Cronache dell'Oscurità: Anime Oscure

di bruciato
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Seth, The Iceman ***
Capitolo 2: *** Gwen, The Princess ***
Capitolo 3: *** Vaan, the Young King ***
Capitolo 4: *** Seth, un Occhio e una Spada ***
Capitolo 5: *** Rickard, il Cavaliere dell'Impero ***
Capitolo 6: *** Cesar, The Forgotten King ***
Capitolo 7: *** Antony, l'erede del Brillante ***
Capitolo 8: *** Vaan e il suo Regno ***
Capitolo 9: *** Seth e i Lunac ***
Capitolo 10: *** Venti di guerra ***
Capitolo 11: *** Il torneo ***
Capitolo 12: *** Alta tensione ***
Capitolo 13: *** Mantello Rosso ***
Capitolo 14: *** Il tempio di Cornelia ***
Capitolo 15: *** Affari di famiglia ***
Capitolo 16: *** Spedizione a Occidente ***
Capitolo 17: *** Fedeltà ***
Capitolo 18: *** Malato ***
Capitolo 19: *** Follia! ***
Capitolo 20: *** Morvaturo ***



Capitolo 1
*** Seth, The Iceman ***


Seth si svegliò presto quella mattina. La notte era stata piuttosto lunga, con gli altri Cavalieri Neri. I turni di guardia alle stanze reali erano raddoppiati da quando il quarto Nero era deceduto. Purtroppo ser Lorristan Barne era un uomo forse troppo vecchio per quel titolo. Un titolo che solo pochi eletti nella storia ebbero l'onore di avere. Ma adesso dei quattro Neri ne mancava uno. E solo Larse sapeva quale sarebbe stato. Questi furono i primi pensieri di Seth dopo che si fu svegliato completamente. Una forte luce entrava dalla finestra vicino al letto e irradiava tutta la stanza. Fece rapidamente colazione e si avviò verso la sala del trono. Arathon Morder era già lì, come al solito in anticipo. I due si salutarono e si misero in posizione spalle al trono, entrambi con la bellissima armatura nera orlata d’oro che contraddistingueva i Cavalieri Neri.

Seth odiava la sua armatura, benché fosse quanto di più protettivo nel reame, scomoda, ingombrante e calda. Era tutta di un nero simile al marmo che era stato usato per le piastrelle della sala del trono, con i bordi di ogni pezzo dorati. L’elmo era pieno di dettagli e svettava verso l'alto, coprendo tutta la faccia ad eccezione di una sottile linea verticale che andava dalla sommità del naso alla bocca. Nessuna spada avrebbe mai potuto attraversarla. Gli occhi invece non erano riparati, e in effetti era l’unico punto realmente debole di quell’ammasso di ferro nero. Arathon invece pareva non soffrire della scomodità, e Seth non sapeva se fosse realmente così oppure il suo onore gli impediva di dire che quell’armatura non era stata sicuramente progettata per offrire comodità al cavaliere. Forse gli pareva di offendere sé stesso dopo tutta la fatica fatta per conquistarla, durante la guerra dei Baroni a fianco di Lance Sambor, re da non molto trapassato. Non c’era dubbio sul fatto che Lance fu un fratello per Arathon e un padre per il giovane Seth, ma il gigante doveva essere eternamente in debito con Lance. Il Cavaliere Nero affianco a Seth era figlio di contadini, e durante la guerra si fece notare da Lance, che lo investì prima cavaliere e poi Cavaliere Nero, protettore del Re, della famiglia reale e del regno. Seth non aveva dubbi che Arathon era spiccato tra gli altri. Era un uomo possente, muscoloso e altissimo. Aveva anche lo stesso senso dell’onore che aveva Lance. Arathon era anche l’unico amico che aveva Seth a corte. Mentre era immerso nei suoi pensieri, il gigantesco portone in fondo alla sala si aprì e vide la corona e il mantello rosso prima tra tutte le cose. Accanto all'esile figura in ombra, tutt’intorno a essa, c’erano i saggi del concilio e qualche altro servo. Poi si soffermò sul viso del giovane, figlio di Lance. Un adolescente, di poco più giovane di lui. Seth si sentì leggermente svilito. Faticava a servire un ragazzino, che a malapena aveva mai visto il campo di battaglia.

Quando il re fu a pochi passi dal trono i due Cavalieri si inchinarono e lui senza degnarli d’uno sguardo si posò sul trono, mentre lo stuolo di consiglieri e cortigiani si disponeva dietro di esso. Erano circa una decina; ecco chi comandava realmente a Lightburg. Dopo pochi minuti Seth si rese conto che il terzo Cavaliere non era ancora lì. Cosa stava trattenendo il Cacciatore? O come l’avevano nominato lui e Arathon, lo stecchino. Il Cacciatore, del quale nessuno tranne forse Lance sapeva il vero nome, era un tipo biondo, altissimo e magrissimo. Ecco il perché di quel soprannome. In ogni caso, fu il re a dissipare i dubbi.

«Il Cacciatore oggi non sarà con noi, è stato mandato in città a svolgere mie commissioni personali.» Sì, Seth sapeva quali fossero queste commissioni. Puttane in abbondanza. Ma chi poteva biasimare il giovane re? Chi a sedici anni non avrebbe voluto puttane, vino e potere illimitato su ogni cittadino del reame?

Dopo pochi minuti passati a parlottare con il consiglio, Re Vaan fece aprire i portoni per le udienze. Passarono delle noiose ore tra i soliti casi di brigantaggio e vandalismo. Problemi vari e quotidiani. Il popolo era molto turbato da quando Lance era morto. Si trattava pur sempre di un usurpatore, e Vaan era parecchio malvisto dal volgo. Lo ritenevano un bambino viziato, che non sapeva nulla né di politica né di come amministrare un regno. E purtroppo, avevano ragione.

Quando mancavano pochi minuti alla fine delle udienze, arrivò il turno di un uomo vestito totalmente di nero. Il naso adunco era l'unica cosa visibile da sotto quel cappuccio nero anch'esso. Pareva un corvo pronto a spiccare il volo. Aveva decisamente un aspetto inquietante.

« Mio re, vengo a informarla di gravi fatti presso le montagne di Laom, al confine con il regno dell’Est... »

«Parla.» squittì Vaan.

«Mio signore, ritengo che la gente di bassa lega qui dentro debba essere allontanata immediatamente, prima ch'io possa parlare...»

Un lampo di curiosità accese gli occhi dell’adolescente, finora annoiati a dispensare esecuzioni, rimborsi e quant’altro.

«Portate tutta la gente fuori.» ordinò alle guardie. Uno cercò di protestare, facendo notare alle guardie il fatto che erano ore che faceva la fila per ottenere udienza. Inutile dire che fu preso di peso e scaraventato fuori.

Quando il portone Reale venne richiuso, l’uomo misterioso riprese a parlare.

«Mio signore, sono qui per tristi e preoccupanti notizie. Sul confine, alle montagne di Laom, le nostre vedette scorgono accampamenti dei soldati dell’Est e grossi movimenti di truppe.» Fu difficile capire i sentimenti del Re in quel momento. Parevano un misto tra rabbia e sbigottimento quando iniziò a parlare.

«Hai fatto bene il tuo lavoro, mio servitore. Adesso puoi ritirarti da dove sei venuto, ne discuterò con il consiglio di questa faccenda. » Questo evento turbò non poco Seth. Nell’ultimo conflitto tra Ovest e Est, tra Landor e Cyrith, circa cinquant'anni prima, morirono molti prodi cavalieri e soldati. Senza contare gli stupri, i saccheggi, gli stermini che i due eserciti compivano sistematicamente. A Seth piaceva la battaglia, il sangue, le ferite…a lui piaceva uccidere, in fondo. Ma non gli piaceva assolutamente cosa si fà in guerra, che è una cosa completamente diversa da ciò che si fà in battaglia. Questa idea non l'aveva mai sfiorato; ma da quando conobbe Lance, la sua misericordia, il suo onore, tutto quanto cambiò. Passò dall'essere un reietto dei Lunac a Nero del Re, pieno d'orgoglio per quella sua scalata.

Dopo pochi minuti arrivò il Cacciatore, disse di aver compiuto le faccende assegnategli dal re, e si mise con gli altri due di spalle al trono. Ogni volta Seth si sentiva inferiore, la sua autostima fatta a pezzi. Perché uno dei cavalieri era una montagna, l’altro alto il doppio di lui in altezza. Lorristan Barne, il vecchio morto serenamente nel suo letto pochi giorni prima, era l’unico che attutiva quell'orrida sensazione di inferiorità. Ma ora era anche peggio. Quasi non credeva di meritare quel rango ambito da tutto il reame.

Come se si fosse svegliato da un pesante torpore, all'improvviso Vaan disse:

« Uomo di Ghiaccio, cosa ne pensi di questi movimenti a Est? » Seth si trovò impreparato a questa domanda. Non per la domanda in sé, ma perché prima di allora re Vaan Sambor non gli aveva mai rivolto parola chiamandolo col suo soprannome. Dopo qualche secondo però, il Nero riuscì a formulare una qualche risposta.

«Io credo che sia opportuno rinforzare le linee di confine per sicurezza, e vedere se ci sono altri spostamenti dei nemici. » Era stato soprannominato “Uomo di Ghiaccio” quasi un anno fa. Lo ricevette per la prima volta quando fece giustiziare un ladro, pronunciando le parole con freddezza, quasi come un automa, quasi in modo crudele. Ma la verità è che gli era terribilmente piaciuto far sgozzare quel pover'uomo. Seth quel giorno provò l’ebbrezza del potere e ne divenne schiavo col passare del tempo. Passava però un abisso dal condannare un ladro al far sterminare un intero quartiere perché, stando alle dicerie, un oste ti aveva deriso. Vaan aveva fatto questo. Quell'evento aveva rincuorato Seth. C’era qualcuno più schiavo di lui.

 

 

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Capitolo 2
*** Gwen, The Princess ***


Gwen Allister si era alzata molto presto quella mattina; doveva essere il più curata possibile per il Re. Jorea stava prendendo le vesti dall'armadio, mentre Gwen sentiva il battito accellerarsi ogni minuto di più. Avrebbe pranzato con Vaan assieme alle altre pretendenti del trono, ma ovviamente doveva spiccare tra loro.

Non era per niente facile. Tanto per cominciare, c’erano altre tre pretendenti come mogli di Vaan, e poi , nonostante lei fosse sicuramente una bella ragazza, non si trovava a proprio agio a corte, nelle cortesie regali fatte di centinaia di saluti e inchini. Era sempre stata abituata a farsi corteggiare piuttosto che a farlo lei stessa. Benché avesse imparato molto presto e anche molto bene le maniere che si addicevano a una principessa, non si era mai ritrovata in quel ruolo. Ora però la cosa più importante per la sua famiglia Allister era che lei diventasse regina, e il Re doveva scegliere tra lei o altre tre principesse venute da tutto il reame per conquistare il cuore ( e il trono ) del loro Re. Si sistemò i lunghi capelli biondi raccogliendoli dietro come faceva sempre, e si avviò assieme al Cacciatore alla sala da pranzo. Ogni fanciulla avrebbe avuto il proprio Nero, aveva dichiarato Vaan il primo giorno che erano arrivate a corte. Ma Gwen, era vestita bene? Sarebbe piaciuta quel giorno al Re? Oppure non gli avrebbe rivolto parola come soleva fare? Buttò un'occhiata al Cacciatore, quasi sperando che egli ricambiasse, come a dargli una qualche specie di sostegno. Ovviamente quel ragazzo tutto d'un pezzo guardava fiero davanti a sé, come se Gwen non esistesse. Per lui, lei era solo un incarico. Un pensiero andò a Antony e Gregor. Tra non molto sarebbero stati a corte anche loro, probabilmente. Il desiderio di rivederli, di riabbracciarli, era enorme.

All'improvviso, si sentì attanagliare un braccio. Era il Cacciatore.

« Vuole sbattere sulla porta, mia signora? » fece. Gwen in quel momento si rese conto che erano arrivati. La guardia che era lì mal celò un risolino.

« Apri, Ludwig. » gli ordinò il Nero. Il lanciere aprì lentamente, e Gwen vide per la prima volta la sala da pranzo del re. Vi era un lunghissimo tavolo bianco, con sopra prelibatezze da tutto il regno di Landor,e il soffitto era ricoperto da piastrelle pregiatissime, probabilmente dalle spiagge Sambor.

Appena mise piede nella sala da pranzo gli arrivò l’odore dell’arrosto di maiale. Il Cacciatore andò a prendersi il posto. Era tutto fantastico, se non fosse stato per le altre tre al tavolo. Erano già sedute e chiacchieravano di non sapeva cosa. Poi si voltarono all’unisono, si scambiarono qualche occhiata e risero. Oche starnazzanti, pensò Gwen. Il trio infernale l'aveva esclusa sin dall'inizio della conoscenza. Ma soprattutto c’era Amber Arcadia, la sua rivale più temibile, probabilmente di eguale bellezza. Era una ragazza piuttosto scura di carnagione,con le labbra carnose e i capelli sciolti fino ai seni. I suoi occhi verdi erano descritti come specchi, e lo erano davvero. Si erano odiate fin da subito, senza motivi particolari.

Gwen si sedette e iniziò a chiacchierare con Ingrid, l'unica delle tre principesse con cui scambiava qualche parola, parlando degli avvenimenti più o meno recenti. Lei le disse di aver udito che la guerra con l’Est era alle porte, Amber che c’erano già stati scontri sulle montagne di Laom. Gwen non voleva credere a questo, non era possibile; ormai c’era pace da mezzo secolo. Mentre continuavano a parlare, si aprì il portone che conduceva alle stanze della famiglia reale, ed entrarono Vaan Sambor assieme a sua madre Caterine. Non era più giovanissima, ma era una donna molto formosa,con i capelli biondo cenere e gli occhi di un azzurro vivissimo. Batteva su tutti i fronti sia Gwen che Amber. Appena entrò diede un’occhiata veloce alle principesse e poi si rivolse a loro con un tono amichevole, dopo essersi seduta accanto al figlio.

« Mie giovani ospiti,è un piacere vedervi così belle anche quest’oggi. » esordì cordialmente. « Ingrid ti trovo in splendida forma. Hai passato bene la notte?»

La ragazza di colore, Ingrid, arrossì un poco.

« La ringrazio mia signora. Si, ho passato un’ottima notte, i vostri appartamenti li trovo sempre più confortevoli. E voi mia signora? » Disse Ingrid con un tono estremamente servile. Decisamente troppo, pensò Gwen. Caterine Sambor rispose di aver sofferto il caldo. Poi rivolse un’occhiata a Gwen, e la giovane bionda abbassò la testa senza dire niente, sentendosi in enorme imbarazzo.

 

Dopo che portarono i primi piatti, arrivarono gli altri Neri a sedersi con il resto dei presenti. Ai Neri era concesso quasi tutto, anche mangiare con il re. Vide Arathon Morder per primo,con un vestito molto largo di cotone azzurro,e dietro di lui Seth Lunac, minuscolo in confronto agli altri Neri. Era come se fosse il fratellino di quei due colossi,una montagna e una torre. Però era l’unico con cui poteva parlare liberamente, con cui poteva tornare a essere la ragazza che era sempre stata, senza fingere di essere innamorata di qualcuno. Era, forse, anche l’unico di cui si potesse fidare. Si sedettero tutti e tre all’unisono dopo un cenno del re e aver rivolto un inchino al giovane, alla regina e alle principesse lì presenti. L'aria che si respirava era di una finzione, di una tensione unica. Sembravano tutti immobili bambole senz'anima.

« Non cercare di intrometterti! » Sbraitò il re all'improvviso, battendo un pugno sul tavolo. Un bicchiere di vetro cadde e si frantumò in mille pezzi.

« Io sarò in prima linea se dovrò dare guerra! » Quest’ultima parola riecheggiò più forte delle altre nella grandissima sala da pranzo, e tutti smisero di mangiare e fissarono l’adolescente. Vide il disprezzo di Vaan verso sua madre, che abbassò lo sguardo. Probabilmente sua maestà era accondiscendente ai venti di guerra, e la madre come chiunque altra del reame non voleva vedere suo figlio andare in battaglia. Poi, pian piano, tutti ricominciarono a finire i propri piatti. La regina, come per dimenticare questo spiacevole evento, si rivolse alla Montagna. « Arathon,cosa si dice in città? Nuovi eventi? »

Il gigante posò la coppa di vino da cui stava bevendo, si asciugò la barba impregnata di vino con un tovagliolo di seta e rispose alla regina, fissandola.« Niente di nuovo, mia signora. C’è stata un impiccagione per furto qualche ora fà. Nulla da segnalare.»

La regina sospirò e bevve un sorso di vino. Poi Gwen, in un impeto di coraggio, fece una domanda al re che nessuna principessa avrebbe mai osato fare. « Mio signore,se mi è concesso,vorrei chiederle dei chiarimenti su questa guerra. E’ vero che Cyrith si prepara ad attaccare? » Era la domanda che tutti avrebbero voluto fare. Tutti smisero di mangiare e iniziarono a fissarla, muti. Anche l’Uomo di Ghiaccio. Era quasi deprecabile rivolgere domande al re senza permesso, soprattutto di natura militare. E Gwen, oltretutto, era una donna.

Dopo qualche secondo passato a guardarla, Vaan fece per aprire bocca ma fu interrotto dalla madre. « Mi dispiace lady Gwen, ma di queste cose non si può parlare ne a tavola ne con voi principesse. Per quanto la vostra compagnia ci aggradi, non sono cose che vi riguardano.»

Che stupida era stata, rivolgere domande senza permesso! E in più era stata sgridata dalla regina. Notò un sorriso sotto i baffi di Amber. Aveva perso terreno prezioso, come se già non fosse in svantaggio su quella sgualdrina.

 

Dopo aver finito il secondo piatto,il Cacciatore chiese di potersi ritirare e il re acconsentì. Il Cavaliere Nero si alzò dal tavolo, incamminandosi verso i suoi appartamenti assieme allo sferragliamento dei suoi gambali. Quando furono verso la fine del pranzo, il Re si ritirò con sua madre nelle sue stanze e fecero così anche Amber e le altre. Rimasero solo Arathon, Gwen e Seth al tavolo.

« Come va,Gwen? Ti vedo tesa.» Disse l’Uomo di Ghiaccio.

«Sto benissimo,grazie Seth.» rispose lei poco convinta.

« Dai,Gwen! Ormai se ne sono andati tutti. Non devi fingere con noi. Arathon,qui…» e fece un’occhiolino al suo amico. «…terrà la bocca chiusa. » Lì, la già bassa autostima di Gwen crollò. Scoppiò in un pianto disperato, e raccontò di come si sentiva inferiore alle altre, di come il Re non gli aveva mai rivolto nemmeno una parola.

« Gwen, il Re è poco più di un ragazzino. Vedrai,andrà tutto bene, fidati di me.» La rincuorò Seth. « Ora devo andare sulle mura, ci vediamo dopo... »

Lasciò quindi la stanza dopo aver rivolto un inchino alla principessa e un saluto al suo amico Arathon. Rimasero solo il gigante e la bionda. Si scambiarono un’occhiata allo stesso tempo. Gli occhi di Gwen stavano bruciando, il suo pastello nero colava dalle palpebre, era veramente in uno stato pietoso. Fu il Cavaliere a prendere parola per primo.

« Lei è veramente carina, mia signora. Se posso essere sincero, spero che il re scelga voi. Non per la vostra bellezza, ma perché lei ha avuto il coraggio di osare, con la domanda che avete posto poco fa. Non molte lo avrebbero fatto.»

Gwen si sentì molto rincuorata dalle parole dell’imponente uomo,e disse a bassa voce:

« Grazie Ser Arathon, voi invece siete un’uomo d’onore come pochi. Ora io mi ritiro nelle mie stanze,è stato un piacere…» sussurrò, con voce tremante.

Arathon scoppiò in una grande risata e aggiunse: « Non sono un lord! ».

Lei annuì si avviò a passo svelto fuori dalla sala. Percorse la via verso le sue stanze guardando a terra. Appena entrata, si buttò sul letto a riposarsi qualche minuto, senza nemmeno aver salutato Jorea. Poi udì bussare alla porta.

« Jorea, vai tu!» disse alla serva. Sulla soglia della porta, inaspettatamente, vi era il re,con il suo mantello rosso di seta e la corona. C’era anche una guardia reale con lui. Quando Gwen gli si avvicinò, Vaan si rivolse a lei con un tono quasi imbarazzato.

« Buonasera..Lady Gwen. Sono qui per invitarla gentilmente a fare una passeggiata con me nel cortile, prego Larse che lei vorrà accettare »

Il cuore di Gwen si fermò. Il re che chiedeva a lei di fare una passeggiata? Aveva già fatto colpo? Non lo poteva sapere,ma di sicuro era contentissima di questa richiesta.

«Certo mio Re,sarà un piacere trascorrere del tempo con voi.»
Passarono il pomeriggio sotto il sole a passeggiare, chiacchierando del più e del meno. Girarono tutta la fortezza, l’infinita fortezza, e ebbero anche tempo di cavalcare per qualche minuto fuori città, dopo che il Re ebbe chiamato altre guardie come scorta. Vennero portati i cavalli dei due; Vaan vi montò con estrema facilità, mentre Gwen si fece aiutare da una guardia.

« Mia signora, dovrei andare a rendere onore alla tomba di mio padre. Vuole venire con me? » chiese il re.

« E' un onore per me, visitare la tomba del suo nobile padre. » rispose lei.

Uscirono dalla fortezza al trotto. La fortezza aveva la porta Nord della città al suo interno, e quindi si ritrovarono in campagna subito dopo. Il profumo dei fiori inebriava la mente della giovane donna, e ogni tanto si scorgeva qualche contadino a lavorare nei campi. Vaan ogni tanto si fermava a salutare, o a gettare monete a terra.

Cavalcava il suo stallone marrone, e il mantello rosso svolazzava liberamente nei tratti dove si poteva accelerare il passo. Gwen invece stava su Pioggia, la sua puledra bianca.

Arrivarono al cimitero reale.

Lì vi erano le ossa di tutti i re e delle loro famiglie nella storia di Landor. Sambor, Lunac, Allister..anche qualche Arcadia. Delle lapidi Brambe non vi era più traccia.

Vaan smontò dalla sella.

« Lei aspetti qui, mia signora. Vorrei essere da solo, nella preghiera. » fece lui.

Gwen annuì in silenzio. Era quasi proibito parlare in quel cimitero. La scorta, addirittura, rimase fuori dal cancello. Per Gwen era già molto onorevole poter restare lì. Il vento si alzò, quasi a commemorare quel luogo sacro. Molti Re si erano avvicendati sul trono, ma pochi erano stati benvoluti come Lance Sambor. Tecnicamente usurpatore, praticamente un salvatore del regno. Ma si sa, la storia la scrivono i vincitori. Se i Brambe avessero vinto, qualche anno fa, ora le cose sarebbero state molto diverse.

La bionda vide il re inginocchiarsi davanti a una tomba, poco lontano. Vaan congiunse le mani, lei lo guardava. Il respiro di Gwen pareva essersi fermato, quella situazione era veramente surreale. Mai aveva assaporato un silenzio così sacro. Vaan si alzò, posò la mano sulla lapide, e tornò indietro. Montò sul destriero sempre restando muto, e si avviarono assieme verso l'uscita del cimitero. Gwen si voltò un'ultima volta verso le lapidi. Pochissimi di quei Re avevano avuto una sola compagna, durante le notti. Gwen, se fosse diventata regina, avrebbe dovuto accettare anche questo. “Il costo del potere”, la aveva ammonita suo fratello Antony.

 

Sulla via del ritorno, Vaan parlò di un argomento non troppo lontano alla memoria di Gwen. « Mia signora,vorrei confessarle una cosa,se voi me lo consentite. »

« Siete il Re. Parlate senza timore.» rispose lei.

« Ho apprezzato molto il vostro coraggio nel chiedermi della guerra,oggi a tavola.» Confessò il giovane.

« Mio signore,non era mia intenzione offenderla..» Rispose la principessa molto imbarazzata.

« Non mi hai offeso, stai tranquilla.» rispose lui. « Mi ha fatto piacere vedere che esistono ancora delle ragazze coraggiose…» aggiunse.

Poi diede ordine di tornare all'acropoli, e lui stesso la accompagnò, dopo, nelle sue stanze, mentre lei era straripante di felicità per ciò che era appena successo. Vaan fece un mezzo inchino e si rivolse galantemente alla principessa.

« E’ stato un piacere, mia signora...e spero di poter ripassare una giornata del genere se i miei impegni me lo consentiranno…voi siete d’accordo? » E fu così che gli occhi di Gwen si illuminarono.

Aveva già scelto ? “Sono io la fortunata? Che tu possa morire d'invidia, Amber!”

« Certo che sono d’ accordo mio Re, io sarò qui quando avrete un momento libero e vorrete trascorrerlo con me. Oggi è stata una giornata magnifica. » Vaan annuì,la salutò con un altro inchino e si dileguò, voltandosi ogni tanto a guardare quella ragazza, ancora sull'uscio. Per Gwen era stata una delle giornate migliori della sua vita.

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Capitolo 3
*** Vaan, the Young King ***


 

Vaan si svegliò piuttosto tardi quella mattinata, e la prima cosa che vide furono un paio di natiche nude sul suo letto. Alexya, di nuovo.

Erano ormai cinque o sei volte che la comprava da quando il Cacciatore l'aveva scovata nel bordello più rinomato della Città Illuminata.

« Ben alzato mio Re. Hai dormito bene? » disse Alexya non appena aprì gli occhi. Vaan era già seduto sul bordo destro del letto. Aveva una vestaglia argentata, rifinita in oro. Il vento entrava dal balcone, e gli scompigliava i capelli biondo cenere.

 

Alexya si stava già rivestendo, in fretta e in furia. Forse aveva un cliente di lì a poco.

« Si, puttana. Ho dormito bene. » rispose Vaan, alla domanda di prima.

« Ricordati sempre che tu compri solo il mio corpo, il fatto che tu sia Re non significa che compri anche le mie parole, stronzo. » gli disse, mentre gli si era avvicinata in tutta la sua bellezza. Poi gli sussurrò all'orecchio: « Volevo solo essere gentile. »

Vaan rise a quella frase; la prostituta dai capelli rossi era forse l’unica che riusciva a tenergli testa, e che parlava senza timore. Lui la lasciava fare.

Gli dava estremamente fastidio come tutti accondiscendevano senza fiatare a ciò che diceva, chiamandolo con i nomi altisonanti più disparati.

Almeno lei era sincera, e anche molto bella.

 

Portava i capelli corti e ricci, di un rosso-arancione molto particolare, e aveva gli occhi azzurri simili a quelli di sua madre Caterine. E pensare che fino a nemmeno un giorno prima era stato con Gwen Allister a passeggiare per la fortezza, come aveva fatto anche giorni addietro con Jocelyne, Amber e Ingrid.

 

Sorrise a questo pensiero; forse si erano illuse tutte che erano già state scelte.

Vaan abbozzò un ghigno, quasi complimentandosi con sé stesso per gli inganni che faceva a quelle povere ragazze.

 

In realtà sua madre Caterine aveva premuto molto per convincerlo a passeggiare con loro, seppur per mera formalità.

La sera poi, il re di Landor la passava con le prostitute d'alto bordo o a leggere un libro ( a seconda dell'umore ); o a esercitarsi con il suo stocco, che chiamò Destroyer, donatogli da Sèregor Lunac come omaggio per la sua incoronazione avvenuta pochi giorni prima.

 

Di un aspetto distruttivo aveva poco o nulla, ma era talmente sottile da potersi infilare nella gola di un uomo perfettamente protetto dall’armatura. Andava bene per la sua età; non aveva ancora la forza e le capacità per maneggiare lo spadone di Arathon Morder o la Lancia d’Argento del Cacciatore.

Chiamò proprio lui dopo essersi rinfrescato e dopo che quello ebbe riportato la puttana al bordello. Doveva recarsi al concilio, e udire ciò che i saggi consigliavano. Vaan sapeva che era malvisto da loro. Lo ritenevano un inetto; forse era messo in ombra dalla figura di suo padre Lance. Lance il Grande.

Uscì dalle sue stanze e scese le enormi scale degli appartamenti reali, domandandosi se era davvero necessaria la sua presenza.

 

"Probabilmente sì, dopotutto sono il Re, devo dare il giusto esempio. Mio padre lo avrebbe fatto."

Il pensiero tornò inevitabilmente proprio a suo padre. Lance Il Giusto lo chiamavano, a volte. Sì, suo padre aveva conquistato il trono con il sangue, ma aveva anche conquistato il favore dei soldati e del popolo con la misericordia e la giustizia.

 

Peccato che non aveva mai avuto tempo di occuparsi di Vaan, il principe che passò l'adolescenza con suo padre sempre impegnato. In guerra prima, in diplomazia poi. Lo vedeva praticamente solo nei ricevimenti ufficiali, dov'era richiesta la presenza di tutta la famiglia.

 

Il Cacciatore era fuori dalla sua porta, e lo accompagnò alla sala del consiglio. Si ritrovò così poco prima di pranzo al tavolo con i dieci saggi del regno, che lo aiutavano nello gestire la politica, la diplomazia, l’economia e la guerra dove ce ne fosse stato bisogno. Primo fra tutti spiccava Mason Curter, di umili origini, Supremo Saggio del Concilio. Vaan si sedette e iniziò così la seduta.

 

« Mio Signore, io porto notizie non felici. » esordì, quando interpellato da Vaan, il saggio della guerra. « Ho saputo dell’uomo con cui avete parlato nella Sala, e devo sfortunatamente confermarvi che dice il vero. Le nostre spie e vedette riportano continui movimenti delle truppe di Cyrith presso il confine delle Montagne. Pensiamo si stiano spostando a Nord o peggio, a Sud, al passo di Bonnevie. »

Un’avvertimento di Cyrith? E perché proprio ora e non poche settimane prima, quando c’era suo padre? Lui avrebbe saputo cosa fare, ma adesso Vaan era in difficoltà.

Dichiarare guerra? Rinforzarsi? Chiudere il passo? Aveva troppi dubbi,ma prima di chiedere il consiglio di Mason voleva ascoltare proprio quel “saggio tra i saggi”; Mason spiegò la situazione al Sud, dove un piccolo contingente di Guerrieri accompagnati dal loro Cavaliere Nobile non aveva fatto ritorno dal Mondo dei Morti. Mondo dei morti…che nome stupido.

Terre Morte era più appropriato per un luogo pieno di nebbia, di villaggi barbari, di steppe.

E in effetti era questo il suo nome ufficiale, ma tutti chiamavano “Mondo dei Morti” quella parte del continente.

Era forse più inospitale di ciò che c’era a Nord, nel gelido Nord.

 

« Perché continuano ad andare verso Sud,a cercare solo morte e desolazione...?» Chiese Vaan.

« Non saprei mio signore, forse alcuni ritengono un’avventura da poter tramandare ai posteri, forse sono in cerca di ciò che altri Cavalieri prima di loro non trovarono.« E' certo che è il terzo Cavaliere che perdiamo in una settimana. Con la morte di Lorristan Barne, vostro Cavaliere Nero, questo e il Cavaliere di Picche morto durante una battuta di caccia. » Spiegò Mason.

Vaan si portò la mano sotto il mento, cercando di pensare a qualche soluzione. Tutti lo fissavano in silenzio, fino a quando disse:

« Bene, ho già la decisione per questi pazzi. Io, Vaan Sambor, Re di Landor e protettore del Regno, Signore e Governatore della Città Illuminata, dichiaro che il passaggio per le Terre Morte è chiuso fino a nuova disposizione. L’unico documento che autorizza d’ora in poi il passaggio a coloro che non sono di stanza è il sigillo del Re, che dovrò applicare io personalmente. La seduta è tolta. »

I saggi si alzarono all'unisono. Vaan artigliò il braccio di Mason, lì accanto a lui.

« Mason, seguimi. Dobbiamo parlare. »

Tutti i saggi si ritirarono e rimase solo Mason Curter, il supremo saggio,e si incamminò verso il cortile con Vaan. Era leggermente nuvoloso quel giorno, ma il caldo non si placava. Arrivati alla piazza centrale, da dove si diramava tutta la gigantesca fortezza, i due si sedettero su una panchina e Mason prese parola:

« Mio Re,qual’è il problema che vi affligge? Ho forse fatto qualcosa di male? » Chiese Mason, vagamente intimorito. Forse temeva una delle isterie di Vaan.

« No, ho solo bisogno del tuo giudizio. » Rispose il ragazzo.

« Come bisogna gestire questa faccenda dell’Est? Voglio dire,cosa possiamo fare? Cosa avrebbe fatto mio padre? »

« Non so cos’avrebbe fatto vostro padre. Ma io vi posso dire che abbiamo scarsità di uomini al momento, e che una guerra ora sarebbe terribile per il nostro tesoro,quindi…Propongo solamente di aumentare le guardie al confine. » suggerì l'uomo. Vaan sapeva di potersi fidare di Mason. Suo padre si era sempre fidato di quel coltissimo uomo, che era alla fortezza da più di un ventennio.

« Probabilmente hai ragione, è meglio fare così. Non credo che possiamo fare altro per ora. » rispose Vaan con disappunto.

« Signore...» riprese Mason «...c’è un altra cosa di cui dovreste essere al corrente. Gira voce...che Cesar Brambe sia riuscito a...riformare un esercito nell'estremo Nord, e che si stia preparando a marciare per prendere il trono. »

Nel tono del Saggio c'era una preoccupazione che Vaan scorse prima di subito.

« Un altro problema…» Rispose sospirando. Poi pensò per qualche secondo a cosa fare e riprese a parlare, con tono deciso e autoritario, alzandosi dalla panca.

« Porta I Cavalieri Neri nei miei alloggi immediatamente, e dì al Cacciatore di portare mia madre. Prima conferirò con lei, e in seguito con i tre Cavalieri. E’ tutto, puoi andare. »

« Ma...mio signore...Cesar...dobbiamo sapere cosa fare!»

« Ho parlato! » sbraitò Vaan. Mason si alzò in silenzio, e se ne andò in fretta.

Mentre andava verso i suoi appartamenti con la sua scorta personale, i pensieri di Vaan Sambor erano tristi e confusi. C’erano due guerre all’orizzonte, una con il figlio del re ucciso e spodestato da suo padre...e l’altra con il temibile regno dell’Est, Cyrith. La situazione era difficile, ma diamine, lui aveva solo sedici anni!

Cosa si aspettavano,che fosse un esperto di politica? Fino a poche settimane fa era soltanto il principe di un Re amato e rispettato da tutti, che passava ogni notte con una donna diversa e non aveva mai adempiuto ai suoi compiti. Ma ora era diverso. Ma perché proprio ora? I suoi nemici sapevano che era un debole? Possibile che già avessero capito la sua inettitudine a governare? E Cesar...quel maledetto. Era scappato dalla città con la coda tra le gambe solo due anni fa, e ora pretendeva di riavere il trono! Ma ciò che tormentava Vaan, era il fatto che molti, tra il popolo, sicuramente amavano ancora i Brambe. Usurpatori si rimane.

Arrivato nei suoi alloggi, si tolse mantello e la corona, e fece preparare un bagno caldo dalle sue serve. I suoi capelli biondo cenere erano perfettamente pettinati e profumati qualche minuto dopo. Di sicuro non erano un dono della scura chioma di suo padre. Si rimise il mantello cremisi sopra una veste bianca e argentata, e disse al suo attendente di essere pronto a ricevere sua madre. La donna entrò, con un vestito pregiato e i capelli raccolti dietro. Vaan intuì subito, dalla sua agitazione, che era stata disturbata.

« Che c’è Vaan,cosa vuoi? » urlò Caterine, e sbatté la porta dietro di sé, infuriata. « Ero impegnatissima poco prima che mi chiamassi. E’ urgente?! »

Le cose erano molto diverse dalle apparenze che si davano al pubblico, dove il Re si permetteva anche di sgridare e rimproverare sua madre. Nella vita privata era ancora succube di lei e delle sue sfuriate. Gli raccontò di ciò che era venuto a sapere dal Concilio e gli chiese consigli.

« Oggi non sono potuta essere presente al consiglio, per prendere decisioni al posto tuo come sempre. Sai, anche io ho i miei impegni. Non sei bravo a governare ne tanto meno a comandare. Sei un fallito,come lo sei sempre stato. Ci vediamo a cena. »

Davvero lo odiava così tanto da nemmeno consigliarlo su cose così delicate? Ma in fondo non era niente di nuovo, in privato Caterine Sambor continuava a insultarlo. Era come una faida continua tra lui e sua madre da quando era Re: lui la insultava in pubblico e lei in privato, e non sapeva dire quale delle due cose fosse peggio. In effetti, non sapeva nemmeno dire se fosse peggio litigare e insultarsi a vicenda ora, o parlarsi una volta a settimana quando era ancora principe. Una lacrima spuntò fuori dalle palpebre del Re “fallito” come lo aveva descritto sua madre, ricacciata subito dentro perché stavano entrando i Neri, ai quali spiegò la situazione già esposta prima alla regina. Anche quella piccola riunione non ebbe gli effetti sperati. Vaan era ancora molto indeciso, come sempre.

Tra non molto, Lightburg sarebbe stata riempita di tutte le famiglie del regno, a causa del torneo in onore di Vaan. Vi era più di una guerra all'orizzonte, e Landor si trovava in mezzo a due fuochi. Cesar e Cyrith.

Non era in vena di dolci compagnie quella sera. Si coricò e si addormentò, solo come era sempre stato.

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Capitolo 4
*** Seth, un Occhio e una Spada ***


«Dai Logan, ridammi il cavallo!» diceva Seth con insistenza mentre si avvicinava a suo fratello.

«Zitto idiota!» Rispose l’altro.

«A te hanno dato il cavallo di legno e a me un vestito rosso di merda per questa festa di Larse, abbiamo fatto cambio!» aggiunse strafottente. Che stronzo.

«Non è vero! Bugiardo!»

Seth si infuriò. Logan aveva appena preso il giocattolo senza nemmeno chiedergli il permesso. La cosa non era nuova; Logan spesso sottometteva il fratello con la forza, forte del suo titolo di erede. Già a 10 anni, Seth iniziava a intuire che razza di bastardo sarebbe diventato suo fratello maggiore.

«Adesso tu ti metti seduto e resterai zitto! Altrimenti quando diventerò il Lord dei Zaffiri farò impiccare!» lo ammonì serio Logan. Seth scoppiò a piangere e si mise in un angolo a singhiozzare, mentre suo fratello continuava ad ammirare e ad elogiare il cavallo.

 

Il sogno, o meglio, un ricordo sognato, svanì come era iniziato, facendo svegliare il Cavaliere Nero di scatto.

Era fradicio di sudore. Si alzò dal letto e andò nel suo bagno a raffreddarsi. Il solito brutto sogno. Ne faceva molti da quando aveva appreso la notizia dell’arrivo della sua famiglia al completo.

D’altronde non aveva mai rivisto la sua famiglia da quando era stato investito Cavaliere Nero e solo sua madre Alissa gli scriveva, a volte.

Sua madre era l’unica persona della sua famiglia a cui volesse bene; gli altri, suo padre compreso, erano sempre stati dei falsi con lui.

Si mise la sua armatura nera e si avviò verso le mura. Oggi non era giorno di udienze e quindi ai Neri venivano date più o meno le stesse mansioni delle altre guardie cittadine di stanza alla fortezza. Sorvegliare il perimetro, controllare il cortile, fare la guardia a un portone della fortezza e così via. Salì i gradini che portavano alla sommità delle mura, salutò due o tre guardie di sua conoscenza e si mise con lo scudo e la spada a sorvegliare la città. Una sferzata di vento gelido lo fece rabbrividire, e iniziò a camminare sul perimetro delle mura ciclopiche. La folla sembrava solo un ammasso di puntini, le case dei piccoli quadrati. La fortezza si stagliava sulle altissime rocce della Città, formando una specie di acropoli.

Bisognava ammettere a questo punto che la capitale del regno di Landor era uno spettacolo veramente immenso, che quasi arrivava fin dove l’occhio poteva vedere da lassù. Imponenti mura la circondavano, era una meraviglia di architettura e di organizzazione dello spazio. Non era opera di uomini, pensò Seth in quel momento. Gli si avvicinò una delle guardie, che camminava verso il lato opposto. Seth aveva già scambiato in precedenza due chiacchiere con quell'uomo, ma faticava a ricordarsene il nome.

« Allora, Uomo di Ghiaccio.» gli si rivolse la vedetta «Ci sono belle notizie?»

«Non proprio…» disse a bassa voce Seth. «La mia famiglia sta per arrivare al completo tra pochi giorni.»

«E non dovresti essere contento?» esclamò l'uomo. «Da quant’è che non li vedi, due? Tre anni?»

« Si,sono tre anni. Non voglio vederli, ho solo brutti ricordi di loro.» Disse quasi sussurrando il Cavaliere Nero.

«Allora…forse non sei l’Uomo di Ghiaccio che tutti dicono...anche tu hai dei sentimenti.» rispose quello, allontanandosi e riprendendo il suo giro. Seth non sapeva perché disse quelle cose a una persona quasi sconosciuta che non era nemmeno lontanamente sua amica, ma forse aveva solo bisogno di sfogarsi.

Non ne aveva parlato con Arathon, tantomeno a Gwen. Gli unici forse a sapere che dietro al suo soprannome c’era una persona totalmente normale.

E’ solo un soprannome. Tutti hanno dei sentimenti. Buoni o cattivi, li hanno tutti.” Cercò di ripetersi Seth, dentro di sé.

Dopo una buona mezz’ora era al portone Reale, a sorvegliarlo. Fu allora che vide la folla in fondo alla via aprirsi all’improvviso; da essa sgorgarono due cavalli bianchi montati dai Cavalieri d’Argento, guardie personali degli Allister. Corrispondevano più o meno a cos’erano i Cavalieri Neri per il Re. Le loro armature erano scintillanti, a dir poco fantastiche. Il Bianco era davvero superiore al Nero, come si cantava nelle canzoni Allister? Si diceva che fossero i campioni di virtù che ogni regnante desiderava. Anche Antony Allister lo era stato, salvo poi ritirarsi dall'incarico qualche mese dopo. Forse la castità pre-matrimoniale non faceva per lui.

Gwen aveva sempre descritto la sua famiglia come delle persone molto semplici, nonostante il rango; e con molti anni di onore alle spalle.

A volte sperava di essere nato Allister, in seguito ai racconti della sua amica. Almeno su di loro non circolavano le brutte voci che impregnavano i Lunac da anni.

Dopo i due Bianchi venne la scorta vera e propria, un mare di uomini, e il carro della famiglia. Vi era un destriero nero al loro fianco, cavalcato da un ragazzo biondo. Non c’era dubbio, doveva essere Antony. Gli argentati si avvicinarono alla porta.

«Chi comanda qui?» chiese uno. Seth fece un passo avanti. I due chinarono il capo, in segno di rispetto del Nero.

« Vi aspettavamo, Allister.» rispose Seth. «Aprite il cancello! Annunciate gli Allister a Re Vaan!» urlò poi agli uomini sopra di lui. I due valicarono il portone e si avviarono dentro la fortezza. La colonna si rimise in moto, producendo un gran rumore. Sembrava un intero esercito sul piede di guerra. Una volta passata la sfilza di spadaccini e cavalieri, Seth vide finalmente il carro di Lord e Lady Allister. Era praticamente una casa mobile, ma Alexandra Allister era famosa per la sua ossessione verso il lusso. Dai finestrini abbassati vide prima Gregor Allister, con la faccia scavata, forse prostrato per il viaggio, e i capelli grigio-oro. Poi, seduta davanti a lui, sua moglie Alexandra, che da quanto poté vedere era una Gwen più avanti con gli anni. Il carro si avviò verso gli alloggi della fortezza, con gli Allister pronti a ricevere tutti gli onori. Vi erano anche carri più piccoli, forse altri Allister.

Antony non degnava nessuno di uno sguardo, e stava fiero e impettito in sella al suo cavallo, guardando davanti a sé. Sembrava un tipo che si dava molte arie. Forse troppe arie. Erano molti i nobili che lo facevano.

Quando finì il suo turno, Seth era più ansioso di quando si era svegliato. Temeva, una mattina, di vedere il carro dei Lunac avanzare; di vedere suo fratello Logan in sella al suo destriero da guerra e con la sua cicatrice, di vedere suo padre ignorare Seth e chiacchierare sempre con Logan.

Decise di darsi da fare per sapere almeno la data del loro arrivo. Si recò subito da Mason Curter, il Supremo Saggio del Reame di Landor, per chiedergli informazioni. Lui sapeva sempre tutto, e aveva una specie di rete di spie al suo servizio, questo era noto a molti.

Bussò alle sue porte, e attese risposta fin quando una voce maschile lo invitò a entrare. Mason vestiva tunica grigio-perla e stava armeggiando con una spada sul bancone davanti alla finestra. L’arredamento era molto povero, quasi asettico. Gli si rivolse lui per primo, quando notò chi fosse entrato.

«Buongiorno ser Lunac. Mi scusi se non mi posso voltare, ma sto esaminando questa fantastica spada proveniente dalla Città Nevosa...il suo taglio è veramente notevole»

Il saggio sembrava molto preso da quella lama. Ma come poteva non esserlo? Nella Città Nevosa si producevano due cose. Birra e spade. Ed erano entrambe ottime.

«Non si preoccupi Maestro.» Ribatté l’Uomo di Ghiaccio.

«Devo ammettere che si vocifera molto sulla bravura dei fabbri della Città Nevosa. Ma con tutto quel ferro, e il confine a due passi..Il minimo è che sappiano fabbricare spade..» Seth si avvicinò incuriosito.«Posso provarla?»

Il saggio gliela porse con estrema cautela, poi Seth la iniziò a roteare, provò qualche affondo, qualche taglio e gliela ridiede, confermandogli che era una spada veramente fantastica.

«...comunque sono qui per un altro motivo. Sappiamo entrambi che la mia famiglia sta venendo al completo qui, vero?»

«Certo.» Rispose Mason.

«Ebbene, sappiamo entrambi anche che lei ha molti…informatori, per così dire, vero?»

Il maestro annuì in silenzio, quasi infastidito, e gli chiese di chiudere la porta. Seth eseguì, un po' scocciato, e poi riprese.

«Le hanno riferito qualcosa sulla mia famiglia? Dove sono? Quando arriveranno qui?»

«Sire..» bisbigliò il Supremo Saggio. «Non sono Larse, non posso dirle a quale ora arriveranno i suoi familiari. L’unica cosa che so è che i Price e i Beckett sono a pochi giorni di viaggio, mentre i Lunac hanno passato i cancelli Sambor giorni or sono. Penso che anche loro, tra due o tre giorni, arriveranno a Lightburg.»

Un’ombra calò sul viso del Cavaliere. Tre giorni? Troppo presto. Troppo poco tempo per prepararsi psicologicamente al loro arrivo. «Ma se posso, mio signore, perché questa domanda? Non le scrivono suoi familiari?»

Ormai sovrapensiero, Seth rispose con freddezza.

«Certo che mi scrivono, vecchio. E’ solo che ho fretta di rivederli. La ringrazio mastro Curter. Arrivederci.» Era tornato l’Uomo di Ghiaccio. In fondo c’erano due persone dentro di lui, Uomo di Ghiaccio e Seth. Freddo e caldo. Assenza di sentimenti contro insicurezza e paura. Quale cosa era peggio?

Quando tornò nelle sue stanze, prima di cena, gli balenò l’idea di comprare una spada nuova. La perfezione di quella di Mason lo aveva stregato. La spada di Seth veniva dalla guerra, ed era effettivamente malridotta. L'elsa era consumata, la lama ormai tutt'altro che affilata. Un occhio molto attento e forgiato da mille battaglie come quello di suo padre, o peggio, come quello di Logan, avrebbe notato facilmente che la sua lama era trascurata e poco pronta alla battaglia. Voleva evitare ogni tipo di critica, così fece chiamare dai suoi servi un manipolo di uomini per scortarlo in città; voleva trovare una spada degna di questo nome.

Erano una ventina di cavalieri, tutti di nobili natali. Per qualche vassallo minore era già un traguardo avere i figli alla corte del Re. Si trovavano davanti al portone, unico accesso all'Acropoli. Il cavallo di Seth era lì ad attenderlo.

«Sire, dobbiamo andare da qualche parte in particolare?» chiese Kevin Arcadia. Gli Arcadia erano vassalli degli Allister da tempi immemori, ma dopo la rivolta dei Baroni gli Arcadia si erano ritrovati con le stesse quantità di terre e soldati.

Può un aquila sottostare a una singola ala? Questo si era “chiesto”, davanti a tutti, Waymar Arcadia dopo le spartizioni. Voleva di più per la sua famiglia, voleva che si liberassero dal vassallaggio. Era evidente che la situazione tra le due famiglie era più che tesa. Non solo sul piano militare, ma anche e soprattutto su quello sessuale. Era da un bel po' che Gwen e Amber erano a corte, a cercare di convincere il Re a sposarle. «Ci rechiamo dal fabbro più rinomato della città, Xaos.» rispose Seth. «Qualcuno di voi ha mai acquistato da lui?» chiese poi.

«Io, sire. Ottima scelta, se mi permette.» rispose Jon Himme, figlio di Victor Himme, vassallo dei Lunac. Seth aveva un conto in sospeso con suo fratello Ramsey. «E' sicuramente il migliore del regno.» Aggiunse Kevin.

Girò così assieme alla sua guardia personale per una buona mezz’ora prima di riuscire a sbaragliare la folla che chiedeva denaro e ad arrivare dal fabbro più bravo (e costoso ) della città. Smontò da cavallo assieme ad altri due armati e si avvicinò al negozio del vecchio fabbro. Era una struttura prevalentemente in legno. Dava un’idea di povertà fuori, ma di sicuro non dentro. Seth grondava di sudore. Perché si era messo la sua armatura nera? Non poteva mettersi qualcosa di più leggero? Il sole batteva come un martello impietoso, e Seth era fradicio. Se al posto della bottega ci fosse stato un lago, Seth avrebbe preferito volentieri quello all'occhio critico di Logan.

Lì dentro vi erano spade, daghe, stiletti e asce ovunque. Di ferro, d’argento, anche alcune di marmo o argento per collezionisti. Era un monolocale molto grande con due piccole stanze affiancate sulla destra. Probabilmente il letto e il bagno del vecchio fabbro. Non appena vide l'armatura nera e la scorta fuori dal suo locale questo cambiò totalmente sguardo, e si avvicinò con un sorriso a sessantaquattro denti verso Seth. Era un anziano signore di colore, grasso e con un collo enorme. Lì dentro faceva più caldo che fuori, e il fabbro sembrava accusarlo. Seth se ne accorse dall'odore che Xaos emanava. Non proprio rose.

«Salve mastro Xaos.» esordì Seth.

«Buongiorno mio signore! Voi siete Seth, il Nero, vero? Non ho mai avuto il piacere di incontrarvi di persona! Ho incontrato i vostri nobili pari, ma mai voi! E' un onore accogliervi nella mia umile bottega!» e tese la mano verso Seth.

L'Uomo di Ghiaccio non la strinse; era più bagnata quella che la vagina di una prostituta.

«Sono qui per vedere la miglior spada che avete.» fece il Nero. «Possibilmente che sia forgiata con il ferro della Città Nevosa.» aggiunse.

Il maestro acconsentì e lo portò a vedere gli spadoni forgiati e affilatissimi. Troppo pesanti per lui; non era Arathon e non ne possedeva neanche lontanamente la forza. Di spade ve n’erano moltissime, uno scaffale quasi sterminato, con dei vuoti qua e là di spade comprate da qualcun altro. Seth gli chiese quali fossero quelle con cui era stato usato il Ferro della Neve. Gliene indicò due: una lucente, affilata, bellissima, pomello d’oro. L’altra più grigiastra, con un pomello molto caratteristico su cui vi era il segno di un occhio aperto stilizzato a basso rilievo. Le provò entrambe. L’impugnatura era ottima, non c’era scivolamento ed erano perfettamente bilanciate. Ma intuì che c’era qualcosa di strano nella seconda. Qualcosa non andava. Il vecchio probabilmente lo notò dallo sguardo di Seth e fece una precisazione, o meglio, una confessione.

« Mio signore, devo essere sincero con lei.» confessò il vecchio. «Occhio Famelico non è stata forgiata da me. Mi è stata venduta da un mercante del Sud, che mi disse anche il nome della spada, per molte monete d’argento. Gliel’ho dovuto dire, mio signore, perché se ne sarebbe accorto presto anche lei, ne sono sicuro. Il tipo di forgiatura è molto diverso dalla mia. Ma le posso assicurare che il ferro è quello della Città Nevosa, mio Cavaliere.» Seth aveva visto giusto. Gli chiese se c’erano altre spade non sue in bottega, e il fabbro rispose negativamente. Poi Seth prese un gran respiro e disse: «Per la tua saggezza nell’avvertirmi non sarai punito o condannato per frode. Manderò uomini periodicamente e senza avviso a controllare i tipi di forgiatura. Se troveranno altre infrazioni farai il fabbro con un occhio solo o una mano sola, a tua scelta. Stai attento, vecchio. » Uomo di Ghiaccio era tornato fuori. All’improvviso, dirompente come sempre. Dava forza a Seth, si sentiva potente. Si metteva quasi paura da solo; a volte non si riconosceva nemmeno. « Quanto vuoi per..Occhio Famelico?»

Che stupido nome.” disse tra sé e sé Seth.

«Sarebbero trenta monete d’argento mio signore, ma per la vostra grazia ve ne chiedo solo dieci.» Disse il fabbro.

«E sia.» Seth gettò le monete sul bancone.« Prendi.»

Si riunì alla scorta, che aveva aspettato fuori per tutto il tempo.

Mosse su e giù la lama nello spiazzale di fronte alla bottega, si rese conto che era un poco troppo pesante per lui. Poi chiese il parere a Kevin sulla spada appena comprata.

«E’ molto bella e bilanciata mio signore. Forse un pò atipica con quel pomello...ma se avessi potuto, anch’io l’avrei comprata.» rispose l’armato con lancia e scudo di seconda mano. Il Cavaliere Nero lo ringraziò.

Un pensiero veloce, quasi inesistente, passò per la sua mente.

E’ con questa che ti squarterò un giorno, Logan.”



Angolo dello scrittore:
Che dire, ora la storia inizia leggermente a farsi interessante, capiamo bene che i rapporti tra Seth e la sua famiglia non sono proprio rosei.
Siamo ben lontani dal decollo, ma è meglio introdurre per bene i personaggi e la situazione politica prima di far qualcosa di importante.
Alla prossima!

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Capitolo 5
*** Rickard, il Cavaliere dell'Impero ***


Il Cavaliere dell'Impero


Il cielo era cupo, oscuro, avaro di azzurro. In città spesso faceva freddo. Dietro le catene montuose di Laom il clima era piuttosto temperato, ma la ReichZitadelle era praticamente intagliata nella montagna. E la roccia è gelata, soprattutto a mille metri di altezza.

Rickard era piuttosto infreddolito. L'estate avanzava, ma non per Cyrith; il regno del Kaiser si preparava a un'estate particolarmente fresca.

La Zitadelle non coltivava. Erano i vassalli a farlo.

Non cresce nulla sulla roccia, tranne che la forza.

Era il motto della casa Jaeger ma Vladimir non la pensava così; aveva iniziato una grande opera di bonifica attorno alla Cittadella, per ottenere terreno coltivabile.

Gli Hertzog, i duchi, erano solo l'ombra di ciò che erano i loro antenati, così come i loro campi.

Il padre di Vlad, Heinrich, li ridusse a duchi, quando prima erano vassalli a tutti gli effetti, con molti poteri e privilegi. Ma quando furono “degradati”, iniziarono a trascurare le proprie terre. Molti erano i banditi, e intere campagne furono devastate. Vladimir, appena salì al trono, diede la caccia sistematica a tutti i briganti e ristabilì l'ordine, ma le terre ne risultarono ancora più malmesse.
Ci sarebbero voluti anni per tornare ai fasti di un tempo e molti Hertzog furono condannati a morte per la loro noncuranza.

 

Ma ora Vladimir era impegnato su altri fronti e il reichsritter Rickard Jarvin non ne era felice. L'imperatore aveva ripreso la politica espansionista di suo nonno. Cyrith volgeva di nuovo il suo sguardo a Landor come una terra da conquistare, una volta per tutte. Da secoli Cyrith si era staccata, ma non era mai riuscita a oltrepassare le montagne di Laom. In qualche modo i Brambe li avevano sempre respinti, ma ora il Regno Occidentale era debole.

Molto debole. Al potere vi era Vaan Destiryon, poco più che un ragazzino insolente. Forse nemmeno suo padre, il grande e leggendario Lance, avrebbe resistito alla potenza di Cyrith. Figurarsi suo figlio. Perché nonostante la crisi agricola, Cyrith aveva sicuramente l'esercito più potente del continente. A Est, il piccolo regno di Manveria poco poteva contro lo strapotere di Vladimir.

Ufficialmente erano sotto protettorato; in pratica, poco più che un regno vassallo. A Sud vi era un altro impero, quello di Kosai. Ma i Figli di Cèdric il Distruttore, come loro amavano farsi chiamare, non erano altro che formiche. Nemmeno unendosi i tre regni avrebbero potuto eguagliare Cyrith in potenza.

 

Erano già dieci anni che Rickard era nelle file dell'imperatore. Un “semplice” cavaliere di scorta, ma abbastanza in alto per ascoltare tutte le voci che giravano nella Cittadella. Poteva osservare senza destare troppi sospetti.

Aveva cavalcato spesso accanto a Vladimir. Era presente anche al giorno della sua incoronazione, sotto la Cascata Lucente. Era chiamata così poiché era formata dallo gettarsi di un piccolo fiume, che sgorgava dalla sommità della montagna, in un altro al di sotto di esso, il Jintai.
In quel momento, Vladimir attraversò il corso d'acqua ed andò a prendere la corona di ferro, situata all'interno di una grotta nascosta da quella stessa cascata.
Il primo ad attraversare quelle acque fu un ragazzo; il secondo, un Re.

 

Ma questo era un decade fa. Ora Vlad era un uomo. E come tutti gli uomini, bramava il potere e la gloria. E come tutti gli imperatori prima di lui, voleva Landor. La guerra di mezzo secolo prima aveva lasciato Cyrith con l'amaro in bocca. L'Impero perdette centinaia di validi cavalieri e signori, nonché Mance Jaeger, l'Imperatore dell'epoca. Heinrich si affrettò a chiedere la pace, dal Nord sbarcavano le truppe di Vastea, un regno aldilà del mare Settentrionale. Furono schiacciati senza pietà anche quegli esseri.

 

La brezza si insinuò tra la folta chioma bionda del cavaliere. Il vento si stava alzando.

Lì, sul Burrone del Re, non passava molta gente. Soprattutto a quell'ora del mattino. Iniziava ad albeggiare, e tra poco la Montagna si sarebbe svegliata con i suoi rumori, la gente che urlava, il Gran Mercato alla base del Gigante di Pietra.

Il Cavaliere dell'Impero attendeva, ansioso. Il giorno prima gli era stato recapitato un messaggio da un'anziana signora, mentre passeggiava per le vie dell'Ottavo Anello. Rickard non ebbe nemmeno il tempo di leggerlo che la vecchia era sparita. Ammesso che fosse una vecchia e non un aitante giovane travestito.

Il messaggio era semplice e diretto. All'alba al Burrone del Re.

Normalmente, Rickard avrebbe buttato a terra il messaggio. Ma il suo lavoro non era la normalità.

Erano dieci anni che niente era più normale per il figlio bastardo di Robert Jarvin.


Rickard vide una figura esile stagliarsi sullo sfondo e camminare verso di lui, una cappa grigiastra la avvolgeva. La nebbiolina tipica di Cyrith andava dissolvendosi, come sempre faceva da anni all'alba. Ogni notte il Gigante di Pietra veniva avvolto da quel fumo grigio; la nebbia si infilava in ogni pertugio, avvinghiando la ReichZitadelle in ogni suo angolo.

Era uno spettacolo suggestivo dalla sommità della montagna, al palazzo dell'Imperatore.

L'armatura del Cavaliere iniziava ad accogliere i raggi del sole, mentre la figura in lontananza si avvicinava sempre di più. Rickard si appoggiò le braccia al muretto davanti a lui, scorgendo le sagome delle montagne di Laom.

Il tizio gli si mise accanto, nella stessa posizione.

«Scusa il ritardo.» disse una voce profonda e raschiante. Doveva essere il Vecchio Lupo.

«Che non ricapiti più.» rispose Rickard. «Cosa dovete dirmi di così importante da non mandare per lettera come sempre?»

«A quanto pare stavolta non potevamo rischiare. E inoltre, temiamo che qualcuno possa decifrare il codice. Ci è riuscito il novizio in due settimane.»

«A proposito, come ha scelto di chiamarsi?» chiese Rickard. Il tipo nuovo era stato scovato da lui stesso un anno fa, mentre correva per sfuggire al proprietario delle mele che aveva rubato. Lo trovò agile, furbo, grande scalatore. Rickard ne fu subito colpito.

«Grande Fenice...» rispose il Vecchio Lupo, con un po' di disappunto. “Che nome stupido.”

«In ogni caso, abbiamo problemi a Sud.» continuò il Lupo.

«Che genere di problemi?» chiese il Cavaliere.

«Crediamo che ci sia qualcosa di vero. Tanti si sono svegliati, qualcuno la sente.»

«Bisogna accelerare i tempi, allora. Dì al Pazzo che indaghi; lui saprà di cosa sto parlando...»

Poi Rickard si ammutolì, un uomo stava passando dietro di loro. Il Lupo aspettò che andò molto oltre i due prima di riprendere a parlare.

«Vaan è nel pallone, e Cesar torna. Incazzato, e con un esercito ancora più incazzato di lui. Abbiamo mandato uno dei nuovi, ma presumiamo sia stato catturato. Lei insiste, dice che dobbiamo farlo fuori. Voi di Cyrith che dite?»

Rickard non esitò nemmeno un momento. Tutto quello che non volevano ora, era un regno debole e prostrato dalla guerra.

«Fatelo fuori. Al più presto possibile. E non mancate di continuare a stare sulla Linea Stricta. Abbiamo bisogno di conferme, non di voci.»

«Sii pronto anche tu a far fuori il tuo Imperatore, in caso. Ci possiamo fidare di Vladimir?»

Rickard sospirò, e non rispose. Ora capiva il perché dell'incontro faccia a faccia. Si affacciavano tempi difficili per i regni del continente Centrale. E Landor era in mezzo a più di due fuochi.

Il reichsritter non credeva che il nemico di Cyrith sarebbe sopravvissuto. «C'è altro?» chiese poi.

«Ci siamo appena infiltrati a Vastea, e ora abbiamo uno sbocco sul continente Settentrionale.»

Rickard ne era contento. Erano due anni che si lavorava per ottenere un posto a corte in quel regno.

«Ottimo, ne abbiamo assolutamente bisogno.» commentò il Cavaliere. Ora il sole quasi splendeva, e la luce iniziava a farsi strada tra i vicoli della montagna. «Ci vediamo tra un mese, qui.» chiuse Rickard.

«Possa l'Occhio regnare per l'eternità.» rispose quello e voltò le spalle tornando da dove era venuto. Il Cavaliere rimase pensieroso per parecchi minuti.

A Rickard non interessava molto Cesar, non interessava Landor, non interessava Cyrith. Era preoccupato per ciò che succedeva nelle Terre Morte.

L'Occhio riceveva rapporti strani da due anni ormai, ma non si erano mai particolarmente allarmati. Le fuoriuscite di Oscurità creavano sempre qualcosa di strano, ma se qualcuno la sentiva, come il Vecchio Lupo aveva appena detto, sorgevano parecchi problemi.

Se Lei sarebbe tornata, nessuno avrebbe potuto fermarla. Dovevano assicurarsi che fosse vero, e dovevano prendere le contromisure adatte.

Iniziò a camminare verso il Nono anello. Al Decimo vi era il palazzo di Vlad, e doveva recarsi lì al più presto possibile. Doveva accompagnare l'Imperatore a una battuta di caccia, assieme a più di dieci persone. Sarebbe stato uno spreco di tempo, se non per il fatto che Vladimir era piuttosto incline a parlare di guerra negli ultimi tempi.

Cyrith aveva un enorme vantaggio militare sugli altri per un solo motivo. I soldati dell'Impero non erano più addestrati, o meglio equipaggiati rispetto a quelli degli altri regni.

I soldaten dell'Impero rispondevano all'Imperatore e a lui soltanto. Non erano comandati da alfieri presuntuosi, o avidi di gloria. Nessuno degli Hertzog aveva poteri sull'esercito. L'ultimo a provarci fu Roy Sambor circa due secoli prima, e morì meno di due mesi dopo la sua proclamazione. Fu Michael Jaeger III stesso a decapitarlo.

 

Il Cavaliere stava impettito sul suo cavallo, attendendo assieme agli altri che Vladimir uscisse dalle stalle reali. A Rickard stava scoppiando la testa: la levataccia si stava facendo sentire. Ne soffriva da anni, forse a causa della pressione a mille metri. Era come se nelle sue tempie si infilassero decine di aghi, procurandogli un dolore immenso.

Vi erano parecchi nobili tra quei cavalieri, ma anche altri di umili origini che si erano fatti notare durante la caccia ai briganti.

Primeggiava tra quelli era Jean Kartìn, un figlio di contadini al confine con Kosai. Fu investito dall'Imperatore in persona dopo che difese le sue terre, da solo, per tre giorni e tre notti, usando solo il suo arco. Anni di equitazione, pagati ovviamente dalla corona, lo avevano reso l'arciere a cavallo più pericoloso del reame. E Jean ne andava fierissimo.

 

Poi vi era Doran Buttler, figlio di un Hertzog. Lui e i suoi coetanei venivano spessi definiti prinz, principi ereditari, nonostante la denominazione fosse in disuso.

Kristian Herzoller, prinz. Ian Jamesonn, mercenario di Kosai. Malik Überen, figlio di un ex Markgraf . John Donn, ex-ufficiale di Vastea. Titus Brambe, discendente di un ramo rinnegato della casata (un tempo) regnante su Landor.

E infine Rickard Jarvin, bastardo di Robert Jarvin.

 

Erano anni che non vedeva suo padre, da quando avvenne la rivolta dei Baroni a Landor. L'Occhio sapeva che era vivo, ma in fondo al Cavaliere non importava. Lo diedero a Cyrith che era un ragazzo, e la Montagna lo aveva formato, lo aveva portato ad essere un uomo. E non aveva nostalgia di casa, dato che nessuno dei Jarvin si era più interessato a lui da dopo la Rivolta. Solo di una persona, a volte, avvertiva la mancanza, cioè Maisie. La figlia di Lord Bartevyon e lui si erano “avvicinati” molto da ragazzi, anche troppo. Ed era questa la causa della sua partenza verso Cyrith: il padre di lei riteneva un oltraggio che un bastardo avesse osato toccare sua figlia nei suoi buchi più sacri, e portarle via la purezza delle fanciulle. Quello che non sapeva, però, era che Rickard non era stato il primo a giacere con Maisie. Il settimo, le disse lei. Ma Rickard l'aveva amata con tutto sé stesso.

 

Vladimir uscì dalla stalla al trotto, in sella al suo cavallo bianco. La barba curata andava a formare un piccolo pizzetto bruno, che risaltava il pallore della sua pelle. Gli occhi verdi, severi, guardinghi, sospettosi in ogni momento. Il mantello nero con sopra impresso il simbolo dei Jaeger, l'arco incrociato con la spada. L'armatura leggera grigia scura, con una grande spada argentata in rilievo sul petto. I guanti neri anch'essi, la presa sicura, la cavalcata fiera. Vlad si avvicinò ai sette Cavalieri. In quel momento Rickard si accorse che ne mancava qualcuno, di solito erano una dozzina. L'Imperatore li salutò tutti con un cenno, senza mai scomporsi.

«Andremo alla foresta qui vicino, miei signori. Venitemi dietro.»

Vladimir voltò il cavallo e si diresse verso la grande porta su cui si affacciava il passo di Frederik, un impervio sentiero scosceso che iniziava dal palazzo e si arrivava dall'altra parte della montagna. Una sorta di tunnel scavato dentro la roccia, inizialmente progettato come via di fuga.

Ma non ve n'era mai stato bisogno, nessuno aveva mai assediato la ReichZitadelle, e ovviamente gli eventuali nemici non sarebbero mai potuti salire da lì. Era una salita di mille metri più che ripida, e troppo stretta per un esercito. La ReichZitadelle era la fortezza definitiva.

Rickard chiacchierò un po' con Kristian, ci si trovava bene. Ma odiava Malik, e il vecchio Titus...bè, era Titus Brambe.

I due si vantavano troppo dei loro titoli, peraltro totalmente inutili a Cyrith. Jean, il mugnaio, come lo chiamavano quei due stronzi, trottava assieme all'Imperatore. Gli altri erano dietro loro due. Non appena arrivarono dall'altra parte del Gigante di Pietra, Vladimir notò subito che qualcosa non andava.

«Qui hanno disboscato senza riguardo alcuno per il Dio della Natura. Ne sono rattristato, molto.»

Fino a qualche mese fa, lì era pieno di abeti innevati, creando un paesaggio che non aveva eguali. La sguardo si perdeva all'orizzonte, lì sul mare Settentrionale. Ora non vi era che una radura spoglia di alberi.

«Mi accerterò che i colpevoli paghino, mio signore.» dichiarò l'anziano Titus Brambe.

«Non ve n'è bisogno, amico mio. Probabilmente la legna serviva a quella gente.» rispose l'Imperatore. «Lasciamo correre, per stavolta.»

In un lampo, Jean Kartìn estrasse una freccia piumata dalla sua faretra, incoccò e scoccò in meno di quattro secondi. La freccia saettò e andò a colpire un fagiano che volava fino a quel momento tranquillo sopra le loro teste.

«Notevole, Jean.» esclamò Vladimir.

«Concordo.» aggiunse Kristian Herzoller.

Ma loro non avevano visto ciò che avevano visto Vladimir e Rickard qualche anno fa. Non avevano visto i centinaia di corpi tutt'intorno alla terra di Jean, e lui che per poco non perforava anche le armature dei due. Lo trovarono sporco, stanco, sul tetto della sua piccola casa, con le dita piene di sangue, tagliate dalle innumerevoli volte che aveva incoccato e scoccato. Un piccolo eroe del Sud.

«Il Dio della Natura perdonerà?» chiese John Donn.

A Cyrith non si venerava Larse da diversi decenni. I Dieci Dèi erano l'unica religione ammessa.

Il Dio della Natura, quello della Guerra, della Concordia, della Forza, dell'Intelligenza, dell'Amore, del Mare, del Cielo, della Vita e della Morte. E ognuno di essi aveva una storia dieci volte più affascinante di tutta la religione di Larse messa assieme.

«Lo farà sicuramente, John.» rispose l'Imperatore sorridendo. Poi quello smontò da cavallo, e lo legò a una staccionata, e così fecero gli altri. Non vi erano pericoli di furto, quelle terre erano quasi disabitate, e tutti sapevano che spesso gli Imperatori andavano lì con la loro scorta.

Si inoltrarono nella foresta lì vicino, scherzando e ridendo.

«Lasciane un po' per me, capito Jean?» fece Malik in tono canzonatorio.

«Non mimetizzarti da cinghiale, ser Malik.» rispose l'arciere, alludendo al grosso ventre di Malik. Jean, invece, era un tizio a dir poco muscoloso e atletico. Abbronzato, alto e bello, aveva goduto della compagnia di non poche donne, da quando era a corte. Malik invece, si diceva fosse succube della moglie. Due opposti, in pratica.

Quello si limitò a gonfiare il petto e ad andare avanti, inoltrandosi ancora di più nella macchia scura degli alberi.

«Colpito e affondato, Jean.» commentò Doran Buttler. Il giovane sbarbato era quello con più voglia di fare, ma era anche il più esile.

Fu il primo a vedere un cinghiale, dopo pochi minuti. Stava quasi per andarlo a caricare, quando già tre frecce lo avevano colpito in mezzo agli occhi. Il sorriso di Jean diceva tutto, ma una freccia era di Titus. Grande arciere il Brambe, ma rendeva di più come lanciere.

«Così non vale!» urlò Doran, guardando i due arcieri.

Vladimir, Kristian e John erano andati da soli, i tre maestri della spada. Rickard non eccelleva in nessuna delle tre arti, o tre Vie, come erano chiamate a Cyrith. Quindi preferì restare con Doran e i due arcieri. Tutti, più meno, cacciarono qualcosa. Rickard prese una volpe piuttosto grossa, e Vladimir più di tre cervi. Jean aveva compiuto uno sterminio, ma non riportò nulla con sé. Doran era l'unico rimasto a mani vuote. Si stavano avviando a riprendere i cavalli, quando Vladimir intimò a tutti di fermarsi.

«Un attimo, signori. Mettetevi di fronte a me.»

Quelli fecero così, guardandosi tutti tra loro un po' sospettosi. Rickard era tra Titus e Kristian.

«Come voi sapete...» esordì Vlad. «Ci avviamo a tempi di guerra. Voi siete con me da quanto? Qualcuno dieci anni, qualcuno un po' meno, ma siamo sempre stati abbastanza legati. Eppure, qualcuno di voi ha osato tradirmi.»

“Non ci credo..” mormorò dentro di sé Rickard.

«Chi, mio Re?» lo interruppe Kristian. Vladimir non si curò del prinz.

«Uno di voi sta spiandomi per conto di un nemico.» E qui Vladimir iniziò ad avvicinarsi lentamente verso Rickard. «Non so che nemico sia, ma so che sa molto e troppo di me. Invito questa spia a farsi avanti, e a consegnarsi alla giustizia.»

Rickard guardò a terra. Cercò di evitare lo sguardo di Vladimir, ma sentiva. Sentiva che lo sguardo dell'Imperatore lo stava schiacciando. Doveva farsi avanti? Doveva confessare? No. Mai.

Fedeli fino alla morte. Possa l'Occhio regnare per l'eternità.

«Molto bene.» riprese Vladimir. «Jean, procedi; sii il giustiziere dell'Imperatore.» Accadde in un baleno, nessuno ebbe il tempo di fare o dire nulla.

Il mugnaio incoccò una freccia e puntò verso Rickard. Il Dio della Morte aveva preso Rickard Jarvin, senza che lui se ne accorgesse.

La punta della freccia scattò, fendette l'aria, sibilò. E colpì Titus Brambe al cuore, perforandolo da parte a parte. Egli cadde a terra, senza neanche urlare. Morte istantanea. I volti di tutti erano scioccati e senza parole, ma quello di Rickard ancora di più. Il Dio della Morte stavolta lo aveva solo sfiorato. Una fortuna che non ebbe Titus.

«E ora che siamo liberi delle spie, miei cari, veniamo alle cose importanti. Come tutti sapete, Landor ha i Neri. Kozai i Guerrieri del Sole. Quegli esseri inutili di Manveria i Lancieri di Larse. Cyrith non ha mai avuto nulla, fino ad oggi. Ma oggi, miei signori, nasce la Guardia d'Acciaio. E voi sarete i primi sei componenti di questa istituzione, dedita a proteggere il Re e Cyrith.» Rickard vide Kristian gonfiare il petto pieno d'orgoglio, così come Malik e tutti gli altri. Nessuno si preoccupava più del corpo del loro “amico” Titus lì accanto, con un buco nel petto.

«Lord Doran Buttler, un passo avanti.»

Il prinz era l'unico rimasto ancora spaventato, e tremando compì il passo. Si inginocchiò di sua sponte.

«Doran Buttler, sei pronto a servire e proteggere me e l'Impero, se necessario con l'estremo sacrificio?»

«S-sì, mio Imperatore.»

Vladimir pose la spada sopra le spalle del Buttler. Quello si alzò, e si inchinò di nuovo. E così la cosa si ripeté, identica, per gli altri quattro.

Vladimir guardò Rickard. E il Jarvin si fece avanti.

«Rickard Jarvin, sei pronto a servire e proteggere me e l'Impero, se necessario con l'estremo sacrificio?»

 

Sii pronto anche tu a far fuori il tuo Imperatore, in caso.

 

Questa frase rimbombò pesantemente in quel momento, nella testa di Rickard.

«Si, mio Imperatore.»

E così nacque la Guardia d'Acciaio, con il sangue di Titus Brambe, detto anche il Vecchio Lupo.

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Capitolo 6
*** Cesar, The Forgotten King ***


 

Capitolo 5 : Cesar Brambe

«Voglio l’accampamento disposto a rettangolo su questa strada. Rapidi.» Esordì così Cesar non appena arrivò al trotto dal suo luogotenente, Hector Allister. Erano ormai dodici ore che il suo esercito marciava, e la stanchezza era visibile sui volti dei provati soldati. Anche Cesar la avvertiva. Aveva quasi le pieghe da sella, e aveva ingobbito la schiena da più di due ore.

«Sarà fatto, mio Re.» Rispose Hector. Avevano appena passato la catena di Valandor, un impervio sentiero scosceso, difficile da attraversare soprattutto per i cavalli e i fanti pesantemente equipaggiati.

La luna rischiarava la strada, ma fu comunque necessario mettere le torce accanto le tende. Cesar però non aveva tempo per riposarsi. Smontò da cavallo ed entrò nella tenda dei generali, ma stavolta non vi era rumore come nei primi giorni di marcia. I suoi alleati erano decisamente provati dalla marcia forzata, e vi era un gran silenzio nella tenda del Re. Soprattutto i Cruwmore, che mandarono due delegati per i figli del loro Lord, dichiarandosi impossibilitati fisicamente a raggiungere la tenda. La tenda di Cesar era la più grande di tutto l'accampamento ed era provvista di tutti i comfort. Le luci rossastre emanate dalle torce, la rendevano quasi accogliente. Come una piccola casetta. Se non fosse per l'ispida erba sotto i piedi, poteva essere scambiata per un bilocale.

«Miei Lord, oggi abbiamo marciato a lungo...capisco la vostra stanchezza. Sono esausto anche io. Sapete meglio di me che tutto questo è necessario, per poterci riprendere ciò che ci spetta di diritto.» Qui il comandante fece una pausa. Squadrò lentamente tutti i presenti. Quelli che aveva di fronte, erano gli unici rimasti fedeli. Uomini di grande onore, che diedero prova di grande pazienza. Hector, con la sua barba rossiccia, stava per ultimo, partendo da destra. Sembrava molto preso dal discorso del suo amico. Poi vi erano i Vasder, i Cruwmore, e altri lord minori rimasti sempre fedeli alla corona.

«Il trono, il potere, l’onore perduto e fatto a pezzi dai Sambor e dai loro infidi alleati traditori. Troppo a lungo siamo restati nel freddo e inospitale Nord. Troppo a lungo abbiamo desiderato tutti tornare ai vecchi fasti, dove le nostre famiglie regnavano in pace sul reame! Ad ogni passo ci avviciniamo alla capitale, e presto io siederò sul trono, e voi riprenderete le vostre legittime terre e castelli!»

I Lord si inchinarono di loro sponte; forse Cesar era riuscito a infondergli un po' di fiducia. Poi iniziarono le preparazioni per il giorno successivo di marcia. A occhio e croce, mancava meno di un mese alla capitale. Quella maledetta città era stato un miraggio per anni.

Sèregor e Logan Lunac, Gregor Allister, Vaan e Caterine Sambor, Jon e Vayn Beckett, Waymar Arcadia.

Dovevano tutti morire.

Stabilirono di aggirare le montagne che li aspettavano anziché fare un altro giorno distruttivo tra massi, burroni e perdite di cavalli. Gli esploratori riferivano che le forze del Re erano immobili, quindi probabilmente non avrebbero incontrato resistenza fino alla capitale, o almeno fino a pochi chilometri da quella. Il “Re” era un adolescente viziato, ma sicuramente sua madre gli avrebbe fatto dispiegare le forze dopo aver consultato i saggi, traditori anche loro e forse anche più degli altri. Prima servirono suo padre Augustus, poi quando i Sambor e i loro cani si rivoltarono non esitarono a servire i nuovi padroni. Anche loro avrebbero avuto la fine che meritavano.

Cesar aveva passato due mesi assieme al suo esercito a scappare dai Rackler e dai Beckett, che li rincorsero fino alle montagne dove si trovavano adesso. Poi un altro anno e mezzo per ricompattare l’esercito e comprare equipaggiamenti e uomini dai mercenari di Bantos, aldilà del Grande Mare. I Caballeros sin una Bandera, si facevano chiamare. Servivano solo chi aveva più denaro, ma era il loro lavoro d’altronde.

Cesar ancora ricordava la paura che lo aveva attanagliato quel giorno. Il terrore nel vedere i vessilli Sambor e Lunac che avanzavano verso la città. Si erano uniti pochi giorni prima, ed erano venuti per uccidere suo padre. E posare le loro chiappe sul trono. E per uccidere lui. E per seviziare sua sorella.

Cesar scappò, come un codardo. Ma quell'atto di vigliaccheria ora gli stava facendo riprendere quel maledetto trono. Tanti avrebbero combattuto, come Jasper I, forse. Ma di Jasper rimanevano solo i canti ora, e il primo Re Arcadia venne spodestato in meno di due mesi.

La mattina dopo, alle prime luci dell’alba, il suo esercito si rimise in cammino verso la Città Illuminata. Sellò il suo destriero bianco, si mise il suo mantello anch’esso bianco e si avviò con lord Rodrik Vasder. I due parlarono del più e del meno, anche della condizione dei soldati e del loro morale. L'uomo era piuttosto in carne, con una lunga barba bianca intrecciata che partiva dal mento fino al suo grande ventre. C'era ottimismo nelle voci dei due, nonostante il freddo di quella mattina. Ma il vento iniziava a essere meno penetrante, le ossa resistevano di più ai gelidi spifferi del Nord. Cesar si diceva che era per abitudine, ma sapeva benissimo che era a causa del loro avvicinamento alle terre Karlin. Dopo aver chiacchierato con il grasso lord si portò all’avanguardia dell’esercito, dove si trovava Hector.

«Allora, Hector, cosa c’è di nuovo?» Lo interrogò Cesar.

«Niente mio Re, sono solo un po assonnato. Svegliarsi all’alba dopo la marcia di ieri..beh,non è stato facile.» Rispose il giovane Allister. Dovevano essere diversi giorni che non si faceva la barba, e Hector ora aveva una folta macchia arancione al posto del mento. Cesar, invece, era sempre sbarbato. Ci teneva a essere pulito, era un maniaco dell'igiene.

«Ti capisco perfettamente, amico mio. Anch’io sono assonnato. Ma un Re deve fare questo e altro per riprendersi ciò che è suo di diritto.» Disse Cesar ad alta voce. Vide una tenebra negli occhi di Hector, e intuì cos’era che lo faceva essere giù di morale.

«Pensi alla tua famiglia,vero?» Il suo luogotenente annuì silenziosamente.

«Hector, ne abbiamo già parlato. Non chiamare famiglia chi ti getta nel fango dopo averti messo al mondo. Saresti dovuto essere tu l’erede del Brillante. E lo sarai una volta finita la guerra.» Lo aveva già promesso molte volte al suo amico. Hector fu ripudiato da suo padre dopo la nascita di Antony. Il bastardo trovò conforto nell'ambiente Brambe, rimanendo fedele anche dopo la sconfitta. Cesar era diventato un abile motivatore. Ma nessuno sapeva di come fossero le sue capacità militari. Oltre a gestire gli uomini, non aveva mai fatto nulla di militare.

E contro chi si può combattere, tra i ghiacci del nord? Le foche?” si ripeteva sempre Cesar. Nonostante questo, senza dubbio si poteva dire che la sofferenza, la paura, la fuga, avevano trasformato il fu principe Cesar Brambe. Fino a due anni prima era identico a colui che adesso si faceva chiamare Re di Landor. Un viziato principe pieno di monete da scoppiare. Da quando suo padre fu ucciso da Lance cambiò tutto. Divenne governante di un regno che vedeva allontanarsi ogni giorno sempre di più, mentre fuggiva dai traditori di suo padre. Figlio di genitori assassinati, nipote di un nonno squartato vivo, fratello di una sorella stuprata più volte dalle guardie Lunac prima che la impalassero. Questo cammino l’aveva reso ciò che era adesso.

«So bene che mi considerano un traditore della loro famiglia, ma a me non importa. Io servo l’unico vero Re di Landor ,non quello che hanno messo loro dopo la guerra. E preferisco essere considerato come un traditore dagli Allister piuttosto che come loro cane randagio.» concluse l'uomo dalla capigliatura rossiccia.

«Sei molto intelligente, Hector.» Rispose Cesar. «Non per nulla sei il mio luogotenente tra molti altri validi guerrieri e signori.»

«E io ancora vi rendo grazie di questo onore, mio Re.» Chiuse Hector.

Si fermarono per una breve sosta preso un ruscello quasi gelato. Una ventata gelida penetrò nel mantello del Re, una volta che furono fermi. Cesar si richiuse a guscio per qualche secondo. Mandò gli esploratori in avanscoperta. Non vi era nemmeno traccia di un qualche insediamento, ma erano comunque nelle terre dei Karlin, e ufficialmente nel regno di Landor. Fin'ora erano stati nella terra di nessuno. Si accesero fuochi e venne piazzata qualche tenda per i feriti. Se li portavano appresso dalle montagne, quando qualcuno poco attento era cascato dagli angusti passaggi. Molti altri soldati erano periti in quegli anni, ma per la fame. Fannis Cruwmore si portò accanto a Cesar, col suo corsiero.

«Incantevole giornata, signore. Non trova?» esordì il suo alfiere.

«Direi di sì, Fannis. Non vedo un sole così forte da due anni e forse anche di più. Mi ero dimenticato quasi dimenticato la sensazione del calore sulla faccia.»

«Giusto lì, mio signore. Ho il cazzo congelato.» E scoppiò a ridere sonoramente.

Anche Cesar lo fece. Lord Fannis Cruwmore era un tipo piuttosto divertente, oltre che un buono stratega.

Tornarono gli esploratori a cavallo, con nessun movimento da riferire. Cesar se lo aspettava: erano a più cento miglia dalla capitale, nell’inospitale Nord. Fortunatamente acquistarono vettovaglie a sufficienza dai Caballeros per la lunga marcia. Per riarmare i suoi uomini, Cesar diede fondo a tutto ciò che era riuscito a salvare dalle casse del tesoro prima che i Baroni irrompessero nell'Acropoli.

«Fai riprendere la marcia.» ordinò Cesar a Hector. Stavolta si posizionò affianco a Fannis.

«Mio Re.» Inchinò il capo il Lord mentre trottava « Avrei delle altre cose da dirvi.»

«Parla pure.»

«Mi sono giunte notizie dalla Città Illuminata, attraverso qualcuno che mi è ancora fedele.» E fece un ghigno divertito. «Pare che vi sarà un torneo la prossima settimana, dove lord e lady delle famiglie traditori saranno presenti in gran numero. Riusciremo a raggiungere la città in tempo?»

Anche un bambino di cinque anni, con la sua cognizione dello spazio e del tempo, avrebbe capito che alla Città sarebbero arrivati tra uno, forse due mesi.

Era un’occasione ghiottissima quel torneo, ma non potevano sfruttarla. Rispose quindi di no e continuò a parlare con il decaduto lord per qualche altro minuto. Ma, dentro, era arrabbiato. Congedò lord Cruwmore e si portò da Hector facendo galoppare velocemente il cavallo fino all'avanguardia. Fissava il suo amico, che lo notò ben presto.

« Mio Re..» e chinò il capo. Cesar portò il cavallo di fianco al suo.

«Perché non mi hai avvisato del torneo?» gli chiese senza girare troppo intorno al problema.

«Non era una cosa di riguardo, ho creduto. Se ho agito contro la sua volontà, me ne scuso.»

«Questo, Hector...» Disse autorevolmente il comandante.«...non significa nulla e lo deciderò io se un’informazione è importante o meno. Io voglio sapere anche quando Vaan Sambor va a pisciare, se ne sei a conoscenza. Ti è chiaro questo concetto, bastardo?»

«Sì mio Re. Mi scusi ancora.» Rispose l’Allister con gli occhi abbassati.

Il dubbio assalì Cesar. Forse aveva esagerato con le parole? Hector non era un luogotenente qualunque,era prima di tutto suo amico, ed anche colui che portò i Vasder e i Cruwmore dalla parte dei Brambe durante la guerra dei Baroni, dei traditori di suo padre. A volte la rabbia si impadroniva di Cesar, e non misurava le parole.

« Scusami tu,amico mio.» rispose. « Ho esagerato. Ma questa marcia...questa guerra alle porte...mi turba molto. Ti prometto che tu avrai la tua rivincita come io avrò la mia.»

«Non preoccupatevi, milord.» fece Hector. «Capisco i vostri dubbi.»

Passarono poi un altro ruscello e una strada innevata dove i cavalli faticavano a passare. Dopo diverse ore, finalmente a valle, alla loro destra e sinistra si stagliavano muri verdi di abeti; stavano iniziando a vedere vita, seppur naturale e selvaggia. Ma vita. Dopo due anni passati nel gelo mangiando solo cavalli e erbe, praticamente rischiando di morire di fame ogni giorno. Un’altra prova di coraggio e determinazione da superare per il figlio di Augustus. Ogni tanto, Cesar pensava a suo padre. Sapeva che sarebbe stato orgoglioso di lui.

All’improvviso, uno stormo di uccelli si alzò a gran velocità cinguettando dagli abeti dei boschi e poco dopo Cesar sentì un urlo provenire da quell’intrico di fogliame e rovi. Spedì due cavalieri a controllare quei rumori sospetti. Dopo pochi minuti dove nel frattempo il suo esercito si era fermato ( di nuovo ), riapparvero i due con un esploratore e un uomo trascinato dal cavallo della vedetta. Glielo gettarono ai suoi piedi, mentre si radunava una folla di soldati e lord accanto a quello spiazzo dove giaceva l’uomo in ginocchio e il comandante in piedi, mentre fissava il malcapitato. Chiese all’esploratore dove e come trovarono l’uomo. E quello gli rispose, pronto:

«Sopra gli alberi. Ci osservava, poi è caduto. Ha provato a scappare, ma la mia freccia, sire, ha fatto il suo dovere.» Era ancora attaccata al polpaccio della spia. Cesar ordinò che gli venisse tolta immediatamente e due lancieri lì vicino eseguirono,tra le urla della vedetta nemica.

«Non è muto. Bene.» commentò Rodrik Vasder. Si era formato un semicerchio, con Cesar e la spia in mezzo. La ferita iniziò a sanguinare copiosamente. Poi il Brambe afferrò il volto del ragazzo per il mento e dopo averlo squadrato ordinò al suo esploratore: «Porta questa spia nelle celle. Stasera la voglio nella tenda assieme ai comandanti. Non deve dormire ne nutrirsi. E che sia sorvegliato costantemente.»

Una spia catturata poteva essere utilissima. Se non si suicidava prima.

A sera, un altro accampamento fu montato. Si erano fermati troppe volte, oggi.

Hector si trovava assieme al Re, nella sua tenda. «Cosa pensi di fare?» gli chiese.

«Devo sapere se è in missione per conto del regno o è solo una vedetta Karlin. E non so quale dei due sia peggio, Hector.» La cera colante delle candele aveva leggermente improfumato la tenda. Entrarono anche gli altri alfieri. Rodrik Vasder, Fannis Cruwmore e i suoi figli, Patrick e Maisie Bartevyon, Robert Jarvin e suo figlio Edward, Rodrigo Valentio, capitano dei Caballeros, e Mance Juneville il Lebbroso. Povero Mance, la lebbra non l'aveva mai sfiorato, ma era una vecchia storia che girava nel suo castello da quando aveva tre anni. Ma guai a chiamarlo il Lebbroso.

«Maisie, fai portare quel mentecatto.» ordinò Cesar alla ragazza. Maisie era una delle pochissime ragazze-soldato del suo esercito. Eppure, in quanto a coraggio, era seconda a pochi. Maisie della famiglia Bartevyon, alfiera dei Vasder, unica erede delle terre di suo padre. Eppure, non esitava a rischiare la vita. Una volta aveva ucciso un leone marino che al Martello ghiacciato si era avvicinato troppo a suo padre, si diceva.

Dopo qualche minuto tornò tenendo la spia per il collare. Quella aveva l’aria distrutta, le labbra secche, le occhiaie gigantesche. Cesar ordinò che gli venissero bagnate le labbra.

«Ora dimmi.» E si avvicinò, lentamente. «Chi ti manda? Qual’era il tuo compito?» L’uomo abbassò lo sguardo e restò in silenzio a questa e a molte altre domande che gli fece il Re decaduto.

«Un minimo è stato addestrato a quanto pare.» Esclamò Fannis Cruwmore. «Lo lasci a me, mio Re. Con i metodi del mio boia questo figlio di troia farà bene a parlare, o lo scorticheremo vivo.»

Cesar ci pensò su qualche secondo. Era saggio affidare la vita di una spia a Fannis? E se l’avesse uccisa? Ma piuttosto che rischiare di passare una notte a cercare di estrapolargli qualcosa, acconsentì alla richiesta. Ma prese da parte il lord poco dopo.

«Il tuo boia non deve ucciderlo.» gli ordinò. «Usate i metodi che volete, fategli credere che lo ucciderete ma non fatelo, per Larse! Quando tornerà qui, domani sera, deve essere in grado di parlare. Svegliatemi se ci sono notizie.»

«Mio Re, ai tuoi ordini.» si inchinò Fannis Cruwmore. Mentre quello stava uscendo dalla tenda Cesar stabilì assieme agli altri la marcia del giorno successivo. Il boia incappucciato di Fannis entrò nel mentre. Diede una ginocchiata sul naso al ragazzo, e lo trascinò per i capelli fuori. Sarebbe stata una notte molto lunga, per la vedetta.

Il giorno dopo passarono lo passarono in pianura, con celerità ma anche tranquillità, e fu molto semplice anche montare l’accampamento del pranzo. Fu stabilito in una radura pianeggiante, e si iniziava a intravedere qualche filo d’erba sotto la neve, e ogni volta che ne vedeva uno a Cesar veniva un mezzo sorriso. Vide anche il prigioniero, che ormai aveva i capelli mori unti di sangue (ovviamente il suo) e la faccia scavata. Era certo che ormai era vicinissimo a cedere.

«E' sicuramente un veterano, a dispetto dell'età.» commentava Hector. « Morirà piuttosto che raccontarvi ciò che sa, o chi lo manda. Quelli come lui hanno anni di addestramento.»

«Mio padre mi diceva che le spie se sono brave si cercano di liberare quando catturate. O si suicidano.» Rispose.

«Se sono molto brave invece, danno informazioni false rendendole molto credibili. Quindi non so dire se sia semplicemente un uomo che sta morendo di paura o è uno stupido. In ogni caso, sa anche lui che di sicuro non ce lo accolleremo fino alla Città. Le consiglio di ucciderlo stanotte se non vi darà informazioni, mio Re. Non gli è stato trovato niente addosso dalla perquisizione del boia di Lord Cruwmore. E intendo una perquisizione molto...approfondita.»

Hector era sempre prodigo di consigli su questi argomenti. Era poco più grande di lui, e Cesar in fondo lo vedeva come un fratello maggiore. Probabilmente il suo carattere fu indurito dalle sue vicende familiari, come pure quello di Cesar. Era questo che li accomunava più di ogni altra cosa.

A sera, quando l’accampamento fu rifatto poche miglia più in là, la spia era in uno stato catatonico. Aveva il collo viola, un occhio infetto e il sangue gocciolava da ogni parte della sua pelle. La ferita sul polpaccio era stata allargata ancora di più,sarebbe andata entro pochi giorni in cancrena irreversibile. Fu portato di nuovo nella tenda di Cesar, con gli altri alfieri.

«Tu sai che tra pochi giorni morirai, vero? Ma si che lo sai...io potrei anche tenerti con me per sempre, ma tra poco la tua gamba morirà. Non stai parlando e ti lascerò morire così mentre i miei uomini ti pisciano addosso. Se invece mi dirai ciò che sai, verrai curato e potrai riposare su un carro, e vi resterai fino a mio nuovo ordine. A te la scelta, feccia. La vita, e sono sicuro che domani mangerai con più gusto di quanto tu abbia mai fatto...o una morte lenta e atroce, tra sofferenze e odore di piscio.»

La spia rimaneva ancora in silenzio, e in Cesar montò la rabbia; il fuoco arse nei suoi occhi. Non stava andando come previsto. Si accorse che il prigioniero si era quasi addormentato, e lo svegliò con uno pugno sulla tempia, con i suoi guanti di ferro. Due armati risollevarono il prigioniero che riaprì gli occhi. O ciò che una volta erano i suoi occhi. Dopo qualche secondo che a Cesar parve un’eternità,disse:

«Sono una spia al primo incarico.» La tenda dei comandati si riempì di mormorii. Cesar era quasi sbalordito. Una spia al primo incarico che aveva resistito due giorni senza bere ne mangiare e in quelle tremende condizioni.

«Se questo è davvero il tuo primo incarico, devi aver avuto un addestramento più che duro.» Dichiarò Cesar. La spia lo guardò negli occhi e poi disse:

«Mi chiamo Francis. E ti dirò una sola cosa. Esigo una morte veloce, in scambio.»

Robert Jarvin sputò a terra. «Non sei nella posizione di trattare, pezzo di merda!»

Cesar non era nella stessa situazione. Tutti hanno il diritto di morire. Si voltò verso lord Jarvin, freddandolo con lo sguardo.

«Sono io che parlo, Robert.» Lord Jarvin chinò il capo in segno di scuse. «Abbiamo un accordo, Francis.»

Quello annuì. «Sono una spia della setta dell’Occhio Rosso, al suo primo incarico e mandato in missione per sorvegliare gli spostamenti di Cesar Brambe e del suo esercito. Non dirò oltre.» I comandanti a queste parole,quasi tutti all’unisono, iniziarono a gridare“A MORTE! A MORTE!A MORTE!”.

« Ho già infranto il mio giuramento dicendovi quanto detto prima!» urlò quello, cercando di coprire le urla dei vassalli. «Non rivelerò altro; ora tocca a te, Cesar...»

Cos'era quest'occhio rosso? Era forse un nuovo ordine di spie? Probabilmente il prigioniero non avrebbe veramente detto altro. Hector e Fannis, che erano lì vicino, concordarono con Rodrik Vasder, portavoce di quelli che invocavano la morte. A quel punto Cesar li zittì alzando la mano. Tutti ora pendevano dalle sue labbra. Fece portare il prigioniero fuori dalla tenda in una radura, dove molti soldati si recarono per assistere all’esecuzione. Voleva eseguirla lui stesso, non ammise discussioni. I suoi stivali di ferro scivolavano leggiadramente sulla soffice neve che si infrangeva sotto il suo peso. Sentì gli uomini incitarlo. Poi disse a Hector di andare a prendere la spada del boia del Re. Il titolo era vacante da un po' di tempo, ma Cesar voleva intrerpretare quel ruolo. Al comandante dei Caballeros venne ordinato di sistemare la spia sulla collinetta lì vicina su un ceppo di legno. Dopo che la folla fu abbastanza grande, decretò :

« Io, Cesar Brambe, legittimo Re di Landor e governatore di Lightburg, condanno questo nemico del reame a morte, in quanto ha commesso atti di spionaggio contro il Re per conto di terzi.» Urla attraversarono tutta la valle dove erano accampati.

Cesar avrebbe voluto dire per conto dell'Usurpatore, ma non ne era certo.

Estrasse lo spadone che gli era stato portato da Hector. Lo sollevò a mezz’aria e pronunciò la parte finale della formula.

«Che Larse possa avere pietà di te.»

Fece cadere la grandissima lama sul collo e lo decapitò di netto. La testa della spia rotolò giù per la collinetta, e fu presa subito da un manipolo di soldati che iniziò a giocarci con i piedi, usandola come palla. Altri li seguirono; la folla si disperse e Cesar tornò alla sua tenda.

«Perché, mio Re? Sappiamo entrambi che non sei bravo con gli spadoni, né hai mai eseguito una condanna.» Gli chiese il suo luogotenente, pochi minuti dopo, al tavolo dei lord.

«Tu non sai cos’è il potere, Hector. Un giorno, quando riprenderai ciò che è tuo, saprai cos’è e cosa rappresenta per gli uomini come noi. Solo allora riprenderemo questa discussione.»

 

 

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Capitolo 7
*** Antony, l'erede del Brillante ***


Note dell'autore: Vi avviso che ho cambiato il nome dei Sambor in Destiryon, a mio avviso suona meglio ed è meno banale u.u
Anche Arathon Morder ha cambiato il suo cognome, ora è Arathon Kionel. 
Nulla da dire, altro capitolo in cui conosciamo altri personaggi importantissimi per la trama, e veniamo a sapere di pericolosi retroscena del passato!


Il viaggio era stato a dir poco distruttivo. Antony aveva i piedi gonfi, e avevano incontrato spesso brutto tempo; l’unica cosa che voleva in quel momento era abbracciare sua sorella...ma dopo aver fatto un bagno bollente.
Erano nel cortile che precedeva gli alloggi degli ospiti del Re. Era veramente gigantesca l’acropoli della capitale. Più o meno come un quinto della Città Illuminata, un'immensa meraviglia di architettura. Nel cortile smontò da cavallo, lo diede agli stallieri reali e aprì il carro dove alloggiavano suo padre e sua madre. Non che quel giorno fosse particolarmente galante o rispettoso nei confronti dei suoi; aveva semplicemente fretta che scendessero, così avrebbe fatto quel dannato bagno. Scese per prima sua madre Alexandra, anche lei con l’aria stanca.

«Finalmente siamo arrivati, Gregor!» esordì, come se fosse colpa di suo marito.

« Ho i piedi doloranti e sono veramente nervosa...» Poi si rivolse a un servo che era lì per accoglierli.
«Spero che abbiate già preparato i nostri alloggi!» L’alto uomo non fece in tempo a rispondere che una voce dietro di Antony disse:

«Ma è ovvio mia signora. I vostri alloggi sono già perfettamente arredati e puliti.» Antony si girò e vide Mason Curter, il maestro del regno. Ma come era comparso lì? Sfruttava i tunnel sotterranei dell'Acropoli?

Portava una tunica bianca da ricevimento, ma la sua calvizia non lo rendeva esattamente un bello spettacolo. «Il nostro signore sta arrivando con la sua nobile madre. Se avete la compiacenza di attendere qualche minuto..» La voce di Mason aveva sempre un non so che di viscido, di lacchè in maniera esagerata. Ma d'altronde bisognava leccare bene i culi per stare a quel posto.

In ogni caso, Antony non era entusiasta di quella frase. Sperava che il re avrebbe concesso agli ospiti qualche ora di comodità invece di riceverli subito.

«Ma certo che avremo la compiacenza.» rispose Gregor, che nel frattempo era sceso dal carro. Antony odiava il carro, era solo una casa più piccola e più scomoda. Usava il suo solo per dormire e mangiare, ma aveva fatto tutto il percorso dal Castello Brillante a Lightburg a cavallo. Sua madre borbottò qualcosa sulla non-educazione del Re a ricevere subito i suoi ospiti, badando bene di non farsi sentire dal vecchio Mason Curter.

Quel vecchio era lì da decenni. Vaan era addirittura il quarto Re che serviva. Gli ultimi due si erano fidati molto di lui. Ed erano morti entrambi poco serenamente. E poi c'era Vaan. Antony lo aveva visto due volte. La prima volta, prima della guerra, al torneo in onore del Cavaliere di Cuori, Jon Beckett. Lord Beckett a quel tempo era ancora in forze, e stava già inserendo sua figlia Caterine negli ambienti Brambe a corte. Poi, però, lei andò a Lance Destiryon. In ogni caso, il torneo venne vinto da Logan Lunac. Antony non vi partecipò, sua madre glielo aveva proibito. Antony aveva la stessa età di Logan, ma evidentemente Sèregor Lunac in casa non si faceva sottomettere come suo padre Gregor.

Dopo qualche minuto arrivò il Re con la Regina e mezzo Concilio. Dopo i saluti di rito, gli inchini, quasi impacciati da parte di Vaan, le cose si fecero più rilassate. Il giovane si voltò verso Antony che era appoggiato al carro per la stanchezza e gli fece: «Antony, hai l’aria stanca.»

“Maddai?” pensò Antony. “Si vede lontano un miglio che cerca solo di essere gentile. Gli riesce piuttosto male, però.”

Poi Vaan guardò suo padre «Com’è stato il viaggio lord Allister? Difficoltoso?»

«Abbiamo trovato delle difficoltà con il tempo, mio signore. Per il resto il viaggio è stato neanche troppo lungo.»

«Bene, bene…ne sono compiaciuto.» Disse il Re, scambiando qualche altra parola con gli Allister, e quasi pregandoli di ricordarsi di fare come fossero a casa loro.

«Ora vogliate scusarmi ma il regno richiede la mia attenzione, ovviamente sarete gli ospiti d'onore alla cena di stasera...»

«Ho chiesto a vostra figlia di venirvi a trovare nel tardo pomeriggio, dopo che vi sarete sistemati e accomodati nei vostri alloggi.» aggiunse Caterine.

Alexandra Allister ringraziò la regina, e salutò lei e suo figlio. Così fecero anche Antony e suo padre.

Finalmente l’erede del Brillante poteva rilassarsi dopo due settimane di viaggio. Entrò quindi nel grande palazzo degli ospiti e un servo disse loro che era stato riservato loro il primo piano. Salirono quindi le scale di legno lavorato, con gli assi che scricchiolavano leggermente, e arrivarono nei loro alloggi.
Era un piano tutto per loro teoricamente, ma eccetto le stanze c’era solo un androne enorme in cui si affacciavano le porte degli alloggi. Due sarebbero bastati,uno per i suoi genitori e uno per lui (ed eventualmente le giovani che si sarebbe portato in camera). Gli altri sarebbero stati occupati dal mare di parenti che Gregor si era portato dietro.

Antony era molto simile a sua sorella. Non gli interessavano le cortesie, le buone maniere, gli inchini e quant’altro. Li doveva fare, ma nessuno poteva obbligarlo a farseli piacere. Si tolse i suoi vestiti e si gettò nell’acqua, sfortunatamente solo tiepida, che i servi dovevano aver preparato per lui pochi minuti prima. Dopo una buona mezz’ora uscì dalla vasca di marmo, collocata precisamente al centro del bagno, e si asciugò. Uscì nudo e si mise a guardare dalla finestra. Vedeva solo i muri della fortezza. Era un peccato, gli sarebbe piaciuto affacciarsi e vedere la Città in tutta la sua magnificenza. Voleva vedere il Grande Tempio, la colossale statua di Titus I e l'Arco del Vittorioso, eretto in onore di Maebor VII.

Maebor era stato il primo e unico Re a confrontarsi con la potenza del regno di Sànte'si, uno dei tanti aldilà del Grande Mare. Dopo qualche minuto bussarono alla porta.

«Chi è ?» Urlò Antony.

«Una tua amica.» Fece una ragazza falsificando la voce, fuori. Antony dubitava fortemente che la corte gli avesse pagato una prostituta.

Antony chiese a quella “ragazza” di attendere qualche secondo per mettersi qualcosa addosso e poi aprì la porta.

Gwen si gettò su di lui avvinghiandolo mentre urlava di gioia.

«Ehi,sei così contenta di vedermi?»

«Si, mi è sembrata un’eternità. Ti devo raccontare un moltissime cose. Ma il tuo viaggio com’è stato? Sei stanco vero?» Rispose Gwen tutta d’un fiato.

Antony annuì e poi si mise seduto sul letto assieme a lei. Gwen iniziò a raccontare delle sue vicende. Del suo ricevimento, della rivalità con Amber Arcadia, di come alla cena avesse osato rivolgere parola al Re senza permesso.

Gli disse anche di Seth Lunac, il Cavaliere Nero, una persona che Antony non aveva mai visto e che conosceva solo per fama.

Quel tizio aveva avuto una fortuna sfacciata. Da principino dei Lunac a Cavaliere Nero. Si diceva che Lance Destiryon lo avesse preso sotto la sua ala protettrice durante la guerra.

Gwen spiegò il rapporto di amicizia tra i due, di come lui fosse l’unico che la capiva, e del fatto che era sempre gentile nei modi.

«Secondo me ti piacerà Seth, fidati. Andrete d’accordo.» Concluse.

Antony era stato letteralmente bombardato di informazioni.

Erano molto simili anche di aspetto i due Allister. Entrambi con una folta chioma bionda e gli occhi azzurri, alti e snelli. Poi Antony chiese con scarso interesse come andavano le cose con il Re.

«Bene,direi.» Rispose sua sorella. «Usciamo spesso a fare passeggiate, e non manca poi molto al giorno in cui sceglierà una delle principesse. Che poi io odio tutte o quasi, come ti dicevo prima. Non sarebbero delle buone regine, te lo dico io.» aggiunse con un tocco di malizia. Era tipico di Gwen.

Perché nonostante loro padre fu un grande guerriero, la sua astinenza dal campo di battaglia gli fece imparare ai figli che la lingua può tagliare più della spada. Ad Antony comunque, piaceva comunque combattere.

Era per questo che si era iscritto al Torneo del Re. I tornei e le giostre nella fortezza del padre erano molto rari, non si dilapidavano capitali senza pensarci minimo tre volte.

«Comunque sorellina, ricordati di non fidarti di nessuno qui. Anche questo Seth di cui mi parlavi prima, non si può mai essere certi delle intenzioni della gente. Lo sai anche te che gli unici di cui ti puoi fidare sono me e i nostri genitori. A proposito, sei andata a salutarli?»

«Non ancora. Ma ci vado subito, altrimenti potrebbero arrabbiarsi. Quei due mi hanno praticamente costretto a venire qui. Dicevano che dovevo almeno tentare e tante altre cose...ti ricordi quanto nostro padre si infuriò quando gli dissi che non volevo venire a Lightburg? » E come poteva scordarselo, Antony?

Il solo ricordo di quell’evento lo faceva sempre sbellicare dalle risate e lo fece anche in quell’occasione. Si ricordava perfettamente del rossore di suo padre, di come poi dalla rabbia distrusse il bancone di legno con una manata mentre litigava con sua figlia. Antony rideva sempre di quell’episodio, e non ne capiva mai il perché.

Forse perché vide suo padre violaceo.

Gregor poi si era portato a Lightburg non poche persone. Primo tra tutti suo fratello Koster e i suoi figli. Lo zio Koster era un tipo particolare. Era l'erede di diritto delle terre Allister, ma rinunciò a tutto, e si accontentò di avere qualche terra e un paio di castelli. Antony non capì mai il perché di quella rinuncia. Forse lo zio Koster sentiva troppo la pressione. L'opposto di suo figlio Darion.

Darion Allister, l'ala splendente della famiglia. Darion e Antony non si odiavano, ma quasi. Il cugino era nato qualche anno prima di lui, e aveva da sempre sviluppato una grande passione per i combattimenti. Come se non bastasse, era imbevuto d'onore da far schifo come suo padre. Sarebbe arrivato tra qualche ora; e c'era anche Lotho con lui. Quel bambino era odioso. Un viziato moccioso piagnucolante. La visione di Koster che fotteva la zia Isabella produsse un conato di vomito in Antony.

 

Una volta che Gwen fosse andata via, Antony si rivestì mettendosi un vestito di seta bianco e dei pantaloni marroncini, con stivali blu.

Un gran brusio lo disturbò qualche minuto dopo, mentre leggeva. I parenti erano arrivati. Assieme allo zio Koster dovevano esserci anche altri zii, di secondo grado in su. Lo zio Mastel, la vecchia Margaery, suo cugino Patrick Allister...tutti accompagnati dai propri figli. Antony aprì la sua porta. Nell'androne vi erano solo Darion e Patrick.

«Antony!» Esclamarono all'unisono, appena lo videro. I loro sorrisi erano falsi. Cercavano solo di entrare nelle grazie del loro futuro Lord.

Entrambi gli diedero una bella pacca sulla spalla. Antony voleva solo svignarsela.

«Patrick, Darion...è bello vedervi!» Antony era falso fino al midollo.

«Il piacere è nostro..Ho saputo che ti sei iscritto al torneo del Re..» rispose Patrick

«E' vero, quindi?» aggiunse Darion. «Antony, sai meglio di me che non hai speranze. Io ti posso battere in tre secondi, e lì ci saranno i Neri e i migliori cavalieri del regno. Forse addirittura qualcuno di Cyrith.»

Era vero. Ma al ragazzo quel torneo serviva. Non era mai stato un gran soldato, ma nell'ultimo anno si era allenato parecchio col maestro di spada al Brillante. Marcos Lanter; fu dei Caballeros sin una Bandera. I mercenari di Bantos erano tra i più preparati aldilà del Grande Mare, nemmeno i celebri Vostarii di Tindamus potevano eguagliarli.

In ogni caso, Antony voleva dimostrare di essere migliorato nelle arti guerresche. Soprattutto a suo padre voleva dimostrarlo. Gregor non lo aveva mai dato a vedere, ma sperava che il suo erede fosse più capace con la spada.

Hector lo era, ma il bastardo scelse una via sbagliata.

«Non mi importa. Non voglio vincere, solo arrivare tra i primi.» rispose Antony.

«E sai meglio di me che non ce la farai.» ribattè ancora Darion. «Io il mio consiglio te l'ho dato, fai tu.»

«Cambiamo discorso.» fece Patrick. «Avete saputo delle Terre Morte? Il Re ha chiuso il passo.»

«Ha fatto bene. Troppa gente si crede avventuriera, troppa gente si crede Iulius.»

La leggenda di Iulius che scendeva in quelle terre desolate era nota a tutti. Strinse alleanza con i non-morti per porre fine al dominio dei draghi. Leggende.

«Non siamo certi dell'esistenza dei non-morti. Tantomeno che Iulius sia effettivamente andato laggiù.» obiettò Antony. «Poteva essere un altro regno, per quanto ne sappiamo.»

«Io credo, cugino. E dovresti farlo anche tu. Ultimamente girano strane voci.»

«Che voci? Illuminami.»

«Gente che scappa da Sud. Gli stranieri, gli umani nelle terre morte. Dicono che non è più sicuro. Hanno degli sciamani, o qualcosa del genere, che li deve aver messi in guardia. Nessuno ha visto niente, ma...»

«Appunto.»

Una voce graffiante ma profonda arrivò da dietro di loro. Antony si voltò. Una folta chioma argentea era inondata dai raggi del sole, che passavano dalla finestra vicina. Vayn Beckett. L'Albino.

«Nessuno ha visto niente. Quei balordi non sanno niente. Sono primitivi, e si spaventano per un nonnulla.»

I tre Allister guardarono torvi il Beckett. Non correva buon sangue tra le famiglie, ma non era quello il motivo. Vayn era stato più volte definito come un approfittatore, un meschino e viscido leccaculo. Eppure, stava fiero e impettito con l'aria saccente.

«Vayn Beckett. Non sapevamo del vostro arrivo.» disse Darion. Vayn si avvicinò senza dire nulla. Gli occhi dei due si contrastavano. Azzurro mare quelli di Darion, Rosso sangue quelli di Vayn.

«Ho lasciato indietro Jon. Non mi andava di seguire il mio vecchio col suo passo lento.»

«Hai già incontrato il Re? Sei suo zio.» chiese Antony.

«Tra poco, temo che ora sia impegnato nel Concilio. Voi signori parteciperete tutti al gran torneo, nevvero?»

«Ovvio.» affermò Darion. «Noi Allister non ci tiriamo mai indietro. E tu, Albino?»

«Certo. Può forse il figlio del Cavaliere di Cuori non partecipare? Sarebbe un affronto per Jon!» esclamò Vayn. La velata ironia era uno dei suoi pochi pregi.

«Per Lance non si fece nessun torneo...» bofonchiò Patrick.

«Altri tempi, altri cavalieri.» ribattè Vayn.

«Era solo tre anni fa, Vayn.» puntualizzò Antony. «In tre anni non cambiano molte cose. Semplicemente, Lance non gradiva queste giostre. Aveva cose più importanti da fare, e miglior modi di spendere il danaro.»

«Non ne dubito..ora, vogliate scusarmi, ma devo andare.» rispose l'Albino.

«Ci rivedremo presto, signori.»

“A dir poco bizzarro...” pensò Antony.

Un urlo arrivò da lì vicino, oltre il muro. Antony riconobbe subito la voce. Gregor.

«Credo che dovresti andare, cugino.» disse Darion.

Antony non lo ascoltò nemmeno.

 

Un altro urlo di suo padre lo fermò mentre stava per toccare la maniglia della porta. Appoggiò l’orecchio e si mise ad ascoltare.

«Sei amica di un Lunac? Ma come osi gettare l’onore della tua famiglia al vento? I Lunac sono una razza bastarda e senza onore ! Che Larse se li porti via.»

«Ma perché, padre? Non mi hai mai spiegato perché li odi così tanto! Cosa ti hanno fatto?»

«Non sono affari tuoi, maledetta te e il tuo amico. Me la ricordo io la battaglia di Opervam, dove i tuoi amichetti arrivarono in ritardo, e morirono più di duemila dei nostri,compreso tuo nonno!» e Antony sentì chiaramente un grande sbuffo. «Ma purtroppo non è solo per questo “ritardo”,ci sono anche altri motivi.»

«Dimmeli padre, ti scongiuro!» Le parole di sua sorella si facevano singhiozzanti, Antony pensò che fosse sull’orlo delle lacrime.

Era difficile che sua sorella piangesse, e ogni volta che lo faceva Antony si sentiva svuotato.

Per evitare di far scoppiare sua sorella, strinse la maniglia della porta e la aprì con forza. Vide suo padre in piedi davanti alla finestra e sua sorella lontana da lui su una sedia di legno lavorato.

La stanza era molto più grande della sua. I suoi alloggi erano più piccoli, sebbene l’arredamento fosse più o meno identico. C’era anche qui una finestra di vetro rifinito con i bordi d’oro, un letto a baldacchino matrimoniale molto lussuoso e il pavimento ricoperti di tappeti.

La maggior parte di essi erano rossi con un leone ricamato sopra, ma ce n’erano anche di verdi con cervi, blu con lupi e altri colori con altrettanti animali.

Poi notò che sua madre non era lì con loro, la porta del bagno era chiusa. Probabilmente si stava sistemando, ma era una sua capacità innata quella di sparire mentre suo marito discuteva con Gwen o Antony.

Poi Antony si fece coraggio.

«Digli la verità, Gregor. E digliela tutta.»

Gregor Allister fu stupito da quella presa di coraggio, ma normalmente avrebbe insultato anche Antony e l’avrebbe spedito in camera sua.

Però forse non era il caso di farlo, in fondo doveva proteggere sua figlia; e lei doveva sapere perché tutti odiavano i Lunac.

 

Gregor li squadrò tutti e due, poi si avvicinò a Gwen, la guardò dritta negli occhi e la fece sedere sul letto; lui prese la sedia, la portò vicino al letto si sedè. La lentezza delle sue azioni erano dovute al fatto che, probabilmente, doveva pensare a scegliere le parole con cura. Antony invece preferì rimanere in piedi, e si appoggiò al muro. Voleva essere sicuro che suo padre gli avrebbe detto la verità.

« Vedi, Gwen, esistono uomini d’onore come noi...e altri che non ne hanno affatto. Come i Lunac. Ti starai chiedendo perché li odiamo cosi tanto…Ecco, Gwen…ti ricordi della guerra dei Baroni vero? Noi affianco ai Brambe? La rivolta di Lance? Non te ne sei dimenticata vero?»

« No.» Rispose sua sorella,mentre ricacciava una lacrima dentro ai suoi occhi.

«Devi sapere che i Lunac hanno fatto cose orribili durante la guerra. A cominciare dalle razzie e dalle devastazioni. Sèregor Lunac, assieme ai suoi figli, impiccò, uccise e torturò ovunque.

Dove passavano i Lunac non c’era più umanità. Lance era l’uomo più onorevole che conoscessi, ma poco poteva contro di loro. Non poteva rischiare di farseli nemici, per cui li lasciò fare. Loro avevano uno degli eserciti più potenti ma fino a qui, i loro crimini rientravano tra quelli che i meno onorevoli compiono in guerra. Ma il peggio venne dopo. Dopo la battaglia della capitale, uccisero il Re senza aspettare l'ordine di Lance.

Poi, completamente allo sbaraglio, Sèregor ordinò di uccidere qualunque altro membro della famiglia Brambe. Fu cosi che a neonati vennero spaccate le teste, e i vecchi furono scorticati vivi. La storia più triste fu quella della sorella di Cesar Brambe, il figlio del Re. Aveva solo tredici anni.

Venne stuprata più volte da diversi Lunac. Esausta e morente per le ferite che gli avevano inflitto, per la violenza con cui l’avevano posseduta per ore e ore, venne impalata su una lancia nel bel mezzo del cortile della fortezza. Per quattro ore quella poveretta soffrì le pene dell'inferno. Sèregor voleva prolungare la tortura, ma Lance gli ordinò di porre fine alle sofferenze della figlia del Re. Ma Logan e Seth se ne occuparono a modo loro. Il suo cadavere fu gettato dall'acropoli nella Città. Ora tu dimmi se coloro che ordinano queste atrocità sono uomini onorevoli, se sono cavalieri o pazzi scatenati!»

Le lacrime di Gwen scendevano senza sosta. Possibile che il suo amico Seth avesse ordinato, o peggio commesso, certe cose? La persona che per Gwen era la più dolce e sensibile al mondo, poteva aver fatto queste atrocità?

Suo padre la guardò negli occhi, vide la sua tristezza e gli disse se davvero voleva continuare a essere amica di un Lunac. Gwen non rispose, fu Antony a farlo.

«Padre, io ho incontrato Seth Lunac poco fa. Gwen mi ha detto che lui fu preso sotto protezione da Lance Destiryon, quindi forse davvero non c’entra nulla con le barbarie che hai detto.» Il tono non era molto convinto, se ne accorse lui stesso.

Forse pronunciò quelle parole solo per dare una debole speranza a Gwen.

«E' sempre un Lunac!» Sbraitò suo padre,e uscì dalla camera sbattendo forte la porta.Sua sorella stava singhiozzando.

Non aveva mai sentito parlare di quelle brutte cose, ma forse solo adesso lei realizzò perché il suo amico Seth non gli avesse mai parlato della sua famiglia.

Quella giornata doveva essere stata un trauma per Gwen. Poi Antony si scostò dal muro, si sedette accanto a lei e gli disse:

« Gwen, ascoltami. E' vero che nostro padre non è l’uomo più tranquillo del mondo, ma dice tutto questo solo per proteggerti. Io non urlerò con te, ti voglio solo dire che ti proteggerò sempre,che siano Lunac, Price o Beckett, o ancora dai Destiryon. Chiunque vorrà farti del male, io sarò lì per non farti mai accadere qualcosa di brutto..Ti voglio bene,Gwen.» Le parole di Antony erano sincere, Gwen se ne rese conto e lo strinse a sé, mentre un'altra lacrima scivolava sulle sue gote, e si infrangeva sul collo di Antony.

 

Antony rientrò in camera sua una mezz'ora dopo. La loro visita a Lightburg era iniziata nel peggiore dei modi. Avevano cercato di tenere al sicuro Gwen dalle storie di guerra, ma ora era giunto il momento. Decise di farsi un giro per l'Acropoli. Voleva visitare la sala del trono, a tutti i costi.

Non se la ricordava molto da quando era arrivato due anni fa a giurare fedeltà all’allora Re Lance. Passò quindi qualche minuto prima che la raggiunse, ed era già sudato; di nuovo.

L'estate stava arrivando, impietosa come non mai. Il sole era già cocente nella fortezza reale, non c’era un ombra nemmeno a pagarla oro. Che doveva esserne stato usato abbastanza per costruire quell’acropoli, dove c’era il mastodontico palazzo nero del Re, che includeva la sala del trono, le cucine e gli alloggi della famiglia reale. Poi c’era il palazzo degli ospiti, che era sufficiente, pensava Antony,ad accogliere più di cento persone. Per fortuna alle scorte venivano concessi altri appartamenti, assieme a quelli delle guardie cittadine.

Gli appartamenti non erano di certo lussuosi, ed erano tutti ammassati in un unico palazzo grande quasi quanto quello del Re, ma per una guardia, magari figlia di macellai, andava più che bene. Si diceva anche che poteva accogliere un esercito di ventimila uomini.

Solo gli Allister ne avevano portati mille, più i cinquemila della guardia cittadina. Poi arrivò alla sala del trono, si fece aprire il gigantesco portone in bronzo dalle guardie lì presenti e si mise a girovagare per la sala. Non avevano protestato, forse avevano capito che era un nobile. Non vi era nessuno in quel momento.

Il giovane Allister si iniziò a guardare intorno, toccò le maestose colonne della sala, poi si fissò sulle piastrelle. Erano di due lavoratissimi marmi; marmo bianco triangolare inscritto dentro un marmo nero circolare nero.

La luce entrava dalle vetrate bianche sulla destra della sala, ed era uno spettacolo niente male. I raggi del sole sembravano pervadere quella sala dove re, guerre, balli e feste si alternavano da molti secoli.

Mentre contemplava la meraviglia che era la Sala, il portone da dove era appena passato si riaprì. Sbucò da lì un cavaliere altissimo, che teneva l'elmo nero sotto il braccio destro,con gli occhi di ghiaccio e i corti capelli biondi spettinati.

Si accorse subito della presenza di Antony e gli si avvicinò a passo svelto.

Antony sentiva il rumore del ferro che strusciava durante la camminata, il passo sicuro e la pesantezza dell’armatura.

Il ragazzo sapeva che quella era l’armatura dei Cavalieri Neri, l’aveva già vista durante la guerra dei Baroni. Si diceva fosse l’armatura più sicura mai prodotta.

Molti fabbri in tutto il reame provavano ad eguagliarla anno dopo anno, ma non riuscivano mai a superarla.

C’era qualche disegno nascosto, forse, che faceva sì che ogni centimetro di pelle fosse perfettamente coperto.

Ad ormai pochi passi da lui, il Nero appariva molto più alto visto da vicino.

«E voi chi sareste?» Disse il cavaliere con voce baritonale e severa.

«Sono Antony Allister, Cavaliere. E trovo disdicevole che voi vi rivolgiate a me come si fa a un popolano.» Rispose sfrontato Antony.

Il cavaliere fece una mezza risata e aggiunse :

«Senti,scricciolo.» e già questa prima parte fece infuriare dentro di se Antony Allister. Ma chi si credeva di essere? Quel tipo era un Nero, con tutti gli onori che questo comportava, ma in fondo era solo una guardia. Del Re,ma pur sempre una guardia.

Spostò l’elmo da sotto il braccio destro al sinistro, quasi nervosamente, e continuò. «Tu sei qui senza motivo, e io proteggo questa sala. Vattene, prima che ti costringa io con la forza.»

«Come ti permetti, cane! » Ribatté furioso Antony. La rabbia montava dentro di lui.

”Se solo avessi una spada, un pugnale, uno stocco! Gliela farei pagare a questo bastardo.” In quel momento pensò anche che non sapeva nemmeno chi fosse quel tizio maleducato e arrogante. Gli venne il dubbio che forse poteva essere Seth Lunac, ma sua sorella poco prima non aveva mai accennato all’altezza spropositata.

Il Cavaliere poi riprese a parlare, dopo essersi fatto un’altra sonora risata, stavolta più grossa di quella precedente.

«Sai com’è, il cane conta più di te, che pure sei un erede di una delle terre più grandi e di una famiglia importante. Se voglio posso mandarti a morte, basta che il re acconsenta.»

«E secondo te, spilungone, manderà a morte un Nero oppure un suo futuro vassallo e alleato? Pensaci.» Il Cavaliere Nero, inaspettatamente, rispose calmo e tranquillo.

«Hai ragione, Allister. Sei furbo, anche se sai anche tu che ti potrei affettare come niente, anche qui e adesso. Poi andrei sulla forca, ma mi toglierei una bella soddisfazione. Per stavolta passi, gioca quanto vuoi al cercatore qui dentro. Parteciperai al Torneo, vero?»

«Certo che parteciperò.» rispose Antony, e sorrise. «Spero di incontrarti,spilungone. Sarà un piacere disarcionarti e lasciarti coperto di vergogna davanti a centinaia di persone.»

Stavolta risero all’unisono, i due.

Poi il Cavaliere gli disse che, almeno, aveva trovato uno con cui competere. Poi spiegò di essere “Il Cacciatore”.

Antony ne aveva sentito parlare. Ma le descrizioni che aveva ricevuto erano vere solo a metà. Sebbene fosse veramente altissimo, veniva descritto come un cane che anziché abbaiare mordeva e basta senza proferir parola. Invece aveva di fronte un uomo che era l'opposto.

«Secondo me tu cerchi solo qualcuno che ti risponda a tono,vero? Forse Lance lo faceva con te. E’ per questo che accettasti l’incarico, scommetto.» Ipotizzò Antony.

«Lance era un grande uomo. Non ho mai incontrato nessuno con il suo carisma. Ma ora basta. Sai, è strano che parli cosi tanto con una persona, quindi siccome non voglio che mi vedano parlare troppo e per giunta con uno che è la metà di me, me ne vado a fare la guardia al trono; il Re sta per arrivare. Ci rivedremo, Antony Allister, e prega che sia solo al torneo.»

Si salutarono con una falsissima stretta di mano e il Nero andò spalle al trono, come una torre a proteggere le terre che aveva dietro di sè. Antony se ne andò da lì per continuare il suo giro turistico della fortezza reale. Uscì dalla prima porta che trovò in quella sala immensa, e finì in un cortile adiacente alla sala, un luogo chiuso su tutti i lati. Da uno dalla sala del trono, e da tre pareti che andavano a ricongiungersi sulle mura dell'acropoli. Da una fontana di marmo grigio sgorgava acqua limpidissima. C’era un Cavaliere seduto sul bordo, che stava leggendo una lettera.

Realizzò solo pochi secondi dopo che era anche quello un Nero.

Questo però già indossava l’elmo,a differenza di quello incontrato pochi minuti prima. L’elmo incuteva timore, e Antony, come poco prima, quando è intimorito reagisce in modo opposto a ciò che fa la gente comune.

Il Nero si accorse subito della sua presenza, si alzò dal bordo della fontana e disse : «Hai qualcosa da dirmi, biondo? O resterai lì impalato per sempre? » Antony rispose subito. «Niente di particolare,Cavaliere. Sono solo qui a perdere tempo mentre tra poco voi farete la guardia per ore al Re. E dopo mi divertirò al pranzo in mio onore. A te hanno mai fatto una cena di benvenuto?»

Il Cavaliere rimise la lettera che stava leggendo in un sacchetto e disse:

«Tu devi essere Antony Allister. Mi eri stato descritto come un uomo ironico e simpatico, ma io vedo solo un insolente viziato. Siccome credo che due uomini debbano guardarsi in faccia mentre parlano,mi toglierò l’elmo.» E così fece quello. Se lo tolse prendendolo da sotto con i suoi guanti neri di ferro, orlati d’oro pure quelli. Era un ragazzo poco più giovane di lui, con gli occhi verdi e i capelli neri che erano stati molto disordinati dall’elmo che aveva appena tolto. Restarono qualche secondo in silenzio, poi Antony gli fece:

«Tu invece sei Seth Lunac, mia sorella mi ha parlato di te poco prima. In nome dell’affetto che la lega a te, spero di non averti fatto mio nemico.» Senza scomporsi minimanente, Seth Lunac,detto l’Uomo di Ghiaccio proprio per questo, gli rispose.

«Questo dovrei dirlo io. Ma comunque lasciamo perdere. E’ un piacere conoscerti, Allister.» protese la mano così Seth Lunac.

Antony fece lo stesso, e si scambiarono un’energica stretta di mano. Era forse l’unico da cui aveva sentito cose bella da sua sorella, altrimenti non sarebbe mai stato così cordiale con lui.

«Tua sorella mi ha detto che vuoi partecipare al torneo del Re, ci sarò anche io. Spero di incontrarti. Ci dovrebbe essere anche mio fratello.»

Stava forse dicendogli che non era un buon cavaliere? Mise da parte un attimo questo suo pensiero per cercare di non rispondere malamente.

«Lo so bene, Seth. Ed'è proprio per questo che parteciperò. Muoio dalla voglia di far cascare da cavallo il tuo amico, il Cacciatore, e tuo fratello. Allo spilungone l'ho incontrato prima. Tipo sveglio, ma si sopravvaluta. Saprai come me che quelli più bassi come noi sono un bersaglio meno grande,giusto?» Seth diede un colpo di tosse e poi rispose che sì, un uomo più basso era più difficile da colpire, ma un uomo alto era meglio bilanciato al galoppo.

Antony concordò.

In fondo quel ragazzino non era tanto stupido come gli era apparso sulle prime. «Ora mi trovo costretto a lasciarvi. E' turno di guardia.» chiuse il Nero, rientrando nella Sala del trono.

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Vaan e il suo Regno ***


A volte suo padre lo portava in giro, per l'acropoli. Una volta si era spinto, addirittura, a fargli visitare l'Arco del Vittorioso, dedicato a un certo Maebor di cui Vaan dimenticava sempre il numero. Quel giorno il principe di Landor ebbe il primo confronto con la realtà. E vide che la realtà era grigia. Appena usciti, vi era stata qualche ovazione, molti inchini. Ma nei pressi del quartiere Sud, dove si erigeva l'Arco, il principe vide gli sguardi arcigni e udì qualche insulto. Se non fosse stato per i Neri e un'altra cinquantina di cavalieri le cose sarebbero potute degenerare, ma la Lancia d'Argento del Cacciatore aveva tenuto a bada più di qualche temerario. Lance Destiryon era proprio sotto la struttura con Vaan. Prese a raccontare di tutta la storia che quei rilievi emanavano, ma suo figlio ascoltava poco convinto; Aveva altro a cui pensare, tipo a quale ragazza scoparsi di lì a poche ore.
«Sai perché ti ho portato qui, Vaan?»
«Perché, padre?» aveva chiesto Vaan.
Lance smontò da cavallo senza rispondere, e chiese a Vaan di fare lo stesso.
«Perché noto con disappunto che ti preoccupi più di te stesso che del regno, e questo non è bene.»
Vaan roteò gli occhi. Ne aveva abbastanza dei rimproveri di suo padre, ma cosa voleva? Che dedicasse la sua vita alla guerra, alla politica, come lui aveva fatto?
Lance però non aveva avuto scelta, a suo tempo. Suo padre morì durante l'epidemia di peste sotto Titus V, e a Lance toccò occuparsi dei Destiryon appena compiuta la maggiore età. Ma era stato costretto, e Vaan credeva di avere tutto il tempo del mondo per imparare a fare il Re. E poi Vaan non aveva partecipato a nessuna battaglia, mentre Lance ne aveva vinte più di venti. Solo una volta il principe ne vide una dal vivo, tra l'altro a centinaia di metri di distanza.
«Vaan, mi ascolti?» lo scrollò Lance.
«Si padre, perdonami. Hai ragione, è colpa mia.» ormai Vaan ripeteva queste parole come un mantra, una canzone da ripetere ogni volta che riceveva un rimprovero.
Lance lo guardò sconsolato, e si voltò a fissare un rilievo. Vaan riconobbe chiaramente l'aquila bicipite, ma non sapeva quale fosse l'episodio narrato. Lance notò il suo interessamento.
«Volevo parlarti proprio di questo. Sai chi è il Re, qui?» E puntò il dito sopra all'uomo con la corona. Vaan scosse la testa.
«Jasper I!» esclamò suo padre. «Prese il potere con la forza, come noi! Ma dopo pochi mesi, su Lightburg marciavano sette eserciti e fu costretto a scappare con il suo a Nord. Si dice che fece un discorso leggendario ai suoi, la notte prima di invertire la marcia e dirigersi verso i suoi inseguitori.»
Lance fece un gran sospiro. Vaan ora ricordava quella storia, ma finse ignoranza.
«E poi cosa accadde?»
Lance iniziò a passare la ruvida mano per tutto il rilievo, toccandone tutti i rigonfiamenti che ricreavano la Storia.
«Fu trucidato assieme a gran parte degli Arcadia che lo avevano seguito. Passerà alla storia come Jasper l'Usurpatore, ma molti, me compreso, lo chiamano ancora Jasper il Coraggioso.»
«Non lo metto in dubbio, padre. Ma il Coraggioso ha concimato le terre dei Karlin.»
«Altrettanto vero, Vaan. Ricordati però che siamo usurpatori anche noi.»
A Vaan quella frase non piacque particolarmente. Ma si cucì la bocca, per evitare di prendere uno sganassone. Lance alzava spesso le mani, nel vano tentativo di correggere l'indole di Vaan.
«Cosa disse Augustus quando morì?» chiese Vaan.

Era una domanda che gli si insinuava spesso nella mente, da quando gli era arrivata la notizia. Lui era fuori le mura, e vedeva i fuochi innalzarsi verso il cielo. Su ogni torrione il drago dei Lunac sventolava fiero assieme all'albero dei Destiryon. Si ricorda anche che era proprio un soldato Lunac quello che correva a perdifiato verso la tenda di Caterine. Vaan era entrato assieme a lui, curioso. Disse solo quattro parole: “Il Re è morto.”
Vaan ricordava anche il mezzo sorriso di Caterine, e lei che si versava una coppa di costoso vino proveniente dal regno di Sante'si. Il nuovo Re non era con loro. Poteva forse non essere in prima linea?

 

«E chi lo sa.» rispose Lance, guardando Seth Lunac il Nero. «Se ne occuparono i Lunac della famiglia reale.»
«Non gliel'hai mai chiesto?» fece Vaan.
«Dovrei? No, non me ne importa nulla. L'importante è che ora sediamo noi sul trono.»
“E speriamo di rimanerci il più a lungo possibile.” Aveva pensato Vaan, di risposta.
Lance rimontò a cavallo, seguito dal figlio, e tornarono all'acropoli. Nel viaggio, a Vaan tornò in mente la lenta ballata su Jasper I.

Era bello, il Re Arcadia.
Era forte, il Re Arcadia.
Era coraggioso, il Re Arcadia.
E scappò a Nord, il Re Arcadia.
E parlò fiero come due aquile, Jasper il Coraggioso. E gli armati lo seguirono, scorgendo la vita.
Ma trovarono la morte assieme al loro Re, il Re Arcadia.
Cerca la vita assieme a Te, mia fanciulla, il Re Arcadia.
E adesso nessuno ricorda più Jasper il Coraggioso, e ora lo chiaman presuntuooso,
anche arrogante.
Ma l'aquila sul suo petto era più che rombante; ma Nero Jasper non fu più.
Per mano dei Brambe inverdì la terra e trovò l'oblìo, compiendo un viaggio a Sud.
Non si rialzò, il Re Arcadia.
Era bello, il Re Arcadia.
Era forte, il Re Arcadia.
Era morto, il Re Arcadia.


 



Vaan aveva appena ricevuto gli Allister, e si stava dirigendo verso la sala delle riunioni.

Che spreco di tempo. Ma aveva dovuto farlo il prima possibile, Vaan detestava lasciare le cose in sospeso. Tutto e subito, cosi si poteva riassumere la filosofia del Re. Una filosofia che aveva innumerevoli svantaggi. Camminava a fianco a sua madre Caterine, assorto nei suoi pensieri.

«Aspetta,Vaan.» gli disse lei, accelerando il passo. «Vuoi dirmi perché non hai dato il tempo agli Allister di riposare? Sei un insolente.» Vaan notò che le due guardie che l’accompagnavano avevano un mezzo sorriso mentre sua madre pronunciava queste parole.
« Zitta, Caterine. Non voglio sentirti oltre.»

«E invece mi sentirai eccome! Non sei bravo a governare, non sai nulla dell’educazione, ne di come ci si comporta con gli ospiti. Sei il Re, dannazione! E hai fatto un inchino...non ci credo. Nemmeno i giullari fanno più gli inchini.» Vaan sapeva che lei aveva ragione e un impeto lo travolse.

«Non dirmi cosa devo fare, te l’ho già detto!» sbraitò. «Ora tu starai zitta e buona, o andrai a far compagnia a tuo marito sotto terra!» Poi il tono di Vaan si fece più calmo e profondo, ma non meno freddo e asettico.

Aveva compreso le gravità delle sue parole, ma non voleva farlo capire a Caterine. «Guai a te, guai a te se oserai ancora insultarmi. Ringrazia che non ti faccio portare via da questi due. E dammi il braccio.»

La rabbia di sua madre era visibile, Vaan la percepì. Mise il suo braccio sotto quello di Vaan e restò in silenzio. Nella sala erano già presenti tutti i saggi, anche Mason Curter. Vaan si sedette con sua madre accanto, e appena lo fece disse al primus inter pares dei saggi del Regno: «Mason, tu ascolterai il resto della seduta. Ora io voglio che parlino quelli che sanno di Cesar e di Vladimir.»

Un gran vociare si sparse per la sala, per tutto il tavolo d’oro ricoperto dal vetro, per le sedie di stoffa scarlatte e penetrò le colonne della stanza.

Probabilmente non si aspettavano che Vaan fosse a conoscenza dell’arrivo di Cesar.

Vaan ordinò il silenzio assoluto. Poi fece un cenno al saggio degli esteri. Quello riferì che in quei giorni non avevano ricevuto altre segnalazioni dalle montagne a Est.

«Bene, bene..Abbiamo un problema di meno, per ora. E di Cesar?»
Fu Mason a prendere parola.

«Dai movimenti che ci riferiscono le poche spie che abbiamo a Nord, Cesar Brambe sta marciando su Lightburg e si dice che sarà qui tra circa due mesi. I Karlin sono in grave pericolo. Abbiamo mandato molti messaggeri, ma non credo faranno in tempo. Il Nord è già perduto.»

«Maledetto bastardo!» Urlò Vaan, picchiando sul tavolo. Caterine gli artigliò il braccio da sotto il tavolo, quasi a tentare di calmarlo. Vaan lo prese con forza e si tolse quella viscida appendice del corpo della madre. Ma perché nessuno gli diceva mai le cose come stavano?

«Come siamo messi a truppe ed equipaggiamenti? »

«Non benissimo, mio Signore. In caso di assedio…»

«Assedio??» Lo interruppe Vaan sconcertato. «Non ci sarà nessun assedio Mason! Noi combatteremo in campo aperto! Non lascerò le famiglie della città a morire di fame mentre lì fuori i soldati di Cesar si ingozzano con i prodotti delle nostre terre!»

«In tal caso...» Riprese a parlare il Saggio «...possiamo contare su circa seimila uomini di stanza in città, tra guardie cittadine e nobili che vi abitano. Si dice che Cesar abbia molti più uomini di noi.»

«Bene.» Rispose Vaan «Voglio che siano richiamate tutte le truppe dei Destiryon dal Castel Grigio, dagli alfieri, da ovunque. Che si dirigano verso il Nord, al Castello del Ghiaccio. Portate anche metà delle guardie cittadine. Chiamerò a raccolta i vessilli delle altre casate dopo il torneo. C’è altro? »

Per la prima volta, forse, Vaan Destiryon aveva parlato come un Re, sentendosi un leone. Un Brambe?
Tutti lo fissarono, tranne sua madre che teneva gli occhi abbassati. Mason Curter poi rispose:

«Sarà fatto mio Signore. Ikard, attua le disposizioni che ha dato il Re.» Poi si voltò verso Vaan e riprese. «Mio Re, c’è anche un altra cosa che dovreste sapere. I Lunac saranno qui a brevissimo; i Beckett, casa della vostra nobile madre, arriveranno domani. Lo stesso vale per gli Arcadia e tutti gli altri. Bisogna anche nominare il quarto Cavaliere Nero, mio signore.»

Il nuovo Nero! Vaan se l’era completamente dimenticato e bisognava nominarne uno; era quasi un mese che il titolo era vacante. Respirò profondamente, poi appoggiò un gomito sul vetro che ricopriva l’intero tavolo.

«Preparami una lista di possibili candidati, Mason. Contadini, Lord, soldati, chiunque. Basta che siano tutti ottimi spadaccini e fedeli alla mia persona e a ciò che rappresento. Il concilio per quanto mi riguarda è concluso, voi continuate. Mia madre è ora il mio rappresentante ufficiale.»
Vaan si alzò, si sistemò il mantello rosso e si avviò verso l’uscita. Due file di guardie batterono le lance al suo passaggio, sul corridoio verso l'uscita.

Sbucò in un grande spiazzo pieno di cespugli. Sospirò.

Rimaneva sempre un ostacolo a tutto, cioè sua madre Caterine. La odiava, e come osava rivolgersi così a suo figlio mettendolo in ridico di fronte a due guardie? Ma che diceva ,a suo figlio, al suo Re! Ma d'altronde, cosa poteva fare? Commissionare un omicidio? Forse il Cacciatore..no, era assurdo. Vaan non sarebbe passato alla storia come il Re matricida.

Quella donna era stupida come suo fratello, ma la morte era troppo. Una famiglia di idioti. Non come quella di suo padre. Vaan aveva odiato Lance e non versò nemmeno una lacrima il giorno delle esequie.

Ma ora, forse, Vaan capiva. Capiva quanto fosse pesante gestire un regno gigantesco e quante responsabilità, quante vite, questo comportava. Restò per qualche minuto nel giardino, per rilassarsi e concedersi un momento di riflessione. Quando si alzò, notò Mason sulla porta dalla quale era venuto prima. Lo osservava, silenziosamente. Con quegli occhi vispi, quasi da cane bastonato. Un altro debole. Ma era solo l'apparenza. Mason era la persona con più uccellini del reame, e aveva un certo peso negli affari del regno. Troppo peso, forse. Vaan non sapeva più di chi fidarsi.

«Da quanto tempo sei qui, vecchio?» Gli chiese.

«Oh, da pochi secondi mio signore. Vi stavate riposando? Torno in un altro momento se volete. »

«No, aspetta..» Lo fermò Vaan. Gli si avvicinò di qualche passo e continuò, mentre sfiorava l'elsa di Destroyer. «Dimmi, è urgente?»

«E' solo un informazione, mio signore. L'Albino è qui.»

«Come sarebbe? Non doveva arrivare dopodomani, assieme al resto dei Beckett?»

«A quanto pare si è allontanato dai suoi onorevoli genitori assieme a un manipolo di cavalieri. Pare non potesse tollerare altri due giorni di viaggio.»

Ci mancava solo lui” pensò Vaan.

«Va bene.» comandò al Saggio. «Digli che lo aspetto nei miei alloggi, ora.»

Si voltò e andò verso la Sala del Trono. Doveva passare per forza di lì, per andare nelle sue stanze. Appena entrò si rese conto del fatto che non l'aveva mai visitata quando non era giorno di udienze. Oggi lo era, ma il Concilio era infinitamente più importante. I Neri se ne erano andati da poco, probabilmente. La sala era desolatamente vuota, con solo due guardie al portone di bronzo massiccio, che parlottavano tra loro. I passi di Vaan li allertarono e si voltarono di scatto, riprendendo la posizione in un batter d'occhio.

Osservò i due soldati per qualche secondo,scrutandoli. Poi gli si avvicinò a passo svelto, guardandoli negli occhi. Più si avvicinava più si rendeva conto che la paura in loro cresceva, cresceva a ogni suo passo. Quando gli fu a pochi metri, si irrigidì e disse:
«Voi non stavate sorvegliando adeguatamente la Sala. Come vi giustificate?»
Sentiva la paura, sentiva il terrore delle due guardie. Quella alla sua sinistra gli disse, dopo aver tentennato un po', che ciò che aveva visto non sarebbe mai più accaduto.

«Vi ho visto con i miei occhi. Se non fossi passato di qui, avreste potuto continuare a pensare ai vostri affari tutto il giorno. Tu! » E indicò il lanciere che aveva appena parlato. «Tu, sei amico di quest'altro?» E indicò la guardia alla sua destra con un cenno del capo.

«S-sì,mio lord. Ci conosciamo da quando eravamo ragazzi.»

«Bene, allora prendilo. Portalo nelle segrete, dì al boia che può divertirsi un po', prima di ucciderlo.»

Il lanciere che doveva essere portato nei freddi sotterranei iniziò a sudare freddo, e rispose al Re senza paura: «Io lì sotto non ci vado. Rickard, non vorrai ubbidire a questo ragazzino? » Il silenzio di Rickard e lo sguardo fisso di Vaan fecero il resto.

« No! No! Io lì sotto non ci vado, mio signore. So che gli fa il boia a quelli che tu gli dai...»

Vaan ne era un po' dispiaciuto. Le voci su ciò che faceva a chi non gli andava a genio forse stavano correndo un po' troppo. Anche se non avrebbe mai raggiunto la crudeltà di Titus I Brambe.

«Fottiti tu e il tuo regno, moccioso.»

Alimentiamole allora, queste voci.” pensò Vaan. “Che tutti sappiano.”

Vaan rise di gusto, mentre colui che stava per morire lo fissava stranito assieme a Rickard.

«Rickard, ti ordino di togliere la vita a quest'uomo. »

E rise ancora. Rickard puntò la lancia contro il suo amico, e quello rispose balzando all'indietro di scatto, e mettendo la sua in posizione di attacco.

I due si guardarono, e dopo qualche secondo Rickard e il suo amico iniziarono a combattere. Vaan si allontanò e si appoggiò alla seconda colonna alla sinistra del portone, divertito. I due si studiavano, attaccavano, paravano, si alternavano in un turbinio di movenze che Vaan aveva sempre ammirato.

Rickard tentò un affondo diretto, ma il suo avversario deviò con lo scudo di ferro scuro rotondo e ne approfittò per affondare anche lui. Allora Rickard balzò all'indietro, ma quando atterrò il suo amico già lo incalzava di nuovo con la punta di ferro della lancia che gli sfiorò la coscia di pochi centimetri.

«Dimmi, amico di Rickard. Qual'è il tuo nome? » chiese Vaan, nel bel mezzo della battaglia.

«Edd Price,mio signore. AAH! » Rispose quello affannato e col fiatone. La risposta gli era costato un graffio sul braccio, poco danno, pensò Vaan.

«Ah, le regole sono cambiate. Vi state giocando la vita, tanto per la cronaca.»

Vaan si stava divertendo molto, traeva piacere nel vedere due uomini che si scannavano. Ancora di più se erano amici, come probabilmente sospettava. Edd, nel frattempo, si era riportato in posizione di vantaggio, con Rickard che arretrava costantemente e ormai era spalle al portone di bronzo. Edd con un movimento velocissimo riuscì a bucare la difesa del suo amico e gli trafisse una coscia, tra gli urli dell'altro, ormai inginocchiato. Questo gettò via lancia e scudo e iniziò a scongiurare il re di risparmiargli la vita. Edd gettò via anche lui lo scudo rotondo e si voltò verso il Re, che ancora appoggiato alla colonna, sorridente.

«Edd, uccidilo.» Così Edd della nobile casa Price si voltò di nuovo verso il suo amico Rickard; ma esitò a sferrare il colpo di grazia, mentre il sudore gli scendeva dalle tempie. Forse era un bastardo riconosciuto, i legittimi non andavano a fare le semplici guardie all'Acropoli.

«Uccidilo ora.» Fece pressione Vaan, con un tono allegro, sempre sorridendo. E così Rickard fu ucciso, trafitto al petto dal suo amico. Edd si voltò verso il suo signore con gli occhi che chiedevano vendetta. Il Re vide il suo rimorso che cresceva dentro.

«Ti sei guadagnato la vita, Edd Price. Non sei contento? Ah e fammi un favore, chiama altre guardie per portare via il corpo del tuo amico.» Gli ordinò Vaan.

Edd senza dire nulla aprì il portone di bronzo chiamando altri armati, che dopo un iniziale stupore collettivo sollevarono il corpo trafitto al petto e alla coscia di Rickard.

«Aspettate!» Li fermò Vaan. «Dovete anche arrestare il suo compagno di avventure Edd, amici miei. Ha ucciso una guardia reale, e mi ha insultato. A morte, dite al nostro caro boia.»

Le altre guardie, quindi, ancora più stupite, presero e bloccarono Edd Price di forza, mentre lui urlava.

«No! No! Tu sei un vigliaccio, sadico e pazzo! Ci hai fatto combattere, mi hai fatto ammazzare Rickard! » Poi si voltò verso una delle guardie, piangendo, che lo stava ormai trascinando fuori dalla Sala del Trono.

« Mi ha fatto ammazzare Rickard! Capisci?» Poi tornò ad inveire contro Vaan ,in un bagno di lacrime, insultando lui e sua madre. E chiuse con questa frase: «Che tu possa morire come Augustus, ucciso dai suoi stessi uomini che prima gli aveva giurato fedeltà! Che tu possa morire tradito! »

A quelle parole, Vaan si allontanò dalla colonna dov'era ancora appoggiato con la spalla fermò le guardie.

«Dite al boia che dev'essere una morte lunga e dolorsa. Ma soprattutto dolorosa, mi raccomando! » concluse divertito e appagato dal suo tributo di sangue.

«Sarà fatto mio signore! » Rispose uno, portando Edd Price fuori dalla sala del trono, mentre un altro di loro lo bastonava con la lancia. Vaan si era veramente divertito.

Adesso però doveva andare a ricevere Vayn Beckett, l'Albino. Che seccatura, andare a parlare con suo zio.

Lo odiava, e sarebbe stato un essere totalmente inutile, se non si fosse comprato amici influenti con denaro sonante. Si diresse quindi nelle sue stanze, salutò la guardia che era fuori dalla porta ed entrò. Il suo atrio era veramente spazioso, ogni volta che entrava se lo ripeteva.

Un enorme tappeto era steso sulle assi di legno, alla sua destra e sinistra vi erano due comodini con le candele già accese. Un grandissimo lampadario si stagliava in alto.

Partivano due rampe rosse, che si riunivano al piano di sopra dove vi erano due porte di legno lavorato, una sul lato destro del piano e l'altra sul sinistro. Una conduceva agli alloggi del Re e l'altra a quelli della regina e degli ospiti.

Vayn doveva essere lì. D'altronde l'atrio era usato perlopiù per ricevimenti ufficiali, quando non si tenevano nella Sala del Trono.

Salì usando la rampa di destra, poi, arrivato al piano superiore, svoltò a destra, verso la porta. Afferò la maniglia d'oro e tirò con forza.

La porta spesso era dura ad aprirsi, un difetto mai corretto.

La prima cosa che notò furono due guardie Beckett, con la caratteristica armatura azzurro-grigia e i mantelli blu come la notte. Il simbolo del veltro era ricamato ovunque. Vaan l'aveva sempre invidiati ai Beckett. Senza alcun dubbio, un veltro era più bello di un anonimo albero. Poi vide la chioma bianca di suo zio Vayn.

Quello si voltò e iniziò a fissare Vaan. Lo fissò, con quegli occhi rossi, pieni di sangue. Se fosse nato povero e plebeo, sarebbe stato subito ucciso da neonato in quanto simbolo del male. L' Albino però ebbe la fortuna di nascere ricco e Beckett.

Non partecipò mai a nessuna battaglia durante la guerra dei Baroni. Si rintanava di castello in castello durante le battaglie. Poi, dopo l'incoronazione di re Lance, si sbrigò a convincere il Re e il concilio a farlo sposare sua sorella Caterine. Questa era l'esistenza di Vayn Beckett, detto l'Albino per i suoi capelli bianchi dalla nascita. A terrorizzare Vaan fino a pochi anni prima però, non era la sua chioma, ma i suoi occhi rossi.

Strani, terrorizzanti, penetranti, pieni di odio. Vaan gli si rivolse subito, senza dargli il tempo di inchinarsi, nè a lui ne alla sua scorta.

«Chi ti ha permesso di presentarti qui con le tue guardie, zio? Possono entrare solo i membri della famiglia reale e i Neri su mio ordine. »

« Ma, mio Re, tua madre mi ha dato il permesso di portare queste due guardie. Anzi, me l'ha quasi ordinato, a dire il vero.» Rispose l'Albino. Sua madre sapeva dell'arrivo di suo fratello? E perché non l'aveva avvertito?

«Il re sono io, non lei.» Poi si voltò verso i due soldati. «Accomodatevi fuori, grazie. »

Una volta rimasti soli, Vayn si sedette su un divanetto lì vicino.

« Vieni qui, Vaan. Siediti.» Gli fece cenno con la mano.

«Stò bene in piedi.» rispose freddo il Re. «Allora, zio, che cosa vuoi? Perché sei venuto qui in anticipo? Ti sono venute pieghe da sella ? » Chiese divertito.

«Spiritoso, Vaan. Tu sai quanto io odi tuo nonno e tua nonna, non li posso sopportare. Avevo già resistito troppo durante il viaggio, poi sono arrivate delle soste troppo frequenti perché il mio “onorevole” padre voleva andare a caccia nei boschi. Dannazione, odio la caccia. »

«E adesso che vuoi fare? E dove ti metterai? Il primo piano degli alloggi degli ospiti è già stato preso dagli Allister, dovrai accontentarti del secondo. Così come nonno Jon e nonna Ambra. »

« Va bene,va bene. Ma prima dovrei chiederti una cosa; è del torneo in tuo onore. E' vero che verranno anche i Lunac ? » lo interrogò suo zio.

« Certo, perchè non dovrebbero? Sono miei sudditi proprio come gli Allister, come i Price...o i Beckett.» Poi aggiunse una nota di superiorità alla sua risposta.

«Come te, Albino. Tutti miei sudditi. » Vayn scosse la testa dopo quella frase.

Si alzò lentamente, avvicinandosi fissando Vaan con quegli occhi scarlatti.

Si posizionò di fronte al Re. A Vaan parve di scorgere un'aria di sfida, negli occhi sanguigni dello zio.

« Sudditi,eh? Tre anni fa anche Augusts la pensava così, Vaan. Si riteneva intoccabile...Non umiliare i tuoi sudditi. I Re muoiono come mosche ultimamente.» Vaan restò immobile, a fissarlo. Avrebbe voluto dirgli tante cose, avrebbe voluto dargli del codardo,del traditore, farlo arrestare per offesa alla maestà, ma non disse nulla.
Era come se intuisse che quello che gli aveva appena detto suo zio non fossero semplici e belle parole, ma delle crude verità. Vaan ogni tanto ci pensava, prima di andare a dormire. Stava esagerando ? Era davvero in balìa del potere o erano soltanto delle sue paranoie ? No, dovevano essere paranoie, assolutamente. Il padre di Augustus, Veryon Brambe, era chiamato l'Impalatore, eppure morì serenamente nel suo letto.
«Ora vai, zio. Ci vediamo più tardi. » Pronunciò Vaan, non distogliendo il suo sguardo dagli occhi rossi dell'Albino, a pochi centimetri dalla sua faccia. Nel completo silenzio, egli scansò il Re e uscì dalla stanza. Stupido, stupido lui e sua sorella. Era circondato da perfetti idioti.

Loro non sanno come si governa. Non sanno che la paura è più forte dell'amicizia. Non sanno che il timore tiene a bada i sudditi, a differenza della benevolenza e della misericordia.” disse una voce dentro Vaan. Una parte di lui, però, sapeva che c'era il rischio che suo zio avesse ragione. Osservò Distruttore che pendeva dalla sua vita. Quanto avrebbe voluto estrarlo e piantarlo negli occhi di suo zio...

Passò la notte tra incubi, dove veniva sgridato dalla madre, poi ucciso da alcuni contadini, poi divorato da serpenti che uscivano dalle orbite di suo zio. In sottofondo, c'era la voce di suo padre Lance che ripeteva sempre le stesse parole, che gli aveva pronunciato in letto di morte, mentre veniva divorato dalla febbre. Non piegarti.

Cacciò un urlo, poi si drizzò sul letto, mentre delle gocce di sudore gli colavano dai capelli. Che sogno orribile e senza senso, pensò. Si vestì con calma nonostante ormai fosse mattinata tarda, indossò l'ormai immancabile mantello rosso e verso mezzogiorno andò a pranzo, quello in onore degli Allister. La sala da pranzo era stata riempita di tavoli lunghissimi, ricoperti da tovaglie bianche e immacolate. Non aveva mai ospitato un pranzo nella fortezza, ormai Vaan era abituato a vedere un solo tavolo, dove sedevano di solito lui, sua madre e i Neri. Si diresse con gli occhi abbassati e a passi svelti verso il tavolo della famiglia reale, mentre un enorme onda di inchini lo travolgeva passo dopo passo. Il suo tavolo era l'unico posto in orizzontale che prendeva tutta la sala da un lato. Gli altri tavoloni, più corti, erano stati disposti verticalmente. C'erano già sua madre e i Cavalieri Neri seduti. Arathon, massiccio, era alla destra di Seth Lunac, il quale era a sua volta alla destra di sua madre Caterine, la regina reggente. Poi c'era un posto vuoto, il suo, e accanto a esso il Cacciatore, con l'armatura dei Cavalieri Neri. Vaan non salutò nessuno, si sedette in silenzio e con un gesto della mano consentì a tutti gli altri di farlo, che erano ancora in piedi a fissarlo. L'interno della stanza era pieno di quadri, candele e mobili pregiati, e dopo che dette una rapida occhiata a queste meraviglie pronunciò:

«Mie cari amici, nobili signori. Siete qui oggi come miei ospiti, e questo pranzo è per ringraziare gli Allister della loro onorabile presenza qui a corte. Che i servi portino i pasti!» E batté le mani, ma voleva essere da tutt'altra parte. Voleva stare nelle sue stanze, con qualche donnina allegra. Con Alexya, magari.

Così iniziò il pranzo, con i servi che portavano continuamente stufati, maiali arrosto, vini e molto altro. Si accorse che gli Allister erano su un tavolo proprio davanti a lui. Vide Antony, lady Gwen, la madre Alexandra e Gregor Allister. Gregor era un uomo di mezza età, le rughe non erano nascoste, ma possedeva ancora vitalità ed energia da vendere. Si stava abbuffando con arrosto di tacchino, bevendo continuamente vino di prima qualità che proveniva dalle botti del Re, e che colava a tratti sulla sua barba scura incolta. Vi erano anche suo fratello Koster e la lady sua moglie Isabella, e i figli Darion e Lotho. Ovviamente Gregor si era portato appresso anche cugini e parenti lontani. Quando si tratta di mangiare a sbafo, nessuno si tira indietro.

Corvi.” pensò Vaan. Sul suo tavolo invece, i gesti erano più contenuti, più freddi. Sua madre mangiava della carne semplice, mentre i Cavalieri erano molto calmi e lenti nei movimenti. Erano abituati a quei pasti magnifici, che probabilmente gli Allister non facevano. Non che la famiglia di Gwen fosse messa male a denari, ma semplicemente loro preferivano spendere monete per mura, castelli, soldati e armi. A circà metà del pranzo, Mason Curter entrò silenziosamente, da una porticina, alla destra rispetto a Vaan, e quasi scivolando sulle piastrelle di marmo si avvicinò all'orecchio del Re.

«Mio signore, mi dispiace disturbarla in questo momento di festa, ma devo informarla che i Lunac sono arrivati. Andrete a riceverli ora ? »

« No » Rispose Vaan «Più tardi, stasera. Facciamoli riposare un po', dagli il terzo piano del palazzo degli ospiti. »

« Sarà fatto mio Re. » E si dileguò con la stessa velocità con cui era arrivato.

« Vaan.» Prese parola sua madre. « I Lunac sono qui,vero ? »

« Si, madre. Sono arrivati.»

Ormai mancavano pochi giorni al torneo, e le due famiglie più importanti erano arrivate. I Beckett erano in dirittura d'arrivo, così come i Price e gli Arcadia. Solo i Karlin non sarebbero venuti, mandando scuse a ripetizione. I lord del Nord, del freddo Nord, non sapevano nemmeno quale rischio stavano correndo. I messaggeri erano già partiti, ma chissà se avrebbero fatto in tempo ad avvisarli prima della venuta di Cesar. Dei Rackler, dell'estremo oriente, invece, al confine con Cyrith, ancora nessuna risposta.

 

 

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Capitolo 9
*** Seth e i Lunac ***


 

Lo sguardo di Logan era arcigno.

«Ho deciso così. Non ammetto altre discussioni. »

Vuole mandarmi a morire, ne sono sicuro ormai. E' veramente un infame. Mi odia!”

«Logan, tu vuoi mandarmi in prima linea! Non ci andrò mai, e nostro padre sarà dalla mia parte.» rispose Seth, arrabiato.

In realtà non era sicurissimo di ciò che stava dicendo. Da un bel po' anche i rapporti con Sèregor si erano deteriorati, con lui che guardava ormai sempre più spesso al suo primogenito, escludendo spesso e volentieri il figlio minore.

«Vai allora, vai da nostro padre.» Lo incoraggiò Logan «Voglio proprio vedere cosa ti dirà.»

Seth aveva da poco compiuto diciotto anni, era ormai un anno che lui e la sua famiglia erano in guerra contro Augustus Brambe; guerra stava volgendo al termine. Erano accampati poco dopo oltre la strada di Iulius, Lightburg era a poche miglia. Erano rimasti due eserciti ai Brambe, uno dei quali si stava dirigendo verso i Lunac. Loro erano fermi lì da due giorni, in attesa dei Destiryon, e dovevano assolutamente unire le armate e assaltare la capitale: la città avrebbe sicuramente resistito a due eserciti separati. Eppure, a Seth sembrava strano che Sèregor avesse acconsentito.

Suo padre era ambizioso. Ma prima di essere ambizioso, era un eccellente stratega militare e politico. I Baroni, nella loro seconda riunione, quando decisero di ribellarsi, stabilirono di dare il comando a Lance Destiryon una volta finita la guerra. Ma, implicitamente, chi impediva ai primi che avessero preso la città di proclamarsi signori di Landor, e tenerla contro gli altri eserciti? Ora più che mai, tra l'altro. Gli Arcadia avevano perso tantissimo nella battaglia al Castello di Ghiaccio, e le altre famiglie non potevano competere coi Lunac o i Destiryon. Eppure, suo padre aveva deciso di unire gli eserciti e consegnare definitivamente il trono a Lance.

Seth uscì dalla tenda di suo fratello e si diresse verso quella del padre, di lì a pochi metri. Le tende dei due erano attaccate, la sua invece era più distante, quasi al limite dell'accampamento.

L'accampamento contava settemila uomini, e lui era considerato l'ultimo tra i soldati. Nessuno andava mai a visitarlo nella sua tenda, eccetto il suo scudiero, Illyn Price. Era nipote o qualcos'altro di un Price importante, e fu mandato come omaggio dagli alleati di suo padre. Che strano, un ciccione lento e goffo che veniva dato a Seth, su ordine di Logan! Un'altra speranza per suo fratello di vederlo disarcionato e ucciso. Spostò i lembi della tenda di suo padre, e vide molti alfieri dei Lunac attorno a un tavolo.

Vi erano molti di sua conoscenza. Ser Mance Lagreave, suo figlio Cobb il Gottoso, Patrick Digg, Victor Himme, e Sèregor Maller. Gli altri non li conosceva, non ricordava le loro facce.

Suo padre era nascosto dietro uno di loro, Seth non poteva vedere. Si portò alla sinistra del tavolo e finalmente vide i basettoni enormi di Sèregor Lunac, con il suo cranio pelato e la sua cicatrice che prendeva tutta la fronte. Lord Lunac rivolse un'occhiata torva a Seth e disse, con tono sbrigativo e disinteressato:

«Scusate, miei signori; vi prego di lasciarci soli per pochi attimi.» I vassalli di Sèregor si congedarono e lasciarono Seth con suo padre. «Allora, che vuoi Seth? Ho da fare.» disse, mentre si versava un po' di vino nella coppa. «Sii rapido.»

Gli metteva sempre un certo timore parlare con suo padre, venire fissato e squadrato dalla testa ai piedi...

«Logan vuole mandarmi in prima linea.» Spiegò Seth. «Andrò in contro a morte sicura! Dice che è necessario, ma per cosa?» Suo padre continuava a fissarlo, poi si sedette su una sedia rossa e disse: «Se Logan ritiene opportuno mandarti in prima linea, ci sarà un motivo. Sei forte a cavallo, Seth. Di cosa hai paura ?»

Seth soffocò un impeto di rabbia e appoggiando le mani sulla mappa che era disposta sul tavolo, rispose al padre cercando di sembrare più calmo possibile.

«Lo sai anche tu che i Brambe usano cani come avanguardia! E mi chiedi di cosa ho paura? I mastini ucciderebbero subito i cavalli, cascherei di sella in pochi secondi. E poi, perché ora questa decisione ? Ci sono Mance, Victor o tuo fratello! Più capaci e più esperti, però in prima linea ci devo andare io, che sono tuo figlio e principe della Città dei Zaffiri! Non ha senso! Perchè non posso stare nelle retrovie come sempre? O anche ai fianchi,come Logan!»

In quella frase c'erano tutti i dubbi e le domande che gli erano venute alla mente mentre si dirigeva verso la tenda del padre, che in quel momento lo continuava a fissare. Lo fissava e basta, mentre portava la sua mano sinistra sulle labbra, che toccavano il suo anello di rubino. Un tic di Sèregor: ne aveva molti.

«Te. Sui fianchi.» E fece una pausa. Che significava? Gli dava finalmente l'attenzione che meritava? “Avrò fatto capire a questo vecchio che anche io conto qualcosa ? “

«Mai.» I suoi brevi e stupidi sogni si erano infranti subito. Come aveva potuto pensare che Sèregor avrebbe mostrato un po' di affetto solo ora, in guerra? E non durante tutti gli altri diciotto anni passati al castello?

«Tu sarai in prima linea, con i tuoi uomini personali e la fanteria. Il discorso finisce qui, Seth.» Come poteva essere così crudele? Qual'è l'uomo che manda a morire suo figlio, si chiese Seth.

«Voglio duecento arcieri.» Chiese senza spiegarne il perché a suo padre,ma forse quello non ne era nemmeno interessato.

«Troppi. Te ne darò cento.» poi si alzò dalla sedia, lentamente e fissando Seth. «Ora esci, devo continuare a discutere con gli altri.»

Seth uscì dalla tenda senza dire null'altro, gonfio di rabbia. Logan era lì fuori assieme al figlio di Victor Himme, e gli alfieri di suo padre poco distanti.

«Com'è andata, Seth?» lo schernì suo fratello. «Domani toccherà scrivere alla Città dei Zaffiri che il suo principino è morto?» aggiunse Ramsey Himme.

Non aspettavano altro che Seth sarebbe uscito dalla tenda. Per prenderlo in giro. Logan sapeva quale sarebbe stato l'esito della discussione con Sèregor. Seth sentì il rossore pervaderlo. Le vene parevano scoppiargli. Perse il controllo e si avventò contro Ramsey, caricando a testa bassa. Seth era un mingherlino, Ramsey ancora di più. Ma Logan non lo era. Logan aveva il petto ben sviluppato, da combattente, da soldato. Le braccia che parevano quelle degli eroi, i muscoli in risalto, alto e fiero. Fermò Seth con una mano, scaraventandolo a terra. Fu deriso e umiliato. I due iniziarono a ridere, anche qualche Lord lo fece. Ma le risate di Logan erano immense. Forti, rumorose, grasse. Nessuno si accorse che anche Sèregor era uscito dalla tenda. Il primo a farlo fu Victor Himme, uno di quelli che aveva riso.

«Mi scusi, signore.» cercò di riprendersi quello. Sèregor non aveva detto nulla, le sue occhiatacce lo fecero per lui.

«Lord Himme, suo figlio non dovrebbe essere qui.» rispose Lord Lunac. «Così come te, Logan.»

Sèregor si avvicinò a Logan, a passi pesanti. Logan indietreggiò per un po' il busto, quasi volesse ritrarsi e chiudersi in se stesso. Voleva evitare lo sguardo di suo padre, forse. «Porta il tuo culo e quello del tuo amichetto lontano da qui, Logan. Ora.»

Il suo erede non disse nulla, si limitò a prendere per il braccio il suo amico e a portarlo via, addentrandosi nell'accampamento. Poi Sèregor guardò ai Lord.

Quelli entrarono in fila indiana, lentamente. Quasi come se non volessero svegliare il drago dormiente. Una volta che fossero tutti dentro, Sèregor volse il suo sguardo a terra, incrociando quello di Seth. «Alzati, oggi mi hai ricoperto di abbastanza vergogna.»

 

L'accampamento era un rosso fuoco continuo,simbolo dei Lunac. Vide due guardie che si azzuffavano, poi passato quel cortile altre tre che si esercitavano, mentre un cinghiale ruotava sulla brace. Non aveva voglia di far nulla, entrò nella sua tenda e chiese a Illyn di preparargli una cena leggera, e poi gli disse ciò che avrebbero fatto domattina.

«Ti voglio fresco e riposato, domani. Saremo in prima linea, assieme alla fanteria.»

Il volto del giovane scudiero si rabbuiò. Aveva paura della morte.

Seth si addormentò cercando di pensare alla sua Città. Cercava di ricordarsi qualche amico, ma si rese conto, forse per la prima volta nella sua vita, che di amici non ne aveva mai avuti. Ser Mandon, Ser Gregor, Ser Moat, David, Cesar e tutti gli altri, probabilmente parlavano con lui solo per ottenere favori, o perché un Lunac amico era sempre meglio che avercelo nemico. Solo Alissa era sincera, forse. Lei..lei era diversa da suo padre e da Logan. Non era senza cuore. Lei ne aveva anche troppo.

Mentre scivolava nel sonno, Seth si ricordò di quando cavalcava assieme a Logan fuori dalla Città. “Portalo in giro, fagli vedere cosa dovrà proteggere, un giorno.” aveva detto Sèregor a Logan. E Logan lo fece. Portò Seth fuori dalla Città dei Zaffiri, a cavallo. Logan aveva diciotto anni, Seth quasi quattordici. E fu lì che lui si rese conto di ciò che accadeva nel mondo reale. Seth aveva vissuto per anni nell'ovatta, coccolato dalla madre e viziato dal padre. Ma quando vide la desolazione, la povertà, i visi scheletrici, cambiò idea su come giravano le cose. Lui faceva parte di pochi eletti, l'elite della società. Sotto di loro, la gente si scannava per un pezzo di pane. Erano vicini al Bosco della Concordia, quando avvenne il fattaccio. Faceva freddo, e il terreno era coperto di fango, aveva piovuto per giorni e giorni. Solo quando il cielo si diradò un poco decisero di fare quella scampagnata. Seth aveva la sua bella pelliccia di ermellino, con una fibbia dorata a tenere il mantello rosso-nero, con il drago Lunac ricamato sopra. Logan era, se possibile, ancora più sfarzoso. Aveva le sue dita ornate d'anelli d'oro e d'argento, e una collana di rubini che rifletteva la luce del sole. I due si trovavano a chiacchierare, a fare battute, con Logan che dava indicazioni sul sesso per Seth, quando sarebbe venuto il momento. Ogni tanto i due si trovavano a ridere senza motivo, come spesso facevano. La pazzia di Logan non si era mai manifestata prima di allora. Non si resero conto di essersi spinti ben oltre la strada principale.

Un gruppo di uomini armati sbucò da una massa di rovi alla loro destra. Seth non ebbe il tempo di capire nulla.

«Dateci l'oro e vivrete, signori.» dichiarò uno.

Quelli erano una ventina, i due principi più la scorta circa la metà.

«State importunando i principi Lunac, signori.» rispose Logan. «Deponete le armi e consegnatevi, e non soffrirete.»

«Molto bene, allora.» rispose un tizio dei malviventi, sputando a terra. «Il Lord dei Zaffiri pagherà non poco per riavervi.» In quel momento Seth si rese conto dei vestiti degli uomini. Logori, lacerati. Quasi tutti con la barba tagliata male, con i berretti sudici di pioggia e fango. I farsetti erano tutti scoloriti, per chi li aveva. “Forse, se gli offrissimo un po' di pane...”

Ma la loro scorta si mise subito a circondare i due principi, mentre gli uomini iniziavano a tirare le pietre e qualche freccia malandata. Una di esse sfiorò l'occhio di Seth, mentre una pietra prese in pieno l'occhio del suo cavallo. Nella confusione, Seth notò un bambino, più piccolo di lui, dietro i rovi. Doveva far parte dell'agguato, probabilmente, ma alla fine gli era mancato il coraggio. Un fromboliere, forse.

«Caricateli, dannazione!» urlava Logan. I loro uomini eseguirono, partendo a cavallo contro quei briganti. Quelli poco poterono contro gli zoccoli dei cavalli, e le spade affilate di prima mano. Non ne restò quasi nessuno intatto, ma una guardia notò il bambino. Lo prese per i capelli, e quello strillò. Un urlo insopportabile, sembrava glieli stesse strappando. Logan capì subito che il ragazzino apparteneva a quei briganti. L'erede dei Zaffiri smontò da cavallo, stringendo la sua lama ricurva. Gliel'aveva donata Jon Beckett come regalo per la sua maturità, pochi mesi prima. Seth capì cosa voleva fare. Smontò da cavallo anche lui, rischiando di cadere a terra nella fretta. Due uomini tenevano il bambino per le braccia, immobilizzandolo.

«Tenetelo bene. Il ragazzo si ricorderà di questo giorno.» fece Logan, avvicinandosi.

Estrasse la spada. I riflessi violacei la rendevano più che particolare. Era unica al mondo. Prese il ragazzino per i suoi lunghi capelli castani, tirandoli in alto e facendogli esporre il collo nudo. «Oh sì, sono sicuro che ti ricorderai, vero?» gli fece.

Seth gli fermò la mano.

«Che vuoi fare, Logan? E' poco più giovane di me, è un bambino!» lo strattonò Seth.

Logan spinse via con una sola mano il fratello minore, ammonendolo di non provare mai più a fermarlo. Seth non sapeva cosa fare; ma quello era solo un bambino affamato, dannazione!

«Bisogna educarli fin da piccoli...» mormorò Logan mentre la lama iniziava a scorrere pericolosamente vicino alla giugulare.

Fu un lampo. Seth estrasse la sua daga, bloccò il braccio di Logan e fece il movimento per affondare. Ciò che non poteva prevedere, è che Logan spinse in qualche modo il suo corpo in avanti. La daga accarezzò la faccia del fratello maggiore, passando per l'occhio. Logan si contorse a terra, dal dolore. Gli uomini cercarono di calmarlo.

Lo caricarono su un cavallo assieme a una guardia, e lo riportarono al castello.

A Sèregor venne detto tutto. Da quella giornata, Seth non era più un Lunac.

Chi alza le lame contro il sangue del suo sangue, è una bestia immonda.

Così aveva commentato suo padre. Logan non gli parlò mai più come prima, e ci mancò poco che non perse l'occhio. Da quel momento, Seth smise di essere accettato in famiglia.

 

Lo svegliò uno squillo di tromba fortissimo, accompagnato da rumori di armature, spade, uomini che correvano ovunque fuori dalla sua tenda.

Si alzò subito e mise la sua armatura, facendosi aiutare da Illyn che aveva dormito nella sua stessa tenda, vicino all'entrata, su dei cuscini. La sua armatura era molto comoda, argentata con il mantello rosso dei Lunac che di solito era libero e svolazzante, ma quel giorno era meglio non metterlo. Poteva essere un vantaggio per gli avversari.

«Illyn,sella il cavallo e mettiti anche tu l'armatura. Sto dietro la prima linea, dì che voglio arcieri ai miei lati. Ora vola, sii rapido.» Illyn Price sellò il cavallo rapidamente e in modo molto lento e goffo tentò di correre alla prima linea, che era già in parte schierata.

Seth montò sul suo destriero nero, e partì al galoppo verso la prima linea. Superò schiere di cavalieri, di picchieri e lancieri. La prima linea invece, era composta da fanteria armata di scudo e spada, gli arcieri erano già presenti dietro di loro. C'era un spazio vuoto tra loro,quello destinato a Seth. Dalla foresta davanti a loro venivano suoni di tamburi, rumori di uomini marcianti, rami e alberi abbattuti che parevano crollare all'avanzata dell'armata Brambe. E infine, Seth udì cani abbaianti.

Iniziava a intravederli dalla sua postazione, e si voltò verso la collinetta di destra, abbastanza lontana da lui, dove vide suo padre e suo fratello in sella ai loro cavalli che scrutavano la foresta. Aspettava il loro ordine. I versi dei cani erano ancora più vicini, c'erano circa duecento metri tra la prima linea e la foresta, ma suo padre non si decideva. «Uomini! Sudditi dei Lunac!» E gran parte della prima linea, circa cinquecento uomini, si voltarono verso di lui. Non se lo aspettava.

«Siate pronti, i cani sono vicini ! Avanzate compatti e serrati al mio comando. Facciamo loro vedere che la guerra si affronta corpo a corpo,uomo a uomo. Non coi cani!»

Quelli tornarono ad affrontare la scura foresta; c'era chi vomitava,chi imprecava e chi invece era impassibile,temprato da mille battaglie.

«Arcieri! Al mio ordine, fuoco a volontà!»

I cani erano ancora più vicini, poteva vedere rapide macchie nere che si muovevano tra gli alberi. Poi li vide sfrecciare fuori dal groviglio di tronchi e alberi, neri come la morte e velocissimi, mentre i loro versi diventavano sempre più forti. Un urlo si levò all'unisono dall' intero esercito di suo padre Sèregor, come per dire “ Finalmente !“. Seth diede l'ordine, e tutti e cento gli arcieri datogli da suo padre incoccarono e scoccarono le frecce,che colpirono una decina di cani in tutto. “ Che tu sia maledetto Sèregor, se solo me ne avessi dati di più! “

«Ancora!» urlò Seth.

Altre frecce raggiunsero i cani, alcune si piantarono nel terreno,altre li sfiorarono, altre ancora li uccisero. Ne rimanevano altre tre o quattro dozzine. «Fanteria! Avanzate compatti !» Il rumore della marcia era assordante, non era mai stato cosi vicino ai soldati in battaglia. Avanzavano serrati come aveva ordinato,con gli scudi a protezione, assieme a una nebbiolina leggera. L'impatto fu brutale. I cani erano ferocissimi, con le fauci che staccavano pezzi di carne dai colli dei soldati,ma la formazione teneva. Le fiere erano tutte nere, secche e scheletriche, ma dotate di una forza incalcolabile. Lui era proprio dietro la quinta fila, venti-venticinque metri da dove i soldati combattevano contro i cani dei Brambe, codardi, che nel frattempo si erano portati anche loro fuori dalla foresta. Ma perché, ora che ci pensava, suo padre non aveva fatto scoccare altre frecce? C'erano mille arcieri al servizio di Sèregor Lunac,e nessuno di loro aveva fatto partire una freccia, tranne i suoi pochi al comando.

Non poté stare troppo a lungo immerso nei suoi pensieri che un cane, dimenandosi, aveva rotto già tre file assieme a due suoi compagni. Uno di loro venne ucciso, un altro riuscì ad atterrare un uomo prima di essere trucidato e l'ultimo scattò di lato passando da dietro, portandosi a pochi passi dal cavallo di Seth. Il cavallo nitrì, il cane ringhiò e gli si avventò contro. Morse alla gamba, mentre Seth tentava inutilmente di colpirlo con la sua spada, non sufficientemente lunga. Nessuno poteva aiutarlo, altri cani continuavano a gettarsi sulle spade della prima linea. Seth era già finito nel dimenticatoio. Il cavallo caracollò, e Seth fece lo stesso, finendo con la gamba sotto all'animale, urlando di dolore. Era bloccato, il cane era sopra il suo destriero, ringhiando.

Poi un guaito e uno sbocco di sangue. Il corpo della creatura si accasciò sopra il cavallo, a pochi centimetri dal naso di Seth, che potè sentire il suo alito fetido. Vide degli arcieri sopra di lui, che spostarono la carcassa e poi aiutarono Seth a togliere la gamba sotto il corpo del cavallo. Non si era fatto nulla, per fortuna. Poteva andare molto peggio, poteva rompersi l'osso della gamba o venire divorato.
Ringraziò i suoi arcieri una volta che fu in piedi, ma si accorse di alcuni sibili che arrivavano alle sue orecchie. Gli arcieri di suo padre, finalmente, avevano iniziato a tirare.

Non sui cani però, non su quelli che stavano decimando la prima linea. Sull'esercito nemico vero e proprio. Seth si portò più dietro e diede ordine di arretrare serrando gli scudi. Era una ritirata forzata, se anche l'esercito dei Brambe avesse caricato assieme ai cani, Seth sarebbe stato spazzato via assieme a tutto il suo piccolo contingente. Si accorse, durante la ritirata, che i cani non erano molti a essere rimasti in vita. Avevano ucciso un centinaio di uomini ma ormai ne rimanevano in pochissimi, che furono facilmente sopraffatti dai suoi. Pochi secondi dopo, il cielo si oscurò; un mare di frecce si stagliava sopra di lui, pronte a cadere, a trafiggere e a fare vedove. Urlò con tutto il fiato che aveva in corpo. «Al riparo!!» .

Gran parte dei soldati, compreso lui, erano riusciti a ripararsi sotto il loro scudo, ma quelli che non erano stati abbastanza rapidi, o quelli sprovvisti di scudi come gli arcieri, furono trafitti tra urla disumane. Si diede un'occhiata attorno e vide che Illyn non era lì vicino a lui.

Codardo! Menomale che ho preso il mio scudo da solo, altrimenti sarei morto anch'io.“

Non fecero in tempo a rialzarsi che già l'esercito nemico stava caricando in massa. «Tenete!» Urlò Seth.

Vana speranza, la formazione si ruppe subito mentre altri nemici si aggiungevano a quelli che avevano già caricato, desiderosi di sangue. Un corno risuonò da lontano, vide di sfuggita i cavalieri di suo padre e lui stesso assieme a Logan scendere dalla collina al galoppo forsennato, alla carica del fianco sinistro dei nemici. Altri fanti, cavalieri e lancieri si gettavano contro il nemico, alla destra e sinistra di Seth. Ma nessuno stava aiutando la prima linea, in netta difficoltà. Seth si gettò nella mischia avvertendo per la prima volta il richiamo del sangue. Trafisse subito un uomo, poi un altro ancora decapitandolo. Lo sventurato non aveva armatura. Poi, un dolore intenso lo pervase dal polpaccio in su. Si girò e vide un uomo con l'armatura Brambe e uno strano simbolo di una qualche nobile famiglia. Un cane a tre teste. Per fortuna l'aveva solo sfiorato.

«Vieni qui,pezzo di merda!» Gli urlò l'uomo mentre alzava l'ascia di ferro verso Seth. Il Lunac rotolò di lato, ma la capriola finì subito contro la gamba di uno dei suoi, e quindi si ritrovò ancora vicino al suo nemico. Nessuno badava a lui, non aveva nemmeno una parvenza di guardia personale. Mentre si alzava, maledicendo Logan tra se e se, riuscì a parare un colpo con lo scudo, ma gli ci era voluta molta forza per alzarsi e allo stesso tempo parare. Lo scudo pesava e l'armatura lo rallentava.

L'uomo era più veloce di lui, forse perché più esperto o più forte fisicamente. Un altro attacco dall'alto era pronto per Seth, che parò con maestria. Il Brambe era stanco, l'ultimo attacco lo aveva lasciato col fiatone. Tentò un ultimo attacco, stavolta lento e impreciso, che si andò a conficcare nel terreno. Seth sentiva la gente dimenarsi accanto a lui, lottando per la vita. Non aveva più pensieri. Girò attorno al nemico come una iena e lo trafisse sul fianco destro. Quello cadde tra le urla di dolore e si accasciò. In quel momento Seth si rese conto di avere il polpaccio dolorante, l'adrenalina del combattimento gli aveva fatto dimenticare il dolore. Non fece in tempo a pensare al dolore che altri due gli erano addosso. Armatura di cuoio, ma pur sempre in due. Il primo lo uccise senza problemi, con un colpo alla gola prima che gli fosse addosso,ma questo diede tempo al secondo che lo aggirò e Seth fece appena in tempo a voltarsi per parare quel colpo diretto alla sua nuca. Era fisicamente distrutto, non aveva avuto nemmeno un attimo di respiro da quando i cani avevano attaccato. Un altro colpo di mazza parato. Poi un altro, e un altro ancora. Seth si ritrovò in ginocchio, senza più forze. La mazza era veramente molto potente, il suo scudo non reggeva più così come il suo braccio. Una lama seghettata spuntò dal torace del Brambe, che si accasciò a terra tra gorgogli di sangue. Un cavaliere aveva tirato la lancia che gli aveva salvato la vita. Portava lo stemma dei Destiryon, un albero nero su sfondo azzurro, e riprese la sua arma andando a caricare altri nemici. Gli alleati di suo padre erano arrivati e la battaglia finì rapidamente. I Brambe si ritiravano, mentre Destiryon e Lunac caricavano a destra e a manca. Seth era salvo, e in fondo lo era anche la sua avanguardia. L'arrivo dei cavalieri Destiryon aveva messo in fuga tutti i fanti nei paraggi compresi quelli che stavano tormentando i suoi uomini.

«Ottima battaglia!» Si congratulò Sèregor Lunac con suo figlio Logan. «Sei stato molto bravo.»

La felicità nella tenda di lord Lunac era palpabile. Non appena entrò vide stuoli di ufficiali, cavalieri e lord vari che bevevano e festeggiavano. Ma tra tutte le urla e gli schiamazzi, la voce di suo padre orgogliosa era l'unica che era riuscito a sentire. O forse l'unica che non voleva sentire. «Un comandante promettente, direi!» esclamava qualcuno.

«Ah, ci sei anche tu,Seth! Vieni qui.» Seth andò, e per poco non crollava a terra per la ferita al polpaccio. Gli doleva moltissimo, poteva sentire il bruciore attraversargli il corpo fino alle membra. Per fortuna era stata già trattata. Logan trattenne una risata alla quasi caduta di Seth.

«Dimmi padre. Sei ferito? Stai bene?» Per un attimo sperò che la risposta fosse positiva.

«Stò benissimo! Non ho un graffio a differenza tua. Ho scritto a tua madre per tutti noi.» Sua madre era l'unico membro della sua famiglia che non lo odiava. L'amava, come una qualsiasi altra madre ama suo figlio. Per Seth era l'unico punto di riferimento, all'epoca. Gli venne alla mente di quando lei, prima che lui e il resto degli uomini partissero per andare contro i Brambe, lo abbracciò talmente stretto che a Seth parevano frantumarsi le ossa della schiena. Il ricordo sfumò subito, quando suo fratello Logan aprì bocca, la sua fetida bocca.

«Siamo tutti vivi,ma il piccoletto ha un taglio. Gliel'hai detto questo a mia madre?»

Sèregor si voltò verso Logan,alla sua destra, senza dire nulla.

«Questo non è affar tuo.» La tenda si ammutolì, tutti fissarono quel duello silenzioso tra suo fratello e suo padre Sèregor.

Finalmente. Finalmente anche Logan capirà com'è crudele nostro padre.“ Una roca risata riempì la tenda, quella di suo padre. La accompagnarono quella di Logan e di tutti gli altri nella tenda di lord Lunac.

Lo sapevo. Non insulterà mai Logan,non lo farà mai.” Decise allora di tentare, per la prima e ultima volta nella sua vita, a elemosinare un complimento da suo padre.

«Hai visto l'avanguardia? Li ho guidati bene. Abbiamo perso qualche valido soldato, ma abbiamo resistito ai cani e all'assalto della fanteria Brambe. »

Il volto di Sèregor si rabbuiò in un lampo. «Non ne sei felice ?» chiuse Seth.

«Puah! Felice dici ? Ma se stavi fermo. Su quel tuo cavallo nero, a dare ordini di qua e di là. Ti sentivi forte,vero? Ringrazia Larse che io e tuo fratello abbiamo caricato i loro fianchi, chè se anche quelli avessero attaccato avrei dovuto scrivere altre cose a tua madre!»

Bastardo. Te la farò pagare un giorno questa insolenza.“

«“Uomini,serrate i ranghi,arcieri pronti!”» Lo scimmiottò suo zio Martin «Com'è che facevi? Dai, ripetilo. Ci siamo tutti divertiti sulla collina mentre urlavi.»

Uno sguardo carico d'odio travolse Seth. Ormai il secondogenito di Sèregor Lunac era furioso, la lingua paralizzata. Se ne andò da quella tenda, tra le risate di tutti. L'avevano coperto di vergogna,umiliato fino all'ultimo. Voleva scoppiare a piangere; non avrebbe nemmeno mai avuto la sua rivincita. Non sarebbe mai stato lord della città dei zaffiri, non avrebbe mai guidato eserciti interi come suo padre o come avrebbe fatto suo fratello Logan. Si allontanò dall'accampamento, andò nella foresta dove lo scontro era stato combattuto poche ore prima e si sedette, con la schiena su un tronco d'albero. Udiva ancora le canzoni dei soldati nelle tende, che festeggiavano per la vittoria. I morti erano stati quasi tutti portati via, ma rimaneva ancora qualche cadavere che non avrebbe tardato ad andare in putrefazione. Chiuse gli occhi e immaginò di essere nel suo castello, dove lo attendeva sua madre a braccia aperte. Poteva sentire il profumo di lei, le lunghe tavolate imbandite di ogni prelibatezza. I suoi pensieri furono interrotti da un rumore di zoccoli ferrati, che pestavano la terra quasi ovunque bruciata. Aprì gli occhi e vide tre cavalieri nobili, che lo fissavano dai loro destrieri.

Sono Brambe o sopravvissuti dei nostri?“ Poi riconobbe l'albero nero dei Destiryon sull'armatura di uno, e i suoi dubbi furono dissipati. Esploratori, forse. L'esercito dei Destiryon si era accampato assieme a quello dei Lunac. Ora l'accampamento era raddoppiato, con miscuglio di tende rosse e neroazzurre.

«Ragazzo,che fai qui ?» gli intimò una voce.

«Mi sto rilassando. Sono Seth Lunac. Lasciatemi in pace, sto bene qui.»

«Voi andate, io resto con questo ragazzino.» Disse uno dei tre. Gli altri due si allontanarono.

E adesso questo che vuole ? Un altro che vuole prendermi in giro?“

«Beh,non dici proprio niente ?» disse il cavaliere. Aveva un'armatura argentata, con un mantello nero e l'elmo a forma di testa di cinghiale. Portava una lancia che doveva essere molto pesante, e pareva fatta d'argento anch'essa. Qualche anno dopo, l'avrebbe brandita il Cacciatore. Era la celebre Lancia d'Argento.

Il cavaliere smontò da cavallo e si sedette accanto a Seth, sull'erba bruciata e appoggiato al tronco. «Si, devo ammettere che si stà bene qui. Ma qualcosa mi dice che non sei qui per rilassarti,vero? Che ti è successo, Seth? Hai perduto qualche valido amico nella battaglia di oggi ?»

Quale amico?” pensò Seth.

«No, non ho perduto nessuno a me caro. Ho avuto una discussione con mio padre e mio fratello poco fa, e me ne sono andato per non arrabbiarmi ulteriormente.»

«Aaah, Sèregor e Logan. » disse il cavaliere. «Si, non sono proprio dei bravi ragazzi. Che resti tra noi, però, mio giovane amico. Anche se forse tu lo sai meglio di me, vero?»

Seth annuì senza dire nulla.

«Avanti,spiegami che ti hanno fatto. » il giovane Lunac scelse di spiegare solo ciò che era accaduto quel giorno, e non le storie di mesi o anni prima. Forse meno gravi, ma sempre umilianti. Era la pecora nera della famiglia.

«Non sei in una buona posizione, ragazzo. Pare che ti odino. Sai, a volte bisogna avere il coraggio di andarsene, di voltare pagina, ecco.»

Non sa in che posizione sono. Non posso prendere e andarmene via così, di botto! Da solo, poi, fino alla Città dei Zaffiri! Il ciccione non mi seguirà mai, e gli uomini non mi faranno mai da scorta volontariamente. E di sicuro mio padre non gli chiederà di farmela.“

«Non posso. Dove potrei andare ? Casa mia è a leghe da qui.» Chiarì Seth.

«Ma è ovvio...» sussurrò il cavaliere. «...vieni con me, no? »

«E voi chi sareste?» lo interrogò guardingo Seth. Il Destiryon si alzò dalla terra, togliendosi l'elmo di cinghiale. Era moro, pieno di capelli e la barba da pochi giorni rasata, con gli occhi di un blu intenso. Poi si tolse il guanto destro ferrato, forse l'unica parte che non era d'argento della sua armatura, e tese la mano a Seth, tirandolo su.

«Sono Lance Destiryon, lord di Castello Grigio e membro del concilio dei Baroni, futuro Protettore del Reame.»

 

Seth era nella Sala del Trono, di spalle a esso come al solito. Il Re non era ancora arrivato, mentre il Cacciatore e Arathon erano già presenti. Gli dolevano le gambe, non aveva dormito molto bene quella notte. All'improvviso, il portone di bronzo si spalancò. Emersero molte figure poco distinte, ma poco dopo il terrore afferrò Seth. Prima o poi sarebbe successo, mancavano pochi giorni al torneo, ma sperava sempre di riuscire a non vedere quella scena. Stuoli di lord, famiglie, servi e principesse si erano riversate nella sala in men che non si dica. C'erano gli Allister,i Destiryon, i Beckett e molti altri. Parevano mancare i Lunac, ma vide l'armatura rossa e i basettoni di suo padre. I suoi non erano lì per lui, ma per inginocchiarsi di fronte a re Vaan.

I passi pesanti di Logan si facevano sempre più vicini. L'aveva visto? Oh sì che l'aveva visto, e anche bene. Di questo Seth ne era più che convinto .

Prima fu il turno di sua madre,che lo strinse forte al petto. Gli era mancato, ci poteva mettere la mano sul fuoco. Iniziarono a scambiarsi qualche parola, mentre Sèregor e il suo erede erano dietro di lei, fissando costantemente Seth. «Ti vedo deperito. Le cucine non sono buone qui?» Che imbarazzo, di fronte al Cacciatore e Arathon poi...

«Tranquilla madre, stò bene. Che notizie porti da casa?» rispose, desideroso di avere una parvenza di famiglia.

Aveva iniziato a sudare freddo e Logan se n'era sicuramente accorto.

«Alissa, fammi salutare mio figlio Seth, ora.» Disse suo padre con la voce dura e severa. Non era cambiato di una virgola, così come Logan. Sul volto di sua madre, invece, iniziavano ad apparire alcune deboli rughe. «Parleremo più tardi allora.» disse Alissa a Seth, strizzando l'occhio. Andò a salutare qualche suo lord amico.

«Seth! Sono due anni che non ti vedo e non mi dici nulla ?» Disse Sèregor.

«Salve, padre. » rispose l'Uomo di Ghiaccio. «E' sempre un piacere rivederti.»

Lord Lunac lo squadrò per un attimo.

«Che c'è, adesso che sei Cavaliere Nero non mi porti più rispetto? Ho sentito un tono di sfida nella tua risposta. Mi sbagliavo,vero?» “E' sempre il solito bastardo.“

«Si, padre. Ti porto i miei ossequi, come sempre.» Sèregor lo squadrò un ultima volta, poi borbottò qualcosa e si allontanò, ricongiungendosi con la moglie. Ora restava solo Logan lì davanti a lui. Strinse l'elsa di Occhio Famelico.

«Non abbracci il tuo fratellone?» Gli disse con la testa all'insù e la sua solita aria di superiorità.

«No, stò bene qui Logan. »

Logan gli si avvicinò e si pose a pochi centimetri dal suo volto. Si avvicinò al suo orecchio e gli sussurrò: «A me non mi incanti, Seth. Ora ti senti importante,vero? Con questa bella armatura nera...Ma tu aspetta che diventerò Lord e te la farò passare io la voglia di sentirti superiore. » gli intimò suo fratello.

«Tu non mi fai paura Logan. Sono più in alto di te, ora.» rispose Seth stizzito. «Vattene prima che ti arresti!» Non era più Seth il reietto dei Lunac.

Era Seth il Nero.

Logan sorrise e stampò un ghigno malefico su quel suo faccione deturpato dalla guerra.
«Te ne pentirai, stronzo. Ti farò bruciare vivo, una volta che sarò lord.»

Seth fece finta di non sentire, ma le parole gli uscirono da sole, come se fosse fuori controllo.

«Come stà la cicatrice? Brucia, eh?» Teneva ancora la sua elsa di spada stretta nella sua mano, più forte di prima. Gli dava coraggio.

Logan reagì. Prese Seth per il braccio, quello con cui teneva Occhio Famelico. Il Cavaliere Nero aveva la cicatrice vicinissimo al suo occhio destro, vedeva l'odio di Logan. Non si era placato negli anni, era diventato ancora più pazzo e bastardo, come suo padre.

«Io ti ucciderò, Seth. Lo giuro su Larse. E tu che hai da guardare, ciccione?» Seth era rosso in viso, il braccio di Logan serrava il suo, la sua spada non era più alla portata. Gli stava stritolando un polso. Realizzò dopo qualche secondo che l'ultima frase era diretta a Arathon, tutto meno che ciccione. Era una montagna, quasi il doppio di suo fratello, ma Logan lo aveva sfidato comunque. Arathon rispose a modo suo. Portò un guanto nero, rapidissimo, alla gola di Logan. E serrò, eccome se serrò. Gli occhi di Logan divennero più rossi,il viso quasi arancione.

«Non osare mai più importunare un Nero.» gli intimò, mentre pareva che gli occhi di Logan potessero schizzare fuori dalle orbite da un momento all'altro. Poi Arathon lasciò la presa. Nessuno si era accorto di quell'affronto ai Lunac, lord e lady di tutto il reame erano intenti a parlare e a inchinarsi, sparpagliati per la sala. Era accaduta una cosa durata un battito di ciglia per gli altri, un secolo per quei tre.

«Tu sarai il primo della lista.» Disse Logan, dopo che ebbe preso respiro. Poi si allontanò a passi svelti.

«Grazie, Arathon. »

«Dovevo farlo. E' veramente uno stronzo tuo fratello. Un uomo senza onore. Perchè non lo squarti vivo al torneo?» Gli chiese Arathon.

«Perchè mia madre non me lo perdonerebbe. » Il Cacciatore aveva visto tutto, ma non aveva fatto nulla. Forse a lui lo divertivano quelle situazioni. «Perché, tu pensi che se capitate contro, lui non ti vorrà uccidere? Glielo si legge negli occhi. Stai attento Seth, su tuo fratello già giravano brutte voci durante la guerra. E non credo che sia migliorato.»

Arathon aveva ragione. Prima di allora, suo fratello non aveva mai minacciato così apertamente Seth. Prima, forse, suo padre lo teneva ancora un pò a bada. Ma ora Logan era cresciuto. Aveva venticinque anni, e sarebbe diventato presto lord. Lo vide in fondo alla sala intento a scambiare gentilezze con due donzelle. Se le sarebbe portate a letto entrambe, sicuramente. Logan ci sapeva fare con le donne. Ci sapeva fare con la spada, con la lancia, col comando. Con tutto. Era l'erede perfetto per Sèregor Lunac.

Invece Seth...beh era Seth. Un figlio quasi dimenticato, poco conosciuto ai più, costantemente messo in ombra da suo fratello. Una vampata di rabbia lo pervase ancora. Strinse più forte l'elsa di spada; ormai era sua abitudine.

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Capitolo 10
*** Venti di guerra ***


Capitolo 10: Venti di guerra

 

 

«Non se ne parla, Fannis. Passeremo per la strada di Iulius, come già stabilito.» Disse Hector a lord Cruwmore, aspramente.

«Ma è una follia! Perché rischiare di essere avvistati già da ora?» Rispose Fannis. «Loro già sanno del nostro arrivo, lord Cruwmore.» Intervenì Cesar. « Ma concordo con te che il rischio di essere avvistati c’è eccome. Ma davvero vale la pena di fare un’altra strada? Quanto tempo perderemo, solo Larse lo sà.» Il lord Cruwmore guardò il comandante, squadrandolo. Erano ormai diversi minuti che si discuteva su quale strada prendere. La Strada di Iulius, in nome del Brambe che riunì il continente centralo sotto Landor molti secoli primi, era sicuramente più semplice.

«Lei ha ragione, mio signore. Ma aggirando queste colline, vede, qui a destra ? » E indicò un punto sulla mappa disposta sul tavolo, a destra delle colline nelle quali vi era la Strada di Iulius.

«Perderemo tempo, è vero, ma nessuno passa di lì. E voi sapete benissimo che poco oltre le colline c’è il castello di lord Karlin, fedele a re Vaan e pertanto nostro nemico. Non vorrei dare battaglia e ritrovarmi i Karlin alle spalle, quando accadrà.» Lord Karlin era un grosso problema. I suoi possedimenti erano piuttosto modesti, ma la sua posizione gli faceva avere un ruolo chiave tra i piani di Cesar. Il suo castello infatti si ergeva proprio all’inizio della strada di Iulius, che andava dal Nord, passava per Lightburg e scendeva giù fino alle Terre Morte.

« Cosa dicono i tuoi esploratori, Robert? » chiese Cesar a Lord Jarvin.

«Non molto, ma sappiamo che ci sono circa cinquecento uomini a difendere la magione. Li abbatteremo facilmente,ma se dovessero mandare un messaggero,o un uccello ad avvisare la corte del Re…perderemo molto, questo è vero. Soprattutto il nostro già risicato effetto sorpresa sarà completamente svanito.»

Robert non aveva torto. Sicuramente altre spie erano state mandate da quella fantomatica setta dell’Occhio Rosso, e Vaan sapeva dell’arrivo di Cesar.

«Hai ragione. Tuttavia, noi passeremo per la strada di Iulius. » disse Cesar.

«Ma…mio signore..» Provò a ribattere Fannis.

«Lasciami finire.» lo interruppe Cesar. «Noi attraverseremo la strada di Iulius. Entro stasera, con una buona marcia, faremo deviazione al castello. Hector, prendi dieci uomini, mandali al castello di lord Karlin come ambasciatori.» Ordinò Cesar.

«Quando devono partire?» Chiese Hector « Adesso. Digli che stiamo arrivando. E che gli facciano capire che siamo venti volte la loro forza: il vecchio sarà costretto a deporre le armi prima ancora di avvistarci.»

«E se manda qualcuno alla capitale? Come facciamo ?» chiese ancora una volta Hector.

«Qui.» Cesar indicò il retro del castello, o almeno il retro rispetto alla loro posizione. «Probabile che manderà almeno tre cavalieri. Prendi arcieri, fanti, cavalieri, chiunque ti serva per fermare i messaggi. Partite tra un’ora. Arriverete molto prima di noi, e vi apposterete in questo boschetto lì vicino. Poi, quando vedrete che noi saremo entrati, e il nostro esercito accampato fuori dal castello, vi porterete sul retro. Uccidete chiunque parta al galoppo. Nessuno vi infastidirà, probabile che Vince porti tutti i suoi uomini all’interno del castello, per cercare di proteggersi.»

Il piano era semplice ma valido. «E poi ? Che dobbiamo fare? » Chiese Maisie Bartevyon.

«E poi facciamo ciò che và fatto.» rispose Cesar.

«Ora radunate gli uomini, tra due ore ci rimettiamo in marcia, anche se è notte fonda, la luna rischiara bene la strada.»

 

E in effetti era proprio così. Non appena uscì dalla sua tenda si stupì del chiarore che permeava il suo accampamento. Cesar non poteva chiedere di meglio. Hector era anche lui uscito dalla tenda,e si dirigeva nel cuore dell’accampamento.

Il freddo si placava man mano che i giorni passavano, man mano che si inoltravano verso Sud, e di questo Cesar ne era ben confortato.

«Il freddo stanca gli uomini,uccide i cavalli e rallenta anche un leone.» Gli disse una volta suo padre Augustus. “Beh,di sicuro li rende affamati.” Pensò Cesar, come se volesse rispondere. ”Stiamo finendo troppo in fretta le scorte. Non voglio arrivare da quel ragazzino con l’esercito decimato.”

Una volta che tutti i generali uscirono dalla sua tenda, lui vi rientrò e si sdraiò sul suo letto. Scivolò nel sonno.

Vide un albero gigantesco, stemma dei Destiryon. Dietro l’albero,si stagliava il drago dei Lunac che aveva le ali nere degli Allister. Il suo leone fu bruciato dal fuoco del drago, e venne trascinato sotto l’albero Destiryon. Cesar sentiva la sua vita che se ne andava, tutto questo mentre radici sbucavano dal terreno e ricoprirono il leone,immobilizzandolo. Poi, il drago gli staccò la testa di netto mentre emetteva un suono ritmato……….

 

……”Trombe! Stanno suonando le trombe!” Fu un brusco risveglio. Proprio mentre aprì gli occhi, Fannis entrò nella sua tenda.

«Mio signore. Dobbiamo andare.» Gli disse.

«Dammi un secondo, Fannis. Gli uomini sono già pronti alla marcia?» Il lord annuì. «Bene. Andiamo, il sonno può aspettare.» Le tende furono smontate rapidamente,mentre gli ultimi soldati spegnevano i fuochi dell’accampamento.

E così si incamminarono, lui e il suo esercito di diciottomila uomini, verso la strada di Iulius e, più precisamente, verso il castello di Vince Karlin. Tirava un vento piuttosto freddo mentre marciavano, e Cesar fu costretto ad avvolgersi il suo mantello intorno. Anche la visibilità era diminuita, la luna era offuscata da pesanti nuvoloni. Lord Cruwmore e Lord Vasder gli cavalcavano affianco, mandando occasionalmente esploratori nelle zone circostanti. Poi, dopo un paio d’ore, videro il castello. Il nero della roccia con cui era stato costruito era lucido e rifletteva quel poco di chiarore di luna che era rimasto. Le torri erano accese, ma non riuscì a scorgere alcun uomo. Il ponte era ancora alzato, dei suoi ambasciatori nessuna traccia. E più si avvicinavano a quella cupa magione, più il timore di Cesar cresceva, anche se non lo dava di sicuro a vedere. “ E se hanno scoperto Hector ? Oppure hanno giustiziato i nostri ambasciatori ?”

 

Venti minuti dopo, quando ormai erano a ridosso della fortezza, il ponte si abbassò. Uscirono dieci uomini, di cui uno portava lo stemma dei Brambe. “Non sono morti, per fortuna.”

Arrivarono da Cesar e l’uomo che portava il vessillo disse: «Mio signore,lord Karlin accetta di trattare con te. A patto che tu entri con cinquanta uomini come guardia. » “Povero stolto. Pensa di ingannarmi.” «Riferitegli che porterò con me duecento uomini,non di meno. Il resto del mio esercito resterà qui fuori, a patto che il ponte resti sollevato. Fategli ben capire che non è in posizione di trattare.»

E i cavalieri ripartirono al galoppo. Tornarono qualche minuto dopo.

“Stavolta spero che Vince Karlin abbia riacquistato il senno” pensò.

«Lord Karlin acconsente, mio signore.» Tutto andava come previsto.

«Fannis, Robert, e Rodrik: prendete duecento degli uomini più fidati e fateli venire con me. Sapete cosa dovete fare.» Il doppio della sua scorta era era lì ad attenderli, appena oltre il ponte levatoio.

«Lord Karlin vi vuole nella sala da pranzo.» Gli si rivolse un omuncolo basso e guercio. « E così sia.» Rispose Cesar.

Smontò da cavallo come tutti i suoi uomini e fu scortato fino alla sala da pranzo.

«Cesar Brambe! Il Re senza terra! » Una voce roca sputò quelle parole non appena entrarono nella sala. Lord Karlin era seduto sul trono, ancora assonnato. «Vieni avanti, Cesar. Ti ricordi di me,vero ?» Disse il vecchio lord. « Mi ricordo,lord Karlin. Potrei avere un tozzo di pane?» La prima cosa da fare era quella. Secondo le leggi dell’ospitalità, offrire da mangiare al tuo ospite e poi uccidere lui o i suoi uomini sarebbe stato un gesto da barbari e a dir poco disonorevole. «E sia. Portate del pane al Brambe. Ma prima dimmi, Cesar, cosa ti spinge fin qui? Che forse vuoi conquistare questo triste e cupo castello ? » Disse Vince Karlin in un mezzo ghigno. Cesar attese qualche secondo per far arrivare il tozzo di pane, e dopo che ne staccò un pezzo prese a parlare. «Non vi preoccupate, non siete tra i miei obiettivi. Tu sai cosa voglio.» Rispose a bocca piena Cesar.

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«Lo ben sò,ragazzo. Ma non ce la farai. E sai perchè ? Perchè ci sarà tutta Landor contro di te.» “Non provare questi giochetti con me.” Pensò Cesar.

«E tu? Anche tu sei contro di me ? Contro il tuo legittimo Re? » Insinuò Cesar.

«Non mi inginocchierò mai di fronte a un uomo che non ha nemmeno un orto da coltivare. Sei libero di proseguire verso Lightburg, ma non aspettarti nulla da me. O te ne vai,o ti faccio sgozzare dai miei figli, qui accanto. » I due accanto al seggio posero le mani sopra le daghe.

Cesar si guardò intorno. I circa trecento di Karlin circondavano i suoi duecento nell’enorme sala da pranzo di Karlin. Doveva essere un piano della fortezza riservato solo a quella sala. «Anche sotto le leggi dell’ospitalità,mio lord ? » lo insultò. « Che persona senza onore. »

« TU! Pazzo megalomane! Non ho alcun riguardo per le leggi dell’ospitalità se lo vuoi sapere!» Rispose il vecchio.

«La penso come te.» Disse lentamente Cesar, scandendo le parole. Fu un lampo. Estrasse la spada,corse assieme a Robert Jarvin verso il trono mentre la sala si riempiva di urla; Lord Jarvin aprì la gola ai due figli a guardia del padre con due rapidi affondi e poi vide il suo sguardo terrorizzato. Lo prese, si voltò verso i due piccoli eserciti e premette la spada sulla gola del lord.

«Uomini Karlin! Arrendetevi e deponete le armi!» urlò.

«Fate come dice!» ordinò lord Karlin, mentre la spada di Cesar iniziava a far scorrere dei piccoli rivoli di sangue dalla sua gola. Gli uomini del vecchio, lentamente, deposero le armi e furono messi agli angoli dagli uomini Brambe. Poi, Cesar, sempre con il lord come ostaggio, si portò al centro della sala. Uno dei suoi fece risuonare il corno che portava legato al collo. Per cinque minuti, nella sala ci fu un silenzio soprannaturale, mentre fuori si consumava un genocidio. Dopo cinque minuti entrarono molti altri Brambe nella sala.

Poi,iniziò il massacro.

Tutt’intorno a Cesar,e al vecchio Karlin, il sangue scorreva a fiumi. Il vecchio singhiozzava, vedeva i suoi uomini, o parenti, nel peggiore dei casi, cadere come mosche e le loro armature inondarsi di un rosso porpora. Una catapulta lanciò, Cesar lo udì molto bene. Poi, un violento scossone alla base della fortezza. E poi ancora urla, ora da fuori, che si accompagnavano a quelle dentro l’immensa sala. Fu allora che Cesar si accorse, con la coda dell’occhio, che uno dei figli di lord Karlin era ancora vivo,ma rantolante. Lasciò andare il vecchio, ormai inerme, e trascinò il ferito fino agli occhi del lord, mentre l’altro figlio veniva decapitato da un lanciere lì vicino.

«Guarda, vecchio, cosa succede a chi mi si oppone.» Il morente fissò suo padre negli occhi,mentre il sangue gorgogliava dalla sua bocca. «Francis!» si disperò Vince, tremolante. «Tu sei un mostro ! Ti avrei lasciato andare! Lo giuro! » urlò il vecchio lord Karlin,che lord già non era più.

 

Cesar estrasse nuovamente la spada, e la puntò al torace di Waymar Karlin, dove aveva già colpito prima. «Non mi interessa,sei un nemico del vero Re di Landor!» E premette contro la ferita, tra le urla del povero figlio di lord Rickard Karlin.

Il massacro nella sala era concluso: Cesar se ne accorse quando i suoi uomini si disposero a cerchio intorno a lui, Waymar e Vince Karlin, che era inginocchiato a pochi palmi dal volto di suo figlio.

«Waymar! Ti prego…» piagnucolò Vince. «Resisti..vedrai..andrà tutto bene. » “Povero vecchio,vittima di una guerra che non lo ha mai riguardato” pensò Cesar.

«Addio, Waymar. Che Larse possa avere pietà di te.» Poi fece calare la sua lama sulla testa dell’unico figlio rimasto in vita di lord Karlin, fracassandogli il cranio e spargendo le cervella. Il vecchio non disse nulla, nemmeno quando lo sgozzarono pochi secondi dopo. Poi Cesar si affacciò da una finestra lì vicino. I suoi stavano ancora urlando, ma la battaglia era già finita da un pezzo. “ Così finisce il piccolo regno di lord Vince Karlin.”

Poi, a passi lenti, si sedette sullo scranno dove vi era il vecchio pochi minuti prima. Dopo poco,il portone della sala si riaprì ed entrarono altri uomini assieme ad Hector. Si inginocchiarono dinnanzi a lui. Un brivido di eccitazione percorse la schiena di Cesar. Ora, seppur modesto, aveva un trono, il Re dimenticato.

Non era il trono che gli spettava,ma era un inizio.

«Allora,Hector..» Chiese. «...quanti hanno perso la vita?» Hector aveva una chiazza di sangue sulla sua guancia e molto probabilmente non era il suo sangue.

« Tre. Li ha mandati tutti insieme. Ora stanno con la testa nel fango, ma quei bastardi erano veloci.»

Cesar non poteva desiderare di meglio. «Ottimo,Hector. Rodrik, abbiamo avuto perdite?»

« Dieci mercenari dei Caballeros mio Re.»

“Dieci perdite contro cinquecento. Non male come bilancio.”

«E sia. Ora fate riposare gli uomini. Che facciano razzie, ma nessuno tocchi i bambini. E nessuno stupri le donne della famiglia di lord Karlin. Ora andate, e portate via i corpi di questi uomini, ora non più nostri nemici.»

La sala si svuotò in pochi minuti tra urli di allegria, pacche sulle spalle e quant’altro. Davvero erano felici? Questa era la prima “battaglia” di Cesar, forse loro erano abituati ad uccidere altri uomini. Ma per Cesar, era diverso.

“E adesso cos’ho,i rimorsi per aver ucciso un traditore?”

«Hector, tu resta.» L’Allister si voltò e si diresse a passi svelti verso il trono.

«Comandate,mio signore.»

« Rimani qui con me.»

Aspettò che la sala si fosse svuotata del tutto, e poi parlò. « Hector,questa era la mia prima battaglia, se così si può definire. Tu cosa provasti la tua prima volta?» Hector non pareva essere sorpreso da questa domanda.

«Soltanto schifo e dolore. Ma poi ci ho fatto l’abitudine. Ero con mio padre, Gregor, e stavamo dando la caccia a dei briganti. Poi, ci tesero un qualcosa che assomigliava a un imboscata mal riuscita.» Hector prese un gran respiro, intuendo i pensieri di Cesar.

«Forse non sei compiaciuto di ciò che è successo stanotte?»

«Lo sono, amico mio. Ma siamo stati tanto bravi quanto crudeli. Ma saprai meglio di me che questo è necessario. » Rispose il Re.

«Lo sappiamo entrambi, mio signore. Questo è un primo passo importante, che ci farà riavere ciò che abbiamo perduto, lo ha sempre detto anche lei.»

«Smettila di darmi del lei, per favore...tu ci tieni molto a riavere ciò che è tuo, vero Hector? » Domandò Cesar.

« Si. Sono il primogenito, bastardo, ma pur sempre primogenito. E non voglio che le terre che mi spettano di diritto vadano a un idiota, che mi dicono anche sia un mediocre soldato.»

Probabilmente stava parlando di Antony Allister, primogenito “ufficiale” della casata Allister, che spodestò il bastardo Hector sin dalla nascita.

«Non tieni proprio a nessuno della tua famiglia, Hector?» Chiese Cesar. Voleva sapere di più, almeno per quella sera, del suo vice comandante.

«Solo alla mia sorellastra Gwen. E’ l’unica che mi comprendeva, l’unica che mi restò vicino nei momenti di sconforto. Da quello che mi ha detto Fannis è stata mandata da mio padre come potenziale sposa del Re. E' un idiota, Gwen io la conosco, e so che non ne sarà stata entusiasta. E poi c'è Alexandra, fu la prima a voler dare l'eredità a suo figlio Antony. Io sarò un bastardo, ma so come si amministra un regno, e come farlo crescere. Non lui.»

In quel momento, un soldato fece capolino dal portone all'altra estremità della sala, interrompendoli. «Mio Re, ci sono visite!»

« Da chi?» chiese Hector.

«Dovete vederlo, sire.» rispose quello.

«Avanti allora, fatelo entrare!» ordinò.

Entrò a cavallo un uomo senza armatura ma con un saio nero, avvolto nel cappuccio,con stivali neri anch’essi. «Chi è costui ?»

«Non lo sappiamo mio signore,ma ci ha dato questa. E rifiuta di parlare. Forse è un messaggero della notte. »

Quello smontò da cavallo e si diresse verso Cesar, non prima di essere perquisito da Hector. Porse una pergamena a Cesar. Il Re la srotolò, curioso.

Al Re di Landor, Cesar Brambe.

Mi trovo costretto a usufruire di questo messaggero della notte in quanto mi è impossibile recarmi da voi di persona.

Vi faccio presente che molti auspicano il vostro ritorno. L’usurpatore è un incapace, indice tornei invece di preparare le truppe per difendersi dal vostro arrivo. Voi siete il legittimo proprietario del trono, e io vi potrei aiutare a riconquistarlo.

Vi posso fornire informazioni, e corrompere anche uomini per aprire i portoni una volta che sarete qui, a riprendervi il vostro titolo. Sò che non vorrete fidarvi di me, ma il messaggero non se ne andrà senza una vostra lettera di risposta, anche se negativa. A questo punto, vi chiederete perché io vi voglia aiutare. Perché se avrete il trono, mi darete tutte le terre Beckett più quelle Lunac.

Non vi chiederò degli Allister, sò che il vostro luogotenente è un Allister bastardo, e vorrà la sua parte. Vi consiglio già da ora di passare per le Grotte Cristalline dopo poche miglia da dove vi trovate ora. E’ un passo mai pattugliato, nessuna torre nè castello a difenderla. Poi, scenderete giù per la gola del Kor, e vi ritroverete a non più di cinquanta miglia dalla Lightburg. Loro si aspettano userete la Strada di Iulius, e hanno già predisposto di fermarvi al Castello di Ghiaccio. I miei ossequi al Re di Landor e governatore della Lightburg.

 

In fede,Vayn Beckett”

 


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Capitolo 11
*** Il torneo ***


 

Il gran giorno era finalmente arrivato. Il torneo era a poche ore,e Gwen era tesissima. Sia suo fratello Antony che i Cavalieri Neri avrebbero partecipato. Si fece preparare da Jorea: ormai tra le due si era instaurata una forte amicizia. Il corsetto quasi le toglieva il fiato, ma era una cosa che doveva sopportare, per apparire più bella e mettere in evidenza il seno. Non che ne avesse molto, ma sua madre le consigliava sempre di tirarlo più su possibile durante i ricevimenti o i luoghi d'incontri.
«Jorea, portami il vestito blu da festa. E' pulito,vero ?» Chiese alla ragazza di colore.

«Certo, mia lady. Ho già sparso il profumo su tutto l'abito.»

«Hai fatto bene, non voglio che puzzi di lavanda.»

indossò il suo vestito blu, con dei ricami bianchi sugli orli, e mise anche la collana che gli aveva regalato Seth qualche settimana prima. Una collana di perle bianche provenienti dal regno di Sante'si.

Gwen uscì dalle sue stanze e si ritrovò Amber Arcadia poco fuori gli alloggi reali, vicino alla porta per uscire dalla fortezza. Odio profondo nacque dalle viscere di Gwen; cercava di tenerlo a bada evitando lo sguardo di Amber. La cosa non funzionò.

«Anche tu a vedere il torneo?» Le disse l' arcadiana dopo averla squadrata con aria schifata.

«Certo, Amber. Non dovrei, forse?»

«Non dovresti con questo abito di seconda mano e queste perle false.»

«Le perle sono verissime, Amber.» Gwen controllava a stento la rabbia, ma decise di passare al contrattacco. «La tua famiglia è arrivata?»

«Certo che sono arrivati.»

«E di grazia, dove sarebbero? Giusto per sapere; sai, la mia famiglia non li ha visti negli alloggi degli ospiti.»

Amber ebbe un esitazione.

«I miei familiari alloggiano altrove. Ovviamente mio padre non si è portato dietro mezza famiglia, quindi non servono ventidue camere come per voi.»

Per un tragico scherzo del destino le due furono costrette a viaggiare assieme fino al luogo del torneo. Il luogo della destinazione era in un piccolo quartiere dietro l'acropoli del Re, in una sezione della città già chiusa giorni prima; con divieto assoluto ai suoi abitanti di uscire di casa il giorno delle giostre per non infastidire i Lord di tutta Landor. Il quartiere era piccolo, ma gran parte di esso era occupato da un grande spiazzo ottimo per i giochi, che veniva usato come mercato quando non c'era un torneo in corso. Trascorsero il viaggio nel carro nel più assoluto silenzio, a tratti sfidandosi con lo sguardo. O almeno, quasi del tutto in silenzio.

«Allora, mia cara, quand'è che ti cresceranno i seni? O sei ancora troppo piccola? No, perché è un patetico tentativo il tuo, quello di provare a risaltarli. Io posso farlo.» Gwen restò stupita. Non si aspettava un insulto del genere.

Fin'ora si erano mosse strategicamente, con tattiche, sorrisi maliziosi, parole ingannevoli. Adesso era guerra aperta.

«Io faccio quello che voglio.» La risposta di Gwen era stupida, e la bionda lo sapeva. Amber non si lasciò sfuggire l'occasione.

«Il Re andrà pazzo per queste bellezze, Gwen. Tu non hai niente di più da offrire.» Ed era la verità. Per quanto Gwen potesse apparire bella, di sicuro i suoi seni non potevano rivaleggiare con quelli di Amber, e soprattutto lei aveva i fianchi più larghi dei suoi, il che voleva dire prosperità e un erede che sarebbe potuto nascere senza problemi. “E' solo una puttana di bassa categoria. Il Re se ne accorgerà,ne sono sicura. “

Arrivarono così al torneo. Un grande spiazzo era separato dalla classica staccionata. Di fronte a esso, il palco del pubblico. C’erano già tutti, mancavano solo lei e la prosperosa mora. Presero i posti a loro assegnati, appena un gradino sotto al soppalco riservato al Re, a sua madre e a qualche ospite prestigioso. Dietro di loro vi erano Seth Lunac e Arathon Kionel. Sorrise a tutti e quattro, e fu incantata dal sorriso di risposta di Caterine Destiryon, radioso come non mai.

“E’ tutta una farsa,oppure gli sono simpatica ?“.

Si sedette tra Ingrid, la sua “amica”,e Amber.

“Avrò accanto questa sgualdrina tutto il tempo? Larse, sii misericordioso..”

Poi squillarono le trombe, tante trombe, e un omuncolo molto elegante, dall’altra parte dello spiazzo di fronte al numerosissimo pubblico,prese parola.
«In nome di Vaan Destiryon, Re di Landor e protettore del Regno,Signore e Governatore della Lightburg, dò il benvenuto a tutti voi, onorevoli lord, al torneo del Re!» Applausi seguirono a quella frase. «Grandi spadaccini e guerrieri da tutta Landor sono giunti qui oggi, per deliziarci con le loro abilità! Che abbia inizio quindi questo gioco, e il primo incontro di oggi sarà…il Cacciatore, Cavaliere Nero, contro Malek Laars, duca di Tempesta Rossa, vassallo di lord Rodrik Price.»

Quel poveretto aveva perso in partenza.

Il Cacciatore era uno dei migliori spadaccini del regno, Malek Laars era stato molto sfortunato. Joceline Price, era figlia proprio di Rodrik. Un uomo barbuto,con i capelli ancora in testa ma consumati dal tempo, quasi scheletrico e si sussurrava anche piuttosto promiscuo. L’opposto di suo padre Gregor.

I cavalieri dichiararono entrambi di voler combattere alla lancia galoppante. Si posizionarono con i loro cavalli, nero per il Cacciatore, marrone scuro per il Laars. Al primo incontro tra i due, il lord di Tempesta Rossa era stato già disarcionato, tra le ovazioni della folla. Il Cacciatore non disse nulla,si limitò a rientrare da dov’era venuto col suo destriero. «Adesso tocca a mio zio. Guarda,si stà già preparando.» La informò Amber.

«Sono sicura che vincerà. E’ stato un buon soldato,da quello che si dice.» Rispose Gwen in modo cortese. Finché erano da sole potevano anche accoltellarsi, ma in presenza delle altre e soprattutto del Re, dovevano andare d’amore e d’accordo.

«Si, lo era. Waymar Arcadia, fratello di mio padre. Combatté con Lance Destiryon anche lui, per annientare Augustus Brambe. Toh,combatterà contro il tuo amichetto!»

“Ma come fà a sapere della mia amicizia con Seth ?”

Gwen non si era nemmeno accorta che Seth era sparito.

Adesso, Waymar Arcadia e Seth Lunac, erano dinnanzi al Re, suo (forse) futuro sposo e marito. Decisero di comune accordo di battersi alla spada. D’altronde la mole di Waymar non era adatta a un incontro a cavallo. Per quanto fosse abbastanza alto da avere un buon bilanciamento, appariva estremamente pesante, e in effetti era piuttosto grasso. La mancanza di guerra, come a suo padre Gregor, forse l'aveva fatto lasciar andare.

«Una volta portava la barba incolta,adesso se l’è accorciata.» commentò Amber.

“In compenso gli si è allargato il ventre,al tuo zio ciccione.”

«Sarà un bell’incontro.» commentò Gwen. «Anche se Seth vincerà, ne sono certa.»

«Certo che vincerà. Gwen, mio zio è solo un uomo grasso. Ma farai meglio a pregare Larse che il tuo amichetto, se è solo un amico come dai a vedere, non incontrerà mio cugino, La Vipera.»

La Vipera era un nome noto alle corti. Figlio di Waymar Arcadia e cugino di Amber. Un pazzo, si diceva. Pazzo quanto temibile, quanto distruttivo in battaglia. Ma tutto gli si poteva dire, meno che non fosse uomo d’onore come pochi. Mai lui tradì la parte per cui stava, nè trattò mai per la pace. E Gwen temeva che davvero potesse incontrarlo, il suo amico Seth.

«E poi mi chiedo..» Aggiunse Amber. «...come puoi essere amica di uno come Seth. Non che ci sia niente di male in lui, ma si dice che il gene della pazzia si trasmetta…»

«Seth è un uomo normalissimo! » Sbottò Gwen, ma cercò di tenere un tono di voce basso per non attirare l’attenzione. «E che ti entri in testa questa cosa, Amber!»

La mora scrollò le spalle e iniziò a guardare il duello, iniziato in quel momento. Seth cercò di farlo durare più a lungo possibile, forse per dare un pò di onore a Waymar, ma la sua superiorità era evidente. Non una volta l’Arcadia lo colpì, ne tantomeno lo sfiorò. E aveva già il fiato lungo. Il Cavaliere Nero decise di chiudere poi quel duello, e toccò tre volte rapidamente, senza sforzi particolari, lo zio di Amber. Il duello si concluse così. E la giornata passò, tra duelli, sorrisi, e chiacchierate varie con Ingrid, a volte con il Re o la regina. Gareggiò anche Vayn Beckett, che sbaragliò anche lui diversi avversari. Non che fossero particolarmente forti, quegli avversari. Finchè arrivò,finalmente,il duello tra due dei favoriti per la vittoria.

«Adesso,mio signori..» Prese ancora una volta parola l’elegante presentatore,avvolto ora in una tunica azzurra e dorata. «Abbiamo un duello memorabile, che entrerà nella storia! Il Cacciatore, Cavaliere Nero, contro Logan Lunac,erede della Città dei Zaffiri e figlio di lord Sèregor Lunac!»

Altri applausi inondarono quello spiazzo lunghissimo. Alla destra di Gwen, dalla tenda Ovest, uscì Logan. La sua armatura era rossa, ed era molto particolare. Pareva fatta di scaglie di drago ripiegate su se stesse con degli inquietanti spuntoni affilati che uscivano orizzontalmente da tutta l’armatura. Il Cacciatore,invece,portava la sua armatura nera. Si inginocchiarono al cospetto del Re, e anche loro scelsero la spada. Si posizionarono a qualche metro di distanza, e dopo l’ordine del Re iniziarono il duello. Logan partì subito alla carica, tentando un affondo con la sua curva spada violacea. Il cavaliere Nero deviò, imprecò, e tentò un fendente a mezz’aria. L’erede di Sèregor Lunac saltò all indietro per evitare, ma ci mancò davvero poco che fosse preso.

“Qualcosa non và. Ci stanno dando troppo sotto,non sembra per niente un duello amichevole.” Un ooh! si levò dalla folla, quando il Nero sfiorò la coscia di Logan, che però contrattaccò subito. Fece calare dall’alto una serie di colpi, ma nonostante mancasse più volte il suo avversario e quindi soffrisse il peso del colpo andato a vuoto, ogni volta riportava la sua spada in alto in un batter d’occhio, pronto a dare altri colpi. Il Nero però pareva avere la situazione sotto controllo. Dopo qualche secondo tentò un attacco in mezzo salto, che Logan riuscì a schivare di poco, e poi ancora un fendente, e un affondo. Il successivo montante fu parato dal fendente dell’uomo con l’armatura di drago. Gwen sentiva Vaan, poco dietro di lei, parlottare e agitarsi.

“Forse lui ha i miei stessi dubbi...”

«Logan è bravissimo!» commentò Amber.

«Ma cosa dici?» ribatté Joceline. «E' meglio il Cacciatore!»

Un clang! risuonò nell’aria. Logan aveva colpito il Cacciatore. Ora erano in parità. Il Cavaliere Nero contrattaccò subito con uno sgualembro che andò a segno. Due a uno per il Cacciatore. Logan balzò di lato, e nel farlo sollevò volontariamente un mare di sabbia tale che il Cacciatore dovette chiudere gli occhi per qualche attimo. Logan ne approfittò subito con un affondo che colpì il Cacciatore, e rotolò di lato per evitare lo sgualembro di risposta. Ma mentre rotolava, da terra, toccò l’armatura alla caviglia del Cacciatore. Quasi impercettibilmente, ma lo fece. E tutti videro.

I due si fermarono. Il Cacciatore era livido in viso, buttò a terra la sua lama e si incamminò svelto e arrabbiato verso la sua tenda, quella Est.

«Ha giocato sporco! Quello è un colpo proibito! » risuonò una voce tra il pubblico. Ma nessuno gli fece eco, forse quel folle non conosceva Logan,o meglio, non conosceva i Lunac.

«Chi osa chiamarmi baro?» Urlò il fratello di Seth. «Chi di voi ?» E si diresse verso la zona dalla quale era provenuta la voce.

«Sei tu? Vecchio bavoso ? O tu, mezz’uomo?» disse strattonando un nano per la maglia.

«Basta così,Logan Lunac!» Urlò Vaan Destiryon. Si era alzato in piedi, fissando il vincitore del duello e serrando la mascella. Seth aveva già la mano sulla sua spada: Gwen notò che era nuova. Logan non rispose, si limitò a inginocchiarsi in silenzio e a ritirarsi nella tenda Ovest.

«Allora, sei ancora sicura che il tuo amichetto sia normale?» le chiese perfidamente Amber. « Spero che non abbia ripreso dal fratellone, il tuo Seth.»

 

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Capitolo 12
*** Alta tensione ***


Antony

 

La folla urlava, ora. Presto sarebbe stato il suo turno. Antony era piuttosto teso, il tabellone aveva designato come suo avversario il principe Logan Lunac. Si diceva fosse un pazzo quanto suo padre, ma ora era tutto diverso. Ora doveva confrontarsi con Il Folle. Mancavano pochi minuti al suo incontro ; nel frattempo, sullo spiazzo, si stavano sfidando alla lancia a cavallo La Vipera, Cèdric Arcadia, e Vayn Beckett, l’Albino. Erano già due volte che le loro lance si incontravano ed erano ancora entrambi in sella.

Antony stava osservando tutto dalla tenda Ovest; vi si era recato piuttosto in anticipo e c’erano ancora gli scudieri e gli equipaggiamenti della Vipera, giustamente. Così osservò, cercò di capire qualche punto debole dei due giostranti. Cèdric era nettamente in vantaggio. Il destriero dell’Albino si stava stancando molto, e lo stesso il fantino. Vayn Beckett non era proprio di erculea prole, e difatti il peso della lancia si iniziava a far sentire. Poi, al terzo incontro tra i due, La Vipera colpì il ginocchio del Beckett, che accusò il colpo. Al quarto incontro, l’Albino fu disarcionato con estrema facilità, e la Vipera passò. Stando al tabellone, se la sarebbe dovuta vedere con Seth Lunac, il giorno dopo.

Antony e Logan, invece, chiudevano quella giornata di giochi. Qualcuno gli toccò la spalla. Si volto e vide i capelli rasati e l’occhio attraversato dalla cicatrice prima di tutto il resto. « Ciao biondino! » Gli disse Logan. « Come và, sei teso? »

« Per niente, Lunac. E gradirei mi chiamassi con un nome,invece di “biondino”. »

« Scusi biondino. Non volevo offenderla. »

Cerca solo di innervosirti, Antony. Non abboccare.

« Beh, almeno io i miei capelli ce li ho. E miei occhi azzurri assieme a loro fanno strage di fanciulle. Tu invece sei pelato e quasi guercio da un occhio. Immagino quale bellezza sarai per la tua futura sposa. »

« Hai la lingua tagliente, giovane Allister. Ma la mia spada lo è molto di più, stai attento. »

«Come osi minacciarmi ?» sbottò Antony. «Stai attento Logan, o avrai guai tra non molto.»

«I guai li avrai tu, te lo garantisco.» Gli rispose il Lunac, che si voltò ed uscì dalla tenda a passi svelti.

Nel frattempo La Vipera stava rientrando nella tenda. Si tolse l’elmo: i suoi corti capelli neri schiacciati e gli occhi neri della stessa tonalità stavano squadrando Antony.

«Questa ancora non è la tua tenda, Allister. Perché sei qui?»

«Volevo solo vedere com’era fatta. Bel combattimento, Cèdric. Davvero notevole.»

« Bah! » Esclamò La Vipera. « L’Albino è un mediocre cavaliere. Ho aspettato prima di buttarlo giù, volevo vedere se davvero non riesce a maneggiare il peso della lancia. E ne ho avuto la conferma. »

La Vipera era un astuto serpente. Ogni volta che Antony e Cèdric si incontravano in qualche torneo, ottenevano entrambi ottimi risultati. Se invece uno dei due mancava all'appello, le loro prestazioni erano poco più che mediocri. La loro rivalità personale era, forse, il simbolo della tensione tra Arcadia e Allister da diversi anni.

«E a che ti serviva saperlo,se posso chiedertelo?» Chiese Antony.

« Curiosità. E null’altro. » Rispose Cèdric Arcadia.

Poi si salutarono, e mentre uno faceva uscire scudieri ed equipaggiamenti, Antony faceva entrare i suoi. Si mise l’armatura, ferro placcato in oro, pesante ma estremamente protettiva. Non voleva rischiare di essere ucciso dal pelato. Prese la sua spada, forgiata nella Città Nevosa, e lo scudo con l’emblema delle ali bianche su sfondo nero della sua casata. Inspirò ed espirò, poi uscì dalla tenda. Un'ovazione lo accolse. Donzelle e popolane parevano aver visto Larse in persona, cercando di avvicinarsi il più possibile per essere poi fermate dall’alta staccionata. Una di loro però la scavalcò e corse verso Antony, prima di essere fermata e scaraventata a terra da una guardia cittadina lì vicino. Dall’altro lato, tutto l’opposto. Logan uscì con la sua armatura rossa,con gli inquietanti rostri che sporgevano ovunque. Il cupo silenzio del lato orientale della giostra si contrapponeva alle urla di quello a ponente dov’era Antony. Entrambi si inginocchiarono di fronte al soppalco del Re.

«Miei amici, che tipo di incontro preferite ? » chiese Vaan, per la dodicesima volta quel giorno.

La spada, voglio umiliarlo.

«Mio signore, io vorrei confrontarmi con il principe Logan alla spada.»

«Accetto la proposta del principe Allister. Ma che sia un duello al primo sangue.» Lo sguardo di Antony si posò su quello di Gwen a pochi metri da lui. Uno sguardo che sua sorella contraccambiò, e che valeva più di mille parole.

Probabilmente stava pensando qualcosa come Non accettare. ti prego!

«Accetto! » Disse spavaldamente.

«E così sia, allora!» Proclamò il Re. «Al primo sangue, miei principi!»

Antony non poteva chiedere di meglio. E probabilmente era così anche per Logan.

L’aria si fece tesa, pesante, cupa. Il sole è sparito, si accorse Antony. La lama del quasi guercio Logan Lunac era irregolare, non dritta ma curva, di un colore bluastro che la rendeva inquietante quasi quanto il suo padrone. Uno di fronte all’altro, tirarono su gli scudi.

Logan aveva un scudo cromato rosso, con il drago Lunac impresso sopra. Antony gli si gettò contro, tentando un affondo e mirando al ventre del suo avversario. Logan parò, e rispose all’attacco; anche quello fu parato dallo scudo di Antony. Iniziarono a girarsi intorno a vicenda, studiandosi. Questo duello non sarà al primo sangue, pensò Antony. Ma all'ultimo!

Caricò un fendente, evitato con un rotolamento da Logan. Quando si rialzò, nonostante fu molto rapido, Antony riuscì a bucare l'armatura del suo avversario all’altezza degli spallacci. Ma il sangue non si vide, anzi Logan pareva non soffrire di quel colpo ricevuto. Logan si portò alla destra di Antony, ancora studiandolo. Cercava un varco nella protezione che lo scudo di Antony creava. Sicuramente, Logan era un grande spadaccino.

Poi, selvaggiamente, Logan iniziò a mandare fendenti a destra e manca, facendo roteare la spada più volte. Antony riuscì a pararli tutti e ad evitare gli altri. Fece calare un attacco dall’alto,ma invece che parare con lo scudo Logan frappose la sua lama ricurva a quella perfettamente dritta di Antony. Voleva uno scontro di forza, ma l'Allister non ce la faceva con una sola mano. Così Antony premette e lasciò cadere lo scudo per imprimere più forza alla sua lama. che sfregava contro quella di Logan, lama che lui teneva con un braccio solo.

«Brutta mossa,biondino!» E con un impeto di forza riuscì a spostare le lame. Antony non aveva più il suo scudo.

L’ha fatto apposta! Voleva che mi liberassi dello scudo!

Era lì accanto a lui, a terra, ma cercare di prenderlo equivaleva a essere trafitto. Non ebbe nemmeno il tempo di pensarci che un attacco di Logan gli arrivava contro; riuscì a parare con la spada. Poi un altro, e un altro ancora, tutti deviati o schivati. Ma la stanchezza si faceva sentire. Si ricordò degli insegnamenti che gli diede suo padre Gregor,da giovane, quando iniziava a maneggiare le spade. Se stai per morire,in battaglia, continua ad attaccare, che il tuo nemico non ti creda mai in difficoltà.

 

E così fece; passò all’attacco, ma fu per pochi secondi. Logan deviò tutti gli attacchi e, mentre parava l’ennesimo fendente di Antony, riuscì a colpire il braccio di Antony con tutta la forza che aveva in corpo. La spada cadde, assieme ad Antony, con il braccio probabilmente fratturato. Logan si mise in piedi di fronte a lui. Alzò la spada,guardò il biondino e la fece calare. Antony sentì il metallo fratturarsi,la maglia di ferro aprirsi e la carne squarciarsi. Una goccia di pioggia si infranse sulla fronte di Antony. Poi, il buio accolse il ragazzo.

 

Seth

 

Il cielo si era rannuvolato improvvisamente, poco prima del duello. Brutto segno, aveva pensato Seth. Il duello però era serrato. Antony riusciva a contrattaccare e a tenere testa a suo fratello Logan. A ogni affondo tentato da Antony il cuore di Seth palpitava, viceversa per Gwen, a giudicare dai suoi sussulti ogni volta che Logan roteava la spada. I due ci stavano dando dentro, troppo dentro. Finirà male, perché questo ragazzino non dice qualcosa? Li faccia smettere, dannazione!

Invece, il Re osservava divertito quel duello. Poi, Seth non seppe dire come, poiché stava guardando Gwen, Logan riuscì a disarmare il biondo Allister. Cadde la spada, cadde Antony. Gwen sobbalzò. L'ultima cosa che ricordò distintamente di quel giorno, in seguito, era Logan che trafiggeva Antony. Le ovazioni della folla si trasformarono in urla di orrore, quando videro il sangue allargarsi a macchia d’olio sul terreno. Gwen svenne, il Re era stupito dall’esito del duello. Poi, come se si fosse reso conto all'improvviso di ciò che era accaduto, urlò.«Circondatelo!»

Seth fu un fulmine. Si precipitò giù a perdifiato e scavalcò la staccionata, Occhio Famelico già sguainata. Altre guardie accorrevano dai lati e Arathon Kionel e Il Cacciatore erano dietro di lui. Il manipolo di uomini circondò Logan, chi puntando la spada chi la lunga lancia. La Lancia d’Argento del Cacciatore era puntata alle parti basse del Lunac. La regina urlò anche lei, dall’alto del soppalco dov’era, a ben debita distanza dall’uomo con la cicatrice sull’occhio. «Come hai osato trasgredire alle regole della giostra ?»

Logan si guardò attorno. Un atto di forza sarebbe stato un suicidio, le lance lo sfioravano ovunque, le spade anche. E davanti a lui, proprio Seth.

«Io non ho trasgredito a nessuna regola, mia signora!» Rispose Logan. «Primo sangue è stato deciso, e questo è effettivamente primo sangue!»

«Che potrebbe essere anche l'ultimo chi lo sa, vero Logan?» commentò il Cacciatore, spostando la lancia sul cuore.

L’Allister era supino, gli occhi chiusi e le gambe divaricate, mentre il suo sangue ancora scorreva.

«Uccidetelo!» Urlò Gregor Allister, come se si fosse svegliato all'improvviso da un brutto sogno.

«Come osi ?!» Gli rispose Sèregor, piuttosto distante dall’omone barbuto che era il padre di Gwen.

«Mi lasci fare a me, mio signore!» Intervenne Arathon, senza staccare gli occhi un attimo da quelli di Logan.

Larse o i Nove Dei, o chiunque abbia potere: fate che Vaan dia l'ordine.

L’ordine che l’Uomo di Ghiaccio tanto agognava, però, non arrivò. Anzi, ancora una volta parlò la regina al posto del Re.

«Portate Antony Allister dal maestro Curter.» ordinò Caterine. «Che venga assistito, e tutti noi pregheremo che abbia salva la vita.» Due uomini tolsero le lance dalla gola di Logan, caricarono il ferito e lo misero su un carro che partì alla volta dell’Acropoli in un batter d’occhio. Gli uomini erano ancora lì,circondando Logan.

«Lasciatelo andare!» Disse all’improvviso Re Vaan. «Ha combattuto trasgredendo ad alcuna regola!» Il silenzio si fece tombale. Logan mise su un ghigno spavaldo. Lentamente, i soldati, compresi i tre Cavalieri Neri, rinfoderarono le loro armi o le spostarono. Nessuno disse nulla.

«Ma questo è un affronto,allora! » Tuonò Gregor Allister, paonazzo in viso. Tutti stavano tornando ai propri posti. Tutti tranne l'Uomo di Ghiaccio,che era ancora lì davanti a Logan,la spada puntata alla gola del fratello. Basterebbe una piccola forza. Qui,sul pomo d’adamo. E addio Logan, addio vigliaccherie, addio pazzo.

«Cavaliere Nero!» Squittì il Re. «Ti ho dato un ordine! Togli la spada dalla gola di Logan Lunac! »

Stavolta ti è andata di lusso, Logan. Ringrazia Larse che abbiamo un incapace sul trono. Seth rinfoderò Occhio Famelico e scavalcò ancora una volta la staccionata. Gwen si era ripresa nel frattempo, aiutata dalle altre lady. Si voltò ancora una volta verso Logan, che ancora lo fissava beffardamente. Poi si mise sul soppalco, dietro al Re come al solito. Quello si voltò verso di lui e gli disse: «Ti avevo dato un ordine, Cavaliere Nero. Tu devi eseguire immediatamente. Non ammetto altre trasgressioni, soprattutto difronte a mezzo regno!»

«Mi scusi mio signore, non ricapiterà più.» rispose sommessamente Seth.

Anche la rabbia di Arathon era cresciuta a dismisura; aveva la mascella serrata e gli occhi ancora puntati sul primogenito di Sèregor, che se ne stava andando verso la sua tenda. Poco dopo, il giullare che aveva presentato tutti i duelli annunciò che la giornata di giostre era finita, e che il primo combattimento di domani avrebbe visto Araton contro Cèdric Arcadia, La Vipera.

 

Qualche ora dopo, Seth si recò dal maestro Curter, dopo che si fosse cambiato e messo in abiti più comodi. Decise anche di portare la sua spada: con Logan nei paraggi non si poteva mai sapere. Fuori dalla porta che conduceva alla modesta stanza del saggio, vi trovò Arathon e Gwen, a testa bassa, e Gregor e Alexandra Allister.

«Maledetto Lunac! » Si alterò Gregor non appena lo vide. «A me non mi incanti sai, con quella farsa! Non mi farai credere che sei diverso da tuo padre e tuo fratello solo perché sei rimasto più a lungo con la spada puntata alla gola di quel cane di Logan!» Seth si aspettava questi insulti, eccome.

«Lord Allister, io…» cercava di borbottare qualcosa, ma senza risultato. Gregor si limitò a squadrarlo, furioso, e poi se ne andò a passi pesanti assieme a sua moglie.

Gwen…» disse a capo chino il Cavaliere Nero. «..io..non sò come scusarmi per quello che ha fatto mio fratello.» Quando Gwen alzò la testa, vide i suoi occhi gonfi come non mai, le lacrime dovevano aver solcato le gote più e più volte. A quella vista, il cuore di Seth si contrasse.

« Seth..» gli si avvicinò Arathon. «Io…capisco perchè mi hai detto di odiare la tua famiglia. » Poche volte Seth Lunac aveva raccontato delle sue vicende familiari al suo amico Arathon, ma ogni volta non erano cose belle.

«Adesso devo andare, ci vediamo più tardi.» Concluse Arathon. Se ne andò più velocemente di Gregor Allister, come se quel luogo, quella porta del maestro della città, emanasse un onda di tristezza ed evocasse brutte vicende.

« Gwen.. » riprese Seth. «Come sta tuo fratello ?» Gwen si appoggiò al muro, prese un gran respiro e poi, singhiozzando, disse: «Il maestro dice che è molto grave, ma che forse non è in pericolo di vita. Adesso ha fasciato la ferita, e l’ha disinfettata..è profonda.»

« Tu lo sai che non sono Logan. Mi hai conosciuto nelle ultime settimane, sai che lo odio.»

«Questo lo so...ma devo farti una domanda. » e lo fissò negli occhi. «Quando la Città fu presa, tu sai cosa fecero i Lunac alla famiglia Brambe, vero? » Dove vuole andare a parare?, si interrogò Seth.

«Si,certo che lo sò. Quindi?»

«Tu..eri con loro quando hanno fatto quelle cose? Hai partecipato a quelle brutalità ?» gli chiese la bellissima bionda, mentre un’altra lacrima faceva capolino dalle sue palpebre. « No. Fortunatamente ero sotto la protezione di Lance in quel periodo, e lui stesso mi insegnò cosa fosse l’onore. Mi disse però quello che fecero. Se ho una colpa, è quella di non averli fermati. Ma non potevo, Gwen.»

Anche gli occhi di Seth stavano per cedere, non poteva vedere quella ragazza in quelle condizioni. Non a causa di Logan. Non a causa del sangue del suo sangue. Sfiorò Occhio Famelico, e questo gli diede sicurezza, gli fece ricacciare dentro quelle lacrime che rischiava di lasciar cadere da un momento all’altro.

«Ti capisco,Seth. Per me..è molto importante sapere che tu non abbia fatto quelle cose.»

«Cavaliere Nero!» Urlò una voce dall’altra parte del corridoio. «Re Vaan ha indetto un concilio straordinario. E’ richiesta la tua presenza.»

« Devo andare; un concilio straordinario è sempre preoccupante. Ci vediamo domani. Pregherò per tuo fratello.»

La fanciulla annuì senza rispondere.

 

Il tavolo che già aveva visto qualche volta era raddoppiato. Ora siedevano Caterine Destiryon, suo figlio il Re, tutti i saggi, i Cavalieri Neri, Sèregor Lunac, Gregor Allister, Waymar Arcadia, Jon Beckett (padre della regina e di Vayn Beckett) e Rodrik Price. Tutti i Lord del regno. Mancano però Lord Karlin e Lord Rackler.

Uno perché sessantenne e con i briganti che continuavano a infestarlo,l’altro perchè, ormai ottantenne, non poteva permettersi un viaggio così lungo. D’altronde i Rackler erano al confine con Cyrith, dall’altra parte del reame. Seth si sedette accanto ad Arathon e al Cacciatore.

«Bene,siamo tutti.» Esordì il Re. «Miei signori, devo parlarvi..di una grave notizia che mi è giunta dal Nord questa mattina,dal castello di Ser Pricet, vassallo di Lord Karlin.» Come,non si parla di Logan e Antony? si meravigliò Seth. Sèregor e Gregor, i due lord, ebbero la stessa espressione di stupore.

«Miei lord, il vostro pari Karlin è caduto. E' stato trucidato assieme alla sua corte e alla sua famiglia, i suoi possedimenti sono ora occupati.» Continuava il Re, abbassando sempre di più la testa ad ogni parola che pronunciava.

«Cosa? Chi ha fatto un così grave affronto?» Sbraitò Waymar Arcadia.

Il Re lo fissò negli occhi. «Cesar Brambe.»

«Ma non era morto anche lui ? » Chiese Arathon a Seth.

«A quanto pare non l’hanno mai preso.» Gli rispose bisbigliando il Cacciatore.

«Miei lord…» disse a bassavoce il Re. «..miei sudditi!» urlò poi, e le voci tacquero.

«Ottomila uomini sono già di stanza al Castello di Ghiaccio, esattamente a metà strada tra noi e il castello di Lord Karlin. Il bastardo di Cesar ne ha diciottomila,forse di più se i vassalli di Karlin gli giureranno fedeltà. Di quanti uomini disponete voi?» continuò Vaan.

«Perché non ci hai avvisato prima?» Gli chiese Sèregor,dandogli addirittura del tu.

«Erano solo voci fino a poco fa ma il messaggero di stamattina ha confermato i nostri sospetti...»

«Nostri?» intervenne Jon Beckett. «Della vostra persona e di chi altri?»

«Del consiglio di Landor, lord Beckett. » rispose freddamente Vaan prima di continuare.

«Fortunatamente il torneo cade in questi giorni, quindi non ho dovuto farvi andare a chiamare ai quattro angoli del reame. Lord Rackler verrà avvertito il prima possibile. Ora ditemi, quanti uomini, signori?»

Non fece in tempo a finire la frase che un altro gran vociare si sparse per tutta la sala. Le voci si coprivano a vicenda, fino a quando Arathon Kionel, con il suo vocione baritonale, non urlò: «Silenzio! Il Re attende una vostra risposta!»

Tutti tacquero, fissando il Cavaliere Nero. Sèregor Lunac aveva in particolar modo uno sguardo sprezzante e disse: «E tu chi sei, contadino, per dirmi quando devo parlare o stare zitto ? Torna a pasciare le pecore.»

Arathon fece come un gesto di chiudersi in sé stesso; poi si alzò, con un leggero tremolìo.

«V-vogliate scusarmi miei lord,ma credo sia meglio che io vada. Seth, dopo passa nelle mie stanze.» Se ne andò nel silenzio, mentre Sèregor si compiaceva tra sé e sé di quello che aveva fatto.

« Miei Lord, » riprese subito Re Vaan, non badando al Nero. «quanti uomini?»

« Cinquemila dei miei. » Rispose Sèregor.

« Duemila dei Beckett al vostro servizio.» disse il lord Beckett

« Duemilacinquecento uomini di fedeli Arcadia per voi, mio signore. » Continuò Waymar Arcadia. Poi cinquecento dei Price, lord pari agli altri solo per titolo dato che possedeva un potere militare pari a zero. Poi tutti gli sguardi si fissarono sul lord di Allister Fortress, Gregor, che ancora non era intervenuto.

«Nessuno dei miei.» disse quello, come in ansia di liberarsi di quel peso.

«Non voglio arrecare offesa a voi, maestà, o ai lord qui presenti. Ma finché non si risolverà la questione tra noi Allister e i Lunac, non voglio condividere nessun mio valoroso soldato con uno dei loro.»

 

“Sono già più di diciassettemila,sufficenti per una battaglia equilibrata.E mancano ancora i Rackler” ipotizzò Seth.

 

«Che cosa vuoi, Allister?» chiese lord Lunac. «Scuse? Oro? Niente di tutto questo avrai, come ha già decretato Re Vaan il duello è stato regolare. Se tuo figlio è un mediocre spadaccino, la colpa è solo tua. »

«Forse tu vuoi allearti con i Brambe come tre anni fà, Lord ? » gli chiese il Re.

Durante la Guerra dei Baroni, Allister, Cruwmore, Vasder, Jarvin, Arcadia e altri lord minori si allearono con il Re Augustus Brambe. Dall’altra parte c’erano i Baroni, capitanati allora da Lord Lance Destiryon, Lord Sèregor Lunac, Lord Jon Beckett,e lord Rickard Karlin. I Rackler, esiliati da Cyrith, presero possesso delle terre dei Trumbolt durante la guerra, infliggendo un grave danno allo schieramento del Re. Poi Lance Destiryon gli diede quelle terre come riconoscenza, e loro adottarono lo stesso motto dei Destiryon, “Onore e Gloria”,aggiungendo “Fedeltà” a quelle due parole.

Gregor Allister, comunque, non rispose a tono. Si limitò a dire che era una follia tornare coi Brambe, ma che esigeva comunque delle scuse ufficiali o un pagamento in terre. Non gli darà nessuna delle due cose, nemmeno sotto tortura.

«Voi siete folle, Allister. Date i soldati al Re, e ne riparleremo a guerra conclusa.»

«Giammai!» Urlò Gregor, battendo un pugno sul tavolo. «Non intendo marciare al tuo fianco dopo quello che è successo, non senza esser stato ripagato!»

«Lord Gregor Allister!» si arrabbiò Vaan, protendendosi in avanti con rabbia, quasi montando sul tavolo. «A Cesar non importa delle vostre stupide discussioni! Voi siete un mio vassallo, e come tale mi darete una parte dei vostri soldati! Così come è sempre stato fin da Iulius e come sempre sarà in questo regno!»

Però, guarda chi tira fuori gli artigli! Commentò Seth dentro di sé.

Gregor sapeva di essere in grande torto. O almeno, lo era con le spade dei Brambe così vicine alla gola del Re.

«Allora da me avrete solo cinquecento uomini, mio signore. » dichiarò, sconfitto ma non distrutto.

«Che nessuno sappia di questa riunione fino a dopodomani, miei lord. » Chiuse Vaan.

Poi il saggio dell’interno bisbigliò con Mason Curter che porse quindi una pergamena al Re, dicendogli: «Mio signore, ci sarebbe anche quella questione del Cavaliere Nero. »

«Ah, si, mi ricordo.» E nemmeno guardò la pergamena. « Ma ho già deciso, Mason. Il Cavaliere Nero sarà il vincitore del torneo.»

« Ma, mio signore, la lista contiene..» Bofonchiò Mason Curter.

«Ho parlato!» Lo interruppe il Re.

« E se fosse un Cavaliere Nero il vincitore del torneo ? » intervenne Seth,uscendo dal mutismo che lo aveva afflitto finora. Il Re lo fissò e poi fece :

« In tal caso,Uomo di Ghiaccio...» E al pronunciar di quel nome, Seth notò una smorfia di disgusto che si dipingeva sul volto di suo padre. «...sarà il primo tra gli altri non-Cavalieri Neri a prendere il titolo. » E se fosse La Vipera ? pensò Seth.

«E se fosse Logan Lunac ?» Chiese il Cacciatore al Re,fissandolo.

« Se vincerà il torneo, Logan sarà Nero! Qualcosa in contrario, Cavaliere Nero?» gli chiese Sèregor.

Il Re tagliò corto,non lasciando al Cacciatore il tempo di rispondere, conoscendo la sua lingua affilata.

« La riunione è conclusa qui, signori. Ci vediamo domattina, per il proseguio torneo. »

Dovranno uscire tutti di senno, se daranno l’armatura Nera a Logan. Così i Lunac avranno ancora più potere…

 

Seth prese a imprecare mentalmente fino alle stanze di Arathon. Fece un gran respiro per cercare di smaltire la tensione, aprì la porta ed entrò negli alloggi del suo amico. Erano molto diversi dai suoi, lo aveva notato da sempre. Molto più austeri, angusti, quasi claustrofobici, che stonavano con la possenza di Arathon. I grigi muri di pietrisco sicuramente non aiutavano a dare luminosità a quelle piccole stanze. Arathon era seduto, chino a leggere qualcosa. Seth si avvicinò e riconobbe la copertina. “Le grandi battaglie di Landor”. «Sai leggere?» Gli chiese Seth,leggermente sorpreso.

« Un pò. » rispose la montagna. «Guarda, adesso leggo più veloce di quando sono arrivato qui. La…battaglia…di…Iugius,no Iulius…Brambe…contro..gli…inv…inv…asori dell’Est. Mi sono imparato bene,eh?» gli disse Arathon con un sorriso a trentadue denti. Seth non se la sentì di infrangere i suoi sogni. D’altronde,vedere un gigante come lui piegato per leggere invece che ad arare un campo non si vedeva tutti i giorni

«Si, Arathon, sei migliorato molto.» rispondendo anche lui con un sorriso. Arathon poi si fece serio.

«Ora dimmi cosa hanno detto quei quattro vecchi.»

E Seth gli raccontò tutto. Anche della faccenda del Cavaliere Nero. Il suo amico si fece una grassa risata, cambiando umore repentinamente, come suo solito.

«Tranquillo,domani batto La Vipera e spacco il culo anche a tuo fratello. Ah,guarda che ho comprato oggi! » e si alzò per andare in un altra stanzetta.

« Come,scusa? Non devo duellare io contro La Vipera?» Chiese Seth molto stupito.

«No,hanno deciso poco dopo che te ne sei andato. E’ brutto far incontrare due fratelli alla semifinale, non credi ? » Disse Arathon con un ghigno,mentre cercava qualcosa nell’altra stanza,facendo un gran chiasso. L’ordine non era il punto forte di Arathon.

« Scommetto che li hai convinti tu a fare questi cambi,eh ? Ma perchè ? »

« Ovvio. » Urlò dall’altra stanza il gigante. « Perché se tu batti La Vipera e quel bastardo di tuo fratello mi dovesse battere con uno dei suoi trucchetti,andrete in finale. E lui sarà automaticamente Cavaliere Nero. »

« Ma come hai fatto ad aver architettato tutto prima del consiglio di poco fà? Il Re ha deciso solo stasera questo modo per trovare il Cavaliere mancante. » Domandò Seth sospettoso.

« No, l’ha deciso oggi pomeriggio. Me l’ha confessato mentre La Vipera buttava giù quel maledetto dell’Albino. Tu eri con la testa tra le nuvole…Anzi, stavi fissando il culo di Gwen. Bella ragazza,un pò snob, ma bella. Mi è dispiaciuto per suo fratello.» Rispose il suo amico.

«Non è vero, io non gli fisso il culo. » Seth arrossì un pò, per fortuna Arathon era nell'altra stanza.

«Si, come vuoi tu…L’ho trovata! » Esclamò la montagna. « Guarda con cosa gareggio domani, Seth! » Arathon rientrò nella stanza con uno spadone enorme, alto quasi quanto lui, con una lama larghissima. L’elsa era di ferro nero, con degli spuntoni ai lati.

«E questa dove l’hai presa ?» Seth era meravigliato. Era una spada stupenda.

«Xaos.» disse il gigante. « Ho saputo che hai preso una spada là, della Città Nevosa, me l’ha detto una guardia che ti ha accompagnato. Io però gli spadoni li posso tener su; te sei mingherlino e non ce le fai.»

E scoppiò in un’altra risata. Anche Seth rise. E passarono ore a parlare di tutto e niente, a ridere, e Seth gli imparò anche qualcosa sulla lettura. Ormai Seth ne era sicuro: Arathon era il suo migliore amico. E forse l’unico che avesse mai avuto, fatta eccezione per Lance Destiryon e Cesar Brambe quando era bambino.

 

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Capitolo 13
*** Mantello Rosso ***


 

Il vento soffiava forte. I suoi capelli biondo-cenere si lasciavano cullare dagli spifferi al chiaro di luna. Era una notte fantastica. Vaan indossava una tunica blu e portava una collana d’oro massiccio al collo, con l’albero Destiryon in alto rilievo incastonato. Il concilio straordinario si era concluso da qualche ora. Non andò male, ma Vaan si aspettava più uomini dagli Allister. Ma cosa pretendeva quel barbuto? Che sarebbe andato contro ai Lunac, la casata con l’esercito più grande? Già dalla mattina le cose non si erano messe bene. Logan, figlio di Sèregor, aveva quasi ucciso Antony Allister. Lui se ne accorse qualche secondo più tardi, i suoi pensieri erano altrove. Si rivolgevano ormai solo a Cesar Brambe, che stava calando dal Nord assieme a più di diciottomila uomini, pronto a sgozzarlo e a prendere il trono.

 

Osservava la città dal suo balcone. Grande, bellissima, sterminata. Eppure, si rese conto in quel momento, terribilmente indifesa. Era una scelta giusta affrontare in campo aperto Cesar? O forse era meglio chiudersi nella città? Il suo stocco Destroyer era lì, poggiato sul tavolo accanto al suo letto. Lo avrebbe usato in battaglia tra non molto. Eppure, era spaventato. Non voleva perdere il trono. Non voleva perdere tutto. “Meglio non pensarci ora. Alexya mi tirerà su di morale”. Bussarono alla porta. Rientrò in camera e ordinò di entrare. Sull’uscio, Alexya e il Cacciatore, che disse:

«Eccoci, mio Re. Vi lascio soli.» Fece un inchino e chiuse la porta, dopo che Alexya fosse entrata. «Cos’hai, tesoro?» Gli chiese.

«Niente..Problemi del reame, nulla che sia alla tua portata.» Rispose poco convinto Vaan.

«E..posso farteli passare ?» E mise la sua mano nelle parti intime di Vaan.

«Forse.» Gli rispose, mentre appoggiò le sue labbra a quelle della ragazza. I capelli della rossa odoravano di un qualche profumo proveniente da una città del Sud. I suoi capezzoli erano già turgidi, e Vaan ci giocherellò un pò con le dita mentre continuava il bacio appassionato. Si abbandonarono a una notte di sesso sfrenato.

 

 

Aprì gli occhi che era ancora buio. Alexya dormiva, con un braccio sopra di lui che scostò delicatamente per non svegliarla. Prese una sedia e la portò sul balcone, prese il libro che ormai leggeva da alcune settimane e iniziò a cercare il segno. Una storia banale, di un cavaliere e una dama, che però gli piaceva leggere durante le sue notti insonni, che sopraggiungevano ormai sempre più spesso. Troppi pensieri, troppe paure. Ma ogni volta che incontrava Alexya, e non solo per ciò che succedeva sotto le lenzuola, tutto spariva. Ogni problema,ogni timore dimenticato. Anche solo vederla dormire lo rasserenava. “Ma cosa mi prende, adesso? E’ solo una puttana, non dimenticartelo.” Diceva una voce.

“Ma è bellissima.” ribatteva un’altra. Passò una buona mezz’ora prima che le luci dell’alba si iniziarono a intravedere, con Vaan che era ancora immerso nella lettura. Poco dopo Alexya aprì gli occhi. «Buongiorno!» Le disse, notandola con gli occhi socchiusi.

«Mmmm….buongiorno…» Borbottò Alexya rigirandosi nel letto, assonnata. Si alzò e andò nel bagno. Ovviamente nuda. «Come mai già sveglio ?» Chiese quella ad alta voce. Vaan non rispose. Non gli piaceva urlare anche nelle sue stanze, lo faceva già troppo spesso durante la giornata. Aspettò che lei fosse tornata nella camera da letto e poi le rispose che era la sua solita insonnia. «Il mio Re non riesce a dormire, eh? Strano! La nostra notte non ti ha stancato abbastanza?» gli chiese, abbracciandolo da dietro.

«Purtroppo no. Il Cacciatore ti ha già pagato,vero?» le fece Vaan.

«Si,tranquillo. Adesso devo andare,ho un cliente tra un’ora.»

Una vampata percorse l’animo di Vaan.

«Tu non avrai nessun cliente oggi!» sbottò.

«Questo è il mio lavoro, Vaan. Mi piacerebbe dare piacere a un giovane Re piuttosto che alla soldataglia, ma questo è quello che faccio per vivere.»

«Tu oggi non avrai nessun cliente. Pago tutte le tue ore di oggi fino a domattina. Starai qui,nelle mie stanze.» Disse arbitrariamente Vaan.

« Oh,beh…» Un sorriso si stampò sul bellissimo viso lentigginoso della prostituta. «In tal caso…basta che qualcuno vada ad avvertire il mio padrone. »

« Manderò il Cacciatore dopo, stai tranquilla. » Rispose il Re. Poi si ributtarono nel letto, fino a quando non bussarono alla camera da letto.

«Mio Re! Il torneo inizierà tra un’ora,dobbiamo andare. » Urlò il Cacciatore dall’altra parte della porta.

«Calmo, Cavaliere!» Urlò a sua volta Vaan. «Ora mi vesto!» Guardò Alexya, che nel frattempo si era messa seduta a gambe incrociate sul letto.

«E vestiti anche tu.» Disse, sussurando.

«Non voglio che le serve che ti manderò per il pranzo ti vedano svestita.»

«Come desideri..»

In pochi secondi Vaan era pronto. Mise il mantello cremisi, Destroyer al fodero, e uscì dalla porta.

«Dormito bene?» Gli chiese il Nero.

«Non sono stato male, se lo vuoi sapere.» Rispose sorridendo Vaan.

«E lo credo! Quella lì costa un patrimonio...»

«Hai qualche obiezione da fare?» gli fece Vaan infastidito.

«Nessuna, ma il tesoro langue. Basta a malapena per pagare i soldati e le vivande, signore. Dobbiamo tagliare le spese inutili.»

«Cosa?» chiese Vaan piuttosto sorpreso. «Fino a poco tempo fa era tutto apposto!»

«Ha detto bene, fino a poco tempo fa.» rispose il Cacciatore mentre svoltava a destra, verso il cortile. «Mantenere le famiglie a corte costa, e tra poco costerà il quadruplo dato che arriveranno uomini in arme da tutto il regno.»

«Non mi interessa, Cavaliere.» si impuntò il Re. «Trova quei soldi per la ragazza.»

 

Furono tra i primi ad arrivare al torneo. Le nubi erano minacciose, come pronte a scaricare un torrente d’acqua inarrestabile. Il sole era completamente svanito. Sua madre Caterine era l’unica nobile presente, assieme a suo fratello Vayn.

“Eccoli quà, gli odiosi.”

«Buongiorno madre, buongiorno zio.» Gli fece, sorridendo a trentadue denti.

«Buongiorno Vaan. » Rispose l’Albino. «Quante puttane ti sei fatto stanotte ? Sorridi decisamente troppo.» s'introduesse Caterine.

Vaan non disse nulla. Preferì sedersi sul suo seggio e iniziare a parlare con l’Albino. Per quanto fosse una persona detestabile, era sempre meglio di sua madre.

«Allora, ho saputo di Cesar. E’ vero che Allister e Lunac sono ai ferri corti?»

“Ma come fà questo mostro a sapere tutto ? Avevo dato ordini precisi! Che non si parlasse fino a domani di questa riunione! Dannazione!”

«E tu come sei a conoscenza di queste notizie, zio?» Gli chiese Vaan fingendo noncuranza, guardando altrove.

«Sveglia,bamboccio.» Lo rimproverò ancora una volta sua madre. «Vayn è mio fratello e figlio di lord Beckett, e sia io che mio padre eravamo presenti al consiglio di ieri sera.»

«Io avevo dato un ordine preciso! Non doveva uscir fuori questa notizia.»

« Anche i muri hanno orecchie, nipote. » Intervenne l’Albino. «E' bene che tu lo impari al più presto.»

«Non chiamarmi nipote. Io sono il tuo Re.»

Lo spazio del pubblico si iniziava a riempire. Quel giorno sarebbe stato decretato il quarto Cavaliere Nero, e potevano essere nominati, ormai, solo due nobili. Cèdric Arcadia e Logan Lunac. “ Uno peggiore dell’altro.” Pensò Vaan.

Ma era necessario. Promettere un Nero a una casata rafforzava enormemente le relazioni, e probabilmente era per questo che Lunac e Arcadia, il giorno precedente, avevano reso disponibili più uomini degli altri. I Rackler erano stati mandati a sollevare le leve anch’essi, e a raggiungere la città il prima possibile. Gli armati delle altre famiglie, invece, sarebbero sopraggiunti entro una settimana al massimo.

Il primo incontro era Arathon Kionel contro La Vipera. Si inchinarono sotto al palco del Re. Gwen Allister non era presente, notò Vaan solo in quel momento. Scelsero il duello al primo sangue, l'unico disponibile dalle semifinali in poi. Vi era anche quello all'ultimo sangue ovviamente, ma Vaan non avrebbe mai acconsentito, specie con una guerra così pericolosamente vicina.

«Idiozia pura! Non possiamo rischiare di perdere altri validi uomini!» commentò l'Albino subito dopo la scelta. Il primo sangue, infatti, era sempre rischioso come aveva dimostrato Logan Lunac il giorno prima.

Arathon brandiva un enorme spadone, altissimo e con una lama della larghezza di quasi due mani, mentre La Vipera una più modesta spada. Ma non bisognava sottovalutare quel serpente. Era letale, nonché rapidissimo. Fino a quel momento doveva aver usato solo un terzo delle sue capacità.

Il duello iniziò. Arathon iniziò a far roteare l’enorme lama senza problemi, il suo fisico era gigantesco; non era difficile per lui. A ogni colpo che andava a vuoto, sulla terra, una nube marrone si sollevava. A ogni colpo parato dalla Vipera, il suo scudo cedeva sempre di più. Poi lo gettò a terra, e scavalcò la staccionata che il giorno prima separava i cavalieri duellanti a cavallo.

Amber incitava il cugino. La mora era piuttosto attraente quella mattina. Nulla a che vedere con Alexya, però. Vaan si ridestò dai suoi pensieri quando La Vipera fu colpita alla coscia dal Cavaliere Nero, per orizzontale. Nessun sangue scese dalla pelle dell’Arcadia. Arathon iniziava ad avere il fiatone, quell’enorme spada lo stava stancando. La Vipera ne approfittò,e, agilissimo, si portò alle spalle del Nero con un rotolamento e tentò un fendente. Che ebbe come unico risultato quello di rigare l’armatura Nera. “Non può vincere, quell'armatura è impenetrabile.”

Nulla di più sbagliato. Arathon ormai era lentisismo, probabilmente gli dolevano le gambe e le braccia. Nessun altro avrebbe mai potuto neanche sollevare quella spada. La Vipera rotolò in avanti, e quando si rialzò Arathon cercò di caricare il montante. Ma per prima arrivò la lama di Cèdric Arcadia,che si insediò nell’interno coscia del Cavaliere. Un urlo, poi Arathon cadde su un ginocchio. E il sangue colò. La Vipera aveva vinto con l’agilità.

«E’ stato troppo lento. La forza può poco o nulla contro la velocità.» Commentò l’Albino. E,Vaan dovette ammetterlo, aveva ragione. Per Arathon non si era trattato di una ferita grave,era poco più di un taglietto. La vera ferita era all’orgoglio. Da tempo il contadino sognava di battere i portatori del sangue più blu del regno. Ogni tanto Vaan si confidava con Arathon. Figlio di contadini, non erano il sangue o le sue mani ad esser nobili, ma la sua anima.

 

 

Il prossimo duello era decisamente più interessante. I due fratelli Lunac erano uno di fronte all’altro. Vaan e tutta Landor sapevano che tra i due non correva buon sangue. Estrassero le lame, grigia e diritta per Seth, scura e curva per Logan. In quel momento arrivò anche Gwen Allister, che Vaan fissò in un modo quasi severo e arbitrario. Lei si fermò, tesa e preoccupata. Il re le fece un cenno come per dire “tranquilla, la tua assenza è giustificata”.

La poveretta doveva aver ricevuto un duro colpo per quello che era successo a suo fratello, e Vaan cercò di comprenderla. Seth Lunac baciò la sua spada, dopo averla estratta. Un gesto che Vaan non gli aveva mai visto fare, non con la spada che possedeva prima. Il pomello, con un occhio inciso sopra, pareva tanto macabro quanto la lama affilata. Le prime gocce di pioggia fecero la loro comparsa, silenziose. Aumentarono di numero in brevissimo tempo. Poi, il Cavaliere Nero attaccò. Non aveva mai visto Seth Lunac duellare come allora. Solo contro Logan, Seth sfoderò tutta la sua bravura di guerriero. Continuò ad attaccare il fratello, senza tregua. I suoi colpi che si infrangevano sullo scudo dell’avversario producevano un rumore assordante, che riecheggiava in tutto lo spiazzo. Logan era in difficoltà, i movimenti erano lenti. La terra, infatti, stava diventando una melma marrone, a causa della pioggia che continuava a infuriare. Ma il Nero pareva non risentirne. Anzi attaccò con sempre più foga, mentre suo fratello arretrava. Poi Logan cadde, ma riuscì a tenere lo scudo alzato, fortunatamente per lui. Infatti Seth continuava a colpire, senza sosta, proprio sullo scudo,quasi disinteressandosi dell’avversario. Crang! Crang! I colpi si infrangevano continuamente. Era come se l’Uomo di Ghiaccio dovesse dimostrare la sua forza, e ci riuscì molto bene dal momento che lo scudo del fratello si ruppe in due pezzi. Il drago dei Lunac era stato spezzato in due, mentre a Logan non restava alcun riparo. Agilissimo, balzò all’indietro, ed evitò un colpo mortale. Sotto gli sguardi attoniti di tutti, anche Seth gettò lo scudo.

«Vuole dimostrare che è superiore in ogni caso al fratello.» Commentò Caterine.

Sèregor si agitava assieme al fratello, zio dei due duellanti, in basso. Era nervoso, sua moglie attonita.

Poi, Vaan vide. Per un momento, vide gli occhi di Seth completamente neri, il bianco di questi era sparito, lasciando un colore tenebroso che ricopriva completamente le sue pupille. Fu un attimo, poi tornarono normali. Verdi, come sempre. Vaan era spaventato. «Avete visto ?! Madre,hai visto?» chiese stupito.

«Cosa?» Gli domandò l’Albino.

«Gli…gli occhi di Seth! Erano…diversi!» Rispose il Re con lo sguardo rapito dal duello.

«Io non ho visto nulla,secondo me ti fai troppo trasportare.» Intervenne Caterine. «Cerca di essere più attento.»

No. Vaan era sicuro di ciò che aveva visto. Non poteva essere un’allucinazione, assolutamente.

Il duello tra i due continuava sotto una pioggia torrenziale. Un lampo fece risplendere le due lame all’unisono, in uno scontro che pareva degno delle migliori leggende. Epico ma al contempo terrificante, come le storie sui non-morti che gli raccontava la sua balia da piccolo. Logan si allontanò dalla lama di suo fratello.

«Dai, fallito! Io sono qui! » Gli urlò allargando le braccia in segno di sfida. Uomo di Ghiaccio non rispose, si limitò ad avvicinarsi. Lentamente, ogni passo insozzava i suoi stivali di fango. Teneva la lama abbassata e la testa pure, ma con gli occhi assetati del sangue di suo fratello. Iniziarono a girarsi attorno, lentamente, un passo dopo l’altro. Caricarono insieme il colpo, e le due lame si baciarono, producendo un Clang! assordante. Impressero tutti e due massima forza alle loro braccia. Le due spade produssero scintille rosso fuoco, in completo contrasto con il grigiore della pioggia. Con un colpo di reni, Seth disarmò Logan. Quello rimase immobile, mentre un fulmine cadde a pochi metri dai due. Ci fu un rumore terribile, la folla iniziò ad urlare impaurita.

«Sangue contro sangue! Sacrilegio!» urlava qualcuno.

L' Uomo di Ghiaccio pose la sua spada sotto la gola del fratello. Poi, fece un taglio minuscolo sotto il pomo d’Adamo. Logan era stato sconfitto. I suoi occhi urlavano vendetta. Se ne andò senza dire una parola, furioso. Seth continuava a fissarlo; rinfoderò la spada in un silenzio surreale, e si voltò verso il soppalco del Re.

«Mi ritiro dal torneo.» annunciò inginocchiandosi.

“Dev’essere impazzito! Perché?” Tutto il pubblicò iniziò a borbottare, mentre la pioggia aveva cessato di essere pesante, all’improvviso. Il giullare si alzò subito e si mise davanti al palco del Re, bagnandosi tutto. Chiamò La Vipera, che sorridente si avvicinò, e disse ad alta voce: «Miei lord, mio signore! Con immenso piacere vi annuncio che il vincitore della giostra è Cèdric della casata Arcadia,erede di Waymar Arcadia!» Alzò il braccio del vincitore sotto scroscianti applausi. “Ora è il momento di fare l’annuncio.” pensò Vaan.

«Miei lord!» Urlò Vaan alzandosi in piedi. «Costui, oltre al vincitore del torneo in mio onore, è anche il nuovo Cavaliere Nero!» Altri applausi, ancora più forti,sommersero l’arena del torneo. La Vipera si inginocchiò, Vaan scese sotto la pioggerellina e nel fango assieme a lui e al giullare, e pose il suo stocco sopra la sua spalla. «Ti dichiaro protettore del Reame, della famiglia reale e guardia personale del Re di Landor.» Passò Destroyer sull’altra spalla. « Ora alzati,Cavaliere Nero! » La Vipera si alzò. Vaan dovette mettersi in punta di piedi per baciargli la guancia destra.

«Benvenuto tra i miei fidi, amico.»

La folla scoppiò. Cèdric iniziò a salutare il pubblico, alzando le mani più e più volte. Gli altri lord attoniti, nessuno se lo sarebbe mai aspettato. I Lunac, nonostante le vicende del giorno prima, sbraitavano assieme agli Allister. Poi Waymar Arcadia raggiunse il figlio e quello lo abbracciò. «Sono fiero di te, Cèdric!» Urlò.

Suo padre Lance questo non glielo disse mai. Nemmeno una volta. Mentre osservava i due, che si abbracciavano circondati da stuoli di cavalieri Arcadia festeggianti, sua madre non lo degnava di uno sguardo. Come sempre. Una lacrima si mischiò alle leggere gocce di pioggia che si infrangevano sulle sue guance.

 

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Capitolo 14
*** Il tempio di Cornelia ***


 

Quando aprì la piccola porticina, fu ancora una volta rattristata. Suo fratello non aveva ancora aperto gli occhi. Mason Curter era intento a scribocchiare qualcosa sul piccolo tavolino di legno dinnanzi alla finestra.

«Oh, lady Gwen!» Gli disse, mentre si voltava verso di lei,abbandonando la scrittura. « E’ sempre un piacere rivedervi. »

« Come sta mio fratello? » Chiese Gwen.

« Lentamente, migliora. Ma sono alquanto dispiaciuto di non poterle dire quando si risveglierà. » Rispose il Saggio.

« Capisco…le dispiace se rimango qui per un pò ? »

«Si figuri, lady Gwen. E’ un piacere ospitarla nelle mie umili stanze.» Il suo sorriso aveva qualcosa di sinistro.

La ragazza si sedette ai bordi del letto e iniziò a fissare suo fratello. La chioma bionda cadeva sul cuscino, gli occhi chiusi da giorni, e lei sperava sempre di poter vederglieli aprire. Ma fino a quel momento non era successo. Era da ore tornata dal Torneo, dove La Vipera aveva vinto, un Arcadia. Questo dava prestigio alla famiglia di Amber, un altro problema con cui Gwen avrebbe dovuto fare i conti. Seth si era ritirato, dopo aver umiliato suo fratello di fronte a mezzo reame.

“ Ti proteggerò sempre”. Questo aveva detto Antony, e pochi giorno dopo eccolo lì, quasi morto, su un letto. Gwen sollevò la coperta. Il sangue della ferita si era coagulato, ma di sicuro non era guarita. Un profondo squarcio partiva dal suo fianco sinistro fino al ventre.

«E’ stato fortunato.» Intervenne Mason, mentre notava Gwen alzare le lenzuola.

«Il taglio è stato profondo,ma siamo riusciti a fermare l’emorragia e a pulire la ferita. »

« E io ancora vi ringrazio...» rispose Gwen con un tono afflitto.

«Se mi volete scusare, devo recarmi altrove per una buona mezz’ora. » dichiarò il vecchio.

« Vada pure maestro, resto io con lui. »

 

Il Saggio uscì dalla stanza, e Gwen rimase sola con Antony.

“Cosa ti ha fatto quel bastardo, Antony? Perché ce l’aveva con te?“

Una domanda che si ripeteva in continuazione. Perché era stato così crudele con Antony, e perchè il Re non lo aveva arrestato? Si alzò e iniziò a sfogliare la libreria del maestro, ben fornita e ordinatissima. La sua curiosità fu attratta da un foglio bianco, in alto. Lo prese, non senza fatica, e si mise su una sedia lì vicino, sfogliandolo. Era una pagina di un libro, intitolata “Larse e Esral”.

“Meh, ancora roba religiosa. Mi meraviglio del Maestro, non pensavo fosse anche teologo...”

Di quei tempi, erano rimasti in pochi a credere fermamente in Larse. Con il dilagare del malcostume, con l’avanzare delle guerre, la maggior parte del popolo aveva perso la religiosità, un tempo molto forte in Landor. Dall'altro lato delle montagne, invece, il culto dei Dieci resisteva e perdurava senza essere scalfito.

Gwen iniziò a leggere:

Prima dei draghi, prima dell’oceano, prima del sole, Laen regnava sul mondo. L’uomo non era che un ammasso informe di fango, privo di razionalità, non dissimile dalle fiere.

Laen aveva due eredi, Larse e Esral. Ma Esral era geloso delle attenzione che il padre rivolgeva a suo fratello. Così lo uccise con l’inganno, con un veleno della peggior specie.

Esral si dichiarò Re del mondo, e chiamò il suo regno Landor. Ma suo fratello, nel frattempo esiliato , infuse negli uomini la ragione, e si mise alla loro testa, contro Esral.

Egli creò invece un esercito di non-morti, e fu guerra in ogni dove. Dopo mesi di sangue, alla fine Larse trionfò. Ma, nella sua immensa misericordia , non uccise suo fratello, in quanto non voleva essere un parenticida come lui. Lo esiliò assieme alla sua armata di morti viventi. Esral, però, quando era al termine della sua vita ormai non più infinita, lanciò una maledizione sull’intero regno. Altri non-morti sarebbero nati, dai vivi. Un marchio li avrebbe contraddistinti dai viventi, e un giorno, avrebbero riconquistato il regno , sotto il comando del Prescelto di Esral. Venuto a sapere del terribile sortilegio, anche Larse proclamò un Eletto, un uomo che avrebbe difeso e respinto l’armata morta e ucciso il Prescelto. Poi, continuò a regnare , dall’alto delle stelle, vegliando sull’umanità , a cui aveva dato la ragione e la sapienza, la forza e l’intelligenza.

 

Non era niente di che. Gwen aveva letto versioni più belle, più articolate e scritte molto meglio. Forse quella era una copia molto antica.

La Creazione era sempre un mito che aveva affascinato la ragazza , ma era un peccato non disporre di altre pagine.

Si guardò intorno. La piccola stanza era piuttosto scura di pareti, con un solo lampadario al centro, e il letto dove il quale giaceva Antony attaccato a un muro, a un lato della stanza. Sul tavolo dove il maestro stava scrivendo poco prima, un ammasso di cartacce. Si sedette davanti al tavolo. Si stirò le gambe, piuttosto addormentate. Nel farlo,però,il suo piede arrivò a toccare il muro. Ma non si fermò, anzi, era come se quel mattone fosse stato messo più indietro degli altri. Incuriosita, si inginocchiò a terra, non curandosi di rovinare il bel vestito, e scrutò quel pertugio. Il mattone, come pensava, era stato posto più indietro rispetto agli altri. Niente di più di una svista dei muratori. Un altra cosa, invece, era assai più curiosa. Quando fece forza sul ginocchio per rialzarsi, sentì il legno..strano, come vuoto. Quell’asse scricchiolava non poco. Poi , notò che c’erano dei fogli sotto quella trave. Senza pensarci su un attimo, la sollevò, notando quanto fosse leggera. “ E’ fatta apposta per nascondere qualcosa.”

Quando prese le carte che vi erano all’interno, la prima cosa che la colpì furono le lettere, piccolissime.

Sul momento, non pensò che il saggio potesse leggere. Anche per Gwen era difficile definirle, ma il vero ostacolo era la sintassi. Parole sgrammaticate, frasi scoordinate, a volte anche periodi senza senso. La luce iniziava a farsi tenue dentro la stanza, il tramonto era piombato all’improvviso. Gwen accese una candela, per cercare di decifrare qualcosa dalle misteriose carte.

“Ci dev’esser un metodo, una procedura , un codice che gli faccia acquistare senso a queste frasi.”

Ma niente riuscì a chiarire quei periodi sconnessi. Un rumore di passi dal lungo corridoio riecheggiarono. Doveva essere Mason che tornava. Per fortuna l’asse era ancora scoperchiato, quindi rimise in un battibaleno le lettere e richiuse con tutta la forza che aveva.

Mentre chiudeva il foro, si accorse che nel retro di una lettera vi era impresso uno strano occhio, piuttosto dettagliato e rifinito. Ma non c’era tempo per pensare; finì il lavoro e si rimise sul bordo del letto. Subito dopo, la porta si aprì. Entrò il vecchio, ingobbito, dall’aria stanca. « Bentornato maestro. » Fece Gwen, con molta tranquillità. «Credo sia meglio che io vada, ora. Prendetevi cura di mio fratello.»

Il saggio la ringraziò della visita e della pazienza che aveva avuto nell’aspettarlo per quei minuti. Gwen uscì dalla claustrofobica stanza e si avviò nella sua, praticamente dall’altra parte del palazzo.

Cos’erano quelle lettere? Cosa contenevano? E cos’era quello strano occhio inciso sopra? Non ebbe il tempo di pensarci troppo, perché quando svoltò un corridoio, dall’altra parte vi era Logan Lunac.

Si stava intrattenendo con suo padre Sèregor. «Ma guarda chi c’è, la sorella del biondino! » Disse Logan non appena la vide, seguito da una mezza risata di suo padre. «Io devo andare, Logan.» poi lanciò un'occhiata torva a suo figlio. «Trattala bene, eh?»

«Certo, padre! » rispose Logan.

Non appena Sèregor Lunac girò i tacchi, Gwen fece per andarsene. Per essere poi fermata per un braccio da Logan. Il Lunac glielo stava quasi stritolando.

«Come ti permetti? Tu sei un folle!» Urlò Gwen.

«Sei solo arrabbiata perché ho dato una lezione a quel chiacchierone di tuo fratello. » gli rispose Logan, calmo, mentre teneva ancora il braccio di Gwen ben stretto.

«Tu sei felice a far soffrire la gente!» Urlò ancora la lady.

« E dimmi…» La presa sul braccio di Gwen si fece fortissima. Glielo stava praticamente stritolando. «…ora ti sembro felice?»

Un ghigno malefico si stampò sulle labbra di Logan, che parve quasi allargarsi fino al suo occhio attraversato dalla cicatrice. Poi lasciò la presa.

Gwen si allontanò senza dire una parola, terrorizzata.

 

Decise che doveva assolutamente informare suo padre Gregor di quegli avvenimenti. Arrivò poco dopo nel palazzo degli ospiti, e salendo al secondo piano entrò nella stanza dei suoi genitori. Suo padre affilava la lama in un angolo, e sua madre era a letto, praticamente nuda, leggendo un libro. Sua madre aveva un corpo fantastico, e i capelli ancora più belli dei suoi. Suo padre si voltò solo quando lei era a pochi metri da lui. «Che c’è, piccola? Ho da fare adesso.» Chiese placidamente Gregor Allister.

«Logan…padre, mi ha quasi stritolato un braccio! Guarda!» Gwen scostò la manica del vestito e gli fece vedere un piccolo livido bluastro, all’altezza dell’avambraccio.

«Vedo.»

Gwen si aspettava una reazione furiosa da parte di suo padre, che non ci fu. Gregor si limitò ad assumere un colore rossastro, prima di rivoltarsi verso la lama.

« Ma…padre! » Gli fece Gwen. «Non dici nulla? Non lo fai arrestare?»

« E perchè dovrei farlo?! » Urlò, a voce altissima, lord Allister. Era come se le tensioni che aveva accumulato in quei giorni si fossero riversate in quell’unico urlo.

«Che faccio ? Chiedo al Re di arrestarlo ? E’ più incapace di un eunuco quel ragazzino ! E poi adesso siamo tutti con le mani legate, siamo in guerra! Siamo sotto ricatto, hai capito? » L'animo di Gwen si frantumò.

« Guerra..? » E deglutì. « Guerra…contro chi..?» concluse l’attraente bionda.

«Cesar Brambe è tornato! Il figlio dell’uomo con il quale ci eravamo schierati anni fà , se lo vuoi sapere. Adesso torna, vuole ammazzarci tutti e prendere quel maledetto trono! Ha già preso lord Karlin. E comunque, fosse per me, domani stesso squarterei vivo Sèregor e i suoi figli! Ma dobbiamo stare calmi, prima deve finire questa guerra! Poi i nostri diecimila spazzeranno i Lunac, ma solo allora! »

«Gregor, quanti uomini hai dato al Re?» Chiese sua moglie, che nel frattempo si era messa un vestaglia viola.

«Cinquecento, giusto per rappresentanza.» Rispose suo marito, mentre rinvigoriva il fuoco del camino lì vicino.

«Hai parlato di un ricatto...» lo incalzò Alexandra.

«Ed è vero. Ma non intendo restarci. Siamo una delle tre Sorelle, e intendo impormi. Costi quel che costi.»

Gregor si riferiva alle celebri famiglie che accompagnarono Iulius Brambe nelle Terre Morte. Gli si affiancarono fin da subito. Si trattava dei Lunac, degli Allister, e ovviamente degli Brambe.

Questa serie di notizie aveva sconvolto Gwen. Una guerra alle porte? Così, all’improvviso? E Lord Karlin, già annientato? La situazione era sempre più difficile, giorno dopo giorno.

«Senti, tu invece farai bene a diventare regina, Gwen.» riprese Alexandra, voltandosi verso la figlia. «Tuo padre non vuole altri dispiaceri.» Con tutti gli eventi che erano successi, Gwen si era quasi dimenticata del motivo per cui era alla corte del Re.

« Ci proverò con tutta me stessa,madre. » Le rispose.

Poi tornò alle sue stanze, finalmente.

 

Jorea era lì ad attenderla, sul balcone, fissando le stelle. Appena Gwen entrò quella le rivolse un inchino, e la aiutò a svestirsi. Poi le preparò un bagno caldo, e su ordine della sua signora chiese che la cena le fosse portata in camera. Così Gwen si sdraiò nella vasca, mentre le mani di Jorea scivolavano delicatamente tra i suoi capelli biondi. Aveva un tocco molto delicato, elegante, piacevole. Gwen era totalmente rilassata. Poi arrivò la cena, e la mangiarono entrambe nel letto, ridendo e scherzando.

« Jorea, dimmi , non hai un giovane ? Un fidanzato ? »

La moretta arrossì. E timidamente rispose a lady Gwen. « Si…cioè..non lo so. E’ solo un fabbro lui, però mi piace molto. Secondo te devo dirgli di sposarci ? »

« Certo! Bisogna sempre seguire il proprio amore, Jorea. ! » E in quel momento, Gwen si rese conto che era quello che lei non stava facendo. Non sapeva quale fosse il suo vero amore, ma di sicuro non era Re Vaan. Il destino volle che quella sera, il Re si recasse da lei subito dopo cena.

Jorea la informò della cosa, con Vaan che attendeva fuori come uno sguattero.

Gwen si vestì alla svelta, si diede velocemente un'occhiata allo specchio.

«Come stò?» chiese a Jorea.

«Bellissima, come al solito, mia signora.»

Gwen aveva messo un lucente abito scuro e delle scarpe nere lucide, costavano una fortuna. Gregor si era assicurato che Gwen avesse gli abiti migliori, nonostante le voci sulla sua tirchieria.

Ma il problema non era l'abito. Era lei, con quelle occhiaie e i capelli arruffati.

 

“Beh, suppongo non mi possa rifiutare comunque di vederlo...”

Fece aprire la porta alla serva, e Vaan entrò timidamente, quasi tentennando. Gwen lo attendeva nel piccolo atrio, facente parte delle sue stanze.

«Una visita inaspettata, mio signore..»

Vaan si guardò intorno. «Alquanto inaspettata, piuttosto vero.»

La verità è che, di nuovo, sua madre aveva insistito perché facesse “pressione” su colei che riteneva potesse divenire la sua sposa. Era, invero, strano che lei ancora non si fosse messa in mezzo designando per lui quella dama che era politicamente “vantaggiosa”.

E Vaan riteneva Gwen la più giusta, sia esteticamente che caratterialmente. Joceline lo disgustava, dell'altra non ricordava nemmeno il nome; Amber invece era bellissima, provocante. E Gwen non era sicuramente da meno.

«Andremo da qualche parte, stasera?» chiese Gwen.

«Uhm, sì, probabile...» borbottò il Re.

Gwen notò la sua distrattagine.

«Qualcosa vi turba, mio re?»

«Politica, niente di più milady. Andiamo ora, Seth ci scorterà assieme agli altri Neri.»

Passeggiarono in silenzio fino alle stalle. Seth e gli altri Neri erano già lì, sopra gli animali.

Arathon era buffo, il cavallo pareva quasi sparire sotto la sua mole. Il Cacciatore invece, pareva alto dieci metri.

Si inchinarono all'unisono alla vista del mantello cremisi.

Seth era più avanti, accanto alla porta d'uscita. Gwen fece per montare sul suo cavallo bianco, ma Vaan la fermò, e sempre nel surreale silenzio notturno della fortezza la mise sul suo, con lui alla guida dell'animale.

I tre Neri accesero le torce, e si posizionarono a protezione del Re e di Gwen.

Pareva un sogno: la vita da regina forse non era così male, dopotutto. La luna illuminava tutto il sentiero che procedeva per le spiagge Sambor, a non più di mezz'ora di cavalcata. Sperava stessero andando lì, ma all'improvviso cambiarono strada. Si stavano dirigendo sulla Collina del Conquistatore, una delle tre che componevano l'urbe di Lightburg.

 

La Collina del Conquistatore era dedicata a Titus I figlio di Iulius, conquistatore di Kostea, un tempo anch'essa, come tutti, sotto il dominio di Landor. Quella però era l'unica collina ad essere di fatto fuori dalle mura dalle città, sebbene da diversi decenni si progettasse di ampliare la cinta muraria fino ad inglobarla.

Uno dei tanti progetti falliti di Landor, come quello della riconquista di Vastea duecento anni prima.

Poi vi era un'altra collina, quella su cui sorgeva il maestoso tempio di Maebor VII.

L'ultima era la più piccola ma la più importante, quella dedicata al Iulius Brambe, il Creatore di Regni.

In ogni caso, i quattro cavalli avevano accellerato il passo. Sulla collina del Conquistatore vi erano molte cose da vedere, in effetti. E si fermarono proprio alla più importante, l'altare di Cornelia Arcadia, moglie di Iulius.

Smontarono da cavallo tutti e quattro, ma solo Vaan e Gwen entrarono. I Neri rimasero fuori a far la guardia. Nessuno aveva osato intromettersi tra il Re e la sua dama, nemmeno Seth che pure era tanto amico di Gwen.

 

Fuori dal tempio, si intuiva la sua grandezza. Le sue pareti erano di un marmo bianco, pulito, quasi etereo.

Una volta all'interno, Gwen rimase stupita. Vi era un enorme sala, e al centro di esse una statua di Cornelia che sfiorava il soffitto; saranno stati una ventina di metri. Era maestosa, fiera, indicava qualcosa di invisibile dall'altra parte della stanza con occhi fieri e regali, pieni di saggezza.

Il soffitto del tempio era costellato di zaffiri e smeraldi, tesori ormai dimenticati nelle miniere di Landor, esaurite da più di mezzo secolo.

La statua era stata fatta quando era ormai vecchia, ma l'artista la ritrasse con sembianze giovanili. Non era bellissima, aveva il naso adunco e le labbra non molto carnose, ma Gwen si sentì comunque schiacciata da quell'imponenza. Vaan dovette averlo notato, una volta che fossero sotto a quell'opera magnifica che li opprimeva dall'alto.

«Sì, i primi re amavano le cose enormi, simbolo della grandezza del regno che costruirono. Instancabilmente, giorno dopo giorno, aumentavano la potenza di Landor. E io rischio di perderlo, questo regno.»

Gwen non finse di essere sorpresa.

«Sì, ho saputo, mio re. Il popolo e i nobili vi sono vicini però. Ce la faremo.»

«Ah, ti prego, chiamami Vaan quando siamo soli. Non sopporto le formalità, in privato.»

Gwen sorrise, appoggiò una mano sui calzari di Cornelia, e guardò quel ragazzino più giovane di lei.

«Sei un re particolare, Vaan. La tua austerità mi ricorda molto le storie sugli imperatori di Cyrith.»

«Io austero? Non mi conoscete affatto. Se solo sapeste...»

«Se solo sapessi cosa, Vaan?» sorrise Gwen maliziosamente. Stava andando tutto così bene; era tutto perfetto. La statua, l'atmosfera, il soffitto spettacolare, lui che continuava a darle del voi...

«Riprenderemo questo discorso più tardi, milady.»

Vaan decise che non era saggio raccontargli delle prostitute, e soprattutto dei sentimenti che si facevano lentamente strada nella sua mente su Alexya. Sentimenti pericolosi senza alcun dubbio, specialmente per un re. Specialmente per un re con un esercito alle porte delle terre Sambor.

«Come mai mi avete portato qui?» chiese Gwen, tentando in tutti i modi di portare avanti il discorso ed evitare lunghi silenzi imbarazzanti.

«Avete ricominciato a darmi del voi, vedo! Ma lasciamo perdere; vi ho portata qui perché...ecco..volete la risposta sincera?»

Gwen notò qualcosa di più dell'imbarazzo negli occhi del Re.

«Ovvio, parlate liberamente!»

«Ho portato Amber ieri sera sulle spiagge Sambor, e mi sembrava ingiusto portare anche voi lì. E dato che in città non è sicuro viaggiare, ho scelto il tempio di Cornelia. La cosa vi disturba? Preferivate qualche altra destinazione?»

Gwen morì. Morì dentro, almeno.

La sera prima Vaan era stato con Amber alle spiagge. Alle spiagge!

Le spiagge Sambor erano qualcosa di terribilmente affascinante. Un sogno proibito che Gwen aveva da bambina, quello di farsi il bagno nel Grande Mare.

Si sentì mancare, ma si irrigidì, serrò la mascella e strinse i denti.

«No, assolutamente; va benissimo anche qui.»

«Noto grandi contrasti tra di voi, o sbaglio?»

«Assolutamente, mio Re! Non vi sono dissensi, ve lo garantisco.»

«Non siete abile a mentire, Gwen. Per vostra sfortuna, è una qualità richiesta per essere a corte.»

Vaan si accorse in quel momento di avvicinarsi pericolosamente a ciò che avrebbe detto sua madre in quelle circostanze.

«Ma non vi preoccupate...» aggiunse «Imparerete se sarà necessario.»

Gwen tentennò. Significava che lei sarebbe diventata la Regina?

Vaan si diresse verso la grande balconata che prendeva un lato del tempio, facendo cenno alla ragazza di seguirla.

Il Re poggiò le braccia sul parapetto, scrutando l'immensa città poco lontana. Era così grande, così maestosa, così indifesa. Sicuramente la ReichZitadelle era meno impressionante a livello visivo, ma era praticamente inespugnabile. Vaan avrebbe fatto volentieri a cambio.

«Vi turba Cesar, vero?» chiese Gwen, abbandonando una volta per tutte le maniere cortesi, andando diretta al nocciolo della questione.

«Quel bastardo è già in marcia. Ogni giorno che passa si fa più vicino alle mura. Gli eserciti sono già radunati milady, ma non nascondo di nutrire molti dubbi. Lui è temprato dal freddo e dalla sopravvivenza, io dal vino e dall'ozio.»

La pesantezza d'animo del Re parve passare a Gwen in un lampo. Lei sapeva quale grave peso sulle spalle Vaan portava; e non poteva fare nulla per renderglielo più leggero.

Vaan si voltò verso di lei, sfiorandogli il braccio.

«E' una bella serata, non credete?» chiese il Re.

Gwen sapeva dove Vaan voleva arrivare: nonostante questo, non si tirò indietro, come attirata da quell'affascinante e potente giovane. Si avvicinò ancora di più al volto di Vaan. Era stata ammaliata con mezza serata e non intendeva lasciarsi dei rimorsi.

«Incantevole...» rispose, fissando le carnose labbra del biondo.

«Milady, io mi sento...combattuto.» disse Vaan un po' imbarazzato. Finora aveva avuto solo donne di facili costumi, non gli era mai capitato di stare totalmente solo con una principessa sotto un romantico cielo stellato.

«Lo sono anch'io, mio signore...» rispose quella, pericolosamente vicina alla bocca del re.

Vaan si spinse in avanti, non riuscendo a resistere alla tentazione: le loro labbra si toccarono, fu un turbinio di emozioni per entrambi. Sapevano di stare sbagliando, era proibito in tutte le religioni di avere un qualunque contatto fisico prima del matrimonio, eccetto per la notte prima della cerimonia.

Eppure, non riuscirono a fermarsi, abbandonandosi a un lungo bacio passionale che parve durare in eterno, quando in realtà passarono solo pochi secondi.

Solo quando staccarono le lingue uno dall'altra, si resero conto di ciò che era accaduto. Gwen non sapeva cosa pensare. Aveva commesso un crimine contro Larse, eppure gli era piaciuto così tanto farlo.

Vaan invece già pensava alle conseguenze delle loro azioni.

«Nessuno dovrà mai saperlo, milady. Mai.»

Gwen annuì con la testa. In silenzio i due uscirono dal tempio e rimontarono in sella, con i Neri che parvero intuire ciò che era accaduto. Gwen non riusciva a guardare Seth in faccia e non seppe darsi una spiegazione per quello. Sapeva da tempo che qualcosa in effetti provava per Seth, ma si era resa conto di provarla anche per Vaan. Essere attratta dal Re avrebbe reso tutto infinitamente più facile o più difficile.

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Affari di famiglia ***


«Questo non è accettabile, Seth!» diceva Alissa. «Ti sei ritirato, hai gettato il disonore sui Lunac dannazione!»

«Ho fatto ciò che dovevo, madre. Cèdric sarebbe stato eletto comunque Nero, cosa cambiava?»

«Nessuno si è mai ritirato nella finale del torneo del Re. E tu dovevi per forza farlo, eh?»

Ci mancava solo sua madre dopo la notte appena passata. Seth aveva accompagnato Gwen e Vaan assieme agli altri Neri al tempio di Cornelia, ma una volta che i due furono usciti, un qualcosa dentro la testa di Seth vibrò fortemente; i due erano troppo strani. La sua mente per qualche oscuro motivo si rifiutava di formulare un pensiero coerente, lasciando passare i pensieri dopo pochi secondi.

«Lasciamo perdere, per favore.» proseguì Alissa. «Mi stavi dicendo di Logan...»

«Sì, madre.» riprese il discorso precedente Seth. «E' fuori controllo, ormai. Mi pare ovvio e tu vivi con lui. Cosa gli è accaduto in questi anni?»

«Tuo padre l'ha educato male e non ho paura di dirlo. A casa si comporta bene, perlopiù..Ma appena varca le nostre terre, diventa peggio di un brigante.»

«Si, è Logan dopotutto. Madre, tu sei l'unica persona di cui io abbia fiducia in famiglia e non posso permettere che tu rimanga lì. Vieni qui a corte, te ne prego.»

«Non dire sciocchezze! Sèregor sarebbe capace di rinnegarmi come moglie se solo sapesse di questa tua proposta. No davvero, non posso farlo Seth.»

Almeno il Nero ci aveva provato. Si alzò dalla sedia, si avvicinò alla madre e la strinse al suo petto. L'odore dei suoi capelli era il solito, gli ricordava quella casa che ormai pareva perduta.

«Seth, io non sono una Lunac, non lo sarò mai. E' per questo che sono dalla tua parte. Tu sei migliore di loro, figlio mio.»

E di questo Seth ne era ben certo.

«Ora vai, ci rivedremo presto.» rispose Seth, andando a cercare le sue cose sparse per le sue stanze.

«Dimmi una cosa prima.» lo sguardo di Alissa si fece serio.

Seth gli fece cenno di continuare.

«Ormai sei un uomo, Seth. Ormai dovresti avere imparato ad avere giudizio, cosa che sinceramente non avevi quando Lance ti prese tra i suoi. Ora dimmi, questo leone è pericoloso?»

Seth titubò. Non sapeva se dire la verità a sua madre o dargli un po' più di speranza.

«Lo è, con Vaan che si intromette nelle questioni militari. Io non sono mai d'accordo con Sèregor, ma una volta mi disse che in tempi di guerra il re deve farsi da parte e lasciare il comando a chi sa come vanno certe cose. E Vaan vuole continuare a dettare le strategie. »

«Ho saputo dell'ammassamento al Castello di Ghiaccio. Eppure circolano voci, voci pericolose. Dicono che non faremo in tempo a portare tutte le truppe là.»

«Questo non lo so. E' ancora tutto molto nebuoloso, madre.»

Alissa fece una smorfia di disappunto.

«Ora vado davvero, Seth. A dopo.» e lo abbracciò lei stavolta, con molto fervore.

 

 

 

L’aria era pesante quella mattina. Fare la guardia alle mura dell'Acropoli non era proprio la cosa che gli piaceva fare di più. L’aria era pesante, e fredda. Molto fredda.

Seth aveva battuto Logan al torneo, un momento di goduria che mai prima aveva assaporato. La pioggia che accompagnava le due lame che si sfregavano a vicenda aveva reso il duello ancora più emozionante e la vittoria ancora più bella. Quella mattina Seth si era portato il mantello per ripararsi dal freddo, e delle nubi grigiastre si ammassavano minacciose sopra la Lightburg. Due vedette gli passarono accanto mentre lui completava il giro di ronda. Il mantello non copriva molto, ma era sempre meglio di niente. Aveva scelto proprio quello che gli diede in dono Lance il giorno della sua investitura, un bellissimo mantello nero, lungo fino alle caviglie, con delle pieghe ricercate, che quasi parevano dare una sorta di solidità al mantello intero. Le estremità di quello, invece, erano perfettamente incastrate sotto gli spallacci della sua armatura nera. Seth quasi si pentì in quel momento di non averlo quasi mai indossato prima. Una sferzata di vento gelido gli inondò le guance, già arrossate. Faceva sempre freddo in cima alle mura.

« Hoy, Nero! » una voce lo chiamò da una torre lì vicino. Seth aguzzò la vista. « Vieni qui un attimo! » Senza molta voglia, l’Uomo di Ghiaccio si avvicinò a quella piccola torre, una delle tante che costellavano la cinta muraria dell’ Acropoli. Era La Vipera il poco distinguibile uomo che lo aveva chiamato. Dal naso aguzzo, gli occhi vispi e dei corti capelli neri con una barba nera sfatta, La Vipera era conosciuta per i suoi metodi arbitrari, a tratti crudeli.

Si strinsero energicamente la mano e si sedettero a un piccolo tavolo di legno lì vicino.

« E’ bello vederti, Cavaliere Nero. » Disse La Vipera. « Mi hai fatto vincere il torneo. D’altronde, ora sono un tuo pari, no? »

« Certo, certo… » Rispose poco interessato Seth, con la mente altrove.

« Bene, ho da chiederti una cosa. E voglio che mi tu mi risponda sinceramente. »

« Io non prometto niente. Ma prima fà la tua domanda. »

« Hoy!..Perché ti sei ritirato dalla finale? » Chiese la Vipera, cercando di scrutare lo sguardo di Seth. Lui, di tutta risposta, cercò di evitare quegli occhi curiosi.

« Avevo fatto il mio compito, ecco tutto. Non mi andava più di combattere.»

« E dimmi, il tuo compito era quello di umiliare tuo fratello ? Sangue del tuo sangue? E' un crimine, lo sai? »

« Non ho più niente da dirti. » Rispose meccanicamente Seth.

« Ti faccio le mie congratulazioni e ti rispetto, Cèdric, ma non chiedermi mai più niente sulla mia famiglia. Non sono cose che ti riguardano. » E fece per alzarsi, ma La Vipera gli attanagliò il polso. Seth iniziò a fissarlo nelle pupille. Secondi che parvero decenni. Si fissavano a vicenda in quella piccola torre, mentre qualche guardia si era radunata attorno a loro.

« E’ solo perché ho rispetto dell’ordine a cui ora appartengo che credo sia meglio finirla qui. » Disse poi La Vipera, lasciando Seth.

« Ordine al quale io appartengo prima di te, Vipera, non scordarlo. » Aggiunse l’Uomo di Ghiaccio, girando il mantello e tornando sulle mura.

 

All’ora di pranzo, Seth era nella sala grande assieme ad Arathon e al Cacciatore. Ovviamente erano presenti anche il Re e le sue possibili spose. Caterine Destiryon non era presente. Gwen portava un abito verde lucente, i capelli raccolti dietro con un fermaglio d’argento. Le altre parevano essere invisibili agli occhi di Seth. Verso metà del pasto, Amber Arcadia esordì così.

« Ebbene, mio Re, pare proprio che mio cugino vi farà da guardia personale. E’ al settimo cielo, non vede l’ora di prendere l’armatura e tutto il resto! »

« Confido che Cèdric Arcadia sarà un buon soldato, sì… » Rispose Re Vaan.

« Lo sarà, mio Re. » E mentre disse questo, Amber iniziò a mangiare in modo estremamente provocante, cosa che il giovanissimo Re non potè non notare. D’altronde, a quell’età era normalissimo avere gli ormoni in fibrillazione.

“Una tattica astuta, Vaan ci stà cascando in pieno. Gwen stà perdendo la sua guerra.” Pensò Seth.

In effetti, Gwen, sebbene poteva apparire un pò ripresa dallo choc del fratello, era ancora molto turbata. Se già era difficile per lei provare ad attrarre il Re prima, ora era sicuramente più arduo. Sempre che la sera prima non fosse accaduto qualcosa tra i due.

Arathon si scolava un grosso calice di vino, di cui la metà era finito sul suo collo. Di sicuro il gigante non aveva educazione a tavola, ma era meglio così. Seth non ce lo vedeva composto a tagliare ogni pezzetto di carne con coltello e forchetta. Il Cacciatore, invece, mangiava poco avidamente e silenziosamente. Seth mando giù poco o nulla, avendo quasi sempre lo sguardo fisso su Gwen, che perlopiù tenne la testa abbassata tutto il tempo, ogni tanto scambiando due parole con la ragazza di colore accanto. Un calore improvviso fece sussultare Seth. La gamba destra gli andava a fuoco.

Anzi, la sua spada, nel fodero, andava a fuoco. In un lampo si alzò facendo rovesciare diverse posate dalla tovaglia, cercando di individuare le fiamme. Ciò che vide invece fu il nulla. Tutto normale.

« Che hai, Seth? » Chiese Arathon attonito, così come il resto dei presenti.

« Niente…mi è sembrato di..bruciare! » Borbottò l’Uomo di Ghiaccio di tutta risposta.

« ahr!ahr!ahr! Ti è cascato il brodo sulla coscia,allora! E’ bollente! » Concluse Arathon, per poi scoppiare in un’altra fragorosa risata.

“Devo tornare da Xaos. E’ solo uno scrupolo,ma è sempre chiarire i propri dubbi.” Pensò Seth mentre si risedeva al suo posto.

 

 

 

«Forza! Forza! Veloci! Tra due ore i portoni si chiudono!» Urlava una guardia dal portone, mentre Seth lo attraversava con la sua scorta personale, diretto in città. Era l’imbrunire ormai, e non vi era rimasta molta gente nelle strade. Il tragitto fino alla bottega del fabbro fu relativamente breve. La suddetta, però, era chiusa.

« Popolano! » Intimò Seth a un uomo lì vicino, mentre si caricava sulle spalle un cesto di mele. « Perché il mastro Xaos è chiuso ? »

« Xaos è morto, Cavaliere Nero. Una febbre improvvisa se lo portò via ieri notte, si dice. »

« E tu sai dove abitava il fabbro? » Chiese Uomo di Ghiaccio.

« Si, oltre quel vicoletto a destra. Non farà fatica a riconoscerla, aveva un gran casa quel vecchio! » Rispose il contadino con un pizzico di invidia.

« Prendi. » Seth gli lanciò due monete d’argento. « Andiamo, noi! » ordinò alla sua scorta, partendo al galoppo. Il sesto senso che aveva vibrato la scorsa notte, ora era ancora più forte.

 

In effetti, la casa del vecchio fabbro era piuttosto lussuosa. Con una pittura rosa, era una più che degna villetta a due piani, con dei pinnacoli esotici sui quattro angoli del tetto. Un armato sorvegliava l’ingresso, e si scostò subito senza fare domande alla vista di Seth e dei suoi.

Bussò alla porta. Una gran bella porta, senza dubbio. Era di ferro battuto, resistentissimo, ma la lucentezza faceva quasi ricordare l’argento, e vi erano anche dei dragoni in bassorilievo, di rara fattura artistica. Venne ad aprire una vecchia signora, con l’aria smorta e lo sguardo spento.

« Voi siete la moglie di Xaos, signora? »

« Lo ero, fino a ieri..Ma voi chi siete? » Rispose quella, piuttosto titubante.

« Seth Lunac, signora. Cavaliere Nero e guardia personale del Re. »

« Oh, vi prego! Per carità, i soldi li aveva mio marito, non ho nulla qui!» Pregò terrorizzata la donna.

 

«Signora, i Cavalieri Neri non derubano il popolo. Noi lo difendiamo!» Gli spiegò Seth, cercando di tranquillizzarla.

«Oh si, voi dite così. Ma quell’altro allora doveva essere un falso Nero, perché qualche giorno fà è venuto qui un biondo cercando mio marito per farsi dare i soldi che, diceva, servivano al Re e a Landor. »

«Sicuramente un impostore, signora.» “ O forse no.” «Posso chiederle qualcosa su suo marito?»

«Prego, prego. Entri pure.» Rispose la signora, calmandosi.

« Grazie. Robert, tu dentro con me. Gli altri fuori di guardia. »

 

Si accomodarono nel salotto, sicuramente la parte migliore della casa. Il rosa dominava sui muri, mentre l’arredamento era più che lussuoso. Tappeti ricoprivano tutto il pavimento, e un incantevole tavolino di vetro era stato posto al centro della stanza. “ Se la passava bene, il vecchietto.” Robert ammirava come in estasi.

« Signora..» Seth estrasse Occhio Famelico, provocando un sobbalzo nella vecchia, e la poggiò sul tavolino di vetro. « Questa spada mi è stata venduta dal vostro defunto marito. Lei l’ha mai vista? » La vecchia iniziò a osservarla, e ne toccò qualche parte. « Si, me la ricordo. Me la portò a casa Xaos qualche settimana fà , per farmi vedere a quanto avesse comprato a poco una spada così bella. »

« E le ha detto da dove veniva ? »

« Si,certo. L’aveva comprata da un mercante del Sud. E’ fatta con il ferro della Città Nevosa, sicuramente. »

“ La megera qui se ne intende di spade. E mi sembra un pò troppo allegra solo dopo un giorno dalla morte di Xaos.”

« E del mercante, si sà qualcosa ? » Chiese ancora il Nero.

« Nulla, non l’ho nemmeno mai visto. »

« Se posso, mia signora, posso chiedervi come ci ha lasciati vostro marito? »

« Una febbre improvvisa gli iniziò a corrodere il corpo giorni fa. Poi,ieri notte, il crollo. Rapida e fulminea; la guaritrice del quartiere ha detto che non aveva mai visto niente del genere. » rispose poco interessata la ricca vedova.

« E adesso l’attività di vostro marito passerà a voi ? »

« Beh, assumerò altri ragazzi...ma sì, ora la bottega è mia, perché questa domanda ? » Chiese sospettosa.

« Nulla, nulla. Casomai mi venisse in mente di prendere un’altra spada passerò da voi. »

“ E così questa si prende l’oro del vecchio Xaos.” pensò Seth

« E’ stata molto utile. Spero ci rivedremo un giorno alla bottega. » Seth andò con il sorriso più falso che ebbe mai fatto in tutta la sua vita.

“ In quanto al Nero che prende soldi, so già da chi devo andare.”

 

 

«Pezzo di merda! Ma che fai!» Urlò Seth mentre lo attaccava al muro.

« Che ti pensi, che sei un Nero per rubare alla gente ? Non sono abbastanza le monete che ti dà il Re? »

Il Cacciatore lo spinse e si liberò dalla presa quasi subito.

« Calmati, Seth. » disse quello mentre si ripuliva. « E’ il Re in persona che me lo ha chiesto. »

« E per fare cosa ? Eh ? Cosa ? » Urlò di nuovo l’Uomo di Ghiaccio.

« Per le puttane. » Rispose tranquillamente il Cacciatore. « Il Re dice che è male usare i soldi del tesoro reale. E poi suvvia, prendo solo pochi pezzi d’oro ai più ricchi della città. Non stupro le verginelle indifese per poi buttarle dall’Acropoli, a differenza tua e di tuo fratello!»

La rabbia di Seth esplose ancora più violentemente di prima, e stavolta assestò un pugno in faccia al Cacciatore, che controbatté con un gancio sul fianco che quasi tolse il fiato al Cavaliere Nero. Poi, quello che provò fu indescrivibile. La sua mano quasi si mosse da sola. Estrasse Occhio Famelico in un battito di ciglia e lo stesso tempo impiegò il Cacciatore a raccogliere la sua Lancia d’Argento da terra. Due Cavalieri Neri che erano alle armi. Crimine punito da secoli con la pena di morte per direttissima, senza regolare processo.

L’Uomo di Ghiaccio non avrebbe mai pensato di poterlo fare, di estrarre un’arma contro un altro Nero. Seth pensava che il sangue alla testa lo avrebbe ucciso, ma all’improvviso la terra iniziò a tremare. I due caddero assieme, mentre una libreria crollava e il lampadario di vetro e legno sopra di loro ondeggiava pericolosamente. Seth fece appena in tempo a rotolare di lato poco prima che quello cascasse a terra frantumandosi in mille pezzi. Poi fu la calma, che tornò come se n’era andata pochi secondi prima. Dopo, urla e grida da fuori.

State tutti bene? Diceva uno E’ stato un terremoto! Faceva eco un altro.

I due Neri si alzarono, come se quello che era accaduto poco prima non fosse mai successo. Scesero nel cortile e Seth constatò che fortunatamente non c’erano stati gravi danni. La scossa era stata forte, ma brevissima. L’ Acropoli, imponente, aveva retto senza problemi, e così doveva aver fatto la maggior parte della Città. Il cielo notturno era offuscato, quasi impossibile vedere una sola stella. Un suo pensiero andò subito a Gwen, e fu ben felice di trovarla nello spiazzale del palazzo degli ospiti assieme ai suoi genitori, sana e salva.

« Ti sei fatta male ? » gli chiese Seth, piegandosi per mettersi alla sua altezza, dato che era poggiata su un muretto.

« Tutto bene Seth, grazie. Ho avuto paura. » Mormorò la bionda.

« Anch’io Gwen, anch’io. » Le disse tentando di abbracciarla. Non poté fare a meno di notare un gesto di disapprovazione di Gwen, che indicò suo padre con gli occhi. Il burbero Gregor Allister era dietro di loro, scrutandoli severamente. Seth si alzò in un battibaleno e decise di salire sulle mura per vedere come avesse attutito la città. Pochi danni. Qualche casa crollata forse nella zona del porto, ma niente di irreparabile. La cosa che lo preoccupava di più era il fatto che ancora una volta aveva ceduto ad un eccesso d’ira. Quasi rischiava di perdere il suo appellativo di

“Uomo di Ghiaccio”.

Quando tornò in stanza non poté fare a meno di pensarci. Poggiò Occhio Famelico sul tavolino di mogano e mentre si sedeva al bordo del letto si chiese :

“Perché non mi sono controllato nemmeno stavolta? Perché ho reagito così?”

Quello che successe poi lo terrorizzò. Una voce femminile, dolce, quasi sensuale, riecheggiò nella sua testa.

 

Perché ti aveva insultato,Seth. E questo non lo posso accettare.

 

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Capitolo 16
*** Spedizione a Occidente ***


Capitolo 16: Spedizione a Ovest

 

I membri della Guardia d'Acciaio siedevano nel Triangolo, il grande tavolo sul quale gli imperatori di Cyrith si consultavano con la corte e i funzionari da diverse decadi.

Rickard arrivò per primo, prendendo posto a uno dei tre angoli e iniziando a sfogliare le carte che erano state disposte prima del suo arrivo; un fascicoletto per ogni membro della Guardia. Gli amanuensi dell'imperatore avevano fatto sicuramente le ore piccole. Era passata una settimana dalla morte del Vecchio Lupo, eppure ancora non riceveva notizie dall'Occhio, sebbene si fosse preoccupato di avvertirli subito dei recentissimi avvenimenti.

Nella prima pagina vi era un'introduzione agli argomenti del piccolo libricino, una sorta di indice. Vi erano, in ordine: compiti della Guardia, riforma burocratica ed agraria, espansione della rete commerciale e piani di invasione.

L'ultima cosa turbava non poco Rickard: davvero si profilava una guerra all'orizzonte contro il debole regno di Landor, già in guerra civile?

-Salve, Rickard!- esclamò Jean, non appena si sedette accanto a lui. Rickard non si era nemmeno accorto che fosse entrato.

-Salute a voi, cavaliere.- rispose poco interessato.

Jean notò la lettura di Rickard e si affrettò a prendere una copia dal centro del tavolo.

-Interessante..- mormorò qualche secondo dopo.

-E preoccupante, vero?- fece una voce. Rickard fece saettare gli occhi da una parte all'altra della piccola stanza, fino a quando non individuò un ombra appoggiata al muro, incappucciata. Era Kristian Herzoller, impossibile non riconoscere il suo araldo; aquila rossa su sfondo nero.

-Voi sapevate, sire?- chiese Rickard

-Ovvio, questi scritti circolavano già da ieri. Intravedo l'inquietudine nei vostri occhi, Rickard. Ma non pensate troppo a certe cose. La battaglia non sarà né oggi né domani.-

 

Uno a uno entrarono tutti, e per ultimo Vladimir in veste semplice. Se non lo si conosceva, poteva essere scambiato per uno dei tanti mercanti di Cyrith.

-Immagino abbiate già dato un'occhiata alle carte..- sospirò l'imperatore mentre si sedeva.

Annuirono tutti, qualcuno diede un colpo di tosse.

-Bene, possiamo iniziare subito allora.-

Vladimir prese una copia del manoscritto e iniziò a sfogliare le prime pagine.

-Partiamo dal primo punto: compiti della Guardia. Non c'è molto da dire; la maggior parte dei vostri compiti sono quelli che avevate già implicitamente prima. Ora sono solo nero su bianco.-

Jean chiese parola.

-Noto due note particolari. Il sesto punto, qui, dice che possiamo essere inviati come ambasciatori dell'impero in tutte le terre conosciute.-

-E' vero, si.-

-Questo include anche gli altri continenti?- chiese Kristian.

-Ovviamente, Kristian.-

-Andiamo dritti al punto, signore.- fece Ian, movendo quella che doveva essere una bocca dietro la foltissima barba scura. -Qualcuno di noi andrà a Sante'si?-

-Esatto, Ian. Sapete tutti il perché di ciò. Qualcuno si offre volontario?-

Alzarono tutti le mani all'unisono. In realtà, Rickard non desiderava particolarmente affrontare un viaggio di almeno un mese in mare, ma preferiva evitare di sfigurare davanti all'imperatore.

-Bene, mi compiaccio della vostra forza di volontà. Andranno Rickard e Jean.-

Rickard cercò di trattenere il disappunto. A Sante'si i regni del continente centrale non erano molto ben visti; l'unico contatto erano gli scambi commerciali, scambi che Cyrith tra l'altro intratteneva in maniera molto minore rispetto a Landor.

Due messi dell'impero non sarebbero sicuramente stati visti bene.

-Ai vostri ordini, imperatore.- fece Jean. Anche Rickard borbottò qualcosa del genere.

A Sante'si forse davvero c'era qualcosa che valeva la pena portare a Cyrith, come dicevano le voci. Altrimenti, Vladimir non avrebbe mai organizzato una cosa del genere, non dopo circa due secoli di isolazionismo reciproco tra i due stati.

-Qual'era l'altra nota di cui volevi parlare, Jean?- riprese Vladimir.

-C'è scritto che possiamo ritirarci in qualsiasi momento dalla Guardia...-

-E confido lo farete non appena vorreste, un giorno, tornare alla vostre vite. Ovviamente, ciò non sarà possibile in tempi difficili e ricordate che devo comunque apporre il sigillo imperiale alla vostra richiesta, se mai la farete.-

Jean annuì in silenzio. Vladimir sfogliò qualche altra pagina.

-Riforma burocratica: cose di cui non vi dovrete preoccupare molto. Semplicemente toglieremo le inefficienti delegazioni imperiali sparse per le terre; tutti gli uffici saranno portati qui alla cittadella.-

-Siamo sicuri che avremo un apparato burocratico più efficiente?- chiese Malik.

-Lo spero, Malik. Ora come ora, perdiamo circa il dieci percento degli introiti a causa della corruzione dei delegati sparsi per Cyrith. Bisogna centralizzare, migliorare. Questo è solo il primo passo da fare.-

-E per quanto riguarda la riforma agraria?- chiese Rickard.

-Toglierò alcuni privilegi ai latifondisti.- rispose Vladimir -E questo include anche qualcuno dei vostri padri.- e lanciò delle occhiatacce verso Kristian e Malik.

Non avevano privilegi politici, ma con quello che era rimasto delle loro finanze, i loro padri acquistarono grandissimi ettari di terreni.

-Non rischiate di farli arrabbiare?- chiese Doran.

-Devono capire che il declino di ogni impero inizia dal latifondo. Malik e Kristian: vedete di fare arrivare bene il messaggio alle orecchie dei vostri padri.-

Un Re di Landor con questo comportamento sarebbe stato ucciso dopo due settimane. Lance e Augustus scesero in guerra per motivi simili ma forse meno gravi. Ma a Cyrith le cose erano totalmente diverse.

-Per quanto riguarda l'espansione della rete commerciale, è strettamente legata all'ultimo punto, quello delle invasioni. Una volta presi i porti di Landor, saremo capaci di commerciare sia con il continente orientale che quello occidentale, mercato dal quale siamo attualmente tagliati fuori.-

-Per quando dobbiamo iniziare i piani di attacco, signore?- chiese una voce indefinita, che Rickard non fu in grado di distinguere in quel momento. Era sovrappensiero da quando aveva saputo che avrebbe dovuto salpare per Sante'si.

-Il giorno della guerra non è lontano, John. Ma nemmeno così vicino. Vediamo prima come si evolve la situazione tra i due Re, ma intanto è bene preparare le strategie di attacco. Se per qualche caso fortuito Jean e Rickard dovessero tornare in tempo con quello che ci serve...la guerra durerà meno di una settimana; vi garantisco che si arrenderanno subito.-

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Capitolo 17
*** Fedeltà ***


 

« Mio signore! Sono tornati! » irruppe un servo nella sala del trono.

Cesar era assorto nella lettura, precisamente di natura militare. Un vecchio libro di strategia che soleva leggere nei momenti di noia. Dentro la stanza c’era anche Hector.

« Bene,bene..falli entrare. » Ordinò Cesar. L’uomo annuì. Si doveva trattare sicuramente di prigionieri dalla gola di Kor. L’ultima lettera non aveva minimamente lasciato tranquillo Cesar. Vayn Beckett, zio del Re e fratello della Regina che complotta contro di loro? Irrealistico. E in effetti doveva essere proprio così.

Cesar aveva mandato la maggior parte delle compagnie mercenarie ad attraversare la gola, quasi gli dispiaceva di averli ingannati, dicendogli di avere un piano per loro, che si sarebbero ritrovati nei pressi del Castello di Ghiaccio. In realtà, erano andati incontro a un’imboscata certa e morte sicura. Aveva però disposto che un piccolo drappello di uomini li avesse seguiti a debita distanza, per tornare a riferire ciò che sarebbe successo in quella maledetta gola, ultimo avamposto del ghiaccio nel reame.

Il portone si spalancò. Entrarono circa dieci dei suoi uomini, e alcuni di loro trascinavano un altro soldato incatenato, senza alcun simbolo sulle vesti. Hector sputò a terra. Probabilmente aveva già capito tutto, come Cesar, del resto.

« Chi è costui? » chiese Cesar.

« Uno dei loro. » rispose uno spadaccino.

« Loro chi, soldato ? »

« Hanno teso un imboscata ai mercenari. Noi li seguivamo molto indietro, nascosti, come da suo ordine. Ma abbastanza vicini da aver visto ciò che accadeva. »

« Parla, allora. » ordinò il Re.

« Ebbene, mio signore, all’improvviso dalla sommità della gola sono apparsi diverse centinaia di arcieri, che tiravano a volontà sui nostri valorosi soldati. Chi dei nemici non impugnava un arco, faceva rotolare massi giganti per i pendii, sbarrando la strada ai nostri mercenari e uccidendoli. Quelli non avevano ne archi ne altri mezzi per difendersi da attacchi a distanza. E’ stato un massacro. » spiegò il soldato.

« E come avete fatto a prendere questo traditore, quindi ? » e sputò in faccia all’uomo col volto scavato, ancora incatenato.

« Li abbiamo seguiti, mio signore. Lo abbiamo ritenuto necessario. Poi ne abbiamo catturati tre che si erano attardati nelle retrovie, ma gli altri due non ce l’hanno fatta. Strillavano, invocavano aiuto dagli altri traditori. Per non rischiare di allertarli li abbiamo sgozzati. »

Cesar si voltò quindi verso il prigioniero e gli assestò un pugno sulla tempia con moltissima forza. Quello barcollò e crollò a terra, svenuto.

« Alzati. » gli ordinò Cesar.

Due uomini lo rimisero sulle ginocchia, e un altro colpo arrivò sulla mandibola del prigioniero.

« Alzati. »

E i due soldati fecero la stessa azione di prima. Stavolta Cesar gli diede una ginocchiata in pieno mento.

« Alzati. »

Un’altra ginocchiata, più forte di quella di prima, sulle labbra. Il sangue colava a fiumi, il traditore barcollava sulle proprie ginocchia, in uno stato di incoscienza e coscienza allo stesso tempo.

« Portatemi un secchio d’acqua. »

Tornò dopo pochi secondi un servo, con quello che Cesar aveva chiesto. Gettò l'acqua gelata in faccia al prigioniero. Quello sputò un liquido di colore vagamente vagamente rosa.

« Io…noi…» E fece un altro sbocco di sangue grumastro. « ..non ci hanno detto granché….solo che dovevamo farvi un’imboscata. »

« Quanti eravate ? » gli chiese Cesar.

Al silenzio di quello, il Re perse il senno. « QUANTI ?? » e caricò un calcio allo sterno dell’uomo, che ormai era alla sua totale mercé.

«Trecento…circa…ne abbiamo abbattuti più di duemila, brutta perdita eh?» Cesar non raccolse il guanto di sfida.

« Chi vi manda ? »

« Caterine…Destiryon… » il nome pronunciato era totalmente inaspettato per Cesar.

Estrasse la sua spada e sgozzò il prigioniero immediatamente. La rivelazione era stata dura, ma probabile. In fondo Caterine doveva proteggere suo figlio.

“ E pensare che doveva andare in sposa a mio padre prima che lui scelse mia madre…”. Suo padre Augustus aveva sposato Margareth Allister, sorella di Gregor Allister, mentre Lance Destiryon sposò Caterine. Il corpo di sua madre non venne mai trovato. Forse era per questo che Gregor si era infine alleato con il nemico, sperava che sua sorella fosse ancora viva.

Per non parlare della sorella di Cesar. Che fine orribile fece.

 

Poche ore dopo, i vassalli di Karlin entrarono nella sala. Si inginocchiarono tutti dinnanzi a Cesar e al suo trono. Gli giurarono tutti fedeltà, tutti tranne uno. Sir Trebolt, che disse :

« Il mio Re è Vaan Destiryon. Non tu, ultimo dei Brambe. »

« Il tuo lord precedente, Trebolt…ha la testa su una picca qui fuori. » rispose Cesar, riferendosi a Lord Karlin.

« La morte non mi spaventa, traditore. »

« Hector, porta qui la testa di Lord Karlin. E dei suoi figli. » ordinò Cesar.

« Hai anche un bastardo come servo, allora. » Insultò Sir Trebolt.

Cesar non rispose. Le teste di Karlin e dei suoi figli lo fecero per lui. Anche se all’inizio non ebbero l’effetto desiderato, assolsero al loro compito quando Cesar pronunciò questa frase.

« Chiamano quello che ho fatto la strage degli Karlin. Nulla mi vieta di fare la strage dei Trebolt. Ucciderò tua moglie, i tuoi figli, i tuoi nipoti. E ti costringerò a guardare, o ti caverò gli occhi. Poi morirai per ultimo, ma con dolore. Scorticato vivo, Trebolt. A te la scelta. Al mio fianco o impiccato per i piedi, qui nello spiazzale, con le mosche che ti ronzano in viso ? »

Inutile dire che il lord si inginocchiò, sebbene dopo diversi secondi di titubanza. Con i vassalli di Karlin, Cesar si era rifatto delle perdite dei mercenari.

Ordinò dopo a Rodrik Vasder che tenesse d’occhio qualsiasi movimento dei Trebolt, per prevenire qualsiasi tentativo di ribellione. Anche se erano solo un migliaio, potevano sempre causare gravi danni, soprattutto se avessero deciso di ribellarsi nella notte.

Poi rimasero solo lui, Hector e Fannis Cruwmore nella sala del trono.

« Posso parlare liberamente, mio signore ? » gli fece allora il suo luogotenente.

« Certo. »

« E’ stato molto crudele, signore. »

« Tanto crudele quanto necessario. Non avrei voluto, ma ho dovuto. Bisogna schiacciare i nemici, Hector. Karlin si è rifiutato di unirsi a me, e ho posto fine alla sua stirpe. Trebolt è stato semplicemente più intelligente. »

« Concordo con voi, maestà. » gli fece eco Fannis. « E…dovrei dirvi qualcosa..» Aggiunse poi.

« Di che si tratta ? » chiese Cesar.

« Giungono…voci. La più importante è che qualche giorno fà c’è stato un terremoto nella Città. Non molti danni si dice, ma forse c’è qualche crepa nelle mura, chi lo sà. Ma non è questo il punto. E’ che forse ci combatteranno in campo aperto, si dice che lo voglia l’Usurpatore in persona. Al Castello di Ghiaccio si dice vi siano già circa ottomila uomini. Tra guardie cittadine e uomini Destiryon. »

« Ottimo! » Esclamò Cesar. Era un’occasione troppo ghiotta. Il Castello di Ghiaccio poteva essere raggiunto in pochi giorni, facendo marce forzate. I rinforzi dei traditori non sarebbero mai giunte in tempo.

« Preparate le truppe, cambiamo i programmi. Smantellate l’accampamento stanotte, affilate le lame, serrate i ranghi! Passiamo per la strada di Iulius, tappe forzate! » ordinò.

« Quando dobbiamo partire ? » Chiese Hector.

« Ieri! » Urlò Cesar.

« Sarà fatto maestà. » Si inchinarono Fannis e Hector all’unisono.

 

 

Cesar si affacciò alla finestra della stanza del defunto Karlin qualche ora più tardi, scrutando la tenebrosa notte. Fuochi venivano spenti, armi distribuite, armature indossate. I cavalli nitrivano, sbuffavano, erano nervosi. Un uomo cercava di tenere a bada un destriero, con scarsi risultati. All’improvviso la porta si aprì ed entrò Hector Allister, senza chiedere permesso come ormai soleva. Solo a lui era consentito farlo.

« Dimmi, Hector. »

« Si sente pronto, maestà ? Tra poco ci mettiamo in marcia.»

« Mai stato più pronto di così. E tu, amico mio ? »

« Sarò sempre al vostro fianco. » pronunciò Hector. « Fannis mi ha detto un’altra cosa, prima..lui non crede in queste cose, quindi non si è disturbato di dirvelo. »

« Continua. » Disse Cesar.

« Si dice che nel profondo Sud, prima delle Terre Morte, spariscano continuamente truppe. Di tutte le casate.» Concluse il suo amico.

Claudius Brambe, Re di Landor qualche millennio fà, aveva disposto che tutte le casate dovevano inviare uomini a sorvegliare le Terre Morte periodicamente. Un editto imponeva anche che nonostante le eventuali guerre tra casate, ai soldati di stanza nel Sud era proibito farsi guerra tra di loro. Solo una volta tornati a casa, finito l’anno di servizio, potevano entrare in guerra coi loro signori. Ma finché erano nelle remote e dimenticate regioni del Sud, il loro unico compito era pattugliare il confine e esplorare le Terre Morte.

« E quindi ? » Rispose Cesar, riemergendo dai suoi pensieri. « Dobbiamo preoccuparci anche dei miti sui non-morti?»

« Non credo, maestà. Volevo solo informarvi di questa notizia. »

«Sei religioso, Hector?»

«Credo, in effetti.»

«Questo è male, è una tua debolezza. Importa ciò che vediamo e sentiamo, il resto sono dicerie.»

«Io credo che non tutto debba essere così. Ci sono indubbiamente cose che non conosciamo, che i nostri occhi non vedono. E preferisco credere piuttosto che rassegnarmi alla dura realtà.»

«Quanta filosofia! Mi stupisci, lo ammetto. Hai studiato da bambino?»

«Si, qualcosa ho letto. E prego ogni notte, prima di coricarmi.»

«Ti rispetto per questo, a volte vorrei aggrapparmi alla fede come fai tu....

E va bene; se sarà necessario, indagheremo su queste voci una volta che avrò preso il trono. Ora conta solo vincere questa guerra. »

« Ha ragione. » concordò Hector.

Stavano scrutando le colline, immersi nei loro pensieri. Hector probabilmente stava pensando alla sua famiglia, che lo aveva rinnegato e gettato nella merda. Cesar invece, già pensava alle macchine d’assedio una volta arrivato al Castello di Ghiaccio. Un timido raggio di sole fece capolino dalle colline all’orizzonte.

« Si leva l’alba. » Pronunciò Cesar. « Marciamo verso la gloria. »

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** Malato ***


 

Erano giorni che faceva avanti e indietro dalla veglia al sonno. A volte sognava, altre volte riusciva ad ascoltare qualche parola dei suoi familiari, altre volte ancora il nulla più assoluto. Il continuo svegliarsi e riaddormentarsi ormai l’aveva portato a confondere la realtà stessa. Non sapeva più se dormiva o era sveglio. La gola gli bruciava per la maggior parte del tempo, la febbre lo consumava da mattina a sera. E la ferita bruciava ancora, eccome se bruciava. Probabilmente era nelle stanze del maestro Curter, era giunto a questa conclusione quando riuscì ad aprire gli occhi per qualche secondo e vide solo scure e fredde pietre attorno a sé. Riusciva anche a sentire la presenza di Gwen, a volte, ma anche qui non sapeva se era solo una sensazione o la realtà. Fece un sogno particolare un giorno. Un drago gli aveva chiuso tutte le vie di fuga in un castello. Era impaurito, solo, al buio. Con quel maledetto drago che poteva trovarlo in ogni momento.

E alla fine lo fece, strappandogli la pelle brano a brano, come un gioco perverso. E quando passò a un altro sogno, capì che aveva solo rivissuto il duello con Logan Lunac. Quel maledetto bastardo. Lo aveva umiliato, ferito, quasi ucciso. Forse senza il quasi. Stava davvero sognando ? Oppure era morto? Costretto a rivivere negli inferi i suoi ricordi peggiori?

Eppure l’avrebbe meritato di finire negli inferi. Tanto per cominciare, era un donnaiolo della peggior specie. Aveva sempre avuto stuoli di donne accanto al suo letto, sicuramente aiutato dal suo aspetto fisico oltre che dai soldi. Inoltre, il giovane Antony non si era mai realmente preoccupato della sua gente, benché fingesse molto bene di farlo in presenza del padre. Quindi, tutto sommato gli inferi non erano ingiusti. Ma alla fine capì di non essere in un sogno, o almeno credette di non esserlo.

Accadde infatti che una sera, si sentiva stranamente lucido. Troppo debole per svegliarsi del tutto, ma abbastanza in forze da aver la mente sgombra. Provò a balbettare qualcosa, ma gli uscì solo un suono debole e che non poteva sicuramente giungere alle orecchie del vecchio maestro, che poteva essere nell’altra stanza. Poi, sentì la porta spalancarsi, e che sbatté violentemente contro il muro di pietra dell’angusta stanza. E una voce di donna si accompagnò a quel tonfo.

« Cos’è questa storia ? » Il tono era irritato.

« Come ha letto, mia signora. Abbiamo fallito. » Questa doveva essere la voce del maestro.

« E com’è stato possibile? Mi avevi detto che quasi sicuramente avrebbe funzionato! Sei tu responsabile di tutto questo! » il tono della donna si fece ancora più duro. Il maestro stava venendo sgridato.

« Non è colpa mia se quel ragazzino non c’è cascato! Ma lo sapeva meglio di me che era un piano debole! » anche Mason si stava alterando.

« Non osare rivolgerti a me in questo modo, vecchio! Qui comando io! »

« Si, mi scusi signora….»

Antony immaginò che il saggio avesse abbassato il capo, come soleva fare quando la sua posizione di inferiorità veniva ribadita.

« Tranquillo, Mason. » Intervenne la voce di un uomo. « Ora bisogna stabilire la prossima mossa, anche se questa è stata una pessima mossa.»

« Ho saputo che i vassalli dei Karlin gli hanno giurato tutti fedeltà. Dei mercenari che gli abbiamo ammazzato, si è rifatto subito. » Antony non aveva più dubbi, era la voce della regina Caterine Destiryon.

« Si,è così. » rispose il maestro.

« Ma non tutto è perduto. » intervenne l’altra voce maschile.« Anzi, se solo tu convinci tuo figlio a far ritirare gli uomini dal Castello di Ghiaccio…potremmo barricarci in città, e poi decidere. Ma lasciare quegli uomini lì..è troppo pericoloso. Non possiamo rischiare di perderli! »

« Per Larse, facciamolo noi! » Ribattè Caterine. « Perché devo convincere Vaan a farlo ? »

« Ma allora sei proprio una stupida! » gli urlò l’altro. « Gli uomini che abbiamo lì sono tutti Destiryon. E guardie cittadine. Tutti e due rispondo direttamente SOLO agli ordini di tuo figlio. E non sperare di convincerli. Il popolo ancora ama Vaan, purtroppo.» La regina non rispose. Chiunque fosse quest’uomo, doveva avere un grande ascendente su di lei.

«Quindi dovrai convincere tuo figlio. Se perdiamo quegli uomini, non sò se ce la faremo, Caterine…» continuò quello.

«E sia, parlerò con quell’idiota. » rispose la regina. «Voi, maestro, nel frattempo ingegnatevi a trovare un modo per vincere l’assedio che ci faranno. Quel codardo di Cesar è scappato come un verme e ora torna come…come…»

«Come un leone, mia signora..» Finì la frase il Saggio.

« Già, come un leone. Ma già una volta un leone è stato ucciso. E suo figlio farà la stessa fine, maestro. Provvederò io a mio figlio. » chiuse Caterine.

La situazione era troppo interessante. Antony si sforzò di aprire gli occhi, ma non ce la faceva, era come paralizzato. Aveva dolori in ogni parte del corpo, e gli occhi gli parevano infuocati e gonfi.

« E questo qui come stà ? » disse Caterine.

« Non benissimo. E’ ancora in una specie di coma il biondino, forse un giorno si sveglierà.»

“ Coma un cazzo!” pensò Antony di tutta risposta.

«Può averci sentito?» chiese la voce maschile.

«Non credo, signore.» rispose il maestro.

Invece Antony era più sveglio che mai. Solo con la testa però. Il suo corpo era ancora immobilizzato. Ed era debole. Tanto debole, che, contro la sua volontà, risprofondò nel sonno. Ma aveva sentito abbastanza.

 

Si svegliò la mattina dopo, con una forte luce che entrava dalla finestra. Una serva gli stava bagnando la fronte con un panno caldo. Fece un sussulto quando vide gli occhi di Antony aprirsi.

«..Ac.qua…» furono queste le sole parole che Antony riuscì a dire.

La serva riempì subito un boccale e glielo poggiò alle labbra. Antony sentiva l’acqua che bagnava la lingua, idratava una gola secca e pulsante di dolore. In più, il naso era tutto attappato. Fece un forte starnuto e si stropicciò gli occhi. Gli dava a noia la luce, i suoi occhi erano rimasti nell’oscurità per chissà quanto tempo. La serva lo intuì e calò le tende scure. Poi si dileguò.

Antony rimase di nuovo solo con sè stesso. Aveva davvero udito quei discorsi o era solo un sogno? Cesar poi, chi era ? Era lui stava minacciando Landor? Parlavano di un leone..non poteva che trattarsi di Cesar Brambe, figlio di Augustus. Ma come poteva essere ? La famiglia del Brambe era stata massacrata dai Lunac...Forse lui era riuscito a scappare, come Gregor riteneva avesse fatto sua sorella.

Ma comunque, decise di rimandare a più tardi queste domande. Adesso era importante alzarsi. Provò a muovere le gambe, ma sentì solo un gran formicolìo.

Poi alzò la maglia e le coperte. Vide che la ferita perdeva ancora sangue a giudicare dalle bende insozzate, ma che almeno non bruciava come prima. Il Saggio aveva fatto sicuramente un buon lavoro.

Gli appartamenti di Mason Curter non dovevano essere molto grandi. Vi erano quattro stanze. Quella principale, comunicante con quella degli ospiti ( dove lui era ), la stanza del Saggio e un bagno. Un appartamento che sarebbe stato lussuosissimo per la maggior parte del popolo, ma piuttosto modesto per un nobile. Al Saggio non doveva piacere l’ostentare.

Sentì la porta d’entrata sbattere forte. In due secondi comparvero davanti ai suoi occhi Gwen, Alexandra sua madre e Gregor. Un gran sorriso si stampò sulle labbra di tutti. Gwen aveva le lacrime agli occhi, e lo abbracciò con tutte le forze, singhiozzando. « Credevo non ti saresti più svegliato! » Gli disse in lacrime. Suo padre se la rideva. Era allegro come sua moglie. Da tanto tempo non li vedeva sorridere. Doveva quasi morire per farglielo fare?

 

Passarono circa un ora assieme, ridendo e scherzando, con Antony che riprendeva la voce progressivamente. Mangiò anche qualcosa e bevve del vino rosso. Si sentiva vivo, finalmente. Ma non c’era tempo per festeggiare troppo.

« Gwen, madre…lasciatemi solo con lui. » e indicò suo padre Gregor.

Le due donne acconsentirono, e lasciarono la stanza. Le espressioni dei due uomini passarono da sorridenti e festanti a serie e cupe, come se già sapessero quali sarebbero stati i discorsi che avrebbero fatto tra pochi secondi.

« Logan è stato arrestato? » domandò Antony, anche se già sapeva la risposta.

« No, temo che il Re non possa farlo. »

« E perché ? Ha trasgredito alle regole, mi ha quasi ammazzato! » esclamò il giovane biondo.

« Gli serve. » rispose suo padre, fissandolo negli occhi.

« A cosa? »

« Siamo in guerra. »

Di getto, Antony rispose così. « Contro un leone? »

E’ difficile spiegare ora quale fu l’espressione di Gregor all’udire di quelle parole. Stupore, perlopiù. Che diede la risposta a suo figlio.

« E’ un leone, quindi. Dov’è Cesar? » Continuò Antony.

« Io..non sò come tu sappia queste cose…» balbettò di tutta risposta Gregor.

« Le sò e basta, padre. Dimmi, dov’è?. »

« Ha preso i terreni del Nord. Ha ucciso tutti. La chiamano “La strage degli Karlin”.» Lo informò Gregor, non nascondendo un certo disprezzo nel tono di voce.

« Quanti uomini hai dato al Re? »

« Cinquecento. Il mio onore mi ha impedito di dargliene di più, dopo quello che il Lunac ti ha fatto...dopo tutto quello che hanno fatto alla nostra famiglia.» Rispose Gregor.

« Così però potremmo perdere la guerra. »

« Anche se fosse, siamo stati fedeli ai Brambe anni fà. Se dovesse vincere Cesar, di sicuro non perderemo tanto. Sono i Lunac e i Destiryon soprattutto che rischiano. »

Suo padre non aveva tutti i torti. Ma Antony al posto di Cesar avrebbe voluto avere più vendetta verso i Lunac che contro i Destiryon.

« Ora ti lascio, è bene che tu riposi. » Disse dopo un pò Gregor.

« No,no…» ribattè allora Antony. « Vengo con voi. Mi metto nella mia stanza. Preparala, padre. Fammi trasportare fin lì. »

 

 

Col consenso del Saggio, Gregor fece portare Antony nel Palazzo degli ospiti, nelle sue stanze. Quando fu poggiato nel letto, sentì un grande senso di inferiorità. Era come un bambino molto cresciuto che veniva trasportato da un letto all’altro. Prese un servo per un braccio e gli chiese di portargli sua sorella Gwen. Quello annuì e lasciò la stanza assieme a tutti gli altri servi Allister.

Antony fece un gran respiro, poi chiuse gli occhi. Si sentiva decisamente meglio. Non tanto meglio da potersi alzare, o camminare, ma almeno non dormiva continuamente. Era lucido, ormai.

Bussarono alla porta.

« Avanti! » disse Antony ad alta voce. Era Gwen, bellissima come sempre. Si avvicinò al letto e si stese accanto a lui, abbracciandolo.

« Waymar Arcadia è un Cavaliere Nero. » gli disse all’improvviso, con una voce lagnosa.

« La Vipera ?? » Rispose Antony sorpreso.

« Si. Ha vinto il torneo. »

Il torneo! Antony se ne era dimenticato.

« E…Logan? »

« Seth l’ha battuto. E’ stato bravo, era...inarrestabile. »

Un Lunac l’aveva vendicato di un affronto subito da un altro Lunac. Al destino non mancava l’ironia.

«E bravo Seth!» sorrise Antony, guardando sua sorella con uno sguardo pieno di affetto.

« Già..è stato veramente bravo.. Ma adesso un’ Arcadia è Cavaliere Nero, e questo mi mette ancora più in difficoltà contro Amber. » mormorò Gwen.

« Sono sicuro che alla fine sposerà te...Senti, ti devo parlare di una cosa..»

Cosi Antony prese a parlargli di quello che aveva sentito mentre era in dormiveglia. Ma Gwen aveva notizie ancora più strane. Gli raccontò di delle strane carte trovate sotto il pavimento delle stanze del maestro, indecifrabili e complicatissime.

« Tutto questo è molto strano. Dobbiamo stare attenti a Caterine e al maestro. Non mi fido di loro. » concluse Antony.

« Si, hai ragione…» E Gwen gli si premette contro, ancora abbracciandolo. Era una cosa che faceva sin da piccola; la faceva sentire protetta, diceva.

 

Passarono qualche ora dormendo abbracciati, e quando Antony riaprì gli occhi era già sera. Gwen, assonnata, se ne andò subito, stasera avrebbe cenato con il Re. Si salutarono con un ultimo grande abbraccio.

“ E adesso che faccio ? Non mi posso muovere. E ho la sensazione che dovrò aspettare un bel pò prima che mi portino la cena.”

Non fece in tempo a immergersi nei suoi pensieri che bussarono nuovamente alla sua porta.

« Avanti! » “Forse è Gwen che si è dimenticata qualcosa.” Sfortunatamente, sull’uscio della porta apparve un uomo pelato, con una grossa cicatrice. Logan Lunac.

« Che vuoi, Logan ? » Urlò con tutta la voce che aveva in gola Antony, nella speranza che qualcuno lo potesse udire. Eppure, dovevano essere tutti nella sala da pranzo, dal momento che non accorse nessuno spaventato da quell’urlo fortissimo.

« Calmo, biondino. Solo solo venuto a vedere come stà il tizio che ho quasi ammazzato. » gli rispose il suo nemico.

« Stavo benissimo prima che arrivassi, grazie. »

«Oh, suvvia. Non volevo mica ammazzarti. Solo..metterti paura, ecco. »

« E perché? »

« Perché..mi annoio. In più, devi imparare a rispettare la mia casata.»

« Non ti sei annoiato tanto, quando tuo fratello ti ha abbattuto vero ? » lo punse Antony.

« Devo ancora ricordarti che devi moderare le parole con me, biondino? Non ci metto niente a squartarti adesso, e nessuno mi dirà nulla. Al Re servono gli uomini di mio padre. »

« Tu provaci, e mio padre getterà te e la tua famiglia dall’ Acropoli, come facesti tu con la figlia di Augustus!»

« Si, come no. A meno che non lo facciamo noi Lunac prima di voi. Ma tranquillo, mi prenderò cura io di tua sorella! Così come ho fatto con tua zia!» e Logan sorrise beffardamente. Ma aveva ragione, purtroppo. Al momento, avevano molti più uomini loro che suo padre in città. Che bastardo.

« Allora, » Antony cercò di cambiare discorso. « Che cosa sei venuto a fare, veramente?»

« Ora sei anche sordo? Volevo solo vedere come stavi, te l’ho detto. » rispose Logan.

«E io ti ho detto che stò bene! » si alterò Antony.

«Ora starai meno bene…» Logan estrasse un lungo pugnale d’argento.

« Tu sei pazzo! Pazzo! » urlò ancora una volta Antony.

« No! No, per niente!» rispose Logan ridendo.

Il pugnale calò lentamente ma inesorabilmente, per poi fermarsi a mezz’aria. Logan scostò le coperte e la tunica con l’altra mano. La fredda lama toccò il ventre di Antony, per andarsi poi a posare sopra i suoi genitali. Non poteva fare nulla, era troppo debole e con la mente aveva già strangolato Lunac, ma il suo corpo era ancora immobile.

Il sudore freddo colava senza sosta dai suoi capelli, era totalmente impotente e alla mercé di quel pezzo di merda.

Logan scoppiò in una risata diabolica e poi rinfoderò il pugnale e diede un pizzicotto sulla guancia di Antony.

« Scherzavo, biondino!» sorrise ancora.

« Non sei tu che voglio uccidere! Ora vado a cena, penso che mi tratterrò con tua sorella stasera! Ci vediamo in giro, campione!» concluse Logan, uscendo dalla stanza senza mai dare le spalle a Antony. La porta si richiuse violentemente.

 

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Capitolo 19
*** Follia! ***


La cena era iniziata già da qualche minuto, quando finalmente gli riempirono la brocca del vino. Come sempre la sala era splendidamente adornata. E come sempre erano presenti stuoli di tavoli dove vi erano raccolti il fior fior della nobiltà di Landor.

I Neri erano tutti presenti, compresa La Vipera, che era stata investita il pomeriggio stesso. Parlottava con Il Cacciatore e Arathon, perlopiù. Seth Lunac invece pareva quasi estraneo al mondo, quella sera. Le promesse spose erano state portate sul suo stesso tavolo, ora più lungo delle altre volte, ma Vaan ormai non le guardava più come prima. Prima o poi avrebbe dovuto scegliere, ma non se la sentiva di farlo in tempi brevi. Per ora, voleva continuare a fare come aveva sempre fatto, ovvero a stare con le puttane, soprattutto Alexya. Quella rossa lo mandava in visibilio al solo pensiero. Stasera forse l’avrebbe richiamata ancora una volta nelle sue stanze, come ormai soleva fare da un mese a questa parte. Nell’ultima settimana gli aveva anche proibito di andare con altri clienti, pagandone comunque il tempo rubatole.

-Vaan, dobbiamo parlare. - disse sua madre dal nulla.

-Che vuoi? Stiamo mangiando, non si può rimandare a domani?- rispose lui, un pò infastidito.

- No, adesso. - Poi il tono si fece più basso, onde evitare che altri ascoltassero il resto della frase. - Devi richiamare gli uomini dal Castello di Ghiaccio. Cesar lo cingerà presto d’assedio, perderemo quei soldati. -

Un altro atto di codardia di sua madre. Vaan non avrebbe mai acconsentito. Suo padre lo avrebbe forse fatto?

- Non se ne parla, tra meno di una settimana tutte le forze del regno arriveranno lì. Cesar verrà circondato. -

- Ma allora sei proprio un incosciente! Tra una settimana! Si, se fossero solo cavalieri. Ce ne vorranno almeno due, dato il numero delle armate. E quando arriveranno lì, troveranno solo cadaveri Destiryon e Cesar si sarà già dileguato, prendendo altre strade per arrivare qui. Dammi retta, una buona volta! -

- Non dirmi quello che devo fare. Io sono il Re, io decido, io comando le truppe. Tu non conti nulla. -

- Oh, invece io conto eccome…viziato buono a nulla! - L’insulto riecheggiò nella testa di Vaan più e più volte.

- Ringrazia la fortuna che siamo a tavola. Uno schiaffo ora, non te lo avrebbe tolto nessuno. - rispose cercando di apparire il più distaccato possibile.

- Non oseresti..! - fece sua madre, sfidandolo con lo sguardo.

La tentazione di lasciare un segno su quella bella faccia di sua madre era forte. Ma poi, si trattava ancora di sua madre ? O era solo una sforna-eredi di prima categoria per suo padre ? Decise però di contenersi. L’ultima cosa che doveva fare era dare un immagine di un Re debole e incatenato dalla sua impulsività.

Un Re dev’essere il più contenuto e moderato degli uomini in presenza del pubblico.” gli aveva detto suo padre Lance qualche anno fà.

Decise di seguire il consiglio, quella sera. La tensione iniziò a svanire qualche secondo dopo, per poi riemergere più forte di prima. La porta della stanza si aprì violentemente, e ne uscì Logan Lunac con un volto che dire furioso era un eufemismo, accompagnato da alcuni suoi fedeli soldati. Prese il suo posto in completo silenzio e iniziò a strappare il cibo dalle mani di alcuni presenti. In pochi si erano accorti di tutto ciò, la maggior parte delle persone beveva e rideva scherzosamente. Solo quelli del suo tavolo e quello di Logan notarono quella belva che era più furiosa del solito.

“ E adesso cos’ha questo folle?” si domandò Vaan.

Logan restò in silenzio tutta la serata, finchè non prese parola quando anche i dolci vennero serviti. Battè sul bicchiere per attirare l’attenzione e prese poi parola quando tutti gli rivolsero lo sguardo. Suo padre era accanto a lui.

- Miei nobili lord…e ladies. - e rivolse uno sguardo direttamente al tavolo di Vaan, dov’erano le quattro pretendenti. - Vorrei chiedere al nostro illustre Signore se può accordarmi il permesso di chiamare i musicisti e iniziare le danze. Questo dev’ essere un giorno di festa!-

Un hoy! generale si levò da tutte le voci.

“ Chissà che ha in mente..” rimuginò Vaan.

- Permesso accordato, Logan! Che entrino i suonatori! - ordinò il Re.

E quelli arrivarono in un battibaleno, come se già sapessero di ciò che dovevano fare. Si posizionarono fronte a tutti i tavoli, orizzontalmente, e presero a suonare una vecchia ballata triste e romantica, “I pianti del leone”.

Da quello che Vaan ricordava, trattava di un uomo che perdette la sua donna, e che pianse diversi notti fino a quando ella non gli apparve in sogno, dicendogli che era ormai nel regno di Larse. Si chiamavano pianti del leone perchè si diceva era riferita al Re Titus III, che perdette sua moglie di malattia dopo pochi anni averla sposata, di cui era innamoratissimo.

Le coppie si formarono velocemente nella sala, e presto la maggior parte degli ospiti stava danzando. Dal tavolo di Vaan però non si era alzato nessuno. Guai a pretendere il ballo da sua madre, o dalle sue contendenti. Nemmeno Logan aveva preso a ballare, mentre suo padre Sèregor danzava con sua moglie Alissa. Anche ai Cavalieri Neri, che erano sempre e comunque la scorta del Re, non era concesso di danzare, per i motivi detti sopra. Eppure, Logan ebbe l’ardire di avvicinarsi al tavolo del Re, e di prendere una sedia per sedersi accanto a lui. Prima di poggiare il sedere, però, La Vipera lo bloccò con una mano sul polso.

-Lascialo, Cèdric.- ordinò Vaan. -Fallo sedere.-

La Vipera mollò la presa e Logan si sedette dietro al Re. I Neri lo fissavano in totale silenzio, in contrapposizione con le musiche festanti dei musicisti. Dove tutti gli altri si divertivano, loro si squadravano a vicenda, finchè il Lunac non prese parola.

-Mio Re, voi non danzate? Avete quattro splendide donzelle, le faccia divertire!- lo incalzò.

Arathon sorrise, inaspettatamente. -Non ha tutti i torti! Divertitevi!-

La Montagna doveva essere più ubriaca del solito per dare ragione a Logan Lunac. Vaan incrociò lo sguardo di Amber Arcadia.

E va bene, facciamo questa pagliacciata.”

-Amber. Volete danzare con me?- chiese alla mora.

-Sarà un onore mio Signore.- rispose quella prontamente.

Vaan non poté non notare gli occhi di Gwen che si abbassavano; poteva soltanto immaginare la disperazione che la stava affliggendo. La cosa lo divertiva.

Così si alzarono dal tavolo per mischiarsi assieme agli altri danzanti. Vaan però faceva sempre in modo di mettersi in modo da poter ben vedere il suo tavolo, con i Neri, Logan, sua madre e le sue altre damigelle. Il suo sguardo oscillava continuamente dalla pelata del Lunac al seno della sua compagna di danze Amber. Poi però vide che Logan si avvicinò a Gwen Allister, chiedendogli qualcosa. Dalla faccia di rifiuto di lei, Vaan capì che gli aveva chiesto un ballo. Poi gli sussurrò qualcosa all’orecchio e la bionda, contro ogni aspettativa, cedette. I Neri fissarono Vaan, attendendo un suo ordine. Lui fece cenno di acconsentire.

Voglio vedere dove vuole andare a parare.”

Così anche Logan e Gwen iniziarono a danzare. Gregor Allister era dall’altra parte della sala con sua moglie Alexandra.

Vaan, aiutandosi con dei passi di danza che conosceva, si avvicinò astutamente ai due, non riuscendo però a udire cosa si stavano dicendo.

Poi Vaan vide la mano di Logan che si abbassava e sfiorava le natiche della bionda. Della sua bionda. Anche i Neri avevano visto, dal tavolo. Questo era troppo.

Seth aveva già la mano sull'elsa di spada.

Con un gesto della mano più che chiaro diede ordine di circondare Logan. Subito dopo fece fermare la musica con un battito di mani. I Neri erano già attorno al Lunac. Voci si sparsero nella sala. Tutti si ammutolirono.

-E questo che significa?- chiese Logan a Vaan.

-Ti ho concesso di ballare con lei, ma le mani devono restare al loro posto.-

- E’ quello che è successo! - urlò di risposta quello.

-Non credo proprio. Prendetelo, ha bevuto troppo!- ordinò Vaan.

-Con piacere, mio Signore.- fece Arathon.

Logan estrasse un pugnale e lo frappose fra lui e il gigante.

-E se invece adesso io vi taglio a pezzetti a tutti e quattro? Hm? Così vediamo quanto siete coraggiosi mentre vi cascano le budella! -

Sèregor Lunac si fece strada tra la gente.

-Fermi, fermi. - disse. - Mio figlio ha bevuto troppo, è vero. Scusatelo, vostra maestà.- Logan rinfoderò il pugnale, e così fecero anche i Neri con le loro armi.

-Nessuno mi deve scusare! So difendermi da solo!- urlò Logan, guardando in cagnesco un po' tutti.

- Ritirati nelle tue stanze, sarà meglio per tutti. - gli chiese Vaan.

- Tu poi mi hai stancato, ciccione! Io ti faccio fuori!- fece Logan a Arathon.

Ma alla fine se ne andò, barcollando mentre si dirigeva verso l’uscita. In realtà Vaan non l’aveva salvata dalle “grinfie” di Logan perché era realmente interessato a Gwen. Era stato più un istinto di possessione, che aveva da sempre. Gwen era “roba” sua, e soltanto sua. Così com’era suo il reame, il palazzo, e tutti gli abitanti di Landor.

 

Posò il mantello sulla sedia, e salutò Alexya con un bacio sulla fronte. Era addormentata.

-Mmm..buonasera..- rispose assonnata.

-Buonasera. Passata bene la serata?-

-Abbastanza… e tu? - disse mentre si stropicciava gli occhi.

-Non ti dico che gran divertimento…Preparami il bagno.-

-Non sono la tua serva! - Esclamò quella.

-Ti pago, fai quello che voglio io.- rispose Vaan.

-Prima devo dirti una cosa.-

-Dopo. Sono stanco,adesso.- tagliò corto il Re.

-No, adesso...sono incinta.-

-Succede alle puttane. Dai il bambino a qualche vecchia sterile, farai anche del bene.- gli consigliò il suo Signore.

-Voi non capite! Sono stata solo con voi in questo periodo. Il bambino è vostro!-

Il sangue si gelò nelle vene del Re. Terrore e felicità si mescolarono insieme in un turbinio di emozioni; la testa pesava. Crollò a terra, udiva solo la voce spaventata e ovattata di Alexya che andava a chiamare il Cacciatore.
 

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Capitolo 20
*** Morvaturo ***


 

-Che cosa fate?- chiese sua madre; aveva appena sbattuto la porta dietro di sé.

-Logan si è allargato. Ha molestato Gwen Allister, madre.-

-Questo lo so già. Ma la spada va al suo posto, Seth. Essere un Nero non ti autorizza a puntare la lama alla gola di tuo fratello, ed è già la seconda volta che te lo vedo fare.-

Seth distolse lo sguardo; ogni volta che parlava con uno dei suoi familiari, gli pareva di tornare a essere quel ragazzo che veniva sgridato e sempre messo da parte. Voleva bene a sua madre, ma a volte la odiava per questi suoi atteggiamenti.

-Io sono un Nero e proteggo il Re e chi lui vuole che io protegga. Questo è il mio giuramento, i Neri non hanno casata.-

-Ah! Sei ancora ingenuo, vedo. Sono anni che ormai sei a corte; non ti sei accorto delle cose che accadono? Onore e fedeltà sono seppelliti da tempo in questo regno!-

-Preferisco essere un ingenuo che diventare come voi!-

Sua madre diventò paonazza; gettò a terra il fermaglio per capelli, lasciando libera la sua chioma nera e avvicinandosi furiosa verso Seth. Alzò il braccio; Seth lo bloccò subito, avvicinandosi di molto agli occhi della madre, verdi chiari come i suoi.

-Non sono più un bambino, madre. Non ti chiederò di scegliere tra me e la casata, ma non intromettermi mai più in ciò che faccio.-

Sua madre si divincolò, raccolse il fermaglio da terra e lasciò le stanze di Seth in completo silenzio.

Seth percepiva ciò che lei pensava; era arrabbiata. Ma lui lo era di più, molto di più, prigioniero di una furia che lo aveva pervaso sin da quando i Lunac erano arrivati in città.

Seth benedì la guerra portatrice di morte. Sperava che Logan sarebbe stato tra i caduti, ormai non cercava più di reprimere questi pensieri.

La spada era lì, sul tavolo, dove l’aveva lasciata. Aveva preferito non portarla in giro da quella sera, era terrorizzato. Ora però se ne doveva liberare. Era meglio per tutti, lui per primo. La sollevò dal tavolo. Poi uscì sulla balconata, e tese il braccio. Doveva solo caricare il lancio, e quella spada non gli avrebbe mai più “parlato”. Si sarebbe persa nel fiume che scorreva sotto il suo balcone, uno dei tanti che percorrevano la città. Ma ne valeva davvero la pena ? E se l’avesse trovata Logan? Ma soprattutto, la voce era stata reale o Seth stava impazzendo?

La sua testa era ormai fuori controllo. Quasi sperava che Occhio Famelico si rimettesse in contatto con lui. Ma vi era solo un terribile silenzio nella testa del ragazzo.

Rinunciò al gesto e andò a dormire, per così dire. Non riuscì a chiudere occhio, vide il sole levarsi e iniziare a riscaldare tutta la Città.

Aveva passato una notte terribile, ma la spada non aveva parlato.

“Sono solo un pazzo.” pensò.

Io non credo.

La voce si era fatta risentire. Più forte, stavolta. Non poteva credere a quello che udiva. Quindi, era tutto vero? Davvero sentiva la sua spada “parlargli”? Doveva fare un tentativo, assolutamente.

“ Tu..puoi sentirmi?” disse tra sé e sé, non evitando di sentirsi un idiota.

Certo che posso. L’altra volta sei stato maleducato, non mi hai risposto.

“ Non ci posso credere, stò parlando a una spada!”

Magnifico, eh?

Seth si era dimenticato che quella “cosa” probabilmente poteva leggergli nella mente. Non era esattamente una bella cosa.

“Ma tu..che vuoi da me ? Perché mi parli? Cosa ti ho fatto ?”

Niente, cosa puoi avermi fatto? Ti parlo perché sei il mio proprietario.

“ Parlavi anche a Xaos?”

No.

La risposta era stata secca e tagliente.

“E perchè no?”

Mi stava antipatico. Peccato che Xaos era morto, e forse, la febbre improvvisa e letale non era stata casuale.

Sei perspicace.

“Adesso, che vuoi fare? Tormentarmi fino a quando non impazzirò?”

Tu hai letto troppe storie. Io ti parlo, tu mi rispondi; tanto basta.

“Ma perché mi vuoi parlare? Nessuna spada parla!”

Tu chiedi troppo.

“ Rispondi!”

Il silenzio fu l’unica risposta e Occhio Famelico non parlò più.

Seth si infilò l’armatura. Allacciò i gambali e gli spallacci, e mise il suo ormai immancabile mantello nero, il famoso mantello regalatogli da Lance. Aveva pensato di lasciare la spada lì in stanza, ma al momento di uscire un impulso irrefrenabile gli aveva detto di portarla con sé.

 

Era nella sala del trono, spalle al Re. I quattro Neri erano lì, fieri come non mai. La scorta del Re era finalmente al completo ; La Vipera, La Montagna, Il Cacciatore e L’Uomo di Ghiaccio. Pari solo ai guerrieri di Larse, gli parve in quel momento a Seth. Nulla da dire, erano di grande effetto.

Il Re ascoltò udienze, ma ora aveva ben altri problemi. Cesar era alle porte, e il giovane Re doveva sentirsi terribilmente solo. Da quello che Seth sentiva, Vaan non era esattamente ben visto dalla madre. Anzi, pareva sempre che lo ostacolasse. Arathon si accostò a Seth, sussurrandogli qualcosa.

- Seth, hai saputo? -

- Cosa? - rispose Seth.

- Il Re lascia gli uomini al Castello di Ghiaccio, sono soli. Verrano schiacciati da Cesar, non arriveranno mai in tempo i rinforzi…Larse li protegga. -

Seth era a dir poco preoccupato. Non si poteva perdere la guerra in questo modo, dannazione. Per i capricci di un bamboccio viziato, poi!

- Andrà tutto bene, Arathon. E poi, ci sarai tu a proteggerci tutti, no? -

Intervenne La Vipera, che probabilmente stava origliando. Cèdric stesso e Arathon abbozzarono un sorriso. Ma Seth non aveva voglia di sorridere. Aveva troppi problemi in quel momento, la guerra, Occhio Famelico..Gwen.

Ne era sicuro, quello che aveva provato quando Logan l’aveva toccata non era altro che gelosia. Non aveva portato la spada quella sera, per sua fortuna e quella di Logan. Altrimenti, sarebbe stato giustiziato per fratricidio.

- E che aspettavi a dirmelo? - Urlò Vaan improvvisamente dietro di loro. I Neri si voltarono all’unisono. Stava urlando in faccia a Caterine.

- Perchè tu non avresti mai approvato, da stupido quale sei! - gli rispose la regina.

- Come osi? Io sono il Re! Io comando! Io e solo io! - urlò Vaan ancora una volta, quasi in un delirio di onnipotenza.

La regina tentò di calmarsi, abbassando il tono. Probabilmente non voleva rendere le cose ancora più ridicole di quanto già non lo fossero.

- Tu..non comanderai più su nulla, se non mi darai ascolto. Ritirali da quel castello maledetto e barrichiamoci in città, non vinceranno mai l’assedio! -

- Io..-

Vaan fu interrotto dal portone che si aprì violentemente. Un uomo trafelato e col fiato lungo ne uscì di corsa. Era il messaggero del Re, un tizio di di cui Seth nemmeno conosceva il nome.

- Mio re…- e si fermò a prendere fiato.

Vaan si alzò in piedi, temendo probabilmente le notizie che poteva portare quell'uomo.

- Dimmi. Parla! - gli ordinò.

Il messaggero fece un altro gran respiro, in modo da poter rispondere.

- Hanno…hanno preso il castello di ghiaccio signore. Pochi uomini sono sopravvissuti, e stanno tornando qui. Qualche centinaio. I restanti, tutti morti. -

- Ma com’è possibile prendere un castello in due giorni, dannazione! - urlò Vaan pestando un piede per terra e facendo un gran rumore.

E questo sarebbe il tuo Re? Ma per favore.

“Zitta, non è il momento adesso!” gli disse Seth.

- Li hanno presi alla sprovvista, mio signore. Non hanno fatto in tempo nemmeno a chiudere le porte che già erano nel castello. Quelli rimasti fuori sono stati trucidati, i pochi che erano dentro si sono arresi, per poi venire massacrati anche loro. Sono pochi i superstiti che sono riusciti a ritirarsi prima della battaglia. -

- Cani codardi! - esclamò Vaan.

- Ma..mio Re..cosa potevano fare? - intervenne La Montagna.

- Dovevano combattere per me, ciccione! - E il Re sferrò un calcio al trono.

Le cose stavano precipitando. Migliaia di perdite e ora Vaan era in netto svantaggio numerico.

- Io..io non sò che devo fare! - Mormorò. Quale grave frase.

Un Re incapace, ecco chi era al comando di Landor. E per di più, l’aveva ammesso. Il volto di sua madre si fece più pallido che mai. Forse aveva sempre avuto ragione, pensò Seth. Forse davvero suo figlio era un fallito e un buono a nulla. Vaan si gettò sul trono, sconsolato e in silenzio, mentre i presenti presero a mormorare. L’Albino si alzò dal suo seggio, quello accanto a sua sorella, e parlò.

- Fate entrare tutte le truppe in città, serrate le porte e preparate le difese. Siamo in guerra, signori. - corse via nella direzione opposta a quella da cui era venuto, per andare a recapitare questi ordini.

- Le udienze di oggi sono finite. - aggiunse la regina, e tutti si alzarono dai loro posti per ritirarsi. Anche i Neri stavano per lasciare la stanza, quando la regina ordinò loro di recarsi nei punti delle mura dove vi erano le crepe provocate dal terremoto, di fare una stima dei danni e di disporre delle riparazioni necessarie.

 

 

Si recarono a cavallo al lato ovest delle mura, per primo. Qui i danni non erano stati grandi. Giusto qualche crepa che non necessitava nemmeno di riparazioni.

Il problema era la parte Nord, dove probabilmente Cesar avrebbe concentrato il grosso delle sue truppe. Le crepe erano grandi e profonde.

- Basta un tiro di catapulta e questo muro và giù. - Notò Il Cacciatore.

- Vero. Qui la situazione è grave. - convenne Cèdric.

Un uomo che era nei dintorni iniziò a urlare qualcosa come ladri, vigliacchi e infami ai Neri. Seth e Arathon fecero finta di non sentire. La Vipera e Il Cacciatore non fecero altrettanto.

Cèdric si avvicinò galoppando all’uomo, e gli urlò : - Sai che noi ti proteggiamo? Lo sai che noi siamo la scorta del Re? -

L’uomo rispose con altri insulti, anche rivolti a Vaan stesso.

- Il Re perde il favore del popolo…- bofonchiò Arathon.

“Ha ragione lui. La gente sà di essere in pericolo.”

Sai come si dice, finché tutto va bene il popolo obbedisce a chiunque. Ma è quando le cose vanno male che si vede chi è un vero Re.

Occhio Famelico non aveva tutti i torti, ma Seth provò comunque a giustificare in parte Vaan.

“ Il Re è giovane, inesperto. Non è del tutto colpa sua.”

Problemi suoi. Comunque chiamami Yvalee, non “Occhio Famelico”. Che brutto nome che mi dette quel mercante…

“ Yvalee? E che significa?”

E’ un bel nome e basta. Oh, guarda, Il Cacciatore ha una preda…

Il Nero stava punzecchiando con la lancia l’uomo mentre La Vipera tentava di convincerlo a ritirare le sue parole. Quello di tutta risposta sputò in faccia a Cèdric. Il Cacciatore smontò da cavallo e gli assestò un pugno con i guanti di ferro sulla nuca. L’uomo si piegò e cadde a terra, quasi stordito.

Si, si! Mi devo ricredere: è interessante questo Cacciatore! disse Yvalee.

Una piccola folla si era riunita attorno ai Neri e all’uomo.

Arathon non ci vide più e partì al galoppo anche lui. Seth lo seguì.

- Ma che fai? Noi siamo Cavalieri Neri, dobbiamo dare l’esempio! - urlò al Cacciatore.

- Questo stà solo creando problemi. Con un pò di cazzotti imparerà a parlare come si deve! -

E fece per dare un altro gancio all’uomo, per essere poi bloccato con una mano dal Gigante.

  • Lascialo perdere, Cacciatore. E’ meglio per tutti, te compreso. - La Montagna si stava veramente arrabbiando.

-Ah, porco! Urlò il Cacciatore. -Lasciami andare, frocio!-

-Che cosa hai detto?- sbraitò Arathon, sollevando da terra il Cacciatore compreso di armatura.

Lo alzò di circa un metro, pronto a scaraventarlo via. Ma due Neri rissosi non dovevano essere visti dal popolo. Arathon lo lasciò cadere a terra e rimontò a cavallo.

Seth sapeva il motivo della rabbia improvvisa di Arathon. Giravano voci su di lui che si recava nei luoghi solitamente frequentati da fanciulli e da qualche mese giravano voci che fosse attratto da alcuni di loro.

Seth faticava a crederci, ma non aveva mai aperto l'argomento con il suo amico.

Il Cacciatore si rialzò, Seth avrebbe osato dire spaventato. E chi non poteva essere spaventato quando un uomo di un metro e novanta per oltre centoventi chili di muscoli ti si metteva contro il viso?

Mentre i Neri se ne andavano qualcuno dalla folla urlò : Arathon il protettore dei poveri!, seguito poi da altre frasi simili. Un sorriso si fece strada tra l'incolta barba del Gigante.

 

 

- Come ti senti ? - chiese Seth.

- Non c’è male. Adesso riesco ad alzarmi dal letto, se lo vuoi sapere. - rispose Antony.

Seth era andato a fargli visita per sincerarsi delle sue condizioni, appena aveva avuto un attimo libero. Aveva lasciato Yvalee nelle sue stanze, non voleva avere una logorroica “cosa” al suo fianco.

- Hai saputo di Logan e tua sorella ? -

- Si, quel bastardo…ma almeno l’avete protetta. -

- Antony, dobbiamo proteggerla. Logan è un pazzo e il Re non lo arresterà mai, gli serve per questa guerra. - lo avvertì Seth.

- Lo sò, Seth..Dammi il tempo di rimettermi a nuovo e gliela farò vedere io! -

- Non farlo. Logan è più forte di te, devi ammetterlo.- gli intimò il Nero.

- Però tu lo hai abbattuto, no? Fallo ancora! -

- Mia madre non me lo perdonerebbe. Prova affetto per Logan, lui è abile nel nasconderle le sue malefatte. E guai a chi osa provare a raccontarle a Alissa. -

- Beh, può sempre rimanere ucciso in battaglia..- disse Antony, fissando Seth.

- Improbabile. E’ abile, e di sicuro non sarà in prima linea. -

- Prima o poi scenderà in campo quel bastardo, e si getterà nella mischia. Cercalo durante la battaglia. Un fendente, e Logan Lunac sarà solo un ricordo. Nemmeno sapranno che sei stato tu. -

Il silenzio di Seth fu esplicativo. Ci stava rimuginando sopra, ma sapeva che non ne avrebbe avuto il coraggio. Come se avesse intuito questa cosa, Antony aggiunse : - Se sarò in forze, lo farò io durante la battaglia. -

Seth squadrò il biondo a letto. Non aveva una bella cera, ma probabilmente ce l’avrebbe fatta per la battaglia.

-…E sia. Ma ti avverto, tu fai ciò che vuoi; io non voglio sapere nulla, non ti aiuterò né bloccherò. -

- Va bene, Uomo di Ghiaccio. -

Seth si alzò dalla seggiola accanto al letto. Raccolse i suoi guanti di ferro e si inchinò verso l’uscio. Quando la sua mano toccò la maniglia, Antony gli intimò di aspettare. Seth si voltò verso di lui.

- Finchè non sarò in grado di farlo..puoi proteggere Gwen ? Ti prego, non lasciarla a tuo fratello! Sei la mia unica speranza. -

Seth annuì senza dire niente; poi lasciò la stanza. L’aria era ormai sempre più fredda. L’autunno stava per iniziare ed erano ormai rari i giorni in cui il sole risplendeva fiero nel cielo. Stava uscendo dal palazzo degli ospiti, quando notò che proprio all’entrata vi erano Logan e Gwen. Lui gli aveva bloccato la strada con un braccio appoggiato alla parete e lei pareva a dir poco spaventata.

- Ora me lo dai un bacio? - udì Seth.

Gwen tentò di schiaffeggiarlo, ma lui la bloccò e poi alzò la mano per sferrargli uno schiaffo di risposta.

- Come osi, puttana? -

Il suo colpo fu immediatamente bloccato da Seth.

- Piccolo scarafaggio, lasciala andare. - gli ordinò Uomo di Ghiaccio.

- Il cavaliere a difesa degli oppressi si è fatto vivo! - rispose Logan, e tentò di sferrargli un calcio sulla caviglia, abilmente evitato dall’Uomo di Ghiaccio, mentre ancora teneva serrato il polso di suo fratello.

- Vattene. - disse senza emozioni il Nero. Logan si liberò allora dalla presa di Seth in un lampo, lasciandolo con la guardia scoperta e, in fondo, stupito. “ Ma come ha fatto a liberarsi in un attimo?” pensò Seth. I suoi occhi incrociarono per mezzo secondo quelli bellissimi e azzurri di Gwen, che lo rapirono e lo fecero cadere in trance.

Logan nel mentre caricò il destro, per poi fermarsi a metà dell’estensione del suo braccio.

- Oggi non ho voglia di risse, Uomo di Merda. Ci vediamo in giro. - gli disse con un ghigno beffardo.

Si diresse quindi verso la fortezza vera e propria. Seth si avvicinò a Gwen, restata a guardare tutto il tempo, come pietrificata.

- Ti sei fatta male ? - le chiese.

- Stò bene Seth, grazie..per fortuna sei arrivato. -

Lui la aiutò a rialzarsi, dal momento che aveva appoggiato la schiena al muro.

- Dovere, milady…-

Il silenzio rimbombò nell’atrio, una volta che Gwen si alzò. I loro volti non erano mai stati così vicini, le loro labbra quasi si sfioravano.

- Spero che tuo fratello si rimetta in sesto, Gwen. - gli disse Seth allontanandosi dalle labbra di lei.

  • Non pensare a lui. - gli sussurrò Gwen, che gli mise una mano intorno al collo e lo tirò a sé. Le loro labbra toccarono, per la prima volta, e consumarono un lungo e appassionato bacio.

    “Non…non può essere! Non ci credo!” pensò Seth, mentre teneva gli occhi chiusi e assaporava quel momento.

Quello che stava provando era quello che aveva sempre desiderato e sempre represso? O era semplicemente stupore e sorpresa? In fondo, lui non l’aveva mai ammesso, ma Gwen aveva sempre esercitato un certo fascino su di lui.

Dopo secondi che parvero un’eternità, le loro labbra si staccarono, e le lingue sciolsero i loro nodi.

-…C-cos’era questa cosa? - balbettò Seth.

-..Non..non lo sò. Non avrei dovuto farlo, io sono promessa al tuo Re! Scusa, Seth. - mormorò la bionda abbassando lo sguardo.

- Niente scuse. - gli disse lui, che la riavvicinò a sé e fece di nuovo incontrare le loro labbra.

 

 

Ma dov’era stato? In un sogno? Quasi credeva a quello che era successo quando tornò nelle sue stanze, dove ad attenderlo non c’era solo Yvalee ma anche gli altri tre Neri.

- Arathon! Cèdric! Ma che fate qui? - Esclamò Seth. Grande fu la sua sorpresa quando li vide: raramente qualcuno lo andava a visitare nelle sue stanze.

- Seth! ahr! ahr! Figlio di buona donna, era impossibile trovarti; e dobbiamo parlare! - disse Arathon.

- Così siamo venuti qui, aspettando il tuo ritorno. - aggiunse Il Cacciatore.

- E di che dobbiamo parlare ? - chiese allora Seth.

- Della guerra, ovvio! Ahr! Ahr! - forse Arathon trovava divertente la guerra, oppure era semplicemente già ubriaco.

- Il re mi ha mandato questa. - disse La Vipera, poggiando una pergamena sul tavolo, accanto a Yvalee.

Seth la srotolò avidamente. Conteneva le disposizioni del Re per la futura (nemmeno troppo) battaglia contro Cesar.

- Vedi, io e te proteggeremo il Re direttamente. - gli spiegò Cèdric.

- E io e lo stecchino andiamo più avanti, sulle mura, a dare ordini! ahr! ahr! - Aggiunse Arathon.

- Chi sarebbe lo stecchino, ciccione? - gli chiese Il Cacciatore arrabbiato.

Ottenne un’altra grassa risata come risposta.

- Buoni, voi due! - gli disse La Vipera voltandosi.

- Aspetta un attimo…- notò Seth, toccando il braccio alla Vipera. - Il Re non sarà sulle mura a dare ordini? -

- No. Sarà sotto di esse. Ha nominato questi due qui…- e indicò gli altri due Neri con un cenno. -..suoi rappresentanti ufficiali e comandanti in capo delle forze di difesa.-

Coraggiosissimo il tuo Re!

“Non è il momento, Yvalee.”

E pensare che dalla voce “lei” non sembrava avere tutta questa età.

I Neri si ritirarono poco dopo nelle loro stanze.

Allora, stasera che facciamo?

“Si dorme.”

 

Aprì gli occhi che era in cima a una villetta della città. Il buio avvolgeva le strade e i vicoli. Era vestito da Cavaliere Nero, con il mantello di Lance che svolazzava mosso dal vento. Eppure, si sentiva così potente, così forte. Abbassò lo sguardo. Notò che la sua armatura era molto più scura, e non era a causa della notte.

Mi piaceva di più così.

“Yvalee? Anche qui, dannazione!”

Dai, ammetti che è più bella ora!

“ Lasciamo perdere..”

Salta!

“Come? e dove? a terra? mi spacco le gambe, idiota!”

Non a terra. Davanti a te.

Il tetto più vicino era a minimo venticinque metri. Era impossibile arrivarci.

“Senti, va bene che è un sogno, ma non ci tengo a rompermi le ossa, anche se non è vero.”

Ma se era un sogno, perché era così fottutamente lucido? Poche volte gli era capitato di fare sogni lucidi nella sua vita, ma mai così dannatamente reali.

Zitto e salta.

Seth prese la rincorsa, si avvicinò correndo al bordo del tetto, piegò le ginocchia e spiccò un balzo.

Svettò altissimo, quasi sentì il vento che aveva mosso; atterrò sul tetto davanti a lui.

“Non ci credo!”

Perché non mi dai mai ascolto? gli disse Yvalee quasi sconsolata.

Prese così a zompare da un tetto all’altro, muovendosi a una velocità innaturale, e nonostante questo le pochissime persone che giravano per la città a quell’ora sotto di lui non sentivano nulla, non lo notavano. Nemmeno un accenno, nemmeno un guarda quel tizio la’ sopra! , niente di niente. Silenzioso come l’oscurità, veloce come una pantera, immateriale. Sentiva il vento infrangersi sui suoi scuri capelli. Poi scese da un pinnacolo, e atterrò sulla soffice erba alla riva di un piccolo corso d’acqua; probabilmente il Mesat. Ma quando guardò la torbida acqua del ruscello, notò che il suo viso aveva il pallore della morte.

 

 

Aprì di nuovo gli occhi che era a terra, si sentiva esausto. Eppure era vestito, pronto per la giornata di “lavoro”. Armatura già infilata, Yvalee era davanti a lui, a terra anch’essa.

“Ma che è successo?”

Si era addormentato prima di andare a letto, o era svenuto la mattina dopo mentre si preparava per la giornata ?

“Yvalee, che é successo?”

Avevo voglia di uscire stanotte.

“Vuoi dire che è…è stato reale?”

Oh, molto più che reale!

“Ma com’è possibile? Che cosa sei, un arma dei cavalieri di Larse?”

Non esattamente.

“E allora che cosa sei?”

Non mi và di parlarne.

“ Mi vuoi spiegare come hai fatto a farmi fare quelle cose?”

Diciamo che…amplifico i poteri di certi individui. Ecco, diciamo così.

“ Ma di quali poteri parli?”

Molti li hanno. Ma non sanno di averli. Io li risveglio e li amplifico, tutto qui.

“ Non incantarmi, Yvalee. Solo i cavalieri di Larse e i non-morti avevano i poteri, un tempo. E c’è anche chi dice che siano solo leggende, come lo credo anch’io!”

E allora farai meglio a credere a certe leggende. Per inciso, quelli che tu chiami non-morti, si chiamano Morvaturii. E smetti di scacciare quel dubbio che osi chiamare proibito, te ne prego!

Ovviamente Yvalee conosceva ogni pensiero del ragazzo, anche quelli più oscuri e tenebrosi.

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