Tutti i grandi sono stati bambini

di chi_lamed
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Speranze ***
Capitolo 2: *** Coraggio ***



Capitolo 1
*** Speranze ***


Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.



Speranze

 
 
L'odore pungente della cartella di cuoio solletica le narici. Non è fastidioso ed è smorzato appena da quello fresco di una pioggia battente cessata da poco che ha reso l’aria più limpida e piacevole.
Tutto è più bello oggi, anche la grande ciminiera in fondo alla strada da cui esce un filo di fumo sottile e plumbeo. Qua e là, qualche goccia scende ancora dai tetti delle case ed il ticchettio è una melodia di trasparenti note variegate che s’infrangono sull’acciottolato. Grigi nuvoloni si rincorrono nel cielo settembrino e lasciano intravedere ogni tanto qualche sprazzo d'azzurro intenso che spicca tra sbuffi cinerini ancora carichi d'acqua.
Il bambino smette di camminare con il naso all’insù ed accelera l'andatura, temendo un nuovo scroscio che rovinerebbe ogni cosa.
Contro il suo fianco, in perfetta sintonia con ogni passo, batte ritmicamente tutto il suo piccolo mondo di sogni. È racchiuso in una borsa marrone chiaro insieme a due quaderni, due penne ed una matita.
La mano scende ad accarezzare quel tesoro inestimabile, come per metterlo ancora più al sicuro, come per accertarsi ancora una volta che è tutto vero. Il bambino può sbattere le palpebre senza paura che tutto finisca, può sentirsi felice senza un perché.
Ne ha tutto il diritto.
L’acqua scura e tremolante di una larga pozzanghera riflette un mondo rovesciato, nel quale il cielo è un tappeto di nubi su cui camminare. A quello specchio liquido s’affaccia un visino su cui spiccano due profondi occhi neri colmi d’innocenti speranze. Nessuno le ha ancora mandate in frantumi, esse sono integre e pulite, così diverse dalle schegge affilate che in futuro feriranno quel cuore senza alcuna pietà. Sono fragili attese ancora intatte, vivide e stillanti infantili progetti.
Un ultimo sguardo al proprio riflesso e poi via, quasi di corsa, facendo attenzione a non inciampare e a non sciuparsi i vestiti quasi nuovi.
Non si può fare tardi proprio il primo giorno di scuola.
Eccola lì, in mattoni color terra bruciata, con un minuscolo fazzoletto di prato al suo fianco, un salice piangente nell’angolo più interno ed il cortile di ghiaia. Uno, due, tre... il bambino conta otto gradini che conducono alla porta d'ingresso spalancata su un nuovo mondo.

Li dentro sarà bello, si dice.

Imparerà moltissime cose, sa che ne sarà capace. Sarà bravo e la sua mamma gli sorriderà orgogliosa, proprio come aveva fatto quella stessa mattina, quando aveva insistito per aiutarlo a vestirsi con la divisa scolastica. Il bambino ricorda le proprie inutili proteste zittite da mani affettuose che non avevano smesso di sistemargli i capelli, di abbottonargli la camicia ed infine di allacciargli le scarpe, come se lui non ne fosse già in grado.
Sarà bello – si ripete –  ed intanto attraversa il cancello dipinto di rosso scuro, la ghiaia che scricchiola sotto i suoi passi.

Vero che sarà bello?

Altri bambini sciamano nel cortile, si chiamano per nome, si riconoscono, si salutano.
Sono amici.
A lui piacerebbe tanto averne almeno uno, per non sentirsi più così solo.

Forse lì dentro sarà possibile, perché non dovrebbe esserlo?

Il bambino dagli occhi d’onice e dai capelli corvini s’incammina lungo un corridoio dalle pareti verde acqua.
Tenendo stretta a sé la speranza di un sereno futuro, osa lasciarsi andare ad un timido sorriso al presente.


***

Angolino autrice: quando le idee frullano nella mente per giorni e giorni come canarini impazziti, meglio metterle nero su bianco altrimenti impazzisco io.
E non è stato facile.
Non so cosa ci riserverà la Rowling nei prossimi contenuti inediti di Pottermore, io intanto ho provato ad immaginare la vita di un Severus bambino durante la scuola primaria. Ho fatto ricerche sulle cittadine operaie, ho immaginato la fabbrica vicino a Spinner's End ancora in funzione ma ai minimi termini, ho pensato ad un'infanzia discretamente serena prima del punto di rottura, prima che Tobias perdesse il lavoro e scoprisse che sua moglie era una strega. Ma soprattutto ho immaginato una vita scolastica precedente ad Hogwarts.
Cosa avrò azzeccato?
Ai posteri l'ardua sentenza.
A voi invece buona lettura e se avete consigli, ve ne sarei immensamente grata.
Chiara

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Capitolo 2
*** Coraggio ***


Coraggio

 
 
La voce della signora Mason è ferma e pacata.
Speciale.
Cattura l’attenzione, parla e suscita interesse. E, come in questo caso, sa imporsi per ottenere il silenzio con una semplicità estrema, senza mai doversi alzare di tono, senza fatica alcuna.
La aiutano in questo compito qualche occhiata ben assestata ed un veloce cenno delle mani dalle unghie laccate di rosso. Pochi attimi e la situazione ritorna calma, del bisbiglio che poco prima aveva attraversato la classe non v’è più alcuna traccia, ma l’attesa adesso è più che palpabile, la si potrebbe agguantare semplicemente allungando la mano.
In seconda fila, seduto accanto alla finestra, c’è un bambino dai grandi occhi neri.
Occhi attenti, curiosi, spalancati sulle tante novità che lo attendono.
Occhi che in un batter di ciglia passano dall’orgoglioso sollievo all’inquietudine più cupa, è come se qualcuno avesse spento in loro la luce.
«Bells, Elizabeth.»
Il primo appello dell’anno ha inizio.
Nessuno risponde.
La signora Mason occhieggia qua e là per l’aula, senza togliersi gli occhiali dalla montatura argentata che regge sulla punta del naso con la mano sinistra. La destra, invece, è poggiata al registro aperto sulla cattedra e tiene il segno con l’indice.
Gli alunni si sbirciano reciprocamente l’un l’altro, come per cercare di indovinare a chi appartengano quel nome e cognome.
«Elizabeth?» chiama ancora l’insegnante e la sua voce s’è fatta più dolce mentre osserva ogni viso. Le fa eco quello che sembra lieve pigolio di uccellino spaurito: la bambina in prima fila accanto alla porta alza lentamente la mano e pronuncia il proprio “presente” così sommesso che di sicuro negli ultimi banchi non sono riusciti a sentirla.
Ma la maestra sorride e la incoraggia con sguardo tranquillo, impossibile non esserne confortati. È infatti così per la piccola, che con voce più alta si alza e si presenta alla classe, com’era stato domandato a tutti prima dell’appello.
Era stato questo a generare attimi di confusa eccitazione, soprattutto tra i più audaci.
Il bambino dagli occhi neri, intanto, osserva ed ascolta.
Osserva la bionda coda di cavallo che ondeggia ritmata con il gesticolare della piccola compagna di classe. Ascolta la sua presentazione raccontata tutta d’un fiato e con le mani che non vogliono stare ferme nemmeno un attimo.
La piccola Elizabeth si sta rivelando tutt’altro che timida, in barba ad ogni iniziale apparenza. Parla e riferisce di quello che le piace e di quello che non le piace, della sua mamma, del suo papà, del suo sogno di aiutare tanti animali…
La signora Mason è costretta a fermarla con uno “stop” dolce e categorico.
La piccola Elizabeth torna a sedersi composta, guardandosi però attorno come per cercare conferme negli sguardi altrui, un poco rossa in viso per l’essere stata così al centro dell’attenzione. L’insegnante intanto sorride compiaciuta, soddisfatta di questo inizio di appello con cui è stato rotto il ghiaccio.
Chi non è soddisfatto è invece il bambino dagli occhi neri, ma intanto la maestra ha già chiamato qualcun altro. Lui però quasi non ascolta, non più. Sussulta ad ogni nome pronunciato ed il dito sull’elenco corre inesorabile verso il basso. Il cuore del piccolo sembra un canarino impazzito che implora d’essere liberato da una gabbia troppo stretta, le mani sono aggrappate con forza all’orlo del banco, come se da un momento all’altro la terra sotto la sua sedia dovesse aprirsi per inghiottirlo.
Eppure non c’è proprio nulla di cui aver paura, dice il bambino a se stesso, è solo un appello e niente più.
Un altro nome, un altro battito di ciglia, un altro sussulto.
Non è vero, non è così semplice. Nel bambino v’è un’insicurezza innata data già dal sapere d’essere diverso dagli altri.
Non è ancora un mago, ma è certo che presto lo diventerà, lo ha assicurato la sua mamma che è una strega. E lui non ha alcun motivo per non crederle. Però ha un sacco di motivi per tenere nascosto quel segreto. Nascosto al mondo, ai compagni e alla maestra, ma soprattutto nascosto a suo padre.
Cosa accadrà quando sarà davvero diverso dagli altri?
Le palpebre si aprono e si chiudono ripetutamente su occhi attenti più neri della lavagna che è vicino alla porta. Come se essa potesse rincuorarlo in qualche modo, potesse essere una consolazione dalle sue insicurezze. Là, su quella lavagna, vi saranno scritte moltissime cose nuove da imparare, aveva spiegato la maestra qualche minuto prima. Il bambino allora aveva sorriso, sentendosi per la prima volta un po’ fiero di sé, perché lui già era certo di saperne alcune più dei suoi compagni, come leggere, scrivere e contare fino a venti e…
«Pickering, Oliver.»
La voce della signora Mason interrompe ogni altro pensiero e fa tornare con prepotenza il bambino alla realtà presente. Dal suo ultimo banco Oliver quasi fa quasi cadere la sedia mentre si alza di scatto. Non ha nemmeno atteso che l’insegnante terminasse di pronunciare il suo nome.
Il bambino dagli occhi neri vorrebbe lasciarsi andare ad una smorfia di disapprovazione, ma nel frattempo alla sua mente s’è affacciata una consapevolezza che si accoccola sul suo petto, regalandogli una bruttissima sensazione di disagio che lo fa respirare velocemente.
Le mani si stringono al banco con ancora più convinzione.
«Piton, Severus.»
Perché non può farsi piccolo piccolo fino a scomparire del tutto?
«Coraggio.» lo invita con dolcezza l’insegnante senza mostrare alcun segno d’impazienza. Sul registro gli ultimi quattro nomi rimasti sono solo femminili, la signora Mason non incontra la minima difficoltà nell’individuare l’unico alunno che ancora non è stato chiamato.
 
Coraggio.
 
Basta quell’unica parola per cacciare la reticenza del piccolo Severus.
Egli ancora non sa, non può sapere, che in essa vi racchiuderà tutta la propria esistenza, tramutando otto semplici lettere in un vessillo che non verrà mai mostrato con fierezza al mondo intero, ma che sarà sempre tenuto nascosto, parte migliore di sé che nessuno – o quasi – dovrà mai conoscere davvero.
 
Coraggio.
 
Sarà parola incisa nel cuore a caratteri permanenti e martello e scalpello saranno sospiri di solitudine, lacrime di rimorso, gesti di dovere assoluto.
 
Coraggio.
Sempre.
 
Ma intanto tutto quel che viene domandato al piccolo Severus è solo di presentarsi ai suoi compagni di classe e per quanto timore abbia lui non si tira indietro. Il sorriso della signora Mason mentre lui parla non sparisce mai dalle labbra e l’ascolto è sempre attento ed interessato. Non importa se lui da grande non vuole fare il pilota d’aerei come il suo compagno di banco o se il suo papà non sa costruire una casa delle bambole come quello di Olivia tutta trecce castane e lentiggini.
Non importa.
Lui è solo Severus Piton, un bambino a cui piace tanto leggere ed imparare cose nuove, perché sa di esserne capace.
Saltato l’ostacolo, parte dell’insicurezza è vinta ed archiviata, anche se il cuore ancora non vuole sapere di calmare i suoi battiti. Quel segreto che solo il piccolo Severus conosce non lo rende poi così diverso dai propri coetanei, non ancora almeno: cerca così di convincersi e gli sguardi tranquilli che provengono da diciannove paia di occhi lo fanno sentire un po’ più sereno.
Sereno, sì, proprio come quello spuntato da poco, osserva Severus gettando una veloce occhiata fuori dalla grande finestra. Il sole d’inizio settembre è libero di brillare più forte  nel cielo azzurro e terso, tra sbuffi di grigio che il vento di fine estate porta sempre più lontano.



***

Angolino autrice: Questa storia fa parte di una serie che vede protagonista un Severus bambino alle prese con la scuola primaria inglese. Prima di Lily, addirittura prima di avere la certezza di essere un mago. Sperando che la Rowling non se ne venga fuori con dei contenuti inediti che stravolgeranno la mia idea, dopo aver fatto ricerche di storia inglese sulle città industriali nel dopoguerra, ho cercato di ricostruire nella mia immaginazione quel che poteva essere Spinner’s End e la vita di un piccolo Severus. Perché, data la mia esperienza di docente, fatico ad immaginare un bambino sempre completamente solo. Nemmeno il più emarginato è completamente isolato in una classe, mai: i bambini hanno infatti la meravigliosa capacità di aggregarsi e fare amicizie quando meno ce lo aspettiamo. E conto che così sia anche per il nostro piccolo Severus.
Se avete consigli, suggerimenti... ortaggi da lanciare, sapete come contattarmi. :)

P.S: preferite il font Arial del precedente capitolo o il Times New Roman di questo? Giusto per capire cosa si legge più volentieri senza stancare la vista, anche questo lo considero importante in una storia e preferisco essere io ad adeguarmi a chi legge e non viceversa, se non altro per educazione.

Chiara

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