THE BEST GOAL KEEPER di aresian (/viewuser.php?uid=6877)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'arrivo ad Amburgo. ***
Capitolo 2: *** La Selezione. ***
Capitolo 3: *** Un difficile inizio. ***
Capitolo 4: *** Maria ***
Capitolo 5: *** L'allenamento speciale del Kaiser. ***
Capitolo 6: *** L'esordio in partita. ***
Capitolo 7: *** Il portiere ... paratutto! ***
Capitolo 8: *** I Mondiali di Price ***
Capitolo 9: *** Il cuore di un portiere. ***
Capitolo 10: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** L'arrivo ad Amburgo. ***
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Desclaimer: Capitan Tsubasa, Tsubasa, Wakabayashi, Hiyuga e gli altri
personaggi, sono proprietà di Yoichi Takahashi e della Shueisha
Inc. Tokyo e per la versione italiana Edizioni Star Comics. Questa
fanfiction è stata creata senza fini di lucro, per il puro
piacere di farlo e per quanti vorranno leggerla.
Nessuna violazione del copyright si ritiene, pertanto, intesa….
THE BEST GOALKEEPER
By Aresian
CAPITOLO 1
(L’arrivo ad Amburgo)
Finalmente era arrivato. Dopo un
viaggio di ore, e tre cambi di treno, era giunto ad Amburgo. Lì
si sarebbe giocato tutte le carte che erano rimaste nel suo mazzo e non
le avrebbe giocate a vuoto. Dando una rapida occhiata alla cartina
cerco di orientarsi. Bhè! La prima cosa sensata da fare era
quella di chiamare un TAXI e farsi portare all’albergo dove aveva
prenotato.
Con tranquillità si mise in coda, attendendo pazientemente il
suo turno. Una volta salito in macchina diede l’indirizzo al
taxista e si rilassò contro il sedile guardando distrattamente
fuori del finestrino. Un quarto d’ora dopo, scendeva innanzi
all’elegante ingresso dell’albergo sito a poca distanza dal
centro sportivo, dove aveva sede la società dell’Amburgo
Calcio. Erano le 10.45 aveva tutto il tempo di farsi una doccia
tonificante e di ambientarsi un po’. Stando alla cartina, poco
distante dall’albergo era sito un ampio giardino l’Alter
Botanische Garten, nel pomeriggio aveva tutto il tempo di farci un
salto per una breve seduta di allenamento.
Il giardino meritava realmente la pubblicità che, le guide
turistiche, gli facevano. Era stupendo e ben tenuto. In un’intera
ala era allestito un enorme edificio che accoglieva padiglioni
fieristici, mentre in un’altra facevano bella mostra di sé
diversi impianti sportivi. Poco lontano, un gruppetto di ragazzi stava
allegramente giocando a pallone. Vagamente incuriosito, Benji si
fermò ad osservarli. Principianti ma parevano divertirsi sul
serio. Cielo, quanto tempo era che non giocava per il puro gusto di
farlo? Lo ricordava bene. L’ultima volta era accaduto circa un
anno prima e a trascinarlo in quell’allegra partitella era stata
la visita improvvisa, e quanto mai gradita, di Tom Becker. Perso nei
suoi ricordi non si accorse che il pallone era finito a due metri da
lui, almeno finché uno dei ragazzi non richiamò la sua
attenzione.
“Ehi! Amico, ci lanceresti il pallone?” chiese un ragazzone dalla zazzera “pel di carota”.
Con un sorriso ironico Benji si avvicinò al pallone di cuoio e,
con un colpetto deciso del piede, lo sollevò da terra iniziando
tranquillamente a palleggiare.
“Questo?” chiese sornione.
“Ragazzi, avete visto come palleggia quello?” commento uno del gruppo.
“Se non ti spiace vorremmo riprendere a giocare” rispose prontamente il ragazzone, vagamente irritato.
Benji si abbassò la visiera del cappello sugli occhi e con un
sorrisetto ironico alzò la palla in verticale, prima di colpirla
di collo pieno e scaraventarla direttamente dentro la porta
improvvisata, a più di venti metri di distanza, lasciando
totalmente annichiliti i presenti.
“Buona partita, ragazzi” disse poi divertito tornando sui suoi passi, avviandosi deciso verso l’albergo.
Dal lato opposto del campo, sotto una rigogliosa quercia secolare, un
giovane dai capelli biondi come il grano accarezzava distrattamente il
pelo di uno splendido pastore tedesco.
“Interessante” fu l’unico commento che uscì dalle sue labbra.
Quella mattina il suo cellulare aveva suonato insistentemente costringendolo ad uscire precipitosamente dalla doccia.
“Pronto!” aveva risposto, piuttosto infastidito.
“Benji. Si può sapere che fine hai fatto? Sono arrivato a
Dresda questa mattina per sentirmi dire che non solo avevi rotto il
contratto ma che te n’eri pure andato in fretta e furia dalla
pensione. Dove diamine ti sei andato a cacciare?” tuonò la
voce preoccupata di Freddy Mashall.
Storcendo la bocca in una smorfia ironica, Price allontanò
momentaneamente il telefono dall’orecchio, onde evitare di essere
assordato.
“Calmati, Freddy. E’ tutto a posto. Sono ad Amburgo” disse poi in tono pacato.
“Amburgo!!!” il tono del tutore, non che ex allenatore, era
quanto mai sorpreso. “E si può sapere che diamine ci
fai?”.
“Senti, Freddy. Sono stanco di giocare in squadrette di
periferia. All’Amburgo cercano gente nuova. Ci sarà una
selezione e non voglio lasciarmi scappare quest’occasione. Se mi
va buca, posso sempre tornare in Giappone” disse, in tono amaro.
Dall’altra parte della cornetta ci fu un attimo di silenzio.
“Il trasferimento a Dresda non ti è mai andato giù,
vero? Benji, è un azzardo. Hai un grande talento ma
difficilmente ti apriranno le porte della primavera di una squadra
così importante. C’è posto solo per i talenti
tedeschi” disse l’uomo, con tono sinceramente dispiaciuto.
Benji strinse con forza il telefono. Maledizione, la conosceva anche
troppo bene quella litania. Neanche non ci avesse mai sbattuto il naso.
Ma questa volta avrebbe fatto vedere a tutti quello che valeva. Era
stanco, stufo di fare il rimpiazzo di serie C.
“E’ inutile, Freddy. Oramai sono deciso. Non preoccuparti
per me. Mi sono sistemato in un ottimo albergo e ho soldi a
sufficienza. Ti chiamo a selezioni concluse” disse con face
sbrigativo.
“Scordatelo. Dammi l’indirizzo e nel pomeriggio sarò
ad Amburgo”. A quanto pareva Marshall non era del suo parere.
“Non è affatto necessario. Ho 19 anni se lo hai scordato.
Non ho più bisogno della balia” ribattè seccato il
giovane.
“A giudicare dai tuoi colpi di testa direi il contrario. In ogni
caso hai bisogno di un Manager. Chi controsiglerà il tuo
contratto se sfondi?” disse pratico l’uomo.
Levando gli occhi al cielo, Price si arrese all’evidenza. Freddy Marshall era peggio di una guardia del corpo.
“Essia. Ma ti terrai fuori. Non voglio che intervieni per nessuna ragione. Devo farcela da solo” disse deciso.
“D’accordo. Adesso dammi l’indirizzo”.
Due minuti dopo la comunicazione veniva chiusa.
^Perfetto^ pensò il giovane. Di nuovo Freddy tra i piedi. Ma sul
suo volto non c’era alcuna traccia di disappunto, solo un sorriso
malizioso. Con tutto quello che aveva combinato da che lo conosceva era
davvero sorprendente la sua tenacia nel stargli alle costole.
- continua -
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Capitolo 2 *** La Selezione. ***
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Note dell'Autore: In primis grazie a tutte/i coloro che hanno letto il 1° Capitolo. Per lemnia ti ringrazio, solitamente tendo a tenere i personaggi IC, non amo particolarmente le OOC. Per Fe85 grazie, spero che il seguito non ti deluda...hehe!!! Saretta1381 spero
di poterti rendere Benji... più simpatico. In ogni caso hai
ragione, non esiste la Serie C in Germania. Quando ho scritto quella
frase volevo lasciar intendere la frustrazione di Benji che non riesce
a trovare il "salto di qualità" al quale ambisce. Manila in
effetti Genzo/Benji è piuttosto gettonato,ma non come Oliver, e
spesso in versione yahoi. Riguardo Karl, se può consolarti la
penso esattamente come te infatti le mie storie su Capitan Tsubasa
mirano a personaggi come Benji, Mark e Karl. Tre caratteri volitivi che
mi piacciono parecchio.
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sono proprietà di Yoichi Takahashi e della Shueisha Inc. Tokyo e
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e per quanti vorranno leggerla.
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CAPITOLO 2
(La Selezione)
Freddy era arrivato quel pomeriggio, puntuale come un orologio svizzero.
“Ciao, accomodati” disse Benji, facendosi di lato per lasciarlo entrare nella stanza.
“Parola mia, Benji. Un giorno o l’altro mi farai prendere
un colpo. Quando la smetterai di fare di testa tua ed inizierai ad
ascoltare, una buona volta, i miei consigli?” chiese
l’uomo, lasciandosi cadere su una sedia.
Price incrociò le braccia sul petto.
“Freddy, non ho mai preso alla leggera i tuoi suggerimenti, ma mi
sono stancato. Sono partito dal Giappone con una valigia carica di
sogni e ambizioni che sono rimaste là dentro, per tre anni, a
fare la muffa. Adesso basta. Per fare il portiere a Dresda posso anche
tornare a Fujisawa” disse calmo il giovane.
Freddy Marshall osservò lo sguardo deciso del suo
“pupillo”. Lo conosceva da quando era un bimbetto arrogante
e pieno di talento. Sapeva che questa volta non avrebbe potuto
fermarlo. Con un sospiro rassegnato gli disse “E va bene, Benji.
Vuoi fare qualche seduta di allenamento prima della selezione?”.
Il giovane sorrise apertamente.
“Ma certo”.
Giunse così il giorno fatidico. Con la sacca sportiva a
tracolla, e l’immancabile berretto calcato in testa, Benji si
avviò verso la sede dell’Amburgo Calcio. Era una frizzante
giornata di primavera. Il sole filtrava tra gli alberi del vialetto
d’ingresso. Avanzando con passo sicuro raggiunse rapidamente il
luogo prescelto per il raduno degli aspiranti. Era in anticipo di circa
venti minuti ma lo spiazzo era già gremito di ragazzi. Come si
avvicinò avvertì immediatamente lo sguardo incuriosito
degli altri, la sua carnagione e i suoi occhi a mandorla tradivano le
sue origini orientali, ma la cosa non lo turbava affatto. Oramai era
abituato a quel modo di squadrarlo come una “mosca rara”.
Ignorando i loro sguardi posò la sacca a terra e si
appoggiò, con fare indolente, ad una pianta.
Una decina di minuti dopo l’arrivo della Primavera dell’Amburgo scombussolò i presenti.
“Ehi. Guardate, quello è il Kaiser” disse uno dei ragazzi con uno sguardo ammirato.
Benji, che pareva non avere neanche notato i nuovi arrivi,
rialzò bruscamente la testa. Quel soprannome gli era ben noto.
Karl Heinz Schnider era il nastro emergente del calcio tedesco. La sua
abilità sul campo era portata ad esempio da molti critici e
allenatori. Sistemandosi la visiera del cappello, il giapponese,
studiò l’oggetto di tanto interesse.
Il giovane centravanti dell’Amburgo aveva un fisico invidiabile.
I capelli color del grano incorniciavano, ribelli, il suo volto
d’angelo e gli occhi azzurri freddi come il ghiaccio. Con fare
distaccato si fece strada tra il nugolo di ragazzi e si avviò
deciso verso il campo. Era proprio curioso di vedere di cosa erano
capaci quei dilettanti. Ad un tratto notò un giovane discosto
dagli altri. Il fisico alto e possente e il volto parzialmente celato
dalla visiera di un cappello. Strano aveva l’impressione di
averlo già visto…
“Molto bene, signori. Possiamo ufficialmente dare il via alla
selezione. Verrete chiamati a turno per mostrarci di cosa siete capaci.
Schnider e l’allenatore saranno i giudici, insindacabili,
pertanto sarà a loro che dovrete dimostrare di avere
stoffa”.
Un misto di apprensione e aspettativa serpeggiò tra i presenti.
“Seguitemi. Vi esibirete a turno e a seconda dei ruoli. I primi
che esamineremo sono gli attaccanti” disse poi il
vice-allenatore, facendo cenno ai ragazzi di entrare in campo.
La selezione era iniziata da circa due ore ed avevano esaminato circa
¾ degli aspiranti. Adesso sarebbero passati alla categoria dei
difensori e dei portieri. Perfetto, finalmente era arrivato il suo
turno. Era impaziente di trovarsi tra i pali, e mostrare di cosa era
capace. Per tutto il tempo aveva osservato con attenzione le
prestazioni degli altri atleti. Anche se doveva ammettere che, spesso,
lo sguardo gli era caduto sulla figura di Schnider. In qualità
di esaminatore si era piazzato a bordo campo e studiava con attenzione
ogni singolo gesto, ogni dettaglio, inerente agli esaminati. Nulla
sfuggiva a quegli occhi di ghiaccio. Dannazione, quanto gli sarebbe
piaciuto vederlo sul campo e non lì fermo a giudicare.
“Karl…. Se vuoi possiamo interrompere per qualche minuto.
Sarai stanco” disse il vice-allenatore avvicinandolo.
“No. Va bene così. A chi tocca adesso?” chiese poi, dando uno sguardo alla lista dei candidati.
“Sono rimasti ancora i portieri. Sono una decina” si sentì rispondere.
Un sorriso freddo si dipinse sulle labbra del giovane tedesco. Con il
passaggio del portiere titolare in prima squadra, l’anno
precedente, erano ancora a caccia di un secondo di un certo livello.
Chissà se tra quei novellini c’era qualcuno degno di
nota…
Benjj allacciò lentamente le scarpe chiodate. Con tutta calma si
infilò poi i guanti logori, meglio non rischiare con un paio
nuovo, quelli gli calzavano alla perfezione permettendogli la massima
sensibilità. Tra poco sarebbe stato il suo turno. Tornando a
rivolgere l’attenzione verso il campo di gioco notò come
l’intera squadra dell’Amburgo, eccezion fatta per Schnider,
si fosse schierata innanzi alla porta prescelta.
“Bene, ragazzi. L’esame per i portieri è semplice.
Vi schiererete in porta a turno. I titolari vi faranno una serie di
tiri da fuori e da dentro l’area, nonché dei rigori. La
scelta dipenderà dall’esito di questa prova. Qualche
domanda?” chiese Schnider deciso.
Ovviamente nessuno obiettò.
I primi quattro ragazzi ebbero non poche difficoltà ad arginare
la potenza di quei tiri. C’era sicuramente tecnica ma scarsa
lucidità.
^Qual si voglia dimostrare. Pietosi^ pensò ironico Schnider.
“Il prossimo”.
Ecco toccava a lui. Ora avrebbe fatto vedere chi era Benjamin Price.
Con fare tranquillo si sistemò tra i pali, controllò
un’ultima volta la vestibilità corretta dei guanti e si
sistemò il cappello. Era pronto.
^Ma guarda. Abbiamo anche un rappresentante del Sol Levante^
pensò il capitano tedesco, notando la provenienza del giovane,
indicata sulla scheda di partecipazione. ^Se riesce a vedere la palla
è già tanto….^.
Tutti i sensi all’erta, la concentrazione al massimo. Piegando
leggermente le ginocchia, Benji si preparò alla sua prima
parata. Ecco, il pallone era stato scagliato, angolo destro in alto.
Niente di più facile. Con uno scatto felino si fiondò
incontro al pallone bloccandolo con sicurezza. Non aveva ancora
poggiato i piedi a terra che già vedeva partire il nuovo tiro.
Con agilità scartò immediatamente alla sua sinistra
respingendolo con una mano.
Ma non c’era tempo per fermarsi a riflettere. Doveva riguadagnare
immediatamente il centro della porta e affrontare il nuovo avversario.
“Che ne pensi Karl?” chiese Strauss al suo fianco.
“Come tecnica lascia un po’ a desiderare. Del resto da un
giapponese non potrei aspettarmi di più. Comunque è
agile” concesse continuando a studiare il giovane che si stava
esibendo tra i pali. Ma certo, ecco dove lo aveva visto. Al parco, due
giorni prima. Così era un portiere … interessante.
Benji era esausto. Quella prova si era dimostrata realmente
massacrante. Nonostante ci avesse messo tutto il suo impegno, alcuni
palloni era finiti nella rete. Con un gesto stizzito si alzò in
piedi e si pulì i vestiti impolverati.
“Molto, bene. Il prossimo” disse il vice-allenatore.
Stava già per lasciare il posto al collega quando la voce inflessibile di Schnider lo bloccò sul posto.
“Non ancora. Voglio metterti alla prova, Price” disse il
tedesco attirandosi uno sguardo perplesso da parte dei presenti.
Levando il viso, Benji incontrò i suoi gelidi occhi azzurri. Per
un lungo istante i due si limitarono a fissarsi. Poi, riscuotendosi, il
nipponico tornò tra i pali. Aveva la sensazione che quella sfida
se la sarebbe ricordata a lungo…
- continua -
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Capitolo 3 *** Un difficile inizio. ***
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Note dell'Autore: Thanks a chi ha letto il 2° Capitolo. eos75 lo so che questa fanfiction ti piace e ti ringrazio perchè non ti stanchi di recensirla. Fe85
grazie di avermelo fatto notare, ho inserito il cognome di Karl nel
correttore automatico ... con l'errore, quindi mi saltava fuori senza
che me ne accorgessi. Da questo capitolo lo riporto corretto...hehe!!!
In realtà per il character dei personaggi mi rifaccio non solo
all'anime ma anche al manga, che a tratti si discosta un po'. Buona
lettura!!!
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By Aresian
CAPITOLO 3
(Un difficile inizio)
Erano rimasti tutti sorpresi da
quelle parole. Con nessun’altro Schneider era sceso in campo. Si
era sempre limitato ad osservare silenziosamente la prestazione di
tutti.
“Questi sono i termini della prova. Io farò dieci tiri. Ti
sfido a riuscire a pararne almeno uno” disse tranquillo il Kaiser.
Gli occhi scuri di Price furono attraversati da un lampo di
determinazione e d’orgoglio. Non chiedeva di meglio. Se pensava
di averlo intimidito si sbagliava di grosso.
“Vieni. Sto aspettando” rispose tranquillo posizionandosi
perfettamente al centro della porta, gambe leggermente divaricate e ben
piantate a terra e lo sguardo fisso sulla palla e i piedi
dell’avversario.
^Certo, amico. Ma non ti piacerà^ pensò Schneider
prendendo la rincorsa e sfoderando all’istante uno dei suoi
terribili Fire Shot.
Benji fece appena in tempo a vedere partire il pallone che già
lo riceveva violentemente in pieno petto, finendo con esso dentro la
porta, mentre annaspava cercando l’aria che, improvvisamente, era
mancata ai suoi polmoni.
“Merda, l’ha centrato in pieno” sussurrò uno
dei presenti, scosso. Era palese come quella fosse stata
l’intenzione del tedesco.
Frastornato, Benji si mise lentamente a sedere. Faceva ancora fatica a
respirare tanto l’impatto con il pallone era stato violento.
“Ti arrendi già? Guarda che ne devo calciare ancora
nove” disse imperturbabile Schneider. La sua
inflessibilità era nota a tutti i compagni di squadra. Che non
si sorpresero più di tanto per il suo atteggiamento.
Benji strinse i denti. Dannato spaccone, l’aveva fatto apposta a
centrarlo ne era certo. Ma se pensava di averlo dissuaso si sbagliava.
Lentamente si levò in piedi, raccogliendo il capello impolverato
e rimettendoselo in testa. Il tedesco osservava attento le sue mosse e,
tutto sommato, rimase compiaciuto nel leggere il lampo di sfida negli
occhi neri del nipponico. Aveva carattere allora…
“Preparati, arriva il secondo” disse pratico prendendo la
rincorsa. Questa volta il Fire Shot era diretto all’angolo alto
sinistro. Nonostante ne avesse intuito la traiettoria, Benji non
riuscì a fermarlo, era in ritardo.
“Merda” bofonchiò contrariato rimettendosi in piedi.
Quel maledetto lanciava delle bordate tremende e per lo più
cariche d’effetto. Al confronto i tiri di Lenders sembravano
passaggi da calcetto.
“Ne rimangono otto” disse semplicemente il tedesco prima di sfoderare un altro dei suoi micidiali tiri.
Niente da fare, anche questo era finito nella rete senza che nulla
potesse fare per fermarlo. Calma doveva pure esserci un modo. Non
doveva innervosirsi. La freddezza è una dote fondamentale per un
portiere, lo sapeva benissimo e si era sempre vantato di possederla.
Doveva cercare di capire il modo con il quale calciava il pallone,
questo gli avrebbe fatto intuire la traiettoria un istante prima che il
tiro partisse, era l’unico modo per riuscire ad anticiparlo.
“Ecco il prossimo” disse Schneider tranquillo. Pareva non
fare assolutamente alcuno sforzo eppure la potenza che sprigionava il
suo calcio era impressionante.
I successivi cinque tiri finirono tutti nel sacco. Sotto lo sguardo
perplesso dei presenti e vagamente divertito dei titolari. Certo che il
Kaiser stava dando una bella lezione al nipponico. Così se ne
sarebbe tornato a casa, pensò malignamente qualcuno.
All’ottavo tiro Benji era riuscito a capire come calciava
l’avversario ma da lì a fermare quel dannato pallone ce ne
passava ancora. Nonostante avesse nuovamente intuito la traiettoria,
non era riuscito ad anticipare abbastanza il tuffo.
“Ne mancano due, Price” disse implacabile il giovane capitano dell’Amburgo.
“So contare” fu la pronta risposta di Price.
^Beh, bisogna ammettere che la tenacia non gli difetta. Forse un altro si sarebbe già arreso^ pensò il tedesco.
“Eccolo”…
^A sinistra^ pensò Price buttandosi una frazione di secondo
prima che Schneider colpisse la palla. Questa volta, riuscì a
sfiorarla con le dita, anche se fu tutto quello che ottenne. La
piccolissima deviazione non impedì, infatti, al pallone di
entrare in porta.
Un lampo attraversò gli occhi azzurri di Schneider. Forse gli
altri non se n’erano accorti, ma lui aveva notato quella
impercettibile deviazione.
Picchiando i pugni a terra, contrariato, Benji si diede
dell’idiota. Così non avrebbe mai fermato il tiro di
Schneider. Dannazione non era abbastanza reattivo, quello era il
problema.
“Se sei stanco possiamo smettere” si sentì proporre
e questo lo indispettì notevolmente. Quello spaccone teutonico
cominciava realmente ad irritarlo.
“Se non ce la fai più a tirare per me non ci sono
problemi, Schneider” disse ironico rimettendosi in piedi e
sfidandolo ancora.
Gli occhi del tedesco divennero ancora più freddi e determinati.
“Come vuoi” rispose pacatamente prima di prendere, per l’ultima volta, la rincorsa.
^Adesso^.
Più per intuito che per tecnica, Price, si gettò
d’anticipo alla sua destra e allungandosi verso l’angolo
alto intercettò il pallone deviandolo contro la traversa.
Mentre, sbilanciato, cadeva rovinosamente a terra il pallone, la cui
violenza aveva fatto tremare i pali della porta, rimbalzava docile
verso il centro dell’area di rigore. C’era riuscito, alla
fine aveva parato il tiro dell’Imperatore.
“Che cavolo, hai visto Strauss. L’ha parato!” esclamò stupefatto il terzino.
“Solo fortuna” obiettò qualcuno alle loro spalle. Già probabile, ma intanto ci era riuscito.
Benji si mise in ginocchio, era sfinito, sia fisicamente che
emotivamente. Fece per alzarsi quando si accorse di avere qualcuno al
fianco. Un po’ sorpreso levò lo sguardo per incontrare
quello di Schneider.
“Studiare la tecnica dell’avversario è sempre un
ottimo metodo per prevenirne gli attacchi. Raccogli la tua roba e
presentati domani mattina alle sette al campo. La divisa
dell’Amburgo l’hai ottenuta ora dovrai guadagnarti il posto
in squadra” detto questo gli voltò le spalle.
“Proseguiamo con il numero quarantatre” disse il
vice-allenatore un po’ sorpreso per la piega presa da quella
selezione.
Benji si alzò in piedi, frastornato per quella risposta
lapidaria e decisa del Capitano. Riscotendosi, uscì lentamente
dal campo, raggiungendo la sacca che aveva lasciato a terra, sotto lo
sguardo carico di invidia degli altri ragazzi. Dopo avere sistemato le
sue cose riportò l’attenzione al Kaiser che imperturbabile
proseguiva nella cernita dei nuovi arrivi. Ancora stentava a crederci.
C’era riuscito. Ora era un calciatore dell’Amburgo. Ma
Schneider era stato chiaro, il posto in squadra avrebbe dovuto
guadagnarselo e a giudicare dallo sguardo astioso rivoltogli da alcuni
di loro, ebbe la netta sensazione che non sarebbe stato facile….
- continua -
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Capitolo 4 *** Maria ***
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Note dell'Autore: Thanks a chi ha letto il 3° Capitolo. Fe85 lieta che il capitolo ti sia piaciuto.Speravo che "filtrasse" dalle righe la tensione che immaginavo in quel campo. lemnia
Beh, Karl è un personaggio carismatico, quanto lo è Benji
e non potevo dipingerlo diversamente. Spero che questo capitolo ti
piaccia. Manila perdonata,
tranquilla..hehe!!! Crepi il lupo e... in ogni caso... la vita hai
ragione, come leggerai, sarà dura per Benji.
Disclaimer: Capitan Tsubasa, Tsubasa, Wakabayashi, Hiyuga e gli altri
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CAPITOLO 4
(Maria)
Freddy aveva accolto con un felice stupore il suo successo.
“Dici sul serio? Ma è fantastico, Benji. Adesso
però dovrai stringere i denti perché, come sai bene, ti
renderanno la vita impossibile, almeno finché non ti mostrerai
pienamente all’altezza, non solo, finché non metterai a
tacere i loro pregiudizi dimostrando sul campo il tuo talento”
disse subito con estrema praticità.
“Lo so Freddy. Schneider è stato chiaro in proposito ma
non mi interessa. Sono abituato a fare a spallate. Non faccio altro da
tre anni” disse il ragazzo con un sorriso ironico.
Il suo primo giorno con l’Amburgo fu uno di quelli
indimenticabili. Il benvenuto dei compagni di squadra lo lasciò,
a fine allenamento, stremato e dolorante, disteso lungo la linea di
porta. Quello alla quale lo avevano sottoposto non era un allenamento,
no, era stata un’agonia. E dire che a volte aveva considerato
duri quelli impostigli da Freddy. Impiegò più di
mezz’ora prima di essere in grado di alzarsi e, quando lo fece,
gli riuscì solo di barcollare stentatamente sino alla doccia.
“Va tutto bene, ragazzo?” chiese la voce impersonale del massaggiatore della squadra.
Benji bofonchiò un “Certo” prima di caricarsi la
borsa in spalla e avviarsi mestamente verso l’albergo. Quando
Freddy lo vide non fece commenti. Si limitò a scendere al
ristorante e a fargli portare la cena in camera.
Alla fine della settimana era giunto alla conclusione che decisamente
la sua preparazione atletica faceva schifo. Era l’unico a non
reggersi mai in piedi alla fine dell’allenamento. Non importava
quanto ci andassero pesante. C’era qualcosa in lui che non
andava. Prese così la decisione di operare degli allenamenti
supplementari, mirati esclusivamente al suo irrobustimento fisico, e
prese a frequentare assiduamente una palestra a qualche isolato di
distanza dall’appartamento, che nel frattempo, Freddy aveva
abilmente affittato.
Fu durante una di queste “sedute supplementari” che fece la
conoscenza di una bambina di circa nove anni (chiedo scusa ma non
conosco la reale età della piccola – N.d.a.) dai capelli
biondissimi e il visino di porcellana. Una conoscenza che avrebbe dato
una svolta al suo rapporto con almeno uno dei compagni di squadra.
Erano le 17.30. Con l’immancabile sacca a tracolla, e il capello
ben calato in testa, Benji attendeva con impazienza che il semaforo
divenisse verde. Era in ritardo e la cosa lo seccava parecchio.
Infilando le mani nelle tasche, della tuta da ginnastica,
osservò distrattamente il traffico serale che scorreva rapido
sotto i suoi occhi. In quel momento il semaforo divenne verde e,
seguendo la folla sul marciapiede, si apprestò ad attraversare
la strada, quando qualcosa attirò la sua attenzione. Lo stridio
di una frenata lo fece voltare, giusto in tempo per vedere una bambina
fissare, paralizzata, i fanali dell’auto che stava per
investirla. Non seppe mai come ci riuscì, ma non aveva
importanza. Scaraventando a terra la sacca si gettò verso la
bambina, prendendola tra le braccia, e piombando a terra a meno di due
centimetri dal marciapiede, entrambi incolumi, mentre la macchina si
fermava un paio di metri più avanti.
“Accidenti… E’ tutto apposto? State bene?” chiese l’autista scendendo rapidamente dalla vettura.
Rialzando la testa Benji constatò di essere tutto intero e
preoccupato volse subito lo sguardo verso la piccola per incontrare due
occhioni azzurri colmi di lacrime e di spavento.
“Stai bene piccola?” chiese ansioso.
Per tutta risposta la bambina iniziò a piangere disperatamente,
attaccandosi alla sua maglia come se fosse un’ancora.
“Si stiamo bene” disse ironico, rivolto all’autista
“Ma chi diamine le ha dato la patente? Non ha visto che era
rosso?” chiese poi rabbioso, incenerendolo con lo sguardo. Il
poveretto era bianco come un cencio.
“Mi spiace tanto ma non ha dato il segnale di giallo per la
svolta a destra e io non l’ho vista” bofonchiò.
Notando che avevano attirato l’attenzione di tutti i presenti,
Benji decise di lasciar perdere. Quello che ora lo infastidiva era il
pianto dirotto della piccola. Ma dove diavolo si erano cacciati i suoi
genitori? Comunque fosse era meglio levarsi dalla strada.
“Su, smettila di piangere adesso. Piuttosto stai bene? Hai male
da qualche parte?” chiese rimettendo in piedi la piccola e
raccogliendo la sua sacca. La bambina scosse la testa, tirando ancora
su con il naso.
“No. Non ho male” rispose poi semplicemente. Aveva una voce cristallina e graziosa.
Benji diede un’occhiata intorno sperando che qualcuno desse segno
di conoscere la piccola, ma piano piano la folla di curiosi si era
diradata e nessuno pareva cercarla. Perfetto, la sua educazione gli
impediva di mollarla in mezzo alla strada e del resto, dando
l’occhiata all’orologio, erano ormai le 17.45 e la sua ora
di palestra era già belle andata a farsi benedire.
“Dove sono i tuoi genitori?” chiese scostandosi da mezzo la strada e fermandosi sul marciapiede.
“A casa. Io sto tornando dal dopo scuola”.
^Meraviglioso. E adesso che faccio? La saluto e me ne vado come se
niente fosse? Sarebbe un’idea^ pensò indeciso. Gli
bastò però un’occhiata a quel visino spaesato
perché, anche il cuore del freddo e compassato Benjamin Price,
si sciogliesse.
“E va bene. Se mi indichi la strada ti porto a casa” disse a quel punto arrendendosi.
Fu gratificato da un sorriso a, beh trentadue denti non li aveva,
diciamo a ventisei. Senza esitazioni la piccola gli prese la mano e lo
trascinò, letteralmente, lungo il marciapiede. Di tutto il
chiacchiericcio che la piccola fece, lungo la strada, non prestò
molta attenzione. Solo il nome l'era rimasto impresso, a quanto pareva
si chiamava Maria.
“Ecco io abito qui” disse ad un tratto la piccola
fermandosi innanzi ad un’elegante villetta dallo stile bavarese.
“Perfetto. Adesso fila dentro e vedi di fare più
attenzione quando attraversi la strada” la redarguì deciso.
La piccola annuì sorridendo. A quel punto Benji fece per
andarsene, sennonché, proprio in quel momento la porta di casa
si aprì e ne uscì un preoccupatissimo Schneider.
“Maria… Ma che diamine hai combinato? Hai tutti i vestiti
sporchi” chiese ansioso raggiungendola per poi bloccarsi di botto
notando il ragazzo che si stava allontanando.
“Price?” esclamò sorpreso.
Benji si voltò di scatto fissando altrettanto spiazzato il volto del proprio Capitano.
- continua -
|
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Capitolo 5 *** L'allenamento speciale del Kaiser. ***
bg5_hb
Note dell'Autore: Thanks a chi ha letto il 4° Capitolo. Fe85, eos75
in effetti è stato "tenero" come sa esserlo il determinato SGGK,
ma in realtà è un po' come Lenders... se arrivi al cuore
c'è ben altro che la scorza cinica ed arrogante. Ora tocca a
Karl... scoprire se stesso!
Disclaimer: Capitan Tsubasa, Tsubasa, Wakabayashi, Hiyuga e gli altri
personaggi, sono proprietà di Yoichi Takahashi e della Shueisha
Inc. Tokyo e per la versione italiana Edizioni Star Comics. Questa
fanfiction è stata creata senza fini di lucro, per il puro
piacere di farlo e per quanti vorranno leggerla.
Nessuna violazione del copyright si ritiene, pertanto, intesa….
THE BEST GOALKEEPER
By Aresian
CAPITOLO 5
(L'allenamento speciale del Kaiser)
Karl e Benji restarono a fissarsi in silenzio. La piccola, che non
comprendeva bene cosa stava succedendo, tirò i pantaloni del
tedesco per attirare la sua attenzione.
“Sai fratellone, lui mi ha salvato da una macchina prima. E’ stato molto coraggioso”.
Karl sbiancò in volto mentre Benji registrava mentalmente che, a
quanto pareva, la piccola Maria era niente meno che la sorella minore
del Kaiser.
“Che vuoi dire. Come da una macchina?” chiese sgomento, per
poi cercare direttamente la risposta da Price. “Ti spiacerebbe
spiegarmi?”.
Benji si strinse nelle spalle. Detestava trovarsi in situazioni di cui non si sentisse padrone e quella era una di queste.
“Giù in centro. Un’automobilista è passato
con il rosso mentre lei attraversava sulle strisce. Comunque non si
è fatta niente” minimizzò ansioso di andarsene.
Qualcosa però, nello sguardo di Schneider lo colpì. I
suoi gelidi occhi azzurri erano divenuti incredibilmente dolci mentre
si posavano sul viso della sorella. Con delicatezza la prese in braccio
studiando da vicino il suo volto, a sincerarsi che stesse
effettivamente bene.
“Ti ringrazio, Price. Sono in debito. Qualunque cosa tu abbia
bisogno non hai che da chiederlo” disse poi in tono calmo,
voltandosi a guardarlo. La preoccupazione che trapelava dai suoi occhi
scosse Benji. Il freddo Karl Heinz Schneider provava emozioni allora,
come tutti.
“Nessun debito, Schneider. L’avrebbe fatto chiunque” detto questo se ne andò.
Il giorno seguente, al campo d'allenamento, Karl si comportò
come al solito tuttavia, al termine della sessione, fece in modo di
parlare con Benji a quattrocchi e lontani da orecchie indiscrete.
“Riguardo ieri sera. Guarda che dicevo sul serio”
cominciò tranquillamente appoggiandosi alla parete dello
spogliatoio.
Benji, seduto su una delle panche, alzò lo sguardo.
“Non ti arrenderai finché non ti chiedo qualcosa, vero?” disse ironico.
Schneider abbozzò un sorrisetto prima di aggiungere “Vedo che stai imparando a conoscermi. Allora?”.
“Se proprio insisti c’è una cosa che potresti fare” si arrese a quel punto il giapponese.
“Sarebbe?”.
“La mia preparazione atletica è un po’ migliorata in
quest’ultimo periodo ma tecnicamente sono ancora molto scarso.
Quello che so fare è d’eccellenza nel mio paese ma qui, in
Europa, è un altro paio di maniche. Dammi qualche allenamento
supplementare, i tuoi tiri sono l’ideale per sgrullarmi un
po’, e siamo pari. Ci stai?” chiese deciso.
Schneider lo osservò un istante. Avrebbe potuto chiedergli di
aiutarlo con la squadra, di mettere una buona parola per fargli avere
il posto di titolare, invece gli chiedeva un allenamento supplementare,
solo quello. Price era una continua sorpresa. Taciturno, scontroso ed
arrogante. Maniacale sino all’inverosimile negli allenamenti ma
leale e giusto. Tutto sommato erano più simili di quanto
pensasse.
“D’accordo. Affare fatto”.
Da quel giorno, il Kaiser allenò il portiere. Allenamenti duri,
forse più di quelli che subiva insieme alla squadra, ma Benjamin
non era tipo da lamentarsi.
“Non ci siamo, Price. Continui ad essere troppo lento” disse Schneider in tono freddo e controllato.
Benji si sollevò faticosamente da terra. Era in un bagno di
sudore e impolverato dalla testa ai piedi. Non aveva un solo muscolo
che non gli dolesse. Istintivamente si portò la mano al viso per
asciugare il sudore e notò, in quell’istante, che i guanti
erano letteralmente “mangiati” e incrostati di sangue,
mentre si intravedeva la pelle escoriata delle mani.
“Non mi dirai che hai paura di qualche graffio?” disse in
quel momento la voce glaciale di Karl. Sapeva quanto i suoi tiri
“bruciassero” e doveva ammettere che Price non se la cavava
poi tanto male. Aveva fatto progressi notevoli da quando era arrivato,
qualche settimana prima, ma era ancora al di sotto dello standard
richiesto dall’Amburgo per un portiere titolare. Specie se questo
portiere parlava…. giapponese. Non era una questione
“razziale” semplicemente, l’idea che avevano gli
europei dei calciatori nipponici, e asiatici in genere, era pessima.
Benji si rimise in piedi.
“Niente affatto. Dammi solo un minuto. Devo cambiare i guanti” disse pratico, per nulla disposto a cedere.
Karl lo osservò allontanarsi di corsa verso gli spogliatoi, un
mezzo sorriso si delineò sulle sue labbra. Forse era solo un
“limoncino” come lo chiamavano, spregiativamente, gli altri
membri della squadra ma, in quanto a carattere, non era secondo a
nessuno.
Venne così il giorno della prima partita ufficiale
dell’Amburgo. La prima del campionato cadetto. Come c’era
da aspettarsi, Benji era stato relegato alla panchina. Ad essere
sinceri, la cosa gli dava parecchio fastidio. Sapeva di essere
migliorato ed era convinto di essere in grado di giocare quella dannata
partita come se non meglio del quotato titolare ma tant'è che il
numero 13, neanche il dodici solitamente riservato al secondo portiere,
faceva mostra di sé sulla sua maglia. Al diavolo, non si sarebbe
lasciato smontare da questo.
Al ventesimo del primo tempo l’Amburgo conduceva già 2-0,
merito di una doppietta di Schneider. Benji seduto in panchina, un
po’ in disparte rispetto agli altri compagni di squadra,
osservava attento l’evolversi della partita. Era
l’occasione buona per studiare a fondo gli schemi e gli
automatismi dei titolari. Prima o poi sarebbe toccato anche a lui
scendere su quel dannato rettangolo di gioco, a far rimangiare ai
“teutonici” sbeffeggi e scherzi di cattivo gusto. Come da
pronostico, l’Amburgo si aggiudicò l’incontro con
uno schiacciante 4-0 finale.
Erano ancora negli spogliatoi quando Strauss si avvicinò a Benji
dicendogli divertito “Sai, Price. Si scommette su quanto
resisterai ancora in squadra”.
Benji si girò a guardarlo. Dietro suggerimento di Freddy aveva
sempre evitato di rispondere alle provocazioni. Faceva sempre finta di
non “cogliere” le allusioni, oppure le ignorava di bella
posta, ma il suo carattere era tutt’altro che remissivo e adesso
cominciava ad averne, decisamente, abbastanza.
“Ah, sì? Spero per te che tu non abbia scommesso sulla mia
dipartita, perché perderai” disse freddamente. Adesso
basta, si erano divertiti alle sue spalle anche troppo.
“Ma guarda, il “limoncino” ha tirato fuori gli
artigli” sorrise sornione il terzino, dandogli una spinta che lo
fece andare a sbattere contro l’armadietto alle sue spalle.
“Tornatene a casa, giapponese. Non sappiamo che farcene qui di un
moscerino come te” rincarò la dose Kalz (chiedo
scusa ma non conosco i nomi degli altri giocatori dell’Amburgo -
nel manga ovvio - e sono costretta ad … inventare –
N.d.a.).
Benji si rimise in piedi e con un gesto lento e studiato si tolse
l’inseparabile berretto gettandolo sulla panca. Poi, prima che
potessero prevederlo, scattò contro Kalz, il più vicino,
stendendolo con un vigoroso gancio alla mascella. In meno di cinque
secondi si scatenò una vera e propria rissa…
Karl uscì dalla doccia, perplesso, che diamine era tutto quel
rumore? Legandosi un asciugamano alla vita, si entrò nello
spogliatoio e rimase a fissare esterrefatto i compagni di squadra
pestare, a sangue, Price.
“ADESSO BASTA!!!!” tuonò incollerito, battendo
un pugno contro la lamiera di un armadietto per attirare
l’attenzione. Immediatamente i compagni si voltarono a guardarlo.
“Certo che ci vuole del fegato a battersi nove contro uno”
disse poi, gelido, mentre gli occhi azzurri, freddi come il ghiaccio,
passavano in rassegna il campionario d'idioti che componeva la sua
squadra. A giudicare dagli occhi pesti Price doveva aver reso una
strenua resistenza, prima di soccombere alla loro superiorità
numerica.
“Raccattate la vostra roba e andatevene. Discuteremo domani del
vostro comportamento” disse duro mentre i ragazzi, mugugnando, si
apprestarono ad obbedire. Quando lo spogliatoio fu sgombro si
avvicinò a Price che giaceva, esanime, a terra.
“Certo che ti hanno conciato proprio bene” commentò
ironico prima di chinarsi a sollevarlo di peso e infilarlo sotto la
doccia.
L’acqua gelida gli sferzò il viso facendolo rinvenire
all’istante. Un po’ frastornato fissò gli occhi
scuri sul volto di Schneider.
“Sei sempre deciso a rimanere?” chiese semplicemente il
tedesco appoggiandosi alla parete. Gli occhi azzurri impassibili, come
sempre.
Benji si tirò faticosamente a sedere. Ragazzi era a pezzi.
Dannazione, ne aveva prese proprio tante di botte… Per
riprendersi del tutto, mise la testa sotto il getto dell’acqua,
lasciando che questa lavasse via la frustrazione e
l’indolenzimento.
“Se pensano che basti una scazzottata a farmi desistere, si
sbagliano di grosso” disse poi freddamente, rimettendosi in piedi.
Karl, incredibilmente, sorrise, un sorriso aperto, cordiale.
“Domani alle sette. Hai dei numeri, Price. Vediamo di farli fruttare” disse poi, prima di uscire e lasciarlo solo.
- continua -
|
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Capitolo 6 *** L'esordio in partita. ***
bg6_hb
Note dell'Autore: Thanks a chi ha letto il 5° Capitolo. Fe85 in effetti Benji non ha mai difettato in grinta... anzi...hehhe!!! gaara4ever si,
confermo Karl ha effettimamente una sorella minore che compare una
volta nella vecchia serie anime e sul manga ed è più
visibile nell'uiltima serie dell'Anime stesso. La sorellina si chiama
Maria, tuttavia, come dice bene Saretta1381 non si capisce esattamente
quanti anni abbia né come età né di differenza
rispetto al fratello. Manila posso
solo dirti che in realtà nel manga risulta che il "benvenuto" a
Benji sia stato dato con un sacco di botte dall'intera squadra sotto
l'indifferenza, apparente, di Karl. Ma Benji si è rifatto
restituendo i cazzotti presi, beccando uno ad uno e soli i compagni di
squadra e, anche in quel caso, Karl fece finta di non vedere,
sorridendo semplicemente. Io ho solo cambiato momento e situazione. Saretta1381 verissimo,
i duri hanno una facciata da tenere, scherzi la reputazione del
"supermacho" non può andare in frantumi ma in fondo, parecchio
in fondo, hanno un cuore d'oro...hehe!!!
Disclaimer: Capitan Tsubasa, Tsubasa, Wakabayashi, Hiyuga e gli altri
personaggi, sono proprietà di Yoichi Takahashi e della Shueisha
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CAPITOLO 6
(L'esordio in partita)
Dopo
quell’episodio trascorsero altri tre mesi. Il campionato era in
pieno svolgimento. L’Amburgo aveva vinto cinque partite su nove,
due le aveva pareggiate e due le aveva perse. Sconfitte brucianti
contro il Bayern e il Borussia.
Ogni mattina, puntualmente, Strauss e gli altri, arrivavano al campo e
trovavano Benji già impegnato in estenuanti giri di campo,
oppure alle prese con degli esercizi alla sbarra, che Karl aveva fatto
posizionare una decina di metri dietro la porta, senza dare spiegazione
alcuna ai compagni.
“Ehi. Strauss, certo che quel dannato giapponese è una testa dura” commentò Kalz, durante una pausa.
Hermann Strauss, poderoso difensore, cominciava tuttavia a provare un
vago rispetto per quel cocciuto ragazzo. Gli altri erano ancora troppo
presi dalle goliardate e dagli scherzi nei suoi confronti, per rendersi
conto di quanto, Benjamin Price stesse migliorando. Il suo fisico,
gracile e leggero all’arrivo in squadra, si era notevolmente
irrobustito, senza che per altro l’agilità dei suoi
movimenti n’avesse risentito. Tecnicamente poi aveva fatto passi
da gigante. Forse lo avevano sottovalutato. In ogni caso, era evidente,
come Schneider lo vedesse di buon occhio. Conosceva il tedesco dai
tempi delle medie, e sapeva che non dava la sua fiducia facilmente,
eppure pareva avere un certo rispetto per il nipponico.
Chissà…
Freddy Marshall sedeva in tribuna, due file dietro la panchina
dell’Amburgo. Come ogni domenica si era recato allo stadio a
guardare la partita, con l’intima speranza di vedere, una buona
volta in campo il suo pupillo. Ma anche quel giorno, dovette
rassegnarsi nel vederlo partire dalla panchina, come sempre. Sapeva
quanto questo ferisse l’orgoglio del ragazzo. Era stato, a
più riprese, tentato di convincerlo a tornare in Giappone, dove
i progressi fatti, gli avrebbero di certo aperto le porte della J
League. Ma, Benji non avrebbe mai accettato, per lui sarebbe stato
ammettere la sconfitta.
Alla fine del primo tempo, l’Amburgo era sotto, incredibilmente
di due gol. Si profilava la seconda sconfitta consecutiva e
l’allontanarsi della vetta della classifica, a tutto vantaggio
del Bayern. Del resto gli avversari di quel giorno erano
particolarmente ostici, il centrocampo della Dinamo di Dresda era il
migliore del campionato, e lo stava dimostrando.
“Karl, stai battendo la fiacca. Possibile che tu, il Kaiser,
permetta ad un paio di calciatori di serie B di imbrigliare il tuo
gioco?” sbottò il mister, negli spogliatoi, decisamente
alterato.
Karl non disse niente, si limitò a bere un’abbondante sorsata dalla bottiglietta di sali che aveva in mano.
“Per non parlare di te, Michael. Ti sei fatto fare due goal da stupido”.
“Ma mister…” tentò di obiettare il portiere.
“Niente ma. Ti sei fatto ingannare dalle finte di Margass come un
novellino. Sapete che il Bayern sta vincendo? Con questa sconfitta
finiamo a –9 e siamo tagliati fuori dal campionato”.
Benji assisteva, impassibile, alla tirata del mister. Lui era certo che
non ci sarebbe cascato nelle finte di Margass. Troppo simili a quelle
di Tom Becker. Gli sembrava di vederne la copia a carbone. Per un
istante il pensiero gli tornò a Tom a Holly e agli altri
compagni della New Team, chissà cos’avrebbero pensato a
vederlo lì, con un’anonima maglia n. 13 sulle
spalle… Ma non c’era il tempo per le recriminazioni. Era
già ora di tornare in campo. Con passo stanco si avviò
verso la panchina. Cosa non avrebbe dato per poter scendere in campo,
tra i pali, in quella dannata partita.
Al dodicesimo minuto del secondo tempo, Michael fece un’uscita
disperata sull’attaccante del Dresda, salvando la porta da un
goal fatto, ma beccandosi un calcio nelle costole dolorosissimo.
“Merda si è fatto male” esclamò Kalz,
balzando in piedi ed inveendo contro l’avversario per la
scorrettezza. Cartellino giallo all’attaccante del Dresda, ma
Michael non era in grado di riprendere il gioco.
“Price… preparati prendi il suo posto” disse
freddamente il mister, senza neanche guardarlo. Benji sussultò
sorpreso, pazzesco, adesso toccava a lui… finalmente poteva
scendere in campo. Senza esitare si alzò in piedi, tolse
tranquillamente la tuta, s’infilò i guanti e inforcato il
perenne berretto in testa, scese in campo, incrociando lo sguardo
affranto di Michael, accompagnato fuori da Strauss e da Jurgen (altro
nome inventato, come Michael, per altro….eheheh – N.d.a.),
non poteva permettersi di essere dispiaciuto per lui. Non era mai stato
ipocrita, il suo infortunio gli offriva l’occasione di mostrare
quello che valeva. Avrebbe preferito diversamente, ma a “caval
donato non si guarda in bocca”…
Sotto lo sguardo di dodicimila spettatori, Benjamin Price, esordiva
così nella seconda lega del campionato tedesco. Mentre si
avviava deciso verso la porta, che da quell’istante avrebbe
difeso, incrociò lo sguardo scettico dei compagni. Fermo sul
dischetto del rigore sostava Schneider.
“E’ il tuo momento, Price. Punto su di te, non
deludermi” gli disse semplicemente, mentre gli passava al fianco.
“Tu pensa a segnare, da qui non passerà nessuno. Te lo giuro” disse Benji, incrociando il suo sguardo.
“Ci conto” rispose semplicemente il Kaiser.
“D’accordo ragazzi. E’ ora di vincere questa partita.
Strauss, la difesa la gestisce direttamente Price. Seguite le sue
disposizioni. Non dimenticate che da questa partita dipendono le nostre
chance di vincere il campionato” disse poi freddamente ai
compagni.
“Ma Karl…” provò ad obiettare il roccioso difensore.
“Ho piena fiducia in lui. Qualcosa in contrario?”.
Gli occhi azzurri di Schneider incontrarono quelli di Strauss che, convinto, abbassò la testa.
“No, capitano”.
L’arbitro fece cenno ai giocatori di prepararsi. Benji si
portò al centro dell’area di rigore, doveva calciare il
fallo.
“Va all’attacco, Schneider” gridò perentorio.
Il tedesco non se lo fece ripetere due volte e scattò deciso
verso l’area avversaria, seguito come un’ombra dai due
marcatori.
Dopo una breve rincorsa, Benji scaraventò una bordata che
spedì il pallone direttamente a ridosso dell’area di
rigore avversaria, scavalcando di slancio il centrocampo del Dresda.
Schneider, fulmineo si precipitò verso il pallone, agganciandolo
con uno stop di pregiabile fattura. Poi con un secco e stretto
dribbling seminò i due marcatori fiondandosi in area, pronto a
scagliare il suo memorabile FIRE SHOT.
“Chiudetelo?” gridò il portiere avversario. Ma era
troppo tardi. Libero dal pressing avversario, Karl caricò, a
tutto piacimento, il suo colpo preferito scagliando una bordata che
s’insaccò precisa alle spalle del portiere.
L’Amburgo aveva ridotto le distanze.
“Grande, Karl” gridarono i compagni di squadra raggiungendolo.
“Questo è solo l’inizio. Adesso dobbiamo pareggiare
e poi vincere” disse determinato il tedesco, tornando a centro
campo.
Strauss, si voltò, cercando lo sguardo di Price, fermo tra i
pali alle sue spalle. Strano, aveva l’impressione che quella non
fosse stata un’azione casuale. Sembrava più uno schema
studiato alla perfezione. Comunque fosse, non c’era tempo per
perdersi in congetture. La Dinamo di Dresda stava nuovamente attaccando.
“Disponetevi a zona. Non lasciate libero Shultz di crossare dalla
fascia. Strauss, stringi al centro e marca il loro centravanti”
ordinò perentorio Benji, iniziando a “leggere” la
partita. Disponendo la difesa come su di un’ipotetica scacchiera
dove lui era il Re, da difendere dagli attacchi d’alfieri e
pedoni.
Freddy, dagli spalti, osservava attento l’operato di Price.
Sì, aveva letto bene i difetti della difesa, osservandoli dalla
panchina, e ora stava rimescolando le carte per crearsi una difesa su
misura, adatta al suo gioco.
“Merda…. Price?” urlò Strauss, accorgendosi
che il centravanti gli era sgusciato dalla destra ed era penetrato in
area. Ma questi non fece neanche in tempo a tentare di intercettare il
cross del compagno, perché Benji, felino, si era già
impossessato della palla, con un’uscita spettacolare.
“Di qui non si passa” disse semplicemente, rimettendosi in piedi.
“Allora lo vogliamo segnare un altro goal, oppure no?”
gridò poi deciso, lanciando il pallone verso Strauss che con un
sorrisetto ironico, agganciò la palla e partì deciso
verso il centro campo. Quel dannato “limoncino” sapeva il
fatto suo.
- continua -
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Capitolo 7 *** Il portiere ... paratutto! ***
bg6_hb
Note dell'Autore: In
primis mi scuso enormemente per l'abissale ritardo con il quale posto
il capitolo. La storia premetto subito l'ho conclusa e questo non
è il capitolo conclusivo, ho solo grossi problemi ad adattarla
con il software che crea un html leggero. Piano piano posto il tutto ma
non ci vorrà molto, almeno spero!
Disclaimer: Capitan Tsubasa, Tsubasa, Wakabayashi, Hiyuga e gli altri
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By Aresian
CAPITOLO 7
(Il portiere "paratutto")
La situazione, a centro campo, rimaneva comunque piuttosto
“intricata”. Il pressing del Dresda era soffocante.
Schneider, oppresso dalla rigida marcatura degli avversari, faticava ad
impostare il suo solito gioco. Da calciatore intelligente
qual’era, tuttavia, cambiò strategia. Se due marcavano lui
gli attaccanti erano più liberi. Pertanto si era messo a servire
palloni e assist a destra e a manca. Alla fine, la sua tattica
fruttò gli esiti sperati e quando, con un passaggio ficcante,
liberò Kalz in piena area di rigore questi non si fece scappare
l’occasione e infilò la palla nel “sette”,
pareggiando.
Il Dresda subì il contraccolpo psicologico con dieci minuti di
sbandamento che gli costarono caro. In virtù di un banale errore
difensivo il Kaiser potè siglare il 3-2. In venti minuti la
partita aveva completamente cambiato “volto”. Ora era
l’Amburgo padrona del campo.
A meno di dieci minuti dalla fine, lo score arrideva ai compagni di
Price, ma non avevano fatto i conti con la grinta di Margass. Questi,
infatti, diede la carica ai compagni e scatenò il forsing finale
alla ricerca del pareggio.
Per non rischiare il risultato, il mister dell’Amburgo decise di
togliere un attacante e rinforzare la difesa, inserendo Kunz, un
massiccio difensore, abile colpitore di testa.
Con un’abile finta, Margass si liberò del marcatore diretto, puntando deciso verso la porta.
“Merda, Jurgen vagli dietro” gridò Hermann Strauss, chiudendo verso il vertice dell’area.
Benji, fermo sulla linea di porta, studiava concentrato l’azione
del Dresda. Dannazione, Margass stava creando il caos nella difesa.
Preoccupato lanciò uno sguardo alla sua destra e si avvide del
pericolo…
“Strauss, occhio al n. 10, è da solo” gridò,
portandosi immediatamente a destra per chiudere all’avversario lo
“specchio della porta”. Troppo tardi, il movimento
smarcante di Margass aveva avuto successo. Il n. 10, solo in mezzo
all’area, si apprestava a ricevere il cross del compagno. Non
appena agganciò il pallone si preparò a scagliarlo contro
la porta difesa da Price ma Strauss entrò in scivolata,
deciso…. Peccato che l’attaccante avesse interposto il
piede innanzi alla palla, così Hermann finì col
“falciarlo” in piena area. L’arbitro non potè
far altro che sospendere il gioco e decretare il “penalty”.
“Merda…” esclamò Strauss abbattuto. Un fallo
da rigore. Idiota che era stato. Avevano la vittoria in pugno e lui
aveva buttato tutto al vento con quell’entrata scellerata…
La panchina dell’Amburgo era tutta in piedi, facce sgomente e
afflitte, mentre il Mister avrebbe volentieri tirato il collo al
difensore.
Il pubblico tra gli spalti rumoreggiava. Margass, con un’apparente e incrollabile calma, si accingeva a tirare il rigore.
Benji avvertì sulle proprie spalle la responsabilità
della vittoria o del pareggio della squadra. Non era certo
l’esordio più tranquillo, pensò ironico. Poco male.
Non gli sarebbero certo tremati i polsi per così poco…
Prese la bottiglia dei sali, posata alla base interna del palo alla
sinistra della porta, e ne trasse una lunga sorsata. Poi, con passo
indolente e al contempo sicuro, si avvicinò al “dischetto
del rigore” dove si trovava Margass. La prima cosa che Freddy gli
aveva insegnato era quella di studiare lo sguardo
dell’avversario. Capire, percepire la sua tensione, e al contempo
mostrarsi rilassato e concentrato per innervosirlo ulterioremente.
Anche per Margass quel “penalty” aveva un grosso peso.
Voleva dire pareggio o sconfitta…
“Chi l’avrebbe detto… Adesso è tutto nelle
mani del “limoncino”…” bofonchiò Kalz,
poco dietro il proprio capitano, già appostati oltre la linea
che delimitava l’area di rigore. Schneider non gli prestò
attenzione. Contro un “penalty” il portiere aveva
poche armi di difesa. Innervosire l’avversario, non muoversi fino
all’ultimo istante, intuire la direzione giusta sulla quale
buttarsi e…. sperare che il rigorista sbagliasse. La prima
regola del calcio che aveva appreso era che non si “para”
un rigore, si può solo “sbagliarlo”. Tra
l’altro Price partiva svantaggiato, non conosceva Margass. Non
sapeva come fosse solito tirare…
“Benji…” gli fece cenno di avvicinarsi.
Price distolse lo sguardo da quello, castano e arrogante, di Margass per posarlo su quello del proprio capitano.
“Che c’è?” gli chiese, mentre si riavviava verso la porta, affiancato dal kaiser.
“Di solito calcia all’angolo basso alla destra del portiere. Vedi tu” gli disse semplicemente.
Benji si volse a cercare i suoi occhi di ghiaccio. Cos’era, un
consiglio? Senza rispondere il giapponese si mise apposto il berretto,
sistemandosi al meglio la visiera, e prese posto tra i pali. Adesso
dipendeva tutto da lui… e da Margass.
Ogni muscolo teso, la concentrazione a mille. Un ultimo sguardo a
studiare l’espressione del viso di Margass poi portò la
sua attenzione al pallone e ai piedi dell’avversario. Divaricando
leggermente le gambe e chinando il busto Benji si preparò a
ricevere la cannonata del tedesco.
^Bene, giapponese. Eccoti il mio, benvenuto^ pensò Margass prendendo la rincorsa.
Benji si tese, aveva una frazione di secondo per intuire la traiettoia.
Studiò la posizione del corpo, la rincorsa…. avrebbe
calciato di destro, lo stentiva. Ma da che parte???….
^Perché non ti muovi… giapponese^ pensò Margass, pronto a scagliare il suo bolide.
Benji era ancora saldamente fermo tra i pali. Una guerra di nervi
consumata in una manciata di decimi di secondo. Alla fine Margass
impattò la palla scagliandola con violenza.
^A destra^ Il tempo di realizzarlo che già si gettava di slancio
alla sua destra, in totale estensione, fino a intercettare con il pugno
la palla e deviarla.. quel tanto che bastava per spedirla in corner.
“COSAAA!!!” esclamò allibito Margass. Come diamine aveva fatto a prenderla?
“GRANDE!!!” esultò invece Strauss, seguito a ruota
dai compagni di reparto, fiondandosi a riempire di robuste pacche il
“limoncino” eroe della giornata, mentre la panchina e il
pubblico esultavano festanti per la splendida parata.
“Bhè! Che vi prende?” sbottò Benji,
sottraendosi ai complimenti un po’ eccessivi dei compagni.
“La partita non è finita. Hanno un corner da battere.
Tutti ai vostri posti” ribattè duramente.
Immediatamente i compagni tornarono con i “piedi per terra”.
“Benji ha ragione. Mancano meno di cinque minuti. Vediamo di non
commettere altre idiozie e di portare “a casa” la
partita” ribadì alle sue spalle Schneider, piazzandosi in
mezzo all’area. Tanto valeva dare una mano ai compagni.
La partita finì pochi minuti dopo con il risultato di 3-2 a
favore dell’Amburgo. Ma, quel giorno, Benjamin Price aveva
salvato ben più del risultato. Aveva dato una spinta decisiva
alla propria carriera… La Leggenda del SGGK varcava ora i
confini del Giappone pronta a conquistare il trono d’Europa.
- continua -
|
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Capitolo 8 *** I Mondiali di Price ***
Note per i lettori:
x benji79 - Avevo ricevuto infatti la tua e-mail che
è, come si sul dire, arrivata a proposito. In effetti non
avevo pensato al quel specifico frangente quando ho inserito
l'"incisdente" di Maria. Mi è venuto spontaneo descrivere in
tal modo l'ingresso in scena della sorellina del Kaiser.
x ShessomaruJunior - Spero
il seguito non ti deluda. Anche perchè è molto
più collegato all'Anime dei capitoli precedenti.
x Fe85 - Beh,
Benji e Karl sono tra i miei personaggi preferiti, insieme a Mark,
quindi non mi piace andare OOC con loro.
DISCLAIMER:
Capitan
Tsubasa, Tsubasa, Wakabayashi, Hiyuga e gli altri personaggi, sono
proprietà di Yoichi Takahashi e della Shueisha Inc. Tokyo e
per la versione italiana Edizioni Star Comics. Questa fanfiction
è
stata creata senza fini di lucro, per il puro piacere di farlo e per
quanti vorranno leggerla. Nessuna violazione del copyright si
ritiene, pertanto, intesa….
THE
BEST GOALKEEPER
By Aresian
CAPITOLO
8
(I Mondiali di Price)
Da
quel giorno sono passati due anni. Ora, portiere affermato e titolare
dell’Amburgo, Benjamin Price si appresta a vivere, al fianco
dei compagni della Nazionale Giapponese Juniores, la finalissima del
Campionato Mondiale Giovanile che ha luogo a Parigi in Francia.
In
semifinale, la squadra nipponica ha battuto, non senza fatica, ai
calci di rigore la temuta rappresentativa di casa. Ora, avrebbe
disputato la finalissima con le “Aquile” di
Germania,
capitanate dal temibile Karl Heinz Schneider il Kaiser…
Benji
lanciò un’occhiata alla sveglia sul tavolo.
Segnava le
00.30. Era notte fonda ormai e Alan Parker, terzo portiere che
divideva con lui la camera d’albergo, dormiva della grossa.
Per
sua libera e, pur sofferta, scelta, Benji aveva deciso di restare al
fianco dei compagni ma di non giocare una sola partita a quei
Mondiali. Impegnato con il campionato tedesco sino
all’ultimo,
non aveva ottenuto il permesso, dal Presidente dell’Amburgo,
di
lasciare la squadra per raggiungere i compagni in ritiro. Di
conseguenza non aveva potuto seguire la loro preparazione. E, seppur
esperto e ormai semi-professionista, non se l’era sentita di
scendere in campo con loro e mettere in crisi gli
“equilibri”
e gli automatismi che i compagni avevano sperimentato in tre mesi di
ritiro, senza contare che nutriva una grande stima e fiducia in Ed
Warner. Ora, sedeva innanzi a quella scrivania, con un block notes
davanti. Aveva deciso di rendersi utile, di mettere al servizio della
squadra, tutta l’esperienza maturata in cinque anni trascorsi
sui campi di calcio tedeschi. Con la precisione e la freddezza che lo
contraddistinguevano appuntò, d’ogni singolo
giocatore
della squadra tedesca: pregi, difetti, qualità, stile di
gioco, tattiche preferite, ruolo. Un vademecum per aiutare i compagni
in quella finale tostissima. Era giunto il momento di tracciare il
“profilo” di Shneider. Mentre la penna scorreva
agile sul
foglio, il giovane si soffermò a pensare a quanto era
accaduto
poche ore prima. Ricordava perfettamente le parole che Karl gli aveva
rivolto, notandolo sugli spalti, prima di scendere in campo contro
l’Uruguay e demolirlo…
**Du
musst morgen spielen, Price, weil ich Allen beweisen will, dass ich
der Beste bin! Frankreich ist nicht so schwach, dass deine Mitspieler
es ohne dich schaffen würden! Komm auf das Spielfeld und
morgen
werde ich dich beim Finale besiegen!**
Quando i
compagni gli avevano chiesto, non comprendendo, cosa volesse il
capitano tedesco, aveva risposto “Solo provocarmi”.
In
realtà c’era molto di più di una
provocazione. Le
parole di Karl erano state una sfida, che ora lui si trovava, suo
malgrado, costretto a rifiutare. Ma quanto bruciava dover dire, NO.
Era un po’ come tradire la loro amicizia. Karl, che per primo
aveva creduto nelle sue capacità, evitando di vedere in lui
solo un “limoncino” da sfottere e umiliare. Lui che
con i
suoi allenamenti speciali gli aveva permesso di progredire, ogni
giorno, ben più di quanto sperasse. Solo il cielo
sapeva…
quanto gli costasse non scendere in campo.
Freddy
Marshall, trainer della Nazionale Giapponese, stava facendo il giro
delle stanze. Voleva essere sicuro che i ragazzi stessero
già
riposando. Passando accanto a quella di Benji, notò la luce
filtrare da sotto la porta.
^Benjamin so cosa tormenta il tuo
cuore. Ho sentito anch’io cosa ti ha detto
Shneider…^
**Domani
devi giocare, Price. Perchè voglio dimostrare a tutti che
sono
il migliore. La Francia non è così debole
perché
i tuoi compagni possano farcela senza di te. Scendi in campo e
domani, in finale, io ti batterò**.
^No, ragazzo mio.
Non permetterò che tu paghi una generosità che
gli
altri compagni non riescono a riconoscerti. Preparati, Benji.
Perché
domani sarai tu a giocare e non Ed^ .
Con quella consapevolezza
nel cuore, Marshall si allontanò.
“Forza
ragazzi, diamoci da fare. Un ultimo giro di tiri, poi defaticamento.
Oggi ci giochiamo tutto nella finale e dobbiamo dare il
massimo”
a parlare, con il solito tono pacato e al contempo determinato era
stato il capitano della Nazionale Giapponese Juniores, Oliver
Hutton.
“Holly, ha ragione. Vai in porta Alan. Tocca a te
adesso” disse Tom Becker, tranquillo, invitando Alan Cracker
a
prendere posto tra i pali. Poco distante, ai bordi del campo, Benti
ed osservavano le ultime fasi dell’allenamento.
“Come
va la mano, Ed?” chiese Price, al compagno. In effetti,
Warner
si era infortunato nel corso della semifinale e la sua partecipazione
alla finalissima era in dubbio, dipendeva molto dalle decisioni del
medico della squadra.
“Fa un po’ male. Che iella, se
non avessi avuto il polso già ferito dallo scontro con il
tuo
Amburgo, il tiro di Napoleon non mi avrebbe fatto un baffo”
esclamò contrariato il giovane portiere.
Benji considerò
l’eventualità che Warner non potesse essere
disponibile
per la partita. Accidenti, Alan non era male, ma non aveva
sufficiente esperienza per “tenere” il campo in una
finalissima mondiale. Senza contare che Shneider se lo sarebbe
“mangiato” a colazione…
“Benji!”
disse all’improvviso il mister.
“Sì”
chiese il giovane, avvicinandosi.
“Vai tra i pali. Voglio
vedere come te la cavi”.
Gli occhi scuri di Price si
dilatarono per la sorpresa.
“Ma… Freddy. Non è
meglio che si alleni Alan?” chiese perplesso.
“Fa come
ti ho detto. Svelto” fu tutto quello che ottenne come
risposta.
“Alan, fa posto a Price. Mark, Philip, Holly e Tom
una serie di dieci tiri a testa” soggiunse infine il mister,
lasciando un po’ perplessi i calciatori.
“Ehi,
Mark. Secondo te perché vuole farci allenare contro Benji?
Ha
tutta l’aria di un test. Credi che Ed non possa
giocare?”
chiese Danny Mellow, preoccupato.
Lenders lanciò
un’occhiata verso il loro allenatore. Difficile capire cosa
gli
passasse per la testa, giacché trincerava lo sguardo dietro
quei dannati occhiali da sole.
“Non ne ho idea. Comunque è
tempo che aspetto una sfida con Price” concluse sorridendo
ironico, prima di avviarsi verso centro campo, raggiungendo gli altri
compagni.
Benji
si era piazzato in mezzo ai pali. Non riusciva a capire cosa diamine
avesse in mente Freddy. Comunque, non aveva certo intenzione di farsi
fare goal dai compagni di squadra.
“Chi è il primo?”
chiese in tono arrogante, il solito che usava da quando avevano, un
mese prima, intrapreso quell’avventura. Il solo in grado di
scuoterli dal loro torpore. Portarli a detestarlo per dimostrargli
che non erano stupidi “limoncini”…
già la
tattica che aveva appreso in Europa, a sua stesse spese.
Al
diavolo, Freddy voleva sicuramente mettere alla prova i suoi
cannonieri. Avrebbe dato il massimo, così
d’aiutarli
sino all’ultimo a migliorarsi. Poi… la panchina
sarebbe
stata il suo “regno”.
-
continua -
N.d.A.:
-
Devo ringraziare sentitamente Bulma’88 per la versione in
tedesco della “sfida” di Schneider. Sei stata un
prezioso
aiuto… amica mia.
- Come avrete notato mi rifaccio
abbastanza a quanto accade nell’Anime, ma era inevitabile,
visto che volevo arrivare a spiegare come Benji sia diventato il
portierone quasi imbattibile della finale con la Germania e il suo
rapporto con Karl Heinz Shneider. In effetti, l’Anime,
presenta
quasi esclusivamente il punto di vista di Oliver Hutton e del suo
rapporto con Roberto. Io rivisito quanto è accaduto
nell’Anime, ma dal punto di vista di Price
.
|
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Capitolo 9 *** Il cuore di un portiere. ***
DISCLAIMER:
Capitan
Tsubasa, Tsubasa, Wakabayashi, Hiyuga e gli altri personaggi, sono
proprietà di Yoichi Takahashi e della Shueisha Inc. Tokyo e
per la versione italiana Edizioni Star Comics. Questa fanfiction
è
stata creata senza fini di lucro, per il puro piacere di farlo e per
quanti vorranno leggerla. Nessuna violazione del copyright si
ritiene, pertanto, intesa….
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BEST GOALKEEPER
By Aresian
CAPITOLO
9
(Il “cuore” di un portiere)
“Callaghan.
Vai tu. Dovete partire da centro campo e avvicinarvi
all’area.
Potete tirare da dove vi pare ma non entrare in area. Solo
l’ultimo
tiro sarà un “penalty””
precisò
l’allenatore.
“Sì, Mister” disse
prontamente Callaghan prima di puntare deciso verso la porta difesa
da Price.
^Al
solito, Philip. Carichi il tiro in maniera troppo prevedibile. Angolo
in basso a destra^ pensò Price, buttandosi
d’anticipo e
bloccando facilmente il pallone, sotto lo sguardo sorpreso dei
compagni. Altri otto tiri seguirono il primo, e tutti finirono dritti
tra le braccia di Benji. “Ma come diavolo fa?” si
lasciò
sfuggire Lenders, perplesso. Ed era in gamba, parava anche lui i tiri
di Philip, ma era diverso. Spesso era costretto a deviarli, a
intercettarli. Benji li bloccava tutti. Era come se avesse una
calamita, che attirava il pallone tra le sue braccia. Il calcio di
rigore entrò di un soffio. Anche stavolta Benji aveva
intuito
la traiettoria, ma il tiro era troppo angolato perché
potesse
arrivarci.
“Dannazione”
esclamò Benji, infastidito. Se si fosse allungato solo un
po’
di più… Ma non c’era tempo per
considerazioni,
Tom era già pronto a centro campo.
“Preparati,
Benji. Sto arrivando” disse il giovane centrocampista,
partendo
all’attacco.
Benji si concentrò, respirando a fondo.
Eccolo, la solita finta a destra, ma avrebbe tirato di sinistro,
imprimendo alla palla un movimento rotatorio piuttosto
insidioso….
Con un balzo felino agguantò anche il tiro ad effetto di
Becker.
^Ottimo,
Benji. Sapevo che non mi avresti deluso. Sei in forma perfetta^
pensò
Freddy, soddisfatto. Quell’allenamento speciale serviva solo
a
far ritrovare a Benji lo “spirito” dello scontro, a
nient’altro.
Nove
tiri, ma neanche a Tom riuscì di segnare un goal da fuori
area
a Benji. Solo il calcio di rigore, entrò nel sacco, calciato
magistralmente. Stavolta Price si era gettato dalla parte opposta,
ingannato dalla doppia finta di Becker.
Venne poi il turno di Mark
Lenders. Un improvviso silenzio calò sul campo di gioco.
Sapevano tutti quanti della gelida rivalità che scorreva tra
i
due ragazzi.
Concentrandosi al massimo, Benji sfidò con lo
sguardo Lenders, che prontamente accolse la sfida, scagliandosi
letteralmente contro la porta difesa dal giovane nipponico.
“Para
questo se ci riesci” gridò Mark, giunto al limite
dell’area, caricando il suo micidiale TIGER SHOT.
^Non
cambierai mai, Mark. La sola potenza non basta. Devi saper imprimere
effetto al pallone per renderlo imprendibile^ pensò Price,
lanciandosi fulmineo alla sua sinistra, bloccando, con una sola mano
il violento tiro del compagno di squadra.
“COSAAA!!!”
esclamò allibito Lenders. Che diamine, l’aveva
parata
con una sola mano. E nessun tiro, per quanto potente,
dell’attaccante
della Toho, entrò in porta. Solo il penalty, scagliato con
una
violenza inaudita, si insaccò nel sette, ove neanche il
“portiere paratutto” Price poteva arrivare.
“Gran
tiro, Mark” esclamò entusiata Danny. Aveva quasi
sfondato la rete, tanta era la forza che aveva impresso al pallone,
ma Lenders non pareva soddisfatto. Ancora una volta aveva perso la
sfida con quel dannato Price.
Venne
alla fine, il turno di Holly. L’unico tra i giapponesi ad
essere riuscito, ai tempi delle medie, a segnare da fuori area a
Price.
“Sei pronto, amico?” gli chiese sorridendo. Lui
solo sapeva quanto generoso fosse stato il giovane portiere a farsi
da parte, durante quei mondiali. Aveva voluto rispettare i ruoli
stabiliti durante il pre-ritiro in Giappone e non imporsi come
portiere titolare per quel torneo, ma Holly, per quanto avesse una
grande fiducia in Ed, sapeva che Benji era più completo,
più
tecnico e più abituato a confronti di grande livello.
Misurarsi con lui era una sfida che attendeva da tre anni. Benji, il
migliore amico dopo il pallone.
^Holly.
Parare i tiri di Schneider è una sfida elettrizzante. Fermare
le cannonate di Lenders, una sferzata d’orgoglio. Riuscire a
fermare il tuo leggendario EAGLE SHOT, il realizzarsi di un sogno.
Vieni, amico. Ti sto aspettando^.
Holly
raggiunse rapidamente il limite dell’area e con una
coordinazione magistrale scagliò il suo famosissimo EAGLE
SHOT. La palla sembrava destinata ad uscire sopra la traversa. Ma
l’effetto incredibile che le aveva impresso
l’avrebbe
fatta scendere rapidamente verso l’interno della porta.
Già
Dario Belli, il portiere della Nazionale Italiana aveva dimostrato la
vulnerabilità di quel tiro, ma Benji, sarebbe stato in grado
di pararlo?
Il tempo di pensarlo che già il pallone finiva
dritto tra le braccia del portiere giapponese che, pur se costretto
ad arretrare leggermente, riuscì a fermarlo, abilmente,
proprio sulla linea di porta.
“Fantastico”
esclamò Tom Becker, sinceramente ammirato
dall’abilità
del compagno.
“Sei grande, Benji” si limitò a
dire Holly.
Mentre i compagni fissavano i due a bocca
aperta…
“Basta così. Per oggi abbiamo finito
ragazzi. Venite qui adesso. Devo parlarvi” si intromise
all’improvviso Marshall, attirando la loro attenzione.
Tenendo
ancora il pallone tra la mani, Benji si avvicinò al resto
della squadra che lo fissava con un misto di invidia e
ammirazione.
“Prendete, ragazzi” disse Freddy,
catalizzando l’attenzione di tutti su dei fogli bianchi che
teneva in mano “Leggeteli e studiateli attentamente. Sono gli
schemi di gioco, i pregi e i difetti dei giocatori della Nazionale
Tedesca” disse.
Holly prese le fotocopie in mano e iniziò
a studiarle con attenzione. Accidenti, le annotazioni era minuziose,
precise e dettagliate, con una descrizione dello stile di gioco,
addirittura delle finte e della tattica preferita, di ogni singolo
giocatore…
“E’ opera tua, vero Benji?”
chiese sorpreso, voltandosi a guardarlo, attirando in tal modo anche
l’attenzione degli altri sul portiere.
“Infatti. Ho
cercato di essere diretto e di fornirvi più informazioni
possibili, ma non basteranno se non riuscirete a giocare come sapete.
Sarà una partita durissima” disse freddamente,
squadrando i compagni, uno per uno.
Freddy gli lanciò
un’occhiata di sbiego. Poi riprese deciso la parola.
“Ora
la formazione. Praticamente la stessa che ha giocato ieri ad
eccezione di Giulian, che non ha ripreso completamente. Philip tu ti
sposterai al centro, e al tuo posto giocherà Paul”
spiegò pratico.
“Per quanto riguarda il portiere….
Ho deciso un cambiamento. Non sarà Ed. Mi spiace ragazzo, ma
non voglio rischiare il tuo braccio…” disse
rivolto al
giovane portiere della Toho che, anche se a malincuore,
annuì.
Così menomato non sarebbe stato di grande aiuto per la
squadra.
Benji osservò le spalle curve di Ed. Comprendeva
perfettamente come si sentiva. Ma era un altro che adesso andava
incoraggiato. Si avvicinò così ad Alan…
“Pertanto,
oggi giocherai tu Benji” disse all’improvviso
Freddy,
gelandolo all’istante mentre si voltava a guardarlo
allibito.
Anche gli altri ragazzi si voltarono a fissare i due.
Sarebbe stata la prima volta che Benji giocava con
loro.
“No”.
Lapidaria e fredda, giunse la risposta
del giovane, che lasciò ancora più interdetti i
compagni.
“Non ho intenzione di discutere con te, Benji. So
come la pensi. Ma oggi sarai tu il nostro portiere”
ribattè
duramente Marshall, sapendo di avere a che fare con un vero
“zuccone”.
“Perché non vuoi giocare?”
chiese sorpreso Tom Becker. Era alquanto raro che qualcuno rifiutasse
di partecipare ad una finalissima mondiale.
“Io non mi sono
mai allenato con voi. Non conosco i vostri schemi e finirei con il
rovinare i vostri automatismi. Io tendo a disporre la difesa a mia
“misura”. Voi siete abituati ad
Ed…” iniziò
a dire, convinto che fosse la scelta giusta.
“Non puoi
tirarti indietro, Benji. Noi abbiamo bisogno di un portiere
all’altezza della situazione. Un portiere in grado di parare
i
tiri di Shneider. Tu giocherai, gli schemi… non
preoccuparti.
Dicci dove ci vuoi, e noi ti seguiremo” disse Philip,
alzandosi
in piedi.
Shneider…. La sfida…. Avrebbe potuto
affrontarlo… Un testa a testa che aspettava da due
anni…
No. Non poteva, sarebbe stato egoista. Dopo tutte le critiche che
aveva rivolto ai compagni, non c’era armonia con loro.
Avrebbe
fatto più danni che bene.
“Non giocherò”
ribattè ostinato.
“Piantala, Price. E’ ora di
finirla con questa storia” sbottò Mark, alzandosi
a sua
volta in piedi.
“Che vuoi dire?” gli chise subito
Benji, guardingo.
“Sapendo di avere un livello di gioco
superiore al nostro, per non turbare i nostri equilibri, ti sei fatto
volutamente da parte. Poi, per esortarci a raggiungerti, a
raggiungere il livello delle squadre europee, ci hai riempiti di
rimproveri e di critiche, a costo di farti odiare. Adesso basta.
Nessuno di noi ti odia. Forse siamo un po’ incavolati con te,
ma una volta in campo ci getteremo tutto alle spalle. Tu giocherai,
punto e basta” spiattellò deciso, fissandolo in
volto.
“Che vuoi dire, Mark?” chiese Danny, sorpreso
dalla piega presa dalla conversazione.
“Semplice. Che Benji
ha chiesto al mister di non farlo giocare ma di agire solo come
assistente allenatore, in particolare per i portieri”
spiegò
Holly, stanco che i compagni di squadra vedessero in Benji un
antipatico “montato”.
“Tu hai fatto questo?”
chiesero all’unisono Ted Carter e Johnny Mason.
Benji,
imbarazzato, si calcò il cappello sulla testa, nascondendo
lo
sguardo dietro la visiera. Quella rivelazione cambiava tutto…
“Gioca
per me” gli disse a quel punto Warner, posandogli una mano
sulla spalla. Price incrociò lo sguardo dell’amico.
“Questo
taglio lo devo a Schneider. Batti quel tedesco e siamo pari con tutte
le critiche che mi hai affibiato” concluse Ed, determinato.
Avevano bisogno del SGGK. Se fino a quel momento era stato
fondamentale “dietro le quinte” ora doveva esserlo
sul
campo.
Benji lanciò uno sguardo a scrutare i volti dei
compagni. Si erano alzati tutti e attendevano ansiosi la sua
risposa.
“Freddy….” esclamò
indeciso.
“Gioca, ragazzo. Ne hai il diritto. Te lo sei
guadagnato” fu la risposta che ottenne.
Un lungo silenzio
calò tra i presenti, tutti in attesa della decisione del
giovane….
“E va bene. Giocherò, ma dovete
promettermi che vinceremo. Non posso perdere da Shnider,
chiaro?”
esclamò Benji. Il tono calmo, pacato, ma carico di
determinazione.
“Sììììì
….Vinceremo” gridarono in coro, entusiasi, i
compagni.
Freddy guardò i suoi ragazzi, pronti a giocarsi
il tutto per tutto per portare in Giappone quella coppa. Ora, con
Benji, tra i pali, sarebbe stata un’impresa un po’
meno…
impossibile…
-
continua -
N.d.A.:
Come avrete notato mi rifaccio abbastanza a quanto accade
nell’Anime,
ma era inevitabile, visto che volevo arrivare a spiegare come Benji
sia diventato il portierone quasi imbattibile della finale con la
Germania e il suo rapporto con Karl Heinz Schneider.
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Capitolo 10 *** Epilogo ***
DISCLAIMER:
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quanti vorranno leggerla. Nessuna violazione del
copyright si
ritiene, pertanto, intesa….
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BEST GOALKEEPER
By Aresian
EPILOGO
La
folla, tra gli
spalti, rumoreggiava impaziente. Non vedeva l’ora di gustarsi
quella partita. Benchè i tedeschi partissero con i favori
del
pronostico, alla vigilia, nessuno avrebbe pagato un soldo bucato per
la squadra giapponese, eppure i nipponici erano riusciti a
raggiungere la finale. Buona parte del pubblico, li aveva un
po’
adottati come beniamini ed ora inneggiava cori
d’incoraggiamento,
che a dire il vero non tutti i calciatori del sol levante
apprezzarono.
“Ma sentiteli. Ci hanno preso per la squadra
cenerentola della finale” bofonchiò irritato
Lenders,
lanciando uno sguardo bieco alle tribune.
Benji, seduto in
panchina, intento ad allacciarsi accuratamente i guanti, gli
lanciò
un’occhiata divertita.
“Forse all’inizio del
campionato, ora ci vedono come la “piacevole”
rivelazione. Sarebbe un vero smacco per i campioni uscenti della
Germania perdere con noi. Per questo parte del pubblico, che ha il
dente avvelenato per la finale di due anni fa, tifa per noi”
spiegò tranquillo.
“Sarà”.
Lenders
comunque non sembrava convinto.
“Oh. Insomma ragazzi. Che vi
importa del perché tifano per noi? Quello che conta e che
oggi
possiamo raggiungere un risultato storico per la nostra nazionale e
per il nostro paese. Noi possiamo e dobbiamo vincere questa finale.
Capito?” esclamò con un entusiasmo contagioso
Holly,
balzando in piedi all’istante, caricato a mille per quella
partita che sentiva forse più degli altri.
“Ben
detto. Adesso scendiamo in campo e demoliamo i panzer
tedeschi”
lo seguì a ruota Bruce, che quando si trattava di
“banfare”
non era secondo a nessuno. Una salutare risata, coinvolse a quel
punto tutta la squadra…
“Sembrano
rilassati. Forse sono già rassegnati alla
sconfitta”
disse Strauss, osservando gli avversari, dai volti sorridenti, a
pochi metri da
loro.
Karl Heinz Schneider si alzò in
piedi con felina grazia.
“Stai sbagliando ancora una volta,
Hermann. Loro sono convinti di vincere” disse perentorio.
“Cosa
te lo fa credere, Karl?” chiese a quel punto Margass,
perplesso.
“”Quardate chi si sta avviando verso la
porta nipponica” fu la laconica risposta.
“Merda….
Price” esclamarono all’unisono Kalz e
Strauss.
“Già”.
^Bravo, Benji. Sono felice
che tu sia riuscito a scendere in campo oggi. E’ da due anni
che aspetto di misurarmi con te. Non per uno stupido allenamento, ma
in una partita vera. Andiamo, amico. Mostriamo al mondo intero come
si gioca a calcio^.
Schneider
e Hutton
si ritrovarono a centro campo, accanto all’arbitro, per il
lancio della monetina.
I due giovani si fissarono silenziosamente,
occhi nocciola calmi e derminati contro occhi azzurri gelidi come il
ghiaccio. Un istante, poi Shnider cercò lo sguardo di Price.
Anche a quella distanza il giapponese potè leggere la ferrea
determinazione dell’amico. Lui, il Kaiser, avrebbe portato
alla
Germania la coppa, per il Giappone non c’era scampo.
^Ti
sbagli, Karl. Finchè io sarò in porta, voi non
vincerete questa finale^.
Il
fischio
dell’arbitro e non ci fu più il tempo per le
considerazioni. La partita era durissima. I tedeschi, avversari
formidabili. Il loro portiere Bauer una montagna invalicabile. Ne le
cannonate di Mark, ne i tiri ad effetto di Holly parevano funzionare
con lui…. E poi Schneider…. I suoi tiri
“bruciavano”
le mani. Era diventato ancora più potente in quei mesi. Ma
Benji non aveva intenzione di farsi battere da lui. La stima
reciproca svaniva, sul campo di calcio, per diventare agonismo allo
stato puro. Nessuno dei due voleva perdere….
Ancora
Schneider a scendere lungo la linea laterale, con la sua proverbiale
progressione, nemmeno Mark era riuscito a fermarlo.
“Para
questo, se ci riesci” la sfida nella sua voce mentre carica
il
suo tiro micidiale.
“Non passerai” l’urlo
rabbioso di Price mentre si fionda fuori dai pali a
fronteggiarlo…
Buttarsi avanti, a testa bassa, a chiudergli
lo specchio della porta, per salvare quel risultato che vale oro.
Prendere un goal adesso, taglierebbe le gambe ai compagni. Poi
l’impatto, violento oltre l’inverosimile, tanto da
mandare in frantumi il cappello e lacerargli la cute della fronte,
procurandogli un taglio profondo che inzia a sanguinare copioso, ma
la palla non è in rete… dopo aver impattato
contro la
traversa, schizza impazzita oltre il fallo di
fondo.
“Benjiiii”…..
Non sente neanche
l’accorato appello dei compagni. Non si rende neanche conto
che
il suo viso è macchiato da una scia viscosa di liquido
vermiglio.
“Se vuoi segnare, devi fare di meglio”.
Eccola
la sfida. L’aveva subita impassibile due giorni prima e ora,
pronto, felino, deciso, l’aveva restituita.
Un balenio ad
attraversare lo sguardo di ghiaccio del tedesco.
“Segnerò,
Price. E porterò la coppa in Germania” la secca
risposta, prima di voltarsi e avviarsi verso gli spogliatoi al doppio
fischio dell’arbitro.
Ecco i flash di una partita memorabile
al termine della quale, non fu la Germania a sollevare la coppa della
vittoria ma il Giappone. 3-2 il risultato finale. Per la Germania,
doppietta di Shnider, l’unico a violare la rete di Price.
Marcatori per il Giappone, Hutton con una doppietta e Mark Lenders.
I
tedeschi, afflitti, intorno al cerchio di centro campo, mentre il
loro capitano, con dignità, a congratularsi con i
vincitori.
“Sei un grande giocatore, Hutton. E anche i tuoi
compagni non sono da meno”. Un tono di sincera ammirazione,
traspare dalle parole del tedesco e Benji, che lo conosce bene, sa
che non si tratta di sola retorica. Poi quegli occhi azzurri
incrociano i suoi. Un lieve sorriso a increspargli le labbra, mentre
l’azzurro di quelle iridi si fa più intenso e
caloroso.
“Sei stato grande, Benji”.
“Forse…
Ma sei riuscito a segnare due volte” la pronta risposta del
nipponico.
Una risata spontanea e genuina. Una pacca amichevole
sulla spalla, a consolidare quell’amicizia che ha prevaricato
le differenze culturali e di lingua.
“C’è una
Coppa che vi aspetta” disse infine il tedesco, facendo cenno
ai
giapponesi che era giunto im momento di godersi il meritato trionfo.
Alla
fine, stanchi
ma incredibilmente felici, dopo l’annuncio a sorpresa della
partenza di Holly per il Brasile, dove lo aspettava
l’ingaggio
per il San Paolo allenato da Roberto Sedinho, i nostri amici fecero
ritorno negli spogliatoi.
“Benji, come va la testa?”
chiese Freddy, avvicinandosi al ragazzo, avendolo sorpreso a sfiorare
la benda sulla fronte.
“Umh!!??? Oh, non è niente.
Anche se temo che domani avrò un tremendo mal di
testa”
rispose sorridendo il giovane portiere.
“Sei stato bravo
oggi. Sapevo che potevo contare su di te” proseguì
il
Mister, che aveva sempre avuto una particolare predilezione per quel
ragazzino che aveva visto crescere dalle scuole elementari e
diventare un campione di livello internazionale.
“Grazie”.
Un
sorrisetto ironico dipinto sulle labbra, così Price
accettava
i complimenti di Freddy e compagni perché a lui non bastava
essere stato “bravo” lui doveva essere
“perfetto”.
Questa era la logica ferrea e, in un certo senso, implacabile che lo
contraddistingueva. Lui doveva essere il
“migliore”, e
prendere due goal da Schneider non era contemplato in quel progetto.
Era comunque soddisfatto per la vittoria della squadra.
“Ok
ragazzi. Basta lanciare gavettoni d’acqua, abbiamo ridotto
questo spogliatoio in modo pietoso. Forza, raccogliete le vostre cose
e torniamo in albergo. Ci sono due “vittorie” da
festeggiare, quella del Mondiale e il debutto di Holly nel campionato
brasiliano” disse Marshall tornando a guardare i
suoi
ragazzi.
“Sììì” fu il grido
all’unisono mentre tutti si affrettavano ad obbedire.
“Mark,
Benji, voi due fate un salto all’ospedale. Voglio che vi
facciate dare un’occhiata” disse poi rivolto ai due
ragazzi.
“Ma… Mister, io sto benissimo”
obiettò
prontamente Lenders, che non ci teneva proprio a perdersi la festa
per uno stupido taglio allo stinco destro.
“Fate come ho
detto. Forza” ribattè deciso Marshall con un tono
che
non ammetteva repliche.
“Vengo con te capitano” si
affrettò a proporre Danny, notando l’espressione
contrariata dipinta sul volto di Mark.
“No, Danny. Ci
andremo tutti. Mister, la festa dobbiamo iniziarla tutti insieme.
Prima accompagnamo i nostri compagni all’Ospedale e poi
festeggiamo” obiettò tuttavia Holly, certo di
parlare a
nome dei compagni, che subito si strinsero a cerchio intorno a
Lenders e Price, come a suffragare le sue parole.
Freddy Marshall
levò gli occhi al cielo. Mai una volta che lo ascoltassero.
“E
va bene. Tanto sospetto che non mi dareste retta anche se vi
ordinassi il contrario. Oggi è la vostra
giornata….
Fate pure. Sul pullman” si arrese.
“Sì, Mister”
urlarono ridendo, in coro, i giovani campioni. Sorridendo a loro
volta, Mark e Benji si avviarono verso il pullman.
Appena giunti
nel corridoio si imbatterono nella nazionale tedesca che stava
allontanandosi dallo stadio a sua volta.
Benji cercò con lo
sguardo Karl. Sapeva che quella sconfitta gli bruciava terribilmente.
Lui, il Kaiser del calcio tedesco, il talento dell’Amburgo,
aveva perso e tornava in Germania senza la coppa. Di quella
sconfitta, i giornali, ne avrebbero discusso per tutta
l’estate,
come un tormentone. In fondo gli spiaceva, ma ci poteva essere un
solo vincitore e sarebbe stato ipocrita se avesse detto che era
dispiaciuto per aver vinto la Coppa.
Proprio in quel momento
Schneider si voltò e i loro sguardi si incrociarono. Karl
notò
immediatamente la benda bianca che cingeva la fronte del portiere.
Fermandosi, in mezzo al corridoio, attese che il giapponese gli
passasse accanto, sotto lo sguardo perplesso dei presenti.
“Spero
non sia niente di serio, Price” gli disse deciso, studiando
la
sua espressione. In campo non si era interessato molto per
l’incidente, ma adesso, a riflettori spenti, si preoccupava
per
la salute dell’amico.
Benji si lasciò sfuggire un
sorriso.
“Ci sono abituato con te, Karl. E’ solo un
graffio” rispose tranquillo.
“Meglio così. Ah.
Volevo informarti di una cosa. Me l’ha appena confermato il
Presidente dell’Amburgo” disse il tedesco,
incamminandosi
al suo fianco.
“Sarebbe?” chiese Benji, facendosi
attento.
“E’ ufficiale. Ho accettato l’ingaggio
del Bayern di Monaco. Passo in Bundesliga” disse Karl,
scatendando la reazione entusiasta dei compagni di squadra e un moto
di sorpresa nel gruppo giapponese, che non aveva afferrato lo scambio
di battute tra i due.
Lo sguardo di Price si incupì per un
istante. Gli spiaceva perdere un compagno di squadra come Karl, no,
un amico, ma sapeva che per Karl quella era un’occasione
d’oro.
“Congratulazioni” gli rispose pertanto,
dandogli una pacca sulla spalla.
Gli occhi azzurri del tedesco
brillarono per un istante, prima che rispondesse.
“Che
sbadato. Mi ero scordato di dirti che il Mister della I^ squadra
dell’Amburgo ha richiesto il tuo trasferimento. Lasci la
Primavera Benji. Ci ritroveremo a settembre in Bundesliga”.
“Cosa?”
esclamò totalmente spiazzato Price. Prima di ricevere una
sonora pacca sulla spalla da parte del tedesco che, prima di
andarsene, concluse tranquillo.
“La sfida, tra noi, è
appena iniziata. Ti aspetto in campionato, amico”.
Ripresosi
dalla notizia, Price rispose con entusiasmo.
“Puoi contarci,
Karl” stringendo la mano all’amico-rivale, sotto lo
sguardo perplesso dei compagni di squadra che ancora ignoravano la
notivà. Già. Quella sera avrebbero dovuto
festeggiare
due esordi a livello professionistico, quello di Holly e il suo.
Finalmente c’era riuscito. Dopo cinque anni di gavetta, il
suo
sogno si era realizzato. La Bundesliga tedesca gli apriva le porte. A
lui e a Karl. La loro carriera era appena iniziata… Ci
sarebbero stati momenti difficili, ma il SGGK nipponico non si
sarebbe arreso e neanche il Kaiser di Germania.
-
FINE -
N.d.A.:
Al
solito, anche in
questo capitolo ci sono dei riferimenti espliciti alle puntate
dell’anime, con l’influsso di alcune notizie
estrapolate
dal manga e mai viste in TV. Il finale del capitolo è
comunque
inedito, nel senso che è la mia versione di come i due
ragazzi
si siano ritrovati a realizzare, insieme, i loro sogni, pur
conservando e consolidando uno splendido rapporto di amicizia oltre i
confini e le barriere culturali.
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