può apparire se non come un ultimo disperato tentativo inutile e insensato. Per me può andare anche a puttane. Storia chiusa. - il suo tono era deciso ed agghiacciante: non era da lei. Nives si incupì, abbassando lo sguardo:
- Come dici tu, Andrea… -

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Era una calda serata di fine estate dell’anno 2011, il sole era tramontato da poco e per essere orario di cena le strade erano ancora abbastanza popolate. Non tirava un solo alito di vento, e l’umidità della notte cominciava a farsi sentire.
Sulla fronte di Alex scivolò lentamente una goccia di sudore ma lui non ci fece neanche caso. Era seduto sullo schienale di una panchina in un parco vicino il centro del paese, con i gomiti poggiati sulle ginocchia. Era stranamente agitato quella sera, e Daniel l’aveva ben capito:
- La smetti di agitare questa gamba? Fai muovere tutta la panchina! - Daniel era seduto accanto a lui, allo stesso modo di Alex; aveva una fascia bianca tra i capelli biondi e gelatinati e un paio di cuffie vecchio stile blu che gli cingevano il collo; la leggera maglietta rossa di cotone che indossava Alex cominciò ad imprimersi del suo sudore…  Non era semplice calore di fine estate, c’era qualcosa di più. Qualcosa che turbava l’animo di Alex, e questo non era affatto normale.  Daniel lo osservava con la stessa preoccupazione che una madre potrebbe provare per un figlio. Una qualsiasi altra persona lo avrebbe trovato sconcertante, ma Alex invece ci era abituato.
- Cos’è, Lucius? Cos’hai? - gli chiese Daniel con tono pacato.
 Alex al suono di quelle parole scattò verso di lui e per poco non cedette all’istinto di afferrarlo per la gola. I suoi occhi oceanici erano cambiati, erano diventati dello stesso colore di un iceberg se non anche più gelidi. - Non chiamarmi più in questo modo! Quante volte ancora dovrò dirtelo!? – la sua voce era un ruggito. Con un salto balzò giù dalla panchina, poi si voltò di nuovo verso Daniel fissandolo con aria furiosa e allo stesso tempo con un briciolo di disperazione; una qualsiasi altra persona avrebbe raggelato alla vista di quello sguardo… Daniel, invece, rimase lì dov’era con un’espressione in viso del tutto tranquilla, se non altro un po’ preoccupata. Entrambi sapevano però che la preoccupazione di Daniel non era rivolta a sé stesso.
- …E’ arrivato. Quel momento. - disse Daniel, guardandolo con imminente solennità. Alzò gli occhi al cielo, dove le stelle risplendevano sul fondo scuro dell’universo:
- Ti stanno osservando… Anche loro l’hanno capito, che è arrivato il giorno. -
- Smettila. – Alex, sempre più furente, aveva le mani chiuse a pugno e continuava a sudare smaniosamente. Era in piedi dinanzi a lui, immobile.
- Stai parlando di eresie. - continuò quasi con un grugnito. Daniel, lentamente, scese dallo schienale della panchina per sedersi meglio; poggiò le braccia lì dov’era seduto pochi attimi prima e con fare tranquillo incrociò lentamente le gambe:
 - “Tu verrai punito della presunzione arrogante d’un angelo immeritevole. Sarai cacciato…” - Alex cominciò  a dimenarsi, provò a coprirsi le orecchie con le mani mentre Daniel continuava il suo discorso come se stesse recitando una poesia, ora in un’altra lingua. Dopo istanti interminabili dove Alex cercò di ignorarlo, in preda alla furia scattò verso Daniel non riuscendo più a contenersi, e stavolta lo afferrò davvero per la gola.
- Taci! - urlò. I loro volti erano distanti un soffio, le mani di Alex tremavano, nonostante riuscissero ancora a tenere ben saldo il collo del compagno che, dal canto suo, non si era spostato di un millimetro, né aveva cambiato espressione. Di tutta risposta, sorrise:
- Alex, non siamo soli, potresti attirare l’attenzione! Ridatti un contegno… -
Alex rimase per un attimo così, immobile, chinato in avanti con il collo di Daniel tenuto saldo nella sua mano, poi chiuse gli occhi con un sospiro… Per un lungo istante, e quando li riaprì, erano diventati gli stessi di prima: un blu scuro ed oceanico… Quelli di “sempre”.
Si staccò da Daniel, si ridiede il contegno di cui parlava sospirando ancora, e si sedette con calma accanto a lui.
- Non puoi pretendere che io resti calmo, dopo aver nominato quel nome, e dopo aver cominciato a… - si bloccò e richiuse gli occhi, inondando il suo viso tra le mani. Il ragazzo biondo dagli occhi angelici si voltò verso di lui:
- Cominciato a far cosa? Sai benissimo perché mi trovo qui. Così come sai anche il motivo della tua presenza qui! -
- Abbiamo passato secoli cercando di non parlarne… E adesso vorresti improvvisarti rivoluzionario?! - Alex cercò di contenersi, per quanto riusciva:
- Non ne abbiamo parlato prima perché non  è mai stato il caso. D’altronde, hai sempre saputo benissimo che prima o poi sarebbe accaduto, e in verità nei tuoi panni… Ci avrei sperato! - Daniel accennò una risata sarcastica mentre Alex restava fermo a fissare il pavimento di mattoni:
- Non è così semplice. - disse poi, piano.
- Dov’è lei? -
Alla domanda Alex trasalì, alzando lo sguardo per riportarlo sul compagno, poi esitò.
- Tu… Come…? -
- Ricordati chi sono… E non fare domande stupide! Sai essere un ragazzo così intelligente, quando vuoi…! - “Ragazzo…” pensò Alex, facendosi sfuggire un amaro sorriso.
- Non lo so. -
- Oh, ecco individuato il problema. -  Daniel incurvò le labbra per un tenero sorriso guardando per un istante verso il basso, poi assunse l’espressione tipica di un vecchio saggio che dimostrava di aver già capito tutto, e tornò  fissarlo. Lo sembrava, o forse lo era davvero?
- Lui l’ha abbandonata. L’ho saputo. E lei non sta più uscendo di casa… Ne sono sicuro. - si fermò per qualche secondo prima di continuare con tono ancor più angustiato:
- Sono riuscito a vederla però. E… Sta male. E’ molto più magra, è pallida… Ma solo una volta, più di una settimana fa. -
- … E tu adesso che lei non c’è ti rendi conto che vederla non era un semplice passatempo come gli altri… -
- Daniel, è così che ci si sente? E’… Davvero possibile non riuscire più a sentirsi completi da un giorno all’altro? Ho conosciuto nel corso della storia i più grandi artisti romantici, ho sentito parlare così tanto spesso dell’a… a… -
- …amore. - completò Daniel con un sorriso dolce:
- E’ così che si dice, in questo gergo. Non te lo ricordi perché non hai mai provato interesse a conoscerlo qui. -
- Soprattutto perché dopo l’Inghilterra è un po’ difficile ritornare in Italia e riprendere il gergo… -
- Non provare a tirare giustificazioni assurde e pensa ora a cosa avrai intenzione di fare… - disse Daniel, che dopo essersi fermato un momento a guardarlo, rise compiaciuto:
- E’ strano vederti così, indif… -
- Non permetterti nemmeno di pensarlo! Debole non lo sarò mai, figuriamoci indifeso! - Alex assunse un’espressione risoluta, e si alzò con impeto dalla panchina; Daniel da canto suo lo seguì con eleganza:
- Okay… - rise con gusto sotto i baffi che non aveva mai avuto.

Insieme si diressero verso la moto di Alex poco distante, erano quasi arrivati all’uscita del parco. La serata era inoltrata e le strade si erano desolate. Era una giornata infrasettimanale e seppur ancora le vacanze non erano finite, in quel paese a quell’ora le persone erano solite restare a casa. Ovviamente questa buona parte di persona non comprendeva  Alex e le sue compagnie.
Ad un certo punto mentre i due percorrevano il vicolo principale per l’entrata del parco, Alex si soffermò come incantato:
- Lei è forte… -
I suoi occhi si fermarono su di una rosa arancione appena sbocciata, e per la prima volta dopo l’infinito arco di tempo che aveva condiviso con lui, Daniel vide uno strano bagliore nel suo sguardo… E se ne meravigliò. Lo lasciò continuare con sguardo assorto, e di fatti Alex dopo un attimo di silenzio lo fece, sorridendo:
- Ne ho viste di donne… Ma, lei… E’ capace di buttare giù muraglie di qualsiasi genere con un solo sguardo. La vedo, la sua forza… E lei nemmeno ne è consapevole, di tutto quello che sarebbe capace di fare. - si voltò verso Daniel e lo guardò come mai fatto prima. Un’espressione indecifrabile:
- …E adesso non c’è. -
- E’ difficile ammettere che qualcuno ti manchi, eh? - Daniel ignorò l’occhiata che, di sottecchi, gli rivolse Alex e continuò, diventando serio:
- Cosa pensi di fare? -
- Aspettarla, come ho sempre fatto. -

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Dopo ben cinque ore intense e stancanti, finalmente anche quella giornata scolastica finì.
Splendeva il sole e, nonostante la stagione autunnale ormai inoltrata dell’anno 2012, si sentiva ancora particolarmente caldo.
-Oggi sei impegnata con Tiky?-
Nives scendeva le ultime scale e Andrea la seguiva appena dietro di lei.
-No, oggi aveva già deciso di stare con Mumu…- rispose con un puerile sorriso Andrea.
Insieme erano uscite e ora si stavano incamminando svelte verso l’uscita.
-Volete smetterla di invitare a cena i vostri pupazzi?- Lorenzo sbucò fuori da quella mandria di giovani in fuga verso casa e abbracciò Andrea, sorridendo allegramente.
-No, mai! Tiky è la mia giraffa!- rispose falsamente offesa Andrea.
-…E Mumu è la mia mucca! Attento a ciò che dici!- continuò Nives poco prima di porsi in avanti per sferrare uno dei suoi ceffi amichevoli a Lorenzo.
-Perché i pupazzi…- precisò Andrea, fermandosi e guardando con fierezza i suoi amici…
-Sono i migliori amici di una donna!-
Lorenzo scoppiò a ridere:
-Ma, quelli non erano i gioielli!?-
-Lore, tu le donne non le capirai mai…- disse Andrea, socchiudendo gli occhi per un istante poco prima di scoppiare a ridere anche lei; dopodiché prese Nives per un braccio e Lorenzo per l’altro:
-Su, andiamo a casa, che ho fame!-

Il cortile della scuola si era già sfollato e fuori il cancello si trovavano solo poche persone intente a salutarsi… E quel giorno, anche un gruppo di ragazzi, facce mai viste prima, che sorseggiavano birre fredde all’esterno di un bar che affacciava lì di fronte, e poco distante da quella piccola massa di ragazzi in jeans e maglietta, si poteva scorgere anche una moto nera parcheggiata in seconda fila.
Salutata Nives, Andrea d’un tratto si fermò per guardarsi intorno: aveva la strana sensazione d’essere osservata.
Una volta rivolto lo sguardo verso quella moto nera, cominciò a capire il perché.
-Lore, andiamo!- urlò verso Lorenzo poco distante, che nel frattempo era intento a salutare altri amici. Andrea sentì il desiderio di scappare via in un modo così intenso, da sentirsi come un soldato in campo di guerra.
Quando però Lorenzo la raggiunse, Andrea non ebbe nemmeno il tempo di realizzare di essersi voltata per intraprendere la strada di ritorno con il suo migliore amico, che si ritrovò a distanza d’un palmo dal suo viso un paio d’occhi oceanici che la fissavano, vispi e illuminati di un’allegra luce molto simile a quella scintilla di follia ai limiti della pura genialità.
Andrea ebbe un sussulto e indietreggiò, dando una spallata a Lorenzo:
-Ehi!-
Lei chiuse gli occhi per un attimo e sospirò:
-Alex…-
-Ciao!- disse Alex, sfoggiando uno dei suoi sorrisi migliori.
Era alto, Andrea l’aveva già notato da tempo, e quel giorno posto a gambe unite, mani in tasca e il busto proteso leggermente in avanti verso di lei: non si era mai sentita così bassa. Ma oltre ogni dettaglio, Andrea realizzò di non aver mai notato prima di allora quella strana luce nei suoi occhi… E quell’atteggiamento spavaldo. Forse la sua mente lo aveva rimosso, visto che per mesi interi cercò di evitarlo a tutti i costi.
-Ciao…- ed anche allora Andrea, rispondendo, non si preoccupò nemmeno di esibire un solo briciolo di finto piacere nel rivederlo.
-Da quant’è che non ci si vede?-
Alex era così calmo, e disinvolto… Per Andrea era davvero snervante:
-Da un po’. Scusa ma stavo per andare… Si è fatto alquanto tardi.-
-Suvvia sono appena le 13:00! Se vuoi, posso darti io un passaggio!- …ed eccolo lì, il suo sguardo ammiccante.
NO.
-Scusa, tu sei…?- Lorenzo era rimasto fermo lì a fissare Alex per qualche istante prima di parlare; Nives gli aveva parlato già di lui e Andrea, ma era sempre stato diffidente da quella storia. E ad Andrea in effetti, non dispiaceva affatto.
Lorenzo era il suo migliore amico, per lei non c’era un solo segreto che potesse tenere con lui, Andrea proprio non riusciva a tenere niente per sé. Era la tipica spalla su cui piangere di cui tutti parlavano, ma soprattutto era quell’amico che senza dire niente, quando qualcosa non andava, la guardava negli occhi per un po’ e poi l’abbracciava teneramente per tutto il tempo di cui lei ne sentisse il bisogno.
Non poteva esistere un amico migliore di lui, Andrea ne era certa.

-Oh, Andrea! Ma come, l’educazione vuole che in questa circostanza tu mi presentassi il tuo amico, devo ricordartelo io?-
Andrea aprì la bocca per replicare con tanto di disappunto, ma Alex le pose l’indice delicatamente sulle labbra, socchiudendo gli occhi in segno di silenzio. Lei si raggelò, ma Alex non sembrò nemmeno farci caso, anzi continuò rivolgendosi per la prima volta a Lorenzo:
-Piacere, Alessandro. Tu sei?-
-Lorenzo.-
Lo sguardo di Alex ritornò subito su Andrea. Aveva ancora il suo dito posato sulle labbra di lei, che frattanto si era completamente pietrificata, con gli occhi sbarrati.
D’improvviso lui avanzò un passo verso di lei. Il suo viso distante pochi centimetri da quello di Andrea. A breve distanza di tempo poi, la mano di lui si aprì e le dita scesero sul suo mento con l’anulare e il mignolo che sfioravano il suo collo. Sembra va che da un momento all’altro Alex avrebbe voluto baciarla, e al solo pensiero Andrea si sentì morire.
-Allora, vieni con me?-
-Credo che Andrea voglia…- l’intervento di Lorenzo fu subito smozzato al principio dal suono di un telefono squillante. Era proprio il suo, così si allontanò un attimo, sbuffando.
Andrea avrebbe voluto ribellarsi, spostarsi, allontanarsi da Alex o addirittura schiaffeggiarlo… Ma niente, era immobilizzata. Dal canto suo Alex vedendo lo scontento di Lorenzo rise di gusto, senza guardare nessuno in particolare come se ridesse tra sé, ma nel frattempo non si mosse neanche lui di un solo centimetro. Non aveva mai avuto Andrea la possibilità di guardare i suoi occhi così da vicino. Si incontrarono molte altre volte, dopo il loro primo incontro. Ad Alex piaceva da morire giocare con l’impeccabile correttezza di Andrea nei confronti di Cesare, all’epoca, e fu proprio da questo suo “gioco” che nacquero tutti quegli incontri, uno dopo l’altro… Tutti casuali, ovviamente.
-Suvvia, solo per oggi!-
-No, grazie.- sentenziò Andrea con quel po’ di voce che riusciva a tirar fuori.
-Ho visto come guardi la mia moto; non è difficile scoprire autonomamente il tuo interesse per i motori.- “Bene, ora si improvvisa psicologo.”
Alex si bloccò, fu come se le avesse letto nella mente e per un istante assunse un' espressione molto seria anche se per poco.
Andrea si sbagliava, oppure gli occhi di Alex erano davvero diventati di un blu più scuro?
-I tuoi occhi dicono più di mille parole.- disse in risposta al suo pensiero, sorridendo con dolcezza.
Lo sguardo seducente di Alex venne interrotto da un nuovo arrivato:
-Ehi ehi! Di nuovo conquiste, tu? Non ti eri preso una pausa?-
Era alto, biondo, gli occhi dello stesso colore di un’alba appena sorta. Aveva il fascino di un’anima felice.
“…e veste in modo alquanto… colorato?”
Appena quest’ultimo si avvicinò, Alex e Andrea si spostarono contemporaneamente, come se avessero deciso assieme di tenere quel contatto solo per loro due e nessun altro.
-Ehi ciocche bionde, fa’ poco la mogliettina gelosa, per favore!-
-Daniel!- Lorenzo era tornato dalla sua avvincente chiacchierata a telefono… “Conosce quel ragazzo?”
-Buondì Lorenzo! Mammina ti reclama a telefono?-
-Vi conoscete?- Finalmente Andrea riuscì a riprendere il controllo del proprio corpo, sentiva di nuovo la forza accrescerle in gola… La voce era di nuovo controllata.
-Sì, è il mio vicino di casa praticamente da sempre…- rispose distrattamente Lorenzo, fulminando di rimando Alex che lo guardava in cagnesco.
-Andrea, c’è stato un cambio di programma, devo andare da zia Clotilde oggi, mia madre è dovuta tornare in ufficio… Purtroppo, non facciamo la stessa strada.-
-Toh! Che dispiacere!- Alex era a dir poco compiaciuto.
-Immagino che Alex ti abbia “offerto”…-  Daniel alzò entrambe le mani simboleggiando delle virgolette con indici e medi per evidenziare l’ultima parola:
-…un passaggio.- concluse, volgendo ad Alex un ‘occhiata d’intesa contraccambiata con un sorriso smagliante da parte del suo compagno.
Andrea, decisamente poco divertita, lo guardò rabbiosamente chiudendo gli occhi in una tagliente fessura, ma il nuovo arrivato non si lasciò affatto intimidire:
-Sappi che non si darà pace finché non avrai accettato! Non è un tipo a cui si può dire di no.-
Andrea alzò gli occhi al cielo, sospirando.
Vada tutto al diavolo.
-Okay, prendi la moto.- disse infine, alzando le mani in segno di resa.
…Voglio solo tornarmene a casa.
O forse no?

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Quando Lorenzo salutò Andrea a lei parve molto scontento, ma la lasciò andare. Daniel la salutò anche lui, dicendo con un’immancabile e spiccata malizia:
-Tolgo il disturbo!-
Andrea invece avrebbe tanto voluto che lui rimanesse, ma era troppo codarda per dirglielo o anche solo lasciarglielo capire, così decise di usare la tattica dell’indifferenza come difensiva. Lenta, pacata, fredda e micidiale indifferenza, cominciando proprio con l’evitare lo sguardo di Alex… Visto lo strano effetto che le causava.
-Vieni con me…- le disse:
-So che sei già salita su una moto prima, anche se quella del tuo precedente amoroso non è lontanamente paragonabile alla mia…- nel suo tono poteva sentirsi tutta la sua presunzione e arroganza per come dimostrava il suo evidente compiacimento nei confronti di sé stesso, e questo irritò abbastanza Andrea da non riuscire a farle trattenere le parole:
-Non sono una di quelle che valuta la persona in base alle proprie ricchezze materiali. Non m’importa di quello che le appartiene.-
Alex era già salito sulla moto quando Andrea lo rispose a quel modo, e, stupito, si voltò subito verso di lei mostrandole la sua espressione meravigliata, poi rise:
-Oh, questo l’ho capito!- e così, continuando a sorridere le fece cenno col capo di salire. Lei obbedì subito, con grazia… E anche se quella posizione la fece sentire non poco a disagio, riuscì ad avere un selfcontrol ammirevole. Lui accese il motore e partì subito, come una freccia.
Il modo in cui guidava, Andrea doveva ammetterlo, le piaceva. Non era certo una guida pacata o normale la sua, ma nonostante un’iniziale timore per la propria vita, col passare dei minuti capì subito che Alex sapeva il cosiddetto fatto suo.
Era proprio questa abilità nel riuscire a correre con destrezza che ad Andrea piaceva. Le venne in mente come da piccola, ogni volta che lei e suo padre si ritrovavano da soli in macchina, lo incoraggiava a superare quanti più veicoli possibili.
Nutriva una passione innata per le corse sin da bambina, Alex aveva ragione. Lei adorava il mondo dei motori, e nessuno lo aveva mai notato prima… Nemmeno Cesare.
Cesare… Da quanto tempo Andrea non saliva sulla sua moto? Da un’eternità. Non ci aveva ancora fatto caso, ma in effetti le mancava quella sensazione di sentire il ruggito del motore accompagnarla per tutto il tragitto, avere l’impressione di poter volare da un momento all’altro, e soprattutto, non averne paura. Con Cesare ci impiegò un mese per godersi quelle sensazioni magnifiche, mentre con Alex ci impiegò… Dieci secondi.
Lasciandosi andare in questi pensieri e senza nemmeno rendersene conto, Andrea strinse le braccia attorno al busto di Alex e chinò il capo, poggiandolo sulla sua spalla.
Alex si immobilizzò per lo stupore e spalancò gli occhi, compiacendosi sin da subito del fatto che lei non potesse vedere la sua tenera sorpresa in volto. Avrebbe tanto voluto avere la possibilità di voltarsi verso di lei, ma sapeva bene che al momento non era possibile.
Passarono una decina di minuti in cui Andrea si godette tutte quelle belle sensazioni, e Alex beneficiò con piacere di quel contatto affettuoso che lei gli stava donando in silenzio, e che nessuno era mai riuscito a donargli con tanta tenerezza ed innocenza. In effetti era una sensazione del tutto nuova per lui… Eppure ne aveva viste di cose, ne aveva vissuti di anni lì sulla Terra. Quasi un’eternità.
L’incantesimo finì d’un tratto e troppo presto, a causa di un cucciolo di cane che apparve improvvisamente dal nulla… E che per poco non fece scaraventare per aria Andrea e Alex. Si salvarono per la spiccata abilità e sangue freddo di lui, che riuscì ad evitarlo senza sbandare.
-Basta, fammi scendere.- esortò spaventata Andrea.
-Ma non stiamo più in paese, guarda…-
Andrea non aveva mai chiuso davvero gli occhi, ma ridestatasi dal suo mondo, le sembrò davvero di riaprirli dopo una lunga dormita; Alex si preoccupò non sentendola più rispondere… In verità si sarebbe aspettato un urlo, un’esclamazione o un qualsiasi segno di sconcerto, ma questo non arrivò.
Andrea era semplicemente incantata dal fascino delle acque salate che stavano fiancheggiando.
-Forse è meglio fermarsi, però…- disse dopo un po’,rallentando. Andrea non obbiettò. Sapeva che avrebbe tardato, ma in fin dei conti non le interessava davvero, inoltre ad aspettarla a casa c’era solo sua sorella maggiore, sua madre e suo padre erano a lavoro e suo fratello sarebbe restato a scuola tutto il pomeriggio per un progetto di musica. Questa volta poteva anche risparmiarsi il suo solito atteggiamento da: “Ho da fare, sbrigati” che assumeva ogni volta per strada, e questo la fece sorridere.
Alex si fermò di fianco un largo marciapiede di mattoncini rossi, Andrea scese dalla moto e si immobilizzò al cospetto di quella vista meravigliosa: la fine di quello stesso marciapiede era confinato da una ringhiera di ferro scuro che la divideva dall’infinta distesa di mare e scogli. Il sole risplendeva danzando sui riflessi marini di un paesaggio incantato. Andrea, sorridente come una bambina alle giostre, si voltò alle sue spalle: oltre la vista di Alex che stava armeggiando con le chiavi della moto, ritrovò una larga strada (deserta in quel preciso orario) fiancheggiata da un altro marciapiede alberato con delle panchine color avorio. Il colore delle foglie di quegli alberi era a dir poco suggestivo. Andrea adorava i colori dell’autunno, sentiva riflessa la sua anima su foglie scure e arbusti possenti, e mentre lei continuava a sentire con gli occhi tutto ciò che la circondava, lui si limitò a guardarla, così senza dir nulla, di fianco a lei con le mani in tasca. Di fronte, i riflessi marini che gli cristallizzavano il viso e il sole che gli faceva risaltare i riflessi elettrici dei suoi capelli; lui la osservava, sorridendo teneramente.
-Non venivo qui da anni…- disse Andrea, piano.
-E’ come quando una persona consapevole di ciò che ha non ne sente più nessun valore. Mio padre mi ci portava spesso da bambina… Così tante volte che crescendo, ho volutamente dimenticato questa bellezza, trascurandola.- Andrea si voltò verso Alex per la prima volta da poco prima che salisse sulla sua moto e lo guardò dritto negli occhi:
-Hai presente quando da bambino hai così tanti giocattoli da non sapere quale scegliere? E alla fine giochi sempre con gli stessi per abitudine?-
No...” avrebbe voluto rispondere Alex. Lui non era mai stato bambino, non era mai cresciuto, non aveva mai sentito la sua pelle invecchiare, o le sue forze indebolirsi… Ma non gliel’avrebbe detto, non in quel momento, almeno.
-Gli altri poi li trascuri così tanto da dimenticartene…- proseguì lei:
-E adesso per me è come ritrovarli dopo anni.- concluse con un amaro sorriso.
Alex non si mosse, rimase fermo ancora per qualche istante e nemmeno la sua espressione cambiò, sembrava una statua di marmo chiaro esposto in mostra. Andrea si voltò di nuovo verso il mare e avanzò fino alla ringhiera, respirando l’odore di salsedine con piacevole gusto.
-E’ strano…- disse Alex, imitandola e poggiando le sue mani sottili su quel ferro scuro di fianco a lei.
-Cosa?-
-Non mi hai mai parlato così. -
Andrea si irrigidì per un istante, ma socchiudendo gli occhi si lasciò di nuovo andare e si voltò a guardarlo:
-Vuoi la verità?-
Alex annuì sorridendo silenziosamente.
-Credo di essere stanca…-
Lui mostrò un’espressione perplessa:
-Di cosa, precisamente? Non capisco… Sai, ti vedo con gli altri…-
Andrea lo guardò con un’espressione che non si sarebbe potuto dire se era meraviglia o sconcerto.
-Mi capita, di guardarti con gli altri…- si corresse subito Alex:
-…Ed ogni volta non faccio che vederti sorridere. Sei solare, felice…-
-La felicità non si può giudicare da un sorriso, Alex. - lo interruppe lei, guardandolo negli occhi con un velo di sincera tristezza.
-Ciò non significa che stia male, eh!- continuò, rendendosi conto di apparire troppo melodrammatica per il suo stile:
-Sto bene… Nel complesso. Sono solo stanca di doverlo dimostrare di forza a tutti. Non sempre ci si sente in vena di dire “Sto bene, imitami!” a chiunque ti sia accanto, soprattutto quando non senti di esserlo davvero… Quei periodi ci sono per tutti.- e chiuse volutamente l’argomento con un semplice gesto della mano.
-Ad ogni modo non ha davvero importanza.-
-Non credo di riuscire a capire il motivo del tuo atteggiamento, Andrea. Non sei obbligata, sei libera di mandare a quel paese chiunque!-
-Purtroppo non è nella mia natura!- rispose lei sorridendo forzatamente.
Andrea non poteva saperlo, ma Alex capiva bene cosa intendesse dire, almeno quanto sapeva bene che il suo era il tipico falso sorriso diplomatico per dire di cambiare discorso, ma prima ancora che lui potesse provvedere, fu lei ad anticipare le sue intenzioni.
-Perché mi hai portato qui?- disse con tono divertito:
-Hai intenzione di dichiararti? Questo è un posto famoso per l’infinito numero di coppiette che lo frequentano!- sorrise:
-Non è che le piaccio, signor Conte?-
Alex, preso del tutto alla sprovvista, spalancò gli occhi e distolse subito lo sguardo da lei.
-N… Non essere sciocca.-
Andrea esitò per qualche istante, prima di diventare di nuovo seria.
-Da quanto ci conosciamo io e te?-
Alex rispose all’istante, come se gli avesse chiesto come si chiamava:
-Da un anno e…-
Non puoi farle capire che tieni il conto, idiota!
-… Ehm. Da più di un anno.- disse infine, raggelandosi.
-Beh, non sembrerebbe…-
-Diciamo che non abbiamo avuto molte occasioni per acquistare una vera confidenza amichevole, se è questo che intendi…-
-Perché, non ce l’abbiamo?-
Alex tornò a guardarla con spiccata curiosità:
-Perché, ce l’abbiamo?-
Lei lo guardò per qualche secondo schiudendo la bocca, poi esplose in una sana e chiara risata:
-Sembriamo due idioti!- disse, continuando a ridere di gusto mentre Alex era semplicemente sconcertato, incapace di dire qualcosa per la confusione che lo stava assalendo.
Poi d’un tratto, e per la prima volta da quando si erano conosciuti, fu Andrea ad avvicinarsi verso di lui… Così vicino da sentirgli il respiro:
-Suvvia, riaccompagnami a casa…- gli disse piano, spostandosi.
E mentre Andrea si avviava allegramente alla moto, Alex si sentì il sangue ribollire nelle vene, ma si limitò a chiudere i pugni, riprendere il controllo, e salire per primo sulla sua Ducati, con gli occhi di un blu profondo come il cielo in una notte d’inverno.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Alex e Daniel avevano smesso di vivere sotto lo stesso tetto dopo la seconda guerra mondiale.
Quello di Alex era un carattere ribelle e guerriero, con una filosofia tutta sua basata sul principio di libertà e di indipendenza al di fuori del comune, questo era certo. La sua presunzione nasceva proprio da questo, da principi giusti realizzati in modo sbagliato che vedeva riflettersi nel corso della storia umana; e più andava avanti e le epoche storiche scorrevano fluide dinanzi ai suoi occhi, più vedeva quanto in fin dei conti gli uomini gli somigliassero… Sotto questo aspetto, entrambi non desideravano altro che la libertà ed erano disposti a tutto pur di ottenerla. Alex aveva assistito ad infinite guerre con questi fini, ma quella dell’epoca fascista fu la più devastante.
Daniel vide la sua natura evolversi in un modo decisamente inaspettato; l’angelo dai capelli biondi sapeva bene cosa Alex doveva aspettarsi nel corso della sua vita sulla Terra, e cosa lo avrebbe portato al cambiamento… Lì sul Dilmun la chiamarono “purificazione pacifica”… Daniel ricordava ancora l’espressione demoniaca che si manifestò per la prima volta, quando furono udite quelle parole, sul viso dell’angelo più bello di tutti: Lucius, o meglio Alessandro.
Ricordava ancora quando tentò di abbattere i confini tra Dilmun e Limbo:
“E’ stato un atto necessario!” si giustificò dinanzi al Superior.
“Un’anima non può nascere per poi morire. Non potete farle vagare per l’eternità, Superior, non potete condannarle alla stabilità! Sono creature vostre… Come riuscite a sopportare l’idea che le vostre stesse creature vaghino nella morte per l’eternità!? Quale amore divino potrebbe mai celarsi dietro un essere così infimo?”
I volti di tutti gli angeli presenti si incupirono sempre di più.
“La vostra libertà, se vogliamo definirla in modo sarcastico, è solo un concetto astratto… Un tranello a cui soccombono tutte le TUE creature! Superior!” e quando l’intera armata degli angeli udì come Lucius ebbe il coraggio di rivolgersi al Creatore, ci furono lunghi istanti di sospiri e volti sconvolti dalla meraviglia. Quasi orripilanti.
Lucius guardava con ribrezzo quei volti, gli stessi che lo guardavano con pena e tristezza. Ricordava tutti quegli occhi, uno ad uno… Persino quelli di Daniel, di fianco al Creatore.

Alex riaprì gli occhi. Il buio che lo circondava non gli dava affatto fastidio e risvegliandosi si rese conto di essersi addormentato sul divano, con addosso ancora la T-shirt nera col logo dei Nirvana e i jeans chiari che indossava il giorno prima, e le note di Einaudi ancora danzanti nell’aria attraverso le casse di uno stereo dell’ultima generazione. Il suo appartamento era moderno ed elegante, composto da stanze ariose e luminose e pareti bianche che Alex decorò con dipinti e quadri post-moderni da milioni di dollari ognuno.
Vivere per millenni gli aveva procurato somme infinite di denaro; probabilmente “l’uomo” più ricco del mondo era proprio lui e nessuno l’avrebbe mai saputo. Ma nonostante ora potesse permettersi ogni tipo di lusso, lui riuscì a non  cadere mai nell’eccessivo spreco. Era un’anima piena di vizi e difetti, ma i soldi non erano la sua vera passione.
Dopo aver alzato la schiena dal suo comodo divano di pelle nera, si fermò a guardare il vuoto con i gomiti poggiati sulle ginocchia e la testa china per lunghi istanti: era immerso nei suoi ricordi. Ricordi di una vita non più sua.
Non era affatto la prima volta che i suoi incubi in realtà consistessero dei suoi veri e propri ricordi, anzi oramai ci aveva fatto l’abitudine, ma quella sera Alex si rese conto che ora riusciva a reagire in modo completamente diverso. Dopo la sua breve lotta contro il nazismo, già aveva raggiunto dei notevoli miglioramenti. Nei primi secoli della sua vita umana infatti, Alex proprio non riusciva a controllarsi durante la notte, urlava e si dimenava nel sonno, Daniel glie ne diede  certezza dicendoglielo in più occasioni. Ogni volta si svegliava completamente sudato e spesso vomitava; ma dopo aver cercato per la sua prima ed unica volta di fare la cosa giusta, gli incubi cominciarono ad essere meno frequenti, e lui si rese conto che d’un tratto non erano più così pressanti come una volta.
Quella sera addirittura non aveva nemmeno sudato, era riuscito a mantenere il controllo di sé in tutto e per tutto. Alex pensandoci non poté fare a meno di sorridere.
Che cosa buffa…” pensò, alzandosi e cercando di congedare quei ricordi dalla sua mente.
Aspettare millenni in dolore… Per cosa?
Non l’aveva mai capito. E in verità ancora non gli era chiaro del tutto.
Quando nei primi anni ’40 Daniel vide come Alex tentò di aiutare gli ebrei facendoli evadere dai campi di concentramento, si commosse. Alex non lo sapeva per certo ma lo immaginava, che in verità l’angelo che lo aveva accompagnato per tutto quel tempo non riuscì mai a fidarsi prima di lui in nessun modo… Almeno fino a quando lui non dimostrò i suoi primi aspetti “umani”.
Forse era questo l’obiettivo, renderlo umano? Daniel non glie lo spiegò mai chiaramente.
“Hai cambiato un tuo aspetto…” gli disse con un sorriso, quando Alex gli chiese spiegazioni sui suoi incubi.
“Quelli non sono altro che la tua coscienza… Sì, gli incubi. E’ la tua natura da angelo che te li presenta, Alex. Cercano di farti tornare al tuo stato puro… E’ un modo per farti avere un faccia a faccia con il motivo per cui tu sei qui, sperando di farti riflettere…” quando continuò, Alex vide gli occhi del suo ormai compagno di vita divenire lucidi: era commosso per davvero.
“E ora un motivo per cui sei stato condannato, è stato dissolto. Ti lascio vivere da solo, Alessandro. A patto che continueremo a vivere nello stesso paese.”
E infatti, così fu.

Alex si mosse agilmente nonostante il buio, e una volta trovato il suo cellulare sul tavolino di vetro poco distante, compose il numero di Daniel e chiamò.
L’utente non era raggiungibile.
-Beh, pazienza… Che peccato.- Alex rise tra sé, compiacendosi del suo sarcasmo.
La notte era avanzata da ore, le luci delle strade erano le uniche fonti di chiarore in quelle ore cupe e silenziose, e Alex si compiacque delle sue finestre grandi quasi quanto un’intera parete. La luna piena di quella sera poi, rischiarava ancora più del solito il salotto. Alex spostò con garbo il suo divano a tre posti per farsi più spazio, e una volta sgombrato il salone, si posizionò con le gambe divaricate in piedi al centro della stanza e dritto con la schiena, poi posizionò le mani sul lato sinistro del suo petto e chiuse gli occhi, emanando un lungo e lento sospiro… Ed in seguito, il solo silenzio. Rimase immobile per poco più di un minuto, poi attorno alla sagoma delle sue mani cominciò a risplendere una luce bianca indistinta. La schiena di Alex cominciò a bruciargli, poi a pungergli come infiniti aghi conficcategli nelle scapole; dopo qualche minuto il dolore divenne quasi insopportabile e Alex non riuscì più a tenersi in piedi, si lasciò cadere sulle ginocchia e si tenne con le braccia tese sulle mattonelle bianche e fredde del pavimento.
Smise di esercitarsi dopo la fine della seconda guerra mondiale, lui e Daniel avevano deciso di comune accordo che continuare non aveva più senso… Ma ora Alex sentiva che un senso c’era di nuovo, ed era lei. Andrea. Era in pericolo, e presto avrebbe dovuto agire. Lo sentiva e ne era sicuro.
E quella sera fu proprio grazie al suo ricordo che Alex riuscì a tirar fuori le sue ali. Delle vere e proprie ali nere e maestose intrise di sangue, il simbolo di un angelo ribelle.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


La stanza di Andrea era grande, semplice ma allo stesso tempo unica, grazie ad alcune sue personalizzazioni come poster di rock band molto “trash” abbinati a fiocchi di seta sparsi in giro molto vintage e femminili in sintonia col rosa chiaro delle pareti. Aveva sempre avuto uno stile tutto suo, emulando tutte le correnti stilistiche esistite nel corso della storia,  rendendoli suoi e rendendosi sé stessa: l’Andrea di sempre, che un giorno di mimetizzava allo scuro grigiore della massa, e il giorno dopo risplendeva di una luce propria accecante e distinta. Anche Nives splendeva, ma la sua era la luce fioca di una ragazza fragile che si nascondeva dietro una maschera di ferro, consumata dalle sofferenze premature della vita.
In quel tenue pomeriggio di fine settimana, entrambe erano stese sul morbido letto dai colori vivaci e distinti di Andrea, ridendo e scherzando sugli “scoop” quotidiani e stravaganti che accadevano a scuola. Andrea adorava quei momenti, non ne avrebbe avuto mai abbastanza. Erano gli unici momenti che la rendevano davvero felice, senza alcun bisogno di dover fingere. Proprio come quando erano bambine.
- Andrea… Ti vedo strana oggi. – disse ad un tratto Nives, stranamente seria.
Andrea si voltò a guardarla con espressione interrogativa.
- Sei più allegra del solito! Allegra per davvero, intendo… Non ti vedevo così da… -
Nives si bloccò per qualche secondo:
- Da molto tempo. – concluse.
Andrea sapeva bene a quanto tempo prima si riferisse Nives, e apprezzò la sua attenzione nell’evitare di ricordarlo esplicitamente.
- Tu dici? – rispose sorridendo distrattamente. Una parte di lei avrebbe voluto restare lì ad ascoltare Nives, ma la mente di Andrea stava già volando altrove. Senza sapere il perché, in quel momento, le venne in mente un preciso ricordo.

Era stesa come in quel momento con Nives, ma il letto e la stanza erano molto diversi. Era cucciolata a pancia in giù con la testa poggiata sul cuscino e le gambe leggermente piegate. Anche allora era immersa nei suoi pensieri, anche se le pareva decisamente più piacevole. Alle sue spalle, Cesare era steso di lato poggiato su di un gomito, con l’ altro braccio disposto verso di lei e le dita che scivolavano sulla camicetta sottile che indossava quel pomeriggio. Le sue carezze riuscivano a rasserenarla sin dal primo tocco, era una sensazione bellissima.
- Non hai dormito ieri notte? – le chiese con un sussurro; Andrea chiuse gli occhi:
- No… Non so perché, non riuscivo a prendere sonno. Poi ieri notte mi hai trattenuto a telefono fino alle due! -
Cesare sorrise, continuando ad accarezzare il fianco di Andrea con dolcezza e guardando le sue spalle delicate ed immobili.
- Neanch’io avevo sonno… -
Andrea si girò lentamente sull’altro fianco, verso il lato del letto di Cesare. Ora erano distanti pochissimi centimetri e lei poggiò le sue mani sul suo petto con occhi sfavillanti di affetto, alzando lo sguardo su di lui.
- Questa casa mi piace. – affermò con fierezza.
- E’ elegante, ma semplice al punto giusto! -
- Devi ringraziare il buongusto di mia madre, allora! – rispose distrattamente lui, osservando i bottoni dorati della sua camicetta. In effetti quella era davvero una bella casa, con pavimenti di marmo e mobili in stile antico, in più quel pomeriggio erano distesi su un letto matrimoniale con piumini scuri, e ad Andrea parve il letto più comodo del mondo.
– Cosa guardi!?- esclamò subito, fingendo sorpresa prima di guardarlo con un malizioso sguardo.
- Nulla… - rispose, spostando la sua mano sui bottoncini e cominciando a sganciarne pian piano qualcuno. Andrea allora si protese in avanti per baciarlo e lasciarsi avvolgere dalla sua passione. Cesare la tirò a sé e una volta sbottonata del tutto la camicetta, i suoi baci scesero al suo petto, cercando di sbottonarle ora il reggiseno. Andrea si sentiva straripante di forza ed energia, sentiva riscaldarsi il sangue nelle vene e quasi le sembrò di raggiungere l’estasi.
- Ti amo… - gli sussurrò lei…
Ma Cesare non la rispose, era impegnato a ricoprire il suo collo di crudi morsi e baci insaziabili. Cesare non l’avrebbe mai più risposta con un “Ti amo”.

Andrea ritornò alla realtà per l’ennesima volta. Nives la stava guardando con preoccupazione:
- Andrea, hai sentito cosa ti ho appena detto? -
- Scusami… No, cosa hai detto? -
- Lorenzo stamattina mi ha confessato che ieri non è tornato con te dopo la scuola… - rispose subito lei con tono compiaciuto e sguardo malizioso.
- E’ inutile che fai la finta tonta, posso immaginare benissimo  che ti abbia anche detto che mi ha accompagnato Alex… -
- Allora è vero! – urlò entusiasta Nives sbattendo le mani come una bambina:
- Non volevo crederci! Poi però ho visto quanto la cosa gli avesse dato davvero fastidio, per come ne parlava… Non sembrava affatto contento. Quindi ho pensato: “Possibile mai che Lorenzo sia capace di fingere così bene?”- si fermò a guardarla con risolutezza:
- …Ovviamente no. Quindi è vero! – riprese ad urlare con ancora più entusiasmo.
Andrea capì che era arrivato il momento di far ritornare l’amica con i piedi per terra. Si alzò con calma, rimanendo semplicemente seduta sul suo letto-arcobaleno che rimandava molto allo stile hippie.
- Nives, calmati. Non è successo niente per cui esaltarsi in questo modo… - l’amica si fermò all’istante, poi il suo viso cambiò:
- Perché non me l’hai detto? – la fulminò con gli occhi.
Andrea alzò le mani come se volesse proteggersi da qualche mostro:
- Non arrabbiarti, te l’avrei detto! Semplicemente, non mi sembrava il momento adatto, oggi a scuola… -
In verità Andrea sapeva bene che non era così. Non voleva dirglielo, perché in effetti sapeva già come la sua migliore amica avrebbe reagito: proprio come aveva appena fatto. Andrea voleva davvero bene a Nives, ma quella sua “piccola” parte che nacque dopo la rottura con Cesare, avrebbe tanto voluto ucciderla al principio. La spingeva sempre fra le braccia di qualcuno, senza capire che Andrea non voleva… Le parlava in continuazione di quanto fosse dolce “Tizio”, o di quanto fosse carino “Caio”… E adesso, di quanto fosse “bello e impossibile” Alex. Sembrava un affettuoso pater-familias romano che cercava di accasare sua figlia, prima che diventasse troppo vecchia. Andrea proprio non lo sopportava.
- Su, racconta… - la esortò Nives con tono più calmo, imitandola e sedendosi anche lei.
Andrea le raccontò quello che in effetti era successo, senza tralasciare nulla…. Una volta deciso che doveva sapere, era bene che le dicesse tutto a quel punto.
L’amica la guardò sempre con più gioia negli occhi, senza dir nulla e accennando solo “si” con la testa. Quando Andrea ebbe finito, Nives la fissò per un po’ con espressione confusa:
- Com’è che sei stata così cordiale con lui, tutto ad un tratto? -
Andrea si accigliò:
- In verità… Non lo so nemmeno io. -
Nives era diventata seria, più di quanto Andrea potesse mai aspettarsi.
- So che Alex ti mette a disagio… - le disse.
- Ti conosco, l’ho notato, e non puoi negare il fatto che al tuo disagio ci sia un valido motivo! -
Andrea abbassò lo sguardo in silenzio.
- E oggi, poi! – continuò ancora:
- …Dopo un anno ho rivisto i tuoi occhi brillare. Sorridere di cuore, e non per finzione! –
Nives si fermò, aspettandosi una negazione da parte di Andrea. Una del tipo: “Stai delirando!”, un po’ come faceva ogni volta che Nives le diceva di piacere ad un ragazzo… Ma quella risposta non arrivò. Andrea sapeva bene cosa intendesse dire, ma non aveva abbastanza forza per mentire in quel momento per cui si limitò a tenere lo sguardo basso. Vedendo la reazione silenziosa dell’amica, Nives concluse, decisa:
- …Dovresti considerare tutti questi aspetti. -
In realtà Andrea pensò che ci sarebbe voluto un po’ perché li considerasse davvero. Aprì la bocca proprio per dirle che non l’avrebbe fatto, non allora, non quel giorno… Ma le sue intenzioni furono interrotte dalla suoneria di un cellulare, il suo.
Andrea lo tirò fuori dalla tasca: numero non salvato. Eppure ad Andrea non sembrava nuovo…
- Chi è? – chiese Nives con infantile curiosità e aspettandosi un’altra risposta, ma Andrea la ignorò. In realtà a stento sentì la sua voce. Toccò fugacemente lo schermo del suo cellulare e rispose:
- Pronto? -
- Ciao, Andrea… -
Non può essere…
Quella voce l’avrebbe riconosciuta fra mille, Andrea ne era sicura. L’ultima voce che si aspettava di poter ancora sentire per telefono, ma soprattutto l’ultima che avrebbe voluto sentire in generale.
Senza accorgersene si pietrificò, e Nives guardando la sua espressione tetra e gelida, tutt’altro che felice, si preoccupò.
Andrea non riusciva più a sentirsi le mani, né le gambe. Era raggelata, non sapendo neanche lei come reagire. Dopo qualche istante però, riuscì a prendere aria e a rispondere.
- Cesare. -

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Il tono di Andrea era agghiacciante. Era il tono proprio di una persona capace di fare di tutto in quel momento, glaciale come Nives non l’aveva mai sentito prima.
- Cosa vuoi? – gli chiese cercando di mantenere tutta la calma che era serbata dentro di lei.
- Parlarti… -
- Oh beh, che peccato. Io invece proprio non ci tengo a parlare con te. -
Nives balzò come un canguro giù dal letto, allarmata. Il suo mimo labiale parlava chiaro:
- Ce-sa-re!? – era sconvolta:
- Co-sa vuo-le!? -
Andrea la guardò con assoluta indifferenza solo per qualche breve attimo, prima di ritornare a fissare il vuoto con sguardo furioso. Era un’espressione terribile, non era da lei… Nives rabbrividì.
- E’ importante, lasciami questa possibilità. – continuò lui:
- Non se ne parla. A proposito, com’è che hai ancora il mio numero? -
- Non l’ho mai cancellato. -
Andrea si fece tradire da un’espressione esterrefatta, mentre Nives, arresa, si arrestò in piedi immobile dinanzi a lei, cercando di capire qualcosa dall’espressioni di Andrea in viso, così lunatiche in quel momento. I suoi abissali occhi castani erano capaci di fare tanto, di trasmettere qualsiasi sentimento invadesse la sua anima in quel singolo momento… E quella volta, Nives notò un velo di tristezza che indebolì visibilmente i riflessi dorati delle sue iridi che tanto la caratterizzavano.
Quello era lo sguardo di una persona che dalle sue ferite si era fortificata e che non voleva più tornare indietro, erano gli occhi di una ragazza non più fragile, ma spietata: la cosiddetta quiete prima della tempesta, era tutta lì, nelle sue iridi. Una tempesta pronta a scatenarsi da un momento all’altro.
Nives si animò di nuovo: aveva interpretato alla perfezione la faccia di Andrea ancora una volta:
- Ha te-nu-to il  tu-o nu-me-ro?! -
Andrea ignorò di nuovo l’amica e chiuse gli occhi per racimolare gli ultimi stralci di self-control che poteva trovare.
- Qualsiasi cosa non m’interessa. – rispose con tono freddo a Cesare, continuando ad ignorare l’amica che intanto era ancora lì a gesticolare e ad urlare parole silenziose dinanzi a lei.
- Si tratta di quel ragazzo che ti sta alle calcagna da prima che ci lasciassimo. Alex, giusto? -
- Di cosa stai blaterando? – Andrea si sentì completamente presa alla sprovvista; sbarrò gli occhi, non sapendo precisamente cosa dire o pensare.
- So che vi conoscete da più di un anno… -
- No, no, no, no. Non continuare. Stai parlando di cose decisamente passate e per te sicuramente irrilevanti, non devono interessarti. -
- Per me saranno cose irrilevanti… Ma per te no. -
- Cosa vorresti dire? -
- Che se fossi in te starei alla larga da lui. -
- Oh, grazie! Mio splendido cavaliere, per il tuo eroico gesto! – ora il tono di Andrea si esibì quasi stridulo, era evidente che aveva già raggiunto il limite.
Nives ormai sembrava come ipnotizzata, gesticolando ancora animatamente in silenzio.
La voce di Cesare invece, Andrea la sentiva forte e chiaro, e sembrava tesa anche se pacata.
- Non cambierai mai. -
- Cesare… -
- Dimmi. -
- Vaffanculo. – e in preda ad un fervido istinto omicida, Andrea staccò seccamente la chiamata.

- Posso sapere cosa cazzo è successo?! -
Nives era esplosa come un vulcano, quasi gridava dall’irritazione.
- Nives… - il tono di Andrea era decisamente diverso adesso, notò Nives; poco prima sembrava un leone a caccia, famelico e spietato, adesso invece… Era visibilmente afflitta, nient’altro che frustrata, e per un attimo Nives rivide l’Andrea di un anno prima, orribilmente magra e pallida in volto.
- Si? – l’amica si inginocchiò di fronte a lei, sedendosi sui talloni e poggiando le mani sulle sue ginocchia… Aveva deciso di calmarsi, vista l’espressione di Andrea in quel momento, si rese conto che un’altra delle sue ramanzine questa volta poteva risparmiarsela. In fondo non era che preoccupazione, la sua.
- Prendi il mio portatile. – ora la sua voce risuonava decisa, mentre Nives invece sembrava sempre più stranita:
- Perché? -
- Devo contattare Alex. -
Al suono di quelle parole Nives spalancò gli occhi, sembrò quasi che stessero per uscirle gli occhi dalle orbite, era sconvolta:
- Cosa ti ha detto Cesare!? -
- Prendilo e basta, Nives. -
Lei, udendo il tono ostinato decise di acconsentire, semplicemente perché sapeva che assecondarla sarebbe stato l’unico modo per capirci qualcosa. Andrea era fatta così, o la si assecondava in questi casi, o si chiudeva a riccio e faceva tutto da sola… Per poi ritrovarsi nei guai. Quindi, una volta rialzatasi, preso il laptop Apple di Andrea dalla scrivania di fronte il suo letto e averglielo posto sulle gambe, accennò un inchino volutamente teatrale degno di uno schiavo sussurrando con acido sarcasmo:
- Zì badrone! – cacciò la linguaccia per esibire un’odiosa smorfia.
Andrea dovette ammettere che in quel preciso istante avrebbe tanto voluto lanciarle il computer dritto in faccia, ma sapeva bene che era la rabbia e la collera a parlare, per cui decise di continuare con la sua tattica da “finto sordo” e quindi ignorarla ancora una volta. Poggiò il suo telefono sul letto di fianco a lei e aprì il suo Macbook   correndo subito verso l’icona di Facebook.
Non ho il suo numero…” Andrea se ne rese conto solo allora: “Non me l’ha mai chiesto…
Probabilmente Alex aveva capito che non era ancora il  momento giusto… Anche perché, doveva ammetterlo, quasi sicuramente se pur lui l’avesse mai chiesto, lei non gliel’avrebbe comunque dato o voluto il suo a sua volta. Ma era giusta tutta quella ostilità nei suoi confronti?
In fin dei conti, non si era mai davvero comportato male con lei. “Non è il momento giusto per pensarci, adesso. Devo parlargli. Devo capire cos’ha a che fare Cesare con lui.
Aprì l’icona bianca della chat scorrendo lo sguardo tra decine di nomi delle persone che in quel momento erano in linea elencati in ordine alfabetico… Ed eccolo lì, anche il suo: Alessandro Conte.
Nessun diminutivo… Pare molto professionale.” Si sbrigò ad aprire la sua finestra:

 Andrea Pietrosa:
Alex, devo chiederti una cosa. Hai tempo?

Nives era ancora visibilmente confusa, ma con un certo sforzo decise di rimanere in silenzio, lasciando fare ad Andrea e limitandosi a fissarla con sguardo intimidatorio, visto che quello proprio non riusciva a sopprimerlo. L’attesa fu breve anche se ad Andrea parve un decennio, rimanendo in silenzio e immobile con gli occhi fissi sullo schermo.
Benché indossasse uno dei suoi maglioni larghi color porpora, con leggins scuri e piedi scalzi, non si era mai sentita così scoperta, sentiva d’improvviso un inspiegabile brivido di freddo, e proprio non riusciva a calmarsi. Sentire di nuovo Cesare dopo tutto quel tempo… Le parve uno shock. Dopo tre minuti esatti, arrivò la risposta di Alex. Andrea sussultò.

Alessandro Conte:
Quanto ne vuoi. A cosa devo la tua attenzione?

Andrea inarcò un sopracciglio mentre Nives continuò a starsene ferma in silenzio, entrambe con gli occhi fissi sullo schermo sentendo la tensione accrescere nella stanza.

Andrea Pietrosa:
Ti disturba la mia attenzione?

In effetti dopo ieri non si è fatto sentire per niente… Sì in verità non l’ha mai fatto davvero, non mi ha mai contattata in nessun modo… Ma oggi non era nemmeno fuori scuola, cosa molto strana. Che mi abbia fraintesa ieri? Sono stata troppo cordiale?
La sua coscienza si soffermò su quella parola:
…fraintesa? O capita?”
Scosse subito la testa mandando via quel pensiero e rifiutandolo con sdegno. Alex rispose dopo meno di un minuto.

Alessandro Conte:
Affatto.

Andrea rimase un po’ spiazzata dalla sua risposta così breve e concisa, non sapendo come rispondere, ms dopo un’altra attesa di un paio di un minuti lui continuò:

…In effetti tutta Italia lo aveva già capito, signorina, ma è evidente che lei era troppo presa da… ALTRO per rendersi conto che sto cercando di ottenerla già da tempo.

-AAAHH!- Nives sobbalzò di nuovo dal letto.
- Signorina Andrea Pietrosa, non puoi negare l’evidenza di questa clamorosa avance! -
Andrea si limitò a guardarla con occhi sbarrati: “Che cosa gli rispondo?” aggrottò la fronte. Nives si riposizionò dov’era prima.

Andrea Pietrosa:
Dovrei esserne lusingata? Ad ogni modo, devo parlarti di una cosa abbastanza importante.

Andrea premette il tasto INVIO lasciando la frase in sospeso, ancora non era sicura di stare facendo la cosa giusta. Avrebbe dovuto ignorare le parole di Cesare? Si sentiva terribilmente confusa, mentre la risposta di Alex arrivò velocissima, dopo qualche secondo:

Alessandro Conte:
Non qui. Se è una questione importante E’ meglio parlarne di persona. Stasera a cena?

Andrea si sconvolse, sussultando animatamente. “E’ un appuntamento!?” scosse la testa chiudendo gli occhi: “...Certo che no. Non può esserlo.
La risposta di Andrea arrivò dopo cinque minuti, poteva sembrare un’eternità:

Andrea Pietrosa:
Stasera. Legend Pub, alle nove.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Il Legend Pub era un luogo di ritrovo per l’intero paese che cambiava tipo di clientela a seconda dell’orario. In prima serata aleggiava aria tranquilla tra le pareti scure e intrise di aromi variegati del locale, con piccole comitive di ragazzi tra i tredici e i quindici anni; dopo le nove l’aria diveniva più calda e focosa, i tavoli e le panche di legno scuro venivano riempite tutte nel giro di mezz’ora da giovani da i diciassette anni in su e verso le dieci l’intero locale decorato in stile irlandese con figure di gnomi vestiti di verde qua e là, veniva affollato anche presso il lungo bancone dove servivano drink di tutti i generi… E ancora più la notte cresceva più la folla aumentava anche fuori l’entrata, arrivando ad occupare l’intera strada. Era carino come posto, ma Andrea non adorava affatto la folla che ogni sabato sera cresceva sempre più con lo scorrere del tempo; tuttavia quando Alex le propose di vedersi, quello le parve l’unico posto “neutrale” dove poteva cercare di mantenersi calma, confortandosi con l’idea che non sarebbero stati mai soli.
Fortunatamente il giorno in cui Alex la invitò a cena, benché Andrea avesse ancora serie difficoltà ad accettarlo, era proprio un sabato e quindi poteva ritenersi salva, non sapendo nemmeno lei da cosa precisamente. In verità non riusciva quasi più a formulare un solo pensiero dalla confusione, non ricordava di essersi mai sentita così disorientata prima… E quel pomeriggio Nives non l’aiutò parecchio a schiarirsi le idee:
- Andrea, non puoi farti vedere in questo stato! – la sua voce era terribilmente accigliata, e Andrea proprio non riusciva a capire il perché; rimase seduta timidamente sul suo letto-hippie mentre la guardava confusa:
- Cos’ho che non va? – chiese perplessa, aggrottando la fronte.
- Ma non lo vedi!? -
Andrea mandò uno sguardo breve verso il suo riflesso impresso in uno specchietto sulla scrivania poco lontano, sempre più confusa:
- Cosa? -
- Andrea, devi sistemarti le sopracciglia. – sentenziò Nives.
Andrea non poteva credere che l’avesse davvero detto, distolse di scatto i suoi occhi dallo specchietto per concentrarsi su Nives, fulminandola in silenzio. Di tutta risposta l’amica sorrise, con uno sguardo provocatorio che lanciava una chiara sfida alla ragazza dalla folta chioma bruna e dall’espressione esterrefatta che le si trovava davanti:
- …e non solo. – aggiunse, aumentando l’intensità del suo sguardo su Andrea abbassando il mento.

Dopo ben tre ore di duro lavoro, di combattimento a tu per tu con la testardaggine di Nives e fitte dolorose che le avevano fatto sentire le stelle, Andrea era vestita,truccata, depilata fino all’inguine e conciata come una diva. Era da tanto che non si curava in questo modo… Da troppo, forse.
- Oh, sei stupenda… - sussurrò Nives con occhi lucenti e un’espressione evidentemente fiera di sé stessa per essere riuscita a portare a termine il suo arduo compito: far ritornare Andrea impeccabilmente bella e lucente, e soprattutto curata. Era riuscita a farla sentire di nuovo una piccola donna.
- Nives, è troppo! – Andrea non riusciva a tenere lo sguardo fisso sullo specchio grande del salone di casa sua di fronte a lei, che le rifletteva la sua immagine.
Quella camicetta celeste era troppo aderente, la gonna blu a pieghe troppo corta e…
Santo cielo!
I tacchi troppo alti, vertiginosi.
- Oh suvvia non essere guastafeste! Sei bellissima, Andrea… E poi non hai mai avuto problemi con i tacchi, tu, faresti invidia a tutte le donne! Per di più queste scarpe col cinturino ti stanno divinamente! – Nives saltellò entusiasta.
Andrea, perplessa, si avvicinò di qualche passo allo specchio per guardarsi meglio: i suoi ricci erano messi a posto e riordinati da lucenti forcine con piccoli brillanti, il suo viso era leggermente più dorato, i suoi occhi bruni velati di blu leggero, le ciglia allungate per bene con il mascara, e le sue formose labbra risplendevano lucenti grazie ad un filo di lucidalabbra… Tutto gentilmente offerto da Nives Enterprises & Co.
In effetti non sto proprio male…” cercò di rassicurarsi.
- Okay… - sospirò, alzando gli occhi al cielo.
Nives emise uno stridulo assenso e corse di nuovo in camera di Andrea per cambiarsi a sua volta, e dopo pochissimo era già pronta anche lei; il suo corpo minuto avvolto da un vestitino marroncino e rialzato da decolté color canarino: era molto eccentrica e raggiante; non era una di quelle ragazze bellissime, ma il suo carattere era così sicuro di sé e così forte da attirare l’attenzione di tutti.
Venti minuti dopo, le due ragazze arrivarono al Legend Pub con la Nissan di Riccardo, il fratello maggiore di Nives:
- Grazie fratellone per averci accompagnato! – disse lei mostrandogli un sorriso raggiante.
- Tu pensa a far la brava… - rispose lui con apprensione.
- Anche tu, Andrea. – continuò volgendo il suo sguardo bruno attraverso lo specchietto retrovisore su Andrea.
- Signor sì, capo! – rispose sorridendo, anche lei raggiante.
Quando lui accostò per farle scendere Nives arruffò la chioma scura di suo fratello, scoccandogli un sonoro bacio sulla guancia, per salutarlo:
- Ci vediamo più tardi! -
- A dopo, ragazze. – Riccardo le salutò appena con un sorriso accennato; era pensieroso, notò Andrea.
Cosa gli sarà successo?
Scrollò le spalle tra sé, decidendo di trascurare quel suo pensiero con tranquillità e dicendosi che in fin dei conti non erano affari suoi.
Quando arrivarono la strada era già quasi tutta affollata. Andrea sentì invadersi all’improvviso da  un’ondata di tensione, o quasi terrore. Perché doveva sentirsi così nervosa?
No. Non è un appuntamento. NON è un appuntamento!
Lo ripeteva all’infinito nella sua testa cercando di appigliarsi a quella buona illusione pur di tranquillizzarsi un po’.
- Andrea! – la voce sconvolta dalla meraviglia di Lorenzo la fece sobbalzare violentemente. La sua tensione era ormai evidente e Nives non ebbe difficoltà ad accorgersene subito:
- Sta’ tranquilla… - le sussurrò con tono calmo, mentre Lorenzo rimase immobile a fissare l’amica con la bocca spalancata.
- Lorenzo, stanno per entrarti dei moscerini in bocca… - lo ammonì lei dopo essersi allontanata dall’orecchio di Andrea.
- Scusami… - rispose lui con un sorriso:
- Sono semplicemente… Sorpreso! – gli angoli della sua bocca si allungarono ancora di più.
- Stai benissimo. – concluse d’un fiato, incantato.
- Grazie. – disse Andrea con tono basso e rispondendo timidamente al suo sorriso:
- Anche tu stai benissimo, stasera! -
E in effetti era vero. I lunghi capelli rossicci di Lorenzo erano scompigliati e gli ricadevano sul viso come una perfetta cornice di rame, il suo corpo magro era vestito da jeans scuri e una camicia a quadri a tre quarti verde bottiglia e bianca. Aveva il suo solito fascino trasandato che mandava alla pazzia tutte le ragazzine più piccole del liceo.
- Su, adesso basta con i convenevoli. – concluse seccamente Nives.
- Dov’è Alex? Sono le nove passate! .
Andrea agitò una mano in segno di silenzio a Nives e aggrottò la fronte spostando nevroticamente il suo sguardo da un viso all’altro tra la folla, fino a quando…
Eccolo lì.” sussultò.
Era dall’altra parte della strada, sul marciapiede di fronte con la schiena e un piede poggiati al muro. Aveva le mani in tasca e sorrideva al ragazzo dinanzi a lui che le dava le spalle, lo stesso ragazzo biondo del giorno prima…
Come si chiamava?
Daniel.
Ma se Lorenzo risplendeva con il suo fascino trasandato e un po’ trash quella sera, Alex dal suo canto era quasi accecante. Indossava Convers scure ai piedi, pantaloni bianchi aderenti e camicia nera sbottonata un po’ troppo sul petto. Si poteva scorgere la chiara pelle dei suoi pettorali e le linee scolpite delle sue clavicole poco sotto il suo collo. La sua bellezza era inebriante.
Andrea chiuse gli occhi facendo una smorfia dolorante, quell’ultima considerazione colpì anche lei e la allontanò quasi subito con riluttanza. Prima ancora che Nives seguisse la direzione dello sguardo della compagna fu Alex a fare il primo passo, letteralmente.
Infatti ora i suoi occhi erano chiaramente incantati proprio verso di lei, oltre le spalle di Daniel. Era uno sguardo pieno di stupore e gioia, che rimase sulla figura di Andrea per un tempo che le parve lunghissimo mentre lui si dirigeva lentamente nella sua direzione oltre la strada, sorridendo.
Nives lo individuò poco dopo:
- Wow Andrea, sembra stregato. Ha un sorriso da ebete e ha appena attraversato la strada non togliendoti gli occhi di dosso… -
Solo udendo quelle parole Andrea ritornò con i piedi per terra e si voltò verso la compagna. Non sapeva se per panico o felicità, ma la visione di Alex l’aveva completamente stordita e per di più neanche lei riusciva a distogliere lo sguardo dal suo. Sentì come un’attrazione improvvisa tra loro due, una forza innaturale che li travolgeva al di là dello spazio, del tempo e di tutte quelle persone intorno intente a fumare o a bere in compagnia.
- Premio Pulitzer per la delicatezza, signorina De Magistris. – si limitò a risponderle con seccato sarcasmo.
Nives aprì la bocca per replicare ma Alex era ormai arrivato:
- Buonasera, donzelle. – salutò lui con voce allegra e seducente, e con ancora gli occhi piantati su Andrea.
- Buonasera Alex! – rispose Nives mostrandogli uno dei suoi sorrisi migliori.
- Ciao. – sbottò Lorenzo, evidentemente infastidito.
Andrea in un primo momento si limitò a schiudere le labbra, non riuscendo a dire nulla.
Oh per l’amor del cielo, sembro una deficiente!
- C… Credo che dovresti delle scuse a Lorenzo. – balbettò. Alex la guardò inarcando un sopracciglio, confuso.
- Lui non è decisamente una donzella. – continuò lei accennando un sorriso.
- Hai ragione… - le disse lui dolcemente, poi si rivolse a Lorenzo diventando improvvisamente serio e gelido:
- Scusami Lorenzo, buonasera. – era un fulmine nel suo sguardo, o Andrea aveva le allucinazioni?
Daniel comparve alle spalle di Alex:
- Buonasera bella gente! -
Come ormai si poteva capire fosse nella sua persona, Daniel si distingueva dalla massa oltre che per la sua bellezza, simile a quella di Alex, anche per la scelta del suo abbigliamento, sempre molto fuori dal comune. Indossava una maglia di un celeste quasi fosforescente, pantalone bianco e Superga dello stesso colore della maglietta. Spiccava tra la folla come una striscia di evidenziatore sulla pagina di un libro nuovo, e non dava alcun segno di vergogna per questo, anzi. Lo rendeva ancora più spavaldo, anche se questo al contempo non gli impediva mai di lasciare attorno a sé una certa aria di eleganza che solo pochi riuscivano a crearsi.
Tutti risposero cordialmente al suo saluto e Andrea fece le presentazioni tra Daniel e Nives, con grande compiacimento della compagna.
- Sarei ben felice di continuare a stare qui con voi a chiacchierare… - esordì Alex animandosi allegramente:
- … Ma io e Andrea abbiamo una questione importante di cui parlare. Potete scusarci? -
Andrea fece spallucce a Lorenzo che dimostrò chiaramente la sua spiacevole sorpresa, e s’incamminò verso l’entrata del Pub mentre Nives fece un cenno con la mano ad Alex come per dirgli: “Vai tranquillo ragazzo”… Ma fu subito fermata da una salda ma delicata presa al polso, la sua:
- Vieni? -
Andrea si voltò a guardarlo sempre più confusa.
- Non vorrai mica parlare in questo chiasso da fattoria! -
Oh, no… No. No!” si raggelò, inarcando entrambe le sopracciglia, sconvolta.
- Cosa? E dove? – lanciò un’occhiata terrorizzata all’amica che nel frattempo sbarrò gli occhi, presa anche lei chiaramente alla sprovvista.
- …Sorpresa. – si limitò a rispondere lui con tono ambiguo.
- Ehi bel ragazzo! – intervenne subito Nives :
- So dove abiti, quindi ti consiglio di non fare sciocchezze o sarà peggio per te! -
Alex la guardò con espressione divertita:
- Ah, davvero? Sai dove abito? -
In effetti anche Andrea rimase stupita da quella affermazione e glie lo dimostrò con un’altra occhiata, stavolta sorpresa. Nives arrossì:
- Oh bèh! Tutte le ragazzine del liceo lo sanno! Ne ho sentito parlare… Non venirmi a dire che non sapevi di essere tanto ambito, Mister Fascino! -
Alex esibì un’espressione compiaciuta:
- Sì, lo so bene. – si limitò a rispondere.
- Dovevi chiamarlo Mister Modestia… - disse Andrea a Nives con sarcasmo, alzando gli occhi al cielo. L’amica rise divertita, mentre Alex si voltò a guardarla con sorpresa, sorridendo anche lui.
- Ad ogni modo, voglio il tuo numero. – continuò dopo un attimo Nives ad Alex diventando di nuovo seria e intimidatoria.
- Oh, va bene! – rispose lui cominciando a mostrarsi chiaramente infastidito.
Così, dopo che Alex segnò il suo numero sul cellulare di Nives e la lasciò controllare facendosi chiamare, cominciando a dimostrarsi sempre più seccato, Andrea salutò brevemente e a malincuore Daniel e abbracciò altrettanto amaramente e velocemente Lorenzo, che nel frattempo non smise mai di sgranare gli occhi incredulo.
- Credo di avere il diritto di sapere dove hai intenzione di portarmi… - disse piano Andrea mentre si allontanava insieme ad Alex dalla massa brulicante tipica del Legend Pub.
- Diciamo che… Ti lascerò il beneficio del dubbio. – rispose lui, sorridendole.
- Il beneficio del dubbio non era programmato. – sbottò lei quasi tra sé.
Diamine. Diamine. Diamine! Non era nei piani. Saremo soli. Diamine!
- Non mi piace seguire i programmi. Ti suggerisco di ricordarlo sempre, Andrea. -
Andrea rabbrividì, continuando a camminare di fianco a lui verso un vicolo poco lontano, dove riconobbe la motocicletta nera di Alex.
Non gli piacciono i programmi. Andiamo alla grande.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


-Credo che non ti farebbe tanto piacere mostrare la tua lingerie di stasera a tutti, vero?- chiese Alex, armeggiando con i caschi legati al manubrio della sua moto ormai raggiunta.
Andrea lo guardò sgomenta, non capendo cosa intendesse dire, cosicché lui si fermò a guardare la sua espressione spaventata e sorrise:
-Gonna… Moto… Vento… Non credo sia un trio di piacevole effetto.-
Deficiente, c’ha pensato lui e tu no.
-Oh sì, beh… Non credevo di andare in moto, stasera… Altrimenti avrei sicuramente messo qualcosa di più comodo.- si affrettò a rispondere lei, poggiando una mano sulla moto ancora tenuta in piedi dal cavalletto.
-Fortunatamente il tragitto non è lungo.-
-Perché non al Legend Pub?-
Alex si arrestò. Con un casco ancora legato alla moto e l’altro aggrappato al suo avambraccio, alzò lo sguardo su Andrea per poco e poi ritornò sui caschi, sospirando:
-Perché avremo sicuramente fatto degli incontri spiacevoli…- si limitò a rispondere, ignorando il volto di lei sempre più accigliato.
-Spiacevoli… Per te, o per me?-
-Per entrambi.- tagliò secco lui.
-Oh.- questo la fece trasalire.
Cesare?
-Su, mettitelo.- le porse un casco scuro.
Tornò a guardarlo ancor più disorientata.
-Oh per l’amor del cielo! Non dirmi che non sai allacciarlo!-
Alex inarcò le sopracciglia stupito mentre Andrea si guardava intorno, unendo le braccia tese e fingendo noncuranza. Si ritrovò in bilico tra il divertimento e lo scetticismo e nell’indecisione decise di sorridere.
-Ma… Come?-
-Erano diversi da questi… Quelli di Cesare…- disse lei imbronciata, abbassando lo sguardo.
Lui tornò di nuovo a ridere, e Andrea si sentì per una piccola parte sollevata.
-Okay… Vieni qui.- le disse poi con dolcezza.
Andrea fece un passo avanti e i loro corpi divennero vicinissimi, sentì di nuovo il respiro lento e pacato di lui, e la cosa la fece avvampare in un’ondata di passione sconosciuta; menomale che la strada era tranquilla e le luci dei lampioni erano fioche e sbiadite, Andrea sperò con tutta sé stessa che magari lui non se ne fosse accorto.
Le fece scivolare il casco nero sulla testa e ad Andrea quasi parve di soffocare, così lui alzò la visiera trasparente del casco in modo da far passare un po’ d’aria e aiutarla a respirare, notando sin da subito la sua smorfia.
-Niente caschi professionali con Cesare, eh?-
Andrea annuì maldestramente.
-Tranquilla, è solo una sensazione illusoria, l’aria non ti verrà mai a mancare…- le disse piano afferrando la parte bassa del casco, cosicché il viso si avvicinasse al suo oltre la barriera scura di cuscinetti e plastica.
-Ci devi solo fare l’abitudine.- concluse, alzando un angolo della bocca e abbozzando un tenero sorriso.
Lei non riuscì a dire niente, rimanendo in piedi di fronte a lui e immersa nei suoi occhi blu, cercò di annuire di nuovo, senza poi riuscirci granché, visto che si ritrovò solamente a dimenare il casco avanti e indietro. Si maledì tremendamente per il fatto che non riuscisse ad avere un vero controllo del suo corpo in sua presenza. Non le era mai capitato prima, con nessuno, e la cosa riusciva a irritarla non poco.
Si irrigidì mentre le dita di lui le sfiorarono delicatamente la pelle frattanto che le allacciasse il casco, e quando ebbe finito, cambiando totalmente espressione e diventando paurosamente serio e pensieroso, afferrò l’altro casco che era ancora penzolante sotto il manubrio della sua Ducati e lo indossò, poi in un lampo balzò sulla moto, levò il cavalletto e mise in moto. Andrea cercò di imitarlo subito e balzò su con tutta la grazia che riusciva a richiamare in sé stessa, pur di non dare spettacolo delle sue mutande a qualche passante occasionale. Sistemò le pieghe della gonna per bene sotto le coscia in modo da non farle rialzare dal vento, strinse le gambe più che poteva, e sperando con tutto il cuore che quello bastasse, si strinse forte al torace di Alex. Dopo un attimo di esitazione, lui levò la frizione e partì, stavolta cautamente e adagio, seguendo quell’andatura per tutto il tragitto. Era evidente che quella sera avrebbe deciso di sacrificare il suo amore per la velocità per salvaguardare la reputazione di Andrea. In effetti se mai fosse accaduto davvero che le pieghe della sua gonna si alzassero alla prima folata di vento, probabilmente ad Alex avrebbe dato quasi più fastidio che ad Andrea stessa; la sola idea lo irritò non poco infatti sin dall’inizio, d’altro canto però quando la vide lì all’entrata del Legend Pub luminosa più di una stella, si disse che sarebbe stato un piacevole rischio, e si lasciò rincuorare da quell’idea magari stupida e irreale, che quella gonna, quei tacchi, quella camicetta un po’ troppo scollata e quel meraviglioso paio d’occhi splendenti fossero tutti in onor suo, anche solo per quella sera. Non poteva esserne davvero sicuro in realtà, lo sapeva, ma anche solo l’idea bastò per riscaldargli quell’iceberg che aveva in petto al posto del cuore.
Dopo aver lasciato il paese, seguirono per un pezzo sull’autostrada, poi svoltarono verso la direzione seguita la volta precedente. Di fatti il tragitto parve proprio lo stesso ad Andrea; anche se la prima volta si lasciò distrarre dai suoi ricordi riuscì a riconoscere la strada, e sentì la curiosità divulgarsi in petto.
Perché di nuovo lì?
Fece mentalmente spallucce e si rassegnò all’idea che avrebbe scoperto tutto di lì a poco.
Dovette aspettare cinque minuti in più rispetto alla prima volta, prima di arrivare di nuovo sull’oramai atteso stradone affacciato sul mare. Di sera sembrava tutt’un altro posto rispetto all’atmosfera del giorno prima, ora i larghi marciapiedi di entrambi i lati brulicavano di persone d’ogni età, la strada era caotica e trafficata e gli alberi erano illuminati da calorose luci dorate. Sembrava una grande festa, e invece era solo un normale sabato sera in città.
E’ tutto bellissimo…” Andrea si abbandonò a quell’incantesimo per un po’, ma d’un tratto poi precipitò di nuovo verso la realtà, ritornando tesa:
Perché non si ferma?
Alex difatti non stava rallentando affatto, anzi proseguì aumentando per quanto poteva la velocità; dopo pochi minuti poi giunse infondo al rettilineo di quello stesso stradone e finalmente, per la gioia di Andrea, accostò. Si precipitò subito per scendere e per poco non cadde a terra.
Devo togliermi questo aggeggio!
Mentre Alex tirava il cavalletto con un gesto elegante del piede e scendeva dalla sua Ducati, Andrea si impegnò ad imprecare mentalmente, tirando e tastando i lacci legati sotto il suo mento che la tenevano ancora incastrata in quell’oggetto per lei infernale. Quando d’improvviso sentì un’altra mano che prendeva la sua e la portava delicatamente a spostarsi, lei alzò lo sguardo verso Alex e lo fulminò con tutto lo sgomento che serbava in corpo, tutt’altro che contenta. D’altro canto Alex, già senza casco da parecchio e privo di un minimo particolare che non fosse perfetto, si concentrò su ciò che stava facendo, tentando in tutti i modi di opprimere l’istinto di ridere mentre alzava il casco e liberava la testa di Andrea, ancora furente.
-Io al ritorno questo coso non me lo metto!- sbottò lei, imbronciandosi.
Alex si fermò a guardarla per un lungo istante, con gli occhi spalancati e la bocca serrata per lo sforzo di non ridere e lei, vedendo la sua espressione e capendo quanto si stesse davvero trattenendo con difficoltà dallo scoppiare, si lasciò scappare un sorriso:
-No dai, non prendertela!- le disse, cercando di ritornare subito serio:
-Ehi, guardami.-
Andrea levò lo sguardo da terra per fare come le aveva detto, e si lasciò di nuovo sprofondare da quell’idilliaco sguardo oceanico. Non aveva mai visto degli occhi d’una tonalità così intensa. Quasi non le parve umano.
-Posso farti  un complimento?- le chiese, sfiorandole una guancia rosea con il dorso della mano mentre Andrea annuiva in silenzio, imbarazzata.
-Sei bellissima anche così, con i capelli scompigliati, il trucco un po’ sfatto, le guancie arrossate… E gli occhi che ti brillano come due diamanti.- sorrise.
Oh… Gli occhi mi brillano come due diamanti… No, aspetta. Cosa!? Dovrò essere un disastro!
Andrea balzò come ridestatasi da un sogno e corse verso una grande vetrata dinanzi a lei, oltre le spalle di Alex. Il suo riflesso la fece sprofondare, era davvero un disastro, ma il suo rammarico fu subito messo da parte per lo stupore: erano all’entrata di un palazzo bianco e altissimo, con mura intervallate da vetrate larghe e spaziose per ogni piano.
Andrea sforzò gli occhi per dare un’occhiata all’interno: marmo dorato ovunque, colonne di marmo, pavimento di marmo, bancone di marmo… Le luci erano soffuse e la sala del piano terra si estendeva per metri e metri. Vide camerieri vestiti di bianco muoversi con eleganza da un tavolo all’altro come piccole api, e persone per la maggior parte di età adulta sedute a mangiare educatamente. Era un luogo molto elegante… Ed intimo. Decisamente troppo per lei. Alzò ancor di più lo sguardo sopra l’entrata verso la sua destra, segnata da una porta di vetro scorrevole, e scorse la scritta incisa nella pietra del palazzo in stile romano: “AETIEN”.
Che cosa significa?

-Bello, vero?- la voce di Alex le fece di nuovo balzare gli occhi verso la sua sagoma riflessa nella vetrata, ancora lì con lei. Vide il suo sguardo colpirla tramite quella stesso vetro oltre le sue spalle, dritto negli occhi, mentre due dita della sua mano le correvano lungo la spina dorsale attraverso la camicetta.
Era lì fermo dietro di lei a fissare il suo sinuoso e scomposto riflesso, quando ad un tratto gli vide lo sguardo diventare fiammante mentre scivolava lentamente sul suo corpo. Andrea si immobilizzò esterrefatta, frattanto che il viso di Alex si avvicinò al suo orecchio. Riusciva di nuovo a sentire il suo fiato scorrere lungo il suo collo:
-…Ma prima di entrare, credo sarebbe molto meglio… Se ti riabbottonassi quei due bottoni della camicetta.- il suo sguardo si fermò proprio lì, sul petto, e quando Andrea seguì la direzione dei suoi occhi trasalì: aveva ragione! C’erano davvero due bottoni in più sganciati, e in quel mortificante momento si ritrovò con il seno scoperto, mostrando a chiunque volesse  il suo reggiseno color prugna.
Alex, ancora con gli occhi piantati lì, sorrise. Un sorriso non più luminoso come prima, bensì volutamente forzato ed evidentemente isterico; era furioso, Andrea glie lo lesse in volto.
Si voltò in silenzio verso l’entrata e si spostò con passo lento ma deciso in quella direzione, con gelida aria d’una furia muta. Non ne era sicura, ma le parve di sentire la sua voce imprecare a tono basso, come se stesse lamentandosi tra sé.
Oh, merda, merda!
Andrea avrebbe tanto voluto darsi due belle sberle, ma si affrettò a chiudere bene la camicetta e a precipitarsi verso quel ragazzo strano e dal fascino oltre l’umano che ora l’attendeva all’entrata del ristorante mantenendole la porta aperta, senza però guardarla mai direttamente negli occhi.
Andrea si rammaricò terribilmente di quell’orribile gaffe, ma decise di non dire niente che avrebbe potuto peggiorare le cose e si limitò a seguirlo oltre l’atrio, verso il suntuoso bancone che li stava aspettando.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


-Oh, ti prego, non credere che io sia sempre così impacciata! -
Alex alzò gli occhi dal suo piatto di ravioli in modo interrogativo:
- Cosa? -
Aveva ripreso a guardarla solo dopo che il cameriere li invitò a sedersi ad un tavolino al secondo piano, presso una di quelle grandi vetrate del palazzo che Andrea aveva osservato pocanzi. Lei però ancora stentava ad allontanare l’idea dalla sua mente che quegli stessi occhi blu avessero sfiorato direttamente la pelle del suo seno; quel pensiero la fece arrossire violentemente e non le era mai capitato prima.
- Beh… Lo sai. -
-Wow. Sono riuscito a far arrossire Andrea Pietrosa! Devo esser davvero un ragazzo irresistibile!- sfoggiò un sorriso smagliante. 
Cavoli, che presuntuoso!
- Credo che con tutti questi imprevisti comunque, mi sia dimenticata il vero motivo per cui siamo insieme stasera. - il tono e il viso di Andrea si raggelarono e Alex s’incupì visibilmente, con una percettibile sfumatura di rabbia in volto.
- Sì. - disse atono.
- Di cosa volevi parlarmi? - il suo sguardo era tagliente, ma Andrea non si lasciò intimidire.
- Prima che tu dica, però, volevo confessarti che il solo fatto che tu mi abbia contattato mi ha davvero spiazzato! Sinceramente! Sai com’è, è un anno che ignori i miei ormai evidenti tentativi di frequentarti… -
Andrea aprì la bocca per contestare, ma in fondo cosa poteva rispondergli? Lei davvero lo aveva ignorato e snobbato in ogni occasione per un anno.
Alex destò lo sguardo verso le onde marine oltre la vetrata, con espressione non curante:
- …Ma io ti go lasciato fare… Perché non sono proprio il tipo che ama correre dietro le persone, anche se devo ammettere, che con te è stato più difficile. Beh, io sono consapevole di avere un certo valore, e gli altri di solito se ne accorgono da soli, anche se non glie ne do modo. E poi… - sospirò con un’ombra di sorriso sulle labbra:
- Ho tutto il tempo che mi serve per prendermi ciò che voglio. Se mi va, ovviamente. -
Andrea sbarrò gli occhi, con la bocca spalancata:
- Oh, beh! Allora dovrò rivedere le mie capacità cognitive quanto prima! - rise istericamente.
Mister Modestia, proprio!
Alex poggiò il gomito sul tavolo portandosi la mano al mento e posando l’indice sulle labbra. La stava fissando intensamente, con gli occhi socchiusi e un sorriso beffardo. Aspettava che lei continuasse. Le sembrò quasi in realtà che la stesse sfidando.
Falla finita Mister Modestia, non m’incanti.
- Oggi ho ricevuto una chiamata decisamente inaspettata… - cominciò lei raccogliendo la sua sfida con lo sguardo.
- Cesare ha tentato un ultimo gesto eroico, a quanto pare. -
Alex sembrò ridestarsi da un incubo. Tutti i suoi nervi si misero in allerta e la sua mascella si contrasse.
- In che senso? - era teso, e Andrea lo notò senza difficoltà.
- Mi ha chiamata… Non so per quale motivo, ha tenuto il mio numero. - abbozzò un altro sorriso isterico:
- …E mi ha messo in guardia. -
Gli occhi di Alex divennero due taglienti fessure e le labbra una linea dura e sottile.
- …Su di te. -
Andrea ricambiò il suo sguardo intenso per tutto il tempo per cui aveva parlato, senza mai distogliere gli occhi dal suo viso tenebroso.
- Figlio di puttana. - imprecò a voce bassa.
- Credo che tu mi debba della spiegazioni, a questo punto. -
Lui sospirò pesantemente chiudendo gli occhi, era evidente che stesse cercando di controllarsi, anche se con una certa difficoltà.
- Come vi conoscete? -
- Diciamo che è una mia vecchia conoscenza… - disse piano, riaprendo le palpebre e tornando a guardarla con occhi diversi. Letteralmente; ora il colore delle sue iridi non era più blu come il cielo di quella notte, ma celeste come lo diventava ogni volta, di prima mattina.
E’ possibile una cosa del genere?
Andrea si rese conto solo allora di quanto tutto questo fosse strano:
…Vecchia conoscenza?!
- E non me l’hai mai detto!? - la voce di Andrea divenne stridula dal nervosismo.
Alex si accigliò:
- Perché avrei dovuto? -
- Ma… Tu… Io… - lei si agitò visibilmente, gesticolando e sbattendo le palpebre un’infinità di volte.
- Calmati, non ci tenevamo in contatto da millenni. -
Appunto…”Alex rise tra sé per quell’ironica frase.
- Non è affatto una persona che possa definire amica. - la sua voce era divenuta di nuovo calma e suadente; vedere Andrea agitata a quel modo lo turbava parecchio, e in quel momento voleva solo calmarla. Le prese una mano ancora in aria e la portò sul tavolo, senza lasciarla.
- Però ha ragione… -
Andrea perse completamente ogni cognizione di tempo o spazio, la sua attenzione si concentrò interamente su quello strano ragazzo che si trovava davanti adesso. Quello strano, gentile, presuntuoso, bellissimo ragazzo.

Chi l’avrebbe mai detto? Ritrovarsi di nuovo così, da sola con un uomo in un ristorante di classe? E invece che rassegnarsi e godersi la serata come ogni suo coetaneo, parlando della famiglia, della scuola, o di come l’altro trovi il tempo di quella sera, erano l’ intenti a lasciarsi trasportare dai propri fantasmi del passato. Ironica sorte.
- Ora sei tu che ti devi spiegare. -
- Ha fatto bene a metterti in guardia. C’è una ragione per cui non ho mai frequentato nessuna ragazza fino a te.-
Diamine. Davvero!?” Andrea lo guardò stupita:
In effetti, mi se,brava strano che fosse solo, ogni volta … Anche a livello sentimentale. Insomma, non è un tipo che passa di certo inosservato…
- E sarebbe…? - sentì il ritmo del suo stesso cuore aumentare sempre di più. Era tesa anche lei, ma non aveva paura. Era semplicemente curiosa e allo stesso tempo esagitata per tutta quella strana situazione che non sarebbe nemmeno stata in grado di immaginare fino a quarantott’ore prima.
- Diciamo che non sono… - si soffermò un attimo per trovare la parola giusta, e Andrea vide un lampo di divertimento nei suoi occhi.
- …Adatto. -
- Sei gay? -
Oh, ecco perché è così bello e allo stesso tempo così solo!” Andrea si rabbuiò all’idea.
- Cosa!? - Alex la guardò sgomento e scioccato, poi le rivolse un sorriso malizioso e un’occhiata generale su di lei che sarebbe stata in grado di denudarla con il solo pensiero:
- Tutt’altro. -
- Ah. - “Altra gaffe eclatante per Andrea! Brava, idiota!” lei arrossì visibilmente, scostando sia lo sguardo sia la mano dalla sua nello stesso istante, rimproverandosi a morte per quella domanda imbarazzante.
- Allora quel è il problema? -
- Ho una natura particolare… - si limitò a dire lui, ritraendo il braccio e poggiandosi sullo schienale a schiena dritta. Sembrava orgoglioso di ciò che diceva, e allo stesso tempo frustrato.
- Natura? -
- Esatto. - il suo sguardo stava lentamente scurandosi di nuovo, mentre l’osservava con un lieve sorriso di quelli che si fanno quando si è pienamente fieri di sé stessi.
- Chiarisci l’idea. - Andrea si stava lasciando intrigare da tutte quelle domande che ora il ragazzo dagli occhi blu le stava piantando in testa. E la cosa che più la sconvolse fu proprio il fatto... Che le piaceva, e c’era dentro ancor prima di rendersene conto. Alex sbuffò:
- Beh Andrea, se vuoi saperlo dovrai conoscermi. - la sua voce era roca e soave.
- Sarai disposta a concedermi questo onore? -
Mi sta prendendo in giro?
- E’ una proposta? -
- Sì… - Alex si avvicinò verso il suo viso per quanto poteva oltre il tavolo, porgendosi in avanti con la schiena e poggiandosi sugli avambracci. Stava aspettando una sua risposta. In realtà stava solo aspettando il suo “sì”.
- Perché dovrei essere disposta ad accettare? Non frequento una persona da… - Andrea si bloccò. Non riusciva a tornare indietro, a quando lei e Cesare erano semplici amici che si vedevano ogni giorno e in ogni occasione. Ricordava ancora come sentì incrementarsi l’amore nel suo petto giorno dopo giorno… E poi come quello stesso amore la portò in ospedale per bulimia, un anno e mezzo dopo. Sarebbe stata davvero disposta a rischiare di rivivere tutto d’accapo?
- Lo so, Andrea. So cosa vuoi dire… Ma permettimi di dirti io una cosa sola… -
Senza accorgersene Andrea aveva abbassato lo sguardo, e quando lo rialzò sentì i suoi occhi più pesanti e pungenti: erano lacrime ancora nascenti. Il volto di Alex cambiò bruscamente dopo aver visto i suoi occhi, si tramutò in un’espressione di paura e preoccupazione, rimanendo in silenzio per la sorpresa, con le labbra schiuse.
Andrea riabbassò di nuovo il viso, ma Alex si precipitò verso di lei e le afferrò il mento tra il pollice e l’indice.
- No, no, no, Andrea… Guardami. Ehi, guardami… -
I loro sguardi si rincontrarono e lei vide che Alex si era alzato e piegato con la schiena in avanti per raggiungerla dall’altro capo del tavolo anche col viso, che ora era ad un centimetro di distanza dal suo.
- Lasciami dire questa cosa… -
Andrea annuì in silenzio, mentre sentì scorrere sulla sua guancia la prima lacrima di tristezza.
- Io non sono Cesare. Okay? Nessun altro ragazzo lo è. Non puoi evitare ogni potenziale impegno sentimentale per sempre, solo perché hai beccato un emerito idiota! Non puoi nasconderti il cuore per sempre, Andrea. -
…Cosa cazzo sto dicendo!?” Alex si meravigliò delle sue stesse parole… Certo, dette da uno come lui che l’amore non l’aveva mai provato prima di allora…
- Non sto chiedendo di sposarti. - si fermò per un lungo respiro.
- Voglio solo che… Tu mi dia una possibilità… Per starti vicino. -
Le parole stentavano ad uscire. Era così anormale per lui, così estraneo alla sua natura… Cosa gli stava succedendo? Dov’era finito il Figlio degli Inferi?
Andrea d’altra parte era sempre più confusa e sconvolta; eppure, sentiva che anche lei non avrebbe mai voluto dire di no, per la prima volta dopo tanto tempo.
- Okay… -
Alex sfoggiò un sorriso smagliante, poi, resosi conto di essere ancora immobile, in una posizione alquanto scomoda, tornò a sedersi mantenendo vivo il suo sorriso. Guardandolo Andrea non riuscì a non fare lo stesso, ripulendosi il viso dalle lacrime. Si sentì felice e idiota nello stesso tempo.
- Mangiamo, adesso. Se avremo tempo, vorrei camminare un po’ sul lungomare dopo. Ti va? -
- Sulla spiaggia? - “Di notte!? Da soli?
- Sì… - sembrava divenuto di nuovo tranquillo, sereno e… Spensierato. In migliaia di secoli, lo fu per la prima volta.
- Va bene… - gli rispose lei, sorridendo di nuovo.
Così Alex, ben felice di quella risposta, riprese in mano la forchetta per ritornare a mangiare e Andrea fece lo stesso.
Sembra proprio un bambino felice di andare alle giostre…” pensò con tenerezza, ritornando ad assaporare un altro boccone. Tra i mille misteri e le mille domande che nacquero nella sua testa, si fece per qualche istante spazio il pensiero di come fosse stato Alex da bambino. In verità Andrea non riusciva proprio ad immaginarselo. Forse perché in fin dei conti lui non riusciva a classificarsi in nessun’età. Aveva un’aria troppo matura (anche se a tratti) per essere un suo coetaneo o poco più, e troppo giovane esteticamente per essere già vicino ai trent’anni.
- Aspetta un attimo… -
E il mistero sulla sua natura, Mister Modestia?
Alex tornò a guardarla con sguardo interrogativo.
- …E sulla questione… Della tua natura? -
Alex abbozzò un tenero sorriso senza coinvolgere gli occhi:
- Non correre, tigre. -
- Tigre? - Andrea rise divertita.
- Sì, tigre! - la assecondò lui.
- Te lo dirò, ma quando sarà il momento adatto… - continuò poi, tornando serio.
- Bah, okay… - sbottò lei, tornando sul suo piatto.
- Che c’è, non ti piace aspettare? -
- No. - rispose lei, esibendo il suo più infantile broncio.
Alex la infuocò con lo sguardo, percorrendola dal viso lungo il suo collo e poi più giù…
- Neanche a me. - disse con una voce piena di sottintesi.
Seguendo il suo sguardo, soffermato sui bottoni della sua camicetta che fino a poco tempo prima erano sganciati, Andrea si sentì esplodere. Dopo poco però lui tornò ai suoi occhi, sorridendole di nuovo con innocenza, e facendo spallucce in segno di rassegnazione:
- …Ma ci toccherà aspettare! -

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Dovettero riprendere la moto di Alex per raggiungere la spiaggia, visto che lì dove si trovava il ristorante il quieto mare su cui affacciava era privo di riva sabbiosa e predominato invece da pallidi scogli che risplendevano al tocco dell’acqua marina, in simbiosi con la luce della luna piena che rischiarava quell’umida serata di inizio autunno.
Dopo quella discussione avuta ad inizio cena, rimasero a godersi il cibo gustoso del ristorante e il magnifico paesaggio al loro fianco oltre la vetrata, proprio come ogni altra coppia normale, parlando del più e del meno, e a volte anche parlando di cose davvero stupide, che Andrea raccontava con sano divertimento mentre Alex ascoltava con interesse e curiosità.
Quando poi Alex si fermò con la sua Ducati poco prima di una larga scalinata, Andrea scese con grazia e cautamente, ben contenta di non aver dovuto rimettere quell’oggetto infernale che le persone normali usavano chiamare “casco”, e che ora teneva fiera, penzolante sotto il suo braccio. Sorrise tra sé mentre Alex la seguiva dopo aver tirato il cavalletto con il suo fare elegante. Non era così male, dopotutto. Passare una serata con un ragazzo… Era quasi confortante… Forse perché non c’era uno qualsiasi, a farle compagnia. Ad ogni modo era una buona maniera per non pensare a tutte quelle difficoltà che ogni adolescente si trovava costretto ad affrontare: la scuola, la famiglia, gli amici… Oh era da tanto che Andrea non aveva modo di distogliere le sue attenzioni da Nives e dal suo oppressivo e stressante modo di vivere. Era così difficile starle dietro, e Andrea spesso lo notava senza dire niente.
Probabilmente perché anche se la sua amica poteva rivelarsi la persona più irritante della Terra, era allo stesso modo anche la più presente, comprensiva, decisamente pazza ma divertente amica di tutte. E Andrea le voleva un bene incalcolabile, capace di sorvolare ogni tipo di difetto potesse mai avere. Un po’ di tempo in cui poter staccare la spina però non era affatto male, anzi quasi le mancava. Stava cominciando a ritrovare quel briciolo di lieto benessere che non sentiva da parecchio, troppo tempo.
Dopo aver lasciato i caschi alla moto, si diressero insieme verso la scalinata. Con quei tacchi così alti Andrea stentava a scendere quegli scalini di pietra consumati e malridotti dal tempo che portavano alla sottile e morbida sabbia della spiaggia, a quell’ora e in quel periodo deserta.
“Cavoli…” Andrea imprecò mentalmente mentre continuava ad inciampare di scalino in scalino. Non aveva mai sentito il bisogno di dire così tante parolacce nell’arco di così poco tempo come quella sera.
- Dovresti toglierti le scarpe… - gli sentì dire con una piccola sfumatura  di divertimento nella voce.
Andrea si fermò in bilico a metà scalinata, guardandolo corrucciata:
- Su questi scalini!? -
Alex, che aveva sceso tre scalini in più ad Andrea, alzò gli occhi al cielo mentre li risalì e poi, con spiccata meraviglia di lei, si inginocchiò con grazia ai suoi piedi per slacciarle il cinturino delle scarpe. Quando ebbe finito, ignorando la sua smorfia stralunata, si rialzò e con un solo rapido gesto la sollevò da terra e la prese tra le sue braccia con nessun segno di difficoltà, come se avesse rialzato da terra uno zaino o un quaderno. Andrea levò un piccolo strillo di meraviglia.
Dove li nasconde tutti questi muscoli forzuti?
- Su, su… Non fare la bambina… - le disse sorridendo mentre scendevano le ultime scale.
- Non ce n’era bisogno. - brontolò lei, accigliandosi: poi sentì la sua mano destra che per reggerla era lì ferma sotto le sue coscia nude e si pietrificò.
Fortunatamente quel momento finì presto, così che Alex la ripoggiò sulla sabbia e lei, ancora stordita per quella strana sensazione che nel suo intimo le parve piacevole, le sembrò quasi di rimanerne delusa.
No… Questo non posso accettarlo.
Fece scivolare i suoi piedi fuori dalle scarpe già slacciate e si piegò per prenderle, ricacciando quel pensiero dalla testa.
- Lasciale qui… - le disse lui, fermandola con la voce. Andrea rialzò la testa per guardarlo confusa.
- Non preoccuparti. Le ritroverai al tuo ritorno! - rise di gusto.
La sua sfacciataggine poteva anche lasciarla a casa.” Pensò Andrea rialzandosi e fulminandolo con gli occhi; poi avanzando oltre di lui verso la riva distolse con fare altezzoso lo sguardo dal suo viso divertito per rivolgersi alla meravigliosa distesa d’acqua salata e sabbia che governava il paesaggio al suo cospetto. Alex la seguì con lo sguardo e Andrea poteva sentire la pungente pressione di quegli occhi oceanici sul suo corpo proprio come quella volta che lo vide in fondo al corridoio della sua scuola mesi prima. Lì, da solo. Sembrava quasi che la stesse aspettando così come un’anima potrebbe aspettare di poter nascere in un timido corpo umano.
Si fermò e chiuse gli occhi, inspirando profondamente. Sentì la leggera brezza fresca sfiorarle la pelle e scompigliarle la folta chioma bruna.
- Passeggiamo? - la voce di Alex era calda e suadente, quasi un sussurro. Andrea sentì le sue dita scorrere sulla pelle liscia  del suo braccio destro, e da quel tocco capì che l’aveva raggiunta in silenzio  e che ora era lì fermo al suo fianco. Riaprì gli occhi  e si voltò a guardarlo. I suoi occhi erano di un blu vivo e profondo, molto più scuri di quanto Andrea ricordasse.
- Va bene… - gli rispose, accennando un sorriso. Alex la ricambiò sorridendo a sua volta e lasciò cadere le sue dita dal suo braccio al suo polso e poi la sua mano. Sentì la mano di Alex stringere la sua e un intenso calore irradiarsi nel suo corpo, emanandole un brivido. S’incamminò tenendole ancora la mano e lei lo seguì subito. Non sapeva precisamente cosa c’era in lui, ma man mano che passava il tempo in sua compagnia, riusciva a sentire sempre più una nuova strana sensazione che la calmava, la tranquillizzava e la faceva sentire al sicuro.
- Ti piace il mare? -
Andrea lo guardò stranita, come se le avesse appena detto che lì di fronte a loro due ci fosse un unicorno ad attenderli.
- Cosa c’è? Non posso farti domande? - sorrise, confuso.
- No, scusa… Sono solo un po’ confusa… Non immaginavo certo di ritrovarmi qui da sola con te fino a poco più d’un paio d’ore fa. E poi… - i suoi occhi ricaddero sulle loro mani strette l’una nell’altra.
Camminavano a passo lento e i piedi nudi di lei affondavano deliziosamente nella sabbia, mentre lo spazio a loro circostante era calmo e tranquillo; una larga e lunga spiaggia vuota che anticipava la sagoma scura e lontana di un castello dinanzi a loro, e oltre solo il cielo blu costellato da puntini bianchi luminosi e ricoperti da un sottile velo di opache nuvole che sembravano quasi decorare i contorni della luna piena di quella sera. Era un posto bellissimo.
Alex guardò in modo diverso rispetto a qualunque altra volta precedente e lei riuscì a vedere una scintilla di dolore in quel suo mare blu così diverso da quello che avevano al loro fianco, incorniciato dalle sue ciocche nere.
Cosa c’era dietro quel vitreo sguardo? Quale dolore Alex aveva conosciuto? Andrea sentì quella pungente curiosità picchiarle in testa come un tarlo.
- Vorrei poter dire che forse per te è presto…So che tu lo pensi ancora. - le disse, volgendo lo sguardo schiuso all’orizzonte e continuando a camminare lentamente con lei che lo seguiva, mano nella mano.
- …Ma la realtà è che dentro  di me so di poter riuscire a farti cambiare idea. -
Andrea si sentì sprofondare e senza nemmeno accorgersene si fermò, accigliandosi.
Non può davvero fare sul serio…
Alex si girò di nuovo verso di lei inarcando le sopracciglia, poi vedendo la sua espressione s’incupì e con un amaro sorriso le disse:
- Vieni, sediamoci qui… - così che le lasciò la mano, si allontanò di qualche passo dalle onde marine e si sedette aggraziatamente sulla sabbia, aspettando che lei facesse lo stesso.
Andrea, anche se un po’ stranita e ancora accigliata, lo imitò facendo attenzione alle pieghe della sua gonna.
- Non posso credere a quello chiedici. -
- Lo so. E hai ragione. - esibì un altro sorriso amaro.
- Neanche io mi fiderei di me stesso. -
Andrea fece una smorfia d’irritazione, sbuffando:
- Non mi piacciono le persone che si vittimizzano. - disse seccamente poggiandosi all’indietro sui gomiti.
Ah sì?” Alex si voltò a guardarla, divertito.
- E poi in fondo tu non sai niente di me, non so da dove possa nascere tutto questo interesse. -
- Vedi tutto quello che ci circonda, Andrea? -
Alex le indicò l’intero paesaggio con un piccolo gesto della sua mano:
- E’ tutto costituito da piccolissime particelle. Ogni singolo atomo è fondamentale qui, sulla Terra… - si fermò per soppesare bene le parole, strizzando gli occhi mentre fissava il vuoto.
- Basta pensare che tu in principio fosti una semplice cellula, nel grembo di tua madre, che col tempo si è evoluta. -
Beh, tutti lo siamo stati, non c’è bisogno di specificare.” pensò acidamente Andrea mentre vedeva perdersi sempre di più lo sguardo di lui, che continuò quasi sovrappensiero:
- …La riproduzione umana è ciò che al Creatore è riuscito meglio. -
- Oh beh, non ne dubito. - sbottò lei, pensando ad alta voce.
Lui tornò con lo sguardo sul suo volto, fulminandola.
- Non sempre siamo noi maschi quelli maliziosi e perversi. -
Andrea si sentì arrossire per la vergogna, distogliendo subito gli occhi dai suoi.
Alex si porse verso di lei, ancora poggiata sui gomiti, fino a ritrovarsi quasi sopra il suo corpo semidisteso sulla sabbia. Le sfiorò delicatamente il naso col suo, con sguardo fiammante.
- Adesso so cosa si prova ad avere un vivo desiderio che non sia solo semplice lussuria… - chiuse gli occhi e sorrise sinceramente contento, mentre Andrea si sentì bruciare. Il corpo di lui una sola fiamma travolgente, che ardente si fondeva con quella di lei; e per la prima volta in vita sua Andrea desiderò più d’ogni altra cosa al mondo che Alex, un ragazzo di cui conosceva poco più che niente, la baciasse. Per un attimo la sua mente si annebbiò, così tanto da non riuscire più a distogliere i suoi occhi, i suoi pensieri, le sue labbra  e le sue membra da quel mare tenebroso che solo Alex poteva fare invidia a qualsiasi distesa marina.
Lui, come se avesse capito cosa stesse provando, si sbilanciò completamente su di lei che d’un tratto si ritrovò completamente distesa sulla sabbia, imprigionata dal corpo di lui contro il suo.
Le loro labbra si sfiorarono e lei si sentì fremere.
- Baciami… - gli disse in un sussurro esasperato.
Lui allontanò il suo viso per guardarla, era visibilmente meravigliato.
- Baciami, prima che cambi idea! - Alex non aspettò un altro secondo prima di attirare la sua bocca a quella di Andrea e a travolgerla con le sue labbra e le sue mani calde e decise.
Sei tu ciò che nel mondo è riuscito meglio…” pensò Andrea quasi passivamente, stordita completamente da quel ciclone di sensazioni quasi dimenticate.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Andrea si sentì come investita da un treno in piena corsa. Un tornado perennemente pronto a sconvolgerla era stato proprio lì al suo fianco per tutta la serata, e ora che era stata lei stessa a scatenarlo non poteva più biasimare quel bruciante ragazzo dagli occhi oceanici che si ritrovò a baciare. E in verità, Andrea non riusciva nemmeno a biasimare sé stessa. Proprio  non ce la faceva a ragionare con la stessa testa degli ultimi tredici mesi, probabilmente perché il suo cuore già non ne voleva più sapere dei capricci opprimenti della mente. Ora il suo cuore e il suo corpo rispondevano solo a lui. Al suo petto, ai suoi baci, alla sua lingua che lenta scorreva dalle sue labbra carnose alla gola, avida della sua pelle. E le sue mani…. Oh, le sue mani erano come quei raggi solari che d’estate le riscaldavano il corpo, gli stessi dai quali cercava di fuggire ogni volta che si ritrovava in spiaggia per non bruciarsi quella stessa pelle delicata. Forse con lui doveva essere lo stesso? Forse doveva fuggire anche da quelle mani che ora le carezzavano il corpo con così tanta passione?
Sentì scenderne una fin sulla sua gamba nuda, per poi risalire sotto il cotone leggero della stessa gonna per la quale Andrea aveva così insistentemente lottato per non farla rialzare nel corso di tutta quella serata; quando allora invece, non desiderava altro.
No, non doveva fuggire da lui. Non doveva proteggersi dalla stessa persona che la faceva sentire così protetta. Sarebbe stato come abbandonare uno scudo per lottare a mani nude contro un cavaliere.
L’altra mano abile di Alex si affrettò a sganciarle i bottoni della camicetta e il reggiseno color prugna ritornò ad esibirsi sotto i suoi occhi ardenti, mentre Andrea, ormai senza più alcuna ricognizione mentale, affondò le unghie sulla sua schiena possente attraverso il sottile tessuto della sua camicia pur di attirarlo a sé, costellandogli la spalla destra di baci e morsi d’una bocca avida e lussuriosa, oltre quella sua scollatura che fino a qualche ora prima riteneva eccessiva. Le labbra di Alex, dopo essere ritornate alla sua bocca per un attimo fuggente scesero di nuovo, stavolta senza fermarsi al collo ma continuando fino al seno che lui stesso liberò dalle coppe del reggipetto a morsi.
Alex si ritrovò ad ansimare, e quei sospiri erano proprio il suo sfogo; ogni breve ansimo, una minima liberazione di passioni oppresse da tanto, tantissimo, troppo tempo. Passioni non del tutto carnali. Passioni umane e divine mescolate in un turbinio di sensazioni. Era davvero strano per lui rivedersi così, senza controllo… Ma era lui ad averlo perso o lei? Sicuramente, se lui non aveva più padronanza di sé, Andrea quella ormai l’aveva completamente ripudiata.
Con foga inaspettata gli sbottonò la camicia, liberando il suo torace liscio e scolpito. Fece scivolare le sue dita lungo le linee intrise sotto la sua pelle, a riprendere la forma dei muscoli sotto il suo tocco delicato. La loro pelle ora in stretto contatto, due corpi in un vortice di percezioni carnali e completamente smarriti nelle fiamme dell’Inferno. Per la prima volta Alex provò invidia, per  tutte quelle anime leggendarie che furono destinate al quinto girone di Dante: lussuria. La loro vita era il centro di quell’indescrivibile abbandono al piacere.
In quel momento avrebbe affrontato sette volte quello stesso Inferno, per la lussuria di Andrea. Solo per il suo corpo, il suo candido seno e la sua pelle così liscia, intrisa del profumo di rosa che lo mandava così in estasi ad ogni respiro. Sentì le delicate mani di lei scivolargli lungo i fianchi e poi stringerlo a sé, di nuovo, come se proprio non volesse lasciarlo andar via.
Oh, non vado da nessuna parte dove non ci sia tu, piccola…
Intorno a loro due regnava il silenzio della quiete assoluta, solo la melodia delle danze marine accompagnavano i loro respiri affannati, e ad Alex sembrò quasi di raggiungere la completezza. L’infinito della sua esistenza tutto concentrato in quegli unici attimi vissuti con fervore… Ed era proprio lì, con lei. Con un’anima pronta a dare un senso al suo infinito.

Alex le rialzò completamente la gonna per stuzzicarla davvero, intento a giocare con l’elastico delle sue mutandine, quando d’improvviso l’estraneo suono di un cellulare s’insinuò tra loro due.
Per Andrea quel suono fu come una secchiata d’acqua gelida in faccia, e come ridestatasi da un brutto sognò balzò di scatto in avanti, scaraventando Alex sulla sabbia alla sua sinistra. Subito dopo realizzò di aver dato il suo cellulare, quello che ora risuonava squillante nell’aria, a lui qualche ora prima mentre si stavano allontanando dal Legend Pub. Non aveva portato una borsa quella sera. In effetti, non la portava mai. Odiava con tutta sé stessa trascinarsi quel fardello per un’intera serata.
Merda. Miseria. Merda. Miseria.” la testa di Andrea non riusciva a fare capolino.
Si voltò bruscamente verso di lui dopo aver fissato il mare a lei dinanzi con gli occhi spalancati per istanti eterni. Alex era semidisteso sulla sabbia, poggiato su gomito, e la stava guardando con occhi sgranati dall’aria sconvolta e confusa, a bocca aperta. Il cellulare nei suoi pantaloni ancora  squillante.
- Potrei rispondere al mio cellulare? – il tono di Andrea era sonoro ed altalenante. Aveva ancora il respiro affannato, a differenza di Alex che dopo quella frase ridiede di nuovo un contegno al suo viso diventando paurosamente gelido e inespressivo, dopo aver sospirato pesantemente ad occhi chiusi. In un solo slancio poi si rialzò, si scrollò con noncuranza la sabbia dalla sua pelle e, ancora con la camicia sbottonata e a petto nudo, prese il cellulare di Andrea dalla tasca destra e si portò lo smartphone agli occhi; sorrise isterico per un brevissimo istante per poi tornare di nuovo serio e glaciale.
- Spero non sia sempre così esasperante come stasera! – bofonchiò, porgendoglielo.
Andrea lo afferrò fulminandolo con lo sguardo e poi guardò anche lei lo schermo: era Nives, che ancora non si era arresa a riattaccare.
- Pronto? – cercò di gestire al meglio la sua voce; non voleva far capire ancora nulla all’ esasperante migliore amica super impicciona Nives. Non in quel momento, almeno. Voleva dedicarsi ad una furia alla volta, e quella più urgente per il momento si trovava a mezzo metro di distanza da lei, intento a scrutarla con espressione illeggibile.
- Andrea! Ma che fine hai fatto?  Non credevo ci avreste messo un’intera serata per parlare di un ex fidanzato! -
Andrea sospirò pesantemente alzando gli occhi al cielo, mentre Alex, con sguardo divenuto truce, ridusse la sua bocca in una linea dura e sottile. Senza avvicinarsi a lei si limitò a dire con voce grave:
- Io vado a prendere i caschi. E sarebbe meglio per te se ti sistemassi a dovere prima di raggiungermi… - e senza nemmeno aspettare una sua risposta voltò le spalle e se ne andò deciso, riabbottonandosi nervosamente la camicia.
E’ un consiglio o una minaccia?” Andrea non ci avrebbe giurato, ma le sembrò di udirlo anche se da lontano, imprecare  animatamente.
- Nives. Sono viva. Sto bene. Ci vediamo fra poco. -
Prima che potesse udire cosa intendessero dire gli strilli di lei dall’altro capo della cornetta, Andrea staccò la chiamata e si rialzò di scatto.
Si scrollò la sabbia dalle gambe e dai vestiti.
Cavolo, anche i capelli sono un disastro!” si morse il labbro mentre arrancava ancora con i bottoni della camicetta dopo aver riposto il suo reggiseno come di dovere, e s’incammino di qualche passo arrancato in modo distratto verso la larga scalinata da cui mezz’ora prima era scesa. O meglio, la stessa dove mezz’ora prima Alex la prese fra le sue braccia e la portò sulla spiaggia. Alzò lo sguardo per cercare la sagoma di Alex più avanti, e lo intravide poco prima di scomparire oltre i muri della strada, sopra le scale lontano da lei dozzine di metri.
Come ha fatto ad arrivare già lì?

- Ingovernabile, vero? – la voce che udì Andrea non proveniva da quello stesso posto dove stava guardando, né tanto meno le sembrava familiare. Nulla a che vedere con la melodia angelica della voce di Alex. Quella era diversa; pur conservando un fascino simile al suo quella era più grave, come se intendesse celare qualcosa di maligno dietro un canto soave. Si voltò di scatto, con ancora due bottoncini sganciati in più che le davano una scollatura notevole, ma fortunatamente il reggiseno almeno era coperto.
La figura dinanzi a lei ora era d’un maschio dall’età indecifrabile per la sua bellezza ultraterrena. Aveva lunghi capelli lisci biondo platino che gli ricadevano fin sulle spalle, con una nitida ciocca che gli ricopriva un occhio. Il suo sguardo dal colore dello smeraldo la inchiodò lì e bastò quello ad intimidirla. Non aveva un’aria molto amichevole e Andrea non si sbagliava mai in queste cose, lo capì sin da subito che quello strano essere al suo cospetto non avrebbe portato a nulla di buono.
Come ha fatto a scendere sulla spiaggia?
L’unica entrata era quella stessa scalinata che prima teneva d’occhio, e poi la riva non era grande abbastanza da non riuscire a vederlo prima. Lo avrebbe visto. Se ne sarebbero accorti, se non lei, Alex almeno.
Alex non mi avrebbe mai lasciata da sola su una spiaggia mezza nuda sapendo che qualcuno avrebbe potuto vedermi…
O forse sì?
Rimosse quell’orribile pensiero con disgusto. No, non avrebbe mai potuto.
- Come scusa? -
Il corpo magrolino di quell’uomo gli avrebbe dato non più di diciotto anni, soprattutto per l’abbigliamento eccentrico che le ricordava molto quello di Daniel; ma c’era qualcosa che non corrispondeva a quella giovane età. Aveva un’espressione indecifrabile, oltre quel leggero velo di barba bionda appena accennata, e uno sguardo incredibilmente profondo e solenne. Ecco cosa c’era in lui di così antico: lo sguardo. Non erano occhi d’un giovane quelli. Parevano consumati dalla vecchiaia, quasi spenti, seppur con uno sfarzo di luce ancora vivida nelle sue pupille.
- Alessandro. – disse l’uomo sorridendo quasi felicemente.
- E’ così che si fa chiamare adesso, giusto? -
Andrea si accigliò, stranita:
- Perché, tu come lo chiami? – il suo tono non era mai riuscito ad essere così deciso, quasi minaccioso. In mente sua Andrea si fece un applauso da sola, ben contenta di questa sua infantile e insulsa soddisfazione. D’altro canto però, l’altro ragazzo invece parve quasi non averla sentita:
- Che ci fa un dannato come lui… Con un’anima così pura e splendente come la tua ? – aggrottò la fronte:
- Il tuo corpo riflette perfettamente ciò che sei davvero interiormente… Non a caso, sei bellissima. - gli brillarono gli occhi quando con lo sguardo percorse l’intera sua figura con fare famelico. Si leccò le labbra soffermandosi sulla scollatura, e ad Andrea venne il voltastomaco.
- Non puoi dirlo. Non mi conosci. -
- Tu credi ne abbia bisogno? -
Andrea inarcò un sopracciglio.
- Direi di sì. -
Lui sorrise di nuovo, mostrando una dentatura bianca e perfetta:
- Oh, ma io già ti conosco, Andrea. -

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


-Cosa!? -
D’un tratto Andrea sentì il sapore della bile salirle in bocca e la testa cominciarle ad offuscarsi.
- Ti stai agitando, cara? -
I suoi occhi smeraldo erano ancora inchiodati su di lei, mentre inarcava leggermente il capo come per studiarla meglio. Sembrava quasi sinceramente dispiaciuto.
Intanto Andrea sentì quasi mancarle l’aria e si ritrovò ad ansimare affannosamente senza neanche rendersene conto. Non riusciva più a distogliere lo sguardo dal suo viso bello e diabolico, e più tempo passava nel guardarlo, più si sentiva debole e ferita.
- Lasciati andare… Crolla dinanzi alla mia potenza! Non essere timorosa… Oh, queste dannate paure da umani! Perché il dolore vi spaventa? Lasciati andare! – la sua voce era calma e soave, le sembrava quasi il canto di una sirena assassina. La vista le si stava annebbiando sempre di più e sentì che di lì a poco avrebbe perso i sensi.
- Cosa… Mi stai… Facen… n… -
- Ahsaj ke dan ji! – una voce oltre le spalle di lei urlò a squarciagola parole mai sentite, furente e iraconda fu espressa quasi in un grugnito rabbioso. Non era stato quell’essere venuto fuori dal nulla ad averla pronunciata, ovviamente, ma Alex, che in un attimo Andrea vide scaraventarsi su di lui e comprimergli qualcosa di lucente sul petto mentre continuava a parlare in una strana lingua che lei avrebbe giurato di non aver mai sentito prima.
- Tujaya se ko nde… -
Andrea non riuscì più a tenere accese le sensazioni e, dopo aver udito un urlo straziante non riuscendo a capire bene da chi dei due fosse stato fatto, si accasciò sulla sabbia, in un’ombra scura e silenziosa della sua coscienza.
- Andrea… - era la voce di Alex, quella che aveva appena udito? Era diversa dal solito. Era strana, stordita, rabbiosa, preoccupata… In preda all’ansia.
- No, ti prego, Andrea… - continuava ad aggravarsi la preoccupazione della sua voce, mentre lei realizzò che oltre l’udito non percepiva alcun altro senso. Per Andrea c’era solo un grande telo nero che le copriva gli occhi, e il corpo diventò un affare a lei completamente  estraneo, non riuscendo a percepire proprio più nulla.
- No… No… No… - le sembrò quasi di sentire un singhiozzo soppresso. Stava forse piangendo?
Alex, sono qui. Ti sento. Non piangere…
Cosa le era capitato di così grave? Non ricordò di aver provato un particolare dolore poco prima, oltre lo stordimento… Forse quando era stata ferita lei già non era più nel suo corpo, e per questo non l’avrà sentito? Ma se non era lì, dove poteva essere allora, in quel momento?
- Io non ti lascio andare via Andrea. No. Non se ne parla proprio!  Non per una sciocchezza simile! – gli sentì un sibilo tra i denti, probabilmente uno sforzo per comprimere la furia iraconda. In quelle parole però si poteva udire la decisione forte e spaventosa della quale si faceva arma.
- Oh, cavoli. Un giorno o l’altro dovrò costringermi ad ascoltare più spesso Daniel… Come ha detto che si faceva…? – pensava tra sé ad alta voce, con tono confuso, e la cosa fece divertire a tal punto Andrea che se in quel momento fosse stata padrona del suo corpo, avrebbe incurvato le labbra fino a ridere di gusto. Eppure c’era poco da ridere, lo sapeva.
Cosa vuoi fare?
Riuscì per qualche breve istante a sentire il respiro di Alex farsi sempre più pesante, e dopo un lasso di tempo che non riuscì a calcolare… Un piccolo rumore. Un suono, per meglio dire. Vento? No, non era proprio quel tipo di suono.
Di nuovo lo stesso suono, un po’ più forte rispetto al primo. Cosa poteva essere? Cosa stava succedendo?  Andrea pensò fosse un’idiozia, ma a lei quel suono parve proprio un battito d’ali.
Lentamente riuscì di nuovo ad acquistare tutti i sensi, uno alla volta… Il primo a recuperare fu l’olfatto.
Riuscì di nuovo a sentire l’odore della sabbia e della salsedine… Ma più intenso di tutti, riuscì a sentire di nuovo l’odore di Alex: un dolce aroma simile a quello della menta, ma non proprio. In realtà non sapeva bene di cosa profumasse, ma non importava. Era il suo odore, punto.
Il secondo senso fu quello del tatto. E Andrea si allarmò non poco quando con inaspettato piacere avvertì la sua mano poggiata sul petto lì dov’era la scollatura. Era calda, anzi bollente. Quasi bruciava come fuoco.
Una volta riavuto un controllo quantomeno decente del suo corpo, Andrea riuscì di nuovo a sbattere le palpebre e fu ben contenta di vedere quel telo nero squarciarsi dinanzi ai suoi occhi, ripresentandole quel cielo stellato e nuvoloso che le parve oramai tanto familiare e confortante.
- Andrea! -
Non ebbe il tempo di spalancare gli occhi ed emanare completamente il suo primo respiro “post-dormita”, che si ritrovò le labbra di Alex compresse sulle sue. Senza nemmeno accorgersene schiuse la bocca e la lingua di lui non esitò a riempirla.
Era un bacio liberatorio. Un bacio esasperato, incredulo e sofferente. Le carezzò il palato e lei ne fu estasiata; era il suo sapore, ora poteva essere certa di aver riavuto anche quell’ultimo senso: il gusto.
Alex si staccò d’improvviso dalla sua bocca e rialzò il viso, piantandole addosso due occhi sbarrati e con una sfumatura di terrore ancora ben visibile in volto.
Andrea si rilassò sotto il suo sguardo, sentendosi di nuovo così inspiegabilmente protetta e al sicuro.
- Alex… - non riuscì a far uscire niente di meglio di un sussurro.
- Oh, treasure. Sono qui! - lui sorrise con dolcezza, per la prima volta per davvero.
- Alex… -
Andrea sentì le lacrime colmare i suoi occhi e Alex mostrò un’espressione terribilmente preoccupata, quasi mortificata, mentre vide scendere una prima lacrima giù per il suo viso.
C’erano tantissime cose che avrebbe voluto dirgli in quel momento Andrea, tantissime domande, tantissime richieste, ma non riusciva nemmeno a capire quante ne potevano essere. Come avrebbe saputo da dove cominciare?
Non lasciarmi…” era questo che avrebbe voluto dirgli davvero, più d’ogni altra cosa, e sapeva quanto potesse essere sbagliato abbastanza dal sentirsi frustrata e combattuta allo stesso tempo. Contro ogni suo limite predisposto però, lei avrebbe voluto dirglielo comunque, ne sentiva come un bisogno vitale, ma le parole non riuscivano a riformularsi in gola, e Andrea dovette accontentarsi di quelle lacrime, e del viso di lui alla sua vista così allarmato solo per lei, per la sua preoccupazione.
Alex si strinse le labbra e schiuse gli occhi in una smorfia di dolore; la afferrò le spalle con entrambe le mani e la strinse a sé, rialzandole il busto a peso morto e circondandola con le braccia. Andrea si ritrovò con il viso impresso nel suo petto, mentre lui affondava il suo nella folta chioma bruna di lei, inspirando lentamente il suo odore.
- Non azzardarti mai più. – la sua voce quasi un sussulto.
- Cosa? -
- …Ad andartene. -
Andrea spalancò i suoi occhi terrosi, sconvolta e ben contenta di non esser vista.
Perché, me ne stavo andando?” l’idea di morire così, in quel modo, la fece rabbrividire. Alzò le braccia e le strinse attorno alla sua schiena nuda, sprofondando ancor di più nella sua pelle.
Dov’è finita la sua camicia?
- …E tu non azzardarti mai più a lasciarmi sola. -
L’aveva detto. Ancora stentava a crederci! Rise tra sé, come una bambina.
- No, mai. – le sussurrò lui in un orecchio.
Brava, idiota. Ci sei ricascata. Sei di nuovo fottutamente innamorata. In un’unica serata, poi! Record assoluto! Ma brava davvero, complimenti!
Andrea ripudiò con riluttanza la sua coscienza mettendo a tacere quella voce stizzita della sua mente e si lasciò andare al benessere di quell’abbraccio, che sembrava quasi servirle per ritornare a vivere davvero.
- Come ti senti? -
La magia di quell’abbraccio finì all’improvviso, troppo presto per Andrea, e Alex tornò a tenerla per le spalle con le braccia tese, portandosela dinanzi per esaminarla nel minimo particolare, con degli occhi divenuti improvvisamente seri e cupi.
- Io… Sto bene. Credo. – si accigliò, accorgendosi solo allora di sentirsi le mani bagnate ed appiccicose. Abbassò lo sguardo per guardarsele: erano macchiate di sangue.
Un’ondata di panico le passò in volto. Alzò di scatto gli occhi su Alex, che seguendo il suo sguardo si rabbuiò terribilmente, impallidito.
- Non è niente. – disse atono, senza guardarla.
- E’ sangue mio, non tuo. Stai tranquilla. -
Tranquilla!?
- Come posso stare tranquilla!? Stai sanguinando! E non poco! – il suo tono era diventato stridulo, ma non le importava più. Alex continuò a tenere lo sguardo basso.
- …Prima. Adesso non più. – il blu dei suoi occhi divenne così scuro da confondersi col nero delle pupille, riprendendo quello dei suoi capelli mossi, scompigliati dal vento.
- Ma cosa stai dicendo? -
Alex si limitò a fare spallucce, rialzandosi. Era ritornato gelido e distaccato.
Andrea si guardò per la prima volta in giro da quando si era risvegliata, e la scena che le si presentò le congelò il sangue e le vie respiratorie. Di fronte a lei, non seppe dire quanto distante con precisione, una grande macchia rossa squarciò la distesa dorata della sabbia. Era quello il suo sangue?
- Dovrei avere delle asciugamani nella mia cabina… -
- Come…? -
Alex sospirò, visibilmente seccato. Si passò una mano nella chioma scura, segno della sua esasperazione, e poi continuò:
- Ho una cabina mia qui. In verità, qui è tutto mio. -
Ignorò l’espressione allibita di lei e continuò, alzando per un breve istante gli occhi al cielo.
- Le spiegazioni a suo tempo, okay? Non stasera, di certo. So quanto potrai essere scossa e frastornata in questo momento, e qualsiasi spiegazione riferente a stasera ti sarà data… - si soffermò a guardarla.
- … Quando starai un po’ meglio, magari. – ignorò di nuovo l’occhiataccia che Andrea gli diresse e sbuffando, proseguì ancora:
- Ora dovrei togliermi questo sangue che ho addosso, se non vuoi sporcarti quando risaliremo in moto. Per cui o vieni con me, oppure mi aspetti qui. -
Andrea balzò in piedi in un lampo, meravigliandosi di quei suoi riflessi più veloci di quanto lei ricordasse.
- Oh non ci penso nemmeno a rimanere qui! -
Alex spostò gli occhi verso le onde marine:
- Ad ogni modo non ci saresti rimasta, era una… sottospecie di domanda retorica. – esibì un sorriso compiaciuto, anche se appena accennato, mantenendo ancora lo sguardo altrove.
Guardami, per la miseria!
- Vorresti dirmi che non avrei avuto comunque scelta? -
Alex esitò un attimo a rispondere, come se si fosse fermato a pensare ad altro, dopodiché sospirò.
- Sarebbe meglio se mettessi in conto il fatto che con me ci saranno ben poche possibilità di scelta. -
Detto questo, e continuando a non guardarla, s’incamminò oltre le sue spalle. Andrea lo seguì stranita con gli occhi tutto il tempo, e quando le diede le spalle rabbrividì per l’orrore. Tutta la parte superiore della schiena di Alex era ricoperta di sangue ormai seccato, con qualche piccola riga discesa verso il basso fino al fondoschiena. Lei ne rimase pietrificata, mentre lui con noncuranza e col suo solito fare elegante recuperò la  camicia scura dalla sabbia lì dietro, e dopo qualche altro passo felpato, finalmente, si voltò di nuovo a guardarla, inarcando le sopracciglia.
- Allora? Vieni o no? -
Andrea obbedì, anche se timidamente, pensando bene che quello di Alex non era affatto un invito, ma un’intimidazione. Quasi una sfida.
Dietro quella domanda c’era molto di più. C’era una scelta di vita, e Andrea in cuor suo sentiva di saperlo già.
Oltre i confini del mondo, con te.” Sorrise di cuore, incamminandosi verso la sua scia segnata dalle impronte sulla sabbia.
Si sentì sorridere di cuore, dopo tanto tempo.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


Le prime luci dell’alba  s’infiltrarono oltre il vetro delle finestre. Alle 6:03 del mattino la stanza di Andrea era ancora scura e terribilmente silenziosa. Eppure per lei era come la culla di un bambino, il suo piccolo mondo. Sì, si sentiva proprio nel suo mondo lì, era l’unico posto dove poteva sentirsi serena e tranquilla, o quanto meno sé stessa.
Il silenzio dominava ancora l’intero mondo, come le ultime cinque ore, ma nonostante la quiete e il conforto datele dalla stanza, Andrea aveva ancora gli occhi ben aperti, spalancati verso il vuoto. Quella notte dormire le risultò impossibile. Come poteva smettere di pensare a tutto quello che le era capitato nelle ultime ore della sera prima?
Il viaggio in moto, il ristorante elegante, il cibo squisito, le parole di Alex, i suoi occhi ardenti… E poi la passeggiata sulla spiaggia, e le sue labbra, la sua passione, le sue mani che l’esploravano il corpo con desiderio… Andrea lo ricordava bene, come impresso nei suoi pensieri, e dovette arrendersi all’idea che quei ricordi non l’avrebbero mai più lasciata.
E poi ancora, la chiamata di Nives, la reazione imbronciata di Alex e… Quegli occhi smeraldo. L’oscurità. Il risveglio. La paura negli occhi di lui… E il suo sangue.
Chi l’avrebbe mai detto che uscire con Alessandro Conte avrebbe comportato così tanti imprevisti? Rigirandosi nel letto sotto le sue coperte-arcobaleno sorrise amaramente, ritornando a qualche ora prima con la mente.

- Cosa intendevi quando hai detto che qui era tutto tuo? -
Andrea incrociò le braccia al petto, opprimendo un brivido: il freddo dell’autunno in tarda serata cominciava a farsi sentire.
Alex sbucò fuori dalla piccola cabina gialla che poco prima avevano raggiunto, ancora a petto nudo e ora con un asciugamano bianco in mano al posto della camicia nera riposta qualche istante prima lì dentro. Inarcò un sopracciglio guardandola, per poi ritornare con gli occhi sull’orizzonte:
- Come, scusa? -
Andrea lo seguì con lo sguardo mentre lo vedeva dirigersi verso una fontanina a lato della cabina. Alzò una piccola levetta di ferro vecchio e portò l’asciugamano sotto il flusso d’acqua fresca. Era tranquillo, pacato, come se poco prima non fosse successo niente di cui preoccuparsi e lui stesso in quel momento non si ritrovasse la schiena ricoperta di sangue ormai secco… Come se ci fosse abituato.
- In che senso qui è tutto tuo? -
Alex riabbassò la leva della fontana e strizzò l’asciugamano, sempre con non curanza.
- Oh, beh. Quello che ho detto. La spiaggia è mia. -
Andrea spalancò gli occhi allibita:
- Tutta tua? -
Si avvicinò a lei tornando a fissarla con occhi spaventosamente intensi e profondi.
- Sì… - le porse l’asciugamano bagnato.
- Mi aiuti? -
Andrea sospirò pesantemente per ricacciare quell’espressione indecentemente sconvolta che aveva assunto, e alzando gli occhi al cielo si limitò ad annuire in silenzio afferrando l’oggetto in questione.
Alex sorrise dolcemente e le carezzò con un gesto rapido una guancia col dorso della mano, a mo’ di ringraziamento, dopodiché si voltò volgendole le spalle e si accomodò leggiadro sulla sabbia, poggiando i gomiti sulle ginocchia tirate in petto, senza dir nulla.
Andrea s’inginocchiò aggraziatamente a sua volta alle sue spalle e cominciò a far scorrere l’asciugamano sulle sue scapole, così che lungo la sua schiena piccole gocce rosa di sangue dissolto in acqua cominciarono a scorrere, riscoprendo la sua pelle candida.
- Dirai qualcosa di questa sera? – il tono di Alex era spaventosamente serio.
- A chi? – Andrea aggrottò la fronte, sorpresa.
Lui sospirò lentamente, calando il capo verso terra:
- A qualcuno… - esitò prima di continuare:
- Sai, Andrea… Il fatto è che mi sono lasciato prendere così tanto da… Te, che non mi sono neanche chiesto se posso fidarmi. -
Andrea si sentì profondamente offesa. Certo che si poteva fidare, tutti si fidavano di lei!
- Puoi. Credimi. -
Alex restò in un perplesso silenzio a lungo.
- …Mi credi? -
La schiena di lui era quasi ripulita del tutto, e Andrea se ne dispiacque più del dovuto. Si accorse solo allora che guardarlo per lei sarebbe stato il suo passatempo preferito.
- Allora? Il tuo esitare mi offende! -
Lo sentì ridere.
- Sì, ti credo. In verità, l’ho sempre fatto. -
Andrea sorrise anche lei, silenziosamente, per tenere quel sorriso per sé.
- Ecco, ho finito. Mi dispiace solo che si è un po’ inumidito il tessuto, qui, dei pantaloni… - fece scivolare le sue dita sottili sulla linea rialzata della sua spina dorsale dall’alto verso il basso, carezzandogli la pelle fino al fondoschiena. Era una schiena possente e muscolosa. Andrea sentì un brivido percuoterla, e stavolta non per paura, o per l’aria fredda che ormai era arrivata.
- Non è nulla… - Alex si rialzò agilmente e si girò subito verso di lei, porgendole da vero gentiluomo una mano per aiutarla. Gli occhi gli erano divenuti due brillanti.
- Vai a sciacquarti le mani, io prendo un altro asciugamano pulito e mi rivesto… -
Andrea gli vide l’ombra di un sorriso in viso, ma lui si riguardò bene di non darlo troppo a vedere, voltandosi all’istante e rientrando nelle oscurità della cabina.
Il ritorno al Legend Pub fu più tranquillo.  Quando Alex si fermò di fronte la sua entrata dopo essersi divincolato con la sua moto ruggente tra la folla brulicante, videro entrambi Nives sgusciare all’istante dalla massa e precipitarsi verso di loro.
- Andrea! Finalmente! -
Appena Andrea scese dalla moto Nives la assalì di colpo, avvolgendola in un abbraccio caldo seppur opprimente. Un po’ le era mancata, Andrea doveva riconoscerlo. Ricambiò l’abbraccio con dolcezza, stringendola forte a sé:
- Che hai combinato tu? – le disse  con tono basso, e pieno di affetto.
- Andrea… - Alex la richiamò con tono soave e dolce.
Andrea si voltò e balzò euforica verso di lui, mollando di colpo la presa su Nives e tornando ai suoi occhi oceanici, così profondi e così affascinanti…
- Sì? -
Vide improvvisamente lo sguardo di Alex congelarsi in un secondo, fissando un punto oltre le spalle di lei. Andrea si voltò accigliata, e rintracciando il punto preciso in cui lui stava guardando, si pietrificò: era Cesare. Fermo immobile di fianco lo stipite della porta vetrata del locale, rialzato di un paio di scalini… E in quel momento, entrambi si stavano fulminando con lo sguardo. Andrea non ricordò di aver mai visto lo sguardo di Alex così agghiacciante e furente. Chiuse gli occhi per un secondo, e in quello stesso istante mutò nettamente la sua espressione, ritornando su Andrea.
- Vieni qui, treasure. – la sua espressione di nuovo calda e suadente, anche più di prima. Le sorrise con malizia, mentre lei gli si avvicinava con fare affascinato, lasciandosi incantare dalla sua bellezza. Le afferrò il mento con le dita e le rialzò il viso verso il suo.
- Fatti salutare… - sussurrò piano.
Andrea s’immobilizzò. Lui chiuse gli occhi e attirò le sue labbra tiepide alla bocca di lei, baciandola con innata passione per un arco di tempo lunghissimo; poi la lasciò andare e con sguardo vittorioso e odiosamente presuntuoso tutto dedicato di traverso a Cesare, che intanto si pietrificò riducendo gli occhi in due piccole fessure taglienti, lasciò il viso di Andrea con delicatezza.
E’ mia, adesso.” pensò,sorridendo malignamente.
- Ci vediamo domattina, tesoro. - tornò poi a dirle con tono suadente.
Levò abilmente la frizione e sparì tra la folla, mentre Andrea completamente incantata lo seguì con lo sguardo finché poteva, con occhi lucenti e un sorriso infantile appena accennato.
Andrea fu felice e riluttante allo stesso tempo di tornare sul pianeta Terra e ritrovare il volto di Nives curioso e sconvolto.
- Io e te abbiamo molto di cui parlare, signorina! -
Andrea non riuscì a trattenere una sana e sincera risata. Era sconvolta, sì, confusa e ancora un po’ stordita per tutti quegli avvenimenti delle ultime ore… Ma era felice. Felice per davvero.
Vedendola ridere a quel modo Nives si animò a sua volta, facendole risplendere il volto con uno sfarzo di felicità. C’aveva visto giusto, allora, Alex potrà davvero guarirla dalla solitudine che si era creata. Almeno lei, ci sarebbe riuscita. A pensarci Nives si riempì l’animo di gioia. Dopotutto, però, c’era qualcosa in lui… Che a Nives proprio non garbava. Quel sorriso così avido e maligno che qualche istante prima Alex aveva diretto a Cesare, lei lo aveva visto bene, e le fece venire i brividi dal terrore. Era quasi… Demoniaco, spaventoso. Doveva parlarne con Andrea? O forse con Daniel?
- Oh, Nives… E’ stato tutto così… Surreale! - gli occhi di lei erano vivaci e sfavillanti come non mai. Le considerazioni negative di Nives avrebbero aspettato, Andrea era troppo felice in quel momento.
- Su, su… Poi mi racconti. Hai idea di che ore sono? E’ la mezza! -
- Oh, merda. -
- Ecco! Ti sei dimenticata del coprifuoco che i tuoi ti avevano dato! In ritardo di un’ora e mezza! Riccardo ci sta aspettando, dai. Sbrighiamoci… -
- Ma, Lorenzo…? Dan… -
- Lorenzo se n’è già andato via da un pezzo… -
- E con chi sei rimasta tu? -
- Oh Andrea! Ma quante domande fai? Andiamo che è tardi! -
Sentendo il tono impaziente di Nives, Andrea non ebbe il coraggio di insistere. Comunque aveva molte altre cose nella testa in quel momento, quindi decise di non pensare più a nient’altro e di limitarsi a seguire l’amica lungo la strada.
Quando raggiunsero la macchina Nives ancora non aveva smesso di sbraitare, diventando sempre più nervosa man mano che passavano i minuti quasi peggio di quanto lo fosse Andrea. Riccardo nemmeno era del suo umore migliore, borbottando imprecazioni e sfrecciando con la sua Mercedes tra le strade ormai deserte del paese.
Sarà arrabbiato per il mio ritardo?”  il rimorso del senso di colpa le divorò lo stomaco.
Come per la cosiddetta ciliegina sulla torta, il rientro a casa fu ancor più disastroso, dovendo sopportare lo sguardo assassino di sua madre che l’attendeva da ben due ore oltre la soglia. La sua figura in penombra nel salotto le fece prendere un colpo.
- Sai che ore sono? -
La signora Pietrosa in vestaglia e bigodini era una donna sulla quarantina ancora sorprendentemente affascinante, sinuosa sotto i riflessi dorati della seta, visibili in penombra dalla luce soffusa di una piccola lampada poggiata su un tavolino di vetro al centro dell’elegante salotto che accoglieva ogni ospite; era magra e slanciata, dai capelli biondi e gli occhi azzurri. Andrea era sempre stata certa che in America sarebbe stata sicuramente una tipica capo cheerleader super corteggiata, alla sua età. Se ne sentiva pienamente orgogliosa ogni volta che si fermava ad osservarla.
Scattò lo sguardo verso l’orologio a cucù che regnava la parete alla sua destra. Era un po’ difficile vederci bene l’ora, ma dopo aver strizzato gli occhi per lo sforzo Andrea ci riuscì lo stesso, anche se con una certa fatica.
- L’una… - sibilò, sconfortata.
- Complimenti, nuovo record personale! – sbuffò la signora Pietrosa animatamente, sventolando una mano sottile e ben curata.
- Una di queste sere non ti vedrò più arrivare, ne sono pur certa… - scosse la testa, mentre la sua voce divenne sempre più bassa e amara come la sua espressione sofferente. Chiuse gli occhi e le voltò le spalle, e Andrea notò con rimorso i suoi bigodini agganciati male. Non ci sarà riuscita per il nervosismo, ne era sicura.
-Vai in camera. – continuò, dopo un veloce sospiro.
- Sei in punizione. Niente uscite serali fino a nuovo ordine. – e senza aggiungere altro, scomparve nel buio oltre le scale a ventaglio di marmo che si aprivano in fondo alla stanza.
Oh, magnifico! Stupendo!

Il suono del proprio cellulare la fece balzare e Andrea rinvenì dai suoi pensieri. Era la sveglia: nove e mezza.
Già!? Ma come?”
Si rialzò di colpo dal letto, gettò di lato le coperte e si precipitò verso lo specchio. Quella mattina sarebbe dovuta passare da Nives alle dieci per riprendersi un libro scolastico.
Dannatissimo greco. Dannatissimo orario!”
Dopo svariate imprecazioni e quindici minuti d’affanno, Andrea era già sorprendentemente pronta: chioma ribelle come al solito, trucco leggero con un accenno di matita e lucidalabbra, e addosso una leggera camicetta aderente con fantasia quadrata bianca e nera, felpa rossa aperta a tre quarti di manica, e jeans scuri con tanto di Converse rosse.
Si precipitò come un razzo giù per le scale, salutò freddamente sua madre al piano di sotto intenta a farsi un caffè in cucina e sgattaiolò fuori dalla porta il più velocemente possibile.
- Alla mezza ti voglio qui! – la voce stridula della signora Pietrosa raggiunse Andrea anche dalla parte opposta della casa, a porta schiusa.
- Sìììì! – rispose lei, alzando gli occhi al cielo mentre chiudeva la porta di casa, sbigottita.
Frattanto però che era intenta ad attraversare il vialetto di pietra del suo  giardino, per raggiungere il piccolo cancelletto grigio che la separava dalla strada, sentì di nuovo il suo cellulare squillare.
- Ohh, diamine! – affrancò con la serratura del cancelletto, lo aprì e se lo chiuse alle spalle, poi tirò freneticamente il telefono fuori dalla tasca posteriore dei jeans e controllò: un nuovo messaggio.
Andrea aggrottò la fronte e sfiorò lo schermo:

“Non sai cosa ho dovuto fare per avere il tuo numero! Sei contenta? Ce l’ho fatta.
Sono fuori il tuo vialetto… Per caso. Ti va di farti un giro con me?”

Andrea si ritrovò con la bocca spalancata senza nemmeno accorgersene, mentre il rombo del motore di una motocicletta invase l’aria dell’intero vialetto soleggiato. Alzò lentamente lo sguardo dallo schermo del cellulare e si voltò alle sue spalle.
Ed eccolo lì, a cavallo della sua Ducati, che giocava sull’acceleratore.  E la stava guardando, con un sorriso smagliante. Alex.
Chiudi la bocca, cretina.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1375620