Memorie delle mie Caravelle Portoghesi

di Queen of Superficial
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di resurrezioni e ovini ***
Capitolo 2: *** Evening drama ***
Capitolo 3: *** La luce dei fatti. ***
Capitolo 4: *** I see fire. ***
Capitolo 5: *** Fuga all'inglese ***
Capitolo 6: *** Lo stregone voodoo pazzo con il serpente a tracolla ***
Capitolo 7: *** Vi auguro la tempesta ***



Capitolo 1
*** Di resurrezioni e ovini ***


Breve storia della Caravella Portoghese,
ovvero
“pensavo fosse una medusa, e invece era un calesse.”

 

La Caravella Portoghese è un sifonoforo della famiglia delle Physalidae.
Viene spesso confusa con una medusa, sebbene sia una colonia di 4 tipi diversi di polipi la cui sopravvivenza è possibile solo a condizione che essi restino, tassativamente, insieme.

 

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Colombo non ha scoperto l'America;
l'ha trovata per caso, mentre cercava qualcos'altro.”
(Io, alle 7.44 di mattina al portiere)

 

 

When there's nothing left to burn,
you've got to set yourself on fire.

 

 

La punta di un lungo bastone da passeggio in noce scavava piccoli cerchi concentrici nel terreno soffice del parco.
“Non so come mi abbiate persuaso a venire qui oggi, ma una cosa è indubbia: il clima di Londra è un omicidio premeditato al mio equilibrio psicofisico.”
Un silenzio accompagnato dai grilli e dalle fronde mosse dal vento si posò tra i presenti.
“Non riesco a camminare, in questo terriccio umido di pioggia e bava di lumaca.”
“Come la fai lunga... - intervenne una voce femminile – siamo venuti qui a prendere un po' d'aria.”
L'uomo si voltò verso l'interlocutrice, aggrottando le sopracciglia.
Una lingua di sole scintillò vivace sul monocolo che portava all'occhio destro.
“Sono abbastanza certo che ci sia aria anche fuori da Holland Park, Juniper.”
Longilinea come sempre, meno ragazzina negli abiti, e i capelli non più bianchi come il latte, Juniper Morrissey osservava un po' il vecchio amico e un po' le anatre nel laghetto appoggiata al tronco di un pino. Onde spettinate biondo grano le sfioravano le scapole.
Fleur sollevò il naso verso il cielo per intercettare la direzione di uno stormo di uccelli che vedeva poco e male.
Tutto, nell'aria di Londra, tintinnava di primavera.
Mariti, mogli, chitarre, nipoti, ricordi, canzoni, capitoli, articoli, alberi di Natale, bottiglie di birra, piogge e foglie di tè.
Una vecchia signora spingeva un passeggino verso di loro; al suo interno, si agitava un bambino paffuto con in mano una quantità di oggetti che producevano un suono assordante.
La signora e il carico si fermarono davanti a Juniper, che venne additata da un indice paffuto, e quindi annunciata: “Bissi.”
“Bliss!”
Da lontano, di corsa, scandendo meglio del bambino, qualcuno arrivava.
I capelli sempre neri, portati lunghi, che si agitavano nel vento gentile. Un maglione troppo grande, i passi che affondavano tra l'erba.
Bliss sollevò la testa e incrociò due occhi gialli, suoi vecchissimi amici, così come lo erano il viso nel quale erano contenuti e tutto ciò che lo circondava.
Ria si fermò a prendere in braccio Bingham, che le afferrò due ciocche di capelli e le tirò come i cordoni di una campana.
Liberandosi gentilmente dalla morsa d'acciaio dell'infante, guardò i propri amici:
“Avete visto Matt?”
“No.”
“Avete visto Fiorellino?”
“No.”
“Che avete visto?”
“Le anatre.”
Le anatre.
Era stata ad Huntington Beach per quasi due anni. C'erano le anatre anche lì, ma Los Angeles non le piaceva. L'unica cosa che aveva, in America, era la sua famiglia. Tutto il resto, quasi ogni altro pezzo di quell'immaginifico puzzle che era e sempre sarebbe stato la sua anima, risiedeva ancora a Londra.
“Questo bambino è veramente brutto.”
“Bliss...”
“No, dico sul serio. Brutto proprio. Però è simpatico. Magari crescendo diventerà, non so, un tipo.”
Bliss sollevò Bingham con una certa circospezione.
“Brutto forte.”, sentenziò, dopo averlo esaminato. Poi se lo mise sotto il braccio come un salame. Bingham rise, e si agitò leggermente. Bliss, dal canto suo, gli poggiò una mano in testa con fare paternalistico.
“Bisognerà insegnargli a suonare qualcosa o morirà vergine.”
Il piccolo allungò una manina paffuta e strinse forte il pugno intorno al preziosissimo noce da passeggio di Fleur.
“Creatura, lascia il bastone.”
La creatura sputacchiò aggrottando le sopracciglia.
Fleur, sempre più preoccupato, tentò di strattonare leggermente il bastone verso di sé, ma Bingham non era di questo avviso.
“Ria, rimuovilo.”
Ria, voltandosi a cercare con lo sguardo qualcun altro, cercò distrattamente di liberare il bastone dalla presa delle piccole dita. Il bambino era forte.
“Senti”, disse Fleur a Bingham, tentando l'approccio discorsivo.
“Stiamo facendo un picnic?”
“Oh, Matthew, grazie a Dio.”
“Bing, lascia il bastone dello zio Gregory.”
Lo zio Gregory, ostaggio di un improvviso tic all'occhio, stirò un sorriso innervosito.
Bingham mollò la presa e agitò le braccine verso suo padre, che lo prese in braccio e gli poggiò il mento sulla testa.
“Ti somiglia.”, affermò Bliss, sorridendo giuliva.
Ria le rifilò un'occhiataccia.
Avreste dovuto, o magari voluto, esserci; particelle nell'aria, merli in osservazione, insomma, comunque testimoni di quanto stava accadendo.
Non si erano più rivisti tutti insieme dalla festa di laurea di Ria, e quelli tra loro che si erano rivisti, si erano rivisti poco e male.
Erano come tazzine di porcellana invulnerabili al tempo.
Non un dettaglio dell'antica chimica che li legava era andato perso, non una virgola, un momento di silenzio imbarazzante, un'esitazione nella voce, un sorriso di circostanza.
“Vi odio.”, sentenziò Fleur, appoggiandosi al tronco di un sicomoro con la sigaretta tra le labbra.
“Vi odio”, ripetè mentre l'accendeva, “voi e i vostri volti, e i vostri anni, e tutti i ricordi che mi stanno soffocando di malinconia.”
“Hai rotto la minchia, Fleur.”, soggiunse Bliss, poetica, aggrappata allo stesso tronco ma dall'altra parte.
“Non sono ricordi. Sono parti. Parti di noi.”, disse invece Ria, con un sorriso.
Dominic, Chris, Fiorellino e tre vassoi da asporto che fumavano di cappuccino spinsero gli sguardi a rivolgersi verso est.
Ria si fece vicina a Matt, approfittando della distribuzione delle tazze.
“Penso che abbiamo bisogno di un momento.”
“Sì”, disse Matt, dimenticando uno sguardo negli occhi di Ria.
E, insieme, si avviarono verso il lago.

 

This scar is a flack on my porcelain skin
you tried to reach deeper, but couldn't get in
now you're outside me
you see all the beauty
repent all your sins

 

L'acqua del lago si avvicinava e io facevo la conta delle mancanze.
“Alla fine avevi ragione tu. Ci è esploso tutto tra le mani.”
Aveva ragione Pluggie, più che altro, pensai.

Non innamoratevi mai di una rockstar. Spaccano i cuori come spaccano le chitarre.
Qui non c'erano neanche gli estremi per capire chi avesse spezzato il cuore a chi.
Che poi, spaccare non è spezzare. E' qualcosa di più.
Spezzare è un gesto unico, secco; spaccare, invece, è ben più confusionario. Ci vuole un impeto di rabbia, per spaccare qualcosa. Un momento in cui colpire alla cieca, ancora e ancora. Spezzare, in un certo senso, è più elegante.
“Ti ho spaccato il cuore?”
Il silenzio rispose alla mia domanda al posto suo.
Uno stormo di uccelli fece vibrare le fronde di un albero prima di librarsi in volo sopra le nostre testa.
“Io ho fatto lo stesso a te.”, disse infine.
Stava invecchiando, ce lo aveva negli occhi.
Adesso era un padre. Un uomo.
Chris era l'unica persona che potesse far risultare credibile il connubio di padre e rockstar, ma mi era ben chiaro il perché. Era un po' sempre stato l'uno e l'altro, non si era dovuto arrabattare per cucirsi addosso un altro ruolo, cercando di starci dentro il meno scomodo possibile.
“Dunque, viviamo ancora.”
Matt scoppiò a ridere.
“Ria, baby. Vedo che continuo a non essere del tutto certo di afferrare il senso di quello che dici.”
Gli sorrisi.
“E la cosa ti rassicura, in qualche modo?”
Guardò davanti a sé, poi me. “Beh. Sì.”
“Intendevo, comunque, che mi riusciva difficile immaginare una vita senza te. Mi riusciva difficile prima di incontrarti, dopo averti incontrato, nel momento esatto in cui tutto finiva tra noi, e anche dopo, quando ero con Jimmy, ad Huntington Beach, e la stavo già vivendo, quella vita. Ho passato lunghi pomeriggi dentro un divano enorme, con le gambe sulle ginocchia di Synyster, a costruire complicati algoritmi per decifrare messaggi nascosti in vecchi libri scritti in Early Modern English, a sfornare torte, e nella sera più rigida che abbiamo avuto in questi anni tutto ciò che mi è servito è stato un golfino.”
Rise.
“Inaudito.”
“Lo è.”
Mi sedetti in silenzio sull'erba e mi accesi una sigaretta. Lui prese posto accanto a me, e per un po' si lasciò guardare.
Più vecchio. Più preoccupato. Meno Manson e più biberon. Niente droghe, neanche leggere. Cercava di sorridere, e io cercavo di immaginarmelo. In due anni, niente. Neanche gli auguri di Natale. Solo, le rose al compleanno. Senza biglietto. Non sapevo neanche se fossero davvero le sue, ma mi piaceva pensarlo.
Io non avevo più maglie delle band, portavo lunghi maglioni, jeans e ballerine. Mi soffiavo sulle mani dallo smalto rosa neutro per combattere il freddo. Raramente qualcuno che non fosse Jimmy vedeva i miei tatuaggi. Il contrasto che facevo con lui, invece, ancora pieno di tatuaggi e ancora pieno di magliette di Nancy Sinatra, faceva sorridere, a Los Angeles.
Ma eravamo a casa, qui. Nel vecchio continente. Non c'erano abbastanza mandarini, bambini chiassosi e persone che parlavano una distorta lingua vagamente simile all'inglese.
“Sarei dovuta restare a Londra.”
“Saresti dovuta restare con me.”
Mi voltai meccanicamente verso di lui.
“Sei sempre bellissima. La più bella che io abbia mai visto. Anche se hai l'aria più seria, sei sempre uguale. Sempre Ria.”
“Non mi avresti mai sposata.”
Matt tirò a lungo dalla sigaretta, e guardò il nulla davanti a sè.
“Certo che lo avrei fatto.”
Sospirai.
“Certo è che, quando potevi, non l'hai fatto.”
Si alzò in piedi all'improvviso, e un vento più forte dei precedenti si impadronì delle foglie intorno a noi.
“D'accordo.”, disse, tendendomi una mano, “Partiamo.”
Risi.
“Sono serio. Partiamo. Io e te.”
Annuii, divertita.
“E dove andiamo?”
“Dove vuoi. In Irlanda.”
“In Irlanda?”
“In Irlanda. O molto più lontano, se preferisci.”
“Ok, allora Wellington.”
“Nuova Zelanda?”
“Sì.”
“Sei sicura?”
“Lo sono sempre.”
Mentivo.
Lo guardai, in silenzio, prendere il telefono, comporre un numero e dare alcune concitate informazioni all'interlocutore. Poi, si allontanò.
Ne approfittai per accendermi un'altra sigaretta. Stava scherzando? Certo che stava scherzando. Io non potevo portare via il padre a una creatura, il marito a un'altra. E non potevo andarmene senza dire una parola a Jimmy. Ma non potevo neanche andarmene dicendoglielo, lo avrei con ogni probabilità trovato in aeroporto a braccia conserte con un'ascia bifronte infilata in ciascun lato della cintura.
Tornò, spavaldo.
“Tutto risolto.”
“Non verrò a letto con te.”
“Non ricordo di avertelo chiesto. Partiamo tra cinque ore.”
“Non verrò a letto con te.”
“Mi senti?”
Chiusi gli occhi. Li riaprii.
“Va bene”, dissi, “cosa diciamo a quelli di là?”
Sorrise.
“Niente.”

 

Bliss ci mise 26 minuti esatti a tornare indietro.
Aveva battuto e ribattuto il perimetro nel quale contava di trovare Matt e Ria in atteggiamenti impropri, redarguirli brevemente, e infine riportarli alla civiltà e al socialmente appropriato.
Il discorso che si era preparata era un breve saggio sulle responsabilità, sulle occasioni, sul dovere di crescere e fare i conti sulle proprie scelte.
Un po' retorico, ma tutto sommato molto bello.
Peccato solo che non c'era alcuna traccia né di Matt né di Ria; volendo, avrebbe potuto fare la ramanzina alle anatre. Così, per non sprecarla.
Ci pensò su, poi decise di no.
Ora, vedeva lo sguardo interrogativo di Dominic perforarle la fronte in lontananza.
Non si aspettavano che tornasse da sola.
Forse, avrebbe fatto meglio a non tornare affatto.
Si fermò al centro del piccolo gruppo di persone, avvolte da un silenzio sibillino.
“Dunque.”, disse.
Poi, più nulla.


Mi battevo il passaporto sulla gamba destra, freneticamente, mentre la fila per l'imbarco si assottigliava davanti ai nostri occhi.
Mio Dio, mio Dio, mio Dio, mi ricordo di aver pensato, ma tanto Dio a me non risponde mai, e quella volta non fece eccezione.
“Che te ne pare?”, mi chiese Matt.
“Un'enorme stronzata che potrebbe mettere a repentaglio il resto delle nostre vite”, era la risposta esatta.
Non dissi questo.
Dissi: “Beh.”, ma mi piace pensare di averlo sottinteso.
Una hostess cortese ci restituì le carte d'imbarco. Avrei potuto mangiare la mia e fuggire.
Non lo feci.

 

Doesn't that sound peculiar,
doesn't that hit too close to home,
doesn't that make you shiver,
the way things could have gone?

 

Cantavi.”
“Come?”
“Stavi cantando nella doccia.”
Intorno a me si dispiegava un cottage di campagna nel cuore della Nuova Zelanda, verso Wellington. L'alba dorata accendeva le finestre, e il mio cellulare, spento, mi fissava con aria di accusa dal tavolino di vetro a un lato del salotto.
Matt aveva un drink in mano ed era sul divano, leggeva qualcosa.
“Cosa cantavo?”
Abbassò il plico per lanciarmi uno sguardo carico di malizia.
“Knights of Cydonia.”
Ricordai.
“Oh, sì.”
“Ti cantavi anche la base. Da sola.”
“Mi è sempre piaciuta quella canzone.”
Sorrise.
“Anche a me.”
Avevo un asciugamano intorno al corpo, e nessuna intenzione di toglierlo dove il suo sguardo potesse raggiungermi.
“Hai acceso il telefono, per caso?”, gli chiesi dalla camera da letto.
“No.”
La risposta mi giunse molto più da vicino di dove avevo preventivato.
Se ne stava lì, sulla porta, a fissarmi impassibile a braccia conserte, con un vecchio brillio negli occhi chiari.
Mi infilai una maglia.
“Sentirti cantare mi ha riportato alla mente un matrimonio.”
“Non certo il nostro.”
Gli sorrisi, sardonica, mentre lo sorpassavo per riguadagnare il salotto. Mi rispose con un sorriso identico.
“Quello di Tom. Quello in cui cantasti
Hold the line con le bambine.”
“Già”, convenni, accendendomi una sigaretta, “le bambine.”
“Le mie bambine.”, aggiunse Matt.
“Le tue bambine, sì.”
“Come stanno?”
“Stanno bene. Trillow, Evey Zonk e un altro paio di loro hanno aperto una casa discografica. Vanno a caccia di nuovi talenti.”
“Forse ne ho sentito parlare. Come si chiama?”
Hold the line records.
Rise.
“Sì. Ne ho sentito parlare.”
Mi acciambellai sul divano, meditando sull'aurora.
“Ti mancano mai, quei tempi?”, mi chiese a bruciapelo, sedendosi accanto a me. Lasciai che mi prendesse le gambe e le poggiasse sulle sue ginocchia, in silenzio, tacendo il parallelo forse non casuale con quel che gli avevo raccontato delle mie abitudini di Huntington Beach che includevano Synyster, le gambe e i divani.
“No”, risposi infine, “Mi manco io com'ero a quei tempi, ogni tanto.”
“Eri bella.”
“Ero fuori di testa.”
“Per questo eri bella.”
“Avrei dovuto sposare te.”
“Ma non era me che amavi.”
“No, non è vero. Ti amavo. Certo, che ti amavo. Solo che nella vita è difficile non dare la giusta importanza alle precedenze.”
Sospirò.
“Certo. Jimmy.”
Oddio. Jimmy. Povero Jimmy, povero Jimmy.
“Come sta?”
“Povero Jimmy.”
“Ne ero molto geloso, ti ricordi? E a quanto pare ne avevo motivo. Altroché.”
“Era ancora mio cugino, a quei tempi.”
“Il primo caso di parentela deperibile noto alla storia.”
Mi voltai a guardarlo.
“A volte penso che lo abbiamo sempre saputo tutti.”
“Saputo cosa?”
“Tutto. La verità su me e Jimmy. Come sarebbe andata a finire tra noi.”
Mi sorrise. “E' comodo pensarla così, bambina.”
Alzai le sopracciglia. “Forse hai ragione.”
“Ce l'ho sempre.”

 

Per favore, Bliss, definiscimi ancora 'sparita'.”
Bliss sbuffava a intervalli regolari attaccata al telefono. Poco lontano da lei, a Morgue Place, Dominic subiva la stessa sorte.

“Niente, Jimmy. Sparita vuol dire sparita. - FLEUR! Tirami giù il vocabolario dallo scaffale a sinistra, ti spiace? - Aspetta, ora ti leggo la definizione precisa del Collins, così la smetti di ripeterlo come un disco rotto.”
Ma Jimmy non ritenne di dover ricevere altre spiegazioni di carattere etimologico.
“Sto arrivando.”, disse.
Lei attaccò il telefono e lo scagliò sul divano; l'apparecchio rimbalzò, e finì dritto contro le sbarre della gabbietta della pronipote del criceto Lucrezia Borgia, Caterina La Grande.
“Hai ammazzato il criceto.”, comunicò Fleur, gettando un'occhiata analitica all'animale che giaceva a petto all'aria in mezzo alla ghiaietta.
“No, è solo svenuto.”
Fleur indirizzò gli occhi ad angolo acuto verso l'amica.
“I criceti non svengono.”
“Questo sì.”
L'uomo si rimise in posizione eretta aggiustandosi il monocolo. “Pure i criceti particolari.”, commentò tra sé e sé.
“Allora”, disse Dominic, passandosi una mano tra i capelli visibilmente provato, “Ria non si trova. Matt non si trova. Quindi, devono essere da qualche parte che noi non sappiamo. Insieme.”
“Complimenti, Sherlock.”, commentò Bliss, versandosi il quinto Sheridan.
Un silenzio sinistro calò nella sala.
“Beh”, disse Fiorellino, “Io porto il bambino con me, a casa. Ho anche i miei che devono dormire. Mi fate sapere di quei due mentecatti appena avete notizie, per favore.”
Non addusse punti interrogativi alla frase.
“Che ha detto Kate?”, domandò Bliss, sul tonfo di chiusura della porta d'ingresso che vide sparire la famiglia Wolstenholme dal campo di battaglia.
Dominic si strofinò gli occhi come uno che ha la seria intenzione di cavarseli.
“Cosa vuoi che mi abbia detto? E' a Los Angeles a girare un film. Mi ha detto”, si schiarì la voce per raggiungere un tono particolarmente acuto, “siamo tutti adulti e responsabili e in grado di affrontare le conseguenze delle nostre scelte. Tornerà, torna sempre. Mando mia madre a prendere il bambino da Kelly.”
“Chi è Kelly?”
“Fiorellino.”
“Ah.”
Silenzio.

“Gli hai detto che era con Ria?”
Dominic la guardò intensamente.
“Non ci ho pensato nemmeno per un secondo.”
Bliss annuì. “Saggia decisione.”
A quel punto, Dominic congiunse alcuni neuroni ed ebbe un fremito lungo la schiena.
“Non avrai mica detto a Jimmy che Ria è con Matt?”
“Mi prendi per cogliona?”

 


Più tardi, a 8774 chilometri di distanza

 

Le solite interminabili file agli sportelli degli aeroporti.
Due persone si scrutavano, a intervalli regolari, in perfetto stile film-di-Hugh-Grant.
Lui alza gli occhi, lei li abbassa.
Lei lo guarda, con circospezione, ogni volta che crede di poterlo fare senza che lui se ne accorga.
Lui ricambia, e ogni tanto i loro sguardi si incrociano, inopinatamente.
Lei si accorge, anche da lontano, che lui praticamente fuma amaro per quanto è agitato.
Lui batte il piede a terra e incrocia le braccia, stizzito. Poi fa grandi respiri e guarda di nuovo il cellulare.
Lei, che è una donna pragmatica, salta mezza fila per avvicinarglisi.
“Mi scusi, la conosco?”
“Prego?”, domandò lui, confuso.
Ma è una confusione che dura solo un attimo.
“Ah! Lei è Jimmy, Jimmy Sullivan. Il compagno di Ria!”
Jimmy si sistemò gli occhiali sul naso e diede un'occhiata più da vicino alla sua interlocutrice.
“Kate? La moglie di Matthew?”
Kate sorrise radiosa.
“Ho sentito molto parlare di lei.”
“Sì, anch'io, ma ti prego, dammi del tu.”, disse Jimmy, stringendole la mano.
“Vai anche tu a Londra?”, domandò Kate, continuando a sorridere.
“Eh, sì.”, disse Jimmy.
Kate si profuse in una smorfia buffa ma adorabile.
“Beh, spero per motivi più piacevoli dei miei.”
Jimmy sentì una strana vibrazione nell'aria. Cos'era? Ah, sì. Odore di guai.
“Che è successo?”, domandò, greve, con un mezzo sospetto inespresso nell'inconscio che ancora la sua mente non riusciva a cogliere.
“Eh, mi ha chiamato Dominic, sai, il batterista...”
“Beh, 'batterista'...”, commentò lui a mezza voce.
“...mio marito è un tipo un po' bizzarro, sai, sempre sulle sue, con le sue teorie assurde e... mah, per fartela breve, è sparito.”
Un fulmine si abbatté al di fuori del Los Angeles International Airport. La temperatura nell'open space calò drasticamente di alcuni gradi. La hostess, che stava chiamando con cortesia i due conversanti per invitarli ad avvicinarsi al banco, tacque per qualche momento.
Kate guardò Jimmy, interrogativa.
Jimmy guardò il nulla, ardendo di sacro sdegno, poi, molto lentamente, si girò verso Kate sorridendo come se avesse appena impiccato quattro bambini a un faggio.
“Questa sì che è una coincidenza. Perché ho ricevuto una telefonata anche io.”
Si fissarono, in silenzio.
“E' sparita anche Ria.”

 

Mi riscossi come da un brivido.
“Che succede?”, mi chiese Matt, premuroso.
Il bollitore fischiava sul fuoco e lui stava fallendo clamorosamente qualche esperimento culinario. Nell'aria c'era profumo di pomodoro e bruciato.
“Niente. Per un momento ho avuto una strana sensazione. Tipo un presentimento.”
Uscì in salotto, chiudendo velocemente la porta della cucina per evitare che la sala fosse invasa dal fumo dei fornelli.
“Brutto?”
“Chi lo sa.”
Qualche attimo dopo, una musica lieve mi accarezzò le orecchie.
“Non sapevo ti piacesse Elton John.”
“Infatti. Piace a te, però.”
Lo stereo suonava
Can you feel the love tonight.
Mi tese una mano, per ballare.
La presi.

 

Save tonight, and fight the break of dawn
come tomorrow, tomorrow I'll be gone.
(Eagle Eye Cherry, Save tonight)

 

 

La sera a Morgue Place prometteva maretta.
“Come pensavi di nasconderglielo, Juniper?”
Bliss si tormentava il pollice con i denti mentre Fleur la guardava accigliato; tutti e due volsero lo sguardo alla porta finestra, al di fuori della quale si alzava una grigia nube di fumo da cui ogni tanto spuntava Jimmy, gli occhi inchiodati al telefono, le mani che passavano e ripassavano dai capelli alla nuca.
Finalmente, entrò.
“Come ha potuto farmi questo?”
Bliss abbassò le braccia in un gesto di esasperazione.
“Come puoi pensare che farà qualcosa che possa davvero ferirti? Davvero?”
Jimmy la guardò.
“Bliss. Lo ha già fatto. E' chissà dove, con il suo ex. Il suo amatissimo ex. Quello che le ha cambiato la vita. Che l'ha cambiata a tutti, qui dentro.”
“Non è stato lui a cambiarla, ma loro due insieme. Ria ha lasciato ogni cosa per te. La sua amata Londra, i suoi amati amici, e un'infinità di cose che amava molto più di Matt.”
Jimmy scosse la testa.
“Proprio tu, fra tutti, dovresti conoscerla abbastanza bene da sapere che non c'era niente che amasse più di Matt, Bliss.”
“Sì, a dire il vero una cosa c'era.”
Gli si fece vicina, e lo guardò ferma.
“Te.”

 

There's one thing I want to say,
so I'll be brave
you were what I wanted
I gave what I gave
I'm not sorry I met you
I'm not sorry it's over
I'm not sorry there's nothing to save.

 

Non mi hai raccontato poi com'è andata, con Jimmy.”
“Come sempre. Con qualche piccola variazione.”
Lo sguardo di Matt saettò verso di me.
“Definisci
qualche piccola variazione.”
“Vuoi davvero parlarne?”
Tacque un momento.
“No, a dire il vero no.”
“Altro vino.”
“Sì, altro vino.”
Eravamo sotto una coperta, fuori la notte era tranquilla e stellata, e in televisione c'era un vecchio film con Vivien Leigh.
“Ma come ti è venuto in mente di lasciare Londra?”
Sospirai forte, e una morsa mi strinse lo stomaco.
Un ricordo, come uno schiaffo in pieno volto, e poi un altro, e un altro, e un altro ancora. Il mio fuoristrada nero, la sera del concerto a Parigi, una notte in terrazza, il giorno in cui ho creduto che morisse, ma non era morto, perché lui non poteva morire come tutti gli altri. Una fuga in tour, rose rosse sulle lenzuola e ridicoli cappelli a tesa larga. Tutti i progetti, le circostanze, le coincidenze, i ritardi, le attese, i bicchieri di whiskey, mio padre, i giorni in cui immaginavamo un figlio, una vita insieme, e poi le separazioni, le lettere, gli addii, e i ritorni, quelli sì, che avevano qualcosa che si piantava dentro come una lama dentro una scure.
Avvicinai il viso al suo, incerta.
La maglia dei Kasabian, le camere da letto comunicanti con il tubo dei pompieri, la terra sotto i nostri piedi che sembrava assecondare i nostri passi ogni volta che ci muovevamo per incontrarci. Vicini, eterni, imbattibili.
Poi, la vita.
La vita spesso ha un modo suo di rivelarti le cose. Non te le dispiega davanti come un elenco, una certezza, non te le sottolinea in rosso tre volte per fartele identificare come importanti. No. Le insinua. Silenziosamente. Inesorabilmente. Piccole biglie che si incollano l'una all'altra per creare un disegno, filtrare una luce. Ti rendono edotto di quale sia la realtà, e ti dicono che non importa se quelle che hai vissuto fossero solo illusioni, purché siano state belle.

Belle illusioni.”, sussurrai a mezza voce.
I suoi occhi di nuovo nei miei, con una dolcezza antica che non mi apparteneva più. Ria, pragmatica e affondata nello sconforto di giorni che uno dopo l'altro si susseguivano all'ombra di una vita che sarebbe stata la sua, se fosse stata diversa... Un po' più illusoria, meno oggettiva. Ria che avrebbe barattato il sole di Los Angeles per la pioggia di Londra senza pensarci un momento. Perché a volte neanche l'amore può tanto, sapete. Può rendere sopportabile qualunque inferno, ma non rendere le fiamme meno calde o l'aria meno soffocante. Lo sappiamo tutti che sopportare quasi mai è vivere.
Appoggiai la punta delle dita sul suo zigomo. Jimmy non aveva spigoli nel viso, e neanche nell'anima. La sua era un'anima di un altro tipo. Di un respiro infinito, immensamente più grande di qualunque altra anima io conoscessi.
Ma Matt, e i suoi spigoli, così familiari, che si incastravano così perfettamente dentro la materia soffice e filosofica di cui ero fatta io.
“Questo è sbagliato”, dissi, poggiando la mia mano sulla sua, che accarezzava la mia gamba mentre il suo viso respirava il mio.
E appena lo dissi suonò fuori luogo. Avevamo fatto solo sbagli, per tutto il tempo che eravamo stati insieme, e gli sbagli ci avevano portato una felicità immensa. Delirante.
Fu sbagliato lasciare che la sua mano mi accarezzasse. Fu sbagliato baciarlo, ancora e ancora. Fu sbagliato l'odore delle lenzuola e poi il suo, e le mani che si intrecciavano, e i soffitti che si scorgevano tra le righe, quando qualche ricordo dolce allentava la tensione, quella notte. Fu sbagliato il cielo che trovammo fuori, la mattina dopo.
L'unica cosa giusta fu, guarda caso, la meno piacevole. Quella che non mi diede alcuna felicità.
Riaccesi il telefono.


“Squilla”
La testa di Fleur si alzò dal libro e quella di Bliss dal cuscino del divano.

 

E' Jimmy.”
Matt mi guardò, infilandosi una maglia.
“Rispondi.”
Abbassai il braccio che reggeva il telefono.
“Matt...”
“Io ho un figlio e tu una vita. Rispondi.”, disse.
Il limone era amaro, ma disinfettante.
Chiusi gli occhi.
Li riaprii.
“Pronto.”

 

Ria! Dove sei?”
“A Wellington.”
“A Wellington? Per Dio.”
Silenzio.
“Mandami l'indirizzo. Vengo a prenderti.”

 

Poggiai il cellulare.
“Sta venendo qui.”
Matt sorrise.
“E' proprio da lui.”, disse.
Gli andai incontro, prendendogli le mani con le mie.
“E' stato bello.”
“Lo è stato.”
Infilai un maglione in valigia, mentre lui infilava la porta.
“E' meglio che non mi trovi qui, quando arriva.”, disse.
Ma non stava scappando.
“Matt?”, dissi, voltandomi verso di lui.
Si girò verso di me, abbassandosi leggermente gli occhiali da sole.
“Dimmi, bambina.”
“E' finita?”
Sorrise.
“Chi può dirlo.”
La porta si chiuse con un tonfo, e io restai a guardarla, con un sorriso, una sigaretta in mano e il cuore un po' da tutte le parti.


“Vengo con te.”
“Non è necessario.”
Bliss guardò Jimmy. Con lei, Fleur e Dominic si tormentavano le idee. Heathrow non era mai stato così tranquillo.
Lui li guardò tutti.
“Vado a riprenderla io.”

 

Il campanello suonò.
“E' aperto.”, dissi.
Avevo passato una giornata a fare e disfare ragionamenti che facevano acqua da tutte le parti, anche per il solo fatto che erano i miei.
Ero pervasa da una strana calma che stonava molto con tutte le cazzate che ero riuscita a fare in quattro giorni; un numero decisamente alto, considerato il breve lasso di tempo.
Facendo zapping, avevo trovato L'Avvocato del Diavolo. Vanità, il suo peccato preferito. Poi ero uscita un po' a guardare le pecore.
Poi ero rientrata in casa, e mi ero messa a rifletterci sopra. Animali molto educati. Mentre rimuginavo sugli ovini, avevo risolto di trasferirmi a Londra. Anzi sì. Anzi no. Anzi sì. Anzi no. Eccetera.
Jimmy aprì la porta con una mano, e mi guardò al di sopra degli occhiali da sole.
“Allora?”, disse.
Solo questo.
Allora.
Improvvisamente, mi ricordai perché a un certo punto avevo deciso di passare buona parte della mia vita con lui.
“Perdonami.”
Si tolse gli occhiali da sole.
“Perdònati.”, disse, “Poi ti perdono io.”
“Non sei arrabbiato?”
“Ne ho motivo?”, disse, gettando un borsone in un angolo e togliendosi la giacca. “Ci sei stata a letto?”
“Che intendi con
a letto?”
Si voltò a guardarmi.
“Ria. Fai la bimba grande.”
Aveva un'infinita pazienza, con me. Un'infinita, infinita pazienza. Un nodo caldo mi si sciolse nel petto.
“No, certo che no.”, dissi. Ed era vero.
“Allora non sono
proprio incazzato. Sono solo moderatamente disturbato.”
Mi avvicinai di poco.
“Quanto moderatamente?”
Sembrò pensarci su, e rimase fermo dov'era.
“Diciamo abbastanza. Avresti potuto dirmelo.”
Feci qualche altro passo di lato con le mani giunte dietro la schiena, guardandolo. Avevo gli occhi che sorridevano, lo so.
“Mi avresti lasciata andare?”
“Ovviamente no.”
Aprii la bocca per rispondere, ma poi la richiusi.
“Ma almeno avrei avuto voce in capitolo. Diamine, Ria, hai fatto tutto tu. Abbiamo saputo che non eravamo poi così tanto parenti, e tu hai immediatamente capovolto la questione dicendo che eravamo destinati a stare insieme. Io non ero pronto, e tu lo sai. Però non ti ho delusa. Mi aveva effettivamente sfiorato il dubbio che dirti che non me la sentivo, così, subito, di cambiare in maniera radicale tutto quello che avevamo, ma ti avrebbe ferita e non l'ho fatto. Come ringraziamento, mi chiama Bliss per dirmi che sei sparita. E che fossi sparita insieme a lui l'ho dovuto sapere incontrando accidentalmente sua moglie in aeroporto. Negli ultimi quattro giorni ho girato tre continenti, solo per trovarti. Quindi, sì. Sono moderatamente disturbato.”
Guardai a terra.
“Vieni qui.”, disse.
Corsi tra le sue braccia.
“Adesso ripeti con me: Jimmy mi ama e non devo farlo morire prima del tempo.”
“Anche io ti amo.”
“Non ti ho sentito.”
“Jimmy mi ama e non devo farlo morire prima del tempo.”
“Ok. Adesso puoi dirlo.”
“Anche io ti amo.”
“Molto meglio. E non farlo mai più. Non sapevo dove fossi e se stessi bene.”
Lo guardai, appoggiando il mento sul suo petto.
“Puoi smetterla di essere così comprensivo? Potresti arrabbiarti e basta?”
Sorrise.
“Ti piacerebbe.”

 

 

E' viva? Ha tutte e due le gambe? E le braccia?”
“Sì, Bliss, sta bene.”
“L'hai uccisa? Io l'avrei uccisa.”
“Sai che non ne sono capace.”
“Me ne rallegro.”
“Torniamo tra un paio di giorni.”
“Fate con calma.”
Bliss chiuse il telefono e si voltò verso Fleur.
“Lo sa il Padreterno se pensavo che questa volta proprio non l'avremmo scampata.”
Fleur soffiò sul caffè.
“Tutto è bene quel che finisce bene.”


La calma durò 47 ore esatte.
Allo scoccare della quarantottesima, il mio cellulare squillò. Svariate volte.
Guardai Jimmy.
Jimmy guardò me.
“Ho una sensazione.”
“Cristo, pietà.”
“Pronto?”
Ascoltai con attenzione.
“Era Bliss. Dobbiamo tornare a Londra. Subito.”
Jimmy alzò gli occhi al cielo.
“Un'altra puntata di 'Dov'è finita Carmen Sandiego'?”
“Peggio.”
“Ah, fantastico.”
Ma mi sbagliavo.
Il peggio, trattenuto da precedenti impegni, doveva ancora arrivare.

 

Those were the days of our lives
that float in the stillness of time
those days are all gone now,
but one thing remains
when I look, and I find
no pain.

 

Non siete delle persone. Siete degli untori. Degli untori di peste.”
Fleur batteva il bastone nervosamente contro lo stipite della porta.
“Gregory, smettila. Pensa al criceto.”
“Friggilo, quel criceto.”
“La buonanima della bisnonna Lucrezia Borgia trasecolerebbe a sentirti dire una cosa del genere.”
“Bliss. Per favore. E' una cosa seria.”
Ed era una cosa seria. La più seria che avessimo ad affrontare da quando avevamo smesso di viverci quotidianamente. La più logica, antipatica, inaspettata delle cose serie.
“Ripetimi ancora come è successo.”, disse Dominic, con la testa tra le mani e una tazza di caffè molto corretto davanti.
Matt se ne stava sul divano, a guardare il soffitto. Jimmy guardava lui, glaciale.
Io, invece, guardavo a terra, avvolta da una nube di angoscia e senso di colpa.
“Sono tornato. A casa c'era lei. Mi ha detto che avevo passato il limite. Io le ho risposto che mi conosce bene e dovrebbe sapere come sono fatto. Lei ha detto che c'è un confine oltre il quale non si deve mai andare, visto che sposarci e crescere un figlio è un impegno che abbiamo preso in due, indipendentemente dalla natura di ciascuno. Io le ho detto che non era successo nulla. Lei mi ha risposto che qualcosa effettivamente era successo, e cioè che avevo lasciato mio figlio senza dire una parola a nessuno di dove andassi o a fare cosa. Io le ho detto che ero certo di lasciarlo in ottime mani, altrimenti non lo avrei mai fatto. Lei ha ribattuto che non vi conosce come vi conosco io, anche e soprattutto perché ho preteso con tutte le mie forze che ciò non accadesse. Io sono stato zitto. Lei mi ha detto che avrei dovuto almeno farle delle scuse. Io le ho risposto che non ne vedevo il motivo, perché francamente la tiritera moralista mi aveva un po' urtato i nervi. Lei ha detto benissimo. Ha preso il bambino. Ha aperto la porta. La mattina dopo mi sono svegliato con il campanello che suonava ininterrottamente, ed erano alcune sue amiche, venute a raccogliere la sua roba. Io gli ho impedito di prenderla, dicendo che la questione era ancora aperta. Una di loro mi ha risposto che invece la questione, a quanto ne sapeva lei, era molto chiusa. Nel pomeriggio ha telefonato l'avvocato. Fine.”
“E' colpa mia.”, dissi, a mezza voce.
Tutti si affrettarono a rassicurarmi. Tutti meno uno.
“Sì, in parte lo è.”
“Jimmy!”, sibilò Bliss.
“No, non possiamo dargliela vinta ogni volta solo perché è Ria. Solitamente non sbaglia, e non ferisce gratuitamente. Questa volta lo ha fatto. Ed è giusto che lo sappia.”
“Lo so bene.”, sospirai, accendendomi una sigaretta.
Il criceto prese a fare Yuri Chechi appeso alle sbarre superiori della gabbietta.
“Tu la ami, Matt?”, chiesi.
“Io amavo te.”
Jimmy alzò gli occhi al cielo.
“La domanda non era 'chi amavi nel lontano 1848', mi pare.”, intervenne Bliss, preoccupatissima.
“Mi spiego. E' in nome del ricordo che ho fatto questa stronzata.”
“Abbiamo.”
“Che abbiamo fatto questa stronzata. Ma non è successo niente. Non li abbiamo traditi. Jimmy non se l'è presa.”
“Me la sono presa eccome.”
“Ma non l'hai lasciata.”
“Certo che no. E non l'avrei lasciata neanche se foste andati a letto. Non cammineresti più sulle tue gambe e ti avrei strappato le corde vocali a mani nude, ma non l'avrei lasciata. Questo chiaramente non ti assolve né ti autorizza. – specificò, girandosi verso di me - Non si può lasciare quello che ti appartiene per destino.”
“Un discorso molto bello. Che però implica due cose. Uno: che Matt e Kate non sono uniti dal destino. Due: che il problema esiste al di là dei nostri exploit di filosofia.”, soggiunse Bliss.
Il ghiaccio tintinnava nei bicchieri.
“Però era prevedibile. Cioè, preventivabile. Almeno.”, disse Dominic, rompendo il suo silenzio.
“E la mente investigativa sopraffina è di nuovo tra noi.”
“Sei acida, Bliss.”
“Non sono acida, Dominic, sono solo pragmatica.”
“Cosa facciamo?”, chiesi a bruciapelo. Tutti i seduti si alzarono in piedi, dando vita a svariati secondi di concitato chiacchiericcio a mezza bocca.
Senza farsi sentire da me, tentativo che evidentemente fallì, Jimmy si rivolse a Matt in un sussurro.
“Se l'avessi amata davvero, e intendo se mai l'avessi amata, anche solo per un secondo, non l'avresti mai messa in questa situazione.”
“Ma io amo mia moglie. E' lei che ha deciso di andarsene.”
“Non parlavo di tua moglie.”

 

I don't ever wanna feel like I did that day,
take me to the place I love,
take me all the way.

 

Bliss, smettila di maltrattarmi. Guarda che anche io ho qualcosa, dentro.”
“Al netto dei litri di alcol che ti sei calato, intendi?”
Bliss e Dominic battibeccavano. Sembrava di essere tornati indietro di una vita.
La notte tardava ad arrivare, sul balcone di Morgue Place.
“Mi hai perdonata?”, chiesi a Jimmy, appoggiando la testa sul suo petto.
“Mi ricordo che a un certo punto, verso i vent'anni, ho perdonato anche Hitler. Quindi figurati te.”
“Disturbo?”, domandò Matt, appropriandosi della sdraio accanto alla mia.
“Costantemente.”, rispose Jimmy, ma sorrideva.
“Posso farti una domanda, Rev?”
Jimmy lo guardò senza rispondere.
“Come ci convivi?”
Lui guardò un po' davanti a sé, poi abbassò gli occhi sulla tazza che aveva in mano, e infine rialzò lo sguardo verso il panorama.
“Con cosa, esattamente?”
“Con il fatto che io e lei siamo stati insieme. Nel senso, fisicamente insieme.”
Jimmy guardò Matt.
“Nel senso. Abbiamo condiviso un sacco di cose, esperienze, momenti. A un certo punto, abbiamo anche pensato di morire insieme, l'uno nelle braccia dell'altra.”
“Pensavo che la domanda fosse un po' più triviale.”, dissi, a mezza voce.
Jim mi scoccò un'occhiata di finto rimprovero, poi si rivolse a Matt.
“Lei, alla fine, ha scelto me.”
Matt lo guardò in silenzio.
“Ecco, come ci convivo.”
Il mio ex tacque e volse lo sguardo davanti a sé.
“E tu come ci convivi, Matt?”
“Con cosa?”
“Con il fatto che io e lei stiamo insieme. Nel senso, fisicamente insieme.”
“Non è più un problema mio.”
“Lo è stato?”
“Per un periodo ci ho pensato spesso, sì.”
“E' strano sentirtelo dire. Sei tu il primo che si è sposato.”
Non ci potevo credere. Anche in un momento come quello, in cui avrebbe dovuto volermi solo mettere un cappio al collo, mi difendeva a spada tratta. Mi difendeva dagli spigoli.
“Voi no, invece?”
Jimmy sorrise.
“Per il momento”, disse, “non ce n'è stato bisogno.”
Bliss e Dominic apparvero alle nostre spalle.
“Sembrano i vecchi tempi.”
“Con la differenza che i tempi sono nuovi, e noi siamo vecchi.”, dissi, tirandomi a sedere.
Matt si produsse in una risata amara, si alzò dalla sdraio e se ne andò in salotto; il tintinnio del bicchiere ci informò del motivo del suo allontanamento.
“Vuole scoparti.”, disse Jimmy, prosaico, mentre si accendeva un'altra sigaretta.

 

 

Il sesso. Una realtà pungente. Ne facevamo tantissimo, da quando stavamo insieme, ma non ne parlavamo mai.
Scioccamente, una parte di me aveva pensato che le cose sarebbero riuscite molto naturali, una volta superato lo choc iniziale: così non era stato.
Eravamo andati a dormire già da un paio d'ore ormai, e Morgue Place era immersa nel silenzio. Io mi rigiravo nel letto con i pensieri che non mi davano tregua, attorcigliati addosso come brutte piante rampicanti; Jimmy, accanto a me, dormiva profondamente già da tre quarti d'ora.
Lo sapevo perché mi si era addormentato addosso, e con tutta la tenerezza e la fatica di soffocare le risate, come già altre volte era accaduto in passato, avevo mandato un messaggio a Bliss implorandola di aiutarmi.
La mia storica migliore amica, con i capelli a porcospino e mezza nuda, era entrata nella stanza producendo nessun rumore.
Perché hai la maglia di Dominic?”, le avevo sussurrato indicandole il problema, e lei aveva frustato l'aria con la mano, scuotendo la testa in un ostinato mutismo.
Di qua o di là?”
“Sì, ma non svegliarlo.”
“Ok, ho capito, tu spingi però. Delicatamente.”

Vidi che lo afferrava per le braccia e, dolcemente, cercava di scostarmelo di dosso.
Io spingevo e lei tirava, e riuscimmo alla fine a metterlo nella sua metà del letto. Ancora dormiva. Incredibile, quell'uomo.
Cristo santo, che spalle.”
“Non provarci.”
“Ma è nudo?”
“Vuoi controllare?”

Contro ogni previsione, Bliss alzò il lenzuolo con un gesto repentino e diede un'occhiata.
“Niente male.”

“Shhh!”
Ci guardammo.
“Grazie, ora puoi andare.”
“Un'altra sbirciatina-ina-ina?”
“Bliss.”
“Ok, ok. Buonanotte.”

Udii il lieve clack della porta che si richiudeva, e mi voltai a percorrergli la linea dei tatuaggi che aveva sulla schiena con la punta dell'indice.
Sospirai.
Silenziosa, mi avvicinai al suo orecchio.
“Jimmy.”, dissi piano.
Nulla.
“Jimmy. Amore. Svegliati.”
Un lieve grugnito.
“Svegliati.”, sussurrai di nuovo, baciandogli dolcemente più volte la guancia e mordendogli piano il lobo.
Si mosse, agitandosi un poco.
“Svegliati...”, dissi, mentre la mano correva giù per la sua schiena, fino a sfiorargli la base, dove c'erano quelle due piccole, perfette fossette.
Tirò leggermente su il fianco, in un gesto involontario, e io insinuai la mia mano tra la sua pancia e il materasso.
“Jimmy...”, sussurrai ancora contro il suo orecchio, a mezza voce.
Jimmy finalmente si svegliò.
Aprì gli occhi su di me, intontito dal sonno, e disse, soave: “Piccola. Si può sapere che cazzo vuoi?”
Difficile dimenticare che, prima che amanti, eravamo stati cugini. Per tanto di quel tempo che, cosa volete, certe abitudini sono dure a morire.
Sbuffai, sorridendo.
“Niente. Dormi.”
Gli poggiai un lievissimo bacio sul naso e lui si girò dall'altra parte, con un vago “mah”.
Non si era accorto di nulla di tutta la mia pantomima pseudo-sensuale.
Afferrai le sigarette dal comò, galleggiando tra il divertito e l'offeso, infilai un grosso cardigan e uscii dalla stanza, diretta al terrazzo, a fumare.
Sul terrazzo trovai Matt, insonne, a contemplare Londra.
“Sostiene Jimmy che tu voglia scoparmi.”, lo salutai, andando scherzosamente a colpirgli una spalla con la mia.
Matt proruppe in uno sbuffo ironico che era l'anticamera di una risata.
“E lui? Lui vuole scoparti?”
Accesi la sigaretta, e mi voltai.
“Scusa?”
“Vi ho sentiti, prima. Avete la finestra aperta.”
Ah, già.
“Detesta essere svegliato quando dorme.”, commentai, lieve.
“Anche da te? Mi sembra fantascienza.”
“Vedi, Matt, per oltre vent'anni siamo stati cugini, e le vecchie abitudini sono dure a morire.”
Lui si strinse nelle spalle.
“Forse sareste dovuti rimanere così. Buoni amici e basta. Come eravate prima.”
Un altare di domande mi si fracassò nel petto.
“Non sai quante volte ci ho pensato. Ma io lo amo, Matt.”
Matt alzò le braccia.
“Mai detto il contrario.”, disse.
Calò un silenzio di piombo.
“Non volevo essere scortese, bambina.”
“Ma tu sei scortese, Matt. Lo sei sempre stato. Scortese e inopportuno. E menefreghista. E stronzo.”
Silenzio.
“Il guaio è che spesso hai ragione.”, aggiunsi, fissando la brace della sigaretta con noncuranza. Forse era il momento di iniziare seriamente a drogarmi, per rendere tutto più sopportabile.
Ci eravamo lasciati in odore di lieto fine, e ci ritrovavamo in odore di tempesta.
Ma lo amavo? O mi ero aggrappata a lui per fuggire da quell'uomo enigmatico e imprendibile che avevo di fianco? Di tutti i rapporti altalenanti e mediamente catastrofici che avevo avuto con gli uomini, quello con Jimmy era senz'altro il più puro e appagante. Fin quando eravamo stati cugini. Fin quando dei confini indipendenti da noi ci avevano definiti e contornati dentro un legame, costringendoci con disarmante naturalità ad ammazzare gli istinti inadatti ad esso, e nel contempo risparmiandoci il disturbo di dovergli trovare un nome noi, a quel sentimento.

A che pensi, bambina?”
“Alle promesse che la vita ti fa e puntualmente non mantiene.”
“Non era mia intenzione mandarti in crisi sui tuoi sentimenti per Jimmy.”, disse, prendendo un sorso di tè ormai freddo.
Lo guardai a quarantacinque gradi, e poi me ne tornai a osservare le luci degli edifici.
“Oh sì che era tua intenzione.”
Gli diedi un affettuoso colpetto sulla spalla.
“Troveremo tua moglie, vedrai.”, dissi, e mi avviai da dove ero venuta.
“Ria.”
“Sì?”
“Abbiamo sbagliato tutto?”
Sorrisi. Mi strinsi nelle spalle. E me ne andai.

 

When the going gets tough,
the tough get going.

 

 

 

 

 

Allora.

 

Ciao.
Scusate.
Senza prenderci in giro, nonostante il titolo evocativo, strutturato e pregno di significati allegorici, sappiamo tutti che chiameremo questa storia “Niente virgolette nel Sequel” perché ormai ci conosciamo da anni e non è che siamo lì a raccontarci le favole.
Volevo dirvi un paio di cose su questo sequel.
So benissimo che la fine di Niente Virgolette ha lasciato molte di voi con l'amaro in bocca. (“Ma come?! E finisce con Jimmy?! Ma che è?! Licenziate gli sceneggiatori di Beautiful!”)
E' comprensibile: la storia, come sogliono dire le famiglie nobiliari di certi paesi di madrelingua fiamminga, “finisce a merda e comunque rimane proprio appesa, incompiuta, flambé, insomma”.
Avete ragione.
In realtà questa telenovela mi si è dispiegata in testa nel momento esatto in cui ponevo fine a Niente Virgolette, dunque mi accingevo a strutturare la mia vita in una serie propagatoria di relazioni alquanto dubbie perpetrate dai miei neuroni fusi.
Può veramente finire tutto, like, forever, tra Matt e Ria? E i dubbi? E tutto quello che c'è stato? Spazzato via da un mezzo evento? Mah.

 

[Io penso che abbiano avuto paura, a un certo punto. L'uno dell'altra, e di quello che avevano insieme. Così, in un guizzo di memoria attiva di Matt, vanno in Nuova Zelanda, come dei rincoglioniti. Ma è una finta, le responsabilità e gli impegni che si son presi con altre persone li annegano. Ora c'è Kate. Tenuta lontana dal giro di amicizie di Matt dal suo stesso marito, perché sono cose che non la riguardano, che non devono toccarla. Perché lì, in quel giro, c'è Ria Montague, che una volta, in ospedale, fu addirittura Ria Bellamy.
Ma lo sappiamo bene noi che non è finita finché non finisce.]

 

C'è un missing moment, in Niente Virgolette, che è: cosa accade esattamente dopo la proposta di matrimonio di Matt?
Quel missing moment verrà dispiegato ampiamente qui, nel corso della storia, che dovrebbe durare tutta l'estate perché il caso vuole che, nell'ameno eremo ionico in cui mi ritirerò in congedo momentaneo dalla razza umana tutta, ci sarà la connessione ad internet.

In una parola, sono tornata.
Fatevi sentire.
Q.


 

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Capitolo 2
*** Evening drama ***


Datosi che 'amare' non è il contrario di 'inmontagna'.”
(SMS di Gertie, le quattro di un mattino qualunque.)

 

 

In questa contraddizione inevitabile
tra quel che doveva essere e quel che è
ho combattuto numerose battaglie,
battaglie mortali.

(Non mi pento di niente, Gioconda Belli)

 

 

Dominic, sei la persona più stupida che io abbia mai incontrato.”
Bliss sostava catatonica sul divano, alle nove e un quarto di mattina. Dominic nemmeno le rispose, impegnato com'era a scorrere con gli occhi la lettera che aveva tra le mani per la terza volta.
Io, invece, giravo il caffè nella tazza, seduta attigua a Fleur che se ne stava compunto, col monocolo, in pigiama, e reggeva in mano una busta che recava il mittente Court of London.
Jimmy, che si svegliava sempre tre quarti d'ora dopo la razza umana, entrò in salotto scarmigliato e seminudo cantando a bocca chiusa Fear of the dark; i pantaloni della tuta lasciavano intravedere buona parte di frammenti anatomici che è costume non far intravedere, quale che sia la situazione in cui ti trovi. Bliss si voltò a guardarlo alcuni secondi, ipnotizzata.
“Potevi essere il mio, di non-cugino.”
Jimmy le rivolse uno sguardo assonnato privo di significati.
“Ripensandoci, potevi essere anche proprio mio cugino, la cosa non mi avrebbe fermata.”
“Bliss, tesoro, ci siamo frequentati e conosciuti prima che io e Ria scoprissimo di non essere parenti. Potevi svegliarti allora, io due colpi te li avrei dati.” ribattè quello confusamente, con la voce impastata di sonno.
Bliss perse ogni espressione.
“Ora macera, macerati nel rimpianto.”, sibilai alla mia migliore amica, senza particolare slancio.
“Tirati su quei pantaloni, svergognato.”, si introdusse Fleur, non convinto.
Dominic si voltò meccanicamente, come Chucky la bambola assassina.
“Forse non avete capito l'entità del dramma che stiamo tutti vivendo sotto questo tetto.”
Jimmy lo guardò, disinteressato, e l'altro sventolò la lettera.
“E' un ordine di custodia temporanea.”
“Tradotto in prosa?”, domandò Rev, approssimandosi al vassoio col caffè.
Dominic ribolliva, osservando con disappunto la donna-demone con le tette al vento tatuata sulla schiena del suddetto.
“Tradotto in prosa, Belfagor, la stronza si è presa il bambino. Non glielo lascerà vedere finchè non andranno in tribunale.”
Jimmy, sorvolando il tono piccato di Dominic, si versò una tazzina di caffè e disse: “E dov'è ora quel cretino del tuo amico, Magica Ballerina Volante?”
Dom trasalì, accusando due o tre tic nervosi alla mano.
“E' uscito!”, rispose, stridulo, “E' uscito dicendo che sarebbe andato a parlarle.”
“E se Kate chiama la polizia, quelli se lo portano e scoppia uno scandalo.”, aggiunse Bliss, telegrafica.
Magica Ballerina Volante si agitava senza posa. Come se fosse avvolto dalle fiamme.
“Gli ho mandato Chris alle calcagna. Ma avete idea del casino che succede, se quella fa una qualunque mossa, anche trascurabile tipo farsi pizzicare dai paparazzi con gli occhi gonfi di pianto? Avete capito che vuol dire per il management, per l'immagine di Matt, cosa accade se casomai Catherine parla con un giornale di quello che le è successo? Cosa penserà la gente, se venisse a sapere che Matt ha abbandonato sua moglie? Cosa penseranno i fan?”, continuò infatti, isterico.
“Che è rinsavito.”, rispose Bliss, a bassa voce.
Lui la ignorò.
“E ci vai di mezzo anche tu, Maria Goretti!”, aggiunse, invece, puntandomi contro la lettera, paonazzo di furia, “Puoi stare certa che la tua reputazione andrà in mille pezzi tanto quanto la sua!”
Jimmy appoggiò un momento la tazzina e si frappose tra di noi, sfoderando il suo migliore sguardo da statua di marmo all'indirizzo di Dominic.
“Modera i toni.”
“Ma quali toni, James, quali toni! Anche tu sei della partita, sai, bello? La vostra penso sia in lizza per diventare la relazione più discussa di tutti i tempi dopo il tizio che sposò un cuscino! Già prima di stare insieme eravate cugini, e non so in quanti lo sappiano, figurarsi se ora esce che lei ha messo le corna a suo cugino con il suo peraltro chiacchieratissimo ex!”
“Lei non gli ha messo le corna.”, ribatté Bliss.
Ma il nostro eroe parlava a macchinetta, imbufalito: “No, certo che no! Sono andati in Nuova Zelanda, da soli, senza dire niente, per giocare a tressette coi Maori! Ma chi vogliamo prendere in giro!”
Si voltò, sudato e furioso, di nuovo verso Jimmy.
“E tu svegliati! Come fai a berti che non sono stati a letto insieme? E dire che si vocifera così tanto del tuo sorprendente quoziente intellettivo. Sai che figura ci fa il tuo piccolo batuffolo, quando quella va a parlare coi giornali? La figura della tr”
Non finì mai la frase.
Noi non lo vedemmo, a dire la verità. Vuoi per il sonno che ancora ci avvolgeva, vuoi per la tensione, ma giuro, sul serio, non lo vedemmo partire. Però senz'altro lo sentimmo arrivare: il suono secco, pieno, di ossa contro ossa.
Dominic cadde al suolo, svenuto.
Jimmy, invece, si sedette sul divano tra di noi sotto una pioggia di sguardi allibiti.
“Dio”, disse, massaggiandosi il punto della fronte con cui aveva appena spedito Dominic in un'istruttiva esperienza di premorte, “ Finalmente un po' di silenzio.”
“Cristo Jimmy.”, soggiunse Bliss, monocorde, “L'hai steso.”
“Sì, beh. Ci vuole poco.”

 

 

Sai cosa si fa quando non ce la si fa più? Si cambia.”
(Alberto Moravia, Gli Indifferenti.)



Avevamo adagiato Dominic sul divano, e io lo stavo sventolando con la lettera infernale. L'audience del salotto, consistente in noi quattro e basta, mi accerchiava in stato di leggera allerta.
“James, però.”, azzardò Fleur occhieggiando il moribondo, intriso a metà di un vago tono di rimprovero.
“Non deve mai, mai e poi mai darle della troia davanti a me. Ho considerato l'agitazione in cui era come attenuante, quindi gli è andata anche bene.”
“Ah, gli è andata bene?”, intervenne Bliss, agitando una mano, “Beh, siamo fortunati. Pensa se gli andava male! Si andava a depositare disinvolto dentro una bara su misura. Jimmy, gli hai tirato una capocciata bastevole a ledergli la memoria a breve termine in modo permanente, come in quello stupido film di Drew Barrymore.”
“A me piace, Drew Barrymore.”
“Ohi ohi ohi ohi”
“Shh, si sveglia.”
Dominic roteò gli occhi, poi li posò incerti su di me.
“Scusami.”, articolò, faticosamente.
“Che mal di testa.”, disse poi.
Bliss sparì alla velocità della luce, per ritornare poco dopo con un bicchiere sfrigolante in mano. Lo aiutammo a tirarsi a sedere, e non appena in posizione semi-eretta incrociò lo sguardo ostinato di Jimmy.
“Ti sei calmato?”, gli chiese questi.
“Sì”, rispose Dominic, “Grazie del prezioso contributo.”
“Quando vuoi.”
“Ti pregherei di no.”
Mi misi le mani sugli occhi, preda di uno spasmo di esasperazione, e delle dita gentili mi si chiusero intorno ai polsi.
“Tutto bene, amore mio?”
Raccolsi un po' di energia per organizzare un sorriso, e aprii le mie dita per incontrare gli occhi preoccupati di Fleur.
“Sì. Come faccio a fare sempre questi grandi, grandissimi casini, Fleur?”
Il mio amico si strinse nelle spalle.
“Ce l'hai nel sangue. E' talento.”
Mi voltai verso Bliss, che accudiva Dominic facendogli bere l'aspirina. Con la mano libera gli reggeva maternamente la testa. Due imbecilli.
Jimmy era di nuovo al vassoio del caffè: avrei giurato che ci fosse andato apposta per lasciarmi un momento in compagnia della mia coscienza, la quale si ergeva davanti a me in tutta la sua statuaria, aristocratica persona.
“Io non ho sangue, Gregory Fleur. Non conosco i parenti di mio padre e quelli di mia madre non sono realmente i miei parenti. Tutti i legami che ho stretto, tutto ciò che chiamo 'famiglia', è lì per scelta, non perché deve. Non condivido il sangue neanche con mia sorella. Mio cugino, l'amore innocente e inviolato di ventitré anni della mia vita, mio fratello maggiore, il mio mentore e la mia unica, vera figura paterna ora è il mio compagno. Ma perché insisto a complicarmi la vita?”
Gregory mi allungò il portasigarette d'argento, con uno sguardo sagace e divertito.
“Tutto quello che hai elencato corrisponde appena ai requisiti minimi per avere una relazione amorosa con Matthew Bellamy. Se fossi stata anche lontanamente normale non ti saresti mai innamorata di lui. Non avresti mai visto il mondo con i suoi occhi. Che non è poco, Eldariael, non è poco.”
Tacqui.
“E non vedi quanto è bello tutto questo, poi? Lo hai detto tu stessa. Siamo qui per scelta. Ti abbiamo amata incondizionatamente, solo in virtù del fatto che sei tu. Ti rendi conto, vero, della straordinarietà di tale dettaglio?”
Mi asciugai una lacrima prima ancora che scendesse, e mi sentii un'ingrata. Guardai Jimmy, che beveva un altro caffè davanti alla finestra.
“James ti ama follemente, Eldariael. Più della sua vita, più degli Avenged Sevenfold, più di ogni altra donna, ogni altra cosa. E' pazzo di te. Lo è sempre stato, ben prima che steste insieme. Quello che prova per te è ben al di là di qualunque cosa io abbia mai visto in vita mia; tieni conto che ne ho viste una discreta marea. Tu sei la ragione per cui vive. Lo so perché me lo disse di persona quando, quella volta, rischiò di...”
“Fleur, ti prego.”, lo fermai, brusca, trasalendo dietro i contorni di un ricordo che ancora mi gelava il sangue al punto da non poterlo neanche sentir nominare.
Fleur tacque, comprensivo, pensieroso e sorridente.
“Cosa ho fatto?”, proruppi, allibita.
Tutti gli occhi si voltarono verso di me, tranne quelli di James.
Chichi, chiamata d'urgenza per venire ad assisterci, stava, in quella, facendo il suo ingresso nel salotto con un vassoio di cornetti freschi in mano.
“Que?”, disse.
“Io...”, continuai, sbigottita e inerme, “Io non mi rendo neanche lontanamente conto della gravità di quello che ho fatto. Mio Dio, Gesù, mio Dio.”
Mi portai una mano davanti alla bocca, sedendomi.
“Gesù. Mio Dio.”, ripetei, a mezza voce.
“Ti rivolgi alle persone sbagliate, piccola.”, disse Jimmy, tirando dalla sigaretta senza spostare lo sguardo dall'orizzonte al di là della portafinestra.
“Ma che è?”, domandò Bliss, congedando in fretta Chichi.
Jimmy finalmente si voltò, amaramente divertito. “Io gliel'avevo detto che il problema non sarebbe stato il mio, di perdono, per quel che è successo. Che la parte difficile sarebbe stata perdonare se stessa.”
“Grazie, Frate Indovino.”
Respirai lentamente, poi guardai lui, colpevole.
Mi sorrise dolcemente, poi arricciò le labbra e scosse la testa, canzonatorio.
Gli suonò il telefono.
Rispose.
Un'acuta voce di donna travalicò la barriera dell'altoparlante per ferirci i timpani senza il bisogno del vivavoce.
UN MOMENTO SONO AL TELEFONO CON MIO CUGINO
“Ma chi è?”, domandò Dominic, ancora in fase di ritorno da quel breve tour nei Campi Elisi.
JIMMY
Jimmy si tolse il Blackberry dall'orecchio e spinse il tasto speaker.
“Splinter, sei in stereo. Salutate Splinter, tutti.”
Brusio di convenevoli.
C'è Ria? E' lì?”
“Sì, è qui. Che succede?”
Oh no. Ooooh no. Oh no no no no no no.
“Splinter?”, esortò Fleur.
Jimmy, non ti arrabbiare.”
“Lo so già.”
Un metallico, fortissimo sospiro di sollievo ci stordì tutti e quattro.
“Bene, allora spiegami che cazzo è successo esattamente, perché ho ricevuto, alcuni minuti fa, una telefonata da un'amica PR che è nel campo della stampa scandalistica, la quale mi informava con gentilezza che questa mattina stessa una giornalista del Sun sarebbe andata a intervistare Kate Hudson sulla stupefacente sparizione di suo marito con la ex fidanzata Ria Montague, attuale fidanzata del batterista degli Avenged Sevenfold. Sei ancora tu il batterista degli Avenged Sevenfold?”
“Sì.”
“Bene, allora verranno a chiederti se ti pesano le corna.”
“Non è stata a letto con Matt.”, precisò Bliss, incerta.
“E chi se ne frega!”, starnazzò mia sorella, agitata, “Ti pare che a quelli interessa cosa è successo per davvero? Ma come ragioni?”
“Oh!”
“Sentite, non mi fate perdere tempo che non ho. Dove siete?”
“A Morgue Place.”
“Bene. Sarò lì in 9 ore. L'edizione del Sun su cui uscirà l'esclusiva è quella di mercoledì prossimo, abbiamo un po' di tempo per rimediare a questo casino.”
Finito il comunicato, ci attaccò soavemente il telefono in faccia.
Seguirono alcuni minuti di raccolto silenzio.
“Sapete”, esordì Fleur, correggendo quattro tazze di caffè che non erano assolutamente necessarie, “c'è una particolare varietà di Iris che si chiama 'Evening Drama'.”
“Tappezziamoci il terrazzo.”, commentò Bliss.
“Jimmy, ti posso parlare in privato?”, dissi io, afferrando due delle sopracitate tazze e dirigendomi, senza attendere risposta, verso la camera da letto.
“Certamente”, disse, e mi seguì con un sorriso consapevole.
Una volta in stanza, aspettai che entrasse, appoggiai il caffè sul comò e mi chiusi solennemente la porta alle spalle. Lui si posizionò a braccia conserte davanti al letto, guardandomi, in attesa.
Sospirai, schiena contro la porta, e lo guardai a mia volta in cerca di ispirazione.
Volevo dirgli scusami, sono stata un'egoista, una bambina e una stupida, tutte e tre insieme. Non posso credere che tu mi abbia perdonato perché io al posto tuo non l'avrei fatto, avrei tenuto il punto, bruciando di sacra offesa, sentendomi tradita, e delusa, e non riuscirei neanche a guardarti in faccia senza essere divorata dal sinistro dubbio che tu non mi abbia detto tutta la verità in merito alla faccenda, che sì, in realtà siete stati a letto, o che la voglia ti ha sfiorato, o che comunque, fosse anche per una manciata di minuti, hai guardato con quegli occhi, in quel modo che sappiamo noi due, qualcuno che non sono io.
Dissi, invece: “Avresti preferito rimanere come prima?”
Alzò gli occhi al cielo, e così facendo mi comunicò simultaneamente due cose: che avevo fatto una domanda cretina, e che ero noiosamente prevedibile. Poi puntò lo sguardo su di me e incrociò le braccia, facendo finta di dover raccogliere i pensieri per rispondere, quando in realtà la caratteristica precipua e dominante di Jimmy, lo sappiamo tutti, è il continuo, incessante effetto sorpresa che è in grado di creare in qualsiasi situazione la vita – o la gente – lo metta.
“Nel senso tutti e due in un posto in grazia di Dio, senza dover venire a sapere di sparizioni improvvise dalla tua migliore amica? Sì.”, rispose quindi, guadagnandosi, da parte mia, una frazione di secondo a bocca aperta.
Scossi la testa, impaziente.
“Hai capito, Jimmy.”
Era chiaro che aveva capito perfettamente a cosa mi riferissi. A un tempo, apparentemente lontanissimo, così lontano da sembrarci quasi un'illusione, in cui eravamo più che fratelli, più che amici, ma, almeno secondo noi, indubbiamente consanguinei e quindi sollevati da qualunque problema di confinamento del rapporto.
“Vuoi la verità?”
“No, dimmi pure la prima cosa che ti viene in mente.”
“Sai come ti chiamano i miei amici?”
“No, come mi chiamano?”
Cavallo pazzo.”
Lo guardai, interdetta e incuriosita.
Estrasse il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni della tuta, ci armeggiò un po' e me lo porse.
“Guarda.”
Guardai.
Un messaggio di Jason diceva: “M. told me about yo trip. What's with Crazy Horse now? She alright? Keep in touch, we worried
Sollevai lo sguardo su di lui.
“E perché mi chiamano Cavallo Pazzo?”
Ripose il Blackberry.
“Secondo te?”
Aprii bocca, ma poi la richiusi.
“Ria, tu ci hai la guerra in testa. Fai cose all'improvviso perché così ti dice il cervello ed è capace che uno ci perde il sonno a cercare di scoprirne il motivo. Prendi decisioni completamente arbitrarie e sconnesse per ragioni oscure a tutti tranne che a te. Hai teorie criptiche e indecifrabili su moltissime cose a cui nessuno sano di mente dedicherebbe mai attenzione. Tu sei questa. Io so bene come sei fatta, ti conosco da sempre: non devi spiegarmi niente. Semmai, è a te stessa che devi spiegare qualcosa. Non chiedermi cosa però, perché, anche per le ragioni che ti ho appena elencato, non ne ho idea.”
Lo guardai da sotto in su, con un mezzo sorriso che mi attraversava il volto, figlio di qualcosa che non so spiegare. Era stanco, scoglionato, eppure il codice d'onore che dettava legge in lui, e che lo obbligava senza requie a cercare di sollevare coloro che amava da qualunque dubbio, fastidio o dolore gli imponeva di continuare a parlare. Aveva gli occhi accesi come quando disegnava i cuoricini con il gessetto sulle lapidi al cimitero di Huntington Beach, spiegandomi per quale motivo non dovevo mai, mai, mai bere altra birra che non fosse la Heineken quando lui non era nei paraggi per salvarmi dai postumi delle sbronze.
“Pensi di dovermi delle spiegazioni, di dover argomentare con me le ragioni che ti hanno portato a un gesto del genere, ma in realtà lo faresti solo per cercare di spiegarle a te stessa. Perché la verità è che non lo sai, Ria. Semplicemente, hai fatto una cosa senza pensare.”
Si fermò.
“Mi stai ascoltando?”
“Sì, scusa, pensavo alla Heineken.”
Sospirò, incredulo. “Beh, è sicuramente un'ottima cosa, ma credevo stessimo affrontando una discussione.”
Toccò a me incrociare le braccia. Non ero in vena di polemiche. O magari sì.
“Jimmy, perché non mi tocchi più?”
“Eh?”, fece lui, falsamente confuso.
Gli rivolsi uno sguardo eloquente.
Prese un respiro calmo, e un movimento fluido delle spalle gli fece adagiare le braccia lungo il corpo. Effettivamente me lo diceva spesso, che gli facevo cadere le braccia.
“Senti, contrariamente a quanto crede Synyster, io non ho gli interruttori in testa. Non riesco a tenere attive contemporaneamente tutte le funzioni che mi vengono richieste, specie quando si tratta di te, che sei un soggetto estremamente difficile da gestire. Allora, per questa e tutte le successive volte, ricordati che io e te siamo stati qualcos'altro per molto più tempo di quanto non siamo stati amanti. E che io sono anche tuo fratello maggiore e il tuo migliore amico, oltreché il tuo fidanzato. In questo momento sto facendo il migliore amico e il fratello maggiore.”
Fece una pausa, serissimo, e io tacqui.
“Perché mi conosci quanto io conosco te, e sai benissimo che se in questa circostanza avessi fatto il fidanzato avrei spaccato le gambe a lui e mandato all'inferno te. In via definitiva e non revocabile.”
Silenzio.
“Lo so io quanto mi ci è voluto per soffocare la furia omicida che mi ha preso al pensiero che quello ti avesse anche solo sfiorato, e lo sforzo titanico di autocontrollo che non ho e che mi sono dovuto inventare perché sai anche bene quanto io sia poco abituato ad agire con buonsenso e razionalità. Ormai comincio anche ad avere un'età e sono stato in guai seri per le mie reazioni spontanee più volte di quanto mi faccia piacere ricordare. Ci sono periodi del passato da cui preferirei prendere le distanze.”
“Sono d'accordo con te.”, dissi, “In effetti gran parte del sedicesimo secolo è stata davvero imbarazzante.”
Mi guardò interdetto un secondo, poi scoppiammo a ridere.
“Senti, smettila, mi fai perdere il filo.”, disse, ma più rilassato, tornando serio all'improvviso, “Questo sforzo l'ho fatto soltanto per te. Perché tu sei la cazzo di maledetta eccezione a tutte le mie regole. E alla mia fuga dalle responsabilità. Però non chiedermi di comportarmi normalmente in tutto e per tutto, per favore. Non farmi domande a cui non vuoi che io ti risponda, perché ti ferirei.”
Andai ad abbracciarlo, appoggiando la guancia sul suo petto, ricacciando in gola quella sensazione di bruciante ferita che già avevo addosso. Serrò la stretta intorno a me.
“Scusa.”
“Prego.”, disse.
Voltai il viso verso di lui, e Jimmy abbassò gli occhi, guardandomi ironico.
“Almeno un bacio puoi darmelo?”
Rise.
“Sì, quello sì.”
“Comunque non hai risposto alla mia domanda. Avresti preferito rimanere come prima?”
A quel punto, si chinò a baciarmi.
Ma è cosa universalmente nota che i baci, almeno in questa parte del mondo, non hanno mai risolto niente.

 

Heaven is a place on Earth with you.

 

Matthew Bellamy, alle diciotto e venticinque, spalancò accaldato la porta d'ingresso.
“Eccomi.”
“Cos'è successo?”
Transitando per il salotto, non potei fare a meno di notare il segno di cinque dita rosse che ancora stava sbiadendo sulla sua guancia.
“Kate non vuole parlarmi.”
“E' evidente.”, disse Fleur.
“Io ti avrei investito con la macchina.”, disse Bliss.
“Oh no.”, disse Dom.
“Ma dai.”, disse Jimmy.
“Che faccio, li servo in salone i chimichanga?”, disse Chichi.
Il criceto non disse niente.
Avevo la nausea. La nausea di tutto. La nausea di tutti.
“Splinter sarà qui tra qualche ora, forse può aiutarci.”, disse Fiorellino, spuntando dietro le spalle di Matt, che finalmente si mosse per andare a crollare sul divano, respirando pesantemente.
“Mi ha chiamato per chiedermi di andarla a prendere in aeroporto.”, aggiunse poi, a mo' di spiegazione.
“Ha chiamato anche noi.”, disse Fleur.
“Veramente ha chiamato Jimmy per sincerarsi di non dover mettere in valigia l'abito da cerimonia funebre.”

 

Hot summer nights, mid July
when you and I were forever wild
the crazy days, the city lights
the way you'd play with me like a child

 

Non riuscirò mai a riprendermi Bing.”
Matt sostava davanti a me, in terrazza, con gli occhi pieni di un dolore che non conosceva. Così poco avvezzo a gestirlo, circospetto nel modo in cui provava a metabolizzarlo, ad assorbirlo. Un figlio. Avrei giurato che si stava rendendo conto solo in quel momento di avere sul serio un figlio. Nella lacerante, imprevedibile possibilità di perderlo, di essere chiuso fuori da buona parte del processo che lo avrebbe visto correre, toccare la sua prima chitarra, sputare la pappa, addormentarsi a faccia in giù sul divano, fare a botte con un compagno di classe, prendersi una cotta per una ragazzina dai capelli lucenti, la prima, cocente delusione d'amore, il desiderio imprescindibile di un hi-fi, il primo concerto, la prima sbronza, perfino la prima volta che, adolescente e come tale refrattario a ogni regola, un po' lo avrebbe odiato. Bingham era ancora all'inizio di qualunque strada, eppure suo padre stava appoggiato alla ringhiera, davanti a me, a capo chino, e già lo vedeva sfuggirgli dalle mani per un gesto stupido come fuggire in capo al mondo con la ex fidanzata. Gli spezzava il cuore perfino l'idea di non potere, un giorno, sentire la distanza tra di loro farsi incommensurabile una delle rare volte che si sarebbe seduto al tavolo della colazione; avrebbe, allora, visto un teenager cupo e dubbioso, o forse un campione di football, o forse un appassionato di Epic Metal che fracassava i piatti di una batteria nel sottoscala di casa di amici, e si sarebbe sorpreso ad amarlo con tutto se stesso, quale che fosse la forma che avrebbe acquisito ai suoi occhi.
Si rese conto di averlo abbandonato, anche se per poco, e non si sentì migliore del proprio padre. Bellamy senior, l'amato e odiato.
“Tu non sei George.”, gli dissi, poggiandogli dolcemente una mano sul braccio.
Alzò gli occhi verso di me attrezzando un sorriso amaro, ma lo vidi tale e quale che non era d'accordo.
Prima ancora che la sua ragazza, ero stata una sua grandissima fan. Sia io che lui ricordavamo benissimo Escape. Sia io che lui ricordavamo benissimo i rispettivi padri. Il concorso di colpa mi si abbatté addosso come un ramo caduto.
“Ascolta, Matt. Non hai fatto nulla di irreparabile. Te lo riprenderai. Ti riprenderai Bing.”
Matt sospirò, saettando qua e là con lo sguardo, mentre si accendeva una sigaretta con le mani incerte.
Tirò una lunga boccata, calmandosi, poi mi rivolse lo sguardo.
“Tu non la conosci.”, disse.
I suoi occhi mi sciolsero un pensiero dal congelatore della memoria.
“Gli accenti.”
“Che?”
Scossi la testa, sorridendo.
“Al mio primo anno di università, gli accenti delle parole non mi entravano proprio in testa. Erano un vasto, oscuro mistero. Non riuscivo a distinguerli in nessuna maniera. Continuavo ad associargli segni, regole, filastrocche, nel tentativo di mandarli a memoria. L'unico che mi riusciva di ricordare era il circonflesso, perché di solito dove si trovava era caduta una consonante e allora non mi riusciva difficile pensare che, non so, in chateau
fosse caduta la 's' che per esempio era rimasta in castle.
Era Fleur che, con l'amore di una nutrice mulatta, si metteva lì seduto alla scrivania affianco a me e cercava di aiutarmi a memorizzarli. Hai capito, Eldariael? Senti il suono. Ascolta; 'è' non è 'é'. Di' 'vero'. E ora invece prova a dire 'gelo'. Senti che la 'e' non è la stessa? La senti?”
Mi guardò senza capire.
“Beh, non la sentivo. Per me era un'impresa impossibile. Io e gli accenti eravamo l'uno il terrore dell'altro. Poi, col tempo, ci ho fatto l'orecchio. Ancora oggi non saprei spiegarti come è successo, com'è che è avvenuta questa transustanziazione dalla dimensione dell'impossibile a quella del quotidiano. Però è accaduto.”
I suoi occhi sembravano piccoli laghi norvegesi preoccupati e confusi.
“Non sottovalutare le capacità che neanche sai di avere, Matt. Tu ami Bing. E nessuno sa meglio di noi due di quali meravigliose imprese è capace l'amore.”
“Nessuno sa meglio di noi due anche di quali catastrofici errori è in grado di commettere, però.”
Tacemmo.
“Ti ho fatto scappare via, bambina.”
Cercai un altro posto, qualunque altro posto che non fosse lui, per poggiare lo sguardo. Soffiai via una nube grigio-azzurra contro il cielo. Mi arrabbiai, mi agitai, e mi si riaprì una minuscola ferita. Così profonda che avrebbe potuto trapassarmi da parte a parte, e invece sembrava affondare dentro di me senza fine. Per la maggior parte del tempo, cercavo di evitare di pensarci.
“Sospetto se lo chieda ogni giorno anche il Dio del Tuono di là in salotto, se forse non sei finita tra le sue braccia per quel che è successo.”
“Matt, non voglio parlarne.”
Chiusi gli occhi. Una folla di immagini. Una porta sbattuta. Una corsa per cadere in ginocchio sull'unico vialetto al mondo capace di sostenere il peso del mio dolore.

 

 

I'm tired of feeling like I'm fucking crazy
I'm tired of driving till I see stars in my eyes
It's all I've got to keep myself sane, baby
so I just ride.”

 

Pioveva.
Una pioggia atavica, ancestrale. L'espressione di Mosè sperduto in mezzo all'infinito mare dopo il trentesimo giorno di diluvio mi apparve chiara, cristallina davanti agli occhi mentre picchiavo forte, a pugno chiuso, contro la porta di un appartamento all'ultimo piano del numero 13 di Via dei Fiori Oscuri.
Non so come ci ero arrivata, dopo tutto quel vagabondare stordito appena uscita di casa senza telefono, senza chiavi, senza portafoglio. Senza ombrello.
Chissà perché pioveva sempre, quando qualcuno si trovava nella condizione di doversi dirigere di corsa a casa di Andrea O'Malley.
Mi aprì lei, assonnata, con una felpa addosso che le arrivava fin quasi alle ginocchia.
“Ria? Ma che diavolo...”
Poi mi vide. Fradicia, tremante, sconvolta.
“Mio dio... Che ti è successo, Capitano?”
Cercai di articolare una parola, o due. Avevo un fiume di concetti che mi premeva dolorosamente dietro gli occhi, come se volesse farmeli schizzare fuori dalle orbite, il fiato corto e non riuscivo a stare ferma.
Improvvisamente, un rumore di passi nel corridoio annunciò la presenza di una terza persona. Sapevo di trovarlo lì. Speravo di trovarlo lì.
“Andy, ma si può sapere chi cazzo è a quest...”
Si bloccò non appena mi vide.
“Cristo santo.”
L'agitazione mi ha sempre reso particolarmente ricettiva. Affatto intorpidita o confusa, come succede agli altri. Vidi, infatti, nei minimi dettagli, il suo volto trasfigurarsi in una smorfia che sembrava un punto d'incontro tra la preoccupazione e la furia.
Finalmente, una parola trovò un varco nella mia gola occlusa dallo sgomento del dolore: un suono debole, incrinato, terribilmente sofferente, come mai ne avevo prodotti in vita mia.
“Jimmy”, dissi, scoppiando a piangere forte, all'improvviso. La diga era franata.
Jimmy, a torso nudo, sorpassò Ann in un baleno scostandola di lato, per chiudermi in un abbraccio così stretto e totalizzante che, se ancora mi fossi ricordata come si faceva a respirare, probabilmente avrei smesso del tutto di farlo.
Quando riaprii gli occhi, quella che mi sembrò un'infinità di tempo dopo, misi a fuoco a fatica il salotto di casa O'Malley illuminato da poca luce, e Ann in piedi, poco lontano, con una pira funebre di asciugamani perfettamente piegati in ordine di grandezza tra le braccia.
Qui e là, biancheria e vestiti sparsi per il salotto.
“Vuoi un po' d'acqua?”
La guardai negli occhi verdi. Era preoccupata, e interdetta. Chiunque si trovasse nel bel mezzo di un momento privato tra me e mio cugino sperimentava la curiosa, inevitabile sensazione di stare invadendo uno spazio sacro.
Cercai di sorriderle, non ci riuscii.
“Grazie. Scusa, Ann.”
“Non devi scusarti. Vado a mettere su un po' di tè.”
Girandomi, incrociai lo sguardo indagatore di Jimmy.
“Come sapevi che ero qui?”
“Non lo sapevo. L'ho immaginato. Tuttalpiù, se non ci fossi stato, mi avrebbe soccorso Andrea.”
“Non potevi chiamarmi sul cellulare?”
“Non ce l'ho, dietro, il cellulare.”
Sbuffando, mi tolse la maglia come si fa con una bambina. Neanche lo guardò, il mio reggiseno. Non guardò nulla di preciso, mentre mi avvolgeva intorno un asciugamano e mi frizionava per scaldarmi. Era preoccupato a morte.
“E' fradicio anche questo.”, disse, riferendosi al reggiseno, e con un gesto che doveva venirgli da anni d'esperienza nel campo lo sganciò e lo tolse, buttandolo alla cieca dietro di sé, tenendo chiuso l'asciugamano sul davanti per non scoprirmi.
“Su, asciugati un po'.”, disse, poi si voltò, gentilmente.
“Jimmy, cos'ho che non va?”, chiesi, mentre il telo mi arrossava la pelle che sfregavo con troppa lena.
Chiunque avrebbe detto, dolcemente, “niente, tesoro. Tu non hai niente che non va”. Mio cugino, invece, fulmineo, rispose: “La testa.”
Silenzio.
“Posso voltarmi?”
“Sì.”, dissi.
“La testa, hai, che non va. Come diamine fai a metterti con certi elementi da circo?”
Quando si voltò, si accorse che ero nuda, a parte gli slip – fradici pure quelli – e l'asciugamano tenuto davanti al seno mentre scalciavo via i jeans.
Arrossì e girò la faccia verso la finestra; cercando in giro con lo sguardo, reperì la sua maglia sul bracciolo del divano e me la porse, senza guardarmi.
“Jimmy?”, dissi.
“Sei in mutande.”, ratificò.
“Anche tu sei in mutande, eppure io ti sto guardando.”
“Io non porto un paio di slip di seta azzurra resi trasparenti dall'acqua.”
Poi si bloccò un attimo, guardando verso i suoi boxer: “O sì?”
Scoppiai a ridere infilandomi la sua maglia, e vidi un sorriso aprirsi sul suo volto, che finalmente si era rivolto di nuovo verso la sua piccola, catastrofica cugina.
“Cristo santo, meno male.”, disse, aprendo le braccia per accogliermi.
Appoggiai il naso alla sua pelle e respirai forte. Sapeva di sigari, sole e sere estive, con una punta di un profumo che usava da sempre.
“Ora, per favore, vuoi dirmi che è successo?”
“Ho litigato con Matt.”
“Sì, questo l'avevo capito.”
“Sono tornata a casa con una bottiglia di whiskey e diverse intenzioni.”
“Non indaghiamole.”
“Ok. Non appena ho aperto la porta, mi ha detto 'Ria, non sono mai stato più felice in vita mia. Mi butto in doccia, cosa fai, vieni?'. ”
“Va bene, saltala, saltala sta parte.”
“Sì, appunto.”
Crollai a sedere sul divano, sfilandomi con discrezione gli slip che lanciai verso quelli che probabilmente appartenevano ad Andrea, in un angolo del tappeto.
Ann entrò con il tè, circospetta; Jimmy le rivolse un'occhiata eloquente.
“Tesoro, per favore. Metti via quel vassoio e vai a prendere la tequila.”
Lei annuì e fece dietrofront, ed io alzai lo sguardo verso di lui, adorante. “Sei la cosa migliore che sia mai accaduta alla razza umana.”
“Sì, lo so.”, disse lui, sbrigativo, “Che stavi dicendo?”
Un singhiozzo improvviso mi spezzò il respiro, precipitandomi di nuovo verso le lacrime.
Jimmy si accostò a me.
“Su, su, ehi. Ci sono qui io.”
Mi spinse a sedermi in braccio a lui, come feci la prima volta che qualcuno mi spezzo il cuore, e bene o male tutte le successive: mi ci accoccolai, grata.
“LO VOLETE IL LIMONE?”
“Ma quale limone, Andrea! Porta la bottiglia e basta.”, gridò Jimmy in risposta, poi guardò me.
“Se non ne vuoi parlare ancora, va bene.”
Mi lasciai andare addosso a lui, appoggiandogli la testa su una spalla. Chiusi gli occhi. Le sue braccia intorno a me mi cullavano gentilmente, senza sosta. Ero precipitata in un batuffolo d'ovatta, e anche il dolore sembrava senza peso, lì: Jimmy profumava di calore e di Jimmy.
Andrea ancora non riemergeva.
All'improvviso, si irrigidì. E io pure.
“Jimmy”, dissi, imbarazzata, “Hai un...”
“Ignorala.”
Lo guardai, soffocando una risata.
“E' mattina presto, è fisiologico, e tu mi sei seduta in braccio, se non vado errato senza mutande. Tra noi due ci sono solo i miei boxer, che non sono fatti di cemento armato, devo darti qualche ulteriore spiegazione?”
Non riuscivo a smettere di ridere, e non mi decidevo a scendergli di dosso.
“Però, sembra un gran bel...”
“Ria, ti prego, non fare commenti. Potrei non sopravvivere al trauma.”
“Scusa, scusa... volevo solo essere gentile.”
“Hai uno strano concetto di gentilezza, fattelo dire.”
Rideva anche lui.
Ann rientrò con la bottiglia in una mano e tre bicchieri in equilibrio precario nell'altra, proprio mentre io riemergevo dal corridoio con un paio di suoi slip addosso.
“Ani, ti ho preso della biancheria.”
“Fa' pure. Cosa avevate tanto da ridere?”
“Jimmy ha avuto un risveglio particolare.”, dissi velocemente, con un'altra risata.
Jimmy mi riprese, carico di ironico disappunto. “Ria!”
Ann, invece, ci mise un secondo a capire. Ma poi ci arrivò.
“Santo cielo. Ma non avete il minimo senso del pudore, voi due? Non so, di quel che è appropriato, costumato, accettabile...”
“No.”
Mentre versava la tequila nei bicchieri, disse: “E' bello sentirti ridere, Ria.”
Le passai dietro e la abbracciai, baciandola sui capelli come quando ci conoscevamo appena, e ci sembrava di conoscerci da sempre. Svuotavamo le bottiglie di birra sotto i palchi, lei rideva, Bliss suonava. Dormivamo poco, ma bene, a quei tempi.
“Forza”, mi esortò, porgendomi un bicchiere da whiskey pieno fino all'orlo, “Sputa il rospo.”
Mandai giù d'un sorso l'intero contenuto, e poi mi apprestai a fornire quella che la Storia ricorda come il peggior resoconto di guerra che io abbia mai dovuto ratificare a chicchessia. Il più umiliante, brutale scavare in me stessa che abbia mai conosciuto.
“Torno a casa con una bottiglia e tanta voglia di fare. Lo trovo lì che mi aspetta e mi propone di fare una doccia insieme. Matt si avvia nel bagno, io mi prendo un momento per mettere via il whiskey e per, beh...”
“Non voglio sapere.”, mi interruppe Jimmy, categorico.
“Ok, allora diciamo che mi prendo un momento e basta. Vado alla dispensa a prendere del ghiaccio.”
“Per cosa ti serviva del ghiac...”
“SHHH!”, lo zittì Ann, osservandomi.
“Tornando indietro, lo schermo del suo iPhone si illumina. In sovrimpressione, appare una foto con mittente 'KH'. Poi un'altra, un'altra, e un'altra ancora. Visto che io devo sempre agire a discapito del fatto che la definiscano 'beata ignoranza' per un motivo, decido, repentina, di aprire le foto. Lei è addosso a lui, seduta, abbracciati, ridono, bevono, in una sequenza di scatti molto intimi. Non intimi del genere amichevoli, intimi del genere flirt, non so se avete presente.”
“Abbiamo presente.”, disse Ann, accigliata.
“C'era scritto 'these are from Coachella. Looking forward to seeing you, miss you, K' o qualcosa così. Scorro un po' i messaggi all'indietro. Molto teneri. Non sono menzionata una volta. Una sola. Che fosse una. Ce n'è addirittura uno di una sera in cui, e me lo ricordo bene, io ero seduta addosso a Matt sul divano e parlavamo di matrimonio a Palm Beach, e di quanto fosse cliché. Mi ricordo che data fosse perché era il compleanno della mamma, e lui non metteva giù un attimo il cellulare. Io gli chiesi chi era, e lui mi rispose che era Dominic in crisi per non so quale motivo. Beh, stasera, già che mi trovavo, ho controllato se Dom gli aveva mandato messaggi quel giorno. Neanche uno. Non scriveva a lui, scriveva a lei. E lei a un certo punto gli ha chiesto anche perché ci avesse messo tanto a rispondere; lui ha scritto che stava chiacchierando con gente, e non guardava tanto spesso il telefono. Con gente, avete capito. Stava chiacchierando con gente. La gente, lasciate che lo dica ad alta voce così il concetto si chiarifica a me stessa, sarebbe la sua fidanzata, e le chiacchiere sarebbero i programmi per il matrimonio.”
“Quel pezzo di merda”, sibilò Jimmy.
Ann gli diede una pacca su una gamba, incitandomi a continuare.
Andavo avanti e indietro di fronte a loro, seduti sul divano, senza requie.
“Esce dalla doccia e mi trova ancora di fianco al bancone, col suo telefono in mano, e mi chiede cosa sto facendo. Il tono da privacy violata che usa mi fa partire i nervi. Gli chiedo di spiegarmi, esattamente, chi è questa KH e perché non ne so niente. Lui, pacifico, mi risponde una cosa tipo 'un'amica'. Gli faccio presente che stiamo per sposarci, gli cito qualche messaggio e gli dico che alla luce di ciò sarebbe decente da parte sua definirmi con un po' più di chiarezza chi sia questa amica.
Mi risponde: Ria, devo essere completamente onesto con te. Ho conosciuto una persona. Con questo non ti sto assolutamente dicendo che io me ne sia innamorato, ovviamente non è così, però ha... qualcosa. Ci siamo incontrati al Coachella, lei si era persa e io passavo di lì... Ti ripeto, ecco, niente di speciale. Siamo diventati proprio buoni amici. Lei è fenomenale, davvero. Divertente, per dirne una.”
Mi fermai. Loro due, sempre sul divano, mi fissavano allibiti.
“E a quel punto io gli ho chiesto perché, visto che specificava che non era niente di speciale, non me l'avesse presentata, o non me ne avesse almeno parlato, o perché non avesse parlato a lei di me, invece di dirle che chiacchierava con gente.”
Silenzio.
“E lui?”, disse all'improvviso Ann.
“E lui mi ha risposto che non lo sapeva, in realtà. Che semplicemente non se l'era sentita di dirmelo per una serie di motivi uno più fesso di un altro. E che non si sentiva di escludere, per onestà intellettuale, la possibilità che il rapporto tra loro due potesse, un giorno, evolversi diversamente, perché comunque se ne era sentito in qualche modo attratto.”
“Ma che diavolo di modo di pensare è?”, domandò Jimmy.
Io esalai un sospiro rotto dal pianto.
“E' il modo di pensare di Matt. Un modo di pensare del cazzo. In realtà, lui non pensa affatto. Non ha senso del giusto. Non ha sinapsi collegate o dendriti funzionanti. Ogni tanto si costringe a credersi una persona normale, ma tanto non lo è. E' a-normale. Del peggior genere.”
Andrea riempì di nuovo il mio bicchiere.
“Ma scusa... Lui ha parlato di un'eventualità che un domani accada che lui si innamori di questa, no? Solo un'eventualità. Non starai mica dando peso a questo? Se lui è fatto così, e lo sai, forse...”
“Ann, ti prego, vi prego, mi prego, ci prego tutti.”, dissi, con le lacrime nella voce, fermandomi solo per buttare giù il secondo bicchiere, “Io ne ho sentiti, nella vita, di discorsi del cazzo. Sono la cugina del Signore dei discorsi del cazzo. Il re del ragionamento a merda.”
“Lo so.”, rispose la mia amica, tristemente.
“Eh, appunto. Ma quello che ha detto Matt stasera va oltre. E' sbagliato, e crudele, e gratuito. Lui crede di non aver fatto nulla di male, capisci? Crede di essere stato semplicemente riservato riguardo a suoi fatti personali, quando in realtà mi ha solo ferito a morte, di nuovo. Mi ha fatto sentire di non essere abbastanza, per lui, di nuovo. Proprio non ci arriva. Indipendentemente da quali siano le sue intenzioni, non è possibile. Non è possibile subire una cosa del genere. Ancora? Per tutta la vita, poi? Non penso di farcela. Voi non avete idea della voragine senza terraferma alla fine che mi si è aperta dentro. Io ci avevo creduto, seriamente, che fosse possibile stare insieme per davvero. Io ci ho creduto, quando lui mi ha detto che avrebbe fatto del suo meglio. E' questo, il suo meglio? Ma quanto posso essere stupida? E' colpa mia, in fondo. E' colpa mia e della mia convinzione da catechismo che basti l'amore per far funzionare le cose. Basta. Basta.”
Stavolta fu Jimmy ad alzarsi a versarmi il terzo bicchiere.
“Questa volta gli spacco il cranio.”
“No Jimmy, tu non farai proprio un cazzo di niente perché io ho bisogno di te. Qui.”
Sospirò rabbiosamente, allungandosi verso il sigaro nel portacenere.

Afferrai la bottiglia e una sigaretta che Ann mi aveva appena acceso. Tirai una boccata, diedi un sorso, e dissi: “Va già un po' meglio.”
Uno spasmo di dolore psicologico, presente come non lo avevo mai sentito, travalicò la mente per tradursi in un'ondata ascendente dentro il mio petto. Chiusi gli occhi.

 

Surprise, surprise, couldn't find it in your eyes
but I'm sure is written all over my face.
Surprise, surprise, never something I could hide
when I see we've made it through another day.”

 

 

Più tardi, mi ero seduta al pianoforte per spodestare, almeno metaforicamente, i due virtuosi della materia che erano in grado di suonare il Rondò alla Turca bendati, con una mano dietro la schiena, un'emicrania martellante e quattro scoiattoli imbizzarriti nei pantaloni senza sbagliare una nota.
“Devo dirtelo”, mi informò Matt, apparendo languidamente alle mie spalle, “Ho sempre pensato che tu e il Reverendo siete proprio una bella coppia.”
SBONG. Il rumore di tasti pestati rimbombò maestoso nel condominio, facendo saltellare sui letti sette famiglie. Quelli col materasso a molle saltellarono un po' di più.
Mi voltai al ralenti.
“Lo pensavo anche da prima che vi metteste insieme. Siete sempre stati una bella coppia.”
“Sì, confermo.”, soggiunse Jimmy, rifilando a Matt il suo famoso sguardo hai un po' rotto i coglioni.
“A proposito, che ci fai qui? La tua presenza non mi delizia più come un tempo.”, aggiunse poi, sarcastico.
Sorrisi, girando la faccia velocemente.
“Non ti ha mai deliziato, Rev. Ad ogni modo, cerco conforto. Sta arrivando Splinter, poi, e mi sembra che abbiamo cose da discutere.”
Jimmy lo guardò serio e aprì le mani: “Chiariamo una cosa. Voglio che tu abbia ben presente, sempre, che l'unica cosa che c'è stata tra te e una morte violenta e dolorosa è questa qui.”, disse, indicandomi.
Matt rivolse gli occhi al muro, respirando forte dal naso.
“Non sto scherzando. Sono serissimo. Le devi la vita.”
“Bene. Amala meglio di me, allora, se ti riesce.”
“Come scusa?”
Matt lo guardò, impassibile.
“Ho detto...”
“Ho sentito cosa hai detto. Voglio capire cosa intendevi.”
“Pensi di essere un così buon compagno, per lei?”
Jimmy non poteva crederci. Strinse un paio di volte i pugni, e fece un passo avanti.
Mi alzai in fretta, allarmata.
“Il mio rapporto con lei non ti riguarda.”
“Parzialmente vero. Ma se ci tenevi sul serio ad essere migliore di me, tanto per cominciare, potevi sposarla.”
“Non sono affari tuoi, e non proiettare su di me i tuoi fottuti problemi mentali, che poi sono quel che te l'ha fatta perdere.”, rispose Jimmy, brusco.
Matt attrezzò un'espressione di finta sufficienza.
L'aria si fece rarefatta, e il silenzio totale. Si fronteggiavano nonostante l'evidente differenza di altezza, duri come il marmo e tesi e taglienti come le corde delle chitarre che un tempo sentivo suonare, felice, ignara, pensando che la gioia di vivere fosse tutta lì.
“Allora dovresti ringraziarmi.”, disse Matt, soffice, “Magari, però, se l'avessi sposata, non avrebbe sentito il bisogno di scappare con me.”
Jimmy digrignò i denti, perse le staffe e avanzò verso di Matt: mi misi fra di loro, cercando di trattenerlo, spingendolo indietro.
“JUNIPER!”, urlai.
Bliss apparve in salotto planando con aria terrorizzata. Sapeva che non la chiamavo mai per nome. E di certo non con quel tono spaventato e urgente.
Impiegò alcuni secondi a inquadrare la scena, poi spalancò gli occhi e corse verso di noi.
Jimmy guardava fisso Matt con odio, e si dibatteva contro di me, trattenuto solo dall'eventualità di farmi male travolgendomi; io cercavo, disperatamente, di portargli il viso verso il mio, convincerlo a guardare me, ad ascoltare me.
“Portalo via!”, urlai a Bliss.
Negli occhi di Matt c'era un'aria di canzonatoria sfida che avrebbe mandato su tutte le furie chiunque, figurarsi Jimmy, che si era trattenuto anche più che abbastanza in quei giorni.
Mentre Bliss trascinava via Matt, il quale manteneva quell'odiosa espressione in faccia camminando all'indietro portato dalla mia migliore amica, guardai Jimmy: gli occhi in fiamme, il fiato corto.
Dio, ti prego. Ti prego, Dio.
Proprio un attimo prima di sparire oltre la porta del salotto, Matt soffiò un acido, acre: “Non ci vai neanche a letto.”
Sentii Jimmy scivolarmi di dosso, glissandomi, e mi appoggiai al pianoforte per non cadere, voltandomi, terrorizzata.
Bliss, come un fulmine, spinse Matt nel corridoio e chiuse la porta.
Jimmy si bloccò proprio lì davanti, e batté violentemente il pugno sul legno laccato.
“Apri questa cazzo di porta, o giuro che la sfondo.”
Qualcuno in effetti aprì una cazzo di porta: quella dell'ingresso. Mia sorella. Con le chiavi.
“Ehilà!”, squittì, allegra.
Io mi avvicinai a Jimmy e gli appoggiai cautamente le mani sulle spalle. Era più teso di prima.
“Che benvenuto.”, commentò Splinter, trascinando il trolley. Fleur osservava la scena dal soppalco, pensieroso: mia sorella lo notò con un soave “oh”.
“Gregory? Ragguaglio.”
“Bellamy ha provocato James. James è partito.”
Mi sporsi a baciare lentamente un punto sulla sua schiena, e lo circondai con le braccia. Dopo un po', il respiro si fece più tranquillo.
Restò immobile, inerte alla mia presa.
“Che schifo.”, disse a un certo punto. Si staccò da me e se ne andò in terrazzo, senza guardarmi.
Splinter diede un'occhiata distratta all'orologio.
“Nove ore.”, disse, “Vi lascio soli per nove ore, ed ecco che succede. Splendido.”
“Qualcuno si offende se prorompo in una lunga litania di imprecazioni?”, dissi, sentendomi crollare le braccia.
“Nono.”, rispose mia sorella, calma e intenta a versarsi un bicchiere di bianco.
Me ne andai in terrazzo, perché non c'era altro da fare.
Jimmy se ne stava a sguardo perso, appoggiato con le mani alla ringhiera.
“Ria, tu mi ami?”
“Ma certo. Certo che ti amo. Da morire.”
“Allora lo voglio fuori di qui.”
Tacqui, e lui si voltò.
“Adesso.”, disse, ferreo.
Guardai a terra e rientrai, andando a bussare alla porta del corridoio, rimasta chiusa.
Bliss l'aprì di quel poco che bastava a sbirciare chi era, e mi rivolse uno sguardo carico di partecipazione con un solo occhio. La mano di Matt spalancò la porta, e me lo trovai davanti, evitando di guardarlo negli occhi.
“Devi andartene.”
Un'eco di tre “cosa?” seguì all'affermazione: Matt, da parte sua, non disse nulla.
Mi sorpassò scostandomi gentilmente con una mano, e successivamente lo vidi prendere il giubbino dall'attaccapanni. Sull'uscio, si fermò un momento.
“Di' a Jimmy che mi dispiace. Ho parlato a sproposito. Per quel che vale, credo che lui sia un'ottimo compagno, per te.”
Sentii il mio cuore spezzarsi. Di nuovo. Inghiottii una lacrima, mentre la porta si chiudeva con un tonfo.
Per evitare di dar vita a scene di panico collettivo, mi ritirai in camera da letto. “E' tutto a posto”, sentii dire a Splinter, “domani si saranno calmati tutti e risolveremo questa storia. Se così non dovesse essere abbiamo alcune ottime padelle in acciaio temprato che, abbattute con la giusta forza...”
Ero seduta al centro del letto a gambe incrociate, e mi asciugavo le lacrime man mano che scendevano. Jimmy entrò senza bussare, come una raffica di vento, e mi guardò con aria colpevole.
“Scusa.”
“Stai zitto. Vieni qui.”
Si sedette accanto a me, ma io lo tirai giù e mi franò addosso, scomposto.
“Non dovevo prendermela con te.”, disse, appoggiandomi la testa sul seno.
Gli accarezzai i capelli, tornando d'un tratto a dieci anni prima, su un letto matrimoniale di Huntington Beach. Si vedeva la spiaggia, dalla finestra.
“Non sono mai riuscito a pensarti a letto con nessuno. Figurarsi poi con me. Anche se ho avuto una specie di cotta per te, per moltissimo tempo.”
Si voltò, stendendosi accanto a me, e aprì le braccia.
“Ma tu avevi quattro, cinque mesi, ed eri qua.”, disse, muovendole. La sua spalla contro la mia, i miei occhi sorridenti sulla sua guancia e il suo sguardo, invece, oltre il soffitto, dentro un mare di ricordi, prima di incrociare il mio. “Capisci, scarafaggio? Negli ultimi tempi, prima di arrivare qui, prima che accadesse questo, abbiamo vissuto in un limbo. Privo di responsabilità e di qualunque senso del reale. Lo sai, sì?”
“Però mi ricordo bene che di sesso ne abbiamo fatto eccome.”
Sbuffò, dolcemente.
“Ria, abbiamo sfogato un sogno proibito. Adolescenziale. Ma finita l'ebbrezza di aver avuto il permesso di infrangere tutte le regole, cosa è rimasto?”
“Noi”, dissi, tranquilla, “Quelli di prima.”
Mi guardò negli occhi, eloquente. “Appunto.”
Gli porsi la mano e lui la prese, baciandone il palmo prima di mettersela sul petto, sotto la sua.
“Era una vita che non mi chiamavi scarafaggio.”, osservai, pervasa da una tenerezza antica quanto l'anima.
Mi sorrise, poi si voltò verso il comodino, localizzò il pacchetto di sigarette e le prese. Qua non si faceva altro che fumare, discutere e amareggiarsi. Fleur avrebbe detto che la curva gaussiana non mente mai.
“Ti amo, Jimmy. Non amerò mai nessuno quanto amo te.”, dissi, abbracciandolo.
“Sai che per me è lo stesso.”, rispose, accarezzandomi il braccio e baciandomi i capelli, “Ma, di nuovo, appunto. Siamo sempre stati una coppia, e non perché pensavamo di essere cugini. Perché ci somigliamo ben al di là di qualunque parentela possibile.”
Si mise in bocca due sigarette e le accese.
“Io ho un sacco di cugini che non ho mai cagato.”, aggiunse, tra sé e sé.
Gli presi la sigaretta dalle labbra, lasciandogli un bacio lieve proprio all'angolo. Si tolse l'altra sigaretta da bocca, e mi baciò di nuovo, a labbra chiuse. Era meditabondo.
Sì, sì, meditabondo è esattamente il termine che cercavo.
“Jimmy, senti. Io e te non siamo adatti ad alcuna relazione. Non lo siamo mai stati, tant'è che ci siamo scelti sistematicamente persone... persone... come faccio a descrivere che persone ci siamo scelti?”
Sorrise. “Persone Bellamy?”
“Ecco. Bravo. Sei un fenomeno.”
“Vai a prendere i biscotti.”
“Non ci penso nemmeno.”
Scrissi un messaggio a Bliss pregandola di usare una certa discrezione nel prelevare la biscottiera dalla cucina; entrò poco dopo e si accomodò sul letto, sfilando una sigaretta dal pacchetto con aria saggia per poi puntarla verso Jimmy.
“Non farlo mai più, Jimbo. Se tu finisci nei guai, a questa chi la tiene?”
Jimmy si strinse nelle spalle, tirandosi a sedere. “La tieni tu, come sempre.”
La mia migliore amica scosse la testa: “Lei ha bisogno di te.”
Osservammo un minuto di silenzio in onore dei biscotti.
“Ma, per curiosità... voi due avete mai litigato? Perché non vi ho visti una sola volta senza quell'espressione di adorazione ebete in faccia che c'avete l'uno per l'altra sempre. Non una volta.”
“Hai voglia.”, dissi, franca.
“E su cosa avete litigato?”
Jimmy mi scoccò un'occhiata divertita, in attesa che parlassi.
“A un certo punto lui ha avuto, per moltissimo tempo, una fidanzata che io odiavo con ogni fibra del mio essere.”
“Come si chiamava?”
La smorfia di disgusto e rabbia sul mio viso spinse a un repentino cambio di argomento.
“Ok, tralasciamo. Quindi non siete sempre stati rose e fiori?”
“Abbiamo avuto confronti, anche aspri, su alcune cose.”, disse Jimmy, democratico.
Bliss si espresse in una risata a sbuffo, quindi si rivolse a me: “A proposito, oggi sono uscita a comprare una cosa che avevo visto in un negozio e ho preso una roba per te. Provatela, così vedo come ti sta.”, disse, indicandomi la busta con cui era entrata poco prima insieme ai biscotti. Incuriosita, andai a recuperarla e me ne andai nel bagno della stanza: quando l'aprii, le mie sopracciglia bucarono il soffitto per involarsi verso il secondo anello di Saturno. Ne indossai il contenuto, non senza difficoltà, e mi affacciai alla porta.
“Ma non so se è il caso che io esca di qui in queste condizioni.”, dissi, circospetta.
“Avanti! Io sono la tua migliore amica e lui è il tuo fidanzato, no? Vieni fuori.”, mi incitò la stronza.
Incerta, aprii la porta e feci la mia apparizione.
Bliss fischiò, la cretina. Jimmy, steso con le mani intrecciate dietro la testa, voltò il viso verso di me e tacque, guardandomi.
Quella volpe della mia migliore amica sorrise a trentadue denti, disse: “Fantastico, me ne vado, statemi bene.”, e si involò.
Sul sordo clack della porta, mi rivolsi a Jimmy, in lieve imbarazzo.
“Dì qualcosa, per Dio.”, sussurrai.
“Qualcosa, per Dio.”, articolò volutamente atono, seguitando a guardarmi.
Sorrisi timidamente.
“Vieni qui, in braccio a me, angioletto.”
Mi avvicinai a lui e gli salii addosso, a cavalcioni. Appoggiò le mani sulle mie cosce, giocherellando con l'orlo in pizzo delle autoreggenti.
Come rarissimamente accadeva, mi passò una mano dietro il collo e mi attirò a sé, prendendo l'iniziativa di baciarmi.
Affondai tra le sue labbra, colpendo il piercing, e strinsi un po' le gambe.
“Jimmy, se non ti va non...”
“Dillo ancora.”, sussurrò, respirando dalla mia bocca.
“Jimmy, se non...”
“Ancora.”
“Jimmy...”
Mi sfilò la sottoveste trasparente, e il reggiseno: appena la mia pelle nuda toccò il suo petto, brividi lungo la schiena e su per le braccia mi fecero tremare piano.
Mi tirai di nuovo a sedere su di lui, e gli poggiai le mani aperte sulla pancia, sorridendogli. Mi guardava, incantato, e mi piaceva.
“Quanto sei bello.”, gli dissi.
“Quanto sei bella tu.”, mi rispose, dolce.
Si alzò sotto di me, sedendosi a sua volta, e fece aderire di nuovo la nostra pelle abbracciandomi, mentre la sua bocca trovava la mia e la sua mano iniziava a tirare via gli slip.
In quella, si spalancò la porta.
“Ragazzi, scusat... Occristo.”
Mi voltai a guardare Splinter, che si copriva la visuale con una mano, voltando la testa di qua e di là, agitata.
“I miei occhi! I MIEI OCCHI! COSA HO VISTO”
“COSA HAI VISTO?”, soggiunse Bliss, arrivando di corsa. Guardò lei, poi noi.
“Splinter, diavolo, sei una tempesta di inopportunismo.”, commentò, sospirando.
Smontai da Jimmy, andando a sedermi dietro di lui per coprire le grazie.
“Dobbiamo parlare.”, esclamò mia sorella, guardando altrove.
“Possiamo parlare dopo?”, domandò Jimmy.
“No.”
“Bene, possiamo avere un momento per ricomporci?”
Splinter si voltò a fissarlo. “Cosa devi ricomporre?”
Jimmy sbuffò.
“Proverò ad essere più chiaro: mi dai due minuti per farmi passare l'erezione, o devo parlarti così?”
Bliss scoppiò a ridere, e io pure.
Mia sorella no. Senza scomporsi, disse: “Guarda, sei impossibile.”, e chiuse la porta.
Io gli coprii la schiena e il collo di piccoli baci, sorridendo.
“Ria, ho detto che devo farmi passare l'erezione. Per cui alzati, mettiti un saio e fai sparire quelle autoreggenti dalla mia vista.”
Gli infilai una mano nei pantaloni, continuando a mordergli la pelle, e lo circondai da dietro con le gambe.
“Ria.”, disse, severo, poggiando la sua mano sulla mia attraverso la stoffa.
Esalai un lamento capriccioso, e passai la lingua sul suo collo, fino a dargli un piccolo, dolce morso sul lobo dell'orecchio.
“Come vuoi.”, risposi, tirai via la mano e mi accinsi ad alzarmi dal letto.
Srotolai le calze in fretta, e mi infilai una maglia informe appartenuta a qualche epoca dimenticata: le sue braccia forti mi circondarono, e appoggiò la testa nell'incavo del mio collo.

 

Sono fuori di me, e sono in pensiero
perché non mi vedo tornare.”
(Luigi Tenco)

 


“Alla buon'ora.”, commentò piccata mia sorella, vedendoci entrare in salotto.
“Rallegramenti.”, disse invece Bliss, positiva.
“Grazie.”, risposi, acciambellandomi sul divano.
“Tra l'altro, a proposito, era un po' che volevo chiederti se ti sei mai scopata Synyster.”, aggiunse poi, serafica.
“Perchè me lo chiedi?”
Jimmy si voltò, fulmineo.
“Chi è che ti sei scopata?”
“Brian sta venendo qui, e con lui Shadows.”, disse Splinter.
“Perché?”
“Perché, parlando con Shadows, gli ho inavvertitamente detto della sfiorata tragedia tra te e Bellamy, ed egli mi ha risposto che gli serviva giusto il tempo di buttare due cose in valigia. Non gli ho dato peso. Mi ha scritto poco fa chiedendomi di andare a prendere lui e Brian in aeroporto domani alle 15.45.”
Brian
”, disse Bliss, con una punta di ironia, “mi ha chiamato poco dopo che si erano sentiti Shadows e Splinter, domandandomi come stessi tu, Ria, come avevi preso l'incontro con Bellamy e se andava tutto bene con Jimmy. Di qui, la domanda che ti ho rivolto poco fa.”
“Esiste tutto un mondo di persone che, per interessarsi ai sentimenti degli altri, non devono esserci state necessariamente a letto.”, soffiai, cupa. Per noti motivi non erano mai semplici, i nostri discorsi su Synyster.
“Inutile farti notare che non mi hai risposto.”, insistette lei, ferrea.
“Ovviamente la risposta è no. Ovviamente.”
Comunque, quale che fosse la ragione addotta all'arrivo dei metallari dell'ovest su suolo inglese, la verità, come al solito, era chiara e semplice: la campana del pericolo aveva suonato, e il Clan si apprestava a riunirsi per fronteggiarlo insieme.
L'arredamento del salotto era rimasto pressoché inviolato in due anni, a parte trascurabili aggiunte lasciate da chi ci aveva transitato per brevi periodi: un vaso brutto, una piccola scultura irlandese davvero inquietante, qualche nuova candela, una sfilza di posacenere. Il dettaglio che apprezzavo di più, però, come sempre era: noi. Noi, lì dentro, inevitabilmente insieme. Jimmy si sedette accanto a me sul divano, respirando rilassato. Sa Dio il mio terrore atavico che vivesse quella nostra astinenza come una mancanza della sua virilità. Fleur spuntò pimpante dalla cucina, con in mano un libro dall'aria impegnativa.
“Sono le due del mattino e io ho maturato alcune considerazioni.”, esordì, prendendo posto nella sua poltrona.
La sua poltrona. Ecco: ufficialmente, Morgue Place era casa mia e di Bliss. In realtà, invece, ospitava una variegata famiglia, più o meno costantemente alle prese con la risoluzione di curiosi rompicapi esistenziali.
“Bisogna parlare con Kate.”, disse Bliss, in piedi contro la libreria.
“Attenzione allo scaffale dei poeti slavi.”
Si voltò verso di me proprio sul finire della frase che avevo pronunciato.
“Chi cazzo li legge, i poeti slavi?”
“Io.”, rispose Fleur, roteando solenne un bicchiere di brandy.
“Anche io, veramente.”
“Jimmy, sei un'aiuola di sorprese.”, commentò la mia migliore amica. Notai in quell'istante che, nonostante l'aria mortalmente seria che aveva acquisito nel farmi la domanda su Synyster e che non aveva ancora dismesso, portava i capelli raccolti in un'esilarante cipolla bionda in cima alla testa.
“Dunque, ho pensato”, iniziò Fleur, ma lo interruppi immediatamente.
“Bliss, come cavolo ti è saltato in mente di farmi quella domanda?”, chiesi, guardandola.
“Quale domanda?”, domandò il mio amico, leggermente indispettito dalla mia scortese sortita.
“Le ha chiesto se è mai stata a letto con Synyster.”, lo informò mia sorella la quale, occhiali in punta al naso, scorreva un plico di fogli. L'inscindibile legame genetico tra Splinter e i plichi di fogli di cui nessuno conosce l'argomento a parte lei è stato spesso oggetto di ardite supposizioni.
“Mi è parso strano che Brian si preoccupasse prima di te e poi di Jimmy.”
“Brian si preoccupa sempre prima di Jimmy, ce l'ha di default. Sono sposati da vent'anni, non lo sai? Il fatto che non te l'abbia notificato, non vuol dire che non sia sprofondato in una ghiacciaia di ansia per l'eventualità che l'amore della sua vita si affaticasse il cuore litigando con Matthew Bellamy.”, argomentai con sicurezza.
“Preoccuparsi di me non è che un'estensione del preoccuparsi per Jimmy.”, aggiunsi poi.
“Non è vero, lui ti vuole bene a prescindere da me.”, mi corresse Jimmy, tenero.
“Molto commovente, ma non ce ne frega un cazzo. Fleur, dicevi?”, intervenne sbrigativa mia sorella, senza neanche alzare gli occhi dal fascicolo.
Gregory, lieto di aver ripreso la parola, si sistemò meglio in poltrona e ci abbracciò con lo sguardo.
“In verità vi dico, a Eldariael non interessa della sua reputazione. Fa la ricercatrice, adesso, non la groupie. Eldariael è rimasta qui parzialmente perché si sente in colpa per quel che è successo, e parzialmente perché vuole bene a Matthew. Come è giusto che sia. Non sappiamo fino a che punto Kate sia ferma nelle sue decisioni, perciò dobbiamo fidarci di quello che dice suo marito. Il che significa, almeno per un po', averlo intorno”, guardò Jimmy, “e comportarci da buoni amici. Ciò include anche sopportare, qualche volta, atteggiamenti infantili e fastidiosi che gli sono ispirati dall'ansia e dalla difficoltà della situazione. In breve, dobbiamo essere condiscendenti, o non saremo di nessun aiuto.”
Splinter si sfilò teatralmente gli occhiali.
“Ok. Dal punto di vista pratico, io devo impedire, in qualche modo, che quell'intervista venga pubblicata.”
“Non lo si può impedire, a meno che non si convinca Kate a non rilasciarla.”, osservò Bliss.
“Esatto.”, rispose Splinter, risolutiva, “Ed è qui che entra in gioco Matt Shadows.”
Incapaci di qualunque slancio di sbigottimento ex novo, allibimmo per inerzia.
Io guardai Jimmy, che guardò Bliss, che aprì le braccia come il Cristo di Maratea.
Mia sorella roteò gli occhi, stufa di avere a che fare con persone che non sapevano leggere nel pensiero.
“Veramente l'idea è venuta a lui. Quando stavamo parlando al telefono. Ha detto che forse a Kate serviva parlare con qualcuno di completamente estraneo a tutta la faccenda, ma che conoscesse tutti abbastanza da potersi fare mediatore.”
“E quindi ha risolto di portarsela a letto.”, aggiunse Bliss, esegetica.
“Bliss, non tutto ruota intorno al sesso, nella vita.”, dissi.
“Per favore. Lo sappiamo tutti che A) non è vero B) gli uomini o ragionano col cazzo, o col cazzo che ragionano.”
“Juniper, da dove le prendi queste citazioni dotte?”, domandò Fleur, sinceramente interessato.
“Lasciatela stare, è agitata perché arriva Brian.”
Saettai con gli occhi un muto
non è il caso di affrontare l'argomento a mia sorella.
“Io francamente penso che debba parlarci Jimmy, casomai.”, disse invece Bliss, sintonizzata su tutt'altre frequenze.
Ci voltammo in gruppo verso di lei.
“E dico
casomai perché non sono neanche così sicura che parlando si risolverebbe qualcosa. Tutti quanti conosciamo Bellamy e sappiamo bene che non sempre è facile starci insieme. In realtà, diciamocela tutta, lei non ha torto.”
“No, non ha torto.”, concordai.
Tutti annuirono, pensierosi. Solo Splinter la guardava a bocca semi-aperta, con gli occhiali in mano. Curiosa di sentire quel che mia sorella aveva da dire, la esortai ad esprimersi.
“Tu cosa dici, Splinter? Perché sono certa che se hai pensato a Shadows piuttosto che a Jimmy lo hai fatto per l'economia della vicenda, cioè, valutando le convergenze e tutto il resto.”
Jimmy mi guardò, teneramente.
“Non c'ho mai capito un cazzo dei tuoi discorsi.”, disse.
“Io ho pensato a Shadows”, disse mia sorella, alzando il tono per attirare l'attenzione, “perché il ragionamento che mi ha fatto, e cioè tutto il panegirico del parere esterno, non fa una piega.”
“Potresti parlarci tu, Eldariael.”, disse Fleur, rivolgendomi uno sguardo intenso.
Alle nostre spalle, fuori dalla finestra, si aprì il cielo.
Composi un messaggio sullo schermo dell'iPhone proprio mentre un lampo illuminava le nubi nere sopra Londra.
“Ho invitato Matt, Dominic e Chris a pranzo.”

“C'eravamo tanto amati”, canzonò Bliss, sardonica.
“E' necessario far stare Matthew, James, Dominic e Brian tutti in una stanza?”, domandò stancamente Fleur.
Mi voltai verso Jimmy. “A te sta bene?”
Mi guardò, inespressivo.
“E dai!”, sbottai, esasperata.
“Che ti devo dare.”, ribattè lui, prosaico.
Inutile discutere.
“Inutile discutere.”, disse Splinter.
“Appunto. Comunque, ci serve qualcosa. Ci serve qualcuno. Ci serve...”
“... un piano B.”, concluse Bliss, a braccia conserte.
“Esatto”, dissi, saettando con lo sguardo verso di lei, “e credo di avere proprio la soluzione giusta.”
Quattro paia di occhi si voltarono a guardarmi.
“Hai per caso sentito Andrea?”, chiesi, senza voltarmi.
Jimmy mi rispose con tranquillità: “Sì, è a Londra, abita qui adesso.”
“Lo so.”
“Mi ha chiesto di vederci per un caffè.”
“Devo sapere se è disposta a fare una cosa.”
“Chiamala, allora, è amica tua.”
“Andrea? Andrea O'Malley?”, domandò Splinter, posizionandosi con disinvoltura in punta alla poltrona. Sapeva benissimo dei trascorsi di Jimmy e Andrea, e sapeva benissimo dei sentimenti contrastanti che nutrivo riguardo l'argomento. L'odore del gossip misto allo psicodramma l'aveva stuzzicata in un modo particolare e un po' misterioso, fin da bambina.
“Sì, Andrea O'Malley.”, risposi senza virgole, riluttante.
“Vi sentite ancora?”
“Certo che ci sentiamo ancora.”, ribattei, aspra. “Un po' meno di prima.”, ammisi poi.
“Jimmy adora vedere donne che si dibattono per lui. Lo ha sempre adorato.”, sospirò mia sorella, accasciandosi sullo schienale come un quadro di Gauguin.
“Non è vero.”, rispose lui.
“Sì che è vero.”
“Beh, sono adulto, adesso.”
“Darwin non ha contemplato diminuzioni del fattore imbecillità, nell'avanzamento evolutivo. E nemmeno di quello vanagloria.”, rispose Splinter, quieta come un gatto.
“Qualunque incomprensione abbiamo avuto, non costituirà un problema. Questa cosa dobbiamo farla insieme, per Matt.”, intervenni.
“Incomprensione? Tu il fatto che una delle tue più vecchie e care amiche si fidanzi improvvisamente con l'amore della tua vita che fino a cinque minuti prima era suo cugino me lo chiami “incomprensione”?”
“Bliss, ma hai qualche problema con me? Non sono mai stata a letto con Brian, in che lingua te lo devo dire? Perché sei così acida?”
“Io sarò pure acida, ma tu devi ammettere che sei piuttosto imprevedibile.”
“Senza dubbio, ma nella mia pur selvaggia imprevedibilità non è contemplata la menzogna, quindi se ti dico di no è no!”
“Ma cos'ha di tanto speciale Brian Haner, da far litigare voi due?”, si introdusse Fleur, con un'occhiata d'acciaio molto Albus Silente.
“Te lo dico io.”, dissi, prima di riuscire a fermarmi, “Ha di speciale che non l'ha voluta. Non l'ha mai voluta. E' stato l'unico a rifiutarla categoricamente, a sminuirla e a svilirla, e questo le crea il duplice sentimento di volerlo con tutta se stessa e contemporaneamente essere arrabbiata a morte con lui.”
L'unica, irripetibile occhiata ferita che mi avrebbe mai rivolto la mia migliore amica mi arrivò dritta nella cornea.
“Scusa. Scusate tutti.”, dissi, inquieta, e me ne andai. Nessuno mi seguì. Non una mosca volava alle mie spalle. Piombai sul piumone, con le mani sul viso: se avessi avuto il potere di risucchiarmi l'anima attraverso i palmi, se solo l'avessi avuto... Una confusione terribile e isterica mi vorticava in testa, come una tromba d'aria. Jimmy, Matt, Bliss, Andrea. Aveva ragione, avevamo vissuto in un sogno. Protetti e ignari, come in una vasca da bagno piena di batuffoli di ovatta. Non conoscevo questa persona brutale e insipida che sputava sentenze, prendeva i sentimenti alla leggera e incancreniva nei suoi dubbi che ero diventata. Mi rivolevo indietro. Avevo bisogno di riavermi indietro. In un modo o nell'altro, dovevo riuscire a riprendermi.

 

When there's nothing left to burn
you have to set yourself on fire.

 

Il materasso cigolò morbido sotto di me.
Aprii gli occhi di scatto, rivolti alla finestra. Dietro le mie spalle, sentii Jimmy sistemarsi sul cuscino. Le lacrime si affollarono dietro i miei occhi come un piccolo fiume, ricordandomi di quando, da bambina, guardavo Pocahontas incollata al televisore. Mi immaginavo come lei, bizzarra, appassionata e avventuriera. Una donna di grandi orizzonti, coraggiosa e giusta.
Jimmy mi abbracciò alle spalle, respirando i miei capelli.
“Andrà tutto bene, piccola.”
Mi morsi il labbro.
“Il mio piccolo, dolce scarafaggio.”

E' sbagliato, è tutto sbagliato. Non dovremmo neanche stare insieme. Ho sbagliato e non ho fatto altro che sbagliare. Ma qual era il principio? Qual è stato il primo, imperdonabile errore?
Mi voltai all'improvviso e lo abbracciai singhiozzando, repentina e scomposta.
“Cosa mi è successo? Oh, Jimmy, cosa...”
Mi zittì dolcemente, stringendomi a sé.
Non riuscivo a smettere di piangere. E più piangevo, più l'angoscia cresceva, trascinandomi con sé come una barca alla deriva.
La porta si aprì con un lieve rumore di cardini, e qualcuno entrò in punta di piedi.
Jimmy mi attirò a sé, e sul lato del letto dove prima c'ero io si distese una sagoma asciutta ed esile che avrei riconosciuto sempre, ovunque, perché ci dormivo da una vita. Bliss mi abbracciò, cosa che accadeva con una tale rarità da far presagire una tragedia imminente.
“Sei già fuori di testa per una serie di motivi, non dovevo mettermici anche io.”
Sorrisi tra le lacrime, e misi una mano sulla sua.
“Tu ti ci metti sempre. E' quello che fai. Ti metti in mezzo perché mi credi troppo sentimentale per giudicare le cose con obiettività. E hai ragione.”
“Non ci posso fare niente se sei una scafessa.”
Jimmy allungò un braccio per poggiarlo su di lei, creando un abbraccio di gruppo scomodo e scomposto.
“Oooh”, disse Splinter, entrando, “che meraviglia, un panino. Fatemi entrare nel panino.”
Ridemmo tutti e tre, mentre lei ci si gettava addosso, cercando uno spazio libero.
“Quand'è l'ultima volta che sei stato in un letto con tre donne, JJ?”, gli disse Splinter, punzecchiandolo con un piede.
“Uff”, rispose Jimmy, “Saranno stati trecento anni fa. Smettila di ricordarmi che sto invecchiando.”
“Col tempo scopriremo che invecchiare è un gran privilegio. Tuttavia, posso affermare con decisione che io, personalmente, non sono mai stato a letto con tre donne.”, disse Fleur, sedendosi sul bordo del materasso.
Ci voltammo tutti a guardarlo.
“Ma nemmeno con una.”, commentò Bliss, serafica.
Fleur le diede uno schiaffo amichevole ma sonoro su una gamba.
Continuammo a chiacchierare e a ridere, a discutere e a raffinare gli angoli di un piano in cui nessuno credeva, dimentichi della parte brutta dei problemi, quella che consiste nel doverli risolvere in pratica.
Quando mi svegliai, assetata, erano le cinque e un quarto del mattino: intorno a me, i caduti sostavano disposti a tetris, avvolti in un sonno profondo e tranquillo. Perfino Fleur, ai piedi del letto, dormiva serenamente abbracciato al polpaccio di Bliss. Sorrisi, non osando districarmi. Avevo tutto il lato destro del corpo contro la schiena di Bliss, mia sorella sulla pancia e Jimmy che mi abbracciava appena sopra la testa di Splinter, le cui gambe erano incastrate alle sue: alzarmi avrebbe fatto più vittime della Guerra del Golfo.
Una lingua di sole filtrava tra le nubi all'orizzonte, al di là del vetro della mia finestra. Inutilmente letteraria come sono, sorrisi a occhi chiusi decidendo all'istante che quel piccolo raggio non poteva che essere un segno che tutto sarebbe andato a posto.
O, almeno, lo sperai molto, molto forte.

 

 


All the blue light reflections that come in my mind when I sleep
and the lovesick rejections that accompany the company I keep
all the razor perceptions that cut just a little too deep;
hey, I can bleed as well as anyone,
but I need someone to help me sleep.
(Mrs. Potter's Lullaby, Counting Crows)

 

 

 

 

 

Allora.

 

Ecco qua.
Volevo tagliarlo in due parti ma Annika Mitch ha detto di no perché, consultando la carta astrale di Paolo Fox per il 2013, si è avveduta del fatto che è consigliabile non darsi fuoco dopo essersi cosparsi di Margarita quando c'è la luna nuova.
Sono comunque appena le quattro e venti del mattino e non ho alcuna forza residua che mi consenta di andare a controllare, a vostro beneficio, che tipo di luna ci sia ora nel cielo di questo emisfero. (Putacaso aveste deciso di ardere vive dopo un'abbondante aspersione di Margarita, vi prego di rimandare a domani. I dettagli del ciclo lunare di questo mese saranno sulla mia pagina facebook.)
Sono molto stanca e vagamente consapevole di alcune cose ampiamente trascurabili.
Datemi quindi vostre notizie.
Con immutato affetto e un tremendo cerchio alla testa,
Q.






 

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Capitolo 3
*** La luce dei fatti. ***


PARTE I:
La donna che si svegliava a intuito


Quella specie di disagio che si prova quando si cerca di immaginare la vita quotidiana dei grandi spiriti...
Verso le due del pomeriggio, che cosa poteva mai fare Socrate?”


Jimmy aveva insistito per guidare.
La campagna inglese ci sfilava ai lati, intatta e inviolabile all'avanzamento del progresso. Avevamo valicato un numero imprecisato di strade statali, sentieri sterrati, viali di alberi dai nomi complessi, e finalmente, all'orizzonte davanti a noi, spuntava il principio del Curvone.

Il Curvone era l'infida, famosissima e quasi sempre mortale curva a gomito che conduceva al viale d'ingresso della proprietà Apatow. La magna domus, la chiamavamo noi.
Io e Andrea O’Malley sostavamo inquiete nel sedile posteriore. Di fianco a Jimmy, Gregory Fleur alzava e abbassava ritmicamente il monocolo per guardare ora un giglio a bordo strada, ora una pittoresca pecora che si stagliava solitaria contro l'infinito.
“Jimbo, attento al Curvone.”
Jimmy sbuffò, e un ciuffo di capelli neri svolazzò oltre il margine degli occhiali da vista. Ne aveva le palle piene dell'Inghilterra, del Curvone, del sincero interesse antropologico di Fleur nei confronti della vita dei campi, degli psicodrammi, di dover intervenire a evitare il sistematico tracollo di Matthew Bellamy e soprattutto del cambio della Jeep di Bliss che faceva quel che voleva lui, spesso senza neanche avvisare.
Ad ogni modo, imboccò la curva, in maniera esperta ma precipitosa: Fleur, per evitare di sedersi in braccio a Jimmy, posò istintivamente una mano sul primo posto che trovò per contrastare la forza centripeta.
Jimmy arrossì violentemente, e Gregory rimosse con eleganza la mano dal cavallo dei suoi pantaloni: “Così impari a prendere le curve in modo indecente, James.”
Io e Andrea, premute contro il finestrino dal precedente sbalzo, ci ridemmo vicendevolmente in faccia a bassa voce.
“Ripetimi un'altra volta per quale motivo stiamo andando a Villa Apatow, Eldariael.”
Jimmy mi aveva chiamato Eldariael un'altra sola volta in vita sua, in corrispondenza alla facciata che diedi nello spigolo del muro di casa Sullivan quando gli scivolai dalle mani mentre mi faceva fare un'audace capriola. Avevo sei anni, e lui quindici.
“Angelica.”, risposi, tranquilla, mentre un enorme cancello automatico in ferro battuto si apriva cigolando davanti a noi.

 

I’m gonna lace up my boots, throw on some leather and cruise
down the street that I love, in my fishnet gloves.


Ci aveva aperto la porta un maggiordomo dall'aria vetusta.
Fummo immediatamente condotti al piano superiore, nella stanza da letto. Sul letto, alloggiava una figura dormiente forse morta da diverse ore, con i lunghi capelli castani ai lati del corpo e un'antiquata camicia da notte bianca. Sugli occhi, due fettine di cetriolo.
“Il fatto che tu non abbia mai posseduto un cellulare mi crea non poche difficoltà a trovarti, quando ho bisogno di te.”, dissi, a braccia conserte davanti alla salma.
Jimmy e Fleur si sistemarono in un angolo, occhieggiandosi interdetti; Andrea, invece, si era appoggiata disinvolta a una delle colonne del baldacchino, e fissava ora me, ora il corpo.
“Comunque sia, abbiamo bisogno delle tue vaste conoscenze sulla natura umana. Mercoledì prossimo uscirà un articolo sul Sun in cui Kate Hudson spiegherà la ragione della sua separazione da Matt. La ragione sono io: siamo partiti senza dire nulla a nessuno, per una breve sortita in Nuova Zelanda.”
“Non si fanno le brevi sortite, in Nuova Zelanda, Ria.”, intervenne, inutilmente, Andrea.
“Sì, ma è precisamente quello che abbiamo fatto. Siamo spariti nel nulla per due giorni. Ora, Matt ha perso l'affido del bambino: la decisione definitiva chiaramente spetta al tribunale, ma la madre di Kate è ben ammanigliata con i servizi sociali, quindi se dovesse decidere di negare a Matt la possibilità di vedere suo figlio, la darebbero quasi certamente vinta a lei.”
Silenzio.
“Ma...”, si introdusse timidamente Jimmy, “ Non sarebbe il caso di svegliarla, prima?”
“E' sveglia.”, rispose, prosaica, Ann.
Jimmy guardò Fleur, confuso.
“Come fai a dirlo?”, mi chiese.
“Si sveglia a intuito.”
“Che vuol dire che si sveglia a intuito?”
“Vuol dire”, rispose la salma, sfilandosi tranquilla una fettina di cetriolo dalla palpebra per scoprire un occhio vispo e perfettamente vigilie, “che mi sono svegliata nel preciso istante in cui avete varcato il vialetto di casa mia. Io le sento, queste cose. Non metto mai la sveglia. Prima di andare a letto, penso che devo svegliarmi presto e dunque mi sveglio. E' chiaro ora?”
“Nishe”, la ripresi, “così lo spaventi.”
Nishe si chiamava, in realtà, Angelica Apatow. Figlia unica e univoca della donna ombra più potente del Regno Unito, che noi chiamavamo, semplicemente, “La Venerabile”. Sul caminetto della sua stanza svettava, tra tutte, una foto di Nishe bambina tra sua madre e Sua Maestà la Regina d'Inghilterra.
Cosa facesse di preciso la Venerabile, nessuno lo sapeva. Come del resto nessuno sapeva cosa facesse esattamente Nishe: i dati certi erano che si era laureata in Lettere Moderne e che si dilettava con la grafologia e lo spiritismo.
Si alzò lentamente dal letto, rimuovendo anche l'altra fettina.
“La Venerabile è a Londra, in questo momento. Dovremo rivolgerci a lei, se vogliamo influenzare il tribunale.”
“Sì ma è solo un'eventualità. Magari la cosa si risolve parlando.”
Nishe spostò i suoi profondi ed enigmatici occhi neri su di me.
“Chi ci mandate, a parlare con Kate?”
“Un amico.”
“Lei lo conosce?”
“No.”
“Idea originale. Così originale che potreste addirittura avere qualche possibilità di successo. Mi puzza di Splinter lontano un miglio.”
“Infatti l'idea è sua, diciamo.”
“E diciamolo.”
Inquadrò i due soggetti in fondo alla stanza.
“Fleur”, disse, “caro amico. Che piacere rivederti.”
Fleur le rivolse un sorriso affettuoso.
“E questo”, disse alzandosi, rivolta a me, “dev'essere il famoso...”
“E' lui.”
Lo guardò negli occhi, intensamente, e Jimmy si ritrasse impercettibilmente.
“Ho sentito tanto parlare di te, Reverendo. Io e Ria intratteniamo un fruttuoso carteggio da molti anni.”
“...”
“Nishe, mi serve il contatto di tua madre.”
“Non essere sciocca.”, mi redarguì lei, raggiungendo a balzelloni una cabina armadio. Ne riemerse esattamente due minuti dopo, vestita e con una valigia in mano.
“Sono pronta. Andiamo.”
Ci guardammo, interdetti, e ci decidemmo a seguirla oltre la porta.

 

Vedi, cara, è difficile spiegare;
è difficle capire, se non hai capito già.

 

Il ragionamento contorto che aveva portato alla formulazione delle due parole “Angelica Apatow” era, in realtà, molto semplice.
“Ci serviva discrezione, e lei è la discrezione. Ci serviva ingegno, e lei è l’ingegno.”, sussurrai a Jimmy che mi scortava nel corridoio di casa Apatow, diretti tutti all’uscita con Nishe in testa al gruppo.
“Chi è, esattamente?”, mi chiese lui. Notai in quell’istante che non aveva messo l’eyeliner e che la maglia a maniche lunghe gli copriva tutti i tatuaggi fatti salvi quelli sulle mani e sul collo.
“Perché hai coperto i tatuaggi?”
“Fleur mi mette a disagio.”
“Fleur una volta aveva un piercing. Al sopracciglio.”
Jimmy mi guardò reprimendo una risata.
“Ed ha un tatuaggio.”
“Dove?”
“Non si dice.”
“Cos’è?”
“Non si dice.”
Ci sorridemmo con tenerezza.
“Angelica è una vecchia fan dei Muse. Ci conoscemmo ad un concerto, come con Andrea, solo che lei non è il tipo di persona che sfoggia maglie delle band e fa le file per i parterre. Lei è un po’…”
“Prosaica. Altera. Altolocata. Snob.”, aggiunse Andrea, affiancando Jimmy dall’altra parte.
Il corridoio non era abbastanza largo per tutti e tre; quando iniziarono a parlare tra loro, mi feci un po’ indietro per permettergli di camminare affiancati e arrivai così fino al portico, rimuginando sul da farsi e sulle idee folli che mi erano venute, con una sigaretta spenta in bocca che prontamente accesi, non appena l’aria fredda dell’esterno mi colpì il viso.
“Smettila.”
Sobbalzai, alzando lo sguardo su Andrea.
“Di fare cosa?”, chiesi, sinceramente sorpresa.
“Di darmi contentini. Di farmi camminare accanto a lui, di defilarti quando io e lui ci troviamo a parlare, di svanire all’improvviso ogni volta che abbiamo l’occasione di passare due minuti da soli: niente di tutto questo rimedierà a quello che hai fatto.”
“Che ho fatto?”
“Lo hai abbandonato per andartene in Nuova Zelanda con il tuo ex.”
Abbassai la sigaretta e andai a fuoco.
“Andrea, ascoltami bene: mi dispiace che tu sia combattuta tra il volermi odiare perché ti fa comodo credere che io te l’abbia portato via e la consapevolezza che, in fin dei conti, forse la verità è che non eravate fatti per stare insieme: mi dispiace sinceramente, con tutto il cuore, ma cosa vuoi? Va’ a prendertela con lui, perché, nel caso non te ne fossi accorta, è un uomo ormai, e quest’uomo ha deciso spontaneamente che preferiva stare con me, non l’ho trascinato, non gli ho lanciato incantesimi e non gli ho dato una botta in testa e messo una fede al dito!”
Ci guardammo alcuni secondi, poi Andrea scoppiò a ridere, e io anche.
“Scusa.”, disse.
“No, scusami tu. Sono stata crudele.”
“Un po’.”
“Cos’è questo gallinaio?”, soggiunse Nishe, indossando un paio di occhiali da sole più grandi della sua faccia.
“Abbiamo avuto un breve confronto sui ruoli presenti.”, risposi.
“Mi sembra che abbiate più che altro un problema a gestire i ruoli passati.”, si mise tra noi e puntò il dito ora ad una, ora all’altra, “Qui non si parla più del tuo ex-cugino e del tuo ex-amante. Qui si parla del tuo compagno, e del tuo amico. Mi sono spiegata?”
Annuimmo, interdette.
“Bene. L’unico modo di influenzare il futuro è avere ben chiaro il presente.”, aggiunse, voltandosi di nuovo verso il cortile d’ingresso, “Reverendo? Le chiavi della vettura, se non ti dispiace!”
“Cosa ci devi fare con le chiavi della vettura, Nishe?”
Nishe si coprì la bocca con il manico di un ventaglio alquanto impegnativo per una giovane donna. “Reverendo, non il mio nome di battaglia in pubblico!” – quindi, si voltò di nuovo verso di me, “Carino. Molto alto, ben piazzato. Ha qualche amico che puoi presentarmi, dove l’hai preso?”
Jimmy le rivolse uno sguardo tra l’allibito e il divertito, e io le risposi: “Quando arriviamo a casa te ne presento due.”
“Due? Santa pace. Queste chiavi, allora?”
Feci segno a Jimmy di lasciarla guidare, e ci accomodammo tutti in vettura.
“Bene, dove si va?”, disse, sgommando. Ci aggrappammo tutti alle maniglie, preoccupati.
“Ehm, Morgue Place.”
“Oh! Direttamente nel covo delle streghe! Meraviglioso. Avverti Juniper, per arrivare ci vogliono circa 120 minuti: ce ne metterò 40.”
Ebbi appena il tempo di afferrare la mano di Fleur, poi la jeep sparì in un cirrocumulo di polvere, con noi all’interno.

 

The water is warm, but it’s sending me shivers.
A baby is born, crying out for attention.
Memories fade, like through a fogged mirror;
decisions to decisions are made and not bought,
but I thought it won’t hurt a lot.
I guess not.

 

Nel viaggio in macchina, mi addormentai sulla spalla di Jimmy come una bambina. Sognai che Andrea era in cima a un promontorio, circondata da una bassa nebbia bianca, e parlava e parlava senza che suono alcuno uscisse dalla sua bocca: io mi sforzavo di leggerle le labbra, ma riuscivo a captare una parola su tre. La parola in questione era: “stronza”. Allora mi risolsi a cercare di leggere almeno i suoi pensieri, e, con mia grande sorpresa, quelli li sentivo chiaramente. Era un mio ricordo, visto dai miei occhi: una sera fresca di Huntington Beach datata forse diecimila anni prima. Zia Barbara che si affaccia alla porta finestra. “Jim, puoi venire un attimo?”
Jimmy che si stacca da me: nel momento in cui si allontana, sento la presa del suo braccio intorno alle spalle che molla. Lui non può avere più di ventitré anni, non ha ancora le manette tatuate intorno al collo. La sua mano dalle unghie smaltate di nero mi fa segno di aspettarlo un secondo. E’ magro come un chiodo, come non lo è stato mai più, praticamente rachitico. Devo ricordarmi di dirglielo, pensai, sognando. Zia Barbara mi getta uno sguardo materno a cui rispondo con un sorriso, prima di chinarmi sulla ringhiera del terrazzo e tornare ad appoggiare il mento sulle mani giunte. Sento i miei capelli lunghi che mi corrono giù per le braccia a seguito di quel movimento, e il sole sparisce nell’oceano nell’esatto istante in cui io gli rivolgo gli occhi. Dopo un po’, un rumore di risate e ghiaia smossa mi fa abbassare lo sguardo: “Riiiiiiiiiiiiiayyyyyy”, urla qualcuno. Scoppio a ridere. “Breeeeyyyyyaaaaan” rispondo, calcando un accento che nessuno dei due ha. Synyster mi sorride, in bermuda e scarpe da ginnastica. Suo padre lo segue a stretto raggio, con una cassa di birra tra le mani, e dice qualcosa che fa ridere tutti. C’è chiaramente gente nel patio: la voce di mia cugina Katie annuncia un barbecue. Una ragazzina dai capelli rossi di poco più grande di me sfreccia di corsa di fianco a Brian Haner Sr., facendogli quasi perdere l’equilibrio. “Scusa, zio Brian!”, urla, mentre le sue gambe magre nei pantaloncini corti saltano lo steccato dirette da qualche parte, forse al Deli giù per la strada. “Dove vai? Ehy! Scheggia! Dove vai?”, urla Synyster. Splinter, “scheggia”, si volta e sorride, con i capelli nel vento. Ma è solo un secondo. Di nuovo, la mano smaltata mi afferra la pancia e Jimmy mi stringe in un abbraccio.
“Che succede?”, gli chiedo, alzando gli occhi.
“Niente, scarafaggio.”, risponde lui, ma riesco chiaramente a vedere qualcosa nel suo sguardo che prima non c’era: un misto di preoccupazione e sorpresa. Impensieriti, guardiamo giù. Synyster alza una mano, e Jimmy gli risponde con una risata e una parola che a casa, in Italia, non sentivo mai. “Jimmy, hai detto una parolaccia!”: sento la mia voce di bambina che lo redarguisce, severa. Jimmy abbassa gli occhi su di me e mi sorride, divertito, finto colpevole. “Hai ragione. Scusa, tesoro.”
Nishe prese una buca e io mi svegliai di soprassalto, spaventata, aggrappandomi alla gamba di Jimmy, nel presente, come se dovessi riavermi da un salto spazio-temporale.
“Tutto bene?”, mi chiese lui, scrutandomi.
Sorrisi. “Sì. Sì, sognavo Huntington Beach.”
Ci guardammo negli occhi, con dolcezza. Lui distolse lo sguardo. Io aggrottai le sopracciglia, rivolgendomi al finestrino: la campagna aveva appena lasciato il posto alla periferia di Londra. Come avevo fatto a non capirlo? Jimmy era in assoluto la persona che conoscevo meglio sulla Terra: come mi era potuto sfuggire un mastodontico dettaglio di questa portata?
Mi si dipinse addosso un sorriso con una punta di amaro alla fine.
“Ann”, dissi, “Sei mai stata ad Huntington Beach?”
“No, veramente no.”, rispose Andrea.
“Dovresti venirci a trovare, una volta.”
“Lo farò sicuramente.”
Jimmy, tra di noi, si irrigidì leggermente.

 

PARTE II:
Prego?

Oh, these times are hard
and they are making us crazy
don’t give up on me, baby.

 

“Buonasera, bentornati, siamo veramente combinati a merda!”
Lasciai andare la borsa sul pavimento. M. Shadows, senza lenti specchiate, mi apriva le braccia nel mio salotto: coprii la breve distanza che ci separava con tutta la calma che la situazione mi consentiva, e lo strinsi forte a me.
“Jimmy mi nasconde qualcosa.”, gli sussurrai in un orecchio mentre lo abbracciavo, senza punto interrogativo alla fine.
L’eco di una risata appena accennata, di un sorriso soffiato, mi raggiunse all’altro orecchio: quando ci staccammo, stava ancora sorridendo.
“Siamo una famiglia, Ria. Siamo qui per risolvere tutto quello che c’è da risolvere, insieme.”
Occhieggiai mia sorella acciambellata in poltrona.
“Ciao, tesoruccio.”, le dissi.
“A tua sorella.”, mi rispose, affettuosa.
“Stai avendo problemi di leadership con Splinter, Matt?”
Shadows sorrise. “Certo che no, ha messo in chiaro appena ho varcato la porta che qui è lei il capo.”
“Qui e altrove, Matthew Charles.”, rettificò lei, girando il vino nel calice con una smorfia saggia, quindi alzò gli occhi su Jimmy mentre tutti i convenuti stavano prendendo posto sui divani per il briefing.
“Cugino, vieni qui sulla poltrona a fare il tuo dovere di cuscino.”
“Una rima siciliana ardita, Vivienne.”, si complimentò Fleur, assestandosi di fianco a Shadows. Splinter gli rivolse uno sguardo definitivo, e mi fu chiaro che aveva deciso di trarre Jimmy dall’impaccio di dover stare tra me e Andrea O’Malley. Jimmy si sedette con lei in braccio, e datosi che le rare volte che li avevo visti in questo modo risalivano a circa dieci anni prima faticai a reprimere una risata, che trovò ciononostante eco in quella acuta e bizzarra di Synyster, alle mie spalle.
“Angelica Nishe Apatow, tutti. Tutti, Angelica Nishe Apatow.”, fece gli onori di casa Splinter, prima di prendere la parola per esporre a tutti il suo piano d’azione circa lo scandaloso articolo che doveva essere stracciato prima di poter raggiungere la stampa.
Non mi divertiva molto l’idea di dover passare due ore seduta su un divano, dopo il rocambolesco viaggio che ci aveva riportati indietro nella civiltà dalla vetusta e stravagante casa degli Apatow: mi alzai con un gesto aggraziato, posando brevemente una mano sulla coscia di Synyster per annunciare la mia dipartita, e questi incrociò il mio sguardo, pensieroso. Dopodiché, entrambi incrociammo quello di Bliss, arroccata sul bracciolo del divano adiacente a braccia conserte, cupa come un’erinni. Sbuffai sonoramente, e salpai verso la cucina ignorando il vociare sommesso che cercava di informarsi sulla mia destinazione, alle mie spalle.
In cucina, cercai un tagliere, del sedano, un coltello e congedai Chichi per il resto della serata con il suo mazzo di chiavi e un piccolo extra: non se lo fece ripetere due volte.
“Chiquitita, lo sabes dov’è il pomodoro, sì?”
Aveva capito che la mia intenzione era fare un tentativo di Bloody Mary. Sorrisi al suo intuito impagabile, ed annuii.
Una sagoma ben nota mi fece ombra mettendosi tra la porta e la lampada che stavo usando, senza che veramente servisse, per farmi luce sui gambi di sedano che stavo tagliando.
“Ho sempre creduto che l’amore fosse fondato sulla telepatia, in fondo.”, dissi, senza voltarmi.
“Che hai?”, mi chiese Jimmy, senza muoversi.
“Dubbi.”, risposi, sforzandomi di non suonare troppo secca.
“Su di me?”
Posai sonoramente il coltello sul piano di marmo, e mi girai verso di lui.
“No”, dissi, “No, non su di te. Su mio cugino.”
Sorrise, saggio.
“Credi che le due cose debbano per forza essere scisse? Hai bisogno di chiamarmi un qualche modo, così, non so, per sapere che ruolo ho nella tua vita?”
Gli misi un pezzettino di sedano tra le labbra, e lo osservai masticarlo un po’ schifato, senza riuscire a reprimere un sorriso.
“Io che ruolo ho nella tua?”, chiesi, a bruciapelo.
Mi guardò serio. “Tu sei l’amore della mia.”, disse, semplicemente.
“Oh, ragazzi, così me la rendi impossibile. Maledetto Reverendo!”
Sorrise. “Mi dici cosa c’è che non va?”
“Non va che quando ti ho chiesto, in camera da letto, se avresti preferito rimanere come prima, con me, tu non mi hai risposto. E ora so perché.”
Lo scrutai, alla ricerca di una reazione. I suoi occhi azzurri, buoni e antichi come sempre, la curva della sua mascella, le sue labbra e il piercing che le illuminava, sotto.
“Sai quella canzone di merda che ti ha dedicato il tuo ex coglione?”
Ripresi ad affettare il sedano.
“Se dici ‘il tuo ex coglione’ mi fai pensare che il coglione attuale saresti tu.”
“E’ evidente. Attuale ed ultimo, per quanto mi riguarda.”, rispose, divertito.
Non esisteva persona al mondo in cui io fossi stata in grado di ridere come ridevo con lui.
“Comunque”, continuò, “Neutron Star Collision fa veramente cagare.”
“A me piace.”
“Sì, ma non è questo il punto. E’ la parte sulle bugie. Io non ho mai sottovalutato la tua intelligenza, Ria. A volte, posso aver pensato che poteva accadere che tu vedessi solo quel che volevi vedere, e posso aver pensato che non c’era motivo, se quel che vedevi ti faceva stare bene, di togliertelo.”
“Da quanto lo sapevi?”
Mi guardò, serio e cauto.
“Da un po’.”
“Se me lo avessi detto prima è possibile che non ci sarebbe stato alcun Matthew Bellamy, lo sai?”
“Stavo per dirtelo.”
“Quando?”
“Quando mi hai chiamato per dirmi che ti eri innamorata, per la prima volta, davvero. Che eri felice, che vedevi le stelle, che sentivi le campane, che lui era quello giusto.”
Tacqui, mentre le lacrime combattevano per uscire. E’ possibile che il tuo mondo ti crolli in testa, calcinaccio dopo calcinaccio, nel momento in cui ti senti più strutturata, più sicura, più tranquilla, più adulta, più in grado di gestire qualunque cosa il destino ti metta sulla strada? Possibile che questa Ria piangesse tanto, una maledetta continuazione, e intorno le cose perseveravano ad accadere più intensamente di quanto avessero mai fatto? Possibile che quegli anni fragili, passati a sbandare senza essere certi né di dove si era né di dove si stava andando, fossero, in ultima analisi, gli anni in cui si pensava e si agiva più lucidamente?
“Loro lo sapevano?”
“Loro non c’entrano, è stata un’idea mia di non dirtelo.”
“Non ti ho chiesto se c’entrano, ti ho chiesto se lo sapevano.”
Mi guardò come si guarda una bomba che sta per esplodere quando non si è artificieri: cioè, con preoccupazione. La preoccupazione cruda e semplice, quella prima che arrivi il panico.
“Sì, lo sapevano.”
Inghiottii una manciata di lacrime.
“Splinter lo sapeva?”, dissi, a mezza voce.
Non rispose.
“Mia s”, il pianto mi ruppe la voce, “Mia sorella lo sapeva?”
Mi prese una mano, con cautela, e io mi nascosi tra le sue braccia. Sentii il suo petto rilassarsi mentre mi stringeva forte.
“A quale parte di te sono aggrappata, adesso?”, dissi, “Alla persona che mi ha sempre amata, difesa, protetta, consigliata, ascoltata e consolata, quello che mi ha spinto sull’altalena, che mi ha letto i libri di Lemony Snicket, che mi ha spaventato i fidanzati e insegnato a guidare, che mi ha aperto la prima birra, che ha risposto al telefono ad ogni ora del giorno e della notte, che mi ha fatta ridere ogni volta che volevo sprofondare, che mi ha accontentata sempre anche quando non me lo meritavo, che mi ha tenuta stretta per farmi addormentare e che è rimasto sveglio con me quando non ci riusciva, che mi ha insegnato che ‘casa’ è dove le porte non sono mai chiuse, che mi ha regalato le rose, disegnato i tatuaggi, insegnato a rialzarmi, accarezzato la testa stretta tra le sue braccia ogni volta che ho avuto paura, che ha sopportato tutti i miei lati scomodi, che mi ha insegnato che credere è il contrario di morire e che va bene essere un po’ matti, che la sera della mia laurea mi ha chiesto di sposarlo senza chiedermelo, che ha fatto l’amore con me, che qualche volta ha immaginato dei bambini che avessero la sua inventiva e la mia fantasia?”
Respirai forte. “Oppure sono aggrappata alla persona che mi ha mentito, ingannato e nascosto l’unica cosa che avrebbe di certo dato alla mia vita tutto un altro ritmo e colore? Perché io non conosco un James che possa mentirmi. Non conosco un James che possa nascondermi qualcosa, o giudicare al posto mio quanto una cosa possa essere importante e quando debba essere detta. Non conosco un James che non abbia cieca fiducia in Ria che, alla fine, magari dopo aver anche pestato qualche merda, sa sempre cosa fare.”
Lo lasciai andare, e mi sforzai di ignorare l’espressione ferita che gli aveva rapito i lineamenti.
“Tutti questi anni.”, dissi, combattendo ancora con le lacrime che già scorrevano sulle mie guance, “Tutti questi interminabili, folli anni, io sono rimasta in piedi solo per un motivo: perché avevo te. Perché c’eri tu. Perché mi bastava chiamarti, parlarti un secondo, e dove neanche Bliss ce la faceva, tu riuscivi a riportarmi alla mente la Ria che tu amavi. La Ria che io volevo essere, che mi sarei battuta per essere: quella che volevi tu, che meritavi tu. Ma quella Ria non c’è: non c’è mai stata. Perché, se sei capace di mentire a me, sei capace di inventarti una Ria che non esiste. Non una Ria che vedevi, ma una che volevi vedere.”
Mi avvicinai a lui e gli poggiai un bacio umido e carico di sentimenti sulle labbra.
“Io non ti ho amato come un cugino, James. Non ti ho amato come un fratello, e non ti ho amato come un fidanzato. Io ti ho amato e basta. Per tutta la dannata vita. Ho rimesso in discussione tutto, almeno una volta, perfino i miei sentimenti per Splinter, o per Bliss, o per mio padre: ma i miei sentimenti per te, mai. Neanche una volta, mai. Mai neanche per sbaglio ho provato a immaginare una vita senza di te.”
Jimmy non disse niente, perché era un uomo intelligente e sapeva meglio di chiunque altro che in certi casi non c’è proprio niente da dire. Guardai i pezzettini di sedano, la lampada, il tagliere, la finestra, i pezzi della mia anima che se ne andavano insieme alle rondini.
“Dimmi cosa vuoi che io ti dica, e lo farò.”
Mi voltai verso di lui, inespressiva.
“Dimmi che mi ami.”
“Io ti amo, Ria. Non posso vivere senza di te. Non voglio vivere senza di te.”
Mentre lo diceva, tutto d’un fiato come una preghiera, gli si ruppe la voce. Gli si ruppe sulla ‘a’ di ‘ti amo’, e io non avevo mai sentito quella voce incrinarsi prima di allora, quale che fosse il motivo per cui, forse, avrebbe dovuto cedere.
“Posso abbracciarti?”
“Non hai mai chiesto il permesso di abbracciarmi e non devi certo iniziare adesso.”, gli risposi d’un fiato, infilandomi io di nuovo tra le sue braccia.
Le mie lacrime gli bagnarono la maglia.
“Andrà tutto bene. Te lo prometto.”
“Non puoi saperlo, JJ. Non siamo infallibili.”
JJ era il mio modo di chiamarlo ‘amore’, e lui lo sapeva, infatti sorrise, impercettibilmente, sui miei capelli.

Qualcun altro era apparso sulla soglia della cucina, e se ne stava silenzioso e vigile, indeciso sul da farsi: le voci in salotto erano cessate chissà da quanto tempo. Ria sapeva.

È la vita che va, è la vita che va, è una piccola morte che viene,
esercizi di stile dentro le vene.

“Se pensi che dovremmo stare lontani per un po’, io capirei.”
Accolsi la sua osservazione in silenzio, senza dare cenno di voler uscire dal caldo porto sicuro che erano sempre state, per me, le sue braccia.
“Anche quando ti trovavi a 8.800 km da me a pestare una batteria e rischiare malattie veneree in qualche sperduta arena dei continenti, non siamo stati lontani un secondo, e non ho senz’altro intenzione di inaugurare adesso questa abitudine. Vedi che cosa ci fotte, James?”, dissi, staccandomi da lui, “Il pensiero che noi dobbiamo per forza agire come gli altri. Ragionare come gli altri ragionerebbero in determinati casi della vita. Ma non esiste un libro delle regole, esistono delle esigenze, e le mie non sono mai state le esigenze degli altri: ecco perché non eri sorpreso quando mi sei venuto a riprendere in Nuova Zelanda, ecco perché i miei professori non hanno battuto ciglio quando ho depositato una folle tesi sperimentale sulle virgolette. Ecco perché tutti, qui dentro, ogni tanto venite da Ria: per avere un punto di vista diverso su qualcosa, perché il diverso, lo stravagante, l’inaspettato è quasi sempre una chiave di volta, anzi, la chiave di volta per risolvere un problema. Io non voglio starti lontana, non ho bisogno che tu infili la porta per sapere se sentirò la tua mancanza dentro il mio letto che poi è diventato il nostro; non ho bisogno che tu sparisca, portandoti via i tuoi amici che sono comunque anche i miei e, soprattutto, non ho bisogno che in un momento della mia vita come questo tu mi porti via Matt Shadows.”, dissi.
“Perdonami.”, rispose, sorridendo.
“Perdònati. Poi, ti perdono io.”
Mi guardò, ironico, perché gli avevo fregato la battuta.
“Tutta la Nuova Zelanda è paese.”, ribattei, ieratica. Poi mi voltai verso la porta, dove, notai, si erano assiepati al gran completo tutti quanti.
“Cosa volete? Sto facendo i bloody Mary. Andate via. Sciò.”
Sollevati, sciamarono via un po’ alla volta. Solo Bliss, sorridente, rimase.
“Perché non gli hai chiesto se lo sapessi io?”
Aggrottai le sopracciglia.
“Ma avete seguito tutta la conversazione?”
“Perché non gli hai chiesto se lo sapessi io?”, ripetè.
“Perché se l’avessi saputo, me l’avresti detto.”
Mi sorrise, e io sorrisi a lei.
“Scusami, per Synyster.”
“Esci!”, le urlai, divertita, e andai a chiuderle la porta a chiave alle spalle mentre guizzava via. Mi voltai verso Jimmy.
“Come va?”, mi chiese, rigirandosi tra le mani un pezzetto di sedano.
“Uno schifo, grazie.”, risposi, riappropriandomi del coltello e del tagliere.
“Non devi aiutare per forza Bellamy, sai?”
Alzai gli occhi al cielo.
“La smetti di fare il geloso?”
“Non sto facendo il geloso.”
“Tu fai sempre il geloso, Jimmy. Lo hai sempre fatto.”
Rise. “Hai ragione, ma non in questo caso. In questo caso, l’unica cosa che mi interessa, è che tu non ti faccia carico di pesi che non riesci a sopportare.”
Poggiai di nuovo il coltello.
“Sai cosa facciamo?”, dissi.
“No, cosa facciamo?”
“Facciamo l’amore in cucina.”
Si strozzò con il sedano, e mi rivolse uno sguardo sbalordito.
“Ma sono tutti in salotto!”
“E che sentano. Sentono le conversazioni, si sentano anche il resto.”
Scoppiò a ridere.
“Tu sei fuori di testa.”
“Ho imparato dal migliore.”
Si chinò a baciarmi, dolce, curioso e protettivo.
“E’ vero.”, disse, spingendomi lentamente verso il tavolo.

 

You’re in my mind all of the time,
I know that’s not enough:
but if the sky can crack,
there must be some way back to love,
and only love.

 

Uscii con un vassoio in mano, aprendo la porta con un piede: Jimmy si infilò la maglia e mi seguì a ruota, sorridendo.
“Levatemi una curiosità, come si fanno i Bloody Mary? Perché a giudicare dai rumori che si sentivano dalla cucina ho notato che il procedimento che segui tu, Ria, ha una o due sostanziali differenze da quello che solitamente seguo io.”, ci accolse Synyster, con un sorriso sornione.
“Uso un ingrediente particolare.”, risposi, con un occhiolino.
Fleur prese il bicchiere in mano con aria rassegnata. “… E speriamo che Jimmy non c’entri nulla in termini organici, con questo famigerato ingrediente.”, disse, prima di dare un sorso.
Jimmy piombò a sedere con una risata accanto a Bliss.
“Allora”, soggiunse la mia migliore amica, “Le dici che sapevi già da tempo di non essere suo cugino, e lei te la dà. Qual è il segreto, Jimmy? Condividilo con noi poveri mortali.”
“Ma non meniamo il can per l’aia.”, disse bruscamente Nishe, manifestando la sua presenza.
“Chi, nel ventunesimo secolo, dice ‘non meniamo il can per l’aia’?”, mi sussurò Bliss, facendomi soffocare con il drink.
“Siamo addivenuti ad una conclusione: domani mattina Shadows busserà alla porta della signora Bellamy, e…”
“E le dirà ‘Signora, da un anno si vede con me. Ria era un diversivo.’”, concluse Bliss.
Scoppiai di nuovo a ridere.
“Juniper.”, la redarguì Nishe.
“Secondo me è un’idea del cazzo, l’ho già detto: non lo ascolterà.”
“Ciò non toglie che ci proveremo!”, disse Splinter, sputacchiando signorilmente filamenti di sedano a un lato della poltrona.
“E se falliamo?”, chiesi. Un’atmosfera di seria tensione si posò tra noi.
“E se falliamo”, mi rispose mia sorella, “dovremo passare al piano B.”
“Abbiamo un piano B?”, domandò Jimmy.
“Sì, ma riguarda noi ragazze. E la madre di Angelica.”
“Riguarda voi ragazze quindi noi siamo esclusi? Vi dobbiamo aspettare sul divano bevendo birra e guardando programmi televisivi trash?”, domandò Synyster. Lo ignorammo.
“Splinter, mi fai paura quando usi quel tono perentorio.”, sussurrò Ann.
“Cioè ventiquattro ore al giorno.”, aggiunse Bliss.
Il carattere fondamentale di qualunque discussione (leggasi: monologo) affrontato da mia sorella, è che essa è solitamente abituata a discutere (leggasi: monologare) con una scelta platea di assistenti maltrattati e vessati da chiunque sia anche solo 0.24 cm più in alto di loro nella scala dirigenziale: dunque, dopo un po’ gli argomenti, ribaditi quattro volte perché Splinter è allenata a spiegare le cose a una pletora di minus habens che di solito delle sue dettagliate spiegazioni se ne fanno una ricca pippa e sbagliano tutto comunque, acquisiscono la ridondanza della Divina Commedia verso il dodicesimo canto del Purgatorio, quando inizi ad avere la netta sensazione che Dante, terminate le idee, abbia iniziato a collocare parole a casaccio a rima incatenata per riempire le restanti pagine. E Beatrice non gliel’aveva comunque data.
Shadows sorrideva fisso come la Gioconda mentre gli veniva illustrata per la sesta volta la cadenza della conversazione che era necessario tenere con la signora Hudson affinchè ella acconsentisse ad appendere l’ascia di guerra al chiodo: un’impercettibile movimento del suddetto, conosciuto in famiglia come “allarme scazzo”, mi costrinse a intervenire.
“Splinter, in realtà noi ci stiamo mandando Matt Shadows perché qualunque donna, appena lo vede, subisce nell’ordine tre cali: calo dell’autostima, calo della pressione, calo delle mutande. Che c’è da spiegare?”
Mia sorella mi rivolse un’occhiata al fulmicotone socchiudendo la palpebra destra.
“Ria, visto che sto parlando con Matt, sei dispensata dall’assistere, se vuoi.”
“Noi lo stesso?”, domandò prontamente Bliss, già per tre quarti in piedi.
“Sì, voi lo stesso.”, mia sorella, gelida.
“Sia lodato il Padreterno.”

 

PARTE III:
La Mini dei fantasmi del passato

Mi fiondai in terrazzo a fumare una sigaretta: Angelica è sensibile al fumo passivo, e per dovere di ospitalità ci ritroviamo in un’astinenza forzata che non aiuta, specie quando cerchi di ragionare febbrilmente per salvare il posteriore di Matthew Bellamy.
A proposito di Matthew Bellamy.
“Dov’è Matt?”, domandai all’aria.
“Ancora sul divano, ha lo svenimento in loading 98%: a breve sentiremo il tonfo a terra.”, rispose l’aria, nella persona di Bliss.
“L’altro.”, rettificai asciutta.
Un colpetto solo parzialmente accidentale alla spalla, e mi accorsi di Jimmy di fianco a me.
“Non ti avevo visto.”
“E’ difficile non vedermi, ci vuole buona volontà.”
“Devo telefonargli, se non ti dispiace.”
Jimmy sbuffò e sorrise, rivolgendomi uno sguardo indulgente che mi fece ribollire il sangue in un attacco di nervosismo: “Non so se sono più retoriche le tue domande o le mie risposte, scarafaggio.”
Ogni donna ha una parola magica, nella vita, che la riporta immediatamente alla ragione da qualunque baratro di irritazione: solitamente, “shopping”. Per me, invece, “scarafaggio”.
Composi un numero col criterio dell’enalotto, per scoprire se ancora lo ricordavo a memoria.
“Pronto.”
“Tu non dici mai pronto.”
“Tu non dici mai ‘tu non dici mai pronto’.”
Matthew Bellamy, senza dubbio.
“Dove sei?”, io, preoccupata.
“A casa di Dominic.”, lui, indecifrabile.
“Perché non vieni qui?”, io, confortante.
“Non siete già 140? Sono arrivati i Californiani?”, lui, pratico.
“Sì, sono tutti qui.”, io, informativa.
“Tutti chi?”, lui, fiscale.
“Tutti. Bliss, Fleur, Shadows, Synyster, Andrea O’Malley, Nishe, Splinter.”, io, enumerativa.
“Jimmy è lì?”, lui, indagatore.
“Chiaramente.”, io, sospettosa.
“Mm…”, lui, monosillabico.
“…”, io, afona.
“Perché non vieni qui?”, lui, coraggioso.
“…”, io, come sopra.
“O vengo io lì… insomma, ti vengo a prendere, ci beviamo una cosa. Ho bisogno… Credo di aver bisogno di te. Della tua testa.”, lui, dolce.
“Ti richiamo.”, io, inquieta.
Bussare con due dita sulla spalla di qualcuno lo mette sempre in allarme: Jimmy, infatti, si girò carico di sottintesi. Fece segno a Synyster di attendere un attimo, e mi scortò verso l’angolo più lontano del terrazzo.
“Matt vuole vedermi.”, buttai lì, vaga.
“Ok, cosa fa, viene qui?”, chiese lui, che come al solito stava già avanti due o tre passaggi e sapeva benissimo dove io volessi andare a parare.
“Vuole vedermi da sola.”, rettificai con cautela.
Jimmy sospirò, e guardò un punto imprecisato al di sopra della mia testa.
“Non faccio i salti di gioia, ma grazie per avermelo detto.”, disse infine, riportando gli occhi addosso a me.
“Non te l’ho detto, Jimmy, te l’ho chiesto.”, chiarii immediatamente io, prima che qualcun altro potesse darmi dell’incosciente, dell’insensibile, dell’egoista o qualunque altro epiteto fossero riusciti ad affibbiarmi in meno di una settimana.
Sospirò di nuovo.
“Basta che poi non devo venirti a prendere, non so, in Mongolia, va bene.”
Gli sorrisi con dolcezza, e lo informai che non mi piaceva la Mongolia, poi abbassai gli occhi e li rialzai oltre la sua spalla: la mano di Synyster, proverbiale, era già sul suo braccio.
Jimmy stava per allontanarsi di nuovo insieme all’amico, quando disse: “Piccola?”
“JJ.”, io, col sorriso ancora in faccia.
“Se hai bisogno chiama.”
“Ma certo.”
Finii la sigaretta in solitudine tautologica, prima di comporre di nuovo il numero del Problema e accingermi a comunicargli la lieta nuova: “A che ora passi?”
“Mi è appena arrivato un sms del tuo fidanzato dal testo ‘Ti spezzo le gambe’, ne deduco che non è troppo contento.”, rispose lui, quasi divertito.
“Hai cambiato idea?”, chiesi.
“Non ho paura di lui, Ria.”, soffiò Matt sulla difensiva.
Avrei voluto rispondergli che non lo riconoscevo più, ma mi limitai a un mugolio vago.
“A che ora?”, ripetei.
“Tra un’ora. Ce la fai, tra un’ora?”
Ce l’avrei fatta. Un’altra sigaretta, forse.
“Posso farti una domanda scema?”
Mi voltai meccanicamente verso Bliss, cercando di comunicare telepaticamente. Spostammo gli occhi sulla Londra scura che si faceva un vanto di dispiegarsi dal nostro terrazzo in poi: qualche nuvola rossa ancora fluttuava in cielo, rallegrata di 
quando in quando da un pipistrello rincoglionito.

“Perché stai con James e non con Bellamy?”
“Per lo stesso motivo per cui Beckham non gioca nel Celtic. Il Celtic non l’ha mai chiamato.”
“Forse pensavano di non poterselo permettere.”
“O forse hanno fatto in modo di non poterselo permettere perseverando in atteggiamenti del cazzo che, alle lunghe, logorerebbero anche la pazienza del Dalai Lama.”
Bliss tornò indietro alla vecchia Bliss, quella con cui ero cresciuta e che era stata in grado di farmi da mentore avvalendosi arrogante di quell’anno di differenza tra noi che, a volte, costituiva davvero un divario di esperienza che lei si sforzava di colmare a parole per facilitarmi il compito di vivere.
“Lo so che sei ferita, Ria.”, mi informò, a bruciapelo, girandosi la sigaretta tra le mani e osservandone la brace, come se essa contenesse qualche risposta che non era in grado di tradurre.
“Lo siamo tutti.”, ribattei generica, ma lei non se la sarebbe bevuta nemmeno in cent’anni. Neanche se l’avessi colpita in testa con il vaso di gerbere che tanto continuavano ad appassire, qualunque cosa facessimo per tenerle in vita.
Cambiò registro, ma non argomento. Intelligentemente.
“Quando eri piccola avevi una cotta per Jimmy, di questo sono certa.”
Sbuffai una lieve risata nell’aria.
“Mi stai chiedendo perché sto con Jimmy?”
“Non te lo stai chiedendo anche tu?”
“Ah, sì. Me lo sono chiesta in cucina, e mi sono data una risposta soddisfacente.”
“Insegnamela, allora.”
Raccolsi le idee, e poi le sparai a caso.
“E’ l’unica persona a cui non fa né caldo né freddo il fatto che io bestemmi più di lui. Che mi ha vista arrabbiata per tutti i motivi del mondo, in ogni condizione psicologica e fisica, che mi ha sentita urlare per le questioni più immotivate e infantili, che ha subito infinite litanie di capricci da parte mia: non ne ha mai fatto parola a nessuno. Mi ha sopportato, paziente. Lui che non è paziente, anzi: è un impulsivo, uno che sparisce all’improvviso per settimane senza che nessuno sappia dove va e cosa fa, un masochista nel senso più sottile del termine, privo di qualunque senso della misura, che non si cura di sé stesso perché è occupato a curarsi degli altri, sentimentalmente autolesionista, emotivamente instabile e completamente sfasato. Peraltro, è matto. Lui dice che io sono matta, ma il realtà il matto è lui e lo sa. Tutte le cose che ti ho elencato, i difetti di Jimmy, non una volta, neanche per sbaglio, hanno colpito me. Ogni qualità scomoda radicata così profondamente in lui da renderlo incauto, a volte, anche verso il suo amatissimo migliore amico, non mi ha mai sfiorata di striscio. Ha fatto lo sforzo immane di ritagliarmi uno spazio in lui in cui tutto sia pulito e sano. Mai una volta ha perso le staffe con me, e ti garantisco che gliene ho dato motivo. Il massimo che abbia fatto è stato irrigidirsi al mio tocco e scostarmi, l’altro giorno, in salotto. Quindi.”
Bliss si prese un attimo per soppesare quanto le avevo detto.
“Quindi mi stai dicendo che tu lo ami perché lui ti ama.”
“No, ti sto dicendo che è il mio eroe da una vita. Tu mi hai chiesto perché sto con lui, non cosa provo per lui.”
“Non è la stessa cosa?”
“No.”
“Cosa provi per lui?”
“Sono innamorata di lui. Mi piace il modo in cui mi sta addosso, mi piace che sia geloso, mi piace vederlo quando mi sveglio e mi piace sotto le mani. Mi piace che mi chiami ‘piccola’, mi piace che mi svegli baciandomi il collo, che non mi chieda dove sono andata, che non mi dica dove vada, che lasci le maglie in giro perché possa metterle io e che venga ad abbracciarmi un po’ quando lavoro ai testi e si metta a leggere qualcosa di quello che sto scrivendo. Sono abituata all’amore come a una cosa narcisista, come era con Matt: io ero adorante, e lui adorava che io lo adorassi. Ma mai una volta si è soffermato a chiedermi quale fosse il mio film preferito, o cosa veramente amassi fare nella vita. Però vedeva un sacco di dettagli.”
“Hai mai notato che noi tendiamo a parlare un sacco? Ma, veramente un sacco?”
Risi.

 

Wear your heart on your cheek,
but never on your sleeve
unless you wanna taste defeat.

 

Avevo sulle labbra ancora un retrogusto di dopobarba e avvertimenti quando mi presentai al portone di casa mia, per trovare Matt appoggiato a una Mini che fumava una sigaretta guardando nella mia direzione.
Mi sforzai di sorridere, ma tutto quello che mi veniva in mente era un mucchio di cocci rotti con in cima una margherita: Fleur, il cui dopobarba orientale ancora sostava sulla mia guancia, mi aveva perentoriamente consigliato (ordinato) di provare a considerare la mia relazione con Matt senza la variabile dell’amore che c’era stato, se volevo essergli di qualche aiuto.
Amore, amore, amore. Sui letti, sui divani, sui tetti, tra le lenzuola disfatte di un albergo del Sud America, una volta, una rosa.
“Ehi”, mi uscì di bocca troppo dolce.
“Ehi”, mi rispose lui, indugiando gli occhi dentro i miei.
Il silenzio carico di immagini che appartiene a chi un tempo si è amato seriamente non mi aveva mai entusiasmato, per cui entrai in macchina afferrata da una leggera inquietudine: mi seguì immediatamente, faticando a sfilarsi il giubbotto. Poi mi guardò: “Cos’è successo, bambina?”
Inspirai un po’ d’aria fredda stringendomi nel cardigan e presi una sigaretta dal pacchetto sul cruscotto: Matt allungò una mano per accendermela, e glielo lasciai fare solo per soffermarmi un attimo ancora sulle sue dita.
“Jimmy mi ha detto che sapeva da tempo di non essere mio cugino.”
Avremmo dovuto essere lì per parlare dei suoi, di problemi.
Matt non rispose, limitandosi a esalare un respiro prolungato appoggiandosi le mani sulle gambe.
“Non me l’ha esattamente detto, in realtà. Sarebbe più corretto dire che non l’ha negato: ci sono arrivata da sola questo pomeriggio, non so dirti perché il mio eccelso ragionamento abbia scelto proprio oggi per manifestarsi in tutta la sua inattaccabile sensatezza.”
Tirai a lungo dalla Marlboro leggera.
“Così gliel’ho detto mentre affettavo il sedano, in cucina. Un paio d’ore fa al più, penso. Gli ho anche detto parole molto dure, delle quali mi pento solo parzialmente: tra le altre, che non conoscevo un James che mi ingannasse e mentisse.”
Quando mi voltai, mi resi conto che mi stava guardando: aveva la sopracciglia alzate e un broncio lievemente canzonatorio.
“E poi?”, mi incoraggiò.
Mi strinsi nelle spalle e distolsi lo sguardo.
“E poi niente, abbiamo fatto sesso sul tavolo della cucina.”
“Ma Dio, Ria, così la gente la mandi al manicomio! È come tirare un cazzotto a qualcuno e poi offrigli una caramella! Sei impossibile. Povero Jimmy.”
Sobbalzai e gli rivolsi la migliore tra le mie occhiate sorprese.
“Povera Kate!”, dissi poi.
Uno sbuffo di risata gli uscì dalle labbra: “Sì, anche.”
Calò un silenzio pesante.
“Ti ha più parlato?”
“No.”
“Restiamo qui tutta la sera?”
Si riscosse un po’.
“Dove vuoi andare?”
“A ubriacarmi.”
Mise in moto con baldanza mentre un gatto ci sfrecciava davanti al paraurti soffiando rumorosamente.
“Aspetta.”, dissi.
Spense il motore.
“No, accendi.”
Accese il motore.
“Parti.”
Partì.
“Perché non hai fatto una piega quando ti ho detto che Jimmy mi aveva rivelato di sapere di non essere mio cugino già da tempo?”, esalai in tono indagatore.
“Un po’ perché ormai non mi stupisco più di niente, quando si tratta di noi.”
Disse proprio così, noi, come se noi fosse un concetto afferibile a un gruppo di persone unite dai propri neuroni disfunzionali, o forse all’umanità tutta, o forse a una forma di cortesia che il voi non evidenzia.
“E poi perché un po’ ci si poteva anche arrivare, dai.”
Disse proprio così, dai, come se avessi sbagliato a collocare Addis Abeba sulla cartina dell’Africa o non sapessi quale presidente americano c’è sulla banconota da cento dollari.
“Come dai?”, io, sconvolta.
Lui, esegetico: “Ma sì, da come ti guardava, da come ti stringeva, dal modo in cui saltava una continuazione ogni volta che qualcuno ti causava una lieve oscillazione nervosa, dalla rabbia cieca che provava nei miei confronti, dall’ossessione di proteggerti… Non era un cugino, all’epoca. I cugini sono più tranquilli e capoccioni. E non possiamo, alla luce dei fatti, nemmeno definirlo un fidanzato adesso.”
Io, incerta: “E come lo definiamo?”
Matt dovette pensarci su un secondo: “Credo che la soluzione migliore sia considerarlo un Jimmy.”
“Un Jimmy.”, ripetei, in un’atona e meditabonda incredulità.
Intanto, era finita Abbey Road.

 

Non si può basare una vita su un personaggio.
Al limite, si può basare un personaggio su una vita.
(Stefania, davanti a un’omelette a Dublino)

 

Avevo un tovagliolo in testa, ma la cosa non sembrava disturbare nessuno: né gli avventori del locale in cui Matt mi aveva condotta per mano salutando tutti, inclusi tavoli e sedie, né Matt stesso, il quale soffiava aria in un bicchiere con una cannuccia nel naso.
“Non so niente.”, lo informai, buttando giù d’un fiato il quinto bicchierino di tequila.
Mi rivolse uno sguardo anonimo, e poi disse: “Cosa avete intenzione di fare con Kate?”
Cercai di concentrarmi sul Matt che vedevo più nitido tra i tre che mi si paravano davanti, e dissi: “Cerchiamo innanzitutto di provare l’approccio non bellico, e mandiamo Shadows a parlarci. Può darsi che se la trombi, ti devo avvertire. Se Shadows fallisce, abbiamo un intricato piano per stracciare l’articolo prima che vada in stampa. Se anche quello fallisce, non ci resta che rivolgerci alla Venerabile.”
Mi guardò confuso: “Chi è la Venerabile?”
“La Venerabile è Dio.”, lo istruii, guardando nel bicchiere di Weiss.
“Ti ricordi la sera della weiss?”, dissi poi, nostalgica, “Ti ricordi quanto ballammo?”
“Mi ricordo quanto eri bella.”
Feci un gesto come per scacciare una mosca.
“Pensi che Kate sia stata una scelta migliore di me, alla luce dei fatti?”
La luce dei fatti. E quella degli alcolici.
“Non ho fatto una scelta, Ria, tu hai fatto una scelta. Ho pensato qualche volta che forse Jimmy lo amavi già da tanto prima di ammetterlo a te stessa, quindi se la cosa ti fa stare meglio in realtà secondo la mia teoria con quello che mi hai raccontato stasera avete mentito a vicenda.”
Cercai di capire se era grammaticalmente corretto avete mentito a vicenda. Lasciai perdere.
“Certo che amavo Jimmy, ma era l’amore dell’esperienza. Quello coltivato, come… come… le cipolle.”
“Le cipolle.”, ripetè Matt.
“Sì, le cipolle. Invece per te era un amore di un altro tipo. Quello illogico, spontaneo, folle, strappa budella.”
Diedi un sorso alla birra.
“Io ero pazza di te. Drogata di te. E tu ti drogavi a tua volta di quello che io provavo per te. Secondo me tu non amavi me, ma amavi il modo in cui io ti vedevo e ti facevo sentire.”
“Ok, Sigmund. Ma che ce ne facciamo di tutti questi ragionamenti adesso?”
Sventolai una mano e feci segno al cameriere di portare della tequila.
“Niente.”, dissi, combattiva, “Niente perché la verità è che ci amavamo e basta. E che ci amiamo ancora.”
“Mi ami ancora?”
Mi passai una mano in faccia, troppo ubriaca per pensare alle conseguenze di quel momento di sincerità etilica.
“Non credo che riuscirò mai davvero a smettere.”
“Jimmy lo sa?”
“Jimmy sa tutto. E’ l’oracolo di Delfi. L’oracolo di Huntington Beach. Riesce perfino a far partire quel maledetto condizionatore.”
“Il condizionatore?”
“Sì, quel condizionatore che funziona come la smorfia napoletana. Che appaiono i numeri a caso sul display del telecomando. Quanto odio quel condizionatore. In sintesi, va tutto bene finchè non esce scritto 83, o’ maletiempo.”
“Anche io credo di amarti ancora.”
“E’ evidente.”, dissi, rivolgendogli un’occhiata saggia.

 

Una volta mollata l’anima,
tutto segue con assoluta certezza
anche nel pieno del caos.
(Henry Miller)

 

Barcollavamo verso casa o, più precisamente, casa barcollava verso di noi. Non sapevo più che ore fossero, né quanto avessimo camminato: sapevo solo con sufficiente certezza che sul telefono di Matt c’era una mia foto in atteggiamenti lascivi con la statua di Sherlock Holmes a Baker Street.
Avevamo lasciato la macchina al locale, visto che né lui né io eravamo in condizione di guidare.
“Vieni a dormire su.”, dissi, sentendo chiaramente una tagliola da boscaiolo che mi teneva la testa in una morsa metallica.
“E dove?”, domandò lui, accasciandosi su un marciapiede e contestualmente facendo cadere il pacchetto di sigarette in un tombino: ne sfilai a fatica due dal mio, e gliene porsi una.
“C’è la poltrona. Ann va a dormire a casa sua, di solito.”, riflettei ad alta voce.
C’erano tre stanze da letto, e un divano letto nel soppalco.
“O puoi dormire con Fleur, tipo.”
Mi rivolse uno sguardo intontito. Dormire con Fleur, tipo, non era proprio un’idea.
“Mi chiamo un taxi. Aiutami ad alzarmi in piedi.”
Mentre protestavo rinnovando l’offerta di ospitalità, lo tirai su per un braccio, ma in nessun modo riuscivo a sostenerlo, né lui a reggersi da sé: fummo travolti da un attacco di risate contagiose e irrefrenabili, crollando infine una sull’altro sull’asfalto.
Squillò il suo telefono.
Non riuscivo a smettere di ridere.
“Dom? Dom, vienimi a prendere, sono da Ria… No, la macchina… AHAHAHAH vieni.”
Mi tirai a sedere con non poche difficoltà, e lo guardai combattere per fare lo stesso.
“Mi sei mancato da morire.”, confessai, sorridendo.
Sorrise a sua volta, e allungò una mano che sbandò un paio di volte lungo il percorso per accarezzarmi il viso.
“Anche tu mi sei mancata, bambina.”
Afferrai la sua mano sulla mia guancia, dolcemente, e ne baciai il palmo.
“Vedrai, ci riprenderemo Bing. E anche Kate. Tu ami Kate.”
Sospirò, ritirando la mano, e guardò davanti a sé.
“E’ divertente. È carina. È intelligente. È interessante e ride moltissimo.”
“E non è una bambina.”, conclusi, delicata.
Scosse la testa. “Non è questo.”
“Oh, tu credi che non lo sia: ma è anche questo.”, lo corressi, sempre dolce.
“Fa sempre comodo pensare che siano le incompatibilità, il destino, le strade e i fattori esterni che fanno naufragare le relazioni, Ria, ma la verità è che sono le persone, a far finire le storie. Le scelte che le persone fanno. E tra noi, quello che ha fatto la scelta sono io. Anche se mi ci è voluto del tempo per ammetterlo, e per te forse sarebbe meglio pensare che sei stata tu ad andartene, quando il solo rivolgerle la parola, il solo darle quelle attenzioni, già costituiva una scelta da parte mia.”
Lo guardai, per nulla amareggiata per la sottile, involontaria spietatezza che nascondevano quelle parole.
“Sei la più grande primadonna che io conosca, dopo il mio vecchio amico Brian. Sei sempre tu a fare le scelte. Gli altri, volenti o nolenti, ci si attengono. Ecco perché Kate che dimostra di avere un cervello proprio ti fa sentire così sottosopra, sai?”
Mi omaggiò di una lievissima risata amara.
“Sono stato male quando ci siamo lasciati.”
“Anche io. Però mi sono laureata. Ho fatto i conti con una cosa che, come hai detto tu, già forse sapevo da tempo senza ammetterla a me stessa. Con quella domanda che non avevo il coraggio di porre a mio padre, con quella verità che non ero pronta ad affrontare, insomma, quello che vuoi. Avevo bisogno di lui, e lui c’era. Come sempre.”
“Sono geloso di lui.”
“Comunque, geloso dal punto di vista etimologico del termine è una parola stupidissima proprio.”
“Com’è a letto?”
“Vuoi davvero saperlo?”
“Sì.”
“Bravo.”
“Più bravo di me?”
“Sei proprio ubriaco, Matt.”
La macchina di Dominic lampeggiò due volte nella nostra direzione per annunciarsi, quindi si accostò poco lontano da noi e lui ne scese in pigiama; mi alzai con l’intenzione di salutarlo, e andò a finire che lo abbracciai.
“Ciao, tesoro.”, mi disse. Odiavo essere chiamata ‘tesoro’, ma solitamente era una cosa che faceva più che altro Chris.
“Stai bene?”, mi chiese poi, prendendomi il viso tra le mani, “ce la fai a salire a casa?”
Gli rivolsi una risata di rassicurazione, e gli diedi un bacio su una guancia: “Sto bene, sì. Dammi un secondo per salutare Matt.”
Mi voltai verso l’ex quello-giusto, che si era alzato e mi fissava da una posizione grossomodo eretta con un sorriso calmo.
“Sono stata bene, stasera.” gli dissi, banalmente, stringendolo forte a me: cercammo di metterci viso a viso senza dover sciogliere l’abbraccio, che forse era peraltro l’unica cosa che ci consentiva di tenerci in piedi.
“Dovremmo farlo più spesso.”, mi rispose, torcendo il collo all’indietro per guardarmi negli occhi.
“Potremmo destare sospetti.”
“Ci basta respirare, per destare sospetti. Mandami un messaggio, domani mattina.”
“Affermativo, Charlie.”
Un bacio a labbra chiuse, amichevole, innocente, e poi li sentii armeggiare con le portiere della macchina mentre infilavo le chiavi nel portone: una solida lacrima di frustrazione mi colpì la mano.

 

Wake up, give me a cigarette:
last night’s love affair is looking vulnerable in my bed.

 

“Sono le cinque e quarantanove.”
Nel buio totale, mi tolsi i vestiti ignorando Jimmy, voltandomi da una parte e dall’altra per, non so, percepire la presenza di una tshirt abbastanza grande da poter essere usata come pigiama, indossarla e collassare a letto.
Accese la luce all’improvviso, poi rimise il braccio dov’era prima, cioè sull’altro, conserte sul petto. Bene, non aveva la maglia, il che stava a significare che doveva essere da qualche parte in giro: ricominciai a cercare.
Senza curarmi di non indossare altro che un paio di slip, vagai per la stanza sbattendo su tutte le superfici passibili di sbattimento, qualche volta salutando l’evento con una breve risata.
“Sei ubriaca.”, disse.
“Che spirito di osservazione!”, mi complimentai, rivolgendogli uno sguardo divertito. Toh, la maglia. La presi e feci per metterla, ma con un movimento di cui non mi ero assolutamente accorta Jimmy mi si era parato davanti e mi scrutava indagatore.
“Puzzi di alcol peggio di me al Warped Tour del 2004.”
“2005.” lo corressi.
Sorrisi, e lui cedette controvoglia a fare una mezza smorfia sul medesimo genere.
All’improvviso, come colta da un pensiero, scoppiai in una leggera risata e gli buttai le braccia al collo.
“Eri preoccupato?”, gli chiesi semiseria, mettendo su un broncio comprensivo e ironico.
“Non so, prova a guardare il tuo telefono.”, rispose asciutto, perseverando a tenere le sue braccia mollemente lungo i fianchi.
“Il mio bel batterista…” osservai, guardandolo con una punta di golosità.
“Mi correggo: sei decisamente ubriaca.”
“E tu non hai intenzione di approfittare di me mentre sono decisamente ubriaca.”
“Assolutamente no.”
Braccia sempre conserte.
“Cosa devo fare per farti aprire queste braccia?”
Mi venne un’idea, e tolsi una mano dal suo collo.
Sobbalzò e scoppiò a ridere, abbassando le braccia di scatto: “Ti vuoi calmare, piccoletta?”
“A sedici anni, ho passato un periodo in cui non riuscivo a pensare ad altro che a fare sesso con te.”, soffiai velocemente, guardandolo dritto negli occhi.
“Come prego?”
“A sedici anni, ho passato…”
“Ho capito.”
Era leggermente rosso, leggermente sorpreso.
Mordendomi il labbro inferiore, mi avvicinai per sussurrargli qualcosa all’orecchio che gli fece spalancare la bocca, poi mi allontanai un po’ per contemplare il risultato: mi guardava sconvolto e divertito come non mai.
“Cos’è che volevi fare con le mie bacchette?”, disse, senza perdere quell’espressione meravigliosa.
“Oh, smettila.”, risposi imbarazzata.
“Vieni qui, perverso scarafaggio!”, e mi afferrò al volo facendomi squittire mentre franavamo sul letto tra le risate. Tentai brevemente di liberarmi, ma provateci voi a liberarvi dalla presa di un batterista di un metro e novanta.

 

PARTE IV:
Alla greca

 

And when we’re in the dark
it echoes in your heart,
and when you’re far away
it begs me to stay.
Welcome to the family jewels.

 

La mattina si era presentata avvolta dalla nebbia bassa, per cui il tasso di umidità ci costringeva a maglioni ingombranti, capelli improbabili e tazze di caffè.
Fumavo la terza sigaretta, seduta nella foschia sul terrazzo, fissando lo schermo del telefono.
Sono sveglia. Mi sono divertita da morire, ieri sera. Mi eri mancato. R.
Tormentandomi un’unghia con i denti, mi decisi a premere invio.
Are you satisfied with an average life?”
Mi voltai meccanicamente verso Jimmy: “Perché stai cantando Marina and the Diamonds?”
“Perché piace a te.”, fischiettò lui, inopinatamente allegro, “E anche a me, ma non dirlo ai ragazzi.”
“Shadows è sceso?”
“Ho sentito Shadows è Shadows?”, intervenne Bliss, uscendo con due tazze in mano: ne porse una a Jimmy, che sembrava star reggendo l’intelaiatura della porta finestra con la spalla, dal momento che non dava segno di volersi schiodare da lì.
“Ho chiesto se è già andato via. Non burlarti dei miei difetti di pronuncia.”
“Non dire sciocchezze, sai che adoro il tuo sigmatismo interdentale.”
Bliss mi si sedette da un lato e Jim, dopo poco, dall’altro: era chiaro che c’era qualcosa che entrambi morivano dalla voglia di sapere.
“Allora”, esclamò baldanzosa Bliss, “Com’è andata ieri sera? Vogliamo i dettagli.”
“I dettagli sono tequila.”, dissi sospirando, un po’ in imbarazzo, “Molta, molta tequila. È veramente distrutto, credo che ami Kate. A modo suo, beh, come tutto.”
Guardai verso Jimmy che si stava sforzando di mantenere un atteggiamento disinteressato.
“Non l’ho neanche baciato, nonostante la tequila.”
“Bene, perché Jimmy ieri sera ha preso tre pillole per la pressione.”
“Bliss!”, la redarguì lui, poggiandomi una mano sulla gamba.
“E’ vero!”, si difese la mia migliore amica.
“Sto bene.”, disse Jimmy, rassicurante. Quando si parlava del cuore di Jimmy, il mio minacciava di intasarmi l’esofago e uscirmi dagli occhi dopo aver subito parecchi incidenti lungo il percorso. Gli afferrai la mano.
“Gli ho detto di noi. Di quello che è successo ieri. Ti sembrerà folle, ma ti ha difeso. Ha detto che fare l’amore con te dopo averti detto quello che ti ho detto è come dare un cazzotto e poi una caramella. Che così mando la gente al manicomio.”
Jimmy rise, brillando nella nebbia. “Si vede che non è abituato a te come lo sono io.”
Uno a zero per James.
“Ha detto anche che era evidente che tu sapessi di non essere mio cugino, ha detto che il modo in cui ti comportavi con me e il modo in cui mi guardavi erano inequivocabili.”
“Credo che, anche se fossi stato ancora convinto di essere tuo cugino all’epoca, qualunque persona che tenga a te davvero con il cuore e con l’anima avrebbe fatto esattamente le stesse cose. Bliss le avrebbe fatte.”
“Bliss non mi ha mai guardato come se fossi la Venere di Botticelli.”
“A Bliss piacciono gli uomini. E tu per me sei sempre stata un capolavoro, anche quando eravamo parenti.”
Due a zero per James.
“Ha anche detto che, come non ti si poteva considerare un cugino all’epoca, non ti si può considerare un fidanzato ora. Ha detto che al massimo ti si può considerare un Jimmy.”
“Bene, visto che forse puoi anche trovarti un altro fidanzato, ma non puoi trovarti nessun altro Jimmy.”
Tre a zero per James.
“Ha detto che mi ama ancora.”
“Anche io, fossi in lui, ti amerei ancora.”
“Gli ho detto che, in un certo senso, anche io lo amo ancora.”
Jimmy sospirò, guardando la sua pazienza saltare dalla ringhiera e salutarci scivolando sotto un’auto parcheggiata.
“Lo so, ed è una cosa che non posso sopportare. Però, come vedi, la sopporto.”
Quarantaquattromila a zero per James.
“Se volete sapere la mia opinione, e noto che nessuno l’ha chiesta, penso che Matt in fin dei conti avesse bisogno di tutto questo.”, intervenne Bliss, mentre io mi pentivo di tutto quello che avevo appena detto.
“Che vuoi dire?”, chiesi.
“Voglio dire che non poteva continuare a vivere dal demertato, confusionario, adolescenziale cretino che è, ora che ha un figlio. Dunque, aveva bisogno di un tornado che gli rinfrescasse le idee, e questo è proprio un tornado coi fiocchi. Quello che mi chiedo è: quando lui sarà tornato in sé, e quando questa situazione si sarà auspicabilmente risolta per il meglio, voi due” indicò me e Jimmy con un gesto morbido della mano “che farete?”
Che farete in che senso? Nel senso se resteremo a Londra? Se torneremo ad Huntington Beach? Se staremo ancora insieme? Se ne usciremo illesi, uguali, rafforzati, distrutti come coppia? Se…
“Ci sposiamo.”
“Che cosa?”, fece Bliss.
“Che cosa?”, feci io.
“Che cosa?”, fece la regina, affacciandosi un attimo a una finestra di Buckingham Palace.
Jimmy era tranquillo come se ci stesse informando che usciva a comprare il giornale.
“Ci sposiamo. Se… Se mi vuoi, è chiaro.”
“Ooooook.” disse Bliss, e si alzò dalla sdraio con la tazza in mano. Senza smettere di fissare sbigottita Jimmy, la ritirai giù a sedere afferrandola per il lembo del maglione: cadde sulla sedia con un tonfo. “Tu resti qui.”
Non dissi più nulla.
“Ria, io sono sicuro di quello che provo per te. So come stiamo insieme, so come conviviamo, so che ammazzerò la mia povera madre dicendoglielo, ma sono assolutamente certo di volerti sposare, diciamo che penso anche che sia ora, e che voglio poterti proteggere sempre, e voglio che il mio cognome ti protegga con me. Voglio darti una famiglia, e voglio che tu cresca i miei figli.”
“Figli che in nessun caso si chiameranno Bingham.”, Bliss.
“In una parola, voglio che tu diventi mia moglie.”
“Gesù Cristo.”, Bliss.
“E non sono affatto bravo in queste cose, se vuoi mi inginocchio. Ti ho preso questo.”
Gli occhi mi si riempirono di lacrime e mi coprii il viso con le mani, sconvolta.
“Non me ne intendo particolarmente di questa roba, ma ho pensato che fosse il tuo genere. Che ti sarebbe piaciuto, sì, insomma.”
Spostai qualche secondo lo sguardo su Bliss che se ne stava lì a bocca aperta, divertita, e sconvolta quasi quanto me; poi, lo riportai sulla scatolina aperta che Jimmy, timido come non lo avevo mai visto, teneva in mano. Un anello d’oro bianco con un diamante quadrato al centro di altri due più piccoli così assurdo da farmi vacillare la vista. Non riuscivo a togliermi le mani dalla faccia.
“Ti prego, di’ qualcosa.”, mi incoraggiò lui, “Purché tu non abbia intenzione di dirmi di no. In quel caso, non dire niente.”
Bliss prese in mano le redini della situazione con una prontezza di spirito invidiabile.
“Cosa deve dire? Non le hai chiesto niente! Forza, chiediglielo. Mettici il punto interrogativo alla fine, così non si può equivocare.”
Jimmy, imbarazzato: “Oh, ok. Scusa. Vuoi… ehm. Vuoi sposarmi, Eldariael?”
E con questa facevano tre volte, nella sua vita, che aveva usato il mio nome completo per rivolgersi a me. Non riuscivo a parlare. Nel bel mezzo di una mattina uggiosa di Londra, sul terrazzo di Morgue Place, Jimmy mi stava davvero chiedendo di sposarlo. Tolsi le mani dalla faccia.
“Niente segreti.”, dissi, “Mai.”
“Mai.”, rispose lui, prontamente.
Gli presi le mani che reggevano la scatolina tra le mie, e sorrisi, guardandolo. Sorrise anche lui.
“Sì.”, dissi, in mezzo a due lacrime, “Sì. Certo.”
Si rilassò, e sfilò l’anello dalla scatolina.
“Dammi la mano”, disse, dolcemente. Gli tesi la sinistra e lasciai che mi mettesse l’anello al dito, poi con quella lo afferrai per il cardigan e lo tirai verso di me, per baciarlo.
“Ora sono davvero di troppo.”, disse Bliss, alzandosi.
Mi staccai dal bacio per dire: “No, quando mai, vieni qui. Bacialo anche tu. Alla greca.”
Risero tutti e due e Bliss disse, sporgendosi per dargli un bacio a schiocco sulla guancia, “Noi non siamo greci.”
“No, infatti, non siete greci, siete tutti stronzi. Non mi sembra di aver autorizzato nessuna proposta di matrimonio.”
Mi voltai a sventolare l’anello a Splinter, uscente in quel momento, che commentò con un serafico “Sì, è abbastanza adeguato.”, e si infilò tra noi, abbracciandoci tutti e tre.
“Mio Dio, ci sposiamo.”, commentai, afona.
“Non vedo l’ora di vedere la faccia di zia Barbara.”, Splinter.
“Mio Dio, zia Barbara.”
Era il caso di telefonare prima a Zacky e dirgli di presentarsi alla porta dei Sullivan e mettersi a braccia aperte dietro alla signora Barbara quando io e suo figlio l’avremmo chiamata per informarla della lieta nuova. Sperando che sarebbe stato abbastanza pronto da afferrarla al volo prima che svenisse battendo il cranio sulla credenza.

 

PARTE V:
La luce dei fatti (e degli ubriachi)

 

Knock, knock, knockin’ on Heaven’s door.

 

Era sera inoltrata, Jimmy era uscito con Synyster e Fleur per una birra. Shadows, sprofondato nel divano con uno straccio freddo in faccia, ogni tanto mi manifestava la sua presenza esalando un debole lamento figlio illegittimo del mal di testa che aveva deciso di arpionargli le tempie: le ultime energie utili alla conversazione le aveva sprecate per congedare le sue due infermiere, convincendole ad andare a bere la suddetta cosa con Fleur e smetterla quindi di dargli il tormento con la loro solerzia nel volerlo assistere con il solo, prevedibile risultato di fargli girare ancora peggio i coglioni.

Io ero china sul tavolino attiguo al cordless, impegnata a reggermi la testa con la mano occlusa dall’anello di fidanzamento, con davanti una bottiglia di amaro il cui livello continuava a calare mentre cercavo di decidere chi chiamare prima per dare il lieto annuncio. Mio padre, mia zia, i pompieri; quarantacinque minuti e quattro bicchieri dopo, avevo fatto un’unica telefonata, svoltasi nel seguente modo:
“Yep.”
“Ciao, Zacky, sono Ria.”
“Ria! Gesù Cristo, ti stavo chiamando! Mi spieghi cosa è successo?”
Shhhhhh!” aveva fatto Matt dal divano, esiliandomi per conseguenza in balcone.
“Ho Shadows col mal di testa” informai Zacky, chiudendomi delicatamente la portafinestra alle spalle.
“Che è successo?”, mi incalzò quello.
“Io e Jimmy ci sposiamo.”
“Santiddio. Sì, l’ho saputo. E come mai?”
E come mai?, dovetti ripetermi un paio di volte prima di rassegnarmi al fatto che era esattamente quello che Zacky aveva detto.
“Che domanda è?” sbottai, bonaria.
“Non fraintendermi.”
L’avevo già frainteso. Un lungo sospiro mi raggiunse in diretta dalla costa ovest degli Stati Uniti.
“Posso darti un consiglio?”, aggiunse quindi.
“Già che ci sei.”, replicai, seccata.
“Avverti prima qualcuno di cui non ti importa. Così, per saggiare le reazioni.”, sentenziò pensieroso il mio interlocutore.
Now your nightmare comes to life.”, citai io, più o meno letteralmente, poi lo salutai e attaccai: al mio ritorno in salotto fui accolta da una voce oltretombale.
“Che dice Vengeance?”
“Mi ha consigliato di chiamare prima qualcuno di cui non mi importa. Così, per saggiare le reazioni.”, risposi alla pezza che al momento si trovava al posto della faccia di Matt, il quale si produsse in una roca, sofferente, risata: “A chi hai pensato?”
“Alla zia Betsie.”
La zia Betsie era una zia di Jimmy, dalla parte di Joe: incredibilmente anziana, onnipresente ai pranzi di famiglia, gran simpaticona, universalmente riconosciuta come la donna più condiscendente della Terra. Se c'era una persona che preferiva non sbilanciarsi a dare opinioni, quella era zia Betsie.
“Metti il vivavoce, non voglio perdermela.”
Lo guardai in tralice, risentita, versandomi un altro bicchiere di amaro: dunque, composi il numero dell’anziana parente.
Halò?
“Zia Betsie, sono”
“Kelly?”
“No.”
“Katie?”
“No.”
“Vivienne?”
“No.”
“Sarah?”
“No.”
“Josie?”
“No.”
“Francine?”
“Sono Eldariael!”
Matt soffocò una risata. Io non lo trovavo affatto divertente.
“Certo che sei tu, tesoro mio. Che mi racconti? Come stai?”
Decisi di tagliare corto.
“Zia: io e James ci sposiamo.”, eruppi infatti, secca.
Seguì un breve ma intenso silenzio.
“Come dici?”
“Io e James ci sposiamo.”
“James chi?”
“Come James chi. James Sullivan. Tuo nipote.”
Tuo cugino James?”
“Zia, eri presente quando si è discusso del fatto che in realtà non correva alcun legame di sang”
“STAVROS?”
Aggrottai le sopracciglia.
“Chi è Stavros?”, io.
“Il mio fidanzato.”, mia zia, 74 anni.
“Il tuo?”
“Fidanzato.”
Seguì voce maschile.
“Stavros, prendimi il bicchiere mio dalla credenza, e quella bottiglia di brandy, per favore.”
“Sai cos’ha detto il medico”, rispose una voce calma ma decisa nei pressi di lei, “Finisce che ti viene un infarto.”
“Mi viene comunque.”, lo informò limpidamente zia Betsie.
“Ma che è successo?”, Stavros.
“I miei nipoti si sposano.”, zia Betsie.
“Ah! Augurissimi.”, Stavros.
“No, non hai capito, Stavros: i miei nipoti si sposano tra di loro.”, zia Betsie.
“…”, Stavros, privo di qualunque possibilità di capire.
“Ci avete pensato bene?”, disse, rivolgendosi finalmente di nuovo a me: mi giunse all’orecchio il distinto suono di un liquido versato in un bicchiere. Stavros doveva aver quantomeno intuito, se proprio non aveva capito.
“Siamo innamorati, non siamo imparentati. Dov’è il problema?”, chiesi, secca.
L’emicrania non stava impedendo a Shadows di ridere sottovoce senza requie, irritandomi.
“E' Satana, il problema. Perché soltanto Satana in persona avrebbe fomentato una così insana passione.”
Zacky mi aveva chiesto come fosse accaduto, come se, invece di fidanzarmi ufficialmente, mi avesse inavvertitamente investito un tram, e adesso zia Betsie ipotizzava l'intervento del demonio in corna e ossa. Il demonio.
“Zia, io sto telefonando per avvertire, non per chiedere il permesso.”
Mia zia tacque per qualche istante, poi disse, misteriosa: “Vedi.”
“Ho capito. Grazie. Ci sentiamo. Saluti a Stavros.”
“Eldariael…”
“Ciao.”
Attaccai, portandomi le mani in faccia fino a intercettare ombre luminescenti dietro le palpebre: quando Shadows mi poggiò una mano sulla spalla sobbalzai così forte che dovetti sforzarmi di non urlare.
“Come va la testa?”, mi costrinsi a chiedergli.
“Meglio.”, mi rispose lui indugiando con gli occhi nei miei.
“Qualcosa mi dice che la reazione di zia Barbara non si discosterà molto da questa.”
“Può anche farla James, questa manfrina.”
“Perché?”
“Perché lui è più forte di te. Più bravo di te. Perché ti ha chiesto lui di sposarlo. E perché nessuno lo contraddice mai.”
Lo guardai senza dire niente, buttando giù una generosa sorsata di amaro.
“E perché non vuole che tu faccia cose che ti fanno stare male.”
“Non mi fanno stare male”, risposi senza convinzione, ingollando altro alcol, “Mi consentono di avere una voce. Di impormi. Di ritagliarmi un posto in questa famiglia che non sia, per una volta, un incidente diplomatico, ma che sia una decisione.”
“Perché lo sposi?”
“Perché voglio.” risposi, impetuosamente, leggermente brilla.
Sorrise, abbagliandomi con i suoi numerosissimi denti.
“Risposta esatta.”, disse soltanto.

 

I felt you question the way I was brought up as a baby,
well, you don’t know a fuck about my family.

 

A volte ci vuole un metallaro di un paio di metri per darti un senso di sicurezza tale da consentirti di affrontare un paio di spinose e urgenti questioni: Shadows russava infatti sonoramente, rovesciato come una barca alla deriva nel mio letto, mentre io fissavo lo schermo del cellulare con la testa sulla sua schiena e le gambe piegate per non uscire dal materasso. Come quand’ero bambina. Se nessuna parte del corpo si trova al di là del margine del letto, allora sono al sicuro.
Ci sposiamo.
Inviai.
La risposta di mia cugina Kelly arrivò a tempo di record.
HA!!!!!!!! Lo sapevo!!!! Katie mi deve 100 dollari.
Sbuffai un sorriso insieme a un po’ di fumo di sigaretta, poi sentii la porta dell’ingresso aprirsi e delle risate rumorose salutare il ritorno dei ragazzi: trascinai la mia leggera sbronza in salotto, acclusa in una delle mie vecchie maglie enormi, quelle che usavo come pigiama, e un cardigan voluminoso e tiepido.
Mi guardarono, si zittirono, e io sorrisi.
“Che hai fatto?”, domandò Synyster.

“Un paio di telefonate.”, risposi semplicemente, prima di sorpassare il divano per andarmi a schiantare, a braccia conserte, direttamente nella spalla destra di Jimmy respirando forte. Odorava di fumo, birra e di lui. Più ubriaco di me, mi chiuse le braccia intorno: “Potevi farle fare a me, queste telefonate. Non voglio che fai cose che ti facciano stare male.”
Gli altri si dileguarono.
“Shadows mi ha detto la stessa cosa, dite la verità, vi mettete d’accordo.”
Si guardò intorno alla ricerca di Shadows e assunse un’espressione spaesata e confusa quando non lo localizzò sul divano dove lo aveva lasciato: gli presi il viso tra le mani e lo portai verso di me, sorridendogli. Improvvisamente di nuovo avviso della mia presenza, mi sorrise a sua volta.
“Ehi. Sei proprio bella.”
“Stasera sei tu che sei proprio ubriaco.”
“Non sto scherzando, scarafaggio. Sei proprio bella.”
“Me l’hai già detto.”
“No, davvero. Hai presente quando avevi, tipo, quindici, sedici anni?”
Barcollò da fermo. Risi e lo guidai sul divano, con dolcezza.
“Ma tu lo ami ancora, allora mi devi spiegare perché stai sposando me.”
“Jimmy, ho avuto una serata difficile. Anzi, ho avuto proprio una vita difficile. Ne parliamo un’altra volta, va bene, amore?”
Mi guardò spalancando gli occhi.
“Come mi hai chiamato?”
Gli restituii lo sguardo, interdetta.
“Ti ho chiamato Jimmy. Come ti devo chiamare?”
Scosse la testa.
“No, dopo.”
Feci mente locale, e sorrisi senza sapere cosa dire.
“Non l’ho fatto apposta. Mi è, non so, uscito così.”
“Non mi hai mai chiamato in quel modo prima.”
Un gatto strillò da giù alla strada, valicando il vetro rinforzato della portafinestra.
“Zia Betsie ha detto che il responsabile della nostra unione è il demonio.”
Si strinse nelle spalle, sistemandosi sul divano e contestualmente attirandomi addosso a lui: raccolsi le gambe, e lasciai che mi abbracciasse.
“Ormai ha una certa età.”
“Ha anche un fidanzato. Si chiama Stavros.”
“Ho detto che ha una certa età, non che è consapevole di averla.”
Scoppiai a ridere.
“Ho chiamato anche Zacky. Mi ha chiesto come fosse successo.”
“Tu gli hai ricordato che è un cazzone? Questa settimana è stata parecchio impegnativa, ho dimenticato di fargli la consueta telefonata per dirglielo.”
“Per dirgli cosa?”
“Che è un cazzone.”
Scoppiai a ridere di nuovo.
“Tua sorella invece non ha fatto una piega. Mi ha solo informato che l’altra aveva perso la scommessa.”
“Dunque hai chiaramente sentito Kelly.”
Lo guardai: gli aleggiava in faccia una specie di divertimento.
“Non sei preoccupato?”, gli chiesi.
“Per cosa?”
“Per come la prenderanno.”
“E come la devono prendere?”
“La zia ha informato Stavros, sconvolta, che i suoi nipoti si sarebbero sposati tra di loro.”
“Appunto. Pensa come l’avrebbero presa se fossimo stati sul serio imparentati.”
“Mi avresti voluta sposare lo stesso?”
“Senz’altro.”
“Non è una cosa da persona normale.”
“Non so se te ne sei accorta, ma io non sono mai stato particolarmente normale.”
Gli rivolsi uno sguardo basito.
“Sto scherzando.”, disse.
Gli diedi una lieve gomitata.
“Lo so.”
“Non sul fatto di non essere normale. Su quello sono serissimo. Hai il diritto di sapere che stai per sposare un pazzo.”
“Non avevo bisogno che me lo dicessi, ti conosco bene. Ed è una delle ragioni per cui ti sposo.”
“Perché mi conosci bene?”
“No, perché sei pazzo.”
Un bacio dolce, umido e intimo.
“E perché mi rendi la vita facile e meravigliosa. E leggera.”
“A proposito di leggere, dove sono le tue sigarette e come mai non stai fumando?”
“Oggi non ho fumato molto.”
Mi rivolse un’occhiata di divertito sgomento.
“E che è successo?”
“Devo abituarmi a fumare di meno e, se mi riesce, anche abituarmi all’idea di smettere. Almeno per un po’.”
Mi guardò, a metà strada verso il capire.
“Aspetta”, disse infine, teneramente, “sto cercando di metabolizzare.”
“Sì, ma, solo se lo vuoi anche tu.”, mi affrettai ad aggiungere, un po’ preoccupata.
Il mio telefono vibrò una, due, tre volte. Lo guardai male.
“Pronto?”
“Ha chiamato la zia Betsie. Dov'è James?”
Chiusi gli occhi, assaporando un secondo di silenzio.
“E' qui.”
“Mettimi in vivavoce.”
Guardai Jimmy negli occhi. Quegli ormai famosissimi occhi.
“E' nonna Willow.”, dissi. Mi restituì lo sguardo, impenetrabile, poi disse: “Nonna.”
Mia nonna raccolse i pensieri per un momento: sentimmo tintinnare il ghiaccio in un bicchiere. Male che andava, avevamo cagionato l'alcolismo di un'intera famiglia.
“Ho solo una cosa da dirvi, ragazzi: finalmente.”
La mia mano finì su quella di Jimmy, istintivamente.
“Ho tenuto il silenzio sull'adozione di mia figlia per troppo tempo. Troppo a lungo vi ho guardati crescere fianco a fianco come due fratelli pensando a quello che il mio silenzio vi stava togliendo.”
Cercai aria.
“Non dire niente, Ria: una nonna queste cose le sa e basta. E' una vita che vi guardo: ho tenuto in braccio e cambiato i pannolini a tutti e due. Una cosa soltanto: dovete dirlo a Barbara di persona.”
“Lo faremo appena torniamo da Londra.”, dissi.
“Cosa ci fate, a Londra?”
“Nonna...”
“Cosa ci fate a Londra.”
Le spiegai brevemente la situazione oscillando tra la confusione e il tono di scusa.
“Stamattina Shadows è andato a parlare con la moglie di Matt.”
“Ha risolto qualcosa?”, mi chiese mia nonna, che aveva ascoltato tutto il racconto omaggiandomi di tanto in tanto di un verso di partecipazione a labbra chiuse. Nessuna opinione, nessun vocabolo.
“Ha risolto di aver passato la serata steso sul divano con un feroce mal di testa e panni freddi in fronte.”

 

Go get your upper-class wife:
she's got all the personality
of a lemon that has been truly sucked dry.”

 

Il campanello di una bella casa di Swiss Cottage suonò due volte prima che qualcuno si decidesse ad aprire: alla porta apparve una donna bionda visibilmente provata, senza trucco, con gli occhi gonfi di pianto e il colorito cereo di chi sta combattendo con lo stress per evitare di finire sotto un cipresso.
“Signora Bellamy, sono...”
Kate rivolse a Shadows, al suo sorriso e ai suoi Ray-Ban a specchio uno sguardo impenetrabile.
“So chi è lei.”, disse.
Si scrutarono brevemente in silenzio.
Kate si spostò di lato, fissando l'ospite: “Vuole accomodarsi?”
“Grazie.”
Il salotto di casa Bellamy era un curioso incrocio di futuristico e classico, frutto evidente di due intenzioni di arredo completamente discordanti: incredibilmente, l'insieme aveva un senso. Era perfino bello, in realtà.
“Posso offrirle qualcosa da bere?”
“Un bicchiere d'acqua, se ce l'ha.”
“So perché è qui.”, disse Kate alcuni secondi dopo, armeggiando al mobile bar.
“Allora sarà il caso che beviamo qualcosa di più forte.”
Quando Shadows tornò a Morgue Place, nel primo pomeriggio, erano tutti in salotto in ansiosa attesa. Abbracciò la stanza con lo sguardo, soffermandosi un secondo in più su Jimmy e Ria, accanto alla porta finestra: la ragazza si reggeva al batterista come se, lasciandolo, dovesse precipitare senza più fermarsi. Vide il suo amico di una vita circondarla con un braccio e stringerla più forte: si chiese cosa ci volesse per meritarsi qualcuno che ti ami in quel modo, e fino a quel punto.
Splinter, seduta in poltrona, si rizzò su un ginocchio protesa verso di lui per incitarlo a parlare.
“Kate è ferita. Profondamente. Ma ha detto che se lo aspettava: si aspettava che lui si comportasse con lei, prima o poi, come si era già comportato con te, Ria.”
Questa frase produsse un effetto diapason che sembrava destinato a riverberarsi tra quelle pareti per sempre.
“Ha detto che mai come in questi giorni si è ritrovata a pensare di essere un ripiego: si sorprende di come mai tu non l'abbia pensato a tua volta, ai tempi di Dana, ma ritiene che è probabile che la tua giovane età abbia avuto un ruolo determinante nella tua avventatezza.”
Non volava una mosca.
“Ha detto proprio così: avventatezza. Ha anche detto, però, che sei una persona profondamente intelligente ed è facile capirlo perché alla fine hai scelto Jimmy: che anche lei, dovendo, avrebbe scelto Jimmy.”
“Questa mi suona come una provocazione.”
“Grazie, Bliss, ci ero arrivata.”, disse Ria, premendo le spalle contro il petto di Jimmy, che serrò la presa attorno a lei.
“Ha detto, infine, che non nutre rancore nei tuoi confronti: che ha molta stima del modo in cui Jimmy sta gestendo la questione, che non ne può più di mezzi uomini e che io avrei sicuramente capito che quando c'è di mezzo un figlio non si può giocare con i sentimenti dell'altra persona.”
Bliss sussultò, e la sua migliore amica colmò la distanza che c'era tra loro per stringerle un avambraccio e sussurrarle una cosa all'orecchio, manovra che passò inosservata a tutta la platea meno che a Jimmy.
“E' decisa a far uscire quell'articolo perché non c'è niente di male, ha detto, nel prendersi una rivincita: anche se così piccola e insulsa come una dichiarazione pubblica in cui non dirà niente di nuovo. E' un personaggio pubblico, e vuole far capire alla gente che lei non è una divorziata seriale per divertimento.”
“Ha ragione.”, disse Nishe, seduta in punta al divano.
“Certo che ha ragione, ma non possiamo lasciarle avere ragione.”, replicò Fleur dal soppalco sul quale sembrava essersi stabilito dal suo ingresso in casa.
“Perché non possiamo lasciarle avere ragione, se ha ragione?”, domandò Ann.
“Perché è anche colpa mia.”, soffiò Ria a corto di fiato, e andò a sedersi tra Nishe e Ann. Un solitario di diamanti le brillava all'anulare della mano sinistra.
“Che facciamo?”, chiese Bliss, rivolgendo un'occhiata gelidamente decisa a Splinter.
Splinter si schiarì la voce: “Faccio qualche telefonata. Ci aggiorniamo questa notte.”

 

Don't you see?
Baby, nothing comes for free.”

 

Ascoltavamo respirare mia nonna nel ricevitore, interdetti.
“Va bene”, disse infine, “Tenetemi aggiornata. Quando deciderete di avvisare persone che non siano Betsie, Kelly o Zachary avvertitemi per tempo.”
“Ma ti hanno chiamato tutti?”
“Tutti.”
“Dovevo aspettarmelo.”
I saluti con mia nonna duravano meno di zero: Jimmy mi accarezzava un braccio, guardandomi.
“Come va la sbornia?”
“Meglio. Davvero vuoi un figlio?”
Sussultai.
“Quando mi devi fare queste domande ti spiacerebbe girarci un po' intorno? Così dirette mi fanno rischiare un aneurisma.”
“Ok. Premesso che non ho mai seriamente pensato di avere figli...”
“Ma se stamattina l'hai detto tu!”, io, indignata.
“Che ho detto?”
“Hai detto voglio che tu sia la madre dei miei figli blabla
“Perché, non sono quelle le cose che si dicono di solito?”
Le cose che si dicono di solito?”, gli mollai un cazzotto su un braccio.
“Eh, le cose che si dicono di solito quando si chiede a qualcuno di sposarti: Shadows e Gates me l'hanno messa così, mentre mi istruivano a farti il discorso in quest'ultimo mese.”
“Prego?”
“Va bene: circa a metà del mese scorso, una sera, eravamo tutti su in mansarda a casa di Brian e tu stavi in piedi china su un tavolo a fare qualcosa mentre parlavi con Crystal seduta sul divano di fianco a te. Le stavi sorridendo e avevi i capelli che ti scendevano giù, morbidi, ai lati del viso: a un certo punto ti sei accorta che io ti stavo guardando, mi hai guardato e hai sorriso a me.”
“E tu mi hai fatto l'occhiolino.”
“Sì, e io ti ho fatto l'occhiolino.”
“Con un bicchiere di birra in mano.”
“Vabbè, stiamo qui a sottolineare l'ovvio.”
Mi morsi il labbro, curiosa, persa in quel ricordo anonimo.
“E poi?”
“E avevo vicino a me, da una parte e dall'altra, Brian e Matt. E niente, gliel'ho detto.”
“Cosa gli hai detto?”
“Gli ho detto che volevo chiederti di sposarmi e Brian si è affogato con la birra.”
“E Shadows?”
“Shadows ha detto maaaaaaaan, I'm really fucking drunk, I almost thought you just said you were going to pop the question.
I suoi occhi divertiti nei miei: ci ballavamo, noi, con gli occhi.
“Nel mentre Brian continuava a tossire.”
Scoppiai a ridere.
“Quando hanno capito che ero serio, non hanno fatto che darmi consigli per settimane. Su quello che ti dovevo dire, su come te lo dovevo dire, su quando, su dove... Alla fine, ho fatto di testa mia solo a metà: te l'ho detto quando e dove mi sentivo di dirtelo, ma sul come ho lasciato spazio anche un po' a loro.”
“E' stato perfetto.”, soffiai, accaldata.
“Fosse stato per me, ti avrei preso la mano e ti avrei infilato quell'anello al dito. Così. E poi ti avrei baciata. Forte. Per evitare di doverti dire qualcosa che mi sarebbe uscito artificiale e non mio, come in effetti mi è uscito, oggi.”
Mi sfilai l'anello dal dito e glielo porsi: “Va bene, rifacciamolo.”
“Cosa vuoi rifare? La proposta? Una non è stata abbastanza?”
Sorrisi. “Fammi vedere Jimmy, forza.”
Sbuffò, divertito, mi prese la mano sinistra e, guardandomi gli occhi e poi le dita, con un sorriso appena accennato, lievemente imbarazzato, forse?, mi infilò l'anello. Risollevò lo sguardo e mi attirò a sé: a un passo dalle sue labbra, indugiai e mi ritrassi leggermente, affascinata.
“Cosa c'è?”, sussurrò, accarezzandomi il viso.
Sorrisi, appoggiai le mie labbra alle sue, e in quell'istante il cellulare vibrò: mi voltai a guardare il display nel momento esatto in cui suonò il campanello di casa.
Avete presente quella sensazione di malessere imprecisa e cristallina che vi prende senza spiegazione al verificarsi di un evento comune, potenzialmente innocuo e banale, al quale solitamente non fate neanche caso, come ad esempio il suono di un campanello?
Fu precisamente questo pool di fattori che mi fece alzare dal divano, precipitare alla porta, spalancarla e cadere a terra battendo forte la testa sul parquet: addosso a me Matt Bellamy, che aveva cercato di dire qualcosa prima di franarmi tra le braccia, privo di sensi.

 

Egli si rifiutava di capire i pericoli degli altri:
quanto ai suoi, li aveva assimilati così bene
da non patirne affatto.”
(Emil Cioran su Goethe.)



 

Io
sono stanca. Nel senso di
sonoramente stanca.
Ma sono anche contenta. Nel senso di
marginalmente contenta.
E mi si è addormentato un piede. Nel senso di maledettamente addormentato.

Scusate il ritardo. Sì, mi riferisco anche a quello mentale. (Cit.)
Baci.
Q.

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Capitolo 4
*** I see fire. ***


Quando abbiamo una reazione graduale il cambiamento di livello energetico è lieve, al punto che possiamo anche non accorgerci che c'è una reazione in corso, come ad esempio quando la ruggine comincia a formarsi sul fondo di un auto; ma quando una reazione avviene in fretta accade che sostanze di per sé innocue interagiscono in modo tale da generare enormi scariche di energia.”
(Prof. Walter White, Breaking Bad)

 

Mi portai una mano alla testa, più che altro per capire se avessi ancora una testa. Una sensazione di umido dietro la nuca mi accese i più elementari campanelli di allarme; non avevo ancora aperto bocca che sentii il peso che avevo addosso alleggerirsi d'un tratto, poi svanire. Cercai di mettere a fuoco, e ci volle tutta la mia concentrazione: vidi Jimmy che mi sollevava.
“Ria”
Il mio nome. Il mio nome mi era entrato in testa dalle orecchie come avvolto nell'ovatta, e adesso galleggiava tra le mie tempie, in un ridondante, asettico ping pong.
“Ria”
Due eco di meno, stavolta.
Aprii la bocca per parlare, per informare chiunque mi stesse chiamando che lo sentivo, certo che lo sentivo.
Battei le palpebre più e più volte con forza: la stanza smise un poco di girare. Cercai di nuovo di mettere a fuoco. Nulla più che ombre confuse, come se stessi guardando la slow motion di soggetti che si muovevano a velocità supersonica. Provai allora a sentire il mio corpo: disteso, senza dubbio. Su una superficie morbida, il divano?, il letto?, la nuca leggermente in trazione perché sollevata, un cuscino?, le mani, riuscivo a muovere le mani?, riuscivo ad alzare un braccio?
“Ria”
Chiusi gli occhi. Il viso di mia madre stanco di sonno in una vecchia fotografia. Deli, Deli, Deli cantilenava qualcuno, zia Barbara?, in un video che chissà dove era andato a finire. Qualcuno premette il tasto stop. Mi voltai di scatto, anche se ero consapevole di non aver fatto, in realtà, alcun movimento: la stanza nella mia mente divenne la camera da letto degli ospiti che zia Barbara aveva fatto ridipingere apposta per me e Splinter, ad Huntington Beach. Sentii i capelli frustarmi il viso a seguito di quel movimento repentino. Non aveva senso. Io non avevo senso. Perché quel ricordo? Ah, sì. Qualcuno chiamava aiuto, da in fondo alle scale. Corsi a vedere cos'era accaduto: riverso a terra c'era un corpo. Il corpo di chi?
Il corpo di Cristo. Una nuova immagine si sovrappose alla precedente: una chiesa gotica assillata da un numero imprecisato di austere vetrate. “James, smettila!”, sibilava stizzita zia Barbara. Io non facevo che ridere: avevo otto anni e la spinosa questione dei denti da latte mi aveva appena abbattuto entrambi gli incisivi. Mi vergognavo molto, ma Jimmy non faceva che farmi ridere. Vedi? Sei bellissima. E io cedevo, e ridevo. Non avevamo fatto altro che darci di gomito per tutta la funzione: una volta fuori, era sparito dietro la chiesa per fumarsi una sigaretta con gli amici. Lo avevo seguito trotterellando, e gli stavo abbarbicata alla vita con tutte e due le braccia mentre lui rideva, chiacchierava e fumava scomodissimo, tutto storto e col viso rivolto in su, per evitare di intossicarmi: la sua già allora presa di ferro, saldamente intorno a me.
Jimmy, ecco cosa volevo dire.
Jimmy.
Dissi, invece, “Cristo!”, e mi tirai a sedere.
Il mio salone era tornato dove si trovava prima che io venissi sbattuta con il cervelletto a terra dal frontman dei Muse; la mia migliore amica, accigliata come un giovane gufo, mi porgeva, studiandomi, un involtino di tessuto che fumava gelido; Jimmy, in piedi dietro di lei, mi guardava spaventato e si teneva una mano sul cuore sorretto da mia sorella. Sfilai alla velocità della luce l'involtino di mano a Bliss e mi alzai in piedi; barcollai vistosamente; Jimmy si protese in avanti per aiutarmi e vacillò a sua volta; Bliss, in qualche modo che sfugge alle leggi della fisica, ci afferrò entrambi e ci sistemò a sedere sul divano: quando Jimmy disse “Non agitate Ria”, Splinter si voltò e gli tirò il primo, unico e ultimo schiaffo che l'avrei mai vista mollare a qualcuno nella vita.
Jimmy la fissò allibito, e lei gli puntò contro un indice perentorio: “Se vai a finire all'ospedale, non siamo noi quelle che la agitano. Resta lucido. Mi hai capito? James? Resta lucido!”
“Ho capito!”
“Bene!”
Bliss mi poggiò una mano affettuosa sulla fronte, poi mi abbassò la testa per controllarmi la nuca: a quel punto mia sorella, con le dita sul collo di Jimmy e gli occhi all'orologio da polso, si voltò repentina.
“Dove sta quel deficiente di Bellamy?”, articolò, contando tra sé e sé.
Un mugolio vago si alzò oltre il tavolino dell'ingresso: Bliss sbuffò sonoramente, si voltò, raggiunse il punto da cui proveniva il lamento e colpì ripetutamente ciò che si trovava lì a terra con la punta del piede, producendone un mugolio più acuto.
“E' vivo.”, ci informò. Poi lo sollevò con tutta la grazia che le riuscì e lo gettò a peso morto in poltrona: “Ti diffido dal tentare di nuovo di ammazzarmi la migliore amica: una ce ne ho ed è pure in piedi per miracolo.”
Mia sorella si produsse in un sonoro sbuffo, si acciambellò sull'unico punto libero del divano e prese a massaggiarsi le tempie: “Lo sapete che ore sono?”
“Ohi ohi ohi ohi ohi”, proruppe Bellamy, svaccato in poltrona.
Bliss alzò gli occhi al cielo mentre, senza neanche guardare cosa stava facendo, apriva un blister di pillole, ne cacciava due in bocca a Jimmy e gli chiudeva la mascella come una tagliola.
“Ingoia, tu. Dunque, quale funesto piacere ti porta qui a quest'ora antidiluviana, Matthew?”
Seguitai a battere le palpebre.
“Dove eravate voi due?”, articolai, rivolta a Bliss e Splinter.
“Facevamo alcune commissioni per il piano B.”
“Sanguino! Fa malissimo!”
Alzai gli occhi verso Matt: un graffio vermiglio gli sfigurava il mento, e un po' di sangue stava iniziando a colare sul colletto della t-shirt.
“Dev'essere stato il tuo anello.”, ipotizzò Bliss grossomodo nella mia direzione, porgendo un tovagliolo di carta al sofferente.
“Quale anello?”, domandò Matt, intontito.
Mi rizzai in piedi a fatica, nonostante le mute proteste di Jimmy, e mi avvicinai al mio ex tenendomi il ghiaccio ben premuto dietro la nuca.
“Il mio anello. Sei ubriaco?”
“Sono ubriaco e devo dirti delle cose. Quale anello?”
“Il mio. Vogliamo uscire in terrazza?”
“Io lo faccio fuori.”, Jimmy.
“Jimmy, le coronarie.”, Bliss.
“Fanculo le coronarie.”, Jimmy.
“James non fare i capricci!”, Splinter, iraconda.
“Allora?”, io.
Matt mi rivolse uno sguardo spaesato e disse, o almeno tentò: “Non so se sono in grado di camminare.”
“Sei in grado. Io ne sono in grado, e mi sei franato addosso.”
Assottigliò gli occhi e parve spendere una grande quantità di energia a fare mente locale: improvvisamente, si riebbe. “Hai ragione. Scusa. Ti ho fatto molto male? Non l'ho fatto apposta. Quale anello?”
“Alzati.”
Appena all'aria fresca, gettai indietro la testa e presi una generosa boccata di freddo notturno londinese: la nebbiolina che ancora mi avvolgeva le idee si diradò di colpo, uscendosene per il naso diretta al fiume.
“Non faccio altro che bere.”, disse Matt, più come informazione che come ammissione, tamponandosi senza requie il taglio sul mento.
“Fammi vedere.”
Il sangue si era fermato, e ora la ferita aveva un che di tragicomico, addosso a lui, se si consideravano anche gli aspetti allegorici.
“Cos'è quello?”, disse, all'improvviso.
Distolsi gli occhi dal taglio, e mi accorsi che mi osservava con insistenza la mano sinistra.
“Un anello.”
“Fin lì c'ero.”
Tacqui, mi voltai a destra e a sinistra, constatai la vuotezza dei nostri due splendidi tavolini in ferro battuto, picchiai il pugno contro il vetro, ottenni l'attenzione di Bliss e le feci il segno universale del dammi immediatamente una sigaretta e una pistola a tamburo.
“Non mi ricordo questo anello.”, mi informò Matt, guardando nel vuoto.
“Stai facendo il finto tonto.”, replicai, allungando una mano oltre la portafinestra per afferrare il pacchetto di Marlboro, poi mi voltai.
“Perché sei qui?”
“Ho delle cose da dirti.”
Mi accesi una sigaretta, sulle spine.
“Io ci tengo davvero a riavere Bing: è la mia ragione di vita.”
“Come è giusto che sia.”, dissi, con la netta sensazione di galleggiare nell'ovvio.
Aspirò forte aria fredda reggendosi alla ringhiera e i suoi zigomi crearono due nette ombre in contrasto con la fioca lampada da terrazzo che qualcuno aveva avuto la sana idea di mettere fuori: sorrisi.
“Il punto è che non so se ci tengo a riavere Kate.”
Silenzio.
“Forse ho fatto uno sbaglio, con lei. Forse non ho fatto altro che sbagliare con ogni passo che mi ha allontanato da te.”
Soffiai sonoramente via il fumo e mi voltai a guardarlo, granitica.
“Quando l'altra sera ci siamo detti che ci amiamo ancora...”
“... parlavamo di scie chimiche. Di ombre. Di ricordi. Sei stato tu a dirmi, su questo preciso marciapiede che vediamo da qui, che hai fatto una scelta: e hai scelto lei. Ora, quale coltello vorresti rigirare in quale piaga, esattamente?”
Sorrise, amaro.
“Scie chimiche? Questo è tutto quel che è rimasto?”
Gettai il mozzicone al di là della ringhiera e mi voltai, esausta. Tutta la stanchezza mentale che non avevo davvero avuto modo di avvertire in quei rocamboleschi giorni mi travolse come una valanga.
“Ascoltami, Matthew Bellamy. Non è per una scia chimica che io sono qui a cercare di salvarti la vita, e non è perché mi sento parzialmente responsabile della distruzione che ti si sta abbattendo attorno, perché sappiamo tutti e due, e lo sappiamo benissimo, che se non fosse stato questo a mettere alla prova il tuo rapporto con tua moglie, avresti fatto senza dubbio qualcos'altro. Perché tu fai così. Tu sei così. Tu arrivi, e smonti, e sfasci con quell'aria remissiva da genio incompreso, quando in realtà è tua precisa intenzione renderti incomprensibile. Inafferrabile. Perché questo è quel che ti fa sentire vivo. Dunque sì, è vero, c'entro io in questa incresciosa situazione, ma c'entro in maniera puramente incidentale: avresti fatto comunque qualcosa, prima o poi, che avrebbe rischiato di mandare a gambe all'aria la tua relazione con Kate. Tu fai sempre, Cristo, sempre qualcosa che rischia di mandare a gambe all'aria la tua relazione con chiunque. Lo hai fatto con Dana iniziando una storia con me, la figlia del suo amante, e lo hai fatto con me iniziando una storia con Kate: e con me, anche se a questo lei non ci arriva, hai avuto bisogno di essere proprio plateale, e me l'hai messa al culo dopo una richiesta di matrimonio strappacuore davanti a migliaia di persone, perché sono sopravvissuta a tutte le tue precedenti stramberie che, se ricordi, non sono state poche, e a dirla tutta nemmeno leggere. Per citarne un paio, il ritorno di fiamma con Dana e la storia con Lily Allen. Dunque, cosa ti aspetti che io ti risponda a questa ennesima dichiarazione di lana caprina? Che delle tue parole non me ne faccio niente se non sono cantate su una musica, perché è questa l'unica risposta possibile. L'unica che mi hai lasciato da darti. E sto qui, nel cuore della notte, a sprecare fiato e ed energie per spiegarti qualcosa che non vuoi capire, mentre un intero bastimento di persone a me care con delle vite e delle carriere da mandare avanti sono tutte qui a perdere il loro tempo per cercare di salvarti il culo in nome dell'affetto che portano a me, perché sanno che io ci tengo a te, e senza chiedermene il motivo spendono notti e giorni a cercare di risolvere i problemi che tu hai, ancora una volta, creato. E mi sembra orribile, francamente disumano, che tu venga a dirmi che rivuoi Bing ma non rivuoi Kate: che vuoi me al suo posto.”
Matt si strinse nelle spalle, indecifrabile.
“Kate dice che preferirebbe Jimmy.”, disse, affilato, tentando forse la via della provocazione.
“Me ne fotto di quello che preferisce Kate! Io preferisco Jimmy. E, a questo proposito, mai più nella vita mi piomberai a casa senza avvertire talmente ubriaco da essere incapace di reggerti in piedi, rischiando di fargli venire un infarto. Mi sono spiegata?”
“Mi stai congedando?”
“Mi sono spiegata?”
Tacque. Tremando, valicai la portafinestra trovando in salotto anche Synyster, Fleur e Shadows, tutti e tre ancora tiepidi di sonno; mi approssimai al cordless, quasi lo strappai dalla base, e composi rabbiosamente un numero.
Dominic rispose al terzo squillo.
“Vienitelo a riprendere. Di nuovo.”
Respiravo pesantemente; allungai una mano alla cieca per cercare una sigaretta sul tavolino. Non pensavo a niente in particolare, se non alla rabbia pura, incolore, della presa in giro. Al posto della sigaretta, trovai delle dita e un sorriso affettuso: risposi come potevo, localizzando poi un pacchetto abbandonato sul divano. Matt era rimasto in terrazza, punto forse sul vivo da quelle poche parti di discorso che aveva incamerato – non mi ascoltava mai, non sul serio - e io mi accesi un'altra Marlboro, camminando su e giù, incapace di stare ferma.
Ciascuno dei miei cari, imbalsamato nella propria posizione senza dire una parola: guardai Shadows, pensieroso, a braccia conserte; Synyster, che fissava un punto davanti a sé, marmoreo; Fleur, imbambolato nella sua espressione più neutra, in piedi accanto agli altri due; mia sorella in poltrona, con le gambe raccolte e una sigaretta tra le dita; Bliss, seduta all'indiana di fianco a Jimmy, che scrutava meditabondo il tappeto.
“Quel tappeto è osceno. Dobbiamo ricordarci di dargli fuoco, una volta o l'altra.”
Nessuno rispose. Nessuno rise. Nessuno disse nulla. Mi tormentai un'unghia tra le labbra, sbuffando fumo e nervosismo.
Gettai un'occhiata al vetro della portafinestra: Matt sostava lì, fumando di spalle a noi, padrone in una casa non sua. Padrone di quel divano, di quel tappeto, di quella ragazza che adesso si ribellava a lui come una figlia adolescente e arrabbiata col mondo. Mi avvicinai a passo di carica e bussai sulla superficie trasparente che ci divideva. Si voltò al rallentatore.
“Sei stato qui più che abbastanza: ci vediamo quando dobbiamo vederci.”
Chiuse gli occhi, e quando li riaprì la sua espressione era tornata quella del giovane uomo delle foto nella mia stanza, ancora pieno di aspettative e orizzonti da conquistare. Col taglio ormai cicatrizzato sul viso, mi rivolse uno sguardo terribilmente nostro, mi sorpassò e si fermò giusto un attimo, dopo aver aperto la porta d'ingresso: “Col senno di poi, avrei scelto te.”
Mi voltai verso di lui, tesa come una corda e limpida come un campanello: “Col senno di poi, io decisamente no.”
Accennò un sorriso e si chiuse l'uscio alle spalle.
Dopo alcuni secondi di silenzio, mentre i miei occhi indugiavano sulle scanalature del parquet, mi raggiunse le orecchie il suono più spontaneo, inatteso e strano del mondo: un applauso.
Un applauso scrosciante, cardiaco e imponente, condito da urla di approvazione.
Alzai lo sguardo su di loro.
Shadows era già a pochi passi da me: mi sollevò in aria e mi fece fare una giravolta. “Bra-va.”, sillabò, affettuoso.
Mia sorella si alzò dalla poltrona, trionfante.
“Finalmente”, disse, “gliene hai dette quattro.”
Jimmy si tirò su dal divano, stabile e tranquillo: non saprei dire se aveva applaudito anche lui, oppure no. L'unica cosa che so è che avanzò cauto e comprensivo verso di me e mi rivolse lo sguardo più bello che, fino a quel momento, riuscissi a ricordare: le sue braccia mi chiusero in un rifugio gentile giusto un millesimo di secondo prima che scoppiassi in un torrente scomposto di lacrime.

 

La differenza fra un buon colpo e un cattivo colpo è la stessa che passa fra una bella donna e una donna comune: è una questione di millimetri.”
(Ian Fleming, Missione Goldfinger)

 

Avevo dormito, in tutto, quattro ore.
Continuavo a svegliarmi, a rigirarmi, a scuotere Jimmy per assicurarmi che respirasse.
“Piccola, hai rotto il cazzo.”, divenne la hit di quella notte.
Verso le sette, quando l'alba era già alta, prima della mia ultima ora di sonno della giornata, me ne stavo a occhi spalancati verso il soffitto, in esilio da me stessa.
Mi accoccolai addosso a lui, che allungò automaticamente un braccio per circondarmi e per poco non mi perforò una costola.
“Cos'hai” chiese, con la voce impastata di sonno.
“Te addosso, dunque tutto bene.”
Ero dentro una sua maglia, di fianco a lui e in un letto impregnato del suo odore: niente al mondo, in quel momento, avrebbe potuto turbare la mia quiete. Eppure, i fantasmi.
Chiusi gli occhi un attimo e mi svegliai tempo dopo con un braccio in cancrena: mi districai a fatica dal viluppo, afferrai l'anello dal comodino, lo infilai, spalancai la porta, la richiusi, mi sfuggì di mano, sbattè, “Vaffanculo!”, “Scusa.”, “E cazzo!”, risi, arrivai in punta di piedi in cucina, repressi un urlo.
“Che c'è.”, mi chiese Bliss con una tazza di caffè in mano, le pantofole a forma di coniglio, la vestaglia rosa e una maschera all'argilla bianca in faccia.
Risi di nuovo.
“Quanto ridi stamattina. Soffri di bruttissime oscillazioni di umore, te l'hanno mai detto? Fatti vedere da un neurologo.”
Le feci una smorfia, appropriandomi di una tazza: “Notizie del piano B?”
“Aspettiamo Nishe e Andrea tra un'oretta, dopodiché andiamo in redazione.”
“In redazione? Al Sun?”, io.
“No, al Corriere della Sera.”, Bliss.
“Sei simpatica.”, io.
“E tu ora te ne accorgi?”, Bliss.
“E cosa facciamo in redazione?”, io, prendendo un sorso di caffé.
“Ci travestiamo e sostituiamo quell'articolo.”
Sputai il caffé.
“E' questo, il piano B?”
“Cosa ti aspettavi?”, Bliss, serafica.
“E il piano C?”, domandai, preoccupata.
“Non c'è, il piano C.”, mi informò mia sorella, svolazzando dalla porta in vestaglia cremisi diretta al lavabo.
Mentre si versava una generosa dose di tè in una tazza decisamente ridicola, si voltò, punta da un pensiero: “L'avete detto a Shadows?”
“Detto cosa?”, domandammo quasi in coro, interdette.
“La segretaria all'ingresso.”, Splinter.
“Eh.”, noi.
Mia sorella ci guardò come se fossimo appena uscite da una piccola astronave trasportata a zampe da un piccione albino.
“E' una donna!”, disse, sottolineando l'ovvio.
Shadows si manifestò sudato come un torero, sventolandosi con un asciugamano.
“Io sono un uomo rispettabile, con una carriera e una fidanzata: mi state facendo diventare una troia.”
Gli misi una tazza in mano, incoraggiandolo a coprirsi i denti il cui riverbero, complice il sole, ci stava facendo rischiare la cornea.
“Da dove torni?”, chiesi, affabile.
“Dall'allenamento.”
“Con questo tempo?”
“Con questo freddo?”
“Con questo umido?”
Si asciugò il viso e dietro la nuca, esibendo i pantaloncini, quindi ci istruì: “Con tutte le cose che avete detto, più una quantità preoccupante di vecchie che fanno la spesa fottutamente presto; una delle quali mi ha toccato il culo mentre facevo stretching.”
“Beh, se ti avessi visto a novanta gradi per strada probabilmente anche io ti avrei toccato il culo.”, dissi, partecipe.
“Grazie, questo mi rassicura.”
“Figurati.”
“Che succede?”, Jimmy, entrando come al solito a torso nudo e con i capelli in disordine.
“La tua promessa sposa mi sta facendo avances sessuali.”, Shadows.
“Splendido.”, Jimmy.
“Ha detto che se mi avesse visto fare stretching in strada mi avrebbe toccato il culo.”, Shadows.
“Come darle torto, anche io avrei avuto la tentazione.”, Jimmy.
“Perché non ti lasci punzecchiare? Sono stanco, sudato e insoddisfatto e devo pure andare di nuovo a fare il prostituto.”, Shadows.
“Il cosa?”, Jimmy.
Gli misi in mano una tazza e un tenero bacio a labbra chiuse.
“Per le Sette Opere di Misericordia, siete stucchevoli.”, proruppe Bliss.
“No, davvero.”, le diede manforte quella volpe di Splinter.
Sbuffai, seguendo il suono del campanello; non appena aprii la porta, Nishe si sfilò gli occhiali da sole e un foulard nero dalla testa: “Buondì. Siamo pronte per l'operazione Topo Morto.”
Voltandomi sgomenta, sbattei addosso a Synyster.
“Brian.”
“Dimmi.”
Sospirai di sconforto.
“Niente, portami in bagno a cavalluccio.”
“Per quale motivo.”
“Portamici e basta.”
“D'accordo.”
Mentre saltavo sulle spalle di Gates, sentii distintamente Jimmy dire: “E' matta.”
“Da quale pulpito.”, sussurrai, mentre sbandavamo a destra e a sinistra per il corridoio.
“Posso dire a sua discolpa che non si è mai fatto portare a cavalluccio da nessuna parte.”, lo difese Synyster.
“E certo. Quando lo alzavi.”, rettificai, smontando dal destriero in prossimità della porta del bagno.

 

Jane?”
“Alexander.”
“Do you remember that day you fell out of my window?”
“I sure do, you came jumping right after me.”
“Well, you fell on the concrete, nearly broke your ass and you were bleeding all over the place
and I rushed you up to the hospital, do you remember that?”
“Yes, I do.”
“Well, there's something I never told you about that night.”
“What didn't you tell me?”
“While you were sitting in the backseat, smoking a cigarette you thought was gonna be your last
I was falling deep, deeply in love with you.”
Home, let me come home, home is wherever I'm with you.
(Edward Sharpe and the Magnetic Zeros, Home)

 

“Io non me lo metto, quell'affare ridicolo.”
Bliss pinzava a due dita un pantacollant di un'arancione sgargiante.
“Devi sembrare una stagista.”, sospirò Splinter, seduta aggraziatamente sul tavolo.
“Tu quando eri stagista indossavi questa roba?”, domandò Bliss, sospettosa.
Mia sorella sospirò. “E' un capitolo oscuro della mia vita che preferisco rimuovere. E comunque non ero stagista, ero assistente.”
Intrapresi la traversata della cucina in un tailleur gonna e giacca decisamente inopportuno, secondo il mio personale senso della comodità.
“Da cosa è vestita Ria, da porno segretaria?”, chiese serafico Synyster, appoggiato al frigo.
“Tu non vai da nessuna parte vestita in quel modo.”, soggiunse Jimmy, fermo, “Da nessuna parte che non sia la camera da letto in questo istante.”
“James, puoi evitare?”, mia sorella, interdetta.
“Quando te ne farai una ragione, Splinter?”, Shadows, ragionevole.
“Il matrimonio è in vista, dunque, diciamo che inizierò a riuscire a convivere con la cosa verso il funerale di uno dei due.”
“Suona promettente.”, commentò Synyster.
Era esasperante. Non riuscivo neanche a sedermi.
“Non devi sederti: devi camminare.”
“Su questi trampoli?”
“No, hai ragione. Mettiamoci Shadows, sui trampoli. Può darsi che la situazione svolti.”
“Non ne troviamo nemmeno a Camden Town nei negozi per transgender di decolletè della sua misura.”, Splinter, pratica.
“Non cincischiamo: chiariamo piuttosto, nuovamente, i ruoli.”, intervenne Nishe, scacciando mosche immaginarie con la mano mentre guadagnava il centro della cucina.
Cincischiamo.” sussurrò Bliss, sbigottita, e mi fratturai lo sterno nel tentativo di non ridere.
“Li conosciamo: devo piantare un casino fingendo di pretendere di voler leggere l'articolo e Ann e Nishe fingono di essere i miei avvocati. Mentre Bliss si veste da zucca e scambia gli articoli in sala Articoli in Stampa, la cui legittima sorvegliante verrà ipnotizzata da Shadows .”, dissi, sbuffando.
“Tu che ne pensi, Jimbo?”, si informò Shadows, alzando le sopracciglia.
Jimmy armeggiava con la macchinetta del caffè, dandoci le spalle: “Che le ragazze hanno voglia di giocare alle Charlie's Angels.”, disse, tranquillo. Andai a sfilargli l'aggeggio di mano, ci misi l'acqua, il caffè, dunque glielo porsi di nuovo: “Ora puoi chiuderlo.”
“Perfetto, in questa casa non si berrà mai più caffè.”
Mi voltai verso Bliss: “Perché?”
“Tu credi davvero che qui ci sia qualcuno in grado di svitare una macchinetta avvitata da Jimmy?”
Lo guardai, gli tolsi di nuovo la bricca di mano e la avvitai io.
“Va bene, non abbiamo molto tempo. Andiamo.”, disse Splinter, esortandoci a sciamare all'esterno.
Porsi distrattamente una mano ad Ann seduta sul tavolo per aiutarla a scendere, cercai la borsa e mi avviai alla porta.
“Ria.”
Sull'uscio, girai la testa per guardare Splinter.
“Sì?”
Si picchiettò il dito indice della mano destra sull'anulare della sinistra. Abbassai gli occhi sull'anello.
“Allora?”

 

I want to be free from desolation and despair.

 

Nishe si voltava a destra e a sinistra con aria spaesata in un lunghissimo corridoio di porte tutte uguali, nel quartier generale del Sun.
“Credo di aver preso un grillo.”, disse, grattandosi la testa.
“Si dice aver preso un granchio.”, la corresse Ann.
L'altra si voltò al ralenti: “Non ho mai avuto particolare simpatia verso i granchi.”
Scoppiai a ridere e rischiai di farmi esplodere la giacca.
“Ricapitoliamo”, disse Splinter nel mio auricolare, “Avanzi con passo marziale verso l'ufficio del direttore e sbraiti. Di' ad Ann di mettersi gli occhiali.”
Bliss si guardava sconsolata i pantacollant arancioni.
“Penso sia per di là.”, disse Ann, puntando l'indice grossomodo a caso.
“Andiamo.”, esortai, prendendo un bel respiro.
Valicammo un numero imprecisato di corridoi e porte a vetri, con tutti gli occhi degli addetti ai lavori addosso, finché non identificai una targhetta caporedattore. Bloccai la carovana.
“E' sbagliato.”
Nishe sospirò. “Lo sappiamo. Non abbiamo alternative.”
Un pensiero mi frullò in testa e abbatté le poche barriere restanti. Non avevo mai avuto la capacità di generare teatrini: gestirli, era un'altra cosa.
“Sì che ce l'abbiamo.”, dissi.
“D'accordo”, acconsentì Nishe, stanca, “Allora mettiamola così: non abbiamo tempo.”
Mi squillò il telefono.
“Ria?”
Mi si gelò il sangue.
“Kate?”
“Ho bisogno di chiederti una cosa.”
“Ho bisogno che ritiri quell'articolo.”
Sospirò.
Le altre mi si agitarono intorno: le placai, stizzita, con una mano.
“Posso chiamare anche adesso per posticiparne l'uscita: prima di decidere se farlo pubblicare o meno però ho bisogno di chiederti una cosa.”
“Va bene.”, dissi.
“Posso parlare con Jimmy?”
“Prego?”
Un prego così forte che saltarono tutti e quattro, affianco a me.
“Vorrei parlare con Jimmy. Questa sera. A cena.”
Mi si bloccò il fiato in gola. Stavo per dirle: penso che ti strapperò la vena femorale con due bacchette da sushi. Dissi: “Ti richiamo.”
“L'articolo andrà prestissimo in stampa: vedi di fare in fretta. Hai, diciamo, un paio d'ore.”
Attaccai.
Otto paia di occhi mi fissavano interdetti.
“Io... Io non...”
“Cos'è questa voce sottile che hai, Ria? Dobbiamo fare in fretta, non abbiamo molto tempo, e credo che”, mi chiese Shadows, studiandomi.
“Matthew.”, dissi, per la prima e ultima volta in vita mia, “Stai un attimo zitto e ascoltami.”
Un quarto d'ora dopo eravamo quasi sotto casa: in macchina regnava un silenzio pesante, ad eccezione di Bliss che a quanto pare non riusciva a esimersi dal ridere a crepapelle da quando avevo verbalizzato la situazione al resto del gruppo.
Congedai Nishe ed Ann e dissi loro che ci saremmo sentite a pomeriggio inoltrato.
Spalancai la porta di casa.
In salotto, Jimmy, Synyster, Splinter e Fleur si voltarono in sincrono verso di me.
“Già di ritorno? Com'è andata? Avete sostituito l'articolo?”, chiese mia sorella, baldanzosa.
“Hai presente Annie Lennox in Walking on broken glass?”, Bliss.
“Adoro quel video.”, Fleur.
“Fate silenzio tutti.”, io, gettando la giacca sulla spalliera del divano, tirandomi la camicia fuori dalla gonna, scalciando le scarpe, il tutto sbandando in corridoio per raggiungere la camera da letto.
“Cos'ha Ria?”, chiese Synyster alle mie spalle.
“E' meglio che ve lo dica lei.”, sentii dire a Shadows mentre chiudevo la porta.
Riemersi dalla stanza in un pantacollant e un maglione oversize.
“Non abbiamo sostituito l'articolo.”
“Come?”, urlò mia sorella.
“Ho ricevuto una telefonata.”
“Da chi? Come minimo da Dio, perché non vedo chi altri avrebbe potuto...”
“Da Kate.”
Synyster aggrottò le sopracciglia: “Da Kate Kate?”
“No, Brian, da Kate Middleton.”
Jimmy mi guardò, serio: “Cosa voleva?”
“Parlare con te.”, gli risposi, indugiando con lo sguardo sulla curva delle sue labbra. Non so perché proprio lì. Calò un silenzio carico di elettricità.
“A cena. Vuole parlare con te a cena.”
Silenzio.
“Dice che farà almeno posticipare la data d'uscita dell'articolo, se accadrà.”
“Ria non è d'accordissimo.”, intervenne Shadows.
“Possiamo dire così, oppure possiamo dire che se fino a qualche ora fa difendeva la legittima ragione di Kate adesso avrebbe piacere a cavarle gli occhi.”, Bliss.
“Non vedo la necessità che vadano a cena insieme, francamente.”, dissi, cercando di suonare diplomatica.
Non mi credette nessuno: neanche io.
Afferrai le sigarette e me ne andai in terrazza.
Questa sensazione divorante, corrosiva, questo fuoco nelle orecchie. Tutte cose che non ero abituata a provare a una tale intensità, e con una tale ferocia che minacciavano di togliermi il respiro. Mi rigirai l'anello sul dito, inquieta.
“Piccola?”
Mi voltai: non avevo idea di che espressione avessi in faccia, mi faceva male la nuca e sentivo calore divamparmi in ogni cellula, ma mi voltai lo stesso a guardarlo. Aveva addosso la mia maglia preferita, quella con una fantasia di chiavi bianche su sfondo nero priva di qualunque senso ontologico. Era uscito in terrazzo a maniche corte, in barba alla California e alle abitudini. Aveva le mani nelle tasche dei pantaloni della tuta, i capelli in ordine precario e mi fissava con un'espressione incastrata tra il soddisfatto e l'indecifrabile.
“Lo trovi divertente, Jimmy?”
Come prevedibile, scoppiò a ridere e si strinse nelle spalle.
“La tua faccia è di un'interessante sfumatura tra il rosso e il viola, sai?”
Guardai altrove, risentita.
Non riuscì a trattenere un'altra risata, piena di tenerezza, avanzò lentamente verso di me e mi chiuse tra le sue braccia.
“Sei gelosa?”
Feci cenno di sì contro il suo petto: non riuscivo a nascondere un cocente imbarazzo.
“Se vuole parlarmi a cena, e questo può servire in qualche modo a sistemare la maledetta situazione...”
Lo abbracciai a mia volta e tirai su il mento per guardarlo: “Sono tremendamente gelosa.”
“Sai che puoi fidarti di me.”, mi rispose, senza centrare minimamente il punto.
Gettai uno sguardo furtivo oltre la portafinestra: tutti i presenti in salotto sobbalzarono e distolsero velocemente lo sguardo, fingendo di star facendo altro.
Sorrisi mesta e mi tirai Jimmy in un angolo cieco, dove nessuno avrebbe potuto vederci: rivolsi uno sguardo truce al suo palese divertimento.
Raccolsi le idee e incrociai le braccia: mi guardava come se si trattenesse dallo scoppiare nella risata più fragorosa della sua vita, in attesa.
“Senti.”, dissi, a disagio, “Non ho mai fatto la femme fatale con te, e non ho intenzione di cominciare ora.”
“Quindi?”
“Quindi, io...”
La facoltà di linguaggio, già naturalmente compromessa dalla mia preoccupante tendenza a inciampare nei concetti quando sarebbe necessaria la massima linearità di pensiero, non mi aiutava. Mi bloccai all'inizio della frase, continuando a balbettare io, io, io.
“Ascoltami, Ria; ascoltami bene. Noi due non abbiamo di questi problemi: siamo cresciuti insieme, ci conosciamo da una vita. Non siamo piombati l'uno nella quotidianità dell'altra all'improvviso, come tutte le coppie normali, e le conversazioni più serie che abbiamo avuto sono state considerazioni sulla vita o litigate su una scala di stronzate che va dall'1 al 14.”
“Dove 14 sei tu che mi informi di sapere già da tempo di non avere alcun legame di parentela con me.”, mi sentii in dovere di puntualizzare.
“Razionalizza questa cosa: lo faccio per noi. Lo faccio per te.”
Scoppiai in una risata antipatica.
“Lo fai perché finalmente ti ritrovi il coltello dalla parte del manico! E ti piace vedermi gelosa e in apprensione perché se solo... Se solo succede qualcosa...”
“Ma cosa vuoi che succeda? Una sveltina nel taxi?”
“James.”
Rise, facendomi il verso. “Ma guardati! James! Stai per consigliarmi di usare precauzioni?”
“Non scherzare nemmeno! Il solo pensiero di te con Kate... con chiunque altra... io”
“Ria, padroneggi quattro grammatiche e parli discretamente bene sei lingue di cui due morte e non riesci a dirmi altro che io?”
“Non sei simpatico.”
“Sì che lo sono. E sono anche infinitamente paziente, con te.”
“Sì, è vero.”, ammisi, riottosa, “L'ho detto anche io a Bliss.”
I nervi mi affiorarono alla pelle, percorrendo tutto il tragitto dal mio cervello alle mie mani che si andarono a piantare sul suo colletto per tirarmelo a mezzo centimetro dal viso.
“Senti, io voglio Bellamy fuori dalla mia linea di tiro perché non sai quanto mi costa trattenermi dal fargli saltare la testa per tutto quello che ti ha fatto passare, per il modo in cui è piombato a casa nostra facendoti l'ennesima, stucchevole dichiarazione d'amore e pentimento, e non sai quanto vorrei rendergli pan per focaccia spiegando a sua moglie cosa vuol dire fare seriamente del sano sesso con un uomo degno di questo nome.” disse all'improvviso.
Sobbalzai, e lo guardai sconvolta.
“Ma non lo farò, perché è quel che farebbe la persona che sono con tutti, tranne che con te. Sto cercando di arginare i danni che ti sono stati fatti: ti voglio al sicuro e tranquilla, per quel che posso. E non riesco a pensare a nessuna, davvero, a nessun'altra donna, se non a te. Non ho fatto altro per gli ultimi anni e ormai sono abbastanza sicuro che non ci sia niente che possa farmi cambiare idea. Questo è il motivo per cui ti ho messo un anello al dito. Basta.”
Non riuscivo ad articolare verbo.
“Per quanto non posso negare che mi dispiaccia questa tua improvvisa gelosia nei miei confronti, veramente non la capisco.”
Chiusi gli occhi, li riaprii, mi strinsi le braccia al petto.
“Come puoi anche solo pensare che io ti dia per scontato.”
“Perché sei fatta così. Non concepisci che qualcuno possa non amarti, ed è per questo che hai sviluppato questa malsana fissazione per Bellamy. Perché lui non ti ama, e tu non lo sopporti.”
Sgranai gli occhi, incredula.
“Io ho sviluppato questa malsana fissazione con Bellamy perché lo amavo, Jimmy! Che ti piaccia o no io ero perdutamente innamorata di quell'uomo! Volevo la sua vita, i suoi figli, la sua testa di merda accanto per il resto dei miei giorni! Non lo voglio ora e forse non lo voglio già da un po', ma l'ho voluto, davvero, con tutta me stessa per più tempo di quanto mi piaccia ricordare! Mi ha lasciato il cuore vuoto come un palloncino sgonfio e alla fine, come al solito, come sempre, tu ti sei messo lì a rattopparlo come meglio ti è riuscito, e mi sono aggrappata a te con tutte le mie forze, ma non pensare neanche per un secondo che io lo abbia fatto perché non avevo alternative, o perché mi faceva comodo così! Io ho scelto te. L'ho fatto contro tutto il buonsenso e fracassando quell'ultimo scampolo di famiglia che mi era rimasto, e l'ho fatto perché ho voluto te, e ti ho voluto così forte da pensare addirittura che in realtà volere Matt non era che una scusa per staccarmi da te, e dalla bruciante mancanza che sentivo quando eravamo lontani. Dal bisogno fisiologico di avere il tuo odore addosso, dall'ossessione di stare tra le tue braccia da quando riesco a ricordare. Se non avessi provato qualcosa di diverso per te non mi sarei mai posta il problema di chiarirmi le stranezze che mi portavano a pensare che mamma fosse stata adottata. Avrei continuato nella mia illusione. Ho già un padre che non mi ama, non avevo bisogno di privarmi anche dell'appartenenza a una famiglia. Potevo vivere cent'anni senza portare alla luce quella storia.”
Era lui ad essere basito, questa volta.
Interdetto e sconvolto.
“Per tutti questi anni in cui il mio affetto verso di te straripava ora da una parte, ora dall'altra ha portato Splinter a un passo dal farmi ricoverare d'urgenza al San Raffaele per accertamenti neurologici: l'unica cosa che ha trattenuto mia sorella è stato il fatto che il primario del San Raffaele era nostro padre.”
“Cosa stai dicendo, Ria?”
“Oh, certo, è chiaro che tu non abbia idea di cosa io stia dicendo. Sono così maledettamente brava a dissimulare, a trattenere, a non creare problemi con i miei ingombranti e bizzarri sentimenti: non ho rotto le scatole a nessuno per una vita intera, è normale che siate tutti caduti giù dai peri quando sono partita per la Nuova Zelanda all'improvviso. O quando ti ho detto che ti amavo, e che volevo stare con te, non mi importava di quante zie sarebbero finite in terapia intensiva con un infarto ancora in corso. È normale che Zacky reagisca chiedendomi com'è successo alla notizia che tu mi hai chiesto di sposarti. È normale che tutti facciano quel che vogliono, sono abituati a non tenere i miei sentimenti in nessun conto.
Sai, Bellamy mi ha fatto bene, tremendamente bene: probabilmente, senza Bellamy, noi due non staremmo insieme, mio padre non avrebbe finalmente avuto nient'altro che lo spazio che si è guadagnato nella mia vita, e io sarei ancora qui a chiedere scusa a tutti per quello che sento e quello che voglio.”
Urlavo, ormai. Urlavo preda del flusso generato dalla diga rotta dei miei pensieri.
“Sei stato tu a insegnarmi che è meglio chiedere il perdono che chiedere il permesso, sei in assoluto la persona più discontinua, dissoluta e imprendibile che io conosca, eppure sei stato l'unico uomo nella mia vita che mi abbia mai dato un valore. Come puoi pensare che io non veda tutto questo? Che pensi che tu ci sarai sempre, indipendentemente da quanto io possa essere stronza o inaffidabile o indecifrabile o qualunque scemenza mi capiti di sperimentare? Non mi passerà mai la meraviglia di svegliarmi accanto a te e sentirmi fortunata, premiata da un Dio, se c'è, per meriti che non credo nemmeno di avere. Ringrazio il cielo tutti i giorni per avermi dato il coraggio di prenderti il viso tra le mani e baciarti il giorno della mia laurea. Io sono grata ogni giorno perché tu esisti. Ed era così da molto prima che stessimo insieme.”
Non avevo mai visto Jimmy a bocca aperta, e credevo di non doverlo vedere mai. Come su molte altre cose, mi sbagliavo. E non riuscivo a fermarmi.
“Ti ricordi la prima volta che abbiamo fatto l'amore? Quasi annegavo per la vergogna, non riuscivo a sostenere il tuo sguardo mentre eri su di me, dentro di me, eppure non riuscivo a smettere di guardarti. Sentivo di stare facendo la cosa più sbagliata e innaturale del mondo, e non riuscivo a fermarmi. Non riuscivo a smettere di morderti e di sospirare e di implorarti di continuare, ti volevo così forte che sentivo due forze di trazione dentro di me incontrollabili, terribili: il disgusto per me stessa e il desiderio di te. Avevo in mente tutte le immagini di quando ero bambina, che stonavano così tanto con quello che stavamo facendo, e sentivo le lacrime bloccarmi il fiato in gola. Ma non riuscivo a trattenermi. Non riuscivo a farne a meno. È stata la cosa più devastante della mia vita. Più disperatamente bella della mia vita.”
“Da come la racconti sembra un'esperienza orribile.”, disse solo, a mezza voce.
“No, non ti concentri. Fai caso a quel che dico. Fare l'amore con te mi è costato ogni cosa, ed essere tra le tue braccia è stato di gran lunga più importante di essere tra le braccia di chiunque altro, in qualunque altro momento della mia vita. Perché quando finalmente ho smesso di tormentarmi, e ti ho guardato senza più quella vergogna opprimente, niente più si sovrapponeva. Tutto mi è diventato chiaro. Quello che provo per te è riuscito ad abbattere quella barriera oggettivamente invalicabile. Inimmaginabile. Cosa credi? Ogni volta è così. Ogni volta è come se fosse la prima. Ogni volta, come mi hai detto tu, siamo due ragazzini che danno sfogo ad una fantasia proibita. Ma ti garantisco che se tutto questo non fosse accaduto, se noi non avessimo il vissuto che abbiamo, se avessi dovuto incontrarti un giorno per strada e poggiare, per caso o per destino, gli occhi su di te, mi sarei comunque innamorata. Con la stessa cecità con cui mi sono innamorata di te in questa situazione, nonostante tutto. Ora vestiti, vai da Kate e tieni tutto questo bene in mente.”
Mi voltai di spalle con gli occhi che mi bruciavano, tremando lievemente. Mi accesi una sigaretta. Composi un messaggio sul cellulare.
Toccalo anche solo con un dito, e non camminerai mai più sulle tue gambe.
Non lo inviai.
Sentii le forti braccia che conoscevo così bene cingermi da dietro, contenermi, arginarmi. Mi strinse a sé in un momento in cui sembrava che le cose avessero finalmente smesso di andare in pezzi.
“Non ho parlato di te a Bliss non perché fossi preoccupata per una sua eventuale relazione con Synyster, o perché volevo proteggere qualcosa di noi senza rendere pubblico ogni mio legame. È la mia migliore amica. Non so come abbiate fatto a bervi quella storia. Io non le ho detto di te perché le avrei raccontato una cosa per un'altra. Perché c'erano demoni troppo terribili e affamati dentro di me, demoni che urlavano i sospetti sull'adozione di mia madre, sui sentimenti contrastanti e innaturali che ho sempre avuto per te. Perché dirle che tu eri mio cugino e raccontarle del nostro rapporto avrebbe significato mentirle, e lei non se la sarebbe mai bevuta. Avrebbe esposto la verità, come fa sempre. Mi avrebbe forzato ad affrontarla. È stata una scelta precisa, guidata da motivazioni ben chiare, quella di non dirle niente nel dettaglio dei miei parenti di Huntington Beach. E lei non ha chiesto, perché sapeva che c'era qualcosa che non andava. È stata anche l'unica che non ha battuto ciglio sulla nostra relazione. C'è una ragione per tutto, come vedi. Non avrei mai finto con lei. Non le avrei mai potuto raccontare una storia a metà. Poi ci sono stati i provvidenziali eventi che vi hanno portato a conoscervi, e per me è stato un grande sollievo. Ma quando gliene parlai si arrabbiò tantissimo: perché le stava bene che non glielo dicessi affatto, oppure avrei dovuto farlo prima. La via di mezzo, il dirglielo perché costretta, è stato un atto di sfiducia nei suoi confronti che non credo mi perdonerà mai del tutto.”
Respirava tranquillo sulla mia spalla, senza smettere di stringermi.
“Quante altre sono le cose che non mi hai mai detto e che ti divorano la testa, Ria?”
Ci pensai su.
“Non molte altre, credo.”
Tirai dalla sigaretta, accarezzandogli il braccio. Ancora una volta, fuori infuriava una tempesta e io ero al sicuro con lui.
“Anzi, veramente una c'è. Non posso vivere senza di te. Sei l'unica persona senza la quale in assoluto non riuscirei a sopravvivere. Ne morirei, se ti perdessi. E non parlo di perderti ontologicamente, nel senso di saperti sano e salvo da un'altra parte, con qualcun'altra. È qualcosa di cui non riesco neanche a parlare.”
Mi si ruppe la voce sulle ultime sillabe, e lui mi strinse ancora un po' più forte.
“Io sono qui.”, disse, calmo.
“Mi sono sentita morire, quella volta. E non parlo per metafore, mi sono davvero sentita morire. Ho sentito chiaramente la vita che mi lasciava, e non sono mai più stata la stessa dopo. Voglio che tu lo sappia.”
Mi voltai a guardarlo dolcemente: aveva una luce tutta nuova negli occhi.
Gli chinai la testa e lo baciai sugli occhi chiusi: sorrise.
“Credo di aver perso una lente a contatto.”, disse poi, massaggiandosi l'occhio e sbattendo la palpebra. Risi.
“Io credo di aver perso la dignità.”, risposi, lanciando il mozzicone al di là della ringhiera.
Mi riprese tra le braccia, premuroso.
“Hai baciato Bellamy quando eravate in Nuova Zelanda?”, disse, in un soffio.
“Sì.”, risposi, contro il suo petto. Non aveva senso mentirgli. Si irrigidì leggermente.
“Ci sei stata a letto?”
“No.”
“Avresti voluto?”
Mi staccai da lui per guardarlo.
“Come mai tutte queste domande?”
“Avresti voluto?”
“Io voglio te.”, risposi, staccandomi e avviandomi verso la porta finestra. Gli sorrisi, sventolando la mano sinistra. “E' per questo che ho questo anello al dito, sai?”
Mi sorrise di rimando, seguendomi.
Erano tutti a occhi bassi, a fingere di fare qualcos'altro.
“Lo so che avete sentito ogni sillaba.”, dissi, crollando a sedere tra Bliss e Shadows, che mi passò teneramente un braccio intorno alle spalle e mi attirò a sé. Seguirono alcuni secondi di raccolto silenzio.
“Noi in realtà siamo tremendamente invidiosi del vostro amore. Abbiamo un profondo rispetto per quello che vi lega. Nessuna delle persone in questa stanza sarebbe disposta ad affrontare neanche la metà dei problemi che affrontate voi per difendere il vostro rapporto. Siamo affascinati e spaventati dalla tenacia con cui vi amate al di là di tutto e al di là di tutti. Il resto non conta assolutamente niente.”
Mi voltai, anzi, ci voltammo tutti verso Bliss, prede di una diffusa incredulità. Perfino Jimmy, sulla porta per le stanze da letto, si bloccò e si girò a guardarla.
“Tra l'altro siete anche un po' tipo la bella e la bestia, tu con il naso nei tuoi libri e lui con le sue rumorosissime batterie e tutti i suoi tatuaggi. Insomma, funzionate come coppia. Siete belli da vedere.”, aggiunse Splinter, dolce.
“Io non l'ho mai diviso con nessuno, sai, ma sono contento di dividerlo con te. Tieni a lui in un modo che non riesco a fare a meno di ammirare, e, che tu ci creda o no, lo sapevo già. Sapevo già tutto quello che gli hai detto, come probabilmente lo sapeva anche Bliss. Questo perché noi sappiamo di voi molto più di quanto voi crediate di sapere di voi, non so se sono chiaro.”, disse poi Synyster, guardando il tappeto.
“Non ho mai potuto fare a meno di osservare che era sempre la prima persona che cercavi quando ti sentivi triste, e anche quando ti sentivi felice, Eldariael. E non ho mai potuto fare a meno di invidiare il modo in cui vi ritrovavate sempre l'uno tra le braccia dell'altra, non importa quanto stanchi o quanto affondati nelle rispettive ingombranti relazioni amorose del periodo. Questo significa qualcosa. Significa sempre qualcosa.”, intervenne Fleur, rigirandosi un bicchiere da brandy tra le mani.
“Perciò”, concluse Shadows, “Non importa quante zie ammazzerà questa cosa. Voi siete più importanti. Non dovete giustificarvi con nessuno. E avrete noi, sempre.”
Sorrisi. Sorrise anche Jimmy.
“Basta, abbraccio di gruppo.”, disse Splinter, alzandosi in piedi: la seguimmo tutti e ci fermammo al centro del salotto, creando un marasma di braccia di abissale importanza, vista la situazione. Tirai una ciocca di capelli a Bliss con i denti, e lei si voltò sofferente.
“Grazie, stronza.”, le sussurrai, dolcemente.
“Prego, imbecille.”, mi rispose a mezza voce, piena della tenerezza che ci aveva sempre legate.
Sarebbe stata una serata lunga e ingarbugliata come una luminaria di Natale.

 

 

If this is to end in fire,
then we shall all burn together.
And I see fire
hollowing souls
I see fire
blood in the breeze.
And I hope that you'll remember me.
(Ed Sheeran, I see fire)

 

 

 

 

 

 

 

Allora.


Beautiful va avanti.


Q.





 

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Capitolo 5
*** Fuga all'inglese ***


Povera Ria Montague; tra tutti quanti
proprio a me dovevi capitare.

 

(Narratore esterno)

 

 

“Nell’esperienza del dolore esistono situazioni in cui
la certezza di un futuro sollievo spesso permette
una capacità di sopportazione sovrumana.”
- William Styron,
Un’oscurità trasparente

 

 

“Ripetimi ancora una volta come sono andate le cose. Sei andato a cena con Kate?”
“Sì, sono andato a cena con Kate.”
“E lei era d’accordo, no?”
“Certo che era d’accordo. Ha detto che era d’accordo.”
“E poi che è successo?”
Lui non rispose. Andrea O’Malley, Ann, piantò le mani sui fianchi e smise per un momento di fare su e giù per la stanza. Avvertiva l’improvviso, incontestabile impulso di tirare qualcosa contro il muro. Qualunque cosa. Perciò, lo fece; prese il portacenere di ebano che le aveva portato Ria dal Kenya e lo lanciò con tutta la forza che aveva contro la parete di fronte a lei. Lui non diede segno di essersene nemmeno accorto. Fissò il nulla, chiedendosi perché non era con Brian, o con Matt, o più probabilmente a casa, in California. Lontano.
Ann era furibonda. Con lui, con lei, con la vita che insisteva a metterla in quelle situazioni e con se stessa, per essere stata disposta a sopportare molto più di quanto riusciva in nome di quella fiamma mai spenta, mai sopita, che le ardeva nello stomaco ogni volta che l’odore di lui era nei paraggi, ogni volta che qualcuno ne pronunciava il nome o che le arrivava una fotografia sullo smartphone dove abbracciava una donna che non era lei.
Imprecò in gaelico, flettendo le ginocchia e prendendosi la testa tra le mani; poi si costrinse a calmarsi e lo fissò. Seduto sul divano, guardava a terra e una sigaretta dimenticata gli fumava tra le dita. Negli occhi non c’era niente, nemmeno la eco di un pensiero dolente. Nulla.
“Lo sai, perché me ne sono andata, quella sera, dopo che avevamo cercato di sabotare l’articolo al Sun? Lo sai? Perché mi sono improvvisamente accorta, con la chiarezza di un ictus, che avevo sopportato l’insopportabile per molto più tempo di quanto gradirei ricordare. Siete folli, e pericolosi, e mi fate paura.”
Ecco, l’aveva detto. Si lasciò andare sulla poltrona che faceva angolo con il divano, salvo poi saltare su appena si ricordò che anche quella poltrona era un regalo di lei. Era la preferita di Ann, nella casa della sua amica a Milano; quando si era trasferita, gliel’aveva fatta recapitare direttamente a Londra, con un biglietto che diceva yours, R.
Non aveva mai capito, Ann, se quell’yours si riferisse a un affettuoso saluto che sottolineava un’appartenenza, oppure alla poltrona. Cosa importava? Non era la prima né l’ultima cosa che apparteneva a Ria che Ann avesse voluto, né di certo la prima che si presentava senza preavviso a casa sua. Un’altra, ad esempio, era seduta in quel momento sul divano. Ann gli si inginocchiò davanti, cercando il suo sguardo che continuava a sfuggirle: “Jimmy.”, lo chiamò.
Lui si riscosse, e posò gli occhi dentro quelli di Ann: lei desiderò che non lo avesse mai fatto. Anche quando erano insieme, anche se non erano mai propriamente stati insieme, lui era lontano, ma non così irraggiungibile; allora, c’era una parte di lui che riservava solo a lei, e Ann se ne accorgeva. Ma non questa volta.
“Non è mai uscito, quell’articolo.”
“No.”
“Perché tu hai parlato con Kate.”
“Sì.”
Ann si rialzò in piedi e si guardò confusa intorno, alla ricerca di qualcosa da bere. C’era sempre della tequila, a casa sua; non si poteva mai sapere quale membro del disastrato clan Montague le sarebbe piombato a casa distrutto, devastato dalla vita e dall’altrui comportamento.
Cercò di ricordare dove l’avesse messa, quando, improvviso, un pensiero le punse un fianco, e si coprì la bocca con le mani.
“Sei stato a letto con Kate”, soffiò senza punteggiatura, un’idea così assurda che le fece bruciare gli occhi di lacrime.
“Ovviamente no.”
“E allora Ria è pazza.”
Inaspettatamente, inusitatamente, Jimmy sorrise al pavimento.
“Sì. Lo è sempre stata, e chi poteva saperlo meglio di me.”


*
 

Il cellulare risultava staccato. Ancora. Bliss abbassò l’iPhone e guardò piena di sconforto Fleur, che le restituì lo sguardo.
“Non è da lei.”, disse pensieroso Gregory Fleur, in tuta da ginnastica, assiso nella poltrona di Morgue Place con il suo solito atteggiamento di chi ha sbagliato secolo di almeno duecento anni.
“Vado nella city, ho dei bozzetti da consegnare.”, lo informò Bliss, infilandosi un lungo maglione nero, talmente lungo che le arrivava fin quasi alle ginocchia. Un maglione di Ria.
“A quest’ora?”
“Sì, il cliente c’è solo di sera. Tu non hai da lavorare?”, gli chiese, tanto per dire qualcosa. Da quando lei se n’era andata, le conversazioni languivano appiattite sul registro di chi cerca di mandare avanti comunque la vita, anche dopo che quella vita è uscita dalla porta insieme alla persona che la rendeva folle, terrificante, insensata. E familiare, accogliente. Vita.
“Ho lavorato abbastanza, oggi. Devo ancora revisionare un paio di recensioni, ma lo faccio domani.”
Bliss sospirò, avvolgendosi un foulard intorno al collo. Quello era suo, infatti aveva una discutibile fantasia tartan.
“Hai sentito Splinter?”, gli chiese ancora, cercando di suonare casuale.
“Sì, stamattina. Volevo parlartene un secondo. Dice che l’ha chiamata Nonna Willow, e che lei ha sentito Ria.”
Bliss lasciò cadere la cartelletta a terra, voltandosi di scatto: “Quando avevi intenzione di dirmelo? Cosa ha detto?”
“La nonna dice che sta bene.”
“Dov’è?”
“Non lo sappiamo.”
“Non l’ha detto alla nonna?”
“No, e se anche l’avesse fatto, la nonna non lo ha detto a noi.”
Sospirarono. “Beh, almeno qualcuno l’ha sentita.”, disse lei, raccogliendo il lavoro da terra.
“Io vado, allora.”
Uscendo, Bliss prese di nuovo in mano il biglietto che aveva trovato, settimane prima, sullo svuotatasche dell’ingresso.
Vado via. Starò bene. Ho una richiesta da farvi: abbiate pazienza con me, se potete. Abbiate pazienza anche questa volta. L’avete sempre avuta, e non so come ringraziarvi. Con amore, R.

 

*

 

“Io aspettavo notizie. Non so, sull’articolo, sulla vostra salute. Ho comprato il Sun tutti i giorni per settimane, per sapere se era andato tutto bene.”
C’era rimasta male anche per il fatto che nessuno era sembrato particolarmente interessato alla sua sparizione. Nessuno l’aveva chiamata, o le aveva scritto. Sembrava che non si fossero nemmeno accorti della sua assenza.
Jimmy non disse nulla, e lei capì che non era la giornata adatta per le rassicurazioni. Così, provò a chiedergli qualcos’altro.
“Com’è andata la cena con Kate, mi vuoi raccontare?”
“È andata bene.”
“Che vi siete detti?”
“Non ho molta voglia di parlarne.”
“D’accordo. Poi, cos’è successo?”
“Dovevo accorgermene. Prima della cena Ria mi aveva fatto tutto un discorso carico di dolore, c’erano le avvisaglie, c’erano e non le ho viste... Dovevo accorgermene.”
“Jimmy, per favore. Cosa è successo dopo la cena?”
“Sono tornato a casa, ho trovato Ria in terrazzo che fumava, al freddo, le ho detto entra, tesoro, e lei mi ha risposto che non era possibile che io fossi l’unica persona da cui tollerava essere chiamata tesoro. Poi mi ha detto che mi amava, ma che le si era spezzato qualcosa, all’altezza del cuore, e che ora non sapeva cosa farsene di un cuore così. Che, guardandosi indietro, anni di fotografie, di momenti, di videocassette, di ricordi le sembravano falsi come The Truman Show. Che le persone che aveva amato, che aveva considerato un guscio, una casa, contro tutto lo schifo che le era capitato nella vita, non facevano altro che recitare una parte. Che, in fin dei conti, eravamo tutti irrimediabilmente umani, egoisti e arroganti. Che le aveva spezzato il cuore lo sguardo di mia madre quando le aveva detto che mi amava, e che voleva stare con me. Uno sguardo rotto nel profondo, ha detto, come se le stessi dando una grande delusione. Ma io ti amavo, mi ha detto, che ci potevo fare? Sono solo una bambina. Lo sono sempre stata. L’anello debole, la ragazzina senza mamma, con il padre inaffidabile e crudele e nessuna radice, neanche una; quella di cui tutti si sentivano responsabili e a cui giuravano l’amore che si riserva a una figlia, a una sorella, alla cosa più importante del mondo. Mi ha guardato, Andrea, e mi ha detto tu, perfino tu mi hai mentito. Tutti mi avete nascosto che non eravate affatto quel che dicevate di essere, e lo sapevate, ma non è questa la cosa grave, sai? La cosa grave è che, quando poi è arrivato il momento di dimostrare quell’amore che tutti mi giuravano, nessuno di loro lo ha fatto. Tua madre mi ha guardata in quel modo... la zia Betsie a momenti moriva, quando le ho detto che ci sposavamo. E Joe... Oh, Dio. Nessuno ci guardava più allo stesso modo, quando siamo tornati in California da fidanzati. Nessuno. E io non avevo più niente. Io ti amo, così tanto che so per certo che non potrò mai amare altri che te, nella vita. Ha detto così. Me lo ricordo ancora. Parola per parola.”
Ann tacque.
“Io la capisco, sai, Ann. La capisco benissimo, perché la conosco. Scoprire che io sapevo già da tempo le ha fatto crollare il mondo in testa. Ho voluto credere alla sua reazione d’istinto, quella del genere non è successo niente di irreparabile, non è cambiato nulla, sai? Ci ho voluto credere perché era più comodo e di gran lunga più digeribile di quello che - dentro di me lo sapevo - sarebbe successo non appena quella notizia le fosse arrivata abbastanza in fondo da poterle far comprendere davvero cosa significava, e quanto in realtà la questione fosse così grande da non poter essere liquidata con una scrollata di spalle. Poteva sopravvivere intatta alla notizia che tutti gli altri - i miei, suo padre, i nostri parenti, forse perfino sua sorella, sapessero tutto da molto tempo. Ma non al fatto che lo sapessi io. Lei si è fidata di me, e solo di me, nella vita. E io sono stato uno stronzo incosciente.”
Sorrise di nuovo, amaro, passandosi una mano sul viso. Ann, in silenzio, gli porse un bicchiere di tequila. Anche lei aveva amato Ria. L’aveva amata di un amore incomprensibile, un po‘ strano: quello che si riserva alle cose che non riesci del tutto a capire, ma che ti irretiscono, ti catturano, come un incantesimo. Non te lo spieghi mai davvero come fai ad amare una persona di cui detesti certi atteggiamenti, disapprovi il modo di pensare e oltretutto trovi assurdo, francamente fantascientifico che invece tutti gli altri la idolatrino e la giustifichino in continuazione nonostante le sue evidenti falle, impossibili da non vedere anche armandosi delle più ferree tra le buone intenzioni; allo stesso tempo, però, non riesci a fare a meno di farlo anche tu. Di innalzarla, e giustificarla anche, e ti detesti per questo. Perché l’amore rende così incoerenti, imprecisi. Perché il fatto che tu veda i suoi difetti non riesce a renderti immune al fascino che esercita su di te, perché quel bel sorriso, quegli occhi grandi, quel calore umano che solo lei sembra saper dare, quelle parole dure e spietate ma cariche di un affetto così genuino che addolcisce perfino la più cruda tra le sue sentenze, quando ti critica, ferendoti, anche se lo sai che lo fa per il tuo bene - tutto questo non riesce a non fartela amare sempre, comunque. Qualunque cazzata faccia. Tipo questa.
“Sai cosa faceva Ria a undici anni?”, le chiese Jimmy, dopo un sorso particolarmente lungo.
Ann scosse la testa, e si sistemò meglio sul divano voltandosi un po‘ verso di lui per dargli l’impressione di essere un pubblico interessato. Così, magari, si tranquillizzava un po’.
“Leggeva Il Signore degli Anelli nella mia vasca da bagno vuota. Ci stava dentro delle ore. Nel bagno degli ospiti, fortunatamente, altrimenti in casa mia si sarebbe paralizzato il traffico. Comunque, c’è una frase che si porta dietro da sempre. L’ultima volta me l’ha ripetuta non molto tempo fa, non so a cosa pensava...”
“Che frase?”
Come si fa a riprendere le fila di una vecchia vita? Come si fa ad andare avanti quando, nel cuore, cominci a capire che non si torna indietro? Ci sono cose che il tempo non può accomodare, ferite talmente profonde che lasciano un segno.”
Il silenzio calò tra loro come una volta usava fare tra le mura di casa Montague, quando erano tutti insieme e sembravano invincibili, eterni, impossibili da pensare separati e feriti, alla deriva.
“La prima volta che abbiamo fatto l’amore non ha smesso un attimo di tremare, e neanche io. È stato come se fosse sul serio la prima, per entrambi.”
Ann alzò una mano, e diede un sorso al bicchiere.
“Jimmy. Sono qui per ascoltarti, e lo faccio volentieri. Ma non posso sentire cose del genere. Spero tu capisca.”
Lui stornò lo sguardo su di lei, finalmente, e per un attimo parve tornare indietro dalle pieghe del tempo la parte di quell’uomo che, quando erano insieme, esisteva solo per lei.
“Hai ragione, scusami.”
Era un sorriso dolce, quello di Jimmy, ma Ann si mosse a disagio. Era umiliante sapere che lui sapeva benissimo quanto lei ancora lo amasse, e quanto forse lo avrebbe amato per sempre. Forse Ria avrebbe dovuto considerarlo, che era molto fortunata. Che non è detto che siano sempre una coppia, le persone che si amano per sempre. Che, forse ogni volta, c’è qualcuno che è rimasto fuori, e che conserverà quello stesso amore straziante e immenso per tutta la vita senza sapere bene cosa farsene, perché il destinatario è metà di una coppia ed ama l’altro componente, che magari è ammalato dello stesso folle amore di quello che è rimasto fuori ma almeno, beato lui, saprà dove metterlo e a chi darlo. E riceverà in cambio le braccia, e le mani, e gli occhi, quegli occhi che lo guardano come non hanno mai guardato né mai guarderanno nessun altro nella vita. Gli occhi di Jimmy che guardavano Ria. Ann scacciò il pensiero, chiedendosi per la prima vera volta dove stesse scritto che lei dovesse passare la vita a ricucire Jimmy e Ria quando era evidente che per lei, tra loro due, non c’era posto. Non il posto che avrebbe voluto, forse nemmeno quello che avrebbe meritato. Perché lei, se avesse avuto Jimmy, col cazzo che spariva in Nuova Zelanda con l’ex. Ma lei non ce l’aveva, Jimmy, perché, a quanto pare, è così che va il mondo.
“Devo essere onesto con te, Ann.”
“Non mi pare il caso, guarda.”
“Devo davvero.”
“Fidati, no.”
“Non c’è mai stata nessun altra donna, per me. Solo Ria, sempre Ria. Prima in un modo, poi in un altro - ma che differenza fa, poi? - Ria è stata la prima cosa a cui ho pensato ogni mattina e l’ultima ogni notte. Quando ho rischiato di-”
“Jimmy, no.”
“... l’ultima cosa a cui ho pensato prima che diventasse tutto buio è stata lei. Lei. I suoi occhi dentro i miei, la sua testa sulla mia schiena quando si addormentava addosso a me perché da sola in camera aveva gli incubi e allora si infilava nel mio letto, e io fingevo di non svegliarmi ma la sentivo, tutte le volte, quando veniva ad appoggiarsi su di me e cadeva in un sonno profondo e sereno. E ho pensato non posso togliergliela, sai?, ho pensato non posso toglierle una schiena a cui appoggiarsi quando è sola, ha paura e non riesce a chiudere gli occhi. Se ho lottato così tanto per restare, è stato perché non volevo lasciarla.”
Ann lo guardò in silenzio, e sorrise prima di decidere di farlo.
“Perché sei venuto da me?”, gli chiese, dolcemente.
“Perché avevo bisogno di te.”
“Dovrei ammazzarti.”
“Ne avresti il diritto.”
“Dovrei ammazzarvi tutti e due.”
Jimmy tacque, e prese un altro sorso di tequila.
“Perché dici che ti ha lasciato? Magari è solo andata via per un po’, magari aveva bisogno di pensare, di metabolizzare.”
Jimmy estrasse, lentamente, dalla tasca dei pantaloni un piccolo oggetto, e lo mostrò ad Ann senza guardarlo.
“È quello che credo che sia?”, gli chiese lei, osservando l’oggetto.
“Sì. È l’anello di fidanzamento che le ho regalato. Me lo ha lasciato prima di andarsene.”
“E non ti ha detto nulla?”
“Sì. Mi ha dato un bacio e mi ha detto: ti amerò sempre. È stato allora che ho notato il trolley accanto alla porta d’ingresso. Poi ha lasciato un biglietto sullo svuotatasche e se n’è andata.”
“Hai provato a chiamarla?”
“Certo. Dopo un po’.”
“E...?”
“Nulla. È staccato.”
Ann si fece pensierosa.
“Bliss, Fleur?”
“Lo stesso.”
“Splinter?”
“Lo stesso. Mi ha chiamato mia nonna, oggi, e mi ha detto che Ria le aveva telefonato per dirle che stava bene. Non mi ha detto dove fosse, né se lo sapeva. Ma non credo abbia provato a convincerla a tornare indietro e, se non l’ha fatto, vuol dire che le dà ragione, e che quindi la situazione è molto peggio di quello che tutti noi possiamo immaginare.”
Silenzio.
“La cosa che più mi tormenta è che mi ripeto che avrei dovuto chiederglielo. Tornerai? Così. Non solo non ho provato a fermarla, ma non le ho neanche chiesto tornerai? Anche se non mi avesse risposto, almeno avrebbe saputo che la rivolevo indietro. Non subito, quando fosse stata pronta. Ma che la rivolevo, e non ero disposto a vivere senza di lei.”
Gli si ruppe un po‘ la voce, e Ann sobbalzò leggermente. Non sapeva cosa fare.
“Lo sa benissimo che la rivuoi indietro.”, provò a dire.
“Certo che lo sa, ma ci sono cose che vanno dette. Lei non si è mai stancata di ripetermi che ci sono cose che vanno dette, per quanto uno possa saperle. Che è importante dire le cose.”
Silenzio, di nuovo, più forte di prima.
“E dunque, l’ho fatto.”, disse Jimmy.
Ann raccolse una punta di allarme in fondo all’anima: “Che hai fatto?”
“L’ho chiamato.”
“Chi hai chiamato?”
Jimmy si voltò a guardarla, carico di sottintesi.
“Ho chiamato Bellamy.”, disse.
Ann si coprì la bocca, senza fiato. 

 

*

 

“Yeah.”
“È successa una cosa.”
Matt coprì il ricevitore con una mano, e lanciò uno sguardo interrogativo a sua moglie, che lo fissava con aria diffidente dal divano sul quale, poco prima, stavano tentando di rinsaldare il loro rapporto in maniera piuttosto originale.
“È Jimmy Sullivan.”, le sussurrò. Kate rilassò i muscoli del viso. “Ah! Salutamelo tanto!”
Matt le fece cenno di attendere con un dito e uscì in balcone, chiudendosi l’anta alle spalle.
“Sono qui.”, disse infine a Jimmy, che aveva atteso pazientemente dall’altra parte.
“Ria se n’è andata.”
“Cosa? Dove! Come! Perché?”
“Non lo so. Non lo sappiamo. Senti, Bellamy.”
“Sento, Sullivan.”
“Tu non mi piaci, ed io non ti piaccio. Mi pare evidente perché.”
“Veramente no. Cioè, io non ho nulla contro di te. Davvero, l’ho superata ormai. Sei tu che non riesci a passare sopra al fatto che io abbia infilato il mio-”
“Attento a quello che dici.”, lo interruppe.
“-anello al dito di Ria prima di te, anche se poi è andata come è andata. Ma, a quanto pare, ora anche tu sei nella mia stessa situazione, quindi...”
Jimmy si sentì ribollire il sangue a sentire quanto quello gongolava. Gongolava perché Ria se n’era andata, perché, alla fine, aveva lasciato anche lui?
“Non è così, e lo sai benissimo. Qui comunque non si tratta di me, si tratta di lei. Sei in grado di concentrarti cinque minuti su di lei togliendo di mezzo la stima malriposta che nutri nei confronti di te stesso, inutile gnomo con la voce acuta?”
A Matt venne quasi da ridere, non fosse stato per quel piccolo groppo di preoccupazione per Ria che gli si andava formando in gola.
“Ti ascolto, Nosferatu.”, gli disse.
“È da quando sono andato a cena con tua moglie che è andata via. Cellulare staccato. Nessuna notizia.”
“Sei andato a cena con mia moglie?”
“Chi credi che l’abbia convinta a riconsiderarti come essere umano, imbecille?”
“A me ha detto solo che avevate parlato, non che eravate andati a cena.”
“E abbiamo parlato, infatti. Davanti a una bottiglia di vino, a lume di candela. Poi, abbiamo continuato a parlare sul tuo divano. E ti giuro, per quanto era bendisposta nei miei confronti me la sarei scopata fino a farla piangere, ma non l’ho fatto per amore di Ria.”
“Se lo avessi fatto, a questo punto saremmo stati pari.”
“Non proprio, visto che a quanto pare è
dopo essere state con te che le donne smaniano per farsi schiantare su un materasso da me.”
Matt rise, disturbato solo un poco. Rise anche Jimmy, chissà poi perché.
“Cosa posso fare, io?”, chiese poi Matt, appoggiandosi alla balaustra del balcone. Quella ragazza gli avrebbe fatto perdere la testa per sempre.
“Credo che lei abbia bisogno di tutti noi. Credo che abbia bisogno di sapere che, al di là di tutto, noi teniamo sul serio a lei. E credo sia per questo che se n’è andata. Perché le è sembrato tutto finto, costruito, falso e inutile. E non la biasimo.”
Gli spiegò in breve, e come meglio poteva, la situazione, forte del fatto che Matt già sapeva, perché Ria glielo aveva detto, che aveva scoperto che lui era a conoscenza già da tempo del fatto che tra loro non corresse alcun sangue in comune.
Matt ascoltò con attenzione, fumando una sigaretta.
“D’accordo.”, disse, infine, “Dimmi cosa devo fare.”
“Io sto andando da Andrea O’Malley. Ricordi dove abita?”
“Sì, ce l’ho scritto da qualche parte.”
“Vediamoci lì. Porta anche Kate, se credi.”
“Va bene, ci sarò.”

 

*

 

Splinter stava praticando un buco nel pavimento del suo ufficio di New York. Fumava una sigaretta dopo l’altra, dando fugaci ordini a destra e a manca, e nel frattempo camminava senza posa perché non riusciva a smettere di pensare. Il telefono squillò una, due, tre volte prima che se ne accorgesse e si decidesse a rispondere.
“Pronto, cristo!”
“Vi?”
I lineamenti di Splinter si indurirono tutti insieme, e dal rossetto scarlatto le partì un suono minaccioso, furente: “O mi dici dove sei o giuro che faccio tracciare tutte le tue carte di credito dalla Venerabile e ti trovo da sola.”
Ria, all’altro capo della comunicazione, rise.
“È bello sentirti.”
“Allora? Dove cazzo sei?”
Ria alzò il ricevitore verso il cielo, e Splinter si attaccò allo smartphone per cercare di captare suoni familiari. Una linea bassa, costante di jazz le raggiunse un orecchio.
“Non ti viene in mente nulla?”, le chiese Ria dopo un po’.
“Cos’è, un quiz a premi?”, le rispose stizzita sua sorella.
Ria rise di nuovo.
“Ti do un indizio. Ci siamo state insieme.”
“Dimmelo e basta!”
“Non ci penso nemmeno. Volevo chiamare Jimmy, ma poi ho pensato che forse è arrabbiato con me, e probabilmente anche Bliss, quindi ho pensato di telefonare direttamente a te. Di te ero sicura che fossi arrabbiata. Almeno, non ho avuto sorprese. Anche se ci spero sempre, un po’.”
“In cosa?”
“Che mi sorprendiate. In meglio.”
Splinter sospirò. Non era mai stata particolarmente un asso a consolare la gente a comando. Era bravissima a farlo, sì, ma spontaneamente. Quando diceva lei. Il suo primo tutor le aveva detto che la chiave per essere felici nella vita è imparare a comportarsi come richiede la situazione, e doveva ammettere che quello, purtroppo, proprio non le riusciva.
“Chiama Jimmy.”, le disse soltanto.
Ria non disse nulla per un po’.
Poi “Sono stata seduta qui per giorni.”, disse, e a Splinter parve quasi di poterne vedere lo sguardo perso nel mondo che la circondava in quel momento, “Tutti i giorni, su questa panchina. Sono venuta a leggere, a scrivere, a pensare. Ho pensato a tante cose. Alla fiducia, all’amore. A quanto siano concetti disperatamente incompatibili eppure paradossalmente inscindibili l’uno dall’altro. A quanto falsi, imprevedibili e imperfetti siano gli esseri umani. Facciamo davvero schifo, come specie.”
“Sì, su questo siamo tutti d’accordo.”
“Ma non facciamo niente per cambiarlo. Egoisti, arroganti e martiri. Martiri di noi stessi, sempre. Arbitrari, sempre, e a caso. Decidiamo noi che tempo deve fare e poi ci lamentiamo della pioggia.”
“Ria, ma che diavolo ti succede? Sembri la sintesi di tutti i tuoi momenti no.”
“Lo sono, Splinter. Sto anche sperando che, per questo motivo, presto sarò finalmente la sintesi di tutti i miei momenti sì.”
Splinter, allora, sorrise.
“Tipico di te. Un inguaribile, malriposto ottimismo.”
“Grazie per l’incoraggiamento. Che ora è a Londra?”
“Penso circa mezzanotte. Che ora è, da te?”
“Non mi freghi, ragazzina. Saresti capacissima di fare i calcoli coi fusi orari per scoprire dove sono.”
Risero entrambe, soprattutto Splinter, perché era esattamente quello il motivo per cui aveva chiesto a Ria che ora fosse da lei.
“Mi sa che farò una telefonata.”, disse infine Ria.
“D’accordo. Ma l’esilio è finito?”
Ria giocherellò un po‘ con la copertina del libro che aveva in grembo. Toni Morrison, Casa.
“Ti voglio bene, Splinter.”
“Anche io, demente.”
Ria rise di nuovo, prima di attaccare e respirare a fondo l’aria salmastra e incontenibile che saliva dalla baia. 

 

*

“Fammi capire, quindi aspettiamo Matt?”
“Sì, Ann.”
“E che hai intenzione di fare?”
“Non lo so. Proveremo a pensare a qualcosa. Insieme.”
Il cellulare di Jimmy suonò, facendoli sobbalzare.
“Pronto?”
“Jim? Dove sei?”
“Bliss! Sono... erm. Sono a casa di Ann.”
Bliss si raggelò all’improvviso, e il freddo evaporò dallo smartphone di Jimmy per colpirlo dritto in faccia.
“Cosa ci fai a casa di Andrea O’Malley?”
Prego?!, disse, scandalizzato e acuto, Fleur sullo sfondo. Jimmy sorrise.
“Sono venuto a parlarle di Ria.”
“Notizie?”, chiese speranzosa lei.
“Ancora nessuna. Però, ho ritenuto opportuno avvisare Bellamy.”
“Io riterrei opportuno farti ricoverare.”
“Lo so, ma...”
Bellamy? L’ultima cosa di cui tutti quanti abbiamo bisogno in questo momento è Bellamy.”
A Jimmy piaceva il modo in cui Bliss diceva Bellamy, sputandolo come se fosse un sorso amaro, carica di disprezzo.
“A dire il vero, sta venendo qui.”
Bliss tacque per un momento.
“Veniamo anche noi. Cri-cri, bagagli!”, urlò a Fleur, del quale si sentì chiaramente il balzo dalla sedia.
“Sono appena tornati anche Brian e Shadows.”, lo informò quindi Bliss, mentre trafficava con oggetti tintinnanti.
“Forse è il caso che ci spostiamo tutti a Morgue Place...”, azzardò Jimmy.
“No, meglio di no. Sembra assurdo convocare una mega riunione in questa casa senza Ria. Somiglia sempre di più a un obitorio, da quando lei non c’è.”
“L’intenzione non era quella? L’avete battezzata morgue place.”
“L’intenzione non è mai quella, Jimmy. Noi scherziamo sulla tragedia perché altrimenti quella ci travolge e ci ammazza. Abbiamo sempre fatto così.”
Jimmy sospirò.
“D’accordo”, disse, “vi aspettiamo.”
Chiuse la chiamata e avvertì Ann dell’arrivo di altre quattro persone.
“Sarà meglio che vada a prendere altri bicchieri, allora.”
Il cellulare squillò di nuovo.
“Hai dimenticato qualcosa?”, rispose Jimmy.
“Sì. Ho dimenticato di dirti che sarei tornata, perché non riesco neanche a pensare ad una vita lontana da te.”
Jimmy saltò in aria dal divano e per un lungo momento non seppe cosa dire. Incrociò lo sguardo di Ann, che usciva dalla cucina reggendo alcuni bicchieri, e lei ci mise meno di un secondo a capire chi fosse.
“Di‘ qualcosa.”, lo pregò Ria, dall’altra parte.
Silenzio.
“Ti prego, ho bisogno di sentire la tua voce. Di‘ qualcosa. Qualunque cosa.”
Jimmy scartava una possibilità dietro l’altra. Ho provato a chiamarti? No, non era quello che aveva bisogno di sentirsi dire. Dove sei? No, non era importante in quel momento. Come cazzo ti è venuto in mente di sparire per settimane senza dare tue notizie ad anima viva e staccando tutti i telefoni? No, neanche quello. Sospirò, per farle capire che c’era ancora.
“JJ...”, sussurrò lei, dolcemente.
“Mi sei mancata, scarafaggio.”, disse infine.
Sentì la risata di Ria, una risata liberatoria e delicata, erompere dal bel mezzo di un pianto silenzioso. Solo allora lui si accorse di quel pianto, piccolo come un punto, profondo come l’oscurità e la luce.
“Mi sei mancato da morire anche tu.”
Ann era rimasta ferma, impalata tra la cucina e il salotto, coi bicchieri in mano.
“Ti amo, Jimmy. Ti amo da impazzire, così tanto che sembra che mi debba scoppiare il cuore, e da quando me ne sono andata non ho fatto altro che pensare a questo. A quanto ti amo, e a quanto questo giustifichi e in fin dei conti renda accettabile tutto il resto. Tutto il passato e anche tutto il futuro.     Quel minuscolo, infinitesimo istante in cui sei apparso nella mia vita per la prima vera volta ha cambiato per sempre ogni parte di me, e anche se fosse stata solo quella, la volta, e soltanto quello, il momento in cui mi fosse stata concessa l’incredibile grazia di guardarti e sentire che tu esisti, credo che mi sarebbe bastato ad ammettere a me stessa che il mondo è un posto straordinario e la vita un viaggio meraviglioso, indipendentemente da quanto fatiscenti, dolorosi e precari riescano ad essere certe volte. Anche spesso, sai?, si può fare i conti con il dolore anche spesso, quando si sa che tu esisti. Almeno, è così per me. E non mi interessa di quel che è stato, né di quel che sarà, perché adesso lo so, ne sono certa, che James Sullivan ha dato alle cose intorno a me un significato che non sarei mai stata in grado di immaginare, inventare o sperare in una vita. Vorrei essere la persona che tu meriti. Vorrei che questo fosse il mondo che tu meriti. Vorrei che le cose fossero andate in modo molto diverso, e che la vita ti fosse stata più lieve e, sopra tutto il resto, vorrei non essere stata così cieca.”
Jimmy non sapeva cosa dire.
“Torna qui.”, le disse quindi. “Torna da me.”
“No”, rispose lei, “Vienici tu, da me. Vienimi a prendere, come fai sempre, anche quando io non me ne accorgo. Vieni qui e stringimi.”
“Dimmi dove sei, almeno.”
“Lo sa Splinter. O almeno ci arriverà a breve, con un po‘ di buona volontà.”
Jimmy scoppiò a ridere. Si sentiva il cuore leggero, e qualcosa gli pungeva ai lati degli occhi per quel che lei gli aveva detto.
“E se non ci arriva?”
Rise anche lei.
“Se non ci arriva, dille: serpente.”
“Serpente?”
“Sì, serpente.”
“D’accordo. Ti amo, piccola.”
“Ti amo anche io.”
“Posso chiamarti su questo numero? Per avvisarti di quando partiamo, almeno.”
“Partite?”
“Non penserai che gli altri se ne siano stati qua ad andare avanti con la loro vita, vero? Stanno venendo tutti qui, incluso quel coglione.”
“Ah, hai sentito Matt?”
“Sì, ho sentito Matt. Gli ho chiesto di aiutarmi a trovarti. Lui non ha esitato un secondo.”
Gli pesava un po‘ dirlo, ma lo disse lo stesso.
Ria tacque, serena.
“Tienilo sempre acceso.”, disse lui infine.
“Lo farò. Ti amo, Jimmy.”
“Ho capito. Ti amo anche io.”
Gettò lo smartphone sul divano e guardò Ann, che gli restituì uno sguardo sereno e finalmente si decise a muoversi e appoggiare i bicchieri sul tavolino.
“Che ti ha detto?”, gli chiese, mentre li disponeva.
“Che mi ama.”
“Non mi sembra una sorpresa. Perché hai quell’espressione stordita e felice?”
Jimmy si passò una mano sugli occhi, senza riuscire a smettere di sorridere.
“È il modo in cui l’ha detto.”
“Ah, capisco. E a te è già passato tutto. Tutta l’ansia, la preoccupazione, l’angoscia.”
“Sì.”
Ann scosse la testa, sorridendo a sua volta.
“È incredibile la pazienza che hai con Ria, Jimmy. Dovrebbero farti santo.”
Jimmy si strinse nelle spalle. “Forse”, le disse, aprendo di più il sorriso.
Ann sospirò, con una punta di malinconia, e sedette accanto a lui sul divano riempiendo di nuovo i bicchieri.
“Allora, St. James, te lo fai un altro sorso prima che arrivi qui l’armata Brancaleone al gran completo?”
Jimmy sollevò il bicchiere e lo fece tintinnare contro quello di lei. “Agli incoscienti.”, disse.
“Ai santi.”, gli fece eco lei, e li vuotarono d’un sorso. 

 

Promise to hold you close and pray
watching the fantasies decay
Nothing will ever stay the same

-

Ti proteggerò dal male.


 

Allora.
I miei tentativi falliti di mettere a Ria un po‘ di sale in zucca.
Ria, che mi vortica sempre in testa, e il suo Jimmy, al quale non riesce mai a dire le cose come stanno. 






 

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Capitolo 6
*** Lo stregone voodoo pazzo con il serpente a tracolla ***


Last night I woke the fuck up
- I realized I need you here,
as desperate as that sounds.

 

 

“Ma abbiamo sempre fatto le cose tutti insieme.”
“Non questa volta.”
Una voce metallica disse imbarco aperto per il volo intercontinentale 160490 al gate 7.
“Ti prego di ripensarci.”
Ma lui non sentiva ragioni. Era già lontano, probabilmente a stringerla tra le sue braccia per rassicurarla che sarebbe andato tutto bene, tra di loro e nel mondo. Shadows crollò la testa, puntando le lenti specchiate a una crepa sul pavimento color sabbia dell’aeroporto.
“Non saresti irresponsabile se per una volta non ti facessi carico da solo di lei.”
Jimmy stornò lo sguardo su un altro Matt, il genere di persona che uno come lui avrebbe potuto capire - forse, sì, perfino apprezzare - se le circostanze fossero state diverse. Ma le circostanze erano quelle che erano, fatto che da solo costituiva uno dei problemi più antichi e ineffabili del mondo. Le cose, nonostante quel che diceva Ria, stavano come stavano, e non come uno voleva farle stare. Non bastavano le parole per convincere il Creato a funzionare diversamente da come era abituato e certo piegare la realtà non era una strada percorribile con la buona volontà. Jimmy sentiva di dover fare qualcosa per lei, un gesto definitivo e incontestabile, che avrebbe messo fine per sempre a quel torrente di dubbi e rimpianti che ogni tanto la trascinava via, lontano da lui; il punto era che non aveva assolutamente idea di cosa inventarsi.
“Io vado a prenderla, perché lei è… Lei…”
“Lei è l’amore della tua vita.”
Jimmy guardò Ann nel modo in cui la guardava un tempo, un’onda di passato che le provocò un tramestio interno che assunse in breve i contorni di un terremoto.
“Fino a qualche tempo fa pensavamo che fosse un altro, l’amore della tua vita.”
Stavolta fu su Brian che cadde lo sguardo, e Jimmy si sorprese a chiedersi come diavolo facesse a soprassedere a tutto quel che Brian era, faceva e diceva in nome dell’affetto incrollabile che da sempre li legava. Perché ogni tanto andava oltre, davvero oltre. Come questa volta.
“Qualcuno che non ti faceva stare meglio di Ria, mi sembra.”
“Non paragonarle, Brian. Ria è una cosa diversa.”
Brian mise le mani sui fianchi, rivolgendo la sua attenzione alla stessa crepa nel pavimento che guardava Shadows, sentendo l’aria pesante che aveva contribuito a creare dicendo una parola di troppo.
“Beh, Ria non lo fa per cattiveria, almeno.”
Il silenzio piovve su di loro, portato dall’aria condizionata troppo fredda e dall’odore lontano di frutta frullata.
“Ne sei sicuro?”
“Di cosa?”
“Sei sicuro di volere tutto questo, Jim? Sei sicuro di volere lei?”
Tutti si voltarono a guardarla di scatto, allarmati. Bliss non abbassò lo sguardo, non cercò una crepa; sostenne la realtà, esattamente per quella che era.
“Non ha mai chiuso fuori me. Questa volta, invece, è stato diverso. Lei non è più lei, Jimmy, e qualunque cosa sia questa Eldariael Ria Montague, non è quella che conoscevamo.”
Jimmy, inaspettatamente, sorrise.
“No, infatti. Perché stiamo rimandando l’inevitabile”, disse, estraendo il biglietto aereo dalla guaina, “ed è arrivato il momento che Ria Montague diventi quel che è destinata a diventare.”
“Vale a dire?”, si introdusse timidamente Fleur, che fino ad allora non aveva mosso il bastone da passeggio dal pavimento per non incrinare quella tensione esistenziale così sonante e perfetta. Fleur aveva letto tantissimi libri nella vita, tanti quanti Ria, e il talento innato che aveva per le parole gli faceva presentire con chiarezza che qualcosa si stava rompendo per sempre, ma, forse, per ricomporsi poco più in là, in una forma nuova e migliore.
“Vale a dire”, rispose Jimmy, spegnendo il telefono, “Ria Sullivan. Voi tornate ad Huntington Beach. Tutti quanti, se ci tenete a venire al matrimonio. Lei ha fatto la sua scelta, è ora che io faccia la mia.”
Mentre si allontanava, di spalle a tutto quel che conosceva, verso il gate, Bliss disse in un sussurro: “E quante volte uno deve fare una stessa scelta, nella vita?”
“Quante ne occorrono, Juniper.”
Guardò Brian di sottecchi, con la vaga sensazione di aver sognato, fino a quel momento, una vita che non era mai stata reale.



You can tell them you are mine,
I’m sick of games
- no more time,
you’ve lit the flame.

 


Ria fumava su una panchina, chiedendosi quante volte ancora avrebbe costretto le persone che la amavano - perché chiaramente la amavano, era così inequivocabile e semplice, quel sentimento nei loro occhi - a queste immani pantomime. Quante volte le avrebbe spinte a spostare le loro vite più in là di un continente per assistere a queste sue finte risoluzioni, a queste palesi recite di resurrezione. Avrebbe voluto con tutta se stessa poter mettere un punto fermo alle cose e iniziare il resto della sua vita in santa pace ma la pace, santa o laica che fosse, sembrava sempre trovarsi a qualche metro da lei, ben visibile e mai raggiungibile. Una crudele illusione, una beffa del fato.
“Il tempo è fuori dal suo ingranaggio, e maledetto me che sono nato per rimetterlo a posto.”, recitò a memoria, sottovoce, fissando la foresta al di là del fiume. In fondo al viale affollato dei suoi ricordi c’era una professoressa di letteratura inglese, con un microfono in mano, che diceva questa frase dell’Amleto di Shakespeare. Non era tanto per le parole, quanto per il tono con cui le aveva pronunciate: con la rassegnazione di qualcuno a valle che osserva scendere la lava dal pendio di un vulcano, sapendo che non sarà mai più veloce di lei, ma che dovrà per forza esserlo, se vuole salvarsi la vita. Qualcuno destinato inevitabilmente a morire - e, come spesso accade, non ai suoi termini ma a quelli del mondo - che però deve inscenare un’impossibile corsa alla salvezza. Perché il pubblico se lo aspetta, quando lo hai sempre fatto, e anche se sei ben conscio di non dovergli niente, non ce la fai a deluderli. Non vuoi deluderli. Vuoi convincerli, anzi, ancora una volta, che avere la meglio sull’impossibile non è che un complesso gioco di leve e pulegge, ma si può fare benissimo, con un pizzico di fortuna e un po’ di talento. Altro che costruire i nostri ponti e poi bruciarceli alle spalle, come scriveva Tom Stoppard; Ria aveva la netta sensazione che la vita non fosse più tanto una questione di investire sangue e sudore nella costruzione di cose che, sapevi già, sarebbero andate distrutte, quanto il tentativo di far anche credere a tutti, contestualmente, che quelle opere saranno eterne ed inviolabili. Intessere una bugia dorata, per rendere la vita vivibile alle persone con meno fantasia di te. Perfino bella, in qualche caso. Quasi mai vera, ma cosa importa?, la verità è un concetto largamente sopravvalutato e il tempo è sempre troppo poco. In ogni caso, anche quando è molto, non serve a niente. Ria e Jimmy erano responsabili di una mutua e perenne costruzione fatta di silenzi e parole, di smussature e aggiusti, di nuvole e tramonti e un’interminabile serie di meravigliose piccole sciocchezze, ma, alla fine, non sarebbero bruciati anche loro, proprio come quei ponti? Avrebbero acceso il fiammifero e appiccato l’incendio che li avrebbe distrutti, e lo avrebbero fatto l’uno con l’altra, con l’amore di sempre. Ria non voleva distruggere Jimmy, quant’è vero che lo aveva costruito, ed era certa che per lui fosse lo stesso. Ma allora cosa significava tutto questo, tutto questo vivere, svegliarsi, andare, aggiustare, incontrare centomila uomini sbagliati e cinquecentomila persone sbagliate, sempre ingannandosi, sempre impressionandosi che fossero giuste, per poi ritrovarsi su una panchina di New Orleans con davanti agli occhi l’inequivocabile elenco delle poche - noi pochi, noi felici pochi, noi, manipolo di fratelli - vere persone giuste, e scoprire di non averle mai guardate, ascoltate, frequentate e considerate abbastanza? Di averle chiamate poco, in tutti quegli anni. Di aver ascoltato opinioni di persone meno giuste di loro, ma per qualche inspiegabile motivo più presenti, che avevano lentamente sostituito i sentimenti, le sensazioni e la persona che lei era quando era in compagnia di quei pochi che sapevano capirla davvero? Era stato così bello e così scintillante il suo tempo con Bellamy che spesso e volentieri dimenticava quanto fosse stato penoso e demoralizzante, e quanto poco ci voleva che, grazie a lui, mancasse di un soffio l’unico uomo che l’avesse sempre messa davanti a qualunque cosa, incluso se stesso.
Avvolta in un possente mal di stomaco che prometteva di trasformarsi presto in un ictus, decise di andare a camminare. L’umidità e i colori cupi della natura della Louisiana sfumavano improvvisamente in quelli sgargianti delle palazzine francesi, chiudendo le strade in una morsa di pietra rovente e odori pungenti di cucina cajun. I ragazzini schizzavano qui e là rincorrendo trottole, evitando sapientemente i tavolini dei fortune teller all’ombra della cattedrale di St. Louis. Ria sorrise pensando alla vita con Jimmy. Sesso, dolcezza, risate e la perenne sensazione di aver detto la cosa giusta al momento sbagliato. Camminò in direzione di Canal Street fissando intensamente i gatti addormentati nelle vetrine dei negozi. Una volta gli aveva spiegato cosa le piaceva tanto del voodoo; le collanine colorate appoggiate sulle tombe, quel modo di trattare i morti come se fossero essenze e non ricordi. Aveva imparato da loro la sua personale maniera di percepire la realtà, o più semplicemente loro ne rappresentavano un’espressione; le somigliavano in quel modo di non arrendersi ai confini del comunemente noto, il modo di qualcuno che non avrebbe mai potuto pronunciare una frase di Amleto con rassegnazione. Qualcuno che lo avrebbe fatto con rabbia, forse, e una lieve ma inequivocabile emicrania, ma mai con rassegnazione. Attraversò il traffico sporadico e mortale di Canal Street con il sottofondo rassicurante dello sferragliare del tram che andava nel quartiere dei cimiteri, e si trovò nella strettoia che segnava l’inizio di Bourbon Street. Poco lontano, dal cortile del Jazz Memorial suonava Queen of New Orleans


 

Slowly, slowly, you unfold me
but do you know me at all?



La prese alle spalle, perché quello era il suo modo di fare più o meno con tutto.
La chiamò piano, vedendola camminare. Gli era parso giusto fare due passi per raccogliere le idee prima di parlarle, e ovviamente aveva pensato di farli a Bourbon Street, se non altro per il nome evocativo della strada che gli ricordava qualcosa che gli fosse più famigliare della donna con cui aveva, in un modo o in un altro, passato tutta la vita. Almeno, tutta la vita che valesse la pena ricordare.
“Ria.”
Ria si bloccò. Camminava avvolta in un vestito lungo e scuro e nel già citato mal di stomaco, e Jimmy fissò lo sguardo sui dettagli della stoffa, minuscoli fiori bianchi come il golfino che lei indossava per proteggersi da un freddo che soltanto lei sentiva. Si voltò a guardarlo e la rada folla intorno sparì, sfumando nei contorni degli edifici. Gli sembrò di starsi guardando per la prima volta dopo cento anni. Ria pensò, piuttosto in fretta, che era il caso di dire due parole, prima di saltargli al collo. Poi, decise di ignorare l’istinto che la portava sempre a parlare, parlare, spiegare, smontare, fotografare, per calcificare gli attimi e trasformarli in ricordi. Mentre gli correva incontro, decise di non dire mai più una parola che non fosse necessaria, mai più. Gli saltò in braccio e lasciò che lui la cullasse, baciandolo, come se fosse quella la sola cosa importante, l’unico ponte che valesse la pena costruire, con pazienza, da lì in poi. Perché Ria non esisteva senza di lui, e rendersene conto fu una cosa lieve, come il vento tra i rami di un faggio.
Lo avrebbe amato ogni giorno, in un modo drammatico e silente, e avrebbero avuto le loro canzoni degli Scorpions e le loro divergenze d’opinione sui Dire Straits, oltreché librerie, tazzine, amici a pranzo e a cena e la famiglia più eterogenea, disfunzionale, stravagante e meno effettivamente imparentata dell’Universo. Le persone che loro due avevano legato, e che sempre loro due dovevano stare attenti a non slegare, dimenticandosi della responsabilità che li inchiodava a quelle entità ostiche e inutilmente pensierose che erano i loro migliori amici, i loro fratelli e tutti gli altri che, con un soprammobile orrendo portato in dono da un viaggio in Africa, contribuivano a creare la sola casa che avrebbero mai davvero riconosciuto come propria.
Quando quel bacio interminabile, come tutte le cose interminabili, finì, Jimmy le disse: “Adesso taci, e andiamo a fare una cosa.”
“Posso almeno dire che sono contenta di vederti?”
“Idem. Taci.”
“E che ti amo più di ogni altra cosa al mondo?”
“Anche io. Taci.”
La rimise a terra con una delicatezza che aveva soltanto per lei, e la prese per mano.
“Posso sapere dove andiamo?”
“No. Taci.”
“Va bene.”
“Silenzio.”, disse lui, un’ultima volta, con un sorriso spezzato di tenerezza.

 

Huntington Beach, il giorno dopo all’ora del tè

 

 

“Dove hai detto che stanno?”
“A New Orleans.”
“Vuoi gentilmente notificargli una cosa da parte mia, quando li senti?”
“Cosa, Barbie?”
“Digli che li ammazzo.”
“Ma, Barbie…”
“Io li ammazzo. Tutti noi conosciamo i limiti di Jimmy, Joe”
“Quali limiti?”
“Ciò nondimeno, il fatto che nostro figlio sia pazzo è quasi sempre stato controbilanciato dal ferreo buonsenso di Ria.”
Ferreo buonsenso? Parliamo della stessa Ria? Ria nostra?”, osservò Bliss sottovoce, seduta in punta al divano di fianco a Splinter.
“Non lo so, che ne so… Senti, zia Barbie, è andato semplicemente a riprenderla, poi torneranno qui.”, intervenne la sorella di ferreo buonsenso.
“Non essere naif, Vivienne, conosci tuo cugino e sai bene che questa pretesa di non essere accompagnato a riprenderla significa che gatta ci cova.”
Calò un silenzio marziale, che venne interrotto da Brian il quale, timidamente, domandò a mezza voce: “… quale gatta?”
Barbara Sullivan alzò gli occhi al cielo. “È un modo di dire, Brian, significa che c’è puzza di bruciato.”
“Puzza di bruciato?”
“Forse è il plum cake al limone nel forno.”, intervenne Fleur.
Barbara si batté platealmente una mano sulla fronte. “Mio dio, il plum cake!”, disse, e sparì in cucina.
“Siete bravi a confonderla, ragazzi, continuate così, io vado a richiamare mio figlio.”, disse Joe, schizzando in cortile, cellulare alla mano.
Barbara tornò in salotto con il grembiule allacciato male, segnale di massima allerta nervosa. Spostò due occhi gelidi su una figura che sorbiva oolong tea da una tazza da caffè, arroccata nella poltrona di Joe.
“Vuole ripetermi nuovamente chi è lei?”, gli chiese Barbara, che in realtà lo sapeva benissimo.
“Matt.”, rispose quello, poggiando la tazza sul relativo piattino e producendo un lieve plin che, per qualche motivo, urtò i nervi già tesi allo spasimo della padrona di casa.
“È l’ex fidanzato di Ria, Barbie.”, spiegò l’altro Matt, quello Shadows.
Barbara accusò un vago tic all’occhio. “E cosa ci fa qui?”, disse, rivolta all’aria davanti a lei.
“L’ha chiamato Jimmy.”
“Mio figlio? L’ho detto, è pazzo, non c’è niente da fare. Vi porto il plum cake.”

 

The odds are that we
 will probably be alright.

 

 

“… va bene, ma passami mamma.”
Ria, seduta tra le lenzuola umide e sfatte, piegò la testa di lato coprendosi con un lembo bianco e passò una mano tra i capelli di Jimmy, steso accanto a lei con il telefono all’orecchio. Quella mano venne presa e accarezzata a fior di labbra, prima di essere spostata sopra il cuore. Lei sorrise e si distese addosso a lui, trasformando il sorriso in una risata di euforia a stento trattenuta.
Joe, all’altro capo dell’America, coprì il ricevitore con una mano dicendo alla moglie forse è meglio che ti siedi; la signora, per tutta risposta, gli strappò il telefono di mano e appoggiò diffidente le terga ad una sedia, guardandolo di sbieco.
“Mamma? Ciao. Devi organizzare un rinfresco, e ora ti spiego perché.”
Barbara menò un urlo marziale che fece saltellare tutte le persone sedute sul divano del salotto e Ria smise di trattenere la risata che le scoppiava nel petto.  

 

Qualche ora più tardi, camminavano abbracciati nell’aria fresca e croccante della sera di New Orleans. Si guardavano intorno, completamente disinteressati all’architettura, semplicemente curiosi di capire come il mondo stava reagendo alla loro presa di posizione. Ria ebbe la vaga sensazione che si fosse considerevolmente abbassato il tasso di umidità, per esempio. Alzò lo sguardo su di lui, che sembrava invaso da una pace sconosciuta. Una band suonava vecchi successi di Hank Williams all’angolo della strada.
“Vuoi andare a ballare?”, le chiese Jimmy.
“Ma se sei completamente incapace, amore, sembri una panca di abete quando balli.” 
“Beh, non è che tu sia esattamente Rudolf Nureyev, d’altra parte.”
Ria scoppiò a ridere. “Però adori ballare.”, aggiunse lui, “Dunque ti porto a ballare.”
“D’accordo, ma prima passiamo a salutare Doctor John.”
“Chi è Doctor John?”
“Il proprietario di un serpente che si chiama Richelieu.”
Jimmy annuì con aria saggia, “Sembra interessante”.
“Non ricordi? Risale a quando venni a New Orleans con Splinter, ti ho raccontato di lui…”
“Ah, come dimenticare. Lo stregone voodoo pazzo con il serpente a tracolla.”
Dieci minuti dopo, il campanello sopra la porta del museo del voodoo suonava annunciando l’entrata di due clienti.
“Bambina! Non ti vedevo da anni!”, disse un uomo anziano, coperto di collanine, alzandosi in piedi da dietro ad una scrivania. Solo quando si fu avvicinato Jimmy notò il serpente appeso al collo tra le collane, con la testa mollemente adagiata addosso al tizio. Alzando lo sguardo, notò che l’uomo gli stava rivolgendo un’occhiata clinica e saggia, profonda come i misteri dell’universo e penetrante come una freccia.
“Ciao, Doctor John”, disse Ria, lasciandosi abbracciare con una certa noncuranza nei confronti del rettile, “volevo presentarti una persona”.
Lo stregone annuì. “Tuo cugino James?”
Ria trasalì leggermente, visto che era parecchio tempo che nessuno si riferiva più a Jimmy in quel modo. “O forse dovrei dire”, aggiunse quello con aria pacatamente divertita, sollevandole le mani e scoprendo lo scintillio di una fede, “Tuo marito James?”
L’ambiente entrò in stallo per un lungo momento, poi Doctor John sorrise. “Entrate, ragazzi. Vi aspettavo. Lei mi aveva detto che sareste arrivati.”
Sedettero attorno a un tavolo drappeggiato di rosso scuro in una sala interna ingombra di candele, effigi e collane multicolore appoggiate sopra gli altari dedicati ai santi, ai defunti e, ovviamente, a Marie Laveau.
“È molto felice per voi.”, disse lo stregone, sistemandosi un po’ a fatica, data l’età e la stazza, “Ci sperava tanto, non so se lo sai, Ria.”
Jimmy si guardò intorno, soppesando una curiosa sensazione di familiarità con l’ambiente. Bare, defunti e invocazioni ad un’irascibile pantheon di divinità assortite.
“Marie Laveau?”, chiese Ria, sorridendo dolcemente, con uno scetticismo privo di note di biasimo. Le piaceva Doctor John, ma era una persona molto meno metafisica di quel che gli altri credevano.
“Ma certo che no, bambina.”, disse lo stregone, prendendo una candela e disponendo sul tavolo un mazzo di carte, “Tua madre.”
Il sorriso si spense sul viso di Ria e gli occhi di Jimmy saettarono immediatamente su di lei, come veloce fu la sua mano a muoversi prima del pensiero e a stringere quella di sua moglie sotto la stoffa rossa del tavolo.
“Non sono certa di voler affrontare un colloquio di questo genere.”, gli disse, delicatamente.
“Non c’è nulla da affrontare, mia cara. Delilah sperava davvero che vi rendeste conto di quel che c’era tra voi due, e che foste felici.”
Ria indietreggiò leggermente, raggelata, serrando la presa sulla mano di Jimmy.
“Sembri sorpresa.”, continuò l’uomo, senza nascondere l’ombra di un sorriso.
“Come sai il nome di mia madre, Doctor John?”, gli chiese lei, piano. “È stata mia sorella?”
“C’eri anche tu con tua sorella, qui, l’ultima volta. Sai che non me l’ha detto lei. A quanto pare, comunque, le speranze di tua madre avevano solide fondamenta di verità. Basta guardare James qui davanti, silenzioso e in allerta, mentre decide se tutto questo a te fa bene o fa male. Ma la mia domanda è un’altra. Sei qui da giorni, come mai non sei passata prima?”
Ria non rispose. Guardava fisso le carte, combattendo contro lacrime che non intendeva versare.
“È molto felice, Ria. Anche di essere stata l’unica invitata al vostro matrimonio. Non devi preoccuparti, né rimpiangere alcunché. Lei è sempre qui. Lei è ovunque tu decida di portarla. Ed è infinitamente sollevata del fatto che trascorrerai la vita con l’unica persona con cui tu sia disposta davvero ad affrontarla, e cioè con l’uomo che ti sta di fianco.”
Nessuno meglio di Ria Montague sapeva quanto, a volte, è pericoloso sperare; quanto sia difficile mantenersi in piedi mentre tutto intorno crolla, convincendo le persone sull’orlo di un baratro che si trovano, in realtà, nel prato a fare un picnic. Respirò a fondo, sentendo l’odore delle candele confondersi a un profumo gentile, uno di quelli che sapeva per certo di non conoscere ma che aveva comunque sempre fatto parte di lei, in spazi che non era mai riuscita davvero a raggiungere. A dire il vero, Ria Montague sapeva un sacco di cose; Ria Sullivan, invece, lasciò la mano di Jimmy e si chiese quali delle cose che sapeva Ria Montague avrebbe voluto portare con sé da lì in poi, nel resto della sua vita.
“È comunemente noto che io creda ai fantasmi.”, disse quindi, recuperando il filo di un sorriso per Doctor John, che stava voltando pensieroso e tranquillo le carte sul tavolo.
“Fai bene.”, le rispose, “Perché anche loro credono in te.”
Non si era mai posta il problema di dover credere alla verità delle carte, invece, e guardò cauta Doctor John svelare presente, passato e futuro sui drappi rossi.
“La tua fede è forte, ma a volte hai bisogno di prove. Vuoi le prove?”
Ria sorrise di nuovo. “Non ti ricorda una canzone?”
“Quale canzone?”, disse Jimmy, e lo stregone alzò gli occhi su di lui, sentendolo parlare per la prima volta. Se l’era immaginata diversa, la sua voce, un po’ meno nasale; ma quel che lo colpì davvero era quanto suonasse accorta e protettiva, rivolgendosi a lei.
Your faith was strong, but you needed proof.”
Jeff Buckley aveva scritto un’ Hallelujah che somigliava più a una marcia funebre che a un’invocazione, molti anni prima. Jimmy era un tipo più pragmatico, aveva scritto Afterlife e non le aveva mai detto di averla scritta pensando a lei, al mondo che apparteneva solo a loro e in cui, all’epoca, sapeva di non potersi consentire di restare, o probabilmente l’avrebbe pagato con la vita; d’altra parte non c’era modo di sfuggire a Ria, perfino i morti le ronzavano intorno in costante e affettuoso sgomento. Afterlife era dolceamara e Ria aveva fatto i conti con abbastanza amarezza, per quanto gli concerneva.
“Allora? Vuoi sapere del futuro?”, chiese Doctor John, guardando nelle carte come si osserva il fondo di un precipizio o il cuore di uno scrigno.
“No, grazie.”
“Hai detto no?”
“Ho detto no, Doctor John.”
John e il serpente si alzarono, e così Ria e Jimmy. “Grazie per averci ricevuti.”
“Grazie per aver pensato al tuo vecchio John.”
“Avrei voluto portarti dei confetti, come ricordo del matrimonio, ma purtroppo abbiamo fatto le cose un po’ in controtendenza.”
“Almeno hai portato al cimitero il tuo bouquet nuziale. Siamo tutti molto contenti per voi, ragazzi.”
Jimmy si trattenne dal domandare come sapesse che lei aveva insistito per portare il mazzo di fiori ai morti e soprattutto tutti chi e strinse la mano allo stregone, che gli rivolse un unico, intenso sguardo. Ria si allontanò per aprire la porta e, quando lo scampanio lieve annunciò che era uscita, Doctor John trasse Jimmy verso di sé, così vicino che il serpente gli sfiorò il petto.
“Resta vivo per lei.”, gli disse, in un sibilo.
“Farò del mio meglio.”
“Potrebbe non bastare, ragazzo.”
“In questo caso, avverti i tuoi fantasmi di restare pronti ad intervenire, Doctor John.”
“Sai che non funziona così. E sai anche che, se Ria mi avesse chiesto del futuro, non le avrei mentito.”
Infine, l’uomo si voltò verso la scrivania, sollevò una piccola scatola di legno scuro e gliela porse. “Il mio regalo di nozze per voi.”, disse, con un sospiro.
“Cos’è?”
“Dalla a Ria. Lei saprà cosa farsene.”
“D’accordo. Grazie, John.”
“Resta vivo, James.”
Jimmy sorrise e, con un ultimo sguardo all’arredamento dell’ingresso ed una scatola scura tra le mani, si lasciò quel mondo alle spalle. Doctor John lo guardò andarsene.
“Lo so”, disse all’aria intorno a sé dopo che anche Jimmy fu uscito, “ma conosci tuo nipote e tua figlia. Non li si può far ragionare in nessun modo, e se credi che, conoscendo l’ombra che grava sul loro futuro, avrebbero fatto le cose diversamente, beh, ti sbagli.”

 

 

Ragazza, noi siamo bugie del tempo
appesi come foglie al vento di Mistral

 

 

 

“Ma cosa è successo, esattamente?”, chiedeva Gregory Fleur, godendosi l’inusuale tepore californiano del cortile di casa Sullivan.
Bliss giocherellava con lo smartphone. “Non lo so per certo. Però ho ricevuto una fotografia. C’è Ria che bacia Jimmy con un mazzo di rose tropicana in mano e dietro un tramonto su un fiume. Ed è vestita di bianco. Un vestito semplice, sai, quelli che mette lei, lunghi, estivi? Uno di quelli. Bianco. Bouquet. Bacio. Fiume. Tramonto.”
Una band di grilli movimentava musicalmente la serata tra le fronde degli alberi.
“Barbara che dice?”
“Ancora non parla. Non ha detto una parola da quando l’ha chiamata Jimmy.”
“E se provassimo a telefonargli noi?”
“Penso che dovremmo lasciargli del tempo per stupirci ancora e tornare, non so, con due gemelli di tre anni presi in adozione nel primo orfanotrofio della Louisiana incrociato nel tragitto tra l’albergo e l’aeroporto.”
“Sarebbero capaci.”
“Beh, senz’altro sono stati capaci di sposarsi senza di noi.”, osservò Bliss, un po’ risentita.
“Suvvia Juniper, non lo sai per certo.”
“Ma certo che lo so per certo. Lei è la mia migliore amica. Non c’è bisogno che mi dica le cose.”
“Oltretutto, sei stata l’unica fortunata beneficiaria di un documento fotografico.”
Bliss sorrise. “Sono incredibilmente belli, in quella foto. Però pensavo che l’avrebbero fatto qui, insieme a noi, come aveva detto Jimmy.”
“Tutti lo pensavamo.”
In quel momento, Barbara riemerse dal coma indotto che l’aveva colpita, con un mestolo in mano e l’espressione ancora parzialmente assente: “Dobbiamo organizzare un rinfresco.”, disse a Bliss e Fleur, atona, “Torneranno tra qualche giorno. Potete occuparvi degli inviti?”
“E come? Non conosciamo nessuno, in California”, strillò Fleur sottovoce.
“Non c’è problema, Barbara.”, sorrise invece Bliss, inusualmente democratica.
“Vi darà una mano Vivienne. Io vado, non so, ad ordinare una torta.”
Quando fu sparita oltre la porta della veranda, Bliss disse: “Povera Barbara, non ci ha mai creduto fino in fondo che sarebbe successo sul serio.”
“Beh, quando ci hanno informati che si amavano, io non sono stato poi troppo sorpreso.”, disse Joe, spuntando dal nulla in un angolo del giardino e sedendosi sul dondolo monoposto davanti agli occhi attoniti degli altri due occupanti del cortile. Brian lo seguiva a stretto raggio, con due birre in mano: ne porse una a Bliss.
Stettero per un po’ a contemplare in silenzio il concerto dei grilli.
“Voi due lo sapevate?”, disse Joe all’improvviso, facendo scorrere il dito tra Bliss e Brian, “Sapevate che si amavano?”
Bliss si concentrò per un secondo sul fatto che Joe non diceva stavano insieme, ma si amavano. Per un attimo, le sembrò che lui trovasse del tutto irrilevante il titolo che suo figlio e sua nipote avessero deciso di dare al rapporto che li univa, in favore di un’attenzione univoca alla radice di tutto ciò, e le sembrò una cosa bella come quella foto.
“Io lo sapevo. L’ho sempre saputo. È così da quando riesco a ricordare, poi è semplicemente cresciuto. Cambiato. L’amore vero fa così, credo.”, disse Brian, dando un sorso alla birra.
Bliss sbuffò leggermente. “Ria si è ben guardata dal raccontarmi di Jimmy per tutta la vita, eppure l’abbiamo passata insieme. Certo, sia io che lei siamo fatte in un modo molto particolare che prevede spazi stagni in cui né la tua migliore amica né chiunque altro è ammesso, ma non pensavo che una cosa del genere potesse rientrare in questi spazi. Prima di conoscerlo, per me Ria aveva un cugino in California a cui era molto legata. Ma non appena me lo ha presentato, nello stesso istante in cui lo ha guardato ed io l’ho vista alzare gli occhi su di lui, l’ho capito. Era innegabile. Inequivocabile. E troppo grande perché loro due se ne accorgessero davvero, almeno all’epoca dei fatti.”
“Io lo sapevo, se ti interessa, zio Joe.”, disse Splinter, crollando a sedere accanto a Fleur con il consueto plico di misteriosi fogli tra le mani. “Ma non le ho mai chiesto niente. Né detto niente. Quando si è innamorata di Bellamy, ho perfino creduto per un attimo di essermi sbagliata, ma quando infine mi ha detto di Jimmy, non ero affatto sorpresa. Esattamente come te. E come nonna Willow.”
Joe scosse la testa sorridendo, perso nei ricordi. “Era così evidente, così chiaro… A volte, nel cuore della notte, lo sentivo alzarsi e andare sul balcone a risponderle al telefono. Sentivo ridere mio figlio sommessamente, in lontananza, e mi chiedevo come mai la vita dovesse essere sempre così dolorosamente complicata per certe persone. Sapevo, vedevo che anche Ria teneva molto a lui, ma non mi sono reso conto di quanto tenesse davvero a lui fin quando Jimmy non ha avuto quel… quel problema.”
Tutti lo guardarono in silenzio, sospesi dentro una bolla che durava da un millennio o forse appena da un momento, chi lo sa. Tutti i problemi di Jimmy erano di dominio pubblico, tranne quello; su quello, solitamente, vigeva una ferrea politica di don’t ask, don’t tell.
“La vidi e mi si spezzò il cuore. Per me era ancora una bambina che collezionava tragedie come altri collezionano i francobolli, ma quel giorno terribile lei era una donna, furibonda e fradicia di rimpianti, che si rifiutava categoricamente di perdere lui. Era spezzata da un dolore così sordo che faceva quasi rumore, perfino mia moglie le girava cautamente intorno per timore di incrinarla oltre il punto di rottura. Era così elettrica, così inavvicinabile, mentre non sapevamo se ce lo avrebbero restituito intero, e vivo. Non ha dormito, non si è allontanata un secondo dal suo letto. Ogni tanto Brian la trascinava fuori a prendere un po’ d’aria, e lei piangeva a dirotto. Soltanto con lui. Noi la sentivamo da lontano. Era un suono così disperato, insopportabile. Allora, mi resi conto che lo amava. Che lo amava da sempre, che lo avrebbe sempre amato e che non c’era niente che noi potessimo dire o fare per cambiare questa cosa. Sì, è vero, non c’è sangue in comune tra noi, ma è come se ci fosse. Per mia moglie è inconcepibile, ma non per me. Io so che siamo stati messi davanti a un fatto compiuto. Che loro sono sempre stati un destino, quasi mai una scelta. Qualche tempo dopo, quando Jimmy stava di nuovo bene, lei era venuta qui a trovarci e c’era un barbecue a casa degli Haner. Jimmy ha sempre odiato ballare; quella volta però ballava, con lei. Nel sopore della sera illuminata dalle lanterne, danzavano lentamente, e lei era tra le sue braccia ed aveva la testa appoggiata alla sua spalla. C’era anche la sua fidanzata, da quelle parti, ma lui teneva stretta Ria, e in sottofondo suonava The first time ever I saw your face. La ricordo ancora tutta a memoria, perché Jimmy la cantava senza voce, tra i capelli di Ria, con un’espressione di così profondo rapimento che… The first time ever I saw your face I thought the sun rose in your eyes, and the moon and the stars were the gifts you gave to the dark and the endless sky, my love. And the first time ever I kissed your mouth I felt the earth move through my hands, like the trembling heart of a captive bird that was there at my command. And the first time ever I lay with you I felt your heart so close to mine and I know our joy would fill the earth and last till the end of time, my love. The first time ever I saw your face.”, intonò sul finale. “Si tenevano stretti come se fossero scampati alla morte, tutti e due, perché in effetti così era. Ma mio figlio, come ho detto, aveva una fidanzata, loro erano ancora tecnicamente parenti e anche Ria aveva una vita altrove. Che cretini. Per quanto tempo hanno rimandato…”
Tutti sorrisero, cercando con gli occhi segreti nel prato.
“Mia suocera fece un giro di telefonate minatorie quando seppe delle reazioni che i nostri parenti avevano avuto all’annuncio di matrimonio. Chiamò soprattutto mia moglie, sua figlia, più di una volta, per ripeterle sempre la stessa cosa.”
“Che cosa?”, chiese Splinter.
Non ti permettere proprio di metterti in mezzo.”
Risero piano.
“Beh, non l’ha fatto.”, osservò Bliss.
“Ma neanche li ha aiutati a viverla tranquillamente. Se intende continuare a farsi venire un colpo ad ogni evoluzione del rapporto…”
Tacquero.
“Si sono sposati, vero?”, chiese infine piano Fleur.
“Sì. Ma non prendetevela se l’hanno fatto senza di noi, in fin dei conti è sempre stata una cosa tra loro due.”
“L’amore?”
“L’amore. La vita. Il corso degli eventi. Lo stesso significato dell’universo, e probabilmente anche la piega che deve prendere la realtà. Tutto questo è un affare privato tra di loro e, anche se dovrei prendermela per non essere stato presente, non posso fare a meno di sorridere.”, rispose Joe, e sapeva di non essere l’unico.

 

“La vita può essere capita solo all'indietro,
ma va vissuta in avanti.”
- Søren Kierkegaard       


 

Allora.
Diceva Alan Kay che il modo migliore per prevedere il futuro è inventarlo.
Io sono back to black. Viva gli sposi.





 

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Capitolo 7
*** Vi auguro la tempesta ***


Cronache da un altro mondo.

Ho pensato e ripensato al capitolo 6 delle Memorie delle Caravelle Portoghesi — di qualcun altro. Avrei voluto offrirvi il secondo matrimonio di Jimmy e Ria in pompa magna, ad Huntington Beach, con tutti i fiori che vi aspettavate; lasciarli in pace con la loro decisione di convolare a chiacchieratissime nozze in una chiesetta di New Orleans con la sola testimonianza dei santi scolpiti nel marmo e forse di Dr. John, l’ineffabile stregone voodoo con il serpente a tracolla. Ma poi ho pensato che avrebbe avuto più senso ridarvi, per l’ultima volta, tutto il complesso ed infaticabile ingranaggio che fu Niente virgolette nella speranza che, quando leggerete, l’atmosfera di quei giorni obliqui, in cui tutti sembravano invincibili e nessuno lo era, torni ad avvolgervi come la coperta calda che spero sia stata dieci anni fa. Volevo che il pensiero tornasse a quel caos fecondo e che alcuni veli venissero sollevati; la loro prima volta, per dirne una.

Perciò, considerate questo come un capitolo alternativo al numero 6 — nonché la fine della storia.
Con amore eterno,
Q.

 

Vi auguro la tempesta

 

“Siete dei cretini, degli irresponsabili e degli incapaci.”
Ann si prese la testa tra le mani. Non sapeva quante volte aveva fatto quel medesimo gesto da quando Jimmy era entrato in casa sua, quel giorno — Jimmy, il quale ora stava in piedi di fronte a Bliss e la sovrastava di almeno trenta centimetri, ma aveva lo stesso un’espressione tra l’intimidito e il confuso. Bliss invece urlava. Molto. I capelli le frustavano il viso mentre si voltava di scatto verso chi di volta in volta era l’oggetto dell’invettiva, con il dito puntato a sottolineare la gravità dell’accaduto.
“Dovevate chiamare me! Subito! Non appena saputo qualcosa di nuovo su Ria, dovevate chiamarmi!”
C’era anche il telefono di casa di Ann fuori posto, e una luce rossa in rappresentanza di Nonna Willow, in vivavoce.
Nessuno fiatava. Bliss si scostò una ciocca di capelli dalla fronte, esausta.
“Perché?”
Una voce dal nulla. No, non dal nulla; dalla poltrona. Ann si voltò d’istinto verso Splinter, conoscendo la frattura tra i caratteri delle due, e solo dopo un secondo si rese conto che la voce era maschile. Allora, incredula, si voltò verso Fleur.
“Perché cosa?”, urlò Bliss, senza accennare a volersi calmare.
“Perché bisognava avvisarti per forza, Juniper. Questo, chiedevo.”, rispose Fleur, perfettamente misurato.
Bliss gli rivolse uno sguardo agghiacciante.
“Se avesse voluto, avrebbe potuto chiamarti direttamente lei.”, intervenne a mediare Bellamy, facendo un grave errore. “Credo.”, aggiunse poi, dopo aver ricevuto lo stesso sguardo che un secondo prima era destinato a Fleur. Bliss nemmeno lo degnò di una risposta; si passò una mano sul viso, sentendo le palpebre caderle per il peso specifico di quella discussione.
“Vuoi sapere perché, Gregory?”, disse, cadendo a sedere sul divano. “Perché io sono quella che era con lei quando non c’era nessuno di voi. Quando uno lavorava, un altro suonava e il terzo faceva il filosofo. Ecco perché.”
Ann alzò gli occhi di nuovo su Splinter, per captare reazioni, ma non ve ne fu alcuna.
Jimmy sedette accanto a Bliss, che scostò di malagrazia le gambe per evitare qualsivoglia contatto fisico.
“Splinter”, disse, con voce stanca, “Ria ha detto che tu sai dove si trova.”
“Ah, sì? Io non credo.”
“Ha detto di dirti: serpente.”
Splinter sorrise d’istinto, e il suo sguardo incrociò quello di Ann: “New Orleans”, dissero, in coro.

 

Nineteen, your eyes are glowing to my beating heart
Oh, it seems like it’s fine as my hand is moving up your arm
And you never really know where it goes up until it starts
I got my eye on you
whatcha gonna do?

 

Ria camminava senza scopo né destinazione per Frenchmen Street. Dalle porte aperte dei bar sciamava in strada una varietà infinita di declinazioni del jazz. 
Si chiedeva, Ria, non senza una certa preoccupazione, cosa farsene della consapevolezza che, tra tutte le persone che amava, lei era quella che era messa peggio e messa meglio insieme. Sono abituati così, si disse, facendo frusciare l’orlo del vestito a filo del marciapiede, non si può essere una persona per tutta la vita e poi improvvisamente decidere di diventare qualcun altro senza aspettarsi almeno il minimo sindacale di sgomento. Poi si chiese se lo amava davvero. No, non Matt. Jimmy, stavolta. Quello che era stato il suo porto sicuro, la sua ancora di salvataggio, la parte sana della mela marcia che erano i suoi incubi e le sue paure. Le sue diecimila insicurezze e i suoi irrisolvibili dubbi, che conosceva soltanto lui. Il brivido del sapore della pelle della sua schiena sotto la lingua, scottata dal sole e dal sale dopo una giornata in spiaggia, nel letto di Huntington Beach dove, tutti sapevano, non dormivano più uno addosso all’altra nell’abbraccio di due cuccioli; e, forse, l’avevano sempre saputo.
 

“Ti ricordi quando le desti una gomitata in faccia? Ti era arrivata alle spalle mentre suonavi…”
“Per Dio, stai zitto, Brian.”
Quel volo non finiva mai. Jimmy non sapeva neanche bene quando era iniziato; erano sull’Atlantico da ore, forse da giorni, e lui detestava volare. L’odio per gli aerei non poteva battere l’amore per Ria. No. L’amore e la lealtà vincono sempre a tavolino.

 

Ria alzò lo sguardo. Voodoo shop. Sorrise all’insegna e si avventurò all’interno. Un uomo corpulento con due sorprendenti occhi azzurri sedeva dietro una scrivania di legno; teneva tra le braccia un serpente. Ria indugiò sull’uscio, lo sguardo catturato da due file di statuine di paglia e legno: Juju, pensò, spiriti protettori.
“Io sono Doctor John.”, disse l’uomo, studiandola tranquillo, “E lui è Richelieu.”
Ria spese giusto un attimo a chiedersi come mai Doctor John aveva sentito il bisogno di chiamare il serpente come un cardinale francese, poi incrociò i suoi occhi e gli sorrise: “Io sono Eldariael. Ria, per gli amici. Beh, in realtà per tutti quanti.”
Doctor John annuì, sorridendole enigmatico; poi, qualcosa nell’aria intorno a lei sembrò catturare la sua attenzione. Gli occhi di Ria fecero una parabola del soffitto, per capire cosa stesse guardando l’uomo.
“C’è un fantasma.”, disse infine.
Ria sorrise di nuovo. “C’è sempre un fantasma.”
Doctor John la osservò, serio, per un lungo attimo. Poi sorrise anche lui.
“Your soulmate is crossing the ocean.”, disse, con gli occhi fissi in quelli di lei.
“Mi piace pensare che sia così.”, rispose. 

 

“Scusa, bello.”
“No, non credo.”
Matt Bellamy roteò gli occhi, esasperato, sporgendosi dal sedile accanto al quale sua moglie sonnecchiava con la testa sul finestrino. Jimmy si girò con una furia che raramente aveva riservato a un posto a sedere. Matt resse il suo sguardo, impassibile: “Lo so che il tuo sport preferito è incolparmi di tutti i problemi di Ria scaricando le tue evidenti responsabilità, ma ho proprio bisogno di chiederti una cosa.”
Jimmy serrò la mascella. “Spara.”, disse, poco convinto.
“Che hai intenzione di fare? Cioè, siamo partiti per…? Andarla a riprendere?”
Il Reverendo scosse la testa. “Siamo partiti per chiudere questa situazione una volta per tutte.”

 

Ria era seduta davanti al Doctor John; il confine tra loro, un mazzo di carte dei tarocchi i cui arcani maggiori erano in bella vista sul tavolo. In braccio a Ria c’era Richelieu, mollemente acciambellato.
“Gli piaci.”, sorrise Doctor John.
“Ho un certo feeling coi serpenti. Solo che, di solito, sono antropomorfi.”
L’uomo studiò le carte a lungo. “Ah, tutto chiaro.”, disse infine. “Da dove vuoi cominciare? Dal passato?”
Ria scosse la testa, cortese. “Non voglio sapere nulla, ma grazie.”
Doctor John sorrise di più. “Hai un’anima molto antica. E un dono.”
Ria accarezzò Richelieu con sguardo pungente, perduto in una collina di collanine in plastica su un altare.
“Lui è il mio dono.”
Sentì un calore inaspettato sul dorso della mano, e si stupì di trovarvi quella di Doctor John che la accarezzava; alzò lo sguardo su di lui, in attesa.
“Sapevi di amarlo molto prima di sapere la verità.”
“Sì, questo è vero.”
“Ma a lui non l’hai detto.”
“No, non del tutto. Dovrei?”
Doctor John aprì le braccia in segno di dubbio, cordiale. “Tu pensi di doverlo fare?”
“Dirgli che sono stata disonesta anche io?”
“La lealtà prima di tutto.”
“E come si fa a dire ad una persona che hai cercato di scordarla in altre braccia, e che ci sei anche riuscita, per un periodo, finché come al solito non ti è crollato tutto in testa?”
“Sei troppo dura con il destino, bambina. Alla fine, è accaduto tutto quello che era necessario accadesse perché tu potessi avere il meglio che la vita potesse offrirti; sei stata messa in condizione di riconoscerlo quando ti capita, e di creartelo quando non lo vedi.”
“Cosa?”
“Il meglio.”
Ria spese un momento in riflessione.
“Non credo di essere così brava.”, disse infine.
Il sorriso di Doctor John ormai gli riempiva il viso, rivelando un diastema che somigliava a quello di Bliss. “Nessuno che sia veramente bravo crede di essere veramente bravo, bambina.”, rispose, mischiando di nuovo le carte. 

 

Daydream near a stream with the winter bites
oh, I listen to the song on repeat from the other night
and I can’t picture you but I’m sure I got the feeling right
what a crazy world,
pretty little girl

 

Jimmy non riusciva a stare fermo. Brian aveva rinunciato a convincerlo a dormire un po’. Si alzò e percorse tutto il corridoio tra i sedili, fino alla cabina del capitano. Una signora anziana seduta in uno dei posti con lo spazio per le gambe lo guardò strano. Si studiarono in silenzio per lunghi secondi, finché lui disse, senza sapere perché: “Sto andando a riprendermi l’amore della mia vita.”
Lo sguardo dell’anziana si addolcì infinitamente. “Come si chiama?”, gli chiese, con una voce soffice come il velluto e arrochita probabilmente da anni di ninnananne accanto ai letti dei nipoti.
“Ria.”, rispose.
“Hai una foto?”
Jimmy tentennò un secondo, poi estrasse il cellulare e le mostrò lo sfondo; Ria sorrideva, di profilo, con le braccia intorno al suo collo. Sorrideva anche lui, con gli occhi sul suo viso e la fronte contro la sua. Ria sembrava timida, guardava in basso. Era felice.
La signora sorrise e mise una mano sulla sua, che reggeva il telefono.
“È cosa buona”, disse, “lei è cosa buona.”
Il sorriso di Jimmy si aprì insieme al crollo della stanchezza.
“Sì, lo è.”, le rispose.
“Chiedile perché.”
Lui guardò la donna senza capire. Il volto tranquillo, saggio, di una madre, di una nonna.
“Chiedile perché è andata via, e non giudicarla. Ascoltala. Ma ricordati di chiederle sempre perché. Sempre. Perché si è messa quel vestito, perché ha cucinato quella pietanza tanto elaborata, perché ha cambiato le lenzuola, perché si è tagliata i capelli, perché è rimasta a casa, perché è uscita a passeggiare, perché ha rinunciato a qualcosa, perché è felice. E ricordati che, qualunque sia la sua risposta, quella che probabilmente non ti darà mai sarà sempre vera. E sarà sempre uguale.”
“Quale?”, chiese Jimmy, confuso.
Il sorriso della donna si aprì di più. “Per te.”, rispose.
Si scambiarono uno sguardo carico di pensieri, quindi lui la osservò estrarre dalla borsa marrone un foglietto e scriverci sopra qualcosa. “Questo è il mio numero. Fammi sapere com’è andata, quando la trovi.”
Jimmy prese il pezzo di carta tra le mani, frastornato. Non sapeva cosa fare. Lo fissò incredulo, senza neanche riconoscere il prefisso.
“Grazie.”, disse. Fece per andarsene, rivolgendole un cenno di saluto, poi ci ripensò.
“Io sono James. Jimmy.”, disse, come se se ne fosse ricordato improvvisamente.
“Teresa.”, rispose l’anziana.
Che strani incontri si fanno in cielo. 

 

Ria raddrizzò la schiena e accettò il Juju, la candela e le dieci collane di plastica che Doctor John le porgeva. “Grazie, Doctor John.”
“Per averti detto cose che già sapevi?”, la pungolò lui, dando una carezza distratta al serpente.
“Per avermi tenuta qui. Ero un po’ persa là fuori.”
Doctor John le rivolse uno sguardo saggio e divertito. “Chi non lo è.”
Ria sorrise, alzò la mano e si diresse verso la porta. “Aspetta.”, la fermò la voce. Quando si voltò di nuovo verso l’uomo, lui era di spalle e trafficava con un cassetto.
Doctor John aveva in mano un anello di corallo. Lo guardò con un sospiro, come se fosse difficile lasciarlo andare, poi le prese la mano destra e le fece scorrere l’anello lungo il dito.
“Vuole che tu lo abbia.”
“Chi?”
“Il tuo fantasma. Dice che non si va mai a mani vuote a un matrimonio, e, visto che non potrà dartelo di persona, vuole che te lo dia io. Un regalo in anticipo.”
Il respiro di Ria si fermò per un secondo, guardando quell’anello, il suo tramite e il suo mandante. Doctor John sorrideva. Lei afferrò uno dei biglietti da visita esposti e gli disse “Ti chiamo.”, avviandosi di nuovo verso l’uscita.
“Dicono tutte così.”
Ria rise. Aprì la porta e mise fuori una ballerina, nella brezza fresca.
“Ria!”
Si voltò. “Sì?”
“Ti raccomandiamo, non perdere quell’anello.”
Sorrise. “Non lo farò.”
Guardò Doctor John; pareva in ascolto di qualcosa nell’aria.
“E chiama tuo padre.”, aggiunse l’uomo.
Lei sbuffò una risata, si voltò, sollevò un braccio dirigendo un saluto alle sue spalle e uscì nel mondo.

 

And we wake from the night in a bed with a bruise
and we’re laughing out loud over the craziest news

and you reached for my hand, I was scared in your room
we fell on the floor and we started to move
and your hands were like birds as they flew from the coop
up my back they would climb just as I came unglued

 

Dopo la laurea di Ria, non c’era stato tempo di fare né capire nulla.
Erano tornati a casa, sbandando. John chissà dove, Bliss chissà dove, il letto di Ria coperto da un corredo rosso, come ogni laurea vuole. Era notte fonda.
“Ti ricordo che c’è un buco che ci collega al piano di sotto, dove alloggia quel demonio della tua migliore amica.”, disse Jimmy, appoggiando la giacca su una sedia. Ria calciò via le scarpe in un angolo girandosi a sorridergli, e si affacciò nel foro tra le stanze da letto; la luce giù era spenta.
“Non c’è nessuno.”, disse, ma poi si accorse di star parlando con il vuoto. Jimmy era assorto a guardare le foto di Bellamy alle pareti, quelle che lei stessa aveva scattato, con gli occhi pieni di qualcosa che lui non riusciva a sopportare, sotto un palco. Ria abbassò le luci e gli si avvicinò alle spalle, circondandolo con le braccia: un brivido di anticipazione le corse lungo la schiena. L’aria intorno a loro si fece soffusa, carica di sottintesi, come se soffrisse l’effetto di una chimica ineffabile e antica. Lasciò correre le mani lungo le braccia di lui, accanto ai fianchi, e poi su, su di nuovo, nel senso contrario, poggiandogli un bacio in mezzo alla schiena, attraverso la maglia.
I loro respiri erano l’unico rumore nella stanza. Jimmy spalancò gli occhi al muro sentendo una cerniera in movimento. Il vestito Westwood finì a terra in una nuvola bianca, ai piedi di Ria. Lui era spaventato. Non sapeva se era pronto. Ma lei, come al solito, stava affrontando il problema da sola, senza chiedere nulla a nessuno. Sentì il suo seno premergli contro la schiena, il suo corpo che aderiva a lui, mentre lei si alzava sulle punte e gli poggiava un bacio sulla nuca, intenso, lungo. La sua testa si fletté involontariamente all’indietro, per andarle incontro, e la sentì sorridere sulla sua pelle. Le mani di Ria percorsero di nuovo la linea morbida delle sue braccia e si fermarono all’orlo della maglia; le sue dita morbide, tiepide, gliela tirarono su per il torace, e lui se la lasciò sfilare come un bambino. La pelle di Jimmy era calda, e Ria respirò intensamente contro
Sullivan0, il tatuaggio tra le scapole. Quante volte aveva dormito lì sopra, in notti oblique e difficili. Sapeva che, se avesse perso il momento, quella cosa non l’avrebbero più fatta. Mai più, forse. Un altro bacio, più lungo del primo, sulla spalla. Jimmy strinse i denti, senza riuscire a chiudere gli occhi, sentendo le mani di Ria scendergli lungo il torace, l’ombelico, fino a fermarsi sulla chiusura dei suoi pantaloni. Il cuore gli martellava in petto come mai prima. Cercò un coraggio che non aveva e che gli si rovesciò tutto addosso, improvvisamente, appena sentì il bottone dei suoi pantaloni uscire dall’asola, e quelle mani abbassargli la cerniera. Si voltò in fretta, spaventandola un poco, e improvvisamente se la trovò davanti. Non era la prima volta che la vedeva in biancheria, ma nell’aria c’era qualcosa di diverso; tra loro c’era qualcosa di diverso, una cosa innegabile. La guardò rapito per lunghi secondi, indugiando sulla curva del suo seno, su quella del suo fianco, dove iniziava la pelle e finiva la stoffa candida degli slip. Dietro di lei, lo specchio rifletteva una forma che lo imbarazzò al punto di fargli distogliere lo sguardo. Abbassò gli occhi sul ventre di Ria, cercando il coraggio di fare qualcosa. Qualunque cosa. Ria, ancora una volta, fece prima; gli sollevò il mento con un dito, portandogli gli occhi nei suoi, e mise le mani dietro la schiena, sbottonando. Con un’impercettibile movimento delle spalle, il reggiseno le cadde ai piedi, sul vestito. Jimmy sollevò una mano, accarezzandole la linea morbida del fianco, risalendo per l’ombelico. Lei chiuse gli occhi e sospirò. L’aria era carica. Ria avanzò di un passo, perché non voleva costringerlo ad esporsi toccandola in un modo che ancora gli risultava troppo nuovo per essere metabolizzato: si sa, i maschi sono più lenti. Sorrise al pensiero e gli si avvicinò, premendo il seno sul suo petto e allacciandogli le braccia intorno al collo. Respiravano vicini, lui agitato e carico di un imbarazzo che non sapeva neanche di poter provare, lei apparentemente tranquilla, serena, ma oppressa dai duemila pensieri che le vorticavano in testa. C’è solo un bacio del vero amore, solo una persona il cui corpo sembra disegnato per appoggiarci il tuo. Ria cercò le sue labbra e le chiuse in un bacio umido, privato, pieno di attese. Finalmente, le mani di Jimmy si chiusero intorno a lei, sulla sua schiena; cercò con le dita le fossette dolci alla base, la strinse di più, si avventurò più in basso. Scoppiarono a ridere entrambi, l’uno nella bocca dell’altro, e si staccarono per un secondo. Cercarono di riprendere il controllo, ma non c’era niente da fare, ridevano senza posa, fronte contro fronte, dolcemente, sinceramente divertiti. Agitati. Irrequieti. “Scusa”, disse Jimmy quando si furono un po’ calmati, la mano ancora sul culo di Ria, “Ti ho rovinato il sipario da femme fatale.” Ria scattò all’indietro, fintamente offesa, e gli mollò un cazzotto sul petto: “Stronzo.” Jimmy barcollò all’indietro. “Calma, Point Break.” Ma Ria gli diede un altro cazzotto, stavolta sorridendo. “Sei proprio uno stronzo.”, gli disse, avvicinandosi. Jimmy indietreggiò ancora, divertito, e la lasciò fare. Ria lo spinse di nuovo, a palme aperte sul petto. “Stronzo.”, disse, a un centimetro dalla sua bocca. Si sporse a mordergli le labbra e lui convertì il morso in un bacio che sembrava una battaglia per il controllo. Un sottotesto invase l’aria, trasformandola di nuovo. “Che stronzo.”, continuò a spingerlo Ria, sussurrandoglielo sottovoce sulle labbra, finché il retro delle ginocchia di Jimmy non incontrò il letto e lui cadde di schiena, solo vagamente sorpreso. Ria gli salì addosso a cavalcioni e si piegò su di lui. Si fissarono per un lungo secondo, prima di riprendere la battaglia. Lei fece per colpirlo ancora ma lui le bloccò i polsi, lasciandola combattere per divincolarsi. Si sporse e la baciò di nuovo, lottando, fino a rigirarla sotto di lui. Giocando, le morse le labbra, strappandole un sospiro a metà tra la protesta e qualcos’altro, poi la sua bocca scese sulla curva della mascella e sul collo, mordendo e succhiando. Ria gli afferrò i capelli e si contorse sotto di lui, mandandogli il sangue in ebollizione. Scese ancora, fino al suo seno, mordendo ogni centimetro di pelle che trovava, poi risalì facendo il percorso inverso e la guardò intensamente. Ria spinse le mani sui suoi fianchi, abbassandogli i pantaloni. Si baciarono di nuovo, giocando, sorridendo, mordendo. La mano di Jimmy le tirò giù gli slip in un movimento fluido, da professionista, e le gambe di Ria gli cinsero i fianchi. Quello era il punto di non ritorno; si guardarono e lo seppero tutti e due, nello stesso, infinito istante. Ria abbassò gli occhi, forse per pudore, e infilò la testa nel suo collo: Jimmy sentì il dolore del morso con un secondo di ritardo e reagì d’istinto, prima di potersene rendere conto. Il sospiro spezzato che uscì dalle labbra di Ria si scontrò con il suo, incredulo e profondo. Ria sollevò la testa, puntando gli occhi dentro i suoi. Si mosse piano, catturandogli le labbra dentro un bacio, incitandolo, passandogli le dita tra i capelli. Dopo averla guardata come se la vedesse davvero per la prima volta in vita sua, con gli occhi annebbiati dall’aria carica e il respiro e il cuore che non ne volevano proprio sapere di andare ad un ritmo uguale, lui si mosse, pianissimo, più dolcemente che poteva. Ria sospirò contro la sua bocca, e il ritmo cambiò. La sentiva inarcarsi e premere contro di lui, pelle su pelle; cercò le sue mani e le strinse. Ria tremava e pensava ad una canzone. So I put my arms around you, around you, and I hope that I will do no wrong. “Io ti amo.”, gli disse, soffiandolo sulle sue labbra. Jimmy chiuse gli occhi, in pace. “Io ti amo.”, le rispose, prima di perdersi di nuovo nella sua bocca. 

 

In the rain with the drink from the back of the bar
I would raise up my voice, you would raise it up more
we’d forget that our lives being apart it is hard
we’d thought we were close but it still feels far
Can we learn to get by if we learn to have scars?
If we learn to forgive, and accept who we are

 

Ria si girò a Bourbon Street sentendosi osservata, e lui era lì. Gli rivolse uno sguardo sconvolto. Era davvero colpita.
“Come sapevi che…”
Jimmy si strinse nelle spalle.
“Il tuo iPhone ha la localizzazione.”
Lo sguardo di Ria passò da colpito a scherzosamente risentito, e incrociò le braccia. Jimmy sorrise: “Se permetti, dopo che sei sparita tre giorni in Nuova Zelanda, ho ritenuto di dover prendere qualche precauzione.”
Ria scoppiò a ridere. “Hai fatto bene, sai. Quando sei atterrato?”
“Due ore fa.”
Fu lei a coprire la distanza tra di loro, perché così doveva andare. Si avvicinò a lui con calma, un po’ in imbarazzo per la situazione in cui lo aveva messo, anche se si era ripetuta più di una volta che le cose erano andate esattamente come dovevano e lei non aveva di che sentirsi in colpa, perché aveva fatto ciò che aveva bisogno di fare. Aveva anche rischiato. E lui, come sempre, non l’aveva delusa.
Gli prese le mani, piegando la testa di lato e guardandolo in un modo che gli scioglieva sempre tutti i nodi nel petto e gli cancellava ogni dubbio e preoccupazione. Dolce. Solo per lui.
“Ti ho riportato l’anello.”, disse lui, guardandola senza ombra di risentimento, “Anche se, mi sembra di capire, lo hai già sostituito.”
Ria seguì il suo sguardo fino all’anello di corallo. “Ma no, che dici, questo è alla destra.”, disse, liberando la mano dalla sua presa, “E poi è al medio. Guarda.” Gli alzò il dito davanti al viso, entusiasta come una bambina che si comporta male.
Jimmy sorrise. “Molto divertente. Dove mi stai mandando di preciso?”
Ria nascose le mani dietro la schiena di corsa, finta colpevole, piegando di nuovo la testa e osservandolo tra le ciglia. “Da nessuna parte. Qui.”
Lo cinse con le braccia e lo tenne stretto, affondando il viso nell’incavo del suo collo e poi risalendo fino alle labbra per baciarlo. Jimmy ricordò improvvisamente il bacio in camera da letto di tanto tempo prima, quando le cose stavano per cambiare per sempre; lo ricordò dentro le sue labbra e le rispose con impeto, con tutto l’amore che riusciva a metterci. Qualcuno fischiò. Poi, si ricordò un’altra cosa.
“Perché?”, le chiese, memore delle parole di Teresa sull’aereo.
Ria sospirò e si fece piccola tra le sue braccia, così piccola che lui non poté fare altro che stringerla e sentire un vago flusso di impotenza bloccargli di traverso la gola.
“Risolveremo tutto, vedrai. Però devi parlare con me.”, la incoraggiò.
“Non c’è nulla da risolvere, JJ.”
Lei lo chiamò JJ e lui sorrise, come sempre. Il flusso si sciolse un poco.
“Sono solo io. Avevo bisogno di tempo per rendermi conto di alcune cose. Ad esempio, qual è stato il punto in cui mi sono persa, e ho cominciato ad essere portata dalla corrente. Cos’è che non va, che non riesco a far quadrare in nessun modo.”
“E lo hai capito?”
“No.”
“Allora c’è solo una cosa da fare, quando le cose non quadrano in nessun modo.”
Ria alzò la testa come un uccellino.
“Cosa?”, gli chiese.
“Un passo avanti.”

 

Angelica Apatow aveva passato il pomeriggio al telefono. Si lasciò andare, esausta, all’indietro sulla sedia della scrivania in faggio e saltò per aria quando l’infernale ammennicolo squillò di nuovo. Rispose alla decima telefonata di Splinter.
Halò?”
“Nishe, hai sentito-”
“Ho sentito tutti.”
“Bene, hai chiamato anche-“
“Ho chiamato anche lei, sì.”
“Ti ha detto se può spedire-“
“No, non lo spedisce, lo porta di persona. Parte domani. Tutti partiamo domani.”
“Tutti chi? Hai sentito anche-”
“Tutti. Ho sentito tutti. Tutti quelli sulla lista e anche un paio di nomi che avevamo non so come dimenticato.”
“Bene, quando-”
“Domani mattina alle 10:30.”
“Gli altri invece quando-”
“Abbiamo concordato tutti più o meno lo stesso orario per agevolarci.”
Splinter fece una lunga pausa, lanciando un’occhiataccia al consierge dell’albergo perché doveva in qualche modo scaricare la tensione. Quello saltò, sorpreso.
“D’accordo. Ci aggiorniamo per eventuali sviluppi. In caso contrario, hai già tutti i dettagli. Ti prego di diffonder-”
“Li ho già diffusi. A domani, Vivienne.”
Splinter sospirò. “A domani.”, disse, e attaccò.
Il consierge indietreggiò istintivamente di un passo, vedendo la giovane donna che lo puntava come una tigre in una battuta di caccia.
“Ripassiamo ancora una volta tutto il programma.”, gli disse, agitandolo al punto che quello fece cadere un voluminoso registro a terra. Splinter alzò gli occhi al cielo. L’incompetenza che circolava, non se ne aveva un’idea.

 

Wait a minute, hold up a second, don’t leave me here with this feeling
like I’m the one full of regret, like I never did good for us both
like you never did pull out that weapon and stick that knife in my back
was I supposed to accept it, when your words are more than just sticks and stones,
kinda like a bullet, a hollow tip that lodged in my bones and I can’t just swallow it
my pride is more than all that I own, so I gotta give it away
and some of the times I’m all the way wrong
but can’t you see past me, and see my fucked up home, that made me the meanest
the devil is just singing along to the song I write till I’m alone at night
and I hang up the phone and bite my tongue
‘cause I know that me and you is just, only, right.

 

Ria sorrise, sentendo il corpo di Jimmy premerle contro la schiena. Il suo braccio crollò intorno a lei, schiacciandole il fianco contro il materasso, fino a far diventare il lattice più duro del metallo.
“Che stai leggendo?”, le chiese lui, che si era appena svegliato.
Ria si morse un dito, strusciandosi un po’ addosso a lui per far sì che prendessero entrambi la stessa forma.
Grandi Speranze.”, rispose, girando una pagina.
I have been bent and broken but - I hope - in a better shape. Credo che nessuno davvero capisse le sofferenze di Ria, ma c’era anche da dire che lei non sembrava molto propensa a spiegarle. E forse andava bene così.
“Tu odi quel libro.”, disse Jimmy, stringendola a sé senza accennare a voler aprire gli occhi.
Ria sorrise di nuovo. “È vero. Ma voglio dargli un’altra chance.”
Jimmy ripensò alla signora sull’aereo. “Perché?”, chiese.
“Niente. Le mie solite paranoie.”
Per te, forse, era la risposta.
“Oh, conosco bene le tue paranoie. Alcune ho contribuito personalmente a costruirle.”
Ria rise, ed era quello il suono che lui voleva sentire. Si voltò verso di lui.
“Jimmy”, disse, “Se una come me riesce a mettere a posto la sua vita… ad essere felice, persino…”
La frase rimase lì, sospesa. Jimmy la incoraggiò con lo sguardo a continuare, ma gli occhi di Ria si erano persi nel soffitto.
“Pronto?”, disse, riportandola alla Terra. Ria lo guardò confusa.
“Non lasciare le frasi a metà, Ria, va bene tutto ma è un po’ presto per l’Alzheimer.”
Ria rise di nuovo, chiudendo gli occhi e gettando la testa all’indietro. “D’accordo, scusa, hai ragione. Dicevo, se riesco a dipanare la matassa o quantomeno a convivere con i miei garbugli, imparando a decidere a cosa dare importanza e a cosa no, allora Dickens aveva ragione.”
“Su cosa?”
“Che le persone possono spezzarsi e piegarsi ma, a volte, prendono una forma migliore.”
Jimmy le sorrise dolcemente, guardandola rapito, poi d’improvviso le punse un fianco, facendola contorcere tra le risate. “Allora iniziamo subito. Iniziamo dal piegarti!”, le disse, torturandola. Iniziarono a smantellare le geometrie del letto, lei che rideva e lui che le punzecchiava i fianchi, finché, senza fiato, caddero uno addosso all’altra e ripresero il ritmo del respiro, occhi negli occhi.
Ria si sporse a baciarlo, soffice. “A momenti mi spezzavo anche.”, gli disse, “Una costola, probabilmente.”
“Poco male”, rispose Jimmy, tra un bacio e l’altro, “Ne hai altre 11.”
Tacquero, e lei gli scostò i capelli dagli occhi.
“Sei nervosa?”, chiese Jimmy.
“Un po’. Tu?”
“Cazzo, piccola, non ne hai idea. Più che altro, per il rischio di svegliarmi da solo domani mattina e ricevere una tua telefonata da Honolulu due settimane dopo.”
Ria incassò e sorrise, un po’ mortificata.
“Hey”, aggiustò il tiro, “stavo scherzando. Non fare lo scarafaggio triste.”
“Non sto facendo lo scarafaggio triste.”
“Sì invece. Il triste scarafaggio.”
“Ma può uno che ti vuole bene soprannominarti con cognizione di causa scarafaggio?”, osservò Ria, non a torto.
Jimmy sorrise. “Direi di sì. Se pensi che una delle persone che, ne sono certo, mi ama di più al mondo mi ha soprannominato vecchia troia.”
Ria scoppiò a ridere: “Non è vero. Brian ti chiama orsacchiotto.”
“Solo nell’intimità.”
La risata divenne così forte che qualcuno, nell’altra stanza, molleggiò sul letto.
“Cazzo, da un uomo che ti fa ridere non si torna più indietro. Mia madre mi avrebbe detto di non innamorarmi di te.”
“Te lo hanno detto abbondantemente sua sorella e suo marito anche per lei.”
Ria abbassò lo sguardo per un secondo: “Zia Barbara…”
“Un po’ mi fa impressione, che la chiami ancora zia Barbara.”
“Ma io la chiamerò sempre zia Barbara.”
“Sì, però, voglio dire… è mia madre. Permetti che mi faccia un po’ strano.”
“Fa strano anche a me.”
Jimmy scoppiò a ridere all’improvviso.
“Ti ricordi quella mattina della prima volta che siamo tornati ad Huntington da fidanzati, avevamo dormito insieme e mia madre…”
Ria rise di rimando, imitando la voce di Barbara: “Ragazzi, ve le cambio le lenzuola?”
Non si fermavano più.
“Le avrà lavate con l’acqua santa.”, osservò Ria, tra le risate.
“Bruciate.”, incalzò Jimmy.
Dei colpi secchi alla porta li riscossero.
“Sì?”, urlò Ria.
“Sì il cazzo, vorrei dormire!” rispose Splinter.
“Entra!”, urlò Jimmy.
“Siete presentabili?”, rispose Splinter.
“No!”, urlarono in coro, ma non era vero.
“D’accordo.”, rispose Splinter, ed entrò.
Jimmy le gettò un’occhiata in tralice, ancora sopra Ria. “Giri per i corridoi di un albergo in babydoll?”, le chiese, a titolo informativo.
“Ho la vestaglia.”, gli fece notare lei.
“È aperta.”, la informò lui.
Splinter sbuffò. “Capirai. Tanto comunque non c’è nessuno, abbiamo prenotato tutto il piano.”
Annuirono.
“Devo dirvi alcune cose.”
Seduti sul bordo del letto, in attesa, somigliavano più che mai ai ragazzini con cui era cresciuta. Soprattutto sua sorella, con quella criniera indomabile di capelli e pensieri. Le occorse un attimo per ricomporre il quadro del presente e rendersi conto che i due adulti che le stavano davanti sarebbero convolati a nozze nelle successive ventiquattr’ore; ma c’era qualcosa che doveva dirgli, e quindi la disse.
“Non posso credere che vi sposiate. Sono la persona più razionale della famiglia da quando avevo sei anni, e sono stata sempre dalla vostra parte, ma Dio.”
“Ma Dio?”
“È un’invocazione, Jimmy, non una domanda. Non c’è un seguito. Vorrei che Delilah fosse qui per prenderti a schiaffi, Ria. Non è stato facile convincere tuo padre, ma Fleur gli ha detto che aveva quest’ultima occasione di non deluderti e faceva bene a non farsela scappare.”
“Va bene, ma vedrai che non vorrà accompagnarmi all’altare.”
“No? E come pensi di arrivarci?”
“Non so, magari come sono arrivata ovunque. Con le mie gambe, e solo per Jimmy.”
Splinter sorrise e si lasciò cadere su una poltroncina che non aveva motivo di essere lì; fuori, la notte ammantava New Orleans di una nebbia incantata.
“Domattina John ti darà una cosa; apparteneva a Delilah, e vorrebbe che la indossassi.”
“Che cosa?”
“Il suo vestito da sposa.”
“Non metterò l’abito di mia madre. Non ha avuto esattamente un matrimonio felice, e su noi due gravano già abbastanza problemi senza complicare la situazione con echi di passato che causerebbero più dolore che tenerezza. Dio solo sa quanto avrei desiderato una cerimonia raccolta, con soltanto noi due, — perché questa è una cosa che riguarda solo noi due, Splinter.”
“Non riguarda solo voi due, Ria. Capisco che tu non riesca a padroneggiare il concetto, ma per tutti questi anni non hai fluttuato in un mondo senza contorni; ce l’hai, un contorno. Hai una famiglia. Hai me. Hai persone che ti hanno voluto bene e che fanno un po’ di fatica ad incamerare l’informazione che voi due vi siate trasformati improvvisamente…”
“Non è così, Splinter. Non esiste alcun improvvisamente in questa storia. Io di certo non ce l’ho con loro per non aver ritenuto di dovermi dire che io e Jimmy non avessimo alcun legame di sangue; avevano le loro ragioni. Posso non condividerle, ma mi sforzo di capirle. Però questo non significa che io sia disposta ad accettare ulteriori sguardi in tralice, zie che svengono, scene di panico.”
“Beh, se vuoi il mio parere…"
“No.”, rispose Ria, “Ho il mio.”
Splinter annuì seria, poi si alzò e sorrise: “Va bene. Buonanotte, allora.”
“Buonanotte.”
Quando la porta si chiuse, Jimmy appoggiò una mano sulla schiena di Ria e la trovò tesa come una corda.
“Sei stata molto dura con lei, scarafaggio. È tua sorella, ti vuole bene.”
“Siamo al mondo da un po’, Jimmy, e direi che ormai ci è chiaro sciocchezze ci si sente autorizzati a dire e fare in nome del bene che si vuole alle persone. Oppure no?”
“Sì, hai ragione. Ma arrivano momenti nella vita in cui devi decidere se essere l’ago della bilancia oppure un piatto; e tu hai un’opinione troppo alta di te per fare il piatto.”
“Sono tutti così ossessionati dall’idea che tra noi ci sia del sesso, come se fosse questo il cardine della questione.”
“E non lo è?”
Ria lo guardò stanca.
“Certo che no, Jim.”
Jimmy si lasciò andare all’indietro finché le spalle non incontrarono il materasso e la posizione gli alleviò, un poco, la pressione alle tempie.
“Invece sì, scarafaggio. Devi essere lucida e obiettiva. Facciamo fatica perfino noi due ad accettare l’idea, e siamo coinvolti direttamente.”
“Io non faccio proprio nessuna fatica a venire a letto con te, Jimmy. Il mio concetto di fatica è rileggere per la quarta volta un saggio sui poeti romantici in cerca di virgole nel posto sbagliato; a volte, per dire, faccio fatica a non attaccare il telefono in faccia a Bliss; faccio fatica ad alzarmi dal letto nei giorni in cui il sole è troppo forte —
“Il che è tutto dire, abitando in California per vari mesi all’anno”
“Ma il sesso con te non è uno sforzo. Lo faccio perché voglio, non perché devo. Magari per te non è lo stesso?”
“Hai deciso di litigare alla vigilia del matrimonio? Bene. No, certo che non mi sforzo. Ma non è questo il punto.”
“E qual è il punto?” Gli chiese Ria, appoggiandosi sul suo torace e guardandolo tra le ciglia. Gli posò un bacio lungo, piccolo e lieve, sul mento.
“Il punto è che mi fai perdere il filo.”
“Pensavo mi amassi proprio per questo.”
“Ti amo per altri motivi.”
“Quali motivi?”
“Preferisco non rispondere a questa domanda.”
“Non sono mica una giornalista del Rolling Stone.”
“Sei ugualmente una grande rottura di coglioni. Sorvolando, il sesso è il modo che i nostri cari hanno di semplificare l’evoluzione del rapporto tra noi; è il cambiamento più eclatante. Forse l’unico, se ci pensi bene.”
“Forse l’unico che salta all’occhio, ma pensa a tutte le implicazioni… per esempio, prima io riuscivo benissimo a tollerare l’idea che tu avessi una fidanzata. Ora sarebbe impensabile.”
Jimmy scoppiò a ridere e si chinò a baciarla.
“Quando parliamo del tuo atteggiamento nei confronti delle mie ex fidanzate, tollerante è l’ultimo aggettivo che mi viene in mente.”
“Alcune mi sono piaciute.”
“Ti è piaciuta solo Ann, perché le vuoi bene.”
“Ann è stata una fidanzata?”
“Ma certo. Cosa credevi che fosse?”
“Cosa credevo io? Cosa credevamo tutte tranne te, Jim. Se la consideravi tale, ti garantisco che lei non lo sapeva.”
Jimmy si fece riflessivo.
“Dovrei scusarmi.”
“Non lo fare, peggioreresti le cose.”
“E cosa mi consigli, allora?”
“Di fare la persona perbene ed accettare la parte che ti è toccata in sorte: quella dello stronzo.”

 

You’ll never fumigate the demons,
no matter how much you smoke;
so just say you love me
for three good reasons
and I'll throw you the rope
You don't need it
because you are the survivor
of more than one life,
and you're the only lover I had
who ever slept with a knife

The Libertines, You’re my Waterloo

 

“Aiuto!”
“Cosa c’è?”
“Zia Barbara ha un mancamento.”
“Zia Barbara ha mancamenti da quando l’ho conosciuta; lasciala lì, ci pensa Kelly.”
Synyster Gates, in piedi accanto a Joe Sullivan, era pervaso da un insolito sentimento zuccheroso. Si irritò profondamente quando vide Splinter che gli sorrideva con un lampo di astuta consapevolezza negli occhi.
“Che guardi, Scheggia?”
“Te, cretino. Sei così emotivo, certe volte, eppure non si direbbe proprio. Se guardi sotto la voce stronzo nel vocabolario, appare un tuo bassorilievo.”
Tirò dalla sigaretta con un gesto che voleva essere molto sensuale e fu soltanto molto goffo.
“Non ci posso pensare che Jimmy si sposa.”
“Devo andare a fare una cosa importante con Ria, tu va’ da lui.”

 

Ria era seduta sul bordo del letto con la testa tra le mani.
Zacky era venuto a trascinare via Jimmy, e Shadows era rimasto con lei; non era molto credibile, come fata madrina. Sentì sua sorella che urlava facendosi spazio in qualche punto remoto del corridoio.
“Sarà la cosa più imbarazzante che io abbia mai fatto.”
“Sarà una cosa divertente che, per fortuna, non dovrai fare mai più.”
“Che fai, citi Foster Wallace?”
“Perché, la cosa ti stupisce?”
Le cinse le spalle con le braccia, la attirò a sé e gli sembrò più che mai una bambina. Cercò di mettere in fuga il pensiero di lunghi pomeriggi di sole ad Huntington Beach con lei che strappava le foglie degli ulivi per farne segnalibri ed intrecciava per loro piccoli bracciali di cotone come portafortuna per le serate importanti. Si ricordò che Jimmy l’aveva presa sulle spalle fino ai dodici anni, quando lei era diventata troppo alta per scongiurare con sufficiente certezza l’ipotesi di un grave incidente. Pensò che se non fossero stati circondati da bambine che li adoravano forse non avrebbero avuto quella familiarità con la tenerezza che li aveva resi uomini decenti, oltre che rissosi musicisti metal.
Splinter entrò reggendo un sudario. Un sarcofago? Shadows ci mise un attimo a capire che era opportuno alzarsi ed aiutarla.
“Cos’è?”, chiese Ria.
Mentre lui reggeva quel grosso involto, Splinter fece scorrere una cerniera e svelò un lungo abito bianco con scollo a barca, né elegante né casual, e soprattutto nuovo.
“Sapevo che non avresti mai accettato di indossare il vestito di Delilah, quindi te ne ho fatto fare uno. Ce l’ho da un bel po’, a dire il vero; tu sei sconfinatamente imprevedibile, ho imparato che è meglio essere pronti.”
Non gli dispiacque essere lui ad estrarre l’abito dalla custodia, sfoggiando una delicatezza che nessuno gli avrebbe mai attribuito, ed appenderlo allo specchio.
“È molto bello, Splinter.”
Ria non disse niente. Aspettò che sua sorella le si sedesse accanto per stringerle la mano, guardando ovunque tranne che lei.
“Ti ho portato anche un’altra cosa.”
Le porse una specie di diario, e Ria riconobbe il taccuino che condividevano da bambine. C’era un piccolo fiore a segnare due pagine.
Oggi Jimmy e i ragazzi sono tornati dal tour. Ci hanno portato tantissime caramelle e dei fiocchi per capelli con dei teschi sopra. Non trovavo più Ria e alla fine l’ho trovata in camera di Jimmy insieme a lui. Sono rimasta un po’ lì a studiare una cintura che mi piace molto, con piccole borchie dorate. Jim stava quasi dormendo ma mia sorella gli stava facendo un sacco di domande e lui le rispondeva sempre. Alla fine però si è addormentato. Ria mi ha chiamata per farmi avvicinare. Stava ferma ferma con il naso sul torace di Jimmy. Mi ha detto lo senti? Questo è il profumo di casa.

 

you’re in the wind, I’m in the water
nobody’s son, nobody’s daughter

“Jim?”
“Che c’è?”
Brian rise senza aspettarselo e senza volerlo, scoprendo per caso l’unico modo in cui vale la pena ridere.
“Vieni qua, stai facendo un disastro con quel nodo alla cravatta. Allora, sei pronto per il fatidico ?”
“No.”
Sentirono bussare alla porta, ed era Splinter.
“Ti prego, Jimmy, levati quella cosa. Mi inquieti e non sembri tu. Invece mia sorella vuole sposare proprio te.”
Gli sfilò la cravatta con un gesto esperto e gli aggiustò il colletto della camicia, aprendo un paio di bottoni. Poi gli spolverò la giacca, che non ne aveva alcun bisogno, e gli porse un diario come quello che aveva già mostrato a Ria, ma un po’ più recente.
“Tieni, fatti una lettura edificante.”
Fece per infilare di nuovo la porta lasciando sposo e testimone alla scoperta di recenti echi del loro personale medioevo germanico scritti da lei medesima.
“Vivienne?”
Splinter Entwistle in Molko ruotò di centottanta gradi fissando Jimmy con enorme intensità.
“Grazie. Sei sempre insostituibile.”
“Non c’è di che. Tu invece sei sempre mio cugino, vero?”
“Non mi sembra di aver rassegnato le dimissioni.”
Jimmy la guardò andar via, poi lanciò una lunga occhiata a Brian e si sedette in poltrona a leggere, partendo dalle pagine più recenti ed andando a ritroso.
Hanno litigato di nuovo. Non riesco a farmi dire niente di sensato o coerente, se non che non sa cosa fare. Non vuole mangiare, non vuole parlare; mi stavo chiedendo se prenotare un aereo e correre da lei, ma Jimmy mi ha chiamato ed è già in aeroporto. Gli ho detto che le serve un fidanzato migliore e Jim mi ha risposto che l’unica cosa che le serve è lui. Spero si concentri esclusivamente su di lei senza andare a cercare il responsabile, questa volta non sarebbe facile tirarlo fuori di galera.
e ancora
Sto cercando di parlarle da mezz’ora, ma è impegnata in una telefonata interminabile con Jimmy. Non che si stiano dicendo qualcosa di importante; discutono di libri e deliri, di Caipirinhe sbagliate, di un particolare tramonto che non riesco a contestualizzare e di una canzone che lui ha scritto e non gli piace. Mi chiedo se riderà mai con questa stessa leggerezza anche con Bellamy.
e ancora
È bello essere in California. Ria e Jimmy hanno suonato il pianoforte a quattro mani per tutta la famiglia, dopo cena. Erano un po’ ubriachi e continuavano a urtarsi e ridere sottovoce, le teste vicine come quando dieci anni fa si sussurravano segreti che nessun altro poteva conoscere.
Poi siamo andati al Johnny’s Saloon e Ria ha cantato con Brian che l’accompagnava alla chitarra. L’aria profumava di arance come tanti anni fa. La canzone era chiaramente per Jimmy; lo so, lo guardava dritto negli occhi. Mi sono sforzata di capire cosa provasse lui, ma con mio cugino non è mai facile. A me sembra che a tutti stia sfuggendo qualcosa di fondamentale.

e ancora
Siamo appena arrivate. Ria è stata molto triste per tutto il volo; era già triste quando siamo partite.
L’aria è istantaneamente cambiata appena abbiamo varcato la soglia di casa, incredibile quanto bene riescano a farsi quei due soltanto stando nella stessa stanza.
Ho sentito mio cugino che diceva: non è illogico supporre che quel racconto di Edgar Poe abbia un fondamento di verità nella sua esperienza personale.
Ma che cazzo dici, James!, gli ha risposto mia sorella, Chi vuoi che muri accidentalmente la moglie morta ed un gatto vivo dentro una parete nello scantinato!
per ultimo, lesse un passaggio di cinque anni prima
Zio Joe mi ha presa da parte e mi ha detto: tu lo sai che Ria e Jimmy sono innamorati da sempre, vero?
Non è possibile, gli ho risposto. Certo si vogliono molto bene, quindi in un certo senso si amano, ma questo è tutto. Pensi che non conosca mio figlio?, ha ribattuto lui. Non gli ho detto niente, ma avrei voluto informarlo che anche io conosco mia sorella.
“Lo metti, l’eye-liner?”
Jimmy chiuse di scatto il diario e guardò Brian come attraverso una nebbia.
“Non è un po’ eccessivo?”
“Ricordi cosa ha detto Splinter? Lei vuole sposare te.”
Si sorrisero.
“Va bene. Me lo metti tu?”
“Oh Jim", si commosse Brian, "pensavo non me l’avresti mai chiesto.”


“Mia figlia ha sempre detestato l’idea dei matrimoni in albergo.”
“Tua figlia ha sempre detestato l’idea dei matrimoni in generale, John. Lo sta facendo per noi. Per rispetto, e per farci mettere l’anima in pace.”
“Ma tu pensi che sia giusto, Joe?”
“Che i nostri ragazzi si sposino? Non so se è giusto, ma so che non sta a noi giudicare.”
“Che direbbe il tuo dio di una cosa del genere?”
“La stessa cosa che direbbe il tuo: che James si farebbe ammazzare per Ria, e che Ria non è mai neppure riuscita ad immaginare una vita senza di lui. Tanto basta, non credi?”
John Montague si strinse nelle spalle del completo italiano di magnifica fattura che indossava per un giorno sul quale i suoi sentimenti continuavano a darsi battaglia.
“Sì”, disse infine, “Immagino di sì.”

La grande terrazza era già piena di ospiti.
Un gruppo di ragazze occupava le sedie della terza fila.
“Chi se lo sarebbe mai aspettato?”
“Io”, rispose Andrea O’Malley, “Io, e non ho gli occhi dietro la testa, cazzo. Io l’ho sempre saputo.”
“Come fai a dirlo?”
Jimmy e Brian arrivarono ridendo tra loro, ed alle spalle gli apparve Joe Sullivan con la moglie aggrappata al braccio. La depositò su una sedia in prima fila, diede una pacca sulla schiena al figlio e prese il posto che gli spettava.
“Officerà lui la cerimonia?”, si informò Malaga Walsh sfilandosi gli occhiali da sole.
“A quanto pare.”
Nonna Willow arrivò sottobraccio ad una signora anziana che le somigliava in modo inquietante. Le videro abbracciare entrambe Jimmy e bisbigliargli qualcosa prima sedersi accanto a Barbara.
“Chi è quella donna?”
“Una certa signora Teresa che Jimmy dice di aver conosciuto in aereo.”
“Quel pazzo non finisce mai di stupirmi.”
Ann si sentì afferrare per le spalle da una stretta familiare.
“Bellamy!”
In tutto il suo sempre discusso splendore, il frontman dei Muse si ergeva alle spalle delle sue groupie, con Dominic, Chris e Fiorellino in un viluppo di bambini urlanti.
“Non avrei mai pensato di vederti qui.”
“Vengo a rendere l’onore delle armi al Reverendo. Poi lo sai, quanto tengo a lei.”
“Sei un cretino ed un masochista.”
“Anche un poeta.”
“Quello sempre.”

Shadows aveva le lenti specchiate d’ordinanza e masticava una gomma. Fischiò in modo plateale quando Ria gli apparve davanti in abito da sposa nella stanza inondata di luce.
“Sei così bello che fai quasi schifo, Shadows.”
“A Jimmy verrà un colpo, quando ti vedrà così.”
“Spero vivamente di no, è un’esperienza che nessuno di noi vuole rivivere.”
“Intendevo in senso figurato, è chiaro.”
Splinter, che lui si aspettava di vedere agitatissima, era invece un placido lago d’acqua pura dai capelli rosso fiamma.
“Ria”, disse a sua sorella, “Ho parlato con John e… non se la sente di portarti all’altare. Però sarà accanto a Jimmy e Brian. Non sono riuscita a convincerlo, mi dispiace. La nonna gli sta facendo un cazziatone in questo istante.”
La sposa tacque. Shadows si sfilò gli occhiali. “Ti porto io.”
“Come?”
“Ho detto che ti porto io.”
Splinter sospirò, ma sorrise. “Che famiglia bellissima e disfunzionale”, disse.

 

Il cuore di Jimmy mancò un battito quando la vide.
Non faceva molto caldo, il sole era una luce gentile, la città una specchiera d’argento, ed un serpente di nome Richelieu si muoveva indisturbato tra le sedie allineate, strisciando tra i piedi degli invitati.
Era al braccio di Shadows ed il vestito riluceva di un bagliore perlaceo. Camminava piano, e le si apriva lo spacco a scoprire una gamba la cui consistenza conosceva a memoria da una vita. I capelli legati, i piccoli fiori in mezzo, la presa salda al braccio di M. Shadows, — suo compagno di morte e vita,— il bouquet di calle; l’unica nota di colore, con buona pace della tradizione che avrebbe prescritto qualcosa di blu, quel misterioso anello in corallo alla mano destra; Splinter dietro di lei, come un’ombra gentile. Bliss, che non diceva una parola da giorni. Quasi non si accorse che Brian non era più accanto a lui; ad un cenno di Shadows aveva imbracciato la Schecter e, insieme a Zacky Vengeance, stava suonando qualcosa che riconobbe come una marcia nuziale. Vacillò e sentì suo padre che gli stringeva una spalla. Poi piantò gli occhi in quelli di Ria, sempre più vicini, finché lei non lasciò il bouquet in mano a quell’ineffabile signora Teresa e gli prese le mani.
“Solo io e te.”, gli disse, “Ci siamo solo io e te.”
Joe officiò un rito breve e indolore.
Al momento del fatidico sì, lei disse: “Prometto di amarti, e onorarti, e disobbedirti per tutta l’eternità; e se la morte pensa di poterci in qualche modo separare, le faccio i miei migliori auguri di buona fortuna.”
“Io prometto solennemente di correre ogni volta che combini un guaio, e di baciarti sugli occhi prima di dormire, e di tenerti al sicuro. Di ballare con te anche se odio ballare, perché tu invece ami ballare. Di portarti a qualche concerto che vale la pena di vedere, e di sopportare le band che piacciono a te con tutta la dignità che le circostanze mi consentiranno. Prometto di non pretendere che mi ascolti, senza mai smettere, per questo, di parlarti. Di mettercela tutta, sempre, ad essere l’uomo che meriti. Ci fosse un’altra vita, la vorrei comunque vivere con te.”
Barbara Sullivan vide la fine di un’era e scoppiò a piangere sulla spalla di sua madre.
“Non è certo la prima volta — disse Joe — che ci capita di vedere un uomo e una donna che sono cresciuti insieme decidere di dirsi di sì. È chiaro che dirsi di sì è una cosa infinitamente più intelligente di dirsi di no, in certi casi; è un atto di coraggio che risparmia molte sofferenze e spesso cambia il corso di più d’una vita. Ma questi due li ho cresciuti io, mentre loro si crescevano a vicenda; io ho tirato su un brav’uomo che si è tirato su da sé innumerevoli volte per lei, sforzandosi di essere migliore; e lei ha sempre fatto più o meno tutto da sola, il nostro unico compito era cercare di essere un buon esempio. Non so se ci siamo sempre riusciti, ma ogni volta che abbiamo sbagliato c’è stato lui a porre rimedio. Abbiamo il dovere ed il sollievo di considerarci fortunati. Non accade spesso di essere toccati dal privilegio di vedere il lieto fine di un grande amore. Che sia anche un lieto inizio.”
Stroncò sul nascere un applauso.
“Un figlio che generi è già tuo, arriva e basta. Lo ami com’è, fai del tuo meglio per tenerlo al sicuro, e poi arriva il giorno che si tatua un paio di manette intorno al collo ed a te tocca imparare a prenderla a ridere; capire che non puoi proteggerlo per sempre, da se stesso o da qualsiasi altra cosa. Anche se vorresti. Ma un figlio che non generi non è poi molto diverso. Ne sono la dimostrazione gli uomini che oggi hanno suonato, nei quali non riesco a cancellare l’ombra dei ragazzini inquieti e inquietanti che travolgevano le siepi del mio giardino; perfino in quello che ha accompagnato all’altare questa ragazza, che è sempre stato il più assennato del gruppo. Oggi a lei ho offerto, per conto del mio unico figlio maschio, un cognome che è un simbolo che non le serve per sapere meglio ciò che già sa, e cioè che anche lei è sempre stata figlia mia. È stata figlia mia quando, piccina, si è rotta una gamba saltando una staccionata e le faceva così male che non è riuscita a chiudere occhio finché il mio irascibile figlio adolescente non l’ha presa in braccio, passando una notte in bianco a vegliarla scomodo perché potesse dormire. È stata figlia mia quando ha sfondato un cordone sanitario insieme al testimone, qui, incantando una vipera di caporeparto per restare accanto a James finché non si è svegliato, restituendogli lo stesso amore, la stessa cura, la stessa insonnia che lui le aveva dedicato tanti anni prima. È stata la garanzia che la sua testa calda non sarebbe mai diventata incandescente, perché Ria era troppo importante per mettere in pericolo la gioia immensa di passare la vita insieme a lei. Ha vinto una guerra che eravamo rassegnati a perdere. Ed oggi, davanti a Dio, agli amici ed alla famiglia, vi garantisco che non si sono promessi nulla di nuovo. Nulla che non si fossero già detti e dimostrati in tutti i modi possibili, per tutta la vita. Ed io sono così fiero di loro.
So bene che tutti viviamo nel mito della tranquillità, ma guardando questi ragazzi, — i miei ragazzi — il loro coraggio, il loro amore, tutto ciò che hanno passato insieme… Mi rendo conto che nella pace niente si impara, niente si scopre. Perciò, auguro a quanti di voi ancora stanno cercando un senso a questa strana cosa chiamata vita di imparare la bellezza nel solo modo che abbiamo a disposizione, e cioè scoprendo che, nel bel mezzo di qualsiasi disastro, se siamo fortunati, c’è una cosa per cui vale la pena di restare saldi.
Perché anche a voi tocchi in sorte il miracolo, io vi auguro la tempesta.”
Jimmy e Ria erano rimasti abbracciati e fermi per tutto il tempo, fronte contro fronte. Il silenzio che era calato sembrava l’epica privata di una vita degna; una della quale non puoi fare a meno di desiderare di far parte, anche solo per la durata di una bella storia.


Chiudete gli occhi 
e ricominciate.

Alejandro Jodorowsky

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