La Discendente

di Shadowhunter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Uno strano incontro ***
Capitolo 3: *** La Cave ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO


Londra, 2012
I passi di Jeremy risuonavano nella notte. L’unica fonte di luce che gli illuminava la strada piena di buche era la miriade di stelle che lo osservavano come spettatori silenziosi ma vigili. L’aria era umida e si percepiva che presto avrebbe iniziato a piovere.
Jeremy camminava silenziosamente sulle rive del Tamigi, guardando ogni quindici secondi dietro le spalle per assicurarsi che nessuno lo pedinasse e stringendo nella mano destra un lungo coltello, la cui lama rifletteva le luci delle stelle. Sapeva che sarebbe stato meno complicato utilizzare il suo potere per raggiungere il Tate Modern, ma gli avevano dato degli ordini e lui doveva seguirli alla lettera.
Giunto di fronte alla sua meta, una vecchia fabbrica convertita in un museo d’arte contemporanea, si nascose dietro una fila di alberi e aspettò che l’uomo con il cappotto grigio apparisse sul Millenium Bridge. Appena l’uomo comparve e gli fece il segnale, Jeremy corse verso la porta d’ingresso ed entrò. L’allarme era stato staccato un’ora prima, quindi aveva la via libera.
Scese velocemente giù per le scale e raggiunse il piano terra. Dal fondo della sala delle luci intermittenti mandavano bagliori verdastri sul soffitto: era il secondo segnale. Jeremy corse verso un’altra scalinata e iniziò a salire. I suoi passi rimbombavano nello spazio buio e vuoto, però lui era abbastanza sicuro di sé da non preoccuparsene.
Rapidamente raggiunse il quinto piano e si avviò verso la sala alla sua sinistra, passando di fianco a delle finestre dalle quali si vedeva ancora la luce verde. Entrato nella stanza, Jeremy perse un momento il senso dell’orientamento, che ritrovò dopo neanche tre secondi.
La sala era piena di quadri dai colori così vivaci che si riuscivano a vedere anche al buio. In totale il numero dei dipinti presenti in quella stanza era pari a venti, ma a Jeremy interessava solo quello di fronte a lui.
Jeremy si avvicinò e osservò attentamente le linee e i colori del dipinto prima di staccarlo dal muro: rappresentava un fulmine che si era schiantato contro un paese sottostante, squarciando la notte buia. Lo appoggiò con cura sul pavimento e col coltello fece un taglio netto e verticale sulla parte posteriore della cornice. Affondò il braccio dentro lo spazio fra il dipinto e il quadro, sentì qualcosa pizzicargli il dorso, lo afferrò e lo tirò lentamente fuori.
Tombola.
Girò il foglio giallognolo e tutto stropicciato tra le dita e cercò di leggere quello che c’era scritto, solo che le parole erano impossibili da comprendere. A guardarlo in un primo momento il testo sembrava scritto in greco a causa di molti segni strani, però egli sapeva che non era veramente così.
All’improvviso la sala, l’intero museo, tremò come se ci fosse stata una scossa di terremoto molto forte. Jeremy rimase paralizzato dalla sorpresa e pensò: “Questo non era previsto nel piano”. Nel momento in cui sentì un rumore di vetri rotti, qualcosa dentro di lui scattò ed egli si mise in azione: mise al suo posto il quadro, accartocciò il foglio, e uscì dalla sala muovendosi cautamente e impugnando il coltello.
La scossa non era durata neppure dieci secondi, però bastarono a far cadere un mucchio di dipinti sul pavimento e a rompere in mille pezzi le finestre di ogni piano. Appena Jeremy raggiunse la scalinata, un grande masso proveniente da sopra la sua testa lo colpì alla spalla. L’impatto gli fece cadere il coltello dalle mani e lo fece rotolare giù per le scale mentre urlava di dolore. Giunto al terzo piano, smise di rotolare e perse i sensi.
Prima che il mondo diventasse nero come l’inchiostro, Jeremy allentò il pugno nel quale teneva il foglio e riuscì a leggere cinque parole.
“La Discendente è fra noi."

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Capitolo 2
*** Uno strano incontro ***


Uno strano incontro

Un anno dopo
Adelaide non sapeva come si era ritrovata in quella dannata situazione, non ne capiva il senso, né tantomeno sapeva come potesse c'entrare con lei. Però era convinta che quello che vedeva non potesse essere vero.
“Come stai in quella posizione? Comoda?” le chiese un ragazzo biondo con gli occhi scurissimi che poco prima si era presentato col nome di Brandon. Le puntava contro un bastoncino trasparente lungo circa trenta centimetri che era una via di mezzo fra una bacchetta magica di Harry Potter e una spada laser di Star Wars.
“Non sono mai stata più a mio agio di così” rispose Adelaide in modo sarcastico, cercando di liberarsi dai rami che le circondavano le caviglie e la inchiodavano al terreno. La sua divisa scolastica blu e dorata era completamente ricoperta di fango e i suoi capelli castani sembravano un nido di uccelli.
In quell’istante decise che, se fosse sopravvissuta a quell’esperienza, non avrebbe mai più preso la scorciatoia attraverso il boschetto per arrivare a casa.
“Brandon, liberala. Nick ha detto che non dobbiamo torcerle un capello” disse la ragazza accanto a Brandon.
Anche lei aveva i capelli biondi, però i suoi occhi erano di un giallo dorato e brillante. Portava un top, dei pantaloni corti e degli stivali alti fino alle ginocchia tutti completamente bianchi. Pure lei teneva in mano un bastoncino, però non sembrava intenzionata a usarlo contro Adelaide.
“Me ne frego di quello che dice Nick. Non possiamo occuparcene noi?” rispose Brandon con aria seccata.
“No. Sai molto bene che, se Nick lo viene a sapere, finiremo entrambi nei guai. Ed io non voglio mai più sorbirmi una punizione da quella volta che siamo scappati dalla Cave con la sua moto”.
“Quel giorno ci siamo proprio divertiti” affermò Brandon, un ghigno sul volto, spostando lo sguardo sulla ragazza e cingendole la vita con un braccio. Dalla sorpresa la ragazza fece cadere il bastoncino trasparente per terra e circondò il collo di Brandon con le braccia.
Adelaide tossì per attirare la loro attenzione: sapeva che non era una mossa intelligente giacché loro l’avevano imprigionata, però non sopportava l’idea che la dimenticassero incatenata sull’erba umida. I due si girarono verso di lei e la fissarono come se avessero voluto fulminarla all’istante.
“Potete non annegare nei vostri ricordi e dirmi perché mi avete intrappolata qui?” chiese Adelaide seccata.
Sperò che uno dei due le rispondesse, ma nessuno aprì bocca.
“Ditemelo!”
Silenzio assoluto.
Brandon fece per svuotare il sacco, ma la ragazza gli diede una gomitata alle costole che lo fece zittire all’istante, e prese la parola. “Se vuoi ricevere delle risposte, devi seguirci. Devi andare dove andiamo noi e obbedire a qualunque cosa che ti chiediamo di fare”.
“Tipo?” chiese Adelaide.
Anche se era incatenata non si sa come al terreno con dei fasci di rami e sentiva i progetti dei suoi rapitori, non era spaventata e tantomeno nel panico. In cambio si sentiva seccata a causa delle poche risposte che riceveva e confusa perché la sua mente non riusciva a realizzare che quello che stava succedendo facesse parte della vita reale e non era la trama di un film o di un libro.
“Se accetti, lo scoprirai” si intromise nel discorso Brandon. La ragazza gli lanciò un’occhiata annoiata, ma tutto sommato sembrava divertita dal comportamento del ragazzo.
“Vi siete resi conto che le vostre risposte pragmatiche sono sentite e risentite? Ormai nessuno le sopporta più, tantomeno io. Comunque, la mia risposta è no”.
La rabbia scorreva nelle vene di Adelaide al posto del sangue e inondava il suo corpo dalla testa ai piedi. Aveva tanta voglia di schiaffeggiare qualcuno, preferibilmente due ragazzi biondi.
I due non le risposero perché cominciarono a confabulare animatamente fra di loro, dimenticandosi di nuovo della sua presenza, ma questa volta Adelaide non li interruppe. Dalla sua posizione riuscì a sentire soltanto alcune parole, come Nick, ordine, verità e catturare.
In quel momento vide circa a un metro da sé il bastoncino che la ragazza aveva fatto cadere poco prima e pensò di poterlo utilizzare come sottospecie di coltello per recidere i rami e liberarsi, quindi tese tutto il suo corpo per afferrarlo.
Con la punta delle dita Adelaide sfiorò la superficie trasparente e una scintilla azzurra esplose dal bastoncino. Si girò verso la ragazza e Brandon e notò che non si erano accorti di lei perché stavano ancora parlando a bassa voce tra di loro, dandole le spalle. Lo impugnò e la scintilla azzurra si trasformò in un vero e proprio fascio di luce.
Adelaide credette che quello fosse strano, ma non aveva ancora visto nulla.
Stranamente i suoi rapitori continuarono a non accorgersi di niente, quindi cominciò a segare velocemente i rami. Il bastoncino era freddo e affilato e lo stringeva così forte che si fece più di un taglio sulla mano, ma non ci badò.
I rami si tagliarono come fossero burro e in pochi secondi fu libera. Adelaide si alzò in piedi e cominciò ad allontanarsi a passo lento lungo il sentiero come avevo visto fare nei film, finché non calpestò un ramoscello e attirò l’attenzione di Brandon e della ragazza.
Beccata.
Quel momento fu il primo attimo della giornata in cui si sentì terrorizzata e in mezzo a una crisi di panico totale. Tratteneva il respiro e il cuore le batteva così veloce che ebbe paura che le esplodesse nel petto. Strinse la presa sul bastoncino, dal quale partì un altro fascio di luce azzurra che colpì i due ragazzi biondi in pieno.
“Ma che cavolo!” esclamò seccato Brandon, coprendosi gli occhi con la mano.
“Cos’è successo?” chiese confusa la ragazza, cadendo per terra con un’espressione sofferente sul viso. Dal naso le colava del sangue.
Adelaide approfittò del momento di confusione per scappare. Corse come non aveva mai fatto in vita sua. Seguì il sentiero che attraversava il bosco sbattendo i piedi contro i sassolini allo stesso ritmo del battito del suo cuore. Si guardò dietro le spalle e vide i suoi rapitori accasciarsi al suolo. Rallentò il passo, mantenendo un’andatura fra il camminare e il correre, e in pochi minuti raggiunse il cortile dietro casa sua.
Era salva.

~

La sua era una casetta bianca di due piani con un giardino e una grande veranda sul retro. A fianco della casa c’era un garage, che lei e suo padre usavano come studio.
Appena varcò la porta di casa, suo padre la inondò di domande. “Dove sei stata? Cosa ti è successo? Perché sei coperta di fango? Dov’è il tuo zaino? Te l’hanno rubato?”
Mentre le parlava, egli si passava tutto il tempo la mano fra i capelli neri striati di grigio e attraverso le lenti degli occhiali i suoi occhi color nocciola trasmettevano pura preoccupazione.
“Niente di tutto questo. Ho dimenticato lo zaino a scuola e, mentre tornavo a casa, sono inciampata e sono caduta. Tutto qui” mentì Adelaide.
“Che cos’è quello che tieni in mano?” Indicò il bastoncino trasparente. “Aspetta, c’è anche del sangue… tanto sangue. Cosa ti è successo?”
“Niente. È solo colorante” rispose e salì le scale, dando velocemente fine a quella discussione.
Adelaide si chiuse in bagno e si sedette sul tappeto turchese, appoggiando la testa contro le piastrelle del pavimento e rivivendo tutto quello che era successo nel bosco. Non riusciva a capacitarsi che fosse veramente accaduto, però il bastoncino che stringeva ancora in mano e il sangue che le colava dalle ferite le dicevano che era tutto vero.
Appoggiò il bastoncino sul pavimento e si alzò per specchiarsi. Appena vide il suo riflesso nello specchio, sussultò. Le sue pupille color argento erano contornate da un anello azzurro che la faceva sembrare un’aliena, i capelli erano appiccicaticci e i vestiti erano da buttare. Sentiva che il fango le era entrato persino dentro il reggiseno.
Fece una doccia e si lavò, strofinandosi la pelle tre volte per togliersi la sensazione di sporco dal corpo. Sotto lo scroscio dell’acqua riuscì a pensare in modo più chiaro e, appena uscì dalla doccia, si medicò pazientemente la mano. Tre tagli profondi scorrevano lungo il palmo e un alone rosso li circondava.
Adelaide non provava né dolore né disgusto alla vista del sangue, soltanto paura. Paura che quei tagli non fossero gli ultimi. Paura che Brandon e la ragazza tornassero a prenderla.
Nel lavandino pulì bene il bastoncino trasparente, eliminando qualunque traccia di sangue, e si chiuse a chiave in camera sua. Era una stanza molto sobria. C’erano un letto, una finestra accanto a una scrivania di legno, una libreria che copriva un’intera parete e una poltroncina dove era impilata la sua raccolta di dischi. I muri erano colorati di azzurro e sul soffitto c’erano disegnate delle nuvolette bianche.
Appena Adelaide si sedette sul letto, il telefono squillò. Alzò la cornetta e una voce squillante le gridò nell’orecchio. “Adele, ti ho chiamato tutto il pomeriggio e tu continuavi a non rispondermi. Cos’è successo?” urlò la sua migliore amica dalla cornetta del telefono.
Le rispose, rifilandole la stessa bugia che aveva dato a suo padre, e cominciarono a raccontarsi le novità della giornata. Mentre parlavano del più e del meno, un rumore tetro fece capolino nella stanza: sembrava che qualcuno stesse graffiando i vetri della finestra.
Adelaide lanciò il telefono sul letto, afferrò saldamente il bastoncino trasparente e si avvicinò cauta all’origine del rumore. Appena toccò il bastoncino, una scintilla azzurra comparve sulla punta e illuminò quello che c’era dietro il vetro: i volti minacciosi di Brandon e della ragazza.



Nota dell'Autrice:
Avrei dovuto scriverlo nello scorso capitolo, però ve lo comunico adesso. Questa è la re-edizione de "La Discendente", storia che ho pubblicato l'anno scorso. Ho voluto cancellare l'edizione precedente perché non mi soddisfava completamente e spero che la nuova versione vi piaccia. Un ringraziamento speciale a Tormenta per la frase iniziale.
Comunque, accetto sia critiche positive che negative.

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Capitolo 3
*** La Cave ***


LA CAVE



Adelaide stava camminando su una spiaggia dorata, accompagnata da una leggera brezza che soffiava fra i suoi capelli e che faceva svolazzare il suo vestito azzurro ghiaccio. I gabbiani volavano sul mare, sbattendo ritmicamente le ali per mantenersi in equilibrio nell’aria. L’oceano era blu scuro come le notti più buie e senza stelle.
Una persona era in piedi di fronte a lei e le rivolgeva le spalle. Era una ragazza e aveva dei capelli rossi come il rame. Indossava un completo totalmente nero e in mano teneva un coltello dalla lama intrisa di sangue. Ai suoi piedi c’era una donna distesa con un grosso taglio sul ventre. Da quella distanza sembrava morta.
Facendo due piccoli passi e trattenendo il fiato, Adelaide si avvicinò e vide i capelli color miele che avrebbe riconosciuto ovunque.
Quella era sua madre.
Smise di respirare e le ginocchia cedettero sotto il peso del suo corpo. Batté contro la sabbia e l’acqua bagnò il tessuto del suo vestito, però a lei non importava. L’unica cosa che riusciva a pensare era l’ultima volta che aveva visto sua madre, il bianco cadaverico della sua pelle sotto le luci dell’ospedale. Gli occhi cominciarono a bruciarle e le lacrime le rigarono le guance. Dei singhiozzi scossero tutto il suo corpo e le mani cominciarono a tremarle.
“Tu saresti la Discendente? Ridicolo” disse la rossa, posizionando le mani in pugni lungo il corpo. Sputò per terra, la saliva che cadde vicino al corpo della madre di Adelaide, e continuò a parlare con voce sprezzante. “Credo che in un combattimento tu non sopravvivresti neppure cinque secondi, tantomeno eseguire un compito di quella portata”.
Adelaide fece per risponderle fra le lacrime, ma non ci riuscì: la sua voce era bloccata in fondo alla gola e non voleva raggiungere le labbra. Portò le mani al collo e provò ad emettere un suono, senza nessun risultato.
Intanto, la rossa rideva, una risata fredda che le provocò dei brividi lungo la spina dorsale.
“Io dovevo essere la Discendente, non tu. Io sono la ragazza dai capelli rossi che viene descritta negli Annali, non tu. Tu sei una ragazza normale con degli insulsi capelli marroni e non sai neppure usare i tuoi poteri. Sei così debole che non riesci a superare la morte di tua madre dopo dieci anni. Non meriti di avere il titolo di Discendente. Per questo ti ucciderò”.

***

Adelaide si svegliò, richiamando l’ossigeno per riempire i polmoni. Mentre respirava attraverso il naso e la bocca per inalare più aria possibile, la lampada sopra la sua testa si accese e la accecò. Chiuse immediatamente gli occhi e dietro le palpebre rivide il fascio di luce bianco che aveva colpito la finestra della sua camera e che l’aveva ridotta in mille pezzi. Lungo le braccia sentì per la seconda volta le schegge che si conficcavano nella sua carne e il sangue che scorreva lungo le ferite.
Riaprì gli occhi, pieni di paura, e si guardò le mani tremanti. Il sangue era scomparso e le ferite erano soltanto delle linee bianche lungo l’avambraccio. Passò un dito sopra una cicatrice, meravigliata.
“Buongiorno” disse qualcuno.
Adelaide alzò la testa e si ritrovò a fissare gli occhi completamente neri di un ragazzo sulla ventina. Era seduto su una sedia accanto a lei, un bastoncino trasparente fra le mani. Indossava una tenuta mimetica, come se dovesse andare in guerra da un momento all’altro. Aveva i capelli cortissimi e il naso molto pronunciato. Dietro di lui c’era uno specchio in cui la ragazza riuscì a vedere il suo riflesso.
Era seduta su un letto con le lenzuola bianche e i suoi capelli volavano da una parte all’altra della testa. Un boccolo le copriva l’occhio grigio come l’argento e indossava una maglietta e un paio di jeans che non le appartenevano.
Da dove sono spuntati questi vestiti?, si chiese.
Si guardò intorno e vide una dozzina di letti uguali al suo disposti in due file e i muri le ricordavano le pareti di una grotta a causa del loro color rame. Nel centro della sala c’era un disegno sul pavimento che rappresentava una stella dorata a sette punte.
“Come ti senti?” le chiese il ragazzo.
Lei non gli rispose perché era troppo occupata a spostare lo sguardo da una parte all’altra della stanza con gli occhi pieni di terrore. La consapevolezza di essere stata rapita saliva lentamente lungo la sua gola, però lei cercò di reprimerla.
È un incubo, non c’è altra spiegazione logica.
Premette fortemente le unghie delle dita sul palmo della mano e serrò le palpebre, sperando che il dolore la svegliasse e la riportasse in camera sua da suo padre. Appena riaprì le palpebre, però, si rese conto che si trovava ancora in quella stanza.
Quella era la vita reale.
E lei era stata catturata.
“Sai che hai lo stesso nome di una città australiana? Credo che te l’abbiano detto in molti, però sono sicuro che nessuno di quelle persone ci sia mai stato oppure sia a conoscenza che viene anche chiamata City of Churches, cioè Città delle Chiese” disse il ragazzo, passando il pollice avanti e indietro sulla superficie del bastoncino.
La ragazza lo guardò, un’espressione confusa e terrorizzata che faceva capolino sul suo viso. Anche se nella stanza faceva un freddo polare, le sue mani e la sua fronte erano madide di sudore. Fece per chiedergli come mai sapesse il suo nome, però venne interrotta da un rumore di passi.
“Buongiorno, Adelina! Spero che ti sia ripresa dalla botta di ieri” esclamò Brandon, avvicinandosi ai piedi del letto insieme alla ragazza bionda che aveva avuto il dispiacere di conoscere il giorno precedente. I capelli del ragazzo erano tirati indietro con almeno un chilo di gel.
Adelaide si allontanò il più possibile da loro, appoggiando le spalle contro lo schienale del letto. Vedendoli, rivisse nella mente il momento in cui il biondo, con un movimento del bastoncino trasparente, la aveva incatenata al terreno e ricominciò a sudare freddo.
“Oggi non ti torceremo un capello. Promesso” affermò la ragazza. Quel giorno indossava un vestito bianco a balze che svolazzava da una parte all’altra a ogni suo passo e un fiocco giallo spuntava fra i suoi capelli color platino. “Scusami se ieri non mi sono presentata. Io sono Victoria”.
Adelaide annuì lievemente, non sapendo cosa dire.
“Per quello che è successo ieri a casa tua…”. Il ragazzo sconosciuto calpestò il piede di Brandon per incitarlo a continuare il discorso. “Mi dispiace. Non era mia intenzione far del male a tuo padre…”
“Cosa?” esclamò la ragazza, scattando in piedi all’improvviso.
Stranamente né Victoria né l’altro ragazzo intervennero quando lei afferrò e tirò l’orlo della maglietta di Brandon per avvicinarlo alla sua faccia. “Cosa hai fatto a mio padre? Dimmelo!” In quel momento la rabbia sostituì la paura e la confusione di prima e la ragazza cominciò a vedere rosso. “Dimmelo subito!”
“Ecco… Tuo padre…” Fece un respiro profondo. “Dopo aver distrutto il vetro della finestra, Victoria ed io ci siamo arrampicati e abbiamo raggiunto camera tua. In quel momento eri distesa in una pozza di sangue sul pavimento e la prima cosa a cui abbiamo pensato è salvarti. Victoria si è inginocchiata accanto a te e ha cominciato a toglierti le schegge di vetro più grandi dalla pelle.
“All’improvviso abbiamo sentito un rumore di passi e la voce di tuo padre che chiamava il tuo nome. Io sono saltato giù dalla finestra con te in braccio e ho raggiunto il furgoncino, dove ti ho riposto, mentre Victoria è rimasta a intrattenerlo”.
Adelaide mollò la presa su Brandon e puntò un dito contro la ragazza, che aveva fissato il pavimento durante tutto il discorso. Gli occhi le ardevano e sentiva la rabbia ribollirle nelle vene. “Cos’è successo dopo?”
Victoria mantenne lo sguardo fisso sui suoi stivali e disse in un filo di voce: “Appena tuo padre ha aperto la porta di camera tua e ha visto il sangue per terra, ha afferrato un paio di forbici dal tuo cassettone e li ha puntati contro di me. Io ho reagito, usando i miei poteri e infliggendogli una scossa. Lui è svenuto e, prima di sbattere la testa contro il tappeto del pavimento, la sua nuca ha colpito il bordo del cassettone.
“Mi dispiace tantissimo, Adele. Giuro che volevo solo difendermi, non era mia intenzione ferirlo” concluse Victoria. Brandon le accarezzò il braccio per confortarla.
“È morto?” chiese Adelaide. Le lacrime le pizzicarono le palpebre, però lei si impose di non scoppiare a piangere.
“No. L’abbiamo portato qui insieme a te e l’abbiamo medicato. È sano e salvo e ti sta aspettando da più di cinque ore nella tua stanza. Credo che ti debba spiegare molte cose” affermò il ragazzo sconosciuto.
La mia stanza?“Posso andare a parlargli?”
“Se lo vuoi. Victoria, puoi accompagnarla tu? Io e Brandon dobbiamo incontrarci con Blake a momenti per discutere dei nuovi sviluppi”.
Victoria annuì e la strattonò, invitandola a seguirla. Adelaide si liberò dalla presa e si limitò a camminare dietro di lei finché non si fermarono davanti a un’apertura grande come un caminetto sul muro. Si guardò dietro le spalle e vide che Brandon e l’altro ragazzo non si vedevano da nessuna parte.
Erano spariti, scomparsi, poof.
“Questa è la via più breve per raggiungere gli alloggi al secondo e al terzo piano e la cucina. Da piccoli, io e mio fratello Jamie usavamo questo passaggio per rubare una fetta di torta dopo cena oppure ci nascondevamo dai nostri genitori. Prima tu”.
Adelaide la guardò con un’espressione dubbiosa, non sapendo se fidarsi o meno di lei. Victoria notò il suo cambio d’umore e decise di andare per prima. Quando attraversarono lo stretto passaggio, si ritrovarono di fronte a un enorme stalagmite e a una scala a chiocciola che correva intorno ad esso. Lo spazio era illuminato da delle torce appese ai muri, creando degli strani giochi di ombre sulle pareti.
Wow.
“Impressionante, vero?” affermò Victoria, cominciando a salire su per le scale.
Forse anch’esse erano dello stesso materiale dello stalagmite, però Adelaide non lo domandò perché un’altra questione le tormentava la mente. “Chi è il ragazzo che è andato via insieme a Brandon?”
“Si chiama Nick ed è praticamente il nostro capo, anche se ha solo un paio di anni in più di noi. Da quando è morto suo padre, cerca di ricoprire il suo ruolo nel migliore modo possibile. Per adesso se la sta cavando” terminò il discorso facendo spallucce.
“Cos’è questo posto?”
“Si chiama la Cave. È un complesso di grotte e gallerie sotterranee. Il padre di Nick lo ha scoperto durante una spedizione circa vent’anni fa e ne è rimasto così affascinato che ha deciso di costruirci la sede dei Vaganti.”
“I Vaganti?”
“Non ne sai proprio niente, eh? Comunque, siamo arrivati” affermò Victoria, indicando un’apertura circolare sul muro del diametro di quasi un metro. Non si riusciva a capire cosa c’era oltre, perché lo spazio era immerso nel buio. Neppure le torce lungo la scalinata riuscivano ad illuminare quel poco che bastava per intravedere qualcosa.
“Dobbiamo proprio entrare là dentro?” chiese Adelaide, sperando che Victoria non la stesse portando in qualche cella per rinchiuderla a vita. Odiava gli spazi bui e angusti e quello si poteva facilmente classificare fra quelli.
“È l’unico modo per raggiungere tuo padre” ammise Victoria, strisciando dentro l’apertura. “Vieni”.
Adelaide fece un respiro profondo e seguì la ragazza, annegando nell’oscurità.




Nota dell'Autrice:
Scusatemi per l’immenso ritardo, ma negli ultimi mesi ero presa dalla scuola e da altri progetti. Per quelli che seguono la mia storia, spero che questo capitolo vi piaccia :)
Il prossimo capitolo verrà pubblicato fra due settimane (se non ci sono dei contrattempi).

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