Cantami una canzone di Ely_fly (/viewuser.php?uid=176658)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pretty woman ***
Capitolo 2: *** My happy ending ***
Capitolo 3: *** Alice (Underground) ***
Capitolo 4: *** Stupid Cupid ***
Capitolo 5: *** Guardian ***
Capitolo 6: *** Best that you can do ***
Capitolo 7: *** Can't take my eyes off of you ***
Capitolo 8: *** I have a dream ***
Capitolo 9: *** Lune ***
Capitolo 10: *** Keep holding on ***
Capitolo 11: *** Time is running out ***
Capitolo 12: *** My heart will go on ***
Capitolo 13: *** Guardian angel ***
Capitolo 14: *** At the beginning ***
Capitolo 15: *** Every little thing she does is magic ***
Capitolo 16: *** I will always love you ***
Capitolo 17: *** Wonderwall ***
Capitolo 18: *** Carry on wayward son ***
Capitolo 19: *** Fighter ***
Capitolo 20: *** Girl on fire ***
Capitolo 21: *** Invincible ***
Capitolo 1 *** Pretty woman ***
«Rachel!»
La
ragazza che rispondeva al nome di Rachel si voltò,
sentendosi
chiamare. Era la sua amica Kori.
Rachel
si fermò e aspettò la ragazza dai capelli rossi,
che
correva a perdifiato.
«Buongiorno!
Tutto a posto?» le chiese la ragazza, una volta
raggiuntala, con un po’ di fiatone.
«Tutto
bene, tu?» rispose l’altra, ricominciando a
camminare.
«Alla
grande, oggi sarà una giornata grandiosa!»
«Proprio
non capisco come tu possa essere così entusiasta di
venire a scuola» commentò la ragazza dai capelli
scuri, guardando con occhi
sgranati la sua amica. Era davvero da malati, una cosa del genere.
«Come
potrei non essere contenta? Posso vedere te, i nostri amici
e…»
«Per
quello basterebbe telefonarci e darci appuntamento al centro
commerciale, Kori.»
«Ma
soprattutto,» continuò la ragazza, ignorando
completamente il
commento dell’amica, «Posso vedere lui!»
L’ultima parola venne sottolineata da un tono disgustosamente
dolce. Rachel rabbrividì
leggermente.
«Kori, te
l’ho già
spiegato. Richard Grayson non fa per te. Lascialo perdere.»
«Lo
dici solo perché sei invidiosa!»
«Come
no. Sto morendo dalla voglia di entrare nella squadra di
football per mostrare a tutti quanto sono virile»
commentò sarcastica la
ragazza dai capelli scuri, alzando gli occhi al cielo.
Kori
soffocò una risatina, che si spense in uno squittio non
appena l’oggetto del loro discorso si parava davanti a loro,
gridando un
allegro buongiorno.
«Richard!
Di grazia, cosa stai facendo?» quasi abbaiò
Rachel,
fulminandolo.
«Augurando
il buongiorno alla mia cuginetta preferita, ovviamente»
rispose il ragazzo, stritolandola in un abbraccio e arruffandole i
capelli.
«Quale
gioia» replicò la ragazza, con tono piatto.
«Ora mollami,
però.»
«Non
ci penso proprio.»
«Richard…»
«Okay,
okay. Certo che la mattina non ti fa certo bene all’umore,
vero?»
«La
mattina non mi fa nulla. Un certo maschio strapompato e
sprizzante testosterone da tutti i pori sì.»
«Tutto
questo mi ferisce, Rach!» esclamò il ragazzo, in
tono
melodrammatico, stringendosi il petto come se la cugina
l’avesse ferito a
morte.
«Smettila
di fare l’idiota!» ridacchiò la ragazza.
Sembrava
che i due si fossero dimenticati della presenza di Kori. La
ragazza approfittò del loro battibecco per salutare Rachel
con un cenno e
raggiungere il loro gruppo di amici a poca distanza.
«Ma
la tua amica è muta?» chiese Richard, guardandola
allontanarsi.
«Solo
quando ci sei tu» rispose onestamente Rachel, riacquistando
un minimo di serietà.
«Com’è
che su di te non faccio questo effetto?» chiese lui,
ammiccando.
«Anticorpi»
rispose semplicemente lei, con un sorriso mal
simulato, prima di raggiungere il loro gruppo, Richard alle calcagna.
Garfield
Logan si voltò di scatto quando sentì un rumore
di passi
raggiungerlo. Rimase leggermente deluso quando si accorse che era
soltanto Kori
Anders, ma il suo spirito si risollevò quando vide che poco
lontano da lei c’erano
Richard Grayson e sua cugina, la ragazza per cui aveva una leggera
cotta. D’accordo,
una pesante cotta. Rachel Roth. Quella ragazza era davvero…
Fantastica. Non aveva
altre parole per descriverla. Dal primo giorno in cui l’aveva
vista era caduto
praticamente ai suoi piedi. Certo, era sarcastica
all’inverosimile e non rideva
quasi mai alle sue battute, ma era davvero… Fantastica.
L’aveva già detto? Era fuori
dalle righe, ma, cosa più importante, era iscritta al club
di canto, proprio
come lui.
Si
risvegliò dalle sue fantasie soltanto quando Richard e
Rachel
li avevano raggiunti. E fu soltanto perché la ragazza gli
aveva agitato una
mano davanti al viso, commentando: «Buongiorno, Garfield. Ci
sei?»
«Ci
sono!» esclamò, alzandosi dal tavolino da pic-nic
attorno al
quale erano soliti ritrovarsi prima di entrare in classe.
«Buongiorno!»
La
vide nascondere un sorriso, mentre gli altri ridevano
apertamente. Stava per aggiungere qualcosa, ma la campanella
risuonò in tutto
il cortile e i ragazzi del loro gruppo si separarono: Victor e Roy, i
più
grandi se ne andarono insieme, alla volta della lezione di storia
americana;
Kori e Richard, insieme a Garth e Antonia svanirono nell’aula
di chimica; Wally
e Karen salutarono prima di dirigersi verso la palestra, mentre a
Garfield e
Rachel non restò che avviarsi verso l’aula di
tedesco, insieme a Jessica e
Tara.
Mentre
entravano in classe, Garfield sussurrò alla ragazza: «Ci sei oggi al
club?»
«Certo!»
rispose lei, facendogli poi un cenno con la mano, prima
di sedersi accanto a Jessica, mentre lui si accomodava vicino a Tara.
«Guten
Tag. Wer fehlt?» disse secca l’insegnante, entrando
un
nanosecondo dopo di loro. Poiché nessuno rispondeva,
guardò la classe e
decretò: «Niemand fehlt. Gut. Seite
sechsundvierzig. Schnell! Wir haben keine
Zeit!!»
Gli
studenti, impauriti, avendo captato soltanto il numero della
pagina si affrettarono ad aprire i libri a quel punto e a seguire gli
sproloqui
di quella donna.
Fu con
grande gioia che Garfield raggiunse la sede del club di
canto, quel pomeriggio, dopo anche l’ultima lezione
massacrante. Salutò l’insegnante
e si sedette su una delle sedie, in paziente attesa. Uno dopo
l’altro
arrivarono tutti i membri del gruppo, tutti tranne
lei.
«Garfield,
quando avrai finito di pattugliare il corridoio,
comincerei» lo richiamò alla realtà
l’insegnante.
Il
ragazzo arrossì e si affrettò a ricomporsi.
«Molto
bene. Come vi avevo anticipato, oggi tratteremo delle colonne
sonore dei film. Chiamerò a turno ognuno di voi e vi
farò interpretare una
canzone a mia scelta, per vedere se siete in grado di improvvisare.
Tutto chiaro?»
spiegò il professore, sedendosi davanti al computer, dove
aveva salvato le basi
musicali delle canzoni che aveva scelto.
In
quel momento arrivò Rachel, tutta trafelata. «Mi
scusi. Ho avuto
un imprevisto.»
«Nessun
problema, Rachel. Siediti e fatti spiegare dai tuoi
compagni cosa faremo oggi, mentre io comincio a sentire…
Andrew. Dunque, per te…»
E il professore iniziò a dare indicazioni al ragazzo che si
era fatto avanti.
Rachel
si accasciò sulla sedia accanto a Garfield, guardandolo:
«Allora,
cosa facciamo?»
«Colonne
sonore. Tutto bene?»
«Benissimo,
fa solo un po’ caldo» rispose lei, slacciandosi
leggermente il collo della camicia nera. Garfield deglutì
con forza.
Il
ragazzo stava per farsi avanti e dire qualcosa, qualsiasi cosa,
quando l’insegnante lo chiamò.
A
malincuore si alzò e raggiunse il professore. «Garfield, per te ho
“Pretty woman”, contento? Sai le
parole? Perfetto, allora via.»
La
musica cominciò e Garfield seguì le
note…
Pretty
woman, walking down the street
Pretty woman, the kind I'd like to meet
Pretty woman, I don't believe you
You're not the truth
No one could look as good as you
Mercy
Rachel
si ritrovò a fissarlo, come faceva tutte le volte che
Garfield cantava: la sua
voce era meravigliosa e seguiva senza difficoltà tutte le
variazioni della
canzone.
Pretty woman, won't you pardon me
Pretty woman, I couldn't help but see
Pretty woman, that you look lovely as can be
Are you lonely just like me
Grrrrrrowl
Tutti
i ragazzi del club sorrisero: il ringhio era sorto come spontaneo dalla
gola
del ragazzo, dando una sensazione di forza che mai gli si sarebbe
attribuita.
Pretty woman, stop awhile
Pretty woman, talk awhile
Pretty woman, give your smile to me
Pretty woman, yeah, yeah, yeah
Pretty woman, look my way
Pretty woman, say you'll stay with me
Quando
arrivò a questo punto, Garfield fissò
intensamente Rachel, cercando di
trasmetterle il senso della canzone. I suoi sentimenti. E
sembrò che lei lo
capisse, perché sorrise lievemente. Non il sorriso che
riservava a suo cugino,
quello era speciale, ma un sorriso timido e dolce che raramente si
lasciava
sfuggire.
Cause I need you, I'll treat you right
Come with me baby, be mine tonight
Continuò
a fissarla e la ragazza, sentendo le parole, dovette soffocare una
risata.
Pretty woman, don't walk on by
Pretty woman, don't make me cry
Pretty woman, don't walk away
Hey, okay
Garfield
ci mise tutta la passione che aveva, in quella strofa, esprimendo tutta
la
disperazione di un uomo che teme di essere abbandonato.
If that's the way it must be, okay
I guess I'll go on home, it's late
There'll be tomorrow night, but wait
What do I see
Is she walking back to me
Yeah, she's walking back to me
Oh, oh, pretty woman
Quando
finì, il professore gli fece le sue congratulazioni e anche
gli altri ragazzi del club scoppiarono in apprezzamenti rumorosi. Il
ragazzo
arrossì leggermente, prima di tornare a sedersi, dove Rachel
lo accolse con un
complimento: «Garfield, sei un genio del canto.»
«Mi
stai prendendo in giro?» le chiese lui. Era raro che Rachel
Roth si abbassasse al livello dei comuni mortali per fare loro dei
complimenti.
«Non
lo farei mai. Non quando si tratta del canto»
replicò lei
dura, fissandolo con occhi severi.
«Allora…
Bè, grazie» rispose il ragazzo, imbarazzato.
«Mi
piacerebbe riuscire a cantare questa canzone come hai fatto
tu. Era davvero… Sentita» continuò la
ragazza. Garfield la guardò come se le
fossero cresciute due teste: Rachel Roth che conversava. Pensava che
non
avrebbe mai visto quel giorno…
«Effettivamente
ci tengo molto, al suo significato» disse,
recuperando un minimo di controllo.
«Davvero?
Come mai?»
«Ecco,
in un certo senso rappresenta i miei sentimenti per una
persona che conosco. Anzi, una ragazza, che conosco.»
«Una
ragazza? Ma del club?» chiese lei, sgranando gli occhi e
guardandosi attorno, cercando di capire chi fosse la misteriosa ragazza
di cui
parlava il suo amico.
«Sì,
una ragazza. E sì, fa parte di questo club» ammise
lui, un po’
a disagio. Non poteva fare una cosa del genere. Non poteva rivelare a
Rachel
Roth della sua cotta per lei, in un momento come quello. Era per caso
masochista?
«La
conosco?» chiese lei, incuriosita.
«Ehm…»
fu la brillante risposta del ragazzo.
In
quel momento prese la parola l’insegnante:
«Ragazzi, per oggi
può bastare. Quelli di voi che oggi non hanno cantato lo
faranno domani,
inoltre, quando avrò finito con le improvvisazioni, vorrei
che preparaste una
canzone, facente parte della colonna sonora di un film, che rappresenti
qualcosa per voi. Buona giornata.»
Garfield
sospirò, prima di voltarsi verso Rachel, per trovarla
sparita nel corridoio alla velocità della luce.
Sospirò ancora più
profondamente, poi si alzò con calma dalla sedia. Rachel non
aveva capito cosa
aveva voluto dirle con quello sguardo, durante la canzone…
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Capitolo 2 *** My happy ending ***
Garfield
uscì lentamente dall’aula dove si riuniva il club
di coro
e si imbatté in Jessica e Tara.
«Ehi,
Gar, tutto a posto?» gli domandò Tara, la sua
migliore
amica.
«Hai
davvero una brutta cera, Logan» gli disse Jessica,
squadrandolo.
«Grazie,
Jessica. Sto uno straccio» rispose il ragazzo, in tono
depresso.
«Che
è successo? Ti va di parlarne?» gli chiese la
biondina,
guardandolo con un filo di apprensione. Non capitava spesso che
Garfield si
trovasse in quella situazione, e quelle rare volte che capitava era
sempre per
colpa di quella ragazza, quella Rachel. Cosa ci trovasse il suo amico
in lei,
doveva ancora capirlo. Non le sembrava nulla di che, anzi, la trovava
un
pochino strana, sempre nascosta da felpe gigantesche fregate
dall’armadio del
cugino e jeans di due taglie di più, con i capelli sempre
legati e scontrosa
peggio di una biscia arrabbiata. No, decisamente non riusciva a capire
cosa ci
fosse di attraente in lei. Ma Garfield era cotto di lei ed era suo
dovere
aiutarlo.
«Mi
servirebbe… Possiamo parlarne da soli, per
favore?» chiese il
ragazzo, sbirciando Jessica.
«Ma
certo. Jess, ti spiace…?» domandò Tara
alla sua amica, che
semplicemente annuì.
«Ci
vediamo dopo, ragazzi. Ciao!» esclamò lei,
allontanandosi
discretamente.
«Avanti,
sputa il rospo. Cosa ha combinato, stavolta?» disse Tara,
guardando il suo migliore amico.
«Cosa?
Cosa ti fa pensare che c’entri Rachel?»
sussultò il
ragazzo, colpevole.
«Gar,
tutte le volte la stessa scena. Avanti, che è
successo?» gli
disse lei severamente, costringendolo a guardarla negli occhi.
«Ma
niente, solo che… Come al solito, non ha capito quello che
volevo dirle» si lamentò il ragazzo.
«Ti
spiacerebbe essere più chiaro?»
«Oggi
abbiamo fatto le colonne sonore e a me è capitata
“Pretty
woman”, la conosci, no?» iniziò a
raccontare Garfield.
«Come
potrei non conoscerla, mi hai costretto a vedere quel film e
a sentire quella canzone infinite volte, ormai potrei recitarti tutte
le
battute a memoria!» sorrise la ragazza, invitandolo a
continuare.
«E
Rachel era davanti a me, mentre cantavo e io ho cercato di
metterci tutti i miei sentimenti in quella canzone, ma lei non ha
capito. Mi ha
soltanto detto che sono bravo a cantare e quando io ho iniziato a
spiegarle
come sentivo quella canzone… Il professore ci ha detto che
avevamo finito e lei
è scomparsa. Ero a tanto così dal dirglielo,
Tara!» concluse il ragazzo,
guardandola con i suoi stupefacenti occhi verdi.
«Dai,
Gar, non ti abbattere. Sono sicura che la prossima volta
andrà meglio» tentò di consolarlo la
ragazza, abbracciandolo.
«Oh,
Tara, perché sono così impedito?»
mormorò Garfield, quasi in
lacrime.
«Non
sei impedito tu, Gar, è lei che non riesce a capirti. Lei
non
ti merita, non devi fare tutto questo per lei» rispose lei,
lasciandolo andare
e baciandolo lievemente sulla guancia.
«Tara,
io… Io voglio fare tutto questo. Sono sicuro che lei lo
meriti, lei è una ragazza speciale»
ribatté il ragazzo, incupendosi
leggermente.
«Davvero,
Gar, non capisco cosa ci trovi in lei. È
così… Strana»
commentò la bionda.
«Tara,
non ricominciare. Rachel è fantastica. Non posso fare altro
che ammirarla, mi dispiace» replicò Garfield, in
tono amaro.
«Qualcuno
dovrebbe aprirti gli occhi, allora…»
mormorò lei,
badando bene che lui non la sentisse.
In
quel momento, una ragazza li superò di corsa, urtando
Garfield,
che la riconobbe all’istante.
«Rachel!»
esclamò, correndole dietro.
«Gar!»
tentò di richiamarlo Tara, ma inutilmente.
Rachel
corse a perdifiato per tutti i corridoi della scuola,
fermandosi soltanto quando raggiunse il limite del cortile della
scuola, dove
si accasciò su una panchina.
Garfield
le tenne dietro, ma quando la vide tutta sola, rimase in
disparte, chiedendosi cosa dovesse fare. Fu in quel momento che
sentì la voce
della ragazza. Stava
cantando.
Let's talk this over
It's not like we're dead
Was it something I did?
Was it something you said?
Don't leave me hanging
In a city so dead
Held up so high
On such a breakable thread
La riconobbe all’istante
e sentì anche la tristezza che
venava la voce della ragazza. Doveva esserle successo qualcosa di grave
e
soltanto un ragazzo poteva esserne il responsabile. Jason.
You were all the
things I thought I knew
And I thought we could be
You were everything, everything that I wanted
We were meant to be, supposed to be, but we lost it
All of the memories, so close to me, just fade away
All this time you were pretending
So much for my happy ending
Non
poteva
credere a quello che stava sentendo. Davvero aveva avuto il coraggio di
rifiutarla? Anzi, di mollarla? Sentì montare la rabbia
dentro di sé.
You've got your dumb
friends
I know what they say
They tell you I'm difficult
But so are they
But they don't know me
Do they even know you?
All the things you hide from me
All the shit that you do
Stavolta percepì una
variazione di sentimenti anche nella
voce della ragazza. La tristezza era stata sostituita dalla rabbia. Gli
venne
ancor di più la voglia di prendere a pugni Jason. Se non
fosse stato per il
fatto che era almeno il doppio di lui.
You were all the
things I thought I knew
And I thought we could be
You were everything, everything that I wanted
We were meant to be, supposed to be, but we lost it
All of the memories, so close to me, just fade away
All this time you were pretending
So much for my happy ending
Garfield strinse i pugni.
L’aveva presa in giro fin
dall’inizio.
It's nice to know that
you were there
Thanks for acting like you cared
And making me feel like I was the only one
It's nice to know we had it all
Thanks for watching as I fall
And letting me know we were done
La ragazza concluse la canzone e
fu in quel momento che
Garfield la raggiunse.
Lei sentì dei passi
avvicinarsi e si voltò di scatto, gli
occhi che lanciavano fiamme. Quando lo riconobbe, sembrò
calmarsi e tornò a
guardare la valle davanti a lei.
«Non
volevo disturbarti. Posso sedermi?» chiese con dolcezza il
ragazzo, arrivandole davanti.
Lei si
limitò a scrollare le spalle. Lo prese come un sì
e si
sedette accanto a lei sulla panchina.
I due
rimasero in silenzio per un po’, entrambi fissando il
panorama davanti a loro.
Dopo
qualche minuto, Rachel si voltò verso Garfield e disse, con
la voce ancora rotta dai singhiozzi: «Cosa vuoi,
Garfield?»
«Niente.
Ti ho visto passare di corsa e mi sono preoccupato. Così
ti ho seguito e… Ho sentito la canzone. Mi
dispiace» rispose a bassa voce il
ragazzo, guardandola a sua volta. Vide lo stupore dipingersi sul volto
della
ragazza, seguito poi da un inaspettato rossore.
Rachel
distolse lo sguardo, voltandosi di scatto. «A me no. Era un
idiota.»
«Sicura
che non ti dispiaccia? Da come stai piangendo sembra che
tu ci sia rimasta male» azzardò Garfield,
maledicendosi poi per essersi
lasciato sfuggire una cosa del genere. Ma era idiota o che cosa?!?
Rachel
si voltò di scatto, per fronteggiarlo, gli occhi che
sprizzavano rabbia: «Chi ti credi di essere per dirmi una
cosa del genere?»
«Nessuno.
Solo un tuo amico. Ma la musica non mente e la tua
scelta è ricaduta su una canzone davvero triste»
rispose lui, semplicemente,
stupendosi di se stesso.
La
ragazza perse di colpo tutta la sua vena bellicosa e si
accasciò di nuovo sulla panchina. «Hai ragione. Mi
dispiace di averti
aggredito. Ma non mi fa per nulla piacere sapere di essere
così debole»
sussurrò dopo un po’.
Garfield
si appuntò in testa di segnarsi sull’agenda il
secondo
miracolo del giorno: Rachel Roth che si scusava con qualcuno.
Dopodiché le posò
un braccio sulla spalla, stupendo lei quasi quanto se stesso.
«Questa
non è debolezza. È semplicemente essere una
persona
normale» le disse poi.
«Normale.
Io non voglio essere normale. Devo essere forte»
ribatté
lei, dura, senza però liberarsi dal suo braccio.
«Perché?»
chiese il ragazzo.
«Per
mia madre» rispose lei, alzando su di lui i suoi particolari
occhi blu-viola.
Garfield
stava per chiederle chiarimenti, quando i due sentirono
una voce maschile chiamare la ragazza: «Rachel! Rach! Dove
sei?»
Era
Richard, alla ricerca della cugina, allertato da Tara. La
ragazza si tirò su e si alzò in piedi.
«Sono
qui, Richard! Arrivo!» esclamò, sbracciandosi
verso il
cugino. Poi, prima di andarsene, si voltò verso Garfield e
gli fece un sorriso.
«Grazie mille, Garfield. Ci vediamo.»
Lui la
guardò allontanarsi con un sorriso ebete stampato in
faccia.
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Capitolo 3 *** Alice (Underground) ***
«Garfield?
Garfield, ci sei?» domandò Tara, agitandogli una
mano
davanti alla faccia.
«L’abbiamo
perso, Tara. È inutile che ci provi» le disse
Victor,
ridacchiando.
I due
ragazzi, insieme al resto del gruppo, esclusi Richard e
Rachel, si erano riuniti al bar fuori da scuola, prima
dell’inizio delle
lezioni. Per una volta erano tutti in largo anticipo.
«Che
cos’ha il pivello?» chiese Roy, guardando il
biondino davanti
a lui.
«Non
chiamarlo così, Roy!» lo difese Antonia, lanciando
un’occhiataccia al rosso.
«Tu
non t’impicciare, streghetta» ribatté il
ragazzo.
«Ragazzi,
andate ad amoreggiare da un’altra parte, qui è in
corso
una crisi!» gli fece presente Garth, alzando gli occhi al
cielo.
«Chi
starebbe amoreggiando?! Certo non io!!» esclamarono i due in
coro, sbattendo le mani sul tavolo.
«Proprio
quel che stavo dicendo» commentò il moro,
scuotendo la
testa e scrollando le spalle.
«Vi
dispiacerebbe concentrarvi? Abbiamo un problema decisamente
più serio» li riprese Karen, con due occhiatacce
feroci.
«Odio
ripetermi, ma per voi farò un’eccezione: che
cos’ha il
pivello?» disse Roy, gettando uno sguardo annoiato al povero
biondo.
«Rachel
l’ha ringraziato e salutato» sintetizzò
Victor.
«E
tu ti trovi in questo stato perché la Gotica ti ha salutato?
Ma
che problemi hai?» commentò il rosso, guardando
inespressivo Garfield.
«Non
chiamarla così! Non è affatto gotica! Lei
è…» iniziò il
ragazzo, ma la sua apologia venne interrotta dall’entrata in
scena della
ragazza in questione. E ovviamente del cugino.
«Chi
è come?» chiese Rachel, sedendosi, dopo aver fatto
cenni di
saluto a tutti quanti.
«Nessuno!»
squittì, poco virilmente, Garfield.
«D’accordo…»
disse lei.
«Allora,
Gotica, che ti è successo? Nella tua cripta non esistono
sveglie?» domandò Roy.
«Sei
simpatico, Carotina. Comunque non è successo nulla di
particolare» replicò Rachel, fingendo indifferenza.
«Quindi
le voci a proposito della rottura tra te e Jason sono
tutte false, Gotica?» insinuò il ragazzo.
«Roy!»
esclamarono in coro tutti i ragazzi, fulminando il rosso,
che si limitò a scrollare le spalle.
«Tranquilli,
ragazzi. No, Carotina, è tutto vero, ma ormai è
storia antica» disse la ragazza, semplicemente, sorseggiando
il suo succo.
«Ehm…
L’hai presa piuttosto bene, Rach»
azzardò Kori, parlandole
come se davanti a lei ci fosse una bomba a mano con la sicura tolta.
«Diciamo
che mi hanno aiutato a riprendermi» rispose la mora,
lanciando un’occhiata veloce a Garfield. Il biondo
arrossì lievemente, ma i
loro amici non notarono quello scambio di sguardi.
«L’ho
sempre detto, io, che Jason è una testa
di…»
«Jessica!»
la rimproverò Karen. La ragazza si limitò ad
arrossire
lievemente, mentre Rachel rideva di cuore in faccia alla sua migliore
amica.
«Prima
di scivolare nel volgare, credo che faremmo meglio ad
entrare a scuola» fece notare Victor, alzandosi e venendo
prontamente imitato
dagli altri ragazzi.
«Garfield!»
«Rachel!
Ehm… Dimmi» rispose il ragazzo, imbarazzato,
voltando le
spalle a Tara in meno di un minisecondo.
La
bionda cercò di riconquistare l’attenzione del
biondino, ma non
ci fu nulla da fare. Era preso dalla ragazza mora che gli stava
parlando.
«Volevo
soltanto chiederti una cosa. Pensi di riuscire ad arrivare
un po’ prima al club, oggi? Dovrei
parlarti…»
«Ma
certo, nessun problema! Per che ora facciamo?» rispose
entusiasta il biondo.
«Subito
dopo pranzo, va bene?» propose la ragazza.
«Certo,
perfetto. A dopo!»
«A
dopo, grazie. Scappo, ho lezione di giapponese.»
«Buona
lezione» mormorò con tono sognante Garfield,
guardandola
allontanarsi.
Fu
soltanto dopo che Rachel scomparve nella sua classe, che Tara
poté riottenere l’attenzione del ragazzo:
«Allora, dicevamo?»
«Garfield.
Hai appena preso un appuntamento per oggi pomeriggio.»
«Sì,
lo so.»
«Garfield.
Avevo appena finito di chiederti se non potevi saltare
il club, visto che dovevo parlarti. E tu avevi appena finito di dirmi
che
andava bene.»
«Ops.
Tara, scusami. Davvero, mi sono totalmente dimenticato!»
«E
certo! Basta una sola parola di quella stramboide per farti
dimenticare tutto il resto!»
«Ehi!
Non parlare così di lei! Non è stata colpa sua,
è solo colpa
mia e ti ho già detto che mi dispiace. Possiamo vederci dopo
il club, se per te
non è un problema.»
«Ma
certo. Lei viene sempre prima! Vai da lei, Garfield, non me ne
importa più nulla!» strillò la ragazza,
scappando dentro la classe e
sbattendogli la porta sul naso.
“Ragazze,
chi le capisce è bravo” pensò Garfield,
massaggiandosi
il naso ed entrando nella stessa aula. Ovviamente il posto vicino a
Tara era
stato occupato da un’altra ragazza del loro corso. La bionda
gli lanciò
un’occhiata assassina e lui corse a rifugiarsi
nell’unico posto vuoto, accanto
al secchione della classe.
«Garfield!
Grazie di essere venuto» lo salutò Rachel,
alzandosi
dalla sedia su cui si era seduta per aspettare il biondo.
«Spero di non aver
creato problemi tra te e Tara.»
«Nessun
problema, tranquilla. Io e lei litighiamo sempre, ma poi
facciamo pace» minimizzò il ragazzo, non potendo
fare a meno, però, di
ricordare la portata sul naso. Inconsciamente si portò la
mano al viso per massaggiarselo.
«Comunque cosa ti serviva?»
«Volevo
chiederti… Se ti va di venire a conoscere mia madre. Sai,
sei l’unico, oltre a Richard, che sappia di lei,
quindi…» disse la ragazza,
arrossendo leggermente e distogliendo lo sguardo.
«Cosa?
Davvero? Ma certo! Cioè, ecco, sì, mi farebbe
molto
piacere.»
«Prometti
che non farai battute stupide?» mise le mani avanti la
ragazza.
«Tutto
quello che vuoi. Grazie mille, Rachel. Significa molto per
me.»
«Bene,
allora. Andiamo dopo il club, è un problema?»
«Assolutamente
no!»
«Non
hai nulla da fare? Sei sicuro?»
«Sono
libero come l’aria, nessun problema.»
«Bene.»
La ragazza si lasciò scappare un sorriso, poi, come
ricordandosi all’improvviso di una cosa, disse senza
preamboli: «Com’è che io e
te non abbiamo mai parlato? Voglio dire, siamo nello stesso gruppo
dalle
elementari, eppure parlo di più con Kori, che è
arrivata solo un anno fa. Parlo
di più persino con quell’idiota di
Harper!»
Garfield
scoppiò a ridere, poi rispose: «In
realtà non lo so.
Cioè, lo so. Vedi, tu ed io siamo completamente diversi e
io, quando sto con
te… Mi sento… A disagio.»
La
ragazza si incupì e Garfield capì di essersi
espresso male.
«Aspetta, non è quello che intendevo. Mi sento a
disagio perché… Non mi sento
alla tua altezza. Voglio dire, tu sei intelligente, portata per
qualunque cosa,
bella…»
«Davvero?
Sul serio non ti spavento?» domandò lei, con un
che di
speranzoso nella voce.
«Spaventarmi?
Assolutamente no, perché dovresti?» chiese lui,
stupito.
«Oh,
Garfield. Grazie!» esclamò Rachel, abbracciandolo.
Per
qualche secondo, non di più, naturalmente, ma
bastò al ragazzo ed anche a Tara,
che stava passando in quel momento in corridoio. La ragazza si
irrigidì in
maniera innaturale e continuò a camminare, lo sguardo duro.
Fortunatamente
per Rachel, cominciarono ad arrivare gli altri
ragazzi del gruppo di coro e a breve la lezione iniziò.
«Molto
bene, ragazzi. Oggi continueremo con le colonne sonore e la
prima è… Rachel. Prego, accomodati. Penso che tu
abbia visto “Alice in
Wonderland”, giusto? Bene, quindi conosci la canzone di Avril
Lavigne. Canterai
quella. Sei pronta? Via!»
La
musica partì e Rachel chiuse gli occhi. Le piaceva Avril
Lavigne, quella canzone in particolare. La ragazza iniziò a
cantare.
Trippin’ out
Spinning around
I'm underground
I fell down
Yeah I fell down
Garfield
sorrise dell’ironia della situazione: quella canzone si
adattava perfettamente ai sentimenti della ragazza, in quel preciso
momento.
I'm freaking out, where am I
now?
Upside down and I can't stop it now
Can't stop me now, oh oh
Ovvio
che fosse così confusa… Tutta colpa di quel
Jason. Magari
poteva pagare Victor e Richard per pestarlo a sangue. Anche se aveva il
sospetto che i due ragazzi l’avrebbero fatto ben volentieri e
gratuitamente.
Per Victor, Rachel era come una sorellina e Richard era molto legato
alla
cugina.
Adesso
veniva la parte migliore, pensò il ragazzo, continuando ad
ascoltare la ragazza davanti a lui, completamente persa nella musica.
I, I'll get by
I, I'll survive
When the world's crashing down
When I fall and hit the ground
I will turn myself around
Don't you try to stop me
I, I won't cry
Rachel
raggiunse senza problemi la tonalità della canzone, anche
se era molto alta. Ma era quella la sua particolarità:
riusciva a raggiungere
qualunque nota, facendo venire i brividi a chiunque
l’ascoltasse. E fu
esattamente quello che successe a Garfield, che la guardò,
pensando che non era
riuscita a tenere fede alla canzone: aveva pianto, ma ce
l’avrebbe fatta.
Sarebbe sopravvissuta.
I found myself in Wonderland
Get back on my feet, on the ground
Is this real
as it pretend?
I'll take a stand until the end
A
questo punto della canzone, Rachel aprì gli occhi e si
trovò
davanti Garfield che la fissava. Aveva uno sguardo strano, che in un
certo
senso la incitava a non mollare, ad andare avanti.
Sorrise
mentre la musica riattaccava con il ritornello, poi cantò
l’ultima strofa, guardando il ragazzo, come a rispondergli.
I, I'll get by
I, I'll survive
When the world's crashing down
When I fall and hit the ground
I will turn myself around
Don't you try to stop me
I, I won't cry
I, I'll get by
I, I'll survive
When the world's crashing down
When I fall and hit the ground
I will turn myself around
Don't you try to stop me
I, and I won't cry
Quando
finì, l’insegnante le fece i suoi complimenti:
Rachel era
davvero una delle sue alunne migliori, tutte le volte che cantava
sentiva che
lei lì era sprecata. Come pure Garfield Logan, cui Rachel si
stava avvicinando
adesso. Quei due erano destinati a qualcosa di grande e lui li avrebbe
aiutati.
Si segnò sull’agenda di chiamare il suo amico alla
Juilliard di New York.
«Bene,
per oggi abbiamo finito. Potete andare, ci vediamo domani,
ragazzi» li congedò l’insegnante.
«Ci
accompagnerà Richard, okay? Purtroppo sono troppo piccola
per
avere la patente» domandò Rachel, guardando
Garfield.
«Certo.
Nessun problema, ti capisco… Non vedo l’ora di
compiere
sedici anni!» rispose il ragazzo, seguendola nel corridoio e
fermandosi davanti
all’armadietto per prendere la borsa.
«Quando
compi gli anni?» chiese la ragazza, aprendo anche il suo,
poco distante da quello del ragazzo.
«Ad
agosto. E per settembre ho intenzione di avere
l’auto» rispose
lui, sorridendo. «E
tu?»
«Io
a novembre… Che strazio, ancora sei mesi a chiedere in
continuazione a Richard di accompagnarmi da tutte le parti»
replicò lei, chiudendo
l’armadietto e voltandosi verso di lui. «Andiamo?»
«Subito!»
esclamò lui, entusiasta.
«Garfield?»
lo chiamò una voce femminile da dietro di loro. I due
si voltarono e si trovarono a fronteggiare Tara.
«Markov»
la salutò Rachel freddamente. Quelle due non riuscivano
proprio ad andare d’accordo.
«Roth»
replicò la bionda, altrettanto freddamente.
«Garfield, dove
stai andando? Pensavo avessimo accordato di incontrarci dopo il
club…»
«Ma…
Stamattina mi hai detto che non ti interessava più e di fare
quel che volevo!» esclamò il povero ragazzo,
guardando spiritato la biondina
davanti a lui.
«Garfield!
Come hai potuto prendermi sul serio? Ero solo
arrabbiata! Ti devo parlare urgentemente, hai un minuto?»
esclamò la ragazza,
guardandolo stupefatta.
«Ehm,
devo andare con Rachel…» cominciò il
ragazzo, ma venne
colpito da uno schiaffo in pieno viso.
«Ti
odio, Garfield!» strillò Tara, girando sui tacchi
e scappando
via.
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Capitolo 4 *** Stupid Cupid ***
Il
mattino dopo, Garfield si svegliò di buon’ora e in
breve tempo
fu pronto per andare a scuola. Si incamminò pensieroso,
ricordando tutti i fatti del giorno prima: aveva conosciuto la madre di
Rachel,
aveva protetto Rachel da quell’idiota totale di Todd, aveva
ricevuto l’incarico
di proteggere Rachel da qualunque cosa, una volta che Richard fosse
andato al
college… Tutti quei pensieri gli fecero quasi venire il mal
di testa. Stentava
a credere che fosse successo davvero a lui! Fino al giorno prima era
soltanto
una presenza marginale nella vita di Rachel, adesso era
all’improvviso al
centro di tutto questo. E poi… Rachel l’aveva
abbracciato. Il ragazzo non poté
fare a meno di gongolare un po’, quel fatto lo inorgogliva
fuori misura.
Senza
rendersene conto, arrivò in un lampo a scuola e rimase
spiazzato nel vedere il parcheggio deserto. Controllò
l’orologio: le sette e
mezza.
Represse
un gemito e si rassegnò ad aspettare solo, solino,
solett… Un momento! Non era solo, c’era una
ragazza, seduta su una panchina.
Si
avvicinò e riconobbe Tara. Per un secondo rimase bloccato,
indeciso sul da farsi: doveva salutarla e rischiare un’altra
sberla subito o
non salutarla e garantirsi una sberla dopo? Ripensò per un
istante alle parole
di Rachel: “Le piaci. Le piaci. Le piaci.” Gli
rimbombavano in testa, come un
mantra.
Allora
decise di rischiare e con un sorrisone esclamò:
«Ciao,
Tara!»
La
ragazza alzò lo sguardo, spaventata: era convinta che non ci
fosse nessuno, oltre a lei e sicuramente non Garfield.
«Tutto bene? Non
volevo spaventarti,
ma sono arrivato un po’ presto e ti ho visto qui,
così ho pensato di salutarti»
spiegò il ragazzo, parlando a ruota libera e sedendosi
accanto a lei.
«G-Garfield.
Ciao. Non mi hai spaventato, solo… Non mi aspettavo
di vederti così presto. Non è da te»
rispose la ragazza, cercando di sembrare
naturale.
«Già,
lo so. Sono stupito anche io, in effetti» rise il biondo,
passandosi una mano nei capelli.
«Senti,
volevo scusarmi con te. Alla fine ieri ti ho
schiaffeggiato e ti ho detto che ti odiavo, ma… Non
è così. Mi dispiace, Gar»
borbottò lei, cercando di non guardarlo.
«Non
ti preoccupare, Tara. Non mi hai fatto male e poi sapevo che
non mi odi. Rac…» ma si interruppe. Meglio non
nominare Rachel in quel momento.
Tara aveva la strana tendenza ad uscire di testa quando sentiva il nome
della
ragazza mora, quindi preferiva non rischiare.
«Dicevi?»
chiese la ragazza, guardandolo.
«No,
cioè… Raccontami un po’ che ti
è successo» si salvò lui in
extremis. «Sei un po’ nervosa,
ultimamente.»
«Non
sono nervosa. È solo che ho una cosa piuttosto importante
per
la testa, ma non riesco a trovare una soluzione…»
rispose Tara, arricciandosi
una ciocca bionda intorno ad un dito.
«Ti
va di parlarne? Magari posso aiutarti» si offrì
Garfield,
senza riflettere.
«Ecco,
vedi… Mi piace questo ragazzo. Siamo buoni amici e non mi
va di rovinare tutto quanto per qualcosa che potrebbe essere una
stupida cotta»
sciorinò subito la ragazza. Evidentemente stava morendo
dalla voglia di
parlarne con qualcuno.
«Però?
Perché c’è un però, non
è così?» chiese il ragazzo,
accorgendosi dei sottointesi della frase dell’amica.
«Esatto.
Però non sono sicura che sia solo una cotta, mi sa che
è
qualcosa di più. Solo che non sono sicura dei suoi
sentimenti, visto che a lui
piace un’altra» riprese la bionda, ormai
torturandosi la ciocca di capelli.
«E
non si è accorto di te? Accidenti, deve essere proprio cotto
per quell’altra!» esclamò Garfield,
ridendo. Solo in quel momento si ricordò
del viso di Rachel e delle sue parole: “Le piaci.”
La risata gli morì in gola,
mentre pian piano prendeva piede la consapevolezza che poteva trattarsi
di lui.
Ma no, Rachel si stava probabilmente sbagliando! Non era mica
possibile,
giusto?
«Eh,
già, non si è accorto.
E non riesco nemmeno a capire cosa ci trovi in questa ragazza, secondo
me non è
niente di particolare. È soltanto una tra tante»
rispose Tara.
«Se
l’ha colpito, qualcosa di particolare
l’avrà, no? E comunque,
chi è questo ragazzo? Lo conosco?»
domandò il biondo, prima di essere
interrotto da una poderosa pacca sulla spalla.
«Yo,
Gar! Come andiamo?» esclamò gioviale Victor,
facendo voltare
entrambi i ragazzi.
Senza
che se ne accorgessero, il parcheggio e il cortile si erano
riempiti e tutti i loro amici stavano arrivando, anche, e qui il cuore
di
Garfield perse un battito, Rachel.
«Disturbiamo?»
chiese quest’ultima, raggiungendo il gruppo.
«Assolutamente…»
cominciò il ragazzo biondo, con uno sguardo
adorante.
«Sì,
in realtà. Ma non c’è problema, credo
che andrò in classe, è
quasi ora» disse Tara, fulminandola e dirigendosi verso
l’aula.
«Wow.
C’è la possibilità che io vinca la
scommessa, Victor caro!»
esclamò Roy, facendosi sfuggire un fischio.
«Non
penso proprio, Carotina» rispose Rachel per il suo amico,
affiancandosi poi a Jessica ed entrare nella loro aula, dove
già Tara aspettava
l’ingresso del professore. Garfield si affrettò a
raggiungerle e anche gli
altri ragazzi fuggirono nelle loro aule.
«Ehi,
Garfield!»
«Ehi,
Rachel» rispose il biondo, contento che fosse stata lei a
salutarlo per primo.
«Mi
spiace di aver interrotto te e Tara, era un discorso
importante? Lei sembrava davvero arrabbiata con me» si
scusò la ragazza,
sedendosi nel banco davanti a lui, accanto all’immancabile
Jessica.
«Non
ti preoccupare, Rachel. Dopo cercherò di parlarle di nuovo,
ma non era nulla di che» la rassicurò Garfield.
Rachel annuì, prestando poi
attenzione all’insegnante, che era appena entrato. Il ragazzo
rimase in
ammirazione dei suoi capelli scuri per tutta la lezione. Alla fine
dell’ora
poteva descrivere nei minimi dettagli i giochi di luce causati dai neon
su
quella massa lucida. E naturalmente non
sapeva assolutamente nulla della poesia romantica inglese.
Ma quelli
erano dettagli.
All’uscita
dall’aula, Tara lo raggiunse e gli disse:
«Garfield, a
pranzo possiamo parlare? Stavolta sul serio.»
«Certo.
Nessun problema» rispose il biondo, colto alla sprovvista.
«Ci
vediamo dopo, allora» dichiarò la biondina,
fissando Rachel
con intenzione. Dopodiché mulinò i capelli e
sparì dietro l’angolo. Non si
accorse di Rachel che faceva una smorfia, facendo scoppiare a ridere
Jessica.
«Tara!
Eccomi, dovevi parlarmi?» esclamò Garfield,
vedendo
avvicinarsi la bionda.
«Garfield.
Sì, ti spiace se andiamo fuori? Non vorrei che ci
disturbasse qualcuno» disse la ragazza, sempre guardando male
Rachel. I due si
allontanarono nel cortile, mentre tutto il resto del gruppo iniziava a
mangiare.
«Wow,
Rachel, ma che hai fatto a Tara? Non fa altro che guardarti
male!» esclamò Garth, commentando quanto appena
accaduto.
«Si
sarà dimenticata gli psicofarmaci, stamattina»
replicò la
ragazza, dando un minuscolo morso ad una foglia di insalata.
«Sento
profumo di vittoria!» esclamò allegramente Roy,
assumendo
una posa soddisfatta.
«Amico,
i miei soldi non li vedrai mai. Sarai tu a pagare me, sia
chiaro» ribatté Victor, con un che di minaccioso
nella voce.
«Sapete,
mi fa piacere sapere che io conto così tanto per voi due.
Comunque, io non ho fatto nulla. Quella bionda schizzata si sta facendo
una
serie di viaggi mentali assurdi e io non voglio averci nulla a che
fare»
dichiarò secca Rachel, mettendo giù la forchetta.
«Così
si fa, ragazza. Sii superiore, non farti mettere sotto da
una bionda!» esclamò Karen, gettandosi come una
morta di fame sulla sua fetta
di pizza.
«Rachel,
non mangi?» domandò Richard, vedendola alzarsi, il
piatto
quasi intatto se non per due morsi sulla foglia di lattuga.
«Non
ho fame. E devo fare una cosa al club, prima che inizi»
rispose lei, raccogliendo la borsa ed allontanandosi dal tavolo con un
cenno di
saluto a tutti quanti.
«Quella
ragazza mi preoccupa…» commentò Victor,
che, come Richard,
aveva notato le condizioni del piatto della mora. «A casa
mangia, Richard?»
«Poco»
rispose cupo il ragazzo, guardando la cugina allontanarsi.
«Mi sa che dopo dovrò farle un bel
discorsetto.»
Rachel
entrò nell’aula del club di canto e
tirò fuori dalla borsa
lo spartito di una canzone: ci teneva a provarla prima che arrivassero
tutti
quanti. Si avvicinò al pianoforte, vicino alla finestra,
aperta, visto che era
ormai estate e stava per iniziare a suonare, quando vide due teste
bionde e
sentì la voce di Tara. Silenziosamente si
avvicinò alla finestra e rimase in
ascolto.
«Garfield,
a proposito di stamattina…»
«Sì?»
la esortò il ragazzo, lanciando un’occhiata fugace
all’orologio. Mancavano circa dieci minuti
all’inizio della lezione di canto e
non voleva arrivare in ritardo.
«Ecco,
vedi, il ragazzo che mi piace… Sei tu.»
Garfield
si paralizzò sul posto, mentre Rachel sgranava gli occhi.
Doveva riconoscere che la bionda aveva fegato. Almeno quello, visto che
di cervello
c’era abbastanza scarsità.
«Come?»
riuscì a boccheggiare il ragazzo.
«Tu
mi piaci, Garfield. E non solo come amico, ormai non mi basta
più. Tu mi piaci davvero e…»
iniziò Tara e Rachel stava sporgendosi per sentire
meglio, quando sentì dei passi in corridoio. Subito si
voltò e raggiunse il
pianoforte. Si sedette e finse di essere sempre stata lì e
quando entrò un
ragazzo del club lo salutò con un cenno annoiato.
Intanto,
i due ragazzi stavano ancora parlando.
«Tara, senti…»
«Garfield,
lo so che ti piace Rachel. Ma vorrei che tu capissi che
lei non è adatta per te, ti farebbe solo soffrire e questo
farebbe soffrire
anche me. Non potresti lasciarla perdere e scegliere me? Sono disposta
ad
aspettare che ti passi, la cotta per lei» lo interruppe la
ragazza, alzando gli
occhi azzurri su di lui.
«Non
lo posso fare. Tara, io provo ben più di una cotta per
Rachel. Certo, non è amore, non arriverei a dire questo, ma
sento che con lei
voglio impegnarmi sul serio. E sono pronto ad aspettare per tutto il
tempo che
ci vorrà perché lei si accorga di me. Mi
dispiace, ma per me tu non sarai mai
nulla di più di un’amica» le disse
Garfield, serio.
Tara
lasciò andare un gemito di frustrazione e sentì
gli occhi
riempirsi di lacrime.
«Garfield,
tu non capisci. Io ti voglio bene, davvero e farei di
tutto per te!» esclamò, scoppiando a piangere.
«Allora
lasciami libero di fare la mia scelta. Tara, mi dispiace
tantissimo, credimi, ma… Per me, ormai, esiste solo
Rachel» replicò il ragazzo,
distogliendo lo sguardo. Odiava far piangere le persone.
Disperata,
Tara gli si lanciò addosso e lo baciò sulle
labbra,
violentemente. Dopodiché se ne andò, sempre
piangendo, lasciandolo lì,
imbambolato a fissare il vuoto.
Dopo
qualche minuto si riscosse dal suo torpore e corse verso
l’aula di coro, in testa ancora tutto quello che era appena
successo. Non poté
trattenersi dal pensare che Rachel aveva ragione.
Tara
si rifugiò su una panchina, nascosta dai cespugli e si
lasciò
andare al pianto. Poi, riacquistata un po’ di calma, si
ritrovò ad analizzare
la situazione razionalmente: era il tipico caso di triangolo. A lei
piaceva
lui, ma a lui piaceva un’altra. E all’altra lui
piaceva?
Mentre
pensava, cominciò a canticchiare sottovoce una canzone che
aveva sentito giusto il giorno prima e le sembrava calzare
perfettamente.
Stupid Cupid
You're a real mean guy
I'd like to clip your wings
So you can't fly
I am in love and it's a crying shame
And I know that you're the one to blame
Già…
Si era
inamorata di Garfield. Il suo migliore amico. Cupido non poteva farle
uno
scherzo peggiore.
Hey hey
Set me free
Stupid Cupid
Stop picking on me
Sarebbe
stato
bello non pensare più a lui…
I can't do my homework
And I can't think straight
I meet him every morning
At 'bout half-past eight
I'm acting like a lovesick fool
You've even got me carrying his books to school
Sorrise
amaramente, ripensando a quante volte aveva aiutato Garfield con i suoi
libri,
nemmeno fosse un bambino che non è in grado di prendersi
cura di se stesso. Tutto
perché le
piaceva.
Hey hey
Set me free
Stupid Cupid
Stop picking on me
You mixed me up for good
Right from the very start
Hey, go play Robin Hood
With somebody else's heart
Accidenti,
ma
perché proprio lui? E perché in quel momento? Lui
era chiaramente cotto di
Rachel, quindi perché giocarle quel brutto scherzo?
You got me jumping like a crazy clown
And I don't feature what your puttin' down
Well since I kissed his loving lips of wine
The thing that bothers me is
That I like it fine
Sì,
baciarlo era
stato bello. Le sarebbe piaciuto poter sentire le sue labbra contro le
sue
ancora infinite volte, magari desiderose di lei…
Hey hey
Set me free
Stupid Cupid
Stop picking on me
You got me jumping like a crazy clown
And I don't feature what your puttin' down
Well since I kissed his loving lips of wine
The thing that bothers me is
That I like it fine
Hey hey
Set me free
Stupid Cupid
Stop picking on me
Ma
perchè proprio
a lei?
Hey hey
Set me free
Stupid Cupid
Stop picking on me
Finì
la canzone e si ritrovò davanti il professore del club di
canto, che la guardò e le disse: «Markov. Vieni
con me.»
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Capitolo 5 *** Guardian ***
«Le
piaci.»
Garfield
si voltò verso Rachel, guardandola come se fosse
ammattita.
Erano
nel parcheggio ad aspettare Richard, appoggiati alla sua
macchina. Erano rimasti in silenzio dalla scenata di Tara nel
corridoio, ma
adesso finalmente la mora aveva aperto bocca.
«Scusami?»
«Le
piaci» ripeté la ragazza, facendo spallucce.
«Come
fai a dirlo?» domandò il ragazzo, guardandola
allucinato.
«Garfield,
è evidente. Ti sta sempre accanto, sta cercando di
parlarti da un’intera giornata, stava per scannarmi quando le
hai detto che
avevi da fare con me…» elencò lei,
contando sulle dita affusolate.
«Chi
ti voleva scannare, cugina?» domandò Richard,
arrivando alla
macchina e salutando con un cenno Garfield, ancora scosso dalla notizia.
«Tara
Markov. Crede che io ci stia provando con lui» rispose lei,
alzando gli occhi sul cugino e ridacchiando sommessamente.
«Sarebbe
stato divertente. È da quando abbiamo cominciato a
frequentarvi che Victor e Roy scommettono su chi di voi due
perderà per prima
le staffe» disse Richard, aprendo l’auto e
invitandoli a salire.
«Mi
fa piacere conoscere gente del genere. Ma dimentichi un
dettaglio, Richard. Io non ci sto provando con lui» aggiunse
la ragazza,
sedendosi sul sedile anteriore e lasciando a Garfield il sedile
posteriore. Il
ragazzo abbassò le spalle, mogio. Gli sarebbe piaciuto, che
Rachel ci provasse
con lui.
«Non
crederle, Gar. È la prima volta in tutta la sua vita che
Rach
si apre con un ragazzo che non sia io, quindi le stai simpatico. E lo
sanno
tutti dove porta l’amicizia tra ragazza e ragazzo»
intervenne Ricahrd,
guardandolo dallo specchietto retrovisore, mentre faceva manovra. Per
tutta
risposta la cugina gli rifilò una tremenda gomitata al
plesso solare. «Tu pensa
a guidare, Richard caro» ringhiò la ragazza. Poi
si voltò verso Garfield e gli
disse: «Per tua informazione, non ci sto provando con
te.»
«Ehm,
certo. L’avevo capito» rispose lui, arrossendo
leggermente.
«Bene»
replicò lei, tornando a guardare davanti a sé.
Il
resto del viaggio trascorse con il sottofondo delle chiacchiere
di Richard e Garfield, mentre Rachel guardava fuori dal finestrino.
L’auto
si fermò davanti all’ospedale.
«Capolinea» annunciò
Richard, guardando la cugina. «Passerò a
riprenderti tra… Un’oretta?»
«Va
bene. Grazie, Rich» rispose la ragazza, dandogli un buffetto
sulla guancia.
«Ci
vediamo dopo, Gar!» salutò il ragazzo, sgommando
via.
«Salve.
Vorrei vedere Arella Roth, sono sua figlia» esordì
Raven,
alla reception.
«Signorina,
sua madre non…» cominciò
l’infermiera, ma la ragazza
la interruppe: «So in che condizioni si trova mia madre. Ma
vorrei vederla lo
stesso, se non le dispiace.»
«Ehm…
Certo. Prego.»
«Grazie»
rispose lei, facendo cenno a Garfield di seguirla.
«Perché
l’infermiera non voleva farti passare?» chiese il
ragazzo,
una volta al sicuro nell’ascensore.
«Quando
la vedrai, capirai» rispose lei, cupa, uscendo
dall’ascensore e camminando lungo il corridoio.
Si
fermò davanti ad una stanza con la porta chiusa ed
entrò senza
bussare. Titubante, il ragazzo la seguì
all’interno.
«Garfield,
questa è mia madre, Arella» disse la ragazza,
indicandogli una donna in un letto, attaccata ad ogni tipo di
macchinario
esistente, incosciente.
«Rachel…
Io… Che le è successo?» chiese
balbettando il ragazzo,
cercando di non fissare la donna.
«Puoi
guardarla, non ti preoccupare. È stato mio padre. Mia madre
si è ribellata a lui quando era ubriaco e lui l’ha
picchiata fino a ridurla in
coma. Adesso è in carcere per omicidio»
spiegò la ragazza, sedendosi su una
sedia di plastica accanto al letto.
«Tuo
padre le ha fatto questo?» domandò stupito.
«Sì.
Non è mai stato il tipo di padre amorevole e inoltre era
drogato e alcolizzato. Certo non il massimo» rispose lei, con
un tono che non
le apparteneva.
«No,
direi di no. Tu come hai fatto a scappare?» chiese il
ragazzo, pentendosi subito di quel che aveva detto. «Scusami,
sono stato un
maleducato. Non dovevo chiedertelo, ritiro quello che ho
detto!» si scusò in
fretta.
«No…
Va bene. Visto che ormai sei qui, posso anche raccontarti
tutto. Io sono scappata perché mia madre è
intervenuta quando lui ha cercato di
colpire me. Mi ha visto in balia di quel mostro ed è
intervenuta, facendomi
uscire dalla porta sul retro. Io sono corsa da Richard e loro hanno
chiamato la
polizia. L’hanno salvata da morte certa, anche se adesso si
trova in questo
stato. Per colpa mia» mormorò la ragazza, la cui
voce si spezzò quando
pronunciò l’ultima frase.
Garfield
si voltò a guardarla e vide che aveva gli occhi lucidi.
Senza pensarci due volte, l’abbracciò,
sussurrandole: «Piangi pure. Non devi
dimostrare nulla a nessuno.»
La
ragazza si abbandonò sulla sua spalla, in lacrime e
singhiozzò
tra le sue braccia per qualche minuto, che parve durare un secondo e
un’eternità nello stesso tempo.
«Garfield…
Grazie» sussurrò la ragazza, quando finalmente si
liberò dall’abbraccio.
«Di
niente, si vede che ne avevi bisogno. Non puoi tenerti sempre
tutto dentro, sai? Ogni tanto fa bene sfogarsi»
replicò il ragazzo,
sistemandosi la t-shirt, tutta spiegazzata.
«Ma
io mi sfogo. Tutte le volte che non mi sento a posto, faccio
una sessione di allenamenti con Richard, gli sfondo due o tre punching
ball e
dopo mi sento un po’ meglio» ribatté
seria la ragazza.
«Ehm…
Non credo che quello sia il modo migliore per sfogarsi.
Cioè, non sempre. A volte piangere fa bene»
spiegò Garfield, continuando a
tenere lo sguardo fisso su Arella.
«Non
ho mai trovato nessuno disposto a consolarmi mentre piangevo.
Quindi ho semplicemente smesso di farlo» commentò
dura Rachel, irrigidendo la
mascella.
«Adesso
hai me» si lasciò sfuggire il ragazzo, alzando lo
sguardo
su di lei e realizzando con orrore cosa avesse appena detto.
«Cioè, sì,
insomma… Se te la senti, sai dove trovarmi.»
«Mi…
Mi farebbe piacere, grazie» rispose lei, imbarazzata, con
l’ombra di un sorriso sul viso.
Tra i
due calò un lungo silenzio, che venne rotto soltanto quando
Rachel allungò una mano verso la madre e iniziò a
parlarle in una strana lingua
che Garfield non riuscì a capire. Tuttavia decise di
rispettare il momento che
la ragazza stava avendo e rimase in silenzio. Dopo qualche minuto, la
ragazza cominciò
a cantare sommessamente le parole di una canzone, che Garfield
riconobbe
prontamente. Come non riconoscere Alanis, d’altro canto.
You,
you who has
smiled when you’re in pain
You who has soldiered through the profane
They were distracted and shut down
So why, why would you talk to me at all
Such words were dishonorable and in vain
Their promise as solid as a fog
And where was your watchman then?
I’ll be your keeper for life as your guardian
I’ll be your warrior of care, your first warden
I’ll be your angel on call, I’ll be on demand
The greatest honor of all, as your guardian
Il dolore di Rachel si rifletteva
nelle parole della canzone e il ragazzo non si stupì di
sentirgliele dire. Doveva
essere stato terribile, per lei, vedere sua madre crollare in quel modo
davanti
a qualcuno di cui si fidava.
You, you in the chaos feigning sane
You who has pushed beyond what’s humane
Them as the ghostly tumbleweed
And where was your watchman then?
I’ll be your keeper for life as your guardian
I’ll be your warrior of care, your first warden
I’ll be your angel on call, I’ll be on demand
The greatest honor of all, as your guardian
Arella, evidentemente, aveva dato
tutto per la figlia. Anche la sua vita, o quasi. E Rachel si sentiva in
dovere
di ripagarla. Garfield quasi si sentì male, pensando al
legame che quella
ragazza all’apparenza così forte e coraggiosa
aveva con la madre.
Now,
no more smiling
mid-crestfall
No more managing unmanageable
No more holding still in the hailstorm
Now enter your watchwoman
I’ll be your keeper for life as your guardian
I’ll be your warrior of care, your first warden
I’ll be your angel on call, I’ll be on demand
The greatest honor of all, as your guardian
Sì.
Lei sarebbe stata la sua guardiana. Per sempre.
Quando
la canzone finì, la ragazza si alzò, prontamente
imitata
dal biondo e con un saluto alla madre, uscì dalla stanza.
Fu di
nuovo nell’ascensore, che Garfield osò rompere il
silenzio:
«Ehm… Che lingua era?»
«Romeno.
Sia mia madre sia sua sorella, ossia la madre di Rich,
sono originarie della Romania. Sia io che lui parliamo correttamente
romeno,
grazie a loro» rispose Rachel.
«Wow.
Mi piacerebbe un sacco imparare tante lingue…»
sospirò il
ragazzo.
«Ed
è per questo che segui i meravigliosi corsi di Frau
Singer?»
chiese la ragazza, in un tono che si sarebbe potuto definire scherzoso.
«Anche»
ammise Garfield, evitando accuratamente di dire che aveva
basato la sua scelta dei corsi sulle sue scelte, tranne poche
eccezioni, come
giapponese, cui aveva preferito il cinese. «E tu, invece?
Credo che di lingue
tu ne sappia già a sufficienza, no? Quante ne
parli?»
«Dunque…
Inglese, francese, romeno, italiano, tedesco, un po’ di
russo, qualche cosa di spagnolo e giapponese»
replicò la ragazza, contando
sulle dita.
«Wow,
sul serio? Mi daresti lezioni?» domandò senza
potersi
trattenere.
«Ehm…»
rispose lei, colta alla sprovvista.
«Tranquilla,
sto scherzando. Prego» disse, aprendole la porta a
vetri dell’ospedale.
«Grazie»
mormorò lei, passandogli davanti e notando quanto fosse
cresciuto dall’ultima volta in cui gli aveva parlato insieme.
Parlato
seriamente, cioè. Il che doveva essere almeno un anno e
mezzo prima. Dopo c’era
stata tutta la storia di Jason (solo pensare a lui la faceva infuriare
di
nuovo) e l’arrivo di Tara e i due si erano un po’
allontanati.
Una
volta fuori, la ragazza mise mano al cellulare e contattò il
cugino, per sapere dove fosse.
Garfield
aspettava poco distante da lei, guardando il traffico
scorrere in strada.
Rachel
stava appunto salutando il cugino, quando davanti ai due
ragazzi comparve nientemeno che Jason Todd in persona.
«Guarda chi si vede»
mormorò maligno, fermandosi davanti a loro.
«Jason.
Cosa vuoi?» chiese gelida Rachel, irrigidendosi.
«Passavo
di qua, ti ho visto e ho pensato di fare un salutino alla
mia ex-ragazza, ti spiace?» domandò lui, mellifluo.
«E
se ti dicessi di sì?» replicò la
ragazza, senza dare segni di
ripresa.
«Non
ti crederei. Lo sappiamo bene tutti e due, che effetto ti
faccio, Rach tesoro» rispose il ragazzo, con un tono che non
lasciava presagire
nulla di buono.
«Novità
dell’ultimo secondo, Jason: non mi fai più
quell’effetto.
Mi disgusti e basta. E non chiamarmi tesoro»
ringhiò Rachel, dirigendogli
addosso tutta la sua rabbia.
«Eppure,
tesoro, fino a poco tempo fa non avevi problemi, quando
lo facevo. O mi sbaglio?» ridacchiò lui,
avvicinandosi a lei.
«Non
provare a toccarmi» esclamò lei, allontanandosi.
Il ragazzo,
però, fu più veloce e le prese rapido il polso,
trascinandola poi verso di lui.
«Ma come, tesoro? Così mi ferisci, lo
sai?»
«Lasciami
andare immediatamente, brutto porco schifoso!»
strillò
Rachel, cercando di liberare il polso.
«No,
no, Rachel. Che cattiva ragazza che sei, non dovresti usare
certe parole, non si adattano alle ragazzine di buona
famiglia» mormorò lui, in
tono paterno, serrando sempre più la presa.
Si
stava avvicinando sempre di più, era ad un centimetro dal
viso
della ragazza… Stava per baciarla… Rachel chiuse
gli occhi, cercando di
ricacciare indietro le lacrime e attese il contatto.
Contatto
che però non avvenne, perché Garfield, vedendoci
rosso,
aveva tirato un pugno dritto dritto sul naso di Jason, ottenendo di
allontanarlo da lei. «Ti ha detto di lasciarla»
commentò secco, guardando il
ragazzo con i suoi penetranti occhi verdi.
«Cos…?»
balbettò il moro, tastandosi il naso e sentendo colare del
liquido caldo. Con rabbia si alzò e si gettò sul
ragazzo biondo che gli aveva
fatto quello e che, per di più, era lì insieme
alla sua ex.
Garfield
semplicemente si spostò, andando accanto a Rachel per
vedere se stesse bene e in quel modo Jason finì lungo
disteso sul marciapiede.
Quello era troppo. Con un ringhio selvaggio si alzò e stava
per caricare di
nuovo, quando un altro ragazzo si parò davanti a lui,
più muscoloso e ben
piantato di Garfield. Lo riconobbe subito: Richard Grayson, chi altri?
«Jason.
Quanto tempo dal nostro ultimo incontro» commentò
incolore
il ragazzo, fissandolo.
«Grayson.
Non si può dire che tu mi sia mancato»
replicò l’altro,
arrabbiato.
«Nemmeno
tu. E anche l’ultima volta che ci siamo visti, mi sembrava
di averti detto di non osare avvicinarti a mia cugina» disse
il ragazzo con gli
occhi celesti, minaccioso.
«Dimentichi
un particolare, Grayson. All’epoca io e lei stavamo
insieme, era lei che voleva che io mi avvicinassi»
ribatté Jason, con un tono
che lasciava sottoindendere molte cose.
«Questo
lo credi tu, Jason. Sai, ho sempre ammirato la tua
sicumera. Ti ha sempre portato a crederti il dio del mondo, non
è vero? Bè, è
ora che tu capisca qual è il tuo posto»
sibilò Richard, alzando un pugno e
rifilandolo nuovamente sul naso a Jason. «Spero che ora il
messaggio ti sia
chiaro. Non. Toccare. Rachel. Mai più»
continuò, con una certa cattiveria nella
voce. Dopodiché gli voltò le spalle e spinse la
cugina e Garfield in macchina.
Partì sgommando, lasciando dietro di loro il ragazzo a
massaggiarsi il naso e a
lanciare insulti a Rachel.
«Bel
destro, Gar» si complimentò il moro, una volta a
distanza
sufficiente per rallentare e guidare come una persona normale.
«Grazie»
replicò l’altro, rivolgendo la sua attenzione a
Rachel,
che si era fatta piccola piccola sul sedile. «Rachel, tutto
bene?»
«Sì.
Richard, puoi lasciarmi da Jessica?» rispose lei, incolore,
spostando la sua attenzione sul cugino alla guida, che annuì
e qualche secondo
dopo svoltò a destra, depositandola davanti ad una
comunissima casa a schiera.
«Passo
a prenderti?» domandò il ragazzo.
«No,
mi riaccompagna Jess. Grazie, a dopo. Ciao, Garfield» disse
lei, sempre in tono incolore, avvicinandosi al patio e suonando il
campanello.
Fu soltanto dopo averla vista entrare che Richard ripartì.
Garfield,
intanto, era slittato davanti e i due ragazzi ora si
trovavano affiancati, entrambi silenziosi.
Dopo
qualche minuto, Garfield osò aprire bocca: «Credi
che Jason
si avvicinerà di nuovo a Rachel?»
Richard
sospirò profondamente, poi disse: «Se lo conosco,
per un
po’ la lascerà in pace. Ma dopo tornerà
all’attacco. L’ho sempre detto a
Rachel, che razza di tipo fosse, ma lei non ha mai voluto credermi.
Questo fino
a qualche mese fa, quando se ne è accorta di persona. Ma ha
continuato a stare
con lui, sperando che fosse solo una fase. Rach è la persona
più ricca di
speranza che io conosca. Ma tutto questo non le può fare
troppo bene ed infatti
quell’idiota l’ha mollata, seguendo i consigli dei
suoi amici. Ma credo che tu
lo sappia, no?»
«Sì,
infatti» rispose cupo il biondino.
«Garfield…
Mia cugina ti piace, vero?» domandò ad un certo
punto
il moro, cogliendo il compagno di sorpresa. Vedendolo in
difficoltà, lo
rassicurò: «Tranquillo, non
c’è nulla di male. Lo so che non la faresti mai
soffrire. E se dovessi farlo, stai pur certo che ti troverò,
ovunque tu vada e
te la farò pagare.»
«Sì,
certo!» rispose l’altro, quasi mettendosi
sull’attenti.
«Allora
ti devo chiedere l’enorme favore di proteggerla. Rachel
è
fragile, molto fragile. Lo è sempre stata, ma da quando sua
madre è stata
ridotta in quello stato, lo è diventata ancora di
più. Tra un anno io andrò al
college e non potrò starle sempre accanto come ho fatto
finora. Quindi dovrai
farlo tu, d’accordo?»
«Conta
pure su di me» rispose serio Garfield, indurendo lo
sguardo.
«Grazie,
Gar. Sei un amico» lo ringraziò il moro, prima di
chiedergli: «Qua devo girare a destra, giusto?»
«Sì
e poi di nuovo destra. Perfetto, grazie del passaggio. Ci
vediamo domani» salutò il biondo, scendendo
dall’auto e ricevendo un saluto
simile.
Lo
guardò allontanarsi, poi si ritirò in casa,
pensoso.
Quella
sera fece sogni piuttosto strani, in cui comparve una
ragazza dai capelli scuri implorando il suo aiuto.
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Capitolo 6 *** Best that you can do ***
Tara
seguì l’insegnante per i corridoi, temendo che la
stesse
portando dal preside. Non si interrogò nemmeno sui motivi
per cui avrebbe
dovuto farlo.
Fu per
questo che quando si fermarono davanti alla porta del club
di canto la ragazza rimase piuttosto sorpresa. Il professore
aprì la porta ed
entrò, facendole cenno di seguirlo. «Ragazzi, ho
qui con me una ragazza
piuttosto dotata. Ecco a voi Tara Markov, immagino che molti di voi la
conoscano… Hai qualcosa da dire Rachel?»
«No,
signore» rispose la ragazza, nascondendo una smorfia.
«Bene.
Come stavo dicendo, Tara è piuttosto dotata e ritengo che
dovrebbe entrare a fare parte del gruppo» continuò
il professore, facendo segno
alla ragazza di raggiungerlo al centro dell’aula.
«Professore,
mi scusi, ma… Non mi sembra giusto che lei entri
così, mentre noi abbiamo dovuto faticare!»
esclamò una ragazza, che in realtà
quasi nessuno sopportava, Catherine. Rachel alzò gli occhi
al cielo: Catherine,
o Kitty, era l’ennesima bionda senza cervello ed era entrata
nel club
sostanzialmente per l’influenza che suo padre esercitava sul
preside e sul
consiglio della scuola. Non che fosse stonata, semplicemente se la
cavava sulle
cose semplici. Tipo “Jingle bells” o
“Happy birthday”.
«Catherine,
credo che abbia delle capacità notevoli. Certo, non al
livello di Rachel e Garfield, ma piuttosto considerevoli. Se
permettete, vorrei
farvela sentire. Tara, abbiamo iniziato un lavoro sulle colonne sonore,
ti
spiacerebbe cantare questa?» disse il professore, sedendosi
al computer e facendo
partire una base. La ragazza cominciò a cantare.
Da
quando la bionda era entrata nella stanza, Garfield si era come
pietrificato al suo posto. Cosa ci faceva lei lì? E poi, da
quando Tara
cantava? Non l’aveva mai sentita e la ragazza non aveva mai
dimostrato
dell’interesse per quella disciplina, soprattutto da quando
lui, ancora alle
medie, era riuscito ad entrare nel club che era poi sfociato in quello
del
liceo. Tuttavia, dovette ammetterlo, era proprio brava. Non
l’avrebbe mai
paragonata a Rachel, quello no, ma era nettamente meglio di circa
metà del
club.
Si
voltò verso la ragazza alla sua destra e vide che Rachel si
era
sporta verso Tara, mentre cantava. Sentendo il suo sguardo su di lei,
la mora
si voltò verso di lui e stavolta si sporse verso di lui.
«Per quanto mi scocci
ammetterlo,» sussurrò «è
davvero brava.»
«Tu
sei meglio» ribatté lui, sorridendole leggermente.
Il sorriso
si allargò un po’ quando la vide arrossire per il
complimento. Non aveva mai
visto Rachel Roth arrossire.
Nel
frattempo, Tara aveva finito e il professore l’aveva fatta
sedere accanto a Kitty, che la guardava in cagnesco. Evidentemente
riteneva di
poter essere l’unica bionda degna di considerazione.
«Molto
bene, Catherine. Spero di aver risposto alla tua domanda,
in questo modo. Tara resterà con noi, se lo
vorrà. Quella di oggi sarà solo una
prova, d’accordo?» disse l’insegnante,
rivolgendosi alla ragazza in questione,
che si limitò ad annuire, ancora piuttosto sconcertata da
quello che stava
succedendo. Pensava di dover andare dal preside e invece eccola
lì, al club di
canto, a cantare davanti a tutti, compreso Garfield. Che stava
mormorando
qualcosa all’orecchio di quella Roth, facendola addirittura
arrossire. Tara
represse un ringhio: avrebbe pagato oro per sapere di cosa stessero
parlando.
«Prima
di cominciare, c’è ancora una cosa che vorrei
annunciarvi.
Rachel, Garfield, riguarda voi due» disse il professore,
schiarendosi la voce.
I due ragazzi alzarono lo sguardo sull’insegnante,
incuriositi, mentre tutto il
resto del club guardava loro.
Il
professore prese un respiro profondo, poi disse: «Come
sapete,
ritengo che siate i migliori qua dentro. Per questo, ho chiamato un mio
amico
alla Juilliard di New York.» Tutta la classe trattenne il
fiato: la Juilliard
di New York! Non poteva essere vero, doveva esserci un
errore…
Il
professore ignorò tutto questo e continuò:
«Ha detto che sono
disponibili ad ammettervi per la scuola estiva. Partirete da qui tra
tre giorni
e starete là fino alla fine di settembre. Giusto in tempo
per l’inizio della
scuola. Ho già avvertito chi di dovere.»
Tutti
gli studenti guardarono Rachel e Garfield, che semplicemente
non riuscivano a credere a quello che stava dicendo
l’insegnante. Loro… Alla
Juilliard? Per tre mesi? I due ragazzi si guardarono, increduli, poi
Garfield,
senza alcun preavviso, abbracciò Rachel, che non si
scostò dall’abbraccio,
anzi, lo ricambiò.
«Ma
è… Fantastico!» esclamò il
ragazzo, una volta sciolto
l’abbraccio.
«Professore,
è sicuro?» domandò la ragazza, per
sincerarsi che non
fosse tutto uno scherzo.
«Più
che sicuro. Ecco infatti i vostri biglietti. Mi raccomando,
siate puntuali, l’aereo non aspetterà certo
voi» rispose l’insegnante, porgendo
loro due biglietti aerei. I due li presero come in trance: non era
possibile!
Ma il
professore non gli lasciò il tempo di ammirarli e li
riportò
all’ordine: «Perfetto, possiamo proseguire. Per
oggi pensavo di farvi cantare…»
Ma ormai Rachel e Garfield non lo stavano più ascoltando e
quando i ragazzi
intorno a loro iniziarono a cantare, si limitarono a seguirli a ruota,
senza
nemmeno badare a quel che stavano cantando.
Finalmente
la lezione finì e i due si precipitarono fuori
dall’aula, per raggiungere i loro amici. Tara si
limitò a seguirli camminando
lentamente, ancora fumante di rabbia.
Non
dovettero andare lontano, perché in corridoio Rachel si
scontrò con il cugino, che stava andando a recuperarla per
riportarla a casa.
Non appena lo riconobbe, la ragazza gli saltò al collo:
«Richard! Vado a New
York!»
Il
ragazzo la posò a terra per guardarla e cercare di capire:
«Scusa? Dove vai?»
«A New York! Alla
Juilliard! Non è
incredibile??» esclamò la ragazza, mostrandogli il
biglietto. A quel punto Richard capì e sollevò la
cugina per farla roteare in
aria, facendola ridacchiare. Quando la posò a terra, la
abbracciò: «E brava la
mia ragazza!»
«Oh,
Richard, ci tengo così tanto!»
«Ma
non mi dire. E io che pensavo che quei poster in camera tua
servissero solo a nascondere la nostra orrenda carta da
parati» replicò
sarcastico il moro.
«Stupido»
ribatté lei, tirandogli un pugno scherzoso.
«Ci
vai da sola?» chiese poi il ragazzo, sempre concentrato sugli
aspetti pratici delle cose.
«No,
viene anche Garfield» rispose la ragazza, indicando il
biondo, che aveva assistito a tutta la scena, insieme a Tara.
«Davvero?
Wow, congratulazioni, Gar. Sapevo che eri bravo, ma non
pensavo così tanto, anche se Rach non faceva altro che
parlare delle tue
performance» si complimentò Richard, facendo
avvampare la cugina, che sibilò:
«Richard! Che stai dicendo?»
Il
moro scoppiò a ridere, mentre anche il biondino arrossiva
leggermente. Tara stava per dare in escandescenze, ma fu salvata dal
resto
della banda, che stava seguendo Richard.
«Ehi,
ragazzi, come è andata?» domandò Karen.
«Alla
grande! Andremo a New York!» esclamò Garfield,
mostrando il
biglietto.
«Voi
andrete dove, pivello? E chi siete
“voi”?» domandò Roy, certo
di non aver capito.
«A New York! Alla
Juilliard!» strillò Rachel, mostrando il proprio
biglietto.
«Aspetta.
La Gotica e il pivello vanno a New York? Come mai io non
sono stato invitato?» chiese di nuovo il rosso, facendo
andare lo sguardo dalla
ragazza al ragazzo, entrambi chiaramente eccitati.
«Perché
tu sei stonato come una campana rotta, Carotina, senza
voler offendere le campane, ovviamente» replicò
Rachel.
«Oh,
ragazzi, ma è fantastico!» si intromise Antonia,
cercando di
impedire l’ennesimo litigio tra i due. Abbracciò
sia Rachel che Garfield,
mentre Roy cercava di mandare giù il commento di Rachel.
«Quando
partite?» domandò
pratico Victor.
«Tra
tre giorni» rispose Garfield, controllando il biglietto
ancora una volta per assicurarsi che non fosse uno scherzo.
«Ma
allora bisogna festeggiare!» esclamò Kori,
ricevendo cenni di
approvazione da tutto il gruppo. «Stasera a casa mia, va
bene?»
Calcolando
che casa Anders era tipo una megavilla con piscina, i
ragazzi non ebbero problemi ad accettare l’invito. Il gruppo
si allontanò
chiacchierando allegramente, mentre Tara restava indietro.
Con
sua enorme sorpresa, però, fu proprio Rachel a voltarsi
verso
di lei: «Tu non vieni, Markov?»
«Ehm…
Arrivo» rispose la bionda, allungando il passo e superando
l’altra ragazza senza degnarla di uno sguardo. Rachel si
limitò a sbuffare,
pensando a quanto fosse orgogliosa quella ragazza.
«Rachel,
sei pronta per andare?» esclamò Richard,
spalancando la
porta della camera della cugina e trovandosela davanti sdraiata sul
letto a
guardare il soffitto con aria sognante.
«Rachel?
Sei pronta?» chiese di nuovo, avvicinandosi.
La
ragazza parve risvegliarsi dal suo coma estatico e si tirò
su:
«Devo solo prendere la borsa.» Si alzò e
raggiunse la sua scrivania, dove aveva
posato la sua borsa da spiaggia, con dentro il necessario per una festa
in
piscina.
«Sono
pronta!» esclamò, voltandosi verso il cugino.
Il
ragazzo sospirò, poi la seguì fuori dalla porta.
Scesero le
scale e salutarono i genitori del ragazzo, che fecero loro le solite
raccomandazioni, dopodiché si chiusero la porta di casa alle
spalle.
Rachel
stava già raggiungendo la macchina, quando Richard la
fermò: «Rachel, posso parlarti un
secondo?»
«Che
c’è?» chiese lei, guardandolo. Aveva uno
sguardo serio che
non le piaceva affatto.
«Vorrei
sapere perché non mangi» rispose lui.
«Io
mangio, Richard» replicò la ragazza, dura.
«No,
Rachel, tu non mangi. E non sono l’unico ad essersene
accorto. Anche Victor l’ha notato. Che ti sta
succedendo?» ribatté il cugino,
avvicinandosi alla macchina.
«Niente.
Semplicemente non ho fame» mormorò la ragazza,
guardando
il marciapiede.
«Rachel,
sai anche tu come potrebbe andare a finire. Ti prego, mangia.
Fallo per me, per i miei, per i nostri amici, per tua madre…
Non posso
lasciarti andare a New York, se continui così.
Capisci?» la supplicò il
ragazzo, raggiungendola e sollevandole delicatamente il mento per
costringerla
a guardarlo.
«Richard…»
sussurrò lei, gli occhi pieni di lacrime.
«Lo
so che sei una brava ragazza. Ma ti prego, questo non farlo.
Okay?» disse lui, abbracciandola.
La
ragazza si lasciò stringere. «Io… Io ci
proverò.»
«Brava,
la mia ragazza» mormorò lui, sempre abbracciandola.
«Però,
Richard… Mi manca tanto» sussurrò lei,
stringendolo forte.
«Non
mangiare non la farà tornare. E io non ti
permetterò di
raggiungerla, hai capito?» replicò il ragazzo,
scostandosi per poterla
guardare. Le asciugò le lacrime, poi le fece un minuscolo
sorriso: «Sono sicuro
che si risolverà tutto. E adesso andiamo, gli altri ci
stanno aspettando.»
Rachel
si limitò ad annuire, poi salì in macchina,
imitata dal
ragazzo, che mise in moto e partì. Durante il viaggio, la
tensione tra i due si
allentò e quando raggiunsero la casa di Kori erano tornati
alla normalità.
«Benvenuti!
Mancavate solo voi, prego, entrate!» esclamò una
sorridente Kori, facendo loro strada verso la piscina.
I due
cugini la seguirono lungo i corridoi, qualche passo dietro
di lei. I suoi lunghi capelli rossi ondeggiavano mentre camminava e il
suo
costume rosa mostrava tutte le sue forme.
«Giuro,
devi essere dell’altra sponda, per non accorgerti di
lei»
mormorò Rachel al cugino.
Il
ragazzo arrossì leggermente: «Rachel, te
l’ho detto un miliardo
di volte. Non sono gay e non mi piace Kori. Quando la
smetterai?»
«Quando
mi dirai chi ti piace.»
«Allora
immagino che morirò con te che mi ripeti questa
storia….»
chiuse il discorso il ragazzo, sospirando teatralmente. Rachel represse
una
risatina, poi allungò il passo per raggiungere la sua amica.
«Ecco,
le cabine sono là, ci vediamo in vasca» disse la
rossa,
indicando ai due ragazzi le cabine per cambiarsi. I due fecero come
aveva detto
la ragazza e in pochi minuti fecero il loro ingresso sul piano vasca.
«Rachel!
Richard! Era ora!» esclamò Victor, alzando il
braccio per
salutarli.
«Che
vi è successo, Gotica? Non trovavi la crema lunare? Penso
che
ti scotterai, stasera è piena» disse Roy,
ridacchiando per la sua battuta. Per
tutta risposta, Rachel lo spinse in acqua.
«Rachel,
tesoro, ho sempre pensato che tu fossi un genio» si
complimentò Antonia, scambiandosi un cinque con lei. Le due
ragazze lanciarono
un sorrisino al rosso che ancora annaspava nella piscina, mentre
raggiungevano
Jessica e Wally dall’altro lato della vasca.
I due
ragazzi le salutarono e le coinvolsero nella loro
conversazione, ma Rachel sembrava distratta.
«Rach,
che succede?» le chiese Jessica.
«No,
niente, mi chiedevo… La Barbie pazza non è ancora
arrivata?»
rispose l’amica.
«Tara?
L’ho vista poco fa, stava parlando con Garth» la
informò
Wally, indicandole il punto in cui l’aveva vista.
Effettivamente, ora che
guardava meglio, poteva vedere la bionda che parlava animatamente con
Garth.
«Se
invece cercavi Garfield, è laggiù con Victor e
Richard» le
disse Jessica, indicandole il biondo.
Rachel
si voltò e nello stesso momento lo fece anche lui. I due si
scambiarono un semplice cenno di saluto.
«Oh,
come siete carini!» disse Jessica, con un tono sognante.
«Jess,
toglitelo dalla testa. Non esiste» ribatté secca
la mora.
«Dicono
tutti così, Rach, cara. Chi disprezza compra, vedrai se
non è vero» replicò la sua amica,
ridacchiando.
«Come
ti pare» sbuffò la ragazza, allontanandosi verso
il buffet
per prendere un bicchiere d’acqua.
Posò
la mano sulla bottiglia nello stesso momento in cui lo fece
un altro. Alzò lo sguardo e si trovò davanti
Garfield. I due guardarono le loro
mani unite sulla bottiglia e le ritirarono di scatto, arrossendo.
«Garfield…»
mormorò debolmente la ragazza.
«Rachel…»
disse lui, nello stesso modo.
«Scusami,
io… Serviti pure» disse lei, facendogli cenno di
prendere la bottiglia.
«No,
figurati. Fai prima tu. Anzi, aspetta, faccio io»
replicò il
ragazzo, prendendo l’oggetto conteso e versando
dell’acqua nel bicchiere della
ragazza, prima di riempire anche il suo.
«Grazie»
disse lei, maledicendo mentalmente Jessica. Adesso che le
aveva messo la pulce nell’orecchio non riusciva a comportarsi
normalmente con
Garfield.
«Di
niente» rispose il biondino, maledicendosi mentalmente per
non
aver trovato nulla di più interessante da dire.
I due
sorseggiarono in silenzio l’acqua. Poi, proprio quando
Garfield aveva finalmente preso coraggio e stava per farle i
complimenti per il
costume, vennero interrotti dalla voce tonante di Victor.
«Ragazzi!
Visto che siamo qui riuniti per festeggiare i nostri due
piccoletti che se ne vanno a New York, propongo una canzone in
tema!»
Tutti
gli sguardi si concentrarono su di loro, mentre dalle casse
partiva una melodia che loro ben conoscevano.
Once in your life you find her
Someone that turns your heart around
And next thing you know you're closing down the town
Wake up and it's still with you
Even though you left her way across town
Wondering to yourself, "Hey, what've I found?"
Garfield arrossì
violentemente: effettivamente era
proprio quello che era successo a lui. Rachel era l’unica
ragazza che avesse
mai incontrato che gli facesse quell’effetto… Solo
con lei si sentiva un idiota
totale. Come in quel momento. Era certo che la ragazza si stesse
chiedendo
perché fosse arrossito.
When
you get caught between the Moon and New York City
I know it's crazy, but it's true
If you get caught between the Moon and New York City
The best that you can do ......
The best that you can do is fall in love
A questo punto anche Rachel
arrossì. Cosa pensavano di
fare quei cretini con quella canzone? Lei non si sarebbe innamorata, a
New
York. Assolutamente no!
Arthur
he does as he pleases
All of his life, he's mastered choice
Deep in his heart, he's just, he's just a boy
Living his life one day at a time
And showing himself a really good time
Laughing about the way they want him to be
Però doveva ammettere
che Garfield era così: non gliene
importava nulla di quello che gli altri pensavano di lui o di come
volevano che
si comportasse. Era sempre se stesso e questo le piaceva. Almeno lui
era
sincero, con se stesso e con gli altri, che lo accettavano. Anche Roy.
Lei
invece… Nascondeva i suoi sentimenti e gli unici a cui li
aveva mostrati erano
Richard e… Garfield. Alla fine tutto tornava sempre a lui.
Maledetta Jessica!
When you get caught between the Moon and
New York City
I know it's crazy, but it's true
If you get caught between the Moon and New York City
The best that you can do .....
The best that you can do is fall in love
Innamorarsi a New York? Lui si era già
innamorato a Jump City,
California! Non aveva bisogno di andare così
lontano… Però sarebbe stato bello
se anche Rachel si fosse innamorata di lui a New York…
When you get caught between the
Moon and New
York City
I know it's crazy, but it's true
If you get caught between the Moon and New York City
The best that you can do .....
The best that you can do is fall in love
Le
note sfumarono e la canzone finì. I due ragazzi erano ancora
pietrificati davanti al buffet, i bicchieri d’acqua in mano,
presi dalle parole
della canzone. Effettivamente,
riconobbero, era in tema.
«Ma
guardali, che carini… Sono tutti arrossiti!»
esclamò Roy con
un che di sarcastico nella voce.
Il
gruppo di ragazzi scoppiò a ridere, tranne Tara, che si era
sentita piuttosto strana durante la canzone, mentre i due cercavano di
negare,
causando ulteriori risate.
|
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Capitolo 7 *** Can't take my eyes off of you ***
«Rachel,
tesoro, sei sicura di aver preso tutto?»
«Sì,
zia. Sono pronta per partire» rispose la ragazza, chiudendo
la cerniera del trolley e guardando la donna davanti a lei.
«Allora
vado a chiamare tuo zio e tuo cugino» disse la donna,
facendo per uscire dalla stanza e trovandosi davanti i due uomini.
«Non
ce n’è bisogno, mamma. Siamo già
qui» annunciò Richard,
sorridendo.
«Hai
preso tutto? Sicura?» chiese lo zio, controllando la camera
della ragazza.
«Tutto
fatto, zio. Possiamo andare» rispose Rachel, posando il
trolley a terra. Richard si lanciò a prenderlo e
controllò l’orologio: «Direi
più che altro che dobbiamo andare, dobbiamo ancora passare a
prendere Garfield.»
«Allora
andiamo. Tutti in macchina, forza» li esortò
l’uomo, dando
l’esempio e cominciando a scendere le scale.
Rachel
lanciò un’ultima occhiata alla sua stanza, poi
uscì e
chiuse la porta.
«Quindi
questo ragazzo è orfano? Oh, povera creatura»
mormorò la
signora Wayne, la madre adottiva di Richard e zia adottiva di Rachel.
Anche i
genitori di Richard erano morti quando lui era piccolo, quindi era
stato
affidato alle cure di un parente di suo padre, il signor Wayne.
Successivamente,
dopo l’incidente con suo padre, anche Rachel era andata a
stare con loro. Fin da
piccola era sempre stata affezionata al cugino, così come
Arella, che si era
offerta di prenderlo con sé quando sua sorella e suo marito
erano morti. Purtroppo,
non erano riusciti ad ottenere la tutela, ma Rachel e Richard avevano
mantenuto
uno stretto legame e Arella si era subito trovata in sintonia con i
Wayne.
«Ma’,
non ti devi preoccupare, Gar è in gamba» rispose
il ragazzo,
guardando il biondo che si avvicinava alla macchina e salutandolo con
un cenno.
«Ma
vive da solo?» continuò Selina, guardando il
marito aiutare il
ragazzo a caricare la valigia.
«Sì,
zia. Ma non ti preoccupare, se la cava. Ciao, Garfield» disse
Rachel, scivolando sul sedile per fargli spazio e chiudendo
così il discorso.
Garfield
fece un cenno, mentre si sedeva accanto a lei nel sedile
posteriore, poi salutò con estrema cortesia la signora Wayne.
Il
viaggio fino all’aeroporto si svolse piuttosto
tranquillamente,
con i signori Wayne che discorrevano animatamente di uno spettacolo che
avevano
visto qualche giorno prima, mentre i ragazzi dietro erano silenziosi:
Richard
si immaginava la cugina, tutta sola, a New York; Rachel non stava nella
pelle
all’idea di entrare alla Juilliard e Garfield non riusciva
ancora a credere
alla sua fortuna, tre mesi con Rachel Roth alla Juilliard.
«Siamo
arrivati!» esclamò il signor Wayne, parcheggiando
e
scendendo per cominciare a scaricare le valigie dei due ragazzi.
«Grazie,
zio» ringraziò Rachel, recuperando il suo trolley
e
cominciando a camminare con le gambe molli verso l’ingresso
dell’aeroporto. Per
sua fortuna, accanto a lei c’era Richard a sorreggerla.
«Grazie
del passaggio, signor Wayne» disse Garfield, mentre
prendeva la sua valigia e si avviava verso l’entrata,
affiancato dai signori
Wayne.
«Nessun
problema, figliolo» rispose l’uomo, burbero.
I
cinque entrarono e si diressero verso il banco per il check-in.
«Fatto.
Non riesco davvero a crederci» disse Garfield.
Erano
tutti seduti ad un tavolino del bar, ad aspettare che
chiamassero il loro volo. I due ragazzi erano un fascio di nervi.
«Vuoi
un pizzicotto?» domandò Rachel, mostrandogli due
dita.
«No,
grazie. Facevo per dire» si difese il biondo, alzando le
mani.
«Rachel,
mi raccomando, comportati bene» intervenne Bruce Wayne,
con la sua voce profonda, interrompendo il momento tra i due ragazzi.
«Bruce!
Non disturbare i ragazzi. Sai già che tua nipote
sarà un
modello di virtù, non è vero tesoro?»
lo rimproverò Selina, lanciandogli un’occhiataccia.
«Rachel,
ti prego, portami con te! Non vorrai lasciarmi con questi
due!» sospirò Richard, pregando la cugina.
«Mi
spiace, Richard. Temo che la mia valigia sia già a bordo, se
no avresti potuto nascondertici dentro» rispose lei,
sorseggiando il suo tè
freddo, mentre Garfield ridacchiava.
«Questa
è cattiveria, però» borbottò
il moro, abbandonandosi sulla
sedia.
«Si
pregano i gentili passeggeri del volo per New
York…» gracchiò
in quel momento l’altoparlante, iniziando a sciorinare il
codice del volo.
«È
il nostro!» esclamò Rachel, balzando in piedi e
rovesciando il
tè.
«Andiamo»
gridò Garfield, imitandola. I due ragazzi raccolsero al
volo le loro borse e cominciarono a correre verso il loro gate
d’imbarco.
Ai
Wayne e a Richard non restò altro che inseguirli.
Arrivarono
davanti alle porte d’imbarco e a quel punto Rachel si
voltò: era il momento degli addii. Era già stato
brutto la sera prima, quando
lei e Garfield avevano salutato tutti i loro amici. Adesso non osava
immaginare
cosa sarebbe successo. Selina la abbracciò, mentre Bruce
stringeva la mano a
Garfield. Dopo, una volta libera dalla zia, la ragazza venne
abbracciata
velocemente anche dallo zio, che si raccomandò ancora una
volta con lei. Dopodiché
fu il turno di Richard, che aveva già salutato
l’amico. Il ragazzo l’abbracciò,
sussurrandole: «Non fare nulla di stupido e mangia,
d’accordo?»
«Stai
tranquillo, fidati di me» rispose lei, abbracciandolo.
Finalmente,
i saluti terminarono e i due ragazzi si avviarono
lungo il corridoio che li avrebbe portati a bordo. Dietro di loro,
Selina
nascondeva le lacrime in un fazzoletto di pizzo bianco, mentre il
marito le
posava una mano sulla spalla per confortarla. Richard si limitava a
fingere di
non conoscerli.
«Garfield…»
mormorò Rachel, una volta a bordo.
«Sì?»
rispose il ragazzo, voltandosi verso di lei.
«Potresti…
Ehm… Tenermi la mano?» sussurrò la
ragazza,
imbarazzatissima.
«Come?»
chiese lui, il cuore che gli andava a scatti, certo di
aver capito male. Rachel non poteva certo avergli chiesto di…
«Potresti
tenermi la mano? Soffro di vertigini e il decollo mi
mette un po’ paura…» ripeté
la ragazza, alzando un pochino la voce.
«Oh,
ehm, certo. Nessun problema» rispose Garfield, prendendole la
mano e stringendogliela delicatamente. Se quello era un sogno, che
nessuno lo
svegliasse.
«Grazie»
disse lei, guardandolo e poi posando lo sguardo sulle
loro mani intrecciate.
Rimasero
così per qualche minuto, poi, mentre l’aereo
cominciava a
vibrare per i motori, Garfield disse: «Davvero soffri di
vertigini? Sembri una
che non ha paura di nulla, figurarsi dell’altezza.»
«Già…
So che è sciocco da parte mia, ma ho sempre avuto questo
problema. Da bambina mi rifiutavo di arrampicarmi fino alla casetta
sull’albero
a casa di Richard» rispose lei, prestandogli tutta la sua
attenzione.
«La
casetta? Quella che ormai raggiungiamo semplicemente stando in
piedi?» chiese il ragazzo, per essere sicuro di aver capito
bene.
«Proprio
quella» confermò Rachel, annuendo.
«Wow.
Non pensavo fossi così terrorizzata. Come hai fatto finora,
con gli aerei, scusa?»
«Non
ho mai preso un aereo in tutta la mia vita. Sempre auto,
nave, pullman… Niente che si sollevasse dal suolo»
raccontò lei, senza mai
distogliere lo sguardo dallo schienale del sedile davanti a lei.
«Non
sai che cosa ti perdi. È fantastico volare!»
esclamò
Garfield, agitando le mani, salvo poi ricordarsi che le stava ancora
tenendo la
mano. Si scusò e lei gli fece un lieve sorriso ad indicare
che non era niente.
«Quindi
tu hai già volato?» domandò la ragazza.
«Un
sacco di volte. Quando ero in Africa con i miei…»
cominciò a
raccontare il ragazzo, ma venne interrotto da Rachel, che gli strinse
la mano
con molta più forza e che gli si gettò addosso.
Solo in quel momento, il
ragazzo si accorse che l’aereo si era staccato dal suolo e
che stava prendendo
quota.
Abbassò
lo sguardo sulla ragazza tra le sue braccia, che aveva
ancora la sua mano intrappolata nella sua. Senza sapere cosa fare, si
ritrovò a
tranquillizzarla, passandole la mano libera tra i capelli e
sussurrandole che
sarebbe andato tutto bene.
Pian
piano, la ragazza si abituò alla situazione e
scivolò via
dalle sue braccia. Tuttavia la mano non la tolse.
«Quindi…
Dicevi, sei stato in Africa?» domandò Rachel,
fingendo
che non fosse successo nulla.
«Sì,
per un anno intero, quando ero alle elementari» rispose
Garfield, per nulla a disagio con la mano della ragazza nella sua.
«Ah,
mi ricordo. Richard mi disse che eri stato rapito dagli
alieni, che ti tenevano prigioniero» ricordò la
ragazza, scuotendo la testa.
«E
tu gli hai creduto?» chiese lui, incredulo.
«Avevo
sette anni! Gli avrei creduto anche se mi avesse detto che
eri diventato il nuovo aiutante di Babbo Natale!» si difese
lei, fingendosi
offesa.
«Ahahahah,
da non credere» rise il ragazzo, portandosi una mano al
volto.
«Stai
ridendo di me?»
«Non
oserei mai!»
«E
allora piantala!»
«Non
posso… Troppo divertente!»
A quel
punto anche Rachel scoppiò a ridere e i due risero per
qualche secondo ancora. Quando finirono erano entrambi senza fiato e si
stavano
ancora tenendo per mano.
«Cosa
stavamo dicendo?» disse Garfield, asciugandosi gli occhi.
«Parlavamo
di Africa. Ci sei andato con i tuoi, giusto?»
domandò
la ragazza, risistemandosi sul sedile.
«Esatto.
In realtà non ho dei bei ricordi, perché
è proprio lì che
sono morti i miei genitori, però finché erano
vivi, bè, era tutto fantastico»
rispose il ragazzo, adombrandosi un po’.
«Mi
dispiace, non volevo suscitarti brutti ricordi» si
scusò lei,
abbassando gli occhi.
«Nessun
problema. Ormai sono passati otto anni, però fa ancora un
po’ male, ricordarli» la tranquillizzò
lui. Calò un silenzio imbarazzante, che
venne rotto dall’arrivo della hostess con la cena, cosa che
li costrinse a
lasciarsi le mani.
Rachel
non poté fare a meno di pensare che era bello avere una
mano calda a tenere la sua.
Dopo
cena i due guardarono il film che veniva proiettato davanti a
loro, “Dieci cose che odio di te”, ma
l’avevano già visto tutti e due e in
breve Rachel si addormentò sulla spalla del ragazzo.
Garfield
girò la testa per guardarla e vide che aveva di nuovo
posato la mano sulla sua. Con delicatezza la strinse, poi si
concentrò sul
film. In quel momento, il protagonista maschile cominciò ad
intonare una
canzone, che lui conosceva bene nella sua versione originale.
Cominciò a
canticchiarla sottovoce, per non svegliare la ragazza e per non
disturbare il
resto aereo.
You're just too good to be true
Can't take my eyes off of you
You'd be like heaven to touch
I wanna hold you so much
Mai canzone era capitata
più a fagiolo di quella: pensava
una cosa del genere tutte le volte che vedeva Rachel. Non riusciva
ancora a
credere che lei fosse lì davvero e che lui la stesse davvero
tenendo tra le
braccia. Ed era decisamente meglio di quanto avesse mai immaginato.
At
long last love has arrived
And I thank God I'm alive
You're just too good to be true
Can't take my eyes off of you
Certo, non poteva essere che un
miracolo. Rachel Roth,
tra le sue braccia. Non poteva fare a meno di guardarla, di notare come
le
ciglia lunghe le sfioravano le guance, di ammirare i suoi capelli
lucidi, di
osservare con bramosia le labbra piene, leggermente socchiuse nel sonno.
Pardon the way that I stare
There's nothing else to compare
The sight of you leaves me weak
There are no words left to speak
Era impossibile paragonarla a
qualcosa, era semplicemente
perfetta. Tutto quanto sembrava sbiadire al suo cospetto… E
quando la guardava
negli occhi gli venivano sempre le gambe molli. Non c’erano
parole per
descriverla.
So if you
feel like
I feel
Please let me know that it's real
You're just too good to be true
Can't take my eyes off of you
Sarebbe stato meraviglioso sapere
che lei lo ricambiava. Almeno
un pochino… Così almeno anche Tara si sarebbe
messa il cuore in pace. E a
proposito di Tara… L’aveva salutato come se nulla
fosse accaduto, ma gli aveva
messo in mano un bigliettino con il suo nome nel programma di chat.
Cosa voleva?
I love you baby and if it's quite all right
I need you baby to warm the lonely nights
I love you baby, trust in me when I say
Oh pretty baby, don't bring me down I pray
Oh pretty baby, now that I've found you stay
And let me love you baby, let me love you
Ah,
accidenti a Tara. Sperava che Rachel non venisse mai a sapere cosa era
successo. Voleva soltanto che lei lo ricambiasse, o
perlomeno che lo
lasciasse amarla. Non era chiedere tanto, in fondo, si disse. Doveva
solo
trovare il coraggio di dirglielo, certo. Da questo punto di vista
ammirava Tara,
per averglielo detto. Magari nel modo sbagliato, ma almeno glielo aveva
detto.
You're
just too
good to be true
Can't take my eyes off of you
You'd be like heaven to touch
I wanna hold you so much
At long last love has arrived
And I thank God I'm alive
You're just too good to be true
Can't take my eyes off of you
Al
diavolo Tara. Delicatamente alzò una mano per accarezzare la
guancia di Rachel,
beandosi della vista. L’avrebbe avuta tutta per
sé per tre mesi. Doveva venire
a capo con qualcosa…
I love you baby and if it's
quite all right
I need you baby to warm the lonely nights
I love you baby, trust in me when I say
Oh pretty baby, don't bring me down I pray
Oh pretty baby, now that I've
found you stay
I love you baby, trust in me when I say
La
canzone finì, sia nel film che nella realtà.
Garfield sorrise
dolcemente, mentre il film andava avanti con la trama.
Continuò a tenere la
mano di Rachel, poi posò la testa su quella della ragazza,
delicatamente per
non farle male e chiuse gli occhi. Non si accorse che quelli di Rachel
si erano
spalancati non appena lui aveva finito la canzone.
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Capitolo 8 *** I have a dream ***
L’aereo
atterrò senza problemi di sorta e Rachel sembrò
scoppiare di gioia per il fatto di essere finalmente tornata con i
piedi ben
piantati a terra.
«Giuro,
a Jump torno a piedi!» esclamò, mentre aspettavano
i loro
bagagli.
«Se
vuoi metterci quei cinque o sei mesi, fai pure. Io credo che
prenderò l’aereo» ribatté
Garfield, ridacchiando. La ragazza stava per
replicare, quando il tapis roulant entrò in azione e le
valigie cominciarono a
scorrere lente davanti a loro. Con grande cavalleria, il biondo
recuperò anche
il trolley della ragazza, che lo ringraziò.
«Dovrebbe
esserci qualcuno ad aspettarci, giusto?» domandò
poi,
alzando lo sguardo su Garfield, che indicò qualcosa dietro
di lei con
un’espressione alquanto stupita: «Qualcuno tipo
lui?»
Rachel
si voltò e seguì il dito del biondo, che puntava
un uomo di
mezza età che sembrava essersi vestito al buio, navigante in
un bagno di
sudore. E che reggeva un cartello con i loro nomi.
«Ti
prego, dimmi che non è vero» gemette la ragazza,
non riuscendo
comunque a distogliere lo sguardo da quello scempio d’uomo.
«Se
vuoi non te lo dico, ma non credo che cambierà
qualcosa»
replicò il biondo.
«Come
temevo» borbottò lei, facendosi forza e
cominciando a
trascinare il trolley in quella direzione.
«Bè,
perlomeno sembra un tipo simpatico» commentò
Garfield,
seguendola.
«Anche
io sembrerei simpatica, con una giacca verde acido e dei
pantaloni rossi. Senza dimenticare la camicia azzurra»
replicò Rachel,
storcendo il naso.
«Ma
tu sei simpatica» disse il ragazzo, senza nemmeno badare a
quel che stava dicendo.
La
ragazza arrossì. Non era abituata a sentirsi fare dei
complimenti e soprattutto da un ragazzo. Non che avesse una cotta per
Garfield,
assolutamente no! E naturalmente lui non aveva una cotta per lei,
giusto? Dopo
averlo sentito cantare in aereo non era più riuscita ad
addormentarsi, ma si
era convinta che stesse solo seguendo il film. Lei cantava sempre,
quando
guardava i film, mandando in bestia Richard che non riusciva a seguire
la
storia. Era logico pensare che lo facesse pure Garfield, giusto? Anche
perché
non poteva piacergli in quel senso… E poi, quella Markov si
era dichiarata. Le
doveva aver risposto, no? Certo, i loro addii non erano stati
così strazianti
come si immaginava, ma magari si erano salutati in privato…
«Ehi,
ci sei?» le chiese preoccupato il ragazzo, voltandosi a
guardarla: si era fermata di botto e aveva lo sguardo fisso.
«C-Come?»
rispose lei, brillantemente.
«Tutto
bene?» domandò Garfield.
«Sì.
Non… Non farci caso» replicò lei,
ricominciando a camminare.
“Chi
la capisce, è bravo” pensò il ragazzo,
affrettandosi a
raggiungerla.
«Salve.
Lei è della Juilliard?» domandò
educatamente Rachel,
quando raggiunsero l’uomo che reggeva il cartello.
«Oh,
sì, esatto. Voi siete Rachel Roth e Garfield Logan, da Jump
City?»
chiese l’uomo, asciugandosi il sudore con un fazzoletto viola
a pallini gialli.
Garfield soffocò una risata, mentre Rachel lo guardava
orripilata. Con uno
sforzo enorme, i due riuscirono ad annuire.
«Ottimo!
Seguitemi, seguitemi. Gli altri ragazzi sono già
arrivati. Sono certo che diventerete ottimi amici!»
esclamò gioviale l’uomo,
facendogli cenno di seguirlo e zampettando allegramente attraverso
l’atrio. I
due ragazzi si scambiarono uno sguardo, poi lo seguirono.
Raggiunsero
un minibus nel parcheggio dell’aeroporto, davanti al
quale c’era un gruppetto di ragazzi, pressappoco della loro
età. La loro guida
li indicò: «Abbiamo studenti da ogni parte del
mondo, ma lasciate che ve li
presenti: dunque, Maria e Klaus sono austriaci; Dimitri e Alexandra
vengono
dalla Russia; Ines e Cesar dalla Spagna; Clara e Fabrizio, italiani;
Noriko e
Kota, dal Giappone e poi Élodie e François,
francesi.»
Rachel
e Garfield fecero dei cenni ogni volta che lui nominava una
coppia di ragazzi. Terminato l’elenco, indicò loro
due: «Questi sono Garfield e
Rachel, direttamente dalla California. Ma vi conoscerete meglio in
questi tre
mesi. Prego, salite. La scuola ci aspetta!» Fece una risata e
si accomodò al
posto di guida, dopo aver caricato i bagagli degli ultimi arrivati. I
ragazzi
si affrettarono a salire.
«Ci
siete tutti? Molto bene! Partenza!» esclamò,
avviando
finalmente il minibus. «Vedrete, alla Juilliard tutti i
vostri sogni si
avvereranno. Ed è per questo che voglio farvi sentire questa
magnifica canzone,
vedrete che apprezzerete!» aggiunse qualche secondo dopo,
deludendo le
aspettative di chi sperava che avrebbe finalmente taciuto (leggasi:
Rachel).
Schiacciò un pulsante e nel bus si diffusero le note di una
canzone che tutti
ben conoscevano.
I have a dream
a song to sing
to help me cope
with anything
Tutti i ragazzi si scambiarono
delle occhiate: era ovvio
che tutti loro avessero dei sogni che speravano di vedere realizzati
alla
Juilliard, ed era una cosa che li aveva aiutati nelle situazioni
difficili. Rachel
ripensò a sua madre, in
ospedale. Garfield ai suoi genitori, morti in Africa. E
anche gli altri
ragazzi pensarono alle loro vite fino a quel momento. Senza i loro
sogni di
gloria alla Juilliard, probabilmente non ce l’avrebbero fatta.
If
you see the wonder
of a fairy tale
you can take the future
even if you fail
“Già”
pensò amaramente Rachel. “Ma cosa succederebbe, se
io fallissi prima di riuscire a vederla?”
I believe in angels
something good in
everything I see
I believe in angels
when I know the time
is right for me
I'll cross the stream
I have a dream
“Sì, io credo
negli angeli… Mamma, papa, io credo in voi”
pensò Garfield, guardando pensosamente fuori dal finestrino,
mentre ascoltava
la canzone.
I
have a dream
a fantasy
to help me through
reality
“La realtà
è quella che è. E nemmeno una fantasia
potrebbe aiutarmi” pensò tristemente Rachel,
voltandosi verso Garfield e
trovandosi davanti un viso triste quasi quanto il suo.
And
my destination
makes it worth the while
pushing through the darkness
still another mile
“Ce la
posso fare. La Juilliard è qui” pensò
Garfield, voltandosi verso Rachel e
vedendo il suo viso. Le fece un minuscolo sorriso e le
strinse la mano,
come in aereo, facendola arrossire.
I believe in angels
something good in
everything I see
I believe in angels
when I know the time
is right for me
I'll cross the stream
I have a dream
“Forse forse gli angeli
esistono…” pensò Rachel, fissando
la sua mano, intrecciata a quella di Garfield. Rispose al suo sorriso.
I'll cross the stream
I have a dream
“Io ho un sogno e lo
realizzerò” pensò deciso Garfield,
sorridendo ancora di più quando Rachel rispose al suo
sorriso.
I have a dream
a song to sing
to help me cope
with anything
“Ce la posso fare. Tieni
duro, mamma” pensò Rachel,
chiudendo gli occhi per un istante e ripensando a sua madre.
If
you see the wonder
of a fairy tale
you can take the future
even if you fail
Credere alle favole era una cosa
che gli era sempre
riuscita facile… Garfield chiuse gli occhi a sua volta,
ricordando i suoi
genitori prima dell’incidente.
I believe in angels
something good in
everything I see
I believe in angels
when I know the time
is right for me
I'll cross the stream
I have a dream
«Tu
hai un sogno, Rachel?» chiese sottovoce Garfield, mentre le
note cominciavano a sfumare.
«Sì,
e tu?» replicò lei, aprendo gli occhi.
«Anche
io.»
«Ce
la faremo, vero?» domandò la ragazza, guardandolo.
I'll cross the stream
I have a dream
«Certo»
la rassicurò Garfield, prima di venire sballottato contro
il sedile davanti.
«Quest’uomo
non sa guidare» commentò Rachel, raddrizzandosi
sul
sedile, il momento magico rotto dalla guida pericolosa
dell’autista, che aveva
fatto un centimetro al battistrada.
«Concordo.
Credi che arriveremo vivi a scuola?» domandò
Garfield
di rimando, artigliando i braccioli del suo sedile e temendo per la sua
vita.
«Lo
spero» sospirò la ragazza, adagiandosi sul sedile.
«Garfield,
non esagerare!» esclamò poi, notando la posizione
del ragazzo.
«Tu
puoi avere paura dell’aereo e io non posso avere paura di uno
psicopatico alla guida di un minibus su una delle autostrade
più intasate
d’America?» domandò il ragazzo,
alzandosi di scatto e voltandosi verso di lei.
«L’aereo
è un altro discorso! Qua almeno abbiamo i piedi ben
piantati a terra!» ribatté la ragazza,
fronteggiandolo.
«Ti
dirò, mi fido di più di una carcassa a diecimila
metri
d’altezza, piuttosto che di questo qui con le ruote a
terra» replicò Garfield,
sporgendosi verso di lei.
«Non
vedo come questo autobus possa essere pericoloso. Non
corriamo il rischio di precipitare da un momento
all’altro» fece lei,
sporgendosi a sua volta.
«Scusate?
Siamo arrivati» si intromise il ragazzo spagnolo, Cesar.
I due si resero improvvisamente conto della loro posizione: arrossirono
entrambi e si allontanarono di scatto. «Grazie»
mormorò Rachel, alzandosi e
scendendo di fretta dall’autobus.
«Carina
la tua ragazza» disse lo spagnolo a Garfield, che stava
cercando di liberarsi dalla cintura di sicurezza. Sì,
l’aveva davvero allacciata.
Quell’uomo lo spaventava.
Il
biondo alzò lo sguardo sorpreso, rosso come un peperone:
«Ehm,
no. C’è un errore, lei non è la mia
ragazza. Siamo solo amici!»
Il
ragazzo alzò un sopracciglio: «Certo.»
Poi scivolò verso
l’uscita, rincorso dall’altro ragazzo, che urlava:
«Siamo solo amici! Non è la
mia ragazza!»
«Chi
non è la tua ragazza?» chiese Rachel, che era
appena fuori
dall’autobus ad aspettarlo (voleva semplicemente sfruttarlo
per scaricare il
trolley).
«Nessuno»
borbottò Garfield, mentre lo spagnolo se la rideva.
«Come
ti pare. Mi aiuti a scaricare la valigia?»
commentò lei,
guardandolo.
«Certo»
rispose il ragazzo, raggiungendo il bagagliaio, solo per
trovare che il trolley della ragazza era già stato scaricato
da un orgoglioso
François, che sorrideva raggiante.
«Questa?»
domandò il ragazzo francese, guardando Rachel.
«Oh.
Sì, grazie» rispose lei, disorientata,
avvicinandosi per
prenderla.
«La
porto io, non ti preoccupare» si offrì il ragazzo,
cominciando
a trascinare via il trolley verso l’ingresso.
«Ma…»
balbettò la ragazza, raggiungendolo. Era la sua valigia,
santo cielo!
Garfield
rimase fermo come un baccalà a guardare. Erano arrivati
da nemmeno un’ora a New York e già quel tipo ci
stava provando? Assurdo!
Quasi
a leggergli nel pensiero, la ragazza francese gli si
avvicinò e gli disse: «Mi dispiace.
François è fatto così, quando vede una
bella ragazza non può fare a meno di diventare
così. Dovresti dirgli che è la
tua ragazza.»
«No,
lei non è la mia ragazza. Siamo solo amici»
puntualizzò
Garfield, voltandosi verso la ragazza, che si limitò ad
annuire con aria
saputa. «Se lo dici tu… Comunque faresti meglio a
sbrigarti, stanno aspettando
solo te.» E con questo si allontanò, raggiungendo
il gruppo davanti
all’ingresso.
«Cavolo!»
imprecò il ragazzo, affrettandosi a scaricare la sua
valigia e correndo fino all’ingresso.
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Capitolo 9 *** Lune ***
«Benvenuti,
miei cari ragazzi!» esclamò il loro autista,
spalancando le braccia. «Benvenuti alla Juilliard! Questa
scuola sarà la vostra
casa per i prossimi tre mesi. Conoscerete insegnanti e compagni a
partire da stasera.
Vi aspettiamo a cena per le otto, intanto il signor Weston vi
mostrerà le
vostre camere. Potete andare.» Fece un cenno ad un uomo
dietro di lui, che
scattò verso i ragazzi, mentre lui spariva
all’interno della scuola.
I
ragazzi si guardarono sconcertati, ma seguirono il signor Weston
verso i dormitori. L’uomo non disse una parola durante tutto
il tragitto.
«Garfield!
Come hai potuto abbandonarmi in compagnia di quel
francese?» sibilò Rachel, raggiungendo il biondo
nelle retrovie, abbandonando
François al suo monologo.
«Scusa,
mica l’ho fatto apposta. Sembra simpatico» rispose
il
ragazzo, lanciando un’occhiata all’altro che, per
nulla turbato dalla
sparizione di Rachel, si era rivolto alla ragazza giapponese.
«Come
no. Simpatico come un dito in un occhio, direi»
commentò
caustica la ragazza. «Non ha fatto altro che parlare di
sé.»
«Come
fa qualunque ragazzo che ci prova con una ragazza»
ribatté
Garfield.
«Bè,
a me non piace» dichiarò Rachel, sdegnata.
«Insomma, per
quale motivo dovrei sapere vita, morte e miracoli di una persona tre
secondi
dopo che l’ho conosciuta?»
«Ma
tu non sei come le altre ragazze, Rachel. A loro piace.»
«Non
so che ragazze conosca tu, Logan, ma credimi, a quelle che
conosco io non piace. Forse solo a Kori» replicò
lei, secca.
Garfield
scoppiò a ridere e tra le risa riuscì a dire:
«Hai
ragione. Ma sembra che Richard non abbia afferrato questo
concetto.»
«Mio
cugino è un alieno. Si è accorto che le piace da
morire, ma
niente. Non la trova minimamente interessante» disse la
ragazza, con un
sorriso.
«No,
sul serio?!?» esclamò il ragazzo, sbalordito:
questa non se
l’aspettava. Tutti si aspettavano che quei due finissero
insieme: lei era cotta
di lui e lui era così gentile nei suoi confronti…
«Giuro.
Non so che cosa abbia in testa quel ragazzo…»
rispose
Rachel, scuotendo la testa.
«No,
infatti. Kori è così…
Perfetta.»
«Già.
Quindi è questo quello che hai detto alla Markov?»
domandò
la ragazza, incupendosi un po’.
«Cosa?»
chiese il ragazzo, smarrito.
«Quando
lei si è dichiarata. Le hai detto di no per via di
Kori?»
domandò Rachel, fermandosi poi dietro agli altri ragazzi del
gruppo.
Garfield
fece per rispondere, ma il signor Weston cominciò a
parlare: «Le stanze sono separate tra ragazzi e ragazze, ma
sono tutte vicine.
Troverete i vostri nomi sulle porte. Ragazzi e ragazze si possono
incontrare
nelle ore diurne, ma sono vietati incontri dopo le undici di sera,
all’interno
dei dormitori. Il coprifuoco è mezzanotte, l’una
nei weekend. Ci sono domande?»
Nessuno
dei ragazzi osò aprire bocca, quindi l’uomo si
limitò a
dirigerli verso le scale. Dopodiché, sparì senza
alcun rumore, proprio come era
comparso.
«Wow»
riuscì a sillabare Garfield, una volta entrato nella stanza.
Per un momento gli passò di mente tutto quanto: Tara, Rachel
che sapeva di
Tara… Tutto. Quella camera era meravigliosa.
Si era
ritrovato in una tripla, con il ragazzo giapponese e con
quello russo ed era la stanza più grande che avesse mai
visto. Era
semplicemente enorme: c’erano tre letti, ben distanziati tra
loro, una finestra
enorme e un balcone. Inoltre c’erano anche tre scrivanie e
tre armadi, oltre ad
un bagno, nascosto dietro ad una porticina. Su ogni scrivania, a
completare il
tutto, un computer ultimo modello e, attaccato alla parete, un
televisore
ultrapiatto e gigantesco.
«E
chi ci torna più a casa?» mormorò il
biondo, facendo
ridacchiare i due compagni. Il ragazzo sorrise, poi si diresse verso il
letto
laterale e disse: «Io prendo questo, è un
problema?»
«No,
affatto. Io prenderò questo» dichiarò
Dimitri, sedendosi su
quello centrale. Senza parlare, il ragazzo giapponese si
avvicinò al letto
restante.
I tre
ragazzi cominciarono a svuotare le valigie, più che altro
per togliersi il pensiero prima di scendere a cena. Quando finirono,
mancavano
ancora circa due ore alle otto, quindi Kota ruppe il silenzio:
«Posso andare a
farmi una doccia?»
«Ma
certo, fai con comodo. Dopo ci sono io!» esclamò
Garfield,
alzando un braccio.
«Accidenti!
Io sono l’ultimo… Vedete di lasciarmi
dell’acqua
calda» disse indispettito Dimitri, senza però
riuscire a spaventare i due
ragazzi, che ridacchiarono. Dopodiché il giapponese si
eclissò nel bagno,
lasciando i due nel silenzio della stanza.
«Quindi…
Sei californiano. Scusa se te lo dico, ma di solito chi
vive in California non è abbronzato da far paura
e…» cominciò a chiedere il
russo, per rompere il ghiaccio, ma si interruppe. Non sapeva come
metterla sul
piano giusto.
«E
muscoloso?» terminò per lui Garfield, con un
sorriso. «In
realtà il sole non mi piace troppo e comunque mi scotto
subito, quindi sono
piuttosto pallidino, sì. Per quanto riguarda i
muscoli… Bè, li ho, ma non
faccio molto esercizio fisico al di fuori della scuola. Ma se vedessi i
miei
amici, sono sicuro che diresti che sono californiani.»
«Almeno
sai surfare?» gli chiese Dimitri.
«Quello
lo so fare» ammise con orgoglio il biondino, ripensando a
certe surfate in compagnia di Richard, Victor, Garth e Roy.
«E tu, invece? I
russi non dovrebbero essere biondi e pallidi? Che ci fai con i capelli
scuri?»
«Effettivamente
tu sembri più russo di me» rise il ragazzo,
causando una risata anche a Garfield. Quando si calmarono, Dimitri
continuò il
racconto: «In realtà, noi russi siamo quasi tutti
scuri di capelli. I biondi
tendono ad essere più nelle zone teutoniche, sai, Germania,
Svezia, Danimarca…»
«Non
l’avrei mai detto. Mi hanno sempre inculcato
quest’idea…»
commentò Garfield, pensando a tutto quello che gli era stato
detto sui russi.
Non molto, ma quel poco era bastato a dargli l’idea sbagliata.
«E
a me hanno sempre trasmesso l’idea del californiano tipico.
Direi che siamo molto meglio così, non pensi anche
tu?» replicò Dimitri, con un
sorriso.
«Hai
ragione» sorrise a sua volta il biondo. Meno male che era
finito in stanza con gente simpatica, pensò.
In
quella, Kota uscì dal bagno e Garfield si
affrettò a sgusciare
dentro. Non vedeva l’ora di rinfrescarsi un po’!
Sotto
la doccia, Garfield cominciò a cantare, come sua abitudine,
ma non riusciva a concentrarsi sulle parole. Continuavano a venirgli in
mente
quelle di Rachel, poco prima. Aveva sentito Tara che gli si dichiarava,
questo
era ovvio. Ma quanto aveva sentito? Era arrivata al punto in cui lui
diceva che
lei era l’unica donna per lui? Da un certo punto di vista
sperava di sì, così
sarebbe stato più semplice sistemare la questione.
Dall’altro, sperava con
tutto il suo cuore in un no, perché sarebbe stato
impossibile stare tre mesi
accanto a lei… A meno che anche lei non ricambiasse i suoi
sentimenti. Ma
questo era possibile solo nei suoi sogni, si disse amaramente,
abbandonando
ogni fantasia su quanto sarebbe stato bello poter stare insieme a lei
in quel
senso.
Il suo
flusso di pensieri venne interrotto da Dimitri, che bussava
alla porta: «Garfield! Ti ha chiamato una ragazza, al
cellulare!»
«Chi
era?» urlò di rimando il ragazzo, spegnendo
l’acqua e
cominciando a strofinarsi i capelli con un asciugamano.
«Tara,
ha detto. Le ho risposto e le ho detto che eri in doccia.
Ha detto se la richiami appena hai finito» rispose il russo.
Tara
l’aveva chiamato? Oddio! Si affrettò ad avvolgersi
un asciugamano
intorno ai fianchi, poi recuperò i vestiti sporchi e si
lanciò fuori dal bagno.
Rabbrividì leggermente per lo sbalzo di temperatura, ma in
un attimo afferrò il
telefono e compose il numero di Tara. Dimitri gli sorrise e poi
entrò nel
bagno.
Mentre
il telefono squillava, Kota interrogava Garfield: «Questa
Tara chi è? La tua ragazza?»
«No,
ma… Oh, ciao, Tara! Mi hai chiamato?»
iniziò a rispondere il
biondo, rivolgendosi poi alla ragazza, che aveva finalmente risposto.
Il
giapponese si limitò a scuotere la testa, prima di tornare
alle sue faccende.
Intanto,
il biondo girovagava per la stanza, come suo solito e
dopo aver misurato l’intera stanza, si spostò sul
balcone. Mentre ascoltava la
ragazza dall’altra parte raccontargli cosa era successo
durante il suo primo
giorno di assenza, lasciò vagare lo sguardo…
Riusciva a vedere lo skyline di
Manhattan: era uno spettacolo meraviglioso. Poco dopo, i suoi occhi
incontrarono uno spettacolo se possibile ancora più
meraviglioso: Rachel in
accappatoio sul suo balcone, che era di fianco a quello del ragazzo.
L’indumento era piuttosto corto e lasciava vedere le gambe
della ragazza e i
capelli scuri luccicavano nel tramonto. Per poco Garfield non
lasciò cadere il
telefono. Rachel sembrò sentire il suo sguardo,
perché si voltò all’improvviso
e lo salutò con un cenno della mano. Lui ne fece uno
minuscolo in risposta,
arrossendo. Lei sorrise, poi arrossì, notando
l’abbigliamento dell’amico.
«Garfield?
Mi stai ascoltando?» lo raggiunse all’improvviso la
voce di Tara, come se provenisse da molto molto lontano.
«Ehm…
Certo, mi stavi dicendo di… Roy, giusto?»
cercò di salvarsi
il ragazzo, distogliendo lo sguardo dalla ragazza di fronte a lui.
«In
realtà ti ho chiesto come è stato il
volo» ribatté seccata
Tara.
«Oh.
Ehm, è andato… Bene, direi.»
«Sul
serio? Anche se c’era quella a farti compagnia?»
«Tara,
ne abbiamo già parlato. Non parlare di lei in questi
termini, sai come la penso» disse il ragazzo, improvvisamente
serio. Quanto
ancora doveva andare avanti quella storia, prima che Tara si rendesse
conto che
non avrebbe cambiato idea?
«Sì,
Garfield, lo so. E secondo me stai facendo la scelta
sbagliata.»
«Secondo
me no. E ora ti saluto, devo andare a vestirmi» rispose
il ragazzo, chiudendo poi la chiamata. Alzò di nuovo lo
sguardo sul balcone di
fronte, ma rimase deluso nel vedere che Rachel era sparita. Con un
sospiro,
tornò in camera, trovando sia Kota che Dimitri ad
aspettarlo, impazienti.
«Che
c’è?» domandò, allarmato,
controllando che non ci fosse nulla
di strano nella sua persona.
«Non
ti senti in colpa a sentire un’altra ragazza quando hai la
tua compagna, come si chiama? Rachel?» domandò
Dimitri, esprimendo i pensieri
suoi e del ragazzo giapponese, che annuì.
«Cosa?
No, io e Rachel non stiamo insieme, no. Noi siamo solo…
Amici»
deglutì Garfield, incespicando sull’ultima parola.
«Amici»
ripeté il giapponese, guardandolo scettico. «Da
come la
guardi sembra che siate più che amici.»
«No,
ecco…» tentò di spiegare il biondo, ma
venne interrotto da
Dimitri: «Se non state insieme, allora cosa siete?
Amanti?»
«No!
Siete fuori strada! Insomma, io e Rachel…»
Garfield venne
salvato da un rumore alla porta: qualcuno stava bussando. Con sollievo
indicibile, il biondo si lanciò alla porta e la
spalancò, solo per trovarsi
davanti Rachel e le sue compagne di stanza, la ragazza spagnola e
quella
italiana.
«Ciao,
Rachel» mormorò Garfield, accasciandosi sulla
porta.
«Tutto
bene? Siamo passate a chiamarvi per la cena» disse la
ragazza, cercando di sbirciare all’interno della stanza.
«Tutto
a posto, andiamo pure» intervenne il russo, facendosi
avanti e presentandosi per bene alle tre ragazze, prima di seguirle per
le
scale.
«Garfield,
vieni?» si attardò a richiamarlo Kota, guardandolo
strano.
«A-Arrivo»
balbettò il biondo, ricomponendosi un minimo.
I
ragazzi raggiunsero i loro compagni ad uno dei tavoli della
mensa, François accogliendo l’arrivo delle tre
ragazze con un sorriso
smagliante. Garfield poté giurare di aver sentito Rachel
gemere disperata.
I
nuovi arrivati si sedettero e si guardarono intorno, ammirati.
Quella mensa era davvero fantastica, sembrava un ristorante di lusso!
«Cosa
si mangia?» domandò Cesar, guadagnandosi
un’occhiataccia
dalla sua compagna, che lo rimproverò: «Ma pensi
solo a mangiare?!?»
«Come
antipasto abbiamo zuppa di verdure fresche» li
informò una
voce dal tavolo a fianco. I ragazzi alzarono lo sguardo e si trovarono
davanti
un ragazzo circa della loro età, con l’aria
simpatica. «Era scritto fuori dalla
mensa» spiegò, poi, allungando una mano.
«Io sono Mark, piacere.»
«Piacere»
mormorarono a loro volta i ragazzi, allungandosi per
stringergli la mano e presentandosi. Stavano per aggiungere altro,
quando
iniziò il servizio e una decina di camerieri
sfilò per la sala, con i piatti in
mano.
Mark e
i ragazzi si concentrarono sul cibo, che era delizioso.
«Ma
siamo sicuri che questa sia una scuola?» domandò
Fabrizio,
mentre mangiavano una costina di maiale che sembrava sciogliersi in
bocca.
«Se
è solo un sogno, non svegliatemi!»
esclamò Ines, facendo
ridere tutti quanti.
«Cavoli,
ragazzi, siamo stati davvero fortunati ad avere
quest’occasione» osservò Garfield,
posando la forchetta sui resti di insalata
rimasti nel suo piatto: essendo vegetariano, era riuscito ad ottenere
un’insalata mista strepitosa, al posto del maiale.
«Già,
dobbiamo davvero ringraziare i nostri insegnanti. È grazie a
loro se siamo arrivati a questo livello» commentò
Noriko, pulendosi
educatamente la bocca con il tovagliolo.
«Propongo
un brindisi» disse con estrema serietà Klaus,
sollevando
il bicchiere. Tutti lo imitarono e si scambiarono un brindisi, mentre
intorno a
loro gli altri studenti della Juilliard li guardavano piuttosto
sconcertati.
In
quella, uno degli insegnanti si alzò dal tavolo e prese la
parola: «Gentili studenti, date il benvenuto al nostro
rettore, il professor
Dickinson!» La porta si spalancò ed
entrò… L’autista dell’autobus?
I
quattordici ragazzi lo guardarono ad occhi aperti: lui era il
rettore?!? C’era da stupirsi che la scuola fosse ancora
intera e soprattutto
che lo fosse la sua reputazione.
L’uomo
parve accorgersi dei loro sguardi, perché rivolse loro un
caloroso sorriso, prima di raggiungere i colleghi al tavolo degli
insegnanti e
fare cenno di continuare senza problemi. Molti studenti tornarono a
mangiare il
dolce, ma i nuovi arrivati non riuscivano a crederci.
Mark
parve accorgersene, perché disse loro: «Immagino
abbiate già
conosciuto il rettore. È una persona… Originale,
diciamo così.»
«Direi
che è ancora troppo poco per definirlo»
mormorò Rachel,
ancora incredula. Quel pazzo furioso era il rettore della prima scuola
di
musica del mondo. Assurdo.
«Non
fatevi ingannare, però. È un genio, a modo suo ed
è grazie a
lui e alla sua organizzazione se la nostra scuola gode della sua
reputazione»
li avvertì il ragazzo, prima di essere richiamato dai suoi
amici. Si alzò e
salutò tutti, poi se ne andò. I ragazzi rimasero
ancora il tempo di mangiare il
dolce, poi sfilarono fuori dalla sala, per raggiungere le loro camere.
«Rachel?
Posso parlarti?» disse Garfield, una volta davanti alle
loro porte. Ignorò gli sguardi maliziosi di Dimitri e Kota,
che si affrettarono
ad entrare in camera, ridacchiando.
«Certo.
Arrivo tra poco, ragazze» rispose lei, facendo un cenno
alle sue compagne di stanza, che annuirono ed entrarono in camera.
Rachel
e Garfield arrivarono nel piccolo atrio del dormitorio, la
zona franca per gli incontri tra ragazze e ragazzi. Si sedettero su due
poltrone, uno di fronte all’altra e rimasero a fissarsi in
silenzio per un po’.
Alla
fine, fu Rachel a rompere il silenzio: «Allora, cosa dovevi
dirmi?»
Garfield
parve cadere dalle nuvole. Riacquistò un minimo di
compostezza e si schiarì la voce: «Tu hai sentito
quello che mi ha detto Tara.»
Era
un’affermazione, non una domanda, ma Rachel annuì
comunque.
«Hai sentito anche
quello che le ho detto io?» continuò il ragazzo,
rosso come un peperone.
«Solo in parte. Un
ragazzo è entrato in aula e io ho dovuto fingere di fare
qualcosa. Vi ho
sentiti dalla finestra dell’aula di coro» ammise la
ragazza, per nulla
imbarazzata.
Garfield azzardò la
domanda da cento milioni di dollari: «Cosa hai
sentito?»
«Solo che non avevi
capito cosa avesse detto. Ma avevi molto un tono da no. Le hai detto di
sì?
Perché allora ritiro tutto quanto quel che ho detto prima su
Kori» rispose
Rachel, giocherellando con una delle cuciture della poltrona.
«Solo questo?»
mormorò il ragazzo, sollevato all’inverosimile,
lasciandosi andare contro lo
schienale. Era salvo. Per ora.
«Sì, perché?
Comunque mi scuso per aver origliato, non avrei dovuto farlo.»
«Non ti
preoccupare, non è successo nulla. Bene, credo sia meglio
andare a dormire,
no?» esclamò Garfield, alzandosi in piedi.
«Già, sta per
scattare il coprifuoco. Non dobbiamo farci vedere insieme dopo le
undici,
ricordi?» disse la ragazza, davanti alla sua faccia stupita.
Si era già
dimenticato del coprifuoco, non essendo abituato ad averne.
«Hai ragione.
Buonanotte, Rachel» disse il ragazzo, sfiorandole leggermente
la spalla con la
mano, prima di lasciarla ai piedi della scala. Lei ricambiò
il saluto, ma si
fermò dopo qualche passo. «Non vai a
dormire?»
«No… Vado a fare
due passi. Devo distrarmi un momento da alcuni pensieri e in camera con
quei
due sarà impossibile.»
«Sembrano
simpatici» osservò lei.
«Lo sono, ma…
Preferisco stare solo per un po’.»
«Capisco.
Buonanotte, Garfield. A domani» concluse lei, agitando la
mano e sparendo su
per le scale.
«Rachel!» esclamò
all’improvviso il ragazzo.
Lei fece capolino
da dietro l’angolo. «Che
c’è?» chiese, allarmata.
«Comunque… A Tara
ho detto di no. E non è per via di Kori.
Buonanotte» disse il ragazzo, serio.
Si voltò ed uscì, evitando di guardarla negli
occhi, che erano sgranati. Era
anche sul punto di arrossire, chissà per quale ragione. Si
ricompose e corse in
camera.
Garfield uscì in
giardino e si sedette su una panca, pensando, ignaro che qualcuno lo
stesse
osservando.
Sopra di lui,
infatti, affacciato alla finestra stava François. Il ragazzo
francese aveva
captato una certa elettricità tra Garfield e Rachel e aveva
tratto le sue
(giuste) conclusioni: a Garfield la ragazza piaceva e anche tanto,
mentre lei
per il momento non sembrava interessata. Povero ragazzo,
pensò malignamente.
Sottovoce, cominciò ad intonare una canzone dal musical
più famoso di Francia,
“Notre Dame de Paris”.
Lune
Qui là-haut s'allume
Sur
Les
toits
de Paris
Vois
Comme
un
homme
Peut
souffrir d'amour
Bel
Astre
solitaire
Qui meurt
Quand
revient le jour
Entends
Monter
vers
toi
La chant de la terre
Entends le cri
D'un
homme
qui a mal
Pour qui
Un million d'étoiles
Ne
valent
Pas les yeux de celle
Qu'il
aime
D'un amour mortel
Lune
Era evidente che il ragazzo biondo
sotto di lui stava
soffrendo per la ragazza californiana. La luna gli era testimone e
anche lui.
François represse un risolino.
Lune
Qui là-haut s'embrume
Avant
Que
le jour
ne vienne
Entends
Rugir
le
cœur
De
la bête
humaine
C'est la complainte
De Quasimodo
Qui pleure
Sa
détresse
folle
Sa voix
Par monts et par vaux
S'envole
Pour arriver jusqu'à
toi
Lune
Veille
Sur ce monde étrange
Qui mêle
Sa
vois au
coeur des anges
Quella Rachel era davvero bella,
ma piuttosto tonta,
ragionò ancora il ragazzo. Non si sarebbe stupito di sentir
piangere il ragazzo
sotto di lui, era davvero disperato. Ma come faceva a non accorgersi di
lui?
Lune
Qui là-haut s'allume
Pour
Eclairer ma plume
Vois
Comme
un
homme peut souffrir d'amour
D'amour
Chiaramente
doveva piacerle qualcun
altro. L’indomani si sarebbe adoperato per scoprire chi,
anche se era piuttosto
sicuro che fosse lui. Nessuna ragazza poteva resistergli.
Lanciò
un ultimo ghigno malefico al
biondo sotto di lui, poi chiuse la finestra e si ritirò.
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Capitolo 10 *** Keep holding on ***
Rachel entrò in camera
cercando di non fare rumore, per
evitare di svegliare le sue coinquiline, ma le sue precauzioni furono
vane: le
due ragazze erano perfettamente sveglie e chiacchieravano allegramente
tra di
loro.
La ragazza lasciò
andare il fiato che non si era resa
conto di trattenere e si abbandonò sul suo letto. Clara e
Ines la guardarono,
incuriosite, poi la ragazza italiana si arrischiò a
chiederle: «Tutto
bene?»
«Più
o meno» rispose Rachel.
«Cosa
è successo?» chiese curiosa Ines.
«Ines!»
esclamò Clara, scandalizzata dalla sua mancanza di tatto.
Rachel
si tirò su per guardare le sue compagne di stanza e
scoppiò
a ridere nel vedere le loro facce. Le due ragazze la fissarono, poi
scoppiarono
a ridere con lei. Quando si furono calmate, Rachel decise di rispondere
alla
domanda della ragazza spagnola: «Ho parlato con Garfield, ma
è stata una
conversazione piuttosto… Strana?»
«Se
non lo sai tu, tesoro» commentò la spagnola,
più che
soddisfatta dalla risposta.
«Hai
ragione. È stata strana» ammise Rachel,
ridacchiando.
«Ma
voi due state insieme?» chiese Clara, buttando
all’aria l’idea
di ragazza discreta che Rachel si era fatta di lei.
La
ragazza americana arrossì di botto alla domanda.
«No!» esclamò,
poi.
«Strano,
sembrate così affiatati. E poi si vede chiaramente che tu
gli piaci» si intromise Ines, arrotolandosi con aria annoiata
un ricciolo
intorno al dito.
«Come?!?»
strillò Rachel, diventando, se possibile, ancora
più
rossa.
«Non
te ne sei accorta? Ma è chiaro!»
esclamò stupita l’italiana,
sgranando gli occhi verdi.
«State
scherzando, vero?» chiese la ragazza, fissandole a
ripetizione.
«Assolutamente
no. Vi abbiamo visto per pochissimo tempo, eppure
si capisce subito» spiegò la spagnola, cominciando
ad infilarsi nel letto.
«Già,
è un ragazzo piuttosto semplice da leggere»
confermò Clara,
seguendo l’esempio dell’altra ragazza e sollevando
il lenzuolo candido. «Comunque,
credo faresti meglio a tenertelo stretto. È un bel ragazzo e
non escluderei che
qualcuno possa provarci con lui. Anzi, qualcuna.»
Rachel
guardò le due compagne di stanza mentre le auguravano la
buonanotte e spegnevano le loro abat-jour. Non potevano dire sul serio,
giusto?
Insomma, era ridicolo. Garfield… Innamorato di lei? No, no,
era un errore,
ovviamente.
Continuò
a pensarci mentre si infilava il pigiama e anche una
volta sotto le lenzuola, non riuscì a chiudere occhio. Dopo
un’ora passata a
rigirarsi, decise che non aveva sonno. Si alzò e raggiunse
la scrivania. Silenziosamente,
accese il suo computer e in breve si connesse ad Internet.
Sbirciò
le due compagne di stanza, beatamente addormentate, poi
avviò il programma di messaggistica istantanea.
Controllò l’ora: erano le due
di notte, quindi a Jump erano le undici. Perfetto, sia Richard che
Jennifer
erano ancora svegli.
_rach_:
Jess, sei sveglia?
Jinx_98:
Rach! Certo che
sono sveglia! Tu, invece, che ci fai sveglia?
_rach_:
Secondo te Garfield è innamorato di me?
Jinx_98:
Cosa?!?
_rach_:
Jess, hai capito. Sì o no?
Jinx_98:
…
_rach_:
Jess!
Jinx_98:
Ooooh, com’è tardi ^^” Devo proprio
andare a dormire!
Ciao Rach!
Jinx_98
è offline
«Maledizione»
imprecò Rachel sottovoce, augurando ogni sorta di
incidente alla sua presunta migliore amica.
Sbuffando
di rabbia, aprì la chat con il cugino.
_rach_: Rich, sei
sveglio?
night_rich:
Ehi, allora sei viva!
_rach_:
Non sono in vena di sarcasmo, Rich.
night_rich: Oh, come
siamo tetre… Rach,
hai mangiato stasera?
_rach_:
Cosa…? Sì, ho mangiato. Rich, non ho tempo da
perdere.
Garfield è innamorato di me?
night_rich:
Scusa un secondo, mi sta chiamando la mamma.
night_rich
non è al computer
«Anche
lui? Qui c’è sotto qualcosa. E l’unica
che può dirmelo è
Kori» mormorò la ragazza, scorrendo
l’elenco degli amici online e trovando la
ragazza dai capelli rossi.
_rach_:
Kori, sei sveglia?
*brightstar*:
Rach! Cm va a NY?
_rach_:
Tutto bene, Kor, ma adesso mi serve sapere se Garfield è
innamorato di me.
*brightstar*:
ehm… nn posso dirtelo… è un
segreto…
_rach_:
Kori, ti prego!
*brightstar*:
prometti di nn dire a gar ke te l’ho dtt?
_rach_:
Prometto.
*brightstar*:
gli piaci tantissimo
_rach_:
Sei sicura?
*brightstar*:
l’ho sentito con qst orecchie, credimi. Ora scs ma
dv andare. Ciao :*
_rach_:
Ciao Kori, grazie.
*brightstar*
è offline
“Chattare
con Kori mi fa sempre venire il mal di testa. Non le
hanno detto che le abbreviazioni sono passate di moda?” si
chiese la ragazza,
uscendo dal programma, prima di essere contattata da
quell’idiota di Harper o
altri. Non era in vena di chiacchiere.
Guardò
lo schermo spegnersi, poi restò immobile nel buio per
qualche secondo a digerire l’informazione ricevuta da Kori.
“Io
piaccio a Garfield. Io. Piaccio. A Garfield. A Garfield”
pensò, cercando di calmarsi. Sentì la subdola
voce della sua coscienza
interferire: “Continuare a ripeterlo non cambierà
la realtà, sai? E poi
ammettilo, piace anche a te. Se no perché gli avresti
raccontato di tua madre?”
“Zitta, coscienza!”
La
ragazza si portò le mani alle tempie, massaggiandole
delicatamente. Doveva stare calma. Di sicuro sarebbe riuscita ad
affrontare la
situazione, giusto? Lentamente, si alzò dalla scrivania,
recuperò l’iPod dalla
borsa e si infilò nel letto con le cuffiette nelle orecchie.
Armeggiò un po’
con il tasto di accensione, che ultimamente aveva deciso di incantarsi
ogni tre
per due, poi si accomodò contro il cuscino, lasciando che la
musica l’avvolgesse.
You're not alone
Together we stand
I'll be by your side, you know I'll take your hand
When it gets cold
And it feels like the end
There's no place to go
You know I won't give in
No I won't give in
Proprio quella canzone, doveva
selezionare il suo stupido
iPod? Quelle erano le parole che le avrebbe detto Garfield, in quel
momento, ne
era sicura. Non poteva pensare a lui, in un momento come quello. Non doveva. Eppure non riusciva a
costringersi a premere il tasto che avrebbe fatto partire la canzone
successiva.
Keep
holding on
'Cause you know we'll make it through, we'll make it through
Just stay strong
'Cause you know I'm here for you, I'm here for you
There's nothing you could say
Nothing you could do
There's no other way when it comes to the truth
So keep holding on
'Cause you know we'll make it through, we'll make it through
Sostanzialmente era quello che le
aveva fatto capire in
ospedale, quando l’aveva abbracciata. Insieme ce
l’avrebbero fatta, lei avrebbe
dovuto tenere duro, in qualunque caso, qualsiasi cosa fosse accaduta. E
lui
sarebbe stato con lei, in tutto. Sentire quelle parole le fece salire
le
lacrime agli occhi, che si affrettò ad asciugare con il
lenzuolo.
So
far away
I wish you were here
Before it's too late, this could all disappear
Before the doors close
And it comes to an end
With you by my side I will fight and defend
I'll fight and defend
Yeah, yeah
Lei si fidava di lui. Ovvio, gli
aveva raccontato di sua
madre. Sapeva che sarebbe rimasto accanto a lei. Ma ci sarebbe stato un
momento
in cui lei si sarebbe chiesta dove fosse? Sperava di no, era un segno
di
debolezza. “Ma non ho problemi a mostrarmi debole davanti a
lui. Perché con lui
al mio fianco so che posso farcela” pensò,
ricordando quanto era accaduto all’ospedale
e anche a scuola, quando lui l’aveva vista piangere per
quell’idiota di Jason.
Keep holding on
'Cause you know we'll make it through, we'll make it through
Just stay strong
'Cause you know I'm here for you, I'm here for you
There's nothing you could say
Nothing you could do
There's no other way when it comes to the truth
So keep holding on
'Cause you know we'll make it through, we'll make it through
Lui l’aveva aiutata in
entrambi i casi. L’aveva
addirittura protetta da Jason! E quel ragazzo era almeno il doppio di
lui… Sì,
probabilmente con lui ce l’avrebbe fatta. Bastava resistere.
Hear
me when I say, when I say I believe
Nothing's gonna change, nothing's gonna change destiny
Whatever's meant to be will work out perfectly
Yeah, yeah, yeah, yeah
La da da da
La da da da
La da da da da da da da da
Era una persona così
sincera… Le aveva confessato senza
timore che aveva rifiutato la Markov. Che bisogno aveva di dirlo proprio a lei?
Eppure gliel’aveva detto. Sicuro
che lei avrebbe capito i sottointesi e cosa avrebbe significato per
loro.
Keep holding on
'Cause you know we'll make it through, we'll make it through
Just stay strong
'Cause you know I'm here for you, I'm here for you
There's nothing you could say
Nothing you could do
There's no other way when it comes to the truth
So keep holding on
'Cause you know we'll make it through, we'll make it through
Keep holding on
Keep holding on
Loro? Da
quando erano diventati un “noi”? Lei era Rachel e
lui era Garfield. Non poteva
esserci un “noi”. Non secondo logica,almeno. Lei
era una gotica asociale, che
era legata a solo due persone. Lui era solare, aperto, circondato da
amici. Diametralmente
opposti. Eppure tutto sembrava indicare che loro due fossero perfetti
insieme,
complementari. Come il giorno e la notte, il ghiaccio e il
fuoco…
There's nothing you could say
Nothing you could do
There's no other way when it comes to the truth
So keep holding on
'Cause you know we'll make it through, we'll make it through
Mentre l’iPod passava
alla canzone successiva, Rachel
scivolò lentamente nel sonno, le parole della canzone
mescolate con i suoi
pensieri…
|
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Capitolo 11 *** Time is running out ***
Mentre Rachel si tormentava in
camera sua su quanto aveva
appena scoperto, anche Garfield, nel buio della sua stanza, pensava.
Ripensò alla
conversazione avuta con Rachel e a quella
via computer, subito dopo, con Tara.
Appena era rientrato in camera, dopo la sua solitaria passeggiata,
aveva acceso
il pc e avviato il programma di messaggistica istantanea. Voleva
soltanto
parlare con Victor e Richard, ma Tara l’aveva salutato prima
che potesse
disconnettersi.
La
conversazione
era stata piuttosto pesante: Tara aveva rinnovato la sua dichiarazione
e lui si
era trovato costretto a ripeterle i motivi del suo rifiuto. Questo
l’aveva
fatta infuriare non poco, lo si vedeva chiaramente dal suo modo di
scrivere.
Poi la ragazza era passata al contrattacco: aveva iniziato ad elencare
i
difetti di Rachel, difetti iperbolicamente esagerati, con il chiaro
intento di
provocarlo.
Ma lui non aveva ceduto a quel
gioco meschino e si era
rifiutato di raccogliere le insinuazioni, chiudendosi in un mutismo che
aveva
finalmente fatto cedere la bionda, dall’altra parte del
paese. L’aveva salutato
in un modo che sembrava più minaccioso che amichevole, ma il
ragazzo non ci
aveva fatto troppo caso. La sua mente era già attorno
all’orbita del pianeta Rachel.
Si rigirò nervosamente
nel letto, aggrovigliandosi dentro
le lenzuola. Tentò di prendere sonno, ma proprio non ce la
fece. Allora si alzò
e raggiunse l’iPod sul comodino.
Tornò a sdraiarsi nel
letto e accese il riproduttore di
mp3.
Chiuse gli occhi, mentre le note
familiari della sua
canzone preferita lo avvolgevano.
I
think I'm drowning
Asphyxiating
I wanna break the spell
That you've created
I Muse erano davvero geniali… Quella
era l’esatta sensazione che provava in quel momento: era
sotto l’incantesimo di
Rachel, nulla riusciva a liberarlo. Era una strana sensazione, come di
asfissia, ma era una bella sensazione. Non l’avrebbe
scambiata per nulla al mondo.
You're something beautiful
Acontradiction
I wanna play the game
I want the friction
Rachel era…
Bellissima.
Semplicemente bellissima. Una
cosa che andava contro quello che diceva il resto della scuola, che la
riteneva
semplicemente un tipo, una fra tante. Tale opinione derivava
probabilmente
anche dal suo comportamento, schivo, quasi minaccioso, nei confronti di
chiunque tentasse di avvicinarla.
Ma lui aveva accettato questa sfida ed
era riuscito ad avvicinarsi a lei e a superare la barriera che si era
creata.
You will be
The death of me
Yeah, you will be
The death of me
Ne era certo, quella ragazza lo
avrebbe distrutto, a lungo andare. Doveva assolutamente fare qualcosa.
Bury it
I won't let you bury it
I won't let you smother it
I won't let you murder it
Qualcosa che prevedeva l’annullamento
dei pregiudizi della ragazza nei suoi confronti. Avrebbe fatto breccia
nel suo
cuore, non le avrebbe permesso di schiacciarlo sotto il peso del suo
rifiuto. Non
le avrebbe
permesso di uccidere l’amore.
Our time is running out
And our time is running out
You can't push it underground
We can't stop it screaming out
Il tempo stava correndo veloce. Tre
mesi erano pochissimi, doveva agire. E Rachel non sarebbe riuscita a
soffocare
i suoi sentimenti. In tre mesi, Garfield ne era certo, sarebbe riuscito
a farla
capitolare.
I wanted freedom
But I'm restricted
I tried to give you up
But I'm addicted
Aveva provato a non pensare a lei, sul
serio. Ma non ce l’aveva fatta. Aveva anche tentato di farsi
piacere Tara, per
non doverle dare una delusione, ma era stato tutto vano. Rachel era la
sua droga.
Now that you know I'm trapped
Sense of elation
You'll never dream of breaking this fixation
You will squeeze the life out of me
Aveva quasi confessato tutto a Rachel,
quella sera.
Si mosse con uno scatto nervoso,
ripensando a quello che le aveva detto. C’era mancato
pochissimo: ancora due
minuti e lei avrebbe scoperto tutto.
Quella cosa l’avrebbe fatto impazzire!
Bury it
I won't let you bury it
I won't let you smother it
I won't let you murder it
Our time is running out
And our time is running out
You can't push it underground
We can't stop it screaming out
How
did it come to
this
Lo sapeva benissimo, come ci era
arrivato a quel punto.
Era stato un processo lento, di
corrosione interna. Eppure era una corrosione positiva. Era contento di
quel
sentimento.
You will suck the life
out of me
Anche se gli sembrava che lei gli
stesse rubando tutta la sua vita, come un vampire che succhia il sangue.
Bury it
I won't let you bury it
I won't let you smother it
I won't let you murder it
Our time is running out
And our time is running out
You can't push it underground
We can't stop it screaming out
How
did it come to
this
Anche una volta terminata la canzone,
Garfield continuo a risentire le parole risuonargli nel cranio: il
tempo stava scivolandogli
attraverso le dita, aveva solo tre mesi.
Colpito da un’illuminazione, si
alzò a
sedere sul letto e quasi si strappò le cuffiette dalle
orecchie. Dopodiché
balzò in piedi e accese tutte le luci della stanza,
strillando: «Ragazzi! Ho
bisogno di voi!»
Kota e Dimitri si nascosero sotto le
lenzuola con dei mugolii che volevano essere dei rimproveri.
Notando la loro scarsa attitudine a
collaborare, il ragazzo biondo si avvicinò ai loro letti e
gli strappò via le
lenzuola. I due, indifesi, dovettero aprire gli occhi.
«Garfield?
Che
succede?» bofonchiò assonnato il russo, gli occhi
semiaperti.
«Ragazzi,
mi
serve una mano!» gridò entusiasta il biondo,
prendendo la sua sedia e
portandola accanto a quelle dei compagni, creando un circolo. Poi, con
estrema
impazienza, trascinò i due poveri ragazzi sulle rispettive
sedie.
«Una
mano con
cosa? Garfield, che stiamo facendo alle… Tre e mezza del
mattino?!?» esclamò
Kota, guardando l’orologio e sgranando gli occhi.
«Stiamo
facendo,
mio ingenuo ragazzo, un consiglio di guerra»
dichiarò serio Garfield, fissando
tutti e due.
I due
si
guardarono con un’espressione che diceva chiaramente che lo
credevano
ammattito.
«Ragazzi,
ho solo
tre mesi di tempo per conquistare Rachel. Ho bisogno di voi!»
gemette il
ragazzo, accasciandosi sulla sedia e prendendosi la testa tra le mani.
Dimitri
e Kota si
guardarono, poi il ragazzo giapponese si sporse verso il compagno
americano e
disse: «Se ci fai tornare a dormire, domani ti aiuteremo.
D’accordo?»
Il
biondo si
rialzò immediatamente dalla depressione e con un sorriso
enorme guardò i due
amici: «Davvero?»
«Davvero»
confermò Dimitri. «Ma adesso fammi tornare nel mio
letto.»
«Ragazzi,
grazie
mille!» esclamò Garfield, facendo per
abbracciarli. I due, però, si erano già
prontamente allontanati ed erano tornati nei loro letti,
così il biondo si
ritrovò ad abbracciare l’aria.
Si
ricompose, spense
la luce e si infilò nel letto.
Rachel
sarebbe
stata sua.
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Capitolo 12 *** My heart will go on ***
Il mattino dopo iniziarono le
lezioni.
Per cominciare, il professor
Miller, l’insegnante di
canto cui erano stati affidati, li portò a visitare la
scuola per aiutarli ad
ambientarsi. Dire che quel posto era enorme era riduttivo:
c’erano corridoi
lunghissimi che portavano ad aule enormi, che ospitavano pochissimi
studenti, i
migliori della nazione e del mondo, che erano riusciti ad entrare in
quella
prestigiosa scuola.
Terminato il tour, che li aveva
lasciati davvero
impressionati, i ragazzi vennero introdotti in un’aula dotata
di banchi
singoli, tutti direzionati verso una pedana sopraelevata, dietro la
quale
campeggiavano due lavagne nere.
«Bene,
ragazzi. Questa sarà la vostra aula, per i prossimi tre
mesi. Ogni giorno ci incontreremo qui alle nove, puntuali»
disse il professore,
scoccando uno sguardo significativo a Garfield, che si era
già fatto
riconoscere a colazione, arrivando in ritardo di dieci minuti. Il
ragazzo
arrossì lievemente, fingendo poi che la cosa non lo
riguardasse.
«Cominceremo
con due ore di lezione teorica, seguita da un’ora di
esercitazione. Dopodiché ci sarà la pausa pranzo,
di due ore e poi ci saranno
le lezioni pomeridiane. Per le prime
due
settimane, queste lezioni verranno usate per testare le vostre
capacità e
verificare le vostre potenzialità, poi diventeranno
individuali e a quel punto
vi verrà consegnato un calendario. Tutto chiaro?»
concluse l’insegnante,
osservandoli tutti, cercando di incutere timore.
I
ragazzi annuirono, un po’ preoccupati da quello che
prometteva
di essere un programma di fuoco, ma tutto sommato entusiasti e
volenterosi di
iniziare.
Detto
fatto, il signor Miller partì in quarta, quasi senza lasciar
loro il tempo di tirar fuori penne e quaderni.
«Io
non arriverò vivo alla fine di questi tre
mesi…» gemette
Garfield, trascinandosi fuori dall’aula insieme agli altri
ragazzi, non appena
suonò la campana che segnava l’inizio della pausa
pranzo.
«Dai,
non esagerare. Era interessante!» ribatté
Fabrizio, dandogli
una sonora pacca sulla spalla.
«Quasi
quanto guardare il ghiaccio sciogliersi o la vernice
seccarsi» borbottò il biondino, strappando una
risata all’italiano e ai suoi
due compagni di stanza, che lo seguivano.
«Sei
sempre il solito, Garfield. Abbiamo un’occasione
d’oro e tu
ti lamenti» commentò Rachel, passandogli accanto
con Ines e Clara, che
sorridevano.
Il
ragazzo sussultò, raddrizzandosi. «Non
è vero che mi lamento
sempre!» si lamentò.
Rachel
si limitò a sorridere saputa, prima di allungare il passo,
imitata dagli altri ragazzi, che stavano morendo di fame.
Garfield
la fissò.
«Amico,
se continui così, la consumerai. E non è in
questo modo
che la conquisterai» gli bisbigliò Dimitri
all’orecchio, facendolo sobbalzare.
«Tsk,
non credo ci riuscirebbe comunque» intervenne una voce dalla
marcata erre moscia.
«Nessuno
ha chiesto il tuo parere, Français!» lo
redarguì il
russo.
«Io
mi chiamo François» precisò il
francese, prima di superarli
con uno sguardo sprezzante.
«Come
se non lo sapessi, mangialumache che non sei altro»
ribatté
Dimitri, a voce abbastanza alta perché lo sentisse anche
l’altro ragazzo.
«Tu
ne vali dieci di lui, Gar» lo rassicurò Kota.
«Solo
dieci?» intervene Fabrizio, che era rimasto lì con
loro. «Direi
almeno venti!»
«Grazie,
ragazzi» disse Garfield, con un debole sorriso,
accelerando in vista del portone della mensa.
Una
volta entrati, Garfield vide con orrore e raccapriccio che
François si era seduto accanto a Rachel e che le stava
parlando fitto fitto.
Il
francese dovette sentire su di sé uno sguardo omicida,
perché sollevò
il proprio e lanciò un’occhiata di sfida al
biondo, prima di tornare a parlare,
o meglio, monologare, con Rachel.
Stizzito,
il ragazzo si affrettò a prendersi un piatto e a
servirsi dal buffet, ma, mentre si voltava per raggiungere il tavolo,
travolse
una ragazza.
Per un
puro miracolo riuscì a salvare sia il suo piatto che la
ragazza.
«Scusami,
ti sei fatta male?» domandò, preoccupato.
«No,
non è niente. Sono io che ero distratta, scusa tu»
rispose
lei, con un timido sorriso.
«Sei
sicura? Niente di rotto… » continuò
Garfield, cercando di
ricordare il suo nome. Era la ragazza russa, ma come accidenti si
chiamava? Anastasia?
Anita? Alessia? No, Alessia non era un nome russo… Era
Al…
«Alexandra»
lo soccorse lei, con un sorriso un po’ più
convinto.
«Ma
certo, lo sapevo!» esclamò lui, facendola ridere e
ridendo a
sua volta.
«Certo,
sicuramente» lo prese infatti in giro la ragazza.
«Bé,
buon appetito, Garfield, ci vediamo dopo.»
«A
dopo» rispose il biondo, guardandola allontanarsi e sedendosi
accanto ai suoi compagni di stanza.
Ma
Garfield non fu il solo a guardare la ragazza allontanarsi
sinuosa tra la folla. Anche un paio di occhi azzurro-viola la stavano
fissando,
con un barlume di quel che si sarebbe detta gelosia.
«Qualcuno
ha fatto colpo, eh!» esclamò Dimitri, non appena
l’amico
posò il piatto accanto al suo, dandogli una gomitata che
quasi gli fece
infilzare la forchetta nella mano di Fabrizio, seduto
dall’altra parte.
«Che
stai dicendo?» domandò Garfield, confuso.
«Lascialo
perdere, Dim, lo sai che per lui esiste solo una persona»
lo prese in giro Fabrizio, scuotendo la testa con falsa commiserazione.
«Hai
ragione, povera Alex…» commentò il
russo, imitando il gesto
dell’altro ragazzo.
«Come?»
chiese ancora Garfield, con un’espressione totalmente
smarrita.
«Lasciamo
perdere…» borbottò Dimitri.
«Dai,
ragazzi, almeno è coerente con se stesso» fece
notare Kota,
intervenendo in difesa del suo amico.
«Già,
hai ragione» annuirono gli altri due.
Garfield
rimase nell’ignoranza più totale, facendo passare
lo sguardo
da un amico all’altro, ma senza ottenere chiarimenti. Decise
che l’avrebbe
scoperto più tardi, al momento l’importante era
mangiare, la fame lo stava
divorando.
«Garfield,
scusa, mi passeresti il sale?» La domanda lo colse alla
sprovvista e alzò lo sguardo su Rachel, davanti a lui, in
attesa. Non si
accorse però di avere in bocca un’enorme foglia di
insalata, che sporgeva
attraverso i denti serrati. L’unica cosa che si risolse di
fare, fu di passare
il sale alla ragazza, che lo guardò in modo piuttosto strano.
Accanto
a lui, Kota, Dimitri e anche Fabrizio si diedero una
manata in faccia, scuotendo la testa.
François
soffocò una risatina.
“Che
la terra mi inghiotta. Ora” pensò disperato il
ragazzo,
deglutendo e mangiando il resto in fretta e furia, per uscire il prima
possibile dalla sala. Un minuto dopo era già fuori, gli
altri che lo guardavano
interrogativamente.
Garfield
raggiunse il giardino interno e si sedette su una panca,
nel sole di settembre che ancora scaldava. Non tanto come in
California, ma
quel tanto che bastava a farlo sentire di buon umore.
Passò
del tempo e lui stava per assopirsi, quando sentì qualcuno
sederglisi accanto, con un lieve fruscio di stoffa. Non osò
aprire gli occhi.
Ci fu
silenzio per qualche minuto.
«Hai
sentito qualcuno degli altri?»
La
domanda giunse talmente inaspettata che il ragazzo aprì gli
occhi e si voltò verso la sua interlocutrice. «Come?»
Lei lo
guardò come se fosse stupido, prima di ripetere la domanda.
«Sì,
ho scambiato qualche messaggio con Vic e poi… Mi ha chiamato
Tara» ammise il biondo, evitando di guardare Rachel negli
occhi.
«Davvero?»
chiese la ragazza, sorpresa.
«Sì»
confermò lui, con un che di depresso nella voce.
«Bé,
era prevedibile» commentò Rachel, scuotendo la
testa.
«Già»
sospirò il biondo.
Ci fu
un nuovo momento di silenzio.
«Simpatica,
Alexandra, vero?» Fu di nuovo Rachel a romperlo.
Garfield
sollevò lo sguardo su di lei, incontrando i suoi
magnetici occhi azzurro-viola.
Il
ragazzo la studio per qualche secondo, cercando di decifrare la
sua espressione. Dopodiché si costrinse a rispondere:
«Sì, molto simpatica. Calcolando
che l’ho quasi uccisa, devo dire che è stata
davvero gentile.»
Perfetto.
Niente di troppo compromettente.
Allora
perché Rachel sembrava più furiosa che mai?
Il
biondo fece per chiederle a cosa stesse pensando, ma in quel
momento arrivò Maria, la ragazza austriaca, che li
avvisò che la lezione stava
per cominciare e che avrebbero fatto meglio a sbrigarsi.
Rachel
si alzò di scatto, lisciandosi la gonna e seguendo la
ragazza, senza più nemmeno badare al compagno.
“Chi
la capisce è davvero bravo!”
pensò lui, seguendola a
ruota.
«Bene,
ragazzi. Adesso vorrei sentire ognuno di voi cantare, per
capire se i vostri insegnanti non vi hanno sopravvalutati, nel mandarvi
qui»
esordì il professor Miller, quando tutti furono in aula.
«Cosa
crede, che siamo qui solo per sport?» bisbigliò
indignato
Cesar al suo vicino, Klaus.
«Signor
Martinez, ha qualcosa da dire?» lo richiamò
l’insegnante.
«No,
niente. Mi scusi» borbottò il ragazzo,
imbarazzato, incrociando
le braccia e scivolando un po’ sulla sedia.
«Molto
bene. Allora possiamo incominciare. Dunque, per
primo…»
riprese il professore, scorrendo l’elenco. «Ah, signorina
Garcia. Prego.»
Ines
si alzò leggermente titubante dal suo posto e raggiunse il
signor Miller sulla pedana.
«Dunque,
lei è stata raccomandata caldamente dal suo insegnante,
che conosco personalmente. Bravissima persona, di solito i suoi allievi
sono
sempre stati all’altezza delle mie aspettative e di quelle
della scuola. Spero che
lei possa fargli onore. Per questo le chiedo un pezzo piuttosto
difficile. Penso
ne conosca le parole, si tratta di “My heart will go
on” di Céline Dion. Cominci
pure» disse l’insegnante, facendo partire la base
musicale dall’impianto stereo
e accomodandosi alla cattedra, con un blocco in mano per segnarsi
eventuali
punti negativi.
Every night in my dreams
I see you, I feel you,
That is how I know you go on
Ines cominciò a cantare piano, proprio
come Céline Dion.
Garfield non poté fare a meno di
sbirciare verso Rachel, quella canzone gli faceva pensare a lei...
Chissà cosa
l’aveva spinta a fargli quelle domande, prima.
Far
across the distance
And spaces between us
You have come to show you go on
Era vero, tra loro c’era ancora molta
distanza, riconobbe il ragazzo. Ma gli sembrava che lei stesse facendo
dei
passi in più per avvicinarsi a lui. Era venuta lei a
cercarlo, prima, no?
Near,
far, wherever you are
I believe that the heart does go on
Once more you open the door
And you're here in my heart
And my heart will go on and on
Rachel sentì il proprio cuore balzarle
in gola, senza nemmeno volerlo. I pensieri iniziarono a vagare e si
ritrovò a
pensare a Garfield. Non poteva negare che le facesse piacere sapere che
lui era
interessato a lei, ma… Ma lei cosa provava? Le aveva dato
fastidio vedere
Alexandra flirtare con lui, doveva ammetterlo. Ma Garfield era suo
amico, era
normale, no?
Love
can touch us one time
And last for a lifetime
And never let go till we're one
Nel suo caso era decisamente successo,
decise Garfield. Certo, era giovane, giovanissimo, ma era abbastanza
sicuro che
Rachel fosse quella giusta. Non era una cotta. Era decisamente di
più.
Love
was when I loved you
One true time I hold to
In my life we'll always go on
Rachel non poté fare a meno di pensare
a sua madre. Quello era amore. Ma per Garfield cosa provava?
Near,
far, wherever you are
I believe that the heart does go on
Once more you open the door
And you're here in my heart
And my heart will go on and on
Garfield dovette ammettere che era così.
Ovunque Rachel fosse e qualunque cosa facesse, ormai era nel suo cuore.
Non ci
poteva far nulla e man mano che i giorni passavano, la sentiva sempre
più
presente.
You're
here, there's nothing I fear,
And I know that my heart will go on
We'll stay forever this way
You are safe in my heart
And my heart will go on and on
I due ragazzi incrociarono gli
sguardi,
involontariamente. Entrambi arrossirono e si voltarono verso Ines e il
professore, che le stava facendo un paio di appunti, nonostante nel
complesso
fosse rimasto soddisfatto della sua performance.
Le loro mosse, però,
non passarono inosservate ai loro
compagni di stanza, che si prepararono ad affrontare i due
nell’intimità delle
loro camere. Per Garfield ormai era chiaro che non ci fosse
più speranza, ma
Rachel doveva decidersi ad affrontare la realtà.
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Capitolo 13 *** Guardian angel ***
Era
mezzanotte.
Rachel
era ancora sveglia, non le riusciva proprio di mettersi
tranquilla a dormire, pur sapendo che il mattino dopo la sveglia
l’avrebbe
svegliata all’alba. Tutta colpa delle scoperte delle ultime
ore. La stavano
facendo impazzire.
Prima
Kori, che le aveva confermato la cotta di Garfield per lei.
Poi le
sue compagne di stanza, che le avevano detto di sbrigarsi a
capire se le piacesse o meno, perché c’era il
rischio che altre mettessero gli
occhi su di lui.
E poi
quella ragazza russa, Alexandra, che stava evidentemente
flirtando con lui.
Senza
contare la discussione che aveva avuto al telefono con
Jessica poco prima di andare a letto. Anche la sua migliore amica le
aveva
confermato la cotta di Garfield e come Clara e Ines le aveva detto di
sbrigarsi
a capire i suoi sentimenti. Aveva però aggiunto che, secondo
lei, non era
questione di altre ragazze che mettessero gli occhi su di lui o cose
simili. No,
era tutto per lei stessa. E per Garfield, naturalmente, che meritava
una
risposta, qualora avesse deciso di dichiararsi o comunque di dirle
qualcosa.
Questa
era la cosa che più le dava da pensare: sembrava che il
tempo complottasse contro di lei. Eppure tutto andava alla grande,
prima che
tutto questo iniziasse. Non che rimpiangesse di essere a New York,
assolutamente no, era il sogno di tutta la sua vita. E non aveva avuto
nessuna
esitazione nel portare Garfield da sua madre. E allora cosa era stato a
far
cambiare tutto?
Lo
sapeva. Ma preferiva continuare ad ignorarlo. Almeno finché
non
avesse capito cosa provava davvero.
«Eppure
con Jason non mi sono mai fatta tutti questi problemi!»
sospirò a bassa voce, rigirandosi ancora una volta nel
letto. Si voltò verso la
finestra e guardò le luci che filtravano attraverso i fori
delle tapparelle. Era
persa nei suoi pensieri e quasi cadde dal letto quando sentì
il telefono che
vibrava sul comodino. Si liberò dal lenzuolo con una mossa
degna di una
contorsionista e controllò chi la stesse chiamando.
Richard.
Con un
balzo fu fuori dal letto e rapidamente uscì nel corridoio,
per non disturbare le sue compagne di stanza.
«Rich?
Che succede?» bisbigliò rapida, sperando che
nessuno la
beccasse nei corridoi dopo il coprifuoco. Non voleva certo mettersi nei
guai il
primo giorno di lezioni.
«Riguarda
la zia» le rispose lui, concitato. Sembrava serio.
«È
successo qualcosa a Selina?» chiese preoccupata la ragazza.
«No,
non a Selina…» Richard non fece in tempo a finire
la frase
che Rachel stava già singhiozzando sommessamente. Se non era
Selina, doveva
trattarsi per forza di cose di sua madre.
«Che…
Che è successo?» domandò, cercando di
controllare la voce.
«I
medici dicono che ha avuto una specie di crisi e che la sua
situazione è molto peggiorata. Anche con l’aiuto
delle macchine non sanno quanto
potranno tenerla in vita, ancora. Però non sono molto
ottimisti, dicono che
potrebbe essere per un periodo da tre a sei mesi»
spiegò Richard, cercando di
mostrarsi più calmo di quanto evidentemente non fosse.
«Cosa?!?»
esclamò Rachel, sforzandosi poi di abbassare la voce.
«Cosa
vuol dire, Rich? Avevano promesso che sarebbe stata bene. Lei deve
stare bene!»
«I
medici hanno detto che si tratta di una cosa che capita,
purtroppo, molto spesso, nel caso di pazienti in coma. Dicono che
è raro che si
risveglino. Rachel…»
«Non
dire niente, Richard. Ti prego. Non dire niente. Io… Devo
pensare. Mi dispiace. Ci sentiamo domani.» E riappese,
mettendo a tacere il
cugino, che aveva provato a fermarla.
Fissò
il cellulare e vide che i contorni dell’oggetto erano
sfocati, come se fosse sott’acqua. Con un gesto nervoso si
passò i polsi sugli
occhi, asciugandosi le lacrime e cercò di ricomporsi.
Di
tornare in camera non aveva voglia, al momento. Aveva bisogno
di aria. Non le interessava di essere scoperta o chissà che
altro. Doveva uscire.
Corse
giù per le scale e attraversò l’atrio.
Spalancò le porte ed
uscì nell’aria fresca della notte.
Respirò
a pieni polmoni e si sedette su una panchina in pietra.
Lì
la trovò Garfield, quando uscì anche lui, verso
l’una e mezza.
La
trovò a colpo sicuro, come se in un qualche modo avesse
percepito la presenza della ragazza. Si avvicinò cautamente,
non volendo
spaventarla e non troppo sicuro di quello che stava facendo. Se Rachel
si
trovava lì a quell’ora, doveva essere sicuramente
una cosa seria. E non era
detto che lui fosse il benvenuto.
«Rachel?»
sussurrò, cercando di non allarmarla.
Tentativo
inutile, perché la ragazza sussultò come se le
avessero
sparato. Si voltò lentamente, mostrandogli un viso
tristissimo. Che, alla sua
vista, divenne, se possibile, ancora più triste.
«Rachel?»
ripeté, esitante, avvicinandosi. «Che è
successo?» Si complimentò
con se stesso per non averle chiesto se andava tutto bene,
perché palesemente
andava tutto male.
«Garfield…»
mormorò lei, con voce appena udibile, da quanto era
fioca.
«Sono
qui, che succede?» chiese lui, sedendosi accanto a lei.
In
tutta risposta, la ragazza lo abbracciò e scoppiò
a piangere
sulla sua spalla.
Lui la
lasciò fare, limitandosi a passarle una mano sui capelli e
a stringerla a sé con l’altra.
Dopo
qualche minuto, Rachel finalmente si calmò, ma rimase tra le
braccia di Garfield. Si sentiva protetta e il biondino certamente non
aveva
nulla da ridire.
Sentendo
che la ragazza si era calmata, il ragazzo osò abbassare
lo sguardo su di lei e le chiese dolcemente: «Va un
po’ meglio?»
Lei si
limitò ad annuire lentamente, senza dire una parola.
Lui
ricominciò ad accarezzarle i capelli, lentamente. Rimasero
così
ancora qualche istante, poi il ragazzo ruppe il silenzio.
«Sai,
è una fortuna che ti abbia trovata qui fuori. Stavo venendo
a cercarti, dovevo parlarti. Ma prima avevo bisogno di pensare un
po’ per conto
mio. E quando mi sono sentito pronto, ho come avuto la sensazione che
tu fossi
qui fuori. Ed eccoti qui. Sei pronta a sentire quello che ho da
dirti?»
Lei
annuì di nuovo.
«Stasera,
poco prima di andare a dormire, mi hanno chiamato alcuni
miei parenti. Più che parenti, direi che si tratta delle
persone che mi hanno
allevato dopo la morte dei miei genitori. Non esiste un vero e proprio
legame
di sangue, tra noi, eppure li sento davvero come miei parenti. Sta di
fatto che
mi hanno chiamato, per dirmi che…» Si interruppe
per un istante. «Per dirmi
che, quando tornerò da New York, a settembre,
dovrò trasferirmi. Da loro. In Florida.»
Ci fu
di nuovo un momento di silenzio.
Poi
Rachel realizzò quel che lui aveva detto e si
liberò
violentemente dal suo abbraccio. Lo fissò con i suoi
incredibili occhi, che
stavano iniziando a riempirsi nuovamente di lacrime.
«Te
ne vai?» furono le uniche parole che gli rivolse, prima di
correre via.
“Immagino
che avrei potuto dirglielo con un po’ più di
tatto…”
pensò Garfield tra sé e sé,
guardandola allontanarsi e non osando fare un passo
per seguirla. Le avrebbe parlato la mattina dopo.
Rachel
continuò a correre, senza altri pensieri se non quelli
rivolti a sua madre, che ormai era destinata a morire, e a Garfield,
che se ne
sarebbe andato. La abbandonavano. Tutti la stavano abbandonando.
Sarebbe rimasta
da sola. E una volta da sola, cosa avrebbe fatto? Era persa, lo sapeva.
Arrivò
in camera sua e cercò rapidamente il suo iPod. Una volta
che l’ebbe recuperato, corse di nuovo fuori, sul balconcino.
Lì si infilò le
cuffiette e fece partire la musica, l’unica cosa che potesse
tranquillizzarla,
in quel momento.
I
feel I'm fallin' apart 'cos I know I've lost my guardian angel.
A fleetin' glimpse of your heart losin' right from the start - no
return
An' things will never be the same
Sua madre se ne stava andando.
Mentre lei era lì, a New
York. Lontana. Troppo
lontana.
Le cose sarebbero cambiate, lo
sapeva e non poteva farci
nulla.
I feel I'm
fallin' apart
'cos I know I've lost my guardian angel
A
fleetin' glimpse of your heart losin' right from the start - no return
An' things will never be the same
E anche Garfield se ne andava. Una
volta finiti quei tre
mesi, non l’avrebbe più visto. In
Florida! Dall’altra parte del paese, rispetto a Jump City! Se
ne sarebbe
andato. Andato!
Nulla sarebbe stato più
come prima…
Try to find
the words that
show I sympathise
Words
of comfort, words that never criticize
Though
I know you simply laughin' at me
I just can't stop an' simply let it be
Non poteva nascondere che le
facesse male, scoprire che
Garfield se ne sarebbe andato di lì a poco. Non lo conosceva
da tanto, ma gli
si era affezionata. Quel suo modo di fare sciocco, quel suo prenderla
in giro per
attirare la sua attenzione… E lei era stata tanto stupida da
ignorarlo fino a
quel momento!
Where
are all those feelin's of my yesterdays
Feelin's now I have bring back those bad ole ways.
Though I know you wanna turn an' blow
I just can't stop an' simply let you go
Non poteva, non poteva
assolutamente permettere che se ne
andasse in Florida. No, era fuori discussione. Non prima che lei gli
avesse
parlato.
I feel I'm
fallin' apart
'cos I know I've lost my guardian angel
A
fleetin' glimpse of your heart losin' right from the start - no return
An' things will never be the same
Tornò a pensare a sua
madre. Fino a quel momento, per
lei, era stato come avere un angelo custode, qualcuno cui poter
raccontare
tutte le sue disavventure, un punto fermo su cui poter contare. E tutto
questo
stava finendo. Come era possibile?
Let
me see you smile once more that special way
Warm
as summer on a
chilly winter's day
Though
I know you're simply laughin' at me
I just can't stop an' simply let it be
Voleva vederli sorridere entrambi,
per l’ultima volta. Voleva
poterli ricordare con un sorriso sulle labbra. Ma come era possibile
che sua
madre potesse sorridere? Era già tanto che i medici le
avessero dato ancora sei
mesi di vita… Ricacciò indietro le ultime lacrime
rimaste.
I feel I'm fallin' apart 'cos I know I've lost my guardian
angel
A fleetin' glimpse of
your heart losin' right from the
start
- no return
An' things will never be the same
Doveva tornare al più
presto in California e vedere sua
madre. Pazienza se per questo avrebbe dovuto rinunciare al posto alla
Juilliard. Sua madre era nettamente più importante. Non
osava immaginare cosa
sarebbe successo dopo. Non voleva pensarci.
I feel I'm fallin' apart
'cos I know I've lost my
guardian angel
A fleetin' glimpse of your heart losin'
right from the start - no return
An' things will never be the same
E
doveva parlare con Garfield. Garfield era stato il suo angelo
custode, in quei pochi giorni passati insieme. Lui le era stato
accanto, quando
aveva scoperto le condizioni di sua madre. L’aveva difesa da
Jason. L’aveva
aiutata a superare la sua paura di volare. E ora se ne sarebbe andato a
chilometri
e chilometri di distanza. Questa sensazione di vuoto e di nausea che
provava
all’idea di non vederlo più le fece
improvvisamente realizzare quello che
provava per lui.
Era
stata necessaria una simile dichiarazione per risvegliare in
lei sentimenti che credeva perduti.
Quello
era il momento di versare le ultime lacrime e,
silenziosamente, Rachel lo fece.
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Capitolo 14 *** At the beginning ***
La mattina seguente, Rachel si
svegliò con un mal di
testa atroce. Le sembrava che qualcuno stesse picchiando un martello su
un’incudine
nella sua scatola cranica. Non molto piacevole. Si trascinò
fino al bagno in
una sorta di sonnambulismo e si preparò alla
bell’e meglio. Clara e Ines se ne
accorsero, ma si accorsero anche delle occhiaie e degli occhi rossi,
che
avevano solo due spiegazioni plausibili: una congiuntivite fulminante
oppure
una nottata di pianto. E siccome era assai improbabile che avesse
contratto un’infezione
oculare, entrambe erano propense a credere che avesse pianto tutta la
notte.
Le due ragazze ebbero
pietà dell’amica e non le chiesero
spiegazioni, si limitarono a starle vicine e a sistemarle il trucco
sbavato. Rachel
ne fu loro molto grata e le tre amiche scesero insieme a fare colazione.
«Buongiorno!»
le salutò Fabrizio, quando entrarono in sala e si
sedettero con i loro cappuccini davanti a lui e agli altri.
Le
ragazze ricambiarono i saluti, anche se Rachel appariva
evidentemente sottotono. Fabrizio lo notò e chiese
spiegazioni in italiano a
Clara, sottovoce, ma la ragazza, sapendo che l’amica
conosceva l’italiano, lo
mise a tacere con un cenno piuttosto eloquente.
In
quella, anche Garfield entrò nel salone per fare colazione.
Salutò
tutti con entusiasmo, tranne Rachel. La salutò con un
sommesso “’Giorno” e
arrossì leggermente. La ragazza ricambiò, ma gli
occhi le si riempirono di
lacrime e dovette distogliere lo sguardo. Tra i due venne a crearsi un
momento
di imbarazzante silenzio, che venne riempito dalle chiacchiere
provvidenziali
degli altri studenti intorno a loro.
Le
lezioni del mattino passarono quasi senza problemi, ma durante
la pausa pranzo se ne presentarono alcuni.
Tanto
per cominciare, François, all’apice della boria,
decise di
dedicare tutta la sua attenzione a Rachel, infastidendo tanto lei
quanto
Garfield.
Poi,
Rachel ricevette una chiamata dal cellulare. E lì tutto
precipitò.
La
ragazza era uscita dalla mensa per rispondere al cellulare,
quasi correndo, avendo visto che si trattava di Richard, senza nemmeno
accorgersi che Garfield l’aveva seguita, silenziosamente,
preoccupato per lei.
Così,
senza volerlo, origliò la conversazione.
«Pronto?»
«Rachel?
Mi senti? Tutto bene?» domandò il cugino,
attraverso una
serie di scariche telefoniche poco piacevoli da sentire.
«Ti
sento, ma non mi interessa come sto io. Come sta la mamma?»
rispose la ragazza, sbrigativa. Non c’era tempo per perdersi
in ciance, già era
stato un calvario passare tutta la mattina senza ricevere notizie,
né buone né
cattive.
«…»
Richard non sapeva come metterla giù.
La
cugina gli venne in aiuto: «La verità, Rich. Per
favore. Niente
bugie, niente “starà bene” o altro. La
verità, pura e semplice.»
«Non
bene» ammise il ragazzo, a disagio. «I medici non
hanno
novità e non si sbilanciano sulle sue condizioni. Ma non sta
affatto bene.»
«Rich…
Torno a casa» buttò fuori la ragazza,
all’improvviso.
Garfield
si congelò nel corridoio ed evidentemente la stessa cosa
doveva essere successa a Richard, dall’altra parte della
costa, perché ci fu un
lungo silenzio.
«Rachel…
Non puoi dire sul
serio. La Juilliard è la tua grande occasione,
e…» tentò di protestare,
infatti.
«Lo
so, ma la mamma è più importante. Io…
Non posso lasciarla
andare senza vederla. Devo salutarla. Devo starle accanto,
io…»
«Lo
so, Rach, ma… Lei non vorrebbe che tu lasciassi tutto.
Vorrebbe
che tu andassi avanti.»
«Io…
Non posso. Ora scusa, ma devo andare. Ciao» e mise
giù il
telefono. Rimase un attimo in silenzio a fissare lo schermo spento, poi
respirò
profondamente e girò sui tacchi, per dirigersi verso
l’aula dove era prevista la
lezione del pomeriggio.
Fu in
quel momento che si accorse di Garfield, che la fissava a
bocca aperta.
«Oh»
fu tutto quello che riuscì a dirgli, prima di correre via.
“Eh,
no, non questa volta!” pensò il ragazzo,
correndole dietro
nei corridoi deserti, fino ad arrivare nei giardini della scuola,
più o meno
nel punto esatto in cui la sera prima le aveva detto che se ne sarebbe
andato,
una volta tornati in California. Quel che si dice l’ironia
della sorte.
«Rachel,
fermati!» esclamò, prendendola per un polso e
costringendola a fermarsi.
Lei
non si voltò, rimase con il braccio inerte, abbandonato
nella
stretta di Garfield, l’altra mano a cercare di scacciare le
lacrime dagli
occhi.
Il
ragazzo non resistette, non poteva vederla in quelle
condizioni…
La fece voltare verso di lui e la guardò dritta negli occhi.
Non le disse
niente, rimase a fissarla per trenta secondi, gli occhi verdi
inchiodati nei
suoi blu-viola, ancora pieni di lacrime.
E poi
fece qualcosa che nessuno dei due si aspettava.
La
baciò.
Sulle
labbra.
Quando
si staccò, il ragazzo non scappò via, come si
sarebbe
aspettato da se stesso, ma rimase lì con lei, stringendola
forte a sé, senza
darle via di scampo.
Inizialmente,
Rachel tentò di opporre resistenza, ma a poco a poco
si calmò, e rimase tra le sue braccia.
Non
seppero dire quanto tempo passò, ma finalmente la situazione
si stabilizzò abbastanza da rendere possibile una
conversazione tra i due.
«Hai
sentito tutto, vero?» domandò Rachel, guardando
con
improvviso interesse un cespuglio di rose accanto a lei.
«Sì»
ammise Garfield, scrutando le sue scarpe come se le vedesse
per la prima volta.
«Ah.»
«Già.»
Silenzio.
«Quindi…
Vuoi tornare a Jump City?» chiese finalmente il ragazzo,
arrischiandosi a sollevare lo sguardo verso di lei.
«Devo.
Non posso lasciare mia madre in quelle condizioni»
replicò
lei, dura, guardandolo per una frazione di secondo, prima di tornare ad
esaminare una rosa del cespuglio accanto.
«Mi
sembra giusto» concordò lui, senza pensarlo
veramente.
«Già.»
Silenzio.
Garfield
non sapeva cosa dire. Avrebbe dovuto parlare del…
Sì,
insomma… Del bacio? Non era sicuro di
sentirsela…
Per
sua fortuna, Rachel affrontò di nuovo per prima la
questione. A
quanto pare le piaceva andare dritta al sodo, subito.
«Garfield.
Io… Ti piaccio.»
Era
un’affermazione, non una domanda, ma Garfield si
sentì in
dovere di annuire, perlomeno.
«E
nonostante tutto, tu… Vorresti andartene da Jump
City?» chiese,
guardandolo con tristezza.
A
questa domanda, per un momento, il ragazzo non seppe rispondere.
Poi decise di essere completamente sincero con lei: «Ad
essere sincero, no. Io vorrei
restare a Jump, con gli altri, con… Te. Ma mi stanno facendo
molte pressioni
per andare in Florida e mi sento preso di mezzo. Non è una
grande situazione. E
adesso credo di averla peggiorata, se possibile.»
«Parli
del bacio, vero?»
«Esatto.»
«Sei
pentito di averlo fatto?» chiese lei, stavolta evitando in
ogni maniera di guardarlo.
«No,
assolutamente no!» si affrettò a mettere in chiaro
il
ragazzo. «L’ho fatto e lo rifarei, mille e mille
volte, credimi! Cioè, non
intendevo…» Balbettò, rendendosi conto
di quanto male suonasse la frase.
Rachel
accennò ad un sorriso e lo tranquillizzò:
«Ho capito quel
che vuoi dire. Non ti preoccupare. Volevo solo sapere se ne fossi
pentito,
perché… Perché a me ha fatto davvero
piacere. Perché in fondo, tu… Mi piaci,
Gar. Me ne sono resa conto troppo tardi, però. Me ne sono
accorta ora che te ne
vai e…»
«Non
me ne vado.»
«Come?
Ma se hai detto che ti stanno facendo pressioni e…»
«Rachel,
ascolta. Se tu non mi avessi ricambiato, non avrei avuto
problemi ad andarmene in Florida, avrei ceduto facilmente alle
pressioni che mi
stanno facendo. Mi sarebbe dispiaciuto, certo, ma l’avrei
superato con il
tempo. Invece, adesso che mi hai detto che ti piaccio… Non
potrei sopportare di
starti lontano. Magari non funzionerà tra noi, ma mi
piacerebbe provare. E per
farlo, ho bisogno di restare a Jump con te.»
«Dici
sul serio?» domandò la ragazza, guardandolo con
gli occhi
sgranati.
«Credo
di non essere mai stato più serio di così, nella
mia vita. Puoi
credermi» rispose lui, guardandola a sua volta.
«Oh,
Garfield!» esclamò lei, portandosi le mani alla
bocca.
«Non
dire nulla» disse semplicemente il ragazzo, abbracciandola
stretta. Lei ricambiò più che volentieri.
Rimasero
abbracciati per un po’, finché Garfield non si
decise a
porle una domanda che lo stava rodendo dentro da un bel pezzo, come un
tarlo.
«Quando
torni a Jump da tua madre?»
«Pensavo
di partire questo weekend. Non so se tornerò qui a New
York, tu capisci, vero?»
«Certo.
Ti capisco perfettamente. Allora, se questi sono i tuoi
piani… Cosa ne dici di uscire? Prima che tu te ne vada.
Tipo… Stasera?»
«Stasera?
Così, di punto in bianco?» chiese lei, sopprimendo
una
risata.
«Certo!
Ormai devi aver capito che questo è il mio modo di
fare»
replicò lui, sorridendo.
«Diciamo
di sì» sorrise lei, a sua volta.
«E
allora che così sia. Stasera alle otto ti porterò
a cena. Passo
a prenderti alle sette e mezza, va bene?»
«Okay.
E ora… Che ne dici di andare a lezione? Abbiamo
già perso
la prima ora» gli fece notare lei, alzandosi dalla panchina e
correndo nei
corridoi, seguita da Garfield, che rideva beatamente.
Il
pomeriggio passò in fretta, anche se i due ragazzi furono
rimproverati dall’insegnante. Ma i due sembrarono non farci
nemmeno caso, persi
nel loro mondo di felicità.
Il
problema, per Rachel, fu di spiegare a Clara e Ines cosa le era
successo. Quando le due ragazze seppero tutto la seppellirono di
gridolini di gioia
e di abbracci, cui anche Rachel si unì, per una volta. Era
davvero felice di
quello che le stava succedendo, doveva ammetterlo. Si
affrettò anche a mandare
un messaggio a Jess e Kori, promettendo di spiegare tutto al meglio.
Scrisse
anche a suo cugino, chiedendogli di chiedere a Bruce di
chiamare il preside della scuola per spiegargli la sua situazione.
Aggiunse, in
un post scriptum, la buona notizia.
Dopodiché,
si fiondò nella doccia, a prepararsi per la serata. Accese
l’iPod e si buttò sotto l’acqua
bollente. Partì una delle sue canzoni
preferite, la colonna sonora del film “Anastasia”
(anche se era grandicella, lo
adorava, quel cartone).
We were strangers
Starting out on a journey
Never dreaming
What we'd have to go through
Now here we are
And I'm suddenly standing
At the beginning with you
Già, chi l’avrebbe mai detto
che tra lei e Garfield sarebbe finita così?
No
one told me
I was going to find you
Unexpected
What you did to my heart
When I lost hope
You were there to remind me
This is the start
Le aveva dato speranza quando non ne aveva
più, l’aveva capita e in breve
era entrato nel suo cuore, senza che lei se ne accorgesse minimamente.
Life is a road
And I want to keep going
Love is a river
I wanna keep flowing
Life is a road
Now and forever
Wonderful journey
Sperava che sua madre sarebbe migliorata. Non
vedeva l’ora di presentarle
Garfield, sarebbero andati d’accordo. Sì, le
sarebbe piaciuto vivere una nuova
avventura al fianco di quello strano ragazzo…
I'll
be there
When the world stops turning
I'll be there
When the storm is through
In the end I wanna be standing
At the beginning with you
Da lui poteva aspettarselo… Le sarebbe
rimasto accanto, le aveva già dimostrato
di essere in grado di farlo. Si fidava ciecamente di lui.
We were strangers
On a crazy adventure
Never
dreaming
How our dreams would come true
Now here we stand
Unafraid of the future
At the beginning with you
Con lui al suo fianco non aveva paura del futuro,
si sentiva fortissima e
in grado di salvare sua madre da qualunque pericolo.
Life is a road
And I want to keep going
Love is a river
I wanna keep flowing
Life is a road
Now and forever
Wonderful journey
Magari l’avrebbe accompagnata da sua
madre… No, non poteva chiedergli così
tanto. Un conto era lei che rinunciava al suo sogno, ma costringere
anche lui…
Avrebbe avuto il coraggio di chiederglielo?
I'll
be there
When the world stops turning
I'll be there
When the storm is through
In the end I wanna be standing
At the beginning with you
Avrebbero superato
quelle difficoltà. Quelle
e anche quel maledetto François che sembrava
volersi mettere in mezzo a tutti I costi. Antipatico.
I
knew there was
somebody somewhere
Like me alone in the dark
Now I know my dream will live on
I've been waiting so long
Nothing's gonna tear us apart
Alla fine, pensandoci, anche la vita di Garfield
non era stata facile. I suoi
genitori erano morti e lui era stato costretto a vivere da solo fin da
piccolo…
Lei, almeno, era stata accolta dai Wayne. Ma adesso si sarebbero fatti
compagnia a vicenda, ne era sicura.
Life is a road
And I want to keep going
Love is a river
I wanna keep flowing
Life is a road
Now and forever
Wonderful journey
Già poteva vederli, al college della
Juilliard, a realizzare i loro sogni…
Da quando era così romantica?
I'll
be there
When the world stops turning
I'll be there
When the storm is through
In the end I wanna be standing
At the beginning with you
Però non sarebbe stato male. No?
Life
is a road and I
wanna keep going
Love is a river I wanna keep going on....
Starting out on a journey
Life is a road and I wanna going
Love is river I wanna keep flowing
In the end I wanna be standing
At the beginning with you.
Le
note sfumarono e l’acqua calda pure, quindi la ragazza
uscì
velocemente dalla doccia e iniziò il lungo procedimento di
vestizione per la
serata.
|
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Capitolo 15 *** Every little thing she does is magic ***
Garfield era agitatissimo. Era
talmente agitato da non
riuscire a stare fermo, mentre Dimitri, santo ragazzo, cercava di
allacciargli
la cravatta.
«Se
non stai fermo, ti strangolo» lo minacciò.
«Ci
provo» gracchiò l’altro, riuscendo
nell’intento per ben cinque
secondi.
«Basta,
io ci rinuncio!» esclamò Dimitri, ingarbugliando
la
cravatta per l’ennesima volta nel giro di cinque minuti.
«Faglielo tu» aggiunse,
all’indirizzo di Kota, che guardava la scena divertito. Il
suo sorriso si
spense all’improvviso, davanti alla cortese offerta
dell’amico.
«Mi
spiace, ma non sono capace di annodare le cravatte»
dichiarò
il giapponesino.
Sia
Garfield che Dimitri lo guardarono con tanto d’occhi.
«Che
c’è?» chiese, sulla difensiva.
«Ehm…
Potrei farti notare, così, en passant, che stai indossando
una stramaledetta cravatta, perfettamente annodata?» rispose
Dimitri, iniziando
ad avere un tic nervoso all’occhio destro. Quei due
l’avrebbero fatto uscire matto
da lì.
«Oh»
fu tutto quello che poté dire il ragazzo, arrendendosi
all’evidenza
e accingendosi ad annodare la cravatta al suo amico.
Dopo
altri cinque minuti di tremori vari e maledizioni colorite,
finalmente la maledetta cravatta fu domata e Garfield era pronto per il
suo
appuntamento.
«Non
sembri nemmeno tu! Ma sei sicuro di non essere un alieno?»
esclamò Kota, soddisfatto, ammirando principalmente il
frutto delle sue
fatiche, ma concedendo all’amico di essere davvero elegante.
«In
realtà ancora non ci credo che stia succedendo proprio a
me…»
ammise Garfield, un po’ imbarazzato. Lui non stava per uscire
con Rachel Roth. Doveva
essere tutto un sogno, a momenti si sarebbe svegliato e tutto sarebbe
finito.
«Gar?»
«Cosa?»
domandò, riavendosi dai suoi pensieri.
«Sei
in ritardo» gli dissero in coro i due compagni di stanza,
pacifici come non mai.
Il
biondo si alzò e corse fuori dalla stanza, imprecando a gran
voce contro quei due maledetti.
Rachel
aspettava, fuori dalla sua stanza, che Garfield arrivasse.
Non aveva detto che sarebbe passato a prenderla alle sette e mezza?
Magari aveva
capito male lei, le aveva detto le otto e mezza… O le sei e
mezza? Lanciò un’altra
occhiata al cellulare: le 19.38. Sospirò sommessamente,
cercando di calmarsi. Era
tutto a posto, Garfield era solo un po’ in ritardo, come suo
solito. Quindi non
serviva a niente agitarsi. Sarebbe arrivato e sarebbero andati a cena
tranquillamente…
…
Prima della catastrofe imminente. No, non doveva pensare alla
partenza di Garfield per la Florida e nemmeno a sua madre.
In
quella, il telefono iniziò a squillare: era Richard. Col
cuore
in gola, rispose: «Pronto?»
«Ehi,
cuginetta! Pronta per la grande serata?» Suo cugino era
decisamente euforico, da quel che poteva sentire.
«Rich!
Come sta la mamma?» chiese, ignorando bellamente la
domanda.
«Volevo parlare di
te,
Rachel, per una volta… Comunque non sta né meglio
né peggio. I medici non sanno
più cosa pensare, non ci capiscono più nulla, ma
continuano a non darle grandi
aspettative. Mi dispiace.»
La
ragazza, sentendo la tristezza nella voce del cugino,
addolcì
un po’ il tono: «Presto sarò
lì anche io e allora sono sicura che andrà tutto
bene.»
«Ma
sarai lontana da Garfield. Proprio ora che vi siete avvicinati
così tanto…» le fece notare Richard.
«Lo
so. Io non vorrei lasciarlo ora, ma…»
«Ma
cosa, Rach?»
«Ma
se ne andrà lui. Ha detto che gli stanno facendo pressioni
dalla Florida per trasferirsi là e…»
«Sono
sicuro che troverà un modo per non andare. Lui ti adora,
Rachel, dal profondo del cuore. E non si lascerà certo
scoraggiare da una cosa
del genere. È più forte di quel che sembra,
fidati. E sono sicuro che ti
sorprenderà.»
«Rich?
Cosa sai che io non so? Richard?» lo interrogò la
ragazza,
insospettita. Che cosa le stava nascondendo, suo cugino?
«Assolutamente
nulla, buona serata, cuginetta!» E con questo le
mise giù il telefono.
Rachel
fissò rabbiosa lo schermo scuro del cellulare, masticando
due o tre insulti da scaricatore di porto. Quando alzò lo
sguardo, vide
Garfield che correva verso di lei, un’espressione di puro
terrore dipinta sul
viso.
«Scusa!
Sono in ritardo! Assolutamente, innegabilmente in ritardo!
Perdonami!» esclamò senza fiato, quando la
raggiunse.
Il suo
sguardo da cane bastonato non poté fare a meno di
intenerirla. «Nessun problema, Garfield.»
«Sono
un vero disastro!» si lamentò il ragazzo,
spettinandosi
tutti i capelli.
«Ahahah,
non è vero» ridacchiò lei, riuscendo
finalmente a
distoglierlo dalla sua depressione autoindotta. Al suono della sua
risata, il
morale del ragazzo si risollevò e con fare assai
cavalleresco le porse il
braccio.
«Prego,
signorina. Il ristorante aspetta solo noi.»
«Grazie
mille, signore» rispose lei, stringendosi a lui con
gratitudine. «A proposito, ti sta bene la cravatta. Ha un
nodo molto elegante.»
Garfield sobbalzò colpevole, prima di replicare:
«Grazie. Sai, sono un esperto
di nodi alle cravatte.» E si lanciò in una
dissertazione senza né capo né coda
sulla difficile arte di annodare le cravatte, mentre guidava la sua
dama verso
un ristorantino poco distante.
La
serata passò tranquillamente, senza che i due si trovassero
mai
a corto di argomenti: era come se stessero recuperando il tempo perduto
negli
anni in cui si erano praticamente ignorati. Garfield era curioso di
conoscere
Rachel e altrettanto lo era lei di conoscere lui. Fu quindi con vero
dispiacere
che abbandonarono il ristorante per tornare al dormitorio in tempo per
il
coprifuoco.
Giunsero
davanti alla scala del dormitorio femminile, tenendosi
per mano.
«Grazie
mille per la bella serata, Garfield» lo ringraziò
Rachel,
sorridendogli.
«Dici sul serio? Ti sei
divertita? Non sono stato
troppo invadente?» domandò lui, arrossendo come un
pomodoro.
«Garfield…»
«Cosa?»
domandò il ragazzo, guardandola con due occhi da cervo
illuminato dai fanali in mezzo ad un’autostrada.
«Andava
tutto benissimo. Non sei stato affatto invadente. Sei stato
dolcissimo. Grazie ancora» lo rassicurò la
ragazza, dandogli poi un leggero
bacio sulla guancia. «Buonanotte.»
«Buonanotte»
rispose lui, come in estasi, prima di avviarsi verso
la sua camera.
Quando
entrò nella stanza, i suoi compagni lo accolsero con un
interrogatorio talmente serrato che nemmeno il Mossad o il KGB. In
risposta
alle mille domande degli amici, Garfield cominciò a cantare:
Though I've tried before
to tell her
Of the feelings I have for her in my heart
Every time that I come near her
I just lose my nerve
As I've done from the start
«Oddio,
Garfield, che hai combinato?» domandò Dimitri,
prendendosi la testa fra le
mani, disperato.
Every
little thing she
does is magic
Everything she do just turns me on
Even though my life before was tragic
Now I know my love for her goes on
«Oh,
dai, è innamorato…» fece Kota, solidale.
Do
I have to tell the
story
Of a thousand rainy days since we first met
It's a big enough umbrella
But it's always me that ends up getting wet
«Beh,
effettivamente, da quel che ci hai detto, non era proprio uno
zuccherino, con
te…» ridacchiò Dimitri, ricevendo una
gomitata da Kota.
«Che
c’è? È
vero!» si difese, massaggiandosi il
braccio.
Every
little thing she
does is magic
Everything she do just turns me on
Even though my life before was tragic
Now I know my love for her goes on
«Sì, ma
quindi… Cosa avete
combinato?» chiese curioso il ragazzo russo.
I
resolve to call her up
a thousand times a day
And ask her if she'll marry me in some old fashioned way
But my silent fears have gripped me
Long before I reach the phone
Long before my tongue has tripped me
Must I always be alone?
«Ha
detto che dovreste restare amici?» domandò
preoccupato Kota.
Every
little thing she
does is magic
Everything she do just turns me on
Even though my life before was tragic
Now I know my love for her goes on
«Ragazzi,
è andata alla grande!» esclamò
Garfield, una volta conclusa
la canzone. «Resta però il problema che domani lei
partirà per Jump.»
«Cavolo,
è vero!»
«Eheheh,
ma io ho un asso nella manica, diciamo
così…» E con un
gesto che voleva essere elegante, ma che risultò piuttosto
goffo, il biondo
estrasse dalla tasca della giacca un biglietto aereo per…
«Jump
City? Torni anche tu in California?!?» esclamò
stupito Kota,
alzandosi di scatto dal suo letto per controllare da vicino il
biglietto che il
suo amico sventolava beatamente.
«Proprio
così. Le farò una sorpresa e andrò con
lei a Jump. Non può
farcela da sola. E vedrete che torneremo più forti di prima.
Ve lo garantisco»
raccontò il ragazzo, entusiasta.
«E
io ti garantisco che ti ucciderà, quando scoprirà
che sei
pronto a rinunciare a questa opportunità per lei»
commentò Dimitri.
«Perché
dovrebbe farlo? Lo faccio per lei!» obiettò
ingenuamente l’altro.
«Proprio
perché lo fai per lei. Non so se hai notato, ma non
è una
persona che dispensa amore ad ogni passo.»
«Sono
sicuro che capirà. E ora, buonanotte» chiuse il
discorso
Garfield, preparandosi per andare a dormire. Rachel avrebbe capito cosa
lo
spingeva a tornare in California con lei.
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Capitolo 16 *** I will always love you ***
«Ragazze,
allora io vado. Spero di rivedervi presto!» disse
Rachel, sulla soglia della camera, una mano poggiata sul trolley. Ines
e Clara
le si buttarono addosso e la strinsero in un abbraccio mozzafiato, che
la
ragazza ricambiò volentieri. Erano state insieme poco tempo,
ma erano diventate
delle buone amiche.
Con
ulteriori promesse di contatti e di incontri, le tre ragazze
si salutarono definitivamente. La porta dietro Rachel si chiuse
delicatamente e
lei respirò profondamente, gli occhi chiusi. Dopo un secondo
li riaprì, prese
la valigia e si diresse verso l’uscita del dormitorio, dove
l’aspettava uno dei
professori della scuola per accompagnarla all’aeroporto. Il
preside aveva
informato il corpo docenti della situazione e tutti avevano concordato
sull’urgenza
della ragazza di tornare in California il prima possibile.
Una
volta in aeroporto, Rachel si concesse una tazza di caffè da
Starbucks, insieme a uno dei loro strepitosi scones al cioccolato, in
vista
dell’intorpidimento delle papille gustative una volta in
volo. Quando l’annuncio
del suo volo riecheggiò in tutto l’aeroporto, la
ragazza era già in prima fila
davanti al gate. Aveva già avvisato suo cugino
dell’orario di arrivo e il
telefono era spento; le riviste necessarie a sopravvivere al volo erano
al
sicuro nella sua borsa e l’iPod bello carico. Sorrise
debolmente alla hostess
che le controllò il biglietto e camminò come in
sogno nel tunnel, fino al suo
posto. Con suo grande sconforto, si trattava di un posto accanto al
finestrino.
“D’altro canto, quando compri last minute, questo
è quello che c’è”
pensò,
sedendosi e allacciandosi subito la cintura. La prudenza non
è mai troppa.
La
ragazza guardò fuori dal finestrino, pensando a sua madre,
rivivendo tutta la sua infanzia… Non poteva credere che ora
stesse morendo. “Cos’è
questo pessimismo? Non morirà!” esclamò
la sua voce interiore. Si asciugò
rapida una lacrima che nemmeno si era accorta fosse scesa lungo la
guancia e
così facendo notò con la coda
dell’occhio il suo vicino di sedile.
«Garfield?!?»
quasi strillò la ragazza, strabuzzando gli occhi.
Il
ragazzo si limitò a farle un sorriso a trentadue denti.
Parecchie
teste si erano voltate verso di lei, quindi fu a denti
stretti che Rachel chiese: «Cosa ci fai qui? Pensavo di
averti detto…»
«So
cosa mi hai detto, ma non posso permetterti di andare da sola
fino a Jump. Hai bisogno di qualcuno che ti stia accanto»
rispose il ragazzo,
posando una mano sulla sua.
Rachel
spostò rapidamente la propria mano e lo fulminò
con lo
sguardo: «Ho già chi mi sta accanto, Garfield.
Richard è perfettamente in grado
di…»
«Richard
non è Superman, Rachel. Non può seguirti passo
passo, ha
anche lui la sua vita, l’anno prossimo andrà al
college e…»
«Cosa
stai cercando di dire, Garfield? Che per lui non sono altro
che un peso?» domandò con voce rotta la ragazza.
«No,
non volevo dire questo. Io…»
«Lascia
perdere. Non voglio più sentire una parola da te. Ti ho
raccontato tutto, ho pensato che tu potessi capirmi, mi sono
addirittura… No,
basta. Non voglio più vederti!» esclamò
Rachel, furibonda, alzandosi dal sedile
e incamminandosi nel corridoio.
Garfield
la guardò a bocca aperta, mentre parlava con
un’hostess e
poi seguiva la donna lungo le file di sedili, sparendo alla sua vista.
In
tutto questo, notò il ragazzo con amarezza,
l’aereo era
decollato e lei non se n’era nemmeno accorta.
Rachel
si sedette al suo nuovo posto, lontano da Garfield. Fortunatamente
c’era stata una disdetta dell’ultimo momento e si
era liberato un posto all’altro
capo dell’aereo. Anche questo era accanto al finestrino, ma
ormai il decollo
era passato. Si sarebbe posta il problema all’atterraggio.
Con sorpresa notò di
non essersi accorta che l’aereo si era sollevato.
“Tutta colpa di Garfield!”
pensò rabbiosa, stringendo le labbra per non mettersi ad
urlare.
La
donna al suo fianco, dopo averla fatta passare, si era
addormentata e Rachel stava meditando di imitarla. Peccato che il suo
cervello
non volesse saperne di spegnersi, anzi.
“Sono
stata troppo dura con lui? In fondo, l’ha fatto
perché mi
vuole bene… Però è anche vero,
maledizione, che sono stata chiara su questo
punto. Non doveva immischiarsi.”
Con un
gesto nervoso, cercò l’iPod nella borsa e si
infilò le
cuffiette, cercando di scaricare la sua rabbia nella musica.
Nello
stesso momento, Garfield si stava domandando se non fosse
stato troppo invadente. Rachel lo aveva quasi supplicato di non andare
con lei.
Però… Però non poteva lasciarla sola,
in un momento come quello. E poi,
insomma, non si era immaginato la sera prima, no? Erano usciti insieme, erano
stati bene… Si erano baciati, per l’amor del
cielo! Era palese che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei…
Con un
sospiro, accese l’iPod e chiuse gli occhi.
Dai
due apparecchi si diffusero le stesse note e ognuno dei due
ragazzi non poté fare a meno di pensare all’altro.
If I should stay
I would only be in your way
So I'll go but I know
I'll think of you every step of the way
“Cosa pensava che avrei fatto? Che mi
sarei tirato indietro?” pensò Garfield, perso
nella musica.
“Cosa mi aspettavo da lui? Non
è un
caso che sia l’unico a sapere della mamma, oltre a
Richard… Forse ho fatto male
ad allontanarlo così?” rifletté Rachel,
guardando le nuvole sotto di lei.
And
I... will always love you, ooh
Will always love you
You
My darling, you...
Mmm-mm
“In
realtà, sai cosa? Non me ne importa niente se ha deciso
così. Non sono
scappato fino ad ora e non lo faro adesso.
Lei è la ragazza dei miei sogni, non posso perderla
così!”
“Perché in fondo con lui provo
delle
sensazioni nuove. Non posso certo dimenticarmi di quel
bacio…”
Bittersweet
memories
That is all I'm taking with me.
So good-bye.
Please don't cry:
We both know I'm not what you, you need
“Già, io non sono quello di
cui lei ha
bisogno. Ha bisogno di una figura forte, come Richard. Qualcuno su cui
può
contare sempre.”
“Io non ho bisogno di lui. Io non ho
bisogno di nessuno. La mamma se la caverà e vivremo insieme,
solo io e lei!”
And
I... will always love you
I... will always love you
You, ooh
I hope life treats you kind
And I hope you have all you've dreamed of
And I wish you joy and happiness
But above all this I wish you love
“Cosa mi interessa di più? Che
lei sia
felice. E quindi devo lasciare che si allontani da me. È per
sua madre, non per
il primo che passa per strada. Quello è l’amore di
cui ha bisogno.”
“Finché è durato
è stato bello, ma non
posso continuare a stare con lui e rovinargli la vita. Lui ha bisogno
di essere
felice e io non sono certo la chiave di questa
felicità.”
And I... will always love you
I will always love you
I will always love you
I will always love you
I will always love you
I, I will always love you.
You.
Darling, I love you.
I'll always...
I'll always love you.
Ooh
Ooh
“Gli
voglio bene. Tanto bene. Ma questo non gli dà il permesso di
comportarsi in questa maniera. Basta, ho chiuso con lui. Rachel,
smettila di
pensarci!”
E con
questi pensieri, Rachel chiuse gli occhi e si addormentò.
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Capitolo 17 *** Wonderwall ***
«Rachel!
Bentornata, tesoro!»
«Ciao,
zia!» Rachel abbracciò affettuosamente Selina,
prima di
salutare anche lo zio e il cugino.
Cugino
che guardò per qualche secondo alle spalle della ragazza,
prima di esordire con: «Ma quello non è
Garfield?»
Selina
si voltò di scatto: «Quel povero ragazzo? Rachel,
non mi
avevi detto che sarebbe venuto anche lui! Dobbiamo assolutamente
invitarlo a
cena, povero caro!»
«No, zia. Non
dobbiamo. E non
è lui. Andiamo» decretò la ragazza,
lapidaria.
«Rach,
giuro che non ho le traveggole. Quello è
proprio…»
«Andiamo»
ripeté la ragazza, raccogliendo il trolley dal pavimento
e dirigendosi verso l’uscita dell’aeroporto. Ai
Wayne non restò altro da fare
che seguirla, nonostante la confusione che era chiaramente leggibile
sui loro
volti.
Garfield
guardò Rachel allontanarsi a passo di marcia e i Wayne
seguirla dopo un attimo. Si attardò a recuperare il proprio
bagaglio, poi
estrasse il telefono dalla tasca.
«Tara?»
Rachel
si fece una rapida doccia e dopo un pasto altrettanto
veloce, sotto l’occhio vigile della zia, era pronta per
andare in ospedale. Richard
deglutì l’ultimo boccone di insalata e la
seguì fuori.
I
Wayne li salutarono dalla porta e quando furono fuori vista, il
ragazzo si rivolse alla cugina: «Rachel, quello era
Garfield.»
Rachel non rispose, limitandosi a
guardare il familiare
paesaggio scorrere fuori dal finestrino.
«Che
cosa ci faceva in aeroporto? E soprattutto, cosa è successo
tra di voi? L’ultima volta che ti ho sentito, stavi uscendo
con lui» continuò
il ragazzo, senza la minima intenzione di mollare l’osso.
Una
lacrima scivolò lungo la guancia della ragazza, che tuttavia
rimase in silenzio.
«Rachel.
Cosa è successo?» chiese Richard, fermando la
macchina e
voltandosi a guardare la cugina, che in tutta risposta gli si
gettò tra le
braccia, piangendo come l’aveva vista fare poche volte. La
strinse forte e
lasciò che si sfogasse.
Dopo
qualche minuto, la ragazza si ricompose e lo lasciò libero.
Lui
la guardò e a un suo cenno si rimise in carreggiata, in
direzione dell’ospedale,
in silenzio.
Silenzio
che fu rotto proprio da Rachel: «Ha lasciato la Juilliard
per seguire me. Per me, capisci? Non posso crederci.
L’occasione della sua vita
e lui la spreca per me!»
«Anche
tu hai lasciato la Juilliard.»
«Per
un valido motivo. Lui no.»
«Chi
ti dice che per lui tu non sia un altrettanto valido motivo?»
Rachel
tacque, scuotendo la testa.
«Rach,
quel ragazzo ti ama. Probabilmente ancora non lo sa, ma ti
ama dal profondo, quanto tu ami la zia. E anche tu provi qualcosa di
forte per
lui, altrimenti non ti saresti mai arrabbiata così tanto e
lo sai bene quanto
me.»
«Io…»
iniziò la ragazza, ma si bloccò, la voce rotta da
altre
lacrime. Si passò velocemente le maniche della felpa sulle
guance, prima di
continuare. «Io sono responsabile per tutto questo. Per la
mamma, per Garfield,
per te…»
«Cosa
c’entro io? Sono tuo cugino, sono la famiglia. Ti conosco da
sempre e ti voglio bene come a una sorella. E la zia non è
in ospedale per
colpa tua, ma per colpa di quell’uomo.»
«Quell’uomo
ce l’aveva con me! La mamma voleva difendere me!»
«Quell’uomo
ce l’aveva principalmente con se stesso! Come si spiegano,
altrimenti, le quantità di alcol e droga che si metteva in
corpo? Non darti
colpe che non hai, Rachel!»
«Ma
se io non ci fossi stata…»
«Se
tu non ci fossi stata, io non avrei avuto la migliore amica
che si possa desiderare. Garfield non sarebbe entrato nel club di coro
e si
sarebbe messo con Tara. Selina e Bruce starebbero ancora trattando con
un
ragazzo difficile.»
«Ma
la mamma starebbe bene.»
«Forse.
Ma forse no. Chi sa cosa avrebbe potuto combinare quell’uomo,
anche se tu non ci fossi stata, Rachel. Anzi, soprattutto in quel
caso.»
«Richard…»
«Non
capisci, Rach? È un bene che tu ci sia. Hai aiutato tante
persone, senza nemmeno accorgertene. Sei la cosa migliore nella vita di
molti
di noi.»
Rachel
tacque di nuovo, guardando per un attimo il cugino alla
guida.
Qualche
minuto dopo, con gli occhi lucidi, mormorò:
«Grazie, Rich.»
«Non
dirlo nemmeno. Grazie a te. E ora andiamo dalla zia»
ribatté
il ragazzo, parcheggiando all’ospedale.
«Signorina
Roth? Sua madre è da questa parte» le disse un
medico,
riconoscendola. La guidò verso una stanza che non ricordava
di aver mai visto. L’uomo
parve notare la sua confusione, perché si
affrettò a spiegare: «L’abbiamo
spostata nel nostro reparto speciale, ma temo che sarà tutto
inutile. La situazione
è critica e non posso prometterle che andrà tutto
bene.»
La
ragazza respirò profondamente, poi strinse forte la mano di
Richard. Lui gliela strinse in risposta, poi i ragazzi entrarono nella
stanza.
La
situazione era mille volte peggio di quel che Rachel si era
immaginata. Sua madre era ormai poco più di uno scheletro ed
era letteralmente
tenuta in vita dai macchinari che la circondavano. Il battito del cuore
era
quasi inesistente.
Rachel
corse al fianco della madre e prese delicatamente una mano
scheletrica tra le sue. Posò un bacio sulla guancia
incavata, poi iniziò a
parlare piano, a bassa voce, in romeno.
Richard
uscì discretamente dalla camera, seguito dal medico. Rachel
aveva bisogno di quel poco tempo che le restava con la madre.
Un
quarto d’ora dopo, Rachel uscì dalla stanza con
una calma
innaturale. Ignorò il cugino e si rivolse direttamente al
medico: «Credo… Credo
che sia morta, signore.»
Il
medico si precipitò nella camera, dalla quale
uscì dopo qualche
secondo con un’aria grave. Annuì una sola volta e
allora Rachel sembrò capire
veramente quello che era successo. Si accasciò tra le
braccia del cugino, priva
di sensi. Il ragazzo la appoggiò con delicatezza su una
sedia, gli occhi pieni
di lacrime.
Il
dottore soccorse Rachel, poi, constatato che si era ripresa,
almeno fisicamente, lasciò i due ragazzi da soli con il loro
dolore.
Dopo
un tempo che parve eterno, la ragazza alzò lo sguardo sul
cugino: «Dobbiamo avvisare la zia. E preparare il funerale.
E…»
«E
tornare a casa. Per il momento abbiamo bisogno solo di
questo»
rispose il ragazzo, aiutandola ad alzarsi e muovendosi verso
l’ascensore.
Il
viaggio in macchina fu incredibilmente silenzioso.
Tre
giorni più tardi, i Wayne, Rachel e i loro amici erano al
cimitero di Jump City. Mentre il prete officiava, lo sguardo di Rachel
rimase
fisso sulla bara della madre. Legno semplice, eppure forte, proprio
come la
donna che era stata Arella.
Richard
le pose un braccio intorno alla spalla, con fare
protettivo, mentre la bara veniva calata nella fossa. I due ragazzi
gettarono
la prima, simbolica, manciata di terra, lasciando poi ai becchini il
resto.
Terminata
la triste operazione, i ragazzi e i Wayne fecero per
andare, ma Rachel parlò per la prima volta da tre giorni:
«Vorrei… Vorrei
cantare qualcosa. La canzone preferita della mamma.»
I
presenti quasi sorrisero: finalmente Rachel sembrava mostrare
interesse per qualcosa. Negli ultimi tre giorni era stata il fantasma
di se
stessa e solo le cure amorevoli degli zii e di Richard
l’avevano salvata da un
tracollo fisico.
La
ragazza si guardò rapidamente intorno, poi
attaccò a cantare.
Today is gonna be the
day
That they're gonna throw it back to you
By now you should've somehow
Realized what you gotta do
I don't believe that anybody
Feels the way I do, about you now
Back beat, the word was
on the street
That the fire in your heart is out
I'm sure you've heard it all before
But you never really had a doubt
I don't believe that anybody
Feels the way I do about you now
Selina scoppiò a piangere e
abbracciò la nipote,
che si interruppe per un momento, sopraffatta dall’emozione.
La zia aveva perso
una sorella, lei una madre.
And all the roads we
have to walk are winding
And all the lights that lead us there are blinding
There are many things that I
Would like to say to you but I don't know how
Because maybe, you're
gonna be the one that saves me
And after all, you're my wonderwall
Rachel si appoggiò alla lapide della
madre,
stringendola in una sorta di abbraccio. Sua madre era stata la sua
forza e
avrebbe continuato ad esserlo, per sempre.
Today was gonna be the
day
But they'll never throw it back to you
By now you should've somehow
Realized what you're not to do
I don't believe that anybody
Feels the way I do, about you now
A questo punto della canzone, la ragazza
lanciò un’occhiataccia
in direzione di Tara, praticamente appiccicata al braccio di Garfield.
Da quando
era tornato da New York e le aveva chiesto di andare a prenderlo in
aeroporto
era diventata la sua ombra, convinta che ormai tra lui e Rachel fosse
tutto
finito.
And all the roads that
lead you there are winding
And all the lights that light the way are blinding
There are many things that I
Would like to say to you but I don't know how
Rachel si alzò da terra, incurante del
terriccio
che le si era attaccato alle calze velate e iniziò a
camminare verso Garfield,
senza smettere di cantare.
I said maybe, you're
gonna be the one that saves me
And after all, you're my wonderwall
I due ragazzi erano uno di fronte
all’altra e Tara
batté in ritirata.
I said maybe, you're
gonna be the one that saves me
And after all, you're my wonderwall
Rachel gettò le braccia
al collo di Garfield,
stringendolo come se non ci fosse un domani o come se lui potesse
scappare da
un momento all’altro.
Il ragazzo restituì
l’abbraccio con forza superiore.
I said maybe, you're
gonna be the one that saves me
You're gonna be the one that saves me
You're gonna be the one that saves me
I due si guardarono, poi Rachel
stupì tutti quanti,
baciandolo sulle labbra.
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Capitolo 18 *** Carry on wayward son ***
Rachel e Garfield si separarono
lentamente.
La
ragazza lo
guardò e gli sussurrò:
«Mi dispiace.»
Lui le
sorrise debolmente e rispose: «Anche a me.»
I due si abbracciarono, nel
silenzio più totale.
Finché Tara non
iniziò ad urlare come una pazza.
«Garfield!
Cosa stai facendo?!? Allontanati subito da lui, brutta…
Brutta strega che non
sei altro!» E si avventò su Rachel, tirandole i
capelli e allontanandola a
forza da Garfield, che rimase a guardare le due ragazze con uno sguardo
che
definire stupito sarebbe riduttivo. Anche gli altri ragazzi rimasero
per un
attimo disorientati, ma in un batter d’occhio Richard e Garth
erano nella
mischia a tentare di separare le due ragazze, che ormai si stavano
accapigliando che nemmeno nei peggiori bar di Caracas… Dopo
aver guadagnato un
paio di cazzotti ciascuno e anche un graffio piuttosto profondo
(maledetta
manicure), i due ragazzi riuscirono ad allontanare le ragazze e a
tenerle a
distanza di sicurezza l’una dall’altra.
«Rachel,
basta! Calmati!» esclamò Richard, tenendo ferma la
cugina,
che si dibatteva tra le sue braccia come un pesce all’amo.
«Lasciami
andare, Richard! Devo staccarle la testa dal collo!» si
ribellò la ragazza, cercando di graffiarlo per liberarsi e
guardando malissimo
Tara.
Che a
sua volta stava seriamente attentando alla vita di Garth,
strillando a pieni polmoni: «Voglio vedere! Voglio proprio
vedere cosa mi fai! Lasciala
andare, Richard! Lascia che la povera, piccola Rachel venga
qui…»
A quel
punto, Bruce Wayne ritenne opportuno intervenire:
«Signorina,»
esordì con la sua voce profonda, rivolto a Tara.
«Non so cosa tu abbia in
mente, ma siamo in un cimitero e mia nipote è in un delicato
stato psicologico.
Ti sarei molto grato se tenessi per te tutto questo rumore. Se
è tua intenzione
continuare a minacciare mia nipote, ritengo che tu debba andartene in
questo
momento. Quanto a te, Rachel» e si volse verso la ragazza,
che ormai si era
arresa alla forza del cugino «ti prego di controllarti. Tua
madre non vorrebbe
vederti così, lo sai. Capisco perfettamente il tuo stato
d’animo, ma non ti
abbiamo cresciuto come una selvaggia. E ora andiamocene, abbiamo dato
spettacolo a sufficienza.» Si scusò brevemente con
il sacerdote, che aveva
assistito alla scena con due occhi grandi come piattini, e si
allontanò con la
moglie.
Richard
liberò la cugina dalla sua stretta e tenendole un braccio
attorno alle spalle la guidò verso la macchina. Garth
liberò Tara, o meglio,
Tara si liberò dalle braccia del ragazzo e si
allontanò fumante di rabbia,
senza nemmeno salutare.
«A
quanto pare» ruppe il silenzio Roy, guardandola andare via
«qualcuno
mi deve dei soldi.» Guardò Victor con sguardo
ammiccante e tese una mano verso
di lui. il ragazzo sospirò, ma mise mano al portafogli. Una
scommessa è una scommessa.
«Harper,
sei davvero privo di ogni tatto» commentò Antonia
con un
verso di disgusto.
«Ignoralo,
Toni. Andiamo, voglio passare da Rachel» le disse
Jessica, prendendo l’amica sotto braccio e dirigendosi verso
l’auto. Karen rifilò
una gomitata a Victor e lo trascinò dolorante verso la sua
auto. Roy intascò i
soldi tutto soddisfatto e quando si accorse dello sguardo penetrante di
Garth
replicò: «Che c’è? Una
scommessa è una scommessa.»
«Sei
un cretino, Roy» dichiarò il ragazzo dai capelli
scuri. «Ora
muoviti, o ti lascio a piedi.» Il rosso si
affrettò dietro l’amico, lasciando
solo Garfield e Kori.
Garfield
era ancora pietrificato, non riusciva a capacitarsi di
quello che era appena accaduto davanti ai suoi occhi. Kori gli si
avvicinò
lentamente, posandogli con delicatezza una mano sulla spalla.
«Gar, tutto
bene?» domandò,
esitante.
«Si
sono picchiate… Per me» rispose con un tono
trasognato il
biondo, riscuotendosi finalmente dallo stato catatonico in cui versava.
«Questa
è l’unica cosa a cui riesci a pensare?»
chiese
scandalizzata la ragazza, ritirando la mano e alzando il tono di voce.
Non ci
poteva credere! Lei si era preoccupata per lui e tutto quello a cui lui
riusciva a pensare era quello?!? Si trattenne dal
prenderlo a sberle
solo grazie al suo elevato autocontrollo.
«No,
no! Non volevo dire… Io… Cioè,
insomma…» cercò di rimediare il
ragazzo, ingarbugliandosi ancora di più.
«Sono
contenta per te e Rachel, lo sono veramente. Ma devi
dimostrarmi che tu sei forte abbastanza per lei. Devi essere in grado
di
proteggerla, non come è successo oggi con Tara. Tu non hai
mosso un dito, sono
dovuti intervenire Richard e Garth e…»
«Kori,
lo so.»
«Allora
vai da lei. Ha bisogno di te.»
«Sì.
Vado. Grazie mille!»
Il
ragazzo cominciò a correre verso l’uscita, ma dopo
pochi metri
si fermò e si voltò verso l’amica.
«Kori…
Non è che mi daresti un passaggio?»
La
ragazza si batté una mano sulla fronte e sorrise…
Garfield non
sarebbe mai cambiato!
«Salve, signora Wayne.
Rachel è in casa?»
«È al piano di sopra,
Garfield. Accomodati.»
«Grazie. Permesso.»
Toc
toc.
«Vai
via, Richard!»
«Rachel, sono
io…»
«Garfield?»
Carry on my wayward son
There'll be peace when you are done
Lay your weary head to rest
Don't you cry no more
Due giorni dopo, Rachel tornò a scuola,
per la gioia dei suoi amici.
Ah
Passava la maggior parte del suo tempo con
Garfield, mano nella mano o
semplicemente nelle sue immediate vicinanze. Il ragazzo le sorrideva
ogni volta
che lo sguardo della ragazza si posava su di lui e faceva di tutto per
far sorridere
anche lei.
Once
I rose above the
noise and confusion
Just to get a glimpse beyond this illusion
I was soaring ever higher, but I flew too high
Con Tara la cosa si risolse piuttosto
semplicemente, a dire la verità. Garfield
le parlò in privato durante una pausa pranzo e la ragazza fu
vista scappare di
corsa dalla mensa, furente.
Though
my eyes could see
I still was a blind man
Though my mind could think I still was a mad man
I hear the voices when I'm dreaming,
I can hear them say
Rachel e Garfield si concessero un pomeriggio per
parlare di loro, davanti
ad una tazza del tè preferito di Rachel.
«Garfield, grazie per
essermi accanto in
questo momento. Con la mamma che… Che non
c’è più, Richard che sta studiando
come un matto per il college e tutto… Sei la mia salvezza. Grazie a te sento
che posso farcela.»
«Non dirlo nemmeno. So cosa
significa perdere i genitori ed è grazie alla tua presenza
se sono riuscito ad
arrivare fino ad oggi. È da quando siamo piccoli che ti
ammiro e pian piano
questo sentimento è diventato, beh, è diventato
amore.»
Carry
on my wayward son,
There'll be peace when you are done
Lay your weary head to rest
Don't you cry no more
«So
che è ancora presto per dirlo, ma io ti voglio tanto bene
Rachel. Con il tempo,
sono sicuro che riuscirò anche a dirti…»
«Non dirlo adesso.
Aspetterò quel momento.
E nel frattempo… Nel
frattempo cercherò di reagire e di essere la ragazza
perfetta
per te.»
Masquerading
as a man
with a reason
My charade is the event of the season
And if I claim to be a wise man,
Well, it surely means that I don't know
«Tu
sei già la ragazza perfetta per me.»
«Non puoi saperlo. Non ora. Non
sei così saggio.»
On
a stormy sea of
moving emotion
Tossed about, I'm like a ship on the ocean
I set a course for winds of fortune,
But I hear the voices say
«Per
il momento, direi che siamo alla deriva nell’oceano dei
nostri sentimenti. Ma ce
la faremo, Garfield.»
Carry
on my wayward son
There'll be peace when you are done
Lay your weary head to rest
Don't you cry no more no!
«Certo che ce la
faremo.
Alla fine ci aspetta la
felicità.»
Carry
on,
You will always remember
Carry on,
Nothing equals the splendor
Now your life's no longer empty
Surely heaven waits for you
«Grazie per fare
parte
della mia vita. Sei la mia
parte mancante.»
«E tu sei la mia. Sono fortunato ad
averti trovato.»
Il ragazzo le strinse la mano e le posò
un bacio delicato sulla tempia.
Carry
on my wayward son
There'll be peace when you are done
Lay your weary head to rest
Don't you cry,
Don't you cry no more,
«Però
prometti di non piangere più?»
«
No more!»
|
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Capitolo 19 *** Fighter ***
«Rachel,
Garfield, potreste fermarvi un attimo, dopo la fine della
lezione?» domandò il professore di coro ai due
ragazzi, quando li vide entrare
mano nella mano nell’aula dedicata al club. I due annuirono e
presero posto in
prima fila, dove furono subito attorniati dai compagni, curiosi di
sapere come
era andata alla Juilliard. Fu con non poca difficoltà che il
professore riuscì
a riportare la calma nella classe e ad iniziare la lezione. Non fece
alcun
commento sull’assenza di Tara, che si era ritirata dal club
il giorno stesso
del rientro a scuola di Rachel.
«Ragazzi,
ho parlato con il mio amico alla Juilliard. Ha parlato
con il rettore e… Purtroppo non potrete riprendere i corsi a
New York. Non
quest’anno, se non altro. Ma i docenti erano soddisfatti di
voi e nessuno può
negare il vostro talento» spiegò il professore,
guardando con gravità i due
ragazzi. Gli dispiaceva che non potessero approfittare
dell’opportunità quasi
unica che gli era stata offerta, ma fortunatamente alla Juilliard erano
riusciti a trovare una soluzione. Fu quindi con un sorriso che
proseguì: «Per
questo motivo, potrete tornare alla Juilliard… Durante il
periodo invernale. Si
tratterebbe di partire a dicembre di quest’anno, fino alla
fine di febbraio
dell’anno prossimo. Per voi andrebbe bene?»
I due
ragazzi si guardarono increduli, guardarono l’insegnante e
si guardarono di nuovo. Dopodiché esplosero in un
“urrà” di gioia e si
abbracciarono entusiasti, continuando a ripetere “torneremo
alla Juilliard!”
per convincersi che non si trattava di uno scherzo.
Il
professore li guardò e sorridendo disse: «Lo
prendo per un sì.
Comunicherò al mio amico che accettate la proposta.
Più tardi contatterò anche
le vostre famiglie. E ora potete andare.»
I due
quasi si inchinarono davanti all’insegnante e poi corsero
fuori dall’aula per annunciare (di nuovo) la lieta notizia ai
loro amici.
Il
professore li guardò sorridendo e scuotendo la testa.
“Questi
due faranno grandi cose” pensò.
«Richard!
Vado a New York!» esclamò Rachel, saltando al
collo del
cugino.
Detto
ragazzo la abbracciò di riflesso, ma i suoi occhi azzurri
esprimevano confusione: «Ho un senso di
déjà vu…»
La
ragazza ridacchiò piano, prima di lasciarlo andare e
spiegargli
la faccenda: «La Juilliard non può riammetterci ai
corsi di questo trimestre,
ma ci hanno preso a quelli invernali! Da dicembre a febbraio saremo di
nuovo a
New York! Alla Juilliard! E l’hanno proposto loro! Non
è un sogno?»
«Quindi
ci abbandoni di nuovo?»
«Non
fare tutte queste scene, tu sarai al college!»
«E
a Bruce e Selina non pensi?»
«Lo
zio e la zia non vedranno l’ora di avere casa libera,
credimi!»
«Non
posso che darti ragione» rise Richard.
«Sarà il caso di
avvisare anche gli altri, così potranno prepararsi
psicologicamente alla tua
partenza.»
«Alla
nostra, vorrai dire» lo corresse Rachel, indicando con un
cenno della mano lei e Garfield.
«Certo!
Gar lo sa che non mi sarei mai dimenticato di lui» si
difese il ragazzo, sorridendo al più giovane, che sorrise di
rimando.
«Andiamo
al bar? Gli altri ci stanno aspettando, non staranno
nella pelle per le novità» domandò poi
Richard, facendo qualche passo verso
l’uscita.
«Vi
raggiungiamo più tardi, va bene?»
domandò Rachel, rimanendo
ferma sul posto.
«Ma
ceeeeeeeerto! I due piccioncini vogliono un po’ di privacy!
Bastava dirmelo subito, Rach, me ne sarei andato, invece di fare il
terzo
incomodo!» scherzò il ragazzo, schivando il
pacchetto di fazzoletti che la
cugina gli lanciò dietro e correndo allegramente verso il
parcheggio.
«Che
stupido» commentò la ragazza, guardandolo
andarsene e poi
voltandosi verso il suo ragazzo. Ragazzo che le chiese, incuriosito:
«Che c’è,
Rae? Qualcosa non va?»
«Dimmelo
tu. Hai più saputo niente per la Florida?»
domandò a
bruciapelo la ragazza, ignorando il ridicolo soprannome con cui lui
insisteva a
chiamarla.
Il
ragazzo si rabbuiò: «Ho sentito Rita. Ha detto che
Mento
insiste che io vada là. Allora ho telefonato a lui
direttamente e siamo
riusciti ad arrivare ad un compromesso. Dovrò andare in
Florida in questi tre
mesi, ossia il tempo che avrei trascorso a New York. Tornerei in tempo
per
l’inizio della scuola e non sarebbe per tanto.»
«Quindi…
Quindi devi andare per forza? Dovremo stare separati per tre
mesi?» rispose lei, dopo un lungo silenzio.
«In
realtà, se per te non è un problema, vorrei che
mi
accompagnassi. Saresti ospite dei miei parenti, non ci sarà
alcuna spesa e
anche il biglietto dell’aereo lo pagherò io
e…» Venne interrotto dalle labbra
di Rachel sulle sue. La ragazza lo strinse a sé,
intrecciando le mani tra i
suoi capelli e stringendolo a sé con una forza che nemmeno
sospettava che
avesse.
Dopo
un tempo che parve infinito, la ragazza si staccò e,
rimanendo sempre abbracciata a lui, gli sussurrò con voce
rotta dalle lacrime:
«Certo che ci vengo, Gar. Certo che vengo. Grazie, grazie
davvero.»
«Ci
speravo proprio» replicò lui, facendola sorridere
e
strappandole un altro bacio appassionato.
Quella
sera a cena, Rachel non stava più nella pelle: aveva due
notizie bomba da dare e non sapeva con quali iniziare.
Per
sua fortuna, suo cugino non era una persona molto per la quale
e subito dopo essersi seduto a tavola esordì con:
«Rach tornerà a New York!»
Gli
zii guardarono la nipote in cerca di conferme e la ragazza non
poté che annuire. «Il professore ha parlato con la
Juilliard: non possono
accettarci per i corsi di questo trimestre, ma possiamo partecipare a
quelli
invernali, da dicembre a febbraio. Inoltre,»
continuò, prima di essere
interrotta dagli zii, che già stavano per dire qualcosa.
«Inoltre, Garfield
deve andare dai suoi parenti in Florida, quest’estate.
E… Mi ha invitato ad
andare con lui. Posso?»
Questa
notizia colse di sprovvista anche Richard, che la guardò
incredulo insieme ai genitori adottivi.
«In
Florida? Rachel, tesoro, sei sicura?» domandò
Selina.
«Sì,
zia. Mi ha invitato e io… Io ci vado. Non posso stare tre
mesi senza di lui, non saprei cosa fare…»
«Lo
ami così tanto, tesoro?» chiese la donna,
ignorando i due
uomini di casa, che stavano cercando in tutti i modi di non ascoltare
quei
discorsi così imbarazzanti.
Rachel
si morse un labbro, pensosa, ma quando rispose alla zia la
sua voce era ferma: «Sì. Se non ci fosse stato
lui, non sarei arrivata ad oggi,
dopo la morte della mamma.» Si fermò un istante
per ricacciare indietro le
lacrime, poi proseguì: «E poi… E poi
adesso è lui ad aver bisogno di me. Devo
stargli accanto, per quanto mi è possibile.»
Selina
si alzò dal suo posto, gli occhi lucidi e
abbracciò la
nipote, che ricambiò a sua volta. Le due donne rimasero
abbracciate qualche
secondo, poi Richard e Bruce le raggiunsero, per un caloroso abbraccio
di
famiglia. I pensieri di Rachel volarono a sua madre, per poi rivolgersi
verso
Garfield. Da quando erano morti i suoi genitori non aveva
più conosciuto il
calore di una famiglia, viveva da solo e anche quella sera sarebbe
stato solo,
in una casa troppo grande per un ragazzino di quindici anni…
Quando
l’abbraccio si sciolse e la famiglia tornò a
sedersi, la
ragazza si rivolse al cugino: «Richard, dopo mi puoi
accompagnare da Garfield?
È anche probabile che io dorma lì.»
Richard
quasi si strozzò con un boccone di pane, ma annuì
e con
naturalezza il discorso generale si concentrò su
tutt’altro.
«Chi
sarà a quest’ora? Sto arrivando!»
esclamò Garfield, uscendo
di corsa dal bagno e avvolgendosi una salvietta attorno alla vita nel
tragitto
fino alla porta. Era appena entrato in doccia, figurarsi se non
arrivava
qualcuno a disturbare!
«Chi
è che scocc… Rachel!»
«Garfield.
Forse non è un buon momento?» domandò
impassibile la
ragazza, squadrandolo.
«No,
certo che no! Vieni, entra, io vado… Solo un attimo,
eh?»
borbottò lui, rosso come un pomodoro, facendola entrare e
diventando ancora più
rosso quando vide che Richard era ancora in macchina e che poteva
vedere tutto.
Fece un debole cenno di saluto e chiuse la porta, sperando di poter
sprofondare
nel pavimento.
Dopo
una rapida sortita in bagno per finire di lavarsi e vestirsi,
il ragazzo raggiunse la sua ragazza nel salotto, dove si era accomodata
sul
divano con una rivista in mano.
«Ehm…»
esordì brillantemente.
Lei lo
guardò incuriosita.
«Vuoi
qualcosa da bere?» chiese il ragazzo.
«Un
bicchiere d’acqua, grazie» rispose lei, guardandolo
andare in
cucina.
Garfield
aprì il frigorifero e prese la brocca dell’acqua.
La stava
versando in un bicchiere, quando sentì le braccia di Rachel
stringersi intorno
al suo petto. Per la sorpresa, la mano si mosse di scatto e
l’acqua finì sul
bancone.
«Rach…»
«Sssssh.
Non ora.»
Il
ragazzo rispettò la sua richiesta e tacque, poggiando le
mani
su quelle della ragazza e beandosi della sensazione del suo corpo
contro il
proprio.
Dopo
qualche minuto, in perfetta sincronia, i due ragazzi si
spostarono sul divano.
«Allora,
perché sei venuta fin qui?»
«Perché
sentivo che ne avresti avuto bisogno. Sei sempre qui da
solo e io sono sempre a casa mia, circondata dal calore della mia
famiglia,
soprattutto adesso che la mamma non c’è
più, ma tu non hai mai avuto tutto
questo…»
Garfield
sentì gli occhi diventargli umidi in una maniera assai
poco virile e strinse ancora più forte la mano di Rachel.
«Grazie» riuscì a
bisbigliare.
Lei
ricambiò la stretta e dopo qualche altro momento di
silenzio,
disse: «Però hai degli asciugamani piuttosto
carini, sai?»
«Me
li ha regalati mia zia per Natale. Quando avevo otto anni»
ringhiò tra i denti il ragazzo, vergognandosi come un cane.
Rachel
si lasciò andare ad una risata leggera, come se ne sentivano
poche da parte sua. Garfield la guardò e poi decise di
renderle pan per
focaccia: «Parliamo invece del tuo accappatoio rosa?»
«Per
favore. Sappiamo tutti e due che non stavi guardando quello
ma le mie gambe» ribatté lei, guardandolo
arrossire.
«Colpito
e affondato» ammise lui, riconoscendo la sconfitta.
«Che
dici, mettiamo su qualcosa?» cambiò repentinamente
argomento, alzandosi per
prendere il telecomando. Accese su un canale musicale e delle note
conosciute
si diffusero nell’aria…
After all you put me through
You'd think I'd despise you
But in the end I want to thank you
'Cause you made me that much stronger
Rachel era partita in automatic e
aveva pronunciato la strofa di aperture con un tono
talmente…
“Sexy”
pensò Garfield,
guardandola come se la vedesse per la prima volta.
When
I, thought I knew you
Thinking, that you were true
I guess I, I couldn't trust
Called your bluff, time is up
'Cause I've had enough
You were, there by my side
Always, down for the ride
But your, joy ride just came down in flames
'Cause your greed sold me out of shame, mmhmm
I due erano in perfetta sintonia e la
musica li avvolgeva completamente.
After
all of the stealing and cheating
You probably think that I hold resentment for you
But, uh uh, oh no, you're wrong
'Cause if it wasn't for all that you tried to do
I wouldn't know just how capable I am to pull through
So I wanna say thank you
'Cause it makes me that much stronger
Makes me work a little bit harder
It makes me that much wiser
So thanks for making me a fighter
Made me learn a little bit faster
Made my skin a little bit thicker
Makes me that much smarter
So thanks for making me a fighter
Erano riusciti a superarle tutte,
erano dei guerrieri.
“Quel che non uccide, ti
fortifica” si
suol dire, no?
Ohh,
ohh, ohh, ohhhh, ohh-yeah ah uhhhuh
Never, saw it coming
All of, your backstabbing
Just so, you could cash in
On a good thing before I realized your game
I heard, you're going around
Playing the victim now
But don't, even begin
Feeling I'm the one to blame
'Cause you dug your own grave
Jason e Tara erano ormai alle loro
spalle, davanti a loro solo il meglio che la vita poteva offire.
After
all of the fights and the lies
Yes you wanted to harm me but that won't work anymore
Uh, no more, oh no, it's over
'Cause if it wasn't for all of your torture
I wouldn't know how to be this way now, and never back down
So I wanna say thank you
'Cause it makes me that much stronger
Makes me work a little bit harder
Makes me that much wiser
So thanks for making me a fighter
Made me learn a little bit faster
Made my skin a little bit thicker
It makes me that much smarter
So thanks for making me a fighter
Alla Juilliard sarebbero tornati più
forti di prima, non c’era dubbio. Non vedevano
l’ora.
How
could this man I thought I knew
Turn out to be unjust so cruel
Could only see the good in you
Pretended not to see the truth
You tried to hide your lies, disguise yourself
Through living in denial
But in the end you'll see
YOU-WON'T-STOP-ME
I am a fighter and I
I ain't goin' stop
There is no turning back
I've had enough
La strada davanti a loro era spianata,
nessun ripensamento, nessun ostacolo… Solo loro due.
'Cause
it makes me that much stronger
Makes me work a little bit harder
It makes me that much wiser
So thanks for making me a fighter
Made me learn a little bit faster
Made my skin a little bit thicker
Makes me that much smarter
So thanks for making me a fighter
Thought I would forget
But I remember
I remember
I'll remember, I'll remember
Thought I would forget
But I remember
I remember
I'll remember, I'll remember
'Cause it makes me that much stronger
Makes me work a little bit harder
It makes me that much wiser
So thanks for making me a fighter
Made me learn a little bit faster
Made my skin a little bit thicker
Makes me that much smarter
So thanks for making me a fighter
Finita
la canzone, i due ragazzi si guardarono negli occhi: «Ce la
faremo!» esclamò Garfield, sorridendo.
«Finché
tu starai al mio fianco, io ce la farò. Tu sei il mio
guerriero, no?» replicò Rachel, seria.
Lui le
strinse la mano e le baciò la fronte, poi i due si
accoccolarono sul divano, ascoltando le canzoni che passavano sul
canale e
beandosi della compagnia una dell’altro.
|
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Capitolo 20 *** Girl on fire ***
«Rach,
sei pronta? Victor ha già chiamato per dire che stava per
mettere su gli hamburger!»
«Sono
quasi pronta, Rich. Digli di non andare in panico.»
«Sai
quanto ci tiene al fatto che il barbecue del quattro luglio
sia perfetto!»
«E
lui sa quanto il mio ragazzo sia vegetariano?»
«Sono
sicuro al trecento per cento che gli avrà preparato un
hamburger di tofu con verdure.»
«Sarà
meglio per lui. Comunque ho fatto. Possiamo andare»
annunciò
Rachel, uscendo finalmente dal bagno.
Era la
sera del quattro luglio e i due ragazzi erano, come
prevedibile, in ritardo per il tradizionale barbecue a casa Stone. Il
giorno
dopo, Rachel e Garfield sarebbero partiti per la Florida, quindi
sarebbe stata
anche una sorta di cena d’addio per loro due.
Con un
saluto al volo ai signori Wayne, che guardavano il
telegiornale in salotto, i due ragazzi uscirono e partirono in fretta.
Richard
odiava essere in ritardo.
«Finalmente!
Vic stava per dare i numeri! Che fine avevate fatto,
ragazzi?» li accolse Karen, con un sorriso enorme.
«Qualcuno»
Richard guardò con intenzione la cugina, che lo
ignorò
bellamente «non si decideva ad uscire dal bagno.»
«E
direi che ha fatto bene! Guarda che spettacolo che
è!» esclamò
la ragazza, stringendo l’amica in un abbraccio gigante.
«Karen…
Liberami… Sono riuscita a convincere Kori a
non…» cercò di
protestare Rachel, ma proprio in quella, un uragano con i capelli rossi
si
abbatté su di lei. «Rachel! Sei
bellissima!»
«Ecco.
Appunto» sospirò rassegnata la ragazza dai capelli
scuri,
mentre quelle due pazze delle sue amiche la stritolavano.
«Rachel!
Finalmente sei arrivata! Vieni, abbiamo una sorpresa per
te!» esclamò Antonia dal giardino.
«Aspetta!
Garfield dov’è?» ribatté la
voce di Garth.
«Stavate
parlando di meeeeeeeee?» giunse la voce del biondino dalla
porta. I presenti si voltarono per trovarsi davanti il ragazzo in posa
plastica. Nessuno riuscì a spiccicare parola per qualche
secondo, poi Antonia
si fece avanti: «Sì. Okay. Facciamo finta che non
sia successo niente e
seguiteci di là, abbiamo una sorpresa per voi!» E
con queste parole prese per
mano Rachel e Garfield, trascinandoli verso il giardino.
Quando
la ragazza aprì la porta sul retro, i due si ritrovarono
davanti…
«Clara!
Ines! Ragazze!» esclamò Rachel, portandosi le mani
alla
bocca, sorpresa.
«Non
ci credo! Siete davvero voi!» gridò Garfield,
passandosi una
mano davanti agli occhi, quasi a volersi assicurare di non avere le
allucinazioni.
I
ragazzi del corso estivo della Juilliard erano radunati nel
cortile di Victor, che stava grigliando hamburger in
quantità industriale, e
stavano riversandosi addosso ai loro amici, come un fiume in piena.
Per
qualche minuto l’aria si riempì di saluti e
risate, mentre i
ragazzi di Jump City guardavano con soddisfazione il loro piano
diventare
realtà.
«Se
avete finito con le smancerie, la carne sarebbe pronta!»
esclamò Victor, all’improvviso, richiamando
l’attenzione di tutti.
«Ciboooooooooo!»
gridò Roy, lanciandosi sugli hamburger come se
non mangiasse da mesi.
«Carotina,
lascia qualcosa anche a noi!» lo redarguì Rachel,
guardandolo malissimo.
«Gotica,
non ferire i miei sentimenti! Torna a dormire, il sole è
ancora alto.»
«Non
ti faccio male solo perché ci sono ospiti»
ringhiò la
ragazza, decidendo di ignorarlo e dedicandosi alle amiche arrivate da
New York,
badando bene ad evitare François.
«Abbiamo
avuto una bella idea, vero? Guarda com’è
felice» commentò
Richard, parlando con Victor e guardando la cugina che sorrideva,
attorniata
dalle sue amiche.
«Le
ci voleva, questa boccata di aria newyorchese. Anche se non
l’ha dato a vedere, le dispiace non poter tornare adesso a
New York» rispose il
ragazzo, seguendo lo sguardo di Richard.
«Già.
Per fortuna li hanno accettati per il prossimo corso.
L’unica cosa che un po’ mi preoccupa è
che vada in Florida con Garfield, da
soli…»
«Perché
dici così? Pensavo ti piacesse Gar.»
«Ed
è così, davvero. È mille volte meglio
di Jason, poco ma
sicuro, e poi si vede che le vuole bene davvero, ma… Hanno
solo quindici anni.»
«Mh.
Non è che sei geloso?» domandò
sorridendo Victor.
«Cosa?!
Starai scherzando, spero!» gridò Richard, quasi
soffocando
con la sua stessa saliva. L’amico si limitò a
ridacchiare, mentre l’altro gli
scaricava addosso una sfilza di insulti, metà dei quali
irripetibili.
Attirata
da quel teatrino, Rachel arrivò con due delle sue amiche
di New York.
«Che
sta succedendo?» domandò, incuriosita.
«Niente,
niente. Discorsi tra uomini. Piuttosto, non ci presenti?»
rispose Vic, lanciando un’occhiata alle due ragazze.
«Posso
ricordarti che di là c’è la tua
ragazza? Karen, hai
presente? Alta più o meno così, capelli
ricci… Ricorda nulla?» scherzò Rachel.
«Ma
non dicevo per me, dovresti saperlo. Stavo pensando a lui»
ribatté il ragazzo, con un sorrisone, indicando Richard, che
stava iniziando a
calmarsi.
«Così
Kori mi fa fuori» rispose lei.
«Dici?
Io la vedo piuttosto presa con quel ragazzo
laggiù… Stanno
parlando in una lingua piena di gargarismi e sputacchi.»
«Credo
lo chiamino francese» intervenne Clara, sorridendo.
Rachel
ridacchiò lievemente, poi si decise a fare le presentazioni:
«Okay, ragazze, loro sono Victor, il mio fratellone e
Richard, mio cugino,
nonché angelo custode. Rich, vieni qui!»
Il
ragazzo rispose al richiamo, avvicinandosi al gruppetto.
Strinse la mano alle due ragazze, poi iniziarono a parlare del
più e del meno,
mentre Rachel si allontanava per cercare Garfield.
«Ehi»
sussurrò Garfield, abbracciando Rachel da dietro e facendola
sussultare.
«Garfield!
Non farlo mai più!» esclamò lei,
rilassandosi però
nella sua stretta.
«Allora,
sei contenta?» chiese lui, dopo qualche minuto.
«Molto.
Finalmente sembra che la mia vita stia andando per il
verso giusto. O almeno, lo spero. E tu?»
«Sono
molto più che contento. Sono felice, davvero, davvero
felice. Ed è merito tuo.»
Rachel
arrossì lievemente.
Garfield
sciolse l’abbraccio e la fece voltare verso di sé.
La
guardò negli occhi e piano piano i due ridussero la distanza
fra loro. Erano ad
un soffio l’una dall’altro, quando una voce li
riportò alla realtà: «Ehi,
piccioncini! Staccatevi un momento e venite con me,
c’è gente che vi sta
cercando!»
«Sempre
fine, vero, Carotina?» domandò Rachel, voltandosi
verso di
lui a malincuore.
«Si
fa quel che si può. A proposito, quella ragazza,
Clara…»
«Spiacente,
ha già delle mire su Rich. Però posso presentarti
Alexandra, che ne dici?»
«Quale
sarebbe?»
«La
bionda, quella là.»
«Affare
fatto.»
E Roy
si avviò verso la ragazza, lasciando lì gli altri
due.
«Andiamo,
chissà cosa vogliono da noi» disse Rachel,
avviandosi
verso il centro del giardino, dove erano riuniti tutti.
«Rach,
aspetta» la bloccò Garfield, prendendola per un
polso.
Lei lo
guardò interrogativa.
«Alexandra…
Non è che ti stai vendicando perché pensi che ci
abbia
provato con me, vero?»
Rachel
si limitò a sorridere enigmatica e gli voltò le
spalle,
camminando con il suo passo deciso verso Maria e Noriko, che le stavano
facendo
ampi cenni con le mani.
Garfield
sorrise, scosse la testa e si avviò dietro di lei.
«Bene,
ora che abbiamo la vostra attenzione, vorremmo dare il
nostro regalo a Rachel» annunciò Ines,
dall’alto della sedia di legno che le
era stata prontamente fornita per sovrastare la gente.
«Regalo?
Ma per cosa?» domandò la ragazza, sorpresa.
«Per
tutto! Ora, zitta e buona!» le intimò Clara,
mettendola a
sedere a forza su una sedia.
Ottenuta
l’attenzione della ragazza, tutti i ragazzi della
Juilliard iniziarono ad intonare una canzone ben conosciuta:
She's just a girl and she's on
fire
Hotter than a fantasy, lonely like a highway
She's living in a world and it's on fire
Filled with catastrophe, but she knows she can fly away
Rachel arrossì lievemente. Da sola non
sarebbe andata da nessuna parte, nel caos che era diventato il suo
mondo.
Ohhhh
oh oh oh oh
She got both feet on the ground
And she's burning it down
Ohhhh oh oh oh oh
She got her head in the clouds
And she's not backing down
Però non si era mai tirata indietro ed
era riuscita ad affrontare le difficoltà. La musica, la sua
personale nuvola di
felicità, l’aveva aiutata.
This
girl is on fire...
This girl is on fire...
She's walking on fire...
This girl is on fire...
I ragazzi ridacchiarono, vedendo che
il viso di Rachel era effettivamente in fiamme per
l’imbarazzo di essere al
centro dell’attenzione.
Looks
like a girl, but she's a flame
So bright, she can burn your eyes
Better look the other way
You can try but you'll never forget her name
She's on top of the world
Hottest of the hottest girls say
Garfield le lanciò uno sguardo pieno
d’amore,
dimostrando che lui il suo nome non l’avrebbe mai
dimenticato.
Ohhhh
oh oh oh
We got our feet on the ground
And we're burning it down
Ohhhh oh oh oh oh
Got our head in the clouds
And we're not coming down
Affrontando le avversità a testa alta,
Rachel si era dimostrata un esempio per ciascuno dei suoi amici. Ognuno
aveva i
suoi segreti, ma grazie a lei, li avrebbero affrontati.
Kori e il difficile rapporto con la sorella.
Victor e l’incidente
che aveva rischiato di privarlo della vista.
Richard e il suo rapporto altalenante
con il padre adottivo.
Garfield e la morte dei suoi
genitori.
This girl is on fire...
This girl is on fire...
She's walking on fire...
This girl is on fire...
Everybody stares, as she goes by
'Cause they can see the flame that's in her eyes
Watch her when she's lighting up the night
Nobody knows that she's a lonely girl
And it's a lonely world
But she won' let it burn, baby, burn, baby
Non aveva permesso a nessuno di vedere
oltre la sua armatura, tranne che a Richard e Garfield, ma quando era
stata ad
un punto dall’esplosione, l’aveva evitata. Era
riuscita a salvarsi.
This
girl is on fire...
This girl is on fire...
She's walking on fire...
This girl is on fire...
Oh, oh, oh, oh ohhhhh oh oh oh ohhh oh oh oh ohhhh
She's just a girl and she's on fire
Alla fine della canzone, Rachel
era praticamente in
lacrime. Garfield la strinse forte e la ragazza riuscì a
mormorare un “Grazie”
tra le lacrime. Era stata davvero fortunata a trovare degli amici
così. Ora la
sua vita era completa e lei l’avrebbe vissuta appieno, anche
(e soprattutto)
per sua madre.
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Capitolo 21 *** Invincible ***
Dieci anni dopo
«Garfield! Ancora non sei pronto?»
«Rach, lo sai che sono nato per essere in ritardo!»
«Lo so, lo so… Ancora non so perché continuo a sperarci. Sei un caso clinico!»
«Ehi! Potrei offendermi!»
«Potresti, ma non ne hai il tempo. Ci stanno aspettand…»
La donna venne interrotta dal campanello. Abbandonando il suo fidanzato all’ardua impresa di annodare la cravatta, aprì la porta, interrompendo il frenetico scampanellare.
«Paura che non ti sentissimo, Rich, tesoro?» domandò sarcastica, trovandosi davanti il sorriso a trentadue denti che caratterizzava suo cugino.
«Melius abundare quam deficere» sghignazzò l’uomo.
«Meno arie, avvocato dei miei stivali. Non hai studiato latino al college per questo» lo zittì Rachel, passando poi a salutare calorosamente la moglie di suo cugino, che era in piedi dietro di lui con un’espressione rassegnata. «Clara! Mi sei mancata così tanto!» Le due donne iniziarono a parlare italiano alla velocità della luce, lasciando Richard a fissarle come un ebete. Non aveva mai imparato più dello stretto necessario in italiano, nonostante le ripetute vacanze in Italia con la moglie negli ultimi sei anni della sua vita e si era perso dopo “come stai?”
Per sua fortuna Garfield, finalmente pronto, arrivò a salvarlo: «Richard! Clara! Benvenuti! Entrate, entrate!»
Tanto bastò a distrarre Rachel, che esplose: «Ma che entrate! Dobbiamo andare! Ti ricordo che siamo in un ritardo che definire stratosferico è riduttivo. Ci aspettavano…» Si interruppe per controllare l’orologio e misurare l’entità del danno, ma Garfield la dirottò abilmente verso l’auto, acchiappando al volo le chiavi e una giacca: «Caspita, hai ragione! Meglio muoversi, eh?»
La donna alzò gli occhi al cielo, suscitando le risate dei due spettatori.
In un qualche modo, riuscirono a limitare il ritardo a soli venti minuti.
Comunque venti minuti di troppo per i gusti di Rachel, ma ormai era venuta a patti con il ritardo patologico del suo fidanzato.
Entrarono nella sala gremita di gente e parecchie teste si voltarono nella loro direzione, seguendo i quattro nel loro percorso fino ai posti loro riservati, dove i loro amici e i Wayne già li aspettavano.
«Ragazzi, finalmente! Ci stavamo chiedendo che fine aveste fatto…» esclamò Selina, alzandosi per abbracciare nipote e nuora.
«Non lo vuoi sapere, zia. Credimi.» Rachel lanciò un’occhiata furente a Garfield, facendolo sussultare colpevole.
«L’importante è che siate qua. Sedetevi, stavamo aspettando solo voi» ristabilì l’ordine Bruce, riportando a sedere la moglie e dando l’esempio. I quattro ritardatari si sedettero in fretta, facendo rapidi cenni di saluto agli amici intorno a loro.
Qualche secondo dopo, un figuro che indossava un completo di un arancione talmente carico da dare l’emicrania se lo si fissava troppo a lungo salì un paio di gradini e si avvicinò al microfono posto al centro del palco. Picchiettò sul microfono, si schiarì la voce e finalmente iniziò il discorso: «Gentili ospiti, sono lieto che ci abbiate raggiunti per la consueta cerimonia di consegna dei diplomi. Alla Juilliard siamo molto fieri dei risultati di ogni singolo allievo, ma quest’anno una persona si è distinta in maniera particolare e vorrei richiamare la vostra attenzione su di lei. Un applauso per la signorina Rachel Roth, per favore!» E il signor Dickinson diede l’esempio, iniziando lo scroscio di applausi che accompagnò Rachel nel breve tragitto dalla sua poltroncina al palco.
Garfield sorrise teneramente, le parole di una canzone che affioravano nella mente mentre guardava la sua fidanzata avvicinarsi al microfono che il rettore le tendeva con un sorriso.
Follow through
Make your dreams come true
Don't give up the fight
You will be alright
'Cause there's no one like you in the universe
Rachel era decisamente unica: dopo essere tornata alla Juilliard per il semestre che ad entrambi era stato accordato in via eccezionale, si era diplomata al liceo e aveva poi seguito sia i corsi del college specializzandosi in pedagogia sia i corsi della Julliard, arrivando ad ottenere il master a soli venticinque anni. Adesso poteva dedicarsi con tutta se stessa al suo più grande sogno: la musica. E l’avrebbe fatto diventando insegnante di musica alla stessa Juilliard, nei corsi dedicati ai piccoli prodigi, come venivano affettuosamente chiamati i bambini che venivano ammessi alla scuola.
Don't be afraid
What your mind conceives
You should make a stand
Stand up for what you believe
And tonight
We can truly say
Together we're invincible
«Ma la signorina Roth non è l’unica persona che voglio presentarvi stasera. Prego, signor Logan, ci raggiunga!» Mentre Garfield si avvicinava al palco, il rettore continuò: «Un ragazzo molto promettente, signore e signori, proprio come la signorina Roth. Al contrario di Rachel, però, Garfield non rimarrà nella grande famiglia della Juilliard. Permettetemi dunque di presentarvi il nuovo Fantôme de l'Opéra di Broadway!»
Un nuovo scroscio di applausi riempì la sala. Garfield si inchinò goffamente, rischiando di abbattere il microfono. Con una risatina quasi isterica si scusò e ringraziò il professore. Rachel soffocò una risata e gli prese la mano. L’uomo la strinse dolcemente e mentre il rettore Dickinson procedeva alla presentazione degli altri diplomati, non poté impedirsi di continuare a pensare alle parole della canzone che gli si era insinuata nel cervello.
Era il caso di dirlo: insieme, lui e Rachel potevano arrivare dappertutto. Erano invincibili. Se non ne era una prova il momento che stavano vivendo!
During the struggle
They will pull us down
But please, please
Let's use this chance
To turn things around
And tonight
We can truly say
Together we're invincible
Non era stato facile arrivare a quel punto. Dopo la morte di Arella, Rachel aveva attraversato un periodo di depressione che l’aveva portato a temere di doverla ricoverare in ospedale. I tre mesi in Florida erano stati duri per entrambi: Rachel cercava di convincerlo di stare bene e lui di convincerla a non mentirgli. Rita e Mento erano stati di aiuto, aiutando i ragazzi a superare gli screzi tra loro, ma naturalmente era stato il ritorno alla Juilliard a cambiare tutto. La musica, come sempre, era stata la cura. Grazie ad essa, Rachel era tornata ad essere se stessa e aveva capito cosa voleva dal suo futuro. E lui era contento di essere contemplato in quel futuro.
Do it on your own
It makes no difference to me
What you leave behind
What you choose to be
And whatever they say
Your soul's unbreakable
Sorrise, notando il luccichio sulla mano sinistra di Rachel.
In un certo senso si trattava dell’unica condizione che lui aveva posto ai piani della ragazza per il suo futuro: dovevano essere insieme. Non prima di aver raggiunto una stabilità economica ed emotiva, ovviamente. Quando le aveva fatto la proposta non avevano che diciotto anni, ma il momento in cui lei sarebbe stata sua per sempre si stava avvicinando sempre di più.
Solo questo voleva da lei.
E lei era stata più che felice di concederglielo, a patto che lui non le impedisse di realizzare i suoi sogni da sola.
Per quanto strano, avevano raggiunto un compromesso che non aveva lasciato nessuna delle due parti delusa, ma solo felice.
During the struggle
They will pull us down
But please, please
Let's use this chance
To turn things around
And tonight
We can truly say
Together we're invincible
Together we're invincible
Finalmente il tempo dei discorsi finì e i diplomati furono liberi di tornare dai loro cari per il saluto finale del rettore, prima di essere lasciati ai festeggiamenti.
Una volta fuori dalla sala, la coppia venne assalita da amici e parenti. Quando tutti ebbero abbracciato tutti, la comitiva si mosse verso il ristorante prescelto per ospitare la festa per Rachel e Garfield.
Nella sicurezza della loro macchina, Garfield allentò finalmente la cravatta e sospirò profondamente.
«Non ne potevi più, vero?» domandò Rachel, divertita.
«Sembrava che qualcuno mi stesse strangolando!» ribatté lui.
«Dovrai abituartici… Le star di Broadway devono presenziare a molti eventi eleganti, sai?»
«E le mogli delle star di Broadway?»
Rachel si irrigidì per un momento, poi sorrise dolcemente, il suo sorriso speciale solo per lui. «Le mogli delle star di Broadway devono assicurarsi che le star di Broadway non combinino guai. Per questo devono presenziare.»
Anche Garfield sorrise e i due rimasero in silenzio fino al ristorante.
Dopo un pasto che parve interminabile, a tutti meno che a Victor, che ebbe il coraggio di chiedere un altro piatto di costine (dopo il dolce e il caffè), Garfield si alzò in piedi e tentò di battere delicatamente la forchetta contro il bicchiere di cristallo. Inutile dire che il cristallo non fece una bella fine. Con un sorriso imbarazzato, l’uomo si schiarì la voce e alzò il bicchiere che Rachel gli aveva repentinamente passato mentre gli amici erano ancora distratti dalle risate per il piccolo incidente: «Amici! Parenti! Tutti! Io e Rachel siamo molto felici che siate qui. Tutti voi siete stati molto importanti per la nostra crescita…»
«Tutti tranne te, Carotina, beninteso» intervenne Rachel, lanciando una frecciatina a Roy, che mise il broncio. Antonia mascherò in fretta la risata che le era sorta spontanea e accarezzò dolcemente il braccio del suo ragazzo per calmarlo. Il resto della sala ridacchiò brevemente, prima di rivolgere nuovamente l’attenzione a Garfield.
«Sì, ecco, dunque… Dicevo… Tutti voi siete stati molto importanti per la nostra crescita e anche se la vita ci ha portato a New York, la California sarà sempre casa nostra. Voi sarete sempre casa nostra. A voi!» I calici si alzarono e un brusio di “a voi”, “alla nostra” si diffuse nell’aria. Rachel sorrise e scambiò un breve bacio e un sorriso con Garfield, prima di alzarsi in piedi a sua volta.
L’attenzione di tutti si focalizzò su di lei, senza bisogno di sacrificare un altro cristallo.
«Abbiamo anche un’altra notizia per voi.»
«Lo sapevo! Sei incinta, vero? Oh, ma è bellissimo!! Già mi vedo un esercito di bambini con i capelli neri e gli occhi verdi e…»
«Sei cosa? Garfield, che cosa hai fatto a Rachel??»
«Victor, calmati! Nemmeno Richard sta reagendo così!»
«Questo perché è svenuto, Karen…»
«Ragazzi! Ragazzi! No! Non sono incinta! Kori, ti ammazzerò per questo, stanne certa!» esclamò Rachel, cercando di riportare la calma tra i suoi amici. Kori si risedette abbastanza delusa, mentre Clara riusciva a rianimare Richard e Karen a far sedere Victor, che era a tanto così dal sollevare Garfield dal pavimento. «Okay, allora. Non sono incinta,» occhiataccia a Kori, «ma quella che sto per darvi è una notizia altrettanto bella. Almeno, così speriamo.» Si interruppe per guardare il fidanzato che annuì gentilmente. La donna inspirò profondamente, poi eruppe: «Ci sposiamo. Il mese prossimo.»
Sulla sala calò un silenzio quasi imbarazzante, poi tutti quanti cominciarono a sbraitare le congratulazioni alla coppia, ad alzarsi per abbracciare i due ragazzi o a fare progetti per il grande giorno.
Rachel sorrise. Prevedeva guai, ma con Garfield al suo fianco sarebbe andato tutto bene.
Insieme, erano invincibili.
During the struggle
They will pull us down
Please, please
Let's use this chance
To turn things around
And tonight
We can truly say
Together we're invincible
Together we're invincible
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
E con questo ultimo, sudato capitolo, siamo alla fine di questa lunghissima saga. Grazie mille a tutti quelli che hanno letto, commentato, aspettato spasmodicamente per gli aggiornamenti e sopportato i miei ritardi. Grazie davvero!
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