Sorte et Arte

di hanabi
(/viewuser.php?uid=34933)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Congiunzione ***
Capitolo 2: *** Schieramenti ***
Capitolo 3: *** Conflitto ***
Capitolo 4: *** Ne inultum remanebit ***



Capitolo 1
*** Congiunzione ***


 

 

MARCO era un giovane dal temperamento romantico ed immaginativo, grazie al quale riusciva a godersi la vita con un trasporto forse esagerato per le scarse emozioni che questa gli offriva. Qualcosa di ineluttabile sembrava dirigere la sua esistenza: credeva ciecamente al destino. Quante volte aveva esaminato gli avvenimenti della sua vita, giocando al vano gioco del "se"... 

Era stata una fortuna per lui nascere in una famiglia abbastanza benestante da permettergli di studiare quella che era un'arte insita in lui. Lo avevano mandato all'accademia, ammirati dalla facilità con la quale, fin da piccolo, aveva maneggiato pennelli, matite e pastelli. Qualche parente gli aveva prospettato un tranquillo futuro di visualizer in qualche agenzia di pubblicità, tanto per concretizzare quella furia artistica un po' fuori moda.

Marco amava la pittura e la sua storia. Era destino che incontrasse proprio ad una mostra di quadri impressionisti la ragazza di cui poi si era innamorato.

Era una studentessa di liceo, d'aspetto quasi insignificante: sarebbe stata di moda molti secoli prima. Ma ora, nell'era delle modelle androgine alte, snelle e con seni maggiorati, lei non sarebbe mai stata considerata una gran bellezza. Piccola, con le spalle strette ed i fianchi larghi, aveva un volto da bambina che non truccava quasi mai e lisci capelli biondi sempre sciolti sulle spalle, luminosi ma sottili e senza volume. Solo gli occhi azzurri, grandi e tenerissimi, erano davvero notevoli.

Che colpo per le sue compagne di classe, quando lui era andato a prenderla all'uscita della scuola. Impossibile credere che una come Cinzia avesse un ragazzo da favola come quello! Mezza scuola aveva osservato con invidia e con nuovo rispetto l'insignificante biondina che si abbracciava a quel ricciuto e prestante ragazzo ben vestito, che pareva uscito da un fotoromanzo.

Anche i genitori di Marco erano rimasti un po' sorpresi. Ma non avevano fatto commenti. La ragazza era ben educata, discreta e senza grilli per la testa. E Marco era innamorato come mai lo avevano visto.

Perché proprio Cinzia?, si chiedeva ora, con un mezzo sorriso, guidando la macchina su una strada poco trafficata dalle parti di Langhirano. 

La sbirciò. Il suo profilo delicato e sorridente si stagliava contro il verde dei campi che sfrecciavano dal finestrino. Come facevano a dire che non era bella? E che dire poi del calore che sapeva portare con la sua compagnia? Erano insieme da un anno, ma era come se si conoscessero da tutta la vita. Mai un litigio; un perfetto accordo; insomma, un'unione voluta dal destino... 

Eppure Marco sapeva che nessuno di loro due aspirava a formare una vera e propria famiglia, con una casa e dei figli. Il loro era un legame unidimensionale, limitato sempre al solo presente, e nessun futuro da sognare... 

Perché?

Scacciò quei pensieri, sapendo che gli portavano soltanto malinconia, e si lasciò possedere dalla bellezza del paesaggio. Erano felici di quella vacanza: adoravano le gite fuori porta, alla ricerca di tesori d'arte lontani dai circuiti turistici tradizionali, da godersi in santa pace. La giornata era splendida e la campagna troppo verde per due cittadini come loro.

"Marco... "

La sua voce armoniosa lo trasse dalle fantasticherie.

"Sì, tesoro?"

"Stasera dove dormiamo?"

"Perché, avresti intenzione di dormire?"

Ridacchiarono.

"Non c'è problema, amore. Al limite abbiamo dietro i sacchi a pelo."

"Uh! Una notte all'addiaccio... lo sai che non ne sarei entusiasta!"

"Non ti agitare per nulla. Ci sono molte osterie con camere da queste parti."

"Chissà che camere!"

"Io le ho sempre trovate più che dignitose. E poi pensa a quali meravigliose mangiate... ."

Si interruppe di colpo. La sua attenzione era stata attratta da un biancore tra le colline verdeggianti. Erano torri merlate, in perfetta armonia.

Piantò una frenata fin troppo veemente, accostando sulla destra. L'auto che li seguiva per poco non li tamponò. Un clacson infuriato commentò quella manovra.

"Che succede?!" esclamò Cinzia, spaventata.

Marco non rispose subito. Guardava dal parabrezza quelle torri, affascinato. Cinzia seguì il suo sguardo, e mormorò:

"Bellissimo, ma c'era bisogno di inchiodare così?"

"Scusa," disse lui. "Non dirmi che stavamo per perderci quel capolavoro. Ma non era sulla lista delle cose da vedere per oggi, vero?"

Cinzia consultò la sua guida.

"No... che strano. Deve essermi sfuggito. Eppure è davvero notevole. Merita un paio di fotografie, no?"

"Tutto un rullino, direi."

"Non sapevo che ti piacesse qualcos'altro oltre la pittura."

"Mi piaci tu." Marco le sorrise, si stiracchiò. "Ed anche i castelli ed i vecchi manieri: ne collezionavo le cartoline, da bambino. Non so perché, ma sento che quelle torri mi chiamano... mi piacerebbe essere miliardario per poterle comprare e viverci dentro."

"Vivere in un castello! Sapessi come ci si sta scomodi... "

"Tu che ne sai?" Marco si allungò per darle un bacio. "Avanti, prendi la tua guida e dimmi tutto di questo posto."

Cinzia sfogliò il suo libro, sorrise.

"Sarai contento di sapere che quel castello possiede molte pareti affrescate."

"Me lo sentivo, io!"

"Allora cosa aspettiamo ad andarci? Può darsi che tra poco lo chiudano. Chissà che orario fanno... "

 






 

 

*

 

 


 

 

I due pittori si incontrarono proprio davanti al ponte levatoio del castello. Erano stanchissimi, inzaccherati di fango ed infradiciati dalla pioggia sottile che pareva salire dalla terra fumante, anziché scendere dal cielo brumoso. Le loro cavalcature e i loro muli erano più stanchi di loro.

Furono accolti dal siniscalco che li fece entrare con il meglio delle buone maniere che possedesse, ansioso di mostrarsi all'altezza degli usi cortesi. I pittori si fecero riconoscere parlando a bassa voce e mostrando i loro lasciapassare. Il siniscalco non sapeva quasi leggere, ma il sigillo ducale di Parma era sufficiente. 

Smontarono da cavallo, uno con un balzo, l'altro con l'aiuto di un garzone. Si diressero verso l'entrata del lato nobile del castello, ancora fresco di calce. Il castello era inerpicato su un luogo forte, adatto alla difesa della vallata, ed era stato costruito con cura. Si capiva che il padrone era un uomo d'arme.

Una volta all'interno, ambedue i pittori si calarono i cappucci fradici. Si guardarono in fretta, con sospettoso interesse, ma accennarono un inchino.

"Da questa parte," diceva il siniscalco, muovendosi a suo agio nella semioscurità, "il padrone vi attende."

Lo seguirono in silenzio, guardandosi attorno per vedere le pareti ancora vergini che avrebbero dovuto decorare.

Alla fine il siniscalco aprì una gran porta e fece un inchino.

"Illustrissimo, i pittori sono qui."

"Falli entrare! Porta del vino e manda a chiamare mia moglie. Muoviti!"

La voce era ruvida e forte, la voce di un capitano abituato al frastuono delle battaglie.

"Benvenuti nella mia casa, maestri!"

Pier Maria Rossi li aspettava in piedi, avvolto in un saione che doveva essere il migliore che possedesse. Era un uomo di mezz'età, ab bronzato ed indurito dalle intemperie e dalle battaglie. Si era guadagnato il suo titolo nobiliare in innumerevoli campagne militari, al soldo del Ducato. Non aveva mai conosciuto né apprezzato la pace, e la guerra lo aveva lasciato libero di essere irruente e violento, felice della propria rozza sensualità.

Ma non era uno stupido. Guerreggiando aveva viaggiato, aveva imparato cosa significasse essere nobili, cosa fossero arte e cultura. Ed il suo sogno era diventato quello di creare dal proprio sangue una nuova stirpe, una nobiltà virile amante del bello come della spada, e fare dei Rossi una schiatta famosa come le altre casate che erano salite in quei tempi agli onori della cronaca.

"Vi riconosco, Carlo Baglione," sorrise, con i suoi denti spezzati da un colpo di mazza, e si avvicinò ad uno dei pittori che si inchinò profondamente. "Voi siete il noto maestro Carolus...  quanto tempo è passato dalla mia visita alla vostra bottega!"

"Sono onorato del vostro interessamento alla mia persona," rispose umilmente Baglione, ed alzò la testa, mostrando il suo viso quasi grottesco... un volto magro, solcato da troppe rughe, con occhi sporgenti ed invasati e sottili, lunghi capelli grigi che cadevano, bagnati, sulle guance rinsecchite. Eppure il suo corpo rivelava che egli non era così vecchio come sembrava.

"Avevate dipinto le mie sembianze in una storia di Marte."

"Eravate... e siete tuttora... perfetto in quelle vesti," disse Baglione, con la sua voce bassa e sibilante, quasi un'eco della pioggia che batteva cupamente. 

"Mi erano piaciute le vostre pitture, e vi avevo promesso che mi sarei ricordato di voi, se avessi vinto un feudo decente per farvi un castello. Quel momento è giunto... la ricompensa per anni di dedizione. Ho ricostruito sulle basi di un vecchio forte. Voglio che questa diventi la casa nativa di una famiglia che sarà famosa, ed un simile, luminoso futuro esige che essa sia dotata di tutti i necessari decori. Naturalmente il prezzo è quel lo concordato sulla mia lettera... "

"Un munifico guiderdone," approvò Baglione, con un sorriso imperscrutabile.

"Benissimo. Sono lieto che non si debba discutere su questo punto. La stessa cosa vale anche per voi, messer... ?"

"Bernardino Bembo, per servirvi" disse l'altro pittore, inchinandosi con la grazia di un cortigiano. "Naturalmente sì, illustrissimo."

"Meno male!... Dunque siete voi il famoso Bembo. La vostra famiglia è veneta, se non sbaglio. Non ho mai visto le vostre opere, ma mi siete stato raccomandato da mio suocero, che è stato nella vostra città. Pare che il vostro stile di decorazioni stia diventando una moda. Mio suocero sa senz'altro cosa piace di più a mia moglie!"

Come se avesse atteso quel riferimento, una fanciulla giovanissima fece il suo ingresso nella stanza. Il volto ovale, sottile, era accuratamente imbiancato di cerussa e dipinto di rosa maiolicato. Il corpo, quasi infantile ma dai fianchi generosi, era avvolto in buone vesti di panno pesante. I capelli biondi e fini erano intrecciati e raccolti intorno al capo, in semplice acconciatura. 

I pittori si inchinarono.

"Ecco i maestri che ti avevo promesso, Beatrice," disse Pier Maria, e fece un sogghigno verso i suoi ospiti. "Mi sono conquistato una moglie istruita, molto ben educata in una corte cittadina. Non potevo deluderla, no?"

Le prese il mento con due dita e le fece alzare il viso.

"Che ne dite, eh? Non è male, per essere di un ramo minore dei Farnese. È giovane, e mi darà molti figli. Ora ho un titolo da lasciare in eredità, non posso più seminare bastardi per tutte le mie terre!"

Rise, pieno di gioia di vivere. E Beatrice lo guardò con odio malcelato, accomunando a quello sguardo anche la figura allampanata di Baglione, che la guardava con la stessa lubrica attenzione di Pier Maria... quasi fosse uno specchio sul quale la cattiveria del marito si rifletteva. 

Ah, Pier Maria, hai trovato finalmente un tuo simile con cui ridere! Mostro malefico, orco, vecchio rustico sudicio, capitano di ventura capace solo di battersi e rapire contadine! Ignorante valvassore, mi hai portata via dalla città per seppellirmi viva in questa desolazione, e ti sei portato via tutti i miei sogni di gloria! Avrei potuto essere la damigella della mia signora, e invece... 

Volse la testa, con un luccichio disperato negli occhi azzurri apparentemente dimessi. E si scontrò con lo sguardo di Bernardino Bembo, l'altro pittore, che la fissava incantato. 

Il Bembo era giovane, un'aria fine e delicata nei suoi lineamenti da cortigiano. Com'era diverso dagli altri due, così brutti e vecchi! Riccioli castani cadevano su una fronte alta e liscia, grandi occhi neri brillavano d'ardore e tenerezza, labbra decise e sensuali si disegnavano nel suo volto pallido; ma la mascella forte ed il collo muscoloso promettevano virilità. 

E Bernardino Bembo la guardava a sua volta, stupito che una simile, perfetta bellezza si potesse trovare in un luogo così poco consono a lei. Si vedeva subito, nel portamento e nel contegno, che lei era un frammento di raffinatezza cortigiana. Ed era lì, trattata come una puledra al mercato... 

Quasi non sentì la voce di Pier Maria che, lasciando la moglie per versarsi del vino, raccontava la sua predilezione per le decorazioni moderne, le grottesche, che aveva visto nel corso dei suoi numerosi viaggi. Non conosceva molto la mitologia, ma gli piacevano quelle scene ariose e voluttuose di déi ed eroi, di mostri e cariatidi... 

"Come sarebbe più bello e più semplice un mondo come quello degli antichi!"

Baglione annuiva, con assoluta partecipazione. Pareva che adorasse la figura di Pier Maria.

Bernardino Bembo continuava, quasi di nascosto, a rimirare Beatrice.

"Voglio delle decorazioni che mi rendano famoso nel circondario e che stupiscano i miei ospiti... loro si aspetteranno soltanto vacche e villani da un posto come questo, ed invece resteranno a bocca aperta, e si chiederanno se una negromanzia non li abbia trasportati in una città civile. Io renderò famoso questo luogo dimenticato da Dio... "

Pier Maria andò alla finestra, con un sorriso strano, gli occhi perduti in un luminoso futuro. Alzò la coppa e bevve il vino tutto di un fiato.

"Sì, tutti coloro che passeranno di qui renderanno onore al mio castello... la futura dimora avita della grande casata dei Rossi!" 




 

 

 

*

 

 

 





 

Marco e Cinzia avevano pagato il biglietto e si erano incamminati, in perfetta solitudine, sulla salita pavimentata di sassi che conduceva al castello vero e proprio.

Marco continuava a tenere lo sguardo in alto, a rischio di inciampare. C'era qualcosa in quelle mura che lo affascinava. E perché? Non era che un castello... uno delle dozzine di castelli che aveva visitato. Eppure, in questo, le pietre stesse gli parla vano, avevano una storia da raccontare. Si trovò ad accarezzare la pietra di un muretto, inter rogandola. La pietra era tiepida, scabra ed incrostata di licheni. La sua voce era un mormorio troppo lontano nella sua coscienza.

Si voltò a guardare Cinzia. Lei era rimasta indietro, avanzava a piccoli passi, con gli occhi fissi sull'acciottolato. Si muoveva come se qualche indumento misterioso limitasse i suoi movimenti.

"Tutto bene?" chiese lui, tendendole una mano.

Pensava che fosse affaticata. Invece lei si fermò, senza il minimo affanno nel respiro, alzò gli occhi alla sua mano stesa, poi a lui... 

... e arrossì.

Marco la guardò, un po' sconcertato.

"Cosa ti succede, amore?"

Cinzia battè le palpebre, una, due volte. Il rossore svanì, lentamente.

"Niente, Marco... niente." Sorrise, "Non ci crederai, ma mi sono emozionata a vederti. Ti ho trovato all'improvviso... così attraente!"

"Grazie!" Marco sorrise a sua volta, ma con imbarazzo. Cinzia non gli aveva mai fatto tanti complimenti. "Meno male che piaccio a qualcuno."

"Naturale che piaci, che discorso!"

"Allora che ti è preso per accorgertene ora?"

"Ora... me ne sono accorta di più. Andiamo?"

Cinzia lo sorpassò ed entrò in un cortile quadrato, candido, dominato al centro da un pozzo. Cominciò a vagare intorno ad esso, spiando ne le profondità.

Marco posò lo zaino e prese la macchina fotografica, cercando in quadrature ad effetto. Gli unici altri visitatori del castello erano due signori anziani che gironzolavano con la guida del Touring in mano. Che meraviglia! Niente folla, niente caos, e niente sporcaccioni che rovinavano tutto quel che toccavano!

Quel castello era un regalo inaspettato del destino, per lui.

E che potente, quel senso di deja vu! E perché no? Cortili e mura come quelli erano stati fotografati da Marco almeno una dozzina di volte. Non c'era nulla di particolarmente nuovo ed insolito, là dentro.

Eppure... 

Decise di usare il teleobiettivo per cogliere il profilo di Cinzia, mentre fissava le tenebre del pozzo. Mise a fuoco l'immagine, ma il dito gli tremò sull'otturatore.

Lentamente, abbassò la macchina fotografica e guardò Cinzia, stupito.

Era davvero lei? La conosceva fin nell'anima, e allora perché si sentiva così stranamente emozionato a rimirare il suo profilo delicato, il suo visetto pallido e tenero, gli occhi dalle palpebre abbassate e dalle lunghe ciglia?

Se adesso si voltasse e mi guardasse, mi sentirei le gambe molli davanti a lei! Avrei voglia di scappare per non cadere in ginocchio come un deficiente!

È questo che ha provato lei?... Ci stiamo innamorando di nuovo?!

Cinzia si incamminò verso di lui, con un sorriso radioso.

E Marco si voltò immediatamente, inquadrando una delle torri e contando mentalmente fino a dieci... 

La sensazione svanì, lentamente.

"E allora, Marco, che ne dici? Quindicesimo secolo? O precedente?"

"La prima ipotesi deve essere esatta. Questa struttura è da antologia."

"Non riesco mai a ricordarmi se i merli fatti così sono guelfi o ghibellini."

"Non c'è un cartello con notizie storiche, da qualche parte?"

"Bello quel portico... e quelle finestre ogivali! Credi che le abbiano rifatte, così grandi? Un po' generose come finestre di un castello... "

Marco prese Cinzia per un braccio, e le sussurrò ad un orecchio:

"Venite a parlarmi da quella finestra, questa notte, e venite attraverso quel verziere..."

Cinzia lo guardò, con un sorriso sorpreso.

"Ehi, da quando ti sei messo a fare citazioni? Sono la mia specialità! Vuoi forse mettermi alla prova?"

Marco era più stupito di lei. Le parole gli erano venute in mente così spontaneamente!

Naturalmente, per una fanatica di letteratura eroica come Cinzia, ed in un contesto come quello, la soluzione dell'indovinello era banale.

"Come mai ti è venuto in mente il Lancelot di Chrétien de Troyes?"

 

 





 

*




 

 

 

"Madonna mi ha incaricato di portarvi questo libro, messere. Vi prega di serbarlo con cura estrema: è parte del piccolo patrimonio che ha portato dalla sua casa natale.. qui nel castello non ci sono nemmeno le letture sacre."

Bernardino Bembo fissava la donna che aveva osato disturbarlo mentre schizzava con carboncini l'abbozzo delle storie di Bacco ed Arianna sulle pareti della sala vuota.

"Sono la nutrice di madonna," soggiunse la vecchia, irrigidendosi sotto lo sguardo sospettoso di Bernardino. Era una donna dignitosa, pulita, e parlava un volgare raffinato a paragone degli altri domestici di Pier Maria.

"L'avete seguita per tenerle compagnia?"

"La povera creatura non poteva essere mandata sola per il mondo. Sono la sua cameriera, la sua dama di compagnia... e la sua confidente."

"E quel libro... "

"Non lo avete forse chiesto voi a madonna, ieri, in prestito?"

Bernardino fissò gli occhi sorridenti della vecchia. No, non aveva fatto nulla di simile! Non aveva nemmeno osato rivolgere la parola alla bella Beatrice, anche se lo avrebbe desiderato. Aveva cominciato il suo lavoro nella stanza nuziale di Pier Maria, che aveva momentaneamente trasferito il suo grande talamo in un'altra ala del castello.

Tuttavia Beatrice aveva cominciato con lui un gioco cortigiano. E lui non voleva né poteva tirarsi indietro. Lei non avrebbe mai avuto un'altra occasione per godersi un piccolo intrigo cortese... 

Bernardino si pulì le mani nel grembiule e prese il libro.

La nutrice sorrise e se ne andò, lasciandolo solo.

Egli andò alla finestra, dove un raggio di sole disegnava il suo cammino sul pavimento di cotto. Aprì il libro: un prezioso mano scritto miniato, con figure di dame e cavalieri brillanti di colori. Di difficile lettura, ed in lingua franca. Bernardino non era che un pittore, seppure colto: come leggere un testo simile senza un aiuto ed in breve tempo?

Dov'era il messaggio? Un foglio celato tra le pagine del libro? Lo cercò, senza trovarlo. Si maledisse: che follia! Beatrice non poteva compiere un'imprudenza come quella di scrivere di suo pugno ad un insignificante pittore!

Bernardino richiuse il libro, con un sospiro. Che senso aveva dunque quel libro? Ne fissò la copertina, di buona pelle, accarezzandola con le dita, e pensando a lei... così bella, così giovane, così irraggiungibile.

E lo sguardo gli cadde sul titolo del libro.

Lancelot!

Gli occhi scuri di Bernardino si spalancarono, in improvvisa rivelazione.

Ecco il messaggio di Beatrice!

Per un attimo restò immobile, pieno di ammirazione per la sottigliezza della donna, per la sua raffinatezza... e per la gioia che gli procurava quel messaggio.

Qualche prete aveva tuonato, dal pulpito della sua città, contro quel romanzo cortese che circolava in tutta l'Europa, tradotto e rielaborato da infiniti scrivani, in latino, in provenzale, in tedesco, in volgare. Come si poteva tollerare l'ammirazione per un cavaliere francese forte, bello, cortese, coraggioso, leale... 

... e adultero?

Bernardino aveva sentito parlare di Lancillotto, aveva sognato come tutti i suoi coetanei su quelle avventure di un'epoca che era già finita. Sapeva che il primo passo verso l'adulterio l'aveva fatto proprio Ginevra, concretizzando quella che era la passione segreta del suo cavaliere.

Ginevra, come Beatrice... la moglie di un altro, di un feudatario. E lui, come Lancillotto... la tentazione!

Un brivido scese nella schiena di Bernardino. Beatrice aveva perfettamente inteso il desiderio nei suoi sguardi. Quel messaggio era chiaro, e spaventosamente esplicito. Ella non si accontentava di un amore cortese, di una civetteria senza seguito. E del resto, poteva un uomo rozzo come Pier Maria fare differenza tra i due amori? Avrebbe mostrato più tolleranza per un amore platonico piuttosto che una concreta passione?

Difficile credere ad un semplice amore cortese quando l'amante era un giovane di bell'aspetto... 

Bernardino strinse il libro tra le mani. Il rischio che correva! Pensò che un uomo come Pier Maria non avrebbe perso tempo a fare accuse. Se avesse sospettato qualcosa, avrebbe fatto semplicemente rapire e sgozzare il giovane pittore, in segreto. Un cadavere in più in qualche fosso nei campi... un'altra vittima di misteriosi banditi.

Lasciò il libro su uno sgabello, come se scottasse. Riprese i suoi carboncini e fissò la parete. Meglio scacciare quei pensieri pericolosi! Aveva una stanza da affrescare, l'intonaco aspettava, i cartoni ai suoi piedi attendevano la sua mano.

Arianna circondata da amorini... 

Era arrivato a tracciarne la figura fino a mezzo busto, quando si accorse di aver disegnato il ritratto di Beatrice, lo stesso viso, gli stessi occhi, gli stessi graziosi, piccoli seni che aveva indovinato sotto la sua veste.

Spezzò il carboncino e diede un pugno furibondo sulla parete.

"No, no... no!"

"Difficile disegnare con proporzioni corrette, direttamente sul muro, e con soggetti di discrete dimensioni."

Si voltò di scatto, con il cuore che pareva esplodergli nel petto.

Baglione era alla porta, sorridente... o meglio, ghignante. I suoi capelli, fini come tela di ragno, si dipartivano dalla sua testa come un'aureola arruffata. I suoi occhi rimiravano Bernardino con uno sguardo fisso.

"Mi avete spaventato," mormorò il giovane, ed afferrò uno straccio per cancellare il suo disegno.

Era spaventato davvero, lo sguardo di Baglione aveva qualcosa di ironico e lubrico che faceva gelare il sangue nelle vene.

"Avete sbagliato quel disegno? È per questo che siete furioso?"

"La luce, qui... non va bene," rispose Bernardino, cancellando con furia i suoi tratti di carboncino.

"Siete a buon punto, vedo. Io ho quasi finito la prima parete."

Bernardino si voltò, rimirò Baglione con stupore. "Come potete aver finito quasi... "

"Non uso cartoni, e dipingo direttamente sull'intonaco," sorrise il vecchio, entrando nella stanza. "E non ho..." una pausa, un sospiro: "... distrazioni."

Ci fu un istante di assoluto silenzio.

"Cosa intendete dire, messere?" chiese infine Bernardino, con voce gelida.

"Io sono un pittore, mio giovane amico... " Baglione si avvicinò, "Li vedete questi occhi così sporgenti? Sono occhi acutissimi, addestrati a rubare i colori al mondo. Quel che possono vedere questi occhi, molti mortali non lo immaginano neanche. E quel che ho visto in questi giorni, nessun altro lo conosce. Soltanto io... una vecchia intrigante... una moglie troppo giovane... e voi."

Bernardino impallidì mortalmente.

"Cosa dite, messere? Di quale fantasia parlate?"

"Pier Maria Rossi è un uomo notevole. Perché lo disprezzate? Perché è ambizioso? Perché non sa cinguettare come un cortigiano? Perché solo ora che non è più giovane ha trovato modo di cercare moglie?" La voce di Baglione era un sussurro lontano, si mescolava al sibilo del vento, appena udibile.

"Che cosa dite? Io, disprezzare!... È il mio mecenate... "

"State dunque saldo nella vostra decisione, mio giovane amico...  avete iniziato un gioco molto, molto pericoloso. Pier Maria Rossi è il mio mecenate come il vostro, il mio signore come il vostro. Non fategli del male..."

La mano di Baglione, lunga e ossuta, si posò sul petto di Bernardino.

"... a cagione di una femmina!"

Il sangue imporporò il volto di Bernardino. Con la voce strozzata dal ribrezzo gridò:

"Non toccatemi!... "

Baglione ritirò immediatamente la mano. La guardò, e poi fissò ne gli occhi il giovane mentre, provocatoriamente, se la portava alle labbra.

"Non vi punirei con la delazione, messer Bembo. Non lo farei mai. Sareste distrutto, e questo è qualcosa che non voglio... per nulla al mondo. Siete troppo avvenente per essere perduto. Avete il mio giuramento che non vi tradirò mai... "

"In cambio di cosa?" ribattè Bernardino, con voce tremante.

"Ah, la tentazione!..." ansimò Baglione, con occhi dilatati. "Ma dopo, che cosa potrebbe salvarmi dall'ira vostra e della vostra amante?... No, messer Bembo, questa è una questione di onore. Voi non farete quello che desiderate fare, perché se lo farete sarò io a punirvi...  soltanto io!"

"E come?"

"Non con la spada né col veleno... " Baglione trasse dalle pieghe della veste un pennello, e lo brandì davanti agli occhi di Bernardino, "... ma con questo!"

Gli voltò le spalle e, arrivato sulla soglia, disse senza voltar si:

"Ricordatevi di questo avvertimento, Bernardino Bembo...  ricordate!"

Bernardino restò solo, nella grande stanza, con le spalle al muro, ancora tremante.

"Vecchio pazzo... maledetto vecchio pazzo sodomita!" mormorò, tra i denti. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Schieramenti ***


*

 

 

 

Marco e Cinzia entrarono in una grande sala dall'atmosfera polverosa. Una grande finestra dava sul cortile interno, e la luce solare si proiettava attraverso di essa sul pavimento di cotto vetusto, irradiando un riflesso roseo sulle pareti.

Restarono immobili al centro della sala, guardandosi intorno, sorpresi.

Le pareti erano prevalentemente bianche, con decorazioni mai troppo grandi sospese in un vuoto senza proporzioni. Piccole figure dai colori brillanti, assieme ad altre dalle tinte tenui, quasi imitassero il cangiare della madreperla; deliziose nel loro tratto sicuro, inquietanti... 

"Che strano!" mormorò Cinzia, a voce bassa.

"Deve essere un artista minore; le figure sono grottesche, e molto ingenue."

"Ingenue? Non direi. Sono modernissime... quasi naif!"

"In effetti danno un bellissimo senso di infinito. Chissà se all'epoca avranno apprezzato uno stile così... strano."

Marco si voltò più volte. Piccole cariatidi, testine di donna e di fauno sembravano tutte rivolgersi verso di lui, fissarlo con occhi intenti e scrutatori. Quegli occhi sembravano vivi, pur attraverso l'intonaco sbreccato.

"Esiste un trucco ottico per dare l'illusione che la figura guardi negli occhi chi l'osserva," mormorò, quasi a se stesso.

Sì, quel trucco era noto, ma questo non rendeva meno inquietante quel muto sguardo inquisitore.

"Non vuoi fare qualche fotografia?" chiese Cinzia, fissando lo sguardo ora su un particolare, ora su un altro.

"Ho paura che una foto non possa rendere l'impressione di insieme," rispose Marco.

"Ma, se osservi da vicino, vedi con quale tecnica è stato eseguito... "

Si interruppe, bruscamente.

"Che cosa c'è, Cinzia?"

Lei si lasciò sfuggire una risatina nervosa.

"Non abbiamo inventato proprio niente, noi della civiltà industriale... neanche i transessuali, a quanto pare."

Marco si avvicinò a lei, alzò gli occhi al particolare che aveva attirato l'attenzione di Cinzia.

Un giovane uomo nudo, dai riccioli bruni, danzava su una smisurata piattaforma marmorea, incorniciata da festoni di frutta e perdentesi all'infinito, in un cielo bianco, arioso e vuoto. Il giovane era stato fermato in una posa plastica, ed i suoi assurdi, grandi seni femminei parevano ondeggiare nella luce bianca di quell'abbagliante alba di Arcadia... 

"Santo cielo!... " esclamò Marco, inspiegabilmente sconvolto da quella piccola figura che, come tutte le altre, lo fissava... e con occhi disperati.

"Bisognerebbe fotografare tutti questi particolari, uno per uno," diceva Cinzia, allegramente. "Sono ognuno dei piccoli capolavori. E poi questi li chiamano artisti minori, e nessuno ricorda i loro nomi. Le solite prevaricazioni dell'autorità scolastica che decide chi deve essere grande e chi no."

Prese la mano di Marco, per accompagnarlo ad un'altra parete, e la sentì gelida.     

"Hai freddo?"

"Fa sempre freddo nei castelli," disse lui, scuotendosi. "Certo che questo pittore era un mostro perverso, un nemico dell'umanità!"

Cinzia lo guardò, sconcertata da quella veemenza. Marco aveva quasi gridato quelle parole, che erano echeggiate nella sala vuota.

"Per me c'è molto più sadismo nelle pitture manieriste, che descrivono il martirio dei santi con dovizia di particolari," replicò, con voce conciliante.

"È un'altra cosa, amore. Personalmente, quelle pitture non mi hanno mai suscitato orrore. Ma queste... "

"Non ti piacciono, dunque?"

"Sì," ammise Marco, suo malgrado. "Mi affascinano... e mi ripugnano insieme. Una vera opera d'arte è ciò che suscita emozione e devo ammettere... che questa è una vera opera d'arte."

"Anche se le proporzioni e le prospettive non sono perfette, ed alcune figure sono tracciate in modo quasi infantile... "

"Che importanza hanno queste cose... quando il pittore possiede la vera magia nel suo pennello?"

Marco si guardò le mani, con rimprovero.

"Ed io sono indifeso contro questa magia... io non la possiedo affatto."

Alzò di nuovo lo sguardo al giovane nudo che danzava, sentendo per un brevissimo istante una strana sensazione di doppiezza, come se si fosse trovato davanti ad uno specchio. 

 




 

 

*

 




 

 

Il gran piacere di Pier Maria, dopo aver adempiuto ai propri doveri quale signore del luogo ed esserci occupato di costruzioni, decime ed esercizi militari, era quello di sedere in silenzio nella sala in cui Baglione eseguiva la sua opera.

Spesso, per ore, i due non scambiavano parola. Pier Maria sorseggiava vino con gli occhi fissi alle mani agili ed ossute del vecchio pittore, che distribuivano il colore con sicurezza assoluta... un piacere guardarlo. Sembrava che, anziché dipingere, egli cavasse le sue figure da qualche mondo misterioso sepolto sotto l'intonaco bianco.

E forse era così. I servi erano spaventati dall'aspetto demoniaco di Baglione, e sussurravano che egli combinasse i suoi colori segreti con formule stregoniche. Fuggivano la sua figura allampanata avvolta in tetre palandrane, e guardavano con meraviglia le piccole figure ignude che dipingeva.

Anche l'altro pittore, il giovane, dipingeva nudità; ma le sue erano diverse e non colpivano tanto la fantasia di chi le guardava. La camera nuziale stava diventando la quinta per un sogno festoso ed erotico, in un'Arcadia assai più umana di quella di Baglione. Sulle pareti era dipinto un colonnato, dal quale si spiava, attraverso squarci nel bosco e festoni di rose ed edera, la processione nuziale di Bacco ed Arianna... un'Arianna che assomigliava teneramente alla padrona della stanza.

Del resto, Bernardino Bembo era ben altrimenti considerato dalla servitù del castello. Un giovane così bello, cortese e gentile!

Pier Maria sogghignò vedendo sorgere dal pennello di Baglione il ritratto del Bembo con i seni da donna.

"Avete ragione, maestro Carolus. Quello deve essere il tipico ragazzo che ha fatto pratica in bottega in cambio della propria virtù. Non mi piace... è troppo effeminato."

"La natura femminile è da temere, illustrissimo." La voce di Baglione era il solito sussurro che, chissà come, giungeva sempre chiarissimo alle orecchie di chi lo ascoltava. "Essa è signora del bello... del piacere dei sensi... ma anche del tradimento e dell'inganno."

Pier Maria annuì. Come aveva ragione, quel vecchio demonio! Aveva conosciuto quella natura, nel sorriso allettante delle cortigiane come nelle facce dei traditori che vendevano i propri compagni in cambio di un salvacondotto.

"Io ed il Bembo militiamo in campi opposti, illustrissimo. Io servo Zeus, ed Ares," e Baglione si voltò brevemente verso Pier Maria, come per dire che non poteva avere in mente altri déi, in sua presenza; "Lui, invece, serve i miei acerrimi nemici: Eros... ed Afrodite!"

Pier Maria sentì un vago fastidio.

"Lui con Beatrice dunque... contro di noi?"

"Voi con me, illustrissimo... contro di loro!" rispose Baglione, con un sorriso ispirato. "Una battaglia cosmica... due universi che si scontrano sulle pareti del vostro maniero, una lotta ancor più epica di quella che coinvolse gli déi quando vi fu la guerra di Troia!"

"Zeus vincerà. Non può perdere! Egli è il signore dell'ordine dell'universo."

Pier Maria faticava a parlare, gli sembrava di respirare un'aria rarefatta. I suoi occhi non riuscivano a staccarsi dalle figure dipinte sul muro. 

"Voglio il vostro universo, Carolus!... "

"Sì, il mio universo," fece eco Baglione, suadente. "Esso è lo specchio della potenza di Zeus. In questo universo non esiste libero arbitrio, ma solo ineluttabile diritto divino. Il mondo non è che molle cera nelle mani degli déi, che vi giocano spregiudicatamente, senza alcun vincolo di morale, liberi come mai nessuno può sognare di esserlo. Il mio universo non è che un infinito, vuoto scenario, dove gli déi collocano il frutto della loro fantasia sfrenata, perversa, sublime. L'umanità non è che un arredo, una nuda schiera di adoratori che segua i loro carri trionfali su infinite, sterminate pianure... 

Gli occhi di Pier Maria erano fissi, persi nel disegno sulla parete, e oltre, in quel mondo che magicamente si apriva davanti a lui. Con un senso di dolce vertigine si trovò a respirare liberamente quell'aria irreale, odorosa di incensi e di rose (ah, il sollievo per i suoi polmoni stanchi!); sedeva su uno di quei troni di potere, altissimi sul mondo, adorni di ori e porpore di Tiro, circondati da panoplie romane; e da lassù dominava il mondo... 

"Mio nobile signore," respirò Baglione, e la sua voce accarezzò Pier Maria, perso in quella strana delizia, "Vi amo perché voi solo siete con me in questo mondo."

E tutto era silenzio, nella grande sala invasa dal sole. 

 

 



 

*

 




 

 

"Questa è chiaramente la mano di un altro pittore," diceva Cinzia, entrando in un'altra stanza, più stretta e raccolta, dall'alto soffitto.

"Una tecnica migliore," replicò Marco con un sorriso, che si spense però quasi subito quando contemplò i segni spietati del tempo e dell'incuria su quegli affreschi. Ampie zone di vuoto sfiguravano le pareti.

"Mi sembra di riconoscere il soggetto," continuò Cinzia, "Bacco ed Arianna, un favorito dell'epoca rinascimentale."

"Ci voleva tanto a restaurare questi affreschi, prima che andassero in rovina?" disse Marco, con voce sdegnata.

"Lo sai come vanno le cose, in questo paese... " sospirò lei, osservando il particolare di un festone di rose.

"Chissà che meraviglia era questa stanza, cinque secoli fa," mormorò lui, tristemente, "I colori brillanti... le figure sorridenti... se solo tu potessi immaginare, Cinzia!"

"Ma io lo posso, Marco," sorrise lei, con dolcezza, "E sono sicura che questa stanza era meravigliosa."

Impulsivamente, lui le si avvicinò e la abbracciò.

"Amore, mi è venuta un'idea. Dormiamo qui stanotte."

"Non ho visto pensioni in paese... "

"No. Non in paese. Voglio dire qui, nel castello. In questa stanza."

Cinzia lo guardò, sconcertata.

"Ma, Marco!... Sei impazzito?! Non possiamo fare una cosa simile!"

"Tutto si può fare, amore, basta volere."

"Tra poco chiuderanno e ci sbatteranno fuori! O vuoi chiedere ai guardiani il piacere di lasciarci qui a dormire? Sai bene che è proibito!"

"E chi chiede nulla? Tra poco chiuderanno, lo so. E noi ci nasconderemo in qualche posto. Non dirmi che in un castello è difficile nascondersi. Crederanno che ce ne siamo già andati, e ci chiuderanno dentro. Così per una notte saremo i castellani, e domani taglieremo la corda mescolandoci agli altri turisti. Che ne dici, non ti piace l'idea?"

Cinzia abbassò gli occhi, confusa.

E Marco pensò, tristemente: no, non le può piacere. È una persona così giudiziosa, non le piacciono le mattane come questa. Mi dirà che ha paura, che si vergogna a rischiare di essere cacciata fuori domani mattina, o presa dai carabinieri mentre scavalca il cancello stanotte come una ladra. Mi dirà che un castello come questo, vuoto, non è affatto confortevole, e chissà cos'altro... e mi darà del malato di mente.

E invece il viso di Cinzia si distese in un sorriso ispirato. Alzò i suoi grandi occhi azzurri e li affissò in quelli di Marco con incoscienza assoluta.

E Marco non credette alle sue orecchie... 

"Ci sto, amore. Almeno per una notte, dobbiamo essere i signori di un castello. Non avremo mai più un'occasione come questa!"

 





 

*

 




 

 

Era stata Beatrice ad avvicinare per prima il Bembo, e l'aveva fatto con abile prudenza, entrando nella camera nuziale per vedere l'andamento degli affreschi, in compagnia di una piccola corte di fantesche e del siniscalco.

Bernardino si era prestato volentieri al gioco cortigiano, mostrando il più grande rispetto per Beatrice e scherzando nel contempo con le sue ragazze che civettavano, un po' goffamente. Si era lasciato deliberatamente trattare come il bel giocattolo che era considerato, un po' vanesio, un po' timido. Ma quando aveva risposto alle domande cortesi di Beatrice, lo aveva fatto con tutta la tenerezza che potesse mascherare da deferenza. 

Mentre Pier Maria e Baglione condividevano i loro alati universi, ogni giorno si udiva il riso delle fantesche, ed i loro sussurri: "Dal Bembo! Dal Bembo! Chiediamo alla padrona di andarci..."

"Di questo passo, quel ragazzo non finirà mai quella stanza da letto," aveva commentato Pier Maria, annoiato.

"La tela di Penelope," aveva risposto Baglione, con un sorriso saputo.

Beatrice sedeva in quella piccola stanza nuziale, in compagnia della sua piccola corte. Sorrideva, serena e distaccata, anche quelle mattine che seguivano burrascose notti, con i servi spaventati che l'avevano sentita piangere sotto la furia del signore. Chiedeva notizie sulle mode cittadine, sulle corti che Bernardino aveva visitato, sulla città in cui era nato. E Bernardino fremeva, sotto la maschera deferente e umile che portava davanti a lei. Doveva essere prudente: tutti quegli occhi e quelle orecchie erano avidi di pettegolezzi... 

Poi, un giorno, Beatrice gli chiese la mano per tornare verso le sue stanze. La giornata era al suo termine, il corridoio stretto ed oscuro. La nutrice dietro a loro esitò a passare, si voltò a sussurrare con aria cospiratrice:

"Ho novella di quel vecchio negromante che piace al padrone... "

Tutti, dietro a lei, rizzarono le orecchie. Ogni pettegolezzo su Baglione era un boccone prelibato... 

E Beatrice approfittò del momento per stringere le dita di Bernardino nel suo piccolo palmo caldo, senza voltarsi a guardarlo.

Bernardino si sentì ardere. La sua mano sensibile rispose alla stretta con un gioco di polpastrelli che era una dichiarazione d'amore nascosta. Non aveva mai immaginato tanta delizia sensuale in una piccola mano di donna... 

Durò solo un istante, ma ambedue ora sapevano dell'altro più di quanto ogni discorso potesse dire. Il loro desiderio più segreto era un desiderio corrisposto.

Quando arrivarono all'ingresso delle stanze di Beatrice, trovarono una figura alta ed oscura ad aspettarli.

Le fantesche cessarono di colpo i loro risolini.

Bernardino si sentì gelare il sangue... 

"I miei omaggi, illustrissima," mormorò Baglione, con un inchino.

Fuori suonarono le campane del vespro.

Beatrice si limitò ad un cenno regale della sua piccola testa bionda. Il suo disprezzo per Baglione era evidentissimo. E non lo temeva, come invece faceva Bernardino. Il giovane pittore era convinto che quel vecchio demoniaco avesse visto tutto... quello scambio di segrete tenerezze... 

"Dov'è mio marito?" domandò Beatrice, la voce dura come una scudisciata.

Baglione sollevò lentamente il suo viso emaciato. Fissò negli occhi la giovane donna, che si ritrasse istintivamente da quello sguardo.

"È partito per Berceto a mezzodì," rispose, con un sussurro sforzato, "Non vi ha avvisato, madonna?"

Un lento sorriso piegò le labbra di Beatrice, una risposta ironica. Si voltò brevemente verso Bernardino.

"Il mio signore è un uomo imprevedibile, non è vero? Ha un feudo così grande! Vi ringrazio, messer Baglione, di avermi recato questa notizia. Mi sarei crucciata vanamente non vedendo il mio signore...  tornare al suo talamo stasera."

Bernardino si inchinò, e restò immobile finché lei non scomparve nelle sue stanze. Non osava nemmeno pensare, ma la rivelazione era chiara... 

Beatrice lo aveva invitato ad approfittare di quell'occasione.

"Venite con me, messer Bembo," disse Baglione, quando rimasero soli.

"No. Perdonatemi... "

"Venite con me! Solo per un istante. È cosa urgente."

"Lo so bene, messere, cosa intendete per cosa urgente," ribattè Bernardino con rabbia, e si allontanò da lì.

Baglione lo seguì, con passi veloci e silenziosi che non erano quelli di un vecchio. Invano Bernardino accelerò il passo. Arrivò alla sua stanza, fece per chiudere la porta, ma una forza inaspettata la spalancò vincendo anche le sue giovani braccia.

Bernardino fu sospinto fino al centro della stanza. Baglione entrò, chiuse la porta dietro di sé. Un piccolo cero ardeva sul tavolo di quercia, illuminando appena la scena.

"Che cosa vuoi da me, vecchio?" domandò Bernardino, ergendosi con furia sdegnata.

Baglione si avvicinò, lentamente. I suoi occhi danzavano alla luce del cero.

"Stai commettendo un peccato mortale," disse, con la solita voce strisciante. "E la tua amante osa servirsi di me per darti i suoi appuntamenti galanti! Bernardino, ascoltami. Beatrice è una femmina, una debole figlia di Eva, e non ci si può aspettare altro da una creatura come lei. Ma il responsabile dei suoi peccati sei tu!"

"Io!" gridò Bernardino, "Qual'è la mia colpa?!"

"Tu sei la tentazione!" tuonò Baglione, con voce altissima, che scosse il giovane con un brivido di terrore.

Seguì un istante di silenzio mortale.

"Tu sei la tentazione," ripetè Baglione, più dolcemente. "Tu sei Eros, la causa scatenante delle forze del male. Beatrice avrebbe potuto essere una moglie fedele... infelice, ma onesta. Per causa tua è diventata un'adultera, in spirito e, se tu cederai, anche nel corpo. Tu la condurrai al delitto. Stringi nelle tue mani il suo futuro, Bernardino... "

"Ed il tuo," sorrise il giovane, con sfida, "Hai perso la pace, vecchio lussurioso, fin dal primo momento che mi hai visto davanti al ponte levatoio! Ecco perché mi tormenti... sei geloso, geloso come una donna!"

"Io so... " Baglione cominciò a respirare affannosamente, "... so che sto peccando. Per tutto questo tempo ho temuto di incontrare Eros... l'unico dio al quale soccombono tutti gli déi. Sì, tu sei la nemesi di Beatrice... e sei anche la mia." Gli occhi sporgenti si levarono su Bernardino, tremanti. "Correggi la frattura negli eventi che hai provocato, Bernardino! Non cedere alla tua passione, o lei sarà perduta... tutti noi saremo perduti! Io... "

Baglione si interruppe. I suoi occhi si chiusero, per un istante.

"Mi stanno spiando," mormorò.

Bernardino guardò alle spalle di Baglione. La porta era socchiusa, solo per qualche frazione di pollice.

"Se ti hanno sentito!" mormorò, spaventato.

"Non temere," rispose lui, con sicurezza assoluta. "Non possono intendere nulla di quanto stiamo dicendo."

Bernardino fu colto dal panico. "Tu sei un demonio!"

"No. Io sono un dio, Bernardino. Questo è il mio segreto."

Il giovane restò a bocca aperta.

"Sei un pazzo, Carolus... nient'altro che un pazzo!"

"Sei tu il pazzo, se pensi di sfidare la mia potenza. Rammenta cosa ti ho promesso quel giorno! Non costringermi a maledirti... non puoi sapere l'orrore al quale saresti condannato... il suggello alla distruzione totale di noi tutti!"

Bernardino scoppiò improvvisamente in un riso isterico.

"Tremo dinanzi a te, dio dalla faccia di mostro!... Dipingi il tuo universo da incubo perché è l'unico posto a cui può appartenere una creatura deforme come te. Mi detesti e mi perseguiti perché sono quello che tu non potrai mai essere. E mi desideri, perché vorresti possedere quello che non hai! Io rido di te, misero dio che ha paura dell'amore di una donna!"

Baglione ebbe un tremito, la sua voce uscì come un rantolo soffocato.

"No, Bernardino! No... "

"Perché non dovrei avere Beatrice? Ahhh... ora capisco... perché lei serve a te!"

"Non è vero!"

"Tu e Pier Maria... lo adori, quell'uomo, non è vero? Lo ammiri, lo lodi, lo vuoi vedere felice. In un modo diverso, lo ami... senza desiderio carnale, solo un casto, purissimo amore filiale. Pier Maria è su questa terra quello che tu avresti voluto essere... un signore! Il tuo maledetto Zeus!"

Baglione arretrò, fissando il giovane con occhi dilatati.

"Tu possiedi l'anima di quell'uomo," sorrise Bernardino. "Le sue gioie sono le tue. Attraverso di lui ti godi il senso di potenza che prova ogni notte accanto alla sua giovane sposa. Beatrice è il suo radioso futuro! Lui vede il suo sogno di gloria quando è a letto con lei... vede lo stemma dei Rossi sulle porte di grandi città, si sente padrone di un grande regno! Lui ha bisogno di Beatrice... lei è il suo avvenire!"

Bernardino si avvicinò a Baglione, pieno solo di un rabbioso desiderio di rivincita nei confronti di quel vecchio demoniaco. Gli dava troppa gioia vederlo torcersi, come un verme quando si solleva una pietra.

"Se io prendo Beatrice, ti tolgo lei e me stesso insieme: è questo che temi, vero?... Ti credi onnipotente, povero dio infernale, ma guarda quanto sei invulnerabile!"

E con un gesto rabbioso, premette le labbra sulla bocca contratta di Baglione.

Fu consapevole della porta che si chiudeva di scatto. Quella scena avrebbe scatenato un'ondata di sussurri per tutto il castello. Avrebbe stornato i sospetti da Beatrice e avrebbe dato a Pier Maria di che dilettarsi... 

"Vuoi altro, vecchio dio, per lasciarmi in pace?" gli sussurrò, ironico.

Baglione era rimasto immobile, impietrito. Bernardino vide che stava piangendo.

È in mio potere! Questo vecchio maledetto è sconfitto

Il pensiero lo esilarò, superando il disgusto che gli era costato quel bacio.

"Vattene," gli disse, sferzante.

Rigidamente, muovendosi a fatica, Baglione si volse con un singhiozzo.

"Per questo... Bernardino... ti giuro che non ti perdonerò... mai."

"Vattene!"

"Sì, me ne andrò. Il fato è già segnato... ho fatto quello che ho potuto, ma neanche gli déi possono fuggire il destino. Tu sei dannato, Bernardino Bembo. E hai dannato noi tutti."

Baglione uscì, le spalle curve, il passo affaticato.

Bernardino non lo incontrò più per tutti i mesi che seguirono. 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Conflitto ***


 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

"Si chiudeee...  Signori si chiudeee... "

Una voce, piena di svogliatezza, con il lieve imbarazzo di chi te me di parlare al vento. Grazie al cielo il guardiano si imbatté in una coppia di giovani turiste, e la sua voce acquistò forza.

"Belle signore si chiude... fateci tornare a casa, a mangiare la pappa."

L'eco della risata delle ragazze risuonò nel castello vuoto.

"Sono andati via?" sussurrò Cinzia, nascosta in un angolo delle cucine.

"Ssst!" sibilò Marco, tendendo l'orecchio.

Nessun rumore.

Poi, il tonfo del cancello, giù in basso, che si chiudeva.

"Fatta!" sospirò Marco, contento.

"Non ha fatto nemmeno il giro di tutte le sale!" esclamò Cinzia, alzandosi e spazzolandosi la gonna. "Ed io avevo una paura... "

"Dio è con noi," sogghignò Marco. "Mi raccomando, non facciamo baccano. C'è della gente che abita sotto le mura. Spostiamoci da qui."

"Andiamo nella stanza che ti piace tanto!"

"La nostra stanza da letto," sospirò lui, "Materassi duri, però ci sono belle decorazioni d'epoca, ed una bella loggia che dà sulla valle. Bel posto per mangiare un panino, senza farsi vedere da quelli sotto...  ci farà senz'altro più caldo che qui dentro."

"Non mi dispiace mica questo bel fresco. Ce lo godremo stasera, vedrai. Meglio dell'aria condizionata."

"Pensa che avremo anche la toilette, l'ho vista nel cortile... "

"Originale del sedicesimo secolo?"

"Non credo... originale del millenovecentosettanta, direi."

Risero, spensierati.

"Se ci scoprono, Marco, glielo dici tu ai carabinieri che è stata un'idea tua? Se i miei lo sapessero!"

"Se ci scoprono, ci cacciano via, punto e basta. Non abbiamo com messo alcun reato. Ce la svigneremo domani mattina insieme agli altri visitatori. Oppure stanotte andrò a dare un'occhiata al cancello. Non mi era sembrato difficile da scavalcare, a meno che non abbiano chiuso anche il portone dell'ingresso... "

"No, non lasciarmi sola!" esclamò Cinzia, abbracciandolo impulsivamente. "Ho paura senza di te."

Lui la strinse a sé, felice di sentirsi suo protettore.

"Ti rendi conto che siamo qui per puro caso?" mormorò lei.

"Ti rendi conto che avrei potuto vedere mille altre mostre, quel giorno lontano, e non incontrarti mai?"

"Forse ci avresti guadagnato, tesoro. Una ragazza un po' più carina."

Le baciò la punta del naso.

"Sciocca. Su, andiamo alla nostra loggetta. Ho fame."

"Cosa passa il convento?"

"Pane e salame, pane e prosciutto, yogurt, birra e qualche sfiziosaggine che mi ha attirato al supermercato."

"Roba dietetica come cioccolato, dolcetti vari... abbiamo un po' di frutta?"

"Pesche. Questo zaino pesa una tonnellata! E devo portarmi dietro anche la borsa della macchina fotografica... "

"Dalla a me."

"Tu hai già la tua cosiddetta borsetta... chiamarla valigia sarebbe più appropriato."

"Ma ci sono dentro i documenti, amore... e la mia bustina con spazzolino, salviette, fazzoletti di carta, le chiavi di casa, le chiavi della macchina, la mia guida turistica, un notes, penna, un pettine, uno specchietto, una pila elettrica, un accendino... tutta roba che serve, no?"

"Per me ti sei dimenticata di qualcosa. Quella borsa è un pozzo di San Patrizio. Non c'è dubbio che ne caverai fuori anche un rasoio elettrico per domani mattina."

"Non osare avvicinarti con la barba da fare! Sai che ho la pelle delicata."

"Mi avvicinerò eccome," sorrise Marco con aria maliziosa. "Vuoi che mi lasci scappare l'occasione di fare all'amore in stile rinasci mentale?"

"E com'è questo stile rinascimentale?" domandò Cinzia, ridendo.

"Vedrai, vedrai... ti farò una bella lezione di storia dell'arte. Il luogo è ideale perché, come dice il mio professore, l'arte va spiegata e vissuta in un contesto organico. E qui siamo circondati dall'arte... " Allungò un braccio, "Quasi quasi incomincio la lezione. Vieni qui."

Cinzia gli sfuggì, ridendo. "Ehi, che maniaco! Vergognati... un ragazzo serio come te!"

Scherzarono ancora per qualche momento, stuzzicandosi. Poi Cinzia si rilassò con le spalle alla parete, con un sospiro, lo sguardo perso in alto.

"Marco... "

"Sì?"

"Hai notato che la nostra... stanza da letto è diversa da tutte le altre stanze del castello?"

"Sì. E ti dirò di più, amore: credo che fosse veramente la camera da letto signorile del castello: la posizione, la loggia che si spalan ca su un lato della stanza, in posizione panoramica... ed il fatto che il pittore che l'ha decorata non ha fatto altro, nel castello. Che strano, vero? Due pittori... uno pagato per dipingere solo questa stanza, e l'altro... uno sgobbone... per dipingere tutte le altre... "

La voce di Marco si spense.

"Pensi che potresti fare l'amore in una delle altre sale del castello?" domandò Cinzia, improvvisamente.

Anche Marco si appoggiò alla parete, e rispose a voce bassa: "No...  non potrei mai."

 



 

 

*

 



 

 

Tu sei dannato, Bernardino Bembo... 

Le parole di Baglione risuonavano ancora nella memoria di Bernardino.

Qualcosa lo aveva preso al petto, quella prima notte quando, dopo aver sfogato tutti gli ardori ed i desideri segreti accumulati in quei giorni, Beatrice gli si era abbandonata tra le braccia.

"Tu piangi... " aveva mormorato lei, stringendoglisi contro.

"Non è nulla, mia diletta."

Oh giustizia infame, falsa e crudele! Perché il loro doveva essere un amore senza speranza e senza futuro? Perché bastava la benedizione di un prete prezzolato a dividere il giusto dall'ingiusto, il lecito dal peccato? Perché il loro amore era indecente, e non lo era l'orribile matrimonio di Beatrice con un vecchio?

Eppure lei era nata per appartenere a lui... lui, un semplice pittore senza nobiltà, ma che ora si sentiva più grande di un imperatore. Tanto aveva potuto la passione dentro di lui: portare il suo orgoglio fino alle stelle.

Perché dunque quella splendida stanza nuziale, frutto della sua fatica, doveva appartenere a Pier Maria Rossi? Perché quel grande letto dalle cortine dense di broccato doveva accogliere quel vecchio guerriero, incapace di dare la gioia di un vero, giovane amore alla sua splendida sposa?

Perché quell'ingiustizia? Perché?... Perché?!

Bernardino aveva sentito aprirsi in sé una voragine oscura, un pozzo senza fondo di desiderio. Nessun limite più di ragionevolezza, di logica, di morale.

E Beatrice era trascinata con lui... la splendida Beatrice che l'aveva accolto, in quella prima notte, in camicia trasparente, i capelli sciolti, gli occhi più profondi delle tenebre di quella notte fatale.

Voglio vedere il tuo viso, mia adorata, e respirare l'aria dalle tue labbra, e camminare sull'orma dei tuoi passi... 

"Ora so che non potrei più vivere senza di te," aveva mormorato lei, stringendolo a sé. "Vivrò solo nella speranza che venga un'altra notte come questa."

Sì, altre notti erano venute. Ognuna avrebbe potuto essere l'ultima.

E Bernardino pensava: non è mia, non lo sarà mai. Tutto ci divide. Non abbiamo futuro: solo un sottile, periglioso presente... sempre in bilico tra la morte ed il disonore, circondati dalla paura e dal sospetto.

Eppure non posso lasciarla... non posso, non posso!”

"Ho visto la morte," mormorava Pier Maria, seduto a guardare gli affreschi, in una giornata uggiosa.

"Odio mio marito," aveva singhiozzato Beatrice, sul petto di Bernardino. "Vuole da me un figlio. Non mi lascia in pace. Mi fa ribrezzo. Lo odio."

"Sì, ieri notte ho visto la morte," continuava Pier Maria, ad un Baglione silenzioso e cupo che fissava il vuoto con le mani immobili lungo i fianchi. "L'avevo già vista sui campi di battaglia, nelle città appestate, sulla faccia dei suppliziati portati sulla carretta. Ma ieri l'ho vista negli occhi di una donna."

Un lampo aveva squarciato l'aria, seguito dal tuono rabbioso.

"Una donna docile, arrendevole, giovane e feconda... la gioia di un uomo. Ma ieri mi ha guardato attraverso, come se non mi vedesse... mi ha trasmesso solo la visione di un deserto, flagellato dal vento, cosparso di ossa. Dov'erano i miei discendenti? Perché nei suoi occhi non c'era nessuno?"

Quante volte, dopo, i servi avevano sentito gridare Pier Maria, nel mezzo della notte... 

E Bernardino si era trovato a vegliare, insonne, con i pugni serrati, il corpo madido di sudore, i denti stretti in una smorfia di rabbia inconfessabile.

Era diventato geloso. Geloso del marito di Beatrice. Lei era sua! Non voleva che un altro uomo la toccasse, la guardasse, la possedesse. Che Pier Maria fosse il legittimo marito di Beatrice non significava nulla, per lui. Solo un ulteriore stimolo alla sua sofferenza.

Così aveva cominciato ad odiare anche lui quell'uomo... a volerlo morto.

La vertigine saliva, inarrestabile. Bernardino viveva giorni tormentati, smagriva nella passione. A volte restava immobile, con il pennello in mano, rimirando assorto quello che gli stava accadendo, come se si vedesse da una distanza immensa. Qualcosa in lui gridava con ogni battito del cuore: voglio, voglio, voglio... 

È questa la dannazione, vecchio Carolus? La scoperta di questo pozzo insaziabile dentro di noi? Il desiderio spinto oltre ogni frontiera, la condanna all'eterna follia dell'insoddisfazione, la maledizione dell'orgoglio votato alla continua mortificazione?

Bernardino aveva assistito, attonito, al dipanarsi del dramma promesso da Baglione.

"Come sarebbe bello se mio marito morisse!" aveva sussurrato Beatrice, nell'ultima notte trascorsa con lui.

Tu la condurrai al delitto, Bernardino... 

"Tu saresti una ricca vedova, padrona di tutte le sue terre," si era sentito rispondere, con la voce strozzata dal desiderio e dal terrore di quello che stava per causare.

"Nessuno più a dividere il mio letto, se non tu... in segreto...  mio dolce marito morganatico."

No, no, non devo farlo! Non posso lasciare che questo accada... 

"Tu la padrona, io il tuo servo... la tua mano benefica stesa sulla terra, come quella di Flora. Il tuo nome benedetto dalla gente. Il nostro amore senza più pericolo... senza più nemici."

Beatrice si era alzata dal letto, i capelli scomposti.

"Muore tanta gente, amore mio... la nostra era è il trionfo della morte. Essa viene ovunque, di giorno come di notte, nelle città come nei campi, per mano della fame o delle malattie, della spada o del bastone, del parto o del malocchio. La morte è una signora assai prodiga... basta solo chiamarla, ed essa accorre."

"Beatrice!..." aveva esclamato Bernardino, alzandosi ed afferrandola per le braccia. L'aveva guardata negli occhi, e si era sentito trafiggere da una saetta di ghiaccio... 

"Pier Maria è vecchio," aveva mormorato lei. "La morte potrebbe giungere per lui senza bisogno di chiamarla. Vorresti aspettarla, amore mio?"

L'universo si era cancellato, per Bernardino. Tutto era svanito e solo il battito del suo cuore era rimasto, a tonfargli cupamente nelle tempie... 

"Vuoi aspettare?" aveva incalzato Beatrice.

E Bernardino si era improvvisamente arreso al destino.

"No."

Ecco, ora sono davvero dannato... dannato senza più speranza di salvezza.

 




 

 

*

 




 

 

Il cielo notturno pareva di velluto blu, e l'aria era calda e ferma in quella notte d'estate. Nemmeno le stelle osavano palpitare, nell'oscurità sconfitta dalla luce lattea di un'immensa luna.

Quella luce illuminava quasi a giorno il castello, il cortile, i tetti delle case a valle; entrava a fiumi dalle grandi finestre dando una seconda vita fantasmagorica alle pareti affrescate. Qualcosa di ma gico si insinuava, si coagulava lentamente tra quelle pareti.

"Ho paura," aveva mormorato Cinzia, quando le tenebre avevano cominciato ad avvolgere il castello. Echi inquietanti sembravano arrivare dalle stanze vuote, strani suoni falsati dai rimbalzi sulla pietra, irriconoscibili. Era l'urlo di un fantasma, oppure il suono di un clacson salito fino a lì?

L'eco gaia ed un po' malinconica di una musica... ballo liscio, dalla balera là sotto. Andava e veniva, andava e veniva... 

La luna fissava il mondo, impassibile.

Marco si era trovato in uno strano stato d'animo, sospeso in una specie di sogno senza tempo. Aveva smarrito la sua scanzonata giovialità, si sentiva un fascio di nervi, un sismografo pronto a scattare alla prima vibrazione. Non si era mai sentito tanto sensitivo in vita sua.

Era la luna?

Anche Cinzia era diversa, taciturna, chiusa in se stessa. Sembrava quasi solenne, compassata nei movimenti. Come quando aveva percorso la salita al castello... 

Ma dov'era finita la sua querula allegria, la sua vivacità?

Però, agli occhi di Marco, lei aveva acquistato nuove doti in cambio di quelle perdute. Alla luce della luna, i lineamenti di Cinzia si erano uniformati stranamente a quelli delle figure affrescate nella stanza. A Marco parve di vedere davanti a sé la protagonista di quegli affreschi in carne ed ossa... una Venere botticelliana in tutto il suo incanto di occhi rotondi, biondi capelli ondulati, promessa di dolcezza e generosità di fianchi.

Non gli era mai sembrata tanto bella.

Era la luna?

A Marco sembrò di sentire i futuri commenti su quella notte... 

"Buona idea, per un viaggio di nozze... una notte in un castello, e senza spendere un soldo!" 

"E allora, cosa avete fatto di bello, eh?" 

"Non ditemi che non avete sperimentato la nuova situazione. E dunque, com'è stato fare l'amore in una stanza dipinta quattrocento anni fa? Meglio, peggio? Avanti, rispondete... "

Sì, lo so, è retorico, quasi banale quello che stiamo facendo, si disse mentre guardava Cinzia che gli si avvicinava, fissandolo con un'intensità tale da farlo rabbrividire.

Eppure lo faremo. E non sarà retorico, né banale. Sarà quello che dovremo fare. E non ci saranno parole sufficienti per raccontarlo... per descrivere la paura, l'emozione, la dolcezza di questo momento. Il senso di pericolo, il desiderio di fuggire... e la certezza di non avere altra scelta.

Come si può descrivere la potenza del destino?

 



 

 

*

 




 

 

Baglione dipingeva, torvo, cupo, senza soste, di giorno come di notte, al lume di una tremula candela. Dipingeva finché le mani non tremavano troppo forte.

Per Pier Maria. Ecco il suo universo. Ecco il mondo di Zeus. Per Pier Maria che non l'avrebbe più visto. Mai più, mai più!

Tocco di campane a morte. Doveva succedere, prima o poi. Un'imboscata, una vendetta, chissà.

Il corpo ancora forte di Pier Maria Rossi, sfigurato da grandi ferite di coltello, esposto sul nudo pavimento della chiesa secondo l'uso nobiliare. L'odore della morte, dell'incenso, del fumo dei ceri; il bisbiglio delle preghiere e delle mormorazioni.

Baglione non aveva pianto, davanti a quel povero corpo. Qualcosa in lui era andato oltre le lacrime, oltre la stessa umanità... 

Aveva ascoltato impassibile Beatrice, insieme al Bembo, mentre lei parlava con voce monotona, con i bruni panneggi del lutto addosso.

"È volontà del mio defunto signore che voi completiate il vostro lavoro e riceviate la giusta mercede."

Era volontà di Beatrice non congedare i suoi pittori. Baglione sarebbe servito da paravento per giustificare la presenza del Bembo, che ascoltava silente e rispettoso come sempre, ma con una differenza... 

Ora non temeva più di guardare negli occhi Beatrice.

Stolti! E credevano di nascondere così la passione che li divorava? Non avevano più ritegno, soltanto un velo di buone maniere per rispettare le usanze. La loro relazione restava clandestina, ma ci voleva un cieco per non accorgersene... 

E tutto il castello mormorava, mormorava... senza però osare alzare la voce. Beatrice era tuttora la signora, aveva uomini armati al suo comando. Un drappello di essi era stato mandato lontano, con un ricco premio in oro, prima che arrivassero i parenti di Pier Maria a confortare la vedova e a giurare vendetta sugli assassini. Beatrice li aveva accolti senza paura, il viso sbiancato che si stagliava contro il nero degli abiti. Aveva rinnovato il suo voto di fedeltà alla famiglia del marito, si era dimostrata forte e sicura di sé, non aveva battuto ciglio alle promesse di vendetta ed anzi aveva messo una taglia sugli assassini del marito, gli stessi che aveva fatto fuggire.

I Rossi se n'erano andati, tranquillizzati, senza sospettare, e senza che nessuno osasse riferir loro le voci che giravano nel castello. Avevano ammazzato il signore, figuriamoci se si sarebbero fermati davanti ad un servo.

Bernardino Bembo dipingeva, tanto più lentamente quanto più frenetica diveniva l'opera di Baglione. Passava la giornata a dipingere ora una rosa, ora una foglia, spavaldamente guardando Beatrice e sorridendole, ora più seducente che mai. Le fantesche lo guardavano con un fascino orripilato: era bello e maligno come un diavolo tentatore. Ora tutti avevano paura di lui, il giovane cortigiano... il vero, autentico padrone del castello, ora che Pier Maria era morto.

Baglione smagriva e si consumava nella fatica. Ma la quasi totalità del castello si era trasformata in una serie di sogni incantati e deliranti; infinite creature si agitavano, immote, sull'intonaco bianco. Sotto la nera palandrana, Baglione nascondeva un corpo sempre più etereo, più ossuto. Ma le sue mani, forti, quasi luminose nella loro potenza feroce, continuavano a distribuire il colore arcano delle sue ignote miscele. Gli occhi delle sue figure brillavano nelle tenebre, occhi azzurri di Beatrice, occhi bruni del Bembo... 

E qualcosa stava succedendo, lentamente. Una specie di febbre misteriosa aveva colto i due amanti, un'irrequietudine, una frenesia in capace di essere nascosta. Erano diventati incuranti, quasi indifferenti degli altri, e consumavano la loro relazione senza più pudore, vacillando sull'orlo dello scandalo. Pallidi, nervosi, camminavano quasi di corsa nelle grandi sale dove gli incubi creati da Baglione li fissavano con rimprovero, dove mille occhi di Pier Maria scrutavano il mondo da ogni erma ed ogni cariatide.

Pier Maria! Pier Maria! Baglione dipingeva, con furia selvaggia. Dove sei, mio splendido signore, mio unico amico? Dove sei, dove sei?... 

La sedia di Pier Maria, vuota, era sempre alle spalle di Baglione. Tutto intorno a lui gridava il silenzio di un'assenza incolmabile, la consapevolezza di una sconfinata solitudine.

Baglione non viveva che per compiere il suo destino cosmico.

"Bernardino! Bernardino!... "

Beatrice si agitava nel suo letto, quasi in preda alle convulsioni. Il suo corpo sudato guizzava tra le braccia dell'amante. "Sto male, amore mio... sto male! Un demone mi tormenta... "

"Sì, è un demone," ansimò Bernardino, "e io so chi è!"

Beatrice crollò sulle lenzuola, stremata. I suoi occhi fissarono quelli di Bernardino, tremanti.

"... Carolus... " mormorò.

"Sei tu la padrona," disse Bernardino, con voce sforzata. "Caccialo via. Dàgli la sua paga e mandalo fuori di qui. Manda i servi a comprare calce... sì, tanta calce. Dirai che non ti piacciono gli affreschi di quel mostro... a chi piacciono, in verità?"

"A Pier Maria... piacevano a lui... io non posso... "

"Tu puoi. Sei la padrona, questa è casa tua. Cancella quegli incubi dalle tue pareti... ognuna di quelle sale sarà opera nuova per me. Già troppo si mormora su quanto tempo sto impiegando a dipingere questa stanza. Dammi questo nuovo spazio, mia diletta, ed io avrò davanti a me lunghi anni per dipingere... e per restare accanto a te."

Beatrice sembrava cedere, ma aveva paura.

"Per la memoria di Pier Maria... io non posso distruggere il lavoro di Carolus!"

"Il mio universo di Afrodite! Amore mio, il mio universo su ogni parete della tua casa! Lascia che sia io a creare la bellezza del nostro nido d'amore, e non quel pazzo visionario! I suoi dipinti sono una maledizione per noi!"

"Non posso farlo... Bernardino, non chiedermi questo!"

Egli si alzò su di lei, con una smorfia di rabbia.

"Non negarmelo, Beatrice. Non farmi pensare che tu veneri ancora la memoria di quel vecchio che avevi per marito. Ora dunque lo ami? Ora lo rispetti? Hai sputato nel suo letto, hai pagato uomini per farlo uccidere, ed ora lo rispetti?"

Lei lo guardò con occhi sbarrati, ricolmi di lacrime.

"Non si può tornare indietro," sorrise Bernardino, tristemente. I suoi bei lineamenti si raddolcirono, la sua mano salì ad accarezzare i capelli di Beatrice, con tenerezza. "Non si può tornare indietro," ripetè, con un sussurro.

Lei lo abbracciò, lo strinse a sé scoppiando in un pianto silenzioso.

"Non voglio tornare indietro, Bernardino mio... non voglio, non voglio."

Si baciarono, si vezzeggiarono con disperazione.

"Caccerai Carolus, vero?...  Farai cancellare i suoi affreschi, vero? Vero?"

E se le dicessi che Carolus sa...? 

No! Non possiamo avere un altro morto di rango nel castello, dopo Pier Maria... ci scoprirebbero! I Rossi tornerebbero e noi... 

Non posso dirle questo. Sarebbe come condannare a morte Carolus, e noi con lui. Era questo che intendeva, quel vecchio diabolico, quando diceva che avrei portato la rovina per tutti?... Ebbene, si sbaglia! Non sono così stupido. Tienti la tua disgraziata vita, Baglione! Beatrice ti caccerà via, te e quell'incubo che hai dipinto, quelle figure spaventose.

Sì, Carolus. Ora so come sconfiggerti!

"Farai ciò che voglio?"

"Sì... "

Bernardino, per la prima volta in molti giorni, conobbe finalmente la speranza. 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Ne inultum remanebit ***


 

 

*



 

 

 

Marco si alzò a sedere di scatto, ansimante, sudato. Non ricordava cosa avesse sognato, ma era stato un incubo... un orribile incubo interrotto da un grido agghiacciante.

Ci volle qualche attimo perché si rendesse conto che era stata Cinzia a gridare, accanto a lui. Si agitava ancora, ad occhi chiusi, con singhiozzi animaleschi, come se stesse soffocando.

Il panico travolse Marco. "Cinzia!" gridò, e la prese per le spalle, la scosse. "Cinzia! Cinzia!"

Lei sembrava non sentirlo nemmeno. I singhiozzi si calmarono, ma gli occhi non si aprirono.

"Cinzia! Cinzia!... Rispondimi!"

Il respiro di lei si fece più lento, un ansimare lamentoso, come se si fosse riaddormentata profondamente, rituffandosi nell'incubo che l'aveva sconvolta. Marco si chiese freneticamente cosa fare, con il cuore che pareva volergli esplodere in petto.

"Amore, svegliati... svegliati, ti prego, ti prego... "

La scosse, dolcemente, le baciò la fronte gelida, la schiaffeggiò pieno di timore. Lei non reagì a nessuna delle sue azioni. Il suo corpo restò inerte, con i muscoli che fremevano lievemente. Il suo polso era leggerissimo e rapido, la corsa al galoppo di un cuore terrorizzato.

"Cinzia! Cos'hai? Cosa ti succede, Dio mio?!... "

Si accorse di aver gridato. Lottò per riprendere il controllo di sé, si costrinse a riflettere, nonostante lo spavento. Forse qualcuno aveva sentito Cinzia gridare. Qualche guardiano sarebbe venuto a controllare. Dovevano nascondersi, prima che li scoprissero... 

Al diavolo! Meglio essere scoperti e cacciati fuori che lasciare Cinzia in quello stato pauroso! Avevano bisogno d'aiuto, altroché aver paura di essere scoperti!

Si infilò frettolosamente i boxer e le scarpe di corda, corse nella loggia, si portò al parapetto e guardò giù.

Nemmeno una luce, là sotto. Solo qualche lampione. Che ore erano?

"Aiuto!" gridò, e la voce gli uscì un po' strozzata. Si schiarì la gola, riprovò, e stavolta uscì un grido stentoreo: "Aiuto!... "

Attese invano un segno qualsiasi di reazione. Tutto il paesaggio restò muto ed immoto davanti a lui, sotto la luna che cominciava a declinare.

Marco strinse i pugni, pieno di frustrazione. Riprovò. 

Ancora nulla. Erano sordi o facevano apposta? Esitò all'idea di gridare un'altra volta da lì... forse era meglio tentare di scendere, di uscire dal castello.

Sì, doveva cercare aiuto fuori da lì!

Senza pensarci due volte, si voltò ed iniziò a correre verso la fuga delle porte che si apriva davanti a lui. Non aveva bisogno di luce, la luna ne forniva a sufficienza. Varcò una soglia dopo l'altra, entrò in una sala, poi in un'altra, poi in un'altra ancora... giunse alla torre d'angolo e lì si immobilizzò, trasalendo.

Una nera figura sbarrava l'ultima porta.

Per un lungo istante, Marco non osò nemmeno respirare. Chi era quell'oscura apparizione? Il guardiano notturno? E perché restava immobile? Doveva averlo visto per forza!

Alla fine si decise e fece un passo, entrando nel fascio di luce lunare. Vide la propria ombra disegnarsi sul grigio pavimento ed allungarsi, fino alla figura oscura.

Un refolo di vento entrò nei corridoi, fischiò appena nel suo viaggio attraverso le sale, giunse a gelare le sue spalle nude ed a far ondeggiare il nero mantello della figura. Come se avesse atteso quel segnale, essa prese vita e si fece avanti, silenziosamente. Una corona di fini capelli arruffati brillò nella fredda luce lunare.

"Ti stavo aspettando, Bernardino... "

Quella voce... un sussurro lontano, roco, da oltre il tempo. Marco rabbrividì, ma non solo per il freddo. Chi era quell'uomo davanti a lui? Un pazzo?

O forse... forse un buontempone, che giocava a fare il fantasma del castello!

La paura di Marco si mutò in rabbia. Era quello il momento per fare quegli scherzi puerili! Due ragazzi spaventati, che buona selvaggina per una caccia ai gonzi da prendere in giro!

Avanzò verso la figura, con decisione, fece per scostarla. "Senta, lei, perché non... "

Una mano lunga, ossuta gli afferrò il polso. Sentì una fitta di gelo bruciante lungo il braccio, lanciò un grido strozzato, più di spavento che di dolore... il vento ululò con lui, disperdendosi chissà dove.

Due occhi sporgenti, vividi lo fissarono a pochi centimetri dal suo volto.

"Benvenuto a saldare il tuo debito," gli sussurrò quella voce lontana, senza che alcun alito sfiorasse il suo viso.

"Chi sei?" domandò lui con voce rotta, "Chi sei?"

"Carolus."

Marco sentì, più forte di lui, l'impulso irresistibile del terrore. I suoi muscoli scattarono con un impeto di furia, per liberarsi da quella presa, da quella presenza. Non era un ragazzo gracile, tutt'altro. Sembrava così facile... 

La figura fu inamovibile. Marco si trovò inspiegabilmente con le spalle al muro, ambedue i polsi stretti nella morsa di quelle mani di ghiaccio. Un lento dolore si unì al suo terrore, cominciò ad invadergli ogni fibra del corpo. Spalancò gli occhi senza vedere più nulla... sentì se stesso gridare, e quel sussurro penetrare nella sua coscienza.

"Tutto è compiuto, Bernardino... vieni. L'ora è venuta. L'ora è venuta... "

Marco scivolò in ginocchio, la mente piena di silenziose esplosioni, era come se qualcosa lo premesse contro veli scintillanti fatti di solo dolore, e lui li deflorasse uno ad uno... 

"Lasciami! Lasciami!" implorò, o credette di implorare. "Lasciami!... "

All'improvviso, la figura lo lasciò.

Marco si abbandonò con le spalle al muro, senza forze, senza fiato. Il dolore era cessato quasi immediatamente. Aprì lentamente gli occhi, e vide le pitture alle pareti.

Erano fresche, e vivide alla luce di una lucerna. Lontano giungevano i rumori della notte. Cani e cavalli erano nervosi sotto la luna piena.

La figura oscura davanti a lui respirava, ora. Un roco ansimare, quasi un rantolo.

"Questa è la tua ultima notte al di qua del muro, Bernardino Bembo."

Marco scosse lentamente la testa. No, io non mi chiamo Bernardino! Sono Marco... 

... e Francesco, e Ludwig, e Bogdan... una lunga catena di appellativi sorse dalla sua mente, un abisso di diversità attorno ad un'unica identità. Ed a capo di quell'abisso, quel nome... Bernardino.

Dunque io sono Bernardino Bembo... 

"Ricordi la mia minaccia, vero?"

Marco ricordava. Una mano sul petto. Un pennello tratto dalle vesti. Un brivido di paura ed orrore inspiegabile.

"Ma tu hai consumato il tuo peccato, fino in fondo. Non resta più altro da fare che completare il tuo castigo. Non sarà una semplice morte, non meritate questa misericordia. In questa notte ho convocato tutte le tue future incarnazioni... ho manipolato il tempo saldando ogni futuro in questo unico istante. Il Più Grande Architetto mi vieta l'infinito... ci sarà un futuro che sfuggirà alla mia trappola, un giorno un terremoto farà rovinare i miei affreschi ed il loro potere avrà fine. Ma fino ad allora, Bernardino, da qualsiasi futuro tu venga, sarai guidato qui dal destino... e tornerai a questa notte, nel sedicesimo secolo dalla nascita di Gesù Cristo."

Dio mio, sto sognando... dimmi che questo è un incubo! Dimmi che domani mi risveglierò con Cinzia al fianco ed insieme torneremo a casa, a casa!

"E lei sarà sempre con te, Bernardino. Ritroverai Beatrice in ogni tuo futuro e la condurrai qui insieme a te. Siete legati per sempre!"

Beatrice! Marco sentì dipanarsi in lui un'altra catena di appellativi... i molti nomi dell'unica donna che potesse amare. Sì, Beatrice! E anche Bianca, Helga, Maria... Cinzia... 

Cinzia che, come tutte le altre incarnazioni di se stessa, si agitava nel suo sonno diabolico... Cinzia nel suo sacco a pelo, Maria nel lettino a sospensione, Beatrice nel suo grande talamo nuziale... 

Non era forse corso via, lontano da lei, spaventato dall'averla vista in quello stato di deliquio? Non aveva gridato a gran voce nei corridoi, per chiamare la nutrice, i servi, che lo aiutassero?... Non aveva forse trovato nessuno nel castello, tutte le stanze inspiegabil mente vuote e silenziose?

Marco ricordò un racconto narratogli da Cinzia. Lao Tze aveva sognato di essere una farfalla, ed al risveglio non sapeva più se era un uomo che sognava di essere una farfalla o una farfalla che sognasse di essere Lao Tze... 

Chi sono? Sono Marco che sogna di essere Bernardino? O Bernardino che sogna di essere Marco? Sedicesimo secolo? È dunque il mio tempo? È vero che nel ventesimo secolo accadrà tutto quel che ho visto? O tutto non è che un sogno... 

"Conosco la tua paura," sorrise tristemente Baglione. "Hai chiesto a Beatrice di licenziarmi e cancellare i miei affreschi. Quel che di divino è in te riconosce in essi la tua nemesi."

Marco sapeva che era vero. Aveva fatto ciò che Baglione diceva, aveva avuto paura di lui, dei suoi deliranti dipinti.

"Sai che in queste pareti c'è l'anima di Pier Maria," continuò Baglione. "Non per lui i lacrimosi paradisi cristiani... no, un uomo come lui ha voluto un paradiso su misura, la gloria lussuriosa di un paradiso pagano. Io gliel'ho dato, Bernardino, io ho creato questo universo per lui."

Baglione voltò le spalle a Marco.

"Tu hai rubato tutto a Pier Maria Rossi, gli hai tolto la speranza, la moglie, la terra, la vita. Ma non ti è bastato, vero? Tu sai che Pier Maria è immortale, qui dentro!" Battè il pugno contro l'intonaco dipinto. "Ed allora ecco che l'universo di Zeus viene sconfitto da una colata di calce, e tu resti a ricamarci sopra la tua storia terrena di Eros, che tutto vince... " Baglione sogghignò, e ripetè: "Eros, che tutto vince!"

Si voltò di scatto, e Marco trasalì. Nella mano ossuta dalle dita sottili e tremanti c'era un pennello.

"Avete fatto i conti senza di me. Vi ho permesso di arrivare fino in fondo a tutte le malvagità che avete perpetrato. Ma non posso lasciarvi distruggere il mio universo senza difenderlo. Questa è l'ultima frontiera, Bernardino... ed in nome di tutto ciò che è santo, è qui che noi tutti ci fermeremo."

Baglione prese la lucerna e cominciò ad uscire da quella stanza, diretto verso la grande sala delle feste, l'ultima sala rimasta da completare.

Marco sentì un impulso più forte di lui spingerlo a correre dietro a quella figura lugubre, ad afferrarla per le vesti, a gettarsi ai suoi  piedi.

"Carolus, ascolta!... Non toccheremo nulla dei tuoi affreschi... Lasciaci in pace, ed avrai tutto quel che vuoi, te lo giuro... tutto quel che vuoi!"

Baglione si fermò, posò con tristezza il suo sguardo invasato sul giovane.

E Marco rabbrividì, ma non si sottrasse a quello sguardo.

"Non puoi più promettermi nulla, Bernardino. Non ho più lussuria da soddisfare, l'ho usata per confezionare il mio miracolo. È il prezzo che devo pagare al Più Grande Architetto... devo venire con voi, devo condannare anche me stesso alla vostra stessa punizione. Ma ho accettato questo prezzo. L'ho accettato quando avete ucciso Pier Maria. Allora avete valicato il punto di nessun ritorno... perché nulla in tuo potere può restituirmi il mio signore. Non puoi più ridare a Pier Maria la vita che gli hai tolto."

Baglione giunse alla grande sala. Era quasi finita. Mancavano solo alcune figure, i lineamenti di un giovane uomo, di una donna, di un vecchio mostro.

"Ho rubato a poco a poco frammenti delle vostre coscienze, giorno dopo giorno, figura dopo figura, grottesca dopo grottesca. Tutti ammiravano la vita nei miei dipinti, e quella vita veniva da noi... era la nostra stessa vita! Il processo è quasi completato, ormai. Tra poco varcheremo la soglia di non ritorno, apparterremo a questo universo dipinto più di quanto apparteniamo a questo mondo mortale... e cesseremo di esistere quaggiù."

Il pennello si alzò, nella luce fioca della lucerna. Si apprestò a completare l'immagine di una bella donna bionda, avvolta in veli, azzannata da serpenti verdastri: una sorridente Cleopatra?

"Non ti piace il mio universo, Bernardino?... È da esso che tra poco dovrai guardare il mondo. Ti sembrerà un dipinto assurdo, visto dall'altra parte; un ammasso rutilante di mutazioni davanti ai tuoi occhi immutabili. Nel mio universo scoprirai quanto può essere strano il tempo... quanto può essere dolce la morte."

Lontano, nella notte, un urlo prolungato ed agghiacciante lacerò l'aria, il lamento di un animale sgozzato... 

"Beatrice," mormorò Marco, con un filo di voce, gli occhi sbarrati.

Gli occhi affrescati della figura scintillarono di nuova vita, fissarono Marco con un orrore che strideva accanto al sorriso immutabile.

"Beatrice!!!" urlò lui, e corse via, a perdifiato, verso la camera nuziale, senza incontrare anima viva, perso in un incubo, in un abisso di orrore, sentendo le lacrime esplodergli negli occhi... 

Nella camera lo attendeva solo il silenzio.

Sul letto non c'era più nessuno (né nel sacco a pelo, o sul lettino a sospensione). In qualsiasi presente o futuro guardasse, la stanza echeggiava il suo vuoto totale.

Istupidito, confuso, Marco barcollò fuori, si appoggiò tremando con le spalle al muro, esausto, aspettando che tutto si compisse anche per lui. Per lei, con lei, per sempre... 

Un languore, un lento senso di dissoluzione iniziò ad invadere il suo corpo. Marco si stupì davanti all'assenza di dolore. Era quasi una sensazione dolce, il lento fondersi di se stesso in uno sciame di particelle liquide che scorrevano lontano da lui, in un rivolo luminoso e sottile, una dopo l'altra, via, via... 

In uno spasimo della coscienza, si accorse di non sentire più il muro contro le spalle. Era come se fosse penetrato nella parete stessa. Con un sussulto orripilato cercò di ritrarsi, di tornare al centro della stanza. Ma non riuscì a camminare; neanche a cadere.

Restò sospeso per aria, una sensazione assurda. Dov'erano finite le sue gambe?... Un lungo nastro arricciolato in un fantastico festone, ecco cosa scendeva dalla sua vita assurdamente sottile. Pampini attorno alle sue tempie, le colonne di un tempio sulle sue spalle.

Allora comprese, e la sua anima urlò d'orrore.

Il suo corpo era fluido, e nel contempo cristallizzato in una forma statica, impossibile da muovere. Si dibattè, e si trovò improvvisamente congelato su di una smisurata piattaforma, in una posa di danza pirrica, il peso osceno di seni femminei che ondeggiavano senza mai ricadere.

"Carolus! Carolus!!!"

Era dall'altra parte, ormai, prigioniero delle pareti. Scivolò incorporeo da una figura all'altra, folle di desiderio di muovere quelle membra fatte di colore ed intonaco. Ma tutto era inamovibile attorno a lui... 

Percepì Beatrice condividere la sua fuga, ne incontrò gli occhi in una cariatide simmetrica alla sua, non li sopportò. Avrebbe pianto, ma poteva un affresco versare lacrime?

Baglione diede un ultimo tocco alla figura. Un Antonio trafitto da una daga si contorceva guardando un teschio. Sentì il dipinto accendersi di vita, seppe che Bernardino era lì, colmo di orrore, a fissare per un tempo senza significato quel teschio sbiancato... 

Forse il teschio di Pier Maria?

La mano di Baglione era diventata un fantasma nella notte. Il pennello pesava, sempre di più man mano che il suo volto si disegnava sull'intonaco. Alla fine cadde, e gli occhi del vecchio mostro sulla parete fissarono alteramente il mondo, con nuova forza.

Quando la luna tramontò, i servi udirono un ultimo, stentato risolino, un sussurro lontano, come portato dal vento che non soffiava affatto. Erano le parole di San Paolo.

"O morte, dov'è la tua vittoria?"

 

 

 


 

 

Quell'unica notte fu seguita da molte mattine, sparpagliate in tutti i futuri.

In una di quelle mattine, nell'anno 1983, il guardiano del castello di Torrechiara chiamò i carabinieri.

C'erano due sacchi a pelo in una stanza del castello. Una macchina fotografica, uno zaino, dei vestiti, dei documenti.

Ma dei ragazzi proprietari di tutto questo, nessuna traccia.




 

***

 

 

 

 

 

 

 

 

POSTFAZIONE
 

Nel 1983 visitai il castello di Torrechiara, vicino a Parma (reso poi famoso anche dal film “Lady Hawke”) e ne rimasi debitamente colpita. Qualcosa in me germinò, ma non avevo assolutamente idea di cosa fosse.

Nell'autunno 1989 scrissi a valanga questa storia, dopo un'altra visita al castello e qualche frammentaria informazione storica su di esso. Naturalmente i personaggi sono inventati, anche se realmente esistiti. Pier Maria Rossi era un capitano degli Sforza che ebbe una storia esemplarmente adultera con Bianca Pellegrini da Como, signora regolarmente sposata. Lei consenziente, scapparono tutti e due a Torrechiara e Bianca divenne la castellana. Fu immortalata sulle pareti della camera nuziale da un pittore di seconda categoria, Benedetto Bembo. Costui veniva da Brescia ed era specializzato in Madonne Con Committente Inginocchiato (le proporzioni dei corpi umani erano ridicole, ma le vesti ed i mantelli erano tracciati con squisita perfezione!) Fece qualcosa di meglio con la bella Bianca, accompagnando la sua effigie con il ritratto di Pier Maria nei panni del bel cavaliere, e con la mappa dei feudi in loro possesso. Più tardi il castello passò nelle mani dei Farnese che chiamarono da Roma un pittore quotato nel campo delle grottesche, Cesare Baglione.

Tante cose ho inventato, ma non gli affreschi di Baglione: sono stati loro, con la loro inquietante caoticità, la loro apparente mancanza di logica (che suggerisce forse misteriose verità?) a colpirmi tanto ed a spingermi a scrivere questa storia. Da quel momento in poi non ho più potuto guardare le decorazioni "grottesche" senza provare l'inquietudine che spero di aver saputo descrivere.

Ah, PS: c'è anche caso che Cesare Baglione sia un mio lontano antenato.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1930972