ai limiti (la paura e la fiducia parte II)

di Maty66
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preparativi e Cena ***
Capitolo 2: *** vendette e priorità ***
Capitolo 3: *** Coincidenze ***
Capitolo 4: *** Fortuna e sfortuna ***
Capitolo 5: *** Ricordi e rimpianti ***
Capitolo 6: *** Addii e decisioni difficili ***
Capitolo 7: *** Ti dirò arrivederci ***
Capitolo 8: *** Emanuel ***
Capitolo 9: *** Rapito ***
Capitolo 10: *** Sai chi sono io? ***
Capitolo 11: *** Intuizioni ***
Capitolo 12: *** Un passo avanti e due indietro ***
Capitolo 13: *** Aiuti insperati ***
Capitolo 14: *** Corri Ben, corri ***
Capitolo 15: *** Vendere l'anima al diavolo ***
Capitolo 16: *** Scelte impossibili ***
Capitolo 17: *** Minuti contati ***
Capitolo 18: *** Fuoco e ghiaccio ***
Capitolo 19: *** Non qui e non ora ***
Capitolo 20: *** L'importanza del nome ***



Capitolo 1
*** Preparativi e Cena ***


Preparativi e cena

Ben era in ritardo come al solito. Per quanto si sforzasse, lasciasse le imposte aperte per far entrare la luce. mettesse una o due sveglie con orari sfalsati, oppure radio che  si accendevano a tutto volume   all’orario stabilito, proprio non ce la faceva a prepararsi per tempo ed arrivare  in ufficio per l’inizio del turno. Ogni mattina era una continua corsa a fare la doccia vestirsi e fare colazione; solo che ora a volte Ben trovava pure il bagno occupato da Anna, che invece si svegliava sempre in perfetto orario e senza sveglia, era sempre fresca e profumata e pronta all’orario previsto. Vivevano insieme da quasi quattro mesi e fra due si sarebbero sposati. Ben non riusciva  a credere di essere riuscito a chiederle il grande passo e soprattutto di aver convinto se stesso a fare il grande passo.
Ancora gli venivano i sudori freddi a ricordarsi quel giorno… dopo discussioni infinite con Semir ( che non era per niente  ferrato sull’argomento anche se si credeva un genio) aveva deciso  per cenetta romantica a casa, fiori e anello nascosto in  uno dei dolcetti preparati da Andrea, appositamente segnalato. Solo che al momento clou l’anello  non si trovava nel dolcetto di Anna e Ben si era ritrovato a spiaccicare  tutti quelli rimasti in cucina senza risultato, per poi scoprire che prima della consegna Aida lo aveva tirato fuori dal dolcetto ed adattato a  bracciale per una delle sue bambole. La cosa era finita fra le risate generali, ma Ben ci era rimasto un po’ male… cosa avrebbero raccontato ai loro figli? Che quell'imbranato di papà  si era perso l’anello di fidanzamento della mamma prima di darglielo?

Comunque anche quella mattina Ben era in ritardo. Mentre si vestiva e faceva colazione in contemporanea, mangiando il suo panino saltellando qua e là per la camera da letto Anna gli  chiese con la solita aria di quella che stava per prenderlo in castagna “Amore, ti ricordi dell’appuntamento di stasera vero?” “L’appuntamento di stasera… certo…” Ben pensò freneticamente… quale appuntamento? Anna lo aveva trascinato in almeno trecento negozi da quando avevano stabilito la data del matrimonio, in un giro vorticoso per scegliere luogo del ricevimento, vestiti, inviti ecc. ecc., tutte cose di cui Ben non capiva assolutamente nulla e  su cui  tra l’altro non aveva alcun potere di scelta, tanto decideva tutto Anna con l’aiuto di Andrea. Ora la domanda era.. dove dovevano andare  stasera? “Pensa… Ben pensa” si disse   “La cena con i miei” lo anticipò Anna con l’aria di chi sa che tanto  Ben non ci sarebbe mai arrivato  “Certo!! La cena con i tuoi, come no, alle otto al…”   “Alle sette e mezza al Cafè Italiano” lo corresse Anna “Ben, per favore, ti prego non fare tardi, lo sai mio padre è un po’ formalista da ex militare” “Certo amore mio sarò puntualissimo” promise Ben “E ti prego non venire con i jeans strappati, metti qualcosa… di classico” “Certo cara, a stasera” le rispose Ben dandole un bacio; ed uscendo di casa si chiese se nell’armadio avesse  effettivamente qualcosa “di classico” da mettere.

Mentre usciva di casa correndo verso la Mercedes Ben non si avvide dell’uomo dall’altro lato del marciapiede che ormai da due settimane sorvegliava strettamente l’appartamento, scattando fotografie a tutti quelli che entravano ed uscivano.

La giornata di Ben e Semir era trascorsa tranquilla, solo un piccolo inseguimento sulla A4 di un automobilista alticcio che aveva cercato di  abbattere tutti i cartelli indicatori della autostrada. Dopo la fine del servizio si erano fermati in ufficio a compilare un po’ di rapporti, quando all’improvviso Ben buttò l’occhio all’orologio “ Porca.. le sette!! Devo scappare, alle sette e mezzo mi aspettano Anna ed i suoi genitori e devo anche passare da casa per mettermi qualcosa di classico”    Semir scoppiò a ridere “ Tu con qualcosa di classico? Ah.. cosa non si fa per amore…” “Sì sì va bene sfottimi pure, abbi pietà di me che stasera conosco i suoceri”  “Paura eh? Pensa che potrebbe capitarti una suocera come la mia…” Semir era sempre più divertito “Ecco proprio questo mi terrorizza” rispose Ben avviandosi di corsa verso l’uscita “Beh, allora in bocca al lupo, fatti sentire quando torni così mi racconti” gli gridò  dietro Semir ridacchiando

Guidando al limite delle regole stradali Ben riuscì ad arrivare  con soli dieci minuti di ritardo all’appuntamento. Parcheggiò la Mercedes poco distante dal ristorante e si precipitò all’interno. Aveva messo gli unici jeans non strappati che era riuscito a scovare e una camicia bianca. Prima di entrare pensò a se era abbastanza “classico”, ma tanto era ormai troppo tardi per rimediare.
Entrato nel ristorante vide immediatamente Anna già seduta al tavolo con i genitori e  vide perfettamente  che nello scorgerlo tirava un sospiro di sollievo. Ben si avvicinò al tavolo.
Il padre di Anna sembrò subito severissimo a Ben.  Alto e corpulento aveva il tipico atteggiamento militare che metteva soggezione appena lo vedevi,  gli porse la mano con un gesto rigido. La madre di Anna era la  copia identica delle figlia, solo con venti anni in più, bellissima e sorridente, lo abbracciò e lo baciò su entrambe le guance.
“Allora sei nell’autostradale…” “ Sì signore” rispose Ben con la stessa aria di una recluta che risponde al superiore. “ Come mai hai scelto proprio l’autostradale? Anna mi ha detto che prima eri alla LKA che mi pare molto più prestigiosa…” “La storia è lunga” rispose Ben cercando di eludere l’argomento. Fortunatamente intervenne la madre di Anna a salvarlo “Willem, per favore non fare domande inopportune se ha cambiato divisione  avrà avuto le sue ragioni” La donna iniziava a stargli simpatica, si disse Ben, forse Semir aveva torto a parlare male di tutte le suocere.  Nemmeno il tempo di rilassarsi che Willem toccò un altro argomento scottante. “Jager, tuo padre è titolare della Jager  Costruzioni vero? Penso di averlo conosciuto, la sua impresa ha costruito parte del centro tattico dell’Esercito a Berlino vero?”  gli chiese a bruciapelo “ Beh può darsi, signore, non sono molto a conoscenza degli affari di mio padre” rispose sinceramente Ben  “ E come mai? Non vai d’accordo con tuo padre?” lo interrogò Willem  E fortunatamente ci fu di nuovo l’intervento salvifico della madre di Anna “Willem,  basta, lo stai trattando come una tua recluta” “Questa donna mi sta sempre più simpatica” pensò Ben. La conversazione si avviò su binari più tranquilli, gestita dalla madre di Anna che  iniziò a parlare di cerimonie, bomboniere, viaggi di nozze e così via. Ma Willem non era uno da arrendersi facilmente e si intromise di nuovo nella conversazione “Che macchina hai?”  “Di servizio? una  Mercedes signore” “Beh io preferisco  le moto” Ecco pensò Ben finalmente un terreno comune “ Io ho anche una Harley personale…” “Davvero? Che modello?” I due iniziarono una fittissima discussione su tipo e modello  della Harley  di Ben, costo manutenzione e tutti i particolari possibili. Alla fine Willem e  Ben avevano praticamente estromesso Anna e la madre dalla conversazione, sembravano due vecchi amici.

La fine della serata si avvicinava erano già al dolce quando fu la volta della madre di Anna “ Allora ragazzi, suppongo che vogliate dei figli…“   Anna arrossì “ Mamma… ma che domande fai?” “ Perché? che c’è di male io voglio diventare nonna” rispose la donna. Ben cercò di alleggerire l’imbarazzo di Anna “ Ma certo signora che vogliamo dei figli” “Vi consiglio di non aspettare troppo, i figli vanno fatti da giovani” continuò imperterrita  la madre di Anna “ Sandra smettila, ora sei tu che ti intrometti” intimò Willem “ Ma no, do solo dei consigli” “Non richiesti” pensò Ben  E mica era finita qui  “Ecco,  a proposito vi ho portato un piccolo regalino” disse tirando fuori un pacchetto. Aprendolo Anna divenne violacea. “E’ solo un piccolo libro di consigli su… come farmi diventare subito nonna, sapete ci sono delle tecniche che possono favorire…”  Ben iniziò a tossire pesantemente, il vino gli era andato di traverso “Si è fatto tardissimo, ora dobbiamo andare…” intervenne un imbarazzatissimo Willem a sbrogliare la situazione.

Salutati i genitori di Anna  i due si avviarono all’auto. “ Fiuuuh è finita” fece Ben “ Mi pare che sia andata bene” “ Dio Ben, scusa per mia madre, lei… è un po’ alternativa” “E’  simpatica, e poi ha fatto una figlia bella come te quindi è una donna eccezionale...” “Bene, allora possiamo provare qualcosina descritta in questo libro, in fondo è interessante…” fece Anna sorridendo maliziosa

Andando ridendo verso l’auto Ben ed Anna  ancora una volta non si accorsero dell’uomo vestito di nero che li spiava dall’altro lato della strada.

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Capitolo 2
*** vendette e priorità ***


Vendette e priorità

Alberto Maione aveva trascorso i mesi dalla morte del padre e del fratello in una calma assoluta meditando vendetta. La famiglia come prevedibile l’aveva praticamente estromesso da tutti gli affari del padre e lui non si era opposto al passaggio, consapevole che del resto ogni sua opposizione non avrebbe prodotto alcun risultato. L’unica cosa che gli era stato permesso di tenere era la piccola villa alla periferia di Berlino, era stata la prima casa della famiglia Maione in Germania, subito dopo la caduta del muro, e non era, vista l‘ubicazione, molto utile agli affari della famiglia. Ora Alberto viveva con il piccolo appannaggio che gli passava la famiglia, elargizione del nuovo capo  per rispetto dei tempi passati, e del suo lavoro come avvocato. Ma lui si nutriva di  odio e desiderio di vendetta, i soldi ed il potere erano relativi per lui


Don Francesco Chillemi era stato il braccio destro di Alfonso Maione per vent’anni. Era arrivato dalla Sicilia con Alfonso e l’aveva seguito, fedele e silenzioso, per tutti gli anni della sua avventura tedesca. Alfonso era stata la mente e Francesco il braccio, consapevole di non poter rivestire posizioni più elevate di quella che gli era stata riconosciuta, visto che la successione a capo famiglia  spettava   a Franco. Ma la morte di Franco e del Don aveva cambiato radicalmente le carte in tavola. La cupola aveva deciso che era lui ora il capo famiglia, Alberto era considerato un damerino poco adatto al ruolo da rivestire. E  Francesco silenzioso e fedele aveva obbedito, assumendo un ruolo che in realtà non aveva mai voluto ma che avrebbe comunque rivestito con il massimo impegno.

 Alberto era stato convocato dal nuovo Don circa quattro mesi dopo la morte dei familiari. Francesco era stato l’unico della famiglia a presentarsi ai funerali, a  titolo personale aveva tenuto a precisare, ed era stato il suo padrino di battesimo, Alberto lo chiamava ancora “zio”
Ora era alla sua presenza in quello che una volta era stato lo studio di suo padre.
“Accomodati Alberto” gli fece Don Francesco amichevole mostrandogli la sedia di fronte alla grande scrivania. Quante volte Alberto era stato in quella stanza? Quante volte aveva giocato con il fratello e  la sorella a nascondino dietro le grandi tende o sotto la scrivania?  Ed ora in quella casa non c’era più nulla di suo…
 “Buongiorno zio Francesco” salutò Alberto  “ Come stai ragazzo?” gli chiese il Don “ Saltiamo i convenevoli zio, tanto sappiamo che non mi hai fatto venire qui per informarti della mia salute” gli fece di rimando Alberto con molta calma. “ Come vuoi… Alberto tu sai quanto ero affezionato a tuo padre vero?”  Alberto annuì “Bene nessuno più di me può capire il tuo dolore per quello che è successo a tuo padre e a Franco, ma..” “ Ma?” chiese Alberto già sapendo dove stava andando a parare il discorso. “ Ma tu sai che la famiglia ed i suoi affari sono molto più importanti, sono al di sopra di tutto” “Questo lo so bene, zio” rispose ossequioso Alberto “ Bene allora capirai che quello che stai facendo, quello che stai progettando non è nell’interesse della famiglia… il poliziotto non si tocca”   Ad Alberto salì il sangue alla testa “ Quel poliziotto è la causa della morte di mio padre e di mio fratello, di mio padre il tuo migliore amico… come puoi chiedermi di rinunciare alla vendetta??” “Tuo padre e tuo fratello sono morti perché sono stati commessi errori molto gravi. E sai bene  che quegli errori ci sono già costati milioni di euro in affari mancati, posto che gli sbirri ci  stanno con il fiato sul collo da mesi. Se succede qualcosa a Jager avremmo l’intera polizia di Colonia, se non della intera Germania, alle costole ed i nostri affari si bloccherebbero per chissà quanto altro tempo. Questo non sarebbe un bene” la voce di Francesco era calmissima. “E quindi lui deve farla franca così?” urlò Alberto   “ Alberto, Alberto, lo sai quanto ti sono affezionato… ti ho tenuto fra le mie braccia davanti al prete che ti battezzava, ma se insisti con questa tua… fissazione neppure io ti potrò aiutare. Gli affari della famiglia prima di tutto. Verrà il tempo per ogni cosa, bisogna avere pazienza” Alberto lo guardò diritto negli occhi e capì che non gli conveniva  andare allo scontro diretto “E va bene zio lascerò stare,  non coinvolgerò la famiglia e non le darò problemi, te lo assicuro”

 Uscendo dalla villa  Alberto non si guardò mai indietro “ Bene- pensò- la famiglia ne vuole stare fuori? Farò tutto da solo, ma nulla e nessuno mi potrà impedire di avere la mia vendetta”
 Semir e Ben stavano percorrendo l’autostrada ascoltando un cd con il nuovo brano, appena inciso, della band.


 “Allora… ieri sera non ti sei fatto sentire … come è andata con i suoceri?” Semir era tremendamente curioso a volte “ Beh…   che ti devo dire il padre di Anna mi ha sottoposto ad una specie di terzo grado, ma fortunatamente  dopo ci siamo intesi, non è male, un po’ rigido, ma non è per niente male” “E la madre?” chiese Semir con fare ammiccante  “La madre è simpatica, molto simpatica…. ha cercato di darci consigli sulla nostra vita sessuale” sorrise Ben “ Cosa???” Semir era sconvolto, e dire che se intendeva di suocere impiccione..  “Lascia perdere,  non ha importanza… tanto io sposo Anna mica sua madre” “Seee, si dice sempre così, socio sta a sentire me che sono più vecchio e ho esperienza, te la troverai anche sotto il letto  se non metti subito in chiaro le regole…” “ Ma se abitano a Berlino…” “Non importa dove abita, fosse pure in Papuasia troverà il modo di impicciarsi” “Ok allora metterò in chiaro le regole” “Se ci riesci…” rispose Semir  sorridendo e pregustando la sua vendetta per tutte le volte che Ben l’aveva preso in giro sulla suocera.

La  solita perlustrazione era passata tranquilla, ma tornando al distretto Semir e Ben ebbero una amara sorpresa. Sulle loro scrivanie giacevano pile e pile di fascicoli “Ma che sono …” fece Semir appena li vede “Sorpresa!!” gli rispose Susanne “ Dalla settimana prossima inizia l’ispezione amministrativa e quelli, miei cari, sono tutti i fascicoli in cui mancano i vostri rapporti. La Kruger li vuole completi per lunedì mattina sulla sua scrivania” “Ma oggi è venerdì… avevamo il week-end libero” obiettò sconvolto Ben. “Beh chi è causa del suo male…  potevate scriverli in tempo; comunque potete anche portare il lavoro a casa” rispose sadica la segretaria.

Ben  parcheggiò la Mercedes di fronte casa e aprì il portabagagli  strapieno  dei faldoni contenenti i fascicoli per i rapporti.   I suoi erano esattamente il triplo rispetto a quelli di Semir. Si prefigurava un week-end di lavoro e se c’era una cosa che Ben odiava era scrivere rapporti. “Chissà se Anna  mi dà una mano” pensò Ben

Anna aveva il cuore tenero e dopo iniziali resistenze si piegò ad aiutare Ben, anche se pretese un prezzo molto alto, ovvero il film strappalacrime che Ben per circa due mesi si era rifiutato di portarla a vedere.
I due ragazzi trascorsero così il week-end più noioso da quando stavano insieme e la sera della domenica restavano solo due rapporti da completare, ma Ben si addormentò sulle carte ben prima che  arrivasse la mezzanotte.


Nessuno si accorse nella oscurità dell’uomo vestito di nero che armeggiava sotto la macchina di Ben, ancora parcheggiata di fronte alla casa. 

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Capitolo 3
*** Coincidenze ***


Coincidenze

Erano ormai le sette e mezza del mattino quando Anna svegliò Ben ancora riverso sui fascicoli “ Ben… sveglia amore…”  Ben si svegliò stiracchiandosi. “ Che ore sono?” chiese con voce impastata “ Le sette e mezza amore, e a quanto vedo non hai finito i rapporti” lo rimproverò Anna “ Porca… e ora come faccio? A mezzogiorno arriva l’ispezione e la Kruger mi spella vivo se non  li trova completi stamattina sulla sua scrivania” “Vabbè preparati in fretta e portati il pc portatile in macchina, ti accompagno, mentre io guido tu finisci di scrivere” propose Anna “ Lo dico sempre che tu sei un genio…” sorrise Ben

Pioveva a dirotto, la giornata era particolarmente fredda per essere estate piena. Mentre erano in macchina e  Ben cercava di arrabattare qualcosa di comprensibile nell’ultimo rapporto da compilare,  Anna guidava. Il tergicristalli a stento riusciva a rendere visibile la strada davanti a loro. “Maledetti rapporti… quanto odio il lavoro d’ufficio” fece Ben sbadigliando. “Ecco appunto, anche io Ben…” gli rispose Anna.

“Ahi ahi -pensò Ben- ci risiamo” Il discorso stava di nuovo scivolando sull’unico  argomento che era stato in quei mesi fonte di litigi violenti fra di loro. “Anna… pensavo che avevamo chiarito” “Non mi è sembrato affatto chiaro il punto, l’unica cosa chiara è che tu non vuoi che io torni in servizio attivo” rispose Anna irritata. “Credevo che volessimo dei figli dopo sposati” “ Certo che voglio dei figli” rispose Anna sempre più arrabbiata “ ma questo non significa che io debba rinunciare al servizio attivo e chiudermi in un ufficio per il resto della carriera” “Certo è facilissimo fare la moglie e la mamma mentre sei fuori per mesi a proteggere testimoni in chissà  quale posto segreto…” le rispose stizzito Ben. Odiava questa discussione,  l’avevano fatta già tante volte e l’argomento era capace di tirare fuori il lato peggiore dei due. “ Una famiglia è fatta di due  genitori, io non ti chiedo di rinunciare al servizio attivo. Come ti sentiresti se ti chiedessi di non andare più di pattuglia con  Semir?” Ormai stavano urlando “ E’ diverso…” “ Ah certo è diverso perché tu sei un uomo mentre io sono una donna vero?”  Anna aveva gli occhi che lanciavano fiamme. “ Non c’entra nulla questo” Ben stava per continuare  la frase quando Anna impallidì guardando avanti “Ben.. non riesco…”

 Quel che successe dopo fu il frutto di varie coincidenze, di una serie di  “se”  ed “invece” che orientano la vita  di ognuno in un  senso o nell’altro da quando si nasce a quando si muore.
Se quella mattina avesse guidato Ben al posto di Anna; se Ben avesse finito la sera  prima per tempo i suoi rapporti; se  in quel momento non  avesse piovuto a dirotto; se la discussione fra Ben ed Anna non fosse mai iniziata; se il signore che stava recandosi  al lavoro con l‘autovettura che precedeva la Mercedes si fosse accorto per tempo che l’auto davanti a lui aveva frenato; e soprattutto  se qualcuno la sera prima, magari la signora che passava sempre a quell’ora davanti la casa di Ben con il cagnolino al guinzaglio,  si fosse accorta dell’uomo vestito di nero che armeggiava sotto l’auto di Ben….   


Semir  quella mattina era particolarmente nervoso. Eppure aveva passato un week end tranquillo “ Questo-aveva pensato soddisfatto- perché io i miei rapporti li scrivo quasi tutti subito. Chissà se Ben ha  finito i suoi. Quasi certamente si è fatto aiutare da Anna… il fortunato”  Semir sorrise fra sé e sé.

 Fuori pioveva a dirotto e Ben come al solito era in ritardo. Fra un po’ la Kruger avrebbe iniziato ad urlare perché i rapporti di Ben non erano completi e se la sarebbe presa con lui come al solito, visto che non trovava il diretto responsabile. “Se non arriva fra dieci minuti gli combino lo scherzo di arrivare io tardi al matrimonio, voglio vedere come fa senza testimone”
“Semir c’è un grave incidente sulla superstrada a pochi chilometri da qui, all’altezza del km 22. Ci vai tu? Ho tutte le pattuglie già impegnate con questo tempaccio” gli chiese Susanne “ Ok- rispose Semir- ma Ben ancora non è arrivato. Quando il signorino si degna di arrivare al lavoro, digli di raggiungermi lì” Semir si avviò correndo sotto la pioggia alla sua BMW

Dopo pochi minuti era arrivato sul luogo dell’incidente.  Individuò subito il punto preciso perché già vedeva avvicinarsi  le luci lampeggianti delle ambulanze e dei vigili del fuoco. Quando scorse l’auto coinvolta il cuore  mancò diversi battiti “ No Signore Iddio no ti prego… no…  fa che non sia vero”

Nello strapiombo laterale alla strada, capovolta sul fianco destro e quasi completamente distrutta e accartocciata  Semir vide la Mercedes di Ben.    


PS questa al contrario della precedente è una storia work in progress. Sono graditissime recensioni,  positive, negative  o anche negativissime, mi fa pacere sapere cosa ne pensate. Sempre che qualcuno la legga sta storia.

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Capitolo 4
*** Fortuna e sfortuna ***


Fortuna e sfortuna

Ben non  riuscì a rendersi subito conto di quello che stava succedendo. Vide Anna impallidire e tenere il volante stretto “ Ben non riesco…” Ma la ragazza non riuscì a finire la frase che la Mercedes finì contro l’auto di fronte. L’impatto fu  violentissimo Gli air-bag del lato passeggero  scoppiarono in faccia a Ben, togliendogli il respiro, mentre la cintura si tendeva sulle costole.
A causa dell’asfalto bagnato la Mercedes andò in testa coda, sfondò il guardrail,  finendo poi nella cunetta laterale, e infine con una seria di giravolte, atterrò dieci metri più giù, riversa sul lato guida.
Ben all’interno sentiva solo i colpi violentissimi e il rumore delle lamiere che si accartocciavano intono a lui.  Poi perse conoscenza.

Quando si risvegliò sentiva le gambe bloccate e il sangue che gli colava sul viso. Cercò di scorgere Anna ma intorno si vedeva poco, pioveva all’interno dell’auto dal tettuccio rotto, ed aveva la vista appannata.
Si mosse cercando di raggiungere il posto di guida ma ogni movimento era bloccato e gli provocava dolori lancinanti alle gambe. Terrorizzato cercò di schiarirsi la vista… e finalmente la vide.
Era riversa sul sedile, con la testa rivolta al lato opposto  rispetto a Ben. Faticosamente Ben riuscì a raggiungere con una mano il suo viso “ Anna, Anna amore mio” le mormorò mentre le girava la testa verso di lui. Poi si accorse dell’enorme ferita che  aveva sulla fronte e dello sguardo ormai fisso e vuoto con cui i suoi bei occhi, gli occhi di girasole che lui tanto amava, lo guardavano.
Anna era morta.
 
Semir scese dalla sua auto sotto la pioggia che le gambe gli tremavano. La sua  parte razionale  aveva visto troppi incidenti nel corso degli anni per non rendersi conto che difficilmente avrebbe trovato qualcuno vivo in quella macchina. La sua parte emotiva pregava e ripregava, cercando la speranza nelle ipotesi più assurde “ Forse l’ha prestata a qualcuno, non c’è lui lì dentro…”   Affannando e con un senso di nausea iniziò a scendere correndo nella cunetta e si avvicinò all’auto, quando sentì una voce, a lui ben nota ma che ora era un grido terribile da belva  ferita “ Anna… Anna”

Semir iniziò ad urlare verso gli altri soccorritori “ Presto!! fate presto, è vivo!!”
Trafelato raggiunse l’auto e cercò di guardare all’interno, ma dal lato passeggero si vedeva ben poco, era tutto appannato. Così si tolse il giubbino e se lo avvolse intorno alla mano e con pugno finì di rompere il vetro della portiera posteriore. Mise la testa all’interno e quello che vide fu uno scenario di puro orrore.
Ben era riverso sul sedile passeggero, la testa sanguinante e le gambe completamente bloccate sotto il vano motore. Urlava come un ossesso, Semir non aveva mai sentito delle grida simili provenire da un uomo e si agitava freneticamente tentando inutilmente di arrivare ad Anna riversa sul sedile del lato guida.
Anna… Anna…  dolce e bellissima Anna. Appena la vide Semir si rese conto che per lei non c’era più nulla da fare.

A Semir salirono le lacrime agli occhi ma si fece forza, ora doveva tirare Ben fuori da lì. “Ben Ben sono io Semir…” lo chiamò ma Ben, in preda ad un vero e proprio attacco isterico, non diede il benchè minimo segno di averlo sentito.  Mettendo il busto all’interno dell’auto Semir cercò di toccare delicatamente Ben per non farlo spaventare “ Ben… sono io Semir, stammi a sentire ti prego, devi restare calmo, altrimenti non riusciamo ad uscire di qui” Ma appena Ben si sentì toccare sulla spalla ebbe una reazione ancor più violenta “ Anna Anna” continuava ad urlare tirando e strattonando per raggiugerla.
Dai jeans strappati di  Ben, Semir vedeva chiaramente colare il sangue. “ Ben ti prego devi stare fermo, ti fai del male così” ma le sue parole non ottennero alcun risultato “Ben ti prego stai fermo, non ti agitare… Ben è inutile è morta” era crudele dirglielo così, ma Semir doveva in qualche modo tenere l’amico fermo mentre i vigili del fuoco facevano il loro lavoro.
Semir cercava faticosamente, vista la posizione, di tenere  Ben sul suo sedile; cercò anche di mettergli una mano sugli occhi per non fargli guardare dal lato di Anna, tutto inutilmente, quando uno dei vigili del fuoco lo toccò per attirare la sua attenzione. “E’ inutile è troppo agitato, lo dobbiamo sedare, altrimenti non riusciamo a tagliare le lamiere per portarlo fuori di lì, se perdiamo altro tempo rischia di morire dissanguato” Semir annuì a malavoglia, ed inebetito rimase a guardare mentre uno dei medici iniettava il sedativo nel braccio di Ben.

Le urla iniziarono a scemare immediatamente e Ben piombò in uno stato di dormiveglia. Appena i vigili del fuoco tolsero la portiera del lato passeggero Semir  prese di  nuovo posizione vicino all’amico. Gli tenne la mano sussurrandogli continuamente parole di incoraggiamento, cercando di non guardare il corpo riverso accanto della giovane donna bionda, fino a quando uno dei vigili urlò ai medici “Siamo pronti, possiamo tiralo fuori”. Semir si fece immediatamente da parte. “Al mio tre” fece uno dei vigili e delicatamente  tirarono fuori Ben e lo adagiarono su di una barella. Semir si avvicinò di nuovo e riprese il suo posto accanto all’amico. Ben tremava violentemente. Immediatamente i paramedici bloccarono con lacci emostatici la ferita alla gamba ed iniziarono ad esaminarlo.
“Dottore come sta?” chiese ansiosamente Semir. “Non si preoccupi non pare grave, la ferita sulla gamba sembra aver interessato solo la parte muscolare. Dobbiamo tenere sotto controllo la ferita alla testa, quasi certamente c’è una commozione celebrale, ma per ora sembra sia stato fortunato.  “Fortunato, pensò  Semir, come no, Ben è tutto tranne che fortunato” “ Dove lo portate? Posso venire anche io in ambulanza?” chiese ansioso Semir “ No mi dispiace, andiamo all’ospedale universitario, ci segua con la sua macchina” rispose il medico mentre le porte dell’ambulanza si chiudevano.
Prima di risalire in macchina per seguire l’ambulanza Semir  vide  i vigili del fuoco che tiravano fuori dall’auto il corpo di Anna  e lo poggiavano su di una barella, per poi coprilo con un lenzuolo bianco. La nausea e lo stress presero il sopravvento e poggiato ad un albero Semir vomitò tutta la colazione.

 Nessuno  vide l’uomo che in tuta da vigile del fuoco prelevava un piccolo dispositivo sotto la carcassa dell’auto

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Capitolo 5
*** Ricordi e rimpianti ***


Ricordi e rimpianti

Semir era ancora una volta seduto fuori dal reparto di chirurgia d’urgenza dell’ospedale. Esattamente come  mesi prima, sulla stessa sedia, solo che al suo fianco  questa volta non c’era Anna. Semir guardò sconsolato la sedia vuota accanto a lui e le lacrime gli salirono di nuovo agli occhi accompagnate dalla stessa domanda che lo tormentava da ore “Perché è dovuto succedere? Perché Anna?”.  In un angolo c’erano la Kruger e Susanne che parlottavano piano, poco prima Susanne aveva chiamato il padre di Ben, che ora stava arrivando da Dusseldorf. Semir si chiese se qualcuno aveva già avvisato i genitori di Anna.
 
 All’improvviso Semir sentì il rumore dei passi di sua moglie, li riconobbe come al solito  da lontano “Semir…” Andrea lo guardò sconsolata “ Non posso crederci, non è possibile, è terribile” mormorò Andrea abbracciandolo. Semir si lasciò avvolgere dall’abbraccio di sua moglie. Gli abbracci di Andrea, il suo volto e i suoi occhi avevano sempre un effetto calmante su di lui, gli facevano capire che comunque fino a che c’era lei  il suo mondo c’era ancora.
“Come sta Ben?” chiese Andrea “ Non sembra  in pericolo, ma è in sala operatoria, gli stanno ricucendo una profonda ferita alla gamba. Ed ha una commozione celebrale. Il medico mi ha detto che deve restare sotto stretto controllo” rispose Semir sospirando “Beh almeno questa è una buona notizia…” gli disse la moglie “Buona notizia? Andrea dovevi vedere in che stato era  quando l’ho trovato,  in preda ad una vera propria crisi isterica, l’hanno dovuto sedare per tirarlo fuori dalla macchina. Come farà quando si renderà conto che Anna è morta? Come faccio io a dirglielo?” una lacrima scese lungo la guancia di Semir.

La Kruger si avvicinò alla coppia “ Semir abbiamo il rapporto preliminare sull’incidente”  disse la donna con il volto accigliato  “Pare che la Mercedes non abbia frenato ed ha tamponato sul retro l’altra autovettura; poi a causa dell’asfalto bagnato è andata in testa coda… per fortuna nessun altro è rimasto coinvolto” continuò. “ Ma come è potuto succedere?, Anna non era una pivellina, era una poliziotta addestrata, sapeva guidare in ogni situazione. Avete controllato l’impianto dei freni?” Semir era incredulo “La macchina è in pessime condizioni, ma dai primi riscontri non pare ci siano anomalie” rispose la Kruger sommessamente

La conversazione venne interrotta dalla uscita del chirurgo dal reparto “Abbiamo finito e lo abbiamo riportato in stanza, se volete uno di voi lo può raggiungere. Mi raccomando è  ancora sotto choc, ed ha una forte commozione celebrale, non forzatelo né a ricordare né a parlare dell’accaduto” “Va bene dottore” rispose Semir avviandosi verso la stanza di Ben.
 
Semir aprì piano la porta della stanza di Ben. La situazione gli era diventata tremendamente familiare negli ultimi mesi. Ben era a letto, la gamba sinistra sollevata su di un cuscino, completamente fasciata sino alla caviglia. Il monitor cardiaco lanciava i suoi segnali, e Ben aveva la flebo attaccata al braccio. Teneva gli occhi chiusi, ma Semir si accorse subito che era già sveglio. “Ben…”  chiamò Semir  dolcemente, mentre gli prendeva la mano fra le sue. Ben aprì gli occhi e lo guardò. A Semir quello sguardo fece paura, vi lesse disperazione, dolore, rimorso e rimpianto e capì immediatamente che Ben ricordava tutto quello che era successo. In silenzio si sedette accanto al letto continuando a tenere la mano dell’amico.
Passò circa un’ora in cui Ben non disse assolutamente nulla, guardava nel vuoto senza una parola, senza lacrime, né agitazione. Semir non sapeva assolutamente  cosa fare, da un lato non voleva forzarlo a fare nulla, voleva solo stargli vicino, ma dall’ altro sapeva bene che quello dell’amico non era un atteggiamento  sano.

Quasi trasalì quando Ben all’improvviso parlò “ Sai quale è l’ultima cosa che abbiamo fatto?  Cosa stavamo facendo quando è successo?  Stavamo litigando. L’ultima cosa che  ha visto di noi è che stavamo litigando…”  “Ben, non è questo l’importante, voi vi amavate e questo non lo cambia nulla, certamente non un piccolo litigio. Anna era consapevole del vostro amore…” Seguirono altri minuti di silenzio. “Se non l’avessi distratta, oppure se avessi guidato io…” disse Ben con un filo di voce. “ Ben le cose succedono non ci si guadagna nulla a ragionare con i se e con i ma…” “Come faccio ora Semir, come faccio ad andare avanti?”
Ben iniziò finalmente a piangere. I singhiozzi si fecero sempre più forti ed erano come spille che si appuntavano nel cuore di Semir. Facendo molta attenzione ai fili e alla flebo Semir si sedette sul letto dietro le spalle di Ben e lo prese fra le sue braccia dondolando avanti ed indietro, come faceva con le sue bambine quando si erano fatte male o avevano fatto un brutto sogno. “ Shhh- gli disse- carezzandogli la testa- tu non sei solo, ci sono io qui,  non sei solo, ti aiuterò io”

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Capitolo 6
*** Addii e decisioni difficili ***


Addii e decisioni difficili

Il giorno dei funerali di  Anna pioveva a dirotto come nei peggiori film.
Una selva di ombrelli neri  circondava il prete mentre leggeva le sue preghiere accanto alla tomba. I genitori di Anna avevano aspettato che  Ben uscisse dall’ospedale per organizzare la cerimonia e ora distrutti stavano ad ascoltare il sacerdote con sguardo attonito.
Semir ci aveva messo un bel po’ a convincere Ben a partecipare, inizialmente non voleva assolutamente vedere Anna calata in una fossa. Non aveva più pianto da quel giorno in ospedale, restando apparentemente completamente apatico, come ora mentre stava fermo sotto la pioggia senza curarsi di ripararsi con l’ombrello. Semir conosceva abbastanza bene l’amico per capire quanto fosse pericoloso questo atteggiamento, Ben si stava rinchiudendo in se stesso e nel proprio dolore, non permetteva a nessuno di avvicinarsi, neppure a Semir stesso o ad Andrea.
Alla fine della cerimonia i genitori di Anna si accostarono a Ben. La madre lo accarezzò sulla guancia “ Ti prego Ben… fatti sentire qualche volta, anche solo per  un saluto, sei una delle poche cose che ancora mi lega ad Anna” gli disse scoppiando a piangere prima che il marito abbracciandola la portasse verso l’auto. Konrad si avvicinò al figlio “Vuoi venire a casa con me?” gli chiese premuroso “No grazie papà mi accompagna Semir, e preferirei restare da solo” mormorò Ben fissando il vuoto

Il viaggio verso Colonia si svolse in perfetto  silenzio.  Semir era sempre più preoccupato.
Arrivati a casa di Ben Semir lo seguì all’interno dell’appartamento. Aprendo la porta rimase stupefatto, Ben non era mai stato un tipo ordinato e solo la presenza di Anna aveva reso quell’appartamento vivibile, ma quello che vide ora era ben al di là del disordine. C’erano vestiti sparsi ovunque,  pile di piatti e bicchieri sporchi giacevano nel lavandino e sui tavoli, molte sedie erano rovesciate  ed il letto era completamente sfatto. “Accomodati, e scusa il disordine” gli disse Ben con voce bassa. Semir iniziò a rimettere in ordine rialzando le sedie e mettendo tutte le stoviglie nel lavandino “Senti Ben, prendi qualche vestito e vieni a stare da noi, forza…” “No grazie socio, ho bisogno di stare da solo” gli rispose l’amico. “ Io non ti lascio qui da solo… non se ne parla proprio, vieni a stare da noi per un po’” “Semir non puoi aiutarmi in questa cosa, me la devo cavare da solo…” gli obiettò Ben “ E dai, non è bene che tu stia da solo ora. Vieni da me, ci sono le bambine e loro sarebbero capaci di distrarre anche un  asceta dalla preghiera. E poi Andrea mi ha dato precisi ordini in merito e se disobbedisco…” provò a scherzare Semir. “Semir, ti ho detto che voglio stare solo” la voce di Ben si stava facendo più dura. “Ben ti prego non ti posso lasciare da solo…” “Semir non sono più un bambino, non puoi risolvere tutti i problemi per me. Non sei mio padre, di padre ne ho già uno” Ben si era già pentito della frase mentre la stava pronunciando.  Negli occhi di Semir passò un lampo di dolore. “Scusa socio-  gli disse subito Ben- ma ti prego ho bisogno di stare da solo. Non mi succederà niente non preoccuparti” “ Ma…” “Niente ma Semir vai, ti chiamo domani” concluse Ben con un tono che non ammetteva repliche.
 A malincuore Semir si avviò verso la porta “Ben ti prego per qualsiasi cosa, parlare, bere, piangere, qualsiasi cosa tu chiami ed in un minuto sono qui” lo invitò mentre stava uscendo “ Certo, grazie” gli rispose l’amico chiudendogli la porta in faccia. Semir si avviò per le scale con  cuore pesantissimo.          
 


Per i tre giorni successivi Semir cercò inutilmente di vedere Ben, ma riuscì solo ad avere brevissime conversazioni telefoniche o colloqui attraverso la porta di ingresso che Ben non apriva  mai, nonostante Semir avesse anche minacciato di sfondarla. Alle richieste insistenti di Semir,  Ben rispondeva solo che stava bene e che voleva stare solo. Tormentato dalla preoccupazione Semir si rassegnò ad aspettare che passasse la settimana al termine della quale Ben doveva comunque riprendere il servizio.

Ben si sentiva come se  il suo intero mondo fosse andato in pezzi in un giorno  e  fosse calata una densa cortina di fumo sulla sua esistenza. Ovunque si girasse non vedeva  barlume di speranza, non senza Anna. Avrebbe potuto bere sino ad addormentarsi, ma per esperienza personale sapeva che al risveglio tutto sarebbe stato peggio. Non piangeva mai, ma  passava   le giornate sul divano circondato dalla confusione più totale pensando e ripensando alle ultime ore, a quello che poteva essere e non era stato, a quello che avrebbe potuto fare o dire e non aveva fatto o detto. Si costringeva a mangiare qualcosa ogni tanto, facendo arrivare  una pizza a domicilio ed ormai i cartoni con i rimasugli erano sparsi per tutta casa. Ben si  chiese se un giorno tutto questo dolore sarebbe almeno diminuito

Si risvegliò come al solito sul divano, ormai non usava più il letto, c’era ancora il suo odore sui cuscini e sulle coperte. Girando distrattamente per l’appartamento Ben accese la tv giusto per distrarsi. C’era uno stupido programma sui film candidati all’oscar,  e fra quelli in nomination c’era proprio il film che Anna gli aveva ripetutamente chiesto di vedere e che lui aveva barattato con l‘aiuto nella stesura dei  rapporti. Proprio quello… dovevano andrci quella sera dopo il lavoro. Insieme… ma  non sarebbero mai più stati insieme, lei non ‘era più. Ben finalmente pianse.

Ora era sotto la doccia e l’acqua calda si mischiava alle sue lacrime, ma finalmente Ben aveva deciso cosa fare e dove andare. Si asciugò ed iniziò a rimettere a posto l’appartamento, lavando i piatti e riordinando  tutto. Poi si sedette e scrisse due lettere.      
Semir aveva trascorso un fine settimana agitato. Era scontroso e burbero perfino con le bambine, ma erano quasi due giorni che Ben non rispondeva  più nemmeno  al telefono. A malincuore, rispettando i desideri dell’amico si decise ad aspettare l’inizio settimana   quando Ben finiva il congedo, per allora doveva necessariamente farsi sentire o vedere.


Il lunedì mattina Semir arrivò in ufficio un po’ in ritardo, sperando così di trovare il compagno già in ufficio, ma entrando non vide altro che la scrivania desolatamente vuota.  Si avvicinò a Susanne ma lei prima ancora che glielo chiedesse scosse la testa… Ben non aveva chiamato.
Semir aspettò un'altra mezz’ora e poi si decise a chiamare l’amico sul cellulare. La solita vocina irritante rispose ”il dispositivo della persona chiamata   è spento o non è raggiungibile, si prega di riprovare più tardi”. Aspettò altri dieci minuti e riprovò… niente. In Semir iniziò a diffondersi una seria sensazione di disagio. Trascorse così un’altra ora  senza che Ben si facesse vedere ed in cui Semir provò a chiamare almeno altre dieci volte il numero del suo cellulare, fino a che la Kruger non spuntò alla sua porta “ Semir può venire un attimo nel mio ufficio” Non era mai un buon segno quando la Kruger lo chiamava per nome, pensò Semir.
Entrato nell’ufficio della Kruger il capo gli porse un foglio “ Lei sa nulla di questa storia?” Semir prese il foglio, ma ci vollero alcuni minuti prima che ne capisse bene il significato.

 Erano le dimissioni di Ben dalla Polizia.

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Capitolo 7
*** Ti dirò arrivederci ***


Sopresa!! non potendo postare domani lo faccio stasera
A proposito recensioni sempre gradite ;)


Ti dirò arrivederci

“No capo questo deve essere uno scherzo…” disse Semir “ Non penso, quella è sicuramente la firma di Jager ed allegato c’era il verbale di restituzione della pistola di servizio, l’ha restituita ieri”.  “Ma non è possibile…” balbettò Semir “Ben non le ha detto nulla di questa storia? “Assolutamente no, ma non ha voluto parlare con nessuno in questi giorni”  “Capisco che la morte di Anna possa averlo scosso ma…” “Capo la prego aspetti ad inoltrare le dimissioni, vado a parlagli” La Kruger annuì e Semir si allontanò di corsa.
Semir arrivò sconvolto a casa di Ben. Come aveva potuto prendere questa decisione del genere senza dirgli nemmeno una parola? Come poteva lasciarlo solo così senza considerare minimante le sue esigenze, i suoi sentimenti?  Salì di corsa le scale e iniziò a bussare ripetutamente al videocitofono. Nessuna risposta. Iniziò a battere il pugno sulla porta “Ben apri questa maledetta porta!!” chiamò, ma ancora niente. Dopo circa dieci minuti si decise a fare la cosa che aveva desiderato fare  in tutti quei giorni, anche se si era trattenuto. “Ben se non apri subito questa porta io entro lo stesso” gridò. Non ottenendo risposta Semir prese i suoi attrezzi dalla tasca interna dalla giacca e forzò la serratura. “Ben… sto entrando” avvisò. Quel che colpì subito Semir  fu l’ordine che ora regnava nell’appartamento. Girò tutte le stanze, tutte perfettamente ripulite, ma di Ben non c’era traccia. Aprì il frigo e lo trovò completamente vuoto e pulito. Sul tavolo della cucina c’era il cellulare spento. Con una strana sensazione Semir scese in garage e si accorse che mancava la moto. Ben  se ne era andato.
 
Semir aveva chiamato Julia e tutti gli amici di Ben  di cui aveva recuperato il numero, ma nessuno lo aveva sentito nelle ultime settimane. Disperato non gli restò che rivolgersi all’unico che fino ad ora non aveva contattato, anche per non farlo preoccupare, il padre di Ben. Semir percorse la strada verso la villa di Dusseldorf chiedendosi se effettivamente Ben potesse essersi rivolto al padre o avergli detto qualcosa.  Dopo gli avvenimenti dei mesi passati i due si erano inizialmente riavvicinati, ma poi Konrad era tornato alla carica  con la storia del  lavoro troppo pericoloso quando aveva saputo che Ben aveva intenzione di sposarsi, così i rapporti si erano nuovamente raffreddati.
 
Arrivato alla villa Semir si meravigliò molto  quando alla porta venne ad aprire direttamente Konrad e non una delle domestiche “Entri sig. Gerkan, mi aspettavo la sua visita” lo accolse Konrad
“Allora sa dov’è andato Ben…” fece immediatamente Semir senza salutare il vecchio Jager.  “Si accomodi Semir”  gli rispose il vecchio indicandogli lo studio ed il divano nello stesso.
“Prima che lei dica qualsiasi cosa voglio che sappia che ho cercato di dissuaderlo in tutti i modi…” “Dov’è?” gli chiese duro Semir senza curarsi della spiegazione. “Non lo so, Ben è stato qui ieri sera, per dirmi che si allontanava per qualche tempo, e per quanto abbia insistito, non ha desistito e non mi ha detto dove aveva intenzione di andare. In effetti non credo lo sapesse neppure lui…” rispose Konrad
A Semir iniziò a salire il sangue alla testa “Perché non l’ha fermato? Lo sa quanto sta male? E lei l’ha lasciato andare da solo e chissà dove, che razza di padre è??” Semir era letteralmente furibondo convinto che il vecchio si fosse  approfittato la situazione per allontanare Ben dai suoi amici e soprattutto dal suo lavoro in polizia Ma anche il vecchio Jager  si stava alterando “Senta Gerkan, lei non ha il monopolio dell’affetto per mio figlio. Crede che io non lo ami? Che non voglia il suo bene? E’ mio figlio, dannazione, mio figlio non il suo” La discussione stava assumendo sempre più i toni di una scenata di gelosia: padre putativo contro padre naturale
 “Allora perché non lo ha fermato?? Lei in realtà voleva solo approfittarsi del momento per allontanarlo da noi e dal suo lavoro pur sapendo quanto lo ami. Ovviamente è a conoscenza del fatto che Ben ha presentato le dimissioni” urlò Semir. Negli occhi di Konrad però Semir lesse la sorpresa. “ No… questo non lo sapevo. Comunque se c’è  qualcosa che ho imparato, a mie spese purtroppo, è che se Ben vuole fare una cosa la fa, qualsiasi cosa io dica o faccia” Gli animi andavano calmandosi e Semir pensò tristemente che in fondo Ben aveva avvisato suo padre che stava andando via e non lui, se n’era andato senza dirgli neppure una parola e la cosa gli faceva un  male cane. “ Ho dovuto giurargli di non chiedere nulla e di non cercarlo in cambio della promessa di telefonarmi almeno una volta ogni paio di settimane, giusto per farmi sapere come sta” continuò sommessamente il vecchio. Si vedeva che era  sconfortato. “ Mi scusi sig. Jager  non avrei dovuto aggredirla…” si scusò Semir “ Non fa nulla Semir, anche io sono terrorizzato, ma forse dovremmo solo aspettare che passi questo periodo. Vedrà Ben tornerà da noi” gli sorrise tristemente Konrad.
 
Tornando verso casa Semir non sapeva se era più preoccupato, triste o arrabbiato con il compagno. Come poteva essere andato via così senza dirgli neppure addio? Senza salutare neppure Andrea e le bambine? In fondo aveva salutato il padre… il padre  e non lui E dove cavolo era finito? Semir non poteva prefigurarsi neppure per quanto tempo Ben sarebbe stato via, in fondo non aveva alcun bisogno di lavorare per mantenersi.
Con questi foschi pensieri Semir arrivò a casa.  In mattinata aveva chiamato Andrea e l’aveva informata di quanto stava succedendo, così quando Andrea aprì la porta subito capì dal suo sguardo che c’erano novità.
“Semir è appena arrivata questa per te” gli disse porgendogli una lettera. Sulla  busta c’era la grafia di Ben.
Semir rimase qualche minuto seduto sul divano a fissare la lettera. Da un lato era comunque contento che Ben non si era dimenticato di lui e dall’altro forse non voleva sapere cosa c’era scritto nella lettera, ne aveva paura. Con le mani tremanti si decise ad aprirla.
 
Ciao socio, lo so ti starai chiedendo perché ho  usato una lettera per salutarti al posto di parlarti di persona. So di averti dato un dolore per questo, ma la risposta è semplice: perché parlandoti mi avesti convinto a non partire, ci saresti sicuramente riuscito, così ho preferito usare questo mezzo. In effetti fino ad ora ho solo scritto qualche lettera d’amore alle fidanzatine del liceo,  quindi mi scuserai per la forma.
 Da dove iniziare… sei e sarai sempre il migliore amico che abbia mai avuto. Ma a volte, nella vita, la vicinanza delle persone che ti vogliono bene non ti può aiutare. Ci sono eventi che devi necessariamente affrontare da solo  e  la morte di Anna è uno di questi per me. Tutto ciò che amo muore Semir, e per ora l’unico modo che ho trovato  per accettare questa cosa e non impazzire è resettare la mia vita. Non riesco più a fare nulla di quello che facevo prima; gli amici, i miei familiari, il mio lavoro, tutto mi ricorda lei. Questo non significa che io non ti voglia bene o non ti pensi, ma ti prego, se anche tu mi vuoi bene non cercarmi. Non ti preoccupare non farò sciocchezze, non leggerai di me che mi sono buttato nel fiume  o sotto un treno. Ho solo bisogno di un po’ di tempo lontano da tutto e tutti. Quindi non ti dico addio, ti dico solo… arrivederci. Bacia Andrea e le bambine per me. Ti voglio bene  Ben”

 Semir  rimase a fissare la lettera per qualche minuto. Doveva rassegnarsi: per ora Ben non sarebbe tornato.
 
Alberto Maione era seduto su di una panchina nel parco a guardare il laghetto. Bambini giocavano a dare da mangiare alle anatre e Alberto ripensò a tutte le volte in cui anche lui l’aveva fatto con i fratelli. Ora più della metà della sua famiglia era morta, restava Maria che però non aveva più alcun contatto con lui dal giorno dei funerali.
 L’uomo vestito di nero si avvicinò ad Alberto e si sedette accanto a lui. “Allora hai scoperto dove si è cacciato?” gli chiese “No ancora no, sembra sparito dalla faccia della terra” “Nessuno sparisce davvero, trovalo” gli intimò Alberto alzandosi dalla panchina ed allontanandosi con passo calmo

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Capitolo 8
*** Emanuel ***


Emanuel

Una delle cose che Ben aveva sempre desiderato fare era il giro completo della Germania in moto. Aveva visitato tanti posti ed era stato spesso all’estero, il denaro di suo padre in gioventù gli aveva permesso di frequentare un college  negli Stati Uniti, ma si  era accorto di non conoscere bene il proprio paese.

Per questo Ben  ed Anna avevano programmato proprio quel viaggio di nozze, il giro della  Germania in moto.
Lo stesso viaggio che Ben stava facendo ora, solo che non era un viaggio di nozze, ma un viaggio della disperazione.

Si fermava di tanto in   tanto,  per qualche giornata o al massimo qualche settimana, mai nelle grandi città ma sempre nei paesini, in qualche piccola locanda o appartamentino preso in affitto a settimane. Gli piaceva la tranquillità dei boschi e della campagna tedesca. Poteva pensare, nessuno gli chiedeva nulla, nessuno sapeva chi era e cosa aveva passato,  nessuno lo guardava con lo sguardo compassionevole. Quando i contanti che aveva portato con sé erano finiti  si era rifiutato di utilizzare la carta di credito o il bancomat, ben immaginando che Semir nonostante  i buoni propositi prima o poi li avrebbe fatti tracciare, e aveva fatto piccoli lavoretti in posti dove non ti chiedono chi sei o la carta di identità. Per lo più aveva fatto il muratore. Quando suo padre ancora sperava che avrebbe preso il posto che gli spettava in azienda, magari dopo una bella laurea in ingegneria, d’estate finita la scuola  lo aveva  sempre incoraggiato a lavorare  per un po’ in uno dei suoi tanti cantieri. Ben si era sempre divertito moltissimo, amava l’esercizio fisico ed amava vedere  una costruzione nascere grazie al suo lavoro. L’esperienza gli era tornata utile.

Ora stava lavorando alla ristrutturazione di una piccola villetta in una zona rurale dell’ex Germania dell’Est. Si era fermato in quel posto molto più tempo rispetto a quelli precedenti, dove era rimasto giusto il tempo di procurarsi il denaro necessario a proseguire il viaggio.
Quella notte come la maggior parte delle precedenti aveva dormito male. Gli occhi di Anna, il suo sorriso, il suo volto e poi la visione spaventosa di lei nella macchina distrutta lo tormentavano ogni volta che si addormentava.
Per sfogarsi aveva iniziato, come gli era stato chiesto, ad abbattere con il piccone un muro all’interno della villetta.  Picchiava e picchiava, dava colpi sempre più forti come se con quelle picconate potesse distruggere il destino avverso che lo tormentava, per sfinirsi e dimenticare tutto. Era così impegnato che a stento si accorse della voce dietro alle sue spalle “Ehi, vacci piano… così non butti giù solo il muro, ma tutta la villetta…”

 Ben si fermò e si tolse gli occhiali di protezione ed i guanti, girandosi vide un vecchio, più o meno sulla settantina, mezza statura, magro e barba brizzolata ben curata. E soprattutto un paio di occhi azzurri che sembravano penetrare in fondo all’anima. Era vestito, come Ben in tuta da operaio, ma immediatamente Ben pensò che era troppo anziano per fare quel lavoro.
 “Come scusi?” gli chiese incuriosito “Ho detto che se non ci vai piano finisci per demolire tutta la villetta… cosa ti ha fatto quel muro  di così terribile?” rispose il vecchio sorridendogli. “Beh  mi piace mettere energia nel lavoro…” rispose Ben. Quel vecchio gli dava sensazioni stranissime, da un lato inquietanti e dall’altro  sentiva come se l’avesse conosciuto da sempre. “Sì ma se ne metti troppa all’inizio della giornata poi non te ne resta più… comunque io sono Emanuel” gli disse porgendogli la mano “Piacere, Ben” rispose il ragazzo  stringendogliela. Il tocco di quell’uomo per Ben era straordinariamente calmante “Se vuoi ti dò una mano..”  “Ma anche tu lavori qui?” chiese Ben  meravigliato “Certo, non metto mica la tuta da lavoro perché è di moda…” rispose Emanuel indossando guanti ed occhiali e prendendo un altro piccone.

I due lavorarono per un po’ in silenzio. Ben era meravigliato dalla forza fisica del  vecchio, lavorava senza dare il minimo segno di cedimento.
Fecero una pausa e la curiosità di Ben prevalse. “ Scusa se te lo chiedo Emanuel, ma quanti anni hai?” “Molti più di te Ben… perché?” “Beh- rispose Ben imbarazzato-  ma per questo  lavoro non sei troppo…” “Vecchio?” completò la frase Emanuel “ Ma no…” fece Ben sempre più imbarazzato  “E tu quanti anni hai?” chiese Emanuel  prima che Ben finisse la  frase. “Trentaquattro”  “ E tu forse troppo giovane per tanto dolore…” fece Emanuel riprendendo a lavorare, lasciando Ben completamente interdetto.
A fine giornata lavorativa Ben stava per congedarsi da Emanuel quando questi gli chiese sorridendo “ Senti ti va una birra stasera? O hai da fare ?” “ No, sono solo qui, mi fa piacere una birra…”  Dalla morte di Anna Ben non era mai più uscito la sera. “ Ok, allora alle nove al pub del paese”   propose Emanuel “ Va bene” rispose Ben, ma prima ancora che se ne accorgesse Emanuel era sparito

Ben stava aspettando Emanuel all’esterno del pub. Per la prima volta dalla morte di Anna si era concesso uno svago serale. Quel vecchietto lo aveva colpito molto, era quasi come se lo conoscesse da sempre, e a volte gli ricordava Semir. All’improvviso sentì una voce dietro di sé “ Buonasera Ben” Era Emanuel “ Da dove cavolo è spuntato?” si chiese Ben, che aveva sorvegliato il cancello di accesso per tutto il tempo. Quell’uomo aveva la capacità di apparire e sparire come per magia. “ Ciao Emanuel, ma da dove sei arrivato?” “ Dalla strada ovviamente” gli rispose il vecchio avviandosi dentro.
Si sedettero in un tavolino in fondo al locale ed ordinarono due birre. Il vecchio  guardava Ben con i suoi occhi azzurri e Ben era diviso a metà fra  una sensazione di  disagio per essere osservato in quel modo e  di estrema calma che gli infondeva quello sguardo. “ Emanuel mi spieghi cosa volevi dire oggi quando hai detto che sono troppo giovane per tanto dolore?” “Solo che i tuoi occhi dicono che c’è troppo dolore nella tua vita e che stai scappando” rispose il vecchio con calma. “Come cavolo fa a saperlo?” si chiese Ben sempre più inquietato. “Tu sei sposato?” gli chiese Emanuel “No, ma se tutto fosse andato come doveva nella mia vita ora lo sarei” rispose Ben meravigliandosi delle parole che uscivano dalla sua bocca. Si era ripromesso di non parlare con nessuno della sua storia ed invece stava rivelando tutto a quel vecchio conosciuto solo quella mattina stessa. Prima che se ne accorgesse però Ben aveva già raccontato tutta la sua storia ad Emanuel… Anna, quello che avevano passato nei mesi passati, la sua morte, il suo desiderio di allontanarsi da tutto e tutti, anche da Semir il suo migliore amico, e prima ancora Saskia e la sua morte.

Alla fine del discorso Ben aveva le lacrime agli occhi. “ Scappare non serve a nulla, Ben” gli disse calmo Emanuel. “Vedi- continuò il discorso- dovunque tu vada il dolore ti segue perché è  parte di te, non dei luoghi dove sei. Invece  si deve imparare ad accettare il dolore come parte della nostra esistenza” “ Ma io non ce la faccio ad andare avanti senza Anna, non riesco ad accettare di averla persa” mormorò Ben “Perdere è un concetto relativo. Le persone che amiamo, se le amiamo veramente entrano a far parte di noi, della nostra essenza, della nostra stessa coscienza. Sono sempre lì, solo in modo diverso, basta saper guardare con altri occhi” “Ma fa male…” “Lo so ma il dolore si supera meglio se hai qualcuno accanto. Quelli che ci amano non aspettano altro che di aiutarci e dobbiamo saper accettare il loro aiuto, così è più facile andare avanti. Credimi Ben  tu hai in te  stesso la forza di superare tutto, ed un giorno ricordando Anna di lei avrai solo i ricordi belli, se chiuderai gli occhi la vedrai e lei ti parlerà sempre se sai ascoltare il tuo cuore” Ben si chiese perché le semplici parole di quell’uomo avessero il potere di fargli vedere  le cose in modo diverso.

Si era fatto tardi. Prima di salutarsi percorrendo la strada verso il paese, Emanuel prese la mano di Ben nella sua “ Ricordati Ben, quello che ti dico. La tua forza, quella che hai dentro, ti permetterà di affrontare tutto, quello che ti è successo in passato e anche tutto quello che ti succederà in futuro, abbi fede in te stesso”
 Prima ancora che Ben potesse chiedere spiegazioni sull’ennesima frase misteriosa, Emanuele era sparito  nella notte

Perso nei suoi pensieri Ben a stento si accorse dell’uomo che lo stava guardando parlando al cellulare.
“L’ho trovato, cosa devo fare?” chiese l’uomo al suo interlocutore
“Vivo, portamelo vivo” rispose Alberto dall’altro capo della linea        

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Capitolo 9
*** Rapito ***


Rapito

Il mattino successivo  Ben fece i bagagli. Per la prima volta da  mesi aveva dormito bene, svegliandosi una sola volta  e senza i consueti incubi. Parlare con Emanuel aveva avuto un effetto straordinario su di lui e quindi Ben aveva deciso. Nella consueta telefonata al padre gli avrebbe detto che stava per tornare a casa e poi avrebbe telefonato a Semir. Non sapeva che parole avrebbe usato con lui per scusarsi, ma era sicuro che qualsiasi cosa avrebbe detto Semir avrebbe capito.  Ma prima di tutto doveva passare al cantiere per ringraziare e salutare Emanuel.
Mentre stava legando il bagaglio alla sella della Harley Ben pensò anche che doveva cercare di riavere il lavoro, forse riusciva ad essere reintegrato in Polizia  se la Kruger lo aiutava. Si accorse solo all’ultimo minuto dell’uomo che sopraggiungeva alle sue spalle e che con un colpo alla nuca lo spedì nel buio dell’incoscienza, prima di legarlo e sbatterlo nel portabagagli della propria auto.
 

Semir arrivò quella mattina con la solita sensazione di tristezza che ormai lo accompagnava da mesi. Lavorare senza Ben non era divertente e stavano anche per scadere i tre mesi di tempo che la Kruger aveva concesso prima di inoltrare gerarchicamente le dimissioni di Ben, che per ora ufficialmente era in congedo.
Le telefonate che  gli faceva Konrad per avvisarlo che Ben aveva dato notizie di sé erano l’unico contatto che Semir aveva con il giovane collega.  Semir provava  dolore per questo atteggiamento: come poteva Ben non farsi sentire mai, neppure per un saluto a lui o per sapere delle bambine? Erano o non erano  migliori amici? Semir non sapeva se essere più deluso o preoccupato.
Inizialmente Semir si era imposto di rispettare la volontà di Ben e non cercarlo. Ma il trascorrere delle settimane senza notizie avevano sciolto i suoi propositi  come neve sotto il sole. così si era deciso a far tracciare le carte di credito ed il bancomat, ma senza alcun risultato: Ben non aveva effettuato alcuna operazione o prelievo da quando era partito. Così come non aveva preso, almeno a suo nome, nessuna camera d’albergo o appartamento. Semir non si meravigliò, Ben era un poliziotto sapeva bene come sparire se voleva.
Entrando in ufficio Semir vide Hartmut che lo aspettava seduto sul bordo della scrivania, con il suo solito atteggiamento dinoccolato. “Buongiorno Hartmut, cosa ti porta qui di buon mattino?”  “Giorno Semir. Ti devo parlare… ieri ho avuto la richiesta per la rottamazione dell’auto di Ben”  A Semir tornarono immediatamente in mente le immagini orribili dell’auto accartocciata e del corpo di Anna “Sì certo  cosa c’è di strano?”  chiese Semir “Semir ti ricordi che io  in quella settimana non c’ero? Ero in America per quel congresso…” “ Certo Hartmut me lo ricordo e quindi?” chiese l’ispettore capo “Quindi non aveva esaminato fino ad ora i rottami…” Semir iniziò a provare un senso di inquietudine “ Beh ho deciso di darci un’occhiata, così per sicurezza…” “Cosa hai trovato?” chiese Semir incominciando ad intuire dove stava andando il discorso. “Guarda qui” gli disse Hartmut  mostrandogli una fotografia sul video del pc. Semir non capì nulla di quello che vedeva, gli sembrava un normale pezzo meccanico. “ Cos’è Hartmut?” chiese Semir “E’ l’interno dell’impianto freni dell’auto di Ben” rispose il tecnico come se fosse la cosa più ovvia del mondo “ Vedi questi segni?” gli chiese ancora mostrandogli alcune striature  “Qui e qui. Sono segni di aggancio di un dispositivo che ha  temporaneamente bloccato il sistema frenante” “ Cosa vuoi dire Hartmut?” chiese Semir mentre il ritmo del cuore accelerava “Che l’auto di Ben è stata sabotata, non è stato un incidente”

Semir era furibondo. “Come cavolo  è possibile che nessuno l’abbia visto prima??” girava freneticamente in tondo nell’ufficio. “Sai cosa vuol dire Hartmut? Che qualcuno  voleva uccidere Ben, ed io non ho idea di dove  lui sia ora…” “Calmati Semir, non hai detto che chiama periodicamente il padre? Beh chiama Jager e digli di avvertirlo la prossima volta che lo sente…” “ E se è troppo tardi?? Se lo trovano prima o lo hanno già trovato, se ci riprovano?”
“Ok ora calmiamoci Gerkan” disse la Kruger entrando nell’ufficio “Konrad Jager dice che non sente Ben da più di dieci giorni e sta iniziando a preoccuparsi perché in questi mesi lo ha sempre chiamato con regolarità ogni martedì” Semir iniziò ad andare nel panico “Oh no…” mormorò.
La Kruger lo guardò accigliata “Faccio diramare un ordine di ricerca su tutto il territorio tedesco, se i colleghi lo avvistano o avvistano la moto lo fermano. Lei Gerkan cerchi di contattare i suoi amici forse è andato da loro o si è fatto sentire”
 
La giornata lavorativa passò senza che nessuno avesse cavato un ragno dal buco. Semir era sempre più spaventato ed anche arrabbiato con Ben, ma perché doveva andarsene così senza dire nulla a nessuno?
All’improvviso entrò Susanne trafelata “ Semir… i colleghi di Henneberg ci hanno appena chiamato. Hanno trovato la moto di Ben, con  tutti i bagagli, parcheggiata di fronte  ad un piccolo hotel. L’albergatore ha detto che il motociclista ha lasciato la stanza e saldato il conto due giorni fa, ma la moto è rimasta lì con tutte le sue cose…” Semir impallidì. Si alzò senza dire una parola e corse verso la BMW.

Semir guidava verso la piccola cittadina rurale di Henneberg con a fianco Dieter, la cui presenza era stata imposta dalla Kruger. Nella sua mente si affollavano mille pensieri. Perché quel benedetto ragazzo finiva sempre con il mettersi nei pasticci? Dove era finito?  E soprattutto chi poteva avercela con lui tanto da provocare un così grave incidente?. La mente di Semir andò alle immagini di quel giorno e pensò che se alla guida della macchina ci fosse stato Ben, come era prevedibile, allora lui sarebbe morto. Si maledisse per la sensazione di sollievo che provava e chiese mentalmente perdono ad Anna. Chi poteva essere? I Maione erano morti entrambi e il caso era stato definitivamente archiviato.  A Semir non risultava che nessun’altro dei numerosi criminali che avevano arrestato era fuori o comunque potesse avere desiderio di vendetta contro Ben. E se Ben fosse già…. Semir bandì immediatamente quel pensiero dalla sua mente
Neppure stava a sentire i discorsi di Bonrath che in modo del tutto  non plausibile cercava di convincerlo che forse c’era una spiegazione semplice,  del tipo… Ben ha incontrato un amico o meglio ancora una ragazza e si è allontanato con lei.

Arrivarono alla piccola città con oltre un’ora di anticipo sulle tabelle di marcia a velocità normale, Semir aveva percorso tutta l’autostrada con le sirene spiegate.
All’arrivo trovarono ad accoglierli i colleghi della locale stazione che li portarono direttamente al piccolo hotel, dove si trovava ancora la moto. Appena arrivato Semir la riconobbe… era proprio l’Harley di Ben e quello legato sulla sella era il suo borsone da palestra.
Lasciò Bonrath ad esaminare la moto ed entrò nell’hotel per interrogare i proprietari. Gli venne incontro una bella signora bionda di mezz’età. “Certo che mi ricordo del motociclista, è proprio lui… un bel ragazzo.. proprio un bel ragazzo, ma tanto triste” rispose la donna guardando la foto di Ben. “Ha visto se il giorno in cui ha lasciato la stanza si è incontrato con qualcuno?” “No, purtroppo non ho visto nulla… non  ha frequentato nessuno nel periodo in cui è stato qui. So che lavorava a giornata nel cantiere qui sulla statale, ma non l’ho mai visto con nessuno”
Mentre stava per fare altre domande, Bonrath entrò nella hall dell’albergo. Aveva una faccia tremendamente seria. “Semir… è meglio se facciamo venire subito Hartmut qui. Sulla moto di Ben e tutto intorno ci sono tracce di sangue”  

Semir stava a guardare  gli uomini della scientifica che in tuta bianca esaminavano la moto e tutto il terreno circostante. Hartmut aveva già inviato via telematica il vetrino con il sangue al laboratorio a Colonia per confrontarlo con i parametri d Ben presenti nel data-base. Per il resto non avevano nulla: il proprietario del cantiere gli aveva detto che Ben aveva lavorato lì per circa un mese, durante il quale aveva scambiato con gli altri operai sì e non due parole, e non l’aveva  mai visto con nessun’altro. La titolare del pub gli aveva detto che Ben la sera aveva sempre cenato da solo e se ne era andato, massimo alle nove, per rinchiudersi in albergo. In pratica Semir non aveva nulla in mano.
Hartmut lo chiamò “ Semir vieni, guarda. Vedi? le tracce di sangue finiscono qui, dove iniziano  queste tracce  di gomme di automobile, direi una Skoda. Certamente è stato colpito e poi messo in macchina” fece il tecnico con aria scientifica mentre Bonrath gli lanciava occhiatacce. “Deve proprio dirlo così a Semir, in modo così brutale?” pensò Bonrath. Ma Hartmut era  troppo occupato nell’analisi dei luoghi per farci caso. Era ancora impegnato a spiegare dinamica e percorso delle gocce di sangue sul terreno  quando il suo cellulare squillò. Nel rispondere alla telefonata  però Hartmut impallidì. “Semir, è confermato il sangue è di Ben” gli disse sommessamente. chiudendo la chiamata

Semir si appoggiò al muro  perimetrale dell’albergo cercando di riprendere fiato. Era sconvolto. Bonrath gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla “Lo troviamo Semir, vedrai che lo troviamo” cercò di incoraggiarlo “ E come Bonrath?? Mi dici come?? Non abbiamo nulla, neppure un indizio da cui iniziare…”

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Capitolo 10
*** Sai chi sono io? ***


Sai chi sono io?

Ben si svegliò lentamente. La testa gli  faceva molto male e pulsava tanto da sembrare che stesse per scoppiare. Aprì piano gli occhi cercando di orientarsi e soprattutto capire cosa era successo. Ricordava solo  un colpo e poi il buio. Si era anche svegliato brevemente durante il viaggio che gli era sembrato molto lungo, all’interno di quello che gli era sembrato un vano bagagli, ma uno sprazzo di luce ed un fazzoletto con un odore terribile l’avevano rimandato subito nel mondo dei sogni.
Si mosse lentamente. Era steso su  di un pavimento umido e sporco e mettendo la mano sulla nuca Ben sentì la ferita ed il sangue raggrumato sulla stessa. Aveva fame e soprattutto sete. “Da quanto tempo sono qui?” si chiese cercando faticosamente di mettersi a sedere poggiato contro il muro. Ora che gli occhi si erano abituati all’oscurità capiva che si trovava in una specie di cantina; c’era un terribile odore di muffa e la stanza era senza finestre e chiusa con una porta di ferro a grata da cui si intravedeva un lungo corridoio. Faticosamente raggiunse la porta ma come aveva immaginato era chiusa a chiave e sembrava anche molto solida.
“Bene –pensò sconsolato- sono bloccato qui, in mano a chissà chi e nessuno mi cercherà perché io stesso ho chiesto di non essere cercato”

Passarono altre ore e Ben aveva sempre più sete ed iniziò a pensare che  forse volevano lasciarlo lì a morire di fame e di sete. Si era appisolato quando sentì il rumore della serratura e vide un uomo entrare e puntargli una pistola addosso. Era a volto scoperto e  Ben pensò che questo non era un bene, significava che non l’avrebbero fatto uscire vivo di lì.

Ma dove l’aveva già visto? Ben non riusciva a ricordare chi era, ma era sicuro di averlo già visto. L’uomo, circa quarant’anni, alto, vestito elegantemente, lo guardò con occhi gelidi. “Sai chi sono io, bastardo?” “La regina d’Inghilterra?” rispose indisponente Ben, ma se ne pentì immediatamente perché si beccò un calcio nello stomaco che lo lasciò boccheggiante. “Bene vedo che siamo in vena di scherzare sbirro, ti passerà ben presto te lo assicuro” “Ma che c… vuoi da me?” gli chiese Ben ancora a corto di fiato “ Cosa voglio da te… voglio vederti soffrire, soffrire in modo indicibile e poi voglio vederti morire, ecco cosa voglio” rispose l’uomo con uno sguardo allucinato. “Ma c… chi sei?” chiese Ben, capendo che con tutta probabilità era finito nelle mani di un pazzo “ Non ti ricordi vero sbirro?? In fondo ci siamo visti solo una volta. Io sono quello a cui tu hai ucciso padre e fratello, quello che a causa tua ha perso tutto, tutta la sua vita, e per questo me la pagherai molto cara, molto, molto cara. Alla fine mi implorerai di ucciderti” gli rispose mentre lo colpiva con il calcio della pistola sul viso. Subito prima di perdere i sensi Ben ricollegò il viso al nome: Alberto Maione.


Semir aveva rivoltato ogni centimetro dell’albergo dove era stato Ben e del cantiere dove aveva lavorato senza alcun risultato. Ora era al telefono con Susanne “Sì lo so che sono tanti ma li devi controllare tutti, tutti i fascicoli dei casi di cui si è occupato Ben, sì anche quelli di quando era all’LKA. E chiedi alla Kruger di farsi dare l’autorizzazione per tracciare tutti i cellulari della zona negli ultimi giorni. Sì Susanne tutti ho detto tutti, ciao” Semir riattaccò e pensò che era ora di avvisare il padre di Ben, anche perché doveva tenersi pronto, non si poteva escludere un rapimento a scopo di estorsione. Anzi, pensò Semir questa in fondo era l’ipotesi migliore, almeno così per ora non gli avrebbero fatto nulla.
 
 Era ormai notte tarda quando Semir si decise a tornare a casa. Parcheggiò  lungo il vialetto e rimase alcuni minuti in macchina. Ormai l’inverno era alle porte e Semir pensò all’anno terribile che il suo giovane amico aveva trascorso. Non era giusto pensò, non era giusto… perché succedono tutte a lui, non poteva essere felice il ragazzo?. Rabbrividendo entrò in casa e come si aspettava trovò Andrea ancora alzata ad aspettarlo.
“Ciao tesoro, novità su Ben?” gli chiese abbracciandolo “No nulla ancora” le rispose  triste il marito “Vieni tesoro, mangia qualcosa…” lo esortò la moglie guidandolo verso la cucina.
Semir non aveva molta fame, una morsa gli chiudeva lo stomaco. Toccò appena la cena tenuta in caldo dalla moglie e dopo aver dato un bacio alle bambine mentre dormivano cercò inutilmente di riposarsi, senza alcun risultato. Dopo meno di un paio d’ore era già in piedi e si stava recando al Distretto. Non erano neppure le sei del mattino, ma entrando trovò quasi tutti al lavoro. Susanne, Dieter e Jenny erano alle loro scrivane a consultare tutti i file dei casi di Ben e la Kruger discuteva animatamente con qualcuno al telefono.  Semir bussò discretamente alla porta dell’ufficio del capo e la Kruger gli fece cenno di entrare “Sì lo so che è una zona enorme e che le utenze possono essere migliaia, ma ci servono quei dati e ci servono subito!!!” intimò con la sua solita aria da comandante dei marines “Molto bene grazie” “Le utenze dei cellulari?” chiese Semir “ Sì le mandano in giornata” rispose il capo. “ Ci sono novità?”  chiese Semir “Purtroppo no, nei file dei casi di Ben non abbiamo ricavato nulla di rilevante” Seguirono  alcuni minuti di silenzio. “Vedrà…  lo troviamo”  la Kruger lo guardò con sguardo compassionevole. “Continuate a ripeterlo tutti,  ma come?” chiese tristemente Semir


Ben si risvegliò sentendo un forte dolore alle braccia. Non riusciva a respirare con il naso e sentiva il sangue colare. Quasi certamente era rotto. Ben aprì gli occhi e si accorse che Maione l’aveva legato  le braccia ad una catena appesa al soffitto. I piedi riuscivano a stento a sfiorare il pavimento e tutto il peso poggiava  sulle braccia. Ben pensò che non poteva resistere così per molto. Alzando lo sguardo vide Maione in piedi che lo fissava sogghignando.
Si avvicinò a Ben e gli poggiò sulle labbra una bottiglia d’acqua. “Bevi bastardo, non voglio che il mio divertimento finisca troppo presto” Ben inghiottì l’acqua, ne aveva troppo bisogno. “Ed ora mangia” gli disse sadico infilandogli un boccone di pane in bocca. Questo era troppo. Ben glielo spuntò in faccia. “ Tu maledetto bastardo…” Maione si asciugò il viso con il dorso della mano; furibondo  iniziò a colpire Ben allo stomaco e al viso con pugni e calci. Colpiva così tanto e così forte che Ben non riusciva a vedere più nulla e neppure a respirare. Poi finalmente perse conoscenza  

Alberto era seduto alla scrivania del piccolo studio nella villetta di Berlino. Fortunatamente quel posto aveva una   cantina, del tutto insonorizzata per tanto era profonda e collegata al tunnel che dava nel bosco retrostante… il posto ideale dove tenere lo sbirro. Sorrise fra sé e sé pensando ai giorni a venire.  Avrebbe fatto soffrire quel maledetto, l’avrebbe fatto soffrire così tanto che alla fine lui stesso gli avrebbe chiesto di essere ucciso. “Jager stai per essere ripagato di tutto il male che mi hai fatto” pensò Alberto ridendo istericamente in preda alla follia che ormai si era impadronita della sua mente. 

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Capitolo 11
*** Intuizioni ***


Intuizioni

Erano oramai passati tre giorni da quando avevano ritrovato la moto di Ben e Semir era  completamente disperato.
Non aveva neppure il benchè minimo indizio di dove cercare  l’amico. Sull’impianto freni dell’auto sabotata ovviamente non avevano trovato alcuna impronta, le tracce di pneumatici  accanto alla moto non erano identificabili, nessuno aveva visto niente… insomma non avevano nulla. Ed intanto il tempo passava. Semir  sobbalzava ogni volta che squillava il telefono nel terrore che qualcuno gli dicesse di aver trovato il corpo di Ben  in qualche fossato o in una discarica.

Mentre controllava per l’ennesima volta i file dei precedenti casi di Ben, Semir pensò che probabilmente non avrebbe più rivisto il compagno vivo e fu preso da una rabbia incontrollabile.. urlando scaraventò tutto quello che c’era sulla scrivania a terra e poi la prese a calci.

Dall’esterno dell’ufficio di Semir i suoi colleghi si spaventarono a morte. Jenny stava per precipitarsi dentro quando Susanne la fermò con un gesto “Lascia vado io”  disse bussando discretamente alla porta dell’ufficio. “Semir… tutto bene?” gli chiese la segretaria mettendo la testa nell’ufficio ormai ridotto ad un campo di battaglia. Semir si asciugò furtivamente una lacrima “Sì certo Susanne… scusatemi ora rimetto tutto a posto” “Ha chiamato il padre di  Ben, sta venendo qui” lo informò Susanne “Ok, grazie” le rispose l’ispettore  iniziando a raccogliere i fogli da terra e chiedendosi cosa poteva mai dire al vecchio Jager.


Konrad Jager non aveva mai pregato tanto in vita sua come in quei giorni. Anche quando sua moglie era morta, così  come nei mesi passati quando aveva pensato che anche il figlio fosse morto, aveva sì pregato, ma in realtà aveva comunque trovato la forza di rassegnarsi ad un destino avverso e crudele. Ma questo… non sapere dove fosse il suo bambino e cosa gli stesse succedendo senza poter fare nulla era oltre le sue  forze. Aveva persino pregato che qualcuno gli telefonasse per chiedere un riscatto, avrebbe volentieri venduto tutto, l’azienda, la casa, l’intero patrimonio per riavere Ben. Continuamente gli scorrevano in mente le immagini del figlio, i suoi sorrisi da bambino, meravigliosi ed in grado di sedurre chiunque, il carattere volitivo e ribelle, ed i violenti litigi che avevano caratterizzato tutti gli anni dall’adolescenza in poi.  “Forse ho sbagliato tutto con lui” pensò Konrad entrando nell’ufficio di Semir e sperando che non fosse troppo tardi per rimediare.

“Si accomodi sig. Jager” gli disse Semir quando vide Konrad spuntare dalla porta. Konrad entrò nell’ufficio e si sedette sul divano mentre Semir era  ancora intento a raccogliere da terra gli ultimi fogli. “Mi spiace sig. Jager ma non abbiamo novità” gli disse subito Semir togliendo al vecchio ogni illusione sul punto. “Capisco… e cosa facciamo ora?” chiese sommessamente il padre di Ben “Non lo so.. proprio non lo so” confessò Semir mentre sentiva nuovamente le lacrime agli occhi.
In quel momento l’attenzione di Konrad fu attratta da una delle fotografie uscita da un fascicolo sulla scrivania di Semir. “Alberto Maione…”  riconobbe il vecchio Jager “Sì lo conosce?” “Solo di vista, fa parte dello stesso studio associato del mio avvocato. Lui dice che dopo la morte del padre e del fratello è come se fosse  impazzito, non va più a lavorare e sembra totalmente alienato”  Semir sentì un campanello scattare nella sua testa; lui e Ben avevano visto solo una volta il secondo figlio di don Alfonso,  al Distretto quando era venuto a ritirare l’archiviazione della inchiesta sul padre ed il fratello. Semir solo allora ricordò lo sguardò con cui l’uomo aveva guardato Ben… freddo, gelido e forse… vendicativo
Congedò in fretta Konrad e corse alla scrivania di Susanne
“Susanne trovami tutto quello che abbiamo su Alberto Maione… in fretta” chiese ansioso   

“No Semir mi spiace non può convocare Alberto Maione, non c’è alcuna ipotesi di reato contro di lui, nulla che lo colleghi a Ben, come facciamo ad interrogarlo? Sulla base di una sua intuizione?” “Capo scusi se glielo dico, ma le mie intuizioni sono spesso esatte” le rispose Semir sempre più adirato “Questo è vero Semir ma, in ogni caso cosa crede che ci direbbe sapendo che comunque non possiamo trattenerlo? Si ricordi che comunque è un avvocato, conosce  perfettamente i suoi diritti”. “E che facciamo stiamo ad aspettare che ritrovino il corpo di Ben in qualche fosso? Alberto Maione è la nostra unica pista” le urlò addosso il piccolo turco “Semir, anche io farei di tutto per ritrovare Ben. Crede che io non sia preoccupata? Ma non dobbiamo perdere la lucidità”
Seguirono alcuni secondi di silenzio in cui Semir guardò Kim quasi con odio. “Va bene facciamo così capo, fino a domani sera sono in permesso” disse avviandosi furibondo verso la propria auto.
Kim non cercò nemmeno di richiamarlo. Sapeva bene dove stava andando e che non aveva alcuna possibilità di fermarlo.
 


Ben era seduto su di una panchina in riva ad un lago. C’era un bellissimo sole e faceva caldo. Ben si sentiva incredibilmente bene, non pensava a nulla, era completamente sereno sentendo il sole scaldargli il viso. Si girò ed accanto a lui sulla panchina c’era seduto Emanuel. “Cosa ci fai qui?” gli chiese Ben “Mi hai chiamato tu” rispose il vecchio “Ma dove siamo?” “In un tuo sogno” “E perché sto sognando proprio te?” “Perché tu vuoi così, i  nostri sogni li comandiamo noi” Ben rimase per un po’ in silenzio “Ho paura…” disse alla fine Ben ricordando  “Lo so. Ma tu hai la forza per superare tutto. L’hai dentro te stesso, l’hai sempre avuta, te l’ho già detto” “Ma ho paura…”  “Tu ce la farai…  non ti arrendere, devi solo attingere alla tua forza… la tua forza … la tua forza”

Ben si svegliò di colpo sentendo l’acqua gelida piombargli addosso. Aprì faticosamente gli occhi e si accorse che era  di nuovo steso sul pavimento umido. Gli faceva male praticamente tutto e non riusciva respirare se non in modo superficiale, le costole già ammaccate dagli infortuni dei mesi precedenti dovevano essersi rotte di nuovo. Aveva mani  e piedi legati; a fatica e tossendo  vide confusamente Maione in piedi di fronte a lui con ancora in mano il secchio con cui gli aveva gettato l’acqua addosso. Era già inverno ed in quella cantina faceva un freddo cane, Ben iniziò a tremare violentemente. Maione si accucciò vicino al giovane poliziotto e lo guardò compiaciuto “Sveglia… il pisolino è finito” gli disse sadico
Ben cercò di raddrizzarsi a sedere, ma ricadde sulle costole rotte e non potè fare a meno di lanciare un lamento. “Si può sapere cosa vuoi da me?” chiese mentre strisciava debole contro il muro per mettersi seduto  “Rivoglio la mia vita, ma a quanto pare non puoi ridarmela così ho deciso di prendermi la tua…” urlò Maione.
 “Tuo padre e tuo fratello si sono suicidati” Ben cercava di trovare un minimo di lucidità in quell’uomo. “Bene allora abbiamo ritrovato la memoria. Suicidati dici? Sai che scelta è stata data loro? O lo facevano da soli o l’avrebbero fatto loro. Hanno conservato un minimo di dignità. E tutto questo per colpa tua…” urlò ancora Maione “I tuoi parenti erano mafiosi, sapevano bene a che andavano incontro” rispose orgoglioso Ben
“Stà zitto!!” urlò Maione colpendo Ben con un violentissimo pugno. ”Mi prenderò tutta la tua vita… ho già iniziato con la tua ragazza, anche se devo dire che quello è stato un errore, ma meglio così, ho più tempo per divertirmi…” Ben guardò con occhi sbarrati Maione. Anna… l’aveva uccisa lui….
Una furia incontrollabile si impadronì di Ben che incurante del dolore si scagliò a testa bassa contro Maione. Ma era troppo debole e malconcio per fare granchè, con un calcio Maione lo  stese di nuovo al suolo ansimante. Poi estrasse un coltello dalla tasca e si  inginocchiò accanto al giovane “Vuoi fare il duro vero? Vediamo quanto lo sei davvero…” e con un colpo secco gli inflisse un profondo taglio al braccio sinistro. Ben urlò dal dolore e vide il coltello che si avvicinava minacciosamente al suo viso.

Proprio in quel momento un uomo chiamò Maione dalla porta “Capo devi venire subito sopra, è una cosa urgentissima…”. Maione si alzò, rimettendosi il coltello in tasca

“Che succede?” chiese furibondo uscendo dalla cantina  “Di sopra, alla porta, c’è uno della polizia”    

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Capitolo 12
*** Un passo avanti e due indietro ***


 
 Un passo avanti e due indietro

Semir aveva guidato verso Berlino chiedendosi cosa doveva o poteva fare. La Kruger aveva perfettamente ragione quando diceva che non avevano nulla in mano contro Maione, ma il suo solito sesto senso gli diceva che lui c’entrava eccome nella sparizione di Ben. Ma come fare a tirargli fuori la verità? Era un avvocato sapeva bene che non potevano fare nulla di ufficiale contro di lui.

Con questo spirito arrivò alla villa dei Maione. Era sorprendentemente modesta per una famiglia che aveva avuto tanto potere in passato. Semir bussò alla porta e venne ad aprirgli un uomo, tipico aspetto da gaglioffo. “Buongiorno. Gerkan polizia autostradale. Avrei bisogno di parlare con il sig. Maione” disse mentre mostrava il tesserino. Semir vide un lampo di preoccupazione passare negli occhi dell’uomo “E perché?” gli chiese “Non credo di doverlo dire a te, ora vallo a  chiamare” rispose Semir indispettito. Aspettò per circa dieci minuti fuori la porta che il gaglioffo aveva accuratamente chiuso. Poi venne finalmente fuori Maione.

“Ispettore Gerkan, a che devo la sua visita?” gli chiese Maione mentre si aggiustava la giacca “Possiamo entrare un attimo sig. Maione?” chiese a sua volta Semir. Doveva dare un’occhiata all’interno della casa. Alberto ebbe un attimo di esitazione, ma poi aprì la porta e guidò Semir verso il piccolo studio.
“Si accomodi, allora che c’è?” “Si ricorda del mio collega Ben Jager, vero sig. Maione?” “Certo che me lo ricordo come non potrei, sig Gerkan, ma questa storia è acqua passata mi pare” “Acqua passata dice?   Sa che circa tre mesi fa gli hanno sabotato l’auto ed il mio collega ha avuto un tremendo incidente in cui è morta la sua fidanzata? E sa che da circa una settimana è sparito, o meglio è stato rapito, da qualcuno?” Semir cercava di carpire le reazioni dell’uomo, ma questi rimase gelido “No questo non lo sapevo, ma posso sapere perché mi dice queste cose?” “Lei c’entra nulla in questa storia?” gli chiese a bruciapelo Semir “E perché dovrei sig. Gerkan? Io non ne so proprio nulla le assicuro” rispose Alberto con apparente calma. Semir gli si parò di fronte e lo fissò negli occhi “Ne è sicuro? Lei è uno di quelli che più può avercela con l mio collega, visto quello che è successo a suo padre e a suo fratello” “Purtroppo mio padre e mio fratello si sono suicidati sig. Gerkan, questo suppongo che sia a sua conoscenza” “Sig. Maione io e lei sappiamo benissimo  con chi facevano affari suo padre e suo fratello…” “Questo come le ho detto è acqua passata per me,  non mi sono mai interessato molto degli affari di mio padre. Mi spiace per  il suo collega, nonostante tutto spero che lei lo trovi ancora in vita…” gli sorrise beffardo e maligno

 La frase fece perdere a Semir il lume della ragione. Si avventò su Maione e gli strinse le mani al collo “Fai bene, devi sperare che io trovi Ben  ancora vivo, perchè se gli è successo qualcosa e tu c’entri, ti assicuro che ti vengo a cercare e giuro che l’ultima cosa che vedrai nella tua vita è la canna della mia pistola in mezzo ai tuoi occhi!!” gli sibilò in faccia Semir. Alberto ansimava, ma aveva ancora lo sguardo gelido. Poi Semir fu afferrato da due paia di braccia possenti che lo staccarono da Maione. “Buttatelo fuori” intimò Maione ai suoi scagnozzi “Non  si faccia mai più vedere qui Gerkan altrimenti avverto il procuratore e la sua carriera è finita” gli urlò dietro mentre lo buttavano fuori dalla porta.

Semir atterrò sulla ghiaia del vialetto. Si rialzò dolorante e guardò la villetta. Ben era qui o nei dintorni lo sentiva sulla pelle, l’aveva avvertito appena era entrato nella casa. Risalì in macchina e partì, ma poi si fermò in una strada isolata poco distante ad attendere la notte per entrare di nuovo in casa.

Faceva molto freddo, ormai si poteva dire che era inverno pieno.  Da un giorno all’altro ci sarebbe stata  la prima nevicata. Semir sorrise pensando alle battaglie a  palle di neve che Ben organizzava fuori  al Distretto subito dopo la prima nevicata, erano talmente divertenti e coinvolgenti che una volta aveva partecipato persino la Kruger, finendo per essere, ovviamente la più bersagliata di tutti.  “Ne organizzerà ancora” si costrinse a pensare Semir.

Ormai erano le due di notte e Semir scese dall’auto dirigendosi silenzioso verso la villetta. Furtivo si accucciò sotto le finestre cercando di guardare all’interno, ma era tutto buio e non si sentiva alcun rumore.
Con passo felpato avvicinò alla porta ed aveva già messo la mano alla tasca interna per prelevare  i suoi attrezzi per forzare la serratura quando  qualcuno gli mise una mano sulla spalla. Semir fece un balzo e si voltò pronto a colpire “Bonrath.. Jenny che ci fate qui??”   bisbigliò meravigliato vedendo i due colleghi “Ci ha mandato la Kruger a vedere che non combinassi troppi casini” rispose Jenny sorridendo “Ben è qui ne sono sicuro”  li informò Semir mentre riprendeva a forzare la porta “Ma come fai a saperlo?” “Non lo chiedere se lo dice quasi sicuramente è così” le rispose Bonrath aspettando di entrare nella casa. “Lo sapete vero che quello che stiamo facendo non è legale?” chiese ancora Jenny “E perché- fece ironico Dieter- non hai sentito anche tu qualcuno urlare?”

Appena Semir ebbe aperto la porta i tre presero le pistole dalla fondina e entrarono.  Dentro era tutto buio e non si sentiva volare una mosca. I tre poliziotti perlustrarono la casa da cima a fondo, ma non trovarono nessuno. Se ne erano andati tutti.

Semir e gli altri setacciarono la villetta senza risultato. Mentre Semir era ancora impegnato a rovistare sulla scrivania del piccolo studio arrivò trafelato Bonrath. “Semir è meglio se scendi giù in cantina”
Semir scese le scale che portavano alla cantina con il cuore in gola. Arrivò alla stanza che Bonrath aveva trovato che aveva il fiatone. Era una cantina priva di finestre e con un terribile odore di muffa. Entrando Semir vide subito a terra le catene ed il gancio sul soffitto. Dieter era dietro le sue spalle.  “Alla fine del corridoio c’è una porta che dà direttamente nel boschetto retrostante.  Se ne sono andati da lì secondo me” gli disse il collega.

 Ma  Semir non lo stava a sentire: fissava attonito la  enorme macchia di sangue sul pavimento della cantina.

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Capitolo 13
*** Aiuti insperati ***


 
Aiuti insperati

Alberto guardò con odio Semir che si allontanava a bordo della sua BMW. Quel maledetto sbirro… come era arrivato subito a lui? Ora doveva trovare un altro nascondiglio. Rimase a pensare per alcuni minuti e poi chiamò i suoi uomini, gli unici due che gli erano rimasti fedeli dopo la morte del padre. “Luigi, Vincenzo  impacchettate quel lurido porco giù in cantina, ce ne andiamo”

Luigi Vitale era stato cresciuto da Don Maione  praticamente come un figlio. Il Don l’aveva trovato, sporco e lacero,  nelle strade di Palermo mentre rovistava fra i rifiuti e  l’aveva portato con sé in Germania dopo averne avuto l’affido. Da allora era stata una presenza costante nella casa e Luigi considerava i figli del Don come i suoi fratelli, anche se il sentimento non era reciproco. Alberto in particolare l’aveva sempre considerato una specie di servo, ma lui gli era fedele nonostante tutto e gli era rimasto accanto  anche dopo la morte di Alfonso e Franco. Ma ora il fedele servitore era sempre più preoccupato, vedeva Alberto scivolare  nella follia e la sua mente perdersi dietro desideri di vendetta fini a se stessi. Aveva paura, per questo dopo aver obbedito all’ennesimo ordine, quello di rapire il poliziotto, si era deciso a telefonare a Don Francesco Chillemi per chiedere cosa doveva fare… non voleva che Alberto si spingesse troppo in là, in una strada senza via d’uscita. E il nuovo Don gli aveva detto cosa fare.

Luigi scese in cantina e si avvicinò al giovane poliziotto immobile a terra. Era riverso sul fianco sinistro e sotto di lui si era formata una enorme pozza di sangue. Evidentemente  aveva cercato di poggiarsi e fare pressione sul braccio per fermare l’emorragia. Ma ora era esamine. Luigi gli slegò le mani e iniziò a fasciare strettamente la ferita al braccio con le bende che si era portato dietro.  Don Francesco gli aveva ordinato di fare in modo che il poliziotto non ci rimettesse la pelle, almeno non per ora. Poi cercò di svegliare il ragazzo con schiaffetti sulle guance.  Ben aprì debolmente gli occhi “Forza sbirro cerca di riprenderti, bevi” gli disse Luigi mentre gli metteva fra le labbra una bottiglietta  di succo di frutta. Ben obbedì,  era troppo debole e se voleva in qualche modo cavarsela doveva approfittare di qualsiasi aiuto. Luigi gli mise in bocca anche diverse  alcune barrette di cioccolato. “Ora dobbiamo fare un viaggetto, è meglio se torni a dormire…” gli disse Vincenzo dopo che Ben ebbe mangiato, mentre gli metteva sul viso un fazzoletto con odore metallico. Ben perse immediatamente  conoscenza. Vincenzo gli legò di nuovo le mani e lo trascinò attraverso il corridoio  all’auto parcheggiata ai limiti del  boschetto retrostante

“Dove andiamo capo?” chiese Vincenzo mentre metteva in moto l’auto. Aveva messo Ben nel portabagagli e accanto a lui c’era seduto Alberto. Vincenzo era sul sedile posteriore. “Al capanno sul lago” ordinò Alberto.



Semir  era seduto sulle scale della villetta e fissava la prima neve invernale che stava cadendo. Quest’anno niente battaglia a palle di neve… pensò tristemente. Erano arrivati Hartmut e quelli della scientifica, ma lui aveva ben poche speranze che riuscissero a trovare indizi. Alberto nella sua follia, perché ormai era chiaro che era un folle, era molto furbo.

Hartmut uscì dalla porta e si appoggiò alla ringhiera della scala vicino a lui. “Allora è suo?” chiese Semir guardandolo. Entrambi sapevano a cosa si riferiva. Hartmut annuì “Sì ma non ti devi preoccupare,  la quantità di sangue che abbiamo trovato non sembra tale da aver causato la morte, infatti un uomo adulto può perdere fino…” Hartmut non riuscì a finire la frase che Bonrath, uscito anche lui dalla villetta, lo bloccò “Ma allora sei proprio scemo…” gli sibilò infuriato “Perché cosa ho detto?” chiese Hartmut veramente perplesso.
La discussione fu bloccata dall’arrivo della Kruger. Kim scese dall’auto  e si avvicinò al gruppetto. “Buongiorno. Allora novità?” chiese, ma tutti scossero la testa “Ho fatto diramare un ordine di cattura per Alberto Maione su tutto il territorio federale, vedrete che è solo questione di tempo..” Ma Semir la guardava torvo “Questione di tempo dice? E quanto tempo resta a Ben?? Se  avessimo perquisito la villetta, se avessimo bloccato Maione prima , quando l’ho chiesto io ora Ben sarebbe salvo…”  le urlò furibondo “Senta Gerkan, capisco che sia sconvolto, ma anche lei ha contribuito; cosa pensava di fare andando da solo da Maione? L’ha insospettito e lui è fuggito…” “E che dovevo fare? aspettare che l’ammazzasse?” Semir troncò la discussione alzandosi ed andando verso la propria auto. Erano al punto di partenza, non avevano nulla da cui iniziare la ricerca.


Nel portabagagli dell’auto Ben veniva sballottato di qua e di là e lui si sentiva sempre più impotente. Le costole gli provocavano dolori lancinanti ad ogni respiro, la testa gli girava e sentiva le orecchie ronzare per l’elevata perdita di sangue, anche se fortunatamente l’emorragia si era fermata grazie alla fasciatura. Aveva fame e sete, ma il succo di frutta che Luigi gli aveva dato gli aveva  almeno ridato un po’ di forze. Si chiese perché lo scagnozzo di Alberto volesse aiutarlo, ma  non trovò alcuna logica  nel comportamento dell’uomo.  Ben si  disse la situazione comunque  era veramente disperata l’unica  chance  era che Semir lo trovasse. Sempre che avesse iniziato a cercarlo. Mentre pensava, si accorse che i legacci che Luigi gli aveva messo alle mani si erano allentati. Piano piano forzando cercò di allentarli ancora di più. Le corde gli sfregavano i polsi e sentì che la pelle  si  lacerava, ma non smise sino a che non si allargarono abbastanza da liberare prima una mano e poi l’altra.  Lentamente allentò anche le corde ai piedi…. era libero. Il cuore gli batteva freneticamente. Si rannicchiò in posizione fetale, in attesa del momento giusto “Devi provare Ben, può essere la tua unica via di uscita”  si disse.

La Skoda di Luigi percorse strade e sentieri tortuosi sino alla piccola casetta sul lago. Era stata il rifugio di Don Alfonso, praticamente non la conosceva nessuno a parte quelli di famiglia, perché il Don ed i suoi figli si erano divertiti a costruirla con le loro mani. Il Don ed i figli maschi ci andavano di tanto in tanto, e Alberto ci aveva portato qualcuna delle sue fidanzate, anche perché lì potevano stare in pace, nessuno le sentiva urlare quando lui le picchiava, il che avveniva abbastanza spesso. Anche ora era il  posto ideale, il maledetto qui può urlare quanto vuole nessuno lo sentirà si disse soddisfatto Alberto

Luigi fermò l’auto nello spiazzo di fronte alla casa ed Alberto e Vincenzo scesero ad aprire. “Prendi lo sbirro e mettilo nel capanno degli attrezzi, legalo bene mi raccomando” ordinò Alberto a Luigi.

Mentre Alberto e Vincenzo entravano in casa Luigi  fece un rapido controllo del capanno degli attrezzi e poi si avvicinò al portabagagli dell’auto

Ben sentì che la macchina si era fermata. “Ora o mai più” pensò. Con il cuore in gola si preparò alla apertura del portabagagli. Sentì Alberto che parlava con gli altri e dopo poco  sentì la chiave nella serratura del vano bagagli. Appena vide uno sprazzo di luce entrare, colpì la portiera con tutta la forza che aveva nelle gambe.

Luigi non fece a tempo a rendersi conto di quello che succedeva. Vide solo la portiera posteriore sbattergli in faccia e con un lamento sordo cadde in terra.
Ben si capovolse fuori dal vano bagagli e rimessosi in piedi iniziò a correre con tutta la forza di cui era capace. Non si rendeva conto di dove stava andando iniziò a correre fra i cespugli e i rovi anche se l’aria che gli entrava nei polmoni era rovente e gli sembrava  una agonia. “Corri corri!!” si diceva freneticamente

Luigi si rialzò da terra e vide Ben che correva verso il bosco. Prese la pistola e la puntò alla schiena del poliziotto. L'aveva sotto tiro.

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Capitolo 14
*** Corri Ben, corri ***


Corri Ben, corri

Luigi per un secondo si chiese cosa fare, poteva sparare e avrebbe ucciso il poliziotto sicuramente. Ma così  Don Francesco se la sarebbe presa con lui, gli aveva ordinato di salvare la pelle allo sbirro fino a quando non gli ordinava diversamente. Ma se quello scappava Alberto si sarebbe reso conto che l’aveva lasciato fuggire o, peggio ancora, che l’aveva tradito raccontando tutto al Don, il che voleva dire morte certa, per quanto fossero cresciuti insieme come fratelli Alberto non avrebbe esitato un attimo a piantargli una pallottola in testa.
 Così prese la sua decisione. Sparò e volutamente mancò il bersaglio di pochissimo. “Capo Capo sta scappando…” si mise ad urlare mentre vedeva Ben addentrarsi correndo nei boschi.

Alberto e Vincenzo uscirono di corsa dalla casetta “Maledetto cretino…   come è riuscito a scappare??”  ringhiò Alberto. “Non lo so deve essersi slegato mentre era nel portabagagli e quando ho aperto mi ha colpito…” gli rispose Luigi. Alberto gli afferrò il  bavero “Sei un cretino, questa me la paghi… ora andate a riprenderlo” “Che facciamo capo, lo ammazziamo?” chiese Vincenzo “No lo voglio ancora vivo… “ “Ma capo pensavo… non sarebbe preferibile a questo punto toglierselo di torno?” chiese Vincenzo “Tu non devi pensare tu devi fare solo quello che ti dico io!! Mi hai capito???” gli urlò Alberto ed i due si addentrarono nel bosco sulle tracce di Ben.


Semir era  passato da casa. Gli sembrava un secolo che non vedeva le bambine e Andrea. Appena arrivato fu accolto dall’abbraccio stretto della moglie e solo in quel momento provò un minimo sollievo dopo tanta angoscia. “La mia meravigliosa donna…” pensò. Trotterellando gli venne incontro anche Aida seguita come al solito da Lily, che ormai era diventata l’ombra della sorella maggiore, dove andava l’una andava anche l’altra. “Papino papino” la bimba si aggrappò al collo di Semir il quale iniziò a sentirsi un po’ in colpa per averle trascurate per così tanti giorni. “I miei tesori” disse Semir prendendole entrambe in braccio “Venite con papà sul divano per un po’”  Semir si sedette con le bambine ciascuna su un ginocchio “Papino ma zio Ben ancora non è tornato?”  A questa bambina non si può nascondere nulla, pensò Semir “No cara ancora no” le disse tristemente. “Ma fra poco è il compleanno di Lily…” indagò preoccupata la piccola “Vedrai che per allora sarà qui” le rispose il padre. Semir ed Andrea si scambiarono uno guardo triste ed Andrea voltò il viso dall’altro lato per non farsi vedere piangere

“Sono disperato Andrea, non so da dove iniziare a cercare, quel maledetto può averlo portato ovunque… c’era tanto sangue in quella cantina, e se  lo ha già…” Semir non riuscì a completare la frase, la voce gli si strozzò. Semir e la moglie stavano seduti sul divano dopo cena. “Semir non dobbiamo perdere le speranze, vedrai che in qualche modo lo troviamo e tutto torna come prima…” Come al solito Andrea era l’ottimismo fatto persona  “Ma perché devono capitare tutte a lui? Cosa ha fatto di male nella vita quel ragazzo? Prima Saskia, poi Anna ed ora questo…”Semir più che altro parlava a se’ stesso. “Passerà Semir, vedrai saremo di nuovo tutti insieme…” Mentre Andrea cercava di consolare il marito  suonò il campanello della porta. Andrea andò ad aprire e poco dopo tornò in salotto “Semir c’è qualcuno fuori che ti vuole parlare”


Ben correva e correva inciampando nelle radici degli alberi, con i rami gli finivano continuamento contro il viso, graffiandolo, ma lui non se ne curava. Era sfinito. Le costole ed il naso rotto gli impedivano di respirare e l’ossigeno che gli arrivava ai polmoni era pochissimo, ma lui sapeva che non poteva fermarsi. Non sapeva spiegarsene la ragione, ma in mente aveva solo le parole di Emanuel “Ce la puoi fare, tu  hai la forza per farcela, in te hai la forza” Cadde inciampando in un arbusto e si rialzò. Riprese a correre, nelle orecchie il suono del suo respiro affannato ed il battito velocissimo del suo cuore. ”Corri Ben -si disse- corri”

Vincenzo e Luigi perlustravano il bosco con le pistole spianate. Luigi si era rifiutato di dividersi dal compare, non si fidava di Vincenzo, era sicuro che se quello lì trovava lo sbirro da solo l’avrebbe fatto fuori, nonostante l’ordine di Alberto. Ed Don Francesco aveva  ordinato che lo sbirro restasse vivo.
Vincenzo mostrò al compare dei rami spezzati. “Di qua…” disse correndo verso sinistra.  Luigi di malavoglia gli andò dietro. Ed  a un certo punto lo videro, a circa cento metri avanti a loro mentre cercava di scendere da un piccolo dirupo. Vincenzo prese la mira, puntando direttamente alla testa di Ben.


Semir  meravigliato  si recò all’ingresso Chi poteva cercarlo a casa? Uscito fuori dall’uscio vide un uomo alto e  muscoloso. Dove lo aveva già visto? Semir aveva una prodigiosa memoria fotografica, si ricordava quasi tutti i delinquenti di cui aveva visto la foto segnaletica, ed era praticamente certo che questo qui era uno di loro. Istintivamente avvicinò la mano alla fondina con la pistola. “Buonasera ispettore Gerkan, vengo da parte di Don Francesco Chillemi” lo salutò il tizio “Don Chillemi vorrebbe parlarle se possibile”
Semir aveva avuto a che fare con Francesco Chillemi molti anni addietro quando il suo compagno era Tom. Erano stati lì lì per incastralo per un  giro di case d’appuntamenti, ma alla fine si era risolto tutto in una bolla di sapone. Semir sapeva bene  che Francesco era stato il braccio destro di Alfonso Maione sino alla sua morte e che ora ne aveva preso il posto. Immaginò quindi subito che la cosa aveva a che fare con  Ben. Ma non riusciva a pensare, conoscendo bene Don Francesco e la sua razionalità, che il nuovo Don  avesse partecipato attivamente questa storia, no…  questa era una vendetta personale di Alberto.
“E cosa mi deve dire?” chiese duro Semir “Mi creda ispettore le conviene venire ad incontrare  Don Francesco” Semir guardò per alcuni secondi l’uomo, poi avvisò Andrea che stava uscendo e si avviò all’auto che lo stava aspettando di fronte casa con le portiere aperte.


Luigi vide Vincenzo puntare  la pistola direttamente alla testa dello sbirro “No no –pensò- così Don Francesco mi ammazza” Istintivamente abbassò il braccio di Vincenzo un secondo prima che sparasse, ma non abbastanza in fretta. Dopo  lo sparo Ben fece un balzo indietro e rotolando finì ai piedi del piccolo dirupo.
“Ma sei cretino??? Alberto ci ha detto che lo voleva vivo”  disse inorridito Luigi, già prefigurandosi la brutta fine che gli avrebbe fatto fare il Don. “Senti, quello lì era solo una palla al piede, lo staranno cercando e prima o poi ci avrebbero trovato. Tanto Alberto lo avrebbe comunque ucciso, ora siamo liberi e ce ne possiamo andare dove vogliamo. Diremo che stava per scappare verso la strada e dovevamo fermarlo” “Tu sei un vero e proprio str…” gli fece Luigi scendendo verso il dirupo ed avvicinandosi al corpo immobile di Ben.

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Capitolo 15
*** Vendere l'anima al diavolo ***


Non potendo postare domani, ecco il consueto capitolo in anticipo.
Se vi state chiedendo quanto durerà la storia sappiate che ancora non lo so di preciso... se è  troppo lunga potete smettere di leggerla... Per chi avesse il coraggio di continuare vi posso dire che sarà più breve dell'altra.
Le recensioni sono sempre gradite, così come le previsioni da parte di chiromanti e non
Saluti  


Vendere l’anima al diavolo

Don Francesco era sempre stato un uomo concreto. A lui interessavano poco le vendette, l’onore e tutte quelle cose che avevano caratterizzato la vecchia mafia. Se aveva uno scopo  lo raggiungeva senza farsi troppe domande o scrupoli. Così quando Luigi Vitale gli aveva telefonato per informarlo di quello che stava facendo Alberto aveva subito  colto l’occasione propizia. Quel poliziotto poteva tornargli utile, davvero utile se fosse rimasto in vita Così aveva ordinato a Luigi che Alberto non passasse il segno e che almeno per ora lo sbirro  non tirasse le cuoia.   

Semir entrò nell’auto con lo scagnozzo di Don Francesco. Il viaggio si svolse in perfetto silenzio. Semir cercò di pensare positivo. Forse il Don poteva dargli qualche informazione utile, ma conoscendolo si disse che Francesco Chillemi non era per niente un benefattore e quindi qualsiasi cosa avesse da offrirgli non gliela avrebbe offerta gratis.
Ma non poteva sapere quanto in realtà il prezzo fosse alto e quanto alta fosse la posta in gioco.
 
Luigi raggiunse il corpo immobile di  Ben e subito mise le mani sul collo per sentire se c’era il battito. Lo trovò con difficoltà tanto era leggero e veloce. Girò il poliziotto sulla schiena e si accorse che il colpo di Vincenzo l’aveva preso alla spalla sinistra. Si era formata una grossa macchia di sangue sul maglione che il ragazzo indossava. “No no, se crepa ora, il Don mi fa a pezzettini” si disse Luigi togliendosi maglione e camicia ed iniziando a fare quest’ultima a strisce per tamponare la ferita. “Vincenzo dammi una mano, dobbiamo bloccare l’emorragia” disse frenetico al compare che nel frattempo  lo aveva raggiunto “E perché? lasciamo che crepi, un problema in meno..” gli disse di rimando il compare  “Senti deficiente, Alberto ci ha detto che lo vuole vivo e vivo l’avrà, ora aiutami” gli disse mentre tamponava la ferita alla spalla.


Semir arrivò alla villa del Don e dopo che gli scagnozzi gli avevano tolto la pistola fu condotto nello studio. Era una stanza enorme ed imponente con finestre alte che davano sul Reno. Tutto pensato per intimorire i visitatori pensò Semir.
Don Francesco lo aspettava seduto alla scrivania, apparentemente calmissimo. “Prego ispettore si accomodi” gli disse indicandogli al sedia, ma Semir rimase ostentatamente in piedi. “Saltiamo i convenevoli, sig Chillemi, cosa vuole da me?” Francesco sorrise calmo “Diciamo che forse è lei che vuole qualcosa da me. Sembra che recentemente abbia perso qualcosa o meglio… qualcuno” Semir iniziò a vedere rosso. “Cosa c’entra lei in questa storia?” “Io nulla, ma diciamo che posso aiutarla a ritrovare ciò che cerca” “In cambio di cosa?” chiese irato e sospettoso Semir. “Vedo che lei, come ho sempre sospettato, è una persona molto pratica e  perspicace” gli sorrise il Don   “E quindi?” chiese Semir sempre più furibondo “E quindi.. lei sa che dopo gli piacevoli eventi dei mesi scorsi gli affari della mia… azienda, chiamiamola così, stanno ristagnando” “ Non creda che la cosa possa dispiacermi” gli rispose ironico il poliziotto “ Certo vista dal suo punto di vista la cosa può essere favorevole ma… lei capirà che io devo porvi rimedio. Vede Gerkan forse io ho una soluzione che può portare vantaggi a me e a lei” Semir iniziò a pensare che il discorso stava prendendo una piega che non gli piaceva affatto. “Cosa intende?” gli chiese “Io ho una fonte che sa dove è il suo amico, Gerkan, e le posso dire che da quello che mi riferisce la mia fonte, il ragazzo non è… diciamo in  perfetta salute. Inoltre Alberto è in questo momento molto, molto, instabile e potrebbe completare l’opera da un momento all’altro”  Chillemi guardò brutale Semir negli occhi. “Io potrei aiutarla a trovare il suo amico, mi  basta una telefonata e le dico dove trovarlo in meno di cinque minuti…” “E cosa vuole in cambio?” chiese Semir mentre il cuore iniziava a battergli all’impazzata. “La settimana scorsa i suoi colleghi della stradale hanno operato un grosso sequestro di cocaina…”

Semir aveva sentito parlare del sequestro me non si era occupato molto della vicenda, impegnato come era nella ricerca di Ben. Francesco continuò imperterrito “Fra due giorni il carico dovrebbe essere trasferito al deposito federale, basta che lei mi dica ora e strada del convoglio, tutto qui, e lei  subito dopo potrà riabbracciare il suo amico”.  Semir impallidì. “Lo sa che  solo questa sua proposta, il solo fatto che lei me l’abbia fatta si chiama tentativo di estorsione e di corruzione di pubblico ufficiale?” “ Oh andiamo Gerkan- sorrise ironico il Don- non faccia il poliziotto integerrimo ora, non le conviene. La stessa fonte che può dirmi dove trovare il suo amico, può anche lasciare che Alberto finisca il suo lavoro o aiutarlo a finirlo” Semir avrebbe voluto saltare al collo di quell’uomo e strozzarlo all’istante, ma capiva che dietro di lui c’erano i suoi scagnozzi  e l’atteggiamento non avrebbe salvato Ben.

“Facciamo così, capisco che la decisione è difficile. Ora lei torna a casa ed entro e non oltre mezzogiorno di domani mi chiama a questo numero e mi dice quello che voglio sapere. Ci pensi bene, la vita del suo amico è nelle sue mani. Ovviamente conto sul suo silenzio, altrimenti la salute del suo collega subirà un drastico peggioramento” gli disse il Don mentre gli porgeva un biglietto con un numero di telefono. “Buonanotte Gerkan” gli disse ancora mentre due scagnozzi conducevano a forza Semir fuori dalla stanza.


 Luigi e Vincenzo ci misero una infinità a  trascinare Ben fino alla casetta, incespicando  negli alberi del bosco completamente scuro. Vincenzo lanciava maledizioni e bestemmie ogni cinque minuti chiedendo al compare perché non potevano lasciare lo sbirro a morire nel bosco.  Arrivati trascinarono Ben ancora esanime nel capanno degli attrezzi e Lugi gli legò le caviglie con una catena ad un palo. Non serviva altro per come era ridotto. Prima di uscire Luigi controllò che fosse ancora vivo, ma l’aspetto gli diceva che non avrebbe ancora retto
per molto tempo. Doveva chiamare Don Francesco per avere istruzioni, non sapeva cosa fare.

Alberto, avvisato da Vincenzo che erano tornati, entrò nel capanno e si avvicinò a Ben. Si accucciò vicino al corpo e lo studiò. Poi gli girò la faccia verso di lui “Ehi sbirro!! non credere di cavartela così e tirare le cuoia con tanta facilità. No no mi devo ancora divertire con te” sibilò  isterico e folle prima di alzarsi e tornare in casa.

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Capitolo 16
*** Scelte impossibili ***


Scelte impossibili

Ben era sulla barca di suo padre.
L’unica vacanza che ricordava di aver fatto con il vecchio era stata su quella barca: lui, Julia, la nonna e Konrad avevano fatto il giro delle isole del mediterraneo. Ben aveva più o meno tredici anni e quella era rimasta per  molti anni la più bella vacanza che ricordasse, anche perché era l’unica che suo padre non avesse interrotto per tornare ai suoi affari.
Ora era steso sul ponte della barca e prendeva il sole. Lo sciabordio dell’acqua sullo scafo gli dava una sensazione di pace, mentre guardava il cielo blu senza nuvole. Si girò e vide ancora una volta il vecchio Emanuel seduto al suo fianco. “Sei di nuovo qui?”  “Sei sempre tu che mi chiami…” “Non ce la faccio più, voglio che tutto questo finisca, voglio andare da Anna…” gli disse Ben triste ricordando che era in un sogno. “Tutto ha una fine, ma per te non ora e non qui” “Ma io non ce la faccio…” rispose il giovane “Devi farcela, ci sono persone che ti aspettano, che ti vogliono con loro, non puoi lasciarle..” “Ma sono stanco…” “Ce la puoi fare tu ne hai la forza…”

Ben si svegliò di colpo ansimando. Vedeva tante stelline colorate danzargli davanti agli occhi. Non  sentiva più il braccio sinistro e aveva caldo e freddo al tempo stesso. Cercò di alzare la testa per capire dove fosse, ma intorno era tutto completamente buio. La testa gli scoppiava e l’unica cosa che voleva era che tutto questo finisse. “Semir- pensò- dove sei, ti prego vieni da me…”
 


Semir venne scaricato fuori casa sua. Lo scagnozzo di Chillemi gli restituì la pistola con un ghigno “Buonanotte e pensi bene al da farsi” gli disse diabolico
Prima di entrare in casa si sedette sui gradini dell’ingresso. Faceva molto freddo e Semir si chiese se Ben fosse almeno al riparo in un posto chiuso e se davvero stava così male come gli aveva detto Chillemi. Sentì la disperazione impadronirsi di lui. Cosa doveva fare? Era così facile dare a Chillemi l’informazione che chiedeva, gli bastava andare in ufficio e collegarsi con il pc al server della centrale… e Ben sarebbe stato libero, lo sarebbe andato a prendere e l’avrebbe portato al sicuro, al caldo, con lui. Ma quella droga sarebbe finita davanti alle scuole, nelle discoteche, nei bar, in mano a chiunque. Tagliata male avrebbe potuto provocare la morte di qualcuno e i proventi della sua vendita avrebbero consentito all’organizzazione di Chillemi di prosperare. Ma se non faceva quanto gli era stato chiesto Ben sarebbe con tutta probabilità morto, per mano di un pazzo che chissà cosa gli aveva già fatto passare. Ben il suo migliore amico, il suo compagno… in fondo suo figlio. Il solo pensiero di perderlo era per Semir insopportabile.

Andrea vide Semir seduto fuori la porta ed uscì anche lei, sedendosi accanto al marito.  “Amore sei qui… stavo morendo di preoccupazione… chi era quell’uomo con cui sei andato via?” gli chiese carezzandogli la schiena. Poi vide lo sguardo di Semir “Amore che c’è?” gli chiese ancora. Semir la guardò e capì che doveva dirlo a qualcuno altrimenti impazziva. Le raccontò tutto.
Andrea rimase attonita ad ascoltare il marito e la sua disperazione. Non sapeva cosa dirgli e lei stessa non sapeva cosa avrebbe fatto se fosse stato al suo posto. Il  suo inconscio avrebbe voluto gridargli “Che aspetti, digli quello che vuole sapere e riprendiamoci Ben” ma sapeva  che una decisione del genere avrebbe lacerato Semir e la sua anima da poliziotto per sempre.
 “Semir devi fare quello che ti senti, io non ti giudicherò, tu sei in grado di decidere ciò che è meglio” gli disse calma “Ma come faccio a decidere…” Semir iniziò a piangere. In quel momento  il cellulare del poliziotto squillò. Era la Kruger.
“Si capo cosa c’è?” le rispose Semir “Semir.. ma dove si è cacciato? E’ tutto il giorno che la cerco” “Ho avuto da fare” rispose brusco lui, Semir sentì lo sconcerto nella voce della commissario, ma lei apparentemente fece finta di nulla “Volevo solo informarla che abbiamo  individuato l’auto di Luigi Vitale, uno degli scagnozzi di Maione. E’ una Skoda e le tracce fuori la villetta di Berlino sono proprio di una Skoda. Ho fatto diramare avvisi di ricerca su tutto il territorio. Inoltre ho chiesto a tutte le televisioni nazionali di trasmettere l’avviso di ricerca dell’auto e la foto di Ben ad ogni telegiornale” “Bene capo  mi sembra una buona idea”  rispose sbrigativo lui “Allora ci vediamo domani”  Kim ora era davvero sconcertata “Ok ci vediamo domani in ufficio”  Semir chiuse la chiamata
 
 
Ben stava malissimo… sentiva il corpo bruciare anche se si rendeva conto che la temperatura all’esterno doveva essere prossima allo zero. Non sapeva quanto tempo era passato da quando l’avevano portato in quel capanno ma vedeva le prime luci dell’alba entrare dalla finestra. In lontananza, ovattate, sentiva le voci di Alberto e dei due che l’avevano portato lì. Non riusciva più nemmeno a capire bene il significato delle parole e voleva solo che tutto finisse, che qualcuno in qualche modo facesse finire questa agonia
 “Io e Vincenzo andiamo in paese a fare provviste. Tu tieni d’occhio lo sbirro, se te lo fai scappare di nuovo ti ammazzo all’istante” ringhiò Alberto a Luigi prima di salire sull’auto ed allontanarsi nella nebbia del mattino.
Luigi entrò nel capanno degli attrezzi e si avvicinò a Ben.  “Questo qui non passa la giornata” pensò guardandolo e si allontanò per chiamare Don Chillemi.
 
Hans era un bambino indipendente. Amava uscire presto al mattino, prima di colazione, per cercare funghi o frutti selvatici nel periodo estivo. A volte, quando non aveva scuola, amava anche andare a pescare al laghetto. Suo  padre gli aveva detto tante volte che era pericoloso, che non doveva avvicinarsi al capanno  sul lago, che era di proprietà di gente pericolosa, ma lui lì ci aveva visto raramente delle persone e quello era il posto migliore per pescare. Si meravigliò molto quindi quando quella mattina vide gente  attorno alla casetta. Stava per andarsene, ma aveva lasciato la sua canna da pesca nel capanno degli attrezzi e doveva recuperarla se voleva andare a pescare in un altro posto. Così attese  che l’auto si allontanasse e che anche l’altro uomo si addentrasse nel bosco con il cellulare all’orecchio  per avvicinarsi furtivo.
Appena entrato rimase  impietrito. A terra c’era un uomo con le gambe legate con una catena ad un palo. Aveva un aspetto orribile, il maglione completamente insanguinato ed il viso terreo. Aveva gli occhi chiusi e Hans pensò subito  che forse era morto.
Terrorizzato scappò via correndo quanto più forte le sue gambe gli permettevano e si fermò solo quando giunse a casa sua.
Entrando in casa  si ripromise di non dire nulla ai suoi genitori, già prefigurandosi altrimenti che non sarebbe più uscito di casa  sino alla maggiore età.  
 

Semir aveva passato  una notte infame. Era rimasto praticamente sveglio con gli occhi sbarrati a fissare il soffitto per tutto il tempo. E non aveva neppure preso una decisione. L’unica cosa che sapeva era che rivoleva Ben, ma poteva dare a Chillemi una informazione del genere?  E se dopo avere avuto ciò che voleva il Don avesse fatto uccidere comunque Ben?  E se era già troppo tardi?
Con queste domande nella testa Semir arrivò in ufficio. Non salutò nessuno. Si chiuse in ufficio e accese il pc. Dopo pochi minuti aveva già le informazioni che il Don gli aveva chiesto.
Rimase in silenzio a fissare il biglietto con il numero di telefono che Chillemi gli aveva dato.


PS che ne dite Semir cederà alle richieste del Don?

 

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Capitolo 17
*** Minuti contati ***


Minuti contati

Hans stava facendo colazione con i genitori. Quella mattina c’erano le uova con la pancetta, la colazione preferita da Hans. La tv accesa rimandava i soliti chiacchiericci del telegiornale “Ed ora trasmettiamo un avviso della Polizia Autostradale di Colonia. Chiunque abbia notizia abbia visto una Skoda nera tg ++++ è pregato di darne immediata notizia a questo numero di telefono +++++. L’autovettura  è collegata al rapimento dell’ispettore capo della Polizia Autostradale Ben Jager avvenuto  sei giorni fa ad Henneberg. Chiunque abbia visto l’ispettore, che vi mostriamo in foto, è pregato di darne immediato avviso al numero di telefono che vi abbiamo fornito e che vi ripetiamo….”   

“E’ ora della mia soap opera” disse la madre di   Hans prendendo il telecomando, ma il bambino si ribellò “No mamma fammi vedere”  le chiese eccitato. Era proprio lui, il tizio mezzo morto nel capanno sul lago. “Da  quando ti interessi  al telegiornale?” gli fece incuriosito il padre. “Papà devo dirti una cosa…” rispose il bambino


“Quante volte devo ripeterti che non  si dicono le bugie??”  il padre di Hans pensò che quel suo figlio aveva davvero una immaginazione fervida. “Ma papà non è una bugia… l’ho visto davvero” fece il piccolo imbronciato “Già, come la settimana scorsa che avevi visto gli alieni nel bosco o il mese scorso quando nel garage c’era una tarantola gigante…” “Ma papà è vero te lo assicuro, ho visto quell’uomo, sta male forse è morto” protestò il bambino “Hans basta!! smettila o ti metto in punizione per un mese” gli disse il padre chiudendo il discorso. 


Undici e  quarantacinque. Ormai erano  le undici e quarantacinque. Semir continuava a guardare l’orologio nella assurda speranza che tornasse indietro. “Che faccio… che devo fare” si chiedeva come un mantra.

Susanne lo guardava dalla vetrata dell’ufficio. Semir si comportava in modo strano, era entrato e non aveva salutato nessuno. Sembrava quasi come se stesse per scoppiare in lacrime. “Deve essere pazzo di preoccupazione” pensò la segretaria, ben conoscendo la simbiosi in cui vivevano Ben e Semir
Da quando avevano fatto diramare l’appello Susanne aveva risposto ad ameno cento telefonate,  quasi tutte di mitomani. C’era stata la signora che aveva detto che Ben era suo figlio rapito dagli alieni; poi due o  tre ragazzine che volevano il numero di telefono perché si erano follemente innamorate; la veggente che aveva visto in sogno Ben  in Tibet in un monastero di monaci e così via. Così non si meravigliò quando rispondendo alla ennesima telefonata sentì  una voce infantile
“Pronto… polizia autostradale…. Io sono Hans…” disse la vocina bisbigliando “ Sì piccolo dimmi” rispose paziente Susanne “Ho visto il vostro agente, quello della televisione” continuò il bambino con voce  ancora più bassa  “Sì, ma perché parli così a bassa voce?” chiese incuriosita la segretaria “Perché sto  telefonando dal bagno di casa mia per non farmi sentire. Papà non voleva che vi chiamassi dice che io racconto sempre bugie” rispose sinceramente la vocina. Ecco magnifico -pensò Susanne- un’altra perdita di tempo D’istinto però continuò ad porre domande “E dove l’hai visto piccino?” “In un capanno per gli attrezzi vicino alla  casetta sul lago  Tegeler. E’ legato e sta male, ha tutto il maglione sporco di sangue…”   A Susanne si accese una luce. Il lago Tegeler non era molto distante da Berlino. “Senti piccolo, ma sei sicuro, non mi stai dicendo una bugia? Lo sai che è importante?” “Sì che sono sicuro, c’erano anche  tre uomini ed uno sembrava molto ricco, era alto e vestito bene. Poi due sono andati via ed è rimasto solo uno,  biondo, allora sono entrato perché volevo prendere la canna da pesca…” il bambino parlava concitato ed in fretta, ma Susanne aveva colto alcun punti fondamentali: le descrizioni degli uomini corrispondevano a Maione e ai suoi due scagnozzi. Forse ci siamo pensò “Hans spiegami tutto con calma”


Luigi aveva chiamato Chillemi. “Don Chillemi non so proprio come fare, lo sbirro sta malissimo, secondo me tira le cuoia in giornata”  lo informò  preoccupato “Questo non deve succedere. Cerca di tenerlo vivo, sto mandando qualcuno a prenderlo, è ora che Alberto esca da questa storia. Dove siete?” Luigi fornì al Don precise indicazioni sul luogo. Parlava voltando le spalle alla strada e non si avvide di Alberto che, silenzioso, gli arrivava alle spalle.
 “Maledetto con chi stai parlando??” urlò Alberto impugnando la pistola e puntandola contro Luigi.
Lugi lo guardò a bocca aperta e chiuse immediatamente la chiamata “Dammi il telefono” gli intimò Alberto puntandogli la pistola in faccia. Luigi obbedì terrorizzato ed Alberto spinse il tasto per visualizzare il numero dell’ultima chiamata. “Hai chiamato Chillemi… gli hai detto dove siamo… maledetto bastardo…”
Alberto non diede a Luigi neppure il tempo di profferire parola. Gli sparò in mezzo agli occhi.
Vincenzo sentì lo sparo e si precipitò fuori dalla casetta, appena in tempo per vedere Alberto sparare a Luigi. Non ci pensò su due volte e scappò nella foresta correndo più veloce che poteva.
 

Semir prese con mano tremante il telefono. Non c’era più tempo. Negli ultimi minuti aveva pensato a cosa era veramente importante per lui e si era detto che poteva affrontare tutto, anche la prigione per aver rilevato a Chillemi il percorso del convoglio, anche il doversi dimettere dalla polizia per questo, ma non poteva affrontare la perdita di Ben. Avrebbe fatto quel che doveva e poi ne avrebbe sopportato le conseguenze.
“Semir ascolta… ho appena ricevuto la telefonata di un  bambino che dice di aver visto Ben in un capanno sul lago Tegeler” gli disse Susanne entrando nell’ufficio senza nemmeno bussare “Un bambino?  Ci fidiamo di un bambino ora?” chiese Semir irritato per essere stato interrotto. “Sì ma la descrizione che fa dei tre uomini che ha visto corrisponde a quella di Maione e dei suoi scagnozzi. E … non so perché, ma secondo me diceva la verità”  disse Susanne raccontandogli i dettagli.  Semir guardò la bionda segretaria… doveva fidarsi di un bambino e mettere  la possibilità di salvare Ben nelle sue mani?
 Pensò alcuni secondi e poi il suo istinto prevalse “Chiama l’elicottero Susanne” 

Alberto era completamente fuori di sé “Maledetti, maledetti, vogliono togliermi la mia vendetta, ma non ci riusciranno” diceva a se stesso ormai in preda alla follia assoluta.
Andò sul retro della casa e prese due lattine di benzina dal deposito per il generatore. Entrò nel capanno degli attrezzi ed iniziò a versare la benzina un po’ dappertutto.

“Ti vedrò bruciare sbirro” urlò mentre buttava un cerino su un mucchio di stracci imbevuto di benzina

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Capitolo 18
*** Fuoco e ghiaccio ***


Fuoco e ghiaccio

Semir, la Kruger, Dieter e Jenny erano sull’elicottero diretti verso il  lago Tegeler.
Semir pregava e ripregava che il bambino avesse detto la verità e di arrivare in tempo. “Signore ti prego fa che non abbia commesso l’errore più grande della mia vita” implorò dentro di sè
“Ecco ci siamo” disse  la voce del pilota nelle cuffie  antirumore che tutti portavano. 
Semir vide subito il fumo che si levava dal  piccolo capanno sulla riva del lago “Oddio, c’è un incendio… Scendi subito” urlò nel microfono al pilota “Non posso non ho dove atterrare non c’è spazio…”
 
Ben vedeva le fiamme avanzare verso di lui, ma restava completamente indifferente.  Comunque sarebbe finita presto e questo era un bene. Sarebbe finito tutto, il dolore, il freddo, la paura, tutto finito e soprattutto avrebbe rivisto Anna ed i suoi bei occhi color girasole. L’unica cosa che desiderava era che succedesse tutto in fretta e l’unico rimpianto il non poter rivedere per un’ultima volta Semir. Iniziò a tossire pesantemente e si chiese se era vero, come si diceva, che alla fine avrebbe rivisto tutta la sua vita. Non gli interessava, bastava che finisse in fretta.

“Ho detto scendi e atterra…” Semir urlava al pilota in preda ad un attacco isterico vero e proprio. “Non posso!!!” gli urlò di rimando il pilota. “Ok allora abbassati quanto più puoi sul lago”  gli intimò il piccolo turco “Che vuole fare Semir?? L’acqua è gelida, così si ammazza…”  chiese la Kruger intuendo le intenzioni dell’uomo “Non c’è più tempo” le rispose Semir mentre  si sporgeva dalla porta dell’elicottero per poi buttarsi in acqua.

La Kruger aveva ragione l’acqua era davvero gelida. Semir  cercò di non pensarci mentre a  grandi bracciate si dirigeva verso la riva. Fortuna che era sempre stato un bravissimo nuotatore, ma metteva molta fatica appesantito com’era dai vestiti.   Il tempo che ci mise per raggiungere la riva gli sembrò una eternità, ma finalmente mise i piedi sul terreno. Rabbrividendo corse verso il capanno ormai in fiamme.

“Bennn Beeenn” urlò Semir dall’esterno del capanno ormai completamente invaso dal fumo  e dalle fiamme. Il calore era insopportabile, ma Semir prese uno straccio che aveva trovato buttato in terra, lo bagnò nel lago e se lo mise sul volto prima di entrare
Dentro non si vedeva nulla, era tutto invaso dal fumo ed il tetto del capanno era in fiamme “Ben.. Ben sei qui?” urlò con voce strozzata Semir, ma non ottenne risposta se non un lieve colpo di tosse. Si girò  in quella direzione e finalmente lo vide in fondo al capanno.
Cercando di scansare le ondate di fuoco e calore che lo investivano Semir raggiunse il compagno, ma la visione che ne ebbe lo lasciò sconvolto.  Ben appariva terreo, magrissimo, praticamente ridotto ad uno scheletro, il maglione completamente insanguinato, il braccio sinistro ormai di colore bluastro, Semir per un momento pensò di essere arrivato troppo tardi. Restò per un secondo sconvolto a guardare l’amico fino a che un altro lieve colpo di tosse non lo riportò alla realtà. Doveva tirarlo fuori di lì, ma come? Semir vide la catena che legava le caviglie di Ben.
 
 
 L’elicottero girava in tondo in cerca di uno spiazzo dove atterrare. “A sinistra… mi pare che ci sia abbastanza spazio” urlò nel microfono la Kruger al pilota. Guardando in basso vide la figura di un uomo che correva nei boschi. Cercò di inquadrarlo meglio e subito lo riconobbe… Maione. “Atterri più in fretta che può” intimò dura al pilota. L’elicottero non aveva ancora toccato terra che la Kruger ed i suoi uomini si erano già catapultati fuori. “Jenny lei vada ad aiutare Semir, Bonrath con me” ordinò correndo nella direzione in cui aveva visto scappare Maione

Semir cercava di rompere le catene o spostare il palo a cui erano attaccate senza alcun risultato. Nel frattempo chiamava e richiamava Ben cercando di svegliarlo, di fargli aprire gli occhi, anche stavolta senza alcun  risultato. Alla fine, stremato, si decise a correre il rischio. Prese la pistola e puntò al lucchetto della catena, ben sapendo che così il colpo poteva anche ferire Ben, ma non c’erano alternative. Con gli occhi che gli lacrimavano per il fumo e tossendo Semir prese la mira e sparò al lucchetto.

Kim e Dieter correvano nel bosco inseguendo Maione.  “Fermo dove sei, butta la pistola e stenditi pancia a terra” intimò il commissario puntando la pistola alle spalle dell’uomo.
Maione si girò lentamente… aveva la pistola  ancora in mano anche se puntata in basso ed un ghigno folle sul viso. “Ho detto getta la pistola!!” ordinò di nuovo Kim puntandogli la pistola in faccia. Alberto continuava a guardarla con un sorriso beffardo. “Coraggio, dammi un buon motivo per spararti…” lo sfidò durissima la Kruger. Ed Alberto, con il solito sorriso beffardo, gettò la pistola a terra inginocchiandosi con le mani alzate.

Il lucchetto andò in mille pezzi. Semir più veloce che poteva liberò le caviglie di Ben, mentre cercava in qualche modo di mettersi in contatto con lui. “Coraggio Ben sono qui, è quasi finita, apri gli occhi, ti prego…” lo supplicò, ma il ragazzo rimase immobile con gli occhi chiusi.
Semir non sapeva da dove prendere Ben per portarlo fuori senza fargli troppo male. Lo afferrò sotto le ascelle  ed iniziò a trascinarlo verso la porta, mentre i travi del soffitto in fiamme iniziavano a cadere tutto intorno a loro. Ben era sorprendentemente leggero, ma ciononostante  la mancanza di respiro, le fiamme ed il fumo  facevano sembrare a Semir la  strada verso la porta lunga chilometri.

Come una benedizione a metà strada vide un altro paio di braccia che afferravano Ben “Jenny meno male che sei arrivata” le disse Semir con voce strozzata. Ed insieme finalmente videro la luce del sole ed aria nuova entrò nei loro polmoni.
Con delicatezza Semir e Jenny adagiarono Ben sul prato innevato. La visione del giovane poliziotto era semplicemente spaventosa. “L’ambulanza sta arrivando…” disse Jenny  a Semir, che terrorizzato accarezzava le guance arrossate di Ben cercando di fargli aprire gli occhi.

Tossendo ed ansimando Semir cercò di mettersi in contatto con il compagno, ma si accorgeva che la situazione era praticamente disperata. Il respiro di Ben era lieve ed irregolare, quasi non si sentiva il battito e Semir cercava di non guardare il braccio ormai  tutto di colore violaceo

“Dove c… è l’ambulanza?” urlò Semir mentre iniziava a piangere disperatamente   

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Capitolo 19
*** Non qui e non ora ***


Sorpresa. Oggi due capitoli. La storia sta per finire, non preoccupatevi...


Non qui e non ora

E finalmente  in fondo alla strada iniziarono a sentirsi le sirene e spuntarono le luci lampeggianti della auto della polizia e della ambulanza. Un gruppetto di medici ed infermieri si precipitò vicino al corpo esamine e Semir venne praticamente trascinato a forza lontano da Ben 
“Lasciatemi voglio stare con lui…” urlò l’amico cercando inutilmente di riavvicinarsi a Ben, ma venne trattenuto quasi come in un abbraccio da Jenny “Aspetta Semir, lascia che i medici facciano il loro lavoro, saresti solo di intralcio”.
Così il piccolo ispettore si rassegnò a  guardare da lontano e a pregare che non fosse troppo tardi, mentre uno dei medici lo copriva con una coperta e  metteva anche a lui sulla bocca una maschera per l’ossigeno .

I medici tagliarono il maglione di Ben e Semir quasi svenne alla vista della ferita alla spalla. Era  tutta rossa e violacea e sull’avambraccio si notava un altro squarcio. “Mio Dio che ti ha fatto…” In Semir iniziò a montare la rabbia, voleva vedere Maione morto, lo voleva uccidere con le sue mani.
I medici applicarono subito gli elettrodi sul torace di Ben per il monitoraggio cardiaco e guardarono con preoccupazione il monitor. “Sindrome da distress respiratorio, dobbiamo intubarlo” sentenziò uno dei sanitari mentre  tirava fuori dalla borsa il laringoscopio e i vari tubi.
Appena finito l’operazione tuttavia il monitor cardiaco iniziò a lanciare segnali di allarme. “Fibrillazione ventricolare” disse preoccupato uno dei medici  all’altro, che subito corse verso l’ambulanza per procurarsi il necessario alla rianimazione 
 

Ben era in un bel prato fiorito. Era già stato in questo posto anche se non si ricordava quando, o meglio sì… era il parco vicino al comando della LKA. Ben ed Anna ci andavano sempre per pranzo e lì si erano scambiati il primo bacio.
Ben sapeva che stavolta non si trovava in un sogno, o forse sì? Era tutto così strano, sentiva in lui una pace incredibile e questo posto gli sembrava così familiare e così estraneo al tempo stesso. Sentì una mano sfiorargli la guancia.
 “Ciao amore mio” gli disse Anna sorridendogli
“Anna…sei qui..” le rispose Ben commosso. Era incredibilmente felice, si sentiva come tutta la gioia del mondo fosse in lui in quel momento. Gli sembrava di annegare negli occhi di girasole di Anna, sentiva il profumo dei suoi capelli, e l’unica cosa che desiderava ora era stare nelle sue braccia.
 “Anna, Anna” riusciva solo a mormorare. “E’  così bello rivederti”  gli disse dolcemente lei.
“Sono morto?” chiese Ben capendo che quella non poteva essere la vita reale. Ma in realtà non gli importava di essere morto se poteva stare con Anna. “No… non sei morto, anzi devi subito tornare indietro” Ben si spaventò… no… no… non voleva tornare  indietro, assolutamente no, voleva rimanere qui con Anna. “Io voglio restare qui con te”  le rispose deciso. “Non puoi Ben… non puoi restare qui con me, devi tornare indietro” “Ma io voglio stare con te” piagnucolò il ragazzo “ Ma noi staremo sempre insieme” rispose calma Anna “ Vedi… io ora sono parte di te, sono entrata a far parte della tua  stessa anima… è una cosa strana sai, difficile da spiegare e nello stesso tempo semplice quando ti succede” continuò mentre gli carezzava il viso “ Ti prego ti prego Anna fammi restare, non voglio tornare là, non voglio vivere senza di te…” la supplicò Ben. “Ben, ci sono tante persone di là che ti vogliono bene. Non vuoi tornare da Semir? Dalle sue piccole? E da tuo padre e tua sorella?”

Ben in quel momento sentì,  come in lontananza, il pianto disperato dell’amico. Era straziante… sentiva che lo chiamava incessantemente e poi pregava e scongiurava qualcuno di  salvarlo.

La determinazione di Ben  sentendo la voce di Semir iniziò a cedere “Ma come faccio ad andare avanti senza di te? Non ce la faccio…” “Sì che ce la fai, loro, i tuoi amici e la tua famiglia, ti aiuteranno ed io sarò sempre in te.  Ti devono succedere ancora tante cose, devi vedere ancora molto, devi vivere ed essere felice. Un giorno staremo ancora insieme, ma non qui e non ora” “Ma ho paura” “ Non devi aver paura, tu hai la forza per farcela, e ricordati dovunque tu sarai, qualunque cosa farai io sarò in te” Anna gli  diede un bacio dolcissimo e subito dopo Ben fu trascinato via in un vortice scuro.

“Adrenalina e proviamo  di  nuovo,  forza”  fece il medico preparando di nuovo le piastre.  “Libera!!” intimò, mentre tutti si  ritraevano e lui  dava la scarica.
Semir ormai non vedeva più nulla, tanto aveva gli occhi pieni di lacrime. “Vi prego fate qualcosa…” implorava i medici
Dieter che nel frattempo li aveva raggiunti lo abbracciò e lo girò di spalle “ Semir non guardare, dai…” Erano tutti con il fiato sospeso, terrorizzati al pensiero che fra poco il medico avrebbe dichiarato che non c’era più nulla da fare.

E finalmente  la frase salvifica “ L’abbiamo ripreso…  ho di nuovo il battito” mentre il monitor riprendeva a lanciare segnali ripetitivi   
 

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Capitolo 20
*** L'importanza del nome ***


 
L’importanza del nome
 

Nero ed ancora nero.

Gente che lo toccava, lo girava, lo manipolava e gli faceva male… molto male
La voce di suo padre che gli leggeva un libro
La mano di sua sorella, perché capiva che era lei,  stretta alla sua
La musica della sua band sparata a tutto volume nelle sue orecchie
La voce di Aida che cantava una canzoncina
La mano di Andrea che gli carezzava i capelli
E soprattutto costante, immancabile e sempre presente la voce di Semir che parlava degli argomenti più disparati, di calcio e di miss Germania, del tempo e di  inseguimenti in autostrada, delle bambine e dei loro compiti a scuola, della nuova macchina di servizio e di  Hartmut che aveva finalmente trovato una fidanzata, di viaggi a Disneyland  e delle lasagne di Andrea

Infine la voce di Emanuel “Hai in te la forza, usala e  apri gli occhi”

Ben voleva dormire, solo dormire, ma si sentiva come se qualcuno lo stesse trascinando verso una fastidiosa luce che lo abbagliava. Voleva tornare indietro, al sicuro al buio, ma non c’era possibilità di opporsi, la luce lo attraeva a sé.
Lentamente aprì gli occhi. Sentiva dei rumori strani, ritmici e fastidiosi, capiva di essere in un ospedale. Non aveva neppure la forza di muovere un muscolo, e la vista era annebbiata, anche se man mano andava schiarendosi. Girò gli occhi e vide, abbandonato su di una sedia addormentato…. Semir. Quasi non lo riconosceva… ma che aveva fatto? Si era fatto crescere la barba?  Sembrava così stanco e dimagrito.

“Che cavolo è successo?? Da quanto tempo sono qui?” si chiese Ben cercando di ricordare, senza  risultato. Cercò di parlare, ma dalla bocca gli uscì solo un suono gutturale. Sentiva come se nella gola ci fosse asfalto rovente.
Semir si svegliò di soprassalto e lo guardò incredulo.

“C… Ben finalmente…. mi hai fatto passare le  quattro settimane più brutte della mia vita” gli disse mentre gli carezzava i capelli e scoppiava in un pianto di gioia.
 


 A Semir era stato imposto di lasciare la stanza mentre i medici  facevano i controlli su Ben. E lui ne era stato anche  contento, doveva riprendersi un attimo e telefonare a tutti per dare la notizia
“Semir ho saputo che si è svegliato, ne sono veramente felice” gli disse sorridente Elena  una delle infermiere del turno di giorno. Ormai Semir conosceva tutti i medici e le infermiere del reparto di terapia intensiva e chiamava tutti per nome visto che aveva passato la maggior parte del tempo accanto al letto dell’amico. “Sì, grazie Elena non è magnifico?” le rispose lui con occhi brillanti ed orgogliosi.
Ben era stato in coma quattro settimane ed erano state le quattro settimane fra le peggiori nella vita di Semir, in un continuo alternarsi di timori e speranze. Era stato così male…ma ora a Dio piacendo era finita. C’era solo da sperare che Ben non avesse riportato conseguenze dal coma.
Dopo un tempo che a Semir era sembrato una eternità i medici uscirono dal corridoio.

 Il gruppetto di parenti ed amici che nel frattempo si era formato  si avvicinò ansioso. “Bene… pare che siamo stati fortunati non ci dovrebbero essere conseguenze a lungo termine. Certo la spalla ed il braccio avranno bisogno di molta fisioterapia, ma  torneranno pienamente funzionali. Il vostro amico deve avere un angelo protettore personale” informò uno dei sanitari. Tutto il gruppo tirò un sospiro di sollievo
“Grazie Charlie… grazie davvero” fece Semir stringendo la mano al medico. “Possiamo vederlo un attimo?” chiese il padre di Ben con accanto Julia. “Sì certo ma non stancatelo, è ancora molto confuso e debole” acconsentì il medico guidandoli verso la stanza.

“Appena esce da qui ce lo portiamo a casa e lo rimetto io in sesto” disse Andrea a Semir con sguardo materno. Semir già si prefigurò i quintali di lasagna e polpettone, pranzo preferito da Ben, che la moglie avrebbe cucinato… e si prefigurò anche i gravissimi danni che ciò avrebbe comportato per la linea di tutta la famiglia.
 “Semir le posso parlare un attimo?” gli chiese la Kruger avvicinandosi. “Certo capo, che succede?” “La voleva informare… Alberto Maione è stato giudicato incapace di intendere e di volere. Andrà in un manicomio giudiziario…” “Cosa????” tutta la felicità sparì dagli occhi di Semir
“La perizia ha stabilito…” cercò di continuare la Kruger “ Non me ne importa niente di cosa dice la perizia. Quello ha ucciso Anna, ha quasi ucciso Ben… è vivo per puro miracolo… e sapeva molto bene cosa faceva” la interruppe Semir “Purtroppo non decidiamo né io né lei” gli rispose Kim “E cosa dovrei dirgli ora? Che l’uomo che ha ucciso la sua fidanzata, quello che lo ha torturato e quasi spedito all’altro mondo non andrà in galera???” Semir ormai urlava “Ben è un poliziotto, capirà. E poi Maione non uscirà più dal manicomio, questo glielo assicuro io” chiuse il discorso la Kruger. “ E Chillemi?” chiese infine Semir “ Vincenzo Stadera, lo scagnozzo di Maione ha deciso di pentirsi. Sta vuotando il sacco con il procuratore. Stavolta lo incastriamo, grazie a lui e alla sua testimonianza, Gerkan, sul tentativo di estorsione ai suoi danni” lo informò il commissario.
Semir annuì soddisfatto, ma non potè fare a meno di pensare a quanto quel tentativo di estorsione del Don fosse stato vicino ad andare a buon fine.

Ben stava dormendo di nuovo quando Semir tornò nella stanza. Era ancora così pallido e magro e sembrava così fragile in quel letto; a Semir salirono di nuovo le lacrime agli occhi.
Si sedette sulla solita sedia accanto al letto e prese la mano di Ben nella sua. Quasi subito Ben aprì gli occhi “Scusa socio non volevo svegliarti” gli sorrise Semir
“Semir…” mormorò Ben “Che bello vederti, mi sei mancato tanto”  “Anche tu mi sei mancato tanto… ma ora tornerà tutto come prima… anzi a proposito ti devo restituire questa” gli rispose Semir  mostrandogli la lettera di dimissioni “Ma quella è…” “La lettera di dimissioni… la Kruger non l’ha mai inoltrata. Quella donna a volte mi stupisce… sembra quasi umana” scherzò Semir. Ben sorrise affaticato.
“Semir…” proseguì Ben “Sì socio dimmi” “Mi spiace di essermene andato così senza dire nulla…” “ Fa niente, ti capisco,  in effetti non so come avrei reagito io se fosse successo ad Andrea” rispose l’amico pensieroso. “Stavo tornando sai, quando mi hanno preso, stavo tornando. Avevo incontrato un amico che mi aveva fatto capire tante cose” “Davvero? E chi è questo amico, ne sono geloso…” “Un vecchietto…” “Ora te la fai con i vecchietti?? Non ti basto io come vecchietto?” sorrise meravigliato Semir “Sì ma questo è particolare…” “Ben ora dovresti dormire un po’” lo esortò Semir.
Ma dopo alcuni minuti Ben riaprì gli occhi “Semir…” “Sì sono qui Ben…” “L’ho vista sai…” “Chi hai visto?” “Anna, l’ho vista, mi ha parlato…” mormorò Ben riaddormentandosi


Un mese dopo Semir stava aspettando Ben fuori al reparto dimissioni con la valigia. Avrebbe voluto portarlo direttamente a casa da Andrea, ma quel testardo si era messo in testa di dover necessariamente andare ad Henneberg a salutare il vecchietto suo amico. Non c’era stato modo di convincerlo a rimandare e quando aveva minacciato di andarci da solo Semir aveva ceduto ed acconsentito ad accompagnarlo. Era tornato il solito testardo e capriccioso, ma questo a Semir in fondo faceva piacere.
Percorsero tutta la strada per Henneberg parlando del viaggio a Disneyland  in programma per l’estate, le bambine erano già eccitatissime  al pensiero di andarci anche con lo zio Ben.

Arrivati, Semir parcheggiò la sua auto di fronte alla sede della azienda di costruzioni per cui aveva lavorato Ben
“Mai visto nè conosciuto uno di nome Emanuel, te lo assicuro Ben, non so di che stai parlando” il proprietario della impresa era sempre più sconcertato “E figurati se prendevo a lavorare uno sulla settantina… “

Ben chiese a tutti gli operai e alla proprietaria del  pub dove erano stati quella sera. Niente.. nessuno  aveva mai visto né sentito nominare  Emanuel.
“Forse sono ricordi  falsati, dopo un coma può succedere” gli disse conciliante Semir iniziando però a preoccuparsi per la salute dell’amico.
Ma Ben era sicuro, non l’aveva sognato. Nel risalire in macchina lo sguardo gli cadde sulla vetrinetta di un negozietto. C’erano quelle solite targhette souvenir con il significato del vari nomi. Erano moltissime ma l’attenzione di Ben cadde solo di una e su ciò che c’era scritto “Emanuel, dall’ebraico Immanuel  significato: Dio è con noi”   
  Sorridendo e pensieroso Ben risalì in macchina


“Possiamo andare ora?” chiese il vecchio con la barba brizzolata alla ragazza bionda con gli occhi di girasole “Sì certo, possiamo andare ora” rispose la ragazza mentre guardava la BMW allontanarsi.
 Ed insieme sparirono nella nebbia serale.
                                                                                                           FINE

  PS Grazie a coloro che hanno letto e soprattutto a coloro che hanno recensito ( in particolare alla piccola chiromante…).
 

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