Akuma x Mitsukai di M e g a m i (/viewuser.php?uid=150368)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Un banale cliché ***
Capitolo 3: *** Il vaso di Pandora. ***
Capitolo 1 *** Prefazione ***
NDA:
Eccomi
qui con l’ennesima long, una storia originale. Come per le
altre non prometto
affatto di finirla, ma a questa storia in particolare ci tengo molto,
quindi chissà.
>w<
Per le altre storie invece non vi preoccupate, ho i capitoli
quasi pronti! Pazientate ancora un pochino, per favore, ho appena
finito gli
esami e mi devo un attimo riprendere! xD
Allego anche un disegnino che ho fatto sui due protagonisti, a mo' di
copertina. Il titolo significa Diavolo x Angelo.
VIVA L'ORIGINALITA'.
Bene, e ora buona lettura a tutti!
Elena
Megami
Akuma x Mitsukai
Esiste una leggenda, vecchia come il mondo,
Tramandata nei secoli tra le creature del
Paradiso e
quelle dell’Immondo.
Essa stabilisce che se un Servo
dell’Inferno
Riuscisse a rubare il cuore di un Figlio del
Padreterno
Gli sarebbe data la possibilità di
reincarnarsi
E verso un’altra vita incamminarsi.
Analogamente accadrebbe a uno Spirito Celeste
che
riuscisse nell’intento
Di donare a un Demonio Maligno un animo nobile
e attento.
Ma tale leggenda è rimasta leggenda
Perché chiunque ha tentato
è andato incontro a una fine
orrenda.
Morte e rovina la speranza di un nuovo
principio ha
portato
Senza che nessuno della leggenda capisse il
vero
significato.
Angeli e Demoni continuarono così
il loro diverso cammino
Finché dei due Eletti non si
compì il destino.
Questa è la storia di una leggenda
che leggenda smise di
essere
A causa o per merito dell’amore che
cominciò a crescere.
A voi la scelta, a voi il giudizio,
Questo della storia è
l’inizio...
Prefazione
L’aria
della
notte era gelida, il vento sferzante.
Ormai
era
talmente tardi, o talmente presto, che neanche un’anima viva
camminava per le
strade di quella città grigia e buia. Poche ore
più tardi sarebbe arrivata
l’alba a tingere di rosso e oro i palazzi e le case, ma in
quel momento di
fredda solitudine, tutto il mondo gli apparteneva.
I suoi
passi
pesanti calpestarono con forza il marciapiede, senza il minimo riguardo
per il
sonno dei senzatetto nascosti tra i vicoli, che si stringevano nelle
coperte in
cerca di un calore che non li avrebbe mai confortati.
Una
folata lo
fece rabbrividire. Strinse i pugni nelle tasche della sua inseparabile
giacca
di pelle. Doveva continuare a muoversi, o sarebbe morto assiderato.
Trattenne
a
stento un sorriso per l’ironia di quel pensiero.
Smossa
dalla
brezza notturna, sentì una lattina rotolare per terra
davanti a lui, e in
lontananza, un gatto miagolare il suo disappunto per chissà
cosa. La luce di un
lampione tremolò come se messa soggezione dal suo passaggio.
Stava
aspettando.
La
pazienza non
era la sua più grande virtù, se di qualche
virtù poteva definirsi dotato.
Eppure aveva imparato ad aspettare, nell’arco
dell’anno che aveva passato a
compiere il suo dovere in quel luogo triste e dimenticato dal Dio di
cui non
era alle dipendenze.
Stava
aspettando
un segno, qualsiasi cosa. Dentro di lui sentiva che ormai il tempo era
giunto.
Non sapeva spiegarsi quella sensazione che non aveva mai avvertito
prima, era
come una specie di stretta al petto, ma era sicuro di quel che
significava: cambiamento.
La sua
cosiddetta missione in quella città grigia era finita. Dove
lo avrebbe condotto
ora il vento?
Chiuse
gli
occhi, sollevò la testa verso cielo d’ombra. Una
strana euforia si impadronì di
lui, e gli venne l’improvvisa voglia di cantare. Era tutto il
giorno che aveva
in mente il motivetto di una canzone sentita chissà dove, e
il silenzio della
notte non lo avrebbe certo fermato. Ma non fece neanche tempo a
prendere fiato
che qualcosa gli sfiorò il viso come una carezza.
Sollevò
una mano
intirizzita, appena in tempo per afferrare il volantino spiegazzato di
un
qualche evento che si sarebbe tenuto di lì a pochi giorni, o
che forse era già
avvenuto da un pezzo. Stava per accartocciarlo e gettarlo via, quando
poche
parole, stilate con un tratto ordinato sul retro del foglio,
catturarono la sua
attenzione.
Accademia
Artistica Gordon, Tessalia, Principato di Verne
E
nell’esatto
istante in cui le lesse, seppe di aver trovato la sua destinazione.
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Capitolo 2 *** Un banale cliché ***
NDA: Niente da
dire riguardo questo capitolo, a parte che spero vi piaccia! Il titolo
l’ho
scelto perché l’incontro tra i due protagonisti
avviene in un modo che per noi
“umani” potrebbe sembrare piuttosto scontato, ma
per loro non lo è affatto. :°D
Un
avviso importante per la clientela (?): con
questa storia voglio cercare di fare i capitoli il più corti
possibile, al
massimo di cinque pagine (questo ad esempio è di tre pagine
scarse). Non so se
riuscirò in questo intento, visto che a me piace dilungarmi,
ma penso che per
chi legge sia meglio. Non voglio correre il rischio di stancare.
Or
dunque, buona lettura!
Capitolo 1
Un banale cliché
Al termine della
sessione di orientamento, i corridoi deserti si tramutarono nella
frazione di
un secondo in un fiume in piena.
L’Angelo
non si
era mai trovata in mezzo a così tante persone nella sua
breve e nuova vita.
Disorientata e affascinata al tempo stesso, rimase a fissare con occhi
sgranati
l’eccentrica cresta di uno studente che svettava tra la folla
per la sua
altezza allampanata. Poi la sua attenzione venne catturata dai lunghi
capelli
viola di un’alunna vestita di pizzi e merletti, dal dragone
cinese tatuato sul
braccio di un giovane di cui non riuscì a determinare il
sesso, e ancora da
ogni cosa nuova che vedeva, tanto che per poco un urto non le fece
cadere di
mano il quaderno sul quale aveva redatto diligentemente gli appunti
riguardanti
la lezione.
Si riscosse.
L’intenso
vociare degli studenti la stordiva. In mezzo alla stravaganza che
sembrava
incarnarsi in ogni singolo allievo di quella scuola, si sentiva persa.
E il
fatto che nessuno potesse notare la sua presenza non aiutava.
Con una punta di
esitazione, estrasse dal quaderno un tovagliolo contrassegnato a penna
che
aveva trovato poggiato di fronte a lei sul tavolino di un
caffè italiano.
Avrebbe potuto giurare su Dio che, prima di distogliere lo sguardo per
un
attimo solo, non c’era.
Accademia Artistica
Gordon, Tessalia, Principato di Verne
Non sapeva cosa
l’avesse spinta a recarsi in quel posto, ma dentro di
sé aveva sentito come una
sorta di richiamo che l’aveva attratta fin lì.
Ritrovando fiducia in quel piccolo
pezzo di carta, ripose il tovagliolo nel blocco e riprese a guardarsi
intorno,
cercando di non lasciarsi soggiogare nuovamente
dall’atmosfera estremamente...
artistica.
L’Accademia
era situata
in un vecchio edificio dalla struttura gotica, riammodernato in modo da
poter
ospitare le aule e i laboratori dei corsi di belle arti, di musica e di
recitazione. Ogni parete libera era stata ridipinta con illustrazioni,
murales,
e ogni sorta di forma di pittura, o presentava nicchie nelle quali
erano posti
busti e sculture. Volantini colorati affissi alle bacheche o
abbandonati per
terra svolazzavano per i corridoi, nei quali riecheggiavano debolmente,
sommersi dal chiacchiericcio, il canto e la melodia degli strumenti
suonati
nelle aule del Conservatorio. Gli studenti dei corsi più
avanzati avevano già
iniziato da un paio di ore le loro lezioni, mentre le matricole erano
state
appena accolte da un’assemblea, nella quale era avvenuto lo
smistamento nei
diversi corsi e l’assegnazione alle classi. Eppure, anche
solo trovandosi in
mezzo a quello che non doveva essere che un terzo dell’intero
corpo
studentesco, L’Angelo faticava a vedere oltre il mare di
gente che la
circondava, tanto che era costretta ad alzarsi in punta di piedi per
poter
ammirare ciò che le stava intorno. Impressionata, si chiese
quanti allievi
fosse in grado di ospitare quella scuola.
Un altro urto la
colse di sprovvista. La ragazza che l’aveva appena superata
senza dimostrare il
benché minimo segno di essersene accorta, aveva una tasca
dello zaino aperta. Il
più delicatamente possibile, l’Angelo le si
accostò e richiuse la cerniera.
Dentro di sé ancora non riusciva ad abituarsi al fatto che
gli esseri umani
avessero una percezione così alterata di lei, tanto da non
rendersi conto della
sua presenza se non quando era suo volere manifestarla, e quindi
ritrovava sé
stessa ad intervenire con accortezza anche quando non ce
n’era bisogno. Una
lieve risata imbarazzata che nessuno notò le
sfuggì dalle labbra.
Si
alzò
nuovamente sulle punte dei piedi, tendendo il collo. Non fece che
qualche
passo, sovrappensiero mentre cercava di decidere in quale classe
infilarsi, che
finì per scontrarsi con l’ennesimo studente, il quale
stava camminando risoluto
contro corrente.
Il quaderno che
poco prima era riuscita a trattenere per miracolo le scappò
di mano, cospargendo
sul pavimento di pietra tutte le fotocopie e i volantini che aveva
ricevuto
durante l’orientamento. Le impronte di numerose paia di
scarpe si stamparono
immediatamente sulla carta bianca e colorata che nessuno si
fermò per aiutarla
a raccogliere. Anche il tovagliolo era finito a terra. Con uno scatto,
si chinò
ad afferrarlo prima che potesse essere calpestato insieme a tutto il
resto. Ma
le sue dita non entrarono in contatto con la carta velina,
perché sotto la sua
mano se ne era posata un’altra, molto più veloce
nel prendere il tovagliolo e
coprire la scritta a penna come se si trattasse di un segreto da
nascondere.
L’Angelo
alzò
gli occhi, atterrita.
Lo studente che
l’aveva letteralmente investita ricambiò il suo
sguardo, mentre si rialzava,
sovrastandola con la sua altezza.
Il sangue le si
raggelò nelle vene.
Anfibi neri alti
fino a metà polpaccio, jeans scuri, sbiaditi sulle cosce e
strappati sulle
ginocchia, forse accidentalmente, forse per una questione di stile:
l’Angelo ne
sapeva talmente poco di moda da non avere pregiudizi di alcun genere
riguardo
il modo di vestire delle persone. Un teschio le sorrideva
minacciosamente,
risaltando sullo sfondo grigio della maglietta. Il nome di una band
parzialmente
coperto dal giubbotto di pelle catturò la sua attenzione:
aveva qualcosa a che
fare con pistole e rose.
Poi un gesto
della mano di lui la distrasse. Solo in quel momento, seguendo il suo
movimento, notò le sue corte unghie laccate di nero, ed
entrambi i polsi
fasciati da due polsini altrettanto neri. Lo osservò
scostarsi dei ciuffi scuri
dai riflessi ramati che gli ricadevano sul viso, e tirarseli dietro un
orecchio, su cui intravide l’anellino di un piercing. I
capelli lunghi e
spettinati gli ricadevano appena sopra le spalle, ed erano intrappolati
nel
bavero alzato della sua giacca. Mentre si rialzava a sua volta,
l’Angelo provò
l’innocente impulso di allungare una mano e sistemarglieli.
Ma fu solo un
attimo. Perché non appena tornò a posare lo
sguardo nel suo, lo vide ancora. E
questa volta non ebbe più nessun dubbio.
Nei suoi occhi
sfregiati da una lunga cicatrice brillava una sfumatura di rosso vivo.
Di rosso
fuoco. Di rosso sangue.
Qualcosa dentro
il Diavolo fremette. In una frazione di secondo, si era trovato a
fissare, divorare ogni curva del
suo corpo snello,
celato da un leggero vestito bianco, troppo lungo per risultare
volgare, troppo
corto per non alimentare l’immaginazione. Ogni cosa in lei
sembrava immacolata:
dalle basse ballerine senza un accenno di tacco, alle lunghe calze che
le
fasciavano le gambe fino alle cosce, alla sottile cintura che le
cingeva la
vita, al golfino che le copriva le spalle. Tutto in lei pareva
perfetto, anche
le sue unghie curate, il suo viso privo di trucco e i biondi capelli
lisci
raccolti per mezzo di due fermagli della stessa sfumatura di azzurro
dei suoi
occhi.
Già,
i suoi
occhi. Quanto di più chiaro e limpido avesse mai visto. Era
come se mai
un’ombra di malvagità li avesse offuscati. Avrebbe
potuto precipitare, dentro
quell’azzurro cielo. Fino a perdere sé stesso.
Seppe con
certezza che quello era il suo nome ancora prima di pronunciarlo con il
suo
tono suadente e profondo, mentre le porgeva il tovagliolo con aria
provocatoria.
« Luce. »
« Buio... », mormorò
l’Angelo in risposta,
stando attenta a non sfiorare la sua mano mentre lo riprendeva. La sua voce
cristallina riecheggiò nelle orecchie del Diavolo.
Poi il mondo
riprese a girare. Così come il brusio creato dagli studenti
a frastornarli, e la
pressione della folla a sospingerli verso le classi. La Custode e il
Tentatore
si scambiarono un ultimo sguardo, prima di superarsi l’un
l’altro e continuare
a camminare ognuno per la propria strada, il proprio dovere da
compiere, il
proprio destino. Nessuno dei due però poteva immaginare che
presto, troppo
presto, i loro destini si sarebbero intrecciati a formarne uno solo,
unico e
indissolubile.
Una cosa
però la
sapevano. Quella sicuramente non sarebbe stata l’ultima volta
in cui si
sarebbero incontrati.
Le labbra di
Reien si distorsero in un sorriso amaro.
Hikari si
strinse nelle spalle. Rabbrividì.
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Capitolo 3 *** Il vaso di Pandora. ***
NDA: Altro breve capitolo in cui l’obiettivo principale è presentare meglio Reien, e spiegare in che modo agiscono i Diavoli Tentatori. Se alcuni punti non vi paiono chiari, chiedete pure. Ma vedrete che col procedere della storia e col ripetersi di situazioni del genere, sia coinvolgenti Diavoli che Angeli, il tutto vi sarà più chiaro.
Capitolo 2
Il vaso di Pandora
Reien sbadigliò stirandosi le braccia sopra la testa, e poggiò tranquillamente i piedi sopra la cattedra.
L’aula in cui si era intrufolato era in realtà un piccolo auditorium, in cui un nutrito gruppo di studenti si era riunito per fare lezione di recitazione. In realtà tutto quello che stavano facendo al momento era stare in piedi, disposti a cerchio, e pronunciare una serie di suoni senza senso. A quanto pareva, stavano facendo degli esercizi per “scaldarsi la voce”.
Ovviamente, nessuno di quegli stupidi adolescenti in piena fase ormonale aveva notato la sua presenza, così come il professore di recitazione, che vagava come un’anima in pena per la sala. Divertito, osservò come l’idea di sedersi non lo sfiorò minimamente, nonostante l’evidente dolore alla schiena che continuava a massaggiarsi. Reien si sistemò più comodamente sulla sedia, intrecciando le dita dietro la testa. Era fantastico essere un Diavolo.
Si guardò intorno. Semplicemente posando i suoi occhi rossi sul viso degli studenti, poteva percepire chiaramente i sentimenti che aleggiavano nell’aria. Invidia, attrazione, simpatia, irritazione. Per alcuni era una bella giornata, per altri pessima. Li studiò attentamente. Chi sarebbe stato il suo prossimo obiettivo?
Il professore batté le mani, annunciando cinque minuti di pausa. Reien colse la palla al balzo, e scattò in piedi.
« Ciao. »
Con fare casuale, si era avvicinato a una ragazza di origine asiatica trattenutasi in disparte quando tutti gli altri studenti si erano riuniti in gruppetti per chiacchierare. Teneva lo sguardo basso, perso nel vuoto, e l’aria particolarmente stanca. Una preda facile, insomma. Le sorrise con fare amichevole.
La ragazza parve stupita, come se si fosse accorta solo in quel momento della sua presenza nella sala, cosa che per altro era vera. Poi la sua espressione si ammorbidì, probabilmente nel notare qualcosa nell’aspetto del Diavolo che corrispondeva ai suoi gusti. Bingo, pensò Reien.
« Ciao. », lei rispose al suo sorriso, sistemandosi i capelli corti dietro un orecchio.
« Delia, giusto? », il Diavolo le si avvicinò. Oltre alla spiccata empatia, come ogni Tentatore, Reien era dotato della capacità di carpire il nome di chiunque senza bisogno di chiederlo. La cosa migliore era che nessun umano sembrava trovarlo strano, anzi. Gli occhi di Delia brillarono di apprezzamento.
« Credo di non aver mai partecipato a una lezione più noiosa. », Reien aggiunse. « Mezz’ora per scaldare la voce, ma siamo seri? Io sono venuto qui per recitare, non per starnazzare come un’oca. », si lamentò, scherzando con lei. Giocare con l’ingenuità umana era uno dei suoi passatempi preferiti, secondo solo allo scatenare risse tirando un pugno che non sarebbe mai stato collegato a lui, bensì a qualcun altro che le avrebbe prese.
La ragazza rise.
« Stavo pensando esattamente la stessa cosa. Cos’è, mi hai letto nel pensiero? »
« No, sono semplicemente piuttosto bravo a capire le persone. » Le si avvicinò. « Infatti mi pare di aver capito che abbiamo un caso di fidanzato geloso ad ore dodici. »
« Ex fidanzato geloso, per favore. »
« Mi fa piacere sentirlo. », lui ammiccò.
La ragazza si morse le labbra con fare esaltato.
« E a me fa piacere che ti faccia piacere. »
È fatta, pensò Reien con una punta di soddisfazione. Si chinò su di lei.
« Lascia che ti aiuti. », le sussurrò a un orecchio con voce suadente.
Sugli occhi di Delia passò un velo di confusione.
« Come? »
« Tutto quello che devi fare è liberarti del dolore che senti. So che stai cercando di trattenerlo, però così finisci solo per farti del male. » Le sfiorò una ciocca di capelli. « E invece quello che si meriterebbe di soffrire veramente, se ne sta lì a tenerti d’occhio come se fossi di sua proprietà e a dire chissà cosa su di te ai suoi amici. »
Delia fissò per diversi secondi quello che era stato il suo fidanzato. Poi tornò a guardare Reien, totalmente rapita. Aveva gli occhi lucidi.
« Come posso fare per smettere di stare così male? »
« Sai già cosa fare. Desideri farlo fin da quando l’hai beccato con quella stronza. »
Lei parve esitare.
« Ma ora stiamo facendo lezione. Potrei finire nei guai se─... »
« Guardalo. », Reien si scostò di lato, passandole un braccio attorno alle spalle. «Ti sta mangiando con gli occhi, come se fossi solo un oggetto che ha messo da parte ma che si sente in diritto di riprendere quando vuole. Per lui sei solo un giocattolo. Lui non ti rispetta. »
Le lacrime presero a scorrere sulle guance della ragazza.
« Non mi ha mai rispettata, neanche quando mi aveva. E ora che mi ha persa osa guardarmi in quel modo?! »
Le labbra di Delia tremarono di rabbia e frustrazione represse da chissà quanto tempo, mentre si scostava bruscamente e si incamminava a passo deciso verso l’altro lato dell’aula. Il Diavolo si ritirò nell’ombra, incrociando le braccia, compiaciuto. Quello che si era limitato a fare era semplicemente stato togliere il coperchio che frenava le emozioni di Delia. E quello che uscì dal vaso di Pandora invase il mondo, oscurando il sole.
Lo schiaffo risuonò per tutto l’auditorium, in cui calò un silenzio di tomba. Solo la voce acuta e stridula di Delia si udiva, mentre spingeva il suo ex a terra e lo ricopriva di insulti. Se degli studenti non fossero intervenuti e l’avessero fermata prima, Reien aveva il presentimento che la ragazza avrebbe iniziato a prenderlo a calci fino a fargli vomitare le budella. Guastafeste, pensò il Diavolo con una smorfia seccata.
Ma il suo lavoro ormai era fatto, la sua cattiva azione mattiniera era compiuta, e lui si sentiva più soddisfatto che mai. Delia probabilmente sarebbe stata sospesa, e una sospensione a inizio anno non era esattamente un fiore all’occhiello del proprio curriculum scolastico. Ma la cosa migliore era che non si sarebbe mai ricordata di aver parlato con lui.
Reien sorrise tra sé e sé, mentre usciva dall’aula. Gli umani erano incredibilmente facili da manipolare.
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