Akuma x Mitsukai

di M e g a m i
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Un banale cliché ***
Capitolo 3: *** Il vaso di Pandora. ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


NDA: Eccomi qui con l’ennesima long, una storia originale. Come per le altre non prometto affatto di finirla, ma a questa storia in particolare ci tengo molto, quindi chissà. >w<
Per le altre storie invece non vi preoccupate, ho i capitoli quasi pronti! Pazientate ancora un pochino, per favore, ho appena finito gli esami e mi devo un attimo riprendere! xD
Allego anche un disegnino che ho fatto sui due protagonisti, a mo' di copertina
. Il titolo significa Diavolo x Angelo. VIVA L'ORIGINALITA'.
Bene, e ora buona lettura a tutti!







Akuma x Mitsukai






Elena Megami
 
Akuma x Mitsukai
 
 
 
Esiste una leggenda, vecchia come il mondo,
Tramandata nei secoli tra le creature del Paradiso e quelle dell’Immondo.
Essa stabilisce che se un Servo dell’Inferno
Riuscisse a rubare il cuore di un Figlio del Padreterno
Gli sarebbe data la possibilità di reincarnarsi
E verso un’altra vita incamminarsi.
Analogamente accadrebbe a uno Spirito Celeste che riuscisse nell’intento
Di donare a un Demonio Maligno un animo nobile e attento.
Ma tale leggenda è rimasta leggenda
Perché chiunque ha tentato è andato incontro a una fine orrenda.
Morte e rovina la speranza di un nuovo principio ha portato
Senza che nessuno della leggenda capisse il vero significato.
Angeli e Demoni continuarono così il loro diverso cammino
Finché dei due Eletti non si compì il destino.
Questa è la storia di una leggenda che leggenda smise di essere
A causa o per merito dell’amore che cominciò a crescere.
A voi la scelta, a voi il giudizio,
Questo della storia è l’inizio...
 
 
 
 
 
 
Prefazione
 
 
 
   L’aria della notte era gelida, il vento sferzante.
   Ormai era talmente tardi, o talmente presto, che neanche un’anima viva camminava per le strade di quella città grigia e buia. Poche ore più tardi sarebbe arrivata l’alba a tingere di rosso e oro i palazzi e le case, ma in quel momento di fredda solitudine, tutto il mondo gli apparteneva.
   I suoi passi pesanti calpestarono con forza il marciapiede, senza il minimo riguardo per il sonno dei senzatetto nascosti tra i vicoli, che si stringevano nelle coperte in cerca di un calore che non li avrebbe mai confortati.
   Una folata lo fece rabbrividire. Strinse i pugni nelle tasche della sua inseparabile giacca di pelle. Doveva continuare a muoversi, o sarebbe morto assiderato.
   Trattenne a stento un sorriso per l’ironia di quel pensiero.
   Smossa dalla brezza notturna, sentì una lattina rotolare per terra davanti a lui, e in lontananza, un gatto miagolare il suo disappunto per chissà cosa. La luce di un lampione tremolò come se messa soggezione dal suo passaggio.
   Stava aspettando.
   La pazienza non era la sua più grande virtù, se di qualche virtù poteva definirsi dotato. Eppure aveva imparato ad aspettare, nell’arco dell’anno che aveva passato a compiere il suo dovere in quel luogo triste e dimenticato dal Dio di cui non era alle dipendenze.
   Stava aspettando un segno, qualsiasi cosa. Dentro di lui sentiva che ormai il tempo era giunto. Non sapeva spiegarsi quella sensazione che non aveva mai avvertito prima, era come una specie di stretta al petto, ma era sicuro di quel che significava: cambiamento.
   La sua cosiddetta missione in quella città grigia era finita. Dove lo avrebbe condotto ora il vento?
   Chiuse gli occhi, sollevò la testa verso cielo d’ombra. Una strana euforia si impadronì di lui, e gli venne l’improvvisa voglia di cantare. Era tutto il giorno che aveva in mente il motivetto di una canzone sentita chissà dove, e il silenzio della notte non lo avrebbe certo fermato. Ma non fece neanche tempo a prendere fiato che qualcosa gli sfiorò il viso come una carezza.
   Sollevò una mano intirizzita, appena in tempo per afferrare il volantino spiegazzato di un qualche evento che si sarebbe tenuto di lì a pochi giorni, o che forse era già avvenuto da un pezzo. Stava per accartocciarlo e gettarlo via, quando poche parole, stilate con un tratto ordinato sul retro del foglio, catturarono la sua attenzione.
 
Accademia Artistica Gordon, Tessalia, Principato di Verne
 
   E nell’esatto istante in cui le lesse, seppe di aver trovato la sua destinazione.

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Capitolo 2
*** Un banale cliché ***


NDA: Niente da dire riguardo questo capitolo, a parte che spero vi piaccia! Il titolo l’ho scelto perché l’incontro tra i due protagonisti avviene in un modo che per noi “umani” potrebbe sembrare piuttosto scontato, ma per loro non lo è affatto. :°D
Un avviso importante per la clientela (?): con questa storia voglio cercare di fare i capitoli il più corti possibile, al massimo di cinque pagine (questo ad esempio è di tre pagine scarse). Non so se riuscirò in questo intento, visto che a me piace dilungarmi, ma penso che per chi legge sia meglio. Non voglio correre il rischio di stancare.
Or dunque, buona lettura!
 
 
 
 
 
 
Capitolo 1
Un banale cliché
 
 
 
 
 
 
   Al termine della sessione di orientamento, i corridoi deserti si tramutarono nella frazione di un secondo in un fiume in piena.
   L’Angelo non si era mai trovata in mezzo a così tante persone nella sua breve e nuova vita. Disorientata e affascinata al tempo stesso, rimase a fissare con occhi sgranati l’eccentrica cresta di uno studente che svettava tra la folla per la sua altezza allampanata. Poi la sua attenzione venne catturata dai lunghi capelli viola di un’alunna vestita di pizzi e merletti, dal dragone cinese tatuato sul braccio di un giovane di cui non riuscì a determinare il sesso, e ancora da ogni cosa nuova che vedeva, tanto che per poco un urto non le fece cadere di mano il quaderno sul quale aveva redatto diligentemente gli appunti riguardanti la lezione.
   Si riscosse.
   L’intenso vociare degli studenti la stordiva. In mezzo alla stravaganza che sembrava incarnarsi in ogni singolo allievo di quella scuola, si sentiva persa. E il fatto che nessuno potesse notare la sua presenza non aiutava.
   Con una punta di esitazione, estrasse dal quaderno un tovagliolo contrassegnato a penna che aveva trovato poggiato di fronte a lei sul tavolino di un caffè italiano. Avrebbe potuto giurare su Dio che, prima di distogliere lo sguardo per un attimo solo, non c’era.
 
Accademia Artistica Gordon, Tessalia, Principato di Verne
 
   Non sapeva cosa l’avesse spinta a recarsi in quel posto, ma dentro di sé aveva sentito come una sorta di richiamo che l’aveva attratta fin lì. Ritrovando fiducia in quel piccolo pezzo di carta, ripose il tovagliolo nel blocco e riprese a guardarsi intorno, cercando di non lasciarsi soggiogare nuovamente dall’atmosfera estremamente... artistica.
   L’Accademia era situata in un vecchio edificio dalla struttura gotica, riammodernato in modo da poter ospitare le aule e i laboratori dei corsi di belle arti, di musica e di recitazione. Ogni parete libera era stata ridipinta con illustrazioni, murales, e ogni sorta di forma di pittura, o presentava nicchie nelle quali erano posti busti e sculture. Volantini colorati affissi alle bacheche o abbandonati per terra svolazzavano per i corridoi, nei quali riecheggiavano debolmente, sommersi dal chiacchiericcio, il canto e la melodia degli strumenti suonati nelle aule del Conservatorio. Gli studenti dei corsi più avanzati avevano già iniziato da un paio di ore le loro lezioni, mentre le matricole erano state appena accolte da un’assemblea, nella quale era avvenuto lo smistamento nei diversi corsi e l’assegnazione alle classi. Eppure, anche solo trovandosi in mezzo a quello che non doveva essere che un terzo dell’intero corpo studentesco, L’Angelo faticava a vedere oltre il mare di gente che la circondava, tanto che era costretta ad alzarsi in punta di piedi per poter ammirare ciò che le stava intorno. Impressionata, si chiese quanti allievi fosse in grado di ospitare quella scuola.
   Un altro urto la colse di sprovvista. La ragazza che l’aveva appena superata senza dimostrare il benché minimo segno di essersene accorta, aveva una tasca dello zaino aperta. Il più delicatamente possibile, l’Angelo le si accostò e richiuse la cerniera. Dentro di sé ancora non riusciva ad abituarsi al fatto che gli esseri umani avessero una percezione così alterata di lei, tanto da non rendersi conto della sua presenza se non quando era suo volere manifestarla, e quindi ritrovava sé stessa ad intervenire con accortezza anche quando non ce n’era bisogno. Una lieve risata imbarazzata che nessuno notò le sfuggì dalle labbra.
   Si alzò nuovamente sulle punte dei piedi, tendendo il collo. Non fece che qualche passo, sovrappensiero mentre cercava di decidere in quale classe infilarsi, che finì per scontrarsi con l’ennesimo studente, il quale stava camminando risoluto contro corrente.
   Il quaderno che poco prima era riuscita a trattenere per miracolo le scappò di mano, cospargendo sul pavimento di pietra tutte le fotocopie e i volantini che aveva ricevuto durante l’orientamento. Le impronte di numerose paia di scarpe si stamparono immediatamente sulla carta bianca e colorata che nessuno si fermò per aiutarla a raccogliere. Anche il tovagliolo era finito a terra. Con uno scatto, si chinò ad afferrarlo prima che potesse essere calpestato insieme a tutto il resto. Ma le sue dita non entrarono in contatto con la carta velina, perché sotto la sua mano se ne era posata un’altra, molto più veloce nel prendere il tovagliolo e coprire la scritta a penna come se si trattasse di un segreto da nascondere.
   L’Angelo alzò gli occhi, atterrita.
   Lo studente che l’aveva letteralmente investita ricambiò il suo sguardo, mentre si rialzava, sovrastandola con la sua altezza.
   Il sangue le si raggelò nelle vene.
   Anfibi neri alti fino a metà polpaccio, jeans scuri, sbiaditi sulle cosce e strappati sulle ginocchia, forse accidentalmente, forse per una questione di stile: l’Angelo ne sapeva talmente poco di moda da non avere pregiudizi di alcun genere riguardo il modo di vestire delle persone. Un teschio le sorrideva minacciosamente, risaltando sullo sfondo grigio della maglietta. Il nome di una band parzialmente coperto dal giubbotto di pelle catturò la sua attenzione: aveva qualcosa a che fare con pistole e rose.
   Poi un gesto della mano di lui la distrasse. Solo in quel momento, seguendo il suo movimento, notò le sue corte unghie laccate di nero, ed entrambi i polsi fasciati da due polsini altrettanto neri. Lo osservò scostarsi dei ciuffi scuri dai riflessi ramati che gli ricadevano sul viso, e tirarseli dietro un orecchio, su cui intravide l’anellino di un piercing. I capelli lunghi e spettinati gli ricadevano appena sopra le spalle, ed erano intrappolati nel bavero alzato della sua giacca. Mentre si rialzava a sua volta, l’Angelo provò l’innocente impulso di allungare una mano e sistemarglieli.
   Ma fu solo un attimo. Perché non appena tornò a posare lo sguardo nel suo, lo vide ancora. E questa volta non ebbe più nessun dubbio.
   Nei suoi occhi sfregiati da una lunga cicatrice brillava una sfumatura di rosso vivo. Di rosso fuoco. Di rosso sangue.
 
   Qualcosa dentro il Diavolo fremette. In una frazione di secondo, si era trovato a fissare, divorare ogni curva del suo corpo snello, celato da un leggero vestito bianco, troppo lungo per risultare volgare, troppo corto per non alimentare l’immaginazione. Ogni cosa in lei sembrava immacolata: dalle basse ballerine senza un accenno di tacco, alle lunghe calze che le fasciavano le gambe fino alle cosce, alla sottile cintura che le cingeva la vita, al golfino che le copriva le spalle. Tutto in lei pareva perfetto, anche le sue unghie curate, il suo viso privo di trucco e i biondi capelli lisci raccolti per mezzo di due fermagli della stessa sfumatura di azzurro dei suoi occhi.
   Già, i suoi occhi. Quanto di più chiaro e limpido avesse mai visto. Era come se mai un’ombra di malvagità li avesse offuscati. Avrebbe potuto precipitare, dentro quell’azzurro cielo. Fino a perdere sé stesso.
   Seppe con certezza che quello era il suo nome ancora prima di pronunciarlo con il suo tono suadente e profondo, mentre le porgeva il tovagliolo con aria provocatoria.
   « Luce. »
   « Buio... », mormorò l’Angelo in risposta, stando attenta a non sfiorare la sua mano mentre lo riprendeva. La sua voce cristallina riecheggiò nelle orecchie del Diavolo.
   Poi il mondo riprese a girare. Così come il brusio creato dagli studenti a frastornarli, e la pressione della folla a sospingerli verso le classi. La Custode e il Tentatore si scambiarono un ultimo sguardo, prima di superarsi l’un l’altro e continuare a camminare ognuno per la propria strada, il proprio dovere da compiere, il proprio destino. Nessuno dei due però poteva immaginare che presto, troppo presto, i loro destini si sarebbero intrecciati a formarne uno solo, unico e indissolubile.
   Una cosa però la sapevano. Quella sicuramente non sarebbe stata l’ultima volta in cui si sarebbero incontrati.
 
   Le labbra di Reien si distorsero in un sorriso amaro.
   Hikari si strinse nelle spalle. Rabbrividì.

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Capitolo 3
*** Il vaso di Pandora. ***


NDA: Altro breve capitolo in cui l’obiettivo principale è presentare meglio Reien, e spiegare in che modo agiscono i Diavoli Tentatori. Se alcuni punti non vi paiono chiari, chiedete pure. Ma vedrete che col procedere della storia e col ripetersi di situazioni del genere, sia coinvolgenti Diavoli che Angeli, il tutto vi sarà più chiaro.
 
 
 
 

 
 

Capitolo 2
Il vaso di Pandora

 
 
 
 
 
 

   Reien sbadigliò stirandosi le braccia sopra la testa, e poggiò tranquillamente i piedi sopra la cattedra.
   L’aula in cui si era intrufolato era in realtà un piccolo auditorium, in cui un nutrito gruppo di studenti si era riunito per fare lezione di recitazione. In realtà tutto quello che stavano facendo al momento era stare in piedi, disposti a cerchio, e pronunciare una serie di suoni senza senso. A quanto pareva, stavano facendo degli esercizi per “scaldarsi la voce”.
   Ovviamente, nessuno di quegli stupidi adolescenti in piena fase ormonale aveva notato la sua presenza, così come il professore di recitazione, che vagava come un’anima in pena per la sala. Divertito, osservò come l’idea di sedersi non lo sfiorò minimamente, nonostante l’evidente dolore alla schiena che continuava a massaggiarsi. Reien si sistemò più comodamente sulla sedia, intrecciando le dita dietro la testa. Era fantastico essere un Diavolo.
   Si guardò intorno. Semplicemente posando i suoi occhi rossi sul viso degli studenti, poteva percepire chiaramente i sentimenti che aleggiavano nell’aria. Invidia, attrazione, simpatia, irritazione. Per alcuni era una bella giornata, per altri pessima. Li studiò attentamente. Chi sarebbe stato il suo prossimo obiettivo?
   Il professore batté le mani, annunciando cinque minuti di pausa. Reien colse la palla al balzo, e scattò in piedi.
   « Ciao. »
   Con fare casuale, si era avvicinato a una ragazza di origine asiatica trattenutasi in disparte quando tutti gli altri studenti si erano riuniti in gruppetti per chiacchierare. Teneva lo sguardo basso, perso nel vuoto, e l’aria particolarmente stanca. Una preda facile, insomma. Le sorrise con fare amichevole.
   La ragazza parve stupita, come se si fosse accorta solo in quel momento della sua presenza nella sala, cosa che per altro era vera. Poi la sua espressione si ammorbidì, probabilmente nel notare qualcosa nell’aspetto del Diavolo che corrispondeva ai suoi gusti. Bingo, pensò Reien.
   « Ciao. », lei rispose al suo sorriso, sistemandosi i capelli corti dietro un orecchio.
   « Delia, giusto? », il Diavolo le si avvicinò. Oltre alla spiccata empatia, come ogni Tentatore, Reien era dotato della capacità di carpire il nome di chiunque senza bisogno di chiederlo. La cosa migliore era che nessun umano sembrava trovarlo strano, anzi. Gli occhi di Delia brillarono di apprezzamento.
   « Credo di non aver mai partecipato a una lezione più noiosa. », Reien aggiunse. « Mezz’ora per scaldare la voce, ma siamo seri? Io sono venuto qui per recitare, non per starnazzare come un’oca. », si lamentò, scherzando con lei. Giocare con l’ingenuità umana era uno dei suoi passatempi preferiti, secondo solo allo scatenare risse tirando un pugno che non sarebbe mai stato collegato a lui, bensì a qualcun altro che le avrebbe prese.
   La ragazza rise.
   « Stavo pensando esattamente la stessa cosa. Cos’è, mi hai letto nel pensiero? »
   « No, sono semplicemente piuttosto bravo a capire le persone. » Le si avvicinò. « Infatti mi pare di aver capito che abbiamo un caso di fidanzato geloso ad ore dodici. »
   « Ex fidanzato geloso, per favore. »
   « Mi fa piacere sentirlo. », lui ammiccò.
   La ragazza si morse le labbra con fare esaltato.
   « E a me fa piacere che ti faccia piacere. »
   È fatta, pensò Reien con una punta di soddisfazione. Si chinò su di lei.
   « Lascia che ti aiuti. », le sussurrò a un orecchio con voce suadente.
   Sugli occhi di Delia passò un velo di confusione.
   « Come? »
   « Tutto quello che devi fare è liberarti del dolore che senti. So che stai cercando di trattenerlo, però così finisci solo per farti del male. » Le sfiorò una ciocca di capelli. « E invece quello che si meriterebbe di soffrire veramente, se ne sta lì a tenerti d’occhio come se fossi di sua proprietà e a dire chissà cosa su di te ai suoi amici. »
   Delia fissò per diversi secondi quello che era stato il suo fidanzato. Poi tornò a guardare Reien, totalmente rapita. Aveva gli occhi lucidi.
   « Come posso fare per smettere di stare così male? »
   « Sai già cosa fare. Desideri farlo fin da quando l’hai beccato con quella stronza. »
   Lei parve esitare.
   « Ma ora stiamo facendo lezione. Potrei finire nei guai se─... »
   « Guardalo. », Reien si scostò di lato, passandole un braccio attorno alle spalle. «Ti sta mangiando con gli occhi, come se fossi solo un oggetto che ha messo da parte ma che si sente in diritto di riprendere quando vuole. Per lui sei solo un giocattolo. Lui non ti rispetta. »
   Le lacrime presero a scorrere sulle guance della ragazza.
   « Non mi ha mai rispettata, neanche quando mi aveva. E ora che mi ha persa osa guardarmi in quel modo?! »
   Le labbra di Delia tremarono di rabbia e frustrazione represse da chissà quanto tempo, mentre si scostava bruscamente e si incamminava a passo deciso verso l’altro lato dell’aula. Il Diavolo si ritirò nell’ombra, incrociando le braccia, compiaciuto. Quello che si era limitato a fare era semplicemente stato togliere il coperchio che frenava le emozioni di Delia. E quello che uscì dal vaso di Pandora invase il mondo, oscurando il sole.
   Lo schiaffo risuonò per tutto l’auditorium, in cui calò un silenzio di tomba. Solo la voce acuta e stridula di Delia si udiva, mentre spingeva il suo ex a terra e lo ricopriva di insulti. Se degli studenti non fossero intervenuti e l’avessero fermata prima, Reien aveva il presentimento che la ragazza avrebbe iniziato a prenderlo a calci fino a fargli vomitare le budella. Guastafeste, pensò il Diavolo con una smorfia seccata.
   Ma il suo lavoro ormai era fatto, la sua cattiva azione mattiniera era compiuta, e lui si sentiva più soddisfatto che mai. Delia probabilmente sarebbe stata sospesa, e una sospensione a inizio anno non era esattamente un fiore all’occhiello del proprio curriculum scolastico. Ma la cosa migliore era che non si sarebbe mai ricordata di aver parlato con lui.
   Reien sorrise tra sé e sé, mentre usciva dall’aula. Gli umani erano incredibilmente facili da manipolare.

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