October And April di Lelahel (/viewuser.php?uid=424644)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** April ***
Capitolo 2: *** October ***
Capitolo 3: *** Your sins into me, oh my beautiful one ***
Capitolo 4: *** Never been told about something that beautiful; will bring me up to let me down ***
Capitolo 5: *** 'Cause nothing's good i can explain; i'm falling down and caught up the rain ***
Capitolo 6: *** With the venomous kiss you gave me, i'm killing loneliness ***
Capitolo 7: *** You're gone with the sin, my darling. ***
Capitolo 8: *** And you could have it all, my empire of dirt ***
Capitolo 9: *** Looking for heaven, for the devil in me ***
Capitolo 10: *** Hoping one day you'll make a dream last, but dreams come slow and they go fast. ***
Capitolo 11: *** Poison hearts will never change, walk away again ***
Capitolo 12: *** I'm only the monster you made me ***
Capitolo 13: *** Look into my eyes, it's where my demons hide ***
Capitolo 14: *** You say you can't hold it together much longer, and i should look after your heart ***
Capitolo 15: *** When everything is made to be broken, i just want you to know who i am ***
Capitolo 16: *** Epilogo: This fatal love was like poison right from the start ***
Capitolo 1 *** April ***
-Capitolo
1:April-
She
was like april sky
sunrise
in her eyes
child
of light
Shining
star
Fire
in her heart
(October
& April, by The Rasmus)
Chicago
1923
“April,
è il tuo turno.”
April
nemmeno udì la voce di Gloria provenire dalla soglia del suo
umile camerino. Continuò a rimirarsi di fronte allo specchio,
ravvivandosi i capelli con entrambe le mani e, solo una volta
constatato che quelli le ricadevano abbastanza selvaggi attorno al
viso, decise di passare a intingersi le labbra con un rossetto
scarlatto.
“April?”
“Sì!”
April
si girò stizzita in direzione di Gloria; restò a bocca
aperta quando appurò che colei che l'aveva trascinata via
dalla beatitudine scaturita dalla propria bellezza non era una
persona qualunque, bensì colei che comandava su quel locale e
che le pagava lo stipendio. Si morse il labbro imbarazzatissima,
arrossendo sulle gote pallide, ignorando che, in quella maniera,
avrebbe potuto sporcarsi i denti di rossetto.
Gloria
inarcò una delle sue lunghe sopracciglia e guardò la
ragazza con aria austera solo in apparenza, poiché dietro di
essa nascondeva il sorriso che l'espressione di April le disegnava
sulle labbra.
“Smettila
di gongolare sulla tua bellezza e muoviti. Stanno aspettando tutti
te.”
April
tornò a guardare il proprio riflesso per una frazione di
secondo, simulando fretta mentre buttava alla rinfusa i propri
trucchi dentro una trousse. “Sì...sì Glory, dammi
solo un minuto.” la pregò.
Gloria
alzò gli occhi al cielo, per poi lasciar cadere la tendina che
fungeva da porta al camerino.
April
si chiese per quanto la donna avrebbe sopportato le lunghe attese a
cui lei sottoponeva il suo pubblico. Malgrado fosse una cosa
normale-una star doveva saper farsi attendere-Gloria non possedeva la
pazienza necessaria per sopportare troppo a lungo i suoi capricci.
Era una donna che sapeva farsi valere, e preferiva il potere del
rispetto in confronto a quello del denaro che lei le faceva procurare
quasi ogni sera.
April
si alzò in piedi, quando Gloria voltò le spalle al
camerino e si apprestò a tornare all'interno del proprio
locale. La ragazza decise di concedersi un ultimo sguardo, per
assicurarsi che fosse perfetta prima di salire sul palco. Si
sistemò ancora una volta i capelli, si assicurò che le
labbra fossero completamente rosse e invitanti e che gli occhi
fossero abbastanza truccati da rendere il suo sguardo sensuale e
accattivante. La sua voce poteva essere bella quanto voleva, ma gli
uomini, quando saliva sul palco, si focalizzavano più sulla
sua avvenenza, piuttosto che sul suo talento.
E
quella era una cosa che la faceva gioire come non mai.
Era
bella, e non le importava che le
sue colleghe la definissero presuntuosa. La presunzione era un
peccato originato da sicurezze che gli altri non condividevano, o
meglio non vedevano.
Lei
era oggettivamente bella. Sapeva
di esserlo, e quindi sapeva che quella non poteva essere considerata
presunzione, bensì realismo.
Uscì
dal suo camerino nello stesso istante in cui le sue coriste stavano
attraversando il corridoio per dirigersi verso il palco. Cecelie e
Martha le lanciarono un'occhiata fredda che però andò a
vuoto, mentre April prese a camminare davanti a loro a testa alta. Si
sistemò il vestito color perla che aderiva gentilmente alle
curve del proprio corpo e si sistemò la scollatura, in maniera
che risultasse audace, ma non troppo.
“Sei
bellissima stasera April.” Violet aveva accelerato il passo per
superare le sue compagne e affiancarsi a lei. Le altre due colleghe
alle loro spalle si lasciarono un'occhiata infastidita; April fece
finta di nulla.
“Grazie
Violet.” rispose, con un sorriso sereno e gentile.
Violet
era l'unica ragazza con cui April avesse fatto amicizia da quando era
arrivata a Chicago; malgrado i suoi 27 anni, a vederla sembrava una
bellissima adolescente, curiosa di conoscere il mondo. Era minuta di
statura-più di April- e aveva capelli biondo ramato e grandi
occhi verdi e sempre luminosi. April la vedeva come la gioia fatta a
persona; una di quelle persone che gioivano dei successi altrui,
invece che invidiarli.
Allora
era proprio vero che esistevano persone incapaci di provare quel
sentimento talmente corrosivo come lo era la gelosia.
“Sei
agitata?” Le domandò ancora Violet, man mano che si
avvicinavano al retro del palco, da cui avrebbero poi fatto capolino
per accogliere gli applausi del pubblico.
Sì,
April lo era.
Sentiva
la tensione farsi man mano più incalzante a ogni passo che
l'avvicinava al palco. Eppure non era da lei: il pubblico l'amava,
lei amava se stessa e il proprio talento, e quella era la ventunesima
serata in cui April cantava dentro quel locale. Era abituata a
cantare inanzi a un vasto pubblico, quindi la sua angoscia era
infondata.
Il
problema era che uno strano presentimento pesava gravemente sui suoi
pensieri: qualcosa che la spingeva a credere che quella serata
sarebbe stata diversa e che l'avrebbe condotta a una sorta di
cambiamento della sua intera esistenza. Era normale avere pensieri
così sciocchi prima dello spettacolo?
“Non
sono agitata affatto.” mentì, ostentando sicurezza che,
in quel momento, non possedeva.
Le
voci del pubblico in attesa, degli spettatori che attendevano
impazientemente di vederla salire sul palco e prender in mano il
microfono, la inebriarono come una dolce, irresistibile melodia.
Eppure
quel senso di ansia non scomparve.
Violet
le diede una leggera pacca sulle spalle, sorridendole calorosamente.
“E fai bene a non esserlo. Il pubblico ti ama, e noi con loro.”
le disse, chinandosi su di lei. Lo fece per non farsi sentire da
Martha e Cecilie, le quali avrebbero sicuramente dissentito.
Il
momento fatidico, quello che la faceva fremere ogni volta che doveva
esibirsi era finalmente giunto. April si fermò di fronte alle
tende rosse che la separavano dal palco, mentre le sue tre coriste si
fermarono a pochi centimetri da lei. La ragazza poté vedere,
oltre la stoffa della tenda, le luci che arricchivano il favoloso
interno del locale di Gloria; si lasciò cullare dalle voci e
dai suoni che provenivano oltre di essa e sorrise al pensiero di
essere di nuovo, per l'ennesima sera, l'anima di Chicago. Si voltò
a guardare Violet, dietro di sé alla sua sinistra, e si
lanciarono un sorriso complice.
Improvvisamente,
due secondi dopo il loro arrivo, le voci e i suoni si acquietarono
improvvisamente e qualcuno batté sulla capsula del microfono
per verificare che funzionasse.
“Signore
e signori...” La voce forte e dura di Gloria si fece largo nel
silenzio,riecheggiando all'interno del locale. April se la immaginò
guardarsi attorno, con il suo enorme e contagioso sorriso che esibiva
solo ed unicamente quando saliva su quel palco. Il più delle
volte, quella donna, era cocciuta e taciturna. “È con
mio immenso piacere che anche stasera, come ogni martedì sera,
presento su questo palco la voce più ruggente di Chicago, la
leonessa che tutti voi
attendete con ansia...”
Si
levò un coro di voci, applausi e fischi di approvazione che
fecero rabbrividire April per l'attesa.
“Ecco
a voi...April Ford.”
Non
appena sentì Gloria pronunciare il suo nome, April scansò
le tende con un gesto deciso e sicuro. Scrutò ogni singolo
volto del pubblico con sguardo accattivante mentre si dirigeva,
leggiadra e sensuale, verso il microfono che Gloria le aveva
galantemente lasciato. Il suo pubblico-sopratutto uomini che si
giovavano della sua bellezza-l'acclamava e gridava il suo nome, come
se fosse la loro unica musa, in quella calda notte di fine estate che
lei avrebbe reso ancora più magica mediante la propria voce.
Le
coriste si disposero in semi cerchio alle sue spalle, mentre lei si
schiariva la voce prima di iniziare a cantare.
La
scena era sempre la stessa: lei intonava la prima nota e tutti si
ammutolivano. Le loro voci, i suoni, tutto taceva affinché
l'unica cosa che avesse suono in quel momento fosse la voce di April.
La
ragazza si guardò attorno, allietandosi degli sguardi e delle
menti che era capace di imprigionare con il proprio canto, come le
sirene che attraevano i marinai con la loro melodia. Loro lasciavano
morire in mare le loro vittime; lei, invece, le catturava talmente
tanto da renderle prigioniere di quella soavità.
I
suoi occhi si portarono poi più lontano, verso i divanetti che
erano stati allestiti sul piano superiore del locale, in prossimità
dell'ingresso dove sedevano delle numerose e indistinte figure.
Ma
ne notò solamente una.
Quella
che le dava le spalle, ma aveva comunque il volto girato nella sua
direzione. L'ascoltava, la guardava,
con un bicchiere di
vino rosso in una mano. I suoi occhi azzurri erano ghiaccio su di
lei, tanto che le fecero provare la sensazione che solo lui, in quel
momento, la stesse guardando.
E
fu così che il calore di Aprile conobbe il freddo di Ottobre.
Buonsalve
a tutti!
Spero
che questo inizio piccino picciò della mia storia sia stato di
vostro gradimento.
Come
penso si sarà benissimo capito, la April di questa storia non
ha a che fare con la April Young che purtroppo (sì, sottolineo
purtroppo) abbiamo conosciuto nel corso della serie televisiva. Il
nome della protagonista è collegato alla canzone che fa da
titolo alla storia, “October & April” dei The Rasmus
(Feat. Annette Olzon) e la storia è stata scritta prima che
iniziasse la quarta stagione di TVD, ovvero quando credevo che un
personaggio come April Young non potesse esistere. XD
April
Ford è un personaggio che probabilmente risulterà
odioso all'inizio, ma con il tempo, forse, riuscirò a farvi
cambiare opinione.
Tornando
alla storia, questa si compone di ben 15 capitoli ed è già
bella che conclusa quindi, nel caso qualcuno abbia l'ardire di
affezionarcisi, può star sereno perché non resterà
incompiuta, e vedrà il suo epilogo.
Spero
di ricevere commenti, positivi o negativi che siano, per poter sapere
in cosa posso migliorare.
Nel
caso trovaste inoltre degli errori grammaticali o di sintassi,
ditemelo pure senza il benché minimo problema, poiché
vi porrò rimedio non appena possibile.
Cercherò
di essere sempre piuttosto puntuale nella pubblicazione, ma non
assicuro nulla: malgrado la storia sia conclusa da un po', è
completamente da revisionare e, visti i numerosi impegni, potrei
tardare un pochino.
Vorrei
dedicare questo primo capitolo a Elyforgotten per tutto il sostegno
datomi. Ero e sono tutt'ora molto restia nella pubblicazione, essendo
molto insicura e timorosa, e se non fosse stato per lei non avrei
pubblicato nemmeno questo prologo.
Grazie,
mon amour. Nonostante tutto mi sei sempre vicina.
E
grazie a tutti voi che leggerete,commenterete, questo prologo!
Davvero :)
Alla
prossima, e vi auguro un buon fine settimana!
Lelahel
|
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Capitolo 2 *** October ***
-Capitolo
2:October-
He
was frozen sky
In
october night
Darkest
Cloud
Endless
Storm
Raining
from his heart
(October
& April by The
Rasmus)
Inutile
ammasso di noiosi umani.
Si
portò il bicchiere di vetro alle labbra, lasciandosi baciare
dal sapore del vino intrappolato in quella piccola prigione.
Guardò
la folla di persone che lo circondavano e provò il desiderio
di trapassare una ad una le loro anime, di strapparle via dai loro
corpi e di gettarle nel vuoto da cui erano originate.
Li
odiava. Non tollerava i loro
odori sgradevoli e rivoltanti, mal sopportava le loro voci troppo
numerose e assordanti, detestava il modo in cui si guardavano tra
loro, il modo in cui si parlavano e il modo in cui si comportavano.
Odiava
tutto di loro.
Spesso
si chiedeva il motivo per cui vivesse in mezzo a quelle creature;
convivere con un branco di porci era molto più gradevole e
sopportabile.
“Proibizionismo.”
annunciò Rebekah solennemente. Si guardò attorno,
accavallando le gambe, troppo nude secondo il parere del fratello, e
portandosi un bicchierino di pregiato bourbon alle labbra,
compiacendosi di quell'innata malizia che le riusciva spontanea in
ogni gesto che compiva. “Un periodo più fastidioso non
poteva capitarci, vero Nik?”
Klaus
alzò lo sguardo sulla disinibita sorella, e Rebekah bevve
velocemente, regalandogli poi un sorriso beffardo.
Il
ragazzo stava per chiederle quale epoca non fosse risultata loro
fastidiosa, anche se quella, probabilmente, le batteva tutte. Mai
prima di allora il mondo era stato capace così tanto di
schifarlo.
“Fammi
un fischio quando questo mondo vivrà un epoca adatta a noi.”
le rispose, non nascondendo l'acidità presente nella sua voce.
Lasciò
il bicchiere sul tavolo e guardò Gloria cantare sul palco; la
donna era così agghindata con piume e gioielli che la trovò
più simile ad un pavone che ad una potente strega. Era sinuosa
e accattivante; aveva una voce potente e graffiante che superava
tutti i numerosi rumori fastidiosi che quegli umani emettevano in
continuazione. Quando la sua canzone terminò, con un ultimo,
travolgente ruggito, la donna si congedò, annunciando che la
parte veramente clou della serata sarebbe presto arrivata.
Un
boato di applausi, fischi e voci che chiamavano la “leonessa”
s'innalzarono all'interno del locale, e Gloria abbandonò il
palco con eleganza, dirigendosi verso il retro del locale.
Klaus
si mostrò disinteressato; non gli importava nulla di quella
“leonessa” che tutti osannavano come fosse una
diva. Distese le braccia lungo lo schienale del divano e guardò
severamente la sorella.
La
ragazza aveva ripreso a guardare verso un punto tra la folla in mezzo
al locale, dove il giovane Stefan Salvatore stava ridacchiando
insieme con alcuni compagni di bevute. Il ragazzo si era accorto
delle attenzioni della bionda, e lanciava maliziosi sguardi nella sua
direzione, sentendosi fortemente ricambiato dalle occhiate languide
della ragazza.
Klaus
alzò gli occhi al cielo, inorridito da come la sorella fosse
solita interessarsi con troppa facilità a troppi uomini.
“Senza un uomo non puoi stare, Bekah? Ora vai dietro anche ai
novellini?” le domandò.
Rebekah
non si lasciò colpire dal tono duro del fratello; volse lo
sguardo verso lui e abbozzò un sorriso. “Nik, gli unici
non novellini che conosco siete tu, Elijah, Kol e Finn. E l'incesto
mi fa un po' ribrezzo sinceramente, sopratutto se con te.”
disse, piegò la testa da un lato e gli fece l'occhiolino.
Klaus
digrignò i denti, fortemente infastidito. Non bastava quel
locale che puzzava di alcool, fumo e umanità a
irritarlo, ci si doveva mettere anche Rebekah, con le sue continua
frecciatine.
“Perché
non ti trovi tu una giovincella invece? Dicono che la leonessa,
quella April, sia davvero una bellezza. Magari può calmarti un
po'.” disse e riprese a bere.
Klaus
sbuffò, nel momento stesso in cui le luci delle candele si
abbassarono all'arrivo imminente della promettente stella del locale.
“Sweetheart, se è abbastanza appetibile, il
massimo che posso fare è affondarle i canini nel collo.”
rispose. “Poi...una con un nome così patetico, non può
che essere una poveretta.”
Rebekah
non rispose, voltò la testa verso il palco nel momento stesso
in cui un'elegante ragazza in abito color perla, con un sorrisetto
accattivante sulle labbra rosse, raggiunse il microfono.
“Ora
puoi valutare con i tuoi occhi se è una poveretta o meno.”
proruppe, continuando a bere e muovendo il capo in direzione del
palco.
Klaus
su girò verso il palco e osservò, con fare
disinteressato, la protagonista dell'attenzione di tutti.
Avvenente
lo era e anche molto. Non molto alta, capelli lunghi e neri che
scendevano sulle sue spalle e tipici occhi da predatrice, di
quelli che facilmente catturavano gli uomini e li rendevano soggetti
alla loro bellezza.
Il
vampiro si soffermò su di loro, mentre quelli stavano
muovendosi tra la miriade di persone che April aveva di fronte. Non
erano per nulla impauriti, ma decisi, decisi a conquistare, a
confondere, rendere proprio quanto essi stessero catturando.
Eppure, c'era qualcosa in loro che colpiva Klaus: come se tutta
quella sicurezza che April ostentava senza troppa vergogna non fosse
altro che una facciata per ingannare il mondo esterno.
Quando
iniziò a cantare, il vampiro iniziò a contare i battiti
del proprio cuore.
Quello
era spento da tanto, troppo tempo, eppure a lui parve di sentirlo
tornare in vita nel momento stesso in cui quella giovane aveva aperto
bocca per dare inizio alla sua canzone. Capì perché la
chiamassero la leonessa; aveva una voce incantevole, di quelle che
potevano prenderti la mente e trasportarla il più lontano
possibile, però, quella, era allo stesso tempo forte e
ruggente, di quelle che non si potevano facilmente dimenticare.
Klaus
provò quella sensazione: il suo corpo era là, ma la sua
mente e il suo cuore arrivarono lontano, molto lontano, accompagnati
dalla potenza di quella melodia che fuoriusciva dalle labbra rosse di
April. Per un momento non provò più disprezzo per
quegli esseri umani, non sentì più quell'avversione
verso il mondo intero e vedeva e sentiva solo lei.
April
fece scorrere lo sguardo verso il punto in cui si trovava lui e,
quando i loro occhi si incontrarono, l'espressione sul viso della
giovane mutò. Impercettibilmente, ma mutò.
Il
mondo parve fermarsi in quel preciso istante.
E
fu così che il freddo di Ottobre incontrò il calore di
Aprile.
Ciao
a tutti! :D
Mi
scuso se anche questo secondo capitolo è stato corto come il
prologo, ma già dal prossimo i capitoli si prospetteranno più
lunghetti, anche se non troppo, per non annoiarvi e poiché si
tratta di un racconto particolarmente breve.
Ringrazio
infinitamente tutti coloro che hanno recensito il prologo, chi l'ha
letto silenziosamente e chi ha inserito questa storia nelle varie
cartelle.
Spero
di sentire di nuovo il vostro parere-positivo o negativo che sia-in
maniera tale da potermi rendere conto se questi primi passi che ho
mosso nel creare questa storia siano stati deludenti.
Vi
auguro di passare una buona domenica e vi ringrazio ancora per aver
letto.
Al
prossimo capitolo, un bacione!
Lelahel
|
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Capitolo 3 *** Your sins into me, oh my beautiful one ***
http://www.youtube.com/watch?v=BguZZ3rGKe0
-Capitolo
3:Your sins into me, oh my beautiful one-
Light,
like the flutter of wings, Feel
your hollow voice rushing into me as you're longing to sing. So
I will paint you in silver.
(Silver
and cold by
AFI)
April
non riusciva proprio a toglierselo dalla testa e non poté
capirne il motivo.
Sì,
quel ragazzo era molto bello, ma quanti uomini belli come lui aveva
visto in giro per quel locale tutte le sere? Era consapevole che in
lui trovava qualcosa di diverso, qualcosa che l'aveva completamente
catturata e che gli impediva di rimuoverlo dalla mente.
Perché?
Avrebbe
tanto voluto scoprirlo, dato che lei non riusciva ad arrivarci.
“April,
sono per te.” Gloria entrò nel suo camerino, affiancata
dalla bella e sorridente Violet, con un trattenuto sorriso sulle
labbra.
April
distolse l'attenzione dal proprio riflesso-o meglio, smise di
trapassarlo con lo sguardo mentre rifletteva sulla sua inspiegabile
sensazione nei confronti di quel ragazzo- e si voltò verso la
donna.
Ella,
in mano, teneva un mazzo di rose rosse, le solite che giungevano al
camerino di April quasi ogni mattina da diversi mesi a quella parte.
“Oh,
che romantico!” Violet ridacchiò, sedendosi
repentinamente sulla poltroncina vicino alla sedia in cui sedeva
April, e accavallò le gambe senza alcuna malizia.
April
lanciò un'occhiata in direzione delle rose, e un sorriso
gioioso si delineò sulle sue labbra. Batté le mani,
entusiasta come un bambino la mattina di Natale, e scattò in
piedi, strappandole dalle mani di Gloria. Sui fusti dei fiori, si
trovava un biglietto la cui calligrafia, elegante e perfetta, le fu
subito familiare.
Per
la voce più bella che domina le notti di Chicago.
Christopher.
“È
sempre lui? Il tuo uomo?” Gloria fissò con fredda
curiosità le gote di April tingersi di rosso.
La
giovane non era imbarazzata o altro, era solo molto lusingata e
felice di ricevere attenzioni da uno degli uomini più ricchi e
avvenenti di Chicago.
“Sì,
è lui. Il mio Chris.” rispose, alzando lo sguardo su di
lei e facendole l'occhiolino. Diede le spalle a Gloria, non appena ne
vide l'espressione farsi improvvisamente seria, e affondò il
viso tra le rose, lasciandosi inebriare dal loro profumo dolce e
avvolgente.
Christopher
Palm era il suo fidanzato da pochi mesi, e forse molto presto sarebbe
diventato suo marito. Il loro incontro non era stato propriamente
casuale: April aveva studiato bene l'ambiente del locale di Gloria, e
aveva stipato mentalmente una specie di lista con gli uomini più
ricchi che lo frequentavano abitualmente. Escludendo gli sposati e
coloro che preferivano la compagnia maschile, April aveva puntato su
Christopher e farsi notare da lui non fu affatto difficile. Il bel
rampollo di Chicago-aitante, avvenente ma con quindici anni in più
di lei-era rimasto così piacevolmente colpito dalla sua
avvenenza da ufficializzare la loro relazione senza il benché
minimo preambolo.
“Fa'
vedere.” Violet le prese le rose che teneva strette al petto, e
se le portò al viso per poterle odorare. “Per l'amore
del cielo, queste rose le avrà pagate un occhio della testa.
Questo è amore.”
Gloria
si strinse le braccia al petto. “Dici Violet?” le disse
con tono di rimprovero. “Qui, più che amore, ci vedo
guadagno. Almeno da parte di qualcuno di mia conoscenza.”
“Non
esagerare Gloria.” April le lanciò una rapida occhiata
incurante, per poi lasciarsi cadere sulla poltrona davanti allo
specchio, dove si era beata per tutta la mattina.
Violet,
inguaribile romantica, sembrò non voler accettare l'ottica
della donna; continuò a tenersi le rose al petto, come fossero
sue, e si sedette su una sedia poco lontana dalla toletta di April.
Gloria
guardò freddamente il sorrisetto soddisfatto che April aveva
sulle labbra. “Non capisco April.” le disse, scuotendo la
testa e avvicinandosi a lei. “Hai appena ventidue anni,
dovresti sognare l'amore e il principe azzurro, non un portafoglio da
sposare.”
April
stava per scoppiare a ridere.
L'amore?
Il principe azzurro?
“Sognerei
una cosa del genere se vivessi nel mondo delle fiabe!” esclamò,
accavallando le gambe.
Non
si curò di essere elegante o femminile; con Gloria e Violet
poteva essere se stessa. Libera da quel costume di bellissima,
elegante ragazza di città che sapeva ammaliare e sedurre gli
uomini con uno sguardo.
“Ma,
cara Gloria, la realtà è ben lontana da essere così
fantasiosa.”
La
mente la riportò a ricordi riguardanti il suo passato, la sua
infanzia.
Un
colpo di pistola.
E
tutti i suoi pensieri ripresero ordine.
Si
ritrovò ad essere posseduta dalla paura e dalla tristezza di
quel ricordo e dovette sbattere più volte le palpebre per
tornare con i piedi bene a terra.
Solo
Gloria si accorse di quel suo cambio di atteggiamento; Violet era
troppo impegnata a trovare posto al nuovo mazzo di fiori di April,
nella miriade di rose che riceveva continuamente. Inoltre, la loro
giovane collega non era a conoscenza di quell'avvenimento del passato
che April riviveva ogni volta che le palpebre le si abbassavano,
facendo rivivere quelle memorie assopite con forza dentro di lei.
April
si sforzò di mostrarsi nuovamente serena. “E poi, chi
dice che Cristopher non possa essere il mio ipotetico principe
azzurro? È molto bello e affascinante!”
“Tesoro
mio, conosco l'amore e non è quello che vedo nei tuoi occhi.
Cristopher è un bellissimo uomo, ma quello che ami di lui è
il suo patrimonio.” Gloria si strinse le braccia al petto e
piegò la testa, portando da un lato i bei ricci biondi che
circondavano il suo volto dai lineamenti decisi e sottili allo stesso
tempo.
“Spero
davvero che non sia così April.” Violet tornò a
sedersi accanto a lei, congiunse tra loro le ginocchia nude e si
chinò, mostrando l'ampia e generosa scollatura che il suo
vestito ceruleo donava. “Tutti sognano l'amore. Non dovresti
privarti di trovarlo per seguire l'ambizione di diventare ricca.”
April
le sorrise furbamente. “I diamanti sono i migliori amici di una
ragazza. Non ti tradiscono mai, ti illuminano gli occhi quando li
vedi...come vedete, sono meglio dell'amore effimero e sfuggevole che
un uomo può donarti.” rispose April, facendo spallucce e
lanciando un'occhiata verso la sua amica, poi verso Gloria.
Si
fece improvvisamente seria, quando le due si lanciarono un'occhiata
complice che mostrava poca approvazione per quel discorso.
“Io
non credo nell'amore.” continuò la leonessa, con
voce piatta e monotona. “ È un sentimento che nasce e
muore. I soldi, invece, non ti abbandonano mai....nemmeno nella
morte. Se sposassi Cristopher, sai che bella tomba potrei farmi
costruire alla mia morte?”
“Non
trovi sia un po' materialista come ragionamento?” domandò
Gloria. “Così non conoscerai mai la vera felicità.”
April
si alzò in piedi, dirigendosi verso un tavolino in vetro alle
spalle delle due donne, dove dei bicchierini attendevano di essere
riempiti dalla vicina bottiglia ripiena di liquore. Riempì tre
di quelli e sorrise in direzione di Gloria. “Sono cresciuta
nella miseria...non attendo altro la ricchezza che merito grazie al
mio talento.”
Porse
un bicchiere a lei, poi a Violet e brindarono in nome di qualcosa di
cui nemmeno loro erano consapevoli, forse l'ostentato cinismo di
April.
Lei
sorrideva, rideva, ed era raro vederla silenziosa. Eppure, dentro di
sé, c'era una voragine vuota di cui lei non avrebbe mai voluto
toccare il fondo ma che molto spesso si faceva sentire, quando i
ricordi del suo passato riecheggiavano violenti al suo interno.
In
quel momento, quando il sapore agrodolce del liquore le baciò
il palato, April ripensò al ragazzo biondo che tanto aveva
attirato la sua attenzione la sera prima, e si chiese se Gloria lo
conoscesse.
Cosa
scontata,visto che tutti conoscevano Gloria e lei conosceva tutti.
“Senti
un po', Gloria...” iniziò a dire, si morse il labbro
quando pensò di non poter porre una domanda del genere senza
destare un qualche sospetto.
Perché
le importava così tanto di quel freddo ragazzo? Semplice
curiosità, giustificò a se stessa.
“Ieri
sera ho visto un ragazzo biondo mentre cantavo. Alto, occhi
chiarissimi, labbra carnose e rosse, pelle molto bianca....”
“Hai
notato tutto questo in pochissimi secondi?” la punzecchiò
Violet, dandole una leggera gomitata e bevendo un lungo sorso di
liquore.
April
divenne più rossa, ma le rispose con una gomitata più
forte che per poco le fece sputare a terra.
Le
due ridevano, Gloria no. “Non mi dire che parli di Niklaus?”
disse, stringendo il bicchiere in una mano con forza, tanto che le
nocche delle sue mani quasi divennero bianche.
April
restò colpita dal suo improvviso cambio di tono. “Niklaus?
Devo dire che il nome non gli rende giustizia.” disse,
storcendo il naso disgustata.
Violet
riempì il silenzio con la sua risata squillante e contagiosa.
“In effetti, non è il massimo!” esclamò.
Gloria,
di nuovo, non rise. “Bambina, lui non è una persona...”
si bloccò, stringendo le labbra con forza, come per trovare le
parole giuste da dire. “Non è un ragazzo raccomandabile,
stagli il più lontano possibile. È pericoloso.”
April
sperò un attimo che la serietà nascosta in quelle
parole fosse solo una presa in giro, invece sembrava davvero che
Gloria credesse in ciò che stava dicendo. Quel Niklaus le
pareva davvero pericoloso e la mora non ebbe il coraggio di chiedere
altro. Preferì chiuderla lì, con quella sua curiosità.
“Va bene.” disse
annuendo e facendo così tranquillizzare Gloria, che le regalò
un sorriso sollevato.
“C'è
da dire però che i ragazzi pericolosi sono i più
eccitanti.” Violet ruppe il silenzio appena calato con la sua
naturale ironia, ma stavolta nemmeno April rise.
Non
perché la frase della sua amica non fosse divertente, bensì
perché qualcosa di strano si fece largo nel suo corpo. Ebbe un
violento capogiro che la scosse dall'interno; il bicchiere le cadde
di mano e il rumore dei frammenti di vetro che si disperdevano sul
pavimento le rimbombò violentemente nella testa.
“April?”
La
ragazza non seppe nemmeno dire chi delle sue due compagne avesse
pronunciato il suo nome. La vista le si fece offuscata, il dolore
all'altezza del petto più impetuoso e bruciante. Tossì,
più e più volte, e il respiro parve quasi mancarle.
Iniziò a boccheggiare come se stesse affogando, e la forza
nelle gambe venne a mancarle. Si ritrovò a pregare per il
momento in cui avesse perso i sensi.
“Ehi,
ehi siediti.” Gloria e Violet accorsero da lei, prima che
cadesse a terra e l'aiutarono ad accomodarsi sulla poltrona.
In
quel momento, il dolore cominciò a dileguarsi, come nebbia
scacciata dal vento. Lentamente, insieme ad esso, anche
l'offuscamento del suo sguardo, il giramento di testa e la debolezza
alle gambe parvero abbandonarla. Era stato tutto così lento e
travolgente che la ragazza non si era nemmeno resa conto che Gloria
le aveva preso il viso tra le mani.
“Sto..sto
bene.” disse, quando comprese quanto la donna stesse
ripetendole incessantemente.
La
allontanò da sé, sfiorandole delicatamente i polsi.
Violet si era così spaventata che era sul punto di piangere,
ma April glielo impedì, riprendendo a sorridere come suo
solito.
“Sto
bene. Allora....di che parlavamo?”
* *
* * *
Cosa
poteva guarire almeno un po' il malessere che si portava dentro?
La
sua voce? Ridicolo.
Klaus
mandò giù un altro sorso di whisky, evitandosi di
lanciare occhiatacce in direzione di Rebekah che ballava e si
divertiva con un gruppo di spasimanti, che si faceva più
numeroso ogni sera che passavano là.
Perché
l'audace avvenenza di Rebekah non si poteva contenere su un unico
uomo, pensò Klaus tagliente, scoccando la lingua
incredulo.
La
sua voce.
I
suoi pensieri ripresero poi la direzione precedente.
Perché
lo aveva colpito così tanto?
La
sera prima, dopo aver ascoltato l'ultima canzone della leonessa,
aveva persino provato a dipingere la sua voce. Esperimento malsano e
che normalmente non avrebbe portato a nulla di buono. Invece, era
riuscito davvero a rappresentarla come se fosse un qualcosa di vivo:
un misto di colori rossi e blu che si scontravano tra loro, come mare
al tramonto.
Incredibile,
mai successo che dipingesse
qualcosa senza forma in quella maniera a dir poco perfetta.
Si
guardò attorno e notò con lo sguardo che anche Stefan
Salvatore si trovava nel locale; lontano da Rebekah, rideva insieme
ad alcuni suoi compagni di bevute ma non si tratteneva dal lanciare
occhiate ammiccanti in direzione della vampira che, a sua volta, non
le disdegnava come fingeva di fare.
Non
seppe se trovare il loro comportamento patetico o meno; non riusciva
proprio a capacitarsi del motivo per cui sua sorella volesse
complicarsi ulteriormente la vita, accettando la corte di quel
vampiro folle e fuori di testa.
Non
gli bastava lui da sopportare ogni giorno?
Soppresse
tutti i suoi più negativi pensieri-quelli positivi ormai aveva
smesso di averli-quando vide dalla porta principale del locale
entrare una ragazza con indosso una vistosa pelliccia che copriva un
corto abito rosso,il quale metteva in risalto le sue lunghe bianche
gambe.
April.
Ed
era sola.
Appena
fece il suo ingresso, non passò inosservata: alcuni ragazzi le
lanciarono occhiate eloquenti e maliziose. Persino Stefan Salvatore
lo fece, ma lui, più che altro, probabilmente bramava il
sangue della giovane e bella stellina di Chicago come fosse un trofeo
da aggiungere ad una mensola.
Klaus
non seppe se sorridere o meno dell'altezzosità che la ragazza
ostentava mentre camminava tra le varie persone, ignorando i loro
sguardi carichi di ammirazione. Vi trovò un atteggiamento
molto simile al suo, quando camminava tra gli umani, provando
disprezzo per quella razza.
Ma
per April era diverso; la sua era solo copertura.
Lei
non si sentiva superiore; lo si capiva da come, delle volte, cercava
di sfuggire, per puro imbarazzo, alle occhiate che la gente le
lanciava. Fingeva di essere presuntuosa, perché così
poteva sentirsi meglio con se stessa.
Atteggiamento
patetico o semplicemente umano? Klaus non seppe riconoscerlo.
“Non
dirmi che ti piace la ragazzina.” Gloria fece una semplice
constatazione che le riservò una lunga occhiata fredda da
parte del vampiro.
“Ti
sembro il tipo che rincorre le gonnelle?” le domandò,
mentre lei le versava un altro bicchiere di whisky.
Da
dietro il bancone, la donna sembrava una normale proprietaria di uno
dei locali più quotati e meno conservativi di Chicago.
Nessuno avrebbe mai potuto dire che quella era una potente strega,
nascosta nelle patetiche vesti di una comune umana. Quella si limitò
a inarcare poco convinta le sopracciglia e a sospirare rumorosamente.
Intanto,
April gli passò dietro le spalle e Klaus si irrigidì.
Seppe
per certo che si era fermata; sentiva il suo profumo avvolgente
penetrargli le narici.
Lui
odiava gli odori degli esseri
umani, profumo o puzzo che fosse, ma il suo aveva un qualcosa di
naturale: era come il profumo di un giardino in fiore sotto il cielo
di primavera.
In
linea con il suo nome.
E
lei lo stava guardando.
Sentiva
i suoi occhi scuri trapassargli la schiena, mentre lui si mostrava
indifferente. Con estrema difficoltà, si ritrovò ad
ammettere.
Per
quale diavolo di motivo quella mocciosa lo faceva sentire in quel
modo?
“Gloria,
io vado a prepararmi.” April aveva una voce molto comune,
quando si limitava a parlare. Non era nulla di particolare: era bassa
e soffice, ben lontana dalla potenza che aveva mentre cantava.
Per
un attimo pensò non si trattasse di lei e decise di voltarsi
nella sua direzione.
Errore.
Era
proprio lei e lo stava guardando intensamente.
Klaus
abbassò lo sguardo sulla pelliccia che la ragazza stringeva
contro il proprio ventre, poi tornò a concentrarsi sul
bicchiere di whisky, fingendo che fosse più interessante di
lei.
Gloria
fece finta di nulla. “Sì, cara. Muoviti che qui
aspettano il tuo numero.” le ordinò la donna, muovendosi
lungo il bancone per andare da un altro cliente, già
totalmente ubriaco.
April
non si mosse.
Muoviti
maledizione.
Perché
non lo faceva? Klaus decise di muoversi lui stesso pur di
allontanarsi da quel profumo e da quegli occhi che sembravano
bollente carbone che infieriva su di lui.
Ma
il destino aveva in serbo altro per lui.
“Siete
nuovo in città?”
Gli
aveva rivolto la parola?
In
secoli e secoli di vita, non gli era mai importato se qualcuno gli
avesse rivolto la parola o meno.
Si
voltò verso lei, lentamente; la vide portarsi le mani sui
fianchi esili e sorridergli in maniera civettuola. Un'altra
forzatura.
Il
suo sorriso mutò poi in qualcosa di più spontaneo, una
specie di smorfia di imbarazzo, quando i loro occhi si incontrarono.
Lui
era impassibile; non mostrò né interesse ma nemmeno
indifferenza e April abbassò gli occhi, divenendo rossa sulle
gote. Il vampiro non poté fare a meno di chiedersi quanto
appetibile il sangue di lei potesse essere; era sicuro che gli
sarebbe piaciuto, affondare i denti nella sua carne e cibarsi della
sua essenza fino all'ultimo.
Poi
il ricordo della domanda che la ragazza gli aveva rivolto si fece
largo tra i suoi pensieri e si decise ad elaborare rapidamente una
risposta.
“Fatti
gli affari tuoi.”
E
tutto parve avvolto nel nulla, per
un solo istante.
Vide
il volto di April farsi lentamente più cupo, quasi le sue
parole, pronunciate in quella maniera gelida, l'avessero colta di
sorpresa e ferita.
Klaus
trattenne il fiato, osservando i suoi dolci lineamenti contrarsi e si
rese conto di aver...esagerato? Da quando gli importava del galateo e
delle risposte educate?
Prese
la giacca dallo schienale della sedia e diede le spalle alla ragazza,
ignorando lo sguardo della ragazza su di sé mentre si
allontanava.
“Bestia...”
Klaus
si bloccò un attimo, quando udì la voce musicale di
April pronunciare quella parola in una specie di ringhio. Pensò
di aver sentito male, che lei non si sarebbe mai permessa di
rivolgersi così a lui.
Invece
lo aveva fatto.
Quando
si voltò verso lei, la ragazza gli scoccò
un'occhiataccia e girò sui tacchi, dirigendosi verso il palco
da dove avrebbe poi raggiunto, probabilmente, i camerini.
Il
ragazzo non seppe cosa pensare; in un'altra circostanza non ci
avrebbe pensato due volte e programmare la sua morte per il semplice
gusto di farle pagare la sua arroganza.
In
quel momento, invece, si ritrovò a sorridere al pensiero che
una ragazzina lo avesse sfidato con cotanto coraggio.
* *
* *
“Odioso,
animale, spocchioso, pezzettino di letame...”
“April,
con chi ce l'hai?”
April
si accorse di essere da diversi minuti nascosta dietro la tenda che
separava il corridoio dal palco, su cui stava esibendosi ancora una
grassoccia ballerina, molto brava nell'ammiccare agli uomini ma meno
nell'effettuare le piroette.
Violet
le era stata accanto per tutto il tempo, ma solo quando ella riparlò,
April rammentò la sua vicinanza. Si voltò verso
l'amica, scostò la tendina solo un poco, e poi indicò
con un cenno della testa il punto in cui Niklaus e una coppia
sedevano, ridendo e parlando animatamente.
“Ce
l'ho con quell'idiota laggiù!” disse, parlando del
biondo che ascoltava in silenzio le parole della ragazza della
coppia, bionda e molto bella. April l'aveva già notata prima e
solo allora si accorse che, per certi aspetti, somigliava molto a
quel Niklaus.
Violet
ridacchiò, portandosi la mano sulle labbra. “Chi, chi?
L'adone per cui ti sei presa una bella cotta?” la prese in
giro.
April
le rifilò una gomitata sul braccio e scosse la testa; non
riuscì a nascondere il rossore che le colorò le guance
e si schiarì la voce. “Non ho mai detto che mi piace. Lo
trovavo solo curioso. Ora non più.” dichiarò, più
a se stessa che all'amica, prima di tornare a guardare in direzione
del ragazzo.
Non
aveva proprio accettato il modo in cui l'aveva trattata, manco fosse
spazzatura, e anche se si era dovuta più volte rapportare con
energumeni del genere, non poté nascondere che per la sua
rispostaccia ci era rimasta davvero male.
Deglutì,
e si convinse che non le importava un accidenti di quel poveretto.
“Infatti,
che t'importa? Pensa a Cristopher.” Violet le diede una leggera
pacca sulla spalla, a cui April rispose con un sorrisetto.
Infatti,
disse a se stessa, non le importava nulla di quel mentecatto. Lo
mandò al diavolo e si apprestò a salire sul palco, dove
venne accolta dai soliti applausi e fischi di ammirazione che pensò
potessero farle dimenticare l'arrabbiatura di poco prima. Ma quando
fece scorrere lo sguardo lungo il suo pubblico, com'era sempre solita
fare per poterlo catturare, i suoi occhi si posarono su Niklaus.
Lui
stava in silenzio, ma non la guardava.
La
collera di lei crebbe ma, non appena lui prese a ricambiare il suo
sguardo, lei si sentì come se stesse per cantare per lui.
Solo
per lui.
Era
una cosa spontanea, ma che non tollerava assolutamente.
Smise
di guardarlo.
La
voce perse un attimo forza, quando compì quel gesto.
Chiuse
gli occhi.
Lui
stava ancora guardandola e lei poteva sentire i suoi occhi sul
proprio volto. Mille occhi erano puntati su di lei, eppure lei
sentiva solo i suoi sulla pelle.
Sentiva
solo il suo udito pronto a cogliere la musicalità della
propria voce, degli altri proprio non riusciva a curarsi.
Ma
perché si comportava così?
Ad
un certo punto, qualcosa la costrinse a fermarsi.
April
non riuscì più a dare vita alla propria voce. Si
ritrovò immobilizzata, con il fiato bloccato in gola e il
corpo pervaso da un'ondata di calore. Sentì il sudore che
iniziò a bagnarle prepotentemente la pelle della fronte,
mentre faceva sempre più caldo e il respiro non accennava a
riprendere....attorno a sé il silenzio; qualcuno provò
a parlare, qualcuno che non comprendeva cosa stesse succedendo.
E
lei cadde.
L'ultima
cosa che le parve reale, fu il pavimento su cui il suo corpo
si ritrovò disteso.
I
suoni, le luci, le voci...si ridussero solo ad una realtà
lontana affinché lei potesse raggiungerla con i propri sensi.
Chiuse
gli occhi, il dolore che le bruciava il petto non si placò.
Non
si spense nemmeno, quando tutto divenne buio.
* *
* *
Quando
April salì sul palco, Klaus non la guardò, ma si
concentrò sul gruppo di idioti in prossimità del
bancone di Gloria accalcarsi vicino ad esso per potersi far vedere
dalla giovane cantante.
Si
chiese se sbagliasse o meno ad usare continuamente il termine
“patetico” per definire il comportamento degli umani che
abitavano quel locale. Avrebbe semplicemente dovuto smettere di
pensarli come aveva sempre fatto.
Si
portò il bicchiere di vetro alle labbra, tenendo lo sguardo
fisso sulla ragazza, superando le testa di Stefan e Rebekah, che
stavano mangiandosi con gli occhi tra loro, e ne bevve un lungo
sorso.
April
lo guardò, con l'orgoglio di una donna ferita che meditava
vendetta.
Per
una sola rispostaccia? pensò Klaus.
Queste
creature affascinanti chiamate donne erano capaci di uccidere anche
per una cosa banalissima, se la loro dignità femminile veniva
ferita.
Ridacchiò
e trovò strano che lo facesse; erano anni che si portava
dentro un malessere che non lo faceva ridere nemmeno di scherno o
disprezzo, ma quella ragazza aveva risvegliato in lui la capacità
di farlo, anche se rideva di biasimo verso quel mondo in cui era
costretto a vivere, e che avrebbe strappato a morsi pur di fuggirne.
Non
seppe se ringraziarla o meno per questo.
Quando
iniziò a cantare, il
mondo parve di nuovo fermarsi.
La
sua voce volle di nuovo catturarlo, attirarlo a sé come un
pesce nella rete, ma quella volta non glielo permise. Non voleva
dargliela di nuovo vinta; non voleva permetterle di strapparlo
all'angoscia che si portava dentro da tutti quei secoli e che, ormai,
era parte di sé.
Non
le avrebbe permesso di lasciarlo crogiolarsi in un illusione che
avrebbe tanto desiderato potesse divenire reale.
Lui,
questo, non lo voleva.
“Però,
non sono solita fare complimenti ad altre ragazze...ma lei è
proprio carina.” disse Rebekah, voltandosi per guardare April.
Stefan
le teneva un braccio sulle spalle. “Sì, sembra
appetitosa.” ridacchiò; tornò poi a bere ma i
suoi occhi erano famelici, ricolmi di quel languore che il solo
pensiero del sangue risvegliava in un vampiro.
Klaus
alzò le sopracciglia. “È solo una contadinella
del sud che gioca a fare la star.” disse, pungente come non
mai. Rese la sua frase ancora più acida, lasciandosi cullare
dal sapore agrodolce del liquore e Rebekah e Stefan si voltarono
verso di lui.
La
sorella non riuscì proprio a non sfidarlo con un sorrisetto
furbo. “Però....ti sei informato!” lo provocò,
tenendo il calice di spumante innalzato al livello del mento.
Klaus
serrò la mascella. “Parlano tutti di lei.” si
giustificò, rendendosi conto di aver sparato una balla più
grossa di lui e che qualcuno come Rebekah non poteva lasciarsi
sfuggire.
La
bionda cercò di replicare, ma la fine della melodia portò
solo silenzio.
Tutti
volsero lo sguardo verso April, la cui voce sembrò appena
essere stata strozzata. La ragazza fissava un punto di fronte a sé;
il volto si era fatto più paonazzo e gli occhi parevano aver
perso la loro luce.
“Che
succede?” domandò Rebekah confusa da ciò che
stava succedendo.
Klaus
fissava in silenzio quello spettacolo; sentì che la ragazza
stava per cadere e si
ritrovò con la strana convinzione di volerla sorreggere con il
suo solo sguardo.
Patetico.
Quella volta utilizzò
quel termine nei confronti di se stesso.
E
lei cadde.
Sotto
lo sguardo stupito di tutti, la ragazza si accasciò a terra,
cadendo lateralmente e provocando un sonoro tonfo sul pavimento del
palco. Sembrò che stesse dormendo, ma le luci del locale le
illuminavano talmente tanto il volto da metterne in risalto le
goccioline di sudore che lo stavano attraversando.
Una
delle coriste si mosse, le altre restarono immobili, e osservarono la
scena con distaccato interesse. Una di loro parve sorridere, e Klaus
provò un moto di rabbia nel vedere le mani dell'invidia
disegnare una smorfia di scherno sulle labbra di quella ragazza, la
cui voce poteva solo fare da sottofondo a quella di April.
Anche
Gloria accorse in suo aiuto, schiaffeggiandole il viso per farla
riprendere.
Ma
quella restò ferma.
Un
vociare di persone confuse si levò nell'aria e uno degli
uomini della sicurezza accorse a prendere la giovane cantante tra le
braccia e portarla via da occhi indiscreti. La corista, l'unica che
si era mossa in aiuto della ragazza, cercò di portare
l'attenzione lontana dalla collega e annunciò che avrebbe
cantato lei la prossima canzone. Non si mostrò offesa, quando
alcuni uomini gridarono per il disappunto.
“Ma
che è successo?” chiese Stefan, lanciando un'occhiata a
Klaus poi a Rebekah.
Klaus
se lo stava chiedendo; trovò strano il modo in cui April aveva
perso i sensi così improvvisamente, nel bel mezzo dello
spettacolo. Doveva essere forse per via della stanchezza, dello
stress, lui non sapeva dirlo.
“Che
importa?” annunciò, fingendosi poco interessato. Terminò
in un solo sorso quanto gli era rimasto nel bicchiere e lo adagiò
bruscamente sul tavolo. “Vado a farmi un giro.”
Si
alzò in piedi, ma Rebekah non si lasciò sfuggire il
modo in cui il fratello si diresse verso i camerini.
Ehilà!
:D
Come
state?
Spero
che il capitolo sia stato di vostro gradimento, e che non vi abbia
annoiato.
Stiamo
già un po' entrando nel vivo della storia e c'è stato
un primo, reale contatto tra April e Klaus, anche se non è
stato tranquillo e romantico proprio per nulla. Non c'era da
immaginarselo? :P
Come
avete visto, malgrado April sia l'”estate” della nostra
storia, anche lei si presenta in qualche modo fredda: non crede
nell'amore, proprio come Klaus.
C'è
una motivazione ben precisa riguardante questo punto, ma che verrà
analizzata e resa più chiara nel corso dei capitoli a venire.
Inoltre,
cosa le è successo in camerino all'inizio e sul palco alla
fine? Anche questo, ovviamente, verrà chiarito man mano che
andremo avanti con la storia.
Per
ora vi lascio in pace, penso di avervi tediato abbastanza per oggi!
Ringrazio
le bellissime fanciulle che hanno recensito gli scorsi capitoli e a
cui risponderò proprio adesso!
E
inoltre ci tengo a ringraziare tutti coloro che hanno inserito questa
storia tra le seguite/preferite e coloro che leggono silenziosamente.
Come
sempre mi auguro di ricevere commenti riguardanti la storia, anche
per segnalarmi possibili errori grammaticali e di sintassi o di
analisi dei personaggi del TF già noti. Anche perché il
capitolo l'ho riletto decine e decine di volte e poco mi convince...
-.-''
Ora
vi lascio in pace per davvero. Questo è il mio contatto fb per
chiunque fosse interessato.
https://www.facebook.com/lelahel.efp?ref=tn_tnmn
Alla
prossima, vi auguro di passare un buon weekend!
Ciao
a tutti e grazie ancora :D
|
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Capitolo 4 *** Never been told about something that beautiful; will bring me up to let me down ***
http://www.youtube.com/watch?v=aC-FqllS6Ls
-Capitolo
4: Never been told about something that beautiful; will bring me up
to let me down-
Even
when you're around Still
I'm out of sight, out of sound In
your world I'm out of place (Carry
Me Over by
Avantasia)
“Sto
bene. Sto bene. Sto bene.” April sorrideva, ripetendo diverse
volte quelle parole allo specchio.
Stava
rivolgendole a Violet, ma in realtà, inconsciamente, stava
dicendole anche a se stessa.
Stava
di fatto che, comunque, non valsero a nulla: né Violet e né
tanto meno la stessa April credettero a quelle parole.
Quest'ultima
era stata svenuta per minuti che erano parsi un'eternità.
Quando
si era svegliata aveva tossito più e più volte, di
nuovo oppressa dalla sensazione di avere i polmoni ostruiti tanto da
impedir loro di accogliere l'ossigeno di cui necessitava per vivere.
Ma
poi si era ripresa, tornando pimpante e sorridente come al solito.
Aveva
troppe cose da fare per potersi lasciare abbattere da un momentaneo
attimo di debolezza. La cosa che le pesò di più fu,
però, il fatto di aver fatto una brutta figura davanti a tutto
il suo pubblico.
Di
fronte a lui che sicuramente,
incurante, l'aveva fissata cadere al suolo senza la benché
minima preoccupazione.
“Ne
sei sicura? Penso che tu debba rimandare.” Violet, la dolce e
sempre positiva Violet, parlò come farebbe una madre
apprensiva nei confronti della figlia malata che voleva uscire a
tutti i costi uscire con le amiche.
La
stava aiutando a mettersi il bellissimo vestito rosso che aveva
scelto d'indossare per la cena organizzata con Christopher dopo il
suo numero. La cerniera, come sempre, diede problemi e April iniziò
a preoccuparsi del fatto che fosse ingrassata. Quell'assurdo e banale
pensiero le permise di distogliere l'attenzione dai residui di
malessere di poco prima.
“Sì,
Violet!” esclamò poi, quando la ragazza tirò su
la cerniera con tutta la forza, privandola dell'ossigeno per qualche
secondo. Serrò le labbra, evitandosi così
un'imprecazione non voluta. “Rimandare la cena con Christopher
è fuori discussione! È da tanto che l'abbiamo
organizzata e non ci tengo a deluderlo.”
Violet
sbuffò; riprese a sistemarle i capelli sotto la cuffia in
pailettes rosse, mentre la ragazza si colorava le labbra di un rosso
scarlatto.
Ebbe
un altro lieve capogiro, ma niente che la preoccupò: le bastò
chiudere gli occhi per riprendersi.
La
sua amica, invece, sembrava più che angosciata: era pallida,
smunta, e pareva stesse faticosamente tenendo nascosto qualcosa che
April doveva sapere. I suoi occhi verdi, ogni tanto, slittavano verso
il volto della ragazza, quasi attendesse che lei la pregasse di
tirarle le parole fuori di bocca.
April
spalancò le braccia. “Violet, sono svenuta perché
lavoro tutte le sere e sono sotto stress. Smettila di farmi da mamma
stasera, non lo sopporto!” ridacchiò, mascherando il
dolore che la parola mamma le procurò.
“Sei
stata molto male, April.” Violet scosse la testa poco convinta,
tenendo lo sguardo basso e muovendo qualche passo all'indietro,
mentre la collega era troppo intenta a rifinire gli ultimi ritocchi
al suo aspetto. “Ed è normale che io mi preoccupi, visto
che tu persegui le tue ambizioni invece che riposare un poco.”
“Riposerò
stasera, con un bel bicchiere di champagne e una sana dormita nel
letto di Christopher.” April si ritenne particolarmente
sboccata nel parlare in quel modo, ma l'apprensione di Violet stava
mettendola seriamente alle strette. Quel suo modo di parlare, così
soffice e carico di preoccupazione, non era tipico dell'amica e quel
cambiamento rischiava seriamente di farla cambiare l'umore, già
di per sé alquanto turbato.
Si
sistemò i capelli un'ultima volta e fece scorrere lo sguardo
lungo la silhouette della propria figura. Violet, intanto, parve
essersi rassegnata all'ostinazione di April e fece per dirigersi
verso la porta del camerino. “Va bene, ci vediamo domani.”
le disse, sempre però poco convinta.
Il
sorriso che April le lanciò si rifletté sullo specchio.
“A domani, mia cara.”
Violet
scostò delicatamente la tendina, guardando in direzione di
April per un'ultima volta.
Parve
prendere fiato per aggiungere qualcos'altro, ma l'attenzione che
April riprese a porre sulle proprie labbra la fece desistere da
quell'intento.
April
tornò a guardare in direzione della sua amica, solamente
nell'istante in cui questa abbandonò completamente il
camerino, lasciandola sola con i propri pensieri.
In
quel momento il rossetto che strinse nella mano non fu più
così importante. Lo adagiò sulla superficie della
toletta e abbassò lo sguardo, priva del desiderio di
continuare a rimirarsi.
Non
voleva ammetterlo, ma allo specchio non vedeva più la bellezza
ch'ella era: era pallida sotto il fard, gli occhi erano lucidi sotto
l'ombretto e la matita scura che li truccavano, le labbra quasi
violacee sotto il rossetto.
Doveva
davvero lavorare troppo per ridursi a quello stato. Pensò che,
dopo essere riuscita a convincere Christopher a sposarla, si sarebbe
presa un bel periodo di pausa, abbandonandosi ai piaceri del denaro e
dell'alcool e cantando per puro diletto.
Un
rumore alle sue spalle, lieve ma inaspettato, la destò da quei
pensieri e April si ritrovò costretta ad alzare lo sguardo
sullo specchio, convinta di rivedere Violet sbucare dalla soglia
della porta.
Restò
di stucco.
Non
fu la sua amica ad entrare.
Fu
quel Niklaus.
La
ragazza si voltò lentamente, fissando incredula e basita il
bellissimo e freddo volto di quel giovane che era entrato dentro il
camerino senza che lei nemmeno potesse accorgersene. Egli se ne stava
in piedi, immobile, a pochi passi da lei, con le braccia adagiate
lungo i fianchi e gli occhi fissi su di lei.
April
trattenne il fiato, ritenendosi infastidita nel constatare che lui
non ostentò alcuna meraviglia nel vederla agghindata a quella
maniera. Anzi, non faceva altro che guardarla dritto negli occhi,
quasi tutto il resto, nascosto dietro un trucco e un bel vestito, non
gli importasse. Un modo come un altro per farla sentire più
straccio di quanto già non si sentisse.
Ma
perché era venuto da lei?
“Se
volete un autografo, ora non ho tempo.” gli disse freddamente,
tornando poi a voltarsi verso la toletta per prendere la sua borsetta
rossa.
Nel
riflesso si accorse che Niklaus si era irrigidito a quella frase,
come innervosito dal suo tono di voce.
“Non
so che farmene del tuo autografo, dolcezza.”
disse e quell'ultima
parola la fece rabbrividire.
April
si decise di dargli anch'essa del tu, visto che quell'uomo non
conosceva l'educazione per potersi rivolgere a una donna che non
conosceva.
“Mi
confermi di nuovo che sei l'uomo più gentile della città.”
lo provocò, portandosi una mano sul fianco e inarcando le
sottili sopracciglia scure.
Sembrava
che lui stesse divorando tutto l'ossigeno presente nella stanza.
April non era mai stata afflitta dal problema di non sapersi come
comportare con qualcuno prima di incontrare quel ragazzo. E inoltre i
suoi occhi chiarissimi la penetravano, come se volessero scoprire
tutto quello che lei stava faticosamente nascondendo dentro di sé.
April
distolse lo sguardo, schiarendosi la voce e proseguendo verso lui.
Visto che lui sembrò non voler aggiungere nient'altro a quella
stramba conversazione, la ragazza decise giustamente di darci un
taglio. “Con permesso.” disse educatamente, muovendosi a
grandi falcate verso la soglia del camerino.
Una
volta oltrepassato il corpo del ragazzo, April contò i passi
che le erano rimasti affinché avesse potuto riprendere a
respirare.
“Cosa
ti è successo poco fa sul palco?”
April
si fermò di colpo.
Abbassò
lo sguardo stupita e credendo ci fosse una terza persona in quella
stanza che avesse pronunciato quella parole. Il Niklaus che stava
iniziando a conoscere non aveva quella voce, non così profonda
e calda, quasi si preoccupasse per la sua salute.
Era
sempre stato freddo, come un cielo d'ottobre.
Lo
guardò e lui fece lo stesso.
La
ragazza fu quasi tentata dal rispondergli educatamente, colpita dal
modo in cui gli occhi di lui sembravano la stessero scrutando.
Ma
scosse poi la testa; non voleva essere cortese con qualcuno che non
lo era stato affatto con lei. Il suo eccessivo orgoglio femminile
parlò per lei.
“Come
disse qualcuno tempo fa....fatti gli affari tuoi.” disse.
Non
ebbe nemmeno il tempo di sentirsi in colpa, poiché
l'espressione sul volto di Niklaus mutò nuovamente, tornando
l'odiosa maschera d'inespressività che lei aveva imparato a
detestare in un solo giorno.
Sorrise,
provocatoria come le piaceva essere. “Buona serata.” gli
augurò falsamente.
Fece
per allontanarsi, quando qualcosa glielo impedì: una mano, la
sua mano, le avvolse
con forza il polso e la costrinse a voltarsi. Il gesto fu così
improvviso e brutale, che la ragazza non comprese subito ciò
che stava succedendo.
“Stammi
a sentire, ragazzina.” Niklaus parlò a denti stretti,
incutendole così maggior timore mentre le respirava in volto.
Ma
come aveva fatto ad avvicinarsi a lei con quella velocità?
April
deglutì, sentendo un brivido correrle lungo la schiena mentre
quegli occhi così profondi sembravano trafiggerla.
”Questa
è già la seconda volta che osi
mancarmi di rispetto.
Alla terza potrei diventare molto cattivo, fidati di me.”
“Ma
per favore!” April riprese subito padronanza di se stessa e
della paura che la stava pervadendo. Ritirò il polso dalle sue
mani, ma fu certa di esserci riuscita solo perché lui le aveva
permesso di farlo. Aveva riposto una forza e una decisione tale in
quel gesto, che April era certa di non poter riuscire a liberarsi con
quella facilità. “Sono dell'Alabama, lì di tipi
antipatici e bastardi come te ce ne sono a bizzeffe e so come
occuparmene. Perciò stammi lontano, se non vuoi ritrovarti la
punta del mio tacco dritto nei testicoli .”
April
lo minacciò, ma lui parve non mostrare alcuna paura di fronte
a quella parole. Anzi, quasi parve riderne. La cosa la infastidì
particolarmente; il modo in cui lei lo aveva minacciato non era di
gran lunga paragonabile al modo in cui lui aveva minacciato lei. Si
sentì ridicola e a dir poco patetica.
“Questa
è la terza, April.” le disse, accostandosi di più
a lei. La ragazza fu costretta a distogliere lo sguardo, sentendo il
proprio cuore battere al ritmo della paura.
Trattenne
il fiato, per tutto il tempo che il ragazzo impiegò per
allontanarsi da lei e uscire dal camerino. Nel battito di un secondo,
le punte dei loro nasi arrivarono a sfiorarsi e le guance quasi si
accarezzarono, nel momento in cui Niklaus si mosse in direzione
dell'uscita.
April,
finalmente, riprese a respirare e tirò un sospiro di sollievo.
Era rimasto ancora il profumo del ragazzo a inebriare l'aria, ma
almeno era tornato ad esistere l'ossigeno che le serviva per
respirare.
Ma
cosa voleva quel pazzo da lei? Si
poteva stare così antipatici ad una persona?
“Speriamo
almeno che la serata sia destinata a finire meglio di come è
iniziata.” disse a se stessa, prima di accingersi ad uscire dal
camerino.
* *
* * *
“Facciamo
un gioco, Klaus.”
Stefan
Salvatore, il vampiro di cui diffidava qualche giorno prima, si
rivelò, invece, essere la sua unica valvola di sfogo per
sfuggire alla noia di quell'interminabile serata.
L'alcool
non gli fu di alcun comfort; lo drogava, facendogli credere di poter
cancellare l'errore che aveva commesso pochi attimi prima, quando
invece non faceva altro che infierire su di lui e continuare a dargli
dello stupido.
Preoccuparsi
per quella ragazzina odiosa? Ma che diavolo gli aveva preso?
Per
secoli e secoli era passato sopra a cadaveri di ragazze persino più
giovani e belle di lei, invece quella umana gli aveva fatto provare
del senso di...protezione? Una cosa davvero ridicola e assurda.
Bevve
un altro, lunghissimo sorso, voltandosi poi verso il suo compagno di
bevute che sembrava un terzo sobrio di quanto lo era lui.
“Spero
per te che sia divertente.” gli rispose.
Stefan
sorrise, piegò la testa da un lato e tenne il bicchierino di
vetro in una mano. “Da quel poco che so di te, penso che ti
piacerà.” disse. “Consiste in una scommessa:
scegliamo due ragazze, una per me e una per te...e le uccidiamo. Chi
lo fa nella maniera più teatrale possibile vince la
scommessa.”
Klaus
inarcò le sopracciglia. “Tu lo sai...che vincerò
certamente io, no?” gli rammentò.
Era
assurdo che quella gente fosse diventata improvvisamente folle tutta
insieme e si fosse messa a sfidarlo. Ed era altrettanto assurdo che
nessuna testa era ancora rotolata al suolo.
Mandò
giù un ultimo sorso, assaporando il sapore dal retro gusto
amaro del suo liquore e sospirò, attendendo la risposta del
Salvatore.
“Beh,
in effetti questa sfida potrebbe risultare persa in partenza ma....mi
diverto di più ad uccidere se c'è in ballo un gioco in
cui devo riporre tutte le mie forze per poterlo vincere.”
rispose il ragazzo, inarcando le folte sopracciglia e lanciando un
sorriso verso il suo compagno di bevute.
Klaus
si sentì quasi sminuito, quando vide la totale mancanza di
umanità negli occhi verdi del ragazzo. Prima di quella April,
della sua maledetta voce e dei suoi maledettissimi
occhi, anche lui si
sentiva totalmente privo di freni.
Felice.
Era
quella la sua felicità. E quell'umana gliel'aveva strappata
via in soli pochi giorni, senza che lui potesse fare nulla per
combatterla. “Ho un....appuntamento diciamo con una bella
fanciulla. Sarà lei la mia ragazza.”
ridacchiò
Stefan, pronunciando la parola “ragazza” con la stessa
emotività con cui si pronuncerebbe il nome del nulla.
Klaus
ne rise.
“Ora
sta a te scegliere.” continuò Stefan. Egli fece scorrere
lo sguardo lungo le persone che li stavano circondando. Puntò
gli occhi su una giovane bionda, poi su una mora, su una rossa e
ricominciò il giro. Klaus fissava un punto davanti a sé,
sul bancone, come se in esso vedesse già la vittima designata
per quel gioco fatale.
“La
mia sarà April Ford.” disse e lanciò un'occhiata
complice verso la mancanza di umanità nell'uomo accanto a lui.
Sentiva
che stava tornando ad essere il vampiro sanguinario che si era
smarrito in quei tre giorni.
E si
sarebbe liberato di quell'anima che lo aveva distratto dal suo vero
essere.
Ciò
rendeva il gioco più interessante.
* *
* * *
Christopher
era un uomo di quasi trentasei anni, alto, con lunghi capelli biondo
cenere e occhi piccoli e verdi. Non vestiva mai in maniera che non
fosse elegante; era sempre galante e cortese con lei e la riempiva
sempre di doni.
Come
quella sera, in cui si fece trovare al tavolo del ristorante vicino
casa della ragazza con un mazzo di rose e una collana di diamanti che
doveva valere davvero molto.
Le
faceva mille regali sempre e non le chiedeva mai come stava e il che
rendeva il tutto estremamente più facile per lei. Christopher
le aveva detto di amarla una volta ma April aveva sempre dubitato che
quelle parole fossero veritiere, proprio perché l'uomo era più
solito comprarla che adularla, quando voleva dimostrare un
poco di affetto. E da quel poco che sapeva sull'amore era che quello
non era mai materialista.
Per
un solo istante tutto quel cinismo la turbò e si chiese perché
entrambi si stessero abbassando ad una tale meschinità, o
almeno perché non provavano ad instaurare alcuna complicità.
Lei
voleva il suo portafoglio.
Lui,
probabilmente, solamente compiacersi con altri uomini d'alto rango di
avere accanto una donna bella e adorata.
Dio,
da quanto le importava delle
loro immoralità?
Non
doveva curarsi di nulla di tutta quella faccenda, poiché non
cercava amicizia e né tanto meno amore in quell'uomo, ma solo
un futuro garantito e sicuro, quello di cui lei aveva bisogno.
Perché
di quello aveva bisogno, se ne convinse di nuovo quando le sue
convinzioni per un attimo vacillarono.
Doveva
essere tutta colpa di quel Niklaus se era così nervosa, solo
colpa sua. Tanto, se
aveva i nervi a fior di pelle ultimamente, era sempre colpa sua.
Restò
con un sorriso stampato sulle labbra, mentre Cristopher ordinava il
piatto per sé e anche per lei. Tutto questo rimproverando il
giovane cameriere per averlo involontariamente urtato con la mano
quando aveva ritirato i loro menù.
La
ragazza deglutì sonoramente, guardando con mascherato
dispiacere il volto abbattuto del giovane ragazzo. Anche lei, tempo
addietro, era stata una cameriera. Si chiese come avrebbe reagito
Christopher se mai l'avesse saputo.
Si
grattò la fronte e tenne le mani posate sulle ginocchia,
sforzandosi di ricordare il galateo da mantenere a tavola.
“Allora...cosa
hai fatto di bello oggi?” April si portò una mano sotto
al mento e guardò curiosa in direzione del volto di
Christopher.
Quest'ultimo
le sorrise, garbato e affascinante come al solito. “Niente.
Lavoro e lavoro.” le rispose. “E tu? È andato bene
lo spettacolo di stasera?”
April
trattenne per un attimo il fiato. Aveva deciso di non rivelargli
nulla riguardo il mancamento avvenuto poche ore prima, perché
non voleva rovinare la serata con inutili e vane preoccupazioni.
Ma
lui si sarebbe davvero preoccupato per lei? April
ne dubitò.
Anzi,
forse aveva sempre avuto quel dubbio, ma solo in quel momento se ne
sentì quasi offesa.
Annuì
distrattamente, nel momento stesso in cui vennero loro portate i
primi piatti; la musica jazz e il vociare delle persone
aristocratiche sedute ai tavoli attorno a loro facevano da sottofondo
a quella discussione ormai vuota fin dalla partenza.
“Sappi
che, molto presto, sarai una vera cantante. Ti esibirai in locali di
prestigio e non in quel buco dove canti attualmente! Grazie a me,
diventerai una stella nel firmamento della musica.”
Chistopher
esagerava, lei lo sapeva, ma non le importava. La promessa di farla
diventare ricca e anche famosa le era bastato per accettare la sua
corte, anche se non le era mai stato chiaro il vero motivo per cui
lui si fosse interessato così tanto a lei.
Era
davvero solo per la sua bellezza?
O
per il suo corpo?
O
almeno da parte sua poteva esserci una sorta di sentimento nei suoi
confronti?
Se
lo chiese solo in quel momento, quando vibrava tutta per un
nervosismo che non sapeva spiegarsi.
Lei
non amava Christopher e non le importava dei suoi sentimenti; l'unica
cosa che un po' la faceva riflettere, era che lei, però, non
lasciava mai trasparire alcuna emozione nei suoi confronti.
Prese
forchetta e coltello, stringendole in entrambe le mani, e guardò
il piatto ancora immacolato. “Vi ringrazio molto per la vostra
gentilezza nei miei riguardi, siete l'unico uomo che, nella mia vita,
mi abbia trattata come una principessa.” disse.
Lui
le sorrise, un sorriso lievemente marcato di malizia che la fece
rabbrividire. “Perché te lo meriti, April.”
“Davvero?
Perché pensi una cosa simile?”
April
stava per colpirsi da sola con un pugno, quando formulò quella
domanda senza pensarci. Si morse le labbra, chiuse le palpebre e
cercò di non dare peso allo sguardo interrogativo dell'uomo di
fronte a sé. Volse lo sguardo verso la vetrata che affacciava
sul cielo scuro di Chicago.
“Perché
cosa, April?” chiese Christopher, confuso da quella replica
senza senso per lui.
April
scosse la testa. “Perché....niente. Lasciate stare,
farnetico per la stanchezza.” ridacchiò la ragazza,
accorgendosi poi che stava quasi parlando a bocca piena. Posò
coltello e forchetta sul pezzo di carne nel suo piatto e tagliò
lentamente, cercando di tornare a comportarsi come aveva sempre fatto
prima. Christopher allungò la mano verso lei, sfiorandole con
lentezza il palmo e sorridendole, in una maniera che lei aveva sempre
trovato piuttosto inquietante.
Ma
mai le era seriamente importato.
“Sei
sicura di stare bene? Mi sembri un po' pallida.” disse.
Forse
perché sono svenuta su un palco e tu nemmeno lo sai, pensò
la ragazza.
Scosse
nuovamente la testa, un ciuffo scuro danzò sulla sua fronte.
“No,
tutto a posto.” mentì. “Anzi, volevo chiedervi una
cosa.”
April
trovò subito il modo di rompere il silenzio e di allontanare
la mano dell'uomo dalle sue. Si voltò verso lo schienale della
sedia e prese la sua borsetta, gli mostrò il volantino di una
mostra artistica che si sarebbe tenuta la settimana successiva in
città e ampliò il suo sorriso, al pensiero che lui ce
l'avrebbe portata. “Vi va di venirci insieme a me? Ci saranno
quadri bellissimi all'interno e....”
Christopher
le rise in faccia, tanto che lei si sentì come pugnalare da
quella risata. Ritirò le mani che aveva allungato nella sua
direzione e deglutì.
“Arte?
April, ma davvero apprezzi una cosa inutile come questa?”
domandò e lei si sentì quasi ferita. Anche lei
considerava inutile
la
sua passione per il gioco d'azzardo e per l'eccessivo ricorso
all'alcool, visto che erano pericolosi e spillavano solo un mucchio
di soldi, ma non si era mai permessa di dirglielo così
apertamente. Detestava quella capacità che Christopher
possedeva nel sminuire qualsiasi cosa egli non concepisse.
“Ci
saranno delle fedeli copie dei quadri di Klimt.” April lo
disse, come se quella cosa potesse far ricredere l'uomo su ciò
che aveva detto. Ma non si sarebbe stupita se lui avesse creduto che
Klimt fosse il nome di qualche industria che fabbricava tabacco.
Infatti,
lui la guardò come se volesse capire per quale motivo quel
Klimt avesse dovuto spingerlo ad accettare di andare con lei a quella
mostra.
April
annuì. “Va bene. Ci andrò con Violet; non ci sono
problemi.”
Cercò
di mettere a posto il volantino, quando lui allungò la mano
nella sua direzione, stringendole delicatamente il polso. Quel
movimento le rammentò lo scontro avuto quella sera con Niklaus
e un brivido le corse lungo la schiena.
“No,
April. Se per te è importante, verrò con te.”
disse e le sorrise in maniera viscida.
Non
ci aveva mai fatto caso, a quanto viscido fosse in certi frangenti.
Guardando
i suoi occhi verdi, si sforzò di regalargli un sorriso di
circostanza e in quel frangente ottenne la risposta che cercava.
Lei
ammetteva a se stessa che voleva solo i suoi soldi e il suo denaro.
Lui,
invece, dispensava dolci parole quando voleva solo portarsela a
letto.
* *
* * *
In
realtà, quando i fasti delle serate di Chicago finivano, April
si ritrovava sola e forse lì si sentiva davvero libera di
essere se stessa.
Viveva
da sola in un appartamento in centro, pagato con i pochi soldi che
era riuscita a racimolare dai risparmi che sua madre aveva messo da
parte prima di morire.
Ogni
sera attraversava una strada buia ed isolata per poterlo raggiungere,
ma quella notte era più fredda del solito e rendeva quel
cammino particolarmente inquietante.
Un
venticello ghiacciato si era levato, attraversandole i tessuti del
leggero vestito rosso che aveva indosso. Si strinse le braccia al
petto e proseguì, cercando di affrontare il gelo di quella
notte a viso duro.
Un
rumore alle sue spalle la fece sobbalzare.
Si
voltò di scatto, cercando nell'oscurità l'ombra che era
certa si sarebbe ritrovata dietro di sé, ma non vide nulla, se
non delle foglie che si innalzavano nell'aria a causa del vento e
delle luci dei lampioni che illuminavano i marciapiedi.
Il
cuore prese a martellarle nel petto furiosamente, nel momento esatto
in cui l'evidenza di essere sola non la fece sentire comunque più
tranquilla.
Sospirò,
rimpiangendo il fatto di non essersi fatta accompagnare da
Christopher, e cercò di voltarsi di nuovo.
Quasi
gridò, quando
davanti a sé si ritrovò il volto freddo di Niklaus.
Il
fatto che lo conoscesse avrebbe dovuto calmarla, ma in realtà
non fu così.
Lui
aveva uno sguardo di ghiaccio, di quelli che avrebbero potuto
accompagnare i suoi sogni verso il baratro più profondo
dell'incubo. Si ritrovò ad arretrare, con il respiro soffocato
in gola e gli occhi che improvvisamente si erano fatti offuscati dal
panico.
Pensò
di dire qualcosa, di fargli una delle solite battutine o provocazioni
che avevano segnato l'inizio di quella sottospecie di rapporto che vi
era tra loro, ma sentì che ogni parte del suo corpo era
pietrificata.
Eccetto
le gambe; quelle sembravano pronte a poter scattare da un momento
all'altro.
“C-che
cosa ci fai qui?” April continuò ad arretrare,
chiedendosi cosa le stesse impedendo di correre via a gambe levate di
fronte a quegli occhi.
Niklaus
le sorrise, anche se più che un sorriso sembrava una smorfia
di assoluta insensibilità nei confronti della paura della
ragazza. Continuò a procedere verso lei, ogni passo avanti
corrispondeva ad uno indietro della giovane. Capendo che non ci
sarebbe stata risposta alcuna, April trovò la forza di provare
a correre via, il più lontano possibile da quel ragazzo.
Lanciò
un grido, quando se lo ritrovò di fronte. Come un corvo nella
notte, si era mosso indisturbato nell'oscurità e le aveva
tagliato la strada.
Ma
come era possibile? Un
momento prima le era di fronte, e quello dopo....
“Che
cosa vuoi da me?” esclamò spaventata, ritraendosi un po'
indietro.
Lui
continuò a sorriderle, inclinando la testa e affilando lo
sguardo in una maniera che April trovò troppo inquietante. In
un rapido scatto, lui la spinse violentemente contro la parete alle
sue spalle.
Lei
non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto di come lui le aveva
stretto i polsi e spinti contro il muro alle sue spalle. Ogni lotta
fu vana; lui era più forte e l'aveva colta talmente tanto di
sorpresa che la ragazza si ritrovò senza forza alcuna per
poterlo combattere.
“Lasciami!”
gridò spaventata, provando a divincolarsi ma le mani di
Niklaus stringevano con estrema decisione sulla sua pelle.
Il
ragazzo non si fece intimorire, nemmeno quando lei iniziò a
chiamare aiuto a squarciagola. Si lasciò prendere dalla fame,
non appena i suoi occhi scesero sul collo della ragazza; malgrado il
buio, lui riusciva a scorgere sotto la pelle diafana la vena scura
da cui si sarebbe potuto cibare.
Del
suo sangue.
Di
lei.
“Non
prenderla sul personale, sweetie.”
le disse, divertito
dall'espressione terrorizzata sul viso della giovane. “Ho solo
una scommessa da vincere.”
Il
tutto successe in pochi secondi: April notò le venuzze scure
che si erano create ai lati degli occhi di Niklaus, i canini
appuntiti che accarezzarono quelle labbra e che poi affondarono nella
carne del suo collo.
La
ragazza gridò, quando un dolore intenso si impadronì di
lei: lo sentiva, sentiva
il sangue scorrerle lungo la pelle, mentre quell'essere
si nutriva voracemente
di lei.
Non
vi era dolcezza, non vi era razionalità, non vi era nemmeno
violenza in
quel gesto.
Non
c'era nulla che potesse essere controllato, solo la fame del vampiro
che aumentava sempre più ad ogni goccia di sangue che
abbandonava quel corpo, ad ogni battito cardiaco che accelerava....
Klaus
si fermò.
Sentì
il respiro pesante scuotergli il corpo, mentre il sangue di April gli
bagnava le labbra. Sentiva ancora il suo sapore sul palato, le ultime
gocce scorrergli lungo la gola e riconobbe che quel sapore aveva un
che di particolare.
”Tu...”
disse, alzò lo sguardo su April e la vide sofferente.
Le
palpebre di lei erano sul punto di chiudersi da un momento all'altro,
il volto era divenuto improvvisamente più pallido e tremava,
come una foglia in balia del vento. Boccheggiava, nel tentativo di
dire qualcosa, ma perse i sensi prima di farlo.
Klaus
si mosse rapidamente e l'accolse tra le sue braccia, prima che
cadesse a terra in un tonfo. La strinse forte al suo petto, sentendo
l'odore del suo sangue che continuava a scorrere fuori dalla ferita.
Il
suo sangue.
Aveva
sentito in poche e altre rare occasioni un sapore simile e lo avrebbe
riconosciuto tra mille.
Eppure,
tutte le altre volte, non aveva provato l'istinto di fermarsi.
Con
lei, invece, sì.
Perché?
Si
guardò attorno, pensando cosa farsene di April. C'erano solo
loro in quello stretto vicolo; poteva portare a termine l'opera senza
che nessuno li vedesse e si sarebbe così lavato la coscienza
umanamente sporca.
Ma
non lo voleva fare.
Dannazione,
non
voleva farlo.
“E
va bene.” sussurrò alla voce della propria coscienza, la
tirò su e prese l'unica decisione razionale che non sarebbe
entrata in conflitto con la sua mente e i suoi pensieri.
Non
l'avrebbe lasciata lì.
Buonasera
a tutti, splendori! *.*
Grazie
per essere giunti fino a qui, questo vuol dire che non vi siete
addormentati sulla tastiera del computer per la troppa noia.
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto e che io sia riuscita a farvi capire
quello che volevo realmente trasmettervi: sia April che Klaus stanno
andando incontro a dei cambiamenti dopo il loro incontro.
Klaus
ha pensieri “umani” nei confronti della ragazza, ma la
sua ostinazione da vampiro continua però a frenarlo,
portandolo ad assumere atteggiamenti avversi e a compiere azioni poco
delicate.
April,
d'altro canto, sta iniziando, anche se non troppo palesemente, a
rivalutare la sua relazione con Christopher e la sua ambizione di
diventare ricca e famosa.
Per
quanto concerne il personaggio di Chris, lui potrà sembrare un
personaggio passivo inizialmente ma che avrà un ruolo
fondamentale verso gli ultimi capitoli della storia.
Visto
che mi sono fatta prendere dalla mania di dare dei volti ai
personaggi, vi presento proprio Christopher.
http://24.media.tumblr.com/8d495f33fb166109cfeb6008950aaf11/tumblr_mmfsmlUXgj1qf8b5ho2_500.png
E la
stupenda Violet.
http://24.media.tumblr.com/tumblr_m0dl6dsWT61r3601po1_500.jpg
Ringrazio
moltissimo coloro che hanno recensito lo scorso capitolo e chi lo ha
letto silenziosamente.
Ringrazio
anche di cuore coloro che hanno inserito la mia storia nella varie
cartelle.
Vi
devo davvero molto, grazie! :D
Alla
prossima e vi auguro di passare un buon fine settimana!
Un
bacio
ps:
Ultima cosa, ma non meno importante, ringrazio la bravissima
Elyforgotten per l'immagine a inizio capitolo! Ti lowo da morì
:3
|
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Capitolo 5 *** 'Cause nothing's good i can explain; i'm falling down and caught up the rain ***
http://www.youtube.com/watch?v=V0_6FoOIlSQ
-Capitolo
5:Cause nothing's good i can explain, i'm falling down and caught up
the rain-
Cause
i turn myself into changes
the
night i kissed you goodbye
cause
nothing's good i can explain
i'm
falling down and caught up the rain
i
turn myself into changes
Your
death is over.
(Pretty
in Scarlet by Guano Apes)
La
distese sul letto con tutta la delicatezza che gli riuscì.
April
era ancora svenuta, e la ferita sul collo continuava a sanguinarle,
anche se non molto abbondantemente come poco prima. Sul volto aveva
un'espressione serena malgrado tutto, di chi si era appena
addormentato aspettando che il mattino successivo giungesse.
Klaus
sospirò, portandosi le mani sui fianchi e osservandola distesa
sul proprio letto. Poche cose gli furono chiare quella sera, e tutte
quante gli bastarono per definirsi un'idiota: aveva perso il gioco
con Stefan e si era fermato prima di uccidere quella ragazzina,
nonostante non gliene dovesse importare nulla della sua vita.
Doveva
ucciderla, così come si era ripromesso di fare poche ore prima
ma, quando aveva avvertito il sapore del suo sangue bagnargli il
palato, non era riuscito a portare a termine l'opera.
Perché?
Non
doveva interessargli nulla di lei: non doveva assolutamente provare
rimorsi di coscienza al solo pensiero di strapparle via la vita e
invece si era fermato. Si odiò per questo.
Si
grattò la fronte e prese in mano la borsetta che la ragazza
portava con sé sottobraccio, la lasciò sul comodino e
poi...non seppe come comportarsi.
Non
aveva alcuna voglia di starsene lì tutta la notte, in attesa
che lei riprendesse conoscenza, ma si ritrovò a non avere
nemmeno la benché minima intenzione di lasciare la stanza.
Rebekah
era ancora fuori, sicuramente con Stefan a godersi le loro preziose
notti di sangue, quindi, se lui avesse lasciato quella stanza, si
sarebbe ritrovato da solo in salone oppure sul balcone che affacciava
sulla strada.
Tra
quelle opzioni, trovò stranamente più sopportabile
quella di vegliare su di April.
Come
scusante usò il fatto che, una volta sveglia, lui avrebbe
dovuto cancellarle la memoria su quello che era accaduto.
Prese
una poltrona in stoffa rossa con i bordi dorati e la condusse accanto
al letto; April non si mosse di una virgola, quasi poteva sembrare
morta se non fosse stato per il fatto che lui riusciva ad avvertire
il suo lieve respiro.
Si
chiese se lei sapesse ciò
che lui aveva scoperto assaporando il suo sangue.
Ma
da come si comportava, dal sorriso che dispensava ogni volta che la
vedeva, dubitò che lei ne fosse davvero a conoscenza. Era
un'ottima attrice, ma non fino a quel punto.
E
lui non glielo avrebbe detto; in fondo che gli importava? Erano fatti
suoi.
Passarono
le ore, in cui gli unici che si mossero furono loro: April si girò
su un fianco, lamentandosi nel sonno, e lui andò a prendersi
un bicchiere di liquore con cui voleva far correre il tempo più
velocemente. Ma quello rimaneva fermo ed immutato ogni volta che il
suo sguardo si posava sul volto di April.
Cosa
lo aveva colpito così tanto di lei?
Sì,
era molto bella ma non era di certo l'unica ragazza avvenente che
avesse mai incontrato.
Aveva
una gran bella voce, ma di certo il mondo era pieno di talenti, anche
maggiori di lei.
E
non era di certo l'unica ad essere in quella condizione.
Allora
cosa?
La
osservò, ripensò a come lo aveva guardato la prima
volta che i loro sguardi si erano incrociati, e gli sembrò di
scorgere di nuovo quella luce in essi. Quella che....
Si
tirò lentamente indietro verso il sedile della poltrona,
quando si accorse che lei stava iniziando a svegliarsi. Le palpebre
le tremolarono, tirò le ginocchia a sé e si rannicchiò
su sé stessa come un riccio. Si portò una mano ai
capelli non più coperti dalla cuffia; in quel movimento la
spalla premette sulla ferita ben fasciata e April si lasciò
sfuggire un gemito di dolore.
Quando
aprì gli occhi e li puntò su di lui, fu come se non lo
avesse riconosciuto.
Klaus
restò immobile, come farebbe una preda che cerca di fuggire al
suo predatore.
E,
in quell'occasione, i predatori erano gli occhi di April, che molto
presto si sarebbero macchiati del colore ombrato della paura.
Il
momento arrivò prima del previsto; la ragazza ricordò
con estrema rapidità tutto quello che era accaduto qualche ora
prima e scattò a sedere sul letto, strisciando indietro dalla
parte opposta a quella del vampiro.
Klaus
la osservò con assoluto disinteresse, aspettandosi la tipica
scenetta in cui lei gli chiedeva che razza di abominio fosse e si
metteva a gridare aiuto a squarciagola.
Solitamente
la evitava quella parte, arrivando dritto a tappare la bocca della
sua vittima con un bel morso letale alla base del collo. Ma lei gli
aveva scombussolato la tabella di marcia. Di nuovo.
La
scena andò diversamente da come l'aveva prevista.
April
capitolò a gambe all'aria giù dal letto, con un
assordante tonfo. Non si fermò a sostenere il dolore causato
dalla caduta, tanto era spaventata, e non si accorse nemmeno che la
risata di Klaus non era di disprezzo ma di puro divertimento.
Lei,
tra le sue malcapitate vittime, era di certo la più
divertente.
“Tu...tu...”
La ragazza scattò in piedi, puntandogli il dito contro e non
riuscì a mettere in ordine due parole dotate di senso
compiuto.
Ma
non perché fosse a dir poco terrorizzata. Il vampiro capì
che questo era dovuto puramente al suo malessere fisico, non appena
vide che stava di nuovo per perdere i sensi e che il suo viso si era
fatto troppo pallido.
Con
uno scatto veloce, le fu di fronte e la sorresse prendendola per le
spalle. Lei lo guardò; la paura nascosta nei suoi occhi era
immensa ma non aveva la forza di poterla liberare, tanto era il
dolore. Continuò a farfugliare qualche parola che persino lui
non comprese.
Klaus
fece salire le proprie mani al volto di lei, sorreggendolo con forza
tra di esse prima che la testa le cadesse all'indietro.
Puntò
gli occhi nei suoi, raggiunse i suoi ricordi e i suoi pensieri
vincolandoli al suo volere.
“Non
ricorderai nulla di ciò che ti ho fatto questa sera.”
Klaus pronunciò lentamente quelle parole, con voce incolore e
lasciandosi osservare dagli occhi scuri di April. La luce insita in
essi iniziò lentamente a cambiare; da spaventati, divennero
improvvisamente svuotati di qualsiasi tipo di emozione e sensazione.
Quello
sguardo era legato a quello del vampiro e ai pensieri che lui stava
obbligandola ad avere.
“Non
ricorderò nulla di ciò che mi hai fatto.” ripeté
la ragazza, persino la musicalità della sua voce sembrò
affievolirsi mentre parlava.
Klaus
venne preso da un insensato moto di colpa, che quasi gli impedì
di proseguire con il soggiogamento; scosse la testa e in quella
maniera riuscì a ritrovare il vero sé stesso.
“Hanno
cercato di derubarti e sei stata ferita, ma tutto si è risolto
per il meglio. Io ti ho...aiutata.” continuò a mentire;
aveva sempre pensato di saperlo fare davvero fin troppo bene, ma
mentre guardava gli occhi di April ne ebbe la conferma.
Lei
era ancora spenta, privo della vitalità che la
caratterizzava.
La
ragazza ripeté anche quelle frasi, ogni parola una pugnalata
nel petto del vampiro.
Alla
fine, quando ormai tutti i ricordi della ragazza erano stati
sostituiti con quelli imposti da Klaus, lei sbatté le
palpebre.
I
suoi occhi scuri si animarono nuovamente di quella luminosità
che era tipica di loro. Si guardarono attorno, scrutando ogni singolo
centimetro dell'appartamento di lusso in cui si trovavano e poi si
posarono sullo sguardo su Klaus. Quando accadde questo, quella luce
cambiò di nuovo ma il ragazzo non seppe dire se in qualcosa di
positivo o negativo. Forse nessuna delle due cose, in fondo non si
conoscevano nemmeno.
“Niklaus.”
April pronunciò il suo nome.
Sorpresa?
Confusa?
Spaventata?
A
Klaus parve davvero impossibile tradurre quell'espressione sul bel
viso di lei.
“Che
ci faccio qui?”
“Non
ricordi? Sei stata aggredita.” Klaus preferì essere
parecchio sintetico con lei; non aveva alcuna voglia di parlare.
Anzi, desiderò con tutto sé stesso che la giovane
lasciasse al più presto l'appartamento. Distolse lo sguardo da
lei; April stava passandosi una mano tra i capelli spettinati, poi la
portò sulla zona del collo dove Klaus vi aveva posto una benda
fatta alla meglio.
Le
sue dita vi corsero sopra e April si lasciò andare ad un lieve
verso di dolore.
“Sì,
ora ricordo.” disse, annuendo.”E tu mi hai salvata.”
Quando
alzò lo sguardo su di lui e le sue labbra rosse si allargarono
in un sorriso, Klaus giurò di avvertire qualcosa all'altezza
del petto. Qualcosa che lo rendeva felice, ma allo stesso tempo
malinconico, perché lui non l'aveva salvata da nessuno.
L'unica
persona che aveva salvato era se stesso.
Però,
lasciarsi guardare in quel modo, come se non fosse un abominio ma
qualcuno a cui si deve almeno un sorriso di ringraziamento, lo fece
sentire bene.
Il
tutto durò solo un secondo, il tempo necessario per
permettergli di memorizzare quel sorriso e poi tornare in sé.
“ Lo
avrebbe fatto chiunque.” disse, e quell'ennesima bugia lo ferì
perché ne ricavò un altro sorriso da parte di April.
Lei
si guardò poi attorno, affascinata dalla bellezza di
quell'appartamento dalle pareti rosse e le decorazioni dorate, il suo
sguardo si soffermò poi su un quadro sopra il camino della
stanza dove vi era rappresentato un paesaggio innevato che le sembrò
di poter toccare con mano.
“Potrei
quasi ripensarci su di te.”
Se
ne uscì poi con quella frase, quando si accorse di essersi
mostrata troppo meravigliata da quel quadro. “Non sei un
imbecille come credevo. Qualcosa di cavalleresco forse ce l'hai.”
Quelle
frasi lo fecero sorridere, malgrado racchiudessero un'offesa nella
prima parte.
April
non era elegante e raffinata come si mostrava sempre, da come aveva
parlato era un po' maschiaccio, ma nella seconda parte della frase
aveva mostrato di essere la tipica ragazza di vent'anni che ama, di
nascosto, le favole con gli eroi.
Aveva
imparato a vedere così tanto in una persona nel corso dei
secoli, ma non se n'era mai accorto, forse perché non si era
mai realmente soffermato ad andare oltre il sangue che scorreva loro
nelle vene. E poi, lui era ben lontano da essere un cavaliere per
lei.
“Un
grazie può anche bastare.” le disse, facendosi di nuovo
freddo.
April
restò colpita dal suo tono; lo seguì con lo sguardo
mentre le dava le spalle e prendeva il bicchiere ripieno di liquore
che aveva abbandonato sul comodino. Quel liquido ambrato era rimasto
intrappolato nella sua prigione di vetro per troppo tempo e reclamò
di essere liberato non appena Klaus ne ebbe bisogno.
Il
vampiro sentiva gli occhi della ragazza su di sé, e si sforzò
di fare finta di nulla.
“Beh,
allora...ti ringrazio.” April si mosse, Klaus lo capì
dal rumore dei suoi passi che schiacciavano il tappeto persiano in
mezzo alla stanza.
Questi
poi si fermarono improvvisamente, il vampiro si voltò verso
lei, giusto in tempo per vederla portarsi la mano alla fronte, come
se la testa le stesse vorticando.
Vacillò;
sarebbe caduta da un momento all'altro, ma Klaus si mosse rapido:
abbandonò il bicchiere sul comodino, fece un passo verso lei,
e le circondò il bacino con la braccia. April posò le
mani sulle sue spalle, usandole come punto di sostegno e alzò
gli occhi in direzione del viso di Klaus.
La
vista le si offuscò, a causa forse della ferita ancora
pulsante, perciò non riuscì subito a mettere a fuoco il
viso marmoreo di Klaus, così tremendamente vicino.
Quando
poi i suoi occhi scuri affondarono in quelli chiari di lui, la
ragazza si sentì avvampare: i loro visi erano davvero troppo
poco distanziati, tanto che alla ragazza sembrò di essere
baciata dal respiro freddo e letale di lui.
Klaus
non mostrò alcun tipo di disagio, continuò a
sorreggerla a sé con decisione, impedendole così di
accasciarsi a terra. “Forse è meglio....che ti
accompagni.” le propose e lei divenne più rossa.
Ma
era davvero così timida?
Non
ci aveva mai fatto caso; era sempre così solare e logorroica
delle volte, che la timidezza sembrava essere lontana anni luce dal
suo essere. Forse anche lei cambiava in sua presenza?
“Non
ci penso nemmeno. Vado da sola.” ribatté lei,
orgogliosamente. “Se mi salvi una volta, sono una principessa.
Se mi salvi due volte, sono un'idiota.”
“Che
morale becera e priva di senso.” Klaus affilò lo
sguardo, trovando in quelle parole una valida motivazione per
sorridere. Ma si trattenne; la vicinanza tra i due si era oramai
fatta soffocante. “Non fare storie e lascia che ti accompagni.”
April
lo fissò a lungo, continuando a massaggiarsi la fronte. Alla
fine annuì, vedendosi costretta ad accettare la proposta di
Klaus.
“Va
bene. Ti ringrazio.” disse di nuovo e senza esitazione.
Quelle
parole lo colpirono ancora: era impossibile che così poche
lettere riuscissero ad entrargli dentro in quella maniera così
profonda.
Pensò
di prenderla in braccio e condurla fuori, ma gli sembrò essere
troppo galante e sdolcinato come gesto; preferì dunque
portarsi il braccio di lei alle spalle e aiutarla a raggiungere
l'uscita della stanza. April tese il braccio verso il comodino dove
aveva abbandonato la borsa, ma non si accorse che qualcosa cadde
fuori da essa.
I
due lasciarono così l'appartamento.
* *
* * *
L'alba
arrivò troppo presto.
April
non riuscì nemmeno a prendere sonno, che già arrivò
per lei il momento di alzarsi.
Cercò
di mettere in ordine gli avvenimenti di quella notte, ma le risultò
estremamente impossibile.
Le
importò ben poco di scegliere il vestito adatto e optò
per uno più semplice e leggero che non indossava da secoli, e
guardò il proprio riflesso allo specchio.
Guardò
i suoi occhi, e pensò a quelli di Klaus, così come lui
le aveva detto di chiamarlo l'ennesima volta in cui lo chiamò
con il suo nome per intero.
L'aveva
portata a casa a piedi e lasciata davanti alla porta del suo
appartamento; non le aveva nemmeno permesso di poterlo invitare ad
entrare che era già scomparso nella notte, come un corvo che
si mimetizza nell'oscurità più profonda.
Ma,
a parte questo, pensava solo ai suoi occhi mentre la guardava.
Erano
carichi di mistero. Si diceva che fossero lo specchio dell'anima ma
in lui ne sembravano ritrarre di più, di anime.
O
forse nessuna.
Era
una sensazione difficile da descrivere.
“Sei
un rottame.” si disse, senza peli sulla lingua. Il suo riflesso
la osservò indifferente.
Terminò
di prepararsi, decidendo di lasciarsi i capelli sciolti sulle spalle
per poter coprire la benda, e si diresse verso il locale di Gloria.
Mentre
camminava lungo le strade affollate di Chicago, tenendo gli occhi
puntati sui propri piedi , i quali proseguivano lungo il marciapiede,
pensò a ciò che aveva programmato per quella giornata.
Dopo
il lavoro, doveva vedersi con Christopher, ma non ne ebbe alcuna
voglia. Si fermò di colpo e, senza accorgersene, batté
infastidita un piede sul terreno. Due attempate signore la guardarono
come se fosse pazza.
Dannazione,
ma perché non riusciva proprio a toglierselo dalla testa?
Erano
giorni che pensava a lui, anche quando l'aveva trattata
malamente, ma non ne capiva proprio il motivo.
Cos'aveva
di particolare quel tizio?
Decise
di annullare ogni suo pensiero che si rivolgesse a lui e riprese a
camminare. Doveva trattarsi del fatto che le aveva salvato la vita
quella notte, per quello pensava continuamente a lui, ma non fu una
scusa.
Anche
prima di quell'avvenimento si era ritrovata più volte a
pensare a lui.
Sciocca.
Senza
nemmeno accorgersene, si ritrovò sul marciapiede opposto a
quello dove era situato il locale di Gloria, e lo trovò
circondato da uomini in divisa e giornalisti armati di enormi
macchine fotografiche. Parcheggiato accanto alla strada vi era un
enorme veicolo scuro, arrecante un simbolo a croce rossa sullo
sportello. Riconobbe inoltre alcune delle sue colleghe disperse tra
la folla, sconvolte e in lacrime.
Preoccupata,
attraversò velocemente la strada rischiando di farsi investire
da un'auto, e si fece largo tra la calca di persone che stavano
circondando l'entrata.
Non
riuscì ad andare oltre, poiché un omone della polizia
allargò le braccia e impedì ai curiosi di proseguire
oltre; lungo il tappeto rosso che apriva l'entrata corsero alcuni
paramedici con una barella coperta da un telo bianco macchiato di
sangue.
Quella
scena rievocò nella mente di April ricordi ancora troppo
nitidi per non poterle fare male; si portò una mano sulla
bocca e scosse la testa incredula e spaventata. Cercò di
cogliere tra la miriade di voci che la circondavano qualcosa che le
spiegasse cos'era appena successo, ma quelle si accavallavano tra di
loro e venivano poi trasportate via dal vento.
Decise
di chiedere ad una delle persone che aveva vicino; posò la
mano sulla spalla di un ragazzo poco più alto di lei per poter
attirare la sua attenzione.
“Scusatemi,
sapete dirmi cos'è successo?” gli domandò,
trattenendo il tremore nella propria voce.
Il
ragazzo la guardò stupito; le sue spesse sopracciglia scure si
ridussero a due semplici linee rette e le iridi verdi degli occhi la
scrutarono con attenzione. Ci fu un attimo in cui le parve quasi che
stesse trattenendosi dallo scoppiare a ridere, ma April pensò
di sbagliarsi.
Cosa
c'era da ridere mentre trasportavano via un cadavere?
“Hanno
ucciso una ragazza stanotte. Hanno trovato il cadavere dentro il
locale questa mattina.” le rispose lui, con un espressione
seria sul volto.
April
lo trovò impossibile; il locale di Gloria era tranquillo e non
era mai capitato nulla del genere. Lanciò un'occhiata verso i
giornalisti, che cercavano di sfuggire al controllo dei poliziotti e
dei detective per poter scattare la miglior foto da mettere in prima
pagina. Li trovò simili agli sciacalli che volevano avventarsi
un'ultima volta su quel cadavere.
“È...terribile.”
sussurrò, guardandosi attorno alla ricerca di un viso
conosciuto. Il ragazzo, forse più piccolo di lei di qualche
anno, continuava a guardarla come se trovasse impossibile la sua
presenza là.
“Sono
Stefan Salvatore.” Le si presentò, tendendole
elegantemente la mano, mentre l'altra rimase abbandonata dentro la
tasca del suo completo scuro.
April
ci mise un po' a comprendere ciò che le era appena stato
rivolto; continuava a guardarsi attorno e a spostarsi ogni tanto,
quando qualcuno cercava di uscire dalla folla.
Abbassò
lo sguardo sulla mano di Stefan e la strinse velocemente. Lui le fece
un rapidissimo baciamano.
“April
Ford.” rispose, e un brivido le corse lungo la schiena quando
la presa di Stefan si fece leggermente più decisa. C'era
qualcosa nei suoi occhi che la intimorì come mai nessuno aveva
fatto prima.
Ritrasse
subito l'arto.
“E...si
sa il nome di quella povera ragazza?” domandò, dopo
essersi ripresa da quel momento di inquietudine.
Stefan
annuì, tornando a guardare l'entrata del locale di Gloria.
“Sì, ma non ne sono proprio sicuro. Sai, sono appena
arrivato e potrei sbagliarmi...” ammise, alzando le spalle.
Ad
April parve che al ragazzo importasse ben poco di ciò che
stava accadendo attorno a lui ma associò subito quella
sensazione ad uno sbaglio.
Chi
era così insensibile da non curarsi della morte di una povera
ragazza?
“E
di chi si tratta allora?” domandò preoccupata.
Stefan
volse la testa nella sua direzione, tacque per qualche istante che
sembrarono durare un'eternità poi sospirò.
“Mi
sembra si chiamasse...” disse, inizialmente pensieroso.
“Violet. Violet Stiller.”
* *
* * *
“Sarebbe
solo questo il motivo?”
Rebekah
lo guardava come fosse diventato improvvisamente pazzo, cosa di cui
lui stesso era ormai certo.
Restò
seduto sul davanzale della finestra, con lo sguardo rivolto verso la
strada dove quelle insignificanti formiche camminavano lungo i
marciapiedi. Alcune persone sorridevano, altre parlavano tra loro,
altri ancora proseguivano soli per la loro strada non curandosi del
mondo che li circondava. Inspiegabilmente, si ritrovò ad
immedesimarsi con loro, poiché anche lui proseguiva per la sua
strada per troppi secoli.
Da
solo.
Ma,
prima o poi, la solitudine di quelle persone sarebbe terminata in un
modo o nell'altro, attraverso l'incontro con la persona che li
avrebbe accompagnati in quel cammino per un'intera vita.
Oppure
incontrando la morte.
A
lui, però, sembrava non essere concessa nessuna delle due
cose.
“Sì,
Bekah. È solo questo il motivo.” rispose Klaus; distolse
lo sguardo dalla strada sotto i suoi occhi e li posò sul
taccuino da disegno che teneva tra le mani. Aveva disegnato ciò
che gli era passato per la mente, senza organizzarsi o programmare
nulla: aveva lasciato che la sua mano scorresse libera sul foglio,
tratteggiando con la matita le linee di quella figura che sembrava
ancora priva di forma.
Non
era un volto, non era un paesaggio, era solo la parte di un soggetto
che gli era rimasto talmente impresso, che il suo inconscio lo aveva
spinto a ritrarlo.
Due
occhi. Scuri, intensi, dolci.
Non
era difficile riconoscere a chi appartenessero.
Rebekah
sospirò, restando sulla soglia della porta con le mani sui
fianchi e piegando la testa da un lato, le labbra scarlatte erano
imbronciate, tipico segno che la ragazza non era soddisfatta da tale
risposta. “Hai ucciso per molto meno.” gli ricordò.
“Vuoi
farmi la morale ora?”
Klaus
si sentì oppresso da tutte quelle domande; bastava già
quella vocina nella sua testa a dirgli che era innaturale per lui
aver risparmiato la vita di quella ragazzina, più sua sorella
che lo guardava come se fosse fuori di testa non gli era molto
d'aiuto.
“Pensavo
ti stesse simpatica, la leonessa.”
“Simpatica?
Diciamo che non mi ispira così tanta antipatia da desiderare
di ammazzarla non appena la vedo, ma reputarla simpatica è
esagerato.”
Rebekah
spalancò le braccia e Klaus sbuffò stancamente,
tornando a guardare di nuovo il paesaggio oltre quel vetro. Quella
volta puntò gli occhi verso il cielo velato di nuvole; era
chiaro che di lì a poco sarebbe piovuto parecchio.
“Nik,
che ti sta succedendo? Non è da te perdere una sciocca sfida
per degli stupidi rimorsi di coscienza!” esclamò ancora
Rebekah.
Fece
un passo verso il fratello per avere la sua completa attenzione.
Ma
non la ottenne.
Klaus
continuò a fissare il cielo, cogliendo le sfumature più
scure all'orizzonte dove il temporale stava per avere inizio. Chiuse
il taccuino di colpo, quando notò che lo sguardo della sorella
si era abbassato sui fogli tra le sue mani. “Se proprio ci
tieni, stasera vado a caccia e ne ammazzo un'altra, che ne dici?”
“Non
sei divertente. Non ti sarai preso una cotta per quella tipa spero?”
lo interruppe Rebekah.
E lo
fece sorridere.
Una
cotta?
Trovò
ridicolo ciò che lei gli stava dicendo; sentiva un legame con
quella ragazza, qualcosa che si poteva spiegare dallo sguardo di
April, ma ancora non sapeva ben definire di cosa si trattasse.
Ma
di certo non aveva nulla a che fare con quello che Rebekah sosteneva.
Per
lui esisteva solo un tipo di amore, quello che non sarebbe mai morto
e che sarebbe andato ben oltre i limiti finiti della vita. Per questo
sapeva che non ne avrebbe mai provato un altro nel corso della sua
eterna vita. E quella April era, doveva, essere ben lontana da
quel sentimento.
“Una
cotta?” ripeté, prima divertito, poi mostrandosi
infastidito da come la sorella lo sottovalutasse. “Ma lo sai
con chi stai parlando, o no?”
Rebekah
non si lasciò intimidire dallo sguardo accusatorio del
fratello, si strinse le braccia al petto e inarcò le sottili
sopracciglia.
“Sarà....”
disse.
Decise
di tagliare il discorso perché litigare con il fratello non
era nelle sue intenzioni. Poco le interessava.
“Farò
finta di crederti.”
Klaus
sbuffò e tornò a guardare fuori dalla finestra; delle
volte sembrava che fosse lui il fratello minore e lei quella più
grande che cercava di metterlo sulla retta via. Con la coda
dell'occhio, la vide dargli le spalle e avvicinarsi alla soglia della
porta. Si fermò di colpo, i suoi occhi chiari si erano posati
su un punto vicino al comodino, si piegò e raccolse una specie
di volantino.
“Che
cos'è?” domandò Klaus, allungando il collo per
poter soddisfare la sua curiosità, ma senza muoversi dal punto
in cui si trovava.
Rebekah
si girò il foglietto tra le dita e fece spallucce. “Dev'essere
tuo. È l'invito ad una mostra d'arte.” disse, posò
il foglio sul comodino accanto al letto e se ne andò, non
accorgendosi di come il fratello la stesse guardando confuso.
Quel
volantino non era suo, ne era certo.
Lanciò
il suo taccuino sul letto e si avvicinò a passo svelto verso
il comodino. Osservò il foglietto sgualcito, dove le scritte
scure sembravano essersi quasi sbiadite e si domandò da dove
fosse uscito. Rammentò poi che in quel punto aveva posato la
borsetta di April; doveva esserle caduto dall'interno quando lui
l'aveva portata fuori dall'appartamento.
Lei
amava l'arte. Un po' come lui.
Oppure
qualcuno le aveva dato quel volantino e lei lo aveva accartocciato e
gettato dentro la borsa poiché non gliene importava nulla. Le
opzioni potevano essere molteplici e lui non avrebbe mai potuto
scoprire quale fosse quella vera.
Strinse
il pugno attorno al foglio e sentì il bisogno di fare solo una
cosa.
* *
* * *
Quando
si diresse al locale di Gloria e lo trovò chiuso per lutto,
non ne rimase sorpreso.
Ringraziò
il cielo di non aver incontrato la strega sulla sua strada; non aveva
voglia di avere grane anche con lei e sapeva quanto quella donna
potesse essere vendicativa e antipatica.
Non
seppe quindi come passare la serata: fare il terzo incomodo con
Rebekah e Stefan, dopo aver perso la sfida con quest'ultimo poi, non
gliene veniva proprio. Magari poteva scegliersi una bella e giovane
ragazza di cui cibarsi e passare così la serata alla ricerca
di una vittima abbastanza gratificante.
Prese
quella decisione.
S'incamminò
lungo il marciapiede vuoto. Sembrava che quella notte nessuno avesse
preso la decisione di combattere il proibizionismo e divertirsi ed
era tutta colpa di Stefan Salvatore.
La
cosa lo fece sorridere.
Continuò
a camminare, ascoltando i suoi passi che solitari si muovevano nel
buio. Pensò quasi di doversi arrendere: non avrebbe incontrato
anima viva lungo la strada e né tanto meno una ragazza da
poter far fuori.
La
serata sarebbe andata in fumo, come al solito.
Poi,
lo sentì.
Quel
profumo tipicamente femminile.
Era
lontano, ma non abbastanza da poter sfuggire al suo olfatto. Klaus ne
seguì la scia, sentendolo sempre più vicino ogni passo
che compiva. Pian piano, quello divenne sempre più definibile:
sapeva di fiori in primavera; era dolce e accattivante.
Irresistibile.
Riusciva
a stimolare il suo appetito come non mai.
Sorrise
soddisfatto dal pensiero di essere riuscito a trovare qualcuno da
sacrificare alla sua noia.
Un
respiro.
Era
flebile, impercettibile all'orecchio umano e ogni tanto si arrestava
per poi riprendere ad intervalli irregolari. Man mano che si faceva
più vicino, svoltando un angolo e notando in lontananza quello
che doveva essere un parco dove non era mai stato prima, si accorse
che quel respiro era in realtà attraversato da brevi
singhiozzi.
Ne
sentì uno più forte, involontariamente sfuggito alle
labbra di qualcuno che stava provando a trattenerlo a stento.
Klaus
si fermò; gli sembrò di riconoscere il timbro di voce
di quella persona, attraverso quel breve attimo.
Mise
tutti i pezzi in ordine: quel profumo invitante e conosciuto, quella
voce, il rumore di quelle lacrime che lo infastidivano....la figura
che sedeva di spalle su una panchina, nascosta tra alcuni alberi.
April.
Malgrado
ne vedesse solo i capelli e la schiena incurvata, capì che
doveva trattarsi di lei.
E
stava piangendo, con il volto nascosto tra le mani e le spalle nude
che tremavano insieme ai singhiozzi.
Klaus
la osservò restando nascosto nell'ombra, chiedendosi per quale
motivo ella si trovasse da sola in un parco, dopo la paura che il
ripper aveva fatto scoppiare nelle strade di Chicago.
E
sopratutto per quale motivo stesse piangendo.
Lei
alzò la testa di scatto e Klaus deglutì. Non si era
nemmeno accorto di essersi avvicinato così velocemente a lei,
tanto che la ragazza si era resa conto subito di non essere sola.
I
due si guardarono per un lungo momento; malgrado li illuminasse un
unico lampione, entrambi furono capaci di studiarsi i volti a
vicenda.
Klaus
scorse gli occhi lucidi di lei; le lacrime le avevano rovinato il
trucco e questi era colato lungo le sue guance, lasciando delle scie
scure lungo la pelle.
April
ne provò immediatamente imbarazzo; le asciugò con il
dorso della mano e si girò dall'altra parte. Klaus distolse lo
sguardo, seccato da come sembrava aver perso persino il controllo dei
propri movimenti.
“Possibile
che dove la notte è più buia ci sia tu?” gli
domandò la ragazza, azzardando una risata molto poco
spontanea.
Continuava
a nascondere il viso alla vista di Klaus, tenendolo rivolto verso la
parte opposta.
“So
nascondermi bene nell'oscurità.” ammise lui, sapendo che
April non avrebbe mai potuto ben tradurre quell'espressione.
Vista
anche la disperazione che sembrava possederla, era persino
improbabile che ci provasse solo a capirla, quella frase.
“Cos'è
successo?” domandò poi il vampiro.
Stava
per domandarle esplicitamente “perché piangi?”
ma si fermò prima di poterlo fare, preferendo sostituire
quelle parole con una domanda meno diretta.
Lei,
allora, lo guardò, il volto ancora macchiato dalle lacrime che
lo avevano investito e con l'imbarazzo che aveva abbandonato i suoi
occhi. Quelli, come sempre, non riuscivano a contenere le emozioni
della ragazza e le lasciarono libere di poter essere smascherate
dallo sguardo di Klaus.
“Perché
t'interessa?” domandò allora la ragazza, leggermente più
fredda e alzando lievemente le spalle.
Il
ragazzo restò per qualche istante in silenzio, sapeva di non
poter rispondere ad una domanda a cui non sapeva rispondersi nemmeno
da solo.
“Hai
ragione.” disse solo, essendo sincero sia con lei che con sé
stesso.
April
sbatté le palpebre, sbalordita da come l'espressione sul viso
di Klaus avesse assunto un'altra forma.
“Non
me ne importa.” concluse lui e fece per andarsene, lasciandola
lì nel buio, come doveva essere.
Ma
gli occhi di April lo stavano seguendo e lui, inevitabilmente, non
poté che domandarsi cos'avrebbe visto in essi se si fosse
voltato per incrociarli nuovamente.
“Sono
sola.”
I
piedi di Klaus si fermarono al pronunciarsi di quelle parole.
April
le aveva dette senza preoccuparsi di nascondere il tremore della
voce. In esse, vi era tutta la sofferenza e la disperazione che la
solitudine era capace di creare.
Lui
lo sapeva benissimo; la solitudine era l'unico demone che lo
spaventava e che sapeva di non poter combattere.
Guardò
il volto della ragazza, i suoi occhi.
Ecco
cosa l'aveva colpito così tanto di lei: il fatto che come lui
sembrava non avere nessuno che le stesse accanto.
Come
aveva fatto a non accorgersene?
Il
mondo era pieno di persone sole, ma lui non ci aveva mai fatto caso,
tanto era stato concentrato sulla sua, di solitudine. April era un
chiaro emblema della solitudine, ecco spiegata la motivazione per cui
si era così fissato con lei.
Lei
continuava a piangere, come una bambina che aveva appena ammesso una
colpa. Scosse la testa e tornò a guardare un punto davanti a
sé.
Klaus
si ritrovò a camminare verso di lei e in quei semplici
movimenti le diede la spinta necessaria per farla continuare a
parlare.
“Avevo
solo un'amica in questa città, solo una persona che tenesse a
me...ed è morta.” continuò a dire la ragazza;
Klaus si faceva man mano più vicino ad ogni parola che lei
pronunciava.
Si
fermò, quando fu poi alle sue spalle; April doveva parlare
dell'ultima vittima di Stefan.
L'aveva
vista stare con lei diverse volte nel corso di quelle serate.
“Non...”
Si bloccò, quasi non riconobbe il suono della propria voce
mentre si accingeva a pronunciare quelle parole. “Non hai una
famiglia con cui stare?”
April
rise nervosamente, gli lanciò una lunga occhiata e un'altra
lacrima le scorse lungo il viso. “Pensavo che qui tutti lo
sapessero, visto che la gente non sa farsi gli affari suoi...”
disse, portandosi una mano sulla fronte.
Un'altra
cosa che sembravano avere in comune era la rabbia che nutrivano verso
la gente in generale. April sembrava una ragazza che amava
circondarsi di persone ma non perché le amasse, bensì
perché non voleva restare sola. La solitudine la si poteva
vivere anche tra mille persone, ma era meglio provarla nella voce
della gente che in quella del proprio silenzio.
Klaus
sospirò; non ebbe il coraggio di domandarle qualcosa riguardo
la sua famiglia perché aveva paura che, così facendo,
avrebbe riacceso dei ricordi riguardanti la sua. Le si sedette
accanto, mantenendo comunque una debita distanza, e congiunse le mani
tra loro, posandole poi sopra le ginocchia.
April
provò un brivido correrle lungo la schiena, avendolo comunque
più vicino di quanto credesse. Si strinse nelle spalle e
sospirò. Un tuono in lontananza annunciò l'arrivo di un
violento acquazzone, ma nonostante questo nessuno dei due si mosse
dal punto in cui si trovavano.
“Non
hai genitori? Fratelli o sorelle? Proprio nessuno?” Klaus ruppe
il silenzio, parlando con voce soffusa per non violarlo più
del dovuto.
Volse
lo sguardo verso April; lei sembrava stare deliberatamente evitando
il suo.
I
suoi occhi scuri fissarono un punto di fronte a sé, perso
nell'oscurità che pervadeva quel piccolo parco.
“I
miei genitori sono morti quando ero molto piccola e sono cresciuta in
una sottospecie di orfanotrofio....”
La
ragazza ignorò la vocina dentro la sua testa che stava
ricordandole che aveva accanto uno sconosciuto e iniziò a
raccontare.
Le
era capitato solo con pochissime persone di raccontare parte della
sua vita; tutti gli altri non si erano affatto curati di domandarle
della sua solitudine, e quindi, ascoltare le proprie parole
pronunciare quella che non era mai stata una fiaba, le provocò
uno strano senso di estraneità. Come se la voce narrante di
quel racconto non fosse la sua, ma quella di una terza persona a lei
completamente distaccata.
Klaus
restò in silenzio, attendendo che continuasse.
Non
gli era mai importato di sentire le storie di quegli umani, ma in
quel caso non poté fare a meno di voler ascoltare: April
sembrava così simile a lui per molti versi, che gli sembrava
di riascoltare quasi sé stesso.
“Il
mio sogno è sempre stato quello di diventare una cantante, di
non essere più sola e di non vivere più nella miseria.”
April scosse la testa, quasi ritenesse sé stessa una stupida
per aver sperato di inseguire quel sogno. “Violet è
stata l'unica persona ad essermi amica da quando sono giunta qui. E
ora l'hanno uccisa...”
La
voce le si incrinò nuovamente e non ce la fece a trattenere le
lacrime; le nascose affondando il viso nei palmi delle mani.
Klaus
s'inumidì le labbra, seccato. Per un attimo si pentì di
esserle andato in contro e di doversi sorbire quella tipica
lagna da fanciulla umana, bisognosa di sicurezze e affetto.
Poi,
pensò a sé stesso, e ricordò che il motivo per
cui era lì era proprio perché la solitudine di April
era la sua. Si spaventò di fronte a quel pensiero, allora era
più vicino a quegli esseri di quanto credesse?
“Senti,
la gente viene ammazzata praticamente ogni giorno...e molte persone
perdono degli affetti in questo modo. Ti basti pensare che il mondo è
appena uscito da una guerra a dir poco catastrofica.” Klaus
iniziò a parlare con freddezza, quasi volesse rimproverarla di
quella sua debolezza. La sua voce però colpì April,
tanto che la ragazza tirò su con il naso e volse gli occhi
lucidi nella sua direzione.
“La
vita non è eterna, quindi gli affetti sono destinati a finire
con essa. Ma questo non vuol dire che non ci sia opportunità
di ricostruirseli. È vero, fa male perdere qualcuno a cui si
vuole bene....ma nell'immensità c'è sempre qualcuno che
ti ne vorrà. Ancora. Di nuovo.”
Klaus
concluse il discorso senza nemmeno accorgersene, e si sentì un
tale idiota nell'averlo appena terminato a quella maniera.
Odiava
i sentimentalismi umani, odiava quelle vane speranze in cui si
nascondevano per poter combattere l'oscurità della vita,
odiava quelle emozioni e quei sentimenti a cui si aggrappavano
disperatamente per dare un senso alle loro vite empie e brevi.
Eppure
era consapevole del desiderio di sentire quelle parole rivolte da
qualcuno a lui. Solo a lui.
Dio,
da quando gli importava di contare per qualcuno che non fosse solo
Rebekah?
Ricordò
poi che non erano i suoi soli pensieri a fargli compagnia e lanciò
un'occhiata in direzione di April: lei lo stava guardando
intensamente, quasi stesse cercando di cogliere un barlume di luce
tra i suoi pensieri, tra le emozioni che aveva represso quasi un
millennio prima pur di non lasciarsi possedere e indebolire da esse.
“Ti...senti
solo anche tu?” April parlò con titubanza, quasi avesse
paura a smascherare la fragilità del vampiro.
Ma
quella paura, quella che si era soliti provare davanti alla verità,
colpì principalmente lui.
Sapeva
di sentirsi solo, sapeva di esserlo, sapeva che lo sarebbe stato del
tutto se avesse perduto Rebekah, ma era sempre stato così
orgoglioso da negare quella realtà persino a sé stesso.
Guardò
April, colei che avrebbe dovuto incolpare o probabilmente ringraziare
per tutti i dubbi che erano insorti nella sua mente, e non seppe cosa
dire.
Annuire
o negare? No, tacere era ancora meglio.
Era
più giusto che quella verità restasse muta per
entrambi, sia per il suo animo che per la mente di April.
“Pensa
a ciò che ti ho detto.” le disse solo, freddo e rude
come doveva sempre essere.
Si
alzò lentamente in piedi, nel momento in cui sentì un
tuono risuonare tra le nuvole scure nel cielo, segno che la pioggia
era ormai imminente. “Ora devo andare.”
Non
le volle dire nient'altro, né “ci vediamo” e né
tanto meno un “stammi bene”; pensò fosse meglio
per entrambi che non si vedessero mai più. Avrebbero dovuto
portare avanti da soli le loro solitudini, senza ferirsi a vicenda
come sarebbe successo.
April
gli faceva ricordare quanto desiderasse essere apprezzato da
qualcuno,ma Klaus, invece, era per lei il pericolo più grande
che potesse esserle vicino.
Ma
cosa gli importava?
“Aspetta.”
Prima
che si allontanasse nell'oscurità, prima di tornare alla sua
di solitudine, la voce di April lo richiamò.
Voltandosi
verso lei, la vide in piedi di fronte alla panchina, con le braccia
strette al petto come per ripararsi dal gelo che era sceso insieme
alle prime gocce di pioggia. Quella iniziò a scendere pian
piano sempre più incessantemente, mentre i loro occhi
continuavano ad osservarsi nel più totale silenzio.
“Grazie.”
April
pronunciò quella parola con un sorriso sulle labbra.
Lo
stava ringraziando per aver unito la sua solitudine a quella di lei?
No,
Klaus capì che il concetto era molto più semplice di
quanto sembrasse : la ragazza lo stava ringraziando per esserle stato
accanto, anche se per pochissimi secondi.
Klaus
non ebbe il coraggio di rispondere con quella semplice parola con cui
gli umani replicavano ad un ringraziamento e quindi si limitò
a rispondere con un cenno della testa prima di allontanarsi.
Sentiva
ancora gli occhi di lei osservarlo, cogliendo gli ultimi istanti
della sua immagine, ma il vampiro decise di non farci caso.
Intanto,
in compagnia della loro rinnovata solitudine, arrivò la
pioggia battente.
Buonsalve
a tutti, signore e signori! :3
Stranamente
sono un po' soddisfatta di questo capitolo e mi piacciucchia. Spero
che non sia una cosa puramente soggettiva e che anche qualcuno di voi
abbia gradito! xD
Non
ho molto da dire al riguardo: la situazione tra Klaus e April si sta
lentamente evolvendo e il cambiamento a cui entrambi stanno facendo
fronte sta diventando man mano più evidente.
Ma
purtroppo il tutto è correlato al dramma della morte di Violet
di cui, diciamocelo, Klaus è in parte responsabile....
Vi
avviso, per la vostra gioia, che questo è il penultimo
capitolo che pubblicherò.
No,
non abbandonerò la storia , ma partirò per 15 giorni e
quindi, dopo il prossimo capitolo, quello seguente verrà
pubblicato nella seconda metà di Agosto.
Spero
che comunque continuerete a seguirmi e che non mi abbandonerete.
Bene,
ci tengo a ringraziare tutti coloro che leggono la mia storia e
coloro che recensiscono, spronandomi ad andare a avanti.
Grazie
anche a chi ha inserito questa storia tra le preferite e le seguite.
Vi
auguro di passare un bellissimo weekend e alla prossima!
Ciao
a tutti, un bacione.
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Capitolo 6 *** With the venomous kiss you gave me, i'm killing loneliness ***
http://www.youtube.com/watch?v=PnU1v_LgRp8
-Capitolo
6: With the venomous kiss you gave me, i'm killing loneliness-
Nailed
to the cross together As solitude begs us to stay Disappear
with a lie forever And denounce the power of death over our souls
and secret brings us in to start a war
(Killing
Loneliness by
HIM)
Passarono
ben tre settimane da quando Violet fu uccisa per mano dell'ingordigia
di sangue di Stefan, e Klaus non ebbe più l'occasione di
rivedere April.
Disertò
tutte le serate al locale di Gloria, rinunciando così alla
compagnia di Rebekah e del giovane Salvatore, malgrado fosse
consapevole che lei si sarebbe esibita in ciascuna di quelle nottate.
Preferì
divertirsi in altre maniere, soddisfacendo i bisogni del suo lato
vampiro piuttosto che quello riemerso attraverso quella ragazza.
Non
la voleva, quella parte di lui.
Preferiva
uccidere e disprezzare l'animo umano come aveva sempre fatto,
piuttosto che mettersi a ragionare e filosofare su di esso.
Ma,
quella notte, sua sorella ebbe un diabolico piano in mente.
Lo
obbligò ad andare con lei e Stefan in un posto poco fuori
città, un posto sconosciuto e di cui solo lei sembrava
conoscerne la posizione. Pagò autista e macchina di lusso pur
di giungere in quella meta, ordinando abbastanza champagne da farli
ubriacare e ridere senza alcun motivo.
“La
città di Chicago è ancora sconvolta dagli efferati
omicidi avvenuti negli ultimi mesi...” Stefan leggeva
l'articolo sul giornale di quella mattina, sghignazzando come se
stesse puntando gli occhi su un'allegra barzelletta, invece che su
un macabro racconto di cui lui era l'oscuro protagonista.
Rebekah
sorrideva divertita vicino a lui, con in mano un bicchiere di
spumante ancora mezzo pieno mentre teneva l'altra dolcemente
adagiata sul ginocchio del suo degno compare.
Lo
stesso Klaus si mostrò divertito dall'ironia che Stefan
riponeva nella propria ferocia. Aveva quasi dimenticato quanto
gratificante potesse essere giovarsi della compagnia di qualcuno che
possedeva la sua stessa, medesima considerazione della vita umana.
Una considerazione pressoché nulla.
Tutti
e tre i vampiri risero di gusto, risero di quanto quelle vite mortali
fossero facili da raggirare e da spezzare e questo fece sentire Klaus
nostalgico per un solo istante.
Avrebbe
sempre dovuto essere così; con loro che bevevano sangue umano
come fosse nettare da cui trarre ebrezza e sbeffeggiando le esistenze
che avevano estirpato da quel mondo.
Si
ritrovò a nutrire odio per April, e per quegli occhi che erano
riusciti a fargli perdere il proprio mondo, anche se per molto poco.
L'immagine
di lei era ormai un ricordo talmente lontano, che nemmeno immaginarla
o cercare di rammentarla, gli permise di riportare a galla tutti i
pensieri a cui la sua sola esistenza aveva dato vita.
Guardò
fuori dal finestrino; le luci dei lampioni si susseguivano a forte
velocità, divenendo parte integrante del cielo buio e privo di
stelle e lui le osservò passargli davanti come fossero ricordi
della sua lunga vita.
“Gloria
ce l'ha a morte con me, ho saputo. Ma c'est la vie! Non si può
porre freno al divertimento, vero Nik?” domandò Stefan,
accorgendosi del breve momento di distrazione dell'amico.
Klaus
si girò verso di lui, abbozzando un sorriso. Guardò il
volto di sua sorella, la quale gli stava regalando una smorfia furba
che non prometteva nulla di buono, ma non ci si soffermò
troppo a lungo.
“Gloria
può avercela con noi quanto vuole, niente può fermarci.
La streghetta deve farsene una ragione.” rispose, bevendo poi
un lungo sorso dal suo bicchiere.
Rebekah
si lasciò sfuggire un risolino. “Niente può
fermarci....tranne una bella moretta.” disse, coinvolgendo
nella sua risata anche Stefan.
Klaus
la fulminò con lo sguardo: non sopportava che gli rammentasse
April e che lo facesse, sopratutto, di fronte a Salvatore,
umiliandolo per quello stupido errore. Sempre se errore lo si
poteva considerare.
Non
si pensa costantemente a una persona per errore.
“Lo
sai bene perché l'ho risparmiata.” le ricordò;
osservò il volto di Rebekah farsi leggermente più cupo.
“Forse
hai fatto bene a risparmiarla, in quel caso Gloria ci avrebbe davvero
fatto a fette!” ridacchiò Stefan, non accennando nulla
riguardo il fatto che la magnanimità di Klaus nei confronti di
quella ragazza gli avesse fatto vincere una sfida che sarebbe dovuta
essere persa in pazienza.
Una
cosa che Klaus gradiva del suo nuovo ed unico amico, era il
riconoscere in lui una figura che non si poteva prendere facilmente
in giro. Malgrado i loro giochi e le loro sfide, i due si
rispettavano a vicenda, tanto da essere vicini all'aver instaurato un
rapporto che si poteva definire amichevole.
“Non
credere di poter sempre vincere, ripper. Questa è stata
solo una leggera e obbligata svista.” gli ricordò Klaus,
decidendo di riportare la conversazione sul ridere.
Non
aveva voglia di incupirsi e né tanto meno di pensare;
voleva solo combattere i drammi della vita, come facevano tutti,
attraverso alcool e notti macchiate di sangue. Non voleva dare spazio
ad altro.
Tra
i loro sorrisi complici, la macchina si arrestò
improvvisamente e Klaus si voltò verso il finestrino per
vedere dove Rebekah aveva deciso di condurli.
Il
suo sorriso si spense inesorabilmente, quando riconobbe l'enorme
manifesto che pendeva sulla parte più alta dell'edificio.
Diverse persone, tutte di rango abbastanza elevato, stavano
dirigendosi verso l'entrata leggermente illuminata dalle luci soffuse
di alcune fiamme.
Stefan
rimase impassibile; Rebekah invece guardava soddisfatta il volto
incredulo del fratello.
“Bekah...”
la rimproverò Klaus, volgendo lo sguardo nella sua direzione e
stringendo i pugni sopra le ginocchia. Osservò lo sguardo
divertito della sorella, provando un moto di rabbia nei suoi
confronti, ma lei continuò imperterrita a sorridergli in
faccia.
“Andiamo
Nik....è solo una mostra d'arte.” disse, mettendo su un
finto broncio e lasciando il suo bicchiere sul tavolino di fronte.
“Pensavo che tu non potessi mancare.”
Lei
scese poi dall'auto, scortata da Stefan, mentre Klaus restò
immobile per qualche altro istante all'interno del veicolo,
osservando la figura della sorella muoversi verso la lunga scalinata
che conduceva al museo con fare elegante e sensualmente felino.
Strinse
più forte i pugni e comprese che tutti i suoi buoni propositi
per una serata senza emozioni o imprevisti vari era appena andata a
monte.
Gli
parve di sentire già il profumo di April nell'aria.
* *
* * *
Passarono
giorni da quel terribile evento, ma April non parve stare meglio.
Il
male emotivo si unì a quello che la indeboliva nel fisico: le
capitò più volte, quando era a casa da sola, di avere
dei violenti capogiri e delle incendianti vampate di calore che le
risalivano nel corpo, incenerendo tutta la forza che in esso
risiedeva.
Pensò
dovesse trattarsi del brutto colpo causatole dalla morte di Violet, e
Gloria le diede dei giorni per riposare. Ma lei non li volle spendere
a casa, e né tanto meno a pensare a Klaus e al discorso che le
aveva fatto qualche sera prima.
Voleva
rivederlo, lo desiderava con tutta sé stessa, ma preferì
sopprimere quella sua fantasia facendo finta che non esistesse.
La
consolò il fatto che ci sarebbe stata la mostra d'arte quella
sera e che avrebbe potuto fuggire al dolore della realtà
immergendosi nella bellezza dei quadri.
Lo
sperava con tutta sé stessa.
Come
sperava che Christopher fosse di buona compagnia.
Si
sbagliò: l'uomo la teneva sottobraccio con eleganza, ma
sbuffava ogni qual volta il suo sguardo si posava su una delle tele
che adornavano la mostra. Per lui il bianco delle pareti e quei
quadri erano la stessa cosa.
April
decise di prendere in mano la situazione, decidendo di coinvolgerlo
lei stessa nella forma di quelle fantasie,
“Guarda
questo.” La ragazza si fermò, vicino ad un ragazzo che
solitario stava osservando il quadro, e Christopher posò gli
occhi annoiato sulla tela di fronte a sé.
Il
quadro rappresentava due amanti: lui le stava alle spalle e le
prendeva con estrema delicatezza il viso tra le mani. Posava le
labbra sulla guancia destra della ragazza, una bellissima giovane che
sembrava volersi abbandonare a quel bacio inaspettato, stava
aggrappandosi al braccio dell'innamorato e teneva gli occhi chiusi,
per poter così assaporare in pieno la dolcezza di quel
momento.
April
notò che Christopher era indifferente di fronte a quella
bellissima tela e al suo romantico contenuto. Non poteva credere che
un immagine come quella non suscitasse in lui emozione alcuna. “Non
ti piace?”
L'uomo
fece spallucce, storcendo la bocca. “Non mi dice nulla.
Rappresenta un bacio e basta.” disse.
April
avvertì le viscere rivoltarsi dentro il proprio corpo, e le ci
volle tutta il controllo in suo possesso per potersi fermare dal
rispondere a tono.
Non
era vero che quel quadro rappresentava solo un bacio, rappresentava
molto di più.
L'amore.
La
ricerca e il bisogno dell'amante.
La
tenerezza.
La
paura di perdersi.
Ciò
che lei non aveva mai avuto il coraggio di cercare.
Se
Christopher vedeva solo un semplice bacio, allora era più
ottuso di quanto sembrasse.
April
stava per farglielo presente, ma poi preferì rimanere in
silenzio ad ammirare il quadro, la mano dell'uomo si posò
sulla sua e l'accarezzò con delicatezza.
“Spiegamelo
tu di che parla.” le disse.
April
avvertì un brivido freddo correrle con intensità lungo
tutta la schiena. Sentì le dita di Christopher che, con muta e
sensuale delicatezza, scorrevano lungo le sue dita. Il fiume di
parole che la ragazza stava malamente cercando di trattenere per poco
fuoriuscì dalle sue labbra, accuratamente scarlatte.
“Ci
sarebbe tanto da dire, ma tu hai poco tempo.”
April
preferì non perdersi in tante spiegazioni con qualcuno che non
riusciva ad apprezzare nemmeno un quadro, o meglio, il sentimento in
esso racchiuso.
Christopher
volse lo sguardo nella sua direzione, captando il tono di sfida che
era racchiuso in quelle parole. “Il tempo è denaro,
tesoro mio. E fai bene a non farmelo perdere in
simili....baggianate.” replicò, mascherando il
tutto dietro un sorrisetto finto e di circostanza.
Non
aveva gradito il modo in cui lei gli aveva risposto, ma ad April non
importò minimamente.
Così
come non le importò di come lui aveva stretto, per un solo
secondo, il braccio, schiacciando così contro il proprio
fianco la mano che April gli teneva sotto braccio.
Continuò
a tenerlo sotto braccio e passò ad osservare la tela,
affrontando in silenzio la mancanza di qualcuno con cui poter
condividere quella passione.
E,
sopratutto, con cui sopprimere il dolore causato dalla dipartita di
Violet.
Il
suo compagno non stava facendo nulla per aiutarla al riguardo, anzi.
Stava solo peggiorando le cose.
La
risata di Chris ruppe il silenzio che li aveva pervasi e April provò
un'ondata di fastidio di fronte a quella totale mancanza di riguardi
nei confronti suoi e di chi stava beandosi di quelle opere.
Un'altra
persona era alle loro spalle, intenta ad ammirare un quadro sulla
parete opposta, ma parve non curarsi della risata dell'uomo.
“Perché
ridi?” domandò allora April, senza capire.
L'uomo
si voltò a guardarla, continuando a sorriderle in faccia come
se non gli importasse dell'irritazione nascosta negli suoi occhi.
“Perché
sapevo che questa cosa dell'arte era solo una copertura per
mostrarti...diversa.” disse, inumidendosi poi le labbra. April
non riuscì proprio a captare il messaggio insito in quelle
parole, ma l'uomo le diede subito la risposta. “Insomma,
April...tu non sei il tipo di ragazza che si interessa d'arte e
cultura...come dici tu, i tuoi migliori amici sono il denaro e i
diamanti, no?”
Un
sussulto silenzioso esplose nel petto della ragazza, mentre fissava
gli occhi dell'artefice di quella verità.
Sì,
non poteva negarlo: quelle parole erano davvero uscite dalle sue
labbra, quando le tingeva di rosso perché voleva solo che
fossero guardate e non ascoltate. Risentirle, però, le faceva
provare un senso di vuoto, di sporco. Era sempre apparsa come
una persona mediocre e materialista perché era questo ciò
che voleva; non voleva niente dalla vita che non fosse fama e denaro.
Non
gliene era mai importato, eppure in quel momento si sentì
davvero in colpa per essere così sciocca.
“Ecco
perché prima non hai risposto riguardo la domanda sul quadro e
ti sei nascosta dietro questa tua finta sagacia.” infierì
Christopher; il suo sorriso aumentava a ogni parola che diceva.
April
digrignò i denti; tornò a guardare il quadro e sentì
delle lacrime amare salirle agli occhi. Riuscì a trattenerle
per puro miracolo, perché una parte di sé era ancora
capace di reprimere quelle emozioni di cui aveva creduto di non avere
bisogno.
Christopher
notò il turbamento in lei, ma non se ne curò più
del dovuto. “Dai piccola, mi fa piacere che tu voglia apparire
acculturata ma io ti voglio così come sei .” le disse,
donandole un bacio indelicato sulla guancia.
April
per poco sentì lo stomaco arrovellarsi in fastidiose
contrazioni. Avrebbe voluto voltarsi e sputargli dritto dritto in
quello sguardo vuoto e, si accorse in quel momento, anche un po'
vacuo. Come fosse brillo.
Accorgendosi
di come la ragazza si era leggermente ritratta dopo quel contatto,
Christopher assunse un'espressione infastidita, che fece correre un
brivido lungo la schiena di April. Quest'ultima non seppe che
reazione aspettarsi e la cosa, un po', la spaventò.
“Vado
a fumarmi un sigaro. Ci vediamo dopo.”
Morale
della storia: guardando il suo compagno allontanarsi, April seppe che
avrebbe passato tutta la sera da sola.
Eppure
non gliene dispiaceva.
Quella
sera avrebbe preferito il potere del silenzio, a quello vano del
lusso del suo fidanzato.
Già,
del successo e della ricchezza, almeno per quella sera, non gliene
importava più nulla.
Proprio
come non gliene era importato nelle sere che avevano seguito la morte
di Violet.
Perché
un diamante può riempire una vita empia, ma non può
darti nulla nel tuo ultimo attimo di respiro.
E
lei aveva capito di non volersene andare in futuro con un diamante al
dito, bensì con la lacrima di qualcuno che non avrebbe mai
voluto lasciarti andare. Proprio come era stato per Violet.
Si
passò una mano lungo tutto il viso, nascondendosi dietro il
buio delle proprie palpebre e riflettendo su tutte quelle cose a cui,
in quel momento, avrebbe tanto voluto rinunciare.
I
soldi. La fama. Quel beota di Christopher.
Avrebbe
rinunciato a tutto pur di raggiungere una sola cosa.
Una
sola semplice cosa.
“Troppo
romantico come quadro.”
Una
voce troppo vicina la sorprese.
Si
voltò giusto in tempo per vedere Klaus avvicinarsi lentamente
a lei con in mano un calice di spumante.
Non
si era resa conto che era proprio lui, il ragazzo alle sue spalle che
stava osservando l'altro quadro.
Per
un istante, April restò a fissarlo come abbagliata dal suo
aspetto.
Era
sempre stato bello ed elegante, ma in quella serata sembrava avere un
qualcosa in più che la confondeva. Forse perché non si
aspettava affatto di rivederlo dopo la chiacchierata sotto la pioggia
e quindi era in possesso solo di un effimero ricordo di lui.
“Questo
non posso negarlo...” replicò April, dopo un lungo
attimo di silenzio dovuto alla distrazione a cui lui l'aveva portata.
Si
strinse le braccia al petto e sospirò, sentendosi una totale
stupida.
Perché
giorni prima si era confidata con uno sconosciuto, perché lo
aveva troppo vicino....
“Però
è il più bello che abbia mai visto in vita mia.”
Klaus
non rispose, piegò la testa da un lato e lasciò
scorrere lo sguardo lungo la tela. “Non credi nell'amore,
April?” le domandò, con voce incolore.
I
due si guardarono; lei provò la strana sensazione che, anche
in quel caso, la risposta che lei avrebbe dato sarebbe stata la
stessa che lui avrebbe pensato, ma non esternato.
Sospirò.
“Non
ci credo. Però mi piace osservarlo quelle poche volte che lo
vedo.” rispose, alzando le spalle.
Capì
di aver colto male la plausibile risposta di Klaus, poiché lui
abbozzò un sorrisetto eloquente e socchiuse le palpebre.
A
lui, dell'amore, non importava nulla. Nemmeno viverlo sotto forma di
illusione o sogno.
Stava
per chiedergli cosa ne pensasse lui, ma si trattenne. Perché
affrontare un argomento così intimo con uno sconosciuto? “
“Non
pensavo che ti piacesse l'arte...” disse poi, per cambiare
discorso. “Sei così scorbutico.”
“Siamo
in due allora. Nemmeno io pensavo fossi una persona che
l'apprezzasse.” ribatté prontamente Klaus, lanciandole
un'occhiata veloce con cui parve volerla freddarla. “Sei tutta
soldi e diamanti, tu.”
April
abbozzò un sorriso, comprendendo che Klaus doveva aver sentito
la conversazione tra lei e Christopher.
“Beh
d'altra parte, tu sembri un tipo bastardo e cinico che si cura solo
di se stesso.” disse e lo fece ridere; non seppe se perché
lo avesse fatto innervosire o perché la cosa lo divertisse.
“Ma penso che non sei così sotto sotto.”
La
risata si spense.
Klaus
girò lentamente la testa verso di lei cogliendo i suoi occhi
scuri che lo fissavano intensamente. La mano strinse con più
forza il calice che aveva tra le mani, e la rabbia tornò a
montargli lungo il corpo. S'inumidì le labbra, cercando di
riprendere mano alle emozioni che aveva di nuovo soffocato in quei
giorni. “Non mi conosci e non puoi dirle certe cose.” le
disse freddamente.
“È
vero anche questo.” rispose April. “Ma mi hai aiutata per
ben due volte nel giro di una settimana, non puoi certo essere così
perfido come vuoi apparire.”
Klaus
restò in silenzio; guardò la determinazione sul volto
della ragazza e trattenne il respiro.
Lei
stava dicendogli che era diverso, quando in realtà non era
così: lui sembrava diverso ai suoi occhi, solo perché
con lei, e solo con lei, riusciva in qualche modo a sentirsi lontano
dalla propria natura. Ma non era così nella realtà: una
volta uscito dal libro della fiabe, tornava ad essere il mostro che
animava gli incubi più bui delle sue vittime.
Un
suo incubo, se lui non le avesse
cancellato la memoria.
Non
aveva dimenticato che lui, per poco, l'aveva quasi uccisa per puro
divertimento.
Ma
lei, questo, non lo ricordava. Anzi, non lo sapeva.
“Sai
pochissimo di me ed è per questo che te ne esci con allusioni
simili.” ripeté il ragazzo, portandosi il bicchiere alle
labbra.
April
tornò a guardare il quadro, mordicchiandosi il labbro e
cercando un pretesto per rompere il silenzio. Si grattò la
fronte. “Allusioni...che razza di paroloni! Allora fatti
conoscere, simpatia fatta a persona!” esclamò con un
sorrisetto sulle labbra, che colpì Klaus. “Tu cosa vedi
in questo quadro?”
“Tu
così conosci le persone? Ecco perché hai poca
compagnia, eccetto quel damerino.” la prese in giro il vampiro,
storcendo il naso.
“Si
può capire molto da una persona attraverso l'arte. Un artista
cerca di riportare le proprie emozioni sotto forma di disegno, ma
spetta all'osservatore avere la giusta sensibilità per
coglierle. Si può vedere tutto e niente in un quadro, dipende
dagli occhi di chi guarda.” spiegò April, portandosi le
mani sui fianchi e piegando la testa.
Si
fece più vicina a Klaus, il quale stava ripetendo le parole di
April dentro la propria testa. Si domandò cosa avrebbe visto
lei nei suoi, di quadri. Fissò in silenzio la tela, sentendo
gli occhi della ragazza addosso, e pensò che l'artista fosse
così troppo smielato e privo di vita amorosa da aver disegnato
un bacio fittizio che placasse i suoi bisogni intimi.
Rise,
tentato dall'idea di rispondere in quella maniera ad April. Già
se la immaginava, adirata e rossa in viso, mentre lo mandava a quel
paese per poi lasciarlo lì da solo.
Guardò
meglio.
“Credo
che il bacio significhi molto più in questo quadro.”
iniziò a dire, senza pensare, perché sapeva si sarebbe
sentito stupido se a quelle parole ci avesse davvero pensato. “Lui
l'abbraccia per baciarla, non vuole che lei se ne vada o...che lei
abbia paura di lui. Lei invece si aggrappa a lui, perché
appunto prova paura nei suoi confronti, ma allo stesso tempo ne ha
bisogno. Come una fiamma che vuole spegnersi, ma teme la pioggia che
sta incombendo su di lei.”
Il
silenzio scese su di lui. Gli parve di trovarsi solo con quel quadro,
con quella scena che evocava in lui troppi ricordi, lontani ma
portati vicini dal suo cuore.
Rammentò
un nome, un volto, lei....e tutto parve tornare nell'oscurità,
dove le luci erano ancora troppo lontane per poter essere raggiunti.
Ricordò
la felicità provata secoli prima e ne ricavò solamente
un profondo dolore.
“Con
questo bacio, lui ha ucciso le paura di lei e lei quella di lui. Si
sono completati.” concluse, con un sussurro.
L'oscurità
si dileguò, la dolorosa realtà tornò a
circondarlo e tutti i ricordi tornarono ad essere pallidi e lontani
miraggi con cui il cuore stava cercando di ingannarlo.
Si
ricordò di April e se la ritrovò a fissarlo
intensamente, con il respiro trattenuto tra le labbra come se quelle
parole glielo avessero portato via.
Mantennero
il silenzio, poiché nessuno dei due sembrava intenzionato a
parlare.
Poi
lei scattò verso lui, posandogli la mano sulla guancia e
facendolo voltare delicatamente verso lei.
Posò
delicatamente le labbra sulla sua guancia destra, in un bacio lungo
che arrestò il tempo.
Il
tutto fu talmente inaspettato che Klaus non ebbe la prontezza di
prepararsi a tale evenienza ed evitarla, oppure abbandonarsi
completamente ad essa.
Una
parte di sé, infatti, volle ritrarsi a quel momento, ma
un'altra lo costrinse a rimanere immobile e ad assaporare quel
contatto fino in fondo.
Chiuse
le palpebre, chiedendosi per un secondo cosa stesse cercando di fare
April attraverso quel gesto.
Lo
capì solo diversi istanti dopo, quando le labbra della ragazza
abbandonarono la sua pelle.
Con
quel bacio, che sapeva più di veleno per lui, gli aveva
permesso di uccidere, per un secondo, la sua di paura, quella della
solitudine.
Guardò
April, lei sembrò essersi imbarazzata per quel gesto
certamente avventato, tanto che le sue gote si erano tinte di un
rosso intenso. Abbassò lo sguardo timidamente, schiarendosi la
voce e intrecciando le dita tra loro.
“Diciamo
allora...che anche con questo bacio abbiamo ucciso qualcosa, no?”
disse, con una voce da bambina.
Klaus
la guardò incredulo, senza sapere che cosa rispondere. “Non
tutto si può uccidere con un bacio, April.” disse poi,
scuotendo la testa, ancora scosso dal vortice di inaspettate
illusioni con cui lei lo aveva abbattuto attraverso quel bacio.
April
si umettò le labbra, e i suoi occhi si fecero stranamente
lucidi. “Ma le cose più brutte le si possono uccidere
anche con una piccola luce.” rispose.
Dette
queste parole, per cui Klaus non seppe davvero che cosa pensare, la
ragazza si allontanò a passo svelto.
La
guardò andare via di corsa, forse presa dalla vergogna di non
sapere più come riempire il loro inimitabile silenzio.
Klaus
tornò a guardare la tela davanti a sé e sospirò.
Secoli
e secoli di sangue, omicidi, odio e morte non erano riusciti ad
ammazzare la sua solitudine, mentre un singolo e innocuo bacio sulla
guancia lo aveva fatto sentire leggero di quell'enorme peso, anche se
solo per un secondo.
Incredibile,
come le vite degli umani, delle
volte, giocassero un piacevole gioco di sorprese inaspettate.
Solo
che lui non voleva accettarlo, non ancora.
Decise
dunque di lasciare quella mostra, prima che il profumo di April gli
giungesse di nuovo alle narici e
lo drogasse di quel suo, inaspettato, desiderio di vita.
* *
* * *
Cercò
Christopher per un solo motivo: aveva bisogno di un passaggio a casa.
A
piedi il suo appartamento era troppo distante dalla mostra e mai e
poi mai si sarebbe voltata indietro per chiedere a Klaus di
accompagnarla. Era certa che, se quella sera avesse posto di nuovo il
proprio sguardo su di lui, non avrebbe avuto controllo delle proprie
emozioni.
“Ma
dove diavolo sei?”
April
si strinse nelle braccia, un po' per il freddo e un po' per il fatto
che camminare da sola, nel buio di quei cornicioni, la inquietava
dopo ciò che era accaduto a Violet.
Il
suo timore durò però per pochissimi attimi, poiché
i suoi occhi caddero su numerose luci che illuminavano il giardino
sul retro dell'edificio, dove era stato organizzato un buffet.
Diverse genti dell'alta aristocrazia mangiavano e bevevano, con i
loro fare eleganti e altezzosi.
April
storse il naso, restandosene in disparte e adagiando la spalla su una
delle colonne.
Né
sua madre e nemmeno suo padre erano ricchi. Anzi, erano relativamente
poveri e vivevano in un piccolo capannone in cui potevano risiedere a
malapena due persone.
Ma
erano felici. Almeno fino a
quando....
“Tesoro,
finalmente ti ho trovata.”
April
si lasciò andare un gridolino, voltandosi di scatto e puntando
gli occhi sul volto di Christopher inanzi a lei, armato di un
bicchiere di vino sicuramente pregiato e sottobraccio con
un'avvenente fanciulla.
“Però,
non sei cambiata di una virgola, cara la mia April Jennifer Ford.”
April
sbarrò lo sguardo, avvertendo un senso di sorpresa, disappunto
e incredulità montare in lei, mentre concentrava tutta la sua
attenzione su quella ragazza, piuttosto che su Christopher e sul
fatto che la tenesse sottobraccio con fare alquanto coinvolto.
Quella
giovane emise un sorriso affascinante, di quelli che potevano
disarmare la corazza di qualsiasi uomo. Gli occhi neri,
efficientemente truccati, erano sensuali e felini; i corti capelli
scuri curati e ben raccolti, sistemati con un cerchietto in tinta con
il bellissimo abito in paillettes nere che ella indossava.
Finalmente,
dopo lunghi attimi di silenzio, April riuscì a proferire il
suo nome. “Katherine?”
Ehilà!
Ciao
a tutti :D come state? Vi sono mancata? #ovvio che no, risposero loro
in coro#
Ammetto
di non essere tornata “alla grande”dopo questa lunga
pausa: questo capitolo è di transizione, è monotono e
non accade proprio nulla di nuovo. Anzi, è un capitolo un po'
“ripetitivo” diciamo, ma che purtroppo dovevo scrivere,
pur di non accelerare le tappe di questa storia.
Allora,
c'è stato un piccolo bacino (che qualche depravatella non
approverà....sai che parlo di te!) che ha sottolineato ancora
di più quello che sta accadendo tra i due protagonisti della
storia. Come sempre mi auguro di non aver reso Klaus OOC.
Penso
che sia anche chiaro chi egli ricordi guardando il
quadro...Tatia Petrova è una figura che, francamente, vorrei
davvero tanto conoscere attraverso il telefilm, visto che di lei
sappiamo ben poco. Il suo ricordo riaffiorerà altre volte nel
corso della storia, poiché reputo che lei sia stata l'unica
donna che Klaus abbia veramente mai amato.
Per
quanto riguarda la giovane e bellissima fanciulla che appare nel
finale...avete capito chi è tanto, no? Ve l'aspettavate? XD
Anche lei apparirà diverse volte andando avanti con il
racconto e, anzi avrà un ruolo piuttosto rilevante. Non era
una cosa prevista in realtà; ho deciso di inserire il suo
personaggio mentre correggevo la storia in vista della pubblicazione,
e molto probabilmente la farò comparire tra i protagonisti.
Passo
a ringraziare tutti coloro che hanno letto il capitolo, chi recensirà
e chi leggerà silenziosamente.
Un
grazie enorme anche a coloro che hanno inserito questa storia tra le
varie cartelle.
Ci
rileggiamo presto; conto di essere puntuale come lo ero prima della
mia lunga assenza e spero di ritrovarvi ancora a leggere! :D
Alla
prossima, e buon proseguimento delle vostre vacanze! :3
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Capitolo 7 *** You're gone with the sin, my darling. ***
http://www.youtube.com/watch?v=Ghyr8jC112A
-Capitolo
7: You're gone with the sin, my darling-
I
adore the despair in your eyes I
worship your lips once red as wine I
crave for your scent sending shivers down my spine I
just love the way you're running out of life
(Gone
with the sin by
HIM)
Follia.
Non
riusciva a spiegarsi in altra maniera quello stupido batticuore
improvviso che sentiva nel petto ogni volta che pensava a Klaus.
Lei,
proprio quella che non credeva nell'amore vero ma solo in quello
fittizio da cui poteva trarre profitto economico, aveva il
batticuore. Si vergognò di sé stessa; non le era
mai successa una cosa simile e sopratutto mai con una persona di cui
sapeva relativamente poco. Era davvero tutto troppo assurdo e le
risultava difficile capacitarsi del cambiamento a cui stava andando
incontro.
Sospirò,
cercando di distrarsi leggendo il giornale di quella mattina.
Ma
non le fu in alcun modo d'aiuto: Chicago continuava ad essere il
solito teatro di orrori dove la sera prima una persona scompariva e
la mattina dopo la si trovava morta in un vicolo, con la gola
praticamente squarciata.
Si
grattò la parte posteriore del collo, continuando a fissare le
numerose parole in inchiostro che si susseguivano l'una dopo l'altra
in prima pagina, e dimenticandosi della tazza di caffè fumante
che aveva lasciato sul tavolo.
Era
sola nella cucina del suo appartamento, come ogni mattina della sua
vita, ma qualcosa quel giorno doveva essere diverso e lei sembrava
sentirlo nell'aria.
Non
bastavano i pensieri riguardanti il bacio, inaspettato persino per
lei, che aveva dato a Klaus a renderla distratta, ma un'altra
presenza voleva farsi avanti nel corso di quella giornata,
arrecandole ulteriori pensieri da portare nella mente.
Questa
bussò insistentemente alla porta della sua umile dimora,
costringendola ad alzare lo sguardo.
April
pensò subito dovesse trattarsi di Christopher; chi altri
poteva essere?
Quando
si diresse verso la porta per aprirla, però, si trovò
di fronte a un'angelica figura dai capelli biondi e il volto di
porcellana, la quale stava sorridendo con un sorriso felino e
accattivante.
“Sei
ancora in vestaglia a quest'ora? Si vede che lavori fino a tardi.”
Rebekah
la guardò dalla soglia della porta con sguardo attento; sulla
spalla teneva un vestito coperto da una pellicola di plastica, di cui
April poté scorgere diversi brillantini dorati che
intercorrevano lungo lo strascico della gonna.
La
mora affilò lo sguardo, domandandosi da quando lei e la
sorella di Klaus fossero entrate così in confidenza.
“Ci
conosciamo per caso?” chiese, fingendo che non si fosse mai
accorta di lei prima.
Ma
come si poteva non notare una donna dalla bellezza di una sirena, e
che attirava lo sguardo di chiunque incontrasse per l'eleganza innata
che possedeva? Senza contare il fatto che Rebekah sembrava la copia
esatta di Klaus in versione femminile, ed era normale che lei
l'avesse notata.
Se
avesse potuto elencare gli elementi che la accomunavano al fratello,
la lista sarebbe stata bella lunga.
“Tutti
mi conoscono, tesoro mio.” Rebekah reclinò leggermente
il capo, piegando leggermente il ginocchio destro sotto la gonna, in
maniera tale da poter spostare l'esile fianco sinistro verso il lato.
“E, primadonna come sei, sono sicura che anche tu ti sei
accorta della mia esistenza.”
April
arricciò le labbra, sentendosi presa in contro piede. Era
sempre solita accorgersi della presenza di ragazze in possesso della
sua medesima bellezza disarmante. Era così che aveva notato
Katherine.
E
Rebekah l'aveva notata da prima del suo avvicinamento a Klaus: la
prima volta che la scorse, civettava con decine di giovincelli
entusiasti e affascinati dalla lunghezza chilometrica della sue
pallide gambe. I pensieri che aveva avuto su di lei, in quel momento,
non erano stati dei più gentili.
“Siete
Rebekah Mikaelson.” disse April, pronunciando il suo nome come
se stesse confessando chissà quale crimine.
“La
sorella di Klaus.” aggiunse l'altra, senza palesare troppo il
suo intento di metterla in imbarazzo.
Non
ci riuscì, ma solamente perché April era ancora troppo
assonnata per avere una qualsiasi reazione.
“E
dammi del tu.” disse ancora la bionda.
April,
intanto, studiò la bambola di porcellana che aveva di fronte.
Quella mattina, nell'abbigliamento, era più austera di quanto
fosse mai stata: portava un completo color bianco e lasciava i
capelli sciolti sulle spalle. Il viso era perfettamente truccato, la
pelle priva di imperfezioni e le labbra colorate di un rosso intenso,
molto simile a quello del sangue.
April,
in confronto, sembrava un rospo quella mattina, visto che era
sopravvissuta a sì e no due ore di sonno.
Si
strinse le braccia la petto e sospirò stancamente. “E,
di grazia, per quale motivo giungi alla mia porta di prima mattina?”
le chiese, sbattendo le sopracciglia con fare annoiato.
Rebekah
mise su un broncio provocatorio. “Vuoi farmi entrare o
lasciarmi qui fuori?” domandò, affilando lo sguardo con
fare capriccioso. Doveva ammettere che la presunzione e l'arroganza
erano prerogative particolari nei due biondi fratelli; non la
conosceva nemmeno e già si comportava come se non avesse di
fronte un'emerita sconosciuta, bensì qualcuno che potesse
trattare liberamente a pesci in faccia.
April
scosse la testa. “Ancora non mi hai detto perché sei
qui.”
“Te
lo dirò una volta che mi sentirò meno cretina a
starmene sulla soglia di questa dannata porta.”
April
corrugò la fronte, comprendendo che stava facendo perdere la
pazienza alla versione femminile di Klaus Mikaelson. Era meglio non
rischiare oltre.
“Entra
pure. Ma sappi che non ho fatto le pulizie.” disse e le fece
segno di accomodarsi in casa.
Rebekah
annuì, muovendosi rapida verso il centro dell'enorme stanzone
in cui April viveva. Era chiaro che non apprezzasse quell'abitazione;
gli occhi della bionda lasciavano trasparire tutto il ribrezzo che
nutriva verso quell'ambiente così povero. Viveva pur sempre in
un edificio di lusso a tre piani; April ricordava benissimo la villa
in cui l'aveva condotta Klaus la sera dell'aggressione.
“Mi
sa che tu non fai le pulizie da una vita, cara la mia leonessa.”
la riprese Rebekah, senza peli sulla lingua.
April
non aveva mai conosciuto, eccetto Klaus, una persona capace di fare
critiche con quella tranquillità e con quella confidenza;
molto spesso la gente preferiva dire una dolce bugia piuttosto che
un'amara verità e questo non era affatto un pregio. Ma Rebekah
sembrava godere quando aveva da dire cattive verità, e nemmeno
questo poteva definirsi un pregio.
“Sto
mettendo soldi da parte per qualcosa di meglio.” si sentì
in dovere di spiegare alla bionda, chiudendosi la porta alle spalle.
Anche se, più che risparmiare, April aveva per tutto il tempo,
cercato di farsi sposare da Christopher per avere una casa migliore.
“Per
ora posso permettermi questo.”
Le
si avvicinò e notò che Rebekah la fissava con assoluto
disinteresse; stava già programmando le parole da sparare
successivamente.
“Per
questo esci con quel riccone? O che ci provi con mio fratello?”
April
arrossì; le importò poco della prima parte della frase,
quanto più della seconda. “Non ci sto...provando con tuo
fratello. Parli troppo per essere una che non mi ha mai rivolto la
parola, sai?” disse, stringendosi le braccia al petto.
Rebekah,
sotto la luce del sole che penetrava dall'ampia vetrata alle sue
spalle, lasciò capire che non credeva a una singola parola di
quello che sentito.
April
venne tentata dallo specificare che ,se anche se così fosse
stato, non avrebbe di certo avvicinato Klaus per il suo denaro.
Deglutì, non appena si rese conto di stare trovando delle
giustificazioni in caso avesse dovuto spiegare il suo legame con
Klaus.
Che
legame c'era in fondo? Nessuno.
“Come
vuoi.” Rebekah si stancò di parlare, posò il
vestito sullo schienale del divanetto in mezzo alla stanza e fece
qualche passo verso April, la quale se ne stava ancora vicino alla
porta, facendosi accarezzare dai raggi solari provenienti dalla
finestra.
“Comunque,
stasera organizzo una festa e voglio che tu venga.”
April
ridacchiò. “Lo sai che il voglio non cresce nemmeno nel
giardino del re?” rispose, ricordando un detto che le diceva
sempre la madre quando era piccola e pretendeva il gelato a tutti i
costi.
Ripensò
a lei, in un secondo la collegò a ciò che sentiva per
Klaus, e un brivido le corse lungo la schiena.
Rebekah
parve non accorgersene. “Nel giardino della regina, però,
cresce di tutto.” la corresse. “E voglio che tu venga,
anche perché non penso tu abbia nulla di meglio da fare.”
Ed
era vero, ma quella ragazza non aveva il diritto di dirglielo così
apertamente.
April
sbuffò stancamente. “Non è così.”
disse.
“Fa'
come vuoi. Comunque, se non deciderai di passare una serata da sola
qui a casa a fare pensieri perversi su mio fratello, quello è
un piccolo regalino che dovrai indossare stasera.”
La
mora non ebbe il tempo di replicare malamente a quell'ennesima
frecciatina, che restò completamente sorpresa nello scoprire
che quel vestito era per lei. Gli si avvicinò curiosamente,
mentre Rebekah la superava per dirigersi verso la porta.
April
non riusciva a veder bene come fosse fatto l'abito; l'involucro di
plastica rendeva praticamente impossibile poterlo ammirare nella sua
completezza.
“Cosa?
Perché mi regali un vestito?” chiese incredula,
voltandosi verso di lei e indicando l'abito con una mano come se, di
punto in bianco, non ne fosse più affascinata.
Rebekah
si fermò davanti alla porta, girandosi lentamente verso lei;
restò immobile ed elegante con la borsa posata sul fianco.
“Perché se devi essere presente stasera...non voglio che
tu indossi le tue solite, evidenti scollature. Il mio decolté
dev'essere il più guardato, non il tuo.”
April
scosse la testa; la battuta poteva essere anche divertente, ma non
riusciva a credere che la motivazione nascosta dietro quel regalo
fosse così banale. “Non mi conosci nemmeno!” tentò
di ricordarle.
Ma
da quando le persone non erano più fredde ed indifferenti, ma
così espansive? Rebekah e Klaus li trovava davvero fuori
dall'ordinario, anche se quest'ultimo non era poi così aperto
e sua sorella, più che gentile, sembrava ambigua e
incomprensibile come persona.
Rebekah
cambiò espressione; sembrò farsi più seria dopo
quelle parole, e i suoi occhi si accesero di una strana ed insolita
luce. Un qualcosa che sembrava non c'entrare nulla con quello sguardo
furbo e provocatore come il suo.
Alzò
le spalle. “Fatti miei.” rispose semplicemente e si
voltò. “Ma non pensare che abbia in mente qualcosa di
depravato. Non sono una di quelle libertine che si diverte con
entrambi i sessi, che sia chiaro!”
April
per poco scoppiò a ridere, ma si trattenne perché,
anche se il desiderio di partecipare a quella festa si sarebbe fatto
opprimente, lei aveva comunque un grosso problema.
“Non
so come arrivarci fino a casa tua, Rebekah.”
“Ti
faccio venire a prendere. Qual'è il problema?”
Rebekah
aveva intuito che April stava cercando tutte le scuse per rifiutare,
ma non si lasciò vincere.
“Senti
Rebekah...” April si passò una mano sul volto, voltando
lo sguardo verso il vestito adagiato sul divano, mossa dalla
curiosità di poterlo scoprire di più. “Non credo
che verrò.”
“Io
invece credo proprio il contrario.” Rebekah aprì la
porta, stringendone il legno nella mano e voltandosi a guardarla
prima di varcarne la soglia.
“Cosa
te lo fa credere?” April spalancò le braccia,
visibilmente innervosita dal comportamento così
contraddittorio di Rebekah.
Calò
un secondo di silenzio, in cui la Mikaelson scrutò
l'espressione sul volto di April.
Come
se sapesse tradurla.
Come
se la conoscesse.
L'altra
si sentì come nuda, esposta sotto lo sguardo improvvisamente
attento della bionda. Tanto che non si preparò nemmeno alla
risposta che avrebbe ottenuto di lì a pochi secondi.
“Perché
per una notte, una sola che sia...” disse Rebekah. “Saresti
capace di abbattere la solitudine.”
* *
* * * *
“Tu
sei fuori di testa, lo sai questo o no?”
Rebekah
sbuffò seccata; smise di dare ordini ai camerieri riguardo il
posizionamento dei tavoli per la festa di quella sera e si voltò
verso il fratello.
Klaus
la fissava immobile sulla soglia della grande sala, con le braccia
strette al petto e un'espressione seccata sul viso.
Non
riusciva a credere che quella pazza di sua sorella avesse invitato
April. Non era una ragazza socievole e simpatica e quindi era
altamente improbabile che fosse diventata amica di quell'umana
all'improvviso. Come era improbabile che lo stesse facendo per ciò
che lui le aveva rivelato.
Probabilmente
lo stava facendo perché April era piuttosto conosciuta in
città,e una figura così ambita avrebbe reso la sua
festa ancora più importante.
Oppure,
più probabile ancora, Bekah stava solo cercando di irritarlo,
poiché quella era una delle migliori forme di divertimento che
lei possedeva. Quel sorriso beffardo che gli riservava da un intero
pomeriggio ne era la prova.
“Mi
serviva una cantante per la festa e lei è abbastanza brava da
poter allietare questa notte con la sua voce.” rispose,
avvicinandosi elegantemente a lui.
Il
rumore dei tacchi che battevano sul pavimento colmò il
silenzio calato su loro, mentre diversi uomini al servizio di Rebekah
e dei suoi capricci si muovevano rapidamente su e giù per la
sala.
“E
sono sicura che ti fa piacere che lei stasera ci sia.”
“Non
me ne importa nulla se lei viene o meno alla tua stupida festa.”
replicò Klaus con troppa freddezza per non lasciarsi scoprire;
la voce leggermente più alta del normale e la mandibola
contratta. “Non sei tu che comandi, Rebekah, e nessuno ti ha
detto che potevi invitarla.”
Rebekah
smise di sorridere, visibilmente turbata dal tono autoritario che il
fratello stava assumendo. Non era una novità che lui volesse
tiranneggiare su coloro che lo circondavano, ma in quel caso la
ragazza non poté tollerarlo.
“Da
che mondo è mondo...” disse avvicinandosi lentamente a
lui. “La festa è mia e io invito chi diavolo mi pare.”
Klaus
non replicò di fronte a quella sentenza; fissò
infastidito l'espressione della sorella e strinse i pugni accanto
alle proprie gambe.
Rebekah
non si curò in alcuna maniera del suo disappunto.
“E
piantala con questa recita. Ti stai rendendo pressappoco ridicolo.”
Lo
superò rapidamente, sapendo che lui non sarebbe stato in grado
di replicare a quelle parole, e Klaus restò solo in mezzo alla
sala, mentre i facchini di Rebekah continuavano a passargli
rapidamente accanto, tutti presi dai loro compiti.
Quando
ripensò ad April, al bacio che si erano dati, si chiese
cosa sarebbe potuto succedere quella sera.
Sarebbe
stato in grado di reprimere quella cosa che li legava?
Sperò
di riuscirci, come aveva sempre fatto.
* *
* * *
April
dovette ammettere che Rebekah sapeva fare le cose in grande stile.
Alla
festa non avevano preso parte molte persone, forse perché la
bionda doveva essere stata molto selettiva con gli ospiti, ma il
salone era così ben arredato da fare invidia ai lussi e i
fasti delle sale reali d'Europa.
Si
sentì un'ospite indesiderato; il vestito che Rebekah le aveva
regalato era di un color oro, stretto in vita da una fascia di un
dorato più scuro. La ragazza aveva deciso di abbinarvi un
trucco semplice e di portare i capelli sciolti lungo le spalle,
giusto per non sembrare pacchiana come l'aveva dipinta Rebekah
quella mattina.
Si
guardò attorno; non vi erano molte figure femminili nella sala
e tutte loro erano accompagnate dai loro uomini. Si pentì per
un solo istante di non essersi fatta accompagnare da Christopher;
nonostante non avesse molta voglia di vederlo, il ruolo del manichino
poteva svolgerlo bene.
Si
fermò sull'ultimo gradino della lunga scalinata che le aveva
permesso di fare il suo ingresso nella sala, e si guardò
attorno alla ricerca di una qualcuno che conoscesse. Ma ogni volto
che incrociava lo collegò ad un'unica conoscenza di vista. In
realtà, le uniche persone con cui aveva parlato veramente
erano Rebekah e Klaus, ma non le sembrò di vedere nessuno dei
due.
“Buonasera.”
Una
voce conosciuta penetrò tra i suoi pensieri. April si voltò
giusto in tempo per vedere Stefan Salvatore sorriderle gentilmente,
con in mano due bicchieri pieni di spumante. Eppure, dietro quella
gentilezza, April parve scorgere il taglio di una maschera che doveva
nascondere qualcosa di davvero inquietante.
“Buonasera.”
replicò, nascondendo il suo turbamento e accettando il
bicchiere offertogli dal ragazzo. Scese l'ultimo scalino e si
avvicinò al ragazzo, continuando a guardarsi attorno alla
ricerca di Rebekah o Klaus.
“Non
sapevo sareste venuta anche voi. Dopo la morte di Violet...”
April
abbassò lo sguardo. “Beh, lo spettacolo deve in qualche
modo andare avanti, no?” rispose, trapelando involontariamente
tutta l'amarezza che portava dentro al ricordo della sua amica.
Trovò
indelicato il fatto che Stefan gli rammentasse quel dolore quando lei
stava facendo di tutto per superarlo. Ma preferì tacere e non
dire nulla; a differenza di Rebekah, lei sapeva trattenersi con
frecciatine e rispostacce quando aveva a che fare con uno
sconosciuto.
“Eccola,
la nostra leonessa.” Rebekah si fece riconoscere subito, non
solo per il modo elegante e accattivante in cui era vestita- spiccava
per essere l'unica figura vestita in rosso in tutta la sala-ma anche
perché era apparsa al fianco di Stefan senza che lei se ne
rendesse conto. Lo prese sottobraccio e gli concesse un sorriso dolce
e gentile che raramente la ragazza dispensava ad altri.
“Sei
venuta alla fine.”
April
alzò le spalle. “Ci ho pensato molto prima di venire.”
rispose, sforzandosi di mantenere il tono freddo e neutro che Rebekah
stava usando con lei. “E ho trovato sciocco rinunciare al tuo
invito.”
Rebekah
annuì, come colpita dalle sue parole. “E hai fatto bene.
Se mi avessi dato buca, ti avrei fatto così tanta cattiva
pubblicità per tutta Chicago, da impedirti di cantare anche
nella più povera bettola.”
Stefan
sorrise, divertito dall'irriverenza della sua donna.
April
non si lasciò scalfire da quelle parole. “È la
tua parola contro la mia, Rebekah. Non è per offenderti, ma
sono molto più conosciuta di quanto lo sia tu. ” la
provocò a sua volta, beandosi dell'espressione un pochetto
irritata che si dipinse sul bellissimo volto di Rebekah. Persino la
risatina sotto i baffi di Stefan la fece sentire soddisfatta di
quelle parole.
“Sei
poco presuntuosa, tu.” la prese in giro la ragazza.
“Sono
realista.” April preferì cambiare discorso. “E
poi...o la tua festa oppure il divano di casa mia. E visti i pazzi
assassini che vagano per la città, ho preferito non
rischiare.”
Forse
non era il caso di fare una battuta sull'assassino che tutti gli
abitanti di Chicago temevano e che era anche la causa della morte di
Violet, e quasi si morse la lingua nell'averlo fatto. Notò,
però, che dopo quelle parole Stefan aveva assunto un
sorrisetto sulle labbra a dir poco diabolico. Pensò di aver
preso un abbaglio e che la sua fosse solo una stupida paranoia.
Intanto,
in sottofondo, partì una musichetta lenta che sembrava
invitare le coppie a riunirsi nel centro della sala e ballare a suon
di essa.
Rebekah
parve voler accettare quell'invito, tanto che strinse più
forte il braccio di Stefan. “Beh, spero che tu ti diverta.”
le disse, per tagliare corto. “Cercati un partner di ballo. Di
uomini appetibili qui è pieno!” Aggiunse quella parole
quando ormai stava per allontanarsi verso il centro della sala
insieme al suo compagno.
April
non ebbe nemmeno il tempo di rispondere che, guardando quella coppie
muoversi nel mezzo della sala, provò di nuovo quel senso di
inadeguatezza.
Forse,
pensò, rimanere sul divano di casa era l'ipotesi
migliore.
Vedendo
che tutti avevano un partner con cui danzare, e lei era sola
praticamente in mezzo alla sala, decise di andare verso il tavolo dei
buffet quasi immacolato, cercando qualcosa di abbastanza appetibile
da distoglierla da quel senso di carenza.
Il
tempo di posare la mano sulla tovaglia color oro che elegantemente
ricopriva la tavola che qualcosa mutò.
Un
altro capogiro.
Trovò
sostegno su quella superficie; prese lunghi e sonori respiri per poi
chiudere gli occhi. Cercò di rimanere dritta sulla schiena,
per far sì che nessuno si accorgesse del suo improvviso
malessere e magari accorresse in suo aiuto, mettendola in ridicolo
davanti a tutti.
Ma
nessuno parve notarla, il che era un bene. Erano tutti troppo
impegnati a ballare e parlottare tra di loro per accorgersi delle
goccioline di sudore che le impregnavano la fronte o del ritmo
alterato del suo respiro, quasi accompagnato da un sibilo.
“Tutto
bene?”
“Sì,
sto bene,”
April
si girò lentamente verso Klaus; non rimase né sorpresa
e nemmeno incredula nel ritrovarselo di fronte perché le era
bastata la sua voce e il suo inconfondibile profumo per riconoscerlo.
Quella sera era stranamente vestito in un completo bianco, cosa
insolita per lei che lo aveva visto sempre in abiti scuri. Lo trovò
davvero affascinante, in quella veste.
La
sua espressione era, però, sempre fredda e quasi infastidita
dalla sua presenza. O, forse, era semplicemente irato perché
April aveva mentito alla sua domanda con prontezza.
Lei
sorrise per affievolire la tensione. “Accidenti, in bianco
sembri proprio un angioletto. Sei carino.” gli disse ironica;
il dolore sembrava si fosse nascosto dietro un angolo pronto a
tornare allo scoperto non appena lei avesse abbassato la guardia.
Ma,
almeno fino a quel momento, parve riuscire a celarlo alla perfezione.
O
almeno così credeva; Klaus la osservava con attenzione, quasi
riuscisse a smascherare la pena che il solo respiro le stava
arrecando.
“Concordo.
Lucifero era un angelo prima di cadere dal Paradiso.” aggiunse
lui, prendendo uno stuzzichino di carne da un enorme piatto in vetro,
posto nel mezzo del lungo tavolo.
April
abbozzò un sorriso, quando notò che, sotto sotto, Klaus
sembrava imbarazzato dalla sua frase di poco prima. “Ti credi
così cattivo?”
Il
ragazzo le lanciò un'occhiata rapida che April non fu in grado
di ricambiare. Ma la intimorì.
Bevve
un lungo sorso di spumante e guardò le varie coppie che
stavano ballando in mezzo alla sala: Rebekah e Stefan sembravano
essere quelli che spiccavano maggiormente poiché
assomigliavano a due stelle appena scese dal cielo. Erano bellissimi
insieme, e sembravano trovare l'una nell'altra quella luce che li
rendeva umani nel loro aspetto. Solo quando erano insieme;
presi singolarmente sembravano irreali, diversi da tutto il
mondo.
“Tu
invece? Questo vestito mi ricorda molto quello che comprai a mia
sorella tempo fa...” disse Klaus, facendo sì che lei si
distraesse dal ballo.
April
lo guardò nuovamente, sentendosi avvampare mentre il ragazzo
lasciava scorrere lo sguardo lungo il vestito che aveva indosso.
Avrebbe dovuto immaginarsi che potesse esserci qualcosa di ancora più
imbarazzante dietro quel regalo; per poco si portò la mano
al volto per nascondersi.
“Senti,
tua sorella lo ha fatto spacciare per nuovo e non avevo idea che
glielo avessi regalato tu!” esclamò imbarazzata. “Dio,
vorrei ammazzarla.”
Klaus
abbozzò un sorriso, quando vide la ragazza agitarsi come una
bambina che aveva appena scoperto la burla della sua amichetta. “Non
preoccuparti, non uccido per così poco.” disse, a suon
di battuta.
I
due rimasero poi in silenzio, continuando a guardare la folla ballare
di fronte a loro. Eccetto alcuni uomini che parlavano isolati agli
angoli della sala, loro due sembravano gli unici a non essere
coinvolti nelle danze.
“Ti
va di ballare?” Klaus le tese elegantemente la mano, e April si
ritrovò così a far scorrere il proprio sguardo lungo le
dita affusolate di lui, per risalire poi al suo volto. Il ragazzo
stava sorridendole, in una maniera che lei non riusciva proprio ad
evitare di ammirare. Provò di nuovo quella strana sensazione,
quella di un tumulto improvviso e incontrollabile dentro il proprio
petto e rammentò poi il bacio che gli aveva dato pochi giorni
prima.
Era
in procinto di accettare, bramando il momento in cui i loro corpi si
sarebbero mossi al suono di quella soave musica.
Dolore.
Quello
non era causato dalle emozioni che Klaus era capace di suscitarle,
bensì da quell'ombra oscura che, nascosta dietro un angolo del
suo corpo, attendeva che lei abbassasse la guardia e fosse così
più vulnerabile. Era riuscito a fregarla attraverso la
presenza di quel ragazzo.
“Non...non
posso, mi dispiace.” si scusò, evitando di incrociare
lo sguardo del ragazzo e scuotendo violentemente la testa. “Ho
bisogno d'aria.”
Dopo
aver abbandonando il proprio bicchiere sulla superficie alle sue
spalle, April praticamente fuggì nella direzione che l'avrebbe
portata alla balconata della casa, dove avrebbe potuto riprendersi un
po' di ossigeno.
Klaus
intanto abbassò la mano che aveva teso nella sua direzione.
La
seguì con lo sguardo per tutto il tempo in cui lei rimase
nella sua visuale e non gli fu difficile capire cosa gli era appena
successo.
* *
* * *
La
trovò circa una mezz'ora dopo da sola, con i gomiti posati
sulla pietra della balconata, intenta a guardare il cielo privato
delle sue stelle più belle.
Erano
giorni che quello era completamente nero, sempre annuvolato e privo
di luci, e mai come in quel periodo Klaus si era accorto di quanto il
sole e la luna in realtà gli mancassero.
Guardò
April, con la schiena ricurva e il volto alzato verso il cielo,
mentre con una mano tamburellava sulla superficie. Il vampiro si
chiese quali fossero i suoi pensieri in quel momento.
Probabilmente,
nella testa, aveva solo dolore. L'espressione di poco prima ne era la
prova.
“Hai
preferito restartene qui da sola piuttosto che ballare con me? La
trovo un'offesa bella e buona, sai?”
Quelle
furono le parole migliori che riuscì a trovare per poter
attirare la sua attenzione su di sé. La ragazza volse
lentamente lo sguardo verso lui, tenendo le labbra serrate tra loro e
portandosi il proprio bicchiere alle labbra. Non doveva essere il
primo di quella sera, e dallo sguardo di April era chiaro che non
sarebbe stato nemmeno l'ultimo.
“I
nostri vestiti sono troppo abbinati. Saremmo apparsi per marito e
moglie.” rispose la ragazza, portandosi il calice alle labbra.
Klaus
trovò particolarmente azzeccata quella risposta. Affondò
le mani dentro le tasche dei pantaloni e alzò lo sguardo verso
il cielo scuro. Era certo che di lì a poco sarebbe giunto un
temporale.
Intanto
April prese a osservare attentamente il bellissimo volto del ragazzo.
In quel frangente, mentre la sua attenzione era rivolta al cielo,
egli sembrava possedere un'avvenenza più umana. Ben lontana da
quella che lei, solitamente, vedeva in lui ogni volta che si
soffermava ad ammirarlo.
“Ho
una domanda che mi ronza in testa dall'altro giorno.” Klaus
abbassò gli occhi su di lei, ignorando la maniera in cui lo
stava fissando. La ragazza tremò al pensiero che quella
domanda doveva originare del giorno del bacio. “Davvero non
credi nell'amore, April Ford?”
“Oddio,
un argomento peggiore non potevi trovarlo, mio caro.” replicò
April, scuotendo la testa fermamente. Ebbe bisogno di bere un altro
sorso.
Klaus
accennò un sorriso; le si fece poi più vicino e in quel
momento una nuvola si spostò nel cielo, mostrando un luminoso
frammento della luna piena che aveva da sempre brillato sotto quel
manto di oscurità.
“Il
discorso dell'altra sera mi ha lasciato un po' perplesso....se i miei
sensi non mi ingannano, tu sei fidanzata.”
Parlando,
il vampiro si rese conto di aver espresso quel concetto con una mal
nascosta punta di invidia. Si schiarì la voce, sperando così
di cancellare via quell'errore, ma April sembrò non
accorgersene. Si misero nelle stesse posizioni, con la schiena posata
sulla superficie della balconata, e il bicchiere stretto in una mano,
pronto a lenire le loro pene non appena lo avessero innalzato alle
labbra.
“Se
non ricordo male, tu eri del mio stesso parere.” gli ricordò
April, senza soffermarsi sul riferimento a Christopher.
“Ma
io, appunto, non sono fidanzato.” disse lui.
“Mi
stai giudicando per caso?” domandò April, fingendosi
offesa ma non essendolo per nulla. Era sempre stata pronta ad
accettare i pregiudizi dettati dalla propria apparenza.
Si
portò il calice alle labbra e trangugiò un lungo sorso.
Klaus
la guardò senza capire; non era la prima volta che gli
capitava di non comprendere le stupide decisioni di un essere umano,
ma April sembrava più contorta di quanto sembrasse.
“Allora
perché stai con lui se non lo ami?”
Sì,
perché stai con lui, April?
Klaus
rifiutava di credere che fosse solamente per la brama di potere e di
denaro. Doveva esserci dell'altro
sotto, una paura che tormentava la ragazza nel più profondo
del suo cuore, e che l'aveva spinta ad adeguarsi a quella decisione
presa.
April
s'incupì; i suoi occhi scuri si posarono in un punto
indefinito di fronte a loro e il bicchiere si fermò prima che
potesse raggiungere le labbra. Si prese il suo tempo per rispondere,
quasi si fosse accorta che, nella domanda di Klaus, ella avesse
trovato la forza di risolvere tutti i suoi dilemmi.
“Perché
volevo la ricchezza, la fama e lui poteva garantirmele.”
rispose. “Ma ora...è altro ciò che voglio. Non so
spiegartelo.”
“E
che cosa vuoi ora?”
Gli
occhi scuri della ragazza si fecero stranamente lucidi; sembrava
spaventata dal futuro, dal modo in cui esso stava mutando e andando
contro i suoi piani. Quella era la paura più comune negli
umani, insieme a quella della morte, ed entrambe queste paure lui non
era in grado di capirle. Come non capiva nemmeno cosa stesse
succedendo in quella ragazza, tanto da non volere più ciò
che aveva desiderato per quasi un'intera vita.
“Non
lo so.” rispose April, e tornò a guardarlo. Il ragazzo
si sentì battere qualcosa sotto pelle, all'altezza del petto,
mentre quegli occhi lo fissavano a quella maniera. Il viso di April
aveva assunto l'aspetto di quello di una bambina desiderava vivere i
suoi sogni migliori quando era piccola e credeva ancora che il mondo
potesse realizzarli.
Ma
cosa aveva causato quella reazione in lei?
Klaus
sbatté più volte le palpebre, per imporre a sé
stesso di smettere di guardarla.
“Torniamo
alla domanda di prima, cosa ti ha fatto smettere di credere
nell'amore?” le domandò, bevve un lungo sorso e alzò
gli occhi verso il cielo. “Credo che la tua ossessione per la
ricchezza sia correlata alla risposta a questa domanda.”
April
prese fiato, poi lo perse.
Chiuse
le palpebre, come se quella domanda stesse risucchiandole la vita
dall'interno.
Klaus
la osservò, e venne quasi tentato dal ritirare la domanda. Ma
il suo egoismo e la sua curiosità vollero avere la meglio. E
comunque, appena quel pensiero balenò nella sua mente, April
parlò.
“Mio
padre sparò a mia madre quando ero bambina.” disse, la
voce leggermente tremante.
Klaus
trattenne il fiato.
Mai
si sarebbe aspettato un dramma simile nella vita della ragazza. Aveva
pensato che tutto derivasse da un'amore non corrisposto, oppure una
delusione mai superata.
Lei
si lasciò sfuggire una lacrima, e lui venne quasi preso dalla
tentazione d asciugarla.
Ma
restò immobile.
Mi
dispiace, pensò.
Sì,
era ciò che si doveva dire in situazioni del genere, eppure
lui non riuscì a pronunciare quelle due semplici parole.
Implicava troppo coinvolgimento, troppo cuori, troppi sentimenti...e
lui non li possedeva più.
Eppure,
riusciva a trovarsi dispiaciuto per lei.
“I
miei erano molto poveri e vivevamo in una baracca con il minimo
indispensabile. Eravamo però felici. Eravamo una famiglia. Mia
madre mi portava sempre a giocare in un campo che in primavera
fioriva come un giardino dell'Eden. E giocava con me, raccontandomi
delle storie e intrattenendomi con quei sogni che l'avevano allietata
nella sua adolescenza, perché li considerava ancora vivi e
realizzabili.
Ma
la povertà ha distrutto l'animo debole di mio padre che ha
iniziato a bere e ubriacarsi. Non ci ha mai picchiate ma ha iniziato
a estraniarsi da noi, a non essere più il marito e il padre
che abbiamo amato. E quando oramai eravamo così poveri da
rischiare di morire di fame-ricordo ancora che mia madre rinunciava
ai suoi avanzi di cibo per me-lui perse la testa: si procurò
una pistola e sparò in testa a mia madre. Io assistetti alla
scena perché ero con loro. Ricordo ancora il modo in cui mio
padre si voltò verso di me, muovendo la pistola come se
volesse puntarmela contro, mentre il sangue di mia madre continuava a
macchiare il terreno e i fiori del nostro piccolo giardino dei sogni.
Ero paralizzata, ero certa che papà avrebbe sparato anche me.
E invece, piangendo, si portò la pistola alla tempia e si
uccise.”
April
aveva osservato il cielo per tutto il racconto, senza schiodare lo
sguardo dalle stelle oscure che brillavano nel firmamento. Aveva
mantenuto fermo il tono della voce, malgrado il dolore di quel
ricordo le scuotesse le membra esili.
Klaus
provò una sorta di profondo dolore di fronte a quel racconto.
Era la prima volta che il dramma di un'umana lo faceva rabbrividire a
quella maniera.
“Non
credi più nell'amore perché hai visto morire quello dei
tuoi.” constatò.
Aveva
visto l'amore dei suoi stessi genitori morire, per mano di un mondo
che non aveva avuto pietà di loro. La povertà aveva
spinto il padre ad arrendersi, a perdere la testa e uccidere la donna
a cui aveva giurato amore eterno. E Dio solo sapeva cosa aveva spinto
a placare la propria disperazione per non uccidere anche la piccola
April: forse, rendendosi conto del gesto appena compiuto, aveva
preferito volgere quel proiettile verso di sé.
Dio,
quanto male gli umani erano
capaci di fare agli altri e a se stessi. Loro, i vampiri, erano in
fin dei conti giustificati, visto che non possedevano più il
motore propulsore dell'umanità.
“Io
ho visto uccidere l'amore
da questo mondo.” lo corresse April, spostando lo sguardo sulla
punta delle proprie scarpe. “E ho capito che l'amore vero non
può esistere se il mondo non te lo permette. Ecco spiegata la
mia ossessione per il denaro.”
I
due si lanciarono una lunga occhiata; Klaus si trovò
sbigottito di fronte alla sofferenza silenziosamente esplosa nelle
iridi scure di April.
“Tu
invece perché non ci credi?” domandò poi lei.
Il
vampiro si distolse dai propri pensieri, quando sentì la
ragazza rivolgergli quella domanda. La guardò; lei era
riuscita a mascherare ancora di più il proprio dolore
indossando un sorriso poco credibile ma che riaccese qualcosa in lui.
Allontanò lo sguardo da lei e s'inumidì le labbra.
“Non
ho voglia di parlarne.”
“Andiamo!
Io l'ho appena fatto e provo la stessa antipatia che tu nutri per
me.”
Klaus
abbozzò un brevissimo sorriso, per poi tornare a focalizzarsi
sul dolore che gli si era acceso nel petto. “C'è un solo
tipo di amore.” iniziò a dire. “Quello che non
muore mai...ma la persona a cui era rivolto se n'è andata
molto tempo fa.” disse, con una nota di rammarico.
Capelli
ricci e castani. Occhi scuri.
Carnagione olivastra. Un
sorriso dolcissimo.
Ricordi
dolorosi la riportarono in vita per un attimo, per poi strappargliela
di nuovo via al ricordo.
“Mi
dispiace.” April riuscì a dire senza problemi la frase
che aveva spaventato Klaus poco prima. Gli posò una mano sulla
spalla e gli regalò un sorriso; lui venne quasi tentato dal
ritrarsi.
Quell'umana
non aveva alcun diritto di parlargli come se facesse pietà,
perché non era così.
Non
doveva.
Non
poteva.
Ma
non riuscì a scacciare la mano della ragazza dalla sua spalla.
Rimase però e comunque in silenzio.
“Sai,
ho conosciuto diverse persone che hanno perso...la persona che
amavano, ma questo non vuol dire che tu non sia più capace di
innamorarti di nuovo.” disse lei, parlando con tono accorato.
“Non
mi sembra ti abbia chiesto qualche consiglio...” la mise a
tacere Klaus, scoccandole un'occhiata gelida che la fece
rabbrividire. “E poi tu sei proprio l'ultima persona che possa
darmene uno.”
April
sbatté le palpebre, incapace di abituarsi a quei continui
cambi di espressione da parte del ragazzo. Lo guardò
allontanarsi- poiché Klaus non si sentì più
capace di sopportare la vista della ragazza- ma lei lo richiamò
a gran voce.
La
ragazza lasciò il proprio bicchiere sulla balconata e si era
messa ritta sulla schiena, rigida e immobile.
Il
vampiro si fermò, volse lo sguardo nella sua direzione e notò
che lei stava combattendo con qualcosa che stava spingendola a
respirare velocemente, senza poter nascondere i movimenti sotto il
suo petto.
Klaus
pensò che si sentisse male, ma il male che lei stava
affrontando non era fisico.
Era
altro.
“April?”
“È
ora di affrontare tutto questo, Niklaus.”
April
corse verso di lui, lo raggiunse prima che potesse accorgersene, e
posò le labbra sulle sue in un bacio improvviso. Il tutto ebbe
la stessa velocità di un singolo sbattere d'ali di farfalla e
Klaus si ritrovò a non saper se voler rispondere a quel bacio
o meno.
Si
ripeteva che doveva respingerla, che non doveva lasciarsi andare a
quel momento, ma la sua mente sembrò lontanissima affinché
potesse comandare il suo corpo.
April
si ritrasse, nel momento stesso in cui lui stava per chiudere le
palpebre e lasciarla vincere.
“Oddio,
scusa.” si scusò April, portandosi le mani alle labbra
quando si rese conto di essere stata troppo impulsiva e di aver
provato ad avvicinare una fiamma a ghiaccio vivo. Scosse la testa
incredula, mentre lui la guardava ma senza ascoltarla. “L'ho
fatto di nuovo. Dio, sembro una ninfomane. Mi sono lasciata prendere
dal desiderio, tu sei così affascinante e io così
brilla e..quello di cui abbiamo parlato prima mi fa male e...”
Klaus
pose fine al suo farfugliare nella maniera che meglio gli riuscì.
Ma
quando lo fece, pensò quasi che ucciderla sarebbe stata la
soluzione più facile.
Le
sue labbra raggiunsero quelle di April e fu tutto diverso.
Lei
si era limitata a cercare solo un contatto, lui voleva invece
prendere tutto di lei con quel bacio.
Dopo
un'iniziale attimo di turbamento, la ragazza si abbandonò
rapidamente a quel contatto. Le loro lingue si cercarono e si
intrecciarono rapidamente, in una sensuale e sinuosa danza di
desiderio, di passione, di abbandono l'uno all'altra.
Il
ragazzo portò una mano tra i capelli corvini di lei, per
tenerla più stretta a sé e April posò le mani
sulle sue spalle per di permettersi un contatto prolungato in quel
bacio.
Non
se ne accorsero nemmeno, ma, in qualche modo, si ritrovarono nella
camera da letto di lui.
Ogni
pensiero sembrava svanito dalle loro menti; erano rimasti solo i loro
corpi che avevano il bisogno strettamente necessario di scoprirsi e
di unirsi.
La
miglior cura ai loro dolori erano solo loro.
Si
avvicinarono ai piedi del letto- April arretrando e Klaus facendosi
in avanti verso lei. Il ragazzo volle riprendersi le sue labbra,
mentre lei glielo stava involontariamente impedendo, troppo impegnata
a cercare di slacciargli la camicia bianca. Alla fine, con un gesto
affrettato e rude, April riuscì ad aprirla sul petto nudo e
marmoreo di lui, provocando la dipartita di diversi bottoni. Fece
scorrere le mani lentamente lungo la pelle diafana di Klaus,
sentendole fremere al desiderio di sentirla bruciare a contatto con
la propria.
Klaus
sorrise, avvertendo la propria brama crescere insieme a quella di
lei.
Ripresero
a baciarsi, con più foga e passione rispetto a poco prima.
Si
ritrovarono poi distesi sul letto; April continuava a cercare di
togliergli di dosso gli ultimi indumenti rimasti. Rimase distesa
sotto di lui, facendo scorrere le dita verso i pantaloni dl ragazzo.
Le
labbra di lui scesero a torturarle il collo prima con baci bollenti,
poi con piccoli morsetti che non le fecero alcun male.
La
ragazza si morse le labbra, trattenendo a stento un gemito di piacere
e gettò la testa all'indietro quando la bocca di lui scese
sempre più verso i suoi seni. Non aveva mai fatto caso a
quanto le sue mani fossero grandi, non fino a quando le aveva sentite
scorrere lungo il suo corpo. Le sue dita affusolate le circuirono il
polpaccio, per poi risalire verso la coscia e stringerla con
desiderio.
Klaus
le aveva alzato leggermente la gonna, per rendere quel contatto più
intenso e bollente.
April,
intanto, imprecò tra sé e sé, quando si rese
conto di essere così poco lucida a causa di quei baci da non
riuscire a slacciare i pantaloni di Klaus.
Quest'ultimo
la allontanò, tirandosi in ginocchio sul materasso e
slacciandosi i pantaloni autunomamente. Se li tolse poi con crudele
lentezza, sapendo che April non attendeva altro che un altro bacio da
parte sua per poter riprendere a respirare.
Ella
quasi sussultò, quando lo vide tornare a stendersi su di lei
per riprendere quel gioco di baci e sospiri a cui si erano dedicati
da diversi minuti. La ragazza accolse le labbra di lui sulle proprie,
in un contatto intenso e disarmante.
Era
rimasto solo il suo vestito a rovinare tutto, ma April non riusciva a
compiere alcun movimento per separarsi dalle braccia di Klaus e
rimediare a quella situazione. Allora prese lui in mano la
situazione: le strappò le bretelle dell'abito e, senza curarsi
di quel prezioso tessuto, lo sfilò con poca grazia dal corpo
di April.
Lei
rise, portandosi una mano al viso, bollente di imbarazzo e desiderio.
“Che spreco di denaro!” esclamò.
Klaus
non rispose; tutto quello che aveva da dire lo trasmise attraverso un
ennesimo e lungo bacio con cui la privò dell'anima. Quel
contatto poi, con una sorprendente lentezza, si trasformò in
qualcosa di più dolce e meno spinto. Il loro divenne solo uno
scontrarsi di labbra, di respiri che si spegnevano, di speranze
desiderose di vivere per almeno quella notte.
Klaus
cercò la mano di lei che gli stringeva i capelli e la strinse
alla sua, rendendo quel contatto ancora più intimo e vicino.
April,
a un certo punto, allontanò le labbra da quelle di Klaus, come
scottata da quel bacio. Colto di sorpresa, il vampiro la guardò
sbalordito e confuso, tentato dal riprendersi quanto in quel momento
desiderava,
Sapevano
entrambi che, di lì a poco, il loro corpi si sarebbero uniti
in una cosa sola.
Eppure
lei stava bloccando quel momento.
Perché,
se fino a poco prima lo aveva
cercato insieme a lui?
“Che
ti prende?” le domandò Klaus, con voce soffusa.
Le
sue parole soffiarono tra i capelli corvini della ragazza, sparsi sul
lenzuolo bianco e che le circondavano il viso come fosse un angelo.
Lei guardava un punto sul soffitto, con aria sofferente.
“Io...”
Si bloccò per un istante, avvertendo un fastidioso groppo che
le impediva di parlare. “Non mi era mai capitata una cosa
simile.”
Klaus
non comprese. “Che vuoi dire?”
Vide
le labbra di April serrarsi tra loro, quasi la ragazza avesse
vergogna nel lasciar andare quelle parole.
“Non
mi sono sentita così da tanto tempo.”
“Come?”
“Me
stessa.”
Klaus
si ammutolì di fronte a quelle parole. Non seppe cosa dire, ma
nemmeno cosa pensare.
L'unica
consapevolezza che aveva era di sentirsi quasi grato per quelle
parole.
Felice.
Entusiasta.
Non
avrebbe dovuto permettere una cosa del genere; avrebbe dovuto
combattere fino alla fine, impedire che il momento che stavano
vivendo avesse luogo, ma arrendersi fu la vittoria migliore che
potesse mai concedersi.
Lei
lo stava guardando intensamente, aspettandosi una replica. Stava
magari aspettando che anche lui le confessasse di sentire a quella
maniera, di provare affinità per la sua solitudine, di sentire
la propria anima simile alla sua e di non avere più un cuore
congelato ma vivo e pronto a battere di nuovo.
Di
sentirsi se stesso.
Ma
non voleva ammettere quel sentimento che per lui sapeva tanto di
menzogna, era troppo.
E
lei...
Deglutì,
pensando che probabilmente avrebbe dovuto fermarsi prima di
concedersi quell'unica notte con April.
Non
voleva prenderla in giro, e non voleva farla soffrire.
Era
immorale persino per uno come lui.
Ma
lei abbatté nuovamente le sue barriere: lo baciò con
delicatezza sulle labbra e portò entrambe le mani sulla nuca
di lui. Klaus si lasciò andare a quel bacio poi, prima che la
ragione e il cuore tornassero a combattersi per riprendere possesso
di quel corpo, entrò dolcemente in lei.
La
ragazza gettò nuovamente la testa all'indietro, si lasciò
andare ad un gemito di piacere, mentre Klaus fissava la sua pelle
diafana con estremo desiderio. Il suo sguardo cadde su una vena
bluastra che si allungava sotto la pelle del collo della ragazza e il
desiderio del suo corpo si unì a quello del sangue. Represse
quel suo istinto, cercando di nascondere le vene scure che dovevano
essergli apparse ai lati degli occhi, chiuse le palpebre e prese a
muoversi dentro di lei.
Le
spinte furono all'inizio lente e delicate, Klaus posò le
labbra sul collo di lei, baciandolo con dolcezza, per sopprimere la
voce del proprio piacere. Sentiva quello di lei aumentare ad ogni
spinta; le mani della ragazza erano scese sulla sua schiena nuda,
dove aveva affondato le unghie per poter fare fronte alla passione.
Si baciarono, con minor foga ma con più intensità
rispetto a poco prima, e in quel momento le spinte si fecero più
decise. April ne venne colta di sorpresa, soffocò un gemito
sulla spalla di lui, mentre il ragazzo lottava con il continuo
desiderio di volerla mordere, di prendere tutto quello che poteva di
lei.
Corpo.
Anima. Sangue. Vita.
Poi
si rese conto che le bastava solo una cosa di lei ed era averla
vicina, almeno per quel momento. Continuò a muoversi in lei,
soffocando i suoi gemiti e rubandole di tanto in tanto un bacio.
Il
piacere poi divampò in una fiamma che li avvolse
completamente; i due raggiunsero all'unisono l'apice del piacere, le
loro labbra ancora unite in un bacio spezzato.
April
aprì gli occhi nel momento stesso in cui lo fece lui, entrambi
si guardarono e i loro respiri continuarono a combattersi, scontrarsi
e uccidersi.
Lentamente
il sonno si fece largo tra le loro menti. Klaus le si distese accanto
portandosi il braccio a coprirsi gli occhi e prendendo lunghi
respiri.
Una
voce, l'ultimo sospiro prima dell'arrivo di Morfeo, giunse
all'orecchio di uno dei due.
“Mi
sto innamorando di te.”
* *
* * * * * * * *
Klaus
si svegliò poche ore dopo, constatando che April non era più
nel suo letto.
Il
ragazzo si era ritrovato ad accarezzare il punto del materasso in cui
ancora giaceva la sagoma della ragazza e respirando ancora il profumo
di lei nell'aria. Non ebbe il tempo materiale di chiedersi perché
fosse successo e perché April non si trovasse con
lui ad affrontare quel momento, che già ebbe l'istinto di
scendere al piano di sotto per prendersi un drink con cui soffocare
tutte quelle domande.
La
festa doveva essere finita da un bel pezzo, e Rebekah e Stefan
dovevano essere sicuramente impegnati in uno dei loro passatempi
preferiti: il sangue, oppure il sesso.
Quindi
il vampiro non poté quantificare la sorpresa che provò
nel momento in cui vide Rebekah, con ancora indosso l'abito della
festa, camminare a passo rapido nella sua direzione, seguita da uno
Stefan stranamente annoiato.
Klaus
se ne restò seduto al lungo tavolo al centro della sala,
trangugiando del buon liquore alla faccia di tutti i cattivi
pensieri. “Quell'espressione sofferente non mi piace,
sorellina.”
“Va'
all'inferno Klaus e dimmi che sei stato tu.” Rebekah ignorò
la battutina del fratello e si fermò alla punta opposta del
lungo tavolo, battendo i palmi delle mani sulla superficie. Le rughe
di espressione sul viso della fanciulla lasciavano intravedere la
profonda preoccupazione da cui era logorata.
“A
fare cosa?”
“A
uccidere quella donna che hanno trovato poco fuori dalla nostra
abitazione.”
Klaus
si ammutolì e il suo sguardo slittò prontamente in
direzione di Stefan, il quale teneva le mani dentro le tasche dei
pantaloni in raso e schioccava la lingua, disinteressato.
“Chiedilo
a Stefan; solitamente è lui quello che combina casini.”
Klaus puntò il dito in direzione del compagno, senza mostrare
nessun tipo di timore. Ancora non comprendeva, infatti, quello della
sorella.
Stefan
alzò le mani in segno di resa, inarcò le sopracciglia e
arricciò le labbra sottili. “Rebekah mi è
testimone. Quella non l'ho uccisa io.” disse, come se gli
dispiacesse non essere l'artefice di quel misfatto.
Quello
che seguì fu un lungo silenzio che Stefan non poté
comprendere.
Guardò
i due fratelli lanciarsi un'occhiata complice e spaventata, mentre
Klaus abbassava il bicchiere lentamente sul tavolo. Aveva colto la
paura di sua sorella, l'aveva tradotta e aveva lasciato che
investisse anche lui.
“Non
ci sono altri vampiri oltre noi in città.” disse, in un
sussurro che sarebbe risultato impercettibile all'orecchio umano.
Rebekah
si morse il labbro, iniziando a tremare. “O forse ora non è
più così...” aggiunse, guardando fisso suo
fratello.
Klaus
deglutì nuovamente. Un'ombra di panico e terrore si impossessò
del suo animo, facendolo rabbrividire come un bambino di fronte al
peggiore dei suoi incubi.
Rebekah
aveva ragione, forse non era più così.
E
lui li aveva trovati.
Buonsalve
a tutti! :D
Questo
capitolo/polpettone è un po' più lunghetto del solito e
spero di non avervi annoiati. Per ricorreggerlo ci ho messo secoli,
vista l'eccessiva lunghezza e i numerosi orrori grammaticali che
c'erano xD Anzi, se ne dovreste incrociare altri vi prego di
avvertirmi, affinché possa riporvi rimedio. Purtroppo me ne
sfugge sempre qualcuno e intanto mi sento analfabeta! .-.
In
questo capitolo succedono tante cose a differenza del nulla che
capitava nel capitolo scorso.
C'è
stata una prima vera interazione tra Bekah e April.
Non
so se sia stata un po' inaspettata oppure sciocca, ma trovavo
d'obbligo far rapportare a questa maniera due prime donne come lo
sono loro. Inoltre ci tengo a precisare che farò dei
cambiamenti a livello del personaggio di Rebekah; capirete di che
parlo verso la fine della storia, dato che si tratta di un elemento
che la riguarda e che nella serie non è presente. Spiegherà
il perché lei si sia mostrata così gentile (??) con
April.
Il
resto si focalizza su April e su Klaus. Si comprende di più
sul passato della ragazza e il loro rapporto ha compiuto quel passo
in più che forse qualcuno aspettava (?!?!). Sinceramente, vi
dico una cosa: le scene hot non sono il mio forte. Mi vengono tutte o
banali, oppure volgari, noiose e ripetitive. Perciò non mi
stupirei se qualcuno avesse storto il naso nella lettura; purtroppo è
così, queste scene sono una pecca per me.
Per
quanto riguarda la scena finale, non anticipo nulla, anche perché
probabilmente è chiaro di chi sospettano i due fratelli
Mikaelson, no? Ma i loro dubbi saranno fondati?
Ora
voglio parlare di Katherine, che è stata introdotta nello
scorso capitolo. Vi ho già detto che ho deciso di inserirla
all'improvviso, malgrado la prima stesura della storia non
comprendesse la sua presenza, ma già so che ruolo rivestirà
e le scene in cui apparirà. In questo capitolo rappresentare
anche lei avrebbe significato creare ancora di più polpettone
bello e buono, quindi vi avviso che la rivedrete nel prossimo,
capirete come fa April a conoscerla e, sopratutto, perché la
vampira abbia deciso di avvicinarsi a lei.
Ora
passo come sempre ai ringraziamenti per coloro che leggono
silenziosamente e coloro che recensiscono. Grazie anche a tutti
coloro che hanno inserito questa storia tra le preferite/ricordate e
seguite!
Alla
prossima e vi auguro di passare una buona serata! ;)
Ciao
ciao bellissimi!
|
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Capitolo 8 *** And you could have it all, my empire of dirt ***
http://www.youtube.com/watch?v=wkWo2srE7nY
**La
canzone è una cover della bellissima “Hurt” dei
Nine Inch Nails, ma ho scelto la versione della Lewis perché
la trovavo più consona al capitolo.
-Capitolo
8: And you could have it all, my empire of dirt-
I
wear this crown of thorns Upon
my liar's chair Full
of broken thoughts I
cannot repair Beneath
the stains of time The
feelings disappear You
are someone else I
am still right here
(Hurt
by
Leona
Lewis*)
Il
mattino successivo a quella notte d'amore, April lasciò la
villa dei Mikaelson, come farebbe l'amante di un uomo sposato, pur di
non farsi cogliere in flagrante dalla moglie di lui.
Lo
fece furtivamente, senza farsi vedere da nessuno, ma non prima di
aver guardato per un'ultima volta il volto sereno e rilassato di
Niklaus, abbandonato tra le candide lenzuola in cui era stata
consumata la loro unione. Solo mentre dormiva sembrava che tutti gli
affanni, i dolori e i tormenti del ragazzo l'avessero abbandonato,
assopendosi insieme a tutti i suoi sensi.
Era
una cosa che non le impedì di sorridere.
Ma
allora perché se ne stava andando?
Era
una domanda che le sorse spontaneo chiedersi più e più
volte, mentre camminava lungo la strada che l'avrebbe portata a casa.
Sapeva solo che doveva farlo, che doveva abbandonare quel calore,
quella stanza, quella casa e dirigersi al suo appartamento.
Il
sole aveva iniziato a sorgere imponente sulle strade di Chicago,
quando April rincasò presso la sua umile abitazione. Non
gliene importò nulla di essere di nuovo sola tra quelle
quattro mura, e che, probabilmente, avrebbe passato il resto della
giornata a contare i minuti, le ore fino a quando avrebbe dovuto
raggiungere il locale di Gloria per esibirsi.
Era
felice.
Felice
come non lo era mai stata da qualche anno a quella parte.
Aveva
dimenticato cosa significasse abbracciare un sentimento e lasciarsi
pervadere da esso, mettendo da parte tutte le ambizioni
materialistiche e futili in cui aveva sperato di ritrovarlo. Era
bello inseguire un sogno apparentemente impossibile, e sentirlo a
pochi passi da sé.
Si
abbandonò con la schiena contro la porta e si lasciò
baciare da un sorriso sincero e spontaneo, che quasi mutò in
una risata di pura gioia.
“Finalmente
sei tornata.”
April
sussultò spaventata, quando udì quelle parole, le quali
sembrarono essere state pronunciate dal buio della sua casa. Alzò
gli occhi e scorse qualcuno seduto al tavolo dello stretto salotto.
La sua figura era tratteggiata dalla luce del sole nascente, visibile
dalla finestra alle sue spalle, tanto che April ci mise qualche
secondo per associare quella voce e quell'ombra a Christopher.
Il
puzzo del sigaro acceso si espandeva all'interno della stanza,
insieme a un altro, indecifrabile odore che April avvertiva
aleggiarle attorno.
“Che
ci fai qui?” April si avvicinò lentamente alla soglia
del salotto, guardando incredula e sbalordita l'immagine di
Christopher. Lui non aveva mai avuto le chiavi del suo appartamento e
non si era mai nemmeno permesso di
entrarci così, violandone la proprietà.
April
avvertì un brivido scorrerle lungo la colonna dorsale,
sentendo che quella discussione avrebbe preso una piega improvvisa,
qualora, in quel momento, lei gli avesse rivelato la sua intenzione
di lasciarlo.
Sì,
voleva lasciarlo e non era solo per Klaus.
Era
perché aveva dato di nuovo voce ai desideri della giovane e
sognante April che sognava molto di più che un
patrimonio milionario e numerosi gioielli. E lui avrebbe dovuto
capirlo senza problemi; in fondo, non vedeva quel grande amore
nemmeno da parte sua e avrebbe potuto trovare benissimo un'altra
donna con cui rimpiazzare il bel trofeo che aveva esibito fino ad
allora.
“Vorrei
farti la stessa domanda.”
Christopher
si alzò in piedi, con una lentezza disarmante tanto che April
ne ebbe quasi paura. Una volta che egli le fu vicino abbastanza
vicino da pervaderla con il suo odore, la ragazza fu capace di
identificare il secondo olezzo che, all'interno della stanza, si
mischiava con quello del tabacco.
Era
quello dell'alcool con cui egli doveva essersi consolato nell'attesa
che lei tornasse.
“Sei
ubriaco?” domandò, con un'espressione disgustata.
“Dove
sei stata?”
Le
alitò in viso, scandendo ogni singola parola che uscì
dalle sue labbra, e April ritrasse un poco la testa indietro, per non
lasciarsi investire da quel fastidioso tanfo. Il suo corpo era teso e
irrigidito come la corda di un violino, malgrado i suoi sensi
l'allertassero su quanto pericoloso potesse rivelarsi Christopher in
quelle circostanze.
“C'è
stata una festa organizzata da Rebekah Mikaelson.” April decise
di rispondere con sincerità, tralasciando però tutta la
faccenda con Klaus. Quell'argomento sarebbe stato più
opinabile da affrontare in un momento in cui Christopher fosse stato
sobrio. “E sono stata invitata. Rifiutare sarebbe stata cattiva
educazione.”
Christopher
sghignazzò. “Mikaelson...” Il ragazzo barcollò
all'indietro, e April non mosse un muscolo per prevenire una sua
possibile caduta. “Non è anche il cognome di quel tipo
dai capelli biondi con cui hai parlato alla mostra?”
April
trattenne un sussulto scoppiatole improvvisamente nel petto, e
abbassò gli occhi sul pavimento, per paura che potessero
facilmente trasmettere a Christopher il suo timore. Non aveva idea
che lui fosse a conoscenza di Klaus, sopratutto della sera della
mostra, e sperò che i suoi occhi non avessero anche scorso il
momento in cui le labbra di April si erano posate sulla guancia di
Klaus. Non perché se ne vergognasse, ma perché
mai come in quel momento April trovò Chris terribilmente
spaventoso.
“Sì,
lo è. Qual'è il problema?”
“Il
problema..il problema...” Christopher scoppiò a ridere
in una risata priva di senso che riecheggiò tra le pareti
spoglie dell'appartamento. Si portò la mano al volto e si
massaggiò la pelle in prossimità degli occhi. “Ci
vuoi andare a letto per caso?”
“Sei
ubriaco Christopher ed è meglio che torni a casa e riposi.”
L'uomo
scattò verso di lei, e April mosse un rapido passo
all'indietro, guardando con espressione spaventata il volto
allucinato dell'uomo da cui, un tempo, voleva un matrimonio regale
che le avrebbe assicurato una vita piena di agi e ricchezze. Come
poteva essere stata così cieca da non vedere quanta sporcizia
quell'uomo potesse nascondere nel suo animo?
“Mi
sono ubriacato pensando a te a letto con quell'uomo.” disse,
digrignando quelle parole tra i denti. “Dovevo sapere che non
sei nient'altro che una puttana del sud proprio come tua madre.”
“E
potrei essere anche meglio delle puttane con cui ti diletti tu?”
April non riuscì a trattenersi, malgrado la società
dell'epoca disponeva che la donna, in quelle situazioni, non doveva
altro che starsi zitta al suo posto, senza replicare. Perché
l'uomo aveva il diritto di dire qualsiasi cosa a cui le donne
dovevano sottomettersi. Non era più così che voleva
vivere, sottostando a regole di una società di cui non avrebbe
voluto far parte. Non avrebbe più tollerato umiliazioni
simili, sopratutto se includevano anche insulti a sua madre. Non le
importò nemmeno sapere come mai Chris fosse a conoscenza di
quella vicenda legata al suo doloroso passato, dato che non ne aveva
mai parlato con nessuno.
Quello
che accadde subito dopo, malgrado fosse prevedibile, la colse di
sorpresa.
La
mano di Christopher si alzò rapida, per poi colpirle la
guancia destra con un colpo deciso e violento. Lo schiaffo fu
talmente forte che costrinse April a voltare la testa. La pelle della
guancia le divenne calda e dolorante in un nano secondo, e lei prese
a massaggiarla con mano tremante. Era sul punto di piangere per il
dolore, o forse per la rabbia di non essere stata capace di
difendersi come avrebbe dovuto, ma si trattenne, mossa dal proprio
orgoglio personale.
“Fossi
in te..” Christopher l'afferrò rudemente per un braccio,
attirandola a sé.
April
si lasciò sfuggire un gemito, ma non abbandonò quella
forza che spingeva i suoi occhi a trattenere le lacrime. Lo sguardo
dell'uomo-vuoto e spento come la sua anima- era terribilmente vicino
al suo mentre fissava il suo viso con una rabbia repressa, che Chris
avrebbe tanto voluto esternare a un'altra maniera. “Ricorderai
che fine ha fatto tua madre per una storia simile a questa. Sappi che
io però utilizzerò il proiettile che tuo padre ha usato
per spararsi in testa per uccidere qualcun'altro.”
April
deglutì, e non riuscì a trattenere le lacrime. Il suo
volere di lasciare Christopher una volta per tutte e, magari, vivere
qualcosa con Klaus andò in fumo: non avrebbe mai potuto
permettere che succedesse qualcosa al ragazzo per mano di quel folle.
Non
se lo sarebbe mai perdonato.
Improvvisamente
le lacrime scesero rapide lungo il suo volto, ma non per la paura che
Christopher aveva piantato in lei, bensì perché un
inatteso dolore fisico giunse così intenso dal provocarle
l'abbassamento delle palpebre.
Iniziò
a tossire ripetutamente e con vigore, senza riuscire a fermarsi,
cadendo poi a terra una volta che Christopher, incurante del suo
malore, le lasciò il braccio. Egli la guardò come si
guarderebbe un verme morente nel terreno, senza alcun sentimento di
umanità o compassione.
Cosa
che April non desiderava affatto: l'unica cosa che chiese al cielo fu
di darle la forza di rialzarsi da quel pavimento e non lasciar
Christopher godere di quell'immagine. Ma il bruciore a livello del
petto era troppo forte; sembrò come se tutti gli organi del
suo corpo fossero stati stretti in una presa invisibile, che li
voleva strappare dal punto in cui si trovavano.
“Saluta
il tuo amichetto, April. Altrimenti lo andrò a salutare io da
parte tua.”
April
si tenne le mani davanti al viso, continuando a tossire
dolorosamente, in maniera quasi disperata.
Vide
i passi di Chris muoversi lentamente verso la soglia della porta, per
poi aprirla e uscirvi, sbattendosela dietro alle spalle con ira.
Rimase
dunque sola, con il volto rigato da lacrime di rabbia e dolore che
non riuscì ad arrestare.
Sentì
qualcosa di caldo e denso bagnarle il palmo della mano con cui si
copriva la bocca e, singhiozzando, se lo portò all'altezza
degli occhi.
Tremò
e prese lunghi e profondi respiri, deglutendo di tanto in tanto per
scacciare il saporaccio che aveva in gola. Fissò priva di
emozioni quel grumo di sangue rosso vivo che le bagnava la pelle
diafana e pianse con più forza.
* *
* * * * * * * * * * * *
C'era
un strano profumo di morte nell'aria, quella giornata.
Cibarsi
del sangue umano lo rendeva sempre particolarmente euforico:
offuscava tutti i cattivi pensieri che solitamente accompagnavano la
sua quotidianità e lo faceva sentire libero. E quella
mattina i cattivi pensieri erano fin troppi e Klaus, dunque, per
poterli lavare via, aveva più che bisogno di sentire quel
liquido caldo scorrergli piacevole lungo la gola, soffocando tutti i
suoi dispiaceri.
Senza
contare che il nettare della vita umana poteva anche scacciare, con
il suo odore metallico, il dolce profumo di April che aveva ancora
indosso.
Il
sangue gli scorse lentamente lungo la gola, mentre i canini
affondavano sempre di più nella pallida pelle della sua
giovane vittima. Un senso di appagamento gli pervase tutto il corpo,
e Klaus strinse maggiormente a sé il corpo della ragazza, in
qualcosa di molto simile ad un abbraccio.
Come
quelli che quella notte si era scambiato con April.
Al
solo pensiero di lei, Klaus morse con maggiore intensità,
spostando una mano sulla coscia nuda della sua vittima e stringendola
in un artiglio. Quella, in preda a un'estasi mortale, emise un
piccolo gemito di piacere.
Come
quelli che aveva emesso April quella notte, quando era stata sua.
Di
nuovo, la sola immagine di lei lo portò a sperimentare più
a fondo il piacere di nutrirsi, come se era certo di trovare una luce
alla fine di quel lungo tunnel buio. Baciò il collo della
ragazza, per prendere possesso delle goccioline di sangue sfuggite
alla sua bocca vorace, e la fanciulla mugugnò qualcosa che lo
stimolò a continuare. Le sue labbra si mossero lentamente
lungo la sua pelle, con pericolosa sensualità.
Proprio
come aveva fatto quella notte con April.
Scacciò
il suo pensiero, concedendosi un lungo sorriso prima di farlo, e
affondò di nuovo e più a fondo i denti nella carne
della giovane ballerina che era riuscito a rimediare per colazione.
Il gemito che ne seguì era ben lontano da sembrare un verso di
piacere: era troppo debole ;non era altro che il pallido riflesso di
un urlo di terrore, quello che si lancia prima che la morte
sopraggiunga.
“Riesci
ad essere persino più teatrale di me.”
Klaus
sorrise, nello stesso istante in cui la sua vittima esalò un
ultimo respiro, e alzò lo sguardo su Stefan Salvatore. Il
giovane vampiro era elegantemente seduto sulla poltrona alla destra
del divanetto in cui Klaus era beatamente adagiato insieme al
cadavere della ragazza.
“Nessuno
ti batte in teatralità, amico mio.” gli rispose,
lasciando il corpo privo di vita con un gesto rude, in un angolo del
divanetto. Si pulì le labbra con il dorso della mano,
appurando che erano completamente colorate di rosso, e non riuscì
a smettere di sorridere.
I
brutti pensieri, però, non attesero molto a sbucare fuori
dall'angolo in cui si erano rintanati fino ad allora. Klaus strinse i
pugni, quando un sentimento molto simile alla rabbia avvolse il suo
cuore spento.
Stefan
restò seduto al suo posto, con le gambe elegantemente
accavallate e un sorriso sornione sul volto; era uno di quei sorrisi
terrificanti che non lasciavano trapelare nulla di positivo. Su quel
livello Klaus si sentì quasi superato.
“Mi
vuoi dire...cosa ha spaventato così tanto te e tua sorella
ieri notte?.” gli chiese, tendendo la mano verso il tavolino in
legno in mezzo ai due divanetti. Si verso del bourbon in un bicchiere
di vetro, e ignorò l'occhiata glaciale che Klaus gli riservò.
“Se
avessi voluto parlartene, lo avrei già fatto.” rispose
secco il vampiro, allungando le braccia lungo lo schienale del
divanetto. Lui e Rebekah avevano cercato di racimolare più
informazioni possibili riguardo l'omicidio della notte prima. Si
erano rivolti persino a Gloria per appurare se si trattasse di lui,
ma la strega, assonnata e irritata, non aveva individuato
la presenza di quel bastardo da nessuna parte in città. Doveva
quindi trattarsi di un altro vampiro presente in città, e che
aveva smarrito il manuale di giuste precauzioni da prendere prima di
ammazzare una donna così platealmente.
A
mente lucida, Klaus si rese conto che avrebbe dovuto capire da subito
come stavano le cose. Mikael non avrebbe mai palesato la sua
presenza a quella maniera. Dava loro la caccia da troppo tempo, per
farsi scoprire poi a quella maniera.
“Va
bene. Vuoi parlarmi allora della piacevole nottata primaverile che
hai passato?” Stefan insistette, lanciando un'occhiata
eloquente in direzione del compagno e bevendo un lungo sorso.
L'Originario
rammentò come il profumo di April fosse rimasto intrappolato
all'interno della sua stanza, tra le lenzuola e sul suo corpo. Un
brivido gli corse lungo la schiena, quando realizzò che quei
ricordi provocavano in lui delle inequivocabili emozioni.
Anche di rabbia, visto che lei poi se n'era andata senza proferire
una parola.
“Trovo
alquanto inquietante il fatto che tu ascolti le mie attività
notturne.”
“Non
è colpa mia se siete stati rumorosi.” lo prese in giro
Stefan.
Klaus
rise nervosamente, per trattenere il suo desiderio di strappare la
lingua a quel giovane e arrogante vampiro. “Anche questo è
un argomento su cui è meglio tacere, Salvatore.”
Stefan
storse le labbra, fissando un punto nel vuoto e accavallando le
gambe. “Sì, ma io mi annoio.” disse. “E hai
ammazzato l'unica cosa che poteva sopperire al mio tedio.”
Klaus
guardò il cadavere accanto a sé, facendo spallucce.
“Non parlerò di questa notte. Io non mi impiccio mai
delle tue cose personali.”
“E
ci credo che non lo fai. Non lo avrei fatto nemmeno io se April fosse
stata mia sorella.” rispose Stefan, ammiccando nella sua
direzione, lasciandogli intuire ben altro dietro le sue parole.
Klaus
si umettò le labbra, quando pensò davvero di volergli
strappare il fegato solo per avergli fatto intuire delle sue nottate
con Rebekah. Doveva ringraziare solo che gli stava simpatico e che si
era rivelato essere un piacevole svago.
“Ma
inizio a dubitare che qui non si tratti solo di sesso....sembri
nutrire una sorta di attrazione per quella donna.” Stefan si
piegò in avanti, adagiando i gomiti sulle ginocchia e
guardando attentamente Klaus.
“Sei
ben lontano dal conoscermi e quindi dal fare constatazioni,
Salvatore.” Klaus quasi digrignò i denti, di fronte a
quell'osservazione.
Stefan
spalancò le braccia e corrucciò le labbra. “Ci
sono passato anche io, e con me mio fratello.” rispose,
rilassandosi ancora di più sulla poltrona. “Vivere una
situazione simile ti fa imparare molte cose, ovvero che l'amore è
un sentimento da cui è meglio fuggire, piuttosto che da
cogliere al volo.”
Klaus
abbassò lo sguardo. Quelle parole lasciavano presupporre
qualcosa di cui lui era già consapevole, ovvero che Stefan non
amava Rebekah, ma che la considerava solamente un piacevole
intrattenimento. Non poteva dire però lo stesso di sua
sorella, la donna che amava troppo facilmente.
“Io
non amo April Ford.”
“Ma
non ti è nemmeno indifferente. E la notte di ieri ne è
stata la prova.”
“La
notte di ieri...ha solo provato che ho desiderato il suo corpo.
Questo è tutto.” Klaus si piegò in avanti, preso
da un impeto di rabbia in cui avrebbe tanto voluto scattare addosso a
Stefan, pur di farlo tacere e farlo smettere di mettergli quei grilli
nella sua testa.
“Ma
non hai bevuto il suo sangue. È quello che amiamo di una
donna, dopo averne preso il corpo.” rispose Stefan, indicando
la bella e morta ragazza abbandonata accanto a Klaus. “Perché
non lo hai fatto?”
“Ha
un cattivo sapore, il suo sangue.”
Stefan
scoppiò in una risatina. “È una battuta?”
domandò; si portò il bicchierino alle labbra e ne
accarezzò il bordo con quello superiore.
“Sta
morendo.”
Quello
che ne seguì fu un'imbarazzante silenzio, che privò
Stefan della sua espressione provocatoria. Klaus provò
dell'insensato dolore di fronte a quel pensiero, al pensiero che
quella ragazza se ne sarebbe andata molto, troppo presto. Lo
faceva riflettere sull'eternità senza fine che gli spettava,
sulla pericolosità di quei sentimenti che sentiva di nutrire
ma che poi sarebbero stati trasportati via dalla furia del tempo.
Ma
non per lui: per gente come lui i sentimenti sarebbero rimasti
vivi, nonostante si sarebbe voluto solamente morire.
Come
era successo con lei, secoli prima....
“Morendo?”
ripeté Stefan, facendosi improvvisamente serio, e pronunciando
quella parola come se fosse a lui ignota.
Klaus
si alzò in piedi; improvvisamente trovò fastidiosa la
luce del sole che entrava dalla vetrata alle sue spalle. “È
malata, ancora non so di cosa precisamente. Tubercolosi forse.”
gli spiegò, scostando le tende in maniera da coprire la
finestra. “Credo le manchi poco da vivere.”
“Lo
hai capito quando hai bevuto il suo sangue?”
Klaus
abbassò lo sguardo; la luce del sole continuava a colpirgli il
volto, trapassando la tenda. “Forse non hai mai assaggiato il
sangue di una persona che il male se lo porta davvero dentro.”
Stefan,
alle sue spalle, sbuffò. “Mi sono nutrito di molte
persone malate, ma preso dalla fame non ci ho mai fatto caso perché
non mi ero invaghito di nessuno di loro.”rispose e si alzò
in piedi.
Klaus
si girò lentamente verso di lui, con un'espressione
infastidita sul volto. “Le tue allusioni mi stanno davvero
irritando, Salvatore.” lo minacciò.
“Trasformala.”
Quella
parola s'inoltrò dentro di lui, tra i suoi pensieri e dentro
il suo corpo come un veleno. Ci aveva pensato, aveva pensato di farlo
e non avrebbe dovuto crearsi problemi nel compiere un gesto simile.
Ne
aveva trasformate a centinaia, di donne, per il semplice gusto di
donare loro l'immortalità, scaldare le sue notti insonni e poi
ucciderle una volta stancatosi di loro.
Ma
con April era diverso: se l'avesse fatto, era solo perché
voleva salvarla alla morte, donarle l'immortalità affinché
continuasse a vivere.
Ed
era sciocco, secondo la sua logica, perché non doveva
importargliene nulla dell'umanità di quella ragazza.
“La
trasformi, le salvi la vita, lei ti sarà devota a vita e farà
tutto ciò che vuoi...e quando ti sarai stancato di lei e ne
avrai trovato un'altra più bella, le stacchi la testa.”
Stefan pronunciò quelle frasi senza sentimento alcuno; si
portò l'ultimo residuo di liquore alla bocca e guardò
fisso negli occhi cerulei dell'Originario.
Stefan
la pensava esattamente come lui, ecco perché si era creato
quello strano e perverso legame tra loro. Peccato che, trattandosi di
April, quel pensiero non entrava più in gioco.
“Oppure,
se non vuoi ucciderla, puoi concederla a me. Un triangolo amoroso in
cui il conteso sono io, è una cosa nuova.” ridacchiò
poi Stefan.
Klaus
alzò le labbra verso sinistra, ricreandosi una fossetta ai
lati della bocca. “Quello che deciderò di fare di lei
sarà un problema mio.” gli disse, guardandolo con
sguardo tagliente, malgrado il sorriso sulle sue labbra. “Non
mi piacciono gli impiccioni. E, ora come ora, abbiamo tanti problemi
più importanti a cui pensare, rispetto ad April.”
Il
pensiero del misterioso omicidio avvenuto la notte prima s'inoltrò
nuovamente nella sua mente. L'Originario ne fu quasi grato; la
preoccupazione dovuta a quell'avvenimento scansò l'angoscia
causata dal pensiero della morte di April.
Stefan,
però, non si lasciò minacciare da quell'atteggiamento,
e posò una mano sulla spalla del compare. Klaus era talmente
infervorato, da guardarla come se fosse polvere da ripulire dal suo
abito.
“Va
bene. Mi farò i fatti miei d'ora in poi.” sussurrò,
con un sorriso sulle strette labbra. “Ma ricorda: le vite
umane, sopratutto quelle deboli e brevi come quelle di April, non
contano nulla. Rammenti? Me lo hai insegnato tu.”
* *
* * * * * * * * * * * * * * * * *
“La
prossima volta che dovete uccidere qualcuno, fatelo senza sporcare il
tappeto, ve ne prego.”
Non
appena Klaus scese in salotto, ritrovò Rebekah già
vestita e preparata. Indossava un lungo abito nero, che scendeva
generosamente sulle sue curve; una vistosa scollatura a rombo,
rasentata di diamanti, mostrava l'abbondante scollatura della
ragazza. I capelli erano raccolti in uno chignon, le labbra carnose
colorate di rosso e alle orecchie portava dei grandi orecchini in
oro.
Era
bellissima, ma Klaus la trovò parecchio somigliante a una
vedova nera.
“Se
sei in vena di rimproveri, non parlarmi oggi. Non è aria.”
rispose lui bruscamente, e fece per dirigersi verso la porta di
ingresso a passo svelto.
Ma
Rebekah glielo impedì, afferrandolo per il polso prima che la
superasse. “Ehi ehi...dove stai andando?”
Klaus
si morse il labbro, infastidito dall'interruzione. Stava vivendo
quella tipica fase in cui non avrebbe voluto parlare con nessuno, pur
di evitare inutili spargimenti di sangue. “Vado a fare un giro
per la città, Bekah. Ho bisogno di certezze.” le disse,
volgendo lo sguardo nella sua direzione.
Rebekah
abbassò le lunghe e chiare sopracciglia. “Pensavo avessi
già appurato che non si è trattato di Mikael e che
saremo andati da Gloria stasera.” disse.
“Non
vado da Gloria stasera.” Klaus distolse lo sguardo dal volto
della sorella e riprese possesso del proprio braccio, in maniera
brusca. “Faccio un giro per il quartiere più malfamato
di Chicago ad ammazzare qualche drogato piuttosto.”
Quella
sera si sarebbe esibita April. E, dopo quello che era accaduto, la
voglia di rivederla era ben poca.
Forse
era più semplice dire che non aveva il coraggio di
affrontarla, ma lui non era così sincero con sé stesso
da ammetterlo. Fece per uscire da quella lussuosa villa prima che le
domande a raffica di Rebekah avessero inizio. Ma lei era troppo
veloce in quel campo, e diventava particolarmente fastidiosa se non
si rispondeva alle sue domande.
“Cadresti
così in basso pur di non vederla?”
Klaus
si fermò di colpo, con il braccio teso e fermo a mezz'aria
verso il pomello del portone. Strinse entrambi i pugni e si girò
in direzione della sorella, la quale lo fissava immobile, con le
braccia strette al petto e un'espressione seria in volto. “A
che gioco stai giocando, Bekah?”
Era
strano tutto questo interesse che Rebekah provava nei confronti di
April. In secoli e secoli aveva visto i suoi fratelli interessarsi a
diverse donne, eppure non si era minimamente avvicinata a nessuna di
esse, tanto il suo orgoglio femminile la spingeva a considerare
quelle amanti solo delle ombre della sua bellezza. “
“Gioco
e basta Nik.” rispose, con un velo di furbizia nel tono della
voce.
“No,
non stai giocando e basta.” Klaus le si avvicinò con un
paio di rapidi e decisi passi, puntandole il dito contro. I contorni
del volto erano delineati dall'ira di non comprendere il
comportamento di sua sorella. “Ti sei avvicinata a quella
ragazza e pare che tu stia facendo di tutto per farmela ronzare
attorno.”
“Smettila
di negare che ti piace, Nik.”
“Non
lo nego.” Klaus alzò le braccia in un gesto stizzito,
mentre Rebekah spalancava gli occhi, stupita nel sentirglielo dire.
“Sei tu che neghi di esserti avvicinata a lei per un motivo che
poco mi riguarda. E lo hai fatto da quando ti ho rivelato del suo
male...”
Il
sorriso di Rebekah, accesosi dopo la dichiarazione di Klaus, si
spense rapidamente. Lentamente si estinse come una fiamma sotto la
debole pioggia, e nei suoi occhi azzurri prese a splendere una luce
che a Klaus non era nuova. Era una luce pura, candida, di qualcosa
che il vampiro aveva già visto ma che i millenni di vita gli
avevano fatto dimenticare.
“Stefan
mi sta aspettando.” Rebekah non ebbe lo stesso coraggio
posseduto da suo fratello pochi istanti prima, quando aveva rivelato
i propri sentimenti, e lo superò, senza degnarlo più di
uno sguardo.
Klaus
desiderò fermarla, sapere a tutti i costi cosa le passava
sotto quella testa bionda, ma qualcosa gli impedì di farlo. Un
pensiero che gli trasportò alla mente una possibile ipotesi
riguardo quell'atteggiamento di Rebekah.
La
seguì con lo sguardo fin quando la bionda non scomparve dietro
il portone della loro villa.
E
qualcosa gli disse che, quella luce, doveva averla avuta anche lui
negli occhi per tutto il giorno.
* *
* * * * * * * * * * * * * * *
Niente.
Klaus
girò a vuoto per ore e ore, senza trovare alcuna traccia che
potesse fargli capire chi era il vampiro con cui aveva a che fare.
Preso dal tedio e dal nervosismo, il vampiro decise poi di fare
dietrofront e, non seppe come, si ritrovò di fronte
all'edificio in cui abitava April.
Fermo
sulla strada buia e umida, Klaus guardò verso l'alto, in
direzione della finestra della ragazza, trovandovi stranamente una
luce di candela accesa. Affinando i sensi, riuscì persino a
udire il suo profumo di rosa espandersi nell'aria e il suono del suo
respiro flebile.
Non
si era esibita da Gloria.
Perché?
Morso
dalla curiosità e dalla preoccupazione, il vampiro entrò
nell'edificio il più velocemente possibile e si ritrovò
davanti alla sua porta, bussandovi ripetutamente. Quando April gli
venne ad aprire, era l'esatto opposto della ragazza solare e allegra
che aveva incontrato diverse sere prima.
Il
suo bel viso era pallido e smorto, le labbra incolori, gli occhi
sempre scuri e splendenti sembravano essere affogati in un mare di
oscurità. I capelli, che la sera prima erano lucenti e
ricadevano attorno al suo viso con dolcezza estrema, erano opachi e
raccolti in una treccia malfatta. Eppure, nonostante tutto,
l'Originario riuscì a identificare ancora in lei quella calda
bellezza che da subito lo aveva colpito.
Quando
scorse la sua figura sulla soglia della porta, April ne sembrò
quasi seccata. “Cosa ci fai tu qui?” gli chiese, con un
tono di stizza.
Klaus
se ne sentì quasi oltraggiato; era lui quello in diritto di
comportarsi a quella maniera dopo che lei se n'era andata la notte
prima. Abbassò lo sguardo e non fu sicuro di voler rispondere;
non voleva certo dirle che era giunto a casa sua perché
preoccupato per via della sua assenza al locale di Gloria. Le avrebbe
fatto intuire troppe cose, che prima avrebbe dovuto capire per
davvero lui stesso.
“Ma
sei ubriaca?” le chiese poi, quando avvertì un puzzo
fastidioso provenire dal suo corpo. Quello sopprimeva il suo
abitudinario profumo di fiori in piena primavera, e irritò i
sensi del vampiro. Emanavano tutti un fetore simile quando si
ubriacavano a quella maniera, gli umani?
“Togliti
questo vizio di rispondere a una domanda con un'altra domanda. Sei
seccante.”
April
lo guardò con freddezza, lasciando la porta semiaperta davanti
a lui e barcollando verso l'umile salotto alle sue spalle, avvolto
nel buio, fatta eccezione per la candela che brillava sopra il
tavolo, in prossimità di una bottiglia di vodka.
Klaus
scorse lo sguardo lungo l'esile corpo della ragazza, la quale
indossava una lunga vestaglia da notte scura. Camminando, una
bretellina le era scivolata lungo la spalla, rendendola nuda e
pallida allo sguardo del vampiro. Lui rabbrividì, scacciando
quei pensieri poco casti che corsero nella sua mente.
“Lasciami
entrare April.” le disse, posando entrambe le mani sugli
stipiti della porta e puntando il proprio sguardo sulla figura della
ragazza, ormai ad alcuni metri da lui.
“Secondo
te perché ti ho lasciato la porta aperta?” April lo
guardò come se fosse un completo idiota; voltandosi verso di
lui, la parte sinistra del volto venne illuminata dalla fiamma della
candela, mentre il resto rimase avvolto nell'oscurità. Fu in
quel frangente che Klaus si accorse delle invisibile righe di lacrime
che avevano marchiato la bella pelle della ragazza.
“Definiscimi
pure uno all'antica...” rispose il vampiro, dondolandosi per
un'istante con le mani ancora sugli stipiti. “Ma non entro in
casa tua, se non mi inviti.”
Klaus
abbassò gli occhi, quando lo sguardo di April si fece
affilato, come se stesse valutando quale possibile giochetto egli
stesse per farle. L'umana non aveva la minima idea che, per far
entrare un vampiro in casa propria, avrebbe dovuto chiaramente
invitarlo.
“Tu
non stai bene con la testa...avanti, entra.” April si grattò
la fronte per poi fargli segno di entrare.
Klaus
tirò un sospiro di sollievo quando sentì la barriera
invisibile che gli impediva di varcare quella soglia infrangersi
improvvisamente. Mosse un passo oltre la porta, in un attimo di
titubanza, e un sorriso si allargò sulle sue labbra, come
fosse la prima volta che gli capitasse.
O
forse era semplicemente sollevato del fatto di potersi riavvicinare
ancora a lei.
“E
chiudi la porta.” Quelle parole, così scontate, vennero
pronunciate con una sfumatura di paura nella voce della ragazza.
Klaus
sentì il rumore di un brivido serpeggiarle lungo la spina
dorsale; sapeva che non era stato lui a provocarla-riconosceva il
suono della paura che lui faceva scaturire-ed era certo che si
sarebbe informato quanto poteva al riguardo.
“Il
proibizionismo non dice nulla a te, vero?” Il ragazzo si chiuse
la porta alle spalle, con un colpo secco, tanto che riecheggiò
nei corridoi grigi e spenti del palazzo in cui April risiedeva.
La
ragazza si sedette, riprendendo a trangugiare distrattamente un
bicchiere mezzo pieno. “Dopo tutti i soldi che le faccio fare,
Gloria mi lascia rubare qualche bottiglia. Non è scema, sa che
un paio di volte l'ho già fatto, ma non mi ha mai detto
nulla.”
Klaus
si avvicinò a lei, ficcando le mani dentro le tasche del suo
cappotto scuro e sospirando. Aveva così tanta voglia di
gettarle addosso tutte le sue frustrazioni di quella notte, ma non
era certo di essere in grado di farlo, viste le condizioni in cui si
trovava l'umana.
“Perché
hai la faccia di una che vorrebbe buttarsi da uno dei grattacieli di
Chicago?”
April
ridacchiò, posando la schiena contro la sedia e facendo
scorrere la mano verso la bottiglia di vodka. “Sto diventando
più romantica.” disse, con voce impastata. “Se mai
dovessi uccidermi, mi taglierei le vene in bagno.”
Pronunciò
quelle parole come se fossero una piacevole battuta e poi si portò
la bottiglia alle labbra, lasciandole sorridere non appena quelle si
posarono sulla sua illusoria via di fuga.
Klaus
trovò quel comportamento e quei modi di parlare a dir poco
fastidiosi. Le strappò la bottiglia di mano con un gesto
rapido di cui lei nemmeno si accorse. “Che diavolo ti sta
succedendo, April?”
La
ragazza non riusciva a guardarlo negli occhi; le sembrò che
lui stesse guardandola nella stessa maniera in cui lei si era
guardata per tutto il giorno allo specchio: con repulsione.
Si
strinse le braccia al petto. “Perché, ti interessa?”
gli domandò.
“Se
te lo sto chiedendo è evidente, non trovi?” Klaus alzò
la voce più del dovuto, lasciandola rimbombare nel vuoto che
risiedeva nell'appartamento di April.
La
ragazza si mosse verso di lui rapidamente, pregandolo di abbassare la
voce. Provò a prenderlo per mano, ma lui sviò quel
contatto indesiderato. “Vorrei ricordarti che sei stata tu
quella che stanotte se n'è andata, senza dire una parola.
Perciò non hai alcun diritto di comportarti a questa maniera!”
“Oh
andiamo, non ti sarai mica offeso. Ho dovuto farlo. ”
“Perché?
Esigo una risposta, April!” Klaus si umettò le labbra
per il nervosismo.
Discutere
con April era sempre stata quella parte del suo rapporto con lei che
tollerava di meno, poiché lei provava sempre a comunque a
confonderlo.
“Ieri
eri ancora la mocciosa che vedeva arcobaleni e unicorni, che voleva
viaggiare per il mondo e che voleva vivere come desiderava
quando era una bambina.” gli disse. April abbassò gli
occhi con tristezza, palesata dal battito crescente del suo cuore. “E
ora sei solo un'ubriacona depressa? Cos'è successo?”
“Senti,
non mascherare il tuo orgoglio ferito dietro queste frasucole da
quattro soldi. Voglio che tu mi lasci in pace.” insistette
April, restando sulla linea di non rivelare nulla riguardo il proprio
comportamento.
Cercò
di riprendersi la bottiglia di Vodka nella mano di Klaus, ma lui la
tenne adeguatamente lontana dalla sua portata.
D'altra
parte, il ragazzo era sul punto di perdere seriamente la pazienza. La
vena che aveva preso a pulsargli prepotentemente sulla fronte ne era
la prova. “Vuoi che ti lasci in pace allora, April?” le
chiese, allontanandola con una mano sulle clavicole, quando la vide
insistere per riprendersi la bottiglia.
“Sarebbe
enormemente gradito, sì!”
“Perfetto
allora!” Klaus comprese di aver perso il controllo solo dopo
aver lanciato la bottiglia sul pavimento, con una violenza inaudita,
con cui per poco scalfì le mattonelle dell'appartamento.
April
restò così sorpresa da quel gesto da sobbalzare sul
posto, osservando come in una scena a rallentatore i frammenti di
vetro che scheggiavano nell'aria e il liquido scuro spargersi sul
pavimento in una pozza.
“Me
ne andrò, ma non senza averti detto prima un paio di cose.”
Klaus ignorò la vodka che aveva bagnato le sue lussuose scarpe
in pelle nera e mantenne lo sguardo fisso su April, che aveva preso a
tremare come una foglia inanzi a lui. Quasi avesse paura che gli
facesse del male.
“Sono
anni che non desidero altro che ferire le persone. Faccio loro del
male, le abbatto, le abbandono quando da me si aspettano solamente
una mano di aiuto. E poi sei arrivata tu. E non credere che
non eri anche tu nella mia lista nera: non c'è persona a cui
io non faccia del male, anche involontariamente.”
Il
suo pensiero andò subito a Rebekah, Kol e Finn.
Forse
la sua ottica di mantenere la sua famiglia unita-chiudendo Finn e Kol
in delle bare, mantenendo Rebekah ancorata a sé con la
minaccia di farle fare la medesima fine-rientrava nel male che lui
involontariamente commetteva. Il suo desiderio di proteggere
la propria famiglia era legittimo, secondo il proprio modo di vedere,
ma sbagliatissimo secondo l'ottica dei suoi fratelli e che
forse lui, involontariamente, aveva fatto egoisticamente soffrire.
Elijah glielo diceva sempre.
“Tu,
con il tuo sguardo, mi hai fatto sentire come se....anche io fossi
capace di fare involontariamente del bene.”
Calò
un silenzio tombale che avvolse entrambi in un freddo abbraccio.
Klaus aveva fissato l'intensità negli occhi di April per tutto
il tempo, ma quando la sua voce perse la forza di continuare il
discorso, si ritrovò ad abbassarli come un timido bambino. “Mi
hai fatto rammentare cosa significasse valere per qualcuno.”
concluse.
Tornò
il silenzio di poco prima, il quale saldò l'invisibile linea
di sguardi che legò gli occhi neri di lei con quelli blu di
lui.
April
stava mordendosi il labbro, nell'intento, probabilmente, di non
scoppiare in lacrime. Guardò il proprio riflesso sulla
pozzanghera di Vodka sul pavimento: quello era distorto, avvolto nel
buio, come perduto in un baratro senza fine. Gli diede le spalle e si
portò le mani sui fianchi, guardando lo scenario oltre la
finestra del salone.
“Sono
contenta che questa cosa abbia fatto bene almeno a te.”
sussurrò, con voce tremante.
“No,
non mi hai fatto bene.” Klaus replicò prontamente, con
tono incolore. “Mi hai ricordato molte, troppe cose. E
ora non hai alcun diritto di comportarti a questa maniera, dopo
quello che hai combinato.”
“Ti
è mai passato per l'anticamera del tuo piccolo cervello che
ieri stavo solo sognando a occhi aperti? Che forse ero così
fuori di me da concedermi una notte insieme a te?” April fece
un giro su sé stessa, spalancando le braccia.
“Non
stavi sognando April, è stato tutto reale!” esclamò
Klaus, avvicinandosi a lei con rapide falcate. Odiava il modo in cui
rinnegava tutto, come se facesse più male a lui che a lei. Si
ritrovarono a pochi centimetri di distanza e l'alito al sapore di
alcool baciò le labbra del vampiro. “E voglio sapere
cosa ti ha fatto cambiare idea.”
“La
realtà, Niklaus.” rispose semplicemente April, con tono
rude, quasi avesse rivelato una terrificante verità. Cosa che
Klaus reputò tale, perché quella era la risposta che
lui dava sempre quando le sue vittime, prima di morire sotto la sua
ferocia, gli chiedevano cosa lo avesse reso così malvagio.
Era
facile farsi cambiare dalla realtà, piuttosto che combatterla
e plasmarla al proprio animo.
“Non
si può sognare quando il mondo ti impedisce di farlo.”
Klaus
però non accettò quella risposta, non da lei, non da
colei che avrebbe dovuto allontanare il più possibile simili
pensieri da lui. “Io voglio...” disse, a voce dura,
afferrando le spalle della ragazza e affondando lo sguardo nel suo.
“Sapere cosa ti ha fatto cambiare idea, April!”
Penetrò
nella mente della ragazza, catturando i pensieri e le immagini che le
balenarono nella mente, mentre lui li faceva suoi. Vide gli occhi
della giovane umana sbarrarsi, e il suo corpo opporre meno
resistenza.
“Christopher
mi ha minacciato di ucciderti, perché ha capito che mi sto
innamorando di te.”
La
presa di Klaus si fece meno stretta sulle spalle di April. La guardò
come se avesse detto una bellissima bugia, una di quelle fandonie
così irreali ai cuori di chi le ascolta da non risultare
possibili.
Con
sole 15 parole, April aveva saputo colpirlo per ben due volte: gli
aveva rivelato che lo stava proteggendo, e che si stava innamorando
di lui.
Una
strana, piacevole sensazione si fece largo all'interno del suo petto
freddo e spento.
La
mente di Klaus allentò la presa sul volere e sui pensieri di
April, la quale chiuse per un'istante gli occhi, abbandonandosi ad un
istante di debolezza. La vide poi riaprire gli occhi, presa dalla
consapevolezza di aver rivelato quello che, probabilmente, era il suo
più grande segreto.
E la
sua più grande paura.
“È
per questo che ti stai ubriacando così? Credi che quel
damerino possa farmi del male?” chiese Klaus, bisognoso di
ulteriori conferme. Voleva ridar vita a quella sensazione che poco
prima gli aveva investito il cuore spento; voleva appurare che non
era stata solo una cosa fittizia e passeggera.
“Io
non volevo dirtelo.” sentenziò April.
“Lui
non può farmi del male.” ridacchiò Klaus,
ignorando la frase della ragazza. Le prese il volto tra le mani
fredde, e lei si concesse di abbandonarsi a un lungo brivido.
Il
vampiro la guardò intensamente negli occhi con l'intento, per
la prima volta, di controllare la mente di qualcuno per liberarlo
delle sue paure. “Voglio che tu lo sappia, che non tema
per la mia incolumità. E che ti lasci andare a ciò che
realmente vuoi. Come hai fatto ieri.”
April
guardò a fondo gli occhi di Klaus. Scosse debolmente la testa,
troppo presa dalla forza di trattenere le calde lacrime che volevano
scorrerle lungo il volto. “Io voglio solo viverti, Niklaus.”
E il
vampiro non volle sentire nient'altro.
Si
avventò sulle labbra di April, coinvolgendole in un bacio
carico di bramosia. La ragazza gettò le braccia attorno al suo
collo, lasciandosi pervadere dalla soffice sensazione di trovarsi tra
le sue braccia.
E,
per quella notte, nessuno dei due avrebbe abbandonato l'altro e non
lo avrebbe ferito com'erano soliti sempre fare.
* *
* * * *
Il
mattino seguente si presentò fresco e piovoso.
April
sentì il bisogno di non rimanere a casa da sola, bensì
di andarsi a prendere un caffè presso il localino in fondo
alla sua strada, com'era solito fare da qualche giorno a quella
parte.
Non
ne comprendeva il motivo, ma ogni mattina, alle nove in punto, si
recava là, per farsi preparare un caffè che nemmeno le
piaceva più di tanto. Sentiva solo di farlo, senza una
plausibile motivazione.
Guardò
fuori dalla vetrata che affacciava sulla strada trafficata, con la
mano sotto il mento e lo sguardo pensieroso. La notte prima si era di
nuovo lasciata andare tra le braccia di Klaus, malgrado tutti i sensi
l'avvertissero di quanto potesse essere pericolosa questa relazione
con un folle come Christopher ancora in giro. Ma le era bastato
guardare Klaus negli occhi, sentire la sua voce penetrarle nella
mente, affinché tutte le difese venissero distrutte e
potessero esserci solo loro due.
Ormai,
era come se la ragazza non avesse più controllo sulla propria
razionalità, e questa era una cosa che non comprendeva.
Una
cameriera le portò il caffè richiesto, concedendole un
sorriso radioso dopo che la ragazza l'ebbe ringraziata. Il tempo
affinché questa si fosse allontanata, che un'altra persona
giunse al tavolo della giovane cantante, armata del quotidiano di
quella mattina.
“Toh!”
esclamò, gettandolo sul tavolo con un gesto piuttosto rude.
April
dovette ritrarsi affinché il cucchiaino adagiato sulla tazza
del caffè non le venisse sbalzato in faccia, dopo esser stato
colpito dal giornale. Serrò le labbra irritata, riprendendo
poi il cucchiaino che le era caduto in grembo.
“C'è
stata un'altra donna morta, trovata in un vicolo ieri notte.”
Quell'esile
figura le si sedette di fronte, con le gambe sensualmente accavallate
e le braccia conserte. Arricciò le rosse labbra in maniera
spavalda, lasciandosi cadere poi contro lo schienale della poltrona.
April
riprese mano al cucchiaino e guardò il giornale con fare
disinteressato: la foto di un cadavere coperto da un lenzuolo bianco
padroneggiava in prima pagina.
“Da
quando ti importa se qualcuno muore in questa città,
Katherine?” domandò. Prese un po' di zucchero dal
contenitore in vetro sul tavolo e se lo versò dentro il caffè.
Katherine
inarcò le sottili sopracciglia scure. “Beh, da quando la
mia cantante preferita ci vive sola soletta e circondata da mostri
cattivi.” la prese in giro, piegandosi sul tavolo con le
braccia conserte. Quando April la guardò infastidita, la
ragazza le fece un occhiolino. Era sempre stata così,
Katherine Pierce: da quando l'aveva conosciuta anni prima, poco dopo
esser giunta nella bellissima Chicago, non aveva fatto nient'altro
che provocarla e prenderla per i fondelli. Si comportava così
con tutti.
“Qui
vedo solo un mostro. Ed è mascherato da femme fatale dei
miei stivali.” rispose la ragazza; tornò poi a
concentrarsi sulla tazza, prendendo a girare il cucchiaino
lentamente.
“Touché.”
Katherine si tirò di nuovo indietro con la schiena; i suoi
cortissimi capelli scuri erano raccolti in un piccolo chignon che
risaltava il suo bel volto ovale, rendendolo più affascinante
e luminoso. “Fossi in te la smetterei di ostentare tutta questa
antipatia nei miei confronti. Non ti ho mai fatto nulla di male.”
April
fece spallucce. “Non siamo nemmeno mai state molto amiche.
Proprio per nulla.” le ricordò, alzando poi lo sguardo
in quello di Katherine e provando un brivido quando la vide sorridere
incurante.
Lei
e Katherine si erano conosciute da Gloria ormai tanto tempo prima, e
per “conosciute” s'intendeva qualche sguardo carico di
rivalità femminile che si erano lanciate di tanto in tanto,
seguiti poi da brevissimi attimi di conversazione, basati su
argomenti futili e sciocchi come begli uomini e lussuosi gioielli.
April non era ancora la famosa cantante che tutti conoscevano, e
Katherine Pierce era tutto quello che un uomo potesse desiderare e
una donna invidiare. La ragazza rammentò di aver provato una
sorta di distorta ammirazione nei suoi confronti, e di aver preso
gran parte di ispirazione al suo comportamento materialista proprio
da lei. Anche Violet aveva fatto la conoscenza di quella donna ma,
essendo poco incline a nutrire antipatia, non aveva avuto alcuno
screzio con lei. La loro conoscenza era durata in tutto dieci giorni
e poi Katherine era scomparsa nel nulla, senza dire una parola.
E
non era cambiata di una virgola dall'ultima volta in cui si erano
viste: sempre bellissima e fatale.
“Non
credo nemmeno che tu sia tornata per venirmi a trovare o per salutare
Violet, come hai detto quando ci siamo rincontrate.” April
lasciò cadere il cucchiaino dentro il caffè, guardando
con sospetto Katherine. Quest'ultima non si lasciò
impressionare dagli occhi scuri della ragazza e continuò a
guardarli come se quelli non le stessero scavando dentro.
“A
te non importa nulla né di me e nemmeno della mia amica,
perciò voglio sapere perché sei qui con me ora? Che
cosa vuoi relamente?”
Katherine
sbuffò divertita. “Ma tu lo sai già.”
disse, e si piegò anch'essa sul tavolo, annullando le distanze
tra il proprio viso e quello di April. Quest'ultima venne tentata dal
ritrarsi, ma una luce negli occhi della ragazza glielo impedì.
“Solo che non te lo ricordi.”
April
affilò lo sguardo; notò qualcosa di insolito nelle
iridi scure della ragazza, quasi come se quelli avessero preso a
scivolarle dentro fino all'anima, alla ricerca di pensieri e parole
che lei avrebbe esternato solo se le labbra di Katherine glielo
avessero chiesto.
L'altra,
intanto, sorrise provocatoria. “Ci sei andata a letto come ti
ho detto di fare?” domandò.
E
malgrado April non avesse alcuna intenzione di rivelare un
particolare così intimo a quella donna, si ritrovò ad
annuire sommessamente. “Sì, l'ho fatto.” rispose,
avvampando in volto e senza poter abbassare il capo per nasconderlo.
Doveva continuare a guardare Katherine e non pensare al fatto che, le
notti passate con Klaus, non erano state dettate dai suoi ordini.
“E
ti ha rivelato qualcosa? Ti ha detto se sta scappando da qualcuno per
caso?” Katherine aveva perso ogni ombra di sarcasmo: era
terribilmente seria mentre s'insinuava nei pensieri più
nascosti di April, la quale la sentiva in ogni dove, dentro la
propria testa.
“Cosa
vuoi da lui?” si ritrovò a domandare, malgrado il
dialogo con Katherine non includesse quella domanda.
“Sto
scappando da lui da più di 400 anni e l'unica cosa che voglio
è stare un piccolo passo davanti a lui. Ma dimentica questo
particolare: non ti interessa.” Katherine decise di essere il
più sintetica e diretta possibile, contando sul fatto che,
poi, April non avrebbe ricordato nulla di quella conversazione. E
almeno aveva potuto sfogarsi un po' riguardo una situazione che
gravava su di lei da secoli.
“E
ora dimmi...ti ha rivelato qualcosa, o no?”
April
scosse la testa. Non voleva rispondere, ma la propria voce volle
essere il più sincera possibile. “È spaventato da
qualcosa ma...no, non mi ha detto nulla.” ammise, e il cuore le
perse diversi battiti, nel momento in cui tutti i suoi pensieri
andarono a perdersi tra i mille sospiri, i mille baci e i mille
contatti che c'erano stati tra loro nelle notti precedenti. Erano
quelli l'unica cosa che contava; non i segreti che Niklaus aveva per
sé e di cui Katherine sembrava necessitare.
“Lo
immaginavo.” Katherine si mostrò terribilmente delusa;
si lasciò di nuovo cadere contro la sedia e si guardò
attorno con fare nervoso, mordicchiandosi le labbra piene e
borbottando qualche parolaccia. “Anche se sei probabilmente la
prima donna con cui si relaziona senza che poi l'ammazzi, lui è
furbo. Non ti farà mai capire nulla nemmeno se lo porti in
paradiso.”
April
restò in silenzio, senza sapere cos'altro aggiungere. Rammentò
tutte le conversazioni avvenute con Katherine in quei giorni. Le
aveva detto di andarci a letto, di abbandonarsi a tutte le emozioni
che lui le provocava e poi di andarsene il mattino successivo. Si
erano incontrate poi in quel locale, alle nove in punto, ma Katherine
non aveva ottenuto le informazioni che le servivano. Ci aveva provato
poi una seconda volta, e anche questa si era rivelata poco
fruttifera.
“Va
bene, non importa.” Katherine batté le mani in maniera
teatrale, riprendendo a sorridere e tornando a guardare il bellissimo
volto di April. La vide rabbrividire, ma non se ne curò:
l'umana doveva trovarsi in quello tipico stato di spossatezza in cui
ci si trova nel corso del soggiogamento.
“Giocherò
in un'altra maniera.”
“Che
cosa intendi?” April riprese mano alla propria tazza e guardò
con fare confuso l'espressione maliziosa della ragazza.
Katherine
s'umettò le labbra prima di parlare. “Intendo che ho un
piano B, Ford” le disse. “Bisogna sempre averne uno a
disposizione, non lo sai?”
E il
sorriso che ne seguì venne disegnato dalle mani della rabbia e
della vendetta.
Ciao
a tutti, miei cari :D come state?
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto.
Come
abbiamo visto, Katherine ha ripreso a calcare le scene e spero di
averla resa IC come avrei voluto mantenerla. Vuole giocare sporco con
Klaus, confidando nella sua infatuazione per April per scovare un po'
delle sue debolezze e portarsi “un piccolo passo davanti a
lui”. Ma, come abbiamo visto, la nostra Petrova non è
riuscita nel suo intento. Quale sarà il suo piano B?
Ora
vorrei concentrarmi su Klaus: so di averlo reso OOC nella parte in
cui lo abbiamo visto insieme ad April. Sì, è stato
troppo romantico e sentimentale, ma ho dovuto uscire per un attimo
dalle linee del suo personaggio, sempre per mostrare un passo in più
(o indietro xD) nella relazione con April. Anche nel discorso
riguardo la sua famiglia, Klaus non vuole vittimizzarsi, non so se
l'ho lasciato ben intendere: mostra solo di essere consapevole di
averla tenuta insieme nel modo più sbagliato possibile,
ferendo inconsapevolmente chi
ama, perché convinto delle sue ragioni. Mi sono fatta capire?
#dicono tutti boh in coro xD#
Comunque,
spero di non averlo reso troppo, troppo OOC u.u
Per
quanto riguarda il resto, spero che vi sia piaciuto e spero di
leggere commenti al riguardo.
Un
grazie speciale a chi legge e recensisce questa storia; siete i miei
amorini belli ** e grazie a chi ha inserito la storia tra
seguite/preferite e ricordate. Per chi ama scrivere, è sempre
bello trovare qualcuno che apprezzi i propri lavori, vi adoro!
Alla
prossima e buona serata a tutti! :D
|
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Capitolo 9 *** Looking for heaven, for the devil in me ***
http://www.youtube.com/watch?v=WbN0nX61rIs
-Capitolo
9: Looking for heaven, for the devil in me-
And
I'm damned if I do and I'm damned if I don't So
here's to drinks in the dark at the end of my road And
I'm ready to suffer and I'm ready to hope It's
a shot in the dark and right at my throat Cause
looking for heaven, for the devil in me Well
what the hell I'm gonna let it happen to me?
(Shake
it out by
Florence+the
machine)
April
si sentiva particolarmente strana quella sera.
E
no, non poteva essere per il fatto che non si esibiva da giorni sul
palco, ma per ben altro.
Era
qualcosa di legato a Klaus.
Non
sapeva dire perché, ma mentre guardava il proprio riflesso
allo specchio, il braccio che con movimenti meccanici muoveva il
rossetto sulle labbra, gli occhi che catturavano la diversità
nel proprio sguardo, avvertiva un forte senso di menzogna.
Come
se tutto fosse destinato presto a finire perché molte verità
sarebbero presto venute a galla.
Non
riusciva a capacitarsi di quel pensiero, dettato unicamente dalla sua
testa. Il suo cuore era felice, felice di aver trovato in Klaus una
sicurezza che aveva perso da tempo.
Felice
di essere innamorata.
Non
aveva più preoccupazioni per Christopher, per quello che
avrebbe potuto fare a Klaus, perché si era sentita
improvvisamente sicura che niente sarebbe accaduto al ragazzo. Anche
se non riusciva a identificare il momento in cui aveva assunto quelle
sicurezze: un attimo aveva così tanta paura di Christopher da
decidere di rinunciare a quel sogno a occhi aperti, e quello dopo non
le importava più nulla, di quella paura. Tanto da concedersi
di nuovo di far l'amore con Klaus.
Non
mi accadrà nulla, le
aveva detto lui.
E
lei ci aveva creduto, malgrado mancasse di qualsiasi certezza in
quelle parole.
Ti
ferirà, April. Lui non è quello che pensi e lo
scoprirai presto.
Quella
voce le riecheggiò nella mente, intricata a ricordi passati
che la ragazza non riusciva a visualizzare. Si portò una mano
alla fronte, adagiando il rossetto sulla superficie della toletta e
socchiudendo lo sguardo mentre fissava, con aria vacua, il proprio
riflesso. Era certa di aver sentito qualcuno rivolgerle quelle
parole, ma non aveva proprio idea di dove avesse potuto udirle. Anzi,
ripassando con il pensiero gli ultimi giorni passati, individuò
diversi vuoti, come se alcuni momenti di quelle giornate fossero
stati cancellati dalla sua mente.
“Voglio
evitare che tu mi svenga sul palco stasera.”
La
voce di Gloria riecheggiò tra le silenziose pareti del suo
camerino. La donna fece il suo ingresso con la solita aria altezzosa
e autoritaria che la caratterizzava, con in viso un'espressione più
seria del solito e con in mano una tazza fumante.
April
la guardò senza capire; terminò di passarsi rapidamente
la cipria sul viso e si girò verso la donna. “Che
cos'è?” le domandò. “Non ti pare un po'
tardi per il thé?”
“Non
è thé infatti.” Gloria le posò la tazza
davanti, sulla superficie della toletta. “È una tisana
che ti farà stare meglio.”
All'interno
vi era contenuto un liquido verde acqua che dava proprio l'aspetto di
essere un thé. Però l'odore che emanava era differente;
sapeva di fiori in primavera, di profumo di incenso, aspro e
pungente.
“Ma
io sto bene.” April fece spallucce e assunse l'espressione più
sincera che le riuscì. Prese la tazza tra le mani e soffiò
sull'alone di fumo che si levava dalla bevanda.
Sapeva
che anche quella era una menzogna.
Era
stata male anche quel pomeriggio; aveva preso a tossire violentemente
e quando si era portata la mano alle labbra, l'aveva trovata
leggermente sporca di sangue. Eppure negava a sé stessa
qualsiasi preoccupazione, secondo la quale potesse trattarsi di
qualcosa di grave.
Non
era possibile.
Non
lo accettava.
Non
allora.
Non
dopo Klaus.
“Meglio
prevenire che curare.” sentenziò Gloria, facendole segno
di bere. La sua espressione era buia e sembrava che le stesse
nascondendo qualcosa; i suoi occhi nerissimi non si erano mai posati
sul suo volto da quando aveva messo piede nel camerino.
April
non perse tempo a domandarsi il motivo, visto che Gloria era una
donna particolarmente lunatica, sotto
quel punto di vista.
“Come
vuoi.” rispose. “Anche se poi dovrò rimettermi il
rossetto daccapo.”
Dopo
aver sorriso, iniziò a bere lentamente.
** *
* * ** * * ** * * * * *
Quel
venerdì sera di Chicago sembrò festoso persino ai suoi
occhi di millenario e annoiato vampiro.
La
musica Jazz suonava con maggior impeto ed energia per tutto il
locale; la gente ballava, sorrideva e si divertiva in una maniera che
lui si ritrovava ad osservare con partecipe interesse; le donne erano
tutte bellissime e gli uomini erano tutti meno irritanti.
Klaus,
Rebekah e Stefan sedevano in un privé loro
riservato; delle pesanti tende rosse circondavano il loro tavolo,
rendendo solo visibile il palco nel piano sottostante, dove stava
suonando un trombettista particolarmente talentuoso. Da quell'altezza
si riusciva a scorgere perfettamente chiunque si trovasse al piano
inferiore; teste di uomini e donne si muovevano a suon di musica, con
armoniosa e disarmante ritmicità.
“Che
noia!” Stefan non era dello stesso umore di Klaus. Gli sedeva
di fronte, affiancato da una Rebekah che sembrava tediata tanto
quanto lui, intenta a bere del vino rosso da un calice che teneva
elegantemente nella mano sinistra.
“Queste
donnicciole non mi danno più alcuna soddisfazione.” Il
giovane vampiro allontanò il braccio dalle spalle della sua
giovane vittima, la quale era riuscito quasi a dissanguare
completamente nel giro di pochissimi minuti. Le sistemò la
testa, come se fosse una bambola di porcellana, in modo che i
profondi segni sul collo fossero ben nascosti dai suoi lunghi capelli
scuri. Se qualcuno fosse passato e li avesse visti, avrebbe pensato
che quella fosse beatamente addormentata sul divanetto.
“Troviamo
qualcosa di più divertente da fare.” Stefan rise come un
bambino preso da un diabolico desiderio di combinare guai; si pulì
le labbra con un tovagliolo bianco e guardò furbamente Klaus e
sua sorella.
Rebekah
ammiccò nella sua direzione, convinta dalla proposta del suo
vampiro. “Buona idea, caro.”
“Oh
andiamo ragazzi, non diamo troppo spettacolo. C'è troppa gente
oggi e i tempi in cui i superstiziosi ci davano la caccia con forconi
e torce non mi sono mai andati a genio.” rispose Klaus con un
sorrisetto furbo sulle labbra; trangugiò l'ennesimo bicchiere
di liquore di quella sera, con un'espressione soddisfatta e serena
sul viso.
Intanto
il trombettista aveva terminato il suo numero, sotto gli applausi di
tutti e Gloria si apprestò ad annunciare la giunta della
leonessa a scaldare le notti di Chicago.
April salì sul palco sotto i versi di giubilo di tutti i suoi
ammiratori; fece scorrere lo sguardo su di loro com'era sempre solita
fare per catturarli, fino a quando i suoi occhi si spostarono sul
piano superiore, precisamente su
di lui.
Come
se sapesse che l'avrebbe trovato là.
Come
se avrebbe potuto sempre trovarlo.
Gli
sorrise, in quella maniera dolce che lui le aveva involontariamente
insegnato a fare, e Klaus ricambiò con un rapido gesto che
solo lei poté percepire.
Quella
sera la ragazza indossava un abito blu, stretto in vita da una cinta
scura, e lungo fin sotto i piedi. I capelli erano raccolti in una
crocchia, tenuta in sede mediante una treccia dei suoi stessi
capelli.
Era
truccata pochissimo, con un poco di fard e un po' di rossetto sulle
labbra, ma questo non sminuiva la sua bellezza. La rendeva più
naturale, più visibile.
“Oh,
questo è amore.” Stefan parlò in un
italiano imperfetto, che Rebekah si sentì in dovere di
correggere, visto il lungo periodo che lei e i suoi fratelli avevano
passato in Italia.
Stefan
però ignorò la precisione della vampira e si piegò
sul tavolo, puntando lo sguardo in direzione di Klaus. “Propongo
di trasformarla questa sera e di istruirla poi alle gioie vampiresche
delle nostre belle nottate. Che ne dici, Nik?”
“Non
se ne parla proprio Salvatore.” Klaus lo zittì,
ignorando l'enorme interrogativo che gli si disegnò nella
mente quando Rebekah lanciò un'occhiata preoccupata in
direzione di Stefan. “A quello ci penserò io quando sarà
il momento giusto.”
Era
stranamente inquietante parlare a quel modo, mentre la melodica voce
di April faceva da sottofondo alla loro conversazione, ma Klaus non
ci diede molto peso.
“Vuoi
trasformarla?” Rebekah non riuscì a trattenersi dal
rivolgergli un'espressione allarmata. Lo guardò stringendo con
forza il bicchiere che aveva in mano e sgranò i suoi grandi
occhi blu.
“Perché
no?” Stefan era confuso, ma non stupito dal tono di Rebekah
quanto lo era Klaus. “Quella ragazza morirà nel giro di
poco tempo e se aspettiamo un altro po', la malattia potrebbe
renderla brutta e deperita.”
Rebekah
lanciò un'altra occhiataccia in direzione di Stefan,
infastidita dal modo in cui lui aveva parlato della vita di April.
Quasi contasse poco o nulla rispetto alla sua bellezza. Le sue grandi
labbra carnose erano dischiuse, in un'espressione puramente sconvolta
e carica di disappunto.
“E
se lei non volesse essere trasformata?”
Klaus
iniziò a nutrire fastidio per quell'atteggiamento della
sorella. “Sta morendo. Le farei solamente un favore rendendola
come noi.” asserì, sapendo di essere nel giusto.
Bevve
un lungo sorso dal suo bicchiere, incolpando mentalmente sua sorella
per avergli rovinato la serata con i suoi improvvisi sbalzi di
moralità.
O
forse era peggio lui che si lasciava coinvolgere da quelle parole?
“E
la chiudo qui.” concluse.
Rebekah
fissò allibita suo fratello, senza però proferire
nessun'altra parola. Sapeva quanto pericoloso e irritabile potesse
divenire quando veniva costretto ad affrontare argomenti di cui non
voleva parlare. Stefan le passò un braccio lungo le spalle,
accarezzandole sensualmente la pelle del gomito. “Va bene,
questi sono affari tuoi Nik.” disse. “Ma io continuo ad
essere annoiato.”
“E
non è un mio problema.” Klaus rispose stizzito,
pronunciando quelle parole come se fossero la giusta conclusione per
la precedente frase di Stefan. L'Originale si voltò a guardare
in direzione di April, la quale continuava a cantare con la stessa
grazia e dolcezza di un angelo caduto dal paradiso.
Gli
occhi di Klaus, però, si spostarono involontariamente verso un
uomo in mezzo alla folla, il quale stava fissando silenzioso e
immobile la figura della cantante. Aveva un'espressione minacciosa e
carica di odio sul volto; stonava terribilmente con i volti
affascinati e catturati degli altri spettatori.
Klaus
provò un moto di rabbia che lo spinse ad agire. “Mio
caro Salvatore.” disse, mordicchiandosi il labbro inferiore per
qualche secondo. “T'ho appena trovato un ottimo passatempo per
stasera. Liberati più veloce che puoi di quel cadavere.”
E,
detto ciò, rivolse un sorriso furbo in direzione del compagno.
* *
* * * * * * * * * * * * *
April
continuava a cantare, sorridente e solare, sul palco del locale,
senza accorgersi dei suoi occhi su di lei.
Chiunque
avesse potuto immergersi negli occhi di Christopher in quel momento,
ne sarebbe stato ingannato, pensando che quelli fossero ricolmi di
odio. Ma l'odio era un sentimento, una rosa dai petali neri
che germogliava affianco a un fiore più colorato, e lui, per
April, non nutriva nessun tipo di sentimento.
Amava
il suo bel viso, amava il suo bel corpo, ma non vedeva nient'altro
sotto quella facciata.
Lui
la guardava con rabbia, per il semplice motivo che la sentiva
sfuggirgli dalle dita, come fosse un oggetto di valore, ma senza
alcun significato.
Non
voleva perderlo solo perché valeva tanto e perché
doveva essere una cosa sua.
Niente
più.
Questo
era ciò che April era per lui.
“È
sempre un piacere incontrare un ricco magnate di Chicago come voi,
Christopher.”
L'uomo
si girò lentamente, quando sentì pronunciare il suo
nome da qualcuno alle spalle. Si ritrovò il sorriso beffardo
di Klaus davanti allo sguardo, gli occhi accesi fissi sul suo volto e
una postura regale, elegante e raffinata che Christopher sentì
di non aver mai posseduto, nonostante i suoi nobili natali.
Provò
invidia perché le mani che si contendevano il suo
prezioso gioiello erano migliori delle sue.
Dio,
avrebbe potuto sparargli un
colpo di pistola proprio in quel momento, davanti a tutta quella
folla.
“Voi
forse non avete idea di chi io sia...” Klaus tese la mano nella
sua direzione, in attesa che lui ricambiasse la presa. “Il mio
nome è Niklaus Mikaelson...”
“So
chi siete.” Christopher mantenne le proprie mani gelosamente
dentro le tasche dei pantaloni. “Siete uno dei nuovi ricconi
più ambiti della città....e il bastardo che vuole
scoparsi la mia donna.”
L'espressione
sorniona sul volto di Klaus si rabbuiò per un attimo.
Christopher ne fu sollevato e non poté fare a meno di
sorridere, senza sapere che quel baleno sul viso del ragazzo non era
dovuto a un sentimento di paura nei suoi confronti.
“Scoparsi?”
Klaus fece un passo verso di lui, e questa volta fu l'espressione di
Christopher a mutare per un attimo, solo in maniera più
percettibile rispetto a come era accaduto poco prima a Klaus. “Non
stiamo parlando di un animale da monta.”
Incredibile,
quel folle non cercava nemmeno
di nascondere la relazione con la sua donna.
Oh,
l'avrebbe pagata molto cara per quel suo errore.
Troppo
cara.
“Figlio
di...”
“Sono
qui per chiarire.” Klaus mantenne l'autocontrollo, malgrado
Christopher sembrava sul punto di volerlo colpire in quel momento.
Continuò a sorridere, come se la collera dell'umano non lo
scalfisse. “Ma credo che dovremmo farlo in un posto
più...tranquillo e riservato.”
Klaus
alzò l'indice, indicando con precisione il tavolo a cui
sedevano Rebekah e Stefan sul piano superiore del locale. Il ragazzo
fece un cenno di saluto nella loro direzione.
“Perché
dovrei aver voglia di chiarire qualcosa con voi?” Christopher
guardò con aria minacciosa il volto di Klaus, il quale non la
smetteva di dispensare sorrisi incoscienti nella sua direzione.
“Perché
non dovreste? Siamo sulla stessa barca, ingannati dalla stessa
donna.” Klaus fece scorrere lo sguardo verso April, e
Christopher si girò nella stessa direzione. La giovane
cantante era completamente assorta nella magia della sue emozioni da
non essersi accorta di nulla.
Rapidamente,
la visione delle cose di Christopher mutò. Klaus era molto,
troppo convincente per non farlo dubitare di quanto, fino ad allora,
aveva sempre creduto.
April
restava una puttana. Ma forse Mikealson non era l'amante infame che
gli aveva gettato sopra fango e disonore.
“So
che probabilmente ancora non mi credete.” proruppe Klaus,
malgrado la sua espressione tradisse la convinzione di aver fatto
centro. “Ma, abbiate fiducia, dopo che vi avrò spiegato
tutto quanto, sarete del mio stesso avviso.”
Christopher
serrò la mascella, con aria pensierosa. “Va bene. Ma
fate sì che duri poco.” disse infine.
Klaus
sorrise, gli fece segno di seguirlo e i due si mossero in direzione
degli scalini che li avrebbero condotti al piano superiore del
locale.
In
quello stesso istante la canzone di April fu sul punto di terminare.
E i
suoi occhi preoccupati catturarono l'immagine dei due uomini
camminare fianco a fianco nella folla.
* *
* * * * * * * * * * * *
“Prego,
accomodatevi.”
Klaus
gli indicò un punto sul divanetto, in cui Christopher sarebbe
stato seduto vicino a lui. L'umano valutò gli altri due visi
prima di prendere posto: Stefan teneva un braccio adagiato sopra le
spalle di Rebekah, la quale fissava Christopher con intensità.
Sul viso una smorfia che poteva rappresentare piacere ma anche
disgusto. Capirlo gli fu difficile.
Dopo
essersi schiarito la voce, l'uomo si sistemò i bottoni della
giacca e prese posto, subito dopo che Klaus ebbe fatto lo stesso.
“Allora...ditemi ciò che avete da riferirmi e
chiudiamola presto.” disse, tenendo lo sguardo basso.
Klaus
si trattenne dallo scoppiare in una risata fragorosa.
La
situazione era già cambiata.
Fino
a pochi secondi prima quel poveraccio era spavaldo e sicuro di sé,
ma gli sguardi di Stefan e Rebekah gli avevano fatto realizzare
quanto quella situazione sarebbe risultata sgradevole per lui.
Non
aveva capito che loro erano vampiri ovviamente, ma si era comunque
reso conto di avere solo due occhi contro sei che lo fissavano con
attenzione.
“Va
bene, parto subito.” Klaus incrociò le gambe e allungò
entrambe le braccia sullo schienale del divanetto, ponendosi in una
posizione comoda quanto poco elegante. “La cosa è molto
semplice e vi prenderà pochi minuti del vostro tempo.”
Christopher
lo guardò attentamente, iniziando a sudare freddo. Sentì
Rebekah e Stefan ridacchiare tra di loro e un brivido gli serpeggiò
lungo la schiena.
“April
è mia.” L'espressione di Klaus mutò
improvvisamente: non vi era più alcuna ombra di sorriso sulle
sue labbra, il mento era alto e gli occhi luminosi, per marcare il
diritto che reclamava su quella ragazza.
Christopher
non poté credere a quella sfacciataggine; ne restò così
stupito da non potervi nemmeno rispondere prontamente. Il suo respiro
iniziò però a farsi lentamente più affrettato,
mentre i suoi polmoni si nutrivano di rabbia e disprezzo.
“E
se vi azzardate di nuovo a minacciarla, vi giuro che vi strapperò
le dita una a una e ve le farò mangiare, mi sono spiegato?”
continuò Klaus.
“E
per dita, intende anche quelle dei piedi.” aggiunse Stefan,
come se stesse introducendo la parte più bella di una
barzelletta.
“Voi
forse non sapete con chi avete a che fare!” Christopher scattò
in piedi, rifiutandosi di far intuire ai nemici che quelle parole era
riuscite comunque a infondergli paura.
“Oh
invece so benissimo con chi ho a che fare. Siete un damerino senza
midollo che si diverte a minacciare una ragazza perché la
reputa sua proprietà. Non valete nemmeno un singolo passo che
camminate.” Klaus rise tra sé e sé, divertito
dalla maniera in cui Christopher lo guardava allibito. Ci mancava
poco che si mettesse a gridare come una zitella isterica purché
lui la smettesse di parlare. “Siete voi... che non avete
proprio idea di chi sia io.”
“Basta,
questo è troppo!” L'umano cercò di sfuggire allo
sguardo di Klaus e ai risolini degli altri due. Scattò in
piedi, pronto a fuggire a una battaglia verbale che non sarebbe stato
capace di sostenere. “Sappiate solo che vi farò pentire
amaramente di quanto mi avete detto stasera.”
“Ma
evidentemente non avete ascoltato bene.” Klaus si alzò
in piedi, impedendo così all'uomo di proseguire nel suo
cammino. Gli posò una mano sul petto e chinò il capo
per poterlo guardare. “Voi non avete idea di chi io sia. E
vorrei che mi conosceste un po' meglio.”
“Oh
so tutto quello che dovrei sapere su di voi...sei un uomo morto!”
Christopher ritrovò un poco del suo coraggio, allontanando la
mano di Klaus dal proprio petto. L'altro sembrò accettare di
buon grado quel gesto, lasciando cadere la propria mano e umettandosi
le labbra, spostando poi lo sguardo altrove.
“E
con voi lo sarà anche April. Trascinerò tutti e due
nella tomba.”
Christopher
concluse la sua minaccia con un sibilo, nella vana speranza di
incutere timore. Detto questo fece per superare Klaus, riuscendoci
solo perché questo ebbe la premura di spostarsi.
Christopher,
però, non ebbe fatto i conti con un altro dei presenti.
Stefan
Salvatore si parò davanti a lui con una velocità
disumana. Se lo ritrovò di fronte, malgrado non si fosse
nemmeno accorto che il ragazzo si era alzato in piedi. “Sapete,
non sono un cavaliere...ma non mi piace il modo di cui parli di
quella ragazzetta.”
Detto
questo, il vampiro posizionò le proprie mani sulle spalle
dell'uomo, spingendolo a sedersi sul divanetto, dove si era trovato
fino a pochi secondi prima. Christopher riuscì a metabolizzare
il tutto solo quando la cristallina risata di Rebekah risuonò
accanto a lui. Stefan si era mosso con una velocità che di
umano aveva ben poco, e l'aveva poi riutilizzata per spingerlo a
sedere sul divanetto. Allora riuscì a capire per quale motivo,
da quando si era seduto insieme a quei tre demoni, aveva provato una
strana e intensa sensazione di inquietudine.
Stefan
gli si avvicinò a passi lenti e studiati; Klaus si sedette
accanto a lui, ammiccando sotto i baffi e riempendosi poi un altro
bicchiere di liquore.
“M-ma...chi..siete
voi?” Christopher cercò di alzarsi, ma i suoi piedi
scivolarono goffamente sul pavimento, facendolo affondare ancora di
più nel materasso del divanetto. Provocò così
l'ilarità di Stefan e Klaus e un lieve rossore gli tinse le
gote scarnite.
Rebekah
non gli diede modo di pronunciare nessun'altra sillaba: gli prese il
mento tra le mani e fece voltare la sua testa verso di lei. Lo fece
con una tale forza da fargli quasi scricchiolare il collo.
“Siamo
solo persone molto, molto annoiate.” gli disse, muovendo
con ritmicità le sue bellissime e piene labbra rosse. “E
ora, non emetterai un suono per tutto il resto della serata e farai
tutto quello che noi ti diremo.”
Quelle
parole si impossessarono del libero arbitrio dell'uomo, riducendolo
alla stregua di un vegetale dipendente ai desideri dei suoi tre
carnefici.
Klaus
guardò Rebekah con sadica soddisfazione.
“E
ora mettiti seduto composto. E spostati un po' più in qua.”
Rebekah scivolò alla sua sinistra, e Christopher le obbedì
come un bambino soggetto ai rimproveri della madre.
Ci
fu così abbastanza spazio affinché anche Stefan potesse
sedersi; scavalcò le gambe di Klaus con un abile gesto e
lanciò poi uno sguardo complice in direzione del compagno,
mentre quest'ultimo si scolava le ultime gocce di liquore.
“Ripper,
te l'ho mai detto che provo una malsana invidia per il tuo modo
di...divertirti?” gli disse; alzò poi le mani per
enfatizzare i suoi pensieri appena espressi. “Davvero, mi fai
sentire così vecchio e antico. Credo di non sapermi più
divertire in maniera adeguata!”
Stefan
chinò il capo, accettando il complimento. “Troppo
gentile, amico mio.” rispose, congiungendo le mani e sorridendo
sotto i baffi.
Rebekah
ridacchiò divertita, più dalla paura insita nel tremore
di Christopher piuttosto che dello scambio di battute dei suoi due
compagni di serata. Quel poveraccio si guardava attorno spaventato,
desiderando gridare senza però poterlo fare.
Klaus
posò il suo bicchiere davanti a Stefan. “Ti prego,
offrimi uno spettacolo allettante questa sera.”
“Oh...ma
con molto piacere.” Stefan si voltò verso Christopher;
la sua parte spaventata, domata dalle precedenti parole di Rebekah,
gridò in cerca di aiuto. Tremò più forte, come
una foglia, e fissò con orrore lo sguardo vuoto del vampiro.
“Vuoi
offrirci da bere, Chris?”
Christopher
deglutì, sentendo che dietro quella domanda c'era ben altro.
“V-volentieri.” rispose, annuendo ripetutamente.
“Perfetto
allora. Quattro bicchieri Stef.” Rebekah si protese verso il
suo amante, alzando quattro dita. Klaus si portò una mano al
volto per trattenere le risate. Predispose allora, oltre il proprio
bicchiere, quello utilizzato da Rebekah, quello di Stefan e quello
che era stato precedentemente offerto alla loro vittima. Li
predispose davanti al compagno, attendendo che questi iniziasse il
suo spettacolo di divertente sadismo.
A
Christopher tremavano le labbra, come se stesse per scoppiare in una
crisi di pianto.
“Li
preparo in un batter d'occhio!” esclamò Stefan. Con uno
scatto rapido, afferrò il polso destro dell'umano e affondò
i canini nella sua carne. Christopher emise un leggero gemito, mentre
il suo sangue colava dalle fauci aperte del vampiro sulla tovaglia
del tavolino. Stefan ne bevve solo qualche sorso, per poi portare il
polso sopra due dei loro bicchieri, premendo sulla carne per favorire
la fuoriuscita del sangue, dalla vene all'interno dei calici.
“Caldo
caldo, come appena sfornato.” sussurrò il vampiro
soddisfatto.
Rebekah
volle prendere parte al gioco. “Aspetta, ti aiuto.” disse
e afferrò l'altro polso di Christopher, mordendo con maggiore
eleganza e minor voracità rispetto al suo amante, per poi
prendere a riempire i due bicchieri rimasti.
Lo
sguardo di Christopher si fece vacuo, oscillando da un vampiro
all'altro, mentre la pelle del suo volto si faceva sempre più
pallida e madida di sudore.
Si
focalizzò poi su Klaus, il quale preferiva osservare con
perverso piacere il gioco messo in atto dai due compagni. Preferì
non prenderne direttamente parte perché si conosceva; sapeva
che, furioso com'era, avrebbe perso il controllo troppo presto,
riducendo così la sofferenza di Christopher al minimo. Lo
avrebbe portato immediatamente alla morte, senza infliggergli il
dolore che meritava.
Stefan
non era così: a lui non piaceva solamente
uccidere-l'omicidio per lui rappresentava la ciliegina di una
buonissima torta-ma piuttosto preferiva torturare le sue vittime per
potersi nutrire della loro paura, mentre lui giocava e si
divertiva.
Era
quella la vera natura di un vampiro: nutrirsi di paura e sangue. E
gioirne.
E
Stefan non era coinvolto da alcuna nocività di sentimenti, a
differenza di Klaus.
Per
quanto riguardava Rebekah invece, lei si prestava al gioco
semplicemente perché era annoiata.
“Vi
prego non...” Christopher parlò con voce flebile e
debole, guardando entrambi i propri polsi insanguinati.
Stefan
porse un bicchiere a ciascuno di loro. “Alla salute signori.”
disse, impugnando il gambo del bicchiere e innalzandolo verso il
cielo, come se stessero davvero brindando a qualcosa.
“E
a cento di questi giorni.” Rebekah fece lo stesso, seguita a
ruota da Klaus.
Solo
Christopher non si mosse, tenendosi i polsi all'altezza degli occhi
lacrimanti e tremando percettibilmente. Avrebbe potuto causare pietà
in chiunque, ma non in loro.
Stefan
lo guardò contrariato. “Chris caro...perché non
brindi con noi?” gli domandò, dandogli una lieve pacca
sulle spalle che lo fece gemere di dolore. “Potrei offendermi.”
“E
fossi in te non lo farei offendere.” Klaus trincò con il
sangue dell'umano. “Perché poi delle teste rotolano e
qualcuno deve pulire.”
Christopher
dissentì, spaventato come un cucciolo. “Vi...vi prego,
non fatelo.” li implorò.
“Va'
a farti fottere amico. Bevi.” Stefan sorrideva,
indicandogli il bicchiere che aveva di fronte.
Malgrado
il pensiero gli procurasse dei conati di vomito, Christopher guardò
il bicchiere riempito di due dita del suo sangue. La sua mano si
spostò inevitabilmente verso esso, stringendolo con tutte le
dita. Poi, tremante, si portò il bicchiere alle labbra e prese
a bere lentamente. Il sapore metallico del sangue gli inondò
il palato, e quando questi si spostò lungo la sua faringe,
venne colto da numerosi conati di vomito. Si sputò il sangue
addosso, sul tavolo, e in parte di nuovo nel bicchiere, mentre i tre
vampiri ridevano spassosamente di fronte quello spettacolo.
Christopher,
umiliato, spaventato e tremante, si pulì le labbra con il
dorso della mano, guardando uno a uno i volti dei vampiri.
Stefan
alzò la testa e la sua risata soffocò contro il palmo
della mano, quando scorse una figura a pochi passi da loro. Malgrado
tutto il suo sorriso non si spense, cogliendo il divertimento che
poteva scaturire anche da quella faccenda.
“Oh
mio dio...”
Klaus
smise di sghignazzare non appena riconobbe il suono melodico di
quella voce. I suoi occhi si sgranarono per la sorpresa e il panico
si impadronì completamente di lui.
Si
voltò di scatto verso un punto alle sue spalle e scorse un
viso sconvolto e in lacrime a pochi passi da loro.
April
aveva visto tutto.
* *
* * * *
“Perché
hai fatto tutto questo Katherine? Non me lo hai mai spiegato per
davvero.”
Katherine
se ne restò seduta sul bordo del marciapiede, con le gambe
sensualmente accavallate e lo sguardo rivolto verso la luna piena che
brillava candidamente nel cielo. Usando la propria immaginazione, la
poté immaginare intrisa del sangue che aveva bagnato
quell'ennesima notte di Chicago. Ne sorrise.
“Non
te l'ho mai detto perché non volevo intromettermi tra te e la
scia di sangue che ti lasci dietro da giorni.” rispose
freddamente, posando le mani sull'asfalto e continuando a fissare
ostinatamente verso il cielo. Non si curò dell'ombra che, alle
sue spalle, si teneva nascosta nel vicolo tra due edifici, quasi
provasse vergogna nel farsi vedere alla luce della luna.
“La
tua stupidità ha un limite che non vorrei mai valicare.”
“Lei
ama veramente quel Niklaus. Sarebbe stata con lui anche se tu non
l'avessi soggiogata.”
Katherine
fece spallucce; dondolò avanti e indietro il piede sinistro,
sospeso sopra il ginocchio destro, e arricciò le labbra.
Parlare di tutta quella situazione la infastidiva, facendola sentire
impotente e sola com'era stata per tutti quei secoli. Nemmeno
la compagnia della figura alle sue spalle poté risollevarla da
quella sensazione. “Lo so. Ma non mi piace aspettare e ho
preferito accelerare i tempi.”
Calò
un silenzio tombale. Una macchina sfrecciò rapidamente davanti
a loro e Katherine riuscì a scorgere dai finestrini le teste
di un uomo e di una donna, talmente ubriachi da ridere sguaiatamente.
I suoni delle loro voci risuonò per pochi istanti, fin quando
la macchina svoltò dietro un angolo.
“E
cosa otterrai con tutto questo?”
“Visto
che non posso ottenere ancora quello che voglio.”
Katherine fu rapida e risoluta nella risposta; piegò la testa
da un lato e mantenne gli occhi scuri fissi sulla luna. “Voglio
almeno godermi l'immagine di Klaus di fronte alla perdita dell'unica
persona per cui conta qualcosa. Ne vale la pena. Voglio concedermi
questa piccola soddisfazione.”
Quella
sua risposta, però, non le piacque. Katherine non voleva una
sofferenza momentanea per Klaus, voleva che marcisse all'inferno da
cui proveniva e che la lasciasse libera di vivere in armonia
l'eternità che le si prospettava davanti.
Quello
che il vampiro nutriva per April le era sembrato forte, quasi
irreale, vista la natura omicida di Klaus. Tanto che ancora stentava
a credere di aver puntato così tanto in quell'attrazione
fatale nata tra di loro. Aveva provato a sfruttarla, sperando che
l'ingenua sensualità di April potesse fornirle informazioni
riguardo la fuga a cui anche Klaus e sua sorella erano soggetti, ma
ne aveva ricavato il nulla. Si sentì una stupida; aveva
intuito che Klaus mai e poi mai avrebbe rivelato ad April uno dei
suoi segreti, eppure ci aveva comunque provato.
“E
chi ti dice che non le cancellerà la memoria nel caso in cui
scopra di lui e di sua sorella?” chiese ancora la fastidiosa e
curiosa ombra alle sue spalle.
Katherine
aveva sempre odiato la domande a raffica, sopratutto se provenivano
da una voce così squillante. Si alzò lentamente in
piedi, pulendosi la corta gonna del vestito sul didietro e si voltò.
Il suo interlocutore era ancora timidamente avvolto nel buio.
“Non
lo farà. Ho già provveduto a muovere le mie pedine.”
rispose, avvicinandosi lentamente a lei. Il suono dei suoi tacchi a
spillo riecheggiò nel vuoto della notte. “E, anche se lo
farà, il risultato non cambia. Klaus perderà questa
piccola battaglia. Sai quello che faremo, no? Non farmelo ripetere.”
Katherine
avvertì un moto di fastidio, quando scorse la chioma bionda
dell'ombra scuotersi in un gesto di dissenso. “Io non voglio
permettertelo.” le disse.
Sfidarla
in una notte così carica di rabbia e solitudine; quella
sciocca aveva scelto il momento sbagliato per provocare Katherine
Pierce. La vampira, presa da un attimo di irrazionalità,
scattò velocemente in direzione di quella figura, stringendola
per il collo e spingendola violentemente sul marciapiede. Il volto
del suo interlocutore divenne finalmente visibile alla luce della
luna, pallido e smorto come solo un viso toccato dalla morte poteva
essere.
Katherine
mostrò i canini, tenendo la mano stretta attorno al collo
dell'altra e impedendo a quest'ultima di compiere un qualsiasi
movimento che potesse permetterle di liberarsi. Restò dunque
chinata su di lei, lanciandole occhiate di fuoco e ira.
“Stammi
a sentire.” ringhiò la mora, oscillando lievemente i
corti capelli scuri. “Sono stanca dei tuoi capricci. Sono
stanca delle tue continue perdite di controllo. Ti ricordo che è
grazie a me se non sei morta; è grazie a me se continui a
bazzicare per queste strade con la tua insulsa vocina stridula e i
tuoi occhi da pesce lesso. Ho lasciato che tu ti trasformassi, non
perché mi sei simpatica ma perché mi servi.”
La
ragazza a terra era sul punto di scoppiare in lacrime. Katherine
l'aveva sempre ricordata fastidiosamente emotiva e fragile, e quelle
sue caratteristiche erano state amplificate dalla morte sopraggiunta
nelle vesti di un vampiro. Quasi si pentì di aver inserito
quella pedina sulla sua scacchiera.
“Hai
capito bene, Violet?”
“Io
non voglio ucciderla.” piagnucolò Violet, serrando più
forte che poté il polso di Katherine. Questa non mostrò
alcun segno di disagio; anzi strinse più forte la presa
attorno al collo della ragazza, infastidita dalla sua continua
ostinazione.
“E
invece lo farai, se non vuoi che la morte di April sopraggiunga più
violenta per mano mia. ”
Detto
questo, Katherine fece alzare con uno scatto Violet, tenendola per le
spalle una volta messa in piedi e guardandola nei suoi occhi verdi,
spenti e vacui. La neo vampira aveva le labbra sporche di sangue,
l'abito bianco intriso di macchie rosse e nere in diversi punti.
Katherine
si ritrovò a storcere la bocca disgustata di fronte a tale
sporcizia. Violet era sempre, perennemente affamata, trascurando così
un poco di norme igieniche. Riusciva a essere peggio di Stefan.
“Vedi
il lato positivo, mia cara.” le disse, facendo salire le mani
all'esile volto di Violet. “La malattia la porterà via
lentamente, mentre tu lo farai molto velocemente. E, inoltre, la
libererai dalla condanna di amare uno come Klaus. Le faremo un doppio
favore.”
Violet
non trovò le parole per replicare. Katherine la spaventava
come nessuno mai aveva fatto prima e le sue parole le si imprimevano
nella mente come marcate a fuoco. Non trovò nemmeno la voglia
di elaborare una possibile risposta, perché un rumore di passi
le segnalò la presenza di un umano, in procinto di avvicinarsi
a loro. Si voltò simultaneamente insieme a Katherine, e notò
la presenza solitaria di un ragazzo che camminava rapidamente lungo
il marciapiede, verso di loro. Non mostrò alcun tipo di
timore, quello stolto, nel scorgere le due fanciulle a pochi metri da
lui.
Katherine
sorrise. Guardò le venuzze scure che si erano formate ai lati
degli occhi di Violet e un senso di soddisfazione le si dipinse sul
volto. Adorava vedere come i vampiri appena nati fossero
terribilmente soggetti al battito di un cuore umano.
Quando
l'umano si fermò di colpo, come confuso, decise di concedersi
anche lei una notte senza controllo.
“Penso
che stasera ti farò compagnia per cena.” disse.
E,
detto ciò, Katherine tirò fuori i canini, per poi
guardare in direzione della loro vittima.
E le
urla del ragazzo riecheggiarono nella notte, rendendola più
buia di quanto già non fosse.
Buonasera
a tutti! :D
Vi
dirò, oggi forse sarà perché sono
particolarmente felice, ma sono soddisfatta di questo capitolo. Ad
eccezione dell'ultima scena di Katherine, il resto mi sembra
abbastanza caruccio alla fin fine u.u poi, nel caso fosse il
contrario xD, non esitate a dirmelo, mi raccomando!
Come
sempre, spero che non ci siano troppi evidenti errori grammaticali, e
nel caso ne visionaste qualcuno, fatemelo pure presente! ;)
Parlando
del capitolo, penso vi sarete accorti che la scena
Klaus-Stefan-Rebekah è ispirata alla 3x03, dove questi tre
simpaticoni fanno bere del sangue a quel povero tizio. Ovviamente è
un po' modificata a fini di trama, ma spero comunque che abbia
ricalcato abbastanza bene le dinamiche della vicenda.
Passando
alla scena su Katherine....ho dei forti dubbi su di lei. Nel senso,
non mi sembra lei...voi che ne pensate? La mia paura di sfiorare il
tanto odiato OOC è sempre presente, sopratutto su personaggi
“complicati” come lo è Katherine Pierce.
Il
colpo di scena, poi, è stato un effettivo colpo di scena? XD
purtroppo manco nella suspence e nel farvi prendere un colpo sono
brava ahah.
Comunque,
avrei da chiedervi un consiglio: una certa persona (Elyforgotten, la
colpa è tutta sua) mi sta spronando a scrivere qualcosa sullo
Stefan Rippah di questa storia. Qualcosa che comunque durerà
pochi capitoli, massimo 5-6, e che sarà correlato comunque
allo scenario di “October & April”. Che ne pensate?
Vabbé,
me sto zitta! Ringrazio tutti gli adorabili lettori di questa storia;
chi legge silenziosamente e chi recensisce. E grazie anche a coloro
che hanno inserito questa storia tra le preferite/ricordate e
seguite!
Ci
rivediamo alla prossima...o almeno spero! ;)
Buona
serata a tutti! Ciao :*
ps:
risponderò alle recensioni bellissime dello scorso capitolo
proprio adesso!
|
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Capitolo 10 *** Hoping one day you'll make a dream last, but dreams come slow and they go fast. ***
http://www.youtube.com/watch?v=xJrEvz6nbv8
*Cover
di “Let Her Go” dei Passenger.
-Capitolo
10: Hoping one day you'll make a dream last, but dreams come slow and
they go fast-
Only
hate the road when you're missing home.
Only
miss the sun when it starts to snow.
Only
know you love her when you let her go.
(Let
her go by Within
Temptation)
Nei
suoi mille anni di esistenza, Klaus aveva vissuto quel tipo di
sguardo senza alcuna vergogna.
Anzi,
la paura che sprizzava dagli occhi degli umani quando si trovavano di
fronte alla sua vera natura, spesso, lo divertiva, facendolo sentire
più superiore di quanto già non fosse.
Ma
in quel caso c'era qualcosa di differente.
Klaus
odiava vedere il terrore dipinto sul volto di April.
Detestava
vederlo riversarsi su di lei attraverso quelle lacrime calde.
Odiava
che lei lo guardasse come una sorta di orribile mostro.
Nel
corso degli anni aveva anche imparato ad accettare quella
considerazione che tutti avevano di lui, e degli altri della sua
specie. L'aveva accettato ed era riuscito a conviverci con forza e
disinteresse. Ma in quel momento tutto era intollerabile, tanto che
Klaus sentì riemerge quella folle, pallida debolezza che aveva
posseduto quando era umano.
April
aveva paura e lo vedeva come se fosse un mostro.
E la
sua debolezza aveva ripreso vita e vigore.
“Oh
oh...” Stefan teneva ancora gelosamente il polso di
Christopher, mentre i suoi occhi erano fissi su April. L'umano era
ormai sul punto di svenire, per il peso psicologico a cui era stato
sottoposto nel corso di quel gioco sadico, e per via del quantitativo
di sangue che aveva perso, sempre nel durante.
April
scappò via, prima che Klaus potesse anche solo pronunciare il
suo nome.
“Nik,
inseguila. Potrebbe smascherarci!” Rebekah guardò
preoccupata la figura immobile e pietrificata di suo fratello, che
venne quindi incentivato ad andare dalla ragazza.
Quella
aveva preso a correre tra la folla, singhiozzando delusa e spaventata
senza che nessuno potesse udirla o scorgerla. La musica alta
soffocava ogni cosa, l'euforia generale data dal divertimento e
dall'alcool rendeva tutti quanti ciechi e sordi nei confronti del
panico della ragazza. E April correva come una furia, finendo di
tanto in tanto contro la schiena di uno e sopra i piedi di un altro.
Klaus
non ci mise molto a raggiungerla e, nei pochi secondi che gli ci
vollero per farlo, decise che non c'era soluzione migliore che quella
di cancellare i ricordi di April a riguardo.
Era
la cosa più ovvia da fare ma non poté fare a meno di
sentirsi in colpa. Perché lui non voleva ricorrere ai suoi
poteri per sopprimere la paura della ragazza, ma non sopportava
l'idea che lei lo temesse, che lo considerasse un terribile incubo
notturno da cui scappare nel cuore della notte.
Decise
di fermarla solo una volta che lei fu fuori dal locale e si fu
fermata in prossimità del marciapiede per riprendere aria. Non
si era accorta che lui era a pochi metri dalle sue spalle; Klaus la
vide portarsi le mani tra i capelli e singhiozzare con maggior
impeto, accompagnando il proprio dolore a una lunga serie di colpi di
tosse che le scossero violentemente la gabbia toracica.
Viste
le sue condizioni fisiche, sarebbe potuta persino morire per uno
spavento simile.
Klaus
venne scosso da un brivido.
“April...”
chiamò il suo nome con un calmo sussurro che si adagiò
delicatamente nella fredda e tagliente aria di quella notte.
Eppure
April sussultò come se lui avesse gridato.
Lo
guardò come aveva fatto poco prima, come se si trovasse di
fronte a un terribile mostro, e prese a tremare più forte. Era
tentata dal correre il più lontano possibile, ma le sue gambe
erano come incollate al marciapiede.
“Vattene
via. Lasciami in pace.” lo implorò, come se fosse sua
prigioniera.
“Lascia
almeno che ti spieghi.” Klaus mantenne l'autocontrollo
necessario per non ostentare né rabbia e nemmeno pietà
verso i sentimenti e le condizioni di April. Non riusciva a guardare
i suoi grandi occhi scuri senza provare un moto di indefinite
emozioni. Per spegnere tutto, sarebbe bastato prenderle il viso tra
le mani, guardarla in quelle splendide e sincere pozze scure, e
cancellare ogni cosa di quella notte.
E
non avrebbe più temuto di perderla.
“Non
voglio...” April mosse dei passi all'indietro, cadendo quasi
dal marciapiede. Non perse mai il contatto visivo con lui, per timore
che potesse saltarle alla gola da un momento all'altro. “Che tu
mi fornisca alcuna spiegazione. Sei un mostro, un vampiro!”
April
metabolizzò solo in quel momento la parola che aveva appena
abbandonato le sue labbra. Si passò le mani tra i capelli
ancora una volta-l'acconciatura ormai completamente sfatta e
rovinata, insieme al trucco-e abbassò gli occhi.
“Un
vampiro...” ripeté.
“Sì,
è quello che sono.”
“Hai
ucciso tu Violet...e tutte quelle persone. Siete stati voi.” Le
parole di April divennero audaci, cariche di rabbia e di rancore.
Ostentava una sicurezza datale dal fatto che non aveva più
nulla da perdere-amicizia, famiglia, amore-perché
quella sera aveva perso l'unica cosa a cui si era aggrappata per
tutto quel tempo e per cui aveva ripreso a vivere.
Klaus
avrebbe tanto voluto liberarsi il prima possibile del peso che lei
gli aveva messo sulle spalle, cancellando ogni ricordo. E forse
avrebbe fatto meglio a cancellare quelli non solo di quella sera ma
di tutta la loro relazione. Lui non doveva sopportare il carico di
nessuna gioia, ma solo di rancore e sofferenza. Però non
voleva rinunciare a quel peso, perché lei ormai lo aveva
riposto completamente su di lui e lui lo aveva accettato di
buon grado. Aveva accettato l'umanità che lei gli aveva
offerto e ormai non voleva più perderla.
“Non
ho ucciso io la tua amica.” rispose sincero, muovendosi verso
di lei. “E quello che hai visto compiere stasera...è
stato solo per proteggere te.”
April
perseverava nel guardarlo con odio, arretrando lentamente alla sua
figura. “Proteggere me?” ripeté lei, ridacchiò
nervosamente e il movimento sul suo viso spinse delle tristi e
solitarie lacrime a scenderle lungo la pelle. “A te non importa
nulla di proteggere me.”
“Tu
non hai alcun diritto di dire cose del genere!” Klaus gridò
furiosamente, il suo ringhiare impetuoso riecheggiò in quella
strada buia e desolata di Chicago. Nessuno, eccetto April, poté
assistere alla sua collera, poiché tutti troppo presi dai
fasti notturni che stavano avendo luogo nel locale.
Klaus
si rese conto di averla spaventata di più, ma non gli importò.
La rabbia era padrona del suo corpo in quel momento, e nessun
sentimento o pensiero razionale poté permettergli di
controllarla. “Christopher ti ha minacciata. E io ho pensato di
metterlo a tacere, a modo mio!”
“Nel
tuo modo orribile!” April gli ringhiò
contro con altrettanta rabbia, in una maniera che Klaus non si
aspettò. Nessuno aveva mai reagito a quella maniera in
risposta alla sua ira, malgrado delle volte il vampiro avesse sperato
di trovarsi di fronte a qualcuno con abbastanza midollo per farlo.
Uccidere gli audaci era più divertente, i deboli li si
calpestava con troppa facilità, come fossero vermi. Era
fastidioso sapere che l'unica persona che lo avesse sfidato a quella
maniera fosse anche la stessa che lui non avrebbe mai voluto
uccidere.
“Non
sei così diverso da lui. Siete mostri, ma in maniera
differente.” April si asciugò le lacrime con il dorso
della mano, mantenendo il tono della voce fermo, in maniera
ammirevole. “Solo che di te mi sono innamorata e di lui no. Ed
è questo che fa più male.”
Klaus
scosse la testa; la dichiarazione della ragazza accese di nuovo
qualcosa in lui. “È questa la mia natura, April, e non
puoi cambiarla. Ma accettarla, così come sei riuscita ad
accettare me per tutto questo tempo.” cercò di dirle,
calmandola prima di abbattere la sua rabbia, violando la sua memoria.
“Io
ho accettato una parte di te che forse nemmeno esiste.”
A
quell'ennesima ostinazione, Klaus non riuscì a contenersi.
Scattò rapidamente in direzione di April, spingendola contro
il muro di mattoni alle sue spalle. Le tenne le mani sulle braccia,
per impedirle di combatterlo e si spinse contro il suo corpo, facendo
aderire perfettamente i loro petti. Il vampiro poté sentire il
cuore impazzito della ragazza battere contro il suo, spento e privo
di vita.
“LASCIAMI
ANDARE!” April provò a divincolarsi, battendogli le mani
sul petto con forza e tossendo di tanto in tanto.
I
pensieri martellarono nella testa di Klaus, il quale non la smetteva
di stringerla con decisione e di guardarla in viso. “Non conta
quello che tu pensi ora.” le disse, mentre lei continuava a
gridare e a cercare di respingerlo. “Non conterà più
perché non ricorderai nulla di nulla!”
Sì,
le avrebbe cancellato la memoria.
Oppure
le avrebbe imposto di credere in lui malgrado la sua natura.
Era
l'unico modo che aveva per non perderla.
Non
c'era tempo per ripensamenti o sensi di colpa. April doveva essere
soggiogata affinché non li tradisse, affinché non
avesse paura di loro e perché lui pretendeva che così
fosse.
Chi
credeva di essere, quella piccola umana?
Con
quale diritto gli aveva donato qualcosa che non cercava, facendolo
arrendere ad esso, per poi riprenderselo con gli interessi?
No,
lui non glielo avrebbe permesso.
Fece
salire le mani alle guance, pallide e rigate di lacrime, di lei e
April chiuse gli occhi, singhiozzando e implorandolo di lasciarla
andare.
“Guardami!”
le ordinò lui, e approfittò del momento in cui lei aprì
gli occhi per poterli catturare nei suoi.”Ora dimenticherai
quanto hai visto: me, Rebekah, Stefan e Christopher non saranno
nemmeno stati un brutto sogno. Queste immagini sfuggiranno ai tuoi
ricordi e tutto tornerà com'era prima.”
Quando
Klaus terminò il soggiogamento, però, si rese conto che
nulla era cambiato: April continuava a gridargli contro, a
combatterlo, e a guardarlo con avversione.
Non
poteva essere soggiogata.
Doveva
aver ingerito della verbena oppure averla addosso.
Questa
non ci voleva.
“Vattene!”
April riuscì a scappare alle braccia di Klaus, solamente
quando questi smise di trattenerla. Sbilanciandosi, la ragazza cadde
violentemente sul marciapiede, facendo leva sulle mani per non
sbatterci di viso contro.
Klaus
restò immobile dov'era, arresosi alla debolezza che aveva
preso il posto della rabbia. Posò le mani sulla parete dove
fino a poco prima si trovava il corpo spaventato di April, e chinò
il capo, socchiudendo gli occhi.
Sarebbe
stato semplice.
Aveva
della verbena in corpo? Perfetto, doveva spezzarle semplicemente il
collo e risolvere la faccenda in quello stesso istante.
Ma
non voleva farlo.
Non
poteva, anche se doveva.
Si
voltò a guardare April, ancora semidistesa sul cemento freddo,
la quale lo stava fissando con aria interrogativa, pervasa
probabilmente dagli stessi pensieri che stavano affliggendo lui. Si
guardarono a lungo, con negli occhi nascosti dei sentimenti che
nessuno dei due poté decifrare.
Klaus
le fu grato, quando lei smise di guardarlo e si alzò
debolmente in piedi, per poi prendere la strada opposta al punto in
cui si trovava lui. S'incamminò lentamente, quasi volesse
metterlo alla prova e verificare fino a che punto il
vampiro avrebbe potuto spingersi. Voleva appurare se si sarebbe
spinto oltre la sua sopportazione, senza ucciderla, oppure oltre la
sua ferocia, strappandole via la carotide con un sol morso.
Klaus
non andò oltre nessun limite, se non quello della propria
sofferenza.
Si
concesse un lungo respiro, voltandosi passivamente verso l'ingresso
del locale di Gloria, fin quando si bloccò. La strega lo stava
fissando a braccia conserte e con un'espressione seria sul volto.
* *
* * * * * * * * * * * *
Il
mattino seguente Chicago riprese la sua sobrietà.
Non
vi era più nessun ubriaco che vagava per le strade cantando a
squarciagola, o donnette di facili costumi che si concedevano per i
vicoli bui della città, o ancora i criminali che
approfittavano di tutta quella confusione per dare libero sfogo ai
loro crimini.
Il
sole scacciò via le colpe della notte precedente, ma non
quelle di Klaus.
E,
sopratutto, non quelle di Gloria.
Quando
il vampiro fece ingresso nel suo locale, la trovò intenta a
ripulire il bancone con aria stanca, muovendo lentamente un panno di
stoffa sulla superficie in legno. Guardandosi attorno, ci si rendeva
conto di quanto lavoro la donna avesse ancora da fare per rendere
quel locale presentabile per la sera.
“Hai
dato della verbena alla tua promettente stella.” Klaus cercò
di mantenere la calma; scese gli scalini che lo separavano dal
bancone e Gloria lo guardò con la coda dell'occhio. Si era già
accorta della sua presenza-come ogni strega che si rispetti-e
sembrava essere già preparata ad accogliere la sua furia.
“Buongiorno
anche a te, Niklaus.” gli rispose, riprendendo a pulire il
bancone.
Klaus
le fu alle spalle. “Voglio sapere perché.” le
sussurrò, sfiorandole l'elice dell'orecchio con le labbra.
“Credevo che io e te fossimo amici e che non mi giocassi questi
brutti scherzi.”
“Sì,
siamo amici. Ma lo siamo per convenienza.” Gloria si voltò
verso di lui, portandosi una mano perfettamente curata sul fianco
sinistro. Se c'era una cosa che lo colpiva sempre delle streghe, era
il fatto che non avevano mai peli sulla lingua e dicevano sempre ciò
che pensavano. Era un atteggiamento ammirevole e che il più
delle volte le avevano portate a perdere la testa. Letteralmente.
“Tu
vieni da me quando ti servo...e io mi sottopongo alle tue regole
semplicemente perché potresti strapparmi il cuore dal petto
ogni volta che vuoi.”
“Proprio
come lo vorrei fare adesso.” Klaus parlò con divertito
sadismo, ponendo le mani sul bancone alle spalle della donna e
inclinando il viso nella sua direzione, in maniera tale che i loro
nasi quasi si sfiorarono.
Gloria
però non mostrò alcuna paura. Mantenne un fastidioso
autocontrollo, da presuntuosa strega, e abbozzò un sorrisetto.
“Quando ti ho offerto di spassartela nel mio locale, non ti ho
dato il permesso di ammazzare le mie dipendenti.”
Klaus
si separò da lei. “Quindi per questo lo hai fatto? Per
proteggere le tue stelline.” le disse, camminando lentamente da
un lato a un altro. Un atteggiamento tipico che metteva in pratica
quando era particolarmente nervoso.
“Ti
sembrerà strano ma io con questa attività ci campo.
Questo locale è appartenuto a mia madre e a sua madre prima di
lei...non mi va di perderlo, solo perché tu e i tuoi compari
vi annoiate.” rispose Gloria.
Klaus
la fissò in silenzio, serrando fortemente le labbra tra di
loro. “E io che pensavo lo avessi fatto semplicemente perché
ti importasse qualcosa.” disse.
Che
ti importasse qualcosa di April.
La
falsità che sembrava circondare la vita della ragazza sembrava
ferire più lui che lei.
“M'importa.
Ma la cosa di cui mi importa di più sono i miei affari.
Altrimenti aprirei una bottega che venda verbena per salvare le
vittime dei vostri giochi.” rispose poi Gloria, riprendendo a
occuparsi delle sue faccende domestiche come se nulla fosse. “E
poi, vieni tu a fare la morale a me? April è solo un'altra
delle piacevoli distrazioni che ti sei concesso e niente più....”
Non
portò a termine il resto del suo discorso, perché Klaus
si scagliò su di lei con rapidità, facendola voltare
verso di lui e cingendole il collo nella mano. Strinse con abbastanza
forte da sentire il battito sotto pelle e premette il corpo della
donna contro il bordo del bancone, donandosi così la
possibilità di spezzarle la spina dorsale qualora avesse
deciso di porre vita alla sua magica esistenza.
Gloria
non si oppose, stringendogli solamente le dita che lui aveva attorno
al suo collo, e cercando di riprendere fiato. “Tu non hai alcun
diritto di giudicarmi.” le disse semplicemente. Non voleva
farle intendere quanto le sue accuse lo infastidissero, dopo aver
ricevuto anche quelle di April. “Smetti di far assumere della
verbena ad April, affinché io possa cancellarle il ricordo
della precedente notte, e non intrometterti più.”
“Mi
fa piacere che niente possa cambiarti Klaus.” sussurrò
Gloria, con estrema difficoltà nel parlare.
Il
vampiro non comprese subito il senso di quella frase, e piegò
la testa da un lato in attesa di una spiegazione. Allentò di
poco la presa per permetterle di concludere il discorso. “Quella
ragazza ha ormai pochissimo da vivere e tu vorresti renderle i suoi
ultimi giorni di vita un inferno solamente perché sei fissato
con lei. Hai fatto la stessa cosa con Tatia Petrova, se non sbaglio.
La storia si ripete.”
Il
ricordo di Tatia e il riemergere della consapevolezza che April aveva
ormai poco da vivere, riaccesero qualcosa nel petto di Klaus. La sua
rabbia venne di nuovo soffocata, le dita smisero di stringere sul
collo della strega e il suo corpo arretrò, allontanandosi da
lei.
Gloria
riprese fiato, tossendo ripetutamente e piegandosi in avanti.
“Saremo
pure due egoisti, Niklaus. Ma almeno io difendo i miei interessi,
difendendo anche lei. Mentre tu difendi solamente i tuoi capricci.”
continuò la strega, incurante dell'espressione fredda sul
volto di Klaus. Lo guardò con sfida. “Se davvero avessi
provato per quell'umana almeno un pizzico di quello che ti legò
a Tatia un millennio fa....l'avresti tenuta lontano dalla tua vita.
Tu distruggi tutto quello che cade tra le tue mani, basti guardare la
tua famiglia.”
Klaus
non seppe cosa rispondere, sentendosi completamente dominato dalle
parole della strega. Ma non lo diede a vedere, lasciò che lei
vedesse nel suo interesse solo una sfida a parlare di più.
“Hai
distrutto il primo amore che ogni essere vivente prova, quello verso
la propria famiglia. Come pensi di non poter allora distruggere
April, nel modo in cui hai fatto con loro e con Tatia?”
Klaus
distolse lo sguardo. Ricordava ancora il momento in cui aveva trovato
il cadavere sventrato della sua amata un millennio prima: l'aveva
trovata riversa nel terreno, in una posizione innaturale, come un
angelo caduto dal cielo. I suoi bellissimi occhi da cerbiatta erano
sgranati, e del sangue colava da quelle labbra che lo avevano baciato
fino al giorno prima.
Non
l'aveva uccisa lui, non direttamente, ma la sua natura maledetta.
Era
stata sacrificata dalla loro madre, affinché lui, Elijah e i
suoi fratelli potessero diventare dei vampiri.
E
cosa gli faceva pensare che con April, quell'umana che era stata
capace di riportare alla sua mente memorie e sentimenti che erano
stati seppelliti insieme a Tatia, non sarebbe successa la stessa
cosa? Che non avrebbe sofferto anche lei a causa della sua natura?
Non
doveva importargliene, era vero, eppure se ne curava dannatamente.
Vedendo
che Gloria non aveva più nulla da dire per infierire su di
lui, il vampiro le diede le spalle, lasciandola preda della sua
sorpresa.
Klaus
poi uscì dal locale, sbattendo entrambe le porte, e camminando
sotto il sole.
* *
* * * * * * * * * *
April
si ritrovò ad odiare ogni singolo angolo di Chicago,
quasi fosse stata quella città a mentirle e ferirla in quei
giorni.
Quella
città infame le aveva donato gioia e sorrisi, per poi
portarglieli via in soli pochissimi minuti, quando i suoi occhi
avevano scorso la mostruosità insita nella bellezza che
l'aveva abbagliata.
Christopher.
In
lui aveva visto la convenienza di un futuro stabile e ricco che aveva
programmato nel periodo in cui veniva sballottata da un orfanotrofio
all'altro, pur di non morire povera e sola. Poi si era accorta che la
bellezza che vedeva in quell'uomo non era mai esistita, ma che era
stata dettata dai suoi occhi ciechi che volevano vedere solo ciò
che conveniva loro.
April
prese un lungo respiro, destandosi dai suoi pensieri, non appena
raggiunse il motivo per cui aveva messo piede in quel cimitero: la
lapide di Violet. Quella consisteva di un unico blocco di pietra con
sopra inciso il nome completo della sua amica, con le sottostanti
date rispettivamente di nascita e di morte e un epitaffio che
consisteva di un'unica frase.
La
morte non può nulla contro l'amore che noi proviamo per te.
Era
da parte dei genitori e del fratello minore.
April
provò una fitta allo stomaco, quando s'inginocchiò
davanti alla lapide e ne accarezzò le parole sopra incise.
Klaus.
Lui
era l'uomo che le aveva aperto gli occhi, che le aveva rammentato
quella piccola bambina, la quale sognava i principi delle favole che
sua madre le raccontava ogni sera. Le aveva ricordato l'importanza
che un sogno può possedere e le aveva ricordato la forza di
cui si aveva bisogno per provare almeno a farli realizzare. Aveva
portato luce nella sua vita semplicemente prendendovi parte. Aveva
fatto sì che lei lo amasse semplicemente standogli accanto.
Ma
era stato tutta un'illusione.
“Sulla
mia lapide non scriveranno mai una frase simile. Si limiteranno
solamente a ballarci sopra e basta.”
April
rabbrividì-e seppe di non farlo per il freddo intenso di quel
pomeriggio-ma perché aveva riconosciuto la voce alle sue
spalle.
Come
poteva dimenticarla, visto che aveva preso ad albergare nei suoi
sogni e anche nei suoi incubi?
Alzò
la testa e si voltò a guardare il volto di Klaus, attraversato
da un sorriso sornione, mentre socchiudeva lo sguardo per non
lasciarsi colpire dalla luce del sole.
Vedere
un angelo della morte in mezzo a tante lapidi faceva sempre un certo
effetto.
“Chi
è causa del suo mal....” rispose la ragazza freddamente,
meravigliandosi ancora una volta del coraggio con cui si era rivolta
a Klaus, malgrado fosse a conoscenza della sua natura oramai.
Quasi
si sentisse libera di sfidarlo, malgrado la paura.
Come
se lo odiasse abbastanza da rendersi conto che non aveva il coraggio
di farle del male.
“E
ora vattene. Non meriti di stare davanti a lei.”
Klaus
però restò immobile nel punto in cui si trovava. “I
morti non disdegnano la mia presenza...visto che sono morti.”
“Che
cosa vuoi da me?” April si alzò di piedi con uno scatto,
piazzandosi di fronte al vampiro che la fissava senza palesare nessun
pensiero o nessuna emozione. La guardava e basta, come se stessa
valutando ciò che avrebbe dovuto pensare oppure provare. “Non
puoi semplicemente lasciarmi in pace?!”
“Ma
lo sto facendo.” Klaus si fece serio; piegò la testa da
un lato e s'inumidì le labbra mentre l'espressione sul viso di
April si faceva improvvisamente confusa. Se Klaus aveva un pregio era
quello di sorprenderla sempre e comunque, sia che le circostanze
fossero piacevoli o meno.
Era
quella una delle caratteristiche di lui che le avevano fatto battere
il cuore.
“Sto
lasciandoti andare.”
Lasciandoti
andare? Ma perché, era mai stata sua? No, non lo era mai
stata, visto ch'ella si era abbandonata solamente a un riflesso di
lui che probabilmente non esisteva. Si era concessa di provare dei
sentimenti reali per una menzogna che aveva sempre giocato con lei.
“Ma
prima ci sono delle cose che devo chiarire.” Klaus mosse un
passo verso di lei e la ragazza si ritrovò come paralizzata.
Non riusciva a muovere un muscolo, ad emettere un verso, un respiro,
che si ritrovò completamente catturata da ciò che il
vampiro stava per dirle. “Non sono quello che tu credi, è
vero, ma non mi scuserò per questo. È la mia natura e
non la rinnego per nessun motivo.”
April
scosse la testa incredula, più per aver deciso di dare una
seconda possibilità al vampiro e ascoltarlo, più che
per il discorso che lui aveva intrapreso.
“Non
ho ucciso Violet, almeno non direttamente, e per questo non ti
mentirò dicendoti che non ne sono comunque responsabile. E ho
deciso di giocare un po' con Christopher ieri sera semplicemente
perché lui è uno di quegli uomini che merita una
punizione esemplare, come quella di temere il buio ogni volta che ci
si trova in mezzo. Non ricorda nulla di quello che ha visto ieri sera
ma credimi...probabilmente ci sarà sempre qualcosa dentro di
lui che gli ricorderà il terrore che ha nutrito ieri notte. E
non ti chiederò scusa per questo.”
“Non
voglio più ascoltare. Mi stai dando solo altri motivi per
odiarti.” April lanciò un'occhiata alla lapide alle sue
spalle, scusandosi mentalmente con Violet per aver disturbato il suo
sonno eterno solamente perché avrebbe tanto voluto averla al
suo fianco in quel momento di solitudine. “E ora vattene
via oppure uccidimi. Entrambe le opportunità sono migliori di
quella di starti a guardare.”
La
ragazza non attese risposta; lo superò, passandogli accanto
alla distanza di un millimetro e non avvertì alcuna
contro-risposta da parte sua. Né un movimento, né una
parola; sembrò solamente intento ad ascoltare i rumori dei
passi di April che schiacciavano l'erba umida sottostante.
La
ragazza trattenne un respiro, chiedendosi cosa sarebbe accaduto di lì
a poco.
“Ma
c'è una cosa che ti ho tenuto nascosta.” Klaus emise
quelle parole, trascinate fino a lei dal vento.
“Ma
va'! Comunque non m'interessa.” replicò l'altra,
continuando ad avanzare, sentendosi mancare il fiato e ogni passo che
l'allontanava dalla sua bellissima bugia.
“Stai
morendo.”
Fu
in quel preciso istante che April si arrestò di colpo.
I
due continuarono a darsi le spalle, mentre il silenzio della natura
sembrò venir soffocato dalla forza di quelle parole, tale da
sconfiggere il loro tempo e continuare ad aleggiare nell'aria.
Klaus
allora si voltò verso la figura della ragazza e la trovò
come pietrificata, con il ginocchio leggermente flesso come se
avesse arrestato con troppo preavviso il proprio passo, le spalle
curve e lo sguardo basso, rivolto verso un punto ai suoi piedi. Il
vampiro poteva sentire il battito del cuore della ragazza mutare in
mille differenti emozioni: sorpresa, tristezza, rabbia,
incredulità, come se quei battiti si accompagnassero a un
pensiero che lei conservava dentro la sua mente. Qualcosa gli disse
che lei, in fondo, se lo aspettava.
April
si voltò verso di lui; gli occhi lucidi e le labbra tremanti.
“Cosa...” Tirò su con il naso, e riprese fiato
quando si accorse che la voce le era uscita con difficoltà
dalle labbra. “Cosa ti stai inventando ora?”
Klaus
mantenne lo sguardo fermo su di lei; riusciva a scorgere quelle crepe
sottili che stavano formandosi sulle mura che la circondavano e il
vampiro voleva essere pronto a sorreggerla, nel caso quella realtà
si fosse abbattuta su di lei.
“La
notte in cui Violet morì, io attaccai te.” Decise
di tacerle della scommessa, di Stefan, dello schifo che sentiva
dentro al pensiero di averle fatto del male così
gratuitamente.
Come
stava facendo anche in quel momento.
“Ho
bevuto il tuo sangue e...mi sono fermato. Aveva un sapore forte,
fastidioso, anormale....e allora ho capito che sei afflitta da
un male incurabile.”
April
lo guardava con occhi sbarrati.
Dio,
doveva reagire in qualche maniera. O lui si sarebbe sentito
sprofondare sempre di più nel baratro.
“Sono
andato un po' più a fondo e ho scoperto che questo male deriva
da un batterio chiamato bacillo di Koch. Tubercolosi, in
parole povere.”
April
scosse lentamente la testa; le lacrime cominciarono a scorrerle
copiosamente lungo il viso. “Perché? perché mi
stai facendo questo?” gli domandò.
Era
giusto che riversasse tutta la rabbia che non poteva lanciare sul
mondo, sopra di lui.
Klaus
era disposto ad accettarlo, perché forse sarebbe stato
l'ultimo, sciocco gesto di umanità che avesse potuto
compiere nei confronti di qualcuno. Sopratutto se si trattava di
qualcuno che gli era entrato dentro a quella maniera.
“Devi
sapere la verità, April. Così da...poterlo
combattere.”
Klaus
comprendeva come lei si sentisse in quel momento: come se tutto
l'universo l'avesse abbandonata, lanciandola in un abisso oscuro da
cui una persona, da sola, non poteva uscire.
In
fondo, la morte umana non era paragonabile al diventare un vampiro?
Si
perdeva tutto di sé stessi, con la sola eccezione che i
vampiri continuavano a vivere in un corpo che non era più il
loro.
Per
questo Klaus sentì di capirla.
Le
si avvicinò, quando la vide portarsi le mani al volto e
iniziare a singhiozzare senza sosta. S'immaginò la testa della
ragazza in preda a urlanti pensieri, mentre sperava che tutto quello
che stava vivendo in quel momento fosse solo una brutta, bruttissima
bugia. Ma lei sapeva, aveva oramai capito che tutto quel
dolore fisico, le occhiate eloquenti che Gloria e Violet si
lanciavano ogni volta che lei, cocciutamente, sosteneva di stare
bene, riportava solo a una risposta che voleva tacere a se stessa.
“Come
puoi continuare a infierire così su di me...” April lo
guardò con un odio tale che Klaus non aveva più vissuto
in mille anni di esistenza, se non dentro se stesso. Nessuna delle
persone che aveva incontrato, e a cui aveva distrutto l'esistenza,
era stata capace di guardarlo a tale maniera. Oppure, semplicemente,
lui non se n'era mai accorto perché non gli era mai importato
che qualcuno nutrisse del rancore nei suoi confronti.
“April...”
Pronunciò il suo nome con quella tonalità
agrodolce, tipica di chi stava per perdere per sempre il sapore della
sua essenza.
Tese
la mano verso di lei, e April la schiaffeggiò con foga.
“Perché?
Perché mi fai questo?” chiese di nuovo, iniziando a
colpirgli il petto con sonori e rapidi pugni, quando lui cercò
di attirarla a sé con delicatezza. Continuò a gridare
istericamente quelle parole, lasciando scorrere una lacrima a ogni
pugno con cui lo colpiva.
Stava
sfogando su di lui tutto la sua rabbia.
Perché
non voleva morire, e non poteva accettare che qualcosa stava
succhiandole via ogni secondo della sua esistenza senza una
plausibile spiegazione.
Klaus
la lasciò fare, sopportando il peso di quella croce sulla sua
schiena, troppo fragile per poterla sostenere.
“Perché...perché
mi stai facendo questo?” I colpi di April si fecero man mano
più deboli, mentre i suoi singhiozzi prendevano forza dal
dolore che la stava consumando dall'interno. “Perché,
perché, perché...”
E
crollò.
Cadendo
a terra sulle proprie ginocchia, la ragazza sembrò essere sul
punto di svenire tra le proprie lacrime. Klaus la sorresse,
chinandosi insieme a lei, e lasciando che la ragazza si abbandonasse
alle sue braccia per trovarvi riparo.
Perché
quando il mondo abbandona una delle sue anime, c'è sempre
bisogno di qualcun'altro che ti tiri su. E quel qualcuno voleva
essere lui, visto tutto il male che le aveva causato.
Lasciò
che lei piangesse, gridasse, che chiedesse al cielo perché la
sua vita dovesse venire spezzata così improvvisamente, e le
accarezzò delicatamente i capelli, quando lei strinse
saldamente il tessuto della sua camicia.
“Io
posso salvarti.”
I
singhiozzi di April continuarono a invadere l'aria fredda che li
accompagnava in quell'abbraccio, per poi diminuire progressivamente
non appena le parole del vampiro parvero fare presa su di lei.
Allontanò Klaus da sé, con delicatezza, un po' presa
dal ricordo di essere abbracciata da colui che l'aveva tradita la
sera prima, e un po' perché quelle parole la colsero di
sorpresa. Fissò i propri occhi in quelli del vampiro e corrugò
la fronte pensierosa.
“Cosa
stai dicendo? Come puoi farlo?” gli domandò con voce
flebile e stanca.
Klaus
restò in silenzio per diversi secondi, mantenendo le mani
sulle spalle della ragazza. Quest'ultima non le aveva scansate, presa
da quella piccola luce di speranza che aveva momentaneamente
sconfitto l'ombra della morte.
“Trasformandoti.”
riuscì a dire. “Ma lo farò solo se tu
vorrai. E poi mi tirerò fuori dalla tua vita. Per l'eternità.”
* *
* * * *
Un
altro morto in un vicolo e non per mano sua.
Stefan
avvertì un brivido di esaltazione scuotergli le membra, mentre
i suoi occhi verdi scorrevano sul profilo del cadavere, riverso in
posizione innaturale sul marciapiede. Fece scorrere le dita lungo il
collo del ragazzo, scorgendovi nella carne due punti profondi. Il
lavoro fatto da quel vampiro era a dir poco errato e fugace: la
vittima non era morta dissanguata dalla sete del suo aggressore,
bensì dalla violenza con cui quest'ultimo aveva affondato i
canini nella sua pelle. Quell'idiota, così il giovane
Salvatore si sentì in dovere di definire il nuovo vampiro in
città, aveva sprecato tutto il sangue, preso dalla foga del
momento. Qualcuno avrebbe dovuto insegnargli a controllarsi, ed era
comico che un simile pensiero derivò proprio lui. L'unico
punto a favore di quel novellino, era che il cadavere era stato
nascosto così bene da non essere stato ritrovato, malgrado
fosse notte e quello fosse morto da quasi un giorno.
Affondò
le dita sulla chiazza di sangue sotto il corpo del cadavere e se le
portò alle labbra, assaporandone il sapore metallico, malgrado
questi fosse stato alterato dalla pioggia che era leggermente caduta
in quella giornata. Fu allora che la luce della luna gli permise di
notare qualcosa di insolito nel corpo del caduto: sul polso destro,
il cui interno era rivolto verso il cielo, c'erano i segni di un
altro morso, effettuato più metodicamente rispetto a quello
sul collo.
Due
vampiri. Ecco chi stava mietendo
vittime al suo posto nelle notti di Chicago.
“E
sei un imbecille se vieni persino qui a sfidarmi faccia a faccia.”
sussurrò poi, in un risolino.
Stefan
si mise rapidamente in piedi, affondando le mani dentro le tasche del
cappotto e voltandosi lentamente in direzione di qualcuno che si era
fermato alle sue spalle. Si era aspettato qualsiasi volto,
preparandosi sia all'evenienza che potesse trattarsi di un uomo che
di una donna, ma nulla lo aveva preparato a quello che i suoi occhi
stavano offrendogli in quel momento.
Mai
e poi mai gli era capitato di poter di nuovo posare gli occhi sulla
Morte che lui stesso aveva portato.
Scorse
il suo sorriso irreale, i suoi occhi verdi affiancati da scure
venuzze dovute alla fame, e i biondi capelli che ricadevano
selvaggiamente su quel viso che, un tempo, era stato candido e puro
come quello di un angelo. Le cui ali erano state spezzate dallo
stesso Stefan Salvatore.
Il
ragazzo restò immobile, inclinando il capo da un lato.
“Violet?”
Venne
colto così di sorpresa, da riuscire malamente a respingere
l'attacco feroce a cui lo impose la ragazza. Questa agiva con una
furia e una collera tali da accrescere ulteriormente la sua forza; lo
spintonò a terra e, non appena vide che Stefan era sul punto
di alzarsi e replicare, lei gli fu addosso con un ringhio e prendendo
qualcosa dalla scollatura del suo elegante vestito.
Stefan
non ebbe il tempo di compiere movimento alcuno, quando sentì
la punta di un paletto attraversare violentemente le sue carni.
Ciao
a tutti! :D
Questo
è un capitolo di cui non sono per nulla convinta, lo ammetto.
Non mi piace e non saprei nemmeno come commentarlo.
Come
avete ben visto, è stato quasi tutto incentrato su Klaus e
April e su quello che la ragazza ha visto fare a il povero (??
ovviamente è ironico u.u) Christopher.
La
scena su Stefan finale mi convince ben poco. Ora vi direte...come fa
un vampiro a farsi abbattere da un altro nettamente più
giovane e debole? Ho fatto sì che ciò accadesse perché
1) Stefan è stato colto di sorpresa e 2) Violet è una
vampira neofita, spinta dalla fame e dalla collera, e questi due
fattori accrescono la sua rabbia. Spero vivamente che la scena non
sia risultata una cavolata.
Comunque,
volevo avvisarvi di aver messo l'avviso “violenza” alla
storia. Perché sì, leggendo le bellissime recensioni
allo scorso capitolo, mi sono resa conto che, comunque, la scena è
stata piuttosto forte e siccome ce ne sarà un'altra piuttosto
violenta, ho deciso di mettere l'avviso. Il rating rosso non penso di
sfiorarlo, quindi il bollino rimarrà arancione, molto
probabilmente. :P
Concludo,
ringraziando tutti i lettori per il sostegno che mi dimostrate!
Ringrazio
i lettori silenziosi, che spero stiano comunque apprezzando
l'evolversi di questo mio umilissimo racconto.
Ringrazio
chi recensisce, perché con le loro parole mi illuminano la
giornata.
E
ringrazio, infine, chi ha inserito questa storia tra le
preferite/seguite e ricordate.
Vi
ringrazio infinitamente per tutto.
Inoltre,
altra piccola e ultima rottura prima di lasciarvi, credo proprio che
una piccola raccolta su Stefan Rippah la scriverò, e sarà
incentrata su di lui e Violet, sopratutto. Con apparizioni anche
degli altri personaggi di questa storia.
Alla
prossima, spero di ricevere vostri pareri!
Ciao,
ciao :D
|
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Capitolo 11 *** Poison hearts will never change, walk away again ***
http://www.youtube.com/watch?v=iIWHIvaK7DA
-Capitolo
11: Poison hearts will never change, walk away again
Don't
waste your touch, you won't feel anything Or
were you sent to save me? I've
thought too much, you won't find anything...
Worthy
of redeeming
(The
Leaving Song by Afi)
Fu
costretta ad ammettere che era particolarmente strano passare
un'intera nottata senza dormire.
Il
sonno era il miglior rimedio per i malanni delle giornate: Morfeo
abbracciava le anime dei suoi caduti e le cullava, liberandoli di
tutte le preoccupazioni e le paure che essi vivevano alla luce del
sole.
Bastava
chiudere gli occhi e abbandonarsi a lui, senza difese.
Ma
non tutti i malanni potevano essere curati con il sonno, e perciò
April non chiuse occhio per tutta la notte. Si limitò a
passeggiare per le strade di Chicago, come un fantasma in cerca di un
luogo da chiamare casa, riflettendo su quanto aveva scoperto poche
ore prima e sulla proposta avanzata da Klaus riguardo il trasformarla
in un vampiro.
Bevve
un lungo sorso del secondo bicchiere di whisky di quelle sei del
mattino, così tanto lunghe e tormentate da non passare mai.
L'uomo oltre il bancone glieli aveva portati entrambi, riservandole
un'occhiata gelida nel contempo, ma senza obiettare nulla. Visto
l'aspetto trasandato della ragazza, doveva averla presa per una
prostituta, ma dato che lei era disposta a pagare ogni bicchiere
bevuto, si tenne i suoi pensieri per sé.
Trasformarsi.
La
proposta di vivere per sempre, restare giovane per l'eternità
e non dover temere mai più la morte era allettante per
April. C'erano stati dei momenti, in quella notte, in cui aveva quasi
pensato di andare da Klaus e accettare la sua proposta di renderla un
vampiro, finché una vocina nella sua testa non iniziava a
offuscarle il pensiero, ricordandole che c'era un qualcosa che
la faceva tentennare riguardo quella decisione. Non sapeva spiegarlo
con certezza, ma era qualcosa che aveva visto negli occhi di Klaus,
Rebekah e Stefan, ed era un qualcosa che era a lei sconosciuto.
“Bere
whisky di prima mattina....non è molto femminile.”
Quello
che parlò fu un'ombra, anch'essa seduta al bancone, e
poco distante da lei.
April
non si era nemmeno accorta di non essere sola nel locale, talmente i
suoi pensieri l'avessero isolata dal mondo; guardò con la coda
dell'occhio verso il possessore di quella voce sensuale e melodica, e
appurò che si trattava di un uomo. Vedere il resto non le
importava affatto.
“Non
farsi i fatti propri....è molto umano.” rispose di
rimando, portandosi il bicchiere alle labbra e provocando un risolino
da parte dello sconosciuto. Questi però doveva essere una di
quelle persone che, più veniva respinta, e più si
sentiva stimolata a rompere le scatole.
“Accidenti,
hai una bella lingua lunga per essere una che non ha dormito tutta la
notte e che beve tranquillamente alcolici alle sei del mattino come
uno scaricatore di porto!” esclamò, spalancando le
braccia.
“Guarda
che quello che ha tutta questa voglia di parlare sei tu, non io.”
Il
ragazzo si zittì per un istante e April lo vide muovere il
capo in maniera tale da agitare lievemente i suoi folti capelli
scuri. Sentì che lui stava scrutandola.
“S'incontrano
sempre molti cuori soli quando si vaga in mezzo a tanta gente.”
disse lui, portandosi il suo, di bicchiere, alle labbra.
April
fissò il vuoto davanti a sé.
“Devi
essere più disperata di me per ridurti a questo stato.”
“A
meno che anche tu non stia morendo, qui quella più disperata
sono io.” April rispose prontamente, senza porsi limiti o
problemi nel rivelare quell'atroce verità. Che importava se
aveva appena rivelato una cosa talmente personale come quella a un
emerito sconosciuto? Le erano rimasti giorni, ore, forse minuti di
vita, e quindi non si sentiva più in dovere di rispettare
alcuna regola che fosse di moralità.
“Tesoro
mio, io sono morto anni fa e ti assicuro...”
“Risparmiati
i questi discorsi pseudo filosofici del cazzo che voi uomini siete
soliti fare quando volete infilarvi nel letto di una donna.”
April si voltò verso di lui, ostentando un'acidità nel
tono della voce che la rese irriconoscibile persino alle sue
orecchie. “Io sto morendo davvero. Nel senso letterale della
frase.”
Il
ragazzo con cui stava parlando era di una bellezza irreale. Aveva
scompigliati capelli scuri, che possedevano il colore del riflesso
della notte sull'oceano; occhi cristallini in cui sembrava potersi
specchiare, la pelle era bianca come il latte e le labbra rosse
come il sangue. Era sicuramente un uomo che faceva cadere le
donne ai suoi piedi ma April si chiese, amaramente, cosa se ne faceva
un essere umano di qualcosa di così sfuggevole come la
bellezza: la morte avrebbe portato via tutto, anche quella.
Sopratutto
quella.
L'espressione,
fino ad allora seria, del bel moro si trasformò immediatamente
in una smorfia simile a un sorriso che la lasciò di stucco. Si
poteva ridere in faccia a qualcuno che aveva appena confessato di
stare per morire? Incredibile quanto la gente potesse essere
sorprendente.
“Allora,
se questo è vero, sei davvero una stupida a passare il poco
tempo che ti rimane bevendo in uno squallido bar piuttosto che
vivere.” le disse, e alzò poi il bicchiere in
aria come per fare un brindisi in suo onore. “Cincin, bellezza.
Hai davvero capito tutto.”
April
non replicò in alcuna maniera. Avrebbe dovuto essere
arrabbiata con lui, per il modo in cui le si era appena rivolto e per
averle riso in faccia malgrado avesse appena confessato di essere
prossima alla morte. Ma non le importava; non trovava il senso di
provare rabbia quando mancava davvero poco tempo alla fine. Aveva
preso a vagare in quella notte buia semplicemente perché
voleva schiarirsi le idee e pensare a come organizzare il tempo che
restava. Peccato non avrebbe trovato alcuna risposta dentro di sé,
visto che tutti i pensieri si erano improvvisamente ammutoliti e si
rifiutavano di rispondere alle sue domande.
Tornò
a guardare davanti a sé, e le parole le uscirono
spontaneamente dalle labbra. “Ti piacerebbe vivere per sempre?”
“Come
scusa?”
“Ti
ho chiesto se ti piacerebbe vivere per sempre.” ripeté
April, con voce incolore e voltando il proprio sguardo in direzione
del ragazzo. Notò che lui la stava guardando con aria
stranamente attenta, stringendo in mano il suo bicchiere di liquore.
Era logico che fosse stupito; non era una domanda con senso logico
quello che lei aveva appena posto, eppure il ragazzo le sembrò
essere più turbato che sorpreso.
Fece
spallucce. “A chi non piacerebbe vivere altre di queste vite?”
rispose, nella maniera più ovvia in cui qualcuno avrebbe
potuto rispondere.
April
abbozzò un sorrisetto spontaneo, abbassando gli occhi sulle
mani adagiate sopra il bancone e cullandosi in quelle parole.
Sì,
a chi non sarebbe piaciuto?
“Ma
non tutti sopporterebbero una situazione simile. Vivere per
l'eternità, intendo.” Il ragazzo riprese a parlare dopo
qualche secondo di silenzio, quando April aveva iniziato ad ascoltare
la voce della propria mente. “Insomma non tutti hanno la forza
necessaria per vivere altri dieci, cento, mille anni!”
“Tutti,
nel loro intimo, sognano l'immortalità.”
“Sì,
la sognano...ma poi, nel caso la ottenessero, rimpiangerebbero il
fatto di averla desiderata.” Il ragazzo si portò il
bicchiere alla bocca, lasciando che il liquido all'interno gli
accarezzasse le labbra. “Sai, all'apparenza sembrerebbe facile,
ma non è così. L'eternità ha un prezzo e in
pochi sono capaci di espiarlo: i ricordi si accumulano tutti nella
tua testa, divenendo man mano sempre più offuscati fino a
scomparire; le persone che hai amato, che ami e che forse avresti
potuto amare diverranno polvere, mentre tu continui a vivere la tua
esistenza, perdi tutti quei limiti e quelle regole che hai imposto a
te stesso quando eri umano e così perdi te stesso. E
tutti sanno quanto siano difficili da gestire, i cambiamenti,
sopratutto se questi strabaltano completamente la tua natura,
rendendoti una persona che non avresti mai voluto essere. Credi
davvero di poter sorreggere un peso simile sulle tue spalle,
bellezza?”
April
ci rifletté su per qualche secondo. “Sì.”
rispose.
“No,
non puoi.” Lui le puntò l'indice contro, sgranando i
suoi grandi occhi cerulei su di lei.
La
ragazza non poté nemmeno replicare in nessuna maniera, perché
l'indecisione che aveva provato dentro di sé quando Occhi di
ghiaccio le aveva rivolto quella domanda era completamente trapelata
dalla sua risposta.
Perché
aveva visto, aveva visto Rebekah, Stefan e Klaus giocare con la vita
di quel bastardo di Christopher senza alcun rimorso nel loro sguardo,
quasi non contasse nulla. E dubitava che loro, un tempo, quando erano
umani, avrebbero mai fatto una cosa simile senza nemmeno pensarci
mille volte prima di farlo. Perché il mondo cambia e gli
uomini cambiano con lui, malgrado il pianeta cambi sempre e
continuamente in peggio. Perciò non si può fare altro
che abbracciare l'oscurità pur di sopravvivere. Era una cosa
che succedeva nei brevi anni di un'umana esistenza, figurarsi se si
viveva per sempre.
Ma
lei non voleva morire.
Perciò
cosa poteva fare?
“Perché
non mi reputeresti idonea?” domandò al bel ragazzo,
guardandolo con la coda dell'occhio. Sperò che non fosse uno
di quei fanatici religiosi che credevano in una vita immateriale dopo
la morte, e che quindi voleva spingerla a donarsi a un qualche Dio o
robe del genere. Ma visto il modo in cui beveva, e visto che sembrava
un così detto tombeur de femmes, dubitava
persino che potesse essere un comunissimo credente.
“Mi
sembri una di quelle persone che ha appena scoperto l'amore. Per la
vita, per un uomo, per un cucciolo, io non lo so...ma te lo leggo
negli occhi.” Il ragazzo la indicò nuovamente; allora fu
chiaro quanto ubriaco fosse. “E credimi le persone come te, se
ottenessero l'immortalità, diverrebbero le peggiori.”
“E
tu come fai a dirlo?”
Visto
che, come la vecchia me, non dovresti credere nell'immortalità?,
pensò poi.
L'espressione
sul pallido e marmoreo volto di Occhi di ghiaccio si fece
improvvisamente più serio. I suoi occhi sembravano fissare il
vuoto, mentre scorrevano silenziosamente pagine di ricordi che lui
aveva ben custodito dentro di sé. “Il mondo mi ha
insegnato che chi ama troppo è sempre quello che paga il
prezzo più alto.” disse. “In un modo o
nell'altro.”
Scese
ancora il silenzio; Occhi di ghiaccio continuò deliberatamente
a non guardarla, preferendole il bicchiere vuoto davanti a sé,
mentre April lo guardava attentamente, valutando le sue parole.
Fino
a quando, sentì il bisogno incessante di tornare a casa.
Troppe voci inondavano i suoi pensieri.
Scattò
in piedi, prendendo la pochette dal bancone e le scarpe che aveva
adagiato sul pavimento, e si avvicinò a passi rapidi al
ragazzo. “Posso sapere il tuo nome?” gli domandò.
Lui
fece un gesto di stizza con la mano, storcendo le labbra. “Senti,
se vuoi fare sesso basta chiedere.”
“Non
voglio...” April stava per rispondergli stizzita, ma si
trattenne dandosi un morso sulle labbra. Era ironico come lui,
malgrado la frase ricca di malizia, le avesse provocato un senso di
ilarità; alzò gli occhi al cielo e prese un lungo
respiro. “Dai, come ti chiami?”
L'altro
ci mise qualche secondo prima di rispondere. “Damon.”
disse, facendo ruotare un bicchierino tra pollice, indice e medio
della mano destra, in un giochetto lento e ipnotico di cui lui
nemmeno si rese conto, talmente venne di nuovo pervaso dai pensieri.
“Damon...”
ripeté lei, avvertendo una sorta di inquietudine standogli
così vicina. All'apparenza sembrava calmo e tranquillo, ma
bastava avvicinarsi per sentire la tempesta che aveva dentro.
“Grazie.”
“Per
cosa? Non abbiamo ancora fatto sesso.” replicò lui,
spalancando le braccia e alzando le spalle.
April
sorrise e scosse la testa. Sentiva di nuovo le emozioni e i pensieri
fluirle dentro, come un fiume che, mano mano che procedeva nel suo
corso, si faceva sempre più impetuoso.
“Damon,
hai l'aspetto di un uomo che ha appena perso l'amore. Per la vita,
per una donna, per un cucciolo, io non lo so...ma sappi che un
giorno, forse vicino o forse lontano, ritroverai una ragione per
tornare ad amare.”
Damon
non si aspettò minimamente quelle parole, e lei lo capì
dal modo in cui si voltò lentamente nella sua direzione e la
fissò negli occhi. Si guardarono in quella maniera per molti
minuti, quasi avessero ritrovato delle risposte, una speranza
perduta, l'uno nelle parole
dell'altra.
“Nah,
sto bene come sto. Pensa per te piuttosto.” le disse, alzando
le mani come volesse scacciare una mosca, e girandosi di nuovo verso
il bancone.
April
era certa che lui non avrebbe aggiunto nient'altro, perciò si
accinse a raggiungere la porta d'uscita del locale. Prima che lei
varcasse la soglia e si lasciasse baciare dalle prime luci del
mattino, Damon la guardò un'ultima volta.
* *
* * * * * * * * * * * * * *
Quella
mattina era iniziata proprio nel modo che Klaus si era prospettato,
vista la notte a cui stava facendo seguito.
Noiosa.
Apatica.
Infinita.
Klaus
aveva perso il conto dei minuti, delle ore-ed era certo non potessero
essere giorni solo perché il sole non si era mosso dal punto
in cui si era fatto trovare-che aveva passato a fissare il paesaggio
oltre la finestra. L'immenso giardino della loro dimora era immobile;
ogni tanto il vento smuoveva gli umidi fili d'erba e qualche uccello
dalle piume scure rompeva quell'immobilità cercando riposo
sopra di loro. Il sole era caldo, ma non abbastanza per combattere la
foschia bianca che lo circondava, promettendo che, entro la fine
della giornata, sarebbe diventata man mano sempre più pesante,
fino a condurre a un vero e proprio temporale.
“Nik.”
La
voce di Rebekah, rumorosa per natura, quando era così soffice
e delicata lasciava solo intendere due cose: o aveva combinato un
qualche danno che avrebbe scatenato la sua ira-e ne dubitava, visto
che la sorella era rimasta per tutto il tempo a casa-oppure lui
era giunto a fargli visita. C'era solo una persona, un fratello,
che era capace di mettere a tacere le tempeste che imperversavano
nei loro animi da molti secoli a quella parte, e lo faceva con la sua
sola presenza.
Klaus
si voltò, in maniera passiva, come se avesse compiuto quel
gesto semplicemente perché era doveroso.
Elijah
era lì.
Accanto
a Rebekah, egli indossava un'elegante abito scuro che metteva in
risalto la sua figura longilinea e i muscoli tesi delle braccia e
delle gambe. I suoi capelli si erano leggermente allungati rispetto
all'ultima volta-che, se non andava errando, risaliva a circa
vent'anni prima-ed erano tirati all'indietro con del gel. I suoi
occhi erano socchiusi, fissi in quelli del fratello, mentre un
sorriso serrato gli delineava le labbra.
Klaus
avvertì lo stesso un moto di rabbia nei suoi confronti,
malgrado fosse quasi sollevato nel rivederlo. Elijah aveva il
dono innato della perspicacia, ed era capace di descrivere lo stato
d'animo di qualcuno, vampiro o umano che fosse, con un semplice
sguardo.
Sicuramente
si era accorto di quanto Klaus fosse tormentato, ma perché ne
sorrideva?
“Elijah...”
Klaus si allontanò dalla finestra e camminò in
direzione del fratello, il quale continuava ancora a fissarlo,
restando accanto a Rebekah. La sorella sembrava il riflesso del sole
in primavera, guardava prima l'uno e poi l'altra con un'espressione
sognante; faceva sempre così ogni qualvolta i suoi fratelli si
rincontravano.
Forse
perché, dopo l'allontanamento che coinvolse Elijah e Klaus
alla fuga di Katerina e dopo la faccenda delle bare in cui il biondo
aveva rinchiuso gli altri fratelli, ormai non si aspettava più
l'immagine della famiglia che erano stati quasi un millennio prima.
Si aggrappava a quei ricordi e, quando si rendeva conto che quelli
non coincidevano più con la sua realtà, si rifugiava in
amori sfuggenti e destinati a terminare, come quello per Stefan
Salvatore. Che, per la cronaca, era scomparso da circa mezza
giornata.
“Niklaus.”
Elijah si mosse verso di lui, con minore titubanza rispetto al
fratello, e gli tese la mano in segno di saluto. “Sono lieto di
rivederti, fratello.”
Klaus
abbassò lo sguardo sull'arto di Elijah per un secondo, poi
decise di non rispondere, perché era troppo nervoso e turbato
per essere delicato. “Se sei giunto fin qui da Vienna, c'è
solo un motivo e lo sappiamo entrambi.”
“Nik,
per favore.” Rebekah quasi lo implorò di non rovinare
subito tutto, di concedere loro un attimo per trascorrerlo in pace,
da fratelli. I mille problemi che li riguardavano potevano
benissimo affrontarli nel tempo a venire.
Elijah
non mostrò alcun tipo di risentimento per la mancata stretta
di mano. Strinse il pugno, la ritirò, e serrò le
labbra, senza smettere di sorridere. “Malgrado la lontananza
Niklaus, sei proprio come ti ricordavo. E lo stesso vale per te,
Rebekah.” Elijah si volse poi verso la sorella, che gli regalò
un sorriso sincero e contento, come quelli che lanciano i bambini
quando si trovano di fronte al loro parente preferito. Con Klaus lei
non aveva mai sorriso a quella maniera.
“Eppure...c'è
qualcosa di diverso in entrambi. Questa città vi ha forse
regalato qualcosa di compiacente?” Il fratello maggiore tornò
a guardare nella direzione di Klaus, malgrado la domanda fosse
bonariamente rivolta ad entrambi. I suoi occhi neri scavarono in
quelli azzurri dell'altro, e Klaus era consapevole che Elijah avesse
già capito tutto quanto.
O
quasi.
“Chicago
è una città magica, Elijah.” Rebekah annullò
le distanze che la tenevano lontana dai fratelli e guardò il
volto di suo fratello. Sorrideva ancora, radiosa come non mai. “È
divertente, ricca di musica e vita, e abbiamo conosciuto fuori dal
normale, persone che sono diverse da quelle che abbiamo visto
ripetersi per tutto questo tempo!”
Stefan
Salvatore.
April
Ford.
Oh,
ma loro non erano fuori dall'ordinario: un vampiro folle e una
ragazza dalla lingua lunga afflitta da una malattia mortale, e di
esemplari come loro ne avevano visti a bizzeffe nel corso dei secoli,
sia lei che Klaus. Era solo cambiato il loro modo di vedere, forse
perché erano capitati in uno di quei periodi in cui la noia
eterna uccide e si tende a vedere qualcosa di nuovo e interessante
ovunque, anche dove questo non è presente.
“Non
abbiamo tempo di parlare di questo ora, Bekah.” Klaus lanciò
un'occhiata di fuoco in direzione della sorella, spegnendole il
sorriso come solo lui sapeva fare. “Nostro fratello è
qui perché sicuramente c'è un problema. Parlare del tuo
millesimo innamoramento non rientra nei piani.”
“Non
parlarle così. Visto quanto sei suscettibile, Niklaus, mi
sembra di aver centrato in pieno quando dico che sei diverso.”
Elijah lo guardò in maniera tagliente, una cosa che Klaus non
sopportò.
“Non
propinarti il diritto di rivolgerti a me in quel modo fratello...o
devo ricordarti che per il tuo folle e sciocco innamoramento, io ho
perso tutto?”
A
quelle parole fece seguito un pesante e tetro silenzio, che riportò
alla luce vecchi rancori e sentimenti soffocati dall'odio. Elijah
abbassò quelle pozze scure che erano i suoi occhi, ma mantenne
comunque un proprio tono, senza avere alcuna reazione. Forse non
riusciva a dimenticare quella macchia che sentiva sul proprio onore,
e con cui si era sporcato per Katerina Petrova. Oppure il solo
pensiero della ragazza riaccendeva in lui quei sentimenti che il
tempo avrebbe dovuto cancellare.
Voleva
dunque dire che forse anche lui non avrebbe dimenticato il volto di
April, così come era successo con Tatia ad esempio? Malgrado i
sentimenti che lo avevano legato alla prima Petrova non erano ancora
lontanamente paragonabili a quelli che stava iniziando a nutrire per
April, non poteva permettersi di aggiungere un altro volto a quelli
che già lo accompagnavano nei suoi incubi più bui.
“Sono
venuto qui per avvisarvi: dovete abbandonare Chicago.”
“Cosa?”
Rebekah
scattò come una molla, mentre Klaus sembrò sentirsi
risollevato nel dover lasciare quella città. Il tempo
necessario per trasformare April e poi lasciarla andare. Per
davvero.
“Mikael
è vicino?”
“È
troppo vicino.” lo corresse Elijah, sforzandosi di ignorare gli
occhi sgranati di Rebekah su di loro. “Si sta avvalendo
dell'aiuto di alcune streghe per arrivare a voi.”
“Quindi...è
davvero lui che sta mietendo vittime in città?” domandò
Klaus, sentendosi pervadere da una sensazione di intenso nervosismo.
Il pensiero che loro padre fosse così vicino, e ancora
fortemente intenzionato a distruggerlo per quello che aveva fatto in
passato, lo inquietava terribilmente.
Elijah
si ammutolì per un istante, quasi stesse soppesando le parole
con cui rispondere a quella domanda. “Non si tratta di lui. Ma
è una cosa di cui mi occuperò io, Niklaus. Voi non ve
ne dovete preoccupare.” rispose, sintetico come solo lui poteva
essere.
Klaus
annuì, non gli importava nulla di quel vampiro in città
e si focalizzò unicamente sul concetto di Mikael a un passo da
loro. Rifiutò persino l'immagine di April che balenava, di
tanto in tanto, nella sua mente.
“Va
bene. Allora non ci resta che preparare le valigie e scegliere a caso
la prossima città in cui andare.” disse, trattenendo il
tremore che scosse la sua voce, al pensiero che Mikael potesse essere
così vicino. Guardò oltre la spalla di Elijah, in
direzione di Rebekah. “Possiamo andare in Europa. Venezia ti è
sempre piaciuta, no?”
Rebekah
scosse la testa; sembrava sul punto di scoppiare in una crisi di
pianto. “Io non me ne voglio andare! Non senza Stefan, io...”
“Va'
al diavolo, Bekah. Qui rischiamo di farci accoppare e tu pensi alla
tua cottarella?”
“E
tu invece non vedi l'ora di trascinarmi via solo perché vuoi
liberarti della tua umana moribonda!” gridò la ragazza,
avvicinandosi ad ampie falcate a loro.
Elijah
evitò che continuassero a urlarsi contro, semplicemente
alzando le mani in segno di resa. “Accanirsi l'uno contro
l'altra ora non serve a nulla.” disse. Guardò prima
Klaus poi la sorella; la curiosità di sapere di più
riguardo quella situazione era tanta, ma si trattenne dal chiedere,
per non creare ulteriori dissapori e per cercare di risolvere quelli
già esistenti.
“No,
Elijah. Lui non fa altro che trascinarmi da una parte all'altra del
mondo manco fossi un sacco da viaggio e ne sono stanca!”
Rebekah lasciò che una lacrima le scorresse lungo la guancia.
Non piangeva da moltissimo tempo, probabilmente dall'ultima volta che
aveva creduto così fortemente nell'amore da non volerlo
lasciare andare via non appena ne trovava un pallido riflesso.
E
quand'era successo l'ultima volta? Klaus notò, amaramente, di
non ricordarlo, vista l'estrema facilità che la vampira
possedeva nell'innamorarsi.
“Tu
invece partirai, se non vuoi che stacchi la testa a te e al tuo
amante e le esponga in un museo, sono stato chiaro?!” gridò
Klaus, con tutta la furia che era riuscito a trattenere dentro per
quell'intero mese.
Non
aveva più nulla da perdere, perché dunque non farsi
tornare ad odiare come aveva fatto fino a poco tempo prima?
Rebekah
lo guardò turbata, in lacrime, desiderosa di urlargli contro
tutto l'astio che doveva nutrire nei suoi confronti in quel momento.
“Rebekah,
è la cosa migliore da fare con Mikael alle calcagna.”
Elijah parlò con più calma, come un arcobaleno dopo la
tempesta, ma la ragazza non riuscì comunque a sopportare tali
parole. Scuotendo la testa ripetutamente, si portò una mano
alla bocca e corse fuori dal salone, lasciandoli così soli.
Klaus
non si preoccupò che potesse scappare; Rebekah urlava, faceva
i capricci, minacciava di compiere i gesti più assurdi pur di
ottenere quello che voleva, ma alla fine tornava sempre in un punto:
la sua famiglia.
“Dovresti
smetterla di rivolgerti così alla tua famiglia. Non hai alcun
diritto...”
“Va'
al diavolo pure tu Elijah.” Klaus non volle più sentire
nessuna parola. Voleva solo il silenzio, senza più
interessarsi di niente, né della superiorità di Elijah,
né della collera di Rebekah e nemmeno della decisione di
April.
Niente.
Voleva
solo la forza e il coraggio di spegnere tutto e non sentire
più niente.
Superando
Elijah, con l'intento di uscire da quella casa e prendere un po'
d'aria, sentì gli occhi del fratello sulla propria schiena.
* *
* * * * * * * * * * * * *
Pensando
a casa, la ragazza non si diresse presso il suo triste e solitario
appartamento, bensì presso il locale di Gloria, silenzioso e
spento a quell'ora del mattino. Entrò utilizzando una delle
chiavi della porta sul retro, che la donna le aveva affidato nei casi
di necessità.
E
quello era un caso di strettissima necessità.
Aveva
sperato di trovare la donna, in maniera tale da poter discutere con
lei su un certo pensiero che aveva pervaso i suoi pensieri, ma
quella non si trovava all'interno del locale. Probabilmente si era
ritirata a dormire nel suo appartamento, dopo aver pulito da capo a
fondo tutto il bar.
“Che
sfortuna.”
Goffamente,
April si avvicinò al bancone del bar, il quale odorava di
fiori e vento di primavera, viste le pulizie a cui era stato
soggetto. Lasciò cadere le scarpe sul pavimento, insieme alla
borsa, e con un abile movimento si mise a sedere sulla sua superficie
in legno levigato, restando in quella posizione seduta per qualche
secondo. Lasciò scorrere lo sguardo lungo lo spazio ampio e
buio che la circondava, senza ritrovare in esso alcuna somiglianza
che le ricordasse il locale nelle ore notturne, quando le luci
brillavano, la musica suonava e la sua voce cantava. Era tutto così
diverso, quando c'era il buio ad avvolgere tutto.
Un
capogiro la colpì e un senso di sopore spinse le palpebre ad
abbassarsi. Aveva dimenticato di non aver dormito per nulla quella
notte, perciò si mise distesa sul bancone, senza soffermarsi a
pensare che quel comportamento potesse essere sconveniente, nel caso
qualcuno la trovasse là dentro in quelle condizioni.
Si
cullò nella noncuranza, portandosi un braccio a coprire gli
occhi e ascoltando i suoi respiri lenti e regolari il tic toc di
un orologio a cucù appeso sulla parete e il suono del suo
cuore che martellava musicalmente dentro il petto.
Cadde
nel sonno nel giro di pochissimi secondi.
“Ho
sempre adorato i tuoi capelli, April.” Una mano prese ad
accarezzarle delicatamente la lunga chioma scura, distesa
accuratamente sulla superficie in legno. April riconobbe in quel
tocco le dita soffici di Violet che giocavano con i suoi ciuffi.
“Sono così neri, così morbidi...”
“È
grazie all'impacco a cui li sottopongo ogni due giorni. Altrimenti
sono grassissimi.”
La
risata di Violet risultò soffice e vellutata, come il candore
della sua ingenuità. Quando April aprì gli occhi, la
vide chinata su di lei. Trovandosi in posizioni diametralmente
opposte, il volto della bionda era a testa in giù per gli
occhi di April. I lunghissimi capelli dorati di Violet erano arrivati
ad accarezzarle la pelle del viso con dolcezza, scorrendo docilmente
sulle sue gote. April aveva dimenticato quanto potere quegli occhi
verdi avessero nel lenire le sue ferite più profonde.
“Mi
manchi tanto, amica mia.”
Violet
sorrise più calorosamente, portando le mani a posarsi sulle
tempie della compagna. “Non preoccuparti, April.” le
sussurrò, chinando poi la testa su di lei, per accostare le
proprie labbra al suo orecchio. “Io posso vivere per sempre,
ora.”
April
riaprì gli occhi.
La
realtà risultò prettamente differente dal breve sogno
in cui era caduta; era buia e dolorosa, non c'erano le luci oniriche
o i profumi avvolgenti che un sogno era capace di portare con sé.
L'unica
cosa rimasta in comune con quel dono di Morfeo fu il suo corpo
disteso su una superficie e il volto di Violet a pochi centimetri dal
suo. Anche se pure quello aveva un aspetto diverso da come lo
possedeva nel sogno: era scavato, pesanti occhiaie violacee
sottostavano a un paio di spenti occhi verdi, privati della vitalità
e del vigore che avevano sempre posseduto. Le labbra, piene e rosee,
erano tese in una linea retta, quasi avessero perso il potere del
sorriso che erano sempre state capaci di emanare.
Violet
era morta.
April
era stata al suo funerale.
Eppure
lei era lì.
“Finalmente
ti sei svegliata, April.”
Ciao
a tutti, bellissimi, come va? :D
Come
avete avuto modo di notare, ci sono state due belle apparizioni in
questo capitolo e....lo avete apprezzato? ;D Io penso di sì, o
almeno credo u.u sta di fatto che queste non saranno le uniche scene
in cui loro saranno presenti. Ce ne saranno altre negli ultimi
capitoli rimasti, che sono, oltre questo, quattro più
l'epilogo. Vi ho dato una bellissima notizia, lo so v.v
Anyway,
non ho molto da dire su questo capitolo, eccetto due piccoli punti
che volevo chiarire:
la
frase in cui April descrive la pelle di Damon bianca come il
latte e le sue labbra rosse
il sangue è presa dal
titolo del romanzo “Bianca come il latte, rossa come il
sangue” di Alessandro D'avenia.
Il
termine tombeur de femmes, per
chi non lo sapesse, vuol dire sciupa femmine, in poche parole ;P
Il
prossimo si focalizzerà sopratutto su April e Violet e un
altro personaggio che, però, non è Klaus.
Io
spero vivamente che il capitolo vi sia piaciuto, e mi piacerebbe
molto avere la vostra opinione al riguardo! :D
Vorrei
inoltre approfittarne per segnalare, a chi è interessato e
segue “The Walking Dead” , la mia prima long su questo
fantastico telefilm
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2163696&i=1.
Ne
approfitto anche per scusarmi con coloro che hanno recensito lo
scorso capitolo e non hanno ricevuto risposta; provvederò
domani, dato che oggi, purtroppo, ho davvero pochissimo tempo per
farlo! Possiate perdonarmi!
Ringrazio
come sempre tutti i lettori, silenziosi o meno che siano, per il
sostegno dimostrato per questa storia e ringrazio chi l'ha inserita
nelle varie cartelle. Vi adoro, dico sul serio.
Un
bacione e alla prossima spero! :D ciaoooooo! :3
|
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Capitolo 12 *** I'm only the monster you made me ***
http://www.youtube.com/watch?v=DSSfGQU90uY
-Capitolo
12: I'm only the monster you made me-
Take
a good look at me now Do
you still recognize me? Am
I so different inside? This
world is trying to change me And
I admit I don't want to change with it And
I admit I can't go on like this anymore
Erase
this monster I've become Forgive me for all the damage done It's
not over Say it's not over I'm begging for mercy I'm only
the monster you made me
“Finalmente
ti sei svegliata.”
April
ci mise qualche secondo per metabolizzare quanto le si stava ponendo
davanti allo sguardo.
Scattò
a sedere rapidamente sul bancone, con una velocità a dir poco
sorprendente viste le sue condizioni, e scese poi dal mobile con un
balzo, rischiando di slogarsi la caviglia nel durante.
Violet
restò seduta, come lei l'aveva trovata: con le gambe
accavallate, le mani adagiate fermamente sopra il bancone e il collo
proteso verso il corpo dell'altra ragazza.
“V-Violet?”
April pronunciò il suo nome, quasi fosse una parola celante
mille paure.
Vide
gli occhi offuscarsi, la testa martellare violentemente come se
potesse scoppiare da un momento all'altro e le gambe molli,
improvvisamente fatte di pasta-frolla.
“Ciao
April.”
Violet
scese da sopra il bancone, senza provocare il benché minimo
rumore quando i suoi piedi atterrarono sul pavimento. Aveva una
postura leggermente piegata mentre avanzava verso la figura
dell'amica; il capo chino e gli occhi attenti e vacui, fermi
sull'esile silhouette di April.
April,
d'altro canto, non riusciva a compiere un passo.
Una
parte di lei, quella più razionale, aveva già definito
la natura della persona che aveva di fronte; l'altra, quella
distrutta ma al contempo speranzosa, voleva solamente correre verso
l'amica e stringerla più forte che poteva a sé, dirle
che le era mancata e che aveva bisogno di lei più di qualsiasi
altra cosa al mondo.
“Sei
davvero tu?” Fu questo, però, tutto quello che lei
riuscì a dire.
Violet
si fermò, come se la voce rotta d'emozione di April avesse
toccato qualcosa in fondo al suo cuore. La fissò a lungo, con
fare indeciso.
“Sì.
In parte.” rispose, drizzandosi lentamente sulla schiena.
April
scosse la testa incredula. La sua amica era così diversa da
come la ricordava, da come l'aveva vista in sogno: non era altro che
il pallido riflesso di una vita troppo presto baciata dalla morte.
Niente di lei ricordava la vitalità e la dolcezza che
l'avevano caratterizzata.
“Ti
abbiamo seppellita, Violet.”
“E
infatti ho fatto un po' di fatica per uscire.” Violet abbassò
distrattamente lo sguardo sulle proprie mani e iniziò ad
analizzare le dita. “Ho tutte le unghie rovinate.”
“Tu
dovresti essere morta!” April era sul punto di scoppiare in una
vera e propria crisi di nervi. I suoi occhi erano lucidi, le labbra
tremanti e il petto scosso da violenti e numerosi singhiozzi.
“E
lo sono, April.” Violet alzò con uno scatto la testa,
puntando gli occhi iniettati di sangue sul volto di April. Sembrava
fuori di sé, spinta solo e unicamente da sensi che la ragione
non poteva governare. “Ma sono come i tuoi amici ora.”
Violet
era un vampiro.
April
si portò una mano alle labbra, scuotendo debolmente la testa
malgrado avesse intuito tutto sin dal principio. Si sentì
tradita, poiché Klaus poteva essere benissimo l'artefice di
quanto era successo, malgrado avesse negato di essere colpevole. E si
sentì di aver tradito Violet, poiché non era stata
capace di proteggerla come lei aveva fatto con April da quando si
erano conosciute.
“Mi
spiace così tanto, Violet.” singhiozzò April,
disperata.
Desiderava
così tanto gettare le proprie braccia attorno al collo
dell'amica perduta, ma sapeva di non poterlo fare.
Perché
non aveva alcun diritto.
Perché
quella non era più l'amica che aveva avuto e amato,
probabilmente.
“Ma
no, perché dici così?” Violet si lasciò
andare a una risata gutturale, che non era mai nata da una voce come
la sua. “Io sto bene.” Spalancò le braccia, per
dare maggior enfasi al suo entusiasmo. “Sono forte, non ho
limiti, posso uccidere senza provare rimorso e, inoltre, posso fare
tutto quello che voglio!”
April
deglutì, mosse un passo all'indietro, quando vide Violet
avanzarne di un paio.
“Sarò
giovane e bellissima per sempre. Mentre tu, invece, morirai brutta e
deperita, a causa del tuo male.” concluse freddamente la
vampira, puntandole il dito contro con occhi spiritati.
Quelle
parole la ferirono, malgrado April sapesse, in cuor suo, ch'erano
state pronunciate da una persona a lei estranea. Quella
indossava il volto di Violet, ma era una persona a se stante.
“Tu
lo sapevi...della mia malattia, vero?” le domandò,
conscia che quella non era una domanda da porre a una persona che non
voleva perdersi in troppe chiacchiere.
Ma
Violet arrestò la propria avanzata di fronte a quella domanda.
I suoi occhi si chiusero un poco, tornando ad assumere la loro forma
normale, e scrutarono con attenzione il corpo di April. “Era
palese, April. Non te ne accorgevi solamente tu.”
April
abbassò lo sguardo, senza pronunciare alcuna parola.
“Non
ti resterà che un mese da vivere, se siamo ottimisti.”
Violet scattò verso di lei, tanto che April se la ritrovò
ad un palmo dal viso senza nemmeno rendersene conto. Sussultò
spaventata, notando che il volto di Violet, più da vicino,
risultava essere persino maggiormente diverso di quello che aveva
conosciuto.
Era
spento, triste, vuoto, non c'era nulla della vitalità che
aveva caratterizzato la bellezza di Violet.
Niente
in lei ricordava più ad April la persona ch'ella era stata.
“Quindi
non penso che ti offenderai, se bevo un po' del tuo sangue.”
Le
accarezzò il viso dolcemente, lasciando scorrere i
polpastrelli lungo la linea della sua guancia. April non riusciva a
compiere il benché minimo movimento; le gambe erano molli e le
precludevano qualsiasi movimento; gli occhi troppo gonfi di lacrime
affinché potesse persino vedere.
“Perché
ti comporti così, Violet?” piagnucolò disperata,
non riuscendo a sopportare il modo in cui la ragazza stava
parlandole.
“Perché
sono tua amica.” Violet rispose con voce soffice e vellutata,
ma in maniera falsa e illusoria. Alzò anche l'altra mano, per
accarezzarle l'altra guancia. “E ti voglio bene. Tanto da
salvarti dalle grinfie di Klaus.”
“È...stato
lui a trasformarti? A ucciderti?”
“Non
esattamente. Ma non permetterò che lui trasformi te.”
Detto
ciò, Violet strinse violentemente il collo di April con
entrambe le mani. Alla ragazza mancò subito il respiro, mentre
la vampira la sollevava da terra e la scrutava con con occhi scuri e
iniettati di venuzze di sangue. Dalla sua bocca fuoriuscirono due
spessi e affilati canini, che andarono a premere ferocemente sulle
labbra.
“Vil,
ti prego...non far..lo.” April provò a pregarla di
fermarsi, ma la voce le uscì in un sibilo quasi
impercettibile. Le mani della vampira premevano troppo forte attorno
alla gola, tanto ch'ella poté sentire nella sua testa il
rimbombare della pulsazione della carotide.
“Mi
spiace, Pril. Ma ho fame. Troppa fame.”
Non
ebbe il tempo di compiere nessun'altro movimento, poiché April
si ritrovò capitolata a terra e Violet sbalzata contro il
bordo del bancone, a pochi metri dal punto in cui si trovava.
April
tossì ripetutamente, restando distesa sul pavimento, ma i suoi
occhi riuscirono a scrutare un paio di scarpe in pelle nera di fronte
a sé, di qualcuno che le stava dando le spalle. Fece scorrere
lentamente gli occhi lungo tutta la figura che aveva davanti,
scorgendo un paio di pantaloni da smoking nero e una camicia bianca,
raggrinzita e sporca.
Di
sangue.
Violet
restò con la schiena contro il bancone e entrambe le braccia
adagiate sopra uno degli sgabelli del bar. I suoi occhi folli erano
fermi sulla figura che l'aveva spinta lontano da April.
“Eccolo,
il mio sire.” lo prese in giro, ridacchiando con una
tonalità di voce bassa.
“Il
cuore è qualche centimetro più sopra, stronza.”
La risposta di Stefan Salvatore non giunse inaspettata. Malgrado
fosse spettinato, sporco, arrabbiato e impresentabile per i
canoni dell'epoca, lui non aveva perso quella verve pungente
che April aveva conosciuto e di cui era stata spaventata e inquietata
da sempre. Restò seduta sul pavimento, assistendo alla scena
silenziosamente, e senza riuscire a pronosticare quello che sarebbe
potuto accadere successivamente.
Violet
mostrò un sorriso bagnato di sangue, quando Stefan iniziò
ad avanzare verso di lei, con passi lenti e metodici, mantenendo gli
occhi fissi sul volto della vampira neofita.
“Non
me ne sono mai intesa di anatomia, purtroppo.” rispose la
ragazza, con voce roca.
“Ma
sono quasi sicuro che avresti potuto benissimo colpirmi dritto al
cuore. Eppure non lo hai fatto.” Stefan si fermò quando
fu a pochissimi centimetri dai piedi della ragazza. Notò che
Violet aveva assunto un'espressione quasi umana, priva di
quella sadica vena di follia che aveva caratterizzato i suoi occhi
fino a pochi attimi prima. Qualcosa negli occhi verde foglia di
Stefan la spinse a provare un brivido, nato dalle più profonde
delle sue membra, per poi irradiarsi alla mente, scuotendole i
pensieri dal torpore dell'irrazionalità.
April,
intanto, era troppo debole per riuscire ad alzarsi in piedi. Ci provò
in tutti i modi, tossendo lievemente per il dolore, e facendosi leva
sui palmi delle mani e sulle ginocchia, intenta a compiere un
movimento che potesse avvicinarla a loro, prevenendo un possibile
colpo di testa da parte di Stefan. Poiché, malgrado tutto, lei
non voleva che succedesse qualcosa a Violet.
Stefan,
però, non compì alcun movimento: rimase immobile a
fissare l'esile figura della giovane vampira, con le braccia distese
lungo i fianchi e il mento alto. “Chi ti ha trasformata? Avevi
sicuramente sangue di vampiro già in circolo prima che venissi
uccisa.” domandò.
Violet
non rispose; scosse la testa ripetutamente, portandosi le mani alle
tempie e prendendo a dondolarsi avanti e indietro come se volesse
scacciare la voce di Stefan dai propri pensieri. Rideva e gemeva allo
stesso tempo, sembrava che non fosse decisa su che emozione provare.
Pareva come se volesse rimuovere qualcosa dentro la sua stessa testa.
Vedendo
che lei non avrebbe risposto, Stefan ricorse, imperterrito, a
un'altra domanda. “Perché non mi hai ucciso? Sapevi che
sarei tornato e te l'avrei fatta pagare....”
“Stefan,
non farle del male!” Lo minacciò rudemente April,
maledicendosi per non essere forte abbastanza, nel fisico e nella
mente, da alzarsi in piedi e avanzare verso di loro per bloccare
l'eventualità che Stefan la uccidesse.
Il
vampiro si chinò davanti a Violet, notando che questa aveva
preso a tremare più violentemente dopo che le era stata
rivolta quella domanda. Si rannicchiò in se stessa, portandosi
le ginocchia al petto e distogliendo lo sguardo dal viso di Stefan.
“Perché
sapevi anche che avrei potuto fermarti, vero?” Il ragazzo parlò
con voce melliflua, sussurrando parole che non poterono giungere alle
orecchie di April, ancora a terra alle sue spalle. Questa cercò
di affinare l'udito per poter sentire quello che stava dicendole, ma
captò solo qualche bisbiglio.
“Sapevi
che avrei potuto impedirti di ucciderla?”
Non
ebbe nemmeno il tempo di terminare la frase, che Violet scattò
in piedi di scatto, dirigendosi all'esterno del locale, veloce come
una saetta.
April
avvertì solo un moto d'aria accarezzarle la pelle e la porta
d'ingresso alle sue spalle sbattere con violenza, come se fosse stata
una forte folata di vento ad aprirla.
Quando
sia lei che Stefan si voltarono, Violet era già scomparsa.
* *
* * * *
“Perché
mi hai salvato la vita?”
April
si era alzata in piedi da qualche secondo, ma già sentiva di
nuovo il bisogno di sedersi. Era troppo stanca, nel fisico e nella
mente, e sentiva troppi pesi gravare sulle sue spalle. Non ne poteva
davvero più; avrebbe solamente voluto aprire gli occhi e
scoprire che era tutto un incubo.
Che
Violet non era morta.
Che
lei non era malata.
Che
Klaus non era un vampiro.
Anzi,
se avesse potuto, avrebbe anche voluto scoprire che i suoi genitori
non erano davvero morti. Giusto per rendere quel sogno irrealizzabile
ancora più completo.
Stefan,
intanto, era nel pieno della sua sfacciataggine: non volendo
indossare una camicia sporca del suo stesso sangue, aveva deciso di
usufruire di una delle molteplici giacche che erano state dimenticate
nel guardaroba del locale. E se ne stava beatamente a petto nudo
davanti a lei, mentre sceglieva l'indumento che più si
addiceva al suo stile.
“Perché
hai un bel culetto.” le rispose il vampiro, spostando da un
lato all'altro le varie grucce. Le dava le spalle, i muscoli della
schiena erano ben tesi e marcati mentre faceva scorrere il braccio
all'interno dell'armadio.
April
arricciò la bocca, infastidita. “Rispondi e fattela
finita, Salvatore.” lo riprese, con tono minaccioso.
Stefan
ne rise, quasi risiedesse dell'ironia in quelle parole. “Ma che
caratterino!” esclamò, prendendo una delle giacche scure
appese. “Ecco perché Klaus stravede per te.”
Si
girò verso di lei, portandosi la giacca alle spalle, per poi
incrociare lo sguardo rabbioso di April mentre inseriva le braccia
dentro le maniche. Sotto quegli occhi color pece carichi di fastidio,
il vampiro si ritrovò a deglutire. “Non volevo incappare
nell'ira di Klaus, qualora quella t'avesse mangiato la faccia e io
non avessi mosso un dito.” rispose. “Sarà, ma io
voglio ancora vivere per l'eternità.”
April
scosse la testa. “Sei solo un lurido bastardo.” lo
rimbeccò.
La
risata di Stefan risuonò cristallina all'interno del locale
buio. “E tu una sgualdrina morente. Come vedi un epiteto adatto
posso trovartelo pure io.”
Calò
qualche secondo di silenzio, che nessuno dei due ebbe il coraggio di
colmare.
April
si alzò debolmente in piedi, apprestandosi a uscire dal locale
e andare lontana il più possibile da Stefan. Quest'ultimo,
intanto, era tutto intento a sistemarsi i bottoni ai polsi della sua
nuova giacca.
“Non
mi dici nulla...riguardo il fatto che abbia ucciso io Vil?”
April
si fermò di colpo, di fronte agli scalini che conducevano
all'uscita del locale. Tutti i muscoli del suo corpo si irrigidirono;
il martellare insistente del suo cuore divenne l'unico rumore
percettibile attorno a loro. Una parte di lei, fino a poco prima, era
convinta che potesse essere stato anche Klaus a uccidere la sua
amica, così per avere un pretesto in più per diffidare
dai sentimenti che nutriva per lui, ma un'altra parte era fermamente
convinta che fosse stato Stefan a compiere quell'omicidio. Ricollegò
tutti i dubbi, tutti i presentimenti, con gli occhi con cui Violet
aveva guardato Salvatore poco prima e le parole che si erano detti ,
e ne ebbe la conferma.
“Non
è nel mio interesse giocare il ruolo di benefattore, ma...è
me che dovresti odiare, non Klaus. Sì, è vero, lui ha
preso parte alla scommessa in cui tu e la tua amichetta dovevate
morire insieme quella notte, ma lui poi si è fermato.”
Stefan continuava a sistemarsi la giacca con serenità, come se
non stesse parlando dell'omicidio di cui si era macchiato. April si
girò a guardarlo, con aria vacua. “Io non mi sarei
fermato, ti avrei uccisa proprio come ho fatto con Violet.”
Era
incredibile come Stefan parlasse di un omicidio con la calma e la
pacatezza con cui si parlava di un hobby o di una cosa di poco conto.
Tutti i sensi di April erano inondati da un sentimento d'odio puro,
per cui quasi venne spinta a mettere le mani addosso al ragazzo e
colpirlo fino a fargli male. Ma sapeva che non sarebbe servito a
nulla: sarebbe stata solamente lei a farsi male e Violet non sarebbe
tornata umana. Poteva solo perseverare nell'odio che nutriva per lui,
e basta.
“Non
hai nemmeno provato un minimo di rimorso nell'ucciderla?”
La
voce con cui quella domanda venne pronunciata venne smorzata da un
dolore fisico e mentale che bruciava nel petto della ragazza. Guardò
il profilo di Stefan, che stava sistemandosi i bottoni frontali della
giacca, con fare parecchio apprensivo. Era più interessati nel
proprio aspetto estetico che nelle domande di April.
“Non
mi pento mai dei miei giochi.” Stefan scosse la testa e storse
la bocca in un broncio infastidito.
Ed
era la verità. Non si poteva nascondere una menzogna con
cotanta facilità, pronunciando tale orrore con un'espressione
serena e quasi divertita su quel volto di marmo.
April
ebbe ribrezzo anche solo nel guardarlo.
“Sei
solo un cane. Spero che tu muoia presto.” La ragazza ringhiò
quelle parole con tutto l'astio che aveva in corpo.
Era
solo per colpa di un suo stupido gioco se Violet era morta ed era poi
tornata se stessa nelle vesti insanguinate della morte. Era solo
colpa sua se aveva perso la sua amica. Lo odiava.
Stefan
non si mostrò minimamente scalfito dalle parole della ragazza;
ne sorrise, fiero.
“Tanto
non vivrai tanto a lungo per assicurartene.” rispose, girandosi
verso di lei e muovendo un passo verso di lei.
April
venne assalita da un moto d'ira, quando vide la sfida con cui il
ragazzo la stava fissando. Si divertiva, nel vederla arrabbiata,
triste, sofferente. Era così apatico nei confronti
dell'umanità da gioire dei dolori provati da terze persone
senza il minimo problema.
Non
trovando le parole più adatte per rispondergli, e non avendone
voglia, April gli diede le spalle e fece per uscire dal locale.
“Se
vai a cercare Vil, sappi che la probabilità di trovarla cenere
è tanta. Non è in possesso di protezioni contro la luce
solare come me, povera piccola.” Stefan le gridò quelle
parole a gran voce e April si voltò solo un attimo per vederlo
mostrarle fiero l'anello che portava al dito.
Ignorandolo,
pur di non lasciarsi abbattere dalla collera, la ragazza uscì
rapidamente da quel posto.
Stefan,
intanto, abbassò lo sguardo con fare pensoso. E il suo sorriso
si spense.
* *
* * * *
April
non seppe perché e per come, ma si ritrovò al cimitero
cittadino, di fronte alla silenziosa lapide di Violet.
Era
passata da casa solamente per cambiarsi d'abito e per farsi una
brevissima doccia, per scacciare lo sporco, il sangue e il tremore
che percorreva continuamente le sue ossa. Sudava freddo e in diversi
momenti si era sentita come svenire da un momento all'altro, quasi le
gambe non potessero sorreggere il peso del suo corpo stanco e
spossato. Pensò che, ormai, il tempo stava per scadere e lei
stava consumando i suoi attimi nel tentennare su una decisione che,
nella sua mente, era ormai ben formata. Eppure, quanto era successo
prima con Stefan e Violet, aveva riacceso la fiamma del dubbio e
della paura, tanto che la ragazza si ritrovava di nuovo in possesso
di mille incertezze.
E
il tempo andava avanti, senza
aspettarla.
Restò
immobile davanti alla lapide, fissando il nome inciso sulla pietra e
tacendo le lacrime che urlavano disperate, intrappolate dentro i suoi
occhi. Volevano liberarsi, abbatterla definitamente e scorrerle lungo
il viso, violente e dolorose, ma lei non volle lasciarle vincere.
Anche se era troppo stanca per farlo, non aveva alcuna intenzione di
lasciarsi sopraffare da loro. Pensò a Violet, a quanto Stefan
aveva detto riguardo alla luce del sole, e si chiese se fosse davvero
morta.
In
cuor suo, però, lei si era recata in quel luogo di silenzio e
morte solamente per rincontrarla.
In
qualche modo.
Nel
modo meno realistico possibile.
“Che
ci fai qui?”
April
sorrise; malgrado quelle parole avrebbero dovuto scuoterla in brividi
di paura, la ragazza rispose con assoluta serenità,
continuando a dare le spalle alla persona dietro di sé. “Sei
tu che non dovresti essere qui, Violet.”
Sentì
Violet schioccare la lingua. “Sotto questa costruzione c'è
un'apertura che conduce alle fogne.” disse. “Non
disponendo di alcuna protezione, questo è l'unico modo che mi
permette di muovermi di giorno.”
Le
fornì una spiegazione, malgrado qualcosa le dicesse che April
era già, in parte, a conoscenza di tutto.
“Non
intendevo questo.” April si strinse le braccia al petto. Alzò
gli occhi verso il cielo plumbeo, lasciandosi accarezzare dal vento
tagliente che aveva preso a soffiare incessantemente sulla terra.
L'odore dell'erba appena tagliata si miscelò alla sensazione
di angoscia a tristezza che quel posto racchiudeva sempre in sé.
Si girò verso la sua amica, ritrovandola
nascosta nell'ombra di una cappella funebre, appartenenti a una delle
famiglie più antiche e abbienti della città di Chicago.
In quel modo, il sole, anche se in quel momento era nascosto dietro
un pesante manto di nuvole, non l'avrebbe minimamente scalfita.
“Volevo dire che tu non dovresti essere qui. Morta. A
parlare con me davanti a una lapide con inciso il tuo nome sopra.”
Violet
fissò freddamente il viso di April; il petto si alzava e
abbassava in lenti respiri e gli occhi catturarono il luccicore
insito nello sguardo della sua amica. Non l'aveva mai vista
sofferente prima, nemmeno nei suoi momenti più difficili.
Vedere che soffriva così per la sua dipartita, riaccese
qualcosa nel suo animo morto. “Non
è stata colpa mia se Stefan mi ha preso di mira, quella
notte.” disse.
April
scosse la testa e strinse le labbra. “Mi spiace così
tanto.” le disse, sincera.
“Se
ti spiace così tanto, smetti di amare Klaus.” Violet
alzò la voce, spalancò le braccia e guardò il
volto immobile della sua amica con aria spiritata. Stava per perdere
di nuovo il controllo; la rabbia e la sete di sangue stavano di nuovo
per avere la meglio. “Lui è colpevole quanto Stefan. Se
non tu fossi stata malata, avrebbe ucciso anche te!”
“Mi
sono allontanata da lui, Vil. Ma non posso smettere di amarlo così,
nel giro di un baleno.” April si sentì davvero in colpa
nel pronunciare quella parole a una persona che aveva perduto la
vita, anche se indirettamente, anche per mano del suo uomo. Ma
sarebbe stata una grandissima menzogna dirgli che aveva smesso di
amare Klaus. Lo odiava per quello che le aveva fatto, che le aveva
nascosto, ma nutriva ancora del sentimento nei suoi confronti. Non si
potevano cancellare emozioni nate così duramente, affrontando
molteplici avversità da entrambe le parti, con una simile
facilità. Era una faccenda dolorosa e che richiedeva
moltissimo tempo, quella di imporsi di dimenticare una persona.
Violet
perseverò nel guardarla con occhi sgranati, ma parve
comprendere quanto April aveva appena detto. Una nuvola si scansò
da davanti al sole, lasciando che la sua luce irraggiasse tra di
loro, su quel terreno desolato, afflitto da mille anime dormienti.
Anime
che potevano vedere, ma che non potevano essere viste.
Anime
che potevano gridare, ma non potevano essere sentite.
Un
po' come lo erano tutti gli esseri umani, in quel mondo così
grande. Morti o viventi che fossero.
“Perché
vuoi uccidermi, Vil? Perché mi ritieni responsabile di quanto
ti è successo?” April riuscì difficilmente a
trattenere le lacrime, nel pronunciare quelle parole. Ricordò
ciò che aveva provato quando Violet strinse la propria mano
attorno al suo collo, la sensazione di speranza che le diceva “non
aver paura. È Violet, non ti farà mai del male.”
quando, invece, la realtà
le aveva mostrato che la ragazza l'avrebbe effettivamente uccisa.
Violet
rifletté su quella domanda, abbassando lo sguardo. “Perché
ho perso il controllo. Ho sempre, perennemente fame, April. Ed è
inoltre una cosa che devo fare.” rispose.
“Perché
devi farlo?!” April parlò con maggiore durezza, quando
si accorse di un altro particolare concernente la discussione di
Violet e Stefan poco prima. Non era stato lui a trasformarla e, visti
i suoi rapporti di fiducia con Klaus e Rebekah, non dovevano essere
stati nemmeno loro.
C'era
un altro vampiro in città?
“Che
t'importa? Morirai comunque tra poco.” Violet si strinse le
braccia al petto, rispondendo repentina e facendole capire che aveva
una verità da nascondere.
April
la guardò incredula, così turbata da tutto quello che
stava cadendo, da volersi lasciar cadere a terra addormentata,
lasciando che il mondo decidesse per lei, affinché lei fosse
libera di non lottare più in quell'inferno.
Gli
occhi dell'umana spinsero la vampira a fornire una spiegazione più
efficiente al riguardo.
“Una
persona ti vuole morta per fare un torto a Klaus. Io forse ti voglio
morta per impedirti di trasformarti
in un vampiro.”
April
ci mise qualche secondo per metabolizzare quel concetto. Alzò
di nuovo gli occhi sul volto di Violet e la vide abbassare il suo,
quasi timidamente, in quella maniera che era tutta sua. Decise di non
perdersi troppo a lungo in molteplici pensieri, ma di affrontare
faccia a faccia le parole di Violet.
“Io
non voglio morire, Violet.” fu tutto quello che riuscì a
dire, con voce incrinata dal pianto. Ripensò a quanto quel
ragazzo, Damon, le aveva detto quella mattina e a come l'aveva spinta
a prendere quella decisione, malgrado le avesse detto che
l'immortalità, il più delle volte, si rivelava essere
una dannazione, non un dono. Lei considerava essere la morte più
una condanna e non accettava che il fato o che Dio avessero deciso di
privarla della sua esistenza così presto. Avrebbe voluto
sfidare la natura, mostrare di farcela, perché tutto quello
che le stava accadendo era ingiusto. Aveva
solo ventidue anni, perché doveva andarsene in quel modo?
Senza aver realizzato nessuno dei suoi sogni?
“E
vuoi diventare come me, Pril?” Violet scoppiò in
lacrime, senza che nemmeno April potesse prevederlo. I vampiri
passavano da uno stato d'animo all'altro, nel giro di pochissimi
secondi. Vide l'amica indicare se stessa, quasi fosse uno dei
peggiori incubi che camminavano su quella terra. “Guardami. Non
sono che l'ombra di quella che ero. Voglio solo il sangue, la morte e
ucciderei persino te in questo momento! Solamente per avere il tuo
sangue sul mio palato, te ne rendi conto?”
“Violet,
ora calmati.” April si fece forza, soffocando le proprie
lacrime per fermare il corso di quelle dell'amica. Alzò le
mani verso di lei, per farle segno di calmarsi, ma Violet la ignorò,
asciugandosi il pianto con il palmo della mano, stretta in se stessa
come una bambina spaventata.
“Ho
paura, April. Ho ucciso tante persone in questi giorni; mi sembra di
rivedere i loro volti mentre dormo. Odio quello
che sono diventata. Non lo faccio solo perché me l'ha detto
lei...ma anche perché
non vorrei mai che tu diventassi come me!”
April
mosse un passo verso di lei, con più calma possibile. “Violet
io...”
“Non
avvicinarti!” Violet si spinse all'indietro, finendo contro la
pietra del mausoleo dietro di sé. I suoi occhi si erano
iniettati nuovamente di sangue, non appena l'udito aveva captato il
battito del cuore dell'umana. Era di nuovo pronta a scattare verso di
lei, affondare i denti nella sua carne e bere il suo sangue fino
all'ultima goccia. “Sento il sangue muoversi nelle tue vene!”
“Va
bene, va bene..” April mosse un passo indietro. Il sole venne
di nuovo coperto da una pesante coltre di nuvole. “Ma voglio
che tu sappia una cosa. Qualunque cosa accada, io to voglio aiutare.
Affronteremo questo, insieme. Ti
aiuterò a ritrovare te stessa.”
Violet
alzò lo sguardo su di lei; le labbra leggermente socchiuse in
un'espressione di stupore.
April
le sorrise dolcemente e la speranza le illuminò il volto. La
gioia momentanea di quelle parole le accese lo sguardo, sfidando
tutte la paure e le angosce che quel mondo le aveva gettato addosso
in pochi giorni.
“Non
sei sola, amica mia. Sarò con te d'ora in poi. Sempre. Fino
alla fine. L'affronteremo insieme.”
Violet
tirò su con il naso, e sorrise commossa, di fronte alle frasi
dell'amica. Quelle risvegliarono qualcosa in lei, qualcosa che
sembrava essere andato perduto con Katherine, con la sete di sangue,
con il desiderio di vendetta. Quell'oceano di umanità che la
investì in quel momento, le strappò via il sorriso dal
volto. Guardò il viso luminoso di April, quegli occhi scuri
che avevano sorriso assieme a lei nei molteplici attimi insieme, e
una nuova consapevolezza avanzò nella sua mente.
“Dopo
quello che ti ho fatto...saresti disposta a starmi accanto? Per
sempre?” rispose, spostò lo sguardo dal sorriso
dell'amica, che si era fatto più radioso dopo
quell'affermazione, al cielo, dove le nuvole giocavano ancora a
rincorrersi per andare a coprire la luce del sole.
April
si sentì incredibilmente sollevata nel rivedere il bellissimo
sorriso di Violet. Parve come se tutto il dolore, la stanchezza e la
paura se ne fossero per sempre andati, come se ci fossero solo lei e
Violet, e l'amicizia che le aveva legate fin da subito. “Sì
che lo farei.”
“E
perché?” Violet era seriamente incuriosita. La fece
scoppiare a ridere.
“Perché
sei mia amica. E l'amicizia è uno di quei legami che nemmeno
la morte può sconfiggere.”
Si
guardarono in attonito silenzio per qualche secondo, continuando a
sorridersi a vicenda. Per un attimo, ad April parve di rivedere la
luce di vita che aveva sempre illuminato il bel viso di Violet. Una
di quelle luci che raramente si incontra in mezzo a una folla di
persone, troppo prese dai propri problemi e dai propri drammi di vita
per poter apprezzare ogni piccola cosa semplice che li circondava.
Violet era capace di sorridere anche solo per il profumo di un fiore
o per i raggi del sole.
“Grazie
mille, amica mia. Staremo davvero insieme.” rispose Violet,
continuando a sorridere. Sentendosi ancora più sollevata,
April mosse un passo nella direzione dell'amica, con le braccia tese
e pronte ad accoglierla in un abbraccio.
Violet
sorrise ancora di più. “Ma non sarà qui
purtroppo.”
April
non comprese quelle parole; si fermò di colpo e affilò
lo sguardo con fare pensoso, sbattendo ripetutamente le palpebre.
Seguì la traiettoria degli occhi di Violet, puntati verso il
sole che stava di nuovo facendo capolino da dietro le nuvole, e
comprese troppo tardi quanto stava per accadere.
“No!”
La sua voce gridò giusto un attimo dopo che Violet mise piede
fuori dall'ombra.
Ella
chiuse gli occhi, aprì le braccia come per accogliere
completamente sul suo corpo i raggi del sole, e avanzò
lentamente, muovendo i passi sull'erba. April non fece in tempo a
correre verso di lei, che un gridò di dolore si levò
dalle labbra dell'amica. Tutto il suo corpo prese fuoco nel momento
esatto in cui il sole le sfiorò la pelle, e April si ritrovò
di fronte a una torcia umana.
Provò
ad avvicinarsi, per gettare il proprio cappotto sul corpo della sua
amica, salvandola dalla morte. Ma quella cadde subito sulle
ginocchia, il suo grido si fece sempre più smorzato ed ella
cadde distesa sul terreno. Smise di divincolarsi nel giro di pochi
minuti e tutto quello che rimase di lei fu un corpo carbonizzato,
avvolto dalle fiamme e da un alone di fumo.
Far
away through the pain, I hear the angels calling Far
away through the pain, I see the demons falling
(Monster
You Made by Pop
Evil)
Ciao
a tutti! :D come state?
Guardando
le recensioni dello scorso capitolo, posso dire con certezza che la
storia sta probabilmente annoiando...me ne dispiace davvero molto, e
sono sicura che andrà ancora peggio dopo quest'ultimo
capitolo, di cui non sono assolutissimamente convinta. Voi penserete
che me ne esco sempre con queste frasi, ma purtroppo è così:
lo penso veramente e non lo faccio per compatirmi xD sono
terribilmente autocritica, sempre, e sopratutto quando mi trovo di
fronte a miei capitoli che, secondo me, potrebbero essere stati
elaborati molto meglio.
Lasciando
da parte i miei drammi con cui non voglio tediarvi più di
tanto, spero alla fine che il capitolo non vi abbia davvero delusi.
Come avete notato, ho dato spazio solamente ad April, Stefan e
Violet, con la dipartita poi di quest'ultima. Spero di aver dato lo
spazio più giusto alla nostra Vil e al suo rapporto con April
e di non essere stata troppo frettolosa nel descrivere tutto quanto.
Alla
fine, veniamo a comprendere che April aveva quasi pensato di
lasciarsi trasformare, a discapito di quanto le aveva detto Damon
nello scorso capitolo, ma Violet, spinta non solo dalla fame e da
Katherine, ha cercato in tutti i modi di impedirglielo. Il suo
suicidio finale è volutamente ispirato alla morte di Isobel
nel corso della seconda stagione, e spero di aver lasciato trasparire
il significato nascosto dietro di esso: Violet era un po' fuori di
capa, è vero, ma si è resa conto, dopo le parole di
April, di essere diventata una persona completamente diversa da
quella che la sua amica aveva amato. Presa dalla paura e sentendo il
peso di un'eternità di sangue gravarle sulle spalle, Violet ha
deciso così di rinunciare a tutto quanto. Non so se la cosa
possa risultare banale, ma è la decisione che più mi
sembrava in linea con il suo personaggio, ma magari sono conscia che
qualcuno avrebbe potuto storcere il naso, leggendo.
Non
ho molto altro da dire, ma se ci sono questioni a voi irrisolte,
fatemelo pure presente! ;) così come errori grammaticali e
sintattici, ovviamente! Tanto, 'sto capitolo è obbiettivamente
una caccola!
Grazie
mille a tutti, come sempre, per il sostegno donatomi, di cuore.
Nell'epilogo ci saranno i giusti ringraziamenti per tutti voi! <3
Quindi,
mi dileguo e dico un infinito grazie a chi legge e recensisce, e a
coloro che hanno inserito questa storia tra le varie cartelle!
Thank
you, merci, danke...e au revoir!
Ciao
a tutti! ;3
ps_per
farmi perdonare l'orrore appena pubblicato, vi annuncio che nel
prossimo capitolo ci sarà, di nuovo, una presenza molto
bramata v.v e qualcuno potrebbe incontrare qualcun'altro u.u
|
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Capitolo 13 *** Look into my eyes, it's where my demons hide ***
http://www.youtube.com/watch?v=mWRsgZuwf_8
-Capitolo
12: Look into my eyes, it's where my demons hide-
When
your dreams all fail And
the ones we hail Are
the worst of all And
the blood's run stale
I
want to hide the truth I
want to shelter you But
with the beast inside There's
nowhere we can hide
(Demons
by
Imagine Dragons)
Aveva
sempre sottovalutato la dote del
non pensare.
Quando
era giovane e umano era solito spremersi le meningi nei modi più
assurdi, per compiacere suo padre, per far sorridere Rebekah, per
equipararsi ad Elijah e, sopratutto, per farsi amare da lei. Ma,
una volta diventato un vampiro, non ci aveva messo molto a spegnere
quell'interruttore, che se ne stava perennemente acceso quando si era
vivi e tutto era diventato estremamente più facile.
Se
voleva uccidere, uccideva.
Se
voleva ridere, rideva.
E se
voleva ferire anche coloro che amava, feriva e basta, senza pensare
alle conseguenze.
Ma
in quei giorni tutto era cambiato; nella sua mente ronzava un intero
sciame di pensieri, per lo più negativi, che passavano da un
fiore della preoccupazione all'altro.
Era
preoccupato per la minaccia di Mikael.
Lo
era per la fuga, anche se sicuramente momentanea, di Rebekah.
E lo
era anche, ovviamente, per April, la quale continuava a tenerlo a
debita distanza nonostante quanto si erano detti poche sere prima.
Il
tempo scorreva e lui aspettava impazientemente che lei lo
raggiungesse, accettando la sua proposta.
Restò
seduto sul cornicione in pietra del balcone, sorreggendo un bicchiere
ripieno di buon vino e guardando verso la luna piena che brillava in
cielo. Il balcone della sua stanza era soppiantato da miriadi di
colorate piante di cui lui non si era mai preso cura. Probabilmente
era stata Rebekah a farlo.
Alcune
foglie di edera sulla parete alle sue spalle gli solleticarono i
capelli e la parte del viso a contatto con il muro della sua dimora.
Sbuffò
non appena avvertì una presenza leggera, come un soffio di
vento che accarezzava la pelle.
“Credevo
fosse nei tuoi piani ripartire subito.” disse, senza voltarsi
verso suo fratello.
Elijah
lo fissava dalla soglia della sua stanza. Le luci accese alle sue
spalle creavano un magico effetto con l'abbigliamento del vampiro,
che sembrava essere più scuro della notte. Le tende bianche
erano mosse da quella leggera brezza notturna, ed esse si spostavano,
di tanto in tanto, verso Elijah, sfiorandogli dolcemente le spalle.
“Sto
per farlo infatti.” rispose il vampiro, senza alcun timore.
“Allora
perché non vai?” Klaus lo guardò con la coda
dell'occhio, spalancando le braccia con aria interrogativa,
nonostante avesse ben capito il motivo per cui suo fratello non
avesse ancora lasciato la loro abitazione.
Elijah
restò in silenzio per qualche millesimo di secondo, per poi
muoversi con disarmante lentezza verso di lui. Fu così
silenzioso e pacato nei suoi movimenti che nessuno avrebbe potuto
dire che si fosse mosso, se non lo avesse visto. “Sono curioso,
Niklaus. Chi è questa ragazza? Questa April?” domandò.
Pronunciò il nome della ragazza come se volesse scoprirlo in
ogni lettera che lo componeva.
“Nessuno.
Rebekah parla semplicemente troppo.” Klaus fu rapido e risoluto
nel rispondere alla domanda del fratello, ma non fu abbastanza deciso
dal convincerlo di quello che aveva detto. Sbuffò stancamente
quando guardò in direzione di Elijah e gli ritrovò un
mezzo sorriso ombrato sul volto e lo sguardo affilato, quasi volesse
tirare fuori la verità dalle labbra del fratello alla stessa
maniera in cui un ipnotizzatore tirava fuori un serpente da un vaso.
“Perché mi guardi a quel modo?”
“Non
me la dai a bere, Niklaus.” rispose Elijah, scuotendo
lievemente la testa. Si avvicinò di più a lui. “Questa
ragazza ti ha fatto qualcosa. Voglio solo sapere cosa.”
“E
saperlo ti renderà la nottata più piacevole?” lo
sfidò Klaus, guardandolo e bevendo contemporaneamente dal
bicchiere.
Elijah
sorrise, come divertito. “Soddisferà la mia curiosità,
sì.”
Klaus
non seppe come rispondere a quella frase, e fissò
silenziosamente suo fratello mentre affondava di più le mani
dentro le tasche dei propri pantaloni e attendeva con pazienza una
sua risposta. Il biondo provò di nuovo quella sensazione di
sollievo quando pensò che forse parlare con suo fratello, come
accadeva ai vecchi tempi, lo avrebbe aiutato ad accettare la comicità
di quella situazione. Anche se non gli era mai capitato di
discutere di sentimenti per qualche donna, dato che l'unica che
avessero realmente amato li amava entrambi.
“È
una cantante. E credimi, è brava.” iniziò a
raccontare Klaus, poi venne tentato dal chiudere lì il
discorso e non aggiungere altro. Ma Elijah aspettava, con un
sopracciglio inarcato e un sorrisetto furbo pronto ad accendersi. “Ma
non mi ha colpito perché era brava o molto bella, bensì
perché nei suoi occhi c'era molta solitudine. E l'ho odiata
per avermi fatto provare empatia nei suoi confronti. Tanto che ho
cercato di ucciderla...”
“Ma
non l'hai fatto. Perché?” Elijah piegò la testa
da un lato.
Klaus
si prese qualche secondo prima di rispondere. “Quando ho bevuto
il suo sangue, ho sentito che era marcio. Sai, come quello dei
moribondi, con un sapore acido e fastidioso. E ho capito che stava
morendo. E quanta tristezza può esserci nel morire soli,
Elijah?”
Guardò
suo fratello e per la prima volta sentì come se la pensassero
alla stessa maniera. “Veniamo a questo mondo soli e soli ce ne
andiamo, Niklaus.” rispose. “È questa la natura
dell'universo.”
Klaus
abbassò lievemente le palpebre con aria pensosa. “E io
non volevo questo né per me e né per lei.”
rispose. Pensò poi che, forse, lui avrebbe meritato di morire
da solo: era conscio dei propri errori e delle proprie azioni e non
se ne pentiva. Avrebbe dunque potuto accettare quel prezzo da pagare.
Ma
April no.
Lei
era come quel ragazzo che lui era stato un tempo, quel Niklaus che
non meritava di essere solo e
morire tale.
“La
ragazza sa di essere malata?” domandò ancora Elijah.
“Sì,
lo ha capito da un po' ma ha nascosto la realtà a se stessa
fino a quando io non ho deciso di aprirle gli occhi. Doveva
combattere.” rispose. “E io le offrirò
l'immortalità.”
L'espressione
di Elijah mutò, senza che Klaus se ne rendesse conto subito,
troppo intento a mandare giù un lungo sorso dal suo bicchiere,
riducendolo a una sola goccia.
“Fammi
capire.” Il fratello si umettò le labbra e corrugò
la fronte. “Gliel'hai offerta o gliel'hai imposta?”
“In
questo caso non conta.” Klaus si alzò in piedi,
lasciando il bicchiere sul cornicione. La luce della luna creò
strani magici riflessi sui suoi capelli biondi. “Lei sta
morendo e nessuno vuole
morire. Le farò solo un dono.”
“Rendendola
un vampiro? E se lei non lo volesse?” Elijah alzò la
voce di una tonalità, tanto che Klaus lo guardò con
vivo e curioso interesse.
“Tutti
vogliono essere come noi, fratello. Sopratutto se è l'unica
possibilità per camminare ancora su questa terra.”
Il
silenzio della notte li avvolse entrambi.
Elijah
non era per nulla convinto delle parole del fratello, e non lo
nascondeva: continuava a fissare intensamente Klaus, con
un'espressione che parlava più di mille parole.
“E
comunque...” Klaus si stancò presto di quello sguardo,
di quel discorso in generale, e decise di nascondere il sentimento
per April in un angolo della propria mente, per non lasciarlo più
sfiorare dagli occhi di Elijah. “Perché perdere tempo a
parlare di un argomento del genere quando abbiamo problemi di
rilevante importanza?”
A
quel punto, Elijah smise di fissarlo e si lasciò andare a una
lieve risatina, mentre gli occhi si spostavano a fissare il cielo
stranamente stellato di quella fredda notte. “Perché? E
me lo chiedi? Sembri...”
“Un
debole?” Klaus lo anticipò sorridendo, ma non alla
stessa maniera in cui lo stava facendo lui: sorrise senza sentimento
alcuno.
Elijah
colse la frecciatina, ma non se ne lasciò colpire. Si spostò
giusto in tempo, prima che potesse ferirlo. “No, sembri di
nuovo Niklaus.”
Un
sussulto al petto sembrò riempire il silenzio. Klaus guardò
suo fratello, cercando di non mostrare nessuna reazione emotiva a
quelle parole, malgrado dentro di sé fosse scoppiata una
violenta tempesta che prometteva di investirlo completamente.
Elijah
gli sorrise in maniera tranquilla, umana, fraterna.
Non
poteva sopportarlo.
“Tu
invece resti sempre il fratello che, con la sua debolezza, mi ha
impedito di sciogliere la mia maledizione mezzo secolo fa.”
rispose, accostando il viso al suo e pronunciando quelle parole a
denti stretti.
Fece
dunque quello che gli risultava più semplice: cercò
di ferirlo, pur di non ammettere a se stesso quanto il fratello
avesse ragione. E per cercare anche di convincere lui probabilmente.
Elijah
non mostrò alcuna sorpresa a quella parole; non si mostrò
nemmeno offeso o altro, si limitò solamente a guardarlo e con
un'espressione composta. “Continua pure a mentire a te stesso,
Niklaus. È questa, la vera debolezza.”
Pronunciò
la sua sentenza prima di scomparire nel nulla, lasciando Klaus in
balia di una sua personale considerazione.
Forse,
Elijah, aveva ragione.
* *
* * * * * * * * * * *
April
non aveva mai pianto come aveva fatto sul corpo privo di vita e dato
alle fiamme di Violet.
Era
stata per minuti, forse ore accanto a lei, sperando in cuor suo che
presto avesse aperto gli occhi e avesse scoperto che fosse tutto un
incubo. Tutto quanto.
Ma
così non era: la sua amica era morta, di
nuovo, e
lo aveva fatto perché non era stata capace di accettare quello
che era diventata e non aveva avuto la forza di cambiare di nuovo e
tornare ad essere la persona che era. Le aveva voluto mostrare che si
poteva sconfiggere la morte anche in altri modi, senza ottenere
l'immortalità, poiché un'anima, uno spirito era capace
di vivere per
sempre, purché
rimanesse integro.
Eppure,
la ragazza era stanca di farsi confondere da tutto e tutti.
Dopo
una momentanea fase di choc, April provò come a spegnere tutte
le sue emozioni e le sue paure, sedendo sugli scalini di fronte alla
porta d'ingresso del suo edificio. Aveva il volto ancora rigato di
lacrime di sofferenza, una mano tra i capelli leggermente opachi e lo
sguardo vacuo e stanco che si soffermava sul marciapiede di fronte a
sé.
Presto
sarebbe calata la notte e un altro giorno privo di risposte sarebbe
giunto.
E
lei non poteva più aspettare.
Si
tolse la mano dai capelli, drizzò il collo, socchiuse le
labbra in un respiro flebile e fissò un punto fermo sulla
strada. Era stanca di piangere, di brancolare nel buio in cerca di
qualcuno che la risollevasse dal baratro e pensò che fosse ora
di affrontare e combattere ogni demone
che
aveva preso a far marcire la sua essenza. Rivalutò il proprio
passato, i propri sogni, le parole di Violet e persino quelle di
Klaus e Stefan e un sorriso si dipinse sul suo volto quando
finalmente capì che affrontando i suoi demoni sarebbe riuscita
a giungere alla risposta che cercava. La decisione stanziava poco più
in là, oltre i suoi timori e le sue angosce; bastava un
pizzico in più di coraggio per affrontare il tutto e ce
l'avrebbe fatta.
Scattò
in piedi, finendo quasi addosso a una vecchietta nervosa che stava
uscendo dall'edificio per buttare la spazzatura e la rimproverò
con parole dure. Corse più veloce che poté verso il suo
appartamento, anche se ci mise più del dovuto, dato che aveva
le gambe indolenzite e un dolore bruciante al petto che la
indeboliva, si lasciò la porta aperta alle spalle e si diresse
verso il telefono sul tavolino del salotto.
Alzò
la cornetta, digitò il numero del centralino e si fece passare
dalle addette il numero desiderato.
Quando
udì quella voce risponderle, un brivido le corse lungo la
schiena, ma un sorriso mascherò il timore.
“Penso
sia finalmente ora che io e te parliamo. Ho delle cose da dirti.”
*
* * * * *
Rebekah
sapeva che il metodo migliore per soffocare la rabbia era una notte
con Stefan.
Lo
aveva sempre pensato, e il suo pensiero prendeva consistenza ogni
volta che era intenta a rotolarsi con lui tra lenzuola macchiate di
lussuria e desiderio.
La
vampira cambiò rapidamente le posizioni, spingendo l'altro con
la schiena contro il materasso e posizionandosi sopra di lui,
inarcando la schiena e riempendolo di baci sulle labbra e sul collo.
Il suo sapore non la saziava mai, il suo profumo non l'avvolgeva mai
abbastanza, e il suo corpo non la dominava mai abbastanza.
O
forse pensava così perché era infuriata con Klaus, un
po' con Elijah e con tutta la situazione in generale. Il più
delle volte Stefan era bravissimo a dominarla.
“Oggi
mi sembri più....aggressiva del solito.” Stefan
le rise sulle labbra, pronunciando quelle parole in un roco sospiro,
rotto dall'eccitazione dei loro corpi desiderosi l'uno dell'altra.
Rebekah
rispose mordicchiandogli il labbro superiore con malizia.
“Aggressiva?” ripeté, come se quella parola la
compiacesse. Sentiva le mani di Stefan stringerla più forte a
sé, accarezzandole il pizzo del reggiseno nero per poi
scorrerle febbrile lungo la spina dorsale e andare a sfiorare il
tessuto del suo striminzito slip. “O forse sei tu che, oggi, lo
sei meno?”
Da
quando era giunta a casa di Stefan, aveva notato che c'era qualcosa
di insolito in lui, come se qualcosa lo turbasse nel più
profondo, sciogliendo la maschera di cera che copriva perennemente il
suo volto. Gli aveva domandato cosa avesse e perché fosse
mancato per così tanto tempo, ma lui asserì al fatto
che aveva avuto un piccolo problema che le avrebbe poi
spiegato in seguito. Era stato molto evasivo e Rebekah era così
rabbiosa e desiderosa di sfogare le proprie frustrazioni da farsi
accompagnare tranquillamente in camera da letto. Qualsiasi cosa
avesse fatto Stefan l'avrebbero affrontata dopo; in quel momento
aveva solo bisogno di non sentire nulla.
Rebekah
si inumidì le labbra, in preda al desiderio più
sfrenato.
Voleva
che lui la facesse sua, che
sopprimesse la sua rabbia con il suo corpo e che la portasse ad
un'estasi tale da dimenticare il motivo di tutti quei sentimenti di
astio.
Stefan
annuì; le sue mani le scesero fino alle natiche, stringendole
con bramosia. Rebekah emise un lieve gemito. “È una cosa
che mi piace.” ammise, i suoi occhi verdi illuminati di
bramosia.
“Perché?
Non mi sembra che ti negassi nulla quando
non lo ero.” rispose la ragazza, ravvivandosi i capelli biondi
da un lato, muovendo la testa. Inarcò la schiena, quando sentì
i muscoli del ragazzo tendersi, per far sì che potesse
mettersi seduto sul letto.
“No,
non l'hai mai fatto.” Stefan le cinse i fianchi e la baciò
sul petto, facendo poi scorrere la lingua sul zona nuda e non coperta
dal tessuto del reggiseno. “Ma...è più bello
farlo così.”
“Così
come?”
“Così...”
Stefan alzò la testa per
sorriderle, in una maniera che però Rebekah non riuscì
a decifrare. Non era dolce, ma nemmeno l'esatto contrario: era come
il risultato di un mix di emozioni e sentimenti, che il vampiro
cercava di sopprimere tutti insieme per impedire che venissero a
galla. “Senza coinvolgerci troppo.”
La
rabbia, così, accrebbe, facendole persino passare la voglia di
sfogarla con Stefan.
Rebekah
si morse il labbro stizzita, distogliendo lo sguardo dal ragazzo
quando venne colta dall'istinto di staccargli la testa dal collo.
“Senza sentimento...va bene.” disse, annuendo mestamente.
“Ma che diavolo avete voi uomini nella testa?”
Scese
dalle gambe di Stefan, lasciandolo in completa balia della
confusione, e andò in direzione della sua vestaglia nera,
beatamente adagiata su una poltrona in tessuto rosso dove sarebbe
dovuta rimanere fino alla fine del loro rapporto senza
coinvolgimento.
“Non
lo starai facendo davvero, Bekah.” Stefan rise sguaiatamente,
lasciandosi cadere di botto sul materasso e portandosi le mani al
volto per soffocare la sua ilarità. “Mi lasci qui a
marcire di desiderio per una frase che ho detto?”
“Allora
la prossima volta impara a pensare prima di parlare.” lo ammonì
la ragazza. La vestaglia non copriva affatto le sue nudità, ma
non gliene importava.
“Io
non penso prima di parlare, ma tu non pensi prima di
prendertela a questa maniera!” Stefan si mise nuovamente a
sedere sul letto con uno scatto, l'espressione distorta dalla rabbia
crescente. “Ho detto che ti voglio, non dovrebbe bastarti?”
“No,
non mi basta.” Rebekah andò a prendersi un bicchiere di
champagne da un tavolino in vetro che giaceva in mezzo alla stanza.
Ringraziò che il suo uomo avesse gli stessi vizi di suo
fratello riguardo l'alcool. “Se volevi un corpo con cui
giocare, ci sono vie piene di accattivanti prostitute per tutta
Chicago. Sei bello, magari ti faranno anche uno sconto.”
“Ora
basta Rebekah.” Stefan si alzò in piedi, lasciando
scivolare il lenzuolo dal suo corpo completamente nudo. Si pose
davanti a lei senza alcun pudore, ma la vampira mantenne lo sguardo
con fermezza sopra il suo viso. “Mi spieghi che diavolo hai
oggi? Se sei infuriata con il mondo, sono fatti tuoi, ma non scontare
con me.”
“Mettiti
un paio di pantaloni.”
“Lo
farò solo dopo che tu mi avrai spiegato tutto quanto.”
Stefan sapeva essere convincente quando voleva. Era stranamente serio
nonostante tutto; attendeva una risposta da parte della bionda e non
avrebbe desistito fin quando non l'avrebbe ottenuta. Forse gli
interessava davvero saperlo, o forse era tutta una recita. O forse
era tutto un modo per portare a termine quanto era iniziato su quel
letto.
Rebekah
bevve un lungo sorso, sperando che fosse quello a domare la sua ira.
“Perché voi uomini avete così tanta paura
dell'amore?” domandò, spalancando le braccia. Non le
importava di esporsi troppo con lui, o di fargli capire quanto lui
fosse diventato importante per lei.
Stefan
non capì il senso di quella risposta, ma parve aver comunque
trovato una risposta al riguardo, preferendola tacere alle orecchie
di Rebekah. Questa si inviperì ancora di più.
“Insomma,
che senso ha fare del sano sesso con qualcuno con cui avete paura a
legarvi?”
“Io
non ho paura a legarmi a te.”
“Ah
no?”
“Già
lo sono, mi pare.”
Malgrado
le parole di Stefan erano belle da sentire, Rebekah non avvertì
nessuna onda di sentimento nella sua voce. Doveva essere per colpa di
quel interruttore, fastidiosamente spento. Si era chiesta più
volte cosa avesse spinto Stefan a spegnere la propria umanità,
poi pensò a Niklaus: l'unica risposta era un'enorme
sofferenza. Ma qual'era stata per il giovane vampiro di cui lei
si era innamorata?
“Davvero?
Allora rispondi alla mia domanda.” Rebekah si mosse verso di
lui. Le venne quasi di buttare il bicchiere a terra per poter
prendergli il volto tra le mani e riempirlo dei suoi baci in ogni
angolo di quel viso spigoloso. “Sei disposto a lasciare Chicago
insieme a me? Io e te, soli?”
Quella
domanda lo sorprese di nuovo, allo stesso modo in cui sorprese la
stessa Rebekah. Non si era resa conto di essere arrivata a un livello
di sopportazione tale dal farle pronunciare parole che dovevano
restare solo pensieri. Il problema era che era stanca di scappare
continuamente di stato in stato, di temere costantemente per la sua
vita e di seguire Nik come un'ombra ovunque egli andasse, pur di
soddisfare ogni suo capriccio. Era ora che, dopo mille anni di
sottomissione, prendesse la propria strada nel modo che voleva e con
chi voleva lei.
“Sì,
lo farò.” La risposta di Stefan fu secca, rapida e
nemmeno pensata. Lo disse con una serietà tale che lasciò
Rebekah con gli occhi sgranati.
“Dici
sul serio?”
Stefan
annuì, un sorriso si delineò sulle sue labbra.
“E
perché lo faresti?”
Voleva
sentirglielo dire.
Voleva
sentire quella spiegazione che le avrebbe acceso il cuore come una
miccia, tornando quasi a farlo battere di sentimento. Perché
una parte di sé- quella più ingenua? No, non voleva
essere così pessimista-era convinta che Stefan avesse risposto
affermativamente alla sua domanda per lo stesso motivo per cui lei
l'aveva posta.
“Perché
tu mi fai divertire. Mi fai stare bene. Con te posso essere
semplicemente quello che voglio essere senza venire
giudicato.” rispose Stefan.
Sì,
era stata la parte più ingenua di Rebekah a credere in altro,
a credere che lui fosse disposto a scappare con lei perché
l'amasse. Le parole del vampiro erano belle, ma non
significavano comunque quello che lei voleva sentirsi dire.
Non
l'amava.
Forse
era solo la sua valvola di sfogo per combattere la loro noia eterna.
Aprì
bocca per replicare in malo modo alle parole del vampiro, quando
questi la bloccò improvvisamente.
“Cos'è
questo odore così forte?” domandò.
“Non
sapevo che la mia rabbia adesso odorasse...ma stai cercando di
cambiare discorso, per caso?!” Rebekah era sul punto di perdere
la testa e di rompere qualche osso.
Ma
Stefan era serio; puntò il suo sguardo in direzione della
finestra e afferrò un pantalone dalla poltrona vicino alla
scrivania sotto il davanzale della finestra stessa, indossandolo
rapidamente. “No, riconosco questo...profumo. O meglio, quello
che ne rimane.”
Rebekah
allora prestò attenzione a quanto il ragazzo stava dicendo.
E
allora se ne accorse: di quel
profumo, coperto però da odore di fumo e.....sangue?
I
due si lanciarono un'occhiata complice, per poi guardare oltre una
delle finestre dell'appartamento di Stefan.
Notarono
allora un'ombra che, lentamente, stava dirigendosi verso casa.
Era
April.
* *
* * * * ** * * *
“Ford?”
Quando
Rebekah varcò la soglia l'uscio dell'edificio in cui abitava
Stefan, puntò lo sguardo verso l'ombra di April che continuava
ad avanzare nel buio e le dava le spalle. Questa si fermò di
colpo, con le braccia leggermente aperte e una nuvoletta di gelo che
le abbandonava le labbra. L'odore di sangue si fece più
intenso, misto al profumo dolciastro che la ragazza possedeva
costantemente sulla pelle.
“Va'
a vedere, Rebekah.” Stefan restò sulla soglia della
porta, stringendo con forza gli stipiti della porta. Quell'odore
metallico lo tentava, solleticandogli l'appetito mentre gli si
insinuava nella narici. “Io aspetto qui.”
Perché
sembrava che la vista di April lo turbasse oltre quell'odore
fortissimo di sangue? La vampira poté sentirlo nella tonalità
di quella voce profonda, non solo intrisa dal desiderio di mordere ma
anche da un sentimento indefinito che lei non riuscì a
decifrare.
“Ma
non capisci, forse vuol dire che Klaus l'ha trasformata...”
Rebekah nemmeno si voltò a guardarlo, immaginandosi i suoi
bellissimi occhi smeraldini che diventavano neri come la morte.
Doveva avvalorare la sua teoria priva di fondamento; quel mix di
odori la confondeva, facendole perdere il vero contatto con la
realtà. “Tutto questo sangue...”
Era
il suo sangue.
Lo
aveva sentito presso la loro abitazione quando Klaus aveva portato
April, svenuta e ferita, al suo interno. Si lanciò uno sguardo
alle spalle, incontrando gli occhi vigili di Stefan, e poi si
avvicinò alla schiena della ragazza, con fare tentennante.
“April?”
Rebekah
non poté fare a meno di notare che la ragazza non stava
respirando.
“April,
va tutto bene?”
“Devo
andare a casa.”
La
voce di April parve come sorta dal nulla. Era grigia come un cielo
di ottobre; piatta, vuota come un abisso senza fine. Era come se
quelle parole le fossero uscite dalle labbra senza che lei lo volesse
realmente, come se fosse così debole da non riuscire nemmeno a
contenere i propri pensieri.
Rebekah
continuava ad avvertire l'odore pungente del sangue premerle nelle
narici, ma c'era qualcosa che non quadrava. La teoria che ella
potesse essere stata trasformata iniziò a sfumare nel momento
in cui avvertì un suono debole ma inconfondibile: quello del
suo cuore.
“Guardami,
Ford.” Rebekah avvertì uno strano senso di disagio
quando il suo principale pensiero perse consistenza, lasciando posto
a una preoccupazione più grande. Vedendo che April non
rispondeva e non accennava minimamente al seguire il suo volere, la
bionda perse la pazienza.
“Basta
giocare!”Le posò una mano sulla spalla, costringendola
così a voltarsi verso di lei. “Dimmi che...”
April
si mosse con la stessa volontà che aveva una marionetta e
quando Rebekah poté vederne il volto, non c'erano parole per
descrivere la sensazione di tuffo al cuore che avvertì a
livello del petto.
Il
volto di April aveva perso tutta la bellezza e tutto il vigore che
possedeva.
E la
cosa triste era che non era a causa della malattia che la stava
portando via.
Ma
per via di lividi gonfi e neri che le deturpavano la pelle pallida.
Gli occhi erano gonfi, così come le labbra; in alcuni punti la
pelle assumeva un colorito tendente al rosso, in altri punti tendente
al violaceo. Gli occhi spenti e vacui non fissavano un punto ben
preciso, ma qualcosa lontano da Rebekah, disperso nel buio di quella
notte.
Rebekah
sentì gli occhi quasi gonfiarsi di lacrime di fronte a quello
spettacolo. Le sembrò di avere di fronte un'anima che aveva
smarrito la strada di casa.
“Oddio...April?”
Fu
tutto quello che riuscì a dire: la vampira scattò
rapidamente in avanti, non appena vide April chiudere gli occhi e
accasciarsi. Le passò le mani sotto le braccia e lasciò
che il viso dell'umana affondasse tra i suoi capelli dorati, non
appena ella la strinse a sé.
Cadde
sulle ginocchia, sorreggendo il peso di una April priva di sensi tra
le sue braccia.
Intanto
il battito del suo cuore diminuiva sempre più.
* *
* * * *
“La
ringrazio infinitamente. Il vino è davvero buonissimo.”
Katherine
ammiccò sensualmente in direzione del giovane cameriere che le
aveva offerto la cena e che si stava allontanando dal suo tavolo.
Ovviamente, il poveraccio non l'aveva fatto consapevolmente, ma sotto
il potere di assoggettamento della vampira. Probabilmente avrebbe
anche perso il lavoro quella sera stessa, ma a lei non importava.
Voleva
semplicemente godersi quella lunga nottata in grande stile, seduta al
salone di uno dei locali più abbienti della città,
circondata uomini e donne facoltosi. Si sarebbe divertita a fare la
conta per decidere chi di loro sarebbe stato sul menù di
quella sera.
Violet
era morta.
Quella
stupida aveva riacceso le sue emozioni e si era ammazzata per non
vivere più in quelle condizioni. Aveva perso la testa, ma
Katherine dovette ammettere che quella mocciosa era stata molto furba
e che quasi era fiera di averla sopportata per tutti quei
giorni: aveva colpito Stefan senza ucciderlo, non perché lei
aveva minacciato che le avrebbe strappato la giugulare nel caso lo
avesse toccato con un sol dito, ma perché sapeva che lui
l'avrebbe fermata dall'uccidere April, in nome del suo legame con
Klaus. Ma quella pazza era pur sempre sfuggita al suo controllo; era
passata da una decisione all'altra, e alla fine non aveva compiuto
quanto Katherine aveva pronosticato.
La
vampira si voltò a guardare l'orchestra, la quale stava
suonando una musica gradevolissima per tutta la sala, illuminata di
luci dorate.
Ma
quando aveva saputo che April sarebbe andata da Christopher, aveva
messo in atto un altro piano, poiché lei era in possesso di
uno schema ben elaborato per ogni lettera dell'alfabeto. Aveva
seguito April di nascosto, si era dovuta sorbire il suo ennesimo
piantino e il suo ennesimo mancamento e aveva pensato che l'umana
fosse una vera cretina nel
decidere di affrontare così direttamente i propri demoni.
Avrebbe dovuto evitarli e fuggire il più lontano
possibile, un po' come stava
facendo Katherine da 500 anni, invece aveva deciso di affrontarne uno
a uno prima che la morte giungesse. E Katherine sorrise entusiasta,
quando ebbe compreso che c'era ancora una possibilità di
giocare e di vincere quella battaglia.
April
aveva assunto altra verbena, ma Christopher era pulito.
“Sei
per caso in possesso di duemila dollari per pagare il conto? Io non
lo credo.”
Katherine
impallidì quando udì quella voce, incredibilmente
vicina. Sapeva che proveniva dalla sedia che, fino a pochi attimi
prima, era stata libera davanti a sé e che tale sarebbe dovuta
rimanere fino al giungere del conto. Si voltò lentamente,
stringendo così forte il calice pieno di vino nella sua mano
da rischiare di romperlo.
Elijah
sedeva elegantemente di fronte a lei, con indosso un elegante abito
scuro e le gambe accavallate. Evitava di guardarla, tenendo le labbra
leggermente arricciate e il broncio di chi covava dentro una rabbia
crescente, ma ch'egli sapeva dominare con cura e maestria.
Katherine
l'aveva conosciuto quando era solamente Katerina e mai e poi mai lui
si era mostrato arrabbiato con lei. Ma dopo la sua fuga, Elijah
doveva essere sicuramente furibondo per averlo tradito e per non
essersi fidata di lui, per avergli macchiato il suo onore e aver
compromesso il suo rapporto con l'adorato fratellino. E magari
c'era anche dell'altro, altro che nessuno dei due voleva
confessare.
Stava
di fatto, comunque, che Katherine aveva saputo quanto egli potesse
essere pericoloso quando si sentiva ferito e tradito da qualcuno.
Deglutì,
desiderosa di scappare.
“Non
farlo.” Elijah alzò mestamente la mano destra. “Ci
sono troppe persone. Se provi a fuggire, daresti troppo nell'occhio,”
Era
stato furbo. Aveva scelto bene il luogo in cui coglierla di sorpresa,
in maniera tale da privarla di qualsiasi eventuale via di fuga.
Tipico di una mente intricata e intelligente come la sua.
“Come
mi hai trovata?” Katherine restò con la mano adagiata
sul tavolo e l'altra stretta attorno al calice.
Non
aveva il coraggio di alzare lo sguardo su quello di Elijah; il timore
di trovare troppi ricordi in quelle pozze scure era forte e lei ne
aveva troppa paura.
Vide
Elijah piegare la testa da un lato. “I miei fratelli sono
troppo occupati a occuparsi dei loro problemi sentimentali per
essersene accorti, ma la città pullula di indizi che conducono
a te. Io sono molto meno emotivo di loro e li ho colti tutti, uno per
uno. Sapevo che eri qui ancora prima che venissi a conoscenza di
tutta la storia.”
“E
sei venuto qui per consegnarmi a tuo fratello?” Katherine
guardò con avversione il volto dell'Originale, lasciando il
calice sul tavolo e portandosi nervosamente la mani in grembo.
“Perché se è così, sappi che non esiterò
a uscire fuori da questo locale seduta stante. Poi veditela tu con i
sospetti della gente.”
Elijah
abbozzò un sorrisetto, tenendo lo sguardo basso. Infilò
la mano dentro una delle tasca dei suoi pantaloni ed estrasse un
oggetto di ridotte dimensioni. “No.” disse, allungando il
pugno chiuso verso di lei, facendola sussultare per il terrore.
Sapeva che non l'avrebbe mai colpita, non davanti a così tante
persone e perché era pur sempre una donna, ma era così
calmo nei movimenti, che le risultava impossibile comprendere quale
sarebbe stata la sua mossa successiva. “Volevo ridarti questo.”
Aprì
il pugno e qualcosa cadde sopra il piatto immacolato di fronte al
volto della vampira: uno dei gioielli di Violet; la vampira lo
riconobbe subito perché l'aveva indosso la notte in cui le
aveva offerto il proprio sangue, prima che Stefan la uccidesse senza
nessuna pietà.
Katherine
storse la bocca, fissando il gioiello con disinteresse.
“Il
risultato delle tue malefatte, Katerina. Dovresti esserne fiera, o
sbaglio?” le disse Elijah, con tono leggermente più duro
rispetto a poco prima. Aveva preso a fissarla in volto, con fare
attento.
“Manco
mi piace, questo ciondolo. Avrei preferito le sue scarpe.” fu
la risposta di Katherine.
Si
guardarono direttamente negli occhi, per la prima volta da quando
erano entrati in contatto. Elijah le sorrideva mestamente, allungando
la mano verso la bottiglia di vino al centro del tavolo e
versandosene qualche dito. Katherine prese un lungo respiro, sperando
che quella tortura finisse presto.
“Perché
sei qui, Elijah? Per farmi pentire di aver ucciso un'altra persona?
La mia lista è molto lunga. Ho lasciato morire persone più
simpatiche di questa mocciosa....”
Elijah
la interruppe, allontanandosi il bicchiere dalle labbra. “Sono
qui...perché voglio che tu te ne vada da Chicago questa notte
stessa.” Tenne lo sguardo basso, l'indice lievemente alzato
accanto al manico del calice, per donare maggiore enfasi alle sue
parole.
Ci
riuscì: Katherine ebbe un brivido.
“E
voglio che lasci in pace April Ford una volta per tutte.”
“Che
t'importa di lei? Nemmeno la conosci.” Katherine parlò
con una punta di gelosia. Questo era dovuto al fatto che Elijah, il
lord dolce e gentile che si era preso cura di lei in Inghilterra
secoli prima per poi braccarla come fosse un animale, si preoccupava
per una ragazza di cui non sapeva nulla. Era ingiusto, perché
lui l'aveva conosciuta e
ora la odiava. E ora difendeva un'emerita estranea a spada tratta e
con l'onore intaccato.
Elijah
bevve un lungo sorso del vino; si piegò poi leggermente sul
tavolo, senza scomporre minimamente la postura eretta della sua
schiena. Fece oscillare il vino dentro il calice, con fare ipnotico.
“Mi hanno parlato di lei e mi ha ricordato una ragazza che ho
conosciuto in passato. Una ragazza bellissima, piena di sogni e
speranze, distrutti da un destino infausto.”
Katherine
capì subito dove volesse andare a parare Elijah. Stava
parlando della sua Katerina; una
persona di cui la vampira aveva dimenticato sguardo e sorriso ma, a
quanto pare, non lo aveva fatto Elijah. La doppelganger destinata a
essere sacrificata su un altare di fuoco affinché Klaus avesse
potuto risvegliare la propria natura da licantropo, natura ereditata
da una scappatella della madre.
Lo
vide alzare gli occhi su di lei, di nuovo.
“Hai
gettato acqua sul tuo riflesso allo specchio, Katerina. Hai tutto il
diritto di odiare Niklaus, ma non mettere in mezzo persone innocenti
come hai fatto fino ad ora. Quella ragazza non ti ha fatto nulla.”
“Si
è messa in mezzo. Mi ha fornito una buona possibilità
di colpire Klaus alle spalle.” Katherine decise di essere
sincera; tanto ormai, se Elijah aveva deciso di bucarle il cuore
fuori dal petto, lo avrebbe fatto comunque.
“Solo
perché si è sinceramente innamorata di lui?”
“Perché
è stata così folle da farlo, sì. Le persone
stupide meritano solo di fare una brutta fine.” Katherine posò
violentemente i gomiti sul tavolo, facendo tremare le stoviglie sopra
adagiate. Elijah fermò
il movimento del traballante cucchiaio accanto al piatto che aveva di
fronte. Abbassò gli occhi, irritato, anche se non lo dava a
vedere.
“Sai,
conoscevo una ragazza, Elijah. Una ragazza che, come April,
s'innamorò della persona sbagliata, di qualcuno che le avrebbe
potuto fare del male. E la sua inettitudine è stata punita con
la morte.” Katherine si lasciò andare contro lo
schienale della sedia; si strinse le braccia al petto e avvertì
un senso di dolore al centro del petto, dopo aver pronunciato quelle
parole. Quasi avesse rivelato una delusione che le era bruciata
dentro per troppi secoli. Elijah le guardava gli occhi, ma senza
palesare alcuna emozione. “Ad April spetta lo stesso, medesimo
destino....”
“E
tu avrai la tua vendetta: mio fratello ne soffrirà.”
Elijah lasciò il bicchiere sopra al tavolo, stringendosi le
labbra nervosamente. Distolse lo sguardo, lasciandolo scivolare
attorno a sé. Katherine attese preoccupata le sue successive
parole, perché lei risultò incapace di colmare il
silenzio che era calato tra di loro. “È successa una
cosa simile all'uomo sbagliato di cui s'innamorò la ragazza di
cui parli, probabilmente.”
Katherine
sbarrò lo sguardo, sentendo qualcosa batterle poco sotto lo
sterno, quasi qualcosa avesse ripreso vigore in lei. Incredibile, il
sangue e gli omicidi non l'avevano mai fatta sentire viva come era
riuscita a fare quella frase. Quella menzogna, volle
imporre a se stessa.
Elijah
si chinò nuovamente sul tavolo, facendosi più
minaccioso. Katherine non l'aveva mai visto irrigidire la mascella a
quel modo. “Ho provato a convincerti con le buone Katerina, ma
ora passerò ai modi più cattivi.” Congiunse le
mani, intrecciando le dita tra di loro. “Lascia questa città
entro stasera e lascia in pace quella fanciulla. Altrimenti non
esiterò a catturarti in questo preciso istante e consegnarti a
mio fratello, dopo avergli rivelato quello che hai combinato per
tutto questo tempo.”
Katherine
tremò, ma non volle dare a Elijah la soddisfazione di essere
stata colpita nel profondo. “Non lo faresti mai. Non è
nel tuo stile.” gli disse, mostrandosi sicura di sé.
“Può
darsi.” Elijah fece spallucce e sorrise, infilò la mano
dentro il taschino della giacca ed estrasse un biglietto del treno.
Lo lasciò cadere sul tavolo, in mezzo a loro. Katherine lesse
che era un treno diretto per il Washington. “Io però non
sfiderei la sorte. Nutro ancora molto risentimento per te, Katerina,
ricordalo.”
E
dopo quell'ennesima minaccia, di fronte a cui Katherine rabbrividì,
Elijah si alzò in piedi, sistemandosi i bordi della giacca e
accingendosi a inoltrarsi verso l'uscita del locale.
Katherine
afferrò il biglietto tra le mani, osservandolo meticolosamente
tra le dita.
“Elijah?”
Non
si voltò per accertarsene, ma era certa che l'uomo si fosse
fermato, e che stesse attendendo il giungere delle sue successive
parole.
“Sbaglio,
o stai cercando anche di salvare quella ragazza che conoscevi?”
domandò.
Si
voltò lievemente con la testa, notando che il vampiro la stava
osservando con la coda dell'occhio. In quel lungo silenzio che seguì,
contornato dei rumori della vita mondana che li cercava, Katherine
arrivò quasi a desiderare una specifica risposta. La bramava
nel profondo del suo cuore, sentendosi una sciocca bambina nel farlo.
“Può
darsi anche questo.”
Elijah
si allontanò a passo svelto, deciso a non rimembrare oltre
un'amore senza tempo che non era mai venuto alla luce.
Ma a
Katherine non sfuggì il suono del sorriso di Elijah, quando
quelle parole ebbero abbandonato le sue labbra.
Ciao
a tutti! :D
Come
va? L'aggiornamento ha tardato ad arrivare perché, come molti
altri come me penso, martedì sono ricominciate le fatidiche
lezioni universitarie, perciò gli aggiornamenti non saranno
più fissi il venerdì mattina ma giungeranno un po'
quando capita. Cercherò di aggiornare una volta a settimana,
anche perché siamo praticamente giunti alla fine della storia,
ma non garantisco più un'estrema puntualità purtroppo
:(
Comunque,
questo è un capitolo in cui tutti i personaggi affrontano i
loro demoni peggiori: abbiamo Klaus che affronta ancora una volta
quell'umanità che lo ha scosso nel più profondo
attraverso le parole di Elijah; abbiamo Rebekah che affronta la
propria voglia di amare e il suo rapporto con Stefan (che spiegherà
quanto accaduto nel prossimo capitolo, qui possiamo dire che erano
entrambi in una fase di “transizione” in cui nessuno dei
due voleva lasciarsi andare ai propri pensieri); abbiamo April che
affronta il suo demone Chris (e le risposte arriveranno, anche in
questo caso, nel prossimo capitolo) e infine abbiamo Katherine che
affronta moltissimi dei suoi demoni attraverso la figura di Elijah.
Malgrado io sia molto incline anche allo Stepherine, non ho potuto
trattenermi dal raffigurare un piccolo barlume di Kalijah, malgrado
non ci sia stato un risvolto romantico per i due. Sarebbe stato fuori
tema e terribilmente OOC da entrambe le parti; il loro primo incontro
a Chicago non ho potuto immaginarlo diversamente. Possiamo dire che
anche Elijah ha affrontato il suo demone, Katerina, e ha offerto un
ultimatum alla nostra Pierce, la quale, ovviamente, non ha potuto
rifiutare. Questa scena la dedico in particolar modo ad ELYFORGOTTEN,
perché
è stata lei a stimolarmi ad ampliare di più gli
orizzonti di questa storia, arrivando ad analizzare
anche personaggi come lo sono Elijah e Katherine. Mi spiace solo che
non ci sia stato un bacio come volevi, ma per le ragioni spiegate
prima, non mi sembrava molto in linea con loro in queste circostanze!
Spero comunque tu abbia gradito e con te anche gli altri lettori. v.v
Ok,
mancano due capitoli e l'epilogo, ragazzi e vi libererete finalmente
di me! :D
Ringrazio
coloro che hanno continuato a seguire questa storia, a leggerla e
commentarla. Siete davvero un grande stimolo per me e mi spronate a
mandare avanti questa storia nonostante le mille paure. Anche perché
le visite hanno ricevuto un leggero picco nelle ultime settimane e la
cosa non può che farmi piacere!
Spero
che resisterete con me fino alla fine! XD Anche perché si
faranno i giusti ringraziamenti a tutti voi, sìsì! v.v
Alla
prossima e buona giornata! :D Ciaoooooooooooooooo <3
|
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Capitolo 14 *** You say you can't hold it together much longer, and i should look after your heart ***
http://www.youtube.com/watch?v=wEITD4W88Vk
-Capitolo
14: You say you can't hold it together much longer and i should look
after your heart-
My
worth is the look in your eyes
My
prize the smile playing tricks on your lips and I wonder again Do
you ever dream of the world like I do? I too fear the change
coming on Rolling out of the blue like a storm Can you hear it
scream at the hurt that I knew?
How
I wish you’d only see How your own choices make your
dream Come out shining true before it can leave you I wish that
you could see How your own choices make your dream Come out
shining true all around you
What
is this chill at my heel? That makes the protections I've built
around my pseudo world premiere Tearing my utopian fiction apart
as it happens to just pass along?
I feel a change coming
on Rolling out of the blue like a storm Crashing against my
delirious thoughts where humanity's waiting alone
(Change
by
Poets
Of The Fall)
Quando
Klaus ricevette la telefonata di Rebekah, si precipitò
rapidamente presso l'appartamento di April.
Ne
avvertì il profumo non appena varcò la soglia
d'ingresso dell'edificio. Lo sentì pungergli le narici insieme
al fetore del sangue rappreso sul suo corpo e lo sentì
mischiarsi con l'odore del dolore e della paura.
Salì
le scale due alla volta, muovendosi involontariamente con innata
velocità, fino a quando raggiunse l'appartamento della
ragazza: vi trovò Stefan, adagiato con aria distante sulla
parete opposta al letto di April, mentre fissava lei e Rebekah, con
le braccia strette al petto. Le due ragazze erano vicine-la vampira
seduta ai bordi del letto con eleganza, e l'umana distesa in un
abbraccio fatto di sangue e lenzuola. Rebekah sembrava combattere con
il desiderio di accarezzare il volto deturpato dell'umana per farla
smettere di tremare, ma qualcosa la bloccava dal farlo. Forse il
pensiero di farle male, oppure quello di apparire troppo umana
agli occhi dei presenti.
“Che
diavolo è successo Bekah?” Klaus si sentì
sfiatare, quando scorse la rovina sul volto di April. Questa aveva il
viso gonfio, la pelle solcata da macchie violacee o nere lungo tutte
le guance e il mento. Entrambi gli occhi erano quasi chiusi, le
labbra gonfie e i capelli spettinati. La violenza che si era accanita
su di lei non aveva conosciuto pietà.
“È
stato Christopher.” rispose la sorella, senza nemmeno voltarsi
verso di lui. Continuò a guardare April con le mano congiunte
sul grembo e lo sguardo assente. L'umana era sveglia, e quando scorse
la figura di Klaus poco distante dai piedi del letto in cui si
trovava, sembrò voler combattere con la debolezza che
l'attanagliava pur di potergli dire qualcosa.
Ma
Klaus non voleva sentire.
Avrebbe
ascoltato ogni singola parola di April solo una volta strappato il
fegato di Christopher.
“Lei
è andata a dirgli che voleva lasciarlo definitivamente e lui
l'ha picchiata a sangue.” A quel punto Rebekah si voltò
verso il fratello e guardò direttamente la vulnerabilità
con cui si era denudato.
Il
volto del ragazzo era una maschera di puro odio, di quello che non
conosceva confini e che avrebbe sradicato ogni cosa gli si fosse
parata davanti, lungo il cammino che lo avrebbe portato a sfociare
questo sentimento.
“L'abbiamo
soggiogato affinché dimenticasse e non minacciasse più
April.” aggiunse Stefan, con aria fortemente distaccata. “Ma,
a quanto pare, chiunque abbia trasformato Violet ha giocato in
furbizia e dev'essere giunto anche a lui. Vuole colpirti in tutti i
modi attraverso lei, Klaus.”
Il
giovane vampiro parlò giusto per dire qualcosa, non perché
gliene importava qualcosa delle condizioni di April, bensì per
scrollare di dosso a tutti quanti il senso di angoscia che l'odore
del sangue dell'umana aveva gettato sugli altri due.
Klaus
si voltò a guardarlo con aria interrogativa, trovando una
sorta di novità in tutta quella vicenda.
Rebekah
li guardò con aria distante. “Abbiamo molti nemici,
Klaus. Troppi. Non riusciremo mai a capire chi ci sta giocando con
noi a questa maniera....” disse, troppo preoccupata per
formulare un'ipotesi. I suoi occhi slittarono di nuovo verso April,
la quale assisteva al dialogo tra i tre vampiri stanca e impotente.
Klaus
apprezzò il fatto che la sorella fosse priva di punti di
riferimento come lo era lui: ragionare in quel momento, quando era la
rabbia a dominare, sarebbe servito solo a fargli perdere
ulteriormente il controllo.
“Intanto
non farò vedere la luce di un nuovo giorno a quel bastardo...”
disse, voltandosi deciso come era arrivato e lasciandosi ondeggiare
sulla schiena il lungo impermeabile.
“K-Klaus?”
La
voce di April, della leonessa, era un riflesso di tutto il
male che giaceva sul suo corpo. Era flebile, spenta, atona, simile a
un lamento di morte. Klaus non ebbe il coraggio di guardarla; si
limitò a farlo con la coda dell'occhio e notò che
Rebekah si era privata dell'immobilità e aveva teso il braccio
verso di April, per impedirle di alzarsi dal materasso. Quest'ultima
aveva allungato il braccio verso di Klaus, le sue lacrime erano scese
silenziose sulla cute, e il vampiro poté avvertirne il rumore
rimbombargli nella testa.
“Ti...ti
prego...non farlo.” lo implorò.
Lo
implorava di non uccidere colui che le aveva fatto tanto male?
Klaus
non poté accettarlo, anzi, usò quelle parole per
buttare benzina sull'odio e la collera che lo logoravano
dall'interno. Elaborò mille modi per uccidere quel verme, nei
modi più dolorosi possibili.
“Mi
spiace. Non posso.” rispose, senza dolcezza, ricorrendo solo
alla potenza di quell'amore ferito che aveva deciso di proteggere con
il sangue.
Uscì
dall'appartamento, seguito dagli sguardi di Stefan e April.
La
ragazza urlò debolmente il suo nome, ma il vampiro si richiuse
la porta alle spalle giusto in tempo per non poterlo udire
indistintamente.
* *
* *** * ** * ** * ** ** *
Il
modo in cui riuscì a entrare all'interno dell'abitazione di
Christopher fu singolare.
Gli
aprì la cameriera, Klaus si presentò come un socio in
affari del suo amico Chris, questa chiese il permesso del suo padrone
per lasciarlo entrare e il vampiro fu dentro. Ordinò alla
ragazza di lasciare quella casa il prima possibile- perché
stava per dare inizio a uno spettacolo dove non si necessitava di
platea- e, finalmente, l'odore di Christopher fu l'unico che riuscì
a percepire all'interno di quella costruzione.
Lo
trovò dentro il suo enorme salone, mentre armeggiava con una
pistola, fischiettando una musichetta jazz che Klaus trovò più
che adatta come elogio funebre per la sua morte: patetica e stonata
come qualsiasi melodia potesse abbandonare le sue labbra.
Era
solo e particolarmente allegro, malgrado il sangue di April odorasse
ancora sulle sue mani. Si era sempre chiesto come gli umani potessero
credere che dell'acqua potesse cancellare dalle loro pelli i crimini
di cui si erano macchiati. Lui aveva ucciso e massacrato, ma
ricordava ogni singola vita che aveva spezzato, come una macchia
indelebile sul proprio spirito, ormai, inabilitato a tornare candido
e puro come forse non era mai stato.
Quell'uomo
aveva, invece, già dimenticato il male che aveva fatto ad
April.
“Sei
contento eh?”
Christopher
si voltò di scatto e, preso dal panico, sparò due colpi
mentre si voltava rapido verso Klaus. Lo prese in pieno petto, ma non
ebbe il tempo di reagire in nessun'altra maniera, poiché la
sorpresa di vedere il ragazzo che non barcollava sotto i suoi
proiettili e che non mostrava dolore gli fece sgranare gli occhi. Il
suo cuore perse un battito e Klaus desiderò fargli perdere
tutti gli altri in maniera lenta e dolorosa. Il vampiro tirò
la testa all'indietro, concedendosi una risata gutturale che nacque
dall'abisso nero che si portava dentro.
“Quando
ti strapperò le labbra avrai poca voglia di sorridere per la
gioia, mio caro...” gli disse, e avanzò verso di lui.
Christopher
mostrò la stessa spina dorsale che aveva mostrato quando
Klaus, Rebekah e Stefan si erano divertiti a giocare con lui: si
lasciò cadere a terra, quando le gambe gli cedettero e iniziò
a sparare altri colpi, puntando la mano tremante contro il corpo del
vampiro. Intanto strisciava all'indietro come un serpente, mentre
Klaus continuava ad avanzare verso di lui, incurante dei proiettili
che attraversavano la sua pelle.
“Ma
come? Mostri così tanto fegato quando picchi una ragazzina e
con me strisci come un verme che vuole scappare dal becco
dell'aquila?” Klaus diede inizio allo spettacolo, colpendo il
ragazzo con un calcio alla caviglia. Il dolore fu così intenso
che Christopher alzò la pistola verso l'alto, sparando un
altro colpo verso il soffitto, prima di perdere l'arma e lasciarla
cadere sul pavimento. Il proiettile passò accanto alla tempia
destra del vampiro, che si fermò per un secondo non appena
avvertì un rivolo di sangue scorrergli lungo lo zigomo.
Sfiorò
quel liquido denso e caldo con i polpastrelli di indice e medio della
mano destra e se li portò davanti agli occhi.
La
fuga all'indietro di Christopher terminò non appena questi
finì con la schiena contro il muro. “Ma cosa....cosa sei
tu?!” gridò spaventato, come un bambino che gridava di
fronte al peggiore dei suoi incubi.
Klaus
sorrise, portandosi poi il sangue alle labbra.
La
paura.
Era
così allettante nutrirsi di lei prima di lanciare il colpo
finale. Era un sentimento così tetro, tattile come una nube
nera che sfamava la bocca dell'odio. Questa nube si sarebbe dissolta
solamente quando la fame del rancore si sarebbe saziata.
Christopher
si era nutrito della paura di una ragazza malata quando l'aveva
picchiata a sangue, fino a ridurla ad un ammasso di sangue e carne.
Lui non si sarebbe fermato fino a quando non avrebbe potuto contare
tutte le 206 ossa di Christopher su un lago di sangue.
“Di
qua ci siamo già passati.” ridacchiò Klaus,
tingendosi le labbra e il mento del rosso del proprio sangue.
“Portiamoci verso il secondo atto.”
E
detto questo, si fiondò sull'umano, gioendo del suo urlo
finale.
* *
* * * * * * * * * * *
“Senti,
non costringermi a riempirti di altri lividi, anche perché
l'unica parte sana di te è quella dove non batte il sole!
Quindi stai ferma.” Rebekah non aveva problemi a fermare April
dal suo intento di scendere dal letto e straparlare. Era così
debole che anche una zanzara sarebbe stata capace di trattenerla. Ma
restava comunque irritante e fastidiosa; combatteva con il suo stesso
corpo pur di liberarsi dalle catene della debolezza che la
intrappolavano sopra quel letto.
“Non...non
voglio che lo uccida.” disse, restando seduta sul materasso e
cercando di liberarsi dalla presa di Rebekah sui suoi polsi.
Stefan
fissava la scena con lo stesso interesse con cui si osserverebbe il
deserto. Era rimasto nello stesso punto, immobile e disinteressato,
ignorando le parole che abbandonavano le labbra di entrambe le
ragazze.
“Ma
come diavolo ti viene in mente di dire cose del genere? Ti ha ridotta
in questo stato e lasciata come un animale per strada....e vuoi che
una bestia così viva?” Rebekah era allibita, perché
delle volte gli umani erano così masochisti dal non voler
punire i loro carnefici? Bontà non era sinonimo di stupidità.
April
si lasciò cadere sul materasso, gemendo per il dolore. Rebekah
trattenne il fiato, quando si sentì colpevole di aver causato,
involontariamente, altra agonia al corpo della ragazza.
“Tu
non...capisci.”
“Ah
io non capisco?” esclamò Rebekah, spalancando le
braccia. “Spero che sia la pena a parlare per te.”
April
fissava il soffitto scuro: numerosi punti erano privi di intonaco, in
alcuni persino si potevano scorgere delle gocce di umidità
unirsi tra loro per mostrare delle vere e proprie pozze. Le faceva
così male tutto il corpo che immaginò qualsiasi tipo di
fantasia su quel muro, al fine di renderlo meno triste di quanto non
fosse. “Io...vorrei tanto che Christopher muoia.”
sussurrò.
“Allora
che cosa vuoi? Perché fai i capricci?” Rebekah
stabilizzò il tono della voce, riassumendo una posizione
comoda ed elegante sul letto, accavallando le gambe.
April
voleva spiegarglielo, ma il dolore era troppo intenso. Le bruciava
dentro come fuoco, tagliava la sua forza con prepotenti e
inarrestabili lame, soffocava il suo volere contro un cuscino, senza
darle possibilità di combatterlo. Il dolore l'aveva uccisa
mentre Christopher la colpiva e stava facendo lo stesso allora che
era su quel letto. Non sopportava sentirsi così debole e
provata, non con la malattia che incombeva e le avrebbe tolto la vita
respiro per respiro.
“Non
voglio che...lui...lo uccida.” sussurrò, continuando a
fissare il soffitto. “Non voglio che si sporchi le mani....non
per me. Non di nuovo.”
Rebekah
la guardò stupita e incredula. April stava cercando di
salvaguardare l'anima di Klaus? Ignorando il fatto che lui potesse
vendicarla per in torti subiti?
“Nik
si è macchiato le mani già molte volte prima di
incontrarti.” disse, con più dolcezza, socchiudendo lo
sguardo mentre osservava il volto fanciullesco e deturpato della
giovane. “Uccidere uno in più o uno in meno non fa
differenza.”
April
gemette di dolore, quando avvertì una fitta a livello delle
costole. Si piegò quasi in due, mentre serrava lo sguardo così
forte da farle scivolare le lacrime dalle palpebre.
Rebekah
si sforzò di non muoversi dalla sua posizione e lanciò
un'occhiata indietro verso Stefan, ancora indifferente. “E ora
smetti di parlare, o ti sentirai solo peggio.”
“Lui...deve
essere diverso. Io lo so.”
Rebekah
venne tentata dal chiedere se parlasse di Klaus o Christopher, ma si
bloccò giusto in tempo. Visto il modo in cui April era
scoppiata in lacrime-forse per il dolore fisico o per quello al
cuore-capì che era di suo fratello che parlava. Era sempre di
lui che parlava.
“Deve....dev'esserci
stato un tempo in cui...in cui non avrebbe torto un capello a una
mosca. E lui..lui non deve uccidere. Non deve...”
“Credi
di poterlo cambiare?” La voce di Stefan giunse talmente
inaspettata che colse l'attenzione di entrambe le ragazze. Gli occhi
smeraldini del vampiro si erano lentamente spostati su di loro, e
sembrava come se egli avesse ascoltato la loro conversazione per
tutto il tempo, fingendo però di non esserne interessato.
Rebekah lo scrutò con attenzione, chiedendosi il perché
di quell'improvvisa curiosità. “Credi di potergli
togliere la sete di sangue con i tuoi begli occhi?
“Mi
piacerebbe crederlo.” April tossì debolmente,
guardandolo con freddezza.
“Allora
non sei innamorata di lui.”
“Tu
non sai niente.”
Scese
il silenzio. Rebekah avvertì una stretta al cuore quando sentì
la voce di April pronunciare quelle ultime parole: come se si fosse
sentita ferita dal fatto che Stefan l'avesse accusata di non amare
Klaus. Malgrado fosse terribilmente debole e stanca, aveva comunque
trovato la forza per difendere i propri sentimenti e i propri
pensieri, di stanziarli dalla rabbia che sentiva verso Niklaus per
lasciare prevalere ancora una volta quell'affetto sincero che ha
caratterizzato la loro relazione.
L'umana
tossì di nuovo con più forza, e Rebekah istintivamente
le posò con delicatezza una mano sul ventre,sentendolo
spasimarle sotto il palmo. La vampira deglutì sofferente.
“Non
puoi cambiare un vampiro, Ford.”
“No,
infatti...voglio solo...tirare la parte migliore di lui come lui ha
fatto con me tempo fa.” April abbassò gli occhi lucidi
sulla figura del vampiro, il quale la guardò con indifferenza,
serrando rudemente la mascella. “Ho..visto quello che è
successo a Violet. Prima di morire per la seconda volta, lei era
tornata quella che conoscevo. Io...voglio provare a tirar fuori
l'umanità dall'animo di Klaus. Almeno...in questi ultimi
attimi che mi rimangono. Se proprio devo andarmene, voglio far sì
che almeno la parte peggiore di Klaus venga via con me. E che rimanga
quella che io...ho amato.”
Quelle
parole, così semplici, umane e dettate da un cuore sulla via
della morte, lo colpirono nel più profondo. Rebekah lo intuì
da come il ragazzo aveva chinato il capo e socchiuso lo sguardo, in
riflesso a quelle frasi che gli erano penetrate dentro come veleno.
La cosa che la intristì fu, però, che le parole di
April lo riportarono a un passato che non aveva ancora seppellito Un
passato che non era legato a Rebekah. Non era lei la donna che
avrebbe tirato fuori il meglio di Stefan: era qualcuno che era già
esistito e che mai sarebbe più rinata probabilmente.
“Finiamola
con questo vittimismo.”
Stefan
si ritrovò rapidamente accanto al letto di April e, senza che
Rebekah potesse fare nulla per impedirlo, dell'altro sangue iniziò
a scorrere solitario lungo il pallore di un corpo.
** *
* * * **** ** * * ** * *
Se
il sapore del sangue di Christopher poteva essere descritto con una
sola parola, quella era repellente.
Sapeva
di sporco e violenza, di lussuria e codardia, di tutto il marcio che
potesse risiedere dentro un uomo.
Malgrado
il senso di vomito, Klaus premeva sempre con maggiore profondità
nella carne dell'uomo ogni qualvolta ricordava il male che aveva
arrecato ad April. Voleva privarlo anche della sua ultima goccia di
sangue, ma poi si diceva che una morte così rapida e indolore
non la meritava.
Klaus
voleva fare in modo che giungesse nell'aldilà in maniera tale
che, se ci fosse stata una seconda vita dopo la morte, ricordasse il
dolore che aveva patito per mano sua. Voleva restare il suo incubo
peggiore per ogni notte delle sue future esistenze.
Quando
staccò i canini dalla tenera carne del collo di Christopher,
gettò la testa all'indietro, lasciando che il sangue gli
scivolasse lungo il mento, per poi lasciarlo gocciolare sul
pavimento.
L'umano
emise un debole gemito, privo di forza e volere per combattere la
ferocia di Klaus. Il suo volto era terribilmente pallido, gli occhi
quasi vitrei vagavano lentamente nel vuoto, il suo corpo era scosso
da spasmi incondizionati che non riusciva a controllare.
Stava
morendo, ma Klaus non voleva permetterglielo.
Non
così.
Sarebbe
stato troppo veloce e indolore per lui.
“Non
fai il duro con me, come mai?” Klaus lasciò il colletto
della sua camicia, portandosi il palmo della mano al mento. Trascinò
così il sangue della sua vittima alle labbra, per poi
ripulirle con la punta della lingua. Christopher lo fissò con
disgusto.
“Ah
no giusto.” Klaus affilò lo sguardo e serrò la
mascella. “Io sono più forte di te, quindi abbassi la
cresta.”
“T-ti...prego.
Smettila.” Christopher scoppiò a piangere, malgrado la
cosa non fosse così evidente. Il suo corpo era troppo provato
dalle torture per poter rendere manifesto il suo dolore, ma le
lacrime avevano preso a scendere lentamente sulla sua pelle,
mescolandosi al sangue color cremisi.
Klaus,
però, non ebbe pietà alcuna. Anzi, quel comportamento
non fece che accrescere ancora il suo desiderio di vendetta nei
confronti dell'uomo.
“Scommetto
che April ti ha detto lo stesso mentre tu la massacravi di botte.”
ringhiò, puntandogli il dito contro. Aveva una voglia matta di
affondare di nuovo i denti nella sua carne, ma aveva ancora quel poco
di forza di volontà che gli permetteva di ben pianificare la
sua vendetta.
Christopher
pianse più forte, i singhiozzi gli scossero il petto e il
dolore alle coste gli provocò un attacco di tosse. “Mi
spiace, mi spiace, mi spiace...” ripeté quelle parole
sempre più debolmente, chiudendo gli occhi e scuotendo la
testa.
Sì,
gli dispiaceva davvero. Ma solo
perché stava pagando caro il suo gesto.
Se
Klaus non avesse reagito, lui non avrebbe mai provato rimorso per
quello che aveva fatto e sarebbe andato avanti con la sua vita, con
un sorriso sulle labbra. Magari mentre April moriva in un letto di
ospedale, con i segni della sua violenza che ridevano di lei, insieme
alla malattia che la stava portando via.
“Se
ti dispiace davvero, allora dovresti essere disposto a pagare per i
tuoi crimini.” Klaus scattò su di lui, piegandosi
sulle ginocchia e stringendogli la spalla con forza. Premette con il
pollice sulla clavicola dell'umano, facendolo gridare di agonia.
Musica per le orecchie del vampiro.
“Non
dovevi permetterti di toccarla nemmeno con un dito.”
“E
tu quante...quante donne, ragazze, bambine hai...hai ridotto in
quello stato?” Christopher venne dominato dalla rabbia; puntò
i suoi grandi occhi verdi in quelli del vampiro e digrignò i
denti. Sapeva quanto quell'affronto gli sarebbe costato caro. “Ma
solo perché non eri innamorato di loro non te n'è
importato nulla?”
Klaus
scoppiò in una fragorosa risata. “Stai cercando di farmi
la morale per caso?” domandò, e strinse più forte
la spalla dell'umano, beandosi ancora una volta del suo dolore.
“Nelle tue condizioni non è sicuramente la scelta più
saggia.”
Christopher
tossì, sputando sangue. “Sei solo un mostro.”
sussurrò, mentre le corde
della sua voce vibravano al suono della paura della morte.
“Beh
tra mostri ci si intende sempre.” rispose Klaus. Portò
l'altra mano sopra la spalla opposta dell'uomo e iniziò a
stringere anche in quel punto; spezzargli entrambe le clavicole gli
avrebbe fatto un male cane, ne era certo. “Ma..sai cosa? Io
sono un mostro, e ho una giustificazione nell'esserlo perché è
nella mia natura. Tu sei umano invece;
nella tua indole non dovresti comportarti in questo modo orribile. Tu
non ne hai alcun diritto.”
Iniziò
a premere con entrambi i pollici sulle ossa dell'uomo e iniziò
a sentirle sgretolare sotto pelle. Aveva deciso di fare lo stesso con
tutte e 24 le costole, per poi passare alle ossa del bacino, degli
arti superiori e di quelli inferiori.
Poi,
quando Chris non avrebbe più potuto muoversi, Klaus sarebbe
passato a giocare con i suoi visceri.
L'umano
gridò, con tutta l'aria che aveva nei polmoni. “April
non mi ama, proprio perché sono un mostro, è
vero.” disse, non appena
la pressione delle dita di Klaus si allentò di poco. Riprese a
premere non appena lui ebbe ripreso fiato, e sentì che ormai
quelle erano sul punto di cedere sotto la sua forza. “Ma come
pensi...come pensi...possa amare te dopo quello che stai facendo?”
“Sai
quanto mi interessa se lei è così folle da volerti
lasciare andare?” Klaus si fermò un'istante, fortemente
oltraggiato da quelle parole. Sapeva che April lo aveva implorato di
non uccidere quel bastardo, e sapeva anche il perché lo avesse
fatto, ma non aveva alcuna intenzione di ascoltare nessuna di quelle
voci che gli imponevano di arrestarsi dal compiere quel crimine.
Lui
non sarebbe cambiato, nonostante
quello che provava per April fosse forte abbastanza da fargli credere
di desiderare una cosa simile.
“Non
avresti dovuto ridurla in quello stato e ora sarò io a fartela
pagare.”
Basta,
era ora di farla finita.
Klaus
capì di dover rinunciare al suo ingegnoso piano di tortura
quando ebbe ripreso a pensare.
A
lui, a April, a loro due insieme.
Avrebbe
dunque spezzato il collo a quel bastardo e avrebbe fatto banchettare
i corvi con il suo corpo.
“E..e..quindi
lascerai che April se ne vada...da sola? Circondata da mostri?”
Christopher ebbe ancora la forza di parlare, lo spirito di
autoconservazione prevaleva su ogni cosa.
E
riuscì a fermare Klaus.
Il
vampiro lasciò le mani adagiate sul corpo di Christopher e lo
guardò con occhi sbarrati. Il fatto che lui sapesse della
malattia di April accrebbe la fiamma che gli bruciava dentro, ma le
restanti parole soppressero la violenza con cui stava agendo.
April
lo aveva implorato di non ucciderlo e, se lui fosse tornato da lei
con le mani sporche del sangue del cadavere di Christopher, ella
sarebbe morta da sola.
L'avrebbe
rinnegato, come aveva fatto qualche sera prima, l'avrebbe allontanato
e sarebbe morta sola.
Sola.
Sola.
No,
Klaus non lo avrebbe permesso.
Non
avrebbe permesso che la ragazza venisse accompagnata dalla solitudine
anche nella morte, oltre che nella vita. Ma cosa poteva fare?
Dio, desiderava troppo spezzare la vita di Christopher, ma i suoi
muscoli erano bloccati da quello stramaledetto peso sul petto.
Voleva,
ma non poteva e non doveva.
Per
April.
Sì,
per le valeva la pena non essere se stesso, almeno per un giorno.
Allontanò
le mani dal corpo di Christopher, posando le ginocchia sul pavimento,
e abbassando lo sguardo quando sentì l'umano tirare un sospiro
di sollievo. Ne avvertì persino sorgere una risata, quando la
consapevolezza di essere salvo, di
nuovo, prese possesso
di lui.
“Grazie...grazie...”
disse ripetutamente, guadagnandosi un'occhiata fredda da parte di
Klaus. Quando scorse quegli occhi di ghiaccio sul suo corpo, il
sorriso di Christopher si spense e tutte le barriere che si erano
erette crollarono rovinosamente.
Klaus
non lo avrebbe lasciato andare.
Aveva
avuto un attimo di ripensamento, ma mai lo avrebbe lasciato andare.
L'umano
prese a tremare, quando Klaus gli afferrò il volto tra le mani
e lo guardò negli occhi. Le dita affusolate erano strette
serrate sui suoi zigomi, lasciando presagire che, in pochi secondi,
sarebbero state così strette dal potergli spappolare le ossa
del viso.
“Tu
non uscirai di qui senza aver pagato, Christopher.” sentenziò
il vampiro, riservandogli un'occhiata velenosa. “Non ti
avvicinerai mai
più ad
April. Non la guarderai, non le parlerai, lei non esisterà più
per te e tu non esisterai più per lei.”
Christopher
smise di divincolarsi alla presa di Klaus quando sentì le sue
parole riecheggiargli nella mente, convincendolo dunque a obbedirgli.
Il volere del vampiro divenne il suo.
“E
già che ci sei...andrai al dipartimento di polizia e
confesserai ogni tuo crimine, sopratutto quelli di cui puoi donare
delle prove. Andrai in galera e ci resterai per il resto della tua
patetica esistenza. E ogni giorno odierai te stesso per essere questa
merda.”
Qualcosa
dentro Christopher si ribellò: la paura di essere
imprigionato, di scontare delle pene, di venire giudicato come il
bastardo che
effettivamente era stato in vita, tutto questo lo implorava di non
obbedire alle parole di Klaus. Ma non aveva nulla con cui opporsi, e
in una frazione di secondo si ritrovò ad annuire mestamente,
suscitando un risolino da parte del vampiro.
“Perdonami,
ma non sono così magnanimo da concederti di passarla liscia
del tutto.”
ridacchiò
Klaus, allontanò
poi le mani dal viso di Christopher e ne portò solo una a
stringergli il mento. “Spero che la permanenza in prigione sia
di tuo gradimento. Sai come si divertiranno con un bel tipetto come
te?”
Detto
questo, e leggendo le parole della paura nelle iridi di Christopher
che solo silenziose potevano rimanere, Klaus si alzò in piedi
e diede le spalle al corpo immobile dell'umano.
Sorrise
mentre varcava la porta di casa di Christopher, e provò uno
strano senso di sollievo in quello che aveva appena fatto.
Intanto
il sole iniziò a sorgere.
* *
* * * * * ** * * * * * * * * * *
Ma
quella giornata non poteva terminare senza preoccupazioni?
Quando
Klaus rientrò presso l'appartamento di April non trovò
altro che vuoto e silenzio e avvertiva uno strano e preoccupante
puzzo, come di sangue.
Di
April.
Di
Stefan.
Colto
da un impeto di rabbia, l'Originario si fiondò alla loro
villa, spalancando le grandi porte con un semplice gesto della mano e
gridando a gran voce il nome della sorella, del suo folle amico, e
della sua umana senza
però ottenere alcuna risposta. Gridò ancora e ancora i
loro nomi, non curandosi di poter svegliare i vicini o di poter
offuscare la luce del sole nascente con la propria collera, e si
diresse presso le stanze al piano superiore, pregando in cuor suo di
non aver ricevuto risposta semplicemente perché aveva a che
fare con dei sordi.
Si
fermò a circa metà della scalinata, non appena avvertì
qualcosa di familiare: l'odore
di April, ma c'era
qualcosa di diverso in esso. Era come se...
“April
Ford!” la chiamò, correndo verso il punto da cui sentiva
provenire il suo profumo. I suoi passi, rapidi e leggeri, risuonarono
tra le buie pareti della villa mentre tutti i suoi sensi erano
rivolti unicamente a lei.
Era
nella stanza degli ospiti.
Klaus
vi giunse in pochi secondi, spalancandone le porte con un gesto
rabbioso. La stanza sembrava vuota; la luce faceva capolino oltre le
lunghe e bianche tende che coprivano le ampie finestre per poi
estendersi lungo il pavimento color cremisi. Il letto era vuoto, ben
fatto; i mobili impolverati e silenziosi.
Lei
non c'era, ma
l'avvertiva comunque.
“Nik?”
La
sua voce, forte e melodiosa come l'aveva conosciuta e amata, risuonò
in un punto alle sue spalle. Si voltò per poterne incontrare
poi il radioso sorriso; aveva i lunghi capelli neri bagnati, il volto
pallido ancora attraversato da diversi segni e da alcuni lividi, e
indosso portava un abito che, sicuramente, era di Rebekah.
Probabilmente quello meno provocante ed elegante che possedeva.
Klaus
si girò completamente verso di lei, rimirandola nella prima
luce del giorno.
Lei
avanzò verso di lui, senza mai smettere di sorridere, e allora
lui l'avvertì.
Il
suo cuore che batteva.
Era
ancora viva.
“Stefan
ti ha dato il suo sangue?” domandò. Anche se sapeva che
quella non era la prima domanda che avrebbe voluto rivolgerle, furono
quelle le parole che riuscì a pronunciare in sua presenza.
“Sì,
è per questo che i miei lividi...sono diventati meno
visibili.” April chinò la testa, portandosi un ciuffo di
capelli dietro le orecchie e sorridendo timidamente. O forse,
semplicemente, il ricordo del fluido vitale del ragazzo che le
scorreva lungo la faringe un po' la inquietava. Com'era normale che
accadesse.
Scese
un silenzio imbarazzante in cui nessuno dei due seppe che cosa dire.
C'era attesa, tensione, desiderio di dirsi tante cose senza però
riuscire a farlo, in quel silenzio che li avvolse.
“Come
ti è saltato in mente di andare da quel folle del tuo
ex-fidanzato?” Klaus allora optò per quello che sapeva
fare meglio: essere rude e insensibile.
“Oh
ti prego, non farmi la predica.” April mosse un passo nella sua
direzione, sempre con quel sorriso così umano sulle
labbra. “Dovevo prendere di nuovo in mano la mia vita e
affrontarla a muso duro. Sono andata da lui perché dovevo
chiudere la nostra sciocca relazione definitivamente, punto.”
Klaus
tamburellò con il piedi sul pavimento, si morse le labbra e
distolse lo sguardo. “Era proprio necessario?” domandò,
accorgendosi solo in seguito che le sue parole erano prive di
qualsiasi tatto. April stava morendo, e quindi la relazione con
Christopher si sarebbe sicuramente conclusa senza che lei lo facesse
verbalmente, che senso aveva dunque affrontare una simile situazione?
E anche se April avesse preso la decisione di trasformarsi in un
vampiro, non era necessario.
“Non
mi piace scappare.” April si strinse le braccia al petto, e
fece spallucce, storcendo la bocca in una smorfia divertente. “Se
me ne devo andare, devo farlo per bene.”
“Sappi
che non ti sopporto quando parli così.” Klaus parlò
d'istinto, appurando quel fastidio solamente in quel momento. April
parlava senza vittimismo, senza paura e senza nemmeno il coraggio di
un'eroina che non temeva la morte: parlava semplicemente come una
persona che non voleva dare ascolto al proprio dolore e quindi lo
sminuiva.
April
venne colpita da quelle parole e tornò improvvisamente seria.
“E tu perché non l'hai ucciso?”
Il
vampiro non si aspettava quel genere di domanda poiché non
aveva idea che la ragazza fosse a conoscenza di quanto era accaduto.
Un po' ne provò vergogna, sentendosi quasi sminuito nella
propria figura di vampiro cattivo, e si sentì nudo come solo
un verme poteva essere.
Ma
April lo guardava solo con gli occhi di qualcuno che gli era grato.
“Un
accordo è un accordo. Tu mi hai chiesto di non ucciderlo e io
ho rispettato....”
Il
tuo ultimo volere.
Non
riuscì a portare a termine la frase, arrestandosi
improvvisamente.
April
abbozzò un sorrisetto furbo e abbassò gli occhi scuri.
“Cosa c'era di diverso...dall'acconsentire all'omicidio di
Violet per mano di Stefan?” domandò.
Klaus
non si aspettò nemmeno quella domanda. Non aveva idea di come
affrontare quell'argomento, ricercando una possibile via di fuga che
lo portasse al perdono da
parte della ragazza. Non l'avrebbe mai ottenuto, probabilmente l'aver
risparmiato Christopher l'aveva fatta sentire speranzosa
nel ritrovare qualcosa in lui
che era morto da tempo.
“E
poi tu come fai già a sapere del tuo ex ragazzo?”
domandò, cambiando discorso perché una risposta a
quella domanda sarebbe stata riccamente carica di sentimentalismo.
“Lo devo a quella chiacchierona di Rebekah?”
April
scosse la testa, sorridendo. “Non lo sapevo in realtà.
Volevo solo verificarlo.” ammise furbamente, strappando un
sorriso dalle labbra del vampiro che non si aspettava minimamente che
lei lo stesse mettendo alla prova. L'umana si avvicinò di più
a lui e la stretta vicinanza parve soffocare entrambi.
“Se
Christopher non mi avesse picchiata....” April alzò la
mano e la fece scorrere delicatamente sullo zigomo destro di Klaus.
Quest'ultimo assaporò ogni attimo di quel tocco, socchiudendo
gli occhi come preda di un bel sogno. La mano di lei era fredda come
il ghiaccio. “Sarei venuta da te.”
Il
tono di voce della ragazza scese man mano di una tonalità. Le
sue dita si adagiarono sulle labbra rosse e carnose del ragazzo, il
pollice scorse sopra quello inferiore.
“Hai
proprio pianificato tutto, vero Ford?” ridacchiò Klaus,
avvertendo diversi brividi caldi serpeggiargli lungo la schiena, a
causa del tocco di April.
April
sorrise, con tenera dolcezza. “Ho preso la mia decisione, Nik.
E tu sei l'unico con cui voglio condividerla. Anche se mi hai fatto
male, io ho subito pensato a te.”
Klaus
attese che lei continuasse, restando immobile sotto le carezze delle
sue mani. Queste scesero lungo le sue ampie spalle, per poi scendere
lungo le braccia e cingergli i fianchi. Il respiro caldo e vitale
della ragazza soffiò sul collo del vampiro. “Ho deciso
di non trasformarmi.”
Dio,
lo sapeva.
Eppure
Klaus non poté fare a meno di sentirsi morire dentro al
sentire pronunciare quella parole. Avvertì una sensazione di
pizzicore agli occhi, ma la scacciò battendo ripetutamente le
palpebre. Voleva imprecare, gridare, dirle che era una pazza, per poi
affondare i canini nella sua carne, ucciderla e farla tornare in
vita. Ma questa scena si svolse unicamente nella sua mente.
“Perché?”
domandò nella realtà, abbassando lo sguardo su di lei.
April
stava quasi per piangere, ma con muto orgoglio si mostrava forte e
fiera. Proprio come una leonessa. “Perché non serve
l'eternità per vivere. Si può vivere un'intera vita
anche in pochi attimi.” rispose. “Io in quei giorni con
te, ho vissuto più di quanto abbia mai fatto nel resto della
mia vita.”
Klaus
distolse lo sguardo, quando avvertì gli occhi bruciargli di
più.
Anche
lui aveva vissuto con April più di quanto aveva fatto nelle
altre centinaia di vite che aveva avuto.
Non
rammentava un se stesso così vivo da quando aveva amato Tatia
e da quando la sua famiglia era unita e umana sotto
lo stesso tetto. Pensò che sarebbe stato meglio se la vita
fosse finita insieme a quegli amori.
Ma
poi non avrebbe incontrato April, e allora si chiese perché
lei dovesse rinunciare all'immortalità.
“E
quindi che cosa vuoi? Non piangerò sul tuo letto di morte, mi
rifiuto di farlo.”
“Non
ti sto chiedendo questo.” April lo interruppe, arrestando quel
crescendo di rabbia nella voce del ragazzo. “Io voglio solo che
tu continui a farmi vivere. Come hai fatto fino ad ora. Voglio vivere
appieno questi ultimi giorni che mi restano.”
Gli
accarezzò il volto con un'amorevolezza disarmante, che
soppresse tutti i pensieri che attanagliavano Klaus. Posò poi
le labbra sulle sue con delicatezza, rubandogli un bacio rapido che
però lo uccise.
“Abbiamo
poco tempo....io non posso sopportarlo, April.” sussurrò
sulle sue labbra, la voce gli tremava.
Non
si era mai reso conto di quanto la morte fosse odiata e maligna.
Portava
sempre via i migliori da quella terra.
April
si morse il labbro, con innocente malizia. “Non sprechiamolo
allora, Nik.” disse.
Sorrise
e abbassò gli occhi sulle labbra del vampiro. Capendo dove la
ragazza voleva andare a parare, Klaus posizionò le proprie
labbra su quelle di lei, unendole in un passionale bacio. La strinse
a sé, cingendole i fianchi e facendo aderire il suo corpo a
quello di lei.
Non
c'era passione più imponente di quella che si nutriva quando
la fine era vicina.
April
iniziò ad arretrare, in direzione del letto. Gli slacciò
i bottoni della camicia uno per uno, mentre la bocca di Klaus
scendeva famelica sul collo della giovane, facendovi scorrere sopra
le labbra e la lingua.
Il
vampiro portò le mani alla schiena della ragazza, tirando giù
rapidamente la zip. Vedendo però che questa si bloccava ad un
certo punto, fece voltare rapidamente la ragazza, premendo il petto
contro la schiena di lei. La sentì iniziare ad ansimare,
mentre la sua bocca continuava a torturarle dolcemente la pelle nivea
del collo e con le mani si apprestava a scoprire il suo corpo. Con
una la liberò del il vestito, con l'altra esplorò la
sua pelle calda e tremante-forse non a causa della frenesia-facendone
scorrere il palmo lungo il ventre, poi lungo le gambe.
April
tirò la testa all'indietro, lasciandosi andare a un
lunghissimo gemito di piacere. Si girò poi, ancora una volta,
verso Klaus, liberandolo della camicia e infine dei pantaloni.
Lui
la prese tra le braccia, passandole un braccio sotto i polpacci e
tenendole l'altro in vita e la portò sopra il letto. La
distese con delicatezza, per paura di farle male, e si protese verso
di lei, facendo scorrere le mani lungo le lenzuola, verso la testa di
lei, per poterla baciare sulle labbra.
April
lo lasciò fare, passandogli una mano tra i capelli e
cingendogli i fianchi con le ginocchia. Klaus era intenzionato ad
amarla come mai nessuno aveva fatto mai prima con lei.
Voleva
rendere quella notte unica, indimenticabile, fatta solo per loro due.
Affinché
lei ricordasse.
Le
baciò la guancia, scendendo poi verso il collo, verso i seni,
verso il ventre, lasciando una scia di baci lungo la sua pelle
fremente. April inarcò la schiena e si lasciò andare ad
un altro segno di piacere, allungando le braccia verso l'alto, fino a
sfiorare con le dita le federe dei cuscini.
“Niklaus...”
sussurrò il suo nome, quello strano, assurdo nome che aveva
sempre pronunciato con difficoltà all'inizio della loro
storia.
“Shh.”
Klaus risalì di nuovo all'altezza del suo volto, posandole
l'indice sopra le labbra per non farle proferire ancora verbo. Lo
fece perché si era accorto che lei stava per piangere, che le
barriere che si erano innalzate attorno a lei stavano per cedere e
che la paura stava per prendere il sopravvento.
Non
poteva permetterglielo, non quella notte.
Le
accarezzò dolcemente il viso, mentre con l'altra mano la
liberava lentamente dell'intimo, annullando qualsiasi restrizione tra
i loro corpi.
“Ti
amo April.”
Accompagnò
quelle parole a un gesto delicato del suo bacino, spingendosi
lentamente in lei. Quelle che uscì dalle labbra di April fu un
risolino, accompagnato da gemiti di piacere che non poté
controllare mentre il vampiro si muoveva in lei. Egli portò le
proprie mani a cingere i polsi di lei, mentre lei affondò il
viso nell'incavo del collo di lui, per soffocare i suoi versi di
piacere e le lacrime che incondizionatamente scendevano lungo le sue
guance.
Sentendo
la voce di April mossa da singhiozzi e dolci parole sussurrate, Klaus
le lasciò i polsi e la fece accoccolare sopra le sue
ginocchia, assumendo una posizione seduta. Continuò a muoversi
in lei, con gesti controllati ma decisi, stringendola in un abbraccio
che non lasciava via di fuga, mentre April si stringeva a lui come se
fosse la sua ancora di salvezza.
In
un preciso momento del loro amplesso, la passione valicò
entrambi. Le spinte si fecero più decise, più forti,
più possessive, come se Klaus non avesse più
potuto lasciarla andare via.
Il
piacere crebbe incessante nel corpo di entrambi, fino a quando
l'orgasmo non li travolse e le loro voci risuonarono all'unisono nel
buio di quella stanza.
I
due poi si accoccolarono l'uno accanto all'altra come se quella non
fosse stata la loro ultima notte.
E
così, infatti, sarebbe stato.
Il
mio valore è lo sguardo nei tuoi occhi, il mio premio il
sorriso che gioca sulle tue labbra e mi chiedo: sogni mai il mondo
come lo sogno io?
Anche
io ho paura del cambiamento che arriva rotolando dal cielo come
una tempesta. Lo senti come urla alle ferite che mi porto dentro?
Quanto
vorrei che tu vedessi come le tue scelte fanno sì che il
sogno diventi reale e risplenda prima che ti possa
lasciare. Vorrei che tu potessi vedere come le tue scelte fanno
sì che il tuo sogno risplenda nella realtà attorno a
te.
Cosa
è questo brivido che mi insegue? E che mette in mostra le
protezioni che ho messo attorno al mio mondo immaginario, facendo
a pezzi la mia utopica finzione proprio quando stava per
funzionare?
Sento
un cambiamento in arrivo che rotola dal cielo come una
tempesta, scontrandosi contro i miei pensieri deliranti dove
l’umanità attende da sola.
Ehm....ciao
a tutti! *^*
Attendo
il lancio delle uova, delle vostre ciabatte, di tutto quello che vi
circonda, poiché so che questo capitolo causerà molta
delusione.
Ma
partiamo con ordine, perché ho molte cose da spiegare, dato
che temo di non averlo fatto bene attraverso il capitolo: April non
ha perdonato Klaus di punto in bianco per quello che è
accaduto a Vil (come è stato detto nel capitolo 12, lei non si
è disinnamorata del vampiro, dato che spegnere un sentimento
così rapidamente sarebbe stato surreale) ma dopo la morte
della migliore amica ha preso la decisione di non trasformarsi e di
tornare da Klaus. Voi direte: perché questa decisione in
contrasto con il comportamento precedente di April? Semplice (o
meglio per me lo è che sono una incasinata complessa xD): ho
provato a immedesimarmi in una ragazza che sa di stare per morire e
che vorrebbe dare un senso ai suoi ultimi giorni. April ha sempre
affermato di aver conosciuto un lato di Klaus che l'ha fatta
innamorare e quindi ha deciso di provare a ritrovare questo lato
prima di andarsene per sempre. Ha avuto un'ulteriore punto a suo
favore quando Klaus non ha ucciso Christopher per lei (anche se,
diciamocelo, se lo sarebbe meritato quel bifolco!) ed è qui
che decide dunque di rivelare la sua decisione finale. April teme di
perdere se stessa diventando un vampiro, asserisce al fatto che ha
vissuto più di quanto abbia mai fatto nei momenti in cui è
stata con Klaus e non vuole andarsene senza aver vissuto di nuovo
quei momenti con quell'uomo che ha conosciuto. Non so se mi sono ben
spiegata, probabilmente no come al solito, ma spero comunque che la
situazione non risulti banale come possa sembrare a molti.
Inoltre
ho deciso di non far venire a galla il nome di Katerina. Questo
perché, come ha detto Rebekah, sono molti i nemici della loro
famiglia e pensare a un unico soggetto sarebbe stato difficile. Anche
se il nome di Kath è sempre il primo a comparire!
Essendo
stato questo capitolo un vero e proprio parto, mi scuso se ho fatto
un vero e proprio disastro. Sono sempre pronta per ulteriori
chiarimenti e per risposte, così come sono pronta a ricevere
le vostre mazzate! XP Inoltre, avendo avuto poco tempo per
correggere, vi chiedo umilmente sorry se ci sono errori
grammaticali...e se vi va, fatemelo pure presente così
provvederò a correggerli!
Ringrazio
tutti i lettori che mi stanno seguendo, preferendo e ricordando u.u
così come ringrazio le fantastiche fanciulle che mi rilasciano
sempre dolcissimi commenti, spazzando via la scarsa autostima che
ripongo sempre in quello che scrivo!
Spero
davvero di ritrovarvi tutti anche nell'ultimo capitolo che
pubblicherò la prossima settimana, seguito poi dall'epilogo!
;)
A
presto, ciao ciao ^^
ps:
le frasi alla fine del capitolo non sono altro che la traduzione
della bellissima canzone scelta per il capitolo. I “Poets of
the fall” sono un gruppo poco conosciuto qui in Italia, ma
meritano davvero tanto! Spero che abbiate ascoltato quella meraviglia
*____*
Ok,
me ne vado per davvero u.u
|
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Capitolo 15 *** When everything is made to be broken, i just want you to know who i am ***
http://www.youtube.com/watch?v=B8UeeIAJ0a0
-Capitolo
15: When everything is made to be broken, i just want you to know who
i am-
And
I'd give up forever to touch you 'Cause
I know that you feel me somehow You're
the closest to heaven that I'll ever be And
I don't want to go home right now
And
all I can taste is this moment And
all I can breathe is your life 'Cause
sooner or later it's over I
just don't want to miss you tonight
And
I don't want the world to see me 'Cause
I don't think that they'd understand When
everything's made to be broken I
just want you to know who I am
(Iris
by
Goo
Goo Dolls)
Quando
se la ritrovò di fronte, April sentì gli occhi
pizzicarle per la commozione.
Giurò
di non aver mai visto uno spettacolo ricco di cotanta bellezza inanzi
al suo sguardo, avvertì un brivido di gioia attraversale il
cuore e venne pervasa da quell'insana felicità che si prova
quando si piange per gioia.
Parigi.
Il
desiderio di visitare la città dell'amore e delle luci era
insito in lei fin da bambina, quando sua madre le raccontò di
un viaggio fatto nel corso della sua infanzia, ma April mai e poi mai
avrebbe creduto che quel sogno potesse divenire realtà. Perché
aveva rinunciato a sognare dopo la morte dei suoi, perché
aveva riposto tutte quelle vane e irreali speranze dentro un
cassetto, perché perdendo quei sogni aveva perso anche se
stessa.
Poi
Klaus l'aveva ritrovata.
“Mi
chiedo cosa tu possa trovarci di così bello in quell'ammasso
di ferraglia...” Klaus, il finto e cinico artista accanto a
lei, guardava la torre Eiffel con la stessa espressione con cui si
guarderebbe il nulla. “Scommetto che nel giro di qualche anno
cadrà giù in mille pezzi.”
April
chiuse gli occhi e si lasciò andare a un sorriso innocente,
che Klaus non poté evitarsi di rimirare con dolcezza. “Se
ti fa così ribrezzo, potevi portarmi ovunque e non qui.”
gli ricordò.
Klaus
emise un sonoro sospiro e tornò a guardare la torre; quella
divideva in due il pallido sole che brillava nell'immenso azzurro del
cielo. Attorno a loro non vi era nessuno, eccetto un caldo e
avvolgente silenzio che rese quello spettacolo magnifico unicamente
loro.
“Tu
mi hai chiesto di venire qui.” le disse.
April
lo guardò con un sorriso carico di gioia. “Ma io non ti
ho detto nulla, e lo sai. Sei tu che hai voluto violare il mio
pensiero.”
“Violare
è una parola grossa. Sei tu che non volevi dirmi dove diavolo
volessi andare.” Klaus si ostinava ad avere la ragione dalla
sua parte, e quindi continuò a perseverare nella sua
convinzione.
April
però trovò il suo comportamento particolarmente
divertente. Gli gettò le braccia al collo, in un gesto
affettuoso ma non si aspettò che lui ricambiasse. Bastò
vedere gli occhi di Klaus insinuarsi nei suoi per capire che il suo
atteggiamento, in qualche modo, lo rendeva felice, malgrado
non fosse solito lasciarsi andare a gesti di vero e proprio affetto.
“E
dai, non fare il solito cinico!” gli disse, pronunciando quelle
parole a un centimetro dalle sua labbra.
Malgrado
il suo grande autocontrollo, Klaus non smetteva di guardargliele con
desiderio.
“Essere
me stesso è essere cinico, April.” le rispose, piegando
la testa da un lato. Venne tentato dall'accarezzarle il viso, ma si
trattenne quando si rese conto che quel gesto avrebbe esternato
troppa dolcezza da parte sua. “E tu dovresti smetterla di
essere sempre così espansiva....”
“Con
un blocco di ghiaccio come te io sarò sempre fuoco.” Lo
interruppe April, stranamente divertita. Gli baciò dolcemente
le labbra, facendo aderire le loro bocche e assaporando quel contatto
intimo. Strinse ancora di più le braccia al collo di Klaus,
sentendolo rilassarsi sempre più sotto il suo corpo e sorrise,
quando lui, forse involontariamente, si concesse sempre più a
quel bacio. La mano di lui salì ad accarezzarle la nuca, a
stringerle qualche ciuffo dei suoi capelli, mentre il fuoco divampava
tra i loro corpi e le loro labbra.
“Klaus?”
“Mmm?”
I
due si separarono di qualche millimetro, intenti a riprendere da dove
avevano appena lasciato, non appena le parole si sarebbero esaurite e
i loro baci sarebbero stati tutto quello che restava loro.
“Dov'è
il dolore?”
*
* * * * * * * * * * * * * * * * * *
Rebekah
non poté fare altro che restarsene seduta ai piedi di quel
letto e ascoltare ogni cosa.
Come
una bambina immersa nei propri pensieri, ella teneva lo sguardo basso
e le gambe distese sul pavimento, battendo di tanto in tanto la punta
del tacco verso il basso, tanto per ammazzare il tempo.
C'era
anche Stefan con lei, ma era come se entrambi fossero soli.
Nessuna
parola violava il silenzio, nessun contatto lasciava loro intendere
che non fossero tali, nessuno sguardo li univa o allontanava.
Entrambi sembravano aver rivolto la loro attenzione verso altro,
verso qualcosa che risiedeva dietro la porta a pochi passi da loro.
“È
arrivato il momento.” Stefan pronunciò quelle parole
senza sentimento, ostentando una freddezza che quasi costrinse la
bella vampira a violare la propria rigidità per voltarsi verso
di lui e fulminarlo con lo sguardo. “Ormai siamo al punto di
non ritorno.”
Scese
di nuovo il silenzio; Stefan abbassò lo sguardo, mentre
Rebekah fissò lo spiraglio di luce che s'intravedeva dalla
porta davanti a loro. Una parte di lei era quasi curiosa di scoprire
a che spettacolo sarebbe andata incontro una volta varcata quella
soglia.
“È
passata più di una settimana. Dovevamo aspettarcelo.”
disse la ragazza.
“E
dovrebbe interessarci? Perché siamo qui? Klaus sa cavarsela da
solo e lei se l'è cercata.”
Rebekah
restò in silenzio, intenzionata a non rispondere ancora,
almeno per il momento.
“Nessuno
ci ha obbligato a restare qui.” continuò il vampiro.
“Io
sono rimasta perché non ho niente di meglio da fare. Tu,
piuttosto, non sei obbligato.”
Scese
di nuovo il silenzio, e quando entrambi avvertirono il suono di un
flebile respiro e di parole sussurrate, furono anche i loro, di
respiri di morte, ad arrestarsi.
Stefan
si passò una mano tra i capelli coperti di gel e portò
la propria attenzione verso la finestra accanto a sé, dove il
buio della notte avvolgeva il cielo nel suo freddo manto. Si
aspettava delle spiegazioni da lei, spiegazioni che non gli importava
chiedere, ma che avrebbe atteso gli avesse dato la vampira di sua
spontanea volontà. Da parte sua Rebekah, invece, manteneva
quel riserbo e quell'orgoglio che era solita conservare quando
provava timore nell'esternare quello che aveva dentro.
“Sai
perché....non le sono saltata al collo per dissanguarla?”
gli domandò, senza però pretendere che lui le donasse
una risposta soddisfacente e seria, sopratutto quando si parlava di
sangue e si evocava l'immagine del cadavere di una ragazza.
Stefan
ridacchiò. “Questa bella scena sarebbe stata
davvero...eccitante.” disse, e Rebekah sentì i
suoi occhi carichi di lussuria posarsi sulle sue spalle. Non provò
comunque quei brividi ghiacciati che le scorrevano lungo la schiena
ogni volta che lui la guardava con desiderio, perché i suoi
pensieri si erano fermati altrove.
“Tra
pochi minuti April sarà morta.” Rebekah parlò con
voce incolore, alzando lievemente le spalle e socchiudendo lo
sguardo. “La sua giovane vita umana sta giungendo al termine
mentre noi, vecchie anime con indosso un vestito di carne, vivremo
per sempre. Mi chiedo se questo sia giusto.”
“È
lei che ha rifiutato di farsi trasformare, Rebekah, e lo ribadirò
fino all'infinito.” Stefan parlò con voce quasi
rabbiosa, cosa a cui cercò di rimediare nel momento esatto in
cui la vampira originale si voltò a guardarlo.
Egli
deglutì, per poi riprendere il discorso una volta che la sua
umanità tornò al proprio posto.
“Avrebbe
potuto benissimo essere come siamo noi, ma non ha voluto.”
“Ma
a te non sarebbe piaciuto?”
“Cosa?”
“Morire
da umano.”
Stefan
non rispose; guardò gli occhi profondi e ipnotici di Rebekah,
la quale pendeva dalla sue labbra e dalla risposta che esse le
avrebbero donato. Il vampiro abbassò gli occhi. “Entrambi
siamo morti da umani, Rebekah. È solo che poi siamo tornati
alla vita.” rispose.
La
bionda scosse la testa; come si era aspettata, la risposta non la
soddisfò minimamente. Tornò a guardare davanti a sé;
i sussurri si fecero sempre più rari e lontani. “Quelli
che sono tornati non erano gli stessi che se ne sono andati, Stefan.”
rispose solamente.
Stefan
ebbe la decenza di non aggiungere altro e la ragazza strinse i pugni
sulle ginocchia, ricordando il momento esatto in cui un intenso
dolore le si era insinuati tra i visceri, portando in seguito a una
sensazione di gelo perenne in tutto il corpo, e poi il nulla, la
morte.
Trattenne
il fiato, provando di nuovo pietà e rammarico per il destino
di April.
“Sai,
Stefan...io ho quattro fratelli. Ma da umana avevo anche un fratello
e una sorella più piccoli.” iniziò a raccontare,
stringendo i pugni con più fermezza sopra il tessuto del
vestito. Stefan osservò le nocche della ragazza farsi sempre
più bianche, mentre le unghie s'insinuavano sempre di più
dentro i palmi. Quasi lei volesse sanguinare per ricordare a se
stessa che era viva.*
“Mia
sorella si ammalò quando aveva solo dodici anni. Un male
simile a quello che ha colpito April, solo che allora non c'era un
nome scientifico per definire il tipo di patologia. Così come
non c'erano cure al riguardo. Ricordò ch'ella dimagrì
fino a diventare pelle e ossa e morì dopo mesi e mesi di
agonia.”
Stefan
abbassò lo sguardo.
Comprese
così per quale motivo Rebekah, spesso, aveva tutelato in tutti
i modi April Ford.
Perché
le ricordava la sorellina che aveva perduto secoli prima.
Perché
la riportava a bramare l'umanità.
“Come
pensi che dimenticherà Nik questo ennesimo abbandono?”
domandò la ragazza,cambiando discorso e immaginandosi il
dolore che suo fratello avrebbe provato una volta che April se ne
fosse andata per sempre. Anche se non lo dava a vedere, anche se non
lo esternava a parole, era palese che si era affezionato parecchio
alla ragazza, arrivando forse ad amarla davvero.
Si
girò a guardare verso Stefan, quando avvertì che
qualcosa in lui doveva essere cambiato. Infatti, il ragazzo aveva gli
occhi smeraldini fissi sulla punta delle sue scarpe in pelle;
sembrava quasi che stesse viaggiando in quegli spazi sconfinati che
erano i suoi ricordi, trovandovi qualcosa che credeva non potesse più
esserci.
“Non
è tanto difficile Rebekah. È una cosa che solo noi
vampiri possiamo fare.” rispose, con voce ferma nonostante i
suoi occhi gridavano tante, troppe cose. La guardò, ma Rebekah
non afferrò subito il significato di quelle parole, visto che
era troppo impegnata a immaginare sentimenti ed emozioni negli occhi
del suo compagno.
“Di
cosa siamo capaci, a parte soffrire ed uccidere?” gli domandò.
Stefan
abbassò di nuovo gli occhi; la mascella rigida e le palpebre
socchiuse. “Basta focalizzarsi su tutto quello che può
farci male...e spegnerlo. Del tutto.” disse. Rebekah allora
intuì che, per un momento, quello che stava accadendo ad April
e Niklaus aveva punzecchiato quella parte di Stefan Salvatore che era
andata a farsi benedire anni prima, quando ebbe deciso di rinunciare
a quanto di umano potesse esserci in lui, pur di abbracciare
completamente la sua natura di vampiro.
“Spegnere
tutto? Così ci perderemo quanto di più bello ci possa
essere nel mondo: l'umanità.” disse Rebekah, con
un tono di voce soffuso, consapevole che forse anche Klaus li stava
ascoltando, se non era troppo intento a contare gli ultimi battiti
del cuore di April. Lei non aveva mai spento l'umanità e pensò
di non poter mai essere capace di fare una cosa simile: si
arrabbiava, uccideva, gridava, faceva tutto quello che di peggiore un
essere umano potesse essere capace, ma provava emozioni, negative che
fossero. Stefan invece non era altro che un involucro vuoto, riempito
del nulla.
“Il
mondo ci porta solo sofferenza, Rebekah.” rispose ancora
Stefan, ostentando ancora una volta freddezza. “Perché
mai dovrei accendere qualcosa che potrebbe uccidermi, come sta
succedendo a tuo fratello in questo momento?”
E,
dette queste parole, il vampiro lasciò lentamente la stanza,
lasciandosi seguire dallo sguardo di Rebekah. Lo sentì
chiudersi la porta violentemente alle spalle, e fu allora che Rebekah
capì che Stefan non stava parlando solo a lei, e non solo di
Klaus: stava ricordando a se stesso l'umanità che aveva
perduto.
* *
* * * * * * * * * * ** * *
“Questa
è cattiveria. Pura cattiveria.”
La
voce di April era ridotta a un flebile e impercettibile sussurro, che
poteva essere ben confuso con il suono dell'aria che li circondava.
“Per
una volta che non sono stato cattivo, tu mi dici l'esatto contrario?”
Klaus avvicinò le labbra all'orecchio sinistro, sfiorandole la
pelle arrossata e accaldata. Sorrise dolcemente, accarezzandole i
capelli con una mano e facendo sì che il corpo dell'esile
ragazza si accoccolasse ancor di più sopra il suo petto. Come
un cucciolo di cerbiatto, April tremava contro la sua gabbia
toracica, sfiorandogli il mento con i capelli ad ogni movimento della
testa. I loro corpi intrecciati erano avvolti dal calore delle
lenzuola candide che ricoprivano il letto.
April
però continuava a tremare, mantenendo
però il proprio sorriso.
“Roma,
Londra, New York...e ora Parigi? Questo è un colpo grosso, lo
sai?”
Klaus
si sforzò di sorridere nella stessa maniera in cui lo stava
facendo la ragazza, ma non gli riuscì. Lasciò scorrere
le labbra lungo i capelli della ragazza, quasi volesse lasciarvi
sopra dei baci, ma senza riuscire però a farlo per davvero. Si
limitò ad annusare silenziosamente il dolce floreale profumo
della ragazza, sentendolo spegnersi lentamente,
insieme al cuore di April.
“Hai
detto che volevi vivere il
più possibile prima di....” Non riuscì a
continuare quella frase, malgrado il concetto della morte che
arrivava e si portava via una vita umana era per lui una cosa nota.
Ma aveva dimenticato cosa si potesse provare nel star per
perdere qualcuno a cui si
teneva. La presa attorno ai fianchi di April si fece più
avvolgente. “Insomma, non avremmo avuto il tempo materiale per
poter fare un vero e proprio viaggio.”
Sì,
non potevano.
Per
via della malattia incombente.
Per
via di Mikael.
Era
un miracolo che entrambi avessero deciso di concedere loro un altro
po' del loro tempo da poter vivere insieme.
April
non smetteva di tenere le labbra tese in un verso di puro sollievo,
nonostante il volto pallido e madido di sudore, il tremore che
scuoteva le sue deboli membra, la morte che le stava baciando le
labbra e stava succhiando via la sua vita.
Ma
perché, perché non la smetteva di sorridere?
“Hai
fatto molto più di qualsiasi uomo che abbia conosciuto durante
tutta la mia vita.” gli rispose, chiudendo gli occhi e
adagiando maggiormente la testa sul petto di Klaus.
“Devo
presupporre che tu ne abbia conosciuti tanti allora.”
“Ma
perché devi sempre rovinare tutto?”
Klaus
e April scoppiarono a ridere insieme; la risata di lui a stento
trattenuta, quella di lei libera e fiera. Ma le provocò un
intenso dolore toracico che la costrinse a tossire ripetutamente. Il
vampiro non poté fare a meno di restare immobile ad
ascoltarla, sentendo che lei pian piano se ne stava ormai andando.
Quegli
ultimi quattro giorni e mezzo, fatto di sogni e baci, erano passati
più velocemente di quanto avrebbe mai pensato.
Avvertì
una strana sensazione di vuoto a livello del cuore e della mente,
quando iniziò a realizzare che era davvero sul punto di
finire, tutto.
“Comunque...
grazie davvero Klaus, per tutto quello che hai fatto per me.”
April pronunciò quelle parole con un debole sorriso sulle
labbra, e nascondendo il palmo della mano macchiato del suo sangue
alla vista del vampiro. Come se lui non avesse olfatto per
poterne sentire l'odore, oppure non avesse la vista per vedere
quella macchia sporcare involontariamente il lenzuolo su cui April
adagiò la sua mano.
“Siamo
ancora in tempo per impedirlo April...posso ancora trasformarti.”
le disse, con la disperazione di un uomo che vuole combattere il
tempo.
April
scosse la testa, smettendo di sorridere. “No, ho deciso oramai
e lo sai.” disse, con voce cadenzata, di qualcuno che era sul
punto di addormentarsi.
Un
sonno eterno.
Klaus,
sentendo che la risposta della ragazza aveva tardato ad arrivare, si
sentì sovrastare da un senso di disperazione crescente. Tenne
una mano sulla nuca della ragazza, e l'altra all'altezza del suo
ventre.
“Per...per
favore, April.” Il vampiro tenne il tono di voce saldo, fermo,
cercando di non lasciare trasparire il grande rammarico che pungeva
sui suoi occhi. Non era da lui, e non voleva cambiare proprio in quel
momento, visto che dalla sua forza dipendevano gli ultimi attimi di
April.
Sentì
il suono delle labbra della ragazza allargarsi in un sorriso.
“Che
fai, mi preghi adesso? Sappi che mi suona vagamente erotico, su
questo letto.” gli disse, cercando di risollevargli il morale,
malgrado quello fosse compito di Klaus.
Il
vampiro si ritrovò a sorridere insieme a lei, mentre qualcosa
premeva con forza sulle sue palpebre per uscire. Tirò la testa
all'indietro, ricacciando indietro quella fastidiosa sensazione.
“Vedo che non perdi mai la tua vena maliziosa, dolcezza.”
le disse.
Attese
che lei gli rispondesse, ma, eccetto il rumore del flebile respiro
della ragazza, non arrivò nulla. Abbassò gli occhi su
di lei, preso dal panico ch'ella si fosse spenta senza che lui se ne
fosse accorto, e la sentì schioccare la lingua.
“Niklaus?”
“Uhm?”
April
si morse il labbro, tenendo ancora gli occhi chiusi. “Klaus...credo
che sia giunto il momento.” disse, con voce carica di
dolore. Non fisico, ma di dolore dell'anima, di quell'anima che stava
per essere strappata via alla vita di una giovane e bella donna che
gli aveva cambiato la vita come nessuno aveva fatto da secoli.
Klaus
non rispose, si morse il labbro e tenne gli occhi bassi sulla nuca di
April. La luce delle numerose candele che illuminavano la loro stanza
vennero per un istante mosse dai pifferi d'aria che entravano dalle
finestre socchiuse. “Non ancora.”
“Sì,
invece.”
“Ti
ho detto non ancora!” Klaus parlò con rabbia,
rendendosene conto solo successivamente. Strinse più forte
April a sé, quasi stesse convincendosi che così facendo
l'avrebbe tenuta per sempre accanto a sé. Venne tentato dal
violare la promessa fatta, costringerla a bere il suo sangue e poi
ucciderla nella maniera più indolore possibile, attendendo che
poi tornasse alla vita.
Ma
poi l'avrebbe perdonato?
Avrebbe
accettato la nuova natura e l'avrebbe ringraziato?
No,
per una volta Klaus si sentì in dovere di rispettare la
decisione di qualcuno, anche se contro i suoi voleri. Perché,
probabilmente, era la stessa cosa che Niklaus e i suoi fratelli
avrebbero desiderato avere mille anni prima: la possibilità di
scegliere.
“Io..”
Klaus affondò il viso tra i capelli di April. “Io non
voglio...che te ne vada.”
Le
sue parole vennero soffocate dal contatto tra le sue labbra e i
lunghi capelli corvini della ragazza. La sentì più
piccola ed esile tra le sue braccia, come se stesse trasformandosi in
polvere ogni secondo che passava.
“Ma
chi te lo ha detto che me ne sto andando, Klaus? Io sono ancora
qui...resterò sempre qui.” disse debolmente.
“Oh
per favore, risparmiami queste stronzate metafisiche!” Klaus
avvolse le clavicole di April in un abbraccio stretto e tormentato.
Malgrado bruciasse di rabbia, non riusciva a donare alla propria voce
il giusto tono. “Tu verrai seppellita e il tuo corpo verrà
divorato dai vermi giorno dopo giorno. Non resterà più
nulla di te....”
“Tu
sai sempre come risollevare il morale, Nik.”
“....e
io non ti avrò più.”
April
riaprì gli occhi per un attimo nell'udire quelle parole.
Quelli, malgrado fossero stati sempre neri e penetranti, in quel
momento sembravano tendenti all'azzurro. Volse lentamente lo sguardo
verso Klaus, i cui occhi combattevano con l'incessante desiderio di
piangere. Non le avrebbe mai mostrato quella debolezza, e non avrebbe
mai voluto che lei la scoprisse proprio nel suo letto di morte.
“Klaus?”
“Solo,
è così che vuoi lasciarmi, April?” le
domandò.
È
così che voglio lasciarmi pur di rispettare la tua volontà?
Sentiva
ancora qualcosa premere per uscirgli da dentro mentre guardava il
volto pallido e smorto di April. Quest'ultima, dopo qualche secondo
di riflessione, allungò la mano verso il suo viso, e lo
accarezzò con delicatezza, adottando forza nel farlo, pur di
fronteggiare la debolezza che l'attanagliava.
“Io
mi sono innamorata di te, Klaus.” gli disse, e una lacrima
scese solitaria lungo il suo viso. Le lacrime di lei erano segno di
gran forza, poiché stava affrontando la morte con la paura, ma
con il coraggio di andare comunque avanti.
Quelle
che lui invece stava cercando inutilmente di trattenere era segno di
una grande debolezza: quello di non volerla lasciare andare e di
rimanere conseguentemente solo.
“Quando
si ama non si è mai soli.” April tirò su con il
naso, un singhiozzò le morì in gola poiché
troppo debole per uscire. “E nemmeno la morte può fare
nulla in questo caso.”
Klaus
le accarezzò la mano con la quale gli stava toccando il viso e
mantenne un'espressione fredda e ferma, mentre lei lo guardava con
occhi carichi di amorevolezza.
“Però
potresti dirmi anche tu che sei innamorato di me, o no? Una volta non
basta.” lo provocò April.
Klaus
abbozzò un sorriso. “E chi ti dice che io lo sia? Quello
era solo un attimo di debolezza.”
“Mi
stai facendo venire dei dubbi, sai?”
Il
vampiro non le diede modo di continuare: avvicinò le labbra a
quelle di lei, e le diede un lungo, candido bacio che spinse entrambi
a chiudere gli occhi per assaporare quel momento il più
possibile. April tirò la testa all'indietro, lasciandosi
cullare dalla sensazione di freddo formicolio sulla sua schiena,
mentre Klaus le schiudeva lentamente le labbra, per rendere il
contatto più intimo.
Sentiva
il petto di lei alzarsi e abbassarsi sotto il suo, il cuore battere
sotto il palmo della mano che lui le aveva posato sopra la camicia da
notte.
Poi
qualcosa mutò.
Un'improvvisa
freddezza attraversò il corpo di April: le sue labbra, la sua
carne...tutto si fece di ghiaccio.
Il
suo respiro si era improvvisamente arrestato, il cuore aveva iniziato
a battere con una lentezza quasi impercettibile, fino ad arrestarsi
del tutto.
Klaus
però non staccò le labbra da quelle di lei perché
se un barlume di vita le fosse rimasto, lui non voleva abbandonarla.
Voleva restarle accanto fino alla morte.
Le
lacrime, poche ma dolorose, iniziarono a solcargli il viso, quando
alzò il volto da quello di April e poté appurare con i
suoi stessi occhi che la ragazza era appena morta.
Morta.
Morta.
Venne
colto da un momento di disperazione, desideroso di urlare a gran gola
tutto il dolore che lo attanagliava. Venne poi investito da un
momento di rabbia, contro April, contro il mondo che gliel'aveva
portata via e desiderò distruggere tutto e uccidere chiunque
gli sbarrasse la strada.
Gettò
la testa all'indietro, chiudendo gli occhi e sentendo qualcosa
scattargli dentro. Quel dolore era troppo amplificato, troppo forte,
troppo fastidioso, e lui non poté sopportarlo. Allontanò
le mani dal corpo di April, ancora disteso in una posizione semi
supina, con le labbra rosse schiuse nel loro ultimo bacio di addio, e
fissò silenziosamente il soffitto.
Prese
quella decisione in un secondo, quando la paura di non saper gestire
quel dolore lancinante lo investì.
Lui
non era April, non era capace di
affrontare qualcosa di così oscuro con il suo coraggio.
Erano
secoli che non si lasciava investire da sentimenti del genere, e non
poteva permettersi il lusso di farlo proprio allora.
Chiuse
gli occhi con maggiore decisione e un sorriso gli solcò le
carnose labbra.
Spegnere
tutto.
Era
allietante il pensiero di poter sentire quel dolore fluire lontano da
lui, dal suo corpo e dalla sua anima.
Spegnere
tutto.
Lentamente
fu proprio la sua anima ad andarsene, insieme a tutto quel dolore e
quei desideri di sofferenza che avevano seguito la morte di April.
Una
parte di sé gli diceva che non era la soluzione migliore da
prendere, ma era l'unica che lo
avrebbe fatto sopravvivere più facilmente. E lui voleva,
doveva sopravvivere,
no?
Abbassò
gli occhi, quando sentì qualcosa scattargli dentro. Guardò
il corpo privo di vita e provò un pizzicore all'altezza del
petto, un qualcosa che durò solo per un secondo e che gli
ricordò quello aveva provato solo qualche attimo prima. Ma fu
tutta questione di un momento.
Aveva
spento tutto.
E
April se n'era andata per davvero.
Per
sempre.
E
con lei tutta la sofferenza che la sua morte gli aveva arrecato.
Sì,
perché era la cosa migliore da fare.
Lei
aveva assaporato la bellezza dell'umanità con lui e si era
lasciata morire, e lui aveva semplicemente fatto lo stesso.
Ora
anche lui se n'era andato.
* *
* * * *
Stefan
camminò per le strade di Chicago, con le mani dentro le tasche
dei pantaloni e l'aria assente, di chi non aveva alcuna voglia di
sopperire alla propria noia.
Non
voleva uccidere.
Non
voleva giocare.
Né
tanto meno pensare.
Voleva
solo camminare nel nulla, sperando di scacciare quel flebile fastidio
che si era irradiato dentro il petto. Quanto era successo ad April e
Klaus aveva scatenato qualcosa dentro di lui, qualcosa che
Stefan non poteva spiegarsi, qualcosa che aveva assopito negli angoli
più remoti del suo cuore dopo la morte di Katherine.
Perché
anche lui l'aveva persa.
Perché
anche lui sentiva che non l'avrebbe mai dimenticata.
Perché
lui sentiva ancora di amarla e di odiare se stesso per non averla
salvata in tempo.
Aveva
scacciato qualsiasi emozione che il suo ricordo potesse procurargli,
ma quelle erano prepotentemente tornate a farsi sentire quando aveva
ascoltato i sussurri di Klaus e April.
Come
pensi che Nik affronterà questo ennesimo abbandono?
Spegnendo
tutto.
Ma
era quella la risposta più giusta, visto che le emozioni
sembravano poterti rincorre qualcuno ovunque andasse?
Si
fermò di colpo, quando in fondo alla strada scorse un'ombra
immobile, che pareva lo stesse osservando. Se era un ubriacone che
aveva intenzione di attaccar briga, aveva scelto il momento
sbagliatissimo. Stefan era irritato e avvertiva un certo languorino a
livello dello stomaco; lo aveva ignorato fino ad allora poiché
preso a filosofare su qualcosa che, invece, avrebbe dovuto subito
spegnere, prima che lo investisse completamente.
Stefan
s'inumidì le labbra; i suoi occhi si fecero completamente neri
per la fame, la rabbia e la voglia di essere di nuovo se stesso,
un vampiro affamato di sangue e morte. Ma quando la coltre di
nebbia sembrò dileguarsi sotto la luce della luna, il ragazzo
si fermò di colpo.
I
suoi occhi si fecero sgranati, ma ripresero il loro naturale colorito
verde foglia, mentre fissavano un paio di occhi cerulei
nell'oscurità. La sua bocca rimase dischiusa in mute parole,
mentre delle labbra si allargavano in un sorriso sereno, per via
della sua presenza.
Damon
se ne stava immobile nel buio, con le mani dentro le tasche dei
pantaloni, gli occhi sempre vispi e profondi e un sorrisetto sulle
labbra, un qualcosa che Stefan trovò odioso. Ma che gli
ricordò tanto di quella vita che lui e suo fratello avevano
vissuto insieme, memorie e ricordi che erano tornati a galla con la
morte di April. E si ritrovò a nutrire nostalgia per quei
tempi andati e rinnegati.
Si
aspettò che il fratello gli dicesse qualcosa, che lo
rimproverasse per i numerosi crimini commessi oppure che lo
abbracciasse, dicendogli che gli era mancato e che sarebbe sempre
stato suo fratello. Invece quello non disse nulla: restò
immobile a fissarlo per qualche secondo, per poi muovere qualche
passo all'indietro e allontanarsi definitivamente.
Stefan
sbatté le palpebre più volte. Abbassò poi gli
occhi, quando comprese il significato del gesto di Damon.
Lui
voleva solo appurare che stesse bene.
Niente
più.
Non
voleva cambiarlo o portarlo via con sé, ma solo verificare che
il suo fratellino fosse in vita.
Ed
era bello, non essere davvero completamente soli.
Stefan
sentì un sorriso sincero montargli sulle labbra, ma scosse poi
la testa, quasi scottato dal tocco di tutte quelle emozioni positive
in lui.
“Meglio
andare a mangiare.” disse, giusto per riprendere in mano il
proprio ruolo.
Ma
quando diede le spalle al punto in cui fino a poco prima si trovava
Damon, non riuscì a non sorridere di nuovo.
*”you
bleed just to know that you're alive” ho modificato questa
frase della canzone, associandola alla condizione di Rebekah.
Abbelli!
:D
Ok,
siamo giunti alla fine di questa avventura, anche se in realtà
manca il brevissimo epilogo conclusivo per scegliere la casella
“completa” nella pubblicazione di questa storia...spero
davvero che questo finale non abbia deluso nessuno e che sia stato
emozionante come mi sarebbe piaciuto renderlo.
Finalmente
abbiamo compreso il motivo per cui Rebekah ha mostrato così
tanta affinità per April: è una motivazione che a molti
potrebbe risultare banale e scontata, ma è stato un punto
cardine per instaurare un rapporto tra queste due bellezze. Inoltre
vorrei chiarire il motivo per cui Esther, essendo una strega, non
abbia fatto nulla per guarire la figlia: ho deciso di fare così
sulla base del fatto che le streghe non hanno il “diritto”
di rovesciare l'equilibrio naturale delle cose, e la malattia è,
purtroppo, una cosa molto naturale. Inoltre la morte di questa
ipotetica sorella ha avuto luogo prima della faccenda di Henrik.
Passando
ora a Stefan...a qualcuno ho detto che ci sarebbe stato un barlume di
umanità in lui verso la fine della storia, ne siete stati
soddisfatti? La scena Defan era d'obbligo per spiegare la presenza di
Damon a Chicago. Io ho sempre apprezzato il loro rapporto (quando non
era presente l'indecisione di Elena o la stronzaggine di Kath a
separarli) e ho deciso di dare loro insieme un brevissimo spazio. Ho
fatto sì che non ci fosse un vero e proprio contatto tra i
due, ma solo dei semplici sguardi che rendessero entrambi di essere
ancora fratelli e di non essere soli a quel mondo. Malgrado la
lontananza, i dissapori, entrambi sanno che potranno sempre
ritrovarsi.
Per
quanto riguarda Klaus e April...beh, su loro non so che dire senza
provare un groppo in gola. Chi mi conosce, e probabilmente anche voi
che non mi conoscete direttamente, sa quanto io sia autocritica e
raramente mi sento soddisfatta di quello che creo. Ma in questo caso
mi sono davvero emozionata a scrivere di questi due...e spero che per
voi sia stato lo stesso :')
Ok,
la chiudo qui. La prossima settimana metterò davvero un punto
a questa long, fornendo i giusti ringraziamenti a tutti. Molti di voi
mi sono stati davvero vicini, hanno mostrato entusiasmo per questa
storia e mi hanno fatto sorridere con le loro parole. Ringrazio anche
tutti i lettori silenziosi che hanno speso tempo nel seguirmi.
Ribadisco che ci sarà un vero e proprio ringraziamento
nell'epilogo conclusivo e in cui, davvero, non saprei come mostrarvi
la gratitudine che vi devo!
Ci
rileggiamo la prossima volta e vi auguro di passare una buona serata!
Ciaoooo
<3
Cosa
non meno importante...il bellissimo banner a inizio capitolo è
stato creato dalla bravissima Elle
https://www.facebook.com/pages/E-L-L-Es-stuff/723648977662054?fref=ts
È
davvero bravissima, vi consiglio di visionare i suoi lavori perché
meritano molto!
|
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Capitolo 16 *** Epilogo: This fatal love was like poison right from the start ***
http://www.youtube.com/watch?v=QOBy7AVc82M
-Epilogo:
This fatal love was like poison right from the start-
Fatal
torch final
thrill Love
was bound to kill October
& April
E
le notti di Chicago tornarono ad essere bagnate dal sangue e
soffocate dalla paura.
Klaus
si sentì bene, come non lo era stato da molto tempo, mentre
succhiava goccia dopo goccia il sangue di una giovane e solitaria
fanciulla che aveva deciso di entrare in quel locale alla ricerca di
un altro cuore spezzato come il suo.
La
poverina aveva scoperto che il fidanzato la tradiva e Klaus si è
dunque offerto di farle compagnia.
Dopo
un lungo bacio rubato, e una mano che scorreva vorace sul braccio di
lei, il vampiro l'aveva azzannata al collo senza alcuna pietà,
strappandole la carne e facendo scorrere la lingua lungo la sua pelle
bagnata di sangue.
Stava
bene, anzi benissimo, mentre la uccideva.
Meglio
di quando stava con lei.
Ci
volle un secondo per scacciare il ricordo di quella donna dalla sua
mente, e lasciare il collo pallido della vittima, ormai morta nel suo
abbraccio.
Tutte
le donne mi muoiono tra le braccia, pensò
ridendo, con le labbra tinte dal colore scarlatto del sangue.
E
gli ci volle un altro secondo per scacciare di nuovo il ricordo di
lei.
Dio,
quanto si stava bene quando nessun vento di umanità
attraversava le pareti che avevano murato il suo cuore, impedendole
così di arrivare in fondo alla sua anima. Era una
sensazione bellissima, e non gli importava di avvertire quello
strano senso di vuoto dentro di sé, vuoto da ricolmare con
qualcosa che la sua mente rinnegava, ma il ricordo di qualcosa di
soffuso reclamava.
Lasciò
il cadavere della fanciulla sul divanetto, protendendosi poi verso la
tendina che affacciava sulla sala. Non poté dirlo con
certezza, ma gli parve di vedere Rebekah e Stefan scambiarsi un bacio
appassionato sulla pista da ballo, dopo essersi cibati di un'altra
sciocca vittima in uno dei privé ai piani superiori del
locale.
Klaus
si alzò in piedi, sistemandosi il colletto della camicia e
sorridendo soddisfatto.
Erano
vampiri.
Lo
erano sempre stati, e mai come lo erano allora.
Non
c'erano sentimenti.
Non
c'erano emozioni.
Non
c'erano cuori che battevano o cuori che spiravano.
Niente.
C'erano
loro e c'era il sangue.
Fece
per uscire dal suo angolo buio, quando una serie di spari rimbombò
nel locale. Cadde subito sulle ginocchia per ripararsi dietro alcune
poltrone, e lo stesso fecero tutti i presenti, attanagliati dalla
paura. Il rumore assordante di grida e proiettili riempirono l'aria.
Il
vampiro pensò potesse trattarsi di qualche lotta tra clan
mafiosi o che la polizia avesse fatto irruzione nel locale e fosse
pronta ad arrestare tutti per la violazione delle leggi del
proibizionismo, quando qualcosa lo turbò: vide un uomo che,
nell'intento di scappare, venne colpito da uno di quei proiettili. Lo
osservò cadere davanti alla tenda del suo privé e notò
che il proiettile era fatto di legno.
Mikael
li aveva finalmente trovati.
“Rebekah!”
Klaus scappò fuori dal privé, facendosi largo tra la
calca di persone in fuga. Ne scansò alcune, dirigendosi verso
sua sorella e Stefan che sembravano essersi nascosti dietro il
bancone del bar.
“Rebekah,
dobbiamo andarcene di qui!” gridò a gran voce, valicando
tutte quelle dei presenti.
Spinse
via uno stolto grassone che gli finì addosso e lo lasciò
cadere a terra; vide poi Rebekah alzarsi rapidamente in piedi per
dirigersi verso di lui. La prese per il polso con irruenza, e si
apprestò a portarla via, ignorandola mentre pronunciava il
nome di Stefan e quest'ultimo faceva lo stesso con lei.
“Va',
ora ti raggiungo.” Klaus la spinse con poca delicatezza verso
la porta che affacciava sul retro, per poi voltarsi verso Stefan.
“Ma
Nik...”
“VAI
ORA!”
Sciocca,
che tentennava pur di non
perdere la mano del suo vampiro.
O
meglio del suo amato?
Era
ora che tutto questo giungesse a una fine.
Klaus
si girò completamente verso Stefan, mentre Rebekah obbediva
seccata al volere del fratello. Il suo giovane compagno, intanto, si
era chinato per prendere qualcosa dal pavimento, ma Klaus glielo
impedì, posando la mano sulla sua spalla e costringendolo a
guardarlo.
“Mi
spiace davvero molto che tutto debba finire qui, Stefan.”
Il
giovane vampiro lo guardò con sguardo vacuo, incapace di
comprendere quello che stava accadendo. “Non capisco di cosa
tu....”
“Ti
ringrazio per essere stato un amico, un vero amico per me.”
Klaus gli impedì di proferire ancora parola. Legò i
suoi occhi a quelli di lui, imprigionando la sua volontà a
quella di lui.
Aveva
poco tempo,prima che Mikael potesse trovarli, e si chiese per
quale motivo perdesse tempo a pronunciare quella frase.
Forse
per ricordarsi che non era stato solo? Proprio come non lo era
stato con lei.
Stefan
lo guardò, confuso e turbato.
“Ti
dimenticherai di me, di Rebekah e di tutto il bel tempo che abbiamo
passato insieme.” Klaus posò una mano sulla guancia
dell'amico, affilando lo sguardo. “Non rammenterai nulla.”
E
sorrise, quando vide che Stefan stava socchiudendo gli occhi,
abbassando le palpebre sull'ultimo ricordo che aveva di Klaus.
Oh,
ma stava solo facendogli un favore.
Stefan,
in fondo, nutriva qualcosa di sincero per Rebekah, e fargli
dimenticare di lei era il dono più dolce che lui potesse
dargli, visto che non si sarebbero più rivisti.
Stefan
aveva già spento tutto, ma
una piccola luce si era riaccesa grazie a Rebekah, e Klaus lo privava
di questa, solo per rendergli le cose più semplici e non
fargli provare quel senso di oscuro dolore che poteva giacere nel
cuore di un amante abbandonato e che lui aveva provato tempo prima.
Se
avesse potuto, anche lui si sarebbe rimosso dalla mente il ricordo
del profumo di April. Anche se una parte di lui gli diceva che non
averla mai conosciuta sarebbe
stato terribile.
Quando
Stefan chiuse completamente gli occhi, Klaus posò di nuovo la
mano sulla sua spalla, dandogli una pacca.
E
poi scomparì per sempre dalla sua vita.
We
were like loaded guns Sacrificed our
lives
We
were like love undone Craving to
entwine
“Rebekah
muoviti! Dobbiamo andarcene subito. Ora.”
Klaus
aveva già predisposto tutto per lasciare Chicago ancor prima
che Mikael rivelasse il proprio arrivo, ma trovò sua sorella,
immobile e in attesa in un vicolo nei pressi del locale di Gloria.
“Non
senza Stefan.” sussurrò, come una bambina capricciosa
che aspettava di avere il gelato che le spettava.
Klaus
sospirò, e si guardò attorno preoccupato. “Attendi
invano allora.” le disse. “Stefan non ha alcun interesse
a venire e noi dobbiamo muoverci.”
“No!”
Rebekah batté i tacchi sul marciapiede, guardando freddamente
il viso del fratello. “Ce ne andremo solo una volta recuperato
Stefan da lì dentro. E partiremo tutti e tre insieme.”
Klaus
sbuffò seccato, quando vide la sorella dirigersi nuovamente
verso la porta sul retro del locale di Gloria. “Sì,
sempre se ricorderà chi diavolo sei, Rebekah.” sussurrò
scherzosamente, sapendo che lei lo avrebbe sentito.
La
sorella si fermò per qualche secondo, immobile e rigida nel
buio della loro ultima notte a Chicago.
“Su,
andiamocene. Muoviti.”
Klaus
tese la mano verso di lei, quando la vide girarsi debolmente nella
sua direzione. Ricevette un'occhiata sconvolta e bagnata di lacrime
da parte della sorella. Quella lo fissò con il labbro
superiore tremante, mentre le lacrime iniziarono a scendere solitarie
lungo la sua pelle.
“Che...”
Si schiarì la voce, quando si accorse che questa era tremante.
“Che cosa hai fatto?”
Santi
numi, perché tutti lo guardavano a quella maniera malgrado lui
li stesse aiutando?
“Non
posso spiegartelo ora. Dobbiamo andare!” L'afferrò per
il polso con la stessa mancata delicatezza di poco prima, ma Rebekah
si oppose alla sua forza.
“Io
sono stanca di scappare, lo facciamo da una vita Nik!” esclamò,
perdendo quasi l'equilibrio pur di liberarsi della presa di suo
fratello.
“Allora
preferiresti farti ammazzare per caso?”
“No,
ma io voglio stare con Stefan.” squittì la ragazza.
Klaus
fissò il volto di sua sorella, scoccando la lingua, quasi
divertito. “Devi scegliere allora, mia cara.” la
intimò. “Lui o me?”
Rebekah
si morse il labbro con forza, abbassando gli occhi, e senza
rispondere. Klaus lo sapeva che, alla fine di tutto, lei avrebbe
sempre scelto lui, la sua famiglia, l'unico amore sincero che poteva
provare. Tutti gli altri, tutti gli uomini che aveva amato, non erano
nulla in confronto all'affetto incondizionato che lei provava per i
suoi fratelli. E poi, dopo la faccenda di April, Rebekah era
sicuramente più intenzionata a restare vicina al fratello
maggiore. Malgrado sapesse che lui avesse rimosso ogni tipo di
sentimento dal suo corpo.
“Come
immaginavo.” disse, soddisfatto di quella vittoria così
scontata. “Vado a preparare la....”
“Addio
Nik.”
Klaus
si bloccò, poco dopo aver imboccato il cammino che lo avrebbe
portato verso la loro auto, posteggiata in un punto isolato. Gli
parve di sentire qualcosa scoppiargli violentemente dentro il petto
dopo aver ricevuto quell'ennesima pugnalata, dritta nel punto in cui
il suo cuore aveva battuto fino a un millennio prima.
Non
era possibile.
Tutti
lo stavano abbandonando.
Gli
mancò quasi il respiro, a causa della rabbia che incendiò
la sua ragione.
Rebekah
gli preferiva l'amore.
April
gli preferiva la morte.
E
lui restava solo.
Il
ricordo di quel dolore riemerse in lui, quando comprese che Rebekah
aveva per davvero pronunciato quella frase. Lo stava lasciando solo,
malgrado April avesse fatto lo stesso pochi giorni prima.
“E
non puoi fare nulla per impedirmi di andare, Nik.” Rebekah
parlava con una disperazione mal celata, poiché l'allontanarsi
dal fratello le procurava comunque un'immensa tristezza e rammarico.
Non le stava dando altra scelta se non quella di abbandonarlo.“Non
puoi cancellarmi il ricordo di Stefan, come hai fatto con lui.”
“Come
puoi rischiare tutto per qualcosa di effimero come un sentimento!?”
Klaus si girò rabbioso verso di lei, vedendola così
piccola e inerme nel buio di quel vicolo.
“Effimero
o meno, è qualcosa che ci rende vivi, Nik.” lo riprese
la sorella, scuotendo lievemente la testa e i lunghi capelli biondi.
“E io non voglio spegnere tutto, come hai fatto tu per
poterla dimenticare. Il fatto che tu non abbia avuto una possibilità,
non vuol dire che anche io me ne debba privare.”
Klaus
e Rebekah si fissarono a lungo, e per quella che avrebbe dovuto
essere l'ultima volta. I loro occhi chiari si legarono, per
poi strapparsi nel modo più repentino, quando Rebekah si girò
di scatto, pronta a raggiungere il suo Stefan.
“Mi
spiace, Bekah.”
Rebekah
sussultò, nel momento esatto in cui Klaus le si parò
davanti e la trafisse con il pugnale, con il quale le avrebbe donato
il sonno eterno. Vide sua sorella boccheggiare, le sue mani
portarsi la petto, a stringere il manico del pugnale, attorno a cui
si trovavano anche le mani di Klaus. Lei alzò gli occhi spegni
e lucidi sul fratello, mentre la sua pelle iniziava ad assumere un
colorito grigiastro. Era di nuovo ricorso ai pugnali intrisi di
cenere di quercia bianca per impedire che un suo fratello se ne
andasse. Mai e poi mai avrebbe creduto di usarlo sulla sua
sorellina, perché non aveva mai preso per vera l'ipotesi che
lei potesse lasciarlo, fedele e devota com'era.
Klaus
non provò colpa nel farlo, perché lo faceva per lei.
L'avrebbe
salvata da Mikael, da quell'amore che avrebbe condannato sia lei che
Stefan, e l'avrebbe salvata dal mondo intero. Non era riuscito a
farlo con lei, perché aveva deciso di rispettare la sua
decisione, ma non sarebbe accaduto lo stesso con Rebekah. Non avrebbe
perso anche lei solo per aver rispetto di lei.
L'avrebbe
tenuta con sé per sempre, anche se questo sarebbe significato
farla soffrire.
“Avrei
dovuto continuare a essere me stesso, sempre.” le
sussurrò Klaus all'orecchio, nel momento in cui Rebekah parve
quasi soffocare e gli cadde tra le braccia. Le accarezzò i
capelli morbidi e dorati, proprio come aveva fatto con April la notte
in cui morì. “Non l'avrei persa. E ora non perderò
te.”
“Nik...no.”
Rebekah emise i suoi ultimi ansiti, prima di chiudere gli occhi per
sempre. Il corpo della ragazza si accasciò contro il suo
petto, e Klaus la strinse a sé, cadendo sulle ginocchia
insieme a lei.
Si
disse che l'aveva salvata, che lo aveva fatto per il suo bene.
Per
salvarla, ed era riuscito a
farlo.
Sorrise
sollevato, prima di prendere la sorella tra le braccia e allontanarsi
nel buio.
Sì,
un amore non avrebbe ucciso nessuno quella notte.
Anche
se, probabilmente,questo sentimento letale avrebbe continuato
a vivere come avrebbe fatto nel buio che attanagliò Klaus in
quel momento.
Like
hate & love Worlds apart This
fatal love was like poison right from the start Like
light & dark worlds apart This
fatal love was like poison right from the star
(October
& April by The
Rasmus Feat. Anette Olzon)
Eravamo
come pistole cariche Abbiamo
sacrificato le nostre vite Eravamo
come amore incompiuto Bramoso
di intrecciarci Fatale
torcia Brivido
finale L'amore
doveva morire Ottobre
e aprile
Come
odio e amore, come luce e ombra
Mondi
lontani
Questo
amore fatale è stato come veleno fin dall'inizio....
October
& April
Ed
eccoci qui con l'epilogo di questa storia! :D
Prima
di passare ai ringraziamenti che vi devo, ho delle piccole
precisazioni da fare al riguardo. Leggendo le recensioni passate, mi
sono resa conto che molti confidavano in una sorta di “pseudo
lieto-fine” di questa storia. E, invece,ho deciso di optare per
un finale amaro, riprendendo gli eventi della 3x03 in cui Klaus e
Rebekah sfuggono a Mikael, lasciandosi dietro il nostro Stefan, anche
se le scene sono un po' diverse per rimanere in linea con la trama
generale della storia.
Inoltre,
nel finale prevale un'altra sorta di amore che chiude questa storia:
quello contorto e illogico di Klaus per sua sorella Rebekah, il quale
viene reso ancora più possessivo e oscuro dal dolore che Klaus
ha provato per la dipartita di April, nonostante abbia cercato di
spegnere quanto provato per lei. Lui, permettendo ad April di
scegliere della sua vita, si è ritrovato con una voragine nel
petto e sa che, se avesse lasciato fare a Rebekah lo stesso, avrebbe
provato un ulteriore dolore. Ordunque, il vampiro ha deciso di
pugnalare la sorella e tenerla con sé per sempre, proprio come
è accaduto nel telefilm alla fine. Spero che comunque questa
chiusura non abbia deluso nessuno: essendo una storia drammatica ho
preferito chiuderla in questo modo.
E
ora...passiamo un po' a ringraziare tutte le meravigliose persone che
hanno seguito questa storia.
Ringrazio
coloro che hanno inserito questa storia tra i preferiti:
1
-Bekah99 2
-Bunnydelena 3
-Defan64 4
-elyforgotten 5
-fwrgjiwrjnfre 6
-Hayley9 7
-klaroline01 8
-SweetRevengeMCR
Chi
l'ha inserita tra le ricordate:
1
-Cristie 2
-LaPerla
E
chi l'ha inserita tra le seguite:
1
-ALLY98 2
-AngelCruelty 4
-Deademia 5
-Desyree92 6
-Iansom 7
-ImAdreamer99 8
-jj96 9
-Kary91 10
-Ketry 11
-kikketta4ever 12
-Mrs
Dark 13
-nagi994 14
-piantina 15
-robiva 15
-Sere
Le Fay 16
-strayeah_corvaglia 17
-SweetSmile 18
-taisha 19
-Tess
36 20
-_Elisewin_
In
particolar modo un sentito e speciale grazie a Elyforgotten,
Iansom, Kary91, Taisha, AngelCruelty, Defan64, Tess36,
Strayeah_Corvaglia (e
anche Bekah99,
Imadreamer99, Niandelena e
Sere
Le Fay)
per
aver recensito la storia. Molte di loro hanno davvero amato la mia
storia e l'ho potuto evincere dalle bellissime parole che mi hanno
costantemente rilasciato a ogni capitolo. Hanno fatto sì che
credessi in me stessa, nelle mie capacità, nella mia storia,
mi hanno fatto ritrovare tra le mani un lavoro che ho apprezzato più
di quanto abbia fatto quando ero sola a scriverlo e leggerlo: mi
hanno fatto amare il mio stesso lavoro attraverso le loro
meravigliose parole. Io davvero non so che cosa dire per potervi far
capire quanto siete state importanti per me e quanto mi avete dato in
questo lungo periodo. Perciò grazie,
grazie, grazie!! Fornirò
poi a ciascuna di voi un personale ringraziamento nelle recensioni a
cui ancora, purtroppo, non ho potuto rispondere.
Spero
di rileggervi presto e di non avervi “tradito” nemmeno
ora con la chiusura della mia storia.
Ovviamente
ringrazio di cuore anche coloro che hanno letto silenziosamente
questo racconto, nella speranza che lo abbiano apprezzato.
Vi
auguro di passare una serena domenica e ci rileggiamo alla prossima.
Un
bacio a tutti voi.
Lelahel
ps_lo
ribadisco, non pensate che sono una cafona: risponderò alle
recensioni il prima possibile! u.u scusatemi davvero!
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