Kiss me all night

di Mary West
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I – Pretty big liars ***
Capitolo 2: *** Capitolo II – Phil dal telefono ***
Capitolo 3: *** Capitolo III – Covert in affair ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV – How I met your father ***
Capitolo 5: *** Capitolo V – Small ville ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI – The rancher's circle ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII – Life on Mar ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII – Pan Opera ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX – Revenged ***
Capitolo 10: *** Capitolo X – Sex in the City ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI – Flash Howard ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII – The prisoners ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII – Iron Girl ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV – The Captain Diaries ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV – The big bang Starkory ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI – Agente speciale Peggy Carter ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII – Power Avengers ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII – Instant Stark ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX – Sogni fra le stelle ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX – A-Friends ***



Capitolo 1
*** Capitolo I – Pretty big liars ***


Kiss me all night

 





Capitolo I
Pretty big liars 




Era piuttosto tardi, quella mattina del primo Lunedì del mese piovoso e freddo.
La sveglia era suonata almeno mezz’ora prima e Tony, che aveva brillantemente deciso di ignorarne il richiamo, ora ne pagava le conseguenze. Al primo squillo, petulante e fastidioso, aveva allungato una mano con fare irritato e indispettito e aveva staccato l’allarme in un mugolio insonnolito; poi, si era voltato dall’altra parte del letto e le sue braccia si erano di nuovo impossessate dell’esile vita di Pepper, mentre le sue labbra avevano cercato il suo volto. Pepper aveva sussurrato qualcosa, con la voce ancora impastata di sonno e gli occhi chiusi, a proposito di una riunione importante, ma Tony aveva scosso la testa e l’aveva avuta vinta. Così erano rimasti a letto per molto altro tempo, prima che Jarvis avesse ricordato al padrone l’incontro allo S.H.I.E.L.D.; e allora Tony era scattato dal letto, abbandonando malvolentieri il tepore del letto e del profumo di Pepper a conciliargli il sonno, e aveva cominciato a correre per la casa alla ricerca di vestiti, accessori e documenti. La riunione importante di cui la sua dolce metà gli aveva parlato poco prima era fissata per le nove e mezza; alle dieci meno un quarto, Tony era ancora in giro per la villa a spostare oggetti di ogni genere e tecnologia, cercando disperatamente le chiavi della sua Jaguar blu notte.  
“Finalmente!” esclamò infine, estraendo il prodotto tanto desiderato dal fondo di un cassetto. Intascò il mazzo nel giubbino di pelle e si avvicinò al letto un’ultima volta per posare le sue labbra su quelle di Pepper.
“Ci vediamo stasera” le soffiò dolcemente. Lei annuì, ancora assonnata, e ricambiò il bacio, premurosa e accogliente. Tony sospirò, perdendosi in quell’estasi infinita, e fece per riappropriarsi di nuovo di quel contatto, quando le dita di Pepper gli sfiorarono il viso.
“Non sei in ritardo?” gli sussurrò sorridendo. Lui sorrise e scosse la testa.
“Non pensare di cavartela così. Ti chiamo più tardi” le scoccò un altro bacio e fuggì dal garage. Mise freneticamente in moto il suo ultimo giocattolino e si godette a pieno il rombo feroce sull’asfalto bollente, mentre il sole gli colpiva raggiante di calore il viso coperto dagli occhiali scuri. Giunse a destinazione con poco meno di un’ora di ritardo, il che era davvero un grande successo date tutte le disavventure che aveva dovuto affrontare quella mattina, ma si aspettava senza dubbio una ramanzina da Nick, che avrebbe vertito sulla mancanza di senso di responsabilità e d’integrità e che si sarebbe senz’altro conclusa con una speranza di cambiamento da parte del diretto interessato. Rassegnato al suo destino, Tony parcheggiò l’auto proprio di fronte alla sede principale dello S.H.I.E.L.D., stridendo i freni sulla strada scura, incurante di dettagli come i divieti di sosta e il colore delle strisce sull’asfalto. Sorridendo entusiasta del suo ultimo acquisto, estrasse la chiave dal quadro e scese con disinvoltura dalla macchina, camminando con il suo passo scanzonato verso l’entrata dell’edificio. Aveva appena raggiunto l’ascensore, quando notò la prima stranezza: molti agenti, vedendolo varcare la soglia, avevano cominciato a fissarlo con espressione preoccupata e a confabulare fra loro con fare circospetto. Cercando di ignorare l’attenzione di cui era soggetto e alla quale era anche piuttosto abituato, raggiunse il quarto corridoio dell’ultimo piano e percorse la strada verso la stanza in cui solitamente avevano luogo gli incontri con Nick e gli altri Vendicatori. Fuori dalla porta della suddetta stanza, Tony notò la seconda e la terza stranezza: sapeva bene per esperienza personale che, ogni qual volta uno dei suoi paladini si presentava in ritardo alle riunioni, Nick si appostava fuori dalla camera, pronto per iniziare la sua paternale sull’importanza delle regole e degli orari, che poi continuava per almeno un’altra ora dal momento d’inizio – Tony ne era pienamente a conoscenza essendosi trovato, in più di un’occasione, soggetto a tali prediche morali e patetiche – e quel giorno non solo Nick non era fuori dalla stanza ad aspettarlo, con un’espressione corrucciata che, anche se non poteva vederlo, Tony sapeva bene coinvolgeva anche l’occhio bendato, ma c’era Phil.
“Coulson! Ehy, che ci fai qui? Nick ti ha messo a fare la sentinella?” chiese scherzoso.
Phil lo avvistò subito e Tony non poté fare a meno di notare un suono stridulo nella risata che seguì che tradiva un certo nervosismo di fondo; ma non ci prestò molta attenzione.
“Stark! Finalmente, pensavamo non venissi più…” rispose lui e Tony ebbe la vaga impressione che quasi se lo augurasse. Sbatté le palpebre perplesso, poi scosse la testa e allungò la mano verso la maniglia.
“Sarà meglio entrare. Fury sarà già fuori di testa” disse noncurante, ma Phil lo bloccò.
“Oh, no. Non è il caso” insistette e di nuovo Tony pensò che sembrava davvero strano.
“Oddio, Coulson” disse rendendosi conto all’improvviso di quale fosse il problema. “Non dirmelo.”
Phil lo guardò perplesso, strabuzzando gli occhi e stringendo le labbra in un’espressione che Tony giudicò piuttosto imbarazzante, oltre che assolutamente stupida.
“Cosa?” chiese curioso.
“Fury. È in ritardo” replicò Tony con ovvietà e capì perché non voleva che nessuno, in particolar modo lui, lo sapesse. Insomma, sarebbe stata come una legittimazione a violare quelle regole che tanto amava calcare nei suoi ridicoli discorsetti pantomimici dopo anni di lavoro infinito e sudato.
“No!” esclamò Phil e Tony aggrottò di nuovo le sopracciglia.
“Allora perché? Se Fury è dentro, sarà meglio che lo sia anch’io.”
“No, Tony, sul serio” replicò Phil, cercando ancora una volta di frapporsi fra lui e la porta.
“Ma perché? Sembri così strano… o mio Dio, è per la violoncellista, non è vero?” chiese, ora certo e anche molto compiaciuto di esser venuto a capo della questione. “La tua è un’evidente reazione post traumatica ad una situazione sentimentale confusa e ad una frustrazione sessuale di quarto grado. È chiaro che questa donna non può darti quello che cerchi… insomma, non è in grado di suonare il tuo violoncello” spiegò con aria professionale e accurata, ignorando del tutto i gemiti di Phil che, rosso di vergogna e imbarazzo, cercava di interromperlo per negare la questione e riportarla su un territorio più accessibile e meno imbarazzante. “Lo so, lo so, non fare quella faccia: io non dovrei saperlo, è vero. Ma tu l’hai raccontato a Pepper e noi due ci diciamo tutto. Checché ne dica Capitan Padella, la nostra è una relazione seria, fondata su basi solide quali la sincerità e la fiducia. E ovviamente l’aiuto reciproco. E il sesso. E l’igiene. Ma lui è solo invidioso… in tutta la sua lunghissima  e inutile vita, ha avuto meno appuntamenti di Frodo Beggins in quel film dei liceali drogati con i professori alieni…. Comunque, tornando alla tua situazione, il mio consiglio è di lasciar perdere questa donna poco pratica di strumenti potenti come il tuo e di trovarne un’altra… magari una trombettista!” continuò sull’onda dell’entusiasmo, scambiando il colorito viola sul quale si era stazionato il volto di Phil, ormai rassegnato, per eccessivo entusiasmo represso e infinita riconoscenza. “Ne conosco un paio che farebbero al caso tuo, dei tempi infelici in cui il mio cuore non aveva ancora trasmesso al mio cervello il mio amore per Pepper… tipo Katy o Isabel. Sai, le trombettiste sono davvero aggressive” concluse soddisfatto e stava per estrarre il telefono dalla tasca con l’intenzione di chiamare Rhody, quando finalmente la porta si aprì e ne uscì Barton.
“Coulson, che diavolo è tutta questa confusione? Stiamo discutendo di cose importanti qui dentro, tipo la salvezza del mondo, mica di quello che mangeremo per pranzo” disse seccato e stava per rientrare quando il suo sguardo si posò con terrore sul volto di Tony.
“Siete in riunione? Senza di me?” chiese quest’ultimo indignato e afferrò con decisione la maniglia, spalancando la porta ed evitando gli ostacoli dei due agenti. Una volta entrato, sorrise compiaciuto. Il suo sguardo corse veloce per la stanza e notò la quarta e, per fortuna, ultima stranezza.
Attorno al tavolo a cui si sedevano solitamente i Vendicatori per discutere di cose importanti quali, per l’appunto, la salvezza del mondo, erano già seduti tutti, da Nick all’agente Romanoff, da Banner e Thor a, con sommo disgusto di Tony, la Bella Addormentata fra i Ghiaccioli; ma la cosa più strana era che, oltre al posto di Barton accanto a Nick, non ce n’era nessun altro libero, il che significava che il suo era già occupato. I suoi occhi si strinsero, pensierosi, e ripercorsero la stanza: sulla sedia fra Bruce e Natasha, esattamente dove era solito sedersi lui, era seduto un uomo adulto, maturo, dalla chioma scura e un paio di eleganti baffi neri. Aveva un volto criptico, tipico di chi volesse nascondere i propri pensieri e le proprie sensazioni, e una fronte intelligente. Sopra il naso serio e pronunciato, luccicavano ansiosi due occhi color nocciola dal taglio raffinato e Tony pensò che assomigliassero incredibilmente ai suoi. Sentì il respiro bloccarsi senza motivo e, prima che potesse rendersi conto di qualcosa, avvertì la riserva d’aria tagliarsi del tutto. Automaticamente, fece un passo indietro.
“Che sta succedendo?” chiese in un bisbiglio. Aveva la salivazione azzerata e improvvisamente la testa aveva cominciato a girare. O mio Dio.
“Tony” incominciò Nick e gli venne incontro, alzando le braccia come per tranquillizzarlo. “Stai calmo.”
Tony aprì la bocca, indignato, ma non ne uscì alcun suono, così la richiuse.
“Oddio” sussurrò sconvolto. “Stai scherzando, non è vero?” domandò incredulo. “Non può essere vero.”
“Volevamo dirtelo… ma non pensavamo che sarebbe stata una grande idea fartelo sapere in questo modo. Ti abbiamo chiamato per rimandare, ma tu non hai risposto e pensavamo non venissi” si giustificò Nick e fece per poggiargli le mani sulle spalle, ma Tony si scansò.
“Lasciami stare” disse secco e arretrò ancora.
“Tony.”
Sentire il suo nome pronunciato per la prima volta dopo vent’anni da Howard Stark era davvero agghiacciante. Fece un altro passo indietro e improvvisamente si sentì piccolo e insignificante.
“Dobbiamo parlare” continuò e anche lui gli venne incontro. Tony sbatté le palpebre, quasi come se volesse assicurarsi che tutto quello non era un sogno o un’allucinazione o la conseguenza delle melanzane che Pepper aveva preparato la sera prima. Tenne gli occhi chiusi per una manciata di secondi e respirò profondamente; quando li riaprì, sia Howard che Nick erano ancora davanti a lui.
“Maledizione!” sibilò irritato.
“Tony, calmati” calcò Nick e gli afferrò un braccio, per trascinarlo verso il tavolo. Tony si districò subito dalla sua stretta e arretrò ancora; ormai era di nuovo alla porta. Strinse le labbra, indeciso, e i suoi occhi vollero di nuovo ispezionare la situazione.
Ora Natasha e Bruce erano entrambi in piedi e sui loro volti erano dipinte espressioni serie e indecifrabili; alle sue spalle, poteva sentire i respiri di Coulson e Barton, che tenevano gli occhi bassi e le mani infilate nelle tasche dei completi scuri; Nick era davanti a lui, con il viso contratto dall’ansia e l’impazienza e un passo dietro di lui Howard lo fissava quasi severo, lo sguardo rigido che gli aveva sempre rivolto; infine, l’unico ancora seduto, c’era Rogers, che spostava l’attenzione da Howard a Tony con aria di sufficienza e biasimo.
“Sarà meglio che vada” disse dopo un’eternità di silenzio. “Scusatemi per aver interrotto la vostra riunione.”
Respirò di nuovo, ma l’aria ormai sembrava essersi impregnata di quella tossicità dovuta all’assurdo evento che si consumava nella stanza. Decise che avrebbe trattenuto il fiato fino a quando non si sarebbe ritrovato fuori quel maledetto edificio; si voltò e fece per raggiungere la porta, quando Howard parlò ancora.
“Anche tu devi partecipare” disse in tono pacato e Tony detestò profondamente quel tono pacato perché era oltremodo assurdo che si rivolgesse a lui come se nulla fosse successo, come se non ci fosse nulla di cui preoccuparsi, come se non fosse passato un giorno dall’ultima volta che l’aveva sgridato perché lui aveva preso senza permesso un’altra delle sue attrezzature straordinarie.
“Stavolta credo che passo, grazie” replicò freddo e strinse i denti per non urlare. Ringraziò la sua disattenzione per aver dimenticato l’armatura a casa, altrimenti non ci avrebbe pensato due volte prima di indossarla e volare via dalla porta a vetri, distruggendo più finestre possibili.
“Lascialo stare, Howard. Tuo figlio non è una persona con cui puoi parlare civilmente.”
Aveva cercato di essere civile e di rimanere nei limiti del consentito fino a quel momento, anche se stava davvero trovando difficile reprimere tutta la rabbia che lo prendeva in quel preciso istante, rimanere calmo quando il suo più grande istinto era di fare a pezzi tutto e tutti, esattamente come si sentiva lui: lacerato. Ma quando percepì la voce superficiale di Rogers graffiargli le orecchie, con quel suo tono altezzoso e di biasimo, non pensò più. Ritornò sui suoi passi e lo incenerì con lo sguardo.
“Stanne fuori, Rogers. Nessuno ha chiesto il tuo intervento, quantomeno che tu in questa situazione non centri assolutamente niente e so che la tua frustrazione di essere costantemente fuori luogo ti spinge a inserirti dappertutto, ma resta fuori perché stavolta non scherzo” pronunciò in un ringhio basso e minaccioso.
“Non credere che abbia paura di te, Stark” replicò Rogers e già era di fronte a lui, con la mano che impugnava la presa sullo scudo. Tony lo guardò e scoppiò in una risata beffarda e vuota.
“Vorresti attaccarmi, Rogers? Ancora? Credevo si fosse capito che non sei all’altezza. Soprattutto con quella tua stupida padella” ribadì incurvando le labbra in un sorriso disgustato.
“Non è una padella” intervenne perplesso Howard. “È uno scudo di vibranio capace di assorbire qualsiasi energia cine-…”
“Grazie, non ci serve una lezione di fisica nucleare!” esclamò Tony, ormai vicino all’esasperazione. “Falla e lui, non sono io che non conosco neanche l’esistenza di un telefono!”
“Certo che la conosco!” riprese Rogers e brandì lo scudo con tanta forza da farne vibrare la superficie con un rombo metallico. Howard lo fermò stringendogli una spalla.
“Lascia stare, Steve” gli sussurrò con fare tranquillo. Tony scattò.
“Dio Santo!” urlò senza riuscire a trattenersi. “Non ci posso credere, non ci posso credere! Tutto questo è… è… è assurdo e io non voglio averci niente a che fare. Sai una cosa? Ascolta il tuo amico, dato che siete così legati visto che perfino tu sapevi e io no, e tieniti stretta la tua padella! Io mi chiudo fuori, signori.”
Si voltò deciso per l’ennesima volta ma con la ferma intenzione di non tornare più sui suoi passi.
“Tony, fermati!” lo richiamò Nick. “Non girare le spalle a tuo padre e ai tuoi amici.”
Tony si fermò un istante, ma non fece più dietrofront. Sentiva il sangue ribollirgli frenetico al cervello, con tanta forza che sembrava premere su ogni lembo di pelle per scoppiare.
“Ti sbagli. Voi non siete miei amici o io avrei saputo la verità prima che mi si sbattesse in faccia in questo modo. Solo perché abbiamo salvato il mondo insieme, non significa che usciremo come un’allegra comitiva tutti i Sabati sera. E lui” aggiunse rivolgendo a Howard un’espressione di delusione e stanchezza. “Lui non è mio padre.”
“Tutti sbagliano, Tony. Anche i padri” replicò Howard.
“Non è così” ribadì Tony e si maledì per quell’incrinatura malinconica che sporcava la sua voce perfetta. “Perché ti assicuro che se io avessi un figlio, l’ultima cosa che farei è comportarmi con lui nel modo in cui tu ti sei comportato con me. Gli vorrei bene in qualunque caso e lo stimerei sempre e, soprattutto, farei in modo che lo sapesse.”
Finalmente la sua mano raggiunse la porta e con molta più foga di quanta ne avesse avuta prima nell’aprirla, la richiuse alle sue spalle. Per un istante, rimase con la nuca poggiata sull’uscita, respirando aria pura; poi cominciò a correre.
 

*

 
Era quasi ora di cena quando Tony tirò il freno della sua Jaguar blu notte, parcheggiandola nel suo garage fra la Porsche gialla e la Rolls Royce nera metallizzata. Camminò a passo lento lungo le scale che conducevano al primo piano ed entrò nel salotto. Gettò di malomodo il giubbino su una poltrona e osservò la luce fioca che proveniva dalla cucina: riusciva a sentire la voce di Pepper canticchiare fra sé, il morbido frusciare delle sue mani tra i fornelli, il dolce profumo del cibo sul fuoco e, per la prima volta da quella mattina, sorrise.
“Tony?”
Stanco per l’estenuante giornata appena conclusa, Tony si lasciò cadere sul divano, poggiando le gambe su un bracciolo. Pepper fu subito da lui.
“Ehy” gli disse dallo stipite della porta. Tony alzò il viso e la guardò: indossava una camicetta bianca e un paio di pantaloncini di jeans molto corti, con sopra un grembiule da cucina. I capelli ramati le scendevano sulle spalle in parte scoperte e non portava le scarpe.
“Ehy” replicò lui sorridendo. Lasciò scorrere gli occhi su di lei e un sospiro gli sfuggì dal naso, mentre lei lo raggiungeva davanti al divano. Gli lasciò tre minuti, poi incalzò.
“Cos’è successo?” gli chiese e Tony fu contento di non sentire nella sua voce nient’altro se non la sua solita serenità.
“Perché dovrebbe essere successo qualcosa?” chiese lui di rimando ed evitò gli occhi di Pepper perché sapeva che non sarebbe mai stato capace di mentirle guardandola negli occhi.
“Be’” replicò lei scrollando le spalle. “La riunione doveva finire tardi, questo me l’avevi già detto, quindi presumo che ci fosse qualcosa di importante da discutere. Hai un’aria davvero provata, in più” e cercò i suoi occhi con insistenza. “Fury ha chiamato sei volte per sapere se eri tornato. Naturalmente, non gli ho domandato niente” aggiunse con un pizzico di superiorità e Tony colse il sentimento, malcelato, di astio che la sua dolce metà provava nei confronti del capo dello S.H.I.E.L.D. “ma ho detto a Jarvis di controllare la tua posizione e sei stato sulla spiaggia di Los Angeles oggi pomeriggio e ci vai solo quando sei davvero sconvolto. Non ti ho chiamato perché pensavo volessi rimanere solo” concluse e lo guardò stavolta con preoccupazione. Tony abbassò il viso e pensò.
“Bene” disse paziente Pepper. “Mentre tu decidi se dirmelo o meno, io finisco di preparare la cena.” Si allontanò dal divano, accarezzandogli delicatamente una guancia, e ritornò in cucina. Tony la seguì con lo sguardo e rimase a fissare la porta della stanza attigua.
Certo che era provato. E turbato. E anche sconvolto. Quello che era successo quella mattina l’aveva assolutamente lasciato senza parole e si era davvero sentito mancare la terra sotto i piedi. Insomma, tutto ciò per cui aveva combattuto in vent’anni di vita si era rivelato falso; non solo, proprio nel momento in cui aveva deciso di accettare non solo la morte ma anche l’atteggiamento che suo padre – ed era ancora incredibile poterci pensare in quel modo – aveva avuto nei suoi confronti durante tutta la sua vita, lui si ripresentava lì, rivelandosi per quello che era veramente: un bugiardo, e un genitore mancato. Non poteva neanche definirlo davvero pessimo perché Howard non era mai stato un padre: quando Tony era nato, lui lavorava ancora per l’esercito e tutta la sua attenzione era concentrata nella ricerca di una soluzione per trovare quell’idiota con la padella che si era ibernato da solo. Negli anni successivi, era passato a lavorare in modo sempre più assiduo per le Stark Industries e Tony era rimasto ancora una volta in secondo piano: il figlio di Howard Stark doveva essere geniale e Tony non era mai troppo intuitivo, troppo brillante, troppo rispettoso per lui. Quando era morto, Tony si era ritrovato da solo e l’assenza della madre era stato uno scoglio molto più arduo da valicare perché lei si era occupata di lui, sempre; nulla a che vedere con il magnate delle armi, il primo eroe della guerra americana, uno degli inventori della bomba atomica, per il quale l’unico interesse era scolpire il proprio nome a fuoco nella storia. Quanto contava un figlio? Un figlio a cui non aveva mai detto di voler bene, di stimare, che aveva mandato con gioia in collegio? Quanto poteva un video di pochi secondi colmare anni di maltrattamenti e indifferenze? Di bugie.
Fingere di essere morto era stato davvero l’apice. Tony conosceva abbastanza l’ambiente per sapere che poteva succedere che una persona ritenuta morta da tutti fosse viva – insomma, la Bella Addormentata fra i Ghiaccioli ne era l’esempio lampante – ma la chiara mancanza di stupore da parte di tutti men che sua era un dato da non trascurare. Nel caso non avesse potuto comunicare con nessuno, allora avrebbe capito; ma la situazione scomoda e imbarazzante in cui si era ritrovato quella mattina aveva indicato tutt’altro: lui era l’unico a non sapere e a giudicare dall’espressione sul volto di Howard non sembrava affatto una cosa a cui attribuire troppa importanza.
Certo, perché no? Aveva Capitan Padella, il superpotenziato o quello che diavolo era diventato a botte di iniezioni di siero nella sua zucca vuota. Che facessero pure gli amiconi rievocando insieme i ricordi lieti di quando trascorrevano amabilmente le loro giornate a farsi bombardare dai Nazisti. E dire che gli aveva persino regalato la padella; Tony ricordava bene come l’unico regalo che Howard avesse mai fatto a lui fosse stata una caramella gommosa. Ed era suo figlio.
Un sospiro più pesante degli altri gli sfuggì dalle labbra e scosse la testa.
“Hai fame?”
La voce di Pepper lo richiamò alla realtà e lui sorrise di nuovo.
“Certo” replicò e si sedette di fianco a lei sul tappeto del salotto, chinandosi sul tavolino basso dove lei aveva predisposto tutto. Perfetta, come sempre.
Mangiarono tranquillamente, parlando di cose superficiali e Tony apprezzò infinitamente come Pepper riuscisse a capirlo così bene, come gli desse tempo, nonostante soffrisse a sua volta vedendo lui soffrire senza neanche saperne il motivo. Aveva pensato a lei per tutta la giornata. Immediatamente dopo la riunione disastrosa, era salito in macchina e aveva imboccato la strada per Los Angeles, con la ferma intenzione di rimanere solo e magari di cogliere l’occasione e affogarsi. Poi aveva concluso che lui era Iron Man e che non avrebbe concluso proprio niente in quel modo; si sarebbe solo bagnato i vestiti appena stirati e gli dispiaceva dover mandare di nuovo Happy, che aveva acquisito quella mansione dopo la promozione di Pepper, in tintoria. Una volta smontato dalla Jaguar, però, si era sentito più solo che mai e l’unica cosa che aveva sentito di volere accanto a sé era Pepper. Così aveva imboccato di nuovo la strada per Malibu ed era tornato a casa.
Aveva appena ingoiato l’ultimo boccone, quando le prese la mano e la trascinò al divano. Lei si sedette, liberandosi del grembiule, e lui si stese poggiando la testa sulle sue gambe. Giocava con le sue dita intrappolate in una mano.
“Alla riunione… c’era Howard.”
Pepper non disse niente e Tony la guardò. Nei suoi occhi, intravide un pizzico di incredulità, turbamento e poi preoccupazione. Sentì la mano libera cominciare ad accarezzargli i capelli.
“Com’è possibile?”
“Non lo so, non chiedermelo. Me ne sono andato” replicò scrollando le spalle.
Pepper annuì e Tony chiuse gli occhi. Non era la prima volta che si stringevano così, anzi c’erano state innumerevoli occasioni in cui il contatto era stato molto più approfondito, e non era neanche la prima volta che Pepper lo vedeva in uno stato simile, quasi indifeso, ma non avevano quasi mai parlato di Howard. Pepper aveva sempre saputo che non era un argomento di cui lui parlasse volentieri e l’unica occasione in cui ne avevano discusso era stato dopo il rinnovamento del cuore di palladio grazie ad video di Howard stesso.
Non disse niente, voleva aspettare che fosse lui a parlare.
“Mi sento a pezzi” bisbigliò in un sospiro triste e Pepper scosse la testa, socchiudendo gli occhi. La sua mano continuava instancabile ad accarezzargli la fronte.
“Lo sapevano tutti, sai? Tutti… perfino Capitan Padella. Era ridicolo. Volevo prendere a pugni tutto. Non riesco a capire nulla… non capisco come non abbia potuto dirmelo.”
“È normale che tu ti senta così” disse lei paziente. “Ti senti deluso, amareggiato, dispiaciuto. E hai ragione.”
“Che devo fare?” le chiese stanco.
“Aspettare” rispose lei pronta. “Sei davvero sconvolto. Hai bisogno di un po’ di tempo per assorbire la notizia e renderti seriamente conto della situazione. Devi darti l’opportunità di comprendere come stanno le cose e di decidere se vuoi sapere il passato. Aspetta qualche giorno e deciderai se voler dare una possibilità ad entrambi.”
Tony rise e scosse il capo.
“Come fai ad avere sempre ragione?” le chiese divertito.
Lei sorrise di rimando e si fece più vicina.
“Sono la ragazza di Iron Man” replicò soddisfatta. Lui annuì, compiaciuto.
La ragazza di Iron Man… suona bene, signorina Potts.”
Pepper sorrise ancora, poi si fece di nuovo seria.
“Comunque davvero: prenditi un po’ di tempo e decidi se vuoi sapere la verità.”
“Tu lo vorresti?” le chiese titubante.
Aveva pensato molto a quella domanda tutto il pomeriggio. Sapeva bene che Pepper, proprio come lui, si era trovata sola al mondo sin da piccola, e non avrebbe voluto rievocarle dolore con quella domanda. Tuttavia, aveva bisogno di consigli e non esisteva persona al mondo di cui si fidasse più di lei.
“Be’, quando i miei genitori sono morti, io non avevo rapporti conflittuali con nessuno dei due…” iniziò tranquilla. “Se mi succedesse qualcosa del genere, reagirai male a primo impatto, questo è vero. Ma poi vorrei sapere e mi dispiacerebbe vederti perdere quest’occasione.”
Tony annuì sospirando ancora e pensò che era davvero meraviglioso come potesse essere sempre così sincera con lui. I suoi consigli erano così preziosi ed era fantastico pensare che lei non gli avrebbe mai mentito.
“Vieni qui” le bisbigliò dolcemente e lei gli sorrise, chinandosi verso di lui e le loro labbra si incontrarono. Tony chiuse gli occhi e si lasciò trasportare e fu beato oblio: lei era l’unica cosa davvero reale e autentica al mondo, il suo profumo favoloso e inebriante a fargli girare la testa, le sua dita delicate a sfiorargli il viso, le sue labbra morbide e sempre entusiaste a muoversi armoniose sulle proprie…
“Signore, c’è il signor Fury in linea. Chiede di parlare con lei.”
La voce di Jarvis fu davvero irritante e Tony vagliò seriamente l’ipotesi di prendere la sua scheda madre e immergerla nel succo di clorofilla a tempo indeterminato. Aprì la bocca, in quella cha sicuramente si apprestava ad essere una risposta scortese e molto poco galante, ma Pepper lo anticipò.
“Avverti il signor Fury che non siamo in casa, Jarvis. Non vogliamo essere disturbati stasera. Grazie” rispose adorabile e Tony sorrise ancora. Se il mondo fosse caduto e tutto avesse cominciato a diventare buio e senza speranza, lui sarebbe sopravvissuto in ogni situazione perché lei era la sua luce personale e l’avrebbe illuminato sempre.
“Andiamo a dormire” aggiunse poi e lo trascinò per mano verso la camera da letto.
Tony la guardò, lasciandosi guidare nella stanza laterale, senza riuscire a smettere di ridere e di cercare il suo volto, adorante e ammaliato. Lei rise con lui e ricambiava il suo sguardo, con le guance che arrossivano per l’imbarazzo.
Arrivarono fino al centro della stanza e lei finalmente si girò, gli gettò le braccia al collo e lo baciò come non l’aveva mai baciato. Tony sospirò nel contatto e la prese in vita, rispondendo al bacio e stringendola a sé con forza.
“Perché non vuoi essere disturbata?” le sussurrò, giocando con il primo bottone della camicia. Lei gli lanciò un’occhiata scettica e maliziosa e si aggrappò alle sue spalle.
“Pensavo avessimo lasciato qualcosa in sospeso stamattina. E a me non piace lasciare le cose a metà, soprattutto sul lavoro. Dovrebbe saperlo, signor Stark” lo blandì dolce e lui sorrise ancora.
“Mi ricordi di darle un aumento domani” le soffiò riverente e la baciò di nuovo.

 












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Fatto :)
Dunque, ho questa long in cantiere da un po' e sto circa a metà lavoro, per cui la posto. Sono molto agitata perché è la mia prima storia a capitoli non raccolta che scrivo e mi ci sono impegnata davvero tanto. 
Questi sono i casi in cui non ci sono mai generi abbastanza, perché avrei dovuto metterli quasi tutti: ci sarà fluff, angst, malinconico, romantico, azione, suspence, comico... tutto, insomma. Ho inserito il raiting arancione, invece che il lime o contenuti forti; ci saranno delle scene un po' più spinte - un po' di sex e qualche mazzata -  avviso subito, ma niente di troppo forte, anzi ho cercato di mantenermi abbastanza sul semplice e spero di esser riuscita nel mio intento *paura* 
Non so come mi sia venuta in mente questa storia, ma avevo una voglia pazza di scrivere su di loro e ho pensato ad una situazione simile *-* Mi piace il rapporto che lega Tony, Howard e Steve e non ho resistito alla possibilità di metterceli tutti e tre ;) 
Il titolo è un verso di una canzone che m ha fatto venire in mente la storia - If we never meet again - mentre quelli dei capitoli - e qui mi sono divertita un sacco :D - sono i nomi di famosi telefilm a cui ho cambiato qualche lettera. Insomma, li ho presi e ho fatto qualche gioco di parole - contrari, sinomini, cambio di un paio di lettere. 
Dunque, ancora qualche cosina: 
-Pretty little liars è il titolo originale di un telefilm americano; 
-la storia sarà - credo - di venti capitoli più un epilogo;
-l'allusione alla violoncellista è libera ispirazione ad una battuta nel film. 
Penso di aver detto tutto. Dunque io vi lascio e spero che vi piaccia questo squallido inizio. 
Un bacio e alla prossima!
Mary 

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Capitolo 2
*** Capitolo II – Phil dal telefono ***


Capitolo II
Phil dal telefono



Il sole era sorto da molte ore quando Pepper si svegliò, la mattina seguente. Stirò le braccia verso l’alto e sollevò le spalle, cercando di aprire gli occhi ancora appesantiti dal sonno. Finalmente riuscì nell’impresa e il suo sguardo mise a fuoco l’orario sulla sveglia posata al comodino laterale: erano le undici e mezza. Sorrise divertita al pensiero che a quell’ora, solo meno di due anni prima, si trovava già in quella casa, ma con tutt’altri scopi e mansioni. Non poteva fare a meno di pensare quanto fosse bello ritrovarsi la mattina in quella stanza senza il compito di raccogliere vestiti stracciati di modelle poco raccomandabili da mandare in tintoria. Un sorriso spontaneo le incurvò le labbra piene e si voltò, ancora stretta dalle braccia di Tony, per accarezzargli delicatamente il viso. Era ancora addormentato e i tratti perfetti del suo volto apparivano così dolci e pacifici in quel momento; non sapeva se era a causa della situazione tremenda in cui si era ritrovato o dell’innato senso di protezione che Pepper aveva sviluppato in tutti quegli anni nei suoi confronti, ma sembrava davvero indifeso. Un sospiro muto le divaricò appena le labbra, prima che si posassero sulle sue. Tony si svegliò subito e, quando Pepper fece per allontanarsi, la trattenne a sé per approfondire il contatto. Lei scosse a testa e si lasciò trasportare.
“Sei terribile” gli sussurrò paziente, lasciando che lui le baciasse la fronte.
“Sei tu che mi hai svegliato” replicò lui, tenendo ancora gli occhi chiusi per la stanchezza.
“Io veramente ti ho appena sfiorato. Non è colpa mia se ti svegli così facilmente” ribadì Pepper a sua volta, consapevole che, comunque, alla fine avrebbe avuto ragione lui.
“Senti chi parla…” bisbigliò malizioso. “Mi sembra che sia stata tu ieri sera a trascinarmi qui, in questo vortice illegale di passione. Sei tu che ti accendi facilmente.”
Lei arrossì, indispettita, e lo colpì a un braccio, facendo schioccare le dita sul muscolo teso e possente.
“Ahia! Attenzione, signorina Potts… il ferro fa male” la canzonò lui in tono vizioso.
“Dovrei prenderti a calci” lo rimproverò lei, fingendosi pensierosa.
“Non funzionerebbe. Ti faresti solo male gli alluci” replicò lui compiaciuto.
“Potrei provare a vendere le tue automobili, allora…”
“I miei giocattolini, dici? Naaah, non credo che esista qualcun altro al mondo ricco come me.”
“Potrei uscire con il signor Hammer, allora. È tanto che me lo chiede e sarebbe davvero scortese continuare a rif-…”
Pepper non finì di parlare: in un attimo, le labbra di Tony furono tutte sulle sue e le sue braccia la strinsero a lui con forza ed entusiasmo. Lei rispose e finalmente si guardarono negli occhi.
“Non era una buona idea?” chiese soddisfatta, giocando con una ciocca dei capelli di lui.
“No” rispose lui, fra il disgustato e il perentorio.
“Perché?” domandò lei, carezzevole.
“L’hai detto tu, no? Ieri sera. Sono la ragazza di Iron Man. E la ragazza di Iron Man è proprietà privata. Un po’ come Iron Man per lei” illustrò ragionevole e Pepper sorrise ammirata per come fosse riuscito a ricambiare il concetto.
“Salvo in calcio d’angolo, Stark” concluse compiaciuta.
Tony si avvicinò a lei e le aveva appena sfiorato le labbra, quando lo squillo del telefono li interruppe.
“Dobbiamo liberarci di quell’aggeggio” affermò irritato. Lei scoppiò a ridere e afferrò la cornetta a fianco al letto.
“Pronto?” disse fra le risate.
“Pronto? Pepper, sei tu?”
Pepper riconobbe subito la voce dall’altro capo della linea, ma sentiva in sottofondo anche altre persone e capì di essere in viva voce. Si sentì lievemente imbarazzata per la situazione: Phil sapeva che quel numero corrispondeva alla linea privata del telefono in camera da letto e il fatto che tutti l’avessero sentita rispondere da quell’apparecchio, a quell’ora, così in fretta e soprattutto con quella voce felice e soddisfatta poneva diverse domande e creava una situazione abbastanza ambigua. Anzi, no: non c’era nessuna situazione ambigua. C’era un’unica, inequivocabile spiegazione. Dannazione.
“Phil!” esclamò fingendosi gaudiosa e spensierata. “Come stai?”
“Signore, c’è il colonnello Rhodes che chiede di lei.”
Tony annuì a Jarvis e si infilò un paio di pantaloni. Poi si rivolse a Pepper.
“Ti aspetto in cucina” le bisbigliò tranquillo, prima di andare incontro all’amico.
“Bene, grazie. Tu?”
Per quanto loro due avessero sempre avuto un meraviglioso legame di salda a affezionata amicizia, Pepper era piuttosto sicura che non fosse del tutto disinteressata la telefonata, quanto più a quell’ora e a quel numero.
“Bene, grazie. Come va con la violoncellista?” chiese innocente. Se aveva intenzione di strumentalizzare la loro amicizia per convincere Tony a fare qualcosa che non aveva voglia di fare o, peggio, che lo facesse star male, allora che si preparasse alla battaglia, perché di certo lei non si sarebbe fatta manipolare da un pirata senza capelli e da qualche finto notaio.
“Violoncellista? E chi diavolo è?”
Pepper sentì una voce curiosa risponderle sullo sfondo e si diffuse un brusio incredulo; percepì la voce di Phil in imbarazzo e capì di aver fatto centro. Bingo.
“B-Bene” replicò lui a disagio. “Grazie dell’interessament-…”
“Bene?” ripeté lei fingendosi stupita. “Sei sicuro? Tony mi ha detto che avete avuto qualche problemino tecnico…” continuò, mordendosi il labbro inferiore per reprimere l’istinto di scoppiare a ridergli in diretta telefonica. Un altro brusio, più potente e rumoroso del precedente, si diffuse dall’altra parte e Pepper cominciò a pensare che, dato tutto quel compiacimento e anche quel pizzico di sadismo, si stava decisamente facendo influenzare da Tony. Stranamente, la cosa sembrava non disturbarla più di tanto; anzi.
Problemino tecnico?” ripeté Phil e, malgrado non lo vedesse, Pepper era certa fosse diventato rosso come un peperone.
“Sì, Phil” continuò pacata. “Problemino tecnico, insomma. Per questo, mi ha detto che voleva darti il numero di qualche amica del colonnello… una trombettista, magari. Rhody dice che sono le più scatenate e che ti aiuterebbe a risollevare il tuo v-…”
“Oh Santo Cielo!” esclamò d’un tratto Phil e Pepper si godette la sfumatura di panico che impregnava la sua voce. “Non mi ero accorto di quanto fosse tardi. Devo proprio andare o Fury mi ucciderà.”
“Immagino” replicò lei e il suo tono era glaciale adesso.
“Allora, ti saluto. Anche Tony.”
“Certo” rispose lei tranquilla. “Oh, e Phil? Non osare richiamare più per Howard. Quando vorrà, lo farà lui. Per il momento, gradirei che lo lasciaste in pace.”
Senza aspettare la risposta, riagganciò e sgattaiolò fuori dalle coperte. Afferrò di malagrazia una camicia dall’armadio di Tony e un paio di calzini, poi raggiunse lui e Rhody in cucina.
Erano entrambi seduti vicino al bancone a bere spremuta e a parlare fittamente tra loro.
“Ciao, Rhodey” disse lei, andandosi a sedere vicino a loro.
“Ciao Pepper” rispose lui gioviale. “Mi fa piacere vederti.”
“Anche a me” replicò lei e sentì il suo buonumore crescere appena.
Tony le avvicinò il suo bicchiere e lei ne svuotò il contenuto.
“Rhodey è venuto per darci una grande notizia, bimba” annunciò orgoglioso e lei rivolse l’attenzione al colonnello.
“Sul serio?” chiese entusiasta. Rhodey sorrise, soddisfatto.
“Il senatore Stern è stato incaricato dal Presidente di ritirare tutte le precedenti accuse contro Tony e di versare un’ingente somma in favore della sua azienda, come ammenda per gli errori passati e segno di buona volontà per il futuro.”
“Poveraccio. Doveva saperlo che nessuno può nulla contro Tony Stark” dichiarò il diretto interessato incurvando le labbra in un ghigno malefico. Pepper scoppiò in una risata cristallina.
“Dai!” esclamò dandogli una gomitata giocosa. “E lui?” domandò curiosa.
“Ah, lui non ha detto una parola” continuò Rhodey ridendo a sua volta. “Zitto e fa.”
“Be’, è il minimo” replicò Tony sempre più compiaciuto. “Dopo tutto quello che mi ha fatto passare, è tanto se non lo costringo a leccarmi i piedi e ci tengo a specificare che è solo perché mi disgusterebbe più della sua faccia ai processi, il che è tutto dire.”
Risero tutti e tre e Tony cominciò a parlare soddisfatto di quale vacanza organizzare con la somma che Stern gli avrebbe donato, iniziando una lunga disputa fra Hawaii e New Mexico.
“Sarà meglio che vada ora” disse Rhodey dopo parecchio tempo. “Al comando si staranno chiedendo che fine abbia fatto. Volevo darti la notizia di persona” continuò ghignando beffardo.
“Ti accompagno” disse Pepper e precedette il colonnello nel corridoio. Una volta arrivati alla porta, Rhodey si rivolse a lei a voce bassa.
“Grazie per avermi avvisato” le sussurrò riconoscente.
“Oh, figurati” rispose lei, noncurante. “Pensavo fosse il caso lo venissi a sapere direttamente da noi e lui non sembra dell’umore adatto per discuterne già, ma gli ha fatto molto piacere vederti. Grazie a te, quindi” concluse con un sorrisetto.
Rhodey rise con lei.
“Meno male che ha te” asserì fiducioso. “Non so come farebbe altrimenti.”
“Oh, dai” negò lei, imbarazzata. “Non faccio niente di particolare.”
“Niente di particolare?” ripeté Rhodey strabuzzando gli occhi. “Scherzi? Senza di te, non riuscirebbe più a vivere e ti assicuro che non sto solo parlando di lavoro. A presto, allora.”
Pepper sorrise, ancora un po’ a disagio, e lo osservò tornare alla sua auto. Poi, fece a sua volta dietrofront in cucina e trovò Tony intento a guardare la televisione con aria concentrata.
“È successo qualcosa?” gli chiese cauta.
“No” rispose subito lui. “È questo il problema.”
“In che senso?” domandò lei perplessa. “Non succede niente ed è un problema?”
“Non capisco” sospirò lui pensieroso.
“Neanch’io” concordò Pepper e gli passò davanti per prendere un biscotto dallo scaffale, ma Tony le afferrò un braccio e la trascinò su di sé.
“Secondo te” le chiese, guardandola negli occhi sinceramente inquieto. “Perché Nick ha organizzato quella riunione? Perché ha fatto venire Howard, dopo anni che l’ha tenuto nascosto? Dev’essere successo qualcosa di grosso, di veramente grave. Eppure” continuò impaziente “non è successo niente. Non un’esplosione, un rapimento, una minaccia. Niente di niente.”
Pepper capì cosa intendeva e si morse il labbro pensierosa.
“Forse è qualcosa che non è ancora successo, ma che accadrà o che potrebbe accadere” tentò, cercando di trattenere la rigidità che provava ogni qual volta veniva citato il capo dello S.H.I.E.L.D..
“Forse” appoggiò Tony pensieroso. Dopo qualche istante, la guardò di nuovo.
“Che voleva Phil?” chiese scettico.
Pepper emise un piccolo sbuffo incredulo. Sapeva di essere la fidanzata di uno degli uomini più intelligenti del mondo, ma, per quanto fosse entusiasmante essere la donna di un genio, qualche volta si rivelava leggermente snervante.
“Diceva di avermi telefonata per parlare con me, giusto per un saluto, ma non capisco perché, se è così, ha dovuto farlo davanti all’intera combriccola di supereroi&Co. E con il viva voce” rispose indifferente. “Cosa ridi?” gli chiese indispettita.
“Stavo pensando che sei davvero favolosa quando ti arrabbi” la blandì lui, ammirato. Lei sbuffò ancora, ignorando il rossore che le aveva imporporato le guance, suo malgrado.
“Anche se un po’ la cosa mi offende, devo ammettere” continuò serio. “Pensavo di essere l’unico capace di farti irritare.”
“Oh, non preoccuparti” lo rassicurò lei deliziosa. “Nessuno sa farmi arrabbiare come te.”
“Bene” aggiudicò Tony soddisfatto. “E gli hai agganciato il telefono in faccia?”
“Oh, non proprio” spiegò lei innocente. “Siamo sempre amici e mi sembrava doveroso informarmi come stesse lui, oltre che concedergli l’opportunità di capire il suo errore e di fare ammenda in futuro. Così… be’, diciamo che potrei avergli chiesto della violoncellista e alluso ad eventuali problemini tecnici… e avergli anche proposto soluzioni quali trombettiste e donne scatenate. Di conoscenza di Rhodey, ovviamente” sottolineò minacciosa.
“Ovviamente” ripeté lui accomodante. “Io ce l’ho già la mia melodia” aggiunse adorante e Pepper si sentì avvampare di nuovo. Maledetto adulatore narcisista.
Poi Tony scoppiò a ridere.
“Hai veramente parlato di… problemini tecnici?” chiese fra le risate.
“Certo!” esclamò lei, incredula. “Sai che adoro Phil, ma non mi è piaciuto questo scherzetto.”
“Orgoglioso di lei, signorina Potts” le concesse Tony, chinando leggermente il capo in un’imitazione di galanteria d’altri tempi che di certo non avrebbe trovato in alcun modo fuori luogo Capitan Padella. “Fa sempre piacere osservare la mia bimba diventare una tigre per difendermi.”
“La tua metafora è assolutamente imbarazzante” affermò Pepper in fiamme.
“Se pensi che me ne uscirò con qualcosa sul genere di ‘Adoro osservare il tuo sguardo dolce prendere fuoco nel tentativo di salvarmi la vita’ magari durante una conversazione in cui io sto su un areo e sto per schiantarmi e tu mi ascolti in lacrime pronta per sacrificarti nel mio nome, giurandomi che, dopo la mia morte, vivrai nel mio ricordo, senza amare mai nessun altro, con un consequenziale invito a ballare per un appuntamento a cui, lo sappiamo entrambi, non ci sarò, te lo scordi. Non mi chiamo mica Rogers-Padella-Io-Ho-Sconfitto-I-Nazisti-Con-Onore-Prima-Di-Ibernarmi-Da-Solo-Per-Il-Bene-Del-Mondo, sai.”
Pepper non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere.
“Non capirò mai perché lo odi tanto” dichiarò ancora scossa dai singulti.
“Perché non lo conosci” replicò prontamente Tony. “Nessuna persona sana di mente lo amerebbe.”
“Pensavo fosse simpatico agli altri Vendicatori” gli fece notare Pepper.
“E infatti io parlavo di persone sane di mente” sottolineò Tony. Guardò la televisione e sospirò.
“Sarà meglio che mi faccia un giretto in laboratorio, devo sistemare un paio di cosette alla Mark V” disse poggiando le labbra sul collo di lei.
“Perfetto” sorrise lei soddisfatta. Era felice che lui non perdesse la voglia di lavorare nonostante tutto. “Io devo risolvere alcune faccende in ufficio e devo incontrare la signora Clarke prima di sera. Ci vediamo stasera?” gli chiese, avviandosi lentamente verso la camera da letto.
“Assolutamente sì” le bisbigliò lui impertinente.
 

*

 
“Ecco i documenti che mi aveva chiesto, signorina Potts.”
Pepper alzò lo sguardo dal computer e prese il plico di fogli che la segretaria le stava porgendo.
“Grazie mille, Stephanie” le sorrise con aria affabile. “La signora Clarke è già arrivata?”
“Sì, signorina Potts” rispose l’assistente in tono professionale. “La faccio passare?”
“Sì, grazie mille.”
Stephanie annuì tranquilla e uscì dalla studio; vi rientrò dopo pochi istanti seguita da una signora anziana dai folti capelli grigi e l’aria amabile. Era piuttosto robusta e indossava uno strano completo di tweed che Pepper avrebbe trovato più consono ad un tè in campagna; con un sorriso a stento represso, pensò a Tony e le venne in mente che lui di certo avrebbe citato Capitan Padella. La signora venne in avanti e si accomodò con grazia su una poltrona scarlatta aldilà della scrivania, sorridendo cordiale e sbattendo le ciglia sugli occhi chiari che si celavano dietro le lenti cerchiate di cuoio giallo.
“Buongiorno signorina Potts” la salutò educata e Pepper sorrise a sua volta, colpita dall’energia che quel viso incrinato di rughe riusciva ad emanare.
“Buongiorno a lei, signora Clarke. È un piacere conoscerla” ricambiò cortese.
“Il piacere è mio, signorina. Ho sentito molto parlare di lei” aggiunse con un guizzo divertito nelle iridi celesti che incurvò anche le sottili labbra rosee. Pepper la guardò incuriosita.
“Davvero?” chiese spiazzata.
“Oh sì. Mio figlio, che il Signore lo tenga con sé, era un suo grande ammiratore. Sa” continuò seria. “Se n’è andato che aveva solo diciannove anni, in un incidente stradale. Voleva diventare il nuovo Tony Stark” disse con un risolino affettuoso. “E seguiva con passione le sue ricerche. Il suo nome era sempre inevitabilmente accostato a quello del signor Stark, quindi era impossibile che non me ne parlasse. Diceva sempre che voleva trovare anche lui, la sua Virginia” concluse ed estrasse il portafoglio, osservandone il contenuto con aria malinconica.
“Era lui” disse e porse una piccola foto a Pepper. Lei la prese con mani tremanti e osservò il viso giovane ed entusiasta che ritraeva lo scatto. Sul volto energico e felice, si intravedevano due perle cerulee incastonata negli occhi.
“Era bellissimo” disse colpita.
“Oh, sì” concordò la signora con entusiasmo. “Assomigliava tanto a suo padre. Che il Signore tenga anche lui con sé. È sparito con Jacob in quello stesso incidente. E così io” riprese con più fervore “mi sono ritrovata a capo di una grande azienda. Sa, non aveva mai capito niente di importazioni prima che non mi ritrovassi nell’ufficio di Gerald, ma poi mi sono abituata. Le donne devono sapersela cavare e lei è davvero un grande esempio per le giovani ragazze del futuro.”
“Grazie” sussurrò Pepper a disagio.
“Si figuri, signorina” replicò la signora affabile.
Un silenzio imbarazzante cadde fra loro e Pepper prese un documento dal plico che Stephanie le aveva appena consegnato.
“Signora Clark…”
“Mi chiami Agatha” la interruppe la signora sempre con il suo tono cordiale.
“Agatha” ripeté Pepper. “Mi chiami Virginia.”
“Virginia? Allora, è vero, è così che si chiama? È delizioso. Se avessi avuto una figlia, l’avrei chiamata così” sorrise Agatha.
“Grazie” rise ancora Pepper. “Volevo incontrarla per metterci d’accordo sulla questione delle esportazioni, per l’appunto. Il signor Stark è intenzionato a finanziare un progetto per esportare, infatti, dei nuovi prodotti che assicurino l’utilizzo dell’energia eolica, più consona e salutare non solo per l’ambiente ma anche per la popolazione, nei paesi dell’Africa occidentale.”
“Mi sembra un progetto davvero benefico” approvò Agatha annuendo. “Dove devo firmare?”
Pepper rimase spiazzata.
“Non vuole prima leggere il prospetto?” chiese titubante.
“Non ce n’è bisogno, cara Virginia. Il prospetto è lei e mi fido del suo giudizio” sorrise ancora amabile. Si chinò sulla scrivania e trascrisse il suo nome in caratteri chiari ed eleganti.
“È stato davvero un piacere conoscerla” aggiunse, alzandosi in piedi per stringerle la mano.
“Anche per me” ricambiò Pepper, affascinata.
“Spero che il signor Stark lo sappia” aggiunse poi, osservando con sguardo sognante la foto sopra la scrivania. Pepper la ricordava bene: l’avevano scattata il giorno del loro anniversario, a Parigi. Tony la stringeva a sé e lei teneva una mano sulla sua guancia. Entrambi guardavano l’obiettivo dal basso con espressione felice.
“Cosa?” chiese Pepper, perplessa.
“Quanto è fortunato” aggiunse tranquilla. “Arrivederla, Virginia.”
“Arrivederla, Agatha” replicò, arrossendo furiosamente.
Si lasciò cadere di nuovo sulla sedia e l’orlo dell’elegante gonna bianca che indossava si alzò con un piccolo sbuffo.
“Signorina Potts?”
“Dimmi, Stephanie” disse pronta.
“I suoi appuntamenti sono finiti” dichiarò la segretaria diligente.
“Bene. Puoi andare, grazie.”
“A domani, signorina.”
“A domani, Stephanie” ribadì Pepper e prese la borsa dalla scrivania, lanciando un ultimo sguardo carico d’affetto alla cornice sul tavolo.
 

*

 
“Grazie Happy.”
Pepper scese dall’auto stringendo la borsa in una mano e camminò verso l’entrata della villa. Mentre raggiungeva il cancello, vide un’ombra attenderla e aguzzò la vista per capire chi fosse.
“Phil” sospirò esasperata una volta giunta davanti al cancello. “Che ci fai qui?” Gli chiese stanca.
“Volevo parlarti” rispose lui con espressione colpevole e dispiaciuta. “Stamattina hai staccato subito e non mi hai dato il tempo di spiegarti.”
“Spiegarmi cosa?” domandò lei, guardandolo indecisa. “So che Fury è il tuo capo e devi fare quello che dice, ma Tony è tuo amico e, se a lui non interessa come sta, a te dovrebbe! È a pezzi, Phil.”
“Lo so” intervenne subito lui e sembrava davvero dispiaciuto. “Mi dispiace, sul serio. Nessuno di noi voleva che lo scoprisse in questo modo e so che Nick non ti piace, ma anche lui non è felice di questa situazione.”
“Certo che non è felice!” replicò Pepper sprezzante. “Ha un Vendicatore in meno a proteggere il mondo, che tragedia!”
“Non è così” lo difese Phil debolmente. “Nick ci tiene a Tony, anche se magari non glielo dimostra…”
“Smettila di difenderlo, Phil, sul serio. A Fury non interessa nulla se non gestire le vite degli altri. Appena si è accorto di non avere più ascendente su Tony, ecco che si è sentito mancare la terra sotto i piedi e io non ho alcuna intenzione di passare un altro minuto qui fuori a sentir parlar bene di lui.”
Allungò una mano verso il cancello e vece per aprirlo, ma Phil la bloccò.
“Siamo in pericolo, Pepper. Abbiamo bisogno di Tony, lui è l’unico che ci può aiutare” bisbigliò disperato.
“Phil, non è solo Iron Man” asserì ferita. “Per quanto possa sembrare forte, anche lui prova dei sentimenti e ora ha bisogno di tempo.”
“Ti prego, digli che abbiamo bisogno di lui” la pregò implorante. Pepper lo guardò triste, poi lo superò.
 

*

 
“Oggi ho incontrato la signora Clarke” bisbigliò Pepper fra le lenzuola, facendo scorrere le dita carezzevoli sul petto di Tony, nel punto in cui la lucina azzurra indicava il battito del suo cuore.
Tony la osservava da una spalla, lasciando che le sue mani giocassero con i capelli ramati di lei, sparsi sulla sua schiena e il proprio torace.
“Com’era?” le chiese in rimando, senza smettere di respirare il suo profumo ammaliante.
“Non lo so. Mi ha lasciata spiazzata un po’. Sembra una donna incredibilmente forte” sussurrò lei con le labbra premute sulla sua scapola.
“Ti assomiglia, allora” replicò lui con la voce roca. Dopo tutto quel silenzio, era strano conversare di nuovo.
Pepper sorrise divertita.
“Mi ha raccontato che il figlio e il marito sono morti in un incidente d’auto e lei ha preso le redini dell’azienda” mormorò malinconica. Percepì Tony irrigidirsi a quelle parole, ma fu solo un istante; l’attimo successivo, era un'altra volta calmo e rilassato.
“Ti ha turbata?”
“No, non turbata… però mi ha fatto pensare” rispose lei scrollando le spalle.
Sentì le mani di Tony sollevarla leggermente e i loro occhi si incontrarono.
“Cos’è che non mi dici?” le bisbigliò tranquillo.
Pepper deglutì e si morse il labbro inferiore, abbassando appena le palpebre. Una mano andò a sfiorare una guancia a Tony.
“Non lasciarmi” gli mormorò spaventata. “Mai. Giurami che non mi lascerai e che non ci sarà nessuna missione, nessun pericolo, niente in grado di separarci.”
Lui sospirò e sorrise, poi la prese fra le braccia.
“Io non ti lascerò mai, bimba. Te lo prometto.”
Lei annuì e si lasciò stringere, senza allontanare il palmo dalla luce azzurra.
“Ho incontrato anche Phil” continuò serafica. “Voleva scusarsi per stamattina, almeno credo. E poi mi ha detto di dirti che c’è una nuova missione e che solo tu puoi aiutarli.”
Le sue dita si strinsero attorno al suo cuore. Tony se ne accorse e le baciò i capelli.
“Non ancora” replicò stanco e Pepper annuì e cercò le sue labbra.
“Baciami” gli soffiò sulla bocca. “Baciami tutta la notte.”
Quando si staccarono, lei scoppiò a ridere.
“Cosa?” le chiese lui sospettoso.
“Agatha… la signora Clarke, voglio dire… mi ha chiesto se sai quanto sei fortunato.”
Lui sollevò le sopracciglia con fare malizioso e la baciò ancora.
“Dille che Tony Stark è nato con la camicia. E dille anche che lo sa benissimo.”

 






























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Buonasera a tutti :) 
Come va? Spero bene, di certo meglio che a me. Devo dire che non avrei mai immaginato che l'Università potesse essere così stremante e dire che sono sconvolta è ben poca cosa. Purtroppo cado da sonno e non ho tempo di rispondere singolarmente alle recensioni, ma vedrò di recuperare nel weekend ^^
Ho deciso di postare il primo capitolo il primo giorno all'Uni e spero che questa FF non ne subisca la sua funesta influenza. 
Prima di lasciarvi, qualche piccola precisazione: 

[1] Phil dal futuro è il nome di un telefilm americano; 
[2] il senatore Stern è un personaggio di Iron Man 2 che cerca in tutti i modi di privare Tony dell'armatura a favore dello Stato; 
[3] Happy Hogan è l'autista di Tony, nonché sua guardia del corpo. Stephania e Agatha, invece, sono dei personaggi di mia invenzione;
[4] il film con Elija Wood a cui ho alluso nello scorso capitolo si chiama The Faculty .

Grazie di cuore per le vostre recensioni, i vostri complimenti. Siete la luce in questo momento di buio assoluto. <3
A presto, Mary. 

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Capitolo 3
*** Capitolo III – Covert in affair ***


Capitolo III
Covert in affair



“No, non quello rosso… quello giallo. No, non quello rosso… ancora, no. Quello giallo… giallo, sì! Come i canarini, il sole e le mammole a Primavera… ah, le mammole a Primavera sono viola? E a Malibu sono gialle, va bene? Sì… sì, sì… sì… grazie. Arrivederci.”
Tony diede un lungo sospiro e finalmente riagganciò il telefono. Erano passati poco più di venti giorni dal suo ultimo acquisto alla Rolex e non poteva credere che in solo tre settimane il loro personale fosse diventato così scadente fino ad arrivare all’assumere giovani dotati di poco udito e scarsa intelligenza. Scosse la testa con aria incredibilmente paziente, del tutto fuori luogo e anche leggermente insensata data la pazienza che solitamente occorreva agli altri per relazionarsi con lui, e riprese a concentrarsi sui documenti che aveva davanti: aveva chiesto a Jarvis di procurargli tutte le possibili informazioni sullo S.H.I.E.L.D. e sul recente lavoro dei suoi agenti, ma, dopo ore e ore infinite di vana ricerca, era stato costretto ad ammettere che, diavolo, Nick sarebbe stato anche un grandissimo idiota, come gli occhi di Pepper suggerivano di continuo ogni qual volta se ne parlava, ma con i segreti ci sapeva fare, eccome. Poi, aveva avuto un’illuminazione: si era improvvisamente ricordato della password che Fury stesso aveva dato ad ogni Vendicatore per accedere alle informazioni in caso di pericolo immediato e impossibilità di comunicare ed era riuscito a sapere tutto ciò che voleva. Naturalmente, aveva poi pensato con un sorriso compiaciuto: lui era Tony Stark.
“Ehy, Ferro vecchio, dai una sistemata alla scrivania” disse distrattamente, continuando ad osservare un volto pallido stampato su uno dei fogli che maneggiava con cautela.
Avvertì il cigolio metallico del braccio meccanico iniziare a riordinare il tavolo alle sue spalle e sospirò di nuovo, portando due dita a massaggiare pesantemente le palpebre stanche.
“Problemi?”
La voce di James lo fece trasalire con tanta violenza che i fogli caddero rovinosamente dalla scrivania al pavimento, cospargendo il pavimento di pietra.
“Rhodey!” esclamò stupito. “Come mai da queste parti?”
Il colonello scrollò le spalle e lo raggiunse alla scrivania, aiutandolo a recuperare i documenti sparsi ai suoi piedi.
“E questo chi è?” gli chiese, scrutando con le sopracciglia aggrottate in un’espressione pensierosa di fronte al viso pallido e arrogante dell’uomo sulla carta. Aveva due occhi bulbosi e sottili, dal taglio raffinato e scuro, di una vaga sfumatura verdastra e la fronte spaziosa e arguta. Il naso era piuttosto pretenzioso e il mento sporgeva appena mettendo in evidenza il fisico prominente. Le pelle chiara sembrava leggermente tirata sotto il collo, dove una cicatrice segnava il colorito scuro e i capelli di un vago castano chiaro gli coprivano il capo squadrato.
“Ancora non lo so” rispose lui pensieroso e gettò di malagrazia i fogli sulla scrivania. Poi rivolse di nuovo l’attenzione al suo amico e scosse la testa, incuriosito.
“Come mai da queste parti?” gli domandò pacato.
“Niente” replicò prontamente Rhodey. “Sono solo venuto a farti un salutino.”
“Mhm” rispose Tony scettico. “Te l’ha detto Pepper? Da quanto lo sai?”
“Di che parli? E smettila di muggire, sai quanto mi irriti” ribadì Rhodey seccato.
“Vuoi dirmi da quanto lo sai, sì o no? Da ieri? È per questo che sei venuto a trovarmi così presto? Volevi sapere come stavo?” continuò Tony, sempre incredibilmente rilassato, mentre si sedeva di nuovo sul suo sgabello preferito.
“Non capisco di cosa-… oh, e va bene. Sì, lo sapevo anche ieri. E sì, volevo vedere se era tutto a posto. Non capisco quale sia il problema: sei il mio migliore amico, è normale che voglia assicurarmi che tu stia bene, soprattutto quando ti ritrovi in questi pasticci” spiegò ragionevole.
“Smettetela di fare tutti le mammine” disse Tony spazientito. “Sto bene. Ho solo bisogno di quale altro giorno per assorbire la cosa…”
“Hai bisogno di uno psicanalista, un paio di pillole sonnifere e quattro mesi in vacanza in New Mexico.”
“L’avevo detto a Pepper ieri mattina, ma lei continuava a ripetere che le Hawaii sono più…”
“Tony, lascia perdere le scuse. Devo partire” aggiunse dispiaciuto.
Tony strabuzzò gli occhi.
“Cosa?” chiese meravigliato.
Rhodey annuì, suo malgrado.
“C’è un problema a Washinton e hanno richiesto la mia presenza. Starò due mesi laggiù. Volevo chiederti di venire con me.”
Tony annuì, comprensivo. Lui e James erano stati amici da sempre e sapeva che Rhodey non l’avrebbe mai voluto lasciare in un momento del genere, ma un comando era un comando e come tale non andava discusso. E lui aveva una faccenda importante da risolvere. Sorrise e scosse la testa.
“Non posso. Ci sono delle cose di cui mi devo occupare e non posso scappare per sempre.”
Rhodey annuì, quasi a disagio.
“Be’, se hai bisogno di me, sai che sono laggiù.”
“Certo.”
“Mi raccomando.”
“Sta’ tranquillo.”
“Non cacciarti nei guai.”
“Va bene, mammina.”
“E comportati bene.”
“Sicuro.”
“E ascolta Pepper.”
Tony sbuffò.
“Sarò un esempio di angelo.”
“Oh sicuro” replicò Rhodey scettico. “Non ho dubbi.”
Scoppiarono entrambi a ridere e Rhodey gli diede una pacca sulla spalla, attirandolo in un breve abbraccio. Si staccarono quasi subito.
“Mi raccomando.”
“Ancora… sta’ tranquillo.”
Tony lo accompagnò fino alla porta e rimase ad osservarlo imboccare la strada per i confini della California.
“Bene” disse una volta di nuovo in laboratorio. Riprese i documenti e osservò ancora quel volto pallido.
“Dov’eravamo rimasti?”
 

*

 
“Grazie mille, Stephanie. Ci sono altri appuntamenti oggi?”
Stephanie si voltò verso la sua superiore e sbatté le palpebre sui diligenti occhi scuri.
“No, signorina” rispose con prontezza. “Ma c’è una visita inattesa.”
“Di chi si tratta?” chiese Pepper, eppure già sapeva quale fosse la risposta.
“Il signor Coulson. Lo faccio passare?”
Pepper sospirò. Non era esattamente il suo stile, quello. Insomma, solitamente, quando Tony aveva dei problemi nei suoi rapporti con gli agenti dello S.H.I.E.L.D., Phil si rivelava sempre molto attento e imparziale e lei non si faceva mai coinvolgere in quelle situazioni. Quella, però, era una circostanza del tutto nuova e la sua amicizia con Phil era stata messa a dura prova a causa di quello scherzetto di Fury. Ma davvero era disposta a distruggere il legame con il suo più grande amico solo per rancore?
“Fallo entrare, Stephanie. Grazie.”
La segretaria annuì diligente e uscì dallo studio. Pochi istanti dopo, entrò Phil.
Al posto del suo solito completo gessato elegante, indossava un semplice paio di jeans e una camicia a righe bianche e blu. Un’espressione di sincero pentimento gli incrinava gli occhi colpevoli.
“Ciao, Pepper.”
Pepper alzò lo sguardo dalla borsa, in cui aveva appena finito di porre gli ultimi documenti, e lo fissò sul suo migliore amico, ancora in piedi davanti la scrivania. Fece un cenno con la mano e lui si sedette.
“Mi dispiace, Pepper. Sul serio. Non avrei dovuto cercare di forzare le cose con Tony e non avrei dovuto tacergli la verità. Solo… pensavo di fare la cosa giusta. Nick continuava a ripetere che dovevamo aspettare, prima di farglielo sapere, per cercare di guadagnare tempo e gestire la cosa nel miglior modo possibile e ho finito col dargli retta. Insomma, lui è il mio direttore, cerca di capire. E poi davvero agiva anche lui per il bene di Tony. Certo, gli ha mentito su tante cose, ma non l’ha mai fatto con lo scopo di ferirlo veramente ed è dispiaciuto anche lui per come si sono svolte le cose. Mi dispiace anche di aver sfruttato la nostra amicizia per convincerti a influenzare per fare una cosa che non voleva. Non avrei dovuto. Scusami.”
Phil concluse, riprendendo a respirare con la bocca, e arricciò le labbra in una smorfia mortificata. Pepper scosse la testa e fece il giro del tavolo per abbracciarlo. Gli strinse le braccia al collo e affondò il viso nell’incavo della sua spalla, lasciando che le mani di Phil si allacciassero dietro la sua schiena.
“Dispiace anche a me” disse una volta che si furono separati. “Non avrei dovuto maltrattarti in quel modo, non sono stata molto comprensiva con te e avrei dovuto.”
“Non importa” rispose subito Phil. “Avevi le tue buone ragioni. Tony dice sempre che sei il centro del suo mondo e lui è la persona più importante della tua vita.”
Pepper sorrise e annuì.
“Non so che farei se non ci fosse lui” sussurrò quasi a se stessa. “Proverò a parlargli” aggiunse poi in tono più gioviale. “Stasera.”
“Non devi farlo solo per noi, Pepper. Sul serio, non…”
“Non è per Fury o Howard. Lui deve di parlare con suo padre, adesso. Ha solo bisogno di qualcuno che gli stringa la mano mentre lo fa.”
“Pepper, lui ha sempre bisogno che tu gli stringa la mano” ripeté Phil con un sorriso dolce. Lei ricambiò il sorriso e arrossì.
 

*

 
“Sono tornata!”
La voce di Pepper risuonò nell’ampio ingresso di villa Stark più tardi del solito quella sera. Lei e Phil avevano passato molto tempo a discutere nell’ufficio e, quando entrambi si erano ricordati di controllare l’orario, era già piuttosto tardi. Pepper aveva afferrato la borsa velocemente e si era affrettata a salire nella macchina in cui Happy la stava aspettando, per tornare a casa con un ritardo accettabile. Appena ebbe varcato la soglia della villa, si rese immediatamente conto che Tony stava architettando qualcosa. Solitamente, quando lei rientrava più tardi del normale, lui la aspettava vicino al tavolo dell’atrio, per poi rimproverarla della sua mancanza di puntualità con un sorriso beffardo e provocatore e allora Pepper gli lanciava la borsa sul suo grandissimo volto da consumato tombeur des femmes e finivano sul divano a fare la lotta, da cui Tony, avvantaggiato da ore di allenamento corporeo e un prestanza fisica naturale, usciva sempre vincitore. Una volta chiusa la porta alle sue spalle, Pepper si sfilò le scarpe, lasciandole sulla soglia, e scrutò curiosa la luce soffusa che proveniva dal salotto. Camminò incuriosita fino al tavolo e vi lasciò cadere sopra la borsa, per poi proseguire attraverso l’atrio, il corridoio e la cucina. Giunta al limitare della stanza, si affacciò verso il salotto e finalmente vide cosa stava succedendo: Tony era seduto accanto al tavolino sul tappeto e stava finendo di predisporre gli ultimi tocchi sulla tovaglia perfettamente imbandita. Ad allestire la vivace stoffa cremisi, c’erano tovaglioli, posate, due bicchieri dal becco lungo e una bottiglia di vino bianco; nello spazio fra i due calici di cristallo sottili, vagava a mezz’aria un piccolo pesce di vetro all’interno del quale una luce soffusa illuminava fiocamente tutta la stanza. Pepper entrò silenziosamente nella stanza, lasciando che l’orlo dell’abito bianco avorio a fantasie azzurrine che indossava fluttuasse dolce nell’aria, accarezzandole con delicatezza le ginocchia; il calore le colpì il petto, scoperto appena dall’ampia scollatura a V, e le spalle, parzialmente vestite dalle bretelline ricamate in pizzo ceruleo.
“Ehy” sussurrò sorridendo colpevole.
Tony alzò lo sguardo su di lei e la guardò come se non l’avesse mai vista. Improvvisamente, tutto perse di senso e Tony acquisì la piena consapevolezza di quanto ogni cosa fosse racchiusa in lei e in quell’attimo in cui si toccavano con gli occhi.
“Ehy” replicò colpito. “Ho preparato la cena” aggiunse poi, in tono gioviale ed evidentemente compiaciuto. Pepper scosse la testa ridendo e si sedette sul tappeto di fronte a lui.
“Omelette?” lo canzonò scuotendo la chioma ribelle sulle spalle con aria divertita.
Lui rispose al sorriso di scherno con una smorfia di pura soddisfazione.
“Spaghetti” replicò orgoglio e afferrò il manico dell’unico, grande piatto sul tavolo, scoprendone il contenuto. L’odore caldo dei pomodori e delle polpette inebriò Pepper e lei sorrise colpita.
“Complimenti, signor Stark. Sta decisamente migliorando in arte culinaria” gli concesse suo malgrado e prese la forchetta, iniziando ad avvolgere la pasta ancora bollente.
“E devo dire” continuò facendo scorrere la lingua attorno alla salsa che le aveva appena imbrattato le labbra “che sono davvero fantastici.”
Lui sorrise, con aria compiaciuta, e prese a mangiare con lei.
“Aspetta” disse fra le risate, vedendo uno spaghetto sfuggirle dalla bocca. “Ti aiuto io.”
Sporse un dito e le allungò il filo di pasta alle labbra, poi lasciò scorrere la mano sulla sua guancia e lei arrossì.
“Cos’è questo aggeggio?” chiese dopo un po’ Pepper, osservando perplessa il minuto pesce di cristallo illuminare ancora la tavola.
“Oh, è solo una piccola, semplice, geniale invenzione per evitare di scadere nella banalità. Tony Stark non usa candele” asserì lui altezzoso e Pepper rise di nuovo.
“Davvero bravo. Lo sai, sono veramente fiera?”
Tony incurvò il viso in un inequivocabile sorriso di vittoria, ma Pepper intravide qualcosa di strano nel suo comportamento. Non che Tony non amasse cucinare, la sua incapacità in materia non l’aveva mai fermato e capitava spesso che, soprattutto quando lei tornava più tardi, fosse lui a mettersi ai fornelli. Eppure, c’era qualcosa che non quadrava: la tovaglia, il pesce, la pasta e quella risatina nervosa che accompagnava le sue parole dette troppo in fretta. Convinta di viaggiare troppo con la fantasia, Pepper scacciò quel pensiero noncurante e si concentrò nuovamente su Tony. Bevve un sorso di vino bianco e riposò il bicchiere, ma, nel farlo, urtò contro il piccolo pesce di cristallo e quello cadde sulla tavola, evidenziando una minuscola frattura fra il rilievo della pinna e la superficie liscia del corpo.
“Oh!” esclamò distratta. Lo prese fra le mani e accarezzò con tocco lieve quell’incrinatura. Si morse il labbro con fare nervoso e stava per scusarsi, ma i suoi occhi si assottigliarono incuriositi, concentrandosi accorti sull’oggetto brillante che luccicavano all’interno dell’insolita lampadina. Deglutì, incredula, e sfiorò di nuovo la frattura: sulla superficie cristallina, si era aperta una piccola fessura e Pepper allungò due dita per farvi scorrere il contenuto, minuscolo e raggiante. Il palmo della sua mano tremò appena quando l’oggettino splendente vi cadde con un tintinnio divertito. Sentì la bocca dischiudersi per la sorpresa e il cervello bloccarsi, incapace di realizzare l’esistenza e la concretezza di quell’ente che si era improvvisamente materializzato al centro della sua mano sudata. Respirò profondamente e rivolse lo sguardo luccicante alla persona davanti a sé. Un nodo alla gola le impediva di parlare, così sbatté le palpebre.
Tony sorrideva, divertito e imbarazzato; un vago colorito cremisi gli tingeva le guance sotto la barba.
“Non credevo che ti avrei lasciata davvero senza parole” disse senza perdere la sua proverbiale ironia neanche quando la sua faccia ardeva dalla gioia e l’emozione. “Spero rientri nei tuoi gusti, comunque. Inizialmente, pensavo di prendere una perla. Rhodey dice che la perla è il simbolo dell’eternità. Oppure il quarzo rosa, rappresenta l’amore. O anche il diamante… insomma, lui è per sempre, no? Ma poi ho letto su una rivista che, se regali alla tua fidanzata un anello con la pietra dello stesso colore dei suoi occhi, allora il matrimonio sarà fortunato. E poi ho pensato che noi non abbiamo bisogno di emblemi di amore, eternità o robe varie. L’unico simbolo che per me conta davvero sei tu.”
Pepper deglutì ancora una volta e dischiuse le labbra per cercare di respirare meglio. Gli occhi continuavano a luccicare, traboccanti di emozione. Tony girò attorno al tavolo e si sedette sul tappeto accanto a lei; le prese una mano fra le sue e sfilò con delicatezza l’anello dal piccolo palmo di Pepper, poi accarezzò l’anulare sudato e vi avvicinò il cerchietto di cristallo. Fra due stelline di diamanti, brillava infinita una pietra azzurra di acquamarina a forma di goccia, la cui sfumatura raggiante e cerulea ricordava in maniera ammaliante lo sguardo della ragazza a cui ormai apparteneva.
“Dunque” ricominciò Tony e sembrava più agitato che mai. “Io… insomma, be’… ecco…” continuò, poi prese a bisbigliare fra sé. “Vorresti prendere… no, ti piacerebbe… non trovi sia il caso… uhm…”
“Tony” lo ammonì Pepper ridendo.
Tony prese un respiro profondo e chiuse gli occhi. Li riaprì e straripavano di adorazione.
“Sposami” le disse con voce colma di devozione e amore.
Pepper sorrise dolce, poi si rese conto della sua richiesta,  sollevò le sopracciglia e lo guardò scettica.
“Te l’eri quasi cavata, Stark” lo rimproverò impaziente. “Ti sei fregato sul finale. È evidente che ti sei perso un paio di passaggi. Quando si pone la domanda, come suggerisce la stessa parola, si pone una domanda, in modo libero e democratico. Non puoi essere così egocentrico e prepotente fino a questo punto… insomma, tu me lo chiedi con gentilezza e io ti rispondo. La tua è un’imposizione autoritaria e assurda. Non posso credere sul serio che tu…”
Tony la baciò. Poggiò con delicatezza le labbra sulle sue e le dischiuse con lentezza esasperante. Quando si allontanarono, sorrideva vittorioso; Pepper avvertì il leggiadro peso del cristallo sul suo anulare.
“Non riesci nemmeno a farmi la dichiarazione senza litigare” lo rimbrottò, ma sorrideva così tanto che il suo volto sembrava aver rubato la luce alla stella più luminosa.
Tony sorrise, compiaciuto ma adorabile.
“Giusto per farti capire come sarà la nostra vita insieme” replicò soddisfatto.
“Cioè, con litigi, disaccordi, baci prepotenti…”
“… e amore.”
La sua mano le sfiorava con delicatezza una tempia, mentre l’altra stringeva l’anulare promesso. I suoi occhi ammiravano insaziabili il viso della sua fidanzata.
“Ti amo” le disse ed era così saturo di sincerità, devozione, amore che Pepper sentì le lacrime inumidirle lo sguardo. Si morse il labbro inferiore e lo baciò di nuovo.
“Anch’io” gli sussurrò di rimando e si strinse a lui.
Tony la prese fra le braccia e le loro labbra si unirono ancora, ancora, ancora.
Quando si allontanarono dopo cinque, dieci, cento baci, sorridevano entrambi. Pepper lo accarezzò e gli poggiò la mano brillante sul cuore.
Lo voglio.”
 

*

 
“Allora?”
La voce impaziente di Howard risuonò nella piccola stanza buia.
“Ancora niente” rispose in uno sbuffo nervoso Nick e storse le labbra in una smorfia di disapprovazione. La porta all’ingresso si aprì e Steve entrò nella camera.
“Buonasera a tutti” disse tranquillo. Si sfilò il giubbotto di pelle beige e si sedette a fianco del direttore.
“Coulson ha già chiamato?” disse, spostandosi con disinvoltura una ciocca castana dalla fronte.
Fury scosse la testa e uscì dalla stanza, iniziando a trafficare con il suo cellulare.
Howard sospirò, impaziente.
“Tutto bene?” gli chiese cauto il Capitano. “Sembri agitato.”
Howard scosse la testa e si lasciò cadere su un divano dalla stoffa scarlatta e dall’orlo sdrucito. Si passò una mano fra i capelli e sospirò ancora.
“Sono passati quasi tre giorni e non c’è nessun segnale da parte sua” bisbigliò rassegnato. “Non mi aspettavo che mi saltasse in braccio appenami vedesse, ma speravo in un po’ più di comprensione… o almeno, un tentativo di accettare la cosa…”
Steve guardò l’amico con un sorriso triste.
“La verità è che ha ragione lui” continuò Howard. “Non sono mai stato un buon padre, sai. Ho passato troppo tempo a occuparmi del futuro per occuparmi di lui. Non avergli detto la verità neanche questa volta dev’esser stato l’apice, per lui.”
Steve lo raggiunse sul divano e gli diede una pacca sulla spalla.
“Hai dedicato la vita a ciò che amavi di più” lo scosse incoraggiante.
“Avrei dovuto dedicare più tempo anche a lui, però. Un figlio ha bisogno di suo padre e lui non ne ha praticamente mai avuto uno. Solo uno scienziato” concluse scuotendo il capo colpevole.
Steve lo guardò, stringendogli la spalla con più forza.
“Anche io ho sbagliato con lui” confessò. “Tante volte l’ho giudicato ingiustamente. Non avrei dovuto farlo anche in quel momento… mi sono fatto prendere dalla rabbia, provocandolo in un momento molto difficile per lui. Non avrei dovuto” ripeté in un sospiro dispiaciuto.
“Sai” riprese più allegro. “Quando l’ho incontrato la prima volta, stavo per essere attaccato e lui mi ha aiutato. Era incredibile. A prima vista, sono rimasto senza parole. Me ne avevano parlato tutti: dicevano che era geniale, intelligente, divertente, che tutti e tutte si innamoravano di lui. Sembra molto più freddo di quanto in realtà non sia… pensavo che fosse solo un presuntuoso ed egoista e invece è quasi morto per salvare la vita a me e al resto del mondo. È davvero molto coraggioso e altruista.”
Howard sorrise fra sé.
“Sono contento che tu stia bene” disse a voce improvvisamente alta. Rischiarò la gola e respirò.
“Oh, be’… è stato un po’ difficile, ma alla fine è andato tutto bene. Anche se tutto questo è davvero incredibile.”
Howard rise profondamente divertito.
“Hai ragione. Non ti nego che ci sono un paio di cose che perfino io stento a capire.”
“C’è Coulson.”
Fury rientrò nella stanza, con gli agenti Romanoff, Barton e Coulson alle calcagna. Thor era dietro di loro e giocherellava distrattamente con il Mjolnir.
Phil prese il centro della stanza e tutti gli fissarono gli occhi sopra.
“Allora?” incalzò Natasha.
Phil annuì serafico.
“Ho parlato con Pepper fino a poco fa e mi ha assicurato che proverà a convincere Stark” disse cortese.
“Cosa? Non l’ha ancora convinto?” domandò Clint, perplesso. Phil lo incenerì con lo sguardo.
“Barton, non si tratta solo della missione” replicò glaciale. Barton replicò con lo stesso tono gelido.
“Non si tratta della tua amicizia con Stark e la sua amichetta.”
Phil serrò la mascella.
“Prima di pensare al lavoro, dovremmo pensare ad altre cose più importanti…”
“Sì, certo” continuò Barton freddo. “La tua amichetta ti ha convinto delle stesse stupidaggini di cui ha riempito la testa a Stark…”
“Abbiamo sbagliato la prima volta. Pepper ha ragione, dobbiamo dare a Tony il tempo necessario per…”
“Non c’è tempo!” proruppe Clint e si alzò di scatto. “Vi state tutti facendo infinocchiare la testa da quella ragazzina e…”
“Smettila di chiamarla così!” gridò Phil e anche lui sembrava aver perso il controllo.
Steve si frappose fra i due.
“Non è il caso di agitarsi” intervenne pacato.
“Chi è questa Lady Pepper?” domandò Thor perplesso.
“La ragazza di Stark” rispose Phil tranquillo, senza smettere di fissare Barton glaciale.
“Stark ha una ragazza?” chiese Steve strabuzzando gli occhi.
“Tony ha una ragazza?” domandò in contemporanea Howard. Fury soffiò scettico. Natasha annuì.
“Da tredici anni” rispose calma.
“Cosa?” chiese Steve senza fiato e senza freno. “E come fa?”
Phil roteò gli occhi al cielo e prese posto anche a Thor, l’unico che non sembrava sconvolto dalla notizia.
“Anche l’uomo di ferro ha un cuore” asserì con tono ridicolmente saggio.
“Non è questo il punto” sbuffò spazientito Barton. “Si è fatto riempire la testa dalle stupidaggini che lei gli dice. Fa tutto quello che vuole e lei sa tutto: di noi, delle missioni, dei suoi codici segreti… non c’è nulla che lui non le dica” concluse con aria disgustata.
“Si fida troppo di lei” rincarò la dose Fury con aria esasperata.
“Esagerate” replicò pacata Natasha. “La descrivete come se fosse una strega.”
“E non lo è?” domandò Barton retorico.
“A me non è mai sembrato.”
“Tu la conosci?” chiese Howard cauto.
“Sì. L’ho conosciuta quando ho lavorato per Stark, quando il direttore voleva che lo controllassi. Era la sua segretaria, lo è stato per dieci anni, ma si può praticamente dire che stessero insieme già all’epoca: lavoravano insieme, vivevano insieme… sembrano quasi sposati.”
“Ci mancherebbe altro!” esclamò sprezzante Barton. “Come se già ora non facesse abbastanza tutto quello che dice lei.”
“Davvero?” domandò Steve, ancora piuttosto turbato dal fatto che esistesse qualcuno con la possibilità di conquistare la fiducia di Stark e a cui lui fosse disposto a dar retta. Che fosse capace di amarlo e di riuscire a suscitare in lui lo stesso folle sentimento.
“Hai sentito, Howard? Sei quasi suocero” aggiunse Clint, sdegnoso.
“Non può essere così male” bisbigliò Howard accorto.
“Infatti” concordò Phil.
“Certo che per te non lo è” gli andò contro Clint. “È la tua migliore amica, come potrebbe essere altrimenti?”
“È la tua migliore amica?” ripeté Steve, sempre più incredulo.
“Non vedo il problema” rispose Phil distaccato.
“Il problema, Coulson” continuò Barton. “Sta nel fatto che lei non è una fan dello S.H.I.E.L.D. e lo allontanerà dal progetto Vendicatori.”
“Non lo farà. Pepper sa quanto è importante la situazione e anche lei vuole che parli con Howard…”
Il diretto interessato sbarrò lo sguardo, colpito.
“… perché sa che Tony ne ha bisogno. Lo conosce meglio di noi e, per quanto la cosa non ti piaccia, non ti conviene mettere Stark di fronte ad una scelta. Sceglierebbe sempre lei.”
“Il vostro accanimento è immotivato” aggiunse Natasha sempre con lo stesso tono tranquillo.
“Lei ci odia” specificò Fury con espressione altezzosa.
“Odia te, non tutti noi, e solo perché non fai altro che riempire il suo ragazzo di palle” replicò Natasha con tono poco cordiale. “Avrà avuto un momento di astio nei confronti di tutti solo perché abbiamo nascosto a Stark la verità, ma come vuoi vedere, non sembra aver cancellato Coulson dalla sua vita per sempre.”
“La vostra amicizia con lei è immotivata” la contrariò Barton.
“Ma cosa centra Lady Pepper in questa storia?” chiese Thor senza sbattere le ciglia con aria incompresa.
“Phil ha parlato con lei per cercare di contattare Stark e lei gli ha assicurato che proverà a convincerlo a parlarci, ma Nick e Clint pensano che sia solo una bugia e che lei cercherà solamente di allontanare ulteriormente Tony da noi” riassunse brevemente Natasha.
“Lady Pepper non è una menzognera” affermò con sicurezza e solennità il dio del tuono, come se sapesse quello di cui stava parlando.
Barton roteò gli occhi al cielo con aria davvero esasperata.
“Giuro che se non fosse un semidio…”
“Clint” lo ammonì Natasha. “Smettiamola di dire stupidaggini. Dobbiamo fidarci di Virginia. Punto. Vedremo che fra qualche giorno Stark si farà vivo.”
“E ora chi è Virginia?” chiese Steve con una smorfia angosciata. Non stava veramente capendo nulla.
“Sempre la ragazza di Tony. È il suo nome di battesimo, ma tutti la chiamano Pepper.”
“E perché?” Chiese Thor.
“Non lo so, Thor, lascia perdere” stroncò Clint. Fury guardò l’orologio.
“Dobbiamo tornare alla base” annunciò precedendo la squadra fuori dalla stanza. Tutti lo seguirono.
Steve fu il primo ad uscire dall’edificio, il primo ad essere attaccato. Aveva appena varcato la soglia quando due uomini lo afferrarono per le braccia, coprendogli il volto con un fodero, e trascinandolo con la forza sul sedile posteriore di un’automobile. Howard, Fury, Barton e Phil lo seguirono dopo pochi istanti e la macchina partì sgommando, mentre Thor stava ancora litigando con la maniglia.
 























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Buon pomeriggio miei Vendicatori *-*
Eccomi di nuovo qui con il seguito di questa storiellina storielluccia :D Uhllà, ho un sacco di cosette da dirvi. Allora, prima di tutto, voglio ringraziarvi per le meravigliose recensioni a cui risponderò il prima possibile, per quei tantissimi pazzi che seguono/preferiscono/ricordano questa follia e dirvi che vi ringrazio di cuore, immensamente, con tutto l'affetto immaginabile e più <3 Mi rendete davvero felice. <3
Poi, spero che gradiate questo seguito. Allora, avete visto? Si sposano *-* A questo proposito, spero di non esser sfociata nel fluff eccessivo, ma credo di no, visto anche il trailer del terzo Iron Man - se non l'avete visto, correte perché Stark parte con una dichiarazione da Oscar *-*
Dunque, dunque, le solite precisazioni: 

[1]: Cover affairs è un telefilm americano con protagonista Annie Walker; 
[2]: la storia prende il titolo da un estratto di una canzone di Katy Perry durante il cui ascolto ho pensato alla trama, If we ever meet again
[3]: i pirati e i falsi notai che ho citato nel capitolo scorso, durante la telefonata di Peppe e Phil sono allusioni a Nick e Natasha;
[4]: nel primo Iron Man, Pepper dice a Tony che anche lei non ha nessun altro al mondo e, considerando anche tutto il tempo che passa con lui, ho pensato fosse orfana, ignorando il riferimento alla madre di lei negli Avengers
[5]: la storia della password dei Vendicatori è una mia invenzione; 
[6]: tombeur des femmes è un'espressione francese per intendere playboy
[7]: quello sotto è l'anello che Tony regala a Pepper;
[8]: infine, per quanto riguarda l'odio fra Nick e Pepper, anche questa è stata una semi-invenzione del mio cervello, suggerita da una frase che Nick dice nel secondo Iron Man, alludendo a Pepper come 'a quella ragazza'. Ho pensato di riscaldare gli animi e trasformarlo in qualcosa di più concreto e Clint è sempre stato un tipo scettico. 


Alla prossima! Un bacio a tutti, Mary. 




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Capitolo 4
*** Capitolo IV – How I met your father ***


Capitolo IV
How I met your father



Il sole splendeva raggiante quella mattina tanto quanto lo splendido anello che luccicava fra le coperte color bianco crema in cui era dolcemente avvolta la delicata figura di Pepper. La sveglia aveva da poco segnato le sette del mattino quando un violento tonfo pesante ruppe il silenzio che aleggiava nella casa ancora addormentata. Tony, che camminava per casa con indosso solo un paio di boxer, sbatté le palpebre con aria perplessa e raggiunse l’ingresso con i capelli disordinati e lo sguardo assonnato. Aprì la porta con un enorme sbadiglio. Quando vide la persona che lo aspettava sulla soglia di casa, rimase senza parole.
“Thor?” chiese perplesso, strofinandosi gli occhi con aria stupita. “Che ci fa qui?”
Il dio del tuono stava fuori dalla porta, con aria curiosa e il Mjolnir che si muoveva fra le sue mani sudate e impacciate.
“Uomo di ferro” esordì in tono solenne. “Mi dispiace ferire il tuo animo lacerato, ma ho bisogno di te.”
Tony si fece da parte e lasciò che il dio entrasse in casa. Thor si guardò intorno, ammirato.
“È bella la tua dimora, uomo di ferro” si congratulò appagato.
“Grazie” replicò Tony, non provando il minimo pudore per il suo vestiario, guidando l’amico verso la cucina. L’odore di caffè e pancake riempiva l’aria di dolce e zucchero.
“Che odore divino… è cibo degli dei, questo?” chiese Thor e avvicinò il volto al vassoio colmo di frittelle con aria affamata.
“Serviti pure” disse Tony cordiale e porse al dio un piatto con tre pancake ricoperti di sciroppo d’acero. Thor se ne riversò due in bocca senza esitazione, gustandoli con aria soddisfatta.
“Questo cibo è di discendenza divina” confermò entusiasta prima di nutrirsi della terza frittella. Pepper entrò in cucina proprio in quel momento.
“Tony, con chi stai parlando?” chiese raggiungendo i fornelli. “Oh!” esclamò poi quando i suoi occhi calamitarono su Thor e arrossì furiosamente perché indossava solo una maglia di Tony e nient’altro.
“Buongiorno” sussurrò a disagio.
“Buongiorno, milady” rispose Thor e fu subito davanti a lei, con le labbra che le sfioravano il dorso della mano in un gesto galante che infiammò ulteriormente le guance di Pepper. Tony roteò gli occhi al cielo e sbuffò.
“Dacci un taglio, casanova da strapazzo” gli disse seccato. Thor non lo ascoltò neanche.
“Thor, figlio di Odino. E dio del tuono” si presentò solenne, inchinando il capo come per ossequio.
“Oh… Virginia, ma puoi chiamarmi Pepper” disse lei, scuotendo la testa imbarazzata.
“Ma certo” annuì Thor comprensivo, poi guardò Tony e sorrise. “La donna di ferro.”
Tony scoppiò a ridere divertito e si sedette di fronte all’amico.
“Il tuo soprannome vale più di quanto credi” disse gioviale. “Come mai sei venuto?” gli chiese disinteressato.
“Sono qui, uomo di ferro, per chiedere il tuo aiuto.”
Pepper alzò lo sguardo verso il dio, ora del tutto dimentica di avere le gambe scoperte. Si avvicinò a Tony e si poggiò contro di lui, fissando gli occhi azzurri sulla figura ora preoccupata dell’ospite.
“Ieri sera, dopo la nostra quotidiana riunione alla sede nascosta, un gruppo di Midgardiani ci ha atteso all’uscita, ghermendo a tradimento i nostri compagni. Io solo sono riuscito a sfuggire a questo vile attacco” raccontò con grande empatia.
“Chi sono?” domandò Tony seriamente.
“Non conosco i loro volti né le loro identità” rispose Thor affranto. “Ma hanno condotto i nostri uomini in un dannato aggeggio strombazzante con una fila di numeri sulla coda.”
“Una macchina?” tentò Pepper, stringendo le labbra per evitare di ridere.
“Credo che questa sia stata la parola usata da uno dei codardi che ci hanno aggredito ignobilmente.”
“Aspetta” intervenne Tony, improvvisamente colpito da un’idea. “Thor, per caso ricordi la fila di numeri sulla coda?”
“Certo, uomo di ferro” rispose cordiale il dio. “Un Asgardiano non dimentica mai nulla.”
“E qual era?” domandò di nuovo Tony.
“GL4N573R” replicò Thor ostentando sicurezza. “Non nutro dubbi.”
Tony annuì soddisfatto e si diresse verso il suo laboratorio senza dare spiegazioni. Il dio assunse un’aria perplessa.
“È posseduto da una magia malvagia?” domandò preoccupato rivolgendosi a Pepper che sorrideva divertita.
“No” rispose lei tranquilla. “È solo Tony Stark. Un’altra frittella?”
 

*

 
“Non capisco.”
“Te l’ho già spiegato.”
“Continuo a non capire.”
“Te l’ho già spiegato!”
“Sì, ma non capisco lo stesso!”
Natasha sbuffò sonoramente e allungò una gamba per colpire il ginocchio di Barton e la spalla di Coulson. Entrambi gridarono oltraggiati.
“Ahia!”
“Perché l’hai fatto?”
“Smettetela immediatamente” intimò lei minacciosa.
“Non c’era bisogno di ricorrere alla violenza” si lamentò Clint, usando l’altra gamba per massaggiarsi il punto in cui il violento tacco di Natasha aveva lasciato il segno sulla sua pelle delicata, data l’impossibilità delle sue mani, legate dietro la schiena.
“Mi verrà un livido” affermò poco dopo.
Phil sbuffò spazientito.
“Sei un agente segreto, Barton. Non può venirti un livido per una botta, non avrebbe senso.”
“Sembri Rogers” lo rimbrottò Natasha.
“Ehy!” esclamarono Steve e Clint contemporaneamente.
“Il tuo paragone è del tutto infondato, Natasha. Scusa se te lo dico” s’intromise seriamente colpito Phil. “Steve” pronunciò il suo nome quasi con riverenza, “è un eroe di guerra, nobile e coraggioso. Clint, perdonami, è solo una spia che lancia dardi altamente tecnologici, ma non è un eroe.”
“Io non indosso patetiche tutine luccicanti” ribadì altezzoso Barton.
“Io non sono una ridicola imitazione di Cupido” replicò a sua volta Steve.
“Avete intenzione di ricominciare?”
“Ora basta” intervenne Nick con aria esasperata. “Siamo chiusi da ore in questa stanza polverosa e voi non sapete fare altro che litigare?”
“Non è colpa mia, capo” si giustificò Clint. “Mi annoio.”
“Sì” concordò stranamente Coulson. “Litigare è anche un modo per passare il tempo.”
Natasha respirò per non urlare dal nervosismo.
“Dobbiamo fuggire” disse Howard seriamente.
“Non è possibile” lo contraddisse subito l’agente Romanoff.
“Non ora” si corresse l’altro. “Dobbiamo aspettare che ci facciano uscire.”
“Cosa ti fa pensare che lo faranno?” gli chiese Clint.
Uno scatto improvviso proruppe nella stanza e una decina di uomini dal volto scuro e le braccia muscolose li trascinarono di peso fuori dalla camera facendo forza sui loro gomiti costretti.
Howard sorrise fra i baffi. Clint storse la bocca in una smorfia indispettita.
Furono di nuovo portati nell’auto e stipati tutti nell’abitacolo. La macchina partì con un ruggito possente e non si fermò fino al primo semaforo.
Seccato da tutta quella ridicola situazione, Steve rivolse lo sguardo al finestrino e cominciò a guardare le vie di San Francisco. I suoi occhi azzurri erano concentrati nell’osservazione di uno strano aggeggio di enormi dimensioni da cui si vedevano immagini confuse e assordanti – perché diavolo ci doveva essere un cinema in mezzo la strada, poi?! – quando una figura familiare attirò la sua attenzione. Girò appena la testa, facendo estrema attenzione a passare indiscreto, e aguzzò la vista sul furgoncino bianco alle loro spalle che segnava un’insensata forma geometrica sul cofano e nel quale aveva creduto di vedere la testa di Stark. Passarono alcuni istanti e il furgoncino li superò e Steve si convinse di aver immaginato tutto. Stark lo stava decisamente ossessionando, ancora un po’ e avrebbe cominciato a sognarlo di notte. Dopo non più di due minuti, notò ancora una volta quel rombo accanto all’auto in cui viaggiavano e strinse gli occhi sul vetro per cercare di identificarne il conducente. Proprio in quell’istante, la macchina frenò con uno stridio agghiacciante: un uomo dal volto coperto, con indosso una serie di luridi stracci e una benda a coprirgli l’occhi sinistro giaceva sul cofano, strillando indispettito. Dopo essersi alzato, si rivolse con un accento che lasciava Steve sinceramente perplesso al conducente della loro macchina e cominciò a parlare a sproposito, prorogandosi in mille scuse e accuse. Nel tentativo di ignorare quella voce familiarmente fastidiosa, Steve volse altrove gli occhi e vide dinanzi a sé, aldilà del vetro del finestrino, una ragazza dai lunghi capelli ramati e lo sguardo color del cielo con indosso un semplice paio di pantaloncini in denim e una maglia oversize di una delicata sfumatura pesca. Fra le mani piccole e affusolate, reggeva un cartello bianco con una scritta scura: non respirate.
“Non respirate?” ripeté Steve perplesso e tutti accanto a lui trattennero il fiato.
“… capisce, signure, io nun l’avevu vista mica e allura…”
Fu in quel momento che successe tutto: la ragazza estrasse una bomboletta dalla tasca degli shorts e spruzzò una densa sostanza verdastra sulla portiera della macchina. Quella cedette con un tonfo e Steve fu afferrato per un braccio fuori dall’abitacolo, con le mani finalmente slegate. La ragazza lo superò e fece uscire anche gli altri. Nel frattempo, avanti, il mendicante si era tolto la benda dall’occhio e aveva estratto una pistola dai pantaloni. Steve roteò gli occhi al cielo esasperato.
“È Stark!” gridò uno degli uomini sul sedile anteriore.
“Ma dai. Sul serio?” domandò lui fingendosi sorpreso e colpì chi aveva parlato. “Allora, dovremmo chiedergli un autografo.”
Finalmente anche Phil fu uscito e si mossero insieme verso il furgoncino. L’auto di scorta che li seguiva notò la fuga e iniziò a colpirli. Steve stava per entrare nel furgoncino dietro gli altri, quando notò la ragazza rimanere indietro; fece per correre in suo aiuto, ma Stark lo precedette: scavalcò due automobili, la prese per la vita e saltarono entrambi oltre il furgone. Lei gettò una gamba oltre il sedile di una moto da corsa e partì sgommando, con Thor dietro di lei; Stark li seguì nel furgone.
“Happy, vai!”
Come in attesa di un segnale, il conducente mise in moto il camion altamente tecnologico e partirono. Tutti tirarono un sospiro di sollievo e fissarono lo sguardo sul fautore dell’ansiogena fuga. Stark sembrava quasi non accorgersi dell’attenzione di cui era soggetto e stava osservando con estrema attenzione la canna della pistola.
“Uhm… ho perso tre colpi” ragionò fra sé.
“Come facevi a saperlo?” incalzò Natasha, l’unica che sembrava non aver problemi a dialogare con lui. Tony la guardò stupito.
“Ho aperto la pistola e ho visto il caricatore” rispose con ovvietà. Natasha roteò gli occhi.
“Come facevi a sapere di noi?!”
“Non hai visto il dio del tuono, sul retro della mia Agusta?” chiese tranquillo.
“Questo non spiega molto” replicò Nick in tono pacato.
“No, infatti” gli concesse Tony e posò la pistola per terra. “Ma si ricordava la targa dell’auto in cui vi avevano messi ed è bastato utilizzare un dispositivo di localizzazione seguendo il segnale del congegno elettrotecnico che Phil tiene sempre con sé. Poi non è stato particolarmente complesso risalire al proprietario, quanto più che ero già sulle sue tracce. Damon Glanster” aggiunse di fronte allo sguardo perplesso di Fury. “Quando mi hai chiesto di far parte di una nuova missione, nonostante tutto” continuò sempre con voce pacifica, ma Steve notò che aveva di nuovo abbassato lo sguardo sulla pistola “ho voluto controllare di che si trattasse. Sono entrato nei file segreti dello S.H.I.E.L.D. e ho scoperto che eravate sulle tracce di questo tale. La sua fedina è abbastanza sporchetta, devo dire… comunque, ho capito che doveva averne combinata un’altra, se lo stavate cercando con tanta voglia” concluse calmo. Si guardò intorno, poi i suoi occhi caddero sullo strumento avvolto attorno la vita di Steve e si assottigliarono increduli. “Quello è un marsupio?” chiese dubbioso.
Steve ricambiò lo sguardo stupito e fissò a sua volta l’oggetto estremamente utile che aveva recentemente preso ad abbinare alla sua divisa a stelle e strisce.
“E allora?” replicò tranquillo. “È molto utile e vantaggioso… ci si può mettere di tutto e si può portare sempre con sé.”
Tony sospirò e scosse la testa.
“Non ne avevo mai visto uno. Credevo non li fabbricassero più dal 1947 circa…”
“Tony” lo ammonì bonario Phil.
“Cosa?” chiese lui innocente.
Il furgone finalmente si fermò e tutti scesero dall’auto. Erano in un grande garage dalle pareti grigio metallico e dove erano parcheggiate senza esagerazioni una ventina di automobili, tutte eleganti, sportive e sicuramente costosissime.
Steve le guardò senza fiato. Tony ridacchiò.
“Ti piacciono i miei giocattolini, Capitano?” chiese divertito. Steve aprì la bocca per replicare, ma lo scatto della porta interna lo fece trasalire e i suoi occhi notarono la moto sportiva su cui erano fuggiti Thor e la ragazza rossa.
“Sei in ritardo” disse lei, raggiungendo Stark.
“Problemi di affollamento. Io non me la sono fatta sul giocattolino nuovo” ribadì lui ma sorrideva e Steve capì. Oh, Santo Cielo no. Era così carina.
“Come va?”
“Un amore” rispose lei e il Capitano sorrise ammirato di come lei ribattesse colpo su colpo, senza mai dargliela vinta. Doveva ricordarsi di chiederle ripetizioni; ma magari era solo una questione di allenamento: tredici anni erano veramente tanti. Poi si ricordò che era Stark che stava parlando: sì, erano decisamente tanti.
“Uomo di ferro” intervenne solenne Thor. “Lady Virginia è stata protetta a dovere da me come mi avevi saggiamente richiesto, durante la liberazione dei nostri compagni di viaggio.”
Tony annuì soddisfatto.
“Bravo amico” lo blandì. “Sono orgoglioso di te.”
Thor sorrise come un bambino e la ragazza – Virginia – rise a sua volta. Poi i suoi occhi si posarono su Steve e lui arrossì.
“Quello è un marsupio?” domandò dubbiosa. Steve credette che fosse uno scherzo; guardò Tony con aria sconvolta.
“Vi siete accordati?” gli chiese incredulo. Stark scosse la testa.
“Perché?” domandò a sua volta lei.
“Lascia perdere, Pepper” intervenne Phil ridendo. “Siete fatti l’uno per l’altra.”
“Oh, grazie Phil” rispose lei arguta. “Ma non so fino a che punto considerarlo un complimento.”
Stark la spintonò affettuoso.
“Bruce è in laboratorio?”
“Sì. Mi ha detto di avvertirti che Glanster sembra volersi avvicinare alla California.”
“Probabile” concordò. “Di certo, già sa della fuga. Potresti dirgli di provare a localizzarlo con l’impianto WBB e che lo raggiungo subito?” le chiese gentile. “Prima devo fare una cosa.”
Lei annuì e si voltò verso l’uscita interna. Thor la seguì saltellando allegramente. Steve intanto aveva lo sguardo fisso sul viso di Tony.
Era incredibile, ma si sentiva così profondamente in colpa nei suoi confronti. Non si trattava delle parole crudeli che gli aveva sputato addosso il giorno della riunione, o almeno non solo; dopo che Stark gli aveva salvato la vita e aveva dimostrato di voler provare ad essere suo amico, lui gli aveva deliberatamente taciuto la verità e, anzi, l’aveva addirittura biasimato per il suo comportamento, ricadendo nello stesso errore già commesso la prima volta che avevano combattuto insieme: l’aveva giudicato, di nuovo, senza scrupoli e legittimità. Gli aveva sparato una sentenza in fronte e lui, invece di rispondere alle sue provocazioni, l’aveva ignorato e si era fatto colpire.
Adesso lo vedeva così diverso. Dopo tutto quello che gli avevano fatto, lui era stato disposto a mettere da parte paura e rancore, si era messo in gioco, rischiando la vita – ancora una volta – per salvare la loro. Gli aveva evitato una morte sicura e addirittura li aveva portati al sicuro, in casa sua – perché, se c’era una cosa su cui Steve no nutriva alcun dubbio, era che solo Tony Stark poteva possedere tutte quelle automobili.
“Bentornato, signore. È andata a buon fine la missione?”
Una voce metallica li fece improvvisamente sobbalzare tutti – solo Phil non mosse un dito – e Steve portò la mano al marsupio.
“Sì, grazie mille Jarvis” rispose Stark tranquillo, guidando il gruppo verso una rampa di scale. “Lui è Jarvis, il mio maggiordomo” aggiunse dopo qualche istante e tutti si guardarono intorno alla ricerca dell’individuo, ma non videro nessun uomo. Tony strabuzzò gli occhi.
“È un computer” spiegò con naturalezza. “Non lo potete vedere.”
“Un computer?” ripeté Howard con un filo di ammirazione nella voce. Era la prima volta che parlava.
Tony annuì distaccato e si fermò di fronte ad una spessa porta a vetri. Sulla superficie apparve uno schema numerico e Stark vi digitò alcuni codici; la porta scattò e lui varcò la soglia. Nell’enorme stanza a cui dava accesso, c’era di tutto: macchinari, computer, bracci meccanici, documenti, casse per la musica, modellini, armadi; in uno di questi, Steve intravide la valigetta della Mark VII.
“Come va, dottore?” chiese Tony raggiungendo Bruce davanti al computer principale. Accanto a lui, erano seduti Virginia e Thor.
“Non sono riuscito a localizzare Glanster. Neanche con il WBB” rispose rassegnato, poi vide i nuovi ospiti e sorrise. “State bene?” chiese cordiale.
“Sì, grazie” replicò Fury seccato e raggiunse anche lui la scrivania tecnologica. “Dovremmo parlare di alcune cose” affermò solenne.
“Parla, allora” disse Tony e si guardarono. Steve era sicuro che aveva notato come gli occhi del direttore fossero saettati con superiorità sulla ragazza. Virginia si alzò.
“È meglio che salga” disse e fece due passi in avanti. Stark le afferrò il braccio.
“Non c’è bisogno” asserì perentorio, senza distogliere lo sguardo dal viso di Fury. Virginia alzò il volto e finalmente  si guardarono. Steve abbassò il capo, quasi imbarazzato. Non si sentiva particolarmente a disagio per il modo in cui solitamente le persone innamorate si relazionavano in pubblico, anche dinanzi a lui, ma quella circostanza era assolutamente diversa: innanzitutto, era già incredibile pensare che Stark potesse tenere a qualcuno in quel modo così profondo, ma poi non riusciva a comprendere come fosse unico il modo in cui lui e Virginia si guardavano. Non era stucchevole, dolce o amorevole; era come se stessero discutendo e c’era complicità e comprensione reciproca, a tal punto che Steve quasi si sentì mancare il fiato. La voce di Phil rimbombò forte e chiara nella sua testa e pensò che, dannazione, aveva ragione anche quella volta.
Non ti conviene mettere Stark di fronte ad una scelta. Sceglierebbe sempre lei.
Stava scegliendo lei. Finalmente Steve capì: certo, Stark aveva deciso di rischiare la vita, di accettare la bugia ed essere disposto ad andare oltre, ma i suoi occhi vedevano il modo quasi disperato con cui si reggeva alla sua Virginia e capì che era lei che l’aveva convinto ed era lei che lo stava sostenendo. Stark non aveva bisogno di aiuto in battaglia o contro i nemici, ma di qualcuno che gli stringesse la mano mentre pensava che non poteva accettare quell’ennesima menzogna. Lei l’aveva convinto a riprovare e dare a loro una seconda possibilità; nel momento in cui fosse venuta a mancare, tutto sarebbe crollato.
“Tony ha ragione, Virginia” disse Fury fra i denti e finalmente quel silenzio agghiacciante fu rotto. Il suo nome suonava un sibilo stressato dalle labbra scure del direttore. “Puoi restare.”
“Certo che può restare” replicò prontamente Stark. “È casa sua. Sta dove le pare.”
Nick serrò la mascella e inspirò profondamente. Steve notò lo sguardo paziente che Virginia rivolse a Stark e si chiese come facesse a trattenere l’impulso di prenderlo a calci; lui non ce l’avrebbe mai fatta.
“Dunque” cominciò il direttore con voce alta e tono professionale. “Come tutti avrete ormai capito, cioè quasi tutti…” continuò rivolgendo lo sguardo alla ragazza che adesso sedeva di fianco a Phil.
“Tutti, Fury, non preoccuparti” lo corresse Tony.
“… sì, insomma. Damon Glanster ci sta causando qualche problema. Nel 1999, dopo esser stato radiato dall’albo degli astrofisici nucleari per esperimenti proibiti ed evidentemente individualistici e quindi espulso dalla società, ha preso possesso di un prezioso marchingegno elettronico già esistente che Howard aveva creato appositamente per lo S.H.I.E.L.D. e che aveva lo scopo di proteggere tutti i dati gestiti dalla società e controllare che nessuno ne entrasse in possesso. Tuttavia, per l’utilizzo di questo congegno, bloccato appositamente da noi per evitare che qualcuno ne entrasse in possesso, è necessaria una serie di elementi chimici difficili da trovare e lavorare. Dal 1999 a oggi, Glanster non è mai riuscito a completare la ricerca; pochi mesi fa, ha trovato il penultimo elemento; l’ultimo è un elemento che in natura non esiste e che, fino ad oggi, è stato trovato e sintetizzato solo da una persona” fissò lo sguardo su Tony e lui annuì; la sua mano andò a toccare il cuore di metallo che brillava di luce azzurra.
“Il Pegasus.”
“Il Pegasus” ripeté Fury grave. “Tenterà di strappartelo dal cuore.”
Stark rise, divertito. “Non sarebbe la prima volta, che qualcuno ci prova” disse e sembrava molto più calmo di quanto in realtà non fosse.
“Dobbiamo fermarlo” continuò Nick ed era serio e preoccupato. “In possesso e capace di far funzionare quel congegno, Glanster può entrare a conoscenza dei dati dello S.H.I.E.L.D., giocarci o usarli per tenerci in mano sua. Può scoprire la modalità di funzione del Tesseract e usarne la forza per imporre il suo dominio nel mondo.”
“Mi stavo appunto chiedendo quando il tuo cubetto adorato sarebbe saltato fuori.”
“Stark” lo ammonì Natasha. “Come facciamo a fermarlo?” chiese poi rivolta al suo capo.
“Glanster sta venendo in California. Sa che vogliamo impedirgli di realizzare i suoi progetti e cercherà di fermarci a sua volta.”
“Quindi non ci resta che attendere l’arrivo dell’amico delle stelle e poi attaccarlo nell’edificio che sceglierà come sua sede” concluse Tony pragmatico. “Perfetto.”
“E nel frattempo dove andiamo?” chiese Barton. “Non possiamo tornare più nella sede segreta, non è più sicura.”
Steve intercettò lo sguardo di Stark e lo vide scambiarsi un’occhiata con Virginia. Lei sbatté le palpebre e sollevò le sopracciglia, sorridendogli divertita; lui sbuffò e parlò ancora.
“Potete stare qui” disse a denti stretti. “La casa è abbastanza grande per ospitare tutti e non è rintracciabile.”
“Anche la sede segreta non era rintracciabile” mormorò Rogers preoccupato.
“Non così, Capitano” lo contraddisse Tony. “Un impianto contro le presenze indesiderate è un giochetto da ragazzi da disattivare. Qui ci sono codici, computer, protocolli, apparecchiature anti-localizzazione da satelliti e altri congegni. Nessuno che io non voglia può trovare questa casa e buttare giù la porta.”
Si alzò dallo sgabello e precedette la sfilza di ospiti sulle scale. Tutti lo seguirono sulla rampa, ma Virginia rimase indietro. La voce di Phil, per quanto bassa e discreta, arrivò nitidamente alle orecchie di tutti.
“Grazie.”
La risata che ne seguì sfiorò cristallina e delicata le pareti del corridoio.
“Non è merito mio. Ha scelto lui di provare.”
“Non l’avrebbe fatto, se non ci fossi tu.”
“Lady Virginia?”
La voce di Thor risuonò cordiale fra i due amici.
“L’uomo di ferro ti sta cercando.”
Lei annuì e condusse gli ultimi due Vendicatori su per le scale, raggiungendo il salotto dove si erano radunati gli altri. Camminò scalza fino alla parete e lei e Tony si guardarono. Pepper capì al volo.
“Dunque” esordì serafica. “L’agente Barton e Thor possono prendere la stanza gialla, quella al primo piano” continuò, rivolgendosi alternativamente alle persone che citava. “Dottore, lei e l’agente Romanoff potreste dormire nella prima stanza degli ospiti, se non è un problema” proseguì con fare pratico. Bruce avvampò furiosamente e Natasha sorrise, accomodante; Tony si morse il labbro per non ridere. “Così nella seconda possono stare il direttore e il signor Stark” disse ancora e sembrava così strano parlare di un ‘signor Stark’ che non fosse il suo. “E Phil potrà dividere la nostra stanza con il Capitano.”
“No” intervenne subito Tony. “Rogers nel nostro letto no. Sul serio, lo profanerà” inveì turbato.
“Sono certo che sarà già profanato” replicò prontamente esasperato Steve.
“Be’, non mi aspetto che tu capisca, ma non concordo. Non può, davvero” ribadì intransigente. I suoi occhi cercarono quelli di Pepper e lei scosse la testa, con fare tranquillo.
“Puoi fargli cambiare stanza, se vuoi, ma è ferito ad una spalla e pensavo che, dato che quello è il letto più comodo…”
“Sei stato ferito ad una spalla?” chiesero all’unisono Phil e Tony, solo che il primo lo fece con tono estremamente preoccupato e premuroso, il secondo con espressione di gioia ed entusiasmo.
“E da chi? Voglio mandargli dei fiori!”
“Stark!” lo ammonì Fury.
Pepper sorrise di nascosto, ma a Steve non sfuggì.
“E va bene” concesse infine. “Ma ti avverto, Rogers, che se trovo la stanza cambiata anche solo di un capello, ti uccido e non ci saranno tutine né padelle a salvarti dalla mia furia.”
Howard sorrise a sua volta e si passò una mano fra i capelli.
“Jarvis, mostreresti ai signori le loro sistemazioni?”
“Certo, signorina” replicò servizievole il maggiordomo. Ognuno prese a raggiungere la sua camera e Tony si voltò verso Pepper.
“Forse dovremmo aspettare” disse subito lei e Tony vide che l’anello adesso era il ciondolo della sua catenina. Annuì, suo malgrado.
“Stavo per dirti la stessa cosa. Solo… mi dispiace.”
Lei sorrise bonaria e si sporse per baciarlo. Dopo tutte quelle parole e quegli sforzi, era come tornare a respirare aria pulita.
“Aspetta” la interruppe senza allontanarla troppo. “E noi dove dormiamo?”
Lei sbatté le ciglia con aria beffarda e indicò qualcosa alle loro spalle; Tony aprì la bocca indignato.
“Fammi capire bene: Rogers dorme nel mio favoloso letto e noi ci sistemiamo sul divano? Bimba, questo è troppo.”

































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Buongiorno a tutti, Vendicatori <3
Come va? Spero bene :D 
Allora, eccoci qui con il quarto capitolo di questa mia piccola, preziosa perla che non posso non amare tanto. So che è ridicolo, ma mi sono affezionata così tanto in breve tempo a questa storia e spero possa risultare gradita anche a voi. 
A questo proposito, voglio ringraziare tutte le persone che la seguono/leggono/ricordano/recensiscono/preferiscono e che si perdono su anche solo un minuto; siete la mia felicità. <3
Prima di lasciarvi, vorrei dirvi qualcosina su questo capitoluccio:

[1]: How I met your mother è una sitcom statudinense con protagonista Ted Mosby; 
[2]: la targa dell'auto indica un nome - Glanster - che è quello del nostro uomo. L'idea è liberamente ispirata alle targhe delle auto di Tony nei due film di Iron Man; 
[3]: il grande cartello che vede Steve è, naturalmente, un maxischermo; 
[4]: l'auto con cui Tony arriva è una Reanult; 
[5]: l'idea del cartello è liberamente ispirata ad una scena di Matrimonio impossibile e la battuta sul marsupio è di Michael Douglas; 
[6]: la moto su cui viaggiano Thor e Pepper è un Agusta ed è stata eletta fra le motociclette migliori di tutti i tempi da motocorse.com; 
[7]: WBB sta per "Viva Bruce Banner". 

Dunque vi ringrazio ancora e vi prometto di rispondere singolarmente alle recensioni il prima possibile. 
Un bacio e alla prossima!
Mary.

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Capitolo 5
*** Capitolo V – Small ville ***


Capitolo V
Small ville



Era notte fonda a villa Stark. L’orologio imponente nel salotto segnava l’una appena scoccata quando Steve si levò dal letto per andare in cucina a prendersi da bere. Scostò lievemente il lenzuolo color mogano che Jarvis aveva predisposto per il letto in cui lui e Phil avrebbero dormito, dopo varie discussioni con Tony, il quale, alla fine, aveva scelto quelle coperte solamente perché non gli piacevano, e scivolò sul pavimento piacevolmente freddo a contatto con la pelle nuda dei piedi. Facendo estrema attenzione a non infastidire l’agente Coulson, si alzò dal materasso nel suo elegante pigiama color ciliegia e sdrucciolò con passo felpato fuori dalla stanza, muovendo con leggerezza le gambe sulla rampa di scale che conduceva al piano terra. Il motivo per cui Stark si ostinava a vivere in una villa a tre piani, con garage, laboratorio e giardino inclusi, data la presenza in quella casa di sole due persone, era per Steve piuttosto oscuro. Certo, non poteva negare che tutto quel lusso di cui il figlio di Howard si era voluto ostinatamente circondare si fosse rivelato estremamente utile in quell’occasione, ma Steve dubitava con serietà che si verificassero di frequente situazioni del genere in quella strana, sontuosa abitazione. Scuotendo la testa con aria di disapprovazione, raggiunse il pianerottolo inferiore e si avviò in cucina alla ricerca di un bicchiere e di una bevanda rinfrescante che non contenesse percentuali di alcol o altre sostanze poco raccomandabili.
L’orologio scoccò l’una e cinque e mentre il Capitano trafficava ancora con il mobile della cucina, impegnato in un’accurata lettura dei contenuti delle bibite presenti in quell’oscuro scaffale, Phil si destò. I suoi occhi si spalancarono e un sospiro pesante gli dischiuse la bocca, mentre uno strato di sudore freddo gli imperlava la fronte spaziosa, aderendo la seta del completo da notte scuro a stelle e strisce alla sua pelle palpitante. Aveva avuto un brutto sogno; ma non un brutto sogno qualsiasi: quello era davvero brutto. Era Sabato sera e lui e Marylin avevano un appuntamento a cena, dopo la sua esibizione settimanale al San Francisco Opera, che lui non aveva mancato di celebrare inviandole, come di consueto, un bouquet di peonie rosa prima dell’evento. Fin qui, non c’erano stati grandi ostacoli, anzi, nel sogno Marylin appariva ancora più dolce, romantica e talentuosa di quanto non fosse già nella realtà. Il problema era arrivato dopo: in seguito alla cena, infatti, lui e Marylin si erano recati a casa sua e si erano baciati con passione, tanta passione, e si erano spinti aldilà, molto più di quanto non avessero mai fatto: erano arrivati in terza base. Era successo proprio in quel momento: lui era steso su di lei e si guardavano. Le mani di Marylin l’avevano stretto con più forza e la sua voce gli era giunta soave alle orecchie: “Fammi vedere il Paradiso” gli aveva sussurrato conturbante, gli occhi lucidi per il piacere e l’emozione. E lui… be’, lui aveva provato a farle vedere il Paradiso, ma probabilmente le aveva fatto vedere l’Inferno… un crollo. Un crollo. Com’era potuto succedere? Insomma, lui amava Marylin e anche se non era unanimemente considerata bella quanto la sua omonima Monroe, Phil aveva sempre pensato che avesse un erotismo da paura. No, quel sogno non aveva il benché minimo senso. Così si girò dall’altro lato del letto – la visione del suo adorato Capitano avrebbe solo potuto giovare al suo animo agitato, in particolar modo con quell’attraente pigiamino corto color ciliegia – ma Steve non c’era. Immediatamente saltò giù dal letto e si guardò intorno con maggior attenzione, alla ricerca del suo idolo. Niente.
Subito i peggiori pensieri iniziarono ad accavallarsi nella sua testa ancora sconvolta – rapimento, incarcerazione, omicidio – e corse in camera di Clint alla ricerca di qualcuno che gli concedesse aiuto. Barton, però, non gradì la visita.
L’orologio scoccò l’una e un quarto e mentre Steve era passato alla vivisezione di tutti gli scaffali in cucina e Clint sgridava Phil per il modo violento e del tutto inopportuno con cui si era posto nei suoi riguardi, Bruce si destò. Aveva sentito un tonfo pesante al piano di sotto e i suoi occhi, allenati a risvegli improvvisi e poco dolci, scattarono all’erta. Rivolgendo lo sguardo all’alto, rimase in ascolto, con le orecchie pronte a cogliere ogni singolo rumore che potesse suggerire la presenza in casa di nemici o pericoli di altro genere. Si girò fra le lenzuola di quella rilassante tonalità verde mela e posò lo sguardo affaticato sul volto di Natasha. Mentre dormiva, i lineamenti del suo viso, di solito contratti dalla paura, la concentrazione o la rabbia, erano rilassati in una tenera espressione pacifica, le labbra piene e cremisi erano appena schiuse e un respiro regolare le sfuggiva dalla bocca, abbassandole e innalzandole ritmicamente il petto sotto le coperte, avvolto in quel raffinato tessuto di chiffon rosso borgogna. Le mani avevano abbandonato la stretta attorno al lembo del lenzuolo e giacevano morbide increspando la superficie liscia del copriletto. I capelli scivolavano in riccioli festosi e vivaci sulla stoffa di quella stessa sfumatura spiritosa che ricopriva il cuscino di piume. Bruce sbatté le palpebre e sorrise incantato. Stava quasi per svegliarla, voleva avvertirla del pericolo imminente che stavano correndo, poi pensò che era davvero dolce mentre dormiva, così diversa da quando era sveglia e pensò anche che quel suo lato nascosto gli piaceva più di quanto potesse permettersi L’Altro. Scostò le coperte e scivolò fuori dal letto, sollevando un lembo più in alto per coprire meglio il corpo di Natasha; lei si rigirò nel materasso ed emise un gemito di soddisfazione, ancora profondamente addormentata. Bruce annuì fra sé ed uscì con passo felpato dalla camera, cominciando a camminare con fare accorto e all’erta sul pavimento fresco, sfiorandolo con l’orlo del pantalone color pistacchio. Era quasi arrivato alla prima rampa di scala quando un altro tonfo ruppe quel silenzio addormentato e lui scattò di nuovo, sempre più attento. Proveniva dalla cucina, ora non nutriva dubbi. Respirò e andò incontro al pericolo.
L’orologio scoccò l’una e venticinque e mentre Steve radunava da un lato tutti gli alcolici e dall’altro tutte le bibite gassate che nuocevano alla salute almeno quanto i primi – Stark proprio non si curava della sua salute, vero? Incosciente – e Bruce scendeva l’ultima rampa di scale, pronto a colpire il nemico che, nel cuore della notte, stava tentando di aggredirli e Clint e Phil stavano ancora discutendo su quali fossero le migliori modalità per svegliare qualcuno senza provocargli un infarto con conseguente arresto cardiaco, Nick sospirava affranto. Steso nel suo letto, con indosso quel pesante pigiama grigio perla, sotto le lenzuola rosa shocking che Virginia, con un sorriso amabile e beffardo, gli aveva concesso generosamente, pensava che, dannazione, le donne erano davvero un ostacolo intramontabile. Aveva gestito per anni lo S.H.I.E.L.D. ed era stato in grado di superare qualsiasi ostacolo, senza mai perdere il controllo, la calma e il comando. Proprio adesso, che un pericolo come Damon Glanster si affacciava sul suo giardino perfetto e ben curato con l’intenzione si calpestare i fiori e strappare i frutti da quegli alberi che aveva allevato e accudito con tanta cura, quella ragazzina decideva di incominciare ad infilargli i bastoni fra le ruote. E come le dava retta Stark! No, non poteva succedere. Il Tesseract andava messo al riparo, il congegno andava recuperato e Glanster andava imprigionato. Virginia proprio non si rendeva conto di tutti i problemi che il direttore di un’importante società segreta doveva risolvere – roba che avrebbe fatto venire i capelli bianchi anche a Rogers, checché ne dicesse il suo curriculum da uomo senza tempo – e lo contrastava. Come poteva dormire, con tutte quelle preoccupazioni a gravargli sulla testa e sugli occhi – almeno su quello buono – tutta la notte?
Howard, dal canto suo, si era addormentato quasi subito, ma il suo, in ogni caso, era stato un sonno agitato e sconvolgente. Proprio quando i suoi occhi si erano rilassati, la sua testa era tornata al pensiero di Tony e immediatamente aveva ricordato la situazione scomoda e tragica in cui si trovava. Il sonno era fuggito come da un amante incapace nella sua veste blu notte e lui e Nick si erano ritrovati stesi con le gambe incrociate, le mani congiunte e gli occhi sbarrati come due sposi che avevano appena bisticciato sul colore della carta da parati da utilizzare nella loro nuova casa.
L’orologio scoccò l’una e mezza e mentre Steve cominciava a radunare in un terzo gruppo tutte le bevande dolci ricche di elementi artificiali e poco salubri, mentre Bruce raggiungeva con passo prudente la cucina affollata da nemici, mentre Phil e Clint concludevano che la migliore risposta al loro interrogativo fosse scuotere leggermente qualcuno sussurrandone il nome, mentre Nick e Howard giacevano immobili e seccati nel proprio letto, Natasha si svegliò. Aveva avvertito un morbido fruscio nell’aria accompagnato dalla carezza delicata del tessuto verde mela sulla pelle e, quando si era destata, aveva trovato il lenzuolo sottile a coprirle le spalle nell’esatto punto in cui la pelle d’oca segnalava il freddo sul suo corpo. Un inusuale quanto incredulo rossore le aveva subito pervaso le guance pallide e il pensiero del suo compagno di stanza l’aveva spinta a voltarsi, alla ricerca del suo sguardo. L’aveva osservato dormire per molto tempo ed era del tutto incredibile come d’improvviso potesse trovare qualcosa di così debole e disgustoso quasi piacevole. Lei era l’agente Romanoff, una spia russa, altamente preparata dalle fattezze severe e rigide e l’atteggiamento sempre distaccato, con una grande capacità di mentire e picchiare. Non aveva alcun senso quel suo repentino desiderio di osservare qualcuno dormire. Però l’aveva fatto e mentre lo faceva aveva pensato che Bruce – cioè, il dottor Banner – era davvero una persona brillante e gentile e con lei si era sempre comportato come un galantuomo, molto più di quanto mai qualcun altro avesse fatto prima, o anche dopo. E poi aveva anche pensato che era incredibile il modo in cui lottava per permettere alla parte migliore di se stesso di vincere e che la sua bocca, quando dormiva, si incurvava in un sorriso strano, ma stranamente attraente. Così aveva allungato le dita e aveva sfiorato quel sorriso e poi l’aveva impresso sulle labbra e nel pensiero e con quel pensiero si era addormentata. Ripensando a quella inaccettabile sensazione di fluttuamento che sembrava invaderla da capo a piedi, Natasha si girò con decisione, ma il letto era vuoto. I suoi occhi si incrinarono indispettiti e subito le lenzuola furono gettate all’aria mentre i suoi piedi diafani correvano in direzione del corridoio del piano superiore alla ricerca del dottore.
L’orologio scoccò l’una e quaranta e mentre Steve continuava a creare gruppi suddividendo le bibite in base al tasso di nocività, mentre Bruce si apprestava a raggiungere la cucina, combattuto dall’indecisione sulle modalità d’attacco, mentre Phil e Clint iniziavano a cercare una veste da camera che s’intonasse al pigiama di Barton in modo da poter avviare la ricerca del Capitano proprio come l’agente Coulson continuava a ripetere esagitato, mentre Nick e Howard languivano fra le lenzuola rosa shocking lacerati dai loro problemi anziani, mentre Natasha camminava silenziosa all’ultimo piano nel tentativo di trovare il dottore, Tony si svegliò.
L’aveva immaginato sin da subito, quando Pepper gli aveva indicato il divano con aria divertita, che avrebbe dovuto subire quel supplizio infame senza possibilità di rinuncia. Era peggio di qualsiasi altra cosa al mondo: peggio di Justin Hammer fuori di prigione, peggio di Bambi con i Chitauri, peggio di Vanko ancora vivo, peggio di Rogers nudo nel suo letto, tutto sudato… no, peggio di quello no; però era comunque tremendo. Era il mal di schiena. Uno strano scricchiolio ruppe il silenzio nel salotto e lui si rigirò facendo attenzione a non svegliare Pepper.
“Ti fa male la schiena, non è vero?”
Come non detto.
“Non preoccuparti. Dormi” le sussurrò accarezzandole una tempia calda, ma lei scosse la testa e si voltò verso di lui, stringendogli le braccia attorno al collo e prendendo a sfiorargli la nuca con le dita delicate e raggianti di calore.
“Ti fa molto male, non è vero?” gli bisbigliò ancora e posò la bocca sulla sua guancia, lasciandovi un bacio stanco. Lui scosse appena la testa e cercò le sue labbra.
“Non troppo” replicò dopo che ebbe conquistato con successo il bersaglio.
“Mi dispiace” sospirò lei e si strinse di più contro il suo corpo. Lui la accolse, entusiasta e adorante, e cominciò ad accarezzarle la pelle di un braccio che lei teneva ora stretto sul suo gomito. Le maglie bianche che indossavano, entrambe provenienti dall’armadio della biancheria intima del signor Stark, si sfioravano divertite.
“Non mi risulta sia colpa tua” la blandì divertito, guardandola mentre lei gli respirava contro senza aprire gli occhi.
“Ho fatto io la divisione delle stanze.”
“Io avrei fatto la stessa cosa. Per quanto, certamente, il fatto che siamo i padroni di casa e dormiamo sul divano mi disturbi e soprattutto per quanto mi disturbi la presenza di Rogers nel mio letto.”
Lei rise e Tony sentì la sua risata risuonargli dentro.
“Dai… è simpatico.”
“Scordatelo, bimba. È un idiota.”
“Non gli hai ancora dato la padella” replicò leale.
“Hai paura che non riesca a prepararci bene i pancake domani mattina? Gliela darò prima di colazione.”
“Scemo” gli sussurrò affettuosa e le loro labbra si unirono di nuovo.
“Però” aggiunse lui malizioso quando tornarono a respirare individualmente. “Questa disposizione ha dei vantaggi” continuò e la strinse ancora a sé come per evidenziare la cosa. “E domani voglio un massaggio.”
Lei rise un’altra volta.
“Va bene. Ti sei comportato bene oggi.”
“Grazie a te” le concesse lui e sfiorò l’anello al suo collo. “Signora Stark.”
Lei finalmente schiuse gli occhi e Tony vide che luccicavano.
“Ancora un poco.”
“E poi andremo a Venezia in viaggio di nozze” aggiunse Tony entusiasta.
“Certamente” rispose lei e di nuovo risuonarono baci e risate nel salotto.
L’orologio scoccò l’una e cinquanta e mentre Steve si guardava intorno osservando il suo lavoro quasi concluso prima di riprendere l’ardua opera, mentre Bruce tentava di trovare motivi di ira per scatenare L’Altro e affrontare i nemici in cucina, mentre Clint e Phil trovavano finalmente una vestaglia della giusta tonalità di rosso inglese, mentre Nick e Howard cominciavano lentamente un processo di mummificazione intellettuale e fisica, sempre nel letto con le lenzuola rosa shocking, mentre Natasha passava alla perlustrazione del primo piano, mentre Tony e Pepper continuavano a ridere di matrimoni e Veneziani stretti nel divano, Thor si svegliò.
Gli agenti Coulson e Barton avevano appena abbandonato la stanza gialla in cui la donna di ferro li aveva invitati a dormire quando gli occhi celesti e irreali del semidio si spalancarono irrequieti. Un rumore strano sembrava propagarsi nell’aria e il suo udito divino gli suggeriva la possibilità di un pericolo. Scattò in piedi e il lenzuolo color limone cadde leggiadro ai suoi piedi, non potendo nulla contro il potere del tuono. Thor allungò le gambe, strette in quel ridicoli shorts che sembravano richiamare le piume di un canarino, e prese il Mjolnir fra le mani, raggiungendo il salotto a passo spedito. Uno sconosciuto rumore di risate e gemiti proveniva dal divano e quando vide che qualcuno si muoveva languido, avvolgo in una coperta rossa e oro, Thor capì che doveva esserci qualche pericolo. Un fantasma, sicuro; dannazione, aveva sempre avuto paura dei fantasmi. Quando aveva solo cinque anni, ricordava bene come Loki aveva sfruttato quel suo punto debole per mettere a segno la prima di quella che sarebbe diventata la lista delle sue interminabili cattiverie: era stato il giorno del compleanno di Thor e Loki, fingendo di voler organizzare una bella sorpresa in onore del fratello, gli aveva nascosto il cavallo preferito e quando Thor era andato in cortile a cercarlo, si era ritrovato circondato da spettri, che poi si erano rivelati essere lenzuola ormai inutilizzabili. Sta di fatto che Thor quella notte aveva preteso di dormire nel letto di Frigga e  si era stretto al suo petto, tremando di paura e incubi per tutta la nottata. Ma quello non era il momento di tirarsi indietro: lui era Thor, figlio di Odino; erano finiti gli anni di infanzie impaurite. Così, alzò le braccia e si preparò a colpire; proprio nell’istante in cui si apprestava a battere il colpo, l’orologio scoccò le due e lui trasalì, inciampando insieme al Mjolnir con un urlo assordante.
L’orologio scoccò le due e Steve uscì freneticamente dalla cucina, ma nel farlo le bottiglie caddero tutte rovinosamente per terra e un mare di liquido nocivo e colmo di agenti artificiali gli bagnò i piedi. Quando riuscì ad abbandonare quella stanza, Bruce lo attendeva dietro la porta. Data l’evidente pigrizia che Hulk aveva dimostrato quella sera, aveva deciso di passare a modi più concreti e colpì il Capitano alla testa con una padella – una qualunque, sia chiaro – appena quello varcò la porta che, dalla cucina, dava al salotto. Avendo sentito il fracasso, Natasha, che si trovava nel corridoio precedente al salotto, corse nella stanza confusionaria, ma si fermò all’ingresso, senza riuscire a parlare. Phil e Barton giunsero insieme alla carica ed entrambi brandivano due grosse lampade a forma di pesce gatto, mentre inneggiavano se stessi alla battaglia. Nick e Howard erano per le scale e nella foga della corsa il direttore si ritrovò con il fondoschiena per terra alla base della rampa di gradini. Tony osservava il tutto e stava chiedendosi come fosse possibile che un genio, un miliardario, un playboy, un filantropo del suo calibro si potesse trovare in una situazione simile. Pepper si alzò e accese la luce.
“Ma che sta succedendo?” chiese con gli occhi sbarrati e le labbra che tremavano di riso represso.
Lei e Tony si guardarono e poi guardarono la stanza: Steve che si teneva la testa fra le mani, saltellando in modo ridicolo con addosso quel patetico pigiama color ciliegia, Bruce che cercava di aiutarlo, tamponandogli la nuca con l’orlo verde pistacchio della sua divisa notturna, Natasha che osservava la scena perplessa, con le labbra rosse come il suo vestito spalancate dalla sorpresa e l’incredulità, Nick che tentava di districarsi dalla manica troppo lunga della sua maglia grigio perla, ancora con il fondoschiena per terra, Howard che sembrava intenzionato ad aiutare il precedente, ma con l’unico risultato di ingarbugliare ulteriormente la cosa con l’intervento del suo pigiama blu, Clint e Phil che giacevano all’ingresso, con ancora le lampade a forma di pesce gatto fra le mani e le vestaglie rosso inglese e blu a stelle sulle spalle, Thor disteso per terra, con i pantaloncini gialli a tirargli nel punto cruciale del suo fisico possente da semidio.
Pepper guardò Tony ed entrambi sapevano che avrebbero perso qualche osso nel tentativo di non ridere.
“Non guardare me, tu mi hai convinto ad ospitarli.”
“Ed era la cosa giusta.”
“Sì, be’ non è questo che discuto. Ma non puoi negare che avessi torto, nel non voler avere niente a che fare con persone di tale non-spessore intellettuale e fisico.”
Entrambi strinsero la bocca per trattenere l’impulso di scoppiare a ridere in un modo che sarebbe senz’altro risultato scortese e inospitale. Così Pepper raggiunse Steve e lo aiutò a riprendere coscienza, mentre Tony tirava su dal pavimento Thor, che ancora stava imprecando contro quei maledetti aggeggi polverosi che coprivano il rivestimento in mattoni.
“Credo si chiami tappeto, amico” intervenne in suo aiuto Tony e cominciò a spolverargli le spalle del pigiama troppo aderente. Bruce continuava a scusarsi con il Capitano.
“Davvero, Steve, mi dispiace tanto. Io non sapevo che fossi tu, quello che creava tutto quel baccano in cucina, o non avrei mai…”
“Baccano?” ripeté Tony sospettoso. “Quale baccano?”
“Sì” confermò il dottore, ancora visibilmente a disagio. “Mi sono svegliato perché ho sentito dei rumori e pensavo fossero dei nemici venuti ad attaccarci nel cuore della notte.”
“Dottore, per l’Amor del Cielo!” esclamò Tony esasperato. “Proprio tu, sai perfettamente come nessuno può trovare questo posto. E invece…”
“Be’, ma non si sa mai” si difese sempre imbarazzato Bruce. “Poteva succedere una qualche disgrazia…”
“Il dottore si è comportato in modo giusto e coraggioso” replicò fredda Natasha e Tony sentì le labbra fremere dalle risate che non poteva urlare.
“E tu che ci facevi in giro per la casa?” le domandò non riuscendo a trattenersi più di tanto.
Lei arrossì appena, ma rispose con fierezza e superiorità.
“Stavo cercando Banner.”
“Volevi Bruce? Perché, ti fa male qualcosa? O volevi solo giocare al dottore…”
“Stark!” lo riprese Fury che finalmente era riuscito a riacquistare compostezza fisica e morale.
“E tu, grande capo? Anche tu eri coinvolto in questa patetica pantomima del nascondino notturno o ne sei un’ignara vittima come me?”
“Io sono solo accorso quando ho sentito le urla” replicò altezzoso il direttore. “Nessuno fra me e Howard è uscito prima dalla nostra stanza.”
“Quale stanza?” domandò divertito Barton. “Quella con le lenzuola rosa?”
Fury ringhiò minaccioso.
“Ringrazia che non ti faccia sospendere o, peggio, che non ti comprometta.”
“Di nuovo?!?”
“Dacci un taglio, Stark.”
“Uomo di ferro, la tua casa pullula di spettri” intervenne con tono cospiratore il dio del tuono, brandendo ancora all’erta il suo affezionato Mjolnir.
“Di che parli?” disse Natasha sollevando le sopracciglia dubbiosa.
“Prima, ho avvertito delle presenze oscure in salotto. Qualcuno si muoveva sul sofà e ho perfino sentito dei rumori provenienti da lì. Erano soffocati e inusuali… come dei gemiti..”
“Ah!” esclamò Tony, d’un tratto tinto di un vago rossore sulle guance coperte dalla barba scura. “Non temere, amico divino. Non erano fantasmi.”
“No” confermò Steve disgustato. “Assolutamente.”
“Non preoccuparti, Rogers” replicò sorridendo Tony. “Non stava succedendo nulla che le tue orecchie caste e pure sarebbero arrossite sentendo. Preferisco situazioni meno affollate e più discrete, che con otto impiccioni in giro per casa.”
“Buon per te.”
“Capitano, mio Capitano!” esclamò Phil accorrendo al suo idolo, come se solo in quel momento l’avesse visto, brandendo ancora quella lampada ridicola fra le mani. “Pensavo fossi in pericolo.”
“Grazie dell’interessamento, agente Coulson” rispose Rogers, che si teneva un pezzo di ghiaccio sulla nuca dolorante, sempre con aria vagamente provata. “Ero andato solo a bere.”
“E io pensavo fosse un nemico!”
“Io pensavo ti avessero rapito!”
“Rogers!” ululò il padrone di casa al limite della sopportazione. “Come ho fatto a non capirlo subito? Avrei dovuto immaginarlo sin dal principio!”
“Cosa?” chiese Steve con espressione stressata.
“Che eri tu il fautore di tutto questo, naturalmente.”
“Io non sono il fautore di proprio un bel niente. Sono solo andato a bere e se tu non avessi in casa tutte quelle bevande poco sane…”
“Oh, il signorino vuol farmi lezioni di biologia. Lui che non sa neanche cosa sia un elemento.”
“Non centra niente questo. Le bibite di cui disponi sono tutte, senza esclusione alcuna, ripiene di sostanze artificiali e poco salubri…”
“Nessuno ti ha chiesto di degustarle, Capitan Padella.”
“… da offrire ai tuoi poveri ospiti e non chiamarmi Capitan Padella…”
“Evidentemente l’educazione andava poco di moda negli anni Quaranta…”
“… se non la smetti immediatamente di comportarti da idiota…”
“… almeno io mi comporto, a differenza di altri che lo sono e non possono farci niente…”
“… allora sarà meglio che recuperi quel ridicolo ammasso di secchi e secchielli arrugginiti, così possiamo vedere sul campo chi…”
“… vuoi perdere ancora? Santo Cielo, Rogers, quando imparerai che…”
Un fischio assordante risuonò nella stanza che si stava facendo affollata e decisamente troppo piccola. Pepper squadrò tutti con aria decisa e parlò senza possibilità di replica.
“Sono quasi le tre. Domani sarà una giornata difficile, motivo per cui ora andremo tutti a letto e non ci saranno proteste” continuò perentoria e nessuno – nemmeno Nick – osò contraddirla. “Che ognuno torni nella sua stanza, adesso. Phil, tu e Clint posate quelle lampade da dove le avete prese. Capitano, se mi segue in cucina potremmo trovare una benda con cui fasciare la testa prima che si addormenti di nuovo.”
Tutti scattarono ubbidienti e, uno dopo l’altro, iniziarono a salire le scale, raggiungendo le rispettive camere da letto. Clint aveva ripreso a sgridare Phil per la sua imbecillità e ricominciarono a discutere sulla tinta delle vestaglie che, lo sguardo critico e sicuramente esperto di Stark, aveva bocciato. Nick e Howard non dissero una parola e si chiusero di nuovo nel loro stato di mummie interiori ed esteriori; Natasha seguì il dottore nella loro stanza ed entrambi sorridevano. Al piano inferiore, Pepper e il Capitano trovarono delle fasce adatte e Virginia sistemò nel miglior modo possibile due bende attorno al capo di Steve. Mentre lui beveva finalmente qualcosa di naturale e benefico, Pepper aveva risistemato velocemente tutte le bottiglie ai loro rispettivi posti.
“Grazie” le sussurrò quando lei ebbe finito il lavoro. “Mi dispiace aver disordinato” aggiunse dispiaciuto. Lei scosse la testa con un sorriso paziente.
“Non c’è nulla di cui dispiacersi. Ora vada a dormire, Capitano, ne avrà bisogno.”
“Steve” la corresse lui. Pepper parve non capire.
“Come?” chiese stupita.
“Steve. È il mio nome. Puoi chiamarmi Steve” ripeté lui e sembrava a disagio.
“Oh” esclamò lei lievemente imbarazzata. “C-Certo. Be’, allora suppongo che tu possa chiamarmi Virginia.”
“Virginia” sorrise lui. “Certo.”
“Bene, allora… buonanotte.”
“Buonanotte.”
Il Capitano posò il bicchiere e ripercorse le scale. Si fermò al primo pianerottolo e, senza farsi notare, osservò Virginia raggiungere Stark sul divano. Nel silenzio buio della stanza, risuonarono baci e risate e Steve sospirò. Si era sbagliato: quella casa era decisamente troppo piccola. 






















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Buona sera a tutti, Vendicatori <3
Eccomi di nuovo qui, finalmente con il quinto capitolo. Be', che dire? Solo una cosa: dovrebbe essere divertente, ma non so se lo è davvero, Ammetto che qundo l'ho pensato, quello che mi immaginavo era qualcosa di spassoso e simpatico e non sapete quanto ho riso come una cretina mentre lo scrivevo - i pigiamini colorati, le lenzuola, gli incidenti e, soprattutto, le facce - ma non credo di fare testo. A voi l'ardua sentenza. 
Come ormai credo si sia capito, la long verrà aggiornata ogni dieci giorni, ma statemi dietro perché quasi sempre, nello spacco fra un capitolo e l'altro, arriverà qualcosina - una drabble, una flash o chessoio - sempre in questo fandom o anche in altre - vediamo che mi dice la testa. 
Come sempre, ringrazio di cuore le persone che mi seguono con affetto e le cui recensioni - non ho ancora potuto rispondere, scusatemi, vi prego T.T - mi riempiono di gioia. Vi amo immensamente, sappiatelo; mi rendete una persona tremendamente felice e questo è tutto per voi. <3
Come al solito: 

[1]: Smallville è un telefilm americano con protagonista Clar Kent;
[2]: il nome della violoncellista è ispirato alla Monroe. Non so perché, ma mi piaveva un sacco l'idea; 
[3]: non credo ci sia bisogno vi spieghi cosa sia, il gioco del dottore;
[4]: la frase con cui Phil si rivolge a Steve - Capitano, mio Capitano! - è tratta da un film con Robin Williams, L'attimo fuggente, e, più precisamente, da una poesia di Walt Whitman dedicata ad Abramo Lincoln presente nel suddetto film. 

Non credo di dover aggiungere altro. Grazie ancora, Vendicatori miei: la vostra piccola writer vi ama sempre, sappiatelo. <3
Un bacio e alla prossima, Mary. 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI – The rancher's circle ***


Capitolo VI
The rancher's circle



“Buongiorno.”
Era le quasi le nove e il primo piano di villa Stark era ancora avvolto nel sonno e nel silenzio più assoluti. Al piano inferiore, il padrone di casa aveva appena aperto gli occhi e si era seduto sul divano, che aveva svolto la funzione di letto per quella notte, con le mani che giocavano con i fianchi e il ventre della sua fidanzata. Pepper era sveglia anche lei, ma teneva ancora gli occhi ben chiusi e lasciava che le dita di Tony le danzassero attorno.
“Buongiorno” replicò con la voce ancora impastata dal sonno. Un vistoso sbadiglio le dischiuse le labbra e finalmente aprì gli occhi. Si rigirò nel divano, con la coperta che le si era avvolta attorno alla vita in onde dorate e scarlatte e i capelli che accarezzavano l’unico cuscino che lei e Tony erano riusciti a tenere per sé.
“Ti fa ancora male la schiena?”
Prima di rispondere, Tony lanciò uno sguardo indagatore alla cucina, il corridoio e le scale.
“Un po’” rispose riluttante.
“Che guardi?” gli chiese Pepper, ridendo perché tanto già sapeva la risposta.
“Stavo controllando la situazione per assicurarmi che fossimo soli, dato che la nostra casa è stata devastata da un’orda di folli peggio di Roma invasa dai Lanzichenecchi.”
Pepper rise del paragone e incurvò la schiena poggiando il collo sul divano e unendo la bocca a quella di Tony. Per qualche istante, rimasero in silenzio.
“Howard mi è sembrato molto gentile” tentò lei dopo qualche secondo di silenzio. Si morse il labbro e concentrò la sua attenzione sul viso di Tony. Lui annuì, distaccato.
“Sì, be’… non mi sembra sia stato particolarmente eloquente.”
“Magari sta aspettando” continuò Pepper, sempre con lo stesso tono paziente.
“Aspettando cosa?” chiese lui scettico.
“Te” replicò lei semplicemente. “Sta dandoti il tempo di cui ha bisogno. Non vuole metterti fretta; lascia che sia tu a fare il primo passo quando ti sentirai in grado di farlo.”
Tony fissò lo sguardo nel vuoto e pensò. Howard si era davvero messo da parte nelle ultime ventiquattr’ore e lui si era chiesto il motivo di quel suo assurdo comportamento. Se ci teneva a riallacciare il loro rapporto, perché non ci provava sul serio? Davvero lo stava aspettando, gli stava dando la possibilità di scegliere?
“Non saprei” affermò con una scrollata di spalle.
Sentì poi le dita di Pepper sfiorargli il reattore e stringersi attorno ai bordi. Quando la guardò, aveva gli occhi pieni di dannata comprensione e indelebile sostegno.
“Lo sai qui” gli disse paziente e lui scosse la testa.
“Sai, preferirei la smettessi di avere sempre ragione. Evidentemente, non ti sei resa conto che sono Tony Stark e, per quanto tu possa essere speciale in quanto mia ex segretaria e attuale fidanzata, ci sono dei limiti che neanche tu puoi superare e ciò include anche il fatto che non puoi darmi sempre torto.”
Lei rise e gli diede una cuscinata in volto. Lui aprì la bocca indignato e la colpì a sua volta, ma Pepper lo scansò e il cuscino finì sulla faccia ancora assonnata di Phil.
“Buon-… oddio, che è?!”
Pepper rise e si rimise seduta fra le lenzuola.
“Scusa Phil” disse colpevole riprendendosi l’unico cuscino che erano riusciti a racimolare.
“Come fate ad avere tutte queste energie alle nove di mattina?” si lamentò lasciandosi cadere sulla poltrona di fronte al divano.
Tony sospirò e si portò una mano alla schiena; Pepper gli mise le mani sul dorso e iniziò a muoverle lentamente, ma con decisione.
“Avete dormito uno schifo qui sopra, non è vero?” aggiunse poi Phil con sguardo apprensivo.
“Qui sopra dove?”
Steve e Howard si erano svegliati.
“Buongiorno Capitano” lo canzonò Tony e Pepper gli diede una piccola spinta.
“Ciao Stark” replicò Steve roteando gli occhi al cielo. “Perché sei ancora qui?”
“Be’” rispose Tony fingendosi pensieroso. “Sai com’è, ci abito.”
Steve sbuffò.
“Intendevo sul divano” specificò. “Non dirmi che hai continuato a stare qui tutta la notte solo per avere un po’ più di intimità” disse storcendo il naso in una smorfia disgustata.
“Veramente, Rogers, data la tua presenza nel mio letto, io ho dovuto dormire sul divano” replicò Tony seccato e abbassò la testa all’indietro sulla spalla di Pepper, chiudendo gli occhi per la stanchezza. Lei sorrise comprensiva e gli accarezzò delicatamente i capelli in disordine.  
Steve e Howard si guardarono colpevoli.
“Avete dormito sul divano, tutti e due?” domandò Howard stupefatto. “Perché non ce l’avete detto?”
“Non credo che sareste stati capaci di costruire un letto nel giro di un’ora, perdonatemi la scarsa fiducia” ribadì Tony tranquillo, mentre Pepper aveva ripreso a massaggiargli lentamente le spalle.
“Avremmo potuto disporci diversamente” replicò Howard testardo.
“Non credo sarebbe cambiato molto… insomma, avremmo dovuto stringerci tipo tre in un letto e per quanto mi stuzzichi immensamente l’idea di includere Barton in una deliziosa cosetta a tre nel gioco del dottore e del paziente che Natasha tanto bramava di fare ieri notte insieme a Banner, non credo avrei tollerato la dipartita di Rogers a causa delle mie straordinarie capacità anche in quel campo, senza contare che non è proprio il mio tipo.”
“Oh, neanche tu lo sai” replicò prontamente Steve. “Preferisco qualcosa di più femminile e aggraziato.”
“Non provarci con Thor, sai! Ha anche lui un amore lontano” proferì Tony con voce solenne. “Comunque, qualcuno sarebbe finito sul divano in qualunque caso” concluse pratico.
“Potevi non andarci tu” ribadì Howard severo. Tony spalancò la bocca piacevolmente sorpreso, ma non rispose.
“Buongiorno, amici Vendicatori.”
Il padrone di casa diede un sospiro incredulo.
“Santo Cielo, Thor, sai proprio come alleggerire la pressione, non è vero?”
“Non capisco, uomo di ferro” rispose il dio, strabuzzando gli occhi in un’evidente manifestazione della sua estraneità a concetti quali ironia e sarcasmo, ma anche pressione e alleggerimento.
“Lascia perdere” replicò Pepper fra le risate.         
“Ho fame” si lamentò Clint, che aveva raggiunto con Bruce l’ultimo divano libero. “Quando si mangia?”
“Smettila Barton, non sei ad un bed and breakfast” lo rimbeccò Natasha con una smorfia esasperata.
“No, infatti” ragionò Tony perplesso. “Sembra più la versione horror di un qualche reality show. Se fosse così, potremo mandare in nomination la Padella!”
“La mia padella!” intervenne Steve colpito. “Dov’è?”
“Quale padella?” chiese Howard confuso.
“Cioè, lo scudo” si corresse Steve spazientito. “Stark, smettila di chiamarla in quel modo oltraggioso e ridicolo, fai confondere persino me.”
“Ah, Rogers” gongolò Tony visibilmente compiaciuto e Pepper lo spintonò di nuovo scherzosamente.
“Me lo dai o no?”
Questa volta persino Pepper non poté trattenersi dal ridere. Lei e Tony si guardarono e mentre lui si abbandonava ad una risata fragorosa e profondamente divertita, lei si limitò a ridacchiare fra sé. Anche Bruce e Natasha si unirono alla loro ilarità, con grande imbarazzo e irritazione di Steve.
“Quando avete intenzione di dare un taglio al vostro atteggiamento poco maturo, avvertitemi” annunciò incrociando le braccia piccato, cercando di celare il rossore che gli aveva invaso le guance.
“Cos’è questa confusione?”
La voce di Nick precedette di pochi istanti la sua entrata in scena. Scese le scale con grande classe, cosa di certo non favorita dal pigiama grigio che indossava e che decisamente si male intonava alla sua carnagione scura, e raggiunse il centro del salotto, incrociando le braccia con aria severa.
“Ho appena finito di parlare con l’agente Hill” iniziò con tono professionale e Tony e Pepper si scambiarono uno sguardo complice e malizioso. “Glanster è arrivato a San Francisco. Stasera il suo braccio destro, un tale di nome Fuhrmann, sarà al Big Horse Journey con un paio di complici. È necessario far infiltrare, pertanto, un paio di noi per cercare di carpire informazioni a proposito di Glanster” concluse compito. Tony sollevò le sopracciglia perplesso e Fury lo guardò distaccato, cercando di ignorare il fatto che si trovasse semi steso con la schiena appoggiata contro Pepper e le mani di lei sulle spalle.
“Illuminami, grande capo” intervenne con tono di finto ossequio. “A quale scopo? E in che modo?”
“Dovresti conoscere quel posto, Stark” lo incenerì Nick minaccioso e Tony pensò.
Il Big Horse Journey aveva detto? Ma certo… era stato ai telegiornali per settimane. ‘Il locale più sexy al mondo’ l’avevano definito. Era un pub che richiamava lo stile, le fattezze e il genere del Far West. In un’altra epoca, Tony ci sarebbe andato.
“E allora?” chiese ancora.
“Allora, non dovrebbe esser difficile riuscire a scoprire qualcosa… più ci avviciniamo a Fuhrmann, più ci avviciniamo a Glanster.”
Un sospiro teatrale si levò all’unisono e tutti capirono che quello era solo l’inizio.
 

*

 
Era molto tardi quando la Lamborghini grigia di Tony frenò stridendo sull’asfalto perfettamente liscio fuori dal Big Horse Journey. Tony e Steve, che erano seduti l’uno accanto all’altro sui sedili anteriori in quella che era una perfetta imitazione di una giovane coppia in litigio perché il gatto del primo aveva rubato le crocchette al cane del secondo, si guardarono incuriositi in giro. Fuori dall’entrata vistosa del pub, stava un piccolo gruppo di giovani dall’aria molto poco affidabile e probabilmente sbronza. Steve tirò un sospiro di disapprovazione.
“Questi locali sono una rovina” asserì convinto nel suo dolore morale e interiore.
“Dacci un taglio, Rogers” lo stroncò subito Tony, ma sorrideva. “Non ho alcuna intenzione di subire una ramanzina sull’importanza dei ruoli che l’alcol e il sesso facile hanno ricoperto nella distruzione del tuo ideale di amore casto e puro.”
“Il mio ideale di amore non è casto e puro” replicò Steve stizzito. “Solo ritengo che ci sia un modo migliore, ben diverso, da questo di trascorrere le proprie serate.”
“Tipo portare a ballare una donna con i capelli stile Grace Kelly ne La finestra sul cortile in un locale dove non offrono alcolici ai minorenni e la musica più chiassosa ed eversiva è il jazz di Charlie Parker e Harry Potter?”
Tommy Potter, Stark” lo corresse Steve esasperato, con i denti serrati per il fastidio che gli causava la vicinanza con quell’individuo, per non parlare del suo modo ingiurioso di relazionarsi con grandi eroi del passato come i jazzisti più longevi e rispettati.
“Sul serio, non capisco perché ho dovuto accompagnarti io.”
“Ah, neanch’io lo capisco. Tu hai insisto, tesoro.”
“Solo perché l’alternativa era stare con Thor… e non chiamarmi tesoro” aggiunse spazientito. “Usa questi dolci nomignoli affettuosi per la tua ragazza” continuò piccato.
“Cos’è tutta questa rabbia, Capitano?” gli chiese sospettoso Tony. “Non ti garba la mia bimba?”
“La tua cosa?” domandò Steve perplesso.
“La mia bimba” ripeté Tony tranquillo.
“Se ti riferisci a Virginia” riprese Steve impaziente. “Certo che mi garba. Mi dispiace solo che si è imposta un supplizio del genere” alluse scettico. “Come ti sopporta da tredici anni è una cosa che solo lei sa.”
“Geloso, Capitano?” disse Tony malizioso. “Devo dire che mi sorprendi. Cioè, non proprio: insomma, sapevo di interessarti, ma addirittura diventare invidioso della mia bimba…”
“Non sono geloso di te” si lasciò scappare Steve e Tony strabuzzò gli occhi, ridendo nervosamente.
“E invece sarà meglio per te che sia così, Capitano, o la Padella la userò per friggertici dentro” minacciò esaustivo.
Steve roteò gli occhi al cielo e sospirò.
“Non intendevo in quel senso” borbottò imbarazzato.
“E in quale, di grazia?”
“Nel senso che… oh, lascia perdere.”
“No, voglio capire” insistette Tony ed era stranamente serio. Steve lo guardò e annuì, sempre più a disagio.
“Be’, quando Natasha ci ha detto che avevi una relazione stabile con una ragazza, sono rimasto molto stupito. Diciamo che non sei il tipo che avrei immaginato invischiato in una situazione seria, a livello sentimentale” cominciò pacato. “Non immaginavo, insomma, che fosse così… legati. Si vede he con lei sei diverso…uhm, cioè migliore. Ho pensato che sei davvero fortunato e che non tutti hanno la fortuna tua, di avere qualcuno sempre e comunque dalla propria parte, pronto ad aiutarti in qualsiasi situazione, fino a partecipare a fughe illegali e missioni spionistiche. Insomma, hai capito.”
“Più o meno” rispose Tony. “Come mai avete parlato di questo?” aggiunse poco dopo.
Steve esitò.
“Lascia stare” lo fermò Tony. “Nick e Barton hanno litigato con Phil, non è vero?”
Il Capitano annuì, sorpreso.
“Già. A nessuno dei due va molto a genio Pepper. Cioè, in realtà più a Nick, Clint dubita di chiunque. E Phil è il suo migliore amico… naturale che non vadano d’accordo.”
Steve annuì di nuovo, poi parlò di nuovo.
“Stai molto a cuore a Howard, sai.”
Tony sorrise fra sé; si stava proprio chiedendo quando sarebbe arrivato quel momento.
“Te l’ha chiesto lui?” gli ciese in un sussurro rassegnato. Rogers parve non capire.
“Cosa?” chiese perplesso.
“Di dirmelo.”
“No” rispose subito Steve. “Assolutamente. Anzi, lui ci ha detto non di parlartene e di darti tempo. Non vuole che ti si metta fretta.”
Tony annuì, distaccato.
“Lo conosco da tanto tempo e so che a te sembra non sia mai stato un buon padre, ma ti vuole bene, anche se magari non è mai stato in grado di dimostrartelo nel modo giusto e farebbe qualsiasi cosa per te. Sarebbe anche disposto a sacrificare la possibilità di entrare nella tua vita, se questo significasse che sei libero e felice.”
“Rogers…”
“Stark, neanch’io ho avuto un buon padre” continuò Steve infervorato. “Ma se fossi al tuo posto, non perderei l’occasione di dargli una seconda possibilità. A lui e a me. Non tagliarlo fuori dalla tua vita solo per paura che ti deluda di nuovo o per rancore di un passato che non può cambiare. Conta che ora è qui e lo è per te. Nient’altro.”
Tony deglutì, ma sembrava che tutta la saliva fosse scomparsa. Strinse le mani sul volante e respirò.
“Grazie” bisbigliò grato. Steve lo guardò con un sorriso quasi paterno, dall’alto dei suoi novant’anni scarsamente dimostrati. Naturalmente, a causa del suo fisico falso imbottito di siero.
“Quando vuoi.”
Un silenzio imbarazzante cadde fra loro.
“Ma questo non vuol dire che ci puoi provare con la mia ragazza.”
Steve roteò gli occhi al cielo, sollevato che fosse tornato al suo solito brio.
“Ti ho detto che non voglio provarci con la tua ragazza” si giustificò testardo.
“Sì, certo. Ho visto come la guardi, bello, ma lascia perdere. Lei ha trovato l’uomo perfetto.”
“Ah ah, sicuro. Che donna fortunata. E comunque ho solo pensato che fosse troppo carina ed eccessivamente buona e gentile per stare con te.”
“E quindi dovrebbe stare con te? Stai scherzando spero. Non funzionerebbe mai, hai settant’anni più di lei.”
“Sulla carta d’identità.”
“Non mi dire… sai cos’è?!”
“Dacci un taglio, Stark.”
“Come sei tenero, Rogers, quando arrossisci.”
“Te lo ripeto per l’ultima volta, Stark: dacci un taglio.”
“Stai cominciando a rimpiangere il locale dissoluto con Thor, non è vero?”
“Capitano, mio Capitano!”
La voce di Phil giunse dall’apparecchio radiofonico emozionata e venerante e Tony ebbe l’impulso di chiudere istantaneamente la conversazione.
“Agente Coulson, ti riceviamo forte e chiaro” scandì il Capitano con voce alta e lenta. Tony scosse la testa esasperato.
“Santo Cielo, Rogers, non sono le radio degli anni Quaranta. Questi sono auricolari moderni, servono per comunicare e passare inosservati. Motivo per cui, non è richiesta una voce da soprano, quindi taci.”
“Smettila di fare il Leonardo da Vinci della situazione, Stark.”
“Io?! Sei tu che non sei capace nemmeno di maneggiare un semplice…”
“E tu, allora?”
Capitano!”
La voce che uscì dall’auricolare stavolta era di Nick e non era di certo gentile, adorante e disponibile come quella di Phil.
“Sì, grande capo?”
“Thor e Barton sono arrivati adesso.”
Tony alzò lo sguardo fuori dalla macchina e individuò facilmente i due infiltrati di sesso maschile. I suoi occhi si dischiusero in un’espressione di esasperata rassegnazione.
“Ma come si sono conciati?!”
C’era infatti un motivo per cui Tony li aveva individuati così facilmente. Barton indossava un paio di pantaloni beige piuttosto larghi e un enorme camicia a quadrettoni con sopra una giacca molto in stile anni Sessanta. Thor portava un ampio vestito a fiori color prugna, dei sandali di legno ed entrambi avevano due grandi cappelli da cowboy. Perfino da laggiù, il Capitano poteva sentirli discutere animatamente sul vestiario reciproco.
Tony stava per aprire la conversazione con quei due, sgridarli e spedirli a casa sua perché la banda di ragazzi aveva cominciato a fischiare nella loro direzione e a chiamare Thor a gran voce. Steve al suo fianco non riusciva a star fermo.
Proprio in quel momento, dall’altra parte della strada, una Maserati rosso fuoco si fermò sgommando davanti il locale. Thor e Clint smisero di discutere e Steve e Tony alzarono lo sguardo: le portiere di aprirono e Natasha e Pepper misero piede sull’asfalto.
Natasha portava un vestito molto corto beige e bianco, dalla gonna appena a sbuffo e il corpetto aderente che metteva bene in mostra le sue qualità; anche lei portava un cappello da cowboy a frenarle i riccioli rossi e un paio di stivali neri ai piedi. Pepper scese subito dietro di lei: sopra i cortissimi pantaloncini di jeans, indossava una maglia sbracciata con l’orlo sfilacciato e una camicia a quadri che le coprisse solo il petto, lasciandole scoperta gran parte della schiena. Un paio di stivali simili a quelli di Natasha le coprivano metà gamba e si rigirava il cappello fra le mani con aria imbarazzata.
Tony, Clint, Steve e Thor le guardavano tutti e quattro sconvolti e nessuno di loro riusciva a tenere chiusa la bocca.
“Accidenti” esclamò Barton con gli occhi sbarrati.
“Ma le Midgardiane sono tutte così?”
“Chiudi la bocca, Rogers, mi stai imbrattando tutto il cruscotto con la tua disgustosa saliva. Chiudila o ti faccio cadere la mascella.”
“Non sto sbavando, Stark, smetti immediatamente di fare queste allusioni maliziose e ridicole…”
Il gruppo di sbronzi posò lo sguardo su Natasha e Pepper nello stesso istante in cui loro varcarono la soglia del locale. Thor e Clint entrarono dopo di loro.
“E ora?” chiese Steve, riacquistando calma interiore. Tony sospirò.
“E ora… aspettiamo.”
 

*

 
“Uhuh!”
Natasha sbatté le mani ridendo, mentre Pepper cavalcava il grande cavallo finto al centro della sala, accompagnata dalle risate e dai fischi d’apprezzamento di gran parte delle persone presenti nel locale. Il cavallo si fermò all’improvviso e lei scese con grazia, raggiungendo l’amica al bancone.
Thor e Clint erano seduti poco lontani e cercavano di passare inosservati, con scarsissimo successo.
“Cosa prendete, belle signorine?”
“Due birre, tesoro” replicò Natasha maliziosa. Il barista le sorrise con altrettanta malizia.
“Ricordati di Bruce” le sussurrò Pepper ed entrambe scoppiarono a ridere. Bevvero in un gran sorso la loro birra e stavano per ordinarne un’altra quando due giovani le avvicinarono. Uno di loro scattò vicino a Pepper e le posò una mano sul fianco. Entrambi portavano un ciondolo a forma di fungo al collo e Natasha lanciò uno sguardo vittorioso a Clint.
Beccati.
 

*

 
Natasha e Pepper erano entrate da quasi tre ore e nessuno fino a quel momento aveva dato notizie.
Fuori dal locale, Tony continuava a battere nervosamente le dita sul davanzale del finestrino, impaziente e snervante. Steve sapeva di poter resistere ancora per poco.
“La smetti?” gli intimò irritato.
“Di fare cosa?”
“L’esaurito.”
“Sono entrate lì tre ore fa. Che stanno facendo?!”
“Smettila di fare l’agitato.”
“Lo faresti anche tu se lì dentro, mezza nuda e circondata da maniaci sessuali e assassini, ci fosse la tua ragazza.”
“Il fatto che riesca a farti diventare apprensivo è delizioso” gongolò Steve, finalmente con la possibilità di irritare a sua volta Stark. Tony arricciò la bocca in un’espressione altezzosa.
“Io non sono apprensivo. Solo non capisco perché ci sia dovuta andare anche lei.”
“Il gruppo di Glanster non si sarebbe fatto attrarre da Thor, per quanto il suo vestito a fiori color prugna gli donasse immensamente.”
“La Romanoff non era sufficiente?” insistette Tony imperterrito.
“Ce ne volevano due, Stark, smettila di fare la mammina.”
“Io non faccio la mammina… Pepper non è neanche una spia!”
“Ma è entrata a parte della cosa. La colpa è tua, non dovevi coinvolgerla nella fuga.”
“Non è colpa mia se non siete neanche in grado di difendervi da un gruppo di funghetti al comando di un esaltato con manie di grandezza.”
Steve sospirò e stava per rispondere che era davvero idiota, ma la porta del pub si era aperta e Thor e Clint la varcarono, con al seguito Pepper e Natasha. Tony tirò un sospiro di sollievo.
“Allora?” incalzò subito appena i quattro infiltrati si furono avvicinati. Thor aveva l’aria sconvolta.
“Oddio, Thor, dimmi che non hai sedotto nessuno” lo implorò Tony. Natasha sorrise incredula.
“Be’, veramente sì. Fuhrmann è pazza di lui e del suo vestito a fiori.”
“Andiamo bene” replicò Steve rassegnato. “Aspetta un attimo” disse poi. “Hai detto pazza?”
Clint sospirò affranto.
“A me non mi ha calcolato di striscio. E dire che il mio cappello era molto più trendy.”
“Fantastico” aggiunse Tony fingendosi compiaciuto. “Saltate in macchina che il grande capo vorrà un resoconto della serata.”
Natasha e Pepper tornarono alla Maserati e Tony rimise in moto la sua Lamborghini, mentre Thor e Clint tornavano a discutere animatamente di outfit e accessori.
“Comunque, Legolas, anche il mio cappellino era molto trendy.”
Clint sospirò ancora e prese nota di chiedere a Coulson di fare cambio stanza quella notte perché non avrebbe potuto tollerare altro tempo in compagnia di quel dio e dei suoi ridicoli pensieri su fiori e prugne ancora per molto.























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Buona sera miei Vendicatori! 
E allora eccomi qui con questo sesto capitolo. Ci tenevo molto a postare adesso perché pochi minuti fa sono scattati esattamente tre anni, tre mesi e tre giorni che sono iscritta a Efp e come festeggiare questa data speciale se non con la mia long preferita? In realtà, questo capitolo non mi convince particolarmente, ma, lo guardo e lo riguardo, a migliorare non migliora, quindi questo passa il convento. 
Nei giorni scorsi, sono riuscita a rispondere alla maggior parte delle recensioni e cercherò di rispondere anche alle ultime che mi mancano il prima possibile. In ogni caso, voglio ringraziare quei magnifici sette che mi hanno recensito lo scorso capitolo - MissysP, Alley, Silvia_sic1995, _Let it shine, LadyBlack89, DocHL, scarpegiallolimone - e promettere che risponderò il prima possibile. Grazie di cuore a voi e a tutti gli altri che dedicano attenzione, affetto e anche solo un minuto del proprio tempo su questa storia perché fate la mia felicità. 

Come al solito, qualche cosuccia: 

[1]The secret circle è un telefilm statunitense con protagonista Cassie Blake;
[2]: l'amore lontano di Thor a cui Tony allude a inizio capitolo è, naturalmente, Jane; 
[3]: Charlie Parker e Tommy Potter sono due jazzisti famosi degli anni Quaranta - il primo sassofonista e il secondo contrabassista;
[4]: Glanster dal tedesco significa "fungo" e da questo il simbolo sui vestiti dei suoi complici;
[5]: il locale citato è completamente inventato;
[6]: l'appellativo riferito a Clint - Legolas - è ispirato al film degli Avengers; 
[7]: per quanto riguarda l'appellativo di Phil al Capitano, vedere note del capitolo precedente.

Come forse avrete capito, la long viene aggiornata ogni dieci giorni circa e spesso a metà fra un capitolo e l'altro, troverete qualcos'altro nel fandom degli Avengers, di Iron Man o qualsiasi altro mi capiti sotto mano. :)
Credo di non dover aggiungere altro. Quindi, grazie ancora a tutti e buonanotte!
A presto, Mary.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII – Life on Mar ***


Capitolo VII
Life on Mar



Le tre auto lussuose e sportive varcarono una dopo l’altra la soglia del garage della villa di Tony e Steve tirò un sospiro di sollievo. Con la mano che quasi tremava, si slacciò la cintura di sicurezza e scese dal veicolo dannato.
“Santo Cielo, Stark!” esclamò appena ebbe messo piede a terra. Era così rassicurante trovarsi a contatto con aggeggi fermi e, soprattutto, non pilotati da Stark.
“Cosa?” chiese Tony incurante, chiudendo con un tonfo la portiera del suo giocattolino, accarezzandogli il cofano con affetto.
“Cosa cosa?” ripeté Steve affranto. “Sei un folle. Non ho mai conosciuto nessuno guidare come te: non rispetti i segnali stradali, non usi gli specchietti retrovisori, non dai la precedenza e corri come un pazzo… dimmi, cosa cosa?”
Anche le altre due macchine frenarono e Pepper, Natasha, Thor e Clint raggiunsero i due litiganti vicino alla porta che conduceva al primo piano della villa.
“Che succede?” domandò Natasha perplessa, notando il colorito pallido del Capitano e lo spesso strato di sudore freddo che gli imperlava la fronte e il viso.
“Succede che Stark guida come Hitler conduceva le battaglie e, cioè, come un folle privo di scrupoli” asserì Steve ancora visibilmente turbato dal tragitto frettoloso e illegale.
Tony roteò gli occhi al cielo con aria paziente e Thor strabuzzò gli occhi, chiedendosi chi mai fosse quello stano omuncolo citato da Rogers e cosa l’avesse spinto a definirlo un ‘folle privo di scrupoli’.
“Sono stato prudentissimo. Non guardarmi così, bimba” aggiunse rivolto a Pepper che aveva incrociato le braccia con aria severa. “Sta notevolmente esagerando le dimensioni di questa storia. Sono stato davvero la ponderatezza fatta Tony Stark.”
“Solo a me sembra un controsenso?” inveì Clint, che si era finalmente sbarazzato di quel ridicolo cappello che aveva addirittura osato definire trendy solo qualche ora prima.
“No” rispose pronta Natasha e fece schioccare le labbra con aria altezzosa, poi intraprese la via verso il salotto. Tony la guardò piccato.
“Vai a giocare col tuo dottorino?” le urlò dietro.
“Muoviti” gli intimò Pepper con un’occhiata esasperata, mentre lo spingeva su per le scale.
Salirono tutti e cinque i gradini che conducevano al piano terra e arrivarono in salotto, dove Natasha aveva già iniziato il resoconto dell’avventura.
“… così e Pepper siamo entrate ed erano circa le nove e mezza” stava dicendo alla platea che la scrutava silenziosa e attenta sul divano. Nick aveva lo sguardo severo e le mani congiunte, Howard fissava il volto di Natasha con aria pensierosa, Bruce scrutava le dita che gli si torturavano vicendevolmente in grembo e Phil sedeva calmo di fronte alla collega. Steve raggiunse Howard sul sofà e strinse le mani con aria ancora parecchio affranta per la guida di Stark, Thor e Clint rimasero in piedi, entrambi con addosso i vestiti della festa e Tony e Pepper si lasciarono cadere sull’unico spazio ancora libero sul divano.
“Abbiamo cercato di attirare l’attenzione in vari modi” continuò Natasha con tono professionale. “Ma era difficile, con tutti quegli uomini.”
Tony smise per un istante di ascoltare e arricciò appena le labbra, assottigliando gli occhi. Si appuntò mentalmente di chiedere a Pepper una spiegazione per quella frase, una volta che fossero riusciti nell’ardua impresa di rimanere soli. Insomma, cosa intendeva precisamente la Romanoff con l’espressione ‘tutti quegli uomini’? Dallo sguardo di Bruce, capì che non sarebbe stato l’unico a chiedere delucidazioni in proposito.
“Siamo riuscite ad attirare l’attenzione di due uomini di Glanster, alla fine” affermò soddisfatta. “Ma c’era una falla nelle nostre informazioni” aggiunse in un tono molto meno entusiasta. “Fuhrmann è una donna; Lydia si chiama e chiaramente non poteva essere attratta da me o Pepper.”
“No, decisamente” rincarò Pepper.
“Ma” continuò Natasha e le sue labbra fremettero per le risate represse. “Le è piaciuto molto il vestito di Thor.”
Nick si voltò verso il dio del tuono, con aria speranzosa.
“E…?”
Thor assunse d’un tratto un’espressione spaventata e guardò preoccupato Tony.
“Nulla. Le ho gentilmente chiesto di ballare, ma lei ha rifiutato, così ce ne siamo andati.”
Tony strinse i denti a bocca larga, osservando Fury respirare profondamente per evitare che la sua ira non si scagliasse sul povero, inesperto, buon Thor.
“Bene” asserì infine. “Bravo.”
Thor, ancora poco pratico di situazioni ironiche e rimproveri celati, sorrise di quel complimento e sbatté le mani con aria ingenuamente e anche abbastanza ridicolmente soddisfatta.
“Grazie capo!” esclamò compiaciuto. Tony vide Nick lottare contro se stesso per non urlare; quando sembrò essersi ripreso, conquistò il centro del salotto, iniziando a parlare con la sua solita voce pacata e autoritaria.
“Bene” esordì tranquillo. “Data la conclusione, direi che sarà necessario aspettare, a questo punto, l’arrivo di Glanster in città, che dovrebbe essere previsto per dopodomani. Fino ad allora, sarà meglio tenersi lontani dalla Fuhrmann e la sua banda. Quelle poche nuove informazioni sono già state inserite dal dottor Banner nel nostro database. Quindi, direi che sarà meglio aggiornarci domani.”
Clint sbadigliò vistosamente ed emise un rumore davvero inusuale. Natasha sospirò esasperata.
“Copriti la bocca con la mano, Barton, non ci interessa sezionare la tua laringe” gli intimò disgustata. “Potrei usare il bagno?” chiese poi rivolta a Pepper.
“Sì, certo” rispose lei cordiale. “Direi che puoi usarlo da subito, così poi dopo, eventualmente, possono andare anche gli altri.”
Steve alzò lo sguardo verso Tony e il padrone di casa vi lesse la finta pacatezza che mal tratteneva la rabbia e l’irritazione che solitamente precedevano una gran bella ramanzina; indirizzata a lui, naturalmente.
“Stark” esordì serafico. “Stai dicendo che hai una villa enorme, con quattro camere da letto, un salotto grande quanto un campo di battaglia tedesco dopo il passaggio degli Americani, una cucina senza fine, corridoi lunghi e larghi come gallerie, un parcheggio con diciassette auto, un giardino che fa invidia alle regge imperiali e un laboratorio in cui potrebbe entrare l’intero S.H.I.E.L.D. e un solo bagno?”
Bruce strabuzzò gli occhi, Natasha levò le sopracciglia, Thor aggrottò lo sguardo, Howard e Nick si guardarono sorpresi, Phil alzò un angolo delle labbra in una smorfia rassegnata e Clint sbadigliò ancora.
“Sì, Rogers” rispose pacato Tony. “Dato che la casa è abilitata per due, non capisco il motivo per cui dovrei collezionare 00. Fino ad oggi, mi sono sempre trovato benissimo e non tollero la tua intollerabile intolleranza verso la mia tollerante accoglienza.”
“Mhm… intollerabile intolleranza…”
“Lascia perdere, Thor.”
Si guardarono tutti, poi Natasha si alzò ancora.
“Vado prima io” e quasi senza che gli altri se ne rendessero conto, corse verso il bagno.
 

*

 
“Natasha! Apri la porta?!”
Phil era spazientito. No, anzi non era spazientito: era esasperato, molto esasperato, moltissimo esasperato. Era esasperatissimo.
Natasha si era impossessata del bagno poco meno di due ore prima e da allora nessuno aveva visto più lei né la porta di quella camera aperta. Ora, non che Phil fosse un ossessivo maniaco della pulizia e non gli sarebbe importato poi tanto in altre situazioni, ma era davvero urgente: aveva bisogno del bagno e Natasha continuava a non capire. Dannazione.
Preso da un attacco di esasperazione particolarmente acuto, fuggì dalla soglia esterna della stanza da bagno, ancora rigorosamente chiusa a chiave, e corse al piano di sotto alla ricerca di Pepper.
Nel frattempo, Thor era seduto sul pavimento della sua stanza e stava malamente intonando fra sé una canzoncina che Frigga gli cantava sempre quand’era bambino per farlo addormentare.
Dormi, bambino, dormi piccino, figlio di Odino, o dormi bellino, dormi bambino, o mio Asgardino, sei il principino e poi un reino, figlio di Odino…
“Thor, per l’Amor del Cielo, sta’ zitto!”
Clint rivolse gli occhi al cielo con aria sconvolta e aprì l’armadio, alla ricerca di un asciugamano da portarsi in bagno, ma erano tutte con l’immagine di Iron Man sopra e lui non aveva assolutamente voglia di andare in giro con la testa di Tony Stark che gli spuntava dall’inguine. Così, infilò la testa nell’armadio e cominciò a cercare.
“Ciao.”
Al piano inferiore, la voce di Howard fece quasi trasalire la persona appena entrata in cucina e il bicchiere che reggeva nella piccola mano le sfuggì, finendo a terra; Howard lo afferrò prima che toccasse terra.
“Grazie” sussurrò Pepper imbarazzata e riprese l’oggetto, rimettendolo sul giusto scaffale.
“Ma per così poco” replicò lui con un sorriso affabile sotto i baffi scuri. Sembrava stranamente agitato, come se volesse dire qualcosa ma non fosse sicuro se farlo o meno.
“Io dovrei ringraziare te” aggiunse dopo un lungo silenzio, sedendosi su uno sgabello al bancone.
Pepper lo guardò perplessa e prese posto di fronte a lui; la maglia dorata e scarlatta con la scritta Iron Man, in perfetta tinta con i calzettoni ai piedi, si arricciò in vita e scoprì le gambe fasciate nei bermuda di jeans che di certo non provenivano dal suo armadio.
“Per cosa?” domandò curiosa, portandosi una ciocca ramata dietro all’orecchio. Howard alzò lo sguardo dalla superficie liscia e bianca del tavolo e respirò profondamente; parlare sembrava costargli uno sforzo enorme.
“Be’, per tutto. Ti sei presa cura di Tony sin da quando era un adolescente. Sei stata la sua segretaria, la sua assistente, la sua confidente. L’hai aiutato a credere nei suoi progetti e nelle sue capacità. Gli hai dato sempre una mano, ti sei occupata di lui quando stava male e l’hai sostenuto a diventare una persona diversa, migliore per se stesso e gli altri. Ogni cosa, la devo a te, perché hai fatto quello che avrei dovuto fare io ed è merito tuo se oggi lui è così, coraggioso, testardo, buono, gentile, fiducioso in se stesso.”
“Forse troppo” aggiunse Pepper in un sorriso e anche Howard sorrise debolmente. Aveva parlato liberamente, con le mani strette quasi convulse e la mascella a tratti contratta. Un’incrinatura roca aveva appena offuscato la sua voce e uno strano luccichio aveva pervaso il suo sguardo, quegli stessi occhi che Pepper aveva tanto imparato ad amare sul viso di un altro.
“N-Non deve dire così” lo incoraggiò e cercò di scacciare il rossore che le imporporava le guance. “Non ha chiesto lei di sparire.”
“Sì, ma l’ho fatto. Sai” continuò e Pepper quasi desiderò che non lo facesse. Doveva essere qualcun altro a sentire quella storia. “Quando c’è stato l’incidente e Maria è morta, io non volevo più vivere. Fu Nick che mi convinse ad andare avanti: mi disse che c’era una missione da compiere e che solo io potevo farlo. Era necessario creare un congegno attraverso il quale proteggere tutti i dati dello S.H.I.E.L.D. e per farlo era necessario viaggiare molto e trovare elementi rari e preziosi. Pensai a Tony e gli dissi che non potevo assumermi quell’incarico, ma poi ci mettemmo d’accordo e io avevo paura di crescere un figlio che non conoscevo davvero, da solo. Accettai la missione e non tornai più a casa… a che sarebbe servito, distruggergli il cuore, solo per la soddisfazione di vederlo da vicino? Non l’avrei mai fatto, se ora non fosse stata indispensabile la mia presenza. So quello che pensa, ma io gli voglio bene, anche se non gliel’ho mai detto, anche se non gliel’ho mai dimostrato. L’ho seguito sempre, in tutti questi anni… mi ha sorpreso sapere che avesse una ragazza, però” aggiunse con un risolino. “Non avrei mai detto che era il tipo da relazione stabile. Cioè, stabilita.
“Neanch’io” ribadì Pepper sorridendo. “Signor Stark…”
“Howard.”
“Howard. Sì. Howard, io capisco tutto, ma non è a me che deve raccontare questa storia” disse in un bisbiglio. Howard la guardò e lei prese fiato.
“Tony deve sentirlo da te… lui ha bisogno di sentirlo da te. Devi fidarti di lui e di te stesso… altrimenti, come pensi che lui lo potrà mai fare? Ha bisogno di sentire dalla bocca di suo padre che gli vuole bene” strinse le labbra e batté le palpebre, turbata.
“Virginia…”
“Pepper!”
Entrambi sobbalzarono quando Phil entrò come un folle in cucina, saltellando da un piede all’altro con fare imbarazzante.
“Phil?” chiese Pepper perplessa. “Che stai facendo?”
“Devo andare in bagno” sussurrò affranto. “Ma Natasha l’ha praticamente monopolizzato. Aiutami, ti prego! Sento che potrei scoppiare da un momento all’altro.”
“Oh” esclamò Pepper. “Certo. Aspetta qui, vado a parlare con Natasha.”
Scattò subito in piedi e salì le scale saltando due gradini alla volta, ma prima che potesse raggiungere la stanza a cui era diretta, il suo sguardo fu catturato da qualcos’altro. Si avvicinò sospettosa alla cabina armadio nel corridoio e guardò.
“Non ci posso credere.”
Nel frattempo, Nick aveva caldo. Era stata una giornata particolarmente stancante e lui aveva dovuto subire parecchi attacchi isterici e di certo la mancanza di cervello di cui alcuni dei suoi erano dotati – Thor, per esempio – lo irritava enormemente. C’era un’unica soluzione a quella tremenda ansia che gli cresceva dentro: un bagno. Per cui, si affrettò a liberarsi dei vestiti e si diresse, con solo un asciugamano a coprirgli il corpo dalla vita in giù, nella camera con la vasca. Aveva appena raggiunto la porta, quando incontrò un intoppo: la maniglia non si apriva. Con uno sbuffo professionale, strinse bene entrambi i palmi attorno il pomello. Era infatti evidente che c’era un qualche problema di scorrevolezza delle porte – era tardissimo e molto probabilmente, a giudicare anche dal buio in casa, tutti stavano già dormendo, eccezion fatta per Howard il quale, rifiutandosi di seguire i suoi saggi consigli, aveva deciso di parlare con la ragazzina – e quindi spinse forte. Finalmente, dopo un paio di battute ben assestate, la porta si aprì e Nick entrò in bagno. Si lasciò sfilare l’asciugamano di dosso e si osservò con sguardo critico allo specchio centrale: un bronzo di Riace, proprio.
“Oddio.”
Nick sbatté le palpebre, certo di aver sentito male. Insomma, per quale motivo avrebbe dovuto sentire la voce dell’agente Romanoff in quel momento? Lei stava dormendo, probabilmente tutta abbracciata al dottor Banner.
Ma non era così. Natasha era sveglia – molto sveglia – ed era completamente nuda nella vasca da bagno, con i capelli legati in uno strano chignon dietro la nuca e la schiuma a nascondere le sue linee perfette. I suoi occhi erano sbarrati, fissi e vitrei nell’osservare il corpo scoperto del suo capo e le sue labbra formose e scarlatte erano semi aperte per la sorpresa.
“Oddio” ripeté sconvolta.
“Oddio” disse a sua volta Nick e cercò di recuperare l’asciugamano, ma quello era sventuratamente caduto per terra e adesso era tutto bagnato. Oddio.
“Oddio!”
Stavolta l’urlo di Natasha risuonò per tutta la casa e Clint, che temeva per l’incolumità della sua collega, scattò in bagno, con adesso un accappatoio di Spiderman e in mano una lampada a forma di squalo.
“Che succede?” chiese all’erta, saltando in bagno in un sol salto. I suoi occhi si sbarrarono appena individuò la situazione che si apriva dinanzi a lui con le fattezze di un perfetto incrocio tra un reality americano e un film porno.
“Oddio” disse a sua volta e la lampada cadde a terra in un tonfo assordante.
ODDIO!”
Natasha strillò ancora più forte e, in un attimo, Bruce, Thor, Howard, Steve e Tony furono nella stanza: Thor si guardava intorno con aria perplessa e non riusciva a capire per quale motivo Nick aveva addosso un accappatoio rosa shocking che Virginia aveva già promesso di regalare a lui; Steve aveva la bocca spalancata e passava lo sguardo da Natasha, ancora nuda nella vasca, a Clint, con l’accappatoio dell’Uomo Ragno aderente e trasparente in punti visibilmente strategici, a Fury, irritato e nervoso in versione Barbie; Howard aveva abbassato il viso con aria paziente e si massaggiava una tempia; Tony continuava a sbattere le palpebre, senza riuscire a credere ai suoi occhi; Bruce era sconvolto.
“Ma che sta succedendo?” chiese senza fiato e puntò uno sguardo stupito su Natasha, la quale, sentendosi sotto accusa, si affrettò a urlare.
“Fury ha sfondato la porta del bagno” affermò turbata.
“Non pensavo ci fosse qualcuno” si difese Nick, stringendo la corda dell’accappatoio in vita con aria imbarazzata e nevrotica.
“Io sono venuto perché Natasha ha urlato” si giustificò subito Clint, saggiamente terrorizzato dall’ipotesi che lo sguardo agitato di Bruce potesse sfociare nell’apparizione del suo alter ego verde.
“Perché Fury è entrato!”
“Perché pensavo non ci fosse nessuno!”
“Capo!” intervenne lamentoso Thor. “Perché hai addosso quel vestito? Lady Virginia l’ha regalato a me.”
“Non dovresti stupirti, Thor” s’inserì Pepper alle loro spalle. Steve si fece da parte e lei entrò, con lo sguardo infuocato fisso su Fury, “che il tuo capo rubi le cose altrui” aggiunse fredda e sembrava sul punto di strappargli i capelli, se ne avesse avuti.
“Di che parli?” domandò Nick e nei suoi occhi c’era la stessa rabbia e lo stesso astio che bruciavano quelli di Pepper. Fece un passo verso di lei e Pepper non indietreggiò. Tony lo guardava dubbioso e i suoi occhi erano sottili luci pronte ad esplodere.
“Fury, perché non ti calmi e…”
“Sapevi di Howard” replicò Pepper. “Lo sapevi da sempre e non gli hai mai detto niente, in tutti questi anni in cui lui ha rischiato la vita per te” continuò e le sue labbra fremevano per l’ira che le parole non riuscivano ad esprimere abbastanza, “l’hai mandato a morte un milione di volte perché non volevi essere tu a rischiare e dopo che lui, per te, ha fatto qualsiasi cosa, gli hai nascosto il più importante dei segreti. E…”
Nick alzò un braccio, come per fermarla. I suoi occhi lampeggiavano terrorizzati.
“… eri il braccio destro di Glanster.”
Tutti alzarono lo sguardo verso Nick e lui strinse la mascella e serrò gli occhi. Tony si sentì mancare il fiato. Fu Steve a frantumare quel silenzio di ferro.
“È vero?” chiese stupito.
“Lo ero” disse Nick con la gola riarsa e lo sguardo vuoto.
“Tu gli hai permesso di entrare in possesso di quell’aggeggio” continuò Pepper. “E adesso pretendi che loro rischino di nuovo la vita per te. Io mi chiedo come diavolo fai a dormire la notte.”
Guardava Fury con aria sconvolta e sprezzante. Le sue mani tremanti reggevano quel ritaglio in cui lui e il giovane Glanster sorridevano felici. Le dita si rilassarono e la foto cadde sul pavimento bagnato; Pepper si girò, con la testa che si muoveva a scatti disgustata, e si avviò verso la porta. Nick la fermò per un braccio; fu allora che Tony scattò.
“Lasciala” disse calmo e i suoi occhi traboccavano di impazienza. “Lasciala, Nick.”
Ma Nick non la lasciò: la trascinò indietro con forza e Pepper, nel tentativo di riprendersi il braccio, cadde per terra su un fianco. Gettò le mani in avanti per frenare istintivamente la caduta e una delle due scricchiolò in modo sinistro, mentre la testa batteva forte contro il muro. Thor corse ad aiutarla, Tony schizzò in avanti.
“Fury…” sputò fra i denti e fece per alzare un braccio, ma Bruce e Steve lo frenarono per le spalle. Howard si posizionò fra i due, fermando entrambi.
“Calmatevi, tutti” disse, ma Nick lo spostò e accidentalmente spinse Tony all’indietro, col risultato che lui, Bruce e Steve si ritrovarono tutti e tre contro il lavandino, spintonandone lo scaffale e il contenuto cadde per terra. Un aggeggio metallico finì sul cuore di Tony e quello si spense.
“Tony!”
L’urlo unanime di Bruce e Pepper risuonò nella stanza. Lei si rialzò e si avvicinò al ragazzo, aiutandolo a risollevarsi.
“Non è niente” li rassicurò Tony. “È solo una piccola botta, non è successo niente” continuò e si rimise in piedi, aiutando il dottore a fare altrettanto. Fu Bruce a prendere in mano la situazione.
“Forse è il caso che andiamo tutti a dormire” affermò serafico. “Direttore, perché non ricorda al signor Stark qual è la vostra stanza? Deve averlo dimenticato… e Thor, forse anche l’agente Barton ha avuto qualche dimenticanza, o in questo momento non si ritroverebbe seminudo in un bagno già impegnato” aggiunse con sguardo furioso. “Steve, se l’agente Romanoff ci farà l’onore di rivestirsi e liberarci il bagno, mi potresti aiutare a medicare la mano di Virginia, che mi sembra chiaramente rotta. Tony” continuò con più dolcezza, “forse è il caso che vai in laboratorio a dare un’occhiata e ad assicurarti che tutto sia a posto.”
Nessuno appariva entusiasta della piega che aveva preso la cosa, ma tutti accettarono gli ordini senza replicare ed uscirono silenziosi dal bagno. Steve, Bruce e Pepper aspettarono fuori che Natasha uscisse; quando finalmente la porta si aprì, il Capitano e Virginia rientrarono, mentre Natasha fece per fermare il dottore.
“Bruce, io…”
“Mi scusi, agente” la interruppe freddo Bruce. “Ma c’è una paziente che ha bisogno di me.”
La superò senza degnarla di uno sguardo e chiuse la porte alle sue spalle. Natasha tornò in camera con le labbra strette in una smorfia impotente.
“Così non dovrebbe farti troppo male” diceva nel frattempo Bruce, mentre medicava il polso e la mano di Pepper. Lei sospirò.
“Grazie, dottore” sussurrò grata.
“Bruce, Virginia” la corresse affabile Banner. Lei sorrise debolmente.
“Steve, mi passeresti quella benda?”
Steve sembrò risvegliarsi da uno stato di trance. Distolse lo sguardo da Pepper e sobbalzò; allungò un braccio e passò l’oggetto richiesto al dottore.
“A posto” disse Bruce, stringendo l’ultima fascia. “Cerca di non sforzarla troppo per qualche giorno.”
Lei annuì e lo ringraziò ancora. Bruce e Steve le lasciarono il bagno e tornarono ognuno nelle proprie stanze.
“Steve?” lo richiamò Bruce. “Ti spiace se facciamo cambio stasera?” gli propose nervoso. Si torturava le mani in un gesto agitato e nei suoi occhi si leggeva il chiaro desiderio di trovarsi il più lontano possibile dalla stanza che gli era stata assegnata.
Steve lo guardò perplesso, poi annuì, senza capire quell’atteggiamento restio nei confronti di Natasha.
“Va bene” confermò tranquillo e si avviò verso il corridoio opposto, mentre Bruce tirava un sospiro di sollievo, per quanto gliene fosse concesso il dormire con Phil.
Tony, nel frattempo, aveva appena lasciato il suo laboratorio e stava dirigendosi verso il primo piano, quando vide Phil venirgli incontro tutto trafelato.
“Santo Cielo, Coulson!” esclamò. “Che diavolo di fine avevo fatto?”
Phil scosse la testa, esasperato.
“Natasha ha monopolizzato il bagno” disse affranto. “E io dovevo…”
“Aspetta un secondo” lo interruppe Tony stravolto. “L’hai fatta nel mio giardino?!
“No!” si affrettò a rispondere Phil. “No, sono andato fuori i confini del tuo giardino” confessò. “Ma era perché era davvero urgente. Pepper mi aveva detto che ci avrebbe pensato lei..”
“Lascia perdere” scosse la testa Tony. “E va’ a dormire che domani sarà ancora peggio.”
“Perché?” chiese Phil perplesso.
“Non ci pensare” disse Tony e salì di nuovo le scale. La porta del bagno era socchiusa e una luce fioca illuminava uno spiraglio del corridoio. Tony bussò lievemente.
“Posso?” le domandò titubante, affacciandosi appena verso la stanza.
Lei quasi trasalì; era seduta sul bordo della vasca e si riguardava la mano con aria stanca. Quando vide Tony scrutarla preoccupato dalla soglia, sorrise debolmente e i suoi occhi brillarono un po’ di più.
“Tu puoi sempre.”
Tony sorrise a sua volta ed entrò. 






































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Buona sera miei Vendicatori! 
Vi parlo dal mio divano, uccisa da una giornata semplicemente struggente perché dopo dieci ore di lezione all'Uni non bastava il ritardo della funicolare, ma anche il tram che si è presentato un'ora dopo l'orario previsto e un freddo da cani alla fermata. Ora, con un bel brodo davanti e il mio felpone addosso, proprio come una brava nonnetta intenta a dedicarsi al suo uncinetto serale e affezionato, passo da voi a postare il capitolo della decade. 
Dunque, dunque: un po' come per quello scorso, non mi convince e non sono riuscita a trovarne il motivo, cosa che mi irrita profondamente, ma spero che voi troverete il risultato più soddisfacente di quanto non faccia io. 
Per quanto riguarda le recensioni, purtroppo non sono ancora riuscita a rispondervi singolarmente, ma stasera di certo inizierò l'opera e mi impegnerò a fondo con tutta me stessa pur di riuscirvi in toto. In ogni caso, voglio ringraziare tutti voi che leggete, seguite, preferite, ricordate e perdete anche solo un istante della loro esistenza su questa storia e un grazie particolare e doveroso e affezionatissimo va a quelle pazze sette che mi hanno fatto brillare gli occhi con tutte quelle splendide parole che ancora non ho ben capito come facciano a riferirsi a me e a questo sgorbio che la mia mente malata ha partorito, e cioè: LadyBlack89, _M4R3TT4_, Silvia_sic1995, DocHL, MissysP, Alley e _Let it shine. Grazie di cuore perché mi riempite di gioia come non potrò mai riuscire a spiegarvi. 

Come al solito, classica burocrazia: 


[1]Life on Mar è un telefilm statunitense con protagonista Sam Tyler;
[2]: la canzone che canta Thor è ispirata un motivetto infantile molto comune che probabilmente conoscerete; 
[3]: l'amicizia tra Nick e Glanster - eh, sì, amici miei, erano amici - risale a parecchi anni prima che i piani diabolici del Tal dei Tali venissero alla luce;
[4]: '00' è un sinonimo di toilettes;  
[5]: 'stabilita' è l'aggettivo che usa Tony nell'ultima scena di Iron Man 2 per definire la sua relazione con Pepper a Nick;
[6]: i bronzi di Riace sono una coppia di statue greche considerate tra i capolavori scultorei del ciclo ellenico.

Bien, credo tutto sia chiaro. Se ci sono dubbi, sulla trama o su qualsiasi altra cosa, come si suol dire, chiedete e vi risponderò. 
A presto, miei prodi, e ricordate: Avergers do it better

Mary. 

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII – Pan Opera ***


Capitolo VIII
Pan Opera



L’acqua calda sgorgava rapida e gentile sulle loro pelli vicine e tese nella vasca accogliente. Era passata meno di un’ora dal momento in cui Bruce aveva mandato tutti a dormire e Tony e Pepper erano ancora svegli, stesi nell’enorme idromassaggio, stretti l’uno all’altra.
Il livello dell’acqua giunse finalmente a quello previsto e Pepper allungò una mano per fermare il getto dalla manovella, poi posò la testa all’indietro e chiuse gli occhi, avvolgendo le braccia e le gambe attorno al corpo di Tony che era steso con la schiena sul petto di lei.
“È stata una giornata tremenda” sussurrò con le labbra che sfioravano l’orecchio di Tony. Le sue mani scorsero lente e indolenti sul suo petto bagnato e si soffermarono entrambe sulla luce azzurra del reattore. Lo sfiorarono con delicatezza, quasi con il timore di ferirlo.
“Come ti senti?” gli bisbigliò poi con la voce appena incrinata. Lui scosse la testa con un debole sorriso e le prese la mano, portandosela alle labbra per lasciare un bacio sul dorso fasciato.
“Sto bene” le disse tranquillo. Le sue dita accarezzavano delicate la benda spessa che avvolgeva tutta la pelle dal polso al palmo. “Tu un po’ meno.”
“È solo una frattura. Bruce ha detto che basta che sto tranquilla per un po’ e passerà da sé” lo rassicurò serafica. “Si era spento” continuò seria. “L’ho visto.”
“Solo per un istante” replicò Tony. Alzò appena il viso e la osservò, sorridendo sfacciato. “Non penserai di liberarti di me così velocemente, vero?” le chiese malizioso. Lei lo spintonò.
“Stupido” lo rimproverò sorridendo ed era bello poter scherzare ancora fra loro, nonostante ci fosse tutta quell’agitazione, tutte quelle bugie, tutto quel caos intorno a loro.
Si guardarono ancora, poi Tony si scansò appena e si poggiò con la schiena contro il bordo, allungando le braccia attorno la vita di Pepper e trascinandola su di sé. Le sfiorò il viso con la mano, portandole una ciocca scomposta dietro l’orecchio, e la baciò. Mosse con decisione le labbra sulle sue, aggrappandosi a quel contatto con necessità e disperazione, stringendole le mani sulla schiena liscia e bollente sotto il suo tocco. Pepper rispose e le sue mani finirono ad accarezzargli il petto, le spalle, le guance, i fianchi. Si fece più vicina a lui e gli salì definitivamente in grembo, portando le ginocchia a sfiorargli la vita e le braccia dietro il collo. Si allontanarono appena e lasciarono che l’acqua li spingesse più vicini, con le fronti unite e le bocche che ancora si toccavano. Tony le carezzò una guancia con due dita, poi scese con il viso sul suo collo e cominciò a baciare con infinita riverenza ogni lembo di pelle scoperta e bagnata, stringendo con dolcezza la carne docile fra i denti, sulla lingua, fra le labbra. Lei chiuse gli occhi e sospirò, immersa nel più immenso oblio, ancorando le dita attorno alle sue spalle, e lui continuò a prendere sul suo palato quel gusto raffinato e prezioso che era unicamente, squisitamente lei. La sua bocca sul suo corpo si fece più audace e scese sul petto, a sfiorare la pelle dei seni, poi del ventre e posò un bacio delicato sull’ombelico. La sollevò appena e Pepper lo spinse più all’indietro, lasciando che le sue labbra scorressero sul torace di Tony, sui muscoli ora non più tesi del suo addome, per fermarsi sul suo cuore.
“Ti amo” sussurrò con adorazione e si sollevò ancora, saldando la presa ai suoi fianchi e sfiorandogli la mascella con le dita sane. Lui le accarezzò il capo, quelle ciocche dei capelli sfuggite allo chignon dietro la nuca, e la guardò come se non potesse mai saziarsene.
“Anch’io” bisbigliò sfinito e si baciarono ancora mentre si univano definitivamente. I loro corpi allacciati si mossero prima lenti, poi più veloci, cullati dalle spinte leggere dell’acqua, increspando la superficie schiumosa, mentre le bolle colorate li circondavano come se fossero le pareti di un piccolo rifugio dove nulla poteva distruggerli. I loro sospiri profondi risuonavano nella stanza semivuota e li accompagnò finché non si slegarono. Pepper rimase con il capo chino sulla sua spalla, continuando a sfiorare con le dita ancora sane il bordo del suo cuore e Tony continuò a tenere le braccia su di lei, senza lasciarla neanche per un istante. La sua mano salì verso il suo collo e andò a toccare docile il ciondolo che pendeva sul suo petto nudo; l’anello di acquamarina sembrava fondersi con le bolle che ancora gli danzavano attorno, come se fosse la punta di diamante di quel loro rifugio, la prova tangibile che nulla poteva toccarli finché esisteva quel nascondiglio in cui ritrovarsi ogni volta che avevano bisogno solo di loro stessi.
“Ancora poco” bisbigliò sorridente. Lei annuì e tornò ad accarezzargli la mascella, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi perfetti.
“Baciami” sussurrò adorante. “Tutta la notte.”
Lui sorrise e la accontentò.
 

*

 
Steve non riusciva a dormire. Era andato a dormire meno di un paio d’ore prima e non era riuscito ancora a prendere sonno. Quando si era presentato nella stanza che era stata di Bruce, Natasha l’aveva fissato a lungo, sconvolta e arrabbiata, poi, senza degnarlo di una parola, si era infilata nel letto di malomodo e  l’aveva completamente privato delle coperte. Quando si era stufata di quell’atteggiamento, aveva preso a parlare senza tregua e Steve era stato costretto a subire un’ora intera di soliloquio, in cui l’agente aveva parlato del comportamento infantile che il dottore aveva visibilmente assunto nei suoi confronti. Insomma, non era certo stata colpa sua, se era successo quel che era successo! Lei cosa avrebbe potuto fare? Non poteva mica impedire a Fury di spogliarsi davanti a lei o a Clint di entrare senza invito nella stanza da bagno o a Nick di far del male a Pepper? Lei non ne aveva colpa e il suo comportamento infantile era stupido e ingiustificato. Quando finalmente Natasha aveva valutato seriamente l’ipotesi di addormentarsi, Steve aveva tirato un sospiro di sollievo e aveva a sua volta chiuso gli occhi. Il sonno l’aveva quasi preso quando un altro rumore, forte quanto la voce di Natasha e addirittura più imbarazzante, l’aveva tenuto sveglio e non era riuscito chiudere occhio fin quando quei maledetti, profondi e conosciuti solo in teoria sospiri non erano finiti. Dato lo stato fisico e psicologico che aleggiava in quella casa, coinvolgendone gli abitanti, Steve nutriva davvero pochi dubbi sulla fonte dei sospiri. Quando finalmente il rumore – decise di etichettarlo così, in modo da evitare un crescendo nel suo già piuttosto notevole imbarazzo – cessò, Steve si era addormentato; ma poi, si era svegliato di nuovo e aveva deciso di andare a bere un bicchier d’acqua – Virginia aveva creato uno scaffale appositamente per lui, con solo acqua naturale e delle bustine di sano thè alla camomilla. Era appena arrivato alla cucina, quando vide la luce accesa; senza farsi notare, tese l’orecchio e ascoltò.
Erano Phil e Virginia.
“… poi sono tornato a casa” aveva appena concluso lui e Steve poteva vedere da uno spiraglio nella porta come fosse arrossito vistosamente. Incuriosito, volse lo sguardo su Virginia e prestò grande attenzione sul suo vestiario: indossava una maglia oversize bianca, con l’immagine di Iron Man sul davanti, e un paio di bermuda di jeans il cui proprietario Steve era certo di conoscere – e detestare – bene.
“Non ti avevo mai visto così” disse lei e sorrideva. Il Capitano si chiese come facesse ad essere così tranquilla, dopo la serata che aveva avuto. Era incredibile. Si augurò mentalmente che non fosse a causa dei sospiri.
“Sì, be’” replicò sconclusionato Phil, ancora visibilmente in imbarazzo. “Non ho mai conosciuto una così.”
“Sembra piacerti parecchio… forse dovresti dirglielo” suggerì lei affettuosa.
“In che senso?” chiese subito Phil, diventando scarlatto.
“In un unico senso, Phil. Ti piace davvero tanto. Dovrebbe sapere che è la prima persona che ti piace così… sai, alle donne piace sentirsi dire che sono uniche, speciali e favolose… o, almeno, così dicono.”
Steve sbarrò gli occhi, senza riuscire a cogliere il filo del discorso. Ma di che diavolo stavano parlando?!
“Ah, giusto. Perché tu non sei donna, vero?” le chiese Phil scherzoso. Lei rise.
“Be’, diciamo che la mia è una situazione appena diversa” replicò sorridendo. “Ma se perfino io, che di relazioni sentimentali me ne intendo poco, adoro sentirmi dire che sono l’unica persona che Tony Stark abbia mai amato, allora questa ragazza non può non essere lieta di sentirsi dire altrettanto da te” disse adorabile.
Steve continuava a non capire; però aveva sete. Pensò che forse non era il caso di disturbare: sarebbe andato a bere più tardi. Così fece due passi indietro e si accinse a tornare nella sua stanza. Aveva appena fatto un paio di metri che inciampò nel tappeto e finì dritto su qualcosa di morbido, rumoroso e irritantemente familiare.
“AHHHHHHHHHHHHH!”
L’urlo duplice svegliò tutta la casa e, nel giro di pochi secondi, tutti i suoi abitanti furono in salotto: Thor e Clint, assonnati e agitati, Howard e Nick, il primo preoccupato, il secondo ancora parecchio nervoso, Natasha e Bruce, che evitavano accuratamente di guardarsi, e Phil e Pepper. Fu Virginia ad accendere la luce.
Steve aprì gli occhi e si accorse con orrore che l’essere morbido, rumoroso e irritantemente – molto irritantemente, aggiunse disgustato – familiare era Stark.
“Rogers!” esclamò quello, sollevandosi e scollandoselo di dosso. “Mio Dio!”
Steve si alzò di buon grado e si pulì la bocca con una mano, timoroso di averla poggiata in posti inappropriati senza essersene accorto. Per fortuna, però, quella sembrava esser caduta su un cuscino. Tirò un sospiro di sollievo e roteò gli occhi al cielo.
“Rogers” esordì Stark e stava evidentemente facendo uno sforzo per non perdere la calma. “Io non ce la faccio più, giuro. Allora, quando ho deciso di ospitarvi da me, ho fatto qualcosa in più perché ho deciso di accettare l’andamento delle cose e di provare a darvi una seconda possibilità. Ma se voi continuate a comportarvi in questo modo – altre bugie, sotterfugi, scandali notturni di ogni genere – io rinuncio. Non lo dico con rabbia, ma non si può fare, veramente. In questa casa non si può dormire più, insomma! Non c’è più pace. Eh. Amici, nemici, locali con soli uomini, padri, figli, direttori, spie… e qui abbiamo Thor che si veste da donna, Clint che non può succedere niente e comincia a temere complotti e assassini, Nick che non fa altro che arrabbiarsi con tutti, Phil che è depresso per chissà che cosa e poi ne è felice e poi ne è triste di nuovo, Bruce e la Romanoff che non si parlano più, Howard lasciamo perdere. E tu che mi salti addosso nel cuore della notte. Io non ce la faccio più” concluse esasperato.
“Io non ti sono saltato addosso” lo corresse Steve, piuttosto imbarazzato. “Sono inciampato nel tappeto.”
“Tony, è stato un equivoco” intervenne Pepper serafica. Fra le mani reggeva una tazza fumante e l’odore di cioccolata calda invase la stanza. Thor annusò l’aria speranzoso.
“Infatti” rincarò Steve. “E poi mi sembra che tu ti sia già divertito abbastanza per oggi.”
Virginia arricciò le labbra con aria innocente e imbarazzata e Tony guardò Steve malizioso, poi aggrottò le sopracciglia con un sorriso compiaciuto.
“Rogers” disse calmo e Steve sapeva che si stava divertendo un mondo. “Tu che ne sai?”
Steve avvampò enormemente e sbatté le palpebre agitato.
“Ma di che diavolo state parlando?” intervenne Natasha perplessa. A quanto pareva, nessuno aveva colto l’allusione e Pepper ne sembrava enormemente sollevata.
“Ah!” esclamò Thor. “I fantasmi nel bagno! Come l’altra sera sul div-…”
“Tutti a dormire!” esclamò Phil. “Andiamo tutti a dormire, è molto tardi. Anche tu Thor, prima che i fantasmi ci aggrediscano.”
“Potrebbero?” chiese lui tutto preoccupato.
“Sì, se non torniamo subito a letto” rispose pacato Phil e guidò l’amico su per le scale. Appena furono spariti dietro il primo angolo, Pepper diede un sospiro di liberazione. Tony, invece, continuava a sorridere soddisfatto.
“Idiota!” lo sgridò colpendolo con il loro unico cuscino. “Sei un idiota.”
Tony parò il colpo e si scansò. Continuava a sorridere.
“Andiamo, non dirmi che pensavi davvero che nessuno ci sentisse” la canzonò e la guardava sfacciato e adulatore allo stesso tempo. “So che ci sono momenti in cui sei particolarmente e straordinariamente distratta, ma, te lo dirò io visto che tu non te ne rendi conto da sola, diventi estremamente vocale, in determinate situazioni.”
Pepper aprì la bocca, indignata, e brandì di nuovo il cuscino; stavolta Tony lo afferrò per un lembo e trascinò Pepper su di sé, rubandole un bacio a fior di labbra.
“Sei terribile” disse lei, ormai prigioniera fra le sue braccia. Lui sorrise con sguardo incantatore.
“È per questo che mi ami.”
 

*

 
“Nella vasca?!”
Erano le nove di mattina e Clint, Thor e Natasha erano seduti davanti al bancone della cucina di casa Stark. L’odore di bacon e pancake aveva già invaso l’aria e due caraffe piene di caffè caldo e spremuta fresca d’arancia erano poggiate fra i vassoi ricolmi di uova, frittelle e pancetta.
Thor, che aveva già cominciato a mangiare ed era a metà del quarto pancake, osservava con sguardo ingenuo Clint, il quale gli stava raccontando un aneddoto che, Thor non sapeva perché, riteneva particolarmente – utilizzando un termine davvero incomprensibile – piccante.
“Nella vasca da bagno, sì” rispose Barton con aria da esperto. “Si sentiva tutto benissimo.”
“Tutto cosa?” domandò Thor perplesso. Ancora non riusciva a capire bene cosa si trovasse di tanto emozionante il suo amico lanciatore di dardi in quell’evento. Insomma, ad Asgard non ricordava di aver mai sentito di due persone che facevano il bagno insieme, a meno che non fosse nel lago, però non lo trovava poi così sconvolgente. Dopotutto, che c’era di male? Era una cosa positiva, anzi: si risparmiava acqua corrente, come Steve la definiva sempre, e tempo. Era evidente che l’uomo di ferro aveva preso quella saggia decisione per evitare di nuovo che si creasse un’infinita fila per utilizzare il bagno e che qualcuno, come il povero, buon Phil fosse costretto a liberarsi di urgenti bisogni fisici nel giardino.
“I rumori, sai” rispose Clint con un sorriso allusivo. “Quando succedono certe cose.”
Thor aggrottò di nuovo le sopracciglia.
“Quali cose?”
Clint sospirò impaziente, ma fu Bruce a rispondergli.
“Sai, Thor” intervenne con aria gentile entrando nella stanza con passo tranquillo. “Quando due persone si vogliono bene, ma bene davvero – si amano – fanno delle cose insieme” disse paziente.
“Cosa?” chiese perplesso Thor, con aria infinitamente curiosa.
“Be’” spiegò il dottore pratico. “Si abbracciano tanto e si uniscono con i corpi.”
“Come i pezzi di un puzzle?” propose eccitato.
“Esatto” sorrise Bruce. “Come i pezzi di un puzzle. E quando succede, provano un grande piacere. Come quando tu sei felice, non hai voglia di ridere? Quando due persone, si dice, fanno l’amore ridono in modo particolare.”
Thor sorrise entusiasta.
“E questo lo fanno due persone che si vogliono bene?”
“Non devono volersi un bene qualsiasi, Thor” specificò cauto Bruce. “Dev’essere un bene speciale. Il più speciale che esista.”
“E a te è mai successo?” continuò Thor, di nuovo curioso.
Bruce esitò e finalmente Natasha alzò lo sguardo su di lui.
“Sì” rispose infine. “Sì, mi è successo.” Sembrava quasi timoroso di dirlo.
“E con chi?”
Il dottore esitò ancora e Clint si ritrovò in mezzo fra due fuochi. Accanto a lui, Natasha soffiava agitata e le sue dita erano serrate attorno alla tazza con tanta forza che Barton temeva potesse rompersi da un momento all’altro.
“Si chiamava Betty” rispose pacato Bruce.
“Perché chiamava? Non le vuoi bene più?”
Clint era sicuro che Natasha avrebbe strangolato Thor da un momento all’altro.
“Ci siamo lasciati” continuò il dottore e sembrava estremamente calmo, nonostante stesse narrando il primo e praticamente unico grande amore della sua vita sotto gli occhi di quella che era stata sul punto di sostituirlo per sempre.
“Come mai?”
“Cosa t’importa?” scattò Natasha. Bruce non spostò lo sguardo da Thor e rispose serafico.
“Perché avevo paura di ferirla e poi suo padre non voleva” concluse senza turbarsi. Howard e Steve entrarono in cucina proprio in quel momento e Clint tirò un lungo sospiro di sollievo.
“Di che parlate?” chiese Howard curioso.
“L’uomo di ferro è molto innamorato” asserì Thor felice. Steve aggrottò le sopracciglia con fare perplesso e anche abbastanza scettico.
“Cosa te lo fa credere?” chiese afferrando una frittella.
“Perché lui e Lady Virginia si sono uniti come fanno solo le persone che si amano davvero” spiegò Thor, felice che qualcun altro non sapesse della cosa. Clint sospirò.
“Non per rovinare il tuo mondo fatato, Thor” ribadì Steve. “Ma non credo che Stark-…”
Capitano, mio Capitano!”
Steve serrò la mascella.
“Stark, giuro che se non la smetti…”
“Dacci un taglio con le minacce verbali, Rogers” replicò Tony tranquillo e prese posto a fianco a Bruce, spintonando il suo interlocutore senza scomporsi troppo. “Dormito bene, dottore?”
“Sì” gli sorrise Bruce. “Grazie.”
“Ma ti pare. È rimasta qualche frittella?”
“Buongiorno a tutti.”
Nick entrò anche lui in cucina e Pepper e Phil dietro di lui. Si sedette vicino Howard e il suo sguardo guizzò un istante di troppo sulla mano di Virginia. Il silenzio cadde pesante fra loro.
“Mi dispiace.”
Tutti si girarono sconvolti verso Fury e Pepper sbatté le palpebre, stupefatta, quando capì che il direttore si stava rivolgendo a lei.
“Prego?” sussurrò perplessa. Nick annuì e ripeté.
“Mi dispiace. Di averti fatta male intendo. Non volevo.”
Pepper strabuzzò gli occhi e abbassò il viso sulla fascia che bendava la mano ancora dolorante. Mosse le dita e scosse la testa con aria noncurante.
“Non importa” replicò gentile. “Non avrei dovuto attaccarti” disse a sua volta.
“E invece hai fatto bene. Non avrei dovuto tenere un altro segreto” rispose Nick e sembrava così sincero e pentito che a Pepper dispiacque averlo trattato male tante volte.
“Non importa” ripeté e sorrise timida. “Davvero.”
Nick annuì a sua volta.
“Be’, forse dovremmo levare il disturbo.”
“No!” esclamò subito Tony. “Non c’è bisogno, davvero” continuò più calmo. “Insomma, non per voi, sia chiaro” disse volgendo gli occhi al cielo con fare imbarazzato. “Ma non credo che io e Pepper riusciremo più a passare la notte senza Phil che va a bere ogni due minuti o Clint che va in bagno o Rogers che cerca di circuirmi…”
Che cosa?!” esclamò Steve scarlatto. “Io non cerco di circuire nessuno, tantomeno te” replicò piccato.
“Comunque” riprese Tony. “Quello che sto cercando di dire…”
“Quello che sta cercando di dire” lo interruppe Pepper, “è che vuole che restiate” concluse sorridendo e Tony sorrise a sua volta.
“Esatto.”
L’atmosfera improvvisamente si fece più rilassata e Nick annuì.
“Bene. La prossima missione?”
 

*

 
Faceva particolarmente freddo quella mattina e il cielo sopra Malibu era di un tenue grigio piombo. Mentre a casa Stark la calma e la serenità riprendevano il sopravvento, a circa quattromila chilometri di distanza, un’Audi scura targata GL4N573RN1 frenò sull’asfalto rovente davanti ad un edificio scuro e prominente.  Il conducente, alto e massiccio, lasciò il posto dell’autista e spalancò la portiera posteriore e Damon scese dal sedile. Sul viso pallido e arrogante, gli occhi bulbosi e sottili, da quel taglio raffinato e scuro e quella vaga sfumatura verdastra fissavano l’edificio dinanzi a sé con aria soddisfatta; una ruga di compiacimento e arguta presunzione incrinava appena la fronte spaziosa e perfida. Si mosse in avanti e raggiunse l’entrata del palazzo, ampio e spazioso, raggiungendo l’ascensore. Dietro di lui, camminavano due uomini, entrambi muscolosi e dall’aria minacciosa. Le porte metalliche si aprirono all’ultimo piano e Damon si girò attorno per osservare il meraviglioso attico che aveva fatto costruire: la sala era luminosa e la luce del sole illuminava la stanza dalle ampie vetrate che sostituivano le pareti. In angolo si trovava un piccolo tavolo circondato da divanetti e sofà e dal lato opposto un grande bancone; tutto era rosso e nero.
Su uno dei divani, sedeva una donna che non dimostrava più di venticinque anni. Aveva i capelli biondi, lisci e setosi, lunghi fin sotto le spalle, e due grandi occhi espressivi. Le labbra scure e carnose erano incurvate in un sorriso malizioso e le gambe conturbanti, strette dalla seta violetta del succinto abito che indossava, erano accavallate in un posa molto sensuale.
Damon fece un cenno con la mano e i due uomini dietro di lui si allontanarono, lasciandoli soli.
Raggiunse il divano e notò due bicchieri colmi di vino rosso attenderlo sul tavolino. Si sedette di fianco alla donna e lei gli porse uno dei due flûte.
“A che brindiamo?” le chiese e subito una mano andò a posarsi sull’orlo del vestito, sollevandolo appena. Il palmo si poggiò senza indugi sulla carne bollente e Lydia dischiuse le labbra.
“A noi” rispose e la sua voce suonò allusiva e passionale.
Portò la bocca al bicchiere e ne bevve, in un sol sorso, il contenuto. Quando lo allontanò, Damon rimase ad osservare l’impronta scarlatta che le sue labbra avevano lasciato sul cristallo diabolico. Bevve a sua volta il vino e poi prese il bicchiere di Lydia; la sua lingua scorse vogliosa ad assaggiare il sapore del rossetto e del vizio sulla lastra di vetro. Lydia lo scrutò eccitata e lasciò che la mano di lui si infilasse con più decisione sotto il suo vestito, con il palmo che si arricciava presuntuoso nel punto più caldo di lei. Lydia sospirò rauca e i suo occhi si rivoltarono all’indietro, in preda al desiderio più spietato e totale. Così lasciò perdere i giochi e lo spinse all’indietro: le gambe si liberarono del vestito e l’orlo si lacerò con uno strappo. Damon si lasciò cadere sul divano e le afferrò brutalmente il bacino, trascinandola sulla propria vita. Lei rise, in preda all’eccitazione, e si fece cadere su Damon, sfiorandogli il mento pretenzioso e il collo, nel punto in cui dove la cicatrice segnava il colorito scuro, poi gli strinse i capelli di quel vago castano chiaro.
Damon non aspettò: la baciò, violento e fin troppo deciso, e la prese senza indugi.
“Sono tua” gli sussurrò lei e i capelli biondi le caddero selvaggi sulle spalle scoperte e i prominenti seni nudi.
Damon sorrise e le fece spazio al suo fianco.
“Ancora poco” sussurrò e i suoi occhi si sbarrarono, nello sguardo vitreo in cui brillava una luce folle. “E lo sarà tutto il mondo.”


















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Buongiorno miei Vendicatori! 
Dunque, mi scuso immensamente per il mio ritardo. Avevo già in programma di postare ieri sera e avevo anche lasciato acceso il computer, ma poi sono tornata alle tre di notte passate e non ho avuto la forza fisica per formulare un'introduzione costituita da parole che dotassero il tutto di un senso compiuto. Motivo per cui mi posso solo struggere in scuse T.T
Adesso passiamo ad altro, però LOL
Non ci crederete ma, a parte un po' la parte centrale, questo capitolo mi piace. Va be', sarà che la mia mente perversa adora il tub!sex o semplicemente l'apparizione di un nuovo personaggio. E sì, finalmente l'avete conosciuto, mie care: Damon Glanster. Tenete bene a bene la sua faccia, perché, d'ora in poi, ricorrerà piuttosto spesso. La sua latenza sarà ancora un po' diffusa per i prossimi due o tre capitoli e poi sarà un pandemonio. Diciamo che qui la situazione è ancora molto calma e rilassante. XD
Come sempre, ancora devo rispondere alle recensioni e, come sempre, inizierò a farlo appena postato, ma purtroppo la Domenica è giornata dedicata alla famiglia e a casa di mia nonna non c'è connessione (ç__________ç), quindi non so fino a che punto riuscirò a portare avanti la mia opera. In ogni caso, vi prometto che ci proverò in tutti i modi. 
E comunque voglio ringraziare tutti voi che leggete anche qui: i lettori silenziosi e quelli parlanti, che seguite/ricordate/preferite la storia e perdete tempo prezioso a leggerla. Un grazie speciale e dovuto a chi mi ha resa una delle persone più felici della terra con le sue parole di apprezzamento per me e questa follia: 
LadyBlack89,_M4R3TT4_Silvia_sic1995, Claire_92MissysPAlley _Let it shine. Grazie grazie grazie. 
Prima di salutarvi, come al solito: 

[1]: Soap opera è un termine nato per la radio e poi sviluppatosi con la televisione che allude ad un programma caratterizzato da un forte intreccio sentimentale fra i protagonisti e strutturata in modo che non permette di saltare una puntata senza perdere parti dell'intreccio narrativo. 'Pan' significa 'padella';
[2]: nell'universo Marvel, Betty Ross, figlia del generale Thaddeus "Thunderbolt" Ross, rappresenta il primo grande ampre di Bruce Banner ed è una delle poche persone in grado di calmare Hulk. La loro relazione è spesso problematica, sia a causa di Hulk stesso sia a causa del generale Ross, che si oppone vivamente alla loro storia
[3]: per quanto riguarda la targa, come sempre, mi sono ispirata ai film di Iron Man. 

And so, credo sia tutto. Un bacione a tutti e Buona Domenica! A presto, 
Mary. 

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Capitolo 9
*** Capitolo IX – Revenged ***


Capitolo IX
Revenged 



Erano passati pochi giorni dalla riunione in cucina e tutto continuava ad filare liscio in casa Stark. A parte la situazione ancora irrisolta di Glanster, non parevano esserci problemi di alcun genere. Tony sembrava aver accettato la presenza di Howard nella sua vita, pur non volendo ancora parlare liberamente con lui di quello che era successo, e sembrava essere più tranquillo che mai, se, naturalmente non si contavano quei non tanto pochi momenti in cui si dedicava ad una delle sue attività preferite, e cioè privare Steve di calma e di un sistema nervoso funzionante. Nick e Pepper sembravano riuscir a convivere in maniera pacata e pacifica e anche Phil sembrava non soffrire tanto per la sua Marylin, della cui esistenza era a conoscenza solo Virginia – dopo l’incidente telefonico, lui e Pepper si erano affrettati ad affermare che si trattava di uno scherzo e che non esisteva nessuna donna; dopo poi avevano riso per ore, per la credulità con cui i più grandi supereroi del mondo si erano potuti bere una storia del genere. Tuttavia, sebbene gli altri attraversavano giornate tranquilla, lo stesso non si poteva dire di Bruce e Natasha. Il dottor Banner, che si era sempre dimostrato, a dispetto della sua reputazione e di quella del suo alter ego verde, la persona più pacifica e disponibile della casa, adesso appariva come in uno stato di agitazione continua e spesso, per evitare che la sua rabbia repressa sfociasse in una violenta apparizione di Hulk, si chiudeva in un mutismo senza pretese. Natasha, dal canto suo, sembrava aver sviluppato un’ulteriore ramificazione del suo carattere e aveva notevolmente ampliato lo spazio dedicato all’ira e alla violenza sugli altri; non la si poteva disturbare in alcun modo e subito scattava, nervosa e intrattabile, arrivando ad un punto tale che, per parlare con lei, si giunse ad alzare la mano, come per chiedere udienza ad una faraonessa. Thor sembrava aver colto quella novità con indicibile entusiasmo e, con grande irritazione da parte di Nick, aveva cominciato ad alzare la mano per parlare con chiunque, come se fosse uno scolaretto di prima elementare.
Quella mattina di una settimana dopo la riappacificazione, tutto sembrava calmo e tranquillo, esattamente come al solito. Alle nove di mattina in punto, Phil e Pepper si trovavano, come ormai d’abitudine, svegli e pimpanti in cucina e nessuno sapeva di cosa parlassero, nemmeno Tony. Sta di fatto che, alle otto e cinquantacinque, Phil abbandonava il letto che ormai condivideva con Bruce e si avviava in punta di piedi verso il salotto. Una volta lì, trovava Pepper sveglia, ma ancora fra le braccia di Tony. Le faceva un cenno silenzioso e allora lei sgusciava con dolcezza dall’abbraccio ed entrambi si chiudevano in cucina e, mentre Pepper preparava la colazione per l’intero reggimento, Phil parlava.
Quindi, come di consueto, anche quella mattina, alle nove in punto, i due amici erano davanti al bancone della cucina. Pepper, che aveva appena masso a friggere il bacon, si stiracchiò e la maglia oversize che aveva fregato al guardaroba di Tony la sera prima si sollevò leggermente, sfiorandole la vita.
“Continuo a non capire per quale motivo sia necessario nasconderle la verità” stava dicendo prendendo posto su uno sgabello vicino ai fornelli. “Insomma, la vostra mi sembra una relazione seria e anche abbastanza consolidata… perché nascondervi ulteriormente?”
Di fronte a quell’osservazione così intelligente e calzante, Phil sbuffò, cercando di nascondere il rossore imbarazzante che gli aveva colorato le guance pallide.
“Non dire così” replicò insicuro.
“Non dire come?” continuò imperterrita Pepper. “Lei ti piace, di più anzi. Quindi dovrebbe saperlo.”
“Non è così facile, sai” la interruppe Phil dispiaciuto. “Lei è un’artista, sai come sono gli artisti. Hanno un carattere volubile, particolare. Lei suona in così tante città, magari non è abituata alle relazioni serie. Quando mi ha parlato del trasferimento a Portland, non ha accennato a niente… tra noi, non si è mai parlato di futuro. La verità è che non vuole un rapporto stabile.”
Pepper sollevò le sopracciglia con aria dubbiosa e rigirò il bacon nella padella.
“Se Tony Stark può avere una relazione seria, allora può anche questa Marylin” asserì scettica. “E tu?” chiese poi. Phil parve non capire.
“Io cosa?”
“Tu sei pronto per una relazione seria con lei?” completò Pepper e lasciò perdere il bacon per fissare il suo migliore amico negli occhi. “Perché se non sei pronto, allora non c’è niente da fare. Ma Phil” continuò seria, “se davvero, ti piace anzi di più, allora devi dirglielo… non puoi permettere che finisca prima ancora che cominci.”
Phil annuì con un sospiro e rimase a riflettere per un istante. Poi sorrise dolcemente.
“Grazie” disse grato. “Non so come farei senza di te.”
Pepper storse la bocca in una smorfia comica e lui scoppiò a ridere.
“Ma dai, per così poco.”
“Uhm che profumino” intervenne una voce alle loro spalle ed entrambi videro Tony sulla soglia della cucina. “Si può entrare o l’orario confidenze non è ancora concluso per oggi?”
“Prego, è concluso” replicò Pepper con un sorriso e riversò l’ultima porzione di bacon nel vassoio. Tony si avvicinò e ne prese un pezzo.
“Ciao bimba” disse poi andando a poggiarsi allo schienale del suo sgabello per darle un bacio fra i capelli.
“Buongiorno.”
Uno dopo l’altro arrivarono anche gli altri. Bruce prese posto tra Phil e Clint e non alzò nemmeno lo sguardo dal piatto quando Natasha entrò in cucina, come sempre severa e altezzosa. Barton sbuffò e si rivolse a Tony e Phil.
“Dobbiamo assolutamente farli andare a letto insieme prima che tutta questa tensione li faccia impazzire… è l’unico modo per liberare tutta questa potente energia sessuale latente e repressa in eccesso senza causare danni alle persone circostanti.”
Thor, che aveva sentito tutto, alzò lo sguardo perplesso.
“Di che parli, agente?” chiese senza capire. Phil scosse la testa con aria di disapprovazione.
“Non credo sia la miglior soluzione che potesse venirci in mente” ammise a disagio. “Forse dovremmo farli incontrare senza avvertirli e costringerli a parlarsi. Insomma, se li chiudiamo in una stanza per ore, non possono ignorarsi per sempre.”
“No” replicò deciso Tony. “Ma io potrei parlare con Bruce a quattr’occhi e aiutarlo a trovare una soluzione migliore.”
“Perché non lasciate perdere?” intervenne Pepper tranquilla. “Forse dovreste semplicemente lasciare che se la vedano da soli… insomma, sono grandi abbastanza da scegliere come comportarsi e da risolvere i loro problemi senza che noi ci intromettiamo.”
Tony la guardò ammirato, poi la baciò. Lei arrossì vistosamente, ma sorrideva.
“Hai sempre ragione” le sussurrò divertito. Lei rispose fra le risate, canzonandolo indisponente.
“È per questo che mi ami.”
Fu allora che Nick attirò l’attenzione, schiarendosi la voce.
“Ci sono grosse novità” esordì pacato. “Riguardo Glanster.”
Tutti scattarono all’erta; Steve e Howard si scambiarono un’occhiata pensierosa.
“L’agente Hill è riuscita finalmente a localizzarlo: è arrivato a New York la settimana scorsa, ma la sua base non è rintracciabile. Sta cercando di avvicinarsi in qualche modo a te” continuò rivolto a Tony, “per poter entrare in possesso del Pegasus, naturalmente. Stasera sarà ad una festa a Manhattan, organizzata da lui stesso, a cui inviterà personalità importanti e coinvolte in circoli poco raccomandabili… anche tu sei invitato, ma lui non si aspetta che tu vada.”
“Certo che no” confermò Tony serafico.
“E invece ci andrai” lo contraddisse Nick. “Ci andremo tutti… dobbiamo fermarlo. Tu sarai il diversivo… mentre Glanster cercherà di attaccarti, noi cercheremo il congegno. È noto, infatti, che la festa avrà luogo in un hotel poco distante dalla sua base e il suo piano è convincerti a seguirlo. Quando succederà, noi vi seguiremo a nostra volta e, mentre tu lo tratterrai, noi cercheremo il congegno, per poi attaccarlo.”
Tutti rimasero in silenzio, ognuno perso nelle proprie considerazione. Fu Howard a parlare per primo.
“Non può andare da solo” asserì convinto. Tony si morse il labbro inferiore e si costrinse a non guardarlo negli occhi. Detestava che fosse così maledettamente gentile e preoccupato per lui; lo faceva sentire maledettamente in colpa.
“Be’” disse Nick. “Forse potremmo farlo accompagnare da qualcuno…”
Tony abbassò il viso e i suoi occhi incontrarono quelli di Pepper. Lei annuì convinta e lui seppe che, anche se le avesse ordinato di rimanere a casa, magari chiudendola anche a chiave in laboratorio, lei avrebbe buttato giù le pareti e l’avrebbe seguito lo stesso. A quel punto, tanto valeva che stesse con lui.
“Vado io con lui” affermò decisa. Nick annuì di buon grado.
“Mi sembra un’ottima idea” concordò. “Glanster avrà di certo preso informazione su Tony e saprà anche di te. La tua presenza non desterà alcun sospetto, anzi ne dissiperà tanti.”
“Bene” intervenne Natasha con aria seccata. “E noi?”
Nessuno osò biasimarla; Fury le rispose serafico.
“Ognuno di noi si infiltrerà in modo diverso” spiegò in tono placido. “Natasha, tu entrerai come cameriera, insieme al Capitano e il dottor Banner. Barton sarà l’usciere. Howard e io ci apposteremo fuori. Coulson e Thor saranno le guardie della sicurezza. Comunicheremo con le auricolari, come sempre.”
Tony sentì Steve emettere uno sbuffo di insoddisfazione e sorrise compiaciuto.
“Preparatevi, signori. Il sipario si alza alle sette.”
 

*

 
Steve era pronto. Lui, Natasha e Bruce avevano già lasciato Malibu e si erano avviati verso la sede del catering nel quale si sarebbero dovuti infiltrare. Dopo aver indossato quella ridicola divisa bianca e nera che gli faceva davvero tanto sentire la mancanza della sua tuta a stelle a strisce,  si era allontanato dalla sala ristorante in cui erano stati indirizzati, per respirare un po’ d’aria e magari provare ad incontrare qualcuno che si esprimesse a voce alta non solo a monosillabi. Infatti, quando Fury aveva fatto la divisione dei compiti, lui, sin da subito, non era stato particolarmente entusiasta del risultato. Non che avesse qualche problema con l’agente Romanoff o con il dottor Banner, ma la situazione fra loro, che il Capitano aveva sperato sarebbe migliorata in vista di un’importante missione per la salvezza della Terra, era davvero drammatica, molto più di quanto temesse. La conclusione era stata assolutamente pessima: infatti, per tutto il viaggio in macchina, il silenzio era aleggiato come una spessa coltre di pioggia e neve nell’abitacolo troppo piccolo di quella maledetta Maserati blu elettrico di Stark e, nei pochi momenti in cui Steve si era arrischiato in un blando tentativo di fare conversazione, si era sentito rispondere solo a monosillabi sussurrati dall’uno o dall’altra, senza che nessuno dei due suoi compagni di viaggio desse segno di essere a conoscenza della presenza reciproca. Tutto quel silenzio era continuato anche per il resto del pomeriggio: nel parcheggio, nei camerini, nella sala ristorante. A quel punto, il Capitano, sentendosi fin troppo provato da quell’angosciante situazione che era peggiorata addirittura perché sia Natasha che il dottor Banner avevano preso a fissarlo con biasimo, come se entrambi lo volessero trascinare dalla propria parte nel denigrare e riprovare l’altro, era fuggito giardino, con la scusa di fare un sopralluogo. Nessuno dei due si era espresso in alcun modo, se non con un “Come vuoi” bisbigliato a fior di labbra. Addirittura l’agente Romanoff si era girata dalla parte opposta, neanche ritenesse quel tentativo di fuga del Capitano un affronto personale.
Così Steve era riuscito a guadagnarsi un po’ di respiro da quell’aria pregna di diffidenza e rancore e stava camminando pensieroso per un viale secondario, celato da parecchi cespugli particolarmente alti, quando intravide una persona e per poco non svenne.
No, si disse incredulo. Non è possibile.
Quanti anni erano passati? Sessanta? Settanta? Ottanta? Non aveva il benché minimo senso, era del tutto illogico e cronologicamente impossibile; un anacronismo vero e proprio.
Insomma, Stark glielo ripeteva sempre che era un vecchietto, un attempato. Ed erano passati settant’anni.
Eppure era così.
La vedeva, bella e luminosa come non mai. Camminava anche lei, poco distante da un cespuglio di rose appena potato, con quel delicato abito color smeraldo e le scarpe alte. Per Steve, che l’aveva sempre vista indossare una divisa, era una grande, piacevole novità osservarla portare con tanta grazie e femminilità un vestito così gradevole. I capelli, appena più corti di come ricordava, le cadevano nelle sue morbide onde sinuose e scure sulle spalle coperte dal tessuto verde scuro, un fermaglio dello stesso colore le bloccava una ciocca più riccia dietro l’orecchio. Le labbra scure e spesse erano dischiuse in un’espressione di sorpresa e negli occhi castani brillava una luce ammaliante di incredulità e commozione.
Steve deglutì e sentì le palpebre farsi più pesanti sullo sguardo appannato dalla gioia. Si morse un labbro, tremante, e fece due passi in avanti, andandole incontro. Anche lei si fece più vicina e l’orlo del suo vestito ondeggiava grazioso ad ogni passo, fino a quando non si ritrovarono.
“Peggy” sussurrò sconvolto. Lei annuì e un sorriso le illuminò il volto prossimo alle lacrime.
“Steve” sussurrò con lo stesso tono, dolce e soave. “Non pensavo che ti avrei rivisto” ammise in preda al pianto.
Steve scosse la testa e sorrise debolmente. Era come se non fosse passato nulla, come se non fosse successo niente: quella promessa – avevo un appuntamento – era di ieri e non era passato un giorno dalla loro ultima chiacchierata. Lui non si era ibernato, l’aereo era saltato e Steve era sopravvissuto. Quello era solo l’incontro dopo il miracolo e nessun giorno era passato sui loro volti innamorati.
“Com’è possibile?” le chiese senza fiato. Lei sorrise divertita.
“Pensavi di essere l’unico a usare un po’ di siero?” chiese fra le risate. Si fermò ad osservarlo e i suoi occhi parvero bearsi della sua visione perfetta. Non si sarebbe mai stancata di ammirarlo.
Senza preavviso, gli gettò le braccia al collo e lui, ancora così turbato, ancora così turbatamente felice, rispose all’abbraccio. Quando si allontanarono, dopo altri settant’anni, lei lo baciò e Steve sentì settant’anni di ghiaccio scivolare via, sostituiti dalle fiamme della passione e dell’amore. Era tutto così perfetto, così loro: ritrovarsi, abbracciarsi, baciarsi in mezzo a quei cespugli, quelle rose, quel giardino, come i protagonisti innamorati di un film lungo settant’anni, come Via col vento.
“Mi sei mancato, Capitano.”
Lui rise divertito e le loro mani si intrecciarono complici.
“Vieni” gli disse e lo trascinò lungo il viale. Come appariva perfetto, anche lui, in quel momento. “Camminiamo.”
Lui si lasciò guidare e si sorprese piacevolmente sorpreso da quell’armonia che invadeva ogni angolo, ogni sfaccettatura di quell’istante, senza tempo e senza difetti. Come loro, la perfezione.
“Sai” iniziò lei, “quando ti sei schiantato, io ho tentato di uccidermi” continuò calma e Steve si sentì fremere. “Mi sono gettata in un ghiacciaio e sono rimasta lì per due settimane. Howard ha cercato di salvarmi, ma non è riuscito a trovarmi. Mi ha salvata un dottore, Franz Täuschung e, per tenermi in vita, mi ha iniettato del siero nel sangue, che fermasse il mio corpo… per settant’anni, sono rimata così.”
“E non crescerai mai?” le chiese Steve stupito.
“Sì” disse lei. “Quando il siero che mi ha tenuta in vita comincerà a mescolarsi con il sangue, ritornerò normale… ma ci vorranno degli anni” concluse. Si fermò e lo guardò negli occhi.
“Ti ho visto salvare il mondo” sussurrò. “Avevo paura di rivederti, non volevo sconvolgerti la vita, una vita che eri riuscito a ricostruire. Ma mi mancavi tanto.”
Di nuovo sembrò sull’orlo delle lacrime e Steve avvertì l’intenso istinto di stringerla fra le braccia.
“Anche tu” sussurrò di rimando e sentì la propria voce rauca incrinata dall’emozione rotta di trovarsi insieme, di nuovo.
“Come mai sei vestito da cameriere?” chiese poi ridendo. “Non che tu stia male, anzi… ma sono sempre stata abituata a vederti addobbato con stelle e strisce, e allora…”
Steve scosse la testa, divertito. Stava per raccontarle tutta la storia dall’inizio, poi esitò. Era davvero sicuro di poterlo fare? Non che non si fidasse di lei, anzi… ma poteva metterla in pericolo.
“Non puoi dirmelo?” chiese lei e sembrava delusa. Ah, le donne e la loro maledetta curiosità.
“No, è che…” indugiò lui. “Non vorrei coinvolgerti.”
“Io sono sempre coinvolta” affermò lei severa. “Con te. Lo sarò sempre.”
Steve sentì le labbra dischiuse da un sospiro incurvarsi in un sorriso felice.
“Devo infiltrarmi ad una festa” spiegò tranquillo. “Al Flûte.”
“Il Flûte?” ripeté Peggy stupita. “Da Damon Glanster?”
Steve strabuzzò gli occhi.
“Lo conosci?”
Tu lo conosci?” chiese lei.
“Sì, certo. Ha rubato un congegno a Howard” spiegò lui.
“Howard? È vivo?” domandò lei, sempre più stupita. “Com’è possibile?”
“Be’, diciamo che l’incidente ha colpito solo la moglie. Lui è sopravvissuto, ma si è tenuto lontano per portare a termine la costruzione di questo congegno che ora Glanster ha rubato e con il quale ha intenzione di conquistare il mondo e imporvi il suo dominio. È un pazzo e va fermato.”
“Lo so” rincarò lei e cominciò a bisbigliare. “Sono stata incaricata di farlo per conto di un’agenzia di spionaggio nazionale.”
Steve rimase senza parole, ma non la interruppe.
“Mi sono infiltrata nella sua banda e sto cercando di fermarlo come te… anche se non sapevo del congegno. Devo trovare le prove che sta cercando di entrare in possesso del sistema e fermarlo prima che ci riesca davvero… anche se è un po’ pericoloso, con quella Lydia sempre fra i piedi” concluse con una smorfia piccata.
“Peggy” disse quando la voce gli tornò. “È pericoloso.”
“Anche per te” lo rimbeccò lei. “Ma sai che non mi ferma niente.”
Lui sorrise debolmente.
“Sei più testarda di Stark” la blandì affettuosamente.
“Howard?” chiese lei sospettosa. “Ma dai… non è mai stato così testardo.”
“Oh, non lui” si corresse Steve. “Il figlio… sai, anche lui fa parte di questa missione.”
“Oh” esclamò lei e sembrava incuriosita. “Stai nel gruppo dei Vendicatori, allora?”
“Sì” rispose lui sorpreso. “Come lo sai?”
“Stai scherzando?” gli chiese Peggy ridendo. “Siete stati su tutti i telegiornali per mesi, dopo l’attacco degli alieni.”
“Ah, giusto” ricordò divertito Steve. “Me n’ero dimenticato.”
“E quindi frequenti un Hulk, delle spie segrete e un Tony Stark?”
“Be’, sì” rispose Steve, rendendosi conto come da fuori suonasse incredibile.
“Be’, niente da dire contro il dottor Banner, ma Stark…” esitò titubante. “Non mi sembra una persona molto affidabile. Lo conobbi prima che decidesse di chiudere la produzione di armi e mi sembra molto poco degno di fiducia” affermò dubbiosa. “Spero tu non ti offenda. Purtroppo non sembra aver ereditato le qualità del padre” aggiunse preoccupata.
“Certo che no” rispose Steve sorridendo. “Anche perché non andiamo molto d’accordo.”
“Oh, immagino” disse lei e sembrava molto sollevata. “Lui è così presuntuoso e individualista e privo di scrupoli. E tu sei… be’, così” concluse dolce. Steve si sentì avvampare.
“Esageri.”
“No, veramente sei tu che non ti sei mai valutato abbastanza” lo corresse lei, sbattendo le ciglia adorabile. “Sempre troppo poco.”
Lui arrossì ulteriormente.
“Ti ho sempre aspettato” aggiunse dopo qualche istante e Steve avvertì uno strano senso di favolosa vertigine fargli girare la testa. “Sempre.”
“Aspetta” disse imbarazzato. “Vuoi dire che tu… non… insomma, mai… ma proprio mai…?”
“Mai” rispose lei. “Aspettavo quello giusto.”
Steve sorrise e Peggy vi trovò il Paradiso.
“Anche io” rispose emozionato. “Aspettavo quella giusta. E pensa un po’? Credo proprio di averla trovata.”
 

*

 
Il sole batteva radioso e promettente quel pomeriggio e l’ultimo modello di Jaguar XF zebrata sfrecciava come una stella sulla strada verso New York.
Il vento soffiava entusiasta sui volti dei cinque passeggeri e i raggi s’imprimevano vivaci sui loro visi. Tony sterzò brutalmente e l’auto svoltò con una disinvoltura invidiabile. Al suo fianco, Pepper era impegnata a computer e stava dettando a Stephanie, via internet, le direttive per la settimana seguente. La segretaria, d’altro canto, aveva accettato di buon grado di gestire la situazione all’azienda, dato che entrambi i suoi principali si erano resi indisponibili per gli affari da almeno dieci giorni. Pepper aveva ringraziato molto se stessa per esser riuscita nell’ardua impresa di scovare un’assistente così disponibile e discreta; poi, ci sarebbe stato Happy a controllare che tutto filasse come previsto. Nell’abitacolo, stipati sul sedile posteriore, stavano Phil, Clint e Thor.
Phil, che era riuscito con molti sforzi ad accaparrarsi il posto vicino al finestrino, stava discutendo con Clint, seduto dalla parte opposta, di musica. Entrambi, infatti, avevano la ferma intenzione di gestire la radio ed era nata un’aspra disputa sulla figura di John Lennon. Phil, infatti, riteneva che la sua fosse la musica più bella che si fosse mai sentita; Barton, dal canto suo, affermava che i gusti di Phil fossero più antiquati di Rogers e che nulla poteva superare la grande Lady Gaga. A quel punto, Tony si era voltato con decisione, lasciando perdere la guida, il che era stata davvero una pessima idea visto che era il conducente, per dire ad entrambi di tacere e che era lui a gestire la radio, dato che quella era la sua macchina. A quel punto, aveva inserito un cd personale e la musica degli AC/DC aveva invaso l’abitacolo. Thor, che era seduto in mezzo fra i due litiganti, aveva ascoltato con grande interesse la disputa e ora, con altrettanto interesse, ascoltava le note rock che provenivano dalle casse. Tony sorrise al pensiero della reazione che avrebbe avuto Rogers e prese mentalmente nota di fargli ascoltare Highway to Hell, Back in Black e Hells Bells la prossima volta che sarebbe riuscito a convincerlo a salire in una macchina con lui. Magari gli avrebbe addirittura concesso di prendere il volante, onore che era stato concesso solo a Pepper, Rhodey e Happy, purché gli desse il monopolio della radio. E allora si sarebbe divertito come non mai a vedere la faccia sconvolta di Rogers, mentre combatteva contro se stesso e i buoni propositi che l’avevano sempre contrassegnato, quali non allontanare mai le mani dal volante pur di liberarsi di quello che, Tony era certo, avrebbe senz’altro definito ‘un inutile e assordante e insensato insieme di suoni senza musica e privo di gusto’.
“Ho fame” asserì ad un certo punto Clint. Pepper chiuse il portatile e lo fece scivolare in borsa, poi alzò il polso e vide l’ora: erano le due passate e loro ancora si reggevano in piedi con i pancake di quella mattina. Tony osservò nello specchietto, alla ricerca di qualche posto dove fermarsi, ma i suoi occhi furono catturati dallo sguardo di Barton che stava fissando qualcosa con aria incantata. Incuriosito, Tony seguì la traiettoria di quello sguardo e trovò le gambe di Pepper, libere dai pantaloncini di jeans, in perfetto abbinamento con la maglietta sbracciata color mogano.
“Barton” disse severo. “Guarda fuori. E vedi magari se c’è un posto dove fermarci, visto che sei così affamato. Di cibo, s’intende” continuò. Thor lo guardò perplesso, cercando di cogliere un’allusione che la sua mente non sarebbe mai stata in grado di comprendere.
Clint abbassò lo sguardo, imbarazzato, e cominciò a guardare la strada.
“Dove siamo?” chiese Pepper e Tony si concesse di guardarla di sfuggita. Lei ovviamente lo notò e gli diede una piccola, innocua botta sul braccio.
“Guarda avanti” gli disse, roteando gli occhi al cielo, liberi dagli occhiali che ora le gettavano all’indietro i capelli.
“Mancano ancora un paio di ore, a questa velocità” rispose soddisfatto. Pepper sorvolò sull’ultima parte per evitare di polemizzare su questioni inutili.
“Un fast food!” esclamò ad un certo punto Clint e Thor cominciò a sbattere le mani con fare entusiasta.
“Che bello, un fast food!” disse felice. Poi si bloccò, perplesso. “Che cos’è un fast food?”
Pepper si costrinse a non ridere.
“Un posto in cui ti fermi con l’auto, ordini da mangiare e loro te lo impacchettano” rispose tranquilla. Tony accostò leggermente e avvicinò il viso all’interfono, ma quello non sembrava funzionare. Capì al volo quale fosse il problema.
“Hai una forcina?” chiese a Pepper. Lei sorrise e si sollevò, poggiando le ginocchia sul sedile e sporgendosi verso l’interfono. Tony si fece più all’indietro e approfittò della posizione per posarle un bacio adorante su un fianco. Pepper scosse la testa divertita e infilò una forcina in un punto preciso.
La voce dall’interfono si sentì.
“Desiderate?”
Tony elencò una serie infinita di cibi e bevande che avrebbero fatto sospirare di disapprovazione perfino Nick che era un uomo navigato.
“… poi una tripla porzione di patate e cipolle, cinque coche grandi e cinque dessert alle fragole e lamponi con colata di cioccolata” concluse soddisfatto, poi si rivolse ai suoi compagni con aria compiaciuta dietro alle lenti da sole. “Voi volete qualcosa?”
Pepper lo spintonò divertita.
“Fantastico” esclamò Clint, afferrando un doppio cheeseburger dalla busta. Thor lo assaggiò incuriosito.
“Questo” asserì solenne, “è cibo degli dei.”




























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Buongiorno miei Vendicatori e buon Natale! 
Eccomi qui, in un breve spacco del pranzo natalizio, in attesa del dolce, a fare un salto da queste parti. Ho davvero poco tempo perché sto usando il computer di mio padre - un applauso alla penna elettronica sempre presente - sul divano mentre la mia famiglia, al tavolo davanti a me, fa un casino della malora. LOL 
Fortunatamente stamattina ho avuto tempo di rispondere alle recensioni e ora eccomi qui, un giorno in anticipo, ad onorare il mio debito con voi. Mi scuso sin da subito se nei prossimi giorni non passeò troppo spesso, ma il tempo è sempre meno e devo rassegnarmi a trascorrere due settimane o poco più con la testa fissa solo ed esclusivamente sul libro di linguistica. T.T
Questo capitolo, diciamolo subito, mi piace abbastanza. Ah, ecco direttamente dal passato un altro personaggio fondamentale: Peggy. Non so come mi sia saltato in mente di inserirla, ha fatto quasi tutto da sé e quindi non dirò mea culpa. Spero che la storia risulti credibile; non vi nascondo di avere un po' di ansia a tal proposito. LOL
Prima di salutarvi e rinnovarvi i miei auguri, voglio dedicare un ringraziamento speciale ai tutti i lettori e in particolar modo alle mie fantastiche e meravigliose recensore: 
LadyBlack89,_M4R3TT4_Silvia_sic1995, Evy90, MissysPAlley _Let it shine. Grazie grazie grazie di cuore a tutti voi. 
Burocrazia:

[1]: Revenge è una serie televisiva statutinense liberamente ispirata al romanzo Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas;
[2]: Highway to Hell, Back in Black, Hells Bells sono titoli delle canzoni fra quelle più famose degli AC/DC;
[3]: la frase finale di Thor è un richiamo al terzo capitolo. 

Penso di aver concluso. Dunque, buon Natale a tutti e alla prossima, tra il 4 e il 5 Gennaio. ;)
Un bacio e a presto, Mary. 

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Capitolo 10
*** Capitolo X – Sex in the City ***


Capitolo X
Sex in the City



Il Flûte era uno spettacolo quella sera.
Nessuna sala aveva mai eguagliato quella che ospitava il party dell’anno dell’alta società newyorkese: luci raggianti illuminavano le stanze e i corridoi della suite regale, divani e sedie ricoperte da stoffe scarlatte e dorate riempivano gli angoli, champagne e tartine colmavano i vassoi d’argento e camerieri distinti camminavano per le camere servendo cibo prelibato, mentre una musica raffinata faceva da perfetto sottofondo alle chiacchiere eleganti e frivole degli ospiti più nobili e celebri.
La festa era iniziata da poco meno di un paio d’ore quando le porte metalliche dell’ascensore si riaprirono sull’attico e Tony e Pepper entrarono nella sala.
Immediatamente gli sguardi di quasi tutti gli invitati si posarono con morbosa avidità su di loro. Tony, assolutamente perfetto nel suo completo scuro abbinato a quel raffinato tocco argentato sulla fantasia della cravatta, sorrideva compiaciuto, come se stesse già pregustando la vittoria che lo attendeva. Stretta al suo braccio, Pepper fece un passo in avanti e tutte le donne in sala rimasero per un minuto intero ad osservare il suo vestito. Virginia indossava un abito argenteo con un’ampia scollatura a V e un grosso fiocco a decorare una delle bretelle senza maniche. Al di sotto del corpetto aderente, si apriva una gonna dalla stessa fantasia floreale appena accennata con strascico. Al collo pendeva un ciondolo luminoso e i capelli le cadevano con morbida naturalezza sulle spalle, con un’unica ciocca particolarmente ribelle fermata da una pinzetta bianca dietro l’orecchio.
“Buonasera.”
Avevano appena messo piede sul pavimento lucido della suite quando una giovane donna dai capelli biondi e il vestito cremisi venne loro incontro. Sorrideva, piuttosto falsamente anche, e camminava con disinvoltura fra gli invitati. Tony lanciò uno sguardo complice a Pepper e lei strinse la mano sulla presa al suo avambraccio; entrambi si sforzarono per non scoppiare a ridere.
“Buonasera” fece Tony, chinando il capo in un gesto galante. “Chi è questa affascinante signorina che ha il piacere di parlare con me?”
Pepper gli calpestò il piede sotto lo strascico.
“Lydia. Lydia Fuhrmann” replicò lei con un sorriso ammaliante. Pepper notò che sembrava molto entusiasta di trovarsi faccia a faccia con Tony Stark e la cosa sembrò irritarla leggermente.
“E lei è il leggendario Tony Stark.”
Per non parlare del fatto che non faceva altro che dilatare l’ego del suo fidanzato, cosa contro la quale lei combatteva da tredici lunghi, infruttuosi anni.
“Sì, naturalmente” rispose Tony e sfoderò un sorriso smagliante. Pepper roteò gli occhi al cielo e si guardò intorno; dall’altro lato della sala, un ragazzo bruno, dagli incredibili occhi blu la stava osservando con espressione complice. Si sentì subito avvampare e abbassò il viso. Tony sembrò, per fortuna, non notare quell’improvviso imbarazzo. Continuava a parlare di cose inutili come un perfetto gentiluomo di Manhattan, quali la politica, il clima, gli ultimi risultati dei Lizards, la successiva uscita di John Grisham e se stesso.
“Io credo che nessun libro potrà superare Io confesso” stava dicendo con sicurezza e affabilità. “Insomma, è assolutamente geniale il modo in cui approda alla scoperta, senza contare che l’intrigo si fonda su un qualcosa di assolutamente sensazionale e, personalmente, trovo che analizzare una tale riflessione psicologico-comportamentale da un punto diverso dal proprio, del tutto estraneo – come, appunto, quello di un prete – impreziosisca il libro di un significato nuovo.”
Dal canto sua, la giovane spalla di Glanster sorrideva sempre con la stessa aria che Pepper aveva deciso, in conclusione, di definire civetta.
“Sono pienamente d’accordo con lei, signor Stark” rispose melliflua e Pepper dovette impegnare tutto il suo autocontrollo per evitare di trasformare quel sospiro di autocommiserazione in uno sputo, dritto nell’occhio della papera bionda.
Per fortuna, qualcosa – o meglio, qualcuno – le venne in aiuto.
“Scusatemi un secondo” disse garbata e, senza attendere risposta, afferrò un lembo dell’abito e camminò rapida e aggraziata fra gli ospiti, fino a raggiugere la persona che aveva attirato la sua attenzione.
“Ciao” bisbigliò accorta. “Come va?”
Steve tirò un lungo sospiro e Pepper ebbe la vaga impressione che neanche per lui la serata fosse un granché.
“Così” rispose indifferente. Virginia notò qualcosa nel suo sguardo e si preoccupò.
“Steve” lo chiamò con dolcezza. Lui sollevò il viso dal vassoio e la guardò negli occhi. Le sue guance erano colorate di un vago rossore e una luce di imbarazzo ed entusiasmo, appena oscurata da un’amara nota di delusione, gli risaltava gli occhi, azzurri come quelli della sua interlocutrice.
“Cosa?” domandò a disagio. Virginia sorrise debolmente.
“Be’, non sono affari miei” esordì, imbarazzata a sua volta. “Ma se ti va di parlare di qualcosa che ti turba, sappi che preferisco aiutarti a stare meglio piuttosto che tornare di là a sorbirmi un’altra puntata di Lord Goring e Laura Cheveley.”
Steve colse il riferimento e scoppiò in una fragorosa risata. Gli piaceva ridere con lei, non era come con Peggy: con Peggy, tutto era così preoccupante, complesso, incomprensibile, serio. Con lei, invece, rideva, scherzava, parlava di qualsiasi cosa volesse. Era come una boccata d’aria pura dopo aver respirato benzina: meno seducente, ammaliante, ma più semplice, puro, felice. Per l’ennesima volta, si ritrovò a invidiare Stark e si chiese ancora come potesse avere la fortuna di avere una persona così al suo fianco e non accorgersi di quanto fosse follemente fortunato. Insomma, se fosse capitata a lui, una simile meraviglia, l’ultima cosa che avrebbe fatto sarebbe stato flirtare con un’altra sotto i suoi occhi, dando sfoggio del proprio incontenibile egocentrismo. Virginia era incredibile: era intelligente, simpatica, dolce, comprensiva, paziente, bellissima. Non lo negava, c’era una parte di lui che si era sentita irresistibilmente attratta da lei e, dannazione, avvertiva una strana sensazione di calore quando lei si avvicinava troppo, ma sapeva che c’era un che di strano nel modo in cui lo percepiva perché non era desiderio di lei e sembrava quasi sbagliato parlare di amore. Per non parlare del fatto che Virginia era fidanzata – ma proprio fidanzata – con Stark e, per quanto loro due non andassero d’accordo su un milione e più di cose, avevano finito per diventare, seppur in modo incredibile e insensato, amici e anche se lei si fosse rivelata la donna della sua vita, cosa del tutto impossibile – era Peggy quella giusta, lo era sempre stata, lo sarebbe sempre stata – lui non avrebbe mai fatto una cosa del genere.
Tuttavia, lei era lì e gli stava tendendo la mano. E lui si sentiva così strano per Peggy, aveva tanta di quella paura per lei e per se stesso. E aveva bisogno di parlare con qualcuno, e lei era lì.
“In realtà, c’è qualcosa che non va” ammise con il viso basso. “Ho paura.”
Non l’aveva mai detto a nessuno. Sotto le armi, nell’esercito, durante la guerra, aveva avuto paura tante volte, ma gli avevano sempre insegnato che la paura era per gli stolti e i codardi e lui era Capitan America, non uno stolto, non un codardo: un eroe, un supersoldato, un prode paladino.
“È normale” rispose lei tranquilla. “Tutti abbiamo paura qualche volta. Anche se poi abbiamo paura di ammetterlo.”
“Sì” annuì Steve a sua volta. “Ho incontrato Peggy, la ragazza di cui mi ero innamorato nell’esercito” confessò affranto e attese.
Pepper lo guardò in tralice, ma non disse niente. Nella sua mente, si era appena formata l’immagine di Steve che incontrava la ragazza che aveva sempre amato, su cui aveva proiettato il suo romantico ideale di amore puro e semplice e per la quale aveva combattuto. Poteva a stento immaginare il dolore che doveva aver provato nel vederla grigia sposa di un altro uomo.
“E non è cambiata.”
Pepper sbarrò gli occhi, stupita.
“Com’è possibile?” chiese perplessa, certa di non aver colto il vero senso della frase.
“Ha tentato il suicidio dopo la mia scomparsa e, per salvarla, un tale dottor Täuschung le ha iniettato del siero che la manterrà giovane finché non si esaurirà nel sangue, fra un paio d’anni. Allora ricomincerà ad invecchiare” spiegò Steve. “Ma il problema è che…” sbuffò, stanco. “In realtà, neanche io so qual è. Però mi sono sentito strano, quando l’ho rivista. Certo, felice, tanto, ma anche strano. Forse ho solo paura perché finge di lavorare per Glanster per conto di un’agenzia, però…”
“Sul serio?” domandò Pepper, sempre più stupefatta. “Ascolta, Steve” disse poi e gli strinse due esili dita sul suo braccio muscolo; Steve sussultò. “Io penso che devi stare attento con lei. Non sto dicendo che non tu devi fidare ma, anche se sul suo viso non si nota, lei ha vissuto una vita e non sai come può essere diventata. Prima di innamorarti di nuovo di lei, impara a conoscere la Peggy di ora e assicurati che sia la stessa che amavi, perché settant’anni sono tanti, anche se non ci sono le rughe a dimostrarlo.”
Steve annuì in un sospiro, poi sorrise.
“Grazie, Virginia” sussurrò imbarazzato. Lei sorrise a sua volta.
“Figurati” replicò gentile. “Sarà meglio che vada a controllare lo scapolo d’oro, adesso, prima che perda la camicia, il guardaroba e la libertà.”
Steve rise ancora e la osservò andare via. I suoi occhi rimasero qualche istante di troppo a contemplare il tessuto sinuoso stendersi ad ogni passo; si era tanto concentrato che per sbaglio travolse qualcuno.
“M-Mi scusi” borbottò a disagio e sollevò il volto per aiutare la povera sventurata. Il suo sguardo incontrò quello aggraziato e curioso di una ragazza dal fisico esile e minuto, avvolto con grazia da un lungo abito dalla delicata sfumatura verde acqua. I suoi capelli color grano maturo erano stretti in uno chignon dietro la nuca e sul visetto pallido risaltavano le guance cremisi e luminose.
Ne t’en fais pas” cinguettò lei gentile. Sorrise di un sorriso cordiale, gentile, poi si allontanò con lo stesso fare impacciato.
“Steve!”
Steve sussultò. Peggy gli veniva incontro, la chioma di boccoli sulle spalle e un vestito scarlatto a fasciarle la figura smagliante. Un sospiro gli sfuggì dalle labbra.
Ah, tutte quelle donne. L’avrebbero fatto diventare pazzo.
 

*

 
“Signorina, posso avere un altro Martini, per favore?”
Natasha annuì in malomodo all’anziano imprenditore che le si era rivolto con tanta cortesia e accontentò il cliente, porgendogli con altrettanta scortesia il bicchiere con il drink richiesto, ignorando completamente lo sguardo perplesso e anche abbastanza mortificato che quel vecchietto tanto simpatico e innocente le aveva rivolto.
Ritornò al bacone con il vassoio e lo riempì di nuovo con altri calici di cristallo colmi di champagne, prima di ripercorrere i propri passi e tornare in sala. Aveva appena visto Banner dall’altro lato e non poté fare a meno di notare come si trovasse a suo agio nel chiacchierare con una giovane principessina dell’alta società. Sollevò le sopracciglia e arricciò le labbra in un’espressione di altezzoso nervosismo, prima di volgere altrove lo sguardo.
Non poteva credere ai suoi occhi. Insomma, Banner! Banner, che era sempre stato così gentile con lei, brillante, cordiale, affettuoso, ora flirtava deliberatamente sotto il suo naso con un’oca giuliva qualsiasi! Era inconcepibile, inaccettabile.
Come se non fosse bastata, l’umiliazione dell’altro giorno.
Insomma, Natasha pensava sinceramente che il suo atteggiamento infantile e ingiustificato della sera in cui Pepper si era rotta la mano fosse stato il culmine, dato che a lei non si poteva attribuire neanche una minima parte della colpa per gli eventi di quella notte, ma si era dovuta ricredere perché il mutismo e la totale indifferenza che Bruce – Banner! – aveva cominciato ad adottare nei suoi confronti nelle settimane seguenti erano stati davvero intollerabili e inammissibili.
Per non parlare della discussione con Thor sull’amore.
Come diavolo gli era saltato in mente di parlare di quell’ameba senza spina dorsale davanti a lei?!
Di lei, di loro, del loro amore?! Disgustoso, privo di scrupoli, maledetto, iroso Banner.
Gliel’avrebbe fatta pagare, fosse stata l’ultima cosa che avesse fatto.
 

*

 
Pepper aveva appena raggiunto il terrazzo quando Tony la trovò. Le andò incontro alle spalle e le avvolse le mani in vita, facendola voltare di colpo e posando le proprie labbra su quelle di lei.
Pepper trasalì violentemente, ma riconobbe subito l’autore della malefatta. Si lasciò baciare arrendevole, ma prima che la bocca di Tony lasciasse la sua, strinse i denti sul suo labbro inferiore, senza troppa forza, giusto per il gusto di irritarlo un po’.
Lui si allontanò di scatto e si passò la lingua sul punto dolorante, appena più rosso, ma comunque in perfetta salute, e le rivolse uno sguardo allo stesso tempo ammirato e crucciato.
“E questo per cos’era?” chiese divertito. Pepper represse l’istinto di prenderlo a calci.
“Per niente” replicò seccata, ostentando un tono superiore e distaccato.
“Uh” sorrise lui compiaciuto. Sembrava quasi sul punto di mettersi a saltare dalla felicità. Lei gli rivolse uno sguardo scettico, poi fece per girarsi di nuovo. Tony non mollò la presa sui suoi fianchi e le poggiò le labbra sul suo orecchio, sfiorandone la pelle raggiante in un tocco languido ed esasperante.
“Gelosa, bimba?”
Parecchio infastidita da quel suo irritantissimo atteggiamento egocentrico, narcisista e playboy, Pepper alzò un braccio e fece per colpirgli lo stomaco con il gomito, ma Tony se ne accorse in tempo e le bloccò il polso con una mano, poi la fece voltare ancora e Pepper si ritrovò il suo viso quasi a contatto con il suo. I loro occhi si incontrarono e lei lesse nei suoi un’adorazione fuori dal normale brillare per quella vicinanza. Così, quando Tony si abbassò per baciarla ancora non si scansò. Lasciò che le sue mani si stringessero con forza sulla sua schiena scoperta e si strinse a sua volta alle sue braccia, rispondendo al bacio con ardore e trasporto, rimanendo piacevolmente sorpresa dal modo in cui lui la stava toccando. Non che non si baciassero proprio mai in quel modo, ma solitamente riservavano certi fuochi per momenti più intimi e discreti. Ma di certo in quel preciso istante, lei non stava proprio pensando in maniera razionale e respirò rauca nella sua bocca, lasciandosi avvolgere dal suo profumo forte e seducente, dalle sue dita calde e ruvide, dal suo essere così totale e perfetto. Rimasero con le labbra strette ancora molto tempo, i profumi confusi e i corpi allacciati; quando si allontanarono, Pepper sentiva la bocca gonfia per l’impeto di quel bacio e la gola riarsa. I suoi occhi erano fissi in quelli di Tony.
“Sappia, signorina Potts” le sussurrò lui con voce roca, “che non esiste nessuna come lei… anche se qualche volta non sono troppo bravo a dimostrarlo.”
Lei scosse la testa in un sorriso e gli passò una mano delicata fra i capelli.
“Non per me” replicò adorante. Tony si avvicinò di nuovo per baciarla, ma il suo sguardo calamitò su una figura scura poco distante da loro che aveva gli occhi fissi sulla schiena scoperta della sua ragazza.
“Andiamo da un’altra parte” affermò irritato e la trascinò via, mentre lei prendeva a ridere incontrollata.


* 

 


Era quasi mezzanotte quando il cellulare di Phil vibrò di un nuovo messaggio nella tasca interna della giacca. L’agente Coulson estrasse il telefono dall’interno e visionò il contenuto con la fronte corrugata.
Thor, Nick, Howard e Barton lo fissavano smaniosi e all’erta.
“Niente di fatto, signori” annunciò Phil con amarezza. Nick sbarrò gli occhi, stupefatto.
“Di che parli?” chiese visibilmente seccato.
“Parlo del fatto che Stark mi ha appena informato che Glanster non si è presentato. Pepper ha parlato con uno dei suoi complici più fedeli, il dottor Deception, e ha saputo che il nostro amico non si presenterà. A quanto pare, non erano questi i suoi piani” concluse nervoso.
Howard assottigliò lo sguardo, pensieroso.
“Non importa. Lui voleva che Tony andasse. Voleva vedere fino a che punto si esporrà” spiegò e un filo sottile di preoccupazione si concretizzò in una ruga sapiente sul suo volto.
Nick annuì.
“La Fuhrmann?” chiese spazientito.
“Scomparsa” fu la laconica risposta di Phil. “Si è allontanata per andare alla toilette e nessuno l'ha più vista.”
“Bene” disse amareggiato Nick dopo un silenzio infinito. “Torniamo alla base.”
Un sospiro di angoscia gli schiuse le labbra.
Glanster, che cosa hai in mente?

*

Natasha stava cercando Bruce.
Non che avesse davvero intenzione di parlare con quell'abominevole essere, ma aveva ricevuto degli ordini e tutti sanno che lei è un’ottima spia e le ottime spie non discutono mai gli ordini di un superiore. Motivo per cui lo stava cercando.
Bisognava assolutamente avvertirlo che il piano era stato cambiato e che non era più richiesta la loro presenza in quel posto. Dunque, lo stava cercando.
Ma Banner sembrava essersi volatilizzato.
Natasha aveva già visto dovunque: nei corridoi, nella sala centrale, nella stanze attigue, al bar e perfino nei bagni. Niente. Banner sembrava scomparso.
Come se non fosse bastato l’atteggiamento che le aveva gettato in faccia nelle precedenti settimane, violento e crudele come uno schiaffo in pieno viso, ora si metteva anche a comportarsi da bambino idiota. Oh, se gliel’avrebbe fatta pagare. Certo che gliel’avrebbe fatta pagare e lui l’avrebbe implorata di smetterla con i suoi giochetti.
Quando l’orologio centrale scattò l’una, Natasha aveva appena lasciato il bar ed era entrata nella sala sul retro del ristorante fino alle cucine. Ormai non c’era più nessuno dietro ai fornelli o accanto all’entrata, tranne una persona.
“Banner!” esclamò esasperata e quasi l’avrebbe strangolato solo per quello. Nessuno mai era stato capace di esasperarla fino a quel punto. Idiota.
“Dove diavolo ti eri cacciato?” gli si scagliò contro. “Ti cerco da una vita” continuò con lo stesso tono di rimprovero e le sue mani scattarono sui fianchi come una madre arrabbiata. “Il piano è saltato” spiegò con quella voce irritabile e irritante. “Glanster non si è presentato e la Fuhrmann sembra essersi volatilizzata, motivo per cui possiamo andarcene da qui.”
Durante tutto il soliloquio di Natasha, Bruce non aveva mosso un dito. Proprio come nel momento in cui lei era entrata, furiosa e bellissima, nelle cucine, lui era rimasto nella stessa posizione, con il capo chino sulle mani agitate e la schiena poggiata alla porta della cella frigorifero. Senza dire una parola.
Irritata dalla perpetuazione di quel suo insopportabile atteggiamento – stava diventando più molesto di Stark ed era davvero tutto dire, insomma – Natasha fece per uscire, con l’intenzione di liberarsi di quel patetico costume da cameriera e di tornarsene a casa – di Stark, naturalmente. Ma appena si voltò, la mano di Bruce scattò veloce verso di lei e si allacciò attorno al suo polso. Natasha si girò a guardarlo e sul suo viso apparve un’espressione al contempo esaurita e stupefatta.
“Banner” esordì, serrando a tratti lo sguardo per mantenere la calma e cercando di respirare dal naso. Ora lui la guardava e lo faceva con un’adorabile nota di dispiacere in quelle sue dolci iridi castane. Maledettamente scorretto. “Ascoltami. Io non ce la faccio più con te” confessò in preda ad una crisi isterica. “Non ce la faccio, mi stai esaurendo e smettila di fare quello sguardo, è ignobile questo tuo improvviso tentativo di farmi sentire in colpa dopo che sei stato tu che per giorni interi hai fatto finta che io non esistessi, incolpandomi di qualcosa per cui non ho colpa!” strillò e ormai era coinvolta del tutto in quella crisi di nervi. “Insomma, che diavolo potevo fare quando Fury e Barton sono entrati in bagno o quando Pepper è caduta?! C’era bisogno di prendersela con me? Io non credo! E poi quella storia di Pretty, Petty, Betty o come diavolo si chiama mi ha sinceramente e completamente stufata! OH!”
Respirò profondamente e si sentì meglio. Un sorriso soddisfatto le incurvò le belle labbra piene. Bruce la guardava ammirato ed era piuttosto evidente il suo tentativo di non scoppiarle a ridere in faccia.
“Natasha” iniziò calmo e pronunciò il suo nome con soave dolcezza. “Mi dispiace.”
Natasha strabuzzò gli occhi e spalancò la bocca. Aveva sentito male. Mi dispiace?!
“Mi dispiace?” ripeté in un sussurro. “Mi dispiace? Mi dispiace?!” e stavolta strillò. “Settimane di indifferenza, mutismo, rabbia mentre io muoio per i sensi di colpa e tu pensi di cavartela con un ‘Mi dispiace’? Tu devi essere pazzo, Banner, perché se credi di avere a che fare con un’altra ameba priva di spina dorsale, sappi che ti sbagli di grosso e io-…”
Bruce rise e la baciò e Natasha si lasciò baciare.
Quando si allontanarono, fece schioccare le labbra, apparentemente soddisfatta.
“Dunque” continuò e cercava di guardare altrove perché Bruce sorrideva ed era irritante vedere come Stark fosse contagioso. “Dunque… è per… insomma, per... mhm... per questo?”
Lui incrociò le braccia con aria tranquilla.
“Diciamo che forse mi sono fatto trascinare dall’ira. Non mi andava a genio che Fury e Barton fossero entrati mentre facevi il bagno, ero sconvolto per il segreto di Nick e mi dispiaceva per Pepper. E poi ho pensato che… be’, dato che non sono un essere umano, sarebbe potuto essere per te meno rischioso se fossi riuscito ad ignorarti e a convincerti che non m’importava niente di te.”
“Quindi… quindi t’importa?” si accertò lei severa. Lui rideva delle sue espressioni.
“Be’… direi di sì. Assolutamente sì.”
Natasha annuì, ora più calma e anche abbastanza compiaciuta.
“Splendido” asserì entusiasta e gli gettò le braccia al collo. Lui rispose e la porta della cella frigorifero cedette, prima di richiudersi alle loro spalle. Avvertì le mani di Bruce farsi strada fra i suoi vestiti, ma le sue mani, piccole ma ben addestrate, lo imprigionarono contro il muro.
“No, dottore” disse carezzevole. “Devo prima fartela pagare.”
Bruce rise ed era favolosa la sua risata.
“Vuoi vedere se sono grosso e verde dappertutto?”
Lei sorrise maliziosa e se ne assicurò.
 

*

 
Era quasi l’una e mezza quando Peggy e Steve raggiunsero la stanza. Lei entrò per prima e rideva, in modo anche piuttosto imbarazzato, in realtà. Lui la seguì, con la mano intrecciata alla sua, e rispondeva con dolcezza a quel suo sorriso.
La porta si chiuse leggera dietro di loro e si ritrovarono faccia a faccia. Peggy lo guardò negli occhi, sbattendo le lunghe ciglia sulle iridi castane colme di desiderio e affetto. Non si muoveva, però. Stava lasciando la scelta a lui.
Certo, doveva scegliere. Peggy era lì, di fronte a lui e attendeva mentre la sua testa si perdeva fra i meandri delle ipotesi.
Era davvero quello, il suo finale? Non esisteva un’altra perfetta metà del suo cuore, com’era Virginia per Tony? Era stupido pensare una cosa simile, dato che era proprio il pensiero di Virginia che lo agitava, però non poteva negare quanto fossero perfetti insieme. Insomma, lei era senza dubbio ciò che chiunque avrebbe desiderato, ma l’aveva spiegato a Tony quella sera, fuori dal Big Horse Journey: lui non era geloso di lui per Virginia – be’, non proprio. Insomma, lei era perfetta e lui aveva caldo quando si avvicinavano e si era anche sentito in qualche modo attratto, ma era sempre stata una sensazione di affetto, quasi fraterno, più che di amore vero e proprio – era geloso di quello che lei rappresentava per lui. Nella sua testa, c’era sempre stata l’idea di un amore puro e totale come era il loro ed era stupido pensare che, dopo settant’anni, lui stesse ancora aspettando la persona giusta. Sicuramente, aveva amato Peggy e lei era stata quella giusta… ma lo era ancora?
Prima di innamorarti di nuovo di lei, impara a conoscere la Peggy di ora e assicurati che sia la stessa che amavi, perché settant’anni sono tanti, anche se non ci sono le rughe a dimostrarlo.
Virginia aveva ragione o forse la sua era solo stata un’ingiustificata accusa?
Respirò profondamente e guardò di nuovo Peggy e lei ricambiò lo sguardo, continuando ad attendere la sua scelta.
E Steve scelse.
Si sporse verso di lei e la baciò, dapprima con delicatezza, leggiadria, quasi timore; poi prese coraggio e le sue labbra presero a muoversi con molta più convinzione e bramosia. Le sue mani si erano fatte subito audaci e, sempre nella loro onnipresente timidezza, avevano raggiunto la lampo sulla schiena di Peggy; il vestito cadde in un morbido fruscio sul pavimento e Peggy lo spinse sul letto con forza. Lo ammirò per qualche istante – i capelli arruffati, la camicia strappata, i pantaloni cascanti, gli occhi luccicanti di ardore ed eccitazione – poi gli salì in grembo e si stese su di lui, con le labbra ancora sporche di rossetto che lasciavano il proprio segno in angolo di quel corpo perfetto e immacolato. I suoi denti perlacei accompagnavano il passaggio sulla pelle sinuosa e tesa e la lingua assaporava estasiata ogni lembo diafano. Steve la issò su di sé con decisione e il tessuto della sua camicia fu definitivamente ridotto in brandelli. Le dita di Peggy strinsero sui polpastrelli la carne bollente, mentre la bocca tornava a strisciare sul suo collo. Un rumore secco ruppe quello scarno silenzio e anche i pantaloni cedettero, nell’istante in cui il palmo di Peggy andava a chiudersi sul suo punto più sensibile, Steve sussultò. Un respiro rauco gli sfuggì dalle labbra e lei le riprese fra le sue, iniziando a muovere le mani con precisione e dolcezza. La stretta ai fianchi di lui si fece più forte ed entrambi rimasero con i volti vicini, prima di unirsi per sempre.
Fu allora che alla porta qualcuno bussò.  
 

*

 
 “Adesso chi è quello geloso, signor Stark?”
La voce dolce di Pepper risuonava divertita nel silenzio del parco deserto del Flûte. Lei e Tony erano stesi sull’erba, entrambi con addosso solo una tovaglia fregata al maître, e i vestiti abbandonati sul tronco dell’albero che avevano scelto come nascondiglio.
Pepper era appoggiata con la schiena contro l’erba e stringeva un lembo della coperta improvvisata in una mano, con i capelli che le ricadevano morbidi sulle spalle e gli occhi che scrutavano ammirati il firmamento. Tony teneva un braccio a sostenergli la testa, mentre il gomito affondava fra la rugiada fresca e lo sguardo sul viso di Virginia.
“Non ho mai negato quest’aspetto della mia personalità” le fece notare lui, mentre un dito le carezzava la spalla scoperta.
“Hai sempre detto di essere un uomo moderno” lo canzonò lei.
“Anche tu” ribatté Tony a sua volta.
“Non è vero. Sei tu che non volevi ammettere che sei geloso” lo blandì lei adorabile. Lui sorrise e la baciò.
“Sa com’è, signorina Potts” disse dopo qualche istante. “Il simile cerca il simile.”
Sopra di loro, la stella più luminosa cascò.

 






























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Buonasera amici Vendicatori.
 
Come va? Oggi per me è stata una giornata strana; ultimamente sto sventuratamente trascorrendo gran parte del mio tempo sui libri perché Gennaio e gli esami incombono su di me più mai e, vi dirò, avevo tutt'altra idea di questa serata. Pensavo di trascorrerla in solitudine, in pigiama, magari davanti ad un film, poi è cambiata da sola. :) Inizialmente, non volevo neanche postare perché non ho acceso il pc tutto il giorno e mi scocciavo di farlo solo per cinque minuti, ma ho improvvisamente cambiato idea. L'altro motivo per cui non volevo aggiornare è che non credo avrò tempo di rispondere alle recensioni stasera - non a tutte, insomma - e non mi piace lasciare in sospeso quelle fantastiche persone che mi rendono tanto felice e mi scuso con loro sin da subito. Spero che questo capitolo possa, almeno in parte, farvi sentire calcolate perché è pensando a voi che sono qui anche stasera. 
Questo capitolo... quante cose, vero? Credo sia uno dei più densi di tutta la storia. E, vi dirò, a me non dispiace affatto. Ci ho messo un po' di movimento, lusso, discorsi eruditi, qualche allusione qua e là e tanto, ma tanto love

E così abbiamo finalmente Natasha e Bruce riuniti in cucina, Steve ha preso una decisione - ma sarà quella giusta? - e Glanster continua a fare lo strano fuggitivo. A questo proposito, non avete idea di cosa combinerà quel pazzo nel prossimo capitolo. O.O Io stessa ne sono sconvolta e incredula. A tutto ciò, naturalmente, si aggiunge un po' di sano Pepperony che non guasta mai e che io non posso mai non mettere. 
♥ A questo proposito, spero di non aver esagerato con lo zucchero. 
Dunque, come al solito, bureaucracy space

[1]: Sex and the City è una serie televisiva statunitense basata sull'omonimo romanzo di Candace Bushnell e concentrata sulla vita sentimentale e sessuale di quattro amiche; 
[2]: Arthur Goring e Laura Chevely sono due personaggi della commedia Un marito ideale di Oscar Wilde. All'interno dell'opera, lord Goring, il protagonista, è un grande tombeur de femmes, scapolo, anticamente fidanzato con Laura, una donna maliziosa e priva di scrupoli che lo lascia per un uomo più ricco. Vedova, incontra di nuovo il suo ex amante e i due fanno una scommessa: in questa famosa scena, lui afferma che la sposerà se, quella sera stessa in Parlamento, il suo migliore amico Robert appoggerà un progetto internazionale truffaldino solo per un ricatto di Laura; in caso contrario, lei gli consegnerà la lettera con la quale ricatta Robert e che lo condannerebbe al carcere a vita. Arthur afferma di avere tanta fiducia nel suo migliore amico che scommetterebbe anche la camicia, anzi tutto il guardaroba, fino ad arrivare alla sua amata libertà. Non vi dico il finale, ma leggete il libro e vedete il film perché valgono. Ho pensato che Steve potesse conoscerlo perché fu pubblicato da Wilde la prima volta nel 1895; 

[3]: Io confesso è un romanzo di John Grisham pubblicato nel 2010 e narra la storia di un'ingiusta condanna a morte di un ragazzo di Slone, cittadina immaginaria del Texas; 
[4]: i Lizards sono una squadra di basket americana;
[5]: N'en te fais pas, dal francese, significa 'Non si preoccupi'. 

Dunque, credo di aver detto tutto. Prima di lasciarvi, voglio come sempre ringraziare chi legge anche solo in silenzio questa storia, chi la segue, la ricorda, la recensisce, la preferisce e perde tempo della sua vita per lei e per me. Grazie di cuore e un grazie speciale a coloro che mi fanno brillare gli occhi con le loro parole troppo belle e gentili: Alley, Silvia_sic1995, _M4R3TT4_, _Let it shine e MissysP. Grazie di cuore ragazze. 

Un bacio e un buon anno a tutti! Alla prossima, ci rivediamo da queste parti sotto il 15! ;)
Mary. 

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Capitolo 11
*** Capitolo XI – Flash Howard ***


Capitolo XI
Flash Howard

 


Era molto presto quella mattina successiva alla festa e Tony si sentiva male. La testa gli doleva in modo assurdo, come se qualcuno gli avesse impiantato un oggetto metallico che gli circondasse il cranio e premesse alle tempie e sulla mascella, e avvertiva un vago senso di nausea e vertigine alla bocca dello stomaco. Aveva gli occhi chiusi e sentiva qualcosa di piatto, freddo e perfettamente liscio a contatto con la guancia destra; l’aria fresca gli premeva sulla pelle e, per un istante, ebbe la sensazione di essere nudo. Finalmente sollevò le palpebre ed ebbe attorno a sé una visione sommaria del luogo dove era stato portato… perché di certo qualcuno l’aveva portato fin lì, lui di certo non ci era arrivato da solo. Era un’enorme stanza vuota, priva di mobili e qualsiasi altro accessorio. L’unico oggetto presente era una piccola lampadina che ciondolava mollemente dal soffitto e che emanava una luce intensissima, tale da rischiarare completamente tutta la camera dalle pareti bianche. Tony si sedette sul pavimento e lanciò un’occhiata perplessa al suo corpo: non era nudo, ma i vestiti che indossava non era sicuramente suoi; qualcun altro doveva avergli fatto indossare quei jeans logori e quella maglietta ridicola – verde porro?! Ma che colore era? – e probabilmente era la stessa persona che l’aveva condotto fin laggiù. Di nuovo provò a guardarsi intorno e riuscì a trovare quello che stava cercando: in un angolo, fra due pareti, si intravedeva un’intagliatura nel muro il cui perimetro continuava fino a formare un’ombra rettangolare. Una porta.
Tony guardò dubbioso quello spazio, sempre tanto bianco da fargli girare la testa che, nel frattempo, continuava a fargli male senza tregua, e provò a spingerla. Incredulo, osservò la porta aprirsi e lui gettò uno sguardo serio e incuriosito al corridoio su cui dava: anche lì, non c’erano mobili, oggetti o arredi di altro genere tranne una lampadina che pendeva dall’altissimo soffitto, identica a quella della stanza, e non si riusciva a vedere il fondo di quel tunnel. Tony fece due passi avanti e lasciò la porta socchiusa dietro di sé, iniziando a camminare nello spazio lungo e ristretto del corridoio. Continuava a muoversi lentamente, strisciando le mani contro le pareti, anche quelle bianche come nella stanza – tutto quel bianco era davvero accecante, non faceva altro che peggiorare il suo già insistente mal di testa. Dopo quelli che sembrarono infiniti anni, si ritrovò alla fine del corridoio e sulla parete alta e sottile notò un’altra incrinatura. Spinse di nuovo e di nuovo la porta si aprì. Entrò nella stanza attigua, ancora con il suo passo accorto e insolitamente cauto, e vide che dentro, in una camera del tutto identica alla prima, c’erano tre persone.
“Stark!”
Di certo la voce di Rogers non era esattamente quella che avrebbe voluto sentire in un momento come quello, ma decise che non era il caso di mettersi a far polemica su quisquilie del genere. Avanzò verso di lui e lo aiutò a sollevare Nick. Howard era accanto a loro e Tony trasalì quando sentì la sua mano stringersi sulla propria spalla.
“Stai bene?” gli chiese e Tony si sentì di nuovo a disagio perché non era affatto abituato che qualcuno si prendesse cura di lui e si preoccupasse per lui – be’, certo, escludendo Pepper e Rhodey e Jarvis. Ma loro non contavano. Senza parlare del fatto che tutta quella premura non faceva che accrescere il suo senso di colpa per non aver ancora provato veramente ad accettare suo padre.
“Sì” rispose deciso. “Cos’è successo?” incalzò poi e si rivolse a Rogers perché decisamente non era quello il momento adatto per accettarlo.
Steve scosse le spalle e sul suo volto si formò una smorfia di rancore misto a sconsolazione che a Tony non piacque per niente.
“Non ne ho la più pallida idea” ammise in preda allo sconforto più totale. “Howard dice che la auto sua e di Nick è stata attaccata sulla strada per la tua torre. Tu non ricordi niente?”
Tony rifletté. Ricordava? Certo che ricordava.
Era andato alla festa la sera prima e aveva flirtato di proposito con quell’oca finta bionda giuliva della Fuhrmann e poi aveva parlato con Pepper sul terrazzo – be’, non proprio parlato, ma di nuovo si perdeva in quisquilie. Più tardi erano andati entrambi a cercare Glanster o quella Lydia, ma non li avevano trovati, così Tony era stato costretto a subire l’umiliazione di vedere Pepper che tubava allegramente con quel dottor Deception o come cavolo si chiamava e avevano scoperto che Glanster non si sarebbe presentato. Avevano cercato ancora la Fuhrmann e, dopo aver concluso che anche lei doveva aver abbandonato la festa, lui aveva trascinato Pepper in giardino e avevano fatto l’amore. Certo, aveva nutrito qualche dubbio sul perché Glanster non si era presentato, ma continuava a non capire quale fosse il suo obiettivo e alla fine, preso dal sonno, si era addormentato lì, sopra l’erba e sotto le stelle. E poi… poi si era svegliato in quella stanza, dall’altra parte del corridoio. Ma come c’era arrivato? Tony non riusciva a ricordarlo.
“No” concluse amareggiato. “Ricordo che sono stato alla festa, che ho parlato con la Fuhrmann e che, quando lei è scomparsa, con il dottor Deception. Nient’altro.”
“Nient’altro?” ripeté Steve. “Com’è possibile? Non siete tornati a casa?”
“Be’, non proprio” confessò Tony appena imbarazzato. Steve lo guardò perplesso.
“In che senso?”
“In nessun senso, Rogers! Per l’Amor del Cielo!” urlò esasperato.
“Ci sarà pure un senso!” replicò Steve seccato.
“Non sempre” lo rimbeccò Tony, altrettanto infastidito.
“Invece sì.”
“Insomma, Tony, siete tornati o non siete tornati?” chiese Howard perplesso. Tony sbuffò.
“No” rispose infine, con le guance gonfie d’irritazione. “No, non siamo tornati. Abbiamo fatto sesso in giardino… siete contenti, ammasso di capre ficcanaso?” sbuffò ancora. “Diamine, Rogers, ma che domande poni? Non ti sei accorto che non c’ero, ieri sera?”
A dispetto di quanto Tony – e chiunque altro al suo posto, in realtà – avesse potuto immaginare, Steve arrossì. Di più. Avvampò, prese fuoco, s’infiammò fino alla radice dei capelli.
Howard gli lanciò uno sguardo preoccupato; Tony lo guardò a bocca aperta.
“No” disse solamente. “Non ci credo.”
“Stark” esordì Steve, ancora rosso come un peperone. “Non è assolutamente come sembra.”
“Rogers, è sempre come sembra. E dalla tua faccia sembra davvero molto male. Ma tu non avevi giurato amore eterno alla sergente sotto le armi?”
“Peggy?” chiese stupito Howard. Tony si sbatté una mano sulla fronte con finta drammaticità.
“Giusto, dimenticavo che avete fatto baldoria in Germania assieme” disse con un sorriso divertito. “Allora? Chi è questa donna così attraente da esser riuscita a rompere questa cintura di castità?”
Steve avvampò ancora. Ormai era quasi marrone.
“Stark…”
“Deve essere una tipa molto forte, per aver avuto la capacità di frantumare un catenaccio del genere. Ferro! Ma che dico: acciaio inox!”
“Stark…”
“Oh, giusto non lo sai. Dunque, l’acciaio inox, detto anche acciaio inossidabile, è una lega a base di ferro e carbonio che unisce…”
“Stark!”
“Be’, ma chissenefrega dell’acciaio inox, giusto? Si sarà fatta prestare il Mjolnir da Thor…”
“Stark! È lei.”
Tony e Howard alzarono simultaneamente lo sguardo e sui volti di tutti e due campeggiava la stessa espressione sconvolta, incredula e completamente idiota. Un silenzio imbarazzante cadde fra loro; fu la voce insolitamente titubante di Tony a romperlo.
“Sei andato a letto con una novantenne?!”
“No!” esclamò Steve e non capiva perché continuava ad arrossire. “Non proprio. Insomma, è difficile da spiegare… ecco, lei è ancora giovane.”
Tony sospirò, comprensivo.
“Si chiama botox, Rogers, e anche se non sembra, è tutto finto” disse spazientito. “È come una maschera ad alta tecnologia: tu vai in un ospedale, paghi un dottore e quello ti sistema la faccia in modo che sembri più giovane, ma non lo sei per davvero…”
“Stark!” urlò Steve. “Non è come sembra, ascoltami. Dopo il mio incidente…”
“Dopo che ti sei ibernato da solo, intendi?” chiese Tony con un sorriso soddisfatto. “Ah, che bei tempi…”
“Tony” lo ammonì divertito, suo malgrado, Howard.
“Ha tentato di suicidarsi” continuò Steve affranto. Tony aggrottò la fronte.
“Reazione antitetica” asserì perplesso. Howard dissimulò una risatina in un colpo di tosse.
“Un dottore, un tale di nome Täuschung, le salvò la vita iniettandole del siero…”
“Ma allora è una moda!”
“Stark!” lo rimproverò Steve, ormai al limite della pazienza. “Il siero l’ha tenuta in vita e l’ha mantenuta giovane per tutto questo tempo. Ricomincerà ad invecchiare solo quando…”
“… quando il siero si mescolerà con il sangue” concluse Howard per lui. “Quindi la dose doveva essere miscelata in modo diverso. Le ha permesso di sopravvivere e l’ha tenuta identica a se stessa per una qualche reazione con il sangue” concluse comprensivo. “Certo.”
“Sì, be’” intervenne Tony. “Questa storia dei reduci di guerra che si ripresentano nell’epoca sbagliata sta cominciando davvero a diventare ridicola e anche molto seccante. Insomma, siete fuori luogo e non capisco perché dobbiate tutti venire a rompere le scatole a me… dopotutto, io non credo di essere un Santo, però, insomma, la cosa comincia davvero a rasentare il grottesco…”
“Stark, ti prego” lo implorò Steve. Howard gli lanciò uno sguardo in tralice.
“Che ti ha detto?” gli chiese incuriosito. “Sono solo curioso! Dopo che tu sei scomparso, io mi sono sposato. Non siamo mai stati insieme veramente.”
Tony strabuzzò gli occhi incredulo.
“No, aspetta” disse mettendo le mani in avanti. “Cioè, tu sei stato con questa? O mio Dio! Questa è una soap opera… ditemi chi è stato a trasformare la mia vita in una copia ridicola di Beautiful perché io non ce la faccio…”
“Non proprio” rispose Howard, appena imbarazzato. “Eravamo molto amici. E stavamo per…” s’interruppe a disagio. “Be’, comunque dopo la guerra ho incontrato Maria e mi sono innamorato di lei e l’ho sposata” concluse più tranquillo.
“E tu hai consegnato la tua virtù a questa individua?” domandò curioso.
“Non proprio” replicò dubbioso. Tony si voltò curioso verso Howard.
“È una risposta bonus?” Howard non riuscì a trattenersi stavolta e scoppiò a ridere.
“Insomma, sì o no?” insistette Tony. Steve sospirò.
“No” rispose alla fine. Tony sorrise.
“Lo sapevo. Notare la differenze delle nostre risposte” spiegò con fare esperto. “Ma non preoccuparti, la prima volta è sempre un po’…”
“Che succede?”
La voce di Nick intervenne del tutto fuori luogo in quella conversazione. Howard prese a raccontargli la situazione, includendo tutti i pettegolezzi appena scoperti nelle precedenti conversazioni, mentre Tony riprese a parlare a Steve.
“Sai, Rogers, qualche volte è normale fare cilecca. Insomma, si viene presi da una specie di preoccupazione: si chiama ‘ansia da prestazione’ e praticamente…”
“Stark, spiegherai in un altro momento a Rogers le basi del sesso protetto” lo interruppe Fury seccato. Tony si sbatté una mano in fronte.
“Giusto! Il preservativo” esclamò serio. “È molto importante che tu lo usi. Questa donna potrebbe causarti qualche problema, anche di malattie: AIDS, HIV o qualsiasi altra malattia venerea che potrebbe aver contratto da altri rapporti sessuali…”
“Impossibile. Anche per lei era la… be’, insomma… la prima” confessò Steve imbarazzato. Tony inarcò le sopracciglia.
“Sì, come no. Te l’ha detto lei, non è vero? Ottima tattica per cavalcarti subito” sospirò.
“Ma è vero! Non le credi solo perché non è tua fan” la rimbeccò piccato Steve. Tony sbatté le palpebre.
“Di che parli? Io non la conosco” affermò sicuro.
“Non te la ricordi, ma lei si ricorda di te” replicò Steve. “E non le è rimasto un bel ricordo.”
“È evidente che voleva essere quella la sua prima volta e sarà rimasta delusa dal mio rifiuto” illustrò Tony altezzoso. Nick sospirò.
“Smettetela” ordinò severo.
“E perché di grazia avete parlato di me?” chiese Tony scettico. “Mi hai strumentalizzato per far colpo? Hai usato la nostra conoscenza per farti bello con la tua bella?”
“No, lei me l’ha chiesto” ribatté Steve. “Sapeva dei Vendicatori, ci ha visti quando abbiamo cacciato i Chitauri. È un’infiltrata nella gang di Glanster per conto di un’altra agenzia e io le ho detto che lo sono anch’io.”
“Cosa?” intervenne Nick stupito.
“Non è la cosa più saggia che tu potessi fare” disse Tony perplesso.
“È dalla nostra parte” riprese Steve. “Ci possiamo fidare.”
Nick annuì suo malgrado, ma fece per parlare. Prima che potesse dire qualcosa, però, qualcuno entrò nella stanza e tutto quel bianco divenne solo buio.
 

*

 
Tony aveva ancora mal di testa. Era incredibile come l’emicrania si facesse già sentire, prima ancora dei trent’anni. Appena tornato a casa, doveva ricordarsi di dire a Pepper di comprare qualcosa per la testa.
Il pensiero improvviso di Pepper lo invase da capo a piedi e, per la prima volta da quando si era svegliato nella stanza bianca quella mattina, ebbe la chiara visione di quello che stava succedendo ed ebbe paura. Quando si era risvegliato, il dolore era stato tanto forte da non fargli pensare a nient’altro e poi aveva incontrato Rogers e Howard e Nick ed era stata coinvolto in quella assurda conversazione sulle sergenti seduttive e le cinture di castità. La sua testa ora riusciva a ragionare con più naturalezza ed ebbe paura.
Quando si era addormentato la sera prima, in quel favoloso prato fresco di rugiada, sotto quello splendido cielo stellato, nulla sembrava poterli toccare, ma adesso pensava e aveva paura per lei. Anche lei era stata presa da Glanster? Perché su questo non c’erano dubbi, solo lui poteva avere interessi nel cercare di intrappolarli… ma aveva preso anche lei? Era in pericolo?
Improvvisamente, sentì tutta l’aria diventare tossica attorno lui e non riuscì più a respirare.
“Buongiorno, Stark.”
Non aveva mai sentito la sua voce, ma aveva osservato il suo volto così tante volte sulla carta stampata che gli sembrava di conoscerla da sempre, come un veterano compagno o un amico di vecchia data.
“Glanster” replicò freddo. Aprì di nuovo gli occhi e scoprì di trovarsi in una stanza del tutto diversa da quelle precedenti. Le pareti erano nere e Tony aveva la sgradevole sensazione di trovarsi nel vuoto. Aveva i polsi stretti dietro la schiena ed era in ginocchio al centro della stanza; Rogers, Howard e Nick erano davanti a lui, tutti e tre costretti con delle corde come lui.
“Stark, devo dire che, fra tutti, tu eri quello che avevo più voglia di conoscere” continuò e finalmente Tony lo vide, faccia a faccia. Era perfettamente identico a come l’aveva disgustosamente immaginato: alto, con i capelli castani, il volto pallido, quella cicatrice strana sul collo e gli occhi sporgenti luccicanti di vittoria e potenza.
“Comprensibile” replicò Tony. “Considerando gli altri componenti.”
Glanster scoppiò a ridere e la sua risata risuonò nello spazio vuoto.
“Dimmi” riprese. “Fa male?” sussurrò.
Tony non rispose.
“Ti hanno mentito. Ti hanno ingannato. Ti hanno usato. Un padre che ti ha nascosto il segreto più importante della tua vita. Un amico che ti ha strumentalizzato per coprirsi le spalle. Un rivale che si è finto tuo amico per rubarti l’amore della tua vita.”
Le parole di Glanster risuonavano in tutta la loro amara sincerità e Tony vide tutto da una prospettiva peggiore, tremenda, intollerabile.
Era tutto come all’inizio. Bugie. Inganni. Sfruttamenti. Segreti. Traffici, affarismi, speculazioni. Furti. No, non lei.
I suoi occhi cercarono increduli quelli di Steve e quando lui evitò il suo sguardo Tony si sentì cadere.
“Non è vero” ribatté deciso e deglutì. Non era vero.
Glanster si sedette accanto a lui e gli batté una mano sulla spalla.
“Perdonalo. Lui non sa che vi sposerete…”
Poteva sembrare una frase detta così e Tony sapeva che lo sarebbe stata se non avesse continuato.
“… presto.”
Nick lo guardò stupefatto e lo stesso sguardo perplesso storse i volti di Howard e Steve, che finalmente ricambiò il suo.
“Insomma, non porta già l’anello al collo? Per nasconderlo, s’intende. Gran bell’esemplare, devo dire. Acquamarina… roba di classe, Stark” continuò Glanster e sembrava godere di ogni parola. “Che fortuna, comunque. Una ragazza del genere, dico. Insomma, dopo tutto quello che hai passato, era il minimo… un padre che non c’è mai stato e che ti lascia anche dopo la sua finta morte, una madre abbandonata che ti abbandona, un padrino che si finge tuo amico per rubarti la società e cercare di ucciderti, un amico che ti ha lasciato nel momento in cui aveva più bisogno di lui…”
Ogni ricordo prendeva forma da quelle parole maledette ed era tremendo ripensare ad ogni sofferenza, ogni graffio, ogni ferita, ogni lacrima che quei ricordi avevano causato a loro tempo e che continuavano a causare ad anni di distanza. Ogni pensiero felice e spensierato della conversazione precedente sembrava essere fuggito e adesso vedeva solo oscurità in quelli che, fino a pochi minuti prima, erano suoi amici. 
“Ma davvero vale la pena, Stark? Continuare a combattere con loro, per loro? A che scopo? Altre bugie, altri inganni, altri tradimenti? Combatti per me… e io metterò ai tuoi piedi il mondo.”
Tony storse le labbra in una smorfia falsamente pensierosa.
Valeva davvero la pena? Combattere per loro? Non lo sapeva; ma combattere... c'era qualcosa per cui valeva la pena, farlo e lui non si sarebbe arreso mai per questo. 
“Be’, non saprei” disse fingendosi dubbioso. “Liberarmi di Rogers è davvero una bella prospettiva… ma credo che rifiuterò, grazie.”
Il volto di Glanster fu contorto dall’ira e Tony temette stesse sul punto di scoppiare. Lo vide farsi avanti e afferrarlo per i capelli. Le sue mani andarono smaniose al suo petto ed estrassero il reattore dal cuore di Tony. Un rumore metallico risuonò nel silenzio e Tony sentì tre sussulti attorno a sé, ma li ignorò; le lacrime forzavano le sue iridi addolorate.
Un sorriso gli incurvò le labbra quando gli occhi di Glanster si sbarrarono davanti al reattore vuoto.
“Sostituito. Mi spiace” replicò compiaciuto. Glanster annuì e rimise il reattore al suo posto.
“Iridio” disse Glanster. “Dura poche ore… lo sistemi una volta a casuccia?” lo canzonò in preda all’ira.
“Quello era il piano originale, sì” concordò Tony.
“Complimenti” confessò Glanster suo malgrado. “Devo dire che ti ho decisamente sottovalutato.”
“Oh, non preoccuparti” lo consolò Tony scettico. “Lo fanno in molti.”
Glanster scoppiò di nuovo a ridere ed estrasse delle bottigline dal marsupio. Tony roteò gli occhi al cielo.
“Vi riporteranno indietro” affermò tranquillo.
“Perché?” chiese Steve.
“Ah, Capitano” rispose pacato Glanster. “Non avrebbe senso distruggerti qui, dove nessuno ti vedrebbe cadere. Voi non mi fate paura” disse e puntò lo sguardo su Tony. Lui sorrise.
“E io?” chiese in sussurro smorzato.
“Tu, mio caro eroe” continuò Glanster. “Sei di certo più minaccioso di loro… ma niente può sconfiggermi” disse e sembrava delirasse.
“Allora uccidi” bisbigliò Tony. “Uccidimi. Ora.”
Glanster rise e portò la prima ampolla alle sue labbra.
“Non così, Stark” sussurrò suadente. “Prima morirai dentro.”
E il liquido gli cadde in gola.
 

*

 
Era più o meno la terza volta da quella mattina, ma a Tony la testa continuava a far male comunque. Era steso di nuovo a faccia in giù, ma si ritrovava nel salotto della Stark Tower. Aprì gli occhi e respirò. Sentiva i polsi dolergli nei punti in cui le corde avevano tirato di più.
Si sollevò dal pavimento e si guardò intorno. La prima cosa che gli venne in mente fu Pepper. Camminò per la casa e chiamò Jarvis, ma il computer non rispondeva. In preda al panico, si sedette davanti al server e lo riavviò.
“Stark?”
Tony vagliò la situazione e concluse che la questione delle voci che desiderava sentire non era affatto una quisquilia.
“Cosa vuoi, Rogers?” chiese indifferente.
Sapeva che era stupido e infantile e che non aveva senso tornare a provare tutto quel rancore per lui e per Nick e Howard e tutti gli altri, ma era qualcosa più forte di lui. Non riusciva a fare a meno di pensare a tutti i modi in cui l’avevano ingannato e strumentalizzato; proprio come quella sera, quella prima sera, aveva bisogno di lei per non cadere. Le parole di Glanster avevano messo in dubbio la sua fiducia, avevano incrinato un rapporto per il quale lui si stava impegnando tanto e tutto sembrava essere caduto davanti al ritorno di quei aspri pensieri. 
“Volevo sapere se stavi bene” tentò lui, ma Tony lo ignorò e continuò ad armeggiare con il server. Howard e Nick lo raggiunsero e tutti e tre presero a fissarlo. Preso dall’esasperazione, Tony finalmente smise di scappare e allora scoppiò.
“Cosa volete?” urlò spazientito. “Ditemelo, perché evidentemente da solo non lo capisco. Glanster sarà anche un folle, ma volete sapere una cosa? Ha ragione. Ha ragione su di me, su di voi, su quello che è successo. Da quando sono nato, non c’è stato nessuno che mi ha davvero aiutato a crescere, se non mia madre, ma tu hai abbandonato entrambi per stare dietro al tuo lavoro! Non ho avuto un padre e, quando lui ha avuto la possibilità di esserlo, ma esserlo davvero, hai preferito una bella scampagnata attorno al mondo a me. Voi mi avete mentito e usato e adesso continuate a comportarvi con me come se davvero vi importasse!” rise in preda alla crisi isterica. “È assurdo e non riesco ancora a crederci. Sappi, Nick, che se non mollo tutto all’istante è perché il mondo non merita di pagare le conseguenze di quelle colpe di cui voi siete i responsabili.”
“Non è così” ribatté Howard. “Sono stato io a sbagliare ed è stato perché avevo paura di quello che sarebbe successo se fossi rimasto… per te…”
“Oh, sicuro! Meglio rimanere da soli, con il tuo amicone che paga dei pazzi assatanati per farmi uccidere e poi mi ruba la società!” urlò Tony.
“Non pensavo che sarebbe andata così” continuò Howard. “Mi fidavo di Obadiah, non avrei mai potuto immaginare…”
“Non m’interessa” replicò gelido Tony.
“Quindi è per questo?” intervenne Steve. “Che ti sposi.”
Pronunciò l’ultima parola con un’espressione così sconvolta che Tony dovette concentrarsi con tutte le sue forze per non colpirlo, proprio lì, su quella bocca storta dal disgusto.
“Non parlare di lei” sussurrò perentorio.
“Ah” esclamò Steve. “Non è come sembra. Io e Virginia…”
“Non nominarla, Rogers” continuò Tony. “Non la pensare neanche. Tu hai chiuso con me. Dopo che mi avevi detto che non ti interessava per quello che era, ma solo per quello che rappresentava, io ti ho creduto, ma tu mi stavi solo mentendo per farti strada verso di lei. Sei l’essere più rivoltante che abbia mai conosciuto” concluse sconvolto.
“Io non ti avrei mai fatto del male” bisbigliò affranto.
“Dovevi pensarci prima” lo rimbeccò Tony. “Ma comunque hai ragione. È per questo, Rogers. Volevi saperlo? Ora lo sai. Sì, è per questo e per un altro milione di ragioni. È perché quando avevo diciassette anni e non ero nessuno, a lei importava di me. È perché quando costruivo armi e mettevo in pericolo la gente, commettendo l’errore più grande della mia vita, lei mi è stata accanto. È perché quando ho deciso di cambiare, mi ha aiutato, mettendo a rischio la propria vita pur di aiutarmi a salvare la mia. Perché ha pianto per me quando non c’ero, perché mi ha visto sbagliare e invece di rimproverarmi, mi ha fatto capire il mio errore da solo, perché mi ha ascoltato e si è occupata di me quando non c’era nessun altro. È perché, qualsiasi cosa faccia, qualsiasi errore commetta, qualsiasi cazzata possa fare o anche solo pensare, lei mi ama e so che tu non potrai credere che io possa provare sentimenti profondi ma anche io la amo. Per me conta più della mia stessa vita; è l’unica cosa veramente autentica e sincera e perfetta che abbia mai vissuto. Quindi , Capitano. È per questo.”
Un silenzio carico di tensione cadde fra loro e finalmente Jarvis si attivò.
“Localizza la signorina Potts” ordinò secco Tony. Pochi secondi e il segnale arrivò al monitor, rosso e lampeggiante.
“È insieme all’agente Coulson.”
Tony assottigliò lo sguardo, ma il segnale svanì. Un altro apparve poco distante dalla torre. Fu Fury a focalizzarlo.
“È Banner. Con la Romanoff, Barton e Thor. Sono alla…”
“… prigione di Sing Sing” concluse per lui Tony. “Jarvis, localizza ancora Pepper.”
“Mi dispiace, signore” replicò rammaricato Jarvis. “La signorina non è localizzabile. E neanche l’agente Coulson.”
“Com’è possibile?” chiese Tony spazientito. “Prima sei riuscito a localizzarla.”
“Il segnale è andato perso, signore.”
Tony sospirò sconsolato. Una frase glaciale gli rimbombò nelle orecchie e sentì il sangue farsi ghiaccio.
Prima morirai dentro.
“Stark” lo chiamò Rogers e lo guardava dispiaciuto. “Mi dispiace. Davvero. Voglio che tu sappia che non ti avrei mai ferito, anche se l’amassi. Ma non è così, davvero, non la amo. Non avrei più motivi per mentirti.”
Tony sospirò; non riusciva a parlare e non voleva parlarne; quello di certo non era il momento più adatto per credere o meno, ma aveva bisogno del suo aiuto per trovarli, così annuì.
Il segnale rosso sul monitor lampeggiò ancora e pensò che lì c’erano i suoi amici. La valigetta era già nella sua mano.
“Forza” disse sicuro. “Dobbiamo andare a prenderli.”
 

















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Buongiorno Vendicatori. :)
Come avevo promesso, eccomi qui. Piccola pausa prima del pranzo e dopo lo studio mattutino tra Carlo Magno e i preti tedeschi per postare il continuo di questa storiellina. ^^ Capitolo abbastanza pieno di eventi e rivelazioni e prettamente maschile; avevo proprio voglia di vedere come sarebbe stato il primo incontro tra Tony e Glanster e quel grande infame non poteva non mettere in crisi il nostro amato signor Stark con i suoi subdoli piani. Come sempre, se ci sono domande, son qui. 
Purtroppo nel pomeriggio devo dedicarmi all'età cortese e ai dolori del giovane Werther quindi non so quanto riuscirò a rispondere alle recensioni - comincio subito e vedo fin dove riesco ad arrivare, anche perché a causa di questo studio maledetto non sono riuscita a rispondere neanche a quelle del Progetto e della shot di Mercoledì, ma prometto di impegnarmi tra adesso e stasera. :) 
In ogni caso, voglio ringraziare chi ha letto e recensito lo scorso capitolo - le magnifiche LadyBlack89, _M4R3TT4_, Alley, Silvia_sic1995, _Let it shine e MissysP e anche evenstar - e promettervi che vi dedicherò il prima possibile del tempo per rispondervi. 

Com
e sempre, informazioni: 

[1]: Flash Forward è una serie televisiva statunitense di genere fantascientifico basato sul romanzo Avanti nel tempo dello scrittore canadese Robert J. Sawyer; 
[2]: la tossina botulinica è una proteina prodotta dal batterio Clostridium botulinum; il botox è il nome commerciale maggiormente conosciuto della preparazione farmacologica che utilizza quale principio attivo questa tossina;  
[3]: il rapporto tra Howard e Peggy, nel film Capitan America - Il primo Vendicatore, è mostrato come una buona amicizia, benché ci siano delle allusioni che suggeriscano altro. Ho deciso di sfruttarle a mio piacimento; 
[4]: un padrino che si finge tuo amico per rubarti la società: è naturalmente Obadiah. Non so se fosse il padrino di Tony, ma ho pensato che potesse essere plausibile, considerando che era il migliore amico di Howard e anche suo grande socio;
[5]: Sing Sing - Sing Sing Correctional Facility - è un carcere americano di massima sicurezza situato ad Ossining, nello stato di New York; 
[6]: le parti tecniche - sull'iridio, il palladio e compagnia - sono pura invenzione della mia mente ignara di tutto ciò. 

Se ci sono domande, come già detto, son qui. :) Un bacio a tutti e arriverci al quattro Febbraio da queste parti! 

La vostra Mary. 

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Capitolo 12
*** Capitolo XII – The prisoners ***


Capitolo XII
The prisoners



Il sole era appena tramontato sul carcere di Sing Sing e nella cella più remota della prigione i Vendicatori cercavano di fuggire.
“Me ne voglio andare” ripeté Barton per la millesima volta e Bruce dovette allungare un braccio e fermare quello di Natasha prima che colpisse con violenza il suo collega. Evidentemente, la cella frigorifero non era stata sufficiente per sfogare tutta quella energia potente sessuale latente e repressa in eccesso, ma per fortuna Clint ebbe il buon senso di non dirlo ad alta voce.
Thor, che era appoggiato ad un muro, in una posizione rannicchiata che lo faceva sembrare un perfetto incrocio fra un Labrador e un bambino infelice, borbottava lamentele e fissava minaccioso le sbarre di ferro.
“Thor, per l’Amor del Cielo, smettila di avere quell'aria depressa” esclamò Barton in preda all’esasperazione. “Dobbiamo uscire di qui. Non serve a niente arrabbiarsi.”
Natasha sbuffò.
“Ci abbiamo già provato una ventina di volte, ma queste non sono proprio celle qualsiasi. È come se fossero collegate ad un qualcosa e non mi sembra saggio scollegare il tutto, senza sapere neanche cos’è” spiegò a Clint. Bruce si avvicinò e cominciò a studiare quel collegamento. L’aveva già fatto parecchio nelle precedente otto ore, ma poi non aveva concluso nulla e nessuno aveva sentito la sua voce da quando si erano svegliati in quel luogo – cioè, da quando Natasha aveva spiegato cosa stavano facendo prima di finire lì – e l’unica reazione era stata un rossore vago sul viso. Le sue mani continuarono imperterrite a maneggiare il cavo, poi si illuminò.
“È un detonatore” esclamò stupefatto. Natasha e Clint osservarono il filo con apprensione, Thor sbarrò gli occhi.
“Cos’è?” chiese curioso. Non riusciva proprio a capire cosa potesse dare tutta quell’energia a quelle celle, a tal punto che il Mjolnir non era neanche riuscito a scalfirle e ora giaceva mortificato in un angolo.
“Be’” fece Bruce toccandosi la mascella con aria professionale. “Un detonatore è un artifizio esplosivo primario, contenente una piccola quantità di un alto esplosivo, di solito PTTN o T4,innescato a sua volta da pochissimo esplosivo primario…”
“È una bomba” intervenne Clint seccato. “Quindi, non possiamo aprire queste celle senza scollegare quel filo e attivare il detonatore e non possiamo attivare il detonatore senza saltare in aria. Fantastico. Il Natale è arrivato in anticipo, quest’anno.”
Natasha sbuffò, poi volse di nuovo lo sguardo sul viso di Bruce, che era ancora concentrato nello studio del filo metallico. Gli strisciò incontro e scrutò a sua volta l’aggeggio.
“È come dice Clint?” sussurrò seria. Bruce si passò una mano fra i capelli sudati e annuì.
“Sì, credo di sì. È evidente che ci hanno portati qui con lo scopo di ucciderci. Insomma, non potremmo mai uscire di qui, quindi o ci rimarremo per sempre oppure moriremo in un’esplosione.”
“In ogni caso, Glanster si sbarazzerebbe di noi” concluse amareggiata Natasha e colpì con violenza il muro. Bruce sorrise.
“Conservi i suoi spiriti bollenti per quando saranno richiesti da situazioni più piccanti.”
Natasha lo guardò con un sopracciglio inarcato.
“Intendevo il combattimento” aggiunse subito Bruce.
“Fantastico. Noi siamo qui, in sospeso tra la possibilità di una vita in gabbia e una morte istantanea per esplosione e questi due di mettono a tubare come due piccioncini…”
“Piccioncini?” ripeté Thor perplesso. Clint sospirò.
“Sì, piccioncini. Piccioncini, piccioncini! Non l’hai mai sentito? Quando due persone si guardano con quegli occhi tutti a pesce lesso e ridono e fanno i cretini insieme.”
“Oh” disse Thor. “Capisco.”
“Sì, certo. Come no. Lasciamo perdere. Qui se non interveniamo noi, mio caro Thor, ho l’impressione che resteremo qui per tanto, tantiiiiiiiiiiiiissimo tempo.”
Clint aveva appena concluso l’illustrazione del suo piano, quando un’enorme esplosione risuonò da poco lontano, prontamente seguita dalla sfavillante apparizione di Tony Stark.
“Signori, buongiorno” esordì pacato. “Bruce, amico mio, come stai?”
Bruce sospirò, sollevato.
“Bene, non ci è successo niente” assicurò soddisfatto. “Voi?”
“Io sto con Rogers, Fury e Howard” spiegò rapido e le sue mani cominciarono a trafficare esperte e veloci con il filo del detonatore. “Glanster ci ha portati in un posto incomprensibile, ho un mal di testa da primati. L’abbiamo incontrato e ha cercato di farmi entrare nella sua allegra gang del bosco e quando ho rifiutato mi ha preso il reattore, ma…”
“… ma avevamo sostituito l’iridio con Pegasus ieri sera” concluse Bruce per lui, sorridendo per la geniale idea che l’amico gli aveva esposto la sera prima e che avevano portato a termine in segreto.
“Esatto” confermò Tony. Le sue dita continuavano ad armeggiare calme e rapide con il filo e Clint le fissava perplesso. “Così ci ha rispediti indietro… qualcosa tipo che tutti ci devono vedere mentre cadiamo o roba simile. Insomma, le solite cavolate che sparano i pazzi con manie di grandezza come lui che da piccoli non hanno avuto abbastanza affetto dalla mamma e che ora vogliono vendicarsi urlando al cielo, all’apice della potenza, che lui era il figlio migliore o qualcosa del genere.”
“Capisco” confermò Thor affranto. La porta si aprì e anche Steve e Howard entrarono nel corridoio su cui dava la cella.
“State bene?” chiese subito il Capitano.
“Sì, stiamo tutti bene” replicò Natasha indifferente. “Voi?”
“A posto” rispose Steve. Il suo sguardo si corrucciò alla vista delle mani di Tony.
“Stark, quel filo non mi sembra piuttosto benevolo…” iniziò. Tony roteò gli occhi al cielo.
Benevolo? Ma che cavolo di parola è? Certo che non lo è, è collegato ad un detonatore, quindi se lo si scollega saltiamo tutti in aria” spiegò spazientito.
“Ecco” disse Steve improvvisamente agitato. “E non ti sembra il caso di lasciarlo così co-…”
Tony lo ignorò e staccò il filo. L’esplosione non ci fu. Bruce lo guardò ammirato uscendo dalla cella.
“Contatto ipersensibile con l’iridio di reazione. Non ci avevo pensato, ottima idea…”
Tony sorrise compiaciuto.
“Ora sarà meglio andarcene prima che gli amici di Glanster vengano a prenderci…”
“Ma non aveva detto che voleva liberarci per sconfiggerci davanti a tutti?!”
“L’ha detto a Capitan Attempato, non a voi. Se avesse voluto riservarvi lo stesso trattamento, vi avrebbe già liberato. Invece, vi fa saltare in aria, libera i tre reduci della guerra contro i Nazisti e prende me fra i suoi allegri compagni di bevute. A quel punto, con voi fuori combattimento e me dalla sua parte, cosa vuoi gli ci voglia per fare a pezzi due anziani appena più briosi e una padella…”
“Uno scudo, Stark, che mi ha permesso di sconfiggere l’Hydra e anche i Chitauri…”
“Sì, certo come no. Comunque, questo era il suo piano, ma dato il mio rifiuto, credo subirà qualche modifica, anche perché la mia sfavillante perizia in campo tecnologico e fisico-nucleare vi ha appena permessi di non saltare in aria, dunque…”
Steve roteò gli occhi al cielo e lo spinse in macchina. Fu Bruce a prendere il volante, mentre gli altri furono stipati tutti sul sedile posteriore.
“Dov’è Pepper?” chiese in un bisbiglio accorto, dopo qualche istante di silenzio – che non coinvolgeva per nulla il sedile posteriore dove sembrava si fosse improvvisamente trasferito un mercato ortofrutticolo. Tony sospirò e per la prima volta Bruce lo vide davvero preoccupato.
“Non lo so” ammise. “Non lo so. Ho provato a localizzarla centinaia di volte – Jarvis continua a tentare – ma niente. Lei e Coulson sembrano spariti nel nulla.”
“Come spariti?” esclamò Clint perplesso. Una traccia di palese preoccupazione impregnava le sue parole e Tony, suo malgrado, sorrise.
Bruce sterzò appena e l’auto svoltò verso destra. Ormai era quasi sera.
“Jarvis ti avvisa quando la trova?” domandò poi.
Se la trova” sussurrò Tony. I suoi occhi presero a scrutare vitrei il sole sparire dietro l’orizzonte e pensò che anche il suo era scomparso.
“Certo che la trova” ribatté secco Bruce. “Non avrebbe alcun senso, non trovare lei e Coulson. Per quale diavolo di motivo Glanster dovrebbe colpire loro?”
“Infatti” rincarò Clint sporgendosi verso di loro nello spazio tra i due sedili. “Per quale?”
Tony sospirò e di nuovo la voce di Glanster risuonò minaccioso e fredda dentro di lui.
Prima morirai dentro.
Glanster sapeva di lei, di loro. Sapeva che stavano insieme, che lei era l’unica cosa davvero importante per lui – l’amore della tua vita – che era stata la sola persona ad esserci sempre – che fortuna, una ragazza del genere – che stavano per diventare ancora di più – vi sposerete presto.
Quella frase – prima morirai dentro – Tony non riusciva a non collegarla a lei e non solo.
Dentro… quali erano le persone a cui teneva di più? Pepper, naturalmente. Ma anche Bruce, Rhodey e Coulson. Loro erano suoi amici, a cui era molto legato. E infatti erano state le prime persone che Glanster gli aveva allontanato…
“Non mi ha ucciso” disse all’improvviso, la voce stranamente rauca. “Poteva e non l’ha fatto. E sai cosa mi ha risposto quando gliel’ho chiesto? Prima morirai dentro. Bruce, cercherà di fare a pezzi tutte le persone importanti per me e lei è la prima della lista… sa anche che abbiamo deciso di sposarci” sussurrò agitato. “E guarda caso ha preso anche te e Coulson. Vuole fare a pezzi voi per fare a pezzi me. È la vendetta che aveva già programmato se avessi rifiutato la sua offerta e sapeva che avrei rifiutato” concluse sconsolato.
“Non importa” riprese Bruce testardo. “Anche se questo fosse il suo piano, siamo preparati. Ieri sera ci siamo fatti cogliere di sorpresa, ma ce la caveremo. Non devi stare in ansia per Virginia: non è sola, è con Phil e comunque sa come comportarsi in queste situazioni e andrà tutto bene, come sempre” continuò deciso. “Non ti azzardare a sentirti in colpa per aver rifiutato quell’offerta, ora saresti la bambolina preferita di Glanster e Iron Man non è il giocattolo di nessuno.”
“Sareste al sicuro, se l’avessi fatto” ribadì Tony.
“Sì, certo e tu ci credi… ti avrebbe solo usato per raggiungere il potere, dopodiché ci avrebbe fatti a pezzi comunque, quindi…”
“… quindi?”
“Quindi smettila di fare l’idiota e tranquillizzati. Andrà tutto bene.”
Tony annuì, appena più confortato, poi volse lo sguardo dietro: nello specchietto, vedeva gli occhi vitrei di Clint fissare il vuoto senza speranza. Accanto a lui, colse Natasha osservare Bruce con espressione profonda. Corrugò la fronte e guardò Bruce con un sorrisino idiota stampato sul volto.
“Non posso crederci” disse senza fiato. “Ieri sera è stata proprio il festival delle sorprese. Insomma, Rogers che quasi si concede alla sua vecchia fiamma, tu e la Romanoff che vi date alla pazza gioia… finalmente, aggiungerei… Clint stava per avere un esaurimento nervoso a causa di tutta quell’energia sessuale latente repressa o quello che era…”
“Steve?” ripeté Bruce sconvolto. “Di che parli?”
“Oh, sicuro” disse Tony affabile. “La sua vecchia fiamma è rispuntata all’improvviso, sempre bella e giovane. Anche lei imbottita di siero, a quando pare… un dottore gliel’ha iniettato per salvarle la vita dopo che ha tentato il suicidio per la scomparsa di Capitan Padella… cioè, proprio chi ha il pane e non ha i denti, ma va be’. Comunque, per concludere è una spia di un’altra agenzia e sa che anche noi siamo agendo contro Glanster – Rogers non manca mai di fare sfoggio al suo incontenibile genio di arguzia, devo dire – e quindi ieri sera hanno quasi sancito quest’accordo che è in sospeso da settant’anni.”
“Quasi?” ripeté Bruce. “Non hanno concluso?”
“Non del tutto… sono stati interrotti da Thor e poi lui e Steve sono stati presi da quelli di Glanster” disse Tony noncurante. “E tu da quando sei diventato così curioso? Cerchi di cambiare argomento? Ma non è questo il punto… stavamo parlando di te e di Gracie Hart… dove avete sancito il vostro accordo? Bagno? Sgabuzzino? Cofano di una macchina? Santo Cielo, non la mia spero…”
“Nelle cucine” rispose indolente Bruce. “Nella cella frigorifero.”
Tony emise un lungo fischio sommesso.
“Bel colpo, dottore. Molto sexy.”
“Dacci un taglio, Stark” intervenne fredda Natasha. “Siamo sicuri di poterci fidare di questa Peggy?” aggiunse poi rivolta a Steve. Lui annuì.
“Assolutamente” rispose senza ombra di dubbio.
L’auto frenò e Tony scese raggiungendo per primo l’ultimo piano della Torre. Jarvis continuava a cercare il segnale di Phil e Pepper. Un puntino rosso prese a lampeggiare all’improvviso e Tony quasi urlò dalla sorpresa.
“Beccati!” esclamò sollevato. Visualizzò bene il punto e mandò tutte le informazioni al suo cellulare. “Bruce” aggiunse dopo qualche istante. “Li ho trovati, dobbiamo andare a prenderli.”
Steve si alzò a sua volta e Howard con lui.
“Andremo solo io e Banner” disse subito Tony, senza guardarli negli occhi. Vide di striscio il viso di Clint irrigidirsi per quell’imposizione e gli dispiacque per lui, ma sentiva ancora un paio di graffi bruciare e non era il caso di riprendere quella discussione così brutalmente conclusa proprio in quel momento. “Voi restate qui e controllate che tutto sia a posto… Rogers, perché non contatti la tua bella e vedi se sa qualcosa? Potrebbe aiutarci a rintracciare Glanster e capire che diavolo sta combinando, in tutto questo casino…”
Non aspettò la risposta di Steve, ma rimontò in macchina e Bruce partì sgommando.
 

*

 
La mano di Phil continuava a trafficare con il suo orologio, alla ricerca di attivare il laser nel quadrante e spezzare le corde che gli imbrigliavano i polsi.
“L’hai preso?” gli soffiò Pepper, cercando di girarsi verso di lui nonostante i lacci.
“Non ancora” rispose con un sospiro stanco Phil.
Mentre Bruce e Tony partivano dalla Stark Tower, lui e Virginia si riprendevano dal sedativo che gli era stato somministrato a loro insaputa. Erano svegli da poco tempo e si erano ritrovati in una stanza scura, entrambi legati ad un palo e con l’aria ghiacciata a premere sulla pelle scoperta per i vestiti stracciati.
“Ci sono quasi” affermò Phil dopo qualche istante. “Ho bisogno solo di...”
“Sh” lo zittì Pepper all’improvviso. “Ho sentito qualcosa.”
Phil tese a sua volta l’orecchio e per qualche istante rimasero in ascolto: dalla stanza attigua, proveniva un rumore sinistro, metallico. C’era qualcuno, qualcuno che lavorava. Dopo qualche minuto di ascolto, la porta di aprì con un tonfo pesante e un uomo alto, robusto e dall’aria arcigna venne in avanti, verso di loro. Si abbassò sul palo e sciolse dei nodi, poi afferrò Pepper per un braccio e la sollevò in malomodo. Phil prese a dimenarsi, violentemente.
“Lasciala!” gridò impotente. “Lasciala andare!”
Ma quello sembrò ignorare del tutto le grida di Coulson e trascinò Pepper di peso nella stanza attigua, gettandola con malagrazia su un divano sporco e logoro. Lei fece per alzarsi, ma un’altra persona le venne incontro e lei sbarrò gli occhi.
“Dottor Deception” esclamò stupefatta.
“Signorina Potts” replicò lui soddisfatto, la voce sibilante e l'accento marcato. “È un piacere rivederla” aggiunse e i suoi occhi strisciarono indolenti sul suo corpo lasciato scoperto dagli ultimi brandelli dei vestiti. “Dopo il nostro incontro di ieri sera, non sono riuscito a dimenticarla.”
Pepper si morse la lingua; la verità era che aveva flirtato con lui solo per carpirgli informazioni su Glanster, ma non sembrava affatto il momento migliore per essere sottili e scortesi, dato che la situazione e dato che Deception, oltre ad essere piuttosto alto e corpulento, era provvisto di una pistola alla cintura dei jeans.
“Quindi ho deciso di invitarla nella mia umile dimora. Il signor Glanster era entusiasta della cosa, mi ha detto di trattarla come se lei fosse a casa sua… soprattutto dopo che il signor Stark si è rifiutato di collaborare” riprese mellifluo e le si sedette a fianco. Pepper avvertì una spiacevole stretta allo stomaco e all'improvviso si sentì braccata come un animale in gabbia; sentiva la testa girarle fastidiosamente per i residui del sedativo e percepiva le mani tremanti per il freddo e l'indolenzimento dei lacci. 
“È stato davvero un peccato. Damon gli ha proposto un lavoro alla pari, avremmo evitato molte spiacevoli conseguenze: lui ora non sarebbe al primo posto delle persone da uccidere, non sarebbe programmata una guerra e lei adesso sarebbe in sua compagnia” disse ancora e poggiò con disinvoltura un braccio attorno allo schienale del divano, mentre una mano aveva iniziato ad accarezzarle la gamba coperta dal tessuto logoro dei jeans.
“Ma non si preoccupi” aggiunse e l’altra mano si serrò attorno alla mascella di lei. Pepper sollevò appena una gamba e guizzò con lo sguardo in tutta la stanza. Un’idea improvvisa quanto folle e anche abbastanza disgustosa le spuntò nella testa e quasi si maledì per quella pessima trovata. Ma a mali estremi.
“Mi prenderò io cura di lei” concluse il dottore e prima che Pepper se ne rendesse conto finì su di lei e le forzò le labbra. Lottò, la nausea e la testa che le esplodevano definitivamente, poi si lasciò prendere arrendevole. Sentì le sua mani stringersi decise su di lei ed emise un gemito soffocato di dolore, l'impotenza e la frustrazione che la pervadevano da capo a piedi. Tentò di prendere il respiro, soffocata da quel peso gravante su di lei e ansimando per il terrore. In un impulso di difesa, fece strisciare la mano ancora fasciata fra i loro corpi, mentre lasciava che lui continuasse a obbligarle la bocca e finalmente le dita martoriate si strinsero attorno al metallo freddo e Pepper, disperata, sparò un colpo.
L’urlo glaciale di Deception irruppe in quel silenzio prepotente e lei approfittò di quell’istante di distrazione per spingerlo all’indietro e rotolare sul pavimento. Cadde per terra, la tempia dolorante con il legno sudicio, reggendo ancora la pistola nella mano destra, mentre il dottore si teneva un fianco sanguinante fra le braccia, e strisciò sul pavimento polveroso, cercando disperatamente di raggiungere la porta. Ma Deception ignorò il sangue che sgorgava feroce dalla ferita e la raggiunse: le fu alle spalle in un momento e le artigliò i capelli, trascinandola per la chioma. Pepper strillò in preda al dolore e cercò di muoversi, agitando le gambe e tentando di riprendersi la chioma che lui le stava strappando, ma il dottore la condusse verso la parete e la gettò per terra. Lei cadde con un tonfo, gettando all’aria un tavolo ripieno di ampolle e plichi di fogli. Sentì il vetro frantumato penetrarle nella carne e gonfiare i lembi della pelle con gocce di sangue scarlatto; alzò un braccio per sollevarsi e posò il palmo tremante sulla superficie legnosa del secondo tavolo, ma lui la colpì con un bastone sul polso ferito, e lei se lo strinse, urlando ancora.
Fu in quell’istante che la Jaguar grigia targata STARK5 entrò.
L’auto abbatté il muro nello stesso istante in cui Tony e Bruce bloccarono Deception e il dottor gli iniettò qualcosa sul collo. Tony le fu accanto e la sollevò.
“Stai bene?” chiese e quasi tremava per la preoccupazione. Pepper annuì, continuando a stringersi il polso.
“È tutto a posto” rispose quando fu certa che la sua voce suonasse a dovere. “Sto bene. Solo… credo di essermi rotta la mano, di nuovo. Ma non è successo nulla, davvero” gli portò una mano – quella buona – sulla guancia e lo accarezzò. Vide di sfuggita Bruce correre nella stanza attigua da Phil.
Tony l’aiutò a sollevarsi e si guardarono. Evitò il suo sguardo che aveva cominciato a osservarla attento; un’ombra di rabbia affatto repressa gli oscurò il volto.
“Cosa è successo?” sussurrò, cercando i suoi occhi. Pepper li evitò.
“Sto bene” continuò a dire. “Davvero…”
“Voglio sapere cosa è successo” disse di nuovo lui. Si guardarono e lui rise nervosamente, scuotendo la testa. “Stai scherzando” disse dopo poco.
Lei sospirò e alzò le mani.
“Non è successo niente, stai calmo. Ci hanno portati qui e…”
“Ti è saltato addosso?” chiese lui sconvolto. “Virginia…” non riuscì a continuare e si mise le mani fra i capelli. Il suo sguardo guizzò sul corpo inerme di Deception, pallido ed esanime sul pavimento, ma lei lo fermò.
“Andiamocene” disse all’improvviso. “Non è successo niente, Tony, te lo giuro. È stato solo un… tentativo senza successo. Voglio solo andarmene. Ti prego” aggiunse in sussurro.
Lui sospirò e rientrarono in auto. Phil, altrettanto malconcio, entrò con Bruce dietro di loro.
“Virginia” intervenne dopo un po’ Bruce. “Appena arriviamo alla Torre, vorrei dare un’occhiata a quella mano, se possibile” disse gentile. Lei sorrise grata.
“Grazie, mi farebbe molto piacere” disse sorridendo. Tony intercettò il suo sguardo attraverso lo specchietto e la vide sorridere debolmente.
Conosceva quel sorriso, lo conosceva molto bene. Era quel sorriso che lei gli rivolgeva ogni volta che succedeva qualcosa di grave e lei gli sorrideva in quel modo per rassicurarlo, per dirgli che andava tutto bene e che tutto sarebbe andato bene.
La strada del ritorno apparve molto più breve. Quando parcheggiarono l’auto in garage, a Tony sembravano esser passati appena cinque minuti. Lui e Bruce aiutarono Phil a camminare – la sua gamba si trascinava a fatica – e lo condussero all’attico. Appena l’ascensore fu aperta, tutti gli vennero incontro.
“Virginia!”
“Coulson!”
Le voci di Clint e Natasha suonarono sconvolte appena Pepper e Phil varcarono la soglia, l’una con ancora il polso cadente e i vestiti stracciati e l’altro che si reggeva a fatica sulla gamba ferita. Pepper si morse il labbro inferiore e scosse il capo. Suo malgrado, sapeva che avrebbero capito quello che era successo.
“Va tutto bene” intervenne Bruce. Lui e Tony lasciarono Phil sul divano e si sollevarono. “Signor Stark” continuò rivolto a Howard. “Vorrei chiederle di aiutarmi a fasciare la gamba dell’agente Coulson… se può, cominciamo a preparare le bende. Natasha, ti spiacerebbe aiutare Virginia a lavarsi le braccia… dopo perderò qualche minuto sulla sua mano.”
Howard e Natasha annuirono pacati e Tony seguì Bruce nella stanza attigua.
 

*

 
“Ahia.”
Bruce strinse un’altra benda e sorrise affabile a Virginia.
“Durerà solo qualche giorno, poi guarirà da sola. Cerca di non sforzarla troppo, stavolta” aggiunse in un sorriso divertito. Lei rispose al sorriso.
“Grazie, Bruce.”
“Ma figurati” replicò lui gentile. Chiuse l’ultima fascia e si alzò. “Bene, io vado a controllare Coulson allora.”
Sorrise a Tony e uscì dal la stanza. Pepper sospirò.
“Devo somministrarti un sedativo o ti calmi da solo?”
Tony si passò le mano fra i capelli.
“Non scherzare, Pepper, è una cosa seria” disse e Pepper strabuzzò gli occhi, giocando. “Dovevo accettare” sussurrò affranto.
“Che cosa?” esclamò lei, ora senza più ombra di scherzo negli occhi. “Ma sei impazzito? No, assolutamente no. Avresti consegnato il mondo nelle mani di un pazzo…”
“Be’, così ho consegnato te nelle mani di un pazzo!” replicò lui testardo. “Guardati. Ti hanno portata in un cantiere disgustoso con lo scopo di… d-di saltarti addosso e poi ucciderti, secondo te è normale? E io dovrei continuare con questa follia?”
“Non puoi mollare” disse lei e si alzò, cercando le sue mani. “Ci siamo dentro…”
“No, io ci sono dentro e se pensi che porterò avanti questa follia… io non ce la faccio, è diverso stavolta…”
“Non è la prima volta che sembra impossibile!”
“Non è solo questo! Io posso farcela, ho un’armatura… sei tu che corri dei rischi!” disse senza fiato. “Ti hanno portata là dentro perché sapevano che avrei rifiutato la proposta di Glanster, non si fermerà davanti a niente, il prezzo è troppo alto. Non posso perdere stavolta.”
Pepper scosse la testa e assottigliò lo sguardo. Le sue dita sane andarono a sfiorargli la fronte, appena coperta da una ciocca di capelli, e lo guardò dritto negli occhi.
“Andrà tutto bene” sussurrò. “Sapevamo che avremmo corso di rischi, ma dobbiamo farlo. Abbiamo deciso di correrli, per tutti gli altri, per tutto il mondo. E lo faremo ancora. Devi fidarti di me.”
Tony la guardò a sua volta, con un luccichio nelle iridi luminose.
“Virginia…” iniziò in un sospiro ed era unico il suo nome sulle sue labbra. “Ho paura.”
“Anche io ho paura” rispose a lei con gli occhi dischiusi e lucidi. “È normale, avere paura… tutti abbiamo paura, continuamente, di qualsiasi cosa, ma questo non può fermarci perché esistono delle cose più importanti della paura.”
Tremava e la sua voce era incontrollabile, ma una nota di ardore impregnava le sue parole.
“Pensi che gli eroi non abbiano mai paura, quando devono affrontare i loro nemici? Certo che ne hanno, fino ad impazzire... ma combattono perché capiscono che il coraggio è necessario per vincere e non per se stessi, per la gloria personale, la vendetta o altro, ma per le persone che credono in loro e che non hanno le loro stesse possibilità. Solo gli eroi possono salvarli perché sono eroi e anche se qualche volta occorre rischiare di perdere le persone che amiamo per farlo, bisogna combattere… dobbiamo andare avanti perché adesso c’è una missione da concludere e non possiamo tirarci indietro e non possiamo non fidarci di noi se gli altri lo fanno. Glielo dobbiamo” continuò. Non distolse lo sguardo dal suo e si strinse contro di lui. “Andrà tutto bene.”
Lui la prese in vita e l’abbracciò. Affondò il volto nell’incavo della sua spalla, annusando l’ammaliante profumo della sua pelle raggiante, stringendola a sé con forza.
Quando si allontanarono, lei riprese ad accarezzarlo.
“Cosa ti successo?”
Lui scosse la testa con una smorfia.
“Glanster mi ha proposto di diventare il suo amico del cuore, ma a parte questo niente di che. Ah, be’, mi ha anche gentilmente ricordato tutto quello che mi hanno combinato i nostri amici di viaggio: bugie, segreti e altri bei gesti carini e dolci dolci. C’è stato anche un piccolo quiproquo su te e Rogers e abbiamo litigato… ah, e gli ho detto che ci sposiamo.”
Lei sbarrò lo sguardo, stupita.
“Pensavo non volessi” disse.
“Ho pensato che era meglio chiarire alla Padella che doveva levare le tende.”
“Ma non sta di nuovo con quella sergente?”
“Lilly?”
“Peggy!” lo rimproverò lei sorridendo debolmente, una piccola luce pallida sul viso smunto.
“Giusto” disse lui irriverente.
Lei rise appena e si sporse verso di lui per baciarlo.
“Non perdere mai la speranza, Tony” gli sussurrò suadente.
“Ti ho promesso che non ti avrei mai lasciata” replicò lui tendendole la mani. “Adesso promettimelo tu.”
Lei sorrise, dolce, e l'afferrò.
“Te lo prometto. Non ti lascerò mai” bisbigliò serena. “Mai.”
In quel momento un rumore sordo risuonò nella sala e ruppe quell’attimo di oblio beato, facendo trasalire entrambi con violenza. La voce di Clint li richiamò.
“Stark, ho bisogno di un arco nuovo.”
Tony sbuffò, incredulo. 
"Legolas, è il quarto! E anche l'ultimo" ribadì convinto tornando in salotto. Pepper lo seguì, sorridendo ancora, e si sporse a sfiorargli l'orecchi con le labbra un'altra volta. 
"Non perdere mai la speranza, Tony."





















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Buongiorno a tutti, miei Vendicatori del cuore. *-*
Spero davvero che per voi sia una bella giornata perché io sto seriamente perdendo la testa dietro la letteratura tedesca dal secondo millennio avanti Cristo a stamattina e purtroppo sono qui in clandestinità e di passaggio superveloce. 
Capitoletto un po' strano, a dire il vero. L'atmosfera iniziale più leggera all'inizio cede il passo a qualcosa di più nero, diciamo così, vero il finale e cominciamo seriamente ad avvicinarci al punto focale della trama in cui la battaglia avrà luogo. I presupposti, direi, ci sono già. 
Sono un po' preoccupata, se devo essere onesta, per questo aggiornamento: spero che la cosa sia realistica e, soprattutto, di non essere sfociata nell'OOC, nel banale o nella confusione senza senso. Spiegherò, a questo proposito, un paio di cose e spero di non essere troppo noiosa e prosaica: dunque, ciò che mi mette un po' di ansia è il passaggio da una situazione all'altra dal punto di vista di Tony. Ho cercato di utilizzare il suo modo di sdrammatizzare ogni situazione per nascondere la sua preoccupazione, cosa che fa spesso, ma questa prevale nei momenti in cui parla da solo con Bruce, perché è suo amico e crede davvero di potergli dire qualsiasi cosa. Inoltre, sul finale, ho introdotto una scena in cui perde la speranza, o quasi: ecco, non credo di aver esagerato per il semplice fatto che si è visto quasi perdere ogni cosa nel peggiore dei modi e io penso sia normale avere paura, in queste circostanze. Lui ha paura per sé, certo, ma è una persona che teme di più per chi ama e spero sia chiaro e non stucchevole o noioso o altro. 

Come al solito, un po' di cosucce: 

[1]: The prisoner è una serie televisiva britannica del 1967 di genere fantapolitico; 
[2]: come al solito, l'idea della targa è tratta dai film di Iron Man
[3]: il gioco di parole su Peggy è ispirato ai cartoni Disney La carica dei 101 e Lilly e il Vagabondo.

Dunque, credo di aver detto tutto. Per colpa dello studio, non posso ora rispondere alle recensioni e, sarò onesta, non so quanto potrò perché purtroppo quest'esame è davvero tosto e richiede un mucchio di tempo che non ho e non so proprio come trovare. In ogni caso, prometto che, prima o poi, risponderò. Entro Marzo, sicuro. LOL 
Voglio, in ogni caso, ringraziare le favolose persone che mi seguono sempre tanto e che mi rendono davvero felicissima: Alley, Lou, Missys, Silvia, LadyBlack, Maretta e evenstar. Grazie di cuore, immensamente. 
 Spero che questo capitolo vi piaccia. 
Un bacione immenso e alla prossima (a San Valentino! XD). 
La vostra Mary. 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII – Iron Girl ***


Capitolo XIII
Iron Girl



Era molto tardi quel pomeriggio e Peggy camminava da sola lungo le vie di Manhattan.
Il sole era appena tramontato sull’orizzonte dorato e scarlatto della città, rischiando con i suoi raggi cremisi l’oceano sotto di sé e le strade cominciavano ad oscurarsi, fiocamente illuminate dai primi lampioni. I tacchi delle sue scarpe ocra toccavano decisi il suolo grigio, mentre l’orlo del suo vestito scarlatto le sfiorava con delicatezza un ginocchio diafano. I capelli erano stretti in una coda danzante dietro la nuca e gli occhi osservavano con determinazione la strada davanti a sé, mentre il petto si sollevava e si abbassava ritmicamente sotto il corpetto aderente e la scollatura ampia. Finalmente giunse a destinazione e i suoi occhi si illuminarono appena si posarono sulla figura paradisiaca che l’attendeva all’entrata. Un sorriso radioso le incurvò le belle labbra scure e schiuse le palpebre in un’espressione di gioia inesprimibile.
“Ciao” disse senza fiato. Steve rispose al sorriso e le sfiorò una guancia arrossata dal vento.
“Ti stavo aspettando” rispose serafico.
“Pensavo aspettassi quella giusta” lo corresse lei, scherzosa.
“Appunto” rimarcò Steve e la baciò dolcemente. Quando si allontanarono, il sorriso di Peggy apparve nervoso e un incisivo perlaceo andò a torturare il povero labbro indifeso.
“Come mai vogliono vedermi?” domandò nervosa. Steve le strinse una mano nella sua, più grande e calda.
“Non devi preoccuparti di niente” la rassicurò gentile. “Ho parlato con Fury e Howard e vogliono parlare con te per decidere come agire e per scambiarci informazioni. Gli ho parlato a lungo e gli ho spiegato che devono fidarsi di te e si fidano.”
Peggy sorrise di nuovo, sempre un po’ a disagio, e seguì Steve nell’ascensore.
“Non pensavo che sarei mai entrata nella torre di New York” disse dopo qualche minuto di silenzio. “Devo dire che Stark sarà pure un presuntuoso, ma fa le cose in grande.”
“Oh, sì” disse Steve con un sospiro. “Fare le cose in grande è il suo forte” aggiunse esasperato.
“Non ti sembra particolarmente simpatico” osservò lei curiosa.
“Be’, non proprio” ammise Steve riluttante. “Te l’ho detto, non andiamo molto d’accordo.”
Lei annuì, pensierosa.
“Be’, allora è lui che sbaglia” notò testarda. “Non si può non andare d’accordo con te” aggiunse avvicinandosi a lui e sfiorandogli la mascella con un dito. Lui sorrise, rosso d’imbarazzo.  L’ascensore si aprì proprio in quel momento e i due si staccarono; il Capitano avvampò ed evitò con decisione lo sguardo di Howard.
“Howard!”
La voce di Peggy traboccava di entusiasmo mentre gettava le braccia al collo del signor Stark.
“Sergente Carter” rispose lui in un sorriso. “Sono felice di vederti.”
“Anch’io” replicò lei, stringendogli una mano e Steve avvertì una vaga sensazione di calore al collo. Si allentò il primo bottone della camicia con aria scettica e riprese a guardare.
“Sono stata così felice quando Steve mi ha detto che stavi bene. Mi dispiace per Maria” aggiunse mortificata. “Mi dispiacque molto quando ho scoperto che non ce l’aveva fatta neanche lei.”
Howard scosse la testa, incurvando le labbra in un sorriso debole che ricordava più una smorfia di dolore. Stava abbassò lo sguardo, imbarazzato.
“Ormai sono passati tanti anni” disse sollevando le spalle. Si fece da parte e condusse Peggy verso Nick. “Peggy, lui è Nick Fury, il direttore dello S.H.I.E.L.D.. Nick, lei è Peggy Carter.”
Nick chinò appena il capo.
“Signorina Carter” esordì serioso. “So che anche lei agisce per conto di un’agenzia di spionaggio nazionale.”
“Sì” rispose lei pronta. “La Fiderest Kind”. Nick annuì a sua volta.
“Capisco. Non mi sembra di averla sentita nominare spesso” bisbigliò pensieroso.
“Ed è proprio questo che rende un’agenzia di spionaggio ottima” replicò Peggy tranquilla. Nick accennò un consenso.
“Giusto.”
 

*

 
“Mhm.”
“Smettila di muggire.”
“Mhm.”
“Ancora?”
“Mhm.”
Mentre il quartetto si crogiolava in scambi di informazioni e lieti ricordi dei bei tempi passati sotto armi e bombardamenti vari, in compagnia di bella gente quali Hitler e la sua crocca di Nazisti, dall’altro lato dell’attico della torre, Tony era steso sul divano più grande, pensieroso. Pepper era seduta a gambe incrociate ai suoi piedi e lo fissava perplessa.
“Mi spieghi perché continui a muggire o hai intenzione di continuare a comportarti come un ruminante ancora per molto senza darmi spiegazioni?”
Tony scosse la testa deciso, senza rispondere. Pepper sbuffò e fece per alzarsi. Appena fu in piedi, la mano di Tony scattò attorno al suo polso sano e lei cadde stesa su di lui.
“Tony!” esclamò, cercando di non urlare. Lui le fece scivolare un braccio sulla vita e si sollevò appena, facendole spazio sul divano e osservandola soddisfatto.
“Cosa?” chiese innocente. “Sei ancora convalescente, devo occuparmi di te” si giustificò irriverente e si chinò a baciarla dolcemente.
“Potrei restare malata per sempre, allora” disse lei in un sorriso. Tony poggiò la fronte contro la sua e le sfiorò il naso con il proprio, dandole un altro bacio.
“Come ti senti?” le chiese dopo un po’. La sua mano cominciò ad accarezzarle la fronte appena coperta dalla frangetta. Lei roteò gli occhi al cielo.
“Sto bene. Me l’hai chiesto circa venti volte negli ultimi dieci minuti” rispose paziente.
Lui sorrise scettico.
“Dovresti essere onorata” la blandì compiaciuto. “Ogni donna vorrebbe essere la persona più importante nella vita di Tony Stark.”
Lei sorrise, con più dolcezza, e strofinò la fronte contro la sua mano.
“Uomo di ferro!”
La voce di Thor li fece sobbalzare entrambi.
“Thor!” esclamò Tony esasperato. “Ti sembra questo il modo per entrare in una stanza occupata?”
Thor lo guardò perplesso.
“In che senso?”
Pepper scoppiò a ridere.
“Lascia perdere, Thor” disse fra le risate. “Va bene così.”
Natasha entrò dietro di lui, correndo come una furia.
“È arrivata, la volete vedere?”
“Chi?” chiese Thor, facendo scattare il manico del Mjolnir alla mano, pronto all’attacco.
“La cagnetta in calore” rispose Natasha altezzosa e fredda. Tony storse le labbra in una smorfia disgustata.
“La virtuosa amica di Capitan Padella” disse scettico. Pepper fece per alzarsi, ma lui la guardò riluttante, con il viso corrucciato come un bambino. Lei sorrise e lo accontentò.
“La sergente di guerra?” chiese stupito Thor. Natasha arricciò il naso, sorridendo sarcastica.
“La donna a stelle e strisce” asserì superiore.
“A stelle e strisce?” ripeté il dio, sempre più stupefatto.
“Lascia perdere, Thor” disse ancora Pepper. Bruce li raggiunse, esasperato; Clint lo seguiva con la stessa aria spazientita.
“Natasha, lasci perdere quella povera ragazza?” domandò retorico. Natasha gli lanciò uno sguardo inespressivo.
“Perché la difendi?” domandò, improvvisamente tranquilla. Thor strabuzzò gli occhi e corrugò la fronte, terrorizzato.
“Attenzione, dottore” intervenne preoccupato. “Nulla è equiparabile al pericolo che corri; né Chitauri né mostri di ghiaccio né uomini assassini e violenti e neanche i Pentapalmi. Nulla è pericoloso come una donna arrabbiata.”
Pepper strinse le labbra per non ridere. Bruce schiuse gli occhi, rassegnato.
“Grazie dell’avvertimento, Thor” replicò pacato. “Non la sto difendendo” aggiunse poi rivolto a Natasha. “Stavo solo dicendo che ne state facendo una martire…”
“A te non dovrebbe interessare, in ogni caso” lo rimproverò sempre più pacata Natasha, immobile ed eretta come una statua; un piede aveva preso a tamburellare sul pavimento in un gesto visibilmente nervoso. “Anzi, dovresti evitarla, quella brutta capra.”
“Cane, agente Romanoff. Cane, non sbagli animale” la corresse divertito Tony e Pepper gli diede una leggere botta sul braccio.
“Cane?” chiese Thor perplesso. “Non mi sembrava stesse a quattro zampe.”
“Solo perché non l’hai vista sola con Rogers” suggerì Clint malizioso.
Barton!” lo rimproverò Bruce.
“Continuo a non capire perché è un cane” intervenne ancora una volta Thor imbronciato.
“Thor, te lo ripeterò per l’ultima volta: lascia perdere.”
“Che state facendo?”
Phil entrò a sua volta nella stanza, le mani piene di ingombranti documenti.
“Sparlavamo di miss Carter” replicò vagamente distratto Clint. Phil strabuzzò gli occhi, perplesso.
“E per quale motivo, di grazia?” domandò curioso. “Fury sta parlando con lei da quasi un’ora e non sembra particolarmente negativo.”
“Ecco un altro motivo che va a suo svantaggio” aggiunse Barton gettandosi sul divano in una posa a quattro di bastoni volutamente indecente. Phil distolse lo sguardo e un vago calore gli infiammò le orecchie; Natasha sospirò.
“Quando mai Fury ha avuto una buona impressione di qualcuno a prima vista?” continuò Clint e, per quanto ci provasse, non poteva nascondere quel sorrisetto compiaciuto.
“Barton non ha tutti i torti” notò Natasha improvvisamente pensierosa, evitando volontariamente di prestare attenzione a certi atteggiamenti da bambini di cinque anni. “Insomma, io dovevo essere uccisa e lui mandato in prigione... e anche tu non dovevi essere eliminato?”
Una ruga sottile le incrinò la fronte.
“Infatti” approvò Clint serio e parve davvero preoccuparsi, o quanto meno, non stava più solo sorridendo alla vista di Coulson imbarazzato. “Ci stiamo affidando a qualcuno che neanche conosciamo.”
Lui ne sapeva fin troppo di fiducia malriposta.
“Il Capitano...” iniziò Phil, ma Barton lo interruppe di nuovo.
“Andiamo, Coulson!” sbottò esasperato. “Il Capitano conosceva una donna settant’anni fa... e se adesso lei è diventata un’altra persona? Non bisogna mai fidarsi troppo degli altri, ce l’hai insegnato tu.”
Phil sospirò, ansioso. Stava per aggiungere qualcosa quando Howard varcò la soglia.
“Bruce” esordì rivolgendosi al dottore, “abbiamo bisogno di te. Per caso hai portato il localizzatore WBB?”
Banner scosse il capo, incuriosito.
“L’ho lasciato a Malibu” rispose rammaricato. “Perché?”
Howard sospirò affranto.
“Ci serve per Peggy, per poterci tenere sempre in contatto” spiegò aggrottando le sopracciglia apprensivo.
“Possiamo andare a prenderlo” intervenne Tony, che era rimasto in silenzio per tutta la conversazione sulla lealtà di Peggy. Blaterare che era solo una cagnetta in calore, bugiarda e doppiogiochista non sarebbe stata la migliore delle ipotesi; non davanti a Coulson.
“Non dovremmo impiegare troppo tempo” aggiunse con un’espressione tranquilla. Si girò a guardare Pepper, seduta accanto a lui, e annuì.
“Non c’è bisogno di fare un viaggio solo per...” iniziò Howard, le guance appena più rosse.
“Se serve, non ci sono problemi” ripeté Tony pacato.
“Avete risolto?”
Anche Steve entrò nella stanza e sembrava molto più rilassato di quanto Tony avesse potuto immaginare.
“Lo andiamo a prendere noi” rispose Pepper con un sorriso rassicurante. Si alzò e seguì Tony nell’altra stanza, verso le scale che conducevano al parcheggio. Gli altri lasciarono a loro volta la stanza e si diressero nel salotto, in attesa del loro ritorno.
Era partiti da meno di due ore quando Steve raggiunse l’ascensore con l’intenzione di prendersi una boccata d’aria e scoprì, una volta che si fu aperta, che era già occupata.
 

*

 
La prima cosa che Steve si chiese appena rinvenuto fu perché.
Insomma, un rapimento è anche un colpo di scena, qualcosa di sensazionale, anche un che di cui essere orgogliosi se è fatto a danni di qualcuno potente e rinomato come Capitan America, ma questo non toglieva assolutamente che due rapimenti nel giro di tre giorni fossero ridicoli.
“Solo un folle cercherebbe di ucciderci due volte in una settimana.”
La voce di Clint fu il primo suono che udì. Aprì gli occhi e scoprì di esser rinchiuso in una vera e propria gabbia gigante insieme agli altri all’interno di un attico che assomigliava in maniera impressionante a quello della Stark Tower, ma con colori diversi e un ospite che Tony non avrebbe mai accolto.
“Glanster.”
“Capitano. Sono onorato che sia venuto a casa mia” esordì Damon, comodamente seduto dinanzi al suo computer, sorseggiando un drink da un calice cristallino. “Vi stavo aspettando.”
“Non mi sembra di esserci venuto con le mie gambe” asserì freddo Steve.
“Oh, veramente ti ho invitato io” rispose Damon e fece due passi in avanti, sempre reggendo in una mano il bicchiere ancora colmo. “E tu hai accettato.”
“Di che diavolo stai parlando?!”
Glanster non rispose e scoppiò a ridere. Il liquidò danzò nel vetro.
“Non si preoccupi, Capitano, non le succederà niente di male. Non siete voi le mie vittime, mi sembrava l’avessimo già chiarito questo. Certo,” continuò pensieroso, “toccherà anche a voi una visitina nell’altro mondo…”
“Ti manderò una cartolina” ringhiò Barton feroce.
“… ma per il momento ho altre prerogative” disse in un impeto di follia. “Tutto il resto verrà dopo.”
Nick emise uno sbuffo disgustato.
“Direttore, non mi dica che non lo sa… mi delude” riprese Glanster mellifluo. “Insomma, le mie intenzioni sono ben chiare da parecchio tempo.”
“Ma davvero?” chiese a voce alta Thor.
“Oh, naturale” replicò l’altro carezzevole. “Io non sono un mostro. Né un assassino. Non ho alcuna intenzione di uccidere senza motivo persone innocenti… un nuovo mondo, sotto il mio controllo, si appresta a nascere e ognuno potrà decidere se farne parte o meno. Ma voi avete manifestato con troppa energia la vostra mancanza di voglia di far parte di questo regno che intendo costruire.” concluse con fare teatrale. “La vostra caparbietà si è rivelata seccante e non mi lasciate altra scelta.”
“Quindi ci ucciderai tutti?” domandò Natasha fredda.
“Sì, agente Romanoff” rispose serafico Glanster, sorridendole affabile. “Avrò appena il tempo di recuperare l’ultimo, piccolo elemento necessario e, quando ogni cosa – anche il Tesseract – sarà in mio potere, allora vi ritroverete davanti il peggiore eserciti energetico alimentato dal cubo più potente del mondo. Tutti vi vedranno cadere.”
Una luce folle illuminò il suo sguardo e gli occhi brillarono sporgenti, i tratti del suo volto si contorsero in un’espressione di violenta gioia e la sua voce suonò soave nel dipingere quel quadro spaventoso di morte e distruzione. Steve rimase inespressivo ad osservare la Terra crollargli attorno. Prima che potesse dire qualcosa, Glanster riprese a parlare.
“Grazie per la sua collaborazione, direttore” aggiunse e il suo sguardo luccicò in direzione di Fury, continuando a giocare distrattamente con il flûte ancora colmo. “Se non avesse richiesto una piccola dose del Pegasus dal laboratorio di Stark per esporla alla Base, adesso non potremo sperimentare il congegno del signor Stark Senior.”
Sorrise soddisfatto e riversò in un sol sorso il contenuto del bicchiere in gola. Nello stesso istante, due uomini entrarono nella stanza, trascinando Phil per le braccia e il Capitano ebbe un sussulto. Non si era neanche accorto della sua assenza. Al suo fianco, Clint trasalì.
“L’agente Coulson si è gentilmente offerto di farsi interrogare al posto vostro sull’ubicazione del signor Stark” disse Glanster compiaciuto. “Ma dobbiamo dire al caro Tony che è davvero fortunato, perché ha degli amici davvero fedeli.”
Phil emise un sospiro rauco e Glanster lo colpì con violenza al volto.
“Parla” gli ordinò brusco, ogni traccia di scherzo svanita ormai.
Phil non rispose. Il sangue gli colava dalla bocca e aveva numerosi tagli sulle braccia. La gamba era piegata in maniera piuttosto sinistra e il suo viso era pallido come un lenzuolo. In preda alla rabbia, Barton afferrò le sbarre e le scosse con violenza. Steve e Bruce lo tennero per le spalle.
“Com’è possibile?” sibilò Steve rivolgendosi a loro. “È la terza volta che ci imprigiona… siamo degli eroi, com’è possibile?”
Bruce scosse la testa, desolato.
“Mi dispiace, Steve, l’ho capito solo adesso” disse affranto. “Glanster utilizza un dispositivo creato da lui stesso con il quale riesce a farci perdere coscienza… è una specie di congegno che impregna l’aria di una sostanza tossica e quella ci fa svenire” spiegò rassegnato. “Adesso che lo so, credo che potremmo utilizzare una sorta di anticorpo che sintetizzai tempo fa” aggiunse più speranzoso. Glanster non li stava ascoltando.
“Dovremmo esserci ormai… Frank?”
Steve alzò lo sguardo e vide il dottor Deception scrutare con nervosismo il computer collegato ad un piccolo congegno rotondo. Bruce sobbalzò.
“Che succede?” gli chiese il Capitano agitato. “Stai male?”
Il dottore scosse freneticamente il capo e sussurrò.
“Deception” mormorò soltanto.
Steve non capì; gli strinse il braccio, cercando il suo sguardo, ma qualcuno gli si avvicinò e loro trasalirono entrambi quando una risata glaciale gli risuonò a pochi passi dalle sbarre.
“Sorpreso di rivedermi, dottor Banner?” esclamò Deception con un sorriso compiaciuto. “Non dovrebbe. Lei, più di chiunque altro, dovrebbe essere a conoscenza delle magie della medicina.”
Steve notò che aveva un’ampia benda a fasciargli il fianco e una cicatrice, come dovuta ad un graffio, dall’occhio alla guancia.
“Il Pegasus è inserito” disse tornando sui suoi passi. “Il congegno dovrebbe attivarsi ora.”
Glanster osservò smanioso il congegno, ma quello non si illuminò.
“Dovrebbe succedere qualcosa?” chiese Thor e Steve trattenne il fiato. Gli fece cenno di tacere e riprese a fissare Glanster. Quello ora fissava Deception con espressione irosa.
“Che succede?” chiese minaccioso. “Perché non si attiva?”
Il dottore serrò la mascella in un ringhio basso e pericoloso.
“È Stark” rispose. “È entrato nel sistema e sta usando il suo reattore per bloccarci.”
Glanster diede un urlo sommesso e scaraventò per terra un tavolo ricoperto di fogli.
“Dov’è ora la sua ragazza?” chiese sempre con quella voce ringhiosa. “Dov’è?”
Deception sorrise con fare intimidatorio e malizioso.
“Lasciala a me” sussurrò, con la voce incrinata dall’eccitazione e dall’ira. “Ho un conto in sospeso con la piccola Virginia.”
“Lasciala stare!”
Quando Phil urlò, Steve trasalì con violenza. Rimase per un istante perplesso, poi riportò lo sguardo sul volto feroce di Deception e ricordò lo stato in cui Virginia era tornata alla torre quel giorno.
Ho un conto in sospeso con la piccola Virginia.
“Lasciala stare! Lei non centra niente!”
Glanster scosse la testa e improvvisamente sembrò ritrovare il buon umore.
“Dovevi dire al tuo amico di fare il bravo, la prossima volta.”
 

*

 
Era notte fonda e Pepper stava per lasciare lo studio del dottor Banner, dove era stata per prelevare alcuni strumenti di cui lei e Tony avevano bisogno. Gettò gli ultime cose in borsa e se la mise in spalla, quando avvertì un respiro roco e profondo soffiarle dietro la schiena. La voce incrinata da quell’ombra di irritazione e desiderio e da quell’accento straniero risuonò chiara e dolorosamente familiare nella stanza deserta.
“Buonasera Virginia.”
Pepper sollevò le sopracciglia e si girò di botto; Deception le sorrise, soddisfatto.
Il respiro le si fece d’un tratto veloce e irregolare mentre uno strato di sudore freddo le imperlava la fronte, il volto e il petto scoperto. La sua carnagione era sbiancata come quella di un cadavere. Tuttavia, non si lasciò intimidire.
“Buonasera Franz” replicò altezzosa. Lui aggrottò la fronte, sospettoso.
Gli occhi di Pepper saettarono ai lati della stanza, alla disperata ricerca di una via di fuga. Notò con un lampo di terrore una benda spessa fasciare il fianco del dottore nel punto il cui la pistola aveva sparato sotto il suo tocco angosciato e un graffio scuro sfigurargli il volto e vi riconobbe le proprie unghie.
“Mi hai tedeschizzato, Virginia” rispose lui gelido e lei avvertì la paura nelle sue parole.
“No. È lei che ha mentito. E non è l’unico” ribatté sprezzante. Gli lanciò uno sguardo vittorioso e fece per muoversi verso la porta, ma la mano di Deception scattò feroce sul suo braccio, a spingerla indietro. Pepper cadde sul pavimento e lui le cascò addosso, ma lei aprì i palmi sul suo petto, allontanandolo di getto da sé. Afferrò un lembo della borsa e ne strinse il manico con forza, usando la sacca per colpire il viso del dottore. Quello urlò e cadde di nuovo per terra; Pepper si sollevò in piedi e corse verso la porta, ma Deception le corse dietro e le puntò un’arma alle spalle. Un istante prima che premesse il grilletto, una Ferrari rossa fiammante gli frenò addosso.
“Signorina, le serve un passaggio?”
Pepper sorrise leggermente e saltò sul sedile anteriore.
“Sta diventando un’abitudine.”
“Cosa ci fai qui?” gli chiese lei una volta che ebbe messo di nuovo in moto. “Pensavo stessi alla Torre... Glanster potrebbe cercare di attivare ancora il congegno e...
“Già ci ha provato” replicò Tony serafico. “Io e Jarvis comunichiamo a distanza, tranquilla. Hai trovato quello che cercavamo?”
Pepper annuì ed estrasse l’oggetto dalla borsa.
“Sì” annuì sollevata. “Bruce è ordinato in modo quasi vergognoso. Quanto vorrei che prendessi esempio da lui.”
Tony aprì la bocca per rispondere ma la voce del suo maggiordomo lo anticipò.
“Signore, il server del signor Glanster è di nuovo il linea.”
“Fermalo, Jarvis” disse con tono annoiato. “Ah, poverino” commentò poi, “sarà incazzato come una bestia.”
Frenò davanti ad un palazzo torreggiante e guardò verso l’alto.
“Dovrebbe essere qua” mormorò pensieroso. “Dunque, devo entrare. Tu resti qui e...”
“Potrei entrare anch’io” propose Pepper innocente.
“... non uscire per nessun motivo al mondo” concluse ignorandola completamente.
“Potresti aver bisogno di aiuto.”
“Hai dimenticato che sono Iron Man?” le fece notare, scuotendo i braccialetti legati all’armatura. “Ci sono scarsissime possibilità che io abbia bisogno di aiuto e, senza offesa, nell’improbabile caso in cui succedesse, tu non potresti darmelo.”
“Potrei distrarli.”
“Stai qui e non ti muovere.”
Pepper sbuffò e scosse la testa.
“Ehy” la richiamò Tony severo. “Non uscire.”
“Va bene” sbottò lei infine. “Non mi muovo.”
Tony annuì sollevato smontò dall’automobile. Pepper rimase a fissare annoiata l’ingresso, poi ebbe un improvviso e insensato presagio.
La paura la invase da capo a piedi con la forza di uragano e si trovò il petto ansante per la troppa agitazione che l’animava; era paura, una paura totale e irrazionale che non riusciva a frenare in nessun modo.
La verità era che quella situazione stava decisamente cominciando a degenerare. Tutto andava bene fin quando ci si limitava a piccole missioni di recupero in mezzo ad una strada, ma nessuno si era reso conto che quella missione stava diventando pericolosa, pericolosa davvero. Le loro vite erano appese ad un filo, ognuno rischiava veramente tanto in quel contesto e Pepper era stata troppo coinvolta dall’euforia del momento e il sollievo quel giorno dopo il ritorno dalla dimora di Deception per rendersi realmente conto di quello in cui ormai si trovavano. Tony si era spaventato e lei si era sentita tranquilla e aveva tranquillizzato anche lui, perché andava tutto bene, in quel momento, ma nulla era ancora finito e il rischio improvvisamente le parve più grave e potente che mai.
 

*

 
Phil era ancora semi steso sul pavimento, con la schiena malferma poggiata contro le sbarre e il respiro rauco e faticoso che risuonava nella stanza silenziosa. Bruce si avvicinò a lui e cercò di sollevarlo; al primo fallimento, si unì Clint e insieme riuscirono a metterlo seduto.
Il dottore lanciò uno sguardo in tralice al giovane Falco e quello lo fissò con espressione vuota.
“Starà bene?” chiese con tono neutrale.
Bruce gli sollevò il mento e lo squadrò attentamente.
“Sì.”
Il sospiro di Clint fu così lieve che nessuno lo udì; tranne Phil.
 

*

 
“Com’è possibile?” chiese di nuovo Glanster. “Vi ho mandati lì in cinque… che significa che vi è scappata?” ringhiò furibondo.
“È venuto Stark” rispose altrettanto furioso Deception.
“Non m’interessa. Ti avevo affidato una missione, com’è possibile che vi sia sfuggita?!”
Franz ringhiò con il volto basso.
“Stark le è sempre vicino, non c’è modo di evitarlo.”
Glanster sospirò profondamente e alzò un braccio. L’allarme suonò in quel momento e lo sguardo del dottore si contorse dall’ira, quando riconobbe la chioma ramata dalle videocamere.
“È lui” ringhiò basso e minaccioso. “Damon, lasciami…”
“No” lo interruppe Glanster. “Hai già tentato. Manda Lydia a cercarla e vediamo cosa combina la ragazzina contro di lei.”
Deception emise un suono roco di rabbia e sputò fra i denti.
“Sì, signore.”
 

*

 
Pepper trasalì violentemente quando udì una gran serie di rumori provenienti dall’ingresso. Poggiò il capo contro il finestrino, respirando affannosamente e stringendo fra le dita sudate il manico della borsa. Stava per mettere in moto quando qualcuno le venne alle spalle e ruppe con un solo gesto della mano il vetro a fianco a lei per trascinarla con la forza fuori dall’abitacolo. La afferrò per un braccio e la gettò per terra. Pepper alzò lo sguardo e lo fissò sul volto della donna che la fissava, bellissima e vittoriosa.
I suoi occhi brillavano al buio di trionfo e i capelli biondi le cascavano selvaggiamente sulle spalle scoperte. Sul volto, era dipinta un’espressione di sadico compiacimento che a Pepper fece venire la pelle d’oca.
“Così sei tu Virginia” disse e perfino la sua voce era una perfetta melodia di morte. “Ho sentito tanto parlare di te. A quanto pare, hai fatto perdere la testa a parecchi uomini. E a me non piacciono quelle che si rubano i miei giocattoli” continuò calma e le camminò incontro, facendo tendere la seta viola aderente sui fianchi e sul seno. I capelli biondi le scivolarono sulla schiena, rivelando delle ciocche scure sotto la fronte, i tacchi vertiginosi picchiettavano tediosi sul pavimento grigio.
“Non mi fai paura” replicò Pepper fredda. “Io non ho mai giocato con nessuno.”
“Vuoi dirmi che fai sul serio?” chiese minacciosa lei. “Davvero lasceresti Stark per lui?”
“Ma di che stai parlando?” chiese l’altra senza capire. “Io non lascerei Tony per nessun altro al mondo.”
Lydia incurvò le sopracciglia e le sue labbra piene e rosse si incurvarono in un sorriso perfido, gli occhi scintillanti a fissare il rivolo di sangue che colava dalla tempia della sua vittima stesa.
“Ah” sussurrò melliflua. “Allora la situazione è più intrigante di quanto pensassi. Sei all’altezza della tua fama, allora, dato che non te ne sei neanche resa conto. Ma vedi” e si chinò verso di lei. “Non m’interessa se l’hai fatto intenzionalmente o meno. Hai infilato il mestolo nella pentola sbagliata e, anche se tu non lo volevi, resti l’unica colpevole e io non ti permetterò di sbandierare in giro il mio trofeo. Lui è mio.”
Le afferrò i capelli e la trascinò dietro di sé. Pepper si rialzò e la spinse all’aria, dandole una schiaffo sul viso. Lydia si portò ferita un palmo sulla guancia arrossata e avvampò dalla rabbia.
 

*

 
I rumori violenti e feroci della battaglia giungevano fino all’ultimo piano e Howard tese l’orecchio preoccupato.
“Tony potrebbe essere nei guai.”
Steve sbuffò esasperato.
“Rassegnati, Howard. Tuo figlio è costantemente nei guai.”
Clint lo fissò in tralice.
“Sei ingiusto, Rogers.”
Si gettò all’indietro contro le sbarre e la sua schiena sfiorò quella di Coulson ancora semisvenuto accanto alla cella.
“Potrebbe farcela.”
La voce rauca di Phil fu un mormorio e Natasha lo fissò con un sospiro.
“Non lo so.”
 

*

 
“Jarvis, è pronta la Mark VII?”
“No, signore.”
“Preparala.”
 

*

 
“Signore, la signorina Carter ha trovato la ragazza di Stark.”
Damon sorrise.
“La uccida.”
 

*

 
Pepper cadde di nuovo sul pavimento, ma si alzò subito e saltò su tre gradini all’indietro, l’orlo dell’abito lungo sollevato in una mano, mentre Lydia era ancora accasciata per terra, a stringersi fra le mani il labbro sanguinante. L’espressione sul suo volto si fece folle di rabbia e le corse dietro.
 

*

 
Clint si girò e il suo sguardo si perse in quello trasparente del suo superiore, vivo per la credenza che animava i suoi occhi ancora pieni.
“Ce la farà.”
 

*

 
“Potenza al quattrocento per cento, signore.”
“Ottimo, Jarvis. Tienimi informato.”
 

*

 
Pepper lasciò Lydia sul pavimento e corse per le scale, con il petto che affannava e la gola che ardeva a fatica. Sentiva le guance bruciare dagli schiaffi e la testa rimbombarle per tutte le volte che le avevano tirato i capelli. I piedi scattavano meccanici e veloci sui tacchi argentati alla disperata ricerca di una via di fuga.
“Torna qui, cagna!”
 

*

 
L’orologio scoccò l’ora e Iron Man prese il volo.
 

*

 
Il rumore di un’armatura in volo sferzò l’aria e Clint udì il petto di Coulson battere la speranza. I loro sguardi si incrociarono ancora e un piccolo, fievole sorriso illuminò il suo volto.
“Ha ragione. Signore.”
Natasha emise uno sbuffo incredulo.
“Come sempre.”
 

*

 
“Damon. Stark sta arrivando.”
 

*

 
Pepper raggiunse la stanza e si fiondò verso la cella. Un istante dopo, Lydia le fu alle spalle e Steve smise di respirare. Nella lotta aveva perso la sua chioma bionda.
Un respiro smorzato gli irruppe in gola e credette di impazzire.
“Peggy.”
















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Buonasera e buon San Valentino a tutti! 
Mi accingo a postare questo tredicesimo capitolo sul tardi a causa di forze maggiori che non mi hanno consentito neanche di rispondere alle recensioni. :( Mi scuso immensamente, a questo proposito, con chi commenta e prometto di farlo il prima possibile. 
Dunque, dunque... abbiamo proprio un capitolo incalzante, quest'oggi. Il mio scopo, spero almeno parzialmente riuscito, era quello di creare tanta suspence sul finale, alternando i vari momenti, e spero di averlo raggiunto un pochetto. 
Una piccola scoperta su questo finale, non so quanto chiara, ma credo abbastanza. Fatevi due conti con la frase di Glanster e la chioma bionda e vedrete che la cosa, almeno dal punto di vista della trama, quadra; spero non sia troppo insensato e folle, in ogni caso. Cavolo, mi sono fatta un casino di problemi su questo capitolo, voi non avete idea di quante milioni di volte l'ho riletto e scritto, ormai lo so quasi a memoria. Spero con tutto il cuore che vi piaccia, sul serio.
 
Come al solito, classiche avvertenze: 

[1]: New Girl è una serie televisiva statunitense con protagonista Jessica Day; 
[2]: Fiderest Kind non ha alcun significato, ma ha un suono che mi gasava un sacco. 

Credo di aver detto tutto. Voglio, come sempre, ringraziare chi segue e complimentarmi con coloro che sono anche autrici da qui e promettere che darò a loro l'attenzione che meritano appena sarà passato questo maledetto, infernale mese. 
Grazie infinite a Lou, Alley, Ylenia, Maretta, Silvia, Missys e evenstar
♥ Grazie di cuore. 
Un bacione e alla prossima il 24! ;)
La vostra Mary.

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV – The Captain Diaries ***


Capitolo XIV
The Captain Diaries 




Era finito tutto. Tutto finito, concluso, perduto.
Ogni cosa in cui aveva creduto in passato e in cui aveva continuato a credere si era rivelata falsa e in quell’unico, tragico, inglorioso istante Steve si rese pienamente conto di come potesse essersi sentito Tony quel giorno.
Non era dolore, sofferenza, quelle non erano ferite qualsiasi, facili da superare. Lui era lacerato.
Si era fidato di lei, aveva concentrato nelle sue azioni la riuscita del piano per salvare il mondo, le aveva regalato il proprio cuore, aveva affidato alle sue mani la propria vita e quelle delle persone a cui più teneva al mondo e lei le aveva usate per ucciderle.
“Non è possibile. Non è vero” sussurrò ed era tremendo quel sussurro disperato. “Dimmi che non è vero.”
Peggy tirò un lungo sospiro e non glielo disse. Era vero.
“No” ripeté in un bisbiglio affranto. “T-Tu… tu non puoi… è tremendo… non davvero…”
“Mi spiace deluderti, Capitano” intervenne Glanster e il suo ghigno di disgustosa gioia rendeva tutto ancora peggiore. Steve alzò lo sguardo e, nell’appanno glaciale e implacabile che erano le lacrime davanti alle sue iridi desolate, vide sfocata e sbiadita la faccia di Peggy e tutto perse la sua magia e la sua brillantezza.
“Peggy…” la chiamò dolce e tremante. Lei scosse la testa, con uno sbuffo.
“Non avevo altra scelta” disse secca, evitando il suo volto, deformando il suo in una vaga smorfia di rassegnazione, irritazione, quell’incomprensibile espressione di chi non riesce ad avere ragione nel torto.
“Lydia, Capitano” lo corresse mellifluo Glanster ed era sempre peggio vedere quel sorriso schifosamente compiaciuto sul suo volto infame. “Lydia.”
Steve serrò la mascella e lo sguardo e il luccichio appannante divenne lacrime sulle sue guance rosse e gonfie per la rabbia e la sofferenza. La sua mente si rifiutava di pensare, di riflettere, di accettare, di credere a quello che stava succedendo. Non era possibile, continuava a ripeterselo.
Lui aveva amato profondamente Peggy. Lei era stata la prima ragazza su cui aveva davvero posato gli occhi, la prima che l’aveva guardato in modo diverso e che era stata capace di andare oltre le apparenze. Peggy era stata quella giusta e lui non riusciva a credere che, proprio nel momento in cui aveva seriamente creduto di poter trovare anche lui l’amore giusto e perfetto, quello si era rivelato nient’altro che una sporca menzogna.
“Vedi Capitano” riprese Glanster e ora lui e Peggy sedevano comodamente sul divano, mentre Tony e Pepper erano fermi al centro della stanza. Un gruppo di uomini aveva accerchiato Tony e lo teneva bloccato con delle funi, stringendo sull’armatura di ferro; Pepper era tenuta ferma per le braccia da un altro uomo di Glanster. Il suo vestito nero e lungo era stropicciato e strappato in più punti e il sangue sgorgava da un taglio profondo lungo la spalla.
“Quando hai deciso di sacrificarti per il bene del mondo” disse Damon con un tono che di certo biasimava l’atto di cui parlava – di sicuro, lui non l’avrebbe mai fatto. “Lydia ha tentato il suicidio e io l’ho trovata, immersa nei ghiacci. All’epoca, il caro Nick mi aveva già allegramente scaricato” e si sentiva il rancore sporcare le sue parole fredde. I suoi occhi glaciali guizzarono perfidi su Fury e scintillarono di rabbia e rammarico. “E io non avevo un solo posto al mondo. Io e Franz” continuò a indicò il dottor Deception, il cui sguardo era ancora languidamente fisso su Pepper, “la trovammo e lui la salvò, iniettandole del siero nel sangue.”
“Non è vero” intervenne Steve rauco. “È stato il dottor Täuschung a salvarla. L’ha detto lei…”
Damon rise e Deception con lui. Peggy aveva lo sguardo basso e lasciava che la mano di Glanster giocasse con i suoi boccoli selvaggi. Sembrava ferita e Steve sentì la testa girare più forte per quella reazione così vile e distaccata.
“Sì. Infatti. Ma dopo arriveremo a questo. Una volta che fu salva, fuori pericolo, le raccontammo dei nostri piani e cominciammo a idearli con cura. Lei non voleva farne parte, ma non poteva ignorare di avere un debito con noi, così rimase per qualche tempo. Quando fosti ritrovato e sconfiggesti i Chitauri insieme agli altri Vendicatori, capimmo che sareste stati d’impiccio e lei cominciò a pensare che, se non l’avevi cercata più, dovevi averla dimenticata. Cominciò a soffrire, a piangere, a disperarsi; finché il dolore non divenne rabbia, le lacrime sangue, la disperazione perfidia, la sofferenza mancanza di scrupoli. Decise di partecipare al piano, divenne la nostra spalla destra. E noi subito pensammo che sarebbe stato perfetto distrarre i Vendicatori, entrando nel gruppo attraverso le grazie di uno dei migliori” sottolineò la parola con cura. “E tu fosti naturalmente lieto di rivederla, di baciarla e sappi che mi sei quasi costato il piano perché Lydia si stava affezionando un po’ troppo, per me” continuò, toccandole languidamente le labbra. “Ma mi rassicurò, dicendomi che tu eri un trofeo, una vendetta, qualcosa da collezionare e tenere per sé, come per una bambina la sua bambola preferita. E io glielo concessi” disse fingendosi quasi galante.
La gioia, la soddisfazione, la convinzione di aver ormai vinto impregnava le sue parole e Steve si sentiva travolto con violenza, tutto quello gli provocava conati di vomito e nausea.
“Riuscì a distrarti alla festa e feci in modo di interrompere la vostra romantica réunion proprio nel punto giusto, mentre Franz si occupava di tenere d’occhio Stark e gli altri. Fu un gioco da ragazzi farti addormentare con quel sedativo e prendervi tutti. Ma poi arriviamo al punto migliore” allora il suo sorriso si ampliò. “Non pensavo che gli altri Vendicatori si sarebbero fidati di lei, ma nemmeno nei miei sogni più sfrenati avrei immaginato che l’avreste fatta entrare nella torre, quanto più che il nostro giovane Stark si stava decisamente rivelando all’altezza delle aspettative e ho quasi temuto di dover ritirare più volte la cara Lydia, a causa della sua politica di ingiurie. Ma lei è stata divina e, una volta uscita, non ha avuto problemi a rientrare portandosi gli altri dietro, con i codici rubati a Fury mentre parlava con Howard” continuò sempre più soddisfatto. “Ed eccoci qui. Tutti riuniti” disse ancora con tono falsamente infantile. “Ma ora che ci penso, ci sono un paio di cose sui nomi che avreste dovuto notare, se tu Capitano, non fossi stato così accecato dalla follia” si alzò e raggiunse il centro della stanza, “forse Virginia può raccontarci meglio questa parte della storia.”
Si avvicinò a Virginia con lentezza esasperante e le afferrò brutalmente la faccia, stringendole le dita sulla mascella. Lei scosse il capo, ma lui strinse la presa e la guardò con un guizzo divertito e malizioso. Tony ruggì fra le corde, ma quelle non si spezzarono.
Sh… andiamo, Virginia… sei stata davvero molto brava, devo concedertelo” disse con voce carezzevole, muovendo un dito languido sulle sue labbra gonfie di sangue. “Nessuno era riuscito a stendere Franz come hai fatto tu. Devo farti i miei complimenti… e anche quel giochetto dei nomi… ero sicuro che avresti apprezzato…”
Lei si scansò ancora, ma la stretta di Glanster si saldò a tal punto che, anche con le lacrime insopportabili ad oscurargli la vista, Steve poteva vedere i lividi cominciare a diffondersi sul suo viso pallido. Stark si agitò ancora, invano.
“Allora, Virginia” pronunciava il suo nome con disgustosa allusione. “Allora?” ringhiò stavolta e lei smise di divincolarsi. Steve vide i suoi occhi guizzare per un istante verso Stark, poi parlò.
“Quando siamo stati alla festa” iniziò con voce tremante, “ho parlato con Deception e ho capito che non poteva essere inglese. L’accento era troppo marcato… straniero” continuò più decisa. “Era tedesco.”
Glanster annuì, senza mollare la presa.
“Sì. Devo ammettere di averti sottovalutato. Quando ho deciso di distruggere i Vendicatori, devo dire di non aver prestato molta attenzione a te… insomma, non avrei mai immaginato che Stark avrebbe messo a rischio la cosa più importante della sua vita” disse divertito.
Stark ruggì ancora, ma Glanster lo ignorò, continuando a fissare il suo sguardo sul viso di Virginia.
“Ma questo ha reso tutto molto più interessante” concesse caritatevole. “Continua.”
Virginia strinse le labbra e sbatté gli occhi lucidi, fiera, poi parlò di nuovo.
“Ho cercato Deception sull’albo dei medici, ma non l’ho trovato… mi sono ricordata che Steve aveva parlato di un dottore che aveva salvato Peggy e ho scoperto che era nato lo stesso giorno di Deception e c’erano tantissime somiglianze fra loro” disse serafica. “E ho indagato su di lui. Ho scoperto che era stato una spia dello S.H.I.E.L.D., ma che era stato compromesso e poi espulso nel 1999, lo stesso anno in cui…
“… in cui ero stato espulso io” concluse Glanster per lei. “Avanti.”
“Le notizie su di lui erano poche. Dopo il 1999, non sono riuscita a sapere più niente di lui” continuò Pepper. “Ma in quell’anno è apparso per la prima volta Frank Deception. E Deception è l’equivalente inglese del tedesco Täuschung. Come” aggiunse tremante. Le sue palpebre fremettero di lacrime, mentre cercava lo sguardo di Steve. “Carter è l’equivalente del tedesco Fuhrmann.”
Steve scivolò sul pavimento contro le sbarre, senza più fiato, e all’improvviso tutto fu chiaro.
Lei non l’amava. Ogni parola d’affetto e devozione era frutto di un inganno, tutti i baci e le carezze, gli abbracci, gli occhi lucidi per la commozione erano solo la parte migliore di un piano perfettamente congegnato finalizzato a distruggerlo, tutte quelle promesse sulla loro prima volta insieme e quei discorsi sull’amore e la persona giusta erano falsi, effimeri e ingannatori e l’unico motivo per cui lei aveva accettato quella disgustosa pantomima era la vendetta. Perché lui aveva accettato una nuova vita, non l’aveva cercata, l’aveva lasciata andare e lei non aveva potuto sopportare l’esser stata dimenticata dalla persona che aveva detto di amarla in tutti i modi dei loro anni Quaranta. Certo, nel momento in cui si erano ritrovati, lei aveva sentito qualcosa, magari quel leggere brivido sulla schiena e forse i suoi occhi davvero si erano illuminati dalla commozione, ma tutto era stato messo bruscamente da parte in nome della vendetta e la conquista del mondo.
Aveva scelto di giocare con lui, di prenderselo per sé e di farlo diventare il proprio giocattolo, il suo spasso sessuale e la sua marionetta da asporto. E gli aveva mentito anche su quella prima volta.
Ma allora perché non lo guardava? Perché i suoi occhi, colmi di lacrime e pentimento, lo evitavano? Perché teneva il viso basso per la vergogna e l’imbarazzo?
Come aveva potuto gettare tutto nel cestino? Distruggere tutto quello che erano stati, quello che sarebbero potuti essere solo per il mondo?
“Steve, io…”
Quando sentì di nuovo la sua voce, credette d’impazzire. Soffiò violentemente e girò altrove il capo.
“Ascoltami…”
Voltò indietro la testa e la evitò. Sentì la sua voce rompersi in un singhiozzo, ma continuò ad ignorarla e trattenne ancora il pianto in gola. Fu Glanster a parlare ancora.
“Bene bene” disse mellifluo. “A quanto pare, qualche cuore di troppo ne soffrirà” bisbigliò in un ringhio disgustato. “Non trovi, Virginia?” continuò e strinse di più la presa. L’altra mano carezzò docile la canna della pistola che teneva alla cinta e Tony si divincolò con forza. Sul suo viso, ruggiva la stessa espressione di dolorosa impotenza che contorceva i perfetti lineamenti sul volto di Steve.
“Mi dispiace doverti uccidere infondo” continuò gentile. “Saresti stata un’ottima spia, signora Stark.”
Alzò la mano stretta attorno alla canna e sollevò la pistola, sfiorando la gola di Pepper con la punta. Steve sentì Tony trattenere il fiato e lo imitò. Il silenzio cadde nella sala e tutti attesero.
“Tira fuori il reattore, Stark” ordinò Glanster e aveva perso quel tono infantile e caritatevole. Era perentorio, brusco, violento. “Prendilo, Stark. O le faccio scoppiare trentadue denti dritti al cervello.”
Tony sospirò e serrò la mascella. Le sue mani scivolarono sul petto, accanto al reattore; Pepper urlò.
“Non lo fare!” replicò ostinata. “Non ne vale la pena.”
“Non ti intromettere, ragazzina” sibilò Glanster e premette con più forza la pistola contro la sua gola arrossata. “Non sei nella posizione adatta per dettare ordini.”
“Tu restane fuori” sibilò lei glaciale.
“Non ti conviene” ribadì Glanster perentorio e premette di nuovo la canna contro la sua mascella.
“Fa’ quello che ti pare” continuò lei orgogliosa.
Tony le lanciò uno sguardo d’avvertimento e il reattore gli scivolò fra le mani con uno scatto metallico. Steve sentì il principio di un pianto disperato alle sue spalle e vide lacrime di dolore e impotenza rigare il volto martoriato di Phil. Era finita. Avevano perso.
Damon si fece avanti e allungò un braccio per prendere il reattore. Fu a quel punto che tutto accadde.
Virginia si districò dalla stretta dell’uomo di Glanster e spinse con la gamba Damon, puntando la canna di metallo verso l’alto. Glanster cadde all’indietro e la sua pistola sparò un colpo, che prese Deception su una spalla, il quale si accasciò urlando al suolo. Nello stesso istante, Stark si liberò dalle corde che scattarono con un morbido fruscio sul pavimento e la Mark VII si riattivò mentre il reattore tornava al suo posto. Tre uomini gli andarono incontro, ma lui li stese con un solo colpo del braccio; altri due si avventarono su Virginia e Coulson la spinse all’indietro: il vestito le cadde da dosso e finì come tappeto ai piedi dei due complici. Pepper si ritrovò con il ventre sul tavolo alle sue spalle, le gambe sollevate al ginocchio e le mani che stringevano i lembi dell’abito per non cadere, rimanendo con indosso un busto nero. Strinse la presa e tirò il tessuto; i due uomini finirono sul pavimento con uno tonfo pesante, mentre i tacchi affilati delle scarpe argentate a colpire inconsapevolmente il volto di un altro sgherro alle sue spalle. Phil le venne incontro, anche lui libero dalle costrizioni, ed entrambi afferrarono le chiavi della cella, andando incontro alla serratura. Steve vide le mani frementi di Pepper tremare incontrollate mentre girava le chiavi e forzava la porta; quella si aprì con uno scatto freddo e tutti uscirono da lì.
“Fuori, subito!”
No!”
L’urlo di Glanster li fece sobbalzare tutti. Riprese la pistola e la puntò contro di loro, ma Nick fu più veloce e lo colpì al braccio prima che lo facesse lui.
“Abbiamo un debito” sussurrò pacato. Glanster lo guardò con ira, mentre si tamponava il braccio sanguinante.
“Prendeteli!”
Steve afferrò in un lampo lo scudo dal tavolo e lo lanciò contro il gruppo di uomini che andava loro incontro e quelli caddero come birilli.
“Andiamocene da qui” disse Natasha e si avventò selvaggia come una gatta randagia contro altri tre dipendenti di Glanster.
“Bruce” intervenne all’improvviso Stark dall’armatura. “Quel tale ci ha dato degli idioti innumerevoli volte. Questa sarebbe l’occasione giusta per arrabbiarsi un po’.”
Bruce sorrise divertito e, un istante dopo, Hulk ruggì minaccioso. Accanto a lui, Clint sfoggiava pronto il suo arco e Thor ruotava il Mjolnir verso Deception. Steve si mosse verso di loro, quando vide Virginia a terra dall’altra parte della sala. Fece per andarle incontro, ma Stark fu più lesto e, in un secondo, le fu accanto sul pavimento.
“Andiamocene” ripeté Howard serio. “Ora.”
Steve annuì e seguì Fury, Barton, la Romanoff e Thor per le scale. Arrivarono al parcheggio e Natasha salì sull’auto con cui era arrivata Pepper.
“Aspetta” disse Steve. “Dobbiamo aspettare…”
“Arriveranno con altri mezzi, Capitano” replicò subito l’agente. “Ma adesso dobbiamo andare.”
Steve fece per seguire gli altri a malincuore, ma qualcosa attirò improvvisamente la sua attenzione.
“Vi raggiungo” sussurrò distratto e corse per le scale. Sentì il rombo dell’auto, ma non ci badò.
Steve!”
Decise di ignorare quella voce. Non era il momento e non lo sarebbe stato mai più.
“Steve, ti prego! Ascoltami!”
Di nuovo quell’urlo disperato e sofferente. Come poteva? Non riusciva a sopportarlo.
“Steve, devi aspettare!”
Sentì la sua mano allungarsi e stringersi attorno al suo polso. Fu sbattuto sul muro e chiuse gli occhi. La prima cosa che vide appena li riaprì fu lei, il suo volto di porcellana, il suo sguardo pieno di lacrime, dolore e rancore.
“Devi ascoltarmi” gli disse e tremava in modo incontrollabile. “Mi dispiace. Non ho avuto altra scelta, ho dovuto assecondarlo!” urlò disperata. “Io non volevo, ma lui… Damon, mi è entrato nel cervello e mi ha convinta che t-tu… che tu mi avevi dimenticata e che dovevo vendicarmi… ho sbagliato, me ne sono resa conto troppo tardi… io ti amo.”
Steve serrò la mascella e respirò profondamente, cercando di evitare che le lacrime riprendessero a sgorgare copiose e sventurate sul suo volto senza più forza. Era annientato.
“Peggy…”
Non riusciva a parlare. Come poteva dirgli che lo amava, dopo quello che aveva fatto?
“Lasciami andare” disse secco. “Devo trovare Stark…”
“Stark?” ripeté lei e sorrideva scettica nel pianto. “O Virginia?”
Lui sbuffò, cercando di stroncare quel mare di rabbia che lo travolgeva, insieme al risentimento, l’odio, la sofferenza.
“Dio Santo, Peggy!” gridò disperato. “Io non amo Virginia! Mi piaceva, d’accordo? Sì, mi attraeva in qualche modo, va bene? Ma basta, non provo niente per lei… possibile che ancora non lo capisci, che amavo te?” disse rauco.
“Sì, amavo te” ripeté. “Ed è stato tutto un errore. Perché tu hai solo giocato, non è vero? Un trofeo, ecco cosa sono… tu neanche sai cos’è l’amore” concluse desolato. “E io ci sono cascato.”
“Non sarebbe successo se tu ti fossi fidato di lui” sibilò lei velenosa. “Stark ti ha cacciato in tutto questo… ti ha portato lui a questa sofferenza… dovresti vendicarti di lui…”
Steve non volle ascoltare più; si allontanò da lei e fuggì verso il piano di sopra. Phil e Virginia erano accanto alla finestra e Stark dietro di loro. Appena lo vide, Tony sorrise.
“Stai bene?” gli chiese nella confusione. Steve annuì, confortato.
“Sì.”
“Bene” replicò subito l’altro. “Aiuta Coulson a scendere le scale. Ci vediamo giù.”
Steve annuì distrattamente e vide Stark avvicinarsi alla vetrata ormai distrutta. Parte della Mark VII era andata distrutta e non indossava né il casco né gran parte dell’armatura del busto, fino alla vita.
“Pepper!”
Sentì la sua voce chiamare la ragazza, mentre lui e Coulson raggiungevano le scale. Condusse l’agente fino al primo piano e lo caricò su un’altra auto. Prima di partire, alzò lo sguardo verso la vetrata e vide Stark caricarsi Virginia in spalle e saltare dall’attico verso di loro. Caddero nell’aria fino ad atterrare con un tonfo sul sedile posteriore, frenati in tempo dai razzi sui polpacci.
“Parti!”
Steve afferrò il volante e mise in moto la macchina, sterzando verso la torre.
 

*

 
Era molto tardi quella notte o anche molto presto quella mattina, quando finalmente Tony si addormentò. Era stata davvero una giornata stremante, fra rapimenti, fughe e combattimenti vari. Sarebbe stato tutto un dolore da vecchio e avrebbe dovuto ringraziare il caro Damon Glanster. Era steso sul divano del salotto nell’attico della sua amata torre e dormiva profondamente. Nelle altre stanze regnava lo stesso silenzio e tutti erano persi nel proprio mondo dei sogni. L’orologio scoccò le sei e Pepper si svegliò di soprassalto. Aprì gli occhi agitata, portando una mano ad accarezzare la fronte imperlata di sudore e gli occhi appesantiti dalla stanchezza. Si alzò lentamente dal divano e lasciò Tony dormire, sorridendo alla sua visione addormentata. Raggiunse silenziosamente il bagno e si sciacquò il viso, per poi andare in cucina e prepararsi qualcosa di caldo. Aveva fatto un sogno davvero tremendo che non riusciva a ricordare neanche e improvvisamente si sentiva invasa dall’agitazione. Chiuse gli occhi, massaggiandosi le palpebre stanche, e tirò un lungo sospiro, cercando di tranquillizzarsi. Aveva appena acceso il fornello e l’odore del caffè stava cominciando a diffondersi per la stanza quando un rumore attirò la sua attenzione.
Sbarrò di colpo gli occhi e il respiro le si fece veloce e irregolare. Cercando di fare il meno rumore possibile, varcò cauta la soglia della cucina e trattenne il fiato.
Un’ombra scura, una figura prominente e robusta si muoveva nel salotto, a passi lenti e muti, con le braccia levate e una pistola stretta convulsamente nel palmo di una mano tremante. Si trovava nell’oscurità, qualche passo dopo il corridoio dove il sole non illuminava l’attico. Si mosse in avanti e Pepper vide la spalla sollevare l’arma che ancora sussultava nel puntare la sua vittima, stesa addormentata sul divano. La canna sbatteva nell’aria e, quando fece un altro passo in avanti, Virginia poté vedere il volto della persona che stava cercando di uccidere Tony.
Sbatté parecchie volte le palpebre, stupita, poi la meraviglia cedette il posto al dispiacere e sul suo viso stanco apparve un’espressione di sincero affetto.
Scosse il capo e fece per raggiungerlo, ma, nel farlo, inciampò contro un mobile al suo fianco, facendo cadere sul pavimento la lampada che lo sovrastava, e il fracasso fece sussultare il colpevole finalmente alla luce.
“Virginia!”
Pepper sistemò di nuovo tutto al suo posto e si voltò verso Steve che adesso la guardava agitato. La pistola era sparita.
“Scusami” sussurrò imbarazzata. “Ho fatto un brutto sogno, così sono andata a prepararmi qualcosa di caldo, ma sono inciampata in questa stupida lampada e allora...”
Steve non l’ascoltava. Pepper lo fissò per un attimo e non poté fare a meno di notare che aveva un’aria orribile. Era pallido, smunto, visibilmente provato; aveva un’espressione triste, affranta, assolutamente sconfortata. Le labbra esangui erano stese in una smorfia di totale desolazione e gli occhi erano gonfi e arrossati.
“Non fa niente… sta’ tranquilla” minimizzò lui. “Potrei avere un po’ di caffè, per favore?”
Pepper annuì, con ancora un’ombra di quel cipiglio amorevolmente preoccupato sul viso, e tornò in cucina. Versò un po’ del liquido caldo e familiare in due tazze da colazione, poi lo diluì con del latte e ne porse una Steve, sedendosi di fronte a lui.
Per qualche istante non fecero nulla; rimasero nel silenzio, ciascuno a sorseggiare il proprio caffè. Fu Pepper a parlare per prima.
“Stai bene?” domandò in un bisbiglio imbarazzato. Non voleva essere invadente, ma Steve sembrava così triste e a lei dispiace tanto.
Lui annuì distrattamente e lasciò lo sguardo scorrere su di lei, sui capelli sudati raccolti dietro la testa, sulla maglietta bianca aderente al corpo sudato, alle gambe scoperte, ai piedi nudi, e poi di nuovo sul suo viso, puro e gentile.
“No” rispose infine. Bevve un sorso del cappuccino caldo e avvertì un piacevole senso di calore e intimità invadergli il petto. Sbatté le palpebre e guardò ansioso Virginia; lei ricambiato il suo sguardo con timore, con quei suoi occhi dolci e adorabili, gentili, così semplici e puri, come sempre riusciva ad essere. Per la millesima volta, si trovò a invidiare Stark e la sua maledetta fortuna. Ancora non riusciva a credere a quello che era successo, a come lei avesse rischiato ancora la vita per lui, mentre Peggy aveva rinunciato a tutto solo per amore di se stessa e della vendetta per un crimine che nessuno aveva mai commesso.
“Mi ha detto che mi ama” sussurrò desolato, senza avere il coraggio di guardarla. “E invece mi ha tradito.”
Sentì il sospiro leggero di Virginia e il suo profumo gli inebriò il volto, ammaliante. Sentì la testa girare e chiuse gli occhi, trasalendo quando avvertì il suo tocco aggraziato su una mano. Fece per allontanarla, quando la voce di Peggy risuonò perfida nella sua testa.
Non sarebbe successo se tu ti fossi fidato di lui… Stark ti ha cacciato in tutto questo… ti ha portato lui a questa sofferenza… dovresti vendicarti di lui…
Peggy era stata ridicola nel suo vano tentativo di vendetta. Voleva solo allontanarlo da Tony per vederli distrutti ancora… giusto?
Ma mentre stringeva la mano di Virginia, Steve sragionò. Lei era lì, davanti a lui, lo stava sostenendo. Proprio come sosteneva Tony e se fosse venuta a mancare, Stark sarebbe caduto; nessuna vendetta sarebbe potuta essere peggiore… privato della cosa più importante della sua vita…
Allora, lui avrebbe vinto? No, assolutamente. Ma forse avrebbe avuto qualcuno vicino. E Virginia era lì e lui aveva bisogno di sentire calore, contatto, amore e lei traboccava di tutto.
Improvvisamente voleva baciarla. Non sapeva perché – si sentiva attratto da lei? No, non come lo era stato da Peggy. Era così caldo quel loro rapporto, così fraterno, non avrebbe mai amato lei come una donna della vita – ma voleva. Voleva sfogare quel dolore, voleva baciare qualcuno, voleva distruggere Stark.
Si sporse in avanti, le labbra tese e l’agonia persa nello sguardo, ma Pepper lo fermò. Poggiò l’altra mano sulla sua guancia e gli gettò le braccia al collo, stringendolo con tanta forza che lui sentì una vaga sensazione alla bocca dello stomaco ed ebbe voglia di piangere.
Rimase immobile, incredulo, perché aveva quasi ucciso il suo fidanzato – sapeva che lei l’aveva visto, gliel’aveva letto negli occhi – e aveva cercato di farle del male ancora, esattamente un secondo prima; e poi l’aveva coinvolta in una missione che stava facendo rischiare la vita sia a lei sia a quello che sarebbe dovuto diventare suo marito, mettendo in pericolo ogni persona alla quale teneva perché si era innamorato.
Eppure, Virginia lo abbracciò. Strinse le mani dietro al suo collo e lui avvertì un calore totale invaderlo da capo a piedi, come se fosse qualcosa di confortevole e rassicurante e pieno.
“Mi dispiace” le mormorò affondando il volto nella pelle profumata della sua spalla. “Mi dispiace.”
Pepper sorrise buffamente e si allontanò, squadrandolo con la solita dolcezza.
“Di cosa?” gli chiese affettuosa. “Tu non hai fatto nulla di male.”
“Sì, invece” disse lui scuotendo il capo. “Mi sono fidato di qualcuno che per poco non ci ha uccisi tutti... mi sono lasciato convincere dalle sue parole, che dovevo vendicarmi di una persona che, seppur irritante e molesta, mi ha sempre aiutato... ho sbagliato e tutto perché...”
“... perché ti sei innamorato” mormorò lei con premura. Gli accarezzò una guancia e sorrise. “Non è una colpa. Tu non hai mai fatto nulla di male intenzionalmente... hai sbagliato perché tentavi di fare la cosa giusta.”
Steve scosse il capo ed ebbe la sgradevole sensazione di qualcosa che bruciasse nella sua gola. Tentò di parlare, ma uscì solo un lamento rauco. La sua mano si infilò nella tasca e ne fece scivolare il contenuto sul tavolo con un tonfo metallico per il brusco gesto.
“Sei sicura di quello che dici?” sussurrò fissando oltre la pistola il vuoto nel quale stava cadendo. Virginia gli strinse la mano e gettò l’arma nella spazzatura, poi si alzò e gli posò un bacio sulla guancia.
“Io mi sento morire.”
“Ti senti annientato” mormorò lei senza lasciare la presa. “È normale. Non è una cosa che capita a tutti, facile da affrontare, che metti nel conto delle cose... ma può succedere.”
“E allora... è finita?”
Pepper sorrise di fronte a quel tono delicato; sembrava un bambino ferito in cerca di rassicurazioni.
“No” rispose semplicemente. “Non finisce mai finché le persone che continuano ad amarci ci sono vicine.”
Steve trattenne il fiato e annuì spostando lo sguardo dalla presa che ancora lo tratteneva al cielo fuori dalla torre.
Il sole stava sorgendo di nuovo. 
















 

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Buongiorno a tutti e buona Domenica. ♥
Finalmente posso postare con calma e dedicare più tempo a tutti voi. Dopo quest'estenuante settimana, ci vuole proprio una sana dose di Efp e pertanto prometto di impegnarmi con tutti voi a recuperare le recensioni e le risposte alle recensioni a cui non ho potuto dedicare il giusto tempo in queste ultime settimane. *-*
Tornando alla storia vera e propria, eccoci qui con il quattordicesimo capitolo. Io ho concluso la storia, ma sto ancora aggiungendo un piao di cosette nei capitoli; in ogni caso vi informo che la stesura definitiva è di ventiquattro capitoli, motivo per cui già da un po' siamo entrati nella seconda metà della long. Per quanto riguarda la storia a lungo termine, credo che questa sia la prima di una trilogia - già sto lavorando sulla seconda - e comunque si vedrà. 
Dunque, questo capitolo credo chiarisca bene parecchi punti che avevamo in sospeso: adesso sappiamo chi è veramente Peggy e chi Lydia e come si sono incontrate e sappiamo la verità anche sul disgustoso Deception. Questo capitolo inoltre dà tanto spazio alla psicologia di Steve e ai suoi dolori e a questo proposito spero ardentemente che Lou in particolar modo possa apprezzarlo perché nessuno capisce il Capitano come lei. 

Spero che tutto sia chiaro, nella trama - mi rendo conto che può sembrare incredibile, sotto alcuni punti di vista - e vi invito a pormi domande nel caso abbiate dubbi. ^^ Prima di ringraziamenti e saluti, classica burocrazia: 

[1]: The Vampire Diaries è una serie televisiva statunitense di genere fantasy ispirata all'omonima serie di libri di Lisa Jane Smith con protagonista Elena Gilbert; 
[2]: Gracie Hart, citata in un paio di capitoli fa e accostata a Natasha, è la protagonista di Miss Detective, un'agente di polizia piuttosto forte nella lotta fisica e con maniere decise almeno quanto quelle della nostra superspia russa. 

Credo di aver detto tutto. Come sempre, ringrazio enormemente le persone che continuano a seguirmi con affetto e costanza: evenstar, Silvia (non pensare che io mi sia dimenticata della tua favolosa long, sai *-*), Maretta, Missys e Ylenia. Grazie di cuore a tutte. 

Un bacione e al 6 Marzo. ;) 
La vostra Mary. 

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Capitolo 15
*** Capitolo XV – The big bang Starkory ***


Capitolo XV
The big bang Starkory




Erano passate solo una decina di ore dallo scontro con Glanster e ancora meno da quello fra Steve e Virginia nella cucina della Stark Tower quando Nick organizzò una riunione in salotto con la sua aria seria e imperscrutabile. Attese che tutti furono pronti e che si fossero radunati tra poltrone e divani, poi parlò.
“Glanster ha intenzione di attaccare il Palazzo di Vetro” esordì pacato. “Vuole prendere il Tesseract.”
Tony sospirò esasperato, ma fu Bruce a parlare.
“A quale scopo?” chiese dubbioso. “Non è riuscito a rubare il Pegasus a Tony” continuò ragionevole. “Quindi non può attivare il congegno di Howard, non può entrare in funzione del Tesseract e non può utilizzarlo in nessuno modo.”
“Sì, però” intervenne Phil pensieroso, “può comunque entrarvi in possesso fisicamente. Magari ha intenzione di recuperare successivamente il Pegasus e, nel frattempo, si assicura di avere il cubo. Una volta che potrà far funzionare entrambi i congegni…”
“… allora potrà comandare tutti i dati dello S.H.I.E.L.D., divertirsi a proprio piacimento, accaparrarsi tutti i soldi custoditi dalla società e imporre il proprio dominio usando la forza del Tesseract contro la popolazione mondiale” concluse Natasha con aria indifferente.
“Splendido” disse Bruce colpito. “Davvero splendido.”
Clint tirò un lungo sospiro di esasperazione. Scosse la testa, fissando con aria spazientita Natasha, poi i suoi occhi saettarono per un istante sul volto di Phil e, per un istante, si guardarono. Dopo quell’attimo, Coulson abbassò il capo e le sue orecchie si colorarono impercettibilmente di rosso.
“Dobbiamo arrivare al Palazzo di Vetro prima di lui” riprese Nick con trasporto. “È assolutamente necessario prendere il Tesseract prima che lo faccia Glanster. Coulson, tu, Barton e l’agente Romanoff dovete correre alla sede centrale e allertare le protezioni al cubo. Io e Howard cercheremo di raggiungere Glanster; Stark, Rogers e Banner andranno al Palazzo di Vetro. Thor deve tenere sotto controllo la città e assicurarsi che Glanster non stia cercando di farci cadere in un’altra delle sue trappole.”
Bruce alzò lo sguardo e lo puntò con aria curiosa verso Tony. Fino a quel momento, infatti, si era comportato in modo insolito e del tutto poco concernente alla sua indole naturale: non solo si era seduto in un angolino solitario senza mai intervenire nella discussione, ma non si era neanche mai mosso di un centimetro dalla sua posizione e aveva mantenuto un mutismo completo durante tutta la riunione, senza mai far presente la propria opinione durante il dibattito. Seduto dalla parte opposta, stava Steve e, come Tony, anche lui si era rintanato in una posizione discosta e abbandonata e non aveva espresso parola durante tutta la durata della riunione. Ora che Bruce ci rifletteva con più attenzione, notò che non aveva praticamente sentito la voce né dell’uno né dell’altro da quando si erano svegliati, più di due ore prima, il che era completamente assurdo considerando che, prima che si mettessero a dormire, entrambi si erano comportati in maniera più che normale, parlando con gli altri e fra loro con lo stesso atteggiamento gioviale e naturale di sempre. Bruce aggrottò le sopracciglia e cominciò a muovere lo sguardo da Tony a Steve con aria perplessa, spostando l’attenzione dall’uno all’altro come se stesse seguendo una partita di tennis, ma nessuno dei due sembrava voler dare spiegazioni riguardo il proprio improvviso e apparentemente immotivato cambio di condotta. Cercò poi Pepper perché lei doveva sicuramente sapere cos’era successo a Tony, ma quello che vide e carpì dal suo volto non gli piacque per niente. Sul suo volto era dipinta la stessa espressione perplessa che Bruce era certo apparisse anche sul proprio. Sbatté le palpebre più volte e la seguì in cucina, nello stesso istante in cui lei sembrò quasi fuggire da quella situazione insensata e scomoda.
“Virginia” la chiamò deciso. “Aspetta.”
Pepper si voltò di scatto, sbarrando gli occhi stupita, ma poi il suo sguardo cadde su Tony e Steve dietro il dottore e gli fece segno di tacere. Lo prese poi per un polso e lo trascinò in una piccola stanza buia e silenziosa.
“Okay” iniziò Bruce spazientito. “Che sta succedendo? Me lo dici? Non riesco a capire più niente. Prima tutta quella storia di Peggy o Lydia o come diavolo si chiama, poi questi due non si parlano…”
Pepper scosse la testa, respirando profondamente.
“Non so cosa sia successo” disse infine e sembrava molto agitata. “Stamattina Steve sembrava agitato per la situazione con Peggy e abbiamo parlato, ma poi, io sono andata a svegliare Phil e a controllare che stesse meglio e, quando sono tornata in cucina, erano entrambi lì e nessuno dei due parlava.”
Bruce sospirò profondamente e si massaggiò le palpebre stanche.
“Virginia” disse. “Posso chiederti se Tony dormiva quando tu e Steve avete parlato?”
Pepper lo fissò stupita.
“Credo di sì” rispose dubbiosa. “Insomma, non ho controllato, ma quando mi sono alzata, dormiva ancora... ma di che stai-...”
“E per caso” la interruppe di nuovo Bruce, “tu e Steve avete... ehm, vi siete, non so, stretti la mano?”
Le sue guance si tinsero di rosso per l’imbarazzo di quell’imbarazzante discussione, ma non si fermò. Virginia avvampò violentemente.
“Oh, mio Dio!” esclamò portandosi le mani alla bocca. “Vuoi dire che è colpa mia?”
“No, non stavo... insomma, certo che no... tu sei in assoluto la persona più assennata che conosca... riesci perfino a relazionarti con Tony convincendo a farlo ragionare in ogni situazione. Quei due battibeccano sempre – sono più volte quasi arrivati alle mani – e ti assicuro che il fatto che abbiano litigato di nuovo non è poi così sorprendente...”
“Ma vedi” lo contraddisse lei e si torturava le mani con fare agitato. “hai visto, no? Non si parlano, non si guardano neanche… Tony è intelligente, poi, anche se non sembra... non può essersela presa per così poco... se così fosse, lo prenderei a calci, stanne pur certo.”
Bruce scosse la testa, quasi come per minimizzare, e alzò le mani poggiandole sulle spalle di Pepper, come se volesse tranquillizzarla.
“Virginia, calmati” le disse paziente. “Non è nulla, ne sono sicuro. Sai, loro litigano sempre… non vanno d’accordo praticamente su niente."
“Ma dobbiamo fare qualcosa” intervenne lei sempre più in preda all’ansia. “Altrimenti succederà il finimondo.”
“Un pandemonio” concordò Bruce pensieroso.
“Anche peggio” rincarò la dose lei, ancora visibilmente provata. “Io… io non penso che sia quello che Toy creda... vedi, se è per una questione di gelosia, è assurdo... io e Steve siamo amici, lui è solo paranoico... Steve non potrebbe mai pensare a me in quel modo...” aggiunse scuotendo la testa.
“Dici?” le domandò Bruce scettico. “A me non sembra così sconvolgente. So che tu vivi solo per Tony e che non hai mai, neanche una volta, neanche per sbaglio, vagliato l’ipotesi di amare un altro uomo che non fosse lui dall’età di sedici anni e che il tuo mondo gira intorno a lui e blablabla, ma qualche volta dovresti prestare attenzione anche a te stessa perché, anche se non ci credi perché pensi che Tony sia di parte, lui ha ragione. Insomma, sei una ragazza affascinante, intelligente, brillante, spiritosa, sempre così gentile e disponibile ad aiutare gli altri… non ci vedo niente di particolarmente strano nel fatto che Steve, che è un uomo di altri tempi e che vede l’amore in modo così idealizzato, si sia sentito attratto da te. Non lo vedo tanto improbabile. Tu sei sempre così carina con tutti e anche con lui e ti prendi cura delle persone che ti stanno a cuore. Lui si è visto tradito dalla donna che credeva di amare e si è reso conto che quello che vorrebbe per se stesso è quello che ha Tony: una persona che è perfettamente la tua metà, l’anima gemella esatta, quella con cui vuoi veramente passare il resto della vita e per la quale faresti qualsiasi cosa e che per te prova lo stesso amore incondizionato, perché non cambieresti nulla di questa persona, perché ne ami ogni pregio così come ne ami ogni difetto. Lui ha visto questo in te più che in chiunque altro in vita sua e nel momento in cui ha perso Peggy tu gli sei stata vicino e magari Tony, che di carattere sarà anche geloso, ma comunque ha capito che a Steve, almeno all’inizio, non eri proprio indifferente, ha visto una scena in cui eravate molto affiatati e si è sentito... si è sentito male, insomma... e quando sei uscita, avranno discusso e non è neanche escluso che Steve l’abbia provocato, come se volesse fargliela pagare perché infondo lui l’ha sempre detto e saputo che Peggy lo stava solo usando.”
Pepper sorrise debolmente, scuotendo di nuovo la testa.
“Natasha è davvero molto fortunata” disse affettuosa.
Bruce arrossì violentemente e minimizzò, imbarazzato.
“M-Ma figurati” borbottò scarlatto. “Io non faccio niente. Ti ho detto solo quello che ho visto in questo mese… se tu e Tony fate una certa impressione, il merito non è mio.”
“Grazie” sussurrò Pepper.
“E di cosa?” rise il dottore, ancora parecchio rosso. “Io non ho fatto nulla.”
“Sei davvero convinto che si tratti solo di una questione di gelosia?” gli chiese lei. Rifletté su quello che era successo quella mattina e, all’improvviso, un dettaglio le tornò alla mente vivido come non mai; si sbatté una mano sulla fronte per non averci pensato prima. “La pistola.”
Bruce strabuzzò gli occhi.
“Come hai detto, scusa?”
“La pistola” ripeté Pepper scuotendo il capo. Deglutì. “Stamattina Steve... ha preso una pistola perché Peggy gli aveva detto qualcosa a proposito del fatto che doveva liberarsi di Tony.”
“Aspetta, aspetta” la frenò il dottore, mettendo le mani avanti, “Steve ha preso una pistola?”
Pepper annuì con un profondo sospiro.
“Sì” rispose in un sussurro. “Per questo abbiamo parlato... quando mi sono svegliata, sono andata in cucina e ho visto che lui l’aveva puntata contro Tony... ma non ha sparato!” aggiunse infervorata. “Solo che poi, dopo, me l’ha fatta vedere e, se Tony avesse visto...”
“... sarebbe senz’altro stata meglio una scenata di gelosia” concluse Bruce comprensivo. “Naturalmente. Sarà il caso che gli parli.”
Pepper tirò un sospiro di sollievo.
“Oh, magari.”
“E tu potresti parlare con Steve.”
Pepper sospirò di nuovo.
“Immagino non ci sia altra soluzione.”
Lo sguardo di Bruce le rispose.
 

*

 
Non provarci neanche, Bruce.”
Il tono di Tony era perentorio e intransigente. Bruce gli rivolse un sorriso paziente e annuì, prendendo posto davanti a lui, pronto ad iniziare la sua opera di convincimento al perdono e alle buone azioni verso gli altri.
 

*

 
“Virginia!” esclamò Steve stupito. “Cosa… cosa ci fai qui?”
Pepper sorrise timida, quasi imbarazzata, e cominciò a torturarsi le dita con fare agitato.
“Posso parlarti?”
 

*

 
“Non m’interessano le sue smanie da pazzoide, Bruce. Ha sbagliato e deve prendersi le responsabilità delle sue azioni. Motivo per cui, se sei qui per dirmi quale brava persona egli è, risparmia il fiato.”
 

*

 
“Sì, certo…” rispose Steve agitato. “Però… ecco, io non credo sia una buona idea.”
 

*

 
“So che ha sbagliato, Tony” disse Bruce con lo stesso tono paziente che si usa con un cliente psicopatico o un bambino di prima elementare. “Ma forse dovresti andare oltre questo e cercare di capire cosa l’ha spinto a compiere questo gesto. La comprensione è il primo passo verso il perdono.”
“È qui che non ci capiamo, Bruce. Io non ho nessuna intenzione di perdonarlo.”
 

*

 
“Tony capirà” disse Pepper gentile. “Ma io volevo parlare con te.”
Steve annuì, imbarazzato.
 

*

 
“Vedi, lui ha senza dubbio attraversato un periodo difficile. Innanzitutto, l’attacco di Glanster e la faccenda di Lydia... o Peggy” disse confuso Bruce. “Si è lasciato andare. Ho capito che un tentato omicidio non è una gran bella cosa ma, detto tra noi, sappiamo entrambi che Steve non sarebbe mai stato capace di far del male a qualcuno, neanche a te.”
 

*

 
“Io non volevo fare… be’, quello… non so come sia potuto succedere. Mi sono sentito così strano e Peggy… be’, io non avrei mai sparato, Virginia, sul serio.”
 

*

 
“Voi non andate d’accordo, va bene, lo sappiamo tutti, ma quello è stato solo un momento di debolezza.”
 

*

 
“… ma ho sbagliato e ne sono consapevole. Mi sono lasciato influenzare da Peggy e mi sono voluto vendicare di Tony… mi dispiace, davvero…”
 

*

 
“E adesso si sente in colpa… lui non avrebbe mai fatto del male a nessuno di noi, lo sai anche tu. Insomma, so che abbiamo un rapporto a dir poco strano, ci incontriamo solo quando qualcuno vuole fare a pezzi la Terra, ma in fondo, siamo amici…”
 

*

 
“Ma sono stato onesto con lui… davvero non l’avrei mai colpito… né lui né nessun altro...”
 

*

 
“… è stato un errore di momentanea distrazione e tu non puoi cancellarlo dalla tua vita per un piccolo sbaglio…”
 

*

 
“So che adesso Tony ce l’avrà sempre con me e mi sembra giusto andarmene. Continuare in questo modo sarebbe inutile e imbarazzante per tutti. La soluzione migliore, se non addirittura l’unica, è che me ne vada…”
 

*

 
“Ora si sentirà malissimo e probabilmente vorrà solo andarsene…”
 

*

 
“E non cercare di fermarmi, ti prego…”
 

*

 
“Bisogna assolutamente fermarlo, dunque…”
 

*

 
“Perché sarebbe una sciocchezza continuare in questo modo…”
 

*

 
“Dobbiamo impedirgli di fare questa sciocchezza…”
 

*

 
“Il mondo non ha bisogno di Capitan America…”
 

*

 
“Il mondo adesso ha bisogno di Capitan America e Iron Man uniti più che mai…”
 

*

 
“Separarsi sarà la soluzione ideale, vedrai…”
 

*

 
“Insomma, nulla potrebbe essere più pazzoide e stupido che separarsi, ora come ora…”
 

*

 
“Quindi adesso…”
 

*

 
“… vai di là e risolvete la questione.”
 

*

 
Steve annuì.
 

*

 
Tony sbuffò.
 

*

 
Tony era nervoso. Continuava a camminare avanti e indietro davanti alla porta della stanza in cui Rogers si era chiuso subito dopo la fine della riunione, senza riuscire a prendere una decisione. Sbuffò per l’ultima volta, poi si decise ad entrare perché, si disse, ormai era tardi e di lì a poco Glanster avrebbe potuto prendere possesso del Tesseract, motivo per cui doveva comportarsi in maniera responsabile e risolvere la questione da veri uomini.
Insomma, un bel destro in faccia e via.
“Rogers” esordì distaccato, cercando di celare il nervosismo. “Posso entrare?”
Steve alzò lo sguardo verso di lui, stupefatto e imbarazzato.
“Sì” deglutì infine. “Certo.”
Tony annuì accomodante e prese posto sul divano, mantenendo un’ampia distanza di due metri fra loro. Insomma, c’era sempre una certa dignità da rispettare.
“Bene” disse dopo qualche istante di silenzio. “Io…”
“Aspetta” lo interruppe subito il Capitano. “Devo essere io a parlare…”
“No, lascia perdere…”
“Sì, invece…”
“No, invece…”
“Ti dico di sì…”
“E io ti dico di no…”
“Ho sbagliato e mi dispiace… non avrei mai dovuto lasciarmi influenzare da Peggy in quel modo…”
“Non è stata colpa tua. È stata quella cagnetta in calore senza scrupoli…”
“… che mi ha messo in testa l’idea di dovermi vendicare di te e non aveva senso, avrei dovuto capirlo subito che…”
“… tu sei solo troppo ingenuo e assolutamente fuori di testa, certo…”
“… non avrei mai dovuto fare una cosa del genere. Insomma, non solo a te, anche a lei e a tutti gli altri… è stato stupido e malvagio, ma vedi…”
“… sono cose che capitano e poi…”
“… io mi sono sentito perso e ho cercato di distruggermi e sono uscito di senno… so che potrebbe sembrare che a me…”
“… non importa, davvero… insomma, non significa che tu possa rifarlo…”
“Certo che no! Ma ora è meglio che…”
“…  ci prepariamo e corriamo al Palazzo di Vetro prima del folle, sennò addio mondo conosciuto…”
“… io me ne vada.”
Tony strabuzzò gli occhi, perplesso.
“No, Rogers, non è affatto una buona idea… è una follia.”
Steve sospirò, affranto.
“Non credo che la mia presenza qui possa giovare a qualcuno.”
“Sì, invece” replicò Tony ostinato. “Giova a Fury, che può contare sempre su qualcuno di sano e responsabile. A Clint, che trova una persona più antiquata di lui. A Thor, che può esser difeso da un eroe. A Coulson, che ti ama alla follia. A Howard, che senza di te non sa come fare. E poi alla Romanoff, che può avere qualcuno su cui sfogare la tensione e a Bruce, che trova una persona normale con cui dialogare, e a Pepper, che può esternare il suo talento da crocerossina su un povero vecchietto attempato. E a me, sennò chi torturo con le mie battute?”
Sorrise imbarazzato, con quell’espressione un po’ da ebete e un po’ da fratello minore e scapestrato e Steve rispose al sorriso. Nemmeno nei suoi sogni più sfrenati avrebbe potuto immaginare che Stark – Tony – sarebbe diventato una persona così stranamente importante per lui.
“Grazie” disse infine e sentiva uno strano groppo in gola. “Sei… sei un vero amico. Ti…”
“No, Capitano, non provarci neanche” lo fermò Tony impacciato. “Ti voglio bene fra uomini non si porta più dagli anni Quaranta.”
Steve scoppiò a ridere di cuore.
“Non volevo dire questo” lo corresse divertito. “Volevo dire: ti ringrazio per esser diventato un buon amico.”
“Oh” esclamò Tony fra le risate. “Certo. Be’” aggiunse, “ora sarà meglio andare, prima che Glanster conquisti il mondo senza di me.”
 

*

 
“Il Palazzo di Vetro dista una ventina di chilometri” affermò Bruce, scrutando pensieroso il cielo serale sopra di sé.
“Non vedo il problema” disse Tony noncurante. “Hulk li può fare in due minuti.”
“E Steve può venire con te” aggiunse Pepper serafica.
“E voi?” chiese Thor perplesso.
“Non preoccuparti, tesoro” lo blandì ironico Tony. “Noi prendiamo Agusta.”
Steve strabuzzò gli occhi, poi assunse un’espressione severa.
“Non mi sembra proprio il caso che tu vada in giro sgommando sulla tua moto a folle” lo rimproverò serio. “A parte che provocheresti un infarto a quel poco della popolazione in giro a quest’ora, potresti anche fare qualche incidente oppure…”
“Non preoccuparti, Capitano” lo tranquillizzò Tony divertito, prendendo le chiavi della moto e intascandole con disinvoltura. “Prenderemo strade poco conosciute.”
“Sì, ma Glanster potrebbe controllarci, soprattutto te” continuò Steve preoccupato. “E una moto non ti assicurerebbe l’incolumità…”
“Andrà tutto bene, Steve” lo tranquillizzò Pepper a sua volta. “La moto sarà abbastanza veloce e atletica per non farci prendere. Ha… diciamo, qualche marcia in più.”
Tony sorrise malizioso e Steve tirò un sospiro di esasperazione.
“Ci vediamo al Palazzo di Vetro tra… facciamo, cinque minuti?” disse rivolto a Bruce. “A dopo, omone verde.”
Bruce rise a sua volta, mentre Tony e Pepper raggiungevano l’esterno della torre, e poi si concentrò. Qualche istante dopo, al suo posto era apparso Hulk. Steve afferrò lo scudo e si aggrappò ad un grosso braccio muscoloso. Raggiunsero la base della torre e si lanciarono contro il palazzo opposto, osservando entrambi Tony e Pepper inforcare il sedile dell’Agusta. Stark prese il volante e mise in moto il tecnologico mezzo di trasporto. Quello rombò feroce e Steve poté osservare anche da quella distanza il sorriso compiaciuto sul volto del genio egocentrico.
“Pronta tesoro?”
Pepper sorrise a sua volta, roteando gli occhi al cielo, e si sistemò meglio sul sedile posteriore.
“Non riuscirò mai ad arginare del tutto il tuo egocentrismo” lo blandì scherzosa. Il sorriso di Stark si ampliò.
“Non mi ameresti tanto se non l’avessi.”
Afferrò il volante e la moto prese velocità, percorrendo la distanza fra la porta esterna della torre e il cornicione che dava sulla strada, a cento metri d’altezza. La luce opalescente della luna illuminava con delicatezza le stelle argentate sui lati della moto. Tony sollevò appena il manubrio un istante prima di scontrarsi con l’orlo e  il mezzo sorvolò il bordo del palazzo, muovendosi nell’aria fino ad atterrare sull’asfalto con un tonfo potente e sgommare sulla strada con ferocia. Steve sorrise suo malgrado.
“Hulk… spacca!”
L’Altro sorrise promettente e ruggì, seguendo la scia della moto.
 

*

 
Tony frenò all’ultimo secondo e la moto sterzò leggermente a lato prima di fermarsi del tutto. Pepper smontò con nonchalance e fece per prendere la strada verso l’entrata principale, quando il suo cellulare squillò. Lo estrasse dalla tasca del giubbino e osservò stupita il nome sul display.
“Pronto?” disse in tono professionale. “Agatha?”
“Virginia!”
La voce dall’altra parte della linea appariva come sempre aggraziata e gentile, ma c’era un’ombra di agitazione nelle sue parole e Pepper avvertì un peso invisibile riempirle lo stomaco.
“Agatha! Sono io, che succede? Sta bene?”
“Io sì” rispose lei serafica. “Ma il signor Stark è in pericolo. Il signor Glanster è venuto nel mio ufficio stamattina e ha aggredito la mia segretaria… voleva che le desse il prospetto del nostro accordo… per trovare il numero personale di Stark o il suo per potervi rintracciare…”
Pepper sbarrò gli occhi e fece segno a Tony di fermarsi. Lui la guardò stupito e attese.
“Agatha, lei sta bene?” chiese ansiosa. “Le hanno fatto del male, è stata aggredita?”
“No, no” si affrettò a rispondere l’altra. “Io non ero in ufficio, ma il prospetto è a casa mia e il signor Glanster lo sa… verrà a prenderlo… io potrei difenderlo, ma…”
“No!” la interruppe subito Pepper. “Agatha, non faccia niente di avventato. Stai nascosta e non si muova da lì… adesso ci pensiamo noi.”
Non attese nessuna risposta e attaccò il telefono, rivolgendosi a Tony con aria concitata.
“Agatha… la signora Clarke… Glanster vuole il prospetto con il nostro numero privato per rintracciarci…”
Tony annuì serio e si morse il labbro con aria pensierosa.
“Cosa c’è?” chiese subito Pepper.
“Niente, è che… non riesco a capire perché lei… ci saranno un milione di persone che hanno quel numero… Stephanie, Happy… perché lei?”
Pepper scosse la testa, senza parlare.
“Ci penseremo dopo” disse poi. “Dobbiamo fare qualcosa.”
Tony annuì, distratto.
“Manderemo Thor… lo avverto subito.”
Iniziò a trafficare con l’auricolare e Pepper lo sentì parlare con Thor e spiegargli la situazione, quando Hulk atterrò, con quanta più grazia avesse, a pochi metri da lei.
“Che succede?” incalzò Steve. Pepper scosse la testa.
“Glanster sta cercando di rintracciarci e vuole aggredire una nostra amica perché gli dia il modo di farlo” spiegò brevemente. “Abbiamo mandato Thor a prenderla.”
Hulk annuì, poi rivolse il suo sguardo verso il Palazzo.
“Non è ancora arrivato, quindi” concluse Steve.
“No” concordò Pepper. “Cercherà di prenderlo in un altro momento o forse…”
In quel momento qualcosa scoppiò. L’aria divenne improvvisamente tossica e Pepper e Steve crollarono al suolo, mentre Hulk si stendeva sopra di loro, coprendoli con il proprio corpo dalla pioggia di detriti pesanti e pericolosi. Quando si rialzò, erano tutti sporchi di polvere e fuliggine. Il primo piano del Palazzo aveva preso a fumare.
“Già qui?” bisbigliò Steve a occhi sbarrati e prese a correre per le scale, con gli altri al suo seguito. Raggiunsero il primo piano, dove divampavano le fiamme, e si mossero insieme verso il cubo al centro della stanza. Alle loro spalle, una parete crollò, separandoli; Pepper fece tre passi in avanti e, con le mani foderate, sfilò il Tesseract dal contenitore un istante prima che lo facesse l’uomo alle sue spalle.
“Dottore” disse fredda. “Non pensavo ci saremmo rivisti.”
Lui la guardò con gli occhi colmi di ira e risentimento. Sul suo viso trasfigurato, lampeggiavano i segni dei loro precedenti incontri.
“Mi hai tolto le parole di bocca” replicò lui glaciale, muovendosi verso di lei tra le fiamme violente. “Dammelo.”
Lei fece un passo indietro e strinse con maggior presa il cubo, facendolo scivolare nella borsa sulla sua spalla.
“Mai” ribatté ostinata.
“Non giochiamo più. Dammelo o stavolta nessun eroe viene a salvarti” disse Deception sempre più deciso e ormai l’aveva quasi raggiunta.
“Non mi sembra che al nostro ultimo incontro ce ne sia stato bisogno” ribadì lei beffarda. “Io non sono il galoppino di nessuno… a proposito, come mai Glanster ha mandato te? Delega le missioni meno importanti ai suoi servetti?” lo schernì sarcastica.
Lui sorrise, sinistro.
“Aveva un lavoro di finire” disse noncurante. “Dopo il padre e il figlio, perché non occuparsi anche della madre?”
Pepper sbarrò gli occhi e sentì il respiro affannato.
Glanster?
“Sai, lui e Gerald erano grandi amici, ma poi Gerald si è messo in testa che voleva essere una brava persona ed è stato un gioco da ragazzi far passare il tutto per un piccolo, innocuo incidente” riprese canzonatorio. “Far fuori il capo e il suo erede… così avrebbe ereditato tutto lui, in quanto socio… non avrebbe mai potuto immaginare che quell’idiota di Clarke nominasse successore la moglie… se poi si può unire l’utile al dilettevole riuscendo anche a localizzare te e il tuo fidanzatino, ben venga…”
Pepper soffiò, irata, e fece un altro passo indietro, ma Deception la spinse violentemente contro il muro e le portò una mano alla gola.
“Mi sei quasi costata la missione, lo sai?” le sputò sul viso pallido. “Tu e i tuoi maledetti occhi d’angelo…”
Strinse la mano con forza attorno al collo e strattonò la cintura della borsa. Il Tesseract scivolò e e Pepper sollevò il ginocchio, cercando di colpire il dottore. Quello la fermò per la gamba e afferrò il cubo con l’altra mano, intascandolo soddisfatto.
“Ora basta con i giochetti.”
Tony arrivò in quel momento. Colpì in pieno Deception e rotolarono entrambi sul pavimento ancora in fiamme. Deception gli lanciò uno sguardo iracondo, poi si voltò verso la vetrata e saltò sul veicolo che lo attendeva oltre il bordo.
“A presto, Stark” gli urlò prima di sparire fra le nuvole cariche di pioggia. Tony strinse gli occhi furioso. Era in arrivo una tempesta.
 

 















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Buongiorno a tutti e mille scuse. *-*
Lo so, avrei dovuto postare ieri, ma ho avuto molti impegni e ho rimandato verso il pomeriggio, solo che poi sono stata malissimo non so per quale motivo e non ho avuto la forza di farlo. T.T
Spero che l’ampiezza del capitolo ripaghi. Sono abbastanza insicura su questo aggiornamento: la paura più grande è quella di non riuscire a tenere i personaggi IC nonostante tutto e non conciliare mille esigenze insieme. Spero che tutto abbia un senso e non sia un’inutile assurdità senza senso. Ç.Ç
Credo ci sia che Tony se la sia presa per la storia della pistola e naturalmente è Bruce ad aver capito ogni cosa e penso che comunque la cosa abbia un senso risolta in questo modo. *unsure* La storia di Agatha verrà spiegata meglio in seguito e per quanto riguarda lo scontro al Palazzo di Vetro è una sorta di anticipo dello scontro finale. ^^ Davvero, ho il terrore che nulla abbia senso e sia tutto assurdo, banale e ridicolo; spero con tutto il cuore di sbagliarmi. Continuo a rileggerlo, ma è inutile: quindi posto e non se ne parli più. U_u 
Bene. Dopo questa crisi isterica – devono essere i postumi del malore di ieri sera che continuano a perseguitarmi – passiamo alla parte burocratica:
 
[1]: The Big Bang Theory è una sit-com statunitense con protagonisti quattro scienziati: il fisico sperimentale Leonard, il fisico teorico Sheldon, l’astrofisico Rajesh e l’ingegnere aereospaziale Howard;
[2]: il motivo per cui sia Pepper sia Deception hanno le mani foderate quando toccano il cubo è ispirato al film, dove si evidenzia che il Tesseract non può essere toccato a mani nude.
 
Come sempre, voglio ringraziare di cuore chi segue in silenzio e con recensioni che mi fanno saltare con un’ebete e, in particolar modo: Lou, Silvia, Maretta, Even, Ylenia, Missys e Alley. ♥ Grazie di cuore, prometto di recuperare pian piano tutte le recensioni. ♥
Un bacione enorme e alla prossima!
Mary.

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI – Agente speciale Peggy Carter ***


Capitolo XVI
Agente speciale Peggy Carter



Un tuono squarciò il silenzio glaciale che avvolgeva la città buia e la pioggia cominciò a cadere sottile e tediosa, picchiettando sull’asfalto scuro e sui vetri delle finestre. Steve camminava a passo veloce, agile e urgente fra i vicoli deserti di New York, reggendo lo scudo in una mano e saltando con facilità fra le macchine e i muri. Superò un altro ostacolo e raggiunse l’edificio che stava cercando. Un respiro agitato gli dischiuse le labbra fredde e pallide e sbatté le palpebre deciso. Il momento era giunto.
 

*

 
“Sei sicura di stare bene, Agatha?”
Agatha annuì per la decima volta, prendendo fra le mani bianche e rugose la tazza di thè bollente che Pepper le offriva.
“Sì, grazie Virginia” disse gentile. “Sei molto cara.”
Pepper scosse la testa imbarazzata e guardò più attentamente l’anziana signora. Lei e Tony avevano raggiunto Agatha e Thor alla torre dopo la distruzione del Palazzo di Vetro. Bruce e Steve, invece, avevano preso un’altra direzione.
“Sono contenta che Thor sia arrivato in tempo” disse Pepper sollevata. “Mi sono così agitata quando quel pazzo di Deception mi ha raccontato che Glanster aveva…”
Agatha scosse la testa, sorseggiando un po’ di thè caldo, e sorrise affabile, stringendo una mano attorno a quella più piccola e giovane di Pepper.
“Non preoccuparti, cara” le sussurrò con fare premuroso. “Conoscevo bene Damon sin da quand’era un adolescente e non ho mai apprezzato il suo carattere. Non ti dirò che sospettavo di lui, ma non sono rimasta tanto sorpresa da questa scoperta.”
Pepper scosse la testa, agitata.
“Agatha… com’è possibile?” chiese intristita. “Glanster ti ha portato via tuo marito e tuo figlio. Se mi succedesse qualcosa di simile, io credo impazzirei dal dolore… non riuscirei a sopravvivere senza…” lasciò cadere la frase in un bisbiglio solitario, improvvisamente preoccupata. La situazione complicata e rischiosa in cui si trovavano non era di certo qualcosa che la rasserenasse o le conciliasse il sonno e la sola idea che potesse davvero perdere la persona più importante della sua vita la distruggeva. Quel pensiero parve all’improvviso concretizzarsi nella sua mente e le attanagliò il respiro.
Agatha sembrò rendersi conto di quello che passava nella testa di Pepper e le prese la mano fra le sue, stringendola affettuosamente.
“Non devi preoccuparti, Virginia” le disse dolce. “So che può sembrare terribile… e lo è, cara. Quando persi Gerald e Jacob, mi sentii annientata… erano le mie ragioni di vita. Ma vedi quando raggiungi una certa età, ti rendi conto che le persone che hai amato non ti abbandonano mai. Ti sono sempre vicine e puoi sempre trovarle… dentro di te.”
Pepper sbatté le palpebre sulle iridi luccicanti e sorrise debolmente.
“Sai, Agatha” disse timida. “I miei genitori sono morti in un incidente quando ero ancora molto piccola. Ma avrei tanto voluto che mia madre ci fosse stata e che fosse stata come te.”
“Oh, cara!” esclamò Agatha divertita. “Sei davvero una perla… avrei tanto voluto che Jacob trovasse una ragazza come te. Sei la figlia che chiunque vorrebbe avere.”
“Pepper!”
La voce di Tony le distrasse entrambe. Pepper si asciugò gli occhi e alzò lo sguardo verso di lui.
“Dimmi” rispose con voce serafica.
“Thor ti sta cercando” disse Tony impacciato. Agatha lo fissava dalle iridi azzurre al di sopra delle lenti trasparenti con aria scrutatrice.
“Grazie” replicò lei. Sorrise un’ultima volta ad Agatha e uscì dalla stanza. Tony fece un cenno del capo, ancora un po’ a disagio, rivolto ad Agatha e lei annuì.
“Siediti, giovanotto” gli disse lei dopo qualche istante. Tony sbarrò gli occhi perplesso e fece come gli era stato detto. “Così tu sei il famoso signor Stark.”
Tony annuì, silenzioso. C’era qualcosa di estremamente curioso in quella vecchietta, qualcosa che lo affascinava e gli incuteva un briciolo di soggezione allo stesso tempo, cosa del tutto rara. Lui non era mai in soggezione.
“Ho sentito molto parlare di te” riprese Agatha, sorseggiando un altro po’ di thè. “Mio figlio era un tuo grande ammiratore. Anche Virginia parla spesso di te.”
Tony sembrò stupito.
“Strano” esclamò. “Di solito, lei non ama molto parlare di… insomma, di cose private.”
“Oh, infatti” concordò Agatha. “Non con le parole. Ma tu sei presente nei suoi occhi ogni istante della sua vita, accompagni ogni sua parola e ogni suo pensiero.”
Tony si sentì avvampare e annuì, impacciato.
“Ehm… capisco.”
Agatha sorrise, comprensiva.
“Sei davvero un bravo ragazzo, a quanto pare” continuò tranquilla, bagnando ancora le labbra nella bevanda calda. “Te la meriti.”
Tony sorrise con più naturalezza e scosse appena il capo.
“Io non credo.”
“Perché mai?” chiese scettica Agatha. “Sei un bravo ragazzo. Una persona buona, gentile, disposta ad aiutare gli altri e pronta a rischiare la vita per l’intero pianeta… perché mai non dovresti meritare una ragazza come Virginia?”
“Be’” iniziò Tony esitante. “Lei è… è perfetta” disse in un sospiro. “È responsabile, seria, intelligente, sempre ragionevole e capace di fare la cosa giusta in ogni situazione… io invece mi faccio prendere dagli impulsi, sono incosciente e troppe volte agisco d’istinto.”
“A te sembra perfetta” disse Agatha. “E forse lo è… ma se chiedi a qualcun altro, magari non lo pensa. Eppure lei crede che tu sia perfetto” aggiunse sicura di avere ragione. “Ha molta paura di perderti e immagino sia normale quando si è fidanzati con Iron Man, ma non credo che chiunque lo sarebbe. Solo la perfetta metà.”
Tony guardò Agatha stupito, colpito per qualche istante. Sbatté le palpebre e sorrise.
“Comincio a capire perché mi parla tanto di lei…”
Agatha sorrise a sua volta, affezionata.
“È tanto cara. Così dolce, gentile, preoccupata per le persone a cui tiene.”
“Sì” concordò Tony. “Nonostante tutto. Non ha avuto una vita facile…”
“Lo so” disse desolata Agatha. “Un po’ come te… non hai avuto una vita facile…”
Tony sollevò la fronte e sorrise divertito, suo malgrado.
“Come lo sa?” chiese interessato. Agatha strabuzzò gli occhi, simulando un’aria innocente.
“Cosa?” domandò fingendosi incuriosita. Tony scosse il capo, senza smettere di sorridere.
“Lasciamo perdere. Sarà meglio che raggiunga la Padella da Glanster.”
Fece per alzarsi, ma un attimo prima che fosse in piedi Agatha parlò ancora.
“Dagli un’altra possibilità” disse lei materna. “Io e Jacob eravamo molto uniti. Il rapporto che lega genitori e figli è uno dei più grandi capolavori della vita umana. Non negarti l’occasione di viverlo per rancore… nessuno può amare un figlio come un padre, credimi, lo so. Perdonare è il più grande gesto d’amore che puoi fare per lui.”
Tony osservò un’altra volta Agatha con lo sguardo perso e raggiunse la porta. Prima di varcarla, sorrise fra sé e sussurrò, certo che lei l’avrebbe sentito comunque.
“Grazie.”
 

*

 
“Ehy.”
Pepper quasi sobbalzò quando la voce di Tony la raggiunse dal corridoio.
“Ehy” disse in risposta e sorrise debolmente. Tony la guardava incantato, ma c’era un’ombra di pace totale e perfezione più completa a illuminargli le iridi splendenti. “Tutto bene?” gli chiese senza capire. Lui annuì e rimase ancora a fissarla, con la spalla contro lo stipite dalla porta, una gamba appena sollevata verso l’altra e le braccia incrociate.
“Sì” rispose infine e le andò incontro. Stringeva un piccolo oggetto argentato fra le mani e Pepper lo guardò apprensiva.
“Cos’è?” disse deglutendo. “No” aggiunse poi, quasi subito. “No, Tony.”
Lui roteò gli occhi al cielo, spazientito.
“Ascoltami” la fermò immediatamente. “È l’unico modo per impedirgli di strapparmi il reattore. Se tu prendi questa chiave…”
“No, Tony” lo interruppe di nuovo Pepper. “Se dovesse disgraziatamente prenderti, capirebbe subito che l’unico modo per togliertelo è di ucciderti prima e non credo si farebbe tanti scrupoli…”
“Non proprio” sorrise Tony compiaciuto. “Questo è quello che penserebbe lui, ma in realtà non c’è modo… certo, questo non lo fermerebbe dal farlo…”
“No” ripeté Pepper per l’ultima volta. “Non prenderò quell’aggeggio, se significa ucciderti.”
Tony le prese le mani e lasciò che la catenina con la chiave le cascasse al collo.
“Si tratta dell’unico oggetto che può sbloccare il reattore. Non devo averlo io, è troppo pericoloso.”
“Quando capirà il trucchetto, ti ucciderà” gli disse lei severa.
“Lo farebbe comunque!” esclamò lui, impaziente. “Ma non riuscirebbe comunque a tirarmi fuori il reattore e, anzi, lo bloccherebbe per sempre. È il modo migliore per stare al sicuro.”
“Non lo farò” riprese lei sicura. Tony la guardò, con più dolcezza.
“Questa” le disse serio, “è la chiave del mio cuore. Non potrei immaginare nessun altro a cui darla.”
Pepper serrò le labbra e scosse la testa.
“Mi hai promesso che non mi lascerai” mormorò appena.
“Ed è così” rispose lui convinto. “Mai. Te l’ho promesso e manterrò la promessa. Costi quel che costi.”
Pepper respirò profondamente e lo guardò negli occhi. Troppo agitata per il secondo cuore che ora teneva nel suo petto, non parlò, così annuì.
 

*

 
“Direttore, abbiamo localizzato il Tesseract.”
Nick sospirò sollevato e seguì l’agente Hill nella stanza attigua. Lei lo guidò con il suo passo deciso e professionale verso lo studio di Howard.
“Allora?” incalzò Nick appena entrato. “Trovato?”
Howard si sfilò un paio di auricolari e annuì, pensieroso.
“Sì” disse poi, senza distogliere lo sguardo dallo schermo. I suoi occhi, specchio fedele e preciso di quelli di Tony, erano adombrati da una nota di apprensione che a Nick non piacque per niente.
“Cosa?” domandò agitato. “È stato distrutto?”
Howard sembrò riprendersi da uno stato di trance momento e scosse il capo con energia.
“No, no. Non è neanche stato attivato. Ho mandato Steve a prenderlo con il dottore” rispose pacato Howard. Eppure quell’ombra di preoccupazione continuava a pervadere il suo sguardo.
“E allora cosa?” chiese ancora Nick, aggrottando appena le sopracciglia. Una sottile ruga di ansia gli increspò la fronte.
“Be’” esitò Howard. “Sono… sono un po’ preoccupato per Tony” confessò in un sospiro. “Glanster sta cercando di localizzarlo in tutti i modi e, senza il Pegasus, il suo cuore cesserebbe di funzionare all’istante. Si attiverebbe un arresto cardiaco e non riuscirebbe a resistere per più di un paio d’ore.”
Nick annuì a sua volta, finalmente al corrente del motivo di quella nota scura.
“Ho cercato di fare qualcosa” riprese Howard, con tono più leggero. “Ho azionato un meccanismo di protezione a distanza che impedisce a chiunque di prendere in mano il reattore senza essere colpiti da una pesante scossa elettrica che provoca una momentanea perdita dei sensi” illustrò serio. “Ma non durerà più di… facciamo, tre o quattro ore.”
Nick annuì di nuovo, arricciando le labbra.
“Dobbiamo prenderlo prima che lui prenda noi” disse infine. “Recuperare il Tesseract e sorprenderlo alla base, cercando di evitare la sua banda di galoppini” concluse sprezzante. “Tutti insieme.”
Howard annuì. Quell’ombra di apprensione continuava a oscurare i suoi occhi, minacciosa.
 

*

 
Steve era entrato. Si muoveva agile e veloce sui gradini di pietra dei corridoi stretti, attento ad agire con cautela e a non fare il minimo rumore. La sua mente lavorava frenetica, mentre saltava rapido sul pavimento vetusto; si chiese come diavolo gli fosse venuto in mente a Glanster di nascondersi in quel posto che, Steve ne era sicuro, Stark avrebbe trovato davvero ridicolo. Si fermò prima di una scala a chiocciola e appoggiò la schiena contro il muro, respirando affannosamente. Lanciò uno sguardo pensieroso fuori dalla finestra a vetri e sospirò: la pioggia fuori al palazzo continuava a cadere, ostinata e implacabile, picchiettando fastidiosa sulla lastra e le gocce salate scivolavano sulla superficie trasparente offuscando la vista di quello che c’era aldilà del vetro e i fulmini squarciavano il cielo notturno e buio con i loro lampi accecanti. Uno particolarmente luminoso irruppe e un tuono assordante rimbombò nella stanza, facendo tremare la finestra sottile. Steve trasalì, ma la presa sullo scudo rimase salda e ricominciò a salire le scale. Raggiunse la stanza più in alto – doveva essere in una delle torri – e si accostò dietro ad un pilastro, tenendo l’orecchio. Percepì un vago susseguirsi di bisbigli, poi la porta si aprì ancora e Deception entrò nella stanz, con un uomo al suo seguito.
“Avete trovato Stark?” chiese con aria esasperata e Steve sorrise. Solo Stark poteva essere capace di esasperare qualcuno in quel modo.
“Non ancora, signore” replicò l’altro a disagio. “Lo stanno cercando tutti… sembra essersi volatilizzato.”
“Non può essersi volatilizzato, Gott” replicò il dottore seccato. “Non è un genio, anche se lui lo pensa. È un essere umano e, per quanto possa essere forte con quella sua maledetta armatura, resta un individuo identico a tutti gli altri. Dovete trovarlo e prendergli il reattore, altrimenti il Tesseract non può essere azionato in nessun modo” spiegò e sembrò perdere la pazienza. L’uomo chiamato Gott arretrò di un passo.
“Sì, signore.”
Si girò e, senza dire altro, lasciò la stanza. Deception, rimasto solo, estrasse il Tesseract da una borsa e lo poggiò sulla superficie liscia di una mezza colonna al centro della stanza. Poi tirò fuori un aggeggio elettronico e vi armeggiò per qualche minuto; quando ebbe finito, il cubo era circondato da una sfera che sembrava ricoperta da una patina d’argento e aveva l’aria di essere tutt’altro che facilmente accessibile. Steve osservò il dottore squadrare il proprio lavoro con espressione soddisfatta, prima che lasciasse anche lui la camera. Appena si fu chiuso la porta alle spalle, Steve abbandonò il suo nascondiglio sicuro, sempre con lo scudo saldamente stretto nell’impugnatura della mano destra, e si avvicinò a quella mezza colonna per osservare più da vicino quella sfera apparentemente invalicabile. Scrutò di sottecchi il cubo con apprensione e tirò un lungo sospiro, indeciso sul da farsi. Iniziare a colpire furiosamente quella sfera non gli sembrava una grande idea; pur semitrasparente, sembrava comunque dotata di una certa consistenza, di un qualche potere etereo. Magari sarebbe stato inutile o, ancora peggio, pericoloso… forse il cubo sarebbe esploso e il mondo intero si sarebbe disintegrato all’istante, come in quello strano film di cui Stark parlava sempre, La storia senza fine o roba simile.
Stark.
Steve sospirò ancor più profondamente, mentre pensava che, dannazione, Stark sì che sarebbe stato maledettamente utile in una situazione come quella. Nonostante la sua testardaggine e le dimensioni sproporzionate del suo ego, Steve sapeva che Tony era uno dei migliori, se non il migliore in assoluto, nel suo campo. Riusciva sempre a inquadrare la situazione, gli erano sufficienti pochi istanti di osservazione attenta e acuta per comprendere il significato di un oggetto o il modo più adatto per utilizzarlo o combatterlo e Steve era certo che, di fronte a quella sfera glaciale, avrebbe roteato gli occhi al cielo con fare esasperatamente teatrale, prima di ingiuriarlo come vecchietto antitecnologico e attempato poco moderno. Poi avrebbe schioccato le dita, con il suo modo di fare veloce ed esperto, e avrebbe risolto l’enigma senza sbatter ciglio. O magari quella sfera era qualcosa di veramente pericoloso – insomma, non era di certo la prima volta che Glanster sfoggiasse la sua pazza e megalomane idea di distruggere l’intero pianeta – e allora Stark gli avrebbe pazientemente spiegato come stavano le cose, quali erano le azioni più prudenti da compiere e quale il modo più corretto in cui procedere. Aveva appena preso piena coscienza del fatto che stesse rimpiangendo la lontananza da Stark, con vero disgusto e rammarico per se stesso, quando l’oggetto dei suoi desideri si manifestò concreto, pimpante e irritante davanti a lui.
“Rogers!” esclamò vivacemente, allargando le braccia in segno di benvenuto, come se non si vedessero da anni invece che da poche ore. Steve sollevò un sopracciglio con aria perplessa, poi scosse il capo.
“Stark” sospirò paziente. “Che stai facendo?”
Tony sbatté le palpebre con aria fintamente innocente e sorrise sornione. Steve vide la valigetta spuntare dalla borsa nera che portava in spalla.
“Sono venuto per te” disse Tony smagliante. “Bruce mi ha detto che vi siete divisi, ma che tu, grandissimo idiota che non sei altro, avevi perso l’auricolare, così ho usato il mio localizzatore nuovo di zecca per ritracciare te e la tua stupida padella. Ho scoperto che eri in questo castello incantato e vecchio, proprio come te – vecchio, non incantato, naturalmente – e sono corso a salvarti. Immaginavo che non avresti resistito all’idea di catapultarti in questo magico luogo fatato… insomma, è antiquato perfino per mia nonna, quindi suppongo che a te calzi a pennello… ovviamente, se hai intenzione di calarti in espedienti sessuali data la tua recente, traumatica esperienza quali i giochi di ruolo, in cui magari tu impersoni una giovane fanciulla in difficoltà e io il tuo cavalier servente, ti puoi scordare la mia partecipazione. Anche perché Glanster funziona poco come Strega dell’Ovest, però” disse improvvisamente pensieroso, “questa potrebbe anche funzionare bene come sfera di cristallo.”
Steve tirò un lunghissimo sospiro e chiuse gli occhi, massaggiandosi le palpebre stanco, cercando di trattenere che un sorriso colpevole gli incurvasse le labbra, traditore.
“Stark” ripeté. “Sei l’essere più esasperante che abbia mai incontrato.”
Tony sorrise, entusiasta e compiaciuto.
“Grazie, Rogers” disse felice e Steve rise suo malgrado.
“Non sono venuto qui per fare alcun gioco di ruolo” riprese, una volta assunto di nuovo un contegno serio. “La nostra sera insieme, ho sentito Peggy parlare di un castello in questa strada e ho pensato che, dato che ormai anche Glanster sapeva che noi eravamo a conoscenza della sua base, ne avrebbe cercata un’altra ed eccoci qui” spiegò serafico. “Glanster non c’è, ma Deception è appena arrivato… sai, ha detto che non ti hanno trovato e…”
All’improvviso, si fermò. Sbarrò gli occhi e sembrò rendersi veramente conto solo in quel momento del fatto che Tony fosse lì.
“Stark!” urlò esasperato. “Ma tu che diavolo ci fai qui?!” gridò preoccupatissimo. “Non lo sai, che Glanster e tutti i suoi uomini ti stanno cercando? Se Deception ora entra e ti trova qui, stai pur certo che ti fa immobilizzare dai suoi galoppini e ti strappa quel coso dal petto… così poi lo usa per conquistare il mondo e poi ci fa a pezzi! Ma quanto puoi essere incosciente? Santo Cielo, ma è possibile che tu sia così fuori di testa e totalmente privo di buon senso? È possibile?” concluse al limite dell’apprensione e dall’agitazione.
Tony, che l’aveva guardato con espressione paziente per tutto il tempo, ora sorrideva pacato e stava poggiato con la schiena contro il muro, con un sorriso ebete e divertito a incurvargli le labbra scure.
“Hai finito?” chiese tranquillo appena Steve ebbe placato la sua ansia. “Bene, ora che ti sei liberato dei tuoi più profondi e repressi istinti animali, lascia che ti spieghi.”
Steve lo fulminò con lo sguardo e arricciò le labbra in un’espressione severa.
“Non sto scherzando, Stark” disse più pacato. “Non prendi sul serio la tua sicurezza.”
“La tua preoccupazione per me mi commuove, ma ci sono delle priorità, tesoro” Steve tirò un sospiro, esasperato. “E la salvezza del mondo viene prima. Senza contare che non sono tanto idiota da farmi prendere da un paio di galoppini senza cervello.”
Sorrise soddisfatto e cominciò a scrutare la sfera, con la fronte corrugata. Una mano andò a grattare il pizzetto con aria pensierosa.
“È una protezione di iridio e palladio” sentenziò dopo alcuni minuti di silenziosa e accurata osservazione. “Non può essere distrutta tanto facilmente… è stato aggiunto anche un altro elemento per cui nessuno può toccarla senza perdere l’arto che vi immerge. Tuttavia, credo che la mano di Hulk non sentirebbe nulla se non un po’ di solletico” concluse soddisfatto. “Fatto sta che dobbiamo fare venire qui i nostri amici” riprese pratico. Portò l’auricolare all’orecchio e parlò. Steve lo osservò parlare con Virginia, poi lo interruppe.
“Dove sono?”
“Alla torre” rispose Tony pronto. “Arriveranno presto. Una volta che Hulk avrà preso il Tesseract, sarà un giochetto da ragazzi giocare a nascondino in questo bel castello e fare tana al nostro amico folle.”
Steve annuì, pensieroso.
“Non essere impulsivo” lo ammonì severo. “Potrebbe comunque essere pericoloso. Non ce la siamo proprio cavata alla grande nei precedenti incontri…”
“Quisquilie” minimizzò Tony noncurante. “Non eravamo preparati a sufficienza. Ora conosciamo Glanster, sappiamo come gioca e cosa gioca e siamo avvantaggiati dall’effetto sorpresa, dato che lui non sa che siamo qui. Andrà tutto bene.”
Steve annuì ancora, appena più rincuorato. Si sollevò dal pavimento e riprese lo scudo appena in tempo, un istante prima che la pallottola si schiantasse contro di lui.
L’effetto sorpresa era sfumato.
 

*

 
“Bruce, dove stai andando?”
Il dottore guardò stupito Pepper raggiungerlo in macchina.
“Al castello. Me l’hai detto tu, Tony e Steve ci stanno aspettando. Natasha, Clint e Phil stanno arrivando su un jet e Thor è praticamente già lì. Tu, piuttosto” aggiunse severo, “che ci fai qui?”
Lei sollevò le sopracciglia, perplessa.
“Non penserai che me ne starò a casa, a fare la vedova bianca, mentre lui rischia di farsi ammazzare?” domandò agitata. “Vengo anch’io.”
“No” rispose subito Bruce. “Non se ne parla. Tony mi uccide e poi non può combattere se è preoccupato per te.”
“Non sono un’idiota incapace. Per chi mi hai preso? Io so cavarmela” proruppe lei ostinata. “Bruce” aggiunse poi in un sussurro disperato. “Ti prego.”
Bruce sospirò, indeciso.
“Va bene” l’accontentò infine. “Ma le condizioni sono dure: non vai a cercare guai, cerchi di non attirare l’attenzione del dottor Jekyll e, se Tony te lo chiede, io non ne so niente. Chiaro?”
Pepper rise divertita.
“Parti.”
 

*

 
“Non doveva esserci l’effetto sorpresa?”
Tony roteò gli occhi al cielo, esasperato.
“Dacci un taglio, soubrette da strapazzo. Non è colpa mia se la tua stupida tutina luccicante ci ha fatti beccare” urlò, colpendo un altro degli amichetti di Glanster. “Ma quanti ce ne sono?” domandò poi, scorgendo un gruppo di uomini in arrivo, dall’aria minacciosa e poco amichevole. “Ha contattato un’agenzia? Cosa c’è, un numero verde? L’800 del Crimine? O un ufficio collocamento malviventi?”
Steve aprì la bocca, per rimproverare Tony e fargli notare che la sua proverbiale e costantemente all’erta simpatia era, tanto per cambiare, del tutto fuori luogo, ma l’aria esplose tutt’intorno ed entrambi furono scaraventati all’indietro, mentre Deception li squadrava vittorioso. Alzò un braccio e puntò la pistola verso Steve. Il Capitano sollevò le mani per afferrare lo scudo, ma quello era finito a dieci metri di distanza e Stark stava lottando con altri cinque uomini che non gli permettevano di raggiungerlo. Fuori dalla stanza, il grande orologio scoccò la mezzanotte, rimbombando furiosamente tra le pareti vuote della sala. Steve soffiò profondamente e chiuse gli occhi e sentì tutto: il rumore assordante dello sparo, lo sferzare nell’aria del proiettile, il respiro mozzato di Tony e poi… più nulla. Aprì gli occhi in un istante infinito e vide quello che era successo.
 

*

 
“Howard!”
La voce di Nick risuonò per lo studio e Howard trasalì violentemente. Un peso familiare e opprimente gli invase il petto e un sussurro smorzato gli dischiuse le labbra.
“Tony.”
 

*

 
Steve si alzò di scatto e prese il corpo sanguinante fra le braccia. Tony fu subito accanto a lui e il Capitano avvertì la sua stretta su una spalla. Attraverso le iridi grondanti di lacrime, poteva vedere il viso di nuovo brillante di Peggy.
“Stai tranquilla” le disse tremante e anche le sue braccia su di lei fremevano in modo insopportabile. “Andrà tutto bene, stai tranquilla. Andrà tutto bene.”
Peggy scosse la testa, le lacrime scorrevano sulle sue guance pallide e rosee fino alle labbra che sorridevano debolmente.
“No” disse soltanto. “Ma non importa, Steve. Va bene così.”
Steve scosse la testa, agitato. Non sapeva perché – lei gli aveva mentito, l’aveva ingannato, l’aveva condotto ad errori su errori, l’aveva ferito come mai nessun altro, l’aveva lacerato – ma era importante. Com’era possibile? Era come se tutto quello che avevano vissuto negli ultimi tempi gli avesse fatto capire che non potevano riprendersi la vita e l’amore che quei settant’anni gli avevano portato via. Tutto quell’amore sembrava essersi sciolto nei ghiacci con le lacrime di Peggy al telefono e i loro tentativi di ricostruirlo era parsi tristi e malinconici.
Ma allora perché? Steve si sentiva perso, sentiva tutto abbandonarlo e nulla riusciva a provare se non dispiacere e un dolce, infinito affetto. Vide gli occhi di Peggy incrinarsi e sentì la stretta di Tony alla sua spalla farsi più salda e la voce dell’amico risuonargli nella testa.
È perché, qualsiasi cosa faccia, qualsiasi errore commetta, qualsiasi cazzata possa fare o anche solo pensare, lei mi ama.
Sì, Peggy era importante. Lo era sempre stata e lo era ancora. Non riusciva a capirlo, non riusciva a capacitarsene, quasi non riusciva neanche ad accettarlo, dopo tanti anni a credere altro, ma l’aveva amata profondamente, era stata la prima persona che aveva amato davvero e, anche se tutto quello gli aveva insegnato che quell’amore era finito, sapeva che lei sarebbe stata una parte fondamentale della sua esistenza tutta la vita. Ancora, sempre e comunque.
Le afferrò una mano piccola e fredda e la strinse a sé, dandole coraggio.
“No” ribatté deciso. “Non dire così… sono stupidaggini… andrà tutto bene… andrà tutto bene, te lo prometto…”
Peggy sorrideva e piangeva allo stesso tempo. Gli sfiorò una guancia con la punta delle dita e Steve sentì quel freddo penetrargli sotto la pelle, nel sangue, nel cuore.
“Ti amo” gli sussurrò sfinita. “Più di ogni altra cosa al mondo. Non avrei potuto immaginare nessun altro motivo valido per andarmene… e mi dispiace. Non volevo mentirti, non volevo usarti… ma devi saperlo” gli afferrò una mano con forza e lo guardò con dolcezza, “io non ho giocato con te. Sì, all’inizio ero d’accordo con loro… ma poi ho capito e volevo dirti la verità, Glanster non me l’ha permesso! Se l’avessi fatto, ti avrebbe ucciso… mi dispiace, io ti amo…davvero.”
Steve le strinse di più la mano e ormai era ghiaccio.
“Peggy” le sussurrò e la baciò con dolcezza. “Mi dispiace.”
Peggy sorrise un’ultima volta e ricambiò il bacio. Un battito di ciglia, veloce e leggero come quello delle ali di una farfalla, e i suoi occhi si immobilizzarono; il viso grondante di Steve continuava a irrigare il volto perfetto dinanzi a sé, bagnandolo di quelle lacrime che non poteva più versare. 























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Buonasera a tutti e mille scuse. ♥
So che dopo quello che ho combinato dovrei solo chiudermi in una stanza per la vergogna e non mostrare più la mia brutta faccia in pubblico, ma, a mia discolpa, posso solo dire che non è stata colpa mia, ma del corso sventurato degli eventi che ha deciso di accanirsi violentemente contro di me, punendomi per qualche cosa che non so bene cosa sia, ma, considerando tutto quello che mi è successo oggi - compreso il coinvolgimento ad una rissa per cui la mia mano subirà le conseguenze per parecchio tempo - deve essere una cosa brutta. 
Ma bando alle ciance e scusatemi scusatemi scusatemi. Vi consento di fragellarmi virtualmente, se lo reputate necessario. T.T
In cambio, io recupero la mia pennetta e vi spedisco un capitoletto bello pieno e potente, con tanti eventi e tante informazioni. 
Abbiamo scoperto la storia di Agatha: suo padre e suo figlio sono stati assassinati da Glanster, che era un collega del primo e amico della loro famiglia. Vile traditore. A proposito di Tony, invece, abbiamo visto un piccolo sprazzo Pepperony, come sempre, un po' più tragico. Spero ardentemente che non sia squallido e banale e OOC. Ultimamente sono in crisi folle. Ho voluto dedicare un'ampia parte al suo rapporto con Steve, introducendoci parecchi momenti sia esilaranti sia più profondi; a questo proposito, il picco della tragica introspezione su entrambi avrà luogo nell'incipit del prossimo capitolo. ;)
Dite la verità, vi ho fregati sul finale. ASD. Ditemi chi di voi non pensava che la vittima fosse Tony. XD. Vi ho fregati! Ebbene sì, la nostra cara Peggy ha lasciato il sipario nel modo più tragico possibile, ma quello che preferiva. Non per citare frasi tratte da famosi libri, ma io credo che morire per qualcuno che si ama sia un modo buono per morire. ^^
Spero come sempre che Lou ami questo pezzo e lo trovi degno del suo amore per questi due personaggi. 

Purtroppo non ho ancora risposto alle recensioni, ma domani mi rifiuto di uscire di casa, troppo distrutta da una serie di sventure che non la smettono di abbattersi su di me, e tenterò di recuperare. Grazie come sempre alle splendide Even, Alley, Maretta, Missys, Silvia e Ylenia. Grazie di cuore, davvero. 

Sono così cotta che quasi mi dimenticavo: 

[1]: Agente speciale Sue Thomas è una serie televisiva con protagonista, ovviamente, Sue Thomas; 
[2]: l'idea della chiave del reattore e di annessi e connessi sono tutte cose di mia invenzione, prive di qualsiasi base tecnica o scientifica; 
[3]: il film/libro a cui allude Steve è La storia infinita, un romanzo di genere fantastico dello scrittore Michael Ende, pubblicato nel 1979, a cui sono ispirate le omonime pellicole; 
[4]: la Strega dell'Ovest a cui allude Tony è un personaggio de Il Mago di Oz, collana di romanzi del grandissimo Frank Baum a cui è ispirato l'omonimo film del 1939 con la splendida sedicenne Judy Garland e lo straordinario Ray Bolger. Steve lo cita nel film, quindi ho pensato che potesse cogliere il riferimento.


Dato che il ritardo è stato per colpa mia, posterò il prossimo capitolo tra il 26 e il 28, senza aspettare il giorno di Pasqua. :) Sono troppo fusa per rileggere, quindi mi limito a scusarmi in anticipo per eventuali sviste. Vado a cadere in coma fino a domani. 
Un bacione a tutti e a presto! 

Mary. 

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII – Power Avengers ***


Capitolo XVII
Power Avengers
 

 

“Steve…”
La voce di Tony giunse come da chilometri e chilometri di lontananza. Steve sussultò, ma non si mosse; strinse la presa sul corpo freddo e immobile di Peggy e continuò a scrutare le sue iridi vitree specchiare il soffitto del castello che ormai non poteva più vedere.
“No” rispose in un sussurro. “Devo restare qui…”
Tony sospirò profondamente, poi strinse i denti. Afferrò Rogers per le braccia e lo sollevò con forza, rimettendolo in piedi; Peggy cadde sul pavimento con un tonfo, come una bambola scivolata dalle braccia della sua bambina preferita.
“Non puoi” gli disse e lo guardò con ardore negli occhi ostinati. “Non avrebbe senso.”
Steve non lo ascoltò. Chinò il capo verso il basso e il suo sguardo riprese a contemplare addolorato la visione del suo amore perduto.
“Io…”
No, Steve” ricominciò Tony testardo. “Tu niente. Vuoi rimanere? Ti sembra davvero l’idea giusta? Ascolta, non rimarrò qui a fare il migliore amico saggio del protagonista sfigato in un telefilm americano scadente e pieno di stacchi pubblicitari. Non ti dirò che devi andare avanti perché lei l’avrebbe voluto o che non puoi smettere di credere nell’amore solo perché una volta ti è andata male… non sono di certo la persona più adatta a parlare di sentimento e lei, be’, non la conoscevo e non so cosa volesse, ma penso di conoscere te. E tu, cosa vuoi? Vuoi davvero sprecare la tua vita? Vuoi abbandonare noi, tutti noi – me, Bruce, Thor, Howard, il mondo intero – per rimanere a guardia di un cadavere? Non è Peggy, so che è tremendo, ma è così. Lei non c’è più, ma tu non puoi smettere di vivere e cadere nella sofferenza, non di nuovo… l’hai amata e lei ha amato te fino alla fine. Hai sofferto per lei e questo quasi ti ha distrutto… so che è crudele, ma non permettere che accada ancora. Non permettere a niente di decidere della vita” concluse sfinito.
Steve lo guardò e poi guardò di nuovo Peggy. Com’era possibile? Davvero tutto finiva così? Non c’era altro finale per lui? Dopo la piena consapevolezza di aver perso quello che aveva creduto l’unico grande amore della sua vita, ora si sentiva più perso e solo che mai. La mano di Tony lo afferrò con una decisione e un ardore che mai gli avrebbe attribuito.
“Steve…”
“Io la amavo davvero” sussurrò lui. “Ma non come prima. Virginia me l’aveva detto, sai… alla festa di Glanster; e io non le ho dato retta. Ho creduto di poter ricadere e riprendere questa storia, ma la verità è che siamo stati due stupidi convinti di poterci riappropriare di un passato sepolto sotto i ghiacci. Eppure…” tremò, incontrollabile, “anche lei mi amava ancora ed è morta per me.”
“Ha fatto una scelta, Steve” rispose con dolcezza Tony. “Ha scelto di sbagliare e poi di pagare per il suo sbaglio.”
“Non doveva succedere.”
“Si è sentita distrutta quanto te e ha scelto di liberarvi entrambi dal peso di un passato che nessuno dei due poteva più reggere.”
Steve sospirò profondamente e sentì di nuovo gli occhi inumidirsi di lacrime di rabbia.
“Non doveva morire” bisbigliò affranto. “Non è giusto.”
Tony abbassò appena il capo, desolato.
“Non è mai giusto” sussurrò triste. “Non lo è stato mai, in nessun momento di dolore. Tu pensi che sia giusto che ci siano le guerre in Iran o in Libia? Che sia giusto che esistano le catastrofi naturali, i terremoti, gli incendi? Credi sia giusto che Agatha abbia visto morire suo figlio, che Barton sia cresciuto da solo, che Bruce non abbia mai avuto nessuno che l’aiutasse, nella vita, a capire cosa fosse giusto o sbagliato? Credi sia giusto” tremò appena, ma non si fermò, “che quell’incidente ci sia stato, solo perché tanto Howard si è salvato?” bisbigliò e quasi sembrava un bambino, solitario e con lo sguardo malinconico pieno di rassegnazione. “C’erano tante persone che dovevano tornare a casa quel giorno… Maria non l’ha fatto.” Si fermò per un istante, poi riprese, serio, convinto, deciso, forte. “Le persone muoiono, Steve. Ogni giorno. Per malattia, vecchiaia, incidenti, omicidi. E tu, pensi che sia sempre giusto? Cosa vorresti fare? Non puoi cambiare questo solo perché il siero permette a te di stare tranquillo” disse con una risatina isterica. “Succederà sempre e tu non puoi farci niente. Hai perso qualcuno che amavi… ma tu pensi che, solo perché dici che non è giusto, lei tornerà in vita? Perdiamo sempre le persone che amiamo, Capitano, e non per questo dobbiamo smettere di vivere la nostra vita. Ne abbiamo una davanti e noi abbiamo il dovere di continuare a trascorrerla nel miglior modo possibile e non perché loro non l’avrebbero voluto o che, o almeno, non solo, ma dobbiamo farlo soprattutto per noi e per tutti quelli che continuano a starci vicino e che meritano qualcuno di vivo accanto a sé… anche se abbiamo paura” disse in un sussurro. “È normale avere paura. Pensi che gli eroi non abbiano mai paura? Certo che ce l’hanno, tantissima... ma combattono ugualmente perché sanno che il coraggio è necessario per vincere e non per loro, ma per le persone che credevano in loro, anche se qualche volta occorre perdere le persone che amiamo per farlo. C’è una missione nella tua vita, adesso. Vuoi abbandonarla e lasciarti morire sul cadavere di un morto? O la vuoi vincere? Ma se lo fai, non farlo per vendetta. Lei ha combattuto per questo; non commettere il suo stesso sbaglio. Devi farlo per i motivi giusti, perché là fuori c’è qualcuno che conta su di te, che sa che tu lo difenderai, che spera ci sarà un Capitan America a proteggerlo… e devi farlo con la consapevolezza che rischi ancora qualcosa. Le persone che ami ci sono dentro e possiamo perdere ancora, ma non per questo bisogna arrendersi… non trascorrere la tua vita a rimpiangere un errore di cui non hai colpa o a limitarti a sopravvivere per paura di perdere qualcun altro… vivi e fallo per te e per tutti quelli che in te credono ancora.”
Steve alzò lo sguardo e si specchiò in quello di Tony. Avvertì un groppo alla gola e, improvvisamente, tutto sembrò più facile ed ebbe la piena consapevolezza di stare bene perché, ovunque stesse andando, sapeva che non ci stava andando da solo. Abbassò lo sguardo su Peggy e la ammirò per l’ultima volta; poi si alzò. 
“Grazie.”
 

*

 
“Bene, bene… sono ancora nella torre?”
“Sì” rispose Frank macchinoso. “Lasciami…”
“No” rispose Damon in un tono secco. “Hai già commesso troppi errori e Stark non può continuare a scapparci ancora. Me ne occuperò personalmente.”
Frank digrignò i denti e li scoprì in una smorfia di rabbia.
“I miei errori sono frutto dei tuoi calcoli errati” gli sputò in faccia. “Non avevi detto che la ragazza di Stark non ci avrebbe causato nessun problema?
Damon sollevò le sopracciglia in un’espressione di finto stupore e una sottile ruga d’impazienza gli incrinò la fronte perfettamente liscia. Si alzò dalla sedia su cui stava e si avvicinò lentamente al suo complice più fidato. Tra le dita della mano destra, giocherellava con un oggetto metallico e vagamente luminoso.
“I segni dei tuoi errori ti si sono stampati in faccia” gli sussurrò mellifluo. Frank serrò di nuovo la mascella e fece per andarsene; appena si fu voltato, uno sparo assordante risuonò nella stanza buia e il dottore si accasciò al suolo, con la schiena grondante di sangue. La pallottola conficcata fra le scapole aveva lasciato un segno evidente sulla pelle e ora bagnava di rosso la maglia e il tappeto. Frank emise un respiro roco e portò le mani sulla schiena, osservando con occhi sgranati le dita sporche del suo sangue.
“Cosa…?”
Damon scosse la testa, fingendosi rammaricato. Soffiò distrattamente la canna della pistola e quella cessò di fumare, poi si chinò sull’amico e gli diede una pacca sulle spalle imbrattate di rosso. Frank lo fissava con un’espressione incredula a contorcergli i tratti quasi immobili del viso completamente pallido.
“Amico” gli disse carezzevole. “Non te l’ho mai detto? Io sono il capo. E tu… be’, i tuoi servigi non sono più richiesti, dottore.”
Si sollevò dal pavimento e infilò la pistola nella tasca dei pantaloni, raggiungendo la porta con agilità, prima di colpire il fianco dell’amico con il piede.
“Porta i miei omaggi a Lydia” sussurrò infine e la porta si chiuse alle sue spalle con un tonfo pesante. Frank spirò.
 

*

 
“Allora, qual è il piano?”
“Troviamo Bruce e lo portiamo alla torre. Poi troviamo Glanster e lo facciamo a pezzi.”
“No, no. Questo è un proposito. Io intendo un piano, un vero piano.”
“Oh…”
“Non hai un piano?!”
“Tu sei il genio stratega, non io! I piani oggi non si usano più. Sono passati di moda da quando andavi in giro a prendere a cazzotti Hitler in calzamaglia.”
“Smettila di dire assurdità e ragiona.”
Tony sbuffò sonoramente e si fermò d’un tratto. Steve, che gli correva dietro lungo le scale a chiocciola, si fermò tre gradini sotto di lui.
“Che succede?” gli chiese, sveglio e all’erta. Tony assottigliò lo sguardo, pensieroso.
“Sta arrivando” bisbigliò in tono misterioso.
“Chi?” esclamò Steve preoccupato.
“Un’idea!”
Steve tirò un lungo sospiro e si costrinse a rimanere calmo.
“Stark” esordì esasperato. “Giuro che se tu non fossi fatto di metallo…”
“Vuoi vedere se lo sono dappertutto, tesoro?”
Stark!”
“E va bene, ho capito. Non è il momento. Ma è proprio questa la forza di qualcosa: è sempre pronta, anche nei momenti più inaspettati.”
“Stark, sul serio…”
“Okay, okay.”
Tony sorrise affabile ed estrasse dalla borsa che portava a tracolla degli aggeggi metallici dalla forma allungata. Steve lo osservò armeggiare con quella specie di fili ancora per un po’, poi lo interruppe.
“Santo Cielo, si può sapere cosa stai facendo?”
“Sto cercando di scoprire dove si trova Glanster” rispose Tony con ovvietà e collegò i fili ad un piccolo schermo. Un segnale rosso vibrò sulla superficie. “Ultimo piano, seconda torre” esclamò vittorioso, prima di intascare l’attrezzatura e riprendere la sua corsa folle sulle scale. Steve riprese a sua volta a ricorrergli dietro.
“Dove vai? Non dovevamo trovare Bruce?”
“No, prima dobbiamo trovare Deception e prendergli l’impronta digitale per penetrare la sfera, nel caso Hulk non ci riesca. Potrebbe essere la sola soluzione. E dobbiamo assolutamente evitare Glanster.”
Si avvicinò di soppiatto a due omoni grossi e robusti e fece segno di tacere a Steve. Poi entrambi li aggredirono alle spalle e li stesero. Tony prese subito ad indossare il completo di jeans scuri e maglietta nera che portava uno dei due.
“Che fai?” gli chiese Steve perplesso.
“Mi mimetizzo.”
“E per quale diavolo di motivo?”
“Per lo stesso per cui abbiamo aggredito questi due individui, Rogers.”
“E cioè?”
“Fa parte del piano!”
“Ma tu non avevi un piano!”
“Be’, ora ce l’ho!”
Steve sbuffò ancora, sempre più spazientito.
“Dio, Stark, sei insopportabile.”
Tony sorrise, allegramente.
“Detto da te, è sempre un onore.”
 

*

 
“Bruce!”
Pepper sbatté le palpebre e osservò cauta lo spazio attorno a sé, prima di richiamare indietro il dottore.
“Li hai trovati?”
Pepper scosse il capo, tristemente.
“No, non ancora.”
Pepper sbuffò, spazientita.
“Com’è possibile? Insomma, è un castello, non un labirinto.”
Bruce annuì e tornò a fissare con aria assente il collegamento al WBB che teneva fra le mani. Uno squillo improvviso li fece trasalire entrambi.
“Trovato.”
Pepper sospirò.
 

*

 
Nick era agitato. La Romanoff e Coulson erano spariti sul jet pilotato da Barton più di un’ora prima e lui ancora non aveva ricevuto nessuna notizia. 
Nell'ufficio accanto al suo, Howard lavorava incessantemente da quasi quattro ore. 
Fury continuava a camminare avanti e indietro nell’ufficio dalle pareti bianche, deserto, con le mani nelle tasche del cappotto di pelle e la fronte corrugata in un’espressione di ansia. 
Maria bussò timorosa alla porta prima di entrare.
“Direttore?” sussurrò titubante. Nick alzò di scatto il volto verso di lei.
“Sì?”
“C’è una chiamata per lei. È il Consiglio.”
Bene, pensò lui con amarezza. Piove sul bagnato.

 

*

 
Tony fu il primo ad avvicinarsi al grande portone scuro. Fece segno a Steve di rimanere alle sue spalle e si sporse appena verso l’unico spiraglio che dava sulla grande sala malamente illuminata. Si accertò che fosse deserta, poi annuì a Steve e varcò la soglia; si fermò davanti alla scrivania polverosa a qualche metro da lui, scrutando pensieroso gli angoli e le ampie finestre che mostravano la notte ancora giovane e fresca fuori dalla stanza. Infine, abbassò lo sguardo e vide ai piedi del mobile ingiallito, steso e privo di vita, Deception.
“Cosa?” gli chiese Steve, notando il suo cipiglio riflessivo e stranamente serio.
Tony scosse la testa appena, sospirando pensieroso.
“C’è troppa calma” bisbigliò agitato. “È troppo facile…”
Steve aggrottò le sopracciglia, senza capire.
“Di che parli?”
Tony sembrò improvvisamente agitato e si voltò di scatto. Steve gli afferrò un braccio e stava per chiedergli cosa diavolo gli prendesse, quando qualcuno entrò nella stanza.
Tre porte laterali si spalancarono tutte nello stesso istante e una trentina di uomini robotici entrarono nella stanza, puntando minacciosi le armi cariche verso di loro. Entrambi scattarono pronti, spalle contro spalle, braccia sollevate ed espressioni concentrate. Steve alzò lo scudo e assottigliò lo sguardo, scrutando la selva che li circondava. Una risata glaciale risuonò tra le file perfettamente schierate un attimo prima che il suo proprietario mostrasse la sua faccia.
“Glanster” sibilò Steve. Vedeva nel suo sguardo la stessa disgustosa gioia di sempre, accompagnata da qualcos’altro: determinazione, soddisfazione, eccitazione, tutto ciò che segue e precede un delitto.
“Capitano, vederla è sempre un piacere” replicò lui ironico. “Stark, non sai il piacere, invece, di vedere te.”
Tony si rilassò appena, sollevando la fronte in un’espressione scettica.
“Immagino” ribadì gelido. La sua mano si strinse attorno al manico della valigetta nella borsa che ancora portava a tracolla e quando sentì il familiare metallo freddo a contatto con la pelle si rilassò.
“Ah, ah Stark” disse Glanster camminandogli incontro. Due uomini alle sue spalle caricarono i fucili e Damon sorrise infantile. “Questa la prendo io” continuò soddisfatto, afferrando il manico della borsa dalla spalla di Tony. Lui tirò un sospiro rassegnato e serrò la mascella, incapace di trattenere un piccolo sentore di panico invaderlo da capo a piedi.
Soli, accerchiati e disarmati – perché la padella non valeva niente – contro una trentina di pazzi robot che gli puntavano pistole e fucili addosso. Splendido, pensò Tony con amarezza. Era finita.
“Bene” riprese Damon entusiasta. “Adesso che abbiamo messo via questa cosa, possiamo procedere.”
Le sue labbra si incurvarono in un sorriso etereo e quel folle sadismo gli irruppe in volto, contorcendogli i tratti in un’espressione di violenta bramosia. Tony non si mosse; sentì Steve fremere di fianco a lui, ma non fece un gesto e lasciò che la mano di Glanster gli scivolasse sul petto e si stringesse attorno al reattore, premendolo per farlo uscire. La luce azzurra brillò con più forza, come sempre prima di spegnersi, ma il cuore non si mosse e Glanster tremò dalla rabbia. Serrò i denti e strinse con maggior forza le dita attorno al reattore, premendo con decisione, quasi violenza per farlo uscire, ma quello non si schiodò e Tony si ritrovò a sorridere compiaciuto.
“Che diavolo hai fatto?” esplose infine Damon, lasciando andare il reattore, ormai sconfitto. “Stark!” prese una pistola e portò la canna sotto il mento di Tony, facendo scattare il caricatore, pronto al colpo. “Rispondi.”
Sembrava completamente fuori di sé e Tony sentì il respiro farsi appena più veloce. 
“Cosa?” chiese simulando innocenza. “Non capisco di che parli.”
Sorrise impertinente e ignorò con decisione il sospiro di esasperazione che tirò Steve al suo fianco.
“Stark” sibilò Glanster impaziente, premendo con più forza la pistola sul suo collo. “Rispondi o giuro che non vedrai la luce del mattino.”
“Ne dubito fortemente.”
Irritato da quell’atteggiamento irriverente, Glanster spinse più a fondo la pistola sulla pelle di Tony e lui sentì il metallo freddo premergli con troppa decisione nella carne.
“Non farmelo fare” gli sussurrò minaccioso Damon.
L’ultima porta si aprì e una voce familiare risuonò nella stanza.
“Neanche tu.”
Tony e Steve sollevarono simultaneamente lo sguardo e videro Bruce, Thor, Phil, Natasha, Clint e Pepper puntare Glanster e gli uomini di Damon puntarono loro. Tony aggrottò appena le sopracciglia fissando Pepper e spostò di scatto lo sguardo su Bruce, lanciandogli un’occhiata scettica. Bruce rispose con un sospiro e una scrollata di spalle. Pepper sbuffò. Fu Coulson a parlare per primo.
“Glanster” disse severo. “Lascia andare la pistola e rinuncia ai tuoi folli piani. Arrenditi.”
Steve annuì convinto e Tony cercò di reprimere l’istinto di rivoltare gli occhi al cielo, esasperato. Era evidente che un paio di componenti della squadra ancora dovevano rendersi conto del periodo storico in cui si trovavano e che gli anni di Hitler e Nazisti erano passati da un pezzo e che certi modi di porsi suonavano solo patetici, ridicoli, imbarazzanti e anche piuttosto anacronistici. Infatti, come previsto, la reazione di Glanster fu una risata fredda e derisoria.
“Mi spiace deluderti” rispose gioviale, “ma non potrò assecondare i vostri voleri. A questo proposito” continuò e nel suo sguardo brillò un’espressione di gioia repressa, “credo di aver qualcosa in sospeso con il signor Stark. Infatti, stavamo appunto discutendo della sua morte prematura, se non si deciderà a consegnarmi il reattore.”
Tony sbatté le palpebre con fare fintamente innocente e sorrise soddisfatto. Pepper gli si avvicinò e lui intravide la catenina della chiave attorno al suo collo, coperta quasi del tutto dalla chioma ramata.
“Dunque?”
“No” rispose Tony serafico. “Credo che passerò, grazie. Ma potremmo prenderci un drink o uno shawarma…”
Glanster non attese più. Si avvicinò a Tony e gli serrò la mano attorno alla gola. Bruce sparò un colpo che sfrecciò nell’aria fra i due e Damon scattò all’indietro, iracondo.
“Non provocarmi, essere immondo” sibilò disgustato. “Ho già ucciso un dottore, non ho paura di farlo ancora.”
Bruce non mosse un muscolo e lasciò la mano vicino al grilletto, pronta a colpire ancora. Tony tirò un muto sospiro e si guardò intorno. Vide Pepper più vicina a sé e vide Steve un passo dietro di loro, poi Glanster che si allontanava a parlare con uno degli uomini nella schiera, l’unico umano.
“Cosa succede?” chiese senza giri di parole, ignorando deliberatamente la situazione per cui le armi della squadra dei Vendicatori al completo erano puntate su di lui e avrebbe sparato appena quelle dei suoi uomini robotici avrebbe cercato di colpire Tony, Steve e tutta la banda nel caso il primo avesse continuato a rifiutarsi di collaborare con lui.
“Dev’esserci una chiave” rispose con voce profonda l’uomo scuro e Tony impose al proprio di respiro di rimanere fermo.
“Una chiave?” ripeté Glanster perplesso. “Che tipo di chiave?” Era evidente dal suo tono di voce che non aveva la più pallida idea di cosa stessero parlando e Tony si prese quell’istante per sé gonfiandosi d’orgoglio.
“Sì, una chiave che apre il congegno e ne permette l’utilizzo” spiegò serio l’altro uomo, con aria professione, tranne che stava aiutando un pazzo criminale a realizzare il suo piano di conquista e distruzione del mondo e quello era tutto fuorché serio e professionale.
“Una chiave…” bisbigliò Glanster fra sé. “Dove può essere...”
Tony decise che era troppo tardi. Scattò subito, prima che qualcun altro avesse il tempo di pensare o capire quello che avrebbe fatto: afferrò la padella dalle mani del Capitano e la lanciò contro la schiera di uomini armati davanti a sé, facendoli cadere tutti come birilli. Nella caduta, i fucili spararono e il grosso lampadario in vetro si frantumò sul pavimento polveroso a pochi passi da Phil e Natasha, colpendo con mille frammenti tutti attorno a sé. Senza fermarsi neanche per un istante, Tony fece scivolare un braccio attorno alla vita di Pepper e si buttò all’indietro reggendola con forza; i vetri delle ampie finestre si sbriciolarono al loro passaggio, mentre cadevano nel vuoto e lei emise un grido soffocato. Sentì la mano di Pepper afferrare la sua in un gesto disperato ed entrambi rotolarono giù per una decina di metri, prima che lui riuscisse ad aggrapparsi con la mano che non reggeva lei per i fianchi ad un appiglio lungo la parete esterna del castello.
“Oh mio Dio.”
Pepper respirava forte contro di lui e le sue iridi azzurre fissavano sconvolte New York sotto di sé. Tony la imitò e aumentò la stretta alla sua vita.
“Stai tranquilla. Ho tutto sotto controllo.”
“Sicuro. Me n’ero accorta. Sai di non essere Iron Man senza armatura vero?”
“Io sono sempre Iron Man, tesoro.”
“Bene. Allora riformulo la domanda: sai che non puoi volare, senza armatura, vero?”
“Oh” disse Tony improvvisamente pensieroso. Il loro appiglio aveva preso a cigolare e lui già sentiva le vertigini. “Be’, non avevo proprio in programma un volo… insomma, quello che pensavo di fare era… più o meno…”
“Tony!”
“Sì? Dunque, era tipo…”
L’appiglio cedette. Con un tonfo crollò ai lati della pareti e loro con lui ripresero a vorticare sferzando l’aria gelida della notte matura per decine di metri, fino a raggiungere il suolo. Si accasciarono con un botto pesante sulla tenda di un negozio per poi scivolare e sdraiarsi sulla superficie metallizzata di una Maserati nera parcheggiata nei dintorni. Tony gettò il capo all’indietro e respirò l’aria gelida a piena polmoni, sentendo il respiro ugualmente affannato di Pepper al suo fianco. Si sollevò appena e cercò il suo sguardo.
“Stai bene?” le chiese ancora ansante. Lei annuì distrattamente.
“Sì… quindi quello che avevi in mente di fare era tipo…”
“… questo.”
“Santo Cielo!” La voce dell’amico di Glanster li raggiunse fino a lì. “Sono ancora vivi!”
“Che cosa?!” urlò Glanster incredulo.
“Com’è possibile?” strillò Barton altrettanto sorpreso.
Tony sbarrò gli occhi, sconvolto; continuava a fissare con espressione turbata la squadra correre verso di loro.
“State bene?” chiese Phil preoccupato. Tony scattò seduto sul cofano dell’auto, che riportava visibilmente le conseguenze dell’atterraggio dei due superstiti.
Pepper sussurrò un sì distratto, cercando di rimettersi in piedi.
“Dobbiamo sbrigarci” disse Clint agitato. “Glanster potrebbe attaccarci da un momento al-…”
Non finì di parlare. La torre nel castello esplose e una luce azzurra indicava la pronta accensione del Tesseract; gli mancava solo un elemento. Dai detriti, spuntarono decine di droni armati e piuttosto decisi. La squadra entrò in azione.
“L’armatura!” esclamò Tony affranto. “L’ho dimenticata di sopra!”
Coulson sorrise e gli lanciò una borsa che Tony afferrò al volo; la Marx VII fu subito addosso a lui e i primi sei droni furono sbalzati all’indietro dal raggio della mano. A fianco a lui, vide Steve ripescare lo scudo e iniziare a combattere contro altri individui disgustosi; Hulk ruggì feroce a pochi passi da loro. Con una sola bracciata stese un’intera schiera di droni fu rivoltata all’indietro, schiantandosi con un tonfo metallico.
“Dobbiamo isolare la zona!” esclamò Steve, continuando a colpire uomini a destra e manca.
“In che modo?”
“Stark, abbiamo bisogno di qualcuno che controlli l’area.”
“Ci siamo” disse Tony e puntò gli occhi verso il limitare dell’isolato da dove proveniva la sirena. Alcune auto militari frenarono a pochi passi da lui e vide Rhodey venirgli incontro.
“Capitano?”
Steve annuì, comprendendo al volo, e la squadra gli si schierò intorno.
“Agente Barton, tu agirai dall’alto per avere un raggio d’azione più ampio. Tony, il perimetro alto è tuo: qualunque cosa lo varca o si allontana anche solo di un metro, tu lo rimandi indietro o lo fai a pezzi. Colonello, abbiamo bisogno di perimetro parallelo a terra, con degli uomini che si schierino tra la Madison e la Sessantaquattresima. Io e l’agente Romanoff agiremo da qui. Coulson, tu e Virginia occupatevi del Tesseract e Hulk e Thor del resto.”
Hulk scoprì i denti in un sorrise promettente ed emise un ruggito di guerra andando incontro agli altri venti droni che stavano uscendo dal castello.
Sentì la risata sommessa di Clint e la voce di Rhodey in sottofondo dare ordini ai suoi uomini, disponendoli con il Capitano. Vide Phil e Pepper trafficare attorno alla mezza colonna su cui era posato il Tesseract e cinque droni puntare verso di loro; si gettò su quelli prima che li colpissero.
“Stark” disse Pepper scettica. “Non era questo l’ordine.”
Lui sorrise, compiaciuto.
“Dovresti saperlo meglio di chiunque altro: io non ascolto mai gli ordini.”
“Stark!” esclamò Steve piccato. “Non è proprio il momento.”
Tony non lo ascoltò. I suoi occhi calamitarono su Pepper e sull’anello che ancora le pendeva al collo. Si guardarono e sorrisero debolmente.
“Potrebbe non esserci più tanto tempo.”
“Non che volessi qualcosa di troppo tradizionale” cominciò Pepper con una risata isterica. “Ma certo, nel bel mezzo di una guerra…”
“È perfetto” disse Tony convinto. “Originale, unico e assolutamente Stark.”
“Un motivo in più per non farlo” replicò lei. La polvere le macchiava il viso, i capelli le cadevano rossi e vivaci sulle spalle, i jeans erano sporchi di nero e la maglietta oversize con l’immagine di Iron Man era strappata in più punti. Tony pensò che non era mai stata più bella di così.
“Capitano” disse all’auricolare. “Ci devi sposare.”
“Sono un tantino occupato al momento!” esclamò lui e Tony sentì la risata di Hulk ruggirgli nelle orecchie. Steve lanciò lo scudo in orizzontale e usò il pugno per stenderne un altro. Hulk saltò con agilità colpendo nemici dappertutto e lo raggiunse.
“Capitano!”
Steve si schiarì la voce.
“Non posso credere che tu mi stia facendo fare una cosa del genere, Stark" ribatté tra l'incredulo e il piaccato. "Quindi, siamo qui riuniti per celebrare il matrimonio di Anthony e Virginia.”
Clint lanciò un’altra freccia e il drone che stava per attaccare Thor alle spalle cadde con un tonfo sull’asfalto.
“Tu, Anthony, vuoi prendere Virginia come tua legittima sposa per amarla e onorarla e rispettarla in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà, promettendole di esserle fedele sempre finché morte non vi separi?”
Gli occhi di Tony calamitarono sulla figura raggiante sopra la torre e sospirò.
“Sì.”
Steve annuì con un sorriso sotto la fuliggine e riprese:
“E tu, Virginia, vuoi prendere Anthony come tuo legittimo sposo per amarlo e onorarlo e rispettarlo, in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà, promettendo di essergli fedele sempre finché morte non vi separi?”
Lo sguardo celeste di Pepper vagò nel cielo e trovò la stella scarlatta e dorata.
“Sì.”
“Vi dichiaro marito e moglie. Puoi baciare la sposa.”
Tony sterzò nell’aria verso la torre e scansò cinque mostri gettandoli in una cavità sotterranea.
Colpì un sesto drone e sorvolò la strada, verso la torre scoperta. Finalmente atterrò nella sala scoperta e le andò incontro. Le loro labbra si incontrarono e per quell’istante tutto si fermò.
“Sì, splendido” intervenne Clint spazientito. Thor aveva cominciato a piangere e si stava asciugando gli occhi con la tutina di Steve. “Molto emozionante. Conservatevelo per la luna di miele, perché stanno arrivando altri imbucati a questo matrimonio Stark.”
Aveva ragione. Un gruppo di centinaia di droni veniva loro incontro dai sotterranei del castello e Tony vide due enormi serpentoni di metallo cominciare a sorvolare il cielo notturno.
“Dio Onnipotente.”
“Non avrei saputo dirlo meglio.”
“Stark!” esclamò Steve sconvolto. “Hai visto?”
“Sì” rispose subito Tony. “Sto cercando di accettarlo, però.”
Riprese il volo e Clint cominciò a lanciare frecce alla velocità della luce, ma quegli orrendi bestioni sembravano imbattibili. Uno dei due emise un ruggito feroce e Hulk gli andò incontro, colpendogli il volto con il pugno serrato. Il serpente ululò dal dolore e si accartocciò su un fianco, in mille spirali senza forza.
“Wow” esclamò Tony colpito. “L’ho sempre detto che è una forza, il mio bestione.”
“Ce ne sono altri in arrivo” gridò Coulson fra le macerie. “Dobbiamo fermarli.”
“Non è possibile!” disse Tony senza fiato. “Non sono umani, sono droni.”
“Grazie mille, Stark” sbuffò Steve scettico. “Ma ce n’eravamo accorti già da soli.”
“Non capisci” insistette Tony convinto. “Non possono essere indipendenti. Sono droni, il che significa che dev’esserci un meccanismo che li guida e li dirige tutti dall’alto. Il che significa che…”
“… una volta trovato e distrutto quel meccanismo…” continuò Pepper consapevole.
“… tutti saranno distrutti.”
“Bene” replicò Clint soddisfatto. “Se la lezione di scienze è finita, potremmo sapere qual è questo meccanismo?”
Dall’alto, Tony abbassò lo sguardo verso la torre e, pure a duecento metri di altezza e lontananza, seppe che Pepper lo stava guardando.
“Il Tesseract” rispose lei in un sussurro sconvolto.
“Com’è possibile?” chiese subito Natasha. “Non è attivo, non può esserlo senza che lui abbia prima acceso il congegno senza usare il Pegasus.”
“L’ha attivato con un diverso elemento che gli permette solo di sfruttarne l’energia per far funzionare droni di bassa potenza, ma in quantità industriali” spiegò Pepper cominciando a trafficare attorno alla sfera azzurra. Estrasse dalla tasca un aggeggio elettronico e lo usò contro la sfera; quella si frantumò con un rumore metallico e lei poggiò una mano aperta e ricoperta sul cubo.
“Abbiamo bisogno di qualcosa di più potente che si permetta di annientare l’altro elemento e di spegnerlo definitivamente.”
“Il Pegasus” rispose Tony pronto. Atterrò con disinvoltura sulla torre e fece per estrarlo dal petto, ma lei lo fermò con aria spaventata.
“No” replicò secca. “Senza non resisti per più di due ore.”
“Saranno sufficienti un paio di minuti” la rassicurò Tony deciso.
“No!” ruggì Hulk. Tony sentiva lo sguardo di tutti su di sé. Senza badarci più di tanto, fece scivolare il cuore di metallo fra le mani di Pepper e lei lo guardò agitata.
“Ti ricordi?” le bisbigliò. “Solo a te potrei darlo.”
Lei annuì ed inserì il reattore nel cubo. Tony fece per raggiungere Phil al piano di sotto, ma qualcuno lo fermò, colpendolo alle spalle, e il busto dell'armatura gli scivolò, scoprendolo fino alla vita.
“Glanster” sputò fra i denti.
“Stark” replicò lui gelido. “È sempre un piacere.”
“Tutto tuo” replicò glaciale.
“Ti senti stanco?” gli sussurrò carezzevole Damon, facendoglisi più vicino. “Affaticato? Senza cuore, è un po’ difficile resistere” continuò e gli sparò un colpo alla spalla. Tony strinse i denti per non urlare.
“Non puoi farcela. Hai perso” gli disse soddisfatto. “È finita. Sei morto.”
“Può darsi” ribadì prontamente Glanster. “Ma se devo morire, tu morirai con me.”
Un’esplosione immane pervase il castello e Pepper urlò qualcosa. Steve non capì, ma colse l’angoscia nella sua voce e seguì la scia di Glanster fino al corridoio. Ci fu un’altra esplosione, ancora più forte della prima e i mostruosi avversari caddero morti. La terza esplosione fu quella di un colpo di pistola. Fu allora che Steve entrò e mentre i suoi occhi fissavano increduli e terrorizzati lo spettacolo raccapricciante davanti a sé la voce di Tony risuonò ancora nella testa svuotata.
Perdiamo sempre le persone che amiamo.
Una quarta esplosione e Steve sentì che era dentro di sé.

 















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Buongiorno a tutti miei prodi e buon Sabato Santo 

Dunque, dunque, eccomi qui, un po' in ritardo rispetto alla promessa e in anticipo rispetto ai giorni, ma alla fine sono arrivata. XD. 
Eh, ho davvero tante cose da dirvi su questo capitolo; si tratta del fulcro centrale della storia. Dal punto di vista prettamente dell'azione, è in assoluto il focus della trama e il punto in cui tutto raggiunge l'apice. Il mio quesito è sempre lo stesso: se la mescolanza tra azione, dramma e ironia non sia confusionaria, ma ormai mi sono rassegnata e spero che il risultato piaccia: è il mio regalo di buona Pasqua per voi. 

Non so se la trama sia comprensibile, in realtà: il succo è che, in ogni caso, dopo la morte di Peggy, è necessario recuperare il Tesseract e per farlo bisognerebbe prendere o l'impronta di Deception, che ha attivato la protezione, o usare Hulk. Naturalmente, Glanster rovina i loro piani e tenta di prendere il Pegasus con cui potrebbe far funzionare il Tesseract ai massimi livelli - per il momento, lo usa con elementi di bassa qualità che gli consentono solo di attivare un esercito di droni da scagliare contro i Vendicatori. E il finale del capitolo è quello che è. Lo ammetto, sono stata perfida a concluderlo così. LOL.
Per quanto riguarda l'aspetto più romantico della cosa, ebbene volevo che il matrimonio tra Tony e Pepper fosse assolutamente unico e non credo ci sia qualcosa di più unico di quello che appare ne I Pirati dei Caraibi - Ai confini del mondo tra Will ed Elizabeth. Con le dovute innovazioni, questo è il modello di riferimento e se è una cazzata, potete tranquillamente dirmelo. ;)
Solita burocrazia: 

[1]: Power Rangers è il nome di un franchise di serie televisive 
per ragazzi che racconta le avventure di giovani teenager che si trasformano nei supereroi che danno il nome allo spettacolo; 
[2]: il discorso che Tony fa a Steve a inizio capitolo è un riferimento a quello che Pepper fa a lui nel dodicesimo capitolo (sarà un'idiozia, ma questa cosa mi esaltava troppo ♥);
[3]: il salto di Tony e Pepper è ispirato ad una sequenza del film Il Cavaliere Oscuro; personalmente, odio Rachel, ma la scena in cui lei e Batman cadono da quel palazzo è amore puro *-*; 
[4]: le allusioni a drink e shawarma sono riferimenti al film degli Avengers, come il discorso del Capitano e tante altre piccolezze, ma sono certa che le abbiate colte tutte. 

Infine, facciamo un minuto di silenzio per la morte di Deception. 
Prima di chiudere, ringrazio con tutto il cuore Ylenia, Alley, Maretta, Silvia e Even che mi hanno resa felice per l'ennesima volta. Grazie di cuore come sempre. 
♥ Sto pian piano recuperando le risposte alle recensioni e prometto di continuare. ^^
E allora, un augurio di buona Pasqua a tutti e a rileggerci tra una decina di giorni *-* Ma sappiate che il 4 Aprile potrebbe arrivare qualcosina a parte XD.
Alla prossima!
Mary. 

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII – Instant Stark ***


Capitolo XVIII
Instant Stark



Virginia aveva smesso di pensare.
Ogni idea, ricordo, pensiero raziocinante sembrava sfuggito dalla sua mente e tutto ciò che era rimasto era una paura folle e fitta coma una nebbia densa e senza uscita. Era una gabbia inviolabile di dolore e perdizione intellettuale, un tunnel psicologico da cui non riusciva più a trovare la strada per casa.
Cinque giorni. Erano passati cinque giorni esatti da quel momento e quel momento era ormai l’unico briciolo di memoria nella sua testa svuotata, un solo momento che continuava a vagare in quella nuvola grigia che l'avvolgeva, a cui aggrapparsi con le unghie, disperatamente, e in cui perdeva, perché non si poteva afferrare l'aria con le mani.

“Steve!”
La sua voce rimbombò vuota fra le macerie dell’esplosione e Tony era scomparso. Il Tesseract giaceva inattivo su un lato e Pepper lo gettò di malagrazia nella borsa, la mano tremante ancora fasciata nel guanto magnetico, cercando di farsi spazio fra i detriti polverosi e l’aria tossica alla ricerca di suo marito. Non aveva risposto al suo richiamo e lei, spaventata e piena di agitazione, aveva cercato il Capitano. Steve, che era il più vicino a lei, colse la sua voce e saltò su due droni ormai sconfitti, raggiungendo la sala attigua a quella nella torre, da cui era divisa a causa di un cumulo di macerie. Scavalcò due colonne frantumate e varcò la soglia. Sentì il fiato mozzargli il respiro quando riconobbe il corpo steso, inerme, sul pavimento della stanza.
“Stark!”
Corse in sua direzione, tentando di pensare, di riflettere e lo rigirò, cercando sui tratti del suo viso un accenno di vita. La risata di Glanster risuonò agghiacciante dentro di lui.
“Mi dispiace, Capitano. Avete perso il vostro Iron Man.”
Steve serrò la mascella, senza avere il coraggio di muoversi; poi qualcosa scattò nella sua testa e si rigirò di botto, urlando feroce. Sollevò lo scudo e lo usò per colpire il volto disgustosamente felice di Glanster. Preso alla sprovvista, Damon incassò il colpo e cadde all’indietro, stringendosi una mano sulla bocca sanguinante. Steve tremava e ringhiava.
“Capitano” lo schernì l’altro fintamente sorpreso. “Quanto ardore…”
Steve non pensò più. Rivide l’immagine di Tony davanti agli occhi, vide Peggy senza vita, Virginia ferita, Phil torturato, vite innocenti – migliaia di vite innocenti – distrutte solo per le sue manie di grandezza. Alzò il braccio e colpì, colpì e colpì ancora fino a quando Glanster non si trovò sull’orlo del baratro.
“È finita” sibilò deciso. “Per sempre.”
Colpì un’ultima volta e il sorriso folle di Glanster fu l’ultima cosa che vide prima che cadesse. La voce di Nick risuonò fredda.
“Il debito è saldato.”
Fu allora che Virginia lo raggiunse.
“Steve!” urlò disperata. “Aiutami… ti prego.”
Il Capitano le andò incontro e la vide china su Tony, che giaceva ancora pallido e immobile fra i detriti polverosi. Lei lo liberò dalle macerie e infilò con dita tremanti il reattore nel suo petto, ma quello non si illuminò.
“Tony” sussurrò agitata, accarezzandogli delicatamente il volto. Non piangeva, non singhiozzava, non si lamentava; era solo un petalo di orchidea abbandonato sotto il gelo. Il dolore che traboccava dalla sua voce fievole esplodeva nelle tremanti iridi di cielo.
“Tony” disse con più forza. Phil entrò anche lui e si avvicinò a Pepper, sollevandola di peso per la vita.
“Vieni” le bisbigliò dolce. Lei non si mosse; si districò dalla stretta e ritornò a chinarsi su suo marito.
“No” replicò convinta e Steve avvertì un groppo alla gola per la familiarità di quella situazione, eppure era diverso. Non poteva non esserlo.
“È ancora vivo” sussurrò lei sicura. “Dobbiamo portarlo all’ospedale, ce la farà.”
Deglutì e fece per sollevarlo, ma il peso era eccessivo per lei e cadde a terra rovinosamente. Steve si mosse finalmente; fece due passi verso di lei e prese Stark con le proprie braccia. I suoi occhi azzurri cercarono quelli cerulei di Virginia e vi lesse la stessa angosciante determinazione che, era certo, illuminava i propri.
“Andiamo.”
 
Cinque giorni da quel momento e Tony era rimasto sempre così, pallido, inerme, con lo sguardo serrato e la voce scomparsa. Niente più battute, niente risate, occhiate esasperate o incredule. Nulla; solo un silenzio freddo, smunto, morto, inaccettabile. E Pepper aveva ascoltato quel silenzio per quei cinque giorni: era rimasta lì, sempre, senza muoversi dal letto nella stanza bianca, senza allontanarsi mai, senza cambiarsi, senza quasi mangiare e bere. Era stata lì, seduta su quella sedia rigida e scomoda, con la mano piccola, adornata finalmente dall’acquamarina splendente, a stringere quella fredda di suo marito.
Era l’alba del sesto giorno quando Steve entrò nella stanza. Virginia si era addormentata e aveva il capo poggiato sulle braccia incrociate sul letto di Tony, ancora pienamente immobile, con la mascherina d’ossigeno a dargli fiato e il petto che si alzava e si abbassava ritmicamente. Steve entrò e chiuse con delicatezza la porta alle sue spalle, raggiungendo Virginia; appena la sua mano le sfiorò con estrema delicatezza la chioma ramata, lei trasalì con violenza.
“Steve!” esclamò poi trattenendo la voce, come se Tony in realtà stesse riposando di un sonno ristoratore e temesse di svegliarlo. “Che ci fai qui?”
Lui sorrise debolmente e le porse una borsa ampia e strapiena.
“Sono venuto a vedere come stavate, voi due” disse gentile. “Phil mi ha detto che oggi non potrà venire al solito orario, ma che farà un po’ più tardi. Ti manda un cambio e qualcosa da mangiare.”
Virginia annuì distrattamente e tirò fuori dalla borsa una maglietta e un paio di jeans perfettamente lavati e stirati.
“Mi cambierò dopo” dichiarò dopo qualche minuto. Si abbassò di nuovo verso Tony e la sua mano piccola e calorosa andò ad accarezzargli affettuosamente la fronte, appena coperta da una ciocca di capelli sbarazzina. I suoi occhi si illuminarono leggermente e Steve avvertì un nodo all’altezza della gola per quella patina luccicante che aveva scorto nelle iridi cerulee di fronte a sé. La sua mano andò spontaneamente a posarsi su quella di Pepper e la strinse.
“Andrà tutto bene” sussurrò sommesso. “Ne sono certo.”
Pepper strinse le palpebre e una lacrima traditrice le sfuggì lungo la guancia, fino alle labbra cremisi.
“Lo spero” bisbigliò tremante. “Non so come potrebbe andare, altrimenti.”
Steve scosse la testa con vigore e cercò il suo sguardo dall’altro lato del letto.
“Non devi dire così” le disse testardo. “Non c’è nessun altrimenti. Andrà bene. Punto.”
Pepper non rispose. Schiuse di nuovo gli occhi e le sue iridi tremarono sconvolte.
Perché non si svegliava? Perché, perché, perché? Com’era possibile?
Improvvisamente, ebbe la chiara visione della situazione e percepì l’immane, stravolgente, concreto peso di quello che stava succedendo ed ebbe voglia di piangere, urlare, scuoterlo finché non si fosse svegliato perché lui non poteva abbandonarla. Non poteva, gliel’aveva promesso.
Non lasciarmi. Mai. Giurami che non mi lascerai e che non ci sarà nessuna missione, nessun pericolo, niente in grado di separarci.
Io non ti lascerò mai. Te lo prometto.
Mi hai promesso che non mi lascerai.
Ed è così.
 Te l’ho promesso e manterrò la promessa. Costi quel che costi.
E perché adesso la stava lasciando? Le aveva promesso di starle sempre accanto, nella buona e nella cattiva sorte, e invece ora se ne stava lì, senza sorrisi, senza sguardi, senza vita.
Finito, era finito, era tutto finito. La sua mano piccola tornò a stringere la sua, così fredda e distante, ed ebbe chiara l’assurdità di quella situazione. Era stata proprio lei, nel momento in cui l’istinto di fermarsi, per paura, per angoscia, era stato troppo forte, a dirgli che dovevano andare avanti, anche se erano spaventati, perché c’era qualcuno che credeva in loro e non potevano deluderli solo perché c’era il rischio di perdere qualcuno di amato. E lo stava perdendo.
Cedette.
Scivolò di nuovo sulla sedia scomoda e rigida, le mani che ora si aggrappano entrambe a Tony in una stretta forte, disperata, quasi convulsa, le lacrime che scendevano asfissianti sulle guance pallide e stanche, il petto che veniva scosso dai tremiti di quella consapevolezza che avevano vinto, sì, ma avevano anche perso e Pepper sapeva che era il prezzo più alto che potesse pagare.
“Virginia…”
La voce di Steve suonò tanto dolce da suonarle insopportabile.
“Virginia, ascoltami” le disse con più decisione. Le sue mani la sollevarono ancora, ma lei non lasciò andare la stretta da Tony.
“Devo rimanere con lui” sussurrò sconvolta. “Ha bisogno di me.”
“Lo so” replicò lui pacato. “Ma hai anche bisogno di riposarti o quando si sveglierà ci sgriderà tutti per averti permesso di ridurti in questo stato.”
Sciolse con delicatezza la stretta delle loro mani e la condusse fuori da quella stanza, sul balcone che dava all’esterno. Stava albeggiando.
Pepper camminò lentamente fino ai bagni, si liberò di quegli abiti e indossò quelli mandati da Phil, poi raggiunse Steve al terrazzo. Si sedette sul cornicione e chiuse gli occhi stanchi, respirando l’aria piacevolmente fresca del mattino e lasciando che i raggi dell’alba le riscaldassero il viso ghiacciato.
“Tieni” le disse poi Steve e lei afferrò una fetta del pane tostato che lui le stava porgendo. Morse un angolo e percepì il sapore familiare nella bocca.
“Steve” sospirò dopo qualche minuto di silenzio. “Che ti hanno detto i dottori?”
Steve alzò lentamente lo sguardo per scrutarla con più attenzione; esitò, poi rispose.
“Niente di particolarmente illuminante. Dicono che non dovrebbero esserci problemi di riabilitazione né danni cerebrali, ma non possono prevedere quando…”
Se.”
“… si sveglierà.”
Pepper sospirò ancora e annuì fra sé. Le sue iridi cerulee si specchiarono nella pietra gemella al suo dito.
“Ce la farà, Virginia” insistette Steve. “È la persona più forte che conosca. Ce la farà. Devi crederci.”
“E se…”
“Non c’è nessun ‘se’” replicò lui con più ardore. “Nessuno meglio di te dovrebbe saperlo, quant’è testardo. Cos’è” aggiunse con un sorriso affettuoso, “vuoi già liberarti di lui? Dopo meno di una settimana di matrimonio? Be’, non puoi dire che io non ti avessi avvertito.”
Lei rise e la sua risata risuonò cristallina fino alla stanza di Tony. La sua mano tremò.
 

*

 
Bruce aveva gli occhi chiusi e addormentati e stava sognando; ma quello non era un sogno: era un incubo. Si trovava ancora al castello e Glanster aveva vinto. I Vendicatori erano tutti stesi e sconfitti ai suoi piedi e la sua risata malvagia risuonava feroce e invincibile.
“Bruce!”
Trasalì nel sonno e si svegliò di soprassalto fra le lenzuola bianche del letto d’ospedale, bagnate dello stesso sudore che gli imperlava in uno strato freddo la sua fronte. Aprì lentamente gli occhi e respirò profondamente, cercando di tranquillizzarsi. Sentì la mano di Natasha sfiorargli la fronte e si calmò.
“Stai bene?” gli chiese la voce meno distaccata di quanto avesse voluto. Bruce annuì distrattamente.
“Sì” sussurrò infine. Gettò la testa all’indietro e schiuse gli occhi, fissando di sfuggita la propria gamba fasciata in resistenti bende bianche.
“Ti fa male?”
“No, no” rispose subito. “Come sta Tony?” chiese poi e un ciglio preoccupato gli annebbiò lo sguardo. Natasha non rispose.
Bruce si sollevò seduto e la guardò agitato.
“Cosa gli è successo? Sta male?”
“No, no” disse pronta Natasha. “Solo… non si è ancora svegliato.”
Bruce abbassò il capo e strinse le labbra, pensieroso. Poi parlò di nuovo.
“Voglio vederlo.”
Natasha scosse il capo.
“Stai ancora male, non puoi muovere la gamba né andare fino alla stanza di Stark che, per altro, sta ancora dormendo e non si accorgerà nemmeno della tua presenza…”
“Non m’interessa. Voglio vederlo.”
Natasha aprì la bocca e fece per parlare ancora, ma poi vide lo sguardo di Bruce e si arrese.
“Va bene.”
 

*

 
Bruce era appena rientrato nella sua stanza quando Howard entrò in quella di Tony. Si avvicinò lentamente al letto del suo ragazzo, ancora profondamente addormentato, e sospirò.
I lineamenti fini ed eleganti del suo volto erano tesi in un’espressione di paura, angoscia, dolore soffocante e infinito. Fece altri due passi verso il letto e la sua mano si mosse naturale ed istintiva sulla sua fronte in una carezza affettuosa e tremante.
“Ehy.”
Si voltò di botto e sorrise debolmente all’indirizzo di Steve.
“Ciao” rispose in un sussurro. “Ti ho cercato prima.”
Steve annuì distrattamente sedendosi dall’altro lato del letto, sulla sedia scomoda e rigida che tanto era stata di Pepper.
“Sì, lo so” rispose prendendo posto. “Stavo con Virginia… l’ho convinta a mangiare qualcosa. Ora è con Phil, sta riposando un po’.”
Howard annuì a sua volta, preoccupato.
“Non si è mossa da qui per giorni. È a pezzi.”
“Hai ragione” concordò a sua volta Howard e di nuovo guardò Tony addormentato. I suoi occhi lo osservarono con dolce disperazione e Steve notò malinconico una ruga sottile incrinare la fronte dell’amico in un’espressione di preoccupazione che era qualcosa di più della preoccupazione stessa: era una forza incredibile, una tristezza infinita, come se avesse desiderato trovarsi in quel letto al posto del figlio, come se avesse preferito essere vittima di qualsiasi sofferenza pur di evitare a Tony quel rischio, come se stesse bruciando fra le fiamme vive dell’inferno perché stava vedendo suo figlio morire e non poteva fare nulla per evitarlo.
“Howard” lo chiamò gentile. Quello trasalì e lo guardò sua volta. Deglutì, poi iniziò a parlare.
“Quando sei scomparso, ho davvero fatto di tutto per ritrovarti” cominciò d’improvviso e Steve si chiese a chi stesse parlando. I suoi occhi vitrei erano fissi su un altro volto e Steve pensò che non gli era mai sembrato tanto stanco e vecchio. “Ho dato inizio a spedizioni, avviato imprese, convinto capi di stato… tutto. Io e Peggy ci siamo buttati a capofitto in mille tentativi e, dopo anni di sforzi vani, lei è scomparsa tentando il suicidio e io mi sono rintanato in me stesso. Per un periodo, ho smesso di lavorare.”
Steve strabuzzò leggermente gli occhi, sorpreso. Non avrebbe mai immaginato che Howard fosse capace di abbandonare la scienza; gli era sempre sembrata la cosa che più amasse al mondo.
“Non mangiavo, non lavoravo, niente. Poi una sera ho seguito un mio caro amico, Obadiah, ad una festa e ho conosciuto Maria.”
Il suo volto improvvisamente si illuminò e Steve poté vedere nella sua testa l’immagine del suo affascinante amico conoscere quella donna tanto bella e tanto intelligente da esser capace di attrarre tanto la sua attenzione.
“Era timida, gentile, sempre imbarazzata… assomigliava molto a Virginia, in un certo senso” aggiunse in un risolino divertito. “Mi piacque subito, all’istante. Non mi ero mai sentito così coinvolto da qualcuno… dopo anni di morte, mi sentii di nuovo vivo e fu come tornare a respirare dopo anni chiuso in gabbia. Ero innamorato di lei più di quanto avrei mai concesso a me stesso e la sposai.”
Sorrise di nuovo, debolmente, e Steve sorrise a sua volta.
“Ci trasferimmo a New York e io ripresi a lavorare. Creai le industrie, rimisi in piedi il lavoro di una vita e feci di un nome un colosso della produzione nazionale, ottenendo molto più successo di quanto ne avrei mai desiderato o sognato. Era tutto perfetto, capisci? La donna che amavo era diventata mia moglie, avevo coronato il mio sogno di gloria, il mio migliore amico mi era vicino… non mancava nient’altro e, lo ammetto, non desideravo nient’altro. Fu per questo che, quando Maria mi disse di aspettare un bambino, rimasi sconvolto.”
Sospirò e abbassò il capo; i suoi occhi erano sempre fissi e immobili a scrutare disperati il volto esamine di Tony.
“Non avevo un figlio in programma e avevo paura. Ero giovane e nella mia testa non c’era spazio per nient’altro se non per quei folli ed egoistici sogni giovanili. Non lo volevo, quel figlio” ammise ed era tremendo il concretizzarsi dei sensi di colpa sul suo viso anziano.
“Maria però sì e così lo tenemmo. Quando nacque, tre settimane in anticipo, io rimasi senza parole. Per quanto avessi accettato quella responsabilità, non avevo comunque la più pallida idea di cosa significasse e i primi giorni restai assolutamente di sasso. Al contrario, Maria era una stella, sempre così radiosa e felice: lo teneva sempre in braccio, ad allattarlo, a cantare per lui, a giocarci insieme… Tony era un vero e proprio dono del cielo e lei non faceva che trascorrere con lui intere giornate e mostrarlo agli amici con vanto e orgoglio, mentre io e Obadiah ce ne stavamo chiusi in laboratorio a progettare l’ennesima uscita delle Industrie. Poi però, una sera Maria stette male, prese l’influenza e io… io avevo paura perché non mi ero mai occupato di Tony. Stavo sempre pochissimo con lui e raramente me ne prendevo cura personalmente. Lui aveva già quattro anni, ma restava comunque un bambino, che aveva bisogno di mille attenzioni. Fu la prima volta che mi sorprese: quando vide che la madre stava male, volle prendersi cura di lei. Mi venne vicino e mi aiutò a bagnarle il viso, a tenerla al caldo, a prepararle il cibo… volle occuparsi di lei e io rimasi senza fiato perché insomma” si interruppe in una risata folle, “non avevo mai visto un bambino di quattro anni comportarsi in modo così adulto… e non solo quello. Cominciai a stargli più vicino: ancora non ero sicuro di voler essere così responsabile come padre, ma c’era qualcosa di tremendamente affascinante in lui che mi incuriosiva. Cominciai a portarlo in laboratorio con me e, pochi mesi dopo, lui costruì un circuito… a quattro anni! Era incredibile da ammettere, ma ero così orgoglioso di lui, fiero di quanto mio figlio fosse intelligente. E tutti lo guardavano, si complimentavano perché era un talento, così giovane e brillante e, cosa che la madre teneva a sottolineare ancor più del resto, bello e luminoso. Sì, cominciai ad essere fiero di lui e volergli stare più vicino. Purtroppo, però, proprio in quel periodo l’America attraversava un brutto momento e, insieme a Nick, fondammo lo S.H.I.E.L.D.. Mi teneva lontano casa tanto tempo ed era ancora di più per un bambino che, io non riuscivo a capirlo, voleva solo passare del tempo con suo padre, imparare a conoscerlo, renderlo orgoglioso di sé, sentirgli dire che lo stimava, che gli voleva bene. E così arrivò quel giorno maledetto e rimase da solo… sua madre, su cui aveva sempre contato, che aveva sempre amato tanto, l’aveva lasciato per sempre, e suo padre aveva deciso di fare altrettanto. Lo osservai da lontano, troppo assorbito dal mondo delle armi e dello spionaggio per fare realmente parte della sua vita e lo vidi crescere a distanza, accompagnato dal mio migliore amico, diventare un uomo adulto, brillante, ricco, intelligente, capace di portar avanti un’azienda. Quando fu rapito” continuò con un tremito, “fu tremendo. Non avevo mai saputo, prima di adesso, che era stato Obadiah a cercare di ucciderli, lui e Virginia. Insomma, non solo l’aveva abbandonato, ma l’avevo anche messo in pericolo” aggiunse con una risata amara. “Eppure cominciavo davvero a sentire il peso di una vita mancata con lui e adesso, che ho finalmente avuto la possibilità di essere un padre vero” la sua voce s’incrinò, “ho permesso a qualcuno di gettarlo in un letto d’ospedale all’età di ventisette anni.”
Sospirò profondamente e la sua mascella si serrò.
“Non è colpa tua” intervenne subito Steve. “Sai com’è fatto… dice sempre di non essere un eroe, ma è sempre il primo a mettersi in pericolo per aiutare gli altri. Non avrebbe mai permesso a nessun altro di rischiare al suo posto.”
Howard sospirò ancora più profondamente.
“Non posso perderlo proprio ora che l’ho ritrovato. Non può andarsene e non sapere che suo padre gli vuole bene e che è orgoglioso di lui.”
Steve annuì e sorrise dolcemente.
“Non succederà. Ne sono certo.”
 

*

 
Era notte fonda e anche quel sesto giorno era ormai finito.
La luna splendeva in uno spicchio opaco nel cielo e, mentre Steve e Howard giacevano scomposti sulle panchine nel corridoio dell’ospedale, Pepper si era riguadagnata faticosamente il suo posto sulla sedia scomoda accanto al letto di Tony e poggiava il capo eretto fra le braccia. I suoi occhi azzurri fissavano dolci e malinconici il viso rilassato del marito e sbatteva di tanto in tanto le palpebre sulle iridi cerulee.
L’orologio al suo polso sottile segnò le due di notte e la porta alle sue spalle si aprì. Lei si girò di scatto, trasalendo, poi vide la persona sulla soglia e si rilassò appena.
“Direttore” disse confusa. “Salve.”
Lui sorrise debolmente e le andò incontro. I suoi occhi si aggrottarono osservando la sedia sulla quale lei sembrava reggersi a fatica.
“Non sembra molto comoda.”
“No, infatti” replicò pronta lei. “Ma pazienza. Questa passa il convento.”
Lui rise appena e spostò lo sguardo su Tony. I tratti del suo volto si addolcirono.
“Come sta?”
Lei esitò.
“Così” disse infine. “Non sembrano esserci danni fisici… a parte il fatto che non si sveglia.”
“Lo farà” ribatté lui fiducioso. “Non ho dubbi. E neanche tu dovresti. A quanto dicono, sei la persona che conosce meglio il lato così testardo del suo carattere.”
Lei sorrise dolcemente e fissò di nuovo Tony con espressione affettuosa; gli accarezzò il viso in una carezza adorante e il suo sorriso si allargò.
“Immagino di sì” sussurrò gentile.
“Infatti” rispose a sua volta Nick. “Abbi fiducia… e coraggio. Non mi risulta siano qualità che ti mancano.”
Il sonno, la stanchezza e cinque giorni – ormai sei – trascorsi su quella scomoda sedia facevano senza dubbio il loro effetto e Pepper si chiese se non le stessero causando anche qualche danno all’udito. Rimase interdetta da quell’affermazione – cioè, era un complimento? – e sbatté le palpebre perplessa.
“Oh” esclamò incapace di dire altro. “Ehm… grazie” aggiunse imbarazzata e sentì le guance tingersi di un’imbarazzante sfumatura cremisi. Lui sorrise affabile.
“Mi dispiace per tutto quello che è successo” riprese e il suo sorriso si fece debole. “Mi dispiace avergli mentito, averlo coinvolto in questa missione, avergli fatto rischiare la vita. Mi dispiace averti giudicata e mi dispiace se ora entrambi state soffrendo a causa mia.”
Pepper capì. Scosse la testa con vigore e rispose sincera.
“Non è colpa tua. Ad aver giudicato siamo in due e, per quanto riguarda il mentire… be’, tutti commettiamo degli errori e so che non volevi ferirlo intenzionalmente. Se poi Glanster è un essere spregevole, non credo la colpa sia tua. Ce la farà” concluse e i suoi occhi tornarono su Tony.
“Pepper?”
La voce di Phil entrò dallo spiraglio nella porta e lui, Clint e Thor entrarono nella stanza con aria solenne, silenziosa, assolutamente imbarazzante e del tutto fuori luogo. Pepper rise appena; la mano di Tony tremò.
“Ciao” disse calorosa. “Che ci fate qui?”
Thor cominciò a giocherellare distrattamente con il Mjolnir e arrossì. Clint, a sua volta tinto di una vaga sfumatura rossastra, indicò Phil. Quello sorrise e rispose.
“Volevano vedere come stava Tony” spiegò tranquillo. Pepper rise con più forza; anche il braccio tremò un po’.
“Venite” disse gentile. “Sarà contento.”
Entrambi si mossero verso il letto con aria imbarazzata e Pepper vide Rhodey spingerli in avanti. Anche lui aveva trascorso tanto tempo con lei in ospedale.
“Sta dormendo?” chiese Thor ingenuamente. Pepper sospirò e la sua mano ad accarezzare la fronte di Tony, appena più calda.
“Sì.”
 

*

 
Era la luce.
Sì, era la luce, Tony ne era sicuro.
Camminava in avanti, nella bagliore più totale e ammaliante e tutto era così luminoso e splendente e sfavillante e lui si sentiva parte di quella luce così immensa.
I suoi piedi scalzi toccavano smaniosi il pavimento freddo e invisibile mentre lui si spingeva sempre più avanti, verso quella radiazione.
Il cammino era ancora lungo, ma lui non si arrendeva facilmente e continuava a percorrere quella strada, senza scoraggiarsi. Non sapeva perché, ma sapeva che doveva arrivare alla fine di quel sentiero, doveva raggiungere la meta perché sapeva che lì c’era qualcosa – qualcuno – che lo stava aspettando.
La luce.
Continuava a camminare, sereno, tranquillo e si guardava intorno e sentiva delle voci di tanto in tanto, voci lontane, che dicevano il suo nome e che suonavano dolci e gentili e affettuose. E non solo perché sentiva calore, come se qualcuno lo stesse abbracciando ed era del tutto assurdo perché non c’era nessuno lì oltre lui e non poteva sentire caldo perché era nudo e l’aria fresca gli soffiava gradevolmente sul corpo scoperto.
Eppure era così.
Continuava a camminare e, dopo un po’, quelle voci cominciarono a farsi più decise, forti e con quelle sentiva qualcos’altro, di più familiare, delizioso: era come uno scampanellio ed era così luminoso, adorabile e delicato. Aveva cercato di afferrarlo spontaneamente, come se volesse catturare quel suono perfetto nelle mani, ma non c’era riuscito e allora aveva usato tutto il braccio, ma quello continuava a fuggire mentre lui continuava a camminare, camminare verso la luce.
L’aveva fatto per minuti, ore, giorni, non lo sapeva – ma forse il tempo, lì, nel sole, non esisteva – e alla fine era arrivato.
Fece l’ultimo passo e vide la luce. 















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Ma buonasera a tutti voi. *-*
Eccomi qui. Mi duole dire che purtroppo vado di frettissima e non avrò molto tempo da dedicarvi. T.T 
Non volevo farvi aspettare fino a domani sera, quando tornerò dall'Uni, per farvi leggere il nuovo capitolo, uno di quelli a cui, lo ammetto, sono più affezionata, in generale. Abbiamo, qui, un capitolo di transizione in cui Tony sta male davvero - okay, ho sfociato nel tragico, yeah XD - e queste sono, secondo me, le reazioni delle persone che lo circondano.
Ci tengo a precisare una cosa: la reazione di Pepper è stata un punto molto dolente perché non volevo tratteggiare il dipinto di una persona incapace di vivere senza un uomo, ma qui è diverso perché si tratta di una ragazza che è, all'improvviso, sul punto di perdere la persona più importante della sua vita e, io credo, almeno, che la sua reazione possa essere alquanto drammatica. Questo, tuttavia, non elimina dalla mia testa che Pepper sia una persona fortissima, una delle più forti che abbia mai visto; ma tutti diventano fragili, nella mia modestissima opinione, di fronte all'ipotesi di perdere qualcuno che si ama follemente come Pepper ami Tony e che è altrettanto follemente ricambiato come Tony ama Pepper. 
Glanster alla fine è morto e un applauso al nostro Capitano per la mossa finale. Come al solito, se ci sono domande, ponete pure e, come al solito:


[1]: Instant Star è una serie televisiva statunitense la cui protagonista è Jude Harrison; 
[2]: la parte, a inizio capitolo, in corsivo, è un flashback del capitolo scorso. Ci sono poi altri riferimenti a vari momenti della storia, come le citazioni, sempre in corsivo; sono certa che li avete colti tutti; 
[3]: la storia di Howard è inventata da me su parecchi punti, pur seguendo, nella linea generale, quello che sappiamo dai film; 
[4]: non so quanti anni abbia Tony. Ho detto ad una mia amica che gli avrei dato l’età del voto del suo primo esame universitario. LOL. 

E allora, buonanotte a tutti e alla prossima, credo con la serie, con qualcosina di Pepperony nel fandom di Iron Man, tra un cinque giorni. ^^
Prima di chiudere, grazie di cuore a quelle cinque splendide persone che sono di una pazienza infinita, non solo perché continuano a leggere tutte le mie follie, ma perché attendono con pazienza le mie risposte che, prometto, prima o poi, arriveranno: Yleania, Missys, Alley, Silvia e Maretta. Grazie di cuore. 
♥ Siete una luce nel buio. *-*
Un bacione, 
Mary. 

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Capitolo 19
*** Capitolo XIX – Sogni fra le stelle ***


Capitolo XIX
Sogni fra le stelle



“Clint!”
La voce di Natasha suonò più irritante e fastidiosa che mai e il povero Barton si ritrovò disteso per terra, con la testa fra le gambe e un grosso bernoccolo sulla fronte.
“Diavolo, Nat!” esclamò seccato, cercando di riacquistare un certo grado di dignità che molto rare occasioni di rivalsa aveva avuto per sfoggiare. “Potevi essere un po’ più delicata.”
Lei lo squadrò con aria scettica, portandosi le mani sui fianchi e fissandolo dall’alto in basso. Clint ebbe la vaga impressione di esser stato beccato con le mani nella marmellata e arrossì.
“Cosa?” sbottò avvampando. “Non capisco il motivo di questa tua faccia.”
Natasha sollevò lievemente un angolo delle labbra sottili verso l’alto e alzò un sopracciglio di pochi millimetri, nell’espressione più scettica che riuscisse ad esternare.
“Barton, non è la mia faccia, ma la tua. Non riesco a credere che tu possa essere così subdolo… cioè, sì” si corresse pensierosa, “ma addirittura arrivare ad assumere un simile comportamento. Se sei geloso, potresti dirglielo invece di strumentalizzare lo spionaggio sotto la gonna della biondona solo per farlo innervosire…”
“Cosa?!” sbottò Clint e divenne quasi marrone. “Okay, a: io non spio sotto la gonna di nessuno” disse in tono solenne, “e b: io non sono geloso di nessuno. Ma come ti saltano in mente certe cose? E poi, come ti ho già spiegato innumerevoli volte, è stato un incidente: le è caduta la cartellina e io gliel’ho raccolta. Non è successo proprio niente, volevo solo essere cortese, anche se so che per te non è facile capire un concetto simile, a meno che non sia coinvolto Banner, naturalmente. Ho notato con piacere che vi siete dati del tutto ai giochetti erotici: cos’è, stavolta scambio di ruoli? Tu fai l’infermiera e lui il paziente? Mi chiedo chi dei due, però, spinga la siring-…”
Capitano!”
Steve raggiunse i due agenti nel corridoio e sorrise in direzione di entrambi. Clint cominciò a strofinarsi con forza il punto del fianco dove Natasha aveva stretto due dita ossute e letali allo scopo di attuare la sua vendetta malefica.
“Buongiorno Natasha” disse galante, chinando cordialmente il capo verso l’agente Romanoff. “E anche a te, Clint. Tutto bene?” aggiunse poi dubbioso. “Sembri dolorante.”
Natasha sorrise compiaciuta.
“No” rispose debolmente Clint, continuando la sua opera di massaggio. “Tutto ok.”
“Buongiorno, miei prodi!”
Barton roteò gli occhi al cielo.
“Non si può stare tranquilli nemmeno in ospedale” borbottò seccato. Thor gli rivolse un’occhiata perplessa, poi prese a ciondolare con il Mjolnir e disse ingenuamente:
“Miss Liza ti stava cercando.”
Natasha sollevò le sopracciglia con aria scettica, profondamente irritata e fissò il viso del collega forzato da un entusiasmo che, lei ne era certa, era indirizzato a qualcun altro.
“E come mai?” chiese subito. “Non dovrebbe cercare Stark? È la sua infermiera, non la tua…”
“Pensa ai tuoi giochi di ruolo, Romanoff” replicò incurante Clint e cominciò a camminare nella direzione opposta.
Due porte dopo lo sgabuzzino in cui l’infermiera di Tony e l’agente Barton avevano preso a scambiarsi curiose confidenze, Pepper dormiva. Con il capo sempre poggiato sulle braccia incrociate, aveva gli occhi chiusi e respirava profondamente, tenendo la testa in una posizione che le avrebbe assicurato un male al collo formato famiglia, una volta sveglia. I capelli ramati le accarezzavano morbidamente il viso e la nuca parzialmente scoperta e scendevano fino a posarsi sulle lenzuola bianche che avvolgevano il corpo di Tony.
Il sole era sorto e un raggio più luminoso degli altri entrò nella stanza, cadendo sul viso dell’uomo. Un respiro particolarmente pesante gli dischiuse le labbra e finalmente aprì gli occhi.
E rivide tutto, la luce si apriva dinanzi alle sue iridi nuove ed era tutto perfetto e totale: le lenzuola profumate, il cielo azzurro, il battibeccare mattutino degli uccelli, l’odore della polvere e delle foglie degli alberi. A tutto questo, sentiva altro: era un profumo caldo, familiare, il più caro e caloroso che avesse e quello che aveva imparato ad associare, con il passare degli anni, alla visione della metà di se stesso. Aprì di più gli occhi e cercò la sua luce personale: la trovò proprio accanto a sé e tese una mano per accarezzarle la chioma ramata, osservando con aria soddisfatta il suo viso luminoso e stringendosi le labbra nel suo sorriso più compiaciuto.
Lei si svegliò quasi subito e il suo sguardo ceruleo si specchiò nell’altro, sorpreso e incredulo. Dischiuse le labbra, ma non ne uscì alcun suono.
“Non ricordavo che fossi tanto bella” le sussurrò suadente e lei scosse il capo con gli occhi che brillavano ammalianti.
“Come stai?” gli chiese quando finalmente ebbe ritrovato la voce e tremava e sorrideva senza fiato.
“Abbastanza bene” rispose lui, squadrandosi dall’alto. Non sembrava messo troppo male.
“Sei sicuro? Vuoi che chiami il dottore? O l’infermiera?”
Certo, lei non sapeva che fosse occupata.
“No” rispose subito Tony. “Vorrei mettermi seduto, però.”
Lei annuì e lo aiutò a sistemarsi con la schiena al muro; non c’erano problemi fisici, ma i muscoli erano di certo indolenziti per tutta quella immobilità.
“Mhm” muggì lui pensieroso. “Ci vorrà un po’ di allenamento per rimettermi in forma.”
Lei sorrise e fece per tornare sulla sua fedele sedia, ma Tony la guardò perplesso e indicò con il palmo della mano lo spazio a fianco a sé. Pepper lo accontentò esasperata.
“Vedo che nulla ha potuto contro la tua inguaribile testardaggine” commentò, ma sorrideva ancora e Tony pensò che quell’anticipazione nel sonno non era nulla rispetto alla luce che adesso brillava piena davanti a lui.
“Nulla può contro di me, dovrebbe saperlo” disse compiaciuto, poi il sua sguardo saettò sulle loro mani intrecciate e il sorriso si ampliò. “Signora Stark.”
Lei scoppiò a ridere e le sue guance si colorarono leggermente, sfumando di rosso la pelle chiara sugli zigomi. Sollevò appena le sopracciglia con aria scettica.
“Non so quanto fosse legalmente valido” replicò ironica. Lui sbarrò lo sguardo, seccato.
“Certo che lo era” ribatté ostinato. “Stai mettendo in dubbio l’autorità di Rogers? Meglio per te se non glielo farò sapere, proprio ora che abbiamo deposto le armi. E poi, mi duole dirtelo – ma anche no – ma ormai hai detto sì, non ti tirerai indietro.”
Lei sorrise ancora.
Touché.”
Lui sorrise maggiormente, contento di averla avuta vinta, e si portò le loro mani intrecciate alle labbra, baciando il dorso di quella di Pepper con dolcezza. Lei si sporse e le loro labbra si incontrarono. Appena lei fece per tirarsi indietro, la mano libera di Tony scattò su uno suo fianco e la strinsero maggiormente a sé; un guizzo divertito risuonò sulle loro bocche unite.
“Virginia, non vieni a fare colazio-… STARK!”
Tony ci avrebbe scommesso qualsiasi cosa e non stava scherzando. Sul serio: orologi, vestiti, macchinari, pure tutte le sue automobili tanto ne era sicuro. Di tutte le persone che sarebbero potute entrare – e ne erano davvero tante: Phil, Nick, Howard, Bruce, Natasha, Clint (neanche lui sapeva che fosse occupato) – Tony era certo che sarebbe entrato lui.
“Rogers” sospirò esasperato. “Il tuo modo di esistere nella mia vita, vedo, non è cambiato di una virgola. Sei sempre inguaribilmente irritante e seccante… non hai il minimo senso di opportunità...”
Steve e Pepper si guardarono divertiti, poi anche il Capitano raggiunse il letto di Tony e allungò un braccio per stringere il suo; quando si incontrarono, strinse la presa e un sorriso sincero gli incurvò le labbra.
“Santo Cielo” esclamò Tony provato. “Non posso credere a quello che succede. Manco per poco tempo e tutto va a scatafascio: mia moglie decide che già non vuole adempiere al suo ruolo, tu che continui a corteggiarmi anche adesso che sono un uomo sposato, spingendomi visibilmente verso l’adulterio… ora mi direte che Barton sta flirtando in qualche sgabuzzino con l’infermiera più sexy dell’ospedale…”
“Capitano, che succede lì dentro?”
La voce di Phil arrivò un secondo prima che lui e Bruce si concretizzassero nella stanza ed entrambi sbarrarono gli occhi alla vista di Tony sveglio e in piena forma e attività. Passarono due buoni minuti a fissarsi, poi gli andarono incontro e lo adocchiarono sorridenti ed increduli.
“Ehy!” esclamò Tony oltraggiato. “Santo Cielo, cosa diavolo sono questi sguardi scettici? Non mi piace per niente tutta questa diffidenza, la trovo scortese ed inopportuna e...”
Pepper e Steve risero divertiti e improvvisamente ci fu una gran confusione nella stanza: tutti parlavano, gridavano, ridevano, raccontavano aneddoti ridicoli di vario genere e c’era un caos di primo ordine. Da sempre abituato a domare il caos e altre situazioni simili, Nick fu attirato da quella confusione e si diresse verso la stanza da cui proveniva con Howard alle calcagna. Aprì la porta con aria esasperata, pronto a fare una delle sue ramanzine sull’importanza del silenzio e della tranquillità per le persone che riposano, soprattutto in un ospedale, ma quando fu entrato, rimase senza parole. Tutti tacquero all’improvviso, immobilizzandosi di scatto e fissando quasi intimoriti Fury. Naturalmente, fu Tony a parlare per primo.
“Capo!” esclamò in tono gioviale. “Che meraviglia vederti! Sei in splendida forma, devo dire… forse un po’ palliduccio… nei tuoi limiti, s’intende…”
“Stark” esordì Nick fra l’incredulo e lo spazientito. “Come bisogna fare con te? Che stai facendo?”
Tony sbatté gli occhi con fare innocente e assunse un’espressione angelica che non ingannò nessuno – forse solo Thor.
“Niente, capo” replicò prontamente con la sua voce più candida. “Sono questi indisciplinati che fanno confusione e non mi permettono di riposare serenamente. Ho cercato di spiegare loro come funziona la convalescenza di un povero eroe salvatore del pianeta, ma vedi…”
“Certe abitudini sono dure a morire” bisbigliò Steve a denti stretti.
“Quasi come certe persone” rincarò infinitamente paziente Pepper. Tony li ignorò entrambi.
“… loro non capiscono… insomma, come dargli torto, in fondo? Io sono Tony Stark. Praticamente invincibile e perfetto sotto ogni aspetto” gongolò compiaciuto. Steve lo guardò perplesso.
“Non era Mary Poppins?”
“Dacci un taglio, Rogers” lo rimbrottò subito l’altro. “Le tue conoscenze risalenti al ventesimo secolo in ambito cinematografico non sono richieste. Sempre se di conoscenze si può parlare…”
“Ascolta, Stark, se è per questo, mettere in pericolo te stesso per poi dire che hai salvato il mondo non è particolarmente ortodosso…”
“Ortodosso? Sai anche usare questi paroloni difficili, ma che bravo!”
“E dovresti smetterla di trovare tutto così divertente e… e… e uno scherzo, insomma! Farsi quasi uccidere e poi far prendere uno spavento a tutti quanti di certo non ti rende l’eroico salvatore di noi tutti poveri mortali che dobbiamo quindi inchinarci di fronte alla tua armatura di rottami…”
“Rottami a me? Ma come ti permetti?! Non sono io che vado in giro a combattere con una padella…”
“E se non la smetti di chiamarla padella, sul serio, Stark…”
“Un’altra minaccia verbale? Noto che certe abitudini sono dure a morire…”
“Ma come sei simpatico, davvero. Perché non ti presenti a fare il buffone in televisione a qualche show…”
“Sarei divino anche lì e so che muori dalla voglia di vedermi con addosso una di quelle conturbanti tutine da cheerleader che tu ami tanto…”
“Ma di che diavolo stai parlando?!”
“Oh, giusto, non sai cosa significa conturbante. Dunque, è un sinonimo, cioè una parola che sta per un’altra come significato concettuale, di esaltante, entusiasmante, sconvolgente, provocante, sensuale, eccitante…”
“Stark, giuro che…”
“Cosa, tesoro?”
“E non…”
Silenzio!”
La voce di Nick risuonò forte nella stanza e perfino Tony ammutolì all’istante. Per un secondo, i suoi occhi guizzarono sul viso incredibilmente stanco di Howard e si sentì leggermente a disagio.
“Stark” riprese nel silenzio.
“Mi dispiace che tu ti sia preoccupato per me, sul serio…”
“Sei un incosciente.”
Tony sorrise compiaciuto.
“Anche tu mi sei mancato, capo.”
               

*

 
Clint non aveva più fiato. Era nello sgabuzzino attiguo alla stanza in cui Stark e l’allegra compagnia di pazzi stavano festeggiando il risveglio del figliol prodigo con urla di giubilo e altro chiasso vario, con la schiena poggiata al muro e Liza stretta a lui e le loro labbra incollate. Teneva le mani attorno alla vita formosa della ragazza e stringeva fra le dita il tessuto bianco del camice stropicciato in più punti, continuando a muovere la bocca su quella piena di lei. Un mugolio di soddisfazione gli sfuggì dalla gola e aumentò la stretta.
“Mi staranno cercando” disse in un sussurro smorzato. “Natasha già aveva capito qualcosa…”
“Cosa t’importa?” replicò lei con voce estremamente sensuale e accomodante. “Resta ancora un altro po’…”
Clint sospirò rumorosamente e rimase nella stessa posizione, lasciando che lei lo spingesse con maggior forza contro il muro ripieno di scaffali di bende e ovatta. Percepì le mani di Liza stringersi sul collo della camicia e un improvviso, avvilente pensiero di quanto avesse sudato per renderlo perfetto come il suo.
“Clint!”
La voce dell’agente Romanoff li fece trasalire entrambi. Clint si staccò da Liza come se si fosse punto.
“Ci sentiamo dopo” le disse baciandole di nuovo le labbra. Lei lo guardò uscire con il broncio sulla bocca, ma senza trattenerlo ulteriormente. Appena fu fuori, Clint si sistemò la camicia nei pantaloni e cercò di assumere un aspetto decente e rispettabile, ma lo sguardo che Natasha gli rivolse gli fece comprendere appieno come qualunque tentativo fosse inutile, così lasciò perdere e seguì la collega al banchetto del vitello grasso.
 

*


“Non se ne parla neanche.”
Pepper era irremovibile. Se ne stava lì, in piedi, davanti al letto, con le braccia incrociate e lo sguardo severo. Tony, ancora seduto sul materasso, la fissava implorante.
“Non mi guardare in questo modo” riprese lei rigida, stringendo maggiormente la stretta delle braccia. “Non mi impietosirai con quegli occhi, chiaro? Non se ne parla. È una cosa irresponsabile e inaccettabile e anche intollerabile.”
Tony sospirò profondamente e allungò un braccio fino ad afferrare il polso di Pepper, attirandola accanto a sé.
“Tesoro” le disse tranquillo, “per favore, non è un capriccio” le spiegò con gentilezza, “davvero. Voglio andare a casa, sto bene… voglio solo andare a casa. Per favore.”
Pepper sospirò, scuotendo la testa con aria visibilmente lacerata tra i suoi due più grandi istinti: quello di fare sempre la cosa giusta e quello di dar sempre retta a Tony.
“Va bene” disse infine. “Va bene, ce ne possiamo andare, se proprio ci tieni.”
Tony sorrise ed era quel sorriso gentile, infantile, stranamente dolce che rivolgeva sempre e solo a lei.
“Grazie” le sussurrò in risposta e si sporse per darle un bacio a fior di labbra. Qualcuno entrò proprio in quel momento.
“Santo Cielo” esclamò esasperato Barton. “Ma non sapete fare altro?!”
“Barton!” lo riprese severa Natasha. “Questi non sono affari tuoi, senza contare che non mi risulta tu abbia il diritto di parlare, guarda.”
Clint si zittì subito.
“Come stai?” gli chiese Bruce sorridente, prendendo posto sulla famosa sedia scomoda accanto al letto. Steve osservava Tony da lontano con sguardo pensieroso.
“Bene” rispose il diretto interessato con un sorriso che voleva esser rassicurante ma che, di rassicurante, non aveva proprio nulla. “Una favola. E infatti” aggiunse lanciando a Pepper un’occhiata vittoriosa, “ce ne torniamo a casa.”
Un silenzio scettico cadde nella stanza. Fu Steve a parlare per primo.
“Stai scherzando, Stark” disse scettico. “Sarebbe folle.”
“Non capisco cosa ti stupisce, allora.”
“Clint, forse hai bisogno di un’altra discussione?”
“Come non detto.”
“Tony” intervenne Bruce pacato, “non mi sembra proprio un’idea geniale. Insomma, ti sei risvegliato solo da poche ore, hai bisogno di riposo e controllo almeno per un altro giorno, non trovi?”
“No” replicò prontamente Tony. “Non trovo affatto e anzi ritengo che mi abbiano tenuto in questo squallido, triste e deprimentissimo posto anche troppo a lungo, motivo per cui voglio andarmene il prima possibile.”
“Pepper” disse Natasha spazientita, “ti prego di fare qualcosa. Fallo ragionare.”
Pepper sospirò e incrociò lo sguardo di Tony, sorridendo impaziente.
“Non credo sia geneticamente possibile.”
 

* 

 
Era molto tardi quella sera, anzi, quella notte e la Stark Tower era avvolta nel silenzio più totale. Le camere da letto erano stranamente vuote, non c’erano Vendicatori o ospiti di altro genere in giro per casa e Nick e Howard erano ancora all’ospedale a sgridare i loro eroi per aver permesso a quel pazzo di Stark di fare di testa sua per l’ennesima volta, senza neanche esser stati capaci di accorgersi del momento nel quale il folle aveva lasciato la sua stanza. Più tardi, il cielo notturno di New York era di un blu etereo e profondo e una valanga di stelle piccole e luminose brillavano sparse per quel firmamento così perfetto. All’ultimo piano della Torre, sul bordo del cornicione, sedevano due persone a scrutare quel cielo e le loro risate risuonavano nel pacifico silenzio della notte. Tony non credeva di aver mai visto un cielo così bello ed era incredibile tornare ad osservare la luce soffusa e malinconica della luna rischiarare il viso di Pepper in quel modo così sorprendente, dopo aver rischiato di non assistere mai più a quella meraviglia. Quel bagliore romantico ricadeva sulle sue guance, su quelle poche lentiggini degli zigomi e faceva risaltare il colore della sua pelle.
“Ancora non posso credere di averti assecondato” stava dicendo lei, continuando a mangiare il suo toast col prosciutto. “Fury sarà fuori di testa a quest’ora, probabilmente, e Howard avrà un infarto. È stata una cosa assolutamente folle e irresponsabile… non ti permetterò mai più di comportarti in modo così irresponsabile, spero tu ne sia cosciente.”
Tony rimase ad ascoltare quella ramanzina, sorridendo di quelle parole. Sarebbe stato un peccato non poter più ascoltare le sue ramanzine. C’era un qualcosa di assolutamente fantastico nel modo in cui Pepper lo rimproverava: quando lo sgridava, Tony coglieva sempre quella serietà che la contraddistingueva, aggiunta ad un pizzico di preoccupazione per lui di cui non poteva più fare a meno.
“E non ridere.”
Tony scoppiò definitivamente in una fragorosa risata e scosse il capo, pescando un altro hamburger dal sacchetto incastrato fra le loro gambe. Diede un morso al panino e ne assaporò il gusto, prima di rivolgere l’attenzione a sua moglie.
“Sai” disse incredulo. “Non posso credere che siamo davvero sposati.”
Pepper sollevò le sopracciglia con aria spazientita e sospirò profondamente.
“Grazie per avermi ascoltata” disse con un filo di irritazione. “E comunque no.”
Tony alzò bruscamente lo sguardo e un pezzo dell’hamburger gli andò di traverso.
“Di che parli?” ansimò agitato. “Certo che lo siamo” disse una volta ripreso il respiro e il contegno.
“Non tecnicamente” precisò Pepper pulendosi le mani. “Ci siamo sposati durante una battaglia contro un centinaio di droni impazziti guidati da un folle con smanie di protagonismo. Tu indossavi l’armatura e io ero mezza nuda…”
“Eri bellissima” intervenne Tony adorante.
“… non c’erano testimoni, preti o anelli e soprattutto eravamo disperati.”
“Se questo è un modo per cercare di sfuggire alle tue responsabilità, te lo scordi.”
Pepper rivolse a Tony un’espressione incredula e lo colpì al braccio.
Io sfuggo alle mie responsabilità?” ripeté incredula. “Ma che faccia tosta.”
Tony sorriso sornione e ingoiò l’ultimo boccone.
“Intendo dire che stai evidentemente cercando di invalidare una cosa che, invece, è validissima” illustrò con fare pratico. “La battaglia rendeva tutto più romantico, l’armatura mi stava d’incanto, come tutto, d’altro canto, tu saresti bellissima anche con uno straccio e tuttavia non lo sei mai stata come in quel momento. Infine, l’autorità di Rogers vale molto di più di quella di qualsiasi prete ed eravamo circondati da testimoni. Rassegnati, siamo sposati.”
“Povera me.”
“Già, povera te. Tutte le donne ti invidiano. Ahia!”
Pepper sorrise angelica.
“Ti è venuto un livido?” chiese adorabile. Tony rispose al sorriso provocatore e spostò il sacchetto che era ancora incastrato fra le loro gambe.
“No” rispose con naturalezza. Pepper lo guardò scettica mentre si avvicinava e gli sorrise di rimando. Le braccia di Tony la presero in vita e lei si ritrovò con la schiena appoggiata al suo petto e le loro mani intrecciate in grembo. Sospirò, chiudendo gli occhi, e si lasciò stringere, posando la fronte contro la sua guancia.
“Mi sei mancato” gli sussurrò affettuosa e si rilassò contro di lui. Tony la osservò sorridendo e le strinse una mano nella sua, sfiorandole il viso con le dita, dalla fronte al naso alle labbra fino al mento. Era incredibile come potessero passare da uno stato d’animo a un altro nel giro di pochi secondi. Pepper sorrise senza aprire gli occhi.
“Pensavi di liberarti già di me?” le bisbigliò lui scherzoso. “Volevi fare già la vedova bianca? Te lo puoi anche scordare, splendore, perché di me non ti libererai mai e poi mai.”
“Nei secoli dei secoli” citò lei solenne e risero.
“Esatto” confermò lui compiaciuto. “Ma se proprio ci tieni alle fedi, credo di poter fare qualcosa” aggiunse pensieroso. “Dopotutto, anche abbiamo solo fatto la cerimonia, ora dobbiamo fare il ricevimento e muoio dalla voglia di sentire il discorso del testimone… Rhodey non mi perdonerebbe mai una mancanza del genere. E poi, si sa: Tony Stark può tutto.”
“Naturalmente” gli concesse divertita Pepper e aprì finalmente gli occhi, stringendosi di più a lui e osservando pensierosa il cielo. “Vorrei che tutte le sere fossero come questa.”
“Oh” esclamò Tony divertito, “intendi dire sul bordo di un cornicione di una torre con energia autosostenibile di cento e più piani in compagnia del tuo marito incosciente e vivo per miracolo? A mangiare hamburger e toast e al freddo?”
Pepper sorrise e scosse la testa.
“No” rispose testarda. “Sotto il cielo più bello che si possa osservare, con l’uomo più straordinario, folle e geniale che si possa sposare e che amo follemente.”
Tony sentì le proprie labbra distendersi in quell’unico sorriso e le poggiò con delicatezza su quelli di Pepper, baciandola con forza e dolcezza.
“Sei stato di parola” disse lei dopo alcuni minuti di silenzio. “Non mi hai lasciata.”
Tony sorrise ancora, compiaciuto.
“Tony Stark è un uomo d’onore, amore… non lo sapevi?”
Pepper rise e annuì.
“Adesso lo so.”































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Lo so, lo so: non dovrei nemmeno avere il coraggio di presentarmi dopo quello che ho combinato, ma la colpa non è mia o, almeno, non totalmente. Questo maledetto documento mi sta davvero facendo perdere la testa e purtroppo non so più come fare; credo che, per la prossima volta, comincerò a mandarmi i capitoli in posta elettronica da sola per non rischiare più questi tremendi infarti, altrimenti poi impazzirò. U.u
Tra l'altro, il capitolo non mi fa neanche impazzire, non è scritto affatto come avrei voluto, ma non importa ormai. Non vi avrei fatto aspettare ancora e mi scuso immensamente con tutti i lettori. Sono mortificata. :'(
Mi scuso anche perché sto reggendomi in piedi a causa del sonno arretrato e della tremenda giornata che ho trascorso e quindi, oltre a scrivere cose insensate, devo anche fuggire prima di addormentarmi sul pc. Prima di lasciarvi, come sempre:

[1]: Sonny tra le stelle è una serie televisiva statunitense diventata famosa su Disney Channel

[2]: la situazione di Barton è decisamente complessa, me ne rendo conto. Ve ne do atto informandovi che, semplicemente, il suo interesse per la signorina Liza ha un secondo fine e vediamo se capite di chi stiamo parlando *ha sonno e sta sclerando. IGNORATELA*;
[3]: le frasi del dialogo finale tra Tony e Pepper fanno svariati riferimenti ad alcuni capitoli precedenti della storia. Conto sul fatto che li abbiate colti tutti. 

Prima di scappare, grazie, grazie, grazie, GRAZIE DI CUORE a Silvia, Even, Alley, Missys, Maretta e Ylenia. Siete MERAVIGLIE UMANE. 
♥ Spero che gradiate questo capitolo più di me. *-*
Un bacio e alla prossima - promesso che sarà PRESTO. Tanto affetto, 
Mary. 

 

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Capitolo 20
*** Capitolo XX – A-Friends ***


Capitolo XX
A-Friends




Era davvero molto presto quella mattina quando Tony si svegliò.  Il sole era sorto da pochi minuti e illuminava di un roseo candore il cielo ancora addormentato attorno a sé, colorando lievemente i batuffoli di nuvole che aleggiavano nella coltre di quell’azzurro rosato. Era ancora steso sull’orizzonte dell’oceano newyorkese e la Mela vagava ancora nel in un silenzioso stato sonnolento quando Tony aprì il primo occhio.
Appena sveglio, ebbe subito la chiara consapevolezza che fosse a stento l’alba. Stirò i muscoli delle gambe e si rigirò fra le coperte, sentendosi quasi a disagio in quel letto così grande, dopo tutte quelle notti trascorse tra divani e tappeti – sempre quando era riuscito a dormire, naturalmente. Quell’idea lo fece istintivamente sorridere e si segnò mentalmente di parlare con Bruce a proposito di qualcuno, quel giorno. Quel pensiero ebbe come effetto l’ampliamento di quel raggio luminoso sulle labbra e gli fece sbattere le palpebre sugli occhi assonnati con insolita vivacità.
Si rigirò ancora una volta sotto le lenzuola e si spostò su un lato della vita, cercando a tentoni con le braccia la vita di Pepper. Una volta che l’ebbe raggiunta, intrecciò le mani sui suoi fianchi e poggiò il viso sulla sua spalla, baciandole delicatamente la pelle sulla nuca e dietro l’orecchio. Pepper emise un buffo verso, che somigliava vagamente ad uno sbuffo d’esasperazione mescolato alla dolcezza di un sorriso, e respirò profondamente.
“Buongiorno.”
Tony sorrise, senza smettere di muovere le labbra, e rispose.
“Buongiorno.”
Pepper si mosse, senza districarsi dalla stretta, e si ritrovò con la fronte poggiata all’incavo del collo di Tony mentre il suo era ancora sotto la sua bocca.
“Non posso crederci che abbiamo dormito in un letto stanotte” disse e parlò con tanta ingenuità nella voce impastata e stanca che a Tony venne da ridere.
“Stavo pensando la stessa cosa” disse di rimando e la guardò divertito. Lei si accorse della sua attenzione e aprì un occhio per controllare.
“Non pensavo ci riuscissi” asserì stupita dopo qualche istante di silenzio. Tony aggrottò le sopracciglia, perplesso.
“A fare cosa?”
“A pensare.”
Un sorriso scettico gli incurvò le labbra e Pepper sbatté le palpebre con aria innocente, le iridi incredibilmente azzurre sul viso niveo e visibilmente assonnato.
“Ma che meraviglia” commentò a sua volta ironico. “E io non pensavo di aver sposato una donna così piena di arguzia e sarcasmo. Lo sai che certe volte mi ricordi Rogers?”
“Lo prenderò come un complimento” rispose lei e sorrise in un modo malizioso che trasformò il sorriso di Tony in un ghigno tirato. “Ora che siamo in confidenza, posso anche dirti che, quando mi ha baciato, ho sentito qualcosa, sai… alla bocca dello stomaco… come un uragano…”
“Non ti agitare” la rimbeccò subito Tony e le guance gli si tinsero di una vaga sfumatura color porpora, tinta ad una strana tonalità verdastra. “Era solo la nausea e forse i conati di vomito.”
Pepper notò quel colorito sul viso del marito e sorrise con più entusiasmo.
“Mah, non saprei” continuò fingendosi pensierosa. “Insomma, sarà pur vero che è alle prime armi, dopotutto, ma ha un non so che…”
“Non lo sa nessuno.”
“… di veramente speciale e virile, sai…”
“Ne dubito seriamente.”
Pepper si fermò e rimase divertita a guardare il risultato del suo innocuo scherzetto; Tony la fissava orgoglioso e deciso a non mostrare cedimenti nel suo comportamento da uomo e marito distaccato e moderno. Davanti a quell’espressione così incredibilmente da lui, a Pepper venne da ridere e incrociò le braccia dietro al suo collo, sfiorandogli il naso con il proprio e poi le labbra. Quando si allontanò dopo parecchi minuti, stava ancora sorridendo.
“Dovremmo alzarci” commentò stirando all’indietro i muscoli del collo. “È tardi.”
Tony, che stava cominciando ad apprezzare seriamente il tentativo di farsi perdonare della moglie, aggrottò le sopracciglia e lanciò un’occhiata perplessa all’orologio sul comodino, sul cui quadrante color gesso le lancette segnavano le sei passate da meno di una decina di minuti.
“Hai una visione della realtà completamente assurda” replicò con tono incredulo. “È l’alba.”
“Sì, ma dovremmo alzarci lo stesso” ribadì Pepper convinta, afferrando in un palmo il lembo di un lenzuolo per districarsene, gesto che Tony interpretò come un inizio del suo piano di fuga e, quindi, pessimo, “mica possiamo rimanere a poltrire tutto il giorno a letto.”
“A me sembra un’ottima idea ed una valida alternativa a qualsiasi noioso, tedioso, stancante e insopportabile altro piano tu abbia sicuramente in mente” fece Tony sbattendo le palpebre con un fare innocente che non ingannò Pepper neanche per un istante. “Che altro vorresti fare?”
Virginia sbatté a sua volta le palpebre e trattenne faticosamente l’impulso di roteare gli occhi al cielo e sbuffare esasperata.
“Ci sono milioni di cose da fare” riprese con voce zelante e Tony serrò la mascella per evitare ad un fiume d’imprecazioni di scorrere in un turbinio incredibilmente volgare dalle sue labbra, “e sono tutte estremamente urgenti.”
“Non vedo proprio niente di urgente” replicò prontamente e la sua abilità nel trasformare quella valanga di invettive ed esclamazioni poco cordiali in un’asserzione degna del miglior Valter Rossi lo spinsero ad un silenzioso, ma gratificante encomio di se stesso, “dopo che, recentemente, le abbiamo passate di tutti i colori, credo abbiamo il diritto di trascorrere una giornata in attività simili, piacevoli e redditizie.”
“Redditizie?” ripeté Pepper, storcendo le labbra in una smorfia incomprensiva. “E per chi?”
“Per noi, naturalmente” rispose Tony e la sua bocca si sciolse in un sorriso malizioso mentre allunga le braccia per avvolgere di nuovo il corpo della moglie. “Siamo stati invasi in casa da un’ondata di Lanzichenecchi che hanno distrutto le nostre abitudini, stravolto la nostra esistenza e fatto a pezzi metà mobilio, ci siamo infiltrati a feste poco raccomandabili, flirtato con criminali pazzi e pericolosi a livello inaudibili, sfrecciato in macchina per evitare rapimenti dopo esser fuggiti da altri rapimenti e poi siamo anche saltati in aria... insomma, un po’ di riposo dovrebbe esserci concesso, no?”
Pepper ascoltò con espressione divertita il chilometrico elenco scorso irrefrenabile dalle labbra del marito, intrecciando le mani attorno al suo collo, e dovette ammettere a se stessa che, detta così, la faccenda si prospettava molto più faticosa di quanto pensasse.
“Sei molto convincente, a volte, lo sai?” mormorò sorridendogli ad un soffio dalle guance. Tony accolse il gesto con entusiasmo e cominciò a muovere le mani sulla schiena di Pepper, disegnando con i polpastrelli caldi e ruvidi cerchi concentrici sulla sottile stoffa bianca. “Quindi restiamo qui.. a fare... ?”
“Assolutamente niente” concluse Tony compiaciuto. “Cioè” si affrettò ad aggiungere, “in realtà, nella mia testa, stavo pensando più ad uno di quei noiosissimi film che ti piacciono tanto, sai, quelli in bianco e nero colorati dopo o non colorati affatto con gli attori che si ricorda perfino Rogers, come Il Mago di Oz, Sette spose per sette fratelli o La finestra sul barile...”
“Sul cortile.”
“... e poi magari rimanere a letto tutta la giornata e riprendere un di po’ forze e poi, dopo, magari, se abbiamo ripreso bene le forze, rilassarsi in un altro genere di attività...”
“Mi sembra ingiudicabile, ordinato e totalmente inaspettato.”
“È un complimento? Un assenso? Lo interpreterò come un entrambi. Judy Garland o Grace Kelly?”
“Judy. Niente come un ballo con Ray Bolger potrà aiutarmi a rimettermi in forze... insieme ad una buona colazione.”
Tony annuì comprensivo e si sollevò tra le lenzuola, sorridendo soddisfatto.
“Andata. Adesso ci prepariamo una colazione da re e ce la godiamo a letto e dopo, magari, potremmo mangiare anche-...”
Prima che riuscisse a concludere quella frase in un modo che sarebbe stato di certo poco opportuno e anche molto fuori luogo, Pepper roteò gli occhi al cielo e si sollevò sulle ginocchia, sporgendosi con il volto per tappare la bocca di Tony con la propria.
“Mi piace quando fai la prepotente, splendore” le soffiò sulla bocca adorante. Pepper rivolse di nuovo gli occhi verso l’alto e lo spinse con i palmi aperti e tutte le dieci dita puntate sul petto all’indietro, precedendolo in cucina. Tony emise un verso indentificato con le labbra e lasciò che i suoi occhi la seguissero nel perfetto movimento delle gambe fino alla porta prima di imitarla.
“Sai, ormai non puoi più fare così” le disse una volta in cucina, afferrando due tazze dalla credenza.
“Così come?” fece Pepper, azionando a sua volta la macchinetta del caffè.
“L’insolente con me” specificò Tony e sembrava stranamente – e pericolosamente – entusiasta. “Sei mia moglie e ci sono doveri coniugali precisi...”
Pepper dovette cogliere il cuore del discorso nell’aria perché arrossì vagamente e lo interruppe prima che potesse dire precisamente in cosa consistessero quei “doveri coniugali”.
“Si stanno bruciando i toast.”
Tony volse appena un’occhiata al pane, perfettamente caldo al punto giusto, prima di sollevarlo dalla piastra e gettarlo in un piatto nel vassoio, ghignando compiaciuto.
“Bel tentativo.”
“Non so di che parli.”
“Ooh, lo sai benissimo” la blandì Tony, ancora più visibilmente soddisfatto “Acchiappa il Mago, lo Spaventapasseri ci aspetta. E devo anche continuare il mio discorso sui doveri della mo-...”
Dliiin dlon.
“... no.”
“Jarvis, chi è?”
Tony spalancò la bocca, incredulo, ma l’unico suono che ne uscì fu un verso inarticolato di indignato stupore.
“L’agente Romanoff dello S.H.I.E.L.D., signorina Potts. Dice che è piuttosto urgente.”
La potenziale interruzione della perfetta mattinata che aveva tanto accuratamente programmato a causa della presenza molesta dell’agente spionistico con cui andava meno d’accordo parve riscuotere Tony, il quale prese rumorosamente fiato prima di intervenire.
“Falla entrare.”
“No!” esclamò oltraggiato. “No, non se ne parla nemmeno. Jarvis, non osare permettere a quella-...”
“Buongiorno Stark.”
“... serpe.”
“Ciao Natasha” fece Pepper con un sorriso fugace, dopo aver lanciato uno sguardo di fuoco al marito. “Entra pure, stavamo per fare colazione... vuoi del caffè?”
Natasha varcò la soglia della torre, il volto incorniciato dai folti ricci scarlatti e senza increspature. Le labbra scure erano immobili, gli angoli lievemente arricciati verso l’alto e uno spesso plico di documenti stretto sotto il braccio.
“Molto gentile, grazie Virginia” replicò con voce incolore, una leggera incrinatura nel tono che Pepper, ormai abituata alla compagnia dei Vendicatori in casa come a quella di Jarvis, non mancò di cogliere. Tuttavia, preferì non farglielo notare; riempì una tazza con il caffè e gliela porse.
“Cosa ti porta da queste parti?” chiese sedendosi sul primo sgabello che trovò. Tony le rivolse uno sguardo incredulo.
“Niente di importante” rispose al posto di Natasha. “Sono sicuro che potrai tornare un’altra volta, non è vero? Bene, ciao Tatiana, salutaci James Bond.”
“Tony!” lo rimproverò Pepper stupita. “Non esagerare. Sono certa che Natasha non abbia deciso da sola di buttarsi giù dal letto per venire a trovarci all’alba e che non l’avrebbe fatto se non fosse per qualcosa di estremamente importante.”
“Infatti” riprese Natasha, allontanando il bordo della tazza dalle labbra perfettamente immacolate, “il direttore Fury vorrebbe che tu dessi un’occhiata a questi documenti, Stark” aggiunse porgendogli. Tony storse percettibilmente la bocca in una smorfia disgustata e non li afferrò. “Sono i file sul congegno.”
Virginia osservò con cura l’espressione scura della ragazza mentre afferrava il plico al posto del marito per poi porgerglieli a sua volta e scurò lo sguardo cristallino sopra l’orlo di porcellana, incuriosita dall’ombra che pervadeva le iridi chiare.
“Tony, perché non vai a darci un’occhiata nello studio?” disse dopo qualche istante. “E dopo cominci ad avviare il film, ok? Io arrivo tra poco.”
Tony prese i documenti con uno sbuffo e spalancò di nuovo la bocca, ulteriormente oltraggiato, ma Pepper abbassò un braccio e strinse due dita sul ventre, facendogli serrare i denti piccato.
“A dopo, allora” disse con voce stridula per poi uscire dalla stanza continuando a borbottare senza tregua, visibilmente impegnato nel tentativo di esercitare tutto il suo autocontrollo per reprimere l’istinto di urlare le sue imprecazioni.
Appena la sua sagoma fu scomparsa dalla sua visuale, Pepper riempì di nuovo le due tazze di caffè e ne porse una a Natasha, che continuava a mantenere lo sguardo fisso nel vuoto. Quando notò la mano della ragazza offrirle la ciotola, afferrò il manico e ne sorseggiò lentamente il contenuto. Virginia le concesse un altro minuto di silenzio prima di incalzare.
“Cos’è successo?” le chiese con pazienza. Sul viso che tanto era abituata a vedere serio e distaccato, ostinato e sicuro di sé, ombreggiava un’espressione incrinata dalla concentrazione più arcigna e un filo di rassegnazione che Pepper non avrebbe mai immaginato di scovare in quei tratti nivei.
“Niente” rispose Natasha tranquilla. Pepper sollevò un sopracciglio con fare scettico e allora l’altra dischiuse le labbra in un muto sospiro prima di confessare. Non che fosse nel suo genere lasciarsi andare ad ammissione segrete, ma, benché nascosto, c’era un lato molto umano in lei, forse ancora più grande che in tante altre persone, celato dietro maschere di biasimo ed indifferenze che davvero poche persone erano capaci di oltrepassare. Era una parte intensa, spontanea, racchiusa sotto facciate di distacco che era rimasta in silenzio per tanto tempo prima che tutta la sofferenza passata che l’aveva segregata in un angolo di quel corpo venisse scalfita da un sentimento ben più nobile e molto più caloroso e accogliente; eppure, proprio a causa di quel contatto inaspettato e totalmente sconosciuto, il risveglio faceva ancora più paura.
“Bruce” sospirò infine e la sua voce non era più incolore, distaccata o rigida, ma pregna di una seria amarezza che fece sbarrare gli occhi a Pepper, stupita.
Non che Virginia ci avesse prestato troppa attenzione nell’ultimo periodo, ma, anche in ospedale, per quanto fosse stata terribilmente e costantemente occupata con Tony, aveva notato come Natasha e Bruce avessero stretto un rapporto piuttosto, diciamo, buono e, dopo gli eventi del Flûte, non aveva più nutrito dubbi sulla natura della loro relazione.
“Mi ha mentito” aggiunse Natasha e una punta di amara irritazione increspò la sua voce frustrata. “E io l’ho scoperto.”
Ovviamente, pensò Pepper sorridendo debolmente. Rifletté che Bruce non era stato particolarmente scaltro in quell’occasione; sul serio pensava di riuscire a mentire a Natasha, sperando che lei, che delle bugie era la regina, non se ne accorgesse?
“In che modo?” chiese cercando di usare più tatto possibile.
“Ha incontrato Betty” rispose e riprese un’espressione così indifferente tutt’a un tratto che Pepper dovette faticare per trattenere l’impulso di allungare una mano per stringere la sua.
“La figlia di Ross?” domandò stupita.
“La conosci?!” chiese subito Natasha, sollevando finalmente il viso, stupefatta, per quanto naturalmente potesse esserlo.
“Non proprio” spiegò pronta Pepper. La conosceva, sì, ma di vista. Suo padre, il generale, era tra le conoscenze di Tony e lei aveva avuto più occasioni per parlare sia con lui che con la figlia. Non si era mai trattato di discussioni particolarmente eloquenti, ma aveva notato che quegli sguardi ammiccanti che la ragazza era solita rivolgere a Tony e che l’avevano sempre profondamente infastidita erano cessati con l’arrivo di quel cattivo umore del generale che, tutti sapevano, era causato dalla relazione che la fanciulla aveva allacciato con un dottore. “L’ho vista un paio di volte a delle feste” riprese noncurante. “Comunque, magari non te l’ha detto perché non è importante. Forse si sono incontrati per caso o per lavoro o magari voleva chiudere definitivamente con lei, ci hai pensato?”
Natasha annuì, più tranquilla, e parlò ancora.
“Be’, comunque, il problema è che si sono incontrati e lui non me l’ha detto. Non esigo che lui mi dica tutto quello che fa” aggiunse seria, “ma, insomma, perché mentirmi? Non sono un’adolescente, se voleva incontrare Betty, era ed è tuttora liberissimo di farlo, ma non capisco per quale motivo dirmi di avere un impegno con Stark se poi non è vero.”
Pepper sorrise debolmente e scosse il capo con fare comprensivo.
“Forse non voleva farti preoccupare o magari ha cambiato idea all’ultimo momento” tentò serafica, ma le parole suonavano anche a lei vuote e insensate.
Natasha diede un lungo sospiro e svuotò la tazza di caffè.
“Ora devo andare” aggiunse dopo qualche istante. “Ho del lavoro da fare. Salutami Stark e... grazie.”
Senza aspettare una risposta, girò su se stessa e raggiunse a passo svelto l’ascensore. Quando le porte metalliche si furono richiuse, Pepper sorrise ancora e posò le due tazze sul fondo del lavandino.
“Jarvis?”
“Sì, signorina Potts?”
“Tony è in camera?”
“Sì, signorina. Sta vedendo Il Mago di Oz e mi ha detto di comunicarle che non la farà entrare prima dell’incontro con l’Uomo di Latta.”
Pepper roteò gli occhi al cielo con una risata.
“Egocentrico.”
 

*

 
La casa di Phil Coulson era nota, in quanto proprietà del suddetto agente, per il suo ordine e la sua pulizia. Ogni singolo oggetto in quell’appartamento si trovava sempre al suo posto, perfettamente spolverato e sull’apposita mensola, che si trattasse di libri, vestiti o uno dei preziosi cimeli di Capitan America.
Eppure, quel pomeriggio di quel giorno grigio, c’era il caos.
La camera da letto di Phil era stata completamente messa a soqquadro: le cravatte più disparate ricoprivano le superfici dei mobili, scarpe di ogni sorta giacevano sul parquet impolverato e l’intero guardaroba del proprietario di casa era stato trasferito sul letto ancora da rifare. Phil, che se ne stava in piedi davanti a quello spettacolo indecoroso, osservava il tutto con espressione imperscrutabile.
Aspettava quel giorno da settimane, anzi da mesi, e si sentiva tutto un subbuglio.
Continuava a camminare per la stanza, in preda all’ansia, alla ricerca di qualcosa di adatto, ma più scartava i vestiti, più si rendeva conto che il problema non fosse l’abito. A quel pensiero, uno sbuffo d’impazienza gli sfuggì dalle labbra e chiuse gli occhi, scuotendo il capo con diniego.
Abbandonò un altro abito sul materasso e si avvicinò allo scaffale del guardaroba quando lo squillo del telefono ruppe il silenzio nel piccolo appartamento scombinato facendolo trasalire con violenza. Lasciò cadere la cravatta che aveva appena scovato sulla mensola in cui l’aveva pescata e superò due paia di scarpe per afferrare il cellulare. Senza neanche leggere il nome del mittente sul display, rispose.
“Pronto?”
“Phil?”
La voce spensierata di Pepper fu la solita ventata di allegria e Phil sorrise nonostante tutto.
“Come va? Già sei pronto?” gli chiese subito e, anche se non poteva vederla, Phil se la immaginava benissimo mentre camminava scalza per casa sorridendo divertita.
“No” rispose divertito a sua volta. “Sono disperato.”
“Sul serio?” chiese lei stupita. “Be’, allora vieni da me.”
Phil aggrottò la fronte, pensieroso.
“Non colgo il nesso logico” fece perplesso. Pepper sospirò profondamente dall’altra parte del telefono.
“Non c’è un nesso logico” spiegò lei allegra. “Ho voglia di parlare con te, nessun ragionamento. Allora, vieni o no?”
Phil pensò un minuto: vagò con gli occhi sul mare in tempesta che si era abbattuto sulla sua abitazione, vagliò attentamente tutte le ipotesi plausibili e colse con un sospiro affranto lo stomaco infiammato dai sensi di colpa e l’agitazione.
“Sto arrivando.”
Il tragitto dal suo appartamento alla Torre non prevedeva più di quindici minuti di viaggio ed esattamente ad un quarto d’ora dalla fine della telefonata Phil varcò la soglia della Stark Tower.
Quando fu entrato in salotto, la prima cosa che vide fu Pepper seduta a gambe incrociate sul divano, un sorriso luminoso sul volto libero dalla coda ramata sulla nuca e una luce affettuosa nelle iridi di cielo.
“Sei sempre puntuale come un orologio” lo blandì sporgendosi per schioccargli un bacio sulla guancia. Phil sentì il punto in cui le labbra di lei l’avevano toccato farsi appena più caldo. “Tutto bene?”
“Sì” rispose con prontezza lui, ricambiando il saluto e trattenendo a stento l’impulso di roteare gli occhi al cielo. “E tu? Come sta il tuo marito folle e senza speranza?”
Lei rise debolmente e scosse la testa, conducendolo verso il corridoio.
“Sta bene, è in ottima forma, dire. Ora, è in laboratorio con Bruce” aggiunse scrollando le spalle divertita, varcando con un saltello la soglia della camera da letto e dirigendosi verso la cabina armadio.
“Dobbiamo fare una sfilata di moda?”
Pepper finalmente si fermò; si girò su se stessa e gli rivolse un’occhiata perplessa, sbattendo le palpebre sulle iridi stupite.
“Dobbiamo trovarti un abito adatto” spiegò con naturalezza, aprendo lo scorrevole con un semplice gesto della mano. Le piccole dita sottili s’infilarono tra gli indumenti scuri, alla ricerca di un completo elegante fra quelli che Tony si era sempre rifiutato categoricamente di indossare che si intonasse all’occasione.
“Sei sicura che a tuo marito non dispiaccia?” le domandò, sedendosi alle sue spalle. “E poi non c’è bisogno.”
“Certo che c’è bisogno” replicò Pepper convinta, ignorando intenzionalmente il riferimento a Tony. “Pensavo ci tenessi.”
La stilettata era troppo acuta per essere tralasciata e Phil non trattenne un sospiro paziente.
“E infatti ci tengo” specificò con voce sicura, molto, “e questo non spiega il tuo tono gelido di condanna. Mi hai sempre incoraggiato, con Marilyn.”
“Questo prima di sapere la verità” riprese lei, continuando a dargli le spalle e osservando incredula una cravatta con la fantasia di Iron Man, appuntandosi mentalmente di farla sparire il prima possibile. “E se ti ho perdonato è stato solo perché ti voglio bene. Ma non posso credere che tu stia davvero facendo una cosa del genere” proseguì intestardita. “E non parlo solo di altre persone. Ferisci anche te stesso.”
“Pepper” ribadì lui con un sospiro, “ne abbiamo già parlato. È la cosa migliore per tutti.”
“No” replicò lei con prontezza. “È quella peggiore, per te, per lui e per lei. È terribile. Condanni non solo te stesso, ma altre due persone, alle quali tieni pure e anche parecchio, all’infelicità perpetua perché hai paura di affrontare la realtà.”
“No, perché lo dice il regolamento” fece Phil ostinato.
“Ti prego” sbuffò Pepper incredula. “Non è così e tu lo sai. Perdona la brutalità, ma proprio non riesco a vedere il mio migliore amico che si distrugge la vita per qualche timore su un sentimento.”
Bloccò improvvisamente le mani e sospirò a lungo, girandosi a guardarlo e raggiungendolo sul letto. Si sedette al suo fianco e gli strinse la mano con forza.
“Ma tu sei sicuro?” disse lei all’improvviso. Phil sollevò il volto e vide gli occhi luccicanti cerulei di Pepper fissarlo con dolce comprensione.
“Perché?” domandò. Le sue guance si accesero e si sentì irrimediabilmente stupido.
“Lo sai” rispose lei sempre con quel tono così maledettamente razionale, il che era del tutto insensato perché quello a cui alludeva era tutto tranne che razionale.
“Certo” bisbigliò Phil con un sospiro. “Sì. È giusto” insistette quando lei gli rivolse un’espressione scettica. “Non sarebbe giusto il contrario. Marilyn è una ragazza carina, simpatica, affettuosa...”
“Ma non è C-...”
“Non dirlo” la bloccò lui con i palmi aperti e tesi. “Pepper, sul serio: sarà meglio così, per tutti.”
“Fingere non è mai la cosa migliore, Phil, lo sai?” gli fece notare lei e un’ombra di malinconia le offuscava lo sguardo premuroso. “Non cambierà nulla.”
“Deve” ribatté lui convinto. “Vedrai. E poi” riprese con un sorriso affettuoso, “non mi è mai piaciuta una ragazza come Marylin. A lei tengo davvero tanto.”
“Tanto non è sempre sufficiente, Phil.”
Quella frase giunse all’orecchie di Phil come una freccia di ghiaccio, perforandogli il petto e i polmoni. Il dardo scese nel sangue e puntò dritto al cuore; la metafora lo fece sorridere debolmente e Pepper strinse la presa sulla sua mano.
“Non serve a niente sbottonarle il vestito, agente, se prima non le sbottoni il cuore. E mi dispiace deluderti, ma non è una cosa che puoi fare con chiunque, ma solamente con chi può sentirlo davvero e quello non lo scegli tu.”
Gli occhi dell’agente si tinsero di un luccichio malinconico mentre si posavano sul volto di Pepper e lei poggiava la testa sulla sua spalla. Fece scivolare l’altro braccio ad accarezzare quello di lei e avvolse il dorso niveo con il palmo che non era già a contatto con il suo sinistro e affondò una guancia sul suo capo, cullato dalla profumata carezza della chioma ramata.
Infine, chiuse gli occhi e avvertì il silenzio penetrargli nella testa in subbuglio un attimo prima che Tony entrasse.
Spalancò la porta distrattamente e i suoi occhi scrutarono perplessi la situazione che gli si presentava. Osservò stupito Phil, poi guardò scettico Pepper.
“E io ora cosa dovrei pensare?” chiese minaccioso. Pepper sorrise.
“Che me ne sono trovata un altro” rispose maliziosa. Lui strinse le labbra per non scoppiare a ridere.
“Hai cercato poco.”
La cravatta con le armature lo centrò sul naso.
 

*

 
L’alba era ancora lungi dal sorgere e il cielo era di un tenue cobalto tinto di sfumatura gialline e rosate, appena scostato dalla notte appena trascorsa, ma non ancora fresco del nuovo giorno.
Lontano dal quartiere di Broadway, ma non abbastanza perché dalla finestra principale non si scorgesse la sagoma maestosa della Stark Tower stagliarsi sul cielo d’ovatta colorato di fiordaliso e orchidea, in un piccolo appartamento al secondo piano, in un palazzo sulla Novantaseiesima, Phil era sveglio e stava pensando.
Camminava per la casa silenziosa Marylin e di lì a poche ore sarebbe spuntato il sole, ma a lui non interessava perché la luce non sarebbe arrivata più.  Era luminoso, sì, come il sole al tramonto; sì, perché quella era la fine di qualcosa, per poter essere l’inizio di Marylin. La sua luna stava sorgendo e Phil sapeva che quella notte aveva definitivamente detto addio al suo, di sole.
Si muoveva a passo veloce, lungo il corridoio, con indosso solo un asciugamano al punto vita, ignorando lo stato brado in cui si trovava il costosissimo completo scuro di Stark, che davvero poco aveva potuto contro l’assalto di Marylin e, al diavolo gli incubi, sì che le aveva fatto vedere il Paradiso. L’ennesimo sospiro gli sfuggì dalle labbra, incurvate in un sorriso debole, e tornò in camera da letto, raggiungendo di nuovo Marylin sotto le coperte e sperando di lasciarsi fuori quel mare di confusione che gli faceva girare la testa. Lei avvertì subito la presenza di Phil al suo fianco e si destò, baciandolo con dolcezza.
“Grazie” sussurrò ancora assonnata. Phil arrossì vistosamente, il ventre infiammato dai sensi di colpa. “Non ho mai pensato che avrei mai trovato davvero la persona giusta.”
Le guance di Phil avvamparono ulteriormente per il riferimento involontaria, ma una vaga traccia di malinconia gli bloccò la voce in gola e quando parlò avvertì lui stesso una piccola nota di desolazione nelle sue parole.
“Neanche io” replicò imbarazzato e ricambiò lento il bacio.
Chiuse gli occhi, stendendosi sotto le lenzuola stropicciate e Marilyn gli si rannicchiò contro, la testa su una spalla e le braccia a cingergli la vita in una presa morbida, ma decisa. I capelli biondi cadevano a riccioli sul petto scoperto di Phil e le labbra accarezzavano in teneri baci la pelle tesa, due dita a strofinare la clavicola opposta.
Phil la osservò addormentarsi su di lui mentre continuava a lambirgli i muscoli prominenti del torace e delle spalle e provò un moto di inconsolabile malinconia per quel gesto, quasi il giramento di testa gli stesse avvolgendo la mente. I sensi di colpa lo punsero con la forza di un elefante in fuga, colpendolo dolorosamente fisicamente e sentì il ventre contrarsi per la violenza di quella sensazione di inadeguatezza e incomprensione e non riusciva a capire perché.
Marilyn gli piaceva, anzi, di più, era la ragazza perfetta, giusta, quella che aveva sempre aspettato... e allora perché tutto gli sembrava così irrimediabilmente e indiscutibilmente sbagliato?
Era davvero possibile che perfino la persona giusta cessava di essere tale se si scopriva di non poter esistere con quella perfetta?
La testa prese a girargli tutt’a un tratto con tanta forza che Phil si lasciò cadere con la nuca sul cuscino, respirando profondamente. Aveva appena chiuso gli occhi, con la ferma intenzione di non muoversi per almeno le prossime due ore, prima di fuggire in ufficio, benché la prospettiva di quello che sarebbe successo lì lo terrorizzava a dir poco, quando il cellulare squillò.
Atterrito dall’ipotesi che potesse essere Stark, ansioso di avere un fresco resoconto della serata, Phil afferrò di scatto il telefono e, quando vi lesse il nome sul display, rimase piuttosto sorpreso.
“Pepper?” sussurrò stupito. “Che succede?”
“Phil?”
La voce della sua migliore amica appariva esitante e colma di agitazione.
“Mi dispiace disturbarti, ma ho bisogno di te.”
Il ritorno di Glanster, un nuovo attacco alieno, l’invasione della Terra a opera di crudeli esseri di grandi dimensioni dotati di corna appuntite: subito le più nere aspettative cominciarono a farsi strada nella mente di Phil e un’onda di ansia lo travolse.
“Natasha è scomparsa.”
Essendosi figurato una situazione in cui il mondo intero era in pericolo a causa delle manie di grandezza dell’ennesimo folle maniaco, Phil rimase sinceramente sconcertato di fronte a quell’affermazione.
“Natasha?” ripeté perplesso. “In che senso?”
Pepper sospirò profondamente e se Phil non avesse avuto quel mal di testa da primati forse avrebbe colto la sfumatura di biasimo e compassione in quel fruscio d’aria.
“Nessuno sa che fine abbia fatto, fino a cinque minuti fa, quando mi ha chiamata il barista del Poncho e mi ha detto che, secondo lui, è il caso che la vada a prendere. Solo che volevo chiederti se mi puoi accompagnare… se non è un disturbo per te, naturalmente…”
Sembrava davvero dispiaciuta e Phil subito le rispose, sorridendo. Lei l’avrebbe sentito lo stesso.
“Certo che non lo è” disse tranquillo e quasi fu felice di avere una scusa per sfuggire da quell’oceano di confusione. “Ci vediamo lì tra dieci minuti.”
La sentì sorridere al telefono a sua volta.
“Grazie, Phil.”
Prima che potesse chiudere, la sentì sospirare e attese la domanda che stava aspettando.
“Stai bene?”
Sorrise debolmente e non trattenne un sospiro affranto.
“Pensavo facesse meno male.”
Trascorse un altro istante di silenzio, poi Virginia parlò ancora.
“A tra poco.”
Phil chiuse il cellulare e si alzò cauto dal letto, cercando a tentoni quello che rimaneva della camicia e dei pantaloni che erano stati di Tony. La giacca era praticamente in brandelli, per cui decise di portarla al braccio. Si vestì nel miglior modo possibile che gli permetteva il contesto e fece per avvicinarsi alla porta quando la voce di Marilyn lo richiamò.
“Ci vediamo stasera?” chiese lei dolce. Phil sorrise tristemente e si chinò per baciarle le labbra. “C’è il concerto, potresti venire. Il violoncello è il tuo strumento preferito, dopotutto.”
Phil si chiese se il doppio senso fosse solo nella sua testa. E si chiese soprattutto perché aveva pensato ad un altro, violoncello; sempre ad arco.
“Non saprei” rispose garbato. “Forse sono di turno, ma ti faccio sapere. Ora devo andare.”
Uscì silenziosamente e corse quasi per le scale, cercando di fare il minor rumore possibile.
Le strade di New York, a quell’ora – erano le cinque del mattino?! Natasha le avrebbe prese di brutto – e Phil raggiunse il Poncho in meno di dieci minuti.
Entrò nel locale facilmente e si ritrovò in un’enorme sala illuminata solo da luci fioche e colorate, dove la musica risuonava a volume quasi inesistente e i pochi tavoli occupati erano in stato pietoso. Alcuni giovani reduci da una nottata di bagordi erano mezzi addormentati su alcuni divanetti in un angolo, con le gambe intrecciate e la sbornia pesante, i baristi erano impegnati nel riordinare la sala e una manciata di persone erano ancora sedute a sorseggiare bevande colorate e ingerire altre sostanze palesemente poco salubri.
Cercando di ignorare il proprio senso di responsabilità che gli imponeva di sequestrare tutta quella roba, cominciò a guardarsi intorno alla ricerca di Natasha, con scarsi risultati. Era appena riuscito nell’intento di ottenere una ripota da un barista in stato confusionale che continuava a cantare a squarciagola alla domanda se aveva visto una ragazza rossa con una negazione quando Pepper entrò. Superò un gruppo di ragazzi del tutto andati all’ingresso del locale, senza fermarsi di fronte ai loro richiami animali, come sempre splendida e perfetta perfino alle cinque del mattino, e raggiunse Phil con agilità.
“Ciao” la salutò lui, cercando di sovrastare la voce di David Guetta che aveva cominciato a inneggiare il pubblico assente. “Come va?”
Pepper gli rivolse uno sguardo esasperato e rispose:
“Sono tornata alle due da una festa a cui Tony mi ha praticamente costretta ad andare perché era in onore di Rhodey e, appena sono riuscita ad addormentarmi, il barista mi ha telefonata. Ha il mio numero perché Tony era un assiduo frequentatore qualche anno fa e Natasha è venuta qui un paio di volte per questioni di lavoro. Sa che è mia amica e mi ha chiamata perché dice che è meglio che vada a casa” concluse pragmatica. Phil annuì e riprese a guardarsi intorno.
“Eccola.”
Seguì lo sguardo di Pepper e, quando vide dove puntava, scosse il capo con decisione: Natasha era seduta da sola ad un tavolo, lo sguardo glaciale offuscato dalla stanchezza e tra le mani un enorme bicchiere di quella che, a naso, sembrava vodka.
“Natasha” esclamò Pepper, sedendosi accanto a lei. “Stai bene?”
Natasha sollevò lo sguardo dall’orlo del boccale e scrutò il viso di Virginia con aria stanca.
“Che ci fai qui?” chiese assottigliando gli occhi. “Come siete arrivati?”
“Non ci pensare” intervenne Phil deciso. “Tu stai bene?”
“Sì” rispose lei con convinzione e Pepper annuì rassicurata.
“Non è ubriaca” aggiunse in risposta allo sguardo interrogatorio di Phil, “è solo un po’ stanca... perché sei qui?” chiese poi rivolta a Natasha. Lei arricciò le labbra in una smorfia seccata.
“Fury mi ha dato il compito di tenere d’occhio un tale” replicò storcendo il naso, “Joss Whedon.”
“Lo conosco” fece Phil comprensivo. “Ma come mai era qui, ieri sera?”
“Non sapevamo se fosse qui o da un’altra parte” replicò Natasha con un sospiro, “così hanno mandato me qui e Barton all’Huci.”
Pepper represse a stento un sorriso quando sentì l’amico trattenere rumorosamente il fiato alle sue spalle.
“E hai bevuto un po’ per passare il tempo.”
“Non sono ubriaca” ripeté gelida e Pepper annuì.
“Lo sappiamo” disse tranquilla, “ma adesso dobbiamo andare. Fury vorrà un rapporto.”
“E da quando a te interessa quello che vuole Fury?”
Phil colse lo sguardo di Virginia e tacque.
“Va bene, dove hai messo la macchina?”









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Seriamente, non so con quale coraggio mi presento qua, come si dice a Napoli, e mi sento davvero imbarazzatissima per l'imperdonabile ritardo con cui mi accingo a pubblicare questo maledetto ventesimo capitolo. So che è banale e ridicolo e anche molto retorico, ma tutto ciò che posso dire è che mi dispiace e che mi scuso infinitivamente. Prometto di non comportarmi così male mai più. 

Dunque, speriamo che questo capitolo, nonostante arrivi con anni luce di ritardo, sia almeno gradito. 
Ho passato gli ultimi tre giorni a leggerlo e correggerlo e rileggerlo e ricorreggerlo ancora e adesso non ne posso più. Lo affido a voi, in versione definitiva, e spero lo gradiate. ^^
La trama ormai è spianata - ci credo, siamo a quattro dal finale - e non dovrebbero esserci più tanti quesiti irrisolti. Ho inserito un po' più d'introspezione del previsto, spero che non annoi e spero anche di esser riuscita a mantenere tutti i personaggi IC. Inoltre, mi auguro che la rivelazione sul pairing slash non shocki o stressi chi non è sostenitore della coppia, nel cambiamento di fronte; chiariamo, io provo un sentimento di tenero fluff per la violoncellista, ma chi mi conosce sa con chi shippo Coulson e, ahimè, anche qui. *-* Spero sia tutto plausibile e sensato e basta con ciance, sto straparlando come Stark. Vi lascio le solite informazioni e fuggo via, non prima però, di aver ringraziato con tutto il cuore quelle quaranta meravigliose persone che seguono la storia e le altrettanto straordinarie trenta che la preferiscono/ricordano e le sei che hanno recensito la scorso capitolo - Kairy, Alley, LadyBlack, Maretta, Even e Missys; voglio scusarmi con loro in particolar modo per il ritardo e prometto che non succederà più. 

Cercherò di fare i salti mortali per aggiornare Giovedì prossimo, promesso!
E ora: 

[1]: Friends è una sitcom americana che narra le vicende di sei amici trentenni a New York; 
[2]: Il Mago di Oz, Sette spose per sette fratelli, La finestra sul cortile sono tutti film abbastanza vecchi - risalenti, rispettivamente, al 1939 il primo e al 1954 il secondo e il terzo. Judy Garland interpreta la protagonista - Dorothy Gale - ne Il Mago di Oz, accanto a Ray Bolger - Lo Spaventapasseri; l'Uomo di Latta è un terzo personaggio - e Grace Kelly è la co-protagonista femminile ne La finestra sul cortile accanto a James Stewart. E sì, li ho citati perché sono tra i miei film preferiti; 
[3]: Tatiana Romanova è un personaggio del film A 007, dalla Russia con amore ispirato all'omonimo libro di Ian Fleming. L'ho accostato a Natasha per l'identicità del cognome e l'identità di spia russa; è la principale Bond girl della storia; 
[4]: "L'importante non è sbottonarle il vestito, ma sbottonarle il cuore" è una citazione di Gossip Girl, della mia Queen B; 
[5]: l'allusione alla "persona giusta" da parte di Marilyn e Phil è, naturalmente, alla storia di Steve e Peggy *non ha niente a cui pensare*;
[6]: Joss Whedon è il regista di The Avengers e, *trattiene il fiato*, della serie americana Agents of S.H.I.E.L.D. che andrà in onda in Autunno con protagonista il mio Coulson *sprofonda in un mare di teneri aww*. 


Credo di non essermi persa nessun pezzo per strada. ^^ Un bacio a tutti e alla prossima!
Mary. 

PS. Scusate ancora. T.T'

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