dark angel l'angelo macchiato di sangue di Black_Sky (/viewuser.php?uid=225671)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** come una fenice ***
Capitolo 2: *** A Casa ***
Capitolo 3: *** ali bianche per osservare meglio il dolore perchè scappare dai problemi aumenta le sofferenze ***
Capitolo 4: *** se ti senti come se stessi annegando in un mare di lacrime amare ricordati che sai nuotare ***
Capitolo 5: *** Essere forte non vuol dire desiderare di essere un involucro vuoto, per non provare il dolore, ma vuol dire saper affrontare la vita a testa alta nel bene e nel male ***
Capitolo 6: *** Incontri con il passato ***
Capitolo 7: *** Amicizia e dolore ***
Capitolo 8: *** La nostra storia comincia proprio quel giorno di primavera ***
Capitolo 9: *** Un libro, due amici e strane apparizioni ***
Capitolo 10: *** LA ROSA ROSSA E LA PIUMA ARGENTO ***
Capitolo 11: *** RINATA ***
Capitolo 12: *** Ti va di ballare? ***
Capitolo 13: *** Cadendo, sto cadendo ***
Capitolo 14: *** Chi sei? ***
Capitolo 15: *** ricordi ***
Capitolo 1 *** come una fenice ***
Come una
fenice
Le
giornate, qui a Londra, sono sempre molto fredde,
soprattutto in questo periodo dell’anno, quando scende la
neve che fa sparire i
fiori fino alla primavera.
In
questo periodo dell’anno non ci sono molte persone per le strade, dopo
l’orario di chiusura dei
negozi addobbati per il Natale, e quei pochi che ci sono lì
sono ragazzi
ubriachi che esono dalle discoteche.
Io
lo so perché è solo dopo la chiusura dei negozi
che io
riesco finalmente ad uscire di casa, solitamente.
Bene.
Mi
chiamo Clove White, ho 17 anni,una sorellina di otto anni
di nome Violeta e un fratellino di cinque di nome Jordan. Mi piace
disegnare e
sono abbastanza brava e per questo frequento il quarto anno al liceo
artistico
di Londra.
E
sono un’assassina.
Sì,
ho ucciso delle persone: i miei genitori.
Per
questo il pomeriggio devo fare delle sedute con uno
psicologo e uno psichiatra. Loro pensano che io sia in stato di shock e
mentalmente confusa perché nel sonno ripeto sempre ( a
sentire loro) “ mamma,
papà scendete dalla macchina. Sto bruciando!
Scappate!”
Tutte
le volte che mi sveglio trovo lo psicologo, il dottor
Carter, e lo psichiatra, il dottor Roberts, che mi fissano.
Mi
dicono che i giorni che seguirono la morte dei miei io
continuavo a ripetere nel sonno che avevo preso fuoco. Io mi ricordo
vagamente
quello che successe quella sera di quattro settimane fa.
Alla
polizia ho detto che mio padre ha perso il controllo
dell’auto ed è andato a sbattere contro il
guardrail. Questa cosa non è del
tutto falsa. Mio
padre ha veramente
perso il controllo dell’auto ed è andato a
sbattere contro il guardrail . Non ho
detto solamente che papà ha perso il controllo per colpa
mia, che avevo preso
fuoco. Detta così la faccenda suona impossibile.
Ma
è la verità.
Non
sono pazza. Per quanto sia impossibile che una persona
prenda fuoco come una fenice quando è giunto il momento
della sua morte, prima
che rinasca.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** A Casa ***
Parenti
Sono
passati quindici
giorni da quando ero stata dimessa dall’ospedale.
Jordan
e Violeta sono stati portati dai nonni paterni che
erano gli unici parenti che abitavano in Inghilterra.
Non
l’ho detto ma i miei parenti sono sparsi un po’ per
il
mondo: i miei nonni materni abitano alla periferia di Tokyo, in
Giappone; la
sorella di mio padre abita a Venezia, con suo marito; mio fratello
maggiore,
che ha 25 anni, abita in Africa, dove fa il dottore.
Per
questo motivo io ero abituata a viaggiare molto. Tutte le
feste le facevo per il mondo, andando a trovare i miei parenti. Per
Natale e
Capodanno partivamo per l’Africa, per Carnevale andavamo a
trovare la zia
Gertrude e zio Mario nella “città delle
meraviglie”, come la chiamo io e prima
dell’inizio dell’estate andavamo dai nonni.
Queste
diverse città mi sono sempre piaciute molto ognuna per
motivi diversi… ora odio
quelle città
perché sono lì tutte le persone che amo di
più al mondo e che non possono
venire qui a Londra per stare con me e confortarmi.
Sì
per fortuna ho i miei nonni .
Ora
sono a casa loro seduta sulla poltrona ottocentesca di
velluto rosso dove si sedeva sempre la mamma, a riguardare le foto di
famiglia.
I
medici mi hanno detto che domani potrò finalmente tornare a
scuola a patto che il pomeriggio torni a casa dei nonni per le sedute
con lo
psicologo.
Sì,
non vedo più da un pezzo il dottor Roberts James, lo
psichiatra che mi assisteva. Mi hanno detto che si è
trasferito in Francia,
dove gli hanno offerto un posto di lavoro migliore.
Mi
ero affezionata a lui.
Nonna
mi ha portato dei biscotti con il the per le cinque del
pomeriggio. È strano starsene seduta qui senza mamma e
papà.
Mi
mancano le carezze e le parole dolci di mamma, i lamenti e
le sgridate di papà.
Non
mi sento più io.
Non
mi sento più a casa.
Non
parlo più.
Non
leggo più.
Per
tutto il tempo guardo vecchie foto senza versare lacrime,
ne ho già versate troppe. Troppe lacrime che solcano i visi
dei miei fratelli
che ancora pensano alla sera in cui sono morti i nostri genitori.
Non
voglio più fare niente.
Casa
mia non è più questa.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** ali bianche per osservare meglio il dolore perchè scappare dai problemi aumenta le sofferenze ***
ALI
BIANCHE PER OSSERVARE MEGLIO
IL DOLORE PERCHÉ SCAPPARE DAI PROBLEMI AUMENTA LE SOFFERENZE
Ero pronta per andare a scuola, avevo indosso la mia divisa a quadri e
stavo
aspettando il bus che doveva venirmi a prendere.
Non sapevo come sarebbe potuto essere tornare in classe, con tutto
quello che era
successo non volevo vedere nessuno.
Non ero ancora pronta a rivedere i miei compagni di classe, loro non
avrebbero
capito quello che era successo….
Stava
arrivando anche
Jake, il mio migliore amico
fin dal primo anno delle elementari che era in ritardo come al solito.
Speravo
non mi vedesse, non volevo
parlargli. Magari dopo.
Invece
mi aveva visto perché stava
correndo a più non posso verso di me agitando per aria la
mano destra.
< Clove! Finalmente
sei tornata! Senza di te ero
perso…>> Sì, mi aveva
visto….
<<
Ciao Jake! Come
sempre in ritardo!>> Non potevo far
finta di niente così abbiamo aspettato l’arrivo
del bus e intanto
abbiamo parlato, quando siamo arrivati
davanti a scuola avevo finito di raccontare il perché della
mia assenza.
Avevo
gli occhi lucidi, lo sapevo.
Sentivo di avere le guance rosse.
Jake
comunque non ha detto niente
e mi ha abbracciata.
Sentivo
che il suo cuore batteva
fortissimo, e lui stava trattenendo le lacrime.
Lui
è fatto così, è molto
sensibile ma molto forte.
Ero
sicura che appena io me ne fossi
andata lui avrebbe cominciato a piangere per i miei, lui era come un
quinto figlio
per loro e da parte sua li rispettava come fossero i suoi veri genitori.
Veniva a casa mia quasi tutti i
pomeriggi, dopo la scuola.
Non parlava mai dei suoi genitori, io
non sapevo neanche
come si chiamassero. Sapevo soltanto che erano separati e tutte le
volte che si
sentono o si vedono litigano.
Per questo Jake è
sensibile ma sa come trattenere il pianto.
Lui sa cosa vuol dire soffrire.
<< A
volte…>> mi diceva spesso,<<
vorrei
un paio di ali, bianche come quelle delle colombe ma forti come quelle
di un’aquila,
che mi portino in celo e vedere dall’alto tutta la sofferenza
che affligge
ognuno di noi. Ci sono volte che si vorrebbe scappare dai problemi. Ma
scappare
da quello che provi vuol dire essere codardi e facendo questo aumenti
le tue
sofferenze.>>
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** se ti senti come se stessi annegando in un mare di lacrime amare ricordati che sai nuotare ***
Con questa frase in mente me ne andai
in classe, dove trovai
Christine, la mia vicina di banco con dei fiori in mano.
Quando mi vide si asciugò
una lacrima che le era scivolata
sul viso abbronzato e mi corse in contro.
Mi disse che pensava non tornassi
più dato il tempo che non
andavo a scuola, le avevo telefonato il giorno prima per raccontarle
della morte
dei miei, ma non avendola trovata in casa avevo raccontato tutto a sua
madre.
Mi disse che quel pomeriggio, dopo la
scuola sarebbe andata
al cimitero per posare i fiori sulla tomba dei miei.
In classe la voce era già
circolata e tutti venivano a farmi
le condoglianze. Scoprii quel giorno che qualcosa non andava, non
volevo la
pena degli altri, non volevo i fiori.
Volevo stare sola, con il mo migliore
amico, magari o con i
miei famigliari.
Quel giorno passò molto
lentamente, tra le professoresse che
mi mettevano note su note per i compiti non svolti, i compagni che
erano presi
da uno strano silenzio.
Guardandomi bene attorno
però c’era qualcosa di diverso,
qualcosa che stonava.
Poi la vidi, era una ragazza con i
capelli lunghi e neri e
gli occhi smeraldo.
Non l’avevo mai vista, era
arrivata quando io non c’ero.
Guardandola bene però
pensavo di averla già incontrata.
Anche quando, dopo la fine delle
lezioni, stavo tornando a
casa dei miei nonni con Jake pensavo a quella ragazza.
<< quindi è
per quello che… Clove, mi stai
ascoltando?!>> No, non lo ascoltavo. Stavo pensando dove avevo visto la nuova
compagna di classe….
<< Scusami è
che stavo riflettendo….. Dicevi,
scusa?>>
<< Dicevo che tu
dovresti riposarti perché hai una
brutta cera.>> rispose
dolcemente
lui rivolgendomi uno di quei suoi tipici sorrisi comprensivi.
<< in effetti non dormo
la notte, da quando sono morti
i miei. Mi addormento ma mi sveglio in preda agli incubi… Quasi tutte le volte che
mi sveglio sto
urlando e piango….>>
C’eravamo fermati e Jake mi
guardava da dietro le lenti
degli occhiali con quei suoi occhi azzurri come il cielo .
Mi metteva in ansia quando mi
guardava così, fin dalle
elementari.
Se mi rivolgeva uno dei suoi sguardi
io per distrarmi mi
tormentavo con l’indice una malcapitata ciocca di capelli,
che si arricciava.
Non riuscivo a sopportare il suo
sguardo per molto tempo
perché mi imbarazzava e se lo guardavo negli occhi dovevo
alzare la testa
perché lui è di parecchio più alto di
me.
Lo stavo ancora guardando quando mi
ha appoggiato la fronte
sulla mia e mi ha detto una delle sue solite frasi piene di saggezza,
nonostante la sua età è molto, molto maturo.
< ti sembra di annegare in
un mare di lacrime
amare ricordati che tu sai nuotare.>>
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Essere forte non vuol dire desiderare di essere un involucro vuoto, per non provare il dolore, ma vuol dire saper affrontare la vita a testa alta nel bene e nel male ***
ESSERE FORTI NON VUOL DIRE DESIDERARE
DI ESSRE UN'INVOLUCRO VUOTO, PER NON
SOFFRIRE, MA VUOL DIRE SAPER AFFRONTARE LA VITA A TESTA ALTA NEL BENE E
NEL
MALE
Sì io so nuotare.
<< hai ragione Jake,
grazie. Non so cosa mi succeda ma
in questo periodo non voglio vedere nessuno, tu sei una delle
pochissime
persone che riesco a sopportare….>>
<< Non ti devi scusare,
i tuoi genitori sono morti
meno di un mese fa, è normale.>>
Detto questo staccò la
fronte dalla mia, quasi a fatica e
ricominciammo a camminare.
Tra di noi era sceso un silenzio che
non c’era mai stato
prima, dato che lui era sempre stato un chiacchierone.
Quel silenzio mi fece pensare ancora
alla frase che aveva
detto Jake poco prima: anche se ti sembra di annegare in un mare di
lacrime
amare ricordati che tu sai nuotare.
Aveva
ragione. Io
sono sempre stata forte.
Tutti quei pensieri mi fecero venire
in mente che non sapevo
ancora dove avessi visto la mia nuova compagna di classe.
Tutt’un tratto
sbattei contro qualcosa e caddi rovinosamente a terra con il sedere.
Ero talmente presa dai miei pensieri
che non mi ero nemmeno
accorta di aver rallentato il passo, stando dietro a Jake. Quando
quest’ ultimo
si era accorto che ero rimasta indietro si è fermatoed io
gli sono andata
addosso.
Jake mi stava porgendo una mano ed io
di buon grado ho
accettato l’aiuto con piacere.
<< Oplà.
Stai più attenta la prossima volta,
ok?>> ci risiamo con i suoi modi dolci Jake mi fa
diventare rossa come un
pomodoro.
Eravamo arrivati davanti a casa e da
lì a poco sarei dovuta
andare dallo psicologo.
<< vuoi una tazza di
the?>> Non avevo voglia
della seduta.
<< Ma non dovevi fare
una seduta con….>> Stava
per ribattere. Allora lo presi per un braccio e lo tirai dentro il
cancello.
<< Niente storie, la
mia era una domanda retorica. Di
cortesia. Forza vieni non ti mangiamo mica!!>>
Dopo aver bevuto il the lo psicologo
era arrivato ed io sono
dovuta andare con lui.
Prima però dissi a Jake di
tornare a casa. Non gli avevo
detto il perché. Mi sembrava ovvio. Da quelle sedute io ne
uscivo distrutta,
dato che mi facevano rivivere il momento della morte dei miei.
L’incontro con il dottore
durò più di un’ora e uscita avevo
voglia di piangere e corsi in camera mia.
Appena chiusi la porta mi misi a
piangere.
Poi delle mani mi presero per la
vita.
Sobbalzai per lo spavento. Mi girai
d’impulso e mi trovai a
due centimetri dalla faccia di Jake che non sorrideva ma i suoi occhi
brillavano di comprensione.
Non ce la facevo più e mi
misi a piangere, con il volto sul
suo petto e le sue braccia che mi circondavano.
<< Vorrei..
essere..vuota..per ..non..soffrire>>
mi ci vollero tre minuti per formulare questa frase ad alta voce tra i
singhiozzi.
Come sempre la frase saggia di Jake
non arrivò molto dopo.
Mi disse << In questo
momento devi essere forte ed
essere forte non vuol dire desiderare di essere un involucro vuoto, per
non provare il dolore, ma
vuol dire saper affrontare
la vita a
testa alta nel bene e nel male.>>
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Incontri con il passato ***
Nel bene e nel male, a testa alta.
Sono andata avanti a piangere per
più di dieci minuti.
Quando poi Jake mi disse che doveva andarsene mi vennero ancora le
lacrime agli
occhi, non volevo restare da sola quella notte.
Ero sicura che stando lì
da sola gli incubi si sarebbero
fatti vivi.
Dopo aver fatto i capricci come una
bambina di cinque anni
mi staccai da Jake e lo lasciai andare.
Erano quasi le undici e mezza di sera
quando mi addormentai.
***
“ dove
sono? Non sono
più a casa della nonna….”
Mi trovavo
in un luogo
buio, silenzioso.
Il suono di
una
campana e la luce improvvisa che invase quel luogo. Ero a Barcellona,
nella
Sagrada Familia. L’avrei riconosciuta fra mille.
Altre
campane e poi
una luce abbagliante, tanto da dover chiudere gli occhi.
Quando li
riaprii ero
in un villaggio. Ero nel villaggio. Sì, dove lavorava mio
fratello.
Vidi una
bambina
correre di circa se anni inseguita da un bambino di circa tredici anni.
I due erano
fratello e
sorella e mi sembravano familiari.
Ero io con
mio
fratello. Me ne accorsi quando rividi i miei genitori che ci chiamavano.
Poi altre
campane. Poi
la luce.
Ero in un
parco, con
un fiumiciattolo.
I ciliegi in
fiore
tipici giapponesi e….. eccomi là, seduta per
terra a gambe incrociate con in
braccio Violeta ancora neonata. Poi sono arrivate la mamma e nonna Ami
in
kimono, doveva essere un giorno di festa….
Ancora le
campane e la
luce.
Ero ancora
in una
chiesa ma questa volta la luce era lieve.
Poi la voce della mamma e
quella del papà.
Papà
urlava contro la
mamma dicendo che era una bugiarda e poi le diceva che io ero come lei,
un
mostro.
Poi la luce
li
illuminò. Non erano lì. C’era solamente
una foto di mio padre per terra,una di
mia madre sospesa e
un quadro con su un
corpo femminile snello con un arco in mano e una faretra piena di
frecce sulla
spalla. Osservando meglio il quadro si vedeva che lo sfondo non era
bianco ma
era fatto di piume, piume appartenenti a due ali gigantesche che
partivano dalle
scapole di quel corpo senza volto. Sulle punte erano rosse di sangue.
Il quadro
poi si mosse e quella figura uscì dalla cornice.
Incoccò
una freccia
sull’arco e la lanciò. La freccia colpì
entrambe le foto che cominciarono a
perdere sangue.
Un’altra
freccia che
questa volta mi colpì in pieno petto. Mi accasciai a terra.
La figura venne
verso di me.
I nostri
nasi si
toccavano ma io non vedevo il suo volto.
La figura
poi aprì gli
occhi. Due occhi gialli contornati di nero mi osservavano. Erano i miei
occhi.
La ragazza
ero io. Il
quadro con le ali.
La mia copia
mi tirò
su in piedi ed entrò in me come se fosse un fantasma.
Le mie mani
erano
sporche di sangue, il mio sangue e quello dei miei genitori.
Urlai.
***
Mi svegliai urlando.
Le mie mani erano sporche di sangue,
che mi scendeva dal
naso.
Piansi al ricordo
dell’incubo fatto poco prima.
Alle foto dei miei grondanti di
sangue, le cercai nel
cassetto del comodino.
Ebbi paura, non erano più
lì.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Amicizia e dolore ***
Cercai quelle stramaledette foto per
tutta casa, quella
notte ma non le trovai.
I nonni erano andati con Violeta e
Jordan a trovare mio
fratello in Africa e quindi andai a cercare anche nelle loro camere.
Quella
notte maledii
quella casa enorme.
Era grande come un palazzo, con
più piani. Al piano terra si
trovavano la cucina,la camera della cuoca e il salotto, con divani
ottocenteschi e mobili della stessa epoca e la sala da pranzo; al primo
piano
la sala per il the, con i divani sempre ottocenteschi e tavolini
rotondi di
legno rossastro, la camera dei nonni e un bagno. Al terzo piano si
trovavano le
camere dei miei fratelli, la sala della musica, la mia preferita, con
un
pianoforte a coda nero lucido, un’altra camera per gli ospiti
e due bagni. In
soffitta c’era la mia camera, che io adoravo. Da
lì riuscivo ad avere una
panoramica di Londra completamente diversa, riuscivo a vedere le stelle
perché
il tetto aveva un’apertura fatta di vetro.
Cercai tutta notte ma non trovai
niente.
Stavo pensando e capii che era la
prima notte che dormivo
completamente da sola, senza i nonni o i miei fratelli, oppure la cuoca
che
dormiva al pian terreno. Anche all’ospedale ho sempre avuto
compagnia dei
dottori o di Karinn, la donna che era ricoverata con me.
Erano
le sei di
mattina ed io mi preparai per andare a scuola, avrei cercato quel
pomeriggio le
foto dei miei magari con l’aiuto di Jake.
Alle sette ero pronta, chiusi la
porta di casa e
m’incamminai per le vie della periferia di Londra.
Arrivai alla fermata del pullman e
con mia sorpresa trovai
Jake, che stranamente non solo era in orario ma addirittura in
anticipo.
Non si accorse di me ed era di spalle
così gli coprii gli
occhi con le mani.
<< Ciao
Clove>> mi disse. Non mi aveva visto ma
mi aveva riconosciuto. Mi prese le mani e le spostò dal suo
viso. Mi lasciò e
si girò verso di me.
<< Come hai fatto a
riconoscermi? E comunque
ciao.>> gli feci io.
<< Ti ho riconosciuta e
basta. Hai dormito bene questa
notte? Non sembri molto in forma…..>>
<< non molto a dir la
verità. Ho fatto un incubo
orribile. Ho rivisto alcuni momenti della mia vita come i ricordi visti
nel
pensatoio di Silente in Harry Potter, intervallati dal suono di
campane. È
stato orribile, rivedevo i miei fratelli e i miei genitori felici in
scene
quotidiane. Poi ero in una chiesa e c’erano le foto dei miei
ed un quadro con
una figura femminile con le ali. Questa figura è uscita dal
quadro e ha
trafitto le foto con una freccia e queste hanno preso
a perdere sangue, poi ha lanciato una freccia
che mi ha beccato il cuore. Quando si è avvicinata ho visto
che ero io ed è
entrata dentro di me, come un fantasma.>> Finii il mio
racconto e spiegai
che al mio risveglio non trovavo più le foto e tutto il
resto la mia voce si
stava affievolendo.
Jake non spiccicò parola
fino alla fine del racconto.
Mi disse << secondo me
ti senti in colpa per la morte
dei tuoi, per il resto non lo so.>>
Io gli risposi che era davvero un
grande amico. Mi aiutava
nel momento del bisogno e mi spronava ad andare avanti.
Salve gente,
ringrazio quelli che hanno letto fino
in fondo e che
continuano a leggere.
Un ringraziamento speciale a
Mitzune_chan che mi segue fin
dall’inizio e con la quale mi scuso per questo ritardo.
Kira
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** La nostra storia comincia proprio quel giorno di primavera ***
LA NOSTRA STORIA COMINCIA PROPRIO QUEL GIORNO DI PRIMAVERA
Salii sul bus e continuai a parlare con Jake del più e del meno fino a quando la ragazza nuova salì sul pullman ed io mi girai a guardarla.
Era proprio bella, con i capelli lunghi e neri raccolti in una treccia che le arrivava fino a metà schiena e quei suoi occhi così verdi da ricordarmi il prato del giardino di nonna Ami. Indossava un cappotto nero con il cappuccio in pelo e dei jeans chiari.
Andai da lei spinta dalla curiosità, infondo conoscevo solo il suo nome.
Non sembrò molto sorpresa di vedermi lì.
<< ciao>> mi disse lei con voce annoiata.
<< Ciao, mi dispiace per essere stata scortese e non essermi presentata prima. Io sono Clove, piacere.>> Mi presentai non troppo convinta.
Si presentò anche lei dicendomi di essere Martina Salvatore, di provenire da un piccolo paesino di montagna in Italia. Era molto simpatica ma avevo la sensazione di averla già vista, conosciuta. Questa sensazione svanì quando mi disse di essere a Londra da poco prima del mio ritorno a scuola, probabilmente mi confondevo con una persona che le somigliava molto.
Jake stava parlando con Thomas e Michael, due ragazzi che frequentavano il corso di Cinematografia con lui poi mi guardò e mi fece segno di no con la testa e tornò a parlare con i due. Io parlai con Martina anche in classe.
Quel pomeriggio tornai a casa con Martina e naturalmente Jake.
Quel giorno non sarei dovuta andare con lo psicologo così li invitai a prendere il the.
Parlammo per un bel po’.
Poi Martina mi sorprese con una domanda insolita: << Tu credi nel destino?>>
Io e Jake ci guardammo con una faccia piuttosto stupita poi risposi: << Io credo che il destino sia nelle mani di ogni singola persona. Chiunque scrive il proprio destino.>>
La sua espressione era strana, non sapevo cosa potesse pensare in quel momento.
Jake non sembrava molto contento quel giorno, magari non stava bene oppure non gli stava simpatica Martina.
<< Scusate ma io devo proprio andare ragazze, scusatemi >>
Accompagnai Jake alla porta e lo salutai.
<< Carino il tuo ragazzo Clove>> sobbalzai per lo spavento.
<< Non è il mio ragazzo!>> risposi io a quell’affermazione stupida che aveva fatto Martina.
Poi ci pensai bene. In effetti Jake non era male. Era alto e piuttosto muscoloso: non era uno di quei giocatori di football che sembrano finti ma come una persona a cui piace far palestra. Aveva i capelli biondi che al sole parevano dorati e gli occhi di un azzurro intenso con sfumature verdi quando il tempo non era bello. Poi era dolce e gentile.
Ci rimettemmo a parlare fino alla sera poi lei tornò a casa sua e mi lasciò a riflettere.
Mi misi il pigiama e m’infilai sotto le coperte. Poi incominciai a sfogliare il mio libro preferito: “ Harry Potter e I Doni Della Morte” di J. K. Rowling. Non prestavo davvero attenzione a quello che stavo leggendo e mi addormentai…
***
Ero nella mia camera da letto della mia vecchia casa.
<< Mamma mi racconti una storia?>> Una bambina era sdraiata nel letto di una camera tutta colorata, aveva sei o sette anni. Ero io.
La madre si sedette sul letto e cominciò a raccontare…
<< La nostra storia incomincia in un giorno di primavera di molto tempo fa. Sulla Terra gli uomini vivevano in pace, avevano un re buono che faceva di tutto per non far soffrire il proprio popolo. Non c’erano ladri e le famiglie erano sempre disposte ad aiutare chiunque avesse bisogno d’aiuto.
Nei mari i pesci nuotavano felici. i delfini giocavano tra le onde.
Nei celi, invece, tra le nuvole sorgeva una città popolata da angeli.>>
<< Angeli, mamma?>> chiesi io sorpresa.
<< Esatto Clove, angeli. Creature dall’aspetto umano ma con le ali e poteri magici. Loro vegliavano su tutti gli uomini, per ogni uomo c’era un angelo che lo aiutava, senza farsi vedere. Questi angeli erano molto belli, con occhi e capelli di colori strani ed incantevoli e corpi che farebbero invidia alle stelle del cinema. I loro poteri variavano molto: c’erano quelli che controllavano gli elementi, quelli che parlavano con gli animali e quelli che avevano il potere della telecinesi.
Ad ogni angelo era assegnato un titolo come ad esempio “ Mia, l’angelo della poesia” oppure “ Simon, l’angelo della musica”.
C’era un angelo chiamato “Kamijo,l’angelo della vita”. Era l’angelo più importante insieme a sua sorella “ Kira, l’angelo della morte”. Erano loro a dare inizio ad una vita e a farla giungere al termine. Per una nuova nascita doveva esserci una morte, per mantenere l’equilibrio. La madre dei due angeli era “ Shara, l’angelo protettrice del destino”. Quel giorno di primavera Kamijo e Kira litigarono e Kira andò sulla Terra portando con se la sua falce con cui metteva fine alle vite degli uomini e degli altri esseri viventi. La madre disperata scese sulla Terra per trovare la figlia.
Intanto sulla Terra alcuni uomini cominciavano a commettere i primi crimini: alcuni divennero ladri, altri spinti dalla vendetta assassini e così via.
Kira si ritrovò a fare i conti con questi criminali per molti anni.
Per tutto il tempo lei li cercava e li uccideva con la sua amata falce.
Un giorno però Kira venne ferita gravemente da un assassino dopo che questo aveva ucciso la moglie ed i figli.
In fin di vita Kira venne soccorsa da sua madre che non aveva perso la speranza e aveva continuato a cercarla.
Shara non riuscì a salvare la figlia che divenne una sfera di luce e che vagò per il mondo in cerca di quell’assassino che l’aveva uccisa.
La sua falce però rimase in quella grotta dove era morta in modo che nessuno la possa rubare. La povera Shara rimase sulla Terra a custodire la falce della figlia con la speranza che la figlia tornasse a prenderla.>>
La mia copia si era addormentata a metà storia, non l’avevo mai sentita per intero. Ora si, sapevo la storia di Kira.
Chiusi gli occhi.
***
Mi svegliai e andai a cercare il libro che mia mamma leggeva sempre e dal quale aveva preso quella storia.
Lo trovai nella biblioteca di casa. Era un vecchio tomo rilegato in pelle rossa con il titolo scritto in oro.
Si chiamava “ Kira, la falce e le cronache degli angeli custodi”.
Quando lo aprii mi sorpresi: era scritto soltanto sulle prime tre pagine, che riportavano la storia che mi aveva raccontato mamma. Non era stampata ma scritta a mano. L’aveva scritto mia madre, ne avevo riconosciuto la scrittura.
Misi il libro nella cassapanca ai piedi del letto e mi riaddormentai.
Mi scuso per il ritardio imperdonabile con tutti quelli che seguono questa storia ma internet è andato a farsi benedire .
Ringrazio di cuore tutti quelli che leggono in silenzio. Un grazie speciale a Mitzune_chan che mi segue dall’inizio con molta pazienza
Dark_hime |
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Un libro, due amici e strane apparizioni ***
UN
LIBRO, DUE AMICI E STRANE
APPARIZIONI….
Ero
a casa mia in compagnia di
Jake dopo una dura giornata di scuola.
<<
Senti un po’ Jake, non mi
hai detto cosa stai tramando... prima arrivi in orario anzi, in
anticipo, alla
fermata del bus e poi sparisci per tutto il pomeriggio… ed
oggi sei uscito dopo
di me da scuola. Solitamente sei l’ultimo ad entrare ed il
primo a
svignartela…. Cosa c’è?>>
Sorrise
tristemente prima di
rispondermi.
<<
Non mi piace quella
Martina, nasconde qualcosa. Sono sicuro di averla già
vista… non fidarti di
lei.>>
<<
Anche io ho la sensazione
di averla già vista non so dove però ne sono
sicura.>> dissi.
<<
ma comunque ti ho fatto
venire qui per farti vedere questo…>> dissi
tirando fuori dalla cassapanca
il libro della mamma.
<<
Questo libro è il libro
di mia madre. Lo aveva scritto lei, ma c’è scritta
solo una storia
purtroppo…>> spiegai io.
<<
Posso?>> mi chiese
appoggiando le mani sul libro che si trovava sulle mie gambe e
guardandomi
negli occhi.
<<
Certo fai pure>> mi
prese il libro e lo aprì.
…….
….
..
<<
Clove ma a che ora hai
aperto il libro?!>> mi chiese divertito.
<<
Tra le due e le quattro,
credo>>
<<
allora è per questo che
non ti sei accorta che le pagine scritte non sono solo tre ma sono
dieci….>> disse scherzoso, io non ci potevo
credere! Ero sicura che la
storia scritta occupasse tre pagine, invece guardai meglio.
<<
ma qui le storie sono due
non una!!!!>> incredibile……..
<<
ieri sera magari eri
troppo stanca e non hai letto tutto….>>
<<
dai, leggi..>> lo
esortai e lui incominciò a leggere.
Lesse
la prima storia, quella di
Kira e poi incominciò quella nuova intitolata
“Todd, il ragazzo dei fulmini”
<<
Quando Kira si trasformò in luce il
mondo equilibrato degli angeli si
distrusse, lasciando il posto ad un regno violento e desideroso di
vendetta.
Un’ombra comparve sulla Terra, di riflesso. Gli incidenti
aumentarono, gli
uomini prendevano abitudini sbagliate poiché gli angeli non
vegliavano più su
di loro.
Alcuni angeli andarono a vivere sulla
Terra poiché la
situazione nei
cieli era diventata
insostenibile. Nascosero le ali ma mantennero i loro poteri.
Crearono tribù diverse ed
insegnarono loro come mantenere
la pace in quelle piccole comunità.
Il più anziano fra di loro
si chiamava Josh che aveva il
potere di controllare il fuoco. Quando fuggì si
rifugiò nel deserto, dove
poteva esercitare il suo dominio. Qui imparò a controllare
anche la sabbia e
diede vita ad una nuova comunità chiamata Popolo del Sole.
Si sposò ed ebbe
quattro figli maschi. Il più grande era Ash, seguito dai
gemelli Kim e Juan. Il
più piccolo si chiamava Todd. Ash aveva il potere di
controllare il fuoco
ereditato dal padre mentre i gemelli avevano il potere della sabbia. Il
quarto
figlio invece non aveva alcun potere, non creava il fuoco come il
fratello
maggiore e non riusciva a far spostare la sabbia a suo piacimento con
la mente,
al contrario dei fratelli.
All’età di
quindici anni decise così di compiere un viaggio
per trovare se stesso.
Vago senza meta per il deserto per
molti giorni, fino ad
arrivare in un luogo con alberi da frutto e prati verdi con molti
fiori.
La luce del sole però non
era più forte come nel deserto.
Incominciò a piovere. Todd non aveva mai visto la pioggia e
tantomeno il
temporale. Un fulmine gli cadde vicino e lui per ripararsi mise le mani
davanti
. il fulmine non toccò terra e rimase sospeso fino a quando
lui non tolse le
mani.
Scoprì così di
avere il potere di controllare i fulmini.
Vagò a lungo per migliorare
questo potere. Un giorno però
sbagliò la traiettoria di un fulmine che lo
colpì. Non morì ma rimase
gravemente ferito. Quando si rimise in sesto non c’erano
più tracce
dell’accaduto.
Si sposò ed ebbe dei figli
tramandandogli i suoi poteri e
la sua conoscenza.>>
Quando
Jake finì di leggere mi
guardò e aspettò una mia reazione che non si fece
attendere per molto tempo.
<<
Bella storia ma ieri non
c’era! Ne sono sicura!>> dissi io. Mi
guardò male.
<<
secondo me devi dormire
di più!>> disse. Poi guardò
l’orologio e si alzò di scatto dal divano
facendomi spaventare.
<<
Santo cielo che
imbecille…. È
tardissimo….>> disse facendo una faccia
preoccupata.
<<
ma sei idiota?! Mi hai
fatto prendere un colpo!>> ribattei io lanciandogli un
cuscino in faccia.
<<
ci vediamo domani Clove!
Devo scappare, ciao!>>
Lasciò
il libro sul tavolino
rotondo che aveva davanti e corse fuori.
Sempre
il solito ritardatario!
E
come si dice “il lupo perde il pelo
ma non il vizio”.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** LA ROSA ROSSA E LA PIUMA ARGENTO ***
LA ROSA ROSSA E LA PIUMA ARGENTO
Il giorno seguente andai a scuola e tornai a casa con Jake, come al solito.
Aprii il cancello in ferro battuto di casa dei nonni e feci entrare Jake, poi andai a preparare il the e a prendere il libro della mamma.
Jake intanto si era seduto su una delle tre sedie sempre di ferro battuto sotto il gazebo in giardino. Appoggiai la teiera sul tavolino rotondo di fronte a Jake e gli versi il the in una delle due tazzine di porcellana della mamma.
Bevemmo il the parlando delle storie di “Kira, la falce e le cronache degli angeli custodi”.
Finito il the andammo a fare un giro per il giardino di casa.
<< Ma quanto è grande questo giardino?!>>Mi chiese Jake stupito dalla grandezza del parco di casa dei miei nonni.
Ci fermammo davanti ad un cespuglio di rose bianche, uno dei molti sparsi per tutto il giardino.
Guardai il cielo. Ogni tanto lo facevo, mi rasserenava.
Era una mia impressione o c’era qualcosa che volava e che emanava una luce abbagliante?
Cadde qualcosa.
Jake andò in bagno ed io rimasi lì fuori a fissare quello che cadeva dal cielo.
Cadeva lentamente, danzando con il vento.
Quando toccò terra mi resi conto che era una piuma.
Ma non di un piccione come pensavo: era lunga circa 30 cm e argentata.
La raccolsi.
Appena la toccai sentii freddo e subito dopo caldo.
Vidi tutto capovolgersi.
Sentii un gran rumore quando la mia testa toccò terra con poca grazia, andando a sbattere su una delle pietre vicino al cespuglio delle rose.
vidi la piuma caduta dal celo diventare rossa, ancora nella mia mano.
Ebbi paura.
poi svenni.
***
Volevo urlare ma non riuscivo.
Volevo aprire gli occhi ma non ne avevo la forza.
Non sentivo ne il caldo ne il freddo, non vedevo la luce ma solo il buio.
Non mi ricordavo nulla.
<> chiese qualcuno con una voce preoccupata e famigliare.
<> rispose il dottore.
Lo riconobbi: era il dottor Carter. Pensavo di non dover vederlo mai più.
Al contrario del dottor Roberts, lo psicologo era acido e viscido.
Il dottor Carter non mi ispirava fiducia.
L’atra persona che parlava era Jake.
Riuscii ad aprire gli occhi e venni investita dalla luce abbagliante del sole.
I due non si accorsero del mio risveglio ed io osservai la stanza dove mi trovavo.
Era molto piccola ma accogliente. Le pareti color panna sorreggevano un soffitto bianco latte. Il tutto era illuminato grazie ad una finestra molto grande che dava sulla città.
Data l’altezza eravamo all’incirca al quarto piano.
Il letto su cui ero sdraiata era affiancato ad un comodino in legno molto chiaro con appoggiata in bella vista la piuma che avevo visto cadere.
Jake era appoggiato con la schiena all’armadio in legno con le braccia conserte e con un espressione preoccupatissima.
Il dottore invece era in piedi davanti al letto con in mano una cartelletta azzurra.
Stavano discutendo sul da farsi.
<< potrà tornare a casa appena si sveglia però deve rimanere con lei almeno fino a quando torneranno i nonni, mi raccomando non si deve sforzare>> terminò il dottore.
<< Quindi posso tornare a casa mia?>> chiesi io aprendo per la prima volta la bocca.
Jake saltò quasi per aria e poi mi corse in contro e mi abbracciò.
Io ricambiai l’abbraccio.
<< Se ce la fai puoi tornare a casa quando vuoi , ma>> ed eccolo lì il ma che c’è sempre << almeno per questa notte devi rimanere in ospedale per i controlli>> finì il dottore.
Io e Jake ci guardammo e lui poi disse che sarebbe rimasto con me quella notte.
Lo sapevo che Jake era un ragazzo d’oro, lo era sempre stato.
***
Erano ormai le quattro del mattino quando Jake si addormentò.
Avevamo parlato tutta sera a parlare di tutto.
Spensi la luce del comodino prima di sdraiarmi e mi addormentai.
***
Ero in una stanza buia, senza finestre e senza porte.
Non riuscivo a vedermi neanche le mani.
Poi una luce abbagliante invase la stanza e comparve una figura.
Ero io solo che ero diversa.
Avevo i capelli blu elettrico con le punte bianche, mossi e lunghi fino al sedere al posto della mia cresta castana. I miei occhi, solitamente di un color prato erano rosso sangue.
Teneva in mano una falce argentata con delle incisioni sull’impugnatura e la lama lunga circa due metri, doveva essere molto pesante ma l’altra me la teneva con la mano destra con la lama sulla spalla sinistra.
Aveva anche delle ali bianche come la neve con le punte argentate.
Ci fissammo per un po’ poi lei si girò dall’altra parte e volò via dopo avermi detto “Perché non ti ricordi di me? Guardati dentro. Non mi puoi tenere nascosta ancora per molto tempo.”
Mi scuso per il ritardo e spero che questo capitolo sia decente.
Kira |
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** RINATA ***
RINATA
La mattina seguente tornammo a casa.
Appena arrivai sentii la testa girarmi. Probabilmente non mi ero ancora rimessa del tutto.
Poi delle fitte allucinanti allo stomaco.
Mi piegai in due con le mani sulla parte dolorante.
La vista si appannò.
Jake cercava di tranquillizzarmi ed alzarmi da terra.
Mi portò in braccio fino al divano dove mi appoggiò con delicatezza prima di andare a prendere qualcosa in cucina.
Non vidi più nulla, sentii uno strano calore partire dal petto e diffondersi in tutto il corpo.
Poi all’improvviso rividi, mi guardai le mani.
Caddi dal divano.
Avevo le unghie luminose, come negli anime giapponesi, solo che era vero.
Osservai le braccia e vidi delle righe che partivano una da ogni dito e che mi salivano fino a sparire dentro le maniche corte della T-shit che lampeggiavano di una luce bianca.
Poi sentii la testa pesante e svenni.
***
<>
Mi trovavo in una chiesa con una figura incappucciata.
<> Dice lei. Poi si leva il cappuccio e mostra le ali. Era la stessa figura che vedevo in tutti i miei sogni. Poi continua: << State attenti, finalmente Kira è tornata.>>
Scusate il ritardo e il capitolo breve però sono stata incasinata e questo capitolo è fondamentale
kira |
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Ti va di ballare? ***
TI VA DI BALLARE?
Mi trovavo in un luogo buio, freddo e puzzolente.
Si accese una luce improvvisa e vidi che mi trovavo vicino ad un laghetto limpidoma intorno era tutto bianco.
Poi mi sentii in fiamme e lo stomaco cominciò a farmi male, mi piegai dal dolore.
Quando il dolore mi passò mi rialzai.
Sento la pelle pizzicare ed il cuore bruciare.
Non appena mi guardai le mani vidi delle linee luminose che percorrevano la carne che partavano dalle dita fino alle scapole, i miei capelli non erano del solito biondo cenere ma di un forte blu elettrico.
Mi avvicinai alla sponda del piccolo lago e mi specchiai.
Più mi guardavo, più mi rendevo conto di non essere io.
Anche gli occhi, prima azzurro cielo erano giallognoli, la bocca era rossa e i denti somigliavano molto a quelli del Conte Dracula.
Non feci in tempo a spaventarmi che caddi in ginocchio con un dolore terribile alla schiena. Mi sentii improvvisamente pesante e poi, subito dopo, leggera come una piuma.
Mi rialzai e mi rispevcchiai.
Indossavo la stessa T-shirt dei Guns ‘n Roses e i jeans chiari ma altro attirò la mia attenzione: le ali che mi spuntavano dalla schiena. Erano bianche con sfumature azzurre e argento.
Ero spaventata, i miei occhi avevano cambiato nuovamente colore, diventano rosso aranciato. Cambiavano colore in base all’emozione che provavo. Quando lo capii fui sorpresa e gli occhi diventarono azzurri.
Poi sentii una voce familiare, quella di mia mamma.
Poi dalla superfice dellì’acqua spuntarono i miei genitori, come dei fantasmi luminosi. Si abbracciavano ma piangevano.
<< Clove, non avere paura. Sono io, sono venuta per aiutarti a capire. Tesoro, non piangere la mia morte e quella di tuo padre, noi stiamo bene. Prenditi cura dei tuoi fratelli. Perdonaci Clove se non ti abbiamo detto la verità, io e tuo padre. Noi non siamo i tuoi veri genitori, ti trovammo per caso un giorno fuori dalla porta di casa, con il libro di Kira. Eri così piccola, il medico disse che avevi solo qualche giorno, non c’erano tracce dei tuoi genitori così ti adottammo. Quella sera in cui siamo morti però ci è apparso un angelo e ci ha portato con lui in questo mondo fantastico di luce. Sì Clove, un’angelo uguale a quelli del libro. Scoprirai chi sei, qual è il tuo destino ma io non ti posso rivelare più nulla. Devi scoprire da sola tutto. Un’ultima cosa ti posso dire: non arrabbiarti per quello che puoi scoprire. >>
<< Mamma! Papà! Non andate!>>
Troppo tardi, i miei genitori erano scomparsi nel nulla.
Mi guardai nuovamente, niente era cambiato: avevo le ali e tutto il resto. Poi caddi nel lago.
***
Mi svegliai nel mio letto.
Stavo piangendo, il sogno era stato così reale che ero bagnata.
Anzi, ero troppo bagnata! Mi alzai di scatto e andai a specchiarmi.
Urlai dallo spavento.
Avevo la maglietta strappata sulla schiena, le linee luminose sulle braccia, i capelli, gli occhi, la bocca e i denti: tutto come nel sogno. Solo le ali non c’erano più.
Cosa avrebbe detto Jake?
<< Clove, finalmete! Era tanto che aspettavo questo momento! >>
Non feci in tempo a voltarmi che Jake mi aveva già stretto in un forte abbraccio.
<< Jake…>> non riuscii a dire nulla.
<< Non ti preoccupare. Ti spiegherò tutto più tardi. Ora vai a cambiarti, stai bagnando ovunque! >>
Non capivo nulla, cosa sapeva Jake che io non sapevo?
Dopo essermi staccata dall’abbraccio vidi che sul letto c’erano già dei vestiti, probabilmente li aveva preparati Jake. Li presi e andai a cambiarmi.
***
Erano ormai più di venti minuti che ero in bagno per cambiarmi.
Ero già pronta da un bel po’ ma mi vergognavo ad uscire.
Non mi ricordavo di avere un vestito così corto: indossavo un abitino con scollo a cuore e balze che partivano da sotto il seno. La parte alta era in pelle nera e le balze bianche. Il tutto abbinato ad un paio di collant nere,giubbotto in pelle nera e per completare l’opera delle Converse nere.
Mi sembrava strano vedermi allo specchio con i capelli di quel colore innaturale e gli occhi che per la vergogna erano di un blu scuro, quasi nero.
Pensai di star ancora sognando.
Mi risvegliò la voce di Jake che mi fece sobbalzare.
Uscii dal bagno a testa bassa.
<< Wow… >> sentii esclamare il mio amico.
Alzai lo sguardo e mi trovai davanti uno sconosciuto.
Mi spaventai e andai a sbattere contro la porta che avevo appena chiuso.
Lui si avvicinò e poi parlò.
<< Sono io, sono Jake >>
Era lui, la voce era la stessa e lo sguardo era sincero.
Mi porse la mano e mi alzai. Lo osservai: i capelli biondi erano scomparsi lasciando il posto a dei capelli d’oro, gli occhi sembravano lapislazzuli. Se prima era bello ora era mozzafiato.
<< Vieni a fare un giro? >> mi chiese lui dopo qualche minuto.
<< Sì, andiamo >>
Volevo delle risposte, volevo sapere chi ero io e chi era davvero Jake.
Lui mi guidò sulla terrazza al terzo piano e poi mi circondò la vita con le braccia.
<< Chiudi gli occhi >> mi sussurrò lui in un orecchio.
Li chiusi.
Poi sentii uno strano vento soffiarmi sulla schiena e li riaprii.
La terrazza di casa non c’era più, l’unica cosa che vedevo erano gli occhi di Jake, che brillavano come pietre preziose e due magnifiche ali d’oro.
Mi aggrappai al collo di Jake, per paura di cadere.
La città era scompars sotto di noi, stretti in quello strano abbraccio.
Rimanemmo così per un bel po’.
<< Ti fidi di me? >> mi chiese poi serio.
<< Certo Jake >> risposi io convinta.
<< Ti va di ballare? >>
Note dell'autrice
salve a tutti e buon anno!!
spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Ringrazio di cuore Mitzune_chan che mi segue dall'inizio!
grazie mille
kira |
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Cadendo, sto cadendo ***
Ero un po’ sorpresa ma
accettai.
Jake mi prese per la vita e mi
tirò a sé.
Io ero senza parole, Jake intanto mi
guardava divertito.
Poi mise i suoi piedi sotto i miei,
per tenermi su ed io
strinsi le braccia attorno al suo collo.
Cominciammo a volteggiare nel cielo
ormai pieno di stelle,
le sue ali brillavano tanto quanto il sole a mezzogiorno e mi chiedevo
come
fosse possibile rimanere lì senza essere visti.
Dopo qualche minuto Jake finalmente
parlò: << Senti
Clove, so che sarai distrutta spaventata
e piena di domande ma devi capire che non ti posso rivelare tutto ora.
>>
<< Ma…
>>
Non mi fece finire di parlare e
m’interruppe senza neanche
ascoltarmi.
<< No, scoltami. Ti
posso dire poche cose di tutto ciò
che vorresti sapere… la prima è che ti devi
fidare di me. La seconda è che non
devi aver paura di nulla se io sarò con te. Soprattutto
è importate che tu non
ti spaventi davanti a ciò che sei, che eri e che sarai.
Prometti di non
rinunciare mai alla tua natura… promettimelo.
>>
<< Ok, te lo prometto.
Ma tu promettimi che mi
spiegherai, anche con il tempo, ma mi spiegherai.>> lo
promisi a bassa
voce, ma lui mi sentì perche mi posò una mano
sulla testa, accarezzandomi con
dolcezza ed io mi appoggiai al suo petto, con il viso vicino al suo
cuore.
O dove doveva esserci il suo cuore
… non batteva nulla sotto
quella pelle.
Non sapevo come comportarmi ma
qualcosa mi diceva che potevo
fidarmi di lui, come mi ero sempre fidata del resto.
Rimanemmo abbracciati volteggiando
nel cielo fino all’alba
poi tornammo a casa.
Il giorno seguente non andammo a
scuola.
Jake venne a prendermi verso le due
del pomeriggio, prendemmo
il pullman e scendemmo all’ultima fermata, davanti ad una
chiesetta gotica.
Entrammo senza dire nulla e trovammo
delle suore ad
accoglierci.
Erano molto giovani, la
più piccola aveva circa la mia età e
la più grande sui 25/26 anni.
Portavano una tunica bianca ricamata
lunga fino alle
caviglie e un velo argentato.
Jake le salutò da lontano
e loro arrivarono contente. Quando
si accorsero della mia presenza però si rabbuiarono e i loro
sorrisi si
spensero del tutto quando Jake mi mise un braccio al collo.
Lì per lì non
capii il perché poiché Jake cominciò a
parlare
in una lingua che non conoscevo e che non avevo mai sentito. I suoni
dolci,
nessun suono stonato. Le suore continuavano a osservarmi male.
Poi però ci accompagnarono
sul retro della chiesetta, in un
piccolo giardino.
Il prato era molto curato, gli
alberelli fioriti facevano da
cornice ad un piccolo laghetto con l’acqua talmente limpida
da vedere i due
pesci che lo abitavano: erano due pesci meravigliosi, dalle mille
sfumature di
ogni colore. Nuotavano sempre lontani, su una traiettoria circolare.
Sempre nello
stesso verso.
Rimasi incantata
nell’osservare quelle creature bellissime fino
a quando la voce melodiosa della più grande delle suore mi
risvegliò da quello
stato di trance.
Stava parlando ancora in quella
strana lingua che non
riuscivo a comprendere.
Ripeteva le stesse parole come un
mantra e poi le si
aggiunsero tutte le altre.
Jake mi spinse verso la riva del
laghetto e mi mise le mani
sulle spalle.
Poi d’un tratto le suore si
zittirono e lui, dopo avermi
guardato negli occhi, mi spinse in acqua.
Non pensavo che quel laghetto fosse
così profondo.
Non mi aspettavo di non riuscire
più a risalire in superficie.
Non mi aspettavo che Jake mi buttasse
giù.
L’ultima cosa che mi
aspettavo era di non riuscire più a
vedere il fondo del laghetto.
Più mi agitavo
più affondavo, almeno questa era la mia
impressione.
Così decisi che era
inutile agitarsi tanto e mi fermai.
Di colpo il nero dell’acqua
che mi circondava lasciò il
posto ad una luce abbagliante: una luce innaturale e bellissima.
Poi il vuoto.
L’acqua del lago era
sparita ed io stavo precipitando.
Cadevo sempre più
giù, in quel bagliore immenso e accecante.
Non riuscivo ad urlare, muovermi o
fare altro.
Stavo cadendo.
mi scuso per il ritardo e per il capitolo cortissimo ma ho trovato il
modo di pubblicare con l'HTML sul nuovo pc solo oggi e qundi d'ora in
avanti scriverò e pubblicherò con più
regolarità.
ringrazio quelli che leggono, seguono, hanno messo tra le preferite e
recensiscono questa storia.
Kira
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Chi sei? ***
Cadevo sempre più in basso.
Intorno a me c’era solo
nero, non il nero della notte,
carico di sogni e sentimenti diversi, ma un nero pesante e senza
emozioni.
Continuavo a cadere, nel buio che mi
inghiottiva e che mi
circondava.
Perché
Jake mi aveva spinta?
Cerca di
calmarti,
Clove. Jake non ti può aver tradito, lo conosci da troppo
tempo.
Ricordati
quando vi
siete conosciuti, era stato così dolce.
***
Era una
giornata calda
e tutta la famiglia White era seduta fuori dall’abitazione,
sotto il gazebo.
Thomas, il
figlio più
grande era uscito con gli amici e Clove era rimasta da sola, a
disegnare.
Si stava
annoiando a
morte e per questo era uscita, senza farsi vedere, per fare uno scherzo
ai suoi
genitori.
Si era
nascosta dietro
ad un cespuglio di rose ma poi si era addormentata.
Si
svegliò che era già
sera e il suo vestitino bianco e azzurro era troppo leggero.
Tornò in casa e
venne messa in castigo per una settimana. Il giorno seguente, non
potendo
guardare la tv, giocare o disegnare Clove si era rifugiata sotto una
pianta a
fare i compiti di matematica quando un bambino era passato correndo
fuori dal
cancello, inciampando in qualcosa e cadendo per terra.
Clove allora
era corsa
subito per vedere come stesse.
Il bambino
da quel
giorno passò sempre di lì a parlare con la
piccola Clove, diventarono amici e
ben presto s’incontrarono tutti i pomeriggi.
Insieme
giocavano nel
cortile, parlavano e insieme disegnavano. Il bambino divenne di
famiglia e si
iscrisse alla stessa sua stessa scuola.
***
Cadevo sempre più
giù.
Poi cominciai a sentire un profumo
dolcissimo come quello
del marzapane e
luci di ogni colore si
accesero abbagliandomi.
Cominciai a prendere
velocità e poi mi schiantai a terra.
Pian piano cominciai a sentire dei
rumori attorno a me e mi
risvegliai.
Ero sdraiata su un prato dal profumo
buonissimo ed il
cielo era di un azzurro vivo.
Lì accanto a me trovai la
testa dorata di Jake. Era sdraiato
per terra, accanto a me.
Lo presi dentro per farlo svegliare
ma nonostante i miei
ripetuti tentativi lui non si mosse di neanche mezzo centimetro.
Mi guardai un po’ attorno.
Ciò che vidi era magnifico: il
prato fiorito si estendeva fino all’orizzonte, fondendosi con
il colore del
cielo. Neanche una nuvola.
Poi sentii qualcosa tirarmi verso il
basso e mi ritrovai
nuovamente sdraiata accanto ad un preoccupatissimo Jake.
Io essendo un po’ tanto
arrabbiata con lui gli sfuggii via e
mi rialzai in piedi, sotto il suo sguardo impaurito, e corsi via, verso
l’orizzonte.
Corsi sempre più veloce,
cercai un posto dove nascondermi ma
non trovai nessun albero e nessun luogo a parte il prato immenso.
Corsi fino a quando il fiato me lo
permise, guardandomi
dietro ogni tanto per controllare se Jake fosse nei paraggi.
Mi girai un’altra volta
indietro quando
caddi in un lago.
Era nero e scuro, senza vita.
Dopo un primo spavento cominciai a
nuotare verso la sponda
opposta del lago.
Nuotai ad ampie bracciate fino alla
riva.
Mi issai sul terreno e mi sedetti per
riprendere fiato.
Approfittai della situazione per
guardare il paesaggio,
aspettandomi di vedere prati fioriti dai colori brillanti. Rimasi
scioccata nel
trovarmi in un luogo tetro e morto.
Il prato aveva lasciato il posto ad
un terreno privo di
vita, non c’erano colori ad animare quel vuoto e gli alberi
erano morti e privi
di foglie. Anche il cielo era scuro e offuscato da nuvole nere.
Mi osservai riflessa
nell’acqua nera del lago: dovevo essere
conciata malissimo dopo quella caduta e la nuotata.
I capelli corti e blu elettrico,
rasati da una parte erano
scompigliati, gli occhi scuri e stanchi.
La camicia bianca era attaccata alla
pelle e i jeans e le
scarpe scure pesanti di acqua.
Avrei voluto togliermi quei vestiti
di dosso, poi mi
ricordai di essere in un posto sconosciuto e con Jake nei paraggi.
Pensando a Jake mi resi conto della
cavolata che avevo fatto
scappando da lui senza lasciarlo spiegare ma prima che potessi fare
altri
pensieri fui interrotta da un brusco rumore, forte e assordante.
Stavo per girarmi quando qualcosa
dentro di me si bloccò,
bloccando tutti i muscoli e immobilizzandomi, pensai in modo ironico
che mi
avessero lanciato un immobilus, essendo una grande fan di Hary
Potter….
Ma la sensazione era quella.
Respiravo a fatica, con la bocca
semiaperta e il busto
ruotato leggermente all’indietro.
Qualcuno mi si avvicinò
con cautela.
Il cuore cominciò a
battermi forte in petto, come se volesse
uscirne.
Da una parte, se fosse stato Jake,
non sarei riuscita a
guardarlo negli occhi e chiedergli scusa senza arrabbiarmi con lui per
il lago
ma dall’altro lato volevo che fosse lui perché non
sapevo nulla di ciò che
poteva succedere se avessi incontrato qualcuno, figuriamoci se poi non
sapevo
neanche chi fosse!
Poi per una frazione di secondo i
miei muscoli tornarono a
funzionare ed io caddi per terra.
Sbattei forte la testa su un sasso
sulla riva del fiume.
Sentii il sangue caldo sulla fronte e
poi il freddo
dell’acqua.
Svenni, di nuovo.
***
Ero in servizio quando la vidi.
Era una ragazza, dai capelli blu
elettrici molto
particolari, bagnata fradicia.
Subito mi allarmai, se
l’avessero vista gli altri
l’avrebbero portata da Lei.
Mi avvicinai con cautela e
concentrandomi riuscii a sparire,
così non si sarebbe accorta di me.
Come
se fosse fatto apposta un rumore assordante ruppe il silenzio.
Loro si stavano preparando, dovevo fare
presto.
Si
voltò di scatto ma non abbastanza in fretta per sfuggire al
mio potere.
La
immobilizzai.
La
osservai per un po’. La riconobbi subito.
Era
di una bellezza assolutamente unica, dal fisico perfetto e gli occhi
bellissimi.
Respirava
affannosamente e l’espressione spaventata.
Mi
distassi solo per una frazione di secondo, in fondo quelli come me non
provavano sentimenti, ma quello bastò per farmi perdere il
controllo su di lei
e farla cadere.
La
vidi cadere, sbattere la testa su una pietra per poi cadere in acqua e
perdere
coscienza.
Mi
tuffai, spinto da una forza che non sapevo neanche di avere.
Il
panico mi invase quando non la trovai.
Passava
il tempo e di lei nessuna traccia.
Quando
ormai stavo per tornare in superficie, la vidi, sul fondo del vecchio
Fiume
d’Argento.
Uno
scoppio terribile mi sbalzò all’indietro e chiusi
per alcuni secondi gli occhi.
La
mia specie poteva resistere sott’acqua, era il nostro
elemento ma non potevo
fare molto: era da un sacco di tempo che non nuotavo.
L’esplosione
sicuramente era stata colpa Sua,
come
sempre.
Poi,
appena tornai a guardare dove fosse la ragazza la ritrovai.
Si
era svegliata e si agitava sotto i detriti che l’avevano
sommersa.
Mi
avvicinai con cautela e tentai di aiutarla.
Le
tolsi di dosso un resto di tronco che le bloccava le gambe e una rete
da pesca
che l’avvolgeva completamente.
Non
sembrava molto convinta di quello che faceva e quando mi chinai su di
lei per
aiutarla a risalire porgendole entrambe le mani lei le
afferrò senza quasi pensarci.
La
sua presa era debole e quindi la avvicinai a me, per poi nuotare il
più
velocemente possibile verso la superficie. Quando fui con la testa
fuori
dall’acqua tirai su anche lei.
Aveva
il fiatone e le mancava l’aria. Respirava talmente male che
faceva fatica anche
a stare a galla.
Poi
vidi Loro, e portai via con molta
fatica la ragazza, che non riusciva neanche più a tenere gli
occhi aperti.
***
Mi
aveva salvata.
Gli
sarei stata sempre riconoscente.
Mi
svegliai in una grotta, buia e umida.
Lui
era ancora accanto a me.
Stava
dormendo, con il viso pallido disteso
e
i capelli ricci e scuri che gli incorniciavano il volto.
Cercai
di alzarmi, senza riuscirci.
Caddi
pesantemente a terra.
In
quel momento lui si svegliò e si appoggiò sul
gomito, guardandomi.
Quando
incontrai i suoi occhi nero pece il mio cuore mancò un
battito.
Rimasi
con la bocca aperta e lui fece un sorriso dolce.
Approfittò
del momento e con uno scatto repentino mi attirò verso di
se, senza che io
potessi oppormi.
Non
sapevo perché.
Avevo
paura.
Mi
rendevo conto solo in quel momento che non sapevo chi fosse, cosa
volesse,
perché mi avesse salvato e soprattutto cosa
fosse.
***
E
se
l’avesse trovata?
Continuavo
a volare sopra quella distesa verde e fiorita, senza trovarla.
Perché
ero stato così stupido da non dirle niente e buttarla
così nella Prima Porta.
No
…
Non
potevo essere così idiota!
E
se
l’avesse trovata Lui, l’avrebbe riconosciuta
sicuramente e cosa le avrebbe
fatto?
Poi
sentii un rumore fortissimo, e mi trovai alla Porta della Luna.
Trovai
Luna come sempre, con i capelli del colore delle stelle e gli occhi blu
mezzanotte.
Se
ne stava rivolta verso la Porta, con la veste nera senza maniche e
lunga fino
alle caviglie, svolazzante.
Teneva
nella mano destra la sua bacchetta di vetro e nell’altra la
chiave che apriva
la Porta.
<<
l’ha trovata, Jake. L’ha trovata.>>
La
voce le uscì a forza dalla gola, come se fosse difficile
annunciare quella
notizia.
Come
temevo.
***
Mi
ero lasciato prendere un po’ la mano.
Non
avevo resistito e avevo fatto di testa mia.
Il
suo sguardo era impaurito.
Mi
resi conto di quello che stavo facendo solo quando la guardai bene
negli occhi.
Il
suo sguardo era tra l’ammaliato e l’impaurito e
colorato di un verde acquoso e
pronto al pianto.
La
abbracciai d’istinto.
Dapprima
cercò di respingermi, con così poca forza che non
mi mosse minimamente ma poi
si arrese e si lasciò abbracciare, ricambiando il gesto.
Era
da tanto che non la vedevo, e lei non si poteva neanche ricordare il
mio volto.
Passammo
così abbracciati cinque minuti buoni. Io, con la testa
appoggiata alla sua
spalla e lei con la sua faccia appoggiata sul mio petto. Poi,
tutt’un tratto,
lei alzò la testa e mi guardò negli occhi, per
poi chiedermi una cosa che
poteva essere considerata normale in
queste circostanze ma non nel nostro caso: “Chi
sei?”
Questo è il nuovo capitolo! spero vi piaccia, grazie mille
per chi legge questa storia e ci la recensisce.
grazie davvero
Kira
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** ricordi ***
Sapevo
che sarebbe successo, che lui l’avrebbe trovata.
Perché
doveva essere tutto così difficile, proprio non lo capivo.
Sentivo
la presenza di Clove vicino a me ma sapevo che lei era vicino
all’altro.
Perché
da quando l’Ombra era comparsa sul nostro mondo tutti noi
siamo stati costretti
a dividerci.
Non
mi piaceva neanche un po’ la situazione che era andata a
crearsi.
Se
lui avesse parlato? No, non era ancora il momento, non era quello il
programma.
###
Mio
Dio quanto era bella.
<<
come? Non mi riconosci?>>
Lei
fece una faccia tra il confuso e il triste.
<<
No, non ti ho mai visto.>>
Una
fitta al petto. Terribile e fortissima.
No
si ricordava di me, di NOI.
Ma
io non avevo dimenticato nulla, come avrei potuto?
<<
io sono Matt.>> gli dissi guardandola negli occhi.
Lei
non ricordava, non avrebbe mai ricordato se l’avesse
consegnata al Capo,
com’era suo dovere.
Ero
sempre stato un ragazzo rispettoso dei propri superiori e avevo sempre
eseguito
gli ordini. Ma ora come potevo consegnare al Capo la ragazza che
aspettavo da
più di 400 anni e che amavo più di se stesso?
Cos’avrebbe
fatto l’altro?
Lui
la cercava, lo sapevo.
Lui
l’avrebbe protetta e salvata dal suo destino.
Lui
l’avrebbe portata al sicuro tra i Creatori, i pochi rimasti
ancora in vita.
Così
presi la decisione più triste e terribile della mia
esistenza.
<<
Senti, ti riporto da Jake. Qui sei in pericolo.>>
Lei
annuì e usciti dalla grotta la presi per mano e cominciammo
a volare verso la
Porta Della Luna.
###
<>
gridava
la ragazza dai capelli blu elettrico al ragazzo che correva dietro di
lei.
Erano entrambi bellissimi: lei, con i
capelli blu al vento e il vestito corto nero che le lasciava scoperte
le spalle
e le gambe lunghe e lui con dei pantaloni scuri e una camicia
bianchissima.
Era alto e con un fisico perfetto, i capelli
d’oro scompigliati e gli occhi azzurrissimi impauriti.
Erano stati alla festa della Luna quella
notte, come tutti gli anni, ma quella volta tutto era andato rotoli:
Lui era
tornato e aveva fatto ingresso al Palazzo di Cristallo con il suo
esercito.
Tutti loro erano stati presi di sorpresa.
Molti erano stati catturati, forse la
maggior parte ed uccisi a sangue freddo.
Il Castello ormai era distrutto, il grande
lampadario di cristallo era stato fatto cadere sul pavimento argentato
del
palazzo, che si era tinto di un rosso intenso, con i cadaveri dei
Creatori che
giacevano a terra in posizioni contorte, con il sangue che sgorgava
dalla bocca
e gli occhi spalancati.
Anche Matt quel giorno si era divertito a
vedere il terrore negli occhi e sulle espressioni di quegli angeli che
gli
avevano procurato tante sofferenze, la SUA Clove stava ballando con
l’altro.
Era bellissima ma non era per lui ma per
Jake.
Jake, era lui il problema, se solo non fosse
mai esistito.
O forse bastava ucciderlo.
Si era fatto spazio tra i Creatori uccidendo
chiunque incontrasse, arrivando alla porta di legno sbiancato dietro
alla quale
si erano nascosti.
Entrò dopo averla distrutta ma loro non
c’erano.
Corse alla finestra aperta e li vide,
tenersi per mano e correre all’orizzonte.
Li inseguì, per il Prato Bianco, in
mezzo
alla neve; per la Steppa degli Alberi morti, fino ad arrivare al Prato
dei
Salici Piangenti, dove lei cadde per terra, tra le felci.
Jake si fermò per aiutarla e Matt lo
attaccò
alle spalle. Un
fulmine colpì il biondo
che cadde a terra incosciente. Ma a Matt non bastava, lui voleva solo
riavere
Clove e per ottenere ciò doveva eliminare per sempre
l’altro.
Il corpo privo di sensi dell’amico
giaceva
accanto a lei e Clove non sapeva che fare. Non aveva più i
suoi poteri, non
sapeva ancora utilizzarli. Ma non poteva lasciare il suo migliore amico
lì, per
terra, davanti ad un pazzo assassino che li stava raggiungendo a grandi
passi.
Prese l’amico per le braccia e senza
farsi notare
lo trascinò fino a
un grande Salice
Piangente circondato da alte felci. Lo fece sdraiare e
strappò delle felci per
coprirlo.
Quando Matt arrivò la vide seduta
massaggiandosi la caviglia dolorante. Probabilmente aveva preso una
storta poco
prima di cadere.
Matt si bloccò di colpo: lei era
bellissima,
con i capelli scompigliati e il volto rosso per la corsa.
Ma lui non c’era.
Si guardò attorno.
<< Non lo ucciderai. Non te lo
permetterò.
>>
Clove si era alzata e gli parlava.
<< Chi me lo impedirà? Un
angelo senza
poteri come te?!>> gli disse in tono divertito lui.
<< Sarò anche senza poteri
ma lo
proteggerò come lui ha fatto con me. Anche a costo della
vita.>> gli
aveva risposto la ragazza.
<< No, non morirai per
lui.>> e
detto questo si avvicinò prendendola per la vita sottile.
Spalancò le ali scure, del colore della
notte e la portò via.
In fondo lui voleva lei, non perdere tempo
con Jake.
Volarono per un bel po’ e lei era
terrorizzata.
Aveva volato sempre e solo con Jake, stretta
nell’abbraccio caldo e forte dell’amico. Invece
Matt era freddo e lei non aveva
nessuna voglia di andare con lui, lo faceva solo per salvare Jake,
ancora steso
sotto le felci.
Matt volava sempre più in alto,
alzandosi
sempre più. Attraversò le nuvole e finalmente
arrivò alla sua meta: il Palazzo
del suo Capo.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1226270
|